d. Va % hi °. 1 c» ; È 9 a Mi i d È LAI 9 È di ua l x Li; ® ° ri "la ti - IE Pig * / a © A È, >» al ° \ A } , 0) Ru af d tt ° d # l i d 1%) hd do -_ 4 si ì: si se r ' Pr ati f n u SET A N -L \ ai rs. Ii .* di i e da i e) e. 4 rali ii i TI a P, 0° È : po ta % di e dp. h da 4 Ù Lu ; all % , 4 ò a È é , e È Le +4 n » u 4 n È, 7 sà c- ° ne % l >», > +" i < È i AN TOLOGIA "GIORNALE. DE SCIENZE, LETTERE E ARTI a 67. I Li 1626 Anno VI. Vol. XXI , FIRENZE Kei A AL GABINETTO SCIENTIFICO x LETTERARIO pi G. P. VIEUSSEUX Di aeeroai x Epirore ‘ TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. sa AVVISO I Sigg. Associati che non hanno ancora . % saldato il 1° semestre del presente . I ‘anno , Sono pregati di farlo. senza ritardo. ANTOLOGIA LUGLIO, AGOSTO, SETTEMBRE \ 1026. | TOMO VIGESIMOTERZO. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE £ EDITORE TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATEI, MDCCCXXVI, è ff ira ch 33 OS i È RICREA: % 3, ihr b_ i, pig ara: ANTOLOGIA N. LXVII. Luglio, 1826. Al Direttore dell’ Antologia UrBANO LAMPREDEI. Ragusa a dì 30 di aprile 1826. Ho ricevuto con piacere la vostra dei 30 marzo in ri- sposta ad altra mia scrittavi nel precedente febbraio , nella quale vi accennava qualche cosa dell’impressione che ave- vami fatta l’ articolo del vostro egregio collaboratore sig. M. sulle Nozze di Cadmo e di Ermione. Voi mi dite delle cose sensatissime sulla quistione che si agita da qualche tempo, e che divide in due parti i letterati francesi ed italiani, ad alcuni dei quali piacciono le dottrine dell’ audace scuola bo- reale , o romantiche; adaltri no; e questi seguitano le orme stampate dai nostri vecchi padri, cioè de’ classici, e le re- gole da loro fissate nelle rispettive composizioni poetiche, drammatiche , o letterarie. Voi dite che la questione, agli oc= chi de'moderati, è solo sul nome; e con bizzarra comparazio- ne aggiungete che la disputa frai così detti classicisti ed i romantici , fra quindici anri sarà pei letterati; come quella dei piccinisti e dei gluckisti in Francia pei dilettanti attuali dell’ opera italiana. Ho qualificata la vostra comparazione col titolo di bizzarra, non tanto perchè alla letteratura contrappo- nete la musica, quanto perchè, trovaudovi voi alla direzione di un giornale letterario , sembrate di pensare, che fra i lette- rati, sieno essi del sistema romantico o del classico, possano esservene de’ moderati e ragionevoli in tanto numero da -far 4 terminare la questione, cioè da far cessare una mera disputa di parole. Voi ben intendete esser questa una vera rivoluzione letteraria, e sapete ancora che in ogni rivoluzione è necessario di appoggiarsi ad una parte, perchè i neutri ordinariamente so- no perseguitati, e, quel che è peggio ancora, disprezzati e scherniti da ambedue le parti, Ma quando con tutta la pruden- za,il che è ben raro, si è fatta la scelta della parte , allora sì l’amor proprio che l'interesse ci sospingono a mostrare tutto il nostro zelo per sostenere la propria ed abbattere l’altra , e così segnalarci nell’arma. Ora questi sforzi , più o meno vigorosi secondo il carattere dei combattenti; escludono, par- mi, e moderazione e ragionevolezza. Siccome poi le conse- guenze che ne risultano nel regno delle lettere, non sono tanto tristi, anzi niente pericolose , come in altre scissioni fra gli uomini, e questa circostanza rende il partigiano più audace, ecco la moderazione quasi moralmente impossibile. Ma se a malgrado di queste considerazioni , voi credete di poter sostenere la vostra tesi, io vi dirò francamente : comin- ciate dunque dall’insinuare la moderazione nel sullodato vo- stro collaboratore sig. M. , che io quasi appellerei in Italia l’Achille ed il Rinaldo dei romantici. Il quale non sola- mente adopera l’ armi finissime del suo ingegno e della sua ben affilata penna per combattere, ma servesi ancora delle medesime per blandir dolcemente ai campioni della parte contraria per attirarli alla sua ; e così non solamente si se- gnala negli assalti, ma eziandio nel procurare un proseli- tismo utilissimo alla sua parte. E voi ne avete una chia- rissima prova ne’ due articoli sopra i poemetti del Monti ai n.i 57 e 58 della vostra Antologia, dove anche si trova un bell'articolo sulle nuove tragedie del nostro illustre Nicco - lini. Nei primi, quanti elogii non fa egli della valenzia del Monti nello scrivere sul gusto romantico ; e questi elogii è vero, sono ben giusti; ma il fine per cui son fatti, tra- sparisce, anzi apparisce in mille luoghi, che io non ripor- terò per non empir la lettera di allegazioni inutili, massi- mamente avendole non poco da fare seguentemente. Nell’ar- ticolo poi riguardante il Niccolini, egli usa le medesime arti per tirare nella sua rete quel bell’ingegno, che certo sareb- - 5 be per la parte romantica un’ acquisto di moltissimo prez- zo; e l’artifizio è tanto più pericoloso, perchè l'articolo è disteso da mano maestra, come ordinariamente sono gli al- ‘tri suoi ; ma in questo caso avea un miglior campo e più ricco di pregii, che meritan lode per la qualità della com- | posizione classica e per le difficoltà maggiori che presenta ad un felice riuscimento. Or ditemi un poco: con tanto zelo , di proselitismo può egli uno appellarsi moderato? Ma voi forse mi risponderete, che, giusta ciò che di sopra ho detto, in questi casi bisogna che un giornalista si attenga ad un partito, ie che il sig. M. ha scelto il romantico, del quale è caldo, promotore sì ma tale da rendere sempre la dovuta lode e giustizia a quelli della contraria parte, benchè an- cora di questa arme si serva per favorire la sua, ch’ ei cre- de la più utile ai progressi della buona letteratura per le ragioni da lui addotte, e le quali bisogna abbattere per con- vincerlo. Questa risposta sarebbe la più onesta ed anche ra- gionevole; ma io replico, che il lodare chi lo merita ap- paga l’individuo, ma non sempre l’ arte, quando special- mente la lode anche giusta e dovuta è diretta a guadagnare ed a cattivarsi il lodato. Bisogna per altro che io mi disten- da alcun poco a provare questa mia proposizione; cioè che nel predetto articolo sulle nozze di Cadmo il sig. M. non ha, come è suo dovere, provveduto agl’interessi della let- teratura. Checchè possa dire il sig. M. ed i suoi confratelli cen- sori letterari, il fine di ogni letteratura si contiene in quelle due norme classiche espresse dal Venosino in que’due nobilissimi versi: Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci Lectorem delectando pariterque monendo. Ora come si è comportato egli con l’ arte annunzian- do l’Idillio del Monti? Egli comincia, è vero, così: Evviva sempre î bei versi; evviva i bei versi, quand meme! . . . cioè confessiamo che i versi son belli, benchè adorni sieno di veste mitologica, e tale sia ancora il soggetto. Egli adun- que ha confessato che la regola del dolce è osservata: ma 6 riprovando sempre l’ uso della mitologia con quel quand mé- me. Dirò di più, ch’ egli confessa ancora, che non è stata obbliata l’altra regola dell’uzi/e , soggiungendo con molta festività e brio: — Poco c’importa di Cadmo e di Ermione e del divino corteggio, dugentomila volte già descritto, il quale onorò le loro nozze come tante altre nozze illustrissime; c’im= PORTANO però INFINITAMENTE Ze /odi dell’arte di pinger la voce e di rendere sensibile il pensiero ec. — Dopo questo ret- tissimo giudizio o critica dell’Idillio, che restava di fare al sig. M.? Gli restava il dovere di avvertire il giovane letto- re che anche da un soggetto e dalle forme tratte dalla mi- tologia si può adempire al doppio officio della letteratura. Non bha egli lodato a cielo il Monti come scrittorè roman- tico nelle sue cantiche ed in altre sue liriche sublimi ? Per- chè non ha egli fatto lo stesso rispetto a questa sua pro- duzione, facendo osservare, che come in quelle aveva sod- disfatto ai bisogni della verità e della ragione, così era riu- scito anche in questo Idillio mitologico ad ottenere lo stesso, e quindi almeno limitare l’esclusione assoluta ed indefini- ta della mitologia, come i romantici pretendono? Ma in ve- ce di far questo, egli fa un invidioso paragone fra 1’ Idillio mitologico del Monti ed il gesneriano del Maffei, e , posta in confronto la maestà semipindarica del primo con la sem- plicità naturale del secondo, conclude, che questa gli par di quella più bella e più degna di starle a fronte. Anzi non contento a tanto ripiglia. — se Ja sua imitazione (del Maf- fei) valesse in ogni sua parte ciò che vale, seneralmente par- lando , la sua versione, non ci mancherebbe il coraggio di dire — Mirone e Dafne pastorelli stiano innanzi a Cadmo ed Ermione Semidei. — Ecco dunque data la preferenza al- l’Idillio gesneriano o romantico rispetto al classico del Mon- ti, senza neppure che abbia premunito l’ animo del giova- ne lettore con la conseguenza da me qui sopra accennata, E non diremo noi questa maniera di giudicare il risulta- to di uno smodato amor di parte, che ragiona sì alla sua maniera e con istile brillante , ma si rende poi riprensibile ed anche ingiusto? Nulla io dirò di quel sorriso, col quale accompagna il ricevimento di que’ versi mitologici del Monti, td che noi crediamo certamente, com’ei dice, destato dalla sin- cerità ; perchè dal carattere dello scrittore e dal contesto de’ suoi articoli su questa materia si scorge, che quel sor- riso non è nè di compassione , nè di diprezzo , ma di sem- plice dispetto , e perciò perdonabile; dispetto nato in lui dal vedere, che il Monti valentissimo campione , com’egli è, abbia creduto dell’ onor suo di rompere una lancia per l’ol- traggiata mitologia stata a più riprese la dama dei suoi pen- sieri. Ciò però che a lui si perdonerà di molto mala voglia, è quanto dice prima di sorridere; cioè: — così il cav. Monti che con due cantiche ed alcune liriche sublimi ci aveva più che qualunque altro de’ nostri poeti fatto prendere il gusto di questo vero (romantico) e di questa nuova specie di velo (pure romantico) avesse voluto seguitare a soddisfarlo: la sua gloria sarebbe stata maggiore come il nostro vincere e la no- stra UTILITÀ.——Quanto al piacere osservo, che i soli versi del Monti lo hanno fatto sclamare sul bel principio — Evviva î bei versi — e poi ripetere per ben due volte questa escla- mazione in mezzo al suo dispetto, In quanto poi all’utilità, egli si è perfino scordato di aver detto, che nel poemetto del Monti sono cose o verità importantissime. Nè io voglio dire, che non si contengano anche in quello del Maffei; ma per- chè dare a questo la preferenza sopra quello? Io credo di scorgerne la ragione, ma ne parleremo più sotto. Prima di esporla, voglio incalzare con qualche altro col- po della mia cattiva lancia il sig. M., come appunto lo in- calzerei, se mi trovassi con lui nella vostra sala di con- versazione, dove altre volte in lieta e scelta compagnia ho passato alcune serate, le quali desidero vivamente ancora. Ditemi un poco , caro sig. M. (gli direi) avreste voi vera- mente prorotto in quella esclamazione — Evviva sempre i bei versi — se non fossero stati adorni di quel velo mito- logico, che vorreste escluso dalle poetiche composizioni? Tut- ti sanno che la ragione scrittà può giungere essa sola a met- ter pace fra le discordie umane ed alle guerre suscitate dalle passioni o di ambizione o d'’ interesse privato; ma quanto più fortemente passa e quanto più profondamente s’ impri- me questa idea, quando, per esempio, figurata la ragione 8 scritta sotto l’ emblema della mitologica Minerva, Monti vi dice e vi rappresenta questo vero con questi mitologici colori?. .. Qual già fuori del sacro capo di Giove orrenda» mente armata balzò Minerva, ed il paterno telo, cui nessu- no de’ numi in sua possanza ardia toccar; trattò fiera don- zella, e corse à Flegra a fulminar tremenda i figli della ter- ra, e fè sicuro al genitore dell’ Olimpo il seggio. Tutti sanno ancora e possono dire con più o meno forza ed eleganza di stile, che la stessa ragione scritta combatte l'ignoranza e l'errore ; ma chi imprenderebbe a dirlo con eguale forza di eleganza a quella (e datene pur l’ incarico al più ostinato ed eccellente poeta romantico che si abban- doni pure al suo estro ed alle sue ispirazioni ) a quella, dico , dove si legge che quella stessa Minerva coll’armi ter- ribili del vero fulminando atterrasti della cieca ignoranza gli altari e la gigante forza frenasti dell’error j che stretta sul ci= glio all’uomo la feral sua benda etc. ; e poi seguitate fino al fine; e troverete una serie di verità utilissime, che il romantico vi dirà sì, ma come? benchè io voglia supporre in lui il medesimo valor poetico. Ma in questi casi la sua immaginazione sarà acceasibile , ma non accesa dagli ema blemi e dalle allusioni mitologiche. E ciò sia detto im ri- guardo ai colori che presta la mitologia. Quanto poi alla scelta del soggetto 3 qual poteva trovarne il: Monti più ac- concio all’uopo, che parlare del ritrovatore delle lettere di- rigeadosi ad un signore italiano che le ‘coltiva non solo co- me letterato insigne, ma che ne conserva i tesori in uma scelta e numerosa biblioteca di libri e manoscritti, compri'a gran prezzo? Osservate, a proposito dell’arte, quanto è fe- lice la transizione dagli effetti della ragione scritta alla per- sona del padre delle spose. Da quel giorno, dic’ esuli, che Calliope fè volare quell’inno sublime nelle nozze di Cadmo— Preser le Muse da quel giorno usanza di far lieta de’canti d’ Elicona degli eccelsi le nozze, ovunque in pregio son d’ Elicona i dolci canti. Or quale, qual v ha sponda che sia, come l’ Insubre, Dalle grazie sorrisa ‘e dalle Muse? Qual tempio sorge a queste Dee più caro che l’eretto da te, spirto gentile , nelle cui vene ec. E dopo aver con bellis- 9 simi versi accennato fe glorie militari de’suoi maggiori, ri- piglia... ...... A te concede altra gloria e più bella, e senza pianto, senza strage e rovine il santo amore de’ miti stu- dii del silenzio amici. Che da Febo guidati e da Sofia trag- gon l’uom dal sepolcro, e il fanno eterno.— Da tutto ciò parmi poter concludere, che giudiziosa è stata la scelta di questa storia mitologica perchè convenientissima al sogget- to, e perchè la mitologia stessa ha fornito il poeta di bel- -lissimi e vivi colori, che danno più vigore e grazia alle sue- animate figure, e soddisfanno alle regole dell’arte. Il che, parmi, dovevate francamente dire a coloro che vi ascolta- no come giudice in queste materie , e non sorridere pel dispetto di non aver campione del vostro sistema un sìga= gliardo cavaliere. E quì è tempo di esaminare quella ra- gione, che io ho detto quì sopra di scorgere, perchè veg- go, che mi risponderete ciò che trovo scritto alla p. 10I «dell’Antologia n.° 57. Quivi si legge— La mitologia sarà cosa splendidissima: chi lo nega? Ma la natura ha un’attratti- va, che quella da gran tempo non ha più.— Essa però ne ha avuta tanta che vi ha fatto prorompere in quella ma- gnifica esclamazione,—E poi ripigliate:— La mitologia sa- rà anche sapientissima, ed il nostro senno dovrà dirsi ben POVERO , come canta il Cav. Monti, non vedendo il vero che vi è ascoso © ma se questo vero ha sempre un tal vero cH' 0c-, CHIO VOLGAR NOL Passa , e le iniziazioni divenute necessa- rie .a penetrarlo oggi o son divenute sommamente difficili (veg- gasi la grand’ opera di Creuzer) o ci fanno gettare un tem- po prezioso , che può assai meglio impiegarsi , ci è ben for- za preferire un vero più manifesto , 0 un velo di nostra tes- situra, e quindi più trasparente ; cioè il romantico. — Da questo vostro ragionare e da tutto ciò che di più dite con molto garbo ed erudizione si sente bene, che il vostro ar- gomento è questo: le forme ed i simboli mitici hanno per- duto per noi ogni chiara allusione , ed ogni importanza; cioè la mitologia è un velo opaco che non ci lascia vede- re la verità, primo bisogno della ragione umana ; dunque non bisogna usarne ; dunque bisogna rinunziare a questo velo inopportuno e sbandirlo.. Ma quì io dimando : chi non IO capisce più le allusioni mitologiche e le loro relazioni con la verità delle cose? Non certo voi colto e. bell’ ingegno, non alcuno di quelli che hanno ricevuto una educazione let- teraria, ma per avventura il sarto ed il calzolajo, che hanno passato la prima adolescenza come fattorini di qualche bottega. Ora ditemi un poco: quando Monti si accinge a cantare per le nozze delle figlie del march. Trivulzio, credete voi che il faccia per cotale specie di persone, o perle persone dotte e letterate? Io credo per queste certamente 5 e quando anche in questo caso appaga il gusto e la ragione, come li appagava, quando scriveva le sue liriche sublimi, perchè ostinarsi a non vo- ler riconoscere che vi sono de’ casi e de’ poeti , i quali pos- sono far un uso felice della mitologia, e che realmente ella è sapientissima se non pel basso popolo, certo per chi ha spiegato nelle scuole Virgilio ed Orazio e Catullo ed Ovi- dio? Prendetevela pure con que” mediocrissimi poeti, chè in occasione di nozze vi scappano fuori con Cupido e le sue quadrella d’oro e con Venere e con Imeneo che accende la face, ma non con un gran poeta, che sceglie opportuna- mente nella storia mitica un nome celebre, e così vi dice cose IMPORTANTISSIME , che voi benissimo e molti altri compren- dono chiaramente , e ve le dice con forza e maestà semi- pindarica, ed o v'istruisce, dando più di energia e di vi- gore alle idee che già avete, o certamente vi diletta più di ogni altro. Che se dopo la vista di un paesetto di Sal- vator Rosa passando a vedere la trasfigurazione di Raffael- lo, amate più la semplice natura del primo che la subli- me maestà del secondo, siavi pur lecito, ma non avrete molti che a voi si uniranno in questo sentimento. Vi dirò ancora di più : prendetevela ancora con me, il quale VO- lendo fare un complimento poetico a quella stessa Divina Antonietta, cui il Monti dirige il suo sermone intorno al- l’ audace scuola boreale , io mi proposi di esprimere questa idea romantica, cioè che nelle donne bellissime rare volte, per non dir mai, sia per le adulazioni, che accompagnano sempre la loro giovinezza o per altra qualsiasi causa , si unisce la cultura dell’ ingegno e dello spirito alla bellez- za, come pareva a me che si unissero in quella Dama. Io 11 che non mi sono mai nè creduto nè vantato poeta classico e molto meno romantico, cioè atto a grande o forte ispi- razione del genio poetico, ebbi ricorso alla mitologia, e presi un velo, nel quale era ricamata Venere, dea della bellez- za, Pallade o Minerva, simbolo dell’ingegno, e Giunone dello spirito, cioè di quella alterezza che nasce dalla coscien- za della propria dignità, e composi questo sonettuccio (1), che (1) ALLA MARCHESA ANTONIETTA COSTA URBANO LAMPREDI! Fin da que! dì che dello Xanto in riva (E discordia lo volle e d° Ilîo il fato) Quell’ aureo pomo alla più bella Diva Dal mal sedotto pastorel fu dato; De’ lor tesori la beltà far priva Crucciose le rivali avean giurato: Chè langue alfin beltà, se non l’ avviva Ingegno e petto d’ alti sensi armato. Tu nascesti, Amarilli ; e grazie e brio Vener t' infuse e quel sorriso amico, Degli amorosi cuor dolce disio. Ma il nume a te non si mostrò nemico Di Palla e Giuno; e sol per te, cred’ io, Scordaron ambe il giuramento antico. Traduzione di FAUSTINO GAGLIUFFI. Qua luce incautus (Priami sic fata ferebant) E tribus unam aurum jussit habere Paris, Iuràrunt reliquae , mentemque et grandia sensa Formosis posthac defore corporibus. Tu tandem nostras venisti Amaryllis in auras, Cui dedit ipsa omnes prima Venus Charitese At, tibi non Juno, non uni Pallas iniqua, Propositum unanimes praeteriere suum. Traduzione di ANTONIO CHERSA, Qua luce ad Xantum (Trojae sic fata ferebant, Sic Dea, quae rixas et fera bella ciet ) Incautus fatale Deae, quae pulcrior inter ‘Tres aderat, pomum pastor habere dedit, 19 insieme con due traduzioni latine vi dò; l'una dell’ illa stre F. Gagliuffi, l’altra di un altro valentissimo latinista raguseo il sig. Antonio Chersa , col quale mi pregio di aver quì contratta una leale amicizia , ed il quale, siccome il pri- mo in Italia; conserva quì in Ragusa (patria di entrambi) e fa sempre vivere il gusto della lingua latina, e l’eredità del nome lasciato a questa scuola. dallo Stay, dal Cunich, dallo Zamagna e da altri. Io lo composi verso il 1810, quan- do essendo in Genova conobbi quella egregia donna , che con pochi tratti ebbe la compiacenza di delineare fedelmente il mio ritratto, come quello di molti altri che teneva poi nel suo gabinetto, testimone del suo ingegno. Ognun paga con la propria moneta. La mia non era certo di lega per- fetta; ma noi altri poetucoli di 2.° 3.° e 4.° ordine dicia- mo con l’Ariosto:—Nè che poco io vi dia, da imputar so- no; chè quanto posso dar tutto vi dono—e ce la passiamo benissimo. Per l’ amor del cielo dispensatemi dalle formole di uso e dalle dichiarazioni ordinarie. Sappiate solamente che io vi dò questo sonetto, non perchè me lo lodiate, ma perchè con esso alla mano, invece di scusarmi , ardisco di sfidare un poeta romantico, per altro dello stesso mio basso grado , non un Monti che è di primo, od altri di grado su- periore , ad esprimere con più chiarezza e maniera poetica la medesima idea senza alcuna mitologica allusione, come appunto il Maffei ha combattuto col Monti col suo ldillio gesneriano. Ed in tal guisa esporremo al pubblico due qua- dretti sullo ‘stesso soggetto o tema, ma trattati con diverso disegno e maniera; e ne attenderemo tranquillamente il giu- Non fore, juràrunt reliquae, dein laeta niteret Ut donis ullo in tempore forma suis: Illa etenim languet, nisi conspiràrit eodem Vivida vis animi in corpore et ingenium. Prodîsti: simul et formae praestantis honores, Quique tibi multus ridet in ore lepos, Dulcis amatorum cura, afflat Cypris amica. Sed tibi non Pallas, non et iniqna fuit luno, Amarylli. Unam te propter, credo, Dearum Lex illa oblito decidit ex animo, i 13 dizio. Eppure io veggo il mio svantaggio, perchè iò mi' credo molto inferiere all’ autore dell’ Idillio, dove la semplicità | della natura e delle descrizioni è veramente mirabile e ta- lora graziosa: ma non manca, cred’io, di semplicità neppure il mio sonetto, benchè della semplicità (che è la zenzità) dello stile, la quale è ben diversa da quella del sentimento, che è propria dell’autòre dell’Idillio. Vi do in somma questo sonetto; e perdonatelo al mio amor proprio ; non perchè non mi diciate liberamente il vostro parere, ma per darvi un saggio di una composizione fatta secondo il classicismo, cioè col soccorso della mitologia, che non merita di essere ec- cettuata dal rigore romantico, come quella del Monti. E que- sta ultima sola eccettuzione manca al vostro articolo in luo- go di molte altre vostre considerazioni j che ho già nota- te, e che vi fanno comparire uno scrittore troppo domi- nato da studio ed amore di parte ; il che parmi che noccia moltissimo a tanti altri grandi e be’ pregi e parti che avete come scrittore. i Dopo questa conversazione col sig. M., torno a voi, mio caro Vieussenx. Io non sò quale uso voi farete di questa cantafèra ; se crederete bene cioè d’inserirla nell’Antologia con una risposta del sig. M., o no. Quale che sia la vo- stra risoluzione, abbiate in questa scrittura una riprova, che io m’interesso a voi, ed al vostro giornale, per cui avete tanti titoli alla riconoscenza degli amatori delle lettere, e specialmente italiane. Come vedrete voi stesso, la mira che ho avuta, è stata quella d’indurvi a togliergli una picciola imperfezione , che nasce dal troppo zelo per una causa, che ha in sè qualche principio di buon effetto, ma che lo perde, se non è essa trattata con moderazione ed avvedimento. Se certe affezioni nervose che mi tormentano da qualche tem- po, lo mi permetteranno, dirò ancora il mio qual che siasi parere sull’ altro punto romantico della esclusione delle tre unità nelle composizioni drammatiche, e sui soggetti da pre- ferirsi nelle tragedie. In questa seconda parte, cred’io, ci troveremo d’ accordo col Sig. M. Salutatelo grandemente a mio nome insieme col prof. G. B. Niccolini, vero e bel lu- 16 me delle toscane lettere e con altre lucide fammelle, che tuttavia, come mi giova credere, le vostre se- rali e gradevoli conversazioni nel vostro gabinetto lettera- rio. State sano e date galche riscontro al Vostro affezionatissimo Uzzizo Lampzeni. [_212Àqz_}_____ro—©@#—.-P—È__-—&+_-@_+ __@2@©+©=-4l2l1214ÀkzÉ—E— —.E@©: La Geozcica pe riozi. Poema di A. M. Bicci cav. del S. O. G. Pisa 1825. A parlare di questo gentile lavoro, bello come i fiori , vivace come l'alloro, cominceremo dai difetti ; verremo a’ pregi, diremo all’ ultimo della prefazione. La divisione è sì strana , che merita, lettor caro, la tna benigna attenzione. I. La prima cosa a notare sarebbe l’ uso della mitologia ; ma di ciò in sulla fine. Qui dello stile e del verso. Diremo adunque , che la prima terzina e l’ultima del poema sono men belle di tutte. Quella Sovrana Beatrice che arride al bello onde gioì natura, e quel nome di laude onusto , son fra- si da lasciarsi ai poeti del secolo decimo ottavo. Diremo, che i modi riportar vanto, breve incanto , aer fioco , la piva d’I- blei succhi irrorata , non piacciono a quelli cui tutto il resto pur piace sommamente, Così potevansi meglio tornire i versi: Dal tuo pallor sembrasti anche più bella: — Che forse alla città neppure incresca — Qualche loro vivea segreto amo- re — Quando surse tra lor lungo piato. — E nel primo can- to il censore K. X. Y. non ritrova altri difetti di rilievo a notare. Le parole che diconsi tecniche non sempre furono dal Ricci locate ad estrema necessità: Filtrare,circoscrivere , ar- chitettare, disordinato , graduato , formicofago , sono meno necessarii d'area , visuale , atmosfera. L’ arte figulina , gli archi-volti, l’isolare, il tipo, il geometrizzare, il file per fila, l’ondi-sonora,i venti oltracotanti, lamenta che si ringallazza, la ninfa che impalma un fiore, i nomi riprodotti nel fiore, so- 19 no parole men belle di quelle con felice ardimento aggiun- te dal Ricci alla lingua: Zmpervio, florale, pumiceo, polviscolo. Avvi due volte ripetuta una rima : avvi due volte una terzina, la cui rima non lega col secondo verso della prece- dente ; ma noi di questa libertà ringraziamo il poeta. Se men si temesse violare la rima non si vedrebbero nella poe- sia tante e tante violazioni del senso comune. Ciocchè più ne spiace, come che sia rarissimo , sono que’ giuochi metastasiani, che fecero per tant’anni bambo- leggiar la poesia della povera gioventù: — Poichè l’ onda e la terra e il ciel clemente — E inver l’onda e la terra e il ciel non mente — Ed or sentier silvestre , ed or fiorito — Or sentiero selvaggio , ed or fiorito — Non ti stupir, non ti sdegnar di questa — Per vaporar, per profumar l’altare — Per erudir, per abbellir la vita. La piccola improprietà dello stile, i versi negletti, gli sforzi della rima sono in questo poema sì rari, che una pa” gina sola basterebbe alla nota di tutti. Noteremo per ulti- mo cosa minutissima, ma che adoprata da tali ingegni qual’è questo Ricci , potrebbe tornare per mal esempio dannosa. È l’abuso dei punti . + + + Musa non più di guerre. — Que- ste parole avean forse bisogno d’ essere seguite da punti, che dovrian solo servire ad esprimere una reticenza di senso ? L'abuso di questi punti fù al sommo, e denotò 1’ ultima perversione della italiana poesia. Vedi, lettore, quali siano gl’ indizii d’una letteratura corrotta! Prefazioni lunghe, lun- ghe note, citazioni molte , molti punti ammirativi, molti...; moltì versi sonanti, molte dispute arrabbiate, molti arti- coli di giornale ec. ec. II. Siamo a’ pregi. Ma per numerarli , converrebbe tra- scrivere tutto il poema e commentarlo. Quale idea più leggiadra e più filosofica di quella? G.II......++.. Tofiu ch’eterna rida La gioventù dalla vecchiezza altrui. Qual pensiero ,e come espresso, là dove parla dei giar- dini dell’ Anglo, di cui 2° orme adora l’ età novella. C. III, Ma che al vago disordin s’ avvicini, Onde beltà negletta è ancor più bella 16 Tra certi al Bello e al Ver mutui confini ; Che non sembri a natura cnqua rubella L’ arte che alletta più se men sì mostra. E l'elogio de’fiori , dal poeta bellamente chiamati yes- senza della gioja! C. III. Dai profumi de’ fior ligure ingegno, In un mar senza stelle e senza fondo , Sentì la sponda omai vicina , eil regno ‘| Dell’ uomo estese, e raddoppiogli il mondo. Come profondo è quel tocco sulla musica ! _ C. IV. Che a più vivo sentir l’alma apparecchia, E dopo avere parlato dell’ armonia di tutta la natura e de’ sensi, con quale ingenua eleganza soggiunge ! C.IV. E di malbica tal compose amore, Questa vita sì breve a far più dolce, La melodia che ti favella al core. Come dipinse la propria matura , essenzialmente poe» tica, allorchè disse! C.IV....:..,Ove ragion promette Fredda l’arte sì mostra , e, il Bello dorme. Come mostrò di conoscere il primo grado di quell’ amo- re, a cui la ragione è pria mezzana, e poi serva, chi scrisse: C. V.......Edeisente al suo fianco Ch'ella degna saria d’essere amata. Questa pittura del formica-leone, che larghe applicazio- ni non presenta alla mente! C. V. E del minor suo popolo nemica, Sempre antepone le fraterne prede Alla modesta e provida fatica. Chi potria dir quanti fiori colga il nostro poeta seguen- do i ridenti sentier degl incolpabili diletti? Noterem solo qualche sentenza, o ciò che a sentenza avvicina, invitando a leggere tutto il poema, chi vuol conoscere la bellezza d'un anima che dalle idee del bello attinge il giusto. C; VI. Che natura in angustie è men ferace. C. VI. E nell’ atto supin del volto esangue O la prece , 0 l’ amor parla, e nov l’ ira, CORIV. nica « e la ferita Soffre, che ad altro amor dolce l' alletta. 17 Porremo all’ ultimo la descrizione delle nozze de’ fiori; e se sieno encomii eguali a tante bellezze, dicalo chi più sen= te, e chi più ama. . C. VIII. Vedrai tremanti nel gentil contatto I molli stami. .... Sia che errante lumaca o lieve insetto, Che corre a satollar le ingorde voglie Ne sparga ilcasto vergiual fioretto. C. XIV. E l’accesa calendula , che io vidi Sfavillar tocca da vaghissim' estro D’ amor nelbacio,, e negli amplessi fidi, €. XVIII. Ella da questo fior lo stame eletto Intorcitendo, ne traea frattanto D' aurea polve sottil qualche atomette. Che in più d’ un vago fior tien gli usi e il vanto Del miglior sesso, c del mascbil vigore, Alla sua verde femminetta accanto. E ogni atometto che traeane fuore, Con lucid’ ago in argentata conca Come reliquia riponea d’ amore. Poi su quell’ altro fior recisa e tronca La più cara di lui parte virile, ec. Riversava il polviscolo sottile Altrui rapito, e gliatometti rari, In cui celarsi amor non ebbe a vile. III. Eccoci finalmente al principio del libro. — L’aute- re dopo averlo offerto, dedicato, consacrato a Beatrice d'Este, quasi alla Diva del loco, espone il fine, a ch’ egli intese, dettandolo; ed era di mantenere in se stesso la felice impres- sione prodotta dal gentile subbietto, e trasfonderla în altri; al che tende lo scopo di tutte le Arti Belle.— Ma non di tutti gli artisti. i Dice poscia che il genere didascalico è quello, che di- cesi poter prosperare in questo secolo, in cui la filosofia, e la ragione distruggendo i prestigi della meraviglia, hanno esauriti i fonti dell’Epopea. — Falso a noi pare quel det- to,e falsissima la ragione che se ne adduce. La filosofia e la ragione distruggono i prestigi di quella meraviglia che Viene dall’isnoranza: ma ci ha un altra specie di meravi- glia che viene dalla grandezza del Vero , del Buono, del Bello; e questa è che dee non distruggere il piirabile del- l’Epopea, ma innalzarlo in una sfera più grande. Quell’ Epo- T. XXIII. Luglio. 2 18 pea che io direi non poter prosperare nel nestro secolo, è I Epopea /unga, per più ragioni che qui non è luogo a notare. Volle savissimamente il poeta, che il suo libro fosse di qualche uso anche al giardiniere e al fiorista, acciocchè non paresse che tutti quasi di conserva i poeti italiani del no- stro secolo congiurassero a relegare la poesia nella parte dello scibile inutile. Promette ne’ versi suoì una facilità in- genua, onde traspira quel calore che tacitamente raccoman» da i scrittori, i quali mostrano più di sentire, che di pre- tendere. Quelle modeste parole danno il vero carattere di questo graziosissimo lavoro, degno del nome italiano. Udiamo ora l’autore medesimo ragionare la teoria del poema didattico con quella lucida verità, che dai retori non si conosce. ‘ La poesia didattica, oltre lo scopo comune ad »» Ogni genere di poesia, cioè d’istruire dilettando, ha parti- ,» colarmente in mira di confidare alle grazie la chiave di ,, ogni sapere , e di rendere 1’ istruzione più agevole col »; soccorso de’ numeri. Ne’ tempi più remoti ella diede pre- », cetti di religione, di morale , di politica, appunto come ,, sì vede ne’ proverbi di Salomone, e nell’ Ecclesiaste , che ss possono riguardarsi del genere di quella poesia detta da- s» gli arabi delle perle slegate, adoperata in seguito anche ss fra i greci da Teognide , da Focillide, da Empedocle. Si ,s rivolse nella seconda epoca la poesia didascalica a trat- »» tar delle meraviglie della natura, (ed ebbe in ciò qualche ;; cosa di comune coll’Epopea ), e delle più utili invenzioni ,; dell’ uomo..,.. 1 latini superarono d’ assai i greci maestri »» per certa dignità ed elevazione maggiore di stile.... ,, Do- po avere parlato de’ didascalici italiani cinquecentisti e moderni, e detto che questi ultimi per ardita. eleganza di modi e per calore di stile ( ma non forse per gusto ) nulla hanno da invidiare all’ingenua facilità dell’Alamanni e del Rucellai, dice: ‘ giova riflettere che tutti questi poemi an- ,s tichi e moderni versano per lo più sulla scienza della na- ,, tura, originario fonte del Grande e del Bello.... Ogni ar- ,; gomento d'istruzione potrebbe divenir soggetto di poema , didattico: ma chi più legge la battaglia grammaticale tra- E i ,; dotta in'ottava rima dal Guartia, oi tiè libri della Hit ;» tica di Tito Gio. da Scandiano? Da poscia il disegno del suo poema— ‘“Quafito alla Sì forma 0 al disegno del poema didattico , egli poco si ;> distinguerebbe da un trattato scientifico esposto in ver- 3» si, se dovesse attenersi ad un metodò stretto e formale.... 3, In alcuni casi egli prende un aspetto di vero macchini- », smo, onde dall’altro lato confina coll’Epopea ; è ciò avi », viene quando la mitica spontaneamente g’innesti al sog= sì getto, per modo tale che non beù distinguasi l’ ep'sodio ‘», dalla parte integrale è dalla tela dell’opera , come ve- »» diatnò della georgica d’Esiodo.... Il mio soggetto, in cui », mette capo tutta la mitica degli antichi, ha voluto ché ; liguardo all'invenzione mi attenessi piuttosto ad Esiodo, », che a Virgilio, onde gli ornamenti sbuecino dal sero »» stesso della cosà, e dieno al disegno dell’opera certa ap- »» parenza di modesto macchinismo. Né’ primi canti ho do- », vuùto dar le regole generali per lo stabilimento d’an giar- 3, dino qualunque ; fissare nè’ susseguenti il calendario di », Flora per la fioritura e pur le opere adattate a ciascuî 3, mese (nel che non poca industria si è dovuto adoperare 3» per evitare monotonia); finire con la coltivazione delle »» pianticelle di picciol fusto, od erbateè , annue, bienna- 1) li, e perenni’, che possono oinare Un giardino... Le fole 3» ditante metamorfosi avvenute-ne’fiori; un viaggio di Flota ,» che dappertutto incontrata dallà gioja universale del inon- »,» do, passa da un clima all’ altro a visitare le sué pro- 3» Vincie, fino a che, nell’assenza di lei, Borea di qua le 3» diserta , e Zefirò è costretto a ricorrere alla gran Madre ,» Opi, pér ottenere che alcune pianticelle almeno vivan »» perenni nell'impero della sua sposa; son quesie insiemè »» le traccie e gli ornamenti che fan parte integrale del di- »» segno del poema, Parla all’ultimo delle immagini—" unò de’ metiti fon- ,, damentali dèl poema didattico è riposto nel portàr lè i») dottrine per sé stesse astratte ad un certo grado di pit ‘''torica evidenza jin guisa ‘che 'còl ‘s0cc0rs0 de’ numnigri 33@ del colorito poetico facciano una doppià impressivie 20 i ,» sull’ intelletto , sulla fantasìa, e sulla memoria agevo- ,» lata dal ritmo .... leggiadrissimo senza dubbio è il poema sì di Darwin sugli amori delle piante; ma quando egli ne ,s personifica a piè fermo gli organi sessuali, e li conduce ,3 a passeggiare distinti come ninfe e pastori pel vasto tea- ;, tro de’ campi, o ad interloquire sull’ angusta scena del ,» calice di uno stesso fiore ermafrodito ; la maraviglia giun- ,» ge a snaturare l'oggetto peringrandirlo, si allontana dal , verisimile; ed il poeta ed il filosofo ci disgusta. Dopo aver parlato del metodo da se tenuto, soggiun- ge : “e qui taluno vorrà ripormi nella schiera de’ roman- 3» tici, perchè io abbia voluto uniformarmi a quel loro pre- ,, cetto ; che il poeta dee mostrarsi sempre al livello delle »» cognizioni scientifiche del suo secolo. Ma qui risponderò ,» francamente, che quando riesca di far ciò con quella dif- ,9 ficile facilità che tenebre e stento non induca nella poe- ,» sia, stolto sarebbe il non giovarsi de’ lumi de’secoli cor- ss renti, per ornarsi dell’ ignoranza antica, la quale cessò ,» d'esser bella in fatto d’arti e di scienze, dacchè fu con- , vinta d’inganno, anche innocente. Chi crederebbe che a queste sapienti parole dovessero quest’altre seguire ? “ Mi sono fatto per altro un dovere di », uniformarmi al sentimento de’classici nel colorire le nuo- »» ve idee coll’antico linguaggio mitologico, che fu dappri- ,» ma il linguaggio geroglifico d’ogni sapienza ,,. Fermia- moci un poco a questo passo, e chieggiamo all’illustre poe- ta, come mai, se l'ignoranza antica cessò d’ esser bella, dacchè fù convinta d’inganno, anche innocente, possa es- ser bello l’uso della mitologia, provenuto appunto dall’igno- ranza delle cagioni naturali e delle supremi? Come mai possa giovare il colorire idee nuove con un linguaggio antico , anzi vieto , la cui bellezza sarebbe, se non dal tempo, uÉ gorata dall’ uso ? i Che con la mitologia possa farsi un bel poema , que- sto del Ricci cel prova; ma resta a vedere, se senza mi- tologia possa farsi un poema non men bello e più utile cioè più intelligibile a tutti, più pieno degli affetti vivi del cuore, degl’idoli vivi della fantasia , delle vive rimembranze 21 de’ tempi recenti e degli usi. Resta a vedere se gli ‘sforzi dal poeta fatti per rendere nuove al lettore quelle rancide fole, non potessero esser volti a scopo più difficile, se vuolsi, ma più generoso , e più profittevole al genere umano. Re- sta a vedere se giovi alla letteratura moderna il vantare poesie che pajono traduzione dal latino o dal greco, pajo- no opere di un qualche buon idolatra solito sacrificare mat- tina e sera dinnanzi all’ altare della buona Venere o della buona Giunone, E ci si parla ancora della sapienza nascosa sotto i mi- tologici veli! Ma quale sapienza si trova nella personifica- zione di Flora, o d’Opi mogliera di Saturno, se quella non fosse di torcer la mente dal pensier d’ una causa somma a fantasime vane , cui la imaginazione non sa nè come acca- rezzare nè dove seguire? Quale sapienza in quel Saturno che fra le giumente idee dormia giumento, in quella Giuno- ne che gli umidi giorni infosca, onde al marito dietro la nu- be pronuba si cele? Quale sapienza negli amori di Clizia, mella morte d’Adone? Chi di mivologia vuol farcire i suoi versi, convien che rinunci ad essere il poeta dei più: la poesia servirà per grattare gli orecchi di pochi letterati, o di qualche ozioso che un giorno imparò ne’ collegi a distinguere quali siano i Vulcani, e quante le Veneri; ma nulla più. Quando il Ricci dona una sposa al Dio Zefiro; quando nomina Clori sorella di Flora; quando invoca le Najadi, le Amadriadi , le Driadi, le Napee; a che tutto questo? dirà un lettore che sente di vivere nel tempo in cui vive. I versi son belli bel- lissimi; ma tutto questo perchè ? Ci ha una bellezza, concedo ; ci ha pure un non so che di giocondità, che dal vero solo non viene all’ anima così facilmente. Ma se questa giocondità toglie l’ utile? O' bisogna interdire la lettura de’ poeti alla più parte degli uomini , o bisogna bandire la mitologia , ovvero instituire una cattedra in ogni città, perchè l’italiani imparino a in- tendere i loro poeti. E non è la poesia il linguaggio di tutti icuori, di tutte 22 le menti? Come parlare ad un pepolo ; some commoverlo profondamente, costantemente senza l’ineanto de’ numeti ? I libri didattici l’istruiscono, ma l’annojano: 1’ eloquenza lo scuote, ma di passaggio ; e solo parlata. Le verità per con- trario, che egli manda alla memoria, che canta da sè, che ripete a’ suoi figli, che nelle ore del. riposo nei dì della gioja si sente eccheggiar da ogni banda, quelle:si adden- trano nell'anima, quelle diventano un’ elemento della sua vita. Questo in Italia non è: ma se fosse!!! Ei poeti non tenteranno questo immenso campo ed in- tatto di gloria? E seguiranno a bamboleggiare tra i sogni del mondo adolescente ? E si oserà maledire a’ romantici perciò specialmente ch’ e° vonno la mitologia sterminata? L’autore di quest'articolo non è nè romantico; nè. classi» cista, nè classico : ma la ragione nonbastaella a far sen- tire la bellezza incomparabile della verità, foss'anche una verità posta in versi? * lo faccio a’classicistiuninchiesta : nel poema del Ricci son elle più le bellezze che vengono dalla mitologia, ov= vero quelle che dal fondo dell'anima sua e dal tesoro della sua immaginazione? Quanti non sono i tratti ov’ è verità, e grazia insieme , e potenza di bello poetico? Non è, in- tendiamolo una volta, non è la mitologia, che ravvivi le poetiche immagini; avvi una forza al di sopra di lei; quella forza di cui la mitologia stessa non è che un effetto ; que- sta forza onnipossente può in infiniti modi supplire all’esi- lio delle favole antiche ; questa, siccome Dea vera, invo- chiamo ; da questa aspettiamo il dono della poetica. erea= zione; e non un mondo solo poetico vedremei allora for- mato, ma mille. Tutto è poesia che ne circonda: tutto è poesia, fuorchè il peso.insopportabile de’ pregiudizii socia= li, che ne serra l’anima , e il fuoco della fantasia , surto appena ; ne spegne. Le carte d’uomini, da duemila anni pas- sati dinnanzi a noi, dovrann’ elle essere il nostro: Ippocwt= ne? Dovrem noi dipingere Ja verità col colore della men zogna? Dovrem confessare ai secoli avvenire la sterilità della mostra mente e far pompa ancora della nostra. impotenza ? 23 Eh cessi vina volta la misera lite ; non si divelga più il bello dal casto seno del vero; e lascisi Ia mitologia agl’impo- tenti che ne abbisognano. KP, ———————————T————————t———6————t—tt Observations on Italy. Osservazioni sull’ Italia del d. Gio- vanni Berr. Londra, 1825 in 4.° di pag. 350 con rami. -Fu già un tempo che, pieni di riservatezza e di mode- stia, uomini quantunque dottissimi sentivano tremare i pol- si e le vene , quando avventuravansi a esporre i lor pen- sieri e l’opere loro ai penetranti sguardi del pubblico; € ciò dovette principalmente accadere a coloro, i quali prende- vano a giudicare della indole e dei costami, della favella e delle leggi, della religione e delle arti, della vita in somma di un popolo; impresa più ch’altra mai malagevole e difficilissima sì agli esteri, che ai nazionali: ai primi per- chè usati a vivere in paesi e frà popoli tutti diversi di lin- gua, d’ingegno, e di costume, per quell’ingenito e conna- turale amore delle proprie cose, sogliono di leggieri, e sen- za tropp oltre esaminare o discernere, riputar meno buono o cattivo tutto quanto allontanisi dai loro consueti modi di vedere , sentire, ed operare; e viceversa i secondi lodare a cielo , e magnificare le patrie abbenchè pessime leggi e cor- rottissime usanze , solo perchè frà quelle trassero i giorni infingardi e indolenti, e delle migliori non ebbero, nè cu- rarono la conoscenza ; conciosiachè pochi soltanto che dal cielo. e dalla educazione sortirono finissimo discernimento, animo scevro da parziali affetti, infinita sapienza, e non cor- rotta santità di costumi sieno a sufficienza forniti a poter rettamente portar sentenza , se gli usi e i sentimenti di un popolo vestan forma di virtù , o di vizio ; meritino lode, o biasimo; ammirazione, o disprezzo. Ma come io dissi di tanta severità di pensieri già corse il tempo, e finì: dotti o non dotti tutti oggi sanno, e voglion scrivere, e dare a stam- pa; tutti se stimano a giudicar competenti degli nomini e delle cose; e mentre quei pochi de’ quali testè ragionam- 24 mo non sanno le molte volte vincere il naturale ritegno, e si nascondono coi loro scritti ; caldi, baldanzosie pronti ad abusar del pubblico mostransi poi que’scioperati alla mo- da, e quelle vaghe feminette che di se vennero in gràn con- cetto per la stolta ammirazione, e i sciocchi applausi del bel mondo. E quindi è che da ogni parta traboccano mi- gliaia d’ opere inette e di cala che gs’ intitolano: viaggi, osservazioni, pensieri sù questa o quella nazione , prospetto degli ust e dei costumi, e via così; nei quali invano cerche - resti alcunchè di giusto e di vero; ma ridonda invece mol- to di peregrino e di strano; dove o a dritto o a rovescio si giudica dei popoli e delle nazioni , e si versa a piene mani biasimo o lode, non già con discernimento di causa o per buon fine, ma per far pompa di novità, e di spiri- to ; e tal fastidio finalmente inducesi delle opere di cotal fatta, che mentre a quelle che escono dalle mani dei po- chi savj si dovrebbe con molto ardore ricorrere per se cor- reggere , viemeglio instruire, e giovar quindi alla patria , per questo appunto, che quasi sempre vi poser mano li scio- perati e li scìoli, si vien poi nell’uso di torcere sdegnosa- mente il viso da tutte quante. Lo che se a buon dritto, ed in ispecial modo quando parlasi delle cose loro, il facciano gl’ italiani che più spesso visitati sono anche più spesso bi- strattati degli altri, ciascheduno di per se lo vede, e lo sen- te. E quindi anche noi avremmo sdegnosamente torto il viso dal presente volume perchè intitolavasi — osservazioni sul l’Italia —, se il nome del dott. Bell, quel celebre noto- mista scozzese che della propria fama ha riempiuto tutto il mondo, non avesse fermata la nostra attenzione: e lette ap- pena due pagine della introduzione molto ci piacque aver vinta la nostra ritrosìa, poichè vi apprendemmo che que- ste osservazioni da lui , venuto sotto il bel cielo d’Italia per ricuperarvi la decaduta salute, non furono scritte col- l’ animo di pubblicarle poi; vedendo così confermato quel pensiero che primo ci nacque nella mente, dovere il Bell essere stato un di que’ savj che per poco non muovonsi a manifestare al pubblico i proprii pensamenti; e quantun- que si dica appresso , che, come l’ebbe scritte, mutato pen- 25 siero, sembrò disporvisi, però s’avverte che molta cura, e molta diligenza vi andava egli intanto, come conviensi, | adoperando ; ma dalla morte troncati, ahi troppo presto! i suoi giorni, (1) questo libro vide nel decorso anno la luce per le cure dell’ affettuosa sua vedova , che disvelando al pubblico i pregii tutti dell’ uomo raro, ben credè rendere per cotal guisa pietoso tributo alla cara imemoria dell’estinto consorte. Il quale, ella ci dice in casti e semplicissimi mo- di, non solo fu quel famoso notomista che tutto il mondo sà ed ammira, ma nodrì sempre il cuore, per indole av- vezzo a tutte quante le virtuose e calde emozioni nelle arti del disegno e nelle lettere , sicchè in quelle conseguì tantà maestria quanta apparisce per alcuni rami di suo di- segno che vanno uniti all’ opera, e per queste divenne scrit- tore nitido ed elegantissimo ; ed aggiunge poi che negli an- ni della prima gioventù soleva il Bell togliersi ai passatem- pi della età sna, e correr soletto per le care native mon- tagne, ed ivi contemplare estatico 1’ orrida maestà, e la roz- za semplicità di quella selvaggia natura, Pei quali cenni ci fù gratissimo avviso di aver trà mano il libro d’uomo non meno per molta filosofia, che per molta bontà di cuore di- stinto, e che portò mai sempre grandissimo amore, e a quel bello semplice che la natura presenta nella sua nudità , e a quel più raffinato che vagheggiasi nell’ idea, ed ammi- rasi nelle opere dei sommi artefici ; e quindi confidam- (1) Giovanni Bell membro delle facoltà di chirurgia nell’ università di Edim- burgo morì in Roma ai 15 aprile 1823. Le opere da lui pubblicate, oltre la presen- te, sono T. The anatomy of buman body — notomia del corpo umano. 7°. 1, 1795 8.° T.2, 1997; 7. 3, 1802 (Ediz. 1.) II. Discourses of the nature and cure of Wounds — Discorsi della natura, e cura delle ferite — (Ediz. 1. 1795, 8°. Ed. 111. 1812.) III Answer for the junior members ec —Risposta a nome dei più giovani mem- brì del R. collegio di Edimburgo alla memoria del dott. Jacopo Gregory indiritta agli amministratori del R. Spedale. 1800, 8° IV. The principles of surgery. — Elementi di Chirurgia , 1801-1808 Vol. 1I1I,8.° V. Letters on professional character esc. Lettere sul carattere proprio alla pro- _ fesione del chirurgo, o , della educazione del chirurgo, dei doveri, e delle qualità delî medico. 1811, 8,° ny. Annuaire Neécrolog. An. 1842, Partie étrang. , ai 26 mo di ritrovarlo degno, e del profondo pensatore, e dell’ ar- tista illustre, e dell’uom d’ indole delicata e benigna. Che le speranze nostre non tornaron punto deluse, e se queste osservazioni formino veramente un libro pregevole, lo giu- dichi da per se stesso il lettore per alcuni pochi passi che qui , fedelmente tradotti, ne piace addnrre. E precedentemente vuolsi avvertire che questo libro và distinto in nove capitoli coll’ordine, e sotto i titoli che se- guono, I, Lione. II, Passaggio per le-Alpi, discesa in Ita- talia, Torino. III, Milano, Pavìa. IV, Piacenza, Parma, e Bologna. V, VI, VII, VIII, Firenze. IX, Roma. Non ragio» neremo del primo, perchè punto non tocca le cose d’ Ita» lia, ma nel secondo troviamo subito un pegno del dilicato modo di sentire del nostro autore, mentre in discendere dalle alpi, lungi dal vedere una masnada d’ uomini impronti , e che anelano a spogliarti del tuo danaro , in quei primi poveri it:liani , che volaronoa porgergli ajuto per istrigarlo dalle difficoltà della strada, ravvisò più presto degli esseri di buona tempra, e a’ quali debbesi non solo rimunerazio- ne, ma gra itudine ancora dei resi servigii. ‘ Nulla può avan- zare (egli dice a p. 34) V’alacrità, e lo zelo con che le , iufime classi del popolo d’Italia t’offrono le loro brac= », cia : e s’ egli è vero che la povertà rendendo ad essi di valor sommo una benchè minima ricompensa serve d’in- citamento e di sprone alla loro attività, tanta è però la loro giovialità, tanta la loro obbligante prontezza, che al viaggiatore allargasi il cuore , ed è felice in dimostrar loro la propria gratitudine, rimeritandoli dei prestati ser= vigii,,, Nè meno cortese è l’opinione, che, all’entrare nella città di Susa porta subito dei primi inciviliti italiani che a lui si presentano.“ Al primo $ncontro» degli abitanti (così egli a p. 40) di questa picciola città li distinguemmo tosto », per un popolo culto e gentile: calava la sera, e citta »» dini, preti e soldati andavan tutti a diporto per le pol- »» verose sue strade a picciole festose brigate, avvisando i »» forestieri, non già collo stupid’ occhio della curiosità , » 0 col disprezzante ghigno dell’ amor proprio , ma con », volto modesto , cortese e benigno, tutti e di qualsivoglia 73 2 » DI al 3, Fango e toccando un poco ; 0 icavandosi ancora il cap- »» pello per corrispondere al menomo segno di cortesìa ,,, E nell’appressarsi alla Real Torino (p. 45, 46) molto ammirò 1’ aspetto ‘ dei numerosi e ben vestiti pedestri , che for- mavano ridenti e lietissimi gruppi di parenti, o di ami- ci; alcuni quà, e là vagando, altri sedendo sugli argini all'ombra di fronzutissimi alberi, senza che sontuosi equi- paggi, o carrozze di posta, o giovani a cavallo ravvivasser la scena, o palesassero quel subuglio, e quell’ affaccendarsi che suolsi incontrare nelle vicinanze d’una metropoli; per lo contrario tutto respirava cert’aria di sobrietà e di quiete: ì preti tenevano gran preminenza sù quelli ; placidi e gravi al portamento pallidi e di complessione asciutti, segni tutti di molto travaglio e di studio, e che sì bene accordansi all’abito da prete, richiamavano a rimirarli, ed inspira- van sensi di venerazione e stima : tale è difatti l’aspetto » Che conviene alle persone sagre, e sù niun’ altro, fuori- s» chè quello , e fosse pure ingannevole, gode l'animo di » riposarsi ,,, E quel molto orrore che vi provò alla vista dell’efferato supplizio della ruota, che la saviezza del presente Rè possa felicemente abolire, ogni umano lettore, in sen- tirlo rammentare soltanto, lo proverà certamente con lui. Breve fù il soggiorno del Bell a Milano , poche e rapide quindi furono le di lui osservazioni sù quella città; ma nel portar giudizio assai dal comune diverso del S- Bartolom- meo scolpito in marmo da Marco Agrate , vi diè luminosa prova del suo finissimo gusto nelle belle arti. Vero è, che lo storico della scoltura (2) erasi fatto a dire il primo che le statue di Marco Agrate, e quel suo S. Bartolommeo che tut- ti lodano a cielo per la notomìa, non siano per niente le più belle frà tante altre che in quel celebre duomo, da insigni artefici ammiransi lavorate; ma il Bell, forte della sua tanta perizia nelle arti anatomiche, procedendo più francamente di lui; “quella scultura (egli dice a pag. 73) è nell’insie- » me risibile, bassa la composizione , e meschinamente >» I 23 2) ” s > »» 2». Fei (2) Cisognara storia della scoltura lib, Il , cap. VI, pag. 220. Ediz. II. Prato.:, Pes i fratelli Giachetti. 28 ;, condotta. La figura del santo non si presenta già nelPat- ») titudine d’uomo preparato al martirio , o agitato da} fie- 3) To tocco del coltello sagrilego ; egli è di già svestito della sua pelle, mani e dita tutte sporgenti in fuori, stralu- ,; nato li occhi, colle fattezze e i muscoli del viso nella 3» maggior contrazione. Tutta la notomìa; o per dir meglio ») ciò che a questo Prassitele (3) piacque fantasticare come ,, notomia del colpo umano, fù da cima a fondo fatto palese 3; con viastaccarne la pelle, che vedi pendere a brani, quella > della testa dietro la testa, e quella del braccio e della » gamba , dal braccio egualmente e dalla gamba. Tal’ è l’odiosa e ridicola figura che stà nel santuario della chiesa, », e che presentasi nello svelto atteggiamento d’un maestro », di ballo quasi per addimandare gli encomi de’forestieri che 3» son menati a vederla: ma io protesto sulla fede di un s,3 uomo non estraneo del tutto nè alle arti, nè alla scien- ,» za, che della vera notomìa niente affatto, e nemmen la »» più picciola idea rappresentasi da questa figura grotte- sca; e se il forestiero non voglia ammirare la galante at- 3; titudine, o la compostezza d’ un uomo effigiato in sì cru- ,3 dele stato , nulla ci troverà per certo da farne le mera- so Viglie ,,. Giunto il Bell da Milano a Pavia, quell’ antichissimo e rinomato studio, non meno che il celebre Scarpa, ben do- vean richiamarne l’attenzione: e quindi dopo aver tessuto un breve racconto storico dello studio di Pavìa, dopo aver di- scorso con piacere del suo conversare coi dotti di quella cit- tà, dice (a p. 88) di quell’ illustre italiano ‘ aver non tanto s» gran dritto all’ ammirazione , e al rispetto de’ suoi fra- » telli in professione, ma eziandio di tutti coloro, i quali ap- »» prezzano le scienze, nè, soggiung’egli, mai più partirà dal- »» l’animo mio quella tanta dolcezza che v’instillò la co- », noscenza di lui ,, : parole che tutte spirano quell'amore, e quella nrbanità, che, ugualmente scevri e dalla bassa in- vidia e dal petulante orgoglio , i veri dotti, e le bennate (3) Allude al noto verso posto sotto questa statua, — Non me Praxiteles, sed Marcus fecit Agrates, 29 anime sogliono e debbon portare agli altri dotti, quantunque per lingua ;, e per nazione diversi. Ne quì, a vantaggio di coloro che fanno lor delizia delle naturali scienze, vuolsi omettere una bella osservazione che il nostro autore a que- sto punto (p. 89) consegnò ad una nota, Nella scuola ana- ,; tomica di Pavia mi colpì l’occhio una particolarità sin= ;» golare, e che tutta quanta fermò la mia attenzione : io 33 Vidi quattro o cinque cranii dei così detti cretini, poveri ,, idioti delle montagne di Savoja , e in esaminando quei ,, cranii li trovai maravigliosamente induriti, e tutti de- ;, pressi sul gran pertugio occipitale, e come se la testa es- 33 sendo troppo pesante avesse duramente calcato sull’a/ba; ss i cranii erano poi eccessivamente larghi, e sì la testa che 3 l’osso di straordinaria durezza. Per diligenti ricerche venni »» a notizia che tali sintomi ricorrono sempre costanti, e li 3) stessi appaiono in ogni particolare. E quindi dell’ essere s, idioti i cretini è di per se manifesta la causa, sebbene non 3» siami occorso’ udirla addurre giammai ;,. Bellissima è poi la descrizione della campagna che giace trà Parma e Bologna; e poichè nulla sentesi ‘così. spesso ripetere da certi inglesi, che viaggiano soltanto per ammi- rare vie meglio il proprio, e dispregiare l’ altrui paese, quantochè i. nostri contadini sieno ben lungi dal godere nelle loro abitazioni di quel conforto, o vogliasi dire di quel- l’agiatezza che trovano nei loro cottagesquei d’Inghilterra, pia- cemi quì riportarne tre versi, ‘‘ Le abitazioni delle classi in- 3, feriori sono eleganti, e le case dei fittajoli coi loro or- , ticelli e chiusi sì nette, che un viaggiatore inglese po- 3, trebbe agevolmente crederle altrettanti cottages,, (v. p. 120). E parimenti bellissime sono le naturali scene, che, al chiaror della luna , al sorgere, o al tramontar del sole go- dute da quell’anima delicata e gentile, ricevon colori vivis- simi da lui più presto che descritte, dipinte; ma , poichè ne abbonda quasi ogni pagina ;: se l'abbia, senza che qui vengano riferite, caldamente da noi raccomandate il lettore. Che la bella Firenze, più d’ogni altra città d’Italia da lui visitata, trattenesse le osservazioni del nostro autore, ne sarà divenuto accorto il lettore , quando accennammo che so non meno di quattro capitoli eranle donsacrati: l'architet-. tura de’ suoi tanti magnifici palazzi, le grandi storiche re- miniscenze di quella fiorentissima repubblica popolare, la singolare vaghezza de’ suoi contorni, la dolcezza e la se- renità dell’ aria , i prodigii dell’ arte che vi s’° ammirano; tutto; tutto dovea fornire campo larghissimo alle meditazio- ni d’un uomo di tanta, e così varia dottrina. E quì vera- mente ci duole che i limiti da noi propostici non ci per- mettano andare a parte a parte tutti significando i di lui pensieri, massime poi perchè crediam pregio di questa no- stra rivista riportare quì per intiero ciocch’ egli, maestro dell’arte, e non senza spiegare una ricca suppellettile d’eru- dizione, và ragionando ; se e quanto sapesser gli antichi di notomìa , e qual buon’ usò possa: ritrarsene. dallo scultore a'dì d’oggi. ‘ Si disputò lungamente (egli dice a pag. 257) se gli s. antichi sapessero o nò di notomìa, non senza che la qui- » stione venisse molto ed ingegnosamente ventilata perogni 33 parte: ma se gli antichi l'avessero conosciuta più che s» tanto, e’ non si sarebbero ristretti a sole intellettuali \spe+ ss culazioni, ne troveremmo noi prove palpabili nei loro scrit» »5 ti, e Ippocrate non avrebbe gittato il tempo in vani pro se gnostici, 0 in sparar scimmie per indagar la sede della -33 bile. Se di notomìa «ne avesser saputo qualcosa più di », quanto potean vederne attraverso la pelle, o rintracciat s» per uno scheletro rinvenuto sul lido del mare; non l’avreb- ‘33 ber” essi, lasciata al certo scienza imperfetta, e quasi sco- ; nosciuta : nè di ciò debbesi maravigliare : poichè gli an- s; tichi e’ non poterono , se non per fortuito accidente, ve- »; Nire a conoscenza della tessitara del corpo umano , usan- 3, do abbruciare i cadaveri per depositarne le ceneri nel- ss l’uina funerea :' nè gli emblemi di morte, siccome noi, »» figuravanli sotto quelle sembianze, nelle quali alla per- », fine difformasi il corpo umano, ma sivvero per genii pian» » genti con la face spenta : e se diversi stromenti di chi- », rurgìa si rinvennero trà le infinite curiosità tratte a lu- », ce neì varii scavi, e specialmente in quelli d’ Ercolano 33 e di Pompei, niuno di quelli adattasi alle arti anatomiche: 31 1. Gli antichi usavano tener memoria delle bellezze del corpo umano; ch’ essi facevan consistere nell’ attitudine ad'ogni maniera d’ esercizii corporei. Nei giuochi olim= pici effisiavansi statue di coloro che n’eran più spesso esciti vincitori; 1’ esatte proporzioni, le particolari for- me, le bellezze tutte, e i difetti puranco ritraendone ac- curatamente, affinchè servissero amodelli di maschil for» za, d’agilità, e valore. E mentre tutti questi usi è par: ticolari trovansi minutamente descritti, sarebbesi mai tas ciuta cosa di tanto momento, e sì ricca di conseguen= ze, come, e sin da qual tempo incominciassero a giovarsi della notomia! 3, Vero è che dai pubblici spettacoli trasser gli artefia ci vantaggi tali, che qualsivoglia più profonda cognizio= ne della notomìa, abbenchè praticata con fino gusto e Gris terio, mal potrebbe fornirli; la notomìa non essefido per lo scultore più del compasso per l'architetto. -Se il Vea lebre torso appartenne, come pur vuolsi,' alla statua d’Er- cole , e chi non vede aver mirato 1’ artista ‘ad’ effigiarvi nella più bella e nobile guisa ‘la ‘viril gagliardìa, senza che per un forzato e disaggradevole tratteggiamento dei muscoli e della fibre apparissero le traccie e ‘1’ azione della notomìa? I tristi effetti della esagerazione per tal riguardo appalesansi nell’ Ercole Farnese. Quel sì vasto, grossolano e zotico tronco, carico di superflue masse di muscoli, le nodose polpe, e lunghe caviglie, dimostrano sì la forza di un corpo pesante e grosso , atto se vuoi ad alzar leve, o a reggere ponderose moli che le grossola- ne e materiali sue forme lo rendono capace a misurare, ma non spira punto di quella forza ed energia d’azione che fà destri a lottare , lanciare, ed abbattere. La testa cadente, l’occhio a terra e feroce di quest’ Ercole, la lun- ga e rotonda sua fronte scompartita trà le tempia, e stac- cata dallo stupido, ordinario ed insensato suo volto, man- cano d’ogni menoma parte di quel senso di grazia e vi- vacità che contrassegna l’ eroico carattere , come appun- to le rozze sue fibre d’ogni principio di vera notomìa. s, Nè di tale scienza ha da far mostra lo scultore: bel- mr bel da le, rotonde e carnose , anche nel momento della più ener- gica azione, debban spiegarsi le umane membra: peroc-, chè la natura, lungi dal mostrar nude e nodose ossa, ci fa cortese di sensazioni più dolci: ossa, muscoli e tendini, tutto ella ravvolse d’ una cellulare sostanza, e ricoperse di ligamenti: così l'interno artificio rimase nascosto e di- feso da vagine adatte a ciaschedun membro, ed una sal- da pelle tutto velò d’una superficie unita, morbida e bel- la, che dipoi si raggrinza e si assottiglia-quando la mac- china viene, decadendo, a dissolversi. . . + »» Nel tentar di chiarirci se gli antichi sapessero, o nò di notomìa, ciò che importa per l’ arte della scultura non consiste principalmente in determinare se la conoscesse- ro o nò; ma se per quella l’opere loro sarebbero riuscite più o meno perfette ; e porta quindi opinione se, e si- no a qual punto al moderno artista possa giovare tale scienza. Alla prima domanda rispondo; e qual mai uopo ebbero della notomìia coloro che seguitarono con tanto successo una regola più sicura? Di che avvantaggiare co- loro i quali avevano , com’ essi, il modo di veder espo- ste nel vivo corpo le più perfette forme della maschile bellezza ? E alla seconda ti replico , che l’anatomìa giu» diziosamente, e con sobrietà adoprata, è quelche di me- glio sostituire si possa alle più animate esposizioni del circo e del teatro. Ma, nel fermamente credere che lo scultore, il quale prende a maestra soltanto la notomìa è in peggior grado dell’artefice spettatore dei giuochi del cir- co, vuolsi peraltro concedere che il perito di notomìa non produrrà giammai lavoro nè tristo, nè spiacente; poichè la scienza corregge l’occhio se non accende la fantasia, e poi certa cognizione dei grandi contorni , e delle regole principali della notomìa, sarà mai sempre ed in qualsi- voglia caso all’ artista utilissima. Policleto, uomo di mol- ta dottrina non che scultore abilissimo, scrisse apposta un trattato della scultura, e, perchè le sue regole lungamente durassero , lavorò ad una statua di maravigliosa bellez- za, che tutte dimostrava le proporzioni e le misure del corpo umano , e dal proprio nome chiamolla ii canone, » »» LEI ” LE) 29 LEI 23 DE) »» 22 dI 23 79 2) 23 2) dI 3» 29 Ch) bb) Lei 29 CE) DE) CE) » EL) 39 99 23 »” DE) »> DI 3» 35 5, 0 vogliam’dire il regolatore di Policleto: ed ogni artefi- ce studiar dovrebbe d’assuefare l’occhio a qualche canone per averne le regole fisse ognora e presenti alla mente; lo che potrebbe conseguirsi collocando diritto il nudo, e attentamente osservando il cader giù delle membra. Nel secondo corso de’ suoi studii il giovine artista viene ri- chiamato a notare i cangiamenti che nascono dal piegarsi della figura, l’enfiar dei muscoli, la crescente acutezza del gomito, il volger della mano, e delle ossa del pugno (ossia del ftadio e dell’ Ulna) , il curvarsi della spina dorsale, il projetto dell’anca, e l’appianarsi del ginocchio. Lo che per sua natura è così semplice, che, a tutto ren- dere perfettamente chiaro, basta soltanto contrassegnare con poche lettere le varie parti della figura in creta: non essendo questi che quei preliminari principii , pe’ quali s'ascende poi all'altezza dell’ arte, a dar cioè vita e ‘per sona al pensiero, sicchè (primo e principalissimo scopo dell’ artista) gl’ intimi sensi, e le passioni dell’ animo parlino nelle sembianze esteriori. Ed io per me calda- mente raccomando a chi vuole diventar eccellente nell’arte di non accostumarsi a modellare assiduamente, e molto tempo di seguito in basso , o in alto rilievo. È questo un modo principalmente acconcio pei bozzetti, rapido, e piacevole a un tempo , e che ha cert’aria d’ eleganza, e dilicatezza da sedurre, ma può peraltro suastare la ma- no, e ritardarne i progressi. La creta è così docile e costa sì poco a darle forma, che l'artefice corre pericolo di ap- pagarsi troppo facilmente di se, come pure di contrar- re una tal quale scipitezza di stile ; ben può difatti tutta la figura alzarsi arditamente da terra , e poi le parti es- ser flosce, scadenti, e ben proporzionate soltanto in lun- ghezza: oltrechè l'artista nulla vi apprende per l’equili» brio della figura, nulla delle eleganti, rotonde e sem- plici forme, e infine perde l'occhio alla grandezza ed alla massa, non meno che ai vigorosi atteggiamenti, può facilmente far sua delizia del picciolo stile, e viziar quindi il suo gusto. ,, Dei quali precetti trovansi per tutta l’opera di molte T. XXIII. Luglio. 3 34 illustrazioni, e qualunque volta egli manifesta i proprii pen- sieri sulle particolari sculture ; delle quali una sola mi gio- vi trasceglierne dal capitolo IX, ove in parlare delle sta- tue del museo capitolino in Roma, e specialmente dell’An- 23 dI ’ v ») tinoo, nella seguente guisa va ragionando (a p. 333). ‘ Le belle proporzioni e le squisite forme di questa stupenda scultura colpiscono viemaggiormente ancora per la luci. dezza di un bellissimo marmo. Ed è veramente da ma- ravigliare come con tali modelli, ed altri pregevolissimi avanzi d’ antica scultura sott’ occhio, Giovan Bologna ed altri abilissimi artefici sieno tutti costantemente ca- duti nell’ errore di volere ostentare il lor sapere in noto- mìa guastando bene spesso i loro più eccellenti lavori per rammentarci a forza le proprietà di tale scienza, Perchè i moderni, frai tanti loro filosofici trovati, quello pur fe- cero che il corpo umano sia composto d’ossa, di musco- li, tendini e ligamenti , dovrà per questo lo scultore ri- chiamarcelo ognora a memoria? .. . .nell’Antinoo cer- cherebbe invano l’anatomista a scuoprire il più piccolo errore di mano, o d’intelletto; eppure tanta è la semplici- tà della composizione, sì delicate e morbide sono quelle forme, che ogni nèo v'apparirebbe qual gravissimo errore. Ciascheduna parte è egualmente perfetta: il volgere della testa e ildichinar del collo soavissimi; maschili, e larghe le spalle , ma punto goffe; lunghetto e piano il ventre , nè deturpato per sottigliezza ; e quel rilevarsi dell’ ampio petto sotto le spalle stupendo; tutte le membra vanno squisitamente assottigliando; la disinvoltura, ed il garbo della gamba spedita t'incanta con quella gentilissima curva serpentina motivata per un sagace accorgimento del gra- zioso piegar del ginocchio, del mezzo giro dell’ anca, e di quella elastica arrendevolezza tutta propria dello stato di abbandono di. tale attitudine, e delle molte giunture di quelle parti del corpo. ,, Le proprietà particolari e clistintive delle ultime quattro statue da me nominate forniscono bella riprova delle osservazioni poc'anzi dedotte: la soave fanciullesca beltà di Amore e Psiche; le viepiù nobili e grandiose forme py »» ’» »” 9) 27 2 23 29 3» 95 dI è? 3» 9) 29 3» 29 LEI 29 bel 29 23 99 2) 3» bei 29 93 593 35 d’Antinoo; le maschili e gagliarde membra della già adulta età nel Gladiatore, e, per la vecchiezza irrigidita, sottil com- plessione di Zenone, tutte sono maestrevolmente condotte, ed affatto scevre da qualsivoglia pretenzione d’ anatomica puntualità. Semplice, schiette e naturali sono quelle forme, nè ci scorgi ostentazione di scienza. Non mi sovviene d’aver mai visto nelle statue degli antichi, e certamente poi nò nelle più belle fra le lor’ opere, l’Antinoo , l’Apollo, il Gladiato- re ec. un solo muscolo caricato : all'incontro lo stesso di- vin Michel Angiolo lasciò trascinarsi da troppo amore per una scienza, nuova quarto ad applicarla all’arte della scul- tura, sicchè, nella smania di avvantaggiarsene, veggiamo talora, che, mentre per cotal mezzo mira a dar maggior sentimento , cade egli invece nel rozzo. Di che ti accorgi appunto nel suo famoso Mosè in S. Pietro in Vincoli, ope- ra nobilissima, e in cui l’ artista ebbe, com’ è evidente, in pensiero di far mostra del suo valore in notomìa ; ma, nel rintracciare con troppa curiosità i.particolari della scienza , perdette in parte l’effetto senerale, comecchè nel contorno incontrinsi molti e visibili difetti. Nè li stessi particolari possono nell’ insieme, e l’un confrontato all’ al- tro andar esenti da riprensione. Il braccio destro, carnoso, forte di muscoli e nervi, è molto bello (in ispecie se ri- guardisi con I’ occhio anatomico) e benissimo proporzio- nato all’intera mole della figura , ma comparisce poi trop- po grande se paragonisi al manco (4) sottile, pieno di ri- lievi, di stile tutto diverso, e non senz’essere difettoso ap- punto nell’arte in che quegli bramò brillare , avendo sba- gliata l'origine del pronatore, e del bicipite. L’attitudi= ne, e la positura di chi siede sono invero in nobile, e (4) Agli amatori delle belle arti non sarà discaro l’inyito di confrontare il giu dizio proferito dal Bell sul Mosè del Buonarroti con le cose dette dal sullodato stori- co della scoltura : noi però ci liruiteremo a riportare ciò che dice delle braccia di quella statua: “ Nessano però volgerà in dubbio l'eccellenza di molte parti prese di- 3) sSgiuntamente, ed ia ispecie delle braccia, riconoscendosi in generale.la più pro» »» fouda scienza anatomica, anzi esseudo questa prerogativa più visibile d'ogni altra, s» 8vviene , che pel merito abbagliante di una tal qualità eminevte tacer può qual- »» chè volta il desiderio di un insieme più castigato, e corretto ,» 7. 7, p. 139; Ediz, cit. 36 > bella guisa rappresentate, ma le membra scendono trop= »» po ad angoli retti, lo che nuoce alla grazia e all’ondeg- giar delle linee ; e inoltre l’artefice per dar eroica sem- bianza alla figura cadde nel colossale. Anche il panneg- giamento è troppo voluminoso , e l'ampiezza delle mem- 3» bra, e l'altezza del corpo mal corrispondono alla grandez- za della testa , mentre l’ espressione del volto immaginata grande , severa e maestosa, ha cert’aria di fierezza , che disconviene al riposo d’una figura sedente non che a quella . dolcezza d’indole e di fisonomia attribuita al gran legi- slatore degli ebrei. La barba è bella, e superbamente on- deggiante; ma, se tanto mi si permetta in parlando dell’ope- ra dì si eccellente artefice , un pò caricata: nell’insieme peraltro l’effetto di questa scultura è nobile, e grande, nè per avventura non sembrerà molto ardire l’ avere con s, tanta franchezza criticato un lodatissimo capolavoro ; ma 3 mio scopo unicamente si è quello di far manifeste certe »» osservazioni che pel tenore de’miei studii fui reso forse ca- »» pace a rivestire di tanta precisione, quanta di leggieri 3, mancar potrebbe ad occhio men pratico. ,, Pei quali addotti luoghi dell’opera del Bell, che i di lui compatriotti estimano la migliore sull’ Italia dopo quella dell’ Eustace (5) e di gran lunga superiore a quella del For- sith, noi siamo d’ avviso che il lettore andrà facilmente persuaso e della di lui nobilità e delicatezza di sentire ; e del di lui profondo e finissimo discernimento nelle belle arti, perchè del suo valore nelle naturali ed anatomiche scienze non era quì luogo a rammentarne la tanta eccel- lenza. Dopo di che, non già per fargli torto di lievissime pecche, e ch’egli avrebbe sicuramente emendate , se ja morte non avesse tolta a lui, e data ad altri la cura di pubbli- blicare quest'opera, ma perchè non venga a noi taccia di lettore disattento, è da dire, così sulle generali, che quà e là vi s'incontrano alcuni anacronismi ; i nomi di molti edifizii o particolari, o pubblici, e degl’insigni artefici così 29 (5) V. The News of Liter. And. Fashion (Giornale di letteratura, e moda) * 54 vol. 2, p. 396. dò diversi dai veri o malconci che spesso tenteresti bia a figurarteli , o raddrizzarli ; e il bel quadro della strage de- gl’Innocenti che ammirasi nella pubblica Pinacoteca di Bo- logna è tolto a Guido Reni per attribuirlo a Pussino; le statue di Giuliano Duca di Nemours , e di Lorenzo Duca d’ Urbino nella cappella di S. Lorenzo scolpite per mano del Buonarroti, col solito error perpetuo de’forestieri, cre- dute quelle dei due fratelli della congiura dei Pazzi ; e final- mente due dei nove rami annessi al volume, uno dei quali rappresenta il palazzo Strozzi , e l’ altro il già palazzo Ric- cardi in via Larga, ambedue s’intitolano: Palazzo dei Pitti. Ma nel dipartirci da questo libro, pregevolissimo an- cora per ogni tipografico pregio, mal si potrebbe tacere cosa che agl’italiani debbe riescire gratissima, e incoraggiarli a un tempo a imprenderne la lettura: in tutta l’ estension sua non mai s'incontran cioè , quelle villane calunnie, e quei scortesi vituperi di che, come altra volta accennammo, malauguratamente sogliono, ‘più a lor vergogna che a no- stra offesa, condir le opere loro molti degli esteri scrittori che vanno o diffusamente ragionando od alcun chè toccan- do del bel paese: lode sia pertanto, e benedizione a quel benigno e gentile spirito che non seppe bruttarsi di tali laidezze, ma integro di cuore e di mente non obbliò, che alle nazioni d’ antica ed illustre fama (e sieno pur quanto vuolsi dal vetusto splendore cadute ) sempre portare, e tri- butar si debbe amore, venerazione, e rispetto. Pr Dette EncicLopeDIE considerate qual mezzo d’incivilimento, articolo del sig. Guizor per servire di prodromo all’ Ex- CICLOPEDIA PROGRESSIVA (*) Enciclopedia (1) insegnamento enciclico cioè universale, deposito di tutte le umane cognizioni (2). 11 solo titolo pro- ‘(*) Vedi Antologia N.° 65, pag. 18u. D) CHE È | 9 , È: s z) (1) Da EV atta KUKA 06 circolo; Tudeia, Istruzione, insegnamento; cognizione. (2) Diderot nel suo articolo eneiclopedia definì questa parola £* concatenamento | h 38 va che, rigorosamente parlando, l’ opera è impossibile. Nè il genere umano sa tutto, nè alenun nomo o alcuna unio- ne d’ uomini è capace di raccogliere in un libro tutto ciò che sa il genere umano. Un’enciclopedia adunque, nel senso letterale e filosofico di questo nome, non è che una men- zogna dell’ orgoglio o dell’ ambizione. Ciò nondimeno, dalla metà dello scorso secolo in poi, non si cessa di comporre enciclopedie, e il pubblico seguita a ben accoglierle. Ne’paesi i più diversi per istitùzioni, per credenze, per costumi il fatto è lo stesso. Guardate alla Fran= cia, alla Germania, all’ Inghilterra, all’ America. E come le enciclopedie finor pubblicate fossero poche, oggi più che mai se ne pubblicano di nuove, benchè sotto titoli diffe- renti, e per tutto esse trovano de”lettori. È questo forse uno di que’capricci o di quegli eccessi d’entusiasmo, a cui si abbandona talvolta lo spirito uma- no? oppure è un effetto dell’ irriflessione, per cui e scrittori e lettori ancor si lusingano, gli uni di racchiudere , gli al- tri di possedere in un sol libro quanto mai può sapersi? Oh! i capricci, l’ entusiasmo, l’irriflessione nè durano tanto, nè si estendono a tanta parte di mondo. Il comin- ciamento di quella, che possiamo chiamare moda enciclo- pedica , è già ben vecchio per noi. Nel frattempo quante declamazioni’ contro la prima delle enciclopedie, comparse alla luce, quanto rigore nello scoprirne le mancanze e gli errori, quante esagerazioni intorno alla vanità e alla teme- rità del suo disegno! Dopo ciò qual illusione, quale spe- ranza chimerica potrebbe ancora nutrirsi ? Pure le enciclo- pedie continuano, e quelli stessi , che più se ne lagnano, di cognizione ,, e l’ accademia francese adottò la sua definizione. Ma essa non è puoto esatta , nè conforme al senso etimologico. E'yuùxAios significa circolare e figuratamente completo , universale. 1 greci chiamavano EyxixAios Toela , Eyubudia padipare, un’ educazione compita , il complesso «elle cogui- zioni che ogni greco libero doveva acquistare. Leggiamo in Strabone (lib 1.) Tis Eynundiov nei cumbovs &ywyis Tous FAsubépois peras dvi, le cose che fanno parte dell’ educazione compita e ordinaria degli uomini liberi; e iu Dewostene TE Eynuadia denaba » i diritti che appartengono a tatti i cittadimi. 39 loro ne oppongono dell’altre per antidoto o contravveleno (3). Una perseveranza così invincibile, così universale, deve avere qualche causa ben più potente che le pretensioni dei filosofi, o l'inganno d: quelli che si lasciano da essi lusin- gare. Molti riguardano le enciclopedie , come un’opera scien- tifica e letteraria; ma esse veramente sono tutt’altro, e però da tutt’altro , ch’essi non pensano, viene la loro popolarità. Consideriamo l’epoca, in cui ebbero origine. Si è molto parlato della filosofia del secolo decimottavo, della novità delle sue idee, degli immensi progressi fatti per essa dallo spirito umano. Certo quel secolo può vantare abili filosofi, no- velle idee, progressi intellettuali. Ma non è questo il suo vanto maggiore e per cui propriamente si distingua dagli altri. Le teorie della sensazione e della sovranità del popolo so- no antiche quanto il mondo. Cartesio è un metafisico più potente che Condillac. Rousseau stesso è più originale pel suo talento che per le sue opinioni. Ove si lascino a parte le scienze naturali, è ben chiaro che il decimottavo secolo non può dirsi quello che nel campo delle umane cognizio- ni abbia fatte le scoperte più importanti o le fatiche più gloriose. » Ciò che ne forma il particolare distintivo, e che lo ren- derà per sempre memorabile, si è d’aver cercate e adot- tate le conseguenze pratiche delle sue idee, d’ avere per così dire alleata la scienza alla vita sociale. Nello studio della verità, considerata in sè stessa e sotto un punto di veduta puramente intellettuale, altri secoli possono lodarsi e di mag- giore originalità e di maggiore profondità. Esso il primo pro- clamò che la verità avea diritto di governare il mondo. Secolo d’applicazioni piuttosto che di teorie, d’incivilimento assai più che di scienza, esso ha lasciate poche dottrine e immensi be- nefici, poichè ha cangiato per sempre la condizione dell’ u- manità. Per convincersene, si osservi sotto quale aspetto la scien- za si è in quel secolo presentata allo spirito degli uomini, (3) Più enciclopedie, come la Britannica publicata da Giorgio Cleig ( Edim- burgo 1814, quiata edizione, 20 volumi in 4°) sono composte »ecoudo principii direttamente contrarii a quelli della prima enciclopedia francese, ko i e a quale intendimento è stata da loro studiata. Ne’ secoli. precedenti, e in ispecie nel decimosettimo , questo studio era pieno per così dire d’ ingenuità e disinteresse ; il, so- lo piacere di conoscere il vero ne facea sostenere la fati= ca; nessuno pensava a formarne uno stromento d’azione s0; pra le umane cose, anzi neppure a valersene per giudicare lo stato della società. Nel decimottavo all'incontro lo stu= dio non si è più riguardato che come un mezzo per giun- gere ad un fine prefisso, che come ‘una forza giovevole ad una causa determivata. In esso la scienza è divenuta pra- ‘tica; la verità è diventata possente. La scienza , accostan= dosi al mondo , ha voluto esaminarne le relazioni e pre- scrivergli le proprie leggi. La verità, proclamando altamente l’impero del diritto sopra quello del fatto, ha per così dire cangiate le dottrine in tanti avvenimenti. Figlie del secolo medesimo, in cui ciò si è veduto, le enciclopedie partecipano del suo spirito, hanno piuttosto per oggetto il progresso della società che quello delle co- gnizioni, Considerate come opera filosofica esse non posso» no essere di gran valore. Considerate qual mezzo d’ inci» vilimento (e questa è la loro vera natura e la causa della loro popolarità) sono d’un valore inestimabile. Dissi che come opera filosofica non possono essere di gran valore, Era più giusto il dire che loro non può com: petere il nome d’ opera filosofica, e ciò per questa sempli- ce ragione che loro manca necessariamente l’ unità. Certo nell’ opera collettiva d’alcuni uomini, uniti fra loro da opi» nioni conformi, i quali si propongono di volgere per mezzo di essa lo spirito de’ contemporanei ad un medesimo sco- po, avvi una specie d’ unità pratica, bastante ad ottenere ì più grandi risultati. Ma qual differenza fra questa imper» fetta unità , buona soltanto per l’azione, e quella che;coor- dina, penetra, vivifica tutte le parti d’una gran composi- zione, e ne fa per così dire un corpo armonico ed anima- to! Essa non può nascere sicuramente che dal pensiero d’un uomo solo, non può essere prodotta da alcuna associazio» ne , da alcuna fattizia combinazione. Quindi è così ragio- nevole imaginarsi che una compagnia di filosofi riesca. a 4i tomporre una grand’opera di filosofia, come ilsarebbe che una compagnia di poeti riesca a comporre una tragedia 0 un’ epopea. Me l’epoca de’primi enciclopedisti era quella dell’am- bizione e delle speranze. Essi, com'è troppo visibile, si lusingarono di ridurie in sistema tutto l’umano sapere, vol- lero fare della for opera non solo un mezzo d'azione, ma un monumento del pensiero. Quindi cominciarono da una classificazione o quadro sistematico delle nostre cognizio- ni, di cui il Verulamio avea loro dato l’ esempio, stiman- do che questo imprimerebbe all’ opera loro un gran carat- tere d’ unità. Idea veramente bizzarra quella di collocare un simile quadro in fronte ad un dizionario, ove ghi arti- coli sono gettati alla rinfusa, come porta l’accidente alfabetico, e d’inscrivere per così dire sopra il caos la parola regolarità! Onde mettere in qualche maniera d’accordo l’albero enciclope- dico, ossia il quadro di cui si parla, e l’enciclopedia mede- sima, si appose a ciascun articolo un rinvio, che mostrasse la sua relazione cogli altri che gli erano più affini. Ma l’unità può mai essere il risultato d’ artifici meccanici? Indarno si nu- mererebbero secondo l’ordine d’una giusta collocazione molte membra sparse, lavorate da artisti differenti: nessuno mai vedrebbe in esse una statua. A dispetto d'ogni rinvio, l’al- bero enciclopedico e l'enciclopedia rimasero stranieri l’uno all’ altra. L'unità , se così posso esprimermi, fu segnata sulla fronte, ma non penetrò l'interno del monumento. E già lo avrebbe, com’è facile avvedersi , penetrato molto inutilmente. Quando pure , in luogo di seguire l’or- dine alfabetico , si fosse nella distribuzione degli articoli se- guito quello delle materie secondo la norma di Bacone o d'Alembert,non per ciò l’enciclopedia sarebbe riuscita un’ope+ ra filosofica; poichè sempre le sarebbe mancata la vera unità. Indarno questa sì spererebbe anche dalla migliore delle clas- sificazioni. Lo scopo ordinario d’ogni classificazione si è di stabilire trai fatti.un cert’ordine, per cui lo, spirito. possa vederli, abbracciarli e ritenerli facilmente. Ora l’unità, pu ramente esteriore che ne risulta è quasi sempre artificiale e arbitraria , e potrebbe ottenersi per, mille mezzi differenti. 42 Chi ignora che in tutte le scienze, naturali, istoriche ed anche morali si sono imaginate e adoperate classificazioni le più diverse, che , accettate una volta , ebbero l’ istessa virtù, di servire cioè di guida all’intelligenza e di ajuto alla memoria ? I fatti possono considerarsi ciascuno sotto più aspetti, e legarsi fra loro sotto rapporti differenti, Secon- do che si adotterà per principio di classificazione tale o tale altro di questi rapporti, la classificazione sarà diver- sa ma il fine sarà ottenuto egualmente. L'albero enciclopedico di Bacone e d’ Alembert non è una classificazione di un genere particolare. Esso è fondato “sul rapporto che le scienze e le arti hanno, secondo que?’fi- losofi , coll’una o l’altra delle tre facoltà ch’essi riconob- bero nel nostro spirito, la memoria, cioè, la ragione e l’ima- ginazione. Senza esaminar qui il principio stesso di questa classificazione, senza cercare se una classificazione qualun- que delle nostre facoltà sia altro che un mezzo d’osserva- zione e di studio, chi non vede che le scienze e le arti si potrebbero pur classificare in altre maniere differenti? Si po- trel.be farlo, per esempio, considerandole nel loro oggetto, ossia secondo i rapporti che hanno col mondo esteriore ; nel qual ‘caso la distinzione romune della triplice natura inor- ganica , organica e animale diverrebbe la base d’un albero enciclopedico, egualmente completo e regolare che quello fondato da Bacone e d’ Alembert sulla distinzione più ar- bitraria e forse più ipotetica del'e nostre facoltà. Si potrebbe farlo, considerandole ne’ lor rapporti coll’uomo contrappo- sto al mondo come spettatore allo spettacolo, o come es- sere senziente alla causa esterna delle sue sensazioni ; e in questo caso il principio della classificazione sarebbe ancora in noi stessi, benchè differente da quello dei due filosofi po- canzi nominati. Si potrebbe farlo finalmente considerandole ne’ rapporti della loro genealogia, vale a dire nell’ ordine del loro nascimento e del loro incremento. Sotto nn punto di vista veramente filosofico e questa e ogn’altra classifica- zione incorrerebbe de’ gravi rimproveri; ma praticamente esse avrebbero tutte presso a poco l’ istesso pregio e pro- durrebbero il medesimo effetto. 43 D’ Alembert anch’egli lo ha sentito, e non s'è fatto rinctescere a dichiararlo. ‘* Come nelle carte generali del glo- bo da noi abitato, egli dice, gli oggetti sono più o meno vicini, e presentano un aspetto differente secondo il punto in cui l’occhio è collocato dal geografo; così nell’ albero enciclopedico tutto dipende dal punto in cui dal filosofo è collocato il nostro pensiero per contemplare l’universo let- terario. Si possono immaginare tanti sistemi diversi delle umane cognizioni, quanti mappamondi diversi per le loro projezioni . . . . Siamo troppo convinti dell’ arbitrio, che regnerà sempre in tali sistemi, per poter credere che il no- stro sia l’unico o il migliore . . . . Nessuno perciò dia al nostr’ albero enciclopedico maggiore importanza che non gli diamo noi stessi. Non si riguardi che come una specie di rassegna delle cognizioni che possono acquistarsi; rassegna di ben piccolo momento per chi volesse accontentarsene, ma utilissima per chi desidera d’ andare più innanzi (4),,. Nell’ar- ticolo enciclopedia (5) Diderot esprime in altri termini la stessissima idea. Ingegni l’uno e l’altro ben superiori a quanto scrissero non volevano che alcuno potesse accusarli d’ es- sersi fatta illusione sul vero carattere d’ nn lavoro, da cui pure l’Enciclopedia, almeno come opera filosofica ,, derivava tutta la sua unità. Le classificazioni non hanno , scientificamente parlan- do , alcun reale valore, che in quanto sono l’ espressione d’un’idea, il risultato d’un sistema intorno alle questioni i fondamentali, di cui s’occupa la scienza; e il loro merito dipende allora da quello dell'idea che esprimono o del si- stema che le produce. Ove un fisiologo, a cagion d’esem- pio , scoprendo la legge generale de’ fenomeni della natura e dei lor rapporti con quello che chiamasi organismo , ne deduca una classificazione degli esseri animati; questa non sarà più una cosa arbitraria e di pura apparenza, poichè mostrerà sotto le sue forme diverse e in tutte le sue dira- mazioni il fatto semplice e primitivo , ossia la legge rego- (4) Discorso preliminare dell’Enciclopedia, ed. del 1951. (5) Enciclopedia, tomo 5. % latrice di tali esseri. Ma le classificazioni di questo genere sono di necessità molto ristrette, giacchè non possono otte- nersi che in qualche scienza speciale. Per averne una si- mile, che abbracciasse la totalità dei fatti e degli esseri, bisognerebbe che 1° uomo potesse comprendere il sistema ge- nerale dell’universo e distinguerne chiaramente il principio ; bisognerebbe che potesse collocarsi in seno all’unità supre- ma ed infinita, per contemplare di là tutte le cose e vedere il legame che le unisce. I limiti delle sue facoltà intellet- tuali veramente sono sconosciuti, ma è ben sicuro che que- ste non giungono a sì alto segno. Un’ enciclopedia adunque non può mai essere un si- stema regolare e completo, un’opera veramente filosofica. Essa mai non avrà che un’imperfetta , arbitraria e appa- rente unità, poichè il dargliene una vera sorpassa ogni forza umana. Sarà essa almeno un mezzo diretto di far fare alle scienze grandi e rapidi avanzamenti? È lecito dubitarne, per due ragioni specialmente , le quali, benchè sembrino op- poste l’una all’altra, conducono al medesimo risultato. Si pensi di grazia qual ardore ingenuo, qual perfetto disinteresse animi gli uomini che si consacrano ad una scien- za qualunque. Essi }’ amano e la coltivano per sè sola, per l’unico piacere di scoprire la verità, per quel nobile desiderio di sapere, ch'è uno de’ più sublimi distintivi di nostra na- tura, senza veruna mira, non dico di personale interesse, ma d’applicazioni straniere alla scienza medesima. Infatti sembra che per giungere nella scienza ad nn segno elevato si abbia d’no- po di concentrare verso di esso tutte le forze dell’animo, rimos- sa ogniidea, ogni intenzione che menomamente ce ne distrag- ga. Si citi un esempio di grandi scoperte scientifiche, il quale non sia dovuto al più intero oblio del mondo e di sè stessi. Nelle scienze morali, esatte e naturali, ne’tempi antichi e moderni, Platone e Archimede, Newton e Cartesio, Lagrange e Haily, tutti gli uomini, il cui nome ricorda le grandi conquiste dello spirito umano , ci provano che , per un ordine ammirabile della provvidenza, i trionfi dell’ intelletto non sono con- ceduti che alla purezza della passione. Ora un’ enciclopedia è sempre, fino ad un certo segno, 45 un’ opera pratica , applicabile al mondo esteriore , e di cui la scienza non può dirsi nè lo scopo unico nè il principa- le. Dall’intenzione, che fa imprendere una simile opera, certo non può nascere l’impulso che fa scoprire il sistema del mondo o approfondire i misteri del nostro destino. A que- st' uopo è necessaria un’ alacrità , una libertà di pensie- ro, alieno da ogni progetto, sciulto da ogni peso delle cose umane. E vi è pur necessaria, parmi, la prospettiva evidente d’una gloria personale e non divisa con altri. Le grandi sco- perte scientifiche sono il frutto di meditazioni solitarie, per consecrarsi alle quali un uomo ha d’uopo di vedere come in lontananza tutti gli sguardi raccolti sopra di sè. Ora un? enciclopedia è un’ opera immensa e che non appartiene ad alcuno in particolare. Come ogni scienza vi si perde nella folla delle scienze, così ogni scrittore vi si perde nella folla degli scrittori. Ciascuno può apprendervi qual piccolo po- sto occupi egli e il suo sapere nel grande oceano del sapere universale , e correggere all’ uopo il suo orgoglio; ma nes- suno può derivarne quello zelo passionato, che fa obliare l’ importanza relativa delle fatiche scientifiche , per non pensare che al loro immediato e nobile scopo, la conquista della verità. Deve pure notarsi che gli uomini, a cui è dato di far progredire le scienze , non possono scrivere nè scrivono di- fatti per quel pubblico innumerevole a cui sono destinate le enciclopedie. Partendo essi dal punto, a cui una scienza è giunta, non: pensano che ai dotti che ben la conoscono; e le loro opere. sono così speciali come il pubblico atto a giudicarle. Un’enciclopedia, la quale tratta d’ogni cosa e per ogni sorte li lettori, non è certo il libro ch’ essi prescelga- no per produrre alla luce le loro scoperte. Ma la scienza ha pure un altro scopo oltre quello di soddisfare una nobile curiosità; e il vero, quanto è bello, altrettanto è fecondo. A pochi è possibile il discoprirlo; ma, discoperto che sia, a tutti lo è di conoscerlo e di raccoglier- ne i frutti. I progressi dello spirito umano sarebbero vani se non vi corrispondessero quelli dell’ umana specie. L’in- h6 civilimento progressivo, il miglioramento dello stato sociale, ecco lo scopo ultimo delle fatiche dell’uomo per ciò che ri- gurda la sua esistenza terrestre. Ora le enciclopedie sono fatte per agevolare il conseguimento di questo scopo, e qui comincia la loro vera utilità. Già per la sola grandezza dello spettacolo, che presen- tano agli occhi del pubblico, hanno esse un gran merito, poichè svegliano, propagano, fortificano quel rispetto e quel gusto del sapere, ch’ è forse il primo mezzo, e certo è la condizione indispensabile dell’incivilimento e de’ suoi pro- gressi. Come i grandi ed arditi momumenti fanno ammi» rare di secolo in secolo il popolo che li inalzò ; così le enciclopedie, monumenti delle fatiche dello spirito uma» no, ispirano un profondo sentimento del suo potere è dei suoi diritti. Guardandole da vicino, vi si riconesceranno i difetti dell’edifizio, la mancanza delle proporzioni o delle parti, e fors’ anche la poca stabilità de’ fondamenti. Non pertanto l'impressione ch’ esse producono è sempre utile, morale , importante ai progressi del vivere civile e al bene dell'umanità. Essa ha i suoi pericoli, come qualunque al- tra ottima cosa; può ai suoi effetti associarsi 1’ orgoglio, la presunzione, l’errore; ma questi effetti per sè medesimi son buoni; quest’impressione è come un pegno d’avanzamento e. di gloria; e infatti un popolo, che non la ricevesse, potreb- be chiamarsi assai vicino alla sua ultima decadenza , quella cioè in cui la vita intellettuale verrebbe a mancargli. Le enciclopedie mantengono, fomentano, sviluppano una vita sì preziosa anche negli uomini che mai non l’avreb- bero conosciuta, o che mai non se ne sarebbero curati. Un filosofo, che onora sommamente la Scozia , il sig. Chalmer, fa questa giudiziosa osservazione, che avviene de’ bisogni morali tutto il contrario di ciò che avviene de? fisici. I se= condi, come la fame o la sete, più si tarda a soddisfarli, più crescono e divengono urgenti; i primi, quanto meno vengono soddisfatti, tanto meno sono avvertiti. L’ignoran- za, come la servitù, produce questo fatale effetto, che l’uo- mo perde alfine il sentimento della propria miseria, e il de- siderio di uscirne. Ma se la nostra natura morale ha biso» 47 gno d’ essere eccitata, ha pur questo privilegio che non soffre nè stanchezza nè sazietà, anzi l’esercizio raddoppia le sue forze e i suoi godimenti. Quindi più gli uomini si acco- stano alla verità, più ne divengono avidi, più collocano in essa il loro piacere. Ma l’accostarsi alla verità dipende il più delle volte dalla semplice occasione. E le enciclopedie , che la fan na- scere, presentando un gran numero di fatti e d’idee ad una moltitudine d’ uomini, che mai altrimenti non vi avrebbe- ro pensato, sono le più grandi stimolatrici della publica in- tellisenza. Le opere speciali non giovano se non a’ pochi, e a quel fine soltanto per cui essi le cercano. Le enciclopedie giovano a moltissimi, e spesso oltre il fine per cui sono da lo- ro consultate. Nelle une le cognizioni d’un solo genere aspet- tano, per così dire , d’essere tratte fuori dalla diligenza d’ al- cuni studiosi ; nelle altre le cognizioni d’ogni genere vanno incontro ad ogni specie di lettori. Quegli, a cagione d’esem- pio, che s’occupa di storia, si avviene , svolgendone qual- che parte, in unarticolo di filosofia ; altri, che vi cerca la spiegazione d’un termine matematico , s' incontra in quella della pratica d’un’arte, e apprende per accidente ciò ‘che mai non avrebbero appreso di proposito determinato. Cusì le enciclopedie possono paragonarsi ad un vasto mercato in- tellettuale, ove i prodotti di tutte le fatiche dello spirito si offrono insieme a chiunque vi si arresta un istante, ed ecci- tano a gara la sua curiosità, So bene, e mi affretto a dichiararlo, che da esse non può venire un’ istruzione profonda ; e a chi voglia fare di tale o talaltra scienza un vero studio i trattati speciali saranno sempre indispensabili. Ma nell’ordine morale, come nella ci- vile società , il tempo de’ privilegi esclusivi è passato per sempre. Già si è formata una classe numerosa, che senza consecrare la sua vita alla scienza, non vuol peraltro rima- nervi straniera, perchè si sente capace di prender piacere , quand’ anche non sia che di passaggio, alla contemplazione della verità. Le enciclopedie sono particolarmente destinate per questa classe media, che trova in esse raccolte, compen- diate, e adattate alla sua capacità tante cognizioni , cui non 48 avrebbe agio ‘di estendere o di cercare altrove. Si è molte parlato, e a ragione, delle sue conquiste e della sua influen- za nell’ ordine politico. Per qual assurda eccezione non avrebbe essa anche nell'ordine intellettuale i suoi diritti e il suo impero? Perchè lo studio non è la sua vocazione dominante , i suoi gusti in fatto di scienza non dovranno essere soddisfatti ? L° aristocrazia scientifica pensi bene ai propri casi. Un disdegnoso isolamento' sarebbe in lei un fallo simile a quello , che ha perdute più altre aristocra- zie. La prosperità stessa dell’altre scienze è strettamente legata ai progressi intellettuali della classe media. In que- sta , è vero, non risiede quel publico speciale, per cui gli scienziati scrivono, e il cui suffragio è la loro più am- bita ricompensa. Ma in essa formasi quel publico generale, che colla sua attività sostiene quella dell’ altre classi, che non dona la riputazione, ma la conferma e la propaza ; pu- blico vero, che in ultimo decide d’ogni cosa, e che non può languire nell’isnoranza e nell’ apatia, senza comunicarla a quelli stessi , che, nel loro orgoglio imprudente ,si permet- tono talvolta di disprezzarlo. Del resto le enciclopedie sono così utili alla classe media che a quella dei dotti, cuni sforzano a conoscersi reciprocamente, facendo cadere innanzi a loro le barriere che separano le scien- ze diverse. Anche nel dotto mondo la distinzione delle caste è lungamente prevalsa. Come non v'era quasi relazione fra i dotti e il popolo, così i dotti rimanevano assolutamente stranieri gli uni agli altri. Il medico , il giureconsulto, il teologo, l’eru- dito , l’ artista vi\eano ciascuno circoscritto nel proprio stu- dio, come il monaco nel recinto del suo cenobio. Le scienze stesse più strettamente legate fra loro, come la chirurgia e la medicina , si trovavano nel fatto rigorosamente divise. Così lo spirito dei dotti, se n°eccettui quello d’alcuni nomini dì genio, come Cartesio, Leibnizio, Gassendo, mancava d’ esten- sione e di libertà. Più si penetrava fra le professioni che ap- plicano la scienza ai bisogni della vita comune , più gli in- convenienti d’ una classificazione , direi quasi monastica, de- gli studiosi, divenivano evidenti e dispiacevoli. Le enciclo= pedie hanno virtù di farli sparire. Esse stabiliscono fra le 49 scienze una specie d’ associazione, accosta gli artisti ai lerte- rati, i pratici ai filo:oti. fanno insomma che ciascuno possa fa- cilmente e sufficientemente istruirsi di ciò che non forma l’og- getto speciale de’suoi studi, traendone vantaggio pe’suoi studii medesimi. Uno de’ principali benefici delle università è delle accademie si è questo, che i dotti d’ogni specie vivendovi iu- sieme, e comunicandosi le proprie idee, s’illuminano a vicen- da. Perquanto un libro può supplire alla vita, le enciclopedie producono il medesimo effetto , cireondando per così dire il dotto solitario di colleghi benevoli, cui può consultare ad ogni istante, allargando così il proprio sapere , che la specie- lità de’ suoi studii tende a restringere. Parlerò io della loro utilità più comune, dell’abbondante istruzione ch’esse forniscono, applicabile a tanti casi e bisogni della vita? Nelle grandi città si oblia forse troppo la condizio- ne di que’molti, a cui l’agiatezza lascia ozio di coltivare la pro- pria mente, ma che vivendo alla campagna oin piccole città si trovano lontani da tutte le dovizie della scienza e dell’indu- stria, che si accumulano intorno a noi. Fra loro s'impara a conoscere il prezzo di quella scienza domestica , la quale si trasporta in pochi volumi nella solitudine più profonda. Scienza , per vero dire, incompleta, che si applica spesso erroneamente, ma che più spesso illumina, dirige , rassicura gli spiriti, e stabilisce fra migliaja di luoghi isolati e i gran- di centri del sapere una comunicazione preziosa, i cui buo- ni effetti sono incalcolabili. Ora che è ciò se non una parte notabilissima dell’ inci- vilimento anzi l’incivilimento stesso ? Dall’incivilimento, 0s- ‘sia da quella potenza di progressivo perfezionamento ,s che trovasi nel genere umano, son nate le enciclopedie, come la scrittura, la stampa, la navigazione, tutti i mezzi insommadi comunicazione materiale e intellettuale fra gli uomini. Ed esse contribuiscono mirabilmente alla grand’ opera dell’inci- vilimento medesimo, chiamando ogni giorno un maggior nu- mero d’individui all’attività dell’intelligenza e al godimento de’ beni dello stato sociale. Vogliamo noi assicurarci pienamente che tale è il loro scopo e la loro utilità? Si esaminino le accuse che loro sì dan- 1. XXIII. Luglio. 4 50 no, e poi si decida. Non parle di quelle che loro si danno come ad opere di filosofia , della mancanza cioè d’ unità, che regna nelle loro dottrine anche quando hanno una ten- denza pratica ben determinata , della disproporzione delle loro parti, infine dell’impossibilità di corrispondere al pro- prio nome. Tali accuse non sono che giuste, e nessuno può rimproverarmi d’ averle dissimulate. Ma quelle, che loro si danno comea stromenti di civiltà, sono ben altro che giu- ste e legittime. Si dice infatti che 1’ enciclopedie spargo- no la scienza così alla ventura, senza sapere se gli spiriti sieno preparati a riceverla, qual uso ne faranno, e nemme- no se la desiderano; che provocano quindi o almeno favo- riscono un° attività intellettuale o intempestiva o soverchia; che propagano all’intera società quelle idee, che non do- vrebbero uscire dalla classe dei dotti senza aver subita la pro- va del tempo; e che generano così la presunzione , la legge- rezza delle opinioni e degli studii, e tutti gli inconvenienti che possono venirne e per gli individui e per i popoli. Io non mi farò qui a discutere così gravi accuse; mi limiterò a domandare se avvene una sola, ehe non possa farsi egual - mente contro la stampa, i giornali , la circolazione delle idee e de’ capitali, insomma contro la stessa civiltà. Questa, è vero, non purga l’uomo d’ogni vizio, non libera la società d’ ogni pericolo , ma sviluppando le naturali disposizioni dell’uno e dell’ altra, accelera per ambidue tutti gli eventi del loro destino. Essa è circondata da difficoltà senza fine, e nondimeno può chiamarsi la vita stessa della specie uma- na, la legge e lo scopo della sua attività. I popoli, infatti fra i quali essa è maggiore, vincono i più ardui cimenti, so- pravvivono ai più grandi rovesci, mentre quelli, fra cui vien meno , periscono e muoiono anche in seno alla pace, e senza nemici che li combattano. Dopo ciò chi oserebbe dire che bisogna comprimerla? che bisogna rigettarei mezzi che ne favoriscono l’ accrescimento ? E poichè questo è il fine delle enciclopedie, da questo e non d’altronde bisogna derivare le leggi della loro composi- zione. Esse debbono essere composte non come opere filo= sofiche, ma come stromenti di civiltà. A tal uopo debbono “nati citata tt 9, SI primieramente essere adattate alle più mediocri facoltà; e ini secondo luogo tener dietro al progresso delle cognizioni che vo- gliono comunicare Se a queste due condizioni abbianò:soddie sfatto o possano oggi soddisfare le prime enciclopedie e special- mente la francese, ciascuno il vede, Dall’una parte sono esse così ‘voluminose e così dispendiose, che indarno si vorrebbero far penetrare dovunque se ne manifesta il bisogno; dall’”altrà | sono così stazionarie in mezzo ad un incivilimento progressiva, che potrebbero assomigliarsi ad un catasto, il quale perla sua vastità progredisce sì lento, che appena finito già più non rappresenta il vero stato della proprietà territoriale ; ed ‘ha perduto in parte il suo merito e la sua utilità. A primo aspetto sembra che il rendere le enciclopedie accessibili ad un grandissimo numero di persone, e capaci ad un tempo d’un perfezionamento progressivo, sia affatto im+ possibile. Nondimeno, riflettendovi bene, si vede che questo è possibilissimo; e che se finora esse non servirono al vero lorò scopo, deve incolparsene la' sola pretesa di farne insieme un’ opera filosofica ed un mezzo di civiltà, un monuniento ed uno strumento, Perchè un’enciclopedia fosse realmente un'opera filosofica, perchè ne avesse ‘almeno l’apparenza, bisognava non ‘solo che l'universalità delle umane cogpizioni vi si trovasse depositata, cioè a dire cheogni parola della linsua vi avesse un articolò, ma altresi che tutti o quasi tutti‘gli articoli fossero d’una certa estensione e d’un valore scientifico assai distinto. Quanto poi allo scopo pratico, quello cioè del comune incivilimento, sateb- be stato d’uopo che tali articoli non contenessero se ‘non un sunto il più elementare dei fatti e delle idee relative alla materia inessi trattata, lavoro assai modesto benchè abbastanza difficile eabbastanza vasto, Mai primi enciclopedisti, preoccu- pati della grandezza del loro disegno, non potevano rasse- gnarsi a non iscrivere che pel publico propriamente detto, ‘e vollero scrivere pel publico letterato. Nell idea generale è primitiva dell’ opera loro dominava certamente un’ intenzio- ne pratica, un’ intenzione d’ incivilimento; ma ne’ particolari prevalse l'intenzione filosofica e letteraria il desiderio d’acqui- star fama di dottrina e d’ingegno, Indi tanti'articoli, poco im- 5a ! portanti! pel loro soggetto, e sproporzionati per la loro lun- ghezza ;.ed indi, pure tanti altri di soggetto interessantissimo pel publico e scritti con indebita brevità ; come quelli che pei dotti parevano indifferenti. Così la loro estensione relati- va fu per così dire in ragione inversa della loro importanza, e l’enciclopedia ebbe il doppio inconveniente d’ essere ad un tempo incompleta ed eccessiva, troppo elementare e trop- po dotta. A. principio questo doppio inconveniente fu appena 0s- servato; poichè i suoi.effetti furono appena sentiti. L’opera era. nuova ed ardita, dava agli spiriti un gran movimento, gettava in mezzo al publico un gran numero d’ idee, che fi- no. allora era stato rinchiuso in un tesoro privato. Essa de- stò quindi tanto ardore, fece fare ad un tratto de’ progressi così rapidi, che tutti i bisogni potevano credersi soddisfatti. Oggi la cosa va bene altrimenti. Dall’ una parte il pregio della novità è cessato, il movimento degli spiriti , i quali in Francia almeno si trovano più vicini alla meta, è rallen- tato; dall’altra, la scienza trovandosi già più diffusa , cia- scuno richiede notizie più esatte, cognizioni più complete, meditazioni più profonde. Ma questo non è ancor tutto. Il publico , a cui le enci- clopedie sono destinate , ha cangiata natura. Prima del 1789 prevalevano , è vero, i nuovi principii e i nuovi bisogni , ma durava l’impero de’ fatti antichi, il quale si estendeva ad ogni parte della società. Nell’ordine civile come nel po- litico ,, nelle classi infime come nelle più elevate, sempre avea dominato il privilegio, onde nasce una disuguaglianza fattizia di tutti i vantaggi sociali. La classe media stessa era aristocraticamente costituita; e, qualunque fosse il suo slan- cio verso un altro avvenire, essa portava l’impronta del pas- sato sotto le cui leggi era cresciuta. Queste leggi ora sono cadu- te, e i loro effetti sono cessati. All’antica è succeduta una classe media novella, ben più numerosa e ben più ricca nella sua totalità, benchè la ricchezza individuale sia in essa più rara. Gli uomini, che abbiano agio bastante per consecrarsi a qualche studio di loro scelta, senz'altro scopo che di di- stinguersi in esso o di coltivare la loro intelligenza , sono 53 meno frequenti; mavil gusto e il'bisogno dell'istruzione sono; quiasi diventati comuni. Quindi una grande enciclopedia , co- me quella dello scorso secolo ; troverebbe oggi '‘assài minore accoglimento ;' ma un'enciclopedia elementare ‘è diventata: per così dire: un'oggetto di prima necessità. i Lo stesso'fatto è. pur ‘osservabile in altre ‘parti d’ Eu- ropa', sia che ‘abbiano ‘provate scosse simili a quelle della: francese rivoluzione, sia che gli effetti dell’ incivilimento siano analoghi dappertutto: Due tentativi, in apparenza:con*' trariî e nondimeno prodotti dalla medesima causa ,' hanno da trent'anni avuto luogo in Francia } in Inghiltertave-in Germania, ove sono'comparse ad unitempo ed ‘enciclope- die:più popolari ed enciclopedie più dotte, In Francia; men® tre'gli editori :dell’enciclopedia metodica si\sforzavano:di dare per ‘ciascuna’ scienza run 'dizionario così esteso, come»se tale scienza fosse la sola'di. cui si occupassero, si pubblicarono: sotto vil titolo ‘div spirito dell’'enciclopedia:; di. dizionario e, d’enciclopedia. portatile, di lessico manuale ) di . dizionario: d’ arti e scienze ec. tante opere destinate a divenire. vencia clopedie elementari ad ‘uso del.popolo» In Ingbilterra 8° in- contra dall’ una: parte.un’ enciclopedia ‘di famiglia, un dizio= nario compendioso di scienzere d'arti, ‘una. piccola cenci clopedia britannica; .una collezione: @ elementi \divtutte. ile scienze ec 3 ie dall’altra tre vaste enticlopedie, l’ultima delle quali, cioè; quella:d’ Edimburgo , contiene sopra lepiù ima portanti questioni: !della» scienza mana e. dello: stato. so ciale. articoli ;;: ‘che possono chiamarsi operesinsigni. In Germania, a fianco dell’ enciclopedia generale delle, scienze e'delle: artî; pubblicata dai) sigg. Ersch ie Gruber, [iewans eora molto lontana dal suo termine; ‘sono msciti iniluce un manuale \enciclopedico’; un’enciclopedia economica, un comi pendio di questa enciclopedia lun ‘dizionario della conver: sazione ec. Di questi tentativi diversi due sopratutto ; il dizionario della>conversazione ‘pur ora indicato ie. Perciolo® pedia d’ Edimbutgo'harino ottenutò:il; più: grande» decoglia mento. Per quali ragioni ? Viotei, iero Sssî Il dizionario della conversazione, pla a Lipsia dal librajo Broclchans; è la più:completa' delle enciclopedie. poi! Sk polari. L’editorà non. ha reso ben conto a sè stesso è del suo disegno nè, dei! bisogni , cui volea soddisfare. L’opera. sua non è composta dietro un’ idea semplice, e costante» mente seguita in tutte Ie sue applicazioni. Molti articoli vi mancano ; certe parti, come la biografia de’)\viventi, vi occu» pano unjgrande spazio; mentre altre ,5coméile arti e i me- stieri;, non ne occupano che uno in propurzione assai ri- stretto, Nondimeno, l’opéra è concepita ad un fine veramen+ te, utile , l'istruzione di quelli che non hanno il tempo, di diventar dotti ; e 1’ editore non si è mai lasciato deviare; da questo, fine per mire d’ambizionescientifica o letteraria. Egli, s'è applicato a raccogliere sopra un'infinità «di. soggetti le, cognizioni più elementari e per così dire d’un uso più giornas, liero, stringendole fra i più brevi confini possibili; e l’operasua; malgrado i suoi difetti, è già stata stampata sei. volte . si,tro- va'in tutte le famiglie un po’agiate, ed ha contribuito non poco.a: quel generale incivilimento ;\aiquell' istruzione ve- namente domestica, Pete è più comùne in; | Gatimantiae che altrove. «Gli autori dell’ enciclopedia d’ Ebiribuaigai pit sotto la direzione del sig. Brenster, harino: scritto sopra) un piano ead. un fine del.tuttà diverso. Che serve, hanno detto; quella ‘moltitudine di piccoli articoli, onde le grandi\enci-. clopedierisònoò sopracariche? Si riferiscono! essi in generale a parole insignificanti 0 di piccolo uso, che trovansi spiègate dappertutto;,/:d. di cui mai non si cerea.la spiegazione y e si usurpano frattanto un posto, che poi manca (alle materie più impottanti. Bisogna lasciar da parte un riempitivo sen= zasutilità e senza pregio, destinato soltanto ra dare alle en- ciclopedie l’ingannevole apparenza d’universali depositi dele l’umano sapere, e scegliere i soggetti d’un interesse ve» ramente. generale , trattandoli in maniera che; soddisfaccia agli uomini, più istruiti, Dietro questa: veduta essi ‘hanno composta un'opera , la, quale; come \accennai, contiene veri,ed. eccellenti trattati, su tutti i grandi argomenti delle scienze morali, politiche, istoriche, naturali, esatte, su tutti i, soggetti! insomma di qualche importanza o filosofica 0 pra- tica..E.come il dizionario della conversazione è\peuetrato in 55 Germania fra tutte le classi de'cittadini; così l’ Enciclope- dia d’ Edimburgo è divenuta in Iscozia il manuale di tutti gli uomini illuminati, nè si forma biblioteca di compagnia o gabinetto di lettura, ov’essa non abbia uno de’primi posti. Qual è il carattere comune di queste due enciclopedie così diverse d’origine e di merito ? L'essere ambidue composte ad un fine pratico, senza spirito di sistema, unicamente per soddisfare a certi bisogni sociali, propagare l’istruzione, acce- lerare l’incivilimento , l’una fra la classe più colta e che ha tempo di coltivarsi ancor meglio, l’altra fra quella nu- merosissima, che sebbene abbia poco agio per lo studio , non vuol rimanere nell’ignoranza. Così il fatto, come quasi sempre succede, ha prevenuto il ragionamento, e sciolta la questione della vera natura delle enciclopedie, prima che alcuno pensasse a proporla. Ora bisogna credere ai fatti, massime quando sono così spontanei, quando sono il risultato del corso naturale delle cose, non l’opera della premeditazione , sempre ristretta e arbitraria. I vizi scoperti nel piano delle prime enciclope- die non debbono punto sorprendere, poichè sono i vizii del secolo in cni esse comparvero e di tutte le sue opere. Fu errore generale di quell’ epoca il credersi in possesso d’una scienza compita, che a tutto potesse bastare e a cui tutto dovesse assoggettarsi. Per una contradizione , la quale non è strana che in apparenza, mai gli spiriti non aveano sen- tito sì gran bisogno d’applicare le idee ai fatti ; e mai non aveano mostrato pei fatti sì gran disprezzo, mai non aveano tenuto sì piccolo conto delle circostanze esterio- ri e reali. In mezzo a speranze e a disegni i più estra- nei alla scienza prevaleva per tutto un desiderio passionato di scientifica unità; e può dirsi che il secolo, in cui meno furono coltivate le teorie pure, è quello precisamente in cui le teorie hanno ottenuta la più cieca sommissione. Ma l’esperienza ha dissipato il prestigio ; i fatti poco o nulla curati hanno, quasi vendicandosi, smentite le dottrine ; e l’umano ingegno è stato costretto di confessare che le cose non erano sì semplici , nè la sua scienza sì completa , co- m' esso pensava. 56 Ciò ch'è avvenuto riguardo alle enciciclopedie non. è che la piccola scena d’nn grande spettacolo, un corrolario del grande errore, che si è più sopra indicato. Così trat- tandosi d’ enciclopedie, come trattandosi di governo, si è poco pensato alla diversità delle situazioni, delle disposi» zioni, de’ bisogni , all’ineguaglianza de’ lumi e delle for= tune ; si è voluto credere che il pubblico , per cui si scri- veva, fosse uno ed omogeneo, e che un’ opera istessa do- vesse convenire egualmente a tutti i lettori. L’ inganno era grande. Sotto questo nome di pubblico , di popolo, di società si comprende una moltitudine di nomini o di associazioni prodigiosamente diverse , i cui bisogni e le cni facoltà intellettuali differiscono forse ancor più che i loro abiti e le loro maniere. I poeti , gli artisti , i filosofi stessi poco badano a queste differenze. Liberamente abbandonati alla loro imaginazione o a’loro pensieri, gli uni cercano la verità pura, gli altri l’espressione di que’ sentimenti univer- sali e invariabili della natura, con cui, appena sono mossi, come gli Dei d’Omero, già toccano la meta. Ma quando si. di- scende da quell’alta regione , ove non trattasi che d’emo- zioni 0 d’idee, quando vuol esercitarsi sopra il mondo reale un’ influenza diretta, quando trattasi di governare, incivilire, istruire, allora le varie circostanze della condizione sociale sono fatti che più non possono trascurarsi, altrimenti l’ope= ra è perduta. Il tempo è giunto di saper valutare questa varietà in- finita di fatti; e gli spiriti, bisogna dirlo, vi sono assai bene disposti. Essi il debbono per assicurare la pubbli- ca libertà; e il debbono egualmente per assicurare la più generale istruzione. La necessità di enciclopedie, diverse per profondità e per estensione, è una consegnenza dei fatti in- dicati ; poiché non è altro che la necessità di soddisfare a bisogni intellettuali differentissimi ed egualmente reali. Se noi ci limitassimo a riconoscere le differenze sociali, ad inculcare il dovere di tenerne conto, non faremmo che ripete- re ciò che già diceano ai filosofi i loro avversarii. Con qua- li intenzioni essi il dicessero è manifesto da lungo tempo. Essi non aveano altro fine che di rendere la sociètà immo» 57 bile, d’imporle il rispetto di tutte ile diversità , di tutte le disuguaglianze , di tutti i fatti, senza permetterle alcun esame o alcuna eccezione. Ora è tempo di mettere d’ ac- cordo il rispetto dei fatti coi progressi dello stato sociale, di far servire la rivelazione degli inganni della filosofia al trionfo della ragione. In ogni società, è vero, e specialmente nelle grandi ed antiche, s'incontra una moltitudine di condizioni diverse, che possono considerarsi come tanti gradi nella scala della civilità. Pure esiste fra esse un legame comune, pvichè for- mano un solo popolo, corrono una medesima sorte , e, pos- sono bene temersi o rispettarsi,, giovarsi a vicenda. o nuo- cersi, ma isolarsi non mai. Ora che a&cade naturalmente quando la società va avanzandosi e prosperaudo? Le rela- zioni delle classi varie si moltiplicano ; un sentimento; un interesse comune le unisce l’ una all'altra; un moto per così dire ascendente apre de’continui passaggi dalle inferiori alle superiori, e(cosa notabile) mentre queste si fanno più dense pesano meno duramente sulle altre. 8’ interroghi la storia, si osservino i popoli nel loro stato d’incremento e di gloria, e si avrà la prova di quanto ho asserito. L’avvicinamento pro- gressivo di tutte le classi, la tendenza all’unità pel libero sviluppo delle diversità, è dunque la legge o piuttosto il fatto stesso, dell’ incivilmento ; è l’effetto di quell’ impulso, onde piacque alla, provvidenza di animare questi esseri col- lettivi, che si appellano società. Ogni sistema sociale , che, riconosciute le differenze di condizione, di cultura, di lumi, onde si distinguono le varie elassi de’ cittadini, tendesse dall’ una parte ad isolare ciascuna di queste classi perchè sono diverse, dall’altra a renderle immobili nella loro diversità, sarebbe dunque na- turalmente: vizioso , poichè. sarebbe in opposizione coll’an- damento spontaneo e la forza vitale del genere umano. Il gran problema , ch’ esso deve sciogliere , è questo : poste le diversità e le disuguaglianze di fatto , che sempre deb- bono rispettarsi, stabilire fra le classi varie de’ vincoli ne= cessarii , per cui non. possano ignorarsi le une le altre , per cui i passaggi dall’una all’ altra siano liberi ed aper - 58 ti, per cui finalmente l’una sia spinta dall’ altra a progre- dire di concerto nella carriera del perfezionamento. Al-no- stro secolo , io spero, si darà questo vanto speciale d’avere ben compreso un tale problema , d’averne accettate franca- mente le condizioni, di non aver cioè sacrificata nè la tenden- za alla realtà, ne la realtà alla tendenza, d’aver infine assi- curata la libertà rigettando ogni unità fattizia, senza però ces- sar di credere e d’aspirare a quella vera, verso cui l’umanità si avanza costantemente, benchè non le sia dato di con- seguirla. Ora, dalla composizione dello stato scendendo a quello delle enciclopedie, è ben chiaro, che qualora voglia eser- citarsi un’ azione sopra il pubblico intero e giovare al ge- nerale incivilimento, benchè s’impieghino libri piuttosto che leggi, sempre ci si presenta l’istesso problema da sciogliere e sempre ne bisogna la medesima soluzione. Com'è indi- spensabile pubblicare enciclopedie diverse, adattate ai di- versi bisogni e alle diverse facoltà delle varie classi di let- tori ; così è d’uopo stabilire fra esse una relazione , fare cioè che si sostengano a vicenda, che l’una introduca al- l’altra, che a lato alle fonti d’ un’istruzione media se ne trovino altre d’ una scienza più profonda, sempre separate ma sempre accessibili a chiunque ‘voglia attingervi. Suppongo l’esistenza d’ una buona enciclopedia elemen- tare, che contenga sopra tutte le parole della lingua e usuale e scientifica i ragguagli più utili al maggior numero di let- tori. Essa non può essere ad infiniti riguardi se non assai incompleta; ma lungi dall’ingannare i lettori, ne li av- visa, mandandoli per que’ragguagli che richieggono mag- giore estensione ad un’ enciclopedia, imperfetta anch’ essa ove si guardi al numero degli articoli che contiene , ma perfettissima ove si guardi alla loro natura , poichè sono tanti piccoli trattati. Questi trattati, a vicenda , sebbene porgano un’ istruzione più ampia e precisa che non gli articoli corrispondenti dell’enciclopedia elementare, e sie- no il loro supplemento , additano a quei lettori, che bra- mino 2° istruzione anche maggiore, i trattati speciali, ove ogni materia è approfondita. Così non solo è evitata la pre- 1 4 i = 59 sunzione, che nasce facilmente dall’ uso delle enciclopedie, ma è posta dinanzi ai lettori, iquali non cercano che nn’istru= zione media, la prospettiva d’una scienza maggiore, atta a far nascere in essi de’ nuovi bisogni intellettuali, cui sarà loro agevole di soddisfare. Tal concatenamento di enciclopedie non scioglie forse il problema più sopra enunciato? Ed ove queste enciclopedie sieno composte in ogni lor parte secon- do la loro idea primitiva, cioè secondo il vero bisogno del pubblico a cui sono destinate, non debbono forse aspettar- sene i più utili risultati ? Quanto all’enciclopedia elementare, è chiaro che ogni pretensione letteraria o scientifica debb’esserne esclusa. Una tal opera non è destinata ad esserletta di seguito, nè a. por- gere in tale o tal altro argomen'o. una vera istruzione. Essa è fatta per un pubblico, il quale: non ha che poco tempo da consecrare allo studio:, e nulla forse può studiare partico- larmente', ma desidera sopra moltissimi oggetti quelle co- gnizioni che bastino a dissipare un’ ignoranza che gli pesa. Esso non chiede idee nuove ed ardite, lunghe dispute sulle diverse opinioni, o. altro che gli procuri l’ingavnevol pia- cere di credersi dotto senza fatica. Chiede soltanto una ri sposta chiara alle domande poco ambiziose; poco complicate, ma innumerevoli, che può fare sulla-storia o la geografia , le scienze morali o lenaturali, le artio i mestieri, ec ec. In un’en- ciclopedia; fatta. per, soddisfarlo, nessun articolo può essere brillante, nessuna scienza può eccitare un particolare in- teresse; ma a compenso ‘ogni scienza deve avervi il suo po- sto, ogni parola deve avervi un articolo. Una tale enci- clopedia debb’ essere un compendio popolare di tutti i di- zionarii speciali, di cui l’ umane cognizioni furono l’oggetto. Quindi già s’ intende che i suoi articoli saranno di ne- cessità molto corti, dacchè il loro numero importa assai più che la loro estensione. Essi non potranno contenere che la definizione della parola da cui s’intitolano, l’esposizione dei suoi varii significati ove ne abbia più d’uno, e ‘il somma- rio de’ principali fatti e delle principali idee che visi ri- feriscono. In quelli di biografia, per esempio, basterà in- dicare il luogo e l’epoca del nascimento e della morte delle 60. persone ; l’impiego che fecero della loto vita; le'Toro azioni» o le loro opere più notabiii. In quelli di geografia, trattan- dosi d’ una città, basterà indicarne la situazione, la popo- lazione e i principali stabilimenti ch’essa racchiude. In quelli di storia naturale , ove si tratti d’ una pianta o d’un ani- male, si farà conoscere a qual genere appartengano secondo le classificazioni della scienza, qual ne sia la patria, il co- stume e. per sorte l’ utilità. Ogni preferenza per tale o tal altra parte del sapere , ogni abbondanza in una materia a spese di un’altra, sarà studiosamente evitata. Mai non si perderà di vista che l’opera è generale e non speciale, che debb’essere piuttosto consultata che letta, e che a quelli, che la:consultano, non deve rispondere con bei discorsi ma con risultati i più chiari e precisi. Il metodo, secondo cui debb’ essere composta , como-. dissimo; come. ciascun «vede , per le scienze che trattano dei fenomeni dell’ ordine materiale, non lo è egualmente per quelle che /s’ occupano de? fatti dell’ordine morale, più dif- ficili a verificarsi 0a -spiegarsi, e sougetto di tante dispute e di tanti sistemi. Quando si parla della vita d’un uomo, della natura d'un paese , della pratica d’ un’ arte, la cosa è piana, l’ incertezza non ha luogo, si dice quello che. è realmente 0 «quello che si crede generalmente. Ma nelle: materie filosofiche, trattandosi p. e. della parola anima 0 della parola. sovranità , non potendosi. prendere la parte di storico delle opinioni che vi. sono relative, giacchè questa parte condurrebbe a troppi lunghi discorsi, bisogna pur pren- . dere un partito , scegliere cioè un’opinione; che sia la più conforme ‘allo spirito generale dell’ opera, e allora il solo risultato, | può giustificare la scelta. Del resto un’enciclope=: dia elementare non sarà mai consultata in tali materie così: di frequente come in altre, Non potendole però trascurare, e trovandosi posta fra la necessità di adottare opinioni si» stematiche e V’impossibilità di provarle; si restringerà fra i termini più semplici e più concisi ; riportandosi per una maggiore spiegazione all’enciclupedia scientifica la quale le corrisponde. Questa sarà un’opera nor solo di misura, ma altresì 61 di natura assai differente. Da un’ enciclopedia elementare si vogliono de’ragguagli intorno a ciò che s’ignora; da una scientifica si aspettano ampie ed esatte spiegazioni di ciò che in parte già si conosce. Il merito principale della pri- ma è l'universalità; quello della seconda è la specialità. Essa non può assolutamente trattare d’ ogni cosa; ma in- torno alle cose di cui tratta non deve lasciare verana oscu- rità o veruna dubbiezza. Certo è a bramarsi ch’ essa non ‘-trascuri alcuna questione importante; ma, fissate a quest’uo- po le parole che le conviene di prescegliere, ciascuna di queste parole deve fra le mani d'un nomo veramente abile nella scienza, a cui essa appartiene, divenire soggetto di un piccolo trattato , che sia il miglior compendio possi- bile del più grande e completo. Pubblicati insieme e sotto un titolo comune questi diversi trattati faranno parte, è ‘vero, d’una medesima collezione; ma non per questo sa- ranno scritti secondo una veduta sistematica o una lesge di pretesa unità. Potranno anche separarsi all’ nopo da sif- fatta collezione, onde servire agli studii più speciali di cia- scuno, o a quelli verso cui sarà accidentalmente rivolta la generale attenzione. Le periodiche pubblicazioni dell’ en- ciclopedia prenderanno da questa una norma costante. Così non solo saranno da esse soddisfatti i bisogni sociali a mi- sura che si manifestano; ma l'istruzione penetrerà più facilmente negli spiriti, riferendosi a cose attuali, ed es- sendo quasi comandata dalla necessità. Ma, come il pro- gresso delle idee è continuo, a misura che questo renderà desiderabile un nuovo articolo sopra qualche materia già trattata, bisogna che l’enciclopedia possa fornirlo, e sia essa medesima perfettibile e progressiva come la scienza e la società. A queste sole condizioni essa può essere eminentemente utile al pubblico, il quale ne aspetta lumi veri. Quanto ai dotti, che sono in grado di fornirli, essi pure la trove- ranno opportunissima, poichè servirà loro di deposito a molte osservazioni, frutto della meditazione o dell’esperienza, che, non, potendo essere materia di un’ opera, andrebbero forse (perdute. e così torneranno a vantaggio universale. 62 È difficile indicare anticipatamente e d’una maniera generale su qual piano abbiano ad essere composti gli arti- coli che tale enciclopedia dee contenere. Trattandosi di pic- coli articoli, come quelli d’ un’enciclopedia elementare, si può in qualche modo fissare per essi una regola comune; trattandosi d’altri è impossibile. Lo sviluppogenera necessaria- mente la diversità, Vedete i fanciulli: nella cuna si rassomi- gliano quasi tutti; fuori, a misura che crescono, vanno perden= do la loro somiglianza. Come mai una stessa regola di composi- zione potrebbe convenire ad articoli diversi, di biografia, d’eco- nomia politica, di scienze naturali o meccaniche, per esempio agliarticoli Aristotele, anatomia , capitale, mammiferi, mac- chine a vapore? In certi casi il soggetto d’un articolo an- drà trattato specialmente per mostrarne le applicazioni pra- tiche, in altri al contrario per chiarirne i principii teori= ci. Parlandosi della biografia d’un uomo famoso , di Plato- ne, di Cartesio, di Cromwell, di Lutero, di Sully, di Bossuet, qual pregio avrebbero mai de’ semplici aneddoti in un’opera che non può tutti raccoglierli ? Il nome di questi uomini non ha luogo nell’enciclopedia, che per l’ influenza da essi esercitata sul destino de’ popoli o i progressi dello spirito umano, onde la loro storia forma parte di quella dell’uma- nità ; e quindi i loro articoli biografici debbono riguardare particolarmente questa influenza. Nelle scienze morali, co= me la psicologia o la filosofia politica, giova esporre sol- tanto i principii generali , offerire esempi di buon ragio- namento, presentare qualche nuova idea, che metta in mo- vimento gli spiriti, anzichè insistere sovra questioni partico» lari, che mai non potranno essere sciolte se non a riscon- tro de’ fatti, e il cui numero sarà sempre sì grande, che lo spazio d’un articolo mai non basterà a contenerlo. Trat- tasi invece di qualche soggetto appartenente alle scienze esatte o naturali, alla meccauica, alla fisica , alla chimi= ca, alla botanica? Allora converrà piuttosto attenersi di pre- ferenza alle a)plicazioni usuali, dacchè gli scienziati, o quelli che aspirano a divenirlo, cercheranno sempre i principii ne’ trattati speciali, e gli altri cercheranno più particolarmente nell’ enciclopedia le applicazioni che si sono dette. Così 63 gli articoli di questa avranno un carattere ora scientifico ora pratico, secondo le materie intorno a cui si volgeranno; Frattanto, ove pur bisognasse dare qualche norma ge» nerica intorno alla loro composizione, direi ch’essi dovreb= bero contenere primieramente l’istoria del soggetto in esso - trattato, cioè un prospetto storico de’ fatti e delle idee che vi si riferiscono, onde il lettore si formi chiara idea della loro successione e del loro andamento fino a lui ; seconda- riamente un'esposizione dello stato attuale delle cognizioni riguardo al soggetto medesimo, e delle idee proprie dell’au- tore ; in terzo luogo l’ indicazione delle lacune che ancor si trovano nel soggetto indicato, delle difficoltà che ancor rimangono a sciogliersi, e de’progressi desiderabili o spera- | bili nelle cognizioni che lo riguardano ; in quarto luogo fi- nalmente l’ enumerazione delle principali opere , in cui il soggetto è stato trattato ne’diversi paesi, e un giudizio som- mario del loro merito. Simile norma, penso, potrebbe es= ser utile, ma va intesa naturalmente d’una maniera molto larga. Niente di peggio che le regole assolute, che fanno vio- lenza alla natura delle cose e alla libertà degli spiriti, sole potenze veramente grandi e feconde. Le materie da trattarsi nell’ enciclopedia debbono essere determinate dal voto pub- blico e dalla loro importanza ; la norma da seguirsi nella composizione degli articoli sarà determinata all’ uopo dalla perspicacia di ciascuno degli scrittori. Il buon successodell’en- ciclopedia dipende tutto dalla buona scelta di questi , e intorno a tale scelta non si possono dare precetti, Ho cercato di valutare con certa precisione il potere delle enciclopedie, di definire la loro vera natura, di de- darne le leggi della loro composizione, e di applicarne le conseguenze fin dove la previdenza legislativa può giungere, giacchè in faccia ad un’ infinita varietà di fatti essa riusci- rebbe ridicola, se volesse andar più oltre colle sue generalità, Basta, s'io non m’inganno, gettare lo sguardo sullo stato attuale della società in Francia per convincersi, che le due opere, di cui ho in qualche maniera delineato il piano, ben lungi dall’essere cosa inutile o arbitraria, sono chie- «ste imperiosamente dalla necessità. Esse non solo corrispon- 64 dono ‘a quel desiderio d’ istruirsi e di sapere, che anima tutti i secoli operosi, tutte le società che si avanzano ; ma corrispondono veramente a de’ bisogni urgentissimi, a de’bi- sogni diretti , che importa di soddisfare. Lo stato attuale della società fra noi è buono, ra- gionevole, legittimo. La più parte degli uomini debb'es- sere paga delle giuste relazioni ch’ esso stabilisce fra lo- ro, delle carriere ch’esso apre loro innanzi e cui pos- sono percorrere con tutta libertà, del modo insomma on- d’esso permette loro d'impiegare la vita. Manca però a que- sto stato una cosa essenzialissima, che tutti cercano anche senza saperlo, ed è uno stato intellettuale corrispondente, Le rivoluzioni non cangiano il mondo interiore e morale coll’istessa prontezza che l’esteriore e il materiale. Gli uo- mini si arricchiscono più presto che non s’illuminino ; sal- gono spesso ma non ingrandiscono in proporzione, Avvi oggi un numero infinito di cittadini, attivi, doviziosi, antore- voli, onesti, il cui avvedimento non agguaglia l’attività, i cui lumi non pareggiano le dovizie , la cui istruzione è inferiore all’ autorità, le cui opinioni sono meno decise dei sentimenti. La civiltà intellettuale, in una parola, è fra noi meno avanzata che la sociale. Quindi è uopo accele- rarne i progressi, diffondere cognizioni che stabiliscano fra i pensieri e le condizioni , fra gli spiriti e le esistenze quel- l'equilibrio o quell’ armonia, che forma lo splendore e as- sicura il riposo della società. È questo il primo e il più nobile bisogno della nò- str’ epoca, e vi vuole uno strano accecamento per negare di soddisfarlo. Un desiderio ardente d'istruzione può in al- cuni tempi generare qualche timore , come quando esiste un contrasto infelice fra 11 diritto ed il fatto, fra le con- dizioni legali e le capacità reali. Tale era il caso della Francia, or sono quarant'anni. Un gran numero di persone, anzi intere classi di cittadini, prive nel fatto di ciò che, moralmente parlando , loro apparteneva per dritto , cerca- vano i lumi, onde rovesciare gli ostacoli che loro impedi- vano di conseguirlo. Oggi tutto è ben cangiato. Le classi diverse si bertà, della libertà cioè conforme all’ ordiné morale di ragio- ne non'si fonda non si amplia che coll’ umano incivilimen- to, che è quanto diré per mezzo dei salutari effetti prodotti dal perfezionamento economico, dal morale, dal politico:;La facoltà di bruteggiare (siccome ha detto sapientemente. ‘un dottissimo italiano) e di delinquere non entra nella nozione della legittima libertà. Il perchè definizione per lo meno in- completa ‘era da dirsi quella che della libertà era data da una 'célebre assemblea ‘quando dichiarava 24 Zibertà ‘essere la facoltà di fare tutto ciò che non può recare danno alcuno ad altri , quasi che, libertà fosse da dirsi il pote» re fisico ‘dell’ uomo a recar danno a sè stesso. E il' poter materiale dell’uomo pare a noi che denotasse, non dell’uomo la‘ libertà l'illustre Bentham , quando insegnava consistere la libertà nel poter fare ciò RE si vuole; sì il male che il be- ne; onde si rendono necessarie le leggi per PRI agli atti che non sono cia i Da tali abbagli si è tenuito' lontano ((cap. I.)1° egregio nostro autore , il‘ quae ben comprendendo a quante dispute possa imporre fine una retta definizione della libertà del- l’uomo ha detto, che il suo libro non ha realmente altro oggetto che quello di dare la spiegazione di questa parola. Ma la spiegazione che ‘egli ne dà è poi la vera è perfetta.? Non ‘mai noi vorremo affermare' con'esso la libertà essere 1’ eser- cizio delle facoltà e forze umane compiutamente sviluppate effettuato entro i limiti assegnati alla umana attività, e non a danno altrui, non in danno proprio. Chi non sa potersi l’uomo a propria necessaria legittima difesa valer giustamente delle sue forze a danno altrui, ed anzi doverlo? Nè è ignoto che anche in suo danno debbe usarle ove questo solo modo 67 vî abbia a sottrarre a danno maggiore sè stesso ; che in suo danno può usarle ove ciò a liberare altrui da più grave dan- no'sia unico mezzo: In assai meno luhga trattazione si sareb- be aggirato l'A. e più propriamente non che più brevemedte si sarebbe espresso se la libertà avesse: definito Za facoltà che ha l’uomo «li esercitare i suoi diritti i suoi doveri senza incon» trare ostacolo per parte di checchessia. Data della libertà co- me carattere universale necessario del diritto naturale questa definizione, avrebbe potuto osservare che in atto pratico poi sì rispetto alla natura che rispetto.agli altri uomini, essa può solo compiutamente effettuarsi col compiuto sviluppamento fisico dell’uomo e colla società; pet cui: solo può ottenersi gradualmente il perfezionamento economico morale e politico, Questa definizione gli avrebbe risparmiate molte spiegazioni, e dopo di ‘essa più evidentemente sarebbe procedato il suo ragionare, nè gli sarebbe sfuggita inosservata quella contra, dizione, che.a noi sembia campeggiare nel suo d’altronde pregievole lavoro. (VAffermare che? la moralità e la industria sono i, mezzi veramente efficaci per gli uomini ad estendere) ed accrescere la naturale loro! libertà} e sostenere poi siccome a lungo ( cap. I. XI.) e icon caldo impegno ha fatro 1’ A. che dell’ es- ser minore e più ristretta questa libertà non debbono mai ac- cagionarsi i governi delle umane società, ma le società istesse governate, a noi sembra mostruosa contradizione. Essa ; se non 'andiamo:errati è originata dall’averel’A. riguardato l’ope- ra dei governi solo come una grande tutela. Egli infatti riduce gli uffizi dei governi alla repressione delle violenze, alla con- servazione dell'ordine, e della sicurezza, Questi soli saranno, questi soliè desiderabile che siano gli uffizi dei governi (qua: tanque sialaloro forma, chè degli raf loro unicamente, non mai delle loro forme intendiamo parlare) di quelle umane so- cietà, che pervenùte siano omai ad un grado molto elevato di civiltà. Ma perlé società che muovessero appena, o di poco fos- sero avanzate nel cammino dell’incivilimento questi uffizi sa- rebbono bastevoli ? che dir si dovrebbe di quei governi i quali al sempre crescente progressivo incivilimento delle società epponessero ostacoli?L’ opera de’ governi non solo una gran- 68 de tutela, ma debbe essere ancora una grande educazione. Debbonoi governi tutelare la naturale padronanza degli uo- mini, il complesso cioè dei naturali loro diritti ; che è quanto dire debbono provvedere degli uomini alla felice conserva- zione: ma il modo connaturale a provvedere alla felice con- servazione degli uomini è il graduale loro perfezionamen- to, il quale non può ottenersi senza educare al ben publico le umane società. A convincersi pienamente di ciò basta il riflettere che il poter primo e la industria delle leggi uma- ne cade nnicamente e direttamente sulla cognizione e me- diante la cognizione sulla volontà, e quindi sulla forza ese- cutrice degli uomini e delle umane società. Come dunque ne- gare che grandissima sia la influenza dei governi per introdur- re nei governati, e più nelle società dei governati la moralità? Come negare che grandissimo sia il potere che i governi eserci- tano onde quanto più compiutamente si possa affrettare la industria? La esistenza dei governi è giusta perchè neces». saria; e i governi son necessari alle umane società non solo per difenderle il che è uffizio loro perpetuo, ma per diri- gerle ancora il che è uffizio non in ogni tempo richiesto , e per ammaestrarle il che è uffizio di meno lunga durata. La società per gli uomini è una macchina di aiuto , i gover- nanti perciò delle umane società debbono effettuare per gli uomini di che si compongono ciò che essi di per sè non po» trebbono eseguire. Ma dal potersi verificare in fatto che a civiltà sommamente progredita gli uomini non abbisognino che di essere difesi, non ne deriva già che non debbano non di rado a civiltà poco avanzata essere diretti, che non deb- bano anche talora a civiltà incipiente essere ammaestrati, Qualunque volta perciò non si ammaestri quando sarebbe ne- cessario ammaestrare, non si diriga quando il dirigere sareb- be indispensabile, non si difenda quando il difendere è do- vere; qualunque volta quando basterebbe il difendere si vo= glia anche dirigere ed ammaestrare, quando bastevole sareb- be il dirigere si voglia pure ammaestrare, chi non vede co- me da ciò tutto debba essere la libertà impedita? Chi non vede che di tale impedimento autori non sono i governati? Se a questi pochi principii avesse l’autore tenuta rivolta PER 05; irrita ite 69 la mente non avrebbe tanto francamente affermato che il go- verno non è cosa distinta dalla società. Come non ebbe avver- tito che non sempre i governi sorgono dal seno delle nazioni ma alle nazioni gl’ impone talora la conquista , o altra poli- tica transazione? E dopo aver dichiarato che le politiche ca- pacità sono le ultime ad acquistarsi negli stati, come non ve- dere che di loro natura i governi debbono essere lungamente stazionari, mentre di loro natura le società sono in movimen- to incessante, e che quindi non può avverarsi che in tutti i tempi il governo sia la esatta espressione delle idee e delle abitudini politiche che predominano nella società cui pre- siede o nelle società limitrofe? Nè pensiamo che avrebbe così generalmente asserito il modo con che i governi eserci- tano gli uffizi loro dipendere essenzialmente dalla volontà delle società, ove avesse riflettuto che non tutti i governi han- no forma eguale, che di tutti i governi non è lo stesso il si- stema. In oltre se all’ uffizio massimo avesse considerato dei governi e alla giusta loro potenza, non avrebbe con tanta co- stanza detto e ridetto i popoli poter solo esser tiranneggiati da alcuni pregiudizi o da qualche vizio tanto diffuso ed ‘acere- .ditato o potente da far legge, e non avervi viziosa istituzio= ne vizioso atto dei governi di cui le cause non esistano nelle società governate. E non sono i governi destinati appunto a spiantare dalle umane società queste cause? Il potere che hanno non debbe in ciò a gradi a gradi e con opportuni mo- di essere usato? Sia vero che gli uomini, siccome vuole l’A. piuttosto che le leggi debbano esser corretti. Ma da chi do- wranno esser corretti, in qual modo con quali mezzi ? Se gli uomini possono di per sè a poco a poco correggersi per ope- ra di tutte quelle circostanze di fatto che certamente s’ in- troducono col tempo nelle umane società, non potrà tuttavia negarsi che più sollecitamente più efficacemente più sicura- mente saranno per opera dei buoni governi colle savie institu- zioni corretti. E negarsi non potrà del pari che quanto meno i governi si affaticano in migliorarli tanto più si oppongono alla legittima loro libertà, che della virtù sola è figlia e alla virtà è premio. Noi concediamo ben volentieri all’A. che grande in- fluenza le società governate esercitano sopra i governanti: è que- 7° sta una riazione sull’ azione ehe i governanti operarono, ini esse; è riazione sull’azione operata dalle circostanze indotte dalla fortuna dal tempo. Concediamo che l’ uomo può di per sè render sè stesso e più illuminato e più morale e più in- dustrioso e quindi più libero in qualunque siasi società : tanto può una straordinaria energia di anima e la costanza e l’eroi- smo della virtù. Concediamo che alcuni uomini più amati dal cielo possano modificare non solo sè stessi ma gli altri ancora e rendergli più illuminati più morali più industriosi: la storia antica e moderna non ci permette di dubitarne, Ma che perciò ? La influenza dei governati sopra i gover- nanti non sarà mai quanto basti efficace, e da sciagure non sarà immune nè forse da delitti. Noa molti saranno colo- ro che senza l’aiuto in parte dei governi potranno nelle so-, cietà farsi migliori, e quindi ben poco il valore sociale sa= rà per essi accresciuto. Rarissimi poi saranno sempre quelli, i quali anteponendo alla loro quiete ai loro vantaggi il bene dei loro simili vogliano farsi discuopritori e insegnatori del vero, ove dai governi non siano non già protetti che di pro- tezione tali uomini non abbisognano, ma non impediti nel, grande uffizio di che sì sian fatti ministri. E qui non ta- ceremo che gli esempi dall’A. addotti di Galileo come pro- pagatore e dimostratore della teoria del moto della terra, e di Franklin come inventore dei para-fulmini nè sono op- portuni perchè a ritrovati riguardano scientifici, non a mo- rali 0 politici miglioramenti; nè sono valevoli a conferma» re il suo assunto, ben sapendosi dalla storia perchè non di questo, ma miseranda fu la condizione di quello. Negare non vorremo impossibile dover riuscire non ehe vana l’opera di quei governi i quali tentassero impedire alle umane società quel progressivo miglioramento che è alla umana specie connaturale, e che costituisce anzi della umana natura la specifica caratteristica. Il conservarsi, e il conservarsi quanto più felicemente la particolare natura loro comporti, comandava l’autore della natura a tutti gli ani- mali, ma all'uomo, per questo che non dell’ istinto il do- tava ma il privilegiava della ragione, imponeva di perfezio- nassi ; e quindi il perfezionamento quale indispensabile condi» 71 zione era richiesto alla .sua felice conservazione. Il perchè non dobbiamo maravigliarci che questa qualunque siasi odierna ci viltà europea sia sorta anche di mezzo a tante tenebre d’igno- ranza, a tanti mostruosi errori, a tante perverse opposizioni, a tanti orribili sconvolgimenti, a tante lacrimevoli sciagure. Ben dobbiamo piuttosto maravigliarciche in menti umane nascesse pur il pensiero di rendere gli uomini non uomini ; ben dob- biamo maravigliarci che la stolta lusinga taluni nutrissero di vincer non solo ma di pervertire natura figlia di Dio col- l’arte, la quale tanto ha di potenza quanto segue natura, onde è poi, come disse quel sommo , a Dio quasi nipote. Chi non vede altra cosa dover essere che le umane società siano al loro miglioramento condotte a grado a grado dirit- tamente e quietamente dai governi, altra che esse a mal. grado dei governi vi si sospingano e per tortuose e quasi inaccessibili vie dopo lungo affaticarsi vi pervengano lacri- mando sempre, e cosperse talora di sangue? Leggete le sto- rie di tutti i popoli di tutti i tempi e considerate quanto diverse conseguenze siano derivate da questi diversi modi non solo ai popoli ma dei popoli ai dominanti. Che se ir- ragionevoli cose ed ingiuste richiedono non di rado ai go- vernii popoli, se talora i governi vengono sconsideratamente dai popoli chiamati autori di miserie che dai governi non sono certo causate, noi non ci riterremo dal dire che a ciò ancora dieder motivo i governi medesimi. Fino da quando essi con loro leggi, editti, decreti, regolamenti ec. ec. cre- devano tutto a loro piacimento ordinare e alla universa na- tura poter dominare, dovè nella generalità degli uomini in- generarsi la opinione che tutto fosse in arbitrio dei governi, e che siccome d’ogni bene così d’ ogni male fossero i go- verni la sola cagione. Quella credenza è ora per i progressi della scienza sociale cessata nei governi, ma non del tutto è cessato nei popoli l’ effetto che prodnceva, e perchè più durevoli delle cause sono sempre gli effetti, e perchè ad ora ad ora il motivo n'è ridestato ed anzi invocato da tali che tribuni si vantano del genere umano. Ma facendo ora fine a questa discussione nella quale se meno fosse importante , diremmo esserci troppo a lungo 72 intrattenuti, veniamo a discorrere le susseguenti parti dela l’opera che quali conseguenze dei posti principii si dichia». rano maggiormente dall’A. e 5° illustrano. Dopo aver egli stabilito gli uomini divenir tanto più liberi, quanto più le. loro facoltà sono sviluppate e meglio usate , crede neces- sario (cap. II ) investigare se tutte le varietà della umana specie siano capaci di egual libertà in quanto possano non esser capaci di eguale sviluppo e rettitudine nelle loro fa= coltà medesime. L’ indole del nostro lavoro non consente che si abbia qui a ragionare della influenza che la natura fisica può avere sulla morale dell’uomo: non vogliamo pe-, rò tacere che a parer nostro questa influeriza non è prepo- tente siccome celebri scrittori hanno preteso che sia, e che essa si fa sempre minore a proporzione che gli uomini ria» giscono sulla natura fisica medesima, e che sempre più cono- scendola sempre più, col secondarla, la padroneggiano.In oltre a ngi sembra, che la classazione per le loro varietà fisiche degli uomini, se ha la sua utilità per la storia naturale dell’uomo considerato come animale , sia poi al tutto inutile per non dire dannosa ove si consideri come animale razionale e in po- litica società convivente. Assai scempio si è fatto (nè cessa ancora del tutto) di alcuni uomini solo perchè non bian- ca, ma di colore hanno nera la pelle: e schiavi si dissero quelli che sommamente sciagurati erano a dirsi, e padroni si appellarono quei crudeli che servi appellar si dovevano, e servi erano veramente. La forza sola legittima, la forza in conformità usata dell’ordine morale di natura è vera li- bertà e rispettabile : la forza contraria è abietta, disuma- na schavità, abominanda, Nell'antica Roma vi ebbero tra i servi alcuni cultori felici delle lettere delle scienze delle arti non perchè fossero bianchi , siccome pare che ne vo- glia far credere l’A. ma perchè alle lettere alle scienze alle arti furono taluni di essi liberalmente dai loro padroni edu- cati. Rarissimi furono tra li schiavi negri non perchè neri ma perchè tutti a bestiali fatiche dai disumani loro pro- prietari vennero destinati. Ve ne sono stati però alcuni e il loro esempio è bastato perchè due scrittori filantropi (Gre- goire e Lacroix ) abbiano potuto dimostrare che nei neri an- 73 ‘vera esiste capacità al completo e più eminente sviluppa» mento delle facoltà intellettuali. E già che questa capaci- tà, che esista nei neri l’ attitudine a far retto uso delle sviluppate facoltà dell’ intendimento il persuaderà ora me glio coll’ esperienza (sua sempre trionfatrice eloquenza) il tempo. Solo che siasi persuasi Jo sviluppamento del cuore es- sere subordinato nell’ uomo a quello della sua ragione, si sarà del pari convinti di ciò che (cap. III) l’A. dichiara, la moralità degli uomi essere cioè tanto maggiore quanto è maggiore la loro civiltà. Egli è solo nella civiltà vera che gli uomini hanno esatta cognizione di ciò che è giusto buono e veramente utile, e che quindi solo nella civiltà vera verso il giusto il buono il vero utile i desiderii loro saranno ri volti. E qui tralasciando per brevità di accennare i facili argomenti che a prova del suo assunto sono contro celebri scrittori adoperati dall’A., ci permetteremo di osservare che dopo di avere affermato che le arti lungi dal guastare il coraggio lo rendono anzi e più nobile e più energico, e dopo aver mostrato con esempi tratti dalla storia moderna che le nazioni più avanzate nella civiltà hanno quasi sem- pre vittoriosamente respinto quelle che meno avevano nella civiità progredito, sembra contradizione l’asserire che la Gre- cia decadde non per la sua civiltà ma per la barbarie dei romani i quali d’altronde perirono sotto la ferocità dei set- tentrionali. Perchè, poteva domandare |]’A. a sè stesso, tra le moderne nazioni le più civili si furono quasi sempre di- fese contro le meno culte , perchè negli antichi tempi la coltissima Grecia dal barbarico valore dei romani fu sot- tomessa , ed i romani potentissimi dominatori del mondo dalla fierezza brutale dei settentrionali furono soggiogati? Bel campo si apriva così a nobilissima trattazione di molto utili conseguenze feconda. A noi pare (per istringere in po- che parole il moltissimo che potrebbe esser discorso) che ciò ap- punto avvenisse non perchè troppa fosse assolutamente in Gre- cia ed in Roma al tempo del loro decadimento la civiltà, ma perchè troppa era stata relativamente alla politica loro capacità ; perchè più mezzi avevano conseguito che abilità 74 ad usarli. E in Grecia e.più in Roma la potenza non era stata prodotta gradualmente e quindi proporzionatamente alla capacità di valersene : la moralità ancora giunta non era a tal grado da sapere apprezzar giustamente i tanti og- getti quasi direi istantaneamente ammassati a svegliare i de- siderii; più abbondanza insomma vi aveva che temperan= za, Natura opera in tutto colla legge della graduale conti- nuità , con la legge stessa debbe operare l’arte. Ove diver» samente avvenga il bene assoluto si fa male relativo. Ecco perchè non poterono sempre nei loro lodevoli divisamenti ottenere il bramato intento quegli ottimi principi i quali vollero affrettare di troppo le salutari riforme nei popoli alla loro cura commessi: ecco perchè questi popoli per non aver ri- cambiato colla dovuta gratitudine i loro benefattori, igno- ranti sono a dirsi o ingannati , sconoscenti non mai nè ingiusti. Coerente l’A. ai principii suoi dimostra (cap. IV ) che desli nomini tatti i meno liberi debbono essere i selvaggi. Una riflessione, la quale meditando il corso delle umane cose sorgeva nella mente nostra ci sembrò meritevole mai sempre di attenta considerazione. Uno stato antisociale, uno stato il quale contrario alla natura dell’ uomo si chiamò al- l’uomo naturale fù in ogni tempo vantato e da coloro che per amore deuli uomini sì fecero e furono agli nomini mae- stri di vità, e da coloro che spaventandogli col terrore , do- mandogli colla forza render gli vollero a sè soggetti, e da coloro finanche i quali a difesa si levarono coraggiosi de- gli umani diritti , e propuygnatori ne furono ardimentosi im- perterriti. Di mali tanti le non bene architettate società era- no cagione agli uomini, che alla vita sociale tutti quanti si attribuirono , e stato solo felice, stato veramente naturale per l’uomo si proclamò quello della insociabilità ; senza riflettere se in tale stato poteva l’nomo esistere, senza con- siderare se la insociabilità mali non avesse di quelli della società maggiori. Facile si ravvisava il fuggir nelle selve, il modo ne sembrava spedito : mentre il cangiare in me- glio gli ordini delle società o non si sperava possibile, o i mezzi se ne ignoravano, o non si ardiva additargli, o an- f 75 che si comprendeva (e ciò era vero pur troppo) non poter essi essere adoperati che, fatti molti dolorosi esperimenti, dopo lunghissimo volger di tempo. La vita degli uomini di giorni si compone di mesi di anni, quella delli stati sì mi- sura dai secoli. A fare evidenti gli assurdi della insociabi- lità non seguiremo l’A. onde non dire cose già dette e ri- dette. Solo affermeremo che se la società non fosse agli uomini connaturale, in società non sarebbon mai sempre vivuti e in società talora alla natura loro non certo .con- formi : che solo nella società può svolgersi la qualità al- l’uomo specifica la perfettibilità, e che la libertà di cui po- trebbe godere nella insociabilità consisterebbe nel poter vi- vere più bestialmente delle bestie, nel poter essere infeli- cissimo. Ma l’uomo ha egli diritto a vita bestiale? La in- felicità è per esso un diritto? Non quindi nella società co- me con impeto di caldissima eloquenza faceva credere, sen- za dimostrarlo, il Rousseau, ma nella insociabilità l’uomo rinunzia alla sua libertà, cioè alla sua qualità di uomo, ai diritti della umanità, cd anche ai suoi doveri. Nè più rettamente del Rousseau ragionava il Monte- squieu ed altri quando dichiaravano essser solo liberi quei popoli che non avendo certa stanza errano sulla terra pa- scolando lor greggi, o rapinando. Il buon Mably chiamò i Franchi popoli eminentemente liberi perchè erano fieri bru- tali senza patria senza leggi e viventi sol di rapina. Non libertà mai primi semi appena di essa puoi ravvisare nei po- poli nomadi, siccome con molti esempi il nostro, A. (cap. V) ha provato. Certo che gli scrittori massime francesi del se- colo passato o non ebbero giusta idea della vera libertà, o.celebraudola nella vita selvaggia nella vita. nomade far vollero, quello a che forse intese Tacito quando tra i ro- mani lodava a cielo i costumi e la felicità dei germani, vol- lero cioè indirettamente far la satira dei luoghi dei tempi nei quali vivevano. Ed in vero che giusta idea della libertà pare non avesse il Mably quando sospirava pur sempre alla libertà di Sparta, non il Rousseau quando scriveva che i romani furono il modello di tutti î popoli liberi. E trai greci e tra i romani egualmente che tra gli altri popoli serviti 76 da schiavi ravvisa l’A. (cap. VI) una libertà alquanto avan? zata e sotto alcune relazioni una libertà anche grande; ma saviymente avvertè noh potervi reznare quella vera legittima e completa che sola può esser detta libertà, libertà di ragio- ne. ‘iberià che dall’industria derivi e dalla morale. Gli uo- Mio fatti non divengono inlastriosi quando col bastone alla inano possono costringere altri uomini a doppiare per essi il lavor», e il battere capricciosamente del bastone i suoi simili non vorrà, speriamo, chiamarsi atto alla mo- rale conforine. Libertà più estesa egli pensa (cap. VII) che esistesse in quelle nazioni nelle quali si chiamò libertà ciò che anzi ogni libertà distruggeva , il privilegio. Ma come avervi libertà molta in uno stato nel quale azioni perfino immorali eran fatte privilesio di uomini per nobiltà di san- gue per santità di ministero razsuardevoli? In uno stato in cui i privilegi appunto turbavano continuamente la pace, im- pedivano la industria, gnastavano la morale ? In uno stato che solo si è potuto dire ordinato perchè gli uomini vi erano in moltiplici categorie ordinati? Non negheremo che nella si- stematica anarchia del feudilismo andò minorandosi la schia- vità, che alla schiavitù fu sostituita la meno dura servitù, che. la industria per rivalità almeno e per odio si svegliava, ed an- che quanto dai centuplicati amatissimi vincoli era permesso si accresceva. Non negheremo che gli urti i contrasti, fin anche le dissenzioni tra le sminuzzate frazioni del corpo sociale servivano a rendere accorti gli uomini della loro forza, se non ad illuminargli sopra i loro doveri soprai loro diritti, e che la libertà se non si estese su i molti, sì mi- gliorò nei pochi, dai quali fu poi giovata a sempre più di- latarsi. E ciò sarebbe stato non piccolo bene, e noi ne an- dremmo lieti coll’A. se non ci tornasse a mente che quanto a quel tempo si operava valse poi per lunghissimo scorrer di anni a stabilire, che le violenze alla proprietà , i vin- coli all’industria, le vessazioni al commercio avere si do- vevano in ceoria per altrettanti mezzi d’incoraggimento per vere protezioni per reali utilità all’agricoltura, alle arti, al ‘ commercio inedesimo. Meglio ragionata d’ assai a noi sem- \bra quella parte dell’opera in cui l'A ‘imprende (cap. VIII) Tours 71 a disvelare di quanto impedimento sia alla industria alla morale e quindi alla libertà la smodata ambizione, la matta vanità , il furore per le pubbliche cariche. Senza farci giu dicia sentenziare se alla buona amministrazione di uno stato giovevole sia o dannosa la turba magna degli amministra tori superiori, medi, inferiori, ed infini ; osserveremo solo che l’argomento trattato qui dall’A. doveva farlo avvertito nelle umane società non ogni disordine doversi ad esse at- tribuire ; siccome egli ha posto a principio fondamentale di tutto il suo lavoro. Diremo inoltre che il predominante amo- re alle pubbliche cariche toglie alla industria sociale uomini e capitali; ed uomini massimamente i più influenti i più for- niti di mezzi a farla prosperare. Non potrà esser neppure negato, che quanto più gli uomini hanno lusinga di trarre ricchezze decoro splendore dall’ occupare le pubbliche ca- riche, tanto meno si affaticheranno in rendersi per qua- lità di mente di cuore di mano atti ad‘accrescere in realtà il valore sociale: E ciò maggiormente pve a. sostenere le pubbliche cariche non siano richiesti rari pregi, come non possono esserlo quando esse son molte;' meno ancora se mol tissime. Quale faccia poi lucro la morale per la.intensa bra- ma di sempre più alto ascendere nella sospirosa scala del. ‘ l'esercizio dei pubblici poteri, lasceremo che il ‘dicano co- loro le cui viscere sono da questa superba febbre incessan- temente arse e riarse. Dicano essi di quale libertà (inten- diamo della razionale, chè la libertà di agire l’uomo pub- blico deve anzi tutta sacrificare per l'adempimento: de’snoi doveri) si godano , quale sia la vita beatissima, che vera- mente si vivano. Così trapassando per le più notevoli gradazioni della umana civiltà l’ A. ne ha condotti alla. perfine. a persua= derci (cap. IX ) che solo per opera della somma industria, ché è quanto dire del. perfezionamento economico possono gli uomini divenire morali e quindi ottenere quella. com- piuta libertà. che peressi è naturalmente legi:tima. Lo stato economico di una nazione è. a dirsi perfezionato «quando nella vita agricola e commerciale gli uomini laboriosi non hanno a temere nè per le loro proprietà; nè peri frutti di i. esse, nè per quelli del loro lavoro, violenza od offesa, qua- lunque sia il nome con cui, onde non sia ravvisata, voglia decorarsi. Quando le classi dei laboriosi da quelle non sono nè vilipese nè angariate dei dominatori ; e la passione del lavoro non quella del dominare d’ogni parte primeggia ; e gli uomini anzi che rapirsi;l’ uno’ all altro le già ammas- sate ricchezze , provvedono a procacciarsene delle nuove ; ereandole coll’opera loro. L’ industria distrugge la libertà; dicevano gli antichi , perchè spegne le passioni guerresche e .alleita gli uomini alla pace. L'industria, si disse dopo, annientala libertà perchè anzi sospinge gli uomini alla guer- ra. L'industria! mette gli nomini in stato di guerra : l'in dustria ‘è una perpetua Jostilità ripeterono a pieno ‘coro mo- derni! scrittori. L'industria; ora si dice, e di per sè stessa e: perchè ‘accresce «la: ,moralità degli uomini estende e for- tifica degli uomini la: libertà. L’industria è mezzo , sicco- me con imobet parole ‘dichiara l’autore, per svolgere le fa- coltà dell’uomo e sempre'‘più migliorarle: l’uomo indudtriodi per' questo appunto che ritrova nuovi mezzi per sodisfare ai suoi già esistenti bisogni , ed a quelli che per i nuovi ritrovati mezzi nuovamente si forma, nou abbisogna di usa» re violenze dalle-quali natura sempre lo 'sconforta, non'di usurpare l' altrui al che ostacoli gli vengono sempre oppo- i stistalora anche insuverabili , debine qua dalle ingiurie; soccorre anzi ‘altrui onde'essere da altri aiutato', e a gra- do a grado si accosta colle sue azioni sempre più alla ret- titudine; onde si rende meno soggetto alla natura, meno dagli altri. uomini dipendente; e si accresce così e si esten- de la sua libertà. Noi diremo più brevemente che la indu- stria dell’uomo è l’esercizio della legittima sua libertà , e che perciò la libertà estende e perfeziona la libertà; la li- bertà. cioè umana perfeziona sè medesima, Agli esempi mol- ti dall'A. ricordati a ‘conferma del suo proposto aggiunge- re noi potremmo anche il perfezionamento economico ope- rato dal gran Leopoldo in Toscana aver fatti rari‘vin Tosca» na i delitti, e i gravissimi , rarissimi, Il toscano perfezio= namento economico accrebbe la moralità dei toscani per cui la individuale loro libertà si fu poì cotanto accresciuta. Noi 79 dimostreremmo ciò tutto, se con gioia insieme ed orgoglio non udissemo id’ ogni parte .risuonar libere voci alto accla- manti: Toscana, Toscana, ‘Toscana! ? gui 173 +0 L’uòmo industrioso dirlo potresti in qualche modo'érea- tore,.ma creatore.in quanto riagisce sulla natura grandemen- te, non totalmente; validamente purchè non arbitrariamente: creatore corne ‘può esserlo la \creatura, egli impeta' a!là na- tura , secondandola. Ciò basta a ifarci comprendere quello che ben a lungo (cap. X ) ha ‘discorso l’;autore: non poter cioè mail’ uomo per industria ‘che adopri farsi deltatto indipendente; gli uomini ‘nelle ‘società anche megliv sisteb mate, nelle società nelle quali la; industria sia ad: eminens te grado pervenuta non poter. giammai divénir-tatri egual? mente industriosi;, egualmente virtuosi; egualmente libe= ri. Non a tutti gliesseri umani dona natura. eguale sfisi+ ca costituzione: diversissime sono le circostanze dalle qua di nelle diverse -società nei diversi tempi sono i!diversi uo» mini diversamente modificati; dalla disuguaglianza quindò dei mezzi-la\ necessaria disugriaglianza dei fini [perbi ‘disu gquagli. mezzi 'ottenviti.. Non coerenti perciò a natura ved an; zia natura contrarie , e quindi.non buone sarebbono iquelle umane leggi che la naturale disuguaglianza pretendéssero ‘annullare \o anche variare. Seguiamo n tutto natura quale essa è realmente, non quale gli uomini per icnoranza han no ‘fantasticato che fosse; non quale per :malvasità hanno voluto far creder che .fasse. Per tal'modole governati e got vernanti ci persuaderemo ognor più, che tra gli umaniisa- ‘pienza bontà.e potenza sono sempre ed essenzialmente cons «giunte, e per esse ‘le umane società vivon!felici, sòn fatte:due mévoli;, ed anzi, quanto la condizione delle.terrenecoseril ‘consente, immortali. Ignoranza poi malvagità debolezza: van» ‘no: tra sè dipendenti, e l'una dietro l’altre-si trae) e per «lesse si fanno miserande le umane socîetà; e si i dissolvono; “è più non sono.» .. di "Wi 6 «1g slleh ssiodalb imomirag eno : sitadubia +: den 80 Wahrheit aus. Morgentraimen und Inas dsthetische En twickelung, von FrieperiKE Brun geb Miner. Verità dei sogni del mattino, ed estetica educazione di IpA; ope- retta di FepeRIca Brun , nata MuntER. Aarau, 1824. Grande onore recò alla patria letteratura la sig. Fede- derica Brun di Danimarca, nata da Baldassare Miinter. Ella sortì da natura quelle splendide qualità, che di rado com- partite, rendono assai raro fia noi il vero valore. Dotata di un pronto ingegno, di una vivace imaginativa, e d’un cuore commovibile alle. più delicate impressioni, amò ef ficacemente le belle arti, e in ispecie la poesia, dove a tanta eccellenza pervenne che meritò essere onorevolmente nomi- nata Musa del Nord. E se amore a nullo amato amar per- dona, deve agli Italiani suonar gradito il suo nome: per> chè ella ‘abitò assai tempo e amò questa nostra ridente terra consacrata alle grazie ed alle Muse: ne riportò seco partendo le più dolci impressioni : e lontana. vi ritornò. continuo il pensiero con quegli affettuosi sentimenti, che leggiamo nelle bellissime Errincrungen aus Italien, rimembranze d’Italia, Un nuovo frutto diede non ha molto il suo ingegno nel libro quì sopra enunciato., del quale intendo dire al- cune parole. Egli è diviso in due parti. Nella prima sono raccolte le memorie di sua infanzia e adolescenza, le quali, forse per esser elle dal corso degli anni spogliate d’ogni il- lusione e depurate dal falso e per non essere appunto al- tro che memorie , le piacque nominare verità dei sogni del mattino. Quivi ella parla de’suoi genitori e fratelli, notan- do i diversi gradi e qualità di amore e domestichezza, che passavano tra essa e loro: ricorda il brio e la vivacità del suo spirito che appariva da’primi anni, e i puerili sollazai e le feste, di cui dilettavasi in compagnia di altri fanciul- li: di questi ella non trascura di descrivere l’indole, e toe» care i rapporti di più o meno tenera amicizia, che a cia» scuno di loro la stringeva, allegando le cagioni della mag- giore 0 minor simpatia : così parimenti discorre delle per- 8i sone che usavano nella sua casa paterna, e in ispecie di quelle che assai poterono sul cuore o sullo spirito di lei : rammemora i commovimenti del suo animo, quali ebbe nella prima, quali in età più avanzata : e oltre a molt’ altro di simile, va di grado in grado ritordando come le sì aprisse ed educasse l'intelletto a nobili pensamenti, come a poco a poco venisse-ad accendersi nell’ amore alle arti belle, in ispecie alla poesia, e quali ella vi facesse studii e progressi. Fra tanti e simili soggetti di particolari capitoli, non spiacerà, voglio credere, a chi non possa leggere da sè me- desimo l’operetta ; fermarsi con me ad osservare quali fos- sero le prime scintille date dal suo genio. Queste furono una sensibilità ben altro che puerile, una forte disposizio- ne alla lettura , e una meravigliosa capacità a ricevere im- pressioni dalle opere de’ più rinomati scrittori. Ma in ciò non voglio usare altre parole che le sue, pensando che col citare, dove sia bisogno, alcuni tratti del suo libro, se ne potranno meglio conoscere le pregievoli qualità, e dal poco riferito argomentare quale sia l'insieme di tutto il libro. Detto che ella ha come Cramers, Bernstorff, Stollberg e Klopstock, che frequentavano amicissimi del padre la sua casa, avessero ricevuto ordine dal governo di recarsi altro- ve, soggiunge : “ un fratello ci era nato nel maggio del 1770 di debolissima complessione per essere venuto alla luce di sette mesi. A lui tutta la casa amorevolmente volgeva ogui più diligente cura, perchè il lieve alito non cessasse, dal quale un giorno dovea essere animato un giovine eroe ve- nuto presto a maturità. Io mi ricordo che nei giorni della dolorosa divisione tutta piangente mi poneva ginocchione alla culla del bambino, e pensava malinconiosa: te avven- turato, te che non senti ancor nulla... .... Mio padre, ed io con lui., rimanemmo ‘assai tempo occupati da dolce mestizia. In me cominciò allora a svilupparsi con istraor- dinaria energia la suscettibilità del dolore, e cominciai a sentire quanto pesi la mancanza delle amate persone:‘il che fu primo principio a formare la particolare essenza di mia natura ...... Così la vivace inquieta Federica , non ancora T. XXIII. Luglio. 6 82 ‘mella età di cinque anni, avea già versato lagrime di tene- rezza ,,(pag. 23). Del suo amore al leggere adurremo il seguente ‘pas- so, che vien dietro al surriferito : ‘ Tosto io mi posi a leg- s, gere con vera passione , e i primi libri furono quelli che »; giornalmente erano per le mani di mia madre, Pamela, »» Clarissa e Grandisson tradotti in tedesco : non era anco- ,3 ra pervenuta a sette anni che ne aveva letto i quattro, ,3 i sette e gli otto volumi. Quando la nutrice era stanca s; di cullare l’inquieto bambino, datomi un libro, me met- 3 teva a quell’ ufficio, che io instancabilmente eseguiva di- ,, menticando e cielo e terra nell’ incantevole mondo di 3 Richardson. Vero è che appena ne comprendeva la deci- ,, ma parte: ma a me bastava seguire il filo della storia, ;, e ricevea forte nell’animo la impronta de’ caratteri ivi di- 33 pinti ,, (pag. 25). Gellert e Gesner impressionarono ben tosto il suo spi- rito, e gli diedero un nuovo movimento. “Il leggere, ella ,» scrive, era, come anche in appresso rimase, il maggiore s; de’ miei godimenti : senonchè ben poco, che non desse » noja, correva allora di libri acconci alle menti de’ fan- ,; ciulli. Ma la ricordanza ancor mi diletta del piacere che 3 davanmi le canzoni religiose, le favole e i racconti di Gel- »» lert, non che le poesie di Kleist, Gesner e altri , che era- 3 no in una raccolta fatta per la gioventù: di queste ne ,; ho tuttavia a mente alcune, imparate fino d’allora. Ma Gesner venne presto ad essere il mio idolo: io vivea e s, m'aggirava colla fantasia nel mondo de’ suoi idillii , di 33 cui le cose che m’erano intorno , porgevanmi figurata ss or luna or l’altra scena: nè passava giorno della mi- > gliore stagione, che non lo leggessi nella verde campa- sì gna, dove mi pareva essere alla meglio con esso lui ,,, (pag. 29). Pochi anni dopo, ella cominciò a gustare di più alti scrittori la forza del sentimento e la sublimità delle imagi- ni. Io quì accennerò solo quanto sentisse del Tasso e del Klopstock. ‘ Nell’inverno sopragiunto presi a studiare l’idio- 85 3» ma italiano, abbenchè non ancora sapessi l’ inglese : ma »» mi stimolava irrequieta voglia di leggere il Tasso, di cui », mi era stato detto meraviglia. Non andarono quattro o », cinque mesi, che io, in parte per congettura e presen- », timento , fui valente non meno che il maestro a intendere -, l’Ariosto. Mi fu in appresso data la Gerusalemme libera ss ta: donde ebbi tale incanto nella sublime armonia de’ver- », sì, che non mi prese più voglia per l’ Orlando furioso. ‘‘ Dalla prima fanciullezza il nome di Klopstock veni- ,» vami all’ orecchio dolce come il suono dell’ arpa : e il >» pensare a lui fu sempre uno degli invisibili genii della sy interna mia vita. Ma di lui io non avea letto altro, che s» le canzoni devote e le tragedie. Mi accese quindi forte 33 desiderio della Messiade, e ne richiesi il padre: il qua- »» le mi avea fino allora privata di questa poesia, che se ss solleva l’animo a nobili imagini, la trae però anche in », trascendenti fantasie. ..... Essendomi la Messiade alla 33 fine conceduta, mi si aprì alla imaginativa la regione s degli spiriti: ed oh qual nuovo mondo di idee, qual nuovo »» genere di sentimenti! Non v’ha dubbio, che Klopstock », mi insegnò a pensare: perchè a quella sublime lettura 3» non potea che finamente aguzzarsi l’ intelletto. Nella »» prosa mi riusciva quasi impossibile il meditare : e vi vo- > leva il ritmo della poesia a frenare-la instabilità della » mia mente,, (pag. 148). Nella seconda parte del libro, di cui parliamo , scopo dell’ autrice è mostrare alla propria figlia per nome Ida, come crescesse onorata allieva delle grazie e delle muse, Ella quivi non discorre di sè, che come di personaggio se» condario, e in parte di coltivatrice della nobile pianta. Caro è a leggere la descrizione che fa dello spirito e dell’inge- gno di questa sua figlia, e così vedere come essa quasi da naturale stimolo sospinta, commovendosi ancora bambina alla dolcezza della musica, acquistasse nella pantomima e nel canto una abilità straordinaria, che la rendette ammi- rata da tutti, e la fece la delizia d’un Canova, d’un Goe- the e d’ un Sismondi , il delirio amoroso d’ una Stael. In 04 questa seconda parte ricorda l’ autrice le sue dimore in Italia e in Svizzera: rammemora: con un soave sentimento l’in- dole delle persone che si acquistarono la sua benevolenza ; e in ispecie si estende a raccontare la beatitudine de’giorni da lei passati fra amici, la cui rinomanza gloriosa si estende quanto il mondo. Anche qui per l'ampiezza della materia, che non per- mette venirne a tutti i particolari, mi accontento ad ad- durre alcuni squarci. E prima mi rivolgo là dove l’ autri- ce riferisce un ammirabile motto di Canova intorno la di lei figlia.‘ Raro era, ella scrive, che mi concedessi il di- ,» letto di vederti nella pantomima avvalorarsi il tuo in- ,; terno, e lasciarti nelle rappresentazioni esprimere quanto ,» ogni giorno la tua anima riceveva. E grave soventi mi ;; tornava il ricusarlo, in ispecie per la gioja che ne pren- ,; devano gli artefici di maggior grido. Fra’ quali era Cano- ,» va, di cui allora cominciava a suonar alta la fama. Quella »» ragazza è la vostra più bella poesia, diceva : e ciò a buon ss diritto, perchè in te io vedeva fiorire quello che dalla s; prima fanciullezza in avanti in me non era stato che ,» germoglio, e quanto in me non era che nelle parole, ,, tu l'avevi in atto e il davi in te medesima figurato ,, (pag. 219). Veggasi poi come a pag. 231 è parlato della affezione della Stael alla leggiadra Ida. ‘Il novembre 1805 noi rien- ,; trammo in Ginevra, dove Bonstetten e gli altri fedeli ,, amici ci fecero le più liete accoglienze. Ed Anna Ger- ,s maine di Stael ci ricevette con tale effusione di animo, ,, che oltre misura si accrebbe quella reciproca simpatia , ,, per cni non prima ci vedemmo che fummo amiche. Quivi ,; a te cominciò una nuova vita, piena di movimento : ed 3, io ebbi ad accorgermi come assai più che mediante un »» volontario assiduo studio dovea il tuo ingegno crescere », alla ammirazione per essere risvegliato e acceso da quelle ,; scintille di fuoco, che in te erano gettate da anime grandi ,, e amiche della età tenera come la tua. Nè v’ha dubbio, ,; che solo alle anime grandi è conceduto intendere fan- el e e ti; fn IO_ I ___@(SG 85 3, ciulli di natura fuori dell'usato: esse sole possono rico- ‘noscere la loro specie. La Stael ti fu luce con que’suoi » sguardi pieni di vita. Nè timidezza potè tanto nel gio- vinetto tuo cuore , che subito non le divenissi fami- »» gliare. Ma in me era entrato il timore , che ella con- ss ducendoti a trapassare i limiti della fanciullezza non ti ss portasse da placida e freseaà bimibra nel caldo delle vee- sy menti passioni, ond’ ella ettapitita. Sopra che, facendosi 3» tra noi parole di confidenza essa mi diceva pregando : inijé vous comprends en tout ct toujours! je veux étre en- ss fant avec Ida, mais ne me l’étez pas tout à fait, donnez 3» la moi quelques fois. ,s Costretta dalla tirannia di Bonaparte a fermarsi tra »; angusti termini, la Stael volgeva questo inverno l’im- s» peto di sua natura a sfogarsi in drammatiche rappresen- »» tazioni , e ciò con quanto valore fu già altrove da me »» discorso. E fu appunto in questo, che voi foste come due , rapidi rivi, di cui l’unoò si riversa nell’altro. Al materno ,» occhio tu fiorivi debole ancora delle sofferte malattie , 3, ma Bonstetten e la Stael si rimanevano alla apparenza ,3 della tua vivacità e del roseo colore, che ti abbelliva 33 le guance. Onde se io ti negava alla Stael pel suo tea- »» tro (a che molte ragioni mi inducevano , e più efficace- . », mente la cura della tua salute) , se Jurine al mio in- » tento mi soccorreva, ella gridava : N'allez pas la dro- o guer ! elle se porte donc comme le pont neuf! la voilà! so n° est-elle pas gaie comme Pinson! Così a poco a poco »» ella, noi abbagliando, ci traeva al suo piacere : e noi », ne dovevamo seguire l’impulso , come di veemente forza », centrale, non altrimenti che il sole la terra e la luna co- ,» stretti a correre il cammino a loro stabilito ,,. Non si poteva fare più commovente descrizione che la seguente della nostra autrice : ‘ Noi nella quiete della so- »» litudine passammo l’estate in Seligny, villaggio posto in ,; una valle a poca distanza dal magnifico {lago {di Gine- » vra, al confine del Jura , e di mezzo a Coppet e a Nyon. 3, Un limpido ruscello discendendo dalla vicina montagna ,» trascorrea pel paese : e dove in mezzo ai prati e nel- 86 3» Pombra di magnifici platani sorgeva amena la nostra abi= »» tazione , egli mandava un dolce mormorio col cader che 3» faceva in una bassura del colle, d’onde con un dolce , incanto dello sguardo si vedevano a traverso le ombre » le rive del lago di Ginevra , e si godeva il dolce spet» », tacolo delle onde imaggiate. << Sacra a noi rim tiicàa Ja memoria di questa stagione, »» la quale ci corse pienta'delle dolcezze della amicizia. Bon- ,3 stetten era nella medesima casa the noi, e Sismondi veni- 3, va spesso a visitarci nella nostra amata solitudine: uniti »; tutti di un santo vincolo, tutti ci animava un solo sen- 33 timento. Ed anche Reverdil, uomo maturo e ricco di co- »» gnizioni, che profondamente sentiva, recavasi di frequente s» dalla vicina città di' Nyon a bearci di sua cara presen- ,» za; egli che avea conservata pura la nobiltà dell’animo; ,3 e colla gentilezza de’ modi si guadagnava l’amore uni- », versale. Sismondi , Bonstetten , Reverdil ! o dilettevoli 33 amate rimembranze, che come due fresche sorgenti scor- sì Tete per l’arido deserto , che già comincia della mia vita, », non rimanendomi che raccontare dolorose perdite , e già 3» cominciando l’albero di mia età , reso sterile, a piegare , la fronte e minacciare rovina: non v’hanno che pochi ,; rami sulla fulminata sua cima , i quali aspettano l’ulti- 3, ma vicina percossa,, (pag. 242). Quanto fu quivi riferito del libro per darne a cono- scere in qualche particolare la materia, avrà già fatto ac- corto il lettore della bontà dello stile , il quale ora pieno di brio dilettando scorre semplice e piano; ora si innalza all’ impulso del sentimento, e penetra a commuovere il cuo- re; ora porta l’impronta dell’entusiasmo che anima la ima- ginativa della scrittrice. E quando ella prende a dipingere un personaggio, il che a moltissimi luoghi si incontra, il fa da gran maestra, e in poche ma così espressive pefinel- late, che se ella lo ama o riverisce, il fa amare e rive rire al lettore. Ma a mettere in più luce tutte queste pre- gievoli qualità offro in esempio altri pezzi. E dapprima si osservi ne’ due seguenti la semplicità dello stile. Pag. 14. ‘ Federica, toccatii quattro anni, era in quella ” » 29 3) 29 2) » 2) 99 29 29 ’” 39 >» >» »> dI 29 29 23 29 3» 99 29 23 23 2 dI 27 23 ”» 2) DI ss 25 29 » 33 87 età, che secondo la costumanza del paese, dovea met- tersi a leggere; a che ella, per non potere un ‘quarto d’ ora starsi dal saltellare, mostrava ben poca disposizio - ne. Era in Copenhagen, e amico di mia casa, Basedow, che tutti conoscono per fondatore del nuovo sistema di educazione. Egli, mosso a pietà del mio bisogno , avvisò di aver trovato una maniera valevole a insegnare le let- tere dell’alfabeto alla più selvatica'e inquieta bestiola del mondo. E ciò era incavandole in saporose foccaccie , le quali con tanto piacere e in tal numero Federica tran- gugiava, che non si tardò a por freno alla sua avidità di imparare. Ma se v'era persona, che non conoscesse alfabeto, ella era dessa, perchè la pienezza del ventre le faceva impedimento all’intelletto. Tutt'altro modo mi usò il maestro di mio fratello, uomo di buon senno, ma di poca pazienza. Insegnatomi egli dapprima a star fer- ma, e poscia l'alfabeto , prese un libro religioso di mio padre scritto in versi risuonanti: e lasciato da parte il sillabare , mi insegnò a leggerlo come si farebbe a papa- gallo : tanto che col lungo scorrerlo, non che a legger- lo, arrivai eziandio ad averlo a memoria. Mi metteva in appresso davanti parecchi libri, dicendomi : guarda, Fe- derica , tutti i libri vanno pieni di belle storielle : cerca su questi che ti porgo, se trovi parola che sappi dal li- bro di tuo padre. E con ciò mi lasciava correre. Non an- dò mezzo anno, che senza la guida del dito leggeva qual si fosse libro, e con grande avidità. Ma si venne ben presto alla scoperta, che del sillabare non ne sapeva un’ac- ca : e quantunque questo non fosse da apporre a mia colpa, nessuno avendomi date tale insegnamento, pure, con intendimento fors’ anche di abbassare l’alterigia che sentiva di aver presto imparato a leggere, fui posta ver- gognosamente sopra una tavola con intorno tutti quelli della famiglia, de’quali or l’uno or l’altro invitavami a sillabare il suo nome. Quando bene e quando male tro- vavami a tale invito: e il dispetto mi rodeva a piange- re, quando fattosi avanti il mio maestro per nome Dra- gun , il solo colpevole del mio fallo gridò: orsù Fede- 88 ;, rica; anche il mio nome, A che presta come il lampo ri- ;; sposi D-r-a-ch-e Drache (cioè Drago). Tutti gli astanti 33 furono presi dalle risa , ed io posta in libertà: mi die- s3 di giorno e notte a sillabare, e prestamente ne venni a o Capo,» Pag. 75. « Ora mi si cominciarono le lezioni di clavi- ,; cembalo , ma il maestro me ne amareggiava il diletto. ;» Era a servigio de’ miei parenti un sassone, che colla sua ;; esattezza e diligenza , qualità proprie al più degli abitanti ,; di Sassonia, si condusse ad essere organista d’una chiesa ,3 di Copenhagen, e maestro in molte ragguardevoli fami- ,3 glie. Non è da negare che alcuni fanciulli portasse egli ,; assai avanti nella musica: ma a me la cosa andava tut- ;; t'altrimenti, perchè egli non era suscettivo di sentimen- ,; to; e con un zelo grossolano, male usando la domesti- ,; chezza di un’antica conoscenza, mi cominciò a battere »» sulle dita ogni qual volta mi avveniva di non moverle ,3 a dovere. Non mi sapeva accomodare a questo modo di ,, insegnare l’arte divina della musica : e mal risponden- ,; do io alle sue istruzioni, si metteva egli spesse volte, me ,s presente , a suonare. Il che faceva con tanta durezza e ,» disarmonia, che ne usciva un frastuono a rintronarvi l’orec- ,; chio. Onde quando superbo di sua bravura mi si rivol- »; geva dicendo : vegga, madamigella Federica, come per 3; acquistar gentilezza convenga suonare , io di tutto cuore »; rispondevagli sull’ istante, oh Dio me ne guardi,,. Come l’autrice sappia trasfondere nel lettore l’impeto de’ suoi affetti, ne siano prova i due pezzi seguenti (pag. 62). « Vivea Ernesto Schimelmann in un ameno villaggio vici ;; no al mare colla sua indivisibile compagna, e vivea la ,» beata vita dell'amore. Quivi io rividi Emilia, la quale tosto 33 riconoscendomi, come io riconobbi l’onorato marito, mi » strinse amorosamente al seno, spinta da quella dolce sim- »; patia, che ci aveva uniti al primo vederci. A lei vicina 3, mi riempiva una soave voluttà dello spirito e del cuore, 3, che mi sentiva come sgombra dalle membra corporee. Cor- ;; reva l’autunno del 1779; quando essendo tutti noi a pas- »» seggiare, io ed Emilia rimanemmo alquanti passi addietro. 89 5 Ed ella si pose a sedere sopra una panca, donde lo sguardo > a traverso la cima degli alberi andava scorrendo le az- »» zurre onde del mare , e vedeva con magnifica apparen- » za sorgere lontana l’isola Hocen e le coste di Schonen x ( Scandia ). Quivi tratta da un dolce e sacro ineffabile 3; sentimento io le caddi sulle ginocchia, e le misi la testa 3: in grembo, e sfogava dolcemente in copiose lacrime l’irre- 5, sistibile affetto che a lei mi traeva! Ella mi sollevò il 3 capo al suo petto, e con tenerezza premendomivi, la fronte sy mi bagnava di sue celestiali lacrime, dicendomi con de- »» bole voce: Federica, io ti ho cara, cara assai ,,. Pag. 120 ‘ Fu presso a questo tempo, che il poeta da- », nese Ewald era pervenuto alla maggiore altezza di sua 3» fama. I suoi lirici versi di veemente imaginazione con quel- 3 la armonia che aveano del ritmo erano facili a impron- >» tarsi nella memoria. E già io nel mio segreto gli avea 3 la più viva ammirazione, quando la sua morte dî Balder, 3, che comparve onore di quante tragedie correvano, sol- 53 levò la mia giovinetta anima nelle regioni della ideale bel 33 lezza. Carstens, che m’avea soccorso ad assaporarne' tut- 3 to ilsubiime, mi condusse a vederla rappresentata sul tea- 33 tro . .. Non è a dire quanto ne rimanessi meravigliata, 3» e qual diletto me ne venisse: tacerò come l’ animo mi 33 sì commovesse, ciò essendo stato a tal punto, che all’ul- 3; timo atto sfinita di forze mi si dovette portar fuori per s; Tistorarmi alla frescura dell’ aria. Volle il caso che nella so loggia di sopra a me si trovasse l’ autore : al quale fu 3» detto della giovinetia così profondamente commossa, che 33 fu costretta a partirsi dallo spettacolo. Saputo egli il mio », nome, venne in desiderio di vedermi. E il mio fratello », Fritz, che era de’ giovani da lui amati, e ricevuti in sua ;) casa, e che appunto in quel tempo attendeva a tradurre la », celebre tragedia , mi condusse indi a pochi giorni alla po- ;; vera abitazione di quell’ illustre poeta. Ben io aveva udi- »3 to essere Ewald attratto da paralisia, ma da una parte a 33 queste parole io non univa alcuna materiale imagine, dal- ss l’altra egli era stato sere avanti al teatro. E però è ine- ‘3; sprimibile quale fosse il mio animo, vedendomi guardare 90 »» da una sedia di dolore una inferma persona, a cui le gi- 3 nocchia si erano attratte al petto, e contorte erano.le gam- ;» be, e ripiene mani e dita di paralitici nocchi, mentre solo ;5, da grandi e neri occhi brillava affettuoso sopra di me il 3» di lui splendido sguardo , improntato di divina natura. 3, Non anco esperta a frenare il primo impeto de’ sentimen- ti, diedi a quella lacrimevole vista in uno scoppio di », pianto. Ewald medesimo mi consolava, e studiava di quie- tarmi. E poichè si furono fatte alcune parole , mi pose la inferma mano sulla fronte, e dolcemente baciatamela disse con tenera voce: quivi dimora giovinetta un’ anima poctica ,,. Due bei tratti di poetico entusiasmo si trovano a pagi- ne 225 e 185. ‘ Amalia di Veimar ci ricevette nel giardino in una bella sera d'estate: da grandi occhi folgoreggiava di vivo splendore il suo sguardo a traverso il fosco dell’età, non altrimenti che dai crepuscoli la stella della sera: ed 2) 29 253 29 3; era parimenti quel suo sguardo annunziatore di una eter- », na aurora. — Noi tutti pellegrinavamo soventi dove gia- », ceva la salma d’ Emilia. Quivi d’ inconsumabili corone ss intrecciati deponevansi i versi da me fatti a compianto », di sua morte: e quando venne la primavera del 1780, vi 3, furono sparsi le prime erbette e i primi fiori. Non pas- 3) sava mai tempo che intorno a quella amata tomba noi ,, tutti non convenissimo, tanto se di meno come se di mag- »; giore età. Non mai mi si cancellò dali’animo l’imagine ,; degli otto figli Bernstorff e de’ miei due minori fratelli e sorella, i quali tutti con bionda o nera inanellata chio- ma stavano a guisa d’ angioletti intorno il sarcofago d’un santo ,,. Quanto l’ autrice sia valente in presentare il fisico e il morale delle persone, ne facciano fede i ritratti seguenti pag. 258. I maestri di maggior valore che io abbia. trovato ne’ miei viaggi furono principalmente in Italia e innanzi tutto a Roma. E quegli, da cui con piena fede riceveva gli altri fu il mio inseparabile amico Pietro Giuntotardi, ,, che voi mie figlie istruì nella lingua e nella letteratura ,; italiana. Uomo egli era d’uno spirito ad alte cose edu- 33 23 tei gr cato, e di uo’anima bella quanto può dirsi : tanto che coi molti pregi, che a suo ornamento ne nascevano, cre- do che non altrove si possa ricevere miglior ammaestra= mento della vita, che nel suo istruttivo e dolce conver- sare ,,. Pag. 164. “ Fu intorno a questo tempo, che la prima volta conobbi Ernesto Schimelmann,; il quale fece sul mio animo una incancellabile impressione, Belle non era- no di sua casa che le figlie: ma egli aveva un aspetto di sublime impronta, e in ogni sua parole dinotava un’ ani- ma piena di forti e teneri sentimenti: a che aggiungeva un bel porgere misto di grazia e severità, che non trova- vasi in alcun altro. Queste rare doti me lo rendevano ol- tre ogni stima degno d’ amore: e il diceva secondo il mio costume apertamente; e affermava che egli di avvenenza vinceva quanti v’aveano zerbinotti attilati alla moda. Ciò essendo a lui scherzevolmente ri portato dalla leggiadra sua sorella Carolina, egli che fino allora non si curava della piccola Federica , cominciò a prendersene maggior pen- siero , e meglio conoscerla. Era e rimase quest’ Ernesto Schimelmann il mio modello ideale della dignità di un’ani- ma tenera e sublime ,,. Pag. 151. ‘ Fu a mio credere nell’ autunno di questo o dell’antecedente anno, che il celebre Cramer, autore delle immortali odi Lutero e Melantone , essendo stret- to a mio padre di singolare amicizia ci venne a visitare. Cancelliere egli della università, la Daminarca andava superba di averlo nuovamente tra i suoi. Gli amati amici presero stanza appo noi. Ed oh! con qual gioia aspetta- ti, con quale amore ricevuti nelle aperte braccia della amicizia, e stretti ai cuori, che palpitavano alla forza dell’ affetto! Oh come la pia anima di mio padre brilla- va di gioja dal nobile suo sguardo ! e quanto ebbero a dirsi le due madri! Io mi stava presa di meraviglia al- l’aspetto di un uomo , la cui imagine avea più volte ri- verentemente.adorata; il quale era scrittore di sublimi ver- si, e fanciulla mi avea amato, e stato era degno di esse- re cantato in un’ode di Klopstock. . . . Egli era basso 9a > > di statura e di vigorosa complessione. Da ogni suo sguar- s» do e detto traspariva la forza e vivacità dell’ animo; la vo- 3, ce gli suonava alta, e al suo ridere rintronavano le volte. s Una lieta domestichezza correva fra gli amici, e tutto era »» gioia: ma lui toglievano soventi alla quiete le angosce di sì Giulia sua figlia ,,. Pag. 155. ‘ In quest'anno ebbi a conoscere una donna, » cheassai ha potuto in avvenire sulla fortuna di mia vita. 3» Chiamavasi Augusta di Vickede ; e con suo marito era in s, varie volte dimorata alquanti anni in Copenhagen. Non s» prima la vidi che l’amai: e la nostra amicizia, quantunque »» ella, di vent’otto anni, mi avanzasse del doppio nell’età, s» fu tale da nonesser mai diminuita pel corso di undici an- », ni, i soli che ebbe poscia di vita. — Così a me fu sempre, »» che i più fidati amici del cuore gli acquistai al primo in- s, contrarli , non essendomi mai per questa via ingannata , », come più volte il fui, quando volli usare considerazione », e consiglio, Era Augusta una donna la più degna d’ amore »» che mai fosse: alta e snella di corpo, di neri e grandi oc- s, chi, e con lunga aurea capigliatura. Il suo portamento »,» era quale di dea, e la sua voce andava a toccare il fon- 3» do dell’animo. Crebbe educata alla scuola degli affanni , e piena tanto di spirito che di sensibilità , erasi nudrita delle poesie e delle opere più rinomate di nostra na- ,»» zione ,,. Non parrà soverchio al lettore che al tanto addotto io aggiunga due tratti: de’ quali in uno avrà piacere di osserva- re Wieland con l’ autrice e la figlia; nell'altro gli sarà caro il giudizio dell’ autrice intorno ai romanzi di Madame Cot- tin e quelli della Stael: oltrecchè avrà in questo da ammi- rare la compagnia di tre leggiadre grazie. Pag. 226.6 Wieland trovavasi appunto presso la celebre »» sua amica. Non l’aveva mai veduto quale allora. Una tran- ss quilla mestizia offuscava il suo aspetto, reso venerabile »» dalla età: la quiete era intorno a lui, ed ogni sua parola »» suonava di amorosa bontà. Egli m’apparve come la reale »» imagine del suo solitario nell’ Oberon. Tosto attentamente »» fisso tu attirasti sopra di te il suo sguardo: e indi a pochi 23 2» 3 C2À 27 dI 03 istanti stretta alla sua mano sparisti in un boschetto di fresco piantato. Che ti disse egli, mia Ida, così passeggian- do? quali ammaestramenti di socratica sapienza gli usciro- no dal labbro? ti tenne egli a discorrere, come già avea fatto di me nel boschetto di Bolwedern intorno al sesto senso, il quale forse è il solo che ci manca , acciocchè noi »» fossimo così vicini al mondo invisibile quanto esso a noi! Sa- ” >» 3» 23 bi) 2) 29 23 #3 bb) 23 23 29 29 23 3) 33 2) 2) PR) > dI cra sarà a me sempre quell’ ora. Con l'entusiasmo del suo Agatone egli si abbandonava a quelle sublimi manifesta- zioni della interna natura: e in questo mentre con nuova luce io leggeva in lui, il quale ora Platone, ora Aristippo s'aggirava pei confini del mondo materiale e dello spirito a somiglianza di un altero augello del mattino! Ma ora lo splendore del mattino era a lui mancato, ed egli volgeva la nobile fronte ai crepuscoli della sera! Usciti che voi foste dal boschetto, sorridevate ambedue quasi mutata na- tura: ed egli con voce sommessa mi disse: fate voi che si apra questo tenero fiore. Questa fu l’ultima -parola che ebbi da lui, o mia Ida! Fu l’ufficio con fedeltà adempiuto? ,,. Pag. 245. “ 1 romanzi della nostra illustre amica ( Mada- me de Stael) animati da più alto sentimento, e a più su- blime scopo rivolti comprendono un più splendido e più vasto genere di idee. Ella vi si mostra acuta conoscitrice delle umane cose: e dipinge a meraviglia la natura degli animi, e adopera parole, ed osa tali voli di pensiero , che non altri che ella avrebbe potuto cotanto. Ma quella gio- vinezza del cuore , quel dolce della fresca età, quella tenera sensibilità che al leggere i romanzi di Madame Cottin mi tornavano fanciulla, mettendomi in oblio di quanto mi era intorno : ciò in quelli non era, quantun- que d’ altri migliori pregi andassero adorni. Però Madame Cottin, come autrice di romanzi , col suo meno può dap- più sull’animo d’ambo i sessi. Vero è bene che i giovani fanno traboccar la bilancia a prò della Stael: ma gli uo- mini di più matura età hanno soventi manifestato contra- rio avviso. Ele femmine sono piuttosto per madame Cot- tin, tanto se siano giovinette, quanto se trovandosi al- quanto avanti negli anni vogliano darsi, come faceva tua 94 | madre, alle dolci pazzie della gioventù. — Ciascuna di noi aveva appena terminato di leggere la. Matilde, e tu con entusiastico piacere la leggevi aggirandoti spesso fra gli alti platani, quando madame Cottin ci venne a tro- vare in Seligny. Non era giovane: e portava nella snella ed elegante figura l’apparenza di una tenera pianticella chinata leggiermente dalla rugiada del dolore. Tutto in lei dava a divedere una donna di profondo sentire: e dol- ce oltre ogni dire era la sua fisionomia:e i suoi linea- menti aveano più espressione che bellezza. Ma da’ suoi grandi occhi, dove tutta si leggeva l'angoscia e l’ estasi dell’amore , brillava debolmente lo sguardo a guisa del raggio della stella vespertina riflesso dalle onde — Noi venimmo presto in domestica confidenza. Un giorno ella con soave affetto mi disse pregando: Zaites moi voir quel- ques situations d’ Jda! Chi le lo avrebbe negato? forse tu, che ardevi nel desiderio mostrarti a lei nella figura di Ma- tilde? — Il subbietto non era dato, nè preparata musica di accompagnamento: ma la tua anima era abbastanza com- mossa dai sentimenti che le inspirava la presenza di quella celebre donna. Tu prendesti a rappresentare varie situa- zioni di Matilde, 1’ una derivata dall’ altra: noi ti ammira- vamo con diletto: e quando terminavi figurando Matilde, che avanti il chiostro, abbandonato per sempre il suo amante e sè stessa, abbraccia piangente la croce qual ul- timo e possente rifugio a’ suoi dolori, noi non potemmo frenare le copiose lacrime ; e madame Cottin con un pro- fondo sospiro proruppe: ah? voilà la plus douce jouissance que mes écrits m’ ayent jamais procuré — Non andò unan- no che colla vita cessarono le angosce a questa amabile scrittrice. Alla quale non rimanevano che alcuni giorni a morire, quando ella all’amico del suo cuore, il sig. Sta- pfer, disse: ‘ /’ image de cette jeune Ida est encore devant moi; mais: c’ est au ciel seulement que je reverrais cette expression angelique! O mia Ida! o figlia del mio cuore, e dell’anima mia! sia pure che tu un giorno a lei ti facci innanzi amabile come allora, e più leggiadra nello splen- dore del cielo: ella, sì ella riconoscerà in te la sua amata ,,» g5. Da quanto fu detto e citato,non solo illettore avrà tro- vato indubbio , che questo libro presenti un soave diletto così al cuore come allo spirito. Ma vi avrà egli altresì ravvi- sato quanta utilità vi sia congiunta, pensando che esso col da- re la istoria dello spirito, non che dell’animo , dell’autrice e di sua figlia, porge un valevole ajutu allo studio dell’ uo- mo . Studiare gli uomini fu de’ migliori sapienti il dettato sublime: del quale niuno è che in sè medesimo non ne senta l’inesprimibile importanza. Ma pochi, benchè tutti viviamo in mezzo agli uomini, possono darsi vanto di conoscerli. Di che se in gran parte ha colpa la mancanza in noi di buon volere e di intendimento, non ne è piccola cagione la dif- ficoltà di penetrare l’ origine de’ sentimenti e degli affetti, osservarne la qualità e i movimenti, vederli in contrasto con tutto il resto della natura tanto fisica che animata. E quindi formarne diverso ordine di idee generali, trarre da ciascun ordine speciali risultamenti, combinare questi ri- sultamenti per istabilirne i rapporti e le nuove conse- guenze, dedurre per ultimo i necessari principii che ci gio- vino a dar lume pel governo della vita. Ad avvalorare in questo ampio studio la debolezza del nostro intelletto, e ad abbattere almeno in gran parte le infinite difficoltà , che si incontrano per via, il migliorsoccorso si riceve da que’ li- bri, dove l’uomo di alto ingegno , dipingendo con tutta ve- rità sè medesimo, anatomizza per così dire il suo cuore e il suo intelletto a contatto degli uomini e di tutta la natura. Non v°ha particolarità nè minuzia che si possa tacciare d’inu- tile: ciascuna, per leggiere che sia, porge salutevole frutto, non altrimenti che all’anatomico la conoscenza de’ minimi muscoli del corpo umano. Che anzi siccome la condizione ordinaria dell’uomo non porta nulla di forte e sublime, ma scorre sommessa , come un lento e povero ruscello , che al- tro intoppo non trova se non una pietra o un cespuglio d’erbetta da rallentargli o deviargli alquanto il cammino: così , osservando alla generalità dell’umana specie , tor- na di maggior vantaggio il conoscimento de’ contrasti, an- che i più leggieri delle passioni, e di tutti i più minuti casi della vita. Solo a pochi favoriti da natura di singolare anima 96 e ingegno, e posti da fortuna in casi di alto momento , ne- cessita che sappiano il più possibile 1’ indole e gli avveni- menti e i fatti di altri simili a lui, e in somiglianti, casi. Del resto incerta e inutile, se non ingannatrice, sarà sem- pre la scienza morale, quando non abbia per fondamento fatti veri, e che tutto comprendano; perchè le supposizioni, o non bastando o peccando di verità; danno sempre fallaci conseguenze. E da questo difetto sembra appunto derivato, che dove le scienze fisiche progredirono a un mirabile grado di perfezionamento , rimasero ferme le scienze morali. In quelle si studiarono i fatti e si passò alle scoperte: in queste quantunque i fatti fossero in ogni tempo egualmente esposti alla osservazione, mancò chi ne raccogliesse ordinatamente la istoria, ne analizzasse i rapporti necessarii e naturali, e ne costituisse diversi sistemi più o meno astratti per venire poi a formare un unico complesso di importanti regole reg- gitrici. Veduta da questo lato l’ operetta della sig. Brun, mi sembra veramente che da nessuno possa ricevere accusa di inutilità. I cenni che in generale ne ho fatto di tutta la mate- ria, e i pezzi particolari che ne ho dato tradotti , bastano a far accorto il lettore dell’oro che vi si può raccogliere sotto l’ aspetto della morale. Oltrechè non solo più piace- vole, ma altresì più importante la rende la qualità de’due protagonisti che vi si veggono dipinti, essendo essi di estra- nia terra; e portando dalla natura e ricevendo dal clima in- dole e disposizioni diverse da quelle, che vediamo ogni gior» no tra noi, Perchè per questa via è condotto il filosofo 0$- servatore a un nuovo e più alto punto di vista, dal quale in una più ampia generalità considera la umana schiatta tanto in sè medesima quanto ne’ suoi rapporti coll’ operativo po- tere degli enti naturali, inducente effetti e necessità di in» definite specie. Non dissimulerò non pertanto che io desiderassi l’au- trice alquanto ristretta in alcune, ma molto più larga in altre parti del suo libro; per così avere una meglio completa storia giovevole allo studio dell’ uomo. E ciò principalmente quando parla della educazione della sua Ida; dove mì ri- 97 mase troppo insoddisfatta la voglia di minutamente cono- scere l’indole della pianta:che coltivava, e i modi da lei usati a crescerla in quella bellezza che rappresenta. Ma se il::mio non'fu'in tutto l’intendimento dell’ autrice, la quale non mirò principalmente allo scopo da me accennato , era forse fuori diragione quel mio desiderare. Non è però che ella ‘di quando in quando non ci dia a conoscere con quale arte ‘e diligenza cercasse adornare l’ animo della figlia, se- guendone, o temperandone le naturali disposizioni: e come al. cuna volta adoperasse peragevolarle la via al perfezionamento dell'ingegno. Fra molti altri è degno d’esser considerato un avviso salutare da lei seguito nella educazione, fare , cioè che la esteriore leggiadria partisse dalla compostezza e dalla avvenenza dell’ animo, cercando ella sempre di trovare e ap- porre una causa morale a quanto vi abbia di gentilezza e urbanità nelle maniere. ‘ Quella, essa soggiunge , che si 33 nomina cortesia , suole d’ ordinario consistere nel parere ,, quale internamente si dovrebbe essere: ma con ciò sa rebbono sempre i migliori gli uomini garbati., quando pure all’ esteriore non rispondesse l'animo. E però da me 29 non fa mai detto alle figlie fu 0 Zascia questo o quello, ;\ se'vuoi essere piaciuta. Non v’' ha dubbio che coll’ edu- 3} care! per tempo l’ animo alla virtù e pascerlo di nobili ;j sentimenti , aggiuntovi esercizio di corpo e fresca aria per le stanze e moderatezza nelle vivande , si adorni , no- biliti e componga la persona di migliori grazie e più ‘mi- ,} rabile avvenenza, che non si faccia colla danza, coi vezzi , e collo studiato abbigliamento, ,, ‘Accennato in generale il soggetto , presentata , e con esempii , la bontà dello stile , toccato l’utile del libro , di ‘cuî discorriamo , mi resta a dire particolarmente dell’ en- ‘tusiasmo , con cui esso è scritto. Intendo qui per entusia- smo una certa maniera di sentire e imrgaginare fuori del- l'usato, mediante il quale le cose e le persone si veggono sotto un aspetto senzimentale per così dire e metafisico ; tanto che dove suole comunemente il nostro animo e imaginativa prender forma e movimento dagli oggetti esterni, nell’en- tusiasta invece sono gli esterni oggetti che ricevono qualità T. XXIII. Luglio. - 9 22 98 dall’animo e dalla imaginazione. E v'ha dell'entusiasmo infinità di gradi : ma sempre, secondo che sia più o men forte, mi sembra più o meno accostarsi alla definizione che avvisai di poterne dare ..E gli errori che da lui possono generarsi , ciascuno per sè li comprende: le azioni di mi. lioni d’ uomini, e gli scritti di molti ne danno al.bisogno certa prova e argomento. Non è però da negare ; che quando egli frenato da aggiustatezza di giudizio si limita ad essere il moderato effetto di un’ anima sensibile e di una viva imaginazione , può dilettare e giovare senza alcun rischio di nocumento. E tale mi sembra appunto nella operetta della signora Brun: perchè quivi egli è il pacato entuisia» smo di una madre amorosa; di una donna calda ammira- trice di quanto v’ abbia nobiltà di cuore e ingegno , di una amica che ha amato, e conserva forti nel suo animo le dolci rimembranze della amicizia. L’ animo del lettore ne rimane utilmente commosso , e ia sua mente, toglien- dosi quasi dal fango che la aggrava, è spinta a sollevarsi a nobili concepimenti. V’hanno uomini di freddo cuore e di mente severa , che ritorcono il naso da qualunque libro sia piuttogto opera dell’ entusiasmo che della calcolatrice ragione. Nel dubbio che a questi tali non possa riuscir gradito il libretto della Brun, penso che mi sarebbe inutile il prevenir loro di risposta, Giascu- noha un particolare genio, che per particolare via lo spinge: ond’è che acquista un modo di sentire e vedere solo a lui pro- prio e invincibile , a guisa di colui (non prendasi il pa- ragone dal sinistro lato ) che postisi agli occhi de? vetri colorati vede in quel colore tutte le cose. Di qui avviene sovente , che il libro lodato da alcuni , abbia all’ incontro le bestemmie di altri. Dirò solo, che ogni genio ed ogni via è da commendare, quando stimoli e conduca a perfe- zionare in qualsiasi maniera le facoltà intellettuali morali ‘e fisiche dell’uomo , donde nasce il miglioramento della umana condizione. Che ciò si faccia in un modo più o meno valevole, sarà questo un motivo, ad accrescere o diminuire la lode, ma non mai ad avere disprezzo. Del resto la par- zialità del proprio sistema non è il miglior effetto dell’amor 99 proprio: è se pare voluto da natutà , che ad alcuno non torni gradito! .un sistema contrario al suo proprio; la sag- gezza gli richiede di lasciarsi persuaderé che anche quello possa avere lil suo buono. E ciò tanto più quando si tratta di nazione a mazione ; fra le quali le disparità che corrono nelle filosofiehe:dottrine., nella letteratura e nelle arti, pro- cedono da; più alte cagioni che meritano con maggiore con- siderazione un maggiore riguardo. Le nazioni si [mostrano diverse nelle \arti ;. nelle scienze e nellè lettere principal- mente perchè :hanno dal-clima una diversa natura. Gli ita- liani ad ‘esempio posti sotto un clima temperato ; e forniti in conseguenza di temperata indole tennero nelle. opete tanto di raziocinio che di imaginazione una via piàna.i e piatio ‘hanno! di fatto il linguaggio; che è sempre speochio dell’ animo di'un' popolo. I deviamenti , che si sanno av- venuti, non devono riguardarsi ‘originati dallo spirito della nazione + ma bensì quali fatti speciali di alcuni individui, strascinati da mala intesa vaghezza , 0 occupati dallo spi- rito di imitazione. I tedeschi al contrario situati sotto cli- ma più o men rigido, e in contrade, dove la natura, sem- pre però bella, ha una presenza tetra e melanconica, se- guitano generalmente nelle scienze quella empirica meta- fisica, che presso loro ha dato vita al misticismo, cresciuto ora a far parte fondamentale della loro filosofia. Così pa- rimenti nelle opere di imaginazione raro ‘è che non spin- gano e fantasia! e sentimento oltre que’ termini, che, dove ‘a noi sembrano inviolabili per non peccare di stranezza , a loro sono impedimento ad ottenere il bello come natu- ralmente fu da essi ideato. Da tutte le quali cose prendo avviso , che ogni ragione vi sia di non dar colpa all’ au- «trice di quanto per avventura possa parere, nel! suo libro soverchia enfasi, inverosimiglianza di imagini, sentimenti d’indole tomanzesca; frasi e paragoni dissuonanti dal vero naturale. Non ho ancora fatto motto delle poesie, che la signora Brun unì in fine al libretto , di cui abbiamo discorso. Ne sono argomento.gli avvenimenti della Grécia: di questa nazione, che al solo nominarla ridesta nell’ universale e am- 100 mirazione e stupore: di questa nazione } che già ida. pa* recchi ‘anni lotta colla morte per salvare dalla ignominia: musulmana la bellezza di sua religione ; e per togliere alla oppressiva fame di insaziabili fiere que’ diritti donati da natura inviolabili all’ uomo. Ora a celebrare una vit> toria . de’ greci , ora a piangerne la sconfitta si innalza la poetica fantasia della signora Brun: talvolta si rivolge pre gando all’Eterno che apra pietoso le braccia ‘a soccorrere agli infelici : tal’ altra si getta nelle tenebre del futuro con una angosciosa vicenda di speranza e timore: sempre il;do- lore la spinge a rampognare Europa , vituperosamente:ne+ ghittosa allo sterminio de’suoi fratelli. Ma perchè già i ter- mini della necessaria brevità furono da me passati, mi ri- marrò dal discorrere intorno al ritmo ; allo'stile e ai con cetti di questi lirici canti. Ne darò piuttosto alcuni saggi al lettore, dai quali possa argomentare le qualità e i pregi degli altri. E scelgo di offritglieli tradotti in prosa ; perchè se con ciò perdono l’ armonia del verso, possono meglio ritenere l’indole originale , che è appunto quella che è mio desiderio di dare a conoscere. I caduti a Stinca, e i vittoriosi a Mitilene. Due cori degli amici della Grecia. Primo coro ). Spargete intorno messeniche rose , spargete il cîqpresso del dolore! Piantate la palma della vittoria , pre- mio ai martiri! scorrete, o lagrime, sui mesti fiori del gia- cinto, chè i valorosi ahi! caddero nella guerra più santa! Ahimè ; la sacra armata, non è più! non è più! Que- sta voce dal cielo alla terra, dalla terra al cielo risuona! Uomini ed Angeli te piangono , o sacrata vittima! Essa all’al- ‘tare della libertà perì nel sangue de’ martiri. Coro secondo ). Mietete gli ‘allori di Tempi, i pini di Nettuno! intrecciatevi la florida bellezza de’ rami di mir- “to! Beati i vittoriosi, beati! le mura di legno di Temisto- cle furono già argine alla rabbia persiana, argine'or sono al furore de’ Turchi! le ripe di Tenedo ei fioriti prati di Mitilene videro oggi quello che già un. dì videro Salamina OI ed Eleusi! cedere i più alla forza, fuggire i barbari avanti i Greci, e rosse del sangue de’ tiranni le onde dell’ Elle- sponto. | Ambo i cori). Spargete intorno le viole e i curvi pian- genti salici! intrecciate ghirlande alla vittoria, risuoni il canto della gioja! Grecia, tu vinca o cada, sempre è tua la gloria che dietro lasci! poichè alla mortale tenzone tu valorosa ,/t° affronti tu sola. Germania e Grecia. .. O mia Germania! dalle guance di virile bellezza non scorrono a te le lagrime? vedi della nostra Grecia i valo- rosi e giovani figli rovinare anzi tempo nel sepolcro! Quelli che tu amorosa nel materno seno educasti alle nobili scienze, sommerse la perigliosa onda della solleva- zione , e il fiore della Grecia è perito. © E perito perchè nelle barbare orde della Moldavia e della Valachia non nacque ancora quel sublime sentimen- to, che gli uomini fa vittoriosi , alteri e liberi. Tule addita la lotta, a cui reggesti, o Germania, quando ridestati a nobile sentire, i tuoi figli si tolsero frà la strage al giogo della Francia. In Grecia combatte vincendo la Grecia! In grembo alle azzurre onde dell’ Ellesponto si disperda la tirannia dei Turchi! sciolta dalle servili catene risorga la Grecia! Qua qua da ogni parte animosa gioventù d’ Europa ! qua valore, gloria e immortalità vi chiamano, e tutti unisce un vincolo del Cielo. Mete, AES LUNE Tp CAO a lelio & ‘ La Grecia all’ Europa nell’ inverno del 1821. A sconosciuto Dio alzò Atene un altare, uno ne alzò alla Pietà: la sola ella nel paganesimo, che di sublimi sentimenti fosse, e a un tempo pietosa ‘e devota. Ora Atene combatte, combatte la Grecia sanguinose battaglie nella vicenda di vi- vere © morire, 102 Nui non adoriamo incognito Nume! Venera da gran tem- po Europa il vero e conosciuto Dio, il Dio dell’amore e della pietà! E la Grecia da secoli piagata, e curva sotto il peso delle catene si atterra ai piedi del barbaro, che non conosce misericordia, non compassione , e al quale suona armonia il lamento de’ Cristiani, è una festa il loro ester» minio. Ora non è più prostrata la bella Grecia! si levò sde- gnosa dalla polve : a voi protende le braccia : cristiana ai cristiani manda fra dirotte lagrime le grida del dolore. Primogenita figlia della Croce, ed una delle tue antiche sorelle, o Europa, la Grecia ajuto e conforto ti domanda, ajuto e conforto nella sua estrema miseria ec. ec. UE) è eo lell'bilt le i alli le a) lett cir) elia de elise, alle OTT e Preghiera per la Grecia. Dio benedica la Grecia, la salvi dal nemico, Dio le doni salvezza! Per mare e per terra le rifulga intorno la sua luce! Dio benedica. la Grecia, Dio le doni salvezza. O Grecia, nel rischio di morte Iddio ti difenda ; egli sia il tuo scampo! solleva lo sguardo, e vedi in tuo ajuto il coro degli Angioli! o Grecia nel rischio di morte ti af- fida io Lui. Sola tu stai in battaglia: niuno vuol esserti compa- gno: Iddio è con te! Chi nel Signore si affida, edifica sulla rupe! Grecia , tu ti affidi in Lui—E Iddio è con te. Rompi il giogo servile, o Grecia , e onorata é vitto- riosa risorgi! o Dio della giusta guerra benedici la sua spa: da, e guidala inconsumata all’onore e alla vittoria. Tu a lei sia arma e scudo, che la riempia di corag- gio, Tu sia la sua potenza! Riposate voi caduti, combat- tete voi viventi! morti o vivi siate tutti del Signore. Popolo della immortalità, tu sei pronto a morire , e tua è la vittoria ! vedi nelle volte del Cielo già apparire la palma! Popolo della immortalità , è tua la vittoria. Xx. 1053 Del Petardo di guerra. — Delle Colubrine. — Delle Spingarde. + |. Memorie storiche del Cavaliere OMODEI prof. nella reale acca- demia militare di Torino,e capitano direttore delle costruzioni di maestranza. Le ricerche teoriche intorno alla presente artiglieria sono recate, per l’ avanzamento della fisica e del calcolo , a quell’ apice oltre cui per avventura non consentono loro di andare gli elementi o indeter- minati, o variabili che da esse non possono eliminarsi, e però egli è forza o restringersi allo studio di accostare la pratica ai principii stabiliti (al che forse non poca opera si rimane) oppure volen- do occuparsi dell’ artiglieria come scienza , assumerne solamente la parte istorica. Anzi a questa sola è dato a noi italiani di rivolgere la mente, poichè dalla necessità di straniere alleanze dipendendo lo stato della nostra milizia , essa non può non essere al tutto pedisse- qua. Fosse almeno che di là de’ monti si progredisse ognora al me- glio; ma in Francia, per esempio, e riguardo appunto all’artiglieria ; si è dato addietro di un passo. I calibri de’ cannoni sono ritornati da quattro che erano a cinque come prima del 1802, levato il pezzo da 6 e da 18erifatto invece il da 4 il da 8 il da 16. Bisognava per al- tro dare aspetto di utilità a questo ritorno alla scala più complicata de’ calibri di Gribauval, e non poteva farsi con più aitato ragiona- mento di quello che riporta il dizionario di artiglieria del colonnello Cotty all’ articolo Notice sur le systéme de l’ an XI; il quale articolo è attribuito al tenente generale conte Rutty. A. sottilissimi sofismi vedesi andarivi di conserva qualche asserzione gratuita, e fra l’ altre che gli esperimenti degl’ innovatori alla scala di Gribauval si fecero in modo incompleto e diretti esclusivamente a far ammettere un si- stema che si voleva. Per altro ben potrà credersi più presto sistema che si voleva cotesto a cui è tornata la Francia , ove si consideri che nella ristaurazione borbonica pochissimo avendosi trovato del mate- riale di artiglieria dell’anno XI, poichè quasi tatto caduto nelle fazioni in poter de’ nemici , ed al contrario alcun poco ancora di quello alla Gribauval rimasto ne’ magazzini, si è dovuto per cagione d'economia riprenderne ancora il sistema, senza arrogarvi la naturale ragion delle cose, onde vuolsi credere che volentieri aveasi ad accogliere l’ op- portunità di cancellare così una memoria di epoca abbominata. Ma lasciando ad apposita scrittura il confutare la capziosa dialettica del citato ragionamento di cui ci siamo condotti a far cenno incidente- mente , verremo al proposito proprio d’ intrattenerci di tre opuscoli spettanti all'artiglieria, i quali sono del genere storico, 1’ unico, sicco - 104 me dicevamo, che sia trattabile in Italia ove non giova studiar cose nuove ; che non è dato di praticare. Le Gli opuscoli de’ quali vogliamo ragionare sono del cav. Omodei già ufliziale nell’artiglieria del cessato regno d’Italia, e fuallievo della scuola di Modena, da cui si ebbero e i Nobili e i Rezia e i Beroaldie i Beffa e gli Stecchini e i Carandini e i Vaccani, e altri tali pur molti che o perirono magnanimamente contendendo a ciò la patria italiana tornasse all’antica gloria dell’armi proprie, o fra le domestiche pareti negli usati studii riposano la vita , o non minori si mostràno di quel che furono nè meno accettevoli sotto altre divise. Ora il nostro auto- re veste quelle di Sua Maestà il Re di Sardegna. Uno di essi opuscoli fu pubblicato sono già tre anni, e verte sul Petardo di guerra; due sono esciti in luce ultimamevte e concernono l’uno le Colabrine, |’ altro le Spingarde. Il cavaliere Venturi da quel versatissimo ch’egli era in ogni genere di scienze e lettere , avea già presentata l’Italia di una sua memoria intorno all’origine e ai primi progressi delle odierne artiglierie, ma non venendo pel proposito suo che rade volte più basso del cinquecento venti , non ha toccata l’epo- ca del Petardo, il cui primo effetto di qualche considerazione fu alla presa di Caors per parte di Enrico IV, cioè del 1580. Egli nomina:il Petardo solamente per occasione allorchè nel riferire di un trattato di artiglieria (codice della RRiccardiana di Firenze scritto sul finire del- 16.9 secolo, ove trovasi insegnato in dae appositi capitoli la maniera di caricare a palla roventata , e del tirare a rimbalzo , che a Vauban suolsi malamente attribuire) dice mostrarvisi altresì la descrizione del Petardo che nacque intorno a quel tempo, ma questo per errore, poichè la sorpresa di Caots col mezzo di tale strumento fa, come so- pra è notato, del 1580. Nè in quel termine, nel quale si tenne il cava- liere Venturi poterono comprendersi nella estensione loro le Colubri= ne e le Spingarde, onde rimastone ancora del campo vuoto, in esso discese parimenti il cavaliere Omodei col bel corredo di sapere e di erudizione del quale avea fatto mostra rispetto al Petardo. Il Petardo, istrumento considerato dal Malthus per bagatella da ingannarne solamente gli ignoranti , i buoni da nulla, i pigri, gli in- fingardi, ba trovato grazia presso il nostro autore per le molte im- prese compiute con esso nei due passati secoli , e la ricordanza di ciò onde vantaronsi gli ugonotti , cioè di far essi con due libbre di polve- re ed in un quarto d’ ora quello che i sigg. della lega non potevano in due mesi e con venticinque pezzi di cannone. Oltrecchè il Petardo figurando tutt’ ora nelle tavole generali dell’ artiglieria non è cosa dimessa per massima. Che se ora non può avvenire che nessuna piaz- za sia presa per via del Petardo y poichè per la presente perfezio- 105 me del fortificare non saprebbesi pervenire ‘ad attaccarlo od ap- prossimarlo; ciò non pertanto può occorrerne l’ utilità a penetrare in luoghi che si trovassero messi tumultuariamente in difesa ; ( chiese, cassine’, o abitati qualunque) dove non fosse possibile dirizzarvi con- tro le artiglierie. Nè perchè le guerre che noi vedemmo non ci som- ministrino per avventura un solo esempio d’essersi usato il Petardo, vuolsene altro inferire fuor questo ; che in un sistema il carattere del quale era l’impeto e la rapidità, andavano naturalmente non conside- rati certi provvedimenti di maggior cautela, de’quali poi sentivasi il bisogno quando le impensate resistenze. facevano accorgere della pre- ‘suntaosa leggerezza di quel sistema. Per;lo.che entrando ancora il Petardo negli allestimenti dell'artiglieria, non è a sovrabbondanza che il sig. cav. Omodei abbiane trattato, prendendolo dalla prima origine sua (chei francesi per volere a sè.tutto in ogni. modo attribuire si ‘contentarono di ripetere da un ladrone d’ Overguia) e conducendolo a quello ch’egli è nella presente artiglieria, vale a dire un vaso co- nico , quasi, come scrisse De Ville, una campana; del peso di 4o in 4 libbre francesi sotto determinate dimensioni e misure , il qual ‘riempiesi diligentemente di polvere, e ben chiuso e stretto ad un ma- driere sospendesi o cacciasi contro al luogo dove si vuole operare lo sfondamento o la ruina. Riguardo all’ epoca in cui l’ istramento fu cominciato a pratica- re, stabilisce colla testimonianza di autori che al tempo loro lo dice- vano di nuova invenzione , che fosse all’ intorno del 1580 , e quanto alla etimologia del nome, rifiutata a ragione quella del Tansini che la toglieva dal verbo francese petaraser, conosciuto a lui solo, vuole che derivi dai verbi petare ed ardere ; perciocchè il padre Daniele nella sua storia della milizia, francese (Amsterdam 1724 pag. (421) dicesse essere il Petardo una machina il cuì nome esprime il romore che fa producendo il suo effetto. Ma ci permetta il cav. Omodei d’os- «servare che queste parole non contengono nulla dell’ arder 0 ardre equivalente in antico al druler, ma si riferiscono unicamente al peter vuol dire crepare con iscoppio. Formarono bensì gl’ italiani la parola Bombarda dal composto di Sombo ed ardere, e i francesi datole da loro solamente la desinenza dissero dombarde. Che se mai si volesse, come talano potrebbe facilmente credere per lusinga , che il Petardo portasse anche nel nome qualcosa dall’italiano, averlo i francesi fog- giato dal verbo peter sulla maniera del Bombarde , non ci parreb- be di potervi consentire che quando avessero scritto non Petard co- me fecero sempre, ma Petarde nel medesimo genere femminino di Bombarde. Il chiarissimo per altro della cosa si è che Petard formos- 106 si unicamente da peter, come gueulard da gueuler,criard da crierze come da più altri indefiniti della stessa terminazione ebbersi de’so- stantivi in ard. Abnnovera il cavaliere Omodei altri diversi ordigni ed istrumenti onde per addietro le porte e le saracinesche si spaccavano, o si toglie- vano strappandole dai cardini, e le ferriate si logoravano coù materie corrodenti, e talora distràggevansi le porte brugiandole 0 conquassa- vansi a botta di bombarde, o di palle gettate da trombe che si teneva- no su di un asta come le descrive il Biringuccio nella sua Pirotecnia, e fecene dopo lui il /Vazzari, Non manca ad ogni cosa l’autorità di ©pportune citazioni ; solo per'iscambio è riferito a Torino quello che il Busca nella sua militare architettura narra di Siena, cioè che vi si adoperasse un'artiglieria ad atterrarne le porte. Il tentativo sopra Torino fa (nè riuscì per la tardanza de’ soccorsi ) per istrattagemma di carra accomodate che' parevano tutte cariche di fieno , e dentro eravi del vacuo ove stavano appiattati uomini in arme che ; tagliata una fune, venivano dispegnati a menar le mani. Quelle trombe destinate dal Biringuccio ad abbattere le porte indacono con molta buona ragione il nostro autore a ravvisarvi co- me una prima idea del Petardo ; poichè a mutarde , ei dice, in que- sto non mancava che di adattarle contro la cosa stessa da abbatte- re , surrogato il mandrillo (che è quel madriere stretto sulla bocca del Petardo) a//e palle di pietra , onde fare più ampia la rottura e conseguire con ciò un medesimo effetto con minor numero di ordigni. Un‘altra idea del Petardo, e forse più legittima ove si riguardi quel- l’ istrumento nell’ oggetto generale di sbarattare con rovina , ei l’ in- contra in que’ ceppi con un vano in mezzo per empirlo di polvere, e ben cerchiati di ferro, i quali sono descritti dal De Za Z2//e, non dopo il 1527 per metterli dentro a fossati, e ricoperti poi questi a dovere, sì che paressero il suolo natarale, attrarvi l’ inimico e farlo volare. E poichè tanto il libro del De /a Valle , quanto del Biringuccio erano già ridotti nell’idioma francese , il primo sino del 1529 e il secondo sino del 1556, conchiude il nostro autore che il Petardo non abbia veramente avuta la sua prima origine in Francia, ma in vece siasi col ridotto a migliori forme adattandolo altresì ad usi più gene- rali e clamorosi. Anzi d’ essersi per avventura fatto uso in Italia fi- no del 1405 di una maniera qualunque di Petardo, gli darebbe buo- na opinione quello che ne’ commentari di un Gino Capponi si riferi sce ad esso anno di una porta rimurata di mattoni che un ingegnere pisano avea detto di voler far scoppiare, se gli mancasse ogni sospetto che ciò non fosse un primo tentativo delle mine. 107 Venendo alla descrizione del Petardo, è ricordata dal nostro au- tore la forma che ne diede sul finire del XVI° secolo il Boil/lot in un suo libro di artifici, e i modi per applicarlo 0 sostenuto su;di una forcella, quando non si voleva o poteva appiccarlo ad un succhiello piantato nella porta che si doveva abbattere, 4 quando eravi un fos- so ‘a mandato i innanzi assicurato in cima d’ un’ antenna che mettevasi in bilico sù d'un cavalletto, del che pare: essere stato ‘inventore il Boillot medesimo, o veramente per meszo d’ ùn carro-ponte come consigliò l’Uffano. Ma poichè i ponti in qualunque maniera si fossero venivano rotti per 1’ esplosione medesima del Petardo , ciò che facea perdere del tempo a sgomberare il passaggio ed. obbligava: ad aversi un altro ponte da mettere sul fosso, si giudicò più espeditivo l’ uso delle frecce, le quali erano condotte semplicemente sopra due ruote; e adoperabili in ogni occasione che nonisi fosse potuto piantare il suc- chiello, o non fossevi stato da appoggiar la forcella, e sempre col sin- golare vantaggio che il petardiere non era obbligato a stare sotto l’of- fesa delle caditoje. La materia del Petardo, la quale adesso è la medesima dell’ al- tre artiglierie, è stata ora legno ora ferro, e. meglio rame, perchè più tenace; ed all’occasione ha servito da petardo qualsiasi qualità di vaso a sufficienza resistente, come oggidì vi s'impiegano o bombe o barili o sacchi ed anche la polvere ammucchiata naturalmente presso ciò che si vuole abbattere. ‘Descrive l’autore i caricamenti del Petardo secondo farono va. riati col mettervi talora anche frammezzo delle eartuccie di mercu- rio , e toccando il metodo prevalso che è di caricarlo con sola polvere ordinaria, sì che ve ne stia una volta e mezzo quanto ve ne capireb- be versandovela naturalmente , opina che fosse per giovare all’ ef- fetto il lasciare un vano tra la polvere e il madriere , o il frammi- schiarvi della segatura di legno o vesciche piene d’acqua, indotto dal prò che fanno tali cose quando si adoperano in fornelli di mina. Ma il siguor Leblane, uffiziale del corpo Reale degl’ingegneri di Francia, ha «data in contrario una memoria l’ anno scorso, ove discorre quanto fa osservato nell’effetto dei petardi ordinarii e di que’caricati di un mi- sto di polvere e segature di legno come pure con un vuoto fra la ca- rica e la borratara ; e passando ad esaminare quel che avviene nelle mine, dimostra che lo sforzo dei gas prodotti per l’accensione della polvere nelle mine non essendo nei modo stesso che nel Petardo, non ; si può far entrare nel caricamento di questo altro che tatta polvere. Riguardando per ultimo: il cavaliere Omodei agli altri usi di guerra a che fu adoperato il Petardo , oltre ad abbattere porte e bar- riere , viene a dire delle Salciccie, Cerlitò malamente dal Carré nella \ 108 Penoplia come una prima invenzione del Petardo clie riporta all’an- no 1579, mentre le Salciccie non servivano che per facilità ad intro- durre prestamente la polvere in luogo che volevasi mandare irì rovi- na, e ciò fecesi anche prima di quell’epoca a Monsegur secondo è de-- posto per. l’una e l’ altra cosa nelle memorie di Sully. Di oltre a cent'anni più addietro risale colle Salciccie nel quin- dicesimo canto della sua Puldella il signor Di-Fernay mostrandolée usate dagli inglesi nel famoso assedio d’ Orleans. Per altro la storia ( Dictionnaire des sièges et batailles) non ci narra che di ana mina ‘onde il Salisbury ributtato dall’ assalto della Bastita piantata innan- zi al luogo detto les Tourelles, volea rovinarla, ma nemmeno a questa fu dato fuoco perchè essendosene accorti i difensori , incendiata essi la Bastita , si ritirarono. Il poeta a sè concedendo quello che non avrebbe potuto lo storico, ci narrò delle Salciccie in bella descrizione, presa in prima burlescamente, la quale noi abbiamo voluta fare ita- liana nei versi seguenti : Cheti alle solie venner d’una, porta Con due salciccie, ma non eran mica Di sanguinacci, nè quai per novello Intirigolo apprestavane Bonaldo. Eran quindi salciccie tutte pregne Della rea polver che avvampando in orbe Si allarga e gonfia, e tutto rompe e .mesce Con terribil fragore e il Cielo ingombra , Ingegni orrendi, omicidi infernali Per man formati di Lucifer crudo. Con una miccia. ad arte collocata Accesa ratto la materia innalzasi Forte soffiando e a mille passi volano I Assi, cardini, imposte e ferri infranti; Ben riferisce l’autore al Petardo quelle chiocciole che si metteva- no tra la porta e il ponte levatoio, allorchè lasciavano uno spazio tra loro ; e quanto ai petardi galleggianti del Morgery, ed ai sotterranei di Contèle riservasi di trattarne altrove. Certo egli è desiderabile che non debba mancare alla sua promessa, perchè queglino sono subbiet- ti al certo di grandissima curiosità e degni di un valente quanto egli è. Ora noi lo seguiremo nella sua memoria intorno le Colubrine. Stabilisce egli da prima colla scorta del cronichista Monstrelet, che armi dital nome cominciarono ad essere usate in Fraricia,e ciò nel prin- cipio del quindicesimo secolo, e ve n’ erano delle più grosse trainate sopra carri ed altre leggeri da mano. In Italia non essersene fattarmen- zione prima del 1447, e non divenute genere proprio di artiglieria che dopo la passata di Carlo VIII: Narrando il Giovio nella descrizione che sit cine 109 fa dell’ entrata di lui in Roma dopo è cannoni erano le' colubrine' più lunghe la metà, ma di più sottile canna e di minor palla; se-. guivano i Falconetti ec. , nota la distinzione che di tal genere di ar- tiglieria faceva il Biringuccio in colubrine e mezze colubrinesecondo portavano trenta libbre di palla o quindici , ed assegnavane le di- mensioni rispettive. Per altro essersi fatti anche a’ tempi di quello colubrine di misure straorilinarie ed una dal medesimo Biringuccio per la difesa di Firenze quando assediavasi dagl’ Imperiali del 1529, la quale, dice il Yarchi, pesò dieci miliaia di libbre. Nè di colubrine maggiori di quelle determinate dal Biringuccio nella sua pirotecnia mancare esempi fino a che l’° Uffano ridussele nel:1613 a dieci specie che formavano il primo genere delle artiglierie. La maggiore dicevasi colubrina doppia,la quale era o dragone o bisilisco!o dragon volante, e d’ognuna di queste si aveva la legittima, la bastarda, la straordi- naria che poi secondo le boccature di lunghezza diveniva o comune, o rinforzata o sottile , per lo che si potevano dare nove diverse. cò - lubrine della prima specie. E non essere stata ferma la distinzione del- 1’ Uffano sondocchè diversi autori venuti dopo ne davano di altre; onde potersi dire senza difficoltà che tali artiglierie non ebbero mai nè forma nè calibro determinato che dalla volontà de’ gittatori'o' di coloro le ordinavano , e ciò pure ‘in Francia per testimonianza dei Boillot, Preissac, Hauzelet, Vigènère, Malthus, Gaja, Gautier, non ostante il regolamento del re Carlo IX dato di Bloy del'1572, che restringeva a sei calibri dell’artiglieria, cioè cannone; colubrina ,'co- lubrina bastarda , mezza colubrina , falcone, qulconao. ‘Ricorda il nostro autore come’da’ tempi più antichi sì facessero artiglierie di sterminata lunghezza. Quella ché si accenna!dal Frois- ‘sart piantata sotto Odenarda del 1382 di cinquanta piedi lunga; le trovate sotto Belgrado di venti palmi; l’altre de”tarchi contro la città di Rodi, alcune delle quali di 22 palmi e traevano pietre di un- dici palmi in giro. Ciò non onostante giova l’ osservare che queste ultime non si potevano giudicare colabrine se non ‘erano lunghe che sei diametri di palla, e forse riguardo ‘al suo calibro non era co- labrina ' artiglieria mentovata di Frvissart, perchè pur esso il cava- liere Venturi (Origine e primi ‘progressi delle ‘odierne’ artiglierie pag. 32. ) è d’opinione‘che non fossero tutti del pezzo i cinquanta piedi assegnatisi, ma in essi venisse compresa anche la'cassa ; cioè a ‘ dire che tanto occapava di spazio essendo incavallato, > too Venendo ad epoche più basse, ove in.molta voga si accrebbbero “le vere colubrine, sicchè «gue contendeva d’ averne di maggiori, s rassegna il nostro‘autore le più celebrate nelle storie, e primamente ‘ quella del r5ro sotto Legnago chiamata il'Gran Diavolo ; poi le co- 210 | labrine di Luigi XII sotto Vinegia a Fusinejcon che pretendeva Bran= thome che quel monarca avesse voluto:darsi il vanto d’ averla trava- gliata (cosa inspossibile, a riuscire ) e l'altre nell’ arsenale di Parigi al tempo di Francesco primo, e le ugonotte nella Rocella il 1572; poi finalmente quella .di Nanci che per gli sperimenti fattivi sopra fuma» teria a tanti ragionamenti, sebbene altre ne fossero di essa ben anche. più lunghe le quali nomina medesimamente. E nel proposito gli cade in acconcio di contradire con ogni ragione al Generale Gassendi, il quale ha dato nome di Colabrina a quel pezzo che i francesi trova rono in ÉErhenbrenstein, e nominavasi il Griffone ; mentre non avendo di lunghezza che diciotto calibri, meno de’ cannoni d'allora, ed essendo incameràto, che è tatto al contrario delle colabrine;;,mo+ stravasi apertamente cannone bastardo. È qui entrando a ragionar delle colubrine come il primo de’ tre generi in che partivasi 1’ arti, glieria del XVIe XVII secolo, dice che lecolabrine, siccome più lun. ghe, usavano maggior carica de’ cannoni di ugual calibro, e facevansi per avere passate maggiori, perciocchè non giudicando gli antichi da saggi che erano, nè istantanea, nè quasi istantanea l’ accensione di una massa di polvere; davasi tempo mercè la canna più lunga ad'ac- cendersene carica. maggiore, e per lo più d’ aggregazione successiva degl’ interementi di forza ne veniva un totale , dirò così , più grande d’impulsione al proiettile. Per la qual cosa ben avvisa il torto di qualche ;moderno ad aver per ridicole quelle sì lunghe colubrine!, non volendo considerare alla qualità della polvere d’allora della qua- le voleaci maggior quantità e con più tempo ad ottenere la forza de- siderata, onde per dar luogo all’accendimento di tal quantità chiede- vasi una! proporzionata lunghezza di canna. Aversi errato piuttosto quando assegnavasi a ciascun, genere inalterabilmente il caricamento di polvere ad un tanto del peso delle palle rispettive; sì che per ri- guardo alle colubrine che erano il primo genere, se aveasi nel'e co- muni il maggior effetto col mettervi di polvere i quattro quinti del peso della palla, non poteva essere così riguardo alle straordinarie od alle bastarde per difetto nell’ une e per eccesso nell’ altre, dal che farsi manifesto come sterminate. Colubrine con carica di tale ordina- ria proporzione avessero minore passata di altre di ugual calibro, ma non tanto lunghe. Che se le colubrine di Genova, di Anversa , di Nan- . ci fossero state con bastevole rinforzo di metallo onde sopportare la carica conveniente, non sarebbe avvenuto traessero più lontano rac- corciate che no, come negli esperimenti si vide , facendone prova le colubrine rinforzate del Savorgnano ch'egli ebbe giudizio di fare per modo da caricarle con norma loro giustamente appropriata. E perchè era grave al nostro autore credere a tanta ignoranza che ove Il | | | ll III pur si fosse conosciuto le sì lunghe colubrine essere da meno delle non tanto lunghe; si volesse ciò non per tanto durare come si fece as- sai tempo ancora a'gettarne, fugli avviso che quelle lunghissime co- lubrine avessero da tornare e buone ed utili perchè adoperate con ca- riche a dovere, cioè a dire (attesa la/polvere fiacca anzi che no per la non buona o qualità o raffinazione o mistione degl’ingredienti } in grande abbondanza ; sì che volendoci assai tempo all’ accendimento ; che faceasi anche tardo, causa la formazione medesima della polvere o .in polverino o in pezzi irregolari ‘o granita stragrossa , richiedeva onde brugiar tutta una tanta lunghezza di canna ; fermo il principio entro i limiti consentiti, che nell’accensione mancasse di spazio, nè lo spazio fosse troppo all’ accensione. E ad ottenere che cessasse la val rietà che doveva ne’ varii luoghi mecessariamente venire alle misure delle artiglierie dalle diverse polveri , avere bisognato di recare. la fab- bricazione loro astabilità, e conoscerne la vera efficacia meglio che col- l'ispezione o col tatto o.col brugiarne, per via di stromenti certi, nella qual cosa indica come primo il Firruffino che inventò un ordingo a ruota e molla da provare la polvere. Osserva essersi avute due sortedi polvere , benchè talora si volesse far uso della più fina anche per le artiglierie , sì fattamente che se un pezzo'il quale era stato fatto per adoperarvi la polvere di qualità inferiore si caricava colla fina, se ne dimiouiva la carica con questa ragione che si venisse colla polvere fi- na in egual quantità di ritro che quella sarebbe entrata nella carica della polvere ordinaria , ripetendosi :dal'nitro la forza, Sempre esser- si avuto riguardo nellè cariche ed alla qualità della polvere ed alla spessezza del metallo, ond’èche migliorandosi quella ed essendo anco- ra le vecchie artiglierie si dovette manomettere il principio che l’in- cendio durasse tanto che la palla era nel pezzo; finoa che al tempo di Carlo V. nelle nuove costruzioni si vennero ad accorciare le spropor- zionate lunghezze, riguardandosi del resto come inutile, ‘il trarre a smisurate distanze , ove nè bene si può mirare nè mancano di farsi maggiori le deviazioni de’proiettili. Gli oggetti essendo negli usi della guerra determinati, a questi senza più tiene il nostro autore che si debba servire costruendo ciascuna artiglieria, e data ragione del no- me colubrina tradotto dal Coulevrine de’francesi, i quali pure alle artiglierie per terribilità vollero dar noini di animali spaventosi; ed infesti, finisce la sua memoria , e se noi nel sunto datone non siamo stati sufficienti a dimostrarne l’ eccellenza; ci confidiamo almeno di avere bastato a muoverne in chi non l’ha veduta nel suo originale un ragionevole desiderio. Ora ci rimane da ‘compiere al nostro assunto ragguagliando dell’ altra memoria del Cavaliere Qimodei sulle. Spingarde. 112: Risalendo egli all’ epoche prime che ‘di spingarde è mentovato;: le trova all’ entrare del quattordicesimo secolo, e col nome anche di Springarde ; ma della forma loro e grandezza ; tanto che non furono” armi da fuoco , non può'statuire cosa veruna ; e meraviglia a ragione come il Delachenay nel suo dizionario militare dica unicamente sen- z’ altre prove che fosse una specie di fionda. Macchina litobola appa- risce certamente alcuna volta, ma talora anche da gettar dardi; e gettindo pietre aver fino la potenza di catapulta. E indotto a crede- re il nostro .autore venisse dato nome di Spingarde a qualche arma da fuoco:volgente ancora il medesimo secolo decimoquarto, perciocchè il Froissart fa ricordanza di spingarde insieme ai cannoni ed alle bombarde, e più: particolarmente dicendo che gl’ inglesi all’ assedio della. Roche-sur-Yon:aveano Cannoni e Spingarde che da lungo tempo erano usi di seco condurre ; ma pare a noi che ciò mal si possa tenere|peravverato, posciacchè le macchine antiche durarono in gran parte. con quelle animate dal fuoco; finanche nel secolo decimoquinto come:ha notato il Venturi nella.già citata sua Memoria sull’ origine e primi progressi delle odierne artiglierie, E che fosse piuttosto spin- garda che bombarda l’arme onde rimase ferito l’anno s4or, quel Capitano alle porte.di S. Giovanni in Persiceto , secondo che narralo pure il.Venturi a;pagine 32; è molto incerto per le parole medesime addotte dei Muratori. Questo, solo può aversi per indubitato che fa- ronvi. delle spingarde, armi da fuoco, nel quindicesimo secolo, aven- dosene testimonianza come:nota il medesimo Venturi, dal Cornazza- no; ma non si possono giudicar comuni come fa il Cavaliere Omodei «al,principio di esso secolo, perchè il Gattaro scrivesse che i Padovani nel 1404 .tirarono molte Spingarde e Verettoni saldi da edifizio; e notasse:un’autore sincrono che un lojanese ammo/d una Spingarda e ammaztò il cavallo sotto a messer:Carlo , nulla venendo espresso a. togliere che non fossero ancora le vecchie macchine; e quanto all’ ultima citazione non eyvi anzi dubbio veruno in contrario, per- chè l’ ammolare non può. riferirsi che ad. ordigno.il quale si di- stenda come.arco o. balestra., e; sì veramente.la Crusca al paragrafo quinto di.questa voce la spiega ..allentar, del canapo col quale si » tirano, su i pesi o.altro;checchè sia, in. latino funem remittere la- xare ;;+ Così vanno fallite. di, autorità altre citazioni che il Cavaliere Omodei aggiunge al proposito medesimo prese dal Sanuto, dal Corio e dal Poggio. La prima che adduce buona a giustificare le Spingarde in arme da fuoco è quella tolta all’ autore de’ giornali napoletani e si riporta all’ anno 1438, che fu un Iacopo Caldora il quale cava/cò a Scaffati e con l° aiuto delle ciurme delle Galere e Spingardieri la prese e la ridusse alla fede del re Renato che fu quelloche portò l’uso 113 delle spingarde e condusse seco 60 Spingardieri de’ quali solo due sapevano fare la polvere. seguita quindi cou altri esempi fino a che viene al fatto della Ricardiana ove Messer Ercole fratello al Duca di Ferrara venne ferito di Spingarda secondo lo Straso/do e di schio- petto, secondo il Diario Ferrarese ed il Sanuto, argomentando egli però fosse di spingarda , perchè lo schiopetto essendo arme già fatta comune , non sarebbesi esso Messer Ercole richiamato come fece , al dire del Giovio , a Bartolommeo Coglione quasi di ferita e di barba- rie , perciocchè avesse cercato di far ammazzare con inusitata cd orribil tempesta di palle i valenti huomini, i quali combaitevano con spada e lancia per la virtù e per la gloria. Ma se gli schiopetti erano già frequenti quali di verità erano, come poteva neanche il Giovio ( noi chiederemo al Cavaliere Omodei) far dire a Messer Er- cole così esclusivamente che i valenti uomini adoperassero spada e lancia per la virtù e per la gloria? Ciò non fa certamente che un_ ghiribizzo di quello storico, il quale volle riprodurre in bocca di Mes- scr Ercole il concetto di quella stanza dell’ Ariosto — Cometrovasti o scelierata e brutta — Invenziòon mai loco in uman core — Per te la militar gloria è distrutta — Per te il mestier dell’armi è senza onore — Per te il valore e la virtù ridutta — Che spesso par del buono il rio migliore — Non più la gagliardia non più l’ ardire-= Per te può in campo al paragon venire. Ma se tale argomentazione imprecatoria era di convenienza all'Ariosto, fingendosi egli la prima novità del trarre contro gli uomini con macchina, quale |’ arcobugio ove adoperavasi con tanta terribilità il fuoco, non lo poteva essere a quel inessere a cui questa terribilità facevasi già per l’uso degli schio- petti e convsciuta ed antica. Che ie spingarde non siano mai state al novero delle grosse ar- tiglierie, benchè tali appaiono talora secondo alcuni scrittori, preten- delo il Cavaliere Omodei colla scorta di altri che furono migliori nell'arte, quale per esempio il Cornazzano da cui sono chiamati fra- telli lo schiopetto e la spingarda, e il Magno Trivalzio che lagnandosi al Duca di Milano diceva lo majore peso di Artilleria non passa 18 once { s' intende del proiettilo ) e sono Spingarde quali erano porta- te perelpassare inmodo checon esse non si saria potuto tore impresa pur di uno merlo, che se sa assai che hora omni bicoca vole altroche Spingarde. Allega pur l’autorità del Biringuccio presa forse da quel i luogo dal libro V. Cap. 3°. «“ Già quelli grandi e spaventosi strumenti che usavan gli anti- »» chi gli chiamavan Bombarde, li minori ma molto più lunghi Ba- » silischi , gli altri Passavolanti, li più minori Spingarde e Cere- » botane e ancora li più minori Arcobugi e Schiopetti ,,. Ma più T. XXIII. Luglio, d 114 avanti nel Capitolo stesso si trova: “ In luogo delle Spingarde e ,» Carabotane e Cacciacornacchie e simili, si fanno Sagri, Falconi », e Falconetti che tatti tirano ferro. Il Sagro tira libbre dodici e ,» da molti è chiamato guarto Cannone ,, donde inferendosi che la Spingarda sia stata pur qualche volta del genere de’cannoni , non si può consentire nella conchiusione dell’ autore, che divenute le spin- garde arme da fuoco traevano solamente palle {di pietra o piombo non importa ) del peso di oncie 18. Ben essersi collocate sopra di un cavalletto o carretto o qualunque altro ordigno per potersene servire, e di tali armi ora non restare che la memoria, se non è che in qualche luogo così si chiamino gli archibugi da posta , che noi con denomina- zione più comune diremo Fucili da Ramparo. Di Spingardelle che dovevano essere secondo il diminutivo della voce Spingarde minori, - non volendone il Cavaliere Omodei di maggiori , non ha fatta parola, e per quello riguarda l’ etimologia è rimaso dubbioso perchè vi è chi la deriva dall’ antico verbo spingare, e chi dal tedesco springen saltar fuori con impeto, o Spritz Sparviere. A noi per altro è d’avviso che siccome anticamente si trova springa/la e il francese ha espringarde e espringalle (questa è denominazione checchè dicane il Dolachenay in contrario al dizionario dell’ accademia, che davasi ad una specie di fionda prima dell’uso dell’ armi da fuoco , e veggasi il dizionario di Catinau ) si possa senza difficoltà derivare dallo springen de’tedeschi, e del rimanente non è cosa che meriti la sentenza proferta dal cava- liere Omodei già troppo grave al subietto a che la pose l’istesso Vir- gilio : IVon nostrum inter vos tantas componere lites. Se non che troppo in quest’ ultima memoria dell’antico nostro collega ci è convenuto contradire; ma se manco ( e non saprebbe dis- simularsi ) egli ha posto in essa di accuratezza e di studio , avvisati È però come siamo a buone prove quanto siane capace volendo, non pos- siamo non desiderare da lui nel soggetto dell’ armi un’ opera di pro- posito, la quale canducendo la storia di questa per tutta la serie dei tempi e parallelamente la trattazione degli ordini ne’ quali furono le diverse armi adoperate, costituisse nel suo complesso una storia compiuta della tattica che ancora non abbiamo. Il Maggiore BARONE FERRARI di Piacenea. To I 115 Sul necessario mutamento della letteratura italiana nel se- colo nostro. Discorso filosofico del professore BALDASSARE PoLr. Milano 1826. Si disputa in Italia, se, spenti gli dei, possa vivere la poesia; si disputa se un’ azione tragica possa oltre allo ‘spazio di ventiquattro ore serbare la sua unità : si colloca insomma l’unità dell’azione nel tempo, e 1’ essenza della \poesia nel falso : ecco tutto il sistema. La colpa de’ romantici è di non avere abbastanza espli- cate le loro idee: ciò diè luogo alle false accuse de’passio- nati, al sospetto de’ timidi. Il difetto è in parte adem- piuto da questo libriccino del Poli, che con vigore di ra- gionamento e tranquillità di discorso pruova necessario nelle italiane lettere un mutamento : che mostra ( cosa notissima , ma ostinatamente dissimulata ) la letteratura classica essere necessariamente venuta secondo il variare degli usi e delle età variando ; che afferma, la sensibilità, la ragione, Vima- ginazione, elementi della letteratura, secondo i varii gradi del loro esercizio dover quella immutare .; che ciò compruo- va dalle grandi variazioni avvenute in tutto ciò che alle operazioni dello spirito è strettamente congiunto , dico l’ educazione , i costumi , il governo, la religione , la ci- viltà nazionale. Havvi qualche sentenza bisognevole ancora d’esplicazione : e sarà questo il subbietto del nostro breve discorso. i I. € Se v'ha una serie di oggetti che dall’universale de- »» gli uomini tengonsi in conto di belli, se questi forma- 3» no una specie di bello, che il loro concorde giudizio sti- 3, ma assoluto inalterabile ed uguale: con questo bello as- ,, soluto però , sopra la di cui esistenza e denominazione »» sarebbe qui inutile qualsivoglia controversia, necesseria= 3, mente si congiunge un’altra specie di bello, relativo va- s, riabile e di moda, prodotto da principii propri e partico- s» lari, ovvero anche dalle anomalie che offre il bello &s= »» soluto nelle sue relazioni accidentali , specialmente col »» bello dell’arte. Ed è a questo bello, cui tende, anche 116 senza volerlo, la letteratura, siccome tutte le arti, senza di che ella mancherebbe al proprio fine. Come non è mutabile e vario questo bello relativo, quando tutte le circostanze influiscono sopra le sue qualità e le sue per- fezioni? Corra pure Ia letteratura alle fonti del bello as- soluto; ma questo bello è languido , è indifferente, ove ai tempi ed ai costumi non sia conforme; misurandosi perciò solo il di lei merito dal maggior diletto che at- tiene dal suo bello, temperato al gusto, alla sensibili- tà, e alle idee de'tempi in cui viene prodotto (p. 22, 23.),,: Parmi chè questa distinzione di bello assoluto e re- lativo potrebbe evitarsi, ponendo del bello , non oso dire una definizione, ma un principio generalissimo, di cui sia a’ ben veggenti irrecusabile la verità. Dicasi adunque che il bello è l’ unione di più veri, abbracciati dall’ anima in un solo concetto (1). E perchè questa unità di veduta non può essere veramente integra cioè semplice, che nel sentimen- to , criterio dell’unità; quinci appare, come nel sentimento sia il tribunale del bello. Questa idea, al parer nostro com- prende le principali definizioni sinora poste del hello. L'unio- ne di più veri abbracciati dall’anima in un solo concetto, ne- cessariamente richiede l’ uno nel vario ; richiede la pro- porzione , richiede la facile percezion de’ rapporti. Codesta unione di veri, quanto più vasta sarà, tanto più farà for- za nel sentimento , cioè farà tanto più esercitare l’ inten- sione e sentir l’efficacia di quello spirito d’unità ch’ è nell’ uomo : questo esercizio accresciuto dalla grandezza , accresce il diletto: ecco perchè nel diletto e nella grandezza taluni riposero l’essenza del bello. Dalle premesse idee chia- ramente consegue come il sublime sia il bello sommo, per- chè raggiunge la somma unità del concetto con la somma fecondità del pensiero; come una bellezza meramente fisi- ca, non ci sia, giacchè , se non altro, il sentimento del- 1’ unità, ch’ è essenziale al bello, è cosa morale; come il sentimento del bello sia prova della spiritualità più evi- » » (1) Qualche giornalista dimanderà senza dubbio quale unione di vori nel bello fisico; p. e. nel volto d'una bella donna? L'obbiezione: sarebbe ingegnosa» 117 dente che non la cognizione del.vero.; come le scienze sieno per ciò men possenti delle arti, che m quelle il vero si pre- senta per ordine di progressione, in queste per modo quasi intuitivo : per ultimo, come lo scoprimento di nuove ve- rità realmente aggiunga valore intrinseco alla bellezza (2). Sarebbe forse cosa non inutile dimostrare ampiamente la somma fecondità di cotesto principio, e le pratiche con- seguenze importanti che ne derivano : ma non avendo noi a ciò ne facondia, nè tempo sufficienti, farem solo d’appli- carlo alla distinzione toccata dall’ottimo professore. Secon- do le accennate cose, il bello non ha in sè d’assoluto, che il sommo principio dell’ unità; il qual dimostra la simi- glianza dell’uomo con Dio, e ci fa in ogni specie di bel- lezza sentire Dio stesso. Tranne questo principio dell’uni- tà, tutto il resto è relativo, in ciò che dipende dai veri che l’uomo conosce: può quindi esserci un bello falso, perchè non fondato sulla verità ; può esserci un diletto distinto dal bello, quando io credo trovare il principio dell’ unità, lad- dove egli non è (3); può esserci un bello sommamente più grande d’un altro, quando più grandi veri compreade, e fra sè più congiunti; sì che l’anima possa ad un tratto, nel suo sentire , direi quasi, assorbirli. Ripetiamolo , poichè è necessario : il solo senso della unità è assoluto nel bello: ma i veri che sotto quella unità si comprendono sono relativi alla mente dell’uomo, alle cir- costanze del luogo e del-:tempo. Così ciò ch’ è bello ad un uomo, ad altro è indifferente, per non sentire egli in quella serie d’idee il centro dell’armonia; ad altro forse è anche brutto, per lo scoprire che in quella serie egli fa disso- nanza e divisione, onde venne il vocabolo difformità, pro- propriamente applicato all’essenza del bello. Così ciò ch’era (2) ‘“ Questa brama uviversale del vero ha congiunte in vincolo d’amistà le scienze colle lettere in modo che non vi è quisi più gloria in queste senza lo splendore di quelle ,,. Poli. Disc. p. 36. (3) Così si risponde alle parole del Poli p. 119: Quante volte non inter- viene che le letterarie produzioni, nell’uuità e nella varietà perfettissime, non por- gano idea di bellezza e di diletto ? Veramente se fossero prcttagne la por- gerebbero .;, 118 bello una volta, ora è il contrario, perchè nelle idee avute un tempo per vere, ora si è discoperta falsità ; altre idee si son troppo divise, perciò lontanate, ond’è quasi impos- sibile ricongiungerle in un solo concetto ; altre all’ ultimo ne nacquero direttamente opposte alle antiche. Così col vol= gere delle età può aggrandirsi indefinitamente’ il senso del bello , allorchè dall’un lato si aggrandiscano le cognizioni, e dall’altro le si vengano a semplificare e ridurre in quella unità , alla qual sola tende lo sforzo di questa che dicesi perfettibilità individuale e comune, Conchiudendo diremo , che il bello, considerato come sentimento, è assoluto sempre ; considerato ne’ mezzi che questo sentimento producono è variabilissimo e relativo. Se ciò non fosse, non potrebbe avvenire che tanti oggetti non belli producessero sull’ uomo l’effetto del bello. 1I. Così crediamo esplicata l’espressione del bello relativo e di moda, che potrebb’essere facilmente frantesa. Ammet- tendo però, che i mezzi d’eccitare negli animi il sentimento del bello sieno variabili, non ammettiamo che tutte ‘“ le sì dottrine letterarie , sostituendo una scienza speculativa, », formata sull’ esperienza e sull’osservazione, non possono », che riuscire varie e mutabili col tratto deltempo, e delle s» Opinioni,, (pag. 24). E di vero il sig. Poli questo non dice di tutte dottrine. Nella poetica d’ Aristotele ci ha princi- pii d’eterna verità, perchè risguardano piuttosto l’unità del bello, che il metodo d’ottenerla : il male della pedanteria giace tutto nella impropria e, direi quasi, sacrilega appli- cazion di que’dogmi, ovvero nella interpretazione bugiarda, siccome avvenne nella questione delle unità tragiche ; la cui legge vuolsi trovare nello Stagirita ; e non c’è. Le dottrine letterarie bisogna dunque spartirle in due classi; quelle che il tempo non ha per anco mutate, e che ri- cevono loro comprovazione dal fortunato esempio de’ vecchi : e quelle che tanto utile sarebbe a revocare, quanto a ripren- dere in questa città e in questo secolo l’ uso del pallio gre» co e della toga romana. Che lo spirito umano in tutte le cose perfettibile s'arre- sti a quelle sole del genio e dell’ imaginazione, io non credo: 119 e-pel principio sopra accennato del bello tengo anzi, che la profondità, la grandezza, la sublimità delle opere della ima- ginazione, col crescere delle idee possan crescere anch’ elle. Ma quello di che molto dubiterei si è che questa nuova mole di cose si sappia con tale gagliardia d’ ingegno ridurre in sè È medesima unita e compatta , che ne riesca quel sentimento dell’ unità, senza cui non è bello, Il bravo Poli ha un bel dire in encomio del secol nostro. ‘ Quanta esperienza nel cu- ‘mulo delle osservazioni, quanta sensibilità in mezzo ad infi- nite cognizioni? ,,( pag. 36). La cosa è vera in alcuno; ma non è che desiderabile in molti. Le nostre cognizioni, piut- tosto che darci sensibilità, ce la sperdono; piuttosto che ap- profondire il sentimento, lo svagano : ed ecco perchè i clas- sicisti hanno il tempo frattanto di gridare , che 1’ unico bello è 1’ antico. Non basta dire che il bello moderno potrebb'’ es- sere più profondo , e additarne alcun raro esempio: convie- ‘ne con la forza de’fatti comprimere l’accanito grido di que’che alla luce dell’ astratte verità non s’ acchetano. E lo si farà, spero. Nè quella preziosa semplicità ch’è la fonte del bello antico, questa ch’ è la ministra dell’unità , la ‘compagna della vera grandezza, sarà cosa di difficile assegui- ‘mento ad anime italiane. Tra le cagioni del mutamento alle nostre lettere necessario, l’ egregio Poli pone anche il clima ; l che pur dovrebbe essere cagion del contrario: ma per fare ac- corto illettore del suo secreto intendimento. soggiunge: ‘‘ Le (3, inspirazioni del bello e dell’ invenzione, risvegliandosi non 3, tanto per la forza dell’imaginazione, quanto per le esterne »» impressioni degli oggetti che operano sovra di essa, non »» possono a meno di non consuonare con queste impressio- °3» ni e con questi oggetti medesimi. È per questo che i gre- », ci nell’ ideale dell’umana bellezza riuscirono eccellentis= 3 simi, essendo circondati dai suoi tipi più regolari e per- ,» fetti,,, — Lasciamo al genio italiano il provare che queste brevi parole racchiudono un vaticinio sublime. Io mon so se “ in Italia si parli di Schillere di Byron, come di Virgilio so e del Dante ,, (pag. 40): so che la poesia, di Byrone di Schiller non sarà un giorno dagli italiani invidiata. II. Di quanto debba secondarsi il mutamento dell’ italiana 120 letteratura, è il subbietto della parte seconda: ove sono mol- te quistioni ben poste, molti dubbi schiarati, molte obbie- zioni disciolte, e l’arsomento considerato nella sua vastità, non nel misero cerchio dell’ unità tragiche e della mitologia. ‘* La letteratura , dice il ch. autore, è un’arte che in- », venta e che esprime ,,. Ma perchè dubbio non sorga sulla voce invenzione , soggiunge indi a poco (pag. 46). “ La natura dal reale al possibile è il campo vastissimo alla lette- raria invenzione ,,. E più sotto (p 48): € l’invenzione let- ,) teraria deve per necessità attenersi al vero anzi che al » falso, all’obbiettivo anzi che all’ideale, al reale piuttosto », che al possibile ,,. Tutta , a propriamente dire, tutta la letteratura non è che espressione. Ciò che invenzione si chiama, consiste in una scelta d’ idee. Lo che spiegasi dal nostro Poli con que- sta sentenza che sola basterebbe ad onorare il suo libro. ‘‘< Anche nel possibile vi è un vero che piace, che illude »» al pari del reale, e ch’è il rio di quello che si vede 3» e sì tocca co’ sensi. Quando l’invenzione sappia raggiun- »» gere questo vero ideale , ella è tuttavia ne’ limiti deila ra- »» gione e della verisimiglianza.,, nè può esserle imputato a »» difetto il distendersi in questi confini. Dal che deducesi 3, che l'invenzione ristretta , siccome e’ deve essere per noi, ,» al vero reale e possibile, ha un campo larghissimo più di” », quello che possa immaginarsi (p. 52) ,». E più chiaro ancora: parlando del romanzo istorico:"‘ Io > non intendo per altro d’ escludere con ciò tutta quella par- 3» te d’ invenzione in cui vi fosse la verità ideale; e che in- ,, vece di contrastare all’ istoria non facesse che chiarirla », ed illustrarla ,,, Onde, applicando questo principio alla mitologia, con senno veramente filosofico così ragiona (p. 73). ‘‘* L’illusione della poesia non istà nel falsare il vero ma ,, nell’arte di saperlo ritrarre ed imitare. Ora quanto. non », è diversa l’illusione dall’ errore/ L’ illusione è tutta nelle », imagini del vero, l’ errore nell’ aperta falsità. Quindi la », mitologia , siceome quella che ora produce l’ errore e ,, non l'illusione, è opposta alla natura e al fine della »s poesia, e intanto dagli antichi venne adoperata in quan- 12I ,» to era il simbolo di una natura che loro apparve vera ss e reale ,,. E acciocchè si conosca la somma importanza di questa dottrina da nessun altro, ch'io sappia, de’ romantici sinora esplicata, e che sola dà base alle verità ch’ ei difendono, re- cheremo ancora altro bel passo del nostro A. (p. 111.). “ Per ss la qualcosa nel nuovo sistema non si toglie all’ invenzione 3» che la parte lussureggiante e viziosa, la quale ponevasi in 33 troppo contrasto col vero e colla natura. Parimente, il bello »» ideale, non viene neppur esso a distruggersi, ma solo su via » più giusta indirizzato e condotto ,,. Onde viene a conchiu- dere ( p. 124.): ‘ la letteratura nostra moderna fon è più un’arte nulla e menzognera; le sue invenzioni, le sue imagini, i suoi pensieri, i suoi sentimenti invece d’ ingannare, dipin- gono la natura e gli oggetti circostanti siccome si veggo- no nei recessi del più profondo sapere: quindi mentre gli uomini ne traggono gusto e sollievo, hanno l’utile inten- to di contemplare il vero anche nella voluttà della fantasia e del sentimento. Inoltre, la letteratura nostra intemerata e pura nei costumi, quanto è dignitosa nella scienza, lungi dall’ammollir l’ animo colle frivolissime passioni , inspira magnanimi e generosi sentimenti, non applaude inverecon- da adulatrice ai vizi e alla corruzione ; parla il franco lin- guaggio del vero, ed esaltando il merito in tutte le con- dizioni della vita, e raccomandando la fama degli onesti alla posterità, si fa compagna della morale e maestra alle future generazioni ,,. Parrebbe che a queste verità, degne d’ una mente ita- liana, si oppongono in parte le parole (pag. 117) “ la natura 3» scelta non esiste: ella è tutta fantastica e immaginaria, non 3» veggendosi che la mista nella unione di perfezioni e d’im- »» perfezioni; il perchè , volendo imitarla, è forza dipingerla »» qual si trova realmente, e non quale la nostra fantasia può s» concepirla ,,. Ma il Poli stesso modifica la sua sentenza, aggiungendo: ‘ il sommo diletto, e il sommo bello stanno » nell’arte di cogliere nel miglior punto di vista le qualità », vere e reali, al segno di crearne la più perfetta illusio- \ 122 . 5» Ne ;3: Questo sarebbe un dipingere la natura scelta, senza punto alterarla. . IV. Ma rivenendo alla parte seconda, da cui, per seguire l’or- dine delle idee, ci scostammo , dopo avere parlato dell’in- venzione, parla l’A. della espression letteraria: e qui della lingua. Ove cita.il Perticari , del quale l'autorità in un di- scorso filosofico si potea bene omettere; e dice, “ ch’è tempo di cessare dalle meschine controversie in fatto di lingua, le | quali facciano ridere gli oltramontani ,,. E ben dice dover- si cessare dalle controversie meschize ; ma chi volesse mo- strare la meschinità di certe opinioni, adottate da’ molti , entrerebl# egli in una controversia meschina? Certo la que- stione che il Poli in fatto di lingua propone, è degna di lui: (p. 55). “ E poichè mi cade qui in taglio l’arsomento della lin- gua unica e comune, è possibile o no il distenderla a tutte le provincie d’ Italia, sicchè non vi sia più distinzione tra lingua parlata e scritta, tra lingua illustre e cortigiana , e dialetto? Ai tempi di Bettinelli i dotti si contentarono di veder sostituita la lingua volgare alla latina, Il cav. Monti, nella varietà de’ dialetti pare che pensi dover essere lingua comune la scritta e non la parlata. Altri, per non veder contaminate le bellezze della nostra favella nella bocca del volgo, rion vogliono quest’ unità della lingua. Ma il maggior bene che po- tesse prestare la filosofia non sarebbe quello di unire le due lingue parlata e scritta? Come potrebbesi in ciò riuscire? Se i dialetti d'ltalia hanno un impasto e un fondo comune, per- chè gli scrittori non dovrebbero preferire i modi e î vocaboli anche volgari? In caso di divario tra la lingua scritta e la parlata, a quale dovrebbesi dare la prevalenza onde effettuar quest unione? Con quali mezzi anche il governo e l’ educazio- ne potrebbero concorrervi? Questi pensieri io li pongo innan- zi, onde la filologia abbia uno scopo degno'del secolo nostro yy. E questo argomento sarà forse tra poco da un grande inge- gno italiano trattato ampiamente. V. Parlando, come a filosofo s’ addice, di tutta in genere la letteratura, l’antore discorre la parte prosastica: cioè l’isto- ria, l’eloquenza, il romanzo. Di questo dice: (p. 61.) L’ uni- 123 s 0 genere prosastico che ne ritbonca, e bello e dilettevole, », quanto importante per l’invenzione e per l’espressione della s» letteratura , si è quello delle novelle e de’ romanzi,,. Qui molto avrebbesi a dire sui vari generi d’ eloquenza scritta, che ancora rimangono intatti; sui libri d’educazione che son tutti a formarsi; sulle traduzioni da lingue morte o viventi; sullo stile epistolare; sul dialogo; sulla eloquenza parlata, e so- miglianti : ma queste non eran cose che sì necessariamente tenessero al soggetto del Poli, ch’ egli non potesse a miglior tempo serbarle, e a più pico discorso. Onde insiste sul romanzo, e propostane l’istoria a soggetto, conchiude: ( p. 65.) ‘I romanzi non sarebbero allora più il pascolo della leggerez= za “e della galanteria , la lettura del solo passatempo, o la scuola della corruzione, ma l’onesto trattenimento anche de- gli uomini severi, e ia fedele scorta della inesperta gioven- tù, onde apprenda per tempo il pianto della sventura , ed », associata agl’infortunii della virtù e dell’ innocenza, li sap- 3» pia evitare o coraggiosamente soffrire ,,. Poi viene alla poesia, e ‘crede necessario il mutamen- to anche nel suono del verso: e dice che ‘* noi lo vedemmo ») già mutarsi da Dante al Cesarotti, all’Alfieri , al Parini, e da questi al Monti, ed al Foscolo. Quindi egli, se, fu ora grave ed espressivo, ora grazioso e dolcissimo, ora facile e 3» maestoso, ora rombante e sonoro, ora fluido e leggiadro, 3» presentemente dovrebbe essere culto e ragionato, secondo il », genere che tratta, e secondo l’età nostra poetica ,,. Altri dimanderà che sia mai un verso culto e ragionato: ma chiun- que fa versi, intenderà il sig. Poli discretamente. Combatte co’ noti argomenti la mitologia , e ci appone questa conclusione che io chiamerò filosofica. ‘ Quanti non :3 sono persuasi anche tra i nostri, che la mitologia discon- ;» venga all’età presente. Ma quanti per tenacità d’ opinio- s, ne e per amore di sistema non si fanno a contraddire an- che al proprio sentimento! ,,. VI. Parlato della poesia in generale, passa a varii suoi rami, e della lirica dice: — Che fu sempre meno importante del- l’epica e della drammatica. I voli della lirica, immensi per ‘ la pindarica fantasia, il disordine delle sue passioni , le 23 124 >; sue imagini, e le sue allegorie la mostrano poco adatta ai 3, tempi della ragione e della riflessione: per cui sulla livi- ,; ca aver deggiono la preferenza l’ epica e la drammatica, ,> anche per il fondo di reale e di vero che han queste nel- » l’istoria e nell’ umana natura ,,. Platone non sarebbe dello stesso parere; ed io mi starei con Platone. La lirica pare la più importante infra tutti i generi di poesia; non foss’ altro, perchè a nascer fu prima, fu quasi la coetanea dell’ uomo, Gl’ inni divini, e le lodi della virtù ammettono qualsivo- glia altezza di voli, senza soffrire il disordine delle passio- ni. Havvi un affetto ch’ è figlio della ragione, ch’ è dalla ri- flessione ringagliardito; e se ci ha poesia, ch’ abbia fondo di reale e di vero nell’umana natura, è la lirica. Qui no par- liamo delle esagerazioni de’ folli, nè delle imitazioni de’ par- voli, nè delle affettazioni degli sciocchi: parliamo della. liri- ca vera: di quella ‘ che in bocca a Parini ‘e a Manzoni sce- 33 mò il profluvio delle poesie che ammorbavano fino allo gi schito');: Viene all’epica : e a fondamento della bellezza sua po- ne la verità: nondimeno afferma esser l’ epica assai distinta dalla storia; perchè la storia non ammette quella invenzio- ne, la quale si attiene al vero anche allora quando lo imiti nello stato della sua possibilità. (p. 80) ‘* A queste consi- > derazioni, prosegue, è impossibile che il poema istorico ,, riesca una semplice cronaca 0 lesgenda: per cui debbonsi ,) sbandire assolutamente tutte quelle finzioni, allegorie , 3; macchine ed avvenimenti che si soleano introdurre per ,, renderlo ricco e amplissimo ,,. Io vorrei essere men se- vero. Le finzioni che non alterano l’ essenza del fatto, e che sono nella natura medesima della cosa, io crederei da non vietarsi. Le allegorie se non son pedantesche, pos- sono essere alla poesia grande e vero ornamento. Per macchi- na, se s’ intende l'intervento della divinità di quelle poten- ze di ch’abbiam tradizione e credenza, ove trattisi d’argo- mento sacro, anche la macchina potrebb’ essere necessaria. Quanto poi agli avvenimenti, se parlasi d’un mirabile figlio dell’ignoranza, se di supertizioni e di fole, se di catastrofi fuo- ra del verisimigliante e del credibile , quali troviamo e nel- 125 l’Ariosto e nel Tasso, non è;uomo saggio , che al nostro A. non debba assentire. E così non sarà chi non plauda alla se- guente sentenza: “ La verità del poema deve risplendere so- ,) prattutto ne’ personaggi ossia ne’ suoi caratteri, i quali sa- ,; ranno istorici, 0, in difetto, dedotti dalla natura del cuore »» umano, da quelle circostanze, da que’ tempi, e da que’ co- », stumi,in cui figura la loro istoria. Ecco perchè non esi- », sta neppure la verità ideale nei caratteri di Goffredo, di », Rinaldo, e in molti altri personaggi dell’epica ,,. A provare che l’unità epica può soffrire ciò che ora si dice interesse diviso tra più personaggi, non era forse bi- sogno affermare (p. 83): La facoltà percettiva dell'estetica, s» quantunque riduca tutte le sensazioni all’ unità, pure nella s» Sua comprensione è assai estesa; nè è problema ancora ri- ,» soluto nella scienza della sensibilità, se si raccolga più di- »» letto e piacere nell’intensità, o nella estensione. Molti par ss che si facciano un idea falsa di questo interesse; e che dalla ,, cosa iltrasportino alla persona. Voler rendere interessante ,» un uomo solo, è il medesimo che voler rendere indifferente ;s tutto ciò che non è lui. Questo principio attentamente s» pensato , darebbe sull’interesse ed epico e tragico di non ,, inutili conseguenze ,,. VII. Ed eccoci col N. A. alla drammatica, le cui novelle dottrine sono che scommovoro principalmente lo sdegno dei classicisti, i quali gridano che il vero dramma è quello di Sofocle e d’ Alfieri; quasi che il dramma d’ Alfieri sia lo stesso che il dramma di Sofocle. Incomincia l’autore dal concedere che se manchi l’unità d’azione, la tragedia non è più una, ma molte rappresen- tazioni, dalla mente separabili e in sè distinte. — Ma con eguale ragione afferma (p. 90): ‘ che le unità di tempo e 5» di luogo possono riescire dannevoli tutte volte che per ser- 3 barle fosse necessario sopprimere ed alterare i fatti , e », togliere quella successione di cause e di effetti che gui- » dano naturalmente al loro sviluppamento ,,. (4). (|) Non direi che guidano naturalmente al loro sviluppamento: direi; che sono ueccssarie a conoscere e sellire il loro sviluppamento. — 126 Concede che possono de’caratteri tragici anche idealmente crearsi “ perchè conformi alla vera natura, e alle circostanze ,, e a’costumi de'tempi, de’ luoghi in cui si suppone ch' essi » operino ,,. Non accetta per modelli della tragedia i drammi stranieri, ma dice all'incontro: che la commozione dee mi- surarsi avendo riguardo singolarmente alla sensibilità degli spettatori ; che la sensibilità nostra , quanto è lontana dalla resistenza dei popoli del nord, altrettanto si distingue dalla delicatezza de’greci; che posta questa media sensibilità la con mozione tragica deve essere proporzionata secondo l’inten- dimento dell’ autore solo, ec. Solo vieta al poeta l’arbitrio d’immutare la storia cambiando in morte la vita, e il sup- plicio in trionfo. Noi ci allontaneremo per altro dal sig. Poli in quella opinione, che non si debba mai nella tragedia contempe- rare la commozione col miscuglio del serio e del giocoso , poichè essa può “ disporsi e distruggersi nel contrasto: non es- sendo così facile ed istantaneo il passaggio da una affezio- ne all’affezione contraria,,. Ove il giocoso entri di per sè stesso nell’argomento, ove sia bene preparato, e per con- seguente non turbi l’ affetto, ma lo rattemperi , io ’l ere- do fonte di vero diletto. Ma dicendo giocoso non intendo io già buffonesco. Ove poi trattisi del familiare, ch’ora si dice prosaico , il gran padre Orazio qui difende i romantici : Et tragicus plerumque dolet sermone pedestri. VIII. A solvere le obbiezioni dei trepidanti che per sola esitazione avversano ad ogni letterario mutamento (p. 105), nella terza parte s’ insegna ‘ quali conseguenze derivano dal mutamento della nostra letteratura ,,. Ma non parrà veramente molto atto a solvere tali ob- biezioni quel dire: “se ridestano all’ammirazione le vaghe ,» descrizioni e le tenerezze di Virgilio e Tasso, non aggra- s» discono meno quelle di Byron e di Moore ,,. Si parago= ni, se piace, Moore e Byron al Tasso; ma non a Virgilio, per Dio! i E dove dice: Aristotele ed Orazio furon quelli che han- »» no inventato queste teoriche ,, la voce inventare non è forse 23 12 bene adattata. Ma la verità evidentissima, che in Lui parole si annuncia, sola varrà, spero, a salvare i romantici dal disperato odio classico che li persegue, ‘ La letteratura ,» antica potrebbe essere anche più bella, senza che fosse più 3» dilettevole della moderna, la quale va a genio di più per 3» l'immediata sua conformità colle nostre idee, col nostro gu 3) Sto e con tutte le nostre circostanze: siccome provano gli 3» sforzi fatti, e che molti, loro mal grado , sono costretti di s» ammirare ,,. (pag. 116-122). Tutto insomma il sistema di que’ che si dicono lette- rati romantici, e dovrien dirsi piuttosto letterati italiani, s’inchiude in questo solo vocabolo, verita. I classicisti all’in- contro , che dovrebbon chiamarsi in quella vece etnici , unitarii , o ellenisti, gridano e pretendono che la verità sia prosaica. Venuta la questione a tal segno, il silenzio è la più degna risposta che far si possa: e la più rispettosa. “ Tocca al genio italiano (conchiuderemo con le parole del giovane autore) tocca al genio italiano di compiere que- sto mutamento salutevole e necessario, che segni un’ epo- ca di gloria novella ne’fasti della patria. Ma sia egli in- coraggiato e sostenuto, nè si assaltino colle armi della ne- quità e dell’invidia coloro che avessero l’ardire di tentar- lo. Il mutamento della letteratura è una verità che si an- nuncia: quanto guadagno non vi è anche negli sforzi dell’ er= rore per discoprirla! Risparmiamoci una volta l’obbrobrio, che noi stessi nel tremendo giudizio della posterità siam così pronti a rinfacciare ai persecutori di Galileo e di Tasso: e sappiasi oltre alpe che finalmente nella pace, nella re- ciproca stima, e nella concordia le italiane lettere vengono prosperando ,,. MiA Te 128 Anwuarre NécroLocieve par A. ManuL, année 1824, Paris. Nel render conto di quest'opera l’anno scorso mostram- mo l’utilità della medesima, ed il merito distintissimo del suo compilatore. Ci limiteremo a far menzione degli italiani che hanno luogo nel numero di 155 persone distinte per sapere e per dignità che nel periodo di circa due anni son mancate a’ vivi in Francia, in Italia ed in altre parti d'Europa. Carlo Aurelio Bossi turinese occupa un posto) distinto in questa biografia come uomo di stato, e di lettere ; nel primo carattere, oltre al quadro della sua carriera politica , sì presenta per autore d’un opera intitolata Za statistica del dipartimento dell’ Ain ; nel carattere di letterato compari- sce autore del gran poema intitolato Oromasia , che ha per soggetto la rivoluzione francese, del qual poema il merito ‘principale si fa consistere nella forza de’ pensieri, e nella filosofia che vi si contiene. Morì di sessanta cinque anni in Parigi nel 1825. Vincezio Coco nato a campo Marano nel regno di Na- poli. Fu, tra gli altri meriti che lo distinsero, autore del libro intitolato Viaggio di Platone in Italia ; in quest'opera fece un bel prospetto delle dottrine pitagoriche, dello stato della Magna Grecia, e delle repubbliche che fiorirono già in que’ luoghi ch’oggi son quasi i più deserti ed inculti del re- gno napoletano. Se Coco, riflette il sig. Mahul, non ugaa- . gliò per l’ erudizione il suo modello il viaggio în Grecia del giovane Anacarsi , lo sorpassò senza alcun dubbio rispetto all’ utilità morale, all’interessamento che si desta nel let- tore, specialmente italiano, per le verità di cui vi si tratta, e per l’amore delle virtù che si cerca di rianimare negli italiani. In quanto ad altre circostanze della vita letteraria e civile di Coco, furono già pubblicate le opportune notizie nel nostro ed in altri giornali italiani. Ne seguita il conte Francesco Pertusati milanese, autore di varii scritti concernenti alla morale ed alla religione cri- ,, 12 tiana che sono riferiti in fine dell’articolo. Morì il dl 22 de 1823 nato ai 9g maggio 1741. Ne seguita un lungo e ragionato articolo sul Pontefice Pio VII , di cui ci àstenghiamo dal far parola 1.° perchè note sono le azioni, o le circostanze della vita di questo Pontefice; 2.° perchè l’angustie di quest’arti- colo non ci permettono nè di riferire le opinioni che il dotto autore esterna intorno ad alcune azioni di lui ; e molto meno di preporre le nostre. In fine dell’articolo è un catalogo de’principali scritti che possono servire all’istoria di Pio VII. La brevità dell’ articolo spettante ad Antonio Renzi ci - invita a riferirlo per intiero, cogliendo l’opportunità di ren- dere un nuovo tributo alla memoria di questo letterato de- gno di vivere più lungamente e con miglior fortuna. “ Renzi (Antoine), né dans les environs de Volterre, s, est mort à Florence en 1823, Agé de 43 ans. On lui doit 3 un écrit où il essaie de justifier l’Italie de quelques re- proches qui lui sont adressés dans la Corinne de’ mad. ,» Staél. En outre , il a publié de belles éditions du Dante ss etde l’Arioste, accompagnées de notes savantes (1).Il était l’ un des collaborateurs de 1’ Antologia de Florence, re- cueil périodique, littéraire et philosophique, l’un des meil- leurs qui se publient actuellement en Italie ,,. li 480: e) (1) L'editore dell’Ariosto fù îl sig. Giuseppe Molini 1’ anno 1821 colle note del Renzi. r_rr_—trs7.. __r——————_——_+ did Stami ei L37 mi poichè fugge da me il dolce errore, e l'esterminio alato veggio a queste mura avvicinarsi. o Una face vedo risplendere , ma non in mano d’ Imeneo. Verso le nubi vedo fiamme innalzarsi ; ma non come dall’olocausto. Liete feste veggo\apparecchiare ; ma. nel fatidico spirto odo già i passi del nume che luttuoso le rompe. », Tatti a’ miei lamenti insultano, il mio dolorderidono. Solinga ne’ deserti ho da portare il mio tormentato cuore, sfuggita da” felici, a’ festeggianti ludibrio. Grave sorte a me fissasti o Pitio, mali- ‘gno Dio! »» Ad annunziare l’oracolo tuo, perchè gettasti me con chiaro in- telletto in questa città eternamente ceca ? Perchè m'hai dato di co- noscere ciò che rimovere non posso? Il destinato debbe accadere, ed il temato ma/e avvicinarsi debbe. 3» Giova egli sollevare il velo quando siamo minacciati da pros- simo spavento? Solo l’ errore è vita, e il sapere è morte. Toglia me, oh! togli a me la trista intelligenza, a me dagli occhi la sanguigna vista. Terribil cosa è della tua verità esser vaso mortale. s» Rendimi la mia cecità primiera e l’ottaso senso che dà. letizia. Mai non ho cantato liete canzoni dacchè son tua voce. Tu m’hai dato l’avvenire, ma tolto m’ hai l’ istante, tolto la gioconda vita dell’ ora presente: Deh! riprendi il tuo fallace dono. 3) Mai non ho cinto la profamata chioma d’ornamenti nuziali, dacchè in tuo servizio me dedicai al tristo altare. La mia gioventù è stata solo un pianto, ho conosciuto solo il dolore : tutte le acerbe an- gosce de’ miei facevano palpitare il mio sensibil cuore. 3) Gialive le compagne io veggo : intorno a me tatto vive ed ama con ilare sentimento di gioventù : a me sola è il cuore afflitto, per me invano apparisce Ja primavera che la terra festivamente adorna. Può gioire della vita quei che la profondità ne scorge! », Polissena reputo beata nell’ inebriante errore dell’ animo, chè il migliore de’ greci spera ella abbracciare suo sposo. Altiero il suo ‘petto s’estolle : il suo giubbilo ella a pena comprende, nè a voi cele- sti lassù non invidia nel sogno sno. »» Ed anch’ io ho veduto quello che il cuor desiderando elegge: I suoi begli sguardi supplicano, animati della vampa d'amore. Volen- tieri mi sarei collo sposo tratta nelle patrie stanze, ma s’intromette fra esso e me un’ ombra stigia notturnamente. », Le sue pallide larve tutte manda a me Proserpina. Dove io-mi muovo , dove io vado , là mi si presentano gli spettri. Della gioventù ne’ lieti giochi si cacciano essi raccapricciando, trambusto orribile ! Non mai esser poss’ io giuliva. 138 3» E l'omicida ferro veggo scintillare , l’ omicida occhio sfavilla- re? nè a destra, nè a sinistra posso dinanzi questo terrore fuggire, ‘e neppur mi è dato gli sguardi volgere: sapendo , mirando, fisa , deb- bo il mio destinato compiere , cadere in estranea terra.,, Le sue parole ancor risuonano, e odi! Lungi là dalla porta del tempio confasi accenti prorompono, perchè morto giace il gran figlio di Teti. Eride vibra i suoi serpenti : tutti gli Dei faggono di quivi, e ad Ilio nubi sovrastano , pregne di falmini, ————2tctceapa06cd0 o 1ft1{{1 d{{qq {tf q q{ qJ f f ff f fTtt.——@@—@@——rr’————@ue Lettera al sig. URBANO LAMPREDI. Ragusa 25 /ovembre 1825. Nulla di più vero, che quanto vi diceva di Mattia Flacco Illirico, allorchè mi lagnavo delle molte omissioni e di alcuni guiproguo, che risguardo agli scrittori di Ragusa incontra di trovare nella biografia degli uomini illustri, che va uscendo in luce a Parigi, e che tradotta in italiano si ristampa a Venezia. Mattia Flacco Illirico, o Matteo Fran- covich , da prima discepolo del Melantone , quindi suo antagonista perchè propugnatore zelante del rigorismo della dottrina di Lutero, e da ultimo capo di setta egli pure , fu raguseo; come che egli stesso denominandosi albonese abbia indotto in errore chiunque di lui scris- se, non escluso il Bayle cima dei critici; quindi è che tutti lo fanno di Albona terra dell’ Istria posta in sul Golfo del Quarnaro, Egli na- cque nell’anno 1520 nel villaggio di Giunchetto (illiricamente Sciu- met) poco al di lungi da Ragusa ; dal secolo decimo sesto in poi non ci fu raguseo per quanto di poche lettere , che ciò ignorasse. Ed era ben natural cosa , che tra pel romore, che a quell'epoca si levò in Ragusa per l’apostasia del Francovich, e per la fama, in cui tosto venne pel prodigioso ingegno suo , per le moltiplici opere che diede alla luce, e per le vicende della sua vita politica, la tradizione dovesse prendere in guardia il suo nome, conservarlo tra le memorie nazio- nali, e tra queste dedurlo fino a noi. Ma non è la sola tradizione che vendichi questo cittadino alla sua patria. Ci sono documenti irrefra- gabili, per cui chiaramente apparisce, ch’ei da principio non dicevasi nè albonese nè illirico, ma raguseo; essi sono le sue lettere, che ognuno poteva vedere nell’archivio della segreteria, del governo di Ragusa , per le quali rendeva conto a quel senato dei progressi che in Allemagna andava facendola dottrina di Lutero, lo eccitava ad abbracciarla, e magnificava le dignità alle quali era stato esaltato trai riformati. Il senato rispondeva al Francovich con dispregio, e tate emette Ani sii | i 4 139 per poco con minaccie , non senza soggiungere ch’ egliin appellando- si raguseo contaminava il nome della nazione, cui mostrava di ap- partenere. Rimbeccava Mattia queste acerbe invettive con parole pie- ne di boria e di sdegno, e finalmente ripudiava una patria , la quale {secondo ciò ch’ei con ammirabile modestia ne diceva) venuta in jce- cità di mente da voler trattare in sì fatto modo un tanto uomo, si era renduta indegna di vantarlo tra i suoi cittadini; e fu allora che il Francovich restò di chiamarsi raguseo. : Posta in sodo la patria del Francovich e non Francovitz, poco monta sapere per qual motivo egli si dicesse albonese; tuttavia non è qui fuor di luogo allegare una congettura, che i biografi ragusei producono in proposito , la quale tra le molte varietà di congetture non è forse la meno probabile. Dicono essi , che tutta quella regione pedemontaria dell’ agro brenese, che a cominciare dall’ ultimo villag- ‘gio della parte di levante si estende fino al monte Bergato, è compresa sotto la denominazione di Biela Ssciupa (brenum album), di cui gli antichi coloni erano detti Beleni , e Bieli (albi) ; dal che traggono ar- gomento per credere che dal nome di questa regione contermine alla valle in cui sortì i natali , gli fosse piaciuto per tenerezza del terre- no natio chiamarsi albonese. — Havvi chi si affatica per indovinare da che egli traesse il prenome di Flacco: ma s’egli è difficil cosa render conto dei capricci dei nostri contemporanei , che sarà poi di que’ di uomini, che vissero in tempi tanto lontani dai nostri ? Penso di aver soddisfatto al primo dei due quesiti che si conten- gono nella laconichissima vostra dei 15 del corrente mese. Protesto però di non volermi dare alcuna briga della biografia del Ghetaldi , che voi in anticipazione non mi promettiate un’ appendice, per cui sia provato che il matematico ragusino fu il primo ad applicare l’algebra alla geometria , ciò che parecchi scrittori asserirono, e che - nessuno finora si accinse a dimostrare: ma di questo più a lungo quando sarete tra noi ; e a confidenza d’ amico vi consiglio di esserci quanto prima, poichè que’ che vi stimano e vi amano, e che sono tanti da formarne una falange macedonica, vanno mettendosi a romo- re, e già tra loro si mormora di una spedizione per Valdinoce ; ove questa abbia effetto ne vorrete star fresco : allora sì che per lungo corso stanchi vi piomberemo addosso come una nuvola di locuste af- famate , e, checchè ne avvenga , toccherà intanto a voi di pagare lo scotto per tutti: il condottiero ne sarà il giovane ellenista cavaliere Niccolò Androvich, il quale ha già in pronto questo distico: Agup fd Agurpudev , Paytoa vb ceto Xkrida. H y&p pura Pià dv xe PiAt Z6Puy. 140 Quindi o per amore o per forza — veluti , te, Judeei cogemus in hanc concedere turbam, e trionfalmente ritorneremo a Ragusa. Cura ut valeas. Il vostro fedelissimo A DO1T. STULLI. ee Len Tavole di confronto fra la vecchia moneta toscana e la nuova, le quali mostrano come facilmente si possa adottare il con- teggio decimale fondandolo sul fiorino , preso per base del sistema monetario. Seconda edizione , coll’ aggiunta del peso di tutte le nuove monete. Firenze, 1826 presso Luigi Pezzati. Da lungo tempo i buoni spiriti, non usi a sacrificare il comodo e l’ utilità reale alle antiche abitudini, riconoscevano |’ incomodo e lo svantaggio del sistema monetario usato in Toscana , e soprattutto del modo tenutovi in ogni genere di contrattazioni per calcolare il valore delle cose ed effettuarne il pagamento, computandosi a scudi , lire, soldi, e danari , monete per la più parte ideali, e di va- ria ed incomoda divisione. Quindi facevano dei voti perchè a que- sto così vizioso ed incomodo fosse sostituito il comodo e facil sistema decimale , o già vigente, o recentemente introdotto presso altri po- poli con notabile vantaggio. Questi voti sono compiuti, questo benefizio è stato compartito alla Toscana per il Sovrano Motuproprio del dì 1o luglio corrente, il quale conservando l’uso ed il valore dell’ intera massa di nume- rario circolante in Toscana, ha saputo farla servire ad un sistema decimale , creando sotto il nome di Ziorino (nome che lusinga le patrie memorie ) una nuova moneta divisibile in parti centesime, alle quali corrispondono gli antichi quattrini, e delle quali sono gruppi variati e comodi il duetto, ora moneta di 2 centesimi, il soldo di 3, la crazia di 5, le due crazie di 10, il mezzo paolo di 20, il paolo di 40 , la lira di 60, ed alle quali sono intercalate due nuove monete , cioè il mezzo fiorino di 50 centesimi; ed il quarto di fiorino di 25. Così l’attual moneta di 5 paoli , o Franceschino equivale a 2 fiorini, ed a 4 il Francescone o moneta di paoli 10. Servirà poi al co- modo delle grandi contrattazioni una nuova grossa moneta d’oro del valore di 80 fiorini, che uguagliando , nel pregio intrinseco il Ruspone , sarà di tal peso, che, tranne le oscillazioni d’ un aggio fon- dato sul comodo o sulla predilezione della specie , corrisponderà molto prossimamente al suo valor nominale in argento. Xx. 145 BULLETTINO SCIENTIFICO. N.* XXXIV. Zuglio 1826. SciIENZE NATURALÈ Meteorologia. Il dot. Brewster d’ Edimburgo , in seguito d’ un gran numero di esservazioni termometriche, fatte d’ ora in ora, di giorno e di notte, per il corso di due anni, e che egli ha esposte in un quadro, è stato condotto a dei risultati, fra i quali può riguardarsi come singo- lare questo , che si ottiene ad Edimburgo la temperatura media del giorno combinando quelle delle ore dello stesso nome, e dividendo la somma per 2. Questo risultato ottenuto in un porto di mare; ove le variazioni diurne di temperatura nofi sono molto considerabili, non sarebbe applicabile alle regioni lontane dal mare. A Parigi si prende per temperatura media del giorno la metà della somma delle temperature massima e minima osservate nelle 24 ore. Due aeroliti caddero alcuni mesi addietro nei contorni di Her- gowitz. Gli abitanti della campagna sentirono due distinte e fortissi- me detonazioni, seguitate poco dopo da due altre meno forti. Ne- gl’ intervalli fa inteso distintissimamente un fragore ed un sibilo nel- l’aria. L’ ultima detonazione fù seguitata dalla caduta degli aeroliti, che furono trovati alla distanza di 150 passi uno dall’ altro. Essi pe- savano insieme circa 53 once. La struttura di questi due pezzi di- mostrava evidentemente che essi erano già riuniti in una sola massa. La loro superficie era nera , l’ interno grigiastro con vene azzurro- gnole, e vi si scorgevano dei grani metallici. Il giornale filosofico d' Edimburgo dà notizia di due fenomeni meteorici, non recenti giacchè avvenuti circa 3 anni addietro, ma al- quanto straordinarii. Verso la fine del mese di marzo 1823 la caduta d'una gran copia di neve sul Lochawe nel Argileshire recò sorpresa ed anche spavento a quelli che ne furono testimoni. Ebbero oc- casione singolarmente opportuna di osservare il fenomeno alcune persone che nella mattina avevano traversato il lago. In tutta la giornata il tempo era stato bellissimo; i viaggiatori se ne ritorna- vano alle loro case, quando ad un tratto, copertosi il cielo di nubi, sebbene procurassero di affrettarsi , furono in pochi minuti sorpresi 142 da un abbondante caduta di neve. Ben presto il lago”, il battello, le loro vesti, e tutto ciò che era all’ intorno prese l'aspetto d’ una superficie luminosa, o d’uno strato immenso di fuoco. Benchè in apparenza tutto ardesse, non si provava sensazione alcuna di calore. Appressando alla neve la mano, aderiva a questa la materia lumi- nosa insieme coll’ acqua risultata dalla fusione della neve. La neve poi conservò la proprietà luminosa per dodici o quindici minuti. In seguito la serata divenne quieta, ma nuvolosa. Gli abitanti non ave- vano giammai osservato un simile fenomeno. L’ altro fenomeno meteorologico è il seguente. Nel giorno 13 di agosto 1823, mentre l’ astronomo sig. Zasteen dopo le ore 11 della mattina stava misurando le distanze zenittali della stella polare per determinare la latitudine , vide un corpo luminoso traversare il campo del suo canocchiale. La sua luce era un poco maggiore di quella della stella polare. Il suo moto appariva diretto di basso in alto; però il canocchiale facendo veder gli oggetti rovesciati, ne segue che il moto reale di questo corpo era d’alto in basso, come quello dei corpi che cadono. Impiegò un poco più d’un minuto secondo a traversare il campo del canocchiale; il suo moto non era nè per- fettamente uniforme , nè rettilineo, ma somigliava molto al movi- mento ineguale e sinuoso d’ un razzo, che bruciando s° inalza îrre- golarmente. Ciò prova evidentemente che questa meteora si move- va nella nostra atmosfera; ma la sua altezza doveva essere consi- derabilissima , giacchè la sua celerità angolare era così poco rapi- da. Lo stesso fenomeno era stato osservato dal sig. Tommaso Bick mentre faceva in pieno giorno delle osservazioni sopra Venere, come ancora da Martin. Fisica e Chimica. Il dot. Brewster ha preso ad esaminare la forza di refrazione di cui godono diversi liquidi contenuti nell’interno di sostanze minerali cristallizzate. Fin quì questi liquidi erano stati considerati come acqua , ma il dot. Brewster ha trovato che mentre l’ acqua gode del più alto grado di forza refrangente di cui i liquidi sieno capaci, al- l’opposto i liquidi contenuti nei cristalli dei quali si tratta ne godono al minimo grado. Queste ricerche hanno offerto al loro autore l’ oc- casione di fare un altra osservazione assai più curiosa. Avendo egli incontrato un pezzo di solfato di barite che conteneva una piccola quantità di liquido, appena estratto questo dal cristallo, ed abbando- natolo a sè stesso, lo ha vedato concretarsi in solfato di barite cristal- lizzato. Questo fatto presenta una notabile analogia con quello osser- | 143 vato dal sig. Emanuele Repetti d’ una materia molle, che estratta si- milmente dall’ interno d’ un minerale, si rapprese ben presto concre- tandosi in silice. Il sig. Wurzer avendo recentemente analizzato le acque minerali della sorgente di Hofgeismar, ‘già da sè esaminate altra volta alcuni anni addietro , ha riconosciuto essere avvenuti nell’ intervallo nota- bili cambiamenti nella loro composizione. In appoggio del qual fatto egli addace il ragionamento e non poche citazioni di autori che hanno fatta la stessa osservazione. Nelle acque di cui quì si tratta è aumen- tata la quantità dell’ acido carbonico , ed è disparso il solfato di calce che prima vi esisteva. Il muriato di soda è aumentato nella sorgente destinata alla bevanda , e diminuito in quella destinata ai bagni. Il solfato di soda è diminuito in ambedue; il muriato di calce è disparso dall’ una e dall’ altra. 3 Il sig. Vauquelin ha analizzato la cenere vulcanica, vomitata dal- l’ Etna nel 1822. Egli vi ha trovato del solfato di calce, del solfuro di ferro , dell’ allumina, della silice, della calce, del solfato di rame, un muriato di cui non ha determinato la specie, qualche traccia di solfo isolato , del carbone , e dell’acqua. Il sig. Vauquelin riguarda come possibile che questa cenere contenga dell’ alcali, ma la piccola quantità di materia sù cui poteva operare non gli ha permesso di ve- rificarlo. Il sig. Van- Mons professore all’ università di Lovanio, nell’ in- tenzione di tentare la scomposizione dell’ acido borico , avendo te- ‘nuto infuocato a bianco per lo spazio di due ore in un tubo di porcel. lana una mescolanza intima‘di rr parti di borace e di 1 parte di car- bone , ottenne un vetro verdastro chiaro, ricoperto da una materia porosa, ma pesante , lucida, e simile al carbone animale. L’ acido nitrico in cui fu immerso il vetro lo imbiancò, quindi lo corrose, ma assai lentamente. Avendo ripetuto l’ esperienza più in grande in un crogiuolo di Hesse, coperto, e mantenuto infuocato a bianco per tre ore in un fornello di fusione, trovò poi nel crogiolo due distinti strati di materia, di cui l’inferiore era simile all’acciaio faso,il superiore era ‘ un vetro nero-cupo, opaco, e ben fuso, che raschiava il vetro comune come fa il diamante, e sù cui non avevano azione alcuna nè l’ acido nitrico, nè la potassa liquida caustica e concentrata. Il metallo è fra- ‘ gile, e nel tempo stesso può tagliarsi col coltello. E bianco e lucido come |’ argento ; fra gli acidi il solo idrocloronitrico lo discioglie , ed anche debolmente. Il vetro è assai pesante. Il sig. Van-Mons, il quale 144 ciglio non sapeva che pensare di questi prodotti ,}ha poi rico= nosciuto che il metallo è ferro grandemente modificato per la sua unione ad un altro corpo, che potrebbe essere il boro , il silicio, o al- tro proveniente dalla sostanza del crogiuolo. Lo stesso sig. Van-Mons ha trovato che la soluzione saturata e fatta a caldo dell’acido borico nell’ alcool, oltre alla proprietà co- guita di braciare con fiamma verde , ha anche quella di arrossare la tintura di curcuma alla maniera degli alcali. Se a traverso d’una dissoluzione di muriato d’ossidalo d’antimo- nio si faccia passare dell’idrogene solforato, se ne precipita una ma- teria di color giallo vivo, che era'stata finora riguardata cone unsem- plice idrosolfuro d’ossidulo d’ antimonio. Ora il sig. Gmelin afferma essere essa una combinazione di detto sale col muriato neatro d’ ossi- dulo d’ antimonio, ed aggiunge che quest’altimo può esserne espulso per il calore , lasciando solo il solfaro d’ antimonio; il qual modo di scomposizione può effettuarsi anche con tenere per qualche tempo il precipitato esposto alla luce solare in vasi chiusi. Un giornale tedesco annunzia essere stati trovati due nuovi par- ticolari prodotti della vegetazione ; uno nella scorza della Geoftroya Jamaiciensis, l’altro in quella della Geoffroya Surinamensis. La prima, che hanno chiamata Jamaicina, cristallizza in tavolette quadrate, opache, e gialle come la gomma-gutta; si fonde a 80 R; ad un calor più forte si gonfia, spargendo un odore di porro bruciato ; si tra- sforma in carbone, e bruciando si consuma senza lasciar cenere. I suoi vapori piccanti ed ammoniacali hanno carattere alcalino , arros- sando la carta colorata dalla curcuma. La scorza contiene , oltre que- sta sostanza, una 1nateria colorante, della gomma, dell’ amido , della cera e della resina. La seconda, a cui è stato dato il nome di Surina- micina , è di color giallo pallido , ha sapore amaro, e si scioglie in acqua divenendo rossastra. Braciandola, sparge odore di mandorle di pruna, si gonfia molto divenendo empireumatica , e si consuma senza lasciar cenere. I suoi vapori sono ammoniacali, e formano dei sali combinandosi agli acidi. Se l’ acido impiegato sia il nitrico, si ot- tengono diversi colori. Questa sostanza è solubile nell’ alcool. Oltre di essa la scorza contiene dell’ amido , della gomma, dell’acido mali- co , ed una sostanza astringente che colora il ferro in verde. Le ceneri contengono del carbonato , del muriato, e del solfato di soda, del _ fosfato e dell’ossalato di calce, un poco di magnesia , di ferro e di manganese. 145 Un giornale tedesco dà la notizia che in Moldavia si pratica un processo facile ed economico per togliere al miele il colore , 1’ odore, edil gusto spiacevole che spesso si îrovano in esso, e che sono estra- nei alla di lui natura. Questo processo per cui il miele più comune è convertito in una specie di zucchero duro e bianco come la neve, di cui si spediscono grandi quantità a Danzica per fabbricarvi quei liquidi famosi che formano uno dei più ricchi raini di commercio di quella città , è il seguente. Separato il miele dalla cera , si espone per circa due settimane al più rigido freddo dell’inverno in vasi di terra o d’al- tra materia , difendendolo dai raggi del sole, dalla neve, e da altre intemperie. Il miele non si congela , ma acquista una bianchezza ed una durezza simili a quelle dello zucchero. Si aggiunge che un tale Leib Minules, celebre fabbricante di rosolio in Galizia, impiega nella preparazione di esso questo zucchero di miele. Avendo il sig. Dupuy fatto conoscere in una sua prima memoria i risultamenti d’un lavoro da sè intrapreso sopra i corpi grassi, i si- gnori Bussy e Lecanu vi avevano fatto delle osservazioni in contra- rio , e fra le altre cose avevano rivocato in dubbio la possibilità di di- stillare le materie grasse sotto la pressione di 76 centimetri senza portarle all’ ebollizione, come anchela possibilità d’ottenere un pro- dotto liquido allorchè si fanno bollire. Ora il sig. Dupuy in una se- ‘conda memoria, appoggiandosi a nuove esperienze espressamente in- traprese , conferma non solo i fatti prima annunziati, ma dimostra inoltre che intanto i suoi contradittori non hauno ottenuto li stessi ri- sultamenti che lui, in quanto che hanno proceduto diversamente, operando le loro distillazioni in condizioni diverse. Dopo aver pre- messo che la distillazione può effettuarsi in tre modi, cioè 1.° per semplice evaporazione senza ebollizione, 2.° per ebollizione lenta , 3° per ebollizione rapida , riferisce i risultamenti ottenuti operando in ciascuno di questi tre modi sopra il sego o altre sostanze grasse, risultamenti che confermano i fatti da lui prima annunziati, e contra - detti dai sigg. Bussy e Lecanu. Egli determina ancora a quali ri- spettive temperature i prodotti ottenati si conservano liquidi e tra- sparenti , divengono torbidi e opachi , e finalmente si rappigliano in masse più o meno solide. Si sa che l’acqua di calce scuopre in un liquido o in un composto qualunque la presenza del sublimato corrosivo, formando la così detta acqua fagedenica , che si manifesta per un color giallo. Ora il signor Vito Fantoli farmacista si è assicurato che la gomma arabica, disciolta nel liquido stesso in cui si trova il sublimato corrosivo, impedisce la (TT. XXIII. Luglio, 10 146 formazione dell’acqua fagedenica e la comparsa del color giallo, for- maodovisi solo dopo alcune ore un deposito di color nerastro. Sem- bra che l’azione della soluzione acquosa di gomma arabica sul subli- mato corrosivo sia alcun poco simile a quella che esercitano sul com- posto stesso l’albumina ed il glatine, che ne distruggono o ne inde- boliscono grandemente le proprietà venefiche, portandolo allo stato di mercurio dolce. NOVITA' E INVENZIONI Il sig. dot. Brewster d’Edimburgo, per evitare gli effetti del- l’ imperfezione che induce costantemente |’ aberrazione di sfericità nelle lenti semplici, comunque lavorate diligentemente dai più abili artefici, ha cercato, e non inutilmente, la perfezione, nelle leuti della natura. Il corpo cristallino degli occhi dei pesci, separato dalla scle- rotide e dai piccoli fili o processi ciliari, asciugato dall’ umor vi- treo per mezzo della carta sugante, fù da lui adattato ad una apertura circolare formata in una superficie piana in una tal posi- zione, che il cerchio dei fili o processi ciliari, per i quali la lente era prima attaccata all’occhio, si trovava allora in contatto coll’orlo dell’ apertura ; nella qual posizione l’ asse della lente era perpen- dicolare al piano dell’apertura stessa, e conseguentemente coinci- deva coll’ asse ottico dello spettatore. Il dot. Brewster fu maravi- gliato per la perfezione delle immagini che si formavano in queste lenti, e dell’ effetto che esse producevano facendole servire d’ubiet- tivo in un microscopio composto. Si può continuare a servirsi di . tali lenti per alcune ore, e possono anche conservarsi per un tempo più lungo, o nello stesso umor vitreo da cui si sono estratte, o nell'aria umida. Il dot. Brewster pensa che queste lenti possano essere di molto vantaggio al naturalista nell'esame degli oggetti microscopici. Un fisico americano , il sig. Farrar, ha proposto un nuovo pendolo di compensazione, composto di due palle vuote o serbatoi di vetro, comunicanti fra loro per mezzo d’un tubo egualmente di vetro. Una porzione di ciascuna delle due palle e la totalità del tabo sono pieni di mercurio; l'apparato o sistema è ermetica - mente chiuso, sicchè non vi è comumcazione alcuna fra l’ aria in terna e l'atmosfera. La palla inferiore deve contenere un più gran volume d’aria che la superiore. Si comprende facilmente che iu questa disposizione un elevazione di temperatura, mentre dilatando il vetro accresce la lunghezza del sistema, dilatando anche l’aria, farà che quella della palla inferiore provando per il suo maggior 147 volame una maggior dilatazione obbligherà una porzione del mer- curio contenuto nella stessa palla inferiore a salire nella superiore, per il che il centro d° oscillazione verrà ad elevarsi in proporzione. ll qual’ effetto, medianti certe proporzioni, può operarsi in modo che vi sia compensazione. In Inghilterra è stato introdotto nella costruzione dei tubi o delle gole dei camini un perfezionamento, che serve nel tempò stesso a render più facile l’ ascensione del fumo, ed a rendere inutile l’ opera incomoda e pericolosa degli spazza-camini. Il per- fezioramento consiste nell’impiego di materiali i quali presentano un segmento di cerchio nella faccia destinata a formar la superfi- cie interna del tubo o della gola, che per conseguenza riesce di forma circolare, senza angoli o altre ineguaglianze, che contra- ‘riando la libera salita del famo, impediscono che si possa pulire l’interno dei camini con semplici mezzi meccanici, a cìò attissimi in questa nuova costruzione , facilmente applicabile all’interno dell’antica, ove questa offra una sufficiente capacità interna, Si può dare il colore del bel legno acajou a dei legni ordi- narii, scegliendoli tali che se gli assomiglino per la tessitura e per le macchie, come pure per la densità e per l'attitudine a pren- dere un bel pulimento. Si passa sulla superficie di questi legni dell’acqua forte, o acido nitrico indebolito .con notabile quantità d’acqua, con che comincia già a prendere un colore rossastro. In seguito si compvne una tintura disciogliendo in una bottiglia di spirito di vino un oncia di sangue di drago ed un oncia di carbo- nato di soda. Di questo liquore filtrato si applicano più strati al legno finchè abbia preso l'aspetto dell’ acajou, dandogli poi del lu- stro con un poco d'’ olio. ScIENZE MEDICHE, Annuaziammo già nel n.° 60 di questo giornale, Dicembre 1825 pag. 172, l’opera del dot. Regolo Lippi intitolata ///ustrazioni fisio- logiche e patologiche del sistema linfatico-chilifero , mediante la scoperta d'un gran numero di comunicazioni di esso col venoso. Aggiungeremo ora che quest’opera fù dall’ autore trasmessa alla DB. Accademia delle scienze di Parigi per concorrere al premio fondato dal Barone di Montyon per la migliore opera di fisiologia , e che la commissione incaricata d’ esaminare le diverse opere inviate al con- corso , sebb.ne opinasse non doversi aggiudicare il premio ad alcana, 148 pure ne distinse onorevolmente due, cioè , una del dot. Brachet di Lione sulle fanzioni del sistema nervoso dei gangli, e questa del dot. Lippi , la quale ha dichiarata degna di speciale attenzione per i fatti in essa annunziati , e per l’ esecuzione delle tavole che l’accom- pagnano. La difficoltà che presenta sempre, più o meno, l’ iniezione de’ vasi linfatici, e che l’autore non ha dissimulato esser massima ri- spetto a questi, finora non conosciuti e manifestatisi a lui, non avendo permesso alla commissione , nel tempo concessole per esaminare più opere , di verificare in modo sodisfacente le cose annunziate dal dot. Lippi, ne ha ella differito il giudizio all’ anno prossimo, riservando ad esso il diritto di concorrere. { Fra i molti rimedi vantati contro la Tenia era stato da lungo tempo predicata anche la corteccia della radice di melograno (punica granatum). Il riuscire essa più spesso inutile ma pur qualche volta etficace già lasciava presumere che dotata dalla natura d’un utile virtù , non producesse sempre l’ effetto desiderato dipendentemente da particolari circostanze , e specialmente dal modo di amministrarla. Il fatto ha ora dimostrato vera questa congettura, giacchè il sig. dot, Antonio Boiti, primo chirurgo di camera di S. A. I. e R. il Granduca, valendosi d’ un suo ben inteso metodo di preparare e di amministrare questo rimedio , è giunto ad ottenerne risultati costantemente felici. Però conlodevole divisamento, pubblicate per la via della stampa le isto- rie di bene otto casi, nei quali la corteccia di cui si tratta amministrata secondo il suo metodo ha operata l’ intera espulsione della Tenia, ha fatto noto a comun vantaggio questo metodo ; di cui è parte essen- ziale la scelta e preparazione della corteccia. Si devono raccogliere in primavera le radici di mgiograno giovane nato spontaneamente e cre- sciuto in luoghi montuosi ed ‘incolti, e che non sieno maggiori in grossezza d'un dito pollice. Da queste radici sì ricava la corteccia, spogliandola affatto della parte legnosa. Dovendosi conservare , con- vien seccarla all’ ombra lungi dall’ azione del sole e del fuoco. Dram- me dieci di detta corteccia, tenuta prima in infusione per 24ore in once venti di acqua fresca di fonte in vaso di terra ben invetriato , si fa bollire nel vaso e nell’ acqua stessa fino a ridazione di metà. Le- vato allora il, vaso dal fuoco, e copertolo , si lascia il tutto in mace- razione per altre ore 12; dopo di che decantato il liquido, si am- ministra in tre volte nello spazio d’ un ora al pazieate , che si è dolcemente purgato il giorno avanti, Sotto il titolo di Anno clinico medico del 1823-24 è comparsa in luce un opera molto interessante del chiariss. sig. dot. Carlo Spe- 149 ranza professore di terapia speciale e di clinica nella ducale univer- sità di Parma. In questo dotto e faticoso lavoro egli presenta una se- rie numerosa di malattie , per Ja più gran parte pericolose , divise e distinte in esatto ordine nosologico , nel di cui trattamento curativo, coronato sovente dal più felice successo , dà luogo a ravvisare la pro- fonda cognizione che egli possiede dell’arte di guarire. I casi che , a malgrado della cura più razionale e meglio appropriata, ebbero esito sinistro, son corredati dell'esposizione delle autossie cadaveriche, nella quale si riconosce il più diligente scrutinio, e la più giusta ed analoga consonanza fra le riscontrate lesioni patologiche ed i prece- denti fenomeni morbosi. All’ istoria diligente di ciascheduna malattia tien dietro di tratto in tratto un complesso di solide e giudiziose ri- flessioni , in forma d'’ epicrisi , nella quale si scorge una vastissima e ben applicata eradizione , la quale fa ammirare in un tempo e rende più interessante quest’ opera. Tutti i medici osservatori e razionali, trovandovi ampiamente di che far profitto , si uniranno con noi a far plauso all'autore, persuasi che una riunione numerosa di fatti im- portanti e bene apprezzati formi il più bei pregio degli scritti con- cernenti l’arte salutare. Lavoro dello stesso ch. sig. prof. Speranza è pure comparso in . luce col titolo di Cenni biografici un bello ed erudito elogio del cav. Luigi Frank, archiatro di S. M. la Duchessa di Parma. Negli atti dell’Accademia di agricoltura, commercio ed arti di Verona leggesi il seguente articolo sul chinino, e sopra un nuovo sale, che gli equivale ne’suoi effetti. “ Dal 1811 in quà si sono fatte molte ricerche per conoscere se la forza febbrifuga che hanno varie specie di china dipendesse da un sale particolare residente nella ‘corteccia di quella pianta, e si trovò che questo sale realmente sussiste, ed è di natura al- calina, diversa secondo la specie dell’ albero. »» Nella china greggia si scoprì la chinaconina, e nella china gialla il chinino, »» L'utilità della scoperta è grandissima in medicina. Molti am- malati non potevano ritenere nello stomaco la quantità di china in ‘polvere, che era necessaria a sanare la febbre ; e in alcune inter- mittenti di carattere insidioso, e rapidamente mortali, se l’unico rimedio poteva essere la china, non si giungeva a tempo perchè \operasse la guarigione nella dose opportuna, ch’ era quasi impos- sibile di far prendere all’infermo, Ora il chinino essendo in pochi ‘grani, così potente come un’ oncia di polvere di corteccia; s’ intende 150 subito come sia somministrabile anche a dispetto del malato, e come, non opprimendo il ventricolo, possa celeremente e vittorio samente vincere il male , che il minacciava di morte. 3) L'uso però del chinino, vantato da tutti i medici, divenne generale, e fu considerato per ogni dove come un beneficio con- cesso all’ amanità, ;, Il processo chimico col quale si prepara è facile, ma il costo del nuovo sale non è minore di quello della corteccia polverizzata; noi sian sempre debitori all’ America di molto danaro per avere la china, e invano si cercò in Francia e in Germania negli alberi indi- geni un succedaneo. ;» In Italia, pel clima migliore che tanto influisce sui vegetabi- li, si trovarono varie piante utili nel corare le febbri; ma la loro virtù essendo infiriore a quella della china, non durò gran tempo la loro fama, e nulle furono nelle febbri perniciose. 3) Era riservato a Verona l’ onore di scoprire un tale succeda- neo al chinino, che gli fosse pari in valore medico, e che riuscisse più economico di molto, Al valente chimico sig. Bartolommeo Rigutelli siamo debitori del nuovo ritrovamento. Conta questo l’epo- ca di circa quattr anni , nel cui periodo furono reiteratamente spe- rimentate le sue mediche virtù dai più reputati medici di que- sta città. », Particolari circostanze obbligarono l’ inventore a non palesare ancora qual sia la pianta dalla quale ei trae il nuovo febbrifugo; ma incoraggiato dal buon esito di quelle esperienze che ci assicurano della sua efficacia nel vincere le febbri periodiche, si presentò nel- l’ aprile dell’anno scorso all'accademia, pregandola di eleggere una giunta che esaminasse l’ invenzione e il processo con cui si preparava ciò ch’ ei chiama per ora salino amarissimo antifebbrile , dichiaran- do che agli esaminatori avrebbe confidato il segreto sulla parola di onore di non palesarlo senza il suo assenso. »» L'accademia soddisfece al desiderio del prelodato farmacista, e nominò i commissarii, i quali videro la sostanza vegetale, dalla; quale risulta il salino amarissimo , e assistettero all’ intero processo della sua preparazione, e quindi riferirono all’ accademia stessa, r.° Che il vegetabile donde è estratto il nuovo salino è real- mente comune e iudigeno non solo della provincia Veronese e del Regno lombardo Veneto, ma dell’ Europa tutta. ° Che si ottiene con un processo semplicissimo , in dose molto CAM Lino rispetto a quella del vegetabile impiegato, quindi di Qua spesa oltremodo tenue in confronto del solfato di china. ; 3.° Che nulla non contiene assolutamente che sia venefico , o in 151 qualsiasi modo nocivo all’ amana salute. Esso è ana combinazione di un acido con un principio salificabile vegetale. 4. Che il nuovo salino offre , non polverizzato, i caratteri fisici, «di un color di mattone , d’un’aspetto e consistenza terroso-friabile, d’ un sapore molto più intensamente amaro di quello del solfato. di chinino, e leggermente astringente , d’un odore poi erbaceo ap- pena sensibile. 5.° Che, polverizzato, ha gli stessi caratteri, ma è prontamente : solubile nell’ acqua, ed è di un color più biancastro. 6.° Che per l’ analogia del salino col solfato di china , cui pre- vale in amarezza, e per gli attestati prodotti della sua utilità ne’casi di febbri , equiva!ga esso al detto solfato, e possa usarsi in tutte le malattie, nelle quali si prescrive la china, o il chinino. 7.° Che anche per il pochissimo suo costo debba anteporsi il nuovo salino al svlfato, principalmente nei pubblici stabilimenti di carità. 8.° Che per dovere di sola giustizia encomiano la scoperta , la quale a lorv avviso è importante in medicina , e potrà divenirlo an- cor più a bene di tutta Europa. » Accolse l'accademia con distinto piacere questo favorevole voto dalla sua gianta, portato sopra d’ una scoperta da tanto tempo indarno desiderata , e da tanti dotti tentata , la quale, mentre « onora il sig. Rigatelli, tu in decoro disagio della patria. » Giova sperare che dove il sig. Rigatelli trovi un adequato compenso alle sue fatiche, proporzionato insieme all’ importanza della scoperta , da sè stesso egli, ne renderà in breve di pubblica ra- gione il segreto ,,. G. GAZZERI. SCIENZE MATEMATICHE. Geometria. Dacchè Lagrange ci diede l’ applicazione della teorìa delle fan- zioni analitiche, alla geometrìa , i problemi concernenti, siano le intersezioni , siano i contatti di linee e di superficie, agevolmente si possono coll’ analisi risolvere. Ma giovando mantenere lo spirito delle grafiche costruzioni, però saper grado si debbe anco a quei,geome- tri, che si applicano a trattare simili questioni colla sintesi. Egli è mediante siffatto metodo , che i signori Fergo/ae Flauti hanno riso- luto alcuni problemi intorno ai contatti in varie Memorie, inserite \fra quelle della Acale ,4ccademia di Napoli. Ha trattato,il signor \Fergola il prolildtsia : “ date sopra un piano tre qualsivogliano delle nove grande zze, civè tre puuti, tre rette, e tre circoli; descrivere nn 152 cerchio che passi pei punti dati, o sia tangente alle rette o ai circoli dati, v solamente tangente a questi o a quelle , o a qualcuna delle une e a qualcuno degli altri ,,. Il signor F/auti poi ha risoluto ; 1.° l'analogo problema relativo alla sfera, ponendo date quattro delle dodici grandezze , cioè quattro punti, quattro piani, e quattro sfere ; oppure tre solamente, postochè la sfera si dovesse descrivere con un raggio dato : 2.° ha trattato varii problemi che riguardano il condurre da un dato punto delle rette perpendicolari ad altre rette o a piani dati di posizione , e le quali stiano in una data ragione: 3.° ba sciolto altri consimili problemi sulla piramide triangolare: e 4.° ha riportato la soluzione del problema dei tre circoli tangenti ad un quarto, che attribuisce ad Apollonio. Ma per verità sebbene lodevoli siano le soluzioni di tutti questi problemi, però non con- - tribuiscono di molto ai progressi della geometria , e da un altro canto facilmente si possono, com’ è detto , sciogliere mercè del- l’analisi, la quale è a desiderare, che sia più fervidamente dai Na- poletani Geometri coltivata . Il sig. Gergonne d’ alcune considerazioni sopra i rapporti, ch’esi- stono tra una figura piana , la quale abbia parecchi punti in linee rette, e parecchi gruppi di rette concorrenti in punti con la sua prospettiva formata sopra ad una sfera , il cui centro sia il punto di vista, e colla figura determinata dagli archi, che congiungono i poli della figura prospettica, ne ha cavato il seguente geometrico princi- pio. “ Se una figura piana composta di punti distribuiti sopra delle rette , e da linee rette concorrenti in diversi punti sia possibile ; sarà eziandio possibile un altra figura piana nella quale i punti saranno sostituiti da rette, che concorrono in punti, e reciprocamente le rette saranno sostituite da punti. Dal quale principio però è da escludere le figure simmetriche rispetto ai punti e alle rette. Pro- prietà di natura analoga ponno avere luogo nelle figure solide, al- meno qualora si tratta di punti situati in linee rette o giacenti in un medesimo piano, di rette poste in un piano o concorrenti in un punto , o per fine di piani condotti da uno stesso punto, o che sì se- gano in una medesima retta ( V. Ann. de math. pures et appliquées Tom. XVII ). L’ Accademia di Bruxelles ha proposto pel concorso del cor- rente anno la seguente questione. ‘* Si domanda quale relazione debba esistere tra dieci punti , acciocchè per essi possa passare una superficie di second’ordine; e quale relazione debba pure sussistere fra dieci piani, perchè abbiano da risultare tangenti ad‘una su- 153 | perficie di second’ordine ,,. La soluzione del quale problema, ove si richiedesse coll’ analisi , non ammetterebbe, come agevole è lo scor- gere , difficoltà nel principio, ma bensì lavoro di calcolo. Analisi Algebraice. Nell’ ultimo bullettino matematico ( V. Antologia mese di marzo pag. 174,175 ) fu detto in qual nodo il sig. Poisson dimo- strasse incomplete le serie, che si danno regli ordinarii trattati di tri- gonometria, e ch’esprimono cos.’”x,.se.”?x pei seni e pei coseni degli archi molteplici di x, e quali ne fissero le serie complete. Il che per verità merita l’attenzione dei gemetri, e dovrebbe incitarli a sottoporre a rigorosa disamina i diversi metodi , i quali servono a svolgere certe funzioni in serie; onde fermare e quali siano i metodi generali , e quali i particolari, e di quesi stabilire i casi pei quali si possono adoperare. Certamente perchè ma serie sia generale, con- verrà che il metodo, col quale si è detrminata , non abbia sotto- messo a particolare cbidizione niuna dele quantità, benchè costan- ti, le quali sono conterute nella funzione generatrice. Così quan- ‘do si abbia da sviluppare cos.?x, ad ottenere la serie generale nov è da considerare l’eponente 72 di un particolare valore, ma ben- sì debbesi riguardare mn numero qualumque intero , fratto , positi- vo , negativo , altramette la serie non potrà godere di tutta la gene- ralità. E perchè sulle erie stà riposto quel ramo dell’ analisi , oggi- dì dai geometri con maggior fervore coltivato , che traita dagl’ inte- grali definiti ; così ancle in quest’ integrali è Nou da considerare sin dove si possono stendee . Sanno i geometriche if sig. Legendre rinvenne parecchie pro- prietà dei coefficienti che nascono sriluppando in serie la fun- L ‘zione ( 144 2a-c08--D-+ i ) fia Di secondo le potenze della @ : e sanno altresìche il sig. Laplace determini il limite del termine generale 4; d:i coefficienti di jal serie. Ora il sig. Plana in una /Vota inserita ne Tom. XIV della Corrispondinza Astrono- mica del sig. Barone d Zack ho scopirto nuove proprietà dei sud- detti coefficienti, ed ha parimente determinato i limite’ verso cui convergono i loro wilori all’aumenfare di mano in mano l’ espo+ nente di 2. - ‘Trovato tre differati forme del termine A. i; chè 154 1.3.5..25-1 "SRL fel 1.3 1.3,5,,,27-5 (1) A; VAI. A Le trae TERA FETI St (i-2) Pa Tee T ce « uf je 1.3 5..2i-1 11.3.5..27-3 ille MIRA fi dedi ione CEE re (2) AS nad tà loi 2.3..,«i=1 Cra 2.45 1.2.3. È. i n i-2 2 3; ; To (3)... A; 008. PT Lic al 0s. (o) sen. lie: và CIECO Da Di pu freni lo mostra che ciascuna time dei particolari vantaggi. Così mercè della (2) possiamo ottemre l’ integrale completo dell’equazione —ecy dy 9, dI 4 Li yzò, dx° 19° de 1-1? perchè posto x=cos.9 , s avrà dx ya A; cnc' (A;)?(1-x2) bi dove l’integrale dipende all’ integrazione di quantità razionali de- terminate mediante le ralici dell’ equazione A pEz30y prendendo in questo caso la (2). Dalla ‘ormala (3) poi ricava l’autore il valore di A, espresso da integralidefiniti , che contengono quantità imma- ginarie; e dappoi deduce parecchi altri vilori di A;,, ognuno dei quali parimente esprime con un integrale difinito, libero dalle quan- tità immaginarie . Dimodo:hè essendo dati ctali integrali si potran» no colle serie (1), (2), (3) appresentarli. Ietermina pure i valori degl’ integrali definiti i d VIVAI A pini Sf (Aé)2dx Rispetto poi al limite verso il pu convergono i valori dei coetficienti A. Primieramente dimostra , cle pel valore P=0, si ha (£) CO, ( i 2 . . Tot » Dappoi risolve ibn 2 il problema nel caso generale , e trova il linite di A, dato da Lapla- A;= 1 e pel valore PZ ottierisi A ce, vale a dir: dimostra che A; si accosta smpre più alla quantità cos.iD4- 30-17 IT ò V— Vsin. © ultimo confronta fra loro i ‘oro coefficieni delle serie esprimenti s di mano n mano che i dventa più grande. Per 155 DD" i; e prova, che il termine generale dei coefficienti della serie in cui si sviluppa DEE: sinD dp una Memoria, la quale certamente i geometri s’ invoglieranno di leggere. . Tale è il sunto di Matematiche applicate. La diminuzione del tempo periodico della cometa di Encke di- cemmo ( V. Antologia Tom. XX. pag. 171, 172) avere data ma- teria al sig. Mossotti, di calcolare secondo certa ipotesi il movi- mento di questo astro ponendo a calcolo la resistenza di un etere: ed adducemmo alcune ragioni che rendevano dubbia sia l’esistenza di un tale mezzo, sia la legge di resistenza. Ora il prelodato sig. Plana in una sua scrittura, inserita nel Tom.XIII.della succitata Corrispon- denza Astronomica del sig. Barone di Zach, dimostra con metodo generale come le variazioni secolari, che potrebbero essere cagionate della resistenza di un etere, dipendano dalle trascendenti ellittiche complete di prima e di seconda specie. Quindi discende ad appli- care le sue formule all'ipotesi del sig. Mossotti, ed a qualunqu’al- tra; e ne ritrae i medesimi risultamenti. Per fine chiude colle parole del Lagrange. “ Mais comme l’existence d'un milieu rési - » Stant, et a plus forte raison de la loi de Ja densité de ce milieu ; , Ne sont que hypothétiques, les résultats précéuents ne doivent », étre considérés que comme une application des formules gé- ») DErales ,,. » La densità dell’aria facendo cangiare la gravità di nn corpo, che per esso si muova, cagiona ben’ anco variazione nella durata delle oscillazioni di un pendolo . Per togliere quindi una tale imper- fezione dagli orologi pendoli , 1’ astronomo sig. Carlini ha imma- ginato di formarli in modo, che la lente del pendolo sia divisa in due parti, o meglio sieno collocate due lenti alle estremità della verga , l’una al disopra, l’altra al disotto del centro di sospen- sione. E per determinare i volumi osserva , che nominato p7 il volume, D la densità ,y la distanza dal punto di sospensione della lente inferiore; v,d, x le quantità corrispondenti alla lente su- periore: inoltre designato con LZ la langhezza del pendolo sem- plice nel voto, ch’eseguisce le oscillazioni col pendolo composto ; e con d la densità variabile dell’aria , trova 156 L_ y?VD4. x2vd CYD) = (ddp Donde chiaro apparisce, che acciò £ rimanga lo stesso per qualunque valore di d dovrà essere yY—=x0, il che ne dà, i volumi delle due lenti in ragione reciproca delle distanze dal centro di sospen- sione. Osserva poi, che se fosse anco D=4d risulterebbe zero il denominatore della sopra scritta quantità; quivdi oltre la predetta condizione dei volumi è ancora necessario che la materia delle lenti sia di densità differente : e perchè il pendolo non divenga incomodo propone di ‘pigliare y = 10 x. ( Giornale di Pavia Tom. XVIII ). La Reale Accademia delle Scienze di Parigi ha proposto per soggetto di matematica da coronarsi l’anno 1828 con ana medaglia d’oro del prezzo di 3000 franchi le seguenti investigazioni : Esaminare nelle sue particolarità ‘i fenomeni della resistenza dell’acqua , determinando accuratamente con esatte sperienze le pressioni , che separatamente soffrono più e più punti, acconcia- mente scelti sulle parti anteriori , laterali e posteriori di un cor- po, e qualora questo sia esposto all'urto dell’acqua in movimento, e qualora si mova dentro il fluido in quiete : misurare la velocità dell’acqua nei diversi punti dei fili acquei contigui al corpo : co- struire sopra î dati dell’osservazione le lince che formano tali fiti d'acqua: determinare il punto dove comincia la loro deviazione davanti ‘al corpo: e peri fine stabilire, datochè sia possibile, su i risultati dei chiesti sperimenti delle formule empiriche , che si dovranno altresì confrontare colle sperienze, che furono anterior- mente eseguite intorno al medesimo soggetto . Certamente queglino , che imprenderanno a correre tale arin- go, potranno trarre non poco giovamento dallè nuove ricerche sulla resistenza ‘dei fluidi “del sig. professore Avanzini ( V. Sstituto Na- zionale Italiano Tom. I. Part. I, Tom. II. Part, I. ). Il quale benchè mirasse più particolarmente a stabilire il centro di re- sistenza di un solido immerso nell'acqua; contattociò le sue in- dagini ben si riferiscono a quelle, che ora ne chiede la prelodata Accademia Parigina. enne conto delle pressioni sulle pareti di un corpo moventesi in acqua tranquilla , trovate colla esperienza dal Dubuat, e confrontolle colla sua formula. Tenne dietro al modo; col quale le linee d’acqua si sviano dall'incontro della la- stra, e tracciò la via che tengono trasferendosi dalla parte ante- » 157 riore alla parte posteriore del corpo. Osservò che quando la astra emerge dall'acqua , le curve superiori rimangono intercettate dallo scontro della lastra sporgente; intanto che le inferiori con più am- pio giro investendo la parte posteriore della lastra, dietro ad essa lasciano una cavità più o meno sensibile. E parecchie altre osser- vazioni fece degne di essere consultate. G. POLETTI. I. e R. Accademia de’ Georgofili di Firenze— Adunanza del 2 luglio 1826. — Dopo una memoria del sig. Priore Iacopo Ricci, nella quale s’ indicano le principali cause dello stato generalmente poco flo- rido dei nostri bestiami, e d’ alcune malattie alle quali frequen- temente soggiacciono; il sig. avvoc. A/dubrando Paolini, supplendo al turno dell’ accademico ordinario signor Dottor Bertini impedito, comunicò all'accademia alcune osservazioni dirette a spiegare lo spirito politico del nuovo sistema commerciale della Inghilterra. Espose l’autore il quadro compendiato delle leggi, e de’ sistemi esclusivi, che avevano procurato al commercio inglese il dominio del mave, e la preponderanza industriale nel continente. Fece av- vertire, che appena si opposero dalle altre nazioni a quelle leggi e a quei sistemi, regolamenti economici diretti dallo spirito di escludere, o limitare il dominio dell’ industria inglese, venne que- sta a decadere dalla sua potenza; e che per sostenerla inventarono i fabbricanti di quella nazione macchine opificiarie, onde le pro- duzioni delle arti fossero meno costose, e mercè il buon mercato, facilitassero le consumazioni. Ma questo mezzo economico essendo stato adottato, ed anco megliorato dall’ingegno straniero, mancò l’effetto contemplato dai fabbricanti britannici; ed il governo di quell’ impero trovossi inquietato dagli operai rimasti senza lavoro ; i proprietari di beni stabili fureno gravati di tasse, o forzate, o. volon- tarie per tener quieti i poveri malcontenti; e i capi delle fabbriche, e delle macchine, le viddero starsene oziose, perchè l’estere commissioni non davano più ad esse il solito movimento , e si lagnavano di tenere sterili i loro capitali , e di consumarne una parte nelle elemosine de- gli operai , che minacciavano di distruzione quei portenti della ‘chi- mica , e della meccanica ; che gli aveano dannati all’ozio, e alla fa- me. In tanto le produzioni delle arti essendo scemate , i capitali pe- caniari sembravano aumentati, stantechéè ristagnavano, invece di cir- colare. Allora volendo i capitalisti non' tenere infruttifero il proprio demro , lo erogarono in specalazioni differenti ; il concorso fu copio- SO , perchè la causa del ristagno era universale ; questa abbondanza 158 del numerario , che la sete del guadagno spremeva in tutte le tasche, fece tanta illusione , che fu la Inghilterra chiamata la Zorsa del mon- do; perciocchè a tutte le parti del mondo, per far denaro, dispensa- va denaro. Ma la illusione fu breve , siccome avviene di tutte le illa- sioni. Mancando all’ Inghilterra |’ antica sorgente della abbondanza monetaria , apra suoi capitali di riserva, e non i frutti di quei capitali. Quindi un’ improvvisa penuria di denaro successe all’abbon- danza, e tutti i mali delle carestie di generi necessari al commercio, disingannarono la nazione, col sentimento de’mali. Il ministero brittannico composto di uomini ben veggenti, aveva previsto l’accennata rivoluzione: non persuaso egli, che la salute del popolo consistesse nel lasciar fare al popolo tuttociò che crede il migliore, tentò di fare per il popolo quel solo bene , che la opporta- nità de’tempi permetteva di sperare. Gli errori economici de'go- verni aveano fatto nascere ed ingrandire il commercio inglese; dun- ‘ que alla stessa causa si raccomandarono, per reintegrare il commer- cio sull'antico piede : la parola di libertà, che avea generato tante illusioni, fu applicata dal gabinetto brittannico al commercio uni- versale. Ei dichiarò di renunziare al regime proibitivo,e di sostituirgli il sistema della reciprocità con tutti i popoli della terra. La libertà di commercio reciprocamente stabilita , dovea comparire al secolo dei lami , qual frutto naturale della stagione ; e il liberalismo della eredala filantropia dovea predicarla, qual dono dell’ incivilimento dell’ idee , e qual vincolo della stabilità, e dell’equilibrio nell’ ordine politico , e commerciale, Ma nel tempo stesso; che nel parlamento di Londra suonavano voci mivisteriali ad annunziare l’ equilibrio commerciale, in grazia della offerta reciprocità , si confortavano i fabbricanti inglesi con la certezza , che , attese le circostanze interne, ed esterne della loro na- zione, il promesso equilibrio sarebbe illusione per gli stranieri, e preponderanza per la Inghilterra. E quì , ha largamente spiegato il signor Paolini i verì principii del ministero brittannico , onde prov- vedere, con questo spediente , alla reintegrazione del dominio com- merciale , che all’ Inghilterra hanno tolto , o limitato i governi, che meglio intesero gl’interessi de’ loro popoli, e non permessero, che un falso Liberalismo economico, gli mantenesse nella dependenza dall’ industria straniera. Ed all’ effetto di maggiormente comprovare, che la reciprocità con l'Inghilterra non :condurrebbe le altre nazioni all’equilibrio commerciale ; che la convenzione sarebbe correspetti- va in diritto, ma l’interesse non sarebbe comune nel fatto , ha detto il signor Paolini che in altra memoria dettaglierà le circostanze in- terne , ed esterne della Gran Brettagna, le quali , nello stuto attuale, 159 lè assicurano, mercè la libertà del commercio. quella preponderanza, che le viene contrastata cun le leggi, cun le armi, e coi trattati, fino dall'epoca memorabile della emancipazione procurata alle colonie del nord di America , dalla‘coalizione del mezzogiorno europeo, e dalla neutralità armata della Russia , Svezia , Danimarca, ed Olanda , che tutte unite congiurarono contro la regina del commercio e del mare (I). Finalmente il sig. Sabatino Guarducci comunicò e descrisse un suo metodo facile e spedito con cui si può pre parare il vermut d’otti- tima e costante qualità. Società medico-fisica fiorentina. — Nell’ adunanza ordinaria del 9 luglio , furono dal segretario delle corrispondenze, presentate alla società le seguenti opere : Sull’ asportazione dell'estremo su- periore dell’ omero, con altri cinque opuscoli già pubblicati del sig. prof. Regnoli nostro socio corrispondente. Bufalini cicalate mediche: dono del sig. Buzzi : Sulla ottalmia che hanno sofferta i militari di Livorno: memoria del sig. Lodovico Paoli: dono dell’autore, Il sig. Prof. Bigeschi trattenne poscia la società colla lettura di una sua dotta dissertazione ; in cui; dopo avere dimostrato , che ‘nella massima parte dei casi gli ostinati vomiti, e gli altri sconcerti dai quali sono tormentate le donne gravide nei primi momenti della loro gestazione, pittostochè da eretisno nervoso , sono prodotti e debbono ripetersi da pletora , fece osservare come questa pletora sia talora universale, e come , e ciò specialmente nelle donne de- boli, possa esser tal altra, e lo sia ir effetto, limitata unicamente al sistema uterino. Per lo che corrobcrato in tal pensamento dai fe- lici risultati ottenuti per altri ostitrici dalla applicazione delle sanguisughe alle pudende, ed ‘al police, ove il concorso dei neces- sari sintomi rendeva indispensabile ana evacuazione sanguigna , la cimentò esso pure con ugual mezzo, e con ugual buon successo in una donna gravida, di temperamento piuttosto debole, travagliata da continovo e molestissimo vomit», che cessò quasi d’ incanto do- po l’azione delle sanguisughe. Il perchè ne. venne egli a _conclu- dere non reggere al confronto dell’esperienza l’ aforismo ippocratico, e fù di parere, che dove, in donne specialmente deboli, i primor- dii della gestazione sieno accompagnati dai segni di pletora uterina possa tornar più utile per la madre e pel feto la flebotomia lo- (1) Dobbiamo quest'estratto alla compiacenza dell’autore stesso. 160 cale nel modo antedetto, che l’ apertura delle vene o della mano o del braccio, Quindi il sig. D. Contrucci , dopo aver commendata l’ utilità è l’ interesse delle ricerche patologico-cliniche di coloro che pro- curano di investigare come si sospenda temporariamente , o si estingua per sempre il movimento vitale, accennò l’ efficacia che potrebbe venire alla semeiotica , ed alla patologia dalla cognizione de’vari modi, pe’quali l’ uomo cessa di esistere, ossia delle cause pros- sime della morte; che dietro la scorta di illustre clinico egli ri- dusse alle seguenti cioè : all'abolizione , o guastamento di parti ne- cessarie alla vita : all’interrazione delle necessarie comunicazioni: alla contrazione, o convulsione spasmodica di fibre muscolari : alla privazione o all’insufficienza degli stimoli necessari a mettere in giuoco l’eccitabilità , ed a mantenere il movimento del cuore o dei vasi: al pervertimento qualunque siasi, alla soppressione , ed all’ in- versione delle condizioni dalle quali dipende |’ eccitabilità delle fibra per azione positiva di controstimolo: e finalmente alla privazione od insufficienza dell’ aria, o deglielementi, in essa contenuti, e necessari alla conservazione della vita. — Della quale ultima causa di morte imprendendo egli specificatamente a parlare nel decorso del suo ragionamento fece avvertire, che sebbene talora mostri l’ esperienza potersi richiamare alla vita l’ asfisso anco dopo che durò l’ asfissia per non poche ore, pure per lo più mancano dell’effetto desiderato i tentativi anco i meglio imaginatie diretti; lo che secondo il no- stro socio, non solo deve astriversi alla troppo protratta azione delle cause che portarono l’ asfissia, ma ben anco ad una speciale fa- cilità, con cui, in alcuni soggeti, tende il sangue ad ispessirsi rapi- damente in coagulo poliposo entro al cuore ed ai grandi vasi, non che ad una individuale inerzia dinamica o inabditudine , per cui, remosso puranco l’ostacolo, recusano i movimenti vitali di ritornare in azione, per ciò solo che si ristettero od cziarono anco per brevi istanti. —Di poi ritiratasi la società in seduta straordinaria elesse in suoi soci corrispondenti il sig. cav. D. Tonmaso Prelà di Roma, ed il sig. A.'L. Cassan di Parigi. , Accademia delle scienze di Torino. Classe fisico- matematica. Adunanza dell’ 8 luglio corrente. — Lessero , il conte Provana, so- pra una memoria del prof. Gem. Poletti intitolata : risoluzione gene- rale di qualunque problema indeterminato di secondo grado, a tre incognite.— Il prof. Vutorio Michelotti , sopra un progetto di mani- polazione di piombaggine , proposto dal sig. Vittorio Guglielmotti.— | I 161 Î) prof. Bidone, intorno a due macchine proposte dal sig. Felice Ri» cheri , una per uso di cavar le mine, l’altra da lui chiamata macchi» na motrice —Il cav. An. Avogadro , sopra due pettini sottili pel li- no e per la canapa , costrutti e presentati dal sig. Giovanni Michel. # NECKOLOGIA. Lr Fulvio Corboli Aquilini. «+ +35, Odi homines Philosopha sententia ignava opera. PACUVIO. Non crediamo essere cosa affatto inutile il far quì brevi parole intorno a Fulvio Corboli Aquilini, patrizio di Urbino e cavaliere di santo Stefano, il quale mancò alla patria sua ne’ mesi addietro: poi- chè rari sono al dì d’oggi quegli italiani che per unico sco po alle loro azioni e ai loro pensieri abbiano il santo amore di patria ; quel santo amore senza del quale nulla sono tutte le altre civili virtù. E tale fu appunto Fulvio Corboli , che ogni altra cura privata faceva tacere quando la patria sua chiedevalo di soccorso , e sapeva spesso coll’in- gegno prevenirne le richieste. A dimostrare la qual verità sceglierò pochi fatti dei moltissimi che potrei addurre , i quali e frutteranno lode all’estinto, e saranno di non lieve conforto ai buoni italiani che per questi vedranno non essere perduti fra noi i semi delle virtù più gentili. Vide il Corboli che mancava alla patria sua una agiata via che ponesse i cittadini in commoda communicazione non solo con Pesa- ro, luogo di residenza del capo di tutta la provincia, e che per essere sulla spiagga dell’Adriatico dee recare infinito giovamento al commer- cio degli urbinati ; ma altresì con ogni altra contrada dello stato : sic- chè ne rimaneva quella città come fuori d’ ogni umano consorzio. Perciò immaginata una nuova strada che con facilissima discesa met- tesse nel piano , non ristrette mai di adoperarsi vigorosamante prima col governo pontificio, poi coll’ italico, fino che non ebbe ottenuti i mezzi per eseguire il suo pensiero , e fino che non l’ ebbe compiuto, mostrando singolar maestria ed avvedutezza nel deviare ed incanalare a molta distanza l’impetuoso torrente Lapsa, lungo il quale è co- stratta la nuova strada; e spesso nel fondar questa e fortificarla con mura saldissime dove prima era il corso dell’acqua. Poichè oltre ad aver lui immaginato tutto il concetto , aiutato solamente nel descriverlo da Vincenzo Nini buon ingegnere urbinate , fu deputato T. XXIII. Luglio. 11 162 Si i dal governo a dirigerne interamente il lavoro! Dal che chiaramente apparisce non esser ite in lui disgiunte e la bontà dell'animo e l’al- tezza dell’ ingegno. Alla qual cosa confermare , se non temessi allun- garini di soverchio, potrei recare esempi luminosissimi. E direi chejne- gli anni di pubblica scarsità di vitto egli non dubitò di aprire ai po- veri i suoi granai o vendendo a vilissimo prezzo o più presto donando a ristoro de’ più bisognosi. E aggiungerei che in tal tempo per non fomentare con male accorta commiserazione |’ amore all’ ozio ed alla infingardia in que’ miserabili , pensò d’ impiegarne i più capaci al la- - voro nell’ adornare una sua villa poco lungi dalla città, con belle e nudye piantagioni ; introducendo altresì per questo mezzo in Urbino la coltura d’alberi stranieri fino allora non posti nell’ uso commune ed utilisssimi ai bisogni della vita. Nè dovrei forse omettere, come egli, ben conoscendo gran parte della felicità di un popolo consiste- re nella propagazione de’ lumi, desse opera efficacemente perchè il governo italico fondasse in Urbino un Liceo ricco di precettori d’e- squisita sapienza, Ma siftatti esempi, bellissimi in vero e degni della imitazione dei buoni,, non sono però tali che mostrino di qual tempra si fosse pro- priamente l’amor patrio di Falvio Corboli. Chè non si mostra per essi lui non aver tenuto come sola sua patria quella che udiva i suoi primi vagiti ; e aver lasciato ad anime minori il restringere il cuore al bre- ve giro di una piccola città o di una sola provincia. Che anzi tutta Italia amò e river come sua patria vera ; nè lasciò mai opportunità alcuna a dimostrare se non essere indegno di patria così onorata. Ma poche , per disavventura de’ tempi , vedendo essere siffatte opportu- nità, colse avidamente quelle che gli si offrirono ; fra le quali di una sola faremo parola, che forse non sarà d’inutile ricordanza. È lo stato pontificio per tal modo unito alla Toscana , che chia- ramente si pare dovere questi due popoli ritrarre scambievole pro- fitto dalla pronta e facile commanicazione tra loro. Il perchè è forte da meravigliare come di tre belle e commode vie che uniscono essi due popoli per vari laoghi , niuna ve ne sia che direttamente apra communicazione fra il mare Adriatico ed il Tirreno: della quale unio- ne tatti per poco che di tali cose si conoscano, veggono leggiermente” la somma utilità, Ora il Corboli sentì il danno di tale mancanza, e con cuore veramente italiano si diede,, per quanto era in uomo privato, a ripararvi; ideando una strada che da Pesaro passando per Urbino tra- versasse gli apennini della Massa ‘[rabaria, ed entrasse nella Toscana vicino a Borgo Sansepolcro; donde per via comodissima è agevole il recarsi a Livorno. E di questo suo concetto dimostrata per carte to. - 163 pografiche la facile ed utile esecuzione, non dubitò farne discorso al governo pontificio , adoperando insieme assidue premure ed efficaci , onde un progetto di tanta utilità per due popoli italiani sortisse un effetto felice. E già s’ erano veduti i frutti di questo suo zelo, inco- ‘minciatasi fino dall’ anno mille ottocento venti l’opera della nuova strada per la Toscana : ma siccome è natura delle umane cose ivi es- sere maggiori gli ostacoli ove più santa è l'impresa , dopo compiute per opera degl’ ingegneri pontifici le prime tre miglia, il governo m.ndò si tralasciassero per intanto i lavori, essendo il dispendio mag- gior delle forze della provincia. hl veramente il Corboli mostrò grande fermezza e nian riguardo a’ privati rispetti, proponendo una linea, da se immaginata e posta in carta dal Nini nè meno commoda nè più lunga di quella degl’ ingegneri , e di spesa quasi minere per la metà. Nè prima ebbe autorità di accingersi secondo il suo nuovo concetto all’ impresa , che dievvisi con tutte le forze : e vi fece appa- rire vie maggiormente il suo ingegno , e nel render presso che insen- sibile il salire per montagne non poco ardue , e nel far tagli arditis- simi sulle roccie , e nel compierne le prime dieci miglia in tempo as- sai breve. Ma quando egli sperava di proseguire il suo progetto veramente italiano , e quando già quel poco d’ utilità che risentivasi da questo cominciamento dava a vedere quanta ne verrebbe dall’ opera com- piuta; il Corboli estenaato da lunghi travagli sostenuti per amor della patria in una età non più robusta per gioventù, infermò gravemente: e risorto alcun poco da questa prima infermità poco dopo ricadde , né più sollevossi. Ma vedendo vicino il termine della sua nobile car- riera altroin cuore non aveva , dopo gli uffizi di religione de’ quali fu sempre osservantissimo, che informare il figlinolo de’ suoi utili pensamenti da raccomandarglieli caldamente , e pregarlo a seguire le sue orme. Nè il vento ha disperse queste pie voci; perchè Curzio Cor- boli uoino di probatissimi costumi, e di mente attissima a grandi co- se, ha fatto tesoro nel suo cuore di tutti i begli esempi paterni e de- gli ultimi amorosi consigli; dai quali corravno gli urbinati frutti certamente non dispregevoli. ‘Tali furono gli altimi affetti di Fulvio Corboli Aquilini, in mezzo a’ quali dolcemente spirò la mattina del 18 di giugno di quest’ anno 1826; contando di età sua sessanta quattro anni, un mese, e giorni ventuno. Bella morte ed invidiabile , o tu ne guardi la cagione che fu la poca cura di se a petto al ben publico jo ti volgi a mirare quanto pianto di buoni cittadini accom- pagnolla. Che immenso e quasi incredibile fu il lutto che si leggeva di que” giorni ne’ volti e ne’ portamenti degli urbinati. Del resto fu il Corboli uomo di bello e nobile aspetto , facile e 164 gentil parlatore, d’ingegno pronto e vivace , giocondissimo nel eon- versare. Amò assai le arti belle e coltivolle felicemente, nè .disprez- zò le buone lettere e le scienze, onorando con sommo stadio quei che le professavano. Fa sperto conoscitore degli uomini; perciò facil- mente riusciva a persuadere altrui dell'utilità e bontà de’ suoi pen- samenti. Ebbe cuore rettissimo, e tale mostrollo in tutte le magistra- ture che spesso sostenne in patria e fuori con lode di lealtà e di giu- stizia. Amò sopra tutto dopo la patria i figliuoli, e seppe educarli egregiamente; della qual cosa ne è prova chiarissima, oltre a Curzio poco fa rammentato, Matilde moglie del colonnello Agostino Staccoli, dama assai virtuosa e adorna di oneste e gentili maniere, Fu insigne nel dimenticare le offese, giungendo ( cosa rarissima) fino a sovveni- re con largo animo chi aveva attentato a’snoi giorni: nè potrei qui annoverare quanti altri goderono di sua beneficenza; chè sopra mol- tissimi la estese, usandola per modi infiniti e tutti generosi. Visse ca= rissimo ai suoi, amato e riverito da tutti che lo conobbero. Fa in somma cortese magnanimo caritatevole religioso integerrimo , ricco di tutte le virtù cittadine. Possa il suo esempio mostrare agl’italiani, che se fra noi la vir- tù dorme talora, non fu però spenta giammai, e dar loro animo ad un tempo a sempre amare questa lor terra natale, che non cessa di produrre, per quanto i tempi infelici il permettono , uomini degni veramente del bel nome italiano. Xx. Gio. Ant. Santarelli di Firenze. La nostra città perse il dì 3» del mese di maggio p. p. uno dei suoi più distinti ornamenti nella persona del cav. Gio. Antonio Santarelli profess. celebratissimo d’incisione in gemme. Nato egli in un piccolo villaggio degli Abruzzi , qual altro Michelangiolo, fece trasparire fin dall’infanzia, e senza il soccorso d’ alcuna istruzione, che non poteva somministrargli il paese nativo , i tratti di quel genio che doveva in seguito farlo gareggiare coi primi artisti del suo tempo. Era ancor molto giovine, e brillava pei suoi talenti nella sede dell’ arti, in mez- zo ai sommi ingegni che la decoravano, quando recossi a Firenze che scelse per suo permanente domicilio. Quivi trasse i suoi giorni , tutti dedicati all’arte , alla famiglia , ed agli amici. Modesto nella gloria che si era meritata, sempre uguale a sé stesso , religioso senza osten- tazione, scrupoloso osservatore dei propri doveri, benefico, più di uello forse che le sue circostanze lo potessero permettere, fu sem- pre lieto dell’ altrui bene, e pianse sulle sciagure del suo simile. Men- tre si vidde onorato dalla confidenza dei grandi, e slimato da tutti nq 165 coloro che lo conobbero, e sinceramente lo amarono, è stato uno di' quei rari uomini che l’ odio e l’ invidia non hanno mai potuto attac - care, tanto potè l’ angelico suo carattere ! Una penosa e lunga ma- lattia lo portò al sepolcro all’ età di anni 67. colla rassegnazione e tranquillità che la sua pura coscienza, edi soccorsi della religione dovevano inspirargli , accompagnato dalle sincere lacrime di coloro, che a gloria ascrivono d°’ essergli per qualche titolo appartenuti. Marianna Dionigi. Nacque questa illustre donna dal dottor Giuseppe Candidi ro- mano, e da Maddalena Scilla, ultima della famiglia di tal nome, ce- lebre nella storia delle Sicilie per molti uomini chiari nelle lettere e nelle arti , fra’ quali suona alto il nome del Cav. Agostino Scilla fa- moso naturalista. Fu dunque da tanti parenti educata ne’ buoni studi delle muse e delle arti, compartendo il tempo ora a pingere il paese , per la cui pratica avea avuto a maestro Carlo Labruzzi , ora scrivendo : onde furono dati alle stampe da essa due bei lavori sul modo di pingere il paesaggio, e sulle antiche città latine: e quando applicandosi alla musica , per cui ebbe straordinaria attitudine ed alacrità , vedendosi onorata dai prestanti maestri Paisiello, Anfossi, Cimarosa. I suoi paesi a tempra toccati con varietà e leggiadria, e fatti più ricordevoli per istorie a piccola macchia introdottevi, e l’ opere del suo ingegno la fecero desiderare socia dell’ accademia di S. Luca di Roma, e di quel- . le di Filadelfia, di Bologna, di Pisa, e di altri illustri istituti. Poichè venne locata in matrimonio a Domenico avvocato Dioni- gi, fu la sua casa come un ornamento della capitale ; avvegnacchè di ogni maniera illustri stranieri , non che i suoi concittadini, come in un dolce ospizio delle muse ivi sempre a gara convennero, fra i quali vi ebbero più vicina consuetudine Erskine di santa chiesa cardinale, e Cunich, Stay, Ennio Visconti, d’ Agincourt, uomini dottissimi. Nè ciò era strano, conciossiachè ai pregi dello ingegno risposero in essa le doti della gentilezza , e l’ abito del ben fare; che qual fosse di lei più festiva, più pronta, più cortese avresti indarno desiderato: e in qual petto meglio albergasse carità, fede, prudenza, forza ne’pe- ricoli della vita , e la religione di tutte le opere di virtù, non saprei altrove ritrovare. Fu devota alla beneficenza, e destra proditrice ad indurvi i più restii; nè mai fu più lieta di operare il bene , che quando potè farlo celatamante, Vivendo in questi studi e in questi rapporti ; i figli si- milmente vi educò, nell’istituzione de quali fu più presto stretta che 166 facile, poichè rimasa in istato vedovile fino dall’anno 1800, volle i fi- gli adorni delle virtù sue, e della più severa morale risplendenti. Giunta agli anni gravi non perdette mai la vivacità dell’ indole, l’amabilità del tratto , la copia del discorso e la sagacità del conte- gno, che molto nell’ uso del mondo avea acquistato. Avresti detto che la natura l'aveva donata d’un anima eccedente le proporzioni del suo corpo: tanto era spirito in ogni sua parola, in ogni suo movi- meato. La qual gagliardia dell'animo l’accompagnò fino agli estremi della vita, avvegnachè con tutto il vigore della mente , e la forza del cuore pur lietamente ragionando di sante cose da età longeva ad eterno secolo passò. ( Dal Diario di Rowia). Felice Testa. Felice Testa nacque in Torino da onorati parenti. Egli si parve ne’suoi verdi anni che fra le buone arti meglio lo attraesse la pittura, e perciò dalla munificenza del suo re fa inviato agli studi delle arti in Roma pensionato pittore. Ma come prima ebbe conseguito premio nel disegno, mutò consiglio, e alla scultura si volse, che già quest’ar- te avea cominciato con più bel decoro a risorgere. Applicatosi adun- que a questa, non la lasciò mai, e molti lavori con sua lode vi operò: ritratti dal vero: copie dell’ antico: e fra gli originali, un Perseo; una Leda; un Cupido. Ma l’opere sue maggiori furono due regii monumenti sepolcrali posti in Cagliari e in Sassari, alla memoria del Conte di Mcrieno e del Duca di Monferrato, fratelli.del re Sardo. In uno di questi introdusse il simulacro di una Cerere, per signi- ficar la Sardegna fertile d’ anuona, e questa statua piacque d'’ assai, e l’ inclita accademia di S. Luca, della quale egli era professore di me- rito, con animo volenteroso un tipo di questo suo lavoro accettò. Mentre si travagliava al mausoleo del piissimo re Carlo Emma, nuele allogitogli dalla corte di 'Torino , morì nello scorso settembre d’ anni 553 più per egritudine di spirito, che per fisica infermità.,Ei fu gracile della persona, di buoni costumi: e nel culto esteriore diresti ‘negletto: imperciocchè dato unicamente alla cura della famiglia e dell’arte, s’accomodavano al medesimo le parole del Vasari sopra alcuni antichi artisti, i quali vaghi solo delle cose del mestiere, in tutte altre faccende sarian stati creduti fuori della memoria ; e divisi affatto dalla schiera di que! sagaci , che più cogli artificii che col merito il favore de’ grandi si usurpano. Benchè egli vivesse in anguste fortune , ebbe l'animo generoso nell’ educare le figlie, alle quali apparò , e inseguat fece l’ arti delta “ 167 virtù, onde si acquista nobiltà, e si accumula una ricchezza più pre- ziosa che l’ oro, dico la fama, che ci fa eterni dopo la morte. Queste parole volentieri ci siamo condotti a scrivere del Testa nella fiducia, che quelli che mirano a ritardarci dal servigio delle arti, vogliano almeno rispettare la cenere de’ sepolcri. (Dal Diario di Roma). BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. Annesso all’ Antologia (*) N.° XXXIII. Luglio 1826. N.° 381. IL TERZO VOLUME del DANTE BARTOLINIANO conte- nente l’ illastrazione istorica e filologica della DIviNA COMMEDIA. — Son già tre anni, dacchè uscì alla luce il codice Bartoliniano della divina commedia, e in questo periodo di tempo il giudizio degli uo- mini periti nella lingua italica, e scevri dal parteggiar delle scuole , si manifestò in modo sì favorevole, che maggior compiacenza di amor \ proprio noi non potevamo aspettarci per le gravi cure che abbiamo poste in questa edizione, la quale (osiamo dirlo, poichè l’hanno detto i maggiori di noi ) forma epoca negli annali tipografici del nostro paese. — Si potrebbe citare buon numero di scritti stampati sì in Italia che fuori, e molte lettere spontanee dirette al prof. Viviani da personaggi autorevolissimi, ove, eccettuate alcune cose , le quali non sono che semplice affar di opinione, fu riconosciuto il merito del testo bartoliniano superiore non solamente a quello della Cresca (che è tutto compreso in questa edizione), ma ancora agli altri che in diverse epo- che furono pubblicati. Tale verità fu confessata dallo stesso Biagioli (ciò che gli ridonda a grandissimo onore) comecché nelle note del Bartoliniano sia sempre preso di mira, qualora si mostra ne’ snoi co- menti ingiusto detrattor del Lombardi. — Un testo sì bene accolto , e sì favorevolmente giudicato dai dotti, esigeva però di essere illu- strato in modo.da poter divenir anco famigliare ai giovani, che non possedono tutte le cognizioni necessarie per bene intenderlo. Leggere Dante senza conoscere la storia del suo secolo, e senza aver un esatta (*) I giudizi letterari , dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da' sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gliarticoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia» no come estratti o analisi , siano come annunzi diopere. 168 nozione di tatte le parole da lui usate, sarebbe acquistar materiali assai informi per uno studio proficuo della nostra lingua, deila quale Dante è autore e maestro principalissimo; sarebbe un fermarsi a con- templare l’esterno aspetto di quel poetico superbo edificio, senza pe- netrare a riconoscerne ed a gustarne le interne bellezze. — Il biso- gno di aggiungere alla edizione udinese le illustrazioni storiche e fi- lologiche della divina commedia, fu dimostrato dalle ricerche di molti possessori de’ due primi volumi, e particolarmente dai maestri delle umane scuole , i quali fin dai tempo della pubblicazione , per amor delle italiane lettere, sollecitavano quest’ aggiunta. Ma la prudenza e il rispetto che si deve al colto pubblico, richiedevano che questi giu- dicasse, prima che gli editori passassero ad aumentare i volumi della loro edizione. — Fortunatamente intanto il codice Bartoliniano cad-- de nelle mani di un letterato mantovano ( il ch. sig. Ferdinando Ar- rivabene) quant’altri mai di Dante ardentissimo, che sulla lettura del nuovo testo si propose di mettere insieme tetta la parte istorica, se- condo la quale è tessuta la divina commedia. Quest’ opera comuni cata dopo un biennio al Viviani fu un eccitamento a far sì, ch'egli desse l'occhio all'indice filologico del Volpi, e che ne intra prendesse la riforma coll’ appoggio dello stesso Bartoliniano. I quali due lavori, potendosi unire insieme a perfetto compimento della nostra edizione; furono dunque da noi accettati col pensiero che ciò sia per riuscire di grende vantaggio ai cultori della lingua nazionale, sì per la parte delle cognizioni, e sì anche per quella dell’ interesse , stantechè nè v' ha edizione sì ricca di tante opportune notizie, nè alcuna delle di- stinte è vendibile ad un prezzo sì moderato. Perciò noi, che abbia- mo divisato di por mano alla stampa delle predette illustrazioni ne esponiamo quì sotto il prospetto. — Formeranno esse il terzo volu- me della edizione udinese, che comincierà da un poemio col titolo di » Lettera seconda di Quirico Viviani al marchese Trivulzio tntorno al Dante Bartoliniano: nella qual lettera si ragionerà d’alcune le- zioni del testo, che furono combattute, perchè dai critici male si os- servarono i documenti sui quali sono appoggiate ; ritenendu per al- tro fermo il principio, che alcune forme delle dizioni usate nel Barto- liniano, quantunque legittimate dalla critica, sono da considerarsi come figlie della rozzezza del secolo, e appartenenti per conseguenza non all’ uso comune, ma alla storia della nostra lingua. Tutto ciò sa- rà ragionato di volo, lasciando affatto aperto il campo delle dispute alle scorrerie dei pedanti, dei quali nè per volger di secoli, nè per po- tenza di ragione, non sembra che sieno mai per diminuirsi le ciurme. AI proemio succederà il discorso sopra Dante dell’autore del prospet= to del Parnasso italiano, stampato in Milano nel 1806; il quale ( qaa- 169 lanque sia il giudizio che i puristi possano portar del suo stile), per ciò che spetta ai principii della filosofia del gusto, senza dubbio me- rita il primo luogo fra gli scritti critici, de’ quali fu l'oggetto il poe- ma dell’ Alighieri; ed è quello sopra tutti che in brevi pagine ne di- spiega l'andamento, ne rappresenta il carattere, e ne sviscera le più distinte bellezze. Quanto commendabile n° è l’ autore per aver atteso più all'amore della verità che a quello del proprio nome, tanto dan- nevole ed ingiusto è l’obblio nel quale molti editori di Dante sopraf- fatti dal peso dell’autorità, o prevaricati dallo spirito di parte, lascia- rono il ragionamento fatto sopra questo poeta da un ingegno sì pe- netrante e sicuro ne’ suoi giudizii. — Dietro questo discorso verrà il quadro storico del secolo di Dante dell’ Arrivabene colla seguevte ripartizione: — Lisro I. MonarcHI EuroPEI. — PARTE I. /mpe- ratori. — 1. Casa Imperiale di Svevia. 2, Angiovini ossia reali di Francia in Puglia ed in Sicilia. 3. Arragonesi in Sicilia. 4. Imperato- ri e Re di Germania e d’Italia, Re di Boemia e d'Uugheria. — PARTE IP 1. Re di Francia. 2. Re di Spagna, d'Inghilterra e di Scozia. 3. Re di Norvegia, e di Cipro, — Lisro If. PKINCIPI e SIGNORI I'PALIANI. — PARTE I. (Guelfi e Ghibellini. — 1. Collegati Lombardi. 2. Gunti, Marchesi, Vicarii imperiali o pontificii. 3. Rettori o Capitani di po- poli. — PARTE II, Ecclesiastici. — 1. Ordini Religiosi. 2. Sommi Pontefici.— Ligro II. REPUBBLICHE ITALIANE. — PARTE I. Re- pubbliche di Romagna, di Toscana e di Lombardia. — 1. Romagna. 2. Siena e Pistoja. 3. Pisa e Genova. 4. Lucca e Bologna. 5. Mantova e Verona. i. Brescia e Venezia. — PARTE II. Repubblica fiorentina. —- 1. Origini della Republica Fiorentina. 2. Eveniinenti da Caccia guida fino a Farinata. 3. Evenimenti dalla battaglia, di Montaperti fino al secolo di Dante. 4. Nascita di Dante ec. 5. Evenimenti dal- l’ Ostracismo di Giano della Bella fino a quello di Dante. 6. Eveni- menti dall’ esilio alla morte di Dante. — Questi tre libri avranno.il loro indice particolare, al quale terranno dietro tre altri indici ; il primo dei versi della commedia presi ad esame nel comento storico.; l’altro di tutti i nomi così di persone come di luoghi toccati da Dan te: al qual indice si potrà ricorrere ogni qualvolta che nella lettura del poea sia necessario qualche storico rischiarimento. Il terzo sa- rà un indice cronologico del secolo di. Dante. Finalmente l’opera del- l’Arrivabene, a compimento del volume, sarà seguita dal vocabolario davtesco steso dal Viviani, colle aggiunte tratte sì dal testo che dalle note della stampa udinese. — Così questa edizione sarà divisa in tre volumi eguali di forma, carta e caratteri. Il valore di ciaschedun vo- lume per norma di quelli che amassero l’intera edizione è stabilito 170 come segue : Vol. I. e II. in carta quadretta L. 11 ital. — Detta fio- retta lir. 13. — Sotto imperiale velina leg. alla Bod. lir. 26. — IL vol. III. si stabilisce centes. 16 ital. al foglio per la quadretta, 20 per, la fioretta, e 35 per la sotto imperiale. La legatura e coperta si pa- gheranno separatamente.— A tatti quelli che già possedono i due pri- mi si darà solo il terzo volume, purchè si rivolgano agli editori entro il termine di due mesi dopo la pubblicazione del presente manifesto, senza di che non potranno più ottenerlo , stampandosi solamente tanti esemplari del terzo volume, quanti bastano a perfezionare quelli dei due primi, che rimangono ancora invendati , e altrettanti in disparte quanti ne verranno ricercati per tempo dagli anticki socii di questa edizione, nelle differenti qualità di carta. Gli editori racco- mandano quest’ opera a tutti coloro, cui scalda il petto un raggio di verace filosofia, e che, invece di balbettare annojando colle parole di Dante, amano d’internarsi nella sua sapienza, e di temprarsi all’ener- gia del sublime suo sentimento. — Udine 1 Giugno 1826. — FRA- TELLI MATTIUZZI. “ 382. IL DITTAMONDO di FAZIO DEGLI UBERTI fiorentino, ridotto a buona lezione, colle correzioni pubblicate dal cav. Vincenzo MON- TI nella proposta, e con più altre. Milano 1826 G. Silvestri vol. uni- co, (Bib. scelta) lir. 4. 60. ital. 393. BUONI EFFETTI DEI PARAGRANDINI dell’anno 1825, e spie- gazione del modo con cui questi semplici stromenti paralizzano le nubi temporalesche da impedire la formazione della grandine; con appendice sul riparo d’ altre meteore dannose all’ agricoltura, Opera importantissima alla pubblica e privata economia , esposta a dialogo dal propagatore e difensore dei paragrandini il PROPOSTO DI RIVOL- -TA, membro corrispondente della società linneana di Parigi, dell’I. e R. accademia de'Georgofili di Firenze , e d’altre accademie. Mi/ano , 1826, G. Silvestri, 8.° di p. 144. 384. CONSIDERAZIONI analitiche sulla causa dello scoloramento de’vini fabbricati in vasi chiusi, e sui mezzi proposti a rimedio, colla descrizione di un nuovo meccanismo che perfeziona le vinificazioni e colora i vini, eseguendo la follatara delle uve fermentanti senza al- terare la chiusura de’ ti i, del dott. IGNAZIO LOMENI. Milano , 1825. Silvestri, 8.° contavole \ire. 1. 74. ital. 385. RICERCHE PATOLOGICHE sulla febbre di Livorno del 1804 ; sulla febbre gialla. americana; arricchite di una memoria sulle febbri contagiose, epidemiche costituzioni, del prof. GIACOMO TOMMASINI, membro dell’istituto delle scienze di Bologna. Milano 1826 presso G. Silvestri, vol. 2. in 8.° 171 386. Sronia dei recenti progressi della chirurgia, del cav. AN- seLMO RICHERAND. Versione italiana, con note addizionali e critiche di GIAMBATISTA CAIMI , dottor di medicina, chirurgo dello spedale mag- gior di Milano, Milano 1826. G. Silvestri 8.° di p. 274» 387. SULLA MACCHINA per la pigiatura delle uve inventata dal dottore fisico IGNAZIO LOMENI, lettera che contiene alcuni cenni pra- tici intorno all’ uso della medesima. Milano 1826. G. Silvestri 8.° di p. 32. 388. LETTERE MERCANTILI per uso della gioventù che desidera familiarizzarsi col moderno e corretto stile epistolare de’ commer- cianti. Date in luce da D. A. FILIPPI, prof. di lett, it. nell’univ. di Vienna, ed autore delle due grammatiche italiana e tedesca ad uso degli studiosi d’ambo le lingue (seconda edizione milanese ). Mano 1826. Giovanni Silvestri. lir. 1. 74. 389. OSSERVAZIONI sopra i mezzi di conservare i boschi , me- diante la regolarità dei tagli; di Giov. BATISTA SARTORELI.I, I. e R, ispettor de’boschi nella provincia di Bergamo. Milano 1826. G. Sil- vestri 8.°.di p. 120, lir. 1. 74. ital. 390. ILLUSTRAZIONI e dichiarazioni intorno ad un codice autografo delle poesie volgari di FRANCESCO PETRARCA , scoperto e posseduto dal sig. cav. LUIGI AnRIGHI in Pietroburgo. Milano 1826 G. Silve- stri, 8.° di p. 28. 391. STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA, di P. L. Ginguené; traduzione del pr. B. PEROTTI, con note ed illustrazioni; edizione ri- vista sull’originale francese. Firenze 1826 nella tip. Daddi. Vol. pri- mo, 8.° di pag. 258 col ritratto dell'autore: prezzo p. 6 per le perso- ne che si saranno associate e firmate prima della pubblicazione del 2.° tomo, or sotto il torchio; dopo di che sarà di p.8. — L’ associazioni si ricevono al gabinetto scientifico letterario di G. P. Vieusseux. 392. COMMEDIE di GiovAN GHERAKDO DE’ Rossi. Prato. 1826. per i fratelli Giachetti. Tomo III. e 1V.° 393. COLLEZIONE di tatti i drammi e opere diverse di CARLO GoLbONI. Prato 1826. pei fratelli Giachetti. Tomo XI.° e XII.” 394. ISTITUZIONI di aritmetica pratica di GiusePPE Rossi di Pisa. Prezzo lire 5. Un solo vol. in 8.° grande pag. 176. Firenze 1826 ] presso Pasquale Albizzi. 395. LA SCIENZA DELLA LEGISLAZIONE e gli opuscoli scelti di ] GAETANO FILANGIERI. Livorno 1826. per Glauco Masi e c. vol'1.° 8.° di p. 300 — prezzo d'’ ass. p. 6. 396. COLLEZIONE PORTATILE DI CLASSICI ITALIANI. Firenze ' 1826. presso P. Borghi e c. vol. XIII.° — Tragedie di Vittorio Alfie- ' ri. vol. III° 73 397. DEGLI UFFICI DEL MEDICO, prolasione accademica del D. E. BASEVI , socio di varie accademie, Milano 1826; presso la società tip. de’classici ital. 8.° di p. 32. 398. ORSERVATIONS CRITIQUES sur le systéme hiérogliphique des. anciens egy ptiens, de M. Champollion lejeune, par F. RiccARDI FEU CHARLES. Gènes ‘1826. Yves Gravier, 12.° di p. 166. 399. DELLA VITA e degli scritti di Didaco Pirro , altramente detto lacopo Flavio Eborense, commentario di ToMMASO CHERSA. Firenze 1825, st. Magheri 8.° di p. 27. 4oo. OPERE dell'Abate GIOVANNI ROMANI. vol. 4.° — Diziona- rio generale dei sinonimi italiani , fascicolo V. prezzo lir. 4. 30. Mi- lano 1826. per Giov, Silvestri. 8.° di fog. 20. N, B. Sta sotto al tor- chio il compimento di questo dizionario ; vol. V. osservazioni sopra il vocabolario della Crusca — ; vol. VI e VII. Teorica della lingua italiana. Quest’ witimo verrà posto sotto i torchi quanto prima, e si pubblicherà coftemporaneamente alle osservazioni sopra il vocabo- lario della Crusca, 4o1. NONNULLAE in nerveum systema animadversiones disserta- tio in augurali pro conseguenda doctoris medici laura. Auctori J. GUARNIERI, Ticini 1826. excudebat G. Bizzoni. i 402. SERMONI di Ippolito Pindemonte , di Gasparo Gozzi , di Giaseppe Zanoja e Teresa Albarelli Vordoni. Milano 1826. per G. Silvestri ( Biblioteca scelta) vol. unico prezzo lire 3. 75. 403. Prediche alla corte, di monsignor ADEODATO TURCHI vc= scovo di Parma. Milano 1826. G. Silvestri ( Bib. scelta) vol. unico lir. 4. 50. ital. | 4o4. PROSE ed alcune rime di monsignor GIOVANNI DELLA CA- sa. Milano 1826. G. Silvestri (Biblioteca scelta ) vol. unico lire 2, 80. ital. 45. Il VIAGGIATORE, opera utile alla gioventù ed a’viaggiatori che bra mano rendersi famigliari le frasi e l’espressioni più usitate nei moltiplici incontri della vita sociale; data alla luce da mad. di Gendlis e recata in italiano ed in tedesco dal D. A. Filippi, prof. di lingue e di lett. ital. nell’ università di Vienna, ed autore delle due gramma- tiche italiana tedesca ad uso degli studiosi d’ ambo le lingue. Milano 1826 per G. Silvestri. 406. ISTRUZIONE teorica e pratica sui parafalmibi letta all' isti- tuto di scienze, lettere ed arti, nella radunanza del 19. gennaio 1826, e dedicata a S. E. il sig. Conte Giulio di Strassoldo, da GIo. ALES= SANDRO MAIOCCHI , professore di fisica nell’I.e R. Liceo di Manto- va. Milano 1826. presso G., Pirotta: con una tavola in rame, prezzo lirs 1. 74. italiane, 178 4or. L'ARTE DI LEGGERE necessaria ai discepoli ed ai maestri, Aitano 1826. presso A. F. Stella e figli 8.° di p. 48. prez. 65. cent. 408. Prose E VERSI di G. B. NiccoLINI fiorentino, Milano 1826. per Giov. Silvestri , vol. unico. :180.° della biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne, prezzo lir. 3. 80. 4og. MANIFESTO di ASSOCIAZIONE. La società libraria, esistente in Firenze sotto i nomi P. Borghi e C., ha quasi terminato di pubbli care la. prima parte della sua Coliezione portatile di Classici Ita- Ziani, la quale fu da lei promessa col manifesto de’ 30 maggio 1825. Il Pubblico è testimone della diligenza e del buon volere, con che gli editori hanno scrupolosamente osservate le proprie obbligazioni, e gli ha ricambiati non poco di favore, e di lode. Per lo che, confortati essi nel proseguimento della loro impresa, la continueranno di segui- to, e senza interruzione; pubblicando con egual cura in circa 12 vo- lumetti simili del tutto ai già dati, nè minori l’ un per l’altro di pa- gine 250, la Divina Commedia , le Rime del Petrarca , \' Orlando Furioso, e la Gerusalemme Liberata. E quanto alla Divina Comme- dia, son lieti di poter annunziare che sarà per loro arricchita di nuo- ve illastrazioni, compilate dall’ egregio Traduttore di Pindaro, il qua- le ha pur voluto rendere al Padre dell’ italiana poesia , lo stesso ser- wigio che rendette già con tanto applauso al Cigno di Tebe. Laonde ogm canto dell’ ALIGHIERI sarà precedato da breve argomento , che non solo la ragion poetica discorra, ma le allusioni benanco e le isto- rie dichiari: talchè pianissima si faccia la intelligenza del carme; nè la lettura di questo da langhe annotazioni con iscapito dell’ effetto sia poi ritardata , o interrotta. Sperano quindi gli editori che quanti sono amati della patria letteratura, dovranno loro qualche sorta di gratitadine, ove in tre piccoli volumi e con poca lor pena trovino raccolto ciocchè può rendere agevole lo studio di tanto poema; e ten- | gon percerto, che sarà valutata dai loro corrispondenti la sollecitu- dine con che non tanto s'ingegnano perchè la Collezione riesca niti- | dissima e corretta nella parte tipografica, ma utile ancora per ciò che riguarda l'istruzione, e il diletto. — Le condizioni per i soli sigg. as- sociati sono le medesime già fissate col ricordato manifesto de’30 mag- gio, che meritò la pubblica fiducia , e diede agli editori un numero non ordinario di soscrizioni. — Le commissioni si riceveranno in Fi- renze dagli editori alloro negozio posto sul canto de’ Pazzi; da’ sigg. Ricordi Grua e C. sulla piazza del Duomo; Luigi Piazzini in Porta Rossa; e nelle altre città d’Italia dai principali Librai distributori di questo avviso, 4io. SAGGIO d° insegnamento e di pratica della lingua inglese , 174 o prime linee di un nuovo metodo diretto a comunicare gradata- mente la pronunzia, ed una perfetta cognizione della medesima senza preventivo radimento grammaticale, proposto agli studiosi di questa lingua de G. W. F. Johnson di Londra, prof. di lingue e letteratu- ra. Firenze 1826. st. Ronchi e ec. 8.° prezzo p. 8. : 411. Avviso.— L'autore e proprietario del QUADRO GENERALE DELLO STATO DELLA CHIESA; pubblicato recentemente in Roma con PRIVATIVA PONTIFICIA, del quale il foglio Romano, n.° dd dell’anno scorso, diede la sotto descritta relazione ; fa noto al Pab- blico, ora che l’opera è del tutto compiuta , che viene riaperta l’AS- SOCIAZIONE per tutto l’anno corrente 1826, dai librai dello Stato ed esteri sotto nominati, ed altri che faranno affiggere il presente coll’indicazione rispettiva. Il prezzo dell’ intiera opera composta di n.° 12 tavole, oltre il prospetto in rilievo di essa, che si darà gratis ai signori associati , è di sc. 12 da pagarsi nel termine dì un anno , a decorrere dal giorno che l’associato si inscriverà ; epoca in cui dovrà ritirare , dietro il pagamento , la prima tavola , ed ogni mese una delle altre sino al compimento dell’ opera: rimarrà in facoltà de’ concorrenti di ritirare più tavole, ed anche l’ opera intiera a loro piacimento. — Per comodo de' signori già associati , o che saranno per associarsi, il suaccennato autore, nel passaggio che deve fare in varie città, per oggetto della già eseguita asso» ciazione , esporrà in luogo da indicarsi quì a piè del presente, l'opera nelle varie forme in cui la medesima può tenersi onde ognuno possa scegliere il sesto che più gli piacerà di tenere il proprio esemplare, ed anche approfittare del di lui passaggio per associarsi o per acquistare uno o varj corpi dell’opera nella più piaciuta forma. I libraj della città per le quali non passerà l’au- tore , saranno provveduti dal medesimo a norma delle loro do- mande , de’ fogli necessari onde fornire gli associati che s' inseri- veranno. Il domicilio dell’autore è Ancona; nella sua assenza la- scia chi agisce per lui. — Chi procarerà dieci associati sotto la propria responsabilità avrà l’undecilna copia gratis. Non si rice- veranno le lettere di domande che franche di porto, e le spese di trasporto, e di dogane per l’estero rimarranno a carico degli as- sociati, o di chì farà l'acquisto dell’opera. — Estrazto del foglio romano — Da molto tempo fra noi dimora il sig. CONTE LUIGI ANTONIO SENES TRESTOUR di Antibo, già amministratore della reale marina francese. Ha perciò avuto l’opportunità di occuparsi per otto anni indefessamente nella formazione di un QUADRO GENERALE GEOGRAFICO, TOPOGRAFICO, STORICO, STATISTICO, POLITICO, COM- 175 MERCIALE ec. dello STATO PONTIFICIO. Vi si descrive accuratamente: IN FRONTE la situazione geografica dello stato, l’ estensione, e su- perficie quadrata , il numero di anime competente ad ogni miglio quadrato di terreno, la popolazione, i confini, il clima, il suolo, le montagne, e l° altezza delle più considerabili ; le foreste ,i fiumi, canali, e la loro navigazione; i laghi, e le acque dei bagni coll’in- dicazioni delle rispettive proprietà medicinali, e loro sorgenti; le produzioni, animali, vegetabili,e minerali, cave di marmo, pie- tre, e carbon fossile; le vene di solfo, bitume je le saline; le fab- briche , produzioni d’ industria , il commercio coll’ indicazione di tutti i generi dî esportazione, e d’ importazione; la religione, gli ordini cavallereschi, e loro istituzione; le rendite, la forza milita- re ; la ripartizione dello stato in arcivescovadi, vescovadi ed ab- bazie Nallius, 2a giurisdizione, e li respettivi tribunali; la divi- sione territoriale coll’ indicazione delle provincie , legazioni, de- legazioni , governi di primo, e secondo ordine, vice-governi . ec.; tutte le autorità governative, quelle di polizia e di finanza, e le respettive loro residenze ; tutti i tribunali civili, criminali tanto di prima istanza, che di appello, di commercio, della camera Apo- stolica e le respettive presidenze ; le autorità comunitative, e loro consigli ; le commissioni speciali, i consiglidi guerra, i tribunali e varie congregazioni di Roma; ed in ristretto si accennano le attri- buzioni di tutte le autorità, e tribunali nominati precedentemente. NEL CENTRO: evvi una nuova carta geografica del dominio pontificio delineata a norina degli ultimi trattati; diciassette tragitti per le vie corriere coll’ indicazioni delle poste, delle miglia, delle locande, ed altre annotazioni utili a'viaggiatori: un quadretto geografico-astro= nomico dell’ Europa, una tavola comparativa delle misure itinera- rie delle diverse nazioni europee, e molte altre cognizioni relative alla geografia. NeL coNTORNO della carta geografica e tavole predette viene descritto colla maggior chiarezza i nomi delle pro- vincie, legazioni, delegazioni , e loro rispettive estensioni e superfi- cie quadrata ; i distretti , tutte le città e luoghi di residenza de’ go- vernatori; e molti altri vi sono considerati coll’ antico e moderno no- me, fondazione, epoca dell’erezione in arcivescovado o in sede vescovile e co’ nomi de’ primi respettivi vescovi, gli eventi rimar- chevoli dall’ epoca della loro fondazione in quà, le popolazioni, ' qualità dei territori , prodotti sì naturali come indastriali, pii sta- bilimenti , collegj , accademie, monumenti vetusti e moderni , belle arti, uomini celebri per santità, valore e dottrina ,, famosi ‘artisti, fiere e mercati ec. IN DUE GRANDI COLONNE che chiudono le parti 176. laterali del quadro: Per serie’ cronologica trovanvisi esposte le gesta di tuttii Sommi Pontefici, gli ordini e stabilimenti religiosi e loro istitutori regolari, i generali concilj e loro deliberazioni; le persecu- zioni della Chiesa, gli scismi, le eresie, le missioni, le conversioni dei popoli al cattolicismo, le crociate, e tutt’ altro, formando i insieme un compendio de’ fasti della oi Per maggiore ornamento del- l’opera vi sono aggiunti otto allegorici rami di eccellente bolino. La incisione di detta carta geografica , delle tavole e del prospetto si è eseguita, dal rinomato sig. Francesco Valenti, e la stampa coi nitidi caratteri del sig. De Romanis. Il prezzo della intera opera fu di scudi 10 pe’ sigg. associati, ed ora è di scudi 12, perchè com- piutamente pubblicata , conforme venne espresso nel manifesto. E la medesima contenuta in undici fogli di carta arcipapale velina, ed uno in carta papalona, oltre il foglio del. prospetto summento- vato. Può upirsi a piacimento in quadro (di circa una canna roma- na quadrata), legarsi in atlante o tenersi in fogli sciolti da porsi in cornici. Tatto è disposto in guisa, che ad un solo colpo d'occhio possa agevolmente rinvenirsi qualunque cosa che vi si contiene. Per non eccedere i limiti di quella brevità , che si esige in un foglio pe- riodico, ci dispensiamo dal far rimarcare più dettagliatamente i sin- golari pregj di quest'opera, i quali bensì potranno minutamente ravvisarsi dall'apposito libercolo che fece per manifesto e per de- scrizione precedentemente pubblicare l’accennato autore. Altro adunque non crediamo quivi aggiungere, sennonchè esser codesta invenzione nel suo genere unica , non conosciutasi per lo innanzi, e perciò dagl’intendenti estesamente commendata per la novità, ele- ganza , utilità , ed esattezza. Convincente prova n° è stato il copioso numero degli associati, fra’ quali si contano varj sovrani e principi di regio sangua, molti Eminentissimi porporati, ambasciatori ed altri dell’ Eccellentissimo Corpo Diplomatico, della Prelatura, e della Nobiltà. — NB. Il carattere corsivo è un’ aggiunta fatta al- l’ estratto del foglio romano suddetto per maggiore intelligenza alla descrizione dell’ opera. — Prezzi dell’ opera. Il corpo di num..13 fogli sciolti sc. 12-— Unita in quadro piegato a libretto con suo astuccio , o unita in quadro posta su telaio sc. 16 — Legata in libro (mezza legatura ) sc. 14 — La carta geografica unita alle tavole co- lorite sc. 3. 5o—Le medesime su tela piegate a libretto con astuccio sc. 4.70 — La carta geografica sola sc. 2. 5o— Le tavole sole sc. 1. 20. Si vende: In Roma alla calcografia camerale, e dal sig. Gio. Batt. Marini libraio in via Piè di Marmo. — In Firenze dal sig. Guglielmo Piatti libraio. — In Ancona dai sig. Arcangelo Sartori e figlio librai. 167 NUMERO D'ORDINE DE' FOGLI PER LEGARLI IN LIBRO. MELIO 1 Pro- spetto 2 Provincia di Roma 3 Detta del Patrimonio 4 Detta del- t Umbria 5 Detta di Urbino e Pesaro, e Ducato di Benevento 6 Detta di Sabina, e di Marittima 7 Tavole 8 Carta geografica 9 Provincia delle Marche, cioè Macerata, Fermo ed Ascoli ro Detta di Bologna 11 Detta di Ferrara 12Detta di Romagna 13Detta della Marca d'Ancona e Ducato di Camerino.— ANCONA, dalla stamperia Sartori. ————_m—m—_—_—_—_____—____m____m___È—_____m_m_mzy_mÉEm—__——É———_—_—_m——@—@— ——————_—enzz———_tm SUPPLEMENTO. Siamo lieti di potere i primi partecipare al pubblico, che, lettera recentissima del console brittannico in Tripoli, reca la notizia del felice arrivo in Tombuctù del viaggiatore inglese sig. Maggiore Gordon Laing, del quale annunziammo l’ardita impresa nel vol, XIX. B. pag.151 del n. g. Un avve- nimento sì importante , e che tanto interessa la geografia, non può a meno che di richiamare l’attenzione di tutti co- loro ai quali è cara la detta scienza. Restaci adesso a far voti, perchè il non men bravo capitano Clapperton abbia potuto anch’ egli riuscire nell'impresa, e siasi unito all’emu- lo suo in quella misteriosa città, da’ viaggiatori tanto va- gheggiata , scopo di tante infruttuose ricerche e cagione di tante dispute, e pel ritrovamento della quale dobbiamo contare già tante vittime illustri. __TTTTAaii«‘i |<-ò-,<@qpè\M----_ÈY{fî&===”"”"-+sr'sc's--: kIA4 ERRATA IMPORTANTE. Nel fascicolo N.® 65, Maggio 1826, pag. 75, in nota si legge: leggasi : Le due prime chiuse di questa Le due prime chiuse di questa specie furono costruite sulla specie furono costruitea Stra, Brenta, presso Viterbo, nel vicino a Padova, nel 181, da 1481, da ingegneri italiani ingegneri italiani , Dionigi e de’ quali il nome non sì è Pier Domenico, figli di Mae- conservato. stro Francesco, viterbesi. 4 VERSI, Liebiaztagi ioripggiii è. Foeni ione rante aa DR FAI ti FIRMATI Mai 00 DELI DR di da dd DA Minori SA Fei 8" tal 240 aloni ICTRTO GLi Je, nino E ati. x sr ma ld cadrà 684 RN sita i LUBE tiri | i ap Tal ssi grin vi in odiana, Bru ut: VT Rea RT | if y' Gotci ale e LI! RA sio quela iper di bla: “ PARE 1 Fia adi) gar abe LISI Lr die r Said st dilfaco qu 3 a È E Mme ppdatirtata Nea” nr? Li : rei mi dat 4 $i I i Jp uu ev ni cada. nfaci tag 144 vat N . ig ie mregioatzag fonig i piadon ih Orig Veni don Morn09, [ab sizzi; 09991 siosol odo pasiggniro Datamat: «mì ovina onilvì (abi piso alla | 0 ormposi vr otra lobignivi nobiolò stoisintto ala deal ci MINO cova ali g iebbb 1 vg ELETTR dov don aerei riti © i SRI 'areaiziazi dti "fo , Brandon” ta” Rit È pEr LARDO ati id Saf ca 8 our pi pi d rs £ rh sisost «Ristioto» pitsb' si sd9- 5 3 Map i is ch tetegn oustigor Teti, no Jon d "È Salorag io c ins" la otiuu.ienizo. LEASGUIA, (ALME, PRE LATThA {lgo: do 010d RI pot inpisigneiv Seb, S3119 aeciamiziar, sSlionp ini out ;: sa lafaisoin, neomitai) sii cisrnà. ibi qa 4 sisigi A esiti larp: Nea go; stoqrlbe astmpibò vue digo ( ntenlto Li, fear salina) ‘antinivi sint ai daftit \ * fi Pagio sanguzia malte LoL | perporali: +63: srl RARE ssi 4 na i torte, ( Rise WEL dat : ha afa, Sata PRE t fi pitone pet cai dl, ; A gna MIT % p Rs ) sAMOA RI tato REG «de dios he i sd: Pai Malo past Bio, \ 7... 1° anfecio) apo polpo gf p'grs ABS] ; + Aneto RATE 19034 RA ip pr 1 ‘ABI, iù, a chtuaasi i nissnp ol ido ont» di RE air ueui SU Pai rpg a Aa it di ro stiapadotio divo Ava cRAIsI nba 8jrtor avobii souioià IGAMANY odg pio E ont 7a E i 3; (068 man T omnia vida donne za cine goa cpr MET EOROLOGICHE OSSERVAZIONI RATTE NELL’ OSSERVATORIO XIMENIANO . LULU Lac 7 mat. T| mezzog. rt sera 7 mat. >| MEzzog. Il sera 7 niat. 3| mezzog. TI sera | 7 mat. 4| mezzog. Ti sera ‘7 mat. mezzog. ri sera 7 mat. 6) mezzog.. It sera U| 7 mat. 7) mezzog. | xt sera DELLE 28. 20. 28. 28. 1 28. 28. É n 28. 1,0 28. 28. SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. LUGLIO 1826. [se] T . — (9) ari —{ ò | tl $ = E ali golTà È i regia eat a Ò ©) Ss Ò ba 12,7 {22,2 |20,5! 54 3,0 |22,3 124,53 | 4o 2,9 |23,5 |20,5| 68 3,0 |22,2 [19,7 | 75 3,0 [23,1 {24,9 | 52 2,3 |22,8 |17,3 | 95 2,3 |21,4 |18;9 | 86 2,3 |22,0 |22,0| 78 2,0 |22,1 119,0] 88 1,8 121,6 [19,1 | 81 1,8 ;21,g [24,0 | 50 1,5 |22,6 |20,0 | 80 1,5 (22,2 19,2 | 78 I 6 22,4 124,9 | 39 106 22,9 |t9,9 | 85 134 22,4 | 19,8 81 r,4 {22,6 |23,5 | 51 1,0 [23,2 |189| 86 1;0 |23,1 20,0 "84 059 {f4,0 123,5 | 50 04 lo 19,6 | 96 ! 1,39|Scir. 4 5) Si E s. 2.3 Stato del cielo B e o (e) ! I] i ;Sc, Le. Ser. calig. Ventic. Tr. Gr.!Sereno Calma Tr. Gr. ;|Ser. calig. Calma ;Sc. Le. Ser. calig. Calma i Lib. Ser. con nebb. . Ventic. o 0,68 Os.Lib.|Ser. calig. Calma Scir.f 4 |Ser. rag. Calma Po. Li |Ser. con nebb, . Calma Po. Li.|Ser. calig. Ventic. 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Ma Ser. nuv. Vento 11 sera ii o |21,8 {19,0 Lib. |Nuv. ser. Vento | V7 mat. 27. 11,7 |21;4 [17,9 . |Gr.Le. Ser. rag. ‘ Ventic, 12| mezzog.|27. 11,9 |21,4 |20,8 Tr.Ma. Ser. neb. Ventic.| ri sera |28. 0,3 |21,8 |18,0 Lev. |Sereno -Ventic; 7 mat. |28. 0,3 |21,0 18,7 Scir, (Ser. neb. Ventic, 13 mezzog. |28. 0,3 |21,2 |22,1 Po. Li. Ser. neb. Ventic. i »|'rr sera |28. 0,3. |21,8 |19,0 ‘Lib. . {Sereno Venitic.} 7 mat. |28. o,t |21,4 [17,9] Lib. {Ser.connuv. . Ventic.\f 14 mézzog. 28. 0,1 [21,8 [22,1 | Po. Li. |Ser. nuvol. Ventic. 11 Sera |28. 0,9 [21,8 |19,0 \Po. Li. |Ser. nuvol. Calma 7 mat. |28. .0,3 {21,9 [19,1 To les . Le.}Nuv. neb. Galma r5 mezzog.|28. 0,3 |22,1 {22,6 Lib. |Sereno Ventic | | rr sera |28. 0,3 }22,0 |18,3 Grec. .|Ser. con nebb. Calma | "| 7 mat. |[28.. 0,3.;21,3 {19,2 Grec. |Nuv. neb. Calma 16] mezzog.|28. 0,0 |20,5 {22,4 Po. Li.|Nuv. e ser. neb. Ventic. {x sera |27. 11,7 |21,3 |18;1 Lib. |Nuv. neb, Calma 7 mat. |27. 11,9 21,3 [18,4 7 Os. Li.|Ser. neb. . 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Li:|Sereno Vento Ii sera |27. 11,0 |20,4 |19,0 | 92 | Po. Li.|Nuv.. ser. Calma | 7 mat. |27. 11,7 |20,9 |19,0 | 87 Lib. _{Ser. con neb. Ventic,. |28|mezzog. |27. 11,7 |21,3 |22,6| 68 Maes. |Ser. ragn. Ventic.i 11 sera |27. 11,7 [21,8 |19,3 | 85 |Lib. {Ser.con neb. Ventic. 7 matt. |27. 11,9 21,6 18,8. 8 89 "|Scir. Ser. neb. Ventie. g|mezzog. |27. 11,9 {21,4 [16,9 | 89 Sc. Le.| Nuvolo Veoto | 1r sera |28. 0,1 21,3 |16,9| 92 Scir. |Sereno Vento | 7 matt. (28. 0,4 |20,9 |18,0 | 8g Sc. Le. {Ser. con neb. —Calma | 3o| mezzog. |28. 0,9 |20;7 |21,2 | 55 Tr. Ma.|Ser rag. Vento 17 sera |28. 1,4 |20,4 |t7,0 {| 65 Lev. {Sereno Ventic. | 7 matt. (28. 1,6 [19,5 |15,5 | 76 Grec. |Ser. neb. Calma (31|mezzog. |28. 1,6 |20,4 |22,0 | 51 Grec. {Sereno Ventic. 11 sera |28. 1,5 [20,4 (18,0 | 78 Scir. {Sereno Ventie. | | ora ib gl ; ° È melt, grate gota È SRULULI Di % vaccini Sag. Laioii MOTTTETOA EOLO | da a opt] ; «dit Li agito, toi Pi e irlrpetoe 6 apre preti (' ddr < VAINE #0 val CARI, TOO sig dibti. «soa; na i) atior arti Li o iù ent ih » DI ia MELI bre pria îi eg Vidia: di Birre Limana ato Sapore ta gi patrie, Dn, Tali i? 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Dervié sotto direttore delle Poste. i ROMA Per tatto lo stato * Pontificio s presso il sig. Pietro Capobianichi pimpieg. =; STRA: ‘nill'amiziolstrar. gm ss Poste ZORE ; in Aron; in PALERMO, per tutta la Sicilia < presso il sig. F. Gruis, via Toledo Ns a AUGUSTA ", (TSO SIE presso la Direzione dille Gazzette. ib GINEVRA. | | {© {°° pressoJ.J. Paschoud. Parigi — presso Barrois l ainé lib. Rue de'Seine N. 10.0 I < ppdi Re e - presso C. F. Molini N. 4i Paternoster Row. IL Pnezzo: D' ASSOCIAZIONE da pagarsi a antici urge Per la Toscana » Lire 36 toscane per 1 anno - x 16 franco di porto LIA | «per la-posta PA ei E dr . ‘tatto il Regno SR * £; di porte: Lc mbardo Veneto - franchi 36. witeces 7 cor sa pil Regno. Sardo -. sE Se o nigi e di Parma, _ franchi 36. SI “© franco alle frontiere me’ SES - per la posta lo Stato Pontificio Fi - scndi È I ERRE SR EL franco di porto di - perla posta nil. ‘Regno « di Napoli.= - compreso il porto È rla Sicilia; poîto 3% ia ih Palermo - ita Nesi: ; a sg sino a Palermo rl uero s= frimehi 36. È PERS di 24 rango Torifio Pa | «0 Milano. - ; o:franohi 52. SR toa VE franco Parigi iS Piga di ‘POE la posta. w INDICE. di DELLE MATE Do e CONTENUTE NEL PRESENTE QUADERNO.} | |’ LUGLIO, 1826. ; Lettera al Direttore -dell’Antologia, di | 6 * (Urbano Laripredi). da 4 La georgica de’ fiori. Poema di A. M. Ricci; —. —». SS CGA y. ) » sil ‘Osservazioni sull'Italia Edel D. Giovanni Bell. Delle enciclopedie considerate qual. mezzo d’ incivilimento ; Art, del sig. Guizot, per serviridi Prodromo all’ Enciclopedia progressiva, | (M.): 3 La industria e la morale considerate nelle lorò relinibni colla libertà. Opera * ‘del D. Danoyer. di; (A) | Verità de’ sogni del mattino, ed estetica educazione di Ida; operetta di Fede-.- È rica Bran nata Munter,. (ami 6; | Del petardo di guerra, + Delle colabrine — Delle rg Memorie sto- | riche del cav. Omodei, DARI, ‘(Il maggior Barone Ferrari } Sul necessario mutainento della letteratura: italiana nel secolo nostro. Di- MJ scorso filosofico del professor Baldassarre Poli. de CAI. F.) Pole || Annuaire nécrologique , de Mahal. (S.C.) 4 Ragionamenti accademici suna: gl’ insetti degli olivi; del cav. Gabbriello SIE Grimaldi. Rho (Brissoni ) n Ode di Federigo Schiller. bee : È (A. Benci) ,%| Lettera ‘al sig. Urbano Lampredi. (D. Stulli) o Tavole di confronto fra la vecchia moneta A e la nuova. AA «Bullettino scientifico. i (G. Gazzeri) »I Necrologia. — Falvio Corboli Aquilini. — Gio. Ant. Santarelli. — Marianna 0f Dionigi, — Felice Testa. c (o ” i} fi Ballettino bibliografico. ‘1 Supplemento: Arrivo del maggior Hixiob Loing” a Tombuctù. Tavole meteorologiche per il mese di Luglio, | ANTOLOGIA DI SCIENZE, LETTERE E ARTI | Zogosto 1620. «Anno VI. Vol. XXIII, FIRENZE | 4L GABINETTO SCIENTIFICO x LETTERARIO ‘ni G. P. VIEUSSEUX « DIrertoRrE E Eprrore III — «TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI.. BENCICODOPADIA . portatile w COLLEZIONE COMPLETA DI TRATTATI SOMMARII INTORNO Srieme, alle ettere e alle Arti PUBBLICATA IN FRANCIA DA UNA SOCIETÀ DI SCIENZIATI è E DI LETTERATI tto gli auspicii dei Sîgg. pe BARANTE, DE LLE ) CuamporziOoN, CorDIER, CUVIER, PPING, c. Durn, Eynès, DE Finussac, DE ERANDO, Jomarn, pe Jussieu, Lava, Tic TRONNE, QUATREMÈRE DE Quincy, Tuéxinp, ‘ed altri; e la direzione del Sig. ©. BAILLY, Prima edizione italiana FIRENZE TIPOGRAFIA ALL’ INSEGNA DI DANTE 1826 A PRESSO pps + ANTOLOGIA 1826. ' des voyages de M. J. de l’anglais ec. Paris sli autori che scrissero 1 Grecia. Alcuni pieni dlare nazione , e caldi ‘e’ primi maestri delle di civiltà, dopo aver ‘schiavitù, che aveali quelli di prima, nel improvviso quel capo nfame che uomo al- )terono non mostrarsi rviso e dir potrebbesi e farsi ad incoraggia» | gere 1 progressi d’ un tanto inaspettato risorgimento : altri credendo, o mostrando di credere , indegna di arrestare lo sguardo della incivilita Europa una , benchè a torto , avvilita ed obbliata nazio- | mne; confondendo i tentativi disperati e generali d’ un in- felice paese che mettea di buon grado a ripentaglio una insopportabile vita , co” movimenti parziali di altri paesi cui nulla mancava di ciò che volgarmente stimasi formare il ben essere umano; mossi ‘inoltre dalle mire particolari e.dai bassi interessi d’ un commercio meschino e d’ una | PRINCIPALI TRATTATI DELLA COLLEZIONE RN 1,9 Scienze fi- 2.9 Scienze ra- 3.° Scienze l siche zionali terarie Fisica Aritmetica Teor. delle lin Meceanica Matematiche Scrittura Astronomia Geometria Retorica Meteorologia Filosofia Letteratura Chimica Fisionomia Poetica Geologia Relig. e Morale Musica è Mineralogia Legislazione . Coreografia a Botanica Politica Pittura Agricoltura Econom. pubb. Archeologia Geologia Commercio —. Araldica . Anat. e Fisiolag. Navigazione Geografia — Pf Medicina, ec. Guerra, ec. Storia, ec, Il Sig. Giovanni Tomassini Tipografa Libraio in Fuligno rappresenta gli Edito qualità di loro Agente generale. Dovranno pel te tanto ad esso solo rivolgersi i Sigg. Assoc FS TAZNI e Librai, sia per lc commissioni, che i pagamenti , ecc. Le associazioni si ricevono In Firenze presso i distributori del pres dei Prospetto. In tutte le altre città d'Italia, da' p 3 cipali Librai, ie ARR Io Pe Firenze + Settembre 1826 7 a 4 î " A SELE < da là, £ A SALITA i RE ; i i ) 5% LIZ ‘ I GIS Sed du P ; Dt È di + bi 1” . an | ANTOLOGIA N.° LXVII. Agosto, 1826. ‘Tableau de la Grèce en 1825, ow'récit des voyages de M. J. Emerson e du C. PeccHIo , traduit de l’anglais ec. Paris 1826, 8.° T tre ordini si possono dividere gli autori che scrissero finora sopra la rivoluzione attuale della Grecia. Alcuni pieni delle antiche memorie di quella singolare nazione , e caldi ancora di gratitudine generosa verso que’ primi maestri delle «arti e delle scienze e d’ogni maniera di civiltà, dopo aver «deplorato e lamentato tanti secoli di schiavitù, che aveali in apparenza renduti tanto diversi da quelli di prima, nel vederli rialzare da per sè stessi e all'improvviso quel capo inenrvato dal giogo più gravoso ed infame che uomo al- ‘icuno;abbia in terra sofferto, non poterono non mostrarsi ‘maravigliati e contenti a tale improvviso e dir potrebbesi ‘anico fenomeno nel mondo morale , e farsi ad incoraggia» re., ad applaudire , e a descrivere i progressi d’ un tanto inaspettato risorgimento : altri credendo, o mostrando di credere , indegna di arrestare lo sguardo della incivilita Europa una , benchè a: torto , avvilita ed obbliata nazio- ne; confondendo i tentativi disperati e generali d’ un in- felice ‘paese che mettea di buon grado a ripentaglio una insopportabile vita , co” movimenti parziali di altri paesi cui nulla mancava di ciò che volgarmente stimasi formare il ben essere umano; mossi inoltre dalle mire particolari e.dai bassi interessi d’ un commercio meschino e d’ una 2 politica timida soprammodo e sospettosa , non si fecero eo- scienza di scagliarsi furiosamente contra i greci infelici, e mentre questi erano travagliati dai mali inauditi e quasi incredibili della guerra più atroce che ci narrino le storie antiche e moderne , farsi a vilipenderli, ed a calunniarli in mille guise, e porre ogni studio di spegnere, per quanto stava in loro, anche quel senso di compassione, che desta- no in tutta Europa, anzi nel mondo, le sciagure infinite d’un popolo sì celebre e sì benemerito. Un terzo ordine di serit- tori comparve, il quale affettando una imparzialità filoso- fica, e volendo sembrare impassibile in mezzo alle più tem- pestose passioni, e freddo in mezzo all’ incendio universale ond’ è circondato , chiamasi il solo seguace della storica ve- rità. Ma se ci conviene confessare che tanto'il primo, che il secondo ordine di storici lasciasi non di rado condurre o all’odio o all’amore ; questo ultimo non è sempre sincero, ed è inoltre e debb’ essere bene scarso di numero, e di ben faticosa lettura. Imperciocchè nessuno che tenga dell’umana creatura varrà a scrivere imparzialmente la storia de’ suoi tempi, e se pur v'ha.un’anima che scriver la possa, essa debbe necessariamente avere in sè sì gran parte del monte e del macigno che non potrà non comunicare un. estremo gelo e languore all’ opera sua, la quale dovrà riuscire re: più tosto una ‘cronaca che una storia. I due scrittori che formano questo volume, quantun- que differiscano molto fra loro., sembra pure che aspirino'ad essere annoverati amendue. fra quelli del terzo ordine; ma il conte Pecchio uomo italiano, non può di leggieri spogliarsi, nè forse farebbe buon senno, Sarli macigno e della sen- sibilità della sua nazione ; e l’autore inglese, benchè tenga assai più dell'italiano de’ vantaggi e dhe inconvenienti di tali scrittori così detti imparziali, non si sa scordare'd’ esse- re inglese, nè teme di farlo conoscere. Intorno al viaggio del conte Decghia noi non faremo nessun’ altra parola; es- sendo istato da noi già ‘inserito quasi per intero in parecchi numeri ‘del nostro giornale col titolo di lettere d'un viag» giatore. La sola opera dunque del sig. Emerson darà argo- mento al presente articolo, Diremo bensì, prima d’ entrare Ii rm 3 în materia, che tanto un viaggio che l’ altro’, ed anche amen- ‘due insieme, non possono bastare ad offerirci un quadro ge- nerale ed esatto della Grecia nell’ anno 1825, come il titolo di questo volume sembra annunziarlo ; ed aggiungeremo, a giustificazione del sig. Emerson e del C. Pecchio, che il pri- mo pubblicò il suo libro col modesto titolo di, Giornale del mio soggiorno fra î greci nell’anno 1825 ; ed il secondo col- l’altro non meno modesto di , una visira ai greci nella pri- mavera del 1825. Il giornale del sig. Emerson (e tal titolo gli conviene assai meglio che quello di storia o di quadro) è diviso in quattordici capitoli, coll’ aggiunta di alcune osservazioni supplementarie nella fine.Il primo capitolo descrive il suo viag- gio da Malta a Clarenza ; il secondo tratta dello stato della Grecia al principio del 1825 ; il terzo del cammino da Claren- za a Cristena; il quarto da Cristena a Napoli di Romania; il quinto ed il sesto ci ragiona del suo soggiorno di Napoli di Romania, e della sua partenza per Idra; il settimo è il sog- giorno d’Idra; l'ottavo il ritorno a Napoli, viaggio a Spe. zia, partenza per la flotta; il nono e decimo e undecimo contengono alcune particolarità sulla formazione della flotta greca, ed il suo soggiorno in essa, e la spedizione di Can- dia; il duodecimo è il ritorno in Idra, e la continuazione delle operazioni militari; il tredicesimo parla ancora delle suddette operazioni, e poi di una scorsa in Atene e in al- tri luoghi; il decimoquarto ed ultimo tratta di diverse cose: Blocco d’Idra. — Continuazione delle operazioni militari, Viaggio a Smirne. — Ritorno al Zante ed a Cefalonia. — Partenza per l’ Inghilterra. — Stato degli affari de’ greci. Il sig. Emerson partì di Malta ai 12 di marzo del 1825, e giunse a Corfù a’ 16 dello stesso mese. Egli descrive con _compiacenza qual magnifico aspetto apre quell’isola e quella città allo sguardo‘di chi entra nel porto : a levante, la catena delle montagne di Pindo e dell’ Albania coperte di nebbia e fregiate di porpora ; a ponente le ricche e selvose col- line di Corcira che formano un prospetto delizioso, sul quale spicca e torreggia in guisa pittoresca la città, colla sua ine- spugnabile cittadella, che siede in una doppia ed inacces- \ - VERO sibile rupe, sporgente bene avanti sul mare e come sospesa, sul porto, e formante un'isoletta che comunica con la città per mezzo di un magnifico ponte. Chi entra in città dalla porta marittima del Mandrachio ed attraversa il ponte si avviene tosto in una contrada, che potrebbe convenire alla più bella metropoli del mondo , e che promette una bel- lezza e magnificenza , che poi non attiene : questa è una. superba spianata circondata dal mare : da una parte sor gono le vaste e grottesche rupi della cittadella, avente ap-. piedi un antico palazzo veneto del così detto provveditor di fortezza, ora occupato dall’ università jonica; dall’ altra si vede porzione dell’amplissimo porto o baja che vogliam dirlo ; di rimpetto un bel prato verdeggiante adorno d’una fonte greca; e nel fondo lontano sopra il mare l’ amenis- sima prospettiva delle selvose ed ingiardinate colline che formavano l’antica residenza del beatissimo Alcinoo. In un lato della spianata sorge un bell’edifizio residenza del go- vernatore, indi un ordine di fabbriche ben costrutte, e un bel colonnato, che separano questa contrada dalle altre anguste e malsane dell’antica veneta città di Corfù. Poche cose sono os- servabili nell'isola, tranne la bellezza naturale del paese. A due miglia dalla città si scopersero ultimamente gli avanzi d’un piccolo tempio, che si crede dèdicato a Nettuno, co- me quello ch’è situato in un'altura in riva al mare. La via che dalla città quivi conduce è deliziosissima, passando per mezzo di boschetti di fichi e d’ ulivi, campi di geranio e d’acanto, folte piantagioni di peschi e d’aranci, che di- fendono dal calore del sole, ed empiono l’aere di soavi pro- fumi; senza poi dire dell’aspetto del mare e de’ monti e del sottoposto lago, che or apparendo, or disparendo, or traspa- rendo fra i cipressi e le acacie onde va imgombra Ja collina, rendono quella scena veramente. incantata. — Corfà può considerarsi al presente come la sede della letteratura greca, sì perchè la sua università ora fa le veci di quella di Scio, sì pel gran numero di greci addottrinati che ora vi soggior= nano. Atanasio Psallida viene stimato per loro capo. Il can celliere dell’ università, è il benemerito lord conte di Guil- | ford, mercè le cure e le spese del quale si vuole sperare 5 che quell’istituto non tarderà molto ad esser annoverato fra i principali d’ Europa. Il sig. Emerson ci rappresenta quel- l’egregio signore nel palazzo dell’università, seduto in mezzo aduna stanza messa all’antica , innanziad una tavola ingom- bra di carte, circondato da una preziosa collezione di mano- scritti orientali ed altri libri, vestito come suolsi dipingere So- crate; il suo mantello appeso alle sue spalle con un fermaglio d’oro, ed i suoi capelli raccolti in una rete, ov’erano ricamati l'ulivo e la civetta di Atene. L’università fu aperta ai 13 di novembre dell’anno 1824: vi ha quattro facoltà , cioè a dire teologia, diritto, medicina, e filosofia. I professori esser deb- bono greci, e vestono come gli antichi greci filosofi. Gli stu- denti , e i così detti filologi ( ch’ è un grado dell’ università ) vestono pure all’antica. Ai 21 di marzo, la sera, il sig. Emerson arrivò al Zan- te, isola magnifica, e per le sue montagne coperte di belle foreste, per le verdeggianti sue piagge , pe’ suoi boschetti di ulivi, degna dell’antico suo nome di Nemorosa Zacynthus. - La città, fabbricata appiedi delle colline in semicircolo, cone ta sedici mila abitanti, e sì per le biancheggianti sue case, sì pe’monti selvosi. che le sorgono dietro, spira un’ aria di letizia e di vita. Dietro a quelle montagne rimane la famosa valle di'Zacinto che il sig. Emerson pareggia al nostro Valdar- no, L'agricoltura che in essa fiorisce, le sue ville eleganti, i monti pittoreschi che la circondano , il dominar ch’ ella fa sul mare Jonio, donde la vista si estende infino ai monti lon- tani della Romelia , la rendono degna per verità di tutti gli elogi a lei RETI Per quanto poi spetta alla îimmora- lità che il sig. Emerson rinfaccia ai 40000 abitanti di quel- l'isola, ed ai patiboli frequenti che s’ incontrano in quelle colline, da lui allegati per forte argomento della sua pro- posizione, taluni pretendono che gl’inglesi non possano esse- ‘re giudici imparziali e competenti di ciò, giacchè ermai è noto generalmente che que’ patiboli, ben più che della im- moralità di quegl’ isolani, sono una prova del furore e delle barbare ed arbitrarie operazioni del defunto tiranno delle isole jonie sir Tommaso Maitland , il quale infierì singolar- mente contra quella misera isola, per aver essa spiegato meno 6 viltà e più forte rissentimento che le altre sue sorelle con- tra gl’iniqui attidi lui. Ai 23 di marzo il nostro viaggiator re giunse a Clarenza, dov'era l’ antica Cillene, è Lo stato della Grecia , quando egli vi giunse , era que- sto: nessuna campagna, dallarivoluzione in poi, ebbe più luminosi principii, ed esito più infelice che quella del 1825. L’ energia ed attività straordinaria che spiegarono gli egi- ziani, ben diversi dai turchi, come quelli ch’ erano disci- linati all’europea e da uffiziali europei condotti; la mancan- za totale di disciplina nelle milizie greche, caduti vani gli sforzi del governo per istàbilirla ; la divisione de’ loro ca- pitani ( e questa fa la più grande e la più vera cagione) mossi ad operare più dalle loro mire private che dall’amo- re alla cosa pubblica; la invidia e rivalità fra un popolo e l’altro, come p. e. fra i moreotti e i romeliotti , rivalità che accese per qualche tempo una guerra civile; i primi avendo alla loro testa il Colcotroni ed i suoi figliuoli, Niceta , De- metrio e Niccolò Delijanni, il generale Sessini, Andrea Zai- i, Andrea Londo, Giovanni e Panagiotti Notapopulo ; i secondi , che sostenevano il governo , guidati dai generali Izonga e Gura, coi consigli e con la presenza di Gio. Coletti membro del corpo esecutivo. La qual discordia civile , ben- chè breve e terminata a favore del governo, ebbe Wi! fune- stissime conseguenze, interrompendo il blocco di Patrasso, dividendo e disperdendo le forze de’ greci, e mettendo nella condizione di ribelli alcuni capi tra’ più valorosi che avreb- bon potuto prestare utilissimi servigi alla causa della nazio- nale independenza ; e tutto ciò in quel tempo che i nemi» ci si accingevano a gittar contra la Grecia le loro più formi- dabili forze di terra e di mare. Nulladimeno al principio di febbraio gli affari della Grecia non erano punto disperati : ogni scintilla di ribellione era spenta; il blocco di Patrasso era ripigliato e continuava con vigore; la Morea era tutta li- bera , tranne Patrasso, e Je poco importanti fortezze di Co- rone e di Modoné; quasi tutta la Grecia occidentale era in potere del governo ; una quarta porzione dell’accatto nazio- nale era giunta, e se ne stava aspettando una quinta ; un : secondo accatto erasi effettuato in Inghilterra , a segno che l i, (4 le casse del governo erano in istato d’intraprendere una lun- ga campagna; Missolongi era stato messo in ottimo stato di difesa ; Noti Bozzari insieme: coi generali Suka e Milio ed un corpo di milizie eran partiti per occupare le strette di Ma- crinoros, o sia l’ Olimpo, donde il nemico dovea passare ; i soldati mostravansi pieni di fervido zelo ; sembrava insom- ma esser giunto il momento che la Grecia dovea porre l’ul- tima mano alla grand’ opera della sua libertà. Eppure fu ap- punto alla fine di questo mese che cominciò a mutarsi per essa fortuna. Sia per indolenza , sia per troppa confidenza, sia per disprezzo de’ nemici, la partenza di Candia della flottà nemica si seppe sì tardi, ch’ essendo stati costretti i greci di levare il blocco di Patrasso per inseguirla con le navi in esso occupate, si dice che ai 23 di febbraio in cui que- ste a'tal fine levarono l’ ancora, la flotta egiziana in numero di trenta vele era già giunta innanzi a Modone, ed avea sbar- cato sei mila uomini tanto d’infanteria che di cavalleria be- ne disciplinati, e comandati da uffiziali perla più parte euro- pei. Ai 20 di marzo, Ibraim-bassà, avendo ricevuti da Can- dia di nuovi rinforzi, che seppero evitare l’incontro delle navi greche, venne a porre il suo campo innanzi a Nava- rino alla testa di quattordici mila uomini ; l’ acquisto di quella città essendo di gran momento pei turchi tanto per la sua situazione, che pel suo porto, il quale è uno de’ me- glio difesi della Morea. I greci per altro non trascura- rono alcun mezzo di difesa: due mila uomini furono spe- diti. a presidiare la piazza sotto il comando di Agi-Cri- sto , Giovanni Mavromicali figliuolo di Pietro Bei di Mai- na; da cinquanta in sessanta artiglieri vi furono spediti da Napoli; provvigioni da tutte le parti della Morea ;il co- mando della fortezza fu affidato al maggiore Collegno ; alcu- ‘ni corpi considerabili di romeliotti, sotto il comando de’loro generali respettivi Giavella, Caratasso, Costantino Bozzari , e Caraiscaki, si posero alle spalle dell’ inimico; Conduriotti ed il principe Maurocordato si apparecchiarono a partire di Napoli con fresche truppe. Queste precauzioni e lo spirito ehe animava i soldati facevano quasi svanire ogni timore sui | prossimi pericoli di Navarino: nè a Missolongi pure, confi- è dando molto in quelle milizie che dovean occupare le strette; sentivasi alcuna inquietudine, quantunque già si sapesse che, il Rumeli-Valissi avanzavasi a gran passi verso il Macrino- ros con quindici mila uomini. | La Grecia occidentale presentava un aspetto meno tran* quillo. Odisseo , per alcuni motivi straordinarii che nessu- no mai seppe penetrare appieno , erasi indotto a separarsi dal governo. Dire ch’ egli erasi collegato cogl’ inimici della sua patria non si può, ma puossi dire bensì ch'egli era mosso dal personale interesse e dall’ambizione, la quale pretendono alcuni che a nulla meno aspirasse che alla sovranità della Grecia. Quindi egli vedea di “mal occhio venir crescendo la potenza e la popolarità del governo, i cui membri, e spe- cialmente Maurocordato , non convenivano punto con lui. Egli erasi stabilito e fortificato in una caverna del monte Parnasso da Ini stesso scoperta, per andare alla quale era mestieri salire una rupe perpendicolare di cento piedi di al- tezza per mezzo di tre scale levatoje. Suvvi trovavasi una pic- cola piattaforma, donde scendevasi alla caverna per molti andirivieni, che la difendevano dalle bombe. Nella caver= na , che potea contenere più di due mila uomini, era una sorgente inesausta d’acqua dolce. Quivi Odisseo teneva can- noni, fucili, munizioni da bocca e da guerra bastanti ad un assedio di dieci anni, ed eravisi rimpiattato co’suoi te- sori e la sua famiglia, ed un inglese chiamato Trelawpey, che avea sposato la sorella di Iui. Egli finalmente per leg- gieri motivi separò le sue forze dall’ esercito de’ greci, al- lontanossi da’ loro consigli, e restrinse in apparenza la sua attenzione alla sua provincia ed a’suoi possedimenti par» ticolari nella Livadia. Rinnovò la sua antica amicizia e la sua corrispondenza a voce e in iscritto col bassà di Negro- ponte, e fece insomma ogni opera per rendersi poco accetto e sospetto al governo, che avea sentore di tutt’ suoi pas- si. Finalmente, benchè non sembri ch’ egli volesse collegarsi col Sultano, le sue operazioni fecero sì che il governo lo dichiarò traditore, ed egli, in vece di giustificarsi, appa- recchiossi a respingere la forza colla forza, non accettan- do per altro giammai alcun soccorso da’ turchi. Ma i suoi 9 seguaci, ricusando di combattere contro i loro concittadi» nî, e mossi dall’esempio di Gura che benchè sua creatura comandava contro di lui le forze dell’ Attica , ed assediava per ordine del governo la sua caverna, lo andavano ab- bandonando ogni giorno, a segno che egli fu costretto. di ritrarsi nel paese posto al norte dell’Eubea, dove continuò a difendersi contra i suo avversarii, intanto che la sua ca- verna era affidata alla guardia della sua famiglia e d’un con- veniente presidio. Tal era lo stato della Grecia all’arrivo del sig. Emerson. Dopo di ciò egli continua a parlare del suo viaggio con quelle particolarità, di cui sogliono compiacersi i viaggia- tori, e che a noi non è permesso di quì riportare. Ci ar- resteremo solamente in alcune di quelle che si riferiscono ai costumi de’greci moderni,indi rivolgeremo spezialmente la nostra attenzione agli avvenimenti della guerra, secondo ce li fa conoscere il nostro autore. Giunto a Clarenza, ecco com’ egli descrive una delle cinque case ruinate che sole restavano ‘in piedi in quella una volta considerabile città. « La casa non consisteva che in una sola grande stanza, in 33 fondo alla quale un paravento ascondeva i tappeti su i ,» quali i proprietarii eransi coricati la notte. Vicino al- 33 l’uscio era un mucchio di frumento da portarsi al mer- , cato : nel mezzo era acceso un gran fuoco, intorno al ,> quale giacevano in terra una mezza dozzina di greci mal »; vestiti, signori di quel nobile abituro. Le pareti erano +, tapezzate di pistole riccamente ornate, di jatagani, di 3, sciabole, e di dufechi o archibusi; lochè, con alcuni 33 vasi di legno per serbare il vino, e dueo tre utensili di » cucina d’una semplicità estrema, formava tutto l’ ad- 3» dobbo della casa. Non vi erano nè seggiole , nè tavole, »» nè letti, nulla in una parola, tranne le cose più neces- »» sarie alla vita. La descrizione di questa casa può far co- ;; noscere tutte quelle dello stesso ordine in Grecia: l’uo- 3» mo non potrebbe imaginarsi vita più meschina di quella 3 del basso popolo. Le sole suppellettili che tratto tratto j 3 erano aggiunte a quelle da noi sopramentovate sono al 3, cune masserizie di cucina. di. più , un piatto:, un bic- fo ;, chiere (le forchette ed i coltelli sono affatto ignoti), una 3 botte pel vino, un vaso di terra e di vinco per serbar l'acqua, d 3, e talvolta un cono concavo di terra cotta, che viene ri- wr x scaldato e rovesciato sopra una pietra, piana, per. far le » veci di forno, e cuocervi o pane o carne. ,, sd Fra le città Palla Grecia che meno dispiacquero al si, gnor, Emerson ‘si è Pirgo , che a lui sembra la meglio con- servata di tutte, perciocchè (egli crede) essa non fu mai abitata che da greci, i quali altre volte facevano un com- mercio importante in vino, al quale è favorevole la natura del paese. Ora tutto consiste ne’ castrati e nel grosso be- stiame che spedisce nelle isole Ionie., e nella vendita di vestiti, armi, e cinture da pistole d’ una ricca. manifattur ra. Molte sono le botteghe e ben fornite di tali merci, co- me pure di scialli, panni, e stofe di cotone. Innanzi agli. usci delle case, i ragazzi ed anche gli nomini si occupa» vano .con l’arco dell’osso nel tirare filo d'oro e far galloni per fornire sopravvesti e stivaletti.'Ha in Pirgo una bella chiesa. L’ eparco 0 governatore era un bel vecchio pieno di fuoco, che rasionava con molto senno snlla politica del giorno , e che parlò molto di Lord Byron, dicendo con vi- ‘vo rammarico che la Grecia avea perduto in lui,e in Mar- co Bozzari i suoi due più zelanti partigiani. In, Agoliniz- za , il sig. Emerson, fu su le prime distratto dal sonno dalle rumorose canzoni de’suoi mulattieri, i quali per altro gli compensarono, egli dice, quella noja, quando intuona- rono con grande. entusiasmo la canzone patriotica del Riga Aturs, taîdes Toy L'AXfvov, su via, o figliuoli de’ greci. Ivi egli ebbe inoltre a lodarsi d’un’altra cosa, cioè del pro- cedere della sua povera albergatrice, la quale non trascurò di procacciar loro quanto le avevan chiesto, nè volle per pagamento de’suoi servigi, e per uova, pane , latte, fuor co, e alloggio, altro che sessanta parà , che fanno circa quindici soldi di Francia, mostrandosi altresì grata sopram» modo nel ricevere sì misero pagamento. In Andruzzena ricevettero l’ospitalità dell’eparco, gio- vane d’anni venticinque riccamente vestito. La sua casa era all'ingresso della città , e bisognava attraversare una II eorte per giungervi. Aveva un piano terreno , ed un primo piano , cosa solita nelle buone case greche. Il piano terre- no ivi serviva ad uso di carcere, e sì saliva al primo pia- nò per un poggiolo che correva per tutta la facciata, e ser- viva di andito alle diverse stanze che non avevano comu- nicazione alcuna fra loro. Il salone, che occupava la mag gior. parte della casa, consistendo il resto nella camera del padrone, nella cucina e nelle camere de’ famigli, il salone era addobbato all’usanza ottomana, con vetri colorati, sof- fitto incrostato; tappeti, stoie, guanciali magnifici, molti vasi pieni di pesci d’oro e d’argento. La colazione, com- posta ordinariamente di latte quagliato ed uova, con un po’ di latte e di cacio andava molto bene; ma il desinare era incommodo per la maniera di sedere colle gambe in- crocicchiate intorno ad una piccola mensa bassa e rotonda. Il primo servito consisteva inriso bollito meschiato col jaurti, cioè latte quagliato e agro, in uova fritte entro molto olio, ed in una specie di guazzetto, o mescolanze di varie sorte di legumi ed erbe ; il secondo servito era composto di pollame stufato condito, di pudding a uve passe, di agnello arrosto, e di cairare, ch’ era un mescuglio di interiora di sermone e di seppia fermentate e raddolcite con olio» nel terzo ser- vito sì metteva in tavola del latte in tutte le forme ; di- versi piatti d’uova apprestati in varie maniere ; e tutto ac- compagnato da grande abbondanza di vino di Samo, ver- sato da un coppiere, il quale, secondo il costume orien- tale, stavasi dietro al guanciale del suo padrone: le frutta erano, come portava la invernale stagione, arancie, frutta secche , cioè fichi, datteri, ed uve passe; insomma, tutto compreso , i nostri pasti (dice il sig. Emerson ) non erano solamente classici, ma anche molto piacevoli al palato j e ciò che vi aggiungeva un nuovo pregio si era la certezza di trovar poscia una camera commoda per estendervi i nostri letti, cosa ben preziosa per noi perchè poco comune. Il nostro viaggiatore, giunto a Tripolizza, non si mo- stra punto contento di quella città mezza ruinata, e de- ride le sue fortificazioni consistenti in un muro come quello che circonda i giardini, in alcune cattive torri, ed'in'una 12 debole e mal situata cittadella, In Napoli di Romania egli si trattenne alcuni giorni, e le sue narrazioni essendo più particolareggiate e più importanti , noi pure stimiamo di doverci quivi trattenere alquanto con lui. ‘Il porto di Na- poli è formato da una rupe scoscesa che s’inoltra in mare dalla parte del nord est: è difeso dalle batterie della città, e da un piccolo castello fabbricato sopra un’altra rupe che sorge nel centro del porto. La città, a chi vi arriva per ma- re, si offrein un aspetto singolare e magnifico. Le case, grandi benchè non belle, sorgono in anfiteatro su i fianchi di quella rupe scoscesa : un’ altra montagna considerabile dalla parte dell’ oriente , che ha conservato il nome di monte Palamede, è fornita di una buona batteria, e do- mina la città ed il porto. La cittadella viene considerata generalmente come inespugnabile: le fortificazioni della città sono opera de’ veneziani, e consistono in un bastione, ora in cattivo stato , in tre batterie marittime, ed in una quarta posta in sulla rupe ov’è fabbricata la città. Delle tre pri» me, l’una che chiamasi /a batteria di terra è montata da sette bei cannoni di bronzo da 48; la seconda, chiamata la batteria di mare, è stata convertita in arsenale e fòon= deria di cannoni ; la terza detta i cinque padri, perchè for- nita di cinque superbi cannoni veneti da 60 , comanda la città dalla parte dell’ovest e l'ingresso del porto : insom= ma la città con un buon presidio può ben essere inespu= gnabile. L’interno della città non è formato, tranne solo una gran piazza , che di vie strette e sudicie, la maggior parte ruinate dalla guerra. Le case che restano in piedi sono spaziose, ed alcune anche commode. Il commercio è quasi nullo: avanti l’anno 1821, questa città era il deposito dei prodotti di tutta la Grecia, e mandava fuori spugne , se- ta, olio, cera, e vino, pel valore di somme considerabili. Ora il suo solo commercio consiste nella introduzione de- gli oggetti di prima necessità. Le botteghe , come quelle di Tripolizza, sono piene d’armi e di vesti, e gli abitanti vestono militarmente sia alla francese, sia all’albanese. Il clima. è malsano, e la città fu spesso devastata dalla pe- ste, spezialmente verso la fine dell’ultimo secolo, L’ epide- 13 mie vi sono quasi continue; l’aria sempre crassa, ed assai men pura. che quella di Atene e di parecchie città dell’in- terno della Morea. Intorno ad alcuni de’ principali impiegati del governo, il sig. Emerson porta i seguenti giudizii : il vice-presidente Bottazi è uno spezioto dabbene ed onesto, non ha soprab- bondanza di spirito, ma gode la riputazione d’ una integri» ta, e d’un onore senza macchia: Cristide, uomo attivo ed imbroglione , fa le funzioni di segretario in assenza del principe Maurocordato. Fra i membri del governo , Gio= vanni Coletti, medico di professione , e che fu già come tale ai servigii d’Alì Bassà, è senza dubbio il più abile ‘ed intelligente di tutti. Quanto poi spetta alla sincerità del suo patrio zelo, poche persone tanto in Morea che tra’suoi com- patriotti se ne mostrano persuase. Le esazioni che ‘i suoi agenti commisero in Morea lo rendettero odioso al popolo ch’egli rappresenta, mentre the il suo animo impigliatore, la sua dura fisonomia, e gli aspri suoi modi, gli procac= | ciarono generalmente la riputazione d’uomo astuto , avaro, e di un’ambizione pericolosa. Comunque egli siasi i suoi talenti gli acquistarono tale autorità nell’ animo del presi- dente e del corpo esecutivo, ch’egli può essere considerato come la molla che dirige tutti movimenti di lui. Quan- to ai due\altri membri, Spiliotaki, e Petro Bey di Mai- na, il primo è un uomo da nulla, ed il secondo un buon compagno , paffuto , segnalato solamente pel suo appetito ed i suoi gusti epicurei. La sola persona che spicca fra i membri del corpo legislativo si è Spiridione Tricupi , fi- gliolo dell’ ultimo primate di Missolongi, e che rappresenta questa città. Essendo egli stato segretario del conte di Guil- ford, e soggiornato avendo alcuni anni in Inghilterra, eb- be campo di far messe di cognizioni; ed in fatti egli è il solo che siasi provato di profferire qualche discorso. In quanto spetta ai ministri, Adamo Duca che ha il ministero della guerra , è senza dubbio quello che dà le più belle speran- ze, e dico speranze, perchè ripetendo la sua origine da una delle più antiche e più chiare famiglie della Grecia, egli è ancora giovane e poco pratico degli affari : ma conoscen- 14 do egli quanto gli manca fa ogni tentativo per ripararvi,: H più singolare di tutti membri della legislatura greca & il ministro dell’interno, che chiamasi Gregorio Flescia. Egli fu religioso, e cominciò dall’essere soprantendente (dinaos) d’ uno monastero, di maniera che ora è conosciuto sotto i due nomi di Gregorio Diceo e di Papà Flescia. Le sue incli» nazioni naturalmente mondane gli rendettero presto spia- cevole la sua professione , e al principio della rivoluzione egli servì come volontario nella guerra contra i barbari ; ed in molte occasioni egli combattè sì bene per la patria. che giunse ad ottenere un comando, ove segnalossi pel suo valore. D’allora in poi, posto in non cale ogni pensiero di monastero , egli diessi tutto alle armi, e ai pubblici im- pieghi , e tanto egli adoperò col seano e con la mano a vantaggio del suo paese, che giunse a salire alla carica di ministro dell'interno. Per altro, uomo essendo egli vizio- so, non è punto amato nè stimato dal popolo, benchè il suo patriottismo fermo e costante che non ismentissi giam- mai, ed i suoi talenti diplomatici, gli abbiano guadagnato la confidenza del governo (*). d Il sig. Emerson interrompe tratto tratto le sue consi- derazioni per narrare i fatti, che vanno succedendo quasi sotto gli occhi suoi. Erano già comiuciati i combattimenti sotto Navarino. Ai 28 di marzo l’ inimico avea dato un assalto alla piazza ; ma fu rispinto dalle forze unite di Carratazzo e di Joanes, il più giovane de’ figlinoli di Petro Bey. Il primo , dopo aver fatto prove mirabili di valore, si trovò avviluppato in un grosso di nemici donde i suoi soldati l’han liberato a gran pena; l’altro, giovane d’insigni talenti e di gran valore, toccò una ferita nel braccio, che mal curata da ùn chirurgo ignorante divenne cancrena, e l’uccise. In questo fatto d’arme i greci perdettero cencinquanta nomi- ni, ed altrettanti a un di presso i nemici. Il capitano Gura scrisse che Odisseo, abbandonato da tutte le sne truppe , erasi ritratto a Tolanda sulle rive del mare di rimpetto al- (*) Dopo il viaggio del sig. Emerson le cose mutarono aspetto in modo, che ora forse gli farebbero cangiare linguaggio. 15. l'isola‘ d’Eubea, dove era stretto da lui, e vicino a cadergli nelle ‘mani. Benchè le strette del Macrinoros, per cui dovea passare il Romeli-Valissì per andare contro la Grecia occidentale, fossero state confidate a parecchi de’ più valorosi generali romeliotti, alla testa de’ quali era il generale Isco , pure; o pel ‘solito ritardo o per altra cagion che si fosse, l’inimico fino dai 6 di aprile potè senza ostacolo è senza neppur com- battere passare le strette, e colorire così la prima parte del suo disegno, ch’era quello di entrare nella Grecia occidentale. Agli 11 di aprile verso la sera, il sig. Emerson ebbe ‘ a'godere uno spettacolo assai piacevole e caro. Era la se- conda festa di Pasqua, il giorno bellissimo, folto stuolo di gente usciva della città. Donne elegantemente vestite sedu- te sull’ erba sentivano sonare la chitarra ed il flauto ; uo- ‘ mini montati sopra superbi cavalli arabi, volavano per la ‘ via, e lanciavano il dierid, guidando ad un tratto con una destrezza singolare i loro piccoli e vivacissimi cavalli, ca- racollavano, volteggiavano , si fermavano d’improvviso in mezzo alla più rapida corsa. In ogni parte scorgevansi so- natori, circondati ‘da ballerini, che tratto tratto rallegravano ‘Ja monotonia di quel ballo con ripetuti colpi di pistola. In altro lato de’ fanciulli vestiti a capriccio, incoronati di fiori, giuocavano e scherzavano intorno ai loro genitori rapiti in esta- si. Nell’osservare una scena tale, l’uomo non potea crede- "re di trovarsi in un' paese esposto a tutti gli orrori della guerra, ed essere circondato da famiglie, nessuna delle quali vi era, che non avesse a piangere qualche cara parte di sè. Ai.25 di aprile il generale Gura scriveva al governo a Napoli di Romania, che Odisseo erasi arreso, ed era stato spe- dito prigione nell’Acropoli di Atene. Il sig. Emerson non cre- de che Odisseo abbia mai avuto l'intenzione di collegarsi :€o’ turchi; giacchè se ciò fosse, un uomo di tanta forza ed | autorità non avrebbe trattato col bassà di Negroponte, ma sarebbe salito più alto. Egli è verisimile ehe il suo'solo pen- siero fosse di allontanarsi dal governo, co’ membri del quale ‘ei non poteva esser concorde; e ‘che tranquillo. sull’ esito de- finitivo de’ loro sforzi a pro della libertà, egli non mirasse ad 16 altro che ad acerescere a sè quel potere e que’beni, che ta li berazione della Grecia dovea poscia consolidare. Per la qual cosa, egli aveva aperto un negoziato col bassà ; e tutti ora credono ch’esso non avesse altro scopo che di farsi consegna- re l'isola nelle sue mani. Intanto, conoscendo egli le catti-, ve disposizioni del governo verso. di lui, nè potendo giusti, ficare il fatto assai noto de’ suoi trattati coll’ inimico , avea, risoluto di opporre la forza alla forza, ma senza domandar mai, nè accettare il soccorso de’ turchi. Nel sottomettersi al governo, egli avea particolarmente pattuito che fosse fatto il processo alla sna condotta. In questo mezzo giunsero lettere di Navarino, che an» nunziavano un fatto importante accaduto ai 19 dello stesso, mese. Gli egiziani tenevano il loro campo all’oriente di Na-. warino, ed innalzato aveano una batteria sopra un poggetto. I greci occupavano le situazioni alle spalle dell’inimico. per tagliargli le comunicazioni con Modone. L’ estremità della, parte sinistra era comandata da Asì Cristo, Agì Stefano , e Costantino Bozzari, fratello del celebre Marco ; la destra era sotto gli ordini del Giavella e di Karatazzo, nel mentre che il centro era cccupato da un corpo di Moreotti , guidati dal generale Skurza idlriotto. Sì venne a sapere da un disertore che i nemici doveano attaccare la mattina del 14, ed i co- mandanti erano bene apparecchiati a riceverli ; tranne al centro dove lo Skurza avea trascurato di costruire quelle trin- cee e quelle piccole linee, necessarie ai greci per tenersi fermi nelle loro posizioni. Egli dunque chiese rinforzo , e Bozzari venne a raggiungerlo con un piccolo corpo scelto. Gl’egiziani cominciarono dall’ attaccare le due ali, che li ricevettero ed affrontarono con gran coraggio, e sostennero i loro posti con valore maraviglioso, benchè più di trecen- to palle di cannone cadessero di là delle linee del Giavella. Ma l’attacco del centro non ebbe lo stesso esito, giacchè la mancanza de’ loro soliti tamburi mise presto la confusione . fra le truppe dello Skurza, le quali dopo una debole difesa si ritirarono precipitosamente, lasciando soli innanzi al ne- mico i soldati del Bozzari. Questi, dopo aver veduto cadere tutto il fiore de’ guerrieri di suo fratello Marco, salvossi a x7 stento con ventisette compagni. Questo fatto d’arme costò più di dugento uomini ai greci; Xidi e Zafiropulo, due de’le- ro capi più valorosi, furono fatti prigioneri, e quattro ca- pitani segnalati perirono. Il giorno appresso l’ inimico , gon- fio pel vantaggio avuto, tentò un assalto contra i ba- stioni della piazza , ma fu respinto con la perdita di cento morti e venti prigioni. I greci presero eziandio la nuova bat- teria degli egiziani, ma non potendo jrapirne i cannoni , gl’ inchiodarono, e rientrarono nella città, Dopo l’arrivo de’romeliotti al campo non vi ebbe mai cooperazione sincera fra le truppe de’ due distretti. La scon- fitta del Bozzari, ch’ egli attribuisce con ragione alla negli- genza e pusillanimità de’ moreotti comandati dallo Skurza, non fece che accrescere la reciproca animosità;"nè l’autorità del presidente valse a smorzarla, a segno che all’arrivo dei turchi (ai 27 di aprile.) innanzi a Missolongi, i romeliotti dichiararono di voler abbandonare la difesa di Navarino al suo presidio ed alle truppe della penisola, ed andare al soc- corso del loro proprio paese. La qual ‘cosa misero in esecu- zione ai 30 di aprile, al numero di tre mila, comandati dai loro generali respettivi Giavella, Karaiscaki, e Bozzari. I moreotti dal loro canto, per mostrare di non aver mestieri dell’ ajuto de’ loro alleati, si armarono con ardore, ed i due ribelli Zaimi e Londo si sottomisero al governo, e levaro= no truppe nel loro distretto di Calavrita. Intanto l’ armatetta del Miauli , avendo fatto de’ vani tentativi , impedita dal vento, per combattere la divisione egiziana che veniva di Su- da con sofdati e munizioni , questa potè effettuare il suo sbarco a Modone. Agli 11 di maggio il sig. Emerson giunse in Idra, ed il suo soggiorno, benchè breve, in quest'isola, sì per la descri- zione ch'egli ne fa, sì per gli avvenimenti della guerra che ivi egli venne a sapere, è per avventura uno de’ più interes- santi capitoli dell’opera sua, spogliando egli infino la gra- vità e freddezza inglese, e facendo prova di commuoverci alle lacrime. L’ aspetto della città d° Idra veduta dal mare è magnifico. Le sue grandi e belle case bianche sembra ch’e- scano dall’ acqua lungo Je roccie dirupate che formano il T. XXIII: Agosto. 3 18 porto: In ogni picciola punta che sporge in fuori si spiega- no le bianche ali d'un’ infinità di molini a vento, ed ogni cresta è armata d’una batteria. Sull’ ultimo piano le aride cime delle roccie ond’ è composta tutta l’ isola, senza offrire nè un albero, nè un punto di terra vegetabile, sono inco- ronate da molti monasteri ; in uno de’ quali è posta una vedetta per osservare l'approssimarsi delle navi, la cui vista andando molto lontano fa sì che gl’ idriotti sono i primi a sa- pere i movimenti marittimi di qualche importanza. Le vie della città sono necessariamente ineguali e dirupate, ma pu- lite; e la spiaggia del porto è fornita di tanti magazzini e botteghe, che fanno assai conoscere qual’ era altre volte il commercio d’Idra. Le case sono solidissimamente costrutte, e pulitissime, ed eleganti. Le suppellettili sono metà turche e metà europee, unendo insieme il fasto delle une con la comodità delle altre. L’ aspetto esterno del popolo è più piacente che nel resto della Grecia. Le donne sono generalmente avvenenti; ma l’uso di portare un fazzoletto piegato in capo ed allac- ciato sotto il mento cela il bel contorno del loro volto, che così in tutte diviene uniforme e rotondo. Un giubboncello di seta molto adorno ed un’ampia gonnella verde piena di pieghe e di teli, ornata di due o tre liste di colori vivi, so- no le loro vesti. I loro capelli nerissimi, gli occhi vivissi- mi, il portamento grazioso, e le loro bellissime mani, aggiunti i loro modi mezzo europei , le rendono, se non le più bel- le, certo le più care di quante sono in levante. Gli uo- mini sono tutti ben fatti e di atletiche forme : vestono con giacchette corte messe a ricami, e certi panni di gamba lar- ghissimi quasi sacchi e pieni di pieghe, che giungono infi- no al ginocchio, nè portano addosso altro ornamento, nè altra arme fuorchè il loro mackeri o coltello da caccia. Il sis. Emerson dice di non aver veduto in nessun al- tro luogo una maggior sete d’istruzione quanto fra la gio» ventù di quest'isola, I figliuoli de’ primati sono generalmen- te addottrinati, e parecchi tra loro possedono delle colle zioni di libri preziosi, de’ quali ora si sta formando una bi- blioteca pubblica. La letteratura non ha fatto ancora di gran 19 progressi in Idra, pure tutto fa credere al sig. Emerson che di quivi moverà un giorno il risorgimento delle lettere. Vi sono già molte scuole per le classi inferiori , ed un convit- to tennto da un alunno del collegio di Scio , nel quale i figliuoli de’ cittadini ricchi possono imparare il greco lit- terale e volgare, giacchè la lingua dell’isola è l’albanese. Vi si pubblica due volte la settimana un giornale intito- lato ò iAos Tod Nézov (l’amico della legge ) compilato dal sig. Chiappa. La stampa ed i caratteri sono un presente del comitato di Parigi. Ai 12 di maggio giunsero in Idra le triste nuove di Na- varino, recate dalla nave del capitano Atanassio Psamma- dò ucciso nella presa dell’isola di Sfacteria. Ecco la serie degli avvenimenti ivi accaduti. Ai 6 l’inimico provò di sbar- care un corpo di truppe al castello del vecchio Navarino o Pilos; e perciò una parte considerabile di egiziani comin- ciò un falso attacco contra la fortezza, durante il quale do- veva arrivare la flotta ed eseguire il suo sbarco. Un tale di- segno non è punto riuscito sì per la resistenza che oppose loro il presidio comandato da Agi-Cristo e dall’ arcivesco- vo di Modone, sì per l’ approssimarsi della flotta greca. Do- po un combattimento che durò tutto il giorno , l’ inimico rientrò nel suo primo posto di Petrocori, e la flotta sì ritras- se dalla parte di Modone, L’ armatetta greca continuò ad incrociare avanti la città, ed otto navi soltanto, fra le quali quella di Psammadò, sen rimasero nel porto di Navarino. La mattina (ai 7 di maggio) fu veduta di nuovo avanzarsi la flotta nemica nella direzione della piazza. Le navi gre- che erano per disgrazia troppo lontane dalla riva, e la gran calma nen permetteva lero di approssimarsi alla città che molto adagio, mentre che l’inimico veniva sempre costeg- giando. S' era avuto qualche sentore del meditato attacco contra Sfacteria, e si cercò di porla in istato di difesa. Non vi si poteva approdare che in un sol punto della costa occi- dentale, ch’ era difeso da una piccola batteria di tre canno- ni, e da un presidio di dugento soldati, comandati dal va- loroso giovane idriotto Stavro Sokini, e dal generale Ana- gnostara; a cui sì aggiunsero, per migliore servigio de’can- 20 noni, alcuni marinari tratti dalla flotta sotto gli ordini dî Psammadò; ed ‘il principe Maurocordato insieme col conte di Santa-Rosa si condussero a dirigere la difesa dell’ isola. Verso un’ ora le navi del bassà erano molto vicine all’ isola ; mentre che quelle del Miauli si sforzavano indarno di ap» prossimarvisi, Le prime si divisero in due squadre, e l’ una si pose all’ingresso del porto per impedire l’ uscita alle navi che ivi erano, l’ altra restò innanzi all’isola per opporsi alla flotta greca. Intanto cinquanta lancie armate , con mille cinquecento uomini, andarono a tentare di scendere nell’isola, Il piccolo presidio su le prime sostenne l’ attacco com co- raggio; ma finalmente oppresso dal numero e circondato da ogni parte fu tagliato a pezzi tranne un sol uomo, e l’ini- mico prese la batteria. Furono trovati fra i morti i due va» lorosi capi Sokini e Anagnostara, che caddero gli ultimi dopo una ferocissima resistenza. Le divisioni collocate su diversi altri punti dell’ isola, colte da terrore si diedero a fuggire in disordine ; le navi ch’erano in porto assalite dallo spavento generale misero tosto alla vela, nè la flotta egizia= na (lo che fa stupore) si attentò di chiuder loro il passo. Il solo brigantino di Psammadò restò in Navarino per salvare il suo capitano e gli altri idriotti ch’ erano ancora nell’iso- la. In fatti un primo distaccamento, compresovi il principe Maurocordato, potè salvarsi nella nave; ma quando le bar- che tornarono per pigliarne altri, una quantità di fuggia- schi vi si slanciò con tale impeto che le sommerse. Ed ecco dopo brevi momenti il valorso Psammadò seguito da poca gente ed indebolito da una ferita pericolosa. Giunto alla spiaggia, e sedutosi in un sasso, scuoteva con una ma» no il suo berretto per chieder soccorso alla sua nave, e col- l’ altra brandiva il sro jatagani contra i nemici che si ap» prossimavano a gran passi. La sua nave, perdute le sue bar- che, ebbe il dolore di vederlo cadere co’suoi compagni sotto una grandine di palle, senza potergli recare soccorso; indi rimasta sola contra quaranta navi egiziane, sostenne un fuo- co di ben quattr’ore, e finalmente giunse a salvarsi con la sola perdita di due morti e sei feriti. L'isola cadde in ma- no dell’inimico senza che vi sia rimasto un sol greco: tre- 21 ttenciquanta soldati vi furono uccisi, e novanta marinari tra morti e feriti o traviati. Ne’ quattro anni della rivolu- zione Idra perdette meno gente che in questa sola giornata. II conte di Santa Rosa era tra quelli che sparsero il loro sangue per la causa de’ greci. Fuoruscito della patria per aver preso parte nella rivoluzione piemontese , egli venne in Grecia; nè trovandovi un impiego degno del suo grado e de’ suoi talenti, entrò nell’esercito in qualità di volontario , senza richiedere un altro posto, che forse non gli sarebbe convenuto per l’ ignoranza della lingua e degli usi del paese, e giunse al campo di Navarino come semplice soldato. Que- sta sua risoluzione, benchè disapprovata da’suoi amici come imprudente ed inutile, pure movendo da un’ anima gene- rosa, e mirando ad uno scopo sublime, otterrà compassione ed onore dai posteri. i : Ai 15 di maggio, ritornato il sig. Emerson a Napoli, trovò la notizia che una parte dell’esercito nemico , passato l’Eveno, e penetrato nel distretto chiamato ancora il Vene- tico, avanzandosi con una rapida marcia, avea colti all’im- ‘ provvista e fatti prigionieri parecchi contadini, indi, avvici- natasi a Velvizzena , vi fu arrestata dagli abitanti uniti alle truppe del generale Safaca, che giunsero a liberare tutt’ i prigioneri ed a rispingere i barbari infino a Neocastro, for- tezza nelle vicinanze di Lepanto, nel mentre che le trup- pe greche avevano tosto occupato i posti di Loidorikion e di Velvizzena. Ai 16 di maggio si vennero a sapere le funeste conse- guenze della perdita dell’ isola di Sfacteria , cioè la presa dell’ importante posto di Paleo-Castro. La sera istessa della presa dell’isola l’inimico avanzossi contra il vecchio castello, posto sopra una specie di penisola unita alla riva. da due strette lingae di terra, fra l’una e l’altra delle quali havvi un gran lago d’ acqua salata. Erano amendue fortificate e ben difese ; ma nel tempo che ardeva la pugna nell’ una, l’inimico fece una diversione ed impadronissi dell’altra,ov’era l’ unica fonte che spegneva la sete degli assediati. Verso il tramontare del sole il nemico si ritrasse ne’ suoi posti con- iducendo seco prigione Agi-Cristo, uno de’più valorosi coman- 22 danti moreotti. Il giorno appresso gli egiziani avendo rico- minciato l'attacco furono obbligati a ritirarsi dal coraggio mirabile degli assediati. Ma finalmente due uffiziali france- si al servigio del bassà essendosi avanzati a proporre una ca- pitolazione inaspettata, gli assediati, trovandosi senza provvi- gioni e senz’ acqua , vi acconsentirono , ed uscirono della piazza senz’armi al numero di mille settanta , comandati dal generale Luca e da M. Jarvis , filelleno americano , e partirono sicuri dopo essere stati scortati per alcune miglia da un ‘distaccamento di cavalleria. Innanzi di entrar a dire di eventi più fortunati, il sig.’ Emerson qui fa una giustissima osservazione. In nessun pae: se è mai stato, egli dice, più difficile il presagire le conse- guenze probabili degli avvenimenti della guerra che nella Grecia, tanto ivi l’aspetto delle faccende varia continuamente; un giorno smentendo le speranze del giorno precedente, ed i timori di questo trovandosi parimenti dileguati il giorno ap- presso; e talvolta altresì nel giorno medesimo l’ uom passa più volte dalla tristezza alla gioja, giacchè in tanti dispacci che da tante parti arrivano del continuo, raro è che due ar | rechino la stessa ‘precisa notizia. L’arrivo del presidio di Na- varino aveva sparso la tristezza per tutto, quand’ ecco un dispaccio dell’eparco di Calamata, che annunzia ina delle più luminose fazioni che sieno mai state eseguite dai tre= mendi brulotti de’ greci. Dopo la presa dell’isola di Sfacteria, nel mentre che l’armata greca continuava a far la crociera sulla costa, la flotta del bassà si divise in due parti, una delle quali restò nelle vicinanze del porto di'Navarino; e l’ al- tra composta di due fregate e di quattro corvette con molte navi da carico si avvicinò adagio adagio a Modone, ove fu se- guita ai 12 del mese dal Miauli con quattro brulotti e ventidue brigantini. Nella sera, sorta un’aura favorevole dal sud-est, egli diede il segnale ai brulotti di entrare nel porto, dove, oltre l’ armata egiziana, vi erano parecchi legni austriaci, joni, e siciliani, da trentacinque a quaranta in tutti. L’ini- mico, vedendo i brulotti, volea fuggire, ma il ventò ne lo impediva. Sorge una gran confusione, le navi si urtano ; e finalmente tutti insieme sono respinti dietro ai bastioni della 23 città. I brulotti si avanzano , e tutta l’armata egiziana con alcuni legni austriaci ed altriin numero di venticinque, di- vengono preda delle fiamme ; mentre che i condottieri dei = brulotti ritornano sani e salvi sulle proprie navi senza un sol uomo di meno. Inoltre il fuoco si comunicò ad un ri- postiglio di polvere, ch’ era nell'interno della città , il quale saltò in aria con uno scoppio tremendo. Questa lieta nuova rallegrò le triste e quasi desolate faccie de’ moreotti per la serie di tante sventure, e che cominciavano a mormorare fortemente , e a chiedere il ritorno dei loro capi esiliati, e sopra tutto del Colocotroni. Ai 20 di maggio il sig. Emersonarrivò a Spezia, della quale egli dice, che sembra il ritratto d’Idra in miniatu- ra; ma meno sassosa e meglio coltivata. Ivi egli. visitò la famosa Bobolina, dell’ospitalità e dell’accoglienza della quale egli lodasi a cielo; e poco dopo (ritornato a Idra) egli ci — dà la nuova della sua morte violenta, avvenuta ai 2 di giu- gno in una sollevazione, mossa dai congiunti d’una giovi- netta sedotta da un fratello di lei. Per altro (dice il sig. Emerson) la virtù delle donne è in tanta stima in quell'isola, che l’ omicida non fu punto cercato , e la pubblica inde- gnazione sforzò il fratello di Bobolina a sposare qualche tempo dopo la vittima delleesue seduzioni. Il sig. Emerson , prima di partire d’ Idra per recarsi all’armata , chiese il permesso di visitare i capi ribelli te- nuti prigioni nell'isola ; e ragionando del Colocotroni, dice che le sue idee sullo stato della guerra, e sulla maniera di liberare il suo paese non erano ben determinate ; se non che egli erasi dichiarato assolutamente contra la proposizio- he di formare le milizie regolate , la quale , a PR detta, non sarebbe abbracciata mai nella Grecìa., come contraria alla inclinazione ed ai pregiudizii del popolo. Ecco il suo disegno : cacciare l’ inimico (e ne descrisse a lungo i mez- zi) dalle poche fortezze ch’ egli ancora conserva.in Grecia, e ad una ad una, secondo che cadranno nelle mani !del;go- verno , smantellarle tutte , tranne la più importante, ac- ciò fosse la residenza del senato. In tal guisa l’inimico non ‘potrebbe soggiornare ‘nel paese ,' niel mentre che li ‘Kleftès 2A e loro ‘aderenti, possessori delle montagne, proseguirebbe-. ro, come per lo innanzi; a sconfiggere tutte le forze che | si spedisse contro di loro. Ma questo mezzo di restar liberi (gli fu detto) impedirebbe ogni progresso nella civiltà. La si- curezza politica , egli rispose, esser doveva il primo e prip», cipale pesitnn la civiltà ne verrebbe in seguito ; ed in- tanto così renderebbesi la nazione, guerriera, e manterreb- besi il sno coraggio in tutto l’ardore primiero ; l’arte mili- tare ne farebbe de’soldati franchi, ma in quella guisa se ne rimarrebbero greci. i Il sig. Emerson , partì da Idra per l’armata sopra un brulotto capitaneggiato da un bravo giovane nominato Teo- dorachi, nipote dell’ ammiraglio Miaali. Quindi egli coglie l’ occasione di farci conoscere tal genere di navigli. Questi sono ordinariamente de’vecchi bastimenti comperati dal go- verno. Per renderli presto accensibili ecco in qual guisa si procede: le sponde e la stiva della nave, dopo essere state bene incatramate , vengono empiute di fascine secche tuffate nella pece , nella morchia , e tinte di zolfo ; indi si apre parecchi boccaporti nella coverta, e vi si pone un piccolo barile di polvere, di maniera che, preso fuoco, i barili ri- spingono il loro boccaporto , e dando aria alle fiamme im- pediscono che il cassero non.venga troppo presto distrutto dallo scoppio. Finalmente una miccia che passa per tutte le parti della nave, comunica con tutt’i barili, circonda il cassero, ed esce dalla finestra della poppa : più alto ogni gomona , ogni antenna è bene incatramata, per portar: pre- sto il fuoco alle vele ; all’esttemità di tutte le antenne so= no messitde’ ramponi, onde vi restino avviluppati i sartia- mi delle»navi nemiche in guisa ch’ esse più non possano sciogliersi. La miccia, per evitare gli accidenti, non è mai messa che al momento di servirsene. Quando è pronta ogni cosa ed il vento propizio, si spiegano tutte le vele per ac- crescere la forza delle fiamme, e si governa il timone alla volta dell’inimico. Giunti presso alla nave che si vuole ab- bruciare , i marinari, che sono venticinque o trenta, scen- dono pel cassero in una lancia fatta a bella posta, fornita d’ impagliature altissime e due piccoli anelli: il capitano 25 dà fuoco alla miccia, i boccaporti s’ aprono , le fiamme si slanciano ad un tratto da poppa a prora del brulotto ; sa- lendo per le gomone , e comunicandosi presto alla nave nemica , nè vi ha esempio che alcuna sia riuscita a libe- rarsene. Quindi il terrore che i brulotti destano ai turchi; è tale che avviene assai raro ch’essi facciano la, minima re- sistenza. Quando eglino ne veggono avvicinarsi uno di lon- tano tirano per qualche tempo delle cannonate alla ventu- ra, ma poi, vedendolosi vicino, si precipitano nel mare e si sforzano di raggiungere le altre navi. Talvolta però van- no alcune lance a soccorrerli, ma non è mai loro riuscito di allontanarne il brulotto, nè di pigliarne i marinari fug- gitivi. Per la qual cosa, intanto che negli altri paesi co- loro che s’imbarcano ne’ brulotti sono quasi morti repu- tati, la dappoccaggine de’ turchi è sì grande ch'egli è ra- ro che un uomo del brulotto sia ferito , e ben più raro ch’ei resti morto. Nulladimeno , siccome ivi l’uom corre più gravi pericoli che altrove, lo stipendio ch’ei riceve è grande, ed oltracciò egli tocca una mancia di cento a cen- cinquanta piastre in ogni fazione che riesca a buon, fine, Ai capitani furono offerte soventi delle ricompense , ma eglino sempre le ricusarono, dicendo ch’essi riputerebbonsi disonorati mettendo prezzo sui servigii che rendessero al loro paese. Il loro numero ‘è di venticinque a trenta, e molti fra essi si sono segnalati, e sonerebbe alto il loro nome, se la ben meritata fama d’ uno (e chi non udì celebrare Costantino Canari? ) non avesse fatto tacere quella degli altri. Fra quelli che fecero azioni luminose, ma la cui ri-j putazione non raggiunse quella, del Canari, vanno annove- rati il capitano Pepino, compagno del Canari nella sua fa- mosa spedizione di Scio contra il capitan-bassà ; e che in- sieme con Giorgio Potili ed Alessandro Dimamo, ha recen- temente eseguita la luminosa impresa di Modone. Giorgio Capà Antonio, Anastasio Calojanni, Demetrio Rafaella, e Giovanni Mondrosa, diedero pure prove del maggior corag- gio nelle ultime azioni ch’ ebbero luogo a Mitilene , a Te- nedo, a Samo, a Scio, a Coo, e a Candia. Eglino fura- 26 no ricompensati dagli elogi de’ loro concittadini , e dall& canzoni composte a loro onore. i vita Giunto il sig. Emerson alla flotta greca ; ed accolto nella nave dell'ammiraglio Miauli, egli ci dà le notizie più importanti sopra di quella , e comincia dal ragionarci del suo ospite così: Miauli è nn uomo di cinquanta ‘a sessan- t'anni. La sua fisonomia ha una significazione singolare d’intelligenza, d’ umanità , e di benevolenza, ma la sua persona è poco graziosa. La sua famiglia è stabilita da gran tempo in Idra, ed egli fin dall'infanzia avvezzossi a vivere sul mare. Fin dall’età ‘dei diciannove anni, con un brigan- tino affidatogli da suo padre, ei fece gran fortuna nel com- mercio, e quindici anni sono passava per uno de’ più ricchi dell’isola. Dopo un naufragio che il'ridasse alla mediocrità, in capo ad alcuni anni egli ristabilì la sua fortuna a se- gno di poter contribuire tre brisantini all’armata greca. Una volta egli fu preso da lord Nelson con due altri bastimenti speziotti. I’ suòi compagni, i quali sostennero contra l’evi- denza che il loro carico non era proprietà francese, furo= no condannati, ma ‘egli, che confessò di essere giusta pre- da fu rimesso in libertà. Io non vidi uomo giammai (pa- role del sig. Emerson) i cui modi sieno più semplici'e più amichevoli. Sembra ch’ egli sia totalmente superiore ad ogni specie di ciarlataneria o di affettazione. Egli mira ad un' solo scopo, la liberazione del suo paese, e tutto dedito a questo gran disegno, egli non si cura nè della malignità, nè dell’invidia de’suoi nemici, nè delle lodi che a lui lar- gheggiano i suoi concittadini. Il valore de’ suoi compagni va mescolato di molta ambizione, ma egli non ha in sè che una sola cagione movente, il più disinteressato e più puro patriotismo. L’armata greca ha pochissime navi a tre alberi e del carico di tre a quattrocento tonnellate; le altre sono bri- gantini o schoorer aun albero e da cento a dugencinquanta tonnellate. Le navi più grandi non hanno più di diciotto cannoni ed anche di vario calibro : i più grossi sono’ can- noni da diciotto, e si veggono nellé navi del Miauli e del 27 Sokini ; gli altri sono la maggior parte cannoni da dodici. Tutta la flotta greca appartiene infino ad ora a privati, e benchè i marinari sieno pagati dal governo, e che questo contribuisca pure alle spese , im ogni modo i proprietarii soggiacciono alla maggior parte del dispendio, Conduriotti e suo fratello somministrarono dieci navi. Tombasi e Miauli tre per uno : gli altri furono equipaggiati da particolari, 0 pure appartengono in comune al capitano ed alla sua famiglia. Il numero de’ marinari d’ una nave greca varia da sessanta infino a cento uomini , ed il loro stipendio da quaranta infino a settanta piastre al mese. Nessuno ignora quanto eglino sieno attivi e destri nel maneggiar delle vele e nelle altre operazioni; ma la maggior parte di essi, non avendo mai passato lo stretto di Gibilterra, non hanno grande espe- rienza del mare. Quanto alla disciplina e al governo delle loro navi, sono cose che quasi non si conoscono. Ha nulla- dimeno un certo sistema in alcune, e che sarà, per quanto dicesi, seguito da tutte. Il capitano ha tutto il potere nel- l’interno, nè riceve ordini che dall'ammiraglio: subito do- po di lui v'ha un altro uffiziale col nome di yauxAnpos (nau- clerus) a cui è confidata la navigazione del vascello ; vie- ne poscia il vpayanaTevs o segretario del capitano, il quale, oltre 1’ impiego di scrivere i dispacci, ha pur quello di com- missario ai viveri; finalmente l’ uffiziale munizioniere, che distribuisce le porzioni all’equipaggio. Per altro la stessa mancanza di subordinazione e di concordia, che fece tanto danno alla causa de’ greci mn terra, trovasi anche nella loro flotta. La causa principale della discordia si è la gelosia che nutrono gli speziotti del potere e della fama ‘acquistàtasi dagl’ idriotti ; gelosia che frappose sempre più d’un inciam- po alle più belle imprese marittime de’ greci, impedendo loro di operare tutti insieme ; giacchè gli speziotti hanno il loro ammiraglio particolare , il loro sistema di discipli- na, i loro segnali particolari ; la loro armata va sempre in corpo, lunge dal resto della flotta, di cui non sembra punto far parte. Gl’ipsariotti all’intontro, che non hanno più pa- tria, o per dir meglio terra natale a difendère o a far pri- meggiare, liberi da ogni spiriro di patté, hanno sempre spie- 48 gato il valore più luminoso , e si sono prestati con alacrità. a quanto veniva loro proposto a comune vantaggio. Motivi d’invidia e d’ ambizione particolare hanno causato eziandio le divisioni fra i capitani di ciascuna isola dell’arcipelago.. Ma la causa più frequente delle dissensioni fra’comandanti; si è la vanità (doveva almeno dire l’ ambizione). Io non. vidi mai (parole del sig. Emerson) persone più avide di lodi quanto i capitani idriotti. La speranza di essere celebrati in un’ode, in una elegia, nel giornale d’Idra, o solamente nominati ne’ giornali inglesi, basta per ispingerli alle im- prese più perigliose. E non vede il sig. Emerson che ciò ch’ ei condanna negli idriotti, è la virtù de’ gran popoli ? Il sig. Emerson si maraviglia del forte amor della lode che sentono /i greci, e lo appone loro a vizio. Apporrassi dun- que a vizio de’greci moderni ciò che fece fare le grandi cose agli antichi? Noi ci maravigliamo della maraviglia del sig. Emerson, giacchè stimiamo un tale amore come la più gran qualità che aver possa una nazione, e quella a cui tutte le nazioni debbono i loro più singolari intraprendimenti. Il desiderio della gloria fu sempre la passione delle anime più generose. L'uomo, senza di esso, diventa spregevole o nullo; le nazioni si avviliscono, si corrompono , cadono nell’ obbrobrio, e nella servitù. Ma noi non finiremmo sì presto, se tutte raccorre quì volessimo le particolarità importanti, che il sig. Emerson va nel suo libro notando; e ben ci avvediamo, e forse an- che troppo tardi , d° esserci allargati più che a noi non con- veniva, a segno che non picciol cammino ancora ci resta da correre per rientrare nel porto. Il perchè d’ ora innanzi c’ingegneremo per necessità d’esser più brevi. Fra le persone che si segnalarono nella flotta greca per coraggio e valore, va nominato primieramente Anastasio ‘ Psamadò che diede argomento a più d’una canzone idrio- ta, e che morì, come dicemmo, da eroe nell’ espugnazio- ne di Sfacteria ; viene poi Giorgio Sokini, che imaginò i segnali di cui si servono le divisioni idriotta ed ipsariotta , e che si è segnalato particolarmente ne’ fatti d’ arme di Spe- zia e di Mitilene, e in quello che seguì alle acque del Zante: se) ìl capitano Antonio Kriesi è il più attivo ed intelligente capitano della flotta , e col suo coraggio rendette di grandi servigi in quasi tutte le congiunture fin dal principio della rivoluzione. Panagiota, uomo pesante e mal fatto, passa un poco per pazzo fra gl’idriotti, causa la temerità ch’ egli mo- stra in tutte le occasioni; ed il Miauli di lui si prevale sem- pre che ha bisogno d’un uomo di coraggio sperimentato. Van- no pure sommamente lodate le operazioni del vice-ammira- glio Sacturi , de’ due fratelli Alessandro e Antonio Rafaella, ‘di Giovanni Lallao, d’ Anargiro Libeschi, dell’ ammiraglio ipsariotto Apostoli, e del picciol numero de’capitani ipsariotti che vivono ancora. ‘ Egli basti il dire, che tutte le belle azio- ;, ni attribuite alla flotta greca, ‘non sono state che il frutto »» del valore e del patriottismo di questo picciol numero d’uo- s» mini illustri, i quali acquistarono così de’ giusti diritti al ») titolo glorioso di discendenti di Temistocle ,,. Nel tempo che l’armata greca venivasi apparecchiando per condursi ad abbruciare il resto delle navi egiziane resta- te nel porto di Modone, ecco che giunse la trista nuova della resa di Navarino. Dopo la presa del vecchio castello, tutti gli sforzi degli egiziani si sono rivolti contra la piazza, ed intanto che la flotta impediva l’arrivo de’rinforzi e delle vettovaglie, le truppe di terra occupavano tutt'i passi che conducono alla città, di maniera che il presidio, mancante d’ acqua e di provigioni , travagliato dal fuoco continuo del- l’ inimico, privo d’ ogni comunicazione di terra e di mare co’ suoi, e vedendosi già presso all’ estremità, concluse colla mediazione e malleveria di alenne navi europee, una capi- tolazione, per la quale fu trasportato libero a Calamata, tranne il figliuolo di Pietro-bei, ed il generale Iatracco , che rimasero prigioni. Poco valsero a consolare i greci di sì grave perdita al- cuni vantaggi da loro riportati nel distretto di Cravari ( al- l’oriente di Missolongi) ed altrove. Ai 6 di maggio un cor- po di dugento romeliotti , sotto diversi capitani, attaccò , presso ad un villaggio chiamato Pappadia, un posto dell’ ini- mico difeso da due mila uomini sotto gli ordini di Banou- sa Sebrone. La pugna cominciò all’ alba, e durò infino al- 30 la notte, e terminò, come il solito, coll’ espugnazione del posto; con una perdita leggiera dalla parte de’ greci, e colla fuga dell’ inimico, che lasciò sessanta morti e non pochi pri- gioneri. Essendosi egli poscia ricoverato in un monastero fra Lodorikion e Cravari , ne fu discacciato colla perdita di sessanta morti ed ottanta feriti; intanto che i greci rispin- gevano con pari fortuna un attacco dell’inimico contro di Anatolia. Un altro importante vantaggio riportarono pure i greci sul mare alla fine dello stesso mese di maggio. La seconda divisione dell’armata greca sotto gli ordini del vice-ammi- raglio Sacturi incrociava da due mesi nell’ arcipelago, fra Mitilene ed il monte Atos, a fine di sorprendere la flotta turca mentre partiva dai Dardanelli: la quale avendo dif- ferita oltre ogni credere la sua partenza, finalmente uscì fuori ai 24 di maggio, quando i greci meno se l’ aspettava- no, ed ai 31 trovavasi già alle acque di Negroponte, senza che il Sacturi ne avesse il minimo sentore. Ma come il sep- pe, si pose ad inseguirla, e la raggiunse alle acque di Ca- po d’oro nell'isola di Negroponte, che combatteva co’ venti contrarii, I brulotti le abbruciarono una nave rasa da sessanta- sei, appartenente al capitan-bassà, il quale per precauzione era passato prima in un piccolo bastimento: la stessa fortuna incon» trarono una corvetta e la fregata del capitan agà, che perì colla sua nave:furono prese cinque navi da carico, piene d’ogni ma- niera di munizioni da bocca e da guerra, di mortaj, di can- noni, ec. Il resto della flotta andò dispersa e raminga in ogni parte. Una corvetta, spinta a Sira, dovette arrendersi a due brigantini greci; mai turchi, anche questa volta come il solito, avendo mancato ai patti della capitolazione, ne pa- garono bene il fio. Dovevano eglino consegnare il bastimento, dopo sbarcato l’equipaggio in sicurezza nell’isola; ma appena usciti, per mezzo di una miccia, essi diedergli fuoco : i greci si slanciarono a terra furibondi, e dopo una forte zuffa, fecero cento cinquanta prigionieri sui barbari, che spedirono in Idra. La spedizione del’ Miauli in Candia, non ebbe un esi- to tanto felice, per vari accidenti impreveduti, benchè non 3I sià stata senza vantaggio. Tre brulotti avventaronsi. contra l’inimico (ai r4di giugno ) manon poterono abbruciare che una, corvetta turca di ventiquattro cannoni, Inoltre le lancie de’ brulottieri , al loro ritorno, furono circondate ed assali- te da molte barche turche, ma RE i nemici fossero tren- ta contra uno, i brulottieri eomandati dal loro capitano Gior.. gio Potili, combattendo con valor singolare, poterono tutti quanti giungere a salvamento ne’loro legni. Igreciriportarono intanto una seconda vittoria fra. Loidorikion e Cravari; ma questa fu amareggiata dalla caduta di Salona, e dall’ asse- dio di Missolongi che l’inimico stringeva, benchè inutilmen- te , perchè sempre respinto con sommo valore dagli assediati. Nella Morea la cattiva fortuna perseguitava i greci. Ibraim-bassà, dopo la presa di Navarino, spedì un corpo di truppe contro Calamata, e contra una fortezza posta al nord di Navarino chiamata Arcadia. Calamata non ha cittadella, nè alcun mezzo di difesa ; e perciò i greci, dopo avere a lungo e valorosamente combattuto, dovettero abbandonarla, Arcadia avea per presidio dugento soldati , comandati dal ministro dell'interno Papà Flescia, con alcuni uffiziali tede- schi. I greci vi si difesero infino agli estremi, ma furono oppressi dal numero de’ nemici, e ben pochi salvaronsi. Fra i morti vi si trovò Papà Flescia , che combattè con mira» bil valore infino all’ ultimo respiro. Dopo di che Ibraim-bas- sà si rivolse contro a Tripolizza, ch'egli occupò ai 20 di giugno senza opposizione , poichè, secondo gli ordini del Colocotroni che usciva di nuovo in campo co’ suoi partigiani, essa fu abbruciata e sgomberata dagli stessi abitanti, i qua- li si ritrassero in Argo e in Napoli di Romania. Occupata Tripolizza, Ibraim-bassà si mise poco dopo in via per Ar= gos, ma com’ebbe passato il villaggio di Milos, ch’ era stato occupato dal principe D. Ipsilandi con un corpo di dugen» to cinquanta vomini , i greci fecero una scarica di moschet- teria che ferì il colonnello Selves, rinegato francese, il quale, sotto il nome di Soliman-Bei, era stato il principale agen- te militare del bassà, e colui che formò le truppe regolari egiziane. T'osto la colonna fermossi , indi lasciò due mila uomini del suo retroguardo ad attaccare il villaggio. La na- 3a tura del terreno rendeva inutile la cavalleria nemica, la quale dopo vani tentativi fu obbligata di ritirarsi con la per- dita di alcuni uomini. Ma che ? L’ infanteria nemica più numerosa in più doppii de’ greci stringevali sì dappresso che già non restava loro per tutta difesa che il parapetto d’un orto. Era ormai il fatto loro ridotto alla disperazione, quand’ecco che uno de’ loro capitani si pone a gridare: «“ Ora, fratelli miei, è tempo di sguainare le nostre spade ,,. Dice, e gettando via il suo fucile , salta il muro, attacca l’inimico col suo jatagani; quasi tutti soldati lo seguono. Si combatte ferocemente, ma non a lungo : gli egiziani, ri- masti stupefatti ad un sì repentino furore, piegano , si ri- traggono al piano, sono inseguiti da’ greci, ed abbandonata l'impresa, trovano per lo meglio di andar fuggendo a rag- giungere il loro esercito accampato a tre miglia dalla città d’Argos. Questa città, abbandonata dagli abitanti, fu ridotta in cenere dall’inimico, il quale, dopo questa operazione, ine gannando il Colocotroni che tentava invano di tagliargli la via, ritornò sano e salvo a Tripolizza, prima che il capitano greco avesse neppur sentore della sna partenza da Milos. Si crede che qualche mal genio avesse fatto perfettamente conoscere al bassà i movimenti e lo stato dell'esercito gre- co, e le strette de’ monti, e lo avesse infino messo in ispe- ranza di acquistar Napoli di Romania per tradimento. Mentre che tali avvenimenti succedevano , uno de’prin- cipali eroi della rivoluzione , il valoroso e destro Odisseo , moriva della morte dell’uom volgare. Il sig. Emerson pone in dubbio ciò che ci raccontarono i fogli pubblici , cioè ch'egli sia mal capitato nello scalare la torre dell’ Acropoli di Atene per darsi alla fuga; e si sente inclinato ad attri- buir la sua morte alla malevoglienza (non si sa bene se giu- sta o ingiusta ) del governo verso di lui. Comunque egli siasi desta un vero rammarico il pensiero che un tanto uo- mo sia caduto vittima o dell’invidia e della calunnia, o d’una rea e meschina ambizione che lo abbia sedotto. Tutte le speranze de’greci erano ormai riposte sul ma- re; ma sventuratamente l’ armata greca tentò invano d’ im- pedire che la flotta turca arrivasse a Navarino con le truppe | I aiperezoe. Agrranà È 33 da sbarco. Ai 26 di. giugno i greci lasciavano Vaticò per ri- tornare a Candia ; ed il giorno appresso incontrarono i tur- chi, nè il vento’ permise loro di attaccarli ; e quando un momento sembrò loro favorevole, eglino lanciarono tre bru- - lotti contra l’inimico; ma egli scampò dal pericolo, e giun- se sano e salvo a Navarino, dove mise a terra tre mila uo- mini di truppe regolate, e due mila d°’ irregolari. Il sig. Emerson, ‘seguendo sempre nel suo libro la for- ma d’un giorriale, passa, secondo richiedono le date e l’or- dine de’ suoi viaggi, dalle faccende pubbliche, alle private ed interne , dalle cose militari alle morali e letterarie , e così salva il suo lettore della noia, e lo distrae tratto tratto dai tristi spettacoli che spesso è costretto di offerirgli allo sguardo. Noi credemmo per la stessa ragione di dover seguir quasi passo passo il nostro autore, e ciò faremo insino alla fine. Il perchè non parrà strano se noi ora ci condurremo con lui ad Atene, e lasciando di descrivere lo stato presen- te di questa famosa cittade in tanti libri descritta ed a tutti nota, diremo solo due parole intorno alla società degli ami- ci delle muse , o accademia che vogliam dirla. Questa so- cietà conta oramai una vita di quindici anni. Il suo scopo è di diffondere l’ istruzione in tutti gli ordini di persone, di propagare lo studio delle lingue moderne, di scoprir cose nuove nella storia e nelle antichità della Grecia. Quindi gli oggetti d’antichità e gli avanzi di antica scultura che si vanno scoprendo nel continente o nelle isole non potran- no più essere trasportati fuori del paese; ma dovranno in vece essere raccolti dal governo per formare un museo na- zionale. Innanzi alla sollevazione de’ greci, la società era giunta a instituire delle scuole in diverse parti della Gre- cia, e due in Atene, secondo il sistema del mutuo inse- gnamento, come pure un collegio, per insegnare il greco litterale e le lingue dell’ Europa agli scolari più provetti; le quali scuole contavano già più di novecento ragazzi tra” nomini e donne. Gli affari della società sono amministrati da quattro efori, ed un proedro o presidente. Cinquecento sono finora i membri » fra nazionali e forestieri, e sono di- visi in due classi, che secondg il valore de’loro doni go- T. XXIII, Agosto, 3 34 dono il posto di &ve)yé]4.0 di cuyjyopa i( benefattori o 80cj) e quando sono ammessi ricevono il diploma ie l’anello della società. Le fatiche di questà società, benchè interrotte spesso dalle operazioni dell’inimico , procedono sempre, I libri della sua biblioteca, e quelle poche antichità che formano il fon- do del museo, ora sono collocati per maggior sicurezza nel- l’ acropoli.. In agosto il sig. Emerson fece un breve viaggio a Ti- no, Scio, Smirne etc. poi ritornò alle isole Jonie, per indi recarsi in Inghilterra, Egli avea già detto prima che la flotta greca s’ era divisa in due parti, una delle quali vo lea tentar di vettovagliare Missolongi, e l’ altra si propo- nea d’ impedire il ritorno dell’armata egiziana, ch'era an- data in. Alessandria per caricare munizioni e nuovi rinforzi per Ibraim-bassà. Arrivato ai 28 di agosto al Zante , ei ven- ne a sapere come quelle navi greche che partirono per Alessandria non ottennero il loro intento; giacchè pene» trate essendo nel porto con tre brulotti, in vece di attac- care alcuni piccoli bastimenti che vi stavano nell’ingresso, e potevano mercè il vento favorevole comunicare il fuocò atutti gli altri, i brulotti si cacciarono innanzi infino alla selva delle fregate , duve l’attività e precauzione degli egi- ziani rendettero questa volta vani i loro tentativi. I bru- lotti furono consumati senza esito, l’ equipaggio potè sal- varsi al solito, ma le navi greche dovettero ritirarsi, dopo aver veduto-fa loro impresa andata a vuoto (*). L’armatetta ita a vettovagliar Missolongi fu più fortunata. I primi giorni, per l’angustia del canale che conduce alla città fra i bas- si fondi guardato diligentemente dalle navi turche, incon- trò di grandi difficoltà, e la piazza per mancanza di vi- veri trovavasi in grave pericolo, quando , colta una notte oscura ed un vento favorevole, le navi greche passarono lentamente e senza esser attaccate dietro alla linea de’ tur- chi. Spuntato il giorno, grande fu lo spa\ento e lo stupore di questi, che senza fare alcun tentativo per racquistare (*) Il sig. H. Lauvergne attribuisce il cattivo esito dell'impresa ai rivali del, Canari, che per gelosia non vollero secondarlo.- Souvenirs de la Grèce, etc. 2 85 la posizione primiera, si scostarono dalla città , e lasciaro- no si greci tutto l’agio di vettovagliare la piazza; indi si dileguarono affatto dal golfo. Ai 14 di settembre il sig. Emerson era in Cefalonia, ed ai 16 partì per l’Inghilterra. Ecco in quale stato egli lasciava gli affari della Grecia : correva la nuova che i tur- chi eransi in gran fretta scostati da Missolongi, e che co- minciavano a ritirarsi verso Arta, Una sollevazione era scop- piata nell’ isola di Candia ; ed i sollevati eransi impadroniti di Carabusa, piccola isola situata alla punta N. O. di Can- dia, e ch'è benissimo fortificata, ed ha un buon porto. I greci spedirono ‘tosto un soccorso di truppe ai sollevati, ed alcune navi a far la crociera innanzi all’isola: varie dissen- sioni erano sorte nel campo turco a Calamata, e dicevasi in- fino che Ibraim bassà avesse ucciso con le sue mani un co- mandante candiotto, che, saputa la sollevazione di Candia , voleva ritornare in quell’isola a guardare i suoi beni: tutti capitani greci caduti prigionieri nelle mani de’ turchi sta- vano per essere ricambiati, colla mediazione del capitano inglese Hamilton, contra il bassà turco di Napoli di Ro- mania, tenuto prigioniero da’ greci fin da quando essi espu- gnarono quella piazza, e ch’essendo uomo di grande im- portanza e valore , avevano finora invano i turchi offerto di grandi somme per riscattarlo. La campagna era vicina al suo termine : le ostilità cessate al settentrione dell’istmo. di Corinto : Ibraim-bassà stavasi sempre a Calamata aspet- tando i rinforzi d’ Alessandria, che i greci vota ne ad impedire: Colocotroni cercava di mettere insieme il sno eser+ cito disperso: il figliuolo primogenito dell'ammiraglio Miauli ed un altro primate idriotto erano! stati spediti in Inghilterra verso la fine di agosto a trattar della cosa pubblica e del destino della Grecia. La formazione delle milizie regolari procedeva bene innanzi, e mille dugento uomini erano già. stati arrolati, come pure un distaccamento di cavalleria, ed un picciol corpo d’artiglieria. Egli sembrava che la gloriosa difesa di Missolongi avesse ravvivati tutti gli animi e ride- stato in tutti il coraggio , e fatte risorgere le più fd 1 b i graudi peranze sul buon successo della prossima campagn ad. 36 Il sig. Emerson, dopo aver posto finè al suo giornale; vi ‘aggiunse alcune osservazioni, ch'egli chiama supple- mentarie , siccome quelle che servono di. supplemento a quanto disse o non disse nel corpo del libro .; Egli'osser- va che il commercio esterno della Grecia ora è nullo, co» m' esser debbe presso un popolo in rivoluzione ed agitato da una ferocissima guerra. L' agricoltura., ch’ è la madre di qualunque commercio , è in estremo languore, sì per le devastazioni orrende commesse dai barbari nelle campagne, sì perchè gli uomini, già menomati da tanti secoli di schia- vitù:, ora sono occupati a salvar sè e le proprie famiglie dal ferro del loro implacabile nemico, ed a consolidare la loro nazionale independenza. L’ Attica produce vino, olio, e mele; la Morea dà molto grano, e di eccellente qualità: produce.inoltre gran copia di legumi, di erbaggi, e di frutte d’ ogni maniera, e sopra tutto cedri, arancie, e fichi squi- sitissimi; nè manca pure di vino, d’olio, di mele, di ce- ra, di cotone, di seta: vi ha poi grande abbondanza di lana e di gallozze, e può fornire quanto legno di costruzione fa d’ uopo all’armata. Per altro questo paese, dopo la sua caduta, cioè dopo che la Grecia cessò di formare un im= pero ed una nazione independente, non fu mai, nè anche mediocremente, coltivato quanto poteva essere; e se si ag- giunge a ciò che nessuna delle sue miniere è mai stata ca- vata, benchè le sue rocce ed i suoi torrenti indichino la loro riechezza; e che il suo clima è uno de’ più puri del- l'Europa, si confesserà che nessun paese al presente offre maggiori inviti alle imprese commerciali, ed alle investiga- zioni lucrose. La popolazione della Grecia è stata valutata ora due ora tre millioni d’uomini; ma non si sa veramente se siane mai stato fatto il censo, e se tra que’due o tre millioni vadano compresi i greci sparsi in diverse provincie d’ Eu- ropa, (*) Rispetto al carattere de’greci, il sig. Emerson porta (*) Pretendono alcuni, che tutt'i greci, tanto quelli iche abitano il lore paese che quelli che vivono alttove, superino i quattro millioni, e forse giuny gano ai ciuque, _————— "———r — 37 %n'opinione ben diversa di alcuni altri viaggiatori, e si mo- stra d’ordinario più giusto ch’essi non sogliono essere. “‘ Io , per me, egli dice , in tutto quel tempo che soggiornai fra loro non ebbi di che lagnarmi di alcun greco. Io viaggiai con tutta la sicurezza nelle parti più selvagge del loro paese, e con un bagaglio, che anche inistati più civili si sarebbe difficilmente salvato dalla rapina : e pure io non soggiacqui a perdita alcu- na. Mai non ho chiesto alcun servigio ad un greco che non mi sia stato con benevolenza conceduto. In moltissime occasioni io trovai somma cortesia , bontà, ospitalità. Forse taluni sa- ranno stati meno avventurati di me; ma quando si dirà che i greci sono ingrati per costituzione, io domanderò di quali benefizii debbono eglino essere riconoscenti? S°ei sono avidi di guadagno , questa è una conseguenza inevitabile della povertà; se sono astuti, ciò deriva dalla lunga schiavitù che gli opprimeva, e che gli sforzava di dar mano all’ astuzia per salvare i loro beni dal saccheggio de’loro tiranni; se sono barbari e depravati, questo è l’effetto dell’educazione; crudeli e feroci essi non sono che verso i loro nemici ed i loro oppressori, contra i quali essi nutriscono sventurata- mente una troppo giusta sete di vendetta, nata da una lun- ga serie di delitti, di oltraggi, e di atti d’oppressione. Se noi raffrontiamo la lunga schiavità donde sono usciti i greci, e le pene da essi durate, con quanto viene loro ap- posto a vizio , essi non ci desteranno nè odio, nè disprez- zo, ma bensì una sincera pietà, e forse anche qualche stu-. pore ch’ eglino non sieno ben più pervertiti che non sono, Anzi io pretendo ch’esaminando con attenzione il carattere particolare degli abitanti de’ diversi distretti, l’uom tro- verà da per tutto i semi di molte virtù, nascoste per ve- rità sotto alcuni vizii, ma che, essendo coltivate in guisa conveniente e sotto un giusto governo, non potranno man- care di procacciare a’greci un posto segnalato fra le [na- zioni moderne! ,, L’ostentazione nelle vesti e l’orgoglio inspirato loro dalla loro origine sono i tratti più notabili de’ costumi e del ca- rattere de’ greci. Anche i più infimi tra loro non lasciano passare alcuna occasione, senza rammentare altrui. ch'egli» 38 no sono i discendenti d’un Leonida, d’un Temistocle, e di altri grandi nomini dell'antica Grecia, Il loro esterno è nobile e insinuante , ma varia secondo i varii distretti : gli occhi vivi e lucidi, i denti assai bianchi , i capelli ina- nellati e nerissimi. Nelle vesti si diversificano fra il con- tinente e le isole, ma tutti, e spezialmente i militari, amano l’oro e l'argento e la magnificenza nelle loro vesti e nel- l’armi, per vendicarsi de’ turchi che gli aveano loro proi- biti. La quale magnificenza si unisce per altro a grande tra- scuratezza nella loro biancheria. La religione in Grecia, benchè eserciti una forza po- trebbesi dire onnipossente nell’ animo della nazione , pure è alquanto avvilita, sì per la soggezione in cui la tenne- ro tanti secoli i feroci seguaci di Maometto , sì perchè i sacerdoti, poverissimi essendo , sono costretti di appigliarsi ad ogni maniera di arte o mestiero per campare la vita. L’educazione finora, come ognuno può imaginarsi, era trascuratissima. Pochissime persone del popolo sapevano leg- gere e scrivere. A grandi alterazioni andò certamente soggetta la fa- vella de’ greci; ma non tanto però quanto si danno a cre- der taluni senza real fondamento. Di fatti, chi conosce a fondo il greco antico, con picciola e breve fatica può di- venir possessore del greco moderno. Ma la letteratura gre- ca moderna può dirsi ancora certamente in culla, se si raf- fronta colle altre letterature dell’ Europa. Essa consiste in molti libri di teologia, in alcuni libri di geografia, di gram- matica, di rettorica, di filologia , ed in pochi di filosofia, ed in gran copia di traduzioni d’ autori moderni europei. Il suo più gran prosatore è certamente l'illustre e virtuoso Coraì. In quanto alla poesia, essi contano più d’un poeta lirico e morto e vivente, nè mancano di opere teatrali e di satire, ed anche di ‘qualche poema, ma tali per avven- tura che non invoglieranno forse nessuno di tradurli nelle altre favelle moderne. Non così vuolsi dire delle canzoni pa- triotiche dello sventurato ed immortale Riga , le quali fa- rebbero onore a qualunque secolo per l’ardore generoso che le anima , e per lo scopo sublime a cui sono rivolte. Due 39 giovani gentili ora calcano con nobile ardire le orme del Riga, e prometton di dare alla rediviva lor patria ed alla nuova favella de’greci, i suoi Pindari ed i suoi Tirtei; in- tendiamo parlare di A. Calbo, e Dionisio Salomon, amen- due zacinti. Ma in quanto spetta allo stile poetico del ve- ro idioma greco volgare, nessuno ce lo fece meglio cono- scere di Atanasio Cristopulo, chiamato a ragione l’Anacreonte moderno. Chi per altro volesse avere una giusta ed esatta idea della poesia nazionale de’ greci de’ nostri giorni legga i canti popolari della Grecia moderna, raccolti e publicati e tradotti dal dottissimo ed egregio sig. Claudio Fauriel, e corredati di un bellissimo discorso preliminare, e di argo- menti pieni di curiose notizie , e di finissima critica , di quella critica filosofica, libera da ogni parzialità della na- ziane , del secolo, della scuola. Dopo tanti secoli d’ignoranza e di schiavitù, ciascu- no può imaginarsi che nella Grecia turca non erano nè co- nosciuti, nè necessarii i fogli pubblici, nè i giornali d’ogni maniera. Ma metterà maraviglia il sentire che nelle isole jonie medesime , che pure formavano parte d’uno stato ita- liano, non siasi veduto alcun pubblico foglio infino all’an- no 1802, in cui due giovani nobili corciresi, da per sè stessi e senza che il governo (era allora di fresco istituita la re- pubblica settinsulare) ve gli autorizzasse , osarono imagi- nare ed eseguire il disegno d’una spezie di gazzetta urba- na civile e letteraria, che ancora continua, benchè sotto altre e diversissime forme. Allora tre giornali si pubblicavano nella Grecia risorta, l’uno a Missolongi, l’ altroin Atene, ed il terzo in ldra, tutti militari e politici. La cosa più straordinaria della rivoluzione greca è, se- condo il sig. Emerson , che non siavisi veduto ancora un uomo fornito di tanti talenti per pigliare un’autorità pre- ponderante sia nel civile sia nel militare. Quindi deriva che le sue armate ed i suoi consigli sono condotti da uomini di capacità ordinaria , e sono pieni di raggiri, di fazioni, e di dissensioni, che partorirono funestissime conseguenze. Basti dire, che nell’ultima campagna tali contese furono «causa che la fortezza di Patrasso resta ancora nelle mani 40 dell’inimico. La necessità di tenere occupate tutte le forze per espugnarla , dappoichè la ribellione de’ moreotti aveva impedito di prenderla nell’inverno, fu causa della lonta- nanza della flotta nel tempo che gli egiziani si sbarcarono senza opposizione a Navarino. Dopo di ciò la contesa fra i romeliotti ed i moreotti fece che i primi partissero dal campo di Navarino, ed affrettò la resa di questa piazza. Aggiungiamo a tutto ciò, gli uomini ed il danaro che con- venne spendere per reprimere la sollevazione de’moreotti; la confusione e Ja discordia promosse dai diversi partiti del governo ; e finalmente lo spirito d’ animosità ed i germi ine- stinguibili d’ odio che lasciano sempre tali gare negli uo- mini, e comprenderemo di leggieri di quanti mali cagione fu questo solo anno alla Grecia. L’avidità del comando e la smania di maggioreggiare produsse altresì ne’ membri del governo quella popolarità , che valse a renderli è vero per un tempo ben affetti al popolo, ma che poi pregiudicò som= mamente alla loro dignità, e fece loro perdere ogni forza morale presso la nazione. Quindi avviene che il governo , non avendo potere alcuno su i capitani, uomini d’ordina- rio avarissimi e infami, nè sapendo come por sua fiducia sulla fedeltà e sull’ amore de’soldati, tentò invano più'volte di mettere insieme un esercito , o di trattenere sotto le armi i soldati adunati. Queste turbolenze intestine fanno dimen- ticare in guisa incredibile i grandi affari della nazione , e gittano l’indolenza e la trascurataggine ne’ consigli del go- verno. Il governo non è poi meno reprensibile per la sua negligenza nel vettovagliare e presidiare le fortezze , ed i più importanti posti militari ; testimonio la presa di Sfa- cteria e di Navarino, e l'imminente pericolo che corre Mis- solongi (*). Fra le tante sciagure che afflissero i greci in questa campagna, ur solo bene spuntò , cioè ch’ essi cominciaro- no a sentire la necessità della disciplina, Il numero delle truppe regolate si viene ogni giorno aumentando , e colla presente celerità si compensa la lentezza passata, AÌ primie- (*) A tale colpevole negligenza appunto debbesì attribuire la sua caduta. 41 o comandante Rodio, uomo inetto a quel mestiere, suc» cedette il colonnello francese Fabvier, e le cose mutarono aspetto. Quegli uomini che altre volte erano rissosi , mal vestiti, sudici, e disprezzati, ora tengono le loro divise, che sono turchine colle mostre bianche, in una gran pulitezza, e le loro armi nel migliore stato possibile. Buona è la loro disciplina, e la loro condotta esemplare. Io non veggo alcuna ragione di dubitare, dice il sig. Emerson, che la greca rivoluzione non riesca presto o tardi a buon fine. Imperciocchè dall’ una parte l’odio fra i greci ed i loro nemici è ora salito a tal segno, ch’egli è impos- sibile ch’essi di nuovo si uniscano sotto lo stesso gover- no; e dall’ altra, l'interno della Morea offre ai primi delle montagne inaccessibili, ove saranno sempre in istato di so- stenersi contra le forze nemiche per quanto elleno sieno numerose. Ma, quanto all'immediata riuscita di questa ri- voluzione, vi sarebbe mestieri di gran cangiamenti ; per renderla felice. Il primo esser dovrebbe il congedo di quella masnada faziosa e raggiratrice che oggi compone il potere esecutivo , e che occupa la maggior parte degl’im- pieghi d’ importanza ; in secondo luogo la colleganza degl’in- teressi sotto un nuovo governo, formato di alcuni uomini, i cui principii, l'autorità , ed il patriottismo fossero ben co- nosciuti, ed io son certo che tali uomini non mancherebbero ancora al bisogno nella Grecia: finalmente, l’aggiunta d’un uomo , la cui capacità ed integrità fossero bene provate , il quale prendesse la direzione delle operazioni militari, e le cui cognizioni ed il carattere gli assicurassero una superiorità chiara e naturale sopra gli altri capi, intanto che il paga- mento delle truppe, tolto di mano agl’infami capitani e posto sotto la sua direzione, gli conciliasse l’affezione del- l’esercito, e gli guadagnasse nuovi diritti all’ ubbidienza, A malgrado di tanti disordini, conclude l’autore, se la Gre- cia abbraccia senza dilazione i miglioramenti necessarii , s'ella riforma la sualegislatura, corregge i difetti della sua marineria e del suo esercito, e, si lascia guidare da valenti consiglieri e fedeli, ella ancora potrà, anche senza soccorsi stranieri, render paghe le speranze de’suoi più fervidi amici. 42 Con queste considerazioni a un di presso, ed altre più minute, che sarebbe opera troppo lunga il quì riferire, i) sig. Emerson pone termine al suo libro, nel quale , oltre i più grandi avvenimenti del tempo, s'incontrano tratto tratto notizie importanti è curiose , e saggi avvertimenti , ove si scorge d’ordinarie quella prudenza e quell’equità, che in- vano pur troppo si desiderano in altre opere sullo stesso ar- gomento, e ch’esser dovrebbono sempre le guide di coloro, che si pigliano sulle spalle il gravoso incarico di giudicare e far conoscere altrui le straniere poco note nazioni. M. P. Al Direttore dell’ Antologia Giuseppe BIANCHETTI. Io vado spesso pensando , mio caro Vieusseux, alle ra- gioni che ritardano in Italia il progresso de’ buoni studi ; e specialmente di quelle opere che schiudendo i tesori della filosofia, piacciono con profitto ad ogni genere di persone. Ho udito più che un qualcheduno a maravigliarsi che. il popolo italiano non ami a leggere , ed in particolare le cose nostre ; mentre pur in Francia , in Inghilterra, ed in Ger- mania il genio per la lettura dei libri nazionali è comu- nissimo alle donne ed agli artieri medesimi. Di questa cosa io non mi maraviglio punto ; perchè, che diamo noi a leg- gere al popolo italiano ? Le nostre prose, o parlino di scien- ze fisiche , o di morali, vanno generalmente tanto prive d’ affetto, tanto povere di calore , tanto nude di ogni gra- zia, che sembrano ordinate a bello studio per infastidirlo. Abbiamo, è vero, qualche cosa di storia, qualche cosa d’e- loquenza : ma della prima poco che non sia a disegno e colorito antiquato ; di gran forza , non v' ha dubbio , ma forza troppo recondita pegli occhi popolari. Di eloquenza poi abbiamo pochissimo che sia stato mosso da un grande argomento , nutrito da veemente successione di alti pen- sieri, e scaldato alla fiamma di un forte e nobile affetto. All’ uomo fu donato natura tanto ‘perfettamente accordata 43 ed armonica , che facilmente si stanca di ogni cosa., la quale voglia occupare una delle sue potenze , lasciando ;riposate le altre. Poichè ha intelletto ,, egli vuol conoscere : poichè ha fantasia , vuol immaginare : poichè a ‘cuore,, vuol es- sere commosso. Onde di que?’ libri unicamente si compiace e diletta, ove ognuna di queste sue. attitudini è adoperata. Di quì avviene, se non m’ inganno, o pregiatiss, amico, che la maggior parte di quel tanto che pur si ama di leg- gere dai più in Italia, ci è mandato dagli stranieri, î quali hanno (sarebbe sciocchezza non confessarlo ) molte opere che maravigliosamente rispondono alla sopra detta natura dell’uomo ; mentre mi vergognerei a dire quante noi ne ab- biamo. Non penso esservi chi creda offender io la dignità delle lettere italiane procurando di accomunarle ,. quanto più è possibile, al popolo. Ma se costui vi fosse , consi- deri egli che la letteratura non riuscirebbe che in vana su- perbia, ove non giovasse ad ingentilire, ad istruire , ad ac- costumare tutta la nazione : consideri che questo alto uf- ficio ess’ adempieva in Grecia quando Socrate, dimostrava i precetti della più pura e sublime morale nella piazza del mercato, o nelle officine degli artisti, o fin’anche nelle” stanze delle facili fanciu!le; quando Aristotele non si to- glieva dall’abbassarsi alla comune intelligenza, e dal cer- care di farsi piacente e gradito alla moltitudine svelando i secreti più reconditi della fisica ; e quando Platone vestiva ‘con tutte le grazie dell’ eloquenza , e circondava cogl’idoli di una vivissima immaginazione i più alti pensamenti della filosofia e della politica. ; Per le quali cose noi dobbiamo molto maledire ,j0 caro Vieusseux, a quell’avversa fortuna, la quale ci priva di ve- der effettuato il disegno di Pietro Giordani. Oh!so ben io che se a lui (tanto ricco di tutte le doti per le quali chi scrive può piacere e giovare) fosse stato conceduto di sten- dere il trattato intorno alle arti di un perfetto prosatore ] italiano; oh! so ben’ io , che ne sarebbero uscite alcune verità , le quali avvalorate dal suo stile maraviglioso avreb- bero avuto potenza di addrizzare a migliore intendimento gli studj degli scrittori italiani : e forse alcuni bevendo a 44 quella fonte, e valendosi di quel nome autorevole mori sa+ rebbonsi ‘stancati di gridare: — O giovani che sortiste pronto ingegno , nobili spiriti, franco sentire; e che volete acqui- starvi la difficil gloria di scrittori , cioè di maestri della vostra nazione; guardate prima a’ bisogni di lei. Essa vi do- manda opere delle quali sia alto ed utile 1’ argomento , filosofica e generosa la trattazione , nobile e facile lo sti= le : opere dove ogni facoltà del lettore sia occupata ; e do- ve, mercè ‘le agitazioni della fantasia, e i commovimenti del cuore , il vero entri accolto senza fatica ; anzi con pia- cere nell’intelletto. Ma notate, che a disegnar una di que- ste opere , qualunque ne sia la materia, vi vorrà ben altra fatica che quella poca, onde taluno si procaccia nome nel suo municipio di leggiadro cucitor di frasi, o di valente. oratore d’accademia, o di sonettiere , o di purista . o di | verseggiante , o di novelliere. Vi sarà necessaria una lunga ed indefessa meditazione intorno all’ uomo , ch'è l’ oggetto unico di tutti pensieri : dovrete studiare qual egli sarebbe abbandonato in balìa della sua natura, e conoscere qual è divenuto mediante le arti della società: dovrete quindi percorrere le storie, le legislazioni, le religioni di tutt’i tempi, e di tutt’i luoghi : dovrete framischiarvi spesso alla calca delle genti, non con vaghezza da giovani, ma con senno da filosofi per osservarla da vicino in tutte le con- dizioni della vita, in tutti gli accidenti della fortuna, in tutte le svariate attitudini nelle quali è posta dalle buo- ne o malvagie passioni: dovrete particolarmente notare di quali virtù abbia maggior bisogno la vostra patria, quali spiriti manchino agli uomini della vostra terra; e studiare continui i modi più efficaci ad infondere le prime, ed a risvegliare i secondi. Pieni quindi di tale filosofia la mente ed il petto, e raccolti nella solitudine, dovrete starvene lungamente agitando nell’ anima l'argomento che vi siete proposti di trattare. Nè questo vi basterà: poichè eletti i più alti e nobili pensamenti , dei quali possa incarnarsi la disegnata materia; vi sarà mestieri di vegliare lunga- mente intorno all’apparecchio dei colori e delle immagini; intorno alla proprietà delle parole ;all’ evidenza delle fra- 45 sì, e a tutti quegli artifizi dello itile,,, onde il discorso agita la fantasia, persuade l'intelletto, commuove il; cuore, e s'imprime nella mente di ogni classe di, lettori. Quando avrete composta una di queste opere; o giovani, il vostro no- ‘me diverrà glorioso nella bocca.di tutti, e; ciò che più vale,, la vostra nobile!fatica sarà utile a tutta la ;nazione. Non vi; date:stoltamente a credere che ili popolo:fugga gli alti e fi- losofici pensieri:‘egli fugge le vane astrazioni, le metafisiche sottigliezze e. più ancora il vacuo gridare de’ rettori e le larve delle. scuole. Niente più nei libri si ama dal popolo di «quelle idee.che toccano gli affetti, i ‘sentimenti, le speranze, i. timori dell’uomo ; niente più di quelle ché gli parlano delle sue leggi, de’ suoi ‘ordini, delle sue passioni, delle sue memorie , ed in breve, di quanto da presso o da lungi.in tutta la matura lo riguarda. I letterati non si ‘sdegnano , e forse amano di' vedere coperta talvolta ‘la povertà, 0 la rozzezza , 0 la vecchiaja del pensiero colle ricche , 0 colle graziose ,.o colle nuove .vesti' dell’ espressione . Ma niun valore di stile fa tollerabile al popolo la maricanza della filosofia; e particolarmente in un secolo in ‘cui tutti gl’in- telletti si sono maravigliosamente rivolti ‘a’ suoi concepi- menti. Quant? italiani :sopportano di leggere gli animali del Fiorenzuola? quanti il Galateo del Casa? quanti tante altre celebrate prose del trecento ; o'del cinquecento? Gli uma- nisti pedanti hanno un bel predicare : ma appena!un fan- ciullo di svegliato intendere e di facile sentire è uscito delle loro mani , egli correrà sempre a porre avidissimo le .lab- bra inben altre fonti; in quelle dove possa saziare alquanto la sete della filosofia, che le condizioni deitempi:; e la sua stessa natura gli diede! Il popolo ‘non fa manifesta profes- sione di lettere; ma ‘il popolo ha un intelletto», e vuole esercitarlo :\ nè accetterà mai un vano periodo composto di sonanti e leggiadre frasi, che pochi valgano ad apprezza» re, in cambio di'vin' nobile utile’ e generoso pensiero; che tutti possono intendere , e igiovarsene. Questo vi dico , o | giovani, e questo è vero:così com io lo parlo: ma vi dico, ed è altrettanto vero, che tutta la nobiltà e la grandezza ‘ «delle vostre idee rimarrà obbliataà ed'oscura , ove non siate x 46 potenti a renderle care ed amabili. Questa potenza voi trar- rete dal temperamento dei vostri spiriti pronti ‘ad infiam- rnarsi per tutto ciò ch'è grande, ch'è vero; ch’ è bello :, la trarreté da un lungo studio intorno agli ordigni della lingua |, co’ quali dee comporsi la veste d’ogni concetto.: la trarrete da una indefessa lettura de’ migliori nostri pro- satori , e de’ nostri grandi poeti. Non vi lasciate persua- derè da quelli che vorrebbero rimuovere dalle prose ita- lianè ogni forza d’ immaginazione , ogni calore d' affetto. Già conoscete i diversi uffizii della poesia: già sapete quai termini la dividano dalla prosa. Ma siate pur certi che , legato 0 sciolto il discorso ; quel pensiero senza fatica da tutti. 8° accoglie, quel pensiero da tutti sì ama ed abbraccia che' ‘va colorato colle tinte di una bella fantasia, e scal- dato alla fiamma di un vivo sentimento. Guardate gli serit- tori de’ tedeschi : guardate i francesi. Ebbe anche l’Italia molti e. più che molti, i quali pensarono e scrissero alti, nobili, generosi ed utili concetti. Ma quanti abbiamo di essi che si leggano dal popolo italiano? Il popolo italiano trova spesse volte l’ idee , già prima concepite da’ suoi, nelle opere degli stranieri ; e venute da essi le ama, e ad essi ne idà la gloria : perchè gli stranieri possedono mirabil- mente l’arte di comporre libri, di farsi leggere e di piace- re. E non solo quando la materia rendeva facile allo scrit- tore di lusingarele potenze careagli uomini; ma anche quan- do essa pareva più lontana dalla speranza di questo effetto. Quante opere di medicina, di fisica, di storia naturale , e di altri tali argomenti non hanno i francesi che corrono nelle mani del popolo, e si leggono con piacere e con pro- fitto da ogni classe di persone? Oh! se li abbiamo imitati in tante cose o funeste , 0 puerili; perchè non l’ imitere= mo anche in questa bellissima! E ciò io non dico , 0 gio= vani, pel solo vantaggio della letteratura : ma per quello altresì dei costumi e della morale. Molti libri ci vennero di Francia, i quali percorsero e sedussero tutta Italia tra- volgendo le menti, e guastando i cuori. Alcuni de’ nostri si provarono a confutare quelle dottrine ; ed avevano spesso il sommo vantaggio di:combattere col vero dalla loro parte. WI Mail vero senza le grazie dello stile, senza. gl’idoli dell’ima= ginazione , senza il movimento degli affetti non piacque; e vinse la prova chi seppe meglio piacere..Oh ! non è cosa di leggiera importanza questa della quale io vi. parlo; © giovani. Gli scrittori che generalmente si amano, e gene= ralmente si leggono, diventano subito i padroni del pen sare e del sentire di tutta la nazione. L'Italia non ha bi- sogno (diciamlo ancora ) nè di versetti, nè di novelle, nè di commenti, nè di altre sì fatte ciancie : ma di pensieri alti e generosi, di sentimenti forti e magnanimi. Se vi tro> vatè potenti a crear i primi, e ‘ad ispirare ‘i secondi , il campo è aperto, il successo sicuro, la gloria immortale. Se non vi sentite questa potenza , non imbrattate carta; lasciate 1’ ozioso mestiere dello scrivere: già all’ Italia fia meglio aver pochissimi scrittori, che: moltissimi parolai.'Il silenzio di un popolo è qualche volta reputato .generoso ; il suo vano cicalio è sempre tenuto per-ridicolo: Vorrei, mio caro Vieusseux , (cosa assai difficile !) che molti fossero quegl’italiani , i quali potessero o volessero tenere alla gioventù un sì fatto: discorso. Di esso come ve- dete io non disegnai che qualche linea, o piuttosto non' ritrassi che le deboli postille. Ma chiunque sia di me ‘più ingegnoso e facondo, e sia messo in diverse condizioni po- trebbe incorporarlo con molto vigore d’argomenti, ed ani marlo con molta espressione di colori. E i giovani italiani lo udirebbono volentieri, e ne trarrebbero un grande pro- - fitto : perchè delle nostre mancanze dobbiamo dar' ‘colpa ad alcuni ostacoli che forse non si possono vincere ; ma a molti ancora che pur si potrebbero superare : e tra que- sti prima di tutto all’educazione. La quale quanto sia presso di noi trascurata e quasi disprezzata vorrei non essere ob- bligato a doverlo ripetere. Parlo dell’educazione non del- l’ istruzione. So che i filosofi m’intendono subito: e so ch’ essi non mi disapprovano se sostengo che la letteratura è un vacuo tumore e forse nocivo , ove non sia accoppiata a quell’altezza di pensare, a quella nobiltà di sentire, che la rendano capace al suo vero ed unico ufficio; a quello di soccorrere i bisogni di tutta la ‘nazione. Onde & que- 48 stointendimento dovrebbero volgersi le somme cure dei mae- stri î quali tengono in loro arbitrio l'animo ed il cuore dei giovanetti italiani, pronti come la vergine cera, a di- sporsi'in ogni forma," e a ricevere l'impressione d’ogni suggello. Dicano loro spesso che chiunque uscito delle scuole vuol: fare manifesta professione di lettere , assume con ciò libero' ufficio di dottore , a non tradir il quale dovrà va- lersi del latino, del greco, dell’ erudizione delle scienze e delle lettere, e di quanto ha imparato. per compor opere, che. riescano utili. atutti gli uomini della sua patria. Av= vezzino «i, loro intelletti a non accogliere che le grandi e le (belle idee : avvezzino i loro cuori a'non aprirsi che alle nobili, e;generose passioni. Mostrino loro dov'è posta la meta a. cui dev’intendere uno ‘scrittore ; qual sia la strada che conduce a quell’ altezza; quanti travagli è necessario di durare, quanti combattimenti di sostenere prima di sa= lirla. Non itemano di rappresentare alle loro fantasie ‘i di- sagi della povertà , le angoscie della persecuzione, gli af- fanni cagionati dalle invidie degli scìoli, dalle pretensioni dei. nobili, dalle protervie dei ricchi, dalle paure delle classi, privilegiate : non temano di dipinger loro fin’ anche la scena dell’esilio, del carcere, della morte. Magli con- fortino prestamente col ritrarre dall'altro canto la divina immagine, dell’uomo, che non curando, o combattendo tutti od in. parte quest'impedimenti, n’è uscito’ vittorioso, € sta seduto sull’alta vetta dello scabro monte dove ‘ha colto il ramo, della gloria immortale, e dove si riposa sotto all’us- bergo della propria coscienza . Avvalorino questi discor- si cogli esempi degli antichi; li avvalorino con quelli dei nostri. Non si stanchino :idi raccontare la storia di Dante Alighieri, che profugo e ramingo, e mendicando il pane per le contrade d’Italia, scioglieva la voce a’que’suoi canti celesti, pieni di magnanimi concetti , e di sensi tutt’ita- liani. Non si stanchino di raccontare la storia di Torquato Tasso, e di dire loro ch’egli sarebbe stato tanto meno in- felice quanto più lontano dalla domestichezza dei grandi. Raccontino le storie del Bruno, del Telesio, del Campa- nella : raccontino quelle del Galileo, del Vico, del Ge- POV Ze e n 49 novesi, del Giannone, e di quanti altri italiani godendosi l’ amicizia della sapienza , disprezzarono quella della for- tuna, E quì allarghino il ragionamento , e manifestino ai giovani quanti ostacoli facciano quasi sempre impossibile il contemporaneo possesso di ambedue queste amicizie : ma- nifestino tutte le ragioni per le quali l’adunato senno del genere umano giudicò in ogni tempo più desiderabile la pri- ma della seconda; e niuna fatica stimò troppa , niun sa- crifizio maggiore del bene di acquistarla. Questo discorso appoggino specialmente alla fresca memoria di Gaetano Fi- langeri. Mostrino lui vigoroso e bellissimo giovane ; lui leggiadro ed amabile cavaliere ; lui uscito da una delle quat- tro più nobili famiglie del regno; lui prode nell’esercizio dell’armi ; lui pronto ed accorto dicitor di be’ motti ; lui festeggiato dalle dame, desiderato dai grandi, invitato alla corte : mostrino lui, dico, disprezzare tutti questi favori del caso e della natura (validi a schiadere ogni più dura porta della fortuna) e mettersi in infiniti travagli, e spen- dere continue veglie, e consumarsi tutto nella coltura del proprio ingegno. Narrino come all’ età di vent’ anni agi- tasse nella mente, e delineasse in carta alti soggetti di uti- lissimi studii; e come non varcato per anco il mezzo del cammino di nostra vita , il suo nome correva celebratissimo in tutta Europa, e nelle civili Americhe per la Scienza della legislazione: la qual opera, ove fossevi alquanto più dili- genza intorno alla lingua ed allo stile , sarebbe modello quasi perfetto del modo col quale uno scrittore italiano , anche trattando gravissimi argomenti, può farsi leggere ed amare da ogni classe di gente, e può istruire tutta la na- zione. Ripetano spesso i maestri a’ loro allievi che se le fa- tali ed eterne condizioni di questo bello e travagliato paese non lasciano altra strada alla gloria che quella delle opere dell’ingegno ; essa strada che ci è rimasta è la più sicura per condurre l’ uomo all’immortalità. Dicano loro che se molte cose fanno maggior strepito nel mondo di quel che faccia un grande scrittore; questi strepiti trascorrono via come il vento che viene gr quinci, or quindi, si dilegua, e tace. Dicano che la nominanza per contrario degli eccel- T\ XXIII. Agosto. 4 50 € lenti scrittori, moverido più tranquilla, è anche più du rabile, e sopravvive alle innumerevoli generazioni, alle in= finite vicende, a’continui permutamenti degli stati e de- gl’imperi. Accennino a’giovani di quante imprese, di quanti capitani, di quanti re, che pur furono temuti gridati e ce- lebrati nella loro età, è or mestieri che qualche infatica- bile erudito vada indovinando tra un cumulo immenso di. memorie i tempi, i luoghi, inomi stessi: mentre il distinto scrittore di ogni secolo, di ogni nazione si trae da sè me- desimo ad ogn’istante fuori del sepolcro , e si crea una vita perpetua coi frutti celesti e non corruttibili della pro= pria mente. Già abbonda Italia di vivi, abbonda di pronti, abbon= da di begl’ingegni: già questi doni della natura niuna in- vidia, niuna forza umana potrà torci giammai. Ciò di ‘cui manchiamo , o caro Vieusseux, è di forti petti che resista= no a grandi sventure, che tollerino lunghe fatiche: è di forti animi\che nutrano generosi sensi, che maturino alti e nobili pensieri ; sprezzatori del presente, intenti al fu- turo; non curanti le gloriette municipali, avidi dell’ ap- plauso della nazione; contenti di essere poveri di danaro, per farsi ricchi di sapienza ; contenti di rimanere oscuri nella propria terra, per divenire splendidi in faccia al mondo ; contenti che sia loro troncato innanzi tempo lo stame della vita, per distenderlo continuo nella memoria dei posteri. Di questi manchiamo , o pur abbiamo tanti pochi, che il grande bisogno dellànazione ci lascia a pena di poter far- sene accorti. Oh! pensino i maestri una volta a dare non latinanti, non verseggianti, non pedanti , ma italiani al- l’Italia; e verremo di quà da picciol tempo uscire scrit- tori, che renderanno in gran parte soverchia al popolo ita- liano la ricerca, e la lettura delle opere straniere; e che dilegueranno d’un soffio, come nebbia , quelle tante fra- sche che aduggiano i vigorosi intelletti crescenti da per tutto sopra il suolo italico. Tra le quali (dirò liberamente il mio desiderio) spero che sieno primi ad essere fugati questi no- stri eterni e fastidiosi parlari di lingua. Già il sapere be- ne addentro il proprio idioma è tanto necessario allo scrit- dI tore quanto aver buona incude e buon martello al fabro. Tale verità, omai non contradetta più da alcuno che porti qualche poco di giudizio negli studii, dovrebbe por termi- ne una volta a simili disputazioni, e far cessare il dolore che i buoni provano vedendo molt’ingegno di giovani ita- liani attissimi alla creazione di grandi concetti, e alla com- mozione di nobili e magnanimi sentimenti ; vedendoli, di- co, consumare in vanissime fatiche la loro potenza, e di- sciogliere in solenni ciancie la propria gloria, e quella della patria. Io non cesso di assomigliare quest’ ingannati a quelle donne , le quali per acconciarsi stoltamente alla moda, guastano lor natura: e siccome nelle mode le vecchie, e le mancanti di bellezza, e pur pretendenti di comparire, si sforzano con ogni studio d’introdurre e mantenere que- gli usi che coprano alle giovani ed alle belle i pregi , e ad esse i difetti; così nella letteratura i pusilli d’ ingegno e di cuore si sono pur sempre provati di volgere le menti degli uomini a quegli studi; dove la faticosa povertà possa acquistare sembianza e nome di ricchezza. Ma la mal opera di costoro mi pare omai aver toccati quei termini, oltre i quali non l’ è più conceduto di poter andare; e vedo che cominciano a risentirsi qua e là per tutta Italia gli ad- dormentati spiriti dalla filosofia. Onde avrebbe molti com= pagni colui che gridasse : essersi questionato e parlato più che abbastanza del modo di temperar le armi : esser tempo omai di adoperarle , e di chiamare alla battaglia: infiniti errori menan guasto per non avere chi li combatta : molte virtù giacciono spente nei petti italici per non trovare chi le rinfiammi : doversi imitare l’ alto senno di Pietro Gior- dani e di Carlo Botta, i quali nulla o pochissimo avendo ragionato espressamente intorno alla lingua, mostrano in ef- fetto com’essa s’impieghi a compor utili opere non peritare. Io, non varcato per anco il trentesimo quinto anno della mia vita; e già uscito per quanto mi pare dalla oscura selva degli (ahi pur troppo!) inutili desiderii ; di un solo mi nutro per amore della patria; in esso solo riposo, e mi conforto di poterlo vedere almeno in parte effettuato, Jo desidero che questa età agitatrice in ogni luogo di tanti 52 nobili e magnanimi spiriti, doni all’Italia, non altro, che alcuni prosatori, i quali trattando materie utilissime a tutta la nazione, si facciano leggere volentieri da tutta la na- zione, e tengano, per così dire, armonia a’nostri eccellenti poeti. Abbia uno l’altezza, l’ evidenza, ed anche vorrei l’asprezza di Dante: abbia un altro i modi meditati, e la frase gentilissima del Petrarca: questi vada suonando le varie musiche dell’ Ariosto : quegli la grave, abbondante, filosofica del Tasso: vi sia chi dipinga la tela intessuta. di alti concetti, e nobili sentimenti coi colori graziosi e soavi del Metastasio ; e chi colle tinte forti , cupe.; risen- tite dell’ Alfieri. Abbiano costoro le palme prime: dare- mo di buon grado le seconde a chi nelle prose sappia ren- dere più bella somiglianza all’atticismo del Poliziano e del Chiabrera, o ai voli enfatici del Testi e del Filicaja, o alla perspicacità del Parini , o alla graveloquenza del Varano. Questa cosa io desidero, o caro Vieussenx , e non desidero niente più di quanto manca alla prosa italiana per trami- schiarsi ai bisogni, agli affetti , ai sentimenti del popolo ita=» , liano, e per divenire cosa veramente nazionale. Di Treviso a dì 14 Marzo 18206. Notizie sulla commedia italiana, compilate da Lvici CARRER. Venezia 1824. Se ad escusare il discorso che breve imprendiamo di quest’operetta, già da due anni stampata, e agli italiani, che. d’unaad altra provincia non si conoscono, quasi in tutto igno- rata, diremo, che l’importanza dell’ argomento a ciò ne mos- se, sarà tenuta certamente ridevole più la scusa che il fallo. È vezzo usato fra gli uomini il trattar gravemente le ri- dicole cose, e ridicolosamente le gravi : se da ciò che si dice, e si adopra nel mondo dovesse l’ importanza del teatro e delle arti, che ad esso appartengono misurarsi, niente più essenzial del teatro alla civica felicità; se poi altri prendesse a disaminare, come lo stato delle arti teatrali sia segno della sapienza, o della forza, o della morale di un popolo, allora 53 coll’eloquenza di un sorriso si dimostrerebbe a costui , se non altro, come ci abbia una filosofia, il cui secreto con- siste nell’ arte difficilissima del non pensare. Lo scrittore «li ‘questo articolo è così timido del sorriso della gente di spi- rito, che senza più lungamente indugiare in sì perigliosa materia discende a percorrere l’ annunciata operetta sulla commedia italiana. Questo picciol trattato fa parte dei saggi dall’ autore medesimo pubblicati sulla vita e sulle opere di Carlo Gol- doni, ed è diviso in due parti, delle quali la prima le critiche notizie comprende , la seconda le istoriche: e nelle critiche trattasi dell’essenza della commedia, de’vizii dalla commedia dipinti, delle commedie d’intreccio e di carat- tere, della parte poetica, e della morale nella commedia, del ridicolo ; in somma tutto ciò, che la comica riguarda come arte , non di braccia o di fiato, ma d’ingegno e di spirito, vi è rapidamente toccato con senno, verità , e _ta- lor'anche novità di concetti. La qual novità se col vero ‘venisse sempre evidentemente d'accordo , a noi bastereb- be nominare il libro e l’autore e commendar questo e pro- porre di quello alcun tratto per mostra. Ma le seguenti pro- posizioni ci parvero degne d’essere revocate in tranquilla e modesta dubitazione, siccome quelle, che offrendo subiet- to a pensare, possono fornire materia ad un nuovo tratta- to e più profondo su questo non disprezzabile nè vano ar- gomento. I. < Nonv'ha parte di letteratura che più strettamen- » te si colleghi agli usi e alle opinioni di un popolo, della 3, drammatica ,,. Basta por mente alla origine prima della poesia fra le genti, per giungere a dubitare della generalità di sì fatta sentenza, I primi cantici con che l’amore del bello, della patria, del vero , effondendosi quasi dall’ abbondanza del cuore profondo, mostrarono coll’ armonia delle voci l’ inter- na ineffabile armonia de’ pensieri e degli affetti dell’uomo, nel dolce aere e libero della società a doppia vita educato, que’cantici primi, per tempo lunghissimo , tenner vece delle 54 drammatiche pompe: quivi, come intavola votiva, gli amori e le paure, i desideri e le gioie del mondo adolescente dipinti; quivi la patria storia e \i costumi; quivi la poesia fatta degna ministra della politica umana e celeste ; e la ragione, dalla immaginazione educata, stampar le prime orme su questo im- ‘menso stadio della università delle cose. Cresciute le so- cietà, fatte più gravi e spesse le inegualità della vita, inè nalzato dalla potenza un muro di divisione fra il cuore in- durato del ricco e la man protesa del povero , i desiderii degli uomini presero novelle vie, s’ intrecciarono in nuovi modi le sociali catene, 1’ ingegno medesimo si creò nuove leggi, sceverò l’ utile dal diletto, eil sublime cantico della severa virtù più non piacque agli orecchi della moltitudi- ne invilita e nella falsa gioia di sue solennità folleggiante. Surse la drammatica allora; e quantunque non sempre si debba la nobiltà delle cose dalla viltà dell’origine gindi- care, pure ove abbietta d’un’arte sia l’essenza ed il fine, nè il corso de’ secoli, nè la potenza degl’ ingegni che la trattarono, nè le mutate opinioni, o, a meglio dire, gli as- sodati pregiudicii, a nobilitarla varranno. Ma checchè di ciò sia, certo è bene che gl’inni volanti per la bocca del popolo, e nel sacro orrore de’templi, o sul campo cruento della vittoria cantati, doveano più vicinamente e i costu- mi e le opinioni della nazione intera indicare. Ed è cosa’ notabile e forse da nessuno osservata, come al sorgere del- l’arte drammatica in una gente qualsiasi la lirica comin- ci subito a venir meno, e tanto si vegga decrescere, quan- to l’altra grandeggia; e come in quelle stesse città , ove il teatro è già fatto di consuetudine quotidiana , i lirici canti, se pur si conservano, in quella classe di uomini si conservino, che a’ teatrali diletti non prendon parte; qua- si l’esperienza ne voglia con questo fatto avvertire , che la drammatica letteratura non ch’ esser conservatrice fida delle opinioni popolari e degli usi, n° è in quella vece sperditrice efficacissima, 0, che peggio è, corruttrice. Qual mai tragedia così possente saprebbe il carattere degli spar- tani dipingere meglio, che questo coro sublime, da’vecchi, 55 dagli adulti, e da’ giovani solennemente cantato, che Plu- tarco rapporta, e ch’ Amyot traduce per modo, che io non oserei dire chi meglio potesse nella nostra lingua recarlo? I vecchi Nous avons été jadis Jeunes, vaillans', et hardis. Gli adulti Nous le sommes maintenant, A l’épreuve, à tout venant. ti I giovanetti. Et nous un jour le serons Qui vous tous surpasserons. Dicasi adunque che la drammatica indica gli usi e le ‘opinioni di un popolo, ma dopo avere aiutato a mutar quelli, a queste corrompere: dicasi che non propriamente d’un po- polo, ma di una sola città le opinioni e gli-usi da quest’ar- te ne vengono istoriati, cioè della città in cui si vive il poe- ta: dicasi che nelle nazioni, le quali o non hanno carattere, o l'hanno disfigurato , o, avendol pure , imitarlo sovra la scena non osano o non sanno, il teatro ci apprende le opi- nioni e gli usi de’popoli circostanti , ovver degli antichi, non già le nostre (1): e ciò detto , e queste piccole modi- ficazioni apposte , la sentenza del sig. Carrer, pare a noi che diventi accettabile. II. ‘“ Può dirsi esser proprio dell’ allegria l’allontana- », re alla maggior possibile distanza le disgustose realtà della »» Vita, o metterle per lo meno in tal punto di lume, che la »» sola parte innocua, visibile ne apparisca ,,-. Le disgustose realtà della vita! — Ecco come i sinceri lamenti de’buoni e le audaci maldicenze de’ tristi par ch’ab- (1) Io vorrei chiedere agli italiani , quante son le commedie italiane, che di- pingono gli usi e le opinioni presenti degl’ italiani; e vorrei chiedere, se le opinioni e gli usi de’francesi ne vengano nella moderna commedia francese dipinti; e se buo» ne commedie sì facciano fuor di Parigi; e se gli usi di Parigi sieno usi a tutta Fran- cia comuuì, 50 È biano conginrato a inserire nel cuore degli uomini ,i anco i più retti, questo pregiudicio umiliante, che nelle realtà della vita è la noia, il dolore, ed il male, e. che la feli- cità, l’allegrezza, e quella quasi pienezza di bene, che agli uomini non è, qual si crede , inconcessa, tutte ne vengano dalla regione de’ sogni. Ah sarebbe pur tempo di far men torto a noi stessi, e d’ apprendere a legger nel libro in- fallibile della natura questa verità consolatrice ; che il drit- to e il potere della virtù sovra un’anima , anche travia- ta, è ineffabile, immenso ; che i beni della vita sono più grandi incomparabilmente de’ mali ; che v'ha sulla teria chi sa gustar quelli, perchè sa questi soffrire; che il solo orgoglio è illusione quaggiù. No, non son tutte amare le realtà della vita: e questa umanità misera, oppressa e dalle altrui e dalle proprie catene , offre, ancora qualche spetta- colo degno della contemplazione del saggio , dell ammira- zione del tristo, e del più magnifico encomio che alla vir- tù possa serbare la terra; le lacrime, io dico, e la gioia del giusto. Nelle città dove s’ apre un teatro, così fatti spet- tacoli non sono, io ’1 so, nè frequenti nè noti. E perciò ap- punto, la virtù sulle scene è una favola, la verità una men. zogna, romanzo la felicità , e il solo vizio è probabile , e la stoltezza sola delle passioni è reale. Oh se agli uomini di mondo e a’filosofi toccasse esclusivo il diritto di giudicare l'umanità, s'e’ dovessero giudicarla da sè medesimi, quale abisso terribile di stoltezza e d’ orgoglio sarebbe il cuore dell’uomo ! Se la pace domestica, se la felicità coniugale, se l'amor vero e profondo , se la semplice vita della natura , se le delizie della solitudine e della beneficenza paiono idea- lità romanzesche , indegne al pari e della tragica dignità e della comica verisimiglianza, che resta dunque al teatro ? Restano i delitti de’ grandi, restano le sciocchezze de’pie- cioli, ma non di que’ grandi, le cui sventure furono trop» po collegate alle nostre, ma non di que’piccioli, il cui ri- dicolo è tutto nel vizio, perchè ’1 vizio, si dice, merita or- rore non riso. Serbate voi alla virtà dunque il vostro lepor teatrale ! Così non fosse : il titolo di buono è il titolo di 97 scherno nel ‘mondo , e la bontà , come dote d’uomo ine- sperto degli nomini, è fatta frequente, sulle scene istesse, spettacolo di deriso. Degg’io citarne gli esempli? Nelle grandi città, ben fu detto, non si impara che l’arte d’ odiare gli uomini. E il teatro o dimostri le viltà de’ tiranni o le inezie de’ servi e nulla più, sarà vile al pa- ri;ed inetto: ma quando la scena comincierà dare a spet- ‘tacolo quelle rare, ma nobili e consolanti realtà della vi- ta, che insegnino non a sprezzare o ad irridere, ma a sti- mar l’uomo e ad amarlo, allora avremo un teatro. III. « Non è cosa al mondo più intollerabile, per mio 3» avviso ; di quel lavoro d’arte, che, partecipando a più ss generi, non offra nessun carattere proprio; con che ve- ;s ramente s’ infrange l’ unità , che costituisce il bello di 3, un’opera ,,. In un degli elogi di D’Alambert, ricordami d’ aver let- to raccolto in due periodi ben lunghi tutto ciò che in fa- vore ed in biasimo di questi drammi, che diconsi di sen- timento, era stato sin’ allora già detto, e tuttor si ricanta. Ma che lo statuire un genere medio fra l’ampollare del tra- gico, e il folleggiare del comico, sia nulla meno che un rom- pere l’unità, nella quale è il bello d’un’opera, d’Alambert nol riporta sì come detto, nè altri, ch’ io/1 sappia , il sostenne. Se il dramma; lasciando alla tragedia i memorabili casi della pubblica'vita, ne insegna a sorridere de’ difetti (2), a inorridire de’vizi, e non a scherzare, ma a piangere sulla sven- tura del giusto; se ne mostra, che altezza di sensi e vigor d’animo son doti non sempre inconciliabili colla familiarità della vita comune (3); se porta l’ umano pensiero ad ad- dentrarsi negl’intimi penetrali del cuore e trarne quel ger- me di virtù e di grandezza , che giace dalla educazione per- (2) Il sorriso è un lampo. Se nol dicessero Omero e Dante non sarebbe men vero. Or questo lampo condotto per la luughezza di tre o di cinque atti, non so quanto convenga, non dico alla ragione, dico alla natura dell’uomo. Aristofane, il ‘più grande dei cowmici, è ancora il più maliguo: Molière e Goldoni abbondano di equivoci turpì : in tutte le buone commedie il ridicolo cade presso che sempre sopra chi men dovrebbe. (3) Il difficile è saper contemprare questi elementi diversi: ma in ciò sta il pregio, non il difetto dell’ arte. 58 versa, e dalle inezie del mondo circostante soffocato e vie peggio che spento , io non crederei che a sì fatto lavoro d’ arte negar si potesse ‘un carattere proprio , nè direi che violata ivi fosse l’unità, ove l’ unità non si dica consistere nella monotonia ; e. vorrei piuttosto affermare , che se utile alcuno alla società, qual’ella è, mai potesse dalle arti del teatro venire, il dramma forse, vie più che tragico o comi- co lavoro qualunque , saria conducevolé al fine. E quando io parlo di dramma, non intendo io già di difendere quegli oltramontani piagnistei che, assai più delle tragiche decla- mazioni, ogni limite di verisimiglianza trascendono; intendo del dramma, quale esser dovrebbe, e quale non sarà cer- ‘to mai se non mutano i tempi. Ma questo espellere con as- soluta sentenza ogni specie di teatrale lavoro, che non sap- pia promovere sempre il riso o le lacrime sempre, pareva- ‘mi pernicioso giudizio, e da rifutarsi ‘a potere: perocchè , se la pratica delle arti non può di presente o non osa ag- giungere al grado debito di sua efficacia e bellezza, sia no- stro ufficio almeno il curare , che nella teorica delle arti stesse l’error non s’intruda , e , fatto legge, a color, che vivranno in tempi più lieti , l’ attingere questo grado di bel- lezza desiderato, tirannescamente non tolga. Era nostr’ animo il venir su qualch’ altra proposizione del ch. autore facendo a questo modo medesimo nostra di- squisizione: ma troppo lungo sarebbe ; e già noi sentiamo ‘d’avere valicati i confini, che a giornalista s’ avvengono, il quale del libro in genere dee pronunciare sentenza, isen- za mai rendere di sua sentenza ragione. Basti or dunque ‘notare quelle proposizioni, che a noi di disamina. parver degne, lasciando al lettore il portarne giudizio a suo senno. IV. Quale è fra ledoti tutte, onde può gloriarsi la no- stra specie, che non abbia una parte umile atta a muovere il riso? V. Quanto vadano errati coloro , che domandano al poeta comico quasi una copia della vita domestica, è pa- lese da sè, VI. Dalle novelle e da’poemi romanzeschi, di cui fu sì grande abbondanza in Italia ne’ primi secoli, hassi a ri- 59 petere il poco o nessuno avanzamento dell’ arte comica , perciò appunto, che in queste novelle ed in questi poemi romanzeschi s’ hanno tutti i germi dello stile e de’ carat- teri comici. 4 VII. Nelle novelle italiane potrebbesi rinvenire il fon- damento a molti drammi comici. E queste , con piacere il diciamo , son queste le sole sentenze , che in tutto quel libro potrian forse aver uopo d’alcuna o modificazione o dichiarazione: del resto il senno, il candore, e la rettitudine, qualità ne’ moderni libri sì rara, ad ogni pagina fanno di sè mostra all’animo dell’egregio scrittore orrevolissima. Allorchè da un libro io apprendo ad amare un uomo e a stimarlo, io, quanto a me, credo avere apparato abbastanza; e se col cuore piuttosto , che coll’in- gegno si leggesseroi libri de'moderni e de’ vecchi , il nome di gloria saria forse meno prostituito; e nel silenzio dell’or- goglio, la verità si farebbe più viva sentire; e più giuste le lodi, e sarebbero i biasimi più temperati. A giudicare dell'animo e dell’ingegno dell’autor nostro, valga il seguente tratto degnissimo di ricordazione. 4 Sul carattere degli italiani. < Non so d’onde avvenga, che qualora gli scrittori d’ol- tramonte, mi fermerò a’ soli drammatici , por vogliano sulle scene un qualcheduno , o sicario, o assassino, o vilissimo ‘scellerato, non sappiano altra patria concedergli che questa Italia. Non ha ancora un lustro, un solenne assassinamento in Francia accaduto; e che ha fatto l’Europa tutta rabbrivi- dire, da non so quale poeta di versi alessandrini , si regalò agl’italiani, come cosa loro propria assolutamente. E per giunta, quelle alcune virtù, il cui germe non è tutto ancora appassito fra noi , al descriverle che fanno i viaggiatori o politici o critici forestieri, sempre delle sembianze del vi- zio prossimo ad esse, rivestono. Così la religione e la pietà, che pur non sono ancora da queste nostre terre bandite , chiamano superstizione e dabbenaggine; la mansuetudine e civiltà de’ costumi , codardia d’ indole e mollezza ; la nobiltà f 60 dell’ animo e la perspicacia; orgoglio ed astuzia. Se credi a taluno , gl’italiani sono per la maggior parte inoperosi più d’ogni altra gente, frivoli, malfidenti, e dissipatissimi. I duelli, gli omicidii, i tradimenti, i ladronecci , le infe- deltà, gli odi, le risse, se vuoi dar loro orecchio; sono tutti fiori che si raccolgono nel nostro giardino. Gl’ italiani, co- me tutti gli altri popoli, hanno i lor vizii, che pure non isono tali da far a chicchessia desiderare d’ aver avuto la cul- la in paese straniero. Io non ispero con questa breve dice- ria d’assennare alcuno de’ forestieri, avverso alla mia pa- tria: a ciò ben altre ragioni, e più lungo discorso richiedesi; ma di aver adempiuto un obbligo di giustizia, ein parte sfo- gato un antico rammarico. ,, ‘. [Ben fece, parmi, l’autore a dividere la sua opericciuola in due parti, serbando alla prima le notizie teoriche sopra l’arte, di cui dee trattare: utilissimo metodo e degno d’imi- tazione; perchè la storia d’ un’ arte è sì collegata a’ princi- pii dell’arte stessa, che questa a quelli, e quelli a questa vicendevolmente esser sogliono illustrazione. E se la filoso- fia dell’ estetica fosse meglio stata in Italia trattata e co- gnita, e se invece di moltiplicare le regole, pensato si fosse a render piuttosto delle regole istesse ragione , non sarien certo surte quelle misere questioni, che ancora ne turbano, e che state per alcun:tempo giacenti, si vengono ora , con nuova onta e danno delle italiche lettere, rimescolando. Nelle notizie critiche, rapidamente si mostra, ma con sagacità ed: evidenza, il misero stato della nostra comedia, in tutti i tempi, che corsero innanzi a Goldoni. Quanto nel Signorelli, nel Quadrio, nel Tiraboschi è diffusamente nar- rato 0 discusso, è qui tocco di breve : e non so perchè mai da taluno l’uso di questi compendii sogliasi con soverchia severità condannare sì come frivolo , e alla propagazione della solida scienza nocente; quasi la noia esser debba alla solida scienza sempre gemella; quasi tutti abbian tempo, e volere ed ingegno di acquistar scienza solida; quasi la ve- rità divulgata come che sia non sia utile sempre; quasi il mezzano sapere, e non piuttosto l’abuso del sapere o mez- zano 0 sommo che e’ sia, tragga al male; quasi in fine dalla 6r nazione più comunemente tacciata di frivolezza nen escano insieme e leggeri compendii ed opere profondissime, a cui tutta Europa è già da sì gran tempo adusata a offerire il tributo di sua ammirazione, che di questa ammirazione me- desima, anche quando è soverchia, non sembra avvedersi. ‘| Resta a dir dello stile; e vie meglio che i nostri enco- mii varrà certo a farne conoscere i pregii il seguente passo, nel quale si descrivono gli intermedi ( usati un tempo fra l’uno atto e l’altro) della donna costante, comedia di Ra- faello Borghini. “ Sono in numero di sei: il primo precede il prologo, e la scena rappresenta il Parnaso con le muse. È prege- vole assai! Tutto si risolve in quattordici versi. Un altro separa l’atto primo dal secondo , e si tiene nella reggia del Sonno: Iride e il Sonno vi cantano due strofe. Il terzo è al termine del second’atto; Cerere col suo carro, traversando un prato, vi canta due ottave. Nel quarto, che al solito vien dopo l’atto terzo, è figurata Roma, trionfalmente assisa: in cocchio , con le domate provincie, che le camminano da- vanti: canta una strofa; le provincie rispondono; e via se ne vanno e queste e quel!a. Nel quinto, eccoti Roma, ma in tutt’altro aspetto: sdrucita veste, chioma rabbuffata , in catene, lacrimosa, che va innanzi al carro trionfale in cui siedono Alarico , Genserico , Ricimero , Totila, Narsete, e simile lordura ; e con loro il duca Borbone, generale di Car- lo quinto. I vincitori cantano loro trionfi; e la madre de- gl’ imperi deplora di viver serva de’ propri servi. In seguito a’ barbari , esce Plutone, colla corte infernale , ed è questo l’ultimo intermedio; e con esso Netuno con Teti emergon dal mare, e calan dal cielo Giunnone con Giove, Venere con Vulcano, forse a simboleggiare i quattro elementi, ed Amore in fine, anima e vita di tutti quattro. E cantano e ballano ,,. Da questo saggio ognun vede, che tranne qualche leg- gera improprietà di dizione e qualche negghienza del nume- ro, lo stile è di colore sano, di forma snella, e d’ abito al suo subietto conveniente. La smania, novellamente insurta, di certo stile aulico e cortigiano, che tutti appareggiando i subietti, non può non essere, nella sua cortigiania, ora af- 62 fettato, ora grave, e sovente ridicolo , questa smania non occupò l’autor nostro. Egli studia i toscani; ma dopo aver- gli studiati, non dice che a bene scrivere, un italiano non ha mestieri de’toscani: egli sa, come uom debba e possa di leggieri fuggire un qualche idiotismo di quel vulgare puris- simo, ma non afferma perciò, che da tutti i vulgari d’Ita- lia esca netto e in pari grado di proprietà e d’ eleganza que- sto decantato vulgare illustre, con tanta filosofia nominato, aulico e cortigiano. K, X. Y. RIVISTA DANTESCA. Èstato da noi ripetatamente promesso nelle nostre riviste let- terarie un articolo su varie opere concernenti la divina commedia dell’Allighieri : ma defraudati da chi erasi adossato questo incarico , e che acconsente che ne incolpiamo la di lui abituale indolenza , abbia- mo noi pure dovato non attenere la nostra promessa, quantunque avvisiamo con nostro rammarico che i lettori dell’ Antologia, sup- plendo noi a chi aveva preso l'assunto di tal lavoro , resteranno de- fraudati in parte di quanto potevano aver diritto d’aspettarsi ; seb- bene ci sia stata concessa facoltà di approfittarsi degli appunti presi da chi aveva dovere di stendere questo articolo. ‘{rovandoci pertanto al terzo trimestre di quest’ anno, stretti dal tempo e dal dovere, non possiamo lasciare affatto di far parola di quei letterari lavori, e cre- diamo di dirne alcuna cosa nel presente mese; non tanto perchè quelle opere non meritano d’ essere da noi passate sotto silenzio, quanto ancora perchè oggigiorno, più che in altri tempi, lo studio di quel primo poeta fiorentino occupa ed interessa “non solo i letterati italiani, ma quelli eziandio d’ oltramonte. Infatti il sig. Goarbillon, autore del viaggio critico all’ Etna, promette con un suo prospetto un nuovo testo ed una nuova traduzio- ne in versi francesi della prima cantica delta Divina Commedia ; la- voro che è frutto dello spoglio di Mss., di edizioni antiche e moder- ne, e di quanti comenti si sono compilati, cominciando da quello del Boccaccio dettato nel 1373, fino a quelli recentemente pub- blicati (1). (1) Dante, son potme et ses commentateurs considérés dans leurs rapports avec la premiere partie de la divine comedie, analysce, commentée et mise en 63 Per quanto Dante sia il poeta nazionale per noi italiani, non per questo è meno un poeta universale pei letterati del rimanente dell'Eu- ropa: e con l’aiuto di codici e di edizioni che esistono dappertutto, e singolarmente col sussidio della critica, può farsi (e possiamo aspet- tarci) anco fuor d’Italia un buon testo e un buon comento del nostro poeta : e ne saremo grati al sig. Gourbillon, come siamo riconoscenti al chiariss. Ginguené per aver rettificate 1mportantissime lezioni, e fatte ottime dichiarazioni del poema dantesco. Ma il sig. Gourbillon ci promette ancora una traduzione in versi francesi, in istanze corrispondenti alle terzine del testo. Or come po- trà egli conservare la concisione, |’ espressioni, i traslati, il vigore delle imagini, l’ indole in somma e la natura del suo originale ? Non vi è forse lingua più severamente regolare nelle sue leggi della fran- cese, più uniforme nelle costruzioni, più obbligata nel suo andamen- to , meno sofferente di arditi traslati, meno poetica. Come adunque si potrà ella prestare a seguire il fuoco dell’ Allighieri ? Il sig. Brait de la Marthe fece già un saggio di tradazione del nostro Dante, nè l'esperimento fa troppo felice : cosicchè la Rivista enciclopedica di Parigi si maravigliò come mai da qualche anno in qua si fossero osti- nati vari letterati a voltare in francese la Divina Commedia. Che se anco in Francia si sentivano vivamente le bellezze dell’ originale, si sarebbe anco dovuto conoscere per cosa impossibile il render questo poeta in una lingua , forse più di qualunque altra estranea a quel genere di poesia e all’ indole di quell’originale. Dopo tutto que- sto ammiriamo la intrepidità del sig. Gourbillon nel cimentarsi a que- sta malagevole impresa. Ma i letterati e gli studiosi di Dante potran- no giovarsi dell’ opera di lui posta nell’illustrare il testo con nuove le - zioni , interpretazioni e comenti dai quali sinceramente ci auguriamo poter trarre non lieve vantaggio. E in proposito di traduzioni ci torna a mente un saggio fatto s0- pra Dante dal Voltaire , che per bizzarria riportiamo , accompagnato dall’originale. Guido da Montefeltro risponde al poeta , il quale do- po di avergli dato novelle dello stato attuale della Romagra, gli chie- de chi ei sia. Ecco come Guido gli risponde : Mentre ch'io forma fui d’ossa e di polpe, Che la madre mi diè l’opere mie Non furon leonine, ma di volpc. vers sur un texte tiré des manuscrits les plus célèbres, et les principales édi- tions anciennes et modernes, soumise è un mode de ponctuazion et d’ortographe entitrement nouveau, enrichie de nombreuses variantes, et d’accents prosodiques et métriques qui indiquent la valeur des syllabes et la mesure de chaque vers. Par M. pe GoursitLon. Paris; Mongie ainé éditeur. Juillet 1824. 64 Gli accorgimefiti e le coperte vie I’seppi tutte, e sì menai lor arte Che alfine della terra il suono uscie. Quando mì vidi giunto in quella parte Di mia età, dove ciascun dovrebbe Calar le vele, e raccoglier le sarte; Ciò che prima mi piacque, allor m'increbbe', E pentuto, e confesso mi rendei, Abi miser lasso! e giovato sarebbe, ed eccone Îa traduzione. « +. Quand jetois su la terre Vers Rimini je fis longtemps la guerre ; Moins, je l’avoue en héros qu’ en fripons L’ art de fourber me fit un grand renoma Mais quand mon chef eut porté poil grison, Temps de retraite, où convient la sagesse, Le repentir viut ronger ma vieillesse Etj'eus recours a la confessioni, Où repentir tardif et peu durable! Non crediamo che vi possa esser lettore, che dopo aver letti que- sti versi non pensi subito all’ Eneida travestita dal Lalli, o che non argomenti essersi il Voltaire preso gioco profeticamente di chi avreb- be tentato in avvenire di voltare il Davte in versi francesi. Dopo tutto ciò sembrerà forse a taluno avere un letterato in- glese vanamente presunto di dare una traduzione di Dante, e non nella propria, ma nella lingua francese, non peròin versi ma in prosa (II). Ma prima di condannarlo sentiamo da lui medesimo le ragioni che lo de- terminarono a questo lavoro,cheanzichè una traduzione può chiamarsi una dichiarazione della Divina Commedia. Senza avere una guida che lo soccorresse ad intendere questo poeta , fin da quando ne cominciò la lettura , egli provò una specie di disgusto, non comprendendone bene le idee, ascose per lo più sotto un velo allegorico. Quindi si trovò nella necessità di applicarvisi con uno studio indefesso, del quale fu bastantemente ricompensato ; ‘ poichè , sono sue parole , un nuovo spettacolo si offrì al mio sguardo , e si dissipò quella nebbia, che mi ascondeva scene interessantissime , alti sensi e pieni di buona morali- tà, concetti arditi, fatti istorici di somma importanza, idee peregrine, (Il) L’enfer de Dante Alighieri traduit en francais , accompagné de notes explicativess raisonnées et historigues, suivies de remarques générales sur la vie de Dante et sur les factiona des Guelfes et des Gibelins. Par J. G. Tarver, T. 2. à Londres ; 1824 chez G. Knight. Pall. Mall, East. col testo originale a fronte. 65 pitture del cnore umano tanto nuove, quanto maestrevolmente deli- neate: mi trovai padrone di un vasto campo, ove ogni spiga ch'io raccoglieva era per me una sorgente di piacere e di gioia ,,. Compreso da un caldissimo affetto per Dante , e lieto del frutto delle proprie indagini , volle, per quanto fosse in suo potere, far che ne entrassero a parte tutti coloro , cui piace occuparsi della lettera - tura italiana ; e per agevolare altrui il modo di superare le difficoltà da lui incontrate, pensò di dare una adeguata idea della Divina Com- media per mezzo di una traduzione, la quale a nulla servisse di- sgiunta dall’ originale, ma che bisognasse sempre porre a confronto di questo ; in modo che l’uno e l’altra formassero in certa maniera una sola cosa , onde toglier lo studioso dall’ incertezza, e far sì che nei luoghi oscuri non ismarrisse la strada , e aprisse gli occhi nei passi difficili, obbligandolo a tenerli sempre fissi sull’originale. Sebbene l’autore sia inglese, ha creduto far la sua versione, anzichè in inglese , in francese ( forse per renderla d’ uso più univer- sale ) ed iv prosa; avendo conosciuto per prova che oltre le tante maniere di esprimersi , proprie di ciascuna lingua in particolare , so- novi una infinità di pensieri e di sentenze che non sì possono traspor- tare in un’altra lingua senza perifrasarle; ed anco senza farne un’ana- lisi. Un’ardita espressione, un traslato, una similitudine piace nell’ori- ginale, nè trovasi conveniente riportata letteralmente in altra lingua, Il lavoro adunque del sig. Tarver deve considerarsi come una di- chiarazione in prosa francese dei sensi del poeta fiorentino, onde ren- dere più piana l’ intelligenza dell’ originale. E sotto questo aspetto pare che ne sia lodevole il disegno e l’ esecuzione; tanto più che in piè di pagina ha posto in italiano le spiegazioni di alcuni modi o non comuni o abbreviati di dire , di non poche dizioni fuor d’uso e di al- cune non comuni costruzioni. Ha poi riserbato nel secondo volume le dichiarazioni concernenti alle idee morali e filosofiche dell’ autore, ai fatti istorici e alle persone di cui si parla nella Commedia. In pro- posito di che ci giovi riportar |’ opinione dell’ autore relativa a quel verso dell’ inferno + «. «+ Vidi l’ombra di colui Che fece per viltade il gran rifiuto ; nel qual luogo egli pensa che Dante non parli nè di papa Celestino, nè di Esau , nè di Diocleziano , i quali rinunziarono , e non fecero rifiu- to , ma di Torrigiano de’ Cerchi, ghibellino, il quale, dice l’autore, avrebbe potuto rendere grandi servigi al suo partito se non avesse ri. fiutato la signoria di Firenze, che eragli stata offerta dai magistrati e dal popolo. Perciò gli sembra più ‘probabile che in quel verso si al- luda a quel cattivo cittadino , poiché a Dante tanto affezionato alla T. XXIII. Agosto. 5 66 patria doveva sembrare azione turpe il rifiuto d’una carica’, nella quale un uom generoso ed attivo avrebbe molto potuto giovare ai suoi. Avrebbe però il sig. Tarver dovuto citare |’ istorico che confer» masse l’ offerta fatta dai magistrati e dal popolo a questo cittadino. In fine dello stesso volume secondo ha aggiunte alcune osserva- zioni generali sull’indole della Divina Commedia; sui guelfi e ghibel- livi , su’ bianchi e neri , sulla vita di Dante e glistudi e l’opere di lui. Parimente ib principio del primo volume ha data una descrizione dell'Inferno e delle sue divisioni, e delle pene alle quali sono condan- nati i peccatori. Per meritare l’ applauso degli studiosi di Dante va- gliagli il lungo studio e il grande amore che gli ha futto cercar lo suo volume. Ma prima ancora del sig. Tarver avevano già mostrato gl’in- glesi in quanto pregio tenessero W nostro poeta, poichè due altre tra- duzioni me contavano, ed ambedue in versi. x Una del sig. Cary in versi sciolti (III) , che gode a buon dritto favorevole opinione pel bello stile, e sovente degno dell’ originale, e per la sua fedeltà ; sebbene vengale rimproverata qualche inesattez- za, e sia talvolta avvenuto all'autore di lasciare in qualche luugo della sua versione la stessa oscurità che trovasi nell’originale. Essen» do la lingua inglese idonea alle inversioni, abondante di parole com- poste, agevole ad ammettere neologismi, è riuscito sovente al sig. Cary tradurre parola per parola il suo testo , voltare nel suo idioma molte idee e pensieri, che non potrebbero forse esprimersi chiaramente senza farne un’ analisi; e di ciò abbiam frequenti esempi nella di lui versione. Quindi ad onta di qualche inesattezza , ella è un’ opera ec- cellente, in modo speciale per tutti quegl’ inglesi, i quali non intendendo l’ originale desiderano formarsi un’ idea della Divina Commedia. Forse altrettanto non può dirsi d’ altra versione inglese, fatta in versi rimati e in terzine , posteriore a quella del sig. Cary, sebbene in quella pure trovinsi de’ pezzi ove si conosce l’ impronta d’ un vero talento poetico (IV). Ma se per noi italiani banno poco d’ interesse le traduzioni di Dante fatte oltramonte, ci gode però sommamente l’ani- mo , e siamo gratissimi a quegli oltramontani letterati, che ve- diamo tanto caldamente occuparsi nello studio di Dante; di un poeta che fa la nostra gloria; e testificheremo loro la nostra (III) The vision of Hell, Purgatory, and Paradise of Dante Aligheri, tran- lated by the Rev. H. F. Cary A. M. vol. IV,8.° (IV) A comment onthe Divine Comedy of Dante Alighieri, by M. Taxrrrj London 1823. in 8.° 67 gratitadine , gioyandoci della parte più preziosa de’ loro studi, quali sono le illustrazioni e i comenti onde arricchiscono le opere lo- ro. [l sig. Taeffe ha discoperte e prodotte nel suo comento alcune ignote particolarità sulla vita privata, e sopra alcuni personaggi amici di Dante, il quale, per quanto avvisa l’autore, era legato in amicizia col celebre viaggiatore veneto Marco Polo; e quindi potrebbe age- volmente spiegarsi come egli avesse notizia di parecchi fenomeni astronomici propri del cielo della zona torrida. L'autore (come i chiariss. Marchetti e Scolari ) intende il simbolo della lonza , del leo- ne e della lupa , che tolsero a Dante il corto andare del bel colle, (Revue Encyclopedique). Nè solo ci gioveremo delle dichiarazioni che di fuor d’Italia potranno venirci del poema Dantesco ; ma siccome da per tutto sono sparsi Mss. di questo, potremo aver pure notizia di pregiabili lezioni, che non porteranno poca luce per l'intelligenza del medesimo. Ed ecco anco gli oltramontani cooperare alla. gloria della let- teratura italiana, e adoperare a fine di far sì che si mandi ad effetto il disegno lodevole del nostro letterato italiano, il chiariss. prof. Sco- lari , il quale quanto altri mai, e per mio avviso a nissauno secondo, sente ciò che abbisogni fare per avere una compiuta intelligenza del poema del somino fiorentino (V).A taluno sembrerà forse strana la proposta di lui dopo le centinaia di edizioni , e il gran numero di comenti , d’ illustrazioni compilate da pochi anni dopo la morte di Dante sino ai giorni nostri, frutto dello studio non interrotto per quasi cinque secoli di tanti valenti uomini: e specialmente verrà giu- dicata inopportuna e superflua da ciascuno degli ultimi editori ed espositori, iquali crederanno di aver supplito al difetto de’loro pre- decessori. Pur nonostante ad infiammar gli animi tutti degl’ italiani, onde rendere un segualato servigio alla letteratura italiana con una nuova edizione ed illustrazione della Divina Commedia, ha dettato quel suo bel ragionamento; nel quale chiede che la Commedia di Dante Allighieri sia per ogni parte chiarita, in guisa che si conosca la mente dell'autore averla dettata in quello , e non in altro modo; e per quanto è possibile sia tolta di mezzo qualunque dubbiezza , o per lo meno sieno ridotti all’ ultimo punto di differenza, e notati quei luo- ghi, al pieno schiarimento dei quali si manifestino insufficienti tutti i mezzi dell’ arte critica : aggiungendo ch’ ei starà saldo in questa sua opinione fino a tanto che non gli venga dimostrato ciò essere (V.) Della piena e giusta intelligenza della Divina Commedia. Ragiona- mento di Fisiero Sconari, Padova dalla tip. della Minerva 1823, 68 già stato compiutamente fatto , o andare egli in traccia , non già del difficile, ma dell’ impossibile, E perchè laboriosa ed ardua impresa ei propose in quel suo ragionamento, egli ha cominciato dal mostra- re qual copioso frutto poteva ritrarsi dallo studio del poema sacro , onde inanisuire colla ricompensa dell’ utilità universale chi ponesse mano ad opera così importante. E per giungere a tanto egli crede necessario che il lavoro da farsi debba partirsi in tre operazioni : la prima riguardante a der leggere la Divina Commedia; la seconda & den conoscerla; la terza & ben gustarla. Per ben leggere la Divina Commedia, cioè per avere una lezione d’ essa tale quale Dante fece concetto di scriverla pei versi, per le parole, pei nomi, per le desinenze , non dirò per la punteggiatura e per l’ ortografia, forse forse appena basterebbe il possederne l’ auto- grafo. Tanto meno adunque siam sicuri di poterla desumere dai co- dici trascritti e a noi pervenuti, presi individualmente. La celebrità dell’ esule fiorentino e per sapere e per vicende politiche, nell’ opera della quale era noto avere egli riferite le più importanti storie de’suoi tempi, dei personaggi più cospicui dell’ età sua , e delle diverse arti d’Italia, e di averle talvolta adombrate per timore d’ incorrere l’ira di quei potenti da’ quali era costretto , per l’ infelicità del suo stato, invocare asilo e soccorso : la curiosità d’ investigare i nascosi sensi di lui, di studiare le sue palesi dottrine, le fantastiche sue allegorie, han dovuto eccitar desiderio in tutti gl’ italiani di leggere il poema sacro. Qaindi |’ opera sua, passata di copia in copia da una mano all'altra, e trascritta non solo dagli studiosi, ma eziandio da CORDt mercenari, i quali anco in quei tempi erano iguorantissimi, non può esser giun- ta a noi se non guasta e mancante , e alterata sotto la penna dei tra- scrittori delle diverse regioni italiane. Pure è di prima necessità ricorrere ai codici, come al più an- tico deposito dei canti del poeta, assoggettandoli ad uno ad uno ad an severo esame di critica, e quindi raffrontarli canto per canto, verso per verso, parola per parola, onde dedurre coll’appoggio di questo primo confronto lo stato vero di lezione e punteggiatura se- condo i codici da ritenersi per testo: non preferendo però la lezione d’uno a quella d’ un altro per forza di autorità‘; ma fissando la le- zione come risultamento necessario dell’ esame critico fra quella che ricerca il retto senso dell’ opera, e le varie che somministrano i codi- ci: nel che dovrebbe la voce della ragione esser preferita a quella dell’ autorità. pag. 7, 8. Ed ecco che per mandare in gran parte ad effetto la prima 69 ®perazione che si vuole dal prof. Scolari, per fissare cioè come debba leggersi Dante, il chiariss. prof. Viviani ci somministra nna edizione della divina commedia ( VI), tratta da un codice per più ragioni da lui riputato autentico sopra quanti altri mai codici , e spezialmente sopra quelli scritti in Toscana, come ei si esprime nella lettera, con la quale intitola il suo lavoro al ch. marchese Trivulzio. In quel codice il prof. Viviani riconosce la lingua del poeta nella sua originale pu- rità ; giudicandolo un esemplare fedele della lingua in cui scrisse Dante ; opinandolo essere dettato lui vivente; e poco. meno che non lo sospetti scritto di mano dello stesso Alighieri. ‘ Nè questa lingua è già la toscana, quale a torto adoprarono nella loro edizione gli ac- cademici della Crusca, i quali pretesero avere l’autore inteso usare le voci di solo conio toscano , 0 modificate dietro la toscana pronun - zia. Ma la lingua in cui scrisse Dante è l’ italica universale (come ei la creò ). Nella certezza adunque che la Marca trivigiana e il Friuli hanno somministrato non poche voci alla lingua adoperata nella com- media , e amando di dare una stampa di Dante che fosse tutta fria- lana, si propone di seguir religiosamente la lezione del codice Barto- liniano, che ei riconosce essere stato scritto nel Friuli, nonostante che il copiatore non sia stato sempre egualmente correîlo , e vi sieno qua e là correzioni d’ altra mano, ma di bellissima lettera del secolo XIV; e lo preferisce, come più autentico, ad un codice Trivulziano scritto da un notaro di Vald’elsa nel 1337, non meno che ad un altro della libreria Landi di Piacenza scritto nel 1336(15 anni dopo la morte del- l’Alighieri); e a più forte ragione a tutti gli altri posteriori, nei quali non è dato giungere alla proprietà delle dizioni del primo classico di nostra lingua, le quali furono falsate e guastate dai copiatori, ed an- co alterate da taluni , che intesero di correggere la lezione originale, togliendo alcune vecchie voci obliate, che di necessità dovevano ri- chiamarsi a vita nel libro di Dante: non perchè debbano usarsi ai di nostri, ma perchè dallo stato speziale delle parole si riconosce lo sta- to speziale della lingua al tempo che gli autori la serissero , e dallo stato delia lingua si argumenta quello della religione, de’ costumi, delle arti e delle scienze di una nazione. Quindi, prosegue, che dal- l’ opera di Dante, scritta puramente in lingua toscana non si ricono- sce se non lo stato de’ costumi e della civiltà dei toscani ; dall’ opera di Dante scritta in lingua italica universale, come ei la creò, si desu- me l’indole istorica, politica e civile di tutta l’ Italia a suo tempo ,,. Tutte queste e molte altre cose espone nella sua lettera soprac- (VI) La Divina Commedia di Dante Alighieri, giusta la lezione del codi- «4 Bartoliniano, Vol, 2, Udine, pei fratelli Mattiuzzi 1823 nella tipografia Pecile: (o) ceti! aggiungendo di non avere apposta veruha annotazione alle va- rianti del codice Bartoliniano che ha trovate diverse della lezione della Crusca, e in qualunque luogo avere difesa come accettabile an- cora la lezione Bartoliniana; professando somma riverenza per gli ac- cademici della Crusca che diedero la loro edizione. Pure ei non seguì il suo proponimento ; poichè le annotazioni sono numerose ed estese non per difendere come accettabili anco le lezioni Bartoliniane di- verse da quelle della Crusca, ma per mostrare vere e preferibili solo le prime, rifiutabili ed erronee le seconde , pungendo sovente gli accademici editori. Comunque sia , l’oggette principale del sig. Viviani nel pub- blicare la sua edizione fa quello di produrre e proporre come solo accettabili le varianti del suo codice, le quali pare che possano ordi- narsi sotto i capi seguenti. ni I. Varianti per ortografia, per aggiunta o sottrazione di letter o di apostrofe, per separazione o riunione di parole: e quindi adotta rinnova per rinnuova; là dove per là ove; imperator per impera- dor; grave per greve; rivera per riviera; ma poi per ma po’; guar- dai in alto per guarda’in alto ; fui per fu’; perdei per perde’ ; quale quei per qual’ è quei ; ed altre di simil genere, le quali non so se a tutti gli studiosi di Dante sembreranno gran fatto importanti. 2. Varianti per trasposizione di parole; e di questo genere sono le seguenti delle quali preferisce le prime. a) Temer si deve sol di quelle cose b) Temer si dee di sole quelle cose. a) Le fa di trapassar parer sì pronte b) Le fu parer di trapassar sì pronte. a) Jo vidi come bene ei ricoperse ] b) Io vidi ben siccome ei ricoperse. 3. Varianti di provenienza friulana o lombarda : così gli piace mei per me’ meglio ; è per lui; abbrusare per abbruciare ; trono per tuono perchè usato dai veneti; cridar per gridare; bo per bue, e quin- di Cimabò per Cimabue; clappa per chiappa; fi seuza apostrofe per fi figlio; ploia per pioggia. Da queste tre ultime parole prenderemo occasione di dare un saggio del lodevole impegno del sig. Viviani di fare onore alla sua patria per avere ella molte voci somministrate a Dante, onde abbellirne l’italiana favella. Clappa per chiappa. Potevam su montar di clappa in clappa. Inf. XXIV. v. 33. Di chiappa in chiappa , dice il sig. Viviani, è gia- stamente spiegato dal Buti, di pietra in pietra le quali pietre era- no i rocchioni di quella dirupata salita. Nvi però crediamo di far be- ne scegliendo la lezione c/appa , in confronto del toscano chiappa; 71 perchè clappa deriva dal friulano clap , significante sasso, ed è del tutto uniforme all’ antico gallico clappier o elappi é spiegato da Ro- quefort: ‘as, amas de pierres de grand volume, entassées sans ordre de Lapis. Or dirò io che male la Crusca interpreta chiappa per cosa comoda da potersi chiappare , e mi duole di dovere osservare a di- | scapito di quella veneranda compagnia d’ accademici, che quei roc- chi descritti dal poeta non erano cose comode da potersi chiappare; e basti il dire che il povero Dante andava aggruppandosi con gran difficoltà d’ una in un’ altra balza per quello stretto e malagevol sen- tiero ; oltre di che egli aggruppandosi attendeva non tanto di pigliar con le mani, ma di montar coi piedi di pietra in pietra. Lascisi dun- que il nome di chiappa ‘‘ a quella parte carnosa e deretana del cor- po fra la cintura e l’appiccatura delle cosce ,; sì bene definita dagli accademici. Nè pure ci accorderemo questa volta alla spiegazione che ce ne dà il Tassoni nelle postille manoscritte alla Crusca ove dice “ chiappa è una voce lombarda, e non significa solamente natica, ma dicono: questa chiappa di terra è di Pietro, e quest’ altra è di An- tonio ; e nou ci accorderemo perchè troviamo nel vocabolario del Cherubini che chiappa ha bensi in lombardo tanti e diversissimi si- guificati, ma non quello attribuitole dal Tassoni. L’ unico in qual- che modo applicabile al nostro caso sarebbe quello che ne trae il P. Lombardi dietro la scorta del Vellatello e del Daniello, nella suppo- sizione che ciappe in Lombardia si dicano le schegge di pietre, e per traslato di rottami di vasi di terra cotta; e allora invece della lezione chiappa sarebbe da valutarsi quella del cod. M. num. XXXII, nel quale è scritto di ciappain ciappa. Ma noi a nostro favore abbiamo una voce, di cui si conosce chiaramente la derivazione, e che non ha cheun solo significato, non potendo clappa altro significare che ammasso di pietre, che equivale a rupe o 52/24. È pur da notarsi che non lungi da Tolmino si trova un villaggio denominato Clap, il quale per esser posto in un sito tutto rocchioso assume naturalmente questo nome. Per le quali cose noi cominciammo a conoscere come Dante, cribrando tuttii dialetti italiani, abbia volato nobilitarne anco il friu- lano, col fine di prévare non esservi gente in Italia che non abbia somministrato elementi alla lingua nazionale, di cui egli solo, seruti- nando la natura degli abitatori ne ha segnato i confini,,. T. 1. p.206, A tutta questa lunga nota aggiungeremo che chiappa e schiap- pa in Toscana significa scheggia : che se clappa vuol dire un ammas- so di pietre, Dante non montava di ammasso di pietre in ammasso di pietre , ma di scheggia in scheggia, secondo che Virgilio ne av- visava un altra, v. 28. Ciò non toglie però che il Vocabolario, dopo 72 la dir di quella parola data dal Bati, non abbia errato nel darle i soli due significati che le ha dati, Fi per fi’ sincopato da figlio. Par. XI. v. 89. Per esser fi di Pietro Bernardone. “« La differenza di questa variante, dice il sig. Viviani, sta in ciò che noi leggiamo fi voce intera, e la Crusca ff’ coll’ apostrofo , pre- sentandolo come troncamento della voce figlio, a guisa; dice ella, di \ca per casa; di co per capo; di sie’ per siede. Almeno se non voleva- no tanto ragionar male gli accademici, dovevano tralasciar di addur- re come esempio di tal troncamento la voce co per capo, vedendosi anco da ogni occhio il meno acuto, che se si troncasse la parola do- vrebbe leggersi ca e non co; il che prova chiaramente che co è propria- mente voce intera nata dalla lingua volgare, allo stesso modo di c40 usato dai veneti, che significa appunto capo. Per la medesima ragione io ritengo, che fi l’abbia preso Dante dal dialetto friulano , come lo prova il Fontanini nell’Aminta difeso, ed a cui mal risponde il Benvo- glienti, sostenendolo accorciamento dietro esempi di anticbe voci che nulla quadrano. Né tanto pesa il giudizio del Salvini dato in tale argo- mento da farmi cambiare opinione intorno alla fonte di questa parola. », Fighinelfi,egli dice, Firidolfi, Figiovanni, famiglie menzionate dal Malispini e da Giovanni Villani, sono nomi composti per accorciamen- to di filzi Ghinelfi, fili Ridulfe, filii Joannis ,,. Dunque per non voler concedere che Dante abbia fatto l'onore ai friulani di tor questa voce dal loro dialetto, questo venerabile cruscante intende che il gran poe- ta, sbandito dalla patria, si ricreasse nelle pene dell’ esilio, scompo- nendo i nomi delle antiche famiglie fiorentine per formarsi la picco- la voce fi’, come gioia da porre nel suo sacro poema. Se il sig. abate Salvini potesse udirmi dall’ eliso, dove egli dorme profondamente ai piedi del divino Omero, vorrei dirgli che Dante non era tanto povero d'ingegno da mendicare sì ristretto vocabolo, anco senza che ne pa- tisse il verso, come in margine della loro lezione notarono gli accade- mici, potendo io offerirgli un testo antichissimo e correttissimo, ed è il Florio, in cui leggesi chiara questa lezione : Per esser figlio di Pier Bernardone. E in che ne patisce egli tal verso per l’intero vocabolo figlio ? Che se Dante lo ricusò a questo luogo, forse dopo di averlo scritto, fu per quell’ altra ragione da me espressa altre volte (a), a cui non (a) Come alla parola ludoro per logoro; asbergo per usbergo; arsenal per ar- zanà; bo per bue; Cimabò per Cimabue. In proposito della quale ultima voce ci si permetta osservare, che dopo che il sig. Viviani fa un rimprovero a Gio, Villani per avere scritto Agubbio per Eugubio ( Purg. XI. v. 80. ) dicendo: se il Villani 73 mirarono i superficiali suoi lodatori, cioè che in queste contrade sog - giornando , conobbe che anche il linguaggio friulano, suonando, di qua dall’ alpi come gli altri da cui prese particolari vocaboli, poteva sommipistrar materia a quell’ idioma immortale per cui le genti ita- liane dovessero 1n più felici tempi tutte intendersi e riconoscersi ;;» pag. 83. In proposito di questa lunga nota per un apostrofo , dirò che mi pare che tatto lo scandalo nasca dall’ essere scritto nell’ antica edi- zione della Crusca, ove sono molti errori di stampa, fi con un apo- strofo. Ma il vocabolario non ci appone questo malaugurato segno d’ortografia , e dice semplicemente: fî, figliolo: di questo nome con- giunto col nome del padre o del primo antenato si formava talora il cognome delle famiglie nostre. Laonde Dante, non costretto da necessità ma seguendo l’uso del tempo disse Per esser fi di Pietro Bernardone, e pare da due esempi aggianti dal P. Lombardi al voca- bolario che questa voce fosse usata da altri scrittori, e prima di Dan- te dal suo maestro Brunetto Latini che nel Tesoreto scrive: Disse fî di Latino; e dal suo amico Guido Cavalcanti morto già quando Dante fingeva accadato il suo misterioso viaggio; il quale non pare che pen3 sasse, per divertirsi nelle sue filosofiche. poesie, a scomporre i nomi delle antiche famiglie fiorentine quando scriveva : Ma quanta gente Juppiter e Marte Ebbe a combatter co’ fi della terra Di Flegra alla gran guerra. Dunque nel caso che sia pretta friulana non Dante ma prima di lui il suo maestro e il suo amico l’avran tolta dal Friuli per som- ministrar materia all’ idioma immortale. \ o un altro a lui pari scriverà un nome fiorentino , lo scriverò come egli lo scri ve; come mai nella pagina seguente cambia il nome di Cimabue in quello di Cimabò: Ne potrà rispondere aver ciò fatto per esser fedele al suo codice, a. cui egli stesso confessa aver serbata poca fedeltà; mentre all’ ultimo verso del XXII dell’ Inferno dice di aver trovato nel co2ice gidetti ed ha stampato giderto. La stampa porta: così vidi adunar la della scuola, mentre il saggio del carattere del codice porta: così vid'io; la stampa come aquila, il testo com aquila; la stampa ha l'incendio e gia- ce; il testo Zo ncendio e giace: e queste tre diversità si rilevano dal confronto del; saggio del carattere che ha dato del codice Bartoliniano colla stampa ; in quei versi Appunto che portano la lezione Di quei signor dell’ altissimo canto, lezione, a sostenere la quale, e non sapremmo con quanto successo, è stato biso= gno d’ una lunghissima nota. Inf, p. 39. e per raffermar la quale è stato d’ uopo co agli esametri del cod. Fontanini, dei quali ci riserbiamo parlare a suo uogo. si Pleta per pioggia. Ed in altrai vostra p/oia repluo. Par. XXV. v. 78. pag. 199. « Sembra che nel codice Bartoliniano, dice il sig. Viviani, sia la prova di quanto disse uno scrittore, che si crede esser Pietro figliolo di Daute, cioè, “ che il nostro poeta non sia mai stato trascinato dalla rima a dire altro che quello che aveva in suo proponimento ;,. Di fatti molte altre voci che negli altri testi si trovano solamente in ri- «ma, come è questa, nel nostro si trovano anco fuori di essa. Così nel luogo presente si legge la parola p/oia usata due altre volte dal- l’autore in fine di verso. E che Daute l’ abbia adoperate quì in real- tà mi si rende più che probabile dal verbo rep/uo , al quale più si conforma ploia, che pioggia. La detta voce fu riconosciuta intera - mente friulana dal Fontanini , né in ciò a lui contradice il Salvini, Quantunque Laino ao che la prima radice di pioggia fosse nel latino pluvia , asserì però essere egli persuaso che pioggia venga, 0 per dir meglio, si origini e derivisi più immediatamente da ploia ,). È osser- vabile poi che in tutto il Friuli si dica p/oe, e che nel solo Tolmino e nei suoi contorni si pronunzi costantemente ploia. Ora risponderò al Benevoglienti che facendo egli di questa voce ‘‘ un regalo a chi lo desidera ,,, poco è da ringraziarlo in quanto alla sostanza di tal vo- cabolo; ma non poco lo ringrazieranno i friulani per la novella pro- va che hanno da questo , aver Dante voluto servirsi di quel dialetto che si parlava a Tolinino, adoperando più volte questa parola nella sua ultima cantica , la maggior parte della quale scrisse egli seduto all'ombra della grotta che porta ancora il sao nome ,,. pag. 199. Queste tre annotazioni che abbiamo citate dieno occasione ai no- stri lettori di conoscere quanto sia vero ciò che il sig. Viviani scrive nella sua lettera proemiale, cioè ‘ che il non avere in molti luoghi posta alcuna annotazione, e in qualche altro difesa soltanto come ac- cettabile anco la variante Bartoliniana, dà a divedere che ha inteso di serbare la debita riverenza al testo degli accademici ;,. Troverà chiunque laudabile lo zelo italiano del sig. Viviani nel sostenere che anco il Friuli ha somministrato ad uno dei primi padri del parlar materno materia, anzi voci, onde formar la lingua cortigiana universale; zelo che non potrò trattenermi dal lodare in chiunque io scorga acceso di tanto affetto , purché sostanzialmente, non in appa- renza , arricchisca questo patrimonio letterario. 4. Varianti per affinità colla parola latina: di questo genere sono omo per uomo ; mantuani per mantovani; virgine per vergine; movî per mossi; basio e basiare per bacio e baciare ; facie per facce; poti per potei perchè più vicino a potuî; bibero per devero; muglie per 95 moglie; somnio per sogno; Mutina, Perusia per Modena, Perugia ; tussìo per tosslo; regula per regola; levi per lievi, e molte altre di si- mil fatta, adottate per massima generale perchè più si accostano alle loro origini latine. " Non ostante però che nelle note a tutte queste voci e a molte al- tre dello stesso genere il sig. Viviani mostri Dante molto devoto delle parole che più si accostano alla primitiva forma latina, pure al XXVIII del Par. v. 105, e 115 il sig. Viviani giustifica Dante per l’uso della parola trinaro in vece di ternaro , e lo giustifica dicendo « che Dante senza badare al latino ternus o terni, dall’italiano ere fece trino, onde si vede non essere inverisimile che da trino abbia il poeta voluto far trinaro, anzi che dal latino ternarius far ternaro ,,. Ma soggiungeremo noi a conforto del sig. Viviani che anco in questo luogo Dante ha usata una parola affinissima al latino ; poichè Cice- rone, Cesare, Tito Livio ed altri hanno la parola trinus. Osserveremo poi che il crino non verrà mai dalla voce tre ma bensì dalla voce trinus, parola che il sig. Viviani ha fatta usare a Dante anco in plu- rale fenminino nel verso Guarda, mi disse , le feroci trine, lezione adottata invece di erine, di cui a suo luogo diremo alcunchè, 5. Varianti consistenti in mutazione di parole che cambiano il senso della lezione comune. Noi daremo saggio d’alcun di queste va- rianti, le quali ci sembra che incontreranno qualche difficoltà nell’es- sere accettate per genuine, sebbene tutte raffermate e difese con lun- ghe , eradite ed ingegnose annotazioni. Graffia gli spirti et ingoia et isquatra, invece di, Graffia gli spi- riti gli squota ed isquatra. Inf. VI. v. 17. Nè si dica (vi appone in nota il sig. Viviani ) che ingoja prima di sguatra non troppo accon- ciamente risiede} perchè tutte queste azioni sono continue in Cerbe- ro, nè si può dire quale sia quella che preceda o quella che segua, La critica vuole adunque che si accetti questa lezione ,,. Ma non so se le parole del sig. V. persuaderanno ad adottarla, tanto più che non troviamo una bellezza di più nell’imaginare che Cerbero, che ha un» ghiate le mani, invece di squoiare e squartare, si trangugi gli spiriti e l’ombre che adova , la grave pioggia , e che vorrebbero esser sorde ‘per non udire i latrati del demonio Cerbero. Vede alla terra tutte le sue spoglie, invece di rende alla terra. Inf, IÎL v. 114. Questa lezione è vittoriosamente rifiutata dal chiar. Lampredi, del pari che l’altra, di quei signor dell’ altissimo canto, Inf. 1V. v. 95, preferita dal sig. Viviani alla comune. (Antologia tom. XVII. p. 142.) 76 Guarda , mi disse, le feroci Trine, invece di feroci erine. Inf; IX v. 45. Le ragioni per le quali egli dà la preferenza alla lezione Bartoli- niana sono: 1.° perchè una tradazione interlineare latina del cod. Triv. XIX porta feroces trinas; 2.° perchè erine nel n. plar. con una sola n suona male in italiano ; poichè “è vero che in latino da alcuni poeti (fra’ quali Properzio, Virgilio, Ovidio) sotto il no-, me di erinnyes s' intendevano tutte e tre le furie ; ma volendo italianizzare questa voce nel numero de’ più si dovrebbe dire erinnz, e non erine; 3.° perchè essendo nate ad un parto si chiamavano, trine,;: che Virgilio dica che la notte le partorì tutte tre insieme è. vero; ma trovo che Virgilio le chiama dirae; né so chi le abbia chiamate trine. i Gettati fuor di lor vascello, E macerati presso la Cattolica ; invece di mazzerati. Inf. XXVIII. v. 79. Per giustificare la sua lezione vuole il sig. Viviani “ che quando gli accademici avevano letto, saran gittati fuor di lor vascello, l’atto del mazzerare era di già compito, nè poteva più in alcun modo ese- guirsi; perchè il mazzerare è lo stesso che il gettar fuori della nave,colla sola differenza delle circostanze. ,, Ma queste circostanze appunto non vede il sig. V. che costituiscono la differenza che passa fra l’esser gettato fuori della nave, ed esser mazzerato ? e che debbe intendersi che non solo Guido e Angelo saranno gettati in mare, ma mazzerati, e, come dice il Buti citato dallo stesso sig. Viviani, legati in un sacco con una pietra grande, o legati le mani e i pie- di con un gran sasso al collo. Quindi appunto rispetto alla di/fe- renza delle circostanze credo che bisognerà leggere mazzerati e non macerati. Qual suol venir dalle marcide membra, mentre la. comune legge uscir dalle marcite. Inf. XXIX v. 51. « Volendo sottilizzare , dice il sig. V., si potrebbe sostenere che marcide è attributo che spiega l'atto della putrefazione , e che marcite ne dimostra il compimento. Ora il puzzo delle membra sarà egli maggiore nell’ atto, o dopo la consumazione di quella ,,? Non è questa la sola volta che l’A. sottilizzando crede poter so- stenere le sue lezioni; anzi mi sembra che moltissime sieno soste- nute sottilizzando, Io non so se marcide spieghi l’ atto della pu- trefazione, marcite ne dimostri il compimento; ma credo che l’una e l’altra parola spieghi lo stesso, colla differenza che la pri- ma è più affine al latino. Non so neppure se le membra sieno più puzzolenti nell’atto della putrefazione, che dopo la consumazione 7" di quella; come non entrerò ad esaminare se il venire sia più dram= matico dell’ uscire; per quanto lA. insegni “ che 2° uscire può stare anco senza che vi sia chi senta; ma il venire suppone presente la persona a cui il puzzo vada a molestar le nari. ,, Io vidi un fatto a gaisa di liuto , Purch’ egli avesse avuto l’an- guinaia, Tronca dall’ altro che l’ uomo ha forcuto, mentre la lez. com. ha, Tronca dal lato che l’uom’ha forcuto, Inf. XXX, v. Sr. Ecco come il sig. Viviani sostiene questa lezione : “ Lato so- stantivo in senso proprio, è la parte destra o sinistra del corpo, detta comunemente fianco ; e parlando dell’uomo questa voce si suol sempre prendere nel detto significato. Quando dunque la Cru- sca e gli altri testi leggono, dal lato che l’uomo ha forcuto, siamo subito portati naturalmente a investigar col pensiero qual sia dei due fianchi che presenti questa figura. Ecco che perciò ci è ne- cessario una interpetrazione: del che non abbiamo bisogno, seguen- do il nostro codice, poichè tosto ci ricorre alla mente, che l’ a/- tro che l’ uomo ha forcuto, è V altra cosa, ossia tutto il resto, dall’anguinaia in giù, cioè le cosce e le gambe ,,. Lato in senso retto ci sembra significare in generale parte sinistra o destra, supe- riore o inferiore di qualunque cosa o luogo, e Dante adopra questa voce sempre per parte o luogo; E muta nome perchè muta /ato. Ghe 1’ un de’ /acz all’ altra bolgia serra. Or quinci or quindi al /a/0 che si parte. Che le stelle apparian da tutti i /ati. Le tenebre fuggian da tutti i lai. Quivi Letéè, così dall’ altro lavo. Che questo verso è scritto in molti /ati, e in molti altri /azi. E per parte ci pare che debba intendersi anco quando parla dell’uomo in quel verso : Dell’ un de’lati fanno all’al- tro schermo; non credendo che Dante volesse limitare il rivoltarsi di quei dannati del VI. dell’ Inf. al solo volgersi ora sopra un fianco, ora sull’altro. Onde non so vedere come mai possa cader dubbio per indovinare qual dei. due fianchi presenti questa figura. Forse mag- gior bisogno d’ interpretazione ba la lezione dall’ altro per essere intesa siguificare dall’anguinaia in giù, cioè le cosce e le gambe; poi- chè altro usato sostantivamente intendesi per a/tra cosa, cosa di- versa ; ora nel nostro caso non v'è nulla cui questo altro si riferisca. Le man distese, e prese il duca mio, Ond’ ei d’ Ercol sentì la grande stretta invece di, ond’Ércole sentì sì grande stretta, Inf. XXX. v. 132. — Per adottare la qual lezione mi sembra che bisogni supporre che la pa- 8 ] rola Th nonsia relativa alle m22ni che Anteo distese, facendo le veci di relativo, per dalle quali; ma sia per dove, ad indicare il luogo ove Virgilio fu preso da Anteo, intendendo, e prese il duca mio nel luogo onde, cioè dove, egli , cioè Anteo , senti la grande stretta d’ Ercole. Ma Dante, avrebbe egli usata la parola onde por ove: e quando si leggesse , come vuole il sig. Viviani in questo abusivo significato, non s’'intenderà mai in qual parte del corpo Anteo prendesse Virgi- lio, come non sappiamo in qual parte del corpo di Anteo facesse Ercole sentirgli /a grande stretta. Poichè il dolor potè più det digiuno, lezione ch’il sig. V. vuole piuttosto che la comune, Poscia più che il dolor potè digiuno Inf. XXXIII. V. 78. Queste lezione verrebbe a dire il contrario della comune dando più potire al dolore, laddove la comune dà maggiore forza al digiuno, Stimo inutile il riportare la lunga nota a sostenere questa lezione sulla quale il ch. Monti ha già manifestato il suo av- viso ; (Antologia n.° LXII, pag. 142) e lasceremo d’ aggiungere altro discorso su questo benedetto verso , già cagione di tanta disputa, E il fumo del ruscel di sopra adulgia, (Inf. XV, v.2) Sicchè dal fuoco salva l'acqua e gli argini; ove egli vuol leggere: Sicchè dalfuoco salva l’acqua gli argini: e legge così, perchè pensa che l’acqua non ha bisogno d'esser salvata dal fuoco per mezzo del fumo che di sopra aduggia, perchè l’acqua salvasi da sè; intendendo che l’acqua nomi- nativo convertita in fumo, salva dal fuoco gli argini. Ma senza stare a lambiccarsi il cervello, e proporre auco delle sperienze di fisica a con- fermare questa lezione, bastava intendere che il famo salva l’acqua, cioè impedisce che le falde dilatate di fuoco cadano, giungano sin sopra l’ acqua. La comune lezione è : Fiorenza dentro dalla cerchia antica. Il sig. Viv. sostiene in una nota che debba leggersi: Fiorenza dentro dalla mura antica, Inf. XV, v. 97. ‘* darti i veneti chiaman mura pel numero de’meno quella muraglia che circonda gli antichi castelli; e trova che in tal senso in questo luogo è veramente più a proposito mura che cerchio ; e siccome si dice cerchia invece di cerchio per- chè non si prenderà per buono italiano mura invece di muro, posto- chè il vocabolo così modificato presenti un’imagine più espressiva ? Se si adotta mura in singolare , si adotterà mure anco in plurale, che è parimente in uso presso di noi ;,. Tutto questo raziocinio anderà benissimo ; ma considerando che la citta di Firenze è stata tre volte accresciuta , e che questi tre suc. cessivi accrescimenti sono anco oggi , come in antico, indicati co’no- mi di primo, secondo e terzo cerchio ; parlando qui Dante di Firen- ze, mi sembra naturale ch'egli dovesse adoprare la comune ed | 79 usuale voce cerchia, anzi che la parola mura, e specialmente in fem- minino, di che non ci è altro esempio che nel Pecorone, ove credesi errata la stampa. Ora , come potrà essere universalmente accettata la lezione di questo verso? Ma già mi accorgo di avere fatto un doppio esperimento della pazienza de’ nostri lettori per essermi troppo trattenuto su questo genere di osservazioni ; il perchè lascerò da un lato il cercare nuove lezioni nelle altre due cantiche, ove sarebbeci da raccoglierne mes- se copiosa. Ho creduto dover notare, forse per avviso di taluno con qualche severità , alcune poche cose rispetto alle lezioni del codice Bartoli- niano, appunto perchè mi pareva che l'opera del sig. Viviani fosse di tal merito, da non dovere essere rammentata così dì volo , sicco- me quella che offre molte buone e belle lezioni , tratte da quel pre- zioso testo, e di parte delle quali ha l’autore degnamente ottenuto sanzione da solenni studiosi di Dante, a’quali avevale già communi- cate. Le quali erano di per sè belle e buone senza il sussidio d’ an- notazioni tanto sottili e ingegnose colle quali le ha sostenute, e senza il bisogno della frequevte festività del motteggio, con cui sovente sol- letica i passati accademici fiorentini per la compilazione del testo lo- ro, e senza quello di ricorrere all’ autorità di alcuni esametri, dei quali ha fatto dono al pubblico in fine del primo tomo della sua edi- zione , da’ quali vuole altresì che si possa conoscere la diversa indole della lingua latina e italiana che allora dominavano. Ma domandere- mo : chi scrisse mai questi versi latini? Nella lettera al sig. conte Bartolini, la quale li precede ; ilsig. prof. Viviani non asserisce con giuramento esser tali versi scritti, da Dante, ma slice che non saprebbe in modo alcuno pensare che potes- sero essere d’ altri che di Dante , essendone lo stile quello del barba- ro latino che signoreggiava a suo tempo , e tale quale egli l’ usava ne’ suoi scritti in prosa. “ Pure (egli continua) in mezzo a quella bar- barie ti si fa sentire or qua or là il gran discepolo di Virgilio ; sicchè se spesso ti ferisce l'orecchio lo stridore di triviale zampogna, non di rado sei riscosso dal vivace suono dell’ epica tromba. Dirò di più che in questo selvaggio latino pari di ravvisare certi tratti d’ ardi- mento, che il cuore solo di Dante avrebbe potuto arrischiare :,, € termina la lettera con dire ‘ che ei pubblica i primi tentativi del- l’ eroica musa di Dante, serbata ai friulani dal celebre Fontanini,,. Ma dovremo noi credere a occhi chiusi questi versi scritti dall’ Ali- ‘ghieri per la sola ragione, perchè il sig. prof. Viviani ce li vende per tali ? 80 Lo stile , egli dice, è quale Dante l’asava nei suoi scritti in prosa. E perchè non confrontarlo con quello dei versi latini che abbiamo dell’ Alighieri , cioè con quello dell’egloghe di lui, delle quali tanto si deliziava il chiariss. Pozzetti, da non aver cuore di unirsi a coloro che spacciavano Dante insufficiente alla poetica lingua del Lazio, e crederono che per ciò nello scrivere il suo poema si determinasse a trasmigrare dal latino al nazionale Elicona. Eccone per saggio al- cuni versi allusivi appunto ai suo poema, co’ quali chiunque potrà porre a confronto quei pochi , che con altro scopo citeremo del codi- ce Fontaniano Ecloga I. Nonne triumphales melius perare capillos , Et patrio, redeam si quando, abscondere canos -Fronde sub inserta , solitum flavescere sarno ? Ille quis hoc dubitet ? propter quod respice tempus y Tytire, quam velox , non jam senuere capellae, Quas concepturis dedimus nos matribus.yrcos. Tunc ego : cum mundi circumflua corpora cantu, Astricolueque meo, velut infera regna patebunt, Devincire caput hedera , lauroque juvabit. Concedat Mopsus. Mopsus tune ille quid inquit ? omica nonne vides ipsum reprehendere verba ? ; Tum quia foemineo resonant attrita libello , Tum quia castalias pudet acceptare sorores. ec, Sarebbe stato certamente pregio dell’ opera che il prof. sig: Viviani avesse citato un qualche bel tratto di quei versi, ove, come ei dice, si facesse sentire il gran discepolo di Virgilio, e dove a’suoni dell’ epica tromba, scevrati dallo stridere della triviale zampogna , splendessero quei tratti di ardimento che il solo cuore di Dante avreb- be potuto arrischiare: e che oltre le citazioni ei ci avesse con sottili insegnamenti fatti accorti delle bellezze che forse a prima vista non tutti possono distintamente vedere : potendo forse a taluno sembrare quei versi, non mai una poesia originale, ma bensi una servile ,tra- duzione di un franco originale italiano, e tentata da tale che ebbe avverse le muse in qualunque lingua egli si fosse arrischiato a serive- re poesia. Quindi il pubblicarli come saggi dell’ epica tromba di Dante avvisiamo essere un brutto sfregio fatto al nome di quel divino. Per essere adanque da altri contradetti e corretti, o ‘raffermati nella nostra opinione , ne citeremo alcuni, col confronto di quelli che secondo l’avviso del sig. Viviani sono la versione in italiano; e che se- condo Îa nostra supposizione , sono gli originali dei cattivi versi latini Praeceptor meus mihi tun: tu non petis, inquit, Quorum sunt animae quas inspicis ? et tibi notum Esse velim ante quidem ulterius quam progrediaris, Lo buon maestro a me: che non domandi Ghe spiriti son questi , che tu yedi 2? Or vo’ che sappi innanzi che più andi. Hoc aliquale simul post quam.inter se tenuissent Collogliîium , subito , quasi me salvere juberent, Acclines vultus in me vertere poètae. Subrisit videns gestum hune meus inde magister, Plusque mihi chorus ille sacer concessit honoris; Namque sui voluit me de nu mero gregis esse, Sicque fui sextus tantos inter sapientes. Poich’ ebber ragionato insieme alquanto Volsersi a me con saluteyol cenno ; E ’1 mio maestro sorrise di tanto , E più d’ onore ancora assai mi fenno, Che sì mi fecer della loro schiera, Ond? io fui sesto fra cotanto senno. Hunc ut tellurem duram transivimus, atque Per septem portas his cum sapientibus'intro In viridem plagam pervenimus . ». "Questo passammo come terra dura; Per sette porte intrai con questi savi; Giugnemmo in prato di fresca verdura, «00. .gentes oculis tardis gravibusque. «* . + Gente con occhi tardi e gravi: BRICO dic mi reverende magister , Dic mi, mi domine , inqui sic ut certificarer De fidei nostrae quae cunctos vincere suevit Viribus , errores ; unquamihoc de carcere quisquam Exiit aut propriis, dut ex meritis alienis Qui post haec ulla fuerit virtute beatus? Dimmi maestro mio, dimmi signore , Comincia? io per voler esser! certo Di quella fede che vince ogui errore ; Uscinne mai alcuno o per suo merto , O per altrui che poi fosse beato ? Et te scire velim , quod nullus spiritus ante Humanus salvatus erat. Quamquam hic loqueretur., T. XXIII. Agosto. 6 8: 82 Non tamen idcirèò gressus nostros vemoramuri, Nec nostrum tardamus iter sié continuando, E vo’ che sappi , che dinanzi ad essi Spiriti umani non s” eran salvati, Non lasciava d’ andar perch’ ei dicessi. «+ se vhorum qui non cervice pilosum »7° \ ARO , Tegmen habent , teneas quod quilibet extitit ante Clericus. Hic cernis papas , hic cardi-que-nales, ) , In quibus emanat prae cuntis gentibus ingens ‘ tì Crimen avaritiae ; cui tunc mox taliter inqui. Questi fur chierci , chè non han coperchio Piloso al capo , e Papi e Cardinali, In cui usa'avarizia îl suo soperchio. Ed io maestro . +. .+% Ma temiamo a ragione d'aver cimentata per la terza volta la pa- zienza de” nostri lettori con queste ancorchè, poche citazioni , le quali era però indispensabile che si facessero , perchè altri giudicasse se par possibile che sia caduto in mente ad uom vivente , non che al sig. Vi- viani, nutrito direm così dello studio di Dante, che versi di tal fatta potessero mai credersi l'originale del poeta dantesco , ed opera del. l’ Alighieri; anzichè una insipida; antipoetica; servile, snervata ver= sione fatta scrupolosamente parola per parola da qualche meschinis- simo grammaticuccio fra il XIV e il XV secolo. Ma a tanto porta la preoccupazione, che quando. volsi onorare un tanto poeta qual’ è Dante, senza avvedersene se gli fa uno sfregio, che lo cuoprirebbe d’infamia se non si conoscesse dall’ universale la somma dottrina e l’immensurabile sapere di lui. Non ostante però che il sig. Viviani sia stato più zelante pel suo codice , che. pel sacro poema e pel suo autore, siamo ingenuamente okbligati a confessare che le buone lezioni di quel testo sono moltissi- me, oltre quelle tante, ‘che ricevettero già la sanzione da’ solenni letterati studiosi di Dante a’ quali le aveva comunicate. Delle quali non faremo catalogo, non tanto per essere appunto in gran numero, quanto ancora perchè non oseremmo assumerci tanta autorità da ap- provare una lezione in confronto di un’altra. Crediamo però di dovere _ raccomandare a chicchessia intendesse a fare una nuova edizione della — || Divina Commedia, di avere avanti a gli occhi la stampa udinese, dalla || quale , non trascurate molte varianti degli altri testi. in quella ripor- tate, si potrà molto trarre di che rendere migliore la lezione del no- stro poeta , almeno fino a tanto che il bel lavoro proposto dal pro- 83 fessore Scolari, per ‘potere leggere den Dante, non venga mandato ad effetto. Al quale oggetto però saviamente avverte il detto professore non esser bastante il solo riscontro de’ codici, ma esser necessario ezian- dio l’ esame delle diverse edizioni che si hanno della Divina Comme- dia. Dovrebbe precedere a questo lavoro un ragionato catalogo di tutte l’ edizioni , diretto a far conoscere il diverso peso che ciascuna di queste può meritare in fatto di autorità di lezione: nè intende par- lare delle semplici ristampe, ma delle sole autorevoli, fatte per nuove cure di un qualche editore; nelle quali confida che si troverebbero le ragioni di tanti errori di lezione o di punteggiatara , cagioni ogni giorno di tante dispute. E qui egli torna caldamente a raccomandare che l’animo non sia preoccupato da un tale o tale altro codice o edi- zione per ragioni di propria e sola opinione, perchè allora , invece di togliere ogni dubbiezza , si pongono anzi in campo nuove dubi- tazioni; e dove terminar dovrebbe ognì piato, si accende nuova controversia, Letta frattanto la Divina Commedia cerchiamo, prosegue il prof. Scolari, il modo di der conoscerla. E per giungere a ciò egli è di avviso che primieramente faccia di mestieri sapere le cagioni che in- dussero Dante a scrivere, le circostanze di tempo e di persona, nelle quali egli scrisse ; come anco avere scienza de’ fatti e delle storie rammentate nel suo poema. Ed ecco la necessità d’una storia del tempo in cui visse il poeta; della di lui vita , e delle circostanze tutte che concorsero ad un tale e non diverso sviluppo del suo no- bilissimo ingegnos Nè questa istoria vuole essere, limitata ai soli av- venimenti principali,, ma estendersi a tutti i fatti e alle più minute particolarità loro;-e rispetto spezialmente alle relazioni politiche de- gli altri stati colle varie genti e potentati italiani di quei tempi, e loro famiglie. Nè dovrebbesi tralasciare lo stato civile, militare, religioso, e quello delle scienze sacre e profane, e delle arti. A questo hanno in parte adoperato gli antichi commentatori, come l’ anonimo detto anco l’ ottimo, il figliuolo o figliuoli di Dante, il Boccaccio , Benve- nuto da Imola, Iacopo della Lana , ec. Il bisogno di questa istoria conobbe pure mons. Dionisi : se non che nella sua preparazione istorica pare che, anzichè a servire quanto era di mestieri a’ principi della critica , scrivesse piuttosto a soccor- rere e raffermare alcune sue idee particolari. Senza stare a trascriver quì parola per parola il modo col quale il profess. Scolari vorrebbe ‘che si mandasse ad effetto questo disegno ( opera a confessione di lai stesso laboriosissima , ma non impossibile ) rimanderemo il lettore al giudiziose discorso del medesimo autore; e noteremo soltanto che per S4 ) agevolarne l’esecuzione molto possono essere di soccorso ; oltre le. ihedite relazioni, croniche e documenti de’ quali non mancano gli archivi e le biblioteche , le opere già edite del Muratori , del Tira- boschi, i costumi del Ferrario, le cronichette degli Orelli , come an- cora molti altri scritti recentemente pubblicati. Fra questi rammenteremo le Memorie per servire alla vita di Dante, di Giuseppe Pelli ( VII ). Furono queste fino dalla loro prima comparsa nel 1759 accolte e commendate dagli eruditi, come quelle che davano contezza di molti particolari concernevti alla vita di que- sto nostro illustre concittadino , non meno che di vari scritti e docu- menti inediti che a quella riguardavano. Ma non contento delle molte notizie ch’egli avea accumulate, continuò a raccoglierne sempre delle nuove; per lo che venne a rifare” quasi di nuovo il suo primo la- voro, ampliandolo non solo, ma rettificandolo ancora ove sembra- vagli poco esatto. Così , se morte non gli avesse impedito , avrebbe ordinati i materiali raccolti, e scritta una nuova vita dell’ Allighieri, E quì per digressione diremo che un sollecito studioso di Dante, come fu certo il sig. Pelli, dà ragione di pensare che fra i suoi mano- scritti vi possano essere appunti e schede le quali, come le sue me- morie furono messe insieme per servire a scrivere una vita di Dante, fossero destinate ad illustrare non pochi luoghi del poema, e ad emen- darne la lezione: quindi il desiderio che gli eredi di quel letterato portino su i fogli di lui le opportune indagini , per poi fare un grato dono alla repubblica delle lettere, Parte non ultima della storia che specialmente riguarda il nostro pocta e la vita di lui, sono i suoi amori; e questo soggetto trattò pure il canonico Dionisi nella sua preparazione istorica sopracitata: ma se preoccupazioni particolari resero quell’opera non dell’ utilità che sarebbesi desiderato, a questo ha supplito il sig. Luigi Caranenti col pubblicare gli amori di Dante e di Beatrice, di Ferdinando Ar- rivabene (VIII). A quella passione, che subitaneamente si apprende a cor gentile, siamo debitori di avere in Dante un poeta , che può a ragione esserci invidiato da qualunque altra nazione. Ne giova pertanto che l’autore (VII) Memorie per servire alla vita di Dante Alighieri , ed alla storia della sua famiglia , raccolte da Giuserre Petti patrizio fiorentino. Seconda edizione notabitmente accresciuta. Firenze, presso il Piatti 1823. (VII) Amori e rime di Dante Alighieri: Mantova eo’ tipi Virgiliani di L. Caranenti 1824. ; ‘85 ei parli dell’ origine di quel nobilissimo affetto , delle condizioni della donna amata , che finchè visse fu la musa delle sue rime amorose, come salita di carne a spirito lo accesse di magnanimo desiderio a se- | guir virtù, e a procacciare a lei e a sè rinomanza col celebrarla più altamente colla Divina Commedia; sembrandogli e la Vita nuova e il Convivio omaggio indegno della bellissima e virtuosissima Porti- nari. Essa fu quella adunque che in certo modo dettò a Dante il poe- ma sacro, il quale dal sig. Arrivabene ciî è mostrato tutto pieno di af- fettuosi sensi verso la sua prima fiamma. Ma nona questo solo sta contento l’autore, che procede a discorrere e dell’indole del poeta , e delle sue opinioni politiche cagioni del suo esilio, delle peregrinazioni, e della celebrità sua. Non omette pure di rammentare gli amici del poeta, e quei potenti da’ quali sperò o ebbe patrocinio; e intanto of- fre un disegno ed un’ illustrazione del poema ; disegno che può con- siderarsi come una guida adiutrice a leggerlo, e come un compen- diato comento per l’ intelligenza del medesimo. Così gli Amori di Dante ne sembra che sieno uno dei libri che preparino ad assaporare il poema dantesco ; poichè oltre alle dichiarazioni istoriche , alle- goriche , scientifiche e letterali, chiarisce parte delle tante allusioni, delle quali cose ridonda la Commedia. Quindi se non erro il libro del sig. Arrivabene può aversi in gran conto per ciò che conceroe alla preparazione istorica necessaria all’ intelligenza della maggiore opera del poeta fiorentino. ‘Ma chi più d’ognialtro possiamo confidare che sia per adope- rare a ciò, sicuramente è il chiaris. sig. Troya (IX); e cidà un bel sag- gio dell’efficace sua cooperazione coll’aver pubblicato un suo di- scorso tratto dalle storie ch’ei sta scrivendo dei tepi dell'Allighieri, E sebbene in questo egli prenda per principale scopo il mostrare che non già Cane della Scala signor di Verona, ma Ugaccione della Faggio- la fosse il Ye/tro accennato dal poeta (Inf. I, v. 101, 102); pure sparge già tanta luce su tutto il poema, che sembrerebbe poco più potersi de- siderare per intendere le tante e tante allusioni alle persone e a’ fatti storici che a mano a mano 8’ incontrano nella Divina Commedia. E questo non è che un compendio delle storie de’ tempi di Dante ; nelle quali egli ci annunzia che ritrarrà con ogni stadio e le passioni e i costumi di quell’età , ed aggiungerà molte particolari notizie ri- spetto a’ conteinporanei del pueta , e da lui rammentati ; conferman- (IX) Del Veltro allegorico di Dante .... in fin che il Veltro verrà. Inf. 1, 101, 102; e un cinquecento diece e cinque messo di Dio. Purg. XXXIII. 42, 44. Firenze presso Giuseppe Molini 1826. 86 do i suoi racconti con importanti documenti , de’ quali promette la pubblicazione. i In questo, che può dirsi saggio dell’opera sua, egli comincia dal toccare in poche parole lo stato d'Italia alla morte di Federigo ll, e le famiglie che, parteggiando qual per l’ impero qual per la chiesa, divisamente occupavano le italiche regioni; fra le quali famiglie quelle degli Ubaldini e dei Conti Guidi erano fra le più illustri che tenessero parte imperiale in Toscana. E qui passa a vedere qual fosse il dominio di quei conti e signori che nel suo discorso frequentemeute ricorrono. Ci sembra di non poter far meglio che riportare su di ciò - le sue stesse parole. 4 Non appena di Firenze si muove alta volta di Bologna, che il Mugello in mezzo agli Appennini dischiude la sua fertile valle. Da re- motissima età gli Ubaldini signoreggiarono quivi ne’ loro castelli di Feliccione, di Pila e di monte Accianico, I conti Guidi vi ebbero San Godenzo a piè dell'enorme sasso di Falterona, dall’opposto fianco del quale nasce Arno , ed irriga il Casentino. Questo fu sottomesso parimenti alle loro leggi; ed essi vi fermarono le sedi lor principali ne’ castelli di Porciano , Poppi, Romena. Il loro stato si dilatava ne- gli Appennini che toccano la Romagna. Erano i conti Guidi padroni di gran parte di cammino da San Godenzo alle sorgenti del fiume Lamone, il quale giunge a Faenza, e sovra cui giace la già loro Marradi. Ad essi ubbidiva un altro fiume che scaturisce alle spalle di San Godenzo ; in prima placido e lento, e però detto Acqua cheta ovvero dei romiti : precipitato poscia nella valle della badìa oggi . pressochè distrutta di San Benedetto in Alpe, si fa cruccioso e minac- cia. Cangiata l’indole perde il nome; nè più chiamasi che Montone : arricchisce le campagne di Dovadola, che appartenne ai Conti, e bagna la città di Forlì. Da San Godenzo e da Falterona i medesimi A ppennini costeggiando il Casentino si allungano per quindici miglia fino a Montecoronaro : altezza dalla quale discendono il Tevere nel Tirreno, il Savio e la Marecchia nell’ Adriatico. Feconda ;il Savio i territori di Bagno e di Montegranelli, vetusto patrimonio dei Conti : divide in due il contado vescovile di Sarsina , che già fa sovrano ; ed appellossi di Bobbio: dopo lunghi avvolgimenti per la città di Sar- sina si affretta il Savio di arrivare a Cesena. La Marecchia e |’ Ari. mino, parallelo a cui scorre il minor Conca o Crustamio , mettono in mare , quello non lungi da Rimini, questo dalla Cattolica. Nelle balze di Montecoronaro , dove i tre fiumi hanno umil principio , na- scondeasi fra i boschi la badia camaldolense di santa Maria del Tri- vio ; ricca già di castelli, de'quali nun si dee tacere Selvapiana. Se dalle rovine di tal badia t’incammini lungo il Tevere fino alla Pieve 8 di santo Stefano, e se di qui ti drizzi a levante verso Matt l’ Isauro ti svelerà le sue fonti: oggi chiamasi Foglia : perviene alla meta vicino a Pesaro. Da esso vedrai pendere sulle rupi l’ aerea re- gione del monte Feltro. Che se uom si rivolga nuovamente alla pieve di santo Stefano , e seguendo il Tevere arrivi a Borgo san Sepolcro , ed alla città di Castello, dall’ uno e dall’ altro luogo potrà vincere l’ erta dei gioghi che sovrastano al fiume. Fra le angustie di questi | sono Carda ed Apecchio: alla morte di Federico II appartenevano a Tano Ubaldini che nacque di Azzo figlinolo di Ubaldin della Pila. Superate le strette dei monti ecco la Massa Trabaria, di cui è capo Castel Durante , ora Urbania : in questa contrada sgorga il Metauro che finisce a Fano: dal Metauro brevissimo viaggio ti riconduce. là donde partisti, alle fonti del Foglia e del monte Feltro, Non di rado appo gli antichi scrittori fa questo confuso con la Massa Trabaria; e talora malamente attribuito alla Marca d’Ancona, Il Savio a borea, i più scabri Appennini ad occidente lo separano dalla Contea Bob- biense: la Massa Trabaria e l’Urbinate lo cingono a mezzo giorno : ad oriente lo termina la bella Emilia pianura , cui verso Rimini e Pe- saro dolcemente il Monte Feltro accenna e s’inclina. Lo attraversano la Marecchia, il Conca e l’Isauro : gli diè il nome l’alpestre scoglio che si erge sulla Marecchia, a cui preme il dorso la città Feltria o Feretrana. Così chiamavasi quella che oggi si dice sol di San Leo: l’andarci è sì malagevole , che a Dante parve una delle più difficili prove (Purg. IV, v. 25). Di contro a San Leo, a sinistra della Marec- chia , fa mostra di se Castel d'Elci e Sonatello, fortezze dei Faggio- lani: a destra san Marino libera terra , e Macerata Feltria, cui nella metà del secolo tredicesimo proteggeva il comune di Rimini.,, Noi abbiamo tanto più di buon animo riportata la presente de- scrizione topografica colle stesse parole del n. autore; in quanto che oltre il non potere esser compendiata per la sua concisione, dà un saggio della sicura prontezza dello stile del sig. Troya, e mostra ad un’ ora le attente e laboriose cure poste dal medesimo onde po- terla stendere con tanta precisione. E ad usare le stesse sue parole ci troveremo sovente costretti; lo che faremo senza sempre notarlo ; sembrandoci che sarebbe un grave fallo cambiare le parole per dire le stesse sue cose , del che si vuole avvertito il lettore. Fra Macerata Feltria e la sommità Feltria di san Leo risedeva il castello della Faggiola colla sua corte e giurisdizione, compreso nella contea di Carpigna : e tuttora si chiama Faggiola il monte ove sono le rovine di una antica fortezza che dicesi "Torre Faggiola; di cui parlano i trattati di pace del 1228, e 1232, fra la città di Rimini, ei eonti Ranieri Taddeo e Buonconte di Carpigna. Quì ebbero cuna i 88 ‘Faggiolani ; qui nacque e fu educato alle armi Uguccione ; nè dal 1228 a noi è cangiato l'aspetto dei luoghi; ma oggi sono muti e de- | serti, e solo sopravvive la fama in bocca degli uomini di Monte Fel- tro , che un giorno in quei luoghi possente guerriero imperava. Il padre d’ Uguccione fa Ranieri della Faggiola , forse discen- dente da altro Ranieri conte di Carpigna , cui fu assegnata o per eredità o per appannaggio la fortezza della Faggiola. Il fatto stà ;che le due famiglie furono ghibelline , ed ebbero comuni i nomi , le di- vise e le insegne. Fino dal 1275 egli avea gia cominciate a trattare l’ armi ghibel- line, e parlavasi già della sua forza e del suo coraggio ; e la sua straordinaria robustezza era in esso congiunta all’ingegno e all’ arti del favellare ; perlochè in progresso di tempo andò crescendo in fama ed in autorità : fu fatto potestà d’ Arezzo, officio ch’ egli tenne per quattro anni , sostenendo sempre la parte imperiale: ritiratosi il vecchio Guido da Monte Feltro in un chiostro, divenne Uguccione il principe de’ Ghibellini, e lo elessero per loro capitano generale Cese- pa , Forlì, Faenza ed Imola, e continuò a fortuneggiare in Romagna fino a che Alberto d’Austria prese la corona imperiale. Quindi con- tinuando l’autore a mostrare quanto egli adoperasse a prò dell'umile Italia, rafferma quanta ragionevole fiducia avesse ]’ Alighieri in Uguccione come suo vindice, e quali fossero le sue speranze di patria. Per venire adunque al particolare assunto del suo discorso, ri- porta il sig. Troya qual senso allegorico il conte Marchetti e lo stesso Scolari abbian dato alla selva, alla valle e alle tre fiere, la lon- za , il leone e la lupa che fer perdere a Dante la speranza di salire il bel colle : nelle quali scorgonsi adombrate le tre potestà che caccia- rono Dante fuori del seno della patria : cioè i neri di Firenze, Carlo di Valois e la corte di Roma. Egli osserva che Virgilio gli fa sperare che un Veltro nascerebbe tra Feltro e Feltro per cacciar la lupa per ogni villa, onde esser salute della umile Italia. E della sola Italia, nè di tatta : ma di quella bassa parte per la quale morì la giovine guerriera del Lazio, i due amici troiani, e il valoroso Turno: di quella parte d’ Italia, che racchiudeva la sua patria Firenze, e Roma prima cagione dei suoi danni. Or chi sarà questo Veltro che libererà dalla lupa questa circoscritta parte d’ Italia ? Fra le interpetrazioni di tanti commentatori, la più universal- mente accettata fu, che dovesse nascere fra monte Feltro e la città di Feltre un principe a tanta opera; e per la casuale somiglianza dei nomi, che il Veltro aspettato da Dante fosse Cane della Scala , nel quale trovavasi la condizione di esser nato in Verona posta fra monte Feltro e Feltre città della marca Trivigiana ; quasi che in sì lungo 89 tratto di paese non ci fossero , come Verona, le più cospicue città d’ Italia, Mantova, Modena, Ferrara, Bologna. Ma Cane non com- battè mai fuor di Lombardia, nè per le cose di Toscana e di Roma- gna; e quando lo Scaligero usciva appena dalla fanciullezza eravi sta- to il Faggiolano che aveva guerreggiato in Romagna e in Toscana , scacciando i Guelfi di città in citta, e facendo contrasto alla potenza . temporale di Roma. Principe temuto da Bonifazio VIII , potestà per la nona volta d’ Arezzo, congiunto di messer Corso Donati e dell’Al- Jigbieri (*) Uguccione adanque fu il Veltro allegorico di Dante; il Vel- tro posto a’confini di Toscana e di Romagna, abile ad osteggiare fino alle porte di Roma e di Firenze , il Veltro cui per volere di Dante frate [lario intitolava l’inferno . . . +... . L’artifizio della profezia di Virgilio intorno ad un liberatore futuro, e la poetica necessità di non dipartirsi dai termini allegorici delle tre fiere abitatrici della foresta, costrinsero l’ Allighieri a tacere il nome della quarta , cioè del Vel- tro; ... nondimeno il poeta ne descrisse la patria o il dominio fra Feltro e Feltro, cioè la. Faggiola, tra le Feltrie montagne di Macera- ta, e di san Leo. Continuando quindi la storia delle imprese militari, del credito del faggiolano, e delle vittorie di lui a prò della parte imperiale , il ch. Troya mostra ad evidenza che non altri che Uguccione poteva essere simboleggiato nelle parole , un cinquecento dieci e cinque (Purg. XXX, 43-44) ,come il capitano che vincerà il gigante e la donna , inteso per Filippo il Bello e la sedia romana tratta schiava in Avignone. E a verificare la predizione e le speranze di Dante il vivente Arrigo di Lucemburgo tenne Uguccione in gran conto, e do- po la di lui morte gli succedette in Italia al comando generale de’ Ghi- bellini. Dopo il qual tempo mentre suo figlio Neri II s' insignoriva dalla parte degli Apennini di Borgo San Sepolcro, egli costringeva i lucchesi a restituire ai pisani i castelli un dì ceduti dal conte Ugoli- no; faceva rientrare gli usciti in Lucca, della quale s’ impadronì, sot- traendola a Roberto figlio di Carlo II re di Napoli ; ristorava Pisa; rompeva i guelfi in val di Nievole, ove fra i tanti guelfi restarono uccisi i due fratelli di Roberto di Napoli, Pietro d’Angiò e Carlo di Taranto; Volterra ed altre città gli promettevano obbedienza; Mon- te Catini e i principali castelli del Pistoiese gli aprivano le porte ; da Lodovico il Bavaro eletto imperatore era privilegiato d’ ampio (*) Verso il 1304 sì compì il parentado d'una figliola di Uguccione con Mes- ser Corso Donati, o con un suo figliolo. Allora si ravvicinarono viepiù le famiglie del Faggiolano e dell’ Alighieri. Una figlia d’ Uguccione allogata nel cugino o nel ni- pote di Gemma Donati moglie di Dante non può non credersi affine al marito di questa: 90 stato sì ne’ luoghi vicini alla battaglia di Val di Nievole, come ancos ra nel Monte Feltro, nella Massa Trabaria, e nel paesé cui bagna il Tevere fino a San Sepolero; e gli donava ancora Castiglione aretino fra Cortona ed Arezzo. Così porta l'istoria fino al 1316, nel qual tempo o poco dopo pare scritta da Dante la lettera a Can Grande; nella quale però non accenna che in lui si riposasse la speranza dei ghibellini, o ch’ ei dovesse illustrarsi con alcuna delle opere attri- buite al /'elero nell’Inferno, e nel Purgatorio al Capitano, Laddove ciò che si ristringeva a dire nella lettera, si limitava pure ad espri- mere ne’ tre canti, ove recò la storia della sua vita , facendo che il suo tritavolo Cacciaguida gli svelasse pienamente il fataro, e gli predicesse in Can Grande un benefico donatore, un asilo ed un soc- corso alla sua misera vita. Mal si apporrebbe chi credesse dal titolo del libro esser l’unico scopo del ch. Troya il determinare chi fosse il Yeltro allegorico, e il Capitano adombrato da Dante ne’ sopra citati versi del suo poema. I diversi viaggi del poeta, il ricovero e i soccorsi che trovò nel suo esilio e helle, sue peregrinazioni , desunti dal poema medesimo raf- frontato coll’istoria, lo conducono a ragionevolmente conghietturare in quali epoche e in quali condizioni ponesse mano e termine alla Di- vina Commedia, Così sembra che cominciasse a scrivere l’ Inferno presso il primo suo refugio, alla corte di Bartolommeo della Scala, e che lo continuasse poi in Casentino, in Lunigiana, in Romagra dentro il 1308, prima di passare oltremonti. Deduce quindi il ch. A. che i primi canti del Purgatorio fossero dettati facendo viaggio alla volta della Francia; donde partì al primo ramore dela venuta di Arrigo VII in Italia: che recatosi di nuovo in Casentino e quindi a Lucca continuasse e desse fine al Purgatorio, per quel che sembra verso gli ultimi del 1314; giacchè con questa seconda cantica cessano affatto le rimembranze storiche d’ogni avvenimento dopo il detto anno. Nel- l’anno seguente conghiettura il ch. Autore che il poeta desse opera al Paradiso ; che lo continuasse ritornato a Verona , visitando la ha- dia camaldolense di fonte Avellana, e i luoghi vicini a Gubbio. Quin- di ricovratosi nel Friuli presso Pagano della Torre, patriarca di Aqui- leia, che componesse alcuni degli ultimi canti del Paradiso; e ripara- tosi infine a Ravenna, l'illustre esule fiorentino nell’ultimo anno della sua vita richiamasse l’altime sue forze, per terminare la sovra- mana epopea della Divina Commedia. Colla scorta dell’ istoria e dei documenti nota inoltre quando il poeta non sempre fu giusto nell’ira sua contro tale o tal’ altro, ch’ei fece bersaglio alle aspre sue rampogne ; equando i bei versi nocque- ro al vero, e l’ istoria tacque vinta da’ bisogni della poesia. Così, per ATTIRARE BERE gI esempio , mostra che non erano di età novella i tre nipoti del conte Ugolino venuti meno con esso, come asserisce il poeta e , lui seguen- do, il Villani; ma che ciascuno di essi era ammogliato , e che il Bri- gata doveva essere per lo meno in età di diciassette anni. Così , per quanto Dante ponga l'arcivescovo Ruggieri nell’ antenora come tra- ditor della patria, egli non tradì che il signore di patria non sua, Co- sì il poeta è il solo che aggravi Ruggieri d’aver dato il barbaro con- siglio di vietare il cibo all’infelice Ugolino, mentre dagli storici e guelfi e ghibellini si ricava che quello fu opera dei pisani. Così i due frati godenti furono a torto incolpati nel tempo della loro signoria , giudicando false le loro virtù e ponendoli nel collegio degl’ipocriti tristi, mentre solenni documenti ‘attestano le da loro cessate discor- die fra i più violenti nemici. n Forma in fine appendice al libro del sig. Troya la lettera di £fra- ‘te Ilario ad Uguccione, colla quale per parte di Dante gli trasmette la prima cantica del poema; l’autenticità della quale pare al sig. Troya rivocata in dubbio dal sig. Witte senza gran fondamento. A taluno sembrar forse potrà aver l’autore posta troppa fiducia | in alcune conghietture; pure avvisiamo, venuto che sarà alle mani dell’ egregio prof. Scolari il libro del sig. Troya, ch’ei vedrà presso ad adempirsi il suo desiderio di una vita di Dante, nella quale “ ri- dotta ogni cosa per altri narrata alle ultime differenze , proceda a dar conto anno per anno di tutte le private e pubbliche azioni di lui; e così mandi naturalinente sulla Divina Commedia il lume più pro- prio a conoscerla ,,. Il dotto professore però è di parere che prima di scrivere una tal vita bisognerebbe chiarirsi ben bene sulla lezione ed autenticità assoluta delle opere di Dante, e non della sola Commedia; poichè, per quanto non poche sieno le memorie che in quella ha di sè lasciate l’autore, pure egli è problema se più convenga trarre par- te della vita dal sensodelle opere, o illuminare il senso delle opere con la vita; essendo pochi i luoghi ove parli di sè scopertamente; moltis- simi quelli, ne’ quali le sue intenzioni sono avvolte inun velo dovuto ai riguardi del tempo: “ ed egli, che scrisse di materia politica e mo- rale battendo di fronte vizi illustri, e viziosi potenti, con allusioni a grandi fatti, a brighe segrete, ed a passioni vestite di porpora e co- perte di toga, non potea scrivere che per cenni: a quel modo mede- simo, che anche al dì d’oggi le carte di una cotal indole che veggia- mo a stampa, diventano arcaismi e segreti per chiunque non abbia il filo delle circostanze e de’ fatti ,, ( pag. 17). A mente del prof. Scolari per ben conoscere il poema sacro, ol- tre la storia religiosa, politica e filosofica dei tempi, e quella del poe- ta, resta pure il bisogno di perfettamente intendere le parale, i pen» a sieri : IR e il finale intendimento col quale egli scrisse: e circa la sposizione letterale delle voci i commentatori e i letterati di quest’ul- timi tempi han portato molto avanti il lavoro. Nella pregiabile edizione così detta della Minerva, provvedutaci per operadegliavvisati e diligenti editori Giuseppe Campi, Fortuna- to Federici e Giuseppe Maffei (X) ; sebbene apparisca avere gli edi- tori seguita la lezione nidobeatina e il commento famoso del p. Lom- bardi, pure con molto avvedimento hanno escluse alcune lezioni , e sostituitevene altre parute loro migliori, dal che fare avrebbero do- vuto meno astenersi, quando il loro giudicio suggeriva poter supplire con alcune altre atte a rendere più lucida l’ intelligenza del testo. Se però non vi hanno introdotti tanti cangiamenti, pure hanno notate le varianti tratte da sette preziosi codici, onde migliorarne molti luoghi del poema, non tanto riguardo al sentimento quanto ancora alla ver- sificazione; non trascurando le moderne edizioni, caritatevoli ancora per quella povera edizione della Crusca, da taluno. giudicata la più erronea, e la peggiore di tutte. Così hanno quelli egregi editori molto adoperato per l’ intelli- | genza letterale del testo , traendo oltre a ciò profitto non solo dalle poche complete illustrazioni fatte alla Divina Commedia dopo il P. Lombardi, ina da quanto hanno dichiarato il Magalotti , il Lami ; il Bottari, il Torelli, il Dionisi, il Perazzini, il Bianchini, il Poggiali, il Mopti, il Perticari, il Reozi, il Biagioli ; il Portirelli, lo Strocchi, il Lampredi, il Parenti , il de Romanis, il Machiavelli, il de Cesa- re, il Rosa Morando , lo Scolari, il di Costanzo, il Marchetti, il Can- cellieri , il de’ Rossi; mettendo a contribuzione eziandio gli antichi commenti editi ed inediti. Cosicchè non, solo pel senso litterale , quanto ancora per le osservazioni grammaticali può dirsi questa edi- zione illavoro più completo che abbiasi oggi sul poema dantesco, alla cui intelligenza letterale hanno ancora provveduto facendo uso di una particolare interpunzione , condizione che si sa di quanto mo- mento ella sia per agevolare ad intendere i sensi d’ uno scrittore. Ma oltre il senso letterale delle parole, si vuole in Dante intendere l’ allegorico che ad ogni passo s’ incontra, e rompere il velo sotto cui nascose l’alte dottrine del suo poema. Mercè siffatta dichiarazione si verrà ad intendere la convenevolezza delle immagini, in apparenza strane e anteponibili ad altre più ovvie e più naturali. Per ciò vor- (X) La Divina Commedia di Dante Alighieri col comento del P. Bau- passare Lomrarpi IM. C. ora nuovamente arricchita di molte illustrazioni édite e inedite, Padova, dalla tipografia della Minerva, 1822, vol. 5, b) rebbe il prof. Scolari che per ogni cantica, sotto il titolo di Line poetica venisse congiuntamente dichiarato il senso litterale e 1’ alle- gorico. E qui digredendo palesa la sua opinione sulla prima e princi- pale allegoria del poema contenuta nel I, e II canto dell’ Inferno. Della quale, digredendo noi pure, ci sembra pregio dell’ opera dar conto a’ nostri lettori , riportando le proprie di lui parole. Queste parti o finzioni allegoriche di cui si cerca l’ interpreta- zione , sono : Canto I, v.:1,2, a) Il mezzo del cammino e la selva oscura ; v. 3. db.) La via smarrita; v. 14. c.) La selvaggia e deserta valle; v. 16. d.)il dilettoso monte rischiarato dai raggi primi di luce; v. 34. c.)l’andare del poeta dalla selva al colle; v. 37. f.)la luce del nuovo dì; v.32. g.)la Lonza; v.45. h.)il Leone; v.49. î.)la Lupa; v.64. X.)l'apparire di Virgilio in soccorso di Dante ; v. vor. Z.) il Veltro che deve cacciare la lonza, il leone, la lupa ; w. 113. 73.) la strada accennata per trarlo dalla sel- vaggia valle; Canto II, v. 53. n.) Beatrice anima celeste , che vien mossa s i (permettendolo v.94. 0.) la donna gentile che è lassù nel Cielo ) v.100: p)da Lucia nemica di ciascun crudele. (pag. 22 , 23.) Posto che per potersi dire bene intesa questa allegoria debba esservi fra tutte queste immagini convenienza , unità di pensiero , e corrispondenza colle storie dei tempie della vita dell’ autore; passa a riferire le spiegazioni date dal P. Lombardi , dal prof. Biagioli, e quelle di Mons. Dionisi e del conte Marchetti. E trovando che i due ultimi letterati van d’ accordo in alcune parti fondamentali dell’ al- legoria , propende nella opinione loro. Se non che sembravdogli fra le altre cose che Dante non avesse per principale scopo la sua sola persona, e che mostri in più luoghi lesue intenzioni essere più gene- ‘rali e più elevate ; e non soltanto relative alle, proprie sciagure; e ‘che le parti tutte della allegoria non sieno fra loro convenevolmente collegate , propone il proprio avviso nel seguente modo. a) Le confusioni, gl’ intrighi ele ribalderie in cui Dante» arri- 94 È vato al governo della sua patria nel mezzo della età sua ; trovò im- pegnate le faccende della repubblica e degli altri stati d’ Italia , b) lo fecero accorto per prova che la viag del ben pubblico e privato era smarrita; i c) e talmente , che si trovò egli medesimo trascinato in una de- serta e selvosa valle, quella realmente dell’ esilio e della miseria. d) Di ciò malgrado mirando egli mai sempre al dilettoso monte della felicità pubblica , alla quale sembravagli che il raggio del ce- leste favore cominciasse ad arridere, i e) furono anche molte le sue sollecitudini e pratiche per procu- rarla; f) e ne ebbea concepire ben anche speranze di buon effetto, nelle quali fu contradetto per altro: g) dai vizi della sua patria Firenze, h) dalle viste ambiziose di Francia, î) e da quelle di avarizia e supremazia ambite da quei di Roma; k ) perlochè rimasto solo, non prese a conforto suo che lo studio portato al più alto grado di perfezione , nell’ esercizio della facoltà poetica. 2) E mentre per l’ effetto d’una politica ristaurazione poneva la sua fiducia nella virtà militare di Can Grande, m)egli si accinse a quella della ristaurazione morale e religiosa della sua gente, dandosi a scrivere un memorando poema che fosse maestro di rettitudine, punitore de' vizi e premiatore immortale della virtù: n ) questo poi, la mercè di Beatrice, la quale in figara della Sa- pienza ( permettendolo o ) la Bontà Divina) p) è mossa a soccorso di Dante dalla Grazia celeste che illu- mina. (p.27,28). Accennate quindi alcune avvertenze che si vorrebbero avere a dichiarare il senso tnorale e mistico della Divina Commedia, procede a discorrere il modo di conoscerne il merito filosofico e gli artifici rettorici; alche avvisa che non sia da sdegnarsi una scorta, la quale si può dire necessaria per la maggior parte dei lettori , i quali non debbono starsi contenti ai soli fiori, ma più attenersi a gustarne il frutto. “ L’ esperienza persuade che gli studiosi di Dante sono più presto simili a giardinieri eleganti che ad utili agricoltori ,,: e a mo- strare qual divario passi fra l’ andare in traccia dei soli artifici ret- torici, e l’appagarsi del merito filosofico , pone a confronto il Pe- trarca e l’Alfieri. I fiori di parole, e la leggiadria di pensieri che ci dà il primo, son ben altro che le sode dottrine filosofiche e politiche 95 onde sono ripieni:gli scritti dell’astigiano, Ambidue hanno stadiato il padre della poesia italiana; ‘* ma il Petrarca ha danteggiato , ritra- endo in sè maggior parte dello splendor poetico dell’ Allighieri ; Al- fieri ha danteggiato più utilmente, riempiendosi meglio della grande anima e della forza dei sublimi pensamenti di lui ;, ( p.33). Quindi è d’ avviso l’autore che non siavi oggi giorno bisogno di gustar Dante nella parte rettorica, nè di fermarsi sopra una espres- sione felice, sopra un bel modo di dire, sopra un bel verso, per qaanto sieno queste pregiabili be!lezze, per tener dietro alle quali viene a ttascurarsi quel vital nutrimento, cui devono agognare gli studiosi di Dante, per onorarlo non nelle parole, ma nelle cose: ed opina “ che fra le molte cause ‘dello snervamento morale della gioventù, quella è concorsa dello studio de’ classici fatto per tutt’ altro .verso che per quello necessario a nutrire lo spirito, e a confortarlo di sode massime e di virtù vere, in luogo delle belle similitudini, delle armonie soavi, delle vaghe descrizioni; donde, più che altro, viene eccitata ne’ giovani quella frega poetica, per cui fra noi tutte le gioie e tutti ‘i dolori terminano poi con un sonetto o con una canzone: tema giustissimo dell’irrisione degli stranieri ,,. E quindi gran torto sembrano aver coloro che fanno testo di arte poetica «€ un libro degno di qual si voglia uomo di stato, e che meglio avreb- be potuto essere il testo della filosofia morale e del nostro pub- blico dritto ,,. E infatti come mai, anzi che divagare nel raccogliere soli fiori e bellezze poetiche, lasciar di notare accuratamente, e di far tesoro delle profonde sentenze sparse nel poema sacro, studiare sulle grandi passioni, sa i grandi caratteri, su’grandi interessi dell’uomo morale e politico, e su i vizi di quel secolo dipinti con sì vivi colori. Gli errori delle nazioni e dei loro capi, la cen- sura aspra e animata della depravazione de’ costumi, le calde in- vettive contro gli abusi d’ogni specie di autorità, contro le civili discordie, contro il cattivo reggimento, contro la ‘mancanza di rettitadine, richiamano a profonde considerazioni, a frequenti ap- plicazioni, e sono scuola utilissima all’uomo d’ogni condizione. Ma non per questo intendiamo che gli studiosi di Dante debbano essere insensibili alle belle espressioni colle quali egli riveste le sue immagini, al fiore e al vigore della lingua, e a tante bellezze poetiche che l’una all'altra nel suo poema si succedono. A que- sto ci piace anzi che mirasse il ch. Biagioli, il quale nella sua edi- ‘ zione ‘e comento di Dante. andò tratto tratto facendo esame let- ‘terario. del poema ;»lavoro generalmente giudicato di grandissimo pregio. 96 ; Ma più specialmente promette col titolo adempire a questo scopo in un’opera in tre volumi il celeb. Antonio Cesari prete dell’ Oratorio (XI). A_ parlare di questo scrittore tanto benemerito delle buone lettere italiane ci sentiamo compresi da reverenza, ma non sì che non osiamo dire schiettamente quanto pensiamo del suo lungo lavoro. Egli si è in special modo occupato nel rilevare le bellezze poetiche della Commedia dell’ Alighieri, essendo di parere che quel che è stato fatto finora in proposito di comenti , di chiose , di note non lasci più da desiderare per la parte dell’ intelligenza. Relativamente poi alla lezione gli pare di potere fidatamente af- fermare che il testo (ch’ei riporta per intero ne’ suoi dialoghi, tramezzato da discorsi de’ suoi interlocatori) debba essere il più sicuro di tutte l’edizioni di Dante. Quindi egli intende di supplire con questa sua opera a ciò che alle altre edizioni manca; cioè porre. in mostra le bellezze della lingua, dell’ eloquenza , della poesia dan-. tesca; le quali cose egli stima il punto principale del poema. Se si potesse convenire nell’ opinione del ch. Autore, che il punto o fine principale per cui Dante scrisse fosse di offerire un saggio di bella lingua, di eloquenza e di poesia, non solo si do- vrebbe stimar sufficiente ciò che finora è stato fatto di comenti, di note, di chiose, ma dovrebbe dirsi essere questa stata opera superflua subito che fosse stato negletto d’ illustrare la Commedia rispetto al suo punto principale. Sarebbe stato ben presuntuoso 1’ Alighieri nel chiamar poema sacro il suo lavoro, nell’incomodare e cielo e, terra a porvi mano, nello sperare che potesse vincere la crudeltà che lo serrava fuori del bell’ovile ; e tutto ciò per avere scritte di belle parole in poesia. Ma ormai abbiamo manifestato la nostra opinione sullo scopo principale che aver debbesi nello studio di Dante, studio che vuol farsi non sulle parole ma sulle cose; e circa a che, quanti mai hanno scritto a dichiarazione della Divina Com- media e scriveranno, han diffusamente discorso e convenuto. E dopo che abbiamo esposto qual lavoro richiegga il ch. Scolari per avere una lezione di, Dante ; quanti riscontri di manoscritti e d’ edizioni sieno necessari; qual soccorso bisogni implorare dalla critica facendo tacere ogni preoccupazione, ed ascoltando la voce della ragione, non mai quella delle opinioni e dell’ autorità ; su qual fondamento si potrà credere essere il testo del padre Cesari il più (XI Bellezze della Commedia di Dante Alighieri. Dialoghi d’AntoNIo cx- sari P. D. O. T. 3. Verona 1824 ; dalla tipografia di Paolo Libanti , a spese del- 1’ Autore. 97 sicuro di tutte l’edizioni che esistono di Dante? Si è egli forse giovato del bel testo degli editori della Minerva :; ha egli fatto pro- fitto degli studi e di tante belle e buone lezioni proposte dal ch. prof. Viviani nel suo Dante giusta la lezione del Codice Bartoliniano; ha egli considerati i lavori di tanti e tanti altri letterati studiosi di Dante che han dato opera a fissare non poche lezioni del testo dantesco ? Ma concedendo ancora che la comiedia debba leggersi come vuole il p, Cesari; e che si debba principalmente tener dietro alla lingua, alle frasi, all’eloquenza e alla poesia (cose tutte che non possono derivare da più pura e da più ricca sorgente, mercè le quali gli alti sensie i forti concetti s’ imprimono sì profondamente nel cuore ) vediamo qual modo abbia tenuto il p. Cesari per mo- strarci queste poetiche bellezze. Noi riporteremo le sue stesse parole. »» Ma io ho sempre notato come pittura assai risentita quella ch'e Dante fa quì del Leone da lui scontrato. Leggiamo il testo. La vista che mi apparve d° un Leone ,, p. 19. s, Colla paura che uscia di sua vista. Bel modo di dire! la paura che esce dall’ aspetto, cioè esce dal vedere ,, p. 21. »» Oh felice colui cui ivi elegge! Bello sfogo di giusta invidia ,, p. 24. » Rispose del magnanimo quell’ ombra: in luogo di dire: l’om- bra di quel magnanimo; egli ha un cotal che di muovo e di vago ,, p. 37. sy Di te mi lodero sovente a lui. Che leggiadro e proprio modo! Benedetta la nostra lingua che ha sì vaghi traghetti!...e questo è pur ciò, in che Dante si lasciò addietro tutti gli altri poeti ,,- p: 38. 33 Al mondo non fur mai persone ratte ec. fino a fidandomi del tuo parlare onesto , Che onora te, e quei che udito l’ hanno. Vera mente bellissimo è questo tratto di pietosa e calda eloquenza. ... né vedremo parecchi ,,. Per me si va nella città dolente, ec. Che maestà di panro: sa sentenza! p. dai e così segue in simili ammirazioni: — qui non è parola indarno nè di più , e tatte sono efficaci e di vivo colore, p- 44; — magnifico! quell’ hanno perduto il ben dell’ intelletto ;— sentenza assai vera e profonda! p. 47; — bello tutto, immagine e nu- . mero, p. 50 ; — questo è un concetto, oltre il quale l'umana mente non può immaginare, p. 50; — quanto a lingua bello mi pare quel costume per affetto, voglia , vaghezza , pag: 53; — alto e pauroso concetto! p, 57 ; — sentite voi andamento allassato e ballettante in questo verso ? p. 58; — esagerazione furiosa e terribile! p. 58} — che fiero tratto! peggior quel che segue, p::59; che bellezza d’alta T. XXIII, Agosto. , 8 sai p. 63; — espressione viva e forte! p. 65; — qui bella pittura d’uom che si risente da assopimento, e non sa dove e’ sia ; si leva in piè, guardandosi intorno, e dice : dove son io? p. 67; — deh che verso! il qual dice tutto quel profondo , e quel buio grosso e fitto, dove per ficcar che facesse giù giù lo sguardo, Dante niente vedeva, pag. 67; — turbo per turbine; bello! p.67; — bella quella forma! pag. 69; — bei traghetti ha la nostra lingua ! p. 71; — bello questo possente a modo di sostantivo! p. 72; — perchè e’ dicessi , per di- cesse : bel modo nostro! pag. 72; — compiuta lode, p. 73 ; — bel modo di dire, che ha molta grazia, p. 75; — bel modo di dire! ps 77; — che parlar nuovo, espressivo in questo verso! p. 77; — ivi appunto è proprio modo , p.78; — buono questo levar di ciglia, p. 78;— bello!!! p. 79....e con queste esclamazioni e ammirazioni ter- mina alla p. 79 la mostra delle bellezze poetiche del canto IV del- l’ Inferno. . Se si vuole esser giusti sarà di mestieri il confessare , che °le ammirazioni e l’esclamazioni esprimono l’impressione che fa il bello nell’ animo nostro; e quando diciamo pulchre, dene , recte , fac - ciam plauso, ma pon diamo ragione del nostro applaudire, nè del bello che ci muove ad esclamare. Or ne viene per conseguenza che il padre Cesari non ha così bene , come avrebbe potuto fare , adem- pito al primario scopo del suo lavoro; e pare, che, rapito da una affettuosa ammirazione pel poeta, non gli ha questa lasciato luogo a dichiarare le ragioni del bello e dell’ammirabile; cosicchè in questo caso sembra chel’affetto ela meraviglia i’abbiano preoccupato, e vinto l’ ingegno, Ma ad un uomo del sapere del padre Cesari, e tanto benemerito per l’amore che porta al gentil nostro idioma , e per le. opere che a benefizio ed onore di esso ha dettute, vuolsi avere ogni benigno riguardo; e considerare che se non ha esposte le ragioni delle bellezze di poesia , di eloquenza , di lingua sparse nella Divina Com- media, ne ba per lo meno fatti accorti a cercare le ragioni delle bel- lezze che lo hanno mosso ad esclamare; avendo fatto pei lettori le veci della cote del Venosino. Se non che anco il troppo affetto porla-talvolta ad una certa preoccupazione che partecipa dell’idolatria , ed affascina la vista in modo da far parer bello ciò che tale non è : + +00... Amatorem, amicae Turpia decipiunt coecum vitia, aut etiam ipsa hace Dèlectant ; veluti Balbinum polypus Agnae : forse così è avvenuto al pad, Cesari quando alla pag. 72 chiama ur bel modo nostro , dicessi în terza persona, invece di dicesse; lo che invece di una bellezza è un antitesi; e chiesta dalla rima. Avremo forse il torto di non avere scorsi tutti tre i volumi delle Bellezze del P. Cesari ; ma dobbiamo ingenuamente confessare che nella stessa guisa che pei suoi interlocutori quelle loro tornate sì di- lettevoli non erano però passate senza qualche fatica e travaglio pag. 666; così a noi pure riuscì pesante e laboriosa la lettura di quei dialoghi, e stemmo contenti alle sole prime 88 pagine del primo vo- lame. Quindi speriamo trovar perdono se mal ci fossimo formati concetto dell’ opera di quel dotto e laborioso veronese; la quale non porterà gran soccorso al disegno del prof. Scolari, che desidera vedere nel poema dantesco predilette le parti del filosofo, più corrispon- denti alla diguità e all’ intendimento del suo autore , che non quelle del retore : senza trascurare però che alquanti cenni , accortamente interposti nell’illustrazione della Divina Commedia, servano con su- brietà e con squisitezza a far gustare le bellezze della lingua e della poesia. ; Procedendo quindi il prof. Scolari nel suo ragionamento, passa dalla parte speculativa alla pratica, cioè ad esporre come ei vorrebbe distribuita la nuova edizione di Dante, e quali sarebbero per suo av- viso gli espedienti per agevolarne il lavoro, e i mezzi per averne l’ef- fetto; del che al presente non faremo altro discorso, avendo noi anco di troppo distesa la presente rivista. Ma siccome anco quella parte del suo ragionamento ne sembra importantissirga , gioverà il ritor» nare su tal soggetto (*). Per ora faremo fine colle parole stesse del ch. autore: Quand’anche dal mio ragionamento non avesse a conse - guitare che una sola maggior circospezione e regolarità di metodo nello studio avvenire della Divina Commedia, io crederei sempre , di avere utilmente adoperato il mio tempo. Fat It; (*) Nel tempo stesso renderemo conto a’nostri lettori dell’opera del sig. Ga- briele Rossetti, letterato italiano, dimorante in Londra; il quale ha compilato un comento analitico alla Divina Commedia, di cui ha compreso nel primo volume i soli primi XI canti dell’ Inferno. I esserci tal opera pervenuta quando era già al suo termine la stampa della presente rivista è cagione che del libro del sig. Rossetti non abbiam potuto parlare nel presente fascicolo. 100 } Fables russes de M. KriLorr imitées en vers francais et aa liens par divers auteurs etc. Paris, Bossange 19900 t.2 in 8.9 avec gravures. Leggeste per sorte il 28 marzo dei Debats ? Lemontey, nel suo proemio alla doppia versione o imitazione delle fa- vole di Kriloff, accennando com’oggi anche in riva alla Neva e alla Mosca vanno sorgendo le Corinne e le Saffo al fianco dei Pindari e degli Anacreonti, fa questa riflessione assai giusta: “ l’ardore, che mostrano le donne per gli studii poetici, sia che si lodi sia,che si biasimi, è segno certo che la lette- ratura s'è immedesimata ne’ costumi d’un paese e più non può esserne separata,,. Or che pensarci, vedendo in Rus- sia, non dico de’ contadini, come in Inghilterra e in ‘Isco- zia e da gran tempo in Toscana, ma de’servi della gleba, quale è il giovane Slapuschkin, di cui parla il giornale ch'io nominava pur dianzi, emulare tra le fatiche dell’ aratro le armoniose composizioni di chi vive fra le accademie e la corte? Se i suoi ozi poctici d’ un campagnolo non gli aves- sero meritato che due graziosi orioli dalle imperatrici Ales- sandrina e Maria e il caftan d’onore dal successor d’Ales- sandro, ci sarebbe forse lecito l’imaginarci in lui un alun- no privilegiato della natura, cresciuto, a così esprimermi, senza saputa dell’arte. Ma giacchè per essi l'accademia im-° periale di Pietroburgo gli ha decretata una medaglia d’oro colla nota leggenda a chi perfeziona la lingua russa , ci è forza credere ch’ei debba all'arte poco meno di quello che deve alla natura. Nella sua lettera di ringraziamento all’ac- cademia medesima egli si sottoscrive con toccante sempli- cità lavoratore delle terre della contessa Nowosilzow, ond’io argomento che appartenga a quel gran numero di contadini ancor servi, di cui le immense campagne della Russia son popolate (1). Per avere una maggior prova che la lettera- (1) Giu»ta i calcoli d’H-rmann dell’ accademia delle scienze di Pietrobur- go, i contadini servi nel 1806 , quando cioè alla Russia non era per anco aggregato il .regno di Polonia nè il granducato di Finlandia, giugnevano fra ambo i sessi a 32,795,000 , mentre di mon servi sc ne contavano appena i toi tura s'è veramente immedesimata ne’costumi del paese, ci sarebbe , nol niego , bisognato l’annuncio che la contessa avesse data al suo agreste poeta l'emancipazione da lui me- ritata. La sola esistenza però di questo poeta n° è per sè stessa, voi ben lo vedete, una prova assai rimarchevole. L'Italia ha sempte avuto colla Russia, troppo scarse re- lazioni, per tener dietro a’ suoi progressi così negli studii ameni come ne’ più severi. Denina., stando in Prussia , e scrivendo, or saranno quarant’anni, le sue vicende della let- ‘teratura, le terminava con un capitolo piuttosto congettu- rale che storico , intitolato cautamente : ‘ quanto si abbia a sperare della Russia;,. In esso, dopo averci nominati così di fuga tre o quattro poeti, di cui più oltre si avrà occa- sione di parlare; dopo averci lodato il primo , che nella lingua di que’poeti si distinguesse, al parer suo, come ora- tore, presentandoci il primo orator vero come un semplice controversista; dopo averci accennato ciò che il genio di Caterina prometteva alle lettere, e ciò che le circostanze del suo impero opponevano al suo genio , finiva col dirci che forse un giorno si sarebbero letti fra noi anche de’ li> bri russi. Una decina d’anni dopo il Napione, ragionan- doci dell’uso e de’pregi di nostra lingua , aggiugneva per incidenza alcune particolarità sui primi cultori di quella che parlasi fra i mouti Urali e il Boristene ; ma non rendeva niente più probabile il forse dello storico suo amico e con- cittadino. Che se ciò non potea pretendersi da lui, il quale non s'era assunto verun obligo d’uscire d’Italia col suo di- scorso, poteva certo aspettarsi dall’ Andres, quando, altri diec’ anni dopo all'incirca, pubblicava riveduto il suo stato attuale d’ ogni letteratura. Ma egli colle sue notizie non andò oltre il regno di Caterina, anzi, benchè si dicesse fornito dal dotto Henin di particolari memorie, non cì por- se quasi altre notizie che le poche raccolte dall’istoria russa 2,900,000. In grazia degli sforzi fatti e dai'privati e dal governo per diminuite il numero de’ primi e accrescere quello de’ secondî”, la proporzione fra gli uni e gli altri debb’ esser oggi alquanto diversa. Come peiò dall’ epoca indicata la popolazione della Russia; indipendentemente dai muovi acquisti , s° è ac- cresciuta d’ un quinto , è probabile che i contadini servi oltrepassivo tuttavia i «+ 30 milioni. 102 » ». DA di Levesque , uno de’ membri di quella colonia fraricese , che la Semiramide del settentrione chiamò ad incivilire il suo popolo. I nostri scienziati, voglio ben crederlo, non igno- ravano ciò che si facessero in Russia gli allievi dei due Ber- noulli e dei due Euleri. I nostri artisti sapevano, a cagion d’esempio, che un generale Schonwalow avea fatto copiare in marmo dal pittore Anterperger gli affreschi delle logge va- ticane, e fabbricare a Pietroburgo un cortile con logge so- miglianti per collocarvi gli affreschi ricopiati ; sapevano che un principe Youssoupoff avea fatto replicare allo scultore Ca- nova il suo gruppo d’ Amore e Psiche giacenti, onde abbel- lire il nuovo soggiorno degli czari con una dell’opere più simili a quelle che abbellivano il soggiorno di Pericle. Ma come da nessuno de’ nostri scrittori ci era fatto conoscere l'andamento progressivo d’ogni cultura fra i russi , noi ave- vamo ragione di crederli ancor molto lontani dall’incivili- mento europeo, quando vi erano più che mai vicini. Ve- niva intanto Souwarow co’ suoi cosacchi astati e barbati, che ancor mi.par di vedere, e confondeva affatto le nostre idee intorno alla propria nazione. Dall’Adige alle Sture (nel resto d’Italia non so) lo spavento fu tale, che la Russia di Pietro il grande e di Caterina sparve quasi a’ nostri occhi, o parve concentrarsi nelle repubbliche militari del Don e dell’ Ural. Più tardo un nostro viaggiatore , il march. Fa- gnani, si provò a darcene una pittura compita in alcune sue lettere; ma la pittura sentiva o del passato spavento o della guerra vicina. Io non l'ho abbastanza presente per dire come fosse in essa rappresentato il giardino, cui piacque alle Muse di piantare anche fra i ghiacci delle rive del Vol- ga e del golfo di Finlandia. Giudicandone però dall’im- pressione, che me n'è rimasta, debbo credere che fosse ap- pena indicato con qualche tocco leggiero. Contemporanea- mente un altro nostro viaggiatore , il march. Orti, scelse da quel giardino alcuni fiori poetici, e si studiò di farce- ne gustare la nuova fragranza. Ma, o fosse nostra prevenzione o sua non molta destrezza, il dono, ch’ei ci porse, venne accolto da pochi, e appena accolto fù quasi obliato. Così giugnemmo fin presso al terzo decennio di questo secolo po- ( lei LA 103 co meglio informati degli studi de’russi che di quelli dei cinesi; e forse la maggior parte di noi s’accorse ch’essi avea- no de’grandi scrittori, quando s’accorse ch’aveano de’gran- di navigatori. Dico ciò pensando ; che la traduzione della storia russa di Karamsin è contemporanea a quella del primo viaggio di Krusenstern intorne al mondo, ambidue le quali mi si fa credere che siano state cercate e lette da. molti. Se qualche cosa s’ è scritta in Italia più recentemen- te, per accrescere le nostre cognizioni intorno al soggetto che ci occupa, lo ignoro. La rivista enciclopedica, vero gior- nale cosmopolitico, avrebbe, da noi consultata, potuto sup- plire bastantemente al silenzio de’ nostri scrittori. Ma essa è tuttavia fra noi un giornale privilegiato, e lo sarà, come più altri giornali ben utili, finchè non divengano più fre; quenti i gabinetti di lettura, ove una piccola spesa di molti fa godere a ciascuno i vantaggi d’una grande appena pos- sibile a pochi. Quando per un saggio sistema d’ economia ‘intellettuale, che ci faccia guadagnare buona parte del tem- po, che anche stando su’ libri ora si perde, studieremo più lingue vive che non siamo soliti studiarne, e fra queste sa- rà annoverata la russa; tanto meglio per noi. Potendo al- lora avere intorno alle cose, che in tal lingua si vanno seri. vendo, notizie di prima mano, più non avremo d’uopo d’aspet- tarle, e spesso indarno, di seconda. La rivista enciclope- dica ne avvisava sulla fine dello scorso anno, che dal 1823 al 1825 il numero de’giornali, fra politici e letterarii, s'era in Russia accreciuto di 18, fra i quali 5 a Mosca e 13 a Pietroburgo. Di quanti si componesse antecedentemente nol so ;' ma dai vari elenchi della rivista medesima apparisce ch’ era già ben risuardevole. Lascio: di riflettere che se i molti libri, i quali fan nascere i molti giornali per render= ne conto, sono la prova d’una letteratura fiorente ; i molti giornali sono il segno d’una cultura ass»i diffusa. Per ora non voglio accennare se non le fonti che i russi stessi ci aprono, onde conoscere il loro stato intellettuale e mora- le, di cui s’è avuta finora un’idea sì imperfetta. E ai loro giornali, che racchiudono, come i nostri, oltre le analisi è le notizie de’libri, molte dissertazioni e molte piccole com- tod x posizioni, bisogna aggiugnere le loro storie letterarie, che cominciano a scriversi, e mostrano, anche meglio de’giore nali, com’essi in breve tempo hanno già fatto lungo cam- mino. È assai lodata, benchè assai compendiosa, quella data in luce recentemente da Gretch , filologo instancabile, di cui si ricorderanno altrove altre fatiche: Principia essa dal nono secolo, cioè a dire dall’origine del russo impero, e; ci conduce nella prima sua parte sino al secolo diciasset- tesimo, cioè fino a Pietro il grande. Nella parte, che se- gue, e che, per abbracciare meno tempo, non occupa mi, nore spazio, ci conduce fino all’ epoca presente, a .cui ve» dremo come sorridano le più belle speranze. Una seconda istoria, che a quest'ora debb’essere pubblicata, si aspetta- va dal principe Tzertelef; ed essa pure unitamente alle me- morie d’ altri suoi connazionali, inserite nelle varie colle= zioni periodiche, servirà a soddisfare la giusta curiosità de- gli stranieri. Intanto i brevi ragguagli, che l’ingegnoso Lemontey ha creduto bene di premettere alle favole kriloffiane, riu- sciranno opportunissimi a molti, i quali forse ancor du- bitano se la russa letteratura meriti un’istoria, o se tale storia meriti d’esser letta da chi non nacque o non vive ove quella letteratura è parte della vita. Delle favole già s'è occupato abbastanza il giornale arcadico , il quale ha recati saggi copiosi delle loro imitazioni italiane, e ultima» mente ci ha dato avviso che queste si ristampano in Peru- gia col discorso loro aggiunto dal dotto Salfi sopra le com- posizioni del medesimo genere, scritte originalmente da’no- stri poeti. Io dunque mi tratterrò di preferenza intorno ai rasguagli che si diceva, e tanto più volentieri che , non dovendo essi ricomparire nella ristampa annunciata , per buon numero degl’italiani sarebbero come perduti, e a po- chi riuscirebbe facile il trovarne qualche compenso. Estraen= done e allargandone quelle parti, che mi sembreranno più confacenti allo scopo di questo giornale, io dovrò toccare più cose già dette nel medesimo proposito da alcuni de’no= stri scrittori; più assai ne toccherò di quelle. accennate in varii tempi dalla rivista enciclopedica, e da taluni proba- 105 bilmente o non conosciute o non rammentate ; molte pure ne aggiugnerò , che trovansi sparse in varii libri e giorna- li, e che non può rincrescere di veder qui raccolte. Come Lemontey esce, ove ben gli torna, dagli stretti confini del- l’amena letteratura, anch'io ne uscirò spesso, e più fran- camente di lui, giacchè non intendo qui farmi suo com- mentatore, ma piuttosto suo familiare e libero interlocu- tore. Ciò è comodo per me, ch’ amo la conversazione an- zichè la dissertazione ; e ciò, spero, non sarà incomodo ai lettori. Qualche momentaneo divagamento dal tema verrà loro compensato da qualche piacere e forse da qualche spe- cie d’ utilità. Del resto chi può oggi più considerare la lei- teratura come cosa isolata? Chi non gode vederla seguire i progressi dello stato sociale, e formar parte di quell’in- civilimento , che farà un giorno di tutti i popoli un po- polo solo , distinto anzichè diviso in differenti famiglie , tutte egualmente avventurate, perchè tutte egualmente il- luminate.? ‘Il popolo russo (parole di Lemontey) entrò assai tar= do a parte della moderna civiltà degli europei. Una dop- pia invasione, quella de’ tartari e quella de’ lituanii, più ancora che la rigidezza del clima da esso abitato, arrestò a lungo i primi suoi passi, malgrado l’indole sna , gaja,. socievole, ingegnosa. Ma i suoi progressi in tutte, le car- riere, che gli aprì innanzi il genio di Pietro il grande, fu- rono rapidissimi. L'abilità e la perseveranza del suo gover- no ha meravigliosamente accresciuta la sua preponderanza politica, nè la storia può descrivere senza qualche sgomento i suoi trionfi e le sue forze militari ; la sua legislazione si ‘avanza costantemente verso uno scopo di dolcezza e d’equi- tà; e il tesoro del suo sapere siarricchisce ogni giorno delle fatiche de’ suoi naturalisti e delle scoperte de’ suoi arditi | navigatori, ,, Ciò scrivea Lemontey, saranno ormai diciotto o venti mesi. Più cose occorse in questo frattempo accrescono lu- ce alle sue parole. Io nulla dirò di ciò che si riferisce pro- priamente alla politica o alle armi. Della politica potrei forse dire qualche cosa di sicuro se avessi assistito alle con- 106 ferenze del duca di Wellington e del conte di Nesselrode. Quanto alle armi suppliscono ad ogni mio discorso le me- morie di questo primo quarto di secolo troppo vive nella mente di tntti, e la fama che ci addita fra il Baltico e il Caspio, il mar Nero e il mar Bianco un esercito d’800,000, anzi d’ un milione d’ uomini pronti a moversi al cenno d’ un imperante. Leggeva due mesi sono in quell’ utile giorna- letto, che pubblica il conte di Lasteyrie , e intitola delle cognizioni usuali, presso a poco questi rasguagli , che credo forniti da qualche opera inglese. Oggi tutta 1’ estensione della Russia è di 367,494 miglia quadrate (2), e la popo- lazione di 50,000,000 d’abitanti (3). Si è fatto il conto che nello spazio di 366 anni, cioè del 1460 al 1826, l’estensione del suo impero s’è accresciuta di 349,000 miglia quadrate e nello spazio di 137 anni, cioè dal 1689 al 1826, la sua popo- lazione s'è anmentata di 34,000,000 d’ abitanti novelli (4). (2) Essa comprende più d’un terzo dell’ Europa e un quarto, circa , del- l’ Asia. (3) Altri ( credo Hassel nella sua statistica generale) li fa salire a 53,078,000. (4) Tanta grandezza peraltro, com'è già stato osservato da qualche scrittore , non ha nulla d’ improvviso o di moderno. Essa comincia fra le tenebre, onde si;av- volgono le origini della stirpe slavonica, la quale si moltiplicava sui monti Carpazi, e nelle foreste della Sarmazia sua culla, in un’epoca sì remota, come quella che vide i greci ancor selvaggi raccogliersi al suono della lira d’ Orfeo. Sconosciuta ai greci ed ai romani, essa comparve alfine agli occhi dell'Europa meridionale sotto le inseghe de’ goti suoi dominatori e degli unni suoi conquistatori. Jndi sottrattasi ad ambidue si distese dall’ Elba al Boristene, dividendosi in varie popolazioni , distinte per nome ed uniformi per carattere. Le più occidentali furono presto compresse dalla stirpe germanica ; ma la più orientale, quella degli anti o de’ russi, avanzandosi sempre più, invase le foreste abitate dai finnesi e dagli altri avanzi de’ popoli scitici, occupò e coltivò le fertili pianure che sono fra il Don ed il Volga , e lungo tempo innanzi l’ invasione de’ tartari mon- goli, a cui si aggiunsero più tardo i lituani, fondò potenti principati, i quali ancora dan nome alla Russia centrale. Quindi, all' uscire dal giogo stra- niero, essa mon ebbe che ad unirsi di nuovo alle popolazioni sorelle, per fon- dare quel popolo russo, che ci si presenta da Lemberg a Vologda , quasi noc= ciolo dell’ impero. I rapidi ingrandimenti di questo sotto i due Ivani, ed anche sotto i successori, sono dovuti per la maggior parte nou a conquiste ma a ricouquiste di paesì altra volta perduti contro l’ armi nemiche. Tali riconquiste , assai facili per la somiglianza dell’ indole, della lingua , de’ co- stumi fra i russi e gli abitanti de’ paesi medesimi, sono quelle che hanno accresciuta la vera popolazione dell’impero , mentre le conquiste non ne hanvo, sì può dire , accresciuta che la materiale estensione. 107 Tre colonie militari, che si estendono d’oriente in occidente, l’una al mezzogiorno, l’altra al centro, la terza al settentrio- ne dell’impero medesimo, forniranno in 20 0 al più 25 anni, ove siano mantenute secondo la loro primitiva istituzione , 6,000,000 di solilati (5) a cui non sa vedersi cosa potrebbe resistere, ove qualche accidente li rovesciasse sopra l'Europa centrale ’,,. Per buona sorte sembra che oggi in Russia le istituzioni pacifiche debbano prevalere a quelle che si ri- feriscono alla guerra. Le stesse colonie militari, di qualun- que occhio si riguardino, veggonsi istituite ad un doppio sco- po, di poteria cioè e d’incivilimento. Se l’una si accresce col- l’altro , luna vien anche temperata dall’altro ; ed è cosa consolante l’osservare , come a questo principalmente siano diretti gli sforzi del popolo russo e di chi lo governa. Il primo mezzo d’incivilimento è senza dubbio la legi- slazione. Tutti sanno come Caterina, appena ferma sul tro- no, si occupò di quella del suo impero, che Pietro, malgra- do la sua gran mente, avea lasciata sì informe (6). Le istru- zioni per l'assemblea convocata in Mosca, onde provvedere a cosa tanto importante, furono distese da lei medesima, e per indicarne la natura basti rieordare ch'era in esse trasfuso, come dissero alcuni filosofi, lo spirito dello spirito delle leg- gi di Montesquieù, e il trattato dei delitti e delle pene di Beccaria. L’assemblea fu disciolta per diverse cagioni; Ca- terina ne sostenne quasi da sè sola le veci, e meritò che il (5) Già fino da principio, cioè dal 1821 o 22, si componevano all in- circa di 5,000,000 di persone. (6) Fino al cangiamento della dinastia dì Rurick, fondatore dell’ impero, o piuttosto. fino ad Alessi padre di Pietro, la legislazione russa fu come quella di tutti i popoli barbarì. Alessi il primo si accorse che il suo popolo avea d’uvpo di nuove leggi, come avea d'uopo d' industria e d' istruzione: JI co- dice peraltro, ch’ ei pubblicò nel 1649, non era sostanzialmente che la rac- colta .d’ antiche leggi o costumanze fatta compilare dal secondo lvano , il quale morì nel 1584. Pietro, sebbene concepisse 11 pensiero d' una legislazione mi- gliore, stimò che a quest’ unpo basterebbe riordinare e perfezionare il codice paterno , cui intauto mantenne in vigore, aggiugneudovi gran numero di re- golamenti , parte saggi, parte covtradittorii, e quasi tutti dispotici. Caterina sì assunse non solo di dare alla russa legislazione quell’ unità e quel compimen- to che Pietro bramava, ma altresì di stabilirla sopra una base, che quel grand' uomo non conobbe , la publica libertà, 108 gran Federigo, e scrivendole e parlandone, or la cotlocasse fra Licurgo e Solone, or la distinguesse fra quante donne por+ tarono scettro col titolo speciale di legislatrice. Ma che è : mai questo titolo, benchè datole dall’ammirazione d’un gran» d’uomo , in paragone di quello dolcissimo di madre della patria datole dalla nazionale riconoscenza (7) ? Esso ben ci dice più di qualunque ragionamento se fossero giuste ed umane le leggi, onde l’illustre donna compose il suo co- dice (8), e se la Russia cominciasse presto a sentirne i be= nefici effetti. Ma perchè le leggi servano costantemente al loro fine ; perchè sieno la vera espressione de” rapporti dell’ uomo e della società, hanno bisogno d’essere di tempo in tempo rivedute, e adattate ai nuovi bisogni , che nella società medesima si vanno manifestando, Quindi fa istituita, non rammento se da Caterina o da quello de’ successori , in cui può dirsi ch’ ella rivisse, una commissione permanen- te, incaricata di vegliare alla necessaria corrisporidenza delle une e degli altri. Questa commissione, i cui saggi progetti, comunicati nel 105 alle più dotte società d'Europa, le acqui- starono sì giusta stima, avea, qual che ne fosse la causa, da certo tempo rallentate le sue cure. L’imperatore Niccolò, come leggevamo alcuni mesi addietro’ne’publici fogli, l’ha ec- citata a ravvivarle, onde la Russia abbia al più presto un nuovo codice, che i progressi da lei fatti in pochissimi anni rendono indispensabile. Accennava pur dianzi come l’assemblea di Mosca fu di- sciolta per varie cagioni; e giova qui ricordare le principali per lo stretto rapporto che hanno con alcuni de’ successivi atti legislativi. La convocazione di quell’assemblea, esempio unico fino allora nella storia delle monarchie, (9) empiva di (=) Anche a Pietro fu dato il nomedi padre della patria, ma dal suo senato sa« lamente. Il consenso pubblico ton potea dargli che quello di rigeneratore» (8) La prima parte di questo codice fù pubblicata mel 1775; la seconda nel 1780. (9) Pietro, volendo preparare un nuovo codice, non seppe far di meglio ch'eleg+ gere da varii tribunali certo numero di giudici , che riordinassero materialmente le leggi esistenti, astenendosi da ogni interpretazione, massime delle fondamentali ;'e | riferendosi in tutto al senato, che dovea riferire a lui medesimo. Caterina convocò deputati da tutte le provincie , onde esprimessero liberamente innanzi a lei i pub blico voto, Si è scherzato molto sull’ esenzione da certa pena assai ignobile , che 109 belle speranze Î il nobile animo di Caterina. Ma le sue spe- tanze si cangiarono in gravi timori, quand’ ella s’ avvide che le mire dell’assembléa tendevano a far prevalere l’autorità de’nobili sopra l’autorità sovrana, e le sue dispute intorno all’ emancipazione erano causa indiretta di terribili sommosse fra quell’immensa moltitudine, su cui pesava la servità (10). Il gran colpo all’autorità de’ nobili era stato dato da Pie- tro il grande (11), e malgrado quel colpo, malgrado la più decisa risolutezza di carattere (12), egli avea sempre incon- trate in loro le più vive opposizioni alle sue riforme. Ca- terina, forse ancor più per interesse della nazione che per amore di comando , pensò di doversi assicurare contro op- posizioni somiglianti, e abborrendo le vie di fatto sem- pre incerte e tiranniche , fondò a quest’ uopo un nuovo di- ritto (13). Quindi la famosa ordinanza del 1785, in cui ella, 1’ illustre donna loro concedette per rispetto , ove sì desse il caso già s'intende, che dovesse loro toccare per legge. Da questa esenzione (io nol ni-go) alle prerogative dei deputati nazionali, che trovansi oggi in diversi statuti , è una distanza quasi jin- commensurabile. Ma per giudicarne rettamente , bisogna confrontarla alla non esen- . zione dei giudici delegati da Pietro , e alla pena di morte loro minacciata , ove pro- ferissero la propria opinione sulle leggi fondamevtali che si diceva. (10) Alla voce d’ un cosacco , il quale gridava libertà e guerra a’nobili, già era- no insorti più di 100,000 servi ;e 120nobili delle campagne erano caduti vittime del loro furore. (11) Hl primo colpo si può dire che le fu dato da Michele , capo della dinastia di Romanow, che i vobili elessero ancor fanciullo nel 1613, e a cui imposero condizio- ni, che a nessuno degli czari erano mai state imposte, Suo figlio Alessi , reso forte dal corpo degli strelitzi , che Michele avea creato , operò verso i nobili senz’ altri ri- guardi, sprezzando apertamente i loro titoli e i loro privilegi. Fedor , figliuolo d' Alessie fratello maggiore di Pietro , giunse , dicesi , a gettare questi titolr e que- sti privilegi alle fiamme , dichiarando che d' indi in poi non riconoscerebbe altra nobiltà che quella del merito. Malgrado ciò i nobili, e massime i principali , se- guitarono a formare un corpo potente ; ed è noto che le ukasi o decreti sovrani fino al 1701 sempre incominciarono da questa formola : “ il gran signore ha ordinato e i bojardi hanno acconsentito ,,. Pietro non solo cangiò la formola , che ormai era di- wentata ridicola , giacchè î suoi decreti non esprimevano che la sua più assoluta vo- lontà, ma abolì la corte, in cui i bojardi.potevano esercitare un' autorità legale, so- stituendole un senato composto d’ uomini di tutte le condizioni, e preseduto da lui medesimo. (12) La condanna d’ Alessi (suo figlio ed erede presuntivo) pronunciata nel 1718 ebbe forse per fine principale quello di spaventare i nobili, che si erano fatto di lui un appoggio contro il potere del genitore. (13) I nobili e specialmente i bojardi , o l’ alta nobiltà , si opponevano a Pietro tanto più acremente , quanto più si credevano offesi nel loro diritto antico ;, ed egli r10 dividendo i nobili in sei classi, collocò gli antichi nell’ ul- time, e i nuovi, cioè i creati per diploma, nelle prime , diminuendo così la forza morale ai più temibili, e dandola maggiore a quelli che doveano esserle più affezionati. Nè solo diede a questi la maggior forza morale, ma anche la materiale o numerica, poichè le loro classi rimasero aperte a quanti per sapere o per utili azioni si renderebbero de- gni d’entrarvi (14). Nel tempo stesso fece libero e a’ nuovi e agli antichi l'esercizio dell'industria e del commercio , così per accelerare i progressi della nazione, che consisteva quasi tutta nel loro ceto (15), come per impiegare quella li trattava tanto più aspramente quanto più si sentiva leso nella sua ambizione di gloria. Voltaire , scrivendone la storia , non ha forse detto la metà delle sue atroci sevizie ; ma probabilmente non le ignorava, poichè nel dizionario filosofico lo chia- ma tigre-eroe. Senz'essere eroine , le imperatrici Anna ed E}isabetta furono anch'es- se un poco tigri. Chi per altro ne voglia cercare la cagione la troverà forse nel terri- bile contrasto che sempre continuava fra il il potere sovrano e il diritto de’ nobilî da luogo tempo assai male definito. L' incertezza, in cui Pietro il grande lasciò il di- ritto di successione, e a cui non si rimediò stabilmente che sotto Paolo, a me non pare la cagione ma l’ occasione di quelle rivoluzioni di corte , per cui le sue figlie smen- tirono il sesso e si compiacquero nel sangue. In tali rivoluzioni io non veggo che lo spirito aristocratico s risvegliatosi a nuove pretese e a nuove speranze , che a lui sicu- ramente parevano legittime. Di questa persuasione ci bastino in prova le condizioni restrittive dell’ autorità sovrana, e quindi allargatrici di quella de’nobili, imposte ad Anva con tanta sicurezza dall’ assemblea, che nel 1330 la dichiarò imperadrice. I tentativo non ebbe pei nobili che tristi conseguenze; mala voglia di rinnovarlo durò fino a Caterina ; e ciò le si rese manifesto nell’ assemblea di Mosca. Ella considerò bene la sua posizione; vide tutto ciò che un diritto mal definito avea in sè di pe- ricoloso ; trovò nelle sue circostanze i motivi e la facilità di sostituirgliene uno assai più circoscritto ma preciso , e lo fece. (14) Ogni capitano , ogni funzionario pubblico , ogni professore , 0 accade- mico, i quali abbiano grado di capitano , possono diventar nobili, e lo diventano spessissimo, con pieno diritto d’ acquistare signorie cioè terre con vassalli, e di trasmetterle alla propria discendenza. (15) Oggi la cosa è alquauto cangiata. Nel 1806, computava Hermann già sopra citato, i nobili fra ambo i sessi giugnevano a 580,000; i popî o clero secolare, per cui il matrimonio è di dovere, a 400,000; i negozianti a 300, 000; e i cittadini propriamente detti o borghesi ad 1,000,000. Ignoro se nel numero dei nobìli da lui calcolato ei comprendesse quelli, che potea- no trovarsi fra gl’ impiegati della corona e le truppe di terra e di mare. Gli impiegati si faceano da lui ascendere a 120,000 ; e i militari o compo- nenti le truppe ad un altro 1,000,000. Dopo questi ei poneva il numero dei contadini liberi e non liberi , che si è già indicato , e aggiugneva, per for- mare il quadro dell’ iutera popolazione dell’ impero , 2,200,000 cosacchi ; un 1,000,000 di selvaggi; e 210,000 israeliti, a cui credo che si possano aggiun- | | | III parte d’ attività che il cangiato diritto lascierebbe in essi di- soccupata. Infatti, sebbene per l'ordinanza che si è detta fossero tuttavia riguardati quai membri d’ un vero patrizia- to, e quindi fosse loro concesso d’adunarsi ogni tre anni in provinciali assemblee, vennero però così limitati i pri- vilegi di cui in esse potrebbero valersi, che, oltre quello d’ eleggere alcuni magistrati, non ne ottennero altro mag- giore che di mandare deputazioni, onde far rimostranze al potere sovrano (16). A compenso fu loro assicurata la civile libertà, conceduta loro pochi anni innanzi da Pietro terzo, gere ‘3,000,000 di mussulmani. Nell’ aumento generale della popolazione le classi più agiate, com’è naturale, sono pnr quelle che in paragone dell’al- tre banno maggiormente partecipato a tale aumento. Ma avvene una fra esse; che non è tanto cresciuta, quanto ha contribuito ad accrescere le più vicine. Parlo di quella de’ popi, la seconda dell’ impero, ove si guardi al rispetto da cui è circondata, e la terza ove non si guardi che alla sua ric- chezza. Sino all’ epoca, in cui Pietro il grande cangiò il titolo di czar in quello d’imperadore , l’autorità del patriarca era la prima dopo quella dello czar medesimo ; e la ricchezza della classe a lui soggetta era corrispondente a tanta autorità. Il monarca riformatore trasferì questa in un sinodo , o piuttosto in sè medesimo e ne” successori, come osserva Condillac , subordi- mando il sinodo al potere sovrano; ma la ricchezza del clero non la toccò. Pietro terzo concepì il primo l’ idea d’ aggregarne gl’ immensi possedimenti a quelli della corona ; e Caterina l’eseguì. Le vere attribuzioni del sinodo io le ignoro; ma pare ch’esso conosca anche d’altvi affari che gli ecclesiastici, poichè oggi lo vediamo sedere col senato, col supremo consiglio, e co’grandi ufficiali dell’impero nell’alta corte di giustizia radunata in Pietroburgo pei motivi che ognuno sa. La ricchezza del clero, la quale parimenti ignoro se consista in assegni fondiarii o pecuniarii, sicuramente è modesta ; ed ove pure consista în assegni o possedimenti fondiarii , non ha più in sè ombra di feudalità. Che se il potere, dirò così, materiale del clero medesimo s’è per ciò. dimi- muito ; il suo potere morale , nelle campagne specialmente, s’ è di molto accresciuto. Un” altra causa , che ha contribuito ad accrescerlo, si è l’istru- zione , che questa classe va ogni giorno più acquistando , e l’ esempio che porge d’un’ottima educazione. Da essa infatti escono costantemente egregi alunni cosi pel sacerdozio, come pel commercio, la milizia ed altre pro- fessioni ; anzi è stato osservato che oggi i migliori cfficiali di marina sono quasi tutti figliuoli-de’ popi delle campagne» Ho nominato più sopra, in com- pagnia del sinodo, il senato e il sapremo consiglio ; e giova additare in che si distinguano. Il senato, che porta il titolo di dirigente, è il primo per dignità, e a lui debbono i ministri stessi (dal principio del regno d’ Ales- sandro in poi) un annuo rendiconto. Il supremo consiglio fu creato nel 1801 per l'esame preventivo dei decreti; ma pare che dal 1810 si raduni in esso la somma degli affari. (16) Vedi collection des constitutions, chartes et lois fondamentales des peuples de l’ Europe et des deux Ameriques , tome 3. 112 ossia la facoltà di disporre a piacer loro de’propri beni ; di ascriversi o non ascriversi alla milizia, di vivere nell’ im» pero o di viaggiare fra gli stranieri. E già senza questa li- bertà nè l’esercizio dell’industria e del commercio sarebbe loro stato possibilé, nè la loro attività sarebbe stata occu- pata abbastanza. Caterina pensò bene che per trovarsi li- bera con loro, dovevano essi trovarsi liberi con lei. Vo- lendo anche possibilmente che si trovassero contenti, assi» curò loro certe vecchie immunità , non compatibili a dir vero colla civile uguaglianza, ma che nè la prudenza per- metteva nè forse il bisogno esigeva che, fossero toccate (17). Il ceto medio era allora piuttosto, abbozzato che formato , e nessuno può pretendere che la legislazione metta a paro ciò ch’ esiste in realtà e ciò ch’esiste soltanto in isperan- za. Costituito peraltro il ceto de’ nobili, quasi nucleo della nazione , Caterina si volse a costituire anche quello che appena avea nome in suo confronto , ma dovea rapidamente crescergli intorno, ove avesse nelle leggi un fermo sostegno. Ed è notabile come, a quest’ uopo, ella prese in certa ma- niera a modello i vecchi statuti delle città anseatiche , e le convenzioni o costumanze de’ popoli slavi in que’ tempi di perfetta eguaglianza, che precedettero la chiamata di Ru- rick. Perocchè ella divise i cittadini in varie classi, la- sciando però libero il passaggio dalle une alle altre , e as- sicurando loro una reciproca indipendenza, sicchè nessuno vi si trovasse avvilito , e ciascuno anzi fosse animato ad usare della propria abilità , e salire nella scala sociale. E poichè gli uomini tanto meglio trattano le cose private quanto più sono affezionati alla pubblica, ella volle , fra più altri diritti, concedere anche ai cittadini quello d’ adunarsi ogni tre anni in assemblee, non provinciali come quelle de’no- bili, ma comunali, ond’ eleggere alcuni magistrati che ‘li doveano giudicare, e, ciò che forse più importa, l’anziano e il consiglio che li doveano amministrare. Dell’emancipa- zione de’ contadini non credo che sotto il suo regno più si (17) Com’io non mi sono proposto di parlare che de’ soli progressi della Russia nelle vie dell’incivilimento , non sarò accusato d’ infedeltà , se non verrò enumerando anche le sue lentezze o le sue incertezze. 113 facesse parola. Ma ciò che mi prova ch’ella ne sospese, non ne abbandonò il pensiero , si è che permettendo ai primarj cittadini, cioè ai maggiori capitalisti o negozianti , l’acqui- star grado di nobiltà , vietò loro ( nè importa che la sua legge sia spesso stata elusa) il far compra di terre con ser- vi (18). Con ciò ella ebbe per fine egualmente di serbare un gran nùmero di capitali all’industria e al commercio, e di sottrarre una classe avvilita ad un giogo più duro di quello de’ nobili, che l’avrebbe avvilita maggiormente. In- tanto, per meglio preparare questa classe alla vita degli uo- mini liberi, volle ch’essi pure godessero del più prezioso de’ diritti conceduto ai cittadini, e che si crederebbe incom- patibile colla sna servitù. Ciascuno qui si avvede ch’io parlo del diritto d’ adunarsi coi contadini non servi nelle assem- blee di comunità e prender parte alle loro elezioni. L’eser- cizio di questo diritto, senza ch’io lo accenni, fa intendere abbastanza come il senno di Caterina estese egualmente ai più oscuri villaggi e alle più brillanti città il beneficio di un regime itlnivipale! Qualche eccezione, che presenta a tale dieuardo il quadro statistico della Russia, nulla toglie alla generalità d’un fatto, il quale è per sè medesimo uno de’ più grandi pegni d’incivilimento progressivo. Ho detto regime municipale per ispiegarmi approssimativamente, non per indicare un’amministrazione indipendente ove può esserlo da quella dello stato , e liberamente consecrata agli interessi comunali. Tale amministrazione fu una delle glorie d’Ales- sandro , che l’introdusse in una parte de’ suoi dominii par- ticolari, opération, ci diceva il Débats dei 25 gennajo di quest’ anno, sur la quelle M. le duc de Richelieu aimoit à donner des détails remplis d’ intérét, lorsque , sous son mi- nistère , il cherchoit sériusement à briser la centralisation ad- ministrative, pour mettre la France d’ensemble avec la fore me de son gouvernement. Ma tale atto legislativo fu preceduto da un altro, sen- (18) Questi seminobili, numerosi soltanto nella piccola Russia, si chia- mano ivi odnorvorzi. Essi posseggono legalmente delle terre libere ; ed onde possederne con servi si valgono talvolta del nome d’ un nobile , il quali ace consente di fingersene compratore. TT. XXIII. Agosto. 8 114 za di cui avrebbe mancato di vero scopo, giacchè un’ ammi- nistrazione indipendente non è utile che dove esistono in- teressi indipendenti. Nel 1803 il conte Niccolò Romanzow, cancelliere dell’ impero , chiese d’essere autorizzato a dare la libertà a certo numero de’ suoi contadini, e a cedere loro alcune porzioni di terreno, delle quali sarebbero da quel punto e coltivatori e proprietarii. Fatto per sentire il pre- gio di tutte le idee generose, Alessandro arrise lietamente alla richiesta, e con decreto dei 4 marzo concedette non solo a quel signore ma ai nobili tutti la facoltà d’emancipare i propri servi, e di fornir loro terreni, sia a titolo di pro- prietà, sia ad altro, che assicurando loro la sussistenza non lasciasse dubbio il beneficio della libertà. Piccoli effetti , a dir vero, ebbe per quell’ anno e per tutto il seguente l’ esempio del cancelliere e il manifesto desiderio del mo- narca. Quando nel 1805 il rieco Solowoff, ben degno che il suo nome suoni dopo quello di Romanzow ovunque so- no cari e applauditi i benefattori dell'umanità, affrancò ad un tratto 5,000 de’ suoi contadini, cedendo loro de’terreni pel valore d’un milione e mezzo di rubli (19) ch’eglino si obbligherebbero a pagare fra due decennii. Tanta genero- sità fece in tutti la più viva impressione, ma specialmente nei nobili delle provincie del Baltico , i quali concorde- mente si proposero d’imitarla. In Curlandia e in Livonia difatti la cosa procedette sì rapida , che verso la fine del 1818, o sul principio dell’anno seguente, l’intera abolizio» ne della servitù personale potè, senz’altri indugi, essere pro- mulgata. Per essa vennero solennemente dichiarati liberi quanti nascerebbero da quell’istante fra i servi che ancor rimanevano, e a questi fù promessa fra uno spazio di sei anni al più tardolalibertà (20). Nell’Estonia non so che tanto bene (19) Al rublo in argento si dà il valore di quattro franchi all’ incìrca. (20) Quando all’epoca dell’ assemblea di Mosca si corse il pericolo d’una guerra servile, un filosofo disse qu'il fallait apprivoiser les ours avant de briser leurs chaînes, et que des bonnes lois et des lumières devaient précéeder Za Liberté. Per non mancare alla prudenza, sebbene all’epoca della promessa di cui si parla, e le buone leggi fossero precedute, e i lumi già diffusi fra î servi delle due provincie indicate potessero dirsi bastanti, pure si di- stribuirono loro istruzioni opportune, onde prepararli a ben usare di ciò che loro si prometteva. Ì 115 si promettesse con formole egualmente solenni, ma so che si promise col fatto, cioè colle emancipazioni frequenti, on- de i magistrati, che le promossero, ebbero, come quelli delle due provincie indicate, lettere di ringraziamento dal monarca filantropo. Nelle altre parti dell'impero non man- carono sicuramente i magistrati zelanti, ma pare che non riuscisse loro di soddisfare se non mediocremente i voti del monarca, E forse il maggior numero de’ contadini in esse emancipati appartiene a que’suoi particolari dominj, ov’egli introdusse, come accennamino, il miglior sistema munici- pale fin quì conosciuto, Chi sa dire per altro ciò che alfi- ne avrebbe potuto il suo desiderio e il suo esempio, ove negli ultimi anni del viver suo non avesse creduto di ac- celerar meglio per altra via che quella dell’ emancipazio- ne l’incivilimento della classe più avvilita (21)? Fu que- sto un inganno, leggevamo sei o sette mesi fa in un rap- porto officiale della gazzetta di Pietroburgo sopra le colo- nie militari, al cui stabilimento io quì alludo. I/ rows est impossible, era stato scritto in proposito di quelle colonie, de comprendre la civilisation en dehors de la proprietè et de toutes ses consequences ; e il fatto sembra aver provato abbastanza la giustezza dell’osservazione. Ciò che vide Ales- sandro nell’ ultimo e fatale suo viaggio è troppo noto ; e ben può credersi che, nella rettitudine del suo giudizio, ei tornasse più che mai a persuadersi che, al gran fine di for- mare de’cittadini, ei non potea far di meglio che seguitare a promovere l'emancipazione de’ servi. Questa intanto è pur sempre legalmente permessa, e troppo s' ingannerebbe chi la imaginasse sospesa pel severo decreto, pubblicato due mesi fa contro alcuni uomini senza missione, che 1’ anda- vano promettendo generale e vicina. I tumulti nati fra i contadini alla voce di questi promettitori sono la causa unica (21) Nel 1820 egli era ancora accesissimo nel pensiero dell’.emancipazio- ne; ed è noto come fece sopprimere un giornale , ove'da alcuni oscuranti dal cuor di ferro, che mai nou mancano in nessun paese; si'declamava con- tro di essa. Non ho citato più sopra il suo colloquio famoso con mad. Staél in proposito dell’ emancipazione medesima e dell’ ordine legale, ch’ei bra- mava alla propria nazione , poichè tutto il mondo lo sa a memoria, 116 di simile decreto , il quale, mentre tende a prevenirli, non impedisce per nulla ai nobili filantropi un’ opera eminen= temente vantaggiosa alla patria. Canning vuole sicuramente l'emancipazione degli schiavi nelle colonie, ma (com’egli medesimo s'è espresso , non è molto, nell’ inglese parla- mento) la vuole graduata e senza pericoli. Così il succes- sor d’ Alessandro vuol quella de’ contadini del suo impero ; e appunto perchè la vuole (sio interpreto bene lo spirito del suo decreto) condanna l’imprudenza che, facendo na- scere tumulti e quindi timori, potrebbe impedirla o almeno ritardarla. Ma sì degna opera, come ciascun vede, non dipende oggi tanto da lui, che non dipenda troppo maggiormente dalle buone disposizioni de’principali fra quelli che vivono all’om- bra del suo trono. Ei mostra le proprie in quegli atti che dipendono da lui solo, e fra cui giovi ricordarne uno re- centissimo , tutto pieno di quello spirito d’equità e d’uma- nità, che già lodammo nella russa legislazione. Caterina, com'è noto, restrinse nel suo codice a sì rari casi la pena ca- pitale, già ristretta a pochissimi da Elisabetta, che suol dirsi piuttosto ch’essa l’abolì. Come non abolisse realmente quella del marchio, che perpetua la punizione dell’uomo in cui più nulla rimane da punirsi, e sovente lo spinge al delitto condannandolo all’infamia, non è facile congetturarlo. Fu, per avventura, un oblio, o fu un’incoerenza, di cui ella medesima si sarebbe avveduta , se i suoi pensieri d’ingran- dimento e di guerra non l’avessero distratta da’ suoi pen- sieri legislativi. A quest’oblio o a questa incoerenza volle rimediare Alessandro nel 1822, e aggiugnere così una nuo- va armonia al bel codice dell’avola augusta. Un’ altra ar= monia, da lui aggiuntavi nell’anno medesimo, è il suo de- creto per l’addolcimento della sorte de’ prigionieri, a cui s'adopera da più anni in Pietroburgo una società beneme- rita, della quale a suo luogo parleremo , e che fu da lui sommamente favorita. Egual favore essa ottiene sicuramente dal suo successore; e un fatto, non più vecchio d’alcune settimane , a cui io alludeva pur dianzi, me lo fa pensa re. È impossibile che questa società, veramente santa, non IT? sia cara ad un monarca, il quale avendo scoperto, proba- bilmente per suo mezzo, che in una delle carceri dell’im- pero si accresceva con istromenti di sevizie la miseria dei detenuti, ha ordinato che si cerchi diligentemente per tutte le altre se nulla avvenga di somisliante, e minacciato il rigor delle leggi e la pubblica esecrazione a que’ barbari, che ancor si fecessero inventori o adoperatori di stromenti sì iniqui. Avrà fatto quì sopra qualche sorpresa a chi già nol sapeva l’ intendere, che l'abolizione o restrizione della pena capitale in Russia è dovuta primitivamente a quell’Elisabetta , il cni regno fu tutt’ altro che pietoso, benchè il suo carattere per sè stesso non fosse tirannico. Maggiore sorpresa farà a chi nol sappia il sentire che al suo debole nipote Pietro terzo, stato momentaneamente e traseuratissimamente sul trono, sia dovuta l’abolizione di quell’ orribile tribunale , appel lato cancelleria secreta , il cui solo nome empiva di spa- vento i cittadini. Questo tribunale, proscritto una seconda volta da Caterina, la quale ben intendeva com’ esso haste- rebbe solo a render vane tutte le buone leggi , ricomparve sott’ altro nome nel regno di Paolo , che alle leggi della madre sostituì pur troppo i più funesti capricci (22). Ales- sandro , tutto inteso fino dall’aurora del suo regno a risu- scitare queste leggi sì sagge , proscrisse una terza volta un tribunale incompatibile con esse, e ben possiamo credere che lo proscrisse per sempre. Lo spirito pubblico è in Rnus- sia troppo avanzato perchè simile tribunale possa mai più risorgere ; e allo spirito pubblico è concorde la saggezza che si va facendo ereditaria sul trono. Noi ne abbiamo un pegno recente e di tal. genere che mi par degno della più grave considerazione. Un tristo avvenimento, che tutti co- noscono , ha messi in forse i giorni del nuovo monarca nell’atto che stendeva la mano per stringere lo scettro pa- (22) Mi nasce un dubbio che, non avendo sotto gli occhi il codice di Caterina, non posso chiarire. Forse la pena del marchio, di cui sì diceva po- canzi, era stata da lei proscritta , e fu ordinata di nuovo da Paolo. Il pro- getto di codice di quella gran donna racchinde queste formali parole : “tutte Je pene tendenti a sfigurare il corpo umano saranno abolite ,,. 118 terno, e minacciata la tranquillità dell'impero. Quest’av venimento, di cui non meno che gli attori importava co- noscere le cause, ha resa necessaria una commissione spe- ciale per esaminarlo . In altri tempi simile commissione avrebbe forse portato uno di que’nomi, che suonano sì terri- bili fra gli uomini; ed anche non portandolo, difficilmente si sarebbe distinta da que’tribunali, che hanno lasciata nell’isto- ria una traccia sì oscura. Essa invece si presenta alla Russia e all’ Europa in aspetto direi quasi sereno, manifesta sè stessa con una calma che le concilia fiducia, e mentre dice ho esegui- to un dovere, sembra che aggiunga: giudichi il mondo se l’ho eseguito senza snaturarlo. Vedete infatti il suo rapporto, di cui il monarca ha voluto la pubblicazione, prima che dall’alta corte si pronunci una sentenza, quasi chiamando tutti a met- tere le cose, ch’esso racchiude, nelle bilance della giusti- zia. Qual moderazione di linguaggio! Qual distinzione scru- polosa tra le idee e le intenzioni, tra i fatti provati e non provati, tra quelli che hanno in sè medesimi qualche giu- stificazione e quelli che non l’ hanno! Questo rapporto , ch’ io ho letto con tutta l’attenzione che gli era dovuta, è per me uno de’ più gran documenti de? progressi, che durante il regno d’Alessandro ha fatti in Russia la pubblica civil. tà. E un altro documento lo ho nella sua data, posta a confronto di quella dell’ avvenimento , ch’ esso a più ri- guardi ci spiega (23). Quanta celerità nell’ esame di tale avvenimento, ove si consideri il numero degli.attori e la complicazione delle cause! Ora questa celerità, unita alla moderazione e precisione che si diceva, e alla premura mo- (23) La data dell’ avvenimento è il 14 decembre 1825 ; e quella del rap- porto è il 15 maggio 1826. Ne riporterò quì alcune parole d’introduzione che serviranno, più di quanto io possa dire, a mostrarue lo spirito. Lorsque cette commission fut établie , et presqu'à l’instant de la repression des troubles du 14 décembre, vous avez temoigné stne, que ne voulunt suivre que les mouvemens de votre coeur et l'ecemple de vos glorieur ancétres, vous ai- meriez mieur pardonner à dix coupables que de fuire punir un seul inno- cent. C' est d’ après ce principe, cù tant de sagesse s’ unit à tant de ma- gnanimité , que la commission s’ est constamment dirigée dans le cours de ses investigations , sans néanmoins perdre de vue l’obligation qui lui était imposée ete.—V. Rapport de la commission d’enquéte, Saint-Petersbourg, Pi- chat 1826 in 8.9 TIO strata durante l’esame di restituire a quanti potevasi la liber- tà, ci manifesta a qual segno sia oggi rispettata in Russia la prima proprietà dell’uomo, quella di sè medesimo. Che se ne bramiamo un’altra prova luminosa , essa ci vien for- nita da un’ordinanza contemporanea al rapporto , colla quale il monarca ingiunge a tutti i tribunali di spedire al più presto le cause pendenti innanzi a loro, massime quelle che interessano la sicurezza delle persone , dichiarando che quind’ innanzi il suo ministro della giustizia dovrà ogni mese informarlo esattamente della diligenza di quanti seggono sui tribunali medesimi. Altri atti conosciuti del nuovo monarca mostrano che il suo pensiero è rivolto così ai miglioramenti che riguar- dano le cose civili, come a quelli che riguardano le giudi- ziali. I miglioramenti richiesti dalle cose commerciali non sono forse men necessari, e par manifesto ch’ei li prepari. Con decreto del primo novembre dello scorso anno l’ impe- ratore Alessandro avea dichiarato il commercio compatibile colla nobiltà. Simile decreto , come già s’ accennò , fu fatto da Caterina nel 1785, e forse abrogato come più altri dal figlio, poichè al nipote è bisognato di rinnovarlo. Esso ci mostra di quale importanza Alessandro,come Caterina,riguar- dasse il commercio, unico animatore dell'industria , la quale è l’anima degli stati moderni. I pregiudizi nazionali, i bi- sogni urgenti del fisco , altre cause fors’ anco , gli aveano fatto rispettare quel sistema proibitivo , che fu uno degli sbagli di Pietro il grande , a cui nè- il genio di Caterina , nè l’ abilità del suo ministro Potemkin seppero trovar ri- medio (24). Ma il corso delle cose conduce da sè stesso quei cangiamenti, che il genio stesso non che l’abilità si cre- (24) Caterina, come può vedersi nel secondo volume delle memorie di Segnr padre, avea ordinato ai ministri di «onchiudere trattati di coòner- cio con tutte le nazioni; e Potemkin per sua parte era assai ben disposto a soddisfarla. Ma egli trovava in alcuni de’ suoi colleghi, organi in questo dell'opinione generale, una ripugnanza insormontabile. St le principe de la liberté du commerce , rifletteva pocanzi il Globo (nel n.° dei 27 giugno) n’ avait pas été populaire en Angleterre, jamais le ministère anglais n’ aurait osé entreprenmulre lu réforme qu'il a tentée avec un si noble courage. 120 dette impotente ad operare. Sei ponti di ferro costruiti a Pietroburgo fra il 1806 e il 1818; la nuova strada fiancheg- giata da case di guardia, che dalla capitale conduce a Cron- stadt lungo il golfo di Finlandia ; i canali ordinati per con- giungere la Mosca e il Volga, lo Scheksma e la Dwina set: tentrionale , il Niemen e la Weischel attraverso il regno di Polonia; le banche pubbliche aggiunte in tutte le pro- vincie del Baltico a quelle che già esistevano nell’ altre patti dell’impero e fino in Siberia; gli incoraggimenti dati all'agricoltura e all’arti meccaniche , di cui più sotto di- remo, e quel sistema proibitivo erano una vera contradi- zione. Alessandro il sentiva, e ‘il suo successore , il quale si chiama in ogni occasione erede delle sue intenzioni, non ha fatto probabilmente che manifestarle, modificando con decreto dei 19 gennajo di quest’ anno le tariffe delle do- gane, e permettendo l’ introduzione di molte merci straniere che prima erano escluse. Questo decreto, veramente nota- bile, può riguardarsi come un primo passo verso una nuova legislazione commerciale , di cui ogni giorno più si fa evi- dente l’ opportunità. Il canale fra lo Scheksma e la Dwina, che si accennava pur dianzi, è ordinato per mettere in co- municazione diretta il porto d’ Arcangelo e quello di Pie- troburgo , e aprire una nuova strada alle merci indigene verso il Baltico. Ora tale strada sarebbe inutile, se queste merci, come negli ultimi quattro anni specialmente, fossero pochissimo ricercate. Il languore del commercio , onde si scoraggisce l'industria, affliggeva il cuore d’Alessandro ; nè alla sua perspicacia poteva occultarsene la cagione. Ogni merce che si produca (insegna Storch a Pietroburgo come Say a Parigi) è per sè stessa un'offerta e una domanda; ma la domanda non accompagna costantemente l’ offerta che a condizione dì reciproci cambj. Per dar molto bisogna ac- cettar molto; e la libertà è così necessaria al commercio, come il commercio è necessario all’ industria. Da un quadro statistico della Russia, pubblicato nel 1821 0 1822, risulta che il capitale allora impiegato nel commercio si elevava , secondo le dichirazioni de’ negozian- ti, a 319,660,000 rubli, e le fabbriche o manifatture giu- 12I gnevano al numero di 3724. Queste; come ognun sa, erano in passato un privilegio de’ negozianti medesimi 0 de’ no- bili. Alessandro, con decreto dei 28 decembre 1818, non solo autorizzò anche i contadini a stabilirne, ma ve li in- coraggì, esentando per quattro anni da ogni imposta rela- tiva quelli che vi si risolvessero. Con altro decreto dei 26 novembre 1824 egli ordinò una diminuzione della tassa de’ne- gozianti, e fece loro altre liberali concessioni richieste dalle ‘circostanze. I buoni effetti di questi decreti si troveranno esposti, m’imagino , più distesamente che altrove nel nuovo giornale di Pietroburgo , che dal 1809 in poi si pubblica per ordine del ministero dell’interno , e abbraccia, coll’eco- nomia e la tecnologia, le manifatture e il commercio (25). Già fino dai tempi d’Ivano secondo , sembra che il com- mercio attivo de’ russi cogli stranieri tendesse ad allargar- si, poichè gli stati limitrofi ne concepirono gran gelosia, e l’imperatore Sigismondo scrivea ad alcuni di loro che, per non esserne sopraffatti, bisognava troncarlo. I princi- pali elementi di questo commercio non potevano essere al- lora nè i prodotti delle manifatture nè quelli dell’ agricol- tura, che vedremo a suo luogo quanto sia oggi incoraggi- ta. I mercati di Kiakta e di Nijoni-Novogorod, celebri so- pra gli altri per le pelliccie della Siberia e il tè della Cina che sempre vi abbondano, sono forse uno specchio del commercio passato (26). Nè oggi pure, se togli i cereali, (25) Uno de’ numeri più recenti di questo giornale racchiudeva un rag- guaglio, il quale mostra come il governo russo intenda bene gl’interessì della nazione. Dal 1822 al 1826, cioè nello spazio di soli quattro anni, il tributo totale è stato gradatamente diminuito di 168,000,000 di rubli. Ecco una som- ma immensa lasciata ai privati per la ferma persuasione che il suo impiego non può ridondare che a vantaggio pubblico. (26) Se non per le identiche specie di merci, almeno pel genere. La Siberia, . scoperta a caso dal cosacco Jermak negli altimi anni d’Ivano, forse non sommi- nistrò pelliccie alcommercio della Russia che sotto Fedor suo figlio, poi che fu, e non interamente, assoggettata. Che la Cina da epoca rimota gli sommini- strasse il suo tè sembra più probabile, avendosi memoria che sulla fine del secolo ottavo quest’ erba fu, per decreto dell’imperatore di Pekino, gravata « d’un’ imposta; segno che già era divenuta oggetto dì ricerche e di lu- cero. Solo mi tien dubbio il sapere che gli inglesi, cioè quelli che dopo i russi ne fanno maggior uso in Europa, non la conobbero che oltre la metà del secolo decimosettimo. 122 può la Russia dar molto che attesti la sua industria. Ma i prodotti spontanei del suolo , quelli specialmente delle miniere, quelli della pesca e della caccia , e quelli, che trae del suo commercio coll’Asia, possono, ov'ella il voglia, mantenere assai vivo il suo commercio coll’Europa. De’pro- dotti della sua industria non so che, oltre le tele edi cuoj, ab- biano per ora qualche fama se non i suoi nankini di Vitchou- ga, i quali per altro non le saranno cercati dai cinesi niente più che dai francesi i suoi lavori di seta, o dagli inglesi i suoi lavori di lana. Consistono questi ultimi principalmente in panni ordinarii; ‘e come la loro fabbricazione fù molto ani- mata dal principio del secolo in poi, avvenne che fra po- co la loro abbondanza eccedesse il bisogno, mentre si fa- ceva ognor più sentire la mancanza d’altri più fini. Quindi nel 1809 il governo stabili a Mosca una fabbrica o piut- tosto una scuola ove s’apprendesse a fabbricarne anche di questa specie , sicchè cessasse o si diminuisse il desiderio «di panni stranieri (27). Ciò che tale scuola abbia prodotto nol so, ma noto volentieri la sua esistenza come pegno di progresso industriale. Nessun giornale , ch’îo conosca, ci tiene esattamente informati de’ritrovamenti de’ meccanici più propri ad ac. celerare in Russia questo progresso ; ma i ritrovamenti si possono supporre, poichè i ineccanici non mancano. A pro- posito della fabbrica o scuola nominata pur dianzi, la ri= vista enciclopedica ci rammentava Heiter, celebratissimo fra quei meccanici e membro del consiglio delle manifattu- re, sotto la cui direzione quelia scuola era stata posta. UI- (27) Dal giorno che Pietro il grande fece venire di Slesia e di Sassonia tante greggie e tanti pastori, la Russia non deve mancare di buone lane. Ma, per fabbricare panni simili a quelli d’ Inghilterra e di Francia, glie- ne bisoguano pur altre, ch'io ignoro se le siano ancor fornite, almeno in bastante quantità , dalle razze incrociate, che due ginevrini introdussero un pezzo fa ne’ contorni d’ Odessa ed oggi si estendono anche in Crimea. Colle razze pecorine sembra che si vadano perfezionando, forse nella Crimea me- desima, anche le caprine , poichè sento parlare di scialli fabbricati in Rus- sia sul gusto di quelli di Cachemir. Non lungi dalla Crimea, fra i cosaccht del Don, si allevano eccellenti razze di cavalli, alcuni de’ quali (ci dicea pocanzi un giornale, marrandoci una clamorosa disfida del famoso Platoff) vincono al corso 1 migliori d’ Inghilterra. | 123 timamente ci parlava di Bidebard, nativo per vero dire di Lione, ma vissuto lungamente a Pietroburgo e ivi morto nel 1824, lodandone varie utili invenzioni , e fra l’altre un suo metodo novello di rimorchiare le navi. L'arte di governare e costruire queste macchine , così necessarie al commercio come alla guerra , si è perfezionata in Russia così presto come la militare ; e ciascuno sa per quale sti- molo potente. Allorchè la russa gioventù vide Pietro, già imperadore , portare lo schioppo sotto il ginevrino Le Fort, e tirare il cannone sotto lo strasburghese Timermann, si volse con impeto unanime agli esescizi europei, che nes- suna legge avria potuto renderle graditi. Allorchè , dopo’ la conquista d’Azow, dovuta principalmente ad ingegneri e costruttori esteri di navi, Fietro andò a Sardam a ma» neggiare egli stesso fra’ legnaioli la squadra e le seste , più non mancarono al suo impero uomini che volessero appren- dere a maneggiarle. Così Caterina, fidandosi nel potere dell’esempio sovrano, perchè il suo popolo si assoggettasse prontamente all’inoculazione del vaiolo, ella per la prima vi sì assoggettò (28). L’ingegno de’ russi per l’ arti meccaniche sembra na- turalmente assai ben disposto. Le famose cataratte di Wi- schney-Wolotschok (punto il più elevato di quel vasto territorio che stendesi dal Baltico all’ Eusino ) destinate a ritenere l’acque di varj fiumi, e distribuirie a comodo del- l’ interna navigazione , furono, vivente ancora Pietro il grande , l’opera d’un semplice crntadino., chiamato Sur- tikoff, il quale mai non avea veduto fuor di paese nè stu- diato ne’ libri opere somiglianti (29). Voi conoscete o let- (28) Nel 1689 Pietro entrato in un magazzino trovò a caso una scialup- pa i:iglese mezzo scomposta , di cui non avrebbe saputo nominare una sola parte. Fu chiamato per ricomporla e spiegargliene la costruzione un vecchio pilota olandese, già impiegato sotto Alessi e poi dimenticato. Il giovane mo- narca lo guardò e lo ascoltò ben attentamente , e si propose da quel punto di divenive egli medesimo il primo pilota delsuo impero. Alla presa d’Azow, infatti , cioè nel 1695, dirigeva egli stesso due navi da guerta. Dopo il viaggio d’ Olanda e d’ Inghilterra , cioè nel 1698 , poteva inseguare a chiun- que a costruirne. (29) Dopo la morte di Pietro queste cataratte , per le quali la città che porta il suo nome comunica direttamente con Astrakan, furono un poco 124 tore quella fabbrica di vetri sì brillanti e sì varj, che diede già tanto nome ad un’isoletta dell’Adriatico. Ebbene una simile fabbrica sorse a Pietroburgo quasi per incanto verso la fine del regno d’Elisabetta, e 1’ autore di questa specie d’ incanto fu un poeta, di cui poi ricorderemo altre me- raviglie. Voi avete veduto, giacchè si parla di vetri e del- l'Adriatico , i giganteschi mosaici fitti di tal materia nel maggior tempio della città regina di questo mare. Ebbene esistono a Pietroburgo mosaici più belli e poco meno gi- ganteschi ( rappresentano le gesta di Pietro il grande) fatti da russi artefici pressochè inesperti sotto la direzione del poeta medesimo, il quale inventò a quest’ uopo macchine di prodigiosa struttura. Nella prima adunanza, tenuta dalla società d’ economia rurale di Mosca nel 1824, fu recata una lettera del principe Gagarine , il quale dicea d'aver pre- sentata alla società parigina d’ agricoltura la nuova mae- china di Sherbakoff per battere il grano , e accertava che fu molto applaudita. Ora non crediate che questo Sherba- koff sia un professore di meccanica in qualche università: egli è semplicemente un onesto mercante. È uscita l’anno scorso alle stampe una memoria di Souvorof, la quale ha per titoio : arte di spalmare le reti de’ pescatori. Ora che credete che sia quest’ arte? Un ritrovato accademico, un’ in- venzione ‘della chimica? È l’arte usata sul lago Seliger dai pescatori nominatissimi d’Ostachkof. Dopo quello peraltro che s’è accennato più sopra, nes- suno s’ imagina che l’ arti sieno in Russia abbandonate al caso e scompagnate dalle scienze. Leggeva in uno degli ul- trasandate, ma Caterina le ristorò. Pietro, i cui progetti idraulici doveano corrispondere in grandezza a tutti gli altri, avea concepito quello d’ aprire una communicazione fra la sua capitale e la Persia pel Caspio, il Volga e il lago di Novogorod; nè altro mancò all’esecuzione fuorchè l’abilità de- gl’ ingegneri. Caterina, sua emulatrice , progettò d’ aprire canali, che unis- sero un giorno il Caspio al mar Nero, e questo al Baltico pel Nieper o Bori- stene , che si farebbe communicare colla Dwina ; ma forse mancò a lei me- desima chi fosse capace d' eseguire il suo pensiero. Oggi però siamo, vicini a vederlo in parte effettuato. Nel 1824 Alessandro autorizzò una compagnia d’ azionarii, a capo de’ quali è il principe Gagarine , ad aprire communi- cazioni fra il mar Nero ed il Baltico per mezzo di canali derivati dal Nie- per e dal Niemen ; e so che l’ opera s’avanza con molta celerità. È { i | [ 125 timi numeri del bullettino universale di Ferussac una nota estratta dal conservatore di Somof, ove dicesi, in propo-. sito del bullettino medesimo, che i francesi da qualche tempo rendono ai russi quella giustizia che non rendevano, per ciò che riguarda i loro studj scientifici e le loro sco- perte. Ciò vuol dire semplicemente che oggi i francesi, in grazia de’ giornali che sono i telegrafi del mondo intellet- tuale , e d’altri mezzi di comunicazione , li conoscono as- sai più che non li conoscevano. Ora conosciuti dai fran- cesi , lo sono di necessità da tutti i popoli, poi ch’ è toc- cato alla Francia questo privilegio veramente invidiabile di propagare coi lumi, ch’escono dal suo seno , i lumi e le notizie ch’ essa raccoglie dall’ altre parti del mondo. Varie delle sue opere periodiche servono partitamente a tale sco- po ; nessuna , come si disse, vi serve più compitamente della rivista enciclopedica, a cui dovrò quind’ innanzi ri- ferirmi quasi ad ogni linea. Per accorgerci con che fervore oggi le scienze si coltivino dai russi, basta l’enumerazione ch? essa ci fa degli articoli di varj giornali , e specialmente dell’ indicatore di Schtéglof e del nuovo magazzino di Dvi- gonbsky. Com’io avrò a parlare di questi e d’ altri gior- nali, non che delle accademie , de’ varj istituti scientifici e letterarj (30) e degli scrittori d’ ogni genere che onorano la Russia , rimetto a tale occasione le prove di quel fer- vore che si accennava pur dianzi. Intanto non dissimulo che, promettendo prove di fervore, non prometto prove ma spe- ranze di grandi successi (31). Il direttore dell’ università di Kasan (Magnitsky) propose nel 1824 che i giovani di più raro ingegno, compiti i corsi della medesima università, fos- (30) Ove parlerò degli scrittori e delle loro opere, dirò pure qualche cosa delle stamperie e delle fonderie di caratteri, che in grazia loro si sono moltiplicate , e di cui avrei forse dovuto far cenno ove parlo d’ industria e d’arli meccaniche. Così ove parlerò di studii militari farò pure qualche pa- lora delle fonderie di cannoni e delle fabbriche d'armi, che vi sono relative. (31) La rivista enciclopedica in una memoria sui lavori dell’accademia delle scienze di Pietroburgo , che leggesi nel tomo 26, sembra aver voluto far intendere che le scienze in Russia non sono ancora veramente nazionali. 1 ragguaglì però , ch’ essa medesima ci furnisce ne’ volumi seguenti, modi- ficano assai Questa sentenza.' 126 sero inviati all’ estero , onde approfondirsi nelle scienze diverse e specialmente nella chimica, la quale non-è in Russia ancor progredita quanto si bramerebbe ; e intanto alcuni professori viaggiasser» pei primi, onde stringer rela- zioni cogli uomini più dotti e gli istituti scientifici più ri- nomati di Germania , d’ Inghilterra e di Francia, Simili proposte è probabile che siano a quest’ ora state fatte da altre università, e che si trovino i mezzi di mandarle ad effetto, Molto, come vedremo, è disposto a fare il gover- no ; e molto sono pur disposti a fare i privati, 0 mossi tutti da vero amore di patria, o mossi in parte dalla più nobile delle ambizioni. Il loro esempio , spero, non sarà ineffi- cace in que” paesi, ove da molti non pare che si vanti un’an- tica civiltà, se non per coprire un’indifferenza moderna, che, qualora non si vinca , potrebbe riuscire fatale. Fra tante nazioni, che progrediscono, un’antica civiltà, che non si avanza, diventa presto ùna nuova barbarie. Parlando qui sopra di scienze, non ho avuto il pensiero che alle esatte e naturali, considerate specialmente ne’lor rapporti coll’ arti meccaniche. Ove si accenneranno alcuni particolari degli studii che ne fanno i russi, verranno esse considerate egualmente ne’lor rapporti con altre arti o nelle loro applicazioni ad altre scienze, fra cui per la sua im- portanza parmi di dover dare il primo luogo a quella che riguarda la cura dell’umana salute. Di essa basti dire per ora, che i progressi da lei fatti in Russia sono stati creduti soggetto degno di particolare istoria al pari di quelli del- l’amena letteratura. Il che forse poco mi moverebbe, se tale storia non fosse scritta da un uomo, a cui i progressi me- diocri doveano parere indifferenti, essendo egli fatto per pro- moverne de’ grandi, il celebre Ritcher, professore nell’ ac- cademia medico-chirurgica di Mosca, ov’è morto già saran- no tre anni. Ma le scienze, che più attestano l’ incivilimento d’un popolo, sono le morali e le politiche. Vedremo a suo luogo ciò che fino ad oggi s'è fatto in Russia e per l’une e per l’ altre. Fra esse le più costantemente incoraggite sembra- no le economiche, i cui pratici risultati sono sì preziosi per 127 una società che si avanza. Abbiamo più sopra nominato Stor- ch, che tutta Europa coniosce. Egli è in Russia il rappre- sentante di tali scienze, come Say lo è in Francia. Non credo che l'uno sia così ben riuscito come 1’ altro a ren- dere popolare nel proprio paese la scuola di Smith (la scuola che colloca nell’industria la sorgente della ricchezza, e nella libertà la vita dell’industria e del commercio ch’ essa crea); ma se non è riuscito fin quì a renderla popolare, ha però gettati i fondamenti della sua futura popolarità. Quando avrò occasione di nominare le sue opere , nominerò pure quelle d’alcuni altri, ch'io non so dire quanto gli si acco- stino per merito, ma che so atcostarsegli pei principii, Que- sti principii li credo ormai comuni a quanti compongono le varie società, che si occupano d’ economia, e la cui utilità fù in diverse occasioni assai commendata dal governo. La più antica di tali società, quella di Pietroburgo , ottenne anzi da Alessandro pegni di particolar favore. Di che occhio que- sto monarca riguardasse le scienze economiche noi dobbia- mo saperlo, ricordandoci, come di cosa onorevolissima al- l’Italia, ch'egli fece già chiedere al nostro Gioja cento o du- gento esemplari del suo prospetto di tali scienze, rimune- randolo con larghezza corrispondente alla propria dignità. Il suo successore, appena salito al trono, benchè le note agi- tazioni della sua capitale dovessero distrarlo dal pensiero delle scienze, ebbe cura d’assegnare alla società pocanzi no- minata 10,000 rubli per le spese annue, dichiarando in una lettera che a quest'occasione le indirizzò ‘° il suo invaria- bile desiderio d’ animare tutte le istituzioni , che possono contribuire alla prosperità dello stato ,,. Contemporaneo a quest’atto di munificenza è l’altro , con cui egli aggiunse 5000 rubli ad altrettanti già assegnati dal suo augusto fratello alla società d’incoraggimento del- l’ arti belle , oggimai coltivate in Russia così bene come l’ arti più necessarie. Io leggeva tempo fa, credo nel set- timo numero della rivista britannica, la relazione d’un viag- giatore, il qual dice francamènte che Pietroburgo, massi- me veduta nella buona stagione, è la più bella città del mondo. Queste parole sono così lusinghiere pei russi come 128 per gl’italiani, che tosto pronunciano il nome dell’ archi- tetto Querenghi, a cui quella capitale deve tanti e sì ma- gnifici abbellimenti. I russi hanno ben approfittato della sua scuola, e basterebbe additarne in prova il nnovo teatro di Mosca (il più ammirabile forse di quanti ne esistano, se non c’ ingannano le descrizioni) opera dell’architetto Mikhaîlof, professore nell’ accademia di Pietroburgo. È noto come l’an- tica città degli czari, la città che i russi chiamano sacra , sia in pochissimo tempo, per le cure specialmente del be- nemerito principe di Galitzin , risorta più bella delle sue rovine. L’eccelso Kremlin, il cui nome sembra destinato a dominare i secoli, poichè ivi fu decisa la sorte di chi parea vicino a divenire il dominatore del mondo, ha per mano de’ russi ripigliate le forme, che gli aveano date ar tempo alcuvi architetti italiani. Gli altri grandi edifizii, che a va- rie distanze circondano l’altezza ov’esso è collocato, hanno pur rivestita per mano de’ russi medesimi la loro elegan= za europea o la loro asiatica maestà. Frammezzo ad essi in- tanto sorgono agiate abitazioni ove prima non erano che spazii deserti o miserabili tuguri. Le acque, prima disperse, or corrono ristrette in utili canali, e dove prima formava- no paludi insalubri or trovansi commodi passeggi e piace- voli giardini. Così Mosca, per la sua parte antica abilmen- te restaurata, forma ancora cor Pietroburgo un mirabile con- trasto, mentre nella sua parte moderna gli si va ogni gior- no più rassomigliando. La fama ha già molto parlato di quel tempio solenne, che attesterà tra poco tutto il potere dell’ar- ti russe, anzi lo attesta fin d’ora, sulla piazza d’Isaac di questa nuova capitale dell’ impero. Le colonne di granito destinate al vestibolo (e ciò basti per farci imaginare la grandezza di tutta l’opera) sono, dicesi, le più elevate che si conoscano dopo quella d’Alessandria , detta comunemente di Pompeo. Nella vecchia capitale intanto ci si presenta uno spettacolo , che non è forse meno sorprendente. Il principe Labanof, di cui debb’essere straordinaria la ricchezza, ma certo è più straordinaria la magnificenza , fa ivi costruire un palazzo di ferro fuso , adorno di quarantadue colonne anch’ esse altissime; cosa di cui non so che veggasi la so- nt = O TT Tn TTT Sr One Peron | EF, È ee 129 migliante in Inghilterra, e di cui l’antica Roma potrebbe mostrarsi invidiosa. Dopo tali meraviglie è inutile parlare d’altri edifici, che debbono sembrare comuni. Ma in propo- sito ‘d’architettura , non posso tacere di due sforzi relativi ad un'arte, che spesso le si associa , e anch'essa merita il nome di bella, cioè l’arte de’ giardini. Come il clima del settentrione sia contrario a quest'arte, la quale perciò è ivi più preziosa che altrove , appena è uopo accennarlo. Ma che non può l’arte aiutata dalla scienza? Il conte Zubow avea già da più anvi introdotte a Pietroburgo delle fosse a va- pore , che favorissero la vegetazione a dispetto del clima. Il dottor’ Fischer le ha introdotte di recente a Mosca nel giardino botanico di Zorinski, facendole servire insieme a grande abbellimento e a grande utilità, In tutte le parti del russo impero, come potremo ac- corgerci ove si parlerà d’istituti scientifici o d’altri (32), l’architettura ha belle occasioni d’ esercitarsi; in alcune le ha non solo belle ma incessanti. Chi ignora come quell’Odes- sa, ove nel 1792 non vedeasi che qualche misera capanna, sia divenuta e vada ogni giorno più diventando ampia ed. elegante città (33)? Poi ch’essa peraltro è abitata special- (32) Per esempio d’islituti di carità, con cui s’identificano spesso quel- lî d'istruzione. Volendo possibilmente schivare di ripetermi, ho pensato di non farne parola che. più tardo ove appunto il discorso dell’ istruzione me ne dia opportunità. Fra tanta varietà di cose, che debbo accenuare , non potendo nè formarmi anticipatamente un piano preciso, nè tornar dopo sul mio lavoro , veggo bene che a molte non avrò dato il luogo che loro conveniva, ma quello che per sorte mi rimaneva. I lettori, che sapranno investirsi delle mie difficoltà, saranno, spero, a questo riguardo abba stanza indulgenti. (33) Ciò che a questo ed altri riguardi essa debba al buon duca di Ri- chelieu non è parimenti chi lo ignori. La sua riconoscenza gli ha perciò de- cretato un monumento , ch'è ormai vicino a sorgere, e non sarà l’ ultimo fra’ suoi ornamenti. I giurnali ci avvisavano pocanzi che una nave a vapore Vi avea condotti i marmi destinati al gran piedestallo del monumento mede- simo. Questa notizia ha una doppia importanza; giacchè , oltre ciò che ri- guarda il monumento , di cui si parla, ci fa intendere che anche il mar Nero comincia ad essere percorso da quelle navi, la cui invenzione sembra avere tolte affatto le distanze che separano gli uomini sulla superficie del globo, e affrettato il giorno della fratellanza universale. Una di esse, ci di- ceva alcuni mesi addietro l’Edinburgh Philosophical, percorre da qualche tempo il golfo di Finlandia fra le capitali della Russia e della Svezia ;' e questo fatto non è indegno d’ essere notato. T. XXIII. Agosto. 9 130 1 mente, da stranieri , fra cni non pochi, italiani, io;non oserei dire che 1’ arte de’russi abbia il. vanto principale della sua . edificazione. Ben 1’ avrà probabilmente, nell’edificazione di Nogaisk, le cui fondamenta furono gettate, fino dal 1822 in. riva all’ Abotyena (34) che farà a lei tributario il mare d’Azow, come il Dniester fa. tributario ad Odessa il. mar, Nero, Il nome di questa città, così celebre all’intorno pe’suoi bagni come.lo è tra noi pel suo commercio de’ grani, mi fa pensare, ai, nuovi bagni, di Lisianska nel governo di Kiow, elegantissimi fra i più eleganti, e vero fiore, per ciò che, nar- rasi, della russa architettura. Credo che, vedendoli,. chiun= que indovinerebbe che furono fatti edificare da una dama ;; la principessa Giuseppina Jablonowska; , di cui anche por- tano il nome. Così chi vegga la piccola Homeln nel governo, di Mohilof, s’accorge ch’è fatta edificare da un grande e il- luminato filantropo, il; conte Michele Romanzow , che, non le ha dato il proprio nome, mail cui nome non è ivi profe- rito meno spesso, ed oggi sicuramente non senza lacrime (35): Parlerò altrove di quell’istituto di carità e d’ istruzione , ch’è il vero palazzo reale della sua città. Qui dirò soltanto delle particolari abitazioni, graziose nella loro semplicità, e fatte per ispirare il gusto dell’ordine e della pulitezza agli uomini industriosi che le abitano, Fra esse nulla di son- tuoso fuorchè tre tempi, uno pei greci, l’altro pei cattolici e. il terzo per gli israeliti, inalzati contemporaneamente nel 1815, quasi pegno di civile eguaglianza, e vincolo novello di fratellanza comune. Quell’ antica saggezza , che voleva (34) Da quell’ anno al 1840 è fatto esente d’ogn’imposta chiunque vi si vada a stabilire. loda (35) Obliai d’ accennare quanto debbano al cancelliere, suo maggior fra- tello , gli stabilimenti russi sul mar Nero e specialmente Odessa, di cui pocanzi si favellava. Egli vive tuttavia benchè vecchissimo (il suo nome, co- me tutti sanno, brilla ne’ fasti militari del regno di Caterina) e ogni amico del bene desidera che si prolunghino i suoi giorni preziosi. Così vivesse J7al- tro di cui qui si parla, il fondatore d’ Homeln, che divideva con lui.il più generoso patriottismo, e l’amore di quanto è utile e bello! Ma il 27 gen- najo di quest’ anno la Russia lo ha sventuratamente perduto, e. ne sarà a lungo dolente. I nomi di questi due uomini insigni si presenteranno . spesso in questo nostro scritto, poichè la storia de’progressi della loro nazione nella carriera dell’ incivilimento ce li ricorda ad ogni istante. 131 eminenti fra i privati edifizii publici,e fra i publici ancor più eminenti quelli destinati a sollevare i pensieri dell’uo- mo sino al trono della Divinità, pare che presieda in singolar ‘maniera , se i ragguagli che leggo non m?illudono, all’or- dine odierno della russa architettura. Dissi più sopra ch’essa ha in tutte le parti dell’ impero belle occasioni d’ eserci- tarsi, e in alcune le ha incessanti, Avrei forse detto me- glio che in alcune le ha in maggior numero che in altre, ma incessanti le ha quasi in ciascuna; tanto è l’ ardore con cui la Russia cerca oggi di rinnovare il proprio aspetto , simboleggiando in certo modo il suo morale rinnovamento. Nelle parti più inospite e lontane, come ‘nelle più popolate ed interne, quest’ardore si manifesta quasi egualmente (36). Il giornale di Pietroburgo dei 6 luglio di quest'anno, rac- contandoci quanto l’ ultima state fu propizia all’agricoltura del glaciale Kamtscatka, ci descrive i lavori architettonici, ch’ivi in quella stagione s' intrapresero, parecchi ponti cioè d’ egual bellezza che solidità, e un nuovo tempio, ove gli uomini, che veggono sorgersi intorno una nuova natura , possano offerirne le primizie a chi diéde'loro animo e in- tendimento per operare questo prodigio. Dopo ciò mi fece gran piacere ma non grande meraviglia ciò che il giornale medesimo aggiugnea di Simferopol , ingrandita ed abbellita d’ un’ gran numero d’ edifizi, fra cui distinguonsi la nuova cattedrale, il palazzo di giustizia e il maggior ospedale; ri- creata da un publico giardino lungo le rive del Salguir ; e aperta a nuovo commercio per mezzo di Alouckta, villag- gio tartaro, ove si è fabbricata la prima casa di posta, che siasi veduta lungo la costa meridionale della Crimea. E questa ‘e' molte case della città, che ‘si dicea pur dianzi , sono costruite secondo il gusto orientale , onde formano un' singolare contrasto ‘coll’ altre costruite secondo 1’ uso (36) Ci sono certi fatti, i quali servono gli uni e gli altri d’ indizio infallibile , come ci sono certe idee , che servono le une alle altre di chia- | mata.sicura. Nel 1823 una casa inglese uttenne an privilegio di diec” anni per illuminare a gas tutta la Russia. È impossibile pensare a simile illumi- nazione, senza imiaginarsi una Russia tutta ben edificata , e dirò così tutta nuova, come il genere d’ illuminazione che le si prepara. 132 europeo. E il governo ha gran cura, notava il giornale, a cui mi riporto, che se vi sono in qualche luogo edifici rag- «nardevoli, che ricordino l’ architettura dell’Asia, siano as- sicurati contro la mano dell’uomo o rivendicati dalle ingiu- rie del tempo. Quindi fa oggi restaurare diligentissimamente a Baktchisarai l’antico palazzo dei kani della Crimea, uno dle? più insigni monumenti di tale architettura. Quest’opera uiente forse più agevole, che il sarebbe fra noi la restau- razione d’un teatro o d’un tempio della rovesciata Velleja o, deli’ ingojata Pompeia, è affidata all’ architetto Elson, ci’ j0 non s0 dire se sia russo o straniero. Avrei voluto poter nominare gli architetti impiegati nell’altre opere più nota= bili indicate qui sopra, ma non m'è riuscito di scoprirli. l'orse quello del tempio d’ Isaac, la piu insigne di tali ope- xe, € il celebre Silan (russo veramente, poichè affrancato el gen. Ismailof) del quale ho letto che nel 1822 presentò ad Alessandro un modello d’altro tempio, ove il gotico e il greco erano felicissimamente contemperati. Se questo modello è qual si vanta, non ci sarebbe male che fosse veduto nelle nostre classiche accademie, ov’ io godo sicuramente che il gusto greco sia in tanto onore, ma ove non mi dorrei se rinascesse un poco di quello spirito che faceva già sì arditi i Brunelleschi e gli Orcagna, Ai nomi di due architetti eccellenti, Silan cioè e Mi- kailoff già sopra lodato , aggiugniamo quelli di due eccel- enti scultori, i soli che fin quì mi siano giunti all’orecchio, ira i. molti che forse in Russia si pronunciano con onore. Dal tempo, in cui Caterina faceva erigere da Falconnet la stitua famosa di Pietro il grande sul masso non meno famoso trasportato dal Carburi, a quello in cui Alessandro ha fatto erigere la colonna trionfale di Pultawa , i progressi de’russi anche nell’ arte dello scalpello debbono sembrare meravi- gliosi. Ignoro se questa colonna sia sormontata da alcuna statua o adorna d’aleun fregio scolpito ; ma ciò sembra as- sai probabile. Non sembra però che sia stata adoperata in- ‘orno ad essa la mano dei due artisti che sono per dire, Lan- uitz cioè ‘e Orlovski, l'uno distinto nella statuaria e l’altro più specialmente nel basso rilievo. Orlovski (affrancato del 133 prin. Chalikof ) è allievo insieme degli italiani e d’un cele- berrimo straniero (ciascuno indovina ch'io parlo di Totwal- dsen) in cui l’Italia si gloria come in uno de’ più prediletti fra’ suoi figli adottivi. Lannitz (che studiò sul Tevere come Orlovski) non ebbe alcun maestro nato altrove che sotto il nostro cielo ; e credo che ciò apparirà dalle sue opere. Chi sa infatti che non ci tocchi presto la dolcezza d’udire che nelle statue di Koutousof e di Barclay di T'olly, ordi- nategli al suo ritorno da Roma, spira il magistero di quel Canova, che noi adoriamo? Ne’ paesi da lungo tempo inciviliti accade talvolta che un’arte bella sia in fiore, e un’altra, che pur crebbe al suo fian - co, nol sia. Ne’ paesi , ove l’incivilimento è ancor nuovo, le arti si trovano quasi tutte al medesimo punto. La ragione di questo fatto , come ognuno intende, si è che negli uni la sorte dell’arti è affidata al genio individuale ; negli al. tri al genio nazionale, che tende contemporaneamente ail ogni specie di progressi. Ciò vediamo oggi in Russia, ove se l’arte di scolpire è così bene coltivata come quella di edificare ; l’ arte del dipingere non lo è meno bene d’am- bidue. Certo i cultori di quest’ arte non possono essere in gran numero ove non sono ancora in gran numero i rac- coglitori delle sue produzioni. Lasciamo stare la famiglia imperiale, che possede quadri di primo ordine , come pos- sede altri oggetti d’arte procuratisi a grande spesa da va- rie nazioni e dall’Italia specialmente (37). Più famiglie pri- vate penso bene che posseggano anch’esse qualche bel qua- dro, specialmente moderno , come alcune posseggono pet sorte qualche statua di Canova (38). Le raccolte copiose, (37) Pietro non favorì molto le arti belle , poichè il suo buon senso glì additava che dovea cominciare dal promovere le necessarie. Pure spese 1. sori in quelli che si chiamano oggetti d’ arte, e fu nobilmente emulato «li successori. (38) Nominai più sopra il gruppo d’ Amore e Psiche giacenti ordin. | dal principe Youssouppow. Fu esso , io credo , la prima opera del Cano che sì vedesse in Russia, ove giunse nel 1796. L’auno seguente vi giunse pu un bell'Amorino coll’ ali, ordinato dal principe stesso. Ma l’Amoree VA: rino rimasero senza compagnia fino alla grand’epoca , in cui la Russia, le cagioni che tutti sanno, adottò più che mai i gusti e le idee del rivi» 134 che indicano e nutrono una viva passione per la pittura , sembra che in Russia siano ancora assai rare. Si addita in-. fatti, qual meraviglia , la galleria di casa Ropp a ,Mittau, in Curlandia ; e quella del palazzo Tatistchef a Vitchouga , che già nominai pe’ suoi nankini, e di cui obliai d’aggiun- gnere che si visita la chiesa come un bel monumento d'ar- chitettura. Non so: ove siano stati collocati i quadretti del paesista Miville rappresentanti le più belle vedute dell’Ita- lia; della Svizzera, della Finlandia, della Crimea e del Carni , i quali formano per sè stessi una collezioncella preziosa, e furono già esposti, se ben mi ricordo, a Pietro- burgo. Questi quadretti avrebbero dovnto far nascere fra i russi de’ paesisti ( ove ne esistano, confesso di non aver- ne notizia) avvertendoli che la natura, in cui il loro occhio qua e là s'incontra , non è meno degna d’ essere descritta dal pennello che dalla poesia. Come l’ autore elvetico di tali qua- dretti, ha pur molto viaggiato in Russia l'inglese, Ker-Por- ter, chiamato da Alessandro a Pietroburgo per dipingervi, come fece, la sala dell’Ammiragliato. Egli deve colà aver presi almeno tanti disegni quanti ne ha presi in Persia ove in seguito passò ; e i russi, vedendoli, si saranno vie più -persuasi che le scene , fra cui talvolta si aggirano , pos- sono essere così bene rappresentate come quelle più fe- lici, in cui si compiaceva il genio di Claudio o si accen- Fs; la già fervida fantasia del Rosa. Che se manca fino- rain Russia chi abbia trattato con lode un genere di pit- nente d’ Europa. Nel frattempo alcune opere del nostro Prassitele andarono in Polonia, della quale io non debbo parlare se non relativamente alla Rus- sia medesima , a cui allora non era peranco aggregata. Dopo il 1814 final- mente la Russia vide comparire nella sua capitale e quasi nello stesso tem- po diverse opere insigni del grande artefice, il gruppo cioè d’ Amore e Psi- che in piedi scolpito nel 1806 ; la Danzatrice colle mani sui fianchi scolpita nel 1805 ; uno dei due grandi Paridi terminato nel 1813 ; e la statua colossale della Pace, che avea ricevuto alloral’ultima mano. Il gruppo, la Danza- trice ed il Paride appartennero già all’imperatrice Giuseppina e furono acqui- stati dall'imperatore Alessandro. La statua colossale fu ordinata qual ‘mo- numento di gloria nazionale e domestica dal conte Michele Remanzow , il quale fece inscrivere sulla colonna, a cui essa si appoggia, il titolo di tre paci avventuratissime per la Russia , conchiuse, l’ una dall’ avo suo, 1’ altra dal padre e la terza da lui Peio FI 135 tura, che fra noi si direbbe un gentile passatempo , non mancano quelli che si sono distinti in altri più o meno difficili. Contemporaneamente o poco dopo ai viaggi, che si accennarono , di Ker-Porter, l'accademia di belle arti di Pietroburgo facea viaggiare a sue spese fra varie nazioni i due fratelli Carlo ed Alessandro Brulow, del primo de’quali fu esposto ed ammirato nel 1822 un gran quadro ; rappre- sentante non so qual scena d’Edipo , e dell’altro si loda- no altri lavori che non ricordo. Questi due artisti sem- brano destinati a compensare in qualche maniera due per- dite dolorosissime che 1’ accademia medesima ha fatte nel 1825, quella di Glovatchersky e quella di Bugrumef, ch'era stato suo direttore. Il primo fu in sua giovinezza professo- re di musica (arte che accenneremo altrove, non potendo- cene mancare occasione , come sia essa pure coltivata dai russi) indi si volse ai pennelli, che in sua mano parvero anch’ essi un armonioso strumento. Si fece nome nella pit- tura storica; ma fu celebrato specialmente pe’suoi ritratti. Del secondo si vantano assai i quadri di storia, fra cui se ne additano due come raggnardevolissimi, la conquista di Kasan e l'avvenimento al trono di Michele Romanow. Ha contribuito, dicesi, con Lossenk.,, Sokolof e Akimof a sta- ‘ bilire quello stile, che distingue la scuola russa (39). La galleria Tatistchef, che si norbinava pocanzi , è composta in buona parte d’opere caratteristiche di questa scuola. Ciò basta per accertarci che la pittura è veramente in Russia arte indigena ; il che non potrebbe dirsi ove non avesse un ca- rattere d’originalità. Moltiplicati che siano colà i buoni dipinti, vedremo fiorirvi anche le arti che li traducono, o per assicurar loro più lunga vita , come il mosaico e la pittura in porcella- na, o per farne godere quanto si può alla pluralità dei di- lettanti, come le varie specie d’incisione. Chi ha oggi il maggior vanto per quella a bulino sembra il Silan mede- (39) Tu che consista questo stile mon trovo chi me lo spieghi. Ma penso che consisterà nell'espressione franca e vera della natura imitata, cioé della russa, la quale se mai non fosse abbastanza bella per noi, certo pei russi è più interessante che una natura ideale o straniera. 136 I simo, che già nominammo come insigne architetto Forse altri ne meritano altrettanto ; ma ove ciò non sia, bisogna accagionarne (oltre la mancanza, che si accennò, d’un suf- ficiente numero di buoni dipinti, i quali si bramino tradotti!) quell’ arte recente e facilissima, per cui si riproduce ogni bella forma quasi senza fatica, voglio dire la litografia. Essa ha fatti, dicesi, in Russia i più rapidi progressi ; e ciò do- vea pur essere. Di questi progressi ci sono prova sufficiente | le vedute di Pietroburgo e de’ contorni, le porte dorate di Kief , la flotta greca e il capitano degli idrioti, che com- parvero negli archivi del Nord; i ritratti d’alcuni poeti, come Joukousky, Olein e quello dalle cui favole ho preso motivo di questo lungo discorso , ricavati dai bei dipinti d’ Hippius, che andava nominato più sopra ; il viaggio pit- toresco da Mosca alle frontiere della Cina; e le carte de- stinate pel viaggio in Persia del colonello Droville , dise- gnate per la più parte da Orlowsky artista distinto, che ha mostrato in esse la più rara abilità. Noi siamo già lungi da quel tempo, in cui i russi avea- no d’uopo di mani straniere, non dico per disegnare in pietra, che allora non costumavasi, ma per disegnare in fogli e quindi incidere in metallo le carte de’ varii paesi. Oggi, voi lo vedete , gli stranieri stessi adoprano la mano de’russi, i quali, siccome ci. provano altre carte che le no- minate, sono e nel disegno e nell’ incisione geografica as- sai bene esercitati. Ma non si troverebbero fra loro i buoni incisori e disegnatori di carte, ch” io considero come una spe- cie di traduttori, se non vi fossero da un pezzo i buoni au- tori. Trattandosi d’opere scientifiche e letterarie e, se vo- lete, anche di belle arti, un popolo che traduca e non com- ponga può imaginarsi. Trattandosi di carte geografiche, mi pare che per venire alla traduzione un popolo debba co- minciare egli medesimo dall’ invenzione. E da questa in- fatti hanno cominciato i russi, e si sono in essa così rapi- damente perfezionati, che già quindici o vent'anni addie- tro Malie-Brun ci diceva che le loro carte non cedevano per esattezza ed eleganza a quelle del Cassini, appena su- perate , secondo lui, dalle ultime che i francesi abbiano com- 137 poste (40). Il qual elogio, veramente lusinghevolissimo in bocca d’ un tal giudice, è oggi più che mai giustificato in faccia all'Europa; se per avventura i russi già non ne me- ritano uno maggiore, Hermann in un quadro comparativo dei diversi governi della Russia, inserito nel nono volume dell’ac- cademia delle scienze di Pietroburgo, nomina parecchi inge- gneri, i quali si sono acquistata non piccola riputazione per le carte descrittive de’ governi medesimi. Queste carte, le quali sono per noi di troppo mediocre importanza in paragone di quella che il sono ‘pe’ russi, avranno servito probabilmente ad un’opera importantissima per tutti i cultori della scien- za geografica, il nuovo atlante cioè dell’ impero di Rus- sia, del regno di Polonia e del granducato di Finlandia, pubblicato dal colounello Pladischefin 70 carte di gran fo- glio, or saranno più di tre anni. Così vi avrà servito la nuova carta della Siberia di Pozniakoff, e quella delle pps- sessioni russe in America di Berkls, officiale di marina som- mamente lodato, e di cui ricorderemo altrove altre belle fatiche. Dopo queste carte, per così dire domestiche , a cui chi sa quante altre se ne potrebbero aggiungere de- gne di menzione, debbo nominare un lavoro, che ha em- pito l’anno scorso di giusta meraviglia la società geogra- fica di Parigi, e di cui non si sarebbe potuto aspettare il meglio eseguito dall’ Inghilterra, voglio dire 1’ atlante idro- grafico de’ mari australi del celebre Krusenstern, Il nome di questo gran navigatore ci conduce natu- ralmente a parlare de’ russi distinti, che oggi percorrono le terre edi mari, a pro delle scienze e a gloria della loro na- zione. Un secolo forse prima di Pietro il cosacco Kopilow (40) Quando i russi abbiano realmente incominciato a far carte geogra- fiche non saprei dirlo. So unicamente che quelle, composte da alcuni stranieri per ordine di Pietro il grande, lo furono in qualche modo sotto la sua dire- zione. Trovandosi egli ad una seduta dell’accademia delle scienze di Parigi, ed essendogli presentate , come ci narra Fontenelle, alcune carte del suo im- pero , vi notò con mirabile sicurezza parecchi errori e li corresse di sua mano. Dopo ciò ben poteano quegli stranieri, giacchè si trattava appunto di rinnovare le carte dell’ impero, avere in lui qualche fiducia. 1 russi in- tanto avranno anch’ essi approfittato, m'imagino, della direzione d’ un tal maestro. 138 x ù era accidentalmente pervenuto sino alle rive del mare orien= tale ne’ contorni d’Orchotzk. Un altro cosacco,, appellato Deschnew, spinto dalle correnti e dai ghiacci avea fatto il giro dell’ estremità dell'Asia da Kowyma al fiume Anadyr. Nessun viaggio però si era ancora intrapreso dai russi per desiderio di scoperte o d’istruzione, quando Pietro pel pri- mo ne diede l’ esempio. Nel 1694 , mentre gli si fabbri- cava la piccola flotta, con cui percorse nell’ anno seguente il mar Nero e quello d’ Azow, ei prese la via d’Arcangelo, e con un convoglio di bastimenti inglesi comparve improv- visamente sul mar Bianco. Nel (697, ripugnandovi indar- no j grandi che lo circondavane, ei volle visitare quelle parti del continente europeo , ove sperava raccogliere più lumi relativi alle arti, e più uomini capaci d’ introdurle © perfezionarle nel suo impero. Quindi partì per la Livonia allora appartenente alla Svezia , ed indi , toccando una parte della Prussia , si volse all’Olanda , ove fece non breve soggiorno (41). Altrettanto e forse più ne fece in Inghilterra, ove aggiunse gli studi teorici ai pratici, che già avea fa- miliari, dell’arte navale specialmente ; passò in Austria, onde meglio studiarvi la militare ; e mentre si apparecchia- va a venire in Italia, fu improvvisamente richiamato dalla rivolta degli strelitizi , che compresse , come ognun sà, di» struggendoli. L° edificazione della nuova capitale , opera d’immensa mole e di politica profonda (*), le guerre colla (41) Alessandro, di ritorno dal primo viaggio in Francia, vale a dire nel giugno del 1814, passando per l’ Olanda, volle visitare il villaggio di Saardam , e la casetta ivi abitata da Pietro nel 1697. Trovò sulla porta que- st’iscrizione: pour un grand homme il n’ y a rien de trop petit. Entrato in un salotto fu pregato dal principe d'Orange, che lo accompagnava, a fis- sare nel camminetto. quest’ altra: Petro magno Alexander; ciò ch’ egli fece , ingessandone le commessure con una cazzuola d’argento , che a que- st’uopo gli venne presentata. (*) Credesi generalmente che Pietro il grande non si decidesse a pian- tare la sua nuova capitale in fondo al golfo di Finlandia , che dopo avere lungamente riflettuto se non gli convenisse piuttosto di collocarla in riva al mare d’ Azow. ‘Taganrock, assicurasi, fù assai vicina ad essere eletta per sede novella dell’ impero ; ma i bisogni dell'impero vollero altrimenti. E in verità doveano essere ben forti le ragioni, che fecero prescegliere un luogo al- lora sì orrido , ed oggi ancora sì triste e monotono , quale si è quello ove s'alza la superba Pietroburgo. Onde gettarne le fondamenta, bisognava sor- si K 139 Svezia e colla Porta, altre cause non poche gli impedirono di ‘ripartire. prima del 1717, in cui percorse il rimanente della Prussia e poi la Francia, oggetto speciale della sua curiosità . Più anni innanzi egli bramò di visitarvi quel Luigi, che portava il soprannome di grande ; ma si ristette accorgendosi che Luigi non bramava punto d’ esserne vi- sitato. Accoltovi dal reggente con molta festa , dagli scien- ziati e dagli artisti con molto entusiasmo, non vi si :trat- tenne però lungamente , sia che più cure lo affrettassero al ritorno, sia che la civiltà ritrovatavi non fosse quella ch’ ei cercava. Sembra però ch’essa piacesse molto ai russi ch’ erano con lui, e ne portarono in patria quel gusto, che montare ostacoli senza numero, combattere un clima il più detestabile, men- tre Taganrock offeriva, senz’ altre cure, un ‘bel principio di città, in cli- ma sano e temperato, e alle porte, per così dire , de’,più ricchi paesi. del- l’ Asia. Pur ecco Pietroburgo divenuta in breve tempo una delle più magni- fiche ed ‘opulente capitali del mondo; e 'l'aganrock rimasta quasi un sem- plice borgo , appena conosciuto pel sno commercio de’ grani, prima che un gran disastro recente gli desse una funesta eelebrità. -Quando, traversato quel vasto spazio che stendesi da Abo alla palude Meo- tide, e visitate successivamente Pietroburgo, Mosca, Kieff, Novo-Tscherkask, Taganrok, Kertsck, Feodosia , Sevastopol, Odessa, io navigava alla volta di Costantinopoli, testimonio degli immensi progressi fatti in trent'anni dal- l’armi, dal commercio e dall’ industria de’ russi , più volte (sovviemmi) chiesi a me stesso:ciò che sarebbe oggi Taganrock , la Russia, la Turchia, se Pietro I , lasciando fra sè e Carlo XII un deserto , si fosse deciso a fare di Taganrock la capitale del suo 1mpero. Domanda oziosa, lo. veggo , ma non frivola, a cui forse potrebbe rispondersi: Pietroburgo non esisterebbe, almeno in sulla Neva; la Polonia sarebbe quel ch'era; tutte le rive del Ca- spio e dell’ Eusino obbedirebbero agli czari; la russa bandiera sventolereb- be da lungo tempo sul Bosforo; ed oggi forse i birmani vedrebbero giungere. fra loro degli ausiliari e degli alleati dalle rive del Don e del Volga e dalle montagne del Caucaso. Del resto chi può imaginare tutte le conseguenze probabili della risolu- zione d'un-grand’uomo ? Forse Pietro stesso non potea prevedere tutte quelle che la scelta di Taganrock in sua capitale avrebbe prodotte. Così non potè prevederè tutte quelle della scelta di Pietroburgo, la cui posizione tanto settentrionale, in grazia de’cangiamenti sopravenuti alla politica d’Europa, e degli accrescimenti di popolazione e di territorio, che la Russia ba ottenuti, si fa ognora più incomoda. Che se mai senza ledere molti interessi e molte affezioni , potesse pensarsi a trasferire la sede dell’ impero , certo oggi non sì darebbe niente più a Taganrock che a Mosca l’onore di accoglierla nel suo seno. Il vot» degli uomini di stato sarebbe, parmi, per Nijney Nowogorod, la cui posizione prometterebbe all’agricoltura , all'industria, alla politica e all’ incivilimento della Russia i più grandi vantaggi.—Nota del Direttore. 14o poi col tempo s'è propagato. Pochissimi , per quello che mi pare aver letto , gli furono compagni nel secondo viaggio. Nel primo lo accompagnarono o lo seguirono a varie di» stanze i più confidenti, e, sia facilità d’imitazione , sia al- tra causa, non si mostrarono punto stranieri in paese stra- niero (42). Cosa notabile veramente , quando si pensa che, per antica legge, sino ai giorni d’Alessi, padre di Pietro, fu vietata ai russi ogni relazione cogli altri popoli. Quel monarca pel primo spedì ambasciatori in Francia e in Ispa- gna, e ne ricevette dalla Persia e dalla Cina. Pietro a ri- cambio ne mandò pur egli in questi due paesi, a cui la Russia sembra oggi più che mai avere intento lo sguardo. Ma i suoi ambasciatori non erano per così dire che i cor- rieri de’ suoi. viaggiatori. Dopo aver visitato quasi tutto l’oc- cidente, avrebbe egli stesso voluto visitare l’ oriente, che non gli prometteva, è vero, scienza od industria, ma gli dava speranza di ricchezze e di gloria. Inoltrato nell’età e trat. tenuto dalle cure dell'impero, ei fu costretto d’ acconten- tarsi ch’ altri portasse il suo nome ov’egli non potea, sen- za incontrare gran rischi, o abbandonare la grand’ opera della sua riforma a molti pericoli, recarsi colla persona. Il capitano Bulchoz andò infatti da lui inviato all’In- die, al Tibet, e poi via via fino agl’ ultimi confini della Siberia, di cui già i russi erano avvezzi a percorrere i de- (42) Fra quelli, da cui venne accompagnato, sono da ricordarsi partico- larmerte Wotitzin suo segretario di stato, Menzikof suo favorito, e Gal- lowin, governatore e quasi dissi redentore della Siberia. Quest’ultimo, chec- chè ne abbia detto qualche storico , si distinse fuor di patria per le sue co- gnizioni e la sua pulitezza, come in patria pel suo amore delle scienze e dell’arti. Quasi contemporaneamente, ma separatamente da Pietro, viaggiava- no il principe Sibirski suo emulo di gloria, e il feldmaresciallo Chereme- tew, lodati da Condillac come gli unici russi di quell’ epoca , i quali ap- profittassero de’ loro viaggi. Un libro interessantissimo , uscito in luce l’ an- no scorso a Pietroburgo e intitolato vita privata de’ russi sotto Pietro il grande , ci presenta Cheremetew e i principi Romodanowski e Menchikow, come i tipi delle tre classi, in cui allora si dividevano i bojardi. L’ultimo era per così dire a capo de” parligiani dellè riforme ; il secondo lo era dei loro contrarii; e l'altro di que’ pochi , i quali al gusto delle riforme univa- no lo spirito e l'eleganza. Fu egli il primo, se crediamo a quel libro, che si presentasse alla corte di Pietro vestito alla francese e senza la cara bar- ba , cui tanto spiacque di radere al buon popolo di Rurik. / TL E RI IT eee A VOTO SEE 14I serti, Il suo viaggio fu molto rapido ove si guardi all’esten- sione de’ paesi percorsi; ma le notizie, ch’ ei ne riportò, furono bastanti per far sentire a Pietro l’importanza d’ or- dinarne de’ nuovi. Ed egli appunto era tutto in questo pen» siero, quando gli si presentò Behring , già celebre per le spedizioni navali della Danimarca contro la Svezia , e de- stinato a divenire immortale per le prime spedizioni vera- mente scientifiche della Russia. Mandato da Pietro ne’mari del Kamtschatka, penisola già conosciuta dai russi un se- colo. innanzi, ma venuta da poco tempo in loro potere, ei giunse , come ognun sa, a definire le estremità ‘orientali dell’Asia, di cui non si sapeva per anco l’ estensione. Que- sta scoperta era delle più grandi che potessero sperarsi ; ma quando ei fu di ritorno, l’uomo piu capace d’apprez- zarla già più non esisteva. Pure l’entusiasmo da lui: destato fu tanto, ch’ei venne quasi subito rispedito a fare discoperte novelle, aggiugnendoglisi compagno il russo Tchirikow , ch'io quì numino, come quello che in certo modo aprì la carriera agli altri, che presero parte alle seguenti spedi- zioni. In questo secondo viaggio l’ illustre navigatore cercò d’accostarsi a quella terra polare , che le carte segnavano da un pezzo al settentrione della Siberia; ma come s’ inol- trò in una latitudine troppo meridionale , lasciò , moren- do, ancor dubbio se la terra indicata fosse l'America, ciò che poi fu deciso da Cook. Dal 1729, in cui col secondo suo viaggio ebbe termine la sua vita, non conosco altra spedizione de’ russi fino a quella del 1740; che produsse altre scoperte importanti, ma di cui la morte dell’ astro- nomo Deslile , che vi era a capo con altri stranieri , im- | pedì che fossimo, esattamente ragguagliati. Una tale spedi- zione, fatta sul finire del regno d’Anna e il cominciare di quello d’Elisabetta , ebbe per principale motivo quello d’os- servare a Berezow in Siberia il passaggio di Mercurio sotto il Sole. Un’altra spedizione in Siberia fatta nel 1763, cioè nel secondo anno del regno di Caterina, ebbe per motivo principale quello d’ osservare il passaggio di Venere sopra il maggiore de’pianeti; ed essa pure fu condotta da scien- ziati stranieri. Quando nel 1769 si trattò di rinnovarla, giac- 2 142 chè si rinnovava il passaggio indicato, l’imperadrice l’avreb» be voluta comporre tutta dî nazionali, e scelse infatti a que- st'uopo dall’accademia delle scienze uomini molto abili; ma vinta da quella fiducia, che sempre ispira un’abilità mag- giore , ne diede la direzione ad uno straniero , il celebre Pallas. Si fermò egli, cammin facendo, a Simbirsko sul Vol- ga in mezzo alle tribù tartare oggi in gran parte agricole , indi ad Orembourg fra i nomadi che vi si incontrano, pro- venienti dai salsi deserti del Caspio , e le carovane ; che fanno attraverso que’deserti il commercio dell’Indie: Le 0s- servazioni, ch’ei raccolse, sembra che accrescessero di molto la fiducia, che già si aveva in lui, poichè Caterina lo spedì in seguito ne’monti Urali, per visitarvi le numerose miniere che vi si trovano e specialmente quelle di Tchiliabinsk; in- di negli Altai ‘per visitarvi quelle di Kolivan;' poi oltre il Baikal, nella montuosa Dauria sin presso alle frontiere della Cina, ove gli si presentò per la prima volta una natura’ af- fatto diversa dall’europea, e finalmente nella Bukaria fin presso al Caucaso, per non dir nulla della Tauride, ov'egli partecipò a tutte le;illusioni dell’ingannata imperatrice (43). Contemporaneamente Blumager percorreva per ordine del- l'imperatrice medesima l’arcipelago del settentrione e Billin- gs l’oceano orientale sino alle coste del Giappone, che Be- hring, imbarcatosi, io suppongo, ad Okhotok sul golfo d’Amoù, ove i russi hanno un porto e costruiscono vascelli, non avea forse visitate. Caterina , contenta di questi viaggi, ma non abbastanza soddisfatta nel suo desiderio di gloria nazionale, mentre vagheggiava in lontananza quel giorno, in cui le spedizioni marittime della Russia avrebbero a capo de’russi navigatori, volle almeno che una società veramente russa di osservatori percorresse il suolo dell’impero, per esaminarne i fenomeni fisici e î prodotti naturali, e ne affidò ‘la dire- zione al principe Lepekin, il giornale de’cui viaggi sarà al- (43) Il viaggio trionfale di Caterina a Cherson è stato troppe volte de- scritto, perchè da alcuno si dubiti di che illusioni io parlo. Potemkiu riu- scìa farle prendere per giardini i deserti ; e Pallas, con una buona fede che veramente fa meraviglia, trovò ne° deserti rimasti i giardini che già erano scomparsi. 143; trove ricordato. Intanto le. vittorie de’ snoi illustri generali Romanzow e -Orloff., a cui si aggiunsero più. tardo quelle dell’intrepido Souwarow, mentre mettevano sempre, più in onore:gli studii militari , parevano anch’esse aumentare il movimento ch’ella cercava d’ imprimere a’ russi, onde fosse- ro spinti a visitare nuove terre e nuovi popoli, ciò che. fe- ‘cero particolarmente sotto Alessandro. L’amor del sapere egualmente che gli interessi della po- ‘ litica e del commercio resero: questo monarca gran fautore sì de’ viaggi. È noto com egli spese non nieno di 50,000 rubli perla pubblicazione di quelli d’Humbolde del suo sventurato | compagno Bonpland, contro la cui detenzione il presidente délla Colombia ha fatti così inutili richiami al despota del Paraguay; ed ora ne fa de’nuovi, che sa il cielo se saranno più efficaci , l’ imperatore del Brasile. Alessandro-sarebbe stato ben lieto di poter annoverare fra suoi questi due gran- di viaggiatori; ma anche fra suoi ve ne sono di grandi, e non so qual altra nazione, se ‘n’eccettui l’inglese, oggi ne abbia, in confronto della russa, tanto numero di distinti. Al che io credo che fra più cause, le quali si sono in parte accennate , contribuisca la novità stessa del suo incivili- mento , e la vastità smisurata del suo impero. Ciò dico, pen- sando principalmente ai viaggiatori delle terre diverse che lo compongono, fra cui ci si presentano Savva, che visitò già tempo il paese de’ kirguisi; Voeikof, il quale ci ha dati nuovi ragguagli sui calmucchi; Mouravief, che ha percorsa di nuovo la Tauride già percorsa da Pallas; Kalaidovitch, che ha fatte ricerche archeologiche nel governo di Rezan; altri, di cui non ricordo il nome, che ne ha fatte di stati- stiche in quello di Makarief; Bronevsky, a cui siamo de- | bitori di speciali notizie sul Caucaso; Bessougef, il quale sembra averci promesse osservazioni importanti sopra i co- stumi, ove prosegua le gite incominciate con quella di Re- vel; i giovani officiali Wrangel, Anjou e Matrucbkin , che sono stati spediti a perlustrare le coste settentrionali della Siberia; Soimonof, che con vari' compagni s’ è lungamente aggirato pe’ monti Urali. In questi monti, dicesi, fra varie pietre di molto pregio, ne fu da lui scoperta una somiglian- 144 tissima al zaffiro, che i litologi, per gratitudine, vollero ap: pellata soimonite. Da chi due anni fa sia ivi stata scoperta la miniera d’oro de’contorni di Catherinbourg , lo ignoro. So unicamente che questa miniera è fecondissima , e può considerarsi per la Russia un nuovo e grande stromento di civiltà (44). L’anno 1824 fu, quanto a scoperte, un anno per essa avventurato. Guardando infatti ai bisogni della sua industria crescente, io non posso considerare come poco im- portante quella fatta in Ukrania d’un arbustonutritore di ver- mi, che danno un bellissimo kermisi già impiegato dalle don- ne dei cosacchi, e possono tener luogo della cocciniglia (45). Ma la scoperta fra tutte importantissima, e che deve avere accresciuto più che mai l’ardore de’ viaggi nell’interno del- l'impero, si è quella d’una miniera di platino, mista , per ciò che sembra, a quella dell’oro, di cui pocanzi si diceva. Questa miniera, che ha fatto a Pietroburgo abbassare d’ un terzo il valore d’un metallo egualmente ‘prezioso che raro, non ha finora su tutta la terra altro confronto che in quella trovata recentemente dal chimico Boussingault nel diparti- mento di Cundimarca in una valle detta degli Orsi al piè delle Cordigliere nella republica di Colombia, (46). Poche (44) Hwnboldt in un rapporto fatto il 6 luglio di quest'anno all’acca- demia delle scienze di Parigi narra che questa miniera. diede nel, 1824 al- meno 286 pudi , ossia 5700 kilogrammi di metallo , il cui valore si calcola 19 milioni e 500 mila franchi. Le miniere riunite di tutto il resto d’Euro- pa ; egli aggiunge, non forniscono che 1300 kilogrammi all'anno ; quelle della Colombia che 5000; quelle del Chili che 3000, e quelle del Brasile, già sì feconde, che 1000. Le sole miniere del Messico, le quali danno ancora 18 milioni di piastre annui , possono essere anteposte alla russa. (45) L’ Ukrania , dice ogni libro di geografia , era chiamata altre volte dai polacchi terra di latte e miele. Questa bella denominazione, che le ro- vine cagionatevi dalle guerre sembravano smentire, oggi, secondo le relazioni de’viaggiatori, torna a convenirle perfettamente. Noterò qui come cosa, cha accresce importanza alla scoperta indicata, 1’ essersi introdotta da alcuni anni in essa e in altre parti del governo di Karkof, a cui è unita, la cul- tura de’ bachi da seta. (46) Secondo il rapporto d’ Humboldt già citato, prima della scoperta di queste due miniere , non si trovava platino che nel Brasile e nelle pro- vincie di Choco e Barbacoa sulle coste del mare del sud. Quella della valle degli Orsi ha sopra la miniera stessa de’monti Urali il vantaggio d'essere ia filoni e non in terreno d’alluvione. Questa degli Urali, a compenso, è 1’ unica d’Éuropa ; ciò che accresce di molto la fortuna della Russia ehe la possede. 145 settimane sono la società filomatica di Parigi ha ricevuta dalla Siberia una singolar pietra, anch’ essa forse rinve- nuta negli Urali , e dotata d’un vivo lume fosforico, tanto maggiore quant’ è più riscaldata. Essa, giusta l’ osservazio- ne d’ un dotto, parrebbe render credibile un racconto fin qui stimato favoloso., quello cioè di Mandeville , che viaggiò nel centro dell’Asia verso la metà del secolo decimoquin- to, e scrisse d’aver trovate all’ ingresso d’una città della gran Tartaria. due colonne sormontate da pietre, che splende- vano in mezzo alle tenebre. Fu proposto non è gran tempo dal dotto Stroef un viag- gio per tutta la Russia in cerca di manoscritti e d’antichità, ed è molto probabile che venga eseguito. Intanto i viaggi parziali hanno già prodotto abbondanti raccolte, di cui gli archivi e i musei sono depositarii. Ma la mente de’ russi già comincia a guardare gli studii dell’erudizione sopra un piano assai vasto; e non ne voglio altra testimonianza che il viaggio filologico ordinato a Siogren fra diversi popoli , onde riconoscere la comunanza della loro origine. Quasi tutti i viaggi fuori dell'impero hanno oggi un duplice o triplice oggetto, la filosofia, le scienze e la politica o il commer- cio. Non parlo di que’viaggi di piacere nelle parti più ci- vili \d’Europa, che hanno fruttato alla russa letteratura vari | scritti dilettevoli, indicati da’ giornali, come alcune lettere sopra'la Svizzera, altre sull’Italia in generale, altre su qual- che parte più bella di questo bellissimo paese. Debbo par- lare di ben altri viaggi, come i tre fatti dal capitano Litke alla nuova Zembla ; quello di Timkowski alla Cina per la Mongolia ; quello di Seniavin nel Mediterraneo ; quello di Senkovsky in Egitto , in Nubia e nell'alta Etiopia; quello di Laxman al Giappone; quello di Langsdorf al Brasile e in tutta l’America meridionale; quello di Ross e Boukcana alle regioni settentrionali; quelli di Neri, Eversmann, Me- jendorsw ed altri spediti a visitare le steppe della Tartaria, il corso dell’Oxo e tutta la Bukaria (47). Ignoro se quel (47) Non so qual numero dell’Edimburg Aeview dello scorso anno con- teneva osservazioni importanti intorno al probabile scopo de’ viaggi qui ul- timamente indicati. Queste osservazioni si fondavano sopra alcune parole del ' T. XXIII. Agosto. 10 ‘140 Koinkoff, il quale trovandosi a caccia nell’isola di Behring vide e ci descrisse uno de’smisurati serpenti di mare , che mon trovansi fuorchè in vicinanza de’poli, appartenga alla famosa spedizione che fu fatta nel 1820 a queste due estre- mità de! globo, e a cui parmi che appartenesse il bravo Soi- monof più sopra nominato (48). Ora appena fa d’uopo ch'io nomini alcuni altri viaggiatori che tutto il mondo conosce, e di cui nulla ormai può accrescere la fama. Già dissi del nuovo atlante de’ mari australi del celebre Krusenstern , il quale può chiamarsi il Cook della Russia. Quest’atlante è il frutto del secondo suo viaggio intorno al mondo, come lo sono î suoi nuovi saggi sul Groénland , registrati negli ar- chivi del Nord. Dopo il suo nome ciascuno pronuncia quello di Kotzebue, il quale ha pur viaggiato intorno al mondo, speditovi dal conte Michele di Romanzow, che due volte spe- dì pure viaggiatori d’Asia in America attraverso i ghiacci che sono al settentrione del paese degli tschuktschi, e un’altra fra il settentrione e il mezzogiorno dell’America russa, onde pe- netrare nelle terre ignote, che trovansi fra il capo Cook e il fiume di Mackenzia. Ultimo in ordine di tempo, ma non ultimo in ordine di merito, ci si presenta Golownine (49) uno de’più distinti officiali di marina che abbia la Russia, di cui egli pure ha recata la bandiera dall’uno all’altro polo , acere- scendole quella rinomanza che già s'era acquistata fra le na- zioni navigatrici. Ma noi dobbiamo, seguendo Lemontey (50), prigioniero di S. Elena riguardo all'Indie, i discorsi di molti russi offi- ciali al medesimo proposito, e il bisogno che sembra avere la Russia d'esten- dersi fino all’Oxo, e di possedere Bokhara e Samarkanda , che diverrebbero nelle sue mani un centro commerciale per l’interno dell’Asia. (48) Quello che so di certo si è ch’ egli (Saîmonof) fu con Bellingshausen al polo meridionale, e cercò di sciogliere, se pur non sciolse realmente , il probiema della sua temperatura. (49) Ciò io scriveva prima che Kotzebue fosse di ritorno dal secondo viaggio, fatto, credo, a spese del governo. L’ ultimo giornale di Pietro- burgo, che ho veduto, ci avvisa ch’ egli è rientrato nel porto di Cronstadt il to luglio. (50) Mentre scrivo giugne coi fogli di Francia la trista notizia che que- st’ egregio prosatore sulla fine di giugno ha cessato di vivere. Egli si è di- stinto fra” suoi connazionali per una concisione e un’argutezza di stile che, malgrado qualche difetto, passerà in esempio. Il suo romanzo intitolato ra- gione e follia si addita come il più notabile fra quelli del genere filosofico 147 considerare la Russia particolarmente qual nazione studiosa, e descrivere, com’ei s’esprime, le varie fasi della sna fortuna letteraria, a cui un secolo è bastato per molti, e forse fra un altro secolo nulla potrà agguagliarsi fuorchè la fortuna politica della nazione medesima. M. (sarà continuato) scritti dopo Voltaire. Il suo saggio sopra la monarchia di Luigi X1lV fu, dissero già alcuni critici, più fatale alla gloria di quel principe che tutte le battaglie da lui perdute. È un modello, non di satira o di acerbità, ma di storica severità. Esso venne accolto con meraviglia , ed ora ci accresce il do- lore d’ una perdita , che ne toglie affatto la speranza della storia che dovea seguirlo. Fra le piccole composizioni; onde l’autore ebbe fama, non si oblie- ranno, penso, nè quella con cui entrò nella carriera letteraria, e che, avendo fin qui parlato di viaggi e di viaggiatori, torna opportnno il nominare, cioè l’elogio di Cook ; nè quella con cui può dirsi che terminò la carrera medesima , cioè i ragguagli di cui ci occupiamo nel presente articolo. I i iene picnic ee RETTA EZIO DELL’ORDINAMENTO DELLA SCIENZA DELLA COSA PUBLICA. Lettere del Professore Gio. DOMENICO ROMAGNOSI 4 GIOVANNI VALERI Professore di Diritto Criminale nella Università di Siena (*). ) LeTTERA Prima. All’occasione che esce in publico una seconda edizione della mia Introduzione allo studio del Diritto Publico Universale, voi mi (*) L'introduzione al diritto publico universale del celebre RomAGNOSI , ri- prodotta pocanzi in Milano, e arricchita del frutto di tutte le meditazioni, che l’au- tore ha continuate, dall’epoca della sua prima composizione fino ad oggi, suì gran- di problemi della scienza sociale, è senza dubbio una di quell’opere, che più im- porta al publico italiano di ben conoscere, Era quindi naturalissimo ch’io deside- rassi d’offerirgliene in questo mio giornale un’ analisi precisa, che gliene agevolasse all'uopo, la lettura, o gli servisse a raccogliere una lunga serie di ragionamenti e di deduzioni, di cui nella lettura potrebbe sfuggirgli qualche auello importante. Simile analisi iv non poteva sicuramente ottenerla che dallo zelo d’alcuno de’ miei più degni amici, ai quali perciò mi rivolsi. Quando uno di essi, il sig. prof. Va- leri di Siena, mi annunciò con mia grata sorpresa che l’analisi era gia fatta dal- l’autore medesimo in varie lettere a lui dirette. Pensai allora che se l’amico da me pregato mi comunicasse queste lettere, e mi permettesse d’inserirle nell’ Antolo- gia, potrei fare agli italiani un dono egualmente prezioso che inaspettato, Il favo- re, che gli chiesi, non superava cerio la sua gentilezza; ma, com’egli mi fece in- tendere, metteva a qualche cimento la sua modestia. Era però giusto che questa cedesse nel suo animo all'amore del ben publico; ed egli non può ragionevol. mente dolersi di cosa, che deve meritargli la generale riconoscenza. IL DIRETTORE, 148 domandate quali siano stati i motivi e le idee capitali che io ebbi nell’ occuparmi di questo lavoro. Vi dirò in primo luogo che io fai convinto che tutta la dottrina della cosa publica aveva bisogno di essere ridotta a dimostrazione e ad unità nelle materie di già espo- ste dagli scrittori, e di essere supplita nella massima parte della teo- ria che ancor manca a ragguagliare il suo soggetto. Io non volli ri- fiutare l’eredità de’ nostri maggiori. Preziosi sono i lumi che ci furono trasmessi , e benedico le fatiche degli scrittori di buona fede che mi precedettero. Ma nello stesso tempo sento la necessità di dimostrare ciò che essi proposero , di supplire dove mancarono, e di rierdivare tutte le parti in un sistema robusto, collegato da una possente filosofia. Se il diritto publico universale da prima staccandosi dalla teo- logia e dalla giurisprudenza movette passi ancor timidi e si valse dell'appoggio dell’ autorità : se da poi fatto più ardito si vestì di forme più ordinate, esso però non acquistò mai nè Îa pienezza , nè la possanza che a vera scienza si conviene. Il ciel mi guardi dal detrar nalla alla considerazione dovuta ai grandi maestri di morale e di politica sì dell’antichità che dei tempi moderni. Veneranda è per me la loro memoria , e bramo che sta- diate siano le loro carte. Ma altro è insegnare le cose con-una larga persuasione, ed altro è definirle e dimostrarle in una maniera rigo- rosa, Così pure ringrazio la Provvidenza per lo stato colto, civile e più equo di molte popolazioni, derivato certamente da usi e da prin- cipj più giusti e più moderati: ma dico nello stesso tempo che quanto il mondo è avanti altrettanto le scuole sono indietro. Leg- gete le opere moderne, e voi vi accorgerete che quattro scuole predominano nei diversi paesi di Europa. In una voi vedete ancor propagata la favola altronde disastrosa di un contratto primitivo , in cui si rinuncia ad una chimerica indi- pendenza e ad una comunione primitiva presa in iscambio della va- canza dei beni. Ivi si citano clausole di questo contratto , del quale mai fu dato il tenor positivo. Ivi il diritto naturale viene coniato su uno stato di selvaggia solitudine, invece di dedurlo dalle circostanze necessarie dei tempi e dei luoghi, e da quella ragion naturale di equo bene, la quale agisce anche nella più complicata civiltà. Ivi final- mente non si sente la differenza fra la ragion direttrice delle società che assomigliassero alle famiglie dei castori e delle api, e quella delle nazioni che non vivono più nei boschi a pascersi di ghiande o di carne umana, come da principio giusta le tradizioni e le storie prati- carono e in certi luoghi praticano ancora. In altra di queste scuole s’ inculca la secca regola di non trattare 149 l’altro uomo come cosa, senza avvalorare l’equità con un prepotente interesse. Ivi si passa a disgiungere la morale dal diritto, e l'una e l’altro dalla politica, talchè abbiamo infine un diritto senza sanzione, una morale senza limiti, ed una politica senza freno. In una terza pure di queste scuole si cita sempre la volontà di- vina , la quale faori della rivelazione positiva , non si può indovinare che colla dimostrata necessità della natura: ciò nonostante questa vo- lontà si fa consistere in semplici e non dimostrate opinioni, le quali vengono a piacere degli scrittori attribuite all’ autorità del cielo. In una quarta finalmente a forza di finzioni si creano uomini e qualità che non esistono , e su di esse si stabiliscono dogmi, doveri e leggi che dispongono della vita e delle fortune dei cittadini. Leg- gete il Bentham che ha sagacemente caratterizzata questa scuola. Se voi domandate da che derivar possa questa deplorabile di- screpanza delle scuole, io vi rispondo che sopra tatto deriva da due cause capitali. La prima si è dal non aver usato il metodo proprio delle scienze morali pratiche : la seconda dalla mancanza di una scienza madre del diritto e della politica. Questa scienza viene da me appellata col nome di civile filosofia, dalla quale devono derivare poi i dogmi della ragion sociale sì publica che privata. Io mi spiego sul- l'uno e sull’altro punto. Noi parliamo di una dottrina pratica nella quale si tratta di provvedere alle esigenze della vita sociale sotto pena di soffrire i mali dell’anarchia. Gli uomini ed i governi hanno dovuto dar sesto alle cose loro , prima dirò così, di pensare, cioè hanno dovuto stabilir leggi prima d’averne conosciuti i principj. Ora si tratta di scoprire e di pro- vare questi principj. Ma che cosa è un principio? Fuorchè una verità prima dalla quale molte altre dipendono. Ora per dimostrare una verità qualunque che cosa si ricerca? Prima di tatto conoscere il più distintamente che sì può le idee racchiuse nei concetti che esprime, onde ricavare i veri e completi rapporti specolativi e pratici dei quali abbisognamo. Dopo ciò esaminare l’ aspetto dal quale emergono i rapporti della scienza e dell’ arte. Finalmente dedurre e connettere i principj} e le regole opportune, Ma la prima operazione che cosa importa? Sono già molti e molti secoli che si va ripetendo essere ne- cessario incominciare col ben definire. Ora nella scienza delle leggi che cosa si è fatto ? Io ho ribrezzo il dirlo, ma a me pare che questa parte sia più delle altre tutte stata trascurata e malmenata, Manca dunque ancora la prima operazione indispensabile a qualunque scien- za od arte. Dico la prima operazione, perocchè se conviene incomin- ciare col ben proporre per passare indi a ben distinguere ed a ben 150 connettere , il ben definire cade su qualanque generale e partico- lare proposta. Quanto poi al ben distinguere, che cosa fa fatto? Peggio che mai. Si è disgiunto in natara ciò che conveniva soltanto distinguere eoll’ intelletto. Disgiangere poi s'intende in senso di dissociare le parti che debbono stare ed agire congiunte , benchè di ognuna rav- visar si possa la diversità. Così fu disgiunta la morale dal diritto ed il diritto dalla politica, e fu tolta a queste discipline quell’azione che aver debbono nell'ordine reale delle cose. Questo scempio della dottrina fu praticato speciàlmente in quei paesi nei quali un’ inav- veduta specolazione predomina ie menti a segno che non vengono tocche da tutti gli abusi del potere arbitrario. Che cosa dunque rimane a fare? Condurre anche in questa parte le menti sul retto sentiero dal quale traviarono, e però nell'atto che le conduciamo e le occupiamo nel ben distinguere, convien nel tem- po stesso rattenerlo dal disgiungere i rapporti attivi delle cose. Al- lora si potrà passare a ben conneetere, lochè importa in ogni arte di far cospirare l’azione delle cause sufficienti, ossia dei mezzi necessari ad ottenere il proposto intento. Ecco le vedute le più generali di metodo onde elevare la dot- trina delle leggi alla possanza ed alla dignità di scienza e di arte di- mostrata. Finchè questa dottrina non giunge a questo punto vano è cercare fermezza, convinzione e moralità publica. L’ultima speranza delle genti che implorano pace, equità e sicurezza, si può dire race comandata alla ferma e diffusa cogniziune «ei principj dell’ arte so- ciale ($ 281. al 287.) (1). Il metodo adunque del quale parliamo sarà tanto importante quanto importante si è la pace , l'equità e la sicurezza implorate. Come col sottrarre lo spirito umano dal corso fortuito delle esterne idee si crea un demanio, dirò così intellettuale, padroneggiato dalla mente umana, così col sottrarre dal corso fortuito dell’ igno- ranza e delle passioni i principj della vita civile si crea la vera poten- za degli stati, e perciò stesso la pace, l'equità e la sicurezza invocate dalle genti. Certamente la natura deve esser madre dell’arte e la fortuna precedere la prudenza. E però tutta la vita degli stati deve soggiacere a due successivi periodi, nel primo de’quali predomina la fortuna ed un cieco sentimento comunque umano e generoso; nell’al- tro poi predomina l’ antivedenza e la ragione illuminata. Ma in que- (©) Avverto una volta per sempre che la citazione dei paragrafi sì riferisce alla Introduzione al diritto publico universale. 15I sti due periodi,l’uno de’quali va insensibilmente a perdersi nell'altro; la ragione e la fortuna non vanno mai disgiunte. A. proporzione pe- raltro che la ragione va ampliando le sue conquiste , la cieca fortuna va restringendo il suo predominio senza peraltro perderlo intiera- mente ($ 107. al 109. e 369 in fine), Non credo però mai che la prov- videnza abbia lasciato il genere umano senza un surrogato della morale. I sensi dell'umanità avvalorati dalla religione bastano nei primi periodi della vita civile per giudicare la cosa publica ; e se da poi la posizione delle genti divien più complicata, la giustizia comune serve di surrogato ad un calcolato comune interesse. Ma poche volte gli uomini s1 persuadono di sacrificare un solleticante privato appe- tito ad un puro senso di giustizia, e però convien soggiogarli colla di. mostrata necessità della natura, per Ja quale veggano o di dover se- guire la giustizia o di dover naufragare. In conseguenza di questi motivi da me accennati in parecchi luoghi ho creduto necessario di far precedere a!cune regole di logica propria alle scienze morali e politiche ($ 14 al 67) e di soggiungerne altre all’ opportunità ($ 295 al 300, 355, 362 al 364). Io ben sapeva che questa maniera era la più penosa per lo scrittore e la meno ag- gradevole pei lettori; ma nello stesso tempo io vedeva essere la più indispensabile per assicurare il regno della verità. Asserire sentenze comunque applaudite dalla ragione senza poggiarle ad ineoncusse di- mostrazioni, e senza impiegare un preciso e costante linguaggio, basta forse ad un secolo il quale abbisogna tanto più di dimostrati principj quanto più complicata è la nostra posizione, e quanto più aspra è la lotta fra gli interessi che convien temperare e l’ equità che con- vien favorire. Tempo verrà che il trionfo dei grandi principj sarà proclamato dalle coscienze e protetto dagli interessi concordi: ma per arrivare a quest’epoca felice è necessario che questi principj procedano prima armati di tatto punto colla forza della dimostrazione; e a modo di stretta falange si facciano strada in mezzo ai pregiudizi ed alle opi- nioni interessate. Qui la filosofia deve soccorrere la legislazione, e però deve pre, stare tutti i mezzi più possenti di convinzione, abbandonando il fasto di una facile erudizione, e rigettando il vanto di una polemica agilità: Qui conviene sacrificare que” voli arditi e quell’eloquenza sentenziosa che sorprende, per assoggettarsi ad una nuda e severa sem plicità, e perfino ad una pedestre istruzione. Il maggior utile ottenuto colle più con- vincenti ragioni, come formar deve l’incarico dello scrittore; così esige da lui di sacrificare la voglia di comparire e di rigettare una magnili - cenza dirò così di forme, la quale affievolir possa il trionfo della ve- 152 rità. So che questa specie di eroismo è il più doloroso per gli scrittori; ma so eziandio che egli è assolutamente necessario. Dalle forme esterne passando poi alla logica economica, ognuno sente di leggieri che lo scrittore non può valersi più di ragioni di mera convenienza, nè procedere con passi saltuari , nè tessere divisioni ar- bitrarie, nè assumere concetti confusi; ma per lo contrario figurandosi sempre a fronte di avversari ostinati, egli è obbligato a definire rigo- rosamente, a provare concludentemente, a progredire gradualmente, a finir completamente , per quanto i confini del suo argomento gli permetteranno. Una dottrina operativa non può esser che un tessuto di fini e di mezzi, come una dottrina contemplativa non può essere che un tes- suto di principj e di conseguenze. E come la necessaria connessione dei rapporti logici forma la consistenza di una dottrina contemplativa, così la necessaria connessione dei fini e dei mezzi forma la consisten- za di una dottrina operativa. Senza queste condizioni manca la cer- tezza, e mancando la certezza sottentra |’ erroneo e l' arbitrario. E qui si presenta un modo importante e massimo per ben trat- tare le dottrine morali e politiche, al quale quasi mai fu posto mente. Qaesto si è di assumere come scopo il più alto punto di PERFEZIONE OTTENIBILE, e come mezzi tu/ti i poteri da noi disponibili cooperanti e conducenti a questo scopo. Ciò fatto, segnare quelle diverse vicis- situdini necessarie , le quali durante l’ incamminamento al miglior modo di vivere convien necessariamente subire, e indi dedurne come risultato il massimo di bene ottenibile col minimo di male inevitabile nello stato presente, e ciò che far si può e si deve per progredire. Io non saprei mai inculcare abbastanza questo procedere, perocchè senza di lui non è sperabile veruna piena e solida dottrina. Se voi difatti non avete sott'occhio il più alto punto di perfezione ottenibile , po- trete mai accorgervi che cosa manchi alla cosa publica e da qual parte dobbiate rivolgervi per andare avanti? Questo scopo forma la stella polare della scienza, perchè forma il modello ideale cui conwien raggiungere 0 almeno avvicinare. La cosa è tale che anche colla per- suasione di non raggiungerlo mai egli serve di guida per far tutto il bene che si può. Questo appunto si procura coi mezzi che stanno o staranto in nostra mano, ben inteso che tutti i mezzi coeficienti siano assunti e posti in opera. Bonum ex integra causa malum autem ex quocum- que defectu. E qui convien esplorare l’ andamento della natura onde scoprire se Dio sia con noi, perocchè l’uomo propone e Dio dispone, Volgendosi finalmente a segnare le vicissitudini dell’immaturità, e a suggerire le provvidenze adatte, voi vedete quanto queste cure sia- IP TUTE | POP DE 153 no decisive tanto per i governanti quanto per i governati, sia per non affrettare di salto riforme e miglioramenti non ancor opportuni, sia per compartire tutto quel bene che si può, lasciando quello che ancor non si può, e che tentato intempestivamente diverrebbe un male, e sia fi- nalmente per ispirare un prudente ritegno in chi comanda, ed an’il- luminata rassegnazione accompagnata da speranza in chi ubbidisce, Allora un governo non soffre più la taccia d'ignorante o di trascurato nel tollerare alcuni difetti attuali. Allora egli concilia la confidenza mediante il bene possibile da lui procurato in presente, e mediante la speranza di quello che farà a tempo opportuno. Ma senza il modo esposto di trattar la dottrina otterrete voi questi beni? Questo non è ancor tutto. In una materia meramente contem- plativa la soverchia generalità può portare l’ ignoranza dello stato conoscibile delle cose: ma quest’ignoranza cader può sull’ideale puro e molte volte non recar danno alcuno. Qual danno io reco se invece , di quattro mille stelle io credo che n’esistano sei mille, o che invece di credere il vacuo io ammetta il pieno fra la terra e il cielo? Ma nelle dottrine operative non è così. Ivi non solamente l’errore ma la soverchia generalità riesce disastrosa, sia perchè non si provvede do- ve, quando e come fa bisogno, sia perchè usando di salto delle gene- ralità si trattano gli interessi umani sul letto di Procuste, vale a di- re si commettono violenze sistematiche distruttive d’ ogni utile po- tenza. Un grosso buon senso allora vale meglio delle viste dei filo- sofi, e l’empirismo è preferibile alla teoria ($. 48. 280 al 283). Persuaso di questa verità, io bramava ardentemente di soddisfa- re ai pratici bisogni, e quindi mi augurava agio e tempo di tessere un compiuto lavoro e di conchiudere colle massime pratiche adatte alla direzione della cosa publica. Ma dall’altra parte comprendendo la necessità di dedur tutto da chiare e dimostrate ORIGINI, a fronte delle dispute che si agitano ancora sui primi elementi della scienza, io ho dovuto lungamente trattenermi su queste origini , e perfino nell’analisi delle prime idee, ed occuparmi della chimica dirò così morale e politica prima di passare ad architettarne il corpo. Gran parte del primo volume fu impiegato in questa specie di chimica e nell’esibirne il dizionario. Nel secondo poi ho incominciato a porre le basi della civile filosofia. Or eccomi al secondo oggetto sul quale ho promesso di spiegarmi, 154 LETTERA SECONDA. Dalle cose esposte nella lettera antecedente io mi lusingo, che avrete inteso il perchè io abbia creduto necessario, di progettare l'ordinamento fondamentale di tutta la scienza della cosa publica. Voi comprendete pur troppo la necessità di questo lavoro a fronte delle discrepanze dei maestri di questa scienza. Allorchè tutto il ve- ro è scoperto e di mostrato, cessano i dispareri leali almeno sugli og- getti primi della dottrina. Dico leali, perocchè quelli che vengono manifestati contro coscienza cessano cogli interessi che li dettarono. 1l regno della verità fra gli uomini si riconosce dall’unità di credenza de’ suoi sinceri adoratori. Ma se questa unità non esiste, quale sarà il valore delle respettive dottrine, e che cosa fare si dovrà ? Voi mi rispondete tantosto che altro partito non rimarrà fuorchè quello di trattare le dottrine della cosa publica e privata come qualunque altro ramo dello scibile, e come qualunque arte di educare. Fatti in- dubitati si vogliono come fondamenti della scienza. Leggi naturali indeclinabili si vogliono come direzioni dei poteri. Norme visibili fi- nalmente si vogliono per l'ordinamento e la disciplina. Si debbono quindi assumere come fatti fondamentali le tendenze naturali del- l'umanità, per contemperarne gli atti con una necessaria equità. Si deve quindi considerare la possanza sociale come effetto derivante unicamente da questo contemperamento , e da ciò si debbono de- darre tatti i canoni regolatori degli uomini conviventi quali real- mente possono essere , e delle leggi quali debbono essere. Ma nel far tutto questo non si deve dimenticare di computare |’ azione del tempo e della fortuna, come l’ultima e vera posizione nella quale realmente agisce la necessità delle cose, e senza della quale è impos- sibile dar forza al sistema della cosa publica e privata. Poste le cose in quest'ordine, voi vedete che la politica si asso- cia spontaneamente col diritto , e la possanza degli stati colla giusti- zia. Per questo mezzo voi vedete nascere da sè stessa la facilità di governare e la libertà nel convivere. Confesso che questi ultimi re- sultati vengono suggeriti da una specie di filosofica divinazione; ma questa è fondata su quell’ andamento anzi su quei motivi stessi che dettarono le leggi che ci portarono alla civiltà, Per la qual cosa questa divinazione si può riguardare come un anticipata escursione mentale a quella meta alla quale le più favorite nazioni si avvicina- no. Così l’astronomo dal giro incominciato di un pianeta indovina tutta la curva che dovrà percorrere. In questi brevi cenni io ho racchiuso lo spirito il più eminente | 155 ed astratto della nuova scienza, od almeno della nuova forma che as- sumer deve la scienza della cosa publica e privata, e del frutto neces- sario che essa deve apportare. Con questa nuova scienza si apre una quinta scuola che si potrebbe appellare la FILOSOFICA a differenza della favolosa, della trascendentale, della teologica, e della fittizia descritte nella lettera antecedente. Questa quinta scuola può dirsi la vera teologica, sì perchè trae i suoi dettami dallo studio dell’ordi- ne necessario della divina economia, e sì perché si migliorano gli uo- mini, le società e le leggi, e si fanno infine regnare i buoni costumi colla persuasione, coll’interesse, e colle abitudini. Se però è vero quanto disse BAcONE che l’uomo tanto può quanto sa, egli sarà necessario saper bene per operar bene. Ma nelle cose morali e politiche il saper bene nòn può derivare che dal ben conoscere tutto il campo della cosa publica, perocchè un Etica par- ticolare ed una buona coscienza privata non bastano per formar leggi ed amministrar uno stato elevato a civiltà. Quindi ho inculcato la necessità della scienza della cosa publica. Ma io rammento di ayer pure inculcato non essere sperabile nè la creazione di questa scien- za, nè la produzione de’suoi effetti, fuorchè colla cognizione e coll’uso di un buon metodo inventivo e dimostrativo, e colla precedente co- gnizione della civile filosofia. Quanto al metodo , nell’ antecedente lettera credo di averne dimostrato la necessità , le condizioni essen- ziali ed i doveri conseguenti che osservar si debbono dagli scrittori, Ora mi rimane a dire qualche cosa sulla CIVILE FILOSOFIA. Qualunque sia il concetto che piaccia annettere al nome di filoso- fia, io dichiaro che quanto a me intendo di dinotare la COGNIZIONE | DELLE COSE DEDOTTE DALLE LORO CAGIONI ASSEGNABILI. /Voscere res per causas: ecco a mio avviso in che consiste la filosofia. Ho in- dicato le cause assegnabili, perocchè tutto ciò che è a noi incognito o non suscettibile di dimostrazione non può costituire materia della scienza nostra. Ho detto che la discrepanza delle scuole europee, ol- tre dal difetto di metodo, dipende dalla mancanza della civile filoso- fia. Non so se siasi mai pensato dagli scrittori esistere fra la pura fi- losofia razionale e la scienza della legislazione una scienza interme- dia, la quale insegna a conoscere le leggi necessarie sì di ragione che di fatto della vita civile, e che dalla cognizione sola di queste leggi lice dedurre tutti i veri dettami della cosa publica, e quindi i diritti e i doveri veramente praticabili che formano l’ argomento dei trat- tati del naturale diritto di cui gli scrittori si occuparono. La cogni- zione di questa scienza intermedia, la teoria di queste leggi necessa- rie dedotte dalle loro cagioni assegnabili, costituisce appunto quella che io denomino civile filosofia. 156 Restringendo entro i minimi termini possibili gli argomenti ul- timi capitali di questa civile filosofia, mi pare che si possano esprimere come segue. 1.° Posto come fatto fondamentale che gli uomini e le genti implorano pacé, equità e sicurezza, e posto che gli uomini e le società debbonn per quanto possono soddisfare a questa inchiesta sotto pena di soffrire i più orrendi flagelli , si domanda per qual MEZZO si possa soddisfare a quest’inchiesta ? — Risposta. Questo mezzo consiste nel procacciare in società e per mezzo della società il PERFEZIONAMENTO economico , morale e politico degli uomini e delle nazioni ; lo che si esprime col solo vocabolo dell’ INCIVILIMENTO. 2.° Ma posta la natura e poste le leggi necessarie delle cose e degli uomini, in quale MANIERA gli uomini e le società procacciar possono questo triplice perfezionamento? — Risposta. Prima di tutto collo stabilire governi capaci a prestare una grande tutela accoppiata ad una grande educazione, lo che esige unità, vigore e stabilità nella loro esistenza, ed il pareggiamento delle utilità mediante l’ inviolato esercizio della comune libertà nelle loro funzioni. 3.° Ma come sperare che gli uomini nati ignoranti e senza istinto che supplisca alle cognizioni giungano a siffatto stabilimento? — Ri- sposta. Col subir prima i periodi dell’incivilimento procarati dalla fortuna che ammaestra coll’ esperienza, e con tutti i mali ed i beni dell’ ignoranza , delle passioni e della ragione che va via via svilup- pandosi. La natura difatti prepara questo incivilimento: la Religione lo feconda: ( $. 442.) l’agricoltara Jo cementa:($. 347. 348) il gover- no lo sviluppa: ($. 363. 369 ) la libertà lo perfeziona: ($. 415 al 418) l’ opinione lo consolida ( $. 207. 216. 285. 428.). Così incomincia col- l’opinione pregiudicata e finisce coll’ illuminata ($. 428). Acquistata questa opinione , gli uomini a mano a mano possono ordinare lo stato sì nel governo che nei cittadini ($. 169. 170. 171.), e così giua- gere finalmente dopo il tirocinio della fortuna a stabilire governi adatti alla maggior potenza e prosperità nazionale, Ecco in primo luogo come gli uomini possano giungere a stabilire siffatti governi. Qui però debbo ricordare che questi argomenti non sono che gli ultimi ed i capitali, e non esprimono altre parti importantissime della civile filosofia, Io non ho ricordato difatti l’ ORDINAMENTO FONDA- MENTALE del corpo stesso della società, astrazion fatta da quello del governo, pel quale conviene prima di tutto armonizzare i tre princi- pali MOTORI, cioè quelli dell’ opinione , dei beni e delle armi imbri- gliati dal poter publico della società. In essi si debbono poi rilevare le specie subalterne, le quali per un antagonismo vitale formano l’ec- citamento e la vigoria d’ uno stato, quando vengono rattenuti entro i 157 confini richiesti dalla politica unità. Così nell’ opinione distinguiamo l’opinion credala che serve alla dipendenza, e l’opinione ragionata che serve alla libertà: così nei beni noi distinguiamo le proprietà stabili che servono alla dipendenza, e le proprietà industriali e commerciali che servono alla libertà : così finalmente nelle armi noi distinguiamo le armi governative che servono alla dipendenza, e le civiche che ser- vono alla libertà. Dopo tutto questo poi noi disveliamo il gran prin- cipio della nazionale STABILITA’, per la quale dagli interessi equa- mente soddisfatti e dai poteri vigorosamente affrenati una nazione riposa sulla propria gravità, e per una specie di naturale inerzia assi- cura tutto l’ ordine stabilito senza tema di pericolose mutazioni, e nell’ atto stesso alimenta il sacro fuoco dell’ amor della patria e delle civili virtù. Passando poi alle diverse FASI dell’ incivilimento , dobbiamo te- ner d’ occhio al successivo SCIOGLIMENTO DEI POTERI compatti ori- ginari degli individui, ed il contemporaneo concentramento e vigore del poter pubblico, che si va via via operando coll’incivilimento, di modo che ad ogni individuo viene partecipata soltanto una sempre minor frazione di potere economico , morale e politico , talchè infine il minimo di questi poteri risiede nell’ individuo, ed il massimo di Jumi, di bontà e di potenza risiede nel tutto, e da questo tutto ogni individuo ricava il massimo di possanza utile adatto alla propria si- tuazione ($ 171 ). Da questo insensibile ed incessante processo della natura nasce un doppio bene. Il primo si è di attribuire e di estendere un valor sociale sopra il maggior numero possibile d’ individui com- ponenti una nazione, talchè i ladri e gli schiavi sono ridotti al minimo possibile. Ecco un effetto del perfezionamento economico operato dalla stessa natura, Il secondo bene poi si è che per una mirabile eco- nomia della natura, a proporzione che crescono i mezzi del ben es- sere e gli stimoli alle cupidigie, crescono a pari passo anche i vincoli che rattengono gli uomini entro i confini dell’ordine, sia perchè i loro poteri individuali si vanno sempre più sminuzzando ed i costa- mi addomesticandosi, e sì perchè crescono a pari passo ed agiscono in compagnia le sanzioni della politica, della religione, dell'onore e della sociale convivenza. Da ciò sorge uno stato nel quale la società ha il massimo di faccende ed il governo il minimo d’affari. Ecco un mezzo di perfezionamento politico dei cittadini operato dalla natura. Un altimo effetto poi operato dalla natura in questa successiva trasfasione dell’unità individuale nella soeiale , si è quello di creare per una necessaria connessione e di provocare un SENSO PUBLICO av- walorato dagli interessi anche materiali, pel quale le operazioni delle deg gi e della publica amministrazione o buone o nocive, vengono non ) 158 solamente comprese coll’intelletto ma sperimentate coll’ interesse, e però la moralità publica e privata vien raccomandata con una ef- fettiva sanzione. Ecco un tratto di perfezionamento morale della na- zione riguardante la moralità publica effettaato all’insaputa nostra. Tutto questo è opera spontanea della natura, e balza agli occhi dell’indagatore delle leggi naturali dell’incivilimento prima anche di avere scoperta l’ ultima e massima formula della vita degli stati. Questa formula eminentemente racchiude tutte le leggi testè ac- cennate. Questa formula riduce allo stesso tipo il regime del mondo morale e del fisico ( prefazione ) sul quale appunto il morale è fon- dato ed atteggiato ($. 89). Questa formala esprime una grande leg- ge, alla quale io apertamente alludeva allorchè parlai del fonda- mento dell’ordine pratico della socialità ($. 294), del regime della fortuna e dell’arte ($. 369 in fine ), e delle transazioni del perfezio- namento ($. 4or. 424). Questa legge massima ed unica si è “ la ten- »» denza perpetua di tutte le parti di uno stato all’equilibrio dell’ati- », lità e delle forze mediante il conflitto degli interessi e dei poteri: ) conflitto-eccitato dall'azione degli stimoli; rattemperato dall’iner- », zia; perpetuato e predominato dalle incessanti urgenze della na- 3, tura; modificato dallo stato diverso retrogrado progressivo e sta- 3» zionario sì dei particolari che delle popolazioni , senza discostarsi 3, mai dalla continuità ,,, Esaminate di grazia tatto quelio che ho scritto sull’ordine pratico, e particolarmente sul perfezionamento; e voi riscontrerete appuntino tutte le parti di questa legge malgrado la varietà degli oggetti, e la diversità dei periodi. Questa formula, come ben vedete, esprime il tipo della divina economia. Ma oltre le leggi segrete e gl’impulsi non avvertiti della na- tura, la civile filosofia fa rilevare gli STABILIMENTI e le ISTITUZIONI che una società agricola e commerciale è obbligata di porre in ope- ra per la forza stessa delle insuperabili circostanze delle cose e degli uomini. E qui fo osservare all’impero universale delle PROVE che assicurino della verità dei fatti, e quindi a tutto il sistema dei mezzi | che possono accertare sia dei fatti umani, sia delle qualità delle cose interessanti. Inoltre fo osservare al prodigioso impero ed all’immen- sa passava del SISTEMA RAPPRESENTATIVO per il quale viene reso visibile ciò che è invisibile , fisso ciò che è fugace, mobile ciò che è immobile, e per cui si sorpassano le distanze dei luoghi e dei tempi, come ne fanno fede la scrittura, le cambiali, i telegrafi, la moneta e gli altri segnali tutti delle qualità delle cose. Qai pure la civile filosofia fa avvertire alla CONTINUITA’ DEL SI- STEMA «ECONOMICO pel quale i diritti e le obbligazioni reali trasmes- se e mantenute da persona a persona e da generazione a generazione, | Ì 159 nell’atto che animano ed assicurano le aspettative, collegano fra di lo- ro le diverse età, e formano di tutta la società una persona veramen- te unica ed immortale, la quale non sembra risentirsi della caducità e della brieve vita delle sue membra. Tutti gli scrittori, sì di ragion publica e privata che di economia, por dovevano attenzione a tutti questi oggetti, senza dei quali sarà sempre impossibile di conoscere ciò che la natura esige, e come e quando si debbba soddisfarla. Ecco per sommi capi alcuni argomenti di quella che io chiamo civile filosofia : ed ecco eziandio la scienza di cui manchiamo, e sen- za della quale i dogmi del publico diritto e della politica rimangono senza vita e senza sanzione. To dico poco: la scienza del publico diritto rimane quasi tutta a desiderarsi mancando delle cognizioni di questa politica filosofia, L’abitudine di angustiare l’ idea del naturale diritto entro i confini incui fu ristretta dagli scolastici , dai casisti e dalla comune degli scrittori, farà apparire strana questa mia asserzione. Ma io domando a tutti costoro: accordano o no essere obbligo naturale, assoluto, ir- refragabile e perpetuo lo stabilire e proteggere la pace l’equità e la sicurezza implorate dalle genti ? Accordano o no che per correlazio- ne gli uomini e le genti banno un diritto assoluto , inviolabile , im- perscrittibile a questa pace equità e sicurezza? Ciò posto, non hanno forse diritto a tutti i mezzi dimostrati come indispensabili onde ot- tenere questo intento, e di respingere ogni opposizione come crimi- nosa al pari della devastazione e delle stragi? Ora se tutto ciò è per sè evidente, se tutto ciò apparisce come diritto e dovere necessario ed irrefragabile di patura', ne verrà per necessaria conseguenza che la teoria dei mezzi dimostrati come indispensabili sarà di diritto e di dovere naturale e necessario. Se dunque il triplice perfeziona- mento economico , morale e politico venga dimostrato come mezzo indispensabile a conseguire la pace l’equità e la sicurezza invocate dalle genti, ne risulterà che questo triplice perfezionamento sarà costituito e consacrato come diritto e dovere naturale, necessario , irrefragabile. Chi ha diritto al fine ba perciò stesso diritto ai mezzi indispensabili per ottenerlo. Diciamo di più. Questi mezzi vengono così consolidati e consacrati per la loro necessità , che il diritto al fine riesce nullo senza il diritto a questi mezzi. Dunque la scienza della ragion publica e privata sarà mutilata, mancante e resa nulla senza la teoria del triplice perfezionamento suddetto. La cosa si ri- duce a tale, che o convien negare che questo triplice perfeziona- mento sia indispensabile , o convien accordare che mancando la di lui teoria, la dottrina della cosa publica e privata riducesi presso che a nulla ($. 270, 271, 272). 160 ‘Ma coll’ annunziare compendiosamente questo triplice perfe- zionamento comprendiamo noi bene che cosa egli'abbraccia? Gli scrittori si sono forse curati di stabilirne almeno i primi elementi ? Io lodo gli sforzi fatti dagli economisti, ma le loro dottrine non sono compiute e sanzionate. Esse sono presentate come quistioni di mera utilità, senza essere consacrate col carattere di rigoroso ed indi- spensabile diritto e dovere naturale e necessario. Io ho dovuto con mio rincrescimento osservare che l’ introduzione della vita agricola e commerciale, che forma la prima ed essenzial base del perfeziona- mento economico, non fu mai eretta in rigoroso dovere necessario di natura , e però ho dovato supplire a questo disastroso oblio onde ‘ santificare tutto il sistema della ragion nostra civile e quello, delle stabili proprietà. Io non dico nulla del rimanente, perocchè la li- bertà industriale e commerciale , ed i confini fra i diritti della pub- blica autorità e quelli della padronanza dei cittadini sono. ancor commessi ad una disastrosa controversia , nella quale i partiti sem» brano piuttosto disputare di facoltà che si possono dare e togliere a piacere, di quello che di diritti e di doveri che conviene rispettare e rispettivamente proteggere, e che gli uomini e le nazioni hanno di- ritto irrefragabile di esigere. Gran che! Si è nella giurisprudenza civile voluto definire il dominio reale delle cose senza curarsi di esaminarne tutta la sfera, tutti gli appoggi necessar] e tutti i mezzi indispensabili. È stato ca- ratterizzato il furto lo spoglio dei possessi e cento altre cose di questa natura , e ciò che importava di più e che colpisce la sorte d’ intiere nazioni e di molte età è stato abbandonato senza esame all’arbitrio ed all’ ignoranza. Ciò che fu detto intorno al perfezionamento economico, dir par si deve del morale e del politico, sì perché essi considerati in sè me- desimi sono di diritto naturale necessario, e sì perchè tutti tre questi rami sono fra di loro inseparabili, nè l' uno può esistere, agire , cre- scere e rimaner sicuro senza dell’ altro. Respingere la barbarie ; acquistare i lumi necessarj alla publica e privata moralità, forma un dovere ed un diritto assoluto, supremo, indispensabile quanto il possedere il campo, la casa, un arte ed un mestiere , e di coltivare , progredire ed essere sicuri ne’ suoi possessi. Tutto è sacro: tutto è inviolabile ogni qualvolta apparisce come mezzo indispensabile ad ottenere la pace , l’ equità e la sicurezza invocate dalle genti e con- sacrate dalla suprema natura, Se il dar leggi non può essere mai atto di arbitrio ma di ragio- ne , se queste leggi dar si debbon quando fa bisogno, secondo il bisogno e dentro i limiti del bisogno, senza di che sono atti d’ingiu- ce PE O_o 161 ria : se perfino il tentar riforme colla vista di una perfezione speco- lativa sarà una calamità allorchè sarà atto intempestivo , ne seguirà che l’ uso e quindi il conoscere la civile filosofia e leggi dell’ incivili- mento, sarà un dover publico tanto necessario quanto quello di di- fendere le vite e le fortune dei cittadini. Dunque la dottrina dell’ in- civilimento formerà parte integrante della ragion publica e privata sociale. Dunque essa formerà parte del più necessario diritto. Ora veniamo ai conti. Gli scrittori della ragion publica che cosa hanno fatto fin quì? È vero o no che hanno abbandonato alle passioni ed ai pregiudizitutta la civile filosofia? Umiliante io lo confesso si è per noi lo scoprire l’ estrema me- schinità di principj dimostrati intorno la cosa publica. Desolante è pur troppo il vedere quanto ci manca ancora ; ma questa dolorosa osservazione servirà per volgere i nostri stud) a questa parte, e far cessare la pausa e quasi direi l'abbandono nel quale da alcuni anni in qua giacciono le dottrine teoriche della ragion publica e sociale, Dico le teoriche per distinguerle da quelle discussioni particolari, le quali originate da circostanze eventuali non offrono che un interesse locale , e da quelle escursioni sulla meccanica politica che furono tentate senza preparazione. (Sarà continuato.) RIZZO RIESI II PITON I: DIO ITINERE LL Al Direttore dell’ Antologia. Lucca 20 agosto 1826. Vi ricorderete che allorquando, sono or due mesi , riconoscem- mo insieme essere occorso nella nota (1) alla pag. 75 del fascicolo di maggio dell’anno corrente un errore assai grossolano , vi mostrai, non per iscusa ma per ispiegazione del fatto, il testo dell’opera clas- sica del sig. Sganzin usata in Francia per l’ insegnamento nella ce- lebre scuola des Ponts et Chaussées, dalla quale io aveva con ecces- siva fiducia estratto troppo rapidamente il contenuto della nota per avvertire alle inesattezze sfuggite a quel dotto e chiaro ingegnere. Mi offersi quindi spontaneamente di porre nella miglior luce che per me si potesse, il punto interessante di storia dell’arte, cui quella no- ta siriferiva, ed avrei procurato di farlo senza ritardo, se allontanato da Firenze per diverse faccende indispensabili, non me ne fosse man- T. XXIII. Agosto. II 162 cato l’agio. Ritrovo intanto che nel fascicolo di luglio, pag, 167 del- l’Antologia , avete riprodottain un errata l’ opinione già comune- mente ammessa dagli scrittori intorno alla prima invenzione delle chiuse ; e siccome non mi tengo perciò affatto libero dall’ obbligo contratto verso di voi ; vi spedisco alcune poche osservazioni ; nelle quali troverete sottoposta ad esame una tale opinione. Voi poi ne farete quel conto e quell’uso che crederete. $ Niuno, che io sappia, contende all’ Italia il vanto di aver mo- strato all’Europa i primi e migliori modelli di canali d’interna navi- gazione, e di quelle costruzioni ingegnose che servono a far passare i navicelli di uno in altro livello; ma non sono così certi, come da diversi valenti uomini si è creduto e si è detto, nè l'epoca nè il nome degl’in- gegneri, cui è dovuto il sostanziale loro perfezionamento nelle due porte accoppiate dalle quali i sostegni a conca sono propriamente costituiti. Che se si riguardi alla opinione seguita dal più degli scrit- tori di cose idrauliche, si troverà che, sulla fede di Bernardino Zen- drini, essi hanno ammesso per certo quanto lo stesso mattematico di Venezia non asseriva che dubitativamente nel modo seguente ( trat= tato delle acque correnti cap. XII. n. 20). “ Ho cercato molto per rintracciare di questi il nome ,, (cioè del- l'inventore de’sostegni), ‘ e sapere il tempo d’un sì spezioso ritrova- » mento, senza averlo potuto conseguire, se pure certa notizia , che s» mi deriva da private carte, non potesse dar qualche lume per ri- » Conoscere il detto benemerito inventore. Ho trovato dunque che 3» Dionisio, e Pietro Domenico da Viterbo del fa maestro Francesco »» di detta città, ingegnere della signoria di Venezia, acquistano , del » 1481 li 3 settembre; da’signori Contarini, certo sito nella Bastìa di » Strà luogo ben noto verso di Padova, per formare in esso un sora- 33 tore del Piovego, che è quel canale che viene da Padova al detto. »» luogo di Strà , ed in certa supplica de’ medesimi 44 Viterbo di »» detto anno, resta espresso ch’ essi, che si chiamano mestri d’oro- »» loggio , faranno che le barche e burchi potranno passare per la s; chiusa di Strà senza pericolo, operando in modo che le acque usci- 3 ranno con facilità, e senza essere obbligati a scaricare e senza es- ;» ser tirate. Aggiungono poi le condizioni, fra le quali la principale »» sì è quella di aver essi a formar l’ingegno , come lo chiamano € 3 mantenerlo ; il che essendo loro stato accordato assieme con quel 1» provento che pur avevano domandato, costa da ducale a’rettori » di Padova, in cui si esprime compito il sostegno di Strà ; per lo » che ricercarono i detti maestri di far una buova per maggiore » perfezione dell’opera. A costoro dunque, almeno nello stato ve- | i | » s163 ;x.neto, si, può dare.il vanto di tal invenzione, non trovando chi 3» prima di essi. l'abbia ideata ne posta in'pratica.’ Ma oltre che in tutto questo io. non, veggo. fatta menzione di porte nè tampoco di conche, onde intendere senza equivoco .in che consiste l’ ingegno, della chiusa di Strà, l’abate Lecchi nella intro- duzione istorica al suo trattato de’canali navigabili £ .ritrova,altr’e- 3» poca molto anteriore nel 1420, nel qual,.tempo ;erasil già intro- 3» dotto l’uso ed il ritrovamento delle conche ne’navigli di Milano ,,. E di fatti ‘“ Pietro Candido Decembrio nella vita di Filippo-Maria 3» Visconti, del quale egli era cortigiano, racconta che questo princi- » pe meditatus est et aquae rivum per quem ab Abbiate ad Vigle- o vanum usque sursum veheretur, aquis altiora scandentibus, ma- »» chinarum arte, quas conchas appellant. Per la qual cosa, non sembrandomi rigorosa la conseguenza che si è voluta trarre dall’ autorità dello Zendrini , e non esti- mando si possa far molto frutto nella ricerca se fosse veramente un sostegno a conca, come il menzionato Ab. Lecchi è inclinato a crede - re, quello che, a seconda de’più antichi istorici citati dal Bertazzolo, venne eseguito sino dall'anno 1188 a Governolo sul fiume Mincio, dall’ architetto Pitentino di Mantova, o se, mancando la cognizione delle conche, si sarebbero potuti ideare ed in parte eseguire in Ita- lia, tra’luoghi di livello molto diverso, tanti grandiosi navigli ne’ se- coli 14.° 15.°, mi contenterò d’indicare ai lettori, come opera da con- sultarsi , la dotta istoria della navigazione interna del Milanese, re- centemente pubblicata dal sig. Giuseppe Bruschetti. Dalle di lui carte erudite potranno essi facilmente rilevare come rimanga tutto- ra involta di oscurità l’ epoca precisa della introduzione delle con- che, quali oggi s'intendono, per quanto egli tenga per fermo, che quella di Viarenna, posta in esecuzione in Milano nella prima metà del secolo 15.°, e però anteriormente al sostegno di Strà (e per quan- to può rilevarsi dalle poche notizie istoriche di que’tempi dagl’inge- gneri Filippo da Modena soprannominato dagli Organi, e Fioravan- te da Bologna, e non già, come per tradizione si crede, da Lionàrdo da Vinci) “ Sia veramente la prima delle conche a noi note ,,. Della quale opinione qualunque giudicio voglia portarsi, non si troverà ciò non pertanto meno irrecusabile la seguente conclusio- ne dello stesso sig. Bruschetti , che, non ostante tutte le occasioni favorevoli che si presentarono nel Milanese al perfezionamento della conca, un tale artifizio, messo in opera sotto’ gli ultimi Visconti, “ sa- ») rà stato in origine assai rozzo ed incomodo , poco meno del tra- 5 ghetto di terra ,, onde “ è molto probabile che successivamente 3» durante la repubblica precedente all’innalzamento di Francesco I 104 »» Sforza al ducato di Milano; e durante la‘ maggior parte del prifici- »» pato Sforza, la corica abbia ricevato nel Milanese e nelle altre pro- 3; vincie Italiane, soltanto'a poco a poco, quegli ulteriori migliora- 4 », menti, che ‘unicamente potevano ridurla un mezzo semplice’ pet | » passare ‘con facilità da ‘un tronco all’altro di canale, in cui le ,» acque siano a differente livello; ma è cosa certa che essa alla fine 27 diventò la più bella scoperta, i onori: Let delle acque ” in rss ” o GIORGINE 165 BULLETTINO SCIENTIFICO. N.° XXXV. Agosto 1826. SCIENZE NATURALI Meteorologia. Il sig. Arago ha comupicato all'Accademia delle scienze di Parigi alcune particolarità delle quali si è procurata la cognizio- ne, e relative alla grande variazione del barometro avvenuta nel mese di dicembre 1821. Essa fu osservata in un estensione consi- derabilissima , ma , contro l’ opinione generalmente ammessa in- torno a questa sorte di variazioni , non si manifestò simultanea- mente dovurque, in tutte le direzioni. Egli è vero che non si è potuto misurare un intervallo sensibile sopra una linea immensa che si estendeva dall’ est-sud est all’ ovest-nord-ovest; ma nella direzione perpendicolare a questa il fenomeno non si propagò che in.un tempo apprezzabile, ed anche lungo, giacchè scorse quasi un giorno e mezzo fra il momento in cui fa avvertito a Parigi, e quello in cui fu osservato a Mosca ed a Pietroburgo. Nel giorno 14 dello scorso aprile a ore 5 pomeridiane una cossa di terremoto si fece sentire a Saint-Brieux , nel dipartimento della Costa del nord in Francia. La temperatura dell’ atmosfera era allora di gr. to ‘circa R; il barometro segnava 29 pollici ; la scossa durò dodici o quindici minuti secondi, e ad alcuni parve diretta dall’ est all’ovest, ad altri all’opposto dall’ ovest all’ est. Fu sentito contemporaneamente un fragore simile a quello che fareb- be un carro scorrendo sul pavimento. Nello stesso giorno farono sentite egualmente ad Inspruck più scosse di terremoto. Un giornale francese, da cui abbiamo tratte ‘queste due notizie, osserva che sebbene spesso le commozioni sot- terranee si facciano sentire a distanze grandissime, pure non si potrebbe supporre una causa comune dei due avvenimenti riferi- ti, se non verificando che luoghi intermedii siano stati agitati nello stesso giorno, Si ha dal porto di S. Pietro e S. Paolo ( Kamtchatka) la se- guente notizia. “ Il dì 1 settembre 1825 , a ore 9 e minuti 48 166 della sera, si è qui sentita una furte scossa di terremoto che ha durato da 8 a g minuti secondi. Il dì 5 ottobre a ore 3 min, 32 di mattina se n’ è provata una seconda, la quale però non ha du- rato più di 3 secondi, e finalmente una terza il di 7 novembre a ore to, e min. 23 della mattina. Quest’ ultima scossa non è stata forte, ma ha durato circa 20 secondi. La mattina del dì 29 gennaio decorso il sig. Forbes inglese, essendo a bordo della Clyde, vascello della compagnia delle In- die orientali diretto verso Londra , e trovandosi a gradi 10,40 di latitadine nord, e 27,41 longitudine ovest , ed alla distanza di circa 600 miglia dalla costa d’Affrica, trovò con sua sorpresa le vele ricoperte d’ una sabbia brunastra , le di cui particelle esaminate col microscopio sembravano d’una tenuità estrema . Nella notte aveva soffiato un vento fresco dal nord est, e la costa d’Affrica situata fra il Capo-verde ed il fiume Gambia era la terra Pi vi- cina al vascello nella direzione del vento. Questo fatto non potrebb’ egli far presumere che i semi di varie piante trovate in isole o assai lontane o di nuova formazione vi siano stati trasportati in un modo analogo? Fisica e Chimica. Le osservazioni diligenti degli astronomi più celebri hanno po- sto fuori di dabbio che la cometa mostratasi negli anni 1786, 1795, 1801, 1805, 1818, e 1825 è stata sempre la stessa. Questa co- meta non oltrepassa mai nel suo corso l’ orbita di Giove. Il più corto periodo della sua rivoluzione è di circa 3 anni e un quar- to, e la sua distanza media dal sole oltrepassa due volte quella della terra. Sembra che essa sia specialmente connessa al sistema a cui appartiene il nostro globo, e traversa la nostra orbita non meno di 60 volte nel corso d’un secolo. Il sig. Q/bers, celebre astronomo di Brema, che l’ha osser- vata con particolare studio, ha recentemente fatto soggetto dei suoi calcoli la possibilità della sua influenza sù i destini del no- stro globo. I suoi calcoli lo hanno condotto a concludere che da quì a 83,000 anni questa cometa si avvicinerà alla terra alla di» stanza attuale della luna ; che da quì a 4,000,000 anni non sarà distante dalla terra che di 7,700 miglia geografiche , che allora, posto che la sua attrazione sia eguale a quella della terra, le acque dell’ oceano s’ innalzeranno 13,000 piedi sopra il loro attuale livello, sicchè cuopriranno le sommità delle più alte montagne 167 d'Europa; eccettuata soltanto quella del Monte Bianco. Gli abi- tanti delle Ande, e delle montagne d’ Himalaya saranno i soli che scamperanno da quel diluvio, finchè dopo 216,000,000 anni la terra, incontrando direttamente la cometa sulla sua strada, ne riceverà un urto così violento, da risultarne la sua distruzione finale. La Rivista britannica, da cui abbiamo tolto quest’ articolo, lo termina consolandosi che ci resta il tempo da prepararci ad una così orribile catastro fe. Il sig. Bodin avendo proposto una teoria del calorico; nella quale questo fluido imponderabile era considerato come risultante dalla riunione delle due elettricità contrarie in un fluido neutro, i sigg. Fresnel ed Ampere incaricati dall'Accademia delle scienze di Parigi d’ esaminare la memoria del sig. Bodin, e riferire in- torno ‘al merito di essa, hanno rilevato : 1.° che questa teoria non è nuova, e che era già stata proposta e sostenuta dal sig. Berze- lius; 2.° che possono farsele delle obbiezioni gravissime, e fra le altre le seguenti : che i metalli i quali trasmettono |’ elettricità con una rapidità incalcolabile, mon trasmettono il calorico che molto più lentamente , ed in genere che il grado della facoltà d’ ogni corpo per trasmettere il calorico è ben lungi da potere essere riguardata come propria a misurare la stessa proprietà ri- spetto all’ elettricità ; così per esempio la brace di forno trasmette benissimo l’elettricità non il calorico, ed al contrario il vento tra- smette meglio il calorico che l’ elettricità ; 3.° che l’ esperienze proposte dall’ autore per mettere la sua teoria in evidenza non darebbero che un risultato ben conosciuto anticipatamente, e che in tutti i casi non potrebbe provare nè in favore , nè contro di essa» Il sig. Arago ha comunicato all'Accademia delle scienze al- cuni nuovi fatti da sè osservati intorno all’ azione reciproca dell’ago calamitato e dei corpi riputati non magnetici. Avendò egli sospeso al disopra del disco di cui si serve nelle sue esperienze un ago calamitato verticale, il quale non poteva muoversi in altra guisa se non girando intorno al suo mezzo in un piano egualmente ver- ticale, e passando per uno dei raggi del disco, ed averdo fatto girare rapidamente questo , ha veduto l’ago portarsi verso il cen- tro del disco stesso tutte le volte che l'ago era posto ad una tal distanza dal centro del disco, che fosse un poco minore dei due terzi del raggio di esso. Quando la distanza dell’ ago dal centro del disco equivale ai due terzi del raggio di questo, l’ago rimane 168 immobile ; se sia più lontano dal centro prende un moto contra- rio, ed è spinto in una direzione opposta, tende cioè ad allonta= narsi dal centro, e continua ad essere spinto nella stessa direzione, non solo finchè corrisponde alla circonferenza del disco , ma an- che al di là di questa circonferenza. Un altra volta il sig. Arago ha posto l’ ago in situazione oriz- zontale in modo che non potesse muoversi che intorno al suo mezzo e nel piano stesso , e che una delle sue estremità sì trovasse so- pra e vicinissima al disco. Allora, fatto girar questo ; l’ estremità dell’ago che vi era vicina è stata sollevata , quasi fosse rispinta dal disco. i In un gran numero di questi casi manifestandosi fra le diverse parti del disco ed il polo della calamita , cioè dell'ago che se gli avvicina, una forza ripulsiva, non è più possibile attribuir questa al magnetismo, contratto dal disco; essendo certo che in qualun- que modo una calamita o un’ago calamitato agisca sopra un al- tro corpo per comunicargli le proprietà magnetiche , questo non può contrarre che una forza attrattiva. Il sig. Ampere ha esternato l’ opinione che in queste curiose esperienze del sig. Arago l’ azione del disco. sall’ago sia sempre ripulsiva, ed attribuisce l’ attrazione apparente che si manifesta quando l’ago è dentro i due terzi del raggio più vicini al centro del disco all’ azione degli strati eccentrici di questo. In séguito d’altre sue curiose ed importanti ricerche , lo stesso sig. Arago ha annunziato che per certe posizioni d’un ago ver- ticale, e per delle celerità di rotazione ‘bastantemente rapide, la forza ripulsiva che si esercita secondo il raggio è tanto grande quanto la forza perpendicolare al raggio, di cui si osservano gli effetti sopra un ago orizzontale. Il sig. Ballart ha annunziato d'aver trovato nell’acqua del mare una sostanza particolare, che egli propone di chiamar mu- rido. Questa sostanza di color rosso-nerastro esala un odore spia- cevolissimo che somiglia quello degli ossidi di cloro ; ha anche un sapore disgustosissimo , ed esercita sull’ economia animale un azione deleteria estremamente energica. Entra in ebollizione a 37 gradi R; ed in conseguenza si volatilizza con grande facilità , lo che è tanto più singolare , quanto che la sua densità è molto con- siderabile ; ma non si congela se non a circa gradi 18 sotto zero R; e sembra che non goda al minimo grado della facoltà di tra- smettere l’ elettricità, Quanto alla sua azione sui diversi corpi sem- 169 plici, il murido tiene un luogo medio fra l’ iodio ed il cloro ; ed è un fatto notabilissimo in chimica l’esistenza d’ an corpo interme- dio fra due altri corpi, i quali presentano già fra di loro tanta analogia. Si conoscono diverse mescolanze saline atte a produrre un fred- do artificiale più o meno intenso allorchè si uniscono all’ acqua , e più se alla neve o al ghiaccio pesto. Una di queste mescolanze ve- nuta d' Inghilterra ed analizzata dal sig. Yauquelin è stata trovata composta di muriato di potassa parti 5y, muriato d’ ammoniaca parti 32, nitrato di potassa parti to. Questa mescolanza unita a 4 parti d’acqua ed agitata prontamente , ha fatto discendere il mer- curio in un termometro immersovi dai 20 gradi sopra zero a 5 sotto zero della scala di Réaumur. Una mescolanza ricomposta cogli stessi sali nelle stesse proporzioni ha prodotto un effetto eguale. Il dott. Osborne di Dublino ha scoperto nella saponaria offici- nalis un principio che per alcuni dei suoi caratteri rassomiglia più alla picrotossina che a verun altro dei principii immediati descritti fin quì; ma ne differisce bastantemente per altri suoi caratteri. Si ottiene mediante la decozione di quella pianta ; ha un sapore estre- mamente amaro ; è di color biancastro , e cristallizza in prismi rag- giati che uniti prendon forma di penne y scaldato leggermente si fonde, ed a misura che s’inalza la temperatura , si gonfia e divien nero; non è nè acido nè alcalino , scaldato coll’acido solforico si scompone interamente ; è solubile nell’etere e nell’ alcool, ed in meno di due volte il suo peso di acqua fredda, ed. è insolabile nell’essenza di terebintina. Dopo la fioritura della pianta cagionò sorpresa il non trovarvi più traccia di questo principio, cosicchè fu necessario differire tutte l’ esperienze ulteriori fino alla stagione seguente , epoca nella quale vi è la lusinga di essere informati di nuove particolarità sù quest’ oggetto. Nel corso dell’ esperienze parve che la proprietà astringente della pianta , conosciuta da lungo tempo , fosse unicamente dovuta ad ana materia gommo-viscosa, la quale forma un emulsione quando si agita con particelle grasse. Storia naturale. Nel dipartimento del Giura; così detto da un alta montagna dello stesso nome, che separa la Francia dalla Svizzera, fra molte inte- ressanti produzioni naturali , si trovano anche diverse fontane o sor 170 ci delle quali, distinta col nome di fontana tonda, è notabile per l’ intermittenza o periodicità del suo getto. Il sig. Dutrochet avendo fatto alcune osservazioni intorno a que- sta fontana , le ha comunicate in una sua memoria all’ accademia delle scienze di Parigi. Primieramente egli osserva che il getto della fontana tonda non è intermittente, ma soltanto periodico, vale a dire che, senza sospensione o interruzione, la sua intensità varia ad intervalli regolari, aumentandosi ordinariamente per 3 minuti, poi diminuendosi per altrettanti. I fisici ed i naturalisti , che da lungo tempo avevano rivolta la loro attenzione alle fontane intermittenti, spiegavano concordemente il fenomeno col supporre che tali fontane fossero alimentate da ser- batoi sotterranei d’acque comunicanti colle fontane stesse per mezzo di condotti o canali che facciano |’ ufizio di sifoni. Il sig. Datrochet rileva che questa spiegazione meramente ipotetica , e non appoggiata a veruna osservazione diretta, non può essere applicata alla fontana tonda, nella quale il tempo del periodo non è costante , riducendosi talvolta da sei minuti a quattro, due dei quali di rinforzo ; due di rallentamento. Egli pensa che possa felicemente spiegarsi la periodi- cità del getto di questa fontana e le circostanze che l’accompagnano, ammettendo che una corrente periodica di gas incontri in una dire- zione obliqua la corrente d’ acqua che alimenta la fontana, traver- sandone il corso ad intervalli regolari. Cita poi come un fatto che viene in appoggio di quella supposizione lo sprigionamento notabile di gas acido carbonico , che si osserva costantemente nel periodo in cui l'intensità del getto della fontana tonda declina ; il quale spri- gionamento di gas acido carbonico egli afferma esser comune a tutte le acque del Giura. In opposizione alla opinione recentemente emessa dal sig. Ed- wards in quella memoria da lui letta avanti 1’ accademia delle scien- ze di Parigi, di cui abbiamo dato un cenno nel bullettino del mese di giugno (Antol. n.° 66 pag. 165) , il sig. de B/ainville ha letto poste- riormente avanti l’ accademia stessa una nota intorno agli animali detti infusorii, nella quale occupandosi di diverse questioni relative alla natura di questi esseri microscopici, dopo aver riconosciuto che essi sono molto lontani da poter esser compresi in un medesimo ge- nere, e dopo avere indicati minutamente i generi ai quali si possono riportare , dichiara ch’ egli reputa impossibile l’ ammettere che ve- runo di questi animaletti nasca spontaneamente nelle infasioni di so- stanze vegetabili o animali, ma che tutti provengono da germi pre- I71 esistenti o nell’atmosfera o nell'acqua, o nelle sostanze impiegate. nell’ esperienze. Egli neppur crede che in verun caso una parte se- parata d’ un vegetabile possa prendere il movimento spontaneo , e dare origine ad un animale, e che reciprocamente degli animali ag- glomerandosi possano mai produrre immediatamente un vegetabile. Il sig. Turpin ha fatto conoscere un nuovo risultato a cui è stato condotto dal seguito delle sue ricerche sulla g/obulina, che egli con- sidera come l’ elemento costituente tutto il regno vegetabile. Intanto a confermare sempre più la sua opinione , ha tentato di produrre de- gli embrioni avventizii, esercitando un eccitamento artificiale sulle foglie d’ un vegetabile. Egli ha scelto quelle dell’ Ornithogalun thyrsifolium, Dopo aver sottoposto queste foglie ad un eccitamento meccanico , dopo averle fregate e tormentate in diversi modi , le ha abbandonate a loro stesse seuza altra umidità , oltre quella che con- tenevano naturalmente. Dopo 13 giorni egli ha scoperto sopra ciascu- na di queste foglie un grandissimo numero d’ embrioni, che essendo conici al momento della loro sortita, prendono in seguito una forma rotonda ; una sola foglia presentava 133 di questi embrioni , sprovvi- sti in vero di radicula finchè si osservavano sulle foglie , ma dispo- stissimi a fornirne subito che si trovavano a contatto col terreno, È questo veramente un modo di riproduzione affatto nuovo. Il sig. de B/einville ha comunicato all’ accademia delle scienze diverse sue recenti osservazioni relative agl’ insetti chiamati efimeri. Questi animali i quali non vivono che alcune ore, o al più un giorno o due, erano stati riguardati dai naturalisti come sprovvisti di tutte le parti del tabo digestivo. Quest’ opinione aveva fatto dar loro il no- me di agnati , con cui s’ indicano ancora talvolta. Per altro , dice il sig. Blainville , era facile riconoscere che una tale opinione non era fondata che sulla mancanza d’osservazioni esatte. Io l’ ho recente- mente verificato, aggiunge egli; uno di quegli efimeri che in questo mo- mento si sollevano la sera in gran numero dalle rive del fiume essen- domi caduto sotto gli occhi, l’ ho dissecato , e l’ ho trovato provvisto d’una mascella inferiore evidentissima, d’un canale intestinale, d’ un ano, in una parola di tutti gli organi proprii alla digestione. Dalle cose dette dal sig. de Blainville il sig. Desmarets ha preso occasione di rammentare come il sig. Latreil/le aveva già anvunziato che quest’ insetti hanno una specie di mascella inferiore. Un osserva- zione che serve d’appoggio all’asserzione del sig. Blainville è questa, che gli efimeri nel breve tempo che vivono cambiano due volte la 172 pelle, e che la loro spoglia coperta di peli è intera, e presenta assolu- tamente la forma stessa dell’ animaletto. Una simile .rigenerazione suppone un lavoro d’assimilazione, il quale non può operarsi che per mezzo dell’apparato di cui il sig. Blainville ha verificato l’ esistenza. Fisica animale. Da una numerosa serie di diligentissimi esperimenti fatti in In- ghilterra, al Ceylan, e nell’India, il sig. Giovanni Davy ha dedotto le seguenti conclusioni: 1.° la temperatura del corpo umano si trova più elevata passando da un clima freddo ad un temperato, e da que- sto ad uno più caldo; 2.° la temperatura degli abitanti climi caldis- simi è costantemente più elevata che quella degli abitanti regioni meno calde; 3.° la temperatura degli uomini di diverse razze in cir- costanze eguali non varia sensibilmente. La prima di queste conclusioni, sebbene non nuova, non era sta- ta fin quì appoggiata a tante osservazioni da quante l’ha dedotta il sig. Davy ; la seconda , benchè connessa eolla prima, può aversi per nuova, essendo assai più comune l’ opinione opposta, appoggiata a due o tre osservazioni riportate dal dottor Cholmers nella sua storia della Carolina del sud, fatte in un tempo in cui le osservazioni ter- mometriche erano poco comuni , e la temperatura del corpo uma- no era stimata alquanto più bassa della vera. Le numerose e dili; genti esperienze del sig. Davy permettono di stabilire in fatto che se la temperatura normale dell’uomo in un clima temperato è di cir- ca gradi 98 della scala di Fahrenheit, in uno più caldo sarà più ele- vata, e seguirà le variazioni dell'atmosfera fra g8 e inezzo e 101. La terza conclusione è ben fondata , giacchè la differenza di temperatura nelle diverse razze sperimentate non ha mai oltrepas- sato quella che si può osservare fra i diversi individui che compon- gono l’equipaggio d’uno stesso vascello, fra gli uomini d’ una stessa nazione , fra gl’individui d’una stessa famiglia. Quest’ identità di temperatura fra le diverse razze d’uomini è . tanto più da notarsi, quanto che la maggior parte degl’individui os- servati non aveano di comune fra loro che l’ aria che respiravano. Per esempio i Yedos si nutriscono quasi esclusivamente di carne d’animali, i sacerdoti di Boadha al contrario non vivono che di ve- getabili , altri come gli europei e gli affricani mangiano egualmente di questi e di quella, Quanto alla temperatura degli animali, si può concludere da tutte l’esperienze ed osservazioni del sig. Davy che essa è più ele- 173 vata nella classe dei volatili che in qualunque altra, ne seguono i mammiferi, poi gli amfibii, i pesci, e certi insetti, finalmente la più bassa si riscontra nei molluschi, nei crostacei, e nei vermi. Il sig. Collard avendo studiato il modo d’azione che il gas aci- do carbonico iuspirato esercita nel produrre l’ asfissia, stabilisce, appoggiandosi ad osservazioni e fatti: 1.° che gli animali immersi in questo gas non muoiono soltanto per difetto d’aria respirabile , come avviene nei gas idrogene ed azoto ; 2.° che l’esperienze sulle quali alcuni autori moderni, altronde molto stimabili, hanno preteso stabilire il contrario sono inesatte, e non concludono ; 3.° che il gas acido carbonico esercita un azione deleteria speciale; 4.° che que- st’azione affetta principalmente il sistema nervoso ed il cervello ; 5.° che il miglior processo terapeutico contro gli accidenti prodotti dall’ inspirazione del gas acido carbonico consiste probabilmen- te nell’eccitamento prodotto sul diaframma per mezzo della pila voltaica. Una commissione composta di tre membri delì’accademia delle scienze di Parigi, di ciò specialmente incaricata, ha fatto un rapporto richiesto dalle autorità giudiciarie intorno agli effetti che possa pro- dorre sull’'animale economia un sale, a cui si trovi mescolato un ven- tesimo di vetro pesto ridotto in grani simili a quelli del sale stesso. La commissione ha deciso all'unanimità che i frammenti di vetro me- scolati al sale ( che ha riconosciuto per sal comune ) non potrebbero fare alcun male, o non produrrebbero che accidenti quasi insensibili sù quelli che gl’introducessero nel loro stomaco. Un membro del - l’accademia (il sig. Marc) avendo esternato l'opinione che in alcuni casi dei frammenti di vetro simili a quelli dei quali si tratta potreb- bero produrre. conseguenze molto gravi, più altri membri si di- ‘chiararono di sentimento diverso, citando delle esperienze fatte alla facoltà di medicina, e che hanno provato evidentemente l’inno- cuità dei frammenti di vetro , anche grossi, deglutiti, Gli accidenti gravi talvolta sopravvenuti a persone che abbiano inavvedutamen- ite deglutito uno spillo, una lisca di pesce, o un pezzo di vetro, debbono riguardarsi, secondo il sig. Magendie, come cagionati o dal turbamento concepito, o dagli sforzi fatti per liberarsene, non osser- vandosi nalla di simile negli animali. Furono in quell’occasione citati anche varii esempii, ( e n'è no- to alcuno simile a noi stessi) di persone solite talvolta dopo il pasto triturare per bizzarria coi denti il bicchiere di cui si sono servite, e ” 174 deglutirne i frammenti senza riportarne alcun danno. La conclusione dell'innocuità del vetro fu adottata dall’accademia. È stato presentato alla sezione di chirurgia della società di medicina di Parigi il cuore d’un uomo che in stato d’ alienazione mentale cagionata da forti dispiaceri si era immersa una lima nel petto. Questo strumento, dopo essersi internato per più pollici, si era troncato a livello della pelle. Trasportato quell’infelice allo spedale, fu deciso non esservi luogo a tentare un operazione. Non si erano pre- sentati accidenti gravi; egli appena soffriva, stava indifferentemente in tutte le posizioni, e solo si lamentava di tempo in tempo d’un poco d’ oppressione. Egli si mantenne in questo stato per giorni 21 dopo la fatta ferita. A quest’epoca , sviluppatisi dei sintomi gravi, morì subitamente. Non era stato impiegato contro il suo male che l’applicazione d’alcune sanguisughe. Aperto il cadavere , fu trovato con sorpresa che la lima aveva non solo traforato il pericardio ed una delle pareti del cuore, ma che internandosi in questo viscere alla distanza di tre pollici dalla sua punta , si dirigeva obliquamente da sinistra a destra e di basso in alto; traversando la cavità sinistra , il setto o divisorio, e la cavità diritta. In questa occasione ed a questo proposito è stato rilevato che nella storia della scienza si trovano citati diversi casi nei quali il cuo- re era stato profondamente ferìto , senza che ne conseguisse imme- diatamente la morte. Ambrogio Parè ha veduto ua uomo che, dopo aver ricevuto una larga ferita nel cuore, potè seguitare a correre 200 passi. Diversi medici celebri riferiscono fatti anche più sorprendenti. Fra le altre si conoscono tre osservazioni fatte nel secolo 17 da Sa- viard , Diemerbroeck, e Munisch professore a Utrecht, i soggetti delle quali hanno sopravvissuto a simili ferite per 2, 4, e 9 giorni. La ragione, che i nominati autori ne danno è questa, che alcuni gru- mi di sangue abbiano turato le aperture dei ventricoli, o che nelle contrazioni la punta del cuore avvicinandosi alla base; gli orli della piaga venissero a riuuirsi in modo da sortirne poco sangue. Per al- tro si era ben lontani da supporre che un uomo potesse vivere tanto tempo quanto quello a cui si riferisce l’osservazione precedente, col cuore traversato da una parte all’altra da un corpo duro ed in- flessibile. Il sig. Segales in una sua memoria letta alla società filomatica di Parigi ha fatto conoscere un nuovo mezzo estremamente semplice di guarire le fistole orinarie vescicali, e che consiste nell’introdur- 179 re in vescica per mezzo della tenta ordinaria un lucignolo o fa- scetto di fili di cotone, che facendo l’effetto d’un sifone, determina lo scolo continuo dell’orina a misura che essa arriva nella vescica, ed impedendo così che essa passi per l’apertura fistolosa, riduce la fistola alla condizione d’una piaga semplice, che si cicatrizza con grande facilità. L’accademia delle scienze di Parigi ba ricevuto una lettera con- tenente un reclàmo a favore del celebre prof. Mascagni intorno al- l’aso del bicarbonato di potassa contro gli acidi che si sviluppano nello stomaco, e contro le renelle che .si formano nella vescica, L’au- tore della lettera rammenta che fino dall’anno 1809 furono riferite negli annali di chimica di Parigi le ricerche del Mascagni intorno a questo soggetto, simili a quelle delle quali recentemente i giornali scientifici di Francia hanno annunciato i risultamenti. In seguito il sig. Darcet ha diretto all'accademia stessa una let- tera, nella quale si purga da ogni rimprovero che si fosse creduto potere esso meritare riguardo all'uso del bicarbonato di potassa in certe malattie. Un più giusto reclamo a favore dell’illustre professore toscano, o per meglio dire un più giusto appello alla pubblica indignazione ha debitamente provocato l’ indegno procedere d’ un di lui discepo- lo, che dimenticando non solo ogni debito di gratitudine, ma ogni senso di pudore, ha osato offrire al pubblico quasi opera sua i mal carpiti lavori di quel sommo anatomico, tentando inutilmente di vestirsi della di lui gloria, e spogliando di fatto i di lui eredi del frutto delle immense di lui fatiche, e di rilevantissimi sacrifizii pe- cuniarii, GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Abbiamo avuto la sodisfazione di potere annunziare, senza . dubbio i primi in Europa, nel nostro ultimo quaderno l’arrivo a Tombouctou del maggiore Gordon Laing. Sapevamo soltanto che questa nuova importante era stata trasmessa quì dal console inglese di Tripoli, ed il canale per cui ne abbiamo avuto cognizione non ci lascia alcun dubbio intorno all’esattezza del fatto; ma nulla più sap- piamo oltre il fatto dell’arrivo di quell’intrepido viaggiatore, e probabilmente non potremo ricevere che da Londra la comunicazio- ne di quelle particolarità che piacerà al governo inglese di lasciar traspirare tanto intorno a questo viaggio memorabile , quanto in- torno a quello del capitano Clapperton, del quale pure si attendo- 176 no nuove da un momento all’altro. Frattanto il publico gode gtà della relazione del precedente viaggio del maggior Laing nel Timan- nuk: nel Kourankon, ec; del quale è venuta in luce una traduzio= ne francese a Parigi per le cure dei sigg. Eyriès e de Larenaudière , preceduta da un saggio intorno ai progressi della geografia dell’in> terno dell’Affrica; lavoro interessante del suddetto sig. Larenaudiè- re, in proposito del quale il bullettino universale (sezione di geo- grafia) si esprime nei seguenti termini, in un arlicolo del sig. Jomard. “ L'autore seguita con ragione l'opinione più generale intorno ai limiti delle cognizioni dei greci e dei romani intorno alla geogra- fia dell’Africa, Noi converremo che i loro scritti contengono poche notizie sodisfacienti. Se intorno a questo punto gli eruditi non son d’accordo, l’attribuiremo ad una causa molto semplice , ma non ri- levata finora. Essa consiste nell’ avere omesso la distinzione fra gli autori antichi ed i popoli antichi. Gli autori gli scritti dei quali son pervenuti fino a noi, e fino Tolomeo stesso; erano in gran parte nell’errore o nell’ignoranza circa l’Affrica centrale ; ma come cre- dere che le nazioni delle rive del mediterraneo e della regione del Nilo ignorassero di fatto l’ esistenza del Soudan, delle sue ricchez- ze, della sua popolazione numerosa? Chi mai oserebbe assegnar l’epoca, in cui per mezzo delle caravane incominciò a farsi il com- mercio della Negrizia , coll’Etiopia orientale, coll’ Egitto, con Car- tagine, con Cirene, e per mezzo-di queste coll’Asia e coll’Europa ? Se queste relazioni hanno avuto luogo da tempo immemorabile, che importa che i tre o quattro autori che sono fra le nostre mani si siano ingannati, intorno all’Affrica centrale ? questa è una questione puramente di critica o di curiosità. L’altra questione è più impor- tante, ma molto più difficile. Se non vi è più da lusingarsi di trovare alcun libro atto a rischiararla , si può almeno sperare di attingere qualche soccorso dall'esame dei dialetti e delle lingue indigene: forse vi si troverà la prova di antichissime comunicazioni coi popoli dell'Asia occidentale; se ne troveranno ancora nei monumenti della Nubia e dell'Egitto. Stabilita questa distinzione, continuiamo l’esa- me del Saggio del sig. de Larenaudière, il quale altronde consente che al tempo di Tolomeo si avea cognizione del Dioliba; noi credia- mo che questo punto può essere stabilito con sufficiente certezza, e che bisogna ancora riportare queste cognizioni ed a tempo più re. moto ed a maggior distanza nell’interno del paese ,;. « L’autore spiega bene qual’è stato il risaltato delle conquiste degli arabi in Affrica, delle loro esplorazioni, delle ricerche dei lo- ro viaggiatori e dei loro scrittori; si vede che egli ha raccolto ciò E A a TE LTT RETTE i SAT che vi era di sostanziale in totte le relazioni dei geografi ‘arabi per darne qui un chiaro compendio, ma egli è forse passato troppo leg» germente sopra Ebn Batouta; che è ara il più sorprendente fra i viaggiatori per terra che abbiano seritto i loro viaggi. Veramente la sua grande opera non si trova in Europa; ma anche il compendio è un volume assai considerabile che dà idee tanto positive quanto sì può aspettarle da un testimone oculare osservatore sincero ed intel- ligente. L’opera di Giovanni Leon meriterebbe lo stesso elogio, se egli avesse scritto appena ritornato d’Affrica, e non molto tempo dopo; ma bisogna render giustizia alla sua buona fede , e spesso an- ehe all’esattezza dei suoi racconti. Il capitano Clapperton ha traver- sato il paese Gouter andando da Kaschna a Sackabou ; è questo il Gater di Leon di cui era stata negata l’esistenza. Non è egualmente facile spiegare il corso del fiume di Tombouctou, che secondo Leon và all’ovest; gli ultimi viaggiatori inglesi facendoci ora sapere che dei fiumi centrali scorrono in senso opposto, noi troveremo quanto pri- ma in ciò la chiave di tutte quelle contrarie direzioni che sono state attribuite al preteso Niger, bensì bisognerà concludere che i nomi di Nilo e di Niger sono stati dati in diversi tempi da diversi autori a fiumi differentissimi , indipendenti uno dall’altro , e per lo più d'una mediocre importanza. Rendiamo omaggio alla coraggiosa perseveranza di quelli esploratori ai quali dobbiamo già il mezzo di rischiarare alcuni di quei problemi finora inesplicabili, e special- mente (per ciò che riguarda il-fiume di Tombouctou) al sig. Clape perton; il quale dopo aver seguitato il decimosecondo ed il decimo- terzo parallelo fino a gradi 8 e mezzo all’occidente del meridiano di Bornou, ritorna per un altra strada al centro del Soudan ,,. « Il sig. de Larenaudière dà un transunto rapido ma ben fatto delle scoperte dei portoghesi nell’interno dell’A ffrica; espone egual- mente i viaggi degl’inglesi e dei francesi prima d’arrivare ai veri pro- gressi della geografia affricana, che cominciarono nel 1720 sotto De- lisle, uomo dotto ed abile, il quale è stato troppo sacrificato ai suoi successori, e nel 1749 sotto d’Anville, il quale ebbe a sua dsiposizio- ne delle memorie ignorate prima di lui. Le due carte che si hanno di loro fanno epoca nella storia della scienza ,,. « Quaranta anni più tardi l'Inghilterra dette il segnale in una nuova carriera di scoperte ; ciò che caratterizza quest'epoca troppo recente è l’impiego degli stramenti e dei buoni metodi d’ osserva- zione. Dopo Bruce, i viaggiatori europei hanno fortunatamente ri- guardato come rigorosa questa condizione, senza la quale i loro rac- conti perderebbero la loro utilità, e la più gran parte del loro me- rito. Oltre a ciò chi in oggi non osservasse le produzioni della natu- #. XXIII. Agosto. 12 178 ra nel tempo stesso ché i costami dei popoli, echi non fosse in fstatò di determinare la posizione dei luoghi, non sarebbe accolto con tan= to favore quanto nei tempi andati. L’ autore del saggio rammenta “gli sforzi della società ‘affricana di Londra; edi risultati ottenati dai viaggiatori scelti da lei ; brillano nel primo rango Mungo- Park, il quale per altro ha commesso degli errori molto gravi, Mornemann il quale, a nostro credere , ha dato la prima chiave delle porte in- terne dell’Affrica , e Burckhardt, il più erudito ed il più giudizioso , di tutti. Browne merita fra essi un posto onorevole; e lo stesso è da dire di Seetzen. Per altro ponendo Kanem ail’Ovest di Bornou , e Mandarah a/ rord (seguendo in ciò i rapporti che gli erano stati fat- ti), Seetzen ha introdotto nella geografia due errori gravi, giacchè il maggior Denham mette il primo all’est ed il secondo al sud di Bir= nia. L'autore citando con elogio la carta che il maggior Rennel fe- ce nel 1803 seguitando Park, Browne, ed Hornemmann, la trova più completa, ma troppo ipotetica. I geografi, dic’egli molto giusta- mente, non dovrebbero prender passione per alcun sistema: il loro incarico è quello di registrare dei fatti provati, e non delle congettu- re, comunque ingegnose; questo era il metodo di d’Anville, non in- feriore sicuramente a verun altro. Dopo Rennel, il quale poneva che le acque del Niger andassero a perdersi in un lago centrale, vennero il viaggiatore Maxwell , ed il dotto Reichard, secondo i quali le stesse acque si dirigevano verso il sud e nell'Oceano. Îl primo aveva a suo favore l’opinione di Park, e cercava l’im:boccatura fino nel Congo; il secondo la trovava nel Be- nin, ed ha ora degli eco imponenti nei moderni viaggiatori Laing e Clapperton. Noi passiamo rapidamente sul tristo catalogo delle vit» time della scienza che andarono in Affrica dopo Maxwell. Bowdich è senza dubbio da compiangersi sopra ogni altro, giacchè , ancora giovane, aveva dimostrato altrettanta capacità quanto coraggio. Po- co mancò che lo stesso sig. Mollien non soccombesse ad un clima perfido, ed il suo zelo deve fargli ottener grazia per ciò che manca alla sua relazione, la quale non è priva di merito. Ne ha quasi segui- tate le traccie il sig. Laing, l’opera del quale è preceduta dal saggio che qui analizziamo. Il maggior Laing ha confermato la posizione più occidentale assegnata alla sorgente del Dioliba dal sig. Mollien, e di più ci fa noto che essa è poco elevata sopra il livello dell’ ocea- no, fatto più importante che non sembra a prima vista. L'autore ter- mina esponendo in poche parole gli sforzi di Ritchie, di Lyon, edi loro principali risultati, e finalmente quella grande e memorabile esplorazione provocata da lord Bathurst, la quale deve rendere im- mortali i nomi del dott. Qudney, del maggior Denham, e del capita- 179 no Clapperton. Le scoperte di questi ultimi son presenti a tutti li spiriti ; l'opera che le comprende è sotto gli occhi degli amici della scienza ; però crediamo superfluo il rapportare ciò che ne diceva il sig. de Larenaudière prima che esse fossero pubblicate. Ma noi adempiamo un dovere gradevole indicando al lettore quei passi del suo saggio che si distinguono per uno stile elegante e che non è privo di forza; non è facile mescolare queste qualità a molta erudi- zione, come è riuscito all’ autore in più luoghi, Riguardo al fiame di Tombouctou, egli non dice che la sua vera direzione sia accer- tata, ma che si travede; noi approviamo questa riserva, la quale po- trebbe essere espressa anche più chiaramente ;;. Viaggio del sig. Eduardo Ruppell.— Quest’ infatigabile viag- giatore scrive al sig. Barone di Zach da Tor il 22 aprile decorso. Egli era stato di nuovo a Suez, donde era venuto per mare nella prima di quelle città , facendo sempre delle osservazioni astronomiche delle quali il sig. di Zach arricchisce la sua raccolta. Egli aveva visitato i bei porti di Goslani, di Scherum, e di Minna el Dahab, cele- | bri al tempo di Salomone. Egli si lusingava d’ aver raccolto bastanti materiali per costruire una buonissima carta di tutta l'Arabia petrea, nella quale vi saranno quattro punti esattamente determinati , Suez, Tor, Akaba, e S. Caterina. Il sig. Rappel contava di tornare al Cairo verso la fine di luglio, per ritornare in seguito sulla costa del mar rosso. Egli annunzia di avere scoperto che la manna del deserto, sulla ‘ quale la critica dei dotti si era tanto esercitata, non è una manna ve- getabile , ma la secrezione d’ un insetto depositata sopra un arbusto chiamato Tarfa. Bisognerà aspettare altre particolarità , ed osser- vazioni zoologiche e botaniche per potere accordat ‘fiducia a questa scoperta. Vera epoca della morte d’ Amerigo Vespucci. Da una lettera del dotto sig. di Navarrete di Madrid , inserita nella corrispondenza astronomica del sig. Barone di Zach, risulta che quel celebre naviga- tore fiorentino non morì già nell’anno 1506, come l'hanno affermato il Padre Canovai ed il sig. Rossi , ma bens) nel 1512. Un docamento del segretario della camera di commercio di Siviglia pubblicato da Ma, noz dice che egli morì il 22 febbraio 1512; ed il sig. di Navarrete aveva avuto un altra prova di questo fatto in una cedola data a Bra- xelles il 18 novembre 1516 da Carlo I (poi Carlo V) indirizzata al Cardinal Cisnero, in cui si parla della morte del Vespucci come av- ‘venuta cinque anni prima. Ora poi il sig. di Navarrete si occupa in compilare tre volumi della collezione dei viaggi che comprenderà 180 delle notizie preziose intorno a questo famoso navigatore , e delle nuove particolarità intorno a Colombo, Sembra dalla lettera del dotto spagnolo che l’ Italia non pensi a domandare ai librai di Madrid l’ope- ra che gli costa tante cure e tante ricerche. Eppure si tratta di due dei più celebri nostri compatriotti , e della celebre contesa intorno alla scoperta del nuovo mondo ed al nome che gli fù dato. Le lettere del- l’ illustre critico spagnolo, di cui il sig. di Zach arricchisce la sua rac- colta, acquistano un interesse sempre maggiore, e sono di tal natura , da far vivamente desiderare che egli abbia il tempo di condurre a fine i vasti lavori intrapresi , e che il pubblico dotto ne lo indennizzi con numerose domande della sua opera. Egli termina l’ indicata let- tera con queste parole : “ Io mi occupo sempre della collezione dei viaggi. L’ interesse si accrescerà nel volume seguente. Noi non omet- tiamo niente per dar risalto alla verità della storia, e per dissipare le favole che l’ offuscano ,,. Viaggi di scoperte. Si dice che il capitano King, tornato recen- temente da un viaggio che aveva per oggetto l’ esplorazione delle co- ste della Nuova-Olanda, è sal punto d’ intraprenderne un nuovo che si presume dover darare 5 anni. Egli comincerà da percorrere la co- sta dell’ America del sud , dal Rio della Plata fino al Capo Horn, e cercherà di stabilire delle relazioni cogl’ indigeni di quella vasta pe- nisola, intorno ai quali si hanno delle notizie così im perfette. Sembra che i recenti viaggi del capitano Weddel alle regioni antartiche , e le comunicazioni che egli ha aperte colle popolazioni della Terra del Fuoco , abbiano svegliato l’ attenzione del dipartimento della marina d' Inghilterra salla profonda ignoranza in cui siamo intorno all’ emi- sfero meridionale } e provocato per parte di esso questa lodevole in trapresa , la quale noi non dubitiamo formar parte d’un vasto siste- ma d’ esplorazione da seguitarsi relativamente a quelle regioni remo- te, e che diviene sempre più importante. Abbiamo ragione di pre- sumere che l’ oggetto del viaggio del capitano lord Byron si connetta con questo , e vedremmo con piacere il cap. Weddel, conosciuto per la sua intelligenza , per la sua esperienza, e per il suo spirito |intra- prendente , impiegato per lo stesso servizio. Fa meraviglia che men- tre tanti sforzi sono stati diretti verso il polo nord, si sia appena, do- po il cap. Cook, esplorata la parte dei sud. La scienza della geogra- fia è indietro in una maniera deplorabile quanto a quest’ultima, e per un paese commerciante come l’ Inghilterra esiste un altro motivo potente che deve impegnarlo ad esplorare quelle regioni , cioè l’ ab- bondanza delle pelli, degli olii , e d’ altre mercanzie. Tornando all’ ultimo viaggio del cap. King, siamo informati che 181 questo navigatore ha trovato le coste dell’ est e del nord della Nuo- va-Olanda pochissimo popolate, ed abitate da selvaggi. Egli non po- tè, a malgrado ‘delle sue ricerche, e contro la sua aspettazione, scuoprire verun fiume grande che sboccasse nel mare; maegli lasciò inesplorato un gran passaggio , nel quale sarebbe possibile che esi- stesse un tal fiume. Per questa ragione sì può riguardare come quasi certo che questa costa sia affatto arida ed inabitabile. Si prepara in questo momento una relazione di questo viaggio da pubblicarsi. (4r- ticolo estratto dalla gazzetta letteraria di Londra 18 marzo 1826). Spedizione del capitan Franklin. — Incaricato d’ esplorare per terra le coste dell’America settentrionale dal fiume di Hearne, o della miniera di rame, fin verso lo stretto di Behring, ove dovea mettersi in contatto. colla spedizione del cap. Parry , il capitano Franklin si era avanzato nell’ estate 1824 fino al gran lago dell’ Orso, ove aveva fissato il suo quartiere d'inverno. Si sa ora che l’estate del 1825 è stata impiegata in tre spedizioni, una delle quali comandata da Fran- klin in persona. Essa è giunta all'imboccatura del fiume Mackenzie, ed ha verificato che questo gran fiume si getta in un mare aperto , in cui l’ occhio non scuopriva a gran distanza veruna isola o veruna traccia di ghiaccio. All’ovest del fiume si scuopriva in lontananza un altissima catena di montagne , che deve essere una continuazione di quelle dei Rocky-monntains. La costa dal Mackenzie fino alle montagne va in una direzione occidentale ; ma non si sa dove si diri- gano e dove finiscano le montagne. Sarebbe possibile che esse for- massero una lunga montata al nord. La ricognizione del vasto lago dello Schiavo e del lago dell'Orso è riuscita perfettamente ; ma quella delle coste fra il fiume Hearne, ed il fiume Mackenzie non sembra finita con sodisfazione del coman- dante ; almeno le lettere stampate nei giornali inglesi parlano degli ostacoli che hanno impedito l’ accostarsi alla riva. Sembra che la terra, nuda, paludosa , e ghiacciata , simile in tutto alla costa di Si- beria, si estenda nella direzione della terra di BanAs , veduta dal ca- pitano Parry. Nel totale, questa prima esplorazione non poteva estender molto le cognizioni, a meno che la spedizione per terra avesse rag- giunto quella di Parry. Ma il naufragio della Furia l’ ha impedito , com’è noto. "La campagna del 1826avrà senza dubbio dei risultati più decisivi. Spedizione del capitan Parry allo Spitzberg. L'opinione che riguarda come impossibile una navigazione per il nord intorno al- 182 l'America; sembra fortificarsi a Londra, I risultati sinistri dell’ulti- mo viaggio dei sig. Parry hanno almeno deciso l’ammiragliato a so- spendere per quest’anno ogni tentativo da quella parte, Si aspetta di conoscere i frutti della spedizione per terra comandata dal capitano Franklin. Frattanto il capitan Parry va con due bastimenti allo Spitzberg, per esplorare quel grappo d’isole di cui gli olandesi fe- cero già il giro, e pubblicarono la carta molto circostanziata. Vi s0- no degl’indizi d’una terra al nord est dello Spitzberg, e qualche vol. ta abbiamo pensato che questa terra , la quale si dice essere stata veduta da Giles, può essere un estremità dell'America settentrionale. La costa all’est del fiume Mackenzie ed all’ovest dello stretto di Be- hring si prolungava al nord, nel modo stesso che la Patagonia, si prolunga al sud. Questa congettura , quando ancora fosse falsa, me- rita d'esser verificata per un nuovo viaggio marittimo intorno al gruppo di Spitzberg. Un simil viaggio può combinarsi con un tentativo di pénettara al polo, il quale, da questa parte, nou è lontano che di 9 gradi di longitudine (225 leghe), ed al quale , anche secondo alcune antiche relazioni, per verità molto sospette, debbono essere giunti dei ba- stimenti olandesi. Forse anche la Groenlandia orientale, e le isole all’ oriente della Groenlandia, vedute da Scoresby e Clavering, sarà un oggetto delle ricerche del sig. Parry. Finalmente egli tenterà di portarsi dipinta al nord-est della Siberia , sulle tracce del capitan Wood, e del celebre Behring. Tala ethnografica del globo, o classificazione dei popoli an- wichi e moderni secondo la loro lingua; preceduto da un discorso, sull'importanza dello studio delle lingue applicato a diversi rami delle cognizioni umane, da un cenno intorno ai mezzi grafici impie- gasi dai diversi popoli della terra, da un colpo d’occhio sulla sto - ria della lingua slava, e sull'andamento progressivo della civiliz» zazione e della letteratura in Russia, con circa settecento vocabola- ri dei principali idiomi cogniti, e seguitato dal prospetto fisico , morale ;, e politico delle cinque parti del mondo ; del sig Adriano BALBI, antico professore di geografia, di fisica ,, e di matematiche, membro corrispondente dell’ateneo di Treviso, ec. ec. Abbiamo finalmente la sodisfazione d’ annunziare che la dotta ed ingegnosa intrapresa del sig: Balbi è terminata , e che avanti la fine del mese (luglio) le scienze geografiche ed ethnografiche saran- no arricchite d’un opera piena di ricerche nuove e profonde, di sco- perte importanti per la storia dei popoli , di viste originali ed inge- 183 gnose intorno a tutti i rami della cognizione del globo e dei suoi abitanti; finalmente una di quelle opere poco comuni che non se- guitano servilmente le tracce degli altri, ma che aggrandiscono real- mente la sfera delle nostre idee. I settecento vocabolarii riproducendo altrettante volte ventisei parole sceite in altrettanti idiomi, formano il vero atlante , il fon- damento dell’opera. Il risultato di questi vocabolarii comparati è un colpo d'occhio generale sulla distribuzione del genere umano in /a- miglie di lingue, famiglie le quali, ove le notizie esistenti lo permet- tono, son classate in regrî, 0, quando vi è dell’incertezza, in gruppi. Le particolarità d’ogni famiglia, scendendo di ramo in ramo fino ai dialetti, non sono meno importanti; esse presentano, per così dire, le carte ethnografiche generali e speciali delle principali divisioni na- turali del genere umano, in quanto si è potuto conoscerle e studiarle. In questa immensa classificazione, il sig. Balbi ha preso l’iden- tità delle parole per carattere principale ; ma ha costantemente ag- giunto, come carattere secondario , i rapporti grammaticali , e la sua opera faciliterà e propagherà singolarmente lo studio filosofi- co delle lingue. Sotto l’ uno e l’ altro punto di vista ; il di lui lavoro , intera- mente nuovo, completo, cambia o modifica ia grande opera tedesca intitolata Mitridate, opera intrapresa con troppo pochi materiali, e qualche volta mancante di critica. L’opera che ci dà il sig. Balbi non è un compendio corretto del Mitridate, sono gli elementi nuovi e ragionati d’una vasta scienza, sorella della geografia e della storia. Il sig. Balbi sarà riconosciato da tutti i dotti giusti ed illuminati, come il nuovo fondatore , come il Linneo dell’ ethnografia , e più particolarmente dell’idiomatografia , o statistica delle lingue. Que- sta scienza comparirà quì spogliata dei sogni rancidi dei fucitori di sistemi, ma appoggiata ad un gran numero di viste diverse che vi si riferiscono; così gli alfabeti diversi , le letterature nazionali, le classificazioni delle montagne, degli animali, delle piante, dei pesci, e tutto ciò che forma un prospetto fisico, morale, e politico del glo- bo, si troverà riunito alla base fondamentale dell’opera. L'interesse che vi aggiunge questa varietà di notizie accessorie procurerà, a pa- rer nostro, a quest’atlante un favorevole incontro, anche fra quelle classi di lettori che non apprezzano ancora lo studio comparato delle lingue, Poniamo qui la lista alfabetica di alcune persone che hanno aiutato il sig. Balbi coi loro consigli o'con note scritte: Acerdi , Agoub, Blosseville, Burnouf , de Chezy , Champollion-Figeac, Champollion-jeune , Depping , Desmoulins , Duperney , Ferussac , 184 Ereycinet , Garat , Garnot, Gaymard , Klaproth , Larenaudière; Laroquette, Lesson, Malte-Brun, Nacher, Pedra-Branca , Pinhei- ro-Ferreyra, Pacho , Remusat, Saint-Martin, Sorgo , Verdier , FVarden. Non termineremo quest’annunzio senza rendere giustizia agli stimabili librai Rey e Gravier, i quali incaricandosi d’un opera così dispendiosa, hanno ben meritato del mondo dotio. ( Articolo estrat- to dai nuovi annali dei viaggi di Parigi ). LI ' NOVITA E INVENZIONI. La cocciniglia , insetto prezioso, che somministra all’arte tinto- ria uno dei più belli e più ricchi colori, è stata recentemente natu- ralizzata in S pagna nei contorni di Malaga. Il dot. Giuseppe Presas, che cuopriva il posto di segretario dell’attual regina del Portogallo mentre essa era al Brasile , ha scritto espressamente un istrazione in cui insegna il modo di coltivare la pianta, chiamata /Mopa/, sulla quale nasce e vive quest’insetto, e la maniera d’allevarlo. Que- st’ istruzione fù pubblicata a Malaga verso il principio del 1825. Quelli che si sono rivolti a questo nuovo ramo d’industria, avendo seguitato con esattezza le regole prescritte dal dot. Presas, hanno ot- tenuto ottimi risultamenti , cosicchè la cocciniglia si è grandemente propagata con molto vantaggio della Spagna. Il sig. Darbelaise ha letto avanti la società reale d’ agricoltura di Parigi una memoria relativa a varie esperienze fatte in Scozia in- torno ai vantaggi rispettivi dei diversi mezzi e strumenti impiegati fin quì per mietere il grano. Le ricerche numerose ed i fatti positivi riferiti in questa memoria tendono a stabilire che il più utile fra questi processi è quello che si eseguisce per mezzo d’ uno strumento già impiegato nel Belgio , e che comincia a propagarsi nella Piccar- dia, nella Beauce, e nell’ alta Normandia, a cui danno il nome di s2- pe. Secondo ciò che ne vien detto , questo stramento è munito d'un gancio o uncino , per mezzo del quale le spighe si trovano riunite in manipoli o covoni per essere in seguito recise per un movimento uni- forme e senza scossa . I principali suoi vantaggi sopra la grande e piccola falce sono : 1.° la rapidità dell’ operazione, per cui la rac- colta può effettuarsi in un tempo per metà più breve di quello che è necessario facendo uso della falce ; 2.° l’ evitata perdita di quella parte del grano che la scossa impressa alle spighe per gli altri mezzi fa cadere a terra ; 3.° la possibilità d’ eseguire il taglio con facilità an- che opezando sopra grani atterrati dal vento o dalla pioggia, i quali 185 sono raccolti e presentati al tagliente dello strumento per mezzo del gancio o uncino indicato; 4.° una diminuzione notabile nella fatica degli operanti, i quali facendo uso del nuovo strumento non hanno bi- sogno di curvarsi mentre lavorano; 5.° finalmente il vantaggio d’ottener la paglia più lunga, mediante un taglio più vicino a terra. Era stato tentato da molti, ma sempre inutilmente, di trovare un liquido che agisse sull’ acciaio come l’acqua forte nell’ incisione sul rame, lasciando delle traccie o profonde o leggiere a piacimento, ma sempre nette e precise. Il principale inconveniente che presenta- vano la maggior parte dei composti acidi sperimentati sull’ acciaio era quello di formar dei sali di ferro alterabili, che lasciavano depositare nei tratti incisi un sedimento ferruginoso. Ora il sig. Zurell è giunto a comporre un liquido che, im- mune da questo e da ogni altro inconveniente, serve ottima- mente ad incidere sull’acciaio. Ecco il di lui processo. Si pren- dono quattro parti in volume d’ acido acetico concentratissimo , ed una d’alcool rettificatissimo, e dopo averli rimescolati insie- me per un mezzo minuto, vi si aggiunge una parte d’ acido nitrico puro. Questa mescolanza versata sopra la lastra d’ acciaio preparata, e lasciatavi agire per un minuto o per un minuto e mezzo, vi forma dei segni leggieri, che divengono assai profondi trattenendovela per un quarto d’ ora, Si può anche renderla più attiva accrescendo un poco la proporzione dell’ acido nitrico , o rendere all’opposto la sua azione più lenta , accrescendo la dose degli altri due componenti. Al- lorchè si cessa di fare agire questo liquido corrosivo, bisogna lavare la lastra d’ acciaio con una mescolanza d’ una parte d’ alcool e quat- tro d’acqua. Ma il miglior mezzo d’ arrestar l’ azione in quei luoghi nei quali si giudica essersi esercitata sufficientemente, è l’applicazio- ne dell’ asfalto disciolto nell’ olio volatile di terebintina, In Inghilterra è stato introdotto nell’arte della tintura e nella concia delle pelli l’uso della scorza di castagno , nella quale è stato trovato il principio astringente in una quantità doppia di quella contenuta nel campeggio. I cuoi preparati con essa hanno più solidità e più docilità degli altri. E quanto al suo uso intintura, pare che la lana si unisca più facilmente ai materiali della scorza di castagno che a quelli del sommacco e della galla , e che il colore che se ne ottiene sia inalterabile dall’ aria e dalla luce. L’ inchiostro preparato con ‘ questa scorza, veduto per trasmissione, comparisce d’un color tarchi- no intensissimo , come quello dell’ indaco ; sulla carta poi si mostra d’un bel color nero. < 186 Un giornale annunzia che le puleggie o carrucole di legno, tanto impiegate nella marina , fatte bollire per cinque o sei minuti nell’olio di oliva, vi acquistano una durezza eguale a quella del rame, e che ciò avviene d'ogni altro oggetto di legno trattato egualmente. Noi dubitiamo della verità di quest’ asserto, ma pensiamo che la prepa- razione indicata possa essere utile rendendo il legno meno soggetto ad essere alterato per l’azione dell’acqua. Ù È stato imaginato e posto in pratica con vantaggio nei Paesi- Bassi un nuovo mezzo di cuoprir le case ed ogni altro genere di fab- bricati, mezzo che consiste nell’applicazione d’un tessuto solido im- bevato d’ una mestura impenetrabile dall’acqua. Il di sopra d’ una delle porte di Lovanio, il palazzo del ministero della guerra a Bru- xelles , e diverse case particolari così coperte sono state ben, preser- vate dall'acqua. n VARIETA. Fondazione d° un museo reale egiziano a Parigi. L’ acquisto fatto dal Rè di Francia della collezione egiziana , imbarcata recen- temente a Livorno dal sig. Champollion il giovane, sembrava richie- dere nuove disposizioni nel museo reale d’ antichità di Parigi. S. Ecc. il duca di Doudeauville , ministro della casa del Rè, ed il sig. Vi- sconte de la Rochefoucauld , incaricato del dipartimento delle belle arti, mediante un concorso onorevole di zelo e di lumi, hanno otte- nuto dal Re intorno a ciò un ordinanza , la quale è un nuovo argo- ‘mepto dell’ alta protezione con cui Sua Maestà onora le lettere dotte e le belle arti. Quest’ ordinanza , che ha la data del dì 15 di maggio , dispone che la conservazionedelle antichità del Louvre formerà d'ora in poi due divisioni, la prima delle quali, che comprende i monumenti greci, i romani, e quelli del medio evo, resterà nelle attribuzioni del sig. conte di Clarac conservatore attuale; la seconda divisione comprenderà i monamenti egiziani o provenienti dall’ Egitto , ed i monumenti orientali di qualunque origine , ed il sig. Champollion il giovane è nominato conservatore di essa. Egli è inoltre incaricato di fare ogni anno, nella bella stagione , un corso pubblico e gratuito d’ archeologia egiziana in presenza dei monumenti stessi , e partico- larmente d’ esporre i diversi sistemi di scrittura che furono in uso nell'antico Egitto. Queste disposizioni non possono essere intese dal mondo dotto se non con viva riconoscenza, e si può sperare che l’Ar- cheologìa egiziana insegnata dal dotto illustre che ne ha stabilito le dottrine; colle sue brillanti scoperte, sarà come un corso normale per l’ Europa letteraria, che applaudirà concordemente a questo nuovo Ù 187 benefizio del Rè di Francia verso le scienze storiche, le lettere e le arti, î SOCIETA SCIENTIFICHE. Società medico fisica fiorentina — Nell’adunanza ordinaria del del dì 13 agosto furono dal segretario delle corrispondenze presen- tate le seguenti opere pervenute in dono alla società , cioè. Esperimenti sulla facoltà assorbente delle vene del cervello del dott. Centofanti» Sinopsi delle varie specie di difficoltà del parto del dott. Sam. Merriman , traduzione e dono del ‘prof. Grottanelli, socio corrispondente. Quindi il sig. prof. Gazzeri rese conto dei risultamenti ottenuti dall’ analisi di tre concrezioni animali consegnategli a quest’ ogget- to. La prima era una pietra vescicale umana di notabil volume, che trovò composta nella più gran parte di fosfato , d’ ammonia- ca, edi magpesia, cui era unita una quantità notabile d’ acido liti- co. La seconda era la metà d’ una voluminosa‘ enterolite trovata nell’ intestino duodeno di un uoino di 60 anni , che si trovò com- posta di varii strati di soprasolfato di calce , sopraposti uno all’al- tro, e tutti addossati ad un nucleo bruno-nerastro, duro e lucido nel taglio fattone per divider la pietra in due parti eguali, e che fu riconosciuto per un corpo inorganico , ed estraneo , e proba- bilmente per una sottile scaglia pietrosa. Finalmente la terza con- crezione era una molto più piccola enterolite trovata nell’ appen- dice vermiforme dell’intestino cieco, fragilissima, poichè risultante da strati incoerenti fra loro , e che riconobbe formata nella mag- gior parte di soprasolfato di calce, con interposizione frà gli stra- ti, e mistione nella stessa loro sostanza di una materia d’ indole organica, ma poco animalizzata , che sembrò un mescuglio di re- sina della bile, e di picromele. In seguito il sig, dott. Chiarugi fece lettura di una sua impor- tante osservazione patologico clinica, in cui, dopo aver data l’.isto- ria di una donna , che sorpresa in prima da febbre gastrica, e supe- ratala felicemente mercè gli adattati rimedi dell’arte perì poi per un apoplessia fulminante nel tempo della convalescenza , rese conto dei risultamenti ottenuti con la necroscopia. Per essa oltre ad una valida iniezione del sistema sanguigno del cervello, ed oltre al con- siderabile rammollimento di questo viscere, fu posta in chiaro l’obliterazione completa del dutto cistico , e la presenza di ben 32 calcoli biliari entro alla cistifellea, la di cui interna membrana era conformata in altrettante locuzioni, in ciascuna delle quali contene- 188 vasi uno dei preindicati calcoli. La micidiale apoplessia però che tolse di vita questa infelice fu dal dott. Chiarugi ripetuta con solide ragioni piuttosto dalle malattie del cervello , che dallo stato pa- tologico della cistifellea. Dipoi il sig. prof. Magheri a nome della deputazione di cui faceva parte, lesse il rapporto scritto sull’anno clinico del prof. Spe- ranza nostro socio corrispondente, in cui, dopo avere analizzato il contenuto di questo importante libro conchiuse, che, la precisa enu- merazione de’ sintomi nella tessitura delle mediche istorie con la fedele , ed esatta descrizione delle occorse autopsie cadaveriche, la prontezza della diagnosi , l’ energia del sistema curativo coronato sovente del più felice successo anco nei casi più spaventevoli, e più di tutto la vasta, ed ammirabile dottrina, di cui fa ricco appa- rato ne’suoi diffusi ragionamenti gli danno un titolo irrefragabile atla medica universale estimazione, ed alla riconoscenza della umanità. Finalmente il sig. dott. Boiti presentò alla società quattro intie- re tenie restituite da varii individui sotto l’ uso della scorza della radice del melograno , di cui promesse in altro tempo più ampio dettaglio, e l'adunanza fa sciolta. NECROLOGIA. Il Conte GiovAnnNI PARADISI, uno dei primi lumi d' Italia , colla wanquillità e la calma che dà una coscienza pura , cessò di vi- vere dopo una breve malattia in Reggio sua patria, il dì 26 del ca- dente agosto in età d’anni 65 e mesi dieci, amaramente compianto da tatti i suoi concittadini. Grande è la perdita che in esso hanno fatto le scienze e le lettere. Fu egli infatti profondo matematico ad un tempo e letterato insigne , e come scrittore a niuno secondo per eleganza di stile, e squisitezza di gusto, in ogni maniera di poesia e di prosa. Di che fanno indubitata fede molti scritti di vario genere da lui dettati in varii tempi e sui differenti soggetti scientifici e lette- rari, già divulgati per mezzo delle stampe. Ch’ei lasciasse grandissimo desiderio di sè non tanto nei suoi congiunti, che amò sempre caldissimamente, quanto ancora negli amici che in gran numero egli ebbe in ogni epoca della sua vita, nessuno vorrà dubitarne, ponendo mente al candore dei suoi costa - mi, all’eguaglianza e mansaetudine del suo carattere, alla sua mo- destia con un immenso sapere, ed ai modi affabili e cortesi che usò in ogni tempo , e più ancora trovandosi in grande, che in mediocre fortuna , con tutti quelli che da vicino il conobbero. Scevro ognora 189 di qualunque pompa ed ostentazione, serbò invariabilmente le sue semplici e disinvolte maniere, intutta la luminosa carriera politica da lui corsa nel già cessato regno italico, con tatti quelli che per qualsivoglia titolo ebbero ad esso ricorso. E come consultatore di stato, e come senatore, e presidente del senato e dell’istituto italiano di scienze, lettere ed arti, fu sempre il protettore e l’amico di tutti i cultori delle buone discipline, dei quali facevasi il più gran pregio di comporre la sua società, e di coronar la sua mensa. E poi mirabil cosa il potere affermare di questo grande italia- no, ciò che assai raramente, o non mai accade , che da tutte le cari- che da lui sostenute, ne uscì sempre desiderato da tutti, e di qualun- que opinione si fossero , come quegli che fu riconosciuto ognora e dovanque justissimus unus et ferventissimus equi. E si può dir fran- camente di questo illustre defunto ch’ei s’ebbe veramente in sè rac- colto il più bel fiore di tutte le sociali virtù, e che nessuno più di lui rassomigliasse al justum et tenacem propositi virum, descritto dal Venosino. Rammentare or quì si potrebbe come tutte le società scientifi- che e letterarie , tanto italiane che estere, s’ebbero ad onore di ascri- verlo fra i loro membri, e fra le altre quella delle scienze di Parigi. Ma questo non è il luogo di tessere il convenevole elogio di un tan- t’ uomo e di pn sì benemerito cittadino ; nè mancheranno dotte penne italiane che si recheranno a sacro dovere il porgergli si ben meritato tributo. EIZO III GI ATEI ATI ISTAT LIRE DR E] BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. Annesso all’ Antologia (*) N.° XXXIV. Agosto 1826. 412. COLLEZIONE DI MANUALI componenti una enciclopedia di scienze ed arti. Milano 1826 per Anselmo Fontana. — MANUALE della storia natarale di Gio. FED. BLUMENBACH recato in italiano sull’ undecima edizione tedesca pubblicata in Gottinga nel 1825 dal dott. Malacarni , coll’aggiunta d’importanti sue note , e corredato (*) I giudizi letterari , dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai. redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da' sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con liarticoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia» no come estratti o analisi , siano come annunzi diopere. 190 di molte emende ed ampliazioni comunicate nel marzo 1826 dallo stesso autore, e dal prof. HAUSMAN, vol. primo, 8.° di 325. p. prezzo lir. 3. 60. ital. — MANUALE di geografia moderna universale di G. de CASTI vol. 1.° 8.° di p. 452 prezzo lir. 4. 68. ital. 413. ASSOCIAZIONE ai SAGGI FILOSOFICI del dott. BALDASSAR- RE PoLI prof. di filosofia nell'1. R. Liceo di porta nuova in Milano. — Questi saggi comprendono: 1.° Alcuni ragionamenti sulla scuola dei moderni filosofi-naturalisti e salle loro scienze; 2.° un corso di moderna filosofia ; 3.° un saggio ragionato e analitico della nuova fi- losofia Scozzese con altri argomenti di varlo genere. — L’ autore ne’ragionamenti intorno ai filosofi-naturalisti imprende a far cono- scere l’origine e i principii di una scuola che mena tanto clamore nell’odierna filosofia, sottoponendo ad esame l’organologia, la cranio- logia, la fisiognomia e la psicologia comparata, con che si presume diaver perfezionata la scienza dello spirito umano. — Nel corso di filosofia ei tenta esporre la scienza in tutta quell’ estensione di lumi e di sapere che appresso tutte le nazioni ha acquistato. E sic- come a cogliere il vero e a dimostrarlo, massime nel difetto almeno in Italia d’un corso filosofico che sia al punto delle cognizioni del nostro secolo, è necessario il non parteggiare, com’è bene lo sceglie- re un metodo, così egli fin d’ora può annunciare che il suo metodo sarà misto d’analisi e di sintesi, di ragione e d’esperienza, come sarà eccletica la sua filosofia, e tolta più che dalle scuole tedesche , fran- cese od inglese, da quella della ragione e dai risultamenti delle pro- prie meditazioni. — Nel saggio della nuova filosofia scozzese ei da» rà l’origine, l’indole e le dottrine della scuola novella di Edimbur- go con tanta gloria risorta sulle ruine di quella di Hume , famosa pel suo metodo Baconiano, e che l'Inghilterra, l’Alemagna, la Fran- cia e l'America recansi a vanto di conoscere e di studiare, mentre in Italia è quasi del tutto sconosciuta. Questo saggio verrà fedel- mente ritratto dalle opere originali inglesi dei filosofi classici di Sco- zia. — Finalmente l’autore aggiungerà a tutto questo negli ultimi volumi altri ragionamenti sopra materie importantissime di filosofia anche applicata, quali sarebbero, a cagion d’esempio , la certezza delle scienze, la teorica dei metodi, la filosofia del giusto e dell'one- sto come basi della giurisprudenza e della politica, e simili. Que- st’associazione si farà sotto i seguenti patti: — 1.° Il numero totale dei volumi non sarà di più di otto, nel formato di 12.° — 2.° Il prez- zo di ciaschedun volume è di centesimi 20 italiani al foglio, pari ad austriaci 22. 86, salve le spese di porto, che sono a carico degli asso- eiati. — 3.° il primo volume verrà pubblicato entro il mese di otto- bre del corrente anno, e gli altri successivamente da tre in tre mesi 191 al più tardi. — 4.° L'associazione è aperta in Milano presso l’autore, presso i tipografi Giovanni Bernardoni e Vincenzio Ferrario, e pres- so i principali tipografi e librai anche delle altre città. — 5.° Gli as- sociati faranno grazia di porre la lero firma appiedi del presente manifesto colla precisa indicazione de’loro titoli, e del luogo del loro domicilio, onde si possa pubblicarne il catalogo alla fine dell’opera. Milano il 12 Agosto 1826. 414. BIOGRAFIA universale antica e moderna; ec. Venezia 1826 presso G. B. Missiaglia, vol. XXIX, (IA KA). 415. SCELTA DI PROSE di CARLO RUBERTO DATI, accademico della Crusca, Venezia 1826 tip. Alvisopoli un vol. 8.° — Questo vol. fa parte della raccolta di operette di istruzione e di piacere, scritte în prosa da celebri italiani antichi e moderni, scelte e pubblicate per cura di Bartolommeo Gamba, prezzo lir. 2 ital. il vol. 416. DELLA FORMAZIONE della gragnuola ne’temporali , nuova ipotesi del dott. FRANCESCO ORIOLI, professore di fisica nella uni- versità di Bologna. Bologna 1826. coi tipi di Mobili e c. pag. 18. 417. BREVI CONSIDERAZIONI del prof. F. OmioLI sulla risposta della celebre accademia reale delle scienze di Parigi, a S. E. il mini- stro dell’interno in Francia intorno i paragrandini con un appendice. Bologna 1826 Marsigli pag. 24. 418. SAGGI GEOLOGICI degli stati di Parma e Piacenza dedicati a Sua Maestà la principessa imperiale MARIA LUIGIA duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla dal sindaco GIUSEPPE CORTESI, pro- fessor onorario di geologia. Pizcenza 1819 dai Torchi del Mujno in 4.° di p. 170 con tavole, piante e rami. 419. VASI DI PREMIO — Manifesto d’associazione — Alle gran- di raccolte di Vasi che finora videro la lace, non mancano le dotte dissertazioni sull’antichità, la fabbricazione , e l’utilità di questo genere di monumenti: vanno però esse prive di una disposizione 4 che ad opere scientifiche è indispensabile: dico quella che consiste nel radunare una quantità di varii monamenti sotto pochi ma impor- tanti pupti di vista. Volendo soddisfare in qualche maniera a tale ri- chiesta della disciplina archeologica, il dott. Teodoro Panofka, Socio estero dell'accademia Ercolanese , si è proposto di pubblicare una Raccolta di Vasi scelti ed inediti, riuniti sotto un solo punto di vista, cioè quello di Vasi DI PREMIO, L’autore si fa un dovere di avvisare il publico letterario che nel mese di luglio è stato pubblicato il Pri- mo fascicolo , contenente sei tavole in gran foglio, incise dai più va- lenti artisti. Il testo scritto in lingna italiana , e stampato pure in gran foglio, dà le illustrazioni ad un vaso di Premio della festa Eleu- sina, ( Tav. 1e II) a tre altri delle varie feste di Bacco (Tav. IU, |» 192 IV e V) e ad uno della festa di Minerva ( Tav. VI }. L’opera sarà divisa in cinque fascicoli, i quali successivamente vedranno la luce nel corso di due anni. Il prezzo del primo fascicolo è fissato a 22 franchi per isigg. associati, i quali avranno la compiacenza di segna- re i loro nomi sotto il presente Manifesto. — Le soserizioni si rice- vono presso i seguenti librai: — Roma, presso il sig. Venazio Mo- naldini. — Firenze, presso il sig. Guglielmo Piatti. Parigi , presso il sig. A. 4. Renouard. — Vienna presso il sig. Federtco Volhe. — Berlino , presso il sig. Gerstàcher. — Ed altrove presso i principali negozianti di libri e stampe. Roma 2 Giugno 1826. 428. FARMACOPEA generale sulle basi della chimica farmacolo- gica, o elementi di farmalogia chimica, del prof. GioaccHINO TAD- DEI. Firenze 1826 presso Luigi Pezzati. Volume primo 8° di pag. 300 — prezzo per gli associati fio. 2. So. lir. 4. 3. 4; peri non associa- ti fio. 3. 10. 5. 3. 4. 429. LA MORALE APPLICATA ALLA POLITICA ; operetta del sig. Droz. Prima trad. italiana , di un accademico valdarnese. Un vol. .8.° Firenze 1826. Editore G. P. Zieusseux. Si vende al Gabinetto scientifico-letterario, piazza Santa Trinita, e presso i principali li- brai della Toscana al prezzo di p. 3 e mezzo. 420. STORIA DELLE CAMPAGNE E DEGLI ASSEDJ DEGL’ ITALIA- NI IN ISPAGNA, o storia delle grandi operazioni della guerra di Spà- gna dal 1808 al 18r4 preceduta da un saggio di storia antica e mo- derna e di statistica della Penisola. Opera dedicata a S. A. I. R. l’arciduca GIOVANNI D'AUSTRIA da CAMMILLO VACANI , maggiore nell’I. R, Corpo del Genio, cavaliere della Corona Ferrea e della Le- gion d'Onore. Milano, dall’/. R. Stamperia, 1825. Tre volumi in gr. 4. ed un Atlante in gran foglio di 16. Tavole incise a bulino, delle quali la Spagna e la Catalogna in carte raddoppiate. Prezzo 150 franchi sopra carta velina comune e 225 franchi in più gran for- mato e carta scelta con rami colorati. — Si vende ai prezzi qui sopra annunciati. — A Firenze dal sig. G. Piatti; a Londra, Parigi e Strasbourg dai sig. Treuttel e Wirz; a Milano dal sig. P., Giegler e dai sig, frat. Bettalli; a Parigi dai sig. Amelin e Pochard; a Torino dal sig. C. Bocca; a Vienna dai sig. Artaria e c. Ognuno può ri- volgersi anche direttamente all’ Autore-Editore in Vienna Am Hof n.° 322 o per esso alla banca Giov. Batt. Aegri a Milano. CONTINUAZIONE DELLA REVISIONE NUMISMATICA. (Vedi Fascicolo N° 53 dell’ Antologia.) Ata pag.85, n. 520. Si descrivono le medaglie degli Oresti, popolo della Tracia, e della Macedonia. Non disconvengo, che le varie me- daglie colla leggenda OPPH. OPEZKIQN. e anco OPPHEZKION, possono appartenere a un:tal popolo, o a più popoli detti Orestae. È vero, che i Dori permutavano il T. in K.., ma in qualche avver- bio : se poi l’usassero, anco nelle appellazioni di questi popoli, non si può ben stabilire. Non ostante ciò, se in alcune medaglie si legge come sopra, cioè degli Orescj, dir si potrebbe, che gli Oresti si chiamarono anco Orescj, con pronunzia Pelasgica. Che perciò ad ognun resta libero il campo di chiamarli secondo l’indole della leg- genda, poichè OPPHXKION, vaol dire degli Orrescj, e non degli Oresti, ogni qualvolta non abbia più luogo il Doricismo. Pag. 92, n. 574. Certamente la medaglia di Adriano pubblicata nel Museo Arigoniano, è molto logora, e la leggenda dalla parte della testa dovrebbe essere supplita, e corretta, come segue : imp. caes. traiaN. -HADRIANVS. AVG. COS. P. P. Pag. 120, n. 755. La sede di una siffatta medaglia la credo er- ronea, per essere di Sagalasso della Pisidia, e non di Tessalonica. La gemina si trova descritta dal N. A. (Tom, III, p. 511, n. 105) ed esiste ora nel Museo Regio di Baviera. Pag. 128, n. 825. Augustus. Quando si vuole attingere l’acqua da una pozzanghera, biso- gna riceverla torbida, e timacciosa. La medaglia malamente de- scritta nel Mus. Hedervariano (P.I, p. 108, n. 2733) è di Tiberio e Livia, con la seguente descrizione. TI. KAIXAP. ZEBAXTOX, Caput Tiberii nudum. R, ZEBAXTH. QEZZAAONIKEON. Livia, vel Ceres duobus Scrpentibus gradientibus, ut in biga insistens, d. et s. tae- da tenet. JE, 2. Li 2 La medaglia poi del n. 826 descritta dal N. A. sotto Augusto, è mancante del TI. per essere restituita a Tiberio, come l’altra, Pag. 129, n. 829. Augustus et Octavia. E pur questa un’altra medaglia di Tiberio, e Livia, mala- mente descritta nel Museo Hedervariano (T. I, p. 105, n. 2733) ed eccone la sua vera descrizione. TIBEPIOZ. ZEBAZTOL. Caput Tiberii laureatum ad d. R. ZEBAZTH. QEZZAAONIKEOQN. Caput Liviae ad d. ZE. 3. Pag. 129, n. 831. Caius Caes. et Augustus. Parimente una sif- fatta medaglia non fu ben descritta nel Musco Heder. sotto il n. 2737 dovendosi correggere la falsa descrizione in TAIOX. ZEBAZTOT. YIOX. Pag. 131, n. 848. Tiberius et Drusus. Medaglia descritta, e attribuita da P. Ab. Sanclemente (Num. sel. 11, p. 68, tab. xIV, fig. 30). Ma un tanto Autore s’ingannò, per- chè la testa nuda non è di Druso, ma è una testa laureata d’Augu- sto: ed il N. A. avanti di perpetuare questa falsa attribuzione, avea sotto occhio la gemina, descritta al T. I, p. 496, n. 355, ed altre simili esistono nel Museo Regio di Baviera, e in quello del fa Tòchon. Pag. 133, n. 861. Claudius et Agrippina. La medaglia del Mus. Hederv. (T. I, pag. 108, n. 2741) non fu ben descritta, ed in conseguenza ripetuta la scorretta descrizione dal N. A. Si corregga come segue : TI. KAAYAIOX. TEPMANIKOZ. ZEBAZTOX. Caput Claudii nudum ad s. R., @EZZA AONIKH. Caput Agrippinae velatum ad d. cam monogr. NK. incuso, /E. 2. met. cr. Pag. 135, n. 875. Nero et Britannicus. Nella medaglia non accuratamente descritta nel Mus. Heder. T. I, p. 109, n. 2743 si legga come segue : NEPONI. KAAYAIO. KAIZAPI. ZEBAZTO. Caput Ne- ronis nudum ad s. R. ®E. KAIZAPI. BPITANIKOQ. (sic) Caput Britannici nudum ad s. JE. 2. p. Pag. 137, n. 884. Domitia. La medaglia, per esser frusta, non fu ben determinata ; men- tre l’intiera leggenda è GEZZA AOI. ed è dei Tessali in genere. Pag. 151, n. 976. Sev. Alexander. La medaglia di Severo Alessandro descritta dal Vaillant 3 (Impp. graec) erroneamente, appartiene a Valeriano, dal quale si ripete il secondo Neocorato. Pag. 157, n. 1027. La medaglia di Gordiano Pio fu incongrua- mente attribuita (Sest. D. N. V. p. 122, n. 100) appartenendo a Filippo Seniore. Pag. 160, n. 1045. Tranquillina. Tanto il Catalogo della Contessa de Bentick, quanto Gusseme non meritano d’esser citati, e molto meno in questa occasione. Ri- guardo al secondo, dovea pur sapere il N. A. che la medaglia di un tal numero era stata pubblicata da Liebe (Goth. Num. p. 324) colla voce AYTO (in nexu) per AYTOYCTA, come è pur nella antecedente del n, 1044. Pag. 173, n. 1123. Tyrissa. Di questa città in altr'occasione darò i disegni delle due pic- colissime medaglie in argento, ma non so, cosa abbia voluto dire il N. A. nell'aggiuntavi Nota. Forte T°yrissa Macedoniae, mi sembra un dubbio mal appostato. Pag. 174, n. 1127. Non era necessario di fare un paragrafo a parte sotto il titolo =/ncertaine de Za Macedoine, ou de laThrace= per la medaglia pubblicata nel Museo Hunteriano tav. 33, fig. 4. sapendosi molto bene, ch'è una medaglia ovvia di Lete «della Ma- cedonia. Pag. 178, n. 120. Aenianes. Descrizione falsa (Mus, Heder. p. 120, n. 3092) primieramente la medaglia è d’argento, ed è come segue. Caput Jovis laureatum ad s. R. AINIANON. Vir palliolo tectus ad s. gradiens; et retro- spiciens, s. clypeum obiicit; d. elata hastam intorquens, ante pedes hasta. AR. 3. Pag. 279, n. 123 et 124. Argesa. Se nelle due medaglie si legge APTEZION. come lo riporta il N. A. e come si lesse da me sulle impronte delle medesime, era facile l’attribuirle a Argesa della Tessaglia; ma siccome in altre simili si legge APTEIQN:- allora furono restituite ad Argos della Argolide. Pag. 280, n. 128. Cierium. Ci vien dato debito dal N. A. per aver messo questa città alla Macedonia. Sapeva già, che Stefano la nomina sotto Arne città della Tessaglia, così detta prima, e dopo Cierium: ma il nostro collega Cousinery scrivendomi, che avea in- vestigato il luogo di una tal città, distante quattro leghe da Pella, si dovea credere, che situata fosse nella Macedonia, contro l’auto- rità di Stefano. Quella del Musco Hedervariano fu da me descritta a Cierio Tessalo. Le sviste spesso provengono, quando le relazioni non sono corrispondenti alla verità del fatto. Pag. 284, n. 143. Gyrton. Quando si principia male, si finisce peggio. La medaglia ri- portata nel Mus. Heder. p. 120, n. 3097 non è di Gyrton, ma di Larissa vi si legge: AAPIZ - AION. in due versi in luogo di TYPT. come fu sopposto. Pag. 287; n: 153. Lapithae. Non ci sottoscriveremo a riconoscere per genuino quest'altro medaglione în argento preso dal Patino, e riportato dal Gessnero Pop. tab. xxvII, fig. 24 per essere dell’istessa officina di altri de- scritti da var} Autori. Il N. A. potea far di meno a riportarlo pet genuino col prezzo di fr. 100. Pag. 297, n. 217. Minyac. La medaglia attribuita dal N. A. potrebbe essere controversa, e appartenere piuttosto a Mende della Macedonia, leggendovi al- lora MINAATON. Nel Mus. Brit, p. 246, n. 1, tab. 13, fig.25 una medaglia quasi simile, ma con due Diote, fu malamente letta, e attribuita all’Isola Naxo, dovendovisi leggere MINAAION. come supra, altra ma- piera di scrivere ora coll’I. ora coll’E. — it, p.298, n.218. A che serve affaticarsi a purgare dalle false lezioni le medaglie, e restituirle alla loro sede, quando altri senza considerazione le accolgono come sono. La med. del Maseo Hedervariano (T. I, p. 121, n. 3110) fu detto, ch’era una medaglia d’Hephaestia (città dell'Isola Lemno.) Vedi le nostre Lettere di Cont. T. V, p.31. Pag. 301, n. 232. Pelinna, Quando si vuol riportare le descrizioni delle medaglie fatte da altri, si dee rimontare alla prima sorgente, dunque non è il P. Froe- lick che descrisse la medaglia di n. 252, ma l’Hardouin Op. Sel. p- 133 e dice essere nel Museo Regio. Ma il N. A. non potè osser- varla, nè descriverla, per non più ritrovarvisi. Dunque lezione erronea dalla parte del Harduino ; ma se si esamineranno le meda- glie autonome di Priene della Jonia, si osserverà, che dessa appar- tiene per i tipi, e per la leggenda TIPIHNEON, ad una tal città, Pag. 306, n. 254. Pherae. La medaglia riportata nel Mus. Hedery. (T.T, p.122,n. 3120) e descritta indi dal N. A, ammette la seguente descrizione : ò Caput Jovis laureatum ad s: ® E Mulier nuda fluitante retro pal- CAFPATOR liolo equum fagientem crini- bus prehensum utraque manu retinet. JE. 3. Pag. 306, n. 256. Non credo, che si possa attribuire la medaglia scritta YA. FERI. a Phere, ma la credo piuttosto di Tebe, con un nome di Magistrato eroso, e dubbio, e tale è l’altra del n. 257 da noi attribuita ad Alessandro Tiranno. Pag. 313, n. 1. Illyricum. Aleta, vel Alleta. Il N. A. getta un dubbio sulla medaglia attribuita ad Aleta, supponendola piuttosto degli Etoli. Avrebbe egli più che ragione, se in una siffatta medaglia si leggesse AITOQAON, Ma AAAF- TON. lampante non potrà far pensare agli Etoli, nelle cui meda- glie, è vero, viene espresso lo stesso Ercole, ma nell’Antica è figu- rata una testa galeata di Pallade, e non di Donna diademata. Pag. 321, n. 63. La medaglia attribuita dall’Eckhel (Syll. I, p. 27) e riportata dal N.A., con dubbio peraltro, non è d’A pollonia dell’Illirico, . ma di quella situata intorno al Rindaco della Misia, come fu prima d’ora fatto osservare nelle nostre lettere. Pag. 324. Apollonia, Sept. Severns, Di questa città è la medaglia incerta descritta nel Museo Theu- poli p. 940 colle sole lettere ATAN . +... . che sono le finali ATAN. per AIOAAONIATAN, Pag. 354, n. 318. La medaglia di Scodra non fa mal letta, nè può essere d’Amfipoli della Macedonia, poichè la mancante leggenda va supplita in ZKOAPEI NON. e letto AM PA AE 4A, per nome di Magistrato, Pag. 370, n. 79. Molossi. Il N. A. cade sempre male, allor che vuole ripetere le descri- zioni delle medaglie del Musco Hedervariano, poichè non è dessa dei Molossi, ma d’Ithaca. Pag. 373, n. 97. La città di Nicopoli coniò in onore d’Augusto per la riportata Vittoria detta Aziaca, molte medaglie di vario modulo, e alcune d’un modulo massimo, come sono alcune altre ; ma il N. A. mi dà un biscottino, dicendo che non è medaglione, ma medaglia di primo modulo ; ma dall’indole di siffatte medaglie, di- remo che sonv medaglioni, 6 Pag. 374, n. 99. Nicopolis, Augastus. R. ZEBAZTOY. KTIXMA. Caput Augusti nudam ad d. ommia intra lauream. R. IEPA Caduceus praegrandis cum NIKOIIOAI®. fulmine transverso, ‘JE. 1 vel. mm. La nostra descrizione è molto diversa da quella fatta dal- l’estensore del Catalogo Numismatico-Hedervariano, e incauta- mente riportata dal N. A. il quale non fece attenzione, che XEBA®TON. KTIZMA. era un piccolo errore. Intorno poi alle tante scorrezioni che si leggono in tutte quelle medaglie d’Apollonia, sospenderemo qui di darne raggua- glio, perchè le nostre osservazioni sarebbero infinite. Pag. 414, n. 388. Oricus. Non è una medaglia d’Orico, come fu descritta nel Museo Hedervariano (p. 138, n. 3475, tab. 14, fig. 312), ma sibbene ; ! sia AIIOA d’A pollonia dell’Illirico, cola leggenda Pets Pag. 416, n. 393. Phoenice, Nero. nni Nella medaglia riportata dal Museo Tòchon si legge POI- NEIKAJIEON. ITFI. e non POINEIKAIITON. TIEI, come vedde il N. A. e la testa nella posticz, è quella di Claudio radiata egualmente come quella di Nerone; ma detto Autore le ravvisa ambedue per teste di Nerone, il che non è verisimile. Pag. 417, n. 397. Thesprotia, Pyrrhus Rex. Se riportai una medaglia di questo Re, osservai in seguito ch’era una medaglia di Corinto adulterata, per il nome di questo Re, con più quello della Tesprozia piecola regione dell'Epiro, onde era convenevole di rilevarne la falsità, e nell’istesso tempo la mia correzione, e non di aggravarla di 200 franchi. Le altre due, che il N. A. descrive sotto i num. 398 e 399; sono Goltiziane, e d’uopo era qui citare il Goltzio, e non Froelick, nè Gessner, i quali le trascrissero dal Goltzio, e così facendo, è un invertere l’ordine dell’impostura Goltziana, Pag. 418, n. 406. Celtae-Aidonites. Il N. A. sotto questo numero arricchisce la Geografia Nami- smatica d’un nuovo popolo, medaglia peraltro conosciuta, ma malamente attribuita a Pisauro da molti Numismatici. Una siffatta medaglia fu trovata, dice egli, dal dotto Viag- giatore Pouqueville, stato Console generale di Francia in Janina, vicino ad un tempio consacrato a Plutone, situato sulla riva destra dell’Acheronte, in un luogo chiamato tuttavia Aidonia facendo parte del cantone Margariti, nell'antica Tesprozia. Vedasi il suo Viaggio in Grecia T. I, pref. xvI, e pag. 471. Tanto soggiunge il N. A. in una sua nota. Era per altro da riflettere, o fare esservare, che altre simili erano state malamente disegnate, lette, e attribuite a Pesaro (Pi saurum) dell'Umbria. Ed infatti due furono descritte nel Museo Hedervariano P.I, p. 17, n. 344 e 346 e questa seconda pubbli- cata nellaT. I, fig.15 di detto Museo, con YA X IT Niente di tutto questo, oltre una non esatta descrizione delle medesime. Dirò che quattro se ne conservano nel citato Museo, la descrizione delle quali è l’appresso. 1. Caput Plutonis adversum diadematum papaveribus corona- tum, pendente ex utraque parte taenia, ad d. A, R. Epigraphe extrita. Cerberus ad s. gradiens, sub quo OE. JE, 3. Mus, Hed. P. I, p. 17, n. 344 sub Pisauro. 2—3. Alii duo similes, sed mole minores. /E. 3. 4. Caput idem, in area ad d. A. R.... ATAE. AIAONIATON. Cerberus ad s. gradiens, suh quo A. JE. 3. Mus. Heder. P.I, p. 17, n. 345, tab. 1, fig. 19 cum falsa le- ctione et sub Pisauro Umbriae. Uv’altra simile a questa di n. 4 esiste nel Museo del Sig. B. de Chaudoir, colla leggenda KEATAE. AIA. ...... per confer- mare la sede di tatte le sopradescritte medaglie, credute per l’ad- dietto di Pesaro. Il N. A. potrà indi osservare, se la medaglia pubblicata da Pellerin (Rec. I, PI. 9, fig. 40) sotto Pesaro, non possa essere simile alle di sopra descritte. Pag. 422, n. 14, e pag. /j23, n. 15. Le dae medaglie certamente sono di Pirro, ma la testa velata, e coronata di foglie di quercia, ammette la voce POIAE. come le altre per il nome della madre di detto Re. Pag. 424, n. 25. La medaglia col nome tronco di magistrato I"YPPI. non appartiene al Re Pirro, ma a Tebe della Beozia, come fu fatto osservare nelle mie Lettere di continuazione (T. II, p. 43. n. 1) e non so, perchè il N. A. abbia voluto perpetuarne l’errore, Pag. 44, n. 26. La nota fatta sotto questo numero 26, mi sem- bra curiosa, per persuaderci che in vece di un B. è un P. Lo sia! Sarà sempre un accidente del metallo, o uno sbaglio del moneta- rio. Non si potrà peraltro negare, che il N. A. non sapesse, come 8 classificarle, poichè le descrisse tra le incerte (T.VI, p. 643, n. 209 e zio) e che ora le ha restituite a Pirro, come fu da noi notato. Pag. 425, n. 30. Alexander II. Il N. A. dice, che la medaglietta d’oro pubblicata nel Museo Hederv. T. I, p. 137, n.3495, tab. xvI, fig. 317 è un conio moder- no, mettendola secondo la sua Scala AV. 5 If, mentreè AV. 1 1a Segno manifesto, che non l’ha maneggiata, tenendola per genuina cum capite Regis imberbi diademato. Pag. 440, n. 123. Corcyra. Leggasi APICTQNOC. e non APIETOQKOC. e il pesce, 0 mostro marino, è un serpente di mare, Pag. 443, n. 142. M. Antonius et Octavia. Il N. A, fa torto a citare Eckhel per questa falsa medaglia, che fu descritta dal Marmora ; la cui falsità consiste nell’avervi sosti- tuita la leggenda dalla parte delle due teste ; si noti poi, che questo aborto senza spirito di vino è tassato fr. 100. N Pag. 443, n, 143. Corcyra, Augustus. Se in questa medaglia descritta nel Museo Danese (T.I, p.147; n. 51) si leggerà KO, e non KO. si ritroverà che non è di Corcira, ma ch’è una medaglietta Alessandrina coniata nell’anno 29 di Au- gusto. E il suo prezzo sarebhe appena di un franco, in vece di 15, Pag. 451, n. 205. Diadumenianus. Fu il primo il Patino a pubblicare la medaglia di Diadume- niano (Impp. p: 261 e 418), e non il Gessnero, che la prese dal Patino. Non ostante ciò è una medaglia coniata in Nicomedia e non in Corcira. Pag. 454, n. 7,8 e g. Le tre medaglie attribuite dal N. A. agli Acarnani, sono degli Oeniadi, e quella del n. 7 è simile ad altra del Museo Hedervariano, e ad una terza del Museo Fontana. I mono- grammi, che vi si leggono, sono gli stessi di altre simili medaglie scritte OINIAAAN. Paz. 457, n. 23. Inutile descrizione d’una siffatta medaglia, ri- corretta in seguito dall’Eckhel nella sua Dottrina vol. II, p. 185. — n. 24. Parimente quest’altra con ANA, eredata con dubbio, appartenere ad Anattorio, fu indi restituita ad Anaphe Isola del Mar’Egeo. — n. 25. Nella medaglia pubblicata nel Mus. Hedervariano (T.I, p- 241, n. 3608, tab. xv, fig. 324) si legge ANA. ATZ. Pag. 466, n. 86. Leucas. E questa una medaglia simile a quella descritta dal N. A, (Lo. p. 454, n. 7) e ambedue appartengono agli Oeniadi. Ss (Sarà continuato.) 01]QU10Ieg OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO” DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. AGOSTO 1826. 017201018] 037 -2W01AN]q ord -09s0W9U Y o Le. elia Stato del cielo 1| mezzog. |28. 1,5 |20,1 |22;6 | 61 Po. Li.|Ser. neb. Ventie. It sera |28. 1,9 |22,8 |18;7 | 80 Gr.Le.|Sereno Ventic. 7 mat. (28. 1,5 |21,4 |18;3 | 80 Se. Le. Sereno Calma .2| mezzog. |28. 1,3 {21,9 |23,6 | 65 Po. Li. Ser. rag. Veptie.| 11 sera |28. 0,7 [22,2 |20,59 | 60 Lev. . |Sereno Ventic. | 7 mat. |28._ 0,7 [22,1 |19,8| 72 Scir. |Ser. neb. Ventic - |. 3| mezzog. |28. 0,7 |22,5 |r19,9| 63 Tr.Ma. [Sereno Vento | 1 rr ,sera |28. 0,3 123,5 121,0 | 75 Tram. {Sereno Ventic - I | 7 mat. [28. 0,5 (22,9 [19,5 | 87 Sc. Le.!Ser. neb. Ventic. | 4| mezzog. 128. 0,7 ‘23,2 |24,1| 70 Pon. . |Ser. neb. Vento ti.sera |28. 0,7 |23,5 |20;0 | 81 Po, Li.: Sereno Ventie | 7 mat. |28. 0,6 |22,8 [18,3 69 Se. Le. |Ser. ragn. « Ventic. || 5| mezzog. (28. 0,6 [22,8 123,5 | 63 Po. Li.\Ser rag. Ventic. r1.sera |28. 0,7 |23,1 |19,0 | 66 Os. Li.|Sereno Ventic. 7 mat. 28. 0,2 |22;2 [18,0] 74 Scir. |Ser. con nebb. .. Calma | il 6| mezzog. 128. 0,2 |22,4 122,5 | 73 Os. Li.|Sereno Ventic.i |__| xt sera 27. 11,8, |22,4:|20,0 | 86 Po. Li.|Sereno Calma, ii | 7 mat. |28. 1,2 [22,0 |19,2 | 86 Scir. . |Ser.rag. Calma” I) 7| mezzog. 28. 0,9, [22,0 |23,1 | 59 |;, |Tr,Gr.|Sereno Ventic* Mpiiit sera 128. _1a1.232,2 j198 1 60/]5 (der. alSereno Ventig pie... re mini rm soa —- resp eee Po LIA 3 ESUZE ren a Calma e A a] Ora 1U1019) 017 -QUOIAN][KJ o1jaruoseg 013901018] oid -09s0w19UY I \ | GIA 7 mat. |23. 1,8 [21,8 [18,5 | 72 Scir. |Sereno 8 mezzog.|28. 1,8 [31,6 [22,5 | 56 Tr. Ma|Sereno 1t sera |28.. 1,8 |21,8 |20,0 | 56 Tram. |Sereno 7 mat. 128. 1,2 .|21,3 |r8,1| 69 “|Sc. Le.|Sereno 9| mezzog.'28. 0,9 |21,6 [23,2 | 63 Tr. Gr.|Sereno {È rI sua ‘28. 0,6 |2%,2 21;2 | 71 Tr. Gr.|Sereno Ventic.ifi 7 mat. ba 0,5 [21,3 {19,0 {76 Sc. Le.|Sereno Ventic.|Yl 10) mezzog./28. 0,6 /22,1 |23,5| 69 Tr. Ma.!Ser. neb. Calma __|_Ht sera |28. 1,0 |22,6 [21,0] 78 Po. Li. [Sereno ._ Ventic. 7 mat. 128. 1,0 (21,8 17,9 86 |. Scir. |Ser. con nebb. _ Ventic' Ill II] mezzog. 128. 1,0 |22,0 {23,1 |268 Maes. {Ser. nuv. Ventie.|fi 15sera|/28.., 1,4 22,6 1204 |-78 Po. Li.|Sereno #1 N entic.|ff 7mat. |28. 1,4 21,8 [18,5 |-86 Sc. Le.|Ser. con neb. Calma {fl 12] mezzog.[28. 1,5 [21,9 |22,1| 72 Po. Li.|Ser. nuv. Ventic. II sera 28. 1,9 [21,4 |19,8| 87 Po. Li.| Sereno Ventic. (ll 7ì mat. |28. 1,9 |21;8 18,7 86 | {Sci Lé.' Ser. neb. Calma |YJ 13 mezzog. [28.36 ag 50° |22,7 | 70 Lev. ‘:| Sereno Ventic.|flh !'1t sera |28. 24 |21,;4 20; 13 | 78 Lib. ‘ ‘|Serono Ventic.|]f | "bu 'mat. (28. 2,4 |21,8.|rg;0 | 85 Sc.' Le.| Sereno > ‘‘Ventic. { [14 mezzog. 28. 2,5 [22,3 [24,1 | 64 Pon. ‘ |Sereno ‘Ventic. I l'i|'ri sera |28. «159 [23,0 [21,4 | 73 ‘Po. Li.|Ser. calig. Ve ntic.i]| 7 mat. 28. 3,0 22,4 12053 | 80 Scir. et: calig. ‘Ventic ‘|{ff 15° mezzog. 28. 20 '|22,6'|23,3 | 72 Po. Li. Sereno Ventici|jI rr sera |28. 1;6° 123,2 |20;9 | 78 Po. Li. Shbelio Ventic, (|| 7 mat. (28. 135-//22,6-120,0 | 87 Po. Li.|Ser. neb. Ventic. .gj16| mezzog.(28.-' 134 |23;0 {25,1 | 59 Tr:Gr.|Ser. néb. Vento Le ‘vr sera |28. 1,0 E 21,0 |_71 Scir, ‘|Ser. con néb. Ventic. 7 mat. |28. 134 ‘na, 2 r9; o| 76, ‘Sc. Le. |Serenò ‘Ventic.l| gl mezzog. 28. .i1,2 ‘22,9 |25,5 | 62 YTr.Ma.|Sereno Ventic.]| ri sera (28. 18 24,0 |2t,0| 75 Pon. ‘|Ser. con neb. Ventic. "| 7 mat. 24 [22,8 19,9 | 82 Sc. Le.{ Sereno Ventic. 18| mezzog. an 2,5 (23,3 1|25,6 Grec. | |Sereno Ventic. | rr sera |28. 24 2h 22,9 Gr. Tr.|Sereno Ventic. e {ly mat. 1/28. -02)5 |23,1 2050 | 76 7 |Tr/Gr ‘Btroho Ventic.| fl IQ| mezzog. 28. 2;6 [23,7 1244 Tr. Gr. 'Serenò Vento I subi sera 28. 2,6 |24,0 [20,01 62 'Cram, 'Sereho Venti vw Termo. da e] > O 3 n tr ò + 3 a S| Ora 5 =|x|53/|35| 33 Stato del cielo z. SA O) ° o ° ì î e N LI 7 mat. |28. 2,6 [23,3 |20,3| 70 Tr. ctlaue con neb. Ventic.!f z0|mezzog. |28. 2,3 |23,3 |23,1 | 62 Sc. Le-| Ser. nuv. Vento 11 sera (28. 1,7 |23,5 |19,8| 68 Tram. | Sereno Ventic, ” mat. |28. ET, 22,6 (18,0. 74 Scir. |Sereno Ventic | : a1|mezzog. |28. 1,5 [22,6 (22,1 | 63 Tr.Ma.|Ser. nuv. Ventie | ti sera |28. 1,1 |23,5 |19,5 | 81 Po. Li.|Ser. neb. Ventic | 7 mat. |28. 1,1 {22,6 !17,01 87 JB Ser. neb. Ventic.' |p2|mezzog. 28, 1,4 {22,9 [23,5] 73 (Po. Li.| Ser. nuvol. Ventic. | 11 sera |28. 1,0 [23,5 [20,0 | 86 Po. Li.| Ser. neb. Ventic. 7 mat. |28. 1,9 23,1 195. "89 ——|Sc. Le.|Nuv. ser. Ventic. 23\mezzog. |28. 1,1 [22,6 |16,7 | 97 ft Si Le. Piokeli Vea: | rt sera [28. 0,7 |22,2 |18,8 | E NS Sc. Le.|Ser. nuv. Ventic | 7 mat. |28. 0,5 {21,0 [15,9 | 96 E Le.|Se. con nu. all’oriz. Ventie. 24|mezzog. [28. 0,5 |20;6 [20,8 | 77 ‘Le Ser. con nuv, Ventic. ‘| rt sera |28. 0,7 {21,5 [18,2 gr VE i Le.| Sereno Ventic. m mat. |28. 0,7 20,9 17,7 | 9 (Gr. Le.|Sereno Ventic. 25 mezzog. |28. 0,9 |21,3 !/23,0 | 60 |Gr. Tr.|Sereno Ventic.|f . tI sera 28. 0,6 |22,2 20,0 82 Sc. Le.| Sereno Ventic. Lt 7 mat. |28. 1,0 |21,8 (19,1 | 82 Gr.'Le. Sereno Ventic.|f | 26|mezzog. |28. 1,0 |22,2 |24,0 | 54 Gr. Tr. Sereno Ventic. ri sera |28. 1,t |23,1 (21,0 | 78 Lev. | Sereno Ventic. 7 mat. |28. 1,1 |22,6 19,1 8I Lib. |Ser. rag. Ventic. 27 mezzog. |28. 1,6 |22,6 {23,1 | 73 Sc. Le.| Ser. neb. Ventic. (| rr sera [28. iu 22,2 {16,0 {100 ‘0,89 |Lev. Ser. nuv. Ventic.| 7 mat. |28. 0,8 [21,3 |16,0 | 92 Gr. Le.| Minaccioso Vento 28|mezzog. |28. 0,6 |20,9 |[19,5| 77 |0,25 |[Gr.Le.{Ser. con nebb: Ventic. rt sera |28. 0,9 [20,4 |15,9 | 95 Lev. {Sereno __Ventio. 7 matt.|28. o,1 |19,5 |15,0 | 96 Gr.Le.|Ser. neb. Ventic. 29 mezzog. |28. o,t |19,5 |19,0| 66 Grec. | Minaccioso Vento | 1r sera |28. 0,8 193 |16,6 | 80 Lev. |Sereno Calma 7 matt. [28. 1,0 |18,6 [16,0 | 88 Lev. |Ser. calig. bg 3o|mezzog. |28. 0,6 |18,6 |20,0 | 66 Tram. |Ser. con neb. Ventic. _| 11 sera 28. 1,0 [19,7 [17,3 | go Lev. {Sereno Ventic. | 7 matt. |28. 1,3 [19,3 |16,6 | or Gr.Le,|Ser. calig. Calma | SI mezzog. |28. 1,0 {19,5 |20,2 | 70 Grec. |Ser. con neb. Ventic. rt sera |28. 0,8 |20,3 [17,7 | 90 Grec. |Ser. con qual. nuv. Calma |$ % clio tb chela. Jura E ARTE | Fd i Lei (RIS ta 3 i il Abr ceriv Un 6 toa 099 ‘ibi #T los ice, tali ici 198 A \allagfero 6% ci cav] Trade nf Hime poet Ati «den Uta i. ib. 04) ara vin Dai dl noi pag rel na suo 199 Lod Ie fiv METTE sY stag Ila a od, BESIEN | Se | de Gil Rana SIRIA pa 09.194) val. | Ra Tiboo) dot) NSA, 009198 01. ee) (32.4 esi! È sua 7 I soci na EI Fi ù darai Loro EUaTO) i i: | muri os ons158| hi 19) -] 00, A i iii NAPPI TA: 00 uni” ‘onavsB; bad: "e e8 i tg Biel LodatoA IPLa dl sil de tao LETI vi. da e 009ma || prsdf Un. Foysi suis Licia! finan jarcn «gui diod || +45 CABI ip), ‘Huee) pura alda, isa | ssi MTA Ke) ES tie, Oer sn 2198). USLNI: 8, o 001° INCI Une se u T'orgianniti pe 30}: Di LURAA Po Yoò, ma ut. ia îo, o 4 } noli i PAZZI PAT ld bici POSRRRTY \ PE OR DR || ! dan 63] rderd Foot 00 {o,tyl #0 osdibondl i sant od | CONE è, Pei : du: died n, ata i i Lato piluo pu I poitasy ‘idotno9 a pei | REPTELCICAL AMARA rion8"o8| voi s°%. «gita na 109 140) 8 ni dat: Lab LoitasV | dan s00 Via 9319] ij. og] sost. Cet a dh va dea 00m lia MERI Mi CAVA posti pensa SENI (do » Di ò: LP prat to assi 0 d 48 To i i_e8| POg9s Pene do. dI lag di of Ot, È, Uci io tra “Det se RE pg > PUINI mus ì fsb tr ci i BR Abe $ Se fisvicoli conipongono un vcilamie, ed ogni volume, è accompagnato da Qu adice generale delle materie. i È: nia «Le associ azioni si‘-préndono % nFmenze, dal Direttore Editore G. P. Vieusseux. Ogg SIZE i MILANO, per tutto il regno { dalla Spedizione'delle' Casate: * Lombardo Veneto € press: l'Z e R. Direz. delle Poste. LEA ‘GENOVA Ganzette presso /a R. Direz. delle Poste, i PARMA — presso il sig. Dervie sotto direttore delle Poste, nell'ammivistraz. gen, délle Poste Pontif. E: ; per tutta la Sicilia: > igor il né E. Gruis,-via Toledo N° Vr AUGUSTA, i presso la Direzione delle Gazzette. \ GinEvhà si “presso J. J. Paschoud.. PARIGI. i presso Barrois l’ 2iné lib, Rue de Seine N. i0; ee i l i Pa C. EF. Molini N. 41 Paternoster Row A oe Da ‘Ti Prezzo D' ASSOCIAZIONE dal pagarsi nbticipatamiente. DE er.la Toscana , Lire 96 toscane per i anpu franco di porta } perla posta lombardo Veneto franchi 36. i pie Sardo per la posta rl Ducato di Parma, — frarichi 36, Fi fradco alle frontiepe franco Torino o Milana . franco Parigi i per la posta | annate separate È 24 non si ARONSE più complete, e. la: gollezione pompicn ni degli anni 182 1225 , non si Has a menu di L. 150: 4a > i 1 | i $ È % i è Î na Yi di Ris FINTA, dat. A n n) ò Ch Ù ta Sg d I ls x Pasi i Na 3 ‘ See E ANTOLOGIA si pubbliéa oguin mese, per fascicolo non minore di‘ io fogli, - MC per tutti li Stati Sardi alle respettive Direzioni delle Spediz. delta ODENA Si presso Gem. Vincenzi e C.0 libr, , Roma ri: tutto lo stato Pontificio; presso il sig. Pietro Capobianchi , impiegi franco di porta E» Aeg per la posta di itato Poniificio ; — scudi 8. Lead franco di porta VE a i i per la posta ervil Regno di Napoli. i i i ra Sicilia osto dra toe compreso il potto Ì | cin Se : LAI sino a Palètmò 6) A ORIO n Da i Fablean de la Grice en 1823; on ricit des voyages «de M. 3; Emeada. » : et du €. Pecchio. i ; si i (DM. P;) Pag. | Àl Direttore dell’Antologia aio E È (Grusepge Bianchetti). “si Notizie sulla commedia italiana , “orapilata da Luigi Garrer. (K. X. Y.) i | Rivista Dantesca, i SATO È È Fables russss de M. Kriloff eu vers ETA et IENE E (A) 2% pri: «GO, Domenico Romagnosi a Gio. Valeri professore di diritto crimi-. ©. unale nella Università di Siena. (Lett. I. e II), i -. Lettera al Direttore dell’ Antologia. IS È (G. Giorgini) ‘Meteorologia, FEDI n EN, & i TANDIGE DELLE MA TERI E: | CONTENUTE NEL PRESENTE QUADERNO: Dell’ordinamento della scienza della cosa. publica, lettere del professore” Fisica e chimica; = Storia natarale. sii Fisica animale. Ballettino scientifico. .< Geografia e viaggi pinze i Novità e invenzioni. -Warietà.. — Società scientifiche. su Necrologia. Conte Paradisi, Pullettino bibliografico. Tavole meteorologiche: AN TOLOGIA GIORNALE. DI SCIENZE. LETTERE E ARTI Pa Anno VI. Vol. XXIIL DI (o P. VIEUSSEVX. -Dinerrone E Eperonz REL i DI LUIGI PEZZATI. © ERRATA IMPORTANTE. | Pag. 163. lin. 18. s’intorbidò coll’acido solforico , leggasi col nitrato di barite, 166. I. esattezza quasi assoluta, leggasi esattezza assoluta, à LE. È #_ x x Ò 9 po e" W n po È x ;AI Pac" O) » 4f Dad n; x s Li i vp V ni hi nio; : $ e, , $ et N L Sh o % ri i Sti MANIFESTO TIPOGRAFICO ic: qualunque elogio tesser si volesse al mome di WaLrer ScorTt si renderebbe su- perfluo, mentre già le opere sue gli hanno guadagnato il titolo di celebre nella comu- ne opinione. In veduta di ciò gli infrascritti Tipografi si sono dati pensiero di far un’ edi- zione completa di tutte le sue opere , usan- do la maggior economia, non disgiunta però dalla più accurata diligenza , e nitidezza, onde facilitarne il prezzo a quelli; che vor- anno onorarli della loro firma. L’intera ollezione sarà riveduta sull’originale e pro- ederà in guisa, che ad ogni due Romanzi me succederà sempre un terzo nuovo, tra- dotto per questo oggetto da colta penna; ed ognuno verrà corredato d’ un rame analogo. L’ Opera sarà divisa in circa 60 volumi, avvertendo però che qualora l’ autore dasse alla luce nuovi Romanzi, si faranno un do- ere gli Editori, di proseguire la presente Edizione, di cui ne sortirà immancabilmen- fe un volume ogni mese. W_ Si darà principio col Romanzo intitolato, La Promessa Sposa pi LAMMERMOOR, il di ui primo volume al più tardi sarà pubblica= o alla fine di Ottobre prossimo, ed ai Signori Joint o all'iciiton * PRIANO COR e ih ui catedei © dun sere ni sr LL) 1? pe 9 ERR, Pag. 163. lin. 7 Associati ne sarà dato l’avviso col mezzo del- la pubblica Gazzetta . 66: Ogni volume di circa 200 pagine con ca- ratteri, e carta simile al presente manife» sto verra rilasciato ai soli Sigg. Associati al prezzo di paoli due e mezzo fiorentini, dovendo restare a carico dei medesimi le | spese di porto e dazio. Le Associazioni si ricevono in Firenze da- gli Editori nella loro Cartoleria in via della Nave, e presso ai principali Librai distri» butori del presente Manifesto . FIRENZE CO’ TIP] DI COEN E COMP. 18206 ip: 5 ° HISTORIQUES DR I YANDERYVELDBa TRADUITS DE L'ALLEMAND, PUBLIÉS ET PRÉCEÉDÉS DE NOTICES SUR L'AUTEUR ET SES ÉCKITS, Par A. Loève-Veimars. Chez JULES RENOUARD, Libraire, rue de Tournon, N. 6; Et CH. GOSSELIN, Libraire de S. A. R.M8 le Duc de Bordcaux, rue Saint-Germain-des-Prés, N. 8. Parmi le petit nombre de romanciers qui meéritent d’étre universellement connus, et qui, à l’exemple de Walter-Scott et de Cooper, ont fait revivre dans leurs écrits les anciennes moeurs d’un. pays dont ils ont étudié à-la-fois le sol et les monumens; les chartes et les chroniques, il est juste de placer Vandervelde, que ses Romans historiques sem- blent destiner è placer auprès des deux ctlébres romanciers de l’Amérique et de l’iicosse. TI PD. 9 7 e; sl 2 Hi Vandervelde excelle surtout è reproduire les meeurs de l’Allemagne, sa patrie, durant le moyen àge; il peint admirablement la lutte des communes avec l’aristocratie, l’orgueil grossier des vassaux devenus libres, la hauteur et le dépit des nobles privés de leurs prérogatives, l’ignorance des cleres et le fanatisme des séculiers. La Silésie, la Souabe, la Norwège, l’Islande, la Suède,; sont d’ordinaire le théitre des évènemens qu'il décrit, et l'on s'aper- coit toujours à la fraîcheur et à la vie de ses ta- bleaux, qu'il compose sous l’influence des impres- sions locales. Dès leur apparition en Allemagne, les Romans historiques de Vandervelde furent accueillis avec un empressement extraordinaire, et déjà avant sa mort, arrivée depuis peu, trois éditions, qui se sont succédé rapidement, attestaient qu’ils étaient dignes de leur succès. Une imitation informe d’un de ces romans a seule signalé jusqu'ici au public frangais l’apparition de. cet écrivain remarquable. La traduetion des Romans historiques de Vandervelde , que nous publions au- jourd’hui, exécutée avec,le plus grand soin, formera environ vingt volumes. Elle sera publige par livrai- sons de quatre ou cinq volumes, et conformément au spécimen' ci-joint. Une Notice sur la vie et les ceuvres de Vandervelde ;' accompagnera l’uné de ces livraisons , et des Notices historiques spéciales CRA e aiar] —_—__—_—r_r- ida RARO seront places en téte de ceux dont les sujets sont peu connus en France. La première livraison est en vente; elle se com- pose des Ouvrages suivans : Arwed Gyllenstierna. .. .. . . 2 vol. Les Anabaptistes, d’aprés les | ò E nte de- chroniques et Manuscrits du | variano Pi ti i XVII stecle. AIR RAS RT I upatto e. ensato been Patriciens 100 15th Er) A ti Su”? - srizione PRIX : 12 FR. LES QUATRE VOLUMES. La seconde Livraison est sous presse, et paraîtra A TE. x très prochainement; elle comprendra : ne per Les Hussites , la Decouverte du Mexique, ct irte del È a. le Chevalier de Malte, ensemble p 9 (Mus. cinq volumes. nt n° CHAQUE ROMAN SE VEND SÉPARÉMENT. : Museo N..ed è ‘i AEYX- IMPRIMÉ CIIEZ PAUL RENOCARD; nur GARENCIÀNE, N, 3, ll’esten- vil NA. forse di x] messa CHAPITRE XXVII. 315 i d } nellement appelé dans le palais; il ne pou- La vait manquer de rencontrer souvent la belle Gertrude, et ces rencontres atti- saient plus qu il n’eùit été è desirer pour > lui, le feu qui, depuis la mémorable nuit, . ne cessait de brùler en son coeur. De jour ; en jour; les regards d’Alf se portaient avec plus d’avidité sur les yeux de Ger- &) trude; ils exprimaient une ardeur toujours. plus brùlante et ils ne tardèrent pas è parler sans contrainte. Gertrude trés. lasse de son tailleur-roi dont elle parta- geait l'amour avec treize rivales, aimait le beau colonel comme une femme. volup- tueuse et sans PRE peut aimer un homme vigoureux et à la fleur de l’àge;. ses desirs n’avaient d’autre frein que la Jalousie de son sultan, auprès duquel la plus légère infidélité l’exposait à un arrét_ de mort. Mais la plus impérieuse des pas- sions l’emporta è la fin, méme sur cette crainte. i . A lune de ces bruyantes fétes de la cour, par lesquelles le roi tàchait de. FINE DELLA REVISIONE NUMISMATICA. (Vedi Fuscicolo N° 68 dell’ Antologia.) Pas. 454, n. 57. Naupactus, Il N. A. prendendo in esame la medaglia incongruamente de- scritta tra le città incerte della Macedonia nel Mus, Hedervariano (T.I, p.118, n. 3060, tab. xI, fig,266) pensa di restituirla a Naupatto per quelle due lettere NA. Ma diremo, che non ha ben pensato, per essere una medaglia d’Encel/la città Sicula, la cfti descrizione è l’appresso ENTEAAAZ. Galea. R. KAMI'ANO. Pegasus volans, sub quo delphinus. JE. 2. Accenneremo bensi,che le leggende non sono del tatto sane per avere la medesima subìto un’altra impressione, e dalla parte del Pegaso, l’antico Tipo è una testa di Toro con faccia umana. Parimente d'Entella è l’altra descritta sotto il N. 3059 (Mus. Heder.) leggendovisi ENTEAAAX, dalla parte della Galea, Pag. 490, n. 34. Opuntii. Nella medaglia d’argento, che il N. A. riporta dal Museo Mediceo, non si legge ODONTIQN. ma YYPAKOZION. ed è simile ad altre riportate dal P. di Torremozza col nome di AEY- KAZIIIZ. Pag. 502. TITHOREA. Mus. Heder. T. 1, p. 145, n. 3701, Tab, xr, fig. 331. La piccola medaglia d’argento creduta di Zichorea dall’esten- sore del Catalogo di detto Museo, non è ritocca, come pensa il N. A. ìn una sua nota, ma bensì letta male, per farla auncentare forse di prezzo, ed è una medaglia della Focide colla leggenda OKI messa bustrophedon, ni Pag. 505, n. 23. La medaglietta attribuita con dubbio alla Beo- zia, 0 ai Beoti in genere, a prima vista diremo, che è una di quelle tante Tarentine, e il N. A. poteva riconoscere le analoghe. Pag. 508, n. 42. Se il N. A. avesse tralasciato di riportare le de- scrizioni barocche fatte dall’estensore del Catalogo del Museo He- dervariano, non avrebbe così sporcamente contaminato il suo sup- plimento, ma avrebbe col tempo inteso, ch’è una medaglia impe- riale di Miletopoli della Misia, la cui descrizione è l’appresso ue TRPAIANOC - » » è - . . Caput Trajani laureatum. R, Epigraphe extrita, Caput Palladis galeatum recusuni cum novo typo, id est MIAHTOIIOAITON. et duae Noctuae in unum caput coeuntes. /E 2, Pag. 510. n. 20. Copae, Vespasianus. Una siffatta medaglia scritta KOITAION.il N. A. in una sua nota, ci fa osservare, essere la lezione sospetta, ma per levarne il dubbio, si potea aggiungere, che la vera era TTAT AION. € appar- tenere a Pagae dell’Attica. Pag. 511, n. 50. Coronea. Il N. A. è di sentimento, che le medagliette col Koph, date da noi a Coronea, debbano essere restituite a Copae sopraccitata ; ma siccome il KopA nelle medaglie di Corinto, si suol prendere per un nesso di KOP, così in queste si vuole denotare il principio di Coro- nea e non quello di Copae. Pag. 515. HYLA? Inutile ripetizione d’una medaglia frusta a tal segno, che in seguito fu osservato essere una medaglia autonoma della Callatia, simile a quella pubblicata nel Mus. Regio Danese (P.I, pag. 95, n. 2, tab. 2, fig. 5.) Vid, Nost. Des. Num. Vet. de Var. Mus. p. 590. Pag. 520, n. 9. Tanagra. La medaglia tridramma descritta nel Cat. d’Ennery p. 89; n. 225 col solo nome di magistrato YAOPO, se fu ben letto, e in seguito riportata con dubbio dal N. A. sotto Yanagra, potrebbe essere piuttosto d’Aspledone, in una delle quali leggesi PAAOKO con egual desinenza. Pag. 521, n. 104, e 105 item. La sede data a queste due medaglie, che ci pervengono dal- VAsia Minore, è incerta. Dall’Amico nostro Cousinery fu pensato, che quel TA, fosse scritto Acolice, in vece di TH. e che appar tenessero a Temno Eolico, ma meglio sarebbe leggere AH, TA. per AHMOC, TABHNON e restituirle a Taba città della Caria. La] d Pag. 522, n. 112 item. Antoninus Pins, La medaglia d’Antonio Pio fu malamente descritta nel Mus, Hederv. I. p. 146, r. 3716, e senza averla esaminata fu creduto, che la descrizione ne fosse giusta, giacchè il N. A. mi fa la grazia di citarla, come se io stesso ne avessi fatta la descrizione : aa l’erro- nea, e scorrelta spiegazione va corretta nel modo, che segue AY.KAICAP. ANTONINOC. Caput Antonini Pii lau- reatum, pectore nudo. Ri. CANATPAION. Diana habitu venatorio ad s, stans, d. telum, s. pharetram, pone ad pedes canis venaticus humi ad- sidens. /E. 2. Paz. 523, n. 117. THEBAE. Per la medaglia d’oro attribuita da noi a Z'ede, il N. A. in una sua nota, pensa che la medesima potrebbe spettare piuttosto a Taso0 Isola, portando un tipo favorevole alla medesima, ma dall’altra parte costa, che Bacco ed Ercole ebbero i natali in Beozia; onde ci sembra, che la sede data sia giusta, facendo osservare che Tebe in varie sue medaglie pose l'iniziale ©. il che non si ha in quelle di Taso; ed oltre a ciò abbiamo ripetuto lo stessò soggetto nei tetra- drammi d’argento, colle lettere iniziali E. e anco senza queste. Ecco la descrizione di quelle state da noi osservate. 1. Clypeus Boeoticus. R. Sine epigraphe. Hercules nudus juvenis humi insidens;duos serpentes ambabus manibus elidens, pone arcus, omnia intra incu- sum. AR. 1. Ex Mus. Brondsted. 1. Alius similis cam ®E, AR. 1. Millingen R. p. 44, tab. 2, fig. 15 nune Mus, Imp. Mediolan. Pag. 525, n. 126. Dicemmo, che vi era la probabilità che la let- tera X.messa in un circolo, o formapte una ruota di quattro rag- gi, potesse denotare l'iniziale di Cheronea, molto più che nessuna medaglia primitiva non era stata riconosciuta per questa città ce- lebre della Beozia. Ma il N. A. in ura sua nota non ammette la no- stra sede, e crede che sia un T%eta, per il principio di Yhedae. Nel ‘Tomo II, Lettere di Cont. p. 35 riportai varie forme della lettera iniziale di Tebe, espressa in ©. in Q. ein ©, e quella di Coronea in X, in un circolo. Se quest’altima forma di lettera stia per un Theta, lascio libera la decisione ai Paleografi, e in quanto a noi la crediamo un vero Chi, o X. 4 Pag. 533, n. 185. Thespiae. Se messi in dubbio il medaglione di Tespie, esistente nell’Imp. e R. Galleria di Firenze, non fu senza ragione, non ostante, che il Cel. Eckhel lo pubblicasse come genuino nei suoi MumiVeteres ec. A prima vista si osserverà, che l’argento non è antico, ed è d’un conio moderno ; la luna crescente non è in giuste proporzioni, € molto meno i due corni della medesima, senza parlare della leg- genda che pur questa porta le lettere troppo delicate, e sottili. Pag. 533, n. 187. Domitianus, La medaglia, che il N. A. riporta dal Museo Hedervariano T. I, p. 146, n. 3724 fu letta male, dalla parte della testa, leggendo» visi. A0. KAI. OEOY. YIOC. Pag. 537, n. 1, e 2, Athenae. Il N. A. descrive due medaglie d’Atene in oro, e non contento d’avere tassata la prima 600 franchi, e l’altra 300; in una sna Nota aggiunge, che M.Fauvel ne possiede un’altra del peso dello stateré, e la tassa 1000 a 1200 franchi. Diremo, che ne abbiamo vedate al- cune altre simili, ricopiate dalla dramma d’argento, e dalla mezza dramma, e sono della fabbrica di Smirne, dove si erano annidiati due falsarj, uno per nome C, . ».. + +; L'altro purzanesià Vi è questo secondo risiede attualmente in Parigi, dove fa valere i suoi coni falsi, che sono molti; il primo poi lasciato Smirne, si è sta bilito in Sira isola dell'Arcipelago, il quale colle sue medaglie false d’Atene ha impestato tanti Musei, unitamente ad altri Emissarj residenti in Costantinopoli, e in particolar modo uno per nome B..... ha saputo ingannare due personaggi distinti. In virtù di che noi non ammetteremo nessuna medaglia in oro co- niata dagli Ateniesi i quali furono troppo gelosi di mutar € le loro costituzioni in genere della loro moneta in argento, e in rame, e se gli studiosi della Numismatica avessero letto il capitolo fatto dal Cel. Eckhel, non sarebbero caduti negli aguati di questi impo- stori, e l’emporio di questa infetta merce è stato stabilito in Parigi. / n N) 2 An Pag.538. Troppo lungo sarebbe lo stare a correggere le varie lezioni non adeguatamente consegnateci nei nomi di Magistrato, che si leggono nèi tetradrammi di forima larga, ma per non perpetuare le fulse descrizioni, ne accenneremo alcuni, dicevdo che in quello di n. 22 si legge AM AL e non AMMOAIO . . . . € senza vernn simbolo nel MQ OX campo della medaglia, In quello di n. 39, p-542 si legge AXATOZ. HAI. KAEAPX, In quello di n. 55, p. 544 leggasi AN. AIOMHNOY. € si aggiunga in arca dimidius Leo, In quello di n. 106, p. 551 leggasi HPAKAEIAHEZ. ETKAHZ, AIONYZOY. Pag. 585, n. 356 e 357. Azetini, Sotto questi due numeri sono descritte dal N. A. due medaglie eredute con dubbio degli Azetini, popolo dell’Attica, ma in una sua nota dice, come disse Eckhel, ‘essere della Magna Grecia, senza individuarne la situazione, o la provincia. Nelle nostre lettere di Continuazione (T. VI, p.- 5) fa detto, che questi popoli erano di Calabria, e che la loro città dovea es- sereAzetium nome che corrotto leggesi in Plinio (Hist. Natur. L.III, c. TI) in Aegetium, in Strabone Nelium, o Ehetium nella Tavola Peutingeriana. Pag. 586, n. 364. Eleusis, Commodus. Male si appose il N. A. nell’attribuire una siffatta medaglia di Commodo scritta EAAIOYCION. mentre è d’E/zeusa, Isola della Cilicia. Ed altre simili erano state descritte alla loro vera se- de, esistendone una nel Museo Imp. di Milano, quell’istessa che pubblicata fa dal P. A. Sanclemente, Altra simile esiste nel Museo Hedervariano, e in quello di Fontana in Trieste. Pag. 603, n. 65. Aegina, Plautilla. La medaglia descritta e pubblicata dal Wise (Cat. Num. Mus. Bodlei. p. 72, tab. 14, fig. 23) e in seguito riportata dal N. A. colla leggenda AITAIATON, fu da noi corretta {Lett, Tom, IX, p. 24) in AITIPATON, per Acegira dell’Acaja. 6 Pag. 605, n. 71. Salamis. La medaglia che il N. A. riporta dal Mus. Hunter. non è di quest'Isola, ma di Same città di Cefalonia, Un'altra simile fa da ine osservata nel Monastero di S. Michele dell’Isola Murano di Ve- nezia, — it. Caracalla. Il N. A. fa osservare, che il Sig. Welzl de Wellenheim in Vienna possiede nel suo Museo una medaglia unica di questo impe- ratore. Lo stesso, prima di lui, fu accennato nelle mié Classes ge- nerales dell’edizione fiorentina; ma non avendola riscontrata, nè avutane la notizia, se non dalla nostra citazione, per fargli cosa grata, ne daremo ora la totale descrizione. MAP, ATP. ANTONEIN. Caput Caracalla laureatum. R. CAAAMEIN.., Ceres ad s. stans d. elata curtam facem tenct. /E. 3, S. N. B. Abbiamo principiato a fare la revisione Numismatica dal Tomo II, Supplimento pubblicato dal N. A. perchè in questo sono state riportate molte incongrue descrizioni di medaglie del Mu- seo Hedervariano per distruggerle, e per impedirne le false cita- ziovi che altri potrebbero fare,servendosi delle medesime. In altra occasione seguiteremo la nostra revisione, non per saltum, ma in regola. Clooiso Salutare. atutti gli amatori, e studiosi della vaga e dotta scienza della Nu- mismatica, e in conseguenza a tutti quei, che si applicano a for- mare delle collezioni di medaglie antiche sì greche che romane. Ripatriato non ha molto, e proveniente dalla Pannonia Sadik-el- Baba, quell’istesso, che fece stampare una Memoria fino dal dì 20 Agosto del 1825. colla quale avvertiva il pubblico letterario Numi- smatico, che alcuni falsificatori di medaglie aveano coi loro falsi Coni, ingannato molti amatori, e raccoglitori di medaglie, lo stesso Sadik-el-Baba, come il Nestore, per dir così, della Numismatica, deve ora in propria coscienza rendere pubblica, con novi sensi la mala fede di questi fa/sarj, i quali da qualche tempo le fanno circolare per tutta l'Europa, avendo recato a questa scienza un gran sconvolgimento, e agli amatori, anco sulla buona fede, sut- tratte delle buone somme di danaro. In Smirne, e in seguito in Sira, Isola dell'Arcipelago si è stabi. lita una fucina di sì pestilenziale mercanzia; e in Costantinopoli poi vi sono degli agenti, e dei così detti mercadanti, per farne incetta, e spargerla ovunque. I Coni di siffatte medaglie in oro, in argento, e in rame, sono molti, dei quali in altra occasione ne darò discarico, accompagnan- doli colla loro rispettiva descrizione, e incisione in rame,e allora si osserverà, che questi falsificatori hanno imitato alcune medaglie rare antiche tassate a prezzi stravagantissimi dal Catalogista Pari- gino, e dai suoi seguaci, altre da loro inventate per viepiù imba- razzare i veri conoscitori. Ed è in virtù di questa frode manifesta, che Sadik-el-Baba si prende la lecita libertà di prevenire il pub- blico letterario-numismatico, affinchè non cada nelle mani insidiose di queste arpie, e spiecialmente in quelle di un certo Sig. per nome B... stabilito in Pera di Costantinopoli, il quale ha saputo bene e non male, inviluppare colle sue infami insidie uno, o più gran personaggi amatori, e possessori di ricche collezioni Numi- smatiche. Dalle medaglie greche, questi falsificatori hanno preso di mira anco alcune medaglie del Basso Imperio, e di alcuni Impera- tori Bizzantini; una medaglia d’oro dell’Imp. Quieto, e un’altra d’Artavasdo parimente in oro, furono rimesse dal Sig. B. . ..... per il Museo Hedervariano, la prima tassata fr. 1000 e l’altra 600. Si domanderà qui, su qual fondamento si può tassare una medaglia di Quieto mille franchi, mediglia che non esiste in veran Musco s se non falsa. Altri risponderanno, che si è voluto tassare l’ombra, che si vede, ma che non si lascia prendere, oppure vendere un sacco pieno di vento, che aperto che sia, non vedesi più niente, ma si resta attonito, e in questo caso spaventato. Sì Studiosi della Namismatica, una medaglia di Quieto în oro, d'un conio goffo, che in questo genere si abbia mai veduto, fu ri- messa unitamente ad un’altra falsa d’Artavasdo come dissi per il Museo Hedervariano, da quel bravo soggetto Bizzantino, e furono fatte pagare a tariffa Mionettiana, e comprate come gatta tr sacco, cioè pagate avanti di potere esaminare la mercanzia, lo stesso che proverbialmente dire: Danari sulta balla. Simili contratti; che hanno del Zeonino stipula questo tale. Ah abbia colui un vero ri- morso della sua sinderesi. E voi tutti direttori diMusei pubblici, e voi Amatori della Numismatica, astenetevi per un, gran pezzo, co- me lo praticano alcuni, dal fare acquisti di medaglie per farle ca- dere di prezzo, oppure accordatevi tutti ad offrire poco (parlo delle genuine) e così facendo i mercadanti insidiosi, e î più ignoranti, resteranno confusi, e col rimorso d’avere ingannato tanti amatori, e contaminato molti Musei colla loro infetta merce, Ma ron plus. ultra. Desiderasi bensì in ottore delta Scienza, che questo nostro Avviso Salutare sia ripetuto anco dagli esteri nei loro fogli pub- blici e giornalî, e si pregano anzi i direttori di questi a valersi de- gnare di propagarlo più che sia possibile, per essere il male fatto, incalcolabile, e la contaminazione molto perniciosa, onde poterne impedire la cancrena, e si adoprino violenti, ma efficaci rimedi. Add malum extremum, cxtrema remedia. Sadik-el-Baba, ANTOLOGIA N.° LXIX., Settembre > 1826. Storia delle campagne e degli assedii degl’Italiani in Ispa- gna dal 1808 al 1813, preceduta da un saggio di storia antica e moderna e di statistica della penisola. Opera dedicata a S. A. I. R- L’ Arcipuca GiovannI D'AUSTRIA E= da CammicLo VAcani, Maggiore nell’ I. R. Corpo del Genio , cavaliere della Corona Ferrea e della Legion d’ Onore. La storia delle campagne e degli assedi degl’Italiani in Ispagna, dal 1808 al 1813, è un’opera del Maggiore Vacani, venuta ad accrescere le ricchezze delle lettere italiane; bella per tipi, ornata di disegni, che rappresentano tutta la pe- nisola dai Pirenei all’Oceano, le fortezze, gli assedi, gli ac- ‘ campamenti, le battaglie. Il subbietto è di grave momento, sia per memoria di maravigliosi successi, sia per arti di guer- ra , sia per onore delle italiane milizie. I caratteri e le fi- nitezze della stampa toccano quasi il perfetto. I disegni sono artificiati più che naturali: l’occhio esperto vi discerne il terreno, l’occhio comune vi si smarrisce, perocchè la im- magine che deriva da curve orizzontali equidistanti non è vera ma convenuta; ed oltracciò la scala delle tinte è sì greve che spesso il bruno dei monti cuopre lo scritto. Un disegno a tinte leggiere, qual si vuole nelle carte di guerra, a curve ed a tratteggi del modo di Noizet, avrebbe, io cre- do, soddisfatto i più esperti ed i meno esperti dell’arte; ma 2 l’autore ha preferito la rigidezza del suo sistema. E fin qui delle apparenze del libro. i Primo foglio è una lettera dell’Arciduca Giovanni d’Au- stria, indirizzata all’autore sin dall’ anno 1816 per impe- gnarlo all’opera, assicurandogli che ne gradirebbe l’offerta. E così quel frontespizio, che di ordinario negli altri libri è segno di ambizione, qui diviene argomento di verità; impe- rocchè svela nell’autore il proponimento di non amplificare il merito e la lode di un esercito che per sei anni combat» tè gl’interessi della Casa d’Austria. E d’altra parte quanto consola veder principe imperiale commendar le virtà mi- litari (benchè l’offesero); persuaso che soprastanno ad ogni altra cittadina virtù; e che dei sudditi i migliori in guerra sono gli ottimi in pace, sia che la pace è dolcissima per chi ha tollerate le fatiche di guerra, sia che l’abito all’ob- bedienza ed ai travagli ha reso comportabile la soma del Viver soggetto. Nella prefazione l’A. espone l’argomento dell’opera, ed è la memoria dei fatti della milizia italiana nelle guerre sostenute in Ispagna. Ma Pannunzio è soperchiamente mo- desto , perocchè il libro racchiudendo tuttii fatti militari di quel tempo, meglio direbbesi storia intera di quella guer- ra. Se non che l’autore piegando a non so qual forza irre= sistibile del destino chiama milizie italiane le sole del già Regno-Italico, come tali non fossero i soldati piemontesi , genovesi, toscani, romani, che portando numero ed inse- gna francese, guerreggiavano in separati italiani reggimenti, o confusi ai soldati di Francia : e tali non fossero quattro reggimenti napoletani formanti una legione distinta , e com- battendo col proprio nome per propria gloria : nè tali fos- sero tre mila siciliani, che afforzavano l’esercito di Lord Wellingthon , e partecipavano al vincere , al morire, agli onori, alle tristezze dell’alleato esercito inglese. Io, speran- do che altri metta in luce il merito dimenticato dei sud- detti eserciti, accennerò qualcosa dei loro fatti; rapidamente come è permesso alla brevità ed alla natura di questo ar- ticolo, che disegno di scrivere non a lode o critica, bensì ad ombra ed immagine dell’opera. 3 «ne /Succede ‘alla préfazione , lunga introduzione , divisa in undici capi. Nel .1.° 1’A; descrive il terreno della peniso= la; i-monti maggiori e i secondi, le valli, i fiumi, le linee maturali di difesa. Narra nel 2.9 le origini di quel popolo; corre i tempi favolosi ed incerti della più remota antichità; e pervenendo alla guerre Puniche distende il filo istorico delle mutazioni e/sconyolgimenti avvenuti a quel regno, Di- ce nei seguenti capi come fu. sotto i Romani, quali guerre sostenne , quali oltraggi patì dai dominatori , quanto onore ‘ne ottenne allorchè imperatore di Roma fu lo Spagnuolo Trajano, nome da diciassette secoli chiaro per benignità, mo- destia, cittadini costumi, e sopra ogni ‘altra cosa per giu- stizia di regno. Tutte le virtù, fuorchè una, libere e poten- «ti, trasmodano in wvizii: la liberalità nei principi addiviene “profusione; la parsimonia, avarizia; la pietà, debolezza; il rigore, ferocia; l’istesso amore di gloria, vanità ed ambizio- ne: la sola giustizia non ha progresso nel male; più ella è, più è virtù. Come cadde la Spagna dai Romani nei Goti; come quelle ‘barbare genti ma ‘povere e guerriere vinsero le romane le- gioni, avvilite da costumi corrotti, lusso eccedente, servitù volontaria; quali: altre genti della frigida Alemagna, Sve- vi, Vandali, Alani si fermarono in quelle terre; quante con- tese d’armi vi sostennero; come dai Goti ne furono discac- ciati; come questi Goti inedesimi, poi che fugati gli ultimi Romani, si stabilirono in monarchia sicura;e quando anch'essi guastati dalle felicità, immersi nei piaceri, dierono agevo- lezza alle invasioni degli Arabi ; tante vicissitudini degli ‘eserciti conquistatori, e più che tante miserie del popolo conquistato, si leggono partitamente nel 4,° capo della in- troduzione. Durò quel dominio goto tre secoli ; nella qual luoghezza di tempo, confuse le nature e i costumi, ‘i reggi- tori ammollironsij; i soggetti tolsero alcune durezze boreali, la cieca obbedienza ai magistrati ed al principe, le super- stiziose credenze di religione, e la tendenza alle idee con- templative ed astratte. Fu più.lungo l’impero degli Arabi, durò otto secoli; e ‘più agitato da guerre esterne o domestiéhie ; da religioni e - 4 leggi diverse; regni nuovi fondati e disfatti; dinastie eleva- stesi abbattute risorte; monarchia divisa: e fra tante varietà di fortuna, solamente costante il guerreggiare degli eserciti Ja sofferenza dei popoli. Considerazione , al dir dell'A, im» ‘portantissima , perocchè palesa le cagioni del carattere spa- gnuolo; risedendo Ja natura fisica di ogni popolo nel cli» ma, e la natura morale negli esempii. A tanti sconvolgi- menti della penisola mancava l’ estremo, le guerre religiose; e incominciarono al mezzo del duodecimo secolo per le «sventurate nozze di Ferdinando e di Urraca, essendo ponte- fice di Roma Innocenzo 1II. Le quali guerre, ora sole ora unite alle guerre esterne ed alle civili, travagliarono la Spar gna sino al finire del XV secolo, quando Isabella regina di Castiglia e Ferdinando re di Arragona, maritati insieme, levandò eserciti nei propri regni, stringendo alleanze, instan= cabilmente operando , scacciarono dalla penisola il domi- nio Moro, L’impero si stabilì in una famiglia, gl’interessi dispersi ‘per lo innanzi si accomunarono ; le opinioni religiose si strinsero in una, gli stranieri dominatori sgomberarono; le famiglie, che molte n’ erano, romane, gote, arabe, obliata l’origine, divennero spagnuole. Il primo respiro di quel po- polo perchè il primo giorno della sua indipendenza fu dun- que al cadere del secolo quinto decimo, Surse allora il tri= bunale d’ Inquisizione, destinato in prima a persuadere, dipoi a sforzare gli Arabi e Goti alle cattoliche credenze , o, se ostinafi , a punirli. Di quelle genti chi debole cedè, chi misero morì, chi tenace ai suoi dogmi partì o fuggì di Spagna; l’obbietto religioso fu conseguito; il trono di Spa- gna fu chiamato allora il Cattolico; il tribunal della fede restò. Ai felicissimi Ferdinando ed Isabella compiacea la for- tuna in tutti i modi ; e sì che l'Italiano Colombo non in- teso nella sua patria, mal gradito e schernito in altri regni, trovò credito ed aiuti nei due principi della Spagna; scoprì nuovo mondo; e diede alla patria adottiva, indi a poco in- grata, la gloria e le ricchezze della sua scoperta. Oh bizzar- ria'e circolo delle umane sortita quelle Americhe ed a quelle istituzioni di Ferdinando e d’Isabella, allora venture della 5 Spagna, sono debite le posteriori e le presenti sue miserie; -*© Due altri capi della introduzione , 7-° ed 8.° racchiu- dono le istorie spagnuole dalla scaceiata degli Arabi si- no al termine della guerra di successione, 200 e più ‘anni. Nel qual tempo mutato il popolo; da servo qual’era di stra> niere senti, rimasto servo ma delle proprie instituzioni,, monarchia assoluta, feudalità, religiosa intolleranza ; \con ùisanze romane, gotiche , more; col sentimento della pro- pria forza e grandezza ; ricco dei tesori delle Indie ; orgo- glioso , superbo ; mosse molte guerre o le sostenne; conqui- stò, perdè, si temperò ad ogni fortuna ; fermò paci ed al- leanze; ebbe il peso e l'aspetto di potentato europeo. È quan- do venne sotto ii dominio di Carlo V, crebbe delle imprese del più vasto impero che abbian mai tollerato le civili na- zioni; e sì che negli anni 1520 a 1527 gli eserciti spagnuoli combattevano in Sassonia ed.in Italia; le armate spagnuole dominavano l’Atlantico ed il Pacifico ; schiere e navi spa- guuole assodavano gli acquisti delle Americhe e gl’ingran- divano : nelle quattro parti del mondo, al tempo stesso , la bandiera di Spagna guerreggiava e vinceva. - .rMeno gloriose più mortali furono le guerre sotto i re- gni, l'uno all’altro succedente, dei tre Filippi e di Carlo II; ma il popolo fra le varietà di-fortuna si-agguerriva. Alla morte di Carlo, anno 1700, scoppiò in Europa contesa for- midabile col nome di guerra della successione , perchè avea per obbietto succedere al trono del defanto re. L’autore bel: lamente ed a disteso ne riferisce i fatti politicì e militari peroechè trova simiglianza di condizioni tra quella’ zuer- ra e l’altra che è l'argomento del suo libro. Paragona le ambizioni di Luigi XIV e dell’imperator Napoleone: para- gona gl’interessi, e le occorrenze dei potentati europeè al cominciare del XVII secolo e del XIX, che furono i-tem- pi delle due guerre: paragona le basi e le linee di opera- zione, indi gli eserciti le battazlie gli assedii il vincere il perdere sopra i luoghi medesimi; e dal confronto maravi- glioso per le menti volgari, o casuale per le meno plebee, egli che non dal caso o dal miracolo fa discendere gliaw venimenti , ne tragge lume d’istoria e precetti e regole di 6 svienza ed arte militare. Finì la guerra:di successione al 1720 collo stabilirsi sul trono delle Spagne Filippo Vi ni- pote di Luigi XIV, della dinastia dei Borboni. {| bnob Ma se le.contese, come io dissi, durarono quattrò.lu= stri, non potè la pace durar sette anni ; così che regnanido loi stesso Filippo, Carlo VI.di nemico gli si fece. alleato,; Luigi XV di alleato; nemico: si collegarono! alla Frància la Inghilterra la Olanda. la Prussia ; si collegò a Filippo eda Carlo l’imperator dii Russia; e. nel 1727 le memiche arma» te ricambiarono oltremare. le prime offese. Quella , stessa guerra durò poco per:il trattato di Soissons deli1728;.e que» sta istessa. pace presto fu rotta perle\pretese della Spagna sulla Italia, ed indi appresso per gli eserciti suoi. venuti ir Toscana, e nuove'schiere tedesche e. nemiche in Napoli,è Milano. I quali molti e minacce.si perderono:nel trattato di Vienna del. 1735; si riaccesero ‘in brieve pet muove? ambi» zioni sopra»ilregno d'Austria, alla morte di Carlo VI; nè.sî acquietarono se inon/ pet dominii divisi in Aquisgrana nel 1748, E ida ciò che ho dettò \per cenni e 1’ Ai espone per Innghe narrazioni deriva che il popolo ie gli eserciti ‘Spa- gnuoliitravagliarono altri /20' anni alla guerra, ;avventurosi più. che irifelici, conquistatori delle altrui terte, e nelle. sue terre sicùri,; ee cr loro il sentimento delle pro= prie forze sgomnii iti digijone ,i ih) ib atv La indipendenza; compagna di illa bisogno ecarate tere di. un gran popolò,lacquistata dagli Spagnuoli per guer- te di più secoli, si radicò nel regno: del. pacifico ed ‘operosò Ferdinando VI, e nei primi anni di ‘regno eguale del'sue- cedutogli re Carlo IL. E sebbene nel.1761 avessero fine tre lustri di pace, in quell’anno! medesimo ierasi fermato patto di famiglia tra i re Borboni, il più forte dei. patti ‘politici conosciuti allora nel mondo. Quindi! all'ombra di grandi esercitijdi. poderose ‘armate, d’immensurabili dominii nei due emisferi, di soprabbondanti ricchezze, e di lega poten- tissima, pareva la Spagnaai riguardanti ed a sè medesima stato e monarchia invulnerabilt eterni. Ma erano altre le sentenze del fato. Nella guerra cominciata al 1761 finita al 1963, la Spa perditrice nei combattimenti, fu abbassata ed offesa per la pace di Versailles, Indi a pochi anni collegata alla Fran- cia, ajutò le rivoluzioni dell’America settentrionale, disper- se molti tesori ; ma vinse. Infelice trionfo! imperocchè pri- mo esempio fortunato a quelle armi civili, che poco ap- presso dovevano volgersi contro lei. Ma pure nei succedenti anni di pace ristoravasi, quando la morte tolse il buon re Carlo III nell’anno medesimo 1788 che scoppiarono i pri- mi moti della Francia. Salì al trono di Spagna Carlo IV, d’in- dole benigna ed arrendevole, inabile a reggere la nave dello stato fra le politiche tempeste di quella età : ed abbenchè offeso più di ogni altro monarca dagli sconvolgimenti della Francia per la vicinanza dei regni, e’l parentado colla Casa infelice, tutti tacitamente per quattro anni li tollerò. Error comune dei principi di quel tempo, inesperti della possanza dei popoli, ovvero più lenti dell’ universale al cammino delle società. Così la rivoluzion francese ebbe tempo a pren- der forza dagli stessi disordini che operava, e dal tragico fine di Luigi, che la rendè potentissima perchè irrevocabile. La Francia si ordinò a repubblica ; il patto di famiglia fu rotto ; la Spagna si collegò ad altri potentati di Europa per combattere quella nascente sconvolta libertà. Fufono felici le prime mosse; gli eserciti spagnuoli guer- reggiando e vincendo entrarono nel territorio francese, men- tre le sue navi ed altre schiere guardavano con Inglesi e Napoletani l’occupata Tolone. Ma subito quelle avventure si volsero in disastri; Tolone fu riacquistata dalle armi repubblicane ; gli eserciti spagnuoli , vinti su i Pirenei, ri- tornarono alle loro terre , dove indi appresso assaliti, furon disfatti ; cederono la fortezza di Figueras; difendevano Ro- sas , vedevano le provincie settentrionali campeggiate dal nemico , e la linea dell'Ebro minacciata. Allora il re chie- se, ed a patti nocevoli per la Spagna strinse pace coi Fran- cesi , in Basilea, l'anno 1795 ; e da quel giorno dimentican- do i patiti ne ggi, sordo agl’ inviti di altri re, non curan- te degli offerti guadagni, ma immutabile alla giurata fede, ajutò la Francia, sia che stato sconvolto, o di repubblica, " * 8 o sotto i consoli, o nello impero. Concedè tragitto per i suoi dominii agli eserciti francesi a fin di sottomettere il Portogallo , e collegò con essi le proprie schiere. Tullerò la perdita dei tesori che gli venivano dalle Americhe; tollerò che il diadema di Napoli passasse dai Borboni ai Napoleo- nici; tollerò la disfatta di Trafalgar, e con essa la distru- zione delle sue navi, e del dominio e dell’ antica gloria sul mare. Dei quali omaggi alla fedeltà , noi vedremo tra poco qual guiderdone ottennero egli e la Spagna ; e ci rattriste- remo del vivere in un secolo, quando le fedi mantenute o le mancate apportavano ai popoli guerra e sventure. Dai cenni storici che rapidamente ho discorso, ognun vede esser io pervenuto all’anno settimo di questo secolo, di già seguìti gli accordi di Presburgo , la guerra di Prus- sia, le conferenze di Tilsit; perciò al tempo della maggiore imperial grandezza di Bonaparte; e ben dico grandezza d’im= pero, avvegnachè quella dell’ animo e della gloria gli aveva Iddio riserbata, per confusione delle nature superbe, so- pra piccolo scoglio fra miserie di vita. I racconti dal 1806 sino all’ apertura della guerra debitamente chiamata della Indipendenza Spagnuola si contengono nell’ ultimo capo della introduzione. In esso l’A., per ben descrivere lo stato morale della Spagna, considera le circostanze attive di regno, cioè go- verno e popolo. Tocca l'indole buona ma debole del re; sì ferma nel ritrarre il carattere del suo favorito Emanuele Godoy principe della Pace , essendo necessità dei sovrani inabili o incuriosi alle faccende di stato esercitar 1)’ im- pero per ministri. Godoy nato di povera famiglia , bello in gioventù, decoroso nella età matura, ebbe per favor di corte molti officii, ed alfine pervenne alla maggiore altez- za, tal che Carlo avea nome e lustro di re , Godoy l’im- pero del regno. La fortuna gli agevolò , come al primo corso ella snole , il cammino alla stima pubblica , e fu creduto abile ai maneggi interni, destro alle diplomatiche negoziazioni, dotto in finanza publica. Ma per tempo ed avvenimenti, vista afflitta la Spagna, prostrate le sue for- 9 ze, invilito il governo, le gravezze accresciute , il debito, pubblico doppiato sei volte , il Principe della Pace mini- stro per nome della Spagna , ministro per fatto di poten- tato straniero , solo felice fra gl'infelici, privatamente ricco nella pubblica povertà, tristo consigliere nei tempi sicuri, timido nei perigliosi, perdè la mal tolta stima; e, come avviene al rovesciar di fortuna, fu tenuto nelle opinioni comuni più ignorante, più tristo; più mancatore del vero, Come che tale governava la Spagna. Mentre il popolo più tendeva al sostegno delle antiche leggi : il clero po- tentissimo abborriva qualunque novità , qualunque con- sorzio alla politica francese ; e non pochi Spagnuoli am- biziosi, 0, come io più credo, bramosi di reggimento più libero , speravano e disegnavano mutamenti di stato. La casa istessa agitavano discordie interne, perocchè il Prin cipe delle Asturie scontento del mal governo, fu dal mi- nistro sospettato , accusato di secrete politiche novità , perseguìto ed imprigionato coi suoi fedeli, Per i quali fatti si bandirono nella Spagna, rimbombarono nel mondo gli sconvolgimenti della reggia. Alla qual voce crebbero le opere di Bonaparte; dal- l’autore con buon consiglio partitamente discorse , percioc- chè il suo libro è ricordo ai viventi, storia e mente agli avvenire : e quindi a me non è mestieri narrarle in que- sto articolo destinato ai presenti, e durevole nella memo- ria quanto dura l’officio di leggere poche carte. Solo dirò perchè importa al subbietto che le insidie onde condurre gli eserciti francesi nel territorio spagnuolo , occupar di sor- presa alcune fortezze, attirar la casa regnante di Spagna alle simulate conferenze di Bajona , ed ivi attorniarla d’in- ganni, avvilirla, imprigionarla, mossero tanto sdegno ai po- poli della penisola che la guerra non ancora intimata, co- vava in tutti gli animi in tutte le volontà. Armeggiava frat- tanto l’imperator dei Francesi; sperando cogli spettacoli della forza e della politica vincere o ammollire la nemicizia, che le ingiurie avean suscitata. Promise libertà al popolo, grandezza ai nobili, potenza al clero : annunziò codici, si» 10 stemi , statuti : effigiava, e non era inganno , il bene che la. Spagna trarrebbe da nuova dinastia e nuovo stato. Ma quei discorsi rimanevano scherniti, perocchè lo sdegno impediva gli offici della ragione ; e le nuove profferte instituzioni non erano nello intelletto e nella coscienza di quelle genti. Fa maraviglia osservare l’uomo medesimo, Bonaparte, mu- tare accortamente la Francia da repubblica in monarchia perchè le dottrine e gli usi di libertà non stavano nella mente del maggior numero dei Francesi; e poi , dissennato- si, promettere alla Spagna, come mezzo a sedurla , insti- tuzioni non conformi ai desiderii del popolo ed alle abitu- dini del suo vivere. Spettava alla imperizia dei moderni novatori, non ad ingegno altissimo ed esercitato , il sup- pore che bastino le leggi senza altrettanti costumi a far mi- gliore un popolo; e che la pubblica prosperità stia riposta in alcune forme sociali, e misurate condizioni di potere e di obbedienza. Sono feliei le genti che si tengon felici ; sono sagge le instituzioni che persuadono quel sentimen- to : è dispotica e stolta la legge che tien per forza i soggetti in libertà non voluta, del pari di altra legge che per forza li tenga in servitù. E difatti gli Spagnuoli del 1808 non altro trassero dalle liberali offerte di Bonaparte che motivi nuovi di sdegno. La guerra inevitabile ed imminente poco appresso scoppiò ; ma prima d’imprenderne il racconto, io, seguendo l’A., rassegnerò i mezzi di offesa e di resistenza, i vicendevoli timori e le speranze. Ducentomila soldati, prodi per centinue guerre , gui- «dati dai più conti e felici capitani dell'Europa, con arti- glierie , altre armi e macchine innumerevoli, componevano l’esercito apparecchiato contro la Spagna. Altri 300 mila soldati della stessa fortuna tenevano stanze sieure nélla vi- cina Francia. Oste sì grande apparteneva ad uno stato di 39 milioni di abitanti, per natura bellicosi , e per arte i più guerrieri del mondo. Gran parte dell’ Alemagna, la Svizzera, tutta la Italia obbedivano alla Francia, e le for- nivano armi e tributi. ll resto dell’ Europa , o collegato le dava ajuto, o più volte vinto trepidava e taceva, Non era i LI altra guerra sul continente europeo, e non altra, dopo gli’ accordi di Tilsit, parea possibile. Numerosi eserciti fran» cesì albergavano nella penisola , dominavano il Portogallo, guernivano Barcellona e Figueras, occupavano Madrid : al» tri eserciti erano in cammino verso i Pirenei. Possanza e venture sì grandi stavano in mano diBonaparte ; l’uomo più smisurato del secolo, e direi di tutti i.secoli , se la ri- verenza' per l’ antichità non’ togliesse! ardire .al. concetto. L’acquisto delle Spagne, comunque fosse nel fatto‘, mo- ‘stravasi nelle, apparenze legittimo e civile : la ‘rinuncia del Re Carlo all’imperator dei Francesi ,‘acconsentita da Fer- dinando principe delle Asturie, scioglieva nei soggetti la relizione dei giuramenti , 0 bastava a coprirne la infedel- tà: le nuove costituzioni di regno più libere piu conformi alle ragioni dei popoli!, onestavano.il cambiamento di sta= to ed il desiderio di secondarlo. La glotia di Bonaparte, il prestigio della sua volontà ; l’onor quasi !della sua corona dopo ‘manifestata l’ambizione di aggiungere la penisola al suo impero, lo costringevano a combattere e vincere; Tante forze ‘positive 0 ‘morali, tante specie di futura felicità, tanti bisogni , tante necessità assaltavano la Spagna. -.: E la Spagna ‘per la opposta parte, 'sopra spazio vastis- simo rara di abitatori, orbata dei suoi rè , tradita dal mi- nistro reggitore’ del regno , aveva. piccolo ‘esercito , 100 mila: soldati ;: disperso in Germania in Italia in' Portogal- lo;;‘e;.la finanza! spacciata, gli! stabilimenti militari caden- til, le fortezze ‘non'!provvedute : ma tutti i difetti suppliva Panimo! di quel'‘popolo: Nemicizia giusta, incitata, univer- sale‘; comuni volontà‘; comune ‘moto; abitudine‘ alle sof- ferenze:; abborrimento per le genti straniere; disprezzo ‘della morte ; antiche ed amate leggi, costumi antichi, religione sacrosanta ; erano le armi difensive (della penisola. L’im- perator dei Francesi poi che vide perdute le speranze di sog- giogare. quetamente la Spagna, datole da Bajonà un're nel fratello, Giuseppe, ‘e leggi di stato ; che chiamò statuto co- stituzionale! ,; mosse. gli eserciti a conquistarla. Ciò che: ho detto fin quì per sommi. capi, l’Ai in di- steso riferisce nella. introduzione ; idiscorso \pregevolissimo 12 4 6 che narri o che:descriva oche osservi; lucida dimostra» zione idella Spagna fisica e morale ; lavoro di mente esperta, al'cammibo delle società, dotta di chè i regni crescono. e cadono. L° opera che succede alla introduzione è scritta ad annali con ordine convenevole alla natura e vastità delle materie ; ma nelle poche pagine di questo articolo io do- vrò stringere a gruppi gli avvenimenti, e dar ombre.non disegni finiti, cenni non istorie. Scorretò le materiali com-. posizioni dei! due eserciti, le vicendevoli idee della guet= ra , le battaglie i combattimenti gli assedii, ciò. che. più giova le arti della milizia, ciò che più onora i combatten® ti ; e sarò men.fugace a narrare alcuni prodigi militari 6 Virtù civili, acciò in ogni scrittura corrente siéno .testimo= mi e monumenti del secolo. Essendo difetto della umana natura scemar la lode, accrescere il'biasimò dei contempò» fanei, e figàrare ii viveriti sempre infingardi al bene, sem» pre al male ‘solleciti. Senza la quale naturalé malevolenza come potremmo, ricordare della nostra .età le tradigioni, gli spergiuri, le mille malvagità pubbliche o private, \ed obliare tanti miracoli di pietà di, obbedienza di libertà di amici- zia? Vi ha certamente in memoria nostra popoli ed uomini -mancatori, e popoli ed uomini fedelissimi; esempii di fe- titàlel\di eroismo; azioni le più basse e le altissime. Uno scrittore ,melanconico , raccoglitore delle sole tristezze del tempo, ‘trova campo da spaventare sopra i nostri! costumi Je, fature: età: così come il narratore delle:sole virtù.truo- valal confronto di chè oscurare il, merito e le maraviglie dei popoli, più stupendi dell’ antichità, Germani, Greci; Rot mani.!Ma.tramezzo a \questi, estremi, la storia indifferente, narrando vizii e virtù, debitamente partisce biasimo e lode, Pr.elozi .|PARTE SECONDA. ‘ Era l’esercito destinato a conquistarla Spagna di 200 mila combattenti ; réggitore supremo il Gran Duca di' Berg, Murat ; sotto del quale militavano i Generali. Junot, ‘Mon= cey; Dupont, Duhesme ,eicon questo sèi mila Italiani, metà del Regno-Italico, guidati ‘dal colonnello Foresti, metà na E ==> 13 poletani retti dal colonnello Zenardi, gli ‘uni e gli altri sotto al comando del General Lecchi. I Piemontesi e Li- guri andavano uniti ai Francesi. Gli uffiziali del:Genio (chiamasi Genio l’ingegno degli assedii, ossia la molta scien- za e le arti difticili di espugnar le fortezze o difenderle ) abbondavano ; ed uno del numero era il Maggiore Vacani; lo stesso autore della istoria , tanto più degno di credenza quanto che testimonio e narratore di fatti operati o visti. Le artiglierie di campo sopravanzavano , quelle di assedio era- no scarse, aspettando di acquistarle nelle fortezze della Spa= gna, mal guardate se ponevasi mente allo stato delle for- tificazioni , al numero dei presidii ed alle provvidenze. Più scarseggiava il tesoro, contando di raccoglierlo dalle ‘cite tà, che credute soggette al Re Giuseppe , indi espugnate dall’ esercito; tenevansi per doppio titolo tributarie. Il Gran Duca di Berg stanziava con molte schiere in Madrid ; Junot in Lisbona, Duhesme in Barcellona ; Mon- cey e Dupont sopra i gioghi dei monti. Non avevano’ nei : primi tempi nemici da combattere ;. tentavano le fortezze senza assaltarle ; correvano il paese; studiavano ‘la guerra creduta coperta e vicina. La legione degl’Italiani guarda- va Barcellona, da che per inganno (fallo di chi lo pre- scrisse , pregio di destrezza negli esecutori ) s’ impadronì della città. Così l’esercito francese. Le genti spagnuole dopo il primo sbigottimento che fu brieve; levate in armi a mo- do di plebaglia feroce, frodarono proprietà, misero case a sacco e fuoco, uccisero non pochi cittadini, tra’ quali un Saavedra capitan generale di Valenza, un Solano capitan generale di Andalusia, il conte dell’ Aquila in Siviglia, il conte della Torre in Badajoz, Truxillo in Granata, Ceval- los in Valladolid, ed altri ed altri onestissimi venuti in so- spetto della marmaglia perchè nelle domestiche brighe 1’ al- ta fama, più della stessa mala fama, è in pericolo. Ma indi a poco la comune volontà diede unico moto a quei popoli, che siccome cavalloni di un torrente s’incalzavano senza contrasto. E così cessate le discordie, tutti gli sdegni per- duti in uno sdegno, si alzò grido universale di guerra: la 14 obbedienza ‘a Giuseppe fu tenuta ribellione ‘al vero Re.z la nemicizia per quello, fedeltà verso questo; e le armi sem» pre onorevoli contro i Francesi, sia che scoperte o nascoste, generose 0 traditrici, La legione spagnuola.,, che coll’eser- cito di Junot combatteva il Portogallo, rifuggì nella Spagna e militò per la indipendenza: con maggior pericolo con maggior lode tornarono dalle coste della Danimarca le schiere spa- gnuole guidate dal marchese della Romana : i soldati di Car lo IV invitati dal nuovo Re, disertando i quartieri, si as- soldavano agli indipendenti. Tutte le milizie spagnuole in varii luoghi sotto condottieri diversi componevansi in reg» gimenti e legioni: il vecchio Generale Castanos ed il prode Reding ordinavano le difese dell’Andalusia; il capitan gene- rale Cuesta scacciato dalla vecchia Castiglia radunava mez- zi di guerra nel'regno di Leone; l’Irlandese Blake opera- va in Galizia e nelle Asturie, il giovine Palafox nell’ Ar- ragona, il general Caro in Valenza. I quali capi e condot- tieri, per altezza del grado e per onorata fama di fedeltà, erano stati scelti dal popolo. Quelle forze non :erano assai contro schiere doppie di numero e d’arte; vi si aggiunsero le milizie civili, e non bastavano; ma si levarono a torme i cittadini, e subito, le difese furono così ordinate e disposte. Le milizie assoldate stavano nei luoghi e sotto i capi testè rammentati:. altre milizie nazionali si destinavano a mantenere intiero l’eser- cito ed ingrandirlo : succedevano le milizie civili per guar- dia delle città e dei villaggi : ed infine le Guerré/Zas, schiere volontarie sotto arditi condottieri, che o regolate cogli eser- citi, o libere per la campagna combatterebbero, Tutti gli ordini della società , tutte le età fuorchè le estreme, en- trambo isessi, intervenivano alle difese, I sacerdoti di maggior grado (cito ad onore il vescovo di Gerona col suo drappello di Catalani sotto lo stendardo di S. Narciso, e ’1 vescovo Ra- mirez reggitore di altra compagnia, la Crociata, sotto la in- segna della Croce) figuravano in quella guerra tenuta po- litica e religiosa. Seguivano i sacerdoti minori, chierici, frati ; e tra loro gl’inabili per infermità o per vecchiezza alle armi, fabbricavano munizioni ; e benedîcendole in dì festivo / 19 sugli altari,le spedivano ai campi: e cosìlo smisurato numero; degli ecclesiastici e le religiose credenze furono in quel regne diajuto alle armi. Le donne, ordinate a compagnia nelle cit- tà, trasportavano ‘provigioni, addossavano i feritie li medi- cavano , affaticavansi a costruire sbarre e muri: onde de+ rivò fama immortale alla contessa di Burita, a D. Lucia, Fitz-Gerard, alle Artigas, alla Vivern, alla Custi, ed.a donnicciuola plebea, come che per animo nobilissima, Ago- stina Zaragoza, che trovandosi ai femminili offici dell’as- sedio, vedendo assaltata una porta della città, e fuggitive le guardie, raccolse di terra la miccia, e dando fuoco ad un cannone preparato a mitraglia, produsse al vicino nemico molte morti e lo arrestò : così che i suoi, rianimati, torna- rono alla difesa ; e quella porta e la città per lei furon salve. Io non so se portasse il cognome ‘di Zaragoza per fami- glia, o se gliel dessero il merito e la fama dell’azione; av» vegnachè la porta da lei guardata era della città di Zaragoza. Stringendo in poco ciò che ho detto ; tutto il popolo spagnuolo fu in armi; ogni città si mutò in fortezza, ogni casa in castello; ogni campo francese era circondato di ne- mici o di deserti. Ed altra ventura della Spagna era la pri- gionia dei suoi rè, che portò quella guerra all’altezza ideale sottraendola dagli errori e le convenienze di una famiglia o di un uomo. Ma sebbene apparissero gigantesche le difese, l’imperator di Francia, giva intrepido ad assaltarle. Era suo scopo persuadere o costringere quei popoli all’obbedienza ; come era scopo di questi, tribolando l’e- sercito nemico , disperare la impresa: ma discorriamo , se io basto a dirlo, le condizioni di quella guerra. Io vedo quattro eserciti francesi, quanti in prima ne spedì Bona- parte, campeggiare uno spazio di 165 mila miglia quadrate, difese da 14 milioni di abitanti. Vedo smarrite o sospese le re- gole di strategia, perchè varii e cangianti gli obbietti, varie ed eventuali le linee di operazione , le stesse basi non pre- stabilite dal senno e mutabili. Vedo confuse le regole della tattica dovendo spesso combattere schiere inesperte dell’arte militare, più deboli ma non soggette a misura e provve= dimenti. Vedo .gli eserciti separati; gli alloggiamenti er- 16 ranti per trovar di che vivere, le stazioni e le mosse vo- lute dal bisogno più che regolate dall’arte; e fra mezzo ai campi francesi genti e terre nemiche; sì bha gli eserciti, co- me globi isolati, non formar linea di battaglia o difensi- va. Pievedo mutata ad ogni passo la condizione degli as- salti e delle difese, i concetti del mattino inabili al mez- zodì; le provvidenze già date non valevoli , e nella urgen- za dei casi, a cambiarle impossibile. Considero le imparate dagli uffiziali regole di guerra scarse al bisogno, e necessa- ria una scienza più vasta e più pronta: nè bastevole. l’ob- bedienza, ma spesso indispensabile il proprio giudizio; e nei condottieri di benchè piccolo drappello , l’occhio e l’inge- gno di Generale supremo. Miro i combattimenti a modo an- tico, scontrandosi le masse e distruggendosi, con molte fa-. tiche più molte morti e poco fine; e negli effetti le perdite degli aggressori gravissime , le vittorie leggiere. E perciò a riflettere la possanza di un popolo sollevato in armi convien dire che a dispregiarla si volea. la baldanza, la usitata for- tuna , l'animo e forse il fato di Bonaparte. Insino allora, maggio 1808; le scontentezze dei po- poli eransi salito per tumulti; dei quali grandissimo quello di Madrid ; la guerra serpeggiava nascosamente: quando l’editto di Ferdinando VII prigioniero in Francia, e la fon» dazione dei governi nazionali , e’l1 bando di guerra del gover- no supremo, fecero le ostilità manifeste e legittime, Hl pri. mo fatto d’armi fu ai dintorni di Barcellona, il 12 giu- gno 1808, tra le milizie spagnuole e le italiane, che vin- sero; e due giorni appresso , guidate dallo stesso Lecchi as- saltarono ed espugnarono il castello Mongat ; e procedendo investirono Matarò. Di dentro alla città maggior numero di combattenti , di fuori artè maggiore, d’ambe le parti valore eguale, pendeva incerta la vittoria, che alfine riposò sulle insegne d’Italia; intorno alle quali più prodemente combat= terono i colonnelli Zenardi e Foresti, i Maggiori d’ Aquino e Bossuet, i Veliti e ’1 4.° reggimento del Regno Italico, i Cacciatori di Napoli. La città fu presa. Vi si ristora due giorni il vincitore, indi procede ; mar- ciando in vanguardia il Colonnello Zenardi. Trattenuto in 17 Calella da fortificazioni, che le milizie civili e due navi in- glesi difendono, combatte, ed in brieve tempo la città è presa e manomessa. Avanza verso Gerona, a cui d’intorno ac- campavano altre schiere italiane e francesi, tutte reggendole il Generale Duhesme, che fatto ardito dalle precedenti mr torie prepara l’assalto della fortezza. E muove al dì seguente; il General Lecchi pregando invano a differire l’impresa. La speranza di vincere era lusinga o follia ; le scale, non costrutte all’ uopo radunate dai vicini sobborghi, si trovarono più brievi dei muri; ma pur gl’ in- trepidi assalitori sperarono che giungendo alla cima, e gli uniagli altri facendo degli omeri sgabello, toccassero il ciglio della muraglia. A così alto erano pervenuti il Maggiore d’Ambrosio , Napoletano, e il capitano La Faille, quando precipitati nel fosso dal nemico, rimasero come spenti. Al- tri ed altri furon morti o feriti sotto vari casi di guerra; avvegnachè alcune scale , affollate di assalitori , fracassava- no, mentre sassi ed altre moli gettava il nemino dai parapet- ti, e fuoco vivissimo faceva di mitraglia e archibugi. Per quelle perdite Duhesme levò nella notte il campo e ritornò a Barcellona. Le prime vittorie intorno al Llobregat , furono, come ho detto innanzi , al 12 giugno; e non appena lasciati quei luoghi per portare altrove la guerra , eccoli ripopolati di mi- lizie nemiche , e trasformato in campo di assalto il poco fa miserevole campo di sconfitta. Questa è l’ indole delle guerre nazionali, dalla sapienza greca rappresentate in favola colle teste rinascenti dell’ Idra. Perciò, non ancora il giugno fini- to, bisognarono nuovi fatti d'armi presso a quel fiume, e nuove fatiche nuove glorie italiane. E ciò fatto, Duhesme la- sciò Barcellona, e con milizie italo-francesi marciò nuova= mente contro Gerona. In quel mezzo il Gran Duca di Bergritornava in Fran- cia perchè il re Giuseppe giungeva a Madrid: il Generale Dupont davasi prigioniero col suo esercito in Baylen, e sti- pulava disonorevoli patti per l’altro esercito francese guidato ‘da Vedel; sì che l’ Andalusia rimaneva disgomberata : 1’ In- T. XXIII. Settembre. 2 18 : ghilterra collegavasi alla Spagna, apprestando armati ed are. mi : la città capo del regno, vedutain pericolo , era abban- donata dal nuovo re : Zaragoza indarno assalita ; Gerona nuo. vamente tentata, più fortemente difesa: tutti gli eserciti francesi della Spagna radunati dietro all’ Ebro. Quando quei popoli da cosiffatte venture inanimiti corsero ad assaltar Bar- cellona, guardata, dopo la partita di Duhesme, da soli 3 mila Italiani. Alcuni vascelli inglesi, che l’intrepido Cochrane mano- ! vrava, afforzavano i Catalani : erasi da noi perduto il forte : Mongat; eran cadenti le trincee di S. Pietro Martire e’l forte Pio ; la città di fuori in più punti assalita, tumultuosa al di dentro ; pochi i presidii, scarse le vettovaglie. Ma potè l’ani- mo. I Generali Lecchi, Millosevitz e Schwarz ; i colonnelli Porte, Fabre, altro Lecchi, Rambourg e Foresti, i Maggiori Cotti e Rossi, gli uffiziali, i soldati, valorosi ed infatica. bili, respinsero gli assalti, uccisero per frequenti sortite ‘ molte genti al nemico, ed agevolarono alle schiere del Ge- - nerale Duhesme , intrigate sopra i monti di Calella, il ri- torno a Barcellona, Così quei presidii afforzati riacquista- rono, per novelli combattimenti sulle. stesse rive del Llo- bregat, i perduti campi. Ma non cessava la guerra. Indi a poco fu sanguino» sa dalle due parti, felice per gl’italiani, sulle sponde del Besos, ove più meritarono i Colonnelli Rambourg e Fo- resti, i Maggiori d’ Ambrosio e Rossi, alcune compagnie napoletane, un battaglione dei veliti reali. Fu dura sullo stesso Besos altra giornata , ma pur felice agl’ Italiani; combattendo (miserevole condizione) non per fine di guer- ra, ma per predare il vivere di un giorno. E poco appres- so nei campi medesimi ed in S. Cugat tollerarono giorni cruenti e sfortunati. Dipoi guidati dai Generali Pino e Maz- zucchelli, venuti nella Catalogna con altre schiere del Re- gno Italico, circuirono la fortezza di Rosas; e mandati con mezzi minori del bisognevole ad assaltare il forte Bottone, furono con perdita non lieve respinti. Non perciò si allon- tanarono dalla fortezza ma ne impresero l’ assedio con mi- glior senno, sostenendo il carico e le fatiche maggiori, per leccate. titti ca 19 comando del generale S. Cyr, che di tutte le squadre Italo-franche nella Catalogna reggea l'impero. Un secon- do assalto al forte Bottone fu, quanto il primo, sventura- to. e più del primo compianto per morte di uffiziali cari all’ esercito- Ma sempre l’assedio procedendo, la fortezza di Rosas, dopo 17 giornidi trinciera, capitolò: ed in quella ben com- piuta impresa più si onorarono,; oltra i supremi condottie- ri, il colonnello Rougieri, i Maggiori Perceval Cometti e Casella ( per troppa foga sventurato ), l’ uffiziale di arti- glieria Conte Beffa, che in Rosas ottenne la prima fama indi cresciuta, ed altri uffiziali e soldati di artiglieria, e gli uffiziali tutti del Genio, tutti dei Zappatori, il 1.9 reg- gimento leggiere , il 6.° di linea. Mi dorrei di non scrivere tutti i nomi e i fatti degni di lode, se non li vedessi re- gistrati per la eternità nell’ opera del Vacani. E così quan» do taccio sulle azioni delle schiere di Francia in questa guerra, non è per invidia o malevolenza, ma per brevità necessaria al mio lavoro. Imperocchè mi terrei storico for- tunato se avessi opportunità e lena da descrivere i trava- gli e le maraviglie dell’ esercito francese, al cui esempio e fortuna le milizie moderne della Italia hanno debito della scienza di guerra e della fama. Mentre quegl’Italiani, travagliavano , come ho detto, all’assedio di Rosas , altri guerreggiavano in Barcellona. Nel mezzo di novembre un esercito spagnuolo di 25 mila combattenti, levato nella Catalogna e diviso in tre squadre, va ad assalire il presidio di Barcellona, 10 mila soldati, mes- si alle guardie della città e del campo. Furono molti gli scontri, varie le fortune, la vittoria ondeggiante; ma infine i Franco-Italiani sospinti, agglobandosi intorno alla fortez- za, tennero gli Spagnuoli a non minor distanza di mille tese, assalitori ed assaliti, gli uni e gli altri vigilanti ed incerti. Quando in una lunga e tempestosa notte del dicembre (av- vengachè le nemiche stagioni e i diritti e i riposi delle tene. bre non bastavano ad impedire gli odi e le offese ) le schiere .spagnuole, impetuose, attaccarono in varii punti la città ed il campo. Furono i casi strani e molti, noti allora; o pale. 20 sati colla luce: trinciere abbandonate riprese: ciechi assalti e ritorni; scontri e zuffe infelici tra proprie genti; disordini, errori, Ma. di tanta confusione fu termine la ritirata degli eserciti spagnuoli; e ferite e morti manco della battaglia , andando a voto la maggior parte dei colpi. Il General Duhesme, vista intanto la gravità del peri» colo e Findole di quella guerra, continua rinascente; senten- do arresa la fortezza di Rosas, mandò a S. Cyr per soccorsi; e quegli mosse verso Barcellona. Ma non fu il cammino age- vole o sicuro, imperocchè si volle arte ed armi per giungere a Llinas, dove l’esercito spagnuolo si trovò formato a batta= glia, Lo guidava Vives, e seco avea Reding, Gamboa, ed altri prodi Generali, milizie assoldate, milizie civili, cittadi- ni armati, artiglierie abbondantissime , le stesse di Francia conquistatein Baylen, e per trionfo divise fra gli eserciti della Spagna. L’A. rassegna le schiere delle due parti, de- scrive il terreno, le formazioni, i movimenti, gli errori, le vi- cissitudini; e mostra come la fortuna sulle prime contraria al- Vavanguardia italiana, per ostinato combattere tornò beni- gna, e così che sopragiugnendo altre legioni francesi, la bat- taglia fu vinta. Gli Spagnuoli avendo perduto soldati in gran numero, morti, feriti o prigioni , artiglierie, bandiere, si ritirarono velocemente sopra i monti della Catalogna, e gli eserciti di S. Cyr e di Duhesme si congiunsero in uno. In quei travagli crebbe la fama dei generali Pino, Mazzucchelli, Palombini , [Vilatta ; del Colonnello Foresti, dei Maggiori d’Aquino, Rossi, Carrascosa, d’Ambrosio, Gavazzi, Serbel- loni, e di altri molti, al dire dell’A. primi sempre agli assalti, ultimi alle ritirate: i battaglioni, i reggimenti, le armi, ora gli uni ora gli altri prevalendo, tutti onoraronsi. La battaglia di Llinas fu al 17 dicembre; la ritirata de- gli Spagnuoli, tra le sollecitudini di una piena sconfitta, fu al 18. Quindicredevano gl’Italo-franchi prendere alcun ripo- so, in Barcellona, delle lunghe tollerate fatiche, allorchè al dì seguente 19 dicembre, per fama e vedette fu noto che gli stessi Vives, Reding, Caldaques, gli stessi reggimenti disfatti, ma riordinati, e di novelle milizie accresciuti, venivano in esercito a nuova guerra. S. Cyr composte a battaglia le sue 21 schiere, 22 mila soldati, andò incontro al nemico, non mag= giore di numero , fortissimo per posizioni. Passò il giorno 20 fra riconoscenze e provvedimenti : nel mattino del 21 scontrate a Molinas de Rey ed azzuffate le schiere, per nes- sun momento fu incerta la fortuna ; perocchè 1’ esercito spagnuolo , ponderate le forze del nemico, vide prima delle offese la disfatta, e fuggì. Ma non mai da un campo è così ce- lere la ritirata quanto gli assalti; mille Spagnuoli furon morti o feriti, 1200 prigionis bandiere, artiglierie , altre armi, at- trezzi, munizioni, vettovaglie in copia restarono trofei della vittoria. Gli italo-franchi posero negli stessi campi di guer- ra il campo di riposo; gli spagnuoli si ricoverarono in Tar- ragona. Il popolo sentite le due disfatte, ne addebitò ingiu- stamente , come per nuocere è suo costume , il General Vi- ves; lo depose dal comando; per poco nol trucidò; e scelse capo della città e delle squadre il General Reding. Questi, prode guerriero, modesto cittadino, usò del concedutogli po= tere sol per dimostrare alla plebe sconvolta la fede la inno- cenza l’arte di guerra del Vives, e gli abusi le sfrenatezze della popolare licenza. Ai quali ricordi cessarono i tumulti, sì ammansirono i rivoltosi; nè Reding accettò il comando su- premo se non quando Vives volontariamente lo depose, e la sovrana autorità del regno nominò lui. E però la Spagna, coi moti le passioni l’impeto di rivoluzione, colla obbedienza e disciplina di stato quieto e civile, era invincibile. Le due descritte battaglie chiusero la guerra (chiamata dall’A. con moderno vocabolo campagna) del 1808, quando lo stato della Spagna era mutato. La collegata Inghilterra aveva in due volte disbarcati nel Portogallo 33 mila soldati sotto l’impero di Lord Wellesley ( dipoi Wellington ). La battaglia di Vemeiro, poi che non vinta dai Francesi, operò, quasi fosse perduta, la convenzione di Cintra, il disgom- bero dall’esercito di Junot del Portogallo, e questo regno le- vato in armi ed unito alle armi della Spagna. La Spagna libera fuorchè sull’Ebro; difesa oltre dalle milizie volontarie, da 200 mila soldati, formati a reggimenti ed eserciti. "Tutte le fortezze restaurate, munite. I nomi più chiari in guerra Castanos, Palafox, Blake, O-Donell, Cuesta, Beverdel, la 22 Romana, Reding, Mina, condottieri di quegli eserciti. I no- mi più venerati per religione , nobiltà, e ricchezze messi al governo del regno: questo governo mantenuto da leggi ed ordini. Tanto incremento di forza ebbe la Spagna sul finire del 1808; ma crebbero al tempo stesso i pericoli. Altri 100 mila fanti, altri 15 mila cavalli afforzarono gli eserciti fran= cesi : la base di operazione su i Pirenei fu meglio muni- ta; le linee di operazione meglio dirette; ogni esercito gui- dato da condottiero prode, maestro di guerra; e tutti da Bo- naparte, che seco avea tutti i mezzi della vittoria, eccellenza. d’arte, impero supremo unico assoluto, copia di mercedi e di pene, nome, fortuna. E difatti, appena giunto ai Pirenei, mosse gli eserciti, invase i sottoposti più vicini regni, ripi- gliò Madrid, Gli Spagnuoli, vinti o cauti ritiravansi;; gl’In- glesi avanzavano. Stavano così le cose nel cominciare della nuova guerra al 1809. Fin qui ho seguìto l’A. per dare indizio del suo bell’or- dine in trattar materie così gravi e molte. Ma perchè molte e gravi non le cape un articolo; ed è forza nelle succedenti cinque guerre o campagne scegliere le poche cose emi» nenti fra le grandi. L° esercito Italo-franco intorno a Bar- eellona guerreggia tutto dì colle risorte schiere dell’infa- ticabile Reding ; riceve morti e danni; si tiene a sten- to. Combatte e vince a Monserrat; ma per troppo san- gue non è allegra la vittoria: ivi ferito il colonnello Car- rascosa riman prigione; ed i suoi soldati, per amor di lwi, vanno non comandati a nuovo assalto, prendono il campo ai nemici, e riconducono per trionfo il colonnello libero e moribondo. Dipoi l’esercito combatte in S. Magi; dà bat-. taglia in Valls; e sempre vince. Tenta Tarragona; nuova- mente combatte in Molinas de Rey , perde, ristabilisce la guerra , trionfa. Correndo intorno Tarrasa per otto giorni vince cinque combattimenti. Perde in Albiol; perde in Cal- das: è vinctiore a Collespina ed a Vique: debella S. Filieu; assedia Gerona. Nello stesso tempo gli eserciti francesi vincono nella Gal- lizia; procedono, debbellano la Corogna; fugano gl’Inglesi, ; 23 volgoné al Portogallo , cingono Zaragoza e la espugnano (dirò fra poco le maraviglie di quello asssedio ). E più face- vano se altra guerra non attirava in Alemagna parte degli eserciti, molti dei capitani, e’l capitano supremo Bonaparte. Tali erano le cose in quell’anno 1809 che senza gli sforzi della monarchia austriaca restava la penisola spagnuola soggiogata: e soggiogata restava nel 1812 senza la guerra di Russia, e l’ira degli elementi: e soggiogata senza gli aiuti e gli eserciti della Inghilterra:e questi eserciti restavano vinti se non erano secondati dalle armi spagnuole: e pure queste armi soccombevano se tutte fossero state assoldate invece che per la maggior parte volontarie, libere, vaganti. Di tanta mole nella mente di Dio fu l’affrancare la Spagna, e la- sciare impressi nel mondo stupendi esempi di virtù civi- le, come che apparissero perduti per la istruzione dei popoli. Dirò più innanzi , descrivendo l’assedio di Gerona , i combattimenti e le battaglie sostenute dalle milizie italia- ne intorno a quella fortezza: or prosieguo a rammentare al. tri fatti d’armi delle stesse genti. Presero di assalto la città di Palamos e il porto di Tosa: presero di scalata, e fu san- guinoso l’acquisto, la città di Hostalrich: strinsero prigione in Romania numerosa colonna spagnuola : debellarono Ba- gur: i quali fatti, benchè lontani dalla fortezza di Gerona, stavano nella sfera di quello assedio. E frattanto in altre parti della Catalogna e principalmente intorno a Barcellona, erano continui gl’incontri, ma oscuri perchè m’era obbiet- to il far preda di vettovaglie. Nel qual tempo fu data dai Francesi la battaglia di Talavera e perduta, ’essen- do, per essi, nelle condizioni di quella guerra, perdere il non vincere. Gli Anglo-Portoghesi, dopo campeggiata gran parte della Castiglia, e sommossa ed atterrita Madrid, rientrarono, per evitare eserciti più forti, nei preparati campi del Portogallo. Ed allora i Francesi, guidati dal re Giusep- pe, vinsero sugli Spagnuoli le battaglie di Almenacid, di Ocana e d’Alba. Nelle Asturie, nelle Biscaglie, in Na- varra , in Arragona, le milizie di Spagna erano sconfitte. Cadde Gerona. Tanti disastri avvenivano nei tempi mede= simi che si divolgavano le vittorie di Bonaparte nell’Ale- 24 magna, e la pace di Vienna. .;E chi il crederebbe! quelle sventure, che sarieno cagioni di abbattimento alla comu- ‘ ne dei popoli, erano stimoli al valore spagnuolo. Così tri- sto per quelle genti, felice per la Francia, fu il termine dell’anno e della campagna del 1809 Voltò fortuna , o almeno fu varia e vicendevole mali succedente anno 1810. Si combattè a Centellas con poco effetto con molto danno delle due parti. Schiere italia- ne e francesi, mal guardandosi, furono sorprese in S. Per- petua, vinte e fatte prigioniere in Mollet; ma quindi a poco vendicarono quegli oltraggi vincendo la battaglia di Vique. Tollerarono novelle perdite in Villa-franca; per- dite maggiori attorno ad Esparaguerra ed a Barrata; al- tre in altri luoghi della Catalogna. Mentre trionfavano sot- to al forte di Hostalrich, che alfine espugnarono dopo lun- go faticoso blocco; dove il colonnello Cotti valorosamen- te combattendo , dispregiando due prime ferite , alla terza morì compianto. La fortuna fu per gli Spagnuoli nel Bi- sbal e sulle alture di Vergas ; fu per gl’ Italiani a Mom- blanc e nelle valli del Segre; divise i suoi favori in Tar- rega. Gli enunciati fatti sono i principali di quell’anno, ma gli scontri le zuffe i casi di guerra per le vettovaglie, i trasporti, le mosse dell’esercito , erano tanti di numero e di circostanze che non basterebbe un tomo a descriverle, Più stabile fu la sorte degli eserciti francesi: per essi l’Andalusia soggettata, occupata Siviglia, tentata Valenza, accerchiata Cadice , Lerida cinta d’assedio ed espugnata, la sovranità della Spagna discacciata nell'isola di Leon, gli eserciti inglesi confinati fra le trinciere del Portogallo. E poco appresso vinta la battaglia di Margalef, espugnate Astorga e Matagorda, Cadice bombardata, presa in parte di assalto in parte per assedio la fortezza di Ciudad Rodri- go, attaccata e vinta l’altra di Mequinenza; data in Basaco agl'Inglesi calda battaglia, non vinta non perduta, ma Wel- lington ritiratosi nelle linee di Torres-Vedras, e da Masse» na occupata Coimbra. In altre regioni della penisola disfat- te le milizie spagnuole , che guidava Garcia-Navarro ; e poi tutti i resti degli eserciti di Valenza nella sola batta» 25 glia di Uldecona: la fortezza di Tortosa espugnata. E così finita la campagna del 1810, le speranze della Francia per l’anno che succedeva erano grandi e ragionevoli. Ma non così stava scritto nel fato. Gli Spagnuoli vin» ti a truppe si composero in drappelli (guerillas); e vi- ste cadute le antiche fortezze , altre ne alzarono. La pu- gna non era eguale, perocchè la Francia assaltava per eserciti, la Spagna resisteva per nazione ; le offese prolun- gate nocevano agli aggressori per morir continuo e stan- chezza, giovavano ai contrarii, aizzando gli sdegni, e ridu- cendo ad uso le sofferenze: perciò nell’anno 1811 fu mag- giore la guerra. La Francia colle sue province italiane, il Regno Italico, il regno di Napoli, inviarono novelle schiere, che appena giunte militarono collegatamente in Catalogna, in Arragona, in Navarra, in Valenza, in altre parti della penisola: ed in quel tempo una brigata (3. mila soldati) di Sicilia si congiunsero alle schiere di Lord Wellington nel Portogallo. E queste e quelle milizie della stessa Italia si combattevano, quasi fosse natura ai popoli della sven- turata regione parteggiare ed offendersi! Vittorie e disfatte, assedii assaltando, assedii difendendosi, gli Italiani sosten- nero in quell’ anno; ma con più ingiurie che venture per li parte napoleonica, sì che la quarta campagna terminò per essi meno allegra e sperante delle prime. E le male sorti imperversarono nell’anno 12. Ma così come nella caduta dei colossi per fino le rovine sono ma- gnifiche, questo quasi ultimo tempo del dominio francese in Ispagna fu onusto di portentosi mirabili successi. L’eser- cito inglese, che già nella precedente campagna , lasciate le linee di Torres-Vedras, avea combattuto intorno Almei- da, investita Badajoz, vinta la battaglia di Albuhera, cin- ta d’assedio Ciudad Rodrigo ; ora più confidando perchè l’esercito francese erasi menomato a cagione della impre- sa di Russia, e la Inghilterra avea spedito novelle schiere nel Portogallo per compiere la guerra dell’occidente, e di- vertir l’altra del settentrione, Lord Wellington assunse il carico più grave, le cure maggiori della campagna. Affret- tò l’assedio di Ciudad Rodrigo, ed assaltando quella for- 26 tezza per le brecce e per le mura la sottomise: investì Tar ragona e la espugnava, se due eserciti non accorrevano alle difese: minacciò gli aggressori di Cadice, i presidii di Ma- drid ; debellò Badajoz; procedendo, giunse alle Arapili, die- de battaglia e la vinse: si mostrò sulle rive del Duero. Dall’opposta parte i Franco-Italiani assediano e pren- dono Valenza, assediano e prendono Peniscola, combat- tono e vincono in Catalogna in Arragona ; si prepara in ogni altra regione dalle due parti la guerra; tutta la Spa- gna la diresti un campo di battaglia. Disbarcano schiere inglesi ad Alicante ; l’esercito francese nell’Andalusia è ri- dotto a difendersi. Wellington è sopra Madrid ; combatte al Guadarama eda Makalaonda la cavalleria italiana, che sostiene l’ineguale assalto , e dà tempo allo sgombero di Madrid. Madrid è presa e ripresa. Burgos è investito , as- saltato tre volte dagl’Inglesi e sempre invano. Il re e le sue squadre, secondo i casi di guerra, or si ritirano ed ora avan zano: così Wellington avanza o si ritira. La Spagna intan- to, ristorata, si apparecchia a guerra maggiore con animo più lieto per i già noti a lei disastri di Bonaparte nella Russia, Era giunto il fine dell’ anno e della campagna ma non della guerra ; imperocchè al primo dì dell’anno 13 vi furono molti scontri, e le due parti, marciando , aggiran- dosi, si apprestavano a nuovi combattimenti. Le terre di Poza di Bilbao di Castro, i monti di Biscaglia e Guipu- scoa rosseggiarono più volte di sangue proprio spagnuolo, e di straniero collegato o nemico: più volte in Catalogna combatterono , con diverso successo, Inglesi e Francesi: fu- rono sanguinosi gli assalti e le difese di Tarragona; vicino e grave il pericolo di quel presidio italo-franco, ma salda e vincitrice la costanza del Generale italiano Bertoletti go- vernatore della fortezza. Insino al maggio di quell’anno ri- maneva incerta la fortuna, e pareva che ancora inchinas- se alle vagheggiate per lungo tempo Aquile francesi, quan- do ad un tratto tutta si diede alle insegne nemiche. Ra- dunati gli eserciti ai dintorni di Vittoria, si fece terribile giornata, e Wellington la vinse. Vinse dipoi nella Catalo- 27 gna ; vinse sopra i Pirenei; debellò S, Sebastiano, strinse Pamplona. Un ultimo sorriso della sorte ebbero in Ordal i Francesi, guidati dal General Suchet, contra gl’Inglesi che reggeva Bentink. Ma l’impero di Francia dechinava ; le sue schiere che combattevano alla Bidassoa corsero al Reno: alla Spagna fu reso l’antico suo re Ferdinando VII ; e prima che l’anno 1813 finisse , De si stava al settembre, fi- nì la guerra. ; Ammirando spettacolo! La Spagna che insino allora fra i moti e ’1 romore dell’armi, non avea fissato lo sguardo sopra i suoi mali, e non udito i lamenti dei suoi cittadi-. ni , ora, tornata in pace, numerava le piaghe , ne senti- va l’acerbità, ne prevedea la durata ; ma si estimava feli- ce vedendosi libera e laudata. Imperciocchè natura degli uomini è il ricercare, oltre ai beni materiali del vivere, quei diletti ed alimenti morali, che han sede nelle opinio- ni. Non è felice un popolo come il gregge a cui non man- ca pastura; i doni fatti da Dio all’umanità, la ragione , le speranze , il sentimento dell’avvenire , il meglio, l’ ottimo, generano desiderii e bisogni ideali; beni e mali al più spes so fuori di sè, ma frattanto argomenti di felicità o di miseria, E la Italia consolava la perdita di molti valorosi snoi figli coll’onore acquistato alle sue milizie. Ricordava il Re- gno italico che di 30183 combattenti mandati per sei an ni nelle Spagne, ne tornavano soli 8958, ma citava a sua gloria i nomi dei suoi cittadini fatti chiari Lecchi , Pino', Mazzucchelli, Salvatori, Rougieri, Cometti, S. Andrea, ed altri miile: versava fiori d’istoria, e non lacrime, sulle tom- be dei morti in guerra Cotti, Foresti, Ruffini, Barbieri, Sala, il graniatere Bianchini, ed altri ed altri: guardava con maraviglia quei pochi rimasti vivi del 1.° di linea ; e dice- va, segnandoli col dito, che di quel reggimento caddero in battaglia 400 soldati 20 ufficiali e i due capo-battaglioni furono uccisi, il colonnello ferito, Napoli anch’esso numerava di 10 mila nomini soli 1800 scampati; ma si onorava dei successi delle sue milizie, e dei nomi di Carrascosa, Zenardi, Ambrosio, Aquino , Pepe, Napoletani, Palma, Casella, Russo, Staiti, e d’un numero x* 28 i sì grande di uffiziali minori, che sarebbe lunghissimo la- voro a registrarli: ricordava per gloria gli uomini morti in battaglia; e che di un intero reggimento (1.° di linea) due soli uifiziali, fortunati non canti, ritornarono senza margi- ni di onorate ferite. La Toscana gloriavasi del suo reggi- meuto , 1t3 nel novero francese , e dei suoi più chiari Azzi, Banchi, Bertini, Biondi, Casanova, Chiesi, Laugier, Palagi, Pinelli, Simoncini, Testa, Trieb , ed altri molti: Genova rammentava del suo reggimento 115 i fatti onore- voli nell’ assedio di Zaragoza : gli altri stati d’Italia e la Sicilia narravaao anch'essi gloriose perdite e consolazioni. E qui discorrerei con lieto animo quei benefizii che pur nascono alle nazioni dalle sventure della guerra; e troverei al mio dire larga materia nelle ragionevoli speranze (poscia , tradite ) della Spagna e della Italia al 1813 , se non ve- dessi trascorso il confine d’un articolo, e non sapessi quanto altro rimane a dire dell’opera del Vacani. Fo quindi ritorno al subbietto. La scienza militare nelle principali sue parti trovasi in quel libro; sparsamente, come alla storia con- viene. I disegni della guerra (con moderno vocabolo, piani di campagna) stan descritti per anni ed azioni , ma quali l’A. gli ha supposti, onde debbono tenersi credibili non certi. I principii di Strategia, di Tattica, di Castrametazio- ne, gli errori o l’ingegno nelle battaglie, il senno o la igno- ranza degli assedii; tutte, in somma, le dottrine della guer- ra vi si trovano acconciamente rammentate; e poichè van compagne dei fatti, meglio s'intendono e più s'imprimono nella memoria, Se il Vacani nel frontespizio del libro non si dicesse uffiziale del Genio, si svelerebbe a due particolarità dello scritto : alla precisione e pienezza delle materie da lui trattate; ed alle descrizioni degli assedii, Non è già che nelle altre parti della guerra si dimostri men dotto; ma qui si scorge quel proprio quell’inchinevole che di qualunque scriva fa palesi gli affetti: e veramente mi duole non po- ter dare di questa parte sincerissima , altro che pochi cen- ni sopra gli assedii di Zaragoza e Gerona. Crederò quindi perfetta l’opera del Vacani? Poi no. Egli ha trovato in- ciampo, oltracchè nel natural difetto della mente umana, Ran 29 nelle condizioni del tempo e nelle passioni. Ma non potrei rilevarne i falli , io preso delle bellezze e della utilità di quel libro; e vieppiù delle intenzioni dell’autore , amoro- sissimo della sua patria. | AssEDIO-DI ZARAGOZA. Zaragoza è città capo del regno di Arragona, posta tra due fiumi la Huerba e l’ Ebro , che la difendono da tre lati ; mentre il quarto, a ponente, è guardato da un ca stello, palagio un tempo dei suoi rè, dipoi fortificato , e per l’ uso che se ne faceva datogli nome d’ Inquisizione. Città che fondata dai Fenici, favorita dai Cartaginesi, in- grandita dai Romani e chiamata Caesaraugusta , sostenne in antico penosi assedii, e vide fiere battaglie intorno a sè. Nel 1808, al cominciare della guerra della indipendenza, racchiudeva 4o mila abitanti, che per lungo corso di pace spensierati, non avevano mura o presidio che li guardas- se. Nel giugno di quell’anno nemichevolmente esplorata dai francesi fu difesa colle armi dei cittadini: dai quali eventi fatto cauto il Generale Lefebvre, apparecchiò in distanza mezzi maggiori di assedio; e fatta cauta la città, ristaurò alcune' antiche muraglie, alzò trincee , ordinò le milizie , si pose sotto l’impero del giovine Palafox, ed in un fis- sato giorno di santità, soldati e cittadini fecero la sacra ce- rimonia delle preghiere e dei giuramenti. Poco appresso, al finire dello stesso giugno, ritornò con poderoso esercito il Generale francese; espugnò in brie- ve tempo i forti di Monte-Torrero ; e, fatto ardito , assaltò la città, e ne prendeva una porta, se Agostina Zaragoza, come ho detto innanzi, non l’avesse difesa, Proseguì per 40 giorni l’assedio ; e parte della città era soggiogata, quan- do la disfatta di Dupont, lo sgombero dell’ Andalusia, la ritirata dei Francesi da Madrid, costrinsero Lefebvre ad ab- bandonare quella impresa, e raccorre le sue schiere, dimi- nuite ed affaticate, nei campi dell’Ebro. Così dal secondo pericolo fu serbata Zaragoza, che non riposando sulle sue venture, da quel primo giorno di libertà provvide a risto- 30 rare i sofferti danni, e ad apparcchiarsi, meglio esperta da- gli esempii, alla terza pruova. Aggiunse nuove fortificazioni al castello : trasmutò in castelli due conventi dei Cappuccini ; cinse con trinciere il lato fra l’Huerba e l’Ebro; tutta intorno si chiuse: for- ‘ tificò tre ponti sopra i due fiumi, alzò fortini nel Monte- Torrero, trasformò in cittadelle 52 edifizii , aprì troniere in tutti i muri, provvide come al bisogno barricar le porte e le strade, e fare intrigo e labirinto. al nemico che en- trasse. Erano cencinquanta cannoni nei ripari, altri in ri- serva, armi infinite, munizioni e vettovaglie abbondantis- sime. Trentamila combattenti della città o del regno assol- dati; 15 mila di milizia urbana ordinati e pronti ; scritte a truppa le donne soccorritrici dei feriti. I tempii sempre aperti ai voti; le immagini divine scoperte ed ornate a fe- sta; i sacerdoti solamente intesi agli offici di religione o di guerra. Il governatore Palafox, operosissimo, instancabile, fra soldati e nel popolo dicendo : “ Se da’ fati è prescritta », la nostra caduta, giuriamo di cadere colle mura di Za- is Tagoza ; e ci sia conforto veder mortali con noì questi », balovardi queste torri questi monumenti di eternità ,;. Così forte la città di armi e di animo fu investita da 32 mila francesi, guidati dai generali Moncey e Mortier , in- di dal Maresciallo Lannes. In questo esercito non vedevi nè immagini nè cerimonie; non udivi alcun grido di ebbrietà , nè arringa che svegliasse ardenti passioni: il Maresciallo giungendo al campo disse ai soldati, ‘ Assedieremo Zara- »» goza; avremo a durare molti travagli e pericoli : Voi ri- », cordate ciò che dovete alla disciplina, all’onore di que- », ste insegne, alla gloria ed al nome francese ,,. Al qual discorso le schiere non risposero colla voce, ma rivolte al Generale, fecero con picciol moto del capo plauso e promessa. Si scelsero due fronti da assaltare, S. Engrazia e’l Tor- chio dell’Olio : si finsero altri due assalti al castello della Inquisizione ed al Sobborgo: e frattanto si espugnarono i fortini di Monte-Torrero, e parecchie sortite si respinsero, Gli assediatori, divennti' padroni della campagna, apri. SI ron trincea nella notte del 29 a 30 dicembre, e la dife- sero dagli assalti di poderose colonne uscite dalla fortezza : in due giorni fu compiuta la prima parallela ; in sei la se- conda, in quindici la terza. Dirigeva gli approcci La-Co- ste, Generale del Genio, e sotto lui 4o uffiziali, tra’quali Haxo, Rogniat, ed altri nomi già chiari. Furono espugnate le teste di ponte sulla Huerba; aperta breccia in S. En- grazia ed al Torchio ; le due brecce agevolate, salite; i po- sti presi: e così, superata la cinta, si stava in città; ma l’assedio, che per tutto altrove si direbbe finito; comin- ciava in Zaragoza. Ogni edifizio era una rocca: se i difensori vedevano aperti gli usci, e preso dal nemico il terreno, combatte- vano il primo piano, il secondo, l’ultimo , il tetto, e di ogni piano ogni stanza : e se occupata la chiesa (le chiese furono con maggior cura fortificate, più gagliardamente so- stenute) si raccoglievano nel campanile: fra i ravvolgimenti della città, sbucando alle spalle dei vincitori, tornavano alle parti cedute, e vi ristabilivano le difese e la guerra. Così lento e mortale essendo il cammino agli assediatori, cambiaron modo alle offese. Avanzando sotterra, minava- no gli edifizii, e dopo lo scoppio collocavansi fra le rovi- ne. Ma subito, ciò visto, gli spagnuoli dall’interno con- traminando (e con vantaggio, avvegnachè agevolati dalle cave dai pozzi dalla conoscenza degli edifizii) si constituì una rete di guerra sotterranea, faticosa, oscura, crudele, Ed altro danno gravissimo accadeva agli assediatori dalle «mura e travi rimaste pendenti, che a mano a mano pre- cipitando , opprimevano i soldati e le opere stabilite sulle prime rovine. Trovò l’ingegno altr’arte. Gli assediatori, fatti padroni del terreno, e sbarratene sodamente le aperture, scoteva- no, per mine, con tal misura, l’edifizio, che cadessero i pal- chi non le mura. Oh quanti dei difensori precipitavano col sottoposto suolo e perivano ! quanti altri erano soccorsi dalla ‘ pietà del vincitore, imperocchè sempre umana e benigna è l'indole dei valorosi. Ma subito la invenzione degli as- sediatori fu dagli assediati controcambiata; bucando , pri- had 32 pa ma che Y edifizio fosse assalito, tutti i palchi, ed impe- dendo con armi pesi e fumi mostiferi che gli uomini rima- nessero nel sottoposto piano a comporre artifizii. Talora gli assediati distruggevano a disegno parte della’ città con incendiar lentamente alcune case e prepararvi fornelli e dirupi; così che innanzi alle fiamme ed agli in- ganni si arrestavano gli assediatori; o solamente aggiunge- vano altre fiamme per accelerare il fine di quello impedi- mento. Tal altra volta in loco centrale ma serrato della città si faceva dagli assediatori catasta immensa di barili di polvere, che accesa produceva in larga sfera la rovina de- gli edifizii, e la morte di cittadini e soldati: alcuna di quelle cataste fu di 3 mila libbre di polvere, altra di 18 mila in sei fornelli, ed altra se ne preparava di 40 mila; Tanto ingrandita, in queste sincere narrazioni, è la misura delle offese e delle stragi, che restano quasi dimen- ticati, o sembrano giuochi infantili, gli effetti delle arti- glierie; eppure 30 mortari e 60 cannoni tiravano dì e notte sopra la città ; e dalla città dì e notte sì tirava contro i campi francesi con 150 grosse artiglierie, a fuochi verticali o diretti. Così vicendevoli e smisurati erano i danni, e così le arti dalle arti contrarie erano vinte o bilanciate, che nes- suna prevalendo, tutte e tutte ad un tempo si adopera- vano. In picciol ricinto della città, e talora nello stesso edifizio si facea guerra sotterranea, e sopra lei tanti ordini di altra guerra quanti erano i piani della casa, e tanti i modi del guerreggiare, per diversità di armi e di artifizii, quanti ne suggerivano l'ingegno, le passioni e la necessità. Un buon terzo della città era per terra in rovine, mol- te altre case cadenti ed inabitabili, nessuna sicura: di 50 mila combattenti, 3 mila, appena, reggevano le armi; 20 mila dei cittadini erano morti ; le munizioni di guerra scar- seggiavano, mancavano le vettovaglie : i cadaveri stavano insepolti; la tabe il puzzo l’aria mal sana, la trascuran- za e quasi direi il tedio della vita erano cagioni di morbo epidemico, del quale, tra moltissimi, il Generale O-Neilly era morto, e ’l Generale Palafox languiva : le sventure | ———_ re ar n — e ro 33 della Spagna; cioè le battaglie perdute, gli eserciti e le ‘città disfatte, si sapevano in Zaragoza: nessun soccorso era possibile: tutto mancava fuorchè l’animo, e precipuamente alle due classi di popolo che per tutto altrove sono le più timide ed amiche di pace, plebe e preti. Ma la necessità domò alfine ancor questi, ed al 21 febbrajo 1809, dopo 54 giorni di trinciera aperta, e danni, morti, virtù infinite, Zaragoza si arrese. Quale apparisse in quel giorno ai fran- cesi che la occuparono, se città di viventi, o fossa vastis- sima di morti; quanti casi di tristezza e di miseria raccon- tavano i pochi sventurati e scontenti superstiti cittadini , io non dirò poichè sento oppresse le mie facoltà da com- miserazione e maraviglia, AssepIo DI GERONA. Finito l'assedio di Zaragoza, si diè principio a quel di Gerona: il Generale Verdier dirigeva gli offensori; il Ge- nerale Alvarez provvedeva alle difese: militavano col pri- mo Francesi, Tedeschi della confederazione del Reno, Ita- liani di tutta Italia : stavano coll’altro 4 mila Spagnuoli di milizia soldata, alcune compagnie di Catalani, parec- chie migliaja di milizie civili, e numeroso drappello vo- lontario chiamato Crociata Geronese, che avea per insegna la croce , per capo il Vescovo D. Giovanni Ramirez , per condottieri sacerdoti di alto grado e di creduta santità. Pure in Gerona come in Zaragoza si compose col nome di S. Bar- bara una compagnia di donne, rette dalla più illustre D. Lu- cia Fitz-Gerard ; e come colà il santuario del Pilàr, quà fu eletto S. Narciso a capitano supremo dell’esercito. Si fecero le consuete cerimonie sacre ; si giurò si pregò nelle chiese; si fermò l’animo ad estremo combattere. Il gover- natore Àlvarez bandì pena la morte a qualunque : propo- nesse di arrendersi, o ne alzasse voce ‘nel popolo, o ne ma- nifestasse il desiderio. Impedì l’entrata agli araldi nemi- ci; saggio avvedimento di chi nel difendere una fortezza medita le ultime sorti; e volendo guardarsi dalla inoostan- T. XXIII. Sertembre. 3 Ad za della umana natura,,rende disperata la guerra e però necessario il vincere il morire, o qual altra cosa onorevole quanto la vittoria o la morte. L’esercito di Verdier era in distanza ajutato dall’ esercito di S. Cyr; così come gli as- sediati aspettavano soccorso dalle numerose schiere dello intrepido O-Donnel. Gerona; famosa per assedii , perocchè situata si cone fine ella è il primo balovardo del regno : ammaestrata da- gli esempii e sventure, migliorava ogni volta le fortifica- zioni, sì che alfine la fronte ad oriente, ch’era la più de- bole della città divenne per nuove fabbricate rocche la più potente. E frattanto la scelse per espugnarla il general Ver- dier; con errore inescusabile in quello esercito dotto delle arti del Genio, e dei giornali di assedio, i quali benchè inva=. lidi a misurare (che che ne yantino isuoi autori) la forza assoluta di ogni fronte , sono validissimi a determinare le forze relative delle varie fronti: perciò metodi e pratiche, come che da scuola, utili in guerra per discernere la mi- glior linea di assedio , inutili e risibili nel cammino delle opere. Ma gli uffiziali del Genio furono non intesi o non creduti, sventura solita sotto Generali superbi. Coprivano quella fronte quattro forti distaccati, dei quali più munito era il Monjouj , coperto esso stesso da fortini minori o torri. Queste, attaccate, feron piccola re- sistenza se consideri il tempo ,, maravigliosa se numeri le morti e Ie offese. Da chè apprendano gl’ingegneri a non disperdere danari e cure ad opere isolate di nessun momen- to; ed a raccogliere tutte le difese di una fortezza nel prin- cipal ricinto, o nella sfera di lei; dove qualche galleria di contromina, 0 fuoco di rovescio, o caponiera, o traver- sa, © altra opera di leggero dispendio vale ad accrescere la resistenza dieci e dieci volte più di coteste immagini di- fensive , assaltate ed, oppresse in briev’ora. Reso libero quel terreno ai Francesi, vi alzarono molte batterie contro il forte, senza trinciere o parallele o cammini coperti ; chè prender di forza non per arte Monjouj era disegno ed am- bizione del Generale. Subito a distanze diverse con mor- tari e cannoni si tirò sul forte; e supponendo impaurito il 35 présidio dal: celeré conquisto delle totti, dal! fuoco vivis- simo; dî tre giorni , e dagli spettacoli di grande esercito e di macchine innumerevoli di’ assedio, si scrisse al eoman- dante di arrendersi ; ma l’intrepido rispose (era il Generale ‘Fournas) che, i popoli isoccombono non si arrendono. In una sola e corta notte perchè di luglio; con fati- caved: industria degli assedianti, per poca vigilanza dei di- fensori, fu‘eretta ed armata batteria. poderosa di cannoni, a distanza sì brieve da far breccia nelle mura del forte. E difatti, dopo due giorni di continuo percuotere dei 30 grossi cannoni, due brecce si formarono nei due bastioni della'stessa fronte, tramezzo ai quali stava intero un. ri- vellino..E l’audace Generale, composte le schiere a colon- na) in aperto e con pompa diede ‘segno: e moto agli assal- ti, Il punto della mossa era lontano ,. il cammino scoper- to; la discesa nel fosso disastrosa, le brecce impedite. Ep- pure: fra-tanti pericoli ed intoppi alcuni più arditi assali» tori, Napoletani el del Regno Italico;, giunsero, all’ alto idi una breòcia; ma pochi ed affaticati contro gente numerosa e ‘gagliarda; caddero estinti o feriti sulle rovine. Le altre due colonne retrocedevano; ma per novello comando del Ge- nerale tutte tentatono il secondo assalto ed il terzo, sempre respinte. Fu necessità sonare a raccolta. e proseguir l’ as- sedio con miglior senno. Avanzavano'gli approcci;, e in’ era punto obbiettivo il rivellino ;' le prime due brecce rielle facce dei bastioni si tenevano | aperte } impèdendo ‘agli assediati di ristaurarle;; ma d’ altra parte fuochi vivissimi., sortite frequenti , ied atti di valor disperato prolungavano!l’ assedio. Sin dal 4 lu- glio quelle brecce eran formate, ed al 4 agosto si stava ancora fuori del forte. Erasi bensì coronato il cammino co- perto , dirupato a breccia il sagliente del rivellino , e cogli scoppii di mina precipitate le piazze d’armi , e rovinati alcuni muri di controscarpa ; indi eseguita la discesa nel fosso, montata la breccia del rivellino ; e'l ciglio della brec- cia coronato di fortificazioni. Benchè a tale ridotto il presi» «dio; combatteva e combattè per tutto un giorno, insino a . ‘36 tanto che gli assalitori non ergessero fortificazioni difené sive alla gola dell’opera. Alfine il rivellino venne in pieno potere degl’Italiani, imperciocchè queste genti ebbero di «quella impresa il carico le morti e la gloria maggiore. Noa si prese riposo dai vincitori o dai vinti, ma cone tinuava la guerra e sì d’appresso che nessuna offesa andava a voto : alle due brecce aperte ab antico si unì altra nuova breccia nella cortina, e muovi cammini sotterranei, e per .altro scoppio maggiori rovine; mentre il presidio era meno- mato, ed ogni soccorso non possibile nè atteso. All’ aspet- to di tanta estremità, i Geronesi, a romore di popolo pre- gavano Alvarez riparasse in città quei miseri avanzi. del presidio , abbandonasse Monjouj non più castello , rovina. Il Generale non secondò quei voti, ma concertandosi col General Fournas, al mezzo del sesto giorno , quando gli assediatori , prostrati dalle troppe fatiche e dal raggio co- centissimo del sol di luglio , ansiavano il riposo , l’ uno escì di Gerona, l’altro di Monjouj con risolute schiere a com- battere nella campagna. Respinsero le guardie dell’ assedio, ne uccisero gran numero, guastarono le armi e le macchi- ne, spianarono le trinciere , bruciarono fascine, gabbioni, carretti; in cento modi distruggevano. Allorchè dai campi di riserva mossero due colonne, assalirono quei presidii, li respinsero nelle mura, ed al giorno istesso con istupenda celerità ristaurarono i danni della sortita. Ritornò più misero lo stato del presidio; tal che nella vegnente notte, preparati molti fornelli sotto le opere e gli edifizii ancor saldi, trasportate in Gerona o distrutte le munizioni e le vettovaglie , ogni cosa devastata , pochi resti di già numerosa guernigione , seguendo il Generale Fournas , abbandonarono Monjouj, ed entrarono nella città debitamente applauditi , e trionfali quasi venissero dall’ aver vinto. Lo scoppiare ordinato delle mine diede indizio del- l’abbandono del forte ai Francesi, che in quell’ora pre- paravano gli ultimi assalti; e sì che entrarono per le brecce non trovando nella fortezza spagnuolo vivente , nè arma in buon uso, nè materia alcuna di allegrezza o di guada- 3 gno: ‘spazio picciolissimo coperto di cadaveri e di ce per sè stesso inutile acquisto , ma speranza per la presa della città. Alla caduta di Monjouj, peggiorando le sorti di Ge- rona, il generale Blake, che guerreggiava al di fuori, si accinge a soccorrere la città : reggerà egli stesso il mag- gior nerbo dell'esercito , destinato ad occupare tutte le forze francesi alla battaglia : l'ardito O-Donell aprirà fra i campi italiani un varco alla fortezza : e’l provvido Garzia gui- derà convojo immenso di vettovaglie : il 1 di settembre sarà il giorno della impresa ; e non vi ha pericolo che il disegno si riveli al nemico, essendo in tutti così profondo 1 secreto come l’odio. Ed ecco nel prefisso tempo, da punti ‘warii, ad ore diverse per giugnere contemporanei , muovono gli Spagnuoli, e marciano inosservati , favoriti dalla for- tuna che in quel mattino coprì di densa nebbia l’ orizzon- te; ed indi a poco per opportuna distemperata pioggia in- pedì o fè lento l’ordinarsi delle schiere nemiche. Allo ap- parire innanzi ai campi francesi dell’esercito di Blake, i Generali Verdier e S. Cyr spiegano a battaglia le squadre, frattanto che O-Donell ed altri capi spagnuoli attaccano improvvistamente ed espugnano il campo dei Vesfaliami ; ed in quello scompiglio, avanza sopra 1300 Italiani, il Ge- nerale Garzia con 5 mila combattenti, a passo misura- to di convoglio. Gl’Italiani lo trattengono; ed ecco alle spalle, esce di Gerona Fournas con altre schiere, Four- nas il difensore di Monjouj che ricompare in guerra più for- midabile ; e così da ogni parte l’italiano drappello inve- stito, valorosamente combattendo e volteggiando , guidato da Zenardi, Banco e Foresti, si riduce sopra i monti, aju- tando il poco dell’armi coll’asprezza del luogo. Entra in Gerona il convoglio. Garzia resta due giorni ; lascia in cit- tà 3 mila soldati di milizia fresca, e col piccolo stuolo che gli rimane uscendo improvviso , assalta, e vince le nemi- che guardie: Blake schiva la battaglia che più volte gli pre- senta S.Cyr: O-Donell contromarcia. Gli Spagnuoli rien- trano contenti alle loro linee , i Franco-Italiani ritornano all’assedio, meditando vendetta, 38: India due giorni il General Mazzucchelli assaltò ;con, piscola schiera.il ben munito forte degli, Angeli,, molto: com battè , lo espugnò : tutto il presidio restò morto traida. pu», gna e la: foga. del vincitore. E poco appresso; avanzando gli approcci, isi composero molte batterie. ed in. brieve. si aprirono; quattro brecce nelle. deboli mura- della città, Al-. lora Verdier dispose gli assalti, non bastando a distorlo il, più pesato consiglio del General S. Cyr. Tanté colonne or- dinò quante le brecce , e tanti assalimenti veri o finti sag»? giò ; quante;jerano le possibilità di penetrare nella, fortez= za. Ma quà:,. visto il pericolo ,, si.sonò allarme. a modo di, popolo, colle, campane, a doppio; e subito sulle brecce, al, di fuori al di dentro si combatte e si muore, '/Caddero estinti; snll’una il colonnello d’Italia Ruffini , e ’1 colonnello di. Berg, Mouff; cadde in cima dell’altra il colonnello italia= no Foresti. Oh voi avventurosi per quella gloria; e perchè premorti alle insegne che vi davano onore! Una, colonna più audace pervenne al ciglio della più facile breccia je; quasi la soperchiava'; quando giunse Fournas, e rovesciò. nel fosso gli, assalitori. Combatteva per altra breccia com grande. animo con egual fortuna Alvarez. Le morti degli as- salitori ‘eran già troppe, le speranze già nulle: Verdier ri coverò le sue schiere scemate e stanche nei campi, E poi-, chè morbo epideruico infermava ed uccideva molti denso fu necessità slargare in. blocco l’assedio. > ib èî Meno. stretta, non meno travagliata restò Ceiaigt im, perocchè vi albergava lo stesso ob dato 0 preso dal cam, po; e scemavano di giorno in giorno i soldati, le. vettova=, glie, le. speranze. Tentò, Blake nuovamente di soccorrerla,, con, altre arti per altra linea.di ‘operazione, seimpre in avan», guardo quell’ ardito O-Donell ; ma Wimpffen non|Garzia, guidando il convoglio con quattro migliaia della, più scelta milizia, Riuscirono gl'inganni non la guerra. Il General S. Cyr avendo creduto alla voce scortamente sparsa che il pre- sidio volesse scampare. dalla fortezza, faceva fronte contro, Gerona; e però da Blake per altra via fu presa quella. linea, di battaglia di fianco ed; all’improvyista:, O-Donell fece le, consuete pruove. Ma nulla ostante, Wimpffen fu rotto., il 3 convoglio predato , il maggiore esercito respinto ; di quasi tutte delle bandiere d’ Italia. O-Donell erasi tanto avanzato fra’nemici che nella disfatta dei due eserciti com- pagni vide più facile aprirsi un varco nella fortezza che vol- gersi sulla base; e combattendo entrò in Gerona. Ma nella scarsezza del vivere, egli apportando danno non già soccorso alle difese, ne uscì, e con egual senno e fortuna, ora evitando le guardie ora vincendole, ricco di prede , superbo di pri- gioni , tornò al campo. i In quel mezzo prese le veci di S. Cyr il maresciallo Augereau, cui la fortuna avea serbato l’onore di espugnare Gerona. La guerra si fè più viva nella Catalogna; ed in ogni scontro gl’Italo-Franchi trionfarono. Il blocco si strin- ge nuovamente in assedio; è preso dagl’Italiani il sobborgo della Marina; è investito il bastione della Mercede; tre ri- dotti cadono ; langue di malattia il Generale Alvarez; cit- tadini e soldati infermano e muoiono; mancano le medici- ne i soccorsi gli alimenti; donne e fanciulli oppressi dal morbo e dalla fame, escono di fortezza, invocano la pietà del vincitore , risospinti nella città, ne accrescono il luttò e la disperazione. In quella estrema fortuna Alvarez depo- se il comando; ed a patti onorevoli, che trattò Fournas, .Gerona si arrese. Ciò fù al 1o dieembre del 1809. Durò l’assedio sette mesi e cinque giorni. Di 12 mila soldati spagnuoli, 3200 reggevano le armi, ed andarono con Alvarez e Fournas pri- gionieri in Francia: di 20 mila abitanti, 8 mila eran vivi: si trovarono molte armi, nove bandiere, molti edifizii ro- vinati, nessuno intero; le munizioni di guerra sul finire, le vettovaglie finite. Così misero era lo stato dei vinti ; ma ‘non punto allegra néi vincitori la vittoria, perocchè avea costato 16 mila soldati, e perdite, danni, dolori, discordie infinite. Le conquistate bandiere si dierono per trionfo e ‘meritata mercè di fatiche, dal Maresciallo Augereau alle milizie italiane. Pur questa volta, come al cadere di Zaragoza, il go- ‘verno del re Giuseppe ai popoli della Spagna mostrava in ‘esempio di ostinatezza sconsigliata e punita lo spettacolo 40 di Gerona : quasi a popoli valorosi ed oppressi rimanesse altra speranza di salute che nel dispregio della vita e nella rovina delle cose civili: il fato di Zaragoza fu esem- pio di virtù per Gerona , e Gerona per Tarragona. Alla espugnazione di questa terza città , il Generale che vinse fece al vinto Contreras acerbo rimprovero della troppa di- fesa; e mostrandogli le rovine della città, e sopra d’ esse gli accumulati cadaveri; lo diceva colpevole di pena ca- pitale per aver trasgredito gli usi e leggi di guerra. Ma quei rispose. Io so che prima e sola legge nel difendere le ,» fortezze, sia la estremità delle difese, onde aspettava da ss Vos. Eccellenza rimprovero più superbo perchè più vero; »» ossia , dopo il nostro giuramento di vincere o morire, come ancor vivessero queste poche schiere, e colui che. le reggeva: e temeva ch’Ella mi dimostrasse a disonore ,s» non gli edifizii caduti ma i sublimi, e non i cadaveri ma , i prigioni. Io sono tra questi, non curante di me, in po= i, tere di lei ,,. Ai quali esempii dicittadina virtù aspreggiando il go» verno di Giuseppe multiplicava le persecuzioni e le con- danne; altri degli onesti Spagnuoli fuggivano per timore, altri erano cacciati in esilio per tirannide; e cotesti spatriati, liberi ed onorati altrove, poveri non infelici , accusando colla presenza (giacchè taciti e rassegvati ) la iniquità del governo, versavano vergogna sul viso ai persecutori; intan- to che nelle opinioni del mondo, e nella provvidenza di Dio maturava la caduta di quello ingiusto reggimento. Se tante se tali erano le sventure come le virtù della Spagna, qual più maraviglia faranno a noi Numanzia e Sagunto del- l'antica età, al paragone di Zaragoza e Gerona del secol nostro? E quei popoli contendevano dominii e ricchezze, nella disperazion della vita; mentre che questi sicurati di vita e beni, avvantaggiati nella civiltà, fatti liberi o men soggetti, combattevano a sostegno di felicità ideale , cioè per opinioni e diritti. Secolo è il nostro di maraviglie e di catastrofi ; una istessa meteora innalza al cielo alcune moli e le atterra: così la rivoluzion francese; così Bonaparte; così la Spagna. 4r Dove finirono le glorie delle milizie Spagnuole e delle con trarie? Alvarez morto in carcere: Blake , Fournas persegui- ti e disgraziati: O-Donell , sentenziato come traditore, schi» va colla fuga la morte: Balesteros, Morillo vivono spatria- ti, o prigioni nella Francia: vive in Inghilterra da fug- giasco il prode Mina : 1’ Empecinado è morto sopra pati- bolo: ed in somma dei più chiari Spagnuoli chi fu spento per pena o per nuovi sconvolgimenti, chi più infelice me- na il remo, e chi (gli avventurosi) stan liberi ma dimen- ticati o mal visti. E così di altro esercito gli uomini più famosi di quella guerra, o chiusi in carcere, o fuggendo la pena, o fuori patria sbattuti, o nella patria smarriti vivono dolentemente. Giuochi tutti di un turbine civile non voluto ed inevitabile. I quali precipizii di fortuna così frequenti che li di- resti natura delle presenti società, sieno scuola di mode- sto vivere agli ambiziosi; spavento ai tristi; conforto alla mia costanza, ed in questo dechinar della vita, ai miei studii: studii tardivi ma in ogni tempo apportatori di con- solazioni e di quiete. Firenze 15 Settembre 1826. Gen. COLLETTA. Canzone di Dante ALticniERI in morte di Arrico VII, tratta da un codice della Marciana di Venezia, ed illu- strata da Carro WirtE prussiano. Più che d’ altra cosa da caldissimo amore alle itali- che muse sospinto ho prescelto la bella Ausonia, allorquando pur troppo lugubri impressioni e grave infermità mi costrin- sero di lasciar per qualche tempo la mia patria ed il mio impiego. Allettato da nomi già da gran tempo cari al mio core, vado girando di città in città , sempre raccogliendo dalla bocca istessa delle dotte persone gli aurei detti che, come tesoro spero di riportarmene poi a casa. Di troppo att 42 liberi. pensieri mi ha dotato la natura, perch’io in tale oc- casione della passiva parte di mero uditore contentarmi po- tessi. Lo studio dei padri della italiana letteratura non mi è novo, ho preso da me stesso le'idee di que’ grandi mae- stri, e ne sono così immedesimato , che tanto sarò pronto ad abbandonarle, dalla conosciuta verità persuaso, quanto vi terrò fermo, sela sola altrui autorità mi venisse opposta. Intendo pur troppo, che un tale linguaggio, e più ancora l’agire in tal senso, invece di cattivar gli animi sia piuttosto fatto a, tacciar di presunzione lo straniero. , che sotto meno propizio cielo vide la luce del giorno. Ben è vero , che il’ italiana. gentilezza gradisce ogni ardire , che alle patrie cose si rivolge; par. mi pare un dovere di cor- rispondere con qualche dono a simile liberalità, e di ma- nifestare almeno la voglia di aèquistar un titolo di lette- raria, ospitalità. A tale oggetto degne non avrei creduto le poche cose; che intorno a Dante nella mia patria pubbli- cai, nè forse adatte, perchè hanno in mira di mostrar l’in- sufficienza di quanto intorno alla commedia ed alle altre opere di quell’altissimo poeta è stampato ; ma, ecco che l’inelita Venezia medesima largamente mi porge tessera ospitale, che mi par degna.-di esser offerta agli italiani. Li.tesori dell’antichissima Marciana biblioteca, ai quali la gentilezza del ch. Ab. Bettio graziosamente mi aperse la strada., hanno offerto alle mie ricerche bella messe di inedite rime di Dante. Non penso però d’imitare l’esempio di quelli, che cre- dendo infallibile ogni codice che loro capita in mano, di- spregiano d’adoperar la pietra di paragone che la sana cri- tica ci somministra, e stampano quel che hanno trovato, senza schiarirvi , o forse meglio senza vedervi le difficoltà. Anzi credo di serbare a più mature fatiche un non piccolo numero d’inedite canzoni, ballate e sonetti, per servir forse di supplemento alla edizione delle dantesche rime, che so- pra un mio piano tutto nuovo, con comenti, e colla tra- dazione tedesca de’ miei amici Kannegiesser, e de Luidc- mann, mia si sta pubblicando a Lipsia. Ma intanto prescelgo per l’ indicato fine, una canzo- 43 ne che! veramente. înedita non è, la quale però sotto!falso nomie e malamente finora ‘è stata letta e. peggio intesa. :. Uno dei codici della Marciana, che adorni. vanno di inediti componimenti. delgran tosco; è quello segnato CKCI, e già posseduto da Apostolo Zeno. Il primo foglio ci mani» festa, ch’ esso nel maggio dell’anno 1509 di propria mano d’Antonio Mezzabarba, giureconsulto veneto,‘ senza aggiun- ger o mutare la menoma cosa, sia trascritto da antiquissimi libri manoscritti ,,. In fatti troviamo di passo in passo mas- sicci errori ritenuti nel testo, contentandosi lo scrittore di dar la-variante lezione nel margine del libro. Il codice con- tiene le solite canzoni, la. vita nuova e (parte dei sonetti e delle ballate; alle canzoni però come vigesima e, vigesima prima tengono dietro due ;canzoni che. nelle edizioni man cano, fra sr quali la nostra è la prima, ed ancora più ric» chi di cose non ancora pubblicate; od a. Ciro da Pistoja attribuite sono li sonetti e le ballate.. Tutte queste poesie e così pur la nostra canzone, man- cano d’indicazione d’ argomento, ma più che manifesto mi pare, ch’essa a Firenze, quasi, amata donna dal poeta rappre- sentata, in.compianto : della morte di.4rrigo VII indirizzata sia, Per meglio penetrare quel. degnissimo oggetto, e per decidere se giustamente. a Dante o ad; altri, si. attribuisca converrà , pria che, andiamo più oltre; gittare un rapido sguardo sulla sorte, in cui. dettano, questa canzone, il no» | stro poeta era incorso. Cresciuto nella guelfa Firenze sem- pre si era distinto come nemico al. furor di, parte .che, di anno in anno nella. sua patria si aumentava. Allorquando le suddivisioni di bianchi e néri da Pistoja a Firenze: si pro» pagarone, egli si dichiarò. per quelli; che rin. gran parte da vecchi. ghibellini. composti e per esser più moderati, già nel trecento avearo. grido di mal. celato Ghibellinismo. Li decreti del suo priorato ci mostrano che nom neglesse ver run mezzo per il quale, quantunque, fosse, duro al suo co- re, sperar potea di conservare la pace, , Resi però vani tutti li suoi tentativi, ed opponendosi egli ad ;aperta fronte alla venuta di Carlo di Valois che li neri, sollecitarono, dovea incorrer l'odio di questo partito a segno tale che gli fruttò l’esilio. In altra bellissima 6 pure inedita canzone, tolta co- me.le altre che andrò citando da codici marciani, rinfac-' cia il poeta alla patria, dal danno intanto scaltrita, come ogni male, in seguito della venuta di Carlo accadutole, altra Cas- sandra, gran tempo addietro le avea predetto; E se ’l mio dire in la tua mente peggvi Tu ’l troverai in tutto chiaro e vero. Leggi questo saltero: Da poi che venne Cardo con affanno Sempre ha cresciuto e crescerà ’l tuo danno. Benchè esiliato il nostro poeta, non seguiva però l’esem- pio della sua “ società malvagia e ria ,, che in vendetta della ricevuta offesa subito a furioso Ghibellinismo si convertì. Non cambiando, ma vieppiù coltivando e perfezionando le massime politiche j che sue da gran tempo erano state, ghibellino, ma‘moderato , e perciò forse unico esempio al suo secolo, non trascurò mai la riverenza alle somme chiavi ‘dovuta, e quale altro Farinata riconobbe nella “ mal ,, dal Guelfo furore “ guidata ,, patria ‘il nido di malizia tan- ta,, che,, abbatter‘ si dovea ed arse nell’iséesso tempo di santo amore e dolce ‘ carità del natio loco ,,., Tale ce lo dipingono tutte le sue opere , se bene sieno intese , e ta. le vittoriosamente l’ha vendicato il pur troppo presto al- l’amato poeta congiunto Giulio Perticari, il quale di aver io veduto e conosciuto ancora ‘ in me stesso n’esalto ,,. Quelli non pochi però, che a fronte di sì luminose prove, sempre ancora tacciano il nostro poeta di livore e sna- turato odio di patria , leggano questa canzone e restino confusi. Sappiamo da autentici documenti, che Dante prende- va parte alla spedizione che dal conte Alessandro da Ro- mena dovea esser con viva forza contra Firenze condotta, e sette anni dopo lo troviamo nominatamente eccettuato dal- l’ universale amnistia pubblicata da Baldo d° Aguglione. E pure bramava tanto di rimpatriarsi, che ebbe a dire Nel seno della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fioren- za, desidero con tutto il cuore di riposare l’animo stanco, e terminare il tempo che m°è dato; ,, nè ereder possiamo i 45 che l’affine di Corso Donati, vivente quello, sia stato sprovi- sto di mezzi per aprirsi qualche strada al ritorno. Ma il no» bile suo orgoglio si oppose a tali vie. La sua politica opi- pione l’avea esiliato, e per qualunque fossesi scopo, la sua rigidezza non sapea fingere. Amor, che tatto ha dato in nostra mano M'’avea ed ha, per consolarmi in pace , Per consiglio verace Fermo la mente misera e mendica A farmi usar dilettosafatica. Per acquistar onor mi fe partire Da voi pien di desire ,.. Per ritornar con pregio e più grandezza. Ancora che spontaneamente fosse stato richiamato, non avrebbe potuto viver dentro a un muro ed una fossa, con coloro ai quali in altra canzone inedita cantava questi versi allusivi ai colori di parte Nuova figura , speculando in vetro, - Apparsea me vestita negra e bianca, Come persona in cui regna sospiro. E questa aperse l’ uno e l’ altro metro, E forte mi ferì in parte manca, Sì che la vita ranca Divenne, sì ch’ io caddi per lo miro. In ogni parte , ch' io mi volgo e giro Novi tormenti veggio in la tua parte , Ed adoperar Marte, Sì ch'io piango per te o bella donna, Che già ti vidi di virtù colonna. Ora ti veggio nuda , magra e scalza, E nessun ti ricalza, Ma ciascheduno segue il tuo dannaggio Coi più hai.fatt' onor e grande omaggio. Ecco adunque perchè esultar dovea l’animo del nostro poeta, quando Arrigo VII alle falde delle alpi si avvicinò < quale nuovo dì, che comincia a spandere la sua luce, mostrando da oriente l'aurora, che assottiglia le tenebre della lunga miseria ,,. Trista sperienza gli avea mostrato È lotiscordie ela viltà della maggior parte dei ghibellini d’Ita- 46 | lia, e secondo! il suo sistema’ politico, l'imperatore elevato sopra ogni. particolare ambizione ; ‘era 1° unico che poteva rimandar ‘all’ inferno la; famelica lupa :dell’ egoismo muni- cipale e dell’avarizia romana. A lui dunque. rivolse le sue speranze, a lui con affettuosissima lettera indirizzò gli amici per simili sentimenti a lui congiunti, e sarà forse stato al- lora, ch'egli, paragonando l’imperatore al santo sepolcro di nostro signore, dal quale ci venne la salute, dettò que- sto, parimenti inedito , sonetto: Tornato è ’l sol, che la mia mente alberga , E lo specchio degli occhi onde era ascoso ; Tornato è ’l sacro tempio e prezioso ) Sepolcro , che ’l mio core e l’alma terga. Ormài dal petto ogni vil nube sperga Il ciel, che m' ha ridotto il dolce sposo. Sorgete Muse , surga il glorioso Fonte, per cui tant’opra s’orna e verga. Ecco le stelle lagrimose e stanche , Venuto a ritornare il caro segno, Or fatte illustri, ecco la bella luce, O clemenza di Dio , potria morte anche ’ Scurare il sol ?— Nò, signor mio benegno, Questo è quel che impera , egli è mio duce, La pistola ad Arrigo ci prova che il nostro poeta an- dò all'incontro dell’imperatore per inchinarlo , e per ef- frirgli, se non il suo braccio, almeno il consiglio, Dante ce ne dà le cagioni nella presente canzone . «++ Ragion e hen voler mi mosse A seguitar signor cotanto caro. E se color fallaro Che fecer contr’ a lui il lor potere, Io non dovea seguir lor false posse. Vennimi a (ui , fuggendo il suo contraro. Non:si arrendevano però li principi e le repubbliche d’ Ita- lia ai ragionamenti del poeta , ed al pur troppo conteso diritto dell’ imperatore. ‘* Quare fremuerunt gentes, et po- puli meditati sunt inania,,? esclamò il nostro poeta con un santo autore, ma intanto laribellante Brescia offuscato avea il propizio cielo che nel principio ad Arrigo ‘parea ridere. Che Tutti .gli autori ci vantano”il forte-e. costante animo, col quale .Arrigo facea fronte ai contrasti della sua fortuna, e così.ce lo dipinge altra inedita e lunghissima canzone; la quale però , benchè in un codice a Dante attribuita, non oserei affermar suo legittimo parto : Similemente , come a sofferire - L’aquila ardisce , mirando la spera, Di riguardar nella rota del sole, Così, pensando di voler fuggire n A magnanimità , ch’ è sì altera Che rado per suo segno andar si suole, Rimira ciò ch’ ella desia e disvole. Ma più nobile documento di questa virtù dell’alto Ar= rigo ci sarà un inedito sonetto, intorno a quel tempo da Dante composto, per confortarl’ imperatore in mezzo alle sue sciagure: Preziosa virtù, cui forte vibra Caso fortuna , e non già per tua colpa! «Ma poco val, che dentro a cotal polpa . Non ha poter, quanto ha le piante libra, Forse, che prova avversità tua fibra, Quanto ella ha possa , e più, quanto più colpa. Miseria prova i forti, e poi gli scolpa, Come fa foco l'oro, e poi ’l delibra, Marce sempre virtù senza avversaro ; Che allora appar., quanto virisca e lustra , E quanta pazienza il petto made. Rassumi , signor mio benigno , e caro Scettro , con pazienza ed altro frastra : Che animosa virtù sempre alto cade. Chi non riconosce affatto gli stessi sentimenti , nelle bellissime righe della nostra canzone? Nol vinse mai superbia nè avarizia , Anzi l’ avversità ’] facea possente , Che magnanimamente Ben contrastasse, a chiunque il percosse, Possiamo creder, che, se l'opinione che l’Allighieri avea dell’i imperatore; era stata alta ed illustre, la verità non le I 48 rimase dietro, anzi la superò, Le lodi di Darite nella pres sente, e, se sua è, maggiormente in altra canzone ad Ar rigo attribuite, corrisponidono perfettamente ‘a quanto tutti gli storici di lui ci riferiscono. Per amore di brevità mi con- tento a trascrivere le parole diGiov. Villani.Questi fu buono, savio, e giusto, e grazioso, e prode, e sicuro in arme, one- sto e cattolico, e di picciolo stato di suo lignaggio. Fu di magnanimo cuore, temuto e ridottato fu molto, e se fosse vis- suto più lungamente, avrebbe fatte grandissime cose ,,. È probabile che l’imperatore in parte dalle istanze del nostro poeta, che molto caro esser gli dovea, sì sia fatto de- terminar di prender la volta del mezzogiorno , e di porse, dopo brevissima stanza a Roma , stretto assedio a Firenze. Pareva allora vinta la causa dei ghibellini, e se nelle gare civili è permesso di pronunciar sentenza, del migliore alme» no fra li due partiti. Un illustre storico, che intorno a quel tempo compiè la sua storia, parla della guerra come se fosse finita. Gli esuli fiorentini concorrevano d’ogni parte al cam- po dell’imperatore, e già furono pronunciate le condanne di gran numero dei fiorentini ribelli. Certo, che il nostro poeta avrà creduto di veder verificarsi tosto li suoi voti e le sue speranze, Li costumi e le leggi di Firenze ‘ con discre- zion corrette , il popolo giusto e sano, puniti li traditori, e se medesmo prender il cappello sul fonte del suo battes- mo ,, Benchè l’assedio di Firenze alquanto si prolungasse, gli imperiali però tampoco dubitavano del felice loro suc- cesso, che Arrigo medesimo , lasciando un grosso esercito zotto le mura della città, partiva per la Puglia, quando di subita febbre assalito, morì. Se la sorte del nostro poeta, o lettore, se li magnani- mi sentimenti, che guidavano ogni suo passo, hanno com- mosso il tuo core, e se il tuo destino mai ti ha fatto cono- scere quale sia il dolore di esser giunto al termine d’ogni più caro ed intimo desio, e di vedersene rapito il frutto, allora saprai immaginarti cosa a quell’annunzio l’Allighie- ri dovea sentire. Non te lo rappresento piangente come , pochi anni sono , goffa pittura l’ ha fatto, ma t’invito a riflettere, come ogni vicina speranza, di veder una e pacifi* ca la sua bella ed amata Italia, levata la tirannide di tanti piccoli dinasti, e ben guidata la cara patria, non solamente in un momento vana divenne, ma come ogni passo ch'egli avea fatto per rientrar nella bramata sua Firenze ora viep- più dovea allontanarnelo. Ben. meriterebbe scusa il nostro poeta, se dopo un tal colpo di fortuna si fosse dato in pre- da alla pusillanimità ; e 1’ opporre a simile sorte sempre ugual dispetto ci sembrerebbe più cruda e rigida virtù, che ad umano petto conviene, E qui ammira la magnanimità di quel grande, che, commosso e turbato dal veder riescir vane tutte le sue mire, ben si domanda se non meglio aves- se, fatto di piegarsi all’impeto della fortuna, invece di di- fender le sue massime ad aperta fronte, ma francamente risponde; Perchè il dolce amaro Morte abbia fatto , non è da pentere. i Che ’1 ben si dè pur far, da ch’egli è bene, Nè può fallir, chi fa ciò che conviene. È questo quell’animo nobile ed alto, che qualche anno dopo, anche più dalle sciagure travagliato rispose all’invi- to di sottomettersi. a piccola umiliazione per potersi rim- patriare: ‘ Lungi da un uomo alla filosofia consacrato que- sta temeraria bassezza , propria d’ un cuor di fango; lungi da me banditore della rettitudine, che io mi faccia tributa- rio a quelli che mi offendono, come se elli avessero merita= to bene di me. Se a Firenze non s’entra per una via d’ono- re, io non entrerovvi giammai ,,. Nemmeno depone total- mente il coraggio, anzi come chi ad affogarsi è vicino, al- l’ultimo cespuglio si appiglia, così a Franceschino Malà= spina, cugino dell’uno e fratello dell’altro Maore/lo presso il quale sette anni prima ospitale ricovero trovato avea, co- me all’ultima speranza dei ghibellini, si rivolge. Trasportati, o lettore, nella situazione dello sbandito poeta, e se di ge- neroso core ti fu larga la natura, vedrai corrispondere ogni tuo sentimento al nobile dettato della presente canzone, Eccoti dunque un luminoso documento della funesta sorte che pur troppo opprimeva quel grande, ma nel medesimo T. XXIII. Settembre. 4 59 tempo dell’alto suo animo, e dela gran torto sin ai nostri giorni negatogli caldo ‘amor di patria, conservato in mezzo alle ingiurie da lei ricevute , eccoti finalmente un verde alloro per le ceneri dell’ultimo degli imperatori , che in Italia guerreggiando gloria s’acquistò. Ho rimesso alla fine di questo mio ‘discorso la questio- ne, se la canzone di cui ragiono sia o non sia parto legit- timo del nostro poeta, essendo persuaso, che dopo di avere scorso, guidati dalla storia e d’altri componimenti di Dan- te , la serie delle sue sciagure, e dopo di essersi internati nel suo modo di pensare , la maggior parte dei lettori giu- dicherà superflua ogni risposta. Ciò non ostante mi pare ben fatto di occuparsi un momento con chi ascrive questa can- zone ad altri che a Dante. Il Corbinelli nell’appendice della Bella Mano, che con poca diligenza compilato avea, apre la serie degli antichi ‘rimatori con qualche componimento attribuito a Sennuc- cio del Bene o Benuccio, fra li quali la nostra canzone tie- ne il secondo luogo. Benchè il testo sia corrottissimo e di qualche verso mancante, l’hanno però senza veruna emen- dazione ripetuto le susseguenti edizioni, e nominatamente l’elegante ristampa del Tumermann, Verona 1753, p. 162-66. Maggior merito si è acquistato il Z'ambroni, il quale pre- valendosi del codice Vaticano 3213, ha felicemente supplito alle lacune, e in parte ridotto a miglior lezione il testo (Giorn. Arcad. 1822 , p. 9g9g-103). Anch’egli però non esita d’ attribuirla a Sennuccio, comunque che già fosse stato, chi ne avea riconosciuto l’ Allighieri autore (rarissima edi- zione di rime antiche del 1518, che non ho mai potuto vedere).—-Giacchè l’autorità de’codici sta dell’una e dell’altra parte come in fatti altro, benchè recentissimo marciano co- dice (292) assegna a Senuccio la canzone, bisogna tenersi alle ragioni interne. Ora sappiamo bene che anche Senuccio era esule da Firenze sua patria, e che col suo amico Petrarca magna- nimo protettore nel cardinale Colonna avea trovato, on- de il Mazzuchelli (scritt. Ital. II, 2, 808) sospettò che que- ” SI sta canzone fosse composta dopo la morte del detto Colon- na (1346); ma con tutte queste notizie, l’argomento della canzone conviene sì poco alle circostanze di Senuccio, che credendola sua, l’Eguicola a riguardo d’essa ebbe da chia- mar questo poeta rozzo ed inintelligibile, mentre che ret- tamente intesa è una delle più degne produzioni dell’ita- liana poesia. In verità le lodi giustamente ad Arrigo VII attribui- te pajono assai stravaganti per un pacifico membro del clero, e non si vede meglio come il poeta possa andar in tanta collera, con chi non si era dichiarato del partito del cardinale, che non si capisce, che cosa la morte del Co- lonna abbia a fare col rimpatriare di Sennuccio. Final- mente non so se Franceschino Malaspina, che avea già un figlio nel principio del secolo, abbia nel suo mezzo potuto essere speranza di un partito; ma , almeno è certo, che non sappiamo niente di sue cortesie per Senuccio. Così dunque conchiuderemo, che il sig. Tambroni, quantunque vituperi chi la nostra canzone non avea intesa, anch’ esso ci sia ri- masto debitore dell’interpretazione , che semplicissima rie- sce, concedendo che sia opera di Dante. 5a Canzone di Dante ALLicmERI în morte di Arrico VII. n da Poscia ch’ i’ ho perdota ogni speranza Di ritornar a voi, Madonna mia , Cosa non è nè fia Per conforto giammai del mio dolore. di Non spero più veder vostra sembianza Poichè fortuna m’ha chiuso la via Per la qual convenia Chio ritornasse al vostro alto valore. Ond’ è rimaso sì dolente il core, 10. Ch’ io mi consumo di sospiri e pianto , E duolmi perchè tanto Duro, che morte vita non m’ ha spenta. Deh che farò , che pur mi cresce amore , E mancami speranza d’ ogni canto , p 15. Nè veggio in quale ammanto Mi chiuda , ch’ ogni cosa mi tormenta , n Se non che chiamo morte che mi uccida , &d ogni spirto ad alta voce il grida, II. Qaella speranza che mi fe lontano Dal vostro bel piacer , ch’ ognor più piace, Mi s’ è fatta fallace Per crudel morte d’ogni ben nemica; 5, Ch’ Amor , che tutto ha dato in nostra mano , M’avea ed ha , per consolarmi in pace , Per consiglio verace Fermo la mente misera e mendica A farmi usar dilettosa fatica. 10. Per acquistar honor mì fe partire Da voi, pien di desire Per ritornar con pregio e più altezza. Seguì ’l Signor ; che, s' egli è uom che dica Che fosse mai nel mondo il miglior sire , 15. Lui stesso par fallire , Che non fu mai così savia prodezza , Largo , prudente , temperato e forte , Giusto viepiù, che mai venisse a morte. 10. 15. n LO. 15. 53 III Questo signor ; creato di giustizia * Eletto per virtute d’ogni gente , Usò più altamente D’ animo valoria , ch’ altro mai fosse. Nol vinse mai superbia nè avarizia ; Anzi l’ avversità ’| facea possente, Che magnanimamente Ben contrastasse a chiu nque il percosse. Dunque ragion e ben voler mi mosse A seguitar signor cotanto caro ; E se color fallaro Che fecer contro a lui il lor potere , Io non dovea seguir lor false posse. Vennimi a lai, seguendo il suo contraro ; E perchè ’1 dolce amaro Morte abbia fatta , non è da pentere. Che ’1 ben si de’ pur far, da ch’ egli è bene, Nè può fallir, chi fa ciò che conviene. IV. E gente che si tiene a honor e pregio Il ben che lor avvegna da natura ; Onde con poca cura Mi par che questi menin la lor vita. Che non adorna petto l’ altrui fregio , Ma quanto huomo ha d°’ honor in sua fattura , Usando dirittura. Questo è suo , so] l’ opra gli è gradita. Dunque , qual gloria a nullo e stabilita Per morte di signor cotanto accetto ? Nè ’1 vede alto intelletto, Nè sana mente, nè chi’l ver ragiona. O alma santa, in alto ciel salita , Pianger dovriati inimico e suggetto , Se questo mondo retto Fosse da gente virtuosa e buona. Pianger la colpa sua, chi t’ ha fallito, Pianger la vita ogn’uom, che t’ ha seguito. 4 V. Piango la vita mia, però che morto Se’, mio signor, cui più che me amava , | E per cui sperava Di ritornar ov’ io saria contento. 5. Ed or, senza speranza di conforto, Più ch’ altra cosa la vita mi grava. O crudel morte e prava, Come m'’ hai tolto dolce intendimento Di riveder lo più bel piacimento , IO. Che mai formasse natural potenza In donna di valenza, La cui bellezza è piena di virtute ! Questo m'hai tolto , ond’ io tal pena sento , 15. Che non fu mai sì grave cordoglienza Che mia lontana assenza. Giammai vivendo non spero salute , Ch’ ei pur è morto ; ed io non son tornato , Ond” io languendo vivo disperato. VI. Canzon, tu te n’ andrai ritto ’n Toscana A quel piacere , che mai non fu più fino. E, fornito il cammino, Pietosa conta il mio tormento fiero, Ss. Ma prima che tu passi Lunigiana Ritroverai il marchese Franceschino E con dolce latino Li dì, ch’ancora in lui alquanto spero , E come lontananza mi confonde. 10. Prega’l ch’ io sappia ciò che ti risponde. Lezioni varianti. — St. I, 1. App. della bella mano e ’l1 Tambroni Dapoit— 5. Variante marginale del codice Né — 6, Var. marg. Perchè-tolto— 8. Tambr. Ame tornare— 11. V. marg. ; Ap. d. b. m, , e Tambr. Ma—14. Tamb. inognit 16. b. m. guida.—18. Così la var. marg. , ilcod. , b. m., e Tamb. serso— b. m, bocca.= II. 4. Var. marg. Per man di — bi: m. morte e — 5. V. marg. Che quel signor , Tambr. Amor che tutto dato—che manca nella b. m.—-6. b. m. M'avea promesso cons.-15. Così la V. marg ;, il cod. în pregio in, b. mi con pregio in, Tambr. e in pr. e in--14. manca nella b. m, —15, b. m. mentire 3 HI. 4. V. mar. 55 Valor d'animo ch' altri chè , b. m. Valor d'animo più. Tambr. Valoria d' al- ma più ch' altro che— 5. b. m. Tambr. punse — b. m. od av., Tamb. ed av.— 6. b. m. , Tambr. Anco.—Tambr. fece potente.—-7. b. m. L.— 8. b. m. Ei.— be m., Tambr. contrastette:— Tambr. /o.— 9. V. marg., b. m. Tambr. duon.— 10. V. marg. J2— 11. Tambr. Ma— 12. b. m. , Tambr. fecion — 13, b. m. Tambr- le—14. b. m. Venire , Tambr. Peninne.—15. b. mi Perchè del. V. marg. Ma perchè.=16. b. m. abbi — 17. V. marg. sol far—18, b. m. Tambr. fallar.z IV , 1, b. m. E gente—2. b. m. Alcun ben che a lor venga per ventura. Tambr. Ale, ben che a lor venga per avventura.—6. V. marg. fa di buon per sua, b. m. Tambr. per quanto uomo adorna sua—8. b. m. Tambr. Questo si è suo , e l’ope- ra è gradita. —11. b. m. Tambr. Nof.—14.b.m.; dovrebbe. —16 b, m. Tambr: virtudiosa, — 18* b. m, la morte. — b. m., Tambr. ognun. = V. 1. Tambr. poi ch'egli=2. Tambr.!Lo mio—ch’uomo.— 3. b. m. Tambr. cui 10,7. b. m. Or.— 9. b. m., E lo vedere il-=14: b. m., Tambr. grieve — 16. b. m. Questi moren- do non spera —17 b. m, Tambr. Che glie — V. marg. Che pur sè. =,VL 3 manca nella b. m. — 4. b. m. contra — 8. Li narrerai che in lui. ANNOTAZIONI. St. 2. Mi pare superfluo di ripetere, che per 1’ amata donna sia intesa Firenze. In simile prosopopoetico modo le parla nella canzone O patria , che it Dionisi è stato il primo a riconoscere Dantesca , e così pure in bella inedita canzone dice il poeta: Ahi cara donna, pensa alli tuoi danni , Che per li mal pastor sei mal condotta , Ad ogni vizio rotta ; Onde che la sentenza è già prescritta Dal dittator , che sempre ’l vero ditta. 7. Nota la forza e ’l nobile orgoglio del convenia 12 Duro , verbo 17 La morte è l’ nico ammanto che al poeta s’ appresenta, Così egli dice in sonetto inedito Or ti sfoga ruina,, empia tempesta, Or si abissi il cielo e ’1 mondo strano, Apriti terra il miser corpo umano Inghiotti , e l’ alma lagrimosa e mesta. Ed in altro In questi affanni , anzi dispetti e rabbia Convien la trista vita ormai finire, Senza speranza sol di requie o posa. St. II, 4. In un sonetto della vita nuova Morte villana e di pietà nemica 5 In altra canzone: Amor, che muovi tua virtù dal cielo Da te convien che ciascun ben sì mova Pe lo qual si travaglia il mondo tatto St, IIT. 1 , 2. Per intender bene questi due versi , leggi il secondo libro della Monarchia di Dante .‘ 56 11 Considerate che chi resiste alla podestà, resiste all’ ordinamento. di Dio; e . chi al divino ordinamento repugna , è eguale allo impotente che recalcitra,, pistola ai re d’Italia. | St. IV, 1,2 Così in una canzone dell’ amoroso convivio — Nessun sì vanti Dicendo , ‘ per ischiatta io sun eolei. ;, 6 In altra canzone , {o giuro per colui Ch’ Amor si chiama y ed è pien di salute , Che senza ovrar virtute Nessun puote acquistar verace loda g. Stabilita val quanto ridotta, 13. Nella vita nuova Ita n’ è Beatrice in l' alto cielo s E nel Paradiso In quel gran seggio . . — Sederà l’alma , che fia giù Agosta Dell’alto Arrigo. St. V, 12. Firenze , benchè viziosa , é così bella, che donna virtuosa non po- trebbe esserlo più. St. VI, 5. La canzone andando in Toscana passa per Lunigiana , sarà dunque scritta in qualche paese settentrionale. Volendo préstar fede ai recenti biografi di Dan- te, sarebbe cosa facile il determinare, dove il poeta poco dopo la morte di Arrigo'ab- bia soggiornato. [o temo però che il loro assunto manchi pur troppo di fondamento. Onde mi pare assai miglior consiglio di confessare , che dopo la lettera dalla fonte d'Arno (16Apr.1311) manchiamo di autentici documenti intorno alle peregrinazioni di Dante, Il chiariss. Sig. Zizeffe lo conduce nel 1313 a Venezia , Parigi, Avigpo- ne € forse ,,a Oxford , fondandosi sopra un aneddoto riferito dal così detto ottimo. Con assai massiccio errore poi gli dà Ravenna per stanza nel 14, giacchè il} Fonta- nini (Eloqu. Ital. Ed. Zane pag. 150) , al quale si riferisce, parla del tredici, ed an- che questa data non dipende che dalla lettera che universalmente si crede fabbricata dal Doni, — Ingegnosissima senza dnbbio è la strada per la quale ultimamente il ch. sig. Troya ha creduto di essere pervenuto a conoscere li viaggi dell’ Allighierì , rintracciando nella divina commedia i luoghi mentovati, e componendone compiuto itinerario. Sarà però chi dirà alquanto ingiuriosa la supposizione di così breve e forse troppo frettolosa memoria alla imente di Dante da lui medesimo (se non vuoi spiegar col valente signor Scolari) più d'una volta lodata ; sarà anche chi negherà, che Arli, Pola, Pietrapana e Tambernicch e tanti altri siti dal poeta descritti, en- trino nell’ itinerario Troyano; onde tutto questo ragionamento per un tale sem- brerà simile al metodo di certi autori Inglesi che suppongono che Shakspeare abbia fatto ogni mestiere, del quale parla nelle sue poesie, Io però non me la voglio pren- der per ora col sig. Troya, che in quest’ opera preliminare a gran suo vantagggio per esser persuasissimo della verità delle sue congetture non cita mai li fonti, sulli quali sono fondate. Mi prendo solamente la libertà di osservare , che l° Alli- ghieri non poteva ‘mandar la presente canzone da Lucca a Firenze per la strada di Lunigiana, non era dunque sicuro a Lucca, dove intornoa quel tempo il sig. Troya lo fa dimorare , e , a dispetto di quanto il dottissimo Dionisttha scritto, inamorarsi della Gentucsa. Un più attento esame mostrerebbe che non tutte le date del sig. Troya sono troppo esatte, Non pare per esempio, ch' egli si sia accorto della 97 difficoltà che intorno all’ inedita lettera da lui a quell’istesso anno e parimenti a Lucca riferita , masce dalla vita nuova c. 31 , il qual passo ci potrebbe far cre- dere che la lettera sia suppositizia o da retrodatarsi di 23 anni. Bisognerà dire il contrario dell’ epoca dal Sig. Troya (oin verità prima di lui da altri ) all’inferno assegnata, giacchè Dante non poteva sapere nel 1308 , come purjlo sa nel XIX dell’ inf. v. 9 7, che Clemente V terrebbe meno di 19 anni le somme chiavi. Questo e qualche altro passo ci fa certi che 1° inferno non fu pubblicato che dopo Ji 20 d’ Apr. 1314 , cou la qual data si combina molto' bene la profezia del primo canto, la quale sarebbe stata mal a proposito. mentre che i Ghibellini non aveano totalmente da disperare dell’ imperial soccorso . Pare che in queste pregiudi- ziali circostanze la muova spiegazione del veltro Allegorico non sia troppo bene stabilita. Perdonami , o cortese lettore , se queste pagine ti sembrassero troppo superfi- ciali. Rifletti, ch’ io non le do per lavoro finito ; e che le ho scritte nell’ albergo pochissimi giorni dopo il mio arrivo in questa bella città, e sprovvisto dei libri e delle manoscritte notizie che sogliono essermi familiari. Venezia 24 di Luglio 1826. P. S. Firenze 30 Agosto 1826. Dopo di aver esaminato diligentemente la lettera , alla qua- le il sig. Troya ha rivocato la nostra attenzione, mi sono persuaso, che gli argomenti che in favore della sua autenticità si ponno citare non siano forse di minor peso, che li contrarii. Essendo però deside- rabilissimo che il maturo giudizio degli eruditi finisca presto l’ in- certezza intorno di un documento così curioso , ed avendo saputo, che il sig. Troya finora non si occupi della publicazione di esso , ho creduto far cosa grata comunicando ai lettori, quanto della detta lettera tattora rimane inedito. Do il testo come credo che deva leg- gersi, e riservo alla ristampa da farsi nelle opere minori del nostro poeta , di emendare e di supplire lo scorrettissimo frammento Tro- yano , e di dare più esatto ragguaglio della corrotta scrittura @el codice. . «+ Quum 1) dorsa non valtus ad sponsae vehiculum habeatis, vere dici possitis, qui prophetae ostensi sunt; male versi ad tem plum. Nobis ignem de coelo missum despicientibus, ubi nunc arae ab alieno calesenant, vobis columbas in templis vendentibus, ubi , quae pre- tio mensurari non possunt, in detrimentum haec ad commutandum venalia facta sunt. Sed attendatis ad funiculum, attendatis ad ignem, neque patientiam contemnatis illius, qui ad poenitentiam vos expec- tat. Quod si de praelibato praecipitio dubitatar, quid aliud decla- rando respondeam, nisi quod in Alchimum cum Demetrio consensi- stis.(?) Forsitan et, quis iste? qui Oseae repentinum supplicium non | 58 / formidans ad aram quamvis labantem se erigit, indignati objurga* bitis. Quippe de ovibus pascuis Jesu Christi minima una sum, quip- pe nulla pastorali autoritate abutens, quum divitiae mecum non sunt, non ergo divitiarum, sed gratia Dei sum id quod sum , et coelus do- mus ejus concedit (?). Nam et in ore lactantium et infantium sonuit jam Deo placida veritas, et caecus natus veritatem confessus est, quam Pharisaei non modo tacebant, sed et maligne reflectere conabantur. His babeo persuasum quod audio , habeo praeterhoc praeceptorem philosophum, qui cancta moralia dogmatizans, amicis omnibus docuit veritatem praeferendam. Nec Oseae praesumtio , quam objectandam quis crederet, quasi temere prorumpentem , inficiatur sui tabe rea- tus: quia ille ad arcam, ego ad boves calcitrantes, et per abvia distra- hentes attendo , i//e ad arcam proficiat, qai salutiferos oculos ad na- viculam flactuantem aperuit. Non itaque videor quemquam ad jurgia exacerbasse, quin po- tius confusionis ruborem, et in Vobis et in aliis nomine solo Archi- mandritis per orbem, duntaxat pudor eradicatus non sit totaliter , ac- cendisse, quum de tot pastoris officium usurpantibus, de totovibus etsi non abactis, neglectis tamen et incustoditis in pascuis, una sola vox, sola pia, et haec privata, in matris Ecclesiae quasi funere audiatur. Quidni? cupiditatem unusquisque sibi duxit in uxorem, que- madmodum et vos , quae numquann pietatis et aequitatis (ut caritas) sed semper impietatis et iniquitatis est genitrix. Ha mater piissima , quos in aqua a spirita generas tibi filios ad raborem! Non caritas, non Astraea , sed filiae sanguissucae factae sunt tibi nurus; quae, quales pariant tibi foetus , praeter Lunensem pontificem 2), omnes alii contestantur. Iacet Gregorius nunc in telis aranearum, jacet Am- brosius in neglectis clericoram latibulis , jacet Augustinus , abiectus Dionysius, Damascenus et Beda ; et non scio quod Speculum , Inno- centium et Ostiensem declamant. Car? Enim i//î Deum quaerebant, ut finem et optimum, isti censas et beneficia consequantur. Sed, o patres, ne me Phoenicem existimetis in orbe terrarum, Omnes enim, quae garrio, murmurant, aut musant» aut cogitant, aut somniant, et qui inventa non attestantur. Non nulli sunt in admira- tione suspensi. An semper et hi silebunt, neque factori suo testimo- nium reddent? Vivit Dominus , qui que movit linguam in asina Ba- laam, Dominus est etiam modernorum brutorum. Jam garrulus factus sum ; Vos me coegistis. Pudeat ergo tam ab infra, non de coelo ( at absolvet ), argui velmoneri. Recte quidem nobiscum agit, quum ex ea parte pulsatur ad nos (?), ad quam cum ceteris sensibus inflet auditum, ac pariat pudor in nobis rectitudi- nem primogenitam suam, et hoc propositum emendationis aggeneret, quod ut generosa longanimitas foveat et defendat ! Romam urbem nunc utroque lumine destitutam 3) (nunc Han- nibali, nedum aliis miserandam ) , solam sedentem et viduam , prout superius proclamatar, qualis est , pro modulo nostrae imaginis, ante mortales oculos affigatis omnes. Et ad Vos haec sunt maxime , qui sacrum Tiberim parvali cognovistis. Nam etsi Latiale caput cunctis pie est Italis diligendum, tamquam commune suae civilitatis prin- cipium, Vestra juste censetur, accuratissime colere ipsum, quum sit Vobis, principiura ipsius quoque esse. Et si ceteros Italos in praesens miseria dolore confecit et rubore confudit, erubescendum Vobis, dolendumque quis dubitet, qui causa insolitae sui vel solis eclipseos quum fuistis. 4. ) Tu prae omnibus, Urse, 5) ne degratiati collegae 6) prope re- manerent, inglorii et illi, ut militantis Ecclesiae veneranda insignia quì forsan non emerint, sed immeriti cuncti posuerant, Apostolici cul- minis auctoritate resumerent: Tu quoque, Transtiberinae sectator factionis, 7) ut ira defuncti antistitis in Te, velut ramus insitionis in tunco non suo, frondesceret , quasi triumphatam Cartaginem non- dum exueras ; illustrium Scipionam patriae potuisti hunc animum sine ulla Tui judicii contradictione praeferre ? Emendabitur quidem (quamquam non sit, quin nota, cicatrixque infamis Apostolicam sedet usserit ad ignem, et, cui coeli et terra sunt reservati, deturpet) sin unanimes omnes, qui huiusmodi exorbitationis fuistis auctores, pro sponsa Christi, pro sede sponsae, quae Roma est, pro {talia nostra, et ut plenius dicam, pro tota civitate peregrinantium in terris, viriliter propugnatis; ut de palaestra jam coepti certaminis, undique ab Oceani margine circumspecta , Vosmetipsos cum gloria offerentes, audire possitis ‘‘ gloria in excelsis, ‘‘ et ut Vasconum op- probrium (qui tamdira capidine quum flagrantes , latinorum glo- riam sibi usurpare contendant) per secula cuncta futura sit posteris in exemplum. ‘ 1) Li cardinali Italiani, che si trovavano al conclave di Carpentras, erano questi: 1) Nicolo di Prato , del titolo di Ustia e di Velletri. 2) Na- poleone Orsini , romano , del tit. di S. Adriano. 3) Guglielmo Longo , ber- gamasco , del tit. di S. Nicolò in carc. 4) Francesco Gaetani, anagnino , del tit. di S. Maria in Cosmedin. 5) Giacomo Colonna , romano già del tit. di S. Maria in via lata. 6) Pietro Colonna , romano già del tit. di S- Eustachio, e poi di quello di S; Angelo. — Non sarà necessario di ricordare al lettore, che mentrechè costoro con 17 altri cardinali erano riuniti in conclave; furono as- saliti da Bertrando di Goto , Raimondo Guglielmi, paventi del defunto Cle- mente V, e d'altri guasconi armati, che volevano costringerli di eleggere un altro papa guasco. 60 2) Gherardino Malespina: 3) Nel 1314 vacava l'impero e la Santa Sede. 4) Napoleone Orsino medesimo, jnella lettera scritta a Filippo il bello, si confessa colpole in gran parte dei mali accaduti alla chiesa sedente Clemente V. 5) Il già detto Napoleone. 6) Pare che parli dei due Colonnesi , già deposti da Bonifazio VIII, e re- stituiti, benchè senza titolo , da Clemente V. 7) Non su se la fazione (il codice legge sanctionis) Trasteverina sia una delle parti urbane , o se Tlasteverino forse sia detto più generalmente per quello che si discosta dal Tevere , cioè per la parte francese. La storia ci parla di gravi dissensioni sorte fra li cardinali , e Napoleone Orsini pare di accen- narne anche fra gli italiani. Non nè sappiamo le particolarità, ma mi sembra che l’ autore si riferisca a una tal divisione , e potrebbe darsi che il cardinale indicato qui, fosse uno dei Colonnesi; essendo da gran tempo grave nimicizia fra costoro e gli Orsini, fomentata anche di più per la condiscendenza di Cle- mente agli odii particolari dei Colonnesì , i quali per avventura si vantava- no di discendere dagli Scipioni. DELL’ ORDINAMENTO DELLA SCIENZA DELLA COSA PUBBLICA. Lettere del Professore Gio. DOMENICO ROMAGNOSI a GIOVANNI VALERI Professore di Diritto Criminale nella Università di Siena. . LETTERA TERZA. Col conoscere gli argomenti della civile filosofia noi conosciamo bensì i materiali della dottrina, ma non intendiamo ancora la MA- NIERA di ordinarli.Ora da questa maniera risulta tutta la virtù d'una scienza operativa come la nostra. Domando dunque in generale “ co- ,; me procedere si debba nell’ordinare gli argomenti della civile filosofia? ,, A primo tratto voi mi risponderete che convien subordinarli tutti ad una mira principale, la quale serva di centro e di direzione a tutta la dottrina. Ma qui sorge la quistione se questa mira princi- pale e direttrice esista , e se essa sia tale da servire di norma effettiva per tessere una vera e compiuta teoria dell’ arte sociale ? Questione massima è questa , come ben vedete , dalla quale dipende la sorte di tutta la scienza e la riuscita di tutta l’ arte politica. A questa quistione rispondo che questa mira, la quale comple- tamente padroneggia non solo la natura intrinseca degli stati, ma eziandio la cognizione dei mezzi assegnabili, esiste. Essa è ‘‘ la vera ,) e necessaria POTENZA di uno stato agricola e commerciale giunto 61 > alla sua naturale grandezza di territorio ; di popolazione e di go- ) verno, atteggiata con tutte le condizioni della politica unità ,,. | Voi vi ricorderete in primo luogo aver io detto nella prima let- tera, che nelle scienze morali e politiche dobbiamo assumere come punto normale il modello ideale il più perfetto, non chimerico, ma conforme allo stato delle cose ed alle spinte conosciute della natura, perocchè senza di questa condizione non possiamo nemmeno parlare di diritto nè di politica. Come i Greci rappresentarono il sembiante del Giove egioco, così pure il filosofo deve raffigurare l’aspetto di uno stato agricola e commerciale, per indi valutare le diverse condizioni o possibili o di fatto degli stati esistenti. Or bene: col definire e col dimostrare in che consista la potenza di uno stato, e col trasportar poscia questa idea ad uno stato agricola e commerciale, si ottiene que- sto modello e si ottiene così compiuto , così luminoso e così dimo- strato, che non lascia luogo ad esitazione alcuna. Voi forse dubiterete che qui si perdadi vista la mira fondamentale della più felice conservazione mediante il più adatto perfezionamento. Ben al contrario, Qui anzi si vede come questa mira viene adempiata in società e per mezzo di quella società che la natura imperiosamen- te invoca. Qui questa mira, che prima fu tradotta nell’incivilimento, viene finalmente tradotta nella potenza dello stato, spinto alla nata- rale sua grandezza e dotato di tutta la sua politica unità. Qui final- mente riposa e si consuma tutta l’ autorità e tutto il magistero della civile filosofia. E quì debbo richiamarvi la necessità di vestire e di attivare le generalità, avvicinandole a mano a mano allo stato pratico delle cose; lo che si fa coll’aggiungere quelle particolarità per le-quali so - lamente possono esistere ed agire in natura. Da prima voi vedete l’idea astratta di felicità, dall’aspetto della quale voi non intendete nulla di quello che dovete fare od ommettere per conseguirla. Dopo voi passate a comprendere la formola pure generalissima della con- servazione e del perfezionamento in forza delle facoltà stesse del- l’ umanità. Più avanti intendete la necessità dello stato sociale per procacciare conservazione e perfezionamento. Più tardi vi convincete che questa società dev’ essere agricola e commerciale, senza di che non si ottiene la bramata conservazione col perfezionamento. Per ultimo, tenendo d’ occhio ai caratteri delle nazionijcircoscritti e stam- pati dalla stessa natura, vi accorgete aver essa stabilito per esse un dato punto di grandezza e di unità, come estremo nel quale final- mente si debbono arrestare. Allora voi vi fermate su questa idea e qui studiate le condizioni della loro maggior sicurezza e prosperità, per la quale soltanto è possibile effettuare la bramata conservazione 62, col perfezionamento. Ma come ottenere la maggiore sicurezza e pro» . sperità senza attivare le condizioni tutte della potenza dello stato? Come atteggiare questa potenza senza ordinare i poteri tanto della nazione quanto quelli del governo ? E quì rammentate che senza la cospirazione costante delle forze esistere non può una costante potenza sociale. Ma come effettuare una costante cospirazione di forze senza una costante cospirazione di cognizioni e d’interessi ? Come si può ottenere questa cospirazione senza un’equa distribuzione di benefici, ossia senza abolire il privato predominio e senza la più completa giustizia ? Ecco una catena indissolubile di leggi per la quale voi vedete concentrarsi nell’idea della POSSANZA POLITICA degli stati tutti i raggi della scienza della cosa publica. Voi vedete questa potenza associata sempre col massimo lume, col massimo bene e col massimo vigore. Con ciò diviene come untipo al quale riferite ed assoggettate tutti gli argomenti come alla perfetta sanità fisica voi riportate l’arte salutare, ben sicuro di comprendere gli altri benefici della conservazione. Per la qual cosa si deve assumere la politica potenza come fine unico ed ultimo delle ricerche, ben sicuro di aver in pugno tutto il tesoro del- la civile sapienza. Luminosa riesce allora la dottrina e assicurato il trionfo su le opininni; perocchè opponete loro una cosa dirò così visibile palpabile e prepotente. Come sarà possibile negare le condizioni assegnabili della potenza degli stati ? Come non sentirne la forza al pari delle leg- gi fisiche , delle leggi meccaniche , delle leggi imperiose chel’ espe- rienza di tutti i tempi e di tutti i luoghi non ismenti giammai una sola volta ? Ecco in brevi cenni come debbano essere padroneggiate ed ac- centrate le grandi parti della civile filosofia. Quì la storia a piene mani può venire a confermare la teoria. Conosciute a questo modo le leggi necessarie della potenza degli stati, si può con piena fiducia passare ai dogmi pratici e dedurre tutte le regole dell’ arte sociale ,sì per ordinare che per amministrare la cosa pablica. Così conosciute le leggi necessarie della vegetazione si possono assegnare le regole dell'agricoltura. Il solo buon senso ci convince che senza di questo magistero non può esistere vera e dimostrata dottrina di politica e di publico diritto. Tutto il fin quì detto sulla maniera di trattare la scienza della cosa publica si riferisce allo SPIRITO LOGICO del lavoro. Resta a dire qualche cosa circa la forma esteriore colla quale debbono essere or- dinate le materie. Per farmi intendere anche su di questo punto in- comincio da un osservazione fondamentale. 63 Vi siete mai accorto, o egregio amico, che dopo il risorgimento della coltura in Europa, la Giurisprudenza naturale e civile ci fa sempre insegnata a brani senza porci mai sott’ occhio il corpo reale al quale questi brani appartengono ? Ci si parla di civile giurispru- denza, ma ci viene mai mostrato qual posto essa occupi nella carta .generale delle scienze legali? Ci vien detto mai essere questa un ra- mo della dottrina degli stati? Diciamo di più: ci viene mai presentata l’ immagine materiale di questo stato come in medicina vien presen- tato prima il corpo umano? E vero o no che durante tanti secoli i cultori della giurisprudenza nel corso della loro vita non avvertirono mai su qual corpo reale versasse la loro scienza e professione , e mo- rirono tutti ignorandolo completamente ? Io per l'onore de’ nostri antenati avrei bramato che ciò non fosse avvenuto. Ignorare ciò che si maneggia (che dagli scolastici chiamavasi igroratio elenchi) produce una giurisprudenza così cieca e così mutilata, che invano tu domandi quali siano i veri e distintivi caratteri del civile diritto, e le leggi di ordine publico e di ragion publica, le quali ad ogni tratto entrano nella composizione di lui; e quindi il criterio onde distinguere i diritti irrevocabilmente quesiti dagli altri che stanno in balìa delle leggi, onde poi conoscere la ingiu- sta retroaziane o la giusta innovazione delle leggi medesime. Molto meno tu puoi sapere quale sia il diritto naturale politico al quale sei provocato in mancanza della legge positiva ec. ec. Che cosa dunque ne segue? Un perpetuo divorzio fra la filosofia e la giuri- sprudenza, e fra queste due e la politica. Cento volte ho udito escla- mare essere la giurisprudenza un pelago senza fondo e senza spon- de. Ho cessato di crederlo allorchè ho potuto formarmi il PROSPETTO di uno stato politico composto di tutte le sue parti materiali e morali. Allora bo veduto il soggetto al quale appartengono tutte le dottrine della cosa publica e privata, e le parti a cui si riferi scono, edi principj di ragione e di energia dai quali sono anima- te. Ad ogni modo dunque conviene incominciare col dare il pro- spetto summentovato. Questa avvertenza è decisiva per comprendere e ritenere tutta la dottrina delle leggi e della publica amministrazione. E per ve- rità sarebbe mai possibile apprendere la geografia senza aver sut- t' occhio il mappamondo o la carta del dato paese del quale tu annoveri i monti, i fiumi, i laghi e le città? Con una nuda enu- merazione puoi ta forse comprendere ove sia situata la data pro- vincia della quale brami di conoscere le particolarità? Or ecco ciò che avviene nella dottrina della ragion publica e privata al- 6 ut. venga insegnata , come sempre si è fatto , senza pre- mettere il prospetto visibile dello stato politico come fondo sul quale aggirar si deve la nostra attenzione. Senza esibire il corpo naturale sul quale cadono le dottrine legali, senza rappresentare alla fantasia il paese intiero del quale si parla, senza porre avanti l’og- getto al quale si riferiscono o intorno ‘a cui si rannodano le idee, che cosa diventano le cose che noi insegnamo? Larve volanti e senza nesso divengono le nozioni: vaga fluttuante ed incerta ri- sulta la dottrina : dissociate, empiriche e senza lume riescono le ap- plicazioni. E come no? Potresti tu formare un medico senza cono- scere la struttura del corpo umano, od un agronomo senza aver idea delle piante? Eppure per secoli si è preteso formare giureconsulti e momini di stato senza prima aver idea dello stato. Quali uomini ab- biamo ottenuto ? Empirici , meschini, versatili o azzardati. Quale dottrina ne derivò ? Una gretta giurispradenza derisa dai politici ed una politica aborrita dai moralisti. È dun que dimostrato essere in- dispensabile per dar corpo alla dottrina propria della ragion publica e privata, di esibire un primo prospetto di uno stato politieo sul quale versino si aggirino ed al quale alludano sempre i nostri ragio- namenti. Ma come dev’esser fatto questo prospetto? Egli non può espri- mere una posizione qualunque della società, ma quella soltanto d’un popolo che ha nido ed abitazione stabile su di un dato suolo coltivato, e vive sotto di un governo proprio ed indipendente. Ora questa posizione quali condizioni racchiuder deve ? Certamente le condizioni le più decisive tanto di fatto quanto di ragione. Colla con- dizione di fatto si accennano le tre parti essenziali del territorio, della popolazione e del governo. Colle condizioni di ragione si ac- cennano quei requisiti della sua maggiore POTENZA i quali sono pur quelli della maggior giustizia, della maggiore prosperità comune , della maggiore civiltà di un popolo e della maggiore facilità di governo. Col prender di mira la potenza, si assume una chiara solida e dimostrata condizione, a fronte della quale piegar deve tanto la ra- gione quanto il più ostinato arbitrio. L’egoismo non cara la giustizia o la prosperità, la civiltà o la facilità, benchè tutte queste cose sie- no fra loro inseparabili. Ma quando egli tocchi con mano la sanzio- Î ne della potenza; quando vegga chiaramente di dover ubbidire o waufragare, allora comincia almeno a pensare ai casi suoi e ad es- | sere più rispettoso della ragione e del dovere. Dall’altra parte poi la dimostrazione dei dogmi della ragion publica e privata diviene | | / 65 laminosa, energica e feconda perchè versa sulla causa assegnabile dei fenomeni morali e politici, e su la fonte perenne d’onde scata- riscono i motivi delle leggi e dell’amministrazione. Io non sapreì mai raccomandare abbastanza la cautela qui pro- posta. Essa mi par tale che dall’usarla o dal trascurarla dipende la riuscita o la frustrazione della dottrina, e però il trionfo e la di- strazione della politica moralità. Vuoitu uno stato politicamente forte? (può dire la filosofia ) ecco le condizioni necessarie ed ec- cone i caratteri visibili. Le ricusi tu o ti ostini a sostituire quelle che ti piacciono? Ecco fatti certi e costanti che ti convincono che le tue sono rovinose e le mie sono salutari. Contro questi fatti che bai tu a ridire? Danque o devi cedere alla ragione o devi nau- fragare. Qual’ è la conseguenza che nasce da tutte queste considera- zioni a prò della dottrina della ragion publica e privata ? Che il prospetto di cui parliamo deve esprimere i tratti caratteristici di uno stato elevato alla maggiore sua potenza. A qual prò occuparsi delle statistiche quando ti manca il criterio onde conoscere se uno stato si trovi in una buona o trista condizione, se egli sia più vi-. cino o più lontano dalla prosperità cui può ottenere, se sia più o meno barbaro, più o meno civile, se sia più o meno sviluppa- to nel suo personale, se il suo territorio sia più o meno equamente distribuito, il suo governo sia più o meno ben ordinato ed ammi- nistrato, se sia o no suscettibile di miglioramento ec. ec. ? Ma sen- za un modello ideale che serva di tipo o di punto di paragone, è forse possibile di poter pronunciare giudizio veruno? Io dico poco: senza di questo modello è forse possibile nemmeno il ricercare ed il raccogliere le notizie necessarie ad un utile statistica e tralasciare le oziose ? Ora questo modello e questo tipo si ottiene appunto col prospetto di cui io parlo, ed anzi tutto consiste in questo prospet- to risultante non da arbitrarie ma da necessarie e dimostrate con- dizioni. Egli è tale che nell’atto che ti addita le condizioni visibili della vera potenza politica , dissipa o previene le illusioni di un disastroso splendore che suole pur troppo affascinare. Egli inse- gna a non emalare un'eccessiva industria, la quale nei giorni della mala fortuna diviene una somma calamità, Egli insegna a non invi- diare stabilimenti, i quali suppongono grandi malattie politiche. Egli insegna a non imitare certe istituzioni, le quali o deprimono od esaltano soverchiamente le suste politiche e rovinano gli stati ec. Proporre questo modello, esaminarlo a parte a parte, dimo- strare solidamente la necessità di ognuna di queste parti, farne ve- 'T. XXIII. Settembre. 5 66 dere il nesso e l’azione separata e unita, e gli effetti conseguenti, ecco in ultima analisi in che consiste la maniera di trattare la ci- vile filosofia. Prima però di proporre questo modello, conviene prepararne gli elementi onde il successivo esame di lui proceda libero e spe- dito. Così prima di dar mano ad una fabbrica preparare si debbono i materiali di già raffazonati. Ecco appunto ciò che io intesi di fare pubblicando l’introduzione allo studio del Diritto Publico Univer- sale. Potrebbe nascer dubbio se il prospetto da me voluto possa essere anticipato come oggetto della teoria, pel motivo che egli è un risultato di molte anteriori ricerche. A ciò rispondo che non convien confondere le competenze di una dottrina contemplativa colle competenze di una dottrina operativa. Oltreciò non conviene confondere una prirma adombrazione delle condizioni di uno stato colì’ ultima e ben tessuta rappresentazione dello stesso. Io mi spie- go sull’uno e l’altro punto. i La buonao cattiva qualità dei metodi deve desumersi dai bi- sogni della mente nostra. Il miglior metodo sarà quello il quale nella maniera la più breve, fa più facile e la più proficua appor- terà le più certe cognizioni delle quali abbisognamo. Talvolta ab- bisognamo di sapere le qualità delle cose : talvolta poi abbisognamo di sapere da che deriva un dato effetto. Quando vogliamo conosce- re i caratteri delle cose, la mente nostra versa sulle relazioni d’iden- tità e di diversità, sia di qualità sia di quantità. Quando poi voglia- mo conoscere la effettiva derivazione, noi versiamo sulle relazio- ni di causa e di effetto. Qui non finisce ancora la cosa. Volen- do noi operare in natura , convien conoscere le relazioni di causa e di effetto fra la nostra potenza personale e quella delle cose sulle quali vogliamo operare. Qui proponiamo l’effetto come conosciuto. Ma siccome la causa e l’effetto sono necessariamente contempora: nei, così l'ordine successivo di fini e di mezzi da noi immaginato non esiste se non logicamente, vale a dire non esiste in natura ma soltanto nella mente nostra. Voi dunque comprendete esistere due rami distinti di logica, l'uno dei quali non si può confondere coll’ altro. Il primo serve alle dottrine dirò così qualificative, e l’altro alle dottrine operative, sia della natara che degli uomini. Fu detto da alcuni che l’arte .di ragionare non è che un giuoco d'identità e di diversità, Se si parla del primo ramo di logica questo è vero: ma se s’intenda di parlare in generale ciò è assolutamente falso. Altri sono i mezzi che servono per formarsi l’idea propria d'una cosa quale può essere appresa per le sue forme, e dirò così per la sua fisionomia, ed al- 67 tri sono i mezzi per acquistare idea della sua attitudine , ossia della capacità a produrre qualche effetto. Io veggo un martello e ne esamino la figura; l’idea che ne risalta mi rappresenta le qua - lità sue caratteristiche. Se poi penso agli usi ai quali può servire, . allora mi formo l’idea delle qualità sue operative che io denomi - no attitudini. Le qualità caratteristiche riguardano l’essere : le ope- rative riguardano l’energia. Le prime servono per rappresentare un dato modo di essere. Le seconde per rappresentare la poten- za a fare qualche cosa. Le prime sono conseguate alla contem pla- zione : le seconde sono trasmesse alla potenza esecutrice. Ritenuta questa distinzione, io domando se colla cognizione sola delle qualità caratteristiche, voi possiate indovinare le attitu- dini? Interrogate l’esperienza giornaliera nel vedere qualche nuo- vo istromento a voi ignoto. A che serve egli (voi domandate)? Qual è la conseguenza di tutto questo ? che la cognizione delle attitudini ossia della ragione di fini e di mezzi, convien dedarla da fonte di- versa da quella delle qualità caratteristiche delle cose. Domando inoltre se dal nudo senso di un bisogno voi possiate dedurre la qualità dei mezzi a soddisfarlo ? Se ciò fosse, voi mi ri- , spondete, la medicina non sarebbe scienza sperimentale che riposa su serie di anteriori osservazioni. ‘Che cosa danque risulta per le scienze operative? O mi parlate della loro prima invenzione, o mi parlate della loro esposizione. Se della invenzione, egli è manifesto che esse non possono nascere fuorchè da un corredo di esperienze ; dalle quali apparisca che un dato effetto deriva da una data causa assegnabile (la quale non è in sè stessa che un effetto), o da un dato atto della nostra potenza. So che la cariosità e l’inerzia uma- na non sogliono procedere d’ordinario per questa via, e si valgono delle analogie più o meno grossolane adatte alla sfera dell’attuale umana intelligenza, ma'so puranche che la via degli accertati espe - rimenti è l’unica ragionevole e sicura. Radunati gli esperimenti nascono gli aforismi. Così la storia diviene maestra della vita. Così si verifica nel periodo dell’ inven- zione il detto di PLATONE, che le leggi non vengono fatte dagli uo- mini ma dall'andamento del tempo. Questo detto ripetuto da altri, e del quale alcuni moderni hanno abusato, sognando una GIURISPRU- DENZA STORICA (la quale dopo l’invenzione dei principj e delle re- gole diviene criminosa), si restringe giustamente nel periodo dell’in- venzione. In questo periodo appanto si adunano i primi materiali della dottrina operativa; dico i primi materiali, perocchè la teoria non sorge che dalla cognizione delle leggi naturali costanti, le quali 68 risaltano dalla completa collezione e dalla dimostrata combinazione | degli aforismi. Che se poi parliamo dell’esposizione delle dottrine operative, allora nasce lo stesso metodo di quello dell’esposizione delle dot- trine contemplative. Se in queste proponete una definizione fi- glia dell'analisi, voi realmente presentate una cosa con tuttii suoi ca- ratteri essenziali e distintivi da ogni altra cosa. Così pure se nelle dottrine operative voi presentate un’opera già meditata da farsi, voi la proponete con tutte quelle parti che non ripugnano alle leggi conosciute dalla natura e dalla sfera della potenza umana, ed anzi con quei requisiti dai quali deve risultare. Ecco il punto in cui comincia l’ARTE. Essa non è ancor nata durante il corso sperimentale, ma sorge unicamente quando l’uomo conosce il modo di prodarre un dato intento. Essa dunque è figlia della logica ope- rativa. Essa propone un opera della quale già conosce l’indole ed i mezzi di produzione. Esporre dunque l’opera finale dell’arte so- ciale, esige essenzialmente la cognizione precedente delle condi. zioni necessarie di quest'opera, dedotte mediante la logica opera- tiva. Ciò che rimane egli è il dimostrare per quali mezzi e con quali circostanze quest'opera compiere si possa e debba dagli uo- mini e dalle società, i Venendo ora al primo prospetto degli stati ad uso della civile filosofia, voi vedete che in sè stesso altro non esprime che un’ope- ra da compiersi dagli uomini associati, e però forma il tema delle ricerche ed il soggetto tutto della dottrina. Ma per propor bene questo tema, si esige un corredo di esperienza e di cognizioni onde non proporre una cosa inutile od impossibile. Concedo che questa proposta è un risultato di una dottrina antecedentemente intesa dallo scrittore, come la proposta di un teorema è un risultato di antece- denti cognizioni di un geometra: ma per i lettori non è così. Per questi egli è lo stesso che mostrar loro una composizione nuova, onde in seguito farne loro conoscere la costruzione e l’utilità. Senza questa precedente cognizione vano od almeno difficile sarebbe il far intendere il congegno ed il giuoco delle parti singolari. Dopo ciò suc - cede la ricomposizione luminosa e dimostrata. Con questa ricomposi- zione si acquista la distinta e ragionata idea del primitivo prospetto. Col primo e preliminare tu vedi le condizioni assolute, le quali uno stato agricola e commerciale elevato alla sua maggior potenza deve in- chiudere, senza conoscere per anche come e quando possono e de- vono essere adempiute. Coll’ ultimo e finale prospetto poi tu vedi il come e il quando possa essere adempiuto, e lo vedi comprovato dalla necessità, e reso praticabile dalla natura. 69 Volendo trattare a dovere un argomento qualanque è forse per- messo procedere diversamente ? I cenni, i saggi, 1 colpi di vista, i quali sì facilmente accontentano la piccola curiosità e la molta impa- zienza dei moderni, non importano certamente le cure da me racco- mandate; ma coi saggi , coi cenni e coi colpi di vista soli, nè si pos- sono ben reggere gli stati, nè far procedere la scienza delle leggi e dei costumi. Posto così il tema ossia l’oggetto della civile Elos si doman- da CON QUAL ORDINE dovrà essere trattato? Noi conosciamo i prin- cipali argomenti: ma quali si dovranno far precedere e quali suc- cedere nella teoria onde ammaestrare nella maniera più breve , più facile e più proficua ? Rispondo che incominciar dobbiamo dall’ esaminare gli elementi della potenza risultanti dalla data posizione e modo di vivere di un popolo. Senza di ciò la nostra dottrina rimane tanto più vaga e tanto più lontana dalla pratica, quanto più è generale. Dunque convien co- minciare collo studiare il DATO GENERE DI VITA di un popolo, e ciò tanto più far si deve quanto più è provato che il dato genere di vita costituisce la cagione precipua e necessaria che dà forma al suo go- verno , alle sue leggi ed a’ suoi costumi. Questa è una verità così no- toria, che nell’ atto che dispensa da ogni dimostrazione, accusa il poco accorgimento di que’ scrittori che non vi posero mente e non ne fe- cero sentire tutta la forza e l'influenza predominante, e quindi non ne segnarono i rapporti attivi ed i risultati che ne derivano. Il mezzo termine massimo della dottrina teorica sempre starà nel genere di vita , il quale sotto lo stesso clima su lo stesso terreno e colla stessa posizione geografica può essere vario, e quindi a norma di queste varietà somministrare massime differenti. Nel caso nostro si suppone già dimostrato che il genere di vita sul quale fermar ci dobbiamo sia |’ agricola e commerciale. Ora vo- lendo ordinare le ricerche , come procedere si dovrà ? Rispondo che in primo luogo converrà determinare la posizione economica richie- sta dalla maggiore potenza di uno stato in via teoretica. In secondo luogo poi si dovrà ricercare il come , il quando e il dove questa po- sizione si possa effettuare. In breve noi incominciar dobbiamo dal- ordine teoretico e pratico del perfezionamento economico , che co- stituisce il primo e fondamentale articolo dell’ incivilimento. Ma posto questo genere di vita, col quale veramente viene ce- mentato il corpo fisico dell’amana società, noi ci accorgiamo di ave- re sotto la mano un oggetto suscettibile di varie forme e di diverse posizioni, finchè le soddisfazioni vengansi ad equilibrare coi bisogni. Nella vita stessa agricola possiamo figurare una rispettiva infanzia , o ACL APR adolescenza ; gioventà e virilità rappresentataci di fatto anche dalla storia. E poichè la mente deve aver sott’ occhio alcune: posizioni, e la dottrina deve provvedere alle pratiche occorrenze, così si possono e debbono figurare le tre seguenti posizioni, cioè : 1. Un popolo il ala incominci darante una barbarie primitiva: a volgersi all’agricoltura, e quindi a dissodare il terreno, a popolarlo e per tal mezzo a migliorare la sua sorte, e che quindi progredisca senza gl’ impacci dell’ interna malvagità o delle esterne conquiste. 2. Un popolo già incivilito che occupa un paese non coltivato nè popolato, ed invia colà colonie per popolarlo e stabilirvi città. 3. Un popolo ricaduto nella barbarie per lo sterminio degli uo- mini , delle leggi e della civiltà, praticato da barbari conquistatori, - e che deve ricondurre le cose all’ ordine civile. Qui come ognuno vede, versiamo sull’ ordine particolare del- l’ economico perfezionamento, perchè si tratta appunto di luoghi, di tempi e di circostanze nelle quali il sistema economico deve essere coordinato alla maggiore potenza dello stato coi mezzi praticabili da questi popoli. Dopo aver trattato dell’ ordine teoretico e pratico del perfe- zionamento economico, passar si deve nella stessa guisa a trattare del PERFEZIONAMENTO MORALE in relazione alla maggiore potenza dello stato, e supponendo seinpre una società agricola e com- merciale. Anche qui ritornano le tre posizioni esaminate nel perfe- zionamento economico, le quali debbono essere esaminate in relazione soltanto alla moralità , come furono esaminate prima in relazione alla sussistenza , ossia alla più diffusa capacità a procacciare la. sus- sistenza. Compiuta questa parle, convien passare a trattare dell’ ordine teoretico e pratico del perfezionamento politico di una società agri- cola e commerciale, in relazione sempre alla maggiore potenza dello stato, non dimenticando anche in questa parte l’ esame delle tre po- sizioni di fatto sopra ricordate. Coll’ esporre it triplice perfezionamento suddetto, noi sommini- striamo in sostanza la teoria dell’INCIVILIMENTO. Una cautela usar si deve onde la trattazione riesca luminosa ed utile per la politica. Co- me il conoscere ; il volere ed il patore intervengono sempre uniti in ogni operazione individuale, così pure intervengono uniti in ogni operazione sociale. Ma volendo noi discernere le leggi proprie di ogui ramo dell’ incivilimento, nè potendo disgiungere l’ azione simultanea di questi tre poteri, egli è necessario di usare di una giusta economia nel trascegliere i punti di osservazione. Senza di questa riserva, noi assorbiremmo nella trattazione particolare di un ramo ciò che ap- x 71 partiene ad un altro. Onde evitare pertanto ogni confasione, convie- ne por mente alle operazioni finali di ogni ramo, ed a questa subor- dinare l’ azione dei tre poteri suddetti. Così per esempio subordinia- mo alle operazioni agricole le cognizioni , i motivi e le opere necessa- rie a far prosperare questo ramo d’industria: così pure facciamo nell’ esporre la moralità civile e la politica : così finalmente operiamo nell’ ordinare tutta la politica potenza. Onde prevenire ogni scambio , avverto che in ognuna delle tre posizioni esporre si deve il rispettivo perfezionamento economico, mo- . rale e politico, con il giuoco rispettivo dei tre motori, cioè delle cogni- zioni , degli interessi e delle forze , e fare in modo che il quadro di ogni posizione sia compiuto. Così nell’esporre i diversi periodi della vita umana, noi in ogni periodo rendiamo conto della potenza , dell’ intelligenza e delle passioni di ogni età. Ciò tanto più far si de- ve quanto più è certo che noi non vogliamo questi quadri diversi on- de pascolare la curiosità, ma bensì per insegnare quello che far si de- te in queste posizioni. Ora posta questa intenzione voi vedete che noi cobbiamo necessariamente provvedere al triplice perfezionamento, e movere e dirigere i tre (poteri individuali e sociali giusta l’ ordine stabilito. Ecco in brevi cenni ciò che riguarda l’ esposizione della civile filosofia. Da questa filosofia derivar debbono le massime di diritto e di politica quanto alla loro forma e quanto al loro titolo. Ma quanto ai loro LIMITI essi dovranno desamersi dalla padronanza originaria di ogni concittadino attemperata dalle leggi della neeessaria convi- venza. Questi limiti e questo contemperamento sono commisurati dall’equità , motivati e sanzionati dall’ assorbente bisogno della so- ciale convivenza, senza del quale ogni ordine sarebbe inatile, ed ogni teoria sarebbe un romanzo. (LI SouvENIRS DE LA GRECE pendant la campagne du 1825, cu mé- moire historique et biographique sur Ibrahim, son armée, Kour- chid, Seve, Mari, et autres généraux de l’expédition d’ Egypte en Moree ; par H. LAUvERGNE. Paris, 1826. Un vol. 8.° Questo libro, benchè non si possa chiamare nè una storia; nè un viaggio, comprende nulladimeno gran copia di cose impor- tanti e curiose , che invano si cercherebbero altrove , e che vagliono mirabilmente a farci vedere nel suo vero aspetto la Grecia, e lo stato e le mire de’ suoi avversari pubblici e privati; e soprattutto a farci valutare le forze militari degli egiziani che la combattono, € la natura degli uomini che la governano. Il perchè noi stimiamo prezzo dell’opera l’ allegare pel nostro giornale sotto diversi arti- coli i passi più singolari di questo libro, essendo questa, a nostro credere , la migliore e la più atile maniera di farlo conoscere. L’autore arriva nel mese di genuaio 1825 nel porto della Suda nell’isola di Candia. — Sulle sponde di questo golfo profondo, am. mirabile e sicuro, era accampata l’armata d’Ibrahim Bey: men- tre cerca a farsi strada alla tenda del capo “ un’ arabo, che ci con-. duceva ; ci fece segno di entrare in una tenda vicina a quella, che appariva più bella delle altre , allorchè\un' uomo vestito alla foggia turca, e che parlava francese con un accento corso, prevenne i nostri desideri. Fammo ricevati con cordialità , ed entrati che fummo nella sua tenda, ci venne presentata la pipa ed il caffè, uso le- vantino in cui consiste quasi intieramente l’urbanità orientale . Quest’ incognito si chiama sig. Mari , ossia Bekir-Agà ; la sua sta- tara è mezzana, giallastro il colorito; la sua fisionomia annunzia un uomo che sa domar le passioni, a cui è soggetto ; i di lui occhi celesti e vivaci si muovono , allorchè egli vi fissa, come il tempo d’un’ orologio; ed infine una complessione gracile e svelta Compi- sce il suo quadro. Diceva egli d’ aver abbracciato la causa de’gre- ci con calore:, ma d’ essere stato talmente rivoltato dalla loro ingra- titudine, che sdegnato contro questa nazione l’aveva abbandonata, e recatosi per vivere , quasi condotto dalla sua stella per buona o cattiva che fosse , in Alessandria. Egli era stato capitano d’ infante- ria sotto Napoleone: ci mostrò diversi quaderni , ne’ quali aveva registrate le memorie delle campagne da lui fatte, ed anche al pre- sente, quantunque poco familiarizzato colla letteratura, aveva intrapreso a scrivere il racconto della spedizione del Pascià di Egitto. ,, « Un’osservazione che devo fare su quanto precede si è che tutti : 73 gli europei che servono Ibrahim, arrossiscono della loro posizione al cospetto dei loro compatriotti. Per dare un colore alla loro aposta- sia , dicono sempre, che la santa causa della religione avevali da principio entusiasmati a favore de’ greci, ma che questi conosciuti da vicino valgono meno degli arabi. Mari era istruttore dell’ armata, ed i servigi che rendeva in tal qualità dovevano riuscir funesti agli elleni; egli aveva trasportato in lingua turca /'école du soldat. In gran parte con tal soccorso si era pervenuti a dar della pre- cisione ed un coordinamento alle evoluzioni militari degli arabi. Egli ci tenne un linguaggio singolare, che trascriverò : ‘ Me- hemed Alì mi accorda diecimila franchi di paga . . . questo assegna- mento non m'impone altro dovere che quello di disciplinare una porzione dell’armata all’europea. Mi farò sempre uno scrupolo di tirare un solo colpo di fucile contro i cristiani d’ oriente; il pascià lo sà benissimo ; egli è anche ben convinto dell’ ostiriatezza del mio carattere , poichè, se avessi voluto rinunziare alla religione de’padri miei, mi avrebbe creato bey. Il sig. Sève, altrimenti ed anche più noto sotto il nome di Soliman- Bey, era in passato men caro di me a Mehemed, ed egli si è fatto suo coreligionario meno per ambizione che per avarizia, Io glie ne ho fatto degli amari rimproveri, allorchè lo riguardava con occhio ben differente da quello di oggi : al pre- sente poi, uso verso di lui anche minori riguardi: non ha guari, chiamandosi egli in mia presenza ex-colonnello francese : voi non lo siete mai stato , gli dissi ; l’anima d’un rinegato non puol aver mai nutrito sentimenti degni d'un colonnello francese. Ei ne rimase punto al vivo , se ne lagnò con Ibrahim, che n’ebbe pietà, e che mi fece sapere dal mio bey di evitare delle scene con Soliman. Voi non resterete punto maravigliato dell'odio ch’io porto al sig. Sève, quando saprete ch’ io sono corso , e quanti torti ha egli voluto furmi. ,, “ Mentre noi ammaestravamo gli arabi in Alessandria, il pa- scià volle un giorno veder coi suoi occhi i loro progressi; io li feci inanovrare in sua presenza, e finito l’ esercizio, domandò al sig Sève cosa ne pensava: la cosa non va tanto bene quant’io’l vorrei , re- plicò egli; ma la cosa non può andare diversamente, poichè Mari altro non è mai stato nelle nostre armate che un capo tamburo. Fe- licemente , i fatti parlarono, ed il pascià si degnò di continuarmi la sua confidenza. Ecco , signore , su qual piede io sono con Soliman- Bey. Quest’ uomo, che non tarderete a vedere , è un vero ciarla- tano della professione di soldato; desso è aborrito da tutti i capi dell’armata; nè conserva per altro mezzo il favore d’Ibrabim , che con fargli sicuri i trionfi , e con le favole che gli racconta sulla sua 4 a importanza nelle ultime rivolazioni di Francia. Ei pretende di farsi credere dagli stranieri un eroe sventurato, Del rimanente non tarderemo a vedere qual sia la maravigliosa bravura , di cui fa pompa ; ei comanda a degli arabi, che lo temono e l’odiano ; se s'im- magina di comandare ai soldati di Austerlitz, s' inganna a partito; la forza morale della nostra armata risiede intieramente nel fanati- smo religioso: non si cessa di predicar loro, che voleranno ad un’ eterna felicità, se muoiono battendosi con i cristiani. Sono con- vinto ch’ essi morranno coraggiosamente, ma il loro sangue sarà versato invano. Immaginatevi , signore, che nel nostro tragitto da Alessandria in Candia , noi fummo contrariati da una corvetta greca che ardì inseguirci e tirare sopra di noi con delle palle, delle quali alcune ci colpirono e ci cagionarono qualche danno. La prima palla che giunse a bordo della nostra fregata , colpì gli arabi di spavento tale , che caddero tutti boccone , e nou vollero rialzarsi, amando di morire anzichè rendere ai greci la pariglia. « Quì Mari avendo posto fine alla sua diatriba contro Solimano, ci propose di fare il giro del campo. Io vedeva gli arabi rannicchiati come tanti selvaggi in gruppi di sei, attorno d’ un focolare scavato nel centro d’ un’ angusta tenda. Mi rammento , che volgendomi ad un mio compagno di viaggio, gli dissi più d’ una volta : credereb- besi mai che simili bruti sian forse per essere gli agenti della ul- teriore schiavitù de’ greci! Quest’ idea gigantesca non poteva en- trarmi in capo: il solo fanatismo religioso poteva, a parer mio, ope- rare tal miracolo. L’ aspetto d’ uomini mal vestiti, d’un colore * olivastro , d’ un’ apparenza infelice e mal sana, ecco quanto attirò la nostr’ attenzione durante la nostra passeggiata/, che durò un’ ora e mezzo. ,; « Kouwrchid-Bey , uno dei tre comandanti dell’armata rientra- va per l’ appunto nella sua tenda ; ei fu avvertito che alcuni francesi desideravano di vederlo, e vi acconsentì senza indugio. Il sig. Mari , che d’ora innanzi chiamerò Bekir-Agà ,) nome ch’ egli ha assunto e sotto il quale è conosciuto nell’ armata , ci presentò a Khourchid , primo generale d' Ibrahim. Qaesto personaggio è figlio d’ una cir- cassa e non ismentisce la sua origine, e anzi alla bellezza delle sue forme va debitore della sua elevazione ...... Khourchid ha reso in seguito non pochi servigi al Pascià di Egitto; allorchè questi ri- volse le sue armi contro la Mecca , il suo giovine favorito dette delle ripruove di coraggio: egli perdè due dita in un conflitto, acquistò quindi dei dritti ben naturali alla riconoscenza di Mebe- med. Questo generale degli arabi non ha verun principio di tattica militare : ciò non ostante prende delle lezioni di maneggio del fu- 75 cile, e lo stesso Bekir-Agà è incaricato di questo singolare officio. I di lui progressi non corrispondono alle sue brame. In tal modo i capi- tani della sua armata sapevano già comandare l’ esercizio , quando egli era ridotto ad ammirare lo spettacolo d’ un’ armata che mano- vra , senza poterla comandare. Bekir-Agà è per Khourchid quel che è Soliman rispetto ad Ibrahim ; ei d’ altro non gli parla se non che degl’ innumerevoli trionfi delle armate francesi; gli dà la speranza di vedersi collocato un giorno nel rango dei generali famosi del seco- lo ; in una parola dei racconti puerili e la scuola del plutone sono le uniche basi, sulle quali è fondato il potere di questi uffiziali della vecchia armata. « Avendo interrogato Bekir-Agà sulla paga dei soldati d’ Ibra- him , ecco la risposta che ne ricevei ; un’ arabo, qualanque egli sia è schiavo del pascià, e come tale la sua vita non è più la sua proprie- tà: egli deve anzi essere riconoscente a colui che glie la conserva, e chè si degna annoverarlo nella sua milizia : di sorte che un soldato arabo non riceve paga, e tutti i vantaggi che ritrae dal suo mestiere si ristringono ad un’ oca di farina, vale a dire ad un Kilogrammo circa , e ad una mezz’ oca di legumi per il pasto giornaliero : avendo questo , l’arabo si reputa l’uomo il più felice del mondo, perchè se paragona la sua situazione colla sorte che lo aspetta in Egitto, il vantaggio è in tutto in favore di colui che vive nel campo. Il pascià deve rivestirlo una volta ogni due anni, Il suo uniforme è composto di calzone e casacca di panno rosso molto ordinario e di cattiva tin- ta, d’ un cappotto col cappuccio e d’ un’pajo di scarpe ogni sei mesi. I diversi oggetti di vestiario ci vengono spediti d’ Europa , mal con- dizionati e di cattiva qualità , talmentechè non bisogna panto mara- vigliarsi, se la nostra gente è in gran parte nuda. Si aspettano da Marsiglia ventimila uniformi , e specialmente dei cappotti che la ga- rantiscano alquanto dal freddo . . ». « Non è egli a temersi, dissi allora a Bekir Agà; che le sue truppe non si rivoltino, o non servano la causa d’ Ibrahim con tutto l’ entusiasmo necessario per vincere? Si è preveduto tutto, replicò egli; gl’Iman o capi della preghiera sono scelti tra gli arabi maomet- tani, e quelli che, trà questi ultimi si distinguono sopra tatti gli altri per le cognizioni 0 per un carattere superiore, sono nominati capitani di compagnie. Abbiamo nell’ armata degli arabi che hanno un grado corrispondente a quello di luogotenente colonnello. Per grande però che sia l’ elevazione d’uno schiavo militante, egli è sempre sotto- messo a questa degradante disciplina che Mehemed ha inventata nello scopo di tener sempre viva nella loro memoria l’ umiliazione 76 del loro stato ; laonde è il bastone l’ argomento. terribile del pascià onde mantener l’ ordine e la tranquillità. Se un arabo decorato del titolo di capitano manca al più semplice de’ suoi doveri , egli riceve. cinquanta bastonate; non v° è altra differenza nei castighi tra i sol- dati ed i capi, se non quella che gli ultimi ricevono le bastonate dalle mani del bey o colonnello : la degradazione morale presso gli arabi è tale , che l’ insigne favore d’ esser bastonato dal suo capo , li con- sola dei dolori del castigo. Noi abbiamo spesso tentato di cambiare gli ordini d’Ibrahim su tal particolare ; ma non vi siamo riusciti. So- liman gli ha rappresentato che l' uso del bastone non era il mezzo opportuno per giungere alla disciplina europea : egli aveva ottenuto una specie di proroga , come per fare una pruova ; ‘ma i risultati so- no stati negativi : gli arabi , ai quali applicavansi le pene de’ nostri codici militari, non intendevano il linguaggio dell’ onore : essi ricad dero nelle medesime colpe, commisero anche dei delitti, e non si per- venne a rimediare alla loro insubordinazione , che rimettendo in vi- gore l’ uso del bastone. ‘6 E quì narrerò anticipatamente che nel campo di Navarino , un capitano fu accusato d’ insulti fatti al suo tenente colonnello ara- bo: ilsig Sève fece radunare il suo reggimento, ed amministrò , in presenza mia, cinquanta”bastonate al disgraziato uffiziale. ....... Si sentirà sempre più l’ effetto fatale prodotto sugli affari della Gre- cia dagli uffiziali usciti dalle nostre armate. Senza di questi, la libe- razione della (recia non sarebbe più problematica. lo penetrai lo stesso giorno un gran segreto, di cui più tardi Soliman Bey mi pose intieramente al fatto. « Il Pascià di Egitto che colla sua spada aveva conquistato il suo regno , non era in conto alcuno un turco ordinario ; € ciò che ne dava una pruova spaventevole , si era il sistema di governo da esso imma- ginato. Gl’ immensi tesori ch’ ei raccoglie dal suo commercio , servo - no a mantenere un’ armata , a costruir fortificazioni , ad attorniarsi di tatti gli uomini istruiti, che vorranno servire la sua fortuna, e render |’ Egitto la culla d’ un incivilimento nascente. Tutti i sudditi del suo regno sono padroni della loro industria sino al momento della maturità dei prodotti ; essi possono manifatturare, piantare, ec. ma quando i risultati sono evidentemente cogniti, devono informar- ne il pascià che se ne fa compratore a quei prezzi che gli piace di accordare. In tal modo |’ Egitto è un’immensa fattoria , della quale Mehemed Ali è il capo. « Gome capo della preghiera, Mehemed-Alì non è un intolle- rante, come potrebbesi immaginare ; la sua credenza è molto debo- 77 le; egli beve vino e giunge talvolta a scherzare sopra certi punti, a segno che nn buon musulmano ne sentirebbe raccapriccio. La sua maniera di ragionare si accosta all’ ateismo , e riferirò altrove il di- scorso che tenne al sig. Sève per impegnarlo ad abbracciar l’islami- smo. La sua deferenza per tutti gli uomini istruiti, ed il suo tra- sporto per le belle invenzioni delle società incivilite ; provano ad evidenza , che le massime dell’ aleorano non sono in tutta la loro pa- rità l'oggetto della sua fede. Di fatti, se Maometto ha preteso che nell’ alcorano siano contenute tutte le scienze , colui che alcuna cosa imita desunta dalle vanità dell’ incivilime nto, cessa di conformarsi ai precetti dell’ islamismo: ma it pascià di Egitto esige che si pre- sti tutto l’onore alla religione nel suo regno, e che gli arabi tutti os- servino a rigore le prescrizioni del loro divino profeta. I suoi iman vengono attorniati da lui di quanto può dar rilievo al loro sublime ministero. Ciò era ben naturale, e volendo egli rendere la sua re- ligione un freno capace di ritener nel dovere degli schiavi, doveva innanzi tutto applicarsi ad incutere negli animi un rispettoso ter- rore per coloro che a farla osservare sono prescelti. Io stesso ho veduto Soliman-Bey assistere alla preghiera con angelico fervore; mentre l’iman cantavala d’innanzi la sua tenda, io l’ ho veduto fissar con sinistro sguardo gli arabi che dimenticavano l’ umile po» situra in cri dovevano stare in simile circostanza. Quanto io narro, costituisce in grande la politica di Mehemed-Alì. Questa ragionata barbarie da esso esercitata sopra i suoi tributari non deriva forse dal di lui cuore; ed ardisco pensarlo, egli non è indifferente alle attrattive che offrela cultura delle arti belle: sno proposito è quello, a quanto egli asserisce, di creare una vasta scuola, nella quale col- merà de’ suoi favori gli artisti europei che verranno ad ingrandire la loro immaginazione coll’ ammirare i capi d’ opera di antichità che l’ Egitto racchiude, quali egli intende di raccogliere in un museo. ,, “ Durante il mio soggiorno alla Canea non accadde alcun’av- venimento rimarchevole. Vidi con dolore che tutti i negozianti eu- ropei avevano abbandonato questa città ormai in preda all’ anar- chia , e il di cui commercio era totalmente rovinato dipoi la guerra, e sopratutto dipoi che i boschi di olivi erano stati devastati dagli arabi. La Canea, città veneziana, ben fortificata, cade in rovina; lo stupido pascià, che n’è il governatore, lascia demolire dai flutti la densa muraglia che chiude la darsena, dimodochè fra non molto i bastimenti di commercio non vi avranno più un ricovero, ,, « Alcuni giorni dopo il nostro arrivo in Candia, Ibrahim pascià venne colla sua flotta ad ancorarsi nel porto della Suda. Cinque 78 fregate , tre brick , e diversi minori bastimenti da guerra formava- no la sua scorta. ... La fama ; che aveva prevenuto l’ arrivo d’Ibra- ‘ him nel Peloponneso , riempiè di spavento i greci, e gl’ indusse a tenersi in riserva. Se la flotta egiziana fosse stata quella di Costanti- nopoli sarebbe stata esterminata sin dal suo primo apparire nel mare della Jonia. Soliman-Bey mi ha accertato , che alcuni brigan- tini greci avevano osato avvicinarsi alla fregata d’Ibrahim, e che solo è mancato ai capitani idriotti |’ ardire di Canaris, onde por fine in un giorno alla famosa spedizione del Peloponneso. ,, ‘ Le fregate recentemente giante, sbarcarono le truppe ed i cavalli; quanto ad Ibrahim, io allora nol vidi; egli non si recò mai alla Canea, e restò costantemente a bordo del suo vascello. L’indimani di quest’ avvenimento il sig. Sève si presentò al sig, Collaud console di Francia, Io ritornava da un’ escursione fatta sulle montagne, e non fui poca cosa maravigliato di trovarmi al mio ritorno in presenza d’un uomo , la di cui fama cagionava lo spavento di tutti gli elleni. Ho fatto osservare di sopra, che gli uffiziali, i quali servono i tarchi o i greci , sono irrequieti al cospetto degli stranieri , finchè non abbiano fatto loro il racconto delle loro avven- ture. Il sig. Sève, ora Soliman-Bey, è più di ogni altro comuni- cativo. La rimembranza della sua apostasia lo tormenta : sembra che nel pubblicare i motivi che a sì odiosa rinunzia lo hanno in- dotto egli trova qualche tregua ai rimorsi che lo lacerano. ,, Il sig. Sève è d’una statura alquanto più alta della mezzana ; ha la testa grossa, il viso largo, occhi celesti e penetranti ; egli porta delle enormi basette , che si diverte a sollevare continuamente ; il vaiuolo lo ha sfigurato ; nulladimeno |’ insieme della sua fisonomia impone rispetto e comanda ubbidienza. Egli parla benissimo il fran- cese, ne è mancante di quell’erudizione superficiale, necessaria nella società; il tuono però edi modi d’un granatiere non lo abbando- nano mai. Egli ha, si può dirlo, un linguaggio suo proprio : i di lui discorsi sono un inisto di bello, di sacro , d’indecente , di abomine- vole, e la più colta riunione di persone non lo impedirebbe dall’usare un tal garbuglio. ;, “ Ecco , in brevissime parole , l’ istoria delle vita del sig. Sève, sino al giorno in cui feci la sua conoscenza. Egli stesso me ne fece il racconto in questi termini. “ Io sono , diss’egli, figlio di un mugnaio di Lione ; all’ età di anni 18 vedendo che mio padre guadagnava appena di che vivere, lasciai il mio paese, e mi arruolai, in qualità di soldato , nel secondo reggimento d'artiglieria di marina , di guarnigione in Tolone. Io aveva scelto questo corpo militare senza conoscerlo : ma quando mi a I 79 avvidi della prospettiva che aveva dinnanzi me, mi pentii della mia inconsideratezza. Io doveva rimanere lungo tempo soldato , giac- | chè vi sarà noto che i miei amici , i quali hanno continuato a servire nell’ artiglieria , appena sono tenenti o capitani in oggi, vale a dire dopo 18 anni di servizio, Era stato nominato foriere , quando un giorno ebbi il capriccio di disertare , come feci prendendo la strada d’Italia : colà , procurai d’ interessare un generale che conosceva va- rii individui della mia famiglia ; egli mi arruolò nell’ infanteria e fece annallare il decreto di deserzione lanciato contro di me. A_mal- grado di parecchie ingiustizie, alle quali dovetti soggiacere , si pensò qualche volta al mio avanzamento, e all’epoca della caduta di Na- poleone , io mi trovava essere capo di squadrone e decorato di vari ordini. Mi toccò in sorte d’ esser messo alla mezza paga; venni a Parigi a farvi mostra della mia miseria e a dimandare un impiego, Era realmente sgomentato : assuefatto da alcuni anni in poi a certi comodi, contrassi dei debiti per continuare quel genere di vita e per dar di che vivere a mio padre ed a mia madre. Essi vivono tuttora, e van debitori della mediocre felicità di cui godono, ad una pensione ch’ io fo loro di due mila franchi. ,3 “ Il caso, che regola talvolta gli avvenimenti della vita, volle che nel 1815 io mi trovassi sulla strada che percorse Buona- parte, allorchè tornò dall’ isola dell’ Elba a Parigi. Mi ascrissi im- mediatamente sotto il vessillo dei malcontenti, e fui spedito con tutta sollecitudine a Tolone, per farvi inalberare i nuovi colori. Colà , m’imbattei con parecchi de’ miei amici militari, i quali ri- ‘masero non poco sorpresi del mio avanzamento , e che mì domanda- rono la mia protezione. Terminata la cerimonia tornai a Parigi , ove fui nominato tenente-colonnello, e aggiunto in qualità di aiutante di campo al sig. maresciallo Grouchy. Fui presente alla battaglia di Waterloo , e testimone della caduta dell’ uomo straordinario e dei disastrosi avvenimenti che distinsero questa funesta epoca de’ nostri annali. Fui incaricato di eseguire un piano importante nell’ affare di Ney, ma il mio progetto andò a vuoto. Nulla avendo più ad aspet- tarmi in Francia, e minacciato d’un processo criminale, il di cui esito non era punto problematico , partii dalla capitale, e venni ad imbarcarmi a Marsiglia per Alessandria. ;; « Tutto il mio avere riducevasi, all’ epoca del mio arrivo in Egitto, ad un miserabile vestito di panno, a ventisette franchi, e alla speranza. Io feci il quadro della mia miseria a M..... che ne parlò al Pascià di Egitto ; quest’ultimo richiese di vedermi, e tutta la nostra conversazione si ristrinse alle pruove ch'io diedi del gra- do , che aveva ottenuto nelle armate francesi. lo non ho bisogno di 80 voi , mi disse Mehemed , ma voi siete infelice e devo trattarvi come una vittima d’un grand’ infortunio. Restate pure in Alessandria , io provvederò a tutti i vostri bisogni. Verrà forse il giorno, in cui mi sarà permesso di riparare a riguardo vostro l’ ingiustizia della sor- te. Queste magnifiche parole non mi avrebbero fatto alcuna im- pressione nella bocca d’ un cortigiano , ma io già sapeva sino a qual segno sono i turchi restii a promettere, e la puntualità con cui si fanno un dovere di mantenere le promesse fatte. L’indi- mani di questa conferenza seppi che il pascià mi aveva accordato un’ assegnamento di ventiquattro piastre il giorno , ed inoltre rice- vei un mandato per andare a riscuotere dal suo tesoriere un mese anticipato. Vissi in Alessandria in una completa nullità. Il console di Francia , persona di nobil carattere e di inalterabile bontà ; porse un’ asilo alla mia miseria, e fu meco liberale di consolazioni. Io ne aveva un’ assoluto bisogno : non si può ricordare l' nltimo addio che si è dato alla Francia , senza versare lacrime amare. Una cit- costanza che non devo tacere , si è quella che il mio nuovo pro- . tettore possedeva tutta la confidenza del Pascià d’ Egitto, e forse. alla di lui generosa raccomandazione io andai debitore d’ esser chiamato più volte presso Mehemed , di esporgli le mie necessità , e di ottenere tutto ciò che potesse migliorare la sorte d’ un uomo esiliato. Eran già due o tre anni che io mi addormentava sul mio destino ; io aveva dimenticato tutto ciò che mi era stato caro al mondo , tranne il mio vecchio padre ; bisognava pur pensare a far qualche cosa , onde richiesi al capo dell’ Egitto di rendermi in qual- che sorta utile per il suo servizio. Egli tardò alcun tempo prima di darmi risposta ; finalmente mi mandò un giorno a cercare e mi domandò in termini ‘generali se io m’intendeva alcun poco dell’esca- vazione delle miniere di carbon fossile, poichè ve n’era una situata nelle vicinanze della Mecca, a quanto gli era stato riferito, della quale era intenzionato di trar partito. Risposi negativamente, sen- za però confessare d’esserne totalmente ignorante ; ma egli mì battè dolcemente sulla spalla e dissemi ridendo che gli europei tutto sape- vano, e chenon aveva alcun dubbio sulla mia esattezza. Le istruzioni che mi diede si limitarono a raccomandarmi un'ispezione severa sugli operai impiegati agli scavi, quindi soggiunse in modo generico “ voi sorveglierete quasi senza volerlo un certo bey, che mi nominò, le di cui intelligenze cogliamici della Porta gli sembravano sospette. Partii dunque ricolmo de’ suoi donativi, e dopo pochi giorni di cammino giunsi al luogo, per dove era destinato. L'azienda del carbo- ne era in sè stessa un’inezia ; de’ napoletani avevano esagerato agli occhi di Mehemed l’importanza di sì ricco ritrovato nel suo 8I regno, ed egli vi aveva speso delle forti somme, per lo meno senz’ alcun frutto. Scrissi dunque al pascià informandolo dell’ er- rore de’ nostri pretesi mineralogisti : egli non fece che riderne, ma nella sua risposta m’inculcò nuovamente l’ordine di rimanere, per la stessa ragione di sorveglianza che vi è già nota. « Conobbi allora il vero motivo delle inquietezze del pascià ; come suddito ribelle , egli era incorso nella disgrazia della-subtime Porta, e si era inoltre sottratto colla forza al fatal cordone che il sultano spedito gli aveva per istrangolarlo. In mezzo a tante prosperità egli aveva a temere i segreti emissari di Costantinopoli, e coloro che dimorando in Egitto per necessità null’ altro diman- davano che di servire i capi dell’ impero, onde ottenere nella ca- pitale una onorevole esistenza. Mentre però io vegliava sugl’inte- ressi di Mehemed, non tardai ad avvedermi, ch’ era divenuto io medesimo il bersaglio d’un’ odiosa cospirazione : dovevo essere as- sassinato: facendomi ardito affrontai il pericolo, e andai dritto al seguo costringendo lo sleale bey a battersi meco in duello ; la mia minaccia spaventollo a tal punto che volontariamente abbandonò l’ Egitto , ove non ravvisava più la possibilità di giungere ai suoi fini. Questa notizia fu molto grata a Mehemed; egli mi richiamò presso di lui ; e vi restai per alcun tempo in ozio. La sonamossa dei greci venne a fissar gli sguardi di tutti i sovrani :il pascià d’ Egit- to, le di cui vedute politiche sono totalmente diverse da quelle dei tarchi di Bisanzio, non entrò già a parte del cieco sdegno d’un pugno d’ ignoranti ministri, che nel loro delirio proclama- rono l'esterminio di tutti i greci , senza inquietarsi se una tal ven- detta non fosse scevra di qualche pericolo per coloro stessi, che an- drebbero ad esercitarla. Mentre la Porta dispiegava tutti i suoi mezzi di conquista , Mehemed rendeva i suoi rapporti colla metro- poli ineno frequenti, e pose il pensiere senza farne parola ad alcuno a consolidar la sua difesa ; fu da questo momento che egli portò ad effetto il progetto da lungo teinpo immaginato , di creare cioè un’ar- mata e di disciplinarla a somiglianza di quella alla quale it pascià aveva già veduto operar cose tanto maravigliose in oriente. In tal modo non fa la ribellione de’greci, come si disse, che suggerì al so- vrano dell’Egitto l’idea d’organizzare una milizia, poichè la crea- zione di questa figurava anticipatamente in un piano di governo ch’egli mi comunicò più tardi. « Noi tenemmo una lunga conferenza col pascià su i mezzi più adatti al compimento di una sì importante intrapresa. Cominciai pri- mieramente dal formare un battaglione cogli arabi volontarii; il sue» T. XXIII. Seccembre. 6 82 cesso corrispose alla mia aspettativa, e quando, due mesi dopo, Mehemed volle accertarsi dei progressi che facevano i miei coscrit- ti, rimase incantato di questo nuovo metodo di combattere, e mi or- dinò di presentargli uno stato delle spese occorrenti per due reggi- menti. Le armi ed il vestiario furono in tutta fretta domandati ai fornitori ‘di Marsiglia; questi non tardarono a giungere, e per la pri- ma volta. della, sua vita. il pascià ammirò lo spettacolo singolare de’suoi schiavi armati per assicurare la tranquillità del loro signore. Ma io era soltanto l’istrattore di questi uomini, ed abbisognavano dei capi per commandarli e per mantenere la nascente disciplina. Le leggi dell? oriente non permettono che un cristiano eserciti la me- noma autorità sovra i musulmani, in modo che col fatto io non po- teva aspirare ad alcun comando. Il pascià d'Egitto mel confessò li- beramente, e .mi lasciò la scelta tra i due partiti che vado a specifi- care: egli. mi nominava bey, se consentivo a rinunciare alla mia reli- gione, ed in caso di rifiuto doveva conservarmi il titolo di primo istruttore della sua armata, titolo onorifico, ma che escludeva qua- lunque potere militare. Dimandai del tempo a riflettere, e mi era quasi determinato a ricusare qualunque favore, allorchè uno stima- bile personaggio piegò grandemente la mia ostinatezza , adducendo- mi vari argomenti, de’ quali il più forte era questo : La Francia vi ha rispiuto dal suo seno; la speranza di rientrarvi non può lusingar- vi; il re d'Egitto vi adotta per suo: crediatemi, una fertile contrada per patria ed un potente re per protettore valgono più di quanto voi abbandonate. Alcuni giorni dopo mi dimandò Mehemed, se avevo al- cuna risposta. a dargli, e senza aspettarne da me, egli continuò in que- sti termini, Sò bene cosa vi inquieta; è il cambiamento di religione; se potessi dispensarvene, lo farei, ma nol posso senza offendere le predizioni del nostro legislatore sulla durata del nostro impero ; fi- nalmente, il sacrifizio ch’io v’impongo non è così grande, e se io ma- omettano mi trovassi presso il re di Francia, non esiterei un’ istante a rinunciare a Maometto per abbracciare la religione della mia nuo- va patria: facciamoci per un momento superiori al comune degli uomini; Dio non è egli uno, ed indivisibile per tutti gli esseri, ed è . colpa. vostra o mia l’esser noi nati nella religione de’nostri padri? il” caso ha fatto sì, che abbiate trovato in Egitto patria ed amici, il do- vere e la riconoscenza v'impongono l'obbligazione di adottare i no- stri costumi; conservate pure ne'la vostr’anima quell'idea di Dio quale vi siete formata, ma sin da domani annunziate al capo della preghiera l’intenzione di farvi musulmano, Il pascià quindi sorrise, ed accostandomisi all'orecchio: “ Quanto alla cerimonia, soggiunse, 03 questa si passerà intieramente tra voi e me ,,. Rimasi convertito da un tal discorso; e considerando il mio nuovo stato come di mera con- venienza, dissi e feci tutto ciò.che si volle per rendermi degno dei favori annessi alla mia finta apostasia. Non vi date a credere, signo- re, che io abbia cessato d’ essere cristiano; il mio cuore ha sempre smentito quanto la mia bocca diceva; e siccome non dispero di rive- dere un giorno la Francia, desidero che tutti i compatriotti che in- contrerò nei miei. viaggi; conoscano questa. particolarità della mia vita. [o era dunque un navvo convertito, e gl’imani m'iniziavano nei misteri della per ine novella fede, allorchè un giorno ricevei da par. te del pascià l’ordine di non sortire di casa, perchè avevo mancato a sua Altezza Ibrabim. Questo rigore mi conturbò: cominciai a sentire il peso de’miei nuovi legami, ed andavo a prorompere in lamenti; ma M. . . mi consigliò con calore di rimaner tranquillo e di obbedi- re, perchè sotto l’apparenza del gastigo , il pascià voleva far pruova della mia sommissione; io mi rassegnai e ne ne stetti in arresto. Tre giorni si passarono in quest’incertezza, allorchè la mattina del quarto giorno, Mehemed mi mandò a cercare da uv giannizzero. Mi pre. sentai a lui non sapendo cosa dire, poichè ignoravo il :notivo della . mia detenzione, ma egli mi trasse d’impaccio dicendomi che la mia obbedienza l’avea convinto del mio affetto per lui; mi dimandò qual grado desiderassi di avere nella sta armata, ed io era sal punto di la- sciarne a lui medesiino la scelta, quando degli uffiziali della sua cor- te gettarono salle mie spalle il mantello del ricco vestiario dei bey, e Mehemed, nel suo trasporto entusiastico, mi proclanò in presenza di tutti i suoi generali, Soliman, Bey di Egitto. Da quel momento in poi io adottai gli usi turchi: assisto da ipocrita alle cerimonie della moschea ; bevo vino, ina soltanto trovandomi con amici: tinalmente ho montato in Cairo un harem, dove vi tengo tre donne, due delle quali mi hanno già reso padre. « Tali sono le circostanze che hanno indotto il sig. Sève a rinun- ziare alla sua patria ed alla sua religione. Io non azzarderò alcuna ri- flessione, e lascierò al leggitore la cura di spiegare una condotta resa bizzarra ed incomprensibile dagli eventi. Il pranzo mise fine alla conversazione; entrainmo nella sala, e Soliman, durante il pranzo, non la finì giammai in parlando delle gesta dei francesi. Non credo inutile di dire ch'egli non diinenticò di annettere il suo nome a qual- che memorabile campagna, mania del resto comune a tutti i francesi espatriati, quali, a sentirli, hanno tutti avuto una gran parte nei trionfi della Francia. 6 L'indomani, avemmo una lunga conferenza con Solimabn , e seppi che il figlio di Mehemed avea ordine di render rimarchevoli 34 i suoi primi progressi nella Morea con degli atti di clemenza, onde persuadere ai suoi nuovi sudditi, che il di lui proposito non era in conto alcuno la guerra, bensì la pacificazione... .. ‘6 Dalle spiaggie desolate della Suda , il caso ci spinse in Ales- sandria, ove facemmo un brevissimo soggiorno: il flagello della pe- ste infuriava sopra quella infelice popolazione, ed il pascià tenevasi rinchiuso nel suo palazzo al Cairo. Ebbi nulladimeno il tempo di accertarmi da per me stesso quanto false’ fossero le particolarità dette da alcuni viaggiatori e specialmente da Soliman, sulla pretesa prosperità dell'Egitto. Le fortificazioni tanto valutate sono, tenute tanto bene quanto può farlo un turco, e non sembrano formidabili che- per il solo numero dei cannoni sostenati da muraglie, la di cui biancbezza nasconde agli occhi la poca solidità dei materiali. Chec- chè.ne sia, quest’è quanto v' ha di meglio. « Il canale navigabile, che porta da Alessandria al Cairo, è una molto bell’opera, e meritevole di quanto ne vantò la fama nei giorni della sua costruzione; ma oggi altro non vi si riconosce se non se un errore del genio, che ha fatto scavare un canale prima di esser certo, che l’acqua necessaria al corso dei navigli scorrerebbe nel bacino. Un’ osservazione che faccio di volo si è quella che il pascià di Egitto, il quale presta facile orecchio a tutti i dotti che visitano, il suo regno, è stato perpetuamente ingannato adottando i loro siste- mi di miglioramenti e di perfezionamento. « Non v'ha espressione che render possa al vero il grado di mi- seria, in cui languisce il popolo egiziano: nè ciò recherà alcuna mera- viglia, allorchè si sarà convinti che i bastimenti di tatte le nazioni ancorati nel porto di Alessandria, vi vengono unicamente per versar dei tesori in numerario nelle casse di Mehemed, e per riceverne delle derrate di quel suolo, derrate, delle quali egli è l’anico dispensatore e padrone. Eccettuati alcuni negozianti europei e turchi, non si vede dovunque che indigenza e miseria ; credo d’avere ancora sotto i miei occhi le moltiplici e smantellate capanne situate lungo gli approcciamenti di Alessandria, entro Je quali languono e muoiono gli arabi infelici. Lo straniero colpito da questo spettacolo d’orrore fa uno sforzo di coraggio, onde sormontare il timor della peste, e va gemendo a deporre la sua offerta a dieci passi di distanza dalla fa - miglia proscritta. Chiunque non possiede in Egitto un'industria, che il pascià possa mettere a suo particolar profitto, è ridotto alla con- dizione d’un parià. A tanto ammontano gli obblighi, a cui soggiaee un popolo vinto, in riguardo al vincitore, Un tale stato di cose può mai durar lungamente ? O voi, che continuamente ci vantate Mao. > 85 îmetto, la sua potenza e le sue ricchezze, gettate pur gli occhi sul suo popolo; un sol’ùomo dovrà dunque nella bilancia politica aver mag- gior peso di un’intiera popolazione ? Il sistema di governo immagi- nato ed eseguito dal pascià di Egitto, ha svelato i tesori ch’egli ne ritira; i vicini pascià, per lor natura cupidi, non hanno voluto star- sene indietro; una simile scoperta è andata loro a genio, ed essi hanno a vicenda sottoposto a monopolio i prodotti del loro suolo. “ Dopo aver visitati i diversi scali di Egitto, di Soria, di Uara- mania giunsi a Modone, ove Ibrahim era sbarcato due mesi prima. Fu colà ch’io’l vidi, e vado a descrivere l’impressione che mi fece. « La sùa statara è al disotto della mezzana; la sua pinguedine minaccia di divenir enorme; i suoi moti sanno di grottesco, ed il suo garbo nulla annunzia di grave o di distinto. A primo aspetto la sua fisonomia ha un carattere di dolcezza e di giocondità che vi sorpren- de. Figuratevi un viso piccolo ‘con occhi bigi , vivaci e lusinghieri : una bocca sempre ridente: delle futtezze costantemente dilatate ed asperse di lentiggini, ed avrete il complesso fisonomico di questo per- sonaggio. Malgrado le rughe premature delle tempie e dell’ angolo esterno degli occhi, il suo volto ancor fresco sta in opposizione colla sua età, che è quella di trenta sett’anni. Nulla disvela in lui un carat- tere superiore o delle qualità rimarchevoli. Lo dicono feroce e eru- dele sin dalla sua più tenera età; la sua vita n’è una pruova parlan- te, ma io sfiderei un Lavater di notare sul di lui volto quel segno, che per tale lo indica. lo l'ho veduto in Gn momento d’impazien- za, e posso assicarare, ch’ei non ha l'aria d’un’omicida. Si preten- derà forse per lui che il costume indebolisce il sentimento? Il suo vestiario è semplicissimo, ed egli non è riconoscibile che dalla scorta degli uffiziali dell’ armata che lo accompagnano nelle sue escur- sioni, Egli conduce al campo una vita sobria e regolata, fuma sem- pre, e beve spessissimo del caffè. La sua tenda è d’ una semplicità rimarchevole , ed in nulla si distingue da quella degli altri capi. « Prima di parlare del di lui carattere, fa d’uopo osservare che il figlio di Mehemed va soggetto ad una malattia cerebrale intermit- tente, i di cui effetti esteriormente si manifestano con dei moti con- vulsivi e con delle intuonazioni di voce forti ed interrotte. Si vuole, e la cosa è probabile, che passato il primo accesso, egli conservi una taciturnità, che nulla vale a distrarre; allora egli non è più lo stess’uo- mo, e gli errori del suo carattere sono le conseguenze d’un immagi- nazione ch'egli non può frenare. Il solo filosofo però può contentarsi di una simile ragione per legittimare la crudeltà, « Ibrahim non è punto più istruito di suo padre ; d’altronde 86 l'amor violento ch'egli porta al sesso l’ha tenuto costantemente Ion tano dall’ applicarsi a qualsivoglia studio serio, ed a questa ‘stessa passione attribuir si deve la malattia che lo agita. Egli non è man- cante di penetrazione, e resterà sempre superiore a coloro che lo at- torniano, perchè li disprezza, e perchè è estremamente diffidente. Egli è ambizioso alla foggia dei turchi , e crede d’essere adattato a coprire tutti i grandi impieghi che piacesse al sultano di conferirgli. Egli è bravo come un prode, nè ha giammai impallidito all’ aspetto dei perigli, che i moriotti hanno accumulato sul suo capo. E stato veduto fumar indifferentemente la sua pipa venti passi distante da un campo di battaglia, mentre una palla ben'indirizzata avrebbe potu- to colpirlo a morte. Questo fatto si passò ai Molini, non lungi da Ar- go. Egli è riconoscente. Finalmente la di lui ferocia si risveglia col morbo, da cui è affetto; ed è cosa degna d’osservazione, che le mi- nime contrarietà eccitano in lui i più violenti accessi. Quanti motivi di predire, che la Morea diverrebbe un vasto campo di strage e di devastazione ! 4 Si era tanto decantato ad Ibrahim che la Grecia soccombe- rebbe soltanto sotto gli sforzi d’una milizia organizzata, ch'egli por- tossi in Morea pieno di questa speranza. L'esempio delle armate francesi, delle quali s'iminaginava di posseder gli elementi nella per- sona degli uffiziali, dava forza alla sua opinione; in modo che io nol vedea allora che nell’ebrietà d'un vicino trionfo. Un mese dopo egli cambiò linguaggio e fisionomia. « Il numero degli arabi all’epoca del suo primo disbarco in Mo- rea montava a sedici mila uomini. /&rahim n'era il supremo coman- dante, ed avea per suoi primi generali, Khourchid, Soliman e Hus- . sein; quest’ultimo trovasi alla testa della cavalleria. « Un osservazione, che non mi è lecito passar sotto silenzio, si è che quando io dico sedicimila uomini, non è questa l’esatta espressio- ne di ciò che ho veduto: So/iman melo assicurò, e la fama ha forse divulgato una menzogna. Io confesso, che anche esagerando questo numero, ho sempre opinato che l'armata d’Ibraim fosse composta di soli dieci mila uomini, idi cui sforzi, per grandi che fossero, doveva- no dileguarsi in mezzo alle strette del Pelopponeso. Siccome la sta- gione delle pioggie e delle tempeste andava a rendere inutile qua- lunque tentativo, si prese la risoluzione di accampare l’armata non lungi dalle mura di Modone, in una vasta pianura circondata da montagne e tagliata dal lato aperto dal letto di un fiume quasi asciutto. Lo stato maggiore dell’armata trovavasi confinato nelle mura di Modone, città veneziana , situata in fondo d’una baia poco profonda e chiusa al largo dalle isole chiamate Sapienze. I rampari 8 di Modone tuttora intatti attestano il genio del popolo che li nigra ficati. Sono stati peraltro i greci sul punto di impadronirsi d’ana piazza di tanta importanza, nè ‘altro è loro mancato se non quel co- raggio di cui alcuni filelleni, altre volte. difensori di Navarino, dette- ro una luminosa pruova sotto il comando del generale Normann, morto dipoi in conseguenza di molte ferite riportate nella. gloriosa battaglia di Peta. Quali immensi vantaggi questi greci resi audaci dalla disperazione non avrebbero mai ricavato da questa città ma- rittima, prossima a Navarino , e resa inespugnabile dalle strette che conviene attraversare per giungere sino a lei. Libera sarebbe la Gre- cia, se annoverato avesse tra’suoi difensori coloro, che la medesima nomina in oggi con orgoglio. . .. . « Dopo quanto ko narrato di Soliman e di Bekir Agà, i due sog- getti, il di cui merito fissar possa i nostri sguardi, il leggitore ha già portato il suo giudizio; cioè che ambedue devono esser bravi, per- chè furono francesi, ma che il genio militare, di cui arrogantemente pubblicano le prove, nel supposto ch’esista in essi, sarà sempre ben piccola cosa, per ridurre al silenzio un popolo intiero armato dalla disperazione. . . . « In questa prima memoria, vediamo Ibrahim ed i suoi generali avidi di sangue, di bottino e di gloria: felicemente questi trofei erano tattora ricoperti dai vapori d’una lontana speranza. Noi partimmo da Modone, quartier generale dell’armata d’Ibrahim; quattro mesi do- po io mi ritrovava nuovamente sotto le sue mura. Itempi però era- .no molto cambiati : la luna ottomana erasi impallidita durante la mia lontananza, e la croce d’ oriente era divenuta per il pascià di Egitto e per gli adoratori dell’eclissata sua fortuna, un segnale d’al- larme e di terrore ,,. « Giunsi a Smirne quattro giorni dopo aver perdato di vista le coste della Grecia occidentale. Questa metropoli della Jonia, vasta, popolata, commerciante, era non ha guari il centro di riunione di tatte la nazioni, In oggi i tempi sono gui bist . + . I viaggiatori non potevano spiegarsi la turcomania dei levantini: difatti essi sono inci- viliti, e la maggior parte istraiti : come dunque hanno essi mai po- tuto vedere, nei giorni turbolenti, i greci innocenti massacrati sotto i loro occhi come altrettanti agnelli, senza risentire un’odio ‘violen- to per dei turchi feroci, da cui eglino stessi non verrebbero rispar - miati nell’effervescenza d’una disfatta ? ? È cosa di fatto; che sì è in- teso un’ europeo desiderare ardentemente l’ estinzione dei greci. Vuolsi conoscere la somma delle obbligazioni ch’egli avea ai turchi? Fra le masnade dei musulmani, che la sete dell'oro spingeva a Smir- 88 ne per quindiessere trasportate in Morea, trenta turchi gli rapirono la:sua moglie e la sua fantesca: ei le ricomperò tre giorni dopo come se fossero schiave, e non gli vennero sese che ricolme di schifose mar- che dei loro brutali appetiti. « Un negoziante francese, uomo instrutto e filantropo, mi dice- va: l’arrivo d’Ibrahim salverà forse Smirne da una totale devasta- zione, Qui si trema ch’ egli non sia per essere vittorioso e indulgen- te; s’ei soccombe, se la Grecia è proclamata libera, il commercio del levante si annienterà, e nel delirio della loro vendetta, i tur- chi, che accuseranno gli europei delle loro sventare, metteranno la città a sangue ed a sacco. La cosa potrebbe realmente verificarsi ; quanto ho veduto viene in appoggio di questa opinione. Una sinistra, notizia giunse a Smirne, i turchi erano stati battuti; immediatamente una costernazione generale invade la città; i magazzini, le case, i mercati restano chiusi; ognuno si rinchiude in sua casa; ogni comu. nicazione al di fuori è interrotta; i turchi scorrono furibondi le vie abitate dagli europei, e se infelicemente un greco qualunque, s' im- batte ne’loro pugnali, cade vittima della loro rabbia infernale. Que- ste scene di desolazione sono frequentemente ripetute in Smirne ; nello spazio di due anni le ho vedate rinnuovarsi sino a dodici volte. «La capitale dell’Anatolia serve di rifugio ad un gran numero di europei d'ogni classe, quali fissati in diversi paesi della Grecia, li hanno abbandonati dappoichè i raja vi hanno inalberato lo stendar- do della ribellione. Gli elleni indipendenti vivono nell’indigenza; il commercio si ristringe appo loro al bisognevole di prima necessità., talmente che un negoziante è in mezzo ad essi un membro inutile. Queste pretese vittime della rivoluzione greca vengono in Smirne a declamare contro l'ingiustizia de'nuovi padroni; e perchè i greci s0- no sobri e possono fare a meno di loro, vanno esclamando, che tut- ta l’ Europa è interessata al prossimo esterminio d'una razza di schiavi. ,, si L'autore passa a darci un ragguaglio dello stato militare e po- litico di diverse isole delle Arcipelago ; e scendendo a parlare del- l’ isola di Idra così si esprime : « La marina d’ Idra è la più formidabile tra tutte quelle delle città marittime della Grecia; i Tombazi, i Conduriotti; i Tsama- dos, la Bobolina ed altri virtuosi cittadini hanno contribuito a que- st’ opera generosa , col sacrifizio della maggior parte delle loro so- stanze. Ve n° ha tra loro di quelli che hanno tatto donato , affinchè morendo per la patria non avessero a com pisaigrire la perdita di al- euna delle vanità di questo mondo, Tombasi è uno dei primi che abbiano offerto sì bell'esempio all’ ammirazione dell’ Europa. 89 ‘« La marina idriotta , più numerosa di quella d’Ipsarà e di Spezia, scorre qual regina i mari del Levante; ed il complesso dell’evoluzioni è veramente sorprendente in questi navigatori, ai quali si era ben lontani dal supporre le minime nozioni di un'arte che costituisce in gran parte il sublime della nautica. Ad una simil tattica , frutto del genio e non dello studio , deve la marina greca i sorprendenti successi e le vittorie che guadagna con delle semplici barche , quali altro merito non hanno se non se quello d’ essere dei modelli di gusto , di cammino e di costruzione. Una cosa desolante per i nemici dei greci si è quella, che quantunque incurvati sotto il giogo delle catene , pure colpiscono sempre il sublime delle arti, alle quali si applicano : difatti ne abbiamo una pruova nelle costru- zioni nautiche : sopra seicento bastimenti, un’ uomo di mare che sia di buona fede e sopra tutto esperto conoscitore, saprà distinguere quello che sorte dai cantieri d’ Idra. La qualità caratteristica dei bastimenti greci è la velocità del cammino: io stesso ho veduto, con un tempo che.contrariava i naviganti nel mare Jonio , la flotta greca far rotta al pari di loro, ma pure andar contro vento con tanta fe- licità , da esser perduti di vista a capo a poche ore. Senza sì mara- vigliosa prerogativa , la squadra idriotta sarebbe caduta mille volte nel potere de’ vascelli e delle fregate turche: son questi talmente sicuri che gli elleni sfuggiran loro, che è benrraro il caso ; in cui si curino d’ inseguirli e raggiungerli. Certamente se la cosa fosse possi- bile, essi avrebbero un deciso vantaggio ; poichè dieci palle di cali bro basterebbero ad annientare il più formidabile dei bastimevti greci, Se si rifletta ai prodigi di ardire e di eroismo che si moltipli- cano ogni giorno nei fasti della marina ellenica, e se specialmente taluno ne sia stato testimone , si è suo malgrado costretti a confes- sare , esservi una Provvidenza che veglia a dar compimento ad una delle sue più bell’ opre del X]X.° secolo. « Questi navigatori, tutti gli istanti della di cui vita parago- nar si possono ad una continua tempesta, non godono su i loro bastimenti neppur d’ un solo di quei comodi, che ci rendono talvolta dimentichi degli orrori di queste ondeggianti prigioni. Del cattivo pane , delle ulive nere, e nelle festività patriottiche o religiose, una libbra di carne, ecco quanto la patria indigente accorda ai di lei in- trepidi difensori. Se la Grecia soccombe , giammai infortunio più glorioso sarà consacrato dagli annali dell’ universo. Esterminare i tarchi e bruciare i loro vascelli, non è questo il più gran servigio che la marina idriotta abbia reso alla patria. La facilità di traspor- tarsi dovanque , di portare in qualsisia luogo il suo entusiasmo, i suoi soccorsi ; di ridurre al silenzio i fautori della schiavitù ; di sor- 90 prendere i segreti degli agenti della Pòrta , di scrutare le. intenzioni degli stranieri ; questi sono titoli eterni alla riconoscenza nazionale: Si stampa in Idra un giornale , nel quale ‘vengono registrate tutte le imprese della sua marina: id questo giornale , intitolato 2 amico delle leggi, può scorgersi di quanta impòrtanza siano stati, durante la guerra , questi navigatori elleni, la di cui penetrazione negli affari è giunta a mettere in evidenza ciò che sicuramente doveva compro- mettere per sempre la causa dell’ indipendenza. ,, « Naupli, o Napoli di Romania, capitale del nuovo impero greco, merita una menzione speciale ... Nel mese di luglio 1825 le eventualità della navigazione ci condussero nel golfo ammirabile e profondo, alla di cui estremità scorgesi un’erta edinaccessibile monta- gna ; colà sorgono le mura della fortezza di Naupli, vera Gibilterra della Grecia , contro la quale verrà a rompersi il torrente infuriato delle orde tarche ed egiziane. “ Alle falde di quest’immensa cittadella è situata! la città di Naupli; è dessa protetta per ogni lato da un numero infinito di arti- glierie, quali, all’occorrenza, difender possono tutti i suoi approccia- menti. Dirimpetto al molo della città vedesi una costruzione ‘che rimonta ai secoli mitologici, e che porta ancora il nome di forte Palamede : è questa formidabile per la situazione, e deve opporsi efficacemente ai bastimenti nemici che tenterebbero uno sbarco da questa parte. Da poco tempo in qua , i mezzi di difesa sono stati au- mentati. L'importanza di questa piazza ha attirato a sé l’ attenzione | generale; onde Naupli, nello stato in cui trovasi al dì d’ oggi + può essere annoverata tra le piazze le meglio fortificate d’ Europa. ,, « Entro questi rampari risiedono i membri del governo provvi- sorio della Grecia. Continnando a percorrere l’ estensione del vasto golfo , vedesi in mezzo ad una gran pianura una città aperta da ogni lato, che altro non ha d’istorico , se non se il suo nome per sempre famoso , quello di Argo ; non langi di là , un’ elevazione o collina, sulla quale pendono le rovine di vecchie costrazioni del tempo del dominio veneto, e dalle quali potrebbe un giorno trar partito il nemico , se il governo della Grecia non si affrettasse a fortificare que- sta posizione vantaggiosa, Questa sommità, di cui le antiche tradizio- ni ci conservano la memoria , era altre volte il luogo ove era posto l’ Acropoli d’ Argo. La pianura di quest’ultima città , sulla quale Nichita meritò il soprannome alquanto troppo cradele di turcofa- go, và a terminare alle falde delle montagne che si diramano dal- I’ Argolide, Allorchè si arriva a Naupli per le vie praticate nelle fre- quenti strette della Morea, si può essere facilmente arrestati da un iena gi pugnò:d’ uomini imboscato sull’ alture di quelle numerose T'ermopi- li. Quando si ha la felicità di superarle , resta ancora a temersi l’im- possibilità delle comunicazioni peri trasporti dei viveri; e questo per l’ appunto è ciò che accadde alle truppe turche, in numero di trenta mila, delle quali Nikita fece una strage sterminata. Giungevano ai turchi ,i viveri, ed i cameli carichi di ogni sorta di munizioni ; ina arrestati improvvisamente all’ ingresso di queste gole , erano fa- cilmente presi e condotti nei porti della Grecia, ove la novità di que- sto spettacolo era considerata come un prodigio. A memoria d’uomi- ni, non si era mai veduto nelle isole dell’ Arcipelago .l’ enorme ani- male abitator dei deserti. « Continuandosi a costeggiare la spiaggia, si giunge ad una pianura inondata: questo luogo, reso memorabile da una delle più famose forze di Ercole , conserva tuttora il nome di palude Lernea. Le acque di questa pianura sboccano con violenza non lontano dal mare;e servono a far muovere i molini che macinano il frumento necessario all’approv- visionamento di Naupli e d’ Argo. All’intorno di questi molini v'è una quindicina di case disabitate dipoi la guerra , nelle quali non ostante si è stabilito. un posto di cinquanta uomini destinato a difenderli, L’occupazione dei molini sarebbe d’infallibile nocumento all’approv- visionamento della guarnigione di Naupli. Il governo greco mostra forse troppa indifferenza non cercando nelle stesse sue mura dei mezzi di far macinare il grano per l’ uso delle sue truppe; Ibrahim ha di già tentato di distraggere i molini, e se non vi è riusciuto convien ren- derne grazie alla Provvidenza ; che totalmente non abbandona i cri- stiani d’ oriente ,;. « Fermiamoci alquanto a considerare l’isola di Sira o Sciros, patria di Ferecide maestro del gran Pittagora. 6 Nel 1820 esisteva sulla sommità d’una montagna fatta a cono : una riunione di cinque a sei mila anime , quali per sottrarsi alle ir- ruzioni dei pirati e dei contrabbandieri turchi , vi avevano fisssato il loro domicilio. ] siriotti erano ospitalieri , virtuosi e buoni ; eravi anche nel carattere di questa ‘po polazione qualche tinta di francese, Appartenere alla nostra nazione , era il voto di tutte le loro pre- ghiere , nè sarà indifferente il far avvertito il lettore, che i gigli della Francia brillano sù i loro altari, e ch’ essi sieguono la religione apostolica e romana. I siriotti confinati nel loro soggiorno aereo ras- somigliavano al topo della favola; essi portavano un’opinione sfa- vorevolissima della rivoluzione della Grecia, e risposero ai deputati della nazione ‘le cose di questo mondo non ci riguardano ,,. Frat- tanto siccome i deboli devono condursi prudentemente con tutti quelli 92 ; che possono far loro del male, essi pagavano ai delegati della Portà l’imposta del Karatch (testatico} , ed agli eparchi di Naupli quel tanto che potevano dare per sostenere la guerra dell’ indipendenza. In tal, guisa essi erano , come vedesi , molto compiacenti. Nalladimeno, i siriotti hanno dato delle pruove di bravura; e come se la loro predi- lezione fosse stata riservata per la Francia , 1’ hanno essi sempre di- spiegata in favore di qualche bastimento francese inseguito dai pira- ti. Da tempo immemorabile l’isola di Sira è stata collocata dai no- stri re sotto la loro benevole protezione. « Sira altro non era che un’isola miserabile nei secoli della schia- vitù ; poco nota per le antiche tradizioni, essa è divenuta ai giorni nostri d’ un importanza, che si era ben lontani dal sospettare, L'amor pacifico de’ suoi abitanti, non meno che una real protezione avevano disarmato per essi lo sdegno della Porta ; erasi soltanto imposta loro la condizione di un esatta neutralità. Senza alcuna certezza della loro partecipazione nelle cose della Grecia., i capi del governo provviso- rio mandarono degli eparchi sul suolo di Sira, e di buona. o cattiva voglia , fa d’uopo riconoscere if loro potere. Sira possiede un buon porto , nel quale i bastimenti sono al coperto delle burrasche fre- quenti nei mari del Levante, e la di cui violenza si risente talvolta nelle rade le più sicure. Sul littorale del porto esistevano ; nel 1818; puche capanne infette che servivano d° asilo aì piloti;ed ai minori na+ viganti. ...Il suolo dell’ isola è in oggi arido , d’ an color cenerie> cio, denudato ; conviene scendere in. anguste. valli per trovarvi al- quanta frescura e poche ciocche verdeggianti. Ma la. posizione geografica di Sira , non lontana dall’ Attica , nel centro della Jonia, vicina a Naupli , sémbrava destinarla a divenire un luogo di non leg- giera importanza. «“ I coltivatori greci avevano abbandorato l’aratro , e come nei primi giorni delle nostre dissenzioni politiche , erano accorsi: sul tea- tro della guerra. Bisognò pensare al mantenimento dei cittadini di- fensori; i primi bastimenti, carichi del domandato grano, vennero a gettar l'ancora nel porto di Sira, da dove i capi del governo tra- sportar lo facevano ne’ luoghi bisognosi di approvvisionamenti. La rivoluzione della Grecia parve infine un’ avvenimento rimarchevole ed un problema difficile ; i bisogni crescevano , v’ era la prospettiva del guadagno; quando il namerario fosse stato esaurito , si doveva ricorrere agl’ imprestiti ; queste considerazioni , in sommo grado se- ducenti, spinsero in Sira centinaia di bastimenti che versarono in ab- bondanza nei granai del nuovo stato , di che alimentare l’armata. Condottivi dalla brama del guadagno, degli avidi commercianti vennero a stabilirsi sul littorale del porto ; quivi: costruirono delle 93 piacevoli abitazioni, e si misero in corrispondenza coi porti del- l'Adriatico: Ja fama esagerò la loro rapida fortuna, ed;un gran nu- mero di greci e di europei vennero in traccia di fortuna sulle roccie popolate di Sira. Un’ immensa città, quale può esser divisata nel- l'ignoranza d'una società nascente , surse improvvisamente sù de- gli aridi poggi, e, come se questo stato di effimera prosperità du- rar dovesse in perpetuo , alla fine del 1825 disputavansi tuttora po- chi metri di terreno per costruirvi una casetta “I greci vagabondi, che non si curavano di servirela loro patria ; gl’infelici di ogri classe; le vittime della crudeltà dei turchi, vennero ad ingrossare il namero dei nuovi isolani : Sira rassomigliò quindi in poi ad una colonia composta dai diversi abitanti del globo; essa era, per così dire , l’immagine di Venezia ai tempi delle crociate. Si sono noverati sino a duecento bastimenti nel porto di Sira, e la bandiera austriaca era quella , che vidimo superar le altre in numero. Un fatto accaduto sotto i nostri occhi, quale praava che l’eparca eletto dal senato di Naupli non era in alcun conto un’uomo ordinario si è, che a di lui istigazione fu stabilita una rigorosa quarantena per i basti- menti procedenti dai luoghi sospetti di contagio. Senza una tal pre- cauzione, la peste avrebbe infallibilmente imperversato sopra un isola, ove il caso accumulava , senz’ ordine e senza scelta , mille raz= ze diverse. €“ Sira è dunque popolata da tre specie di abitanti, che diversifica- no gli uni daglialtri sotto il rapporto delle loro opinioni non meno che sotto quello della loro fortuna. Gli antichi abitanti vogliono la pace, qualanque sia la condizione che voglia loro imporsi; i commercianti forman dei voti per la perpetua durata dell’incerto attuale stato della Grecia, e finalmente i greci giuntivi ultimamente (e questi sono i più numerosi}. bramano ardentemente la libertà della loro patria. La diversità di tutte queste opinioni dà l’essere ad un’infinità di assurde notizie, quali raccolte a bordo dei bastimenti , sono quindi divulgate in tutte le parti del mondo .... Gli abitanti di quest’ isola non pos- son dunque avere un opinione stabile e decisa ; altrettanto poi acca- de in qnalungne città unicamente commerciante. Lo spirito di fi- manza non è suscettibile di entusiasmo , € ragiona il in forza delle pas- sioni che aumentano i guadagni MPA oh Lettera al Direrrore DELL’ ANTOLOCIA sul progetto d’ un GIORNALE DEI CONTADINI, Tra i nobili pensieri che vi va suscitando nell’animo l’amore del pubblico bene, non sarà certamente il meno uti- le e il meno caro, quello di contribuire con uno speciale giornaletto all’istruzione del popolo della campagna. Con quanto piacere io ne ricevetti l’annunzio, che vi compia- ceste di venirmene a dare in persona nella tranquilla soli- tudine dove iò dimoro! Era molto tempo che ‘io diceva tra me medesimo: si stampano parecchi giornali in Italia, per informare dei progressi delle scienze, quelli che le coltiva- no; perchè non se ne stampa uno che faccia arrivare fino al popolo quei lumi che le scienze possono diffondere so- pra le sue giornaliere occupazioni ; che in una maniera do- mestica, e.quasi di passatempo dia al popolo un’istruzione che è difficile dargli sotto le forme gravi della disciplina scolastica? E pensando di preferenza ai contadini, che io tratto più spesso, e che ho più frequenti occasioni di 08- servare, di compatire e di amare ; perchè, io rifletteva, per- chè si declama tanto contro i loro pregiudizii; contro le loro torte idee, e le loro cattive pratiche in agricoltura; perchè si rinfaccia loro con tanto poca bontà la loro ignoranza; e non si fa nulla per disingannarli e per istruirli? O se si fa qualche cosa, si fa can sì poca amorevolezza, e sapen- do così poco attemperarsi alla piega delle loro idee, che ren- diamo l’ammaestramento discaro e inefficace per l’alterezza e l'oscurità del linguaggio ? Il mio cuore ha palpitato di riconoscenza per loro, quando ho sentito che vi era perso- na pari alla vostra, che pensava come io pensavo; e soprat- tutto quando ho inteso dalla vostra bocca le vostre benevoli intenzioni e i vostri savii disegni in prò d'una classe tanto preziosa e tanto dimenticata. Permettetemi ch'io me ne ren- da l’interprete, e che vi esprima a loro nome tutto quello che essi vi debbono. Ma permettetemi insieme, che io mi costituisca, per così dire, il loro rappresentante, e vi espon- ga i lero più particolari bisogni, e il modo più opportuno 95 con cui) si vorrebbe sovvenirvi. Io non sono così temera- rio da voler suggerire delle norme ai vostri lumi e ai lu- mi di quelli che coopereranno con voi. Ma io ardirò di espor- vi quelle poche osservazioni che mi sono venute fatte , vi- vendo alla campagna, e voi ne terrete quel conto che vi par- ranno meritare. Tutti sentono che la situazione di uno che scrive per il popolo, è affatto differente da quella di chi scrive per gli scienziati, o almeno per le colte persone. Da chi con- cepisce con rapidità ; da chi ha in pronto una ricchezza di idee generali divenute così limpide e così spedite come: le percezioni di oggetti sensibili; da chi può intendere e a un solo cenno quello che si dice, e quello che si vuol dire; da chi, per lo sviluppo dell’intimo sentimento: mo- rale e per l’uso delle materie , può distinguere come per tatto il certo dall’incerto, l’essenziale dal meno importante, l’opportuno dall’intempestivo; da chi trova un pascolo men- tale in verità anco puramente speculative; da chi è capace di appurare i dubbii, e di trovare in una sola congettu» ra, in un'idea fuggitiva, o la spiegazione d’ un fenomeno, o lanello di altri fatti slegati, o l’occasione di ricerche e meditazioni migliori ; in somma da intelletti adulti e vi- gorosi di vita e d’azione, non. è difficile d’essere intesi; co- munque si parli; e tutto può riuscire per loro di qualche interesse e d’una diretta o indiretta utilità. Ma le menti po- co coltivate hanno bisogno di un cibo già scelto e prepa- rato per loro; così che non abbiano da far altro che assa- porarlo e nutrirsene. Ove si voglia parlare al popolo per istruirlo, bisogna dirgli pure verità e verità ben accertate; bisogna, tra le verità, preferire le più conformi al suo pro- prio grado di capacità intellettuale, le più influenti sullo sviluppo delle sue. facoltà ,. e. sul perfezionamento della | sua industria, le più convenienti insomma alle sue indivi» duali circostanze morali ed economiche: bisogna, fino ad . un certo punto , isolare queste verità opportune, da mol te altre loro affini, ma meno adatte, e che o shatterebbe- ro un’ombra indecisa sul senso delle principali, 0 sceme- rebbero, partecipandola, l’attenzione che «è loro dovuta: bi» 96 sogna con una grande sagacità collegare queste verità nuo- ve con altre verità note a tutti, coi fatti parlanti a tutti gli occhi, con le osservazioni che ciascuno fa o può fare tutto giorno nelle sue faccende domestiche e nei lavori della sua professione: bisogna infine che tali verità siano nettissime e precise, come altrettanti esseri individuali, ed espresse, a questo fine, con la parola quasi sempre unica, che ne è la naturale ed esclusiva espressione sulla bocca del popolo. Chi non isdegna di conversare e di discutere col contadino e con l'artigiano, sentirà la giustezza e la forza di queste riflessioni ch'io accenno rapidamente; e avrà avuto più vol- te occasione di conoscere la penuria in cui siamo, per non dire la totale mancanza di libri così ben fatti per il popolo, che si possano senz’altro mettere nelle sue mani, ed essere certi che saranno intesi , e perciò saranno proficni. Quasi tutti i nostri libri, anco quelli che contengono cose e non parole, sono per gli idioti come un cibo crudo e non con- dito. A volere che lo gustino, bisogna manipolarlo, dargli sapore, e vorrei poter dire, cuocerlo. Bisogna pigliare a mano amano dai libri quelle verità, a cui un’osservazione 0 un’ oc- correnza presente, dà quasi l’aria d’una scoperta, o alme- no le fa divenire verità sentite; bisogna nasconderle nella naturalezza del dialogo; bisogna per acoreditarle agli occhi del popolo, nascondere la loro origine straniera, e farle pas- sare come cosa sua. Per quello adunque che concerne il vostro nuovo giorna- letto campestre ; io mi piglio la libertà d’ insistere in primo luogo sulla necessità d’una scelta rigorosa nelle cognizioni che vi proporrete di diffondere.In agricoltura e nelle scienze che la toccano, si sa certamente già molto; e si possono dire molte cose vere ed utili. Ma se a ciascuna scienza, a mano a mano appunto che progredisce, è sempre meno permesso un lin- guaggio assoluto; la scienza che può tenerlo meno di tutte, è l’agricoltura. Quante e quanto variabili circostanze influi- scono nei suoi risultati, e modificano i suoi processi! Quante volte ciò che giova in tali condizioni fisiche e ‘meteorolo- giche , nuoce in certe altre! Quanti prodotti vantaggiosi nella tal situazione geografica , economica e politica d’un 97 paese, riescono di scapito in una situazione differente! Con- nessse come sono le operazioni agrarie, in un sistema som- memente collegato; e subordinate nello stesso tempo a più scopi, ciascuno dei quali mancherebbe, mancando l’altro; quanto è facile di suggerire un’ innovazione , conveniente forse come parte di un tal tutto ; e mal d’accordo con un altro insieme! quanta circospezione , qual tatto pratico, quante e quanto lunghe osservazioni non si richiedono avanti di poter dire con fiducia, non già ad un agronomo “ pro- vate ,, ma ad un agricoltore ‘ fate così e farete bene ,,! E Dio guardi che il contadino trovi smentita dal faito, una sola delle nostre prescrizioni o delle nostre asserzioni! Mal prevenuto com’egli è, contro tutto quello che non è conforme alle sue antiche pratiche; poco disposto a rice- vere lezioni da noi, che egli considera come ignari del suo mestiere ; poco perspicace e poco discreto nell’ apprezzare l’influenza di questa e di quella circostanza spesso decisiva; troppe volte crederà che noi abbiamo errato, quando an- che non sia. Guai, se egli ci cogliesse una sola volta in vero fallo! E in fallo ci potrebbe cogliere veramente, se sulla fede di qualche giornale, gli si spacciasse come certo, come utile, come opportuno, quello che spesse volte non è che una congettura, o un esperimento isolato, 0 una con- venienza puramente locale. Però la riservatezza non può mai essere eccessiva: e trattene certe cose del tutto sicure per principii luminosi, quanto sarebbe desiderabile che chi scriverà pel vostro nuovo giornale , non iscrivesse se non quello che ha provato o veduto da sè , e di cui può es- sere mallevadore! Solamente quando si parla d’un fatto pro- prio, e d’un fatto che brilli di evidenza, solo allora si scrive con chiarezza e con forza , solo allora si è padroni delle proprie idee, e si sanno disporre, rivolgere, lumeggiare a piacimento; solo allora si parla come conviene al tale paese, a tali uomini, a tali tempi. Ma nulla meno delle cose da scriversi per i eontadi- ni, importa, secondo me, il modo con cui si scrivono. Bi- sogna persuadersene bene : il popolo ha una lingua molto differente dalla nostra; e non parla e non intende che la T. XXIII. Settembre. 7 98 sua. Essa è differente, non tanto per le parole che la com- pongono , le quali poco più, poco meno sono le medesi- me adoprate da noi; ma molto più per la natura e l’esten- sione del significato di queste parole , e per la natura e la disposizione delle idee che formano il suo discorso. Io ho veduto poche persone rilevare queste differenze , e farne scrivendo o parlando quel conto che meritano. Noi, senza avvedercene , esprimiamo cento piccole idee astratte che il popolo non ha mai acquistate e che perciò non compren- de; noi usiamo cento parole in senso figurato , che il po- polo usa ed intende solamente nel senso proprio ; noi ab- biamo creato per le scienze una lingua tecnica, che è , non solamente pel volgo, ma per tutte le persone non inizia» te, una lingua arcana. Noi abbiamo un numero grandis- simo di voci che impieghiamo nel medesimo senso , e il po- polo, forse in ciò più filosofo, non ha, si può dire, sino- nimi. Noi crediamo di dirgli una cosa, usando un termine che per noi è equivalente, e il popolo ne intende un’altra, Un contadino della provincia che io abito, entrato nello scrittoio della fattoria, e dettogli dal suo padrone (un to= scano ): ‘ Serrate Za porta ,, rimase attonito ed imbaraz- zato. Egli si mostrava premurosissimo d’ubbidire, ma non intendeva quel che dovesse fare. Il padrone dal suo canto mon sapeva cosa pensarsi, e non gli cadeva pur dubbio di non aver parlato toscanissimo. Finalmente vennero a spie- gazione ; eil contadino insegnò al padrone , che quello dello scrittoio era un uscio e che la porta era quella di casa, la quale egli aveva serrata. Di questi casi ne accadono mille a chi è straniero non dirò ad una nazione, ma anco a una sola provincia. Ma se vi è pericolo di non essere intesi , trattando di cose domestiche, il dubbio diventa certezza, quando si tratti di cose che appartengono alla scienza , e se ne adopri il linguaggio tecnico. Io non dico che qual- che nuova parola non si possa e non si debba impiegare; ma si vuole aspettarne la precisa necessità ; e l’uso parco e giudizioso che se ne faccia, vuol essere preparato con arte, facendo conoscere la cosa prima del termine, e in- segnando il termine appunto come si insegna una lingua i) 99 straniera. Io non so perchè i dotti cadano così spesso in questo scoglio. Potrei citare parecchie opere che sarebbero utilissime, e che non si possono mettere in mano dei con- tadini, perchè ridondano di parole scievtifiche. Per non urtare nessun amor proprio , io citerò un’ opera classica d’un autore tanto giustamente rinomato, e troppo presto rapito all’ umanità. lo intendo il conte Dandolo e la sua eccellente opera: Dell’arte di governare i bachi da seta. Chi aveva più zelo per diffondere l’istruzione nel popolo, di quel che l’avesse questo ad un tempo e grand’ uomo ed uomo dabbene ? Chi si studiava più di lui di accomodarsi alla capacità popolare? E credeva d’ esserci così riuscito , che giunge a dire nella prefazione (pag. XXI ediz. del 1818) « Mi sono proposto di portar la chiarezza a tal segno, che se un otfentotto fia no) volesse fare il bigattiere, col mio libro alla mano , potesse eccellentemente riuscirvi ,,. E certamente per quello che concerne la limpidezza delle idee, non v'è nulla da desiderare di più: ma quanto alle parole, temo che molte parrebbero ai nostri contadini, pa- role appunto da ottentotti. Lascio stare le voci prettamente lombarde, di cui non gli dò colpa, giacchè egli scriveva per il popolo lombardo ; di cui però doveva indicare un equivalente toscano , giacchè scriveva in lingua toscana. Considero solamente il malaccorto uso di parole della scien- za; e nel mentre che in molti luoghi osservo con piacere la cura che egli pone a spiegar bene e a introdurre pru= dentemente certe del tutto necessarie, io domando: perchè semina poi quà e là come per abito e per inavvertenza mille altre, non solo parole, ma frasi scientifiche che non biso- gnavano in nessun modo ? Cosa sono per il contadino le emanazioni mefitiche che accumulate entro la bigattiera, di- minuiscono o distruggono l’eccitabilità del baco? Cos'è la bottiglia essiccante le sostanze escrementizie? Cosa, la. costi- tuzione atmosferica, i fluidi elastici, le centinaia di piedi cubi d’aria esterna da richiamarsi dentro la bigattiera con la combustione di vegetabili secchi? E così mille altri modi che sono geroglifici egiziani per chi parla unicamente la lingua della balia, Mi accade tutti gli anni di dover leggere de- 100 gli squarci dell’opera del Dandolo ai nostri alunni; ma mi tocca tradurli : e bisogna che per farmi capire , io diea : che i letti dei bachi pieni di cacherelli, ribollono, e vie- ne dilà un aria cattiva che un poco alla volta riempie la stanza, e dà noia al baco, perchè lo fa respirare a stento ,, e venir meno e adagio adagio intristire ,,. Bisogna che io dica che il fumo della bottiglia prosciugai letti umidi: bi- sogna che io chiami, l’aria, aria; la stipa, stipa; l’ardere, ardere. Io mi fo allora certamente intendere; e non credo che questa traduzione volgare sia meno elegante dell’ ori. ginale in lingua dei dotti. Qual fortuna è quella di scrivere per il popolo toscano! Scrivere la lingua del campo e del casolare, e scrivere una lingua aurea! Se un’ osservazione puramente letteraria non fosse qui del tutto fuori di luogo, avventurerei una mia opinione; ed è: che se si imprenderà a scrivere veramente per il nostro popolo, cioè con la mira di farci veramente intendere, e di istruirlo : entrando per- ciò nelle sue idee, usando i suoi modi, consultando il puro sentimento della verità, e sforzandoci di trasfonderla in tutte le menti le meno preparate : noi cominceremo a metterci nella strada del bene scrivere in prosa; perchè ci avvez- zeremo così a scrivere senza pretensione , a far servire le parole alle idee; e a una lingua meramente convenzionale, quale è quella degli scrittori che si piccano di purezza, ne sostituiremo una vivente, maschia e bella di grazie native. Ma io non toccherò questioni così delicate e così estranee al soggetto della presente mia lettera. Ritorno subito a cose 23 23 23 campestri. Ho parlato della chiarezza e della proprietà dello stile dell’opere destinate per i contadini. Vorrei aggiungere due parole sullo spirito che dovrebbe animarle. Perchè è così raro in tutti gli ammaestramenti o scientifici o morali che noi diamo al popolo, quel tuono di bontà che apre tutti i cuori; che vince l'opposizione , prevenendola; e che la- scia gli animi ben disposti quando ancora non riesce a per- suadere l’ intelletto? Perchè ci è così cara l’ autorità del magistero, e ci viene così spontaneo alla bocca il rimpro- vero, il disdegno, o la declamazione? Un orgoglietto segreto, 1014 un umore acrimonioso sì insinua senza nostra saputa nelle nostre parole cattedratiche ; e il popolo se ne indispone , perchè sente anch’ egli la sua dignità. Questa dignità va rispettata, più che in altri, nel contadino che professa un arte ‘così ragguardevole , che vive in mezzo alle belle e grandi opere di Dio, e che ha spesso nel cuore una nobiltà e un’elevatezza di sentimenti, non facili a ritrovarsi nelle classi inferiori delle città. Ma per questo capo io non ho che da proporre per modello voi a voi stesso. L’Antologia spirante in ogni pagina la dolce benevolenza e la cortesia rispettosa, è mallevadrice di quello che sarà il giornale dei contadini. Dopo di essermi trattenuto tanto a parlare di quel ch’io vorrei che fosse un giornale da contadini, parrà una ‘bizzarria il domandarvi: credete voi veramente che un tal giornale sia possibile per ora; e dirò di più, sia anche la cosa la più opportuna per fare il bene dei contadini me- desimi? Pure io ardirò domandarlo, e risponderò ancora che io ne dubito forte. Dubito primieramente della, pos- sibilità; perchè non credo che troverete per ora\nè un suf- ficiente numero d’ associati, nè un sufficiente numero di collaboratori; qualora gli associati debbano essere i conta- dini medesimi ; e gli estensori debbano scrivere esclusiva- mente per loro , e a questo fine applicarsi a minute os- servazioni locali che pochi fra gli scienziati hanno il co- modo o la pazienza di fare; e metter poi una cura parti- colare di disposizione e di stile per dir cose il più spesso notissime, e dirle in un linguaggio che a molti scrittori può parere plebeo. Credetemi: questo grande travaglio in cosa tenue; questo sforzo per rendere la sapienza un latte da menti infantili, esige una specie di fervore da aposto- lato, che non è tanto comune. Dubito poi dell’ opportu- nità di siffatto giornale ; perchè basta dare un’occhiata al grado d’istruzione dei nostri coltivatorî, per essere persuasi che pochissimi, per non dire appena qualcuno, pigliereb- bero in mano un giornaletto-, pel desiderio d’ apprendervi qualche cosa. Certamente anche in questa classe è visibi- 102 lissimo un movimento intellettuale ; ma disgraziatamente non sono proporzionati a questo svilupità di facoltà i mezzi d’istruzione primaria. Sopra cento dei nostri contadini, forse appena uno sa leggere e scrivere; e intendo le pro- vincie privilegiate: fra gli abitanti delle montagne, chi sa se ve n’è appena uno tra mille. Bisogna che l'istruzione elementare sia più estesa, avanti di lusingarsi che un buon libro sia per produrre gli effetti a cui è destinato, Ma dun- que al pensiero così lodevolmente concepito da voi, si do- vrà rinunziare? Non si potrà per la via d’un giornale span- dere anche fra noi un certo grado d’istruzione agraria ; co- me si è già saviamente cominciato a spanderla per mezzo. di lunari ? Sono ben lontano dal pensare così, Io ho ap- plaudito alla vostra idea, non solamente come ad un no- bile e benevolo sentimento, ma insieme come ad un sa- vio consiglio. Quello ch'io credo però, è che gli ammae- stramenti da istillarsi alla classe degli agricoltori, non si possano ancora dirigere a loro immediatamente, Noi ab- biamo ancor bisogno di una classe di mezzo che ne sia l’in- terprete, che gli insinui ad occasione opportuna, che gli accomodi alle circostanze, e ne diriga l’ applicazione. E quest’ anello intermedio non si può trovare altrove che nei possidenti, i quali vivono alla campagna, e nei fattori. A queste persone si può con grande frutto indirizzare un’istru» zione periodica che serva a loro e giunga per loro mezzo fino all’ ultimo lavoratore del campo. La sfera delle cogni- zioni da comunicarsi a questa classe , comincia a slargar- si ; e la lingua che si può parlare con loro (sebbene debba essere sempre semplice e precisa) comincia a divenire più: vasta. Da tali lettori, da questa specie di precettori domestici e parlanti, saran dati in mano dei contadini che sanno leg- gere, e saranno esposti a voce a quelli che non sanno an- cora tutti gli articoli convenienti alle loro individuali cir- costanze, Si comincerà con questo mezzo a destare in tutti un desiderio d’ apprendere , e si verrà ad istituire una spe-, cie di reciproco insegnamento Spe di Voi medesimo nel vostro manifesto mostrate di avere un’ opinione confomme, 103 dirigendovi appunto ai possidenti. Ma in questo caso non vi parrebbe forse un poco disacconcio il titolo di giornale dei contadini? Pensate voi, che certo piccolo orgoglio , da cui è così difficile di difendersi, permetterà al fattore che amministra 50 poderi; o al possidente che ha visitato in gioventù 1’ università di Pisa, gli permetterà di credersi bi- sognoso dell’ istruzione che si destina ai contadini? Dirò di più : potesse anco il vostro giornale essere letto da tutti quanti i contadini medesimi, ed essere perciò espressamente compilato per loro; questo titolo non sarebbe ancora a pa- rer mio il meglio scelto. In un programma della società di morale cristiana di Parigi, diretto a promettere un pre- mio per un’opera ad istruzione del popolo , io lessi una volta con una vera soddisfazione l’ ingiunzione espressa di non lasciar travedere da nessuna frase, che quell’opera fosse fatta per il popolo. L'osservazione è fina e giustissima. Noi che ci pigliamo così poco pensiero di istruire gli idioti, siamo poi tanto facili a raffacciar loro la loro ignoranza, che essi credono opere di poco conto quelle che noi pub- blichiamo esclusivamente per loro. Pensano , e non seni pre a torto, che noi li consideriamo come gente di un’al- tra razza; e che riservando per noi, a guisa d’un mono- polio ,la cognizione delle alte verità ; non concediamo loro che un’istruzioncella per così dire da balocco. Compatia- mo questa sinistra prevenzione; e per distruggerla, mostria- mo di scrivere e di parlare per noi medesimi , quando scri- viamo e parliamo per loro. Io escluderei dunque dal titolo del giornale qualunque indicazione di tal classe particolare di lettori ; e ne metterei uno , che accennasse la natura delle cose che tratterà ; o distintamente, o in una ma- niera più vaga, come forse converrebbe meglio alla varietà delle materie; per esempio “ giornale della campagna ,, 0 altro simile , che più vi piaccia. Queste libere osservazioni potrebbero parere ad altri o minuzie o arditezze: ma ad un osservatore qual voi siete, e ad un cuore ben fatto come il vostro, io spero che non riusciranno nè spregevoli, nè discare. Voi apprezzerete, se 104 non altro, l’amore del pubblico bene che me le ispira, e la stima delle vostre qualità, che mi incoraggisce a presen» tarvele. Sono divotamente Vos. Obb.*° Servitore RarrAeLLo LAmBRUscHINI. SERGIANNI CARACCIOLO: Dramma storico del prof. G. B. DE CRI- sTOFORIS. Milano 1826. Seguiremo l’autore nell'ampio sentiero da lui segnato , e così vedrem forse qualcosa più che la semplice testura del dramma. Atto primo — I. Anticamera nel castello di Capuana in Napoli. Gennaro Squadra, futuro paggio di Caracciolo in. età d’anni quin- dici, con Uberto suo tutore, presentasi a chiedere un mezzo di ono- rato vivere in corte. La protasi , ch'è il grande scoglio delle tragedie francesi, è qui fatta con molta semplicità ed evidenza. Il tutore narra al giovinetto, che la regina è vecchia, che Caracciolo è tutto, ch’essa al suo giogo non può sottrarsi: Tanta è la forza d’ ungaffetto antico, II. Giunge Carlo, maggiordomo di Sergianni; riconosce Uberto, gli chiede cagione dell’essere a corte, e uditala, in modo forse troppo poetico, pur bello, soggiunge: \ a «.Più volentieri Che sulle scale altrui passeggio anch’io (1) Lungo i piani di Chiaia in sulla sera, Se brillano le stelle e m° accarezza La fresca aura che vien dalla marina: Ma quando poi neeessità mi stringe, (2) So che la legge è del soffrir comune, (3) E umiliarmi non ricuso. Il credi, Non è men duro peso anehe pei grandi (4) La superbia . .. Sì rischiara sempre più il fondo istorico, e si narra; come Gia- (1) Sulle scale , a dir vero, non sì passeggia. (2) È verso uni pò troppo sempliee. (3) L’è non pare ben collocato. (4) Il pei non par giusto. 105 como di Borbone, marito di Giovanna, rinunciasse al regno di Na- poli. Qui Carlo; Se) (#10 Ve ee VET SOR Di Napoli gl’increbbe, e fè ritorno A sua terra natal, dove, se il vero (5) Disse la fama , il buon conte da tale (6) Benefica sventura umiliato ln cella solitaria i giorni chiuse, (7) Al suo patir pregando una corona Che nè dar posson gli uomini nè torre. III. Viene Caracciolo. IV. Uberto gli presenta il giovinetto Gennaro, che spiega un carattere buono. Caracciolo, memore del va- lore del padre di lui, il fa suo paggio, ed esce. V. L’addio di Gen- naro, e d’Uberto tutore, è tenerissimo, e viva natura. VI. — Aula reale — Giulio, legato pontificio, parla alla regina Giovanna, e la invita a soccorrere la santa sede, ma parla in un tuo- no da impostore sfacciato , che offende ed è falso. VII. Giovanna consiglia co’suoi sull’affare. Ottino conte di Nicastro irride Carac- Ce ciolo suo nemico che proponea di soccorrere Roma. Gualtieri s0g giunge ? e + + + Umile Ancella sei del sommo sacerdote, Posta capo dal cielo alla redenta Famiglia, ond’è proscritto ogni procace Insuperbir di titoli e di gradi. (8) see + e Ah! il mansueto (9) 11 paziente agnello, non elegge L'uomo alla gloria di schiacciar l’altr'nomo ! Bello parve in Costanza il tradimento; Ma da quei roghi un vasto sì diffuse D’ira incendio $ che mal sl affida ai roghi, Alle mannaie, e alle battaglie il vero. (10) VIII. Torna il legato. Giovanna promette ; e parte dicendo a Caldora, gran contestabile; e 0« + + Caldora, amico, assisti Al piè mal fermo della tua regina, (11) (5) Perchè questo dubbio al lettore? (6) Verso forse troppo onomatopeico, (7) Chiudere i giorni in una cella ? (8) Verso che potrebb'essere meno umile; (9) Perchè quell’ a4 il ? (10) Non si potrebbe addolcire: alle mannaie e alle 2 (11) La regina ha 64 anni, Caracciolo ne ha 60, 106 IX. Ottino, conte di Nicastro, e Palagano gran camerario si’ lamentano della superiorità di Caracciolo sul cuor di Giovanna;' L'atto è pieno di cose; non si chiacchiera per la protasi, come in tante tragedie francesi, e l’azione cammina. Se non che l’affare di Roma non ha vincolo necessario col resto.. Potrebbe dipingere la pietà ve- ra o falsa della regina; ma non lo fa; o non appare, quanto potrebbe. Atto secondo. — I. Stanza della duchessa Cobella Ruffo nel ca- stello di Capuana, con lumi accesi. La Ruffo medita la vendetta con- tro Caracciolo, Il soliloquio è più abbietto che il tempo non porti. II. Vengono Ottino e Palagano, e preparano la congiura. Questi di- ce di Caracciolo: Ottino risponde: Toglier con l'una mano a’pochi il molto, Donar con l’altra il poco a,melti: ingiusto , Intrattabil con noi, farsi col volgo Facile e mansueto: i bassi alberghi (12) Visitar dei soldati, ove li sappia O per morbo languenti o per ferite, Di blandizie cortese e di soccorsi: Al servo , al fabbro , al contadin che prega Lieve percuoter l’ omero, nè mai Rimandarli scontenti. Ecco gli studi Del traditor. Dovunque egli si mostri, Sgombra la plebe riverente il passo : Salutando ei sorride, e scoppia il plauso. Che mi parli di popolo e di plausi ? Plaudian.le turbe il ‘di che Delamarca Venne a brandir lo'scettro, e il di non meno Che percosso d’affarino e di vergogna AI chiostro ‘torse dalla reggia il ‘piede. Alterni plausi ed urli e vituperi Ebbero i Catalani e gli Angioini, Sforza , Braccio , Caldora , e questo pure, Questo istesso Caracciol che tu dici In Napoli‘adorato e benedetto.(13) Volubil mostro è il popolo. Acearezza Oggi.se teme o spera, ed il domani Sconvolge , ruba , lacera , calpesta. (14) Fa che l’idolo cada, e ne vedrai Lauciati i brani nella polve , a gara (15) Coperti d’ignominia e di sozzura, (12) O torre l’è dopo il facile, 0 sostituirvi una parola men languida. (13) Si poteva dir meglio, cioè più breve. (14) Convenia cominciare da un verso che fosse il contrario dell’accarezza. (15) Lancigti non è proprio qui, MR E © 107 IT. Stanza del doca. Caracciolo e Gennaro , il paggio., entra. no dopo la cavalcata. Caracciolo si mostra inquieto. Scena bellissi- ma. IV. Un segretario gli presenta le lettere daf Roma e da Cala- bria, ed altre da soscrivere. Questa interruzione parrà forse prosaica, ma dispone con artifizio la scena che segue. Quel far luogo ad un gran cancelliere, ad un maggiordomo di Sergianni , ad un suo ser- vitore, ad un paggio, ad un segretario, a due castellani, parrà cosa intollerabile a molti: una guardia, nella tragedia alfieriana, avrebbe adempiuti gli officii di tutta ia ciurma , e la cosa, come ognun vede sarebbe stata di assai più nobile e conveniente. V. Caracciolo, in altro tuono, dimostra a Gennaro l’inquietudine sua. È scena di bel- lezaa profonda. VI.Caracciolo, solo, dipinge il proprio stato a sè stesso. VII.Rinaldo, servitore di Caracciolo e spia, gli annuncia, come furo- no veduti tornar dalla Ruffo, Ottino e Palagano , i due congiurati ; annuncia le mormorazioni del popolo, e la venuta di Caldora, il gran contestabile , la cui figlia dovrà sposarsi al figlinol di Giovanni, Quante narrazioni e quante oscurità sarebbe costata 1’ omissione di quest'ambasciata, che a taluni parrà poco tragica. Oggidì vuolsi ve- dere in ogni scena la forza dell’effetto tragico nella sua somma espan- sione, e così l’effetto totale si sperde, e l'intempestivo sforzo riesce a languore. Oh come da pochi s' intende quella unità d'azione ch'è predicata pur tanto! VIII. Caldora giunge, dimostra la sua amicizia a Caracciolo, parla di resistenza alle insidie lor tese, propone il matrimonio de’loro figliuoli: Caracciolo chiede tempo ‘a pensare. Quante cose in quest’atto! come l’attenzione n'è attratta e fermata! Il sistema della tragedia francese, in cui tutto riducesi o a dialogo filosofico, o ad insulti estremi e cento volte iterati, o a gelide narra- zioni interminabili, non avrebbe saputo dar tanto. . Atto terzo. — I. Aula reale. La Ruffo viene incitando Giovanna contro Caracciolo. Questa dimostra debolezza senile, e languidi pen- timenti. È sovrano quel passo: + + «Il crederesti ? Talor se il duca mi sogguarda e tace, Un tremito affannoso , un raccapriccio Ineffabile io provo , un desio quasi Di chiuder gli occhi al sonno della morte, Onde più mai non rivederlo, (16) II. Un usciere introduce Ottino e Palagano. III. Che inducono sospetti sulla fedeltà di Caracciolo. La regina lo manda a chiamare per l’usciere, che, non so come, si trova presente a questo secreto (16) É languido, 108 colloquio. IV. Gli altri escono: Caracciolo si. discolpa a Giovanna: L’uditore sa bene, com’ egli non fusse alieno dal pensier di rivolta : queste discolpe hanno adunque un carattere di bassezza che fa di- sprezzare colui, cui dovrebbesi serbar per la fine un pò di pietà e di rispetto. Ode Caracciolo, che Giovanna sospetta del nuovo castella- no, suo nipote, e lo manda a chiamare. V. Gli toglie l'ufficio, gliene dà un altro con la permission di Giovanna, ma con quell’autorità che gli dona un antico imperio sul core di lei. Questo tratto è di finezza notabile. VI. Giovanna palesa a Caracciolo un altro danpatto del vo- ler dividere in tre parti il regno, e d’un grido che s’ era inteso nel tornèo: viva il triumvirato. VII. Un usciere introduce il prigioniero che avea levato quel grido. VIII. E inquisito. Scena comica che non | si potea fare altrimenti, senza dare a codesto prigionero una gravità veramente ridicola. Si dirà ; perché porcelo ? Per mostrare, come i nemici di Caracciolo macchinavano la sua ruina ,, e fomentavan col fatto, non già icon vane parole (siccome suolsi culle tragedie del si- stema alfieriano ) i sospetti della vecchia regina. IX. Giovanna pare acquietata, X. La dachessa viene a condurre la regina nella cappella di corte. XI. Caracciolo esce con una imprecazione alla Ruffo, che si potea forse esprimere con più nobile semplicità. L’atto è languido , perchè tutto d’un tuono, tranne la scena comica: si tratta sempre di sospetti irritati dapprima, poscia acchetati. Pare un atto di qualche tragedia francese. Atto quarto.—I. Carlo, iuageiandoma di Caracciolo, gli parla del nuovo castellano , eletto dalla regina in luogo del, nipote di Carac- ciolo stesso. II. Questo castellano si presenta, e dopo brevi parole, esce. III. Caracciolo, solo, medita sul suo stato; teme, pensa a ri- bellione ; si ritrae dal pensiero , e chiama il suo maggiordomo. IV. Gli dà una borsa da portar all’abbate di san Giovanni, e lo prega di unave. Chi trovasse bassa questa scena, nun meriterebbe al certo di essere confatato. V. Il soliloquio del maggiordomo è bello. Quasi pianger mì fa. — Come ? — un oscuro, Un misero plebev qual io mi sono, (17) Aver pietà.d’un grande , glorioso (18) Potentissimo duca? — Eppure. . . Oh sì! . . (19) Eppur sotto a quel drappo rilucente (20) Geme l’anima sua. — Che gli val dunque (17) Qual'io mi sono, è prosaico, perchè è inutile. (18) E perchè tanti epiteti ? Carlo non è un servitore novello. (19) Quell’ok sì, non significa, e non fa bello il verso. (20) L’anima che geme, sotto il drappo? 109 La grandezza , la gloria , la potenza ? .. . (21) Servire ?.. . Al duca io servo : è sì discreto (22) Amorevol padrone. — Il duca serve A Giovanna : è fantastica , difficile. (23) E Giovanna a chi serve? — Se non serve (24) Al signor di noi tutti, anch'essa è degna Di compianto (25). — Danaro? . . Eccone assai; Non pagherebbe un'ora di rimorsi. (26) Intagli, bronzi, preziose gemme . . , Bene! (27). Ma questo , questo è il primo tempio Da consacrarsi (28). — Qui di santi effetti (29) La dovizia immortal qui si raduna. VI. Giardini reali. Scena di corte. A chi non ne sente la verità, la profondità, la convenienza, non sarebbe possibile dinotarla a pa- role. Si propone il matrimonio del figlinol di Caracciolo , con la fi- glia del contestabile Caldora. Giovanna vuole lo si celebri in corte, e divisa apparato solenne. VII. Caracciolo, rimaso solo con Giovanna, le chiede i feudi che furono già de’Colonna: ella gli nega, Caracciolo viene a’rimproveri, sì ch'ella piange di rossore e di rabbia. La cosa è storica; il dialogo artificiosamente condotto: se non che di niegare a Caracciolo i feudi nell’atto che Giovanna vuol celebrate in corte le nozze del figlio di lui, questo non è ravvicinamento che ci si dia dalla storia (30). VIII. Entra la Ruffo , e persuade a Giovanna irri+ tata la prigionia di Caracciolo. L’addio di Giovanna al suo platano , non è bene preparato, nè forse opportuno. Atto Quinto.— I. Stanza della duchessa Ruffo nel castello di Ca- puana. Ottino, Palagano ; la Ruffo avendo in mano il decreto della prigionia di Caracciolo, pensano alla sua morte, da tentarsi nella sera medesima delle nuzze, II. Stanza di Caracciolo con lumi. Il Caldora invita Caracciolo a tornare alla danza. III. Caracciolo solo: spera. IV. Ordina ad un usciere, che Rinaldo, suo servitore, l’ attenda nei giardini vicino dell’obelisco. V. Mostra confidenza nell’opere di que- sto Rinaldo. (21) Ripetizione un pò troppo rettorica. (22) La forza non istà nel numero degli epiteti, (23) Si potea fave un verso migliore, e non men naturale. (24) Abbiamo cinque volte il servire. È rroppo in un maggiordomo. (25) Questo maggiordomo par nuovo della vita di Giovanna, (26) Pagare qui non val che comprare. » (27) Quel dene è cattedratico forse troppo. (28) Si pone la mauo al petto. (29) Questa giunta è un pò fiacca. Forse convenìa finir là. (30) Codesto accumulare i fatti , lontani di tempo e di loro natura, è vizio contro ragione da lasciarsi alle tragedie del sistema alfietiano. 3110 VI. Giardini reali. Ottino ordina ad un sergente di arrestar tutti i fidi di Caracciolo, in nome delle reina. VII. Viene Rinaldo ubriaco, e s’addormenta. Scena comica troppo, che si poteva evitare. VIII. I sergenti lo prendono: altra scena comica senza sale. IX. Ottino conduce alcuni amici di Caracciolo alla rete , parlando domestica- mente con essi. X. Son presi dagli alabardieri nascosti. Soliloquio d’Ottino, che potrebb’esser più breve. XI. Entra Caracciolo, appic- ca discorso con Ottino , e si rissano alquanto, XII. Palagano viene con due amici di Caracciolo, che restavano ancora da prendersi, e torna poi solo : segno che gli ha lasciati alle guardie. XIII. Palagano ed Ottino parlano con Caracciolo della festa. La scena potea esser più varia e più profonda. XIV. Anticamera di Caracciolo. Uberto, il tutore, viene a salutare di notte Gennaro, il paggio di Caracciolo , | inteso, che questi dovea partire a mattina, La visita non pare oppor- tuna molto. XV. Uberto e (3ennaro si traggono in disparte; Carac- ciolo entra con Carlo, finita quasi la festa , e si chiude a dormire. XVI. Tornano Uberto e Gennaro a parlar de’raggiri di corte, ma in modo secco ed insignificante. XVII. Palagano col castellano , chia- mano Gennaro, il paggio, ch’esce. XVIII. Gli si dice, Giovanna es- ser colta d’aploplessia e chiedere di Caracciolo: il paggio chiama Ca- racciolo, che s’alza e viene. XIX. E trafitto: il paggio è disarmato: Caracciolo spira. | Segue una licenza, cioè un tratto lirico ch'è come la morale del —. dramma, morale ottima, ma forse troppo comune. Dal sublime castello Allo squallido avello Per oblique contrade inosservato, Senza faci portato, e senza canto Passa il ferètro, e dietro Gli vien solo tin garzon con gli occhi in pianto. (34) Il pregar dell’innocente Generoso giovinetto Salga al trono del Signor! Forse l’anima fuggente Ebbe grazia d’un affetto Di perdono (32) e di dolor. La testura dell’opera è semplice, naturale; e tien viva l’atten- zione dal principio all'estremo, ciò che in molte tragedie francesi, malgrado la bellezza de’ versi, non è. Il dialogo è facile, franco, con- (31) Il paggio. — Questa corda ci pare.d’un suono profondo. (32) Un affetto di perdono! III forme a natura: il verso assai volte impresso di certo carattere che mostra mano sicura ed esperta: la lingua viva, evidente, non rado ef- ficace. Ma il tewa non è tragico: una vecchia imbecille (così la sto- ria), nn vecchio ambizioso e drudo già della vecchia, non sono per- sonaggi drammatici. Si potrebb’anche notare qualche debilità nel dipingere il carattere di Palagano, della Ruffo, e d’Ottino; si potrebbe desiderare più significanza nel carattere di Caldora,e più dignità nello stesso Caracciolo, ma converrebbe conchiudere che l’ azione è piena di natura e di vita, e che i difetti sono al tema, assai più che all’au- tore. Qualche bassezza di stile si poteva cansare, qualche metafora omettere, qualche giro troppo ingegnoso, appianare: ma il necessa- rio era la chiara indicazione del tempo che scorre fra l’un fatto e l’ altro del dramma. Quest’ osservazione ci pare importante , e spe- riamo non sarà trasandata. Nella tragedia francese ognun sa che i fatti, bene o male, si tengono dietro in poche ore, e l’uditore è tran- quillo. Ma qui il tempo vola; conviene con una parola misurarlo, ac- ciocchè il riguardante sappia dove si trovi, e non sia dubbio sullo sviluppo del fatto, quale veramente esso avvenne. x K. Xx. Y. Lettera del CAN. Gio. BATTISTA PASQUINI Teologo della Catte- drale di Chiusi , e Vicario Generale. Al DIRETTORE DEL- L' ANTOLOGIA. To mi rammento sempre con dispiacere di avere , nell’autunno del passato anno, perduto la bella occasione di vedervi nella vetustis- sima sede di Porsena , quando faceste il giro della fertilissima Val di Chiana in lieta compagnia del ch. sig. professore Orioli di Bologna , e del sig. Montani vostro collega dei più valenti. Il rapido vostro passaggio a questa città cadde per disgrazia in un giorno festivo, che mi richiamava a faccende ecclesiastiche , e questa fu la causa che perdetti la grata combinazione di conoscere, e riverire tre bravi sog- getti al mondo letterario assai noti. Foste a visitare insieme il sepolcro etrusco, che resta in vici. nanza del nostro lago , uno de’ pochissimi monumenti di quel famoso popolo salvati dal furore de’barbari, e dalla smania di tutto distrug- gere nel medio evo. Ne abbiamo autentica riprova nel novembre n.° 59 del vostro applaudito giornale , dove è inserita una sceltissima lettera di quel raro ingegno del sig. Orioli diretta al mio buon pa- 1I2 drone , ed amico sig. Gio. Battista Vermiglioli professore celebre di archeologia nella pontificia università di Perugia. In detta lettera si vedono in due tavole di fronte le varianti del- l’ epigrafi etrusche ne’ coperchi delle urne , che adornano detto Ipo- geo , e nella differenza notabile della lezione rispetto ad alcune tra la stampa di Vermiglioli, e la copia che ne, trasse il prelodato Orioli, mi detti ogni cura di riscontrare per ben due volte le stesse iscrizioni per renderne puntualmente avvertito l’amico, che voleva riprodurre il suo erudito lavoro sul sepolcro chiusino nella raccolta , che stam - pavasi appunto allora de’ suoi opuscoli , interessando troppo , che il colto pubblico le avesse una volta emendatissime. E di fatto nel tomo IV di detti opuscoli fu tenuta a calcolo la copia del sig. Orioli , ed abbracciate le varianti dietro ancora le mie assicurazioni , tolta l’emenda fatta in fine della IV epigrafe Pum- pual, quando chiarissimamente vi è la solita della stampa già fat- tane Au: Saintial , ed il sig. Vermiglioli lo avvisa opportunamente : tanto è facile prendere qualche abbaglio nel copiare questi vetusti caratteri , se un' Orioli così attento , e sommamente pratico- d’ etru- scheria non se n° è potuto del tutto guardare ! E per invitarvi , sig. Direttore , col lenocinio potente della no- vità a fare un’altra corsa in Val di Chiana, che tanto debbe al ge- nio straordinario , ed alla profonda scienza dell’egregio uomo di stato Sua Eccellenza Fossombroni , (e verun popolo della fortu- nata valle maggiori obbligazioni gli professa de’ chiusini), wi farò una breve , e schietta relazione delle pregiate cose che in tre colli- nette vicine alla città si sono trovate nel presente anno 1826, vera» mente all’ etruscheria propizio. Nel mese di febbrajo vennero scoperte casualmente per l’av- vallamento del terreno due celle sepolcrali scavate nel tufo. In una vi furono trovate quattro urne cinerarie con etrusca iscrizione nel lembo de’ coperchi, tre di marmo, una di travertino. Le tre di mar- mo sono ornate di bassi rilievi nel prospetto , ed ana li ha da tre lati, Queste oltre essere un poco danneggiate dal tempo , sono state bar- baramente mutilate nelle teste de’ persanaggi che vivi rappresenta- vansi ne’ coperchi appoggiati a bei guanciali. Oltre questi segni in- fallibili del ritrovamento di tali urne in altra epoca , i coperchi era-' no tutti rovesciati, ed in distanza dalle urne. Nella contigua cella si rinvenne una grand’ urna , parimente di marmo pel cadavere intiero, vandalicamente rovinata nel suo più bello, nella figura cioè della matrona , che sta maestosamente giacente in tutta l’ estensione del coperchio, mancandole la testa , e le braccia. 113 Doveva essere una gran signora, ed apparisce dalla magnificenza de- gli abiti, e dalle decorazioni del petto consistenti in eleganti catene, e' bassi rilievi a più ordini. L’ artista in questo coperchio non ha ri- sparmiato ornamenti , ed il panneggiamento era sparso di vivi colori spariti in gran parte esposto all’ aria. L’ urna a due lati ha de' rosoni guastati dal contatto del tufo. Belissima è la scena del prospetto con varie figure a bassirilievi, singolare è il gruppo di grave personag- gio in mezzo a due donne, che resta a destra in fine dell’ urna, Alla semplice vista di questi monumenti si capisce subito che non sono di stile dell’antica scuola Toscanica , e che bisogna riferirli ad un’ epoca più bassa , ma più felice per le arti. L’ enorme coperchio di quest’ urna era smosso per rubare tutte lé rare cose dell'interno, e nella terra onde era oggi ripiena appar- vero delle tracce d’ oro. L’ epigrafe è nell’orlo della stessa urna per disgrazia non iscol- pita , ma semplicemente colorita di nero. Alcuni elementi sono spa- riti nel trasporto; onde è stata alla meglio copiata , e per gran sorte essendo venuto quà il ch. sig. Ab. Zannoni Regio Antiquario, sotto i suoi occhi fu riscontrata. Debbe essere molto interessante, mentre è composta di quattordici voci, Tatte queste urne sono state con ogni diligenza , e verità dise- gnate dal valoroso giovane sig. Monti di Siena, ed oggi si conserva. no in Chiusi con varie altre antichità in un deposito del nobil sig. Pietro Casuccini, In questo scavo fu trovato un’ anello ricco in oro con pietra in- tagliata di tre strati diversi , un idoletto muliebre che doveva servi- re, come spiegò lo stesso sig. ab. Zannoni , di manico alto specchio , ed una patera, o sia disco manubriato con quattro figure, due uomi- ni, e due donne, oggetti sfuggiti alla rapacità de’ primi scuopritori. Nel giorno 4 di giugno il colono di un podere denominato di 6 Val d’acqua ,, spettante a questo regio conservatorio ; scuoprì in una collina dae urne figuline , ed il coperchio di una merita attenzione. Incominciandosi nella stessa direzione lo scavo , si trovò in una nicchia di tufo altra urna di marmo di media grandezza rappresen- tante nel coperchio una donna. Ma la finezza de’ bassirilievi sia nella facciata dell’ urna, sia nello stesso coperchio, non si gode altrimenti per la terra che aveva al ridosso, e dell’epigrafe etrusca non vi sono rimaste che le tracce. Continuandosi lo scavo, giunsero fortunatamente nel giorno 6 allo stesso ingresso di una camera tatta incavata nel tufo, dove erano otto urne, quattro a mano destra dell’ ingresso, una di faccia, e tre a mano sinistra, tutte corredate d' etrusca iscrizione. Le lettere \ IT. XXIII. Seztembre, 8 , 116 sono scolpite e di più colorite o di rosso , 0 di nero, ad eccezione del-. l’ arna VII che le ha solo a color rosso. ; Le prime quattro urne a mano destra, come quella di fronte sono di marmo, La prima ha il prospetto liscio ; nella quinta vi sono dei rosoni. Le altre tre si vedono ornate di bassirilievi di bello stile, la seconda in modo particolare ; e ne’coperchi di tutte cinque abbiamo figure appoggiate con molta grazia a guanciali di tal lavoro, che mo- stra il volo fatto dalla scultura in Etruria.In quellò della V. urna ri- posa un vecchio cui solo manca la parola. Quattro figure sono di forma virile; in un solo vi è l’immagine di femmina. Gli aomini hanno il distintivo dell’anéllo, ed in qualche prospetto si conservano ancora i colori. Le altre tre urne a mano sinistra sono di rozzo travertino; le prime due semplicissime , l’ ultima incavata più addentro nel tufo è assai grande , la sola pel cadavere intiero, liscia nella facciata con figura d’ uomo adagiato nel coperchio che tiene nella mano de- stra un vaso. Questo sepolcro ha avata la disgrazia di tutti gli altri, di essere stato cioè per l’ avanti trovato , e spogliato di tutti gli oggetti, che vi riponevano gli antichi. Ne abbiamo chiara riprova ne’ coperchi smossi , o rovesciati ; e siccome non potevano far lo stesso al coper- chio dell’ urna grande, fu rotta nel d’avanti per rifrugarla. Per tale stregio si è perdata la splendida epigrafe , di cui non vi sono ri- masti che pochi caratteri. Non ostante questa brutta visita fatta già al nostro Ipogeo , possiamo essere contenti, che almeno risparmiato abbiano le urne di marmo, mentre sono le meglio conservate fra quelle , che in questi luoghi siensi rinvenute da interessare l’arti- sta, e l'archeologo. Nella VI urna avvi una particolarità: fù cas- sata una più antica iscrizione per sostituirvene altra. Senza dubbio in questo sepolcro si racchiudono le ceneri di una stessa famiglia , e a relazione del prelodato archeologo sig. Vermi- glioli, famiglia nuova fra l’etrasche già conosciute , ed è l' Umrana scritta con costante ortografia in tutte le sette urne. Ma quello che si merita grand’ osservazione per parte de’ dotti nelle antiche lingue italiche, si è la varia desinenza dello stesso gentilizio ; mentre ne’nu- meri I, II, IV vi è Umrana forse caso retto; ne’ numeri III, VI Umranasa: nel numero V Umranas; nel numero VII Umranei; onde lo stesso ch. Vermiglioli soggiunge allo scrivente , che la sco- perta di questo nuovo necropolio è bella , ed interessante assai per la lingua etrusca, Il nobil sig. Flavio Paolozzi operajo del regio conservatorio fe- ce subito consapevole il real governo di tale invenzione , e queste 115 ottime oblate furono ben contente di fare ossequioso omaggio di questi preziosi avanzi dell’ antichità a SUA ALTEZZA IMPERIALE E REALE il nostro amatissimo Sovrano, sapendosi il genio felice, e magnanimo che Egli ha per tutto ciò , che può in qualche modo interessare le belle arti, le buone lettere , e le utili discipline. È stata fatta la porta all’ingresso della camera , che si apre a tutte le colte persone , che vengono a visitarla, Nel medesimo tempo la casa Dei ha trovato in altra collina tre stanze sepolcrali parimente scavate nel tufo con volta a rilievi , e con varie pitture nelle pareti, ma del tutto spogliate , non essendovi ri- masti, che frammenti di vasi di antico stile, ed avanzi di vasi dipinti bellissuni. Il saggio giovane sig. Giuseppe Dei vi ha fatto portare quelle urne (una delle quali marmorea di pregiato lavoro ) che ha potuto rinvenire in altro scavo, onde renderle maggiormente inte- ressanti alla curiosità di quelli , che vanno a vederle, essendo a poca distanza dall’ Ipogeo del regio conservatorio. Se vi piacesse, sig. Direttore garbatissimo , di dar luogo nel vo- stro giornale a questa mia lettera , come uno de’ vostri associati, io nol dissento ; basta che si sappia, che non sono cose della mia pro- fessione , tutto occupato di scienze sacre, e di negozii ecclesiastici. To non ho altro merito nell’etrascheria, che di fare le veci della Cote Oraziana: o 00... Acutum « Reddere quae ferrum valet ; exors ipsa secandi, rendendo intesi gli amici, e gl’intendenti delle nuove scoperte , onde dottamente stadiarvi; e fra questi a titolo d' onore rammento con distinzione il Vermiglioli , in cui (ad asare le stesse frasi del de- fanto prestantissimo conte Perticari in una lettera , che è a stampa) la gentilezza del cuore è eguale alla nobiltà , ed altezza dell'ingegno da doverlo predicare per un bell’ esempio di antica cortesia. Continuate coraggiosamente nelle vostre utili imprese , fra le quali conto il nuovo giornale de’ contadini; dove potessi ubbidirvi , comandatemi con libertà , e così potrò autenticarvi co’ fatti quella candida stima con cui ho il piacere di segnarmi. Chiusi 12 Agosto 1826. Devotiss. Serv. G10. BATTISTA PASQUINI. 116 ta Commedie del sig. Avvocato ALsERTO Nora. Edizione decima , ri- vista e corretta dall’autore. Milano, 1826. Silvestri volumi a in 8. Comechè fra le varie edizioni di queste commedie, la più pregia- ta sia quella di Torino siccome fatta sotto gli occhi dell’autore, e da lui stesso diligentemente corretta: ciò nondimeno dobbiamo una giu»: sta lode al sig. Silvestri per aver egli eseguita questa nuova stampa col riscontro del testo torinese , e di più col consentimento e coi suggerimenti dell’ autore che fu a tal uopo da lui richiesto e pregato. Le molte impressioni delle commedie del Nota colto e purgato scrit- tore sono una novella prova del buon gusto che da varj anni si va diffondendo in Italia per le opere di utile ed amena letteratura, e specialmente per la drammatica (1). Di fatto sul finire del passato se- colo; ed anche sul principiar del presente, era così misera la condizione del nostro comico teatro , che rarissime volte ne veniva conceduto il piacer di vedere rappresentata una bnona commedia. Nella Lom- bardia, in Piemonte ed altrove bastava l’ annunziare una, commedia del Goldoni, perchè il teatro rimanesse vuoto di spettatori (2). Nel che per altro dobbiam fare una eccezione in lode della Toscana, e in particolare di Firenze, ove la vera commedia fu in ogni tempo pregiata; quelle poi del detto autore ebbero sempre onorevole e fe- stosa accoglienza. Di tale dicadimento si ebbe il primo esempio in Francia in quelli anni appunto dal 1770 in poi, allora quando le menti preoccupate da nuove opinioni cui fecondava la così detta filosofia del secolo, si disponevano o trascinavano a quelle gravi politiche vicende da cui tutta Europa o più presto o più tardi fu scossa. Quindi con l’ animo continuamente rivolto a sì fatte mutazioni non era possibile che gli spettatori fossero contenti alle scherzevoli dipintare de’privati costu- mi, nè a’frizzi di un pulito e vivace dialogo, nè a que'bizzarri accoz- (1) Ecco le edizioni del Nota che conosciamo. La prima in 12. Milano Stella 1816, La seconda in 8.° Torino, Pane 1818, edizione nitida e bella, di cui si sono tirati parecchi esemplari in carta grande velina cilindrata divenuti rarissimi. Altre due in Milano 1819 , e 1821 Stella e classici italiani, Livorno Vi- gnozzi 1822. Pistoia Manfredini 1823. Prato Vestri stesso anno. Venezia Or= landelli 1824 in sei volumi corredata di note e di osservazioni. Firenze. Mal- visi 1826 edizione in 16 scorrettissima fatta senza saputa dell’ autore e da lui riprovata con solenne protesta, (2) Accadeva nondi. rado che i comici cangiassero il titolo alle commedie del Goldoni, per tirare gente al teatro : nobile inganno che tornava a profitto degli spettatori assennati. tI7 zameoti di caratteri é di cose che invitavano da pprima , e così piace- volmente, alla festività ed al riso. Ma per un quasi generale consen- timento si rivolse il gusto a quelle sceniche imitazioni di avvenimen- ti domestici sì, ma dove dominassero sentimenti elevati d’ un filoso- fismo anche ideale, passioni profonde e perturbatrici dell’ animo : fatti in somma di seria e commovente natura, fossero anche fuori del probabile o del verosimile. Ed è perciò che sursero in Francia ed ottennero qualche fama drammatica La Chausée, Diderot, Beau- marchais, D'Arnaud ed altri molti, a’ quali tatti, mercè di mediocri o di pessime traduzioni, si diè, poco stante, piena cittadinanza in Ita- lia; e loro fecer corona con romanzate in dialogo , e piagnistei senza fine ovvero con satiracce da trivio i Willi, i Gamerra, gli Avelloni e troppo spesso Cammillo Federici; sebbene in alcune opere abbia quest’ ultimo mantenuto il tuono della buona commedia, per cui da- gli altri si vuole sceverare di gran tratto, E questa abbondanza di imitazioni e di traduzioni fece un’altro non lieve danno all’ Italia, perchè fa cagione che la lingua nostra perdesse a poco a poco anche nelle migliori scritture le sue native qualità, e vestisse modi e forme affatto straniere, di che fatti più accorti, appena appena cominciamo ad uscirne, e rimetterci sulla buona via. Si avvicendavano con le sentimentali declamazioni, e cooperava- no maravigliosamente a corrompere il gusto le allegorie nelle quali erano personificate l'ambizione, l’ odio, l’ingratitudine e sì fatte, sic- come ne mostrano parecchie composizioni de’ citati Avelloni e Fe- derici. Finalmente que’ mostruosi spettacoli scritti in pessimi versi, con morti, rapimenti, incendii, rovine, battaglie di che i comici (sic- come adoperano anche al dì d’oggi, sebbene con minor fortuna) rega- . lavano spesso la sciocca moltitudine; la quale per altro, a dire il vero; fa in ogni età avida di sì fatte maraviglie più assai.che non fu.in alcun tempo di buone, castigate e regolari commedie. Edi ciò si doleva Te- renzio (3) e ne fece Orazio argomento di amaro rimprovero a’ roma- ni (4): e più tardi ed in tempi a noi più vicini, ne richiamavano alta- mente i-Boileau, gli Addison, i Maffei e tanti altri. Sostenevasi d’alcun poco l’ onor del teatro con le commedie dell’ Albergati, del Derossi, e del Sografi. Ma il primo troppo spesso intento a voltare cose francesi, appena si potè dire che fosse ingegno creatore, salvo in aleune commedie, e tuttavia con un certo stento, e con dimostrazione di fatica, senza quell’impronta di fresca originalità e spontanea vivezza che tanto piace agli intelligenti; e talvolta ezian» (3) Prol. all’ Ecir. (4) Ep. ad Aug. lib. 2. 118 dio con modi non bastevolmente castigati di decenza ; di che suole aontarsi la buona morale, siccome ne fanno fede molte scene del suo Saggio Amico e delle Convulsioni. Contemporaneo, amico ed ammi- rator di Goldoni non potè l’ Albergati essergli uguale nè secondo. Si ammirava e si ammira nel De Rossi la semplicità e la naturalezza, doti eccellenti in uno scrittor comico; ma oltre il poco calor dell’azio- ne, gli si rimprovera che fosse disposto a dipingere e ritrarre più particolarmente i caratteri e i difetti comuni alla sua patria, e così ristretti in una piccola sfera, laddove nell’ imitazione scenica si dee prender di mira il carattere attuale e generale di tutta la nazione per cui si scrive. Tuttavia sono troppo trascurate da’comici le commedie del citato autore, uomo illustre per tanti altri dettati: e fra le varie di lui commedie degne di molta commendazione, e di lode si vedreb- bero riprodotte sulle scene con buonissimo effetto il Cortigiano one- sto,la Famiglia dell’ uomo indolente, e le Sorelle rivali. Pareva che il Sografi buono conoscitore dell’ effetto scenico volesse accrescere la patria ricchezza: a darne speranza e fiducia comparvero /’ Olivo e Pasquale, e le Convenienze teatrali. Ma o fosse anche egli trascinato dallo stesso destino che gli altri traeva; ovvero ( e ne par più proba- bile ) credesse dover servire all’ interesse de’ capi comici , fatto è che scrisse anch’ egli drammi sentimentali , e certe misture di ridicolo e di tenero ed altre sceniche stravaganze, di modo che per suo mezzo non progredì molto innanzi la bell’ arte fra noi. In tali condizioni di tempi, di scrittori e di cose si mostrò co’ suoi primi saggi lo scrittor torinese. Affezionato sino dall’infanzia alle commedie del Moliere, e del Goldoni, sagace osservatore del- l’età nostra (5), fermò nell’ animo essendo ancor giovanissimo d’ an- ni, di voler ricondurre selle nostre scene la vera commedia quasi del tatto proscritta da’ novatori. V’ebbe nella sua patria stessa chi correndo altra via, procurava di gettar sopra lui il ridicolo del- l’ intrapresa . Dovette vincere ostacoli, sostenere amarezze, di- sgusti; chè l'opposizione più forte trovò nel pessimo gusto degli . attori, e degli spettatori, guasti e corrotti gli uni e gli altri a vicen- da dalle sovraccennate cagioni. Ma incoraggito da valenti amici , fra” quali citeremo il cav. Monti e il conte Gio. Paradisi ( quest’ ultimo mancato or ora con duolo universale all’Italia, alla filosofia, alle let- tere) progredì impavido nel nobile divisamento ; e a poco a poen co- minciò ad avvezzare gl’ italiani alla spontaneità del dialogo fami- gliare e alla sincera e viva immagine delle sociali costumanze , lu- singando taluna volta il genio degli spettatori con commedie tenere (5) Bibl. It. proemio dell’anno 1820, 119 bensì , ms non declamatorie , e servando in tutte la verità nell’azione e ne’ caratteri e la naturalezza degli incidenti, e una morale purissi- ma ; di sorta che in pochi anni fu compiuta l’impresa: e non solo sono gustate da tutta Italia le sue commedie siccome le migliori , e tradotte in lingue forestiere ; ma per suo mezzo ebbero novella vita ed onore quelle dell’immortal suo maestro. Nelle composizioni del Nota l’azione è quasi sempre semplice ed una, e si annoda è si sviluppa senza stenti o difficoltà. Intorno al principal personaggio si aggruppano i minori , distinti |’ uno dall’ altro; e tutti adoperano secondo la rispettiva loro natura per l’interesse e lo scopo del dram- ma, Lo stile e la lingua sono corretti ; e in quest’arringo (6) ha tanto guadagnato il signor Nota da varii anni , che nessuno autor comico , toltone gli antichi, lo sopravanza. Ed era troppo naturale che le prime sue produzioni si risentissero del tempo in che farono dettate, vale a dire di quel tempo che in molte città d’Italia, e singolarmente in Piemonte e nel conversar famigliare e nello scrivere signoreggia- va l’ idioma francese: e Dio volesse che questa smania fosse affatto cessata ; e le nostre gentili signorine fatte più italiane , e certi da- merini alla Gira/dina (7) si persuadessero una volta che anche la nostra lingua ha frasi, e concetti appropriati per iscrivere i di/lets doux. Così parimente in alcuna delle prime opere di quest’ autore furono osservate troppe imitazioni dal Moliere e dal Goldoni; e le susseguenti presentarono maggiore originalità , come maggior forza comica e vivezza di dialogo e di azione. Ne’due volumi che ci presenta il Silvestri sono raccolte quindicicommedie, di cui varii giornali in varii tempi, singolarmente la biblioteca italiana, diedero favorevol giudicio. L’ autore nella pubblica sua dichiarazione di non voler ri- conoscere le edizioni fatte contro il suo intendimento, ne ha pro- ' messo una nuova che tutte comprenda quelle che ha scritto sin qui alnumero di 22 ; 0 23. Desideriamo di veder eseguito quanto prima questo suo lodevole divisamento , e torneremo a parlare di lui più partitamente per se- gnare quel progresso che dalla rappresentazione delle inedite ed in îspecialità della Zedova in solitudine e della Costanza rara ne è pa- rato poter dedurre a gloria dell'autore e del nostro teatro (8). (6) Paradisi, ragionamento sulla Lusinghiera. Bibl. It. tom. 14. p. 3. (7) Giraldino è il nome d’un personaggio ridicolo nella Zusinghiera, il quale è tutto francesè e nel parlare e ne’ modi. (8) Dopo scritto questo articolo ci è ‘pervenuta notizia che il teatro ita- liano si è arricchito d’ una nuova commedia del Nota intitolata da Fiera.,, re- citata con molto applauso in Torino, e or ora in Genova dalla compagnia drammatica al servizio di S. M. il Re di Sardegna. 120 Fra i viventi scrittori comici sono altresì da menzionare com lode il sig. conte Giraud romano e il sig. Marchisio anche torinese. Ammirasi nel primo una fantasia feconda e un gran fondo di gaiezza di cui sono cosperse le migliori sue commedie, fra le quali a parere nostro e degli stranieri, primeggia 1’ 470 nell imbarazzo : (9) equivoci graziosi , sospensione , dialogo vivo , progressione rapida ne sono le doti principali. Dilettano pure e fanno ridere il Disperato per eccesso di buon cuore , e la Casa disabitata, La prima d’ esse ne pare una imitazione del désespoir de Jocrisse, antichissima comme- diola francese. Col suo fervido genio e con la sua naturale facilità, è da dolere che il conte Giraud non si faccia innanzi con altre buone ed allegre composizioni, le quali riuscirebbero pure in acconcio a divagar l’ animo degli spettatori italiani da altre serie riflessioni ; converreb- be per altro che egli avvertisse a due cose : a far migliore il suo stile secondo la condizione de’ personaggi introdotti ; e ad osservare mag- giormente le leggi della decenza e della morale: nel che peccò ta- luna volta, e singolarmente nella sua commedia i/ figlio del sig. pa: dre , la quale ridonda d’equivoci laidi e scurrili , siccome prima di noi fu notato dalla biblioteca italiana (10); chè, grazie alla crescente generale civiltà si sono fatti a questo riguardo di gran passi anche dopo il Goldoni ; cosicchè i più rigidi moralisti cominci«no a ravvi - sare il teatro comico moderno siccome una scuola di buon. costume. E di certo debbe esser tale la convenevolezza nelle cose ritratte e l’ onestà ne’ modi e nelle parole, che con la massima securtà possa una saggia madre le sue zitelle, un pradente marito condurre al tea- tro la sposa. Corretto nella morale e più castigato di lingua è ‘il sig. Mar- chisio , il quale oltracciò fè prova del molto suo ingegno anche nel» genere tragico (11). Nelle commedie, essendo egli eccellente attore e conoscitor dell’effetto teatrale, non gli vengono mai meno que’panti scenici animatissimi preparati con arte a’ quali stanno presso gli ap- plausi. Anzichè gaio e faceto , egli è severo, pungente e gravemente satirico ; e servendo a questo suo genio, accade alcuna volta che in vece del personaggio parli sulla scena l’ autore. / suoi cavalieri d’in- dustria tolse dal Gi/blas, altre commedie da altre novelle o romanzi, ‘ e con buon discernimento , giudizio e fortuna. Sarebbe protrarre troppo in lungo un articolo di giornale ove si (6) Questa commedia fu.,anni sono voltata in francese ed impressa col titolo ; Le précepteur dans l’ embarras. i (10) Tom. 27; pag. 188; 189. (11) Marchisio opere teatrali vol. 4. Mil. 1821, Batelli , e Fanfani., T2I volesse diseorrere partitamente d’altri ingegni i quali in varie parti della nostra Italia vanno tentando questo difficile arringo. Accenne- remo di volo i sigg. Genoino e Cosenza di Napoli, il sig. Augusto Bon, attore nella compagnia ducale di Modena , il cav. ed avvocato de Antonii bolognese , l'avvocato Campagna e la sig. Speciosa Bot- tioni parmigiani, e il sig. Luigi Marchese di Genova. Ma sì veramente diremo alcuna cosa in un altro articolo delle compagnie drammati- che , e della recitazione teatrale. ‘ E. ri“ E “e -——— rm _ __ er. or _;ll Vriaccio DEL PAcHÒ NELLA CIRENAICA. L’ umana civiltà progredendo dall’oriente e dal mez- zogiorno alle regioni boreali lasciossi dietro spazii larghis- simi di paese, ne’ quali sottentrando la barbarie rimasero disertate le città, senza aratro i campi, senza leggi e sen- z’ordine le fiere e disociate popolazioni. La geografia. se- guì poco da poi il cammino medesimo. Obliò pressochè com- piutamente le vaste provincie dell’Africa e alcun lato del- I’Asia, e affrettò in vece di visitare.e minutamente descri- vere i ghiacci eterni della Groelandia, dello Spitzbergh, e della nuova Zembla. Ma poichè al senno, all’ ardimento e allo zelo de’viaggiatori venner meno le scoperte di nuo- vi mondi , si volsero essi con attento animo a ristorare il meglio possibile i danni dell’ ignoranza seguitatrice della barbarie, spesso avvolgendosi tra ruine di sepolcri, di tem- pii, di circhi, d’anfiteatri, e percorrendo regioni, mute, aspre, inculte, già fulminate dall'infortunio, e cui è debito salu- tare come madri antichissime di virtù cittadine, prime.ri- trovatrici dell’arti, e d’ogni civile splendidezza. Ma niuna fra le terre africane discadde da più alto. grado di civiltà quanto la Cirenaica, estimata fino a ora la squallida abita- zione di pochi arabi vagabondi. Però alcuni dotti europei raddoppiando quivi, e perfezionando le loro indagini , ne insegnan oggi che la patria di Callimaco, ha pur di pre- sente quel lume e serenità di cielo, quei colli delle grazie, quelle verzure, quei profumi che fecero avventurata e fa= 122 mosa la colonia de’battiadi. Zampillano tuttavia quelle puris- sime fonti , fioriscono le rose e i mirteti alla cui ombra senti Aristippo movere e sfavillare nella cima dell’intelletto la sua voluttuosa filosofia. Il sig. Pachò ha di recente illustrato quel tratto dell’ Africa boreale, dal golfo di Bomba insino alla gran foce della gran Sirte, e con sì fatta dottrina, di- ligenza e perspicacia, da far pieni i voti del geografo e dell’archeologo. Però l’Italia, lode al cielo, ha molto par- tecipato al pregio di quell’ardue investigazioni; un minore di S. Francesco, il Della-Cella, il Cervelli e il Viviani, pre- cedettero le disamine del Pachò , e ritornarono per primi alla memoria degli uomini quel suolo, ove la gente latina portò le sue aquile. Non sarebbe qui tutto fuor del pro- posito il ricordare che la piena restaurazione della scienza geografica procedendo dagli italiani, primi furono eziandio a visitare le mal note e perigliose coste dell’Africa, quan- do i navili pisani, genovesi e veneti s’ aveano tolto lo scet- tro dei mari, e piantavano nei termini del mondo i vene- . rabili vessilli di S. Ranieri, e di S. Marco. Ma questa glo- ria è valicata ora agli oltramontani: e perchè è sempre da compiacersi dell’incremento dei lumi, e del progredire del- l’umano senno, sapiam grado al Pachò della sua dotta e laboriosa perlustrazione ; della quale non potremmo noi emettere miglior giudicio, quanto offerendo agli italiani (se» condo che in questo giornale fu prenunciato) un volgariz- zamento della relazione scrittane dal celebre Malte-Brun, per inchiesta della società geografica di Parigi. Abbiamo a quando a quando apposto al volgarizzamento alcune note, o per meglio chiarire certe speciali vertenze d’opinioni, 0 per dar ragione d’alquanti fenomeni, o per aggiungere co- gnizioni non inutili. Relazione de’ commissarii deputati dalla’ commissione centrale della società geografica ad esaminare le resultanze del viaggio del sig. Pachò alla Cirenaica. L’offerire un premio ad alcuno per incoraggiarlo a ret- tificare e a compiere le scarse e confuse nozioni che si 123 hanno sntorno la parte dell’Africa da’ moderni nominata paese di Barca, e dagli antichi Cirenaica, 0 Pentapoli, fu saggio pensamento della società di geografia (*). Impe- rò il viaggiatore che chiede oggi a noi quella onorevole rimunerazione ha diritto alla nostra benevolenza. Ma poi- chè ora per la prima fiata il nome della nostra accademia va congiunto a una impresa se non di scoperte bensì d’ar- duissime ricognizioni , l'onore e l’utile di essa accademia ne domandano, che oltre l’esaminare con critica imparziale e severa i pregi dell’opera del sig. Pachò, si volga ezian- dio una fuggevole occhiata all’insieme delle rilevanti que- stioni che le appartengono. Le ricerche del Pachò sopra l’antica Marmarica, sul- l'Oasi di Giove Ammone, e su quella di Audjelah, tuttochè importanti e bene meritevoli , non ponno aver luogo fra i due oggetti di questa relazione. Poichè è nostro proposito occuparci della sola Cirenaica, di quella regione natural- mente circoscritta a tramontana e a mezzodì dal Mediter- raneo e dal gran deserto della Libia, a ponente dal gol- fo della maggior Sirte, e a levante dal golfo di Bomba. Il Pachò vi ha dimorato viaggiando dal due di dicembre del 1824, epoca del suo arrivo a Derna, in fino al 22 di maggio del 1825, giorno nel quale partì da Bengazi: e me- stieri è aggiungervi le prime giornate del suo viaggio ad Audjelah a traverso della parte occidentale della Cirenai- ca. Questa lunga dimora, venuta fertilissima di cognizioni per lo zelo estremo del viaggiatore francese, ne ha procu- rata la prima universale e ragguagliata relazione di un pae- se vasto e di molto conto, che Paolo Lucas esaminò as- sai tenuamente, e nel cuale il famoso Bruce non eredet- te aver trovata’ cosa da porvi pregio. Il Della-Cella ita- (*) Vedasi nel vol. XIV , C. p. 168 dell’Autologia il programma del premio stabilito al concorso nel 1824.Veggasi il vol. XV, B. p.182. Vi si parla del viaggio del Della Cella, che fu primo a perlustrare dottamente la Cirenaica. Vi si accenna pu- re la spedizione ordinata dal Re d* [Inghilterra , e condotta dai sigg. Beeckey. Nel vol. XVII, C. p. 177 , si dà nuova dell’ opera dei sigg. Beeckey edita nel 1824. Nel vol. XII, C. p. 169, si accennano i lavori del capitano Smith sulla costa afri- eana da Alessandria a Gerba. (Nota del Traluttore). 124 liano fu primo a trarlo dalla oscurità onde cuoprimasi, ma alcune personali condizioni lo astrinsero a limitare di molto DI le sue dotte disamine (1). | Q Il Pachò, fornito di un octante a orizonte artificial da determinata all’incirca la latitudine di un gran numero'di punti, sì della costa, e sì dell’interno: ma sprovveduto dî un cronometro non ha valso a fissarne le distanze per lon- gitudine con esattezza veramente geografica. Tuttavolta egli ha usata la diligenza di se gnare le distanze de'luoghi a ore di cammino, notando insieme le variazioni della bussola; e tal lavoro raffrontato alle osservazioni astronomiche fatte lungo la costa da due sapienti navigatori, il capitan Gau- thier francese, e il capitano Smith inglese, deve oggimai venir sufficiente alla formazione di una esatta carta coro» | grafica dello interno della Cirenaica. Avvene una del Pa- (1) L’ eccellente Relazione del Della Cella è tradotta per intiero nei Muovi Annali di Viaggi , fascicolo di febraio , marzo ; e;aprile 1823; essa è accompa- gnata da una carta originale del Cav. Lapie , il quale ha avuta cognizione delle os- servazioni astronomiche del capitano Gautier intorno le coste, V. le Note amaliti- che del Lapie , Nuovi Annali di Viaggi , fascicolo di maggio 1823/ Il Viviadi, dotto botanico italiano, ha pubblicata una Flora Cyrenaica; attenendosi ai Ghadal riali offertigli dal Della Cella. ia La società di geografia fece imprimere nel 2 volume delle sne memorie (CO 15, e seguenti ) una succinta relazione della Cirenaica del dott. Cervelli pisano ; com- pilata e tradotta dal Del/aporte vicecousole a T'anger. È un sunto dél giornale ‘che il medico naturalista venia componendo nella spedizione del 1812 , eseguita per or- dine del bey di Tripoli. L'autore, dopo aver descritta Barca , Bengazi e Sassaf , si ferma a Cirene , e compendiosamente discorre le sue ruine, le sue tombe, e î suo1 sotterradei. Inoltre vi si leggono ‘alcune più minute notizie valutabili nel 1824 5 ‘il difetto di documenti riguardo la Cirenaica mosse l'accademia. a raccoglierle ,, e ad apprezzarle, e per simile cagione consegnò alle stampe il seguito dell’ itinerario del Cervelli , e la relazione del Padre Pacifico da Monte Cassiano, prefetto apostolico a Tripoli. Quest ultimo viaggiava nel 1819 ; descrive ‘egli rapidamente la' Penta- poli libica. Cirene, il suo luogo , e.le sue ruine, formano a liti oggetto di meravi- glia e d’ entusiasmo. Tali memorie furono communicate alla società dal Jomard, dell’ instituto. Il Beechey , luogotenente della mariva reale britannica, ha esplorata la parte maritima della Cirenaica , e ne ha tratto un ampio numero di disegni. La sua re- lazione dee pubblicarsi a Londra, e certo riuscirà di molto peso al.giudicio dé* let- terati : ma la Francia deve aiutare e incoraggiare la pubblicazione dell’ opera del Pachò. Questa onorevole gara tornerà a utile delle scienze. Il Thrigge ha fatta apparire a Copevhageu la prima parte, d’un 7eutamen Historiae Cyrenaicae , lavoro dottissimo, init ti ema 135 ‘chè. diretta a farci conoscere le posizioni relative di tutti i luoghi, e di tutte le tribù ch’egli ha trovate cammin fa cendo, e delle quali ha scrittii nomi con lettere arabiche: e ne ha formata anche una seconda, sopra una scala mi- nore, che comprende la Marmarica, la Cirenaica, e le oasi di Maradih, di Audjelah, di Feredia, e di Siouah. Egli ha pure delineato un piano topografico di Cirene , e de’contorni, pieno di ragguagli pregievoli in singolar modo. Delle quali cose noi desideriamo vivamente la pubblicazione, come di preziosi materiali da cui in appresso la critica cartografica trarrà quel partito che più stimerà dicevole. Poichè le in- vestigazioni locali di un abile viaggiatore sono al modo di tante deposizioni, che dal tribunale geografico debbono rao- corsi con minuta esattezza, E a tale proposito ne giovi rammentare gli accorti ri- flessi che dati furono a giudicare alla commissione centrale dal sig. barone di Humbolt, perchè voglia la società forni- re d'un cronometro que’viaggiatori ch’ella estimerà capaci d’usarne proficuamente. E perchè poi questi istrumenti non espongano a più forti, pericoli i viaggiatori svegliando la cupidigia degli africani, è buon partito, secondo l’avviso del Burkhart e dal Soolit ricuoprirli d’una cotal vernice che ne asconda lo splendore metallico. Sono da apprezzarsi conio le osservazioni del Pachò sulla geografia fisica, tanto più che elle non appoggiano a qua- lunque supposizione di sistema, nè a quel gergo variabilis- simo che spesse volte tarda e confonde le analisi del pen», satore. Gli arabi abitanti della Cirenaica chiamano. con nome veramente dimostrativo Djebbel Akhdarosia alto pae-. se verdeggiante quel pianoro calcareo che s’innalza lungo la costa del mediterraneo da Derna sino all’ antico capo Phycus, per mezzo di una serie di ripiani alternati da mon- tagne scoscese, e da praterie irrigate da torrenti ; e fra la base di queste alture ed il mare corre uno spazio di terreno basso della larghezza di quindici o venti minuti. Ma all’ovest di Souza, antico porto di Cirene, e sopra tut- | to all’occidente del capo Phycus , la punta più boreale. 126 dell’ intera Pentapoli, queste basse pianure terminano, le alture confinano immediatamente col mediterraneo fino a Tolometta. Nel qual luogo le pianure ricominciano, e più sempre si dilatano fino ad arrivare vicino a Bengazi alla lar- ghezza di sei leghe. Di qui movendo inverso mezzodì il Die- bel Akhdar si abbassa più dolcemente allato al gran de. serto, nè sembra che abbia a communicare coi monti Ha- routch di Hornemann. Sarà poi cura d’altro viaggiatore non mancante di barometro il fissare l’elevazione di quei luo- ghi; il Pachò ha stimato poterla determinare a 1500 piedi, contando dal livello del mediterraneo al più alto di quei ripiani. Paragonando le analisi del de Buch sulla vegeta- zione delle isole Canarie, quelle del Desfontaines sul pia- noro dell’atlantico, e quelle dello Schow sulla Sicilia coi fatti mezionati dal Pachò, o con quelli registrati nella F/o- ra Cyrenaica edita già dal Viviani e conformi all’illustra- zioni del Della-Cella, ci siamo studiati infruttuosamente di conoscere l'elevazione della Cirenaica per mezzo della sca- la vegetativa. Tuttavolta abbiamo anotati due fenomeni che a ciò riguardano, e che è nostro debito di chiarire. Im- primamente nella Pentapoli non cresce alcuna di quelle molte specie di quercia che sono proprie delle medie re- gioni del pianoro atlantico, Perciò è probabile che i punti più alti del Diebbel Akhdar non arrivino a dugento cin- quanta piedi al disopra del mare: che è la minima altez- za del pianoro atlantico. In secondo luogo le spiagge della Cirenaica non verdeggiano di cacti, nè di palme come quella parte della Sicilia chiamata region tropica dallo Schow. L'esposizione boreale di questa costa è forse suffi- ciente a-spiegare una tale anomalia? (a) Le roccie sono generalmente calcaree, e ripiene di con- chiglie fossili, e di madrepore; vi mancano affatto il mar- mo e il granito ; il Pachò non altro ha saputo discernervi che alcuni strati di pudingo e di breccie. Ma questa pri» (a) Quanto ai cacti, per la natura delle piante crasse non è da stupire che non dican bene in passe di frequente nebbioso e iuaffiato da pioggie durevolissime. È poi da riflettersi che Strabone ha numerate le palme tra le piante indigene delle Pentapoli. (Nota del Traduttore). È \ 12 ma indagine non dee trattenere altri viaggiatori o il Pachò stesso colà ritornando dal ripetere un più diligente esame su la natura delle roccie, e in ispecie lungo la costiera fra Souza e Tolometta; ove l’erte spiaggie, penetrate al vivo dai picconi, agevolmente mostreranno quali maniere di ter- reno le compovgono (5). La concologia fossile, di già mol- to ricca di fatti che assai chiariscono la storia del globo, a noi sembra che di tale paese trarrà un giorno nuovi lumi. Ancora avremmo desiderato di sapere se vi si scontra- no terreni cavernosi, quale sia la loro configurazione, e come i molti torrenti formati dalle invernali pioggie s°as- sorbano dalla terra; poichè la carta del Pachò non va trac- ciando il corso che a un picciol numero di fiumi, o me- glio di ruscelli (c). (3) A ogni modo non mancava al Pachò quel più semplice mezzo d’investiga- mento , il quale è nell'osservare i margini de’ torrenti , e lo scosceso delle monta- gne. E certo se tolleriamo assai povertà di notizie intorno la geologia dell'Atlante, è forza dire che il Pachò ha pochissimo. operato per scemarla , tanto sono scarsi e in- determinati i particolari che ne dà a conoscere; e per vero i banchi di madrepore, il pudingo ; la breccia , e il grés (*) nominati solo , e non definiti danno a un tempo confuso indizio di terreni intermedii e secondarii, di trasporto e d’alluvione. E moto che in Libia e lungo la Barberia sono frequenti gli ammassi di echiviti ; ov è dunque la silice che procede dalla loro petrificazione, e ove la creta in cui suole abbondare tal sorta di fossile ? Le montagne, egli dice , sono calcaree; ma .e di quale calcareo? Sino a dieciotto e più varietà ne numerano i geologi, ommettendo pur quelle che s'adicono ai terreni di prima formazione. Noi insistiamo'a preten- dere su ciò analisi più accurate e più estese, poichè leggiamo avere la società richie- sta una relazione non men geografica e archeologica che fisica ; e perchè avendo il Pachò prolungate le sue ricerche in botanica, ove avevamo ela Flora Atlantica del Deffontaines , e la Cyrenaica del Viviani, tornava più utìle proseguirle ancora in mineralogia, ove la cognizione di quel lato dell’Africa è tuttora inesatta e incomple- ta.([Vota del Traduttore). (*) IL grés è mentovato nella succinta notizia della Cirenaica ch'egli medesi- mo lesse alla società di geografia. (c) Al dire degli arabi trecensessanta sorgenti inaffiano il pianoro della Penta- poli :. ma certa porzione dell’acque che ne derivano, scorrendo sopra strati calcarei, innanzi che per lunghezza di cammino siensi riunite e ingrossate a modo da formare | larghi fiumi già son pervenute alle aduste arene della Libia,la cui eccessiva caldezza e aridità le consuma e disperde. A questo ponno anche aggiungersi le profonde e maturali cisterne dei terreni cavernosi, la cui esistenza parmi oluemodo probabile, | e per l'indole del terreno calcareo attissimo a racchiuderne , e per analogia con altri luoghi della Libia, della Barberia, e dell'Egitto, e perla soverchia frequenza delle grotte sepolcrali. A Cirene p. e. nove giri di grotte sepolcrali disposte a guisa di terrazzi circondano la montagna sopra la quale grandeggiava essa città. Ora come 128 La geografia delle piante è stata finamente concepita dal viaggiatore. In principio venne egli attonito al pari che il Della-Cella pel grato cangiamento che le selvose colline della Cirenaica offrono al guardo di colui che lasciasi die- tro, o le immense arene della Sirte come il viaggiatore ita- liano , o i sassosi piani della Marmarica come il viaggia- tore francese. Ambidue s’arrestarono sì come ‘presi da dolce meraviglia, e credettero respirare nuova vita in quelle opa- che foreste, e in quei boschetti odoriferi che avvisano la Grecia africana. Ma il, nostro viaggiatore, avendo fatta una lunga corsa dirittamente .al sud, è stato in grado di bene contrasse- gnare i limiti della regione boscosa. Essa occupa l’alta spiag- gia settentrionale in una larghezza di 15 a 20 leghe, nel mentre che il piano australe, meno abbondantemente inaf- fiato o costrutto di terra più leggiera, cuopresi solo di piante erbacee, salvo alcuni valloni, in che la frequenza degli ar- busti fa indizio d’acque correnti. Perciò le colonie greche non vollero estendersi molto verso il meriggie: i nomi dei distretti più australi accennati da Tolomeo hanno una certa impronta africana, e niente conforme all’indole del greco idioma. Il Pachò in una delle sue perlustrazioni ha tro- vate le ultime ruine a Sama/ous, al 32.° parallelo. Nella regione boscosa il nostro viaggiatore ha avuto il buon criterio di classare i vegetabili per zone; però alquan- te indagini sul barometro avrebbero meglio precisata la for- mazione di queste classi. Presso Natroun sulle rive del mare, osggr vò alcuni ceppi di vigne chiusi tra le fenditure delle roccie, squallidi avanzi della greca coltivazione. Al primo ripiano incontrò il pino bianco e l'ulivo, circondati da mirti, da lauri, da cisti, da rosmarini , da salvie je da citisi. AI superior declivio d’esso ripiano boscaglie di corbezzolie di vollero i greci,per avere una forma di sepolcrali edificj tutta lontana dal loro costume, porsi all’impresa di scavare così profondamente nella viva pietra? Certo quella lun» ga e laboriosissima opera è forte per sino ad immaginarsi; parmi danque assai più credibile che scontrassero terreni, parte affatto caveruosi, e parte ricolmi di recenti concrezioni. Accennerò pure che Sinesio nell’epist. 104 parla d' una grotta naturale mente incavata nel monte Bomba , vasta , profonda, e sinuosa a modo di laberinto, (Ncta del Traduttore). nica 4 129 ginepri fenicii alternavano con belle praterie e ubertosi cam- pi di cereali. Ai punti più ardui della catena litorale tra- versò folte selve di huya, l’albero più frequente del pae- se (4). Ma giunto alle interne elevazioni , osservò i densi boschetti della caruba mescolarsi e aggrupparsi con la thuya. Inoltrando al sud fece egli una o due leghe tra mezzo i soli lentischi. Dopo i quali l’alta vegetazione cedea subito il luogo alle piante erbacee, e specialmente al cheahc sorta d’artemisia. Questa classificata enumerazione può estendersi e per- fezionarsi: non moviam dubbio di ciò: ma è degno che si faccia esempio de’viaggiatovi il buon senno che la conce- pì e la diresse. Il colpo d’occhio geografico è quel solo che dar possa un pregio universale ai rilievi del botanico. Il Pachò non ha per tanto negletta la botanica propriamente appellata. Egli ha tratto seco un erbario d’un centinaio di semplici, e sono quelli che offersero al di lui sguardo ca- ratteri più singolari. E qui è da vedere se 1’ accademia farà giudicio che il nostro nazionale abbia rinvenuto il fa- moso Sy/phium , vegetabile così prezioso agli antichi , e la cui forma è segnata nelle medaglie di Cirene. Attenen- dosì a questa forma, e alle descrizioni di Teofrasto e di Dioscoride , tale vegetabile, dice il Pachò , in nulla dif- ferisce da quello che Derias chiamasi dagli arabi, Tha- psia Sylphium dal Viviani, Ferula Tingitana dallo Spren- gel, e ch'egli si piace di nominare Laserpitium ferulaceùm. Forse vorrà negarsi al Pachò una identità completa della Thapsia, e della ferula: ma questo è certo, che una om- belifera simile al Sy/phium cresce in abondanza sulle col- line settentrionali della Cirenaica, secondo che Paulo Lu- cas avea di già confusamente annunciato (2); perciò quale timidezza vieta al nostro viaggiatore di ravvisarvi definiti- vamente il Sy/phium? Se il rispetto all’ indicazioni geogra- (d) La Thuya non è famigliare solo alla Cirenaica, ma all’ intera Barberia, ove la osservò da prima il Desfontaines, e trovolla della specie che nominasi articulata. (Nota del Traduttore.) (a) Il vegetabile vien detto zerra , secondo Paolo Lucas terzo viaggio T. II, . p. d0; la 2 o d si scambiano agevolmente nelle lingue orientali. T. XXIII. Settembre. 9 130 fiche degli antichi, che sembrano situare la regione Sylphio- fera molto più al mezzogiorno, rifletta di grazia che ‘tali indicazioni sono in parte indeterminate e contraditorie (3) (e). D’ un altro lato il Pachò afferma, come oculare testimo» nio , che per sei o sette leghe dalla costa non germina alcuna ombelliforme che abbia un nulla di simile al Sy/- phium ; perchè dunque non ammette egli che Strabone, Pli- nio e Tolomeo, alluogando il Sy/phium ne’deserti, designar volessero quell’alte spiagge e quelle inculte cime delle mon- tagne littorali? Perchè vogliamo che le nozioni topogra- fiche degli antichi su questa pianta riescano più esatte delle storiche ? Strabone ci assicura che i nomadi. conducendo a pascere le loro mandre fra le piantagioni del Sy/phium avevano distrutto quel vegetale tenuto: caro. per l’innanzi e sollertemente curato (4). Ma tali piantagioni non esiste» vano dunque nell’interno del paese, ove i nomadi signo- reggiarono sempre, € dove alcuna rovina non indica lo sta» bilimento dei battiadi. Plinio attribuisce la pretesa distru- zione del Sylphium ai proveditori degli eserciti romani, che proteggevano la pastorizia cone fonte di maggiori dazi, e aggiunge che la pianta fu così al tutto disertata, che un, ceppo ‘solo potè offerirsene alla curiosità di Nerone. Ora il medesimo Plinio ne accerta con quel suo stile affettato che “ il Sy/phium è d’ un carattere selvaggio che si rifiuta a crescere ne’ giardini, e riparasi ne’deserti ,, (5). Come mai un vegetabile così agreste potea venir disfatto dalle greggi? Non dovea esso ripullulare soito i lor piedi? Non dovea salvarsi appunto in fondo ai deserti? Di più Sine- (3)I due luoghi di Scillace (p. 45. ed. Voss.) e di Erodoto (p. 175. ed. E. Stes. ) collocano distintamente il Sy/pRium nella regione litorale dopo 1’ isola di Platea fino all’ entrata del golfo delle Sirti. (e) Stabilisce Erodoto la regione silfiofera da poi Platea isola della Marmarica, insino alle foci Sella gran Sirte. E perchè Cirene fondata era al di sopra di quella linea molto più presso al mediterraneo, Erodoto niente è discorde da Strabone, nel quale si legge “ contigua a’ Cirenei è la regione che è fertile del laserpizio ,, Quanto a Scillace, egli parla affatto inderminatamente “ in mezzo a Petrante , e al Ghersoneso sono le isole Edonia , e Platea : più al di là sono i luoghi ne’ quali ger- mina il laserpizio ,, (Nota del Traduttore). (4) Strab. XVII, p. 1194: ( Alm. ) comp. Arrian, , II, 28. (5) ‘ Rem feram et contumacem, et si coleretur, in deserta fugientem,,» 131 sio, vescovo di Tolemaide al quarto secolo, parla distesamente del Sy/phium che cresceva ne’giardini di suo fratello, e donde , egli dice, traevasi un succo abbondevole (6). Era dunque una pianta coltivata, e non era affatto scomparsa (f). Forse tutte queste contradizioni potrebbero conciliarsi, am- mettendo che esisteva già un Sy/pZium selvaggio che è il nostro Laserpitium ferulaceum, il quale non è mai man- cato nè mai lo potea , e un altro Sy/phium per opera di coltura perfezionato, cui si riferisce tutto ciò che dagli an- tichi predicavasi e delle sue virtù e dello smisurato suo prezzo. Spetterà poi a’ botanici il far conto di questa so- luzione di un problema famoso (g).Il sig. Pachò non ha (6) Synesii epist. 106, e 133. | (F) Ml discernere la sua pianta simile a quella scolpita nelle medaglie di Ci- rene, e conforme d'abito ai varii laserpizii fiorenti in Armenia , in Persia , e iu Europa, venia sufficiente a persuaderlo della loro identità di genere. Ma bene do- v:a mover dubbio sulla identità della specie , poichè molte ragioni le stivan contro, Gli antichi geografi poneano la regione del Sylphium dì verso il meriggie., nè so veder» che alcuno d’ essi discordi chiaramente su ciò : parmi averlo provato quanto a Scillace, e a Erodoto : nè forte cosa è il conciliare Je parole di Strabone con quelle di Plinio. Non si afferma dal primo che i womadi traessero a pascere le loro maudre nelle piantagioni del Sy/phium, ma bensì che in una ostile scorreria i barbari a cagione d’ odio estirpassero quanti ceppi di laserpizio rinvenivano (*). Plinio narra un fatto posteriormente accaduto , e aggiuuge alla prima una seconda cagione più vali.la perchè più durevole. Se poi sciogliamo della veste retorica quelle sue frasi uffettate , parmi che significhino rettamente che il laserpizio cirenaico smar- riva le sue qualità altrove trapiantato , nè facea bene che in quel suolo agreste, ove era una condizione di terreno , un cielo, e un clima proprio alla.sua natura . In botanica sono mille gli esempi di vegetali sì fatti. (Leggi la nota susseguente). Che se il Pachò non ha veduto a sei o sette leghe dalla riviera alcuna ombelliforme d’al- quanto somiglievole al Sy /pRium , dee più presto arguirsene o che esso vi germina oltremodo raro come al tempo di Nerone, oche vi è affitto Scomparso, come ad esempio la Persea e la Nymphea Nelumbo scomparvero dall’ Egitto. Gli stessi arabi ne compieron forse la destruzione , amanti come «ono della pastorizia , e al tutto ignari della preziosità di quel semplice Fu al Pachò altra cagione di dubbio il sapere che le parecchie specie di Sylphium note agli antichi, non sono da Pliuio, da Dioseoride e da Teofrasto contradistinte per le varietà della forma, ma per l’indole, i pregi, e gli effetti de’ materiali immediati: nè noi siamo così avanti nella cogni- Zone iutriaseca della Tingitana e dell’ altre ferule ; per poter stabilire un esatto paragone. (Nota del Traduttore). (*) “ Attigua a' Cirenei è la regione che dà il Laserpizio ..... venne meno allorché i barbari in un armata incursione,stimolati da odio, le sue radici svelsero pressochè interamente ,,. Strab. L. VII. (g) Nuu sono ipotetiche le due sorte di laserpizio nella Cirenaica. Dioscoride ne fa menzione chiarissimamente: l'una era pregiatissima perché se ne traea il luser 132 osato decidere che il Zaserpitium derias sia il Sylphium ; però una tale modestia, forse oltre al bisogno gli èatala cagione di molte indagini intorno alle piante della Cire- naica meridionale; dove gli si fu offerta una specie di Ar- temisia detta Cheah trasportata in qualità di aroma fino nel Bournou, e nella quale il Pachò ha per un istante opi- nato di riconoscere il Sy/phium: ma poichè fra cotesti due vegetali non è alcuna esteriore somiglianza, crediamo che tal congettura sia affatto da rifiutarsi. Il clima della Cire- naica ha formato al Pachò l’oggetto di alcune utili investi- gazioni, le quali giustificano la frase energica degli antichi libici, da cui s'udivan dire i greci coloni: qui dovete stabilir- vi, o stranieri agricoltori; che qui Ze volte del cielo sono trafo- rate, qui cadono le pioggie benefiche che un cielo di bronzo niega ai nostri deserti. E per vero, pioggie abbondanti e con- tinue nei mesi d’ inverno danno a quel pianoro settentrionale una facile preminenza su tutte le aduste campagne che lo cir- prezioso e celebrato, l’altra nominavasi magydaris simile al Sylphium'per quanto alle virtà mediche ,ma donde non distillava gomma, La cognizione di queste due varietà di laserpizio aumenta a miò credere le ragioni del dubitare suila scoperta del Pachò, ma non ne discende certo che le prefate due specie non fo»sero che unat, distinte poi dall'arte della coltura. Chè oltre che vi contradice la testimonianza di Dioscoride, è da riflettere che esso Dioscoride , Plinio , Teofrasto, Strabone, Erodoto, e qualunque antico tacciano affatto su cotesta presunta coltivazione. Nè i tre primi parlano del laserpizio a caso, e leggermente: anzi ne descrivono le parecchie specie dell'Asia e dell Affrica , ne paragonano minutamente le intrinseche qualità , e del Sylphium cirenaico numerano a una a una le virtù mediche, i peculiari pregi del Zaser, i di- ‘versi usi delle foglie del fusto , delle radici ec. Che se la eccellenza del }aserpizio cirenaico doveasi alla coltivazione, come potea esser venuto meno ai tempi dì Stra- bone e di Plinio”, cioè innanzi alle rivolte della colonia giudaica , e all’inondazione de’ goti? non potevano i greci perdere come per incanto la industria del coltivarlo» Aggiungi che Plinio dà per motivo di quel deperimento la moltiplicazione delle mandre : però non mai presso alcuno si è usato di trarle a pastura negli orti, nè loro sì permette di abbattere e di consumare a talento le piante coltivate. In fine i greci non ne avrebbero recata la origine a un prodigio, asserendo come si trova in Plinio , che la terra degli orti esperidi,inaffiata portentosamente dagli dei, s° impre- gnasse di quel celeste vegetale. Dopo ciò il testimonio di Sinesio non parmi di gran forza ; perchè uon è meraviglia che dopo l’ andare di due, 0 tre secoli alcuni cireuei volessero avere ne” loro giardini quel semplice, che il terreno libico non ne dava più spontaneamente. Concludiamo : le dubbiezze del Pachò non sono fuori del proposi- to, e valutando la somma delle induzioni, abbiamo ancora di che temere che la sua Ferula laserpitium non sia altrimenti quella specie di Sy/pRium che stillava in co- Pia il laser famoso della Cirenaica.(Nota del Traduttore). 133 condano. A Cirene medesima egli ha tollerato frequenti neb- bie, e ha veduto cadere alcuna volta la grandine del volume d’un nocciolo. Ad onta di coteste intemperie, il freddo non vi eccede, essendosi il termometro di Reaumur costantemente mantenuto al temperato ; in sulla sera discendeva ai do- dici, e ai dieci gradi, ma non pel continuo , e nel mez- zodì saliva al 15,° o al 16.° e talvolta al 17.’ grado sopra lo zero. Tuttavia è da riflettere che il Pachò ha solo osser- vata la temperatura dell’inverno e della primavera, Per- ciò siamo nel desiderio di acquistar pure alcuna nozione intorno ai calori dell’istate, e circa quei venti di miezzo dì, i quali secondo gli antichi traevano nella Pentapoli que- gli sciami di locuste devastatrici, temute così nell’ Egitto come nella Palestina (7). Ed ecco siam pervenuti alla parte più utile del la- voro del nostro nazionale, a quella parte che chiamereb-- besi rettamente topografica ed archeologica, nella ‘quale in singolar modo apparisce lo zelo , l’assiduità , e l’inge- gno del Pachò; sì che oseremmo asserire esservi pochi viag- giatori da paragonarsi a lui; o tu voglia considerare l’esten- sione de’paesi da lui perlustrati a mezzo molti pericoli , o tu rifletta alla scrupolosa esattezza colla quale ha saputo levar copia delle iscrizioni, e disegnare i monumenti. Egli ha compilati giorno per giorno numerosi particolari topo- grafici intorno alle città, ai villaggi e alle Kasn, o edifi- ci isolati, i quali sono in grandissima copia, e spezialmen- te nel bel paese tra Derna e Cirene. A questi luoghi al- tri più arditi applicato avrebbero i nomi trovati in Tolo- meo, in Procopio, e in Sinesio; ma il Pachò ha reputato più savio lasciare alla critica le discussioni sui fatti che egli ne adduce. E già la sua carta ne fa riconoscere, oltre le cinque città nobilissime, molti altri fabricati che rispondono ad alcuna delle venti città o villaggi motivati da Tolomeo. Ci dimostra altresì le due vie che da Cirene mettono a Tolemaide, l'una delle quali rende esattamente le distan- ze indicateci dalla tavola peutingeriana , e I’ altra quelle (n) Synesii epist. 59. 134 dell'itinerario di Antonino. Ma niun nome arabo moderno (se ne voliam trarre Maraouib) ricorda quelli datici da To- lomeo, î quali sembrano stranieri alla greca favella. Ap- partengono essi all’idioma berbero , o ad altro più antico linguaggio africano, cui sia succeduto l’arabico? (£) Ab- biam solo atteso al nome di Bomba lungi dal golfo così chiamato, sulla via tra Cirene e Tolemaide, ma, a quanto ci narra il Pachò, trovò egli appunto nei contorni di que- sto golfo un luogo corrispondente alla caverna popolata e | fortificata, descrittaci da Sinesio col nome di Bomba. An- che il rinvenire la vera posizione del giardino delle espe- ridi, con tanta minutezza dipinto, ma però sì indecisamente circoscritto da Scillace, gli è stato oggetto di molte inda- gini; ma noi pensiamo che il Mannert neila sua dotta de- scrizione della Cirenaica a buon dritto dubitasse , gli an- tichi poeti, e massime Pindaro aver dato a loro piacere, a luoghi abitati da greci coloni, nomi celebri nella mitologia della metropoli. Il che accettato come tradizione prende- va per la vanità popolare dopo lungo tratto di tempo aspet- n {A) Vedremo innanzi ; che ì libii, ritiratisi dalle spiaggie all'arrivo di Batto, accomunati erano a più altri popoli : quindi la loro favella sùonava mista, e diver- sa. Perciò l’ interpretare l’ antiche appellazioni de’ luoghi che leggonsi in Tolomeo deve riuscire cosa arduissima Conforme il giudicio di Marsden, edi ZLangles, eriane dio il berbero è un contemperamento di varie lingue parlate da popoli che invasero il settentrione dell’ Africa, Ciò nega un nostro filologo (*), e dà per prova la po- vertà di essa lingua che astringe il berbero adaccogliere dall'arabo i vocaboli astratti e che riguardano l’incivilimenio. Però il più spedito modo a sciogliere la questio- ne troverebbesi analizzando quel lingaaggio dal lato dell’ analogia, che è la norma dell’ invenzione e accettazione de’ vocaboli in qualunque originale idioma. Ma poi- chè è già dimostrato non procedere i berberi da una sola stirpe, e aver gli arabi con tal nome designato i popoli tutti erranti e non soggiogati, posti a’confini del romano imperio, non può il dir loro esteso a diverse nazioni riescire il simile dovunque.Che p- e. i barcei , egli altri maritimi della Libia , i barabri posti alle cateratte del Ni- lo, e i discendenti da’ fenicii e cartaginesi , o da’ getuli e numidi e mauritani , ai fenicii e ai cartaginesi mescolati, non poco avranno off-sa l» integrità, e la pu rezza del primitivo parlare. Perciò fa d’ unpo agli investigatori delle antichità af- fricane cercare più sottilmente gli idiomi d: quelle tr.bù, che al riferire di Erodoto, di Appiano, e di Straboue, visser pomade sempre, » soggette a niuno. Io non so quale studio possa venire più fecgudo di prregripi trovati, e più acconcio alla scoperta delle verità storiche e geografiche. (Vota del Traduttore ) (*) Z2 C. Ott. Castiglioni. 139 to di verità, propagandosi per mezzo degli scrittori che a vicenda sì ripetevano è). Quanto ha rilevato il dotto francese intorno ai porti della Cirenaica , vogliam dire le molte frane alle quali è andata soggetta quella costa, dà a divedere una delle cagioni fortissime per le cuali difficilmente ponno intender-i ed esplicarsi gli antichi geografi. Poichè a Natroum , a Sou- za,a Tolometta veggonsi in mezzo al mare costruzioni vec- chissime crollate gran parte, e grotte sepolcrali già aperte nel vivo sasso or profundate nell’acque, scomparso essendo il terreno che circondavale: ben altrimenti è del porto di Bengazi, che vedesi tutto ricoperto da arena accumulata (k). In oltre ha egli delineato qualunque residuo di mo- numento con sì fatta accuratezza, che ha potuto affermare nulla cosa esser rimasta a delinearsi da chiunque verrà poi. I critici dell’arte hanno già valutata la sua fedeltà paleo- grafica; e noi ci atteniamo di buon grado alla sapiente re- lazione fattane alla accademia delle iscrizioni e delle belle lettere. Speravamo nè senza cagione, dovesse venire gran- dissimo soccorso agli studi della storia dalle antichità ci- renaiche: ma per disavventura il corso dei secoli ha travi- sati e distrutti i monumenti delle età più utili a conoscer- si, di quelle età cioè nelle quali Cirene fioriva sotto il do- minio de’propri re, o sotto le proprie leggi repubblicane: (i) Certo è vana opera l’ indagare luoghi che furono subietto alle fantasie dei poeti. Però non avremmo sgradito d’ apprendere se nel d' intorno di Bernikio (l’an- tica Berenice) segua a scorrere il Lethon o.Lete , ovvero s’ egli è scomparso al mo- do che il lago Esperide non più mentovato da’ geografi. È inoltre da sapersi se ivi o in altro lato della Cirenaica verdeggino , e portin frutto quelle selvette di cedri , da’ quali derivò la favola de’ pomi d’oro. (Nota del Traduttore ). (K) La scarsezza de’fiumi è quivi cagione degli affondamenti e delle arene accu- mulate. “Tristi sono gli effetti che dal mare procedono (dice il Cuvier) in paesi non irrigati da fiumi. Allorchè piana è la costa, e sabbioso il fondo i marrosi spin- gono le commosse sabbie verso la riva , ove a ciascun riflusso una parte se ne pro- sciuga, eil vento che spira pressochè continuo dal mare la getta ‘poi sulle spiag- gie . .. . . ina quando per contrario la costa è elevata, il mare; che non può nulla deporvi, usavi cootro una furza distruggitrice : perchè i flutri battendo e scavando le fondamenta, finno sì che le parti più alte dirupino, e prive di appoggio cadano incessantemente nellè acque ,,. Scillace nel suo Periplo va numerando fino a die- ciotto porti da Faro alla città delle esperidi: si presuma quindi a che sorta di per- turbazioni vadan soggette le coste della Pentapoli. (Vota del Traduttore). 136 sussiste appena alcun vestigio dell’ epoca de’Tolomei. Fra i monumenti superstiti, i più sono dei tempi romani. La qual circostanza rincrescevole agli studiosi di antichità si spiega forse, quanto alle pietre sepolcrali, riflettendo alla mancanza del marmo nella quale erano gli scultori di Ci- rene, astretti, perciò a scolpire in quelli che trovavano già altra volta adoperati. Una città diffatto che viva per lun- go andare di tempi, nè sia fondata sul marmo, ovvero sul granito, divora, per dir così, da sè stessa i suoi vetusti edi- fici (j). Tranne un tempio, esso pure romano, tutti gli al- tri monumenti disegnati dal Pachò appartengono al genere sepolcrale, e tra questi abbiam posto mente a nove grotte, la cui decorazione esteriore degna è de’riflessi dell’artista, poi- chè alcuni membri architettonici vi sono elegantissimi, certi ricordano in chiara guisa i monumenti del nord ovest del Siouah, e certi il grave stile egiziano. Sgombrate alcune di coteste grotte il Pachò vi rinvenne otto pitture, che danno a osservare agli amanti delle cose antiche e della mitologia, nuove e copiose particolarità, o alquante composizioni di una scelta eleganza e di una purezza degna de’più bei tempi dell’arte. Vide anche altri sepolcri incavati nelle roccie, con frohntoni sovrapposti simili nella semplicità e vaghezza ai monumenti situati vicino Telemisso, e lungo le coste della Licia e della Doride asiatica (8). E questi sono senza alcun dubbio i sepolcri dorici, ne’ quali Sinesio benchè vescovo cri- stiano desiderava fossero poste le sue ceneri al lato a quelle de’ suoi antichi concittadini , illustri discendenti di Batto (9). Tale simiglianza di forme architettoniche sui due lidi (j ) Conforme queste ragioni, dovrebbe la maggior copia de’ monumenti cire- naici appartenere alle età cristiane , e come più moderne, e per avere i primi fedeli volto nel loro uso qualunque edificio , e qualunque marmo gentilesco. E di vero avrei atteso che «delle antichità cristiane venisse fatta alquanta menzione, Tole- maide fu splendidissima fra le chiese africane ; famosa da prima pei rumori de’ sa- belliani, e quindi per le virtù e sapienza di Sinesio vescovo filosofo. V' è tuttora nella prossimità di Cirene un convento di minori di S. Francesco. (Nota del Traduttore.) (8; Paragoniasi i viaggi nella Caramania di Roberto Ainstey, i in inglese, e le Topographische Ansicthten di Giuseppe de Hammer iu alemanno. (9) Synes. in Catastasi, p. 302, ? 137 opposti dell’Asia e dell’Africa sembrerà ancora di maggior rilievo per gli etnogrofi, se vorassi por mente che i nomi delle due popolazioni della Cirenaica, i cadili e gli Ara- rauceli , trovansi ripetuti quasi letteralmente nell’Asia mi- nore (10) (2). Porremo nella terza classe de’monumenti i sarcofagi, sì interi e sì spezzati, o mal conci, e i rottami dei bassi rilie- vi e delle statue. Ma quale rincrescimento è necessità pro- vare pensando che Paolo Lucas s’abbattè in colonne e in istatue, delle quali non curò trar copia, e che sparvero quin- di per l’ usata guerra degli anni, e sotto le accumulate glebe dei solchi. Certo conveniva al Pachò esser nato un secolo innanzi. Quanto alle iscrizioni, è a fare la medesima doglian- za: avendo i danni del tempo reso infruttnoso per questo lato lo zelo del valente viaggiatore. Un dotto archeologo, che esaminò con fina diligenza le iscrizioni esattissimamente trascritte dal Pachò , ebbe fra le molte a ravvisarne una sola dell’epoca dell’autonomia, e due di quella de’Tolomei; appartengono le altre tutte ai secoli romani. Sono esse, ec- cetto pochissime, del genere mortuario, e di nulla avvan- taggiano le nostre cognizioni. Però i letterati non senza di- letto vi leggeranno un gentile epitaffio in versi elegiaci per un Tito Petronio Capitone , morto all’età di 27 anni, il giorno medesimo delle sue nozze. — Oh quanto breve spa- zio lasciò la fortuna fra il tuo talamo e il sepolcro! sola una notte ingannevole e crudele. Notte priva di gioiose me- - Jodie e di danze! ahi le tue ceneri, o giovine vittima, si spargono sui veli nunziali e sulle ghirlande di dyb/us, cui fu vietato emanar profumi. O Imene, è forza celebrarti la- ‘crimando ! o teda coniugale fatta splendore della pompa funerea. — É La più lunga di tali iscrizioni è un decreto di Anasta- (10) Cabalia ,'vegione della Pisidia; Arauraci, città della Capadocia. (2) I primi approdati alla Pentapoli furono lacedemoni; vi accorsero poi d’ogni Jato della Grecia, e dell’ Asia minore. Perciò non è punto da maravigliare se pia- cque ai diversi popoli di riuovar quivi i dolci nomi delle loro patrie; uso famiglia» rissimo sì alle antiche e sì alle moderne colonie. (Nota del Traduttore). 138 sio I intorno all’amministrazione ed al servigio militare ; la quale essendo in più luoghi danneggiatissima, ha biso- gno di lunghe vigilie, e di assai dottrina per essere pie- namente restituita: L'utilità che questo decreto ne ripro- mette sarà raddoppiata, se ricorderemo un luogo di Sine- sio, laddove egli parla della difficoltà in che era Cirene di potersi difendere contro gli assalti dei libici ausuria- ni (*), e racconta come quaranta unni al soldo dei roma- ni confermarono la publica sicurezza, e dispersero e allon- tanarono le orde degl’inimici (11). Serbavano allora i pa- lagi tutta l’antica splendidezza, i campi una piena ferti- lità , una dolce frescura le selve , e purissime acque le fonti: ma la reità del governo e la perduta disciplina mi- litare ruinarono rapidissimamente così fiorita provincia. Il decreto d’Anastasio è l’ultimo monumento che siasi trovato dell’istoria della Pentapoli. Peraltro sappiamo da Procopio che gl’ imperator Giustiniano restaurò gli edifici e gli acquedotti di Tolemaide, di Teuchira, e di Bereni- ce (12). Pure esaminando quelle ruine il Pachò non rinven- ne iscrizioni valutabili; ma sì solamente alcune medaglie del tempo di Giustiniano ; chè presto finì la Pentapoli, com- piendo i saracini la distruzione incominciata dai libii. Fra le iscrizioni in caratteri cufici o arabi, una diKasr- el-Ameid ci fa sapere che quel castello fabbricossi per co- mando del famoso sultano Bibazs contemporaneo di S. Lui- gi. E d’altra parte è noto che al tempo dello sbarco a Tu- nisi di quell’eroe cristiano , il fiero Bibazs imponeva agli abitanti di Barca d’apparecchiarsi alle difese e di appro- fondire parecchi pozzi lungh’esso il lido. Tanto que’ mu- sulmani si sbigottivano al solo nome del monarca francese. Porremo noi fra gli avanzi delle vecchie età i solchi segnati dalle ruote de’ carri greci e romani, impressi tut- tavia nella roccia calcarea dopo tanto passare di secoli? I (*) Il testo della relazione sì nel bollettino geografico, e sì negli annali dei viaggi scrive Ausarien, ma il testo di Sinesio scrive Aud'ovpiavos ausuriani ye così traduco. (11) Synes : epist. 98. ( 12) Procop. de edificiis, VI, 2. 13 luoghi dove meglio si fanno discernere sono, a dali del Pachò, a Cirene ed alla sua necropoli, a Souza (Apollo- . nia), a Matroun presso il Naustathums , a E/-Haud , a Zaouani, a Lameloudeh. Questi nei luoghi ben livellati, come a dire il piano di Cirene, possano procedere dalle corse de’ cocchi fra’ greci usatissime , e gli altri segnati nelle eminenze, e soprattutto vicino alle tombe ed alle grotte sepolcrali, furono senza dubbio prodotti dai carri mossi al trasporto dei molti sarcofagi che là si rinvengono , ed allo sgombramento delle pietre accumulate per le numerose esca- vazioni fatte nella roccia. Altri solchi in fine ponno pro» venire dai viaggi pressochè continui, in paese nel quale tante rovine, in poco spazio disseminate, fanno indizio d’at- tività somma e di frequenti comunicazioni fra gli antichi abitatori. Così essi solchi ci confermano, e le pompose pa- role che move Pindaro intorno l’ardenza de’cirenei per le corse de’cocchi (13), e il passo di Diodoro (14) riguardo al- l'omaggio che porsero questi popoli al magno Alessandro, of- ferendoli scelti cavalli e quadrighe magnifiche, ed anche la asserzione di Ateneo, nel quale si legge essere stato uso de’ci= renei di farsi visite scambievoli con gran corteggio di ami- ci, di servi, e di cocchi (15). Dopo le savie riflessioni del Pachò collochiamo certa- mente fra gli errori accreditati dai volgari racconti degli arabi, il supporre un antica città pietrificata esistente nella Cirenaica o nel diserto delle due Sirti. Pel corso intero del viaggio, egli ha minuziosamente interrogato tutti gli arabi che traggono di frequente da Derna o da Bengazi a Tri- poli o a Mourzouk;e quindi ha potuto persuadersi in ef- fetto alle loro risposte, che la pretesa città pietrificata è se- condo essi posta in più lochi diversi, o a dir meglio che n’esistono parecchie, alle quali essi appongono il nome di Masakhit plurale di Maskhoutah, statue, figure umane. Ora annotiamo che per strabocchevole ignoranza credono gli (13) Pind. Pyth. IV. (14) Diodor. XVII, c. 49. (15) Athen. XXIII, c. 8. 140 arabi che tali statue fossero un tempo animate, e che non sieno affatto lavoro d’uomini. Con tali riflessi, e con J’esa- me di più distretti che portano il nome di Masakhit la pre- tesa esistenza in quelle contrade d’una vecchia città pietri- ficata si spiega in maniera più che semplice, Ed è che esi- stono ancora nella Cirenaica parecchi borghi in parte crol- lati, e ne’ quali si rinvengono alcuni frammenti di statue, il che ha dato loro un nome medesimo. E non è di molta gloria alla ricordanza del console Lemaire , che le tradi- zioni volgari abbiano avuto appoggio dalla sua autorità, e ch'egli abbia dischiuso il campo ad erudite discussioni og- gimai supeflue. Nè i moderni abitatori sono stati obliati dal savio e at- tento viaggiatore: bensì egli ha risolta negativamente una questione che aveva posti in viva curiosità molti etnografi. Poichè egli non ha rinvenuto vestigio di quella libica tribù, o berbera, che secondo si riferì al della Cella, dovea stanziare nelle montagne del capo Buonandrea: nè tampo- co ha avuto modo di compilare alcun vocabolario speciale, perchè il tutto ivi suona arabo, la favella, i nomi dei luo- ghi, e i nomi delle tribù. Abbiam non dimeno appuntato nella sua carta alcuni casolari, cui dassi il nome di Be- rebre; nè per questo vorremo rivocare in dubbio la esat- tezza del Pachò , ma non gli celiamo avere tuttavia desi- derio che egli o altri seguitatori del suo esempio non ces- sino di riflettere sulle presenti questioni, certo non legge- re, nè futili; rimane ancora alcun vestigio di antico popolo, o berbero, o cirenaico? (72) quale cosa è avvenuto degli an- tichi nomadi della Libia anteriori alle greche colonie e alle arabe invasioni ? (r) finalmente, furono essi berberi come (m) Ancora è da chiedere ove sieno le traccie di quella colonia giudaica fon- data al tempo de’Cesari , e cresciuta smisuratamente in popolazione. Ognun sa quanto l'ebreo sia tenace de’suoi, dogmi, e de'suoi costumi: non può dunque repu- tarsi ch’egli siasi mai confuso, e per sì dire immedesimato agli arabi. Ma sap- piam troppo poco de' casi della moderna Pentapoli, onde si assegni ragione di questo fenomeno, Solo noterò che esiste una tribù berbera detta cadila, nome già proprio di un popolo cirenaico, e questa appunto è la sola che accolga nel suo consorzio gli ebrei. (Nota del Traduttore) (1) Appurito perchè nomadi agevolmente cessero loco ai greci riparando alla î/i sembra lo sieno stati gli abitatori dell’ Audyelah, e Sio» nah, avanti al loro immischiarsi cogli arabi?. Il numero degli abitatori del Diebbel-Akhdar va forse a 4,000; e questi sono divisi in molte picciole tribù, o fa- miglie, tutte contrassegnate dall’universal nome di Harabi cioè guerrieri: il qual titolo risponde esattissimamente a’lo- ro costumi, poichè si piacciono di vivere in continua guer- ra con sè medesimi , guerra aspra e crudele, come quella che s’alimenta delle vendette di famiglia, tenute da coloro in istima di sacro debito, e inculcate fino dall’infanzia; quindi spesso due tribù nemiche sono separate fra loro da un torrente , da un campo, o da più esigui confini, e guai a chi li violasse, che a fatica ne camperebbe la vita. IL ' regione più australe della Libia. I fenicii mercadanti, e‘avidi delle ricchezze, pro- cacciarono d’immischiarsi ai vecchi abitatori delle coste, ma i greci diversissimi di costume, di lingua, e mossi da ambizioso spirito, per niente si mescolarono ai nativi del luogo, che anzi ne sostennero guerre aspre, e durevoli. Ecco ragione perchè la Cirenaica, e la pianura degli Oasi non veggono orma di tribù libie ; o berbere, sì marittime, e sì dell'interno, le quali non trovando ivi come altri atlan- tici ardui e boscosi recessi ne'monti , mossero drittamente al sud, e più sempre vi pevetrarono, or per fuggire l’armi di C. Balbo e di Marcio Turbone, or l'alagamento de’vandali, e le stragi di Giustiniano, poi'l’irruenza degli arabi, che estesersi nella prima invasione appunto fino ai termini occidentali della Pentapoli. Sussistendo ancora i.tre libri di Aristippo sulla storia libica, non ci dorremmo che altri greci e latini ne parlino sì poco ragguagliatamente. Non pertanto insegnano essi a di- stioguere i libii marittimi da quelli che anteriormente pure alla impresa di Batto erravano con le loro tende e le loro greggie fra gli Oasi più meridionali infino al. l’estrema Garamanzia. Vissero questi raminghie poveri, ma tenaci della loro libertà, nè mai associati ad alcuno. Quelli invece , già molto prima alle greche colonie s' erano accomunati e confusi a parecchi popoli. Difatto così domandava la posi- zione della Cirenaica , situata fra mezzo l’ Egitto e le colonie fenicie. Quindi Ero- doto chiama libifenicii i popoli anteriori a Cartagine, e fa cenno che i libii s'erano, incorporati ai fenici. Gli stessi cartaginesi di continuo commerciarono nella Libia, e fondaronvi un emporio. La Marmarica fu soggetta agli egizi, e quivi gli ammo- mi parlavano il linguaggio de’dominatori, misto all’ etiopico, D’ altra parte i nu- midii, che furono all’oriente della Libia con tuttochè divisi dal, Nilo per larghissi- mo spazio , parlavano un idioma che molto tenea dell’ egizio. Ora questi contem- peramenti di favelle indicano assai le mescolanze delle schiatte. Oltre a ciò è noto che la Libia fu percorsa da Sesostri, e lungamente occupata da'Cambise, e in fine, secondo Salustio, i medi e gli armeni precessero i greci nella Pentapoli. E dunque dimostrato che i nativi della Libia settentrionale sun discendenti di parecchie .asso- ciazioni di popoli, e che hanno a cercarsi non ne’confini della Cirenaica , ma molta più al sud presso l'antica Garamanzia, Quanto poi all’essere o no berberi vedi cdi nota (1) (Nota del Traduttore). 142 bey di Bengazi, che ha in mente di reggere gli abitatori del deserto, non sa porre altro freno alle spesse uccisioni che una multa di ciuque reali di Tripoli (ventidue soldi di Fran- cia) per ogni individuo di quella tribù, in mezzo alla quale fu sparso il sangue cittadino; e pagata tal multa, quanto al governo quel sangue è a sufficienza rivendicato. Le arini ordinarie degli arabi sono il fucile, le pistole e il pugnale; e per lo più ciascun d’essi va carico di queste tre armi insieme. La sciab/a è riservata ai cheiks, i quali pure rade volte se la cingono. Per questi un derzovf di drap= po rosso con trine d’oro, è il distintivo della autorità che lo- ro proviene da Iousouf, pascià di Tripoli, ma ne ‘usano solo nelle città, non mai nel deserto. Uomini però così feroci non sono affatto insensibili agli allettamenti della poesia, poi= chè spesso si veggono assisi in gruppi, o sotto le loro tende, o all'ombra degli alberi ascoltare un di loro che canta in versi ottimamente misurati la storia d’alcuna eroica impre- sa. Ed è singolare che mentre il poeta va intuonando i suoi versi, tutta l’udienza in coro ne ripete le rime. Il loro nutrimento, semplice in vero e salubre, consiste nel latte di capra, nè mai di vacca, nella carne de’montoni, nei datteri, pe’quali vanno a Audyalah e a Siovah, nel mele che raccolgono in abbondanza nelle loro foreste, e nella fa- rina d’orzo o di grano governata per diverse maniere. Questi Zarabi, estremamente supertiziosi , non hanno ardire d’introdursi nelle sinuose cavità delle grotte sepolera= li, persuasi che sieno l’albergo degli spiriti maligni; sopra di che si fanno a raccontare di cose ridicolissime. Non per» tanto nelle grotte più ampie, o nelle cisterne depongono le biade , e le grascie , o anche ricoverano sè stessi e le mandre per guardarsi dalle piogge , purchè i sotterranei sieno solo di una o di due stanze, nè per la grande oscurità sgomentino la loro immaginazione. Ma però l’uso di ricoverarvisi dalle piog= gie non è molto frequente. Poichè gli armaioli,i legnaiuoli, ifabri,i tessitori, che fanno parte delle costoro tribù, danno opera a’loro mestieri indifferentemente o in tali grotte, o a cielo aperto. La ricchezza della popolazione di queste con- trade è tutta nelle mandre di cavalle, di asini, di cameli , 143 .di buoi, di capre, e di montoni: e tuttochè l’uso delle caval- le, animale curato diligentemente dagli arabi, non sia nel- l’arbitrio di qualunque , pure nella maggior parte essi ne sono provisti. ._. Per quanto ne lasciarono scritto gli antichi, dovrebbe in que’paesi prolificare una tal razza di cavalli di. poco in- feriori ai meglio formati d’Europa: però quelli che ora visi veggono rispondon male alla spettativa; essendo sì i maschi come le femmine di forma poco svelta e poco graziosa. Non- dimeno tali difetti sono ricompensati a dovizia da alcune qualità vantaggiose , specialmente per popoli montanari ; camminando que’loro cavalli d’un piede sicurissimo per monti scoscesi e sdrucciolevoli, e vivendo sempre all’aper- to, fortissimi nel sopportare qualunque intemperie (0). Le mandre di capre e di montoni sono numerosissime, e durano ai freddi e alle pioggie invernali della parte settentrionale: ma i montoni vengono tratti verso, dove è clima più tem- perato. Hanno la lana più corta di quelli di Egitto, la testa più inarcata, la coda più piccola, di poco differenti insome ma dai montoni d’Europa. I buoi e le giovenche sonovi mi- nori degli egiziani; avendo però la fronte a proporzione più larga e più selvaggio l’aspetto (p). Essi poi nulla hanno a te- mere dai lioni, i quali al dì d’oggi non penetrano più nella Pentapoli. L’agricultura fornisce in abbondanza gli arabi della Cirenaica, di orzo e di frumento , il quale ivi a pari volume che nell’Egitto contiene maggior quantità di sostan- za farinacea. Laonde il vasto e spregiato deserto di Barca non è certamente come opinavasi un paese inoulto, privo di ‘in- (0)Pure i cavalli di Tunisi sono degenerati, e agnun sa la destrezza, leggiadriay e velocità dell'antica cavalleria getulica, e numidica. Perciò è forza il credere che l’esporre questi animali, di nobil natura , a qualunque inziuria di stagione, gli abbia fatto acquistare tanto di gagliardezza, quanto perdere d’ avvenenza (Vota del Traduttore) (p) Piacevami veder ricordati due animali propri di quelle contrade. E” uno è il Porfirione volatile, pregiatissimo , il quale, a comun dire degli antichi, fu nume- roso nella Libia , donde emigrava alle parti meridionali della Grecia. H secondo si è il Yerboa, Mus iaculus di Linneo, che trovasi scolpito nelle medaglie di Cire ne; e fu dla Aristotele indicato sotto il nome di topo a due piedi. (Nota del Tra- duttore). 144 digene ricchezze e di galiardia d’animo , ma fu un giorno fiorente contrada della Grecia , ora è una provincia della Arabia. In fine restringendo il nostro discorso, diremo il Pachò. avere adempito agli obblighi di coraggioso viaggiatore; ave- re accresciuto il patrimonio della scienza intorno la Cirenai- ca: e s’egli ha lasciato di che spigolare a quei che verranno dappresso lui , ciò essere il comune destino degli uomini ee- cellenti. Chè più quelli vanno scuoprendo di nuove cose, più e più accendono emulazione in coloro che aspirano a di- videre con essi la gloria de’dificili ‘trovati. Forse s’ anderà di poi a far profondi disotterramenti ne’campi della Penta- poli, e n’usciranno monumenti preziosi : colonne, statue, iscrizioni, sepolcri: ma la carta delineata dal Pachò indiriz- zerà tali scoperte: sarà insomma il Pachò per la Cirenaica ciò che il Shaw pel pianoro atlantico. Per le quali cose , o signori, i commissari da voi pre- scelti sono venuti a coteste precipue conclusioni, che sì ten- gono a onore di sottoporre al vostro giudicio. Conclustoni. 1.° I commissari, esaminato con ferma riflessione il giornale manoscritto del Pachò e sì la carta che gli va an- nessa , gli erbarii, i disegni de’ monumenti e delle iscri- zioni che ha raunate , sono d’avviso aver lui risposto con generosissimo, zelo e con ingegno assai acuto al fine della società, ch’era di far ben conoscere ia topografia del de- serto di Barca e ciò tutto, che lo riguarda, e per tali ragioni dovere essa società decretare a favor di lui it premio di tre mila franchi offerto già nel programma del 1824. 2.° Il comitato desiderando caldamente che il publica e con esso il governo , agevolino al Pachò i mezzi di por- re alla universale cognizione tutto l’ insieme de’suoi rile- vanti lavori, stimerebbe opportuno il persuaderlo a trarre da’ suoi giornali un compendio di quanto ba veduto e pon- derato nel corso del viaggio, perchè possa inserirsi fra le me- morie della società. 145 3.° Quanto poi alla carta topografica della Cirenaica propriamente detta, della quale il Pachò ne ha comunicata una copia, è parere de’ commissari che tale prezioso docu- mento depositato ne’nostri archivi (senza danno alcuno del diritto del Pachò d’esser primo a porla in istampa) darà alla commissione centrale molte cose a decidere, e soprattutto pel confronto che verrà stabilito fra l’antica geografia e le recenti nozioni topografiche, parte affatto nuove, parte ricor- rette o meglio determinate per le fatiche di questo irisigne viaggiatore. Firmati ALes. BARBIE nu BocacE P. Amep& JOUBERT Matrte-Brun , relatore. Le leggi di CICERONE traduzione postuma di GuGLIELMO MANZI con il testo latino preceduta dall’ elogio del traduttore. Roma, nella tipografia Lazzari 1829. Qaesta traduzione dei libri delle leggi di Cicerone , mentre "ag- giunge un nuovo letterario fregio al nome dei defonto Guglielmo Manzi, è ancora un nuovo argomento di compiangere la perdita che ha fatto l’Italia, e singolarmente Roma nella morte immatura di così valoroso letterato. Il chiarissimo sig. Pietro Manzi fratello di Guglielmo, e non ‘meno di lui dotto ha voluto essere l’ editore di quest’ opera, e con buon giudicio l’ ha dedicata all’erudito prelato M. Alberghini. Questo lavoro di Marco Tullio ha sofferto la trista sorte di tanti altri, onde non è giunto a noi che in parte confuso, ed in molta parte ancora mancante. La mancanza, e la confusione furono forse la ca- gione, onde altri non si accinse a tradurlo, benchè tanto importante ne sia la materia, e tanto esso giovi a far conoscere il vero sisteina di Tullio , e come egli la pensava in materia tanto importante. La fa- tica però, e la difficoltà non spaventavano mai il Manzi, che anzi faceasi pregio di affrontarle. Amava moltissimo il Manzi le cose scritte in dialogo , e perciò ebbe un'allettativo di più per accingersi a questa traduzione. Ardua cosa è il dare l'estratto di una traduzione, e giova solo in termini generali raccoglierne i pregi. Il modo di tradurre del T. XXIII. Settembre. 10 146 i Manzi è quello di cercare di assomigliarsi il più che può all’originale, ma nello stesso tempo lo scegliere trà le frasi le più acconcie, e le più chiare, quindi è che nelle sue traduzioni non vi è mai stento, non vi è mai durezza, e la spontaneità dell’ espressioni garreggia con l'originale. Sempre migliorava nelle sue fatiche il.Manzi, e l’ ulti- ma tanto grande del Luciano tradotto arrivò ad un punto che non la- sciò cosa ha desiderare. Anche questa tradazione di Cicerone è condotta con tanto bello stile, che pare che quell’anima , che diede al dialogo Marco Tallio abbia egli saputo trasportarla nel nostro liuguaggio , ornandola di chiarezza, e di forza. Siane un breve saggio ciò che egli sul giudizio dato da Cicerone sugli storici, così traduce : « Imperocchè dopo gli annali dei pontefici massimi, i quali 3) sono veramente piacevolissimi , se ci volgiamo a Fabio , 0 a quel », Catone che hai tu sempre in bocca , 0 a Pisone j, 0a Fannio, oa 33 Vennonio, comecchè di essi abbia uno più forza dell’ altro; tut- » tavia tolti insieme cosa può esservi di più meschino? Aitempi di 3) Fannio fiorì pure Antipatro, il quale parlò con alquanto più for- 3» za, ma ebbe ancor egli un vigore disorrevole, e rozzo, senza », scelta , e senza bellezza , non pertanto potè ammonire gli altri ,; che più diligentemente scrivessero. A costui succedettero, Gel- 3; lio , Clodio ed Acilio , i quali nulla sanno di Celio, ma della igno- ,; ranza piuttosto e della languidezza degli antichi. Nè farò io ricor- ,) danza di Marco , la verbosità del quale ha non sò che di arguto, , non secondo quella greca dotta abbondanza, ma al modo degli » scrittorucci latini, Ne’ discorsi dipoi si mostra affatto sciocco , e ,) senza niun senno. Sisenna suo amico ha di leggieri fin qui supe- ,» rato tutt’ i nostri scrittori, di quelli in fuori per avventara, che ,; non sono noti, e de’ quali non possiamo far giudizio. Nulladimeno »; non è stato giammai egli noverato nel vostro numero degli orato- ri, eva seguendo nella istoria non sò che di puerile , che sembra non abbia letto de’ greci, che il solo Clitarco , e perciò il vuole ,; imitare , e se il potesse pur giungere , sariasi ancora lontano al- quanto dall’ ottimo. Laonde si è questo tuo officio , questo si ap- parliene a tè, qualora non sembri a Quinto altrimenti. G. GHERARDO DE ROSSI. 147 dnvectiva Lini Colucii Salutati Reipublicae Florentinae a secretis in Antonium Luscum Vicentinum dé cadem republica male sen= * tientem; codex ineditus. Florentiae typis Magherianis 1826: 4° S’affanni pur chi vuole, a maledire l’invenzione della stampa ; chi ha senno ringrazia Dio che per lei facilmente si spargano buoni libri, si confutino i non buoni, o non credati buoni, e se ne possano aver isott’ occhio a comodo tanti e tanti , che infunghiti e dimenti- chi nel pozzo dei magazzini chiamati biblioteche , servono, se non ad altro, a farci instituire de’confronti, a mostrarci i progressi del- l’incivilimento e del sapere. Del primo punto niuno disconverrà da noi ; del secondo poco ci vuole ad esserne persuasi ; e seppur si tro- vasse qualche caparbio, non lo sarà forse tanto da non, volersi ren- dere al sentimento d’un gesuita famoso, Antonio Possevino, che nel 1585 scrivea ad un principe italiano così: . . . . Havendo già l’Al- tezza vostra una stamperia in Roma delia lingua arabica, et hora havendo la santità di nostro Signore intenzione d’ eriger quella della lingua greca , non sarà gran fatto che si applichi l'animo a quella della lingua rutena per dirozzar que’ gran tratti, i quali ne. hanno grandissimo bisogno; in che mi giova il dire all’ A. V. che essendo. io già 4o anni vicino ai monti pirenei et alla Biscaglia; trovai che i calvinisti per guastar que'paesi di Bearne, et penetrare in Hispa- gna haveano formata stampa di quella lingua difficilissima a scri- versi, et si vede quanto hanno operato in Europa colla dissemina- zione di varii libri in diverse lingue; 4/ che non può, quasi; andarsi in contro, più che con questo mezzo ( lettera inedita d’Antonio Pos- sevino presso l’ autore di quest'articolo ). L'autorità del Possevino non sarà certamente sospetta ai paurosi della stampa , considerando inoltre che la compagnia di Gesù di nient'altro si servì più. che della, stampa per influire in quasi tutta Europa e nel nuovo. mondo. Ma dove mira questa nostra apologia della stampa ? a dar merito all’eru- ditissimo sig. canonico. Moreni di approfittarsene con! instancabile attività nel darci a stampa tanti codici da lui tratti , come questo , dall'oscurità, e strappativalla totale oblivione, ripescandoli,; come fecero i letterati del secolo XV, quasi dalle Jatrine, ‘o dalle scansie coperte di ragnateli; dove gli lasciavan’ in pace più che l’iguoranza l’ozio e la poltroneria. Ma che importa a noi, dice il nemico della stampa , d’aver dissotterati tanti cadaveri, tanti obbrobrii della mente umana, o tante cose inutili che ci regalano a stampa questi ri- sugitatori di vecchi ‘scartafacci , di cui vanno in cerca come de’cen- ci gli stracciaiuoli ? che ci preme di quelle invettive d’Antonia 148 Guercio,o Lusco, come si fece chiamare alla latina, contro de’fioren- tini; e della risposta di Lino Colucio Salutati, di cui rideasi l’Aretino, perchè avesse preso il nome di Lino fratel della Stoppa ? che mai C'impariamo di nuovo, per non dire di bello? i soliti pettegolezzi, le solite gelosie municipali! che mai ci dice il Salutati, che non sia noto? che ci guadagnano i fiorentini ? nulla e poi nalla; difese rancide ; archeologia strana sull’origine di. Firenze; stile barocco; seppure non vogliasi far conto della notizia che l’autore del trattato di geografia fu Tolomeo Filadelfo vissuto a tempo degli Antonini. Ebbene avete vuotato il sacco sigg. nemici della stampa? Ma se il Mo- reni non ci dava questo libro, avreste voi saputo che cosa erano. queste invettive ? Se non si pabblicavano i libri di Frontone trovati dal Mai, avremmo noi potuto giudicare del vero merito di questo scrittore, tanto esaltato da’suoi contemporanei, che non dubitarono di chiamarlo un’altro Cicerone? Non ha l’uomo che pochi anni di vita propriamente detta; può vivere i secoli passati col conoscerne le idee, la storia; quanti più monumenti scritti posson’aversi, tanti uomini risucitati di quell’età parlan con noi, c’istruiscono , e ci mettono in grado di viver con loro, e far paragoni, colla vita nostra ; di riget-. tare, ‘o di richiamare alla pratica gli usi e le opivioni di loro; di con- solarci de’nostri miglioramenti; in somma di vedere due mondi; di viver due vite; anzi tre, slanciandoci con una certa divinazione dal passato nell’avvenire. E come ora per ben istruirci non discorriamo solo con le persone più dotte, e più educate, ma udiamo tutti, € da tatti tiriamo partito, così per conoscere l’antichità non bisogna cre- der che basti leggere i sommi scrittori; ma bisogna mischiarsi nella folla, veder più che si può, non disprezzar nulla di quel che rimane, che è sempre poco in proporzione del distrutto. Ma non divaghiamo dalle nostre /nveccive, che lasciando il resto, ci presentano il quadro politico e letterario d' Italia sul finire del se- colo XIII e sul principio del XIV, ‘‘ Videbimus, scriveva il Lusco contro de’fiorentini, videbimus illam vestram in defendenda quadam foedissima libertate; vel potius crudelissima tyrannide, constantiam fortitudinemque romanam; hoc enim nomine superbire soletis, et vos genus praedicare romanum ,,. Messo a parte quel che veramente in questa invettiva sà d’ingiuria e d'insolenza, considero che certa- mente non mancano esempii eroici d'animo forte ne’fiorentini a di- fesa dello stato loro in que’tempi; ma avea poi tutto il torto Antonio Lusco di chiamarla fedissima libertà e crudelissima tirannide ? Con- siderando io lo spirito di patria, e d'indipendenza di quell’età , lo rassomiglio quasi all’ istinto delle belve che difendon le proprie tane dall’ aggressione del cacciatore , o agli sforzi di loro prodotti 149 da gelosia, da invidia, da prepotenza contro de' simili. In que” tempi, di pensare , di costumi, d’abitudini più o meno barbari, la libertà non era costituita, e cercata nella comune sicurezza e guaranzia per l’aguaglianza delle leggi fuori dell’arbitrario,e nella tendenza al roi- glioramento morale ed economico della città, ma faceasi consistere nel cercar mezzi di difesa contro l’esterne invasioni , e d’offesa per l’aggressioni; nel mantenere lo stato in mano or de’pochi, or de’molti, che lo avessero guadagnato; e perciò nel tiranneggiare e far male al partito che soggiaceva je questo cercava d’ ibdbbolire e sormontare il predominante. Non è libertà dove sono scoperti o segreti partiti; dove uno domina e l’altro nella sua cenere cova; dove la sicurezza indivi- duale, ed il merito, od il demerito non viene dall’uguaglianza e sa- viezza delle leggi, e dalla propria condotta, ma dalle protezioni , dalle vedute d’aver degli amici, dalle vendette, dai puntigli a cui si sacrificano gli utili che potrebbonsi ricavare a prò del comune. Or come rispondeva il Salutati? ‘ Videbimus, inquis, immo videras , vides, videbis plusquam romanam fortitudinem ; atque constantiam populi florentini in defendenda dulcissima liberta. te, quod coeleste bonum, utille dixit praeterit orbdis opes ; quam, mens est omnibus florentinis, ut vitam, immo supra vitam, opibus ferroque defendere, nostrisque posteris hane haereditatem optimam, quam a majoribus nostris accepimus relinquere, Deo favente, soli- dam et imaculatam ; adeo placet haec, quam foedissimam vocas omnium hominum stultissime, libertatem, quam inexperti solum, qualis es, nec alicujus momenti faciunt , nec cognoscunt, quam so- lum Lombardorum genus sive natura sive consuetudine, sive forsan utraque fiat, nec videntur diligere , nec optare. Scio quod gravis et instar servitutis est Custos Legum tibertas, gravis et instar ser- vitutis est effraenae iuventuti. . .. ut te facile putem; et tui.similem, non solum non intelligere, libertas:quid sit, sed rem et nomen veluti tetrum aliquod abhorrere ,, ( pag. 23). Ne concluderei che avesser ragione ambedue: Il Lusco intende- va di quella libertà che di f@460 dominava non in Firenze soltanto , ma in altre republiche italiane ; il Salutati facea un panegirico di quella che era Custos Legum , di quella cioè che avrebbe dovuto esistere. Pur troppo addiviene che gli uomini s’attacchino a’nomi , e par- ‘ lino delle cose, non come sono o dovrebber essere, ma come son chia- mate. La storia degli avvenimenti dal 1400 in poi decise la questio- ne, se fosse la libertà vera quella per cui tanto riscaldavasi il Salutati, e che opibus et ferro sperava di tramandare alla posterità.Le ricchezze non conservano, ma distruggono la vera libertà; le armi ne posson 150 rispingere gli assalti stranieri, ma non mantenerne il fondamento, che stà nelle morali virtù publiche e private , senza le quali la vera li- bertà, (che può trovarsi in qualunque specie di governo giusto, sol. lecito del publico bene, e non arbitrario) và crollando e cadendo an- che senza la violenza dell’armi. Ne son troppi e troppo comuni gli esempii antichi , moderni e recenti, da non esserci begin di ripor- tarne veruno ! Una conferma di queste verità debbesi sli invettive del Lusco e del Salutati; e tanto basterebbe per ringraziarne l'editore; Sò che molte grazie gliene professeranno i fiorentini per aver loro fatto il regalo d’una vecchia apologia contro l'emulazione lombarda; ed an- che molti letterati lombardi non vedranno male che uno de’letterati loro sino dal secolo XIV attaccasse mischia. co fioredtini ,, i quali contraporranno un veneziano che ne prese la difese nel secolo XVI, Gio. Michele Bruto ; ma queste son piccole glorie 0 piccole taccie in faccia a tanti vanti da niuno contrastati; anzi sarebbe vera gloria per l’italiani guardar con sorriso compassionevo'ed’antiche gelosie di politiche e letterarie rivalità; vedendo che nulla,di,.buono n° hanno raccolto, animandosi alla concordia. Non vogliamo tacere che c’è sembrata piena di hai: erndizio- ne la prefazione del sig. Moreni, da luiscritta pulitamente in latino, non per boria di /atinizzare ; ma per far accordo coll’invettive del Lusco e del Salutati che sono in latino, In fine trovasi un’altra invettiva sullo stesso erro tradotta dal latino in volgare, La compose Cino di messer Francesco Rinuc- cini, autore d’un’altra invettiva contro certi maldicenti.di Dante, del Petrarca e del Boccaccio ; che chiamavano la divina comedia poesia da calzolai , le vite degli uomini illustri del Petrarca, un zibaldone da quaresima; e del Boccaccio diceano che now seppe grammatica cioè il latino ; lo che mostra la verità di quel detto di Seneca Nihil in rerum natura tam sacrum est Quod sacrilegum non inveniat. GitiGe Trattenimenti sopra la religione tenuti da M. Bouguer etc. tradotti dal francese dal dottor Antonio Niccola Tabarrini ec. Firenze nella stamperia Calasanziana 1826, 8.° Ottimo divisamento è quello del sig. dottor Tabarrini di divul- gare collestampei buoni libri che son diretti a ribattere quelli errori che specialmente tendano ad oscurare o combattere i veri principii della religione e della morale cristiana; È questo uno de’ gran van- 1SI taggi che ci produsse la stampa , la quale in sè stessa ha l’ arme con- tro l’abuso che se ne può fare. L’ istruzione veramente vera opposta alla veramente /4/sa in niun modo si può meglio diffondere , e me- glio insinuarsi che per tal mezzo. Quel che disse Cicerone delle let- tere e degli studii delectant domi, non impediunt foris , pernoctant nobiscum, peregrinantur, rusticantur (pro Archia) può dirsi in par- ticolare de’ libri che a tutte |’ ore, in tuttii tempi, in tuttii luoghi sono con noi , e come gli amici veri e virtaosi che stannoci sempre a lato, trovano il momento di aprirci gli occhi contro le insinuazioni perverse di altri, così i buoni libri prima o dopo illuminan l’ animo prevenuto dai malvagi, quando gli cadon d’avanti nel tempo in cui è più disposto ad accogliere la verità. Aumentar dunque e scrivere, e favorire la stampa de’buoni libri, è la più efficace censura che possa istituirsi ; l’ oscurità debbesi dileguare al comparire della lace. S. C. Spedizione in Oriente di Amedeo VI. Conte di Savoia provata con inediti documenti dall’avvocato Pietro Datta ec. Torino 8. 1826. La spedizione del conte Amedeo VI di Savoia contro i turchi nel 1363, è dal sig. avvocato Datta illustrata con inedito documento, e generalmente sin’ ora sconosciuto, consistente in un rotolo lungo cento e quattordici piedi di Liutprando, in cento e nove pergamene ben conservate , eccetto la prima che (è mancante in principio; in questo rotolo è contenuto il conto del tesoriere Barberi , che accom- pagnò il conte Amedeo VI nella spedizione d’ Oriente. Esiste questo documento ne’regii archivii di corte. L’illustrazione fattane dal sig. Datta, e i documenti da esso pubblicati alla fine del libro spar- gono molto lume su questa spedizione , di cui poco più si conosceva che il fatto all'ingrosso , senza particolarità ; l’autore non solo l’ ha messo in piena luce, ma m'ha profittato per l’utile della storia, della statistica, e dell’ odeporica di quel tempo; edin generale tutto il libro è sparso di belle notizie storiche e d'altro genere che lo rendono dilettevole alla curiosità degli amici dell’ erudizione del medio evo. Leggendolo non potemmo fare a meno di far confronto del modo universale di agire e di pensare in que’secoli a riguardo: del turco , e di quello che corre a’ dì nostri; sì che diressemo a noi stessi queste domande : perchè allora sembrava quasi come precetto di natura il doversi far guerra al tàrco? perchè sembra ora quasi altro precetto di natura lasciarlo tranquillo? Era allora timore o spi- 152 rito di religione e d'umanità che spinse i potenti d’ Earopa ad oppor- glisi con tutte le forze ? Oggi il turco ha egli cangiato modo di pen- sare , di condursi verso degli altri ? non è più da temersi? S. C. Storia scientifico-letterarie dello studio di Padova del cav. FRAN» cEsco MARIA COLLE ec. Volumi II, pubblicata da GIUSEPPE VEDOVA padovano. Padova 1814, in 4 maggiore. Non mancavano scrittori della storia letteraria della università di Padova, e dei quali saviamente ragiona l’ editore sig. Vedova nel discorso prelimisare , mostrando i meriti e le lodi d’ ognuno, Il Colle ne corresse gli sbagli, ed accrebbe il fatto dagli altri di alcune nuove notizie, con introdurvi un sistema di confronto e d’analisi, che molto giova a conoscere lo stato delle scienze e lo spirito letterario delle diverse età. Prima di pubblicar l’ opera la sottopose al giudizio del celebre cav. ab. Morelli bibliotecario della Marciana a Venezia ; dal quile ebbe , tra gli altri consigli, anche quello di porvi infine una serie di alunni illustri dello studio padovano che porterebbe maggior lustro ad esso, e renderebbe più splendido l’ argomento. Idee vera - mente degne di quel gran bibliografo ; ma il Colle non l’ eseguì per l’immatura morte che gli impedì di continuare e di dar |’ ultima mano al suo lavoro. Così l’avesser fatto altri storici de!le nostre uni- versità ! avremmo allora , in certo modo , un’ arinata di difensori schierati a guarentire la fuma e ’l magistero della Italia, contro la fierezza d’alcune dell’ estere nazioni, che pur mandarono stuoli dei loro a succhiare il latte d’ ogni sapere tra noi, i quali tornati alla pa- tria vi fondarono quella civiltà e quel sapere di cui oggi come di in- digeno ed autoctono ne fanno pompa i successori, e l’im piegano a stra= zio di quelle cune in cui vagiron bambini. In quel catalogo de’ pado- vani illustri scolari vedremmo risplendere chiarissimi nomi di uo- mini grandi francesi , alentanni , polacchi che dal secolo XIII sino al XVI, almeno, non si vergognarono di confessare gratitudine all’ita- liani; ma vinsero certamente ogn’ altro neli’ amor per l’Italia i polacchi. Non si può leggere nè libro, nè scritto veruno di que’dot- ti, dove non sene incontrino ad ogni pagina luminose testimonianze.,, Nostrorum vestigiis ( scriveva Stanislao Rescio nel 1594 al celebre Si- mon Simonide per incitarlo a venire in Italia) nostrorum vestigiis ita detrita, ita pervia facta in Italiam via est, ita crebris oppidis , ta- bernis , hospitiis distincta et coedificata videtur Sylesia, Moravia, Austria, Styria , Carynthia, ut quasi quodam suburbium Italiae videantur .....Crede mihi sara , montes , sylvae, viae, flumina lacus, pontes, ipsa adco templa, theatra , sepulchra, rudera , pa- 153 rietinae sua quadam lingua quod docet, quodque delectet loquntur. Excitatur animus , et nescio quomodo major se ipso fit rerum subli- marum aspectu ... In Italiae porro ingressu Venetias videbis . . + inde vastum Patavium navigabis , illam artium et scientiarum sta- tionem insignem quondam iuventutis et officiù magistram ... inde, studiis et humanitati amicissimam Bononiam, inde politissimani et urbanissimam Florentiam; inde Senas salubres ; Romam deinde pervenies illam urbium reginam .....ec. Queste rimembranze antiche dovrebbero certamente destar senso di gratitudine e d’amore per l’Italia nei petti stranieri; ed all’ italiani servir di stimolo a dimostrare che /’ antico vigor non è ancor spento , ricordevoli di quel detto volgare Dimmi chi sono , e non mi dir chi fui. S. C. Sopra due frammenti d’ un’ antica latina iscrizione bresciana, dissertazione storico-critica di don P\ETRO SELETTI Bussetano, con una lettera preliminare, ed in fine un appendice. Milano dalla tipografia de’ fratelli Sonzogno. 1826. 8. I moderni scavi bresciani hanno dato alimento alla curiosità de- gli antiquarj pe’ molti frammenti di lapide scritte , e pascolo all’ in- gegnosa ed erudita industria nel supplirne talune ed interpetrarne altre, non meno che a delle questioni archeologiche. Di quest'ultima classe è l’ opera sopra annunziata. Il sig, Seletti s’accinse alla difesa d’ un suo parere intorno a de’ frammenti di lapide trovati in op diversi, contro coloro che erano d’avviso doversi riunire e legger così, come prima del ritrovamento d’ una parte dei detti frammenti avea divisato 1’ eruditiss. sig. D. Gio. Labus: cioè /rp. Caesar Vespasia- nus Augustus P. M. Trib. potest. III. Imp. X. P. P. Cos. III. Censor. Scrisse dunque contro la riunione di que’ frammenti il Se- letti, volendo che non appartenessero ad una medesima lapida ; e che I’ iscrizione in questione si dovesse supplir così /mp. Caesar Vespa- siaunus Augustus Pont. Max. Trib. pot. 11. Imp. VII. PP. Cos. III, Censor. de Judeis. e tutto questo vuol aggiungerlo ad un frammento che mostra solo ... pasian. .. st. IV. Imp. X; secondo ciò che si so- stiene dai contradittori leggersi chiaramente in quel frammento, e che è unito agli altri, dà la lezione proposta dal sig. Labus. Altra disputa venne fuori incidentemente da questa sul modo di doversi leggere un iscrizione che dice Germanico Caesari Ti. II F. Aug. IN. Pont. Q. Cos. II1.'D. D. Il sig. Seletti interpetrò le abbrevia- ture Pont. Q. Pontifici Quinquennali com’ altri avea letto prima di lui, ma che poi se ne disdisse. I contradittori provano doversi leggere 154 Pontifici Quaestori, e mostrano che a tempo de’ Cesari il pontificato era a vita e non temporario ; e di più rigettano l’ altra opinione del sig. Seletti.che da quell’ iscrizione vuol dedurre essere stato Germa- nico Cesare magistrato e pontefice quinquennale in Brescia. Da tali questioni furon prodotti scritti contro scritti, articoli di giornali ec. e come suol farsi tattavia da molti questionatori italiani, motteggi, de- risioni, chiamato ridevole l’uno, ammirevole |’ altro ; e tra mezzo a questi ridevoli ed ammirevoli , il lettore imparziale si trova in un bosco ed in un’intralciamento d’ erudizione e contro erudizione, di detti e contro detti, di questioni incidenti, e tant’ altre mescolanze che c’è bisogno del filo d’ Arianna per non perder la via, e della pa- zienza d’un novizio de’ cappuccini per legger tutto e penetrare al fondo del questionato, Chi fusse curiuso d’ internarvisi veda , oltre il libro del sig. Seletti , i var) articoli stampati nel giornale di Venezia. S. C. Dei sepolcrali edifizii della Etruria media ed in generale del- l'architettura Tuscanica, discorso di Francesco Orioli professor di fisica nell’ università di Bologna ec. Poligrafia fiesolana 1826 4 maggiore. Debbesi allo zelo ed alla infaticabile attività di questo valen- tissimo letterato , che com’ ape d’ ogni maniera di sapere il più. bel fior raccoglie, la scoperta e l’ illustrazione de’ monumenti sepol- crali etruschi d'Orchia e di Castel d'Asso nel Viterbese. Danno que- sti una nuova specie di costruzione tuscanica , o per dir meglio, dan- no, a parer del ch. sig. Orioli, una nuova prova deti origine orien- tale di quel ce'ebre popolo detto dagli antichi etrusco e tifscanico, e mostrano come dalla sua primitiva maniera venisser gradatamente ad usare lo stile greco in architettura. Forti , ed erudite sono le sue ar- gumentazioni e congetture , che nella brevità propostaci non possia- mo qui riferire; bellissimi i confronti che fa di questi monumenti con quelli degli antichissimi greci e de'popoli asiatici, e con altri de'me- desimi etruschi. È questo libro importantissimo per la storia dell’edi- ficatoria, ed è uno di que’ pochi de’ quali dir si possa con verità ciò che dell’ anima nel corpo disser gli antichi 7ò puéyo Èy TÒ puxpg una gran cosa contenuta in poco. Dodici tavole presentano la sceno- grafia de’ sepolcri, alcune parti de’ medesimi più in grande , ed i confronti d' altri monumenti. S. C. 155 Eettera del prof {GAZZERI al sig. marchese Gino CAPPONI relativa all’ analisi delle acque termali di Casciana. Pregiatissimo sig. Marchese. Allorchè a tentar di vincere quella pertinace infermità che con tanto dispiacere dei molti vostri estimatori ed amici, sì lunpga- mente vi afflisse, tornato vano o inefficace ogni altro rimedio vi de- terminaste a sperimentar l’uso delle acque termali di Casciana nelle colline pisane, acque celebrate , singolarmente contro l’ artritide, m’interrogavate intorno alla loro chimica composizione. E poichè io vi diceva non essermene noto se non quanto se ne trova accennato nella quarta fra le cinque tavole sinottiche le quali accompagnano l’operetta del fu dott. Francesco Bruni sopra è bagni degli antichi, ec ; e nella decimaquinta fra le 17 che il sig. prof. ‘Giacomo Barzellotti ha posto nella sua descrizione dei bagni di Monte Catini ; ed aggiungeva che questi cenni, i quali il primo ri- pete da Hoefer, il secondo da Tromsdorf, oltre ad essere notabil- mente discordanti fra loro, compariscono dedotti piuttosto da una semplicissima esplorazione che da una diligente analisi chimica , quale lo stato attuale della scienza permette di fare, Voi m° impe- gnaste a dare opera a questo lavoro. s Il quale avendo io di buon grado intrapreso, ed ora condotto a fine, mi fo un dovere di sottoporvene la relazione, nella lusinga che vorrete aggradirla, non per alcun merito che in essa sia, ma per riferirsi a cosa che è da riguardare come un insigne benefizio della natura. Di che aggiungono agli altri molti nuovo irrefragabile argo - mento i pronti e salutari effetti che l’uso di quelle acque, rispondendo ai presagi di alcuni, ai voti di molti, e destando una gioia che può dirsi generale, ha operato sopra dì Voi. Accoglietela danque come ingenuo testimonio di quella osse- quiosa stima e sincera devozione con cui ho l’onore di protestarmi Di Voi pregiatiss. sig. Marchese. 16 settembre 1826. Devotiss: Obbligatiss. Servit. «0. G. GAZZERI. 156 Analisi chimica delle acque termali di Casciana, e del gas che si sprigiona dal suolo stesso onde tali acque scaturiscono. Grande è la copia di queste acque, bastando pochi momenti a riempiere d' esse ciascuno dei così detti bagnetti destinati all’ im- mersione dei singoli individui, ed un tempo proporzionatamente as- sai breve a riempierne il bagno grande o comune, che dicono crate- re , perchè in esso si aprono le scaturigini ‘o sorgenti. Uno strato di materia concreta di color giallo brunastro, eviden- temente ferruginosa , riveste le ghiaie disposte sul fondo o suolo di questo cratere , e le pareti che lo circondano, non meno che il fondo e le pareti dei bagnetti; e qualunque oggetto resti per qual- che tempo a contatto di queste acque o immerso in esse. Così le cap- pe o vesti di tela di lino o di cotone, delle quali si cuoprono i ba- gnanti entrando nel bagro, si vedono dopo un certo numero d’im- mersicni tinte d’un color giallastro o di ruggine, più intenso in quelle di cotone che nelle altre di lino. Sebbene questi fenomeni inducano a supporre in quell’acqua una molto notabile quantità di ferro , pure non solo l’analisi chimica dimostra, ma anche alcuni caratteri fisici persuadono non esservene che una piccolissima, In fatti il suo sapore, benchè non sia quello dell’ acqua pura, non è sensibilmente ferruginoso nè salino, Essa non tramanda odore discernibile. i Scorgendosi distintamente a traverso di essa il fondo del cratere e dei bagnetti , quest’ acqua comparisce limpidissima. i La sua temperatura nel cratere fù da me ritrovata di gradi 28 Réaumur , e di circa un grado meno nei bagnetti. Fatte sul luogo queste poche osservazioni, feci empiere, una alla volta , quattro bottiglie dell’acqua del cratere , nel tempo in cui , vuotato questo , l'acqua vi si rinnuovava. Asciugatane diligen- temente Ja bocca ed il collo, ciascuna di esse turata esattamente. con sughero fu rivoltata colla bocca in basso , e ne fu immerso il collo in un tubo di latta, alto due buoni pollici, e di larghezza conveniente, in cui era già fusa o liquefatta per il calore una mestura resinosa , la quale rappigliandosi per il raffreddamento intorno al collo della bottiglia, non permette assolutamente che n’ esca o v’entri sostanza alcuna comunque tenuissima, Avendo osservato che una notabile quantità di sostanze aerifor- mì scaturiva or quà or là dal fondo del cratere, ebbi desiderio di raccoglierne per sottoporle all' opportuno esame. Però disceso io 157 stesso nel cratere, empiuta dell’acqua di esso una bottiglia, e ri- voltatala colla bocca in basso, mantenendo questa sempre immersa nell’ acqua, v'introdussi, egualmente sotto acqua , il collo d’ un imbuto comane di latta, mediante il quale , ed usando d’un artifi- zio che accennerò, potei farvi entrare alquanto di quel gas. Chi veda fare quest’ operazione , la crede facilissima , e reputa poco destro l’operatore che vimpieghi un tempo notabile. Il vedere sprigionarsi quasi continuamente, or da uno or da un altro punto del fondo, delle file o serie, di bolle aeree, che una dopo l’altra traversano 1’ acqua prima di venire a crepare alla superficie , e disperdersi nel- l’ atmosfera , fa credere a chi non ben rifletta che debba esser facile accorrere. colla bottiglia e coll’ imbuto là dove si sprigionano le bolle d’aria, con prontezza sufficiente a raccoglierle. Ma non è così. Essendo importantissimo |’ evitare che la bocca della bottiglia, emergendo alcun poco dall’ acqua , lasci entrarvi del- ’ aria atmosferica , lo che sarebbe facilissimo ad accadere nei movimenti rapidi che occorre fare per andare in traccia delle bolle aeree là dove inopinatamente si vedono sorgere, conviene per conse - guenza tenere costantemente la bocca della bottiglia due ed anche tre pollici addentro della superficie dell’ acqua. L’ altezza di quella parte dell’ imbuto da me impiegato che restava fuori della botti- glia era d'altri tre pollici e mezzo. La superficie dell’acqua in quel momento non essendo elevata al di sopra del fondo del cratere che di circa undici pollici , ne segue che io non doveva discostare la bocca dell’ imbuto dal fondo del cratere che di quattro pollici e mez- zo. Ora è sì breve il tempo che impiegano le bolle aeree a traversare di basso in alto l’ acqua per questo tratto di pollici 4 3, che solo per quelle serie di bollicelle che sorgono dal fondo in grandissima vicinanza delle mani dell’operatore,può riuscire a questo di accorrere colla bocca dell’ imbuto sopra la fila delle bolle con bastante prontezza per in- contrarne le due o tre ultime , trovandosi le prime, o tuttora in moto traversando l’acqua , ma al di sopra dei pollici 4 + dal fondo , e pe- rò dalla bocca dell’ imbuto, o anche già disperse nell’ atmosfera, Quanto poi alle file di bolle aeree che sorgana dalle parti del fondo , o distanti dall’ operatore, o da jui non vedute , è im possibile che egli giunga a raccoglierne alcuna. Avendo io incontrato altra volta questa difficoltà, alcuni anni addietro , nel cratere dei nuovi bagni di Roselle presso Grosseto; dal fondo del quale si sprigionava egualmente molto,gas, che io volli raccogliere , ricorsi perciò ad un mezzo poco diverso da quello dicui si valeva il Volta per svolgere e raccogliere quella che egli chiamava aria infiammabile nativa delle paludi , e che consisteva nel frugare 158 e sommuovere con un bastone il fondo limaccioso di qualunque. sta- gno o pozzanghera. Operando altrettanto con una delle mie mani s0+ pra il fondo del cratere, e sommovendo successivamente le ghiaie in varii punti di esso , sopra è quali faceva corrispondere la bocca del- l'imbuto e la bottiglia , sostenuti coll’ altra mano , giunsi a racco- gliere circa una mezza bottiglia di quel gas. Della qual piccola quantità dovei contentarmi , perché, sebbene il tempo che impiegai in raccoglierlo non fosse molto lungo , pure bastò ad incomodarmi ed obbligarmi a desistere , per la disagiata posizione in cui io doveva tenermi , e per il copioso sudore che provocava in meil trovarmi immerso in quell’ atmosfera vaporosa. Questa bottiglia ; piena per una metà del gas raccolto , per l’altra ‘dell’ acqua del cratere; da me chiusa e sigillata colla diligenza stessa delle altre quattro indicate di sopra., fù insieme con esse da me portata a Firenze nel mio labora« torio, ove sopra il rispettivo loro contenuto intrapresi i saggi seguenti. Analisi dell’ acqua termale di Casciana. Quest’ acqua, che veduta nel cratere e nei bagnetti sembra , co- me ho detto, limpidissima’, non è veramente tale. Versatala in un bicchiere di cristallo , e postala fra l'occhio e la luce , vi si scorgono sospese e natanti molte piccolissime particelle di materia, che proba- bilmente non conteneva in origine , prima d’ emergere dal terreno, e delle quali l'ho spogliata per filtrazione prima di sottoporla alle di- verse indagini chimiche. Il peso specifico di quest’ acqua alla temperatura digr. 15 Réaum è stato trovato di 1,003. Nè la carta tinta colla laccamuffa , nè la stessa arrossata: da un acido , nè quella tinta colla carcama'hanno provatoalterazione alcu- na per la loro immersione, anche prolungata, nell’acqua di Cascina, la quale ha così mostrato nun contenere nè acidi nè alcali liberi. Lasciato un poco di quest’ acqua esposto alla libera azione del- l’ aria in vaso di vetro aperto, si è potuto scorgere dopo alcani giorni sul fondo di questo un tenuissimo deposito appena percettibile di materia giallastra. Dopo più altri giorni, diminuita sensibilmente per l’evaporazione spontanea la massa dell’acqua, si è osservato un delicatissimo filo cireolare di materia bianca su quella parte della superficie interna del vaso, che l’evaporazione del liquido aveva lasciato discoperta. Questo fenomeno, combinato al piccolissimo peso specifico di quest’acqua, indicava già che la maggior parte delle po- che materie in essa disciolte consistono in sali pochissimo solubili. Per tacere d’altre esplorazioni, le quali hanno dato risultameriti 159 negativi , le seguenti hanno servito a far riconoscere î principali fra i materiali contenuti nell’ acqua di Casciana. Alcune gocce di soluzione d’idroclorato di barite versate in que- st’acqua l’ hanno intensamente inalbata, Il deposito abbondante che vi si è formato per il riposo non essendo stato disciolto dall’acido nitrico , lo ha fatto riconoscere per solfato di barite, ed ha dimo- strato nell’ acqua esaminata la presenza dell'acido solforico, che non essendo libero , vi si trova in combinazione salina. La soluzione-di nitrato d’ argento , affusa in un altra porzione dell’acqua stessa , l’ ha leggermente intorbidata: indicando |’ esi- stenza in essa d’ una piccola quantità d’acido idroclorico, egualmente in stato salino. In altra piccola quantità della stessa acqua sono state versate ‘ poche gocee di soluzione d’ossalato d’ ammoniaca , che formandovi un precipitato abbondante , vi hanno dimostrato una quantità nota- bile di sali calcarei. Acidulata leggermente con acido idroclorico un altra porzione dell’ acqua di cui si tratta, vi è stata instillata della soluzione d’idro- cianato di potassa ferruginoso. Il liquore ha preso un color verda- stro permanente, e però dovuto ad una materia disciolta e non sospe- sa ; è andato poi di mano in mano colorandosi in turchino , e non si è scolorato con precipitazione completa del cianuro di ferro , se non dopo alquanti giorni. Se n’ è dedotto che l’ acqua conteneva piccola quantità di ferro poco ossidato, Una piccola porzione dell’ acqua stessa fatta bollire per cinque minuti s' intorbidò notabilmente. Versata sopra un filtro , vi lasciò un deposito di materia bianca giallastra , che l’ acido nitrico sciolse con effervescenza. Allungata la soluzione con un poco d’ acqua stil- lata , fù divisa in tre parti; in una di esse |’ ossalato d’ ammoniaca formò un deposito bianco ; in un altra l’ idrocianato di potassa fer- ruginoso ne formò uno turchino ; dalla terza l’ ammoniaca separò dei fiocchetti tenui, e che vi si mantenevano sospesi. Versate alcune gocce dei reagenti stessi in tre porzioni del. l’acqua bollita e filtrata, il primo e l’ultimo vi produssero gli ef- fetti stessi che sopra , il secondo non vi produsse effetto alcuno. Ciò provava 1° che solo una parte della‘calce e d’un altra base che sembrava la magnesia , si trovano nell’ acqua allo stato di sopra- carbonati, o tenute in soluzione mediante un eccesso d’acido carbo - nico, un altra parte di queste stesse basi essendovi unita ad un altro acido o a più acidi diversi ; 2.° che il ferro vi esiste unicamente allo stato di sopracarbonato. i Dopo aver riconosciuto per mezzo di questi e d’altri saggi esplo- 160 rativi che l’acqua esaminata conteneva della calce , della magnesia , e del ferro, allo stato di sopracarbonati, e dei solfati e degl’idroclo- rati d’alcuna delle due prime basi, o d’entrambe, intrapresi a de- terminare possibilmente la qualità e quantità ‘rispettiva di queste diverse combinazioni, e più sicuramente le proporzioni dei loro componenti. Da grani 5,000 d’ acqua di Casciana introdotta in'una storta si è sprigionato per l' ebollizione tanto gas acido carbonico , che fatto passare a traverso d’ una soluzione di barite nell’acqua stillata, vi ha prodotto un precipitato di carbonato di barite , che lavato e sec- cato pesava grani 25, e che conteneva grani 5 e mezzo d’acido carbo- nico. Così quest’ acqua conteneva 11/10,000 del suo peso d’acido car- bonico, che serviva a tenere in soluzione i carbonati di calce; di magnesia , e di ferro, oltre quello che costituisce queste basi nello stato di carbonati neutri. Grani 30,000 d'acqua di Casciana evaporata a calor moderato e senza ebollizione, lasciarono una massa salina che fortemente dissec- cata pesò grani 112. Un oncia d’acqua stillata scaldata con questa massa, ne di- sciolse una parte, lasciando un residuo, che lavato e seccato pesò grani 8g e tre quarti. Evaporata la soluzione e le acque di lavazione fino a secchez- za, e scaldato fortemente il residuo, questo pesò grani 22 e un quarto. L’ alcool a 41° scaldato sopra questo residuo e rinnuovato più volte , ne disciolse una piccola quantità , che isolata per l’evapora- zione dell’ alcool, fù trovata del peso di grani 1 e un quarto. Disciolto questo piccolo residuo in acqua stillata, e riservata la metà circa della soluzione, il rimanente diviso in sette piccole parti fù distribuito in sette vetri da orologio per sottoporsi ai saggi seguenti. Una goccia di soluzione di nitrato di barite, affusa in una di quelle porzioni , vi cagionò un notabile intorbamento , e la forma- zione d’ un deposito bianco, che non essendo stato disciolto dall’aci- do nitrico, dimostrò essere solfato di barite, annunziando così l’esi- stenza d’ un solfato fra le poche materie che l’ alcool aveva disciolte. Sapendo non esservi fra i solfati se non quello di magnesia che sia solubile nell” alcool , benchè in piccola quantità, esplorai per due diversi mezzi |’ esistenza della magnesia in due diverse porzioni del liquido distribuito nei vetri da orologio. Affusi in una dell’ammo- niaca pura , e nell’ altra , prima alcune gocce di carbonato d’amma- niaca , poi alcune di fosfato di soda. Ambedue le porzioni di liquido =» 161 s' intorbidarono, per molti fiocchetti di materia in esse natanti, e che riconobbi per magpesia. Una goccia di nitrato d’argento, versata in un altra porzione del liquido suddetto, vi determinò la formazione d’ un sensibile deposito di cloruro d’argento , mostrando che fra le materie disciolte dall’ al- cool vi era qualche idroclorato, Due gocce d’ ossalato d’ ammoniaca , versate in an altro vetro da orologio sopra un altra piccola quantità della stessa soluzione , la intorbidarono intensamente, e vi formarono un copioso deposito d’os= salato di calce. Il prussiato di potassa e la tintura di galla affuse in due distinte porzioni del liquido stesso , non v'indussero alcun cambiamento che vi dimostrasse la presenza del ferro. Finalmente dall'altra maggior porzione della soluzione acquosa delle materie già disciolte dall’ alcool fù separato prima l’ acido sol- forico per mezzo del nitrato di barite, poi 1’ acido idroclorico per mezzo del nitrato d’argento, ed in fine per mezzo dell’ossalato d’am- moniaca la calce. Privata così la soluzione di quest’ altima base al- calina , e portate allo stato di nitrati le basi che prima erano unite agli acidi solforico ed idroclorico , volendo riconoscere se fra esse fosse la soda, come poteva presumersi , evaporai il liquido a sec- chezza , e scaldato il residuo fino all'infuocamento, vi gettai sopra un poco di cera per determinare la scom posizione dei nitrati. La poca materia che rimase, disciolta in una goccia d’ acqua , ristabilì il co- lore azzurro della carta tinta prima con laccamuffa quindi arrossala per un acido e cangiò in rosso bruno quello della curcuma, mostrane do contenere un alcali fisso solubilissimo,, da supporsi ragionevul. mente essere la soda, Quella porzione di materia che poca acqua stillata aveva disciol- ta, ma sulla quale l’alcool non aveva esercitato alcuna azione, e che pesava grani 21 +, trattata nuovamente con poca acqua stillata, vi si ridisciolse agevolmente, bensì non in totalità, e lasciando un piccolo residuo di colore leggermente brunastro (a) del peso di grani 2 scarsi, di cui tornerò poi a parlare, Questa soluzione conteneva i solfati di soda e di magnesia, ed il carbonato di soda , ed appena una traccia d’ idroclorati. Divisala in due porzioni eguali, che si sono saggiate coi reagenti opportuni , si suno concluse le proporzioni rispettive di questi sali da quelle della magnesia separata per mezzo dell’ ammoniaca da una porzione del li- quido , e dei carbonato e solfato di barite precipitati insieme dall’ al. tra porzione per mezzo dell’idroclorato della basestessa, pui separati uuo dall’ altro per mezzo dell'acido nitrico, che ridisciolse il primo, T. XXIII. Settembre. LI f 162 lasciando intatto il secondo. Queste proporzioni sembrano consi. stere in carbonato di soda grani quattro e tre quarti’, solfato di soda gr.4 e mezze , solfato di magnesia gr. ro. Sopra i grani 8g e tre quarti di materia che la poca acqua stil- lata aveva lasciati indisciolti fù versato dell’ acido idroclorico disere- tamente allangato con acqua , il quale ne disciolse con effervescenza una porzione , che dal peso del residuo indisciolto, verificato in gra- ni 78 e tre quarti, fu calcolata di grani 11, e che consisteva eviden- temente in carbonati , non avendo esalato odore caratteristico di ve- run acido volatile diverso dal carbonico. Cessata l’ azione, fù decantata la soluzione idroclorica, e quindi, lavato più volte il sedimento , furono unite a quella le acque di lava- zione. Evaporato questo liquido fino a riduzione di metà , vi fù ver- sato dell’ammoniaca pura , che ne precipitò una quantità notabile di magnesia , la quale separata per filtrazione , lavata , ed asciugata , pesò grani 3, che ne rappresentano 6 e un quarto circa di carbonato. Riuvite le acque di lavazione della magnesia al liquido da cui si era separata , vi fù affaso dell’ ossalato d’ ammoniaca, il quale pro- dusse un precipitato abbondante d’ossalato di calce. Questo, separato dal liquido , lavato, seccato, ed infuocato fortemente per alcuni mi- nuti , si ridusse in calce quasi interamente caustica, la quale pesava grani 2, equivalenti a grani 3 e un quarto circa di carbonato, Final- mente versato dell’ idrocianato di potassa ferruginoso nel liquido da cui si erano successivamente separate la magnesia e la calce, si co- lorò in verde celeste, che divenne poi turchino, e da cui dopo alcuni giorni si depositò interamente il cianuro di ferro formatosi, il quale scomposto per il fuoco , lasciò una piccola quantità d’ ossido di fer- ro , della quale attribuendo all’ idrocianato la porzione che doveva appartenergli , calcolai che il rimanente rappresentasse un grano di carbonato di ferro. Quanto alla materia rimasta indisciolta dopo l’ azione dell’ al- cool, dell’ acqua e dell’ acido idroclorico , si è riconosciuta per sol- fato di calce, come si poteva presumere. In fatti posta in una solu- zione di sottocarbonato di potassa , e fattavi bollire per alcuni mi- nuti, si vide diminuire notabilmente di volume, nel tempo stesso che cambiava di natura; il liquido era tramutato in una soluzione di solfato di potassa, che precipitò l’idroclorato di barite, e la materia concreta in carbonato di calce , che si sciolse con viva effervescenza nell’acido idroclorico ; formando una soluzione in cui l’ ossalato d’ ammoniaca produsse un deposito abbondante d°’ ossalato di calce. Un altra piccola porzione di solfato di calce era stata disciolta dalle once 1 e mezzo d’acqua stillata unitamente ai sali facilmente 163 solubili, e consisteva nel residuo brunastro (a) che una piccola’quan- tità d’ acqua lasciò indisciolto , e che trattato col sottocarbonato di potassa presentò li stessi fenomeni sopra indicati, lasciando un atomo d’ossido di ferro. La sua quantità essendo di quasi due granì , bisa- gna aggiuvgerla agli altri grani 78 e tre quarti. Per assicurarmi dell’esattezza dei risultamenti ottenuti da que- Sta prima serie d’ esperimenti volli intraprenderne una seconda, va- riando in qualche parte i processi analitici. A quest’ effetto mi feci | inviare da Casciana due altre bottiglie di quell’ acqua, la quale per qualche pioggia avrenuta era notabilmente indebolita , contenendo in soluzione una minor proporzione di materie saline. Diecimila grani di quest’ acqua lasciarono per l’ evaporazione un residuo, che seccato ed infuocato pesò grani 25. L’ alcool a 41° scaldato a più riprese sopra questo residuo ne sciolse poco più d’ un mezzo grano. Evaporata a secchezza la soluzione alcoolica, e ridisciolto in po- ca acqua stillata il residuo , il quale pesava circa mezzo grano; la so- luzione acquosa s’ intorbidò coll’acido solforico, coll’ ammoniaca, coll’ ossalato d'a mmoniaca e col nitrato d’argento, mostrando conte- nere piccolissime quantità degl’idroclorati di calce e di magnesia, e di solfato di quest’ ultima base. La materia sù cui l’alcool nonebbe azione, facendo effervescen- za cogli acidi, mostrava contenere dei carbonati. Però vi fù versato. sopra dell’ acido acetico, all’oggetto di scomporli e convertirli in ace+ tati, i quali potevano presumersi deliquescenti e solubili te, ed avea presunto; essere ossido di ferno.. Ma ‘avendola uova inattaccabile dagli acidi; la sospettai di. natura carbouosa , prover, niente dall’azione del calore sull’ aleooi esuli’ acido acetico, lu Fatti, scaldatala fino all’infuocamento , e, gettatovi. supra, un atomo di ni- trato di potassa, deflagrò e pra i i suniq : Tornando alla soluzione AFARORA degli è CARaLi un poco d' ammo. niaca, para versala in essa, ne separò una quantita, rallo mente notabile di magnesia, che raccolta, sopra un fiitro, lavata e, seccata fù trovata del peso di due terzi di grano, ® dL.liquido;da cui la maguesia si era separata, eda cui furono riunite le acque di, lavazione,, s'iutorbidò notabilioeute allorchè gi fu versato, goccia, a guccia della soluzione d'ossolati sd'ammoniaca , che vi formò dell’ossalato di calce, Questo sepaguto pero filbrazione dal liquido, lavato,seccato, e. scumpusto, per. iVazione del fuoco, la- sciò,un,terzo di grano, di calce , sit parte canbonata, giacché voltaya foriemente, all rosso la. carta, tinta colla curcuma,e daceya efferve- scenza cogli acidi. ioni » Aggiunte ul solito,al, liquido filtrato le acque di TAFURI De fu saggiata una piccolissima porzione cou idrocianato di potussa fer, ruginoso; the! vi, dimostrò la presenza del, fecro, sai Ogui rimanente fù, evaporato a secchezza; ed infuvgatone il pic- colo residuo fisso, quale disciolto poi in piccolissima queutità d’acqua stillata,,, mostrò contenere an. poco, di soda, cangiando jin, rosso: la carta tinta colla curcumna,.e non precipitando l’idioclorato di platibu Una piccola quantità; d' acqua, stillata fatta! bollire per alcunp momepti sopra i grani, 20, e, mezzo di materia lasciata dall’alcool indisciolta, ne,sciolse gravi, 3. Versato sa goccia a _goccia|dell’acetato di barite .in umili so- luzione , s'intorbidò grandemente. Se ne separò per. filtrazione del solfato idi barite, che lavato e seccato pesò grani 3,e inezzo. Riunite, le acque di lavazione al liquido filtrato, e versaleyi due gocce di mirato d’argento, s'intorbidò, leggermente senza for: mare il minimo fiocco 0, coagulo; mostrando coutenere piccolissima quantità d’idroclorati. Filtrato il liguidg e concentratolo per eva pbrazione,l’ ammoz niaca affusavi ne.separò alcuni: fiocchi di maguesia, che lavata e sec» cala pesava un quarto. di grano,}, ?. VIVAI i Evaporato a secchezza.il liquido dla cui, si era separata IL Mar gnesia, e calcinato il residugs. mostrò ai soliti ise giai sopra indicati contenere della soda, li 165 I rimanenti grani 17 e mezzo di materia sui quali ‘non avevano avuto azione l'alcool, |’ acido acetico,e l’acqua furono riconosciuti consistere unicamente in solfato di calce, giacchè col processo sopra indicato, trattandoli cioè ‘con sottocarbonato di potassa, ebbe luogo la doppia scomposizione, e la formazione del solfato di potassa, e del! carbonato di calce. I risultamenti delle due esposte serie di saggi analitici mostrano da un lato una notabile differenza nella quantità assoluta dei mate- riali disciolti nelle due sorte d’acqua sù cai sono stati eseguiti, dal- l’altro una quasi perfetta corrispondenza nella qualità e nelle pro- porzioni relative dei materiali stessi. La quantità assoluta sì ‘0s- serva maggiore in quella che ha servito ai saggi della prima serie ; minore in quella della seconda , nella proporzione di 3 a 2 e vice- versa di2 a 3, differenza che s’ incontra più 0 meno nelle acque mi- nerali in genere, secondo che si raccolgono in stagioni secche o piovose. Le qualità e le proporzioni relative dei materiali sono perla prima serie sopra grani 30,000 d’acqua materiali disciolti grani 2112; e per la seconda sopra grani 10,000 d’ acqua grani '25'delli stessi ma- teriali , in proporzioni relativamente simili, cioè : prima serie seconda serie è . I . TL: Solfato,di ‘calce grani 80 — grani 17 — 2 ì 2 magnesia I sur soda 3 stbz } i) 2 a 3 si 1 } Carbonato di soda ,; 4 7 2 at : FARA calce ,,68 7 TO RAG È 6 3 À 1 magnesia\,, 6. Ì rt {o 9 gla ferro pl — ) > afgano Idroclorati di calce A 29 8Î8 — 1 è magnesia sot 11 fà ss iva Da soda Vi SARLPLO di eng, grani 112 — grani 25 Non segnando minori divisioni del ‘grano the'i quarti) allorchè ho incontrato pesi un poco scarsi, ho segnato come interò ‘il iquaritò di grano cui siapprossimavano , conche ho potuto rappresefitare ‘ih 166 i esattezza quasi assoluta , che effettivamente non si ottien mai; in- contrandosi sempre qualche perdita. ‘ I risultamenti quì sopra esposti sono grandemente distanti da. quelli i quali si riferiscono nei libri sopra citati. I materiali da me trovati nelle acque di Casciana consistono per circa cinque sesti in solfati, genere di salì dei quali nemmeno si fa menzione in quelle due allegazioni. In quella del dott. Bruni non si nomina nemmeno il fer- ro, che, sebbene in piccola quantità, esiste in queste acque, mentre quella del prof. Barzellotti ve ne ammette un 14mo dell’intera mas- sa salina, e però molto più di quello che ve n’ esiste di fatti. Il ge- nere di sali che io ho trovato il meno abbondante è quello degl’idro- clorati. Ed all’ opposto nell’ indicazione del dot. Bruni essi forme- rebbero diciannove ventesimi ed in quella del prof. Barzellotti un- dici quattordicesimi della. massa intera delle materie disciolte nel- l’acqua di Casciana. E questa massa totale, che io ho trovato di un 4oome del peso dell’acqua debolissima attinta dopo le pioggie, e di un 267mo nella stagione secca, è assegnata di un 337 mo nell’ indica- zione del dot. Bruni, e di un 493mo in quella del prof. Barzellotti, Forse l’avere usato per primo reagente il nitrato d’argento nella supposizione che gl’idroclorati, e specialmente il sal comu- ne, fossero i principali fra i componenti quest’acqua, senza de- comporre avanti con un acido i carbonati, e con un sale di ba- rite i solfati, che precipitano in parte il nitrato d’argento, po- trebbe aver fatto comparir maggiore la quantità dell'acido idro- clorico , e dei suoi sali, ma non illudere interamente quanto all’esi- stenza dell’ acido solforico, del quale l'uno e l’altro autore tace egualmente. Ma senza perdermi intorno a ciò in congetture , passo a dir due parole del gas da me raccolto, e che emana dal fondo del cratere. A perta sotto l’acqua del bagno pueumato chimico Ja bottiglia che lo conteneva, e fattolo rapidamante passare, per mezzo d’ una campana di cristallo con sua ghiera, in una vescica esattamente vuo- tata, e chiusa questa per mezzo d’una chiavetta o robinet d' ottone adattatovi, eda cui partiva un tubo di vetro ricurvo, ne feci per que- sto passare 8 pollici cubici in un cilindro di vetro graduato pieno di mercurio , sopra un bagno dello stesso metallo. Allora introdottovi un pezzo di potassa caustica e pura, cominciò a vedersi una piccola ma sensibile diminuzione di volume nel gas, annunziata dalla salita del inercurio nel cilindro. Lasciato così l'apparato per 24 ore, tro- vai, il giorno dopo il mercurio salito d’un pollice ; e però assorbito dalla potassa un ottavo del volume del gas, la qual porzione assor- 167 bita era acido carbonico, essendo la potassa divenuta effervescente, ed altronde non avendo il gas posto in esperienza: odore alcuno. Fatti passare i 7 pollici residui di gas in un altro cilindro asciut- tissimo , e pieno di mercurio egualmente asciutto, non meno che quello del bagno in cui io operava , introdussi nel cilindro un pez- zetto di potassio ben palito nella superficie, il quale, lasciato egual- mente per 24 ore, appena si appannò d’un sottilissimo velo bianco iiioso appena l’assorbimento di un romo di pollice di gas ossigene. Il gas esaminato era dunque presso a pochissimo il gas termale del sig. Gimbernat, cioè consisteva in un mescuglio di un 8vo di gas acido carbonico, e 7 ottavi di gas azoto, con un 8omo circa di gas ossigene, Mi astengo da qualunque riflessione intorno al modo di’ spiega- re la riconosciuta salutare efficacia di queste acque, partendo dalla loro chimica composizione, tale quale i mezzi attuali della scienza permettono di riconoscerla, e ciò non solo per essere io affatto sfor- nito di mediche cognizioni, ma ancora perchè credo esser noi tut- tora lontani da poter render ragione di questi effetti. Per altro io reputo non inverisimile che una parte almeno della virtù di queste acque dipenda dal gas indicato, che svolgendosi in- torno ai malati immersi nel bagno, aderisce e si trattiene alla super- ficie del loro corpo in minutissime bollicelle, e che potrebbe essere, assorbito peri vasi inalanti, più aperti, ed a ciò più disposti nel ba- gno caldo, ed esercitare un’azione salutare. 168 BULLETTINO SCIENTIFICO. N.° XXXVI. Sescembre 1826. ScIÈNZE NATURALI. Fisica e Chimica. Il sig. Tommaso Smith ha comunicato alla società reale di Edimburgo i seguenti fenomeni offertisi a lui nel fare alcune osserva- zioni ottiche. Se si tenga in posizione verticale una piccola striscia di carta alla distanza di circa un piede dagli occhi, e sì dirigano que- sti sopra un oggetto posto al di là della striscia , si vedono, come è noto, due imagini di questa; ma se l’esperienza si faccia di notte o in luogo oscuro, illuminando la striscia di carta colla luce artificiale d’una candela o d’una lucerna accesa, di cui la fiaccola sia situata ‘a pochi pollici di distanza da uno degliocchi lateralmente, ed in modo che, mentre quest’occhio n'è vivamente colpito, l’altro sia perfetta - mente nell’ombra, le due imagini delia striscia di carta compariscono non più bianche, e di colore diverso una dall’altra, sembrando rossa- stra la più vicina al lume, verdastra la più lontana. Se si collochi »I Jume in modo eguale, ma presso l’altr’occhio, l’effetto stesso ha luo- g0, scambiandosi bensì il colore apparente delle due imagini , delle quali sembra verde quella che prima sembra va rossa, e viceversa. Se poi in vece di guardare al di là della striscia di carta, si fissino gli oc- chi sopra di essa, la di lei imagine, allora unica, ritorna anche perfet- tamente bianca. Il sig. Smith avendo sostituito a quella di carta bian- ca delle striscie di carta di diversi colori, osservò che se, per esempio, la carta era d’un rosso leggiero, l’imagine veduta dall’occhio su cui cadeva la luce sembrava quasi bianca, e l’altra di color rosso cupo ; se la carta era di color verde chiaro, l’occhio posto nell'ombra la ve- deva quasi bianea, e l’altro di color verde cupo. Chi ripetendo que- sta curiosa esperienza provasse qualche difficoltà a fissar l’attenzione sulle due imagini nel dirigere gli occhi sopra un oggetto lontano, può ottener l’effetto comprimendo lateralmente il globo d'uvo degli oc- chi, lo che basta a fur comparire due imagini, le quali si mostrano egualmente di due colori, semprechè una fiaccola di luce artificiale, sia prossima ad uno degli occhi, occulta all’altro. Lo stesso osservatore provò a disporre due candele una per par- te, in modo che la lace di ciascuna di esse cadesse sopra uno degli ocehi, non sull’altro, e vide che, allorquando era eguale l’intensità 169 della luce delle due candele, eta loro distanza rispettiva dagli occhi» le imagini della striscia di carta sembravano ambedue bianche: ma essendo ineguale o l’intensità luminosa o la distanza delle due can- dele , le imagini comparivano di colore diverso. Interponendo fra una delle candele e l'occhio un corpo opaco, le imagini che erano bianche prendevano subito, una il color rosso, | altra , il verde. Se ambedue gli occhi erano preservati dalla luce per l’interposizio- ne di corpi opachi, ambedue le imagini tornavano bianche. Nel fare queste ultime esperienze avvenne al sig. Smith di osservare un altro nuovo ed interessante fenomeno. Rimuovendo ad un tratto i due corpi opachi interposti fra gli occhi e le candele, le due imagini bianche comparivano nell’ istante più luminose, e dura- vano a inostrarsi tali per alcuni minuti secondi, Sembra che l’azione viva della luce artificiale, il di cui colore è giallo-rossastro, paralizzi di passaggio ed in parte, nell'occhio che n'è investito, la facoltà di percepire quello stesso colore, e non gli lasci percepire se non l’ ef- fetto dei raggi che formano il colore complementario di quello; nel fascio che riflette sopra di esso la striscia di carta, e nel quale il color giallo-rossastro predomina. In una memoria inserita negli Annals of philosophy, il dott. Iac- Keever riferisce diverse sue esperienze ed osservazioni , per le quali egli crede dimostrata vera un opinione che egli dice comune e popo- lare in Inghilterra, cioè che i raggi del sole, o anche la semplice luce diffusa che investano il combustibile acceso in un appartamento, ab- biano la proprietà di rallentarvi la combustione, ed anche di estin- guerla gradatamente. Noi non sappiamo che questa opinione sia in credito fra noi, anzi la intendiamo ora perla prima volta, Gli esperimenti dai quali il sig. Mac-Keever è stato condotto alla sua conclusione consistono nell'avere esposto comparativamente per un tempo eguale, uno alla viva luce solare all'aria aperta, l’altro in una camera oscura, due pezzi di candela, i quali dopo cinque mi- nuti, spevti e ripesati, hanno presentato una differenza nella quantita di cera consumata , e però nella rapidità ed intensità della combu- stione, evidentemente più lenta nella candela esposta al sole, benchè una maggiore elevazione di temperatura abbia dovuto favorire la li- quefazione della cera e la combustione. Siccome poteva pensarsi che l’agitazione dell’aria inflaisse nel fenomeno, in altra esperienza due candele d’egual peso? furono in- cluse in due distinte lanterne, una delle.quali aveva il vetro coperto d’un color nero, ed esposte ambedue ai raggi d’un sole ardente. An- che in questo caso Ja:candela chiusa nella lanterna il di cui vetro era 170 velato dalla tinta provò una combustione più rapida, annunziata da una maggior diminuzione di peso. Ripetuta l’esperienza con questo stesso apparato , frponto in vece alla viva luce della luna, non potè rilevare la più piccola differenza nella combustione delle due candele. Il sig. Mac-Keever crede trovare una sodisfaciente spiegazione della differenza osservata nelle prime esperienze nell’azione decom- ponente di cui è noto esser dotati i raggi solari , e per la quale egli pensa che lo strato d’aria il quale circonda immediatamente una par- ticella di materia pronta ad entrare in combustione sia spogliato fi- no ad un certo punto del suo ossigene, e reso meno atto a mantenere la combustione, Così supponendo un atomo di carbone pronto a com- binarsi con due atomi d’ossigene, egli pensa che i raggi solari sot- traggano uno di questi atomi alla sfera d’azione del carbone, oppon- nendo un ostacolo all’azione chimica dei due elementi in presenza. E considerando che tre diverse specie di raggi sono state rico- nosciute nell’ emanazione solare, cioè luminosi , calorifici, chimici, pensò ad esporre il combustibile comparativamente a queste tre qualità di raggi. Però impiegando quello stesso apparato di cui si era servito Herschel nelle sue ricerche intorno al poter calorifico ed illuminante dei colori prismatici, espose successivamente ai diversi raggi dello spettro solare una candela di cera verdastra, divisa esat- tissimamente in pollici. Per consumarne due pollici; bisognarono nel raggio rosso 8 minuti primi; nel verde 8, 20; nel violetto 8, 39; nel- l'estremità del violetto istesso 8, 57. E ricominciando l’esperienza dal raggio violetto, a consumare un pollice della candela nel centro di questo furono necessari 4, 36; all'estremità 3, 36; nel raggio ver- de 4, 20; nel rosso 4, 16. Questi risultamenti sembrano al sig. Mac-Keever sufficienti a stabilire che realmente i raggi solari hanno la proprietà di rallentare la combustione, e che il fenomeno è dovato all’azione dei raggi chi- mici sullo strato d’aria atmosferica che circonda immediatamente la materia che entra in combinazione. Gli estensori della biblioteca universale ; donde abbiamo tratta questa notizia, trovano una spiegazione più semplice del rallentamento della combustione, nella rarefazione dell’aria ambiente, cagionata dal calore dei raggi solari. Noi poi non sappiamo comprendere quale azio- ne chimica possano esercitare i raggi solari sull’ aria atmosferica , la quale, ove fosse non un semplice mescaglio, ma una vera chimica combinazione dei due gas azoto ed ossigene, ed ove l’azione solare distaccasse questo da quello , sembra a noi che nel nuovo stato di li- bertà od’isolamento mon potrebbe che esser chiamato maggiormente 171 ad unirsi alla sostanza combustibile, che è la.sola ivi presente per tui abbia affinità, e su cuì possa esercitarla. La questione intorno all’ utilità dei paragrandine è stata in que- st'anno vivamente agitata , essendo stati prodotti argomenti e fatti non meno in un senso che nell'altro. L'accademia delle scienze di Parigi , richiesta da quel governo del suo parere in proposito , senza dichiararne l' assoluta ìnefficacia, ha emessa l’ opinione che la teoria della formazione della grandine non essendo chiaramente stabilita, e l’esperienze fin quì intraprese non avendo dimostrato iu modo sodi- sfaciente l’utilità dei paragrandine , non sembra prudente intrapren- dere esperimenti in grande, che non promettono un successo propor- zionato alla spesa necessaria. Ma ciò che più cì ha sorpreso è una proposizione fatta da alcuni membri distinti dì quell’illustre società, appoggiata da altri, ed inol- trata algoverno stesso , e per cui vengono dichiarate più utili dei paragrandine le compagnie di assicurazione contro la grandine stessa, snaturandosi così affatto la questione, e considerandosi unicamente il danno pecuniario individuale di ciascun proprietario i di cui fondi sia- no percossi dalla gragnuola, e nulla valutandosi la distruzione di prodotti preziosi destinati alla sussistenza dell’ uomo e degli animali utili, distrazione che coi paragrandine si studia dì prevenire, e che al contrario è supposta, ed in certo modo necessaria, alla formazione e sussistenza delle compagnie d’ assicurazione. Il prof. Zansteen di Cristiania ha impreso a riconoscere l'inten- sìtà del magnetismo in diverse parti della superficie del globo , con- cludendola dal tempo più o meno lungo che impiegava a compiere Zoo oscillazioni orizzontali un delicatissimo ago magnetico di forma cilindrica, Oltre ad aver fatto egli stesso un numero d'’ osservazioni, îl sig. Hansteen ha confidato il suo ago magnetico a diversi fisici distinti, e specialmente ai sigg. Nauman , Erichsen, ed Oersted, che ne hanno fatte molte altre, per le quali tutte è stata esplorata l’ in- tensità magnetica in diverse parti della Norvegia, della Svezia, della Danimarca , della Prassia , dell'Olanda, della Francia ; dell’ Inghil. terra , e della Scozia. I risultamenti di queste osservazioni sono stati esposti in un pro» spetto che comprende tre colonne ; delle quali le due prime conten- cono la longitudine e la latitudine , la terza il namero di minuti se- condi impiegati dall’ ago a fare 3oo oscillazioni, Da questo prospetto l’autore desume la posizione d' alcune linee che egli chiama sodi» namiche. Quella sopra la quale le 3oo oscillazioni si compiono in 750 172 verdi secondi: passa I di:grado al sud di Purigi e di Reime,e nn terzo di grado al sud di Go*ba-e di Gaslin.» Della linea di 740 se- condi è stato determinato un sol punto , ed è Breslau. Quella di 775 passa per Amsterdam, Lubecca, e un terzo di grado al sud di Londra. La linea di'810 secondi è un quinto di grado al nord d'York, di Spor- ring nell’Jutland, e di Falkenberg in Svezia. La linea di 820 secondi passa per Edimbnrgo, ed un poco al sud di Christiansand in Norve- gia e di Carlstadt in Svezia. La linea di 865 passa per Hirdal in Nor- vegia. Tali linee essendo quasi equidistanti e parallele, si possono facilmente segnare le intermedie. La seguente tavola mostra la legge secondo la quale |’ intensità magnetica passa dall’ equatore al polo. Inclinazione Intensità. o 1,0 24 i i 1;1 45 1,2 64 1,3 73 1,4 76 1;5 82 diede 1,6 86 1}7 La pressione atmosferica , opponendo un ostacolo alla vaporiz- zazione dell’acqua , o alla sua ‘ebollizione , ‘ne consegue che questa si effettui a temperature diverse in luoghi più o meno elevati, e nei quali è diversa l’altezza della ubrcni atmosferica , e conseguente- mente la di lei pressione. Partendo da questo principio, il sig. Wol- laston lia proposto di misurate 1’ altezza delle montagne dalla tem- peratura alla quale l’acqua vi entra iv ebollizione. Sembra per al- tro che varie cause debbano rendere inesatte le determinazioni delle altezze opcral'e per questo mezzo. I sigg. Vauquelin e Thenard hanno praticato e fatto conoscere tin processo atto a scuoprire quantità piccolissime di fosfato di calce, o d’altri'fòsfati ‘mediante la loro scomposizione per il potassio, e la conseguente loro conversione in fosfuri, dai quali per mezzo d’un liquore acidulo si sprigiona del gas idrogene protofosforato , facilis- simo a riconoscersi per il suo odore, e per le sue proprietà chimiche. Per questo mezzo si rende sensibilissimo mezzo milligrammo di fo- sfato di calce. L'esperienza si fa in un tubo di vetro chiuso da una par: , aperto dall’altra , lango 4 centimetri, e del diametro. di 3 a runillimetii; vi 8° introduce un centimetro di potassio , che sì com- 173 prime sul.fondo; ponendovi SOpiali e sio primendo egualmente il fo- sfata di tlono Oo Sì dina al sigoSulra Fontenelle delle, curiose ed importanti ossservazioni intorno al seme della senapa. L’ acqua incui si è tenuto ampcerare questo seme avendo da proprietà di. ivoltare al rosso. la tintura di lacca muffa led al verde quella di.viole mammole!, il. citato chimico l’ attribuisce alla presenza d' gn sopracarbonato., Ridotto il seme in cenere, non ha trovato in questa alcun fosfato che altri vi avevabo ammmesso3: vVisbu ben:l.trovato due olii dotati di proprietà notabilissime,) Ly primo, che egli chiamasolio dolce di senapa ; si ot- tiene bella proporzione di un quinto in, peso, per la pressione dei se- mirrecentemente pestati, Non ha odore, è prù denso dell'olio. d’ oliva, nuivsircongela che aduna temperatura più, bussa di zero. Questa sua, poca disposizione dlconerclarsi , ed/anchè.a dìivevir rancido , ne ren- de utile l'applicazione:a render facili i movimenti degli orologi. Si scioglie in 4 parti d’etere, ed in 1000 d'alcool a 36 gradi; il suo peso specifico è dilg202 5 può formare un sa pone solidissimo. Nell’ altia specie rd’ olîo risiedono tutte le proprietà medicinali, riconosciute nel serie della senapa. Per ottenerlo; si polverizza il selve ;le si distilla con étto.o dieci parti d’ acqua: Quest’olio volatile ha un color citrivo , ed unodor pevetrante quanto quello dell’ am-, moniaca; il suo peso specifico è di 1,0337; èsolubilissimo nell'acqua ;, discioglie il solfo ed ii fosforo. Se;si riscalda it una stortà dopo averlo. ima pastato con alluuina per:trattederve la volatilizzazione,ed astrin- gerlo a sopportare una temperabara ‘capace, di scomporlo; se ne ri cava un poco. d’acqua; del;gas acido carbobico , del\gas idrogene, carbonato }; qualche traccia d’acidò idroclorièo y senza alcun: indizio d’ aminoniaca + Uva proprietà nutabilissima di quest’olio è quella di, opporsi alla fermentazione vinosa;. ed auclie.di arrestata quando è] cominciata. stesup il {nit09 y } Il sig. Morin farmiidistai avendo esaminato chimicamente i fratti del solito mammosuni; pianta spobtanea della Giammaica; | vi.ba, trovato \dell’acido; malico: libero; l'acido. stesso vito alla: calce.,. dell’ acido gallito', della’ gomma ; una materia colorante gialla, un priùcipio nàuseante:amaro, che ha qualche analogia. cob prititipio mauseante; delle;-leguminose; una | piccola’ quantità d'olio: — volatile, della fibra legnosa , ed alcuni sali, che sono il sottocarbo- nato e l'idroclorato di potassa, il solfato ed il carbonato di calce, ed una piccola quantità di fosfato della stessa base. 174 È assai frequente il caso che delle acque contenenti molto car- bonato di calce lo depositino nei canali che percorrono , forman- dovi col tempo un incrostazione, cui si dà comunemente il nome di tartaro , la quale rende difficile, e giunge ancora ad impedire il passaggio dell’ acqua. Il sig. D'Arcet applicandovi l'acido idroclo- rico , che discioglie facilissimamente il carbonato di calce , ha po- tuto agevolmente liberare alcuni di questi canali dall’ inerostazione formatavisi. Il sig. Gmelin ha osservato che se nel distillare l’acido solforico, sicambia ilrecipiente nel momento in cui esso è pieno di vapori opa- chi, e si circonda di ghiaccio quello che se gli sostituisce , si ottiene dell’acido solforico anidro, o senz’acqua, il quale si deposita in cri- stalli sulle pareti ; e dell’ acido liquido meno «tenso di quello ‘che. resta nella storta. Sembra che nella distillazione 1’ acido solforico. si divida in due parti, una delle quali cede la sua acqua all'altra. L’acido pirolegnoso, cioè l’ acido acetico ricavato dalla distilla- zione del legno , è ordinariamente unito ad un poco d’ olio empireu- matico } che gli dà delle cattive qualità, e specialmente un odore ed un sapore disgustosissimo. Il sig. Berzelius è giunto a purificarlo perfettamente per mezzo del carbone animale. Il residao carbonoso che nelle fabbriche d’azzurro di Berlino si trova nei vasi nei quali si è scaldato fino all’infuocamento una mescolanza di potassa e.di sostanze animali , gode ad un grado-eminente di questa proprietà. In fatti il sig. Berzelius , impiegando. una piccolissima quantità ‘di questa sostanza ; agitandola in contatto dell’ acido, e filtrando que- sto poco:dopo , lo ha ottenuto perfettamente puro , ed affatto privo d’ odore e di gusto empireumatico. Per altro sapendo il sig. Berze- lius che il così detto sale di corno di cervo, e il:sottocarbonato d'am- moniaca ricavato dalla scomposizione di questa sostanza animale per l’azione del fuoco , sebbene scaldandolo col carbone si ottenga bian- co; pure ritorna bruno, in quanto: che:l’olio empireumatico non è interamente assorbito dal carbone; ma solamente rettificato 0. pu- rificato ; dabitò che un simile effetto sopravvenisse all’ acido purifi< cato col processo sopra esposto. A. quest’ effetto ne conservò una certa quantità inuna bottiglia mal. turata:per il lasso di5 mesi, ma an- che dopo questo tempo l’acido. era tuttora! scevro d’ ogni indiuio d’ olio empireumatico; i al 175 ‘ Botanica, La morte che rapì in età ancor fresca il celebre botanico fioren- tino Pier Antonio Micheli, autore della ricercata opera ova Genera Plantarum, impedì al medesimo di terminare e pubblicare l’altra parte della detta opera, che comprender doveva le piante aquatiche marine. Il dott. Targioni Tozzetti di lui scolare ed allievo, avendo acquistati i manoscritti e l’Erbario del suo maestro, intraprese a rior- dinare e terminare questa seconda parte per renderla pubblica e completa; ma poichè il Micheli, seguendo il sistema di Tournefort, considerava gli zoofiti ed i litofiti come piante , incominciando dal e rifondere tutto ciò che aveva fatto il Micheli, e dare nuova forma e nuove descrizioni alle vere piante. Costò ciò molta fatica al dott. Giovanni Targioni, molto più che da tutti i botanici era stato ab- bandonato il metodo di Tournefort, ed adottato il sistema di Linneo. Ciò fece il dott. Giovanni Targioni nella sua ultima età, con dare altro titolo all’ opera, che lasciò quasi completa, intitolandola Cata- logus Plantarum marinarum Musei sui, di cai ne è stato pub- blicato recentemente il primo fascicolo dal dott. Ottaviano Targioni Tozzetti professore di botanica ed agricoltura, figlio del dott. Gio- vanni suddetto. Questo primo fascicolo di fogli dodici di stampa, in foglio piccolo, con tre belle tavole in rame, comprende una lunga e dotta prefazione del dott. Giovanni Targioni Tozzetti, circa alla natura, vegetazione, attributi e usi delle piante che vivono nell’acqua del mare, il prospetto della classazione che ne voleva fare il Micheli, il prospetto della distribuzione adottata dal dott. Giovanni Targioni in tribù e famiglie, e la prima tribù, che comprende le piante Agro- stromorfe. Il sig. dott. Ottaviano Targioni Tozzetti nel pubblicare quest'opera vi ha aggiunto delle note analoghe alle cognizioni bota. sentemente. Quest'opera da tanto tempo desiderata non può fare a meno di interessare i botanici » € tatti i possessori del /Vovag Genera Plantarum del Micheli, venendo questa a renderla compita ed illu- strata da esattissime figure in rame, e dimostra che il Micheli aveva già conosciute e descritte molte specie di piante, che da altri dopo di lui sono state date per incognite fino ad allora » onde merita l’ap- provazione e ricerca di tutti i botanici. 176 GEGORAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Sig. De Bompland. La speranza della liberazione di questo dotto viaggiatore (vedi Antol. vol. XXL A, pag: 155 ) ila cui dolorosa schiavitù interessa tutti gli amici delle scienze e dell! umanità è stata prematura. Tanto risulta da una lettera che il sig. de Humnbolt ha ricevuto da Sa/tw , città situata sul declivio orientale: delle Ande fra l'alto Perù e le pianure del Tucuman. ,,, Io vorrei, scrive il sig. Redhead, potervi dare qualche nuova del sig. Boupland , che io ho avuto il piacere di conoscere a Buenos.Aytes, e che È sempre in po- tere di quell’essere strano che governa il Paraguay; ma nov ne ab» biamo alcuna. Mi vien detto che il, general Bolivar pensa a recla- marlo: ed in questo caso non è verisiile che il dott. Francia di- sprezzi le di lui sollecitazioni. Il sig. Bompland sarà restituito un giorno ai voti dei suol amici, e le scienze avranno guadagnato per il di lui soggiorno al Paraguay. Il sig. Paroissien è passato di, quì per andare a dirigere i lavori della miniera del Potosì. Lo gli ho sommi- nistrato dei nuovi barometri molto simili a quelli dei quali il sig. Ramoud si era servito nei suoi primi viaggi ai Pirenei. Il sig: Pa- roissien finisce, come voi l’avevate desiderato, il livellamento bara- metrico di Buenos-Ayres, per Salta e Potosi ad Arica, traversando sempre.il continente ,,. Sigg. Clapperton e Dickson. Annunziammo già (Antol. vol. XXII C pag. 173) la morte dei sigg. Pearce e Morison: le ultime let- tere pervenute alla società di geografia di Parigi confermano questo fatale avvenimento nei termini seguenti: ,, Nei primi giorni di, di- cembre il capit. Clapperton ayeva ottenuto la permissione di traver- sare il territorio di, Eyos (forse 1’ Yariba degli Arabi); ed il re del paese gli aveva accordato una scorta, delle guide, e dei cavalli. Ver- so la metà dello stesso mese, dopo un tragitto difficile in un paese coperto di selve e di folti cespugli, egli era arrivato a Ienneh o Djennah, una delle più grandi città di quel regno, Frattanto, a mi- sura che egli si avanzava , il terreno diveniva più aperto , ed andava incontrando delle belle situazioni. Gli abitanti erano ospitali, ben ve- stiti, allevavano un gran numero di cavalli, e li montavano con molta destrezza. Da Djennah a Habounga, capitale dell’Ey0s; la distanza. era di trenta giornate (probabilmente da 250 a 300 miglia); di. là al Niger o Kovvara si contavano ancora tre giornate di cammino. Il capitano Clapperton ed il suo domestico erano stati malati di febbre; si erano quindi ristabiliti, ed avevano trovato un, clima molto più A ne 0 sano; softendo dalle montagne del Koog. Le ultime nuove lasciavano l’intrepido viaggiatore a mezza strada da Katounga per i gradi 8, 23' 30”. Il termometro era disceso da 29 a 25 Réaumur, e l’eleva- zione al di sopra del mare era stimata a 2,500 piedi inglesi. Il capi- tano aveva scritto nel 28 dicembre da Eugoua la morte del sig. Pear- ce avvenuta il giorno avanti. Quanto al sig. Morison, incapace d’au- dar più oltre, egli era tornato a Djennah col suo domestico, e tutti due vi avevano reso l’ultimo sospiro. Un altra divisione della spedizione, sotto gli ordini del sig. Die- kson, aveva presa la sua strada per il Dakomé: il re l'aveva accolto con un estrema benevolenza. Il sig. Dickson aveva egualmente pa- gato il suo tributo alla febbre della stagione; ma egli si era pronta- mente ristabilito, ed ilre lo aveva onorato di tratti cortesi ; egli aveva preso congedo l’ultimo giorno dell’ anno, e proseguito il suo cammino, scortato da cento portatori e da cinquanta uomini armati, sotto il comando d’un parente del monayca. Egli si dirigeva sopra la città di 7%ar a 19 giornate verso il nord, e nel sud ovest di Yaouri, Il sig. James era ritornato alla costa ,,. Viaggio del cap. Kotzebue. Il capitano Kotzebue , comandante la corvetta russa l’ intrapresa , è tornato a Cronstad , dopo un viag- gio di scoperte di tre anni. Egli ha esplorato di nuovo le coste nord- ovest dell’ America , delle isole Alentiennes, del Kamtschatka , e del ‘mare d’ Ochonsk. Il professor Eschscholtz, naturalista che ha ac- compagnato il capitano Kotzebue, si trova in questo momento a Lon- dra , ove si prepara a pubblicare la parte storica della relazione del sua viaggio. Le osservazioni più nuove sono state fatte particolar- mente alle Filippine ; ivi sono state raccolte le notizie più preziose. Up trattenimento di più mesi , e frequenti relazioni cogl’indigeni , hanno offerto l’ occasione di migliorare infinitamente la geografia e la storia naturale di queste isole. i Civilizzazione dell’ Egitto. Da lungo tempo il vicerè si dà pre- mura di fare istruire dei giovani nelle scienze e nelle arti d’ Europa. Sono sei anni che eglistabilì a Boulay una scuola per 300 giovani, alla testa della quale pose Haggi-Osman Noureddin, che arrivava di Francia , ed aveva viaggiato con frutto. Egli aprì anche una scuola nel castello del Cairo. S'insegnavano ai giovani il disegno, le mate- matiche, l'anatomia, e le lingue europee ; vi si tradacevano in tarco ed in arabo dei libri francesi, inglesi, ed italiani, e una stamperia ad- detta allo stabilimento moltiplicava gli esemplari. Da qualche tempo itvicerè ha fondato un istituto dello stesso T. XXIII. Settembre, 12 178 SARE in grande. La scuola della tenuta campestre d’Tbrabim- Bey (situata fra il Cairo ed il Nilo) riceverà 1200 allievi; già 1 vi erano riuniti l’ anno scorso, Colpito dai risaltati di questi primi saggi, Mohammed-Aly bha sentito che vi era ancora un mezzo più sicuro e più pronto per pro- pagare Îe arti e le scienze sulle rive del Nilo, e si è deciso a man- dare a Parigi 42 giovani scelti nella città del Cairo sotto la condotta di tre Effendis. Essi devono imparare sotto i professori francesi le lingue, le scienze, e le arti; devono esser messi in stato di trasmet- tere, allorchè siano ritornati nella loro patria, le cognizioni che avranno acquistate , e di estendere sempre più la civilizzazione e l’ istruzione. Questa previdenza fa onore al principe che ‘comanda sulle rive del Nilo , e somministra una prova dell'elevazione delle sue viste politiche. A queste particolarità, che abbiamo ricavate dal bullettino della società di geografia , uniremo la seguente lettera indirizzata ad uno dei membri di questa società. Kau, dicembre 1825. “ Io vedo spesso il Defterder bey, e parlo molto con lui del Sen- naar e Kordofan : la sua carta esiste effettivamente... Non è questo il solo monumento del suo viaggio in quelle contrade ; egli ha scritto un giornale , il quale , oltre a trattare delle sue operazioni militari A fa anche menzione di osservazioni sul paese , e sugli abitanti, ed en- tra in particolarità interessantissime sul commercio, i prodotti, le esportazioni, le guerre delle popolazioni nomadi che circondano questi stati , e finalmente sulla storia di questi popoli. Il Defterdar è un turco illuminato, che discende da una famiglia nobile della Macedonia, ed il di cui padre era governatore di Salonicco ; egli ha qualche cognizione di geometria ; io gli ho donato un sestante, di cui egli conosce l’ uso. “ La scuola militare non è più a Boulàg , ma all’antica tenuta o fattoria d’Ibrahim- bey, locale che è stato disposto per ricevervi da 1000 a 1200 giovani : 700 vi sono attualmente occupati dalla mattina alla seraa imparar leggere e scrivere. Trenta giovani bastantemente istruiti nella lingua italiana sono sotto la direzione d’un italiano che insegna loro l’ anatomia; altri 30 giovani del paese seguitano un corso di medicina , sotto la direzione d’ un uomo istruito , allievo della scuola di Parigi , e che professa in lingua turca. € Tutte le vedute e le buone intenzioni vostre intorno alle vigne sono realizzate : l’ Egitto , ne possiede oggi d’ ogni specie e qualità, di Francia , dell’ Arcipelago , e dell’ Asia, Io ho mangiato nell’estate 179 decorsa dell’ uva tanto buona quanto il miglior chasseZas di !Fontai- mebleau. Il Cairo è circondato da giardini che ne producono in quantità grande. I palazzi dei grandi situati nell'isola di Roudah, sulla pianura fra il Khalyd} ed il Nilo, dalla presa deli’ acqua fino a Boulày , ne sono pieni. L'antico palazzo di Mouràd-bey, a Gizeh, è restaurato, ed ha un giardino immenso ove dei pergolati di viti mantengono un ombra perpetua. Accanto ad esso le case di campa- gna di Topous Oglou e del Selicktar Agà rivalizzano nella coltura di questa pianta, e dei nostri alberi fruttiferi d'Europa. In tatte le capitali delle provincie sono stati costruiti dei palazzi per i Bey go- vernatori , e tutti hanno dei giardini pieni di viti, con dei viali ben tagliati ed in linea retta, Schoubra ha trovato dei rivali ; in generale la coltura dei giardini è riuscita e va prosperando. Tutti i giardinieri d'Egitto sono greci dell’ Arcipelago , e soprattutto di Scio. ,, Non è egli da deplorare che tante viste elevate, tanta ener- gia, e tanta ambizione per la conquista dei vantaggi che produce la civilizzazione e l'industria, le quali sono a vicenda causa ed effetto una dell’altra, si trovino nel vicerè d’ Egitto riunite al più duro dispotismo, al più odioso monopolio che abbia mai gravitato sopra una nazione? Come mai potranno gli eg:ziani gustare i van- taggi della civilizzazione , e corrispondere con energia alle grandi vedute del loro sovrano, se i godimenti che ne derivano ; invece di appartener loro , non sono che un motivo per rendere le loro catene più pesanti, non servono che a far loro sentire più cradel- mente tutta l’ estensione dei loro mali, tutto |’ abisso della loro miseria? L'Egitto non è che una vasta fattoria, amministrata per conto del Pascià, a solo di lui profitto, e violando tutti i diritti della natura e dell’ umanità. Gli europei che il Pascià ha posti alla testa delle sue numerose manifatture, gli arabi che egli fa istruire , e che in condizioni diverse sarebbero considerati dagli egiziani come benefattori, non sono agli occhi loro che strumenti di tirannia, Si freme pensando alle conseguenze della spaventevole reazione di cui quel paese diverrebbe il teatro , se la volontà po- tente che lo domina venisse a cessare , com’ è probabile , colla vita del Pascià. Litografia geografica. Una commissione speciale ha fatto re- centemente alla Società di geografia di Parigi un rapporto intorno alle due seguenti questioni , cioè : 1.° se Za Litografia possa essere applicata con vantaggio alla pubblicazione delle carte geografi - 180 che , avuto riguardo tanto al merito dell’ esecuzione, quanto all’eco- nomia? 2 fino a qual punto la litografia possa supplire per quest’ oggetto all’ incisione in rame ? La commissione , dopo essere entrata nelle particolarità più Ju- minose intorno ai processi dell’ arte litografica applicata alle carte geografiche , ed intorno ai risultati che se ne ottengono, comparati a quelli dell’incisione in rame , si esprime in questi termini. “ La conclusione finale è dunque a vantaggio della litografia sotto il panto di vista economico, ma dobbiamo affrettarci ad aggiungere che l’in- cisione in rame possiede e conserverà senza dubbio lungamente una vera superiorità sulla litografia quanto alla perfezione dell’arte , e che essa sola può creare quei capi-lavori di topografia, che fanno tanto onore agli artisti francesi. E assai per la litografia esservisi av- vicinata. Sarebbe desiderabile che essa potesse un giorno sommini- strare dei modelli per l’insegnamento della geografia. In fatti non è ella una cosa che affligge il vedere che il caro prezzo delle carte geo- grafiche è la causa principale dell'essere quest’insegnamento così poco avanzato nella nostra patria? Se adunque si presentasse un mezzo di spargerle un giorno nelle scuole pubbiiche a basso prezzo ed in gran numero , e soprattutto se questo mezzo potesse appli- carsi alle carte geografiche propriamente dette (1), bisognerebbe ac- coglierlo, incoraggiarlo premurosamente ed anche trattarlo con fa- vore. Fin qui questi incoraggiamenti gli sono mancati per parte del pubblico , e noi gl’ invochiamo ardentemente. Già ad onta della mancanza di questi ‘soccorsi la litografia ha potuto somministrare buone carte topografiche, sufficientemente nitide, bene scritte, ese- guite rapidamente, ed a buon prezzo, cosa che non si avrebbe osato sperare alcuni anni addietro. Può farne saggio ogni disegnatore; non vi si richiedono gli stu- dii langhi e penosi dell’incisore in rame. La litografia lascia alla mano una grande libertà, e per questo lato presenta la facilità dell’incisione ad acqua forte. Finalmente essa presenta i vantaggi dell’autografia (2). Così le due-arti non si escludono l’una l’altra; ciascuna ha il suo destino. La più antica e la più perfetta continuerà ad applicarsi alle carte geografiche, ai lavori di grandi dimensioni, alle collezioni ed n (1) Delle carte elementari fatte a tratto o pochissimo cariche di lavoro costerebbero, eseguite in litografia, quanto incise in rame, e le scritture che abbon- dano sopra le carte di questa sorte non sarebbero tanto nitide nè tanto leggibili in litografia quanto in rame, a méno che non costassero molto di più. (2) Questa osservazione sì applica più particolarmente ai lavori, fatti colla matita, che a quelli fatti colla penna, micio 181 agli atlanti, che esigono molta uniformità, finalmente ai lavori l’um- pressione dei quali deve farsi a lunghi intervalli; mentre la nuova arte si applicherà agli studi topografici, alle carte isolate, ai bisogni dei viaggiatori, ed a quelli del commercio; questi vantaggi corrispon- dono ai bisogni più urgenti. ‘Tuttavia la prima di queste due arti avrà sempre sopra la se- conda due vantaggi, 1.° di conservare le tavole incise per un tempo indefinito, senza alterazione alcuna; 2.° di potere ad ogni momento farvi le correzioni che si vuole eseguire, e quelle che richiede il perfezionamento delle cognizioni. ECONOMIA PUBBLICA. Il sig. Moreau de Jonnes ha letto avanti l’accademia della scien- ze di Parigi alcune considerazioni economico-statistiche intorno agli approvvisionamenti di cereali, ed alla necessità del commercio libero dei grani, Eccone un estratto s che ricaviamo dal giornale francese intitolato le Globe. Considerando gl’immensi progressi che ha fatto l’agricoltura da dieci anni, ed il basso prezzo dei cereali in tutti i paesi che ne fanno | l'oggetto principale della loro agricoltura , alcuni si sono persuasi che le raccolte isomministrino un prodigioso eccesso oltre i bisogni della consumazione, e che per conseguenza esistano in quei paesi grandi depositi, dei quali non si potrebbe senza pericolo permette ré l'importazione illimitata in tutti gli altri. Questa opinione che ha indotto il parlamento d’Inghilterra e la camera dei deputati di Fran - cia ad adottare leggi proibitive, poteva esser fondata ‘sull’avvili- mento del prezzo dei cereali sulle rive del Baltico e del Mar Nero, ove il grano costava metà meno che in Francia , e non arrivava al quarto del suo prezzo in Inghilterra. La cognizione d’un simil fatto doveva naturalmente ‘condurre all’idea d'un ammasso di cereali nel nord e nel sud dell’ Europa. Per altro questo ammasso non esiste; come lo provano notizie autenti- che ottenute da una commissione d’inchiesta nominata in Inghilterra per rischiarare questo fatto. Una tal commissione si è assicurata che il basso prezzo dei gra- ni in quelle contrade risulta, non da un eccessiva abbondanza nei depositi, ma soltanto dal difetto quasi assoluto di smercio, dappoi- chè il perfezionamento dell’agricoltara in Francia ed in Inghilterra ha messo questi due paesi in stato di bastare alla loro consumazione. Egli è certo che la quantità dei grani ammassati nei granai del nord è stata altre volte fino a cinque volte più grande che attualmente. 182 Il sig: Guglielmo Tacob, che è stato principalmente incaricato di questa ricerca, e che ha percorso a quest ‘oggetto quasi tutta l’Euro- pa; stima non esistere che 1,853,000 ettolitri di grano, i quali dai porti del continente potessero importarsi con vantaggio in Inghilter- ra. Questa quantità non basterebbe che per dieci giorni alla consu- mazione di quel regno. Tutto il grano depositato negl’immensi magazzini dei porti del- l’Inghilterra non ammonta oggi a 1,330,000 ettolitri; quantità che non basterebbe a nutrire l’intera popolazione della Francia che per un poco più di cinque giorni. Si può provare con facil calcolo che un dazio di 4 a 5 franchi per ettolitro basterebbe a portare i grani che vengono da Cracovia, e dalle provincie marittime del Baltico ad un prezzo che eccedereb- be quello per cui si vende il grano nella Gran Brettagna (dove, co- m'è noto, è più caro un terzo che in Francia). La prossima raccolta non sembra che debba apportare verun cambiamento all’attuale or- dine di cose. Il cattivo stato delle messi di Svezia, e l’alto prezzo del grano in Spagna, ove uguaglia ed anche sorpassa il valor fattizio dei grami in Inghilterra, fa presumere che l’importazione in questi paesi procurerà ai grani maggiore spaccio che nell’anno scorso. Un indagine fatta in Prussia e riferita dal sig. Iacob stabilisce come vicinissime al vero le seguenti quantità d'ogni specie di grani tuttora esistenti nei granai dell’ Europa al momento della nuova raccolta: In Germania, esclusi i dominii prussiani, ettolitri 1,937,000 Nella monarchia prussiana . . +. . + + 2:983,000 In Pollonia ed in Rassia . . +. . . 13 1:936,000 In Danimarca Lie i ee 9 647,000 fa Toghilterta e I n e e E ‘19 TOO In Francia ed in Crimea . . se tie 6 gg 3390708 FONDATO, Te STE Ja te on n 08 pb fard ag o 99 TREVISO Totale ettolitri 12,150,v00 Da questi numeri emergono considerazioni importanti. Per esempio : la consumazione della Francia, in grano e segale soltanto, ascendendo a 90 millioni d'ettolitri, si vede che gli approvvisiona- mevti riuniti dell’ Europa, diminuiti come hanno dovuto esserlo dalla consumazione fino al momento della raccolta , non bastereb- bero ad alimentare gli abitanti della sola Francia più di sei setti- mane. La totalità di questi approvvisionamenti sarebbe anche assor- bita nel caso in cui, in un paese qualunque dell'Europa, tre millioni di abitanti, in conseguenza d’ intemperie ; di commozioni politiche , 183 o di vizii d’agricoltura , non potessero vivere dei prodotri del lo- ro suolo. Ciò prova evidentemente che un approvvisionamento di 12 mil. lioni d’ ettolitri , in vece d’ essere troppo grande, basta appena per rassicurare contro la carestia , e che basterebbe ad esaurirlo un in- temperie parziale , come la siccità della primavera decorsa , una de- vastazione come quella della Grecia e della jRomelia ; 0 finalmente un anarchia, come quella che ebbe recentemente luogo nella penisola. Egli è anche manifesto che non vi è fondamento per ammettere una prodazione di grano troppo grande per la consumazione dell’Eu- ropa , che l’ idea dell’ estensione di questa prodazione è esagerata per effetto di qualche ammasso locale, e che il difetto di rapide relazioni commerciali è la causa unica dell’ abbassamento eccessivo del prezzo dei grani, e dell’ avvilimento dell’agricoltura in alcuni paesi. «Questi mali non possono sanarsi con porre nuovi ostacoli all’im- portazione, e l’ alzamento fattizio del prezzo dei grani non vi appor- terebbe che un rimedio pericoloso. All’opposto le valutazioni prece- denti provano colla maggiore evidenza che il togliere tutti gli osta- coli che si oppongono alla libertà del commercio, il sopprimere tutte quelle specie d’ avanie conosciute (in Francia) sotto i nomi di diritti di porto, d’ ancoraggio, di carenaggio, di fare acqua, ec. e soprattatto il rendere più pronti e meno dispendiosi i mezzi di tra- sporto, sono i soli mezzi di prestare un soccorso efficace all’ agricol- tura , preservando i coltivatori da un abbondanza dannosa , ed.i po- poli dalle calamità della carestia. Con tali mezzi si vedranno sparire gli ostacoli deplorabili, i quali ora fanno sì che uno spagnolo paghi la quantità di grano necessaria al suo nutrimento un prezzo cinque volte maggiore di quello che ne paga un danese o un tedesco. ‘ SocieTA SCIENTIFICHE. J.e R. Accademia dei Georgofili. — La mattina dei 24 set- tembre ebbe luogo la solenne annua adunanza, cui intervenne scelta e numerosa udienza. 3 Il segretario degli atti sig. marchese Cosimo Ridolfi vi lesse, se- condo l’ uso, l’ istoria dei lavori accademici del cadente anno, come il segretario delle corrispondenze dette contezza del prodotto di que- sta nello stesso periodo. Quindi il segretario degli atti fece noto il voto della Deputazione ordinaria, dal quale risultava che l’unica me- ioria venuta al concorso non era stata giudicata degna del premio, 184 perché non sodisfaceva al programma accademico, e finalmente lesse l’elogio dell’accademico dott. Pietro Ferroni , matematico regio, morto nel corso dell’anno. In fine fu letto il consueto annuo rapporto del direttore dell’orto agrario sperimentale, contenente le osservazio- ni meteorologiche ed agrarie fatte nell’anno stesso; dopo di che l’adu- nanza fa sciolta, prendendo l’accademia le sue consuete vacanze. In una precedente adunanza straordinaria tenuta la mattina dei 17 dello stesso settembre, fu proceduto all’ elezione degli uffiziali per il nuovo triennio; gli eletti furono i seguenti: Vicepresidente sig. march. Cosimo Ridolfi, segretario degli atti sig. Emanuele Re- petti, segretario delle corrispondenze sig. prof. Gioacchino Taddei, tesoriere sig. march. Gino Capponi , bibliotecario sig. dott- Giusep- pe Giusti, In luogo dei dae più anziani fra i sei deputati, furono eletti i sigg. prof, Giuseppe Gazzeri ed avvocato Aldobrando Paolini, Società medico-fisica fiorentina. Nell’adunanza ordinaria del 17 settembre il segretario delle corrispondenze partecipò alla società le lettere di ringraziamento per la nomina di socii corrispondenti de- gli eccell. sigg. proff. de Matheis , e, Morichini di Roma, Speranza di Parma, dott. Raikem di Volterra, dott. Borelli, e prof. Pacini di Lucca; dal quale ultimo pervennero pure in dono alla società due memorie stampate, ed una manoscritta sui danni arrecati dall’ abuso del rimedio di Le Roy. Dopodichè il sig. Buzzi procedette a dar lettara della conti- nuazione d'una sua memoria, sulle malattie degli occhi, tra le quali imprese specialmente a dilucidare la trichiasi, della cui forma più semplice, che da mera viziosa direzione dei peli deriva, 2 specie principali distinse; cioè la parziale, e totale per la cura radicale delle quali espose due suoi metodi incruenti, il raddrizzamento cioè delle storte ciglia per mezzo di legature complessive in fasci i gruppi dei peli convergenti sull'occhio mentre in qualche altro caso riportò dei felici successi del semplice taglio a fior di pelle dei rovesciati peli che rimessero in buona direzione con questo semplicissimo espe- diente. Questi processi operatori impiegati dal nostro consocio a gua- rire radilcalmente il trichiasi gli furono suggeriti dall’osservazione, che a arrestare i progressi di siffatto rovesciamento indentro delle ciglia bastava ta!volta la loro rimozione dal globo dell’occhio, ove natanti nel fluido lacrimale acquistano una preternaturale lunghezza, e .a convincere di questa per lui irrefragabile verità narrò l’istoria di qualche trichiasi ritorrente ai tempi umidi. Trattenne quindi il sig. dott. Bonci la società colla lettura di alcuni cenni sulle cause che ritardano i progressi della medicina ; 185 nella dettagliata, e giudiziosa enumerazione delle quali non perdette dì vista la educazione medica difettosa , la scarsezza d’incitamento allo studio della professione per mancanza d’adequata ricompensa, la poca meditazione dei libri degli antichi , di cui rimproverò ai mo- derni l’ingiusto oblio, la soverchia reputazione, in che s'è tenuta presso di noi la medicina congetturale, e lo spirito di generalizzare i pochi fatti speciali, d’onde resulta esser maggior il danno che l’utile arrecato da tutti i sistemi, che si sgombrarono mutuamente il po- sto del primato: e deplorando l’importazione fra noi di dottrine mi- stiche trascendentali oltramontane, fece conoscere la difficoltà dello sperimentar in medicina, tracciando dell’utili regole per evitarne i resaltamenti illusorii; collocò le ricerche anatomiche patologiche come base della medica scienza, e quindi ritraendo i falsi medici per discernerli dai veri concluse, che la medicina non potrà mai avanza- re sotto il vessillo d’un sistema qualunque , che vogliasi applicare alla spiegazione di ciascuna singola infermità. NECROLOGIA. Piazzi. La morte -rapì all’ Italia , all’ Europa , al mondo scientifico lo scopritore di Cerere: il padre Piazzi cessò di vivere. Noi non abbiamo la cieca pretensione di render più chiara una gloria che risplende ne’due emisferi; nè la presunzione stolta d’esten- der la celebrità d’un nome che vivrà finchè i pianeti non iscompari- ranno dal firmamento. Ma al mancar de’ grandi uomini una brama ardentissima di co- noscere le più minute particolarità della lor vita si desta nel cuor di tutti. Le azioni ordinarie e comuni, le picciole debolezze istesse ac- quistano in loro un non so che di grandezza che le rende importanti e le fa ascoltar con diletto. Si direbbe che l’umanità si compiaccia di ritrovare un punto qualunque di somiglianza fra sè e quegli esseri | che sembran collocati dal loro genio in una specie più elevata. E' per soddisfare ad un tal vivo desiderio del pubblico che noi intraprendiamo ad accennar quì le opere edi fatti principali del som- mo astronomo defunto; giovandoci de’ lavori, de’ consigli, e de’ lumi . d’un suo degno discepolo. Il P. Giuseppe Piazzi, direttor generale de’ reali osservatorj di Napoli e di Palermo, membro della commissione di pubblica istitu- zione di Sicilia, presidente della reale accademia delle scienze ec. ec. 186 nacque a Ponte della Valtellina il.16 di luglio del 1746, da Bernardo Piazzi e da, Francesca d’ Artaria, di agiata e distinta famiglia. Ricevette l’ educazione prima e le prime instruzioni nel collegio Calchi di Milano, e nelle scuole di Brera. Ebbe a maestri di eloquen- za il dottissimo Tiraboschi; e di filosofia, di fisica e di matematiche il celebre padre Beccaria. i Nel 1761 vestì l’abito di Teatino in S. Antonio di Milano; e passò a Roma per istudiar la teologia. Ivi sotto la direzione de’ PP. Jacquier.e Le Sueur , si perfezionò nelle matematiche, e fa dal lo»: dato P. Jacquier impiegato sovente a verificare i calcoli matematici che occorrevano nelle opere da lui date alla luce. Giovinetto ancora mandato a Genova per maestro di filosofia dei suoi confratelli, pubblicò alcune tesi filosofiche che gli valser |’ o- nore della disapprovazione de’ pedanti. Da Genova si recò a Malta, chiamatovi dal gran-maestro dell’ Ordine Gerosolimitano Pinto , per professore di matematica di quella università; e sciolta questa dal gran-maestro Ximenes, ritornò a Roma, d’ onde per ordine de’ suoi superiori dovette portarsi a regolare il collegio de’nobili di Ravenna, e per insegnarvi filosofia e matematiche. Pablicò in Ravenna di- verse altre tesi filosofiche e matematiche che pur gli fruttarono più invidia che favore. Richiamato di bel nuovo a Roma per lettore di teologia dog- matica in S. Andrea della Valle, fa suo collega lettore in altro ramo di teologia, il dotto e piissimo P. Barnaba Chiaramonti, indi Sommo Pontefice Pio VII, che onorò sempre il padre Piazzi del- l’alta sua benevolenza. Indotto dalle istanze. del P. Jacquier, accettò nel 1780 la cat- tedra di matematica sublime offertagli dall’accademia degli studi di Palermo; ed ivi portatosi ad occuparla, regolò tosto in quella accademia il metodo degli studi, sostituendo il Mario al Wolfio, ed il Locke ed il Condilac agli antichi Scolastici, Nel 1787 la munificenza e la saviezza sovrana del re Fer- dinando, di sempre gloriosa ricordanza, stabilì di fondare un’ Os- servatorio Astronomico in Palermo, e riconobbe in Piazzi il solo a cui potesse affidarne la direzione. Ma questo ingenuo non meno che valente matematico francamente manifestò che non avrebbe potuto accettare un tale incarico, comunque onorifico, se non fosse stato precedentemente abilitato ad andare ad esercitarsi nella pra- tica dell'astronomia presso i più famosi astronomi, ed a scegliere e far eseguire gli opportuni strumenti. Autorizzato a ciò dal prov- vido Governo, in febbraio del 1787 partì per Parigi, ove si stabilì Ei 197 presso il chiarissimo M. de La Lande, e si mise nella più stretta cor- rispondenza con Mechain, Teamal, De Lambre, Bailly ed altri sommi scienziati. In ottobre dell’anno istesso s'accompagnò con Cassini, Me- chain e Le Gendre spediti dal Governo di Francia per istabilire la differenza de’ meridiani tra Greenwich ‘e Parigi; e quindi passò a Londra dove si procurò l'amicizia dell’artefice Ramsden , e coltivò con ogni studio quella del dottor Maskelyne, d’ Herschel, Vince, Le Roy, e di molti altri celebri astronomi e matematici dell’Inghilterra. Frequentando la Specola di Greenwich vi osservò l’eclisse solare del 1788, su della quale scrisse un’ applaudita memoria che venne inse- rita nelle Transazioni Filosofiche. Sapendo il Piazzi che tutti i quadranti ; sian mobili o fissi, la- sciano sempre dell’ incertezza sul principio delle deviazioni , sulla lunghezza dell’ arco, sull’ errore della linea di collimazione, sull’ ec- centricità ecc. , profittò dell'offerta di Ramsden di costruirgli un cerchio intero verticale accompagnato da un azimutale. Vedendo ché a malgrado della sua giornalierà assistenza , si procedeva lentamente nella costruzione di un tal cerchio , pensò di far affrettare il lavoro, eccitando l’amor proprio dell’ artefice con una lettera diretta al sig. de La Lande inserita nel Journal des Savans , sulla vita ed opere di Ramsdem istesso. ‘Non fu vano un tal mezzo; il grande artista ne fu tocco. In bre- ve tempo egli compì il cerchio ; e vi aggiunse un grande stramento de’ passaggi ; un sestante, ed altri strumenti astronomici di costru- zione perfetta. Si tentò da non pochi in quella capitale d' itnpedir che quegli strumenti uscisser da Londra; ma il P. Piazzi rendette vani i loro sforzi, e riuscì con le sue cure a farli spedire a Napoli, ed indi a Palermo, dove si restituì anch’egli nel 1789. Nel 1790 si diè principio, per ordine dell’ augusto monarca Fer- dinando , all’erezione del nuovo Osservatorio sulla solida torre del real palagio, ed in meno d’ un anno fu interamente compito. In que- sto intervallo recitò il Piazzi nell’ accademia degli stadj il suo dotto discorso sull’ astronomia. In maggio 1791 cominciò le prime osservazioni coi nuovi stru- menti , e da quell’ epoca non cessò più di coltivare con attività ine- stancabile tutt'i rami della scienza astronomica. Non tardò a pub- blicare la sua opera della Specola astronomica de’ regi studi di Pa- lermo che fu poi seguita dall’ altra sua opera della Specola astrono- mica di Napoli. Persuaso ; fin dai passi primi dati da lui nella gloriosa carriera dell’ astronomia, che l'esatta posizione delle stelle è la base ed il fon- 198 | damento dell’edifizio astronomico, audacemente imprese a fortnarne un catalogo , ed a tale oggetto principalmente diresse tutte le sue fa- tiche, senza trascurare intanto |’ altre osservazioni del sole e dei pianeti. Per soddisfare ai bisogni della scienza ed ai voti degli astro- nomi che lavoravano contemporaneamente , si propose di conoscere tatte le stelle che gli si offrivano nel campo del telescopio. Il barone De Zach, Cagnoli e quanti valentissimi astronomi fecero. particolari lavori su tale oggetto, si fondaron tatti sulla posizone delle 36 stelle di Masckeline date agli astronomi come sicuri termini di paragone. Il nostro diligentissimo Piazzi vide. che non potevano esser sicure le posizioni fondate sopra una sola osservazione , gli errori delle osser- vazioni e degli strumenti e le possibilità d’una svista essendo troppo grandi. Era noto inoltre , che se Flamstecd ,, Mayer e Le Mounier avessero osservato le loro stelle per più giorni di seguito , avrebbero preceduto Herschel nella scoperta del nuovo pianeta Urano. Stabilì dunque di fondare le sue posizioni su 4, 5 e più posizioni seguite, e con questo metodo laborioso ma sicuro, partendo dalle 36 stelle del Maskelyne compì il suo primo gran catalogo di 6748 stelle ridotto al 1800, che pubblicò nel 1803, e che venne premiato dall’ istituto di Francia ed applaudito da tutti gli astronomi. Frutto del suo metodo di osservare fu la scoperta del nuovo pia- neta Cerere, avvenata il 1.° gennaio 1801, che diede origine alle posteriori scoperte di tre altri pianeti. Il munificente Monarca decretò allora che fosse coniata in suo onore una medaglia d’oro ; ma il modesto e generoso Piazzi amoro» sissimo della sua scienza, ottenne dalla clemenza del re che il prezzo di tal medaglia fosse destinato all’ acquisto di un equatoriale per la specola. Egli pubblicò in tale ogcasione due memorie col titolo la prima di Resultati delle osservazioni della nuova stella scoperta, ecc., e la seconda Della scoperta del nuovo pianeta CERERE FERDINANDEA. Un dubbio intanto era insorto in lui e negli altri astronomi, che la posizione di Atair e delle altre stelle del Maskelyne potessero es- sere soggette ad errori più o meno significanti. Piazzi risolvette al- lora di addossare al suo degnissimo assistente ed allievo D. Nicola Cacciatore, la comparazione diretta delle principali stelle col sole, e la formazione d’ un catalogo fondamentale, lavoro dal medesimo con- dotto a termine nel 1805, e che in vece di 36 stelle ne contiene 20 principali, sulle quali volle quindi appoggiare il gran catalogo. A tal uopo si propose di riosservare tutte le stelle , e quel catalogo, frutto di 24 anni di fatiche, fa interamente e dai fondamenti rifatto, appoggiato alle stelle comparate direttamente col sole. Esso contiene 189 7646 stelle ridotte al 1800, egualmente che il primo; premiato due istitato di Francia. Le prefazioni tanto dell’ uno che dell’ altro cata- logo vengon considerate dagli scienziati come capo-lavori. Non men dotte ed importanti delle opere imperfettamente ana- lizzate finora, son l’altre sue non poche, di cui ci resterebbe ancora a far parola; ma stretti dai limiti del nostro foglio nvi siamo obbligati a non darne altro che i titoli. E sono 1.° Su Orologio Italiano e 0° Europeo. — 2.° Dell’obliquità dell’ Ellittica. Memoria premiata dalla Società Italiana. — 3.° Ricerche sulla paralasse di alcune principali stelle. — 4° Sulla misura dell’anno tropico solare. 5.° Saggio sui movimenti propri delle stelle fisse. — 6.° Del reale osservatorio di Palermo, lib. 6. — e: Sistema metrico per la Sicilia. — 8. Istruzione diretta ai parrochi all’occasione delle leg- gi sui pesi e misure. — 9.° Legge nella quale si stabilisce un’unifor- mità di misure e di pesi in tutto il regno di Sicilia. — 10.° Codice metrico Siculo. \1.° Della cometa del 1811. 120 Lezioni di astro- nomia ad uso del reale osservatorio di Palermo. 13. Ragguaglio del reale osservatorio di Napoli eretto sulla collina di Cioadionde 14. Sull’aberrazione della luce, e sulla mutazione dell'asse terre- stre. 15.° Una seconda memoria: Sull’obliquità dell’Ellittica. 16. E finalmente lasciò egli moltissimi volumi manoscritti , oltre ad un giornale di osservazioni di più di 4o anni, ed un abbondantissimo epistolare coi primi astronomi d'Europa. Le sue lunghe e gloriose fatiche non solo vennero premiate dal- l’onor sommo della benevolenza che gli concedettero il munificen- tissimo monarca Ferdinando , e l’augusto di lui successore nostro adorato Sovrano Francesco , e dalla stima ed amicizia cordiale dei ministri segretarii di Stato , di quelli specialmente che nel loro lun- go soggiorno in Sicilia ebber più frequenti occasioni di conoscerne le virtù e l’ingegno ; ma anche la dotta Europa volle rimunerarle col compenso più nobile e maggiormente ambito dalle grandi anime: il rispetto e l'ammirazione universale, La Società reale di Londra, l’instituto di Francia, l’institato italiano, la Società italiana e l’Ac- cademie di Gottinga , Pietroburgo, Berlino, Torino e quasi tutti i - corpi scientifici e letterari di Europa gareggiarono nella sollecitudi- ne d’accoglierlo nel loro seno. Egli ottenne da insigni accademie tre medaglie in oro, e pensioni da più d’un regno, I dotti lo colmarono de’maggiori Giogi » ed il chiarissimo De Lambre gli scriveva: Dover l'astronomia più a Piazzi ed a Maskelyne, che a tutti quanti gli astronomi da Ipparco fino a noi. Egli era ritornato da Palermo in Napoli da circa un anno , ed avea di recente presentato l’idea di legge nuova sui pesi e sulle mi. L. 0) sure 5 ne avea fatto costruire i modelli, formate le tavole; sinotti-. che, e cominciate. quelle di riduzione: ina indebolito dalle durate incredibili fatiche e dall’età , il dì 22 scorso luglio, dopo brevissima malattia, confortato e munito di tutti gli aiuti di nostra sacrosanta religione , compì la sua carriera con la costanza del saggio e con la serenità dell’uomo dabbene. La sua spoglia fu depositata , giusta l’ultima di lui volontà, nel tempio di S, Paolo , chiesa de’ PP. Teatini , al di cui Ordine l’illu- stre defunto si recava a vanto di appartenere. ( Estratto dal Giornale delle due Sicilie ). Vaccà = Castinelli, Le nostre perdite non si succedono ma s’ incalzano, e.non solo accrescono l’ uno coll’ altro i nostri dolori, ma quasi minacciano di lasciarci senza speranze. Non ci dà il cuore di rammentare tutti gli uomini ‘illustri ) che l’Italia nel corso di pochi mesi ha vedato ra- pirsi. Ci è però forza di ricordarne uno, rapitocì più recentemente e più immaturamente degli altri, il cav. Andrea Vaccà Berlinghieri, per avvertire i lettori che , se 1’ Antologia indugia a consecrargli un mesto tributo d’ onore, si è per consecrarglielo più degno di lui. Fra tante perdite intanto è ben naturale che il nostro animo si vol- ga per conforto a que’giovani , che dalla natura e dall’ educazione sembrano chiamati a ripararle. Ma ecco d’ onde, aspettavamo con- forto venirci sngione di nuovo luîto e di maggiore scoraggimento, Il Vaccà , siccome è noto , ebbe un allievo prediletto, a cui parea dovesse lasciare in eredità il proprio valore e la propria fama; e que- st’allievo prediletto da due anni gli premorì. Ebbe in uno de’fratelli del suo allievo un amico distinto, a cui , anche fra studi diversi dai suoi , sarebbe forse stato agevole, usando il potere della parola , il suscitàrgli de’ fervidi imitatori ; e quest’amico , pochi giorni dopo la sua morte ; egli pure morì. Dire di quale amico qui si parli, per gran parte de’ nostri lettori è affatto superfluo; e quand’ essi pro- nunciano ‘in vece nostra il nome dell’avvocato Giovanni Castinelli , attestano insieme di quante belle speranze siamo stati defraudati colla sua vita. I motivi, su cui queste speranze si fondavano, già sareb- bero sufficienti per sè medesimi a meritargli una memoria nel nostro giornale. L’aver egli contribuito co’ suoi scritti di vario genere al decoro del giornale medesimo , ci fa un obbligo di non ritardar- gliela. Quella, che presentiamo , ci è fornita da persona che raccolse il suo ultimo sospiro , dopo essere vissuta seco nella più intima familiarità. ) IQI « Giovarini Castinelli nacque ‘în Pisa ; correndo il Sita del 1788. Nel 1799 seguì a Parigi la sua famiglia ch’ emigrava, ed indi ‘a poco passò con un sto minore fratello al celebre collegio di Soreze, condottovi dal direttore istesso G. Ferlus a cui il padre lo avevà affidato. Questi due giovanetti possono chiamarsi i fondatori ‘d’ ua piccola colonia italiana , che si distinse poi sempre, fino alle per- turbazioni sofferte da quell’ istituto nel 1824, in mezzo a quattro- cento e più allievi; accorsivi da tutte le parti del mondo, « Imparata prestissimo la lingua francese, e avendo a maestri Francesco Cavaille , uomo di finissimo gusto, e Raimondò Ferlus fratello del direttore e letterato distintissimo , il nostro Giovanni diede presto segno del suo trasporto per gli studi gentili e pei poe- tici specialmente. Si erano posati appunto allora’ nell’asilo medesi- mo di Soreze, in quella terra meridionale , antica patria de’ tro- vatori, due amabili trovatori de’ nostri tempi, Filippo Pananti e Urbano Lampredi; e la loro presenza non contribuì mediocremente ad accrescere in lui quel trasporto. Però di soli 17 anni; avendo egli eccitata l’ ammirazione de’ suoi più ingegnosi compagni , fa da loro nominato segretario d'un’ accademia ch’ essi aveano composta, e de- nominavano liceo d’emulazione. “ Restituito in Italia nel novembre del 1806 riprese con’ vivis- simo ardore e con successo corrispondente lo studio della nostra lingua, appena cominciato prima di partirne. Vero è ch’egli poi se- pre si dolse di non ‘avere questa lingua così pronta all'espressione d’ ogni suo concetto , come pare avesse la francese. Ma le sue do. glianze furono per avventura ecvessive, poichè nelle materie fo- rensi non gli mancò certamente fluidità e abbondanza di stile, e può argomentarsi da alcuni saggi che non gli sarebbe mancata nelle mo- rali e letterarie, ove, secondando il proprio genio, avesse potuto consecrare a queste un tempo maggiore. Non abbiamo ancor detto essere stato padre al nostro Giovanni l'avvocato Giuseppe Castinelli, che nella curia pisana e livornese tenne, a parer di tutti, il primato per ciò che riguarda specialmente gli affari marittimi e commerciali. ‘Quest’ ottimo cittadino era ad ‘un tempo e troppo illuminato e troppo tenero de’ suoi figli, per poter mai sforzare la naturale inclinazione d’ alcuno di loro. Non poteva egli peraltro non nutrire il desiderio di vedere il maggiore di questi divenire un giorno il suo ajuto nelle fatiche, e forse il suo succes- sore nelle cariche. Però, all’ uscire dal collegio di Soreze , il nostro Giovanni fa da lui mandato alle scuole ‘di legge nell'università di Pi- sa, ed ivi nel 18og ‘gli fu'conferita la laurea che suole ottenersi reguelitanto siffatte ‘scuole. Riconosciuto ‘avvocato nel ‘r811'egli 192 % vinse Da prima causa alla corte d’ appello di Firenze, che ancora non avea compiti i tre anni oltre il vigesimo. « Quanti cultori delle muse y trascinati dalle circostanze ‘agli studii legali, dopo avere, come Goldoni racconta di sè , passeggiato più mattine con ripuguanza per l’ampie sale dette di giustizia, non curati nè dai confratelli nè dai clienti gittarono com’ egli per sempre la grave toga ! Il povero Giovanni cercato subito, per la gran ripu- tazione del padre, da molti clienti , ebbe più cause che non avreb- be desiderate benchè molte per equità ne ricusasse , e vincolato dai propri successi come dalla figliale riverenza compiè nel foro il sagri- ficio di sè medesimo. « Nel 1814, lasciata Firenze , egli andò a stabilirsi in Livorno presso il genitore. Ivi, mettendo a profitto le famigliari e giornaliere conversazioni, cominciò a volgere il pensiero alla scienza del gius com- merciale in cui l’ egregio uomo era peritissimo. Compilò dapprima, vivente ancora quell’ amorosa sua guida, un saggio delle leggi de’ Ro- mani intorno al commercio. Indi , allargate colla meditazione e le diligenti ricerche le proprie idee, concepì e cominciò un’ opera che manca alla giurisprudenza , e si sarebbe intitolata del gius commer- ciale e marittimo costituito e costituendo. « Quest’ opera che doveva essere pel nostro avvocato Castinelli un compenso delle tante spine che la professione legale ‘sparse sulla breve sua vita, era da lui dedicata al padre, già mdncato ai vivi nel 1819, nè si può leggere la sua dedica senza tenerezza! La perdita di quel padre amorosissimo e quella del fratello Francesco , primo e prediletto discepolo del Vaccà, furono pel cuore di Giovanni ferite insanabili. Un frère est un ami donné par la nature soleva egli dire abbracciando il fratello che gli rimaneva. Ah! chi conobbe l’ amore che si portavano questi tre fratelli, può solo compiangere adequa- tamente |’ ultimo che rimane ip vita. « Nel febbrajo dell’anno corrente ebbe l’ avvocato Castinelli un grave insulto di bile , dopo il quale cominciò a notarsi in lui un sensibile deperimento. Dolorose rimembranze, mal corrispostigli benefici, altre cause non poche trafiggevano da un pezzo quest’ in- felice, che candido e semplice come un fanciullo e pieno il petto d’ altissimi sensi, parea fatto per altro secolo e certo per altra pro- fessione che la sua. Una graduale alterazione di carattere fu come il primo indizio di quella fine , a cui egli correa senza che alcuno potesse presagirla. Gli altri segni , che si succedettero con terribile rapidità, non permisero dubbi e non lasciarono speranze, « Fra poco infatti assalito ne’ visceri del basso ‘ventre da mor- bo fierissimo, fu egli ridotto a tanta sparutezza e squallore da 193 ispirare insieme e spavento e pietà. In ultimo, o fosse |’ i stra- zio 0 piuttosto il primo favore del suo perverso destino, perdè la mente , perdè la favella, perdè il dono delle lacrime , truce e im- .passibile, respinse il cibo e ogni pietosa cura, nè ricomparve sulle sue labbra il sorriso dell’ anima e il desiderio del bacio d’ addio se non quando fù vicinissimo il termine della travagliata sua vita. Morì il 1° d’ ottobre a un’ora dopo mezzo giorno in età d’ anni 37 e Inesi 9g. « Fra i manoscritti dell’av. Castinelli, oltre i materiali quasi tutti classati della sua opera sulla giurisprudenza commerciale , che qual- che amico, speriamo, vorrà far conoscere al pubblico, si trovano due «commedie più che abbozzate , alcune memorie sul teatro e sul ro- manticismo , un compendio finito di storia della repubblica }’isana, e varii altri scritti, alcuni dei quali letti all'accademia Labronica di cui era membro ordinario. Le poche cose da lui poste a stampa sono .un elogio del generale Spannocchi composto nel 1823, e vari articoli dati in più anni all’Avtologia, e da lui firmati A. G. C. Poche cose, -dissi, ma non piccole del tutto, giacchè, manifestano quel sapere, «quella maturità , quell’ amore del vero e del bene, ch’ è il principio delle cose grandi, e che pur troppo nel mondo è troppo raro. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. Annesso, all’ Antologia (*) N.° XXXV. Settembre 1826. N.* 421. PELAGONII VETERINARIA ex richardiano codice excri- | pta et a mendis purgata ab JOSEPHO SARCHIANIO nune primum edita “cura C. Cioni. Accedit SARCHIANI Versio Italica. Fiorentiae excu- debat Aloysius Pezzati 1526, con I. e R. privilegio. Prezzo: fiorini cinque toscani. 422. DEL TRATTAMENTO degli annegati, istruzione alla me- dica gioventù e ad ogui calto cittadino , scritta da PIETRO MANNI, CI giudizi letterari , dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono ‘attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’ sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con li articoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia* ne come estratti o analisi , siano come annunzi diopere, T. XXIII. Settembre. 13 194 dottore di medicina e chirurgia , pubblico professore , ec. Roma 1826 dalla tip. Contedini 8.° di pag. 110. 423. DIMOSTRAZIONE del quinto postulato d’EUCLIDE, esposto da CAmmiLLO MINARELLI. Bologna 1826; presso Mobili e c. 8.° di P 20 con tavole. 424. GUIDA del forestiere per la città di Bologna e suoi sabbor- ghi con XIV tavole in rame. Edizione rivista, corretta ed aumen- tata. Bologna 1826, presso Riccardo Masi. 8.° di pag. 274. prezzo paoli 6. 425. LETTERE ad una giovane sposa. Milano 1826 presso A. F, Stella e c. volumetto di p. 156. 426. BIBLIOTECA amena ed istruttiva. Milano 1826. presso 4. F. Stella e c. vol. XXXI. Rime del PETRARCA vol. III i 427. METODO dianologico per apprendere elementarmente la lingua italiana, con le più importanti regole ed ossservazioni circa le parti dell’orazione, sintassi ed ortografia, dell’abbate. G. 7 alori. Pistoia 1826 presso gli Eredi Bracali. 8:° di p.110, prezzo p. 3. 428. L’ ITALIA avanti il dominio dei romani. Opera di GIUSEP- PE MICALI. Terza edizione. Milano per Giovanni Silvestri 1826. Vol. 4 in 8.° piccolo. Prezzo 20 paoli. presso Ricordi Grua e c. in Firenze. 429. STORIA DI SARDEGNA del cav. D. GIUSEPPE MANNO. Tori- no 1826 per A/liana e Paravia. 8.° tomo 2.° e 3.° di pag. 430 e 540, prezzo lir. 11. 7Ò. 430. DELLA vITA DI CARLO GOLDONI e delle sue commedie, lezioni quattro di Dom.-GAVI; aggiuntovi dallo stesso Autore il paralello tra esso Goldoni, il Metastasio e l’ Alfieri. Milano 1826, Stella e figli in 12.° lir. 2. 50, 431. ELEMENTI; ossiano istituzioni civili di Giustiniano Impe- ratore , illustrati e commentati da PIETRO VERMIGLIOLI, membro del Collegio legale, e professore di dette istituzioni nella pontifi- cia Università di Peragia. Perugia 1826, presso Bartelli e Costan- tini, Vol. 1.9 cong rami esattamente disegnati ed incisi, che si danno in volumetto separato con sue illustrazioni, Prezzo per gli associati, compreso le fig. e legatura, baiocchi 65 il vol. 432. GL'ITALIANI IN RUSSIA, memorie di un uffiziale italia- no, per servire alla Storia della Russia, della Polonia e dell’Ita- lia nel 1812. Italia 1826, Vol. primo: 8.° di pag. 441. Con dina carta del teatro della guerra, disegnata da Zeonardo Chodzho. Prezzo dei 4 vol. promessi agli associati, lir. 20 it. , le tre carte geo- grafiche colorite lir. 5. I sigg. Assòciati hanno gratis le dette 3 carte geografiche. Si trova in Firenze presso 7. Batelli e c. 195 433. DESCRIZIONI GEOGRAFICHE E SPORICRE tratte dalle opere del padre DANIELLO BARTOLI. Milano 1826 per Giovanni Silvestri. Un vol. 12.° di pag.-650 , prezzo lir. 4. 60 it. (34. COMMEDIE del sig. avvocato ALBERTO NoTA, ediz. deci- ma, rivista e corretta dall’ autore. Milano 1826, presso Giovanni Silvestri, 2 volumi 12.° di p. 480, 470; prezzo lir. 7. 50 it. 435. IL BUON GIARDINIERE , 262 ediz. di Parigi dell’anno 1825, che contiene dei nuovi principii di agricoltura; la descrizione ; la storia e il modo di coltivare tutte le piante da orto, quelle impie- gate nelle arti, e quelle adattate per formare dei prati artifiziali secon- do le diverse qualità dei terreni; degli alberi fruttiferi, dei bulbi e piante da fiori e da piacere ; come pure degli ‘alberi, arboscelli ed arbusti di utilità o di diletto; ed in fine un vocabolario spiegativo pei termini di giardinaggio e di botanica. Prima trad. italiana con note di CARLO MAUPOIL, proprietario editore, possessore di un se- mensajo di piante , situato nella comune del Dolo , provincia di Ve- nezia. Venezia 1826 , tip. Gaspari. — Associazione per 1t fascicoli di un diverso numero di fogli , con-45 tavole in rame. Sono pubbli- cati fascicoli 1 e 2, prezzo lir. 3. gr austriache. 436. ALCUNE PROSE inedite di GABRIELLO CHIABRERA. Genova 1826, tip. dei fratelli Pagano. 8.° di pag. 144- 437. LETTERA a S. E. il duca di Serra di Falco gentiluomo di camera di S. M. direttore generale dei diritti e rami diversi di Si- cilia ec. del dottore TEODORO PANOFKA sopra un'iscrizione del tea- tro siracusano.) Poligrafia fiesolana 1825-26, 8.° di p. 43. 438. ZULMIRA o la donna di Missolongi, di CARKO ANGIOLINI, Lugano , 1826. Vanelli C. p. 36. 439. COSTITUZIONI dell’ impero del Brasile e del regno di Por- togallo, decretate da S. M. I. D. Pietro primo. Lugano 1826 Vanelli e c. p. 68. 440. DIscoRS$O FUNEBRE pronunciato dal G. BARON FERDINANDO - Porro sulla bara che chiudeva il cadavere del tenente Maresciallo ConTE Domenico Pino. Lugano 1826. Vanelli e c. un foglio. 44. LA GRECIA, allo scrittore insigne del genio del cristianesi- mo, al ministro amico del principe e de’ popoli, al propagatore eloquentissimo dell’ elenica causa , sua eccellenza il visconte di Cha- taubriand, pari di Francia ec. ec. Zugano 1826. Zanelli e c. un fog. 442. VIAGGIO a san Bernardino, analisi chimica dell’acqua mi- + merale ivi sorgente, sua efficacia , uso, ec. Lettera del dott. fisico Luigi GROSSI , socio del real istituto d’ incoraggimento delle scienze di Napoli. Lugano 1826, Vanelli e c. pag. 32. 443. LE STAGIONI, poema iuglese di ToMPSON , traduzione del 196 dottor GIOVANNI BOTTI, socio di varie accademie. Prato 1826, per i fratelli Giachetti. Un vol. 8.° 444. MANUALE di Storia naturale di G. F. BLUMENBACH, vol. 2 in 8.° con due rami, prima versione italiana fatta sull’ultima edizio- ne originale corredata da note del traduttore. Lugano 1825, presso Vanelli ec. — Un libro, destinato alla istruzione elementare della Storia Natarale, il quale nel giro di pochi anni conti l’onore di ven- | titre impressioni in più lingue, e in più luoghi, ha già con sè il mi- glior elogio, e un saldo documento della propria utilità. Noi parlia- mo del Manuale sopra riferito dell’illustre BLUMENBACH, il più ane tico Professore, che si viva, a Gottinga. Il quale l’Alemagna riconob- be senza esitazione, fra i suoi moderni, per lo più gran savio in na- tara , alla stessa foggia che GOETHE in poetica, e WOLFF in filolo- gia. Onde egli ebbe a toccare in vita (ricompensa, che non sempre agli illustri consente la delusa o parzial giustizia de’contemporanei ) la cima d’ogni onoranza ; quando ; da poco più di mezzo anno, ven- ne festeggiato con pubblica nazionale solennità , e gli si decretaro- no monumenti , medaglie ecc, — Eppure questo Manuale, che in due soli volumi racchiude in dettaglio ogni ramo della Storia natu- rale, fatto già cittadino nel generale delle scuole, non poteva pre- sentarsi a quelle d’Italia, che sotto le vesti d’an idioma non suo, Per la qual cosa noi ci diciam fortunati di aver colta l’idea di prodarlo pei primi in abito nostrale, sicuri di recare con ciò non lieve giova- mento e facilitazione alla studiosa gioventù , che freqaenta i Licei e le Università della penisola. La versione: è lavoro di tale che sente molto addentro nella scienza; e noi, quanto spetta all’arte nostra, ci abbiamo posto, in condurlo, tutto l’amore, — Per agevolarne l’acqui- sto alla gioventù studiosa, abbiamo limitato il prezzo peri due vo- lumi a soli Fr. 7 ital. Lugano, gennaio 1826. Gl editori G. VAN- NELLI E C. i 445. RELAZIONE DEGLI AVVENIMENTI DELLA GRECIA nella pri- mavera del 1825, del signor GiusEPPE PECccHIO. Edizione fatta sul manoscritto originale italiano con appendice. Lugano 1826, presso Vanelli, e c. — Di quest’opera (scritta dall’autore in italiano e vol- tata in inglese) han mano a mano riportato alquanti brani l’Anto- logia di Firenze, e il Globo di Parigi; parlandone (l’altimo special- mente ) in termini di molta lode. Infatti non è il Pecchio l’arido cronista , che meccanicamente noti ogni giorno la tessera degli av- venimenti: e'fu in quelli spattatore, ed anzi pure attore; e, dotato com'è, di calda immaginativa, di forte sentire, e di squisito giudi- zio; il suo scritto dovea informarsi di tali qualità. Hai la storia, se così possiam dire, messa in dramma davanti gli occhi; tutto è movi- 197 mento ed azione; e que’capi e primati greci ch’egli descrive; e con cni ragiona, sono sì vivi. e veri, ‘che per poco li vedi e li odi tu pure. A quando a quando vengono, quasi naturalmente da sé, alcune cita- zioni dei poemi omerici; semprechè le costumanze de’moderni Greci. rendan somiglianza a quelle degli antichi; sparse sonvi considera- zioni e giudiziî del filosofo pratico, che sguarda da ogni banda le condizioni delle cose; e dalla materia scorgano spontanee le tristi e profonde verità, che l’autore proscritto riflette sopra di sè e sulla pa- tria sua, troppo infelicemente diletta. — Il perchè, avendo noi ot tenuto dalla compiacenza di lui il proprio, manoscritto , coll’abilità di farlo di pubblica ragione co’ nostri, tipi; ci rechiamo a premara d’anvunziarla, pigliando sicurtà di far cosa utile e dilettevole a’leg- gitori: imperciocchè, sien quali esser si vogliano i destini di Grecia, quest'opera apparterrà sempre alla storia ed all’arte: Gli Editori G. VANELLI E Gi 446. IL RAPIMENTO D’ELENA, poema di CoLuTO recato dal greco in versi italiani con annotazioni dal professore ANTONIO MEz- ZANOTTE. Perugia. 1826 presso Bartelli, prezzo paoli due. 447, TRATTATO SULLA DIAGNOSI MEDICA, ossia sulla scienza de’ segni propri per «listinguere le une dalle altre le malattie che si rassomigliano: opera del D. DREYSSIG tedesco , con delle aggiunte del D. LeoP, RENAULDIN. Prima traduz. italiana del D. A. F. di V, Volumi 3. Prato 1826, Giachetti. 448. M. VITRUVII POLLIONIS ARCHITECTURA , textu ex recen- sione codicam!emendato cum exercitationibus. notisque novissimis JOHANNIS POLENI , et commentariis variorum additis nunc primum studiis SimonIs STRATICO, Utini 1825-26 apud fratres Mattiuzzi. 4.° yol. I parte I. fogli 43 e mezzo di stampa, 16 tavole incise in legno, 1 tavola in rame, ed il ritratto del Vitruvio, prezzo lir. 26. G2vita!. Vol. I. parte II, fogli 41 di stampa , 10 tavole in rame, 2 di-legno, lir 3r-ital, Si trova in Firenze, presso G. Molini. nato 10° 449. STORIA DELL'ARTE dimostrata coi monumenti dalla sua decadenza nel IV secolo, fino al suo risorgimento nel XVI, di G. B, L: G. SEROUX D'AGINCOURT. Prima traduzione italiana, in sei volu- mi. Prato 1826 pei frat. Giachetti, La dispensa 2.2 contiene le se- guenti tavole. Architettura , N.° 4. 5. 6. Scultura 4. 5. 6. Pittura 5. 6.7. 8. Prezzo di detta dispensa lir. royital. ‘1 450. VERSI del conte GIACOMO LEOPARDI. Bologna 1826 dalla stamperia delle muse 12.° di p. 88. prezzo bajocchi 20. 451. In TEMPIO di ANTONIO CANOVA in Possagno. Bologna 1826. 8.° pag. 16 con tavole in rame, prezzo baiocchi 10, presso @,Bri- ghenti. ' ASI 199 452. VENERE PROSERPINA illustrata da ODOARDO «GERHARD: Firenze 1826 Poligrafia fiesolana 8° di pag: 82 tav XVI in ramei» 453. SCELTA DI PIANTE OFFICINALI più necessarie a conoscersi; descritte ed illustrate dal dott. ANTONIO TARGIONI TOZZETTI, in fo-: glio. Firenze 1824-26. Lit. dell’autore. Sono pubblicati i fascicoli: 4 e 5. Ogni fascicolo contiene 5 tavole ; e $ fogli di descrizione. In colori fior. 15. in nero 10. 454. BIBLIOTECA AMENA ED ISTRUTTIVA. Milano 1826. presso Àd. F. Stella, Rime del PETRARCA, vol. IV. 455. BIBLIOTECA AGRARIA, diretta dal sig. dott. Grus. MORETTI P. P. di economia rarale nell’ I, R. università di Pavia. Milano 1826 presso A. F. Stella:vol. primo, Elementi d’agricoltura teorico spy tica. Vol. t;° sezione prima, 12.° di pag. 230, prezzo lir. 3 ital. e per gli assoc. lir. 2. 38. — N. B. Questa Biblioteca verrà compresa in non meno di 20 vol. Ne verrà in luce ogni mese uno. Le associaziòni si ricevono, in Milano da 4, 7. Stella'e fig. edaltrove dai gin librai. 456. STORIA DELLA LETTERATURA ITALIANA di P. L. GIN- GUENE trad. del prof. B. PEROTTI con' note ed illustrazione. Edizio- ne rivista sull’originale francese. Firenze 1826 tip. Daddi tomo 2,° prezzo paoli 6 per gli associati e paoli 8 per gli altri. Le associazioni si ricevono al gabinetto scientifico e letterario , e presso tutti i prin- cipali librai d’Italia, 457. STORIA DELL'ARTE, dimostrata coi monumenti dalla sua decadenza nel IV secolo , fino al suo risorgimento nel XVI, di G. B. L. G. SEROUX D’AGINCOURT. Prima traduzione italiana in sei vol.;. con molte tavole in foglio. Dispensa terza delle tavole spettanti al 1.° volume. Architettura n.° 7. 8. Scultura 7. 8. g. 10. Pittura g. 1011 12. Prezzo della dispensa lir. 10 ital. 458. COMMENTARIO alla scienza della legislazione di G. FILAN- CIERI, scritto dal sig. BENIAMINO CONSTANT. Prima traduzione l'italiana. Italia 1826. 8.° di pag. 402. Si. vende presso Glauco Masi di Zivorno ed a Firenze da G. Piatti. 459. UN’ELEZIONE di membri del parlamento in Inghilterra, del sig. GIUSEPPE PECCHIO. IE 1826 dai tipi Vanelli e c., opu- scolo di 120 pag. 460. NOTIZIE ASTRONOMICHE adattate all’uso comune da AN- TONIO CAGNOLI; premessavi la vita dell’ autore compilata dal dott. GIOVANNI LA5US, ed ora dallo stesso riveduta e notabilmente am- pliata; con tre tavole in rame. Terza edizione della biblioteca scelta. Milano 1826 Giovanni Silvestri 12.° di pag. 432, prezzo lire 4 ital. 461. RACCOLTA di poemi georgici. Vol. 1.° ALAMANNI; TRA- i 199 MIL.LO e LORENZI. Volume secéndo BARUFFALDI, bivio Ru- CELLAI, e BETTI. Milano 1826 Silvestri prezzo lir. 6 ital. 462. OPERE DELL'ABATE GIOVANNI'ROMANI. Vol. sesto. Teori- ca della lingua ital. vol. I. Un vol. 8.° gr. carta sopraffina levigata, prezzo lir. 4.ital. Milano, 1826. Silvestri, Sotto-i i torchi i vol, VII. e VIII. Vedi i précedenti bullettini, 463. COLLEZIONE di tutti i drammi e opere diverso di CARLO GoLponi. Tom. XIII-XIV. Prato 1825 Giachetti. 464. L’ OMBRA D’OVIDIO , ovvero lodi della lingua illirica, poe- metto di Don IGNAZIO GIORGI , versione e italiana. jp 1826. An- tonio Martecchini... 465. PER LE FAUSTISSIME NOZZE del sig. cav. Geremia Ga- guitsch colla signora Enstachia Lucich. Versi. Ragusa 1826 , Mar- tecchini. 466. GIORNALE critico di medicina analitica compilato dal dott. Gio. STRAMBIO di Milano, Le associazioni si ricevono da G. Piatti in Firenze. o____——_—_—T———rr_.ao__r_rttt.rrrr [1 r ERRORI. CORREZIONI. Pag. 57. lin. 26 del presente fascicolo si legge! © ‘leggasi ' è ho creduto far cosa grata, otte- ho end ai lettori grata comu- & nurgne la debita permissione; nicando ai lettori , Saggi ai pg nijo9 i ‘DELLE MATERIE. dt —sprtenore n Ù sedi, vi (619) - Scienze MORALI | E POLITICHE. )O Dire Enciclopedie ‘donsiderate! qual: mezzo ‘d’ inéivili- mento, articolo, del sig. Guizot per servire di prodromo all’Enciclopedia progressiva i (M.) A Pag. 37 La, industria, e la morale considerate inelle loro relazioni colla libertà, opera ..del.sig. Dunoyer. (A) ‘300/331 65 Tableau de la Grèce en 1825, ou récit des ya fi ia M. J. Emerson et du C. Peothio. (M.P.)B_,, 1 Delle ragioni che ritardano in Italia il progresso de’ buoni studi, lettera al Direttor dell’Antologia (G. Bianchetti) ,) » 42 Fables russes de M. Kriloff. (M.) 33» 100 Dell’ ordinamento della scienza della cosa pubblica. Let- tera I. e II. al prof. Valeri del prof. ( Gio. Romagnosi) ,, » 147 ù Lettera III. C ,) 60 Storia delle Campagne e degli assedii degl’Italiani in Ispa- gna dal 1808 al 1813 di Cammillo Vacani. (G. Colletta) ,,} > 1 Souvenirs de la Grèce pendant la campagne de 1825, par Emerson. (Bit. giga Lettera al Direttor dell’Antologia sul progetto d’ un gior- nale de’ contadini. (R.Lambruschini) » » 9% Sulla necessità del libero commercio de' grani. as ‘piede GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Annunzio dell’ arrivo del maggior Gordon Laing a Tam- 201 : buctu. | A Pag.167 Dei Viaggi del maggior Gordon Laing. B ,, 17ò Viaggio di Eduardo Ruppel. » 39 179 Vera epoca della morte d’Amerigo Vespucci. 2» 2 Viaggi di scoperte. Cap. King. Cap. Franklin. 3» » 180 Spedizione del Cap. Parry allo Spitzberg. > » » Tavole etnografiche del globo; di A. Balbi. 33 3) 182 Viaggio del Pachò nella Cirenaica. G_,,121; Notizie del sig: de Bompland. 33 3, 176 Notizie dei sigg. Clapperton e Dickson. » “ » Viaggio del Cap. Kotzbue. 33 3 177 Civilizzazione dell’Egitto. » 2 Litografia geografica. » » 179 LETTERATURA » FILOLOGIA , POESIA, CRITICA LETTERARIA EC. Lettera al Dirett: dell’Antologia, di (Urbano Lampredi) A ‘La georgica de’fiori. Poema di A. M. Ricci. (XK. X. Y) » Verità dei sogni del mattino, ed estetica educazione di IbA, operetta di Federica Brun nata Muoter. (X.) 3) Sul necessario mutamento, della letteratura italiana nel secolo nostro. Discorso di Bald. Poli. (K. X.Y)» Annuario necrologico del sig. Mahul (S. C.) ;; Ode di Federico. Schiller, trad. di. (A. Benci) ,, Notizie sulle commedie italiane, compilate da Luigi Car- rer. (K. X: Y.) B Rivista Dantesca. (PT. IL} Lettera al Dirett. dell’Antologia. (prof. Giorgini) Della canzone di Dante Alighieri in morte di Arrigo VII. lettera di (Carlo PVitte) G Sergianni Caracciolo. Dramma storico del prof. G. B. de Cristoforis. (K.X.Y.) Commedie dell’avvocato Alberto Nota. (E) » Le leggi di Cicerone, trad. di G. Manzi .( G. G. de’ Rosst) , Invectiva Lini Colucii Salutati reipublicae florentinae a secretis Antonium Luscum Vicentinam de eadem re- publica male sentientem. (S. C.) G Trattenimenti sopra la religione tenuti da M. Bouguer tradotti dal dott. Antonio Niccolò Tabarrini. »' ” » 3 » 14 » 80 » 4I 202 Spedizione in Oriente di Amedeo VI, conte di Savoia , provata con inediti documenti dall'avv. Pietro Datta ,, C Pag.151 Storia scientifico-letteraria dello stadio di Padova del cav. Francesco M. Colle. va ar 063 BELLE ARTI. Osservazioni sull’Italia, del P. Giovanni Bell. (P.C.)A ARCHEOLOGIA. | Fondazione d’an museo reale egiziano a Parigi. B. Lettera al Dirett. dell’Antologia, del (Canonico Pasquini di Chiusi) C. Sopra due frammenti d’un antica latina iscrizione brescia- na, dissertazione di D. Pietro Seletti. (S. C.) C Dei sepolcrali edifizii dell'Etruria media', ed in genera- le dell’ architettura tascanica, discorso di Francesco Orioli. b me SCIENZE NATURALI. Ragionamenti accademici sopra gl’insetti degli olivi, del cav. Gab. Grimaldi. {(Brissoni.) A Ballettino scientifico. Meteorologia N.° XXXIV. hi ” ” 1 XXXV. B " Fisica e chimica ,,} XXXIV. A »” » » AXXV. B ” PA » XXXVI. C » Storia naturale ,, XXXV. B » Fisica animale ,, XXXV. pe » Botanica » XXXVI. C Lettera al M. G. Capponi, relativa all’analisi delle acque termali di Casciana. (G. Gazzeri) ,, SCIENZE MEDICHE. Baullettino scientifico. N.° XXXIV. A SCIENZE AGRARIE , INDUSTRIALI, ECONOMICHE. Tavole di confronto fra la vecchia moneta toscana e la nuova. (4) A Ballettino scientifico. Novità ed invenzioni. pri ” ” B. »” » »” SCIENZE MATEMATICHE' 203 Ballettino scientifico. Geometria. A Pag.15r ; Analisi algebraica. PPRENIPRRE | 9 Matematiche applicate. dg 102 ScIENZE MILITARI. Del petardo di guerra. Delle colubrine. Delle spingarde; memorie storiche del cav. Omodei. (Baron Ferrari) ,, LN SOCIETA SCIENTIFICHE. I. e R. Accad» de’ Georgofili. Adunanza del 2 luglio 1826 A ”» Ad. solenne del 24 sett. C Società medico- fisica fiorent. » delg luglio A a » del13agos. B ” » del 17 sett. C NECROLOGIA. Fulvio Corboli Aquilini. (X) A Gio, Antonio Santarelli. » Marianna Dionisi. ” Felice Testa. ” Conte Giovanni Paradisi, B Padre Piazzi. C Prof. Andrea Vaccà Berlinghieri. ÙI Avv. Giovanni Castinelli. si BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. No XXXIII. Luglio 1826. À » XXXIV. Agosto. B »m XXXV. Settembre. Cc Fine del Volume XXIII. » 103 a A Lore : Ù 0 SAUNITAMITAM ANATIDB S | uo Ple i Ce nn ) siporton) Lonnitasio: orta i | À {> , È È rà A aaa b aulanà 3 PA . d È 4 n i” È 9360 s [ I rip] ar Ù“ ; MATISLVI ANZIO i i l° Y Y ts \agitdulos: si stra ba x ‘ ! C) D [eo] LOLA i . È ‘x . - +1 . ’ etti } ) «STO dad JM feui.e lal singhA .idonsto Von. è 19 Ri Tia : È ì \ a ” x f..-È Ù À Ria ai ‘130% 4 1 pagolog .k4 Ù ; ‘ Pi _ n i ups mi apied -00 iotasa I ‘ e (OA, o " n 4 LI fia oil GI 191) A ; «e (P*) bel (de «Ji i (e 1) & REI Pi x ia 1 i 1}; f\ DOC } Gino PRE i ) è IUI isa 051410) È (O stindi( £ pai ta \ ; | . : i pa 10 3 A vI fl: i : «i aibois0i imevora) 890 Mi) rt vga dé a IBSTDRL I }| i « IN 4 i 4 e A ifrotl h00sV di 1A°Rori Dire 16 ; siii rutena DILDA7O il sYVY4k tt Male i I IATA LIU ‘ vi n n° Lie f / pri si si .01209A + VI#a i n «9 .xloG +4 Vied LSA c'e der v Wi «OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO ‘ DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. SETTEMBRE 1826. leo, Termo. — Ue] > D MET) Resi el | LS) = S mi pi ti te: 5 (SÌ Ù 3 Sed | pe 38 Stato del cielo A || a 08) 2 - ki i S = RD rd, a î 9 | | i 7 mat. |28. 0,3 \19,7 |16,3! 93 (Gr. Le. Ser. calig. Ventic. 1| mezzog. {28. 0,0 |19,4 |20;8 | 62 iPo.Ma.!Ser. con nuv. Ventic, It sera |27. 10,3 |20,9 |19,0! 76 Grec. |Nuvolo Ventic. | 7 mat. :27. 11,2 [25,3 [17,3 | 90 | o,10 Ostro | Piovigginuso Calma 2! mezzog. |27. 10,6 {20,7 {20,4 | 66 | o,o1 Po. Li. |Nuv. ser. Vevtic. 11 sera |28. 0,9 [20,9 [17,0 | 83 Lev. |Ser. con nuv. Calma 7 mat. (28. 1,3‘|20,1 |16,5 89} |Gr. Tr.|Ser. neb. Ventic. 3| mezzog. (28. 1,5 [20,3 {20,6 | 70 Lib. |Nuv.eser,nebb. Ventic. rr sera |28. 1,7 [21,0 117,7 | 90 Sc. Le.[Ser. neb. Ventic. 7 mat. [28. 1,6 {20,6 [17,5 | gr | o,o1|Po. Li. |Piovigginoso Ventic, 4| mezzog. |28. 1,2 {20,6 [22,0 | 77 | 0,13 Lib. {Nuvolo Calma ti sera |28. 0,5 [20,6 {17,0 | 92 | 0,21|Gr.Le.{Nuvolo Calma 7 mat. {28. 0,0 {20,0 |17,0 | 98 1,03 Gr.Le.|Piovigginoso Calma 5| mezzog. |28. 0,3 [20,1 !19,4 | 89 | o,ot Po. Li.|Piovigginoso Ventic. II sera |28. 0,1 |19,9 |16,0 | 90 Lev. |Ser. nuv. Ventic. 7 mat. j27. 11,9 [19,1 16,0 | go Gr. Le.|Ser. nuv. Vento 6| mezzog. 128. 0,0 |19,1 |t9,4 | 75 Lib. |Nuv. rotto Vento _| It sera |28. 0,9 [19,5 |17,0 | 85 Os. Se.|Ser. con nebb. Ventic. 7 mat. |27. 11;d [19,1 [17,0 | 79 Os. Sc.|Nuv. ser. Ventie* 7 mezzog. |27. 11,0 {19,3 |20,3 | 65 Ostro |Nuv, ser. Vento 11 sera |27. 119,5: 5 Os, Li.|Ser. nuv. Venuto 9 = el ia Q 5 den ti s Le 5 i (ce) 5 Ora S 5|a|g|3s| 38 Stato del cielo [3 D) ® (9) © 8 2 } TA 5 pD°. 5 ® | Ò Ò bl o egli î | | A | 7 mat. |27. 11,0 |19,1 |16,5| 75 Gr. Tr. Ser. con neb. Ventic.jB 8 mezzog.|27. 10,9 [19,0 |19,0 | 65 Ostro |Ser. con neb. Ventie: 11 sera (28. 0,7 |19,7 |19,8| 88 ia Sc, Sereno Ventic. | 7 mat. 28. 1,5 19,1 13,5 | 90 peg Le. :Ser.con neb.all’oriz. Venti* 9| mezzog. 28. 1,6 |19,0 |18,3 | 72 | Sereno Ventic* rt sera 283. 1,6 |19;9 [16,7 | 85 | |Ostro |Ser. con nebb. Ventic* 7 mat. |28. 9 [19,0 [14,0 99 soi Ma.|Ser. con neb. Ventic, ilio mezzog.|28. 1,7 |19,0 |18,1| 69 Tr. Ma. Sereno Vento II sera. (28. 1,9 [19,5 {16,1 | 82 |Sc, Le. Ser. con nebb. Calma 7 mat. 128. 2,0 19,0. ;36 88 | Sc, Le loi con ne. all’oriz. Ventic|f 11] mezzog. 28. 2,1 [19,0 [19,4| 79 Maes, {Sereno Ventie | ir sera 128. 2,0 |t9,7 |17,0| 90! | |Ostro Sereno Ventic.|Jl{ t | a06h 7 mat. |28. 1,9 ‘19,4 [15,4 95 | = |Gr.Le.]Ser. neb. Veotic.Ifi| mezzog.|28.. 1,6 {19,5 |20,0 | 76 Pon. |Ser. neb. Calma |[f}} Si ri sera |28. 2,0 19,8_ 15,5 | 95. 95 | 0,30 Gr. Tr.|Pioggia Ventic.WY 3 7 mat. |28. 1,7 1,7 19,3 (15,9 QI ili Lev. | Nuvolo Ventic:[I]} 13 mezzog. |28. 1,3 19:5 187 79 ‘Sc. Le. 'Nuvolo Ventic']j }i TI sera |28. 1,0 LEE 16,09! 96 | 0,27 Ostro ‘Navolo Calma il | 7 mat. |28. 1,0 [18, 6 |15,0 96 | 0,r5]Gr. Le.|Pioggia Ventic. 4 mezzog.|25. 1,1 |18,6 |17,0| 94 | 0,04,Ostro Pioggia Calma |f{ \ Ca 11 sera |28. 0,7 |13,2 15,90 | 99 0,47 Pon. [Pioggia Calma Ki | 7 mat. 128. Rei 17,8 14,7| 98 | 0,12 Gr. Le. Pioggia Calma 15 mezzog. 28. 1,2 (17,8 (18,1 | 84 | o,or Lib. |Nuy. rotto alma 11 Sera-|28. 1,2 117,8” | 1930] 99 | 0,53 Os. Sc. Nuvola Calma. 7 mat. lg 1,9 |17,3 15,0 | 99 Maes. |Nebbia folta Calma | 116| mezzog.|28. 2,2 ;7:7 17,8 | 87 Po. Li. Navolo rotto Ventie 11 sera |28. 2,0 |17,8 (16,0 | 86 | 0,07|Tram. fel Calma 7 mat. ; 28 2,2 (175 \(16,1| 82° Gr. Le.|Ser. neb. Vent ic. 17| mezzog. 28. 2,4 |17,7 (19,3; 65 Grec. |Ser.con nu.all’oriz. Ventic {| | rr sera |28. 2,1. 18,5 {16,4 | 81 ! Gr. Le. Ser. neb. Ventic ; 7 mat. |28. 2,1 {18,2 |15,1 | 89 .|Ser. neb. Ventied| 18| mezzog.|28. 2,0 {18,2 |19,7 | 65 \Scîr. | Nebbioso Venticd ri sera (25. 1,6 |19,1 | 169 | 96_ 0,93 Lib.. ‘Ser. neb. VenticJi 7 mat. ‘28. pp 18,9 (15,8 | 98° | 0,13 Tr. Ma. Ser. neb. Ventic]] 19| mezzog. 28. 1,1 (190 19,3 7t Sc. Le. Nuvolo rotto Venticti ‘ rr sera 28. 0,6 |19,0 '16,8 96 | o,or Gr. Le. Nebbia Ventie, d— Di Termo. nd oi > D da a Si Q d 5 tr O |edlm 3 A © | Ora , 3 6 = CI gl Stato del cielo d o 100 104- ISna S \ O) ON ME Dei Li È I 7 mot. |28. 0,0 {18,6 |16,5| 94 [ostr | Neb. ser. Ventic. 20|mezzog. |27. 11,6 |18,9 [20,1 | 706 Po. Li.| Ser. neb. Ventic. 1; sera |27. 11,0 |18,8 {15,4 CCA 0,74|Ostro | Ser. néb. Ventic. DI 7 mat. |27. 10,4 18,2 |15,0 "96 Gr. Le. Ser. con neb. Ventic. 21'mezzog. |27. 100 18,2 17,9| $0 | o,o1|Tr.Ma.' Coperto Ventic. ri sera |27. 8,0 [18,2 :|15,9| 92 Sc. Le | Nuv. sereno Calma 7 mat. |27. 11,5 |18,2 {14,8 | 77 | 0,23 Grec. |Ser. nuv. Vento 22|mezzog. |28, 0,5 [17,8 [17,0 | 66 | Tram. | Nuvolo Ventic. 4A ri sera |28. 0,8 {17,3 |14,7 | 72 [0,02 Grec. |Ser. con nebbie Ventic. ca 7 inat. (28. 1,2 |16,9 {13,5 | 75 Lev. |Ser. ragn. Ventic. 123|mezzog. [28. 1,4 :|16,9 |17,4| 57 1r.Ma,| Nuv. ser. Ventic. | 11 sera 28. 1,6 [17,0 |14,0 | 78 Sc. Le.| Sereno Ventic. | 7 mat. |28, 1,8 [16,9 [14,2 | 54 Tr. Ma.|Nuv. rotto Calma 24|mezzog. |28. 1,6 [18,8 |17,0| 71 Tr. Ma.|Sereno Vento DE 11 sera |28. 1,6 [17,3 {15,5 | 93 |Sc. Le.| Nebbioso Ventic. PORRI ii ‘n mat. |28. 0,9 [17,3 {16,0 90 Ostro |Nuv. rotto Calma 25|mezzog. |28. 1,8 17,3 117,7 | 96 (0,03 Fon. |Pioggia Calma | ri sera 28. 0,5 [17,5 {17,3 | 85 (Gr. Li.' Nuv, ser. Ventic. | 7 mat. |28. 0,6 |17,6 115,7 | 97 |1,92 Sc. Le. Nuv. nebb, Calma ;26|mezzog. {28. 1,0 |17,7 |17,6| 94 )9399 Gr. Le.| Nuv. ser. Calma | ri sera |28. 1,9 |17,4 115,9 | 97 (007 |Gr. Le. Ser. nuv. Ventic | 7 mat. |28. 2,1 |17,3 (15,4 96 Sc. Le. |Ser. cal. Vetito 27\mezzog. |28. 2,6 {17,5 |16,0 | 71 “Tram. | Sereno Ventic. | ri sera |28. 2,6 |18,3 [15,6 | 94 Gr. Le.|Sereno Vento | 7 mat. |28. 2,7 |18,3 |15,9 | 95 Pon. |Nebbia Ventic.i 28|mezzog. |28. 2,7 |17,9 |t7,7 | 80 Pon. {Sereno Ventic. rt sera |28. 2,6 |18,2 [17,8 | 95 Ostro {Nuvolo Calma 7 matt. |28. 0,9 [18,6 [15,1 | 95 Gr. Le.{Nebbia foltiss, Ventic, 29|mezzog. |28. 2,9 118,3 [19,1] 74 Pon. |Sereno Calma It sera |28. 1,6 19,2 |16,4| 93 Gr. Le.|Sereno Calma 7 matt. 28. 3 |17,4 |15,9 Gr. Le.| Ser. con neb. Ventic. 3o|mezzog. |28. 0,9 [18,6 |17,1| 89 Pon. |Ser. con neb. Vento 17 sera |28. 0,2 [18,2 {15,9 { 82 [0,02 {Gr. Le.| Sereno Ventic»! 3 tao rat 10% 2A sé Atp sw IR iz parte] ppitus pina: piy pidisa)/i pare bi ns perni zii one MEESO ose9t RR. a pr, dr alta 13505: pprsio ici rp i ili dl soma set) A Fiona nta ‘gi en sito! 3a leg IM 174 seo DI } 00 10 EM «183 Tana veg dai asia 94 oi i RETTO È 43, STIRO E BERT SRONE , ue i LI N dae: sPlcai d'iri sil A pa Ng I DR uri ‘nd did vendi 941 dp Lepri W pera ni ari elio | ife Li piva: nsiliio Ge | gd DI Logi è sigg” bo Frasi RO, 00 et feti H diet VI sini ea METTI ALS sati PANÌ aa, rar 7) do a LE sg Dì dar Lion tart'gireheri ha Nu bart SRO, did rada 00 (i I ri Brit far°, È x $i | bili » Bel UA. ni. opgnasti pale Pro aeini ci EL DARE, la = i = DI vani MEI | «Teti, Ri PI. ug SA, ‘ sid tao È Tue lp! Re dr RD Ao i dr puerta, Vidia om ppi rc ped eg 1h È uithet sO) a shot: #18 î #6) pì sryd” MIR ge Ù ; Rgitoro Frusciante) AP G0 sa) DR 200) pan fg Lana Tal ot FEE id, bi 'EiiRATOE i VR A ioeprnh ho fi ja n, creme | dd a LARE PI dia sini ju | | psn VE» | nali MOI dida Veranda > dg.) MASRI i - VAIL : i Lug! - A o iL ment nd br) Mk io AVO i pr ui ep mit di; IR e e ORTA bp Peri: î LAP, pk} Segr NI o rt barili pilo prega petitp azzo altare: "vermi tutor E IELI SORA LARE MOT Camel de I WESH Get | df LA@ISdT + caz pigra, è cgohh Fi og | MPa zo te a È Ca % , si La SPOT PRE N dr di omeivà bag albro db deat9re Ion — ci quiet cit pati PS ini BAIN } o nett - bun i ò sa ù tn di ” È; Li ANTOLOGIA + sì i pubbitca ogbi mese; pet fascicolo non minore cir to egli Tre. fascicoli compongono un talune, di ogni volume, è acconipagnato.. da -un indice ‘nega delle materie, | AR è T' STORE i ta ; Le associazioni si | prendono i LOLA in Fmesze, dal Direttore Editore G.F, Vieusseux. i n Miano, per tutto il regno. {dalla Spedizione delle Gazzette, Ò Lomba co Veneto ppaset 1. e R: Direz. delle Poste. ‘per tutti li Stati Sardi, j alle respettive Direzioni delle Spediz. delle . PRES AR; Gazzette presso la R. Dircz: delle Poste. s% presso Gem. Vincenzi C.0 libr. RI presso il sig. Derrie sotto direttoredelle Poste. n Roma; ; n tutto 0a Halo Pontificio , presso il sig. ‘Pietro Capobianchi , impieg. ‘nell’ ainmpluistrar. gen. delle CRE Pontif. in Li ‘ALERMO s per tutta la Sicilia ct — presso il il sig. F. Crufe, via ‘Toledo Non. n AUGUSTA (VEE CAPO SA, S ‘presso la Direzione delle Gazzette. D GINEVRA. sol li presso J. J. Paschond., i in: Panicr | ‘©’ presso Barrois l’ainé lib. Rue de Seine N10. i Laspra: SE MESIA presso C. F. Molini N 41 Paternoster Row AL Parzzo D ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente, Per la Toscana 3 Lire 36 doseane pei I anno ce PE $ franco. di porto À È; perla posta. per tatto 1 Regno Mi: FERRE Lire Lombardo J'inetob - - franchi 36. É O grida sil Regno Sardo IC ; P CS È a per it Ducato di Parma, — _ “franchi 96. x Se franca alle frontiere PE Sg ; per la posta în pero Stato, Pontificio 3 = scudi 8. È PS franco di porto CR Pa perla posta per i ‘Regno ‘di Napoli+, : de i. da Sicilia, 0) RE ORE conipreso il porlo 3 da Palermo 9 i sino RO per di Eîtero; n = franchi 36: ae ARIE franco Torino Lo. 0 Milano ° franchi Sa ugo i ‘ fratico Paris. : . per la posta È anpate separate 1821- M non si uva più complete; e la infieione complet» egie anni 1821-25, non sì rilascia a meno di L. 150. fai { ) EIA <— (DELLE MATEREE RE E = aa Storia ‘delle Tania é degli Losi degl talia în bp al 1808 al 18133 di Gammillo Viani, E È “Ger Colletta ) Pag Della og: di Dante Alighieri i iv v'inorte di Arrigo VI, lettera di {Car o < 7 CPRitte) | Dell'ordina mento della e scienza» della cosa i pubblica, Letterà HI, di (Dont ssa Romagnosi) Rupie de Ta Greca peodant. la: campagne du 1805, ne: M E wersony SE lette Comte Pocchio; LELE IT (Bi Lo ni Te A “Lettera al Direttore «dell 'Antolog sia pat nooo a un Hietoale de conta- i { Ruff: Lambruschini cli San Cerbone (2 “dini; ‘Sergianni. coso: dramma storico. del prof. ‘de Cristoforis; (Ke: Pe (RI n Lettera al Direttore dell’ Antologia i eta SÉ pene Passati Fai Commedie dell’ Avyocalo Alberto Nota: ST pa DE E. Bea vu Viaggio del Pachò nella Cirenaica. dn) a Ì ta RIS) «ORA ) 12 Le leggi di Cicerone; trad. da G- Manzi, LE 6. Cher. sa Rossi) CA “Iovectiva Lìni Golucti Salutati reipublicae fuel a secreli8 in ‘Ani toniu I Luscum de cadém republica male sentienteni; coder ineditus. (i dt Tratteniwenti sulla religione lenti da se Bouguar {rotti dal dott, Ant. Niccolò Tabarrini: i S se — Spedizione.in Oriente di RES VI Coala di Savoja 7 LORA È Storia scientifico letteraria dello studio.di Podovai ret » Sopra due fr agdimacnti d'un anticà iscr izione bresciana, gr Lat i Dé-sepolerali esdifizi dell Etraria media , discorso di ‘F. Orioh: n IR Lettera al march, G. Capponi, relativa all'analisi. «dell! acque termali di e. ‘Casciava. CI SOIL (es Guszcri) » ‘Ballettino. scientifico, e, RS STAI Ca ps a Necrologia. — Piazzi. ——, Vacca. Ga "A REI, PAPIRI Rullettino bibliografico. ; Tavole metcorolog ;iche. viti dò Lava i Rs Dura