ti (SE, SE CHE EE I 199: NEAR IRA a) c $ è È Di Goofieralcri ZE Gorrtofondenti dell 76ntologia IL DIRETTORE. A principio del settimo anno del mio giornale sento la necessità di tener con voi discorso circa i nosiri re- ciproci interessi, vale a dire su di ciò che è nostro de- bito fare per adempiere .l’ incarico che ci siamo addos- sati, e per meritare sempre più i suffragi del pubblico che ci onora colla sua fiducia , e sostiene la mia impresa colle sue soscrizioni, nel tempo che voi co’ vostrì scritti la consolidate . E in primo luogo è di mestieri convenire che nel- l’ AntoLOGIA non poco tutt'ora si desidera, poichè fram- mischiati ad articoli luminosi se ne trovano alcuni me- diocri, alcuni altri utili per l’ intento e per la materia, ma che spesso ebber difetto d’ ordine e di stile: abbiamo sovente condannate le frivole disputazioni sulla lingua , e poi noi pure non abbiamo sapuio sempre astenercene : alcuni argomenti degni di più esteso svolgimento e di più continuato lavoro vennero trattati troppo superfi- cialmente, mentre altri che non avrian dovuto occupare scrittori esercitati e pensanti hanno talvolta usurpate più pagine del bisogno. Infine cì è stato falto rimprovero che I’ AnroLocia mancava d’ ordine e -di divisione, € si son fatti de’ confronti fra il nostro ed altri giornali, ove la letteratura, le scienze, l'industria, l'agricoltura sono par- titamente ordinate. A dir vero parte di questi rimproveri sono da noi meritati, e studieremo quanto sarà in poter nostro son II meritarli per l’ avvenire, Ad altri poi , sebben forse sien giusti, possiamo risponder che non sta in noi superar gli ostacoli che ci sono impedimento a far meglio. Voi pe- ranco non siete tanto numerosi al bisogno ; nè è tanto fa- cile la comunicazione delle cose scritte e stampate. Tutti i letterati e gli scienziati, a’ quali mi sono rivolto per ordinare la mia corrispondenza, sono per lo più, tran- ne i toscani , troppo fuor di mano per ricever da loro tutti i sussidi, di che ci potrebbero soccorrere. Si ag- giunga che sovente, per mostra sventura, molti hanno accolto con indifferenza le mie domande, ed han cre- duto, negando aiutarci cv ‘loro consigli e co’ loro scritti, negarci un favore personale ; laddove in realtà ricusa- vano di prestarsi a cosa, a far la quale dovea determi- narli il pubblico bene, il piacere e il debito di concor- rere a render perfetto un giornale, che facesse conoscere all’ Italia il movimento impresso all’ umano intelletto al di là delle alpi; e che dagli estranei potesse considerarsi come la vera espressione della società italiana e de? biso- gui morali e letterari di essa nel secolo XIX. Quindi non possiamo peranco annunziare rilevanti mutazioni nell’ andamento e nella compilazione dell’Am- TOLOGIA; e molto meno introdurre in ogni fascicolo della nostra raccolta una divisione di materie, cui saremmo in- ‘ certi di poter seguire. Dobbiamo però e possiamo evitare tutto ciò che sente di vecchie abitudini, di antiche rimem- branze scolastiche ed accademiche, che il buon gusto e la ragione del pari disapprovano; tutto ciò che è frivolo e di nun generale importanza; tutto ciò che ci può far deviare dal nobile scopo cui sempre si vuole intendere , qual’è la maggior possibile felicità e prosperità fondata sulla re- ligione , la moralità, l’ industria , la diffusione dei lumi, e la civile libertà. E già ci siamo una volta protestati contro lo scan- dalo e l’ inutilità delle discussioni suscitatesi rispetto alla DI preminenza di tale o tal provincia in fatto di lingua, ed abbiam finalmente dichiarato di non volere da ora in poi dar luogo ad articoli, il cui scopo fosse di tener viva questa vana polemica. Ci converrà ancora fare un’ altro sacrifizio a’ biso- gni del nostro secolo, usando in avvenire, nelle nostre ri- viste.letterarie, maggior parsimonia nella scelta tra tanti e tanti componimenti poetici pervenutici per la corte- sia de’ loro autori; e che essendo in sì gran numero, usurpavano un tempo e uno spazio, senza altro vantag- gio che quello di porgere occasione ai giudiziosi scrit- tori, che adempivano questo penoso dovere, di suggerire consigli e avvertimenti ai giovani alunni delle muse. Nè si creda però che non sieno*per essere avute in pregio da noi le sublimi ispirazioni de’ veri poeti che onorano l’Italia. Non solo ci studieremo di farle conoscere al pub- blico, ma, ‘quando occorra , saranno a quelle consagrati degli articoli particolari . L'uso poi di dare una rivista di trimestre in tri- mestre ha l’ inconveniente di esigere troppo lavoro da chi ne ha l’incarico, e di .offrire ai lettori forse troppe cose ad un tempo: in avvenire gli articoli di rivista che mi verranno consegnati compariranno volta per volta nel prossimo fascicolo dell’AntoLoGIA; e in tal guisa le buone produzioni saranno con maggior sollecitudine annunziate al pubblico. Procuriamo, miei cari amici, che qualunque sia il giudizio che verrà dato su’vostri articoli, ogni uomo senza passione debba conoscere i cooperatori dell’ AnToLOGIA essere in sommo grado animati dal solo amor delle scien- ze, delle lettere, e zelanti d’ ogni bene reale che può de- rivare dalla maggior diffusione di lumi e dall’industria. Rinnoviamo la professione d’ essere tolleranti, urbani , imparziali, se non altro per costringere i nostri avversari, se per isventura ne avessimo, ad essere tali verso di noi. J IV Ma la nostra urbanità e tolleranza non c' imponga un silenzio colpevole, quando si traiti di combattere coloro che vorrebbero di nuovo immergerci nelle tenebre della barbarie; l’intollerante fanatismo che avvelena la virtù. nella più pura sorgente; l’orribile e disperante materia- lismo, la funesta irreligione, che prestano tante armi ai nemici eterni della ragione e dei lumi, Allora non fiac- chezza , non accordi: mostratevi sempre quali siete. Ma che dico? perchè crearsi fantasmi per combat- terli? non sarà egli miglior partito lo sprezzare i mali- gni e gli stolti che volessero far danno alla nostra im- presa, e de’ quali giova sperare che riuscirà vano ogni sforzo ? Non abbiamo noi la bella sorte di vivere in un paese, dove tutto ispira ideg di pace, d’ ordine, d’ armo- nìa? Come temere le insidie funeste dell'errore in mezzo ai monumenti dell’ illuminata sapienza de’ principi che ci reggono ; mentre dipende unicamente dall’ energia ed attività de’beati abitatori della bella Firenze ch’ essa ven- ga chiamata col dovuto titolo di Atene d’ Italia ; mentre ogni uom dabbene d’ogni regione si affretta a venire a rendere tributo di venerazione al retaggio ed al degno erede dì LeopoLno e di FERDINANDO; mentre infine qua- lunque merito, qualunque sventura è accolta amiche- volmente dalle scienze, dalle arti, dall’ industria, e dalla più saggia libertà? Dopo queste generali considerazioni, sulle quali non saprei mai abbastanza richiamare la vostra attenzione, permettetemi di dare più particolarmente un’ occhiata alle diverse diramazioni dell’ umano sapere, delle quali si vuole occuparsi; sulla importanza relativa che dar dob- biamo a ciascuna di esse; e sulla direzione da seguirsi nelle vostre scritture . Cominciando dalla Zi/osofia, fondamento e norma deli’ umana condotta , importerà grandemente farne co- noscere all'Italia 1 vari sistemi filosofici creati o riprodotti Vv a’ dì nostri con maggiore o minor successo , dalle scuole francesi, tedesche , scozzesi, e se sia possibile coglierne il filo, tener dietro ai passi dello spirito umano sotto la scorta di tanti nuovi capi scuola. Ma, senza perderci troppo dietro a’ loro sistemi, intenderemo più dirittamente al nostro scopo discorrendo quel che può render migliori le nostre maniere d’ educazione e d’ insegnamento ; procurando di far sì che vi si annetta maggiore impor- tanza di quel che forse si è fatto fin qui. E mentre con- tinueremo a far conoscere i progressi fatti presso noi dal- l’insegnamento elementare , seguendo il metodo lanca- steriano, e recentemente quello più rapido dell’Hamilton, aspetteremo da’ nostri corrispondenti le particolarità su i metodi da luro seguiti; le quali ci porranno in istato di fare non pochi fruttuosi confronti . . E in questa occasione giovi il ripetere ciò che altre volte dicenmo, che non importa tanto il suggerire il tale o il tal altro metodo, quanto il oto aì genitori la prima educazione fondata sull’esempio; e l’amore dell’istru- zione a coloro che devono comunicarla, e a quei che debbon riceverla: la quale quando non sia generalmente diffusa, e non possano leggersi buoni libri elementari, l'industria e la moralità non progrediranno veramente giammai. Ab- biasi sempre avanti agli occhi la Scozia , paese dell’ Eu- ropa ove i tribunali han meno che fare , ove la pubblica prosperità va sempre crescendo , ove quasi tutti san leg- gere e ogni famiglia ha la sua piccola libreria. Uno di voi, con diverse lettere, ha dati sull’ educazio- ne importanti avvertimenti, meritamente apprezzati dal pubblico, che al par di noi ne aspetta con desiderio la con- tinuazione. Nell’ AnroLoGIA manca ancor molto rispetto alle Scienze istoriche, e vi restano molte lacune da riempire, se non altro, per far conoscere all’Italia la nuova direzione data in Germania, e soprattutto in Francia, allo studio del. VI l’istoria. Procureremo di supplire a tal defetto colla giu- stizia e l’imparzialità che deve attendersi dalla patria del Machiavelli, del Guicciardini, del Muratori; perchè la storia bene studiata è il miglior preservativo contro i mali d’ogni specie ; col soggiacere ai quali da mezzo secolo in qua la società ha pagato a sì caro prezzo i miglioramenti che nel di lei seno si sono introdotti . palate ai Abbiam dato di tanto in tanto alcuni articoli sul Dritto e la Legislazione, i quali sono stati approvati da’ nostri lettori; e dobbiamo aver fiducia di poter fare molto di più in progresso di tempo , in un paese dove il Roma- gnosi vive, e dove gli scritti di lui sono avidamente de- siderati e letti: ma ci resta tuttavia da far molto ; cioè mostrare l’ applicazione fatta in Germania degli studi storici alla scienza del dritto: e ciò meriterebbe che alcun di voi seriamente se ne occupasse ; ponendo mente che un Sigonio e un Muratori, prima ancora de’ pubblicisti tedeschi, avevano segnata la via che questi seguono adesso con tanto successo. Ragion vuole che si desideri da voi un giudizioso lavoro su questo terna importantissimo. L’ Archeologia e la Filologia han sempre avuto in Italia giornali a loro specialmente dedicati. Queste scienze, guidate dalla luce d’una sana filosofia, sono divenute le necessarie compagne di tutte le altre. Oggi in particolare che si sono dati tanti aggrandimenti al dominio loro, e sono stati arricchiti di tanti nuovi fatti, i nostri lettori ci saran grati se li riconduremo sulle traccie degli eru- diti che a queste peregrine ed interessanti investigazioni consacrano le loro vigilie . Le grandi questioni, che ogg: giorno occupano le na- zioni europee in materia di Pubblica Economia, meritano certamente la nostra attenzione . I rapporti delle discus- sioni relative al commercio dei grani, suscitatesi nella nostra Accademia dei Georgofili, manifestano la vostra attitudine a discorrere di queste materie, e soprattutto VII mostrano che abbiamo il grandissimo vantaggio d’ eser- citare: il commercio , l’ agricoltura, l’ industria sotto il felice influsso delle costituzioni leopoldine. Ma siccome nulla nel mondo è di perfetto , e la scienza dell'economia politica in generale fino ad ora è composta di fatti isolati, e'‘di voti d’ uomini dabbene, io vi prego ; o cari amici, a tener fisso il guardo su‘ciò che accade in altri paesi, poichè è indubitato che ‘abbiam’ bisogno di questo spet- tacolo per rettificare molte idee, e per apprezzare sem- pre: più tutti i vantaggi prodotti dalla libertà del com- mercio e dell'industria, e dal bene inteso spirito di as- sociazione. ; La Geografia, i Viaggi, e la Statistica che c insegna a raccogliere ‘ed ordinare i fatti tutti su i ‘quali deve esser fondata la scienza della pubblica eco- imomia e dell’ amministrazione, sono altrettanti rami delle nostre cognizioni, che fissano de’ punti di contatto tra le scienze morali, fisiche e matematiche. Noi con- .tinueremo a dar loro ampio luogo nella nostra collezio- “me; e più ancora che per lo passato , se ci sarà fattibile. Gli studi della nuova Società toscana, di cui nel precedente ‘fascicolo abbiamo avuto il contento d’ annunziare la fon- dazione , siam certi che' ci somministreranno materiali . ‘per ciò che concerne al nostro paese; e non trascure- remo di aver ricorso agli scrittori esteri, per quanto si fa e si scopre oltramonti. Relativamente poi alle altre provincie italiane, sono tuttavia costretto a deplorare la mancanza di annunzi e di soccorsi di alcuni dotti, e sui quali avrei voluto poter fare assegnamento: nè saprei troppo rinnovare le mie istanze ai membri delle tante società scientifiche esistenti in Italia, perchè sì degnassero te- nermi in giorno dei loro studi, delle loro esperienze, delle loro scoperte. Questa sarebbe la maniera di rendere più italiano il Bul/ettizo scientifico , che seguiremo a dare VUI con regolarità, e che procureremo di fare sempre più enciclopedico . Il nostro giornale essendo destinato a render popo- lare la scienza, e a diffondere il gusto per l’ istruzione più specialmente che a soddisfare la curiosità e il biso- gno degli scienziati propriamente detti, intendiamo don - de nasca l’indifferenza di parecchi fra questi per la nostra impresa. Ma se vorranno por mente quanto importi alla” società che la scienza sia popolare , si riconcilieranno col nostro disegno, e non indugeranno a soccorrerci co’loro lu- mi e co’ loro scritti. Secondo questo nostro disegno non possiam consacrar molte pagine alle scienze fisiche e ma- tematiche pure, ma ci corre |’ obbligo di occuparci , più di quel che abbiam fatto, della tecnologia, cioè dell’ ap- plicazione delle scienze a tutti i rami d’ industria. I mi- racoli operati dalle macchine d’ogni genere, e in modo speciale da quelle a vapore, e i benefizi incalcolabili ri- sultanti dai corsi di lezioni di geometria e di meccanica ad uso degli artigiani, introdotti in Francia dal sig. Du- pin, meritano un particolar posto nel nostro giornale. Non trascureremo di fare applicazione dei diversi rami di scienze a’ bisogni dell'Agricoltura ; e i processi verbali delle sessioni della nostra Accademia de’ Geor- gofili avran luogo nel nostro Bullettino Scientifico come per lo passato. Ma ora che vediamo riuscire ad effetto la pubblicazione di un giornale espressamente destinato alle genti della campagna , riserberemo per questo certi ar- ticoli che in esso avran luogo più conveniente che nel- l’ ANTOLOGIA. In quanto alle Scienze mediche , rispetto alle quali abbiamo per lo passato ammesso qualche articolo, ci li- miteremo per l'avvenire a ciò che più universalmente può interessar’ogni classe di lettori, rilasciando il rima- nente ai giornali che ex-professo trattano di medicina. IX Continueremo però ad annunziare, nella Rivista lette- raria e nel Bullettino bibliografico, le opere di medicina generale che ci verranno trasmesse . Venendo a parlare delle Belle Lettere in generale, abbiam manifestato i nostri pensieri rispetto alla Poesia, nè dobbiamo perder mai di vista che oggidì, più che, in altri tempi, siamo già sazi non pur ma fastiditi di una letteratura di parole; e che le menti vogliono pascolo di cose, in guisa che non bisogna temere di prendere a batte- re una nuova strada. Le Belle Articontinueranno a meritare la nostra at- tenzione. Avrebbero alcuni desiderato che da noi non si fa- cesse parola circa la gran rivoluzione che si va accen- dendo intorno il modo di considerare la Letteratura e le Belle arti rispetto ai nuovi bisogni della società. Ne- mici, come professiamo di essere, delle dispute sulle pa- role , e di tutto ciò che non è positivo ed evidentemente dimostrato , ci saremmo volentieri guardati dal prender parte, anco in qualità di semplici relatori , alla discus- sione suscitatasi tra i così detti classici e romantici. Ma questa discussione è andata tanto avanti, che è divenuta affatto europea; ond’è che ci è sembrato convenevole il farla conoscere a’ nostri lettori. E se alcuno de’ nostri ar- ticoli è stato dettato a favor d’ una parte forse con qual- che calore, fu l’effetto di quell’ amore che sovente ac- cende gli animi nell’ investigare la verità : pure abbiamo ammesso nel nostro giornale scritti che con pari libertà ed urbanità raffermarono l’ opinione contraria. E qui ci giovi di nuovo dichiarare che qualunque sia il nostro mo- do di pensare, la nostra collezione darà luogo a tutte le opinioni letterarie ; nè l’AnToLOGIA escluderà mai se non ‘ che certi principii, che i veri uomini dabbene e galan- tuomini d’ogni paese concordemente riprovano, e che per x conseguenza non possono divenir soggetto d’utile discus- sione. Alcuni librai ed editori han conosciuto per prova che il nostro dullettino bibliografico poteva recar loro qual- che vantaggio; onde confidiamo che di buon animo si daranno pensiero di trasmetterci co’ loro avvisi un esem- plare delle opere loro, affine di diffonderne a prò loro la notizia presso il pubblico . Non saprei por fine a questa mia lettera senza rin- novarvi, cari amici, i miei ringraziamenti per avermi assistito, nell’ impresa addossatami, co’ vostri consigli e colle vostre scritture: poichè riconosco da voi, dal vostro zelo e dall’indulgenza colla quale non avete sdegnato di dare orecchio alle mie ingenue osservazioni, l’ aver io po- tuto condurre a termine la sesta annata del mio gior- nale, e il sentir animo per incominciarne }a settima . ’ G. P. Vieusseux. Din a OA ae La Î » » ® î i ) Pi t a ii Pi PI IR siii laggini PET NO SANI fa PRESSI; soft seta tr, MIE pio paia iui: dae, vi 184 si ont dii Mann; E PILIA Faure dute E È D Sui ui "0 "bd pi j NI SA si Or I] Pt dora de are . #04. LV SERIA De” "pi Li c» Và prg ai Pa e, Pi 1 LORI INA i RAT, J hd #4 ANTOLOGIA GENNAIO, FEBBRAIO, MARZO 1027. TOMO VIGESIMOQUINTO, FIRENZE AT GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. MDCCCXXVII. i \ SoESRB), € rERNZIERI RE SME E grninsezai 4 SATATIMAIOE. omraiza SA: \ 172 PARITA OC MSARZIEON es) dc fan getti ti Venmnsnn ari a labeg ie x ina.» x Fala RIT: To) e Me MRO a AFIRNIOTEE FRATTA o: MATASSA41010I mR Ò RG DAR + ti +1 CDI: ia ANTOLOGIA N.° LKXIII. Gennajo 1827. Due sale recentemente dipinte nel Palazzo dei Pitti. Fu già da noi dato un cenno nel numero !LXI di questo giornale intorno alla munificenza , con cui l’ama- tissimo Reggitore della Toscana aveva giudicato meglio pro- muovere efficacemente l’incremento delle nostre arti, col- l’ordinare grandiosi lavori che mettessero a gara e a prova gl’ingegni , di quello che insterilirli colle largizioni sol tanto, le quali il più spesso mantengono inoperosii pen- | sionati , aggravano l’ erario , e non avanzano gli studi in alcuna maniera. Furono aperte perciò nel palazzo de’Pitti, al genio inventore de’ più insigni pittori della Toscana le sale di quel regio edificio, per condurvi lavori col metodo più grande che l’arte del pennello abbia mai conosciuto, quello cioè dell’a fresco, che il Bonarroti giudicava de- gno dell uomo , e in cui egli toccò forse più alto, che in ‘ogni altra pratica delle arti sorelle, sebbene in tutte fosse maestro sommo ed originale : quel metodo di cui il Va- nucci ; e Giovanni da S. Giovanni lasciarono fra noi trac- cie immortali; che aveva diffuso già lo splendore nelle sale e nelle loggie del Vaticano, neile volte della Farnesina e del palazzo Farnese , nelle ‘cupole delle chiese. primarie di Roma e di Parma ; quel metodo grande per cui meri- terebbero d'esser più conosciati e illustrati i lavori di Giu» lio romano nei palazzi di Mantova, quei di Pierino del Va= ga, del Semino, del Tavarone, di Luca Cangiaso, che ar- i 4 richiscono le volte dei palazzi genovesi ; «quel metodo in somma che splende della più soave e lucida. trasparenza per opera del Cagliari e della sua scuola nelle ville e ne’ palagi de’ veneziani. Lode sia dunque e lode pienissi- sima a quel sovrano comando, che volle fra noi di nuo» vo promossa, ordinata, e premiata la pittura a buon fresco. Difatti due grandi produzioni de’nostri maestri viventi toscani primeggiano nelle sale indicate, con una grandezza da non invidiare all’ Italia qualunque suo moderno lavo- ro: e tanto maggiore è il merito di aver tra noi promosso questo modo di dipingere, quanto che appunto tra noi ne languiva 1’ odierno esercizio, \ed era persino dai migliori artisti negletto nella stessa Roma; cosicchè mantenutesi vive le pratiche soltanto tra i Lombardi ed i Veneziani, era appena ‘apertò ‘un'adito ai giovani, artisti di, maggior aspettazione per segnalarsi, siccome videsi poi, e in Pa- ‘dova singolarmente; mentre quasi solo insua fama, edi in più alta sfera stavasi Appiani pennelleggiando le volte del palazzo Imperiale di Milano: con eterne, memorie ,, e a lui “guidavano la mano le Grazie, e 1° Iride pareva mescere la vaghezza de’ suoi colori. In ciò che da noi qui: si espone non ,è esagerazione , ‘nè amore di parte; o di municipio; che sovente fa subli- ‘mare con descrizioni ampollose ciò che appena appartiene alla mediocrità: ma i giornali., e le relazioni tutte .con- formi ‘attestano a piena evidenza che questo, era lo. stato della pittura ‘a fresco in Italia. i Il sig. cav. Pietro Benvenuti direttore dell’ Imp. Ac- cademia di Firenze scelse per la prima .di queste \sale un soggetto grandioso e nobilissimo ; e dalla favola gli pia- cque piuttosto che dalla storia attingere la vaghezza, e il meraviglioso della sua composizione. Dalla nascita fino alla morte di Ercole egli trov ò tal numero di soggetti, che pro- ducendo un accordo progressivo e generale, diedero luogo non solo ai quadri grandiosi dipinti. a colore , ma anche ai multiplici bassi rilievi in, chiaro scuro che in minor, di- mensione fregiano la volta all’intorno, e primeggiano nelle sopraporte, 5 Quattro pareti vastissime, e un’ampia volta presen- tano gli oggetti principali ; nei quali era duopo l’operare con un impegno straordinario, attraversando le molte dif- coltà nel meccanismo e nella pratica, le quali dovevano presentarsi a chi non aveva tratiato mai l’ a fresco pel corso d’una vita illustrata da grandiose opere di pennello in tela. Aveva modestamente confessato il sig. Benvenuti che ar- duo era per lui quel cimento; e si pose alle prove con tanta circospezione, che per rendersi famigliare l’esercizio della mano, cominciò dalle opere minori, ornando la sala coi fregi a chiaro scuro che la circondano, prima d’ impren- dere a dipingere la volta che primeggiar doveva, rappre- sentandosi in quella la vetta dell’ Olimpo coll’ Apoteosi d’ Ercole. Difatti le indispensabili discipline per gl’ into- nachi freschi e giornalieri; il maneggio facile e celere del pennello per non abbruciare le tinte ; la differenza immensa. che passa tra il colore bagnato dall’acqua, ed il colore asciutto; la somma scorrevolezza delle tinte, che sembrano talvolta appena velare, e nell’ asciugarsi acquistano una certa solidità , o corpo che voglia dirsi, ma in un modo, tra loro svariato quanto è varia la materia che le compo- ne; la diversità apparente e momentanea che presenta il bianco di calce a chi aveva adoperato fino a quel punto l’ ossido di piombo compatto invariabile ; 1’ impossibilità alle emende senza abbattere 1’ intonaco dipinto ; la neces- sità di ultimare avanti sera il lavoro, sul quale i ritoc- chi dell’ indomane non produrrebbero che macchie e de- formità; e finalmente il dover mantenere un accordo ge- nerale dell’opera lavorata a piccole sezioni per giorno, senza mai vederne l’ insieme ; tutte queste circostanze ben note a chi ha pratica di simili lavori, posero a cimento diffi- cilissimo la fama di questo artefice; che più volte fu vi- sto esitante sulla riescita del suo lavoro, conoscendone le difficoltà, e procedendo a rilento per tema non tanto di com- promettere il proprio onore, quanto di non corrispondere abbastanza alla fiducia del Mecenate. I soggetti che si dipingono nelle volte vi figurano o al modo di un quadro incassato in una cornice, standovi I 6 le figure dipinte come farebbesi su d’ una parete, che poi disgraziatamente vedute dal basso sembrano cadenti e. su falsi piani; ovvero immaginando uno sfondato, con pro- spettico magistero di scorci si rappresentano gli oggetti co- me se in realtà fossero collocati nell’alto. L’una e l’al- tra cosa non essendo del tutto priva d’ inconvenienti, pensò il sig. Benvenuti di ornare la volta con una ricca ‘tapez- zeria o velabro, che dipinto a guisa di un arazzo, pun- tato nel giro della cornice sopra l’impostatura della volta, lasciasse vedere così disteso il soggetto dipinto; non senza l’accorgimento però di favorire il sotto in sù, collo scor- ciare accortamente le parti in quanto che la visuale ri- manga aiutata soltanto, e senza che vi si scorgano menoma- mente quelle sconcie forme talora inevitabili negli scorci; il che si manifesta aggradevolmente all’ occhio non solo, ma ancor meglio nel riguardare questo soggetto riflettuto in una spera sottoposta alla volta. Giove assiso con maestà nel suo trono, circondato da tutte le deità superiori assiste al matrimonio di Ercole: Giunone placata presenta ad Ercole la sposa nella sua figlia Ebe: Ganimede amministra il nettare per cangiare l’eroe in semideo: l'Amore, l’Imeneo, e le Ore danzanti interven- gono a festeggiare questi sponsali. Tutto questo si vede con bella distribuzione, e degradazione prospettica ordinato, e colorito con brillante vaghezza . Notasi il bello e felice contrasto della maestà Pa numi maggiori colla legiadria e la venustà del Ganimede, il gentile aggrupparsi delle Gra- zie; e sopra tutto il movimento delle Ore, che nella parte superiore intrecciano un cerchio di danza, scorciando con magistero , e senza alcuna affettazione di atteggiamenti. Al- cuni le trovano aereiformi, sia per la sfuggevole indole loro sagacemente espressa anche dal colorito, sia perchè collo- cate nella regione più elevata, per l’interposta distanza ricevono un non sò chè di vaporoso che produce un mira- bile effetto. Noi non staremo in questo luogo a indagare se qual- che menda vi fosse che attenuar potesse i pregi di que- sto soggetto principale. È di troppa evidenza l’ottimo ef- 7 fetto della composizione , e del.colorito: che se anche per la mancanza di abitudine nel trattare la. pittura a. buon, fresco le parti più aereè fossero state dipinte a secto, onde evitare le spesso visibili giunture dell’ intonaco nel lucido campo dell’aria, destinata a contornare presso che. tutte le principali figure; noi non vorremo far carico all’autore di tutto questo, che non diminuisce il pregio dell’opera, ma piuttosto devesi notare ad accorgimento, qualora l’effetto, e la durata corrispondano allo scopo proposto. Il gran quadro tra le finestre presenta il primo saggio | delle forze erculee, venendo soffocati dal possente fanciullo nella culla due gran serpenti mandati da Giunone per di- vorarlo : il qual soggetto dipinto con ardimento di ‘chiaro scuro a lume di notte produce un mirabile effetto per le ombre gagliatde e il concentramento del lume: effetto che meglio si scorge, se per garantire gli occhi dal chiarore delle due finestre laterali, si-guarda il dipinto uscendo dalla sala, e ponendosi di contro all'apertura della porta che trovasi rimpetto ;a questa coruposizione: Ercole a/ bivio direbbesi aver offerto argomento al prin- cipale dei quadri di questa sala, se fra di essi alcuno ve n’abbia cui spetti di essere così nominato. Venere, le Gra- > zie, gli Amori vorrebbero trattenere l’eroe.nella strada della mollezza; mentre Minetva, e il Genio della Gloria lo in- vitano per l'erto sentiero che guida all’immortalità. Non può a meno di non riconoscersi in questo soggetto a quali classiche fonti siasi ammaestrato l’ artista ; e come qui concorrano molte bellezze d’ invenzione, di disegno, e di colorito. Riconducesi per opera d’Ercole nel terzo quadro Al.’ ceste ad Admeto, che abbracciala teneramente, grato del-. l’ aver essa incontrata volontaria la morte per salvargli la vita. Questo quadro; dove la espressione d’una gioia pu- ra, tranquilla, domestica, non dava luogo a impeto di pas- sioni, è mirabile pel decoro, e l'ordinanza del sito, e la bella distribuzione de’ gruppi : e la lucidezza del fondo dimostra come il sig. Benvenuti nel progresso di questo $ lavoro siasi viepiù accostumato alle pratiche dell'a fresco. che ‘prima ‘non erangli famigliari. L'ultimo quadro figura Ercole, Teseo, Piritoo com- battenti ‘co’ centauri inviperiti per la morte di Nesso. Un tal soggetto vigoroso e tremendo, quantunque più fatto per» la gagliardià del Bonarroti, © di Giulio romano , ‘non .at-, terrì il sig. Benvenuti: e vedonsi le molte cure e i lode- voli sforzi da lui fatti perchè alla. tanta ivigoria di colore, e di tono posta nei secondi piani della composizione, cor- risponda quella del primo; al che ritrosamente si. prestano i modi dell’a fresco, più fatti per la lucidezza e la tra-' sparenza ; che per l’opacità e la concentrazione degli oscuri e dellé tinte. Difatti la massima parte dei frescanti più ‘ce-’ lebri radoppiarono d'artificio nella. composizione e nel co- lorire gli oggetti lontani, e dei secondi piani, per le dif- ficoltà che sarebbero emerse insuperabili nei primi. Questi sono i soggetti coloriti, e principali per la loro dimensione che adornano le pareti e la volta della sala; collegati poi coi soggetti in proporzioni ‘minori dipinti a chiaroscuro nei bassi rilievi, che noi non abbiamo alter- nati in questa esposizione coi quadri, poichè già ognuno’ dei lettori dotto abbastanza delle cose mitologiche , saprà progressivamente collocare e distribuire secondo 1’ anda- mento della favola. L’ uno dei sopraporti infatti rappresenta la nascita d’Er- cole, e nella volta trovasi seguire il basso rilievo ove Mer- curio eseguendo gli ordini di Giove porta Ercole bambino per fargli poppare il latte di Giunone, fintanto che il Son- no la tiene assopita. In altro sopraporta Ercole soffoca il Leone Nemeo , e il sovrapposto basso rilievo della volta mostra la guerra contra le Amazzoni combattute da Ercole’ per carpire il cinto della loro regina richiesto da Euristeo maggior fratello dell’ eroe. Seguono le sopraporte dove sono domati ‘e distrutti l’Idra di Lerna, e il Toro di Creta; e in un basso rilie- vo della volta Ercole domatore del Cerbero dinanzi a Plu- tone e Proserpina presenta le Eumenidi già da lui vinte, 9 In altri due sopraporte Caco è punito de’ suoi furti colla morte; e Dejanira ricuperata dalle mani dell’ ucciso Nesso che glie l’aveva rapita; ai quali segue nella volta l’ultimo basso rilievo in cui Ercole non potendo. soppor- tare gli acerbi dolori cagionati dalla tunica avvelenata, di- sperata mente si è gettato sul rogo, ove muore per calmare in tal modo l’ira di Giove. Lo studio dei bassi rilievi dell'alta e classica’ ‘antichi: tà, la cognizione delle antiche gemme, tuîto ciò che for- ma il corredo delle preziose nozioni delle quali debb’essere fornito l’ artista è dottamente sviluppato in questi ‘lavori di chiaroscuro; in cui la scienza del disegno e dell’archeo- logia produce un accordo generale di parti grato ad un tempo alla severità della ragione., e alle convenzioni del gusto. Il colorito dei gran quadri, i quali restano più pros: simi all’ occhio che non è la volta, sembrò ad alcuni so- verchiamente caldo, e in qualche luogo un po’ risentito : ma oltre a quell’ attenuarsi che potrebbe essere opera del tempo , sembra che possa ottenere una giusta modificazio- ne dalla ricchezza del mobiliare, dai tapeti, e da ogni oggetto che formerà il corredo di questa sala : le quali cose tutte verranno senza dubbio conciliate con tale avvedutezza da corrispondere alle pitture che ne formano l’oggetto prin- cipale ; talchè l’ osservazione suddetta potrebbe esser forse prematura quando volesse imputare difetto al pittore. Il sig. Benvenuti (convien dirlo) ha fatto un prodigio nel riescire a tanto lavoroinun primo saggio, che gli assicura un più bril- lante successo nella cupola di S. Lorenzo, la quale con tanta sapienza di decisione gli è stata allogata dalla so- vrana muvificenza. Allora l’egregio artista forte delle sue pratiche, o non abbisognerà di molti ritocchi a secco per rinforzare il davanti delle sue composizioni ; o se' ne avrà pur anche bisogno , la grardiosa distanza non permetterà che si riconoscano quei tratteggi di che taluno s’inquieta, e i più spigolistri lo accagionano; quasi il suo lavoro non fosse condotto a buon fresco. I censori di questa grand’opera più superstiziosi che dotti nelle pratiche dell’arte , potreb- 10 bero esaminare le antiche pitture dei maestri che abbiamo nominati più sopra: ed osservandole ben da presso vi scor- gerebbero praticati infiniti ritocchi con molti e grandi ar- tifici per rinforzare, addolcire, e mettere in accordo le par- ti: la qualcosa nei più moderni meglio, e con più evi- denza si riconosce che negli antichi ; poichè questi asco- sero gli ultimi ritocchi sotto il velame di certi finimenti che; accostumavano dare alle opere loro , sia con intenzione di meglio preservarle dagli effetti del tempo, sia colla lusin- ga di ridarle ad un tono di tinta meno languido e più.suc- coso; come sì vede più. particolarmente a Fontainebleau negli a freschi di Primaticcio e del Rosso , e in quelli di. Niccolò dell’ Abbate, e di Pierino del Vaga, che in Fran- cia, in Modena, in Genova possono esaminarsi. E gran dif- ferenza passa tra la lucida trasparenza dei freschi del Do- menichino, dei Caracci, e di Paolo Veronese, e una certa untuosità che apparisce nei più sopra citati. Ma però con-, viene disingannarsi , tanto gli uni che gli altri in più luo- ghi furono dagli stessi maestri con varietà di pratiche, e con somma desterità ajutati di leggieri ritocchi, secondo il bisogno. L'altra gran sala fù data a dipingere nella volta al valente pittore sig. Luigi Sabatelli, parimente toscano , professore di pittura nell’ Imperiale Accademia di Milano, che per molte grandi opere era già conosciuto e lodato in Iralia; e la cui maestria nel comporre e fierezza di dise- gnare lo facevano riguardare come il pittore più omerico e dantesco dei moderni; i cui primi saggi con penna, ma- gistrale gettati in carta si custodiscono già con gelosia nei portafogli degli amatori, e gli assicurarono una fama fino dalla prima sua gioventù. Conosciutasi quindi la tendenza della sua indole pittorica, gli fu dato a colorire nello sfon- dato di una volta, e in otto lunette che la circondano un soggetto omerico preso dall’ Iliade , il quale egli cercò di rapprossimare e collegare possibilmente con una successione rapidissima di avvenimenti, che quasi tutti però possono dirsi rappresentare il XIV libro di quel poema. Forse il sig. Sabatelli giudicò che la più parte dei sog- 1I getti di quest'epopea erano di troppa notorietà, e prece- dentemente per così dire esauriti; e preferì questo concen- tramento onde la sua grand’ opera avesse così maggior pre- gio di unità. Nondimeno non può negarsi che all’ annun- cio di un soggetto omerico in una delle gran sale dei Pitti l’immagnazione dell’osservatore non si predisponesse a quei grandissimi tratti del poema che suonano nell’orecchio e nel- l'animo di tutti i lettori, come Apollo saettatore nel cam- po degli Achei, le tremende dispute tra Agamennone e Achille, l'intervento di Minerva, la partenza di Briseide ac- commiatata, Elena che spiega a’Seniori inomi de’capitani greci, la pugna di Alessandro e di Menelao ; l’ offerta del Peplo che la sacerdotessa Teano fa colle Matrone trojane a Minerva, Ettore che rampogna Paride in mezzo alle don- zelle , la partenza d’ Eitore dalla famiglia, e il suo voto col figlio tra le braccia, il fulmine che spaventa i cavalli di Diomede, i messaggeri di Agamennone che trovano Achille alle navi suonando da cetra per temprare la doglia delle sue sventure ; li quali soggetti pur tutti si presentano pri- ma del XIV libro. Siccome dopo di quel medesimo libro - grandissimo effetto pittorico presentano Apollo che sulle mura di Troja grida e respinge i greci, e minaccia Patro- clo, la contesa tra Ettore e Patroclo sul cadavere di Ce- brione , le battaglie e la conquista del corpo di Patroclo estinto, Achille nudo senz’ armi in mezzo alla nube di Mi- nerva che mette un urlo spaventoso sulla fossa e sbigot- tisce i trojani che vorrebbon rapirgli il corpo di Patroclo, la fabbricazione dell’armatura di Achille, Andromaca sulle mura di Troja che vede il corpo di Ettore legato al carro di Achille, il pianto d’Achille , il suo sogno sul lido, e la comparsa di Patroclo ; tutti soggetti bellissimi, pittorici, e che succedono al XIV libro; li quali non abbiamo quì enumerati per narrare ciò che da tutti per certo non si ignora, ma per raccogliere in pochi cenni alcune appena delle principali imagini che da questa inesausta sorgente j di grandezza l’ arte può derivare. Sembra però giustificarsi questa scelta, oltre alle ra- gioni più sopra indicate, dall’ aver preferito l’ ultimo con- V 12: cilio degli Dei a quelli che trovansi indicati ne’libri pre- cedenti, soggetto assai proprio per la pittura principale, e per dare un motivo alle susseguenti. Giove difatti è posto nel mezzo della volta in atto di comandare agli Dei di non prender parte nella guerra de’trojani e dei greci: alla sua. manca è l’Aurora preceduta dalle Rugiade, e seguita da un Genietto con una face ; più ‘basso dallo stesso lato Giu- none siede sovra un trono d’ oro non' lieta di dover pie- gare al comando supremo, e presso lei Iride sembra par=. tecipe dello stesso cruccio; quindi Plutone seduto con Pro-: serpina, Apollo, Diana, Vesta, Esculapio, Ercole, ed Ebe.. Alla destra del Tonante stà Ganimede coll’ aquila, e Mi- nerva cui presso è Mercurio, indi Vulcano, Venere, e Mar- te, Amore e le Grazie, Bacco , e Morfeo. Al disotto di Marte il fiume Xanto, e Pane, e Cerere come simboli della natura, tenendo quest’ ultima due figli uno bianco , e I’al- tro nero. Fra la Terra ed Ercole è l'Oceano Canuto padre delle cose, e più sopra Teti lieta delle speranze per la vit- toria del figlio Achille. Il Destino stà nel mezzo coll’urna, e le Parche graduate di erà e di sembianze secondo alcune delle varie poetiche finzioni. Questa macchina immensa e agglomerata di personaggi d’ogni età e sesso, e con molta varietà di attributi , presentava per l’arte una serie gran- dissima di difficoltà, e queste tanto maggiori quanto si vol- lero rutti li descritti personaggi mettere in grande eviden» za, senza che alcuno restasse lesgiermente indicato atte- nuandone di troppo per la distanza dell’ interposto vapore il colorito e la forza. Anzi l’artista quasi parve evitare una risorsa prospettica, e non curò di ottenere il mirabile ef- fetto che la degradazione delle tinte dell’aria avrebbe pro- dotto , variando come suol vedersi in natura il colore dalla sommità del quadro al basso dell’ orizzonte : e può dirsi piuttosto essere le figure dipinte su d’un fondo azzurro di quello che sul campo dell’ aria; se non che alcune nubi { dipintevi ci avvisano, che non già un panno azzurro, sic- come sembra da prima, ma piuttosto 1’ aria si volle con. apparente contradizione in quello raffigurata, Noi non giudicheremo ciò che dal sano criterio dei 13 dotti sarà conosciuto ; cioè se «la dottrina omerica sia svi- duppata»nelle indicate rappresentazioni , se siansi consul. tati gli antichi monumenti , e le gemme, e i bassi rilie- vi, e quei tesori che l’arte diffuse specialmente sulle pre- ‘ziose ‘opere figuline dipiote con tanto gusto e tanta accu- iratezza ; le cui dissotterrate ricchezze sulla, periferia dei vasi campani e della magna Grecia si sparsero in tutti i mu- sei) e vennero rese di pubblico dritto, mercè le diligentis- ‘sime opere, d’intaglio. pubblicate da recenti illustratori. Fu -con questi possenti soccorsi principalmente che il sig. Flax- man. diede primo all’ ammirazione, d'Europa, in hella for- ‘ma:delineati i soggetti che non.tanto 1’. Iliade quanto l’Odis- sea.gli avevano fornito; e nel. momento, in cui le arti no- stre. èrano . piegate, alla: corruzione questo, dottissimo artista ‘inglese/le richiamava; così alla \purità. severa de’ loro prin- vcipii,i mentre Canova poi stava; modellando appunto quei - primi bassi rilievi che elevando la sua fama aprivano l’adito va quella de’ suoi contemporanei, | ir «Certamente in questo Olimpo idel.Sabatelli è quae la varietà dei gruppi,, l’ardimento degli ,accozzamenti, e. som- (ma l’energia, del. disegnoyin. cui egli fu sempre maestro as- isai, celebrato. Se in ogni sua, parte; forse non;.corrisponde il colore) cile talvolta lucido nei.chiari, rimane poi alquanto . livido, nelle mezze, tinte. ).e nell’ombre ; sarà ciò ac cadutoo -perché le tinte per, troppo. voler fonderle e. tormentar cal pennello nell’a fresco si abbruciano,,0 perchè nelle uma- ne. cose non, è dato, di attinger,tutte n perfezioni: È certo iperò che. vi.sono, alcuni torsi di figure ignude di bel colo- e e dipinti di getto,; e che inducendo nella sala una luce piuttosto mite che sfacciata , trovasi un maggior accordo nella grand’opera, la quale presenta il cimento più arduo ‘che offrir, si possa.in tutto il campo delle arti dell’imitazio- ne; e. che anche per questa prova non può; negarsi al sig. Sa- «batelli un luogo; molto onorato fra primi artisti del secolo. Questo gran. centro è circondato, da otto lupette «colli pi pr soggetti. Giunone si abbiglio con ogni, ‘artificio per sedurre Giove e piegarlo alle sue voglie , facendosi più. bella, che, non soleva ‘comparirgli dan essa. è I Na dalle sue Ninfe'e da Iride sua messasgiera. Nel secondo vedesi Giunone che chiede a Venere il einto dei Vezzi, astanti le Grazie e gli Amori. Direbbesi esser que- sti due primi soggetti meno degli altri acconci alla maschia fierezza di questo valente artefice: eppur nulla meno egli li ha trattati con maestria, e coloriti forse con maggior gusto e sapore degli altri. Nella terza lunetta Giunone risveglia Morfeo in Len- no , e al suo svegliarsi si dileguano i Sogni , e fugge il Silenzio. Nè bastò all’autore l’omerica parsimonia di que- sto quadro, che volle aggiugnervi la Pigrizia, e l’Ozio cor- pulento; i quali quantunque stiano in qualche analogia col soggetto, sembrano però più acconci a figurare nel poema del Forteguerri che in quello di Omero. Nè ciò vuolsi no- tare come difetto essenziale; ma unicamente per lodare il fino criterio dei classici, che non sminuzzando tutte le idee, non personificando tutte le affezioni, lasciando un certo ri- poso all’ imaginazione , facendola ‘trascorrere senza troppo estendersi sugli episodii , lascia all’ oggetto principale un carattere assai più grandioso; e l’osservatore non trovando tutto esanrito dall’intemperanza dell’arte compiacesi che gli resti qualche cosa ad aggiugnere , e quasi gli sembra di cooperar coll’autore alla maggiore intelligenza del soggetto. Finezza somma di accorgimento che è propria degli antichi, e singolarmente dei greci in ogni ramo delle arti che ven- nero da loro esercitate. Nella quarta lunetta Giunone si presenta a Giove sul- l’Ida con Morfeo trasformato in augello notturao; e vedesi l’effetto seduttore della sua comparsa, che dà luogo al quinto soggetto ove stà espresso il sonno di Giove in grembo a Giunone, mentre Netanno ‘agitatore delle tempeste messo alla testa dei greci invigorisce Ajace che scaglia un'immensa pietra contro di Ettore. Non potrebbe dirsi se molto ome- rico sia nella sesta lunetta lo ‘svegliarsi di Giove che irato dell'inganno rampogna Giunone, la quale seguita ‘a' dormi- re, o ne fa mostra. Potea forse altramente rappresentarsi e con più nobiltà un soggetto di querela ‘tra li dei mag- giori: e questa composizione si risente alquanto del fare che Is abbiam rimarcato nella terza. La settima lunetta raffigura ‘quando Ettore viene portato fuori della battaglia, e disar- ‘mato per la ferita ricevuta da Ajace, mentre Apollo scen- de a rinvigorirlo: e vedesi magistero di valente artefice nei gruppi che formano un fiero contrasto coll’avvenenza del nume: nella qual figura il pittore preferì di dare un’ idea piuttosto del simulacro d’Apollo tal come l’abbiamo dalle antiche statue posteriori al poema d’Omero , di quello che secondo la dottrina omerica raffigurarlo a modo di visione in una guisa più mossa, più eterea, più leggiera. L’ ultimo soggetto oltre che tiattato colla gagliardia che si addice al terribile argomento , ci dà il doppio con- forto che dal valente artista che tutta immaginò e com- pose questa gran massa di lavoro , discendono successori degni della sua gloria, ed atti a ricondurre le arti a sem- ‘pre maggiore altezza nella nostra Italia . Il figlio maggio- re del sig. Luigi Sabatelli si provò con mirabile riescita in questo difficile arringo, tentando per la prima volta la pittura a fresco; ed ove gli riesca in seguito di ottenere una bella lucentezza di tinte che dalla sola pratica, e dallo studio sui gran colovitori può conseguirsi facilmente, non è da dubitarsi che questo valente giovine non sia per pri- ‘meggiare fra” pittori italiani, Infatti S. A. I il Granduca, cui nulla sfugge di ciò che può dare incremento, e svilup- po a begli ingegni, ha voluto animare il figlio del sig. Sa- batelli al meglio fare, e all’acquisto d'un colorito splen- dente, di cui è da sperarsi torni arricchito dai paesi Ve- neti; ove trasferitosi per sovrana munificentissima disposi- zione , fu incaricato di trar memorie e grandi studii dalle , opere più insigni del primo maestro di quell’ antica scuola Tiziano Vecellio. Con quest’ultimo soggetto esposto nell’ottava lunetta termina il gran lavoro , e vedesi Ettore afferrando una nave nemica sul punto di troncare con un fendente l’ asta di Aiace che si difende, mentre i troiani incendiano la flotta greca. La molta varietà di questi soggetti che si trovano l’ uno in vicinanza dell' altro oppone una gran difficoltà all’ ottenere quell’ accordo che tanto appaga lo sguardo ; 716 ma convien confessare che'attenuando alquanto la luce:di cui talvolta la sala è soverchiamente irradiata, il lavoro preseuta un complesso bastautemente armonico ; il qual merito è maggiormente da rilevarsi quandò si osservi chie le pareti non sono gia coperte di una tappezzeria subordi- nata all’ effetto delle pitture della volta, ma sono elleno stesse lussureggianti colla maggior pompa di antichi pre- ziosi dipinti, variati di colore, di forma , di stile, senza che per sì fatti confronti si possa diminuire la lode ai mo: derni lavori. i Vogliam lusingasri che i nostri lettori ci sappian grado . dell’ aver annunziato ,al pubblico il compimento di due . delle più grandi opere che siano escite da’ moderni pen- nelli italiani : che se non siamo entrati in troppo minuti - particolari dell’ arte, convien riflettere non essersi da noi . proposta una; critica pedantesca e severa, ove il merito degli artisti dava risalto a molte bellezze d’ assai superiori ‘ad ogni neo dal cui non vanno esenti le produzioni uma- ne. Ed eglino stessi li due insigni professori, con quell’im- parzialità di giudizio che è propria degli ingegni elevati, ‘preferiranno che la lode data ai loro lavori non abbia, preso il. carattere di una bassa adulazione , di cui il vero. me- rito si irrita e si sdegna, e si gonfia d’ orgoglio la sola ignoranza. îua x. ua Voyage dans la Russie méridionale, de M. Gama. Paris 1826. Volumi 2 in è. con atlante. Grave quesito sarebbe se nel concorso che 1’ America ebbe alla civiltà moderna, la sua scoperta fu di momento maggior di quello che sarà l’emancipazione sua: o vice versa. Al computo del pensatore questi due magni eventi ,si pre= senterebbero con uguali numeri di entità e primato. Colombo che divinava un altro mondo fisico, il disco- pria pervenendovi onusto di germi per un altro mondo mo- rale, All’annunzio di nuova terra, l'Europa intimò alla sua gioventù ridondante un ver sacrum, colà mandandola a generazione di popoli futuri. D’ allora si ingigantì e il pensiero e il commercio umano, al pari dell’ ingiganti- mento avvenuto nel globo cognito. Nuove migrazioni non men di quelle de ’barbari, larghe di esizii e ferità; nuovi dominii per quelle migrazioni ; nuovi interessi con que’do- minii ; nuove riccheze in quell’interessi ; nuovi stimoli da quelle ricchezze; nuova energia di vivere intellettivo ed in- dustre da que’stimoli, fecero dell’occidente la cinosura de- gli europei. Quasi direbbesi che in emula opposizione agli antichi, pe’quali l’occaso era l’eterna sede delle tenebre e della morte, i moderni vi discoprissero l’albero della vi- ta e della scienza. Oppur direbbesì che perveniano i se- condi a realizzarvi il trovamento de’beati orti esperidi , con tanta magia presuntivi da’primi. Comunque fosse, l’America fu per tre secoli l’ Ofir dell’Europa. A sì momentosa vicenda tien oggi dietro un’altra vi- cenda non men momentosa. Il sangue europeo prolificò in quelle vergini e feconde regioni . Que’ novelli popoli na- cquero, crebbero, moltiplicaronsi ; e già maggiori, entrano ora con fiera dignità nell’età legale all’ esercizio de’ dritti fralle nazioni. Mezzo secolo suonò appena che l’ americana autocrazia (1) incominciò a borea; oggi si è compiuta fino al meridionalissimo Capo Horn. (1) Nel senso delle voci greche, ossia di potenza dare. T. XXV. Gennaio. 2 18 Ma non tale avvenia siffatta meteora nel nuovo con- tinente a non sentirsene i rabbuffi pur nell’antico, L’Eu- ropa, che si volse ad occidente quando l’ irruzione turca quasi vel sospinse chiudendole l’oriente, rivolgesi all’oriente ora che l’occidente uscì dalla sua tutela. Un potentato, che fu il primo a vedersi involati i suoi dominii oltratlantici, ne chiese compensi all’Asia; dove con inaudito ardire , e agsgiungneremo con misfatti inauditi, si risarcì fra 1’ Indo e il Gange in acquisti assai più ampii e fruttiferi de’perdu- ti fra il S. Lorenzo e il Misissipi. L’inghilterra alcerto rende ora grazie anzi che covar livore alla libertà cui salì l’unione. Mentre cimentavasi questo primo saggio di emancipa- zione dall’un canto e di risarcimento dall’altro, era l'Eu- ropa continentale campo d’aspri moti e d’aspre armi. Un nembo di travagli e di battaglie scosse popoli e troni. La fiera guerra all’Ercole dell’istoria, guerra che intercettan- do ogni comunicazione fra le metropoli e le colonie, acce- lerava in queste col lasciarle sole la coscienza determinante a reggersi sole, riunì nelle mani inglesi ogni nautica, e per- ciò ogni signoria di mare. Il barbarico dritto del blocco marittimo , di cui tanto acerbamente facea nuovo dittato ed esercizio il più forte col suo tridente, acuminò l’inge- gno degli’altri europei a riannodar traffico con gli asiatici per vie mediterranee ; ossia per vie non vulnerabili da’si- gnori dell’ oceano (2). La pace, è vero, sbloccò il mare. Però la scuola de’pas- sati esempii addottrinava il commercio a non riavventurar confidentemente le sue dovizie in un elemento, sul quale l’abusato dritto di guerra navale cangia, alla menoma rot- tura fra gli imperii , in crudi pirati i nocchieri delle più ingentilite nazioni. Oltracciò i profitti commerciali con le Americhe presero ormai altro rombo ; e tale che propizio alla gran Brettagna ed agli Stati Uniti , ne esclude ogni altro popolo. Indi ogni ragion vuole che seguasi l’impresa via per l'Oriente. A ciò si aggiugne che la Russia , (cui (2) Il primo saggio ne fu fatto nel 1807, stabilendosi una linea di ma- gazzini di cotone a traverso dell’ Asia minore, e lungo il Danubio. Vedi 42 Magia del credito svelata; di de Welz, 19 si perdonano gli immensi conquisti in Asia in grazia della civiltà che vi semina ) restituì 1’ Eusino e la Colchide al libero traffico di tutte le genti. Nè di ciò paga, aprì colà una via d’asilo a’proscritti, di proprietà a’proletarii, di for- tuna a’ miseri, Ivi adunque è invitata e la mercatura e l’esuberante popolazione continentale; ivi già corsero a ri- fugio molti balestrati da’ scorsi turbini ; ivi portarono le reliquie de’loro capitali molte vittime dell’insociale bloc» co oceanico, non che delle più insociali reazioni politiche. E fia somma prudenza civile l’incoraggire a tentarvi buo- na ventura coloro cui la miseria e l’eccesso può far gravi alla patria. Siffatto appello, che benefico largo generoso fa ivi un potentato, non ha guari nè colto nè ancora europeo, accelererà il visibile fato del mondo primitivo. Una novella energia vitale infatti visi è rianimata. I conquisti inglesi al Sud, e russi al Nord, le novità dell’ Egitto, i moti dell’Ellenia additano che fu già inoculato l’erudimento in quattro membra del gran corpo antico. Ed ove sia dato di traguardar ne’ veli dell’avvenire, quasi può profetarsi che la terra in cui sorse l’uomo, in cui il restauratore dell’ uman genere imprese a ripopolar l’orbe, che la madre patria in- fine dell’umanità (3) vetusta va ad essere convertita all’uma- nità moderna. Pressapoco con questi pensamenti il cav. Gamba pren- de a esordire l’opera subietto del nostro esame. Amministrò esso gli ufficii consolari per la Francia in quelle contrade. Molta contezza dunque ne ebbe mercè le attribuzioni della sua carica. Molta altra raccolse percorrendo quelle pro- vincie. Udimmo inoltre da due persone di bella mente (4) colà tratte da laudevole vaghezza di viaggi, nella loro te- stimonianza della veracità di narrazione circa le regioni che esse videro, un documento a creder verace il narratore anche circa quelle che non videro. Noi insomma opinan- do utilissima la lettura di questo viaggio, ora particolar- mente che quella parte d’Asia ed annoda importanti rela- (3) Civiltà, secondo il linguaggio del Vico. (4) Sl sig. marchese G. Pucci, e il sig. GP. Vieusseux. 20 zioni con l'Europa, ed è teatro di guerra fra la Russia e la Persia, ne daremo un sunto onde invaghirne alla let- tura sì gli interessati a saperne notizie positive che i sem- plici curiosi. Esordia il viaggiatore da Odessa. Il duca di Richelieu trascelto dal governo russo a governar la Russia meridio- nale , aprì in un punto del littorale Eusino , di clima as- sai più salubre di Kerson, un luogo a rifugio de’ profughi per le perturbazioni europee. Il suo generoso asilo , la sua benefica amministrazione , la sua affabilità , la sua solle- citudine ad ottener dal gabinetto imperiale tutto, ciò che fosse propizio a’nuovi ospiti , vi attirarono molti russi, po- lacchi, tedeschi, francesi, italiani, greci , armeni, ed ebrei. Questo concorso, avvalorato dal bisogno in cui 1’ Europa, flagellata da carestia, fu de’ grani di Krimea, produsse il prodigio che Odessa , sei lustri fa appena tapinissimo bor- ghetto tartaro, è oggi vasta città, è costruita alla moderna ; è popolata da 40 mila industri e agi ati abitanti; ha belli edifizi fatti con gusto architettonico; ha infine scuole, licei, ginnasii, teatro, curia, borsa , ospedali ed ufficio sanitario. È insomma l’attuale emporio del mar Nero. Il porto fran- co e la larga toleranza che coadiuvarono a farla sorgere , contribuiranno anche a sempre più ingrandirla e prosperarla. Se questa specie di miracolo videsi per la città , non minore metamorfosi avvenne nel contado. Il raggio fra le foci del Dniester e del Dnieper, già aridissima ‘talida; 0g- gi è colto e popoloso. Molti valagai di coloni francesi sviz- zeri e greci vi sorsero dal nulla. Essi vi coltivarono la vi- gna , i cereali, i verzieri, i pomarii, le piantagioni ; vi mi- gliorarono e le razze de’cavalli e quelle degli animali sì a corna che a lana. Vi fu anche un tale signor Descemet, il quale veggendo rovinato un suo podere a vivaio in S. Dionisio, pe.munimenti nel 1814 fatti intorno Parigi, emi- grò per Odessa , nel di cui territorio rinnovò un semen- za'io di alberi fruttiferi e forestali , che oggi spande piante perquelle terre. Secondo il censo enumerato nel testè detto anno, ammontava il numero de’novelli ‘abitanti a 60 mila individui d’ambo i sessi. “ E ve ne fora il doppio , dice 21 ») l’autore, se quasi altrettanti coloni , per lo più aleman- 3» ni, non fossero stati da vivissima opinione di un pros- »» Simo diluvio sospinti a prescegliere l’albergo intorno al- 3» l’Ararat, onde aver rifugio sulla sua vetta quando avve- »» Disse il cataclismo. Oltracciò, soggiugne ancora, quella 3» Nuova provincia è oggi per gli opulenti russi e polacchi »» ciò che l’ Italia e la Svizzera son pe’ ricchi viaggiatori 3» europei. Vanno essi a soggiornarvi annualmente, e vi »» passano i mesi invernali; A ognuno è noto che l’impe- 3. ratore Alessandro , vago anche esso di svernarvi, finì im- », maturamente i suoi giorni in Tangarok ,,. Odessa e il suo contado adlunque sono il primo cimento di ciò che può essere , e sarà un dì, l’intera sponda dell’Eusino. In fatto di sociali miglioramenti non v’ha cosa che impossibil sia agli uomini, e massime a’ governi. Sol vuolsi che si sap- pia volere il vero bene , ossia il bene di tutti; sol vuolsi che alla forte buona volontà sappiasi congiungere la gia- stizia la libertà la sicurezza e la toleranza. L’umanità, in- stintivamente socievole, gravita ed è più feconda sempre là ove più benefica è l’associazione umana. Fatte varie e non brevi dimore in quella nuova crea- zione civile, si imbarca il nostro viaggiatore per la foce del Fasi; e noi il seguiremo nella sua navigazione, Dopo aver memorato Nicolaiew , oggi unico e grande arsenale per l’armata russa di quelle acque , costeggiando la Krimea, essia l’antico Chersoneso s descrive Sebastpol, e con molta erudizione discorre delle reliquie di Kerson e d’Inkerman. Nella prima, già metropoli della republica chersonese , fu- ron relegati il pontefice Martino I. e 1’ imperatore Giusti- niano II. L’altra era l’Ektenos de’greci. Sedea sulle spon- de dell’Uzeno che scorre fra cavernose ripe altissime, con- giunte un tempo , siccome è fama , da ponte di un solo immenso arco. In quelle caverne non ha guari ricettacolo di pirati o proscritti, ricovrano oggi caprai o zingari. Sol vedesi tuttora in piedi una chiesa costruita con non vol- gare architettura. Però lasciamo che il viaggiatore istesso parli; “ navigando da Odessa verso Oriente non mai per- donsi di vista i lidi del mezzo Eusino occidentale ; e que li- 22 ,, di son doviziosi di memorie. Qunà è Toni ove fu e perì ;, relegato Ovidio. Là son le ruine d’Olbia , famosa colo- - » nia di Mileto , e più famosa oggi pe’scavi di medaglie ,) peregrine in numismatica. Alenn poco più lungi stà Tin- ss dra, l'antico Cursus Achillis così detto pe’giuochi che vi ,, sì celebravano inonor dell’eroe. Altrove sono Eupatoria ,3 e Panticapea : l’ una fondata dall’ Eupatore Mitridate ; ,, tumulo l’altra del Mitridate il grande. Quinci Teodosia ;3 sì conta nell’ istoria greca non men che in quella del s, commercio genovese. E infine nell’eminenza , in cui tor- » reggia ora il convento di S. Giorgio, vi si addita il pro- ss montorio un dì sì formidato e pel tempio di Diana e »» per la ferità de’ popoli taurici. Ovunque insomma vol- » gasi l'occhio, vede il viaggiatore non ignavo con emo- s» zione quell’Eusino anticamente circuito da colonie greche; », quindi navigato con tanto spavento nel medio evo sì per sì le sue subitanee procelle, che per la ferocia de’littora- s» ni. Era esso fino alla scoperta del meridional capo d’Af- » frica il frequentato passaggio degli europei per l’ Asia’; »; poi per tre secoli fu chiuso alle vele de’ cristiani, Ap- »» pena da pochi lustri riaperto al navigare delle genti », colte, sembra già superbo del futuro destino d’essere di », nuovo il centro del più ricco commercio del globo ,,. Al di là della Crimea lo stretto di Taman marita l’Azof col Nero, e separa la penisola chersonese dalla Circassia. Sulle coste orientali di quel faro abitano oggi i cosacchi zaporoghi , sì famigerati e formidabili fino allo spirar del- l’ultimo secolo. Erano i flibustieri di que’mari. Ed ei par- rebbe impossibile a concepirsi in qual mai modo una or- da nomada istituita sul celibato potesse durar nove secoli. Certo è che si memora nel 948 la loro prima dieta guer- riera, Perpetuavasi questa tribù accogliendo ogni prode ma- snadiere, e rapinando fanciulli nelle loro incursioni o pi» raterie. Nè è meno inconcepibile come in una tanto inna- turale associazione d’ogni vizio e delitto, potessero anni- darsi alcune virtù veramente patriarcali. Non men certo è però che fedelmente praticavano l’ ospitalità osservando il massimo rispetto a’viandanti che: venissero a cader fra” 23 loro drappelli; e che eramo cultori di una venerazione quasi religiosa verso l’ età senile. Avevan domicilio nel centro dell’ Ukrania, donde teneansi rispettati e paventati da tur- chi polacchi e russi. Man mano rinunciando alla vita ce- libe impresero ad ammogliarsi. Fu questo il loro primo passo al sociale îmiglioramento. L’imperatrice Caterina Il", cui tutto andò a verso, pervenne anche a quello che ogni altro imperante non avrebbe osato non che eseguire, nep- purideare ; di traspiantar cioè un popolo sì indomato sulle rive del Kuban. Quivi ebbero terre; ivi furono incoraggiti ed adescati all’ agricoltura; ivi riceverono il primo erudimento dalla polizia civile, e furon conquistati alla religione mercè P esercizio del culto publico. D’allora in poi temperaronsi molto quegli acri costumi, e andarono in desuetudine le immani antiche usanze. ‘ Ho visto, dice Gamba, un figlio 3» di quei già ladroni, ora paggio imperiale in Pietrobur- »» g0; ho visto alcuni altri che vengono educati ed istruiti », nel liceo di Odessa ,,, E i decrepiti laudatori delle scorse tenebre calunniano ancora il progresso della civiltà ! Sulle poche coste che la Circassia accenna nel mar Nero il viaggiatore è indignato di vedervi Anapa e Sou- djauk-kale tuttavia in potere del barbaro islamita. Ma più si indigna vedendovi tuttora l’infame vendita di fanciulli e fanciulle, severamente vietata e affatto scomparsa nelle terre sogsette al moscovita. Anapa è scalo della presunta comunicazione commerciale fra’ turchi e i tartari sunniti; comunicazione , cui non consente il nostro autore, a me- nochè non ammettasi che avvenga essa non già pel Cas- pio, co me si pretende , bensì pe’sentieri della gran catena del Caucaso. La menzionata città, un tempo florida e po- popolosa, agonizza ora non contando che appena 60 fami- , glie miserabili. La peste che annualmente vi portano i tur- chi contribuì in gran parte a così prostrarla ; il resto fu opera del non inen letale contagio del governo di que’barbari. Presso Soudjonk kale incomincia la serie delle montagne caucasee ; serie che serpeggiando conformemente alla sinu- nosità del littorale Eusino,e poco distante lunghesso, for- ma una lunga regione riserrata fra il mare e i monti , detta 24 la grande Abasia. In questa provincia son le fortezze che testè ridomandavano i turchi come condizion di pace coi russi. In essa è Pitzunda, il gran Pythus della ‘geografia antica, ove fu esulato S. Giovan Grisostomo dall’ Impera- trice Eudossia. L’ immensa e sicura baja che vi si trova, del pari che le immense foreste onde son coperti i dintor- ni, ne faran presto o tardi un punto oltremodo trafficato, ed un magnifico cantiere per costruzioni nautiche. In uno di que’ promontori è l'antico monastero, per le invasioni circasse da molto tempo deserto, ma con tuttociò intan- gibilmente venerato dagli abasi sia mussulmani sia di re- ligione armena, in modo che vi esiston tuttavia gli arredi sacri e i libri liturgici, tuttochè niun frate più vi alber- ghi. Sulle coste orientali infine trovasi la formidabile stretta di Gagra; stretta in cui pochi difensori sarebbero valenti a soffermare un esercito. L’autore miraviglia come la Russia non munisca con l’arte un varco sì difficile per natura , onde così tutelare per sempre la Mingrelia, l’Immirettia e la Georgia dalle incursioni de popoli abasi. Eccoci ora col viaggiatore alla foce del Fasi: eccoci nella rinomata Colchide ; nella patria di Medea, nella terra del Vello d’oro. “ Colà, dice egli, non potei difendermi da 3» viva commozione all’aspetto di un fiume e di un reame so che rammenta le prime e più celebrate imprese de’greci ‘», eroi. Non è gran tempo, che ognuno ostentando scetti- »» cismo, riputava favoleggiatori gli antichi istorici, non che 3, Erodoto padre dell’istoria antica. Se non che da quaranta », anni in quà, esplorata da viaggiatori e da eserciti quella s, regione, fece cangiar stile lasciando aver contezza de’suoi », monumenti, de’suoi ruderi, dell'’immensità delle sue me- »» daglie peregrine e vetustissime. L’ avventura di Frisso e », di Ella era forse una travisata tradizione delle primiti» »» ve esplorazioni greche in quelle ricche contrade ; e l’im- » presa degli Argonauti per involare i tesori di Eeta, ol- sì tre al venir confortata dagli asserti di Strabone, Plinio ;» ed Ariano circa le ricche miniere di que’ regni, ha an- », che un documento odierno nelle popolari opinioni sulle » miniere istesse,,, Se oggi i russi sembran dubitarne, ciò può 25 | essere 0 perchè essi non ancora sanno tutto quel che dicono, o non dicono tutto quello che già sanno; certo è che nel1737, 3 il Regolo Salomone, ultimo principe di una provincia »» georgese, inviò all’Imperatrice Elisabetta una antica carta 3 manoscritta in lingua indigena , che ne dava contezza. ,» Comunque sia Giasone aveva ivi tempii, per lo più di- s» strutti da Parmenione, acciò la gloria dell’argonauta non »» ecclissasse quella d’ Alessandro : avea città col suo no= s, me nella Propontide, nell’Armenia, e perfin nella Me- s» dia. Oggi istesso un promontorio di Natolia denominasi > Capo-Giasone. Dioscuria inoltre rammentava i due ge- », melli Ledei'compagnoni di quell’intrepido condottiero,,. Nè alcerto fora salita in tanta fama una impresa in cui si avventurarono i maggiori ottimati della Grecia eroica senza un gran fondo di vero nel fatto e nell'opinione d’opulenza di quel reame; poichè l’ epopea non macchinizza che s0- vra base certa d’opinioni e di fatti. Se le miserie attuali della Colchide fanno ripugnar fede alle antiche sue ric- chezze , pongasi mente che essa dopo molte vicissitudini d’invasioni cadde in ultimo in man de’ mussulmani ; sotto un dominio cioè, in cui la sola povertà facea schermo da morte e persecuzione. I regoli indigeni, divenuti tributarii del turco, oltrechè cercarono nella penuria un pretesto a non subir tributi, fecero anche delle foreste, ossia dell’in- coltura del suolo, un rifugio alle tiranniche concussioni de- gli avidi dominatori. Osserva il cavalier Gamba che quelle sterminate fo- reste provvederanno a tutti i bisogni nautici , quando il commercio e l’incivilimento avranno aumentata la naviga- zione dell’ Eusino e del Fasi. A navigar però liberamente per questo fiume và snidato il turco da Poti, fortezza che si eleva sulla sinistra sponda in modo a barrarne la foce. Il Fasi sega per mezzo la Colchide; la quale era formata dalla valle, che oggi comprende l’estremità dell’Abasia orien- tale, la Mingrelia, l’Immisretia, e il Guriel. Dal reggi- mento de’suoi proprii re, uno de’quali fu certamente Eeta, passò all’ ubbidienza de’ monarchi del Ponto. Quindi cad- de col restante del globo cognito in man de’romani. Nella 26 partizione dell’Imperio toccò in retaggio a quello d’ orien- te; e Zathus principe tributario , fu il primo ad adottarvi la nuova religione, portandosi a prendere il battesimo in Costantinopoli mentre imperiava Giustino. Vi dominarono in seguito i persiani : e Cosroe il grande fu il primo a di- sesrare il vasto concetto di farne anello di traffico fra Asia e Europa. A un cotanto disegno mira l’ ukase russo del 20 ottobre 1821. Dopo molte altre vicende la Russia conqui- stò quella provincia transcaucasea , agglomerandola al suo vasto imperio. Il primo esercizio dell’ autorità russa fu vietando la vendita de’ schiavi e giovinetti d’ ambo i sessi ai turchi o altri orientali; comanche di interdire agli ottimati indi. geni il dritto di morte o mutilazione su’loro vassalli. Indi sì istituiron scuole elementari per città e villaggi. Si riunì inoltre nella persona di un governator militare molta parte del potere civile amministrato per l’ organo di corti di giu- stizia. Que’ popoli non solevan seguire altre norme se non antiche tradizioni o consetudini; poche borgate reggevansi col codice scritto, dal Re Vastang dato ai georgesi. In que- sto codice (non fia superfluo il memorarlo ) eran sanciti i giudizii divini mediante le pruove del ferro del fuoco e dell’ acqua bollente. I quali istituti, quasi istinzivi presso i popoli tutti, nel mentre vengono a conforto dell’opinio- ne di chi li vide pur fra’ greci dell’ età eroica (5), docu- mentano l’alto vero, che fra tutti i popoli si opinò sol pos- sibile a Dio l’ attributo di sentenziar senza fallo la reità ne’ casi penali. Il governo russo lasciò in vigore le leggi vastanghesi , lasciando però all’ arbitrio de’ giudici di ap- plicar le russe là ove le pene comminate dalle seconde son più miti di quelle delle prime. Siffatti novelli ordini, ed altri provvedimenti della civile polizia, migliorarono non poco lo stato sociale e morale di quelle genti. Guarentite dalle arbitrarie vessazioni de’ potenti, non più da essi con- cusse, sicurate nelle loro proprietà, divennero più umane, laboriose , industri, intelligenti. Il loro maggior numero (5) V. saggi politici di M. Pagano, % 27 professa la religione greca ; ma vi è toleranza per gli ebrei che hanno le loro sinagoghe , e pe’ cattolici pe’ quali vi son molte chiese servite da cappuccini. Il governatore e le autorità riseggono in Kotai ; città popolata da 8 mila abitanti, che trovasi a mezza distanza fra Poti e Tiflis, e perciò primo scalo del commercio fra il mar Nero e il Caspio. Siede essa sul più volte menzio- nato Fasi, che navigabile fin dal punto in cui la Quicila si congiunge al Rion, corre verso occidente a sboccarsi nel primo de’ citati mari. Pressochè parallelo ad esso scorre al- quanto più a mezzo giorno il Ciro, che progredendo verso oriente va a metter foce nel secondo. La distanza fra’punti più prossimi di questi due fiumi è di dodici leghe. Per es- si, dice Gibbon, facevasi l’antico commercio fluviale dal- l’ uno all’altro de’mari suddetti, Il trasporto delle mercan- zie dall’ altro all’uno de’ due finmi avveniva fra Quirili e Tsike. Il nostro viaggiatore ripugna a prestarvi fede visto che il Ciro non è navigabile oggi nemmen là ove sega 'l'i- flis. Ma potea ben esserlo un tempo. Del rimanente noi diam ragguaglio del suo viaggio, e non giudichiamo le opi- nioni sue, ‘La natura fu a quelle regioni larga della bellezza della specie umana , e soprattutto nella vaga metà dell’ uman genere. Propende Gamba a credere che siffatta eccelsa ve- nustà di forme sia opera posteriore all’epoca antica ; e che invece d’essere eredità di que'popoli caucasei, provenne dal loro innesto col sangue greco. Molte tribù abase circasse e mingreéliesi infatti si laudano discese da greco lignag- gio. Certo è che veruno degli antichi autori non memora quel bello personale oggi cotanto armirabile in quelli abi- tanti; e pare non concepibile che un sì raro bello avesse sfug- gito all’osservazione de’ scrittori di una nazione che, qual fu la greca, tanto onorava quegli artisti i quali andavano ac- curatamente investigando il tipo della bellezza. Comunque siasi, ivi son oggi le più vaghe donne del globo. Ivi alla decorosa leggiadria de’volti ed alla maestà della statura si va convinto della reale esistenza delle amazoni in que’cli- mi, Ivi insomma il bel sesso sembra al viaggiatore una creazione superiore alla terrena. Se la barbarie fece di que- sto portento della divinità un oggetto di infame negozio a sbramar le libidini de’tiranni, la civiltà, cui furono ino- culati que’ popoli, restituirà la convenevole dignità all’es- sere da Dio dato a soave conforto dell’ uomo fralle mise- rie mondane. La civiltà aggiugnendo le virtù morali alla bellezza della persona, formerà le vere eroine del futuro di quelle nazioni. Oggi quelle nazioni languiscono in agricoltura, indu- stria e commercio ; però hanno esse tutti i numeri a dive- nir fiorentissime in commercio, industria e agricoltura. In pochi anni l’arte d’ intesser tele sete e tingerle progredì non ordinariamente; e alcuni greci vi fondaron fabbriche a pur- gar la cera e far candele ; le quali arti presuppongono ab- bondanza di bachi e di api. Non ivi alcerto mancan le- gnami ottimi sì per grandi costruzioni che per masserizie di lusso. Spontaneamente vi nasce e prospera il cotone ; e il frumento, il riso; il miglio, il canape, il lino vi si coltivano e prosperano senza molto lavoro. Abbondante vi è il tabacco; abbondantissimi gli animali a corna ed a la- nà; numerosi , agili e robusti i cavalli di razze circasse innestate alle daghestane. Infine quelle montagne rinser- rano ogni metallo sia prezioso , e sia utile. Ogni cosa adun= que colà attende la mano delle scienze delle arti e del commercio pet fecondar capitali cotanti , e prolificarvi rie- chezze. I brevi confini di un epilogo non ne permettono di andar ormando il nostro viaggiatore in tutte le sue corse per la Colchide, Tempo è ormai di passar seco lui in Geor- gia e seguirlo a Tiflis. T'iflis è città sul Ciro. Due ponti servono alla comunicazione fra’ rioni esistenti sulle opposte rive. In quello sulla sinistra sponda albergano colonie d’ale- manni. Nell’ altro le strade , fino a pochi anni indietro in- gombere di ruine (tristi monumenti delle persiane irru- zioni ) son oggi sgombrate, abbellite, allineate; ed indicano una capitale retta da governo europeo. Man mano van col- mandosi le fossate antiche; e quando saran colme, la vec- chia città si troverà riunita alla nuova. In questa ammi» | 29 ransi edifizi belli e magnifici, grandi e simetriche piazze, vasti quartieri militari, ospedali, uffici publici, ed ospizi per le caravane. Il meglio costruito e più ampio di questi ultimi è quello edificato dal venerabile Narsete arcivescovo armeno ; il quale commendevole pontefice , non pago di siffatta opera di beneficenza, volle anche fondarvi una scuola publica in cni si insegnano le primarie lingue colte d’Eu- topa. Un tale istituto è per esso solo da tanto fa profetar la futura grandezza commerciale della metropoli di Georgia. La sua popolazione ammonta oggi a trentamila abi- tanti. Se non che giornalmente aumentasi pel continuo ar- rivo d’armeni e greci asiatici che fuggono da’ stati turchi Q persiani. Un ricco armeno, profugo ultimamente anche esso , vi edificò nn terzo caravanserai presso al Bazar, in- torno al quale stan pure gli altri due. Quivi miransi mer- canti e mercanzie di tutte le nazioni; miransi botteghe di orefici, minutieri, drapperie, panni, spezie , aromi , pel- licce, cuoi, ferri , cristalli, porcellane, ec, ec. Quivi infine veggonsi frammisti asiatici ed europei, tartari e fran- cesi, indiani e tedeschi, greci, ebrei polacchi e russi. Il cielo tepido quasi ognor sereno e sempre ridente fa che i nativi di tutte le latitudini vi vivan sani; e questa salu- brità di clima concorrerà pur essa con tutti gli altri favori della natura della posizione e della società a sempre più popolarla. In una cosmopoli sitfatta è naturalissima cosa il ve- dervi professati tutti i culti, e tollerantissima l’ autorità. Indi avviene che veggonsi moschee e sinagoghe a fianco di chiese greche , latine , armene , e protestanti. Il delubro consacrato al rito del fuoco quando i persiani non ancora abbracciavano l’islamismo, è oggi l’abitazione di famiglia georgese. Noi però vedremo più oltre presso a Bakou tut- tora vigente la religion de’ Magi. Tiflis è il consueto luogo di transito di molti inglesi, che vanno alle Indie, oppur ne vengono . Non è raro il vedervi nell’ istesso giorno arrivar commercianti dalle pri- marie capitali d’ Europa. I forestieri alloggiavano per l’in- nanzi all’ uso asiatico ne’ caravanserai; oggi alcuni francesi 30 ed armeni vi aprirono alberghi all’ europea. La posta delle lettere che arriva e parte una volta per settimana, vi ar- reca in 28 giorni le lettere da Pietroburgo ; in 45 o 50 quelle di Parigi e di Londra. Il suo grado geografico a presso che uguale distanza fra le estremità orientali e occidentali del continente antico , fra 1’ Eusino e il Caspio, fra la Russia e la Persia, vi segna il vero centro del continente istesso ; il punto medio fra Asia e Europa, fra l’ Oriente e l’occidente. Laudevolmente secondato dal general Jermo- lof e dal governatore Vanhaven, il governo russo vi apre vie rotarie per tutte le direzioni. Compiuta è già quella che guidando a Kotai accenna alla foce del Fasi; e sovra essa fu anche stabilita la posta de’ cavalli. Un’ altra è presso a compiersi pl Caucaso ; lungo le sponde del Ciro wa apren- dosi una terza. Indi ecco già Tiflis in istato ad annodare relazioni, per la prima con le foci del Danubio, con Co- stantinopoli, con Odessa e perciò con l’ Europa intera; per Ja seconda con la Russia e le vastissime regioni asiatiche al nord del Caucaso ; per la terza in ultimo col Caspio, con la Bukaria, col Thibet, la Cina, le Indie, e la Persia. Attualmente le caravane vi pervengono in 15 giorni da Erzeroum e da Tauris , ed in 50 dal golfo persico. Ove il suo commercio progredisca ( e progredirà certamente) si po- trà rinnovar da’ moderni il trafficare degli antichi ; il traf- fico cioè da Kensi all’ Oxus; da questo al Caspio ; dal Ca- spio al Nero ; dal Nero al Mediterraneo e all’interno di Europa. Era questo il gran disegno ideato da Seleuco Ni- catore; quindi in parte eseguito da Giustiniano e da Co- sroe; e infine per quattro secoli attivato dalle incette delle produzioni indiane che gli italici nel medio evo facevan navigando nell’ Eusino e nel mar d’Azof. Ora il mercato di Tiflis è tuttavia incipiente per così dire; ma comecchè tale, addita però il grado cui può sa- lire, e cui salirà quando avrà ottenuto tutto il suo esten- dibile sviluppo. ll negozio vi è pressochè tutto in man di. armeni ; e questi da qualche anno in qua già compariscono ne’ diversi mercati europei. La fiera di Lipsia dell’ anno 1823 fu la prima a vederli in Luropa , ed a vender loro O PT ATI. 3I 600 mila lire di manifatture inglesi, francesi e germaniche da spedirsi in Asia. Doppia fu la vendita in quella del 1825 ; e se dobbiam credere al giornale di Francfort, nel. l’ultima del 1826 la quantità delle mercanzie spedite per conto di case di commercio tifline, ammontò a 2,800,000 lire. Tiflis adunque sarà l’ emporio mediterraneo in cui l’indu- | stria orientale ed occidentale verseranno le loro produzioni per farvi i cambi vicendevoli. Ma non più quivi ci soffermeremo; perciocchè non av- visiamo con coloro i quali vogliono tutto il sangue nel cuo- re , ossia tutta la vitalità di nina nazione nella sola sua metropoli. Percorreremo alquanto la Georgia; provincia , o, dicendo meglio, regno che alternativamente cadde sotto a turchi e persiani; regno o provincia che per questo av= vicendar d’ imperio tollerò crudissime venture finchè non venne in man de’russi. Nel 16r8 Chah-Abbas ne involava ottantamila famiglie, dispergendole ne’ più remoti cantoni della Persia. Altre ventimila ne traspiantò Aga-Mahomet- Kan nel 1795. A cotanto numero arrogi quello annualmente venduto in ischiavi fanciulli e donzelle; e si rimarrà stu- pito in qual mai modo siavi ancora popolazione in Geor- gia. Ascende essa oggi a 360 mila abitanti per lo più in- digeni , poichè v’ hanno anche armeni tartari e persiani ivi o nati o venuti, Saria malagevole anche ‘al men fisionomo il non saper distinguere al semplice aspetto delle fisiche forme gli indi- vidui di sangue nazionale da quelli di stirpe estranea. Il georgese d’alta e forte statura, di somma bellezza di per- sona, bellicoso , prode , ospitale sebben poco affabile, in- telligente ma ignavo, incurante delle ricchezze e degli agi , della vita, fa antitesi visibilissima con 1’ armeno men di lui grande ; assai men bello, pacifico quanto l’ altro è guer- riero, sobrio , industrioso , economico , ed oltremodo esperto in cose commerciali. Noi dicemmo che il commercio di Ti- flis è tutto in man degli armevi. Può dirsi lo stesso di quello della Georgia intera. Diverso dall’ uno e dall’ altro sì nella persona che nel- x l’ indole vedesi il tartaro fralle valli del Caucaso. É esso 32 abilissimo, ed è’ uomo di confidenza, a vettureggiar i cari- chi delle mercanzie ; è non men abile a dirigere le razze de’ cavalli. Per lo più pastore vive vita pressochè nomada migrando con la sua greggia verso i monti non appena spunta la stagion calda. Le donne rimangono ne’ villaggi intente a filar lane oppure a intessere tappeti , che bellissimi for- mano il genere di industria il più proficuo a quelle genti. In generale hanno costumi ingenui e arrendevoli que”tar- tari; son pacifici e subordinatissimi alle autorità . I russi non ebbero ostacolo veruno nel sottometterli al loro do- minio. Fra queste schiatte di tinte a vago incarnato è în ul. timo facile il riconoscere i persiani alla carnagione leona- ta, piccioli di statura , d’ occhio acutissimo , a capelli e barba del più lucido ebano. Son discendenti da que” loro avi stabiliti in Georgia quando era provincia della Persia. Orrido è il ritratto morale che ne pennelleggia il nostro viaggiatore. Sennonchè nel dipignerlo tale, memora che il persiano è ciò non ostante il popolo il più intelligente, il più ingegnoso , il più alacre e disposto ad apprendere ogni ‘ arte o scienza fra gli orientali tutti; ma che vede andar frustrati tanti favori della natura sol per colpa del governo che il vuol tale ; sol per colpa del governo che pose ogni sua politica a sempre più prostrarlo in deiezione d’ animo onde meglio opprimerlo. In tal maniera poichè vi son vizi sulla terra, non alcerto ne van sindacabili gli individui, e molto meno.i popoli, innanzi a Colui che sol volea virtù nel mondo creandovi l’ uomo da tanto a possederle tutte. La Kaketia la Samketia la Kartalinia sono le tre sud- divisioni principali della Georgia. La prima è la più ricca e ferace. Ivi le foreste posson dirsi pergolati continui; ivi la vite può chiamarsi l’edera di tutti quegli alberi, non es- sendovi tronco che non abbia il suo ceppo o sarmento . Queste vigne son spontanee e selvagge; però gli abitanti vi introdussero le coltivate a vignazzi. Più abbondanti in pascoli e cereali son le altre due provincie. Nella Samketia inoltre abonda il gelso; e perciò ricchissima vi è la ma- nifattura della seta. Nè meno abbondevole vi è la colti» 33 vazione del cotone ; la quale ove fosse alquanto aiutata dall’ arte potrebbe doppiarvisi più volte. Seguendo sempre il corso del Ciro, dopo le lande (steppe) di Kareye e On- padar che esso lascia a manca, si perviene là dove bagna le fertilissime contrade di Elisabetpol. Quindi entrasi nel Karabag famoso pe’ suoi cavalli, i più belli dopo i circassi. Quivi il Ciro si marita coll’Arasse ; e il clima vi è tepido a tal grado, che è sufficiente all’ottima vegetazione della pianta da cui si estrae l’ indaco ; nè v' ha dubbio che po- trebbevi ottimamente vegetare anche la canna dello zuc- chero. E finalmente sulla sinistra sponda dell’ ultimo sta- dio di quel fiume sta il Kirvan, al nord del quale è l’ Apcheron, promontorio saliente formato dal Caucaso che inoltra le sue vertebre estreme nel Caspio. Meridionalmente a questa punta promontoriale trovasi Bakou ; città che pur essa, al par di tante altre, ascrive la sua fondazione ad Alessandro. Era capitale di un prin- cipato tartaro e residenza di un Kan; oggi è dominio del moscovita. Il suo maggior commercio è in zafferano , ferro e petriolio. Viene scavato questo bitume in un cantone apcheronese , sul quale il governo russo si riservò il drit- to esclusivo degli scavi. La natura bituminosa di quelle terre aerizza un fluido infiammabile, onde è colà forma- to il fuoco eterno per tanti secoli adorato da’ settatori di, Zoroastro. “ Noi , dice l’ autore, non saremmo escusa- ,» bili se avessimo trascurato di visitare il monastero in ,», cui tuttora si professa un sì vetusto culto. È un vasto » edifizio quadrato, cinto da mura merlate , nel di cui ri- ,» cinto interiore son le celle de’ cenobiti. In cadauna di » esse veggonsi conficcati a terra tubi di argilla, all’ori- 3 fizio de’ quali basta approssimare una candela accesa, per ,, accenderyi subito il gas che ne evapora. Però il grande », altare del sacro elemento è nel mezzo di quel claustro; ;, e consiste in un basamento a scaglioni che forma una »» Specie di terrazza. Nel centro di essa è aperto un foro » a focolaio che continuamente arde ; e oltracciò ne’ suoi »» quattro angoli si inalzano quattro camini o fumaioli alti T. XXV. Gennaio, 3 Q n spit con le loro cime sempre ardenti, Una siffatta , perpetua combustione comunica all'aria che vi si respira 4 un odor acre ed intollerabile; ed è ciò forse che fa spa- , mati e malsani quegli anacoreti, Sono essi Indostani o Parsi ,» discendenti dagli antichi Guebri. Vi era anche un Cipaio ,i che era stato al soldo della compagnia delle Indie, e , che quando gli passavamo dinanzi , ci facea gli onori si militarì atteggiandosi all’ uso de’ soldati quando sono al x cospetto de'loro ufficiali, Io volli favellargli inglese , e sa fu invano, non remmentando esso che qualche vocabo- » lo. Parea caduto iu uno stato d’imbecillità completa ec. ,, Innanzì dì lasciar le terre al mezzogiorno del Caucaso fia pregio dell’opera di aggiugnere a’ ragguagli già memo» ratì anche la menzione del flagello da cui sono annual- mente sferzate quelle regioni; flagello che da qualche anno in qua sì sospìnse fin a sferzare la nostra Europa. Intenderà ognuno che quì parlasì delle locuste. Indigene della Tartaria sì gittano a sclamì verso occìdente ; e nelle loro migra- gìonì trascelgono con avidità la direzione alle contrade nelle quali la coltura fa trovar loro più largo alimento. Questa vorace e dìstruttrìce crìsalide adunque sbuca a folti nembi da'tartarì desertì, sorvola ìl Caspio , ed irruisce portando l’esterminìo d'ognì vegetazione per le provincie che le pri- me trova al tramonto dì quel mare. Però la natura la quale, a premunir contro all’aconìto , fa che sempre vi germogli a fianco ìl dìttamo , dispose che pedissequì dì tai soiami apparissero anche stormi dì uccelli che ne sono avidissimi. Sìffattì volatili chiamatì Tarby in lingua georgese son del genere. della paradîsea tristìs dell’ ornitologia. Ed a quel modo che l’Ibis veniva adorato în Egitto sol perchè distrut- tor dì serpenti , così del parì ìl Tarby è una specie di uccello sacro per quelli asiaticì : poichè per glì uomini è sacro sem- pre tutto ciò che è benefico, Soffermiamocì ancora alquanto prìma di dire addio a queste regioni, Quando l’amminìstrazione russa polendole e vìvificandole sarà pervenuta a farvi buttar profonde ra- diìcì aglì ordìnì civili ; quando l’ economia publica d’ Eu- ropa, monda alfine dalle scaglie fiacalì della barbarie avrà ri 35 reso il Danubio da Ulma alla sua foce liberissimo al com- mercio ed alla navigazione , qual’ è-al materiale corso delle acque ; quando infine l’ europea politica avrà ancora moa- date tutte le rive dell’ Eusino dalla pestifera presenza del- l’ottomano ; nullo dubbio non v’ ha neppure pel men pre- veggente , che la zona compresa fra il 42° e il 44° paral- lelo sarà il gran canale di comunicazione fra l’ oriente e 1° occidente. Ed animandosi questo vicendevole trafficare mediterraneo, sarà anche agevole ad ognuno il prevedere che la terra interposta fra il Nero e il Caspio, come quella che forma il cuore del continente antico, acquisterà la vita forza e floridezza che sempre trovasi nel cuore d’ogni buona macchina .sia naturale sia artefatta. Volgiamoci a borea. Noi batteremo un cammino in- verso al battuto dal nostro viaggiatore , il quale cumulando nell’istessa narrazione l’ itinerario di due snoi viaggi (6), ‘intreccia non senza una certa confusione il racconto. Nè infatti sa concepirsi perchè mai narri egli nel primo volu- me il suo secondo viaggio ed anche interrottamente, men- tre che poi consacra il volume secondo al suo viaggio pri- mo. Ma ciò non gli va addebitato da chi tien dietro a un viaggiante non già per contarei di lui passi bensì per udir le cose che va osservando. Discese egli adunque dalle pro- vincie rord-caucasee ‘in Georgia. Per noi che ci troviamo in Georgia »risaliremo in quelle provincie. Così facendo ne avverrà di seguire il natural filo topografico della parte d’Asia in cui rimanemmo , senza balzar con salto immenso per l’ intelligenza del lettore a punti remotissimi. Cennammo che fra le nuove vie rotarie , delle quali Tiflis è il nodo, fu quasi compiuta quella, che sormontando il Caucaso, accenna a’ domini russi al settentrione di que- ste montagne. Costeggia essa il Ciro che si passa a Mtzeta; città un tempo florida, quindi distrutta da Tamerlano; oggi appena albergo di ducento famiglie. Nella sua rocca, unica reliquia della sua prisca magnificenza , vedesi la cattedrale ad architettura gotica e con molte iscrizioni in favella geor- (6) Uno fattone nel 1819, l’altro nel 1822. 36 j gese. In questo stadio si incontrano non poche colonie te» desche , le quali molto bene posero a profitto in irrigazioni e macchine le acque del fiume. Al di là di Metzeta tro- vasi Ananour, città non men antica e non men decaduta della testè menzionata. Là incominciano i monti: in una gola aperta fra massi, altrove insormontabili ed imprati- cabili, è l’ufficio sanitario istituito a preservar la Georgia dalla peste che i turchi fan permanente in Anapa 0 Sou- djauk-Kale. Ogni passeggiero non munito del certificato di sanità è rinchiuso in osservazione nell’edifizio a ciò all’uopo. Proseguendo oltre , entra il viaggiatore nella vaga valle degli Aragui , ultimo vago residuo delle belle campagne che si son lasciate dietro. ‘ Nè l’Italia nè la Svizzera , ,s dice Gamba, hanno un cantone che più di questo sia romantico e pittorico. Una leggiera ondulazione di suolo, ameni poggi , villaggi e borghetti gai , colti campi, bei ,; verzieri, cascate d’acqua, il lucido smeraldo de’ prati, ,; greggie ed armenti che vi pascolano, formano uno spet- ,, tacolo oltremodo incantevole . E questo ridente catino ,3 appare tanto più bello in quanto che vedesi intorno in- ,» torno circuito da orridi alpestri monti con le cime per- ,, petuamente coperte di ghiacci ,,. Sortendone , ognun conosce che ha già toccato il Cau» caso. Man mano le montagne incontransi sempre più erme scabre ed elevate. Da Kakanr a Kobi la strada venne aperta nello spaventoso fianco d’erto monte , unico sito ove era apribile; d’onde mentre si hanno gli abissi sotto a’piedi, veggonsi sul capo i prominenti massi di rocce, nevi e ghiacci formidabilmente minacciosi a franar da ur istante all’ al- tro. Nelle vallate adiacenti abitano a destra gli Osseti, ed a manca gli Ingusci, popoli di sangue tartaro non islamiti nè cristiani. Son essi abilissimi a guidar vetture; e il no- stro viaggiatore laudasi molto di quello che condusse a sal- vamento la sua fra que’ dirupi. Infine sempre più salen- do in alto si perviene a Kazbec ; ove comecchè sul dorso di suprema elevazione , ne pare di essere nel fondo di cupa valle, vista 1’ altissima vetta caucasea che là torreggia gi- gante. All’ aspetto di quel masso arduo inaccesso imma- i 37 né, ogrior volteggiato da aquile e straordinarii avvoltoi, si ravvisa la rupe famigerata in cui la favola finse confitto Prometeo , sol perchè donava a’mortali l’utile fuoco rapito al sole. Mito alcerto inventato, ma certissimamente sim- bolo di arcano eterno vero ! Del vero cioè, che sia per fatto sia per opinione, sempre ed ovunque 1 sommi benefattori dell’ umanità non altra mercede ebbero pel beneficio se non quella d’ esserne le vittime ! Noi vorremo presto menar via il lettore da questa ster- minata congerie di balze burroni e voragini, magne lap'di degli sdegni e sconvolgimenti della natora. Senonchè nella loro orridezza eccitano esse la curiosità de’moderni per aver non solo esaltata la fantasia degli antichi a favoleggiarvi miti terribili, ma benanche per esser state teatro di non men formidabili favoleggiamenti ed eventi de’ secoli mez- zani. In una infatti di quelle orrende crepacce, in cui dice l’autore, non mai luce il sole e sembra essersi nel fondo di un pozzo, trovasi il castello di Dariel. Quivi è fama che albergasse una crudele principessa, chiamata Daria, la quale oltre al riscuotere un arbitrario pedatico, esigeva anche un altra specie di tributo da’giovani ‘passeggieri, colà ritenendoli, e quindi precipitandoli da que’ greppi quan- dochè avvenisse di nausearsene, Era insomma l’Alcina di quelle regioni e delle credenze di que’ popoli. Assai più che per tali volgari opinioni è memoranda quella fracas- sata stretta per evento istorico di altissimo momento. Era- no ivi le Pylae, ossien le porte del Cancaso. La custodia gelosa che i monarchi bizantini ne avean affidata a un te degli Unni, per vietarvi ogni ulteriore ingresso alle genti scite nelle provincie dell’imperio, è documento che per colà irruirono le caterve barbare onde fu inondato l’or- cidente . Più tardi, mentre mercanteggiava l’imperatore Anastasio I, a fine di darle in guardia a minor stipendio , un vigilante rivale, Cabade re di Persia , le sorprese e ne formò suo possesso. Con questo principe stipulò Giustinia- no il trattato di tolerar in comune il costo della custodia anche a fine di impedire ulteriori irruzioni. Vuolsi ‘ancora .che i Persiani edificassero dal Caspfo al Nero , e sulla ere-. 38 sta di quegli aspri monti lunga muraglia, simile a quella che dividea la Scozia dall’Inghilterra, o all’ altra che co- pria la Cina dalla Tartaria. Le Pylae venian barrate con enormi cancelli a doppie spranghe di ferro , che oggi veg- gonsi nel chiostro di Gaelaeth presso Kotai. Se fa mestieri prestar fede alle tradizioni popolari, furono i cancelli sud- detti involati da un re dell’Immirettia in una delle sue scorrerie, e riportati quale trofeo di vittoria. AI di là di sì orride forre e fauci si imprende a scen- dere ove il Caucaso acquapende a settentrione. Fra Dariel .@ Laars, onde poter ristabilire la via consolare, interrotta parte pe’rodimenti del Tereck, parte per le franature delle rocce, bisosnò forare un immenso sporgente masso ; e quel foro denominasi la grotta della Trinità, Sempre più scen- dendo; si arriva a Uladi, ragguardevole fortezza sulla de- stra sponda del poco anzi memorato fiume ; e' infine al- lorchè si è fuori della contrada montuosa perviensi a Mo- zdok. Questa città, che conta cinque mila abitanti, fu fon- data da’ russi nel 1763 È per lo più abitata da Armeni, ivi accorsi a rifugio nel 1795 fuggendo le atrocità del ferocissimo Eunuco Mahmoud-Aga. Stando sull’unica via rotabile, che mette in comunicazione le provincie a borea del Caucaso con quelle a mezzogiorno , avrà nel transito perenne sem- pre più alimento ad ingrandirsi. i Mozdok è al nord quell’istesso che Tiflis è al sud della grande catena delle montagne ; il nodo cioè delle strade, che a manca accennano alla Circassia , al territorio detto dell’ esercito del mar Nero , o all’altro di quello del Don, in cui veggonsi i migratorii campi de’ Kalmuki con tende di feltro; ed a destra guidano alla Kabardia, al Techetschen- si, e al Daghestan. Dividesi quest’ ultimo in settentrionale e meridionale. Nel punto quasi medio di queste due pro- vincie, le quali cingono il Caspio all’occidente, stà sulla riva del mare la città di Derbent, che anche essa onorasi d’esser stata fondata da Alessandro. Altri opinano che se ne debba la fondazione ad un re medo; che fortificolla il persiano Nouchirvan ; e che infine conquistata dagli Arabi, prese ad abbellirla il famigerato Kalifo Aaron-Al-Rascid fis- 39 sandovi la sua residenza. Comunque fosse, l'imponente giro del suo pomerio, la solidità delle sue mura, la magnificenza delle sue antichità dimostrano la vetustissima esistenza ed importanza di questa città. Presa da Pietro il grande nel 1722, fu quindi restituita a’ Persiani con una parte del Daghestan, e di bel nuovo riconquistata da’ russi nel 1799. Il suo terreno è ferace in robbia e zafferano ; il suo con- tado è abitato da tartari pastori ; indi è che vi abbonda- ‘no greggie ed armenti. I due Daghestan inoltre van rino- mati pe’ numerosi ed agili cavalli. Derbent è attualmente popolato da otto mila anime. I più son mussulmani set- tatori di Aly, Vi sono anche Russi, Armeni, Arabi ed Ebrei. Oltre a’ suddetti due rami primarii di vie che spiccansi dal tronco sul quale è Mozdok, havvene una terza ; la quale costeggiando il Terek fino a Kargalinkaia, non più segue un tal fiame in quel punto, ma torcendosi bruscamente verso tramontana , conduce ad Astrakan che siede sulla foce del Volga. Popolosa di quaranta mila anime questa città è bipar- tita in vecchia e nuova. Nella prima, costruita interamente all’asiatica, albergano Tartari Tnrcomanni Bukari e Kalmuki pur là alloggiati sotto tende di feltro , o tutto al più in baracche di legno. Ma nella nuova gli edifizii sono all’eu- ‘ropea;e pariicolarmente le strade furon fabbricate a porti- \ cato secondo il disegno di un architetto italiano che è tat- tora vivente. Chiamasi esso Digi o Bisi; ed a noi duole 5 Sh; di non saperne altro, onde più lungamente memorarlo in questo articolo a onore della sua patria, che spande le belle arti pur ne’ confini d’ Asia. Nella città nuova albergano i russi; i persiani, gli armeni, gli indiani, gli ebrei, i ed altri europei. greci, In uno de’ rioni della città, stà contiguo alla sponda del Volga il Kremlin, ossia la cittadella. Entro essa è la cattedrale ; in cui, dice il viaggiatore, ‘ non saprebbesi non s, ammirare abbastanza la magnifica pompa delle cerimo- ;3 nie secondo il rito greco. Le lunghe barbe de’ sacerdoti »; aggiungono un non sò che di venerando al loro augu- »» sto ministerio, La ricchezza delle perle e pietre preziose 4o 3, onde son ornate le loro mitre ; l’oro e l'argento degli ,» arredi sacerdotali ; i giojelli de’vasi sacri; la musica in- ,» fine gravemente modulata in coro ec. ec. tutto concorie » ad ispirare un religioso raccoglimento in chi vi assiste, ;,s ed a penetrarlo di un brivido di santo terrore.,, La religione greca vi è la dominante perchè è quella del governo. Ma il governo largamente vi tolera l’ eserci- zio pubblico dei culti di tutti gli altri popoli che vi abi» tano o trafficano. E comecchè vi sieno mussulmani setta- tori di Aly, mentre altri son seguaci di Omar, cattolici la- tini, armeni, protestanti, ebrei, e infine i Kalmuki che ado- rano il Dalai-lama , ciò non ostante tanti popoli di na- zione lingua e fede diversa vivono in pace, e commerciano fratellevolmente. L’autorità non va a molestar chicchessia nel santuario inviolabile della propria coscienza ; quindi ognuno sicurato in quello che ogni uomo ha più caro e ge- loso , vive queto con altri, vive ubbidiente alle leggi, vive fedele all’ autorità. Poichè parlammo di tanti e sì opposti culti, cade quì all'uopo di memorar due altre sette oltremodo singolari pro- fessate nell’ Astracania. Una è quella de’ raskolniski , ossia de’ veri credenti ; setta di severità estrema, e tale, che ap- po essa la rigidissima regola della Trappa potrebbe dirsi vita licenziosa. Havvene poi un’altra, la quale congiungen- do al fanatismo l’esaltazione furibonda, esige da quelli che vi si iniziano l’intera e più degradante mutilazione cui possa mai soggiacer l’uomo. Spontaneo vuolsi l’ atroce sa- crifizio ; ed a consumarlo si va da alcune vecchie iniziate che fanno l’ufficio di sacrificatrici. Acciò questa orrenda condizione non spaventi, e non arresti perciò il proseliti- smo, hanno l'abilità oppur la fortuna che niun pericolo segua all’operazione. Il governo russo volle troncare il ma- le, e sperò seccarlo nelle sne radici inveendo contro quei crudi fanatici mandandone alcuni a morte, altri alle gale- re, altri in Siberia. Ma si avvide a tempo che ingiganti- va il contagio con la persecuzione invece di debellarlo . Indi abbandonò que’ miserabili sciagurati al pubblico . di- spregio. Suprema e profonda lezione! Le idee non si spen» 4i gono con le teste, mà sempre più rigogliose ripullulano al- lorchè son fecondate dal sangue! Il clima di Astrakan ha fama d’insalubrità. Pur dopo accurate indagini fatte dal nostro viaggiatore, ebbe esso dati certi a poter asserire che l’ annuale proporzione fra’morti e i viventi vi è la stessa di quella di Parigi. Astrakan è l’emporio del Caspio settentrionale come Bakou lo è del meridionale. La Russia vi ha un grande ar- senale nautico ; ciò non pertanto l’armata che veleggia in quel mare, non consiste se non in pochi legni di guerra, niun altro potentato marittimo essendovi , che glie ne di- sputi l’imperio o la navigazione. Vi si sono anche intro- dotte le navi a vapore ; i quai navigli fanno ora assai più sicuro il navigare in acque, come quelle del Caspio espo- ste a procelle subitanee e veementissime. Tuttochè 1’ Astrakania stia sotto al 45.° grado di la- titudine, pur si pervenne a farvi allignare e prosperar la vigna. Larga poi vi è la coltura de’cereali. Ma la maggiore industria e rendita si trae dalla pesca sul Volga. È essa proprietà della corona. L’opulento greco Varvachi, che per molti anni ne fu il fittajuolo mercè l’annua somma di 500,000 rubli (7), fecevi fortuna immensa, e là ingi- gantì l’ opulenza sua. Attualmente l’ha a fitto un tale Sa- poikinikoff per annui rubli 900,000. Arrogi a siffatta som» ma i salarii per dieci mila pescatori che vi sono impiega- ti, non che i guadagni del fittajolo , e si avrà l’idea del reddito totale di quella pescagione. È essa che provvede l’in- calcolabile quantità del pesce salato necessario a tutta la Russia per le lunghissime quaresime della chiesa greca; Di la viene anche il caviale e la colla pe’bisogni e consumi d’ Europa. Atralkan fu sempre una città commerciante. Nel me- dio evo era scalo fra 1’ Asia e le città anseatiche. Per la via di terra e pel Baltico mandava le produzioni delle In= die in tutto il nord europeo, I Veneziani e i Genovesi ne traevan dall’altro canto dal mar di Azof le quantità ne- (7) Due milioni di framcli, 42 cessarie il mezzogiorno. Comunica già essa con Pietrobut- go per navigazione fluviale. Oggi il commercio vi è soltan- to di così detta commissione; mà vi si stabilirà permanen- temente; e allora si aprirà senza dubbio strada col golfo per- sico e col rimanente d’ Asia. D’altra banda il traffico già incominciato fra due limitrofi imperi (russo e cinese) si annoderà sempre più ; ed Astrakan ne sarà uno de’più flo- ridi anelli. Vi saranno dunque due mediterranee vie di co- municazione fra l'oriente e l’ occidente; una al nord cioè, l’altra al sud del Caucaso. Il nostro viaggiatore qui ci lascia per far ritorno in Francia; e noi qui lasceremo i nostri lettori. Pria di pren- der però congedo da essì ci piace esortarli alla lettura del- l’ opera di cui qui demmo epilogo , come quella che dà molta e minuta contezza de’luoghi i quali, oltrechè saran- no di molto momento per la posterità europea, son oggi teatro di guerra, cui non può essere indifferente ognuno che sia degno del nostro secolo. Quella guerra non è già fra la Russia e la Persia, bensì fra la civiltà e la barbarie , fra la gioventù ravvivatrice e la mortifera decrepitezza delle nazioni. Chi è dunque che potrebbe esitar ne’ suoi voti? Ci piacerà inoltre rammentare agli italiani che la com- mercial via mediterranea, di cui fu varie volte discorso, era quella degli industri ed operosi avi nostri. E giova an- che qui azzardare il pensamento , che Venezia e Genova vennero prostrate dal fastigio dell’opulenza, non già per- chè si superò il sì formidato capo delle tempeste, e fu aperto un nuovo passaggio alle Indie per l’ estrema punta d’Affrica , quanto perchè i turchi , espugnando Kaffa ed invadendo le altre coste dell’ Eusino , vi seccarono quegli empori di commercio e vita apertivi ed animativi da Amal- fitani, Pisani, Genovesi e Veneti. L’ opera del cavalier Gamba fu consacrata al patrio scopo di dimostrare i vantaggi sommi che il conimercio fran- cese può trarre trafficando per quelle regioni caucasee. ll viaggiatore cita a documenti gli esempi di molti francesi ed europei colà saliti a ragguardevole fortuna. Or niuno v° ha il quale ignori che l’Italia è pressappoco sotto la stes- 43 sa latitudine, e alquanto più prossima della Francia a quelle contrade asiatiche ; e che perciò debbono esser comuni alla prima que’ vantaggiosi profitti che l’autore dimostra conse- guibili dalla seconda. Onde sempre più animar l’intraprendimento de’nostri italici a tentarvi fortuna non va omesso , che il magnani- mo imperatore Alessandro , col memorato Ukase del 1821, oltre alla libera e protetta navigazione pel mar Nero, estese anche le sue larghe mire concedendo per la Colchide e la Georgia il transito a qualunque manifattura, facendolo quasi immune da ogni dazio. Grave, benchè inutile, specchio a que’ miopi di mente, che per cecità di sorte e flagello del cielo salendo dalla sentina del bargellato a timoneggiar gli imperi , non altro san delirar a favor del fisco se non barrar città , e gabellare al maggior offerente i regni. Rammenteremo infine agli italiani che florida e ner- vosa era la nostra patria, ogni qual volta nervoso e florido fu l'oriente; che popolose di 20 milioni d’ abitanti liberi e ricchi eran la Sicilia e Ja magna Grecia, quando l’ener- gia produttiva d’Egitto, Asia ed Ellenia vivificava i magni emporii d’ Alessandria, Tiro, Efeso, e Rodi; che in se- guito dell’incivilimento colà conservato o rinnovato dagli Arabi, purin Italia si videro Amalfi Venezia Genova Firenze e Pisa calamitar l’ oro di quasi tutto l’orbe cognito. Ogni italiano adunque ha il debito di accelerar co’voti e col con- corso il risorgimento orientale. G. P. BrocrariA vuniversare. Traduzione veneta. Presso G. B. Missiaglia, (*). I. Havvi certe opere dalla essenza lor propria desti- nate a non toccare nè men quel segno di perfezione rela- (*) Sono già stati pubblicati, di questa Biografia universale ,31 volumi, che giungono alle lettere LA-LE, come meglio si rileva dai nosivi Bullettini bi- bliografici , ove ogni dispensa viene regolarmente anuunciata. Sia lude al 44 tiva che agli vmani lavori è generalmente coneessa : onde sarebbe imprudente e dannoso il voler giudicarne o con soverchia severità, o con soverchia indulgenza. Ma il fine della cosa, può dirsi regola generale , è il criterio del pre- gio di lei: quando un’opera adempia innocuamente e suf- ficientemente il suo fine, ella è buona, per quanto grandi e frequenti ne appaiano o ne ‘sieno i difetti: quando no, fosse pure ‘elaborata con tutta la squisitezza dell’arte, e sorretta da tutta la vigoria dell'ingegno, non vale. Questa semplice regola, bene adoprata, verrebbe a ri- dirizzare molti giudicii torti, passionati, imperfetti ; a con- ciliare davvero molte opinioni divergenti o contrarie nell’atto che appaiono vicinissime ; ovvero concordi e unifotmi, nel- l’atto che appaiono attraversate da insuperabili difficoltà. Se non che la naturale, e, se può dirsi, l’artificial debo- lezza della mente e dell’animo umano, si ferma volentie- rissimo a trastullarsi co’ mezzi piuttosto che tendere al fi- ne; ond’ avviene che le più potenti volontà molte volte si sperdono in vane e puerili fatiche; e le menti più nobili si rabbassano ; senz’ avvedersi , al di sotto della linea vol- gare. E parlando più particolarmente delle opere dell’ in- gegno , il fine della scienza o dell’arte che si tratta, è s0- vente quello a cui manco si pensa: la superata difficoltà, la potenza d’ intelletto ostentata, lo sfoggio delle bellezze parziali, la falsa concezione d’ un tutto i paia armonico senza badare se questa armonia sia per sè grande o pic» cola; se dissonante dalla totale ed unica armonia delle co- se, sono i vanti de’ più fra gli autori , sono i criteri dei più fra’ lesgenti : que’ leggenti , dico , che giudicano di per sè ; che son cinque lab cento, II. Un’opera che contenga la vita di tutti gli uomini per alcuna qualità singolare distinti da quella che filan- tropicamente si dice urana razza, se non si riguardi al suo fine, per quanto diligentemente eseguita ella sia, dee trovarsi degna di censura in moltissime parti. A collocare benemerito editore sig. G. B. MissiacLia che con tale esattezza e puntualità adempie all'impegno contratto col pubblico. Le associazioni si ricevono sempre quì in Firenze presso il sig. Giuseppe Molini al prezzo di paoli 11 il volume. (Nota dell' Editore ) 45 tante notizie nel debito lume , non basta raccoglierle (stu- Ù . dio immenso), bisogna ordinarle in ispazio alquanto lumi- noso ed aperto: costringerle in breve tutte, e bene, sareb- be opera così ripugnante all’amor proprio degli autori, an- co i più virtuosi , che l’ impossibilità morale diventa quasi maggior della fisica; perocchè spesse volte a raccor pochi cenni e giustificarli sarebbe necessaria l’indagine di più mesi e la trattazion di più fogli. Se guardisi da questo lato, la Biografia francese, seb+ bene compilata da uomini, quasi tutti nel loro genere ce- lebratissimi , non può non trovarsi piena d’inesattezze , di superfluità , d’omissioni , d’ aridità, che non son certamente da incolparsi tanto a quegli uomini, quanto alla natura dell’opera stessa. Basta prendere in mano qualunque de’li- bri originali, che sono le fonti di quelle notizie , per ve- dere che qui non si esagera. E che perciò? Sarà la biogra- fia un libro indegno di traduzione e lettura? Basta pensare al fine di lei, per conoscerne l’importanza. II. Fuor della scarsa famiglia de’ dotti (che pare, al- men fin ad ora essere stata in Italia una razza d’ uomini segregata dalla umana, parlante un linguaggio, che il volgo mon ebbe mai la felicità di comprendere pienamente , ma che comprese abbastanza per annoiarsene ; disputante di grammatica, d’erudizioni municipali, di classicismo , e di simili novità), fuori, io dico, della famiglia de’ dotti, avvi un’altra famiglia, scarsa ancora in Italia, ma che già viene a poco a poco crescendo, la qual vorrebbe pur sapere qual» cosa , vorrebbe poter vintere le noie comuni con qualche noia un po’ straordinaria e minore ; vorrebbe entrare a parte di tante idee che pur toccano tutti essenzialmente gli uo- mini, e che non paiono, per diritto di natura, un privi- legio de’ dotti: tanto più che i dotti pensarono a posse- derle assai più che ad usarle per sè, ed a rivolgerle in sen- timenti. Bisognano adunque de’ libri anche per cotesta se- conda famiglia; e la biografia universale è un di quelli: e verrà dì che l’Italia comincierà sentire il bisogno dei libri anche per una terza famiglia più bassa (**). {®*) Abbiam detto altra volta che il modo di rendere proficua ai dotti 46 IV. Ci ha per altro de’pregi ch'è lecito desiderare an- che in una biografia, e a cui la nostra non pare abbia inteso: ma prima di veder quali, convienci esporre alcune idee intorno al metodo di scrivere in generale la storia. Avvi due metodi istorici ; l’uno semplice , e si con- tenta della perspicua ed esatta esposizione de’ fatti, senza divertirsi inindagini, conseguenze, applicazioni morali, po- litiche , filosofiche, archeologiche : l’altro non lascia sfug- gir passo notabile che non porti il giudicio delle cose narrate, dall’ attenzione alla meditazione, dal senso ma- teriale all’affetto. Lo storico allora entra in mezzo all’azio- ne come parlatore collocato più in alto degli attori che pone in iscena: questa figura può avere del magistrale e del pedantesco, del grave e del ridicolo, dell’utile e del noioso, del male più facilmente assai che del bene. Gli storici più antichi si trovano fuor della schiera de’ senten- ziatori: essi narrano, e lasciano lo svolgimento delle con- seguenze a chi sa trarle da sè, vale a dire a chi sa profit- tarne. Questo. sistema suppone un sistema d’ idee, (grande o piccolo ch'egli sia) ben fissato e fermo in quella società d'uomini ai quali lo storico parla: suppone che il sem- plice modo d’ esporre il fatto vaglia a condurre il lettore sopra la via di quelle verità, o a meglio dire di que’sen- timenti , che son come il sugo del vero istorico, e che si mutano, si moltiplicano, s’approfondiscono, col muta- re, moltiplicare , approfondir delle idee, delle relazioni, e de’ bisogni morali. Le società greche eran piccole , poche erano le loro relazioni interiori ed esterne ; ma i principii di que’ go- verni eran lucidi , aperti, radicati negli animi tutti , for- manti parte non solo della esistenza civile ma e della in- la biografia , sarebbe il mostrare le fonti tutte, o le più larghe almeno e più pure, da cui le notizie son tratte. Questa biografia di citazioni potrebbe formare da sè un preziosissimo libro. Verrà tempo , io spero, che gli uo. mini vorranno sapere un po’ meglio i fatti e detti de’ loro antenati, veramente grandi ; ameranno un po’ meno le frivole notizie del dì, che le eterne ve- rità, fatte quasi parlanti nelle azioni anche più familiari degli uomini sommi; vorranno , in somma , delle biografie lunghe, larghe , e profonde. Prepa- riamole noi; agevoliamole; facciam qualche cosa pei nostri bisnipoti. 47 . teriore di ciascun cittadino. Le storie greche dovevano adun- que esser ‘semplici, e le conseguenze de’ fatti dovevano es- sere un sentimento congenito ai fatti stessi. Ma quando i vincoli sociali si rannodano , si raggruppano, o per dirla più semplicemente, s’intricano; quando l’educazione prima non è bene atta ad abbracciar tutto l’uomo, ma lo divide e lo squarcia, a dir quasi, per prendere ora l’uomo fisico , ora l’uomo religiose, ora l’uomo morale, ora quello della fami- glia, or quello della città, ed ora quello della letteratura (che, per dirla in passando , è un tutt’altr’uomo); quando le pubbliche sventure e i delitti. e le lunghe tirannidi e le lunghe guerre, e le brevi paci, ed il corto ben essere, il qual non serve che a ridestare la febbre nel corpo civile già languido , hanno rintuzzato il senso morale della più parte degli uomini, e fattili sordi alla voce del pubblico male e solo sensibili al proprio; quando certi pregiudicii s’ incarnarono negli animi sì che da molti vengono ad es- ser creduti principii di necessità e di natura ; quando in somma l’attrito di certe idee le ha sformate , l’ attrito di certi sentimenti, invece di accenderli, gli ha, a così dire, polverizzati, allora l’ignuda verità non è sufficiente non dico ad iscuotere gl’intelletti, ma nè pure a farsi intendere bastevolmente : allora la storia è un deposito in cui si cer- ca tutt'altro fuorchè il destino dell’ uomo e i passi pro- cedenti o retrogradi della comune felicità : vuolsi allora l’ajuto dello storico che porti il cieco lettore con la mano sul fatto , poi gliela riporti sul cuore e gl’insegni ad in- terrogarlo ; vuolsi insomma una storia co’suoi lunghi com- menti , con le sue lunghe parentesi, con tutto il corredo d’ una morale che in tempi più fausti si sarebbe trovata se non noiosa ed inutile, almeno importuna. Perchè le con- siderazioni dell’ autore s’'attraversano, a dirla con Rous- seau, tra la mente ed il vero; e forzano il leggitore, an- che disposto a pensare da sè, il forzan, dico, a guardare la cosa dal lato in che piace allo storico di presentarla. Questa inclinazione ad ascoltare ed a credere tutto ciò che presentasi unito alla narrazione de’ fatti, è così naturale, che s’anche tutti gli uomini fossero nella rara potenza di 48 cogliere la verità tutta nuda e trarne di nuove conseguenze diverse dalle mostrate, nol potrebbero senza uno sforzo spiacevole e fastidioso. V. Questo principio ci dà la regola del metodo sto- rico da tenersi oggigiorno fra noi. C hecdhié possa parere a taluno dello stato presente delle nostre società, egii è ben certo che alcuni principii di somma utilità ed importanza son già passatiin giudicato,son fatti elementi essenziali della nostra civiltà, e già sarebbe così vano il combatterli come il propugnarli. Le storiche cose che spettano a questi prin- cipii, e ne sono la ragione, l’effetto, l’indizio , l’ anello, si dovrebbono esporre con tutta semplicità; senza dispute, senza sentenze, senza-tenerezze , senz’ odii. Quella è verità manifesta; il lettore al rincontrarla si gode di riconoscerla da per sè; e chi volesse condirla di sne dichiarazioni sarebbe così bene accolto, com’uno che presentandoti un vecchio amico venisse a gridarti : questi è quell’uomo1.... Le osservazioni minute, le brevi e avvedute chiose, gli epiteti significativi, le parche sentenze , le esclamazioni che sono ridicole se non indovinano un gran bisogno del cuore, e non empiono , a così dire, un gran vuoto lasciato dalla ignuda narrazione nell’ anima del leggente, tutto que- sto apparato ; difficile a bene ammanirsi e più difficile an- cora a ben collocarsi, si serbi a quella parte di storia delle cui lezioni gli uomini non hanno ancora profittato abba- stanza. Mi si dirà : è la più parte. To non lo so; ma ripeto, che in quella parte Liginiricon , che di teorica è già fatta pratica , e che di pratica è nuovamente e meglio convertita in teoria, quivi ogni sentenziosità dell’istorico. è pedante- è ria grossolana: sia detto i in pace di tutti quelli che si potreb=. bero offendere della nostra parola. si VI. Una storia al modo di Tacito, non sarebbe , 0s0 dire, molto desiderabile a’ giorni nostri. Il vedere e dipin- gere tutte le cose a un colore, l’annunciar con parole ar- cane verità alcuna volta comunissime ; il dire oscuramente in due vocaboli quello che in tre si direbbe chiarissima= mente ; il trarre da fatti troppo peculiari conseguenze ge» | neralissime ; il confondere quello che è proprio degli uo- A 4 mini in tutti i tempi con quello che pare allo litig. camente proprio del fatto, l’aver sempre qualcosa da ap- porre , non sarebbero pregi commendevoli assai. Non vo- glio già dire, che questo sia il carattere propriamente di Tacito; ma vorrei fare intendere, così dolcemente , che ci ha delle vie, per le quali non può camminare che un Gran- de solo. VII. Checchè sia del presente, pare a noi di poter pro- nunciare che verrà tempo nel quale le istorie si faranno un po’ più conscienziose nella indagine e nella scelta de’ fatti x che tronche (vale a dire accertate al possibile con lunghi studi) le discussioni erudite, si verrà di netto a quel che più monta; che la erudizione farà di sè mostra non nella minuziosità ma sì nella evidenza e nella rapidità del rac- conto; che molte saranno forse le note e le citazioni, ma lo stil della istoria conciso, vibrato, fervente d’un movi- mento di vita ; che ogni città di rilievo avrà la sua, quanto breve altrettanto importante e popolare ; che lo spirito di sistema ne sarà a poco a poco sbandito., perchè l’ esperienza avrà mostrato a quell’ora che un solo è il vero sistema, e consiste nel non eccedere in nulla; che per conseguenza nè il male avrà bisogno di molte sentenze per essere odiato, nè il bene di malte esclamazioni per esser conosciuto, nè gli abusi di un saggio principio vorranno esser difesi, nè le conse- guenze accidentalmente felici del male recate ad escusa del male stesso : che insomma tutti i fatti del medesimo ge- nere saranno veduti ad un modo , tutte le storie ( mono- tonia deplorabile!) coniate sopra una medesima stampa. E tutto questo quando sarà? Quando tutte l'altre arti della parola verranno condotte a questa urità che annun- ciamo ; quando la eloquenza non avrà che un soggetto, e il morale , il religioso , il politico non saranno tre fini di- stinti; quando la poesia non avrà che un linguaggio, una verità da insegnare; quando le arti sorelle avranno comu- ne con essa il dispregio di tutto ciò che non sia altamente vero cioè nudamente morale ; quando gli autori saranno premiati , non pagati ; gli uomini di lettere amici e non T. XXV. Gennaio. 4 50 settari, la filosofia consumata in assiomi , e la morale în affetti. E tutto questo quando sarà? Quando... Ma la bio- grafia ci richiama. VHI. Il difetto che a noi parve notabile in questa di Francia è certa aridità nello sporre cose importanti per sè, e per la loro singolarità relativa, e per le false conseguenze che i lettori inesperti ne potrebbono trarre. Ci ha, ripe- tiamolo , delle verità che bisogna calcare ancor bene, per- chè non si sono ancora corverse in succo del corpo sociale; ci ha degli equivoci che bisogna discernere; ci ha un’ideo» logia morale e politica, che bisogna revocare a’ principil. Lo storico ed il biografo non posson farlo e nol debbono che con una parola , con un motto , talvolta ( cosa nota- bile ) con una omissione: ma a questo modo ch’or dico, e possono e denno, Non c’ è mezzo tanto inefficace al pro- pagamento del vero, quanto la smania di voler sempre in- culcarlo, e con tuono sentenzioso e prolisso, L’esagerazione e prolissità sono i mezzi che molti de’ moderni predicanti prescelgono a dire le proprie ragioni a coloro che a questi patti non paiono troppo preparati ad ascoltarle. Avvi una semplicità tutta piena di fervore e di vita, una brevità per- spicua, eloquente , incomparabile: gli uomini vogliono es- sere posti sulla via della verità, non cacciativi ad ogni be} tratto con l’aiuto periodico d'un pugno o d’un calcio: bi= sogna annunciarla di modo che ad essi paia non tanto d’ap- prenderla, quanto d’indovinarla. Avvi anche, nol niego , una prolissità fecondata d’ idee, che sviluppa l’ idea me- desima con idee sempre nuove, che insegna non a guar- dare le cose tutte in un lato medesimo , ma la cosa me- desima in tutti i lati. Questa prolissità quanto difficile , tanto desiderabile , è forse ancora intentata : ma checchè ne sia, non è questa la prolissità che s’ addica alla biografia ed alla storia. IX. Un’altro difetto del libro che ci apre campo a digressioni sì spesse , pare un certo spirito di sistema, © a dir meglio di parzialità che predomina in certe sue par- ti. Il volere che l’uso del par che l’abuso di certe idee sia legittimo e santo , è senza dubbio un errore; ma il A - ol cosiiettatntte cette Si voler che l’abuso sia una cosa stessa con l’uso, il non “degnar di distinguerli , il carezzare quelle tradizioni isto- riche comecchè vaghe ed incerte , che danno de’ fatti la interpretazion più maligna, non è certo un merito, nè una virtù. Intendo bene che in sì gelosi argomenti la buona fede istessa non basta a difendersi dalle apparenze della passione : ma quando la buona fede è congiunta alla fer- ma volontà di mostrarla ( volontà ch’ è assai rara perchè richiede lunghissime indagini e abiurazioni continue di qual- che opinion prediletta o di qualche riguardo) è raro il caso che il leggitore ci possa cogliere in fallo di parzialità , nè sospettarne. tampoco. X. Poichè questo è l’articolo dei desideri e delle spe- ranze, non lascerò ch’io non ponga due voti ancora, che spero aver comuni con altri. Tutto ciò che appartiene alla fisionomia, alla figura, al tratto, alle esterne modificazioni di un uomo singolare dagli altri, è cercato e raccolto con certa naturale avidità che ogni buon galant’ uomo avrà più volte sentito in sè stesso. Io amerei dunque che a que- ste minuzie si desse nella biografia viemaggiore importan- za: sarebbe forse desiderabile che i ritratti che ci restano de’più riguardevoli si presentassero incisi questa verrebbe anco a formare una biografia di per sè , nulla meno utile della scritta. Nella fisionomia dell’ uomo potrebbe cercarsi il vero animo, la sua vita; da’ varii paragoni potrebbonsi trarre alcune conseguenze singolarissime , e forse più certe che finora non paia. Una galleria di cotali ritratti varrebbe a’ fanciulli ad apprendere senza noia sì la biografia sì l’isto- ria, che diverrebbero studi di curiosità e di trastullo. XI. Più importante ancora sarebbe il raccogliere con religione i detti notabili degli uomini sommi , che sono co- me l’epilogo del carattere e della vita. Anche pegli esa- gerati, o ne’ simulati, o ne” falsi , c' è qualcosa da appren- dere ; se non altro la cura e l’artificio che pone l’ uomo in generale, e in particolare quell’ uomo a nascondere certe cose, a mostrarne cert’ altre, Le azioni ( cosa strana , ma vera) le azioni talvolta sono indicii dubbi ed incerti; nella parola ci ha un non so che di potente, d’ arcano, di sa- 52 |: ero . Oltracciò , un detto solo basta talvolta a dar conto d’un libro ; basta a dipingere non solo un uomo, ma una nazione, ma un secolo. E gli scrittori? ( si dirà ). Che faremo di tutti i lor detti? come raccoglierli ? come conciliarli ? prima di tutto, come prestare lor fede? Qui resta un vuoto da riempire nelle biografie letterarie che si faranno : e fatte davvero daranno lo stato di tutto ciò che l’umano ingegno ha tentato finora, di ciò che ha fatto ; daranno i giudicii sinceri di tante fame esagerate o depresse; daranno il regolo delle fatiche, delle speranze, dei desiderii avvenire ; faranno, ciò che più mon- ta, un trattato pratico d’ educazione letteraria ; trattato di cui s’abbisogna. Anche un libro teorico sopra questo argo- mento, sarebbe pur bello ! L’egoismo che fu sino ad. ora il fondo, a dir così, della semplice letteratura, incomincia a dar Inogo ; s'incomincia a vedere che lo scrittore ha delle cose da dire a certi uomini, delle cose da tacere a certi altri, ha dei doveri da solvere , dei piaceri da accomunare : il buono incomincia a sentirsi insolubilmente legato col bel= lo; e la tradizione d’una virtù letteraria diverrà , speria- mo, sempre più operatrice fra noi, se l’Italia non giunga a tanto d’infelicità ed abiezione da dimenticare, nel corso degli anni , il venerabile e caro nome d’Alessandro Manzoni, XII. Si perdonerà questo metodo strano di dar conto d’ un’opera, senza dubbio importante , ma in cui le omis- sioni o gli sbagli non si potrieno notare senza entrare in lunghissime discussioni, o, a dir meglio, senza rifare gli ar» ticoli. Così della edizione italiana , quando avrem detto, che negli ultimi tomi usciti , le giunte del dizionario di Bassano sono le più, e dopo quelle, le meglio compilate son le. notizie bibliografiche del nostr’ottimo Gamba, avrem detto abbastanza. Lo stile della traduzione segue ad essere quale il trovammo nell’altro articolo. E pai che il presente vuol esser tutto concetto per idee generali, siane lecito il dire qui all’ ultimo: come due sono comunemente i difetti de’traduttori, e non parlo de’ men valenti : l’ uno il tra- durre alla lettera modi che nella nostra lingua non hanno nè colore nè evidenza, perchè non son propri dell’ uso di 53 Jeî : l’altro il volgere in perifrasi certe dizioni che si po- trebbono rendere con sola una voce e talvolta con la stessa francese, senza punto peccare di barbarismo. Queste idee si collegano ad altre più importanti, che svolgeremo in al- tra occasione. ‘ Ki ROM —__————Ò-egli gli. ito iuenio il Biblioteca d’ Arortoporo , tradotta dal Car. CompPacwonr. Nella collana degli storici greci di F. Sonzogno. . Le tradizioni mitologiche della Grecia e del Lazio fa- tono sino ad ora trattate o come materia bruta di gelida etudizione, 0 come soggetto di poesia rimbambita : ma il cammino tracciato dal Vico, e ch’ egli non tanto per forza di ragionamenti , quanto d’indovinamenti e di verisimili fantasie filosofiche , primo battè , fu lasciato senz’orma. Non si pensò ad ordinare in un tutto que’ monumenti di- spersi, a raffrontare le greche e le romane tradizionii con ciò che ne resta della credenza e della storia de’ popoli d’oriente e di settentrione, a dedurne senza spirito di par- tito, senza manìa di sistema, quelle conseguenze morali; politiche e religiose, le quali diventano presso che infalli- bili, postane a base una costante analogia, e certi assio= mi eterni che sorgono dalla osservazione attenta degli uow mini, e delle cose. E se taluno fece prova di così grandi lavoti, l’effetto ne venne frustrato in gran parte, perchè, piuttosto che dedurre il sistema da tutto l’aguregato de’fatti, vollesi piegare i fatti al modello di un sistema anteceden- temente formato; e la smania di trovare, per tutto, il prin- cipio che si cercava , fece, ora innocentemente ora no, travisare le cose o interpretarle a capriccio. E sebbene gli studii della erudizione incomincino a prendere una dire- zione più ferma , più filosofica, e più sincera; pure osia- mo affermare che non è il tempo ancora di raccogliere le varie membra della tradizione universale in un corpo : pe- rocchè prima di ciò converrebbe accertarne ben l’ esisten- 54, za ; nè questo si potrà, se non pongansi certe regole car» dinali, se non s’aprano certe strade maestre , che diriga- no tutti i passi .a meta comune in quest’antica ed oscu- rissima selva. Quindi è che il travaglio della erudizione non potrà veramente chiamarsi col nome di scienza, se non s’ estenda, s’accerti, s’ illumini col confronto e con la me- ditazione de’ principii ideologici da cui dipende lo studio delle lingue recenti ed antiche. Ma condotta la cosa a quel punto che noi diciamo, avverrà che le sparse reliquie del-. l’‘antichità quinci e quindi ricolte e deposte quasi in so- lenne monumento , darannosi l'una con l’altra splendore e lo rifletteranno sui lontani tempi avvenire : vedrassi al- lora come quelle verità che or s'insegnano a priori e so- stengonsi con una piccola serie di ragionamenti accessibili a pochi, e dai più fra que’ pochi revocati anche in dub- bio, le verità, dich’io, filosofiche e morali e politiche , dal testimonio de’popoli e dall’indelebile suggello de’fatti sieno state sempre e vengano ognora più confermate: ve. drassi che tutta la scienza umana non mette che a un fi- ne; e gl’intelletti concorreranno esultando alla partecipa» zione di questa sublime unità. Se la biblioteca d’ Apollodoro ci fosse rimasa intera, certo che quindi potrebbesi trarre ben ricca materia al la- voro che noi diciamo: ma, presa anche qual è, può. gio- vare al detto fine non poco. Il cav. Compagnoni che la tradusse all’ usato suo stile, non ci ha voluto lasciare di- giuni d’alcune fra quelle considerazioni generali che fe- condano i fatti e si fanno come scintille a’pensieri. Tutto giova frattanto a diffondere una luce, ch’è il dono ancora di pochi: e molto più gioverehbe, se quelli che tratta- no cosiffatti argomenti il facessero col brio di che gli orna il cav. Compagnoni. Al più de’ principii da lui posti ere- diamo che sia da assentire : quanto agli altri, ridurremo il nostro breve discorso a certi piccoli capi che sieno come una dichiarazione delle idee di lui, e delle antiche memo- rie lasciateci da Apollodoro. Alla cui lettura invitiamo tutti coloro ch’ amano di trovare ne' libri congiunta al diletto un’occasion di pensare. 35 Îl. La iafbvatono ron forzata rion trepida , ma rive- fente e di buon grado conosciuta necessaria, ad un Ente a cui recar le vicende della vita che serbano un ordine fisso e da umana volontà non dipendono, è dolce, per- chè concorde al dettato d’una voce interna, a cui l’uvumo può farsi sordo talvolta; ma che non può mai sopprimere. Se non che s turbata l’ armonia degli affetti, l’ uomo non trova più l'equilibrio dell’ anima in sè, si riversa sugli og- getti di fuori ; brama troppo, e il bramare soverchio lo stra- scina naturalmente al timore. Di questo veleno s’ imbee tutto 1’ uomo ; lo sparide sugli oggetti, e li annera. Quella unità ch’ei sentiva in tutte le cose, perchè riferivale tutte a quell’Io posto in mezzo di sè quasi nitido specchio, quella unità non gli è ormai più sensibile, perchè lo spécchio è appannato. rberbandì ancor viva l’idea di una causa supe- tiore, ei la vede per tutto ; ma fatto corporeo nelle sue imaginazioni, la moltiplica secondo gli oggetti. Chi disse che il timore ha creato gli Dei, disse vero senz’ avveder- sene. Il giusto non conosceva che un Dio perchè lo rive- riva el’amava : l’iniquo gli ha moltiplicati perchè lo temea. Ad ogni nuovo errore della volontà nuovi errori del- l'intelletto : a ogni nuova passione nuovi bisogni; ai biso- gni la necessità d’un aiuto superno : quindi novelle divi- nità : le nazioni crescono , si lontanano i tempi, le tradi- zioni si turbano , le fantasie si raffermano nell’ errore, la politica abusa della superstizione : i bisogni del cuore che figliano idelitti e le divinità, trasmutano in divinità a poco a poco i delitti; quel poco di v ero che nelle reliquie del passato era riimaso , sì perde di vista; lo spirito s’ affigge alla terra: e mentre la superstizione obbediente ad un in- timo senso, venera ancora un potente e ne trema, l’umana filosofia che non tocca coi sensi la ragion di quel tremito, sorge e grida con ischernevole autorità : non è Dio. Al su- perstizioso timore sottentra la cieca licenza: la deprava- zione non cessa finchè non si costituisca la legge della reverenza che all’ultimo è la legge d’amore. Son già due mil’ anni ch’ella fu promulgata nel mondo : e ogni qual volta il terrore vi s'immischiò, gli uomini si corruppero, si 56 ribellarono, vennero a dire co’ fatti che Dio non è. Que- st'è la storia di tutte le religioni e della nostra; questa la norma con cui, date certe circostanze , annunciare i no- stri destini avvenire. III. Egli è singolare a notarsi come l’ ordine delle vi- cende salibitive si trovi, quant’ era possibile , rinnovellato nelle politiche. La volontaria sommessione generata dal me- rito prevalente diè luogo alle prime signorie: ma siffatta sommessione dovea durare ben poco. L’ abuso della pro- pria libertà dovea trarre qualcuno a violare i diritti al- trui : fu necessaria la pena; fu instituita la forza pubbli- ca ; ilterrore a poco a poco successe all’ amore : l’obedienza diventò necessaria, poichè fu fatto impossibile ricusarla. Così gli eccessi de’ sudditi diedero agl’imperanti il periglioso diritto d’ esercitare la forza : così il vero tiranno d’un po- polo è sempre in origine il popolo stesso. Ma l'ambizione spingea gl’imperanti all'abuso : le re- sistenze vinte accresceano l'orgoglio; le sopite il sospetto ch’ è più malfattore dell’ odio. Il: maggiore si pose a lot- tare contro il soggetto , come contro un nimico; domato che l’ebbe a pieno , volle ritrarne quanti più frutti potea ; lo trattò come cosa. L'impero che Dio diede all’ uomo so- pra la terra egli lo esercitò sopra l’uomo : si pensò che gli stati fruttassero come armenti : la tirannide si diffuse nei minori ordini della società, che divenne un mercato d’ani- mali ragionevoli. Chi proponesse il problema : in quante idee , in quante leggi, in quanti costumi l’uomo sia stato considerato e talor si consideri come cosa: offrirebbe argo- mento fecondo di meditazioni acerbissime. L’abuso della forza produsse il solito effetto : gli ani- mi illanguiditi ripresero nella oppressione l’elaterio perdu- to : dall’eccesso della viltà si passò nell’eccesso della li- cenza, e si disse: Che diritti ha quest’ uome d’ attaccarci al suo giogo? L’inesperto orgoglio della corruzione rispo- se: nessuno : l’uomo è libero. Questa parola li parve ven- dicare d'ogni passata abbiezione: qual senso ell’avesse , nessuno sapea definirlo ; que’ pochi che ’1 prevedeano sì confuso , non eran sì malaccorti da volerlo annunciare. 97 Questa libertà senza scopo era lo spettro del nulla ; era una voragine che ingoiava i diritti più sacri, que’diritti che si volevano rivendicare. L’ esempio recente che n° ebbimo è troppo aperto; ma molte altre prove di questa smania di ricalcitrare al potere senza conoscerne l’essenza ed il fine, ci presenta la storia. L’unica via di tornare al men peggiore otdinamento è il tornare a quella sommessione d’ affetto, che sott’ al- tre parole e con termini più precisi è la teoria dei doveri propostaci dal buon Droz (*). Un collaboratore di questo gior- nale, ch'io nomino con senso di riverenza e d’amore, disse che la teoria dei diritti è più dignitosa che la teoria. dei doveri. Io non veggo come più dignitosa, se nel fine è la stessa: salvo ch’è più sicura ne’ mezzi. Gli abusi del po- tere non vengono che dopo gl’ abusi della libertà : dove questi non si correggano, quelli si potran forse sopire. per poco, ma per provocarli vie più fieramente. Non potevam separare la genesi delle novità religiose dalle politiche , poichè sono sì strettamente annodate. Il libro stesso d’Apollodoro, tutti i libri di storia, tutti i libri che trattano o esclusivamente politica o esclusivamente mo- rale, ci mostrano senza saperlo, e con lo stesso silenzio, questa essenzial congiunzione. E sarebbe argomento , co- mecchè delibato da alcuni , ancor nuovo , il cercare con quali regole e in qual proporzione le vicende religiose eb- ber forza sulle politiche ; e viceversa. In così delicata di- squisizione converrebbe lasciare intatti i teoremi che la storia non ha sciolti ancora, e non parlare di popoli il cui destino non è peranche fissato, ma solo di quelli che nacquero , crebbero , e, come nazioni , perirono: poichè su queste l’ ordine della Providenza è di già consumato. IV. L’ uso e Y’ abuso dell’ umana ragione diventano ne- cessariamente fecondi di molte verità e di moltissimi errori, che or fanno battaglia insieme apertissima , or pugnano sor- damente. senza che gli uomini e le nazioni se ne avvegga- (*) Vedi Antologia, N. go. Riv. lett. Za morale applicata alla politica, Firenze 1826 AI Gabinetto scientifico e letterario. 58 no, ed ora per certa strana infelicità de’ popoli si collegarid insieme, e paiono con forze opposte voler sospingere l'uo- mo ad un medesimo fine. Ma allora avviene ciò che veg- giamo ne’corpi, che tratti in due direzioni contrarie , ne vanno per una,di mezzo; e la via’, se le forze son pari, è precisamente la media , se no, s’attien più all’ una parte od all’ altra, secondo che l’una delle due forze prevalé. E siccome nell’uomo individuo non avvi moto della volontà nè azione dell’intelletto che caggia vuota d’efficacia, ma. tutte operano sopra ciascuna, e ciascuna su tutte 5 così nella gran persona sociale non avvi érrore di ragionamento o di fatto, non verità di pratica o di teoria che si perda nel vuoto: ogni verità ed ogni errore è come un germe depo- sto nel sen della terra , che pullula nel tempo suo , che fruttifica, e, 0 nutre, o avvelena? Secondo la forza de’ luos ghi, de’ tempi e degli uomini, questo germe è più o men lento a mettere: spesse volte il mal seme non ha nè sta- gione nè possa di sbocciare , ha ben possa di nuocere al crescimento del buono; e così viceversa. Coteste due forze opposte che tirano l’uomo, cotesta guerra or aperta or se- greta , cotesti effetti complessi di cause diverse, cotesti pe- riodi dello sviluppo di germi, chi sa da quanto tempo na- scosi? sarieno argomento a un profondo trattato che ver> rebbe ad essere come la chiave della vera storia dello spi- rito umano. Gli storici, i politici, i filosofi tutti, secon» do le inclinazioni dell'animo loro, si piacciono di riguat- dar nella storia de’popoli o il bene e la verità sola o il solo male e l’ errore: l’influenza dell’uno sull'altro, la lotta, la prevalenza, è argomento che chiede troppo rigore. di calcoli, troppa esattezza d’ osservazioni, troppa assenza di parzialità, perch’eglino se ne possano compiacere, E se a questo non mirano le nostre indagini, ogni collezione di fatti è una mole indigesta, ogni conseguenza che se ne trae è monca, falsa, e dannevole sempre: poichè la mede- sima verità, se sorretta da imperfetti argomenti , non può farsi che madre d’ errori. Se nell'errore si cercasse quel germe d’ abusata verità che ci è sempre; se nella verità si cercasse quel reale o possibile appicco all'errore che ci è 59 forse più spesso, gli uomini sarebber certo declamatori menò ‘sicuri de’ propri beni, e maen superbi disprezzatori del mal presente o passato. Da questo lato guardata la storia de’tem- pi favolosi ed eroici, e de’ popoli primi, offrirebbe a notare cose singolarissime e nuove. V. È perchè il corso degli errori religiosi è così stret- tamente legato con quel de’ politici, che sarebbe dannosa stoltezza il volernelo separare, osserveremo come ciò che intervenne nell’ origine del Politeismo , si rinnovi in al- cuni di que’ politici errori che afflissero ed affliggeranno le genti. : Quella unità del proprio Ente ch’è l'emblema della grande unità, di cui siamo l’ imagine, non potendo con- templar 1’ universo che in sè, nori può amarvi se non quel medesimo principio d’unità senza il quale non è percezio- ne perspicua. Ma quando l’anima, 0 per la soperchia at: tenzione degli oggetti esteriori o per l’ inquietudine inter- na.comincia' a rifuggire dal proprio sentimento, l’amore dell’unità a poco a poco s' affievolisce ; la moltiplicità delle idee che consegue alla civiltà dimanda certe grandi distin- zioni di piccole cose che sminuzzano sempre più l'opera- zion della mente. Diventa facile allora che queste distin- zioni si prendano com’enti realmente distinti; che invece di recar tutto al sentimento , l’anima rapporti e il senti- mento e tutto a certe serie d’idee , a certe categorie che non .sono in sè nulla, fuor ch’un aiuto al pensiero. Fuori di quelle categorie non si vede più vero nè bello nè uti- le :. più non si pensa, chè una parte comunque importante non può mai farla vece del tutto ; si cerca il bene nel- l'oggetto immediato che lo dà, non nell’intima causa che °l genera; si loda si cerca anche il malé, purchè paia pro- duttore di un bene; si abbandona tutto, per tener dietro a ciò ch’ebbe la forza di occupare la nostra debolezza ; si fanno sistemi parziali e però falsi; gli ufficii, gli affetti, le cure si suddividono ; ciascuna classe d’uotiuini non pensa che al suo ramo ed a sè; le arti , le scienze, le lettere innalzano l’ una contro l’ altra un gran muro di divisio- ne: e mentrechè in apparenza la società cammina con or- 60 dine irreprensibile, la parzialità, la debolezza, la dub- bietà., la discordia, l’errore la traggono a tanto più orri- bile quanto men sentita ruina. E siccome (per ritornare al principio della comparazione) siccome ad ogni bisogno fn destinata una propria divinità, e quindi avvenne che l’un nume all’altro dovesse trovarsi contrario, onde fu po- sto il cielo stesso in discordia ; così nella società, certi bi- sogni morali, politici, intellettuali occuparono certa classe d’uomini esclusivamente, e la fecero a tutte le altre classi inimica. Ma questi errori e peccati che traggono le genti a ruina non servono però che a fondare nuovi corpi più grandi, e preparare quella. universale unità ch’è il secreto bisogno di tutta la terra. Dalla unità prima e semplice, la qual pare impossibile a conservarsi fuorchè nello stato pastorale , la società naturalmente declina nelVistituzione del vivere agricola, che dà moto alle arti, suddivide gli ufficii ; acere- sce i bisogni, sviluppa le menti. Le menti ingannate da pri= ma, erranti dipoi per ogni specie di sperimenti e sistemi ritornano all’ultimo nauseate e stanche al principio ricrea- tore d’ unità, senza cui non è pace. Il sommo incivili- mento , così come il nullo mette al semplice : se non che la semplicità che risulta dall’ esperimento di troppe fra le umane cose, è uno stato quasi divino, a cui i pochi gran- di, cioè virtuosi, aggiungono sempre, a cui qualche na- zione comincia appressarsi, ma con lento sforzo e penoso. VI. I eontrarii si toccano: onde dall’uno all’altro sì passa ben leggiermente ; senzachè l’ umana mobilità e de- bolezza non potrebbe persistere neppur nel male. La sma- nia del suddividere, sminuzzare, e quasi dilaniare le co- se, dovea portar di necessità nel contrario pericolo di con- fonderne alcune essenzialmente distinte. FE siccome nel po- liteismo, le idee del potere buono e malvagio nel genere istesso furono attaccate sovente a una stessa divinità ; così nella politica nella morale e nella letteratura sì comme- scolarono degli elementi irreconciliabili. E di vero l’atten- zione ha bisogno di certi capi sommi, a cui tutto ridurre la scienza e la pratica; ora, perduto il vero centro, nom 6i resta che raccozzare alla ventiira i principii in apparenza conformi, e farne un tutto alla meglio. A non parlare che degli errori politici, questo pru- rito di tutto ridurre a certe leggi arbitrarie, dedotte dalle circostanze in cui s’è trovato l’ autor del sistema,’ è pur troppo comune. Ella è giusta osservazione dell’Haller, che i varlii sistemi politici tengono ordinariamente del carat- tere de’ tempi in cui furono imaginati: e basta ciò solo a mostrarne il difetto, Che le teorie debbansi dedurre da’fatti, è principio infallibile; ma che un genere solo di fatti ba- sti a formare una teoria, questo è ciò che moltissimi mo- stran di credere, e forse senza confessarlo a sè stessi. Un errore sì chiaro di logica, che sarebbe riprovato e deriso negli affari minimi della vita, non è sentito nei più rile- vanti : tanto è vero che l’uomo ne’suoi più sacri interessi trova un certo diletto a lasciarsi ingannare. Un degli errori in cui cade leggermente un facitor di sistema politico, che voglia e sappia anche, in parte, fare astrazion dal presente , si è il confondere i tempi. il cre- dere che tutti i popoli e specialmente gli antichi , si tro- vassero nelle circostanze medesime che i moderni ; per mo do che a questi convengano i vincoli e le libertà che si convenivano a quelli; eredere una bontà prevalente alla nostra in una età di cui poco si conosce, e. quel poco è, come sempre, commisto di bene e di male; credere infine che per condurre a perfezione la specie umana bisogni farla camminare all’ indietro. Platone, con quell’amabile semplicità che accompagna sempre la filosofia del sentimento, filosofia composta d’espe- rienza e d’inspirazione, insegnava troppi: secoli fa, che sic- come l'ufficio del pollice non è quello dell’indice, così nel go- verno domestico sonvi altre leggi rettrici che nel municipale; e così discorrendo. Ora il progresso delle società mostra chia- ro come il governo primo fosse per necessità di natura così esclusivamente domestico, che un legame più largo avrebbe spezzati anche i vincoli naturali ; come certa specie d°’ egoi- smo innocente che rifiutasse certa comunicazion degli estra- nei, fosse nell’ ordine picciolo di quella politica e nel gran= 62 d’ordine della univetsal Providenza. Questo egoismo dome-. stico diventò municipale col crescere delle famiglie in cit-. tà; diventò, nazionale col formarsi de*regni : e l’amor pa- trio de’ romani e de’greci non era all’ultimo che egoismo. Rousseau lo credea necessario alla felicità dello stato ; ma quella religione che ricreò la politica dimostrando tutti gli uomini eguali in faccia a Dio, par c’ insegni altrimenti. La legge dell'amore e d’un amore universale è ormai l’es- senza della politica vera ; e coloro medesimi che non la sen- tono, sono astretti a simularla fintanto che dovranno, eda cati dalle sventure, professarla davvero. Non si condannò adunque le idee, non si seambino i tempi, siccome fanno pur molti di que’ che dicono pro- fessare, teorie in tutto opposte alle teorie di G. Giacopo non si creda perfezionare il mondo addietrandolo. La cieca ammirazione è così pedantesca in politica come im lette- ratura, e conduce a dissomigliare in tutto da quelli che si voleano imitare. VII. A mostrar tutt’insieme come l'istinto di uniz- zare alla meglio le cose sia invincibile in noi, e come il bene passato non sia già modello ma piuttosto apparec- chio ad un bene avvenire, noterem brevemente il cam- mino che fecero le opinioni religiose sulla terra e ne*tem- pi. Alterata la tradizione pura degli avi, le genti divise come di suolo così di costume e di fede, serbarono pur le reliquie lacere dell’antica credenza. La Grecia, per la bel: lezza del clima trasse a sè abitatori e viandanti da tutte le terre; e quei che non attrasse, cercò ne’ suoi viaggi di com- mercio, nelle sue belliche imprese, nelle spedizioni di sue colonie, ne’ suoi filosofici peregrinaggi : tutte quasi le tra- dizioni de’ popoli varii lasciarono in lei qualche cosa del suo: quindi in Grecia quella massa incomposta di mitolo- gie diversissime e fra sè ripugnanti. L’imperio di Roma as- sorbì la greca grandezza , e tolse almen per erudizione e per abito di contatto le sue opinioni i suoi numi. Ridotta gran parte del mondo d’allora a quella terribile unità di tirannide, le opinioni religiose e filosofiche si commeschia= rono ognora più, le credenze de’ vari popoli si raccosta- 63. gono : in quella confusione erano i germi delle grandi ve- rità, dalla prima tradizione commesse all’ infida memoria de’popoli. Venne il Cristianesimo a sviluppare que’ germi, a ordinar quell’ incondito e spaventoso miscuglio : e la fa- cilità con la quale ei si sparse fra tutte le genti, deesi, gred’io, a certi punti di contatto che le vecchie tradizioni mitologiche d’ogni terra sexbavano con la nuova legge di ‘speranza e d’amore. Così la bella Grecia fu come un sa- ero deposito delle credenze di tutta quasi la terra: e con ‘questa avvertenza considerati, i monumenti di quel popolo e il libro stesso d’ Apollodoro, presentano considerazioni gli qualche novità ed importanza. Bit i rupi Aper tura in Parigi dell’ insegnamento di geometria e meccanica applicata alle arti, Il sig. Carlo Dupin inangurava il 30 dicembre 1826 nell’ anfiteatro del conservatorio la nuova cattedra di geo- metria e meccanica applicata alle arti. Un numeroso udi- torio avidamente attendea l’ orazione del professore , cui va Ja Francia debitrice di un novello istituto , del quale è impossibile il calcolare o prevedere gli immensi e felicis= simi frutti. Ciò che più parea notevole era il non vedervi que’ grandi personaggi, coll’ invito de’quali suol sovente un cattedratico far brillante l’apertura del suo insegnamento. Ù nobili , i dotti, i ricchi non maggioreggiavano fra gli uditori; appena anzi se ne distinguea qualcuno in cotanta moltitudine. Formava la folla uno stuolo di allievi di tutti i mestieri, di studenti di tutte le professioni, e di giovani sud-americani, venuti in Europa ad erudirsi, per quindi saper ampliare l’erudimento nella loro patria. Questo ge- nere di udienza parve a’ nostri sguardi il premio massimo che potesse Dupin avere de’ suoi sudori, non che un pe- gno di bella speranza nell’avvenire della nostra industria; ed ove il soverno, che onorò sè stesso proteggendo l’ isti- tuzione della nuova scuola, fu ragguagliato dell’effetto mos 64 rale apparso in quell’ adunanza , avrà saputo con quale xziconoscenza, e con quanti plausi udissi il nome dell’ Au- gusto erede del trono , ed il racconto degli attì benevoli di alcuni ministri. Non concorrevano a siffatto spirito ed entusiasmo nè memorie, politiche , nè influenza di nomi o di opinioni ; ma si salutò come benefattore ed amico chiun- gue giovò al popolo ed alle arti. Nè va omesso di notarsi che tutta popolare era quell’ assemblea ; la qual cosa è va- lentissima a far intendere quanto sarebbe facile il ben go- vernar lo stato sol mettendosi al centro degli interessi ge- nerali con vigorosa fermezza, onde accorrere a tutti i bi- sogni nazionali, senza punto essere in sollecitudine per le speranze o i risentimenti delle fazioni. — Ivi si vide ancora come gli uomini , qualunque essi sieno, mostransi, non appena che son riuniti, degni e ca- paci di tutti i sentimenti generosi , di tutte le idee subli- mi. Ogni qualvolta il professore infiorava la sua orazione tuttochè fuggitivamente con qualche grave pensamento religioso sul meccanismo dell’ universo , o sull’ ordine sta- bilitovi dalla Divinità, o su’destini dell’uman genere e i doveri di questa vita, quell’uditorio d’artigiani, pria mo- stravasi penetrato da pio raccoglimento ; quindi prorompeva in plausi. Chiaro è dunque che il coltivamento dello spi- rito lungi di depravare il cuore, come staltamente asseri- scono gli stolti, educa le classi popolari ; e che la morale non solo nulla perde, ma molto guadagna quando la reli- gione è confortata dalla dottrina . Ecco il solo ed unico mezzo di prevenire ogni periglio dell’ ordine sociale; spe- cialmente oggi che per l’impulsione data all’ industria vi è con quell’inevitabile commercio continuo fra persone di ogni ceto, età e sesso, un terribile germe di corruzione . Voi non potete loro impedire che si famigliarizzino, che discutano insieme, e perciò che si comunichino i dubbi ri- spittivi e i falsi raziocini. Affrettatevi dunque di nentraliz- zare il veleno con l'antidoto , e salvate gli uomini illumi- nandoli . Il discorso inaugurale del signor Dupin è il più vigo- roso argomento che sia stato finoggi contrapposto agli ini 65 mici della popolare istruzione. Dimostrò egli nella prima parte la possibilità ed il modo onde far intelligibili da ognu- no i veri matematici anche più astrusi. Quindi espose co- me in ragione che le facoltà intellettuali si applicano alle più materiali operazioni, sale ogni professione dal grado di mestiere a quello di scienza o di arte; nel qual ragionamento ‘cita l’ esempio degli ingegneri e de’ cerusici, i quali hanno oggi nella Società un posto seientifico che non avevano un tempo. Progredisce in seguito a dimostrare, che acceleran- do lo sviluppo mentale degli artigiani, non punto è te- mibile, come alcuni opinano , che sospingansi gli nomini fnori dalle loro condizioni per venire ad inquietar quelli delle altre col di loro pretendere; ma sibbene educasi una classe intera di cittadini; si fortificano in questi le idee di ordine e stabilità sociale ; si inspira finalmente in essi il sentimento della propria dignità con la coscienza della loro cooperazione alla potenza e floridezza dello stato. Così com- battendo i diversi pregiudizi VP oratore si incontra con quei capi-manifattori, i quali vorrebbero che gli operai stazio- nassero nell’ ignoranza, onde averli più dipendenti ; e at- tende a trarli d’inganno dimostrando quanto gli interessi e propri e della nazione son meglio fatti e favoriti da uo- mini, ne’ quali l’abilità pratica sia diretta da una intel- lisenza più colta. Ein ultimo, elevandosi a considerazioni di molto maggior momento, tratteggia un quadro compa- rativo della civiltà fra la Francia settentrionale e la meri- dionale. Noi qui lasceremmo che il professore istesso par- lasse , ove potremmo riferir tutto il suo discorso; ma i li- miti in cui siamo danno sol luogo al frammento il più im- portante. Questa nuova statistica morale dileguerà infalli- bilmente molte indebite prevenzioni , ed incoraggirà il go- verno a proseguir nell’ impresa via. Essa servirà anche a stimolare una nobile rivalità fra le diverse provincie del regno. Nè sapremmo descrivere il profondo senso da siffatte momentose rivelazioni prodotto nell’ uditorio. Accendevasi l'entusiasmo quando nella dipintura delle nostre più flo- ride regioni se ne mostrava la causa sol nella loro mag- T. XXV. Gennaio, 5 66 giore istruzione ; laddove traluceva un sentimento di pietà prc ad indignazione per que’ dipartimenti, ne’ quali tutto languisce per causa dell icneragra) Frattanto, aggiu- gnea Dupin, una e la stessa è la Francia da’ Pirenei alla Manica, e francesi sono egualmente sì quelli che abitano verso borea, che gli altri i quali domiciliano verso il mez- zogiorno . Con eguali cure potrebbonsi ottenere eguali ef- fetti ed al mezzogiorno ed a borea...... Però lnsbsio che pero ei medesimo. ‘ Eccovi una nuova carta della Francia; in cui con tinte graduatamente ombrate son disegnati i differenti gradi di erudimento o ignavia delle nostre provincie. “ Là ove il decimo della popolazione frequenta le scuo- le primarie vedrassi la tinta indicata col numero 10. Ne’di. partimenti poi ne’ quali le scuole son frequentate dalla ven- tesima parte degli abitanti, si vedrà l’ ombratura contras-. segnata col n.° 20. E in seguito , così procedendo , si po- tranno scorgere provincie ombratissime con un colore che ha per distintivo il numero 229 , poichè in esse appena la 229 parte del popolo va ad erudirsi negli elementi. << Mi si chiederà al certo con sorpresa se vero sia mai che in Francia v’ hanno dipartimenti in cui fra 229 indi. dividui contasi appena un solo allievo? Sì o signori ; e ve. n’ha anche di quelli assai più incolti. « Ma avverrà ciò forse nelle lande della bassa Bret tagna o fra le agresti gole delle Alpi e de’ Pirenei? Nem- meno o Signori. La bassa Brettagna non indietreggia tan- to, ed ha le sue scuole frequentate dalla 222% parte della popolazione. Quanto agli abitanti poi delle Alpi e de’ Pi- renei, essi possono venir annoverati fra coloro che han mag- giore istruzione ; poichè null’ altro dà più energia morale agli uomini che il bisogno di aver sempre a lottare con una natura scabra ed ingrata . Quella parte ignavissima , ove il solo 229° del popolo si erudisce , esiste nel centro del reame ; in un largo bacino fecondato da cielo dolce e sereno ; nella regione della vite, del gelso e del gran turco; sulle sponde di un fiume magnifico ; là infine ove si dice che è il giardino della Francia ; in Turrena. I CT 6 ‘ Mirate al contrario la patria del grande du il Bearnese. La graduazione vi dirà che il 15mo degli abitanti va ad istruirsi alle scuole elementari. E ciò avviene limi- trofamente ad uno stato, già detto gli orti Esperidi, i giar- dini dell’ occidente ; di uno stato del quale , alla foschis- sima tinta, intenderete e la crassa ignoranza , e il nome, senza che io il dica. “ La fertilità dunque del suolo e la morbidezza del clima nulla faano all’ erudimento delle nostre provincie . La loro rispettiva energia morale, più o meno sviluppata, produce essa sola quelle enormi differenze che i variati co- lori vi fan discernere, e vi sorprendono nella carta che ebbi l’onore di esporvi. «« Notate quella linea nera , che tratteggiata da Gi- nevra a S. Malò, divide il reame in due parti. Nella set- tentrionale contansi 32 dipartimenti e 13 milioni d’ abi- tanti ; nella meridionale 18 milioni d’ abitanti e 54 dipar- timenti. <« Intanto i 13 milioni d’ abitanti inviano alle scuole 740,846 allievi; ed i 18 milioni appena 375,931. Indi av- viene che per ogni milione d’ individui il nord della Fran- cia ha 56,988 fanciulli intesi ad addottrinarsi, ed il mez- zogiorno 20885. Perciò l'istruzione primaria è nel mezzo- giorno tre volte minore che nel nord, « Nè ciò basta. Voi vedrete quinci a poco le mo- mentosissime conseguenze di questa disparità di addottri- namento, H << La Francia boreale a malgrado del rigor del clima, che non vi fa allignare nè 1’ ulivo , nè il gelso, nè il ce- dro, nè il melarancio, e che franda della vigna la Nor- anandia , la Piccardia, l’Artois, la Fiandra e le Ardenne, ha ciò non ostante , sol perchè la generalità del popolo è più attiva perchè più istruita , un reddito prediale di 127,634,765 lire sovra una superficie di 18,692,191 ettari di terre prive de’ testè disegnati ricchi capitali. All’oppo- sto la Francia meridionale con 34,841,235 ettari di terre ben altrimenti ricche e feconde, dà al fisco 125,412,96g lire di contributo fondiario. 68 < In tal modo l’erario dello stato riceve dalla Fran- cia colta 6,820 000 lire per ogni milione di abitanti ; nel mentrechè sopra la stessa proporzione non ha che 3,599,100 lire dalla Francia ignorante. « Mi si obietterà forse che la ragione fra il reddito prediale e il netto, è più considerevole ne’dipartimenti nor- dici che re’ meridiani. Alla quale obiezione risponderò che avendo io calcolato la differenza generica, ho trovato pa- garsi da’ primi un ventesimo di più di quello che pagar dovrebbero per essere in proporzione de’ secondi ; differenza troppo lieve perchè mai non attenui le conseguenze che ne abbiam dedotte. « Aggiugnerò inoltre che anche due ventesimi di più non punto son di molestia perchè i dipartimenti settentrio- nali paghino i loro contributi con maggiore facilità di quella con cui son pagati da’ meridionali, i quali non hanno la stessa industria , il medesimo commercio , e perciò uguale numerario. ° Il fisco adunque può senza molta marmorazione dei contribuenti esigere maggiori contributi ne’ paesi ove col maggiore erudimento vi è più produzione . La superiorità de’ publici redditi nella parte più istruita della Francia è oltraciò notevolissima nel ramo delle patenti che all’istessa ragione prelevansi per tutta la superficie del reame, « In siffatto ramo i 32 dipartimenti danno al tesoro dello stato 15,274,456 lire ; ed i 54 appena g9,623,733. « In conseguenza, grazie ad una maggiore industria effettuata da più grande istruzione , soyra ogni milione di abitanti della Francia nordica, il dritto delle patenti frutta 1,174,958 lire ; mentrechè lo stesso diritto non cava da ogni milione di francesi meridionali se non 534,052 lire. “ Se riepilogheremo tutti i contributi diretti avremo che per ogni millione di ettari, la fiscale percezione è Nel nord Nel mezzogiorno Prediale 6,820,000 L. 3,579;700 L. Patenti 817,000 ,, 276,216 ,, Totale 7,637,000 L. 8,955,916 L. dn nr TTT oe LA eo 6g lo che equivale al dire, che un milione di ettari paga nel territorio nordito precisamente il doppio di ciò che la stessa superficie di terreno rende nel meridiano. E qui si noti che la medésima proporzione osservasi nel numero degli allievi delle scuole. Il nord vi invia 740,946 discepoli ; e il mezzogiorno 375,931. « Ove le famiglie fossero tassate in ragion de’fanciulli delle scuole, risulterebbe che quelle della Francia setten- trionale contribuiscono 10 lire e 31 centesimi per cadaun fanciullo allievo sovra ogni milione di ettari; e che pre- cisamente la medesima somma di 10,31 per discepolo vien contributa dalla meridionale. Questa esattezza di rapporto fra l’erudimento e il reddito sorprenderà ognuno che 0s- servi. « Quindi ecco pel governo na dimostrazione senza alcuna apponibile nullità, dell'immenso vantaggio che può ritrarre facendo col progresso dell’istruzione ampliare i te= sori dell’ agricoltura e dell’ industria. ‘“ Saggiamo ora di trovar le esatte misure del progresso delle arti nelle due divisioni della Francia fralle quali an: diamo facendo la comparazione. “ Dal 1791 in qua furon dati per gli abitanti de’ 32 dipartimenti 1689 brevetti di invenzione ; ed appena 413 per quelli degli altri 54. “ Le scuole di Parigi ne porgono occasione di fare un confronto assai più notevole. In ogni anno l’università de- creta un dato numero di primi premii , di secondi , e di accessit. Non annoverandovi i fanciulli delle famiglie pa- rigine (come quelîi che stando in casa loro hanno maggior comodità di frequentar la scuola , e farebbero col loro nu- mero un trabocco troppo favorevole a’ dipartimenti borea- li) avremo 107 allievi premiati ne’32 dipartimenti, ed ap- pena 36 negli altri 54. « Nè ciò è tutto. Nelle suddette 143 ricompense, tro- vansi 37 premii e 106 accessit. Or de’37 premii, ne ven- nero guadagnati 33 da’ fanciulli della Francia nordica , e soli 4 da quelli della meridiana. Ne’ collegiì dunque i pre- 70 mii sono pe’ discepoli de’ dipartimenti settentrionali, e gli accessit per quelli de’ meridionali. : “ Volgendoci all’istituto politecnico avremo uguali 0s- servazioni,. Chiama esso con equo concorso da tutte le scuole del reame giovani candidati, che abbiano cognizioni non comuni di matematica e letteratura. Il registro degli al- lievi ammessi in questa famosa scuola mostra, che per tre- dici anni consecutivi fra 1933 alunni, 1233 eran nativi de’ 32 dipartimenti a settentrione , e 700 de’ 54 al mezzo- giorno. Nè con ciò facciasi il torto alla gioventù del mez- zogiorno .addebitandola d'esser men atta della nordica alla coltura delle scienze ; imperocchè se vi abbisognano 7966 allievi delle scuole primarie de? 32 dipartimenti onde darne annualmente uno alla scuola politecnica, ei bastano allo stesso ufficio 6961 allievi di quelle de’ 54 dipartimenti. “ Niuno alcerto negherà all’ accademia delle scienze ladebita testimonianza che essa rinnova i suoi membri sce- glierndoli con equità indipendenza ed imparzialità indistin- tamente fra tutti i dotti della Francia. E intanto anche essa depone in favore della maggior coltura delle provin- cie boreali. Di 65 accademici che la compongono , 48 na- cquero nelle provincie suddette; 17 soli furon dati da’ 54 dipartimenti men colti. In conseguenza per dare alla Fran- cia un membro dell’ accademia delle scienze vi abbisogna- no 15434 allievi nelle scuole del nord , e 22113 in quelle del mezzogiorno. << In fine ho serbato per ultimo esempio di compara- zione quelle ricompense che annualmente accordansi nelle esposizioni de’ prodotti dell’ industria. « In quella del 1819 ecco la proporzione de’ premii. 32. Dipartimenti: 54. Dipartimenti. Medaglie d’oro. 63 26 id. d’argento 136 45 id. di bronzo 094 36 e —-- Totale 293 107 L Non diversi risultamenti si ebbero nell’esposizione dell'an- no 1823. « E notisi o signori che questa proporzione fra le me- daglie è uguale a quella che vi è fra gli accademici. Gli abitanti del nord che diedero 48 membri all’accademia eb- bero 293 medaglie ; quelli del mezzogiorno riceverono 107 | medaglie perchè diedero 17 membri all’accademia. ‘ Da qualunque lato dunque o signori vorremo noi riguardar la Francia, secondo la divisione che ne facemmo, sia contemplando l’agricoltura e il commercio , sia seguendo la popolazione e mirandola o nelle scuole primarie, o nei collegii, o nell’istituto politecnico, o nell’ accademia, o infine nelle ricompense date alle invenzioni nelle arti e nell’ industria; ovunque insomma troveremo una diversità fra il settentrione ed il mezzogiorno, analoga al rispetti- vo grado di coltura delle due divisioni. Agli sguardi di co- loro che sanno comparar le cause con gli effetti, questa costante uniformità di risultati, questa superiorità in ogni genere che vedesi dominar nella parte del reame ove la po- polare istruzione è più progredita, dimostrerà evidentemente il sommo vantaggio che l’ istruzione istessa va arrecando a’mestieri alle arti alle scienze alle fortune private ed alla prosperità pubblica. ‘“ Anche nella parte meridiana si osservino più indu- striose ed opulenti quelle provincie nelle quali il popolare erudimento indietreggia meno. Quali infatti sono i dipar- timenti ove meno ignorante è il popolo? Quelli ove è Lio- ne, rinomata in tutto l'universo per le sue magnifiche fabri- che ; ove S. Stefano mostra tutto ciò che di più ammire- vole può produrre l’industre indole de’ nostri abitanti me- ridionali ; quelli della Droma, delle alte Alpi, dell’ Isera, di Valchiusa, e del Gardo , e dell’ Herault, e dell’ Auda celebre per le belle fabbriche non che per la florida agri- coltura. Son quelli infine degli alti e bassi pirenei dove veggonsi la medesima energia e le medesime virtù delle alpi ec. ec. “ Voi stessi il vedete o signori: una metà del mez- zogiorno ne rivela ciò che tutto il mezzogiorno potrebbe 72 essere, e l’ utilità che ritrarrebbesi propagando ovunque l'istruzione, e soprattutto in quelle contrade nella carta in- dicate con foschissime tinte ec. ec.,, Noi vorremmo aggiugnere a questo ragguaglio cotanto istruttivo il resto di quell’ eloquentissima orazione. Noi vor- remmo anche saper dipingere la commozione, eccitata nel- l'animo dell’ uditorio , quando l’ oratore narrava lo spetta- colo degli infelici operai di Salins, i quali tostochè fini vano ili loro cierialiche lavoro sulle ruine della loro pa- tria, riunivansi intorno ad un ufficiale d’ ingegneri per udire e apprendere insegnamenti pratici. Una tenerezza mi- sta con ammirazione invase il cuore di tutti. Ed era ri- servato ad una popolazione ammiserita di far arrossire i con- sessi municipici di due città ragguardevoli ; di Grenoble e Nancy cioè, ove degni professori videro rifiutate le loro ge- nerose olferte gratuite di pubblico insegnamento agli ar- tigiani. Il signor Dupin ingemmò anche il suo bel discorso con alcuni nomi rispettabilissimi; e particolarmente raccoman- dò alla gratitudine degli operai quelli de’signori Laroche- fovcault Liancourt, Poupart de Neuflise , Gros, Roman, e Davillier. Questi benemeriti cittadini hanno a loro spese fondato scuole nelle loro fabbriche e stabilimenti. Un sif- fatto esempio non rimartà alcerto non imitato da’ nostri più ricchi manifatturieri; poichè noi non ci attendiamo a ve- dere che l'aristocrazia dell’industria voglia, al par di quella de’magnali ereditarii, dichiararsi inimica dell’istruzione po- jade Nè più avremo bisogno di citare in esempio VIn- ghilterra. I nostri istituti d’ artigiani già uguagliano i suoi in numero. Il tempo ed il genio dintrse Cava st di ri= manente. L’orazione inaugurale del signor Dupin verrà ben to- sto data in luce col titolo. ‘ Effetti dell’ abbicì , dell’ ari- metica, della geometria, e della meccanica applicata a’me- stieri ed alle arti materiali. ,, Noi caldamente la raccoman- diamo a tutti; a’ governi come assioma precettivo che se bramano potente e florido il loro imperio vi promuovino la dotirinva; ed a’ sudditi onde si alimentino con i sani 73 pacifici ed utili sentimenti dell’ amor dell’ordine e del la- voro. Ecco i libri che farà uopo comprare a innumerevoli copie e distribuire al popolo. (Estratto dal G1ozo.) Memoria sopra la fiamma, letta alla Società de’ Georgo- fili nella seduta del dì 3 dicembre 1826, da GuerreLMo LIBRI. Se per legge della società nostra, siamo astretti o Si- gnori , a trattare di quelle cose che più specialmente la ricchezza dello stato ed il ben essere de’ cittadini riguar- dano, io reputo ancora il ragionare di quelle invenzioni per cui s’ estese alcun ramo d’industria, diminuendo i pe- sicoli a’ quali coloro che lo trattavano erano esposti pri- ma, ufficio degno di cittadino, ed all’istituto nostro con- venientissimo ; poichè mal si compra in uno stato gli agi o la ricchezza di molti , non che di pochi o d’ un solo, co’ disagi, co’ pericoli , e colla morte d’ alcuni. Gli abitatori di quelle settentrionali regioni le quali per natura o improvida mano d’ agricoltore sono spogliate di boschi, non avendo di che riparare a’ bisogni di lunghi e freddi verni; doverono scavare sotto terra per certcarvi quello che sopra non ritrovavano, e il carbon fossile frutto delle fatiche loro, servì da prima a’domestici biso» gni : dipoi la stupenda invenzione delle macchine a va- pore ampliando il consumo di quello, ne ingrandì V im- portanza; e se l’ industria è una potenza, che certo è tale, molla principale n°è ai dì nostri il vapore; e forse noi ancora viventi appariranno cose più grandi, perchè quello che già faceva l’ufficio della forza dell’ uomo, dell’ acqua e del vento negli usi e ne'bisogni civili, ora sta per invadere la guerra e la tattica; e poichè le macchine a vapore non possono agire con- venevolmente , e sussistere ove il carbon fossile manchi , questo per beneficio singolare di natura, ne’ privati e ne’ pu- blici usi opportuno del pari , animerebbe il focolare del povero agricoltore e l’ officina dell’ artigiano , servirebbe 74 | a’ popoli per accrescere in pace potenza e ricchezza, per rispingere in guerra le ingiuste aggressioni. Ma tanti van- taggi si pagarono lungamente a prezzo della vita degli uo- mini; perchè molti degl’ infelici operai discesi nelle viscere della terra per cavarne il carbon fossile, vi rimanevano estinti per subita detonazione d’alcune arie le quali tal-, volta sprigionandosi nelle miniere , facilmente venivano accese dalle fiaccole che quelli vi portavano a guida de’ lo- ro lavori. Sorse però a benefizio dell'umanità l’illustre Da- vy , il quale coll’ invenzione della /anterna di sicurezza dissipò i pericoli de’ lavoranti alle miniere , e questa mac- chinetta, tosto resa d’uso comune, fornì uno degli esempi tanto più chiari quanto meno frequenti di quello che ‘pos: san le scienze ad utilità pubblica, allorchè il sapere e l’ingegno si trovan riuniti in uni uomo amico degli uomi- ni. Ma se ognun riconosce i vantaggi che per quella mac- china son venuti alla società , non tutti i fisici convengono in un pensiero rispetto alla Hotina proposta dal suo in- ventore onde spiegarne gli effetti. È pertanto mio animo di esporre in questo scritto alcuni esperimenti adatti a delu- cidare i punti men chiari di quella teorica, mostrando co- m’ella sembri dover esser modificata dalle mie osservazio= ni, e come da queste possa dedursi un modo di variare la struttura della lanterna del Davy, per cui s’ aumenta gran- demente la luce che spande, senza crescere il consumo del combustibile, nè rinnovare i pericoli degli operai. E ormai noto ad ognuno la lanterna di sicurezza non differire in altro dalle comuni lanterne , se non dall’ avere intorno una rete formata di sottilissimi fili metallici , in luogo delle pareti solide di queste. Così la luce traversan- do que’ tanti forellini rischiara gli oggetti circostanti, men- tre per una mirabile proprietà di cui la rete è fornita, la fiamma interna non può trapassarla, nè accendere i corpi che intorno le stanno , anzi è rotta e troncata da quella ogni qualvolta l’incontra, Le molte sperienze istituite dal Davy, per indagare a quali cagioni attribuir si dovesse l’azione salutifera di quel tessuto metallico, lo fecero persuaso , una principalissima 79 esser la deferenza di questo pel calore , la quale favoren- done molto la rapidissima trasmissione , era principio di notabile raffreddamento in quelle parti della fiammella , posta dentro la lanterna, che più alla rete s’ avvicinavano: donde veniva che non potendo questa essere oltrepassata dal calore necessario ad accendere que’miscugli di gas che spes- so nelle miniere' la circondano (a produrre il qual effetto è necessaria un’ altissima temperatura ) ogni pericolo di deto- nazione era tolto. Questa dottrina del Davy fu tosto ricevuta come una rigorosa dimostrazione , e sebbene alcuni sperimenti le si opponessero fortemente, e’ non furono considerati dal mag- gior numero de’fisici, cui troppo ripugnava il sentir divers samente dal celebre chimico inglese. Tuttavia osservando il Murtay non solo le reti formate coi metalli più conduttori del calorico troncare una fiam- mella che loro s’accosti, ma ogni tessuto metallico, sebbene dei meno deferenti e di quelli che pochissimo disperdono il calore, produrre l’ effetto medesimo , pensò ; il non accen- dersi de’ gas doversi ad altra cagione attribuire che alla di- minuzione della temperatura ; e vedendo clie un piano me- tallico , per deferente che sia non estingue una vicinissima fiammella, riputò la forma ricevuta dal metallo, anzichè una special qualità di esso, dover esser principio di que’fe- nomeni ; e quindi si persuase , la fiamma , come alcuni fluidi, esser vestita d’ una specie di pellicola o membrana simile in tutto all’ altre parti di quella, sebben più resi: stente in modo da non potet passare attraverso que’ mi- nuti forellini. Ma questa opinione un poco strana e non abbastanza salda per sè stessa, fu poscia abbattuta da una muova osservazione, la quale ‘ad un tempò si trovò combat- tere la dottrina del Davy e quella del Murray. Poichè vo- lendo il Deuchar servirsi della polvere fulminante per isca- ‘ricare le artiglierie, vedde la fiamma di quella traversare liberamente fino a dodici reti metalliche, e percorso in tal modo uno spazio di circa tre piedi, infiammare la polvere da cannone. E fu trovato poi, non solo quella specie di 76 fiamma, ma ogn’ altra poter trapassare un tessuto metal- lico , ove lo vada con molto vigore a investire. Ora per queste osservazioni mi sembrò necessario di ri- cercare alcun’ altra cagione la quale insieme con quella ad- dotta dal Davy, servisse a spiegar que’ fenomeni : poichè sebbene la deferenza della rete debba certo concorrere a pro- durli, non mi pareva per sè sola bastante a darne ragione. Quindi volendo in prima indagare donde nascesse per la fiaroma l’ impedimento a traversare la rete, se dalla na- tura o dalla forma del corpo di cui questa è tessuta , tro- vai con meraviglia , niuna delle due avervi influenza: per- chè approssimando un filo metallico , il quale io conside- rava come un elemento della rete, ad una fiaccola, veddi questa in vicinanza di quello formare una piccola infles- sione all’indietro scostandosi, e prendendo fili di varia ma- teria, ora deferentissima del calore ; ora coibente , sem- pre osservai allontanarsi la fiamma: e questa ripulsione che non variava sensibilmente al mutar la sostanza del filo , cresceva però colla massa di quello e col diminuirne la di- stanza dalla fiamma. Nè tali apparenze potevano spiegarsi colla dottrina del Davy, perchè sebbene s° ammettesse che avvicinando un corpo ad una fiaccola, i gas che la com- pongono venissero a raffreddarsi nel punto ove questà è più a quello vicina, e quindi s’ impedisse l’abbruciamento in quel luogo derivandone l’inflessione ora descritta, mi dava gran dubbio il veder nascere la ripulsione da’ corpi poco deferenti non meno che da’ migliori conduttori , ed aumen- tarsi e farsi più sensibile per vicinanza d’ un corpo di mag- gior massa, sebbene i corpi più tenui e più sottili siano, tutte le altre cose pari d’altronde, quelli che maggiormente disperdono il calore. Onde per chiarir questo fatto e to- gliere ogni dubbiezza , avvicinai alla fiamma un corpo di temperatura eguale a quella dell’aria ambiente , e quindi. riscaldandolo a poco a poco e a diverse riprese fino a ri- durlo caldissimo, e ad ogni volta accostandolo alla fiacco - la, osservai non essere in alcun modo diminuita la ripul- sione per quanto un tal corpo così caldo appena potesse bad sottrarne calore : che anzi avvicinando opportunamente due fiammelle tra loro, nel modo che appresso dirò, elle si re, spingono, sebbene per tal vicinanza la temperatura d’am- bedue , anzichè diminuire sia grandemente accresciuta. Ora per queste osservazioni essendomi nato desiderio di conoscer più a dentro la natura della fiamma, e’ mi con- venne esaminare attentamente quello che si mostra al di fuori, prima di studiarne le proprietà più nascoste. La fiaccola d’una candela che sempre, ove l’aria sia tranquilla è di figura conica , si mostra, un poco bruna nel vertice , quindi più chiara e più viva scendendo al bas- so, e divien trasparente, e quasi cerulea verso la base: chi la mira attentamente vi scorge poi una certa luce bianca- stra assai debole che riveste quel cono luminoso , il quale troncato con una rete metallica, se ne vede l’ interno ri- pieno di fumo. Queste particolarità erano conosciute dai fisici già da qualche tempo, ma que?’ cangiamenti di cola- re e di trasparenza non essendo sempre tanto ben delineati da potersi seguire coll’ occhia, nè la vista reggendo lun- gamente ad esaminatli da vicino, offesa dalla vivezza del lume , mi fu necessario ricercare alcun modo di rendere più sicure e meno incomade le osservazioni, lo che ottenni espa- nendo al sole una fiaccola, perchè quello investendola coi suoi raggi e traversandola dove più facilmente , e dove me- no; disegnava sopra un foglio bianco che l’ era dietro così libro ogni sua parte, che tutte vi si vedevano quelle par- ticolarità poc'anzi accennate ; ed inoltre intorno l’ ombra principale se ne scorgeva un’altra men fosca, ma assai più estesa e di forma cilindrica, la quale, per un (certo suo moto continuo dal basso in alto, mostrava d’ esser prodotta da que’ fluidi elastici che sprigionandosi dal lucignolo senza bruciare, si sollevano circondando la fiamma. Queste osservazioni sull’apparenze luminose, eran con- nesse ad alcuni fenomeni i quali accompagnano la ripul- sione; perchè approssimando un corpo alla parte superio- re rossastra della fiammella , oltre l’ allontanamento de- scritto , si vedrà questa crescere ed allungarsi rischiarando maggiormente gli oggetti vicini; ed immergendovi un filo 78 metallico , la fiaccola s' inalzerà e quello s’annerirà copren- dosi di particelle fuliginose ; che se il corpo le s’ avvicini nella parte cerulea inferiore, nascerà la ripulsione, ma non l’inalzamento; ed immergendo in questa parte della fiamma un sottil corpicciuolo, nè questo s° annerirà nè quella cre- scerà d’ altezza ; che anzi troncando con un tessuto metal- lico una fiammella giù basso vicino al lucignolo , ov’ella è cerulea, si vedrà bruciare quasi interamente dalla super- ficie al centra, e non esser, come quella che le sta sopra, ripiena di fumo, Avvicinando le fiamme di due candele poste al me- desimo livello , si scorge, prima ch’elle si tocchino, una nuova luce quasi bianca balenare tra loro e riunirle in una sola ; ed ov’ elle siano vicinissime , crescono di volume e d’altezza spandendo maggior luce di quello che si faces- sero mentre erano separate. Che se Puna s’insinua dentro 1' altra, si vedranno nell’interno rimanere separate aumen- tando però sempre in altezza ed in splendore. Ma elevan- do una delle fiammelle e ponendone la base immediata- mente sopra il vertice dell’altra , quella sottoposta è ri- spinta e devia notabilmente dalla verticale, mentre la su- periore cresce assai di volume e di luce ; ed inalzando que- sta grado a grado sempre più, tenendola tuttavia in una stessa verticale coll’altra, cesserà da prima l'aumento della luce, poi comincerà a indebolirsi quella propria che avea per l’innanzi, e così anderà sempre scemando finchè alla distanza d’alcuni pollici la fiamma si ridurrà quasi a nulla; ed ov’ ella non sia molto vigorosa , si spegnerà de] tutto. Le teoriche finora conosciute, non bastando a spiegare i fenomeni che ho descritti, mi convenne ricercare alcun altro principio il quale servisse a tal uopo ; ed invero io dubitai lungamente prima d’ appigliarmi ad alcun partito; ma infine mi parve che questi fatti si rannodassero ad al- tri che io aveva già da qualche tempo osservati, e de’quali ora son per dare un breve cenno. È noto che la tensione d’un corpo carico d’elettricità, per cederne a’ corpi che avendone in minor grado. son per loro natura capaci di riceverla, divien cagione d°’ attra- 79 zione fra quello e questi; mentre lo sforzo che due corpi vicini dotati d’elettricità eguale fanno onde trasfonderla, per direzioni opposte, in quelli che li circondano, è principio d’apparente ripulsione tra loro. Il simile avviene nell: ca- lamite ed in tutti i corpi magnetici, secondo la varia loro natura. Quindi io mi maravigliava che alcuna ricerca non si fosse ancora istituita per conoscere se il calorico il quale accumulato ne’corpi più caldi tende, a guisa dell’ elettri- cità e del magnetismo, a diffondersi in quelli che lo son meno , servisse come questi a stabilire alcuna speciale at- trazione o ripulsione. Egli è perciò che circa tre anni ad- dietro cominciai a sperimentare ‘sopra questa materia, ma come avvien sovente, non trovai esatta l’ induzione che troppo in fretta avea voluto stabilire : nondimeno le mie indagini non furono del tutto sterili, poichè scoprii che i corpi caldi respingevano quelli i quali stavan loro vicini, e mi sembrò che da questa proprietà dovesse nascere la di- latazione prodotta dal calore ne’ corpi. Io non pubblicai in quel tempo i miei esperimenti perchè troppo imperfetti mi sembravano ; nondimeno avendone dipoi mostrati alcuni in Parigi ai Signori Arago, Humboldt e Fresnel, questi s’ac- cinse a ripeterli e variarli; e veramente egli ritrovò con in- gegnosi modi e scelti apparecchi quello che io, senza istru- menti, rozzamente avea scoperto, e le sue osservazioni avreb- bero servito di riprova certissima delle mie, se non avesse preso a sperimentare con una macchinetta ove il magne- tismo e l'elettricità forse avendo qualche influenza, non si poteva certamente giudicare qual fosse la vera cagione de? moti osservati da quell’illustre fisico. Ma le sperienze del Fresnel ed alcune delle mie, essendo esposte negli an- nali di chimica di Parigi, io non mi tratterrò qui a descri- verle nuovamente, Ora stabilito che i corpi caldi respingono quelli che loro s’accostano, segue di necessità che ne debbon esser rispinti; quindi la sipuldiené si manifesterà ora in questi, ora in quelli secondo la facilità respettiva a muoversi. Io aveva riscontrata vera questa legge ne’corpi solidi e ne’li- quidi senza fare sperienze sui fluidi aeriformi; ed ecco le 80 osservazioni sopra la fiamma vengono a confermarla pure in questi; e mentre que’ fenomeni sono ottimamente spie- gati da questa legge, essa riceve da quelli dimostrazione universale, E veramente altro non essendo la fiamma che un mobilissimo e caldissimo mescuglio di fluidi elastici in combustione , avvicinandole nelle parti superiori un corpo, questi ne sarà respinto, e per la sua reazione la rigetterà indietro, obbligandola di formare quel seno che ho descrit- to; ma per questa inflessione diminuendosi la capacità in- terna del cono acceso , il fumo che v'è dentro, non tro- vando luogo capace a contenerlo, si solleverà, è così spingerà la fiaccola inalto allungandola : lo stesso accaderà ove s’im- merga nella fiamma un corpicciuolo, il quale s’annerirà per le particelle semi-abbruciate del fumo interno che v ade- riscono nel raffreddarsi: ma se poi il corpo 8’ avvicini alla fiamma nella parte inferiore, o vi s’° immerga, questa non s'alzerà, nè quello diverrà nero , perchè la fiammella ce- rulea bruciando ancora internamente, come abbiam già ve- duto, non vi si trova il fumo necessario a produr tali fe- nomeni. Allorchè due fiaccole s’ approssimano, l’ aumento di temperatura che ne deriva è cagione d’accendersi a quei gas che io dissi circondare la fiamma senza bruciare, e quindi nasce l’ aumento di luce che ho deseritto: ma sebbene a primo aspetto sembrino , per questo nuovo splendore , es- sersi avvicinate le due fiammelle , osservando-più attenta mente i loro contorni, i quali si mostrano mercè dell’aver quelle un colore più fosco della luce frapposta , si vedrà ch’ elle si sono scambievolmente respinte, e da questa ri- pulsione nascerà l’inalzamento. E ponendo la base dell’una sopra la punta dell’altra, la ripulsione si manifesterà senza luce framezzo, forse perchè la temperatura non è bastan- temente accresciuta per la piccolezza delle superficie accese che agiscono l’una sopra l’altra; ma i fluidi elastici che si sviluppano dalla fiamma sottoposta, incontrando caldissimi la più elevata, s' accendono e vi producono quell’ aumento di volume già descritto. Ed inalzando questa gradatamente, que’ gas prima d’incontrarla, per aver percorso un cammi- Ù sf Li “ E 9 x 81 no più lungo, sì saranno raffreddati e con meno facilità bru- ceranno ; finchè poi quasi freddi del tutto e non servendole più d’alimento, col circondarla ed impedir l’accesso all’aria esterna; la spengeranno. E mi sia quì permesso d’osservare la fiamma non es- ser così ben trasparente come alcuni fisici hanno creduto ; che anzi lo è meno assai del cristallo e di molti altri cor- pi; e l’ ombra che getta una fiaccola investita da’ raggi del sole, nell’ esperimento descritto poc'anzi, più fosca sul lembo che nel mezzo , dimostra chiaramente d’esser pro- dotta dai gas accesi e non dal fumo interno: quindi quelli apparecchi a lucignoli concentrici che i Signori Arago e Fresnel hanno adottati nella costruzione de’fari ove la luce che parte dall’interno dee traversare molti strati infiammati prima di spandersi per l’atmosfera, potrebbe forse per que- sto lato ricevere qualche utile cangiamento : ben è vero che tanto e sì maraviglioso è lo splendor di que’ fari, che può facilmente trascurarsi questa piccola perdita di luce prodotta. dalla non perfetta trasparenza della fiamma: ed inoltre nuove osservazioni m’ hanno fatto conoscere che la luce, a somiglianza del calorico e del fluido elettrico, se, dopo aver sofferto una certa diminuzione camminando per un corpo , sia obbligata a traversare un corpo simile e poi un altro , appena scemerà in questi ultimi passaggi. Ma di tali proprietà de’corpi diafani , io mi riserbo a parlare in altro tempo. Da’ principii sopra esposti facilmente si deduce la teo- rica della lanterna di sicurezza: poichè ogni filo metallico esercitando , secondo il suo diametro e la propria natura, una ripulsione costante sopra la fiamma , è chiaro che po- nendo due fili paralleli così vicini tra loro, che la distan- za non ne superi il doppio del raggio che ha la sfera di ripulsione intorno ad ogni punto di quelli, non potrà la fiamma insinuarsi tramezzo, menochè una forza superiore alla ripulsiva che loro è propria, non ve la spinga : e se a questi fili se n’aggiungano de’ nuovi, si formerà un”or- ditura, impenetrabile alla fiamma, salvo che nelle circo- T. XXV. Gernaio. 6 62 stanze specificate poc'anzi. Massime qualora la deferenza de’ fili metallici serva d’ajuto a quella ripulsione , come ayviene sovente. I fatti descritti finora, e la teorica la quale io me n’era formata, n’ ispirarono il pensiero di variare alcun poco la struttura della lanterna di sicurezza : poichè il fine essen- done, oltre la salvezza de’ lavoranti, l’ illuminazione degli oggetti circonvicini, mentre colla forma adottata dal Da- vy, si serve mirabilmente al primo scopo, si trascura troppo il secondo, mercè la spessezza del tessuto metallico che circonda il lume. Ma avendo io pensato non esser necessario l’ incrocic- chiare e tessere i fili , bastando che fossero paralleli e vi- cini tra loro, senz’ altre incrociature oltre quelle pochis- sime necessarie a tenerli assieme , provai questa nuova co- struzione , e l’effetto corrispose al mio desiderio, perchè veddi le detonazioni esser egualmente impedite mentre s'ot- tiene molta più luce di prima, come l’Accademia può giudi- care dal modelletto che ho l’onore di presentarle. (o. Za tav.) Onde perfezionare questa macchina converrebbe fare molti esperimenti sopra l’ampiezza comparativa della sfera di ri- pulsione, e dedurne quindi le condizioni necessarie ad ot- tenere il massimo effetto: ma non avendo io potuto far. quelle prove finora, m'è impossibile dire alcuna cosa di certo sopra questa materia , e solo penso che, in mancanza d’ altre più sicure regole, si debbano fare quelli orditi fit- ti, e adoperare fili sottili, affinchè la luce si spanda più eguabilmente all’intorno, per la diffrazione sofferta nel tra- versare quelle fessure. Io non esporrò quì alcune ricerche geometriche da me fatte per conoscere qual sia la figura che debba darsi alla rete onde inviluppandone il lume n° esca la maggior luce possibile, perchè troppo in lungo mi condurrebbe il trat- tarne ; ma dirò solo che l’ osservazione ed il calcolo con- vengono nell’indicare la forma sferica, come la più conve- niente a produrre l’effetto cercato. E terminerò contento se i fenomeni descritti , e l’applicazione fattane , sembre- “ 83 ranno ai fisici d’alcuna , benchè minima importanza; con- siderando la spiegazione che ne ho data, solo come un mo- do di legare insieme questi fatti e d’unirgli a quelli saputi prima; pronto a rigettarla ogni volta che osservazioni più esatte me lo dimostrino necessario. Poichè io reputo le dot- trine fisiche altro non essere che il risultamento del para gone istituito trai fenomeni conosciuti: mentre da un fatto nuovamente osservato elle sono spesso modificate , eatal- volta abbattute perfino , e distrutte. _—=-—_—eoeeoo-_- -..—-r.rrggg—-_===————_ Principj della gencalogia del pensiero. Opera del sig. Lax- LEFASQUE. Lugano , tipografia Vanelli e comp. Volume I. Libro I. La Sensazione, ._$.I. Imprendiamo a parlare d’ un opera il cni autore ha bene meritato dell’Italia per aver dato mano alli stu- dii ideologici, forse troppo scarsi fra noi, benchè utili, e capaci di stupendi risultamenti. È strana cosa a dire che in Italia sieno stati sprezzatori di quelli studi i sapienti più teneri del sistema analitico , e dati per intero alla di- samina dei fatti, e alle dimostrazioni dell’ esperienza; che invece doveano per primi congratularsi del progredimento dell’ ottimo metodo, vedendo a lui consegnato il governo delle scienze speculative ; e appunto per mezzo dell’ana- lisi l’edificio tenebroso delle astrazioni peripatetiche fu erol- lato al suolo, e.la filosofia razionale studiò le condizioni dello spirito, manifestate nelle sensazioni , cioè ne’ fatti più universali, e più costanti della fisica, e della zoolo- gia; laonde a noi sembra che il Lallebasque chiami bene queste nuove speculative una filosofia naturale del pensiero. Ma quel falso , e timido giudicio de’ nostri fisici va sce- mando palesemente da poichè s’è veduto i naturalisti più solenni di Francia scuoprire nell’ ideologia le radici più profonde delle loro discipline. Il Cuvier, il Pinel, il Ca- banis, il Lamarque, e più altri hanno prese le mosse dalla fi- 84 losofia del pensiero, soprattutto allorchè sono penetrati nelle investigazioni dell’ organismo ; nè meno ha giovato a can- cellare la mala impressione de’ teorici rigoristi il lume tutto nuovo, e tutto bellissimo che l’ ideologia ha sparso sulle scienze morali. Ma in Italia non che se ne vadano crean- do applicazioni varie e proficue, è mestieri ancora propa- garne la cognizione elementare ; nè certamente vi sarebbe povertà d’ ingegni atti a rilevare le sottili relazioni di quella scienza con altre parti dello scibile: ne fanno fede il Gioia nella economia e nella politica, e il Bufalini nell’ arte medica: ma i ginnasi e le scuole d’ogni maniera seguono a rimanerne digiune ; cagione di che è stato priacipaee il credere che le nuove analisi psicologiche combattano la santità della religione. E eziandio per questo lato siamo gra- tissimi al Lallebasque che ha in animo di provare nella continuazione de’ suoi libri quanto sia erronea la taccia di materialismo, e di spinozismo addossata agli insegnatori delle dottrine lokiane. Questo solo ci duole che la sua ope - ra non verrà forse a proposito quanto il potrebbe per dif* fondere agevolmente 1’ amore delle scienze astratte, poichè gli è piaciuto di sciegliere il metodo della sintesi: questo di sua natura vuol nel leggente una anticipata cognizione della materia. Oltrechè il metodo della sintesi è poco ac- cetto a qualunque maniera di filosofi: niente affatto poi ai moderni metafisici, i quali sanno di camminare per vie in- tricate, e sparse di molte tenebre: quindi il metodo del- l'osservazione è necessario loro come il filo d’Arianna pel laberinto. Paolo Costa ne fa intendere una ragione più di- retta in queste parole del suo Discorso sull analisi e sulla sintesi‘ la scienza che tratta dell’ intelletto, si è disciplina che non suppone avanti di sè alcuna cognizione, siccome quella che di tutte le cognizioni dee mostrare il fondamento, non può dunque prendere l’ andamento sintetico. Senza che pare a noi che ancora conformemente al sistema sinteti- co l’autore non progredisca sempre ordinatamente, nè de- linei con acconcia esattezza 1’ oggetto al quale rivolse l’ani- mo. Se vogliamo ch’esso sia il guardare la sensazione nel modo più universale, astraendola da ogni qualità specifi- È, A - ’ 85 ca , e partendola da ogni complicazione di fatti, non di- scerniamo il perchè vi s’ abbia a tener conto dell’ attenzione prolungata , e creatrice della fissazione mentale, dell’ ori- gine , e categorie delle idee associate , de’ fantasmi d’ ogni specie o sieno idee imitative d’altre ec. ec. fenomeni tutti che risultano da operazioni dell’intelletto varie, complicate e numerosissime, entro le quali hanno assai dominazione il giudicio , la volontà e le abitudini: nè egli per intero il libro move discorso della natura, del giudicio, della volontà e dell’ abito; quindi parrà a chi dritto estima ch’egli sia sollecito a conoscere la peculiare indole degli effetti in- nanzi di avere svolta e ricercata la natura delle cagioni. Forse il collegamento delle idee, la crezione de’ fantasmi e tali altre cose ponno aversi come qualità universali della sensazione, poichè qualunque idea può veramente accagio- nare la reminiscenza e la creazione d’ un ‘altra ; ma per tale rispetto era egualmente suo debito il parlare della volontà: chè non è sensazione la quale sia priva della facoltà di pro- durla. Dirò il simile de? giudicii ; ogni sensazione non si scompagna da giudicio , perchè essa non può essere così semplice, e così uniforme da non fare avvertire alcuna va- rietà in sè medesima: e l’accorgersi d’ alcuna varietà nella sensazione è quanto costituisce il giudizio. Nè dovea ta- cere come la rappresentazione d’un subbietto possa trovar- si varia ne’ varii individui : e come sia proprio a qualun- que genere d’idee il non venire percepite distintamen- te, quando gli organi sieno affetti da azioni eccessive e come queste ultime avvegnachè non gagliarde , ma solo ripe- tute , o prolungate facciano ottusa gradatamente la sensazio- ne che vi risponde. Insomma in qualunque aspetto si guardi il partimento della materia, l’autore o l’ha troppo costret- ta, o l’ha troppo estesa. L’autore medesimo sembrò av- vertire che i confini entro ai quali avea raccolta la mate- ria del primo libro non erano esattamente circoscritti: di- fatto egli ha in sul termine del libro queste parole“ ... allorquando una sensazione vien confrontata ad un altra non ne sorge forse un giudizio? E seguace del giudizio non è forse il volere? Ed i voleri, edi giudizi non posson forse 56 È rieordarsi e richiamarsi a vicenda ? Ed in vece d’ una ri- eordanza de’ pensieri primitivi, non possiamo averne degli altri che somigliandoli in parte ne sien diversi nel resto ? Dietro ciò che si è discusso, e si è fissato finora n’ abbia- mo dunque la idea o della memoria o della fantasia , 0 dell’attenzione in generale, ma di certa specie di memo- ria, di certa specie di fantasia, di certa specie di attenzio- ne, cioè della sersoria. ,, Egli dunque ragiona di certi spe- ciali giudicj, speciali volontà e fantasie , senza premettervi alcuna analisi (o almeno alla foggia sintetica ) alcuna de- finizione di que!le spirituali facoltà. E per vero che sono questi speciali giudizj , fantasie e volontà nominate senso- rie? È fondamentale principio degli ideologi che ogni ope- razione della mente mova da’ sensi, e quindi 1’ appella- “zione di sensoria è dicevole a tutte. Questa esitanza in che siamo sullo scopo dell’intero volume , e sull’ ordinamento delle sue parti non è punto scemata dalla enunciazione che ne fa egli medesimo. Ecco le prime linee del primo cap. “ Analizzo in questo libro la operazione più semplice dello spirito, la sensazione ,, non intendiamo perchè la sensa- zione venga detta la operazione più semplice dello spirito umano quando che non v’ha atto della mente per compo- sfo che sembri il quale non risulti da sensazioni e tale non sia esso stesso. ‘‘ Io ricerco diligentemente quali ne sieno i modi, e le spezie, quale ne sia il vero meccanismo, le per- tinenze, e gli effetti ,,; ponendo mente a tale periodo sia- mo indotti a credere che questo primo libro chiuda tutta quanta la ideologia : perchè a vero dire i fenomeni tutti del pensiero sono modi, specie , meccanismi e effetti della sen- sazione. Fino qui quanto al subbietto, e all’ ordine. 6, II. Esaminando ora più addentro le ricerche del Lal- lebasque sulla sensazione, ci giova anzi tratto d’osservare il continuo uso ch’ egli fa della fisiologia, e le cont'nue relazioni che va procacciando di rilevare fra i fenomeni in- tellettuali e i fisici. Della quale cura noi vogliamo lodarlo , assai perchè certamente non ponno le azioni dell’ intelli= genza collocarsi in lume pieno quando ci fallisca la cogni- zione di quegli organi che sono vere cause occasionali, e 07 modificatrici de’ medesimi:; altramente staremo paghi alla narrazione dei fatti, senza presumere di collegarli a forma di scienza : il che avviene tuttavia in riguardo a molte opere della mente, e dell’ animo: chè la conoscenza de’ legami del fisico, e del morale oggi pure è tenuissima, e innanzi all’Haller, al Cabanis, e al Pinel fu quasi nulla; ma in que- st'ultimo scorcio di secolo alcuni peregrini ingegni vi hanno sentito molto avanti, e noi siamo al punto di non potere og- gimai scernere la scienza delle idee dalla scienza delta vi- ta; nè vi abbisogna discrezione poca per attirigere a fonti limpide , registrare teorie non ipotetiche, porre da banda ciò che è lusso di erudizione , o s’attiene puramente al fisiologo. 6. III. In principio si asserisce che la sensazione fu sempre male definita, e che anzi il presumere di definirla è errore “ la parola di sensazione come ogni altra che espri- me delle idee semplicissime può facilmente comprendersi, ma non può venire spiegata ,,. Pochi, al nostro credere , verranno capaci di quest’assertiva, cioè a dire che vi sono cose agevolmente comprensibili , ma da non potersi spie- gare; difatto spiegare una cosa per vocaboli è il manifestare nè più nè meno di quanto se ne comprende . Ma il Lal lebasque ripete qui una sentenza del volgo de’ filosofi, esi- stere cioè molte idee non definibili, e verità e princip) non dimostrabili, e tuttavolta chiari per sè medesimi, e di cer- tezza evidente ; la quale opinione sembra mantenere in cre- dito le dottrine di Des-Cartes, e gli archetipi platonici : e qui è da notare come la falsa accettazione di un voca+ bolo abbia menato alla falsità della sentenza : il che di- mostreremo brevemente. Non sempre si definiscono le idee a una maniera medesima: quindi la parola definizione debbe alterarsi di valore, avvegnachè non siamo usi avvertirne le differenze. Il definire fu inventato a soccorrere la debole ri- tentiva umana , or ricordando le qualità universali degli es- seri contrassegrati da un vocabolo, or restrignendo in po- chissimo la descrizione di quelli. Perciò è essenziale alla definizione il non aggravare la ritentiva , anzi l’aiutarla ; e bene disse Cic. in De Orat. ch’ella dee essere una certa spiegazione breve e circoscritta della cosa ; non può pertanto 88 ricordare le qualità, meno sostanziali , non tutti gli effet- ti, non ogni modificazione. Ecco siccome la definizione a serbarsi breve , diviene circoscritta : se dunque definen- do è necessario il circoscrivere le nostre idee e spremerne quasi i concetti di maggior rilievo, importando maggior- mente il sapere quale luogo dell’ universo sia riempito da un’essere, noi lo definiremo da questo lato, e invece im- portando di conoscerne la cagione efficiente, e gli effetti, noi lo definiremo a seconda di quelli. Nella botanica , nella mineralogia, nella zoologia ec. le definizioni con- sistono a descrivere i corpi conforme la classe che oc- cupano . All’ opposto nelle scienze morali e politiche , nella chimica, e in alcune parti della fisica le definizio- ni accennano volentieri la causa efficiente , e gli eftetti più valutabili, e più solenni. In fine alcuna fiata ci ap- paghiamo di indicare delle cose l’attributo veramente pro- prio, e diremmo esclusivo. Chi dice: l’uomo essere un ani- male ragionevole lo definisce dal lato del genere , e della specie. Chi descrive l’ alcali, una combinazione chimica del- l’ossigene con metallo particolare, atta a neutralizzare l'a- zione degli acidi, lo difinisce dal lato della causa, e degli effetti. Chi nomina la linea retta, /a via più breve che si percorre fra due punti distanti accenna solo una qualità ca- ratteristica. Ora rivenendo al proposito , quandochè si vo- glia definire la sensazione, di quale delle tre maniere di- scorse si farà uso ? Se della prima : non troviam modo : perchè la sensazione guardata nella generalità non ha nulla di simile a sè in tutta insieme la natura, e perciò non sap- piamo a quale ordine attribuirla (1) . Se della seconda: è dura impresa, o impossibile, perchè non è nota la ca- gione immediata, e efficiente della sensazione, e quanto agli effetti, è profondamente occulto il mezzo col quale si generano. Se della terza, comecchè possa accadere di rinve- 1) Questa difficoltà è nulla quinte volte si parli d’ usa sensazione ‘ia- lividha, e c16 appunto perché abbiano una qualche sorta di genere in cui stauziurla. Chi domandi quale senso iniluce al palato la fragola? rispondiamo : un sapure acido temperato da un qual poco di dolce misto a certa fragranza. 89 nire nella sensazione astratta qualche attributo proprio, e valevole a contrassegnarla, ciò non sarebbe un descriverla ma puramente un contradistinguerla , e tale maniera di de- finire suole, a buona ragione , aversi per difettiva. È aper- ta dal fin qui detto la ignoranza in che siamo del come si origini la sensazione, e valga a produrre il piacere, il do- lore , e la volontà , e del non aver noi cosa alcuna alla quale paragonarla; così ci fallisce la notizia delle qualità di analogia, e delle qualità che noi chiameremmo di dipen- denza, le uniche che noi sappiamo discernere fra le cose tut- te, e per le quali diamo distribuzione alle medesime. Quindi è falso il dire che noi comprendiamo la sensazione , e tut- tavolta non sappiamo spiegarla: ciò che ne «comprendiamo è raccolto con assai nitidezza nella voce serzire che significa uno speciale cangiamento del nostro essere, cui talvolta chia- miamo udire tal’altra vedere o similmente, che si cagiona in effetto a’rapidi moti del sistema nervoso, e genera il dolo- re, il piacere e la volontà; così se ne annunciano tutte le qualità costanti e generiche, le cagioni che mediatamente la fanno nascere, e gli effetti che ne conseguitano ; questo , secondo noi, è un descriverla, è un definirla : ma non lo è per chiunque voglia udirsi mentovare in brevi parole il genere a cui appartiene , la cagione immediata che la pro- duce , e così segui ; e ciò deriva dall’abitudine in cui sia- mo di definire lé cose a quei termini, e di sapere che fuor di quelli la cognizione loro riesce incompleta molto. È dun- que un significato troppo esteso che vuolsi annettere alla voce definizione, il quale fa credere che non possano com- prendersi nè definirsi le idee semplici, e quegli assiomi e prin- cipii detti non dimostrabili. 6. IV. L’autore segue a confermare per molti capi che tutte le specie di sensazione provengono da uno stimolo sul solido animale: e ricordando ragguagliatamente un buon novero di osservazioni fisiologiche dimostra che il sentimento della fame , della sete, del piacere, del dolore, della re- spirazione , ec. hanno per loro occasionale principio uno stimolo. Noi ammiriamo di buon grado il vasto sapere che il Lallebasque ha raccolto dallo studio della medicina, e 90 delle fisiche , ma tuttavia crediamo ch’ egli potesse di- mostrare la sua asserzione adequatamente in minori pa- gine. Egli definisce così lo stimolo. “ È stimolo nel mio linguaggio qualsisia atto estrinseco la di cui presenza im- mediatamente , e senz’ altra intercessione è seguita dalla funzione di un essere spirituale... estrinseco alla funzione è tuttociò che da essa è distinto ,,. Da tale definizione sorge chiaro come la luce del meriggio che ogni percezione dee procedete da stimolo, poichè è verità non controversa che l’effetto ha la sua cagione: dunque ogni cangiamento del nostro essere , dee di necessità corrispondere a un’ azione qualunque esercitata o al di fuori o al di dentro de’ no- stri organi, ma estrinseca certo al cangiamento medesimo perchè la causa, e l’effetto non ponno rinscire identici : seguono il XII e XIII cap., in essi si dimostra fisiologica- mente che i soli nervi sono veicolo alle sensazioni , nè quelli potere adempiere a’loro uffici , se divisi dall’ encefalo. Forse era buono l’ aggiungere come neanche tutti i nervi sono mi- nistri de’ sensi ma il Rolando e il Magendie aver provato che una porzione di nervi ricusa il ministerio de’ sensi e attende a quello de’ movimenti muscolari secondo gli im- pulsi della volontà o degli interni stimoli (2) . Nè era da tacersi che il Gall, seguitando l’ Haller, è pervenuto a di- mostrare che le funzioni del cerebro sono esercitate sepa- ratamente da diverse sue parti (3). Da ultimo nel capito- lo XVIH; discute se la percezione sia distinta dalla co- scienza e decide che no. Egli stima che a porre divario fra la percezione e la coscienza sia mestieri provare che alcuna volta sentiamo senza sapere di sentire. Al contrario, sog- giunge , la intensità o la esilità d’ una sensazione è perfet= tamente analoga sempre alla intensità e esilità della co- (2) È risoluto il dubbio sulla natura di alcune contrazioni interne dei nostri visceri. Una scuola celebre volea farne partecipe la sensibilità, e ap- poggiavasi a ciò che lo Stahl chiamava il potere dell’ anima sopra movi. menti creduti oggi iuvoloutari, e considerati come semplici risultanze della irritabilità della fibra. (3) Noi dividiamo questo bel trovato dalle molte applicazioni che ne ha fatte il Gall; che anzi estimiamo non potere il sistema di quell’ardito Ale= manno regg:re contro gli argomenti della nuova filosofia razionale. (01 scienza. E più ‘ quando altro fosse il sentire , altro il sa- per di sentire, noi potremmo nello stesso modo saper di sa- perlo , ed avere con ciò un altro atto, e così all’infinito ,,- Queste ragioni sono valutabili, ma non troncano affatto il filo della controversia. Noi pensiamo che la disparità dei giudicii sia insorta dal non avere osservato che allorchè siamo affetti da una sensazione alquanto energica , giudi- chiamo con velocità indicibile esser noi veramente che per- cepiamo, avvenire nel nostro io la rappresentazione di quella idea : ciò significa saper di sentire: quindi, ton pace del- l’autore, la coscienza è ben altra cosa della sensazione che la origina: molti psicologi lo conobbero, ma, a nostro av- viso, non fu poi rilevato che la coscienza è un giudizio, instantaneo e impercettibile quasi per la forza dell’ abito. 6. V. Nella sezione 11? intende a spiegare la sen- sazione continuata e riprodotta , o sia la contemplazione lokiana e la ricordanza sensotia. ,, Nel primo cap.’ esamina se la contemplazione lokiana sia un prolungamento della sensazione svegliata dalla presenza di un oggetto , ovvero s' ella sia un differente atto del pensiero. A noi pare que- st'analisi un poco inutile. Il fatto è costante, e chiarissi- mo: rimosso che si abbia p. e. dall’occhio la vista di un fiore , la sua immagine segue per sì dire a improntarsi nel commune sensorio, nè ri è difficile rappresentarsene il mo- do per argomenti di analogia, poichè veggiamo nella na- tura gran novero di fatti uguali: la corda segne a oscil- lare, benchè il dito del citarista abbia cessato di percuo- terla : l’acque d’una pesciera s' increspano tuttavia, avve- gnachè il sasso che le ha colpite sia nel fondo. Nè noi, quanto alle funzioni del cerebro, possiamo trarci più avanti d’ una comparazione, perchè il meccanismo di quell’ orga- no nobilissimo è profondamente arcano. Non è dunque lo- devole che il Lallebasque abbia spese molte pagine per creare un ipotesi. Noi non vediamo come se ne possa avvantag- giare la scienza ideologica. Nel cap. V fa il quesito “ se la ricordanza sia sensazione,, e trovando appresso un rag- guagliato confronto molte qualità analoghe fra Ia sensazio- ne primitiva e la sua reminiscenza , conelude non potersi 92 credere che questi due atti della mente sieno di diversa indole. In verità noi non sappiamo spiegare a noi medesi- mi la intenzione dell’autore ; perchè se la ricordanza fosse poco simile anzi tutto diversa, e perfino opposta di attri- buti alla sensazione primitiva, non pertanto cesserebbe di essere sensazione ella pure. Tutto quanto il pensiero umano è un complesso di sensazioni, e questo vero è la pietra quadran- golare su cui appoggiano le dottrine lokiane. Dal c. vu insino al compiere della sezione discorre argutamente le attitudini memorative cioè la esquisita facoltà che ha il cerebro nostro, colpito che sia da alcuno obietto esteriore di riprodurne la per- cezione, comecchè l’obietto esteriore non operi più sopra lui. L’autore .s’affatica di spiegare per argomènti fisiologici come questa attitudine si origini, come cresca, e s’infivolisca poi, per quali cagioni si alteri, si perda, si riacquisti. Egli cita una lunga serie di fatti anatomici e patologici, coi quali statuisce confronti, e deduzioni molte; malgrado ciò siamo ben lungi dal chiamare dimostrazione la sua ipotesi. 6. VI. Il tema della sezione terza è l'aumento del sen- tire per attenzione. Allorchè l’intelletto sia rattenuto nella rappresentanza d’una idea, e rimosso da quella di alcune altre, e ciò senza opera di volontà, ma per la sola vivez- za, e come dire, intensità di essa idea, il Lallebasque chia- ma tale attenzione occupazione. L’ attenzione è per lui l’ef- fetto della volontà, e nega che lo Stewart possa registrarla fra le facoltà del pensiero. Noi non sappiamo menar buona questa censura allo Stewart : perchè certamente in riguardo alla volontà l'intelletto non avrebbe da coredarsi d’alcuna facoltà sua propria : il raziocinio, l’ immaginativa , e più altre operazioni comunalmente giudicate dell’ intelligenza, sono combinate sempre alla volontà che è la quotidiana moderatrice delle azioni dello spirito. Nel II°, e III.° cap. dimostra dottamente che l’attenzione determina a certo luogo del cervello maggiore flusso di umori, d’onde s° irraggia alle parti più strettamente consensuali, o come i fisiologi chiamano simpatizzanti alcuna abbondanza di stimolo, e al- trove ne sorgono certe contro irritazioni atte a produrre ri- sultamenti straordinari. Ci piacerebbe ch’ egli avesse indi- 93 cato quanto sia grande e vigorosa la facoltà dell’attendere; la cogitazione , per questa parte , è una gran maraviglia del nostro essere: perchè pare che noi possiamo restringere in una idea tutta la nostra esistenza, e ridurvi tutte le virtù della mente , e dell’ animo. Gli antichi ne ricordano Ar- ‘chimede cui la profondità del meditare costò la vita, e santo Agostino in civitate dei (se la memoria non ci fa inganno) rammemora un tale capace di attenzione , e di astrazione sì fatta che il toccarlo e il punzecchiarlo era nulla; le sue membra gelide, e insensate pareano d’uomo non vivo. Ne'se- guenti fogli fa riflettere come non sia vero che la mente mostra non valga ad attendere simultaneamente a più idee: e afferma non potersi mai percepire un giudicio senza che le idee confrontate non sieno sentite ad un tempo solo ; inoltre prova con agevolezza come l’attenzione influisca alla forma- zione delle attitudini memorative: poi si argomenta d’aprire la cagione per la quale nel mentre che una idea si fa più viva e più luminosa, le altre a poco a poco vaniscano. Qui (per quello .che noi ne stimiamo) ricorre il giudicio da noi emesso intorno Ja contemplazione lokiana: cioè a dire che il meccanismo ce- rebrale è soprapposto al segno del sapere umano;malgrado ciò se le sensazioni corrispondono esattamente alle funzioni cere- brali non è cosa ardua il rintracciare il perchè di quel fenome- no. L'attenzione induce ad alcune parti del cerebro maggior copia di umori, e per conseguente la scema alle altre, così le sensazioni causate dalle prime crescono di efticacia e le altre ne van perdendo. Inoltre poichè l’azione del volere eser- citata sopra un idea ne aumenta di necessità la vivezza : seguita che ogni altra percezione debba parere ecclissata. Pingi in una tela alcun drappo di viva porpora, e vedrai scolorire , o come gli artisti dicono, calar di tono ogni cosa che lo circonda. Ciò sembra a noi semplicissimo, nè vediamo come il Lallebasque dovesse intrattenersi tanto ragionandone, e trarre ajuto alla sua ipotesi dalle dottrine browniane, alle quali ci spiace ch'egli (come dichiara nella prefazione) si attenga molto : e mentovi sopra tutto quella una e indi- visa eccitabilità che oggimai non regge al cimento dei fatti, e alle disamine degli analitici. In fine discute quel perni- 4 ica atto della mente che il volgo chiama fissazione e al Laliebasque giova di nominare occupazione permanente. Egli la fa procedere dagli iterati sforzi della volontà per con- servare l’ attenzione di una idea , e quindi dai moti ‘abi- tuali del cervello fatti energici, e continui per l’aumen- to degli umori , i quali stabiliscono ivi ciò che i patologi chiaman flussione. Era da riflettersi come in fuor de’ casi estraordinarii, cioè quando la fissazione è prodotta da fie- re, e violentissime scosse all’encefalo , essa avvenga ordi- nariamente ne’ cervelli di natura estrema, cioè ne’ troppo vigorosi, e ne’ troppo deboli. Ne’ primi le idee si suggel- lano profondamente, e ne’ secondi vien manco la forza del raziocinio , e diremmo quasi il contrappeso di altre ener- giche percezioni che valgano a rompere la serie de’ moti abitualmente statuiti. 6. VII. La quarta sezione ha per obietto iZ nesso delle sensazioni 0 sia il mutuo richiamo di esse. L’ autore si tra- vaglia molto a dimostrare, e sempre per via d’ipotesi, come si formi nel cerebro cotesto mutuo richiamo delle sensazio- ni.In ciò noi lo avremmo desiderato più breve. Certo è poche cose conoscere la ideologia sì ardue anzi impossibili a spie- garsi quanto la ragione fisiologica dei legamenti delle idee. La veduta anatomica dell’ encefalo convalida maravigliosa- mente l’anzidetto. E per vero : là entro si scorge che i nervi ministri degli organi sensiferi pigliano radiee presso che dal luogo medesimo, in quel congiungimento delle tre parti dell’ encefalo nominato ponte del Varollio : e per le recen- ti, e minute indagini del Gall sappiamo che pure i nervi i quali pareano metter capo a diverse distanze (come ad es. gli olfatorii, e alcuni ottalmici) indagandoli a traverso la sostanza midollare infine sonosi veduti riuscire a un eguale centro ; senzachè le anastomosi moltiplicate , e strettissime che si rinvengono fra i nervi di vario ufficio non fanno inten- dere comei moti degli uni non vadano subitamente a propa- garsi a tutti gli altri, e per conseguente non mescolino, e non turbino le impressioni loro peculiari (4). Il che ben com- (4) La sostanza grassa dei nervi, scoperta dal Vauquelin , e conosciuta 95 preso”ci è sorto il pensiere di credere veramente che la im- pressione ad un nervo, se un poco attiva, non possa a me- no di non mettere in alquanta oscillazione , e le sue parti contigue, e le filamenta nervose con le quali trovasi an- nodato : ma che non sorgano sensazioni se non là dove i nervi furono già affetti da impulsioni omogenee a quella che di presente li fa oscillare: ed ecco entrati pur noi nel- l'ipotesi , senza avvedercene , tanto è leggier cosa lo sdruc- ciolarvi ragionando di materie} nelle quali 1’ osservazione ha in finora la veduta ben corta. In appresso il Lallebasque ricerca quali percezioni siena atte a richiamarsi a vicenda: quali con maggiore frequenza, e quali con minore ; poi rammentate le opinioni, niente concordi di molti metafisici di gran nome, asserisce ch’egli non crede potersi giungere a classificare compiutamente i diversi modi con che i no- stri pensieri s’ associano : a noi sembra che i filosofi non sieno convenuti in una sentenza a cagione del non avere distinte le leggi con le quali succedono i collegamenti delle idee dalle cose molte e diverse che ponno riprodurre la memo- ria delle idee collegate. Noi troviamo due soli modi di associa- zioni; uno è la somiglianza in fra le idee richiamate, l’altro è la contemporaneità, o successione loro immedita. Al recitarsi d’ura novella, gran copia d’altretali anedoti si va schie- rando nella memoria , e quelle ricordanze sono ravvivate dal nesso della analogia; al parlate d’ un paese, ove fosti, mille immagini ti ricorrono del luogo, degli amici, delle occorse avventure, de’ colloqui, e simili, e tutto questo è riaffacciato al pensiero dalla coincidenza del tempo; e co- me le sensazioni colà ricevute furono simultanee o stret- tamente successive, così la loro reminiscenza torna simu/- tanea o strettamente successiva; ma questa può essere su- scitata da molte cagioni interne ed estrinseche: qualunque stimolo puramente fisico , 0 meccanico , qualunque moto di affetto , la coincidenza di luogo, la relazione di causa di natura coibente, può spiegare in alcuna guisa l'isolamento de’moti sen- siferi in riguardo alle parti attigue, ma non in riguardo alle anastomosi 3 nè è da occultarsi che questa spiegazione medesima noì lo fondiamo sulla ipotesi che sostituisce l’elettricismo agli spiriti vitali, al fluido nerveo ec» 96 \ a effetto, di mezzo a fine, di premesse, e di conseguenza, e più altre che forse non si numereranno mai tutte sveglia» no con più, o meno prestezza i movimenti del cerebro con- nessi ne’ due prefati modi, Se pare che l’imperio della vo- lontà, e la forza di una sensazione estremamente vigorosa trovi legame con ogni maniera d’idee nè guardi ad alcuna legge , noi crediamo che l’ una , e l’altra seguano le nor- me consuete ; loro proprietà è il disporre le idee, e il ser- rarne vie meglio i collegamenti; ma questi esistevano , e della forma anzimentovata, se non quanto erano deboli , e poco riconoscibili. 6. VIII. La quinta sezione insegna a distinguere la per- cezione d’un oggetto estrinseco dalle idee che la mente uma- na si piace di creare a simiglianza di quelle : le prime sono chiamate nozioni modulari, le seconde fantasmi. Le remi- niscenze non esatte o come si appellana dall’ autore dege- nerate sono altrettanti fantasmi perchè non in tutto pari. alle sensazioni primitive. Il Lallebasque prende cura , al suo consueto , di spiegare come si originano nella mente cotesti fantasmi. Le molecole, dice egli , già impressionate d’alcun movimento sensifero diffondono in certa guisa la loro virtù nelle molecole attigue, e quivi è da cercare la sede de’ fantasmi. Le prime molecole per l’ impulso rice- vuto accolgono una idoneità memorativa , le seconde una idoneità quasi memorativa. Seguono parecchie minute clas- sazioni di fantasmi, e a indicarli teoreticamente il Lalle- basque non si risparmia d’ inventare nuovi vocaboli. Noi non disprezziamo la finezza, e diremo ancora serupulosità dell’ analisi nelle cose intellettuali: poichè i fenomeni del pensiero sono sì rannodati, e ravviluppati, cangiano sì a un tratto di sembiante che il separarli più volte, e il re- gistrarne partitamente le qualità benchè minime forse non è soverchio. Tuttavolta giova l’ esser parco almeno di paro- le, esatto assai nella loro scelta e nel loro andamento per trovar modo di non istancare il lettore menandolo attorno , come qui segue , per sedici capitoli , entro i quali non s'asconde miglior dottrina di quella che testè abbiamo men- zionata. 97 6. IX. L’ ultima sezione verte su//a proprietà eccitante delle sensazioni, e de’ respettivi moti sensiferi Questo enun- ciato non fa forse intendere l’ obbietto vero a cui guarda qui il Lallebasque ; esso è di provare che i moti cerebrali e muscolari ponno essere eccitati dalla percezione di moti simili osservati in altrui; cioè a dire che l’uomo è di sua natura animale imitativo (5). Abbiamo alcuni fatti che sono la base e la dimostrazione della tesi; parecchi gesti, parecchie attitudini osservate in altrui , eccitano i nostri muscoli a ripeterle. “ Lo sbadiglio, scrive l’autore, appena avvertito da un individuo presente spalanca in giro le bocche di una numerosa compagnia; colui che soffia con forza o in un istraumento , o nel fuoco ci fa gonfiare le gote.... Un vec- chio debole e curvo su’l1 suo nodoso bastone, sembra di- vider con noi la difficoltà del cammino . Un ballo affan- noso e pesante quasi restringe la lena di tutti coloro che il guardano. Per contrario un aura di leggerezza si diffonde ne’ muscoli allorchè un agile corso, ed una danza delica- ta si fasciano appena seguire dalla prestezza dell’ occhio. Ridiamo sovente ad un riso onde ignoriamo la causa , e l’altrui pianto è sovente una tentazione di piangere ,,. Una parte di tali fatti è sì famigliare e agevole ad osservarsi , che ciascuno ne ha coscienza ; quindi non è da negare che all’osservazione di certi moti non s’ingeneri entro noi un impulso analogo. Il sapere poi che l’infanzia è l'età meno provveduta di giudizio deliberante , e nondimeno è attis- sima all’ imitazione; il riflettere che più fiate riesce spia» cevole limitare certe azioni, e che perciò non dee acca- gionarsene la volontà, ponno statuire una prova valutabile che l’impressione eccitante di alcuni moti osservati in al- trui si dirige immediatamente a svegliare la contrattilità de’respettivi muscoli senza l’intervenzione della volontà . (5) L’autore ci fa qui accorti che la imitazione scambievole è gran principio di sociabilità fra gli uomini ; noi siamo con lui d*un parere, nè comprendia- mo perchè il Cuvier negligenti di menzionarlo nella sua memoria sulla socia- bilità degli animali. Lo spirito imitativo è fra essi. pure, ed è efficace a spie- gare molte loro azioni. T. XXV. Gennaio. A 98 Che ciò non sia impossibile lo dimostrano i racconti dei patologi, i qîtali ci fan sapere che uomini infermi, e fiera- mente convulsi eseguiscono moti violentissimi , i quali , e per non lasciare reminiscenza alcuna, e per essere al tutto slegàti, bizzarri e spesso cagion di dolore, non sono da aversi er risultamenti della volontà, o almeno non di quella che sorge dalla deliberazione, ma sì una volontà macchinale, e inavvertita, se pure possiamo figurarcela mai così fatta. Ecco quanto di vero e di definito può conoscersi , riguardo all’ istinto d’imitazione reciproca: moveremo dunque alcuna querela col Lallebasque perchè ci trattiene così a dilungo in una materia della quale egli ha pensiero di accennar solo le idee elementari , secondo il proposito di cotesto suo pri- mo libro. Meno parole vi voleano a fabbricare un ipotesi, per cui certo non cessa di parere maraviglioso , e arcano il come la veduta di certe azioni altrui possa yenir suffi- ciente a movere in noi i nervi e i muscoli che sono ac- conci a ripeterli. Nel cap. secondo ove si discute se /a qua- lità eccitante di un ‘moto sensifero sia la stessa su tutti gli organi ci pare che fosse abbastanza il trarre innanzi quel fatto fisiologico, pel quale si prova ch’ ogni parte del no- stro individuo ha una speciale eccitabilità; ma il porre ad esame i vari sistemi terapeutici, il penetrare nella mate- ria medica, e il ricercare quale sia il centro d’azione dei - farmachi, sembra a noi un discorrere quasi extra chorum. 6. X. Fino qui abbiamo esposte concisamente le teo- rie di questa prima parte della genealogia del pensiero ; ora volgendo l’occhio su tutto quanto il libro, direino ch’esso non manca di pregi considerabili , e mostra il consumato studio che il Lallebasque ha posto alla filosofia razionale. Se i nuovi trovati non sono molti, deesi piuttosto alla scien- za che alla povertà dell’ingegno ; osgimai nulla o poco è da spigolare ne’ campi della ideologia pura , cioè di quella che indaga gli elementi dell’ intelligenza, e le qualità di Jei più universali. La sola fisiologia divisando un poco più addentro il meccanismo cerebrale può recare alcuno incre- mento a queste dottrine, Il Lallebasque ha però dottamente e argutamente raunati molti fatti narrati da uno e altro fisiologo : e conferma coll’ esempio all’Italia quella Coi non diffusa quanto sarebbe nopo , vale a dire che l’analisi del pensiero e le scienze tutte morali non deono studiarsi disgiuntamente dalle fisiche ; lo scisma pel quale si divi- ‘devano li speculativi dai pratici, le astrazioni dalle espe- rienze , i sillogismi dalle osservazioni è scomparso ; il che è argomento del veloce e vastissimo procedere che han fatto le umane discipline * e per vero l’ aumento delle relazioni, e delle analogie in fra loro fa segno che la disparità degli e sseri è piuttosto nella combinazione degli effetti che nella varietà delle cagioni, che gli agenti della natura si ravvi- sano dovunque i medesimi, mutabilissimi però nelle forme, coine il Proteo della favola. Altro pregio del Lallebasque è l'avere con solerzia serutinato l’etimologie de’ vocaboli metafisici. Così ha insegnato che nelle discussioni di qual- sia nozione generica è necessità 11 principiare dal hene cir- coscrivere il significato della parola, appunto perchè le idee astratte non sono propriamente tali, ma segni articolati di qualità universali d’idee. Oltre questo è di leggieri di- mostrabile che assai voci ora accolte di significazione astrat- ta, nol furono sempre: il perchè quando rappresentarono idee particolari, custodirono un valore molto meglio apprez- zabile designando fatti o sensazioni peculiari delle quali il volgo pure è buon giudice : e questo lume che riflette dal- l’ etimologie giova non poco a chiarire le analisi dell’in- teletto : onde è vera la sentenza di quel filosofo che scri- ve “ offerirsi talvolta al pensiero una concezione come sco- perta profonda, e poi cercatone diligentemente lo svilup- po trovare ch’ esso è un dettato che corre le vie ,,. Però vorremmo che in coteste disamine si ponessero da banda tutte quelle derivazioni di vocaboli che non appajono ben limpide; in altra guisa noi portiamo dubbiezza là ove cer- chiamo disgombrarla , e rischiamo di farci immitatori del Vico, il quale su poche etimologie non sempre chiare edi- ficò il vasto edificio della sapienza degli antichi italici, si- mile a’ que’castelli incantati della vecchia romanzeria. Ri- mane che noi riferiamo queste parole del Lallebasque in- serite nella prefazione. “ Uno scrittore, colto, e spiritoso 100 che si è compiaciuto di percorrere il summentovato mio li- bro (introduzione alla filosofia ec.) lia dato fuori un giudi- cio relativamente al mio stile ; Za esposizione , egli dice , delle sue idee è sempre chiara elegante animata : forse sua che volta è piuttosto di un opera letteraria che di un trattato filosofico (6) ,, e in appresso giudicata per sè medesimo la sua maniera di esprimersi, vuole sperare ‘ che non mans chi di tutta quella nettezza di cui la materia è capace; e che non si lasci riprendere nè per concisione affettata, nè per nojosa ridondanza , nè per aridità, nè per asprezza. ,, Così rileviamo che il Lallebasque non segue 1’ uso d’ al- quanti scienziati, a cui pesa troppo lo studio delle parole: e certo dee il metafisico rilevare a un tratto quanto inm- porta la conoscenza del valore de’ segni che è quello delle idee , e di ciò noi lo lodiamo oltremodo, e gli sappiamo grado dell’ esempio. Il Tracy inclina a credere che nel lin- guaggio delle scienze ogni ornamento sia dannevole, Noi reputiamo che tale opinione pecchi di severità. Allorchè il ragionare è strettamente legato di .raziocinii, e procede per rigorose deduzioni di giudizii, stimiamo che la dizione debba accostarsi alla rigidezza matematica, abborrendo da ogni fiore d’ eloquenza; ma ove i concetti si dilatano, ove l’ analisi scema della sua acutezza, e discorre sopra idee meno astratte, e meno aride, non pensiamo che il dir cate- dratico sia comandato di elica ogni lume di facondia, e non possa alcuno accarezzarlo con alia discreti ornamentia poichè al dire di Tullio ne’ paradossi: non v'è cosa tanto orrida tanto inculta che non risplenda per l’orazione , e quasi non si riforbisca. Nè lo scrivere del Lallebasque è strine gato, povero d’ornamenti, rozzo e monotono, ma forse (eci è grave di contradire a quel colto giornalista di Losanna) può an- cora acquistare di chiarezza, e di ordine. È la chiarezza qualità essenziale d’ogni maniera di scrittura; nè solo emerge dalla proprietà de’ vocaboli, e de’ modi, ma eziandio dal collo- camento, e componimento loro: poi dalla partizione dei periodi , dai nessi, e dalle transizioni dell’ uno nell’altro. (*) Varietà inscritta nel /Vovellista di Losanna. 101 Quanto alla proprietà de’ vocaboli noi vorremmo l’ autore meno amante de’ gallicismi. Non vediamo ad esempio per- chè s’ abbia a dire travaglio per istudio , brillante per vi= vace, talento per ingegno, marcia per andamento, marcare per rilevare, rapporto per relazione qualunque, successo per vantaggio e altretali: nè il vezzo francese è circoscritto ai vocaboli: forza è avvisarlo in parecchi modi e in parecchi giri di petiodi, Nè anco sono da approvarsi i vocaboli coniati dall'autore seriza ombra di necessità: che non fu mestieri il dire facilezza per facilità, intostivo per interno, proma- nare per emanare, coerire per corrispondere, comanente per contemporaneo , aztomatico per involontario ; ma sarebbe sofistico il proseguire a notare sì fatte mende in opera in- teramente didascalica. T. M. sa X —c@@rrg@———TT7È€————_——€m—É_————_—_—@—@_—@—@———————» —— — "+— Elogio del cav. Avpre4a VuccA BertincHIERI scritto da Gracomo BarzerLorTI. Pisa, Prosperi 1826, in 8.° Alla memoria del cav. Avprea Vacca BrRLINGHIERI tri- buto di GrovannI Rosini. Pisa, Caputro 1826, in 8.° Era uho degli ultimi giorni di primavera del 1824 sul tramontar del sole. Io mi trovava a Pisa per la prima volta, e saliva con alcuni amici il ponte di mezzo dalla parte ove trovansi i più insigni monumenti della città. Dalla parte opposta veniva sopra un grazioso cavallo arabo un uomo di sì pronto e nobile sembiante, che attrasse verso di sè tutta la forza del mio sguardo. Chi è quel leggiadro ca- valiere, io stava per chiedere al più giovane della compa- gnia (un incisore pisano di molta fama) quasi prometten- domi di udire un bel nome. Il cavaliere intanto, già fat- tosi vicino, si soffermava ; e fra uno scambio reciproco di piacevoli accoglienze , a cui, in grazia degli amici, ebbi io pure la mia parte, lo sentii chiamare /accà. Dirò cosa vera, che mi passò per l’ animo in quel mo- mento , e a cui mi fanno ripensare alcune parole del Ro- 102 sini. ‘Il fuoco degli occhi acutissimi, scrive questi, nar- rando come il Vaccà giovinetto fu accolto in Parigi dal principe di quella scienza a cui si era consecrato, l’intel- ligenza nelle sue prime risposte, la forza de’ muscoli , la fermezza de’ polsi , la piccolezza delle mani e l’ adattata lunghezza delle dita mostrarono al Desault che la natura lo avea formato chirurgo.,, Le cose medesime, non esclusa l’ intelligenza nelle prime risposte, benchè non pertinenti a scienza chirurgica, mi resero , in certo modo, evidente com’ egli fosse l’operatore di quelle cure prodigiose, di cui parlavasi dal Tago al Tamigi e dal Nilo alla Neva, Questo lampo d’ evidenza improvvisa però fu preceduto nel mio animo da un sentimento di. sorpresa. Prima che il leggiadro cavaliere si soffermasse, mi sarei piuttosto aspet- tato di sentirlo chiamare col nome di un distinto guerriero che di un celebre professore. Non seppi che più tardo ch’ei s’ era trovato colla guardia nazionale di Parigi alla presa della Bastiglia, e poi a capo di quella di Pisa alla presa di Viareggio. Ma l’ aria della sua persona pareva avvertir- mi che il campo di battaglia non gli era straniero. Io non dubito punto chela natura, la quale fa talvolta d’un sol uomo un essere il più vario; gli avesse dato quel medesimo ardor bellicoso che trasse dai gabinetti di fisica il suo fratello Leopoldo, spingendolo a portar l’armi in Francia, in Italia, nella Corsica, nel Portogallo. L’amore della scien- za, forse qualch’ altro sentimento fu in lui più possente di tale ardore. Ma tutto in lui ne serbava le vestigia ; e riflet- tendovi avresti detto: l’ ardore è coperto, non spento. In alcune memorie, dettate a corso di penna da un giovane egregio , il qual può dire come il Rosini: quanto narro del Vaccà il vidi io stesso o lo intesi da lui; e com- municate all’ Antologia prima della pubblicazione dei due scritti, ch’or mi danno occasione al discorso, leggo que» ste parole : ‘ Vassalli-Eandi, a cui i due fratelli Leopol- do ed Andrea furono raccomandati nel lor passaggio per To- rino alla volta di Francia, mi ha ripetuto più volte che prese fin d’ allora ad amarli caldissimamente e pronosticò gran cose di loro. ,, Ignoro se fra i pronostici del fisico 103 illustre entrassero , almeno come possibili, le glorie mi- litari. Ma certo, sei le pronosticava a Leopoldo, non po- tea non pronosticarle al suo minore fratello. Era anzi più naturale il pronosticarle al secondo che al primo , giacchè in Leopoldo l’ardor guerriero si occul- tava sotto le apparenze di un dolce carattere ; in Andrea traspariva da tutti gli atti d’ un carattere quasi dissi vio- lento. Il Rosini, infatti, mettendo a confronto i due gio- vani fratelli, ci dipinge l'uno coi colori che possono con- venirsi a chi per tutta la vita fu cultore dì studii pacifi-. ci, e l’ altro con quelli, con cui dall’autore della poetica ai Pisoni è dipinto il più bellicoso de’ mortali. Quindi non ci fa meraviglia che il nostro Vaccà ne’suoi anni più ardenti sentisse alcuno di quegli impeti, che trassero sotto le mura d’Ilio 1’ Achille antico. Ci fa piut- tosto meraviglia che non tenesse anch’ egli perpetuamente alzata la punta feritrice dell'asta, obliando la sanatrice. I tempi erano tali da allettarvelo con molte lusinghe di gloria ; ma egli fu più savio de’ tempi. Che se di que’suoi impeti primi, a giorni meno tranquilli de’ nostri , si fosse recato da chi poteva esserne offeso nelle proprie opinioni un giudizio troppo severo; quanto era facile a chi medita sulle umane cose il proporre motivi di giudizio più indul- gente! “ Io non posso biasimarti d’aver avuta, riguardo agli affari pubblici, altra opinione che la mia, scriveva il buon Franklin a suo figlio, che avea portate l’armi con- tro di lui: le mostre opinioni dipendono ben poco da noi: sono esse il più delle volte l’ effetto di circostanze, la cui forza è così irresistibile com’è inesplicabile. ;; Ristrettosi nel campo della scienza il nostro Vaccà spiegò per così dire il suo ardore guerriero contro le dif- ficoltà che la circondavano e contro sè stesso. L’eccellente suo padre , mandandolo a Parigi col maggiore fratello , avea detto che ‘questi sarebbe giunto fin dove gli fosse valso il potere ; egli fin dove n’ avrebbe avuto la volon- tà.,, La seconda parte di tale presagio fu compiutamente avverata. All’epoca dicui parliamo Andrea toccava appena l’a nno 104 diciassettesimo dell’età sua. Egli era nato nel 1772; e Leo- poldo nel 17683. Un altro fratello, di nome Giuseppe, il quale si dedicò poi alla carriera del foro, era nato dopo ambidue, cioè nel 1976. Ciò noto (ed altre cose egualmente minute verrò pur notando in seguito) per chi non avesse ancor letto nè i due scritti del Barzellotti e del Rosini, nè la necrologia del nostro Andrea inserita dal Carmignani nel numero vigesimonono del giornale pisano de’letterati. Qual uomo fosse il padre dei tre giovani appena è d’uopo ricordarlo. La fama lo celebra abbastanza come un gran medico e come un gran saggio. E fu veramente prova di saggezza non ordinaria il non temere, come si esprime il Rosini , “di minorare a’ figli il patrimonio della terra per accrescere loro quello dell’ingegno ,,. Volendo infatti, mal- grado le sue modiche fortune , secondare le loro nobili in- clinazioni, nel tempo stesso che mandò a Parigi i due mag- giori, l’ uno per meglio coltivarvi le scienze fisiche, l’al- tro per farsi grande nella chirurgica, mandò a Roma il terzo ad erudirsi nell’arti belle e perfezionarsi in quella de’suo- ni; ‘ cosa, dicono le memorie manoscritte che ho sotto gli occhi, tanto fuori dell’uso comune, che tutti ne rima- sero trasecolati.,, Il coraggio di privarsi quasi in un punto della vista di tre figli sommamente diletti, vincendo e il proprio animo e le lagrime della madre loro (Rosa Pardini che ancor vive), non fu, secondo le parole del Rosini, meno degno di meraviglia. Andrea benchè figlio di medico, o piuttosto perchè & glio del medico Francesco Vaccà, avea concepita molta av- versione per la medicina. Il padre , gran nemico di tutte le ipotesi, come cì attesta il Barzellotti, e impugnatore acer- rimo di quelle di Cullen e di Brown, gliel’avea mostrata come piena d’incertezze. All’indole del giovane, altronde, bisognava una scienza non solo meno incerta, ma più at- tiva, e dirò così più militare. Era quindi per lui adatta- tissima la chirurgia, nelle cui opgiezioni , come si espri- me il Rosini, “la mano va più ratta del pensiero ; ed il successo sembra precedere la riflessione. ,, Ma perchè la mano vada sicura , perchè il successo ‘105 rfesca felice , quanto studio e quanto esercizio deve in sua gioventù aver fatto l’ operatore ! Il nostro Vaccà , giunto a Parigi, non diede riposo a sè medesimo. Uli giovane co- scritto in tempo di guerra non può condur vita più fati- cosa. A principio permise a sè medesimo qualche distra- zione, scusabile pel fuoco e l’ inesperienza dell'età ; ma ne trasse quindi motivo di maggior rigidezza contro sè stesso e di fatiche più ostinate. Perdette una volta al bi- ribisso tutto il suo denaro, dice il Rosini, e non volen- do, perchè buono, affliggere il padre con tal novella, co- strinse sè medesimo alle più dure privazioni, rallegran- dosi poi col tempo d'un sinistro ‘che mostrato gli avea non essere sovente la povertà che l’eccesso degli inutili desiderii. ,, Ammalò un’altra volta gravemente di pleuri- tide, narrano le memorie manoscritte , nè senza qualche sua colpa; e come bramoso di gloria pensò di dovere, al- men. ne’ piaceri, maggior riguardo alla sua gracile com- plessione , giacchè “ troppo, diss’ egli nella convalescenza, gli sarebbe spiaciuto di morire prima d’esser venuto a pa- ragone collo Scarpa.,, Com’ egli vivesse dappoi pel corso di due anni è d’uo- po leggerlo nello scritto del Barzellotti e in quello del Ro- sini specialmente , il quale si è proposto di mostrare. ‘ per quai modi pervenne a sì alto grado di fama. ,, Direbbesi ch’ egli non progredì all’acquisto ma marciò al conquisto di quelle cognizioni e di quell’ abilità che doveano condurlo ad un grado sì alto. L’anatomia, la quale, come si esprime il Rosini, “è pei grandi chirurgi ciò ch'è la grammatica pei grandi scrittori ;,, e di cui aveva già avuti i primi ru- dimenti dal padre, fu il principale e il più indefesso de’suoi studii. Ma nessuna delle scienze o ausiliari od affini alla chi- rurgica fuda lui trascurata, Quand’egli non era con Desault, dai cui fianchi non si staccava che suo malgrado , era con Sabatier, con Boyer, con Boudeloque, con Pinel, o con Dubois. Innanzi di restitursi all’Italia, dice il Rosini, volle visitare col suo Leopoldo ‘ quella terra de’ grandi , ove al- 106 l’Alfieri verso l’epoca stessa parea di sentirsi ritemprar l’ani- ma e l’ingegno, e che nona torto fu salutata nello scorso secolo come la patria del pensiero.,, Ivi, come s° esprime lo scrittore da cui traggo questa notizia, “ei portò il suo tributo di rispetto e d’ammirazione all’ingegno profundo e all’immensa dottrina di Giovanni Hunter ,s riputato non solo il più gran fisiologo dell’ Inghilterra, ma i] successore in Europa di quell’Haller, la cui perdita parrà sempre re- cente, ‘‘ Tra le memorie , prosegue lo scrittore medesimo, che di lui ritenne il Vaccà, non fu l’ultima quella notata de’ suoi biografi , che studiato avea 1 anatomia per disc'an- ni ,,, Cosa notabile veramente ove si parlasse di Guglielmo Hunter (e chi sa che i biografi non volessero dire di lui ? ) maggior fratello di Giovanni, cui volse dall’ arti belliche alle salutari, sperando forse che sarebbe presto da lui ugua- gliato, ma non imaginando a qual segno sarebbe poi su- perato. Cosa poco notabile , e probabilmente minore del vero, parlandosi del creatore di quel famoso museo anato- mico ‘“ ove sono mostrati col più bell’ordine, come si espri- me il Rosini, i differenti anelli della gran catena degli es= seri,,; e fra le cui meraviglie , giusta le frasi del Rosini medesimo, ‘ lo studio d’ un giorno valse al Vaccà quello d’ un anno sui libri. ,, Stando alle parole del Barzellotti, non è a dubitarsi che il secondo tributo di rispetto e d’ ammirazione ei lo recasse in Londra al celebre Bell, che sosteneva con Hunter l’onore della scuola chirurgica della Grar Brettagna. Del resto pare che questa scuola da lui ben considerata gli si mo- strasse inferiore alla francese , di cui rallegravasi d’ essere discepolo . Per una strana circostanza, che il Rosini dice d’aver intesa da lui stesso, ma che non ci spiega, egli sco- prì fra le sue considerazioni londinesi un grave errore, quello di curare col mercurio le affezioni locali del morbo cel- tico ; e si apparecchiò fin d’allora a combatterlo. Ho detto morbo celtico meno per uniformarmi all’ uso che per non alterare le parole che citava. Quel morbo, ciò è ormai trop- po noto, non può niente più appellarsi celtico di quello ; 107 che punico o romano . Devergie ha provato recentemente (nella clinica della sifilide che si va stampando ) ch’ esso fu comune ai popoli della più remota antichità. Prima del viaggio a Londra , per ciò che leggo nelle memorie manoscritte , il nostro Vaccà ne aveva fatto uno in Olanda, condottovi dal Desault , che ormai godeva di averlo, quant’egli desiderava d’essergli, immanchevole com- pagno nelle più difficili operazioni. Il qual onore non ci sorprende quando intendiamo dal Rosini che il giovane di- scepolo , con grande ammirazione de’ compagni , i quali forse non riflettevano che mezzo principale di riuscire in ogn’arte è quello di voler sempre e fermissimamente vo- lere ,, già era divenuto sicuro interprete della mente del maestro, e prometteva di pareggiarne un dì, operando, la destrezza e la rapidità. Ripassando per Parigi nel tornare da Londra e “ re- catosi, dice il Rosini, a salutare per l’ ultima volta il mae- stro , da’ suoi modi e dalle sue parole si accorse ch’ egli avrebbe presto o tardi pagato il tributo all’ iniquità se quei tempi difficili divenivano feroci ,,, Fortunatamente il tri- buto non fu sanguinoso , e il nome dell’ uomo illustre può pronunziarsi con meno dolore , che quello di Bailly , di Lavoisier e d’altri grandi interpreti della natura, a cui nulla servì di scudo contro la più odiosa delle tirannidi, quella che ardisce chiamarsi amore di libertà. Mentre il Vaccà faceva le sue visite di congedo, pro- segue il Rosini ‘ incontrò presso uno de’ più famosi pro- fessori il Corvisart, non celebre allora, come lo divenne dipoi, ma che la disputa colla signora Necker avea posto alla moda ,,. Questa disputa , come nota lo scrittore che cito, non ebbe altro motivo che una parrucca a tre nodi, che la signora (chi’l penserebbe di tal donna ?) volea ve- dere in capo al giovane medico per trovarlo degno del pe- sto di direttore in uno spedale da lei fondato, e che il giovane medico non volle, sembrandogli che il rimanere senza posto fosse minor male che farsi ridicolo. Trovavasi il Corvisart ( uso di nuovo le parole del Rosini ) in una città dove rimaneva ancora un avanzo di que’ medici, che 108 furono invano da Molière immolati sulle scene. “ Il pre- stigio, peraltro cominciava a dileguarsi anche nella scienza, la qual soleva procedere fra gl’incantesimi e le illusioni. E se pare chè a’ nostri giorni perduta ne sia la memoria, non poco certamente fra noi ci hà contribuito il Vaccà ,,e Già vi avea contribuito nori poco il padre suo, uomo, come ce lo dipinge il Rosini d’accordo con quanti il co- nobbero, ‘* nemico d’ogni ostentazione , dispregiatore delle umane vanità, lontano dall’ adulazione , aborrente dai si- imulati artifizi ,,. Il figlio, somigliantissimo al padre e d’irt- dole ancor più risoluta della sua, compì l’opera di sì bra- v' uomo, i Con ciò fo intenderè a chi non ne avesse altra noti- zia che il nostro Andrea, malgrado la prima avversione, ap- plicò l’animo seriamente anche alla scienza , che ha meno di tutte il vanto della certezza. Io non dirò col Rosini che “ un discepolo di Desault non poteva separare dalla pra- tica della chirurgia 1’ esercizio della medicina ,, ; perchè ignoro che Desault abbia unito l’uno all'altra, anzi; se mi affido alle biografie, che me lo dipingono gran dispregia- tore d’ogni medica dottrina, debbo credere il contrario. Dirò bensì che “ l’ avere fra le domestiche pareti, come si espri- me il Rosini medesimo , una scuola continua di medicina teorica ,,; l’essersi forse persriaso che la medicina e la chirurgia sono fra loro sì strettamente legate , che non solo niuno potè mai stabilire i limiti precisi dell’ una e dell’al- tra, ma non vi fu uomo eminente nell’ una di queste scien- ze che l’altra ancora non conoscesse ,,; il vedersi conti- nuamente intorno ammalati “ che tratti dalla fama del padre venivano dalle più remote regioni a sottoporsi alle sue cure ,, furono per lui motivo bastante a mettersi in grado di prestar cure somiglianti. «« La stima degli estranei per gli autori de’nostri giorni, riflette assai bene il Rosini medesimo, desta in noî un tal sentimento rarissimo di compiacenza che ce ne fa quasi di- videre il trionfo; e nel tempo stesso che ci lega più for- temente co’ vincoli della riverenza e dell’ affetto ci presta maggior forza onde imitarne gli esempi ;,. Questa riflessione T09 troppo bene applicata al nostro Vaccà prima della sua par- tenza per Parigi, sembra ancor più a proposito dopo il suo ritorno che fu nel 1791. Lo studio che il valoroso giovane fece allora della scienza medica ha dato motivo al Barzel- letti di chiamarlo ‘* fortunatissimo per avere avuto nel pa- dre un gran maestro onde apprendere ed un gran modello da imitare ,,. Chiaro per gli scritti pubblicati ( raccolgo insieme le testimonianze del Barzellotti, del Rosinì e dell’ antore delle memorie ); non meno facondo che dotto, non meno insi- nuante che arguto, onde gli si affollavano intorno così vo- lonterosi che numerosi i discepoli j vero continuatore in Toscana di quella scuola ippocratica ch' ebbe per fondatori i Bellini, i Redi ed i Cocchi ; parchissimo apprestatore di farmachi, a ben pochi de’ quali attribuiva qualche virtù, e tutto inteso a secondare le forze della natura in cui aveva sì gran fiducia; il padre suo allettò facilmente il suo in- gegno già sì bene educato, soddisfece alla sia ragione amica dell’ evidenza e della semplicità , e riconciliandolo colle teoriche della medicina lo dispose a nobilitarne egli pure la pratica, Nella chirurgia, suo studio di predilezione, il giovane tendeva da sè stesso a più alta meta ; e in breve ciascuno potè accorgersene, Ardente insieme e prudente, per non de- stare invidia invece d’ ottenere fiducia, egli, come ci assicura il Barzellotti, non discoprì a principio nè tutto quello che sa- peva nè tutto quello che desiderava. Pure ‘‘ tornato a Pisa di- scepolo; ci dice il Rosini, ei fu salutato maestro ,,. Prima in- fatti di ricever la laurea ei dettò in casa lezioni a quelli che nello studio pabblico vi aspiravano con lui. Appena l’ebbe ri- cevuta, avvertì il mondo che ormai gli apparteneva di confe- rirla, e ciò fece pubblicando le sue osservazioni sopra il trat- tato chirurgico di Bell. Quest'opera d’un giovane di ventun anni, dice il Rosini, destò sì gran sorpresa, che molti in- gannati dal nome di famiglia l’ attribuirono al padre. Essa non era senza difetti (e l’ autore giunto agli anni della ma- turità li confessò francamente); ma i difetti erano più che 110 compensati dai pregi, di che il Barzellotti e il Rosini re- cano come troppo bella la testimonianza dell’Aglietti. Dato il segno della riforma colla voce e colla penna, ei procedette a cominciarla colla pratica. Non confidò pe- raltro soverchiamente di sè stesso, come non si lasciò vin- cere dagli sconforti altrui. Sentì che per giungere al fine propostosi gli bisognavano nuove fatiche, e vi si assoggettò con animo più che mai deliberato. ‘ Benchè l’avwvenenza della persona, dice il Rosini, la cortesia delle maniere, ed un sorriso che scendeva nell’anima (il disegno tratto con molta perizia dal dipinto d’una donna coltissima , mad. Tonelli, e premesso a questo numero del nostro giornale, ne porge qualche idea) tanti mezzi gli offrissero per la dis- sipazione e i piaceri; godendo di questi quanto richiedeva il core o l'età, preferì sempre a tutto lo studio e l’ eser- cizio di quell’arte, che più d’ogn’altra cosa egli amava, riguardandola come creazione sua propria js. A perfezionarsi in questo studio e in quest’ esercizio gli giovò molto il privato insegnamento, ch’ei continuava in sua casa, mentre Leopoldo , col modesto titolo d’ ag- giunto alla cattedra di fisica sperimentale, insegnava pu- blicamente nell’università. È probabile che i due Fratelli, in questa lor reciproca situazione, pensassero talvolta ai due Hunter e ne traessero per sè medesimi qualche presagio. Il più giovane e più celebre insieme di quegli inglesi, cioè Gio- vanni , quasi impaziente d’ una lunga quiete scientifica , avea voluto prender parte alle militari agitazioni, servendo come chirurgo nella guerra de’ sette anni. Chi sa che il no- stro Andrea, il st ing come leggo nelle memorie manoscerit> te, si afldeeinata in questo tempo al maneggio dell’armi, non s’imaginasse di dover anch'egli servire in alcuna delle guerre che vedea prepararsi, mentre Leopoldo rimasto in pa- tria salirebbe le cattedre? Ma la sorte, come vedremo, avea destinato di loro altrimenti, Dice il Rosini che le domestiche lezioni d’Andrea erano preferite da molti alle pubbliche de’ maestri più autorevo- li, né io me ne meraviglio , poichè andavano ad ascoltarle T1I i più capaci di distinguere la scienza dall’ autorità. Mi me- raviglio bensì che, appena ei si presentò al pubblico come operatore, ottenesse fra esso altrettanta fiducia quanta ne otteneva in particolare come istitutore. Ciò che possiamo pensare della sua abilità non basta a darci ragione di que- sto fatto, e bisogna aggiugnere altre particolarità che dal Rosini vengono indicate. ‘* Le chiare parole, egli dice, l’at- tività , la precisione , e sopratutto la cura estrema o per me- glio dire l'affetto verso gii ammalati, che fu una delle qua- lità predominanti nel carattere dell’egregio suo padre, lo faceano ricercare di preferenza ad ogn’ altro ,,. Mentr’egli cominciava la sua carriera di chirurgo ope- rante, cominciava pur quella di medico curante, se non per genio, almeno per affetto al genitore, nella cui casa, co- me scrive il Tantinj nel suo elogio, ‘ tutto si faceva in comune ,,. Fra le lodi che il Rosini tributa al giovane me- dico parrà certamente singolarissima questa che basterebbe a qualunque medico provetto, cioè ch’ei si formò in breve tempo un occhio sì perspicace , che, come le sue speranze non erano quasi mai fallaci,i suoi primi sospetti erano pres- sochè sempre fatali. “# Quest’ occhio indagatore , egli ag- giunge, e il dritto senso e direi quasi il genio della me- dicina ch’ei possedeva, gli meritarono la stima e l’affezione dei dotti, quando insieme col fratello Leopoldo (il quale abbandonata la toga erasi dato alle armi) passò in Fran- cia per la seconda volta, nel 1799 , poco innanzi a quello strepitoso avvenimento che cangiò la faccia dell’Enropa ,,. Trovo nelle memorie manoscritte ch'egli, emigrando, si recò dapprima a Genova , ove prese in cura il gene- rale Olivier, ferito nella battaglia della ‘frebbia, e quasi disperato della guarigione. Indi partitosi con lui prima che la città fosse stretta d’assedio, ne prosegui la cura in Pa- rigi con molto suo onore, che gli aprì l’adito a non ispre- gevole fortuna. Di questa ei si valse a procacciare strumenti costosi ed altri mezzi di studio, nel quale si mostrò sì fer- vido come dodic’ anni innanzi quando lo cominciò. E il Rosini e l’autore delle memorie attestano concordemente di avergli sentito poi ripetere più volte che, se dopo que- tra sto secondo studio fatto a Parigi, molto egli ancora ap- prese nella pratica, ben poco di più , quantunque non ces- sasse mai di studiare, apprese nella teorica. Sventuratamente all’epoca della seconda sua andata a Parigi (raccolgo queste cose dai tre scritti che ho dinanzi e da quello del Rosini particolarmente) il suo gran mae- stro Desault avea già lasciata la vita, cedendo alla forza di troppo gravi afflizioni. Sabatier, oppresso da anticipata vec- chiezza, stava rinchiuso fra le domestiche pareti, sicchè potea piangersi anch’ egli come perduto . Pure la scuola chirurgica di Francia non era mai stata più fiorente d’allora. Pelletan, succeduto a Desault, non bastava da sè solo a so- stenere la gloria che il grand’uomo avea data a quella scuo- la. Ma la sostenevano con lui (oltre il Boudeloque, il Boyer e il Dubois, che seguitavano ad operare insegnando) il gio- vane Bichat , rapito due anni dopo così immaturamente , ma già dichiarato il primo fisiologo della Francia, e quel Dupuytren che, quantunque semplice settore, già mostrava che diverrebbe, qual oggi è proclamato, il primo operatore d’Europa. Fra questi ingegni il Vaccà, operando anch'egli o di- sputando sui migliori metodi d’ operare , faceva acquisto ogni giorno di nuovo sapere e preludeva a quella gloria, ch’era ormai vicino ad acquistarsi. ** Fu in faccia ad essi (uso le parole del Barzellotti ) ch’egli sostenne contro l’opi- nione dello stesso suo antico maestro e di tutte le scuole, che le coste fratturate spostare non si possono dal proprio sito, quando i piani dei muscoli intercostali sieno restati illesi, e non pago del ragionamento , il provò col fatto , siccome apparisce dalla memoria che rese pubblica su tale argomento ,,. Questo fatto medesimo , aggiugne il Rosini, fu assoggettato a successive esperienze dal celebre Richerand e dal valente Giraud,i quali ambidue lo dichiararono in- contrastabile. Un amico del Vaccà , il quale trovavasi allora a Pa- rigi con lui e seguiva in parte i medesimi studi, mi nar- rava ch’ essendosi un giorno , in mezzo ad una società che que’ lodati ingegni aveano istituita onde eccitarsi gli uni tieniti rt 113 gli altri, eche peitciò chiamavasi d’emulazione, mosse alcu- ne parole di confronto fra l’Italia e la Francia in propo- sito di scienze risanatrici, il Vaccà disse animosamente: vi satà chi vi mostri in breve come si studj inItalia. Un passo del Rosini, che sono per trascrivere, mi sembra confermare in qualche modo questo racconto. ‘* Dopo aver letto alla so- cietà d’emulazione una memoria sulla struttura del perineo, volle lasciare alla Francia un saggio di quanto profittato avea nella sua clinica in Italia, e pubblicar fece in fran- cese dal dott. Alyon il trattato su quella malattia divennta tanto comune, che curavasi allora pressochè generalmente co’mercuriali ,,. Agli studi medici e chirurgici, come nota il Rosini me- desimo, ei frammetteva, quasi a sollievo, alcuni studii geniali, frequentando quanto gli era possibile i più cospicui stabili» menti d’istruzione, e in ispecie quelle famose scuole normali, di cui rimarrà sempre il desiderio non che la memoria nella civile Europa. Così, ricco di cognizioni, pronto a nuovi espe- rimenti, adorno di tutto ciò che distingue ne’tempi in cui viviamo un uomo veramente compito , ei tornò col fratello alla patria sul finire dello scorso secolo. Ivi, come tutti, al dire del Barzellotti, lo avessero se- guito nella sua assenza , e fossero stati testimoni de’suoi nuovi progressi, ei si vide onorato di nuova fiducia e quasi fatto arbitro di ciò che apparteneva all’arte da lai professata. Gli studiosi chiedevano ansiosamente la sua istru- zione; e gli infermi invocavano d’ ogni parte le sue cure, Egli e coll’istruzione e colle cure corrispondeva pienamente alla comune fiducia. *. Secondo le memorie manoscritte parrebbe che , desi= gnato dalla pubblica voce al pubblico magistero , ei fosse in prima dato per aiuto al genitore , che dettava istitu- zioni chirurgiche nella patria università. Qualunque catte- dra medica o chirurgica, dice il Rosini, gli si fosse affidata, è ben certo ch’ ei le avrebbe aggiunto non piceolo decoro. << Ma l’occhio indagatore di quel filosofo che presedeva al publico insegnamento, e che tanto seppe conoscere gl’inge- T. XXV. Gennaio, 8 114 i gni (questo filosofo era il Pignotti, il quale avea fatto po- canzi chiamar da Siena a Firenze il Mascagni) s’accorse che mancava nella pisana università quella cattedra appunto ch’era la più conveniente per formare i chirurgi; quella dunque erear fece con generoso stipendio e ad essa propose il Vaccà ,,. Ciò fu del 1803, vale a dire nel secondo anno dalla formazione del regno d’Etruria. Qualche tempo innanzi, cioè durante ancora il governo provvisorio , come leggo nelle memorie più volte citate , “ Pavia chiese alla Toscana per la sua università Mascagni, Brunacci e il giovane Vaccà ,,. Ottenne il secondo , che le fu di grande ornamento , ma non potè ottenere gli altri due, di cui la patria sentiva trop- po grande bisogno, o a cui la patria era cara sopra ogni cosa. Il nostro Vaccà, quantunque non ritenuto dagli stessi motivi del Mascagni, non poteva dissomigliare dal genito- re, che invitato in altri tempi al posto di regio aschia- tro in Polonia , e poi a quello ancor più lusinghiero di successore del gran Tissot in Pavia , non seppe staccarsi dalla sua Pisa. Gran ventura fu per noi quest’attaccamento del geni- tore e del figlio al dolce luogo nativo. Se è vero che all’uno, come dice il Barzellotti , deve la. pisana università lo sta- bilimento della buona medicina, è ancor più vero che al- l’altro deve quello della buona chirurgia. Col giovane Vae- cà, dice il Rosini, ‘* cominciò e durò quindi sino a noi pel corso di 23 anni non interrotti una scuola di clinica ester- na , che può senza vanto chiamarsi scuola pisana ; poichè d’ ogni parte vi concorsero alunni , e in ogni parte per opera loro si è dilfusa colla profondità delle cognizioni e la sicurezza de’metodi ,,. Soffrì essa ne’primi giorni della reggenza, come trovo notato nelle memorie manoscritte, qualche interruzione; ma fu questa d’assai breve durata. Disputavasi d’alcuni di- ritti acquistati dal Vaccà per le antecedenti promesse e a cui egli, non per tenacità ma per sentimento della pro- pria dignità, era ben deciso di non rinunciare. I suoi di- ritti furono presto riconosciuti, ed egli fu ricondotto in trion- 115 fo alluogo delle sue lezioni dall’affollata gioventù, che non potea contenere la sua allegrezza. Avvi in Firenze qual- che professore distinto, che fu attore in quella scena sì lieta, e ne rende testimonianza. I pregi delle sue lezioni, divenute per gli alunni-un oggetto d’impaziente desiderio, bisogna leggerli descritti dal Barzellotti e dal Rosini. Già fino dal giorno in cui diede ad esse principio (uso le parole del secondo) ei vinse l’aspettazio= ne de’savi, empì di gioia gli amici , confuse gli avversa- rii, tolse la speranza ad ogni emolo. Quale si mostrò in quel primo giorno, cioè destinato a dar nuova vita alla scien- za chirurgica, tale durò sino all’ultimo ° senza chie le do- mestiche cure, l'età crescente, o la sua gran fama gli ser- vissero mai di pretesto a menomare il suo ardore ,,. Le sue favorite sentenze, che il Rosini registra, por- gono idea de’suoi principii e della via per cui ieri gli alunni. ‘ La chirurgia è un’arte d’esperienza; essa debbe progredire; cercatene dunque il miglioramento ,,. Quest’era per così dire, la sua sentenza capitale, a cui ne aggiugne- va un’altra, che per esserle subordinata, non è meno lu= minosa: «Ja semplicità degl’istromenti è la misura della per- fezione nelle chirurgiche operazioni ,,. Spesso‘, additando i vincoli che assoggettano l’arte alla morale o alla pru- denza , ‘ei ripeteva: ‘‘ operate pel bene dell’ umanità non per la vostra riputazione : interrogate le forze della natu- ta e non operate che per necessità: operate secondo i prin- cipii e non vi lasciate sedurre dalle apparenze, che ingan- nano talvolta senza rimedio,,. Spesso pure, accennando quan- to all’arti sanatrici accresca forza la bontà di chi le esercita, egli diceva: ‘‘ siate affettuosi cogli infermi, perchè sono i modi soavi una seconda medicina: non mostrate di disperar- ne giammai, perchè la serenità dell’ animo giova alla tran- quillità dei sensi, e guida più facilmente alla guarigione ,,. Queste sentenze , eccellenti per sè stesse, acquistava- no indicibile valore pel suo esempio, Il Barzellotti parago- na il nostro Vaccà *° a quell’eroe , che nulla reputava di aver fatto se qualche cosa a far gli restasse ,,. Persuaso co- m’ era, egli dice, che molto già si fosse operato pei pro- 115 gressi della chirurgia, ma che molto ancor rimanesse da ope- rarsi per condurla a quella perfezione di cui è capace, e desiderando ardentemente di contribuirvi , egli obliava le fatiche a quest’uopo sostenute, e ogni giorno si accingeva a fatiche maggiori. Di ciò si ha prova non iscarsa ne?’ suoi scritti, parte de’quali (cioè le osservazioni sopra la chirurgia di Bell, il trattato de’mali venerei e le due memorie sul perineo e la frattura delle coste ) dettati, come dicemmo, nella sua gio- ventù ; e parte (cioè il trattato de’ ristringimenti dell’ure- tra, il ragguaglio sopra l'operazione dell’aneurisma del po- plite, il discorso sopra l’allacciatura delle arterie e le let- tere al cav. Scarpa che dissentiva da lui sopra tale argo- mento, la memoria sopra la resezione della metà della mascella inferiore, quelle sul modo di curare la trichiasi , il tumor lacrimale , l’esofagotomia , la frattura del collo del femore, e quelle in ispecie sulla litotomia ne’ due sessi , intorno alla quale si trovò di nuovo a conflitto collo Scar- pa) dettati successivamente negli anni più maturi. Tutti questi scritti, di cui ragiona brevemente il Ro- sini, e distesamente, corm’era da aspettarsi, il Barzellotti, giustificano abbastanza le parole del primo, il quale , dopo averci detto che il Vaccà accoppiava alle cure dell’insegna- mento uno studio indefesso ; che nessun momento era per- duto per lui, di che poteano far fede ilibri spettanti alla sua scienza sparsi per la sua stanza di consulto e mesco- lati a quelli di letteratura e di passatempo fin nella sua sala di conversazione; che non faceasi scoperta nella scien- za medesima , di cui tosto non ponesse a parte i discepoli, nè usciva opera di grido che subitn non volesse conoscere, soggiugne : ‘ quindi avvenne assai di rado che apprestare non sapesse rimedio a qualunque caso , fosse pure inusi- tato e difficile; e che, meditando , non rinvenisse il modo di soccorrere a qualunque morbo , fosse pure strano ed ignoto ,,» Ma agli scritti si aggiunsero le invenzioni di nuovi stru- menti (come quelle d’una macchinetta di compressione per l’aneurisma del poplite , della cucchiaja per la trichiasi , 117 del coltello bottonato per la litotomia degli uomini, del- l’ectopasofago per l’esofagotomia); oi perfezionamenti de’ già usati (come quelli del coltellino per la trichiasi già detta, del coltello di Thomas per la litotomia delle donne, degli apparecchi di Desault per la cura del tumor lacrimale e della frattura del collo del femore ) intorno a che il Bar- zellotti nel suo elogio, che s'intitola yeporeyvixòr, darà a chi li desideri i più speciali ragguagli. Queste invenzioni e questi perfezionamenti, mentre pro vano anch'essi il suo zelo per l'incremento della scienza, sono ad un tempo bellissimi esempi di quel suo gusto della semplicità negli strumenti, ch’ei diceva sì importante pel buon esito delle operazioni. Il Rosini, parlando e degli stru= menti e degli scritti pocanzi lodati, ha ben ragione di me- ravigliarsi che tanto dar potesse il nostro Andrea “° con- tinuamente impiegato nell’operare , e distratto da viaggi frequenti, da numerose richieste di consulti e da pubbli- che straordinarie incombenze,,. Ma poi ch’egli era nato a co- se rare, e la mente del chirurgo, come da lui ripetevasi, acquista forze dall’esperienza, mi par quasi d’intendere co- me più gli giovasse il fervore che non lo impedissero le occupazioni o le distrazioni della sua carriera sperimentale. Distinguo questa dalla preparatoria, in cuiegli sì ad- destrò sui cadaveri, come spesso ricordava ai discepoli, non permettendo loro d’operare che in casi di lieve importanza, e dicendo “che non dovea porsi a rischio la vita d’un uo- mo per abbreviare di poco il tirocinio d’ un giovane. ,, In tutto il corso dell’ altra a cui si era così ben prepara- to, convalidando col fatto quelle sentenze di morale e di prudenza che si accennarono, egli, come scrive il Rosini, consultò sempre per risolversi ad operare il calcolo delle probabilità. ‘* Condannando altamente quei chirurgi egoi- sti, che lasciano morire l’infermo fra gli spasimi più acer- bi, per non arrischiare la loro fama operandoli; era uso di tentare qualunque operazione la più incerta, quando mancava ogni possibilità di guarigione. ,, Se così talvolta abbreviava di pochi giorni, prosegue questo scrittore, una vita di patimenti, accresceva un raggio alla speranza, ed 118 P apriva la via a qualche straordinario ajuto della natura’, le cui forze sono immensurabili. Nessuno più abile di lui ad impadronirsi dell’ animo dell’infermo e cattivarne la fiducia. Nessuno forse più mi- rabile di lui nell’usare di sì preziosa abilità, quando, riu- sciti inutili tutti i soccorsi ordinari dell’ arte, il pericolo di morte si faceva imminente. “ Allor sì , dice il Rosini, che cogli occhi sfavillanti, col riso sulle labbra e con quello sguardo, che ti penetrava nel cuore, tutto appianava, tutto reudea facile, inducendo alle più spinose ed incerte ope- razioni chi più era determinato a sfuggirle.,, Con qual delicata cautela ei procedesse operando ba- sti ad indicarlo quella paterna insistenza (uso qui pure le parole del Rosini) con cui, prendendone opportunità dalle proprie e dalle altrui operazioni, ei ripeteva a’discepoli: che le vie più brevi e più semplici di operare, comunque spesso le più difficili, sono sempre da preferirsi alle altre ; che il chirurgo non deve guardare qual via riesca più agevole per lui, ma qual riesca più sicura per l’ ammalato ; che non sarà grande operatore giammai chi non è divenuto prima grande anatomico , poichè nella complicatissima struttura della macchina umana , l’oblio o l’ offesa della più pic- cola parte può esser cagione d’irreparabili danni. Le premure, ch’ei davasi per gl’infermi dopo le operazioni sovr’essi eseguite, provano che le sue sentenze di bontà partiva- no veramente del suo cuore. Nota il Rosini ch’egli prendeva un affetto straordinario ai fanciulli che operava ed era in- consolabile se glie ne periva qualcuno. Sull’altimo della vita, a renderlo più inconsolabile, si aggiugneva certamente la ri- membranza del caro figliuoletto perduto. A renderlo da lun- go tempo sì affettnoso contribuiva forse un’ ansiosa solle- citudine per quelli che gli vivevano. “ Che temete? son padre anchio ,, erano queste le parole con cui egli , giu- sta la testimonianza del Rosini medesimo, cercava di ras- sicurare i genitori tremanti e piangenti che gli stavano in- torno, mentr’egli si accingeva ad adoperare il ferro su qualche loro piccola creatura. Delresto ei potea dirsi padre di quanti sj affidavano alle sue cure; e ne abbiamo testimonianze senza 119 numero. “ Se qualche ammalato esigeva la sua presenza (cito qui pure il Rosini) interrompeva ogni occupazione, abbondonava ogni disegno. Chiunque sottoponevàsi alla sua mano operatrice era da lui stesso visitato costantemente tre o quattro volte il giorno finchè durava il pericolo. Il ma- gnate ed il ricco, che generosamente dovea rimunerarlo , e l’ artigiano ed il povero che di sola gratitudine il com- pensavano , fossero cittadini o stranieri, ricevevano da lui le stesse dimostrazioni di zelo per la loro salute. Nel giorno stesso, in cui si pose a letto per non rialzarsi mai più, ne diede l’ ultima prova.,, Questo zelo sì umano (ci attestano concordemente il Barzellotti, il Rosini e l’autore delle memorie) lo ren- deva inesorabile verso i discepoli, se nella cura degli in- fermi si faceano lecito di trascurare o di variare la mini- ma delle sue prescrizioni. ‘Il suo carattere naturalmente fiero e risentito, dice il Rosini, mai non si mostrava tanto in evidenza come in simili casi. ,, Quindi il terrore di quella minaccia non mai proferita senza effetto nello spedale di Pisa : /o diremo al signor Andrea. Questo terrore peraltro, come osserva il Rosini stesso, mai non scemò ne’discepoli quell’ amore ch’ei meritava a tanti riguardi. La discipli- na chirurgica del maestro era una disciplina veramente militare, Ma essa era necessaria; avvezzava i discepoli ad una precisione , di cui vedeano l’utilità, e poichè il mae- stro vi si assoggettava egli medesimo , nessuno potea sti» marla troppo gravosa. Quando colle sue cure non riusciva a procurar la gua- rigione , cercava almeno co’ modi suoi d’ alleviare i pati- menti. ‘‘ Sincero sempre colla famiglia dell’ammalato, dice il Rosiri, non v'era lusinga o artifizio che non usasse con lui. Ogni lieve miglioramento , ogni apparenza di crise , ogni variato sintoma erano per esso un mezzo d’acquetare il timore e suscitar la speranza. Divergendo la mente e là rivolgendo l’imaginazione dove più si mostrava inclinata, ei.sapea condurre le donne, specialmente, nel corso delle cronache malattie con mirabile incanto. ,, Che non costava peraltro al suo cuore, prosegue lo 120 scrittore medesimo , quest'arte di lusingare altrui, quan- d’ egli era pieno d’apprensione o di dolore? Il fatto, che qui trascrivo, basterà a mostrarlo. ‘ Una donna d’alti spiriti, di molta avvenenza ma di troppo raro carattere , perchè nei nostri volti non dovesse leggere benchè nascosto l’inevita- bil suo fato; mentr’ egli scherzando a lei favellava di no- velli rimedii , sentendo mancarsi le forze, con gran dol- cezza gli disse: non già di guarirmi io ti chiedo, ma di farmi quanto men si può soffrire morendo, Aprì egli le labbra al sorriso per ingannarla , ma lo tradiva una lacrima. Il fin- ger che giova? ella riprese ; son pronta alla morte ; sol mi spaventa il dolore. Diede egli in un pianto dirotto ; qua- sichè l’empito dell’angoscia superasse i ritegni ,,. . La tenerezza di un tal uomo ci commove come la te- nerezza d’un eroe, Mentr’essa ciattrae deliziosamente verso di lui, facendoci varcare d’ un tratto quella distanza che credevamo posta fra la sua natura e la nostra, ci fa am- mirare quel vigor d'animo, con cui egli seppe occultarla a benefizio altrui, sostenendo seco stesso i più difficili com- battimenti. Allorchè vidi per la prima volta il Vaccà, avrei po- tuto, se altro non me ne distraeva, scoprire nella sicurezza stessa di quella sua aria marziale un segno profondo di tali combattimenti. C’era in lui, or vi ripenso, qualche cosa d’un Achille, che passeggi lungo il lido del mare dopo la morte dell’amico. Ed egli infatti avea pocanzi perduto il più di» letto degli amici in quel suo Francesco Castinelli,, che nel campo della chirurgia potea veramente chiamarsi il 3uo Patroclo, Ma ciò non seppi che a Livorno da uno de’fra- telli di quel giovane egregio (il povero Giovanni) che tro- vai desolatissimo. Il sorriso del Vaccò, scendendomi all’ani- ma con incredibile dolcezza, non mi permise d’ accorger- mi che la sua anima crudelmente soffriva. Pochi amici, al dire del Rosini, ebbe il Vaccà fra un immenso numero d’ ammiratori ; ma ciò non deve attri- buirsi a poca capacità d’ amare , poichè nessuno amò con maggior forza e costanza della sua. ‘Non a torto gli an- tichi, dice il Rosini medesimo, parlando della sua amici. 121 zia col Mascagni , finsero 1’ eccellenza delle amicizie fra gli eroi. Quando il merito mon è pari, o quando pari non è l'animo, sta la riverenza da un lato e la compiacenza dall’ altro. Qualche altra volta pur troppo non è l’amici- zia che una lega fra l’interesse e l’ambizione; ma merita ella un tal nome?,, L'amicizia del Vaccà e del suo alunno Castinelli non era sicuramente amicizia fra uguali. Nell’uno essa partecipa- va della benevolenza paterna; nell’altro della figliale rico- noscenza. Ma già il Vaccà si era avvezzato a vedere nel suo alunno il suo natural successore; lui solo avea chiesto qual ausiliare nella clinica esterna; a lui solo cedeva talvolta, dice il Rosini, il coltello operatore. L’alunno a rincontro si sen- tiva degno di questa fiducia, ogni giorno più si apparec- chiava ad uguagliare, operando, il maestro, e già si era fatto (veggansi le riflessioni da lui pubblicate sulla memo- ria del Vaccà intorno all’ allacciatura dell’iliaca esterna e sul giudizio datone nel giornale dell’Omodei) 1’ interprete de' suoi pensieri e il difensore delle sue dottrine. La disu- guaglianza fra ambidue si andava quindi sempre più sce- mando ; e se qualche cosa ancor mancava alla loro perfetta amicizia era supplita bastantemente dalla loro familiarità. Del resto, chiamando io l’ egregio alunno il più di- letto fra gli amici dell’ uomo illustre che lo allevò , ri- ferisco le mie parole ad un’epoca in cui il Mascagni più non vivea. L’amicizia, che strinse al sommo anatomico il sommo operatore, è troppo singolare da ogn’altra, perchè io possa farne alcun paragone. Il parallelo, che fa il Ro- sini de’ due grand'uomini, basterà a darci idea di questa loro amicizia, che non è l’ultima delle loro lodi. ‘ Chiaro l’uno par la scoperta de'linfatici godeva già di tutta la sua fama : acclamato l’altro pel maestro eser- cizio della mano preparavasi ad uguagliarla. Studiava il pri- mo nei cadaveri i segreti della natura che aveano cagio- nata la morte : si apprestava il secondo sui corpi ammalati a prevenirla. Generosamente sovveniva e affettuosamente curava i poveri infermi il Vaccà : tutti i propri averi al- l'incremento della scienza anatomica sacrificava il Masca- 122 gni.,, Ciò dice il Rosini, parlandoci del primo accostarsi i che fecero l’uno all’altro ; indi prosegue. ‘ Senza presun- zione e senza invidia, senza ambizione e senz’ orgoglio , semplici ne’ modi, cortesi nelle parole, dotati ambedue di quell’altezza d’ intelletto, che non fa mai temere della pro- pria fama, di quella fermezza di carattere, che nelle in- giustizie e nelle preferenze dei meno degni se n’ appella tacitamente al giudizio della posterità, e di quel disprezzo della falsa gloria, ch’ è uno de’ più rari e stimabili doni dell’ educazione o della natura , mostrarono sempre nella lor calda e vera amicizia che i vincoli di questo sentimento non sono perfetti che fra gli uguali.,, Discorrendo più sopra delle sollecitudini del Vaccà nella cura degl’infermi tacqui (sembrandomi che il farne menzione fosse soverchio) di quelle ch’ ei si dava pel sollievo della loro indigenza, Alcune delle parole pur dianzi riferite supplisco- no al mio silenzio e forse opportunamente. Già il Rosini, ragguagliandoci intorno alle prime cure quasi tutte gratuite del nostro Andrea, ci avea detto ch’ei soleva recare'a’ pu- veri il doppio soccorso dei donativi e dell’ arte. Or sia- mo assicurati che non era questo l’ effetto passaggiero d’ una giovanil commozione , ma il segno d’ una bontà e d’una beneficenza durevole. In prova di che mi è dolce aggiugnere alle parole citate del parallelo tra il Mascagni e il Vaccà queste che leggo nelle memorie manoscritte. “Nella carestia del 1817 egli alimentò quasi solo buona parte della popolazione di Montefoscoli , dandole sulle proprie terre un lavoro che non gli era così necessario quanto gli era costoso. In ogni tempo ei fu largo quanto portavano le sue facoltà ad ogni specie di bisognosi ed agli infermi special- mente, a cui facea somministrare da lui pagate le medi- cine, o a cui lasciava cheto cheto sotto il capezzale ciò che spesso giovava più di qualunque medicina.,, i Agli amici, a cui non poteva fare altri doni, faceva quello del proprio tempo, tesoro per lui inapprezzabile , visitandoli non chiamato , dice il Rosini, anche nelle loro più lievi malattie, e lagnandosi con loro dolcemente, che per riguardo al suo vivere tanto occupato gliele tenessero 123 occulte. Quest'amorevolezza dovea ben renderli indulgenti se, quand’erano sani, ei dava loro del suo tempo troppo meno che non avrebbero desiderato, comparendo egli di rado nei circoli, come dice il Rosini medesimo e non facendo qual- che eccezione alla sua ritiratezza che in riguardo a qualche personaggio eminente per dottrina o a qualche donna ce- lebre per ingegno. “ Del resto (‘altre parole del Rosini che ne confermano alcune del parallelo) con molto uso delle convenienze so- ciali, con molta cognizione de’popoli acquistata ne’viaggi, e con molta gentilezza ne’ modi, la sua conversazione era leggiadra, variata ed allegra. Pieno di politezza e di mo- destia nella propria casa ; libero , franco e disinvolto nel- l'altrui; in nulla obsequente o cerimonioso, l’ altezza del suo animo, e la fermezza del suo carattere apparivano a prima giunta , nè dato era molte volte che alla somma grazia o alla somma bontà di piegarlo ,,- Direbbesi ch’ei recasse nella conversazione certo spi- rito guerriero , che temperato dall’altre sue doti la ren- deva ad un tempo e più animata e più graziosa. ‘* Ama» va in singolar modo la contradizione, scrive il Rosini, nè facile era a ricredersi nè a mostrarne pur l’apparenza : sì che quando anche gli venivan meno gli argomenti, sorri- dendo aggiungeva che avrebbe cercate nuove armi per ri- cominciar la battaglia, e così terminava la disputa,.. Quando mad. Staél, egli aggiunge, passò più mesi in Pisa, ove segui- tono le nozze della sua figlia Albertina col duca di Broglio, Vaccà la facea ridere co’suoi scherzi e disperare colle sue op- posizioni. “ D'accordo sugli alti principii che formano il ben essere degli uomini, eran pressochè sempre discordi nel ri- manente. Le dispute erano frequenti: non eran pari le forze: e pur egli non mostrava di cedere giammai ,,. A mostrare però come queste dispute fossero gentili basti ricordare che l’ illustre donna godeva sommamente di rinnovarle. Fuori della conversazione, qualunque fosse 1’ impeto che lo portava al disputare, il Vaccà si tenne quasi sem- pre fra i confini del semplice ragionare. Egli avea eredita- to dal padre questa bella massima : non doversi perdere. 124 nelle dispute vane l’ingegno che impiegar si può nell’utili ricerche; e al più un poco di disputa esser lecito, quando l’avversario è dotto e sincero, perchè allora può sperarsene qualche buon risultato ad incremento dell’umano sapere ,,. Disputando, come fece, collo Scarpa egli non fu infedele alla massima paterna. Ho detto disputando collo Scarpa , e avrel forse det- to meglio studiando al suo cospetto. In quella prima que- stione sulla legatura delle arterie, di cui già si fè cenno, egli ebbe piuttosto l’aria di sottoporsi al giudizio del Ne- store dell’italiana chirurgia che non di sostenersi, contro di lui. “ Io non crederò , egli scriveva , dimostrata la mia opinione se non quando sarà divenuta la sua ,,. Quindi l’ono- rato carteggio fra ambidue, degno veramente, come s’esprime il Barzellotti, di due scienziati di tanto merito , e somma- mente proficuo alla scienza. Nell’altra questione sul taglio retto vescicale, ei mostrò non minor deferenza a quel gran maestro, e non minore dignità. Ciò ch’i» scrivo, egli diceva, « proverà che non servo all’autorità nè all’abitudine , di- vinità sì care agli uomini e a cui spesso tutto sacrificano ,,- E proverà pure, soggingneva ‘ che non m’inebriano i miei successi, che ascolto la sola ragione, e che sono prontis- simo ad abbandonare le idee e le pratiche più favorite , di cui mi si mostri l’erroneità ,,. Il taglio retto vescicale era stato primamente proposto dal giovane Sanson ; ma senza gli studii del Vaccà non avrebbe forse trovato che contradittori. Il Vaccà , avvezzo, come dice il Rosini, a tener conto delle opinioni di tutti, fossero di chiara o d' oscura fama, giacchè il suo scopo era di giovare all’ umanità non di soddisfare alla propria am- bizione, mise in chiara luce i vantaggi di quel taglio, cercò il modo d’evitarne i pericoli, e fece , per così dire, onore al Sanson delle proprie scoperte. Ciò ne prova un’altra bellissima qualità del suo ani- mo , indicata nel parallelo, e che partecipa ad un tempo della virtù del filosofo e della generosità del guerriero. ‘° Con quanta modestia, già avea detto il Rosini parlandoci de’pregi del suo insegnamento, non confessava ai discepoli d’ esser- 225 sì talvolta ingannato; con quanta compiacenza non faceva loro parte d’un più certo metodo, o loro non indicava un più facile processo ,,! Così il nostro Vaccà mostrava sicu- ramente di non essere un uomo volgare. Colla sua condotta verso il Sanson egli ha mostrato d’esser uomo rarissimo anzi fra i più rari eminente. Piaccia al cielo che il Rosini s’ingan- ni, scrivendo che nessuno nel caso del giovane francese speri di rinvenire agevolmente chi imiti il chirurgo italiano, tanto gli par difficile ch’ altri possegga ‘ altezza d’animo pari alla sua ,, Non so s’io mi debba aggiugnere fra le prove di que- sta sua altezza d’animo la moderazione serbata quando la fortuna, accarezzandolo , potea tentarlo facilmente d° uscir- ne. Ho esitato più sopra a parlare de’ suoi soccorsi pecu- niari all’ indigenza inferma , sembrandomi che potessero congetturarsi , e il rammentarli fosse ben scarso encomio per chi dava ad essa il riposo, la vita e quanto avea di più caro. Così mi par quasi superfluo il mostrare, come sep- pe temperarsi fra le carezze della fortuna chi seppe tem- perarsi così bene tra le lusinghe della gloria. Il Rosini , parlandoci del primo incontro di Vaccà e di Corvisart a Parigi, dice che “ potrebbe facilmente isti- tuirsi un parallelo fra l’ uno e l’altro, cominciando dal- l'ascendente che ottenne il francese sull’animo di Napoleo- ne e l’italiano su quello d’Elisa che qui regnava ,,. Liodasi il primo e meritamente per aver usato da saggio di ciò che molti non saggi forse gli invidiavano;; e «questa lode non può mancare al secondo. ‘* Medico e chirurgo ‘nella corte d’Elisa, leggo nelle memorie manoscritte, il Vaecà non ambì mai d’ essere in essa che medico e chirurgo. «Della famiglia. rità donatagli (Elisa il volle seco una volta anche nella»ca- pitale della Francia, meno per bisogno dell’arte sua «che del suo amichevole consiglio) non fece uso che per dire cose utili al suo paese, e che nessuno per ‘avventura. avrebbe osato dire in vece sua ,,. Secondo queste memorie pare ch’ egli fosse ‘stato in molto favore anche presso la regina: di Etruria ., poichè nel 18:15, essendo ella sovrana d’ uno stato vicino , lo incari= 196 cò di accompagnare da Pisa a Genova Pio settimo , che si ritirava per la nota invasione del suolo romano. Qual fa- vore egli abbia goduto presso il buon Ferdinando lo pro- va l’essere stato da lui eletto a riordinare col Torrigiani e col Lodoli gli studi medici e chirurgici della Toscana , di che fu rinumerato colla croce di quell’ordine che s’intitola del merito. D’ogni parte e d’Italia e de’più civili paesi d’Eu- ropa (giacchè le sue cure non che la sua fama si estesero assai lungi) egli ebbe dimostrazioni del favore de’grandi, ed è superfluo il dire che pago di meritarle mai non ne invanì, Com’egli peraltro ne fosse riconoscente lo dicono Je sollecitudini mostrate ai Napoleonidi dopo la caduta della loro fortuna. Ovunque essi ebbero d’ uopo della sua as- sistenza sempre lo videro al loro fianco. Mi sono sentito commuovere leggendo nelle memorie , come in quel Via- reggio, ove fu nel 1799 in aria di conquistatore, si tro- vò nel 1814 pietoso consolatore d’ una donna ammirata per le sue grazie e per la sua beneficienza (la principessa Pao- lina) che dovea precederlo d’un anno e mezzo al sepolcro. Chi volesse proseguire il parallelo indicatoci fra il Cor- visart e il Vaccà noterebbe forse come per singolare incon- tro l’uno fu il primo a professare pubblicamente in Parigi la clinica interna e l’altro in Pisa l’esterna ; come ambidue ebbero vanto d’eccellenti dimostratori e di pratici non me- , mo eccellenti; come se l’uno fu denominato l’Ippocrate della Francia, l’altro, non volendosi togliere il nome d’Ippocrate al padre suo, potea denominarsi il Chirone o il Podalirio della Toscana ; come ambidue allo stadio delle scienze mediche e chirurgiche accoppiarono la scienza del mondo, la cul- tura delle lettere, la gentilezza de’ costumi; come ambi- due finalmente, illeggiadrirono per così dire in sè stessi le scienze da loro professate, e, rendendole più socievoli, fu- . rono della società riconoscente circondati d’un’aura lusin- ghiera, che accrebbe i piaceri della loro vita. Ma chi può trovare somiglianza di piaceri fra due uo- mini buoni, che non trovi pure qualche somiglianza di do- lori? Il Corvisart ebbe fra gli altri un dolore acnutissimo e veramente senza compenso per la perdita d’un figliuoli» È 127 no unico , e da lui amato sopra ogni credere, Il figliuolino che Vaccà perdette non era unico, è vero, ma da lui tan- to amato, che al perderlo , dicono le memorie manoscrit= te parve che volesse impazzirne. ,, Già abbiamo veduto com'egli si affezionasse agli es- tranei, per non dir nulla dell’affetto che portava agli ami- ci; e c'imaginiamo facilmente qual fosse l’amore che por- tava a quelli del suo sangue. Che se un tale amore acquista forza dal tempo, dalle abitudini, dai casi o tristi o felici in- sieme percorsi, e più di tutto dalla riconoscenza, intendiamo di che modo il Vaccà si sentisse legato ai vari membri della sua famiglia e al genitore specialmente. “Ottimo figlio, dice il Rosini, egregio marito, padre tenerissimo , nella sua gioventù stato era il discepolo del padre e del fratello; negli anni più maturi il consigliere e l'amico. La loro famiglia offeriva il raro aspetto della concordia , della benevolenza , della stima reciproca e del sapere. ,, Ma qual bene è durevole nel soggiorno della mu- | tazione e della sventura? Non lagniamoci però troppo ama- ramente della mutazione e della sventura, quando serve come nel nostro Vaccà a far vie più risplendere la virtù, Leopoldo era partito (nel 1801) per continuare la car- riera dell’armi; il più giovane de’fratelli, Giuseppe, era spi» rato poco dopo fra le braccia del padre; e il solo Andrea da più anni era rimasto consolatore de’cadenti suoi giorni. Quando (nel 1809) ecco giugnere annunzio che Leopoldo; terminata la campagna di Portogallo , ed ottenuto il con- gedo , faceva ritorno alla sua casa e ormai era vicino. ‘‘ H misero vecchio, percosso già dalle politiche tempeste, per- cosso dalla morte del figlio , ciò udendo , parve obliare un istante i suoi mali, e spedì un fratello incontro all altro , quasi sperasse che gliel ricondurrebbe più presto. L° ora del loro arrivo era da lui calcolata con esattezza ; al battersi della porta egli accorse alla scala per abbracciar= li; nè altri vedendo apparirsi dinanzi che lacrimoso il ‘suo Andrea (Leopoldo era morto a Lerici improvvisamente d’ e- motossia montando in carrozza) si abbandonò a tanta ango- scia che ne perdè la ragione. ,, Così presso a poco il Rosini, 128 riferendosi a ciò che narra di questo caso compassionevole l’illustre Dupin nella prefazione al commentario sull’ asse- dio d’Aleria, operetta postuma ‘di Leopoldo. Indi, xife- rendosi insieme alla testimonianza di questo scrittore, e a quanto ei medesimo ha veduto, prosegue: ‘* Fu sempre Andrea da quel giorno anzi padre che figlio del padre suo ; giacchè non avvi che un padre , il quale con amorosa a indefessa pazienza sopporti quello che insopportabile pare ad ogn’altro. E nella lunga infermità che precedè la sua morte, con quai sollecite cure non gli rendea men penosa la vita; con qual co:tante pietà rispet- tar non facea l’ inquieta vecchiezza d’ un padre dal dolore precipitato in una seconda infanzia! E quando a sè lo ehia- mò la natura, con qual tenerezza non ne compose in pace le ossa e sparse di lacrime quella terra che lo ricoperse (nel camposanto pisano divenuto il panteon degli uomini illustri della Toscana) e che sì presto, ahimè, dovea ria- prirsi per accogliervi innanzi tempe le sue!,, Compagna ai pietosi ufici, ei segue a dire, gli era la vedova del maggior fratello (Sofia di Coderaun figlia d’un ri- putato medico di Tolone) che poi divenutagli sposa (nel1814) in brevelo fece padre di due carissimi figli. Fra questi nuovi oggetti della sua tenerezza e delle sue cure ei visse per qual. che tempo felice. Lo avresti detto rinato con loro (ciò che il Rosini racconta della parte ch’ ei prendeva ai loro tra- stulli, volgendoli con savio accorgimento alla formazione del loro spirito, veramente consola); e la floridezza stessa della sua salute, che fin presso di quarant'anni, come leggo nelle memorie manoscritte, era stata assai gracile, mostrava la sua piena contentezza. La morte del suo alunno prediletto, e in seguito quella del suo terzogenito venne a portargli quel primo colpo , che doveva esser fatale alla sua esistenza. Di rado avviene dice il Rosini, che le gravi malattie, le quali conducono alla morte i più vegeti, preparate non sieno da qualche causa morale. E le cause morali tanto sono più possenti a distruggere il principio della vita, quanto sono più rin- chiuse e concentrate. “ Una delle qualità degli alti animi 124 è di nascondere il dolore e. mostrar calma nell’. avversità. In lui (nel Vaccà), si aggiugneva una certa vergogna nel confidar gli affanni che lo premevano. 1 suoi più intimi amici se ne accorgevano dall’aspetto e rispettavano il suo silenzio. ,, Il dolore delle due perdite da lui fatte era ancora as- sai recente, quando un morbo irresistibile, dice il Rosini, investì il maggior fratello del suo amico defunto , e lo fece adirare contro sè stesso per l’ impotenza dell’ arte. Da quel- l'istante la serenità del suo carattere fu per sempre per- duta, e non riapparve di tratto in tratto che per far illu- sione agli altri e a lui stesso. Egli amava Giovanni Castinelli di doppio amore: per le rare sue doti e per la memoria dell’amico perduto. La me- moria, che appartiene al cuore, era in lui potentissima, e parea fatta per rompere le dure leggi della tomba. L’En- topa ne ha una prova luminosa nella grande anatomia del Mascagni pubblicata a Pisa per le sue cure. ‘ Padre di fa- miglia, dice il ‘Rosini, andò incontro ‘ad ‘una perdita cer- ta, onde rivendicare all’ amico una gloria, che non debbe dividere con altri. ,; AI prediletto de’ suoi alunni prestò un culto ancor più toccante: un culto di dolore che si estese al fratello, e di cui non può esserci dubbio 1’ effetto. La nascita d’ un quarto figlio , dice il Rosini , e l’ono- revole commissione della corte di Parma (quella d’ accor- rere alla ‘curà d’un’ottalmia che fino dal 1823 infieriva fra le sue milizie e che da lui fu guarita ) aggiunte alle carezze degli ammiratori e degli amici, dandogli una piacevole di- strazione , avrebbero forse potuto restituirgli qualche cal- ma, seal suo ritorno trovato non avesse fuor di speranza l’amico , il quale fattosi trasportare in una campagna a lui vicina gli rinnovava ogni giorno in cuore la più terribile angoscia. ; “ Che più? Quella febbre, quella febbre tremenda che, secondo le sue parole, padrona divenne della sia casa (un tifo nervoso, come poi si conobbe, che da alcuni dì il mi- macciava), con un nuovo parossismo l’ assalse nel punto istesso ch’ ei visitavalo per l’ultima volta, e che alla fa- T. XXV. Gennaio. 130 È miglia pronosticava il prossimo fine di lui. Sicchè una eru- dele fatalità, dopo avergli rapito e il discepolo e il figlio, lo spingeva nel letto ammalato, coll’imagine nel cuore della sicura e pronta morte del suo giovane amico. Sventurato! Chi detto gli avesse che a quella dovea precedere la sua /,, Essa avvenne, com’è troppo presente alla memoria di tutti, la mattina dei 7 settembre dello scorso anno in Or- zignano, luogo del contado di Pisa , ove allora il Vaccà villeggiava. Fu quasi morte di guerriero sul campo della battaglia. Una difficile operazione di pietra (per mezzo del taglio retto vescicale ) fatta sul finire di agosto , un correre continuo dei dì seguenti sotto un cielo insalubre per la sua calda umidità , visitando a distanze non brevi gl’ infermi che lo invocavano , sicuramente ne affrettarono l’istante. Il Barzellotti, il Rosini e prima di essi il Comandoli, chiamato dal Vaccà stesso a prestargli i soccorsi dell’arte, ne hanno descritto con pietosa cura gli ultimi momenti. ‘ AI pari del grande Haller, dice il secondo di questi serit- tori d’ accordo cogli altri , ei giudicava dei progressi del morbo , e ne indicava il termine ferale finchè si mostrava lontano ,,, Un’esclamazione uscitagli di bocca contro la me- dicina è interpretata dallo scrittore medesimo come signi- ficar volesse: ‘“ maledetta 1’ arte che sì chiaramente addita i sintomi della morte! ,, Le memorie manoscritte accennano l’opinione di vari medici, che fino dal primo infierire del male ei perdesse la vera conoscenza delle cose. Una sola volta, come leggo in esse, egli parve dar segno di dubitare del proprio pe- ricolo, e fu quando chiese al Comandoli come avesse ter- minato il giornaliero ragguaglio della sua malattia, che man- dava agli amici di Pisa. La mattina del 6, narrano queste memorie, egli volle essere messo in piedi, per conoscere, disse, Ze proprie forze. Poche ore dopo cominciò l’ agonia che gli tolse di vedere la desolazione della sposa e degli amici (i figlioletti erano altrove) che gli stavano intorno. L’annuncio della sua morte fu un colpo terribile per la Toscana. I suoi funerali furono quelli d’un grand’uo- mo: il lutto pubblico re formò la pompa. 131 « Ghirlande di cipresso e di lauro , dice il Rosini , ne coronavano la bara; a man piena il lauro spargevasi dinanzi ai passi di chi lentamente traendolo parea che, in- terpretando il comun desiderio, prolungar volesse negli ani- mi il conforto del dolore.,, Quando la bara, egli prosegue , passò dinanzi a quel- l’ospizio di carità, ov'egli avea operati sì numerosi por- tenti, è d’ ogni parte si levarono le grida e il compianto, fu veduto un vecchio strascinarsi lentamente sulle membra ancora inferme, onde mescere le sue alle lagrime comu- ni. Era nn vecchio da lui pocanzi salvato (col taglio retto vescicale di cui ultimamente si è fatto cenno) e che ‘ non credeva di meritare dal cielo la pena d’ accompagnare il suo liberatore al sepolcro. ,, Più oltre una madre, mostran- do all’affollata moltitudine un bambino da lui pure gua- rito coll’operazione della pietra, e dirottamente piangendo, accresceva colla sua la generale costernazione. Al’ ingresso di quella gran piazza ove l’uomo, che per la prima volta vi metta il piede, si crede trasportato d’ improvviso in qualche antica città del magnifico Oriente, qual nuova commozione per molti, che avranno ripensato a que’ giorni in cui, come scrive il Rosini “il popolo ac- correva in folla ad ammirare la ferocia e 1’ ubbidienza de- gli arabi corsieri, che pajon generati dal vento, e le rin- novate prove della lancia e del giavellotto ( nel 1801 al- cuni grandi ufiziali della corte d’Egitto venuti a porsi sotto la cura del Vaccà fecero ivi corse e giuochi guerrieri al- l’uso moresco), meravigliandosi del rispetto che mostra- vano i mussulmani così spregianti ed alteri, ed ignoran- do forse che il prodigio era dovuto al nume della salute, più possente allora del profeta.,, ‘‘ Smarriti ed attoniti intorno al defunto i discepoli, prosegue la sua narrazione il Rosini, e procedendo fra i sospiri non osavano mirarsi l’un l’altro; finchè giunsero al loco che calma tutte le passioni, che termina tutte le gare , che distrugge per sempre tutte le speranze del mon- do. Un fremito di trepidazione e di spavento ne invase le membra all’ aprirsi del sepolcro ; e poi che la fredda spo- 132 glia discese nella pace dell’eternità, il marmo che richiuse la tomba parve che rimbombasse a tutti nel cuore. ,, Presso quel marmo sorgerà presto, non ne dubito, un monumento (dicesi che un valente giovane amico della fa- miglia ne abbia già fatto il disegno; ma l’ opera sarebbe degna della gara di tutti gli scultori toscani) a cui i con- cittadini e gli stranieri porteranno il loro tributo dî rive - renza e di dolore. Nel tempo stesso vorranno visitare quel h’egli eresse a chi più di tutti meritò l’amor suo, e po- sati, come s’ esprime il Rosini, all’ ombra ospitale di quegli alberi, che ne’ giorni d’ozio piantò di sua mano egli stesso ‘° venerando la memoria del padre, piangeranno in » silenzio sull’acerbo destino del figlio ,,. Più volte io già ebbi in animo di visitarlo vivente il Vaccà (trovasi in una villetta di sua creazione detta il Tor- ricchio presso Montefoscoli a venti miglia da Pisa, e s'in- titola comunemente il tempio di Minerva medica) stimo latovi dai più intimi amici dell’uomo illustre che lo eresse, e della fama che lo celebra qual opera di squisita architettura. Quanto quella visita sarebbe stata piena di dolcezza! Quanto fu piena di tristezza quella specie di devoto pellegrinaggio, che feci ad esso in compagnia del Giordani e del :Vieus- seux,, pochi giorni dopo il fatale 7 settembre! Come il monumento (disegnato e fabbricato per cura di Ridolfo Ca- stinelli, minor fratello di\Francesco e di Giovanni già lo- dati e compianti) non è peranco stato descritto , piacerà al lettore ch'io qui tocchi ciò che ne dicono le memorie manoscritte , e della cui esattezza posso rendere testimo- nianza . Sorge esso in un boschetto sulla cima d’un colle, a cui si sale per diverse parti, ma a cui venni condotto per lungo e tortuoso sentiero , tutto fra quete ombre, di cui appena turbava il silenzio lo strepito lene di qualche ru- scello , o la voce di qualche abitatore dell’ aria , ch’ ivi forse piangeva una perdita a lui funesta. Dicono che il mao» numento, veduto da lungi quando il sole tramonta, sem» bri tutto una fiamma » simbolo egregio dello splendido ac» caso di chi illustro la terra col sapere e colla virtù, Quan» 133. d’io gli fui vicino , esso era investito da una luce di mez- zogiorno, a cui si frapponeva di tempo in tempo l’ombra di qualche gran nube, e mi facea pensare com’ è spesso interrotta nel suo maggior fulgore la vita della gloria. Non ho dalle memorie manoscritte nè la misura dell’al- tezza del bel monumento , nè quella della sua ampiezza. Ma basti accennare ch’ esso è di mole assai maggiore che l ordinaria de’tempietti, onde s° adornano i più nobili giar- dini. Il suo pronao, di cui non troveresti modello in alcun edifizio che esista , poi ch’ è imitato da pochi ruderi gre- ci, è octostilo e d’ ordine ionico, Le colonne colle loro basi eiloro capitelli, e tutta la trabeazione all’intorno, tranne l’architrave ch'è di marmo bianco , sono di terra cavata, modellata e cotta sul luogo stesso ove il monumento do- veva alzarsi. Della terra medesima , a cui si è serbato il colore datole dal fuoco, sono pure gli ornati, le antefisse a doppio ordine, la cuspide e il muro della cella, opera reticolata di molta vaghezza. Nè la materia fu dall’archi- tetto scelta a caso, poichè di tal durezza che battuta col- l’acciaio manda scintille, e promette quella durevolezza che non prometterebbe se non qualche pietra assai rara. L’interno è graziosamente disposto ad uso di chi voglia go- dervi piacevole riposo ; disposizione che forse il suo ordi- natore, vivendo, gli avrebbe cangiata , per farlo servire di vero sacrario alla sapienza medica , siccome porta }'iseri- zione esteriore , e a/l onorata memoria di Francesco Vaccà Berlinghieri. Questo monumento già era finito fino dal 1523; ma tutto all’intorno è ancora imperfetto. La via che in sull’ altura mette fra colte siepi e con soave salita alle sue soglie. è ancora senza battuto ; gli alberi che a giusta distanza il circondano di grate ombre non sono ancora tutti cresciuti; i fiori che dai gradini e dalla base debbono mandare ad esso un perpetuo olezzo lasciano ancora larohi spazi ad altri fiori no- velli. La casetta elegante che sorge a poca distanza (edi ficata sul disegno dell’ architetto medesimo del tempio, il qual pare che in essa abbia voluto mostrare come possano conciliarsi la massima modestia e la massima comodità) 134 manca tuttavia d’alcune compitezze e d’ alcuni ornamenti. Le opere dell’agricoltura, nella quale il Vaccà fu esperi- mentatore coraggioso e instancabile, in alcune delle circo- stanti campagne le vedi appena cominciate;, in altre appena disegnate. Ogni cosa ti avverte al Torricchio che un colpo crudele venne ad interrompere una creazione egualmente nobile che leggiadra ; e ti fa pensare a ciò che interruppe di già concepito a prò dell’ umanità. La casa abbandonata del Vaccà a Montefoscoli ( dico abbandonata , poichè appena ti accorgi , penetrandone la parte più interna, che vi alberghi una creatura vivente ; la madre del grand’ uomo, ivi nascosta a piangere un in- consolabile dolore ) non ti stringe 1’ anima sì fortemente come ciò che vedi al Torricchio. Là tutto appartiene, per così esprimermi , ad una vita già lontana; qui ad una vita che fioriva pur jeri, e a cui sorridevano mille speranze, Fra l’ ombre del boschetto , fra le coltivazioni del colle, nell’ interno del tempio, in quello della casetta elegante, ogni cosa ti par che annunci od aspetti la presenza del grand’uomo, e tu sai che il grand’uomo mai più non tornerà. Ho qui sovra la carta , in cui vo scrivendo , un ra- moscello spiccato dal vecchio olivo, che sorge innanzi alla porta della casetta elegante , ed è si può dire in quel luogo tutto nuovo l’unica antichità. Il buon Vaccà, per ciò che parmi d’aver ivi udito, venne a patti coll’ architetto onde salvare quell’ albero , o gli piacesse di vagheggiare in esso un testimonio de’ tempi trascorsi, o di simboleggiare l’asilo di pace che si andava preparando , e affidare così l’ ami- cizia che verrebbe a visitarlo e il bisogno di qualunque specie ch’ivi a lui farebbe ricorso. Io vi ho appoggiata la testa con mestizia, bagnandolo d’ una lagrima secreta , e pregando le età future a rispettarlo. Indi, immaginandomi a un tratto di vedervi accolti intorno i tre figliuoletti del- ‘J uomo illustre che non è più, e risuardandolo qual sim- bolo della sua saggezza, mi sono sentito rincuorare da non so quale augurio ch’ essa verrebbe in loro rinnovata. Nè quest’augurio, che qui mi è sì grato d’esprimere, era senza cagione. Io veniva dall’interno del monumento, 135 in fondo al quale mi era trattenuto non brevemente dinan- zi al busto di chi lo inalzò (modellato dal bravo giovane Paolo Follini , che sta lavorando in marmo quello che debb’ esservi sostituito) quasi cercando nella sua fronte i suoi ultimi pensieri. Ivi un’ amabile guida, che ci faceva al Torricchio gli onori dell’ospitalità, pronunciò, non ac- corgendosene , una delle più belle tra le funebri orazioni: « Cecchino (il maggiore de’ figliuoletti del Vaccà) ha serit- to anche ultimamente alla signora Sofia per consolarla nel suo dolore : mamma , le ha detto fra 1’ altre cose, sento quali obblighi mi lascia il gran nome del babbo e mi stu- dierò di adempirli.,,. Poldino e Beppino, io pensava , ascol- tando con tenerezza queste parole, come appena siano cre- sciuti, essi pure diranno così. Il Rosini, d’accordo coll’autore delle memorie mano- scritte , ci dice , che il Vaccà avea cominciato egli stesso ad aprire l’intelletto del suo Cecchino colle prime lezioni d’ anatomia , non aspettando compito 1’ ottavo suo anno. “ Egli trovò in patria l’arte bambina, prosegue lo scritto- re, e la lascia gigante. Possa suo figlio conservarla un gior- no qual ei l’ha lasciata, che temerità sarebbe una maggiore speranza , e a lui solo, quando nol fosse , conveniva d’ e- sclamar con Omero: Dei fate che questo mio figlio sia d’egual decoro alla patria ; e alcuno veggendolo dica: egli è molto da più di suo padre! Gli scritti, ch’egli ha lasciati, le belle invenzioni di cui ha arricchito la scienza , sono un monumento innalza- to da lui medesimo alla propria gloria e contro cui non è a temersi il dente dell’età. Ciò che hanno scritto de’suoi stu- dii, delle sue cure, del suo metodo d’insegnamento, delle doti del sno animo i suoi amici e colleghi : ciò che ne seri- veranno altri, fra i quali non dubito di annoverare 1’ il- lustre Richerand (un filosofo dell’indole del Vaccà) di cui si aspetta ampliata la storia chirurgica, e il nostro Giordani che nella piccola Elvezia di Varamisti, ove riposammo la notte dopo il nostro pellegrinaggio, si mostrò con mia gran contentezza e del Vieusseux così bene disposto, servirà a quel monumento di bellissimo fregio. A compirlo, peraltro, bi- 136 4 bisognerà la mano del figlio , che non tarderà sicuramente ad apparecchiarvisi. Il Barzellotti e il Rosini si dolgono che il Vaccà non ebbe tempo di mostrare al mondo tutto ciò ch’ ei vale- va, benchè quanto ei mostrò potesse bastare alla fama di molti. Ben altro campo egli avrebbe dato alle lodi dei dotti , scrive il Rosini, ‘ se giunto fosse a quell’ età ‘ in cui, deposto il coltello anatomico, avesse potuto abban- donarsi a quella lunga e continuata meditazione che sola è madre dell’ opere immortali ,,. Cento e cento indicazioni, secondo questo scrittore , egli ha lasciate per compire ciò che avea pubblicato. Cento e cento memorie egli ha forse lasciato in famiglia , atte a mettere in piena luce 1’ indole del suo ingegno e del suo cuore. lo non diffido punto di vedergli fra pochi anni reso dal maggiore suo figlio quell’of- ficio che rese Bichat al suo gran maestro Desault, racco- gliendone, ordinandone, spiegandone le opere e dichiaran- done i sentimenti e i pensieri più segreti. Quest’ occupa- zione, raffermando il giovanetto nel nobile proposito, che già sembra aver concepito con virile consiglio , farà ch’ ei ci ridoni più presto in sè medesimo il suo illustre genitore. M. 137 BULLETTINO SCIENTIFICO N.° XL. Gennaio 1827. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Lettera del Prof. di fisica sig. Ferdinando Elice, scritta dalla Lanterna di Genova il dì g. gennaio. ._ Gli effetti prodotti dal falmine nella torre della lanterna il 4. del corrente mese alle ore 6 1/2 di mattina essendo straordinari, anzi unici nella storia dell’elettricità, meritano di essere conosciuti dagli amatori delle scienze naturali. So che voi più e più volte foste a vedere la lanterna ; non dovete quindi ignorare che questa torre quadrata, larga nella base 9. metri di lato, alta 76,60, è sa d’ una collinetta isolata alta dal mare che in parte la bagna 47,97 metri, porta in cima un gran fanale del dia- . metro di quattro metri, terminante in croce, fasciato superiormente di piombo; havvi una scala e diverse chiavi di ferro , siccome pure 5. tubi di latta che servono a dar esito al fumo de’ lumi, che trova- vansi in quell’ istante accesi. Saprete pure che alla croce armata di tre punte dorate, grossa metri 0,028, di altezza uguale alla colon- netta di marmo dove è fitta, la quale è di metri 1,70, sta unita una treccia metallica di tre fili di rame ossidati del diametro di quattro millimetri ciascuno, che comunica con tutta l'armatura metallica, e quindi discostata quasi due decimetri dalla muraglia va a terminare con un peso di due chilogrammi in una cisterna lunga quattro metri, larga due, e profonda quattro, in cui sono due metri d’acqua. Questo conduttore fu costrutto, saranno 50 circa anni, dal meccanico Rossi, e da quel tempo in poi si cambiarono più di 20. volte le punte , per essere state alquanto fuse, ma sempre più delle altre quella di mezzo. Appena il fulmine ha colpito la lanterna, i custodi che trova- vansi nella stessa hanno esaminato il conduttore ed osservato : 1. Che la croce più non esisteva, a riserva dell’asta verticale, rotta non fasa, nelle estremità dove era la punta. 2. Che porzione del conduttore era rotto in sei pezzi, cinque de’ quali caduti poco distanti dal muro, e l’altro lungo mezzo metro, che conservo gelosamente, si è trovato distante dodici metri, e vicino ad una muraglia nella quale havvi un foro di quindici millimetri, che dicesi fatto dalla saetta. 138 3. Che tatte le estremità di questi sei pezzi di corda, i quali for= mano la lunghezza di nove metri , erano più o meno fuse ; cosiechè queste dodici estremità, unite alle altre due da dove si sono divise, for- mano quattordici estremità di corda fase ; e siccome ogni estremità di questa corda termina con tre fili , dunque le estremità de' fili fusi sono 42. 4. Che la corda del conduttore per la lunghezza di quattordici metri, cominciando dalla estremità che trovasi nella cisterna, nulla ha sofferto , come non è danneggiata l’ altra‘ porzione , che comincia dalla croce e discende a tre quarti della torre. 5. Finalmente che l’asta orizzontale della croce, lunga un metro, del peso di quasi 3 chilogrammi, la quale era fissata con vite unita. mente alle due punte, erano distanti dalla lanterna trenta e più me- tri, senza marche di fusione. La punta verticale fin’ ora non si è tro- vata. \ È bello l’ osservare tutto il conduttore disossidato ad eccezione di quella porzione che aggirasi attorno al fanale , la quale comunica coi su riferiti metalli. Del resto l’ edifizio non è stato in aleun modo danneggiato, a meno de’due portelli della cisterna, che sono alquanto rotti, e smossi i cardini. Le dodici persone che vi si trovavano hanno veduto un lampo e sentito un colpo solo somigliante a quello di un cannone. L’ asta della croce e gli altri ferri non mi hanno dato alcun segno magnetico, ad eccezione di una chiave che attira la limatura di ferro alla distanza ci due millimetri. . Amico, che bella lezione è mai questa! quante riflessioni avrei a fare, se i limiti di una lettera e le occupazioni della cattedra non me lo vietassero ; tuttavia osserverò che se questo conduttore (nel caso che la folgore abbia prima colpito le punte ) avesse avuto una sola punta ed una spranga più lunga , e se la cisterna avesse avuto una maggior capacità , 0 profondità , l'elettrico della nube sarebbe stato attratto ad una maggior distanza , e quindi si sarebbe gradatamente scaricata; nel caso poi, e questo mi sembra più probabile, che la saetta abbia prima colpito il condattore dove si è fuso , in allora credo che se la torre avesse avuto a quest’altezza quattro punte orizzontali nei quattro angoli, in comunicazione col conduttore, non si sarebbe tutta ad un tratto scagliata una dose tale di elettrico da prodarre i su de- scritti effetti. Spiacemi in fine di non potervi per ora indicare altre particolarità, le quali mi propongo in una memoria di pubblicare: in- tanto gradite ec. Nel 20 marzo 1826 fa veduto nel cielo da diversi luoghi un arco 139 luminoso , che non si vide da molti altri luoghi. Sembra probabile che esso fosse un effetto della luce boreale. Un giornale tedesco riferisce una teorica degli aloni , dei pare- lii, e d’altri fenomeni analoghi, appoggiata ad esperienze; opera del Frauenhofer. L’ autore riporta molto minutamente un gran numero d’ osservazioni di aloni, veduti la maggior parte intorno al sole, ed alcuni intorno alla lana. Risulta dalla sua esposizione che il feno- meno apparisce ordinariamente quando il cielo è velato d’ un vapore leggiero. Due o più anelli di diametri variabili, contigui fra loro ed al corpo luminoso, presentano i colori dell’ iride , col rosso all’ester- no di ciascuno. L’ autore li chiama aloni della piccola specie. Due anelli concentrici al corpo luminoso , uno del diametro di 45 gradi, l’altro di go circa , formano gli aloni della grande specie. Il pri- mo di questi è bianco , o colorato in modo che il rosso si trova nel- l’ interno ; il secondo ha dei colori più deboli, ma nello stesso or- dine. Qualche volta degli anelli concentrici che passano sopra il sole tagliano quei diversi anelli, e nei punti d’ intersezione si mostrano i parelii ed i paraseleni , che sono più splendidi degli aloni. L’ autore, dopo aver citato le spiegazioni che di tali fenomeni hanno dato Cartesio , Gassendi, Dechales, Huygens, Newton, Hube, Jordan , ed i sigg. Brandes , Mayer, e Brewster; espone la sua pro- pria , che somiglia a quelle di Hube e di Jordan, ma che è appog- giata a fatti positivi ignorati da quelli. Hube attribuisce la forma- zione degli aloni all’inflessione della luce sul contorno delle vesci- chette che compongono i vapori, e Jordan spiega quella degli aloni della piccola specie per l’ inflessione dei raggi negl’intervalli che se- parano le vescichette. E' noto che si formano delle righe colorate sui contorni dell'ombra progettata da un corpo sottilissimo, opaco o trasparente. Queste righe o striscie, sebbene ordinariamente non siaho visibili ad una grande distanza, perchè vengono a cadere in una luce bianca ed intensa che le soverchia , nè lascia distinguerle, pure possono rendersi visibili procurando d’indebolire quella luce. Questo è ciò che l’autore ha studiato di fare, ed ecco in qual modo. Posti irregolarmente fra due lastre di vetro dei piccoli dischi di foglia di stagno del diametro di circa 0,027 di pollice , e lontani fra loro al- trettanto , ed esposto questo sistema di lastre avanti all’ obbiettivo d’ un canocchiale acromatico ad un raggio solare che penetrava per un apertura circolare fatta nell’ imposta d’ una finestra , vide degli anelli colorati i cui diametri erano precisamente quelli dati dalla teo- rica. Ripetuta l’esperienza con globuli di vetro sparsi in gran nume- ro sopra una superficie orizzontale , il diametro degli anelli colorati 140 i fa anche in questo caso in ragione inversa di quello dei globetti; so- pra i quali fatti 1’ autore così ragiona. Ammesso che siano sparse ovunque nell’ aria delle vescichette d’ egual diametro , la luce solare proverà intorno a ciascuna di que- ste vescichette delle inflessioni che produrranno degli anelli colorati di diversi ordini. L’ occhio dello spettatore riceverà un raggio rosso del primo ordine partito da una vescichetta 2, un raggio rosso del secondo ordine da una vescichetta 4 più lontana dal sole , e così di seguito. Essendo dato il diametro delle vescichetie , si può calcolare i diametri degli anelli, e reciprocamente determinare il volume delle vescichette dai diametri degli anelli. Tutti quelli che conoscono le leggi della diffrazione potranno così completare da loro stessi la spiegazione degli aloni della piccola specie , determinando precisa- mente tutte le circostanze del fenomeno. Passando alla spiegazione degli aloni della grande specie, dopo aver fatto osservare che non si può attribuirli ad un inflessione della lace sopra i contorni delle vescichette , ( poichè in questa supposi- zione i raggi rossi apparirebbero all’esterno degli anelli colorati, mentre sono realmente all’ interno ) conclude da questa posizione dei raggi rossi doversi riguardare come causa del fenomeno la refrazione, Calcolando allora la via che seguono i raggi luminosi in una gocciola d’acqua piena o vuota, supponendovi quel numero di refrazioni che più si voglia, è impossibile arrivare alla produzione degli aloni della grande specie. Però l’autore si trova forzato ad ammettere l’esisten- za nell’ atmosfera di piccoli prismi di ghiaccio a 3 0 a 6 facce. In questi prismi gli angoli refrangenti sono di 60 gradi, il coefficiente della refrazione essendo supposto per il ghiaccio 1,32 si trova per un calcolo analogo a quello che si fa per spiegare la formazione dell’iri- de , che i prismi a 3 o a 6 facce producono un anello concentrico al corpo luminoso, del diametro di 45* 10, che ba il rosso nell’interno; quest’ anello sarebbe il primo negli aloni della grande specie. Se i prismi a 6 facce si terminassero in piramidi di egual numero di facce equilaterali, le due facce opposte d’ una sommità formerebbero un angolo di 88.° e potrebbero produrre per refrazione-un anello di g0° di diametro , che sarebbe il secondo degli aloni della grande specie , e che sarebbe meno frequente e meno brillante del primo. Il sig. Frauenhofer riproduce artificialmente il fenomeno dei p2- relii verticali, guardando il sole allorchè si leva a traverso d’un certo numero di fili paralleli orizzontali, e vicinissimi gli uni aglialtri; oppure servendosi d’ un piano di vetro , al quale è applicata una fo- glia d’ oro rigata da linee parallele equidistanti : se nell’uno o nel- l’altro caso gl’intervalli sono d° un millesimo di pollice , si vede al di 141 sopra e al di sotto del sole un parelio colorato leggermente in tur- chino dal lato di quest’ astro, in rosso dal lato opposto , e bianco verso il mezzo ; il sole oltrepassa col suo contorno ciascuno dei pa- relii di circa un dito ; ma quando le linee parallele son più vicine fra loro , i parelii son più Jontani dal sole. Posto ciò, se alcuno si rap- presenti delle vescichette sparse nell’ atmosfera a distanze uniformi, e disposte in strati concentrici alla superficie del globo , concepirà che dei raggi luminosi penetrando in questi strati obliquissimamente, o quasi tangenzialmente , vi troveranno degli spazii molto più estesi nel senso orizzontale che nel verticale, e vi si modificheranno come a traverso delle striscie parallele sopra indicate, cioè secondo le leggi ben dimostrate delle interferenze. Partendo da queste leggi, ed ap- poggiandusi ad esperienze semplicissime, il sig. Frauenhofer dà la spiegazione dei parelii orizzontali , e dei cerchi paralleli ail’ oriz- zonte. Tre tavole unite alla di lui memoria facilitano |’ intelligenza delle sue spiegazioni, le quali offrono una bella applicazione delle scoperte fatte recentemente intorno alla luce, Il sig. Blackadder , dopo aver citato e discusso le opinioni dei fisici intorno alla condensazione del vapore atmosferico sulla superfi- cie dei corpi, espone la sua propria opinione ) che ‘è questa. Egli pensa che , essendo eguali tutte le altre circostanze , quando un me- tallo pulito è. esposto all'aria dopo il tramontar del sole , diverse cause concorrano a farvi depositar sopra l’ umidità. Primieramente, quell’ azione meccanica per cui ‘il vapore incontra un ostacolo che gl’ impedisce di disperdersi nell’ aria non saturata, e ciò nel suppo- sto che la temperatura di quest’ aria e del metallo siano eguali. In secondo luogo quando l’aria essendo soprasaturata tascia cadere l'umidità , il metallo la riceve, impedendo che disparisca assorbita dal terreno : ed anche in questo caso supposta eguale la temperatura dell’ aria e del metallo. Finalmente se il metallo sia più freddo del- I’ aria ambiente , vi si deposita sopra una maggior quantità d’acqua. L’autore cita degli esempi che provano l’azione isolata o simultanea di queste tre cause ; delle quali 1’ ultima soltanto è stata considerata dal sig. /Vells nelia spiegazione che egli ha data, non ha guari, della formazione della rugiada, Lo stesso sig. Blackadder ha fatto l’ osservazione che un. corpo igrometrico; (cioè un corpo che risente facilmente gli efletti dell’am1- do e del secco, e li annunzia per dei cambiamenti di dimensione o altri), essendo. imbevuto d’olio e quindi asciugato convenientemente, mon: perde punto la proprietà d’ assorbire il vapore acquoso, e. che 142 anzi dopo questa preparazione le sue indicazioni divengono più co- stanti e più regolari. Però l’ autore consiglia |’ impiego d’ una stri. scia di carta vegetabile imbevuta d’olio, per formare un buon igro- metro. Fisica e Chimica. Fino dallo scorso anno madama Sommervile aveva non solo confermato i risultamenti annunziati dal prof. Morichini di Roma nel t8r2 quanto alla virtù magnetizzante del raggio violetto , risul- tamenti controversi da molti fisici, ma aveva fatto conoscere una cir- costanza che assicura e rende più facile il successo , e che consiste nell’esporre all’azione del raggio violetto, ed anche del turchino, solo una estremità dell’ago , la quale per quest’esposizione sufficiente- mente prolungata viene a costituirsi polo nord, occultando l’ altra , che si trova poi presentare il polo sud. Aveva ella anche ottenuto la magnetizzazione degli aghi senza la separazione dei raggi mediante il prisma, ed esponendoli alla luce solare complessa, bensì coll’inter- posizione d’una sottil lastra di vetro colorato in violetto, od anche in turchino. i Ora il sig. Baumgartner, profes. di fisica a Vienna, è giunto a magnetizzare con maggior prontezza e sicurezza il ferro , mediante un processo diverso, e che è il seguente. Egli prende un fil d’acciaio inglese , della grossezza dei ferri da calza ordinarii , e lo scalda in modo che si cuopra uniformemente d’ ossido nero. Dopo ciò toglie l’ossido da uno o più luoghi del filo metallico , fregandolo ivi ad una pietra anta con olio, terminando di renderlo lucido con della creta e - del legno di tiglio, in modo da formare delle zone lucenti della lun-. ghezza di due a tre linee. Un pezzo di filo d’acciaio così preparato, e che presenta due o più zone alterne lucide e brune, esposto all’azione diretta e viva del sole, sì trova dopo qualche tempo fortemente magnetizzato, presen- tando un polo nord in ogni sua parte pulita e lucente, ed un polo sud in ogni parte opaca o bruna. La durata dell’operazione è proporzio- nata all’intensità della luce solare , che concentrata per mezzo d’una lente, divien più efficace in proporzione. Un pezzo d’acciaio pulito soltanto in una sua estremità, prende quivi un polo nord, ed un polo sud all’altra, Se la zona lucida occupa il nezzo, quivi si manifesta un polo nord, ed uno sud a ciascuna delle estremità. Se al contrario il filo è lucido alle due estremità, e non nel mezzo, le due estremità presentano due poli nord, ed il mezzo un polo sud. Qualunque numero di zone alterne disposte sopra un filo, vi determina, mediante l’opportuna esposizione al sole, la formazione ——_—6 la 43 d’altrettanti poli nell’ordine indicato, bens) d’ineguale intensità, es« sendo gli estremi costantemente più forti che i medii. Dei fili inte- ramente puliti o intieramente coperti d’ossido su tutta la lor super- ficie , non hanno acquistato perla loro esposizione al sole alcun ma- gnetismo. Lo stesso è avvenuto d’altri fili sui quali si erano formate delle righe lucide nel senso della loro lunghezza. Il sig. Leslie ha ripetuto in una sua pubblica lezione ed alla pre- senza d’alquanti dotti un esperienza , che contradice apertamente all’opinione del sig. Herschel intorno all’esistenza del massimo calor solare al di fuori dello spettro, al di là del raggio rosso. Egli ha fatto cadere dei raggi solari sopra una lente biconvessa di 20 pollici di diametro; e ricoperta nel suo mezzo da un disco di carta, che si sten- deva fino a due pollici presso il contorno della lente. L’anello circo- lare dei raggi luminosi è stato ricevato un poco di quà o di là dal loro foco sopra un cilindro di cera nera non lucida; dopo un minuto quei punti della cera che ricevevano i raggi situati fra il giallo e l’aranciato sono entrati in fusione, e successivamente gli altri punti ; ma questa fusione si è sempre arrestata all’estremità dei raggi rossi. Il sig. Murray ha intrapreso a riconoscere in qual modo si distri- buisca il calore nelle diverse parti delle pile voltaiche in attività . Egli ha impiegato nelle sue esperienze relative quattro pile costrui- te alla maniera di Wollaston, composte ciascuna di dieci coppie aventi 4 pollici di lato, e che erano immerse in caselle di porcellana piene d’acqua acidulata con acido nitrico; la temperatura dell’acqua era di 62 Fahrenheit avanti l’esperienza ; 14 a 15 pollici d’un filo di platino del diametro d’ un centesimo di pollice erano infaocati a bianco dall’azione riunita di queste quattro pile. Quando l’azione fa ridotta all’infaocamento d’alcuni pollici soltanto , furono osservate le seguenti temperature: Numero delle caselle — r.a pila 2.2 pila 3.2 pila 4.2 pila piima ii vico 136° 138° 136° del mezzo . . 106 140 141 142 ultima . .. 112 135 138 142 Nella prima casella della prima pila è immerso il polo rame, e nell’ultima casella della quarta pila il polo zinco. È manifesto un ac- crescimento di temperatura dal primo all’ultimo, e si osserva in oltre che la temperatura più elevata è verso il mezzo di ciascuna pila . Estratte le pile dalle loro cellule , vi furono trovate le temperature seguenti ; 144 i N. delle caselle r.a pila 2.2 pila (34 pila 4a pila N aiar se Polo rame, Is|osiugona o ros? 123° 128° 128? Zelo lpermeis 106 125 129 129 Sii ite è 109 127 130 131 da.» Lesntriò 129 131 133 deu: iii 131 132 134 Georcizo! soildta 133 133 134 " PIRRO SEANE SERIF OT) 0 € pssi134 133 133 Lornelol «elio 133 131 133 Gil meri eintad 131 130 132 IO.5.ib «abiotaià 129 129 132 Diverse esperienze di questo genere fatte dall’autore confermano . questa legge d’accrescimento di temperatura. 4 A La polvere da guerra e da caccia talvolta è infiammata ;dalla scarica elettrica, tal’altra nò. Il sig. Sturgeon ha pensato che l’infiam- mazione accada quando per la poca deferenza del conduttore |’ elet - tricità si trattiene un poco più lungamente in contatto colla polvere, e che all'opposto quando il conduttore è molto deferente,l’infiamma- zione non accada perche l’elettricità passa troppo rapidamente. Così egli paragona l’azione dell’ elettricità in questi diversi casi a quella d’un ferro infuocato; il quale produce o poco 0 molto effetto secondo che passa rapidamente 0 si trattiene qualche tempo in contatto col corpo sul quale agisce. Per verificare questa sua congettura , il sig. Sturgeon ha fatto passare la scarica elettrica a traverso della seta o della carta leggermente bagnata, e l’infiammazione della polvere ha sempre avuto luogo;anche impiegando piccole bocce di Leida,Quando egli impiegava un grosso filo imbevuto d’acqua, non vi era più in- fiammazione ; ma questa si effettuava se egli spremeva prima una parte dell’acqua contenuta nel filo, e potè assicurarsi che questo risultato non dipendeva da una modificazione che provi l’ elettricità altorchè traversa un corpo poco conduttore . Il sig Becquerel ha informato l’accademia delle seienze di Parigi d’esser giunto col solo mezzo di forze fisiche convenientemente im- piegate ad ottenere delle combinazioni chimiche muove dotate di forme cristalline particolari, A Crossbasket in Inghilterra vi è uno stabilimento di proprietà delsig.Mac'intosh e diretto dal sig. Colquhoun, nel quale si fabbrica dell’acciaio col nuovo processo, consistente nel far passare una cor- 145 rente di gas idrogene carbonato sopra del ferro contenuto in vasi di terra e portato ad un calore vicino all’ incandescenza. Quivi il sud- detto sig. Colquhoun ha avuto occasione di osservare che la scompo- sizione del gas idrogene carbonato a contatto del ferro non solo som- ministra a questo il carbonio necessario per convertirlo in acciaio, ma dà luogo alla separazione e precipitazione sopra del ferro d’una quantità di carbonio isolato e puro, che prende diverse forme, fra le quali è singolarmente curiosa e degna d’ attenzione quella di lunghi filamevti capillari lucidi , e riuniti parallelamente in piccoli fascetti interamente simili nel loro insieme ad una treccia di ca- pelli finissimi; sembrava che un solo fascetto contenesse delle mi- gliaia di fili. Questo prodotto carbonoso presentava diverse grada- zioni di colore. La lunghezza d’ un fascetto variava fra uno ed otto pollici; in alcuni i fili erano della grossezza d’un crino di cavallo, in altri erano tanto sottili quanto i più delicati fili di ragno. Ma tatti erano di color nero, ed avevano lucentezza e splendore metallico . Sono molto fragili, e sembra che abbiano provato una fusione nel momento in cui si sono formati, L'analisi ha provato esser questa materia puro carbonio, affatto esente da idrogene e da ferro. Più eo- munemente il carbonio si deposita in polvere sottile, qualche volta in globuli, altre volte in masse. L’ autore è persuaso che il carbone il quale si deposita in forma di papille nel collo delle storte che servono alla distillazione del car- bon fossile non sia stato trascinato dalla corrente dei gas, ma che pro- venga,egualmente che nel caso sopra citato, da una scomposizione par- ziale dell’ idrogene carbonato. Il sig. Ziebig, prof. di chimica all’ università di Giessen, appena informato che il sig. Balard aveva trovato nelle acque madri delle saline marittime una nuova sostanza semplice , che è stata indicata col nome di Bromo, ha esaminato le acque madri d’ alcune saline, ed ha trovato la sostanza stessa in quantità notabile in quelle della salina di Theodorshalle , vicino a Kretzgnach. Da trenta libbre di queste acque madri egli ha ricavato circa 20 grammi di bromo. Il sig. Liebig ha impiegato il processo stesso del sig. Balard, che gli è sembrato il più semplice possibile. Ha ottenuto dalle sue espe» rienze una conferma delle cose osservate ed annunziate dal sig. Balard quanto alle proprietà del bromo, ed ai fenomeni che presenta trattato con diverse sostanze. Di più ha osservato alcuni altri fatti che lo banno sempre più confermato nell’opinione stessa del sig. Balard, cioè essere il bromo una sostanza semplice particolare, diversa da qualunque al- tra cognita. Eccone i principali. T. XXV. Gennaio. 10 146 Dopo avere infuocato a rosso in un tabo di vetro del filo di ferro avvolto in spirale, vi ha fatto passar sopra dei vapori di bromo, ben disseccati per mezzo del cloruro di calcio. Appena il bromo veniva a contatto col ferro , questo diveniva incandescente, e si fondeva senza sprigionare alcun gas. La massa fusa era d’ un color giallo chiaro si- mile al giallo di Napoli, aveva una struttura lamellare, e si scioglieva facilmente nell’acqua senza colorarla. La sua soluzione precipitava il nitrato d'argento in giallo chiaro, il cloro ne sprigionava del bromo ; il sig. Liebig qualifica questo composto come protobromuro di ferro. Ripetuto il processo stesso con'sostituire al ferro, in una espe- rienza il platino, ed in un altra il nero di famo , non vi è stata azione alcuna. + {Mettendo in contatto reciproco della limatura di ferro, dell’acqua, e del bromo , la massa si riscalda grandemente, e si forma un proto o un deutobromuro di ferro , secondo le proporzioni, Si ottiene del bromuro di potassio ben puro , versando in una soluzione alcoolica di bromo della soluzione di potassa caustica, finché l’ alcool cominci a scolorarsi, Evaporando a secchezza, e scaldando fino all’ infaocamento il residuo , questo divien nerastro. Il bromuro d’argento si scioglie facilmente nell’ammoniaca; dopo qualche tempo si depositano da questa soluzione dei cristalli bianchi brillanti, dai quali, allorchè si scaldino, si sprigiona dell’ammoniaca, restando un residuo di bromuro d’ argento, Da 2,251 grani di bromuro di potassio purissimo, scomposto per mezzo del nitrato d’argento, avendo ottenato 4,041 grani di bromuro d’argento, il sig, Liebig conclude che, preso l’ossigene per 10, l'atomo del bromo è g4,t1. Il sig. Lecanu ha scumposto dell’ ossido d’arano, estratto dal suo nitrato, per mezzo d’una corrente di gas idrogene, in un tubo di por- cellana infuocato a rosso. L’urano così ottenuto è divisissimo ; si di- scioglie nell'acido nitrico, ma non negli acidi solforico ed idroclorico; non ha potuto esser combinato col solfu ; si ossida facilmente. Non è sembrato al sig. Lecanu verificarsi che il deutossido d’urano assuma i caratteri d’acido, come altri l'hanno preteso. L'autore ha ottenuto alcuni sali d’ urano ; ma ha creduto dover rinunziare a proseguire le sue ricerche sopra questo metallo , avendo saputo che il sig. Arfve- dson se ne occupava anch’ esso. Il sig. Giovanni Davy ha dato cognizione di alcuni cangiamenti subìti da antiche leghe di rame. Un elmo di bronzo, trovato nel mare vicino alla cittadella di Corfù, presentava dei colori variati alla * rà 147 sua superficie. Le porziom di color rosso, esaminate colla lente, si manifestavano come formate d’ ossido rosso di rame in ottaedri , me- scolato con dei cristalli della stessa forma di rame metallico ; lo che fa confermato dall’ analisi chimica. Le porzioni verdi consistevano principalmente in carbonato e sottoidroclorato di rame, e le porzioni di color bianco sporco erano ossido di stagno. La crosta che queste sostanze formavano era poco densa , e non ricuopriva tutto |’ elmo, la materia del quale conteneva parti centesime 81,5 di rame, e 18,5 di stagno. Un antico chiodo trovato in un sepolcro , presso Itaca, ed un antico specchio trovato in un altro sepolcro, vicino a Samo, hanno offerto li stessi risultamenti di scomposizione, se non che vi mancava una cristallizzazione evidente. Lo specchio era formato di rame con 6 per 100 di stagno, ed alcuni atomi d’ arsenico e di zinco. Delle an. tiche monete hanno dato risultamenti consimili. Il sig. Berzelius, che si è tanto occupato e con tanto frutto del- l’analisi dei minerali per mezzo della fiamma della lucerna avvivata col soffio, non aveva potuto trovare un reagente per scuoprire l’acido borico néi saggi di questo genere, Ora il sig. Turner annanzia d’averlo trovato, avendo riconosciuto che il fluato dì calce mescolato ad una quantità comunque piccola d’ acido borico colora la fiamma in un bel verde puro. I sigg. Caillot e Podevin hanno fatto conoscere un nuovo com» posto, che essi hanno ottenuto concentrando e facendo cristallizzare una dissoluzione mista di cromato di potassa e di cianuro di mercurio a parti eguali in peso. Questo composto è di color giallo , cristalliz- zato io aghi lamellosi, e solubile nell’ acqua. Nel precedente bullettino ( Autol. n.° 71-72 novembre e dicem- bre 1826 pag; 288) si riferì l’ opinione che, dedotta dai risultamenti delle loro ricerche , i sigg. Darcet e Gaultier de Claubry hanno adottato intorno al modo d’ agire del cloruro di calce nel disinfettar l aria, ammettendo che l’ acido carbonico dell’ atmosfera unendosi alla calce metta in libertà il cloro ; opinione messa in dubbio, anzi ‘oppugnata dai sigg. Laugier e Thenard. Questa opposizione avendo impegnato il sig. Gaultier de Ciaubry ad intraprendere espressamen- te dell’esperienze, i risultamenti di queste lo hanno sempre più con- fermato nella sua opinione. Ecco le principali fra queste esperienze. Una corrente di gas acido carbonico fatta passare a traverso di una soluzione di cloruro di calce nell’ acqua, ne ha sprigionato il 148 cloro, il quale, continuandosi l'operazione per un tempo suffieiente, è stato espulso completamente, perdendo il liquido qualanque azione scolorante o disinfettante, e precipitando del carbonato di calce, una porzione del quale era disciolta dall’ acido in eccesso. Fatta passare lentamente dell’aria atmosferica, prima a traverso d'una soluzione saturata di potassa caustica , per privarla dell’acido carbonico, quindi a traverso della soluzione di cloruro di calce, que- sta non ha provato alterazione alcuna , nè se n'è separata la minima porzione di cloro. i L’ autore si è anche assicurato che il carbonato di calce risul- tante dalla scomposizione del clorato per mezzo dell’ acido carbo- nieo non ritiene la più piccola quantità di cloro. Anche il cloraro di soda è scomposto dall’acido carbonico come quello di calce, bensi più lentamente, perchè non si forma sale inso- lubile. Avendo lasciato una soluzione di cloruro, filtrata e limpida, esposta all’aria atmosferica, ha trovato, dopo alcuni giorni, che tatto il cloro se n’era esalato, e che si era formato e precipitato in fondo al liquido del carbonato, di calce. Sebbene questi risultamenti bastassero a far comprendere ciò che debba avvenire mentre il cloruro agisce sull’ aria impregnata di miasmi putridi, pure l’autore volle indagarlo con delle ricerche dirette. Egli fece passare dell’ aria, prima a traverso a del sangue ab- bandonato da 8 giorni alla patrefazione , quindi a traverso d'una so- luzione di cloraro di calce. L’aria che escendo dal sangue aveva con- tratto un fetore insopportabile , lo aveva perduto affatto nell’ escire dalla soluzione del'choruro, nella quale si era formato del carbonato di calce. Modificata }’ esperienza con far passar l’ aria, prima a traverso della potassa caustica , per privarla dell’ acido carbonico , ed in fine a traverso del cloruro di calce, essa è sortita da questo con un fetore grandissimo. Dopo aver lasciato dell’ aria per 24 ore a contatto del sangue putrefatto, ne mise una porzione a contatto col cloruro, che la disin- fettò completamente in pochi istanti, mentre un altra porzione, trat- tata prima colla potassa caustica, poi col clorato, conservò un fetore insopportabile. Sembra dimostrato da queste esperienze che l’azione disinfet- tante del cloruro di calce dipenda necessariamente dalla presenza dell’ acido carbonico, che combinandosi alla calce sprigiona il cloro. La piccola quantità proporzionale di quest’ acido nell’ aria atmosfe- 149 rica non fa che rendere più lento lo sviluppo del eloro, che senza cessar per questo d’agire efflcacemente coine disinfettante, arreca mi- nor danno ed incomodo all’ animale economia. I sigg. Chevreul e Gay-Lussac, trattando le materie animali co- gli alcali, hanno ottenuto diversi acidi contenenti l’azoto fra i loro componenti. Si occupano ora a studiarne le propriétà, che non man- cheranno di render note. I sigg. Bussi e Lecanu, continuando le loro rieerche intorno ai corpi grassi, banno riconosciuto che tutti quelli che sono saponificati dagli alcali, danno, allorchè si fanno distillare, degli acidi simili a quelli che si formano nella loro saponificazione , mentre i grassi non sapomifiicabili per l’azione degli alcali si distillano senza sommini- strare acidi grassi. Li stessi chimici hanno anche preso ad esaminare l’olio di ricino. Essi hanno riconesciuto e dimostrato che quest’olio è di natura par- ticolare, e che, sia nella distillazione, sia nella saponificazione, som- ministra degli acidi diversi da quelli che già si conoscono, e che sono iàtipo di tre nuove specie. Il sig. Colin ha riconosciuto per mezzo d’esperimenti che un gran numero di materie animali trasformano lo zucchero in alcool, determinando la fermentazione vinosa ,"e ciò tanto più facilmente, quanto vi siano state meglio preparate per mezzo d’una conveniente putrefazione ; cosicchè egli ha concluso che la presenza dell’ azoto è necessaria e sufficiente a produrre la fermentazione alcoolica, Il lievito del pane, il glutine fresco e ben lavato , la carne di bove fresca , la chiara d’ uovo, il cacio, l’orina winana, la colla di pesce ; la fibrina pura, il siero , il coagulo del sangue, la sua materia colorante, e l'osmazoma; tutte queste sostanze sono state alte a pro- vecare la fermentazione dello zucchero, ed a produrre dell’alcool, in circostanze opportune , ed alla temperatura di 20 gradi Réaumur. Avendo poi intrapreso dei saggi particolari sopra i fermenti della birra e dell’uva, ha riconosciato che l’ uno e |’ altro sono composti di parti solubili e di parti insolubili; che il poter fermentante risiede nella parte solubile, e che l’ insolubile ha la proprietà di convertire l’ossigene dell’aria in acido carbonico. Così mentre la presenza del fermento intero opera la fermentazione senza il concorso dell’ ossi- gene, all’opposto se la parte solubile sia separata dalla insolubile, nè l’una nè l’ altra sole possono eccitare la fermentazione senza la pre- 150 senza dell’ossigene; ammesso il quale la parte solubile agisce con vivacità e prontezza , |’ altra lentamente. Cristallografia (*). La produzione del carbone sotto forma capillare o fibrosa ov- vero mammellonare ottenata dal Colquhoun facendo passare una cor- rente di gas idrogene carburato sul ferro riscaldato fin presso all’in- candescenza, produzione che allo stesso c himico sembrò per alcune circostanze inesplicabile, ha portato il sig. £. /7. Brayley ad imma- ginare una molto ingegnosa etiologia di questo fenomeno ; la quale egli ha esposta in uva sua lettera che si trova negli Anna/s of Philo- sophy (Sept. 1826. fac. 192). Di che ci è sembrato doverne fare un qualche cenno a’nostri leggitori, quantunque ciò possa, al creder no- stro, dar luogo ad alcuna obiezione . Secondo il Brayley vha due modi di aggregazione perchè i corpi passano dallo stato liquido o aeriforme a quello di solidità: attrazione polare o di polarità, ed at- trazione cristallifica. La prima di queste azioni ha effetto mercè la sola polarità delle molecole ; essa previene l’altra; si esercita in un senso soltanto , o, per esprimersi coll’ A.., la sua tendenza si mostra solamente nella direzione rettilineare. In tal guisa essa non dà ca- ? ovvero ne nascono delle concrezioni mammellonari o botritiche , le quali non da altro risaltano che dall'unione di aghi divergenti da un centro comune, E questa è al credere di lui la più pronta causa della solidità In fatti, egli dice, nella congelazione dell’acqua si formano gione che alla formazione di corpi di figura capillare od aghiformi prima degli aghi, e quindi per l'aggregazione laterale, in che egli fa consistere l’attrazione cristallifica di sopra menzionata, si formano de’cristalli. Ed una sì fatta tendenza de’corpi a prendere una dispo- sizione lineare crede il B. conforme alle investigazioni de’più moderni fisici; ed oltracciò convalidata dall’ osservarsi che le più sottili fibre che noi conosciamo, quelle cioè che costituiscono i muscoli ed i nervi degli animali, non sono composte che da una semplice serie di glo- bali; non che dal vedersi che quella organizzazione che prende il sangue coagulandosi incomincia dal rianirsi che fanno insieme i glo- buli costituenti questo umore, e ciò in una direzione soltanto. E ri- guardo a questo modo di aggregazione, non lasceremo di dire ch'egli lo riguarda siccome quello in cui le parti de’corpi si riuniscono il più liberamente , e seguendo soltanto le proprietà ad essi inerenti, indi- (*) Articolo gentilmevte comunicatoci dall’egregio sig. conte Paoli di Pesaro» 150 pendentemente dall’azionè de’ corpi contigui e da altra qualunque circostanza; e quindi i corpi in tal guisa formati giungono ad un mag- giore ravvieinamento di parti, e ad una più grande coesione. - Posti tali principii, allorchè il carbone passa allo stato concreto ne processi appunto che hanno dato laogo a queste considerazioni dell’ A., il consolidamento essendo istantaneo; non può operarsi che l'attrazione od aggregazione di polarità ; e quindi il carbonio, avzi che assumere la forma di perfetti cristalli, o cangiarsi in diamante, veste quella di corpo fibroso ovvero mammellonare, Nel carbonio fattosi concreto osservandosi , come fa avvertito dallo stesso Colquhoun, degl’indizi non equivoci di fusione, il B. si dà pensiero di conciliare questa pretesa anomalia, la quale sarebbe op- posta alla infusibilità del carbone; e qui egli tiene due vie diverse onde giungere allo scopo suo. Per l’ una di esse egli ne fa osservare che l’essersi il carbone mostrato infasibile in tutti li tentativi fin qui posti in opera a tale effetto, contro di che, dic’egli, potrebbero però addursi i resultati ottenuti dal D. Clarke operando colla cannetta a doppia corrente sulla grafite e sul diamante , non vale a provare l’ assoluta infasibilità di questo principio, e sanamevte fa osser- vare che le forze naturali operano non di rado ciò che non si ot- tiene co’spedienti diretti dell’arte. Alla quale considerazione po- trebbero aggiungersene altre .e forse di non lieve peso: cioè che tro- vandosi il principio istesso allo stato nascente, può il calore agire in su di esso assai diversamente e molto più energicamente che non fa sulle sostanze carbonose concrete, imperocchè non si ha in tal caso a vincere la coessione, circostanza così bene calcolata dal Berthollet, e dalla quale l'azione del calore e de’dissolventi in generale; secondo ‘i principii di questo sommo chimico, viene cotanto diversificata , L'altra via ch'egli tiene onde giungere ad assegnare la- ragione per cui la fasione ha avuto effetto nella formazione della sostanza otte-' nuta dal Colquhoun, si è quella di dimostrare che lo stato di fusione è uno stato intermedio necessario fra quello di gas e la solidità . Ed estendendo anche di più un tale principio ; egli crede che in natura non vi sieno che due sole forme o stati de’corpi: il solido ed il flaido; mentre la distinzione di quest’ultimo in liquido ed in aeriforme non deesi considerare che come una distinzione di convenzione ; impe- rocchè dal liquido il più pesante al gas il più raro si va per una gra- dazione insensibile, anzi che esistere una linea di partizione che se- pari gli uni dagli altri. Delle molte e sode ragioni ch'egli adduce a tal’ uopo ne accenneremo una soltanto : quella ch'egli desume dalle osservazioni del cap. Schwendsen . Il quale ha fatto vedere che la 152 legge del Mariotte sulla compressione de’ eorpi aeriformi si adatta del pari ai liquidi. Con quella ingenuità però che è propria della vera filosofia non lascia egli di notare un fatto il quale si presenta contro a suoi principii.Egli è l’evaporazione del ghiaccio; in che vera- mente si scorge il passaggio di un corpo solido allo stato gasoso senza passare per la liquidità. La quale anomalia può, al credere di lai , ri- cevere una plausibile spiegazione ove si prenda a considerare la ten - denza dell’acqua ad assumere la forma di vapori; la quale essendo abbastanza forte per vincere la forza di coesione del ghiaccio anche ad una bassa temperatura , può del pari trovarsi bastante ad un tale istantaneo passaggio in vapore acquoso, Fondato su questi principii, crede il B. poter conchiudere che nella formazione del carhone capillare abbia dovuto necessariamente aver luogo una fusione; ma però istantanea , e tale che so Itanto l’at- trazione di polarità , la più pronta a compiersi, abbia potuto avere effetto. Analoghe apparenze egli trova nelle subli mazioni dell’ acido benzoico, dello zolfo e di alcuni sali atmmoniacali. Le quali sostanze presentano de’corpi aghiformi o fibrosi se si operi'ad una temperatura incapace di mantenere i corpi istessi in istato di fusione per un sen- sibile intervallo; mentre se il calore impiegato è tale che i vapori delle sostanze istesse possano rimanere per un tempo sensibile in fu: sione , si ottengono de’cristalli, quantunque mirrutissimi. Ed appli- cando questi principii ad alcune sostanze minerali, non solo egli porta le sue considerazioni sulle varie forme dello zolfo ne’prodotti vulca- nici, ima eziandio le estende all’amianto ed all’actinolite, ch’ egli con- sidera come lo stesso minerale sotto due diverse forme. Si è detto in principio come questa teoria del B. possa andare soggetta ad alcune obiezioni. Ed in vero egli sembra che la forza che determina le cristallizzazioni tutte sia sempre una certa polarità, e forse l'attrazione molecolare in genere non dipende che da questa po- larità istessa. In tal caso non solo saremmo portati a riguardare i vocaboli usati dall’ A. onde distinguere queste due pretese sorti di aggregazione siccorne male ideati, poichè essi ci porterebbero ad una falsa idea, tanto più ch’ egli considera la struttara fibrosa diversa dalla forma cristallina ; ma la distinzione istessa da esso lui stabilita non sarebbe abbastanza precisa, imperocchè essa ci condurrebbe a supporre uma diversità nella causa, mentre la diversità non esiste forse che nell'effetto, od al più nel modo di agire della cansa istessa. Nè si può a ineno d’avvertire che |’ A. medesimo si vede obbligato ad ammettere che nella formazione della sostanza carbonosa di aspet- to fibroso di sopra meuzionata l'attrazione cristallifica si è in qualche 153 modo esercitata onde dare alle fibre della sostanza istessa una sensi - bile grossezza. E quanto più interessanti ed ingegnose ci sembrano queste sue idee od almeno capaci d’indurci a pensamenti di molta importanza , tanto più ci troviamo impegnati ad esaminarle minotamente, e ciò a solo oggetto che la scienza possa il più sollecitamente possibile gio - varsi di queste sue considerazioni, Diremo quindi che al principio ch'egli cerca di stabilire intorno all’aggregazione di polarità, la quale egli riguarda siccome quella che può esercitarsi istantaneamente , sembra star contro quanto molti precipitati offrono all'osservazione; li quali, quantunque si formino appunto istantaneamente, all’occhio armato presentano de” piccoli cristalli, Facendoci però un dovere di quella stessa ingenuità che nell’A. si ammira, non lasceremo di dire che ovei fisici si facessero ad osservare i precipitati istessi, è da cre- dersi che in molti di essi si rinverrebbe la figura aghiforme e segna- tamente ne’precipitati fioccosi; molti de’quali portiamo opinione che si troveranno risultare dalla riunione di aghi sottilissimi. E con pari schiettezza direino che, per quanto a nvi sembra , non sarebbe forse difficile il dimostrare come la riunione delle molecole ponderabili in un senso soltanto debba essere più pronta ; della qual cosa l’autore ne accenna già alcune ragioni. «Termineremo quest’ articolo con una considerazione , che però non sta direttamente contro a’principii fondamentali del B.,abbenchè ‘vada a ferire in una parte l’etiologia da lui ideata. Si è già osservato com’ egli supponga che la formazione del carbone capillare abbia avuto effetto in quell’istante brevissimo di fusione in che il carbonio si trova fra lo stato aeriforme e lo stato solido . A quale principio ripugnerebbe il supporre che questa sorte di cristallizzazione, perchè il carbonio prende la forma fibrosa, si operasse mentre esso si trova sotto forma elastica? Questa condizione non si oppone certamente all’attrazione molecolare; e di più una tale condizione pone le mole- cole istesse in tutta la loro libertà per seguire senza ostacolo alcuno le loro tendenze e la loro istessa polarità. Non ostante tutte queste riflessioni che ci siamo creduti in dovere esporre intorno alla teoria del sig. B., non si può a meno di trovare moltissimo interesse nelle sue considerazioni, come quelle che possono aprire un nuovo campo onde stabilire il modo e l'epoca della formazione segnatamente di alcune sostanze naturali ; la quale ricerca è facile a vedersi quanto da vicino possa riguardare la geognosia e la geologia ; sotto il qual punto di vista, più che come tendenti a spiegare la formazione del carb»ne fibroso, ci sembra che debbano prendersi in considerazione i pensamenti del sig. Bray!ey. 154 Fisica vegetabile E’ stata letta avanti l'Accademia delle scienze di Parigi una memoria del sig. Brongniart figlio intorno alla generazione ed allo sviluppo dell'embrione nei vegetabili fanerogami. Questa di lui memoria non è che un analisi d’un opera più estesa ; quindi ci limiteremo ad indicarne il soggetto. L’ autore ha diretto le sue osservazioni verso i sei oggetti seguenti: 1.° sulla strut- tara intima e sullo sviluppo del polline ; 2.° sulle relazioni del pol- line e dello stigma; 3.° sul modo di comunicazione fra lo stigma e l’ovicino; 4.° sulla struttura dell’ovicino ; 5.° sull’ introduzione della sostanza fecondante nell’ ovicino, e sulla formazione dell’ embrione; 6.° sullo sviluppo dell’ embrione, e sui suoi rappotti coi tessuti che lo circondano fino allo stato perfetto. Le ricerche del sig. Brongniart lo hanno condotto nella maniera più evidente alla prova dell’esistenza degli organi generatori nei vegetabili, esistenza ammessa da Linneo come indubitabile, ma re- vocata in dubbio da diversi naturalisti , e specialmente da Bonnet, Spallanzani, ed Haller, e negata anche recentemente da alcuni natu- ralisti tedeschi. Oltre ad aver resa evidente nei vegetabili quanto ne- gli animali l’esistenza degli organi generatori, le indagini del sig. Brongniart lo hanno condotto ancora al risultamento importante di riconoscere che l’ embrione vegetabile non preesiste alla fecon- dazione, La formazione dell’ embrione vegetabile non può eseguirsi senza il concorso dei granellini maschi e dei granellini femmine. Si rientra così nella teorica dell’ epigenesi, teorica che si riconosce per una delle leggi più generali della natura , giacchè abbraccia il regno organico intero , e ne spiega il fenomeno più misterioso e più carat. teristico. Il sig. Dureau de Lamalle ha presentato all ’ Accademia delle scienze di Parigi una radice di moro nero, la quale, dopo esser rima- sta 24. anni in terra inattiva e soffogata da un sambuco, che si era elevato sopra il suo tronco distrutto, ha gettato nuovi rami quando è stato rimosso un tale ostacolo , dopo quest’ intervallo d’ un quarto di secolo. GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Riunione del mare Atlantico al mar Pacifico per mezzo del - l’istmo di Panama. Le diverse repubbliche delle quali si compone oggi la gran famiglia americana si occupano con ardore di tutto ciò 155 che può migliorare il loro avvenire. Fra i progetti diseussi , il più importante e nel tempo stesso il più vasto e, si potrebbe dire, il più giganteseo, è quello di riunire i due grandi mari del globo a traverso dell’ istmo di Panama. Dopo il primo viaggio e la scoperta di Cristo- foro Colombo , non vi fu forse impresa più interessante agli occhi degli uomini illuminati. E’ già lungo tempo che si parla del taglio della lingua di terra che separa i due mari. Ma li spagnoli, che ave- vano altrettanto odio quanto terrore per qualunque innovazione nelle loro colonie, e per tutto ciò che potesse favorire le intraprese comerciali delle altre nazioni, non avevano mai voluto ascoltare la minima proposizione di questo genere , ed è noto che uno dei loro curati americani fu lungamente perseguitato per avervi pensato troppo seriamente. Essi imaginavano che la fortuna sfuggirebbe loro dal momento in cui aprissero una nuova strada al commercio, e pre- ferivano fare il lungo giro del capo Horn per prendere il Messico a rovescio, anzichè arrivarvi in linea retta per mezzo d’ un canale che avrebbe potuto dare dell’ importanza alle loro colonie. Ora ilnuovo regime delle provincie americane ha fatto nascere altre idee; la più bella che sia stata concepita fino a questo giorno è quella di cui imprendiamo a parlare un poco minutamente. Si sa che la pìù gran parte dell’ istmo che separa i due mari appartiene allo stato di Guatimala, conosciuto sotto il nome di re- pubblica centrale dell’ America del sud. Questa provincia, situata sull’ istmo fra la Colombia ed il Messico, contiene circa due millioni d’ abitanti, e diversi porti eccellenti sulle due coste. Incorporata fin dall’ origine alla repubblica messicana; se n’ è separata da meno di cinque anvi, per delle ragioni che non occorre qui indicare. Da quell’ epoca, senza debiti e quasi senza imposizioni , la nuova po- tenza ha fatto notabili progressi nella rivoluzione, e già la sua tri. buna rappresentativa ha risuonato di nobili accenti , presagii d’ un bell’ avvenire. Era natarale il pensare che la gran questione del ca- nale sarebbe ben presto agitata; essa è già stata decisa. La casa Pal- mer ec. di Nuova-York, in virtù d’un trattato concluso il 17 giu- gno ultimo col governo della repubblica, si è incaricata dell’ intra- presa, mediante un privilegio esclusivo di navigazione per venti anni, e certi diritti di passo che si presume dover essere molto vantaggiosi. Questo gran lavoro deve esser terminato dentro 18 mesi, e devono già essere stati spediti dagli Stati-Uniti seimila operai per incomin- ciarlo. L’ intrapresa consiste nel render navigabile il fiume S. Gio- vanni, che comunica dall’ Oceano atlantico col gran lago di Nicara- gua; nel formare, se sarà necessario, un canal navigabile nel lago, e 756 nel fare un taglio che unisea fl lago al mar Pacifico. Sembra che la distanza da percorrere in quest’ ultima direzione non debba oltre- passare 17 miglia. Non si conosce ancora la spesa probabile di que- sta magnifica intrapresa. Tutti quelli «he hanno scritto sul taglio dell’ istmo, hanno sup- posto che la politica opporrebbe molti ostacoli all'esecuzione di questo progetto. Il sig. Mollien , viceconsole francese ad Haiti, che sotto la protezione del suo governo ha fatto nella repubblica di Co- Jombia un viaggio interessante a molti riguardi, pretende che i pos- sessori di quei terreni che dovrebbero formar le rive del canale non ne dovrebbero permettere la costruzione. Il sig. Birk Pitman, viag- giatore inglese, che si è pure occupato del progetto di cui parliamo, numera una quantità d’ opposizioni che egli sembra temere per parte degli Ea ropei. Un altro viaggiatore inglese, il sig. Robinson, non ha questi timori. Egli ha esaminato le diverse strade che po- - trebbero seguitarsi per stabilire la comunicazione tanto desiderata , e senza pronunziarsi in un modo positivo per alcuna di esse, ha di- mostrato molto bene i vantaggi che risulteranno dall’ esecuzione del progetto. Prima di lai il sig. de Hamboldt Ji aveva presentati con tutta la superiorità del suo talento, sostenuto da una perfitta co- gnizione dei luoghi e delle risorse che presentano. La provincia di Choco al sud dell’ istmmo di Panama, e Tehuan- tepec al nord, nel distretto d’ Oaxaca, erano stati scelti egualmente come i punti più favorevoli alla riunione dei due mari. Ma è biso- gnato abbandonare queste direzioni, come anche quella che avrebbe traversato il Darien, a cagione delle difficoltà quasi insormontabili del terreno. Non è da dubitare che gli Stati Uniti non pongano il più vivo interesse in un intrapresa che deve avere per essi conseguenze feli - cissime. La strada che conduce i loro vascelli a Canton, dove i ne- gozianti di Nuova-York fanno ora un sì gran comunercio | per mezzo d'un solo console che costa loro cinquemila franchi, mentre la fatto- ria inglese costa cinque millioni)sarebbe abbreviata di mille dugento leghe; la distanza di seimila leghe che separa Filadelfia dagli stabili - menti americani situati all’imboccatura del fiume Colombia al nord della nuova California sarebbe diminuita dei quattro quinti, cioè ri- dotta a circa 1,400 leghe. Non parleremo di tutta l’importanza che rifluirebbe sulle colonie europee delle Antille, quando si trovassero in comunicazione diretta coll’impero chinese messo allo scoperto. La costa occidentale del Messico, da Acapuco fino al fondo del mar Ver- iniglio ne trarrebbe una nuova vita. Ma di tutti i popoli ai quali riu- 157 scirebbe più vantaggiosa l’esecuzione di questo brillante concepimen-* to del genio degli uomini, quelli dell'America meridionale sono cer- tamente i primi. Guatimala riprodarrebbe ben presto le maraviglie dell’antica Alessandria, in un porto che servirebbe di chiave alla nuova comunicazione: e la repubblica di Colombia vedrebbe i porti di Santa- Marta, Cartagena, e Porto bello spedire senza posa i pro- dotti variati di tutta la catena delle Cordigliere, da Santa Fe di Bo- gota fino all'imboccatura del rio Maddalena. Bisogna contare anche gl’ Inglesi nel numero di quelli che prenderebbero una parte attiva a questo nuovo benefizio della civilizzazione; sia opera del caso, o della prudenza, essi possiedono uno stabilimento sulla costa di Hon- duras , e ne apprezzerebbero ben presto l’importanza. Il Perù, che sembra fin quì il più disgraziato di tutti i nuovi stati dell’ America del sud, gaadagnerebbe immensamente dalla riunione proposta per l’istmo di Nicaragua. Bisognà convenire che anche attualmente la navigazione di questi paraggi è sommamente difficile , sia che si co- steggi, sia che si prevda il largo, ed il passaggio del capo Horn non è esente da pericoli. Il capitano Hall della marina ingiese, che ha percorso diligentemente tutti questi scali da Valparaiso fino a Pa- nama, non fa un quadro lusinghiero d’ Arica, di Truxiilo, e nemmeno di Guayaguil. Un canale che mettesse al coperto dalle tempeste del ‘capo Horn, e che abbreviasse di 1500 leghe una navigazione di tre- mila, sarebbe certamente uno dei più bei monumenti elevati al com- mercio ed all’ umanità. Speriamo dunque che la compagnia americana degli Stati- Uniti condurrà a fine un lavoro degno della sua nazione e del suo, secolo. Non si tratta che d’ un taglio d’alcune leghe; e già nello stato di Nuova-York si è veduto terminare un canale di 130 leghe, che riu- nisce i laghi del nord al mare Atlantico. Questo principio è d’ un felice augurio, e caratterizza perfettamente la tendenza delle nazioni industriali. Così la giovine America risponde con concepimenti im- mortali ai sogni degl’ insensati che predicano delle crociate contro il lavoro e contro la libertà. (Estratto dal Giornale dei viaggi, ec ; o Archivi geografici del x1x secolo. ) Due viaggiatori svizzeri,uno dei quali medico e botanico, l’altro mineralogo, sono partiti dal Caucaso nel mese d'agosto 1825 dopo la stagione dei bagni, per fare un viaggio al porto di S. Pietro e S. Pao- lo, ad Owatscha, Ochotzk , ed in diverse parti della Siberia e del Kamtschatka, ove son rimasti fino al mese di maggio 1826. per at- tendere con successo alloro studio favorito. Segondo la loro relazione, 198 vi era nell’autanno ultimo a Owatscha , nel tempo in cui suol farsi annualmente la spedizione dei frutti ed altri vegetabili di quella con - trada, una sì grande quantità di poponi e di cecomeri , che i mer- canti, vedendo che si guastavano prima di potersi vendere, ne hanno gettato molti per disfarsene. Anche la pesca vi è stata molto abbon- dante, e col favore del gran freddo dell’inverno ultimo, è stata presa una quantità grandissima di cani marini. La temperatura è stata così rigorosa, che dal 27 dicembreal 27 febbraio il sole non aveva alcuna for- za, la sua luce non aveva il solito suo splendore, come neppure quella della luna ; il mercurio era immobile nel termometro per alcune ore della giornata.Questi viaggiatori hanno lasciato Owatscha il 24 magg. 1826. A quest'epoca le acque di quelle contrade erano ancora coperte di ghiacci sì densi , che le vetture gravemente cariche di mercanzie potevano passarvi sopra senza alcan pericolo. I marinari dei basti- menti da trasporto che hanno passato l'inverno in quelle contrade hanno assicurato che le acque non sarebbero libere dai ghiacci, e però navigabili, prima del 27 giugno. I due dotti hanno viaggiato giorno e notte , non hanno risparmiato danaro nè premure per accelerare il loro viaggio quanto fosse possibile; e ciononostante non sono arrivati a Mosca se non cinque interi mesi dopo la loro partenza, e dopo aver subìto ogni sorta di fatiche e disagi. Essi eransi messi in viaggio sopra una slitta, in cui avevano dei buoni letti; era allora tempo sereno, ed il termometro di Réaumur segnava 13 gradi sotto zero al sole: Dopo alcuni giorni cadde per 18 ore continue una tal quantità di neve, che furono obbligati ad arrestarsi per qualche tempo. Nel mese di giagno , quando sopravvenne il digelo , si ammassarono sopra un tratto di strada della lunghezza di più di 40 miglia di Germania delle montagne di neve alte tre o quattro braccia. Quando bisognava far salire la loro slitta dall’una all’altra, le più forti corde si rampevano; allora erano obbligati ad aspettare delle ore intere prima di poter continuare la loro strada , e si stimàvano molto fortunati quando , in 24 ore, con sei cavalli attaccati alla slitta, potevano fare 3 miglia di Germania. Essi affermano d’avere ottenuto il loro intento, e di avere scoperto diverse pietre preziose, e delle piante rarissime, ma soggiun - gono che il rigore del clima li aveva obbligati a rinunziare al loro progetto di restare ancora un anno in quel paese. Però si sono de- terminati a ritornare nella Svizzera loro patria prendendo frattanto la via della Pollonia. Le miniere del governo d'Astracan ricompensano ora ampia- mente le cure e le spese dell’escavazioni che vi si fanno. Il sig. Menge mineralogo; che si trova ora nei monti Ural, ha trovato alla distanza 159 di poco più d’un miglio di Germania dal lago d’Imer un gran numero di pietre preziose amalgamate con del granito , e le ha inviate come rarità al museo del corpo dei cadetti dell’ istituto delle miniere. ARTI INDUSTRIALI. Mentre le felici ed ogni giorno più estese applicazioni delle mac- chine a vapore alle più importanti manifatture hanno impegnato i fi- sici ed i meccanici più distinti ad imaginare ed eseguire sopra di esse nuovi e varii perfezionamenti , tendenti a diminuirne il volume, e conseguentemente lo spazio necessario a contenerle , ad economizzare il combustibile, e soprattutto ad allontanare i pericoli dell’ esplosio- ni , il sig. Clement Desormes ha scoperto in alcuni fatti nuovi e sin- golarissimi.un nuovo pericolo d’ esplosione inerente alle stesse val- vule di sicurezza. Ecco questi fatti curiosissimi ed importantissimi nel tempo stesso. 1.° Un disco mobile che si opponga ad un vento violento,il quale sorte da un orifizio aperto in una lastra che faccia parte del condotto d’una gagliarda macchina soffiante d’ un forno fusorio da ferro , è da primo rispinto fortemente; ma ravvicinando questo disco come se si volesse chiudere l’orifizio, e posto che frattanto il vento continui ad uscire fra le due superficie opposte, cioè fra la superiore della lastra forata e l’inferiore del disco otturante, questo disco viene ritenuto presso l’ orifizio , come se nel condotto fosse stato fatto il vuoto, 0 come se la macchina soffiante aspirasse e fosse divenuta una mac- china pneumatica. 2.° Quest'altro fatto è anche più curioso. Se per un orifizio aperto in una lastra orizzontale volta in basso esca un forte getto di vapore diretto verso la terra, applicando all’orifizio un disco di rame anche molto denso, esso lo chiuderà male, ed il vapore continuerà ad uscire con gran forza e rumore, divergendo per tutti i lati a guisa d’un gi- rasole di fuochi artificiati : frattanto il disco rimarrà sospeso, e la pressione del vapore, comunque sia enorme, e venga aiutata dal peso del disco, non basta a farlo cadere; e volendo rimuoverlo da questa posizione così poco naturale, vi si richiede un notabile sforzo , come se esistesse il vuoto nella caldaia. 3.° Un terzo fatto, che il sig. Clement riguarda come connesso coidue primi, è l’estremo raffreddamento del vapore fortemente com- presso allorché si versa nell’ atmosfera. Un getto di vapore generato alla temperatura di 160 gradi k. e sotto la pressione di 20 atmosfere apparisce fresco, mentre un getto a 80 gradi e sotto la pressione di una sola atmosfera brucia fortemente una mano che vi si esponga. 160 I due primi fatti portano a concludere che le ordinarie valvole di sicurezza, ove siano in certe proporzioni cogli orifizi e colla pres- sione che sopportano, debbano esser ritenate nella loro funzione come i dischi impiegati dal sig. Clement nelle sue esperienze, e che appena sollevate per dar esito ad una lama di vapore, esse debbano divenire immobili per la stessa causa che ritiene i dischi mobili nell’esperienze sopra citate. Però nel caso in cui la produzione del vapore fosse troppo abbondante rispetto a ciò che può lasciarne sortire la valvola nella posizione descritta, può accadere che la caldaia faccia esplosione benchè la valvola sia aperta. Di fatto il sig. Clement rammenta che alcune esplosioni sono avvenute con questa circostanza , tanto bizzarra , che sembrava in- credibile. Egli conclude che la moltiplicazione delle valvole e la gab- bia in cui si racchiudono sono precauzioni insufficienti, giacchè esiste un pericolo ignorato finora, ed inerente al fenomeno stesso. - Il sig. Clement ha esposte queste ed altre cose in una sua me- moria , di cui in una seduta dell’Accademia delle scienze non potè leggere che la prima parte , della quale sola abbiamo per ora cogni- zione. Riferiremo in seguito il contenuto nella seconda parte , in cui sappiamo che egli ha impreso a spiegare i nuovi fatti da sè annunziati, indicando come possa trovarsi un rimedio sicuro e facile nella causa stessa del pericolo. Frattanto egli invita tutti i costruttori di mac- chine a vapore a tentare nuovi mezzi di sicurezza , i quali non na- scondano in loro stessi, come quelli attualmente impiegati, un vero pericolo , che il caso potrebbe rendere grandissimo e probabilissimo, L'’estensore di questo bullettino , desideroso di verificare il pri- mo dei tre fatti singolari sopra indicati, ba invitato il sig. Egidio | Succi, agente della R. magona agli edifizi di Follonica, uomo intelli- gente ed attivo, a fare alcuni esperimenti, che egli ha tosto eseguiti con premura ed intelligenza , ad una delle valvole del portavento di quel forno fusorio; sopra la quale fatto aprire col mezzo d’ una tri- vella un foro circolare del diametro di circa 10 linee, ed applicato sopra questo un disco di grossa lamiera di ferro, d'un diametro cir - ca due volte e mezzo più grande di quello del foro, ha osservato quanto appresso. « Tenuto il disco , son sue parole , alla distanza di 4 pollici e 4 ,» linee dal foro , il vento lo rispingeva con una violenza grandissi - » ma; accostandolo gradatamente , questa violenza diminuiva sino ,; al punto che, arrivato il disco alla distanza di tre linee, veniva » portato via di mano per la forza di attrazione che sembrava chia- ,» marlo verso il foro. Per rialzare quindi il disco e rimoverlo dal »» foro occorreva all’incirca la stessa forza che è necessaria ad alza- 161 », re una valvola d’ottone delle ordinarie trombe da acqua allorchè »» Sono in attività. Arrivato il distacco alla solita distanza di tre li- » nee, la forza del soffio alleggeriva alla mano il peso del disco, e nel » progressivo allontanamento cresceva la violenza del soffio. Mentre 3» il disco era posato sul foro , seguitava a sortire fra esso e la tavola 3» ana lama di vento, la quale dava al disco un piccolo moto ondula- » torio, accompagnato da un muggito or più forte, or più debole, se- » condo la maggiore o minor quantità d’aria che sortiva. Un disco »» di ferro minore d'un terzo ed anche della metà di quello sopra 3 indicato presentava lo stesso effetto. Un altro disco pochissimo », più grande del foro , applicato a questo era continuamente solle- », vato dal vento; ma postovi sopra un piccolissimo peso, che lo », mantenesse in un certo equilibrio, tornava ad essere attratto o » Spinto verso il foro. ... L’estensore meditando sopra il rimedio che per impedire quel- l’effetto si afferma avere il sig. Clement trovato nella causa stessa che lo produce, congettura che esso possa essere il seguente, il quale quando anco non sia quello stesso che ba imaginato il sig. Clement, pur gli sembra dover riuscire efficace. Consisterebbe questo nel fare un secondo foro nel disco otturatore o nella valvola, coperto da un secondo disco un poco minore del primo, ed anche nel secondo disco un terzo foro coperto da un terzo disco. Nella qual disposizione sem- brerebbe che tutti i dischi dovrebbero comportarsi egualmente, e però esser mantenuti dall’azione del vento o del vapore ad una certa distanza fra loro , lasciando l’esito , non più ad una sola, ma a due, tre , o piu lame di vento o vapore; con che, nel caso di quest’ulti- mo , sarebbe evitata la temuta rottura ed esplosione della caldaia. L’oro, il più apprezzato fra i metalli, è uno dei meno duri fra essi, anzi così docile e pieghevole, che non può impiegarsi solo e puro a formarne vasi, oggetti d’ornamento , o altri qualunque , i quali; e per la sottigliezza consigliata dall'alto prezzo della materia , e per l’indicata pieghevolezza, si deformerebbero per il più leggiero urto o pressione. Però si allega all’ oro qualche altro metallo , che è tal- volta l’ argento, e più comunemente il rame, in piccola proporzione, che la legge determina nei paesi meglio amministrati. Quest’aggiunta, mentre dà all’ oro, o piuttosto alla lega risaltante, la voluta durezza ed elasticità , ne modifica e ne altera l’ aspetto ed il colore , che di- viene più o meno rossastro per l’aggiunta del rame, pallido ed anche verdastro per quella dell’argento. Se in alcuni casi sì profitta di que- ste modificazioni di colore per far loro produrre dei piacevoli effetti T. XXV. Gennaio. 1I 162 / in lavori d’ornato o altri complicati, occorre più spesso porre studio a far disparire quelle alterazioni , e restituire ai lavori d’oro il color naturale di questo bel metallo. Siccome oltre la variazione che necessariamente induce nel co- lore della lega il metallo diverso aggiunto all’ oro, la necessaria espo- sizione al faoco di molti lavori fa che una porzione del rame della superficie resti ossidata, però in una prima operazione, chiamata dian- chimento , si pongono tali lavori in acido solforico allungato con mol- t’acqua, e vi si fanno scaldare; l'acido disciogliendo l’ossido di rame, ne spoglia la superficie , la quale per altro rimane d’ un color giallo biancastro, non bello, e che non sempre può togliersi coll’ imbruni- mento , cioè col fare scorrere con forza sulla superficie dei varii og- getti un corpo duro e liscio, come l’ acciaio , o alcune pietre silicee di finissima grana. A rendere alla superficie dei lavori d’ oro il suo bel color giallo s'impiegano da tempo assai rimoto diverse misture di sali e d’acqua, nelle quali si fanno bollire gli oggetti d° oro lavorato, fino a potabile condensamento, ed anche fino alla completa essiccazione della mate- ria. La più comune di tali misture è formata di salnitro, sal comune, ed allume. I chimici non avevano fin qui data una sodisfacente spiegazione del modo in cui questo ed altri simili miscugli agiscono sopra |’ oro legato al rame o ad altri metalli; ma si credeva generalmente che gli acidi sviluppati o messi in libertà per la reazione reciproca dei sali impiegati, disciogliendo di preferenza il rame dello strato esteriore della lega, !asciassero la superficie coperta d’oro puro. Recentemente il sig. Castellani , orefice romano molto istraito delle cose chimiche, riguardando come erronea questa spiegazione , ha intrapreso una serie di ricerche chimico-tecnologiche, dalle quali è stato condotto a riconoscere ciò che accade effettivamente nell’ope- - razione indicata, e quindi a proporre non solo una più ragionevole spiegazione degli effetti che se ne ottengono, ma anche importanti perfezionamenti del processo, Ecco come egli ragiona sopra i prin- cipali esperimenti da sè fatti e sopra i sidaleanibnti ottenutine. Scaldata fino all’ ebollizione |’ indicata mescolanza, l’acido sol- forico dell’allume portandosi sulla potassa base del salnitro, e sulla soda base del sal comune, ne distacca gli acidi nitrico ed arterie, una parte dei quali si unisce all’ allumina contenuta nell’ allume, mentre un altra porzione attacca e discioglie l’ oro ed il rame legato ad esso ; il qual rame si unisce poi di preferenza all’ acido solforico ivi presente. Fatta una soluzione dei sali sopra nominati, e versatevi alcune 163 gocce d’ idroclorato d’oro, un oggetto d’oro lavorato immersovi non si è colorito se non molto tempo dopo, e quanilo il miscuglio si è quasi disseccato per l’azione del calore. Ma se un filo di rame era portato a contatto dell’oggetto d’.oro, questo diveniva subito scuro, quindi poco dopo prendeva un bel color giallo. L'autore ammette che l’oro ed il rame componenti la lega, e de’ quali il primo è elettricamente negativo rispetto al secondo, raediante il loro contatto col liquido salino-metallico vengono a formare un cerchio voltaico in azione, capace di scomporre le sostanze che tocca; e poichè gli elementi dell’acqua e della soluzione d'oro devono avere una diversa tendenza elettrica, essendo positivi l’idrogene e l’ossido, negativi l’ossigene e l'acido, però pensa che sopra i lavori d’oro, come negativi, si gettino l’ossido d’oro e l’idrogene come positivi, e che , nell’ atto stesso della loro precipitazione, l’ ossigene dell’ ossido d’oro combinandosi all’idrogene per formar l’acqua , l'oro metallico sotto forma di polvere bruna, si depositi sulla superficie dei lavori immersi e vi aderisca, E quanto al rame del filo immerso, esso come positivo si «ppro- pria l’ossigene proveniente in parte dall’acqua ed in parte dalla por- zione d’ossido- d'oro non ancora precipitato , formandosi l’ossido di rame, cui si uniscono gli acidi solforico ed idroclorico . Intanto l’ oro che ritorna allo stato metallico per questa seconda scom posi- zione del suo ossido , essendo in uno stato elettrico opposto a quello del rame, va a posarsi sulla superficie di questo. Ma gli acidi non potendo disciogliere tutto l’ ossido di rame che continua a formarsi, una porzione di esso si mescola all’oro depositato sul filo di rame, e però quest’oro aderente al filo si trova di 22 carati. Astenendoci da ogni riflessione sù queste spiegazioni, passiamo ad indicare le due miscele che il sig. Castellani raccomanda come le più opportune ad operare il colorimento dell’oro. Prima miscela. Aguri sistianialla sitaraziiul L@fhest siol00 denari ‘150 Mes idiociorica;n 220. >. (Re e «esa 10 Acido solforico di commercio . .-.0/.0.. ..» 4 Acido. borica cristallizzato . iL iN... e. È Seconda miscela, MA ERI 0 ‘è SARIBREVIO 0 Idroclorato acido d’allumina liquido... . . . » Ri) 3 Bolfato' di'soda: cristalitàzato: ie N E 4 Acido borico cristallizzato +... . +... 3 33 1 64 A ciascuna miscela devono unirsi venti grani di soluzione neutra d’idroclorato d’oro. \ Up inglese ha inventato un processo mediante il quale cava pro- fitto dai ritagli e trucioli di cuoio formandone una specie di tessuto, che egli chiama carta di cuoio, Egli fa pestare quei ritagli nelle pile stesse e cogli stessi mezzi che s’impiegano nelle fabbriche comuni di carta. Ridotta la materia in pasta bastantemente fine, la tratta come la pasta di stracci, formandone quasi una specie di cartoni. Questi, dopo aver ricevuto un poco di colla , ed essere stati compressi sotto lo strettoio, hanno molta tenacità, e nel tempo stesso una docilità no- tabile, sicchè possono servire a molti usi, e specialmente in vece del marrocchino e d’altre pelli a cuoprirne i libri, non meno che mobili ed oggetti diversi. Questo cuoio artificiale riceve benissimo la dura- tura, ed ogni specie di colori e vernici. Il sig. Stromeyer aveva già annunziato che il solfaro di cadmio può somministrare alla pittura un bel color giallo dotato di qualità pregevoli. Più recentemente il sig. prof. Melandri di Padova, aven- dolo fatto sperimentare sì a olio che a fresco da un celebre pittore , questi n'è stato sodisfattissimo , ed ha affermato che il nuovo colore non cede in vaghezza a verun altro giallo, e che supera molto gli altri impiegati negli asi della pittura a fresco, conservandosi inalte- rato, associandosi perfettamente a tutti i colori in qualunque tuono di tinta, avendo molto corpo, stendendosi molto, e fondendosi mira- bilmente. Nè meno utile e. pregevole riesce nella pittura a olio, spe- cialmente per la proprietà singolare di conservare la tinta stessa come se fosseasciutto, mentre gli altri gialli per la loro unione all’olio divengono assai più scuri. Associato alla biacca, anzichè riceverne al- terazione, come avviene ad altri colori, acquista in vece maggior va- ghezza. Il solfuro di cadmio non provando alterazione nè per parte della luce, nè del fuoco, nè degli acidi, nè degli alcali,è da presumere che questo bel colore resisterà lungamente alle ingiurie del tempo. L SET SocIETA SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia dei Georgofili. — Nell’ adunanza del dì 7 gennajo corr., alla quale assistè il suò presidente S. E. sig. Marchese Garzoni- Venturi, il sig. dott. Giuseppe Giusti prese a trattare sul problema relativo alla convenienza di applicare ad alcune profes- sioni liberali (fra le quali specialmente quella dei legali) il principio :165 di libertà adottato per le arti liberali. Questa memoria verrà da noi riportata nel prossimo fascicolo Il prof. Gioacchino Taddei trattenne l’adienza con una memoria sul metodo di conservare proficuamente i letami, senza perdita no- tabile nè incommodo pei loro effluvii , sia adottando in grande il si- stema di Donat, per cui si trasformano in urati solidi le materie liquide escrementizie , sia adottando l’espediente, dallo stesso acca- demico immaginato, d’impedire Ja putrefazione delle materie ani- mali, mescolandole precedentemente ad una forte decozione di scorze astringenti. Ii sig. Emanuele Repetti, sapplendo all’accademico di turno sig. Avv. Lorenzo Collini, prese occasione dalle mostre di alcune ulive salvatiche , e dal vino di Lambrusca inviatole dal soeio corrispon= dente sig: Domenico Rolero, per riandare brevemente sulla storia deli’antica coltivazione dell’olio o della vite lungo le toscane marem- me , onde far rilevare l’ utilità reale che apporterebbe all’economia agraria di quella provincia il riattivamento di questi due prodotti privilegiati dei climi meglio esposti e più temperati, Finalmente il sig. Vincenzio Manteri di Livorno comunicò un metodo messo in pratica in una fabbrica da esso eretta nelle vi- cinanze della metropoli per estrarre la colla dalle ossa animali da supplire a quella che si suole ricavare dai così detti carnicci. Società toscana di Geografia , statistica, e storia naturale patria. — Prima di riferire quanto è stato fatto nelle sedute ordi- narie del 31 dicembre prossimo passato e del 29 del corrente gen- naio , crediamo dover porre quì l’ elenco dei membri che già com- pongono la società , oltre i fondatori già fatti da noi conoscere nel precedente fascicolo , ove per errore fu omesso di nominare il sig. Emanuele Repetti, uno di essi. Quest’ elenco ci è stato comunicato dal sig. segretario degli atti coll’ indicazione delle diverse sezioni, alle quali ciascuno dei membri è più particolarmente addetto. In seguito avremo cura di annunziare mensualmente le nuove nomine che avranno luogo. Prevenendo così la pubblicazione degli atti della società , crediamo renderci utili. Egli è bene che gli abitanti le provincie sappiano a quali fra essi potranno più facilmente diri- | gersi all’ occasione per trasmettere alla società le loro domande , ed i frutti delle loro prime ricerche. 166 Sezione di Geografia. Socti fondatori. . . . Sigg. Cav. Giuliano Frallani Prof. Padre Giovanni Inghirami Dott. Ferdinando Tartini Salvatici Gio. Pietro Vieusseux Socii ordinari .. . Sigg. Cav. Ranieri d’ Angiolo, di Livorno. Conta cav. G. B. Baldelli Coute cav. Luigi De Cambray Digny Prof. Giuseppe Doveri , di Livoruo Prof. Gaetano Giorgini. Cap. ingegnere Alessandro Manetti. Socii corrispondenti. Sigg. Ridolfo Castinelli ingegn. a Pontedera. ‘ Cav. Gius. Inghirami , di Livorno. Dott. Giuseppe Mancini . . id. Luigi Mancini... .... id. Prof. Gem. Poletti, di Pisa. Dott. Paolo Vivoli, di Livorno. Sezione di statistica. Socit fondatori . . . Sigg. Cav. Vincenzio Antinori. March. Gino Capponi, Dott. Gaetano Cioni. Avv. Leopoldo Pelli Fabbroni. Dott. Ferdinando Tartini Salvatici. Giov. Pietro Vieussenx. Socii ordinari: . . . Sigg. Prov. Celso Bargagli, di Siena. Dir. Anton Domen. Cappelli, di Livorno. Generale Pietro Colletta. S. E. March. Paolo Garzoni Venturi Governatore di Livorno. Giacomo Grandoni di Grosseto. Dott. Giovanni Magini. Provv. Gaetano Mecherini, di Pisa. Provv. Antonio Moggi. Provv. Giulio Mostardini, di Arezzo. March. Cav. Orazio Carlo Pucci. March. Giuseppe Pucci. Comm, Lapo de’ Ricci, March. Luigi Tempi. } 267 Socîi corrispondenti. Sigg. Bandino Bartoli, di Pescia. Dott. Luigi Leonardo Coppi. Dott. Stefano Damacci Toscani, di Mon- topoli. i Aptonio Finali, di Pescia. Gaetano Gasbari. Conte Giulio Gentili, di S. Sofia. March. Carlo Ginori. Priore Giunti, di Roffia Dott. Giuseppe Gordini, di Livorno. Dott. Domenico Guerrazzi, di Castelfran- co di sotto. \ Dott. Vincenzio Guerrazzi. id. Arciprete Francesco Marchi, di S. Maria in Monte. Conte Mario Nerucci. Dott. Niccola Orsini, di Livorho, Filip. Scaramucci, di S. Maria in Monte. Colonnello Gabriele Pepe. Ganonico Pierazzi, di S. Miniato. Dott. Raickem, di Volterra. Domenico Rolero, di Grosseto. Gav. Pompeo Spannocchi, di Siena, Dott. G. B. Thaon , di Orbetello. Prof. Gio. Valeri, di Siena. Ernesto Vecchi, di Grosseto, Sezione di Geologia. Socii Fondatori . . . Sigg. Conte Girolamo de’ Bardi. Li ‘ Socio corrispondente. Sig. G. B. Dami di Montevarchi. Prof. Filippo Nesti. Emanuele Repetti. Dott. Attilio Zaccagni Orlandiai; Prof. Marzi di Siena. Sezione di Mineralogia. Socii fondatori. . » . Sigg. Conte Girolamo de’ Bardi. Prof, Giuseppe Gazzeri, March, Cosimo Ridolfi. Prof. G. Taddei. 168 ; Socio ordinario. Padre, Massimiliano Ricca, di Siena. Socii corrispondenti, Sigg. Marco Borrini, di Seravezza. G. Comparini. . ... id. Giovanni Carboncini, di Grosseto. Prof. Antonio Fabbroni, di Arezzo. Prof. Guidoni, di Massa di Carrara. Prof. Lucchesi, di Lucca. Prof. Michelacci, di Pistoja. Ranieri Passerini, di Pisa. Ernesto Vecchi, di Grosseto. Sezione di botanica. Socti fondatori . ... Sigg. March. Cosimo Ridolfi. Dott. Carlo Passerini. Prof. Antonio Targioni Tozzetti. Prof. Ottaviano Targioni Tozzetti: Socio ordinario . . . Sig. Prof. Filippo Gallizioli, Socii corrispondenti. Sigg. Vincenzio Carmignani, di Pisa. Gaetano Baroni, di Firenze. Bernardo Franceschi, di Partina. Raffaele Lambruschini, di S. Cerbone. Dott. Francesco Luciani, di Scansano. Giuseppe Raddi. Eugenio Reboul Prof. Gaetano Savi, di Pisa. Dott. Stefano Stagi . . id. Sezione di Zoologia. Socii fondatori .. . Sigg. Dott. Pietro Betti. Li Prof. Filippo Nesti. Dott. Carlo Passerini. Socio ordinario . . . Sig. Prof. Paolo Savi, di Pisa. Socii corrispondenti. Sigg. Ferdinando Fanelli, di Sarteano. Matteo Zauli, di Modigliana. La sezione di statistica è la più numerosa : ciò non deve far ma- raviglia; essa è quella che permette una più ggan suddivisione di lavori e di ricerche di diverso genere, ed a cui ciascuno può più fa- cilmente rendersi utile. Quando il gusto delle scienze naturali sarà più esteso in Toscana, vedremo un maggior numero di nomi toscani 169 sulle liste della geologia , della mineralogia , della botanica , e della zoologia. Per altro sono più indispensabili alla sezione di statistica le ricerche di quelle scienze, che ad esse le tavole ed i calcoli della statistica , fa quale richiama naturalmente nel suo seno più membri delle altre sezioni. Egli è da desiderare che in una simile società la divisione del lavoro , altronde sì necessaria, non impedisca le più intime relazioni , nell’interesse della scienza, fra membro e membro, fra sezione e sezione ; e da questo spirito sono senza dubbio animati tutti quei toscani, dei quali abbiamo la sodisfazione di comunicare i nomi ai nostri lettori. La seduta dei dì 31 dicembre fù preseduta dal sig. Tartini Salvatici. Dopo alcune formalità d’ uso , ed alcune deliberazioni in- torno ad altre formalità da stabilirsi, e che l’ abitudine renderà in seguito meno necessarie 0 più speditive , la società ascoltò col più vivo interesse la lettura che fece il sig. Repetti della prima parte dell'estratto dell’ opera importante del sig. conte di Chabrol di Vol. vic, intitolata Statistica del dipartimento di Montenotte. Siccome è nostra intenzione di far conoscere quest’ opera nel nostro giornale, non entreremo quì in altre particolarità intorno al dilei merito. Tuttavia vogliamo prevenire l’osservazione d’ alcune persone, le quali f:rse domanderebbero di qual interesse può es- sere la statistica d'una parte della Liguria e del Piemonte, che formavano l’antico dipartimento di Montenotte, coi lavori della so- cietà esclusivamente consacrati alla Toscana. L'alta riputazione di cui gode il sig. conte di Chabrol come amministratore, e come statistico , le numerose relazioni che esistono fra queste provincie deli’ Italia per la natura del terreno, per la varietà dei climi e de: produtti , e per un infinità di circostanze che son loro «comuni ; fanno che la statistica di Montenotte , più che qualun- que altra, può a buon diritto esser considerata sotto molti rap- porti come un modello da imitarsi in Toscana; quindi non era inutile richiamare l’ attenzione della società sopra quest’ opera , che può altronde somministrar l’ occasione di confronti e compa- razioni importanti per le cose e per l’ epoche. Nella stessa adunanza il sig. Reperti presentò alla società in nome del sig. Domenico Rolero di Grosseto una di lui memoria sul quesito proposto dal commissario regio d'Orbetello: quali danni recano all’ economia animale le acque del lago d’Orbetello per la putrefazione dei vegetabili e sostanze marine ivi abbondanti a fior d’ acqua , e quali sarebbero i mezzi per ripararvi. Una commissione fu incaricata d’ esaminare questa memoria, e riferirne. LS 170 Nella seduta del 28 del corrente gennaio, preseduta dal sig. _ prof. Giorgini, il sig. Repetti riprese la lettura del citato estratto dell’ opera del sig. conte di Chabrol ; e certamente non c’inganniamo assicurando che ciascuno dei membri della società pensa come noi intorno all’utilità che può ritrarsi da questo lavoro. Per altro que- sta lettura essendosi alquanto prolungata , la società ebbe il ram- marico di non potere in quel giorno ascoltare il sig. Magini, il quale doveva comunicare dei modelfi di tavole di statistica d' alcune co- munità della Toscana. Uno dei membri fondatori proposexche, senza aspettare la prossima seduta di febbraio, la società si adanasse straor- dinariamente per ascoltarlo, facendo osservare nel tefnpo stesso che una sola seduta di due o tre ore per mese non basterebbe per tutti gli oggetti da trattarsi. Ma questa proposizione non fa adottata, sul riflesso che ciò sarebbe stato un anticipare male a proposito sul rapporto che deve fare ad un epoca determinata la sezione di statistica, non meno che ciascuna delle altre seziom per la branca che le concerne , intorno allo stato in cui la società trova la scienza fra noi, fissando così un punto di partenza ; ed intorno al metodo da adottarsi per ì lavori futuri. A tempo e luogo torneremo di nuovo su questo capi- tolo interessante; frattanto non si potrebbe raccomandar troppo a quelli che hanno delle memorie o delle osservazioni già fatte, di tra- smetterle alla società . Noi torneremo senza dubbio con tanto maggior sodisfazione su questi rapporti, e sui lavori futuri della società, in quanto che tutto sorride ar di lei primi sforzi. I sigg. segretarii Fru//ani ed Antinori informarono la società dei modi benevoli coi quali S. A. I. e R. li aveva accolti la domenica precedente in un udienza in cui ebbero l’ onore di darle contezza dei primi passi della società; S. A. si de- guò ascoltarli col più grande interesse, e le parole che uscirono dalla sua bocca in quella occasione non possono che penetrare di ricono- scenza e d’entusiasmo. Questa nuova testimonianza dell’ alta protezione di cui la so- cietà è onorata e potentemente incoraggiata, non può che eccitare al sommo grado in tutti i suoi membri il desiderio di corrispondere alla generale aspettazione. Ebbe poi la società in questa stessa sedata la prova che diversi fra i suoi membri non avevano aspettato che ella si formasse per occuparsi attivamente nell’ interesse della scienza ; perchè oltre le tavole del sig. Magini, delle quali abbiamo parlato di sopra , e che son frutto di lunghe ricerche, la società ebbe la grata sorpresa di vedersi presentare dal dott. Zuccagni Orlandini un lavo- ro importantissimo. Consiste questo in una carta topografica , fisica, mineralogica ; ’ Le: statistica ed amministrativa di que!la parte del bacino dell'Arno, che ‘si conosce sotto il nome di Casentino , e di 46 vedute ad acqua tinta delle situazioni più curiose e più pittoresche di questa vallata della Toscana. Fù di rammarico alla società il non potere in quel giorno eon- sacrare un più lungo tempo al piacere d’esaminare questo lavoro pre- gevole; fece dei sinceri ringraziamenti al sig. Zuccagni per aver dato un così bell’ esempio, e sulla proposizione del sig. segretario degli atti fù dal sig. Presidente nominata una commissione per esa- minarlo e farne un rapporto. Allorquando lo zelo di tutti i membri, li sforzi di molti, ed una certa quantità di doni in libri ed in prodotti naturali, permetteranno alla società di incominciare a disporre il suo museo e la sua bibliote- ca ; dei lavori come questo del sig. Zuccagni fisseranno con piacere li sguardi delli spettatori più indifferenti , e diventeranno tanto più utili, in quanto saranno costantemente alla portata di tutti. Noi af- frettiamo coi nostri voti quest’ epoca. i G.'P.V. Società medico fisica fiorentina. Adunanza solenne del 28 gennaio 1827. Il segretario degl’Atti sig. prof. Betti aprì l'adananza col suo rapporto su i lavori accade- mici dell’anno scorso , cui successe quello del sig. dott. Bonci segre- tario delle corrispondenze, e pose fine alla seduta l’elogio storico del defonto dott. Francesco Pellegrini letto dal socio dott. NMamias. Fu quindi per ristrettezza ditempo rinviata la relazione del sig. Gambe- rai conservatore del museo patologico alla Radunanza ordinaria del mese di gennajo rimessa nel 2 feb- braio. In questa la società preseduta dal nuovo presidente sig. prof. Bigeschi ricevve in dono dai loro respettivi autori an operetta in- titolata Della macchina dell’uomo e de’suoi rapporti del dott. Giu- seppe Usighio, ed altra sulla periodicità delle febbri , e della sua causa e natura, del dott. Francesco Puccinotti urbinate. Attuato quindi da puro amore di verità il sig. Gamberai , e cal - cando il sentiero, che additava il benemerito prof. Gazzeri {1) al dott. Franchini per rivendicare efficacemente la priorità della sco- perta dell’inosculazione di molti tronchi linfatici coll: vene a favore di anatomici , e fisiologi anteriori al sig. Dott. Lippi, che pubblicò non ba guari le sue illustrazioni su questo argomento, espose in una sua erudita memoria , che non solo lo sboccamento diretto di linfa- (1) Ved. Antologia num. 50, pag: 153. 172 tici nelle vene era noto in generale ad antecedenti scrittori come allo Stenone , al YVepfer, al Pascoli (2) al Ludwig (3), ma che parecchi ne avevano ancora particolarmente descritta l’immissione nelle ve- ne, accompagnandone il primo (4) alcuni nella vena assillare , nella giugulare, e nella cava, seguitandoli il secondo (5) dai ligamenti lar- ghi dell’utero fino nelle vene ipogastriche , ché il Nuck (6) ne aveva rinvenuti altri, che dal braccio scaricavansi indirettamente nella ve- na succlavia, che quelli della milza erano stati osservati metter foce nella vena porta dal Lobstein (7), che furono vedati sboccare nella vena azygos dall’Hebenstrest, (8), e dal Kulmus (9), anastomizzarsi colle lombari dal Mertrud (10); terminare nelle iliache dal Bli- zard (11) e dal Seiler (12), e quelli del fegato impiantarsi nelle vene epatiche dal Ribes (13). Ai quali fatti aggiungendo l’autore le espe- rienze del Meckel (14), del Meding, (15) del Seiler (16), e del Foh- man (17) che spinsero l’iniezione dai vasi linfatici nelle vene, e quel- le inoltre del Ribes (18), che riempì i linfatici iniettando da queste, concluse , che , appurata siffattamevte in triplice foggia la comuni- cazione del sistema linfatico col venoso , ben lungi questi anatomici ritrovati dal costituire delle nozioni congettarali , e perciò smarrite e sterili per i fisiologi , farono anzi da questi messi a contribazione, e utilizzati nelle controversie fisiologiche sulla dottrina dell’assorzio- ne e specialmente dallo Stenone contro il Biltio , dai Meckel padre, (2) Pascoli del corpo umano. Venezia 1712. (3) Fasc. II. pag. 85, 88 e 165 delle sue Aggiunte alla sua traduzione del Kruishank e Mascagni. (4) De glandulis p: 38.Manget bibliat. anatom. Tom. II. p: 617. (5: Dub. anatomic. p. 100. De Apoplezia p. 350 (6) Adenographia p. 48. (7) Journal complém. des sc. méd. Tom. XVIII? p. 336. ($) Programma de mediastino postico. (9) Breslauer Sammlung XVI. Versuch p. 432. (10) Mém. de l’Acad. des sc. Journal des savans. Tom. III. an. 1750. (11) Psysiological obsevations on the absortant systerm of vessels: London 1787. (12) Expériences sur le pouvpir absorbent des veines et recherches sur les vais- seaux lynfatiques de la Rate, (13) Mém. de la société d’ Emulation 1816 p. 618. (14) Nova experimenta , et observationes de finibus Venarum p. 30. (15) Nel Seiler opera cit. (16) Loc. cit. (17) Anatomische Untersuchungen iber die Verbindung der Saugadern mit den Veueo. Heidelberg. 1821, (18) Loc. cit. 173 e figlio , dal Falconer (19) , dal Lidner (20) dal Blizard (21) dal Cal- dani (22) dal Wrisberg (23) dal Ludwig (24) dal Ribes (25) e più re- centemente dal Fohman, dal Sciler (26) e dal Meding contro i pa- negiristi dell’esclusiva dei linfatici nell’assorbimento. Dissertò il dott. Lazzerini su un caso assai raro di fango ema - tode della grossezza di mezz’ uovo di gallina impiantato sul collo della vessica d’un uomo sessagenario da lui trattato nel suo turno ‘ chirurgico di S. M. Nuova, il quale fungo ne impose per varici del collo sì per i segni razionali, che per il mitto cruento consecutivo alla siringatura, che avea necessitata la presenza d’esso in quel sito, e mediante la quale restò il ‘fungo îraforato in cinque punti distinti creduti tante false strade in vita dell’infermo; e terminò la sua det- tagliata, e preziosa istoria col sottoporre all’ispezione della società il pezzo patologico, su di che ragionò. E a vie più rincarare sulle giammai soverchie cautele di vin- colare i dilatanti dell’uretra fuori d’essa fece il medesimo accuratis- simo socio lettura d’altra interessante storia tratta dall’ istesso suo tarno chirurgico d'una candeletta del numero 6 scivolata in vessica ad un ammalato di ristringimento uretrale, e da essa espulsa mercè il distendimento della vessica ottenuto con copiose bevande, e la brusca soddisfazione dell’imperiosu bisogno d’evacuar l’orina a bella posta ritenuta, e la congrua posizione a tal uopo prescelta. La can- deletta , che ne uscì raddoppiata fù deposta nel museo- patologico. Furono dipoi lasciati in dono alla società dal sig. prof. /Vespoli due reni d’un vecchio concamerati da numerosi sacchi idatigeni del - | l’Echinococco umano , come pure un cuore con l’aorta incrostata da brattee calcaree, e con il ristringimento della succlavia destra s0- spettato nel corso del male dal detto sig. prof. per via del metodo ecelettico, su di che però promesse ulteriori schiarimenti e la seduta si sciolse. } Accademia pistoiese di scienze lettere ed arti. Adunanza del 4 dicembre 1825. La società riprende in questo giorno i suoi letterarii esercizii, Il dot. Giovanni Dini apre la seduta con l’elogio del dot. Er- (19) In prefatione to the experimental inquiries of Hewson. Tom. III (20) Dissertatio de lymphaticorum systemate. Halae 1787. (21) Loc. cit. (22) Riflessioni sopra alcuni punti d’ un muovo sistema assorbente. (23) Haller's Umriss der Physiologie p. 42. (24) Physiolog. med. vol. VIII p. 179. (25) Loc. cit. (26) Allgemeine medicinische Annalen 1821. Marz. p. 354. 174 cole Gigli soc.ord. Il prof. Gemignano Poletti legge di poi una ,me- moria ‘ Cagioni della preminenza che hanno i moderni sopra gli an- tichi nella Fisica ,,. Il dott. Pierro Piccoli “ Educazione fisica dei fanciulli. ,,, Leopoldo Tesi “ Ode in laude di Dante ,,. 29 Dicembre. Solenni onori parentali a DANTE ALIGHIERI. — Una società d’accademici, in ordine alla istituzione di celebrare almeno ogni anno la memoria d’ alcan grande italiano, aveva decretato saera a Dante la sera de’ 14 settembre decorso ; inaspettata cagione fece che il nobile divisamento fosse ritardato alla sera di questo giorno; tacendo dell’adornamento della festa col numeroso concorso; indi- «chiamo i componimenti: » Dante autore della civiltà italiana, Orazione di Niccolò Pus- cini; Dante creatore della lingua italiana, Canzone di Pietro Odaldi; La poesia risorta per Dante , Ode saffica di Filippo Cuceoli; Ono- re fatto all'Italia per Dante, Terzine di Ambrogio Piovacari. Il can- to d’Ugolino, musica del Zingarelli, termina la prima parte. Incomincia la seconda Pietro Qdatdi con prosa : Onore falto per Dante alle donne, cui è maestro di virtù domestiche. Seguita- no: Francesco Franchini, Alighieri amante e guerriero, Ode di Cas- siano Zaccagnini; Inno a Beatrice di Pietro Contrucci ; Dante Ali- ghieri morente confortato per Beatrice col vaticinio della sua gloria futura , ottave di Jacopo Jozzelli ; Il genio di Dante fatto più gran - de nelle sventure ,, Ode saffica. 4 Marzo 1826. Il D. Filippo Civinini discorse “ quanto il Dante valesse in anatomia , fisiologia , e patologia ; Francklin ebbe lodi di cittadino e di filosofo per il dot. Giovanni Dini; Perticari in una ode per Pietro Odaldi. Il canonico Francesco Trinci lesse un’ode “Deu- calione e Pirra dopo il diluvio, Pretro Contrucci continuò il suo lavo- ro ‘‘ Analisi dei storici italiani da Giovanni Villani fino a Carlo Bot- ta,,.Iacopo Nardi, epoca seconda. 23 Luglio 1826. Luigi Leoni dimostra quant'è la vera virtù nell’elogio di M. Girolamo Conversini vescovo di Cortona , socio ord. Jacopo Jozzelli dice un sonetto sul medesimo soggetto. Giovanni Dini « Saggio delle opere di Jenner,,. Leopoldo Tesi “ Dante a Ve- rona ;, Verzine. D. Ermenegildo Potente “ Il giorno natalizio di Carlo Botta ,, Canzone, Francesco Giannini «‘dell’eloquenza forense, 3) Discorso. Dott. Giovacch:ino Balbi “ Relazione ragionata delle fe- lici resaltanze ottenute per l’uso del sistema di Cranpton a sanare le ottalmie ,,. Pietro Contrucci “ Analisi della croce riacquistata del Bracciolini, ,, 13 Agosto. Sig. Francesco Talini vice-presidente “ Elogio di Pietro Ricciardi da Pistoja. Pietro Odaldi presidente ‘Le tenebre di 179 Byron,, Versi sciolti. Iacopo Jozzelli “Capitolo sopra questa senten- za di Giovenale: aud facile — non, raro emergunt, quorum virtutibus obstat res angusta domi,,. Francesco Baldinotti, in morte di Mons, Girolamo Conversini, Sonetti,,. Dot. Giovanni Diri ‘Biografia e opere di Giov. Lami ,,. Pietro Contrucci “ appello all'Accademia , perchè voglia por mano alla storia delle lettere scienze e arti patrie , onde maggiormente illastrare i in questa parte la storia generale della na» zione ,,. + 3 Settembre. D. Pietro Piccoli legge un discorso, pel quale di- mostra , la medicina volere a compagne le scienze fisiche * Dott. Ferdinando Gamberai ‘° Memoria sull’antica accademia di belle arti in Pistoia, Francesco Franchini Delle rime di Cino e de’suoi con- temporanei ,, Discorso. Luigi Leoni “ discorso ,, sopra un dipinto del Frate esistente in S. Domenico di Pistoja. Pietro Contrucci « Continuazione dell'analisi della croce del Bracciolini ,, Accademia degli Euteleti in Samminiato. — Le speranze, ou- de i giovani fondatori di questa scientifica e letteraria società si pascevano nel darle cominciamento , sembra che vadano a coronarsi dal più felice successo. L'Accademia degli Euteleti non solamente conservasi, ma si mostra ogni dì più veramente piena di vita, di cui dà prova nelle sue metodiche e regolari adunanze. Ecco l’ elenco delle più rimarchevoli prose lette nelle mensuali tornate. A dì 12 gennajo — Fu letto una memoria del socio corrrispon- dente marchese Conti Castelli. — Sulle vicende della letteratura ita- liana dal loro risorgimento fino al secolo XVIII ; e il dott. Enrico Bonfanti dissertò sulla intelligenza de’bruti. A dì g febbraio. Il dott. Maurizio de' Marchesi Alli Maccarani provò la influenza, che ha lo studio delle scienze astratte nel perfe - zionamento dello spirito umano in ogni maniera di buoni studi; il 2. Lat. Ranieri Pampana lesse una memoria diretta ad impugnare ai bruti ogui sorta d’ intelligenza e di sentimento ; e per ultimo il Y. Gen. Canonico Torello Pierazzi recitò l’elogio del dott. Pietro Fer- roni già R, matematico, accademico corrispondente defonto. A dì 9g marzo. Il V. Gen. Canonico Torello Pierazzi dissertò sulle facoltà intellettuali de’bruti; e il dott. Zzcopo Toscani sulla li- bera esportazione della paglia da cappelli, A dè 13 aprile. 11 Presidente prof. Pietro Bagnoli dissertò sulla intelligenza di alcuni testi di Dante; e il canonico Z’orello Pierazzi sviluppò il problema: € Se la massima salutare della libertà di com- wercio ammetta eccezioni ,,. A dì 11 maggio, Il Canonico Torello Picrazzi presentò in uno > 176 c seritto la pratica applicazione e lo sviluppo applicato della prece- dente memoria, e il dott. Oreste Zeoncini dissertò — dei talenti. A dì 23 giugno. Il segretario lesse una memoria della sig. Cont. Canonici vedova Fachini accademica corrispondente— Dei Roman- zi, e dell’utile, o danno , che dalla loro lettura può avvenire al mi-. nor sesso italiano —; e il presidente prof. Bagnoli lesse un discorso sulla mitologia. A dì 13 luglio. Il dott. Luigi Pierazzi produsse una memoria sulla vastità, e sicurezza delle scienze naturali, e il canonico 7’o- rello Pierazzi parlò dei monumenti di storia patria , che ci conserva l’antica chiesa dei PP. Conventuali. A dì 10 agosto. Nell’adunanza di questo mese il sig. Damiano Morali dissertando sulle massime di Epicuro , sostenne , che il pia- cere da lui suggerito era quel solo, che provasi nella virtù ; e il sig. dott. Ercole Furolfi sostenne la esclasione della mitologia dai poe - tici componimenti. A dì 21 settembre. Il canonico Torello Pierazzi parlò dei titoli di decoro ,,co’quali onorarono San Miniato gli antichi scrittori; e il canonico Francesco Ciardini pariò dell’Ecclisse del sole , e calcolò pel meridiano di San Miniato quello, che accaderebbe nel novembre futuro. A dì 16 novembre. L’ordinaria adunanza di questo mese fu con- sacrata alla memoria di Mons. Pier Francesco Morali già Arcivesco- vo di Firenze, nostro concittadino e collega , di cui recitò l'elogio il dott. Enrico Bonfanti. i A dì 14 dicembre. Il dott. Enrico Bonfanti dissertò dello sta- to, che la donna deve occupare in società, e il canonico Torello Pie- razzi lesse il rapporto del caduto anno arcademico. Reale Accademia di scienze , lettere ed arti di Modena. Adunanza del 21 Gennajo 1826. — Il socio attuale sig. prof. Giuseppe Bianchi legge una memoria, in forma di lettera, diretta al- 1’ astronomo sig. Carlini, nella quale egli rende conto delle sue ope- razioni per osservare i moltissitmi fuochi istantanei accesi la state ultima sul Monte Baldo, e sul Cimone, e per dedurne la differenza di longitudine cogli altri luoghi di osservazione. Discute pertanto le os- servazioni astronomiche fatte col cannocchiale del circolo meridiano di Reichenbach, provvisoriamente all’uopo collocato in una terrazza della casa in Modena del sig. maggiore Giuseppe Carandini ; e così fissato colla possibile precisione l’ elemento del tempo, è risultata da uv gran numero di segnali e di confronti la differenza de’ meri. diani fra l’ aguglia maggiore del duomo di Milano , e la nostra torre I Ghirlandina, dì minati 6 e secondi 55,53 di tempo, minore He de- cimi di secondo di quella sommmistrata dalle misure geodetiche. Vuolsi qui aggiungere che i fuochi dati per la terza volta sul Cimone dalle due alle tre ore dopo îa mezzanotte, nei giorni 11,12,e 13 ago- sto p..p., furono finalmente veduti anche da Milano, alla distanza cioè di quasizoo mila tese in linea retta; il qual esito desideravasi per congiungere immediatamente gli osservatorii di Milano e Firenze; dovendosi poi ascrivere questo ottenuto vantaggio e alla intelligente - attività del sig. maggiore Carandini, che recossi in persona a dirigere quell’accensione ; e all’ ora stessa in cui si diedero i fuochi , durante la quale i vapori dell'atmosfera sono già caduti all'orizzonte , nè ancora se ne sollevano in conseguenza del calor diurno. Adunanza del 28 detto. — Il socio attuale siy. dott. Celestino Cavedoni legge alcunì cenni su quel luogo del Furioso vve si narra la morte d’ isabella (C. XXIX) e 1’ accorgunento onde salvò la sua onestà , per dimostrare che | Ariosto prese ivi ad imitare un avye- nimento affatto simile che racconta Francesco Barbaro di Bresilla nobile vergine di Durazzo , e non mica |’ altro in parte simile di S. Eufrasia v. e m., come parve al Baronio , che perciò non doveva ri- prendere il poeta in questo particolare, quasi avesse profanato la virtù eroica di quella santa, Adunanza del 25 febbrajo. — Il socio attuale sig. ‘prof. Gio. Batista Amici legge una sua memoria intorno al perfezionamento de’ micrometri di projezione, ossia de’ micrometri binocoli. Egli ha riconosciuto che il principal difetto di tali istramenti deriva dalla suscettibilità de’ nostri occhi di variare le rispetLlive inclinazioni dei loro assi. Indicate le esperienze che coin provano il futto, e posta quindi in chiaro l’influ pza che l'improvviso cangiamiento di dire- zione degli assi ottici ba sulla wisura degli angoli, la. è passato a descrivere un artifizio che da lango tempo egli ha usato, e col quaie non solo si evita quella sorgente di errori, iua insieme ne rie. cono più agevoli e comode le osservazioni. Il socio attuale sig. capitano Antonio Araldi legge il primo e parte del secondo capitolo di una sua memoria sopra i principii del calcolo differenziale ed integrale. Nel primo espone alcuni teoreswi ‘dipendenti dalla teoria de’limiti; nel secoudo, richiamate le formole fondamevteli di esso calcolo ; cerca di dare una definizione geome - trica delle quautità differenziali. A questo fine in vece di ravvisare la dflerenziale costante, siecome.infinitesima , con Leibnitz; o come ‘un’ avbitra:ia capace di una indefinita diminuzione , secondo il me- todo dei limiti usato alla foggia di Eulero, di d’ Alembert, ed altri; o secondo quello delle funzioni del de la. Grange, ei la risguarda T. XXV. Gennaio. 12 178 cone quantità finita di costante valore, e suscettiva di essere divisa in un numero qualunque di parti uguali ; considerazione , che, lo porta a dedarre i principii del calcolo stesso dal metodo dei limiti di Archimede , ed a togliere dalle differenziali, che per tal modo riescono tutte finite , ogni idea affine a quelle degl’ infinitesimi, Adunanza del 6 Aprile —S. E. il signor marchese} Luigi Ran- goni, presidente della R. Accademia, legge una sua traduzione dal tedesco di un trattato satirico del rinomato Amadeo Guglielmo Ra- bener. In esso, sotto la finzione di un codicillo del testamento dello spiritosissimo inglese Swift , si rappresentano diversi caratteri d'uo- mini stravaganti, o viziosi o ridicoli, e si sostiene con acuta lepi- dezza la causa del buon senso non meno della sana morale, notan- doli tutti di una pazzia or più or meno dannosa , e molesta alla ci- vile società. i Il socio attuale sig. avvocato Zuigi Tirelli, dopo aver presen- tato, anni sono, una compiuta serie di osservazioni sul patetico delle georgiche di Virgilio, e qualche saggio ancora su quel dell’ Eneide, nelle mensili adunanze deli’ accademia , legge ora una memoria por- tante l’analisi della prima egloga sotto questo medesimo rapporto del patetico ; ove, dietro ad un ragionato confronto di questo poeta con Teocrito, indicatane Jla superiorità singolarmente in ciò che appellasi interesse , dimostra , e mette in vista i diversi oggetti e tratti nei quali un tal pregio campeggia e trionfa; soprattutto nel ca- rattere , nella situazione , e nei sentimenti del pastor Melibeo, che rappresenta gli abitanti del territorio Mantovano, scacciati dalle loro campagne € dalla patria nelle guerre civili fra Ottaviano Cesare e Bruto. ; Adunanza del 18 Maggio. — Il socio attaale sig. dott, Cesare Galvani legge la vita da lui compilata del celebre dipintore mode- nese Bartoclommeo Schedoni. In tale lettura espose varie congetture, oltre quelle del chiarissimo Tiraboschi , relative all’anno ed al luogo della sua nascita ; comunicò ed illustrò con la scorta di autentici do- cumenti alcuni aneddoti particolari, che lo riguardano: fissò con sufficiente probabilità l’ epoca della sua partenza da Modena ;e mostrò un catalogo delle opere dipinte dallo stesso Schedoni , molto più ampio ed esteso di ogni altro conosciuto per lo innanzi. Adunanza del 19 Giugno. — Il sig. dott. Antonio Assalini ispettore generale di acque , strade e ponti negli stati estensi, legge una memoria relativa all'economia e sistemazione degli scoli, corre- data da giudiziose riflessioni ricavate da principii d’ idraulica incon- trastabili, e da varie osservazioni dedotte da operazioni da esso lui eseguite. IN In seguito il socio attaale sig. prof. Geminiano Riccardi "0 do a discorrere sulla memoria pubblicata nel maggio p. p. dal sig. Ampère , e che porta per titolo ‘“ Essai sur un nouveau mode d’ex- »» position des principes du calcal différentiel, du calcul aux diffé- » rences et de |’ interpolation de suites, considérées comme déri- 3) vant d’une source commune,,, accenna una strada non meno sem. plice di quella seguita da questo chiarissimo matematico e fisico francese, onde pervenire agli stessi identici risultati, fondandosi e progredendo conformemente ai già noti principii di analisi derivata, stabiliti fin dall’ anno 1802 dall’ illustre italiano geometra Brunacci. Lo stesso sig. prof. Riccardi legge per parte del collega suo sig. ‘capitano prof. Gio. Batista Pelloni una di lui memoria relativa alla stima dei boschi, nella quale indicati da prima gli elementi, e le cir- costanze da prendersi in considerazione per esegairla a dovere, passa quindi a stabilire una formola generale, col mezzo di cui recar si può facile e spedita soluzione di qualunque problema venga proposto intorno a questo argomento. Institaitosi poi dalla. il ca'colo del prezzo di un bosco nel msdo accennato dal sig. Gioja nel tom. 6 del nuovo prospetto delle scienze economiche, perviene egli ad una formola, che si riduce alla identità colla stabilita. Adunanza del 6 luglio. — Il socio attuale sig. prof. Giovanni de’ Brignoli legge quella parte del suo lavoro intorno alla filoso- fia botanica di Linneo , che risguarda l’ etimologia de’ nomi ge- nerici de’ vegetabili, e precisamente di quelli de’latini e de’greci di oscura derivazione; nel che fare si valse degli autori etimolo- gici più accreditati, quali sono S. Isodoro Sesto, il Vossio, il For- cellini, lo Schrevelio, l’etymologicon inaguura, i grammatici an- tichi ec., e dove questi lo abbandonarono trasse partito dal Be- ckmann, dal Bobmer, dal de Théiss, e dal Bergeret, non po- che volte per altro discordando dai due ultimi; i quali troppo di frequente pretendono derivar molti nomi dal celtico; il che specialmente quanto ai nomi d’Ippocrate, di Galeno, e di Diosco- ride non sembra verisimile. Il socio attuale sig. maggiore Giuseppe Carandini legge un componimento poetico sulla celebrità che la poesia appropria spe- * cialmente alle militari imprese. Adunanza del 26 detto. Furono prodotti i voti dei socii signori professori Barani e Baccelli, incaricati nell’ adunanza del 9g Lu- glio 1825 di giudicare sul merito del grande terinometro metal- lico eseguito dal sig. Mauro ‘Sabatini di Modena , dai quali fu lodata l’idea da esso concepita di costruire un pubblico murale misuratore delle temperature, ed eccitato a fargli alcune modi- 180 ficazioni che lo rendano sensibile al pari di quello a mercurio, an- che ne’ repentini cambiamenti dell'atmosfera, come avviene nelle lente variazioni di essa. Il socio attuale sig. prof. Giovanni de’Brignoli legge un rap- porto intorno alla tavola d’ altare rappresentante i tre santi com- protettori di Modena , dipinta e collocata nella chiesa parrocchiale detta del Carmine di questa città, dal sig. Paolo Beroaldi ; in cui prese a disamina la composizione , il colorito , il chiaroscuro , la prospettiva , il disegno, l’espressione; il pannneggiamento, la con- dotta del pennello, e gli accessorii , esponendo su questi diversi rapporti le proprie osservazioni. Il socio attuale sig. capitano Antonio Araldi presenta i mo- delli ideati ed eseguiti dal sig. Cesare Zoboli di Modena nell’ età sua dai 16 ai 17 anni di due ingegnosi e semplici meccanismi dif- ferenti, mediante cadaun de’ quali si ottengono da due succes- sivi colpi su di uno stesso pedale due opposti movimenti, Tali meccanismi furono dal loro inventore destinatij nella costruzione degli organi all’ uopo di aprire contemporaneamente o chiudere un dato numero di registri: e già |’ uno di essi fu con vantaggio adottato dal nobile sig. Ab. Giambatista Pignatti nel grandioso e lodato organo dal medesimo di recente compiato, e dato iv dono alla chiesa della B. V. Ausiliatrice del popolo. R. Società agraria di Torino. — Nella tornata del 3 del mese di ottobre sono state trattate molte cose importanti per la pubblica economia , e per l’ avanzamevto dell’agricoltura e dell’industria in queste contrade ; eccone un sunto : il professore Giobere, segretario, ha letto due rapporti, uno intorno ad un arnia proposta per separare negli alveari il miele e la cera senza guastare gli sciami ; l’ altro in- torno ad una polvere vegetativa, della quale vien chiesta la libera circolazione in questi stati. Quindi sono state esposte ; per parte del socio signor marchese Bens di Cavour , aleune mostre di lino ridotto a cotone secondo l’ artifizio descritto dal professore Giobert , anima- lizzato per modo da disporlo a ricevere come la seta e la lana ogni sorta di colori. Nell’ esibire alla R. società alcuni disegni relativi ad una sua opera intorno alle operazioni fabbrili nel taglio delle piante, e nel lavoro dei leguami , il sig. marchese Zascaris, direttore di essa, ha mostrato con belle litografie condotte sopra pietre nostrali quanto il Piemonte abbondi di questa materia. Il signor conte Fonte di Pino ha pure esposto molte mostre di tela finissima di filo e di canape raffinato, prodotta col canape di Pino lavorato colla mac- china del Cristian senza macerazione, e col soccorso di una-lisci- O Morri POTE III nea f A 181 via a vapore. Fra le notizie di conto partecipate all’adunanza dal ! carteggio dei socii è stato confermato, con lettera del sig. Pasteur di Ginevra, che nei temporali della scorsa state la gragouola si è scaricata di preferenza sui luoghi muniti di paragrandini , ri- sparmiando così i coltivati del contorno. Finalmente sono stati letti i seguenti lavori : dissertazione intorno allo stato presente del trebbiatoio da riso del sig. conte Morelli , coll’ aggiunta di alcuni comodi procurati dal sig. marchese Bens di Cavour; re- lazione intorno all’ introduzione delle capre del Tibet e di Cas- simera in Europa ; ai risultati gia ottenuti dopo la loro introdu-" zione in Piemonte, ed a quelli già dati dalla mescolanza della razza Tibetana con quella del paese, del sig. Bonafous; memo- ria sugli effetti dell’iodio sulla germinazione delle sementi , di- mostrati analoghi a quelli del cloro, del sig. dottore Cantù, prof. sost.° di chimica applicata alle arti, il quale presentò pure alla società , in nome del sig. Ballard di Monpellieri, un corpo, cre- duto semplice chiamato muride dall'autore, e da altri Bromo da Bro- mos (cattivo odore). Il direttore chiuse quest’ adunanza col rimet- tere all'esame di una giunta una memoria presentata dal socio professore Bidone a nome dell’ autore, il sig. Cataneo architetto di Voghera, intorno alla broussonetia (morus) papirifera, considerata come convenevole alimento colle sue foglie ai bachi da seta. a R. Accademia delle Scienze; di Torino. Nell’adananza tenuta il rg di novembre dalla classe fisico-matematica il prof. di matematica idraulica G. Bidone, a nome di una Giunta, ha fatto relazione in- torno a certo meccanismo proposto per supplire alla scarsità dell’a- cqua nel giro dei mulini. La stessa classe ha quindi nominato per suo direttore triennale il sig. prof. di chimica G. B. Giobert. Nell'adunanza del 26 detto. Fra le cose importanti che sono sta- te presentate, e le dissertazioni lette , le seguenti ci sono sembrate le più meritevoli della pubblica attenzione. Primieramente la macialla economica del canape , del sig. La Foret, di cui tanto hanno parlato i fogli francesi. E da altra parte comparativamente la macchina istessa dai nostri già arricchita di sensibili miglioramenti , che ne rendono più efficaci gli effetti che in quest'adananza sono stati esaminati: l'una e l’ altra presentate dal sig. direttore M. Lascaris, Un mulino da grano a mano, presentàto e proposto dal sig. Bo- nafous. Un modello di ponte in legno , e quello di una barca, la quale _ navigherebbe in vigore di una forza particolare derivata dall’ acqua 182 istessa in cui è immersa, le quali cose sonostate affidate all’esame di una Giuvta. Il sig. conte Francesetti, oltre varie mostre di torba, ne ha pre- sentato varie altre di legno fossile in istato poco meno che naturale, e che è in certa ragguardevole abbondanza. Fra le lezioni che meritaroosi gli applausi, sono: 1.° Una memoria del sig. professore Carena, in cui è discussa la gran quistione, che ora tavto si agita intorno ai vantaggi, o alla inu- tile misura dei paragrandini, 2.° Una nota del sig. professore Caniù intorno ai pregi dell’op- pio indigeno; e un altra intorno ai vantaggi dell’uso delle acque sal: furee contro alcune delle più gravi malattie che affliggono i cavalli, Il sig. Bonafous, a nome di una Giunta, ha reso conto di una memoria del sig. Cattaneo di Voghera sopra l’uso delle foglie della Broussoneria papirifera in luogo di quelle del moro nostro , e sopra il successo d’innestar questi alberi l’un sopra dell'altro. Il sig. professore Grober( ne lesse finalmente un'ultima , in cui, informata la società degli sforzi che si fanno generalmente in Fran- cia, in Inghilterra , in Irlanda, e in Germania per l'estensione della cultura de’bachi da seta, esamina ciò, e sin dove n’abbia a temere l’industria ed il commercio d’Italia e il nostro. La Classe di Scienze morali, storiche e filologiche ba tenuto il 30 dello scorso la sua prima adunanza ordinaria del nuovo anno let- terario, nella quale ha eletto, secondo gli statuti accademici , a suo direttore S. E. il conte MVapione. Quindi il cav. Manno in nome di una Giunta accademica ha fatto rapporto di un’ Opera manoscritta di Statistica inviata dall’Autore alla R. Accademia. \ ASTRONOMIA. Metodo e tavole per costruire un Efemeride di occultazioni delle fisse sotto la luna, di GIOVANNI INGHIRAMI delle Scuole Pie. (Vedi il bullet. bibl. del presente fascicolo). Non possiamo meglio adoprarci per far conoscere l’importanza ed utilità di questo egregio luvoro , che riproducendo qui le proprie parole del benemerito e troppo modesto autore, premesso all'opera medesima, « Allorchè nel 1808 mi determinai ad assumer l’impegno di tes- sere annualmente un’Efemeride di occultazioni delle piccole stelle, non feci che secondare gli impulsi di ragguardevoli personaggi, da gran tempo desiderosi di vedere aggiunto questo piccol corredo a 183. quel moltissimo più, che d’anno in anno in benefizio degli astronoini, dei geografi e delle persone di mare si pubblica nei più accreditati annuarii.,; « Ma una somigliante intrapresa benchè fra tutte le altre di pari genere fosse la più tenue e limitata, era per altro sì laboriosa per me che nella mia situazione non mi sarebbe certamente stato possi- bile venirre a capo, senza il soccorso di intelligente cooperatore; soc- ‘corso che tutta volta non potevo sempre sperare neppure da quei giovani stessi, che in qualità di alunni prestano liberamente e spon- taneamente i loro servigi ai bisogni usuali del piccolo osservatorio a cui ho l’incarico di presiedere ; i più dei quali avendo d’ ordinario in veduta di abilitarsi a servir lo stato in qualità d’ingegneri , si tro- vanò anche troppo oppressi dai gravi e moltiplici studii relativi alla prescelta loro carriera e pr ofessione.,; “Dovei dunque attenermi all’indispensabile partito di disporre il piano del lavoro in muniera , da renderlo praticabile anche dalle pers sone poco o nulla scienti d’ astronomia , e addestrate soltanto nelle ‘prime e più elementari regole dell’aritmetica, Ciò mi poneva in gra» do di profittare a n.io talento di un sufficiente numero di giovanetti, scelti. fra i non pochi che si iniziano sotto di me nei preliminari del. l’algebra, e ai quali nei primi mesi del loro studio rimane sempre un teuwpo bastante per occuparsi ancora di qualche estranea appli- cazione; e che d'altronde possono facilmente venire allettati al pro- posto lavoro dalla preziosa occasione che ivi trovano di lungamen- te esercitarsi e profondamente abituarsi nel calcolo numerico. Escla- so perciò qualunque uso di proporzionali , di logaritmi, di formule, e di funzioni trigonometriche, cose tutte che doveva supporre su- periori alla capacità dei miei teneri cooperatori, ridussi tutto a sem- plici somme e sottrazioni, all’ uso di comode ed estese tavole, e ad una facilissima operazione grafica, per la quale con somma prontez- za e quasi dirò a colpo d’occhio si giunge e a poter fare scelta delle stelle che sono per soffrire l’ecclisse, ea determinare i luoghi del cen= tro della luna nell’istante delle occultazioni ed emersioni. Persuaso poi che ad onta di tatte le introdotte facilitazioni la non mai matu- ra pratica dei principianti nel calcolo e la loro mente non ferma e suggetta troppo a distrazioni ed a svaghi, potessero dar luogo a facili e ded feti abbagli, cercai di preservamene con moltiplicare e varia- re le verificazioni in guisa , che gli errori incorsi non solo facilmen- te potessero rilevarsi, rua anche nun cercati si palesassero come da sè medesimi , opponendosi quasi ostacolo insormontabile alla prose- cazione del lavoro. Al quale interessantissimo oggetto non ebbi nep- pur difficoltà di sagrificar talvolta il vantaggio delle più brevi vie; 184 certo essendo che un metodo benchè men lango, ma che manchi di opportani riscontri, riesce in pratica più faticoso, ed esige per lo più maggior consumo di tempo: tanto per la titubante lentezza con cui nateralmente procede chiunque non resti assicurato di mantenersi nel retto sentiero, quanto per la necessità, che pur troppo spesso sin - covtra, di ritornare lungamente indietro sopra i proprii passi ; allor- ché troviamo aver deviato. Infine disposi il tutto in maniera che il lavoro potesse comodamente distribuirsi a più operatori; formanda- lo di parti quanto era possibile indipendenti , talchè potessero con- temporanea wente ini piegarvisi molti calcolatori , senza che gli uni dovessero, per avanzarsi, attendere il termine dell’operazioni assunte dagli altri. Per tal via ho alcuna volta ottenuto che un lavoro in so- stanza sì esteso, qual’è quello di oltre trecento annunzi di occulta- zioni di stelle, venisse ultimato nel breve periodo di 20 in 25 giorni. Vero è che vel dare luogo alla facilità, non mi sono. preso un'as- soluto pensiero di mantenere intatto il rigore. 'Troppo sarebbe stato difficile il combinare insieme l’uno intento coll’altro;e dall’altra par- te mentre conveniva moltissimo che il metodo fosse facile e piano, non premeva certo egualmente un assoluta, precisione nei valori fina- li. Infatti non si ha qui la mira di calcolare gli istanti delle occulta- zioni ed emersioni con il pieno rigore delle tavole, in modo che chi altrove le osserva possa con i confronti fra il fenomeno osser- vato e calcolato dedurne la situazione del punto ove si trova; ma vuolsi annunziare soltanto agli astronomi che il fenomeno dovrà aver luogo, onde si accingano in tempo ad osservarle. Ed è evi dente che con questa sola veduta il divario di qualche minuto non può essere nocivo, e la somma ed assoluta precisione mentre da un canto enormemente moltiplicherebbe le fatiche e il dispendio del tempo , non recherebbe dall’ altro alcuna reale utilità, e porterebbe l’impronta di una mera ed insignificante ostentazione.Ciò non pertan- to ho creduto di farmi un’obbligo che il rigore vènisse mantenuto an- che al di sotto quel limite che potrebbe credersi necessario; e ad ec- cezione, di pochi e vari casi, la differenza fra l’annunzio del feno- meno ed il suo reale avvenimento, si troverà sempre ristretta fra i tre o quattro minuti di tempo, minore in conseguenza di quanto il nudo bisogno richiederebbe.,, « Qualunque poi si sia questo metodo, non avrei giammai pen- sato a renderlo di pubblica ragione, se la dottissima Società astrono- mica inglese non me ne avesse replicatamente fatto onorevole, invi- to ; bene al certo lontana dall’ idearsene il poco valore, e SUPpNneR: do forse d’ incontrare qualche nuovo ritrovato d'ingegno in un’ope. ra, che per verità non può dirsi mancante di utile e bene scelto ar- 185 gomento , ma che nella sua tessitara è stata regolata dal vincolo delle circostanze , più che dallo Spirito d’invenzione.,, VARIETÀ. Sulla montagna detta Schoenberg vicino a Friburgo nella Bri- sgovia sono stati scoperti dei sepolcri singolarmente degni d'’ atten- zione, ed il numero dei quali ammonta già a 137. Vi sono stati trovati dei cranii, degli oggetti d’ornamento, dei pugnali, delle picche, delle sciabole, ec. che portano i caratteri dell’antichità più rimota. Vi sono anche delle cinture, e delle freccie, le quali, non meno che le picche, sono d'un ferro che l’analisi chimica ha fatto riconoscere della stessa qualità di quello che si trova a Kandern nell’alta Brisgovia. I pugnali sono del più fino acciaio , e resistono alla lima. Le spade sono per metà di ferro, e per metà d’acciaio. Fra gli oggetti trovati i più degni d’attenzione sono dei vetri colorati, alcuni dei quali ornati d’argento, Ve ne sono alcuni d’un tarchino celeste così bello, che non si è mai veduto nulla di simile. Finalmente sono stati trovati in questi sepoleri dei coralli rossi e di color di porpora, e dei grossi pezzi d’ambra . Questi sepoleri sono voltati verso l'oriente. Si calcola che lv spazio da essi occupato ne contenga più di 500, che sono coperti di grandi pietre piane. Il sig. Schreiber, prefetto del ginnasio di Fribergo deve pubblicare intorno a questa scoperta un opera, nella quale questi oggetti rari saranno rappresentati in litografia. Il giornale inglese Quarterly Review narra il séguente fenomeno straordinario. Il sig. Anderson incaricato d’una missione relativa al commercio nell’ isola di Sumatra » vide vicino all’imboccatura d’un fiume di quest'isola un coccodrillo che i pescatori avevano addome. sticato. Quest’ animale era delle più grandi dimensioni 3 avendo più di 6 metri di langhezza . Il suo dorso » che si elevava un poco al di sopra dell’acqua, rassomigliava ad uno scoglio. Era divenuto seden- tario e non si allontanava dalle abitazioni dei pescatori, che provve- devano abbondantemente al di lui nutrimento, abbandonando ad esso i ritagli dei grossi pesci che prendevano, e che tagliavano per prepa- rarli convenientemente. Il coccodrillo non mancava mai di venire alle loro chiamate per cibarsi; si lasciava toccare dovunque , e soffriva perfino che scherzassero colla sua testa formidabile. Quando il sig. Anderson lo vide avvicinarsi alla sua scialuppa, volle mettere in salvo diversi oggetti i quali temeva che l’animale potesse predare; mai pe- scatori lo rassicurarono , attestando che non prendeva loro giammai * 186 cosa alcuna, contentandosi di ciò che gli gettavano. Non permetteva che altri coccodrilli frequentassero il luogo di cui aveva preso pos- sesso, e sosteneva colla forza i diritti che si era attribuiti. Le qualità straordinarie di quést’animale gli avevano attirato la venerazione dei superstiziosi abitanti. Sarebbe desiderabile che gli osservatori stabiliti nell'Indie orientali non lo perdessero di vista: i fatti di questa natara sono rari; non si può produrli a piacimento. Sono combinazioni delle quali bisogna profittare, e che possano condurre a qualche scoperta. Così continuando ad osservare il coccodrillo addomesticato di Suma - tra, si potrebbe acquistare qualche cognizione che ci manca sulla durata della vita di questo gran rettile. Da qualche tempo una nuova e bella specie di penne, dette ma- rabou , rivaleggia con quelle di struzzo per adornar la testa delle dame . Ecco l’origine poco nota di queste penne. Esse vengono dal Bengala, e dal grande Arcipelago indiano. L’ uccello da cui proven- gono è una specie di cicogna (ciconia marabou). Gli abitanti di quelle contrade lo hanno reso domestico, e ne educano delle torme numerose , le cui penne alimentano un commercio molto esteso . Si trova in Affrica un altra specie di cicogna (ciconia argala), la quale pure somministra delle penne alle quali si dà egualmente il nome di marabou, e che servono agli usi stessi, ma sono meno belle e meno stimate di quelle delle Indie. Non pare che sia stato fatto fin quì alcun tentativo per naturalizzare in Europa la ciconia marabou. Il sig. Segalas ha imagivato e fatto conoscere all’ Accademia delle scienze di Parigi un mezzo per illuminare l’ uretra e la vescica in modo, da vedere l’interno di queste parti. Questo mezzo, notabile per la sua semplicità e per i risultamenti che se ne ottengono, consiste in due candelette , due specchi , e dei tubi cilindrici , e costituisce una specie di canocchiale , a cui il sig. Segalas ha dato il nome di speculum uretro-cysticum. Per dare un idea della luce che il suo apparato porta nell’uretra e nella vescica , l’autore ha annunziato che per mezzo di esso egli arriva a leggere nel luogo più oscuro ed alla distanza di 15 pollici i più minuti caratteri di stampa ; di che ha reso testimoni diversi ac- cademici nella biblioteca dell' istituto. Lo speculum uretro- cysticum del sig. Segalas lascia sperare che si potranno per di lui mezzo acquistare delle cognizioni utili, non solo sullo stato della membrana muccosa della vescica e dell’uretra , ma ancora sui corpi stranieri che si formano in questi organi, e spe- cialmente sulla pietra. Inoltre esso è suscettibile, come osserva il suo 18 autore, di andare con leggiere modificazioni ad illuminare pe fi- nora inaccessibili ai nostri sguardi, come le regioni profonde dell’in- testino retto , della laringe, e delle fosse nasali, È stato fatto in Inghilterra l’esperimento d'applicare al trasporto delle vetture i cervi volanti, o gli aquiloni, come son chiamati fra noi. Un leggiero carro a 4 ruote, ed a cui erano attaccati, medianti lunghe corde, due cervi volanti, trasportarono da Bristol a Londra tre per- sone. Il. principale dei cervi volanti formato di mossolina, coperta di carta colorita, aveva l’ aitezza di 20 piedi. La sua elevazione al di sopra della terra era di 170 piedi. Superiore a questo e distante d’al- trettanto era l’altro cervo volante, che hanno chiamato piloto. Cia- scuno di essi era fissato alla vettara con una corda distinta. Diversi semplici meccanismi servivano a manovrare opportunamente, all’oc- correnza d’incontrare sui lati della via degli ostacoli, come alberi, edifizii, campanili ec. Due gentiluomini che seguitavano questa vet- tura in un leggiero calesse tirato da un cavallo, erano obbligati a far correre questo di galoppo per andare con velocità eguale. La vettu- ra essendo stata arrestata per l’incontro della chiesa di,S. Giles, che si trovava sulla via, 6 uomini staccarono le corde, e dopo aver girato attorno alla chiesa ed al campanile, le riattaccarono alla vettura, che proseguì ben presto il suo viaggio. Le corde dei cervi volanti tirava- no con tal forza, che i6 uomini temevano di esserne sollevati. Di- verse persone a cavallo, ed altre in vetture leggiere, dopo aver segui- tato alcun poco la nuova vettura con galoppo forzato , ne restarono poi a tal distanza, che dovettero rinunziare al progetto di seguitarla. Essa impiegò 15 minuti ad andare dalla Crown a Twifort, distanti fra loro 5 miglia. CORRISPONDENZA. Intorno alla patria del'Sergente GiusEPPE BIANCHINI /ettera al direttore dell’ Antologia. In quell’ articolo, molto notabile per vigoria di stile e brevità, recatoci dalla sua Antologia , intorno la storia delle campagne degli italiani in Ispagna , è ricordato a grande onore in fra i più valorosi il sergente Giuseppe Bianchini. La qual cosa mi è una buona occa- sione di avvertire il fallo in che diede il signor maggiore Vaccani, facendolo nato alla marra ed all’ aratro e bolognese . Lieve fallo per verità che non lo toglie all’Italia , nè fa più umile la condizione del suo nascimento. Quand’ egli, figliuolo e fratel di beccai, fece l'arte del calzolaio, finchè la fortuna ( che vittoriosi traeva a que’dì 188 per Italia i francesi) non lo mutasse in soldato , e fu di patria pia». centino. E in Piacenza fu bello a vedere nell’ 814 molti stati compa-: gni a lui nella guerra di Spagna , per riverenza quasi alla memoria! de’ suoi fatti egregi, visitare la casa sua e tre suoi fratelli, i quali vi- vono ancora. Anzi Vincenzo (un di loro) mi ha dato una lettera a lui mandata in risposta dal maresciallo Suchet. La quale mi risolvo tanto più volentieri di mandar fuori, che nel compiacere al desiderio! cortese di molti, sento che ne va onorata Italia tutta nelle lodi:di quel magnanimo. Eccola come sta scritta. Armée Imp. d’Aragon—Q. G. à Valence—Le 14. Septembre 1812: Jaireca, Monsieur, la lettre que vous m’avez écrite pour me demarder des nouvelles de (Giuseppe Antonio Bianchini qui servait dans les grenadiers du 6 de ligne Italien. Ce brave soldat devenu ser- gent dans sa compagnie, chevalier de la Couronne de Fer et décoré de la Croix de la Légion d’Houneur pour prix de sa valeur, m’avait' inspiré le plas grand intérèt. ‘A l’assaut de la ville de Tarragone il se distingua parmi les plus braves, arriva un des premiers sur le som- met de la brèche, et se montra digne de la munificence de 1’ empe- reur. Je m’empressais à la solliciter en sa faveur; mais malheureuse- ment trois blessures recues sur la brèche l’arréterent dans sa belle car- rière. Il ne put y survivre; mes regrets sur sa perte furent partagés par l’armée. Son devouement, son courage et son intrépidité seront toujours présens à ma memoire ; et si je puis obliger sa famille , j"en saisirai l’occasion avec empressement. Je vous salue avec considération. Le Marechal D. D’Albafera. A chiunque sa il cuor grande che fu il Bianchini e le maraviglie di valore da lui mostrato in quella atroce guerra, accesa da una forse delle più sformate ambizioni, stimo che le sopraddette lodi dovran parere minori del vero. Perocchè nato egli e cresciuto fra l’ ultima plebe ebbe forza di levarsi coll’ animo tanto altamente da intendere ove sia la vera gloria. Contento a un piccol grado non chiesto, gode- va ‘di stare in sulla prima fronte delle battaglie, e in fra i compagni vantava con generosa alterezza due decorazioni col titolo di cavalie- re. Un grado più alto anche d’assai lo avrebbe fra molti confuso: ‘con quegli onori poco più che soldato era fatto ragguardevole a tutti. Pel combattere poi de’ nostri dì tanto difforme dagli antichi modi, provò possibile ancora (meglio sto per dire d’ogni altro) quella virtù che perfino a greci e romani sarebbe parata mirabile. In prova mi 189 stringerò a dire di un solo fatto. Trasse un dì al campo quattro uffi- ciali spagnuoli e cinque soldati fatti a un punto da lui solo prigioni. Chiesto dal generale qual premio volesse: dimandava l'onore (non al- tro) di montar primo le mura di Tarragona. Dato il segno all’assalto, egli in bianca veste d’innanzi a trenta granatieri, correndo scoperto uo/gran tratto in fra il tempestare orrendo dell'armi spagnaole, sali- wa' la breccia. Rintazzati da nimici aspramente , i suoi compagni si lasciavano andar giù, Egli solo {speranza estrema dell’esercito tutto) solo lassù contro a tant'armi e a tanti petti, al ferire, all’urtare fermo in prima restò. Poi con furia irresistibile percuotendo , atterrando, precipitando dal maro qualunque tenevagli testa, a più di trentamila soldati in lui fissi con gli occhi ; marawigliati all’ardir nuovo, e tre= pidanti, apriva la via ad una memorabil vittoria, Forse molti, non aveado notizia del Bianchini, terranno che io abbia esagerato queste sue ultime glorie, per un inganno che mi fac- cia al giadizio l’amore di cittadino: i quali se vorran leggere il Vac- cani al tomo HI pag. 68, e 96, troveranno che io le ho appena adom- brate. Ame basta che gli Autori des Victoires et Conquétes (vol. 20 pag. 329) affermano non trovarsi in tatte le istorie un più sublime ‘atto di eroica virtù. E qui non so tenermi, egregio signore, che anche non tocchi un poco dell’amor del Bianchini verso la sua terra nativa. Perchè fu pos- sente a mio giud:cio di accendergli dentro que’ spiriti generosi che lo fecero graude. Per questo , avvegnachè ben sapesse che il grido dell’ opere sue divalgato per tutta l’Earopa suonerebbe ancora fra’ suoi cittadini; pure non oprò mai valentia che non mandasse de- scritta ai suoi. E ripeteva. ogni volta, che se fortuna gli perdonava la vita, ritornerebbe quel dì che fosse la sua Piacenza per lui gridata patria del più valoroso, Siffatti concetti non ebbe solo il Bianchini: furono in tutti gli uomini per arme i più celebrati. I quali sempre, combattendo, ebbe- ro in cuore e sulle labbra la cara patria: quella volevano sovra ogni cosa onorata: a quella con allegro animo davan la vita; per al più la speranza che quivi porrebbesi loro una memoria, durabil mantenitri- ce della lor fama ne’posteri. E la patria erano gli averi, i figliuoli, e i parenti, gli amici, in somma più specialmente la città ove si eran cresciuti ; sebbene un affetto , quasi direi, fraterno allargasse un tal nome a tutto il paese che aveva la stessa lingua le stesse leggi e gli usi del vivere non dissimili. Ingrata dunque stata sarebbe quella cit- tà la quale avesse tardato le loro speranze. Nè ingrata solo ma stolta, perocchè da quelle memorie e dalla riconoscenza di essa prendevano incitamento mirabile a sempre più nobili fatti operare i generosi ani- 190 mi: e non nelle armi soltanto: ma in ogni maniera di utili discipline. Per queste cagioni si conserva la possanza e il decoro delle nazioniy e si vide ancora per queste comporsi quella bellissima luce della gloria italiana, la quale per fredde nubi ed oscure potrà celarsi, non essere menomata, non impedita, che più sfavillante e più grande non rifolgori quandochesia. Ho dovuto aggiungere queste cose ; acciò s’intenda quale animo tenni scrivendo. Non tolsi a' bolognesi questo Bianchini per animosità di municipio le quali detesto, ma sì per soddisfar a un debito che mi” gravava. Debito sacro di qualsivoglia cittadino riconoscente , verso chi donava tutto sè per durar caro nella memoria della sua patria. Per gli altri italiani basta dire: fu italiano. In coloro, che nacquero ‘ con lui di una terra; ciò sarebbe non curanza indeguissima. Un tale biasimo almeno doveva torsi di dosso a’miei cittadini; ea ciò ho sti - mato essere sufficiente io stesso. Alla gloria del Bianchini già provvi» dero le istorie , nelle quali perpetaò durerà il suo nome. Altro dunque non mi avanza, egregio signore , se non che io la preghi di perdonare all’affetto che mi ha fatto passare alquanto i termini della brevità : e voglia donare due pagina del suo giornale alla memoria di quel valente, che non potrà venirgliene carico da qualunqae abbia in pregio l’onore italiano. Di Piacenza il dì 15 Dicembre 1826. G. Intorno alle cose di Meleda. — Lettera del dott. STULLI. Ragusa 23 settembre 1826. Finirei di corto se non volessi che satisfare al desiderio in cui siete di sapere delle cose di Meleda , poichè altro non avrei da ag- giungere a quanto ne scriveva al ch, prof. Lampredi per quella mia lettera che voi, a sua richiesta , inseriste nel fascicolo n.° 64 della vostra reputata Antologia, se non che da quella epoca in poi essa si mantiene nello stato di perfetta afonia. Ma siccome vi mostrate vago di novelle d’oltremare , essendo mia gran premara fare il piacer vo- stro, vi presento questa breve descrizione di una roccia ossifera, che non ha guari fu scoperta nell’Isola di Calamotta la più piccola delle Elafiti appartenenti al circolo di Ragusa. Ancora non era venuto fatto di trovar congerie di ossa in alcu- na delle Elafiti. Porzion di un masso il quale si opponeva al livel- Jamento del piano, su cui doveva erigersi un muro nella detta isola fu squarciato per via di mine; allora si conobbe ch’esso era formato ; 191 solamente di ossa di quadrupedi , e di materia stalagmitica, che loro serve di cemento. Il proprietario del fondo, pago di aver fatto sca- vare quanto gliene faceva d’uopo , non vi andò più avanti; e per ciò non si saprebbe indovinare quanta sia l’estensione e la profondità di questa singolare concrezione , come che i rottami che sene ritras- sero facciano un cumulo assai grande; dico singolare, essendo essa ben diversa da quelle che, tra sè più o meno simili, incontra di vede- re in quasi tutte le isole dell'Adriatico, nell’isola di Citera, e nelle vicinanze di Gibilterra: queste sono composte di ossa di carnivori, e di rottami di pietra calcaria, e di una terra rossa, essa pur ora duris- sima e lapidea, quantunque un tempo sì molle, che ne potè servir di cemento. Il cemento della nostra è pretta materia stalagmitica, la quale n'è in tal modo distribuita , ch'è facile il ravvisare aver questi ossi ad uno ad uno acquistato il lor particolare involacro ; e quindi essere stati bel bello per mezzo della medesima sostanza riuniti tutti e ridotti in un continuo, il quale presenta una crosta di terra. ocra- cea. Se si dovesse giudicare della più o meno antichità di queste due maniere di concrezioni, saremmo di Jeggieri portati ad opinare poter essere di data molto più recente quella di che si tratta, mentre, se si considera che le prime sono sparse per una superficie lunga e larga quanta ne ricoprono le isole, e porzion del littorale della Dalmazia ; non si può che retroceder col pensiero verso una di quelle remotissi - me epoche di grandi rivoluzioni degli efficienti natarali. Ché per for- mare delle simili a questa di Calamotta potè bastare un’accumula- mento di ossa comunque prodotto entro il cavo di una spelonca ov’elle fossero rimaste lungamente immobili, ed esposte all’azione dell'acque stalattitiche, le quali attivate, come per lo più sono, di acido carbonico, involgono in istrati stalagmitici 1 corpi che irrorano, mercè le molecole di carbonato calcario abbandonate dal loro dissol- vente. E' cosa naturale poi che questi invogli proprii di ciascun osso debbano per la continua apposizione della stessa sostanza andar in- grossando in guisa, da venire a poco a pocoa contatto tra sè, e da ul- tino, riempitone ogni interstizio, costituirsi in una sola massa; cui per dare l’esteriore intonicatara di color rosso, sarà sufficiente la ter- ra ocracea disciolta nelle acque che si filtrano a traverso della montagna che le racchiude. Chi mira ben addentro nei frantami di questa roccia non può astenersi dal domandare se il sito ov’ ella giace abbia conformazio- ne di' grotta, o sembiante di esserlo stata ; nè questo , nè quello. Ed infatti il masso dalla crosta di color rosso, appena che fu tolto il ter- riccio, e le pietre mobili che gli erano sovrapposti, apparve talmente unito e compatto, che per disfarnelo si dovette ricorrere alle suac- 192 cennate esplosioni: ma ciò che non è ora può essere stato una volta; ed è da notare che l’isola di Calamotta rappresenta una sella equi- na; ed il luogo dove fu trovato quel masso è nella parte più umile di essa. RECLAMO.—“Nel bullettino scientifico del mese d’ottobre n.° 70 a pag: 203 viene riportata una osservazione fatta alcuni anni addietro . dal sig. Proust, e confermata quindi dal sig. Valke di Lynn in Nor- folk, e pubblicata ora in un giornale inglese come suscettiva d’utile ‘applicazione: cioè che facendo ardere le candele di sego per produr-. re luce, si otterrebbe un migliore effetto tenendole inclinate. e non verticali. Scusiamo pure di buon animo la negligenza e il disprezzo degli oltramontani nel non curarsi di conoscere le cose di noi altri poveri italiani; ma non possiamo scusarli nell'appropriarsi che fanno le nostre cose e nel darle come loro. Non saprei neppure scusare noi stessi nel dimenticare come facciamo ciò che a noi appartiene , e nel- l’assentire a darne merito agli oltramontani. Saranno trent'anni, se non più, che un cappuccino, se mal non mi ricordo, il P. Onorato da S. Martino veronese o vicentino, in alcuni suoi opuscoli su vari oggetti di fisica, per impedire che il lucignolo carbonizzato e il fango for-. matovisi, rimanendo immerso e circondato dalla fiamma, ngn rendesse oscura e torbida la luce che dalla candela accesa si diffondeva, pro- pose che le candele non fossero tenute verticali ma inclinate sotto un. dato angolo, mostrando che così la parte carbonizzata del lucignolo, e il fango formatovi essendo a contatto dell’aria si consumava e si riduceva in cenere, e non eravi bisogno di smoccolare per avere un lame continuamente chiaro. Così questa mia ‘annotazione giungesse a notizia del sig. Proust, e del sig. Valke, e a quanti altri, che trasca- rando ciò che si è fatto e si fa da noi poveri italiani, avventurano per loro osservazioni, scoperte ec. ciò che a noi appartiene, ed assumono innocentemente l’apparenza di plagiari.,, S. Inserendo quì di buon grado questo reclamo, ci piace soggiunge- re la seguente {considerazione. Sebbene siano sempre esistiti ed esi- stano dei veri plagiarii, e sebbene il vero plagiato sia cosa riprovevo- lissima, pure è non solo possibile , ma facilissimo ad avvenire che alcuno, per servirci dell’espressioni stesse del reclamante, assuma in- nocentemente l'apparenza di plagiario. Il numero dei giornali e degli scritti scientifici e letterarii che vengono in luce è in oggi sì grande, che si rende impossibile a qualunque uomo , comunque diligente e. stadiòso , di tutti conoscerli. Quindi un osservazione o un fatto an-' nunziato in uno di essi, e che per la sua mediocre importanza non è’ 193 ripetuto in tutti o in molti, può innocentemente essere ignorato da un gran numero di persone, Noi non abbiamo vergogna di confessare che ignoravamo non solo avere il padre Onorato da S. Martino fatto |l’osservazione di cui sopra si tratta, ma ancora avere egli pubblicato gli opuscoli citati , e perfino l’essere egli venato al mondo; e tutto questo colla stessa innocenza con cui il reclamante ignora esserne partito da qualche tempo il sig, Proust , cui vorrebbe che giungesse la sua annotazione, sebbene la morte di questo chimico distinto sia stata da qualche tempo annunziata nei giornali più accreditati. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*) N.° XXXIX. Gennaio 1837. 525. Racconta completa delle Com- medie di CarLo Gotnoni. — Manifesto. — Le Commedie di Carlo Goldoni , saranno mai sempre care all'Italia; nè tentar si potrà dai Tipografi cosa più gradita agli amatori del Teatro nuzio- nale , che riproducendo le composti- zioni di tanto ingegno. — Molte sono in commercio, è vero, le ristampe di queste: tuttavia la Società Edi- trice non teme di esser smentita dal fatto, assicurando che quella che verrà da lei pubblicata, non solo si racco» manderà per tutti quei pregi, onde si distinguono le migliori, ma benanco per la teruità del prezzo d’associazione. ‘— Si comprenderanno in 32 volumi le Commedie tutte, e le Memorie di que- Sto insigne Caposcuola. — Ciascun vo- ‘lume sarà fregiato di bel frontespizio in rame disegnato a vignetta dal sig.Emi- lio Cateni, ed inciso dal sig. Marco Zignani, artisti d’assicurata reputazio- ne. — L' annessa prova servirà di mo- dello , e di pegno pel modo col quale si eseguiranno le promesse incisioni. — La stampa in carta velina sopiratfine, fabbricata dai sigg. Sferra e compagni all’ uso di Francia, e doppiamente ci- lindrata , si regolerà sopra buoni ori- ginali da revisori abilissimi, e volonte- rosi.— Il carattere, eguale al saggio del manifesto, sarà fuso espressamente. — Ogni volume finalmente vedrà la luce di 20.in 20 giorni, il primo dei quali entro il prossimo mese di marzo ; ed il ritratto dell’Autore ; il quale si sta in- cidendo di propria mano dal celebre sig. cav. Morghen, sì riceverà in regalo dai Siguori Associati, colla dispensa del quinto tomo.— Il prezzo d’associazione non è che di lire 3 fiorentine, che ri- spondono a lire 2, 54 italiane. — Si terranno aperti i registri. fino alla pub- blicazione del terzo volume, dopo di che detto prezzo verrà fissato inaltera- bilmente a lire 4 italiane per ogni vo- lume, e 4 lire italiane si dovranno sbor- sare pet ottenere il ritratto. — L’ ele- ganza del formato, la correzione e la nitidezza dei volumi, il merito delle in- cisioni, la spesa tenuissima , e la sicu- rezza che saranno mantenuti fino allo scrupolo gl’ impegni contratti, sono al- trettauti motivi perchè debbasi sperare incoraggimento e favore. — Le com- (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da'sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con liarticoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia- .no come estratti o analisi siano come annunzi di Gpert 194 mi.sioni si ricevono in Firenze da P. Borghi e C. al loro negozio posto al canto de'Pazzi, e da chi distribuirà que- sto manifesto. — Firenze, 2 gennaio 1827. — La Società Editrice. 526. Meropv E TavoLE per costruire un Efemeride di occultazioni delle fisse sotto la luna. Di Giovanni INGHIRAMI delle Scuole Pie, professore di matema- tiche e di astronomia teorica e pratica , direttore dell’ Osservatorio X1meniano nel collegio delle Scuole Pie di Firenze, Membro dell’I. e R. Deputazione sul Catasto in Toscana, Professor Gnorario dell'i. e R. Accademia delle Belle Arti di Firenze, Socio corrispondente della Regia Società Astronomica dî Londra, della Società Toscana di Geografia , Statistica e Storia Naturale; dell’I. e R. Accademia Eonomico-Agraria de’ Geor- gofili di Firenze ; dell’Accademie di Scienze, Lettere ed Arti diLucca, di Pi- stoja, Livorno, Volterra, S. Miniato ec., ed Accademico Etrusco di Cortona, ec. — Firenze y nella stamperia Cala- sanziana 1826. Un volume in 4'° di pag. 176. 527. ‘TRAGEDIE CLASSICHE ITALIANE. Volume unico. Fuenze , presso P. Borghi e c., 8.° grande, carta de’ clas- sici, pag. 455, carattere testino a due colonve, nitidissimo ed elegante. Que- sto volume contîene, le tragedie d'AL- FiERI, di V. Monti, e la Merope del MareE, con più i ritratti elegantemen- te incisi di questi tre illustri italiani 5 prezzo paoli 30. 528.Romanzi sroRIcI DI WALTER SCOTT. Firenze, 1826, Kohen e c. Prima di- stribuzione. La promessa sposa di Lammermoor. Tomo II. 18.° di pag. 230, prezzo paoli 2 e mezzo per gli as- sociati. 529. La Corrivazione del Riso di Giampatista SpoLverini. Milano,1826, Silvestri. 530. DELLE CcoLTIVAZIONI de’ monti. Canti quattro dell’ abate BartoLoMMEO Lorenzi veronese. Milano, 1826, Sil- vestri. Un vol. 531. FavoLe e novelle di Lorenzo Pienonti aretino. Milano , 1826, Sil- vestri. Un vol., prezzo 1. 2, 61 iteliane | (delta Biblioteca scelta il vol 195 ). 532. Del monumenti. Carmi di An- ceLo Moccaetm. Parma, 1826, co?tipi Bodoniani in 4° Canto secondo (ad An- Tonio Caxova ) con tavole in rame, 533. Le nozze, terzine di AnceLO Mocnerti cremonese. Parma, 1826, Stamperia Rossetti, 8.° di p. 12. 034. becezze della Comucdia di Daxwrr Attcmrri. Dialoghi di Antonio Cesari P. D. O. ( ParapIso ) Zerona , 1826, Libanti. 8.° di pag. 640 , prezzo 1.6, 52.it. 535, (Opere) QuaresimaLe del pa- dre Paoto SeGnERI della compagnia di Gesù. Padova, 1826, tip. della Mi- nerva. Vol. ll e Mil. 536. GL'IraLtanI 1 Russia, memorie di un ufiziale italiano per servire alla storia della Russia, della Polonia e del- l’Iualia nel 1812. Ztalia 1826. Volume terzo. Si vende presso V. Batelli. 537. LE GUERRE DEI SULLIOTTI contro Alì Bascià di Janina, Commentario. di Luci Ciamporini. Firenze, 1827, tip. Ronchi e e. 8.° di p. 114 Vendesi alla libreria di Pallade, prezzo di paoli 3. 538, Correzione portatile di Classici italiani. Firenze , 1826, Borghi, vol. XVIII. — Z pastor fido del Guarins. 539. StoRIA DELL'ARTE dimostrata coi monumenti dalla sua decadenza nel IV secolofino al suo risorgimento nel XVI, di G. B. L. G. Seroux D’AgiNcoURT. Prima traduzione italiana. Prato,1826, per i fratelli Giachetti. = Dispensa IV. — Lbelle tavole. — Architettura n.° 9, 10. — Scultura, n.° 12,13, 14, 15, 16, — Pittura n.° 13, 14 315. — Dispensa V.— Architettura 11 , 12, — Scultura 11, 17,18, 19,20. — Pit- tura 16, 21, 22. 54o. Manvate di clinica medica di L. MartineT. Prato, 1826, Giachetti. Dispensa Il. i 541. CoLtezione di tutti i drammi e opere diverse di CarLo Gorvom.Prato, 1826, Girchetti. Tomo XV, 542. ALCUNE LETTERE D'ILLUSTRI ITA- Liani di Castelvetro , Corradi, degli Erri , Muratori, Pauciroli, Robortel- lo, Mons. Sabbatini, Salvini, Tasso, Tassoni, ec.; ed il Tre PER UNO di Giammaria BARBIERI modanese in ri- sposta a tre sonetti di Annibal Caro, cuntro il Castelvetro, il tutto per la prima volta dato alle stampe, in /Mo- dena per Geminiano Vincenzi e co. 1827, prezzo l. 1, 74. 543. ELocio di Matteo Marta Bo- sarpo Conte di Scandiano del profess. G. F. Cnemona. Modena per Gemi- mano Vincenzi e c. 1827, prezzo l. 1. 544. Assegnare quali sicoo i pregi oi difetti del Panegirico di Plinio a Trajano, e svolgere le cagioni per le quali decadde la romana eloquenza. Me- moria di Pierro Scueponi. Edizione seconda riveduta e corretta dall’Autore. Modena 1826, prezzo centesimi 75. 549. Sacciu suli’ indifferenza iu ma- ife af AA Pr ine 4 erge teria di religione del sig. Ab. De LA MesnaA1IS } è sortito il volume terzo, parte seconda. Modena per Geminiano Vincenzi e c. 1827, prezzo 1. 3, 20. it. 546 Osservazioni sulla Storia d’Ita- lia di Carlo Botta con varj articoli del prof. M. A, P., e sono composte ing fascicoli. Modena per Fincenzi e c. prezzo |, g. it. 547. Maniresto. — L’aggradimento con cui il Pubblico degnossìi accogliere la prima produzione d'un Uffiziale ita- liano, intitolata GL’ItALIANI IN Russia, lo hanno incoraggito a proseguire nella già enunciata intrapresa , di scrivere cioè la Storia Militare degl’Italiani dal 1789 al 1815. — Per vie più accele- rarne la pubblicazione, farà adesso suc- cedere alla Storia delle Campagne di Russia, Ia Storia DELLE CAMPAGNE DI SPAGNA , uno dei periodi più interes- santi e gloriosi delle armi italiane. — Testimone ed attore per ben tre anni in quelle fazioni onorevoli , ne aveva da lungo tempo tessuta la narrazione, che voleva far precedere a quella della spedizione in Russia, Ma egli ne de- pose il pensieso allorchè seppe prepa- rarsi dall’ illustre sig. maggiore Vacani un'edizione ricca e. magnifica di un’o- pera da lui scritta sul medesimo ar- gomento. — Infatti non tardò molto a comparire e ad aumentare le ric- chezze delle lettere italiane. Bella per tipi, ornata di disegni, che rappre- sentano tutta la penisola da’ Pirenei all’ Oceano, le fortezze gli assedj gli accampamenti , le battaglie ; divisa in tre volumi in foglio, ebbe un prezzo di associazione di lire 135. — “ L’ autore ss però , scrive il generale Colletta, (V. 3 Antologia N.° 6g. Settemb. 1826.) s5 piegando a non so qual forza irresi- 3» Stibile del destino , chiama milizie s» italiane le sole del già Regno Italico, 195 ss come tali non fossero soldati pie= 3, montesi, genovesi, parmigianì , to- » scani , romanvì , corsi, che portando ;s numero ed insegna francese guerreg- ss giavano in separati italiani reggi- sg menti o confusi ai soldati di Fran- », cia; e tali non fossero quattro reg- so gimenti napoletani forpranti una le ss gione distinta , e combattendo col ss proprio nome per propria gloria; nè ,, tali fossero tremila siciliani, che af- ,3 forzavano l’esercito di Lord Wellin- » gton , e partecipavano al vincere, al ss morire, agli onori, e alle tristezze so dell’ alleato esercito. Inglese ,,. — Mettere nella debita luce il merito di- menticato di quei valorosi, combinare, quanto fosse possibile, una maggior ra- pidità di narrazione con una maggiore compitezza , onde diminuire la spesa dell’associazione, è stato lo scopo che ha diretto l’autore degl’Italiani in Rus- sia, nell’ annunziare la STORIA DELLE CAMPAGNE E DEGLI ASSEDI DEGLI | TALIANI in SPAGNA DAL 1808 aL 1813. — L’ope- ra si dividerà in 4 volumi, ciascheduvo con carattere, carta, sesto e prezzo si- mili a quelli degl’italiani in Russia. — Ogni volume verrà corredato di una ta- vola in rame, scelta fra quelle del sig. Vacani reputate le più interessanti. Le firme di quelli, che bramassero asso- ciarsi, potranno esser dirette a qualun- que dei libraj. principali d’ Italia o al- l’Editore dell’Antologia in Firenze, — Potranno pure esser diretti al prelodato Editore, purchè franchi di posta, tutti quei documenti autenticati e relativi alla Storia Militare ltaliana , che si vo- lesseroiuserirvi. — Avverrà la pubbli- cazione dei volumi nel modo il più sollecito, e mantenendosi costantemen- te dall’ Autore ciò che fin'ora adempì < l’imparzialità, la franchezza, e la sin- cerità di narrazione ,y- > RESFSW: ONTYRMITTNtI i Hi oi quan qa nb veci sarta n 0%: » e dat sngnafi magiota DMG pun iride cinta aiar anita e 1 fimo RC Peet i Mubata deri itesza omo rafauetio tal, divieti RESTO panne st n è REST porrd tolo ararg vi i ag, sata re n catino ma "am ps "È L'alto vo eden sgrritod i nio ape pd in inirute rcn - pmi lane isa in gi tento oi Salornsrag A al (S sli MI gf la Stato del ciel 2 | 3|Fel 8 ato del cielo © (c] (e) e) È “RA ) © 1 | ? \ . 1,31 95 IScir. [ser con nebbie . Ventic.| e#z0g. 4,7 | 54 PoiMa. Se: con neb. all’or.Ventie. ut sera 5,0 | 90 Sci Le. Nebbioso Ventic. 4,0 | 97 Pon. |Nuvolo: Calma 7,2 | 88 Lev. |Piovigginoso Vento 6,1 | 90 0,95 4 Ostro |Nuvolo i Vento 5,7 ‘90 | 0 0,09 Se. Le.|Nuvolo Calma 8,0 | 75 Lib. {Nuvola Vento i Go| 78 Ostro. |Nuvolo Ventic, 76 | 9,0 | 8r Os. Li.| Nuvolo Ven. for.|j 6,9 | 9,0] 90 | 0,09 Os. Li. Biùe gia :y cora pengoniti 16,7] 78 0,33 Lib. |Nuv. ser. — Ven. fortiss. 6,0 | 75 (Greco Nuvolo Vento ‘6,4 | 83 Lev. Pioviggine Vento 5,0 | 95 | 0,04 Lev. |Nuvolo Ventic I sera [27: i sv È mat. 27. 4,8 | So Greco [Nuvolo Vento.È A Log. | 27. 7,000 \5;5 | 77 Tram, |Nuv.Ven:Nevica nelle vicjf te ‘sera [27. 6,3 ‘49 | 99 | 0,20|Tr.Ma.|Pioggia Vento i] ‘7'mat. |27. 6,9|:5,8 | 4,8 | 82 |\0,05|Gr. Tr.|Nuv. ser. Ven. imp' \imezzog. |27. 8,1.|:6,0 | 7,6 | 72 Tram. |Ser. con nuv. Ven. imp. tr sera |27. L0;0%) 5,9 | 6,t 76 | TRL Shi nuv. udc Hi : [ee] Termo. 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(27. 10,4} 40 [| 0,2 | 54 | [Lram. (Sereno { ..c .!entic, 18] mezzog. g:|27» 10,6 |. 3,9 [42,4 | &t 'Tr.Ma. Sereno,» x: + Vento ri sera (27. 10;6. | 3,7 {+ 1,0|,75 ‘Gr. Le. Sereno pa ——— —_—— ——|-—_|-_—_— — n —__n 7 mat. |27. 10;6 |. 2,9 |--2,7| 78 Sc. Le. Ser. neb. . Calma | | 19| mezzog.|27. 10,6.,| -2;6° [40,8 | ci Sc. Le. Sereno si | Galma! {Greco |Sereno , Ventic.| sr.sera |27. 10,6. | ast |n-0:8' Stato del cielo 01} -2W101A0|q ord -09s0w2UY | Lev. |Sereno Calma |20|mezzog. Po- Li. Sereno Ventic. di i sera Greco |Sereno Ventic. | {7mat. Tram. |Se. con neb. V entic IE |mezzog Lev. |Sereno V entic Rj I rrsera Scir. |Ser. neb. Vento | | 7 mat. 'Lev. |Nuvolo Ventic.! |22| mezzog. o,t1|Lev. |Pioggia Calma | Ir sera 0,37|Scir. |Pioggia Ventic. | 0,47 |Scir. |Nuvolo Ventic. Ik 0,04iScir. |Nuvolo Ventic. Il sera Scir. |Nuvolo Calma 7 mat. 0,01|Scir. {Ser. neb. Calma ‘24|mezzog. |27. 10,4 | 2,0 | 0,0] 90 [0,o5|Pon. |Nuv. ser. Calma r1 sera |27. 9,0 | 2,0 | 0,0| 9t 0,95 Lib. |Nuvolo Calma m mat. |27. 11,5 | 2,1 | 0,g | 95 TLib, — Nuvolo Calma l25| mezzog. 27. 11,9 | 18 | 2,5| gr | 0,84 Lib. |Nuvolo Calma II sera ;27. 11,9 | t,9 | 2,51 99 (Ostro |}Nuvolo Calma 7 mat. 3,0 | 96 | 0,69|Ostro |Pioggia Calma i26| mezzog. 4,2 | 95 {0,2o|Pon. {Nebbia Ventic. | | rx sera 4,1 | 96 | 0,11|Os. Sc. Navolo Calma 55 95 0,12|Scir Calma [P 5,5 | 95 | 0,o1|Os. Li.' Nebbia Ventic. 8,5 | 96 | 0,18|Ostro 'Nuvolo Calma 8,5 | 93 | 0,og]Scir. Pioggia Calma 9,0 | 99. | 0,20|Scir. |Po ggia Calma II sera 8,3 | go Tram. |Sereno Ventic.;f || | 7 matt. 40 | Scir. |Sereno Ventic. (29 mezzog. |28. 6,4 | 9,6 Tram. {Sereno Vento di Ir sera |28. 0,6! 6,3 | 6,7 Gr. Tr.ISer. neb. Ven, for. fl | 7 mat. Tr. Gr.|Na volo Ven. for. \So|imezzog. Vento {_{t tt sera Nuvolo Calma | | 7 mat Nuv. ser. Calma | Po.Ma.|Nuvolo Ventic. | 31|mezzog” | 11 sera Ostro {Ser. nuv. Calma.| solo. 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Ue un eruditissima vostra, inserita nel n.° 71-72 dell’Anto- logia, mi onorate chiamare a parte di una questione letteraria superiore di troppo alle mie forze, mentre voi già mette- ste in campo. tali e sì validi ragionamenti, che bastano essi soli a riportare in favore dell’applauditissima opera del . Veltro allegorico la più completa vittoria. Pure non vo- lendo io mostrarmi scortese a gentile invito, nè indifferen- te spettatore di una disputa ove hanno parte oggetti a me carissimi, mi proverò ( non sò con qual successo ) di ag- giungere ai vostri alcuni rilievi, specialmente 1.° per ciò che ha rapporto ad una tale canzone stata all’Alighieri fal- samente attribuita; 2.° alla probabilità che Dante compisse nel 1308 la cantica dell’Inferno ; 3.° se di Lunigiana la in- viasse ad Uguccione della Faggiola. I. Pur troppo, mio egregio amico, è gioco forza do- ver convenire che la volubile moda non sia più l’attributo che predistingue il bel sesso, se a’ tempi nostri anche gli uomini più gravi sembrano attaccati da una letteraria manìa, o per i temi romantici, o. per le cose dantesche. Nè basta ancora il grido di sazietà che a misericordia delle lettere e dei lettori ad ogni passo mandano fuori i giornalisti più discreti, se fra le opere e nuovi opuscoli che si vanno tutto 2 dì pubblicando in Italia, due terzi almeno versano intorno ai testè menzionati subietti. Che in quanto ha rapporto al Vate Ghibellino , se dato fosse che egli rialzasse il capo dal vecchio avello, io tengo opinione che quell’anima di- sdegnosa immaginerebbe nuove più orribili bolge per cac- ciarvi dentro chi sa quanti malaugurati interpreti dei suoi fatti e dei suoi detti. ; Non aveva perciò alcun torto quel romano filologo (Sal- vatore Betti) quando sentenziava : ‘ essere le rime di Dante ,, un tal gineprajo che mal vi si metterebbe chiunque non ,; sia pratico de’ nostri classici ,, Eppure oggigiorno non senza maraviglia si veggono oltramontani di ogni ceto e di ogni età, direi quasi appena balbettanti il sì , appigliarsi al gran libro della moda, e darsi a leggere con pari zelo la divina commedia della divina Bibbia, nella remota spe- ranza di affamiliarsi talmente col cantore delle tre visioni, per esser dichiarati i di lui più fedeli dragomani, e quindi magistralmente spiegare la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Nel tempo stesso un’ altra classe non meno numerosa di danteschi adoratori visitando Italia tutta, e frugando ar- chivii e vetuste biblioteche, sembra non d’ altro andare in traccia che di opere sconosciute di proprietà dell’Alighieri. Una delle quali come saggio di molte altre poesie ine- dite del sublime cantore ci venne testè dichiarata dal sig. Carlo Witte , letterato senza dubbio di molta erudizione e d’ingegno fornito, ma di un tatto tale per il verseggiare di Dante da poter credere che sia parto di lui la canzo- ne che principia Poscia che’; ho perduta ogni speranza ec. e ciò sulla fede di un unico codice da esso visitato nella Marciana non più antico però del 1509. E conciosiachè tutti li manoscritti del secolo di Dante , e quanti racco- glitori di rime pubblicarono l’antidetta canzone l’ abbiano ascritta a Sennuccio del Bene, eccettuato una edizione in 16.0 stampata in Venezia stessa, nel 1518, salta natu- ralmente al pensiero che l’ erudito prussianofabbia, senza avvedersene, attinto al fonte medesimo cui bevve tre se- coli prima il veneto editore. Sul rapporto del quale, e ap- E) -_ 3 punto per. sì fatto abbaglio, pronunciò il suo giudizio Ja- copo Corbinelli, trovato scritto in margine a un esemplare della Bella mano di Giusto de’Conti per sua cura pubbli- cata in Parigi nel 1595 (1), e concepito nei termini che appresso : inoltre è da sapere che la canzone che comincia ‘* Da poi ch'io ho perduto ogni speranza ho veduto di poi 5» fra certe di Dante a lui falsamente attribuite in un pic- »» colo libretto stampato a Venezia l’anno 1518 ,,. Nè si potrebbe così per fretta qualificare questo eru- dito di poco diligente compilatore perchè al Del Bene piut- tosto che all’ Alighieri ebbe ragione di assegnare la men- zionata poesia. Avvegnachè il Corbinelli in questo rapporto altro non fece che imitare gli editori che lo precedettero, nè fù tampoco contradetto da quelli che a lui vennero die- tro : frai quali merita di essere rammentato A. Maria Sal. vini e Tommaso Buonaventuri , nè diversamente pen- sarono Tiraboschi e Mazzucchelli, L’ultimo dei quali ci informa di più che il Corbinelli nel riprodurre con la Bella mano di Giusto de’ Conti altre rime di più antichi vati, potè giovarsi , come infatti si giovò , di due codici, che uno proveniente da Roma del Sadoleto, e l’altro di mons. Bernardo del Bene, acquistato in Avignone, dove sembra che Sennuccio terminasse i suoi dì. (2). (2) Vedi l'edizione della Bella Mano con altre rime antiche stampate da Gio. Alberto Tumermani, Verona 1753. Alle notizie dateci dal Co. Mazzucchelli in- torno alle varie edizioni di quelle poesie medesime, ed a ciò che dice il ch. Tira- boschi ( Stor. della letter. ital. T. VII. L. III c. 3) in proposito della edizioue parigina di detto libro fatta dal Corbinelli fino dal 1587 al 1589, si rileva che l'editore non essendone rimasto sodisfatto, la soppresse con intenzione di farne un’altra migliore, che poscia non eseguì se nonin piccola parte, trattone il fron- tespizio e qualche foglio. La qual notizia ci mette im grado di dover credere che l'esemplare con le note manoscritte della mano del Corbinelli medesimo, trovato nella Biblioteca di S. Giustina in Padova, fosse quello stesso destinato a mo- * dello della seconda edizione, + (2) Nè il Nuti, storia dei fiorentini scrittori pag* 78, nè il co. Mazzucchelli parlando di Bernardo del Bene appartenente alla stessa famiglia di Sennuccio, ci avvertirono che esso prima di esser» fatto vescovo di Alby godeva un benefizio ‘ in Valchiusa: di ché ne fa solennissima fede egli stesso in una nota scriita di sua ‘mano in un codice di antiche rime (fra le quali la solita canzone di Senuuccio) 4 E sia in buona pace del sig. Witte, se in cotali ma- terie osiamo al suo giudizio anteporre quello dell’ illustre Tambroni , il quale punto dubitò che non fosse del Sen nuccio la più volte memorata poesia, che sua mercè intiera e più corretta tornò alla luce per via di un codice vati- cano già di pertinenza del card. Giordano Orsini , lochè dà a supporlo di un secolo almeno più antico di quello della Marciana, Nè di data meno vetusta, senza dubbio, deve creder- si quello della Laurenziana da me riscontrato ( Pluteo XL, cod. 46). Consiste esso specialmente in una raccolta di va- rii poeti fiorentini della prima metà del secolo XIV, Dante nè Sennuccio eccettuati. Tra le poche attinenti a quest'ul- timo avvi tre canzoni di argomento amoroso, che una tut- tora inedita precede quella che a Dante vorrebbesi asse- gnare. La quale ultima non solo non è mancante di alcun \ già di pertinenza di Albertaccio del Bene, che lo copiò per intiero, oggi esistente nella Magliabechiana al numero 1192 (Spoglio Stroziano ). Sonetto di Bernardo del Bene. Chiusa , vaga , fiorita , ombrosa valle Chiare‘, dolci , sonanti , e gelide acque Aura gentil che al buon poeta piacque Sì che a Roma rivolse ambe le spalle; Verdi rime, vermiglie , bianche , e gialle Onde poi tanto bene al mondo nacque E giammai poi la sua lingua non tacque Seguendo mesto amor per dritto calle. Quando fia mai che libero e spedito Spiegando dietro al vero al Celo i vanni S Lungi dal mondo errante anch’ io. mi chiuda ? Ritroverò giammai il sentier smarrito In ver Gerusalemme dopo tant' anni Lasciando Babilonia amara e cruda, € Questo soprascritto Sonetto è esposto da me Bernardo del Bene sudd. l’an- no 15/3 ritrovandomi in quella banda a un mio benetitio vicino di Valchiusa; e ne mandai copia al mio chiar. e virtuoso fratello Albertaccio bo. m. quale allora era scolare in Bologna: e dopo la sua morte sendomi pervenuto alle mani questo suo libro ho ritrovato questo mio sonetto copiato di sua mano con mio gran piacere; ma con grandissimo dispiacere di un tal fratello. }, 5 verso nè parola, ma offrendo una lezione assai più plau- sibile di tutte quelle già pubblicate, potrebbe servire a cor- reggere in molti luoghi quella regalataci dal sig. Witte (3). | Quando per altro tali riflessi o estrinseche ragioni non servissero al bisogno, anco le così dette ragioni interne sem- brano concorrere unanimi nella più volgata opinione , o si consideri quel torbido atticismo proprio dello stile lan- guido di Sennuccio , o si abbia riguardo al doppio subbietto di cui si parla in detta poesia, o si ponga mente alle sue allusioni (4), tutto ci obbliga a dover convenire che ivi non si parla nè di Arrigo, nè di Firenze , e che un tal carme non è punto nè poco confacente al sentenzioso allegorico dire del divino cantore , ai sublimi di lui concetti, e più che altro a quella sua fervida immaginazione ed all’orgoglioso suo modo di pensare, Venghiamo alle prove. Voi già, mio illustre amico, saggiamente rifletteste che la logica non ammette i supposti di supposti; ed inoltre la sana critica a rettamente giudicare ci addita un altra via più rigida e meno obliqua di quella tenuta dall’ eru- dito prussiano, col praticare cioè un metodo assai più ana- litico che dai fatti certi guidi per mano a ben riconoscere quelli dubbii o di origine ignota. Essendo malagevole e spesso fallace impresa di assicurare sulla provenienza e qua- lità di un lavoro pel confronto di altri che hanno uopo essi stessi di essere bene bene fregati sulla pietra del paragone. (34 Se meritasse la pena di qui trascrivere 32 varianti essenziali da me notate nel codice laurenziano $ ognuno a colpo d'occhio rileverebbe quali e quanti controsensi , stroppiature di frasi e di parole oltre le malapposte punteggia- ‘ture, rendono meschina più che mai la canzone riprodotta dal sig. Witte; da esso che tanto si allarmò perchè l’ autore del Ze/tro, nello scuoprire la let- tera di Daute ai cardinali non potè dare che un frammento (ove mai sia scur- retto) di cui la ragione più che ad ogni altro è nota a colui che ebbe l’ op- portunità d’interamente trascriverla ed a suo bell’agio di collazionarla. (4) Giova qui ricordare che Sennuccio di Bennuccio del Bene sbandito da Firenze poco appresso l’ Alighieri ; fu per opera di Giovanni XXII rein- tregrato ne’ suoi dritti come a deliberazione del comune di Firenze de'29 nov. 1326. Nacque dubbio però fra li storici s' egli di tale amnistia profittasse , trovandolo nel 1342 in Avignone donde scrisse un sonetto al Petrarca sti- molandolo a tornare presso il comune protettore Giovanni Colonna, Ma que- sta ed altre canzoni ne fanno prova ch'egli in patria per qualche tempo tor- nò , dove fu preso d'amore per virtuosa donna. 6 E poichè il professor di Breslavia è d’ avviso che la supposta canzone dell’insigne cantore di Bice spiri un co- cente amore per Madonna Firenze , cui la morte del set- timo Arrigo ogni via di ritorno avea precluso, è pregio del- l’opera di fermarsi un istante sulla natura di un così spe- cioso amore, a fine di indagare se gli affetti meno equivoci dell’ esule insigne stare potevano a quell'epoca in armonia con quelli che si appalesano nell’attribuita canzone. Quanto di bene l’Alighieri della patria e de’suoi cittadini dir potè fù a meraviglia fra le opere di lui spigolato dal ch, Perticari. Non ostante però tutta quella lodevolissima apo- logia, dubito vi sarà chi di buona fede imprender voglia a sostenere, che nel signor dell’altissimo canto potè più l'amor patrio dell’amor proprio. Imperocchè ognuno facil- mente si accorge che le affettuose espressioni , tutte le lodi e le frasi più lusinghiere verso la madre patria esternate nelle tre visioni (opera che conta l’epoca, le cause e le vi- cende che influirono sul di lui esilio) non debbono rife- rirsi a Firenze del 1300, ma sivvero a quella delle cerchia antiche , quando la cittadinanza pura vedeasi nell’ ultimo artista}e che l’aristocratico suo reggimento non era ancora rovesciato, nè la somma delle politiche faccende trovavasi ristretta fra le mani “ Del villan d’Aguglion , di quel da Signa. ,, E vaglia il vero, chi non raffisura nell’amara ironia con che si dà principio al canto XXVI dell’Inferno, nelle aspre rampogne, ne’turpi epiteti e nelle indegne metafore ch'egli fece alla patria ed ai suoi concittadini per l’organo di Brunetto Latini e di Guido da Bertinoro (Infer. XV. Pur- gat. XIV); nella virulenta apostrofe a Firenze (Purg. VI) e da tutto ciò che l’A. si fa contare dall’ombra del suo trisavolo (Parad. VI.); chi, diceva io, non raffigura il più iroso ed intollerante ghibellino? l’uomo, di sè , della superiorità del suo ingegno, e della razza sua purissima superbamente orgoglioso? Il quale, a similitudine del caustico e difficile Alfieri, in pari modo vituperando ora i reguanti, ora le genti nuove, sferzava quelli, perchè a seconda delle sue bra- me non operavano, e inveiva più spesso su queste perchè 7 troppo insolenti, e stolte preferivano sempre ad ogni altro il proprio bene (3). Non reca pertanto maraviglia se noi vedemmo il can- tore del Parigi sbastigliato , come altri già vide quello della triplice visione, talora biasimare coloro che in altra stagione furon pe’ loro carmi oltremisura esaltati. Nè l’Alighieri ignorare dovea che le acerbe invettive sca- gliate contro solennissimi personaggi e cospicue città frut- «tavano a lui danni sempre novelli, tostochè rispondendo egli all’ombra di Cacciaguida, fece travedere che più per gli amari suoi detti che per altro motivo perdè ogni spe- «ranza di ritornare in patria, onde cantò: Pel chè di provvidenza è buon ch'io m° armi, (Sì che se loco m'è tolto più caro Io non perdessi gli altri pe’ miei carmi (Par. XVIT.) E bene i versi che precedono danno a conoscer quanto ‘egli fosse poco contento di vagare da uno in altro luoso, e provare sì come sà di sale lo pane altrui; ma un anima cotanto severa preferiva una vita raminga anzichè tornare sotto i patrii lari per stare all’ubbidienza di governanti agli occhi suoi vilissimi, e per private cagioni altamente odiati e disprezzati. Per le quali cose, sempre superbo e inflessibile, Dante si rifiutava alle officiose premure dell'amico, che a scapito di un poco di amor proprio tentava di ricuperarlo alla pa- tria, il che sarebbe facilmente avvenuto, qualora il citta- dino esule, alla carità del natìo loco posposto avesse l’ar- dente foga de’ suoi perpetui sdegni (6). Ma contemplando «10% + + + + Che tra i lazzi sorbi Si disconvien fruttare il dolce fico (5) Per quanto molti scritti dell’Astigiano facciano fede della sua maniera di pevsare, in niuno di essi cotanto chiaramente lampeggiano i tratti di vana- gloria patrizia, quanto in una sua leitera pubblicata nell’Amico d’Italia Tom. V, fasc, 7. (6) Nella vita di Dante di Leonardo Aretino leggesi il sunto della risposta che l'esule poeta fece all’amico, e nella quale si notan le seguenti espressioni £ Se a Firenze non si entra per via dell’ovore, Dante non vi rientrerà giammai,,,, che il sole e le stelle si vedono da ogni terra, e da per tutto si trova pane ;,. I 8 i amò piuttosto di poter da lungi alzare con voce brusca uh grido come vento . . . Che le più alte cime più percuote. E par bene che in sì fatto divisamento egli fosse fera mo sino da quando-il suo maestro gli diceva La tua fortuna tanto onor ti serba Che l’una parte e l’altra avranno fame Di te, ma lungi fia dal becco l'erba. (Inf. XV.) Tale si fù il vero spirito dell’Alighieri espresso nelle sue opere più applaudite (se bene siero intese) che 7’ amor patrio fù per esso un nulla in confronto dell’amor proprio. Per buona sorte però della moderna letteratura il per- petuo esilio del nostro vate potè , se non m’inganno, con- tribuire, non dirò a dar vita al poema divino, ma senza dubbio a imprimervi la più calda tinta che mai potesse idearsi. E sul timore che una più facile indulgenza nei re- gittori fiorentini, o più miti consigli per parte del giudice ser Bindo di Aguglione avessero contribuito ad impedire, od a lasciare incompleta la più bell’ opera che un’ardente fantasia abbia mai concepito in Italia, noi, in grazia di così sublime acquisto, di cuore ci uniremo al sentimento di ser Brunetto Latini quando confortava il suo allievo dicendo Ti si farà per tuo ben far nemico. Dopo simili rilievi, omettendone molti altri per amore di brevità, lascio giudicare al buon senso del sig. Witte se fia mai. possibile di potere credere che un uomo di tempera sì fatta potesse mai giungere al segno di distruggersi con una bassissima nenia in sospiri e in pianto , stante che la morte di Arrigo VII (creduta tema della questionata canzone) chiu- devaa lui ogni via di rivedere l'alto valore della sua Madonna (Firenze). Alla quale Madonna pochi mesi prima (7) avrebbe indiritti gli amorevolissimi epiteti di pecora inferma, di vipera ingrata, di volpe fraudolenta, iniqua male ardita, e simili gra- ziosità; mentre contemporaneamente augurava ai concittadini (7) Epistola di Davte all'imperatore Enrico data sotto la fonte di Arno li 16 aprile 1311. Una traduzione della medesima e di altra lettera ai senatori, ec. fu fatta in volgare da Marsilio Ficino, che porta la data solamente dell’anno (Lazzari Miscelle Cal. Rom. T. 1). bd suoi la fine di Agag, la sorte degli Amaleciti, ed era forse in* torno a quell’epoca quando come orribil cosa riputava di no- minare col suo vocabolo il fiume Arno, perchè fluiva nella maledetta e sventurata fossa: simboleggiando nel tempo stesso la Firenze dei suoi dì una trista selva coperta di lupi. (Purgat. C. XIV.) E seguitando a leggere nella seconda strofa non molto megliv sembrano corrispondere ai fatti i versi che appresso : i (Str. II.) Per acquistar onore mi fè partire Da oi pien di desire Per ritornare in pregio e in più grandezza Seguii il signor. . . .- Per verità potè dirsi rin bell’onore quello di una spe- ciosa ambasceria col fine indiretto di allontanare il priore Ghibellino dalla suprema magistratura , e registrarlo tosto sulla tabella della proscrizione! Ma sentiamo lui”stesso con quale desire da Firenze si partì , e ci dirà. Qual si partì Ippolito da Atene Per la spietata e perfida Novetca (Pur. XVII.) Resterebbe nonostante a sapere chi fosse mai quel si- gnore giusto, largo, prudente; temperato e forte che il poe- ta partendo da Firenze seguì , nella speranza di tornare in maggior pregio e più grandezza. Arrigo VII non già; poichè inalzato fù all'impero sette anni dopo quell’esi- lio: ed è tuttora dubbio se Dante seguitasse il nuovo im= peratore dopo sceso in Italia. (Str. IL) Questo signor creato di giustizia Eletto per virtù tra ogni gente. Che quì debba intendersi di Arrigo di Lucemburgo creato di giustizia sarebbe nuova veramente di zecca, se non la dasse a sospettare di falso conio l’ unanime asserto d’isto- rici coevi, i quali ci dicono che il VII Arrigo fu Eletto per virtù del cardinal da Prato. Ma sentiamo il resto della strofa: i Dunque ragione e buon voler mi mosse | «A seguitar signor cotanto caro. Ma se color fallaro Che fecer contro a lui a lor podere 10 To non dovea seguir le false posse i Vennimi a lui fuggendo suo contrario. : dà Con tutto che la lezione del codice laurenziano da noi seguitato tolga il controsenso che si manifesta nel verso ri- portato in quella della Marciana : Vennimi a lui seguendo il suo contraro. Nonostante però sfiderei i più sagaci interpetri a potere fe- licemente distrigarsi dal laberinto che offrono le frasi che precedono, dovendo applicare le parole alle azioni e vi- cende dell’Alighieri; e poi si decida se ebbe torto l’Equi- cola che dichiarò l’A. di questo fosco verseggiamento rozzo e inintelligibile anzi che nò. Ma vi è ancora qualche espres- sione non meno al caso nostro imbarazzante. (Str. V) O crudel morte e prava Come m'hai tolto dolce intendimento Che mai formasse natural potenza La cui bellezza è piena di virtute! Amico mio carissimo , qui non vi è allegoria che regga tanto da fare credere un poeta così goffo, il quale simbo- leggia una città materiale sotto l’immagine della più vir- tuosa creatura che potè formare natural potenza ( per ac- coppiamento sessuale ). (Str. V1) Canzon, tu ne girai ritto in Toscana A quel piacer che mai non fu più fino. Ottimamente notato aveva il Corbinelli (esemplare di santa Giustina ) che qui il piacere, come nell’ antecedente strofa il piacimento vanno presi per amore, anzi per la persona stessa che si ama; e per egual modo lo usò altro poeta di quel tempo , Giraldo da Castelfiorentino: Amor se la crudel ventura mia M'° avesse fatto al bel piacer lontano. Vi restano però due versi meritevoli di più seria disamina Ma prima che tu passi in Lunigiana Ritroverai’! marchese Franceschino. Sapendosi da poco in qua che un marchese France- schino Malaspina fu amico e ospite a Dante in Lunigiana, ciò potrebbe aver dato al nostro eritico il più forte impulso per credere che qui si trattasse dello stesso personaggio, e | ) II del poeta medesimo. Se non che dopo appunto la morte di Arrigo VII, il menzionato marchese, di ghibellino che era e seguace del partito imperiale, imitando la condotta di suo cognato Giberto da Correggio si dichiarò pet i guelfi, sic- chè nel 1313 guerreggiò co’suoi militi in Lunigiana contro il card. Luca del Fiesco vicario d’Arrigo; e nel 13 novembre dello stesso anno collegato coi fiorentini e lucchesi lo tro- viamo a far oste contro i ghibellini pisani al Ponte tetto (Targioni, T. XI. Albert. Musatti. De gest. Italicor. ec in Script. R. I. T. X col. 593). To non mi arresterò a riflettere se un picciolo dina- sta padrone di pochi miseri castelli sapesse spirare tanta fidanza nell’ esule fiorentino, nè starò a rilevare se chi era amico di un poeta non poteva esserlo di un’ altro ; sola- mente avvertirò che quando anche si debba credere che qui si parli di un Malaspina di Val di Magra, tuttochè, stando al codice laurenziano , dovea egli trovarsi al di là della Lunigiana; dato anche ciò, altri marchesi dello stesso nome e casato vissero contemporanei e molto posteriori all’Ali- ghieri. Uno dei quali, da una carta strozziana del 1301, ve- niva dichiarato ancora nella minore età, ed era probabil- mente quel marchese Franceschino sopranominato il So/da- to , nipote di Alberto marchese di Filattiera , che viene ram- mentato in quattro carte dal 1341 al 1355, tutte pubbli- cate dal Maccioni nella sua difesa di Treschietto. Stabilito pertanto che l’oggetto amoroso della riprodotta canzone non riguarda Firenze, ma una femmina in carnee in ossa; accordato che il Signor caro e gentile che ivi si piange non possa credersi Arrigo VII, come pare che la pensasse prima del sig. Witte lo scrittore di un codice del XVI secolo esistente nella riccardiana num. 1100 (8); e che la poesia non sia dell’Alighieri, vanno da per loro a cader le basi sulle quali il professore di Breslavia fonda alcune sue con- clusioni onde smentire plausibilissime congetture emesse (8) Codice in fog. pic., intitolato Canzoniere del Petrarca Rime di diversi, dove dopo varie cauzoni e souetti dell’Alighieri si trovano a 37 qaelle di Sennuccio in gran parte inedite, e in testa alla nota canzone il seguente titolo: Canzone di Sennuccio Bennucci del Bene di Firenze per morte dell'imperatore Arrigo. TR dal nostro illustre amito riel suo Zè/tro allegorico, circa il dove e il quando il divino poeta andava esulando da uno in altro luogo (9). II. E qui arroge di ritornare sul dubbio dallo stesso t&ritico promosso intorno all’epoca troppo precoce che il sig. Troja assegnò a compimento della prima cantica ; stante che , dice il sig, Witte, l’Alighieri non poteva sapere ( nel 1308 ) come lo sa nel canto XIX dell'Inferno che Clemen- te V terrebbe meno di 19 anni le somme chiavi ( Antolog. fasc. 69 pag. 57.) Al che rispondono a meraviglia le sagge vostre osser- vazioni; che ad un poeta della tempra dell’Alighieri non fosse uopo di un gran sforzo d’ingegno , nè di far da astro- logo o da profeta per dire che un papa continuamente in- fermiccio e spesso da tormentosi dolori o torsioni d’ intestini assalito (10) non potrebbe sedere sulla cattedra di Pietro tanti anni quanti vi sedè il terzo Niccolò. In ciò fu più discreto di quel monaco porporato , il quale preso da religioso po- litico zelo assicurava certo antipapa ch’ ei sarebbe morto senza fallo dentro quell’anno ;3 perocchè di alcuni anni mentì lo scritto: Dante all’ incontro, nel consegnare alle carte quella sua politica imprecazione contro il pontefice Guasco, par che mirasse a vendicarsi dell’affronto di corto. ricevuto dai fuorusciti per avere per gli intrighi dei fioren- tini richiamato il cardinale Napoleone Orsini. E se fosse pur vero che il canto de’ simoniaci (Infer. XIX. ) scritto venisse dopo mancato Clemente V, il poeta esatto come suol mostrarsi in quanto alle date e alla ragione de’tempi, non avrebbe largheggiato cotanto in simile finzione da au- gurare ad un malvisto pontefice dieci anni più di quel che (9) Dato e non concesso che Dante in un «de’suoi giorni infausti si addor- mentasse a segno da gettare dalla sua penna quella sonnifera nenia: nella quale vi fu chi disse trovarsi sublimi concetti; ed un pezzo il più degno dell'ausonica lira, tuttociò non pertanto farebbe ostacolo alla congettura del sig. Troya, che nel 1314 porta a Lucca l’ amante di Gentucca, un anno dopo, cioè l’accaduta morte di Arrigo VII, che forma il tema supposto di quel noioso piagnisteo. (10) Balutius in vit. PP Avenion. vol. IL p. 90 e 96. Ptolom. Luc. Histor. Eccles. in Scrip. R. It. Tom. XI col, 1227 e 1242, Bernard. Guidon. (ibi) Tom. II, col. 674. 13 visse ; ma imitando l’esempio registrato al canto X dell’In- ferno medesimo, rapporto alla cacciata di Firenze del car- dinal da Prato, ed alla prognosticata sua gita in Lunigiana, (Purg. C. VIII.) avria messo in bocca di Niccola HI una più esatta imprecazione. Tanto è vero che il chiar. monsig. Dionisi, bramando esso pure di protrarre la prima cantica fino al 1314, tut- t'altro dubbio mise in campo fuori di guello enunciato dal sig. Witte. Uno de’quali, che andò più a fagiolo al dotto veronese , fu la bizzarra interpretazione che il più bizzarra interprete ( Benvenuto Cellini ) diè al primo verso del can- to VII, quando sotto la figura di Pluto disse trovarsi sim- boleggiata quella di Filippo il bello ,. a cui il poeta fa di- sarmonicamente cantare in francese Paix, Paix, Satan, Paix, Paix Satan alés, Paix, Stando alla quale chiosa convenia pure ammettere col Dionigi, che Dante per amor della sua pelle non si sareb- be azzardato a tanto se non dopo la morte di quel potente e vendicativo monarca, Non già che Alighieri non dasse altra volta la capric- ciosa idea di mettere nell’Inferno l’anima di un tale Che în corpo par vivo ancor di sopra, ma il fatto stà che qui non si parla il francese, nè quelle bestialissime voci sono pa- role di cortesia e di pace, ma sibbene atto di meraviglia, ed altissime minacce proferite in ebraica favella (11). Nè maggior difesa prestar potrebbe alla vittiana pro- 3 x ‘posta difficoltà quel verso del canto XXI: Ogn’uom o è Barattier fuorchè Buonturo. Imperocchè sebbene alcuni so- spettassero che qui il poeta alludere volesse all’insigne baratteria , per la quale nel 18 novembre 1313 Buonturo Dati tradì Lucca sua patria; (Alb. Mussat. Gesta, ital. 1. c.) ‘pure questo fatto appunto giova mirabilmente a provare il ‘contrario. Ed infatti se ciò era noto all’A. del misterioso | viaggio durante la prima visione, invece di truffare Buon» (11) Vedasi una lettera dell'abate Giuseppe Venturi pubblicata in Verona nel 1811; ed una dissertazione del prof. Lanci nel Giornale Arcadico ( Tom. IH. | vanno 819). 24 turo nel lago della bollente pece Dante, mon già fra glì arrostiti barattieri della quinta bolgia, ma sibbene Là dove i peccatori stanno freschi posto avrìa l’ anziano di santa, Zitta, cioè assai più giuso a scontare in gelatina il tradimento in compagnia di Buoso da Dovara, di Bocca degli Abbati e del miserando Conte Ugolino. E questa è per noî solen- nissima riprova che la prima parte della Divina Commedia a quell’ epoca era completamente terminata. | Ma qui sorge un nuovo dubbio, se l’Alighieri cioè po» tè scrivere la maggior parte dell’ Inferno in Lunigiana, sic» come Giovanni Boccaccio e Filippo Villani pensarono pri- ma dell’ illustre Autore del Veltro. Alla quale opinione per verità io non troppo aderiva, fondandone la ragione sopra due documenti sincroni. Uno de’ quali ne assicura che il nostro poeta era in Padova il 27 agosto 1306, assistente ad un contratto de’nobili Pap- |. pafava , mentre l’ altro riferito esso pure dal Pelli, e dal Pad. Idelfonso, ce lo rappresenta nel 1307 in Mugello ad un congresso di Bianchi nel coro dell'Abbazia di S. Gauden- zio. Non è dunque se non in questo intervallo che Dante potè stanziare in Lunigiana, dove infatti lo trovammo, il 6 ottobre 1306, pacificatore fra il vescovo di Luni e 1° pepit te Fianceschino Malaspina. Ma dopo avere esaminato nell’ Archivio generale . fio- rentino il rogito fatto a S. Gaudenzio, vidi che i miei cal- coli non erano quanto io li supponeva esatti , stantechè nella prima linea di quel vecchio scritto, in gran parte con- sunta, non leggevasi altro che la prima e l’ultima parola, cioè, In Dei.... viij Junii. Rinvenuto così il giorno e il mese in cui quel consiglio ebbe luogo , restava il dubbio sull’anno che da un altro rogito scritto a tergo della pa- gina medesima e per mano dello stesso notaro portava la data Anno Dom. a Nativitate mccoviiij. die xxviiij. Octo- bris actum Pavanici. Per tale indizio non più al 1307 co- me il Pelli segnò, nè al 1301 come il Brocchi aveva im- maginato , si dovrebbe quel contratto riportare , ma sivvero al 1309. Qui peraltro il dotto amico mi fece riflettere che nei protocolli di quel notaro, nuovamente con lui esami- 15 nati, non era nè punto nè poco conservato l'ordine pro- gressivo , mentre dopo un istrumento di un anno trovasi talvolta quello di due , tre e anche quattro anni dopo. Nè altronde può credersi che il congresso di S. Gaudenzio, al quale assisteva Dante Alighieri, avesse luogo nel 1307, e mol- to meno nel 1309, avvegnachè lo scopo del compromesso era di obbligarsi i capi ghibellini sotto la pena di duemila mar- che d’argento , con Lapo Bertaldo di Firenze rappresen- tante per il nobile Ugolino da Felicione , per i suoi figli, e per tutti gli altri di casa Ubaldini, di riparare ai danni che questi signori sarebbero per soffrire a cagione della guerra fatta e da farsi ai loro castelli mugellani, e specialmente per quello di Monte-acianico , il quale ultimo fortilizio si sà che per opera dell’esercito fiorentino era stato preso e diroccato fino dall’ottobre del 1306 (Cronic. di Gio. Vil- lani lib. VIII, c. 80 ) e finalmente ne ostava la notizia nelle Riformagioni di Firenze, che Ugolino da Felicione non era più frai vivi nel 1306, (Pad. Idelfonso Deliz. degli eruditi Tom.X. pag. 235). Motivi cotanto valevoli indussero a buon diritto il sig. Troia a dover riportare il trattato di S. Gau- denzio al giugno del 1304, cioè un mese e mezzo innanzi la mal diretta impresa di Baschiera Tosinghi contro Firen- ze (21 luglio 1304): mentre appunto l’Alighieri da vicino inanimava quell’assalto. Pertanto se vorremmo la cosa con più attento e pacato animo riguardare , converrà dire che niu- na pregiudicevole circostanza osti alle congetture dell’ au- tore del Veltro allegorico intorno all’ itinerario del poeta esulante , e massime che l’Alighieri potè scrivere gran par- te della cantica nel 1308 presso il marchese Malaspina di Mulazzo. Non per egual modo mi trovavo disposto col dotto ami- co a convenire (siccome per lettera del g settembre 1826 io gli esternai)in quanto al Corrado incontrato dall’Alighieri a piè del balzo nel Purgatorio, quando a lui si scuopre in | questi versi: Non son l’antico, ma di lui discesi \\. «A’miei portai l’amor che qui raffina. (Pur. C. VIII). 16 Comeochè io lo credo un personaggio affatto diverso e posteriore di età all’amico di Federico II, autore della linea di Mulazzo, e padre di Moroello e di Manfredi (ved. Feltro allegorico pag. 6). Avvegnachè con aver denotato non son l’ antico , l'ombra di Corrado si dava a distinguere da un altro più celebre dello stesso nome e famiglia. che lo avea preceduto. Ora nessun altro marchese di questa stirpe trovasi nella storia più antica del Corrado nato da Obizzino e da Giordana figlia di Guglielmo IV di Monfer- rato ; il quale venne alla luce intorno al 1180. (Locati, Stor. Piacen. Poggiali, Memor. Piacent. T. IV. pag. 43). Ed è senza dubbio quello stesso Corrado che fedele all’im- peratore Ottone IV ne sosteneva con tutte le forze i diritti, alleandosi per la sua causa nel 1211, con principi e città lom- barde; come più tardi si mostrò l’amico di Federico II. (Pog- giali, op. cit. Annal. Genov. di Caffaro, e Annal, di. Tolom. da Lucca). Di un meno antico Corrado e di parte egual- mente ghibellina trovasi un grazioso aneddoto nella sesta novella della giornata seconda nel Decamerone, nella quale sebbene d’immaginati episodi dal Certaldese abbellita, il fondo è essenzialmente storico , e l’epoca come i nomi che al fatto dei due amanti ed ai loro genitori riferiscono fe- delmente conservati. Con saggio criterio pertanto chiosava quel passaggio di Dante l’ anonimo autore dell’Ottizzo, prima anche. di Benvenuto da lmola, quanda scrisse, che per Corrado an- tico il poeta intendeva di quello privilegiato dall’ impera- tore Ottone, per le grandi cose che fece , e dal quale per generazione discendeva Corrado il giovane che fu figliuolo del figliuolo. ( Vedi qui appresso l'albero genealogico). Difatti Corrado padre della bella Spina, sposata in seconde nozze nel 1282 a Gioffredo Capece, nasceva dal march. Federico di Corrado I fatto prigioniero col fratello Moroello alla battaglia di Monte Aperti. Infatti Corrado IL, venuto a morte senza successione maschile, lasoiò eredi li suoi nepoti di tutti i suoi beni e castella ; per cui disse all’Alighieri nel Purgatorio (VIII) 4° miei portai l’amor che qui raffina. L Era di questo mimero uno il marchese Mini nato da Moroello di Corrado I, che fù poi l’ospite e amico dell’ Alighieri. II. Ma quì sento dimandarmi chi mai poteva essere quel famigerato marchese Moroello , cui a detta di Frate Ilario di Boccaccio e di Filippo Villani, Dante avrebbe de- dicato il Purgatorio? Il padre dell’ospite non già perchè da venti e più anni era mancato in Sardegna (aprile 1285). Il figlio di lui non credo, giacchè in tenera età come egli era non poteva salire a, tanta rinomanza da chiamarsi un so- lennissimo personaggio; nè molto meno esser poteva il fi- glio di Obizzino, perchè al 1306 questo terzo Moroello era ancora minore. Resterebbe frai tanti Moroelli il valoroso Malaspina vincitore dei Ghibellini nel campo Piceno, a Seravalle ed a Pistoja, designato perciò dall’ Alighieri sotto il vapor di Val di Magra. Ma chi vorrà credere che al feroce capitan de’lucchesi, Dante dedicare volesse il suo più bel lavoro, per il merito di que’ trionfi che cotanto influirono alla cacciata de’Bian- chi da Firenze, ed a rendere vana ogni speranza di ritorno in patria! Nè ciò sarebbe strano qualora si dovesse protrarre la dedica della seconda cantica al 1311 0 poco dopo, pe- rocchè a quel tempo il generale Moroello, di guelfo che era, fatto ghibellino ; ed è quel medesimo che nell’aprile del 1311 fu inviato da Arrigo VII in Brescia per trattare la liberazione dei capi ghibellini fatti prigionieri dal con- trario partito di detta città , non che per aprire proposi- zioni di pace prima di essere stretta di assedio. E quì torna opportuna la dichiarazione che io feci in occasione di dovere rammentare il trattato di pace del 1306 fra i Malaspina ed il Vescovo di Luni per opera di Dante, quando dissi: ‘ Se si considera autentica una lettera senza »» data indirizzata da Fr. Ilario Monaco, ad fauces Macrae so al magnifico Uguccione della Faggiola, come dedicatoria »» dell’ Inferno dell’Alighieri, e ripetuta in parte dal Boc- » caccio nella vita di Dante, risulterebbe che oltre la gita so în Lunigiana del 1306, l’insigne poeta ve ne facesse una T. XXV. Febbraio. 2 18 ,, seconda ec. ,; (Cenni sopra V Alpe Apuana ed î marmi di Carrara pag. 208. Firenze 1820.) - - Ed io sin d’allora mostrai dubitare di quell’ avven- tura, non tanto per la sorprendente facilità di vedere al primo incontro confidare ad un incognito un manoscritto per troppi rapporti importante, mentre a pochi passi di là si trovavano dell’ esulante poeta i più fidi amici; quanto anche per la nomina degli altri due personaggi ai quali si vorrebbe far credere che Dante ideasse in prima origine dedicare il rimanente della sua commedia, e quella par- te appunto dove sì poco onorevoli versi riscontransi a ri- guardo del dominatore dell’ Isola del fuooo. Per altro ta- luno dirà che ciò conciliare si potrebbe con la circostanza dei tempi, avvegnachè il Moroello Malaspina nipote d’Adria- no V, tutto che guelfo nel 1306 , potè o per convinzione o per politica cambiar partito, come infatti cambiato lo avea nell’aprile del 1311, quando forse per opera del cardinal Luca del Fiesco di lui zio fù incaricato, come dicemmo, da Ar- rigo VII di recarsi nella città di Brescia per trattarvi la pace, e come di nuovo ai guelfi lucchesi tornò insieme con Fran- ceschino due anni dopo (4/5. Mussat. Hist. Aug. e Gest. Ital.); ed all’incontro il Rè di Sicilia di amico potè farsi ne- mico de’Ghibellini appena: seguita la morte dell’ anzi no- minato imperatore, stante che Federico non accettò la lu- singhevole offerta di reggitore della ghibellinissima Pisa. Ma per quanto la lettera del Monaco del Corvo tro- visi in un codice del secolo XIV,non lascia di render so- spetto di falsità il suo autore, a meno che il Boccaccio (cosa a credersi difficile) non avesse voluto copiare alla lettera in- tieri squarci della medesima; e quel che è più, le stessissime frasi, come per modo di esempio quel paragone “ Frustra enim mandibilis cibus ad ora lactentium admovetur ,,; le quali espressioni dal Certaldese sono riportate in questi termini; ‘ E immaginando ‘invano le croste del pane porsi », alla bocca di coloro che ancora il latte suggono,, con quel che segue. Tali ed altri simili riflessi tuttora mi tengono sospeso sulla identità di quel colloquio che diede motivo _a Frate \ 1 Ilario di 8. Croce al Corvo di scrivere la dedica dell’ Inferno ad Uguccione della Faggiola, tanto più che recatomi un dì a Sarzana mi riescì affatto inutile di ritrovare di quel soppresso monastero alcuna memoria o documento, almeno da far fede che ivi nel secolo XIV menò vita cenobitica uno per nome Ilario. Ma troppo tardi, amico mio degnissimo , mi accorgo di aver oltrepassato i limiti di ogni discretezza, e che men- tre vò predicando degli altri, manco poi di carità io stesso. Firenze 20 Gennajo 1827. Avpendice alla lettera del suddetto, con un A/bero genealogico dei primi marchesi Ma/aspina di Lunigiana. Era già alle stampe la risposta al sig. G. P. quando |’ Edi- tore dell’Antologia volle comunicarmi una lettera del sig. ab, Em. GERINI di Fivizzano sul proposito di alcuni equivoci, quali, per causa dei molti omonimi della famiglia Malaspina viventi a un epoca me- desima, era difficile all’autore del Veltro allegorico , come ad altri, di potere evitare. Noi pertanto vorremmo essere lui grati, in quanto che essendo egli per. pubblicare un’opera sulla storia e biografia della Lunigiana, ha voluto anticipatamente somministrarci la no - tizia di alcuni documenti privati ed inediti, per via de’ quali non resta più dubbio sui personaggi della stirpe Malaspina cui Dante intese di riferire , e dai quali fu esso onorevolmente trattato. Sono di questo numero 1.° un istrumento di divise fatte li 21 aprile 1266 in Mulazzo , fra li fratelli Moroello, Manfredi ed Alberto figli di Corrado (/’antico) ed i loro nipoti Carrado ( il giovane), Obicino e Tommaso figli del fu Federico e di Agnese de’ marchesi del Bosco, ivi presente; 2.° un patto di famiglia del 3 settemb. 1281 rogato in Villafranca fra Corrado il giovane suoi zii e fratelli, dove egli dichiara la dote di Oretta sua consorte, mentre Moroello di Jui zio nomina fra i suoi beni la dote di Berlenda sua moglie e madre di Franceschino, che fu poi ospite all’Alighieri. 3.° Un istrumento fatto pure in Villafranca ; li.29 settembre 1281, riguar- dante la vendita che Alberto fece a Corrado il giovane suo nipote dei beni che possedeva in Sardegna, quali poi furono da que- st'ultimo insieme con gli altri per testamento del 1294 ainorevol- mente lasciati ai nipoti e congiunti; per la cui generosa eredità potè la sua ombra dire all'Alighieri 4 miei provai l'amor che qui raffina. /.° Una particola del testamento faîto nel 1307 da Antonio di Canulla vescovo di Luni, donde risulta che Franceschino Malaspina 20 da quel prelato fu destinato suo esecutore testamentario; nuova con- ferma della concordia fra essi ristabilita un anno avanti per le. cure dell’esule poeta. 5.° Finalmente un atto del 26 febbraio 1321 dato in Lucca, con il quale da una parte Castruccio Antelminelli nella qua- lità di tatore e curatore di Giovanni e Moroello marchesi di Mulazzo, figli lasciati pupilli dal fu marchese Franceschino , e dall’altra parte Masio del fu Niccolò da Villafranca, come procuratore dei figli di Obizino e di Tobia Spinola, eleggono Oherto da Vernaccia in Ca- stallano di Ossola nella Sardegna. Dietro il quale ultimo documento, saggiamente riflette il sig. Gerini, che il figlio di Franceschino non potè essere quel personaggio cui si erede che Dante dedicasse la can- tica del Purgatorio, nè molto meno quel Moroello medesimo che nell’aprile 1311 fu inviato a Brescia per offrire a nome di Arrigo VII condizioni di pace. E qui il lodato sig. Gerini appoggiandosi a un di- ploma di regalie di Arrigo VI contrafirmato in Brescia dal. march. Moroello li 22 aprile del 1311, stimò inverosimile che Brescia rom- pesse il corso delle prime prosperità di Arrigo VII nel 24 feb. 1316 e molto meno, che le armi imperiali stringessero di assedio quella città ai primi di aprile dell'anno medesimo quando pucificamente vi risiedeva il vicario imp. Moroello ,,. (Veltro allegorico p. 120) A schiarire il quale equivoco gioverà far riflettere che, nè il sig. Troya si espresse in questi termini, nè Moroello era allora di Brescia vicario; ma sibbene un messo imperiale incaricato di chiedere ai bresciani dentro termini perentori la ripristinazione delle cose e la liberazione degli arrestati, mentre alla città presso stava una parte di esercito co- mandato dalDuca di Savoja; e fu solo dopo mancate le promesse, che Arrigo VII fè da tutta la sua armata stringere di assedio la ribellata città. (Zac. Malvetii, Chroniec. Brixiens. A/bert. Mussati, Hist. Aug.) Pertanto i documenti accennati dal sig. Gerini ci pongono in grado di dare con più precisione l’albero genealogico della casa Malaspina, da Corrado il vecchio sino all'ospite di Dante. P. S. Ci perviene in questo momento un Opuscolo da Milano, vertente sulla decantata canzone in morte di Arrigo VII, che si vor- rebbe dare piuttosto che a Dante e a Sennuccio a Cino da Pistoja, co- mecchè esule anch’esso seguace de’ghibellini, e che fu punto d’amore per una march. Malaspina.Peraltro, quando pure vi sia chi voglia cre- dere tanto da poco un poeta encomiato dall’Alighierie sopra ogni altro dal Petrarca, niuno per avventura vi sarà che possa applicare a Cino la circostanza di essersi volontariamente esentato dalla patria, per andar dietro a un signore capo di fazione, onde cercare di a cifen stare onore per ritornare a Pistoja con più rinomanza e in aa grandezza. Albero genealogico dei Marchesi Malaspina di Valdimagra , dei quali parla Dante Alighieri, ee ——=mne Anno 1124-1138 ALBERTO detto il MALASPINA abuepote di Oberto Conte del Palazzo sotto Ottone il Grande Ps SD 1141 GUGLIELMO »... 1141 OBIZO il Grande do po il 1186 11598 MOROELLO I. * 1203? 1169 OBICINO I sp. Giordana di Gu- 1180 n 21 Sp. peo di ca - VRVIII ANA rn - ì i ferrat i Monferrato, Poeta provenzale 1194 GUGLIELMO x» 1220 SO i gi ca march. nel To stonese e Monferrato * 2 ei — ZI n si 8 1220 OBICINO II, aut. de MM, di Fosdino- FORIO ae, e dopo il 1202. vo, che nel1442 enbero Massa e nel1473 Carrar. P è ; Mulazzo ec. i 1295 ALHEATO IT sp.l'iesca (®] lea D 3 Fiesco, linea di Filattiera ec. % 5 Da ® 1/) S- S 1310 NICCOLÒ det, È Qi 230 e; to il Marchesotto 4 3 RS bTTo >>. 7%? CIS E ‘1355 Opi 1355 1'$ So di d 5° cino IV di France-2,3 3% ah & cui fecel’al- schinoSI A 8 ©) >> bero .ilMac- detto il nd E. cioni Soldato SO 1940 FEDERICO sp. Agnese di Gugliel. march. del Bosco, 1248 MANFRE- 1260 MOROELLO ZI sp. Berlenda march. autore de'MM.di Villafranca, ++1266. DI x 1266. di Mulazzo + 1285 OBICINO III, sp. Tobra CORRADO il Giovine x MOKOELLO III BERNABÒ FRANCESCHINO I ospite Spinola »4+ 1301. sp.:Oretta +4 1294 8 sp. Alagia Fiesco Vescovo di di Dante 4 1320 Tr —_ ST i : E creduto ospite di Luninel1321 « n 1306 Moroello IV,Corradin., 1282 pina sp. in se- $ Dante Alighieri & + 1338 1326 GIO- MOKVELLOV Manfredi, Azzo e Giovanni conde nozze Giunfredo 5 dopo.il 1316. VANNI sp. aut. degli ultimi ffr. compresi nella concordia Capece di Sicilia. | Caterina di MM, di Mulazzo stipulata da Dante col Vesco- Castruccio 3% privilegiato da #. vo di Luni nel 1306. senzasuccess. Carlo 1V nel1355 a 22 Riflessioni sull’ applicazione ad alcune professioni liberali del principio di libertà adottato per le arti industriali , lette dal dott. Gruserpe Giusti nella seduta dei 7 gen- naio 1827 dell’I. e R. Accademia Economico-Agraria dei Georgofili. Il problema che un nostro accademico vi propose in una delle adunanze dell’anno scorso è veramente degno , come egli lo giudica , delle vostre riflessioni e dei vostri studi. Esso tende in sostanza ad esaminare se quei principj i quali determinarono l’abolizione delle corporazioni, delle privative e delle matricole riguardo alle arti ed alle pro- fessioni propriamente chiamate industriali concorrano nella loro pienezza anco relativamente ad alcune altre professioni, le quali, benchè di una natura per sè stessa diversa, e che si riferisce alle produzioni dette immateriali , possono avere tuttavolta non pochi punti di contatto e di somiglianza con quelle ; e segnatamente riguardo alle due professioni di causidico e di medico, per l' esercizio delle quali richie- desi attualmente un diploma o matricola. Non è mio oggetto il rispondere a quest’ appello col trattare la questione come si converrebbe alla sua impor- tanza sul ben essere sociale ; che il tempo e le forze egual. mente mi mancano a tanto. Emettendo alcune mie rifles- sioni, e specialmente applicandole alla professione che eser- cito, mi pregierò di aver fatto abbastanza , se mi sortirà di avere animato altri di voi ad approfondire pienamente il subietto proposto. Mi è necessario dichiarare prima di tutto ch’ io pro- fesso il principio della libertà relativamente alle arti in- dustriali, perchè non potrò mai concordare che in gene- rale l'industria in ceppi sia più della libera capace di slanci vigorosi e vivaci. Questo principio mi sia lecito presupporlo come incon- troverso , nòn per disprezzo di chi opinasse altrimenti, ma perchè la natura di un ragionamento accademico vuol ra- pidità , e la legge severa delle brevità necessita quelle sop- 23 pressioni le quali sarebbero un grave difetto nel più agiato cammino di un trattato scientifico. Quando si domanda se puossi pervenire jall’ esercizio di un arte 0 professione qualunque per altra via che per quella di una patente o matricola, non vuol dire che si domandi se vi si può pervenire senza avere acquistate le cognizioni necessarie ad esercitarla utilmente e convenien- temente al suo proprio oggetto. Una questione posta in que- sti termini si condannerebbe da sè medesima. Il problema sarebbe piuttosto questo. Vi è egli biso- gno per l’esercizio di una professione o di un arte de- terminata che sia conosciuta per antecedente la cognizio- ne che ne possiede colui che intende di dedicarvisi, o non ‘piuttosto potrà ella resultare senza inconveniente dal suc- cesso de’ primi saggi? Questo è il punto di vista sotto cui solamente, a pa- er mio, debbe riguardarsi la cosa. Imperocchè le matri- «cole non hanno veramente altra intenzione che quella di garantire i primi saggi, passati i quali l’opinione pubblica determina il premio della concorrenza fra gli ammessi me- desimi, tutte le volte che il numero non sia eccessivamente ristretto ; talchè vediamo sempre i più riputati oppressi dal numero delle ricerche alle quali non possono supplire per difetto di tempo, mentre altri all’opposto ne restano scar- seggianti., ed anche privi del tutto. Ora siccome tutte le restrizioni alla libertà devono ri- guardarsi come eccezioni, e perciò tenersi nei limiti della necessità , onde allora solo si adoprino che non possa farsi altrimenti senza incontrare di peggio; così nella disamina di ciascuna specie particolare e’si conviene vedere da pri- ma , non solamente se il temuto male si verifichi senza di quelle , ma eziandio se, verificandosi un male, sia quello abbastanza grave, o sia in ogni caso di facile o di difficil rimedio . Dico grave abbastanza, perocchè se un artefice farammi un vaso o un uterisile non adattato al mio uo- po, o non confacente al gusto o alla moda, mi cagio- nerà momentaneamente un dispiacere d’ assai poca entità al confronto del male che potrà cagionare uno speziale, il / 24 quale per effetto d’imperizia nell'arte sua porga al ma- lato un veleno in scambio del medicamento ordinatoli. È da osservarsi che non può farsi in ciascuna arte o professione egualmente visibile, almeno a principio, la pe- rizia che ne possegga colui che si presenta al pubblico co- me capace di esercitarla. Il primo quadro di un pittore fa fede per sè medesimo degli studii preparatori, delle vi- gilie e del genio del suo autore, ed è perciò inutile il domandarli altro conto del suo tirocinio : un cantante che si presenta la prima volta sulla scena, o è accettato dal pubblico per via dell’ applauso , oi fischi lo avvertono as- sai chiaramente ch’ei deve abbandonar la carriera , e cer- car pane in tutt'altro modo. Ma potrà egli dirsi lo stesso - del medico, i cui successi felici o contrarii possono dipen- dere dalla combinazione di cause ignote, le quali o ajuti- no, o attaversino irremediabilmente le sue operazioni? Que- gli esempii non possono in una gran parte dei casì esser portati come dimosfrazioni della sua dottrina , o della sua ignoranza . Giudicando il pubblico dai primi successi di un medico della cognizione che egli abbia acquistata pri. ma di agire, ei può dunque facilmente esser tratto in er- rore da una fallace apparenza , e rigettando colui che ve- ramente sia meritevole d’incoraggimento e conforto , ono- rare della sua approvazione chi non ha altro merito che la protezione opportuna di qualche stella benigna. E la prima approvazione cuoprirà per qualche tempo di un ve- lo i falli veri della sua imperizia, ch’ei si farà accorto per mascherare. E questo ci fa scorgere un’altra distinzione fra le pro- fessioni, vale a dire, che alcune sono suscettive di quel che chiamasi ciarlatanismo , altre nol sono, nè possono esserlo mai. Che se fra le prime vi son di quelle nelle quali il ciarlatanismo possa partorire gran mali, di quelle in spe- cie le quali imbattendosi per l’ordinario in uomini gover- nati da gran timori o da grandi speranze, sono sicure di ritrovare ovunque quella cieca credulità a cui queste forti passioni sogliono assoggettare ; ognuno converrà che 1’ ec- cezione alla regola sarà salutare, e il vincolo alla libertà 25 naturale potrà più propriamente chiamarsi raffrenamento della licenza, e la restrizione, tutela pubblica: La qual tutela quando sia veramente compresa fra quelle misure che sole possono renderla giusta ed efficace, si tro- verà giovevole a quelli pur anco che a prima vista par- rebbe doverne essere afflitti. Imperocchè la mancanza di essa abbandonando ogni individuo della società ai proprii lu- mi per una scelta alla quale questi lumi possono essere insufficienti , spargerebbe un allarme generale sui pericoli | dell’ errore, che ogni nuovo esempio dimostrerebbe fatale; e quest' allarme refluirebbe, per la general diffidenza, su- gli stessi buoni professori, i quali da un incredulità resa necessaria si troverebbero respinti ugualmente che i cat- tivi dai quali sarebbe tanto difficile il separarli. Ma la tutela, come ho detto di sopra , dovrebbe es- ser quella sola che all’efficacia congiunga la giustizia, vo- glio dir quella che dia veramente la garanzia che richie- desi, e sia scevra dagli abusi che agevolmente s’ intrudono anco negli stabilimenti i meglio ordinati. Postochè non può professarsi bene una scienza senza aver prima progressivamente imparate tutte quelle disci- pline che le fanno scala, e le servono di fondamento, vale a dire senza esservi regolarmente e adequatamente educati; convien dire che la condizione del tirocinio corrispondente al bisogno è imposta dalla natura stessa ; e perciò non è strano che la società domandi ad ogni candidato la prova dell’ adempimento per la sua parte di cotal condizione. E allora qual prova più chiara e più sodisfacente per tutti può immaginarsi, che la presentazione del candidato fat- ta dal collegio dei più reputati di quella scienza, di co- loro che si sono per lunga e probatissima vita guadagnati la vera fiducia di quella società stessa, davanti alla quale si fanno mallevadori delle qualità di colui, che dopo le prove tutte eseguite sotto i loro occhi hanno giudicato degno della iniziazione ? Invece di riguardarla come una privativa odiosa con- cessa come ad arbitrio in favore di uno ad esclusione di altri , deve questa ravvisarsi all’ opposto come una garan- 26 zia naturale e necessaria, che la società può esigere con giustizia qual condizione per meritare la sua fiducia. Tale infatti è lo stato nostro, e la ristrettezza delle facoltà no- stre naturali, che non ci permette di sperare di saper be- ne se non una cosa sola, e per questo ci è forza concedere la nostra stima sulla parola altrui nel massimo numero dei casì che ci occorrono, allorchè sono fuori della circonfe= renza delle cose che abbiamo potute approfondire da noi medesimi collo studio di tutta la vita. Nè soltanto colui che una educaZione trascurata ha posto fuor di stato di sa- pere giustamente nessuna cosa , ma eziandio l’ uomo dot- to, anzi 11 genio stesso perfezionatore di una data scienza, è costretto ad adottare senza esame o verificazione i teo- remi delle altre discipline, solo perchè attestati dal con- sentimento dei maestri di quelle ; che se altro fosse, la ne- cessità di rifar sempre da capo e i calcoli e le esperien- ze nelle scienze esatte, e quella pur anco di riscontrare i monumenti storici prima di credere all’ esistenza perfino di un Alessandro o di un Cesare , disperdendo per infiniti canali le acque dell’ingegno, ne impedirebbe il corso mae- stoso, che atterrando e traendo seco le resistenze dovea por- tarle lontano dalla sorgente. Questa necessità dando vita ad un pirronismo distruttore, fermerebbe per sempre i pro- gressi possibili dello spirito umano. Il voler togliere quella garanzia naturale è lo stesso che trasfondere in ogni individuo privato il peso di esami- nare e di giudicar da sè stesso la capacità dell’ uomo di scienza prima di determinare la sua fiducia ; obbligare a giudicar da sè stesso chi appunto è incapace di dar giu- dizio. Perchè io potessi , per esempio, conoscere da me medesimo quanta sia la perizia del medico che ho inten- zione di chiamare a curarmi, avrei bisogno di tanta co- gnizione della scienza medica, quanta mi basterebbe per far di meno di lui, medicandomi da me medesimo, E poi- chè il giudicar dagli eventi è fallace , e poichè erroneo egualmente può essere il giudizio di quei molti che man- chino della cognizione necessaria a tal uopo, l’uomo bi- sognoso dei soccorsi dell’arte salutare resterebbe, in forza 27 di questo sistema, abbandonato senza riparo alle astuzie di quei scaltri ciarlatani, l’arte dei quali consiste nel sapersi cattivare l’opinione del cieco volgo colla narrazione e coll’ apparenza di sognati prodigii. E il merito stesso sarebbe costretto a torre in prestito l’ arte ingannevole dei ciarla- tani per cattivarsi la stima altrui, affine di giungere per vie oblique là dove la via diretta non potrebbe condurre ; il che porterebbe la società intera a quella corruzione a cui si con- duce quando il merito stesso ha bisogno di studiare l’intri- go e l’impostura per salvarsi almeno dal diventarne la vittima. Potenti considerazioni possono dunque raccomandare in alcuni casi la deroga al principio generale dell’indefinita libertà ammesso nell’esercizio delle arti industriali, non come privativa, ma come garanzia del concorso nell’ esercente delle qualità necessarie per conseguir la fiducia. E il ra- . gionamento mi ha tratto ad appoggiarmi come per esempio sulla profession medica, perchè in quella pare che più pro- priamente e più manifestamente si verifichi l’utilità non che la necessità dell’ eccezione. Se poi vuolsi con essa paragonare la professione legale, la quale può riguardarsi come sorella della medica, per una certa somiglianza che par che abbia fra l’ una e l’altra ravvisata la legislazione positiva, quando ha determinato le forme edi requisiti per l’ ammissione al loro esercizio , non sarà difficile il ravvisare sotto qualche aspetto una diver- sità fra l’una e l’altra; la quale diversità potrebbe forse influire nella risoluzione del problema di cui ci occupiamo. L’ una e l’altra professione richiedono un’ educazio- ne preparata di buon’ ora colla progressiva cognizione di quelle discipline , le quali fra loro concatenate , e l'una all’ altra necessariamente succedentesi, formano come una scala per cui deve ascendere chi vuol pervenire al pos- sesso vero della facoltà cui quelle servono di fondamento. Per ciò quel passaggio per gradi e per classi nelle diverse scuole e nelle diverse accademie , quanto può sem- brare assurdo allorchè l’importanza sia riposta soltanto nel- l’ estrinseco del tempo impiegato , può riguardarsi all’ op- 28 posto come non dispregevole allorchè ‘dipenda principal mente e massimamente dalla certezza che uno è passato con onore per la trafila delle cognizioni preparatorie e fon- damentali. Mostra eziandio (e questo è molto ) la perseve- ranza della vocazione, e la persistenza nella carriera intra- presa. I gradi accademici sono una prova legale dell’ ordine tenuto negli studii ; oltre di che il bisogno di ottenerli pri- ma di passar oltre è una sicurezza dell'impegno di bene apprendere che accese costantemente l’animo dell’aspiran- te. Il requisito del tempo fra un grado e l’altro, invece di contribuire allo scopo, può talvolta piuttosto contrariarlo col raffreddare l’ ardore di apprender presto, attesa la necessità di soffermarsi ogni momento per aspettare di esser raggiunti da chi cammina più tarde.; ne può esser troppo buono a di- fendere l’importanza di questa prefissione di tempo, il biso- gno di lasciar formare intanto qualche maturità nell’alun- no destinato a professioni, che richiedono nell’ esercizio pra- tico, unita all’ingegno per concepire e alla dottrina per giu- dicare la prudenza anco per determinarsi nel modo più congruo di agire. Imperocchè, a fronte dell’inconveniente causato dal corso trattenuto a forza all’ingegno più veloce degli altri, non starà mai per contrapposto quest'altra pre- videnza , la quale anzi avrebbe per sè stessa l’ inconve- niente che sempre porta seco una tutela spinta oltre i li- miti del bisogno, la quale poi potrebbe riguardarsi come neppur necessaria, poichè il giudizio del pubblico invece di aver uopo di cotal freno, avrebbe anzi bisogno di un’in- citamento contrario ; conciosiacosachè pur troppo sono gli uomini restii ad accordare quella fiducia che richiedono pro- fessioni così gelose, prima di essere assicurati di quella ma- turità che credono essere principalmente, e forse anco esclu- sivamente, prodotta dagli anni. Qualunque però sia l’utilità che può concedersi alla prova richiesta di questa gradazione di studii , non deve dimenticarsi che questa prova non è altro in sostanza che un mezzo creduto il più acconcio per conseguire il fine del- l’ istruzione completa del candidato ; e perciò non dee que- sto esser a quello subordinato per modo da farne talvolta | | Bi, mancare il fine per la troppa importanza concessa al mezzo. Questo è lo scoglio in cui hanno urtato spesso i legisla- tori, per non avere avuto attenzione di riguardare il sog- getto per tutti i.lati ; i quali legislatori. perciò colpiti da un inconveniente che avevano unicamente in prospetto, sono spesso inciampati in altri inconvenienti di quello peggio- ri, che non avevano conosciuti, o non avevano apprezzati quanto dovevano. .Ammessa una volta l’importanza di un esame delle cognizioni del candidato avanti i giudici naturali e com- | petenti della sua scienza, questo solo può giungere ad ac- certare il possesso in lui di tutte le facoltà analoghe e che devono essere con la scienza principale congiunte. La so- lennità di questo giudizio può tener luogo di tutti gli an- tecedenti, perchè allora vi è la certezza del conseguimento del fine. Di questo solo può essere contenta la legge, la- sciando la libertà dei mezzi 3 la quale non potrebbe legar- si ; senza ineeppare il progresso dei lumi tendente sempre a perfezionare i metodi d’ insegnamento. Questi rilievi sono comuni alle due professioni di cui parliamo. Presuppongono anco la convenienza della preven- tiva ammissione: del candidato, e tendono solo a renderla semplice separando l'utile vero dall’utile puramente appa- rente. Resta a vedersi se quella ammissione che siamo in- clinati ad approvare per la professione del medico, conven- ga egualmente alla professione legale. Questa inspezione ci conduce. ad abbandonare le somiglianze, e passare alle differenze. che s’ incontrano fra l’una e l’altra. ‘ Le cognizioni delle quali deve esser fornito il medi- co appartengono tutte alla classe delle scienze fisiche e na- turali. Quelle che deve possedere l’ uomo di legge appar- tengono quasi tutte, e principalmente, alle scienze mora- li. Le altre, alle quali non può essere straniero, sono un adornamento dell’animo, il quale è tanto più pregievole in chi ne è provvisto, in quanto :che può contribuire più facilmente ed efficacemente. all’ incremento ed al perfea zionamento di queste.‘ Non sono!i libri legali; dice il giu- reconsulto filosofo, Beritham, quelli ne’quali ho trovato dei 30 È mezzi d’invenzione, e dei rhodelli di metodo, ma li ho tre* vati piuttosto nei libri di metafisica, di fisica, di storia naturale , e di medicina. Io era rimasto colpito leggendo qualche trattato moderno di questa scienza, dalla classi- ficazione dei mali e dei rimedii. Non potevasi trasportare l’ ordine medesimo nella legislazione ? Il corpo politico non poteva avere ancor esso la sua anatomia, la sua fisiologia, la sua nosologia, la sua materia medica ?-Quello che ho trovato nei Triboniani, nei Coccei, nei Blackstone , nei Vattel, nei Pothier, nei Domat è ben poca cosa. Hume, Elvezio, Linneo , Bergman ; Cullen, mi sono stati molto più utili,,. Questa sola distinzione è capace di produrre una di- versità sostanziale fra l’ una professione e 1’ altra , relati- vamente alla competenza per giudicare del valore di chi vuole abbracciarla. Il possesso delle scienze fisiche e naturali non può co- noscersi da tutti indistintamente. Richiede per necessità il riferisi all’ opinione delle persone che hanno coltivati que» gli stessi rami di cognizioni. Quello delle scienze morali può essere conosciuto da ognuno. La maestria di raccogliere le osservazioni sullo stato morale e sociale dell’ uomo , e.di presentarle all’ atten- zione altrui in modo che ognuno le riconosca come fatte mille volte da lui medesimo ; e quella poi di coordinarle di maniera che il loro nesso naturale e necesssario sia sen= tito nel momento medesimo che dimostrato: ecco quel che chiamasi perfezione della scienza sociale, non che della vera eloquenza ; la quale fa un tutto con lei, nella stessa guisa che la forma è di fatto in ogni corpo inseparabile dalla materia. Ora, come l’eloquenza è la presentazione delle verità riguardanti l’uomo morale e sociale; e il pregio di essa consiste nella rapidità con cui fa passare la persuasione da chi parla in chi ascolta ; e il suo fine è quello di persua& der tutti : così l’effetto di essa è la vera misura della sua forza ; e questa lo è della profondità dell'ingegno, e della ricchezza di coguizioni di chi sà adoprarla. Dal che ne | 31 segue: che dessa sola fa prova da sè , senza bisogno di un certificato d’ altrui, come appunto un bel quadro mostra da sè solo la maestria di un pittore, più che mille pa- tenti accademiche. Ed ecco la differenza massima fra la professione medica e la legale, per quel che riguarda la garanzia delle cogni- zioni acquistate dall’aspirante. Se per l’una può esser forse riguardato come congruo il derogare al principio della li- bertà illimitata, col sottoporre la permissione di esercitarla ad un esame preventivo dei pontefici della scienza ; per l’altra potrà più agevolmente credersi non necessario il de- viar dalla regola. I legislatori che le hanno su questo punto assimilate, non conoscevano ancora quel principio che la scienza le- gislativa ha scoperto in tempi più nostri, nei quali l’espe- rienza di tutti i secoli è stata chiamata a rassegna dalla voce del genio che l’ha resa fruttuosa per l’umanità. Parlo del principio della pubblicità, principio fecondissimo di ri- sultarsenti felici, e che vale esso solo quanto quelle grandi scoperte nelle scienze fisiche, che ne hanno interamente cangiata la faccia. Il medico è destinato a riparare ai mali fisici coi quali alla natura è piaciuto di accompagnare il dono che ci ha fatto dell’esistenza, e dei quali ia società, ammollendoci; ha in gran parte aumentati i pericoli. L’uomo di legge è il riparatore dei mali morali che sono venuti a framischiarsi coi beni prodotti dall’ umana associazione. L’ uno e l’al- tro hanno egualmente un incarico importantissimo per l’uma- na felicità. Ambedue sono debitori delle loro vigilie con- tinue all'adempimento della loro missione; ambedue hanno l’obbligo di fecondare l’esperienza dei loro maggiori e la loro propria : tutti devono cercare di aggiungere alle già conosciute nuove verità utili al ben esser generale. Per l’uno e per l’altro, la vera educazione, quella che dee farsi l’uomo da sè medesimo, comincia appunto dopo ter- minata l’ educazione scolastica , e dee finir con la vita. Per ambedue le prove che hanno determinato quell’ am- missione che li ha posti sulla scena del mondo sono al più 32 un attestato che in loroè la cognizione positiva della scien- za, al punto in cui è stata fino a_ quel momento portata dagli studii di chi gli ha preceduti; ma questa cognizione non serve ad altro che a segnare il punto della partenza. Il genio, e la passione costante pel pubblico bene, devono guidare nel cammino ch’è da percorrersi, ed il punto a . cui può arrivarsi non è dato all’uomo di prevedere. Questa considerazione porta a desiderare cheil più pos- sibile allarghisi la carriera, che la massima concorrenza sproni l’emulazione degli animi generosi anelanti di co- glier la palma, che sia remosso ogni impedimento capace di trattenere il corso all’ ingegno umano , le cui forze so- no per sè stesse incommensurabili. Quindi per quella massimamente delle due professioni che può avere più direttamente per giudice il pubblico , non è strano che su lui si riposi, quando veramente ab- biasi cura di farlo un giudice legale per mezzo della vera ed intera pubblicità stabilita per sistema e per instituzio= ne fondamentale. In fatti l’uomo di legge può dirsi un vero nomo pub- blico. Nella magistratura dee far trionfare la giustizia so- pra le cabale di ogni specie: nei consigli dee studiare sui mali del corpo politico, ed additarne i rimedii » nel foro deve reclamare le garanzie individuali, sostenere il debole contro il potente, resistere con ogni sua facoltà a qualun- que genere d’oppressione, forzare i magistrati ad esser giu» sti, finchè può rendere la voce della coscienza più forte di quella delle passioni ; e quando non può ottenere questa vittoria dee rendere almeno l’ingiustizia così evidente agli occhi d’ ognuno , che ella abbia a vergognarsi di sè me- desima. Questo altissimo oggetto richiede , che la professione dell’uomo di legge sia munita di tutta la protezione so- ciale che le assicuri una vera e completa indipendenza , sotto l’ usbergo della quale possa ripararsi dai colpi della prepotenza sempre vendicativa, ch’egli è destinato a com- battere senza riguardo egualmentechè senza riposo. Or l’esaminare quanto le legislazioni veglianti presso le diverse nazioni civilizzate siano atte a favorire anzi che ‘proprie piuttosto a contfariare questo salutevole oggetto , sarebbe un assunto, per quanto utile, troppo vasto in un lavoro accademico. lo mi ristringo ad accennare alcune idee, serbandone ‘lo svilupp» ad altra occasione. La manìa di regolamentare, dalla quale sono stati in- | ‘vasati i legislatori di una certa età, li ha spinti, non so- lamente a classare le professioni, ma anche a suddividere forzatamente le classi medesime secondo la piccolezza delle proprie vedute. A questa penosa dissecazione dovè soggia- cere anco l’ arte del Causidico , la quale si trovò spartita in due, in quella cioè d’avvocato, e in quella di procura- ‘tore; delle quali di più alcune legislazioni hanno avuto ‘premura di decretare espressamente l’ incompatibilità. Di questa suddivisione forzata, non può allegarsi ra- gione alcuna che appaghi l’ intelletto; anzi ogni ragione naturale vi è contraria. Imperocchè se il ministero dell’uo- mo di legge consiste nel presentare alla giustizia le ragioni di chi manca di lumi per dimostrarla da sè , la spartizio- me di quest'incarico fra due professioni non può che nuo- ‘cere all'insieme ed al piano della difesa. Quindi alcuni scrittori più avveduti hanno in varii tem- pi avvertita la convenienza della riunione di queste \lue parti della professione legale; molti governi l’hanno adot- tata con vantaggio della giustizia (1); e in altri luoghi, ove la separazione sussiste , l’opinione è stata sempre pronta a dimenticarla ogni volta che si è avveduta che le cogni- ‘zioni personali dell’uomo potevano autorizzarlo a riunire | vin sè l’assunto intero d’una difesa (2). Una suddivisione di questa fatta, contraria ad ogni buona | regola, non produrrà mai altro resultato che quello di po- | “polare soprabbondantemente la curia di persone, le quali, ‘se fossero forzate a contentarsi di funzioni subalterne, avreb- ‘bero interesse di rendere più inestricabile il laberinto delle procedure, e ciò , come si vede, non tanto per la neces- sità di vivere del mestiero, quanto ancora per l’incapacità di servir meglio in altra guisa i clienti ; mentre all’ op- | posto la riunione a cui tende l’ andamento naturale delle | T. XXV. Zebbraio. 3 34 cose, necessitando tutti senza distinzione ad aver la scienza del diritto in ogni sua estensione, allontanerebbe gl’ im- meritevoli da una concorrenza che non potrebbero soste- nere. Comune è il lamento che i curiali son troppi : al lamento si può rispondere che i buoni anzi son troppo po- chi (3). il lamento del troppo numero dei curiali snol essere accompagnato sempre dal voto che questo numero sia con qualche disposizione positiva ristretto e determinato, E ciò è stato fatto sovente in diversi tempi e in diversi stati. Ma anco su questo punto credo che le idee debbano essere rettificate. Quando si lascia libero il corso naturale delle cose , il numero di coloro che si dedicano ad un arte o profes- sione si livella da sè medesimo al bisogno della società , e cresce o decresce con esso. Garante di questa continua li- vellazione è la tassa dei salarii, la quale, quando è libera, e non determinata da tariffe, alza e si abbassa nella pro . porzione della quantità delle offerte a quelle delle richie- ste, ed ha il minimo naturale nell’indennizzazione della spesa necessaria dell’operajo, compresa quella del suo man- tenimento, e dell’ anticipazione fatta per la sua educazio- ne a quell’ arte. Ogni ordinamento arbitrario non può far altro che guastare quest’armonia naturale, Se si volesse fare a spese pubbliche il tirocinio d’un arte meccanica particolare, questa facilità produrrebbe una soprabbondanza d’individui che correrebbero ad imparare quell’ arte, abbandonando il pensiero delle altre, l’appa- ramento delle quali fosse più costoso ; e questo sopracca- rico della società sarebbe dannoso ad essa non solo, ma anche agli individui, perchè il numero esorbitante dei con- correnti diminuendo per sè stesso i salarii, l’arte che vor- rebbesi favorire decaderebbe per l'abbassamento dei sala- rii oltre il minimo possibile, nè potrebbe essere un poco sorretta, se non da un’altra ingiustizia contro la società , da quella cioè che volesse bilanciare questo male con un male opposto , vale a dire con quello di tenere altii sa- larii di quegli operaii con una tariffa legale. 35 Questo è quello appunto che è successo nella profes- sione legale. I posti gratuiti di studio per chi ad essa vuol destinarsi producono quest’ effetto in tutta la sua estensio- ne, moltiplicando di troppo i legali di mestiero; e la ta- riffa dei loro onorarii è il compenso per sostenerli, come lo è per impedire l'abuso in quei casi nei quali il numero di essi essendo determinato per legge, costituisce una spe- cie di privativa a loro favore, la quale si sforza d’attribuire ad un piccol numero la difesa delle fortune, dell’onore, e della vita di tutto il resto dei cittadini. Il soggetto mi condurrebbe a parlare dei sistemi d’in- segnamento preparatorio alla professione legale, ed a mo- strare la sua influenza nel buono o cattivo esercizio di que- sta professione; come pure resterebbe a vedersi quali insti- tuzioni potrebbero sostituirsi alle vigenti per ottener me- glio l'intento che si son esse proposte. Ma tal materia ri- chiede una certa estensione, ed io che troppo ho abusato” fin qui dei vostri preziosi momenti, riserberò ad altra oc- casione il sottoporvi le altre mie riflessioni sopra quest’ar- gomento. Resta solamente stabilito per ora con questo mio di- scorso, che un esame preventivo , e per conseguenza una licenza o matricola, devono essere necessariamente adot= tati come facienti condizione all’esercizio pratico delle pro- fessioni appartenenti alle scienze mediche : e che al con- trario il sistema della libera concorrenza può essere appli- cato senza inconveniente alla professione che si chiama legale , quando nello stesso tempo tutti gli altri legami di- sciolgansi impeditivi del buuno effetto, ed ottime institu- . zioni giudiciarie, delle quali parlerò in altra occasione , conspirino ad appianare la strada che dee portare la so- cietà verso il suo graduale perfezionamento. (1) In un libretto stampato nel1679 colla data di Colonia, che ha per titolo Traité de la politique de la France par M. P. H. Mar- quis de C., tra altre riforme degne di considerazione, sì propone que- sta riunione in una sola delle due professioni di avvocato e di procu- ratore. In altro opuscoletto, stampato a Milano nel 1766, intitolata 36 3 Delle leggi civili reali, si dice che la soverchia continuazione delle liti nasce dall’inutile duplicazione forzata dei difensori. In Prussia la riforma fu effettuata sotto Federigo il grande coll’ unione dei due ceti in uno solo, i componenti il quale furono indistintamente desi- gnati col titolo di avvocati; e quest’esempio fu generalmente imitato in Germania. Lo adotta come il migliore il Barbacovi nel suo pro- getto di un nuovo codice giudiciario; ed ora che in alcuni stati tede- schi, e specialmente nella Baviera, lo spirito pubblico è diretto con una grandissima attività a proporre al governo tutte le utili riforme in qualanque ramo di amministrazione pubblica, mi serive un Giu- reconsulto bavaro mio amico, da me espressamente consultato , che non è mai venuto in fantasia a nessuno di proporre il ristabilimento di un ceto di procuratori distinto da quello degli avvocati. La riunione dei due ceti, eseguita in Prassia, fu generalmente approvata. Il barone di Bielf:ld pubblicista tedesco di second’ordine è il solo che vi abbia trovato da ridire. È singolare la ragione che ne adduce nelle sue instituzioni politiche. Egli dice che non è oc- cupazione degna di un avvocato il perdere il tempo nelle minute sot- tigliezze della procedura. Un ta mestiero, soggiunge, non è fatto per un Patrù; il che pare che secondo lui sia lo stesso che dire che l’elo- quenza e la procedura sono incompatibili. Ma questo è un prendere l’abuso della cosa per la cosa stessa. Che cosa è la procedura ? Essa non è altro in sostanza che l’arte di somministrare le prove che de- vono porre il giudice sulla strada della giustizia. Così la definisce il Giureconsulto filosofo Bentham, Se l'ignoranza dei legislatori per una parte, e il cavillo e la mala fede per l’altra, l’ hanno ridotta un arte assurda e nociva alla giustizia e ai litiganti medesimi, ed utile unicamente a quella classe della società che ne fa il suo profitto, nes- suno sosterrà mai che quest’arte non sia indegna di chi vuol percor- rere con lode la carriera forense. Ma non è così della procedura rav- visata nelsuo vero senso, e secondo la vera sua definizione data di so- pra. Essa richiede la cognizione perfetta della teoria delle prove , e del calcolo delle probabilità giudiciarie, l’abituazione della mente ad una logica vigorosa , la cognizione profonda di tutti i ripieghi del cuore umano , tutte infine le ricchezze intellettuali. che produce lo studio della filosofia morale congiunte con una attività di spirito as- solatamente inventrice. Si tratta di tirar su la verità dal pozzo ove l’ha gettata l’iniquità, e di presentarla agli occhi del mondo circon- data dal suo puro splendore. Questa è l’arte a cui si formarono con tanta perseveranza di studio gli antichi oratori , così grandi, e così divini nella presentazione, nella concatenazione, e nello sviluppo dei fatti, che si lascian tuttora indietro , ed in una lontananza immensa za 4 È i LI p! i 37 tatti gli oratori giudiciarii moderni. Questa è l’arte di cui det: con- tinuamente e precetti ed esempii il gran Tullio. Sopra quest’ unico argomento si aggira il suo libro dell’invenzione rettorica. Quest’arte egli esaltava sopra tutte le altre, perchè la giudicava necessariamen- te comprensiva di tutte le cognizioni umane, nel tempo che riguarda- va come tenue la scienza del puro giureconsulto limitata a spiegare il senso delle leggi. Vedasi la sua orazione a favor di Murena. Infatti presso i roinani occupavano nell’ opinione pubblica il primo posto i patroni, che così chiamavansi gli oratori, iquali soli trattavano le cau- se: nel tempo che coloro che chiamavansi allora avvocati,o prestavano ai litiganti la loro presenza muta, o si limitavano a dare ai patroni i materiali di dritto, dei quali quelli facevano poi l’uso che credevano proprio nell’aringare. ‘ Qui defendit alterum in judicio, (dice Asco- »» nio Pediano ) aut patronus dicitur, si ora/or est, aut advocatus, »» si jus suggerit aut presentiam commodat amico ,,. L'invenzione, la scelta, e Ja disposizione delle prove di fatto era allora provincia degli oratori, e s'imparava alla scuola dei retori, non a quella dei giureconsaulti.Anco il Cuiacio, pieno com'era delle cose antiche, pro- fessò la stessa maniera di pensare. Caetera autem quae de proba- tionibus dici possunt (si legge nelle sue recitazioni solenni al tit. del dig.de probat. et praesumpt.) petenda a rethoribus non iureconsultis, nam in facto consistunt ,,. Il riguardare il buono per una parte, ed il vizioso per l’altra, per farne il paragone, non può portare che al falso. Chi dicesse che la ricerca delle così dette doterine negli scritti di quegli autori che nel foro nostro si chiamano Sardoni, per impregnarne poi le allegazioni forensi, ricerca alla quale si destinano gli apprendisti dell'avvocatura fra noi, e quel non poter prender lena fino al ritrovamento di una vacca rossa ossia autorità in termini terminanti, non è il tirocinio che ci possa dare non dirò un Cicerone o un Demostene, ma neppure un giureconsulto ragionatore, direbbe una gran verità : ma non po- trebbe permettersi di valersene per avvilire in generale l'avvocatura moderna. Eppure non sarebbe questo che un rovesciar l'argomento del sig. Bielfeld. Tutte le rivalità odiose di mestiero svaniscono nel sistema del- l’abolizione d’ogni divisione legale e forzata. La divisione fra i colti- vatori delle varie parti di una scienza deve formarsi naturalmente e liberamente dalla scelta che ognuno fa del genere a cui si crede più proprio. Le scienze poi, non ammettono senza modifica- zioni sostanziali loro proprie, la divisione dei lavori che contri - . buisce alla perfezione delle manifatture meccaniche. La perfezione di quelle nasce anzi dal loro innesto. Meglio le coltiva chi più vi 38 porta di cognizioni straniere. La riunione di talenti che il volgo cre- de disparati è sovente quel che dà loro forza maggiore. Lo spirito degli affari, per esempio, e l’arte di saperli condurre, anzi che nuo- cere, giovano alla vera eloquenza giudiciaria. Prendiamone un esem> pio sensibile dall’eloquenza politica. Gli oratori più grandi di Grecia e di Roma erano uomini di stato e ministri di quelle repubbliche, oc- cupatissimi sempre negli affari più importanti e più delicati. Quan- do Cicerone atterrì Catilina in senato, pensiamo noi che avesse con- sumata la notte a comporre e limare la sua orazione? Egli avea ve- gliato a scuoprire e deludere le trame dei congiurati, e disporre in Roma e nelle Provincie forze sufficienti per rovesciare i loro tenta- tivi. La sua parlata fu l'esplosione spontanea di un'anima veramente piena del soggetto, e per questo fu così grande, e di un effetto così portentoso. (2) In Francia il ministero di procuratore era anticamente con- giunto con quello di avvocato. D'Olive Questions notables lib. 1 cap. 36; in progresso ne fu distaccato: oggi gli voués (officiali inca ricati unicamente di rappresentar le parti, di ritenere in deposito i documenti, di fare gli atti di forma necessarii per la regolarità della procedura ) sono una cusa distinta dagli avvocati nei tribunali di prima istanza, e nelle corti d'appello, ma gli avvocati alla corte di cassazione e al consiglio delle prede hanno anco la facoltà di attitare; tanto è vero che la separazione o la’ congiunzione sono riguardate dai legislatori medesimi come cose arbitrarie. Nell’opinione pubblica vi può esser però colà una gradazione di stima fra gli avvocati e gli avoués, fondata sulla diversità dei requisiti necessarii all'ammissione degli uni e degli altri; ma nei paesi nei quali ( come è quasi general- mente in Italia), gli uni e gli altri sono educati alle stesse scuole, pro-. cedono di pari passo nelle università, sono insigniti della stessa lau- rea dottorale, devon fare in somma lo stesso tirocinio, e, quel che è più, tutti possono egualmente essere incaricati della difesa della cau- sa in dritto, non è meraviglia che la stima del pubblico si determini in proporzione del merito individuale di ciascuno , senza riguardo alla classe cui appartiene , e che la fiducia dei clienti, interessati per economia a non moltiplicar enti senza necessità, si riposi tutta sopra quei procuratori che mostrano riunire le cognizioni necessarie per adempire l’uno, e l’altro incarico, quello cioè di agire e di spiegare le ragioni per cui agiscono, piuttosto che sopra gli avvocati, i quali, quantunque capaci di fare, ne sono impediti dalla legge. In Roma era così fino dal tempo del card. De Luca, come può vedersi dalla sua relazione della Curia Romana ; ed il Muratori nei Difetti della giurisprudenza scriveva che anco allora in varie curie i procuratori 39 e gli avvocati, erano confusi, facendo gli stessi procuratori l'uno e l'altro ec. Si legga anco il dialogo de procuratoribus fra le operette postune del celebre nostro aud. Francesco Rossi. Visi troverà che nelle illustri curie i patroni delle cause (del qual titolo, piuttosto che di quello di procuratore, l’ autore crede meritevoli coloro che riuniscono in sè tatte le cognizioni della scienza forense) non differi- scono in guisa alcuna dagli avvocati, e sono comunemente collo stesso nome indicati : che nei rescritti dei Cesari sono chiamati tutti indistintamente ora patroni, ora causidici ed ora avvocati, e tutti so- no sottoposti ai doveri medesimi ; che in Firenze finchè fiorì la re- pubblic«, tutti i dottori di legge rispondevano in dritto, trattavano le cause , ed esercitavano |’ officio di procaratore e, di avvocato ; e che non si trovano avvocati se non sotto il principato; che finatmen- mente il vero titolo produttore del dritto ad entrambi cavrtune è quello che nasce dal privilegio dottorale in cui leggesi; Ut ille nimi- rum ubique gentium juris sententias exponere, interpretari, consi- lia edere, doceri, respondere ac judicare possit. (3) Volete voi diminuire il numero dei causidici ? Rendete il loro mestiero più difficile. Quando si vuol favorire la mediocrità si favorisce il gran numero. In qualunque arte l’eccellenza è il privile- gio di pochi; è una privativa concessa dalla natura. I regolamenti di molte curie sembrano fatti apposta per soccorrere la mediocrità. Par - liamo solamente d’uno, di quello cioè che ha fissato la tariffa degli onorarii. Le tariffe sono tutte basate necessariamente sull'estensione, non sulla bontà del lavoro. Sembrano fatte apposta perchè vi sia sem- pre lavoro molto e cattivo. Avremmo potuto aver mai dei capi d'opera di pittura, se una tariffa avesse obbligatamente determinato il prezzo dei quadri in proporzione della loro dimensione? «Saggio filosofico sopra la scuola dei moderni filosofi natu- ralisti , coll’ analisi dell’ organologia, della craniologia, della fisiognomonia , della psicologia comparata, e con una teoria delle idee e de’ sentimenti. Del P. Barpas- saRrE Porr. Volume unico. Milano, tip. Sonzogno 1827. I. Egli è ben raro che un errore passi infecondo di verità alle generazioni venture. Talvolta, nel giudicare delle cose corporee , l’ uomo attenendosi all’ esteriori apparenze , pi- glia a dirittura il contrario di quel ch’ è veramente: ma (6) tia di questo caso, (nel qual potrebbesi nondimeno tro-. vare una lontana ma sublime conferma a quel che dicem- mo), ogni errore s'appoggia' a qualche verità traveduta , male applicata , sconnessa dal gran corpo de’ veri , cioè — dal grand’ordine intellettuale , in cui ogni anello è parte insolubile d’una lunga catena. Chi definisse l’ errore una verità riguardata da un solo lato, non direbbe un assurdo, La nuda falsità, ch'è una cosa stessa col nulla, non può invaghire di sè l’attenzione; non può esserne, nè manco, subbietto : e il significato primo del vocabolo errore ch'al, tro non suona che deviazione sembra anch’ esso comprovar questo vero. Adunque , in ogni erronea teoria filosofica che ne pre- cedette , potrebbesi dimostrare nascosto il germe delle ve- rità che col tempo si vennero sviluppando. Nell’abiuso delle astrazioni era indicata la loro necessità; come nell’ abuso delle osservazioni di fatto è indicata la importanza del fondare sui fatti, e sul sentimento (ch’è il primo de’fatti ch’ è il regolo di tutti i fatti ) 1 umana filosofia. Tutti i ragionamenti alla fin fine s° appuntano nel sentimento ; e i filosofi primi vollero spiegare per forza di ragionamenti il sentimento medesimo: tutto il mondo esteriore fa spec- chio di sè il sentimento;e i filosofi novelli conchiusero che lo specchio ha una natura; un’ essenza medesima con gli oggetti che ci si veniano a ritrarre. Ma il frutto raccolto dalle recenti teorie , non foss’ altro, sarebbe grandissimo, perciò appunto che c’insegnò ad apprezzare vie meglio ogni specie di fatti, e a non fondare teorie sopra fatti non ben conosciuti . Perch’ allora , foss’ anche la dottrina astratta infallibile in sè , l’ applicazione ne scenderebbe tortissima, cadendo su cosa, di cui la mente non ha chiara idea. La minore del sillogismo sarebbe sbagliata; 0, a dir meglio, sa- rebbe (cosa singolare!) un sillogismo in cui la minore si salta a piè pari. Il. L'uomo ama l’unità nell'errore istesso: la prima verità che gli balza sott’ occhio diventa il centro di tutte l’ altre per lui: o sia l’amore della novità , o sia l’amor dell’inerzia, o sia lo sdegno del vedere dagli uomini che 4I lo precedettero disprezzata quella verità ‘che a lui brilla sì viva, o sien tutte insieme queste tre cause, l’uomo si compiace di considerar tutto il mondo della scienza dal punto in cui egli s'è collocato, o dal punto in cui si tro- va caduto. Il pieno de’fatti sarebbe troppo lungo a discor- rere accuratamente : a lui basta che alcuni di quelli con- cordino in parte col suo pensiero, quasichè l’armonia par- ziale non possa talvolta esser vero disordine, se si voglia trasportare al gran tutto. Ciò fecero massimamente i filo- sofi naturalisti; le cui dottrine il sig. prof. Poli prende a discutere e a rifutare: benefico servigio renduto alle lettere nostre , digiune quasi al tutto persin di quella filosofia che potrebbesi dire di tradizione. D’una storia de’pensieri altrui, i primi pregi sono la rettitudine e la chiarezza ; e questi sono i primi pregi del libro che con riconoscenza an- nunciamo. In un trattatello all’ultimo, l’A. espone le idee sue proprie; e di questo diremo altra volta : or ne giova fermarci sul principio de’ filosofi naturalisti, de’ quali ge- neralmente parlando , verremo anco a dire quel che a noi pare che debba estimarsi de’ vari sistemi di craniologia , organologia , psicologia comparata ; che , in quanto sono sistemi, convengono, almeno indirettamente , nel fine con la scuola de’ filosofi naturalisti; in quanto son parti dello studio filosofico, subordinate a principii più nobili, tanto son a credere necessarie , quanto finora ingiustamente neglette. Noi recheremo pertanto nella lor piena forza le vec- chie obbiezioni, e l’esporle così , darà luogo a qualche con- seguenza non nuova, ma degna d’ essere in nuova luce ri- posta. Sono pensieri che debbono risvegliare de’pensieri più gravi: non sono novità, ma desiderii di fissare con nuova precisione diverse idee molto vecchie, III. Le prove pertanto di coloro che vorrebbero attri- buite a’ corpi tutte o parte di quelle facoltà che si fanno proprie allo spirito, son dedotte dalla genesi delle idee; dal- l'arcano modo per cui lo spirito comunica al corpo ; dalla forza dell’imaginazione che mescola in tutte le cose più astrat- te non so che di corporeo; dal molto involontario ch’è spesso 42 nella facoltà del pensiero; dall’ ignoranza nostra di ciò che sia veramente essenza del corpo; dall’onnipotenza di Dio. ‘< Le nostre idee, dicon essi, (e que’ che sostengono l’opinione contraria avranno la sofferenza di attendere la risposta alcun poco ), le nostre idee vengon tutte per la strada de’ sensi, inquantochè quelle istesse che meno paio- no tener del corporeo, non sarebbero in noi, se non fos- sero già l’idee degli oggetti corporei. Or perchè cosiffatta dipendenza ? Lo spirito ha pur bisogno delle impressioni materiali, per compiere le sue operazioni, per crescere nel suo sviluppamento , diremo ancor più, per sentire sè stes- so : poichè le sensazioni son desse che svegliano questa co- scienza che dicesi l’ Jo, e di cui fanno.tanta pompa i fi- losofi metafisici. Se dunque lo spirito non può sentire ch'è spirito , senza aver prima lungamente sentita 1’ esistenza de’ corpi, se questa è la via naturale, necessaria delle sue operazioni, che cosa è dunque lo spirito? ,,. ‘* Lasciamo stare , proseguono , la dipendenza conti- nua ch’ha nelle sue operazioni lo spirito dalle cose este- riori e dal suo proprio corpo. La cosa è nota, evidente. Solo dimandiamo in passando: che ha di comune il corpo con lo spirito, da sentirne così profondamente gl’ influssi ? “ Ci ha più. L’ esterne impressioni trapassano all’ani- ma. E come trapassano ? Come comunica un corpo con uno spirito? Una fibra con l’anima ? un’oscillazione con un sen- timento? Noi vorremo sapere, se tra le fibre del cervello e l’ anima ci sia, nella loro reciproca comunicazione, alcun salto da fare ; e come avvenga che il moto di quelle fibre sia necessario all’anima per esercitare una potenza essen- zialmente diversa dall’ azione di quelle medesime fibre ,,. « Si ha un bel dire, incalzano ancora, che l’idea dello spirito non potrebbe esistere senza lo spirito, che !e idee astratte tutte non possono tener nulla del corporeo e del crasso ; e simili cose. Ma che è ella un’ idea astratta? Si può ella concepire veramente un'idea astratta, cioè senza nessuno particolare oggetto a cui riferirla? E in ogni idea non è sempre un’imagine , più o men lontana, più o meno È 43 evidente? E un’imagine”non ha sempre alcun che di cor- poreo ? Pensando all’ idea astratta, non penso io nel mede- simo tempo alla parola che la indica, e nella parola, non c’ è forse (lasciando anche ogni altra associazione ) non c’ è di materiale quel suono ch’ io le do pronunciandola, suono di cui l’idea è sempre insolubilmente connessa alla parola medesima, sebbene non paia? ,,. . Continuano ancora :- * Le operazioni dell’intelletto, se- condo voi altri, sono strettamente legate con quelle della volontà: l’attenzione necessaria a quelle non è che un atto di questa. Or che è l’attenzione? È ella libera assoluta- mente? E se assolutamente , perchè non sempre? E se non sempre , che è che le oppon resistenza ? Perchè alle mie idee si attraversa una che tutte le scompiglia, e talor le cancella per alcun tempo? Perchè la distrazione ? Perchè l’oblivione ? Perchè il bisogno di porsi rispetto alle cose sensibili in modo che l’ anima non ne riceva impressioni perturbatrici? E questo medesimo desiderio dell’ attenzio- ne, non è egli talvolta soggetto all’ impero de’ sensi? Con tutta la buona volontà di raccogliersi , il pensiero non è egli sovente strascinato alle imagini che men vorrebbe? ,, All’ultimo : Sappiam noi l'essenza di quello intor- no a che disputiamo? Il corpo , si dice , ha parti ; e lo spi- rito no. Ma è ella questa un’ essenzà o una qualità del corpo, un’essenza od una qualità dello spirito? Chi è che cel dice? In un pezzo di materia , a noi sembra impossi- bile la facoltà di pensare : e parrà più possibile in un non so che, che non possiamo imaginare , se non come esisten- te nello spazio, cioè come materia? poichè la nostra ima- ginazione non sa dare che imagini. Noi crediamo le fibre del cerebro, quali il nostr’occhio le vede, aiutato da un microscopio: ma la infinita divisibilità della materia, e per conseguente la sua variabilissima modificabilità , sappiam noi a che possa condurre? Toglierem noi a Dio il potere di far che un Ente creato da lui comechesia , pensi e sen- ta? O mostri almen di pensare? Come Dio ha create le be- stie per nostr’uso, non potrebb’ egli averci creati noi, per diletto d’un’altra specie di creature migliori? ,, 44 IV. Noi vedremo fra breve, come nella essenza e nella: deduzione di tutti i predetti ragionamenti s’asconda un equi- voco di parole, dal quale essi acquistano certa apparenza: d’accettabilità che contenta i più docili tra gli amatori di tutto ciò che par nuovo. Or giova proporre una soluzione, direi quasi, centrale di tutte insieme quelle difficoltà: nè col prendere questa via, noi crediamo scostarci dal ragio- nare del Poli ; ma dichiarando le sue idee ed aggiungendo ciò che a noi parve mancare alla piena loro evidenza, cre- diamo far cosa onorevole a lui, e forse non inutile a ta- lun de’lettori. La più comune risposta che a’materialisti s’opponga, è l’addurre per prova della spiritualità la coscienza, cioè l’essere l’uomo consapevole a sè di ciò che'avvien dentro a lui. Ma potrebbero gli avversari rispondere: questa co- scienza che non possiam definire , non potrebb’ ella essere una reazione delle esterne impressioni ? Siffatta dimanda condurrebbe alla necessità di provare , che ci ha un sen- timento nell’uomo anteriore ad ogni esterna sensazione, ma tale dimostrazione richiede argomenti troppo lontani dalle comuni idee, troppo lunghi, e però non direttamente con- ducevoli al nostro fine. Prendiam la cosa da un lato più semplice. V. L’uomo nella sensazione è passivo: gli esterni oggetti operano sulle sue fibre, e le movono: supponiain , che le fibre nostre commovano dell’altre fibre ; e così all’infinito, se vuolsi: niente in questi movimenti sarà, che non sia pie- namente passivo. Supposta anche in alcune fibre una rea- zione al moto d’alcune altre fibre , anche questa reazione ( sebbene il vocabolo suoni altro che passività ) non potrà riguardarsi che come passiva, Ora io sento in me qualche cosa di più ; sento una forza d’ azione ; la esercito molte volte a mio senno; contrasto con essa all’ impulso dell’e- sterne impressioni , all’ impulso persin delle interne. La stessa attenzione che rende l’ anima atta a ricevere con più di forza le impressioni esterne, la stessa attenzione è un’at- tività, che non può, che non deve confondersi colla im- pressione del senso. Se codest’attenzione talvolta è indebo- 45 lita o stornata involontariamente , questo caso , foss’anche | più frequente assai di quel’ch’è, mi dimostra una lotta, mi dimostra due forze contrarie. ‘La forza pertanto d’azione, nell’ anima, è un fatto: un fatto indubitabile come qualunque impressione de’ sensi, un fatto inconciliabile con la natura del corpo, quale è cognita a noi. Perchè il corpo non si move da sè: mosso da altri, se- gue leggi invariabili, per cui non può soffermarsi nel cor- so, non può raffrettarlo , non allentarlo , senza una forza che a ciò lo costringa e lo inciti. Il mondo corporeo non ha eccezioni alle leggi generali del moto; nel mondo intel- lettuale , la forza dell’ attività varia sempre (1). Se si opponesse, non essere impossibile a Dio la» crea- zione di corpi operanti da sè , saria facile il rispondere, che codesti nuovi corpi sarebbero essenzialmente diversi dai nostri ; cioè non sarebbon più corpi. Anche quì la questio- ne riducesi a un gioco misero di parole. Non si tratta già di sapere , se un’ anima, chiamata corpo da voi, possa avere gli attributi dell'anima : ma se tutte le idee che noi com- prendiamo sotto il vocabolo anima , siano o no inconci- liabili con le idee che abbracciamo sotto l’altro di corpo. Non vale qui farsi scudo dell’umana ignoranza: si tratta di (1) Si potrebbe abusare dei priucipii di Kant sopra la libertà per di- fendere il materialismo: tanto è vero che gli estremi si toccano. Ma la lotta interiore della volontà sarebbe sempre cosa inesplicabile co” meccanici moti. Le lunghe battaglie, a cagion d'esempio , della virtà con l’amore, ove non fossero che oscillazione di fibre, distruggerebbero 1’ uomo. Si ha un belri- correre all’ onnipotenza , e gridare: non potrà Dio far le molle dell’ uomo indestrattibili a certe violente agitazioni interiori 2? — E perchè dunque sarebber elle destruttibili a certe esterne agitazioni, violente assai meno ? Nel sistema de” materialisti convien sempre supporre una materia indipendente al tutto dalle leggi della materia, convien sempre ricorrere ad un ragionamento , simile affatto al seguente: — Chi vorrà torre a Dio la potenza di far che il ghiac- cio sia fuoco? — La risposta è ben facile. Se, quando voi dite fuoco, in- tendete ghiaccio , io concedo che Dio può far ghiaccio del fuoco. Se quando dite materia , intendete una natura diversa affatto dalla materia che voi co- noscete , la questione non è più ia sede certa, e noi coutenderem d’ un pos: sibile che ignoriamo. — Se poi dite che Dio può donare alla natura del ghiaccio la natura del fuoco , permettetemi il dirvi che voi dite una specie d'assurdità : converrebbe ‘allora distruggere una natura e sostiturvene un'altra: questo sarebbe il modo unico d’ appagarvi. 46 quel che sappiamo, di quel che sentiamo: si tratta di confon- dere o di distinguere due uffici , di cui non possiam dubitare, VI. Quest’idea d’azione pertanto , che congiunge in sè sola le idee di potenza, d’ intelligenza, e di volontà, que- st'idea, che alla fine è un sentimento, pare a noi dimo- strativa della spiritualità di nostr’ anima ; esplicativa , in alcun senso , della natura dell’anima stessa ; e nel tempo medesimo un fatto , di cui chi volesse por dubbio , potreb- be esser certo di non avere risposta. Quest’istesso principio risolve tutti gli argomenti con- trarii, Tutte le idee ci vengono, in origine, per la via de’sen- si; ma la via non è già la medesima idea : l’azione ch'io esercito nel riconoscere l’ impressione de’ sensi, e nel giu- dicarla , è tutt’ altro che quella impressione. Quantunque nella formazione e nel richiamamento delle idee , l’uomo non sia sempre libero al tutto , pure egli è sempre, in alcuna parte, attivo. Del mischiarsi alle idee più astratte non so che di corporeo , altrove \si cercano le ragioni ; qui basta concedere il fatto : basta, dico, assentire che nel pen- siero sì perde una delle qualità principali della materia, l’estensione ; che l’anima percorre in meno d’ un lampo, senza che questa forza si possa spiegare con fisiche leggi. Se l’uomo ignora , come possa un corpo esercitare il suo influsso sopra lo spirito , ed uno spirito sopra un corpo , ron può negare però tale influsso. Infiniti sono i misteri in natura, che pure son fatti. Per negare all’uomo la spi- ritualità , voi dovete negargli ogni attività ; per negargli. ogni attività, dovete negargli persin l’idea dell’ azione; poi- chè di cosa che non si senta non shanno che idee negative. Ed è singolare a notarsi , come noi della passività non possiamo formarci idea netta. Nell’atto di riconoscere un’en- te come passivo, noi non possiamo pensar che a due cose: o all’azione che su quest’ ente esercita l’altro che lo mo- difica ; ovvero all’ effetto di quest’ azione che è un’ azione esso stesso. Non è difficile concepir questo vero che ha con- tinue prove nel nostro modo d’intendere. Adducianne un | esempio materiale; poich’altri non sarieno accettati. lo veg- go un corpo moventesi , ch’opera sopra un altro: quali so- 47 no le idee , che cotesta azione in me desta ? L’ idea del ‘corpo moventesi , e di quello sul quale ei si move. La prima è un'azione: la seconda è un’azione anch’ella: ecco come. O questo corpo, che chiameremo passivo, è messo ‘veramente in moto , ed allora io considero l’azion sua del moversi, che, a me par sempre un’azione: nè della pas- sione dell’esser mosso, altra idea posso farmi che questa, cioè del suo moversi stesso. O egli non si muove apparen- temente in alcun senso (dico apparentemente, poichè qual- che moto ci ha sempre); e questa immobilità medesima m’indica tutt'altro che passività, mi dimostra piuttosto una forza prevalente all’ azione del primo motore. Una legge- ra riflessione fa tosto comprendere la verità di ciò che af- fermiamo ; poichè non è che un semplicissimo fatto. Ora posto , che della passività non possiamo dipingerci nella mente veruna idea; posto che questo vocabolo di pas- sività non può altro svegliare in noi che due idee di verissi- ma azione; posto d’altronde che Ja *ensazione non è che un impulso , e che questo impulso suppone un agente che in sè lo riceva , resta a vedere come quest’ agente medesimo sia di natura diversa dalla fibra impellente. E lo si vede bentosto , allorchè si considera l’ordine seguente d’idee. VII. Tutto ciò ch'è meteria, non ha moto da sè : chi volesse imaginare un corpo dotato d’altre leggi che quelle dell’inerzia, imaginerebbe un nuovo ente, incognito a noi: e sarebbe poi una seconda questione, se possa essere ma- teria insieme e suscettivo di moti suoi propri, vale a dire spontanei. Certo è, che i corpi, quali noi li veggiamo e n’ab- biamo l’idea, non han moto da sè. Volendo dunque ima- ginare una serie indefinita di corpi, moventisi l’uno col mez- zo dell’altro , converrebbe ascendere a un punto d’azione spontanea , cioè indipendente dalle leggi del fisico movi» mento. Quest’azione nell’anima è un fatto: convien rin- negare il sentimento , cioè la propria esistenza, per non consentire ch'io possa , a ogni mio arbitrio, (fuori de’casi straordinarii i quali non fanno che confermare la regola), movere i miei piedi fermati , o fermarli , se mossi. Se a ‘questa regola fosser anche più eccezioni che casi ordina- 48 rii, basterebbe un solo , in cui fosse evidente , essere in me un’azione indipendente dalla legge d'inerzia , perchè ne seguisse, essere in me una natura superiore alla natu- ra corporea. Il vincolo dell'anima a’ sensi non prova nul- la; se non è dimostrato , così essenziale da non poter sce ‘verare l’azione de’sensi da un’azione dell’essere interno, La cardinal prova della spiritualità dell’anima, è una : ed è in noi. Con chi nega sentire in sè questa forza d’azione , non può certamente contendersi: quinci segue che la spiritualità delle anime degli altri uomini non hassi che per analogia: e per credere un anima ragionevole in quelli che ne circondano, abbiamo la necessità di provare a noi ‘stessi l’esistenza d’ un primo agente infinito , e di dedurre da’ suoi attributi la spiritualità delle altr’ anime. Quando nel mio spirito io sento un’ azione, sento ad un tempo che ella non è azione assoluta, non ha la causa del suo essere in sè : questa idea che non toglie la mia spiritualità (alla qual basta che l’azione mia interna non sia soggetta a una legge medesima con l’azione della ma- teria), questa idea, mi conduce all’ esistenza di Dio. VII. Conveniva considerare il sentimento , non come semplice sentimento, ma come azione, per trarre dalla spi» ritualità, del mio animo un argomento alla somma cagione del tutto. Pare che il principio quì stabilito abbia una prova di verità nella sua propria evidenza; poichè è un fatto inter- no, tanto meno negabile degli esterni, quant’ è più pros- simo a noi: nella semplicità sua ; poichè mostra ad un tem- po con la immaterialità , la libertà dello spirito: nella sua fecondità finalmente ; poichè conduce per induzione neces- saria all’ agente supremo : essendochè l’idea d’azione s’ap- punta nell’ idea d’ un’azione assoluta, e quivi solo riposa. Considerata la cosa, come parecchi filosofi fecero, dal lato solo del sentimento, era dubbia ed equivoca : perchè nel sentimento , qual comunemente s’ intende, entra un idea di passività, qual s’intende comunemente, cioè l’idea dell’ esterna impressione che in sè si riceve. Conveniva fer= mare in questa medesima recezione dell’ impressione ester- 49 na, il punto attivo ; convenia sostituire all'idea del sen- timento V idea dell’ azione, perchè la dimostrazione acqui- stasse il suo lume. Un de’più noti argomenti della spiritualità, che sim- medesima poi con quello del sentimento , è dedotto dal- l’ unità ch’ è sentita nell’ uomo, e che non è propria della materia , ch’è essenzialmente composta. Ma perchè que- st’ argomento è soggetto ad un’obbiezione non lieve dalla parte contraria, non era da proporlo per sommo. È ben vero che la risposta a codesta obbiezione può essere ella medesima un trionfale argomento : ma la risposta non fu, per quel ch’io sappia, data qual si dovea. Se non è trop- po ardire, proviamci. IX. Dicono i materialisti che le idee nostre venendo tutte col mezzo de’ sensi, noi non possiam concepire idee semplici, che sotto una forma, vale a dire, composte — Noi sosteniamo all’incontro, che l’uomo non può concepir nulla di composto nel senso della materia , e che tutte le idee si riducono propriamente a unità. Dirò come. Basta che mi si conceda contraddittoria la proposizio- ne, che due faccian uno. Se l’uomo non può concepire che la pluralità sia unità, non può nemmen concepire l’idea di nn ente composto, che considerandolo non nelle sue parti, ma nel sno tutto ; non eom’ente composto, ma co- m’ente percetto nell’unità dallo spiritual sentimento. Quan- d’ io penso a due parti d’ un tutto , penso a ciascuna di quelle divisamente ; se voglio riunirle , posso bensì pen- sare a quel tutto che ne risulta , ma non alle due parti confuse in un tutto. Basta por mente al proprio modo d’in- tendere, peraccertarsene senza dubbietà. Le idee più com- poste non son dalla mente riguardate , se non come un tutto esistente da sè: ov’elle vogliansi suddividere, ciascu- na idea per sè diventa soggetto dell’ attenzione ; ma l’ani- ma non può nell’ atto stesso pensare all’ unità qualunque del tutto , ed alla moltiplicità delle parti. La rapidità, ond’ ella passa dall’ una all’ altra idea, non dee illuderci. Tanto dunque è lungi , che noi abbiamo l’ idea di cose T. XXV. Febbraio. 4 50 composte in quanto elle sono composte, che queste mede- sime cose composte non possiam riguardarle che sotto certa unità. Ed in quel modo , che l’anima conscia di sua atti- vità, la dona ai corpi medesimi, e suppone atto ed intel- ligenza laddove non è che meccanico moto (onde nasce la lingua metaforica e la poesia, ch'è una prova sublime ‘del- v umana eccellenza), così l’anima conscia di sua unità , non può considerare che sotto qualche riguardo d’ unità tutte quante le cose che si fanno soggetto al pensiero. Que- sta specie d’ unificazione , a dir così, materiale, non è che un emblema della spirituale unità; ma sarebbe inesplica- bile ne’ principii del materialismo, ne “quali, per ispiegare come che sta un ragionamento , ‘convien darte un moto di- verso a ogni menoma particella della materia , o convien ricorrere al comodo argomento , che tutto è mistero. Dopo queste parole che i filosofi naturalisti ripetono volentieri, io non veggo come più possano opporre 1’ inesplicabilità dell’ influsso del corpo sullo spirito, ed a vicenda, Miste- ri sono le cagioni de’fattij ma i fatti restan pure evidenti, Ad effetti direi cause dive: : quest’ è la regola della logica più comune : il confonder le cause, perchè talvolta gli effetti si toccano, non è nè uno spiegare 1 misteri, nè tampoco un mostrar di conoscere i fatti. X. Questa forza d’unità ch'è nell’uomo, dimostra‘ vie meglio la semplicità del suo intimo essere, quando si pensi alla genesi delle idee astratte. E quì siane lecito dare in breve una deduzione più esattamente , che finora non par- ve , descritta, di questa mirabile operazione dell’ anima. Mi si presentano due oggetti : sebben paia che io ne riceva contemporaneamente l’idea, tra la percezione del- l’uno e dell’altro è una qualche distanza ; impercettibile sì, ma c'è sempre. Checchè sia di ciò, certo è bene, che questi due oggetti io li guardo come distinti: ciascuno ha la sua propria unità, che ferisce l’attenzion mia. Come unir quest'idee? Se tra codesti due oggetti io ravviso al- cun chè di simigliante, quello è il punto di contatto ch'io fermo , perchè la simiglianza , spogliata di tutti gli acces- sori, è unità. Il mio sentimento rimane percosso riel me- 5I desimo modo da quella data relazione d’ amendue quegli ‘oggetti : io lascio in quel punto di considerare le lor dif- ferenze : e quest’ è il primo grado d’astrazione; non mai notato, ch'io sappia. Siffatta operazione non può spiegarsi col moto meccanico delle fibre. XI. Rassumiam brevemente. Il principio d’azione ch'è in noi prova un ente diverso dal mezzo della sensazione; prova l’intelligenza con la volontà; prova indirettamente l'esistenza d’un Dio. Il principio d’unità che traluce an- che nelle idee più composte, e nelle idee degli oggetti composti, dimostra che 1’ unità è nell’ essenza dello stesso | pensiero. Potrebbesi opporre che quest’unità è il sentimento appunto d’ un tutto considerato non nelle sue parti, ma sol come tutto, e quindi com’ uno. Ma l’idea d’ unità, ri- spondiamo,, è tanto più mirabile , quanto più complicato é quel tutto che s’adunain un punto: quanto più materiale, io dico, è il tutto pensato , tanto più l’ idea una ch’ io n’ ho indica la immaterialità dello spirito. Senzachè, # | parte liberissima che in coteste operazioni esercita l’atten- zione , è risposta per sè sola valevole ad ogni difficoltà. Torniam sempre al principio d’azione. XII. Ma io non credo che miglior mezzo ci sia di co- noscere all’ ultima evidenza una verità, quanto il prendere in esame le contradizioni e gli equivoci di coloro che l’han- no voluta combattere. E qui non intendo io di porre nel numero di costoro un momo insigne, di cui citerò le pa- role: ma perchè di queste parole taluni abusarono ad op- pugnare una verità che ci preme, gioverà dimostrare come tutto il vigore di que’ragionamenti si fondi sopra un equi- voco. Prenderemo alcuni tratti del primo capitolo, acciò non paia che 1’ errore da noi a tutto studio s’accatti nelle varie parti dell’ opera. Pensare è sempre sentire (Tracy. id. c. 1): e null’al- tro che sentire. (Sentire un’impressione corporea, sentire una connessione d’ idee, sentire una ricordanza , sentire ‘un desiderio). Ecco tutto il sistema , fondato sopra l’ equivoco della | parola sentire. Chi dicesse : ‘la concupiscenza è un ardo- 52 ,.,re, il fuoco è un ardore, l'ira è un ardore, 1’ ubbria- », chezza è un ardore, l'amor di Dio è un ardore , lo Spi- ;; rito Santo è un ardore : dunque il fuoco e la libidine, ,; Vira e l’amordi Dio, l’ubbriachezza e lo Spirito Santo, ,. sono null'altro che ardore ,,. : farebbe precisamente il me- desimo ragionamento. Che il pensare sia sempre sentire , noi vel concediamo; ma che dal sentire un pugno, al sentir l’amicizia, al sentir la bellezza dei versi di G. B. Niccolini e d’A. Manzoni, non ci sia differenza; e che il pugno, l'amicizia, i bei versi, facciano null’ altro che sentire, presa questa pa- rola in un senso solo, quest’'è che nessuno vorrà consentire, Quando noi distinguiamo la sensazione dal sentimento , quando diamo alla prima la sola passività , al secondo un'attività per eccellenza, non mostriam noi che la voce sentire ha due sensi? Credete voi che il sentire la relazio- ne di due idee, sia un sentimento così passivo , com? è il sentire uno scbiaffo? Non crederei. Ad ogni modo bi- sognerebbe provarlo ; e non far mostra d’ averlo già bell’e provato con l’ equivoco della parola sentire. Io non parlo all’ illustre autore dell’ ideologia, parlo a quelli che abu- sando de’ suoi vocaboli, credono saperne un po’ più di lui. 2. Sentire è ciò che voi sapete, ciò che provate. Perchè la parola sentire avesse l’ onnipotenza di far l’ani- ma materiale, converrebbe dire all'incontro : sentire è ciò che voi non sapete. Ogni vocabolo d’ intelligenza , in cui entra necessariamente l’idea d’azione dee essere escluso da tale teoria. S’altri credesse temprare la crudità di quel det- to, aggiungendo : sentire è ciò che provate, per confonder così l’idea del sapere con l’idea del provare, questi non potrebbe negarmi ch’anche nel provare è qualcosa d’atti- vo. Chi prova, sa: chi sa, pose attenzione all’ oggetto ; nell’ attenzione è spontaneità : quest’è un fatto non men dubbio di qualsiasi più certa impressione de’ sensi. 3. Pensare è avere delle percezioni e delle idee : le no- stre percezioni o idee (ed io fo queste due parole assoluta- mente sinonime), sono cose che noi sentiamo : e per conse- guenza pensare è sentire. Se il prendere due parole diverse per una medesima I | 53 cosa, senza provare come ciò sia, se non che citando una terza parola che s’applica in due varii sensi a due varie idee; se questo, dico , è formare un sistema, noi non sapremmo cosa più facile del formare un sistema. Si comincia dal dire assolutamente sinonime le parole percezione ed idea ; e lo si dice sul duplice senso della parola serztire. Io dimando se il pensare sia un sentire attivo, o un sentire passivo ? Que- sta semplice distinzione, questa sola dimanda basta a mo- strare come sia giusta la conchiusione che da sì splendide premesse si trae : noi adunque abbiamo una cognizione ge- nerale di ciò che sia pensare. © Il cav. Compagnoni , lo stesso C. Compagnoni qui scopre la confusion de’ due sensi, e nota : ‘‘ sentire , filo- soficamente, non è un’azione, è piuttosto un patire azio- », ne; quindi parrebbe forse più conveniente dire atto di » ‘sentire, ,, Questa nota sola distrugge l’intero sistema. 4. Le nostre idee sono ciò che sentiamo: e certamente, il sentimento del dolore , che ho , quando mi abbrucio un dito, non è in nessun modo la rappresentazione del cangiamento di colore e di fisura, che succede per l abbruciamento del mio dito. Basta che ci guardiamo di credere che le nostre idee sieno la rappresentazione delle cose che in noi le ca- gionano. Noi non ci fermeremo a ripetere come sia gratuito e quasi sospetto quel dire a ogni tratto . le nostre idee so- no ciò che sentiamo : noteremo soltanto la lievità del ra- ziocinio che segue. Il filosofo vuol provare che la sensazio- ne non è punto diversa dall’idea : e come il fa? Dice che il sentimento del dolore di un dito che brucia non è la rap- presentazione del cangiamento di colore del dito. E con que- sto piccolo esempio, ecco dimostrato 1’ assunto. E chi gli adducesse un altro piccolo esempio , e dimandasse? La me- moria dell'oggetto veduto o sentito è ella una rappresenta- zione dell’ oggetto, o che è? Qui si aspetta una risposta. Ed ecco la filosofia che levò tanta fama! Io parlo sem- pre non dell’ insigne autore dell’ideologia , ma di chi non conosce altra scienza, che di spingere l’ altrui scienza al- l’ abuso. Ben fece il P. Poli a levarsi coutro siffatti prin- 54 cipii, abbracciarne le ultime conseguenze , e combatterle cogli argomenti più noti, per adattarsi all’intelligenza dei più fra’ lettori italiani. Tutti gli amatori del vero e del meglio, glie ne sapranno buon grado. K. X. Y. —_—r—rT——————__—_————_Trr't+117Z=-—_ __.___—_—T__—r__n_—-— Histoire des Frangais par J. G. L. Simonpe DE Sismonni. Paris 1821 e seg. i Istoria de’ Francesi di J. C. L. Srimonpe pE SISMONDI ;° tradotta dal cavalier L. Rossi. Milano 1822 (*). Sembra che’1 secolo in cui viviamo abbenchè ricco di teoria e d’esperienza debba por di nuovo in problema quanto già si credea dimostrato , ed al patrimonio. dell’ umana ci- viltà per sempre aggiunto, Noi non conosciamo infatti, alcuno fra i miglioramenti sociali dopo tanto stento ottenuti, di cui qualche scritto» re non spregievole non abbia revocato in dubbio l'utilità e la giustizia. Se volessimo scendere a particolari citazio- , ni, le opere che tuttodì ci giungono di Francia mezzo am» plissimo ci fornirebbero di pruovare il nostro asserto. La discussione de’ più interessanti problemi dell'umano, ben’es- sere , piucchè in ogni altro tempo libera ed intiera, for- ma in quel reame il subbietto della maggior. parte degli scritti e. dei quotidiani discorsi. Due sono però i metodi con cui le quistioni morali e politiche si trattano, e quanto abbiamo da sperare dall’uno, altrettanto crediamo dover temere dall’ altro. Il primo me- todo deduce dall’ esperienza le lezioni dell’ ottimo viver ci- vile. Il secondo al contrario partendosi da una base me- tafisica qualunque, compone le scienze morali e politiche | di metafisiche astrazioni. Le passioni o buone o ree da cui un autore è dominato gli soglion dettare il principio fon- damentale, assiomi arbitrarj , ed arbitrarie definizioni ser» (*) Sono già pubblicati i volumi I a IX e sono sotto il torchio i X, XI, XII | dell'ed, francese. 55 : von, poi di strumento per costruire un sistema. Il dispoti- smo e l’ anarchia , 1’ irreligione e la superstizione , a se- conda del volger de’ tempi, hanno trovato degli ingegnosi e sovente sinceri sostenitori nel seno di questa metafisica scuola. Poichè egli è pur troppo facile ad un uomo d’in- gegno immaginare ed a forza di assiomi e definizioni arbi- trarie sostenere un sistema che ne imponga a’semplici, fa- natizzi immediocri , e trascurar faccia le cognizioni posi- tive. Onde non è da meravigliarsi, se dalla stessa scuola speculativa da cui ebber vita le stravaganti teorie di Ma- bly, e d’ alcuni demagoghi della rivoluzion francese , si veggano escire ai giorni nostri le apologie sistematiche del- l’ignoranza, dell’ oppressione e della miseria. Un sistema d’astrazioni non aventi un valor fisso e corrispondente alla conosciuta natura delle cose, pur troppo si piega a conva- lidare qualunque assurda sentenza, per modo che appena i più esperti dialettici riescon, usando delle stesse armi, a rovesciare l’ errore. Avvi però un filo salutare per escir salvi dal laberinto delle astrazioni, e questo noi crediamo riconoscerlo nelle lezioni dell’esperienza. Infatti un sofista riman sempre confuso allorchè al quadro lagrimevole dei secoli ne’ quali abbondavan l’ ignoranza , l’ oppressione e la miseria cui tesse 1’ elogio, la storia ben più consolante si oppone delle età di lumi, di sicurtà e di ricchezza. FK come l’uso della pietra del paragone le frodi discuopre dei falsificatori del prezioso metallo , così il confronto delle teorie astratte, coi resultamenti dell’esperienza, serve a di- scernere le verità morali e politiche , dagli errori ‘spesso in- volontarii di chi ragionò soltanto a priori. _ Il metodo sperimentale più dubitativo e più serupo- loso nelle sue ricerche, dà de’resultati che al pregio della sicurezza , uniscono il vantaggio di poter divenire dottri- na popolare. Lontano dall’ intolleranza e dall’ assolutismo intellettuale che soglion generarsi dalle speculazioni me- tafisiche , il metodo sperimentale favorisce di più la libertà e l'integrità della discussione e dell’ esame, cagioni po- tissime dei più grandi avanzamenti della umana civiltà . Noi non vogliamo impugnare per questo che a certe epo- 56 che della vita morale de’popoli, anco 1’ altro metodo non abbia prodotto o almen cominciato utili rivoluzioni ; ma nell’ attuale stato della società , in cui gli uomini sono poco disposti ad accordarsi di buona fede sulle idee spe- culative , conviene ricorrere al metodo omninamente spe- rimentale ; e se gli altri secoli ebbero il vanto dell’inven- zione delle astratte teorie , a questo si aspetta farne la critica, e col sussidio dell’ esperienza ridurle al giusto valore . Non dissimuliamo per altro che anco questo meto- do possa divenir alimento al fanatismo, e all’ostinazione, ogni qualvolta da un solo fatto isolato si voglia dedurre una dottrina, Prima d’ imputare ad una istituzione, o ad un prov- vedimento un male o un bene che contemporaneamente s° è manifestato , bisogna assicurarsi ch’ esista fra loro re- lazione di causa ed effetto, procurando di eliminare le circostanze che come concause possono coesistere in un caso speciale. Questa sicurezza si ottiene soltanto allorchè sotto diversi climi, a diverse epoche, presso popoli diversi, ve- diam sempre le stesse istituzioni e gli stessi provvedimenti esser accompagnati da effetti proporzionatamente eguali . Quindi la sola cognizione de’ contemporanei avvenimenti non può bastare a chi si occupa di scienze politico-morali, per stabilire la sua dottrina critica. È duopo ricorrere al- l’istoria, natural supplemento dell’esperienza individuale, La cognizione de’tempi andati aiuta a giudicare i presenti, come la cognizione de’ presenti, serve talvolta a dileguare le ambiguità dell’ istoria. Giovanni Miiller fra’moderni sto- rici superiormente distinto non credè poter compiere ade- quatamente tutti gli uffici della sua letteraria carriera , se prima adoprandosi negli affari di stato , non otteneva tal pratica cognizione delle cose pubbliche, da servirgli di face per lo studio della storia, Destinata la storia a servir di strumento alle scienze morali e politiche, abbisogna prima di tutto di verità. I pregiudizi che condusser gli scrittori ad alterarla ne hanno eziandio impedito il frutto migliore. Il proemio dell’opera 57 di cui imprendiamo a parlare, altra volta inserito nell'An- tologia , (*) lungamente discorre su tutte le specie di pre- giudizi che hanno indotto ad alterare la storica verità , e ridurre la storia a guisa d’ un tema d’amplificazioni ret- ‘ toriche. L’autor nostro , notissimo per la storie de!le repub- bliche italiane , si è proposto di narrare i fatti di quella de’ francesi quali ci son tramandati dagli scrittori originali di cronache e di storie , senza l’ oggetto di favorire una piuttosto che un altra dottrina. Parlando noi di una storia dell’ importanza di quella de’ Francesi non pretendiamo darne un giudizio critico per cui non ci sentiamo le forze bastanti ; nostr’oggetto è sol- tanto di farne conoscere lo spirito ed il metodo, per lo che abbiam giudicato utile fornirne alcuni estratti. ‘« I popoli, dice l’A., hanno la loro vita come gl’ in- »9 dividui ; ogni volta che essa ricomincia si può dire che s» una nuova nazione succeda all’ antica; i progressi più o meno lenti, più o meno regolari de’lumi, delle virtù pubbliche , de’ sentimenti nazionali , o dell’incivilimen- to, costituiscono una tal vita. Essa ci presenta a vi- cenda l’infanzia della nazione , l’ adolescenza, l’età vi- 39 tile, e la decrepitezza, Questa continuità d’ esistenza , » questa unità di vita nazionale esiste pe’francesi fino dal s» quinto secolo dell’ era cristiana..... Confonder la storia »» de’ francesi con quella de’galli, sarebbe far perdere alla 3» prima quell’ unità che la distingue ,,. Le Gallie aggiunte alla dominazione romana da Ce- sare ebber due secoli e mezzo di pace, interrotta soltanto dall’ ultimo ed infelice tentativo di Giulio Civile, per la indipendenza della patria dopo la morte di Nerone . Nel resto gli storici appena fanno parola delle Gallie per que- sto non breve periodo di tempo. Le guerre accadute dipoi sino allo stabilimento dei barbari nelle Gallie, ebbero per oggetto o l’inalzamento di un pretendente all’ impero , o di rispingere i barbari che fino dall’anno 253 cominciarono (*) Vedi vol. IX. C. p. 106. 58. ad invadere la frontiera del Reno. Queste guerre in cui la nazione non. prendeva un interesse diretto, ebbero diverse sorti , e tuttavolta che le legioni furon condotte da abile capitano , la disciplina romana ne potè più del numero de’ barbari. Per chiunque sia alquanto versato nella storia dell'impero è inutile ripetere come l’ amministrazione di Giuliano denominato poi l’Apostata fosse l’ epoca più bril- lante della storia delle Gallie soggette, seppure deve am- mettersi che una provincia soggetta abbia una istoria. Nel nostro estratto non possiamo tener dietro ai par» ticolari avvenimenti dei primi quattro secoli dell’ era cri- stiana nelle Gallie, abbenchè distintamente narrati dal no- stro A. Dobbiamo piuttosto formarci un idea dello stato di quella provincia , e dell’ indole de’ popoli che 1’ inva- sero, affine di bene apprezzare le cagioni del singolar fe- nomeno dell’ occupazione. Eran soliti i romani a lasciare ai vinti le antiche leg» gi, e gli antichi magistrati, ma tostochè coll’amministrazio» ne antica ritener non potevano la sovranità, poco era da sperare da’ nomi dove più non esistevan le cose. L’ ambi- zione de’ ricchi proprietari non più alle distinzioni nazio- nali, ma all’acquisto della cittadinanza, e del patriziato | romano fù rivolta ; e per un imitazione servile, il vestia», rio, le maniere, e la lingua de’romani , divennero di mo- da appo i Galli. pe Centoquindicifloride città ch’erano nelle Gallie adotta: rono a poco a poco il sistema municipale imposto da’ ro- mani. In ognuna di esse una curia presieduta da due in- dividui sotto nome di Duumviri amministrava il munici- pio a similitudine del senato romano. Per giudicare della’ nullità politica di queste distinzioni municipali basta 0s- servare nelle leggi romane , come eran reputate gravissimo onere, anzichè appetibile onore. Incaricati di esigere le imposte e regolare le spese del municipio , i curiali eran debitori solidali di faccia al governo, e la insopportabile gravezza delle tasse massimamente del testatico , facea sì che spesso per la impossibilità di esigere, si trovasser c 0- stretti a supplire del proprio. Le leggi furon perciò neces- 59 sitate di ammettere gli illegittimi, e gli infami nell’ or- dine de’ curiali, di concedere all’ordine un dritto di suc- cessione ne’ loro beni, e di adottare misure severe per im- pedire che niuno si sottraesse alla carica di membro della curia. Ma ad onta di tante leggi dirette a mantenerlo, l’or- dine de’ curiali veniva ogni giorno scemando , ed abbia- mo sicura testimonianza che negli ultimi tempi dell’impe- ro in molte città esso trovavasi ridotto a tre individui; e fors anco meno. La Gallia divenuta romana avea perduto ogni senti- mento di patriottismo locale, e niun interesse era suben- trato per la gloria dell’impero. Nè potea esser altrimenti. Una serie di mostri, raramente e per breve tempo interrot= ta, resse il destino di un popolo che si era lasciato mol. lemente carpire di mano le garanzie del viver civile. E quando le cose son giunte a tale ch’l governo politico più non si considera da’ cittadini come il difensore della pub- blica e privata felicità, gli individui separano i propri in- teressi da’ suoi , e riconcentrandosi tutti ne’ freddi calcoli di un egoismo sensuale, sostituiscono alle virtù civili l’in- differenza , ed a quell’ ultimo segno giungon d’avvilimento in cui sembra permesso esclamare che son degni della tri- sta sorte che gli opprime. È difficile trovare nell’istoria un epoca d’avvilimento pari a quello generato dal dispotismo romano. Gli uomini ridotti tutti alla nullità, costretti a tremare ogni momento pe’ capricci di un despota per lo più crudele ed imbecille, necessitati ad umiliarsi ai favoriti ed alle vili femmine che dominavano il despota, vessati continuamente dalle esa- zioni fiscali cui non aveano neppur il mezzo di sodisfare; eran quasi costretti‘a rinunziare a qualunque sentimento ch’elevi l'animo , ed a cercare nel godimento di ogni modo di fisico piacere, il mezzo di render meno infelice una esi- stenza divenuta omai gravosa. Una dottrina consolante rivolgendo 1’ attenzione degli uomini verso una vita futura, imprimendo più fortemente d'ogni altra dottrina dell’ antichità la persuasione dell’esi- stenza di una giustizia eterna, indip endente dalle variabili 60 leggi degli uomini riaprì i cuori a de’ sentimenti genero- si, e di nuovo li rese capaci di sagrifizi volontari , e del più alto eroismo. All’ epoca in cui i barbari invasero l’im- pero, il cristianesimo era il solo sentimento capace di scal- dare i cuori, ed il clero il solo corpo che avesse una esi- stenza politica , e potesse porre un argine alle sovrane vo- lontà di un despota. Il nostro autore non trascura di pon- derare l'influenza della nuova religione in tutte le sue mo- dificazioni successive , sulla condizione de’ popoli moderni; ma su questo articolo noi ci siam proposti per regola, di rimandare i lettori all’ opera. Colla decadenza degli elementi morali dell’ umana ci- viltà, eran anco venuti meno i materiali. La popolazione andava sempre diminuendo per l'adozione della cultura per mezzo di servi , sostituita nelle Gallie ad un metodo di coltivazione più liberale , che ’l nostro autore congettura aver avuta molta analogia colle colonie parziarie , e cogli affitti in uso presso di noi. La massa della ricchezza nazionale dovè sentire gra- vissimo danno da questo variato modo di coltivare , non meno che dallo sparire de’ piccioli proprietari; e come Pli- nio ha detto /atifundia Italiam perdidere, così può asserirsi lo stesso in quanto alle Gallie. Il servo mal nutrito, non invigilato direttamente dal padrone, non avente interesse nè a produrre , nè a perfezio- nare , dovea certamente produr meno dell’ intelligente con- tadino che trova il suo interesse nell’aumento de? prodotti del suolo. Per le cose già discorse facil sarà ravvisare quanto le Gallie avvilite, impoverite e spopolate all’epoca dello sta- bilimento de’barbari, differissero dalle Gallie che resisteron nobilmente a Cesare, e dalla Francia attuale. ‘‘ Si potreb- ,»» bero paragonare piuttosto, dice l’A., alle provincie lon- ,, tane dell'impero di Russia, in cui si trovano alcune fa- »» miglie che partecipano al più alto incivilimento d’ Eu- ,3 ropa, ed alcune città che conoscono le arti ed il lusso ss di Francia, mentre le campagne sono schiave, e fino a ,» certe epoche soggette alle devastazioni de’ tartari. 61 ‘ Conosciuto lo stato delle Gallie, convien discorrere de’ barbari che le occuparono, L’ impero romano nella sua settentrionale frontiera fu invaso da tre razze di barbari, i Germani, gli Slavi, e gli Sciti. Eran esse divise in orde diverse , ognuna delle quali assumeva un nome particolare , e lo cambiava talvolta col variar de’luoghi , o delle abitudini. Il linguaggio ed il mo- do di guerreggiare , eran i segni a cui poteva riconoscersi ogni orda barbarica. I germani si eran fermati nel sentiero della civilizza- zione ad un punto ben raro nell’istoria. Non si potrebber caratterizzare infatti, nè come popoli pastori, nè come cac- ciatori. L'agricoltura, il commercio , e la lavorazione de’me- talli non eran loro ignoti. La maestria con cui fabbricavano le loro armi scopre un grado tale d’intelligenza e d’espe- rienza, che se fosse stato applicato all’industria, avrebbe ben potuto servire a tutti i bisogni della vita comoda ed agiata, Ma come amanti dell’ indipendenza ponevano ogni gloria nell’esser liberi, e nel conquistare i piaceri colla forza. La coltivazione della terra abbandonata agli schiavi, poi che a questa, condizione riducevano i vinti, non dovea per certo far gran passi verso il suo perfezionamento , così che coll’aumento della popolazione, che pel numero e per la fecondità de’ matrimoni era fortissimo, non crescendo pro- porzionatamente i mezzi di sussistenza, necessità ell’era che la generazione nuova l’andasse cercando altrove per la forza delle armi. Un giovane ardito proponeva qualche impresa, e tosto un buon numero d’associati per libero patto si univa a lui, e per capo lo eleggeva, non come signore de’suoi, ma come primo fra gli eguali. “ Diversi di que’titoli, conservati ,» nelle leggi de’barbari, che hanno servito in progresso a de- »» notare le distinzioni di rango quasi di nascita , ebber la », loro origine da questa prima associazione d’eguali; antru- ss stioni dicevansi quelli che s’erano affidati al loro capita- 3» no, e posti si erano sotto la sua garanzia ; /eudi que- »» gli ch'egli avea sotto la sua condotta ,,. Nell’interno delle loro associazioni conservavano la li- 62 bertà i Germani, mantenendo 1° austerità de’ costumi ; odia- vano le città e le fortezze, non aveano sede fissa, e rift abitavano in villaggi isolati ; eleggevano de’ Re a cui spet- tava condurre le armate, e proporre il proprio parere in consi- glio ; ma la decisione de’sommi affari apparteneva al popolo. La semplicità delle loro transazioni permetteva che sen- za leggi scritte i seniori del popolo decidesser le controver- sie secondo il buon senso naturale, e gli esempii de’ mag- giori. Nelle cose criminali, per terminare più facilmente gli odii fra le famiglie, ammettevano la composizione pecunia- ria dell’offese, Generalmente può dirsi che i Germani non conosce- vano nobiltà ereditaria , la vera nobiltà riponendo nella sti- mia che ogni individuo ben operando ha saputo acquistare appo i propri concittadini. Per altro alcune tribù aveano una venerazione particolare per certe famiglie da cui sce- glievano i loro Re. “ Tali erano quelle dei Balti pe’Visi- »» goti , degli Amali per gli ag cr , degli Agilusfingi pei 3 Bavari, e dei Merovingi pe’ Franchi ,,. Prima del regno d’Onorio i popoli germani, o serviro- no sotto le bandiere romane , o quando nel territorio del- l’imperio fecero delle irruzioni, non vi crearono stabilimen- ti permanenti ed indipendenti. i “ L’epoca calamitosa del regno d’Onorio , che fu nel », tempo stesso quella della origine della monarchia fran- », ese, è segnalabile nell’istoria per tre grandi avvenimenti : 3, cioè l’invasione universale de’barbari, i quali rotte tutte »» le barriere si rovesciarono sull’ impero romano , la fon-o »» dazione delle monarchie de’ Visigoti nella Gallia me- 3» ridionale , dei Borgognoni nella Gallia orientale. Questa , invasione finale dei barbari è uno de’ più grandi avve- ss nimenti della storia dell'impero d’occidente , e 1’ origine 5» del popolo francese deve a lei riferirsi piuttosto che all’in- 3» vasione di un piccolo re Franco , in una piccola provin- sì cia. Ma gli storici che ci sono rimasti e che per lo più s, sembrano averci conservata soltanto la tavola de’capitoli », d’opere più ragguardevoli, non ci danno alcune parti- 63 asi colarità su quest'orribilé catastrofe. Una lettera di San> ‘‘,» t'Agostino ci fa sola conoscere la desolazione delle Gal- ‘133 lie, che gli autori delle cronache hanno con una sola li- s, nea indicata.,, i sl! Molti dei popoli barbari rammentati da Sant'Agostino | passarono nella Spagna; i Visigoti, ed i Borgognoni ‘for- ‘ imarono un permanente stabilimento nelle Gallie col con- | senso dell’imperatore. E bisogna bene che quel paese fosse | spopolato ed impoverito , perchè avendo gli invasori obbli- ‘ gati gli antichi padroni a ceder due terzi del terreno , non si trova che gli istorici abbiam fatto menzione ‘di questo, “come di. ‘ingiusto , e barbaro trattamento ; e Paolo Orosio non esita'a scrivere sui conquistatori ‘* vivono innocente- to, mente, trattano i Galli con dolcezza e mansuetudine, non ‘ 33 Come vinti, ma come fratelli in Gesù Cristo ,,. La potenza romana nelle Gallie era ormai ridotta a ‘tale miseria’ che opprimeva i suoi per continuare ad esiste- i ne, mentre poi non avea tanta forza per difendere alcuno. Un ‘buon numero di contadini stanchi del soffrire , non potendo Lan salvare i frutti dell’industria dalle esazioni del fisco, e dalle depredazioni dei barbari , si dette a viver di rapina. Le truppe di questi rivoltosi che già aveano cominciato ad ‘esistere în altri tempi, si rinnovellarono , e si accrebbero ‘sotto l’imperio d’Onorio. “ Costoro furon nominati Bagaudi, > e così disperati come erano , e dalla miseria ridotti a 3, ribellarsi , cominciarono ad esser considerati come una 3: vera potenza e ad ottenere il rispetto dal punto che da ss essi non furon più rispettate le leggi ,.. IBagaudi non furono i soli a scotere il giogo romano, cir- ca agli stessi tempi si formò la republica dell’Armorica. Un passo di Zosimo , spogliato di particolarità, indica questo “avvenimento quasi per transizione. Niente di positivo si sa sulla republica armorica , e non ostante alcuni scrittori mo- derni servendo al metodo di supplire colle congetture do- “ve mancano i documenti e le testimonianze , hanno scritti lunghi comenti su quest’efimera republica. | Chi leggerà il presente estratto rimarrà. forse sorpreso ‘come’ ‘non si sia parlato ancora de’ Franchi. Questo popolo em 64 germanico che pe’ successi di Clodoveo il proprio nome impose alla nuova nazione, che si formò per la mescolan- za di diverse razze, fù difatti l’ultimo ad avere una parte importante sulla loris delle Gallie. Sotto le insegne roma- ne, aveano i franchi spesso portato le armi per respingere i barbari, ed in premio ne aveano ottenuta qualche por- zione di terreno. Ma i loro stabilimenti fissi ed indipendenti erano lungo la destra del Reno sino all’Oceano, e se tal- volta passavano il fiume, vi eran spinti soltanto da cupidigia di preda. Nella prima metà del quinto secolo Treviri fu quattro volte saccheggiata da loro , e pare che intorno agli stessi tempi cominciassero ad avere degli stabilimenti loro propri sulla sinistra del Reno, lungo la Mosa, ed intorno alla Schelda, Ma su questo particolare niente abbiamo di si» curo , perchè le poche linee della cronaca di Prospero Ti- rone, per cui si dice che Faramondo , Clodione , e Mero- veo regnarono in Francia, sembrano interpolate dai copi- sti posteriori, Gregorio di Tours che 150 anni dopo la costi- tuzione della monarchia , scrisse la storia con quella dili- genza che pe’ tempi suoi potevasi maggiore , non fa parola di Faramondo , e parla sempre colla massima diffidenza de- gli antenati di Clodoveo. Divisi in piccole tribù , ognuna delle quali appena dar poteva quattromila uomini atti alle . armi, aveano bisogno i franchi di qualche felice combi- nazione per esercitare una grande influenza sul destino di un paese della grandezza delle Gallie. Queste combinazioni favorevoli si riunirono a vantaggio di Clodoveo capo di una delle piccole tribù franche. Avendo egli tolta per moglie Clotilde nipote di Coù- debaldo re de’ borgognoni , palbidbisnia per la fede cristiana ortodossa , continue esortazioni ne riceveva ad abbracciare la religione di Cristo ; nè il re Franco sentiva repugnanza a riconoscere nel figlio di Maria una divinità , ma si credea però il dritto di sciegliere fra due religioni, a seconda che i numi tutelari di esse gli si sarebbero mostrati più pro- pizi. Un invasione d’alemanni nel 496, contro cui si mosse insieme con un altro re Franco, gli offrì occasione per de- terminarsi. Ardeva a Tolbiac, 4 leghe in circa da Colonia, 2 65 vigorosa pugna fra i due eserciti; e già le cose de’franchi sembravano. volgersi in peggio , quando , secondo che si narra, Clodoveo fe’ voto di convertirsi al Dio di Clotilde, se gli accordava la vittoria , e pel tempo istesso cadde morto il re del campo nemico. Per la morte del re gli alemanni passarono volontariamente ad ingrossare le truppe di Clo- doveo , e lo riconobbero per duce servendo d’ amalgama la comunione della lingua , dell’ origine, e di buona parte delle abitudini. Fatto capo di un esercito pe’ suoi tempi ragguardevole, Clodoveo accrebbe la sua forza abbracciando il cristianesimo insieme co’suoi. Questa conversione conciliò gli animi de’ galli e del clero, tanto più che in quel tempo egli era il solo regnante ortodosso. Ebbe dal clero soccorso nelle sue intraprese , ed egli gli fu liberale d’immunità, di donativi, e d’onori. ‘ Alla fine del V secolo, dice l’A., l'impero di Cle- 3, floveo si estendeva sino all’Oceano, sino alla Loira, ove 5, confinava col dominio dei visigoti; sino al Rodano ove ,» confinava coi borgognoni ; e sino al Reno, ove eran li- ss mitrofi gli alemanni ed altri’ franchi ,,. Usando eru- deltà e doppiezza , estese il territorio del suo regno nei primi undici anni del sesto secolo , battè i visigoti ,e fece perire tutti i re capelluti delle picciole tribù dei franchi, non stimandosi sicuro in trono, finchè vivevano quelli che pel rispetto in cui erano dalla nazione tenuti, potevan di- venirgli rivali. I quattro figli di Clodoveo fra cui fu divisa la monar- chia, nel periodo di 50 anni aumentarono talmente il ter- ritorio, che oltre l’attual Francia, meno una porzione di Linguadoca rimasta ai visigoti, comprendeva il Belgio, la Svizzera , la Savoia, e diverse provincie transrenane. L’epo- ca dei figli e de’ nipoti di Clodoveo è la più brillante nella storia della monarchia sotto la prima razza. La divisione dell'impero fra’ figli di Clodoveo, seguita anco fra’ nipo- ti, potrebbe far sospettare che’l regime dei franchi fosse dispotico , e considerassero il potere sociale come un pa- trimonio dei governanti. Noi abbiamo invero pochi docu- menti sulla costituzione politica de’ franchi; pur nonostante T. XXV. Febraio. i 5 66 possiamo assicurare ch’essa era ben lungi dal dispotismo» Essenzialmente guerriera, la nazione volea viver libera, ma di una libertà sui generis, affatto diversa da quella a. cui aspira l’incivilita Europa, e da quella de? greci, o de’ romani. Tutte le idee di uniformità d’amministrazione e di leg-. gi, di centralizzazione di potere erano affatto sconosciute appo i franchi . Ogni razza viveva secondo le sue leggi , i municipi conservavano l’organizzazione romana, le leggi generali ordinavansi nel campo di Marzo dai gran comizi della nazione, il potere giudiciario si esercitava dal popolo nei malli, sebbene le decisioni si intitolassero a nome dei conti, o de’ grafioni. I principali lavori legislativi, consisterono nel ridur- re in iscritto le antiche consuetudini dei popoli barbari, nell’ aggravare il disposto delle leggi penali, e nell’ adot- tare dei provvedimenti interessanti la disciplina del clero, La prerogativa regia brillava soltanto nel condurre i sudditi alla guerra, ma niuna regolarità vi era nell’ am- ministrazione delle armate, non si aveano nè leve forza- te, nè fortezze, nè marina. L' amministrazione generale dello stato non costava. nulla, e perciò non siconosceva nè testatico , nè imposta territoriale. I re si mantenevano col prodotto delle loro par- ticolari proprietà, e tutta la differenza del loro vivere da quello dei sudditi consisteva in un più ampio godimento de’ sensuali piaceri. Le strade, e 1’ amministrazione interna delle città eran a carico de’ municipi, che vi supplivano col ritratto de’pedaggi, e delle tasse che imponevano alle porte. Questa cadi dell’ amministrazione pubblica, questa rilassatezza di legame sociale , se molta libertà lasciava al cittadino dirimpetto alla società , non garantiva però la sicurezza individuale dagli attacchi de’potenti, nè il corpo politico dall’ invasione del potere per parte de’ ricchi e del clero. L’assoluta mancanza di centralizzazione rese a poco a poco quasi di fatto indipendenti i duchi ed i conti ch’eran mandati a regger le provincie , tantochè divenne necessario usar la forza per obbligarli a eeder loeo ai successori. Nel 67 tempo stesso gli assassinamenti si facevano ogni giorno più frequenti ; ogni ambizioso che volea salire al potere dovea farsi strada co’ delitti , e ad ogni momento tremar d’esser egli stesso vittima delle altrui macchinazioni. Nasceva a poco a poco una nobiltà nel regno che,si teneva al di sopra delle leggi; e per mantenere l’osservanza delle sanzioni contro i potenti facinorosi, fu necessaria la carica di un giustizie- re del Regno che i Franchi chiamarono Mord-Dom ( giu- dice degli omicidii) ed i latini per una certa analogia di suono tradussero maggiordomo, o prefetto del Palagio. Avre- mo luogo di parlare più a lungo di questa carica in un’al- tr'articolo, Gli scrittori originali di storie e di cronache, essen- dosi occupati più della corte che dello stato morale e po- litico della nazione sotto la prima razza, hanno avuto luugo di narrarci soltanto una serie di atrocità e di dissolutezze, che fà raccapriccire. I limiti dentro i quali ci siam prefissi restringere questo estratto , non ci permettono d’entrare in particolarità , ne sui delitti dei principi, ne sulle guerre ch’ebber luogo durante la prima dinnastia. Basta al nostro ufficio caratterizzare le diverse epoche della decadenza dei Merovingi. ‘* Generalmeute , dice a questo proposito l’ A. ss sì considera nella dominazione de’ Merovingi un epoca di 5 grandezza, e di gloria sotto il regno de’figli e de’ripoti di » Clodoveo ; di quiete e di prosperità ne’ regni di, Clotario so III, Dagolberto, e di san Sigilberto; ed un tempo di deca- so denza sotto gli ultimi regnanti da nu/la (fainéans). Niente ,» dimeno sarebbe più esatto il dire che la schiatta de’ Mero- > vingi non cessò mai di decadere dopo Clodoveo ; i figli di »3 lui ed i nipoti ebbero ancora qualche forza di carattere ; , i loro successori più viziosi e più deboli ma non più scel- > lerati seppero a mala pena governare da sè stessi; gli ul- »» timi della famiglia segnalati dalla general disapprovazio- », ne coll’ epiteto de’ principi da nu/la eran dal vizio tal- 3» mente fatti simili ai bruti, che più non cercavasi in essi, », ne volontà ne memoria , ne previdenza che propria fosse » di loro ,,. IS ( sarà contiuuato ) 68 Il sig. CHAMPOLLION , ed il sig. ab. LancI Lettera al Direttore dell’ Antologia. Gran fervore di egizi studii s’ è oggi destato nell’Eu- ropa! Ho preso a favellarvi in un primo articolo della se- conda lettera del nostro celebre Champollion al Duca di Bla- cas: in questa sospenderò quel mio primo rendiconto per trattare invece di una italiana operetta che sullo stesso ar- gomento si è non ha guari pubblicata. Il titolo di essa è — Lettera sopra uno scarabeo Fe- nico-egizio , e più monumenti egiziani ( Napoli , presso Francesco Fernandes, 1826, in 4.° pag. 88 con una tav. in rame). L’ autore è il dotto abate Michelangelo Lanci, in- terprete delle lingue orientali nella biblioteca vaticana a Roma. Il fine manifesto è di mordere chi prima morso da lui non s’astenne , come per avventura era il meglio, dal rendergli pan per focaccia. Io non posso approvare questa maniera di litigi, di che l’ età nostra è feconda più d'ogni andato tempo per cagioni che è facile scorgere. L°Italia non è la sola a dar- cene recenti esempi : ma ce ne dà essa pure in buon nu- mero. Dispute acerbe vi si fanno tutti i giorni nella lette- rata e scienziata repubblica con grave scandalo di chi leg- ge. E se altri esempi mancassero, eccoci quello del rispet- tabile sisnor Lanci, buon orientalista, coltissimo scrittore, il quale par non accorgersi che fa onta a sè stesso mor- dendo nel modo ch'egli usa in questo nuovo suo.libro il francese Champollion , mordendo monsignor Mai, mordendo il professore Rosellini, mordendo Teofilo Betti, e\i signori del giornale Arcadico , e quei della biblioteca italiana, e tutta infine o quasi tutta la schiera di coloro che oggi stu- diano le cose copte. L’A. si lamenta nella pag. 7 e segu. che ogni cosa non è ancor chiara nel nuovo modo di leggere i segni gerogli- fici; e avrebbe desiderato che lo Champollion , datogli qua- lunque testo di sacra egizia scrittura, lo avesse subito di. stesamente riportato in caratteri ebraici, od almeno in copti moderni, ed avesse cercato la significazione de’ vo- 609 caboli nelle rimaste radici, e le perdute avesse rintracciato nelle antichissime favelle tuttor note de’ popoli ch’ erano ‘circostanti all’ Egitto. Però preferisce al dotto francese il tedesco Seyffarth , che calcando più scabrosa , ma sicura via, cominciò il suo sistema con leggere i testi egiziani, e con riferire agli alfabeti fenicii ed ebraici tutti gli egizi ele- menti. Or s°io posso in tanta lite entrar terzo, o più ve- ramente quarto, dirò ch’ egli si mostra poco discreto richie- ditore. E valga il vero, già a siffatta dimanda fu altre volte risposto; che per quanto siam quasi certi di avere nella mas- sima parte rinvenuti gli elementi fonetici dell’ antico idio- ma egiziano, non è però così rispetto ai simbolici, tra i «quali restano ancora moltissimi di significazione ignota, ed altri non pochi di dubbia. E parimente molta parte del- l’antica lingua è immersa nell’ oscurità ; e da tutto que- sto deriva che non è possibile rigorosamente soddisfare alla ‘inchiesta dell’ A. Nondimeno è intanto grandissimo ed in- negabile guadagno l’ aver acquistato in primo luogo cer- tezza di battere la buona strada , seguitando la quale si può scommettere che se in così breve tempo , e per lo stu- dio d’ un solo ci avvicinammo pur siffattamente alia co- gnizione de’ misteri egizi ; col volger successivo degli anni, e col moltiplicare delle indagini e degli studi, s’ arriverà per ultimo ad aggiungere quel molto che ancor manca. Ed è guadagno non minore l’essere in secondo luogo pervenuti a poter intendere fin d’ora della maggior parte de’testi il generale sentimento , e tanto anco delle frasi, di che si compongono ; da poter averne spiegazione al manco gene- rica, e spesso eziandio letterale, Troverà poi difficilmente il signor Lanci chi gli con- ceda la necessità di volgere in caratteri ebraici i testi egi- ziani , e di riferire agli alfabeti fenicii ed ebraici gli egizi elementi eo’ metodi di Seyffarth, il cui sistema fu troppo bene abbattuto dallo Champollion e dal Sacy per non po- ter più sussistere ; e per lo meno avrebbe ognuno aspet- tato che all’A. fosse piaciuto di addurre argomenti positivi di quella necessità, dopochè gli si è provato che ’idioma viag i copto niente ha di molto comune cogl’ idiomi semitici , e per conseguente coll’ebreo e col fenicio; e che non v'è quindialcun buon argomento per dedurne che precisamente tra gli egizi dovesse aversi lo stesso numero e la stessa corrispondenza di lettere che v'era tra i popoli di razza semitica. Queste ragioni valgono ugualmente contra ciò ch'egli afferma alla pag. 76 sul proposito dell’ebrea lettera din. da . lui cercata nell’egizio: a dimostrar l’esistenza della quale non so capire quanto giovi il provare che la Hida o Heta dei copti moderni portando il suono dell’ E e dell’I, e non mai quello dell’A ; ed il nome del sole potendosi indifferen- temente pronunziare Rà, Ré, Rî, bisogna dunque dire che non con fida sì scrivesse, ma con din; la qual conso- nante può appunto esser vocalmente mossa per que’tre modi. Ed invero il ragionamento di lui qui addotto da più parti vacilla; 1.° perchè la pronunzia de’copti moderni non può valere per far illazioni intorno a quella de’copti anti- chi, siccome la pronunzia de’greci e de’latini moderni ri- spetto all’antico pronunziare niente prova; 2° perchè il no- me del sole geroglificamente rappresentato dal segno figu- rativo della bocca, e da quello del braccio steso, noi non sappiamo se avesse realmente in Egitto i tre suoni che l’A. dice , i quali ci pervennero a quel modo snaturati presso gli serittori di Grecia e del Lazio, avvezzi sempre ad al- terare in vario modo, e spesso incostantemente, le parole forestiere ; 3.° perchè a spiegare la varietà delle tre pro- nunzie fa, Ré, iz non è necessario di ricorrere alla ipo- tesi dell’ dir , bastando l’attribuire questa varietà alle di- versità locali del pronunziare nelle diverse parti dell’Egit- to, e segnatamente ne’ tre dialetti ftebanv , menfitico, e basmurico; 4.° perchè taluno de’ire suoni pretesi non si tro- va usato che nelle voci composte, dove in quasi tutte le lingue le vocali si mutano; 5.° finalmente perchè se l’ar- gomento dell’A. avesse efficacia , ne seguiterebbe che tutti quasi gl’ idiomi hanno l’ dir , giacchè in pressochè tutti secondo i diversi paesi le vocali mutano suono e le une coll’altre si scambiano , siccome av viene per es. per l’ita- —° a_n ente 1 liano nel quale si trova detto dia, dea, e daga o daa con ‘modificazione pari a quella del nostro caso. Del resto concedasi pure, se si vuole, che le prove ad- dotte abbiano qualche forza, e sammetta anche l’din ebrea tra i caratteri fonetici copti. Si aggiunga anzi se si vuole, alle ragioni del Lanci quest'altra cavata da Prisciano (edit. Putsch. pag. 549): In syrorum, aegyptiorumque dictionibus solent etiam in fine aspirari vocales, indizio che le vocali tra gli egizi non avevan suono puro , e che v'era analo- gia di pronunzia tra essi e gli altri orientali. Con questo però il sistema di Champollion non viene gran fatto, co- me ognun vede, nè corretto, nè alterato , giacchè quasi la sola modificazione, che ne proverrebbe, cadrebbe sul no- me da darsi a certi omofoni vocali , già conosciuti come aventi valore alterabile, pe’quali non si cangerebbe la le- zione sostanziale delle parole, di cui non sappiamo ad ogni modo , e non sapremo giammai la vera pronunzia. E basti omai di questo accessorio. L’ argomento pria- cipale sembra essere la spiegazione dello scarabeo fenico- egizio: ma temo che rispetto ancora a cotesto il dotto A. non abbia incontrato nel segno. Si tratta d’una terra cotta smaltata nella solita forma dello scarafaggio; e il signor Lanci, comincia dal parlare del significato di quel sim- bolo , che comunemente si chiama i/ cartello. Esso a lui sembra figurare una bocca aperta ; e trovando che la pan- cia dello scarafaggio (animale rappresentante un’immagi- ne di Dio) è appunto a forma di cartello, conciude da ciò, che , considerata insieme la pancia e l’insetto intero, tutto valsa Za bocca parlante di Dio. Ma ebraicamente Phe (la bocca) significa per traslato den anco parola , e nella pa- rola è già incluso il nome. Dunque pancia e scarabeo si- guificano il nome di Dio, anzi l’ineffabile_nome di Dio. Ma Isaia, parlando del Signore, disse: Mneiero. ovvero allun- gherò la bocca mia; e nell’Egitto molti cartelli si trova- no appunto prolungati più che non porta pancia di sca- rabeo. Dunque sì fatti cartelli sono appunto la Bocca al- lungata di che Isaia parla. Ma dopo i cartellucci seguita comunemente una linea retta, la quale, ove consultare si 2 RT le chiavi cinesi, può dire tra le altre cose anco Si- gnore. Dunque i cartellini così formati danno chiara la ma- terialità della scrittura] espressione: Za bocca del Signore ha parlato. ‘ La linea poi signiticante il Signore, staccata od ,, unita all’estrewità del cartello, ha dato capriccio agli egiziavi di figurarla col cartello in modi assai svariati ; cosicchè vediamo quella o annodata con legamento al »» cartelluccio , 0 formata dai lembi d’ una benda che fa- ,, scia il cartello, o dalle estremità delle braccia che s°in- ,; trecciano d’uomo o genio che sia. ,, ì Così la discorre il nostro A., al quale modestamente contrapporremo le seguenti osservazioni. Lasciamo per bre- vità da parte il significato dello scarabeo, e parliamo sol- tanto dell’ovale, che a lui sembra essere propriamente ca- 23 23° rattere figurativo della bocca. Ma qui subito ciascuno s’ac- corgerà, senza ch'io mel dica, dell’estrema incertezza d’una congettura non fondata sopra alcun argomento atto. a far prova rigorosa; e ad appoggio della quale si citano soltan- to, parlandosi di copto , i traslati ebraici, le chiavi cine- si, e gli orientalismi d’Isaia! L’ovale non allungata od allungata significa tocca? Ma noi sappiamo che già gli egizi avevano un altro carattere figurativo per esprimere questa parte del corpo. Infatti era esso l’ovale coricata sul suo mag- gior asse, ed appuntata a’ due lati, seguitandole appresso il semicircolo e la retta verticale, o il secondo almeno di questi segni, giacchè tale sequela aggiungevano i gero= grammati quante le volte adoperavano un carattere co- me figurativo e non come foretico . E contiamo questo per nulla: ma l’ovale del cartello è per lo più ritta sul suo grand’asse contra la natura della bocca; mentre per es. il carattere figurativo dell’ occhio è sempre usato nella posizione orizzontale in che veramente dee starsi. Inoltre l ovale del cart®lo, come non è potuto sfuggire alla di- ligenza dell’A. stesso, ora è formata da braccia che s’iu- crocicchiano, ora da un ramicello o da una benda piegati e legati a modo di corona. Dunque chiaramente non è una figura di bocca; avvegnachè, se lo fosse, non potrebbe, co- me ognuno vede, prendere queste forme. Di più molte volte 73 ella .è rappresentata solamente per la sua metà destra o sinistra; e nessuno dirà che in questo caso si è voluta fi- gurare una mezza bocca in luogo della bocca intera. Ugual- mente nell’ ieratico un semplice arco di circolo diritto è surrogato al cartello; e qui ancora vale la stessa conside- razione. Per ultimo , a togliere tutte le dubbiezze , nella tavola di Rosetta (lin. 39 , 41, 42, 50, 54) il valore di tal carattere è sempre quello del copto razr (rome), che foneticamente si trova scritto per l’ovale appuntato, e per la linea ondulata appresso di sè, ovver sotto. Concluderemo dunque che rispetto a ciò la congettura dell’ A. non è delle meglio fondate e delle più felici; e vedremo or ora che altrettanto può dirsi di tutto ciò che riguarda la leggenda dello scarabeo. Questa è formata dalla replica a destra e sinistra delle due braccia erette (simbolo comunissimo, figurativo dell'atto d’adorazione o d’ offerta (Ankaa) (1). Tra le due braccia a destra di chi legge è il Zive//o, e la figura che fu chiamata tau egizio, chiave del Nilo, croce ansata ( Champollion:' Quadro generale n.° 277), dove in luogo dell’ anello è il simbolo del sole (n. 86,. Tra le due braccia a sinistra è il carattere figurativo dello stesso sole con appresso la linea verticale , determinante, come si disse, l'indole figurativa di quel primo segno. Sotto il disco è il simbolo esprimente l’idea guardiano. In mezzo sono tre altri caratteri, che l’A. stima senza dubitazione fenicii, e si riducono (comin- ciando a destra) in una spezie di mezza ovale appoggiata sul suo asse maggiore, prolungato alle due estremità; nella figura alcun poco deformata del cappa o gamma copto (n. 13); e nella rappresentazione grossolana d’una stella a quattro raggi. Ora par giusto all’A. di supporre che i tre caratteri fenicii valgano Reba (signore); e che tutta la leggenda s’ab- bia a tradurre: Ze invoco al mio soccorso , o Dio di som- ma gloria, eternamente vivo , signore assoluto de’ cieli e di (1) Dico erette ; non già orizzontali , come le dice nella Biblioteca Ita- liana lA. del sensato articolo su questa stessa operetta del Lanci ( Muscic. del decembre 1826 ) ; rispetto a che il dotto anonimo a tolto accusa d'errore l’ o- rieutalista ro:uano. 74 tutta la terra. A me per contrario par chiaro, che secondo i principii dello Champollion abbiasi a spiegare la parte destra ne’comunissimi suoi caratteri: Offerto al sole vivi- ficatore — La parte sinistra di non men comune scrittura —Offerto al sole guardiano — Delle tre pretese lettere fe- nicie dico poi che non oserei pretendere non essere egi- zie esse pure, giacchè la stella è nell’ alfabeto di Cham- pollion n. go e 108, e più chiaramente anche in un al- tro alfabeto manoscritto , il quale debbo alla gentilezza del medesimo. La fisura di mezzo è al mentovato n.° 13, e ai numeri 20 e 21.L’altra può tenersi come un Ndella forma 73, 74 un po’ guasta , o come una delle lettere 121 o si- | mile. E in qualunque ipotesi io non oserei fare indovina- menti per leggere o spiegare: ma non potrebbero le prime due forse valere il solito raX? e l’ultima non potrebbe avere il valore sid o s0? e non potrebbe quindi tutto spiegarsi — Offerto al sole vivificatore — Offerto a te celeste (propria mente sidereo) sole guardiano?— Ma, torno a dirlo, di queste tre lettere, probabilissimamente egizie, non oserò altro ag- giungere , aspettando che il sig. Champollion voglia esso stesso parlarne. E forse niente altro sono che la n, Mo, e la s, di che si forma il nome regale del Faraone Necos, uno della dinastia 26? de’ Saiti. Sul resto del libro tacerò, giacchè è facile prevedere che presto avremo dal medesimo Champollion la esatta enu- merazione delle molte cose men vere che mi sembra di ray- visarvi; e sia sempre detto senza intenzione d’offendere il valente orientalista che più acconciamente forse avrebbe fatto a non discendere in questa arena. E come infatti non dir così, quando si legge per es. alla pag. 34, nascer difficoltà intorno al nome di Ramses Mejamun , perchè nel primo cartello (e doveva dire il se- condo) contenente il Ramses, due segni seguitano finora ignoti ; e nel secondo (o piuttosto nel primo) il Mejamun è preceduto da tre segni non interpretabili? Certo egli (mel perdoni) così scrivendo, mostra di essere non bene ancora inoltrato ne’ nuovi studi; avvegnachè ignora che il da lui chiamato secondo cartello si legge tutto intero — Sole sta- pra r1é'1t0rI11—rrrTT[ E: 5 iI _—_—_———_r_——____——————————_—_—-————————_—————————————————_—_-—_—-____--—_—@— ———TrteteteaeaeétteòeòeòÒoee;t* ; TU 79 bilitore della regione inferiore Mejamun — ; e che il primo si tradusse ben anco nel Précis etc. (pag. 227) — Ramses favorito da Marte o Marziale; se non che oggi il bastone ricurvo o lituo si spiega presidente o moderatore, e 1’ al- tro segno si tien per segno di non ben determinata regione. Come dei pari non dir così quando vi si trova nova- mente affermato che l’ istrumento da tutti chiamato fla- gello è un aspergillo , mentre tutto il mondo sa che con- siderato come realmente flagello è convenientissimo attri- buto nelle mani degli Dei,non perchè sia simbolo di ca- stigo, come nel libro si asserisce, ma perchè è simbolo di comando , d’incitazione, di direzione? Ed invero se lA. avesse pur solamente guardato a ciò che del suo Amon- Ré,o Mendes-Schmun scrive ed interpreta nella traduzione di Creuzer (t. 3, tav. 37, n.° 155) I. B. Guignot, avrebbe conosciuto non altra significazione esser quivi in quell’op- portunissimo simbolo. Ma egli è omai tempo di finire. Altri cerchino se bene abbia adoperato non recando della pretesa gemma d’ Amon- Ré con iscrizione ebraica il necessario apografo, e se non resti perciò alcun timore che le supposte lettere ebraiche fossero esse pure egizie. Altri cerchino similmente se tante delle novità filologiche, le quali si annunciano, siano ve- ramente tali. Io già lascio il penoso officio di censore , e m’ affretto a ritornare all'argomento dal quale per un mo- «mento mi dipartii. Francesco OrtoLt. (Sarà continuato) 76 Saggio su’ progressi della geografia dell’ Affrica interna. Opuscolo del signor De LA RENAUDIERE (€) 6 Non mai per regione alcuna del globo si prese parte sì calda come quella onde oggi si è tocco per tutto ciò che concerne l’ interno d’Affrica. I deserti ; il clima di fuoco; le belve più che altrove feroci; i popoli, che più degli al- tri barbari; accoppiano gli estremi di massime virtù patriar- cali, e di massima ferocia ; gli alberi giganteschi ; i fiumi oscuramente misteriosi e nella scaturigine e nella foce ; lo, stato sociale degli indigeni , infine, ancor grezzo ed infan- tile; tutti questi oggetti, appena traguardati nel velo del- l'incertezza, danno al continente affricano quella sembian- za di mistero, che nel mentre eccita meraviglia , adizza la curiosità di sapere il vero. Nè ciò avviene nel volgo, avi= do sempre di mirabile ovunque esso lo abbia e il trovi; bensì la filosofia la scienza e l’industria se ne mostran cupide. Nuove terre vi indaga il geografo; nuove nazioni e società il politico ; il naturalista nuovi elementi e fenomeni; il mercatante nuovi mercati a maggiori smerci; e in ultimo il filantropo vi cerca nuove genti convertibili alla religio- ne della civiltà. Da quasi mezzo secolo infatti l’ Affrica ebbe , ed ha | tuttavia , animosissimi esploratori , a malgrado che i più vi cadessero vittime del proprio zelo e coraggio, perchè spentivio dal torrido cielo o dall’ indigena inospitalità. Indi niuno rifiuterà il tributo di ammirazione gratitudine e la- crime, debito alle ombre di questi apostoli della scienza e dell’incivilimento. A noi dunque avverrà di far opera buo- na memorando co’ nomi loro i frutti de’ generosi travagli (*) Di questo scritto abbiamo inserito ina breve analisi , tratta dal bul- lettino del sig. de Ferrussac , nel nostro fascicolo di Agosto pp. La Iettura di essa, avendone fatto apprezzar l’ importanza da molti dei nostri associati, ci è stato manifestato il desiderio di trovare il saggio del sig. de la Renaudiere più diffusamente analizzato nel uostro giornale. Ed accondiscendliamo tanto più volentieri a tal desiderio , che proponendoci di far conoscere le più iuteressanti delle opere che intorno all’ Affrica verrauno in seguito pubblicate, questo sag- gio è una necessara introduzione per l’ intelligenza di esse. ici di essi; ed associando sì gli uni che gli altri all’istoria de’pro- gressi geografici circa un tanto antico, e nel tempo istesso tuttora nuovo continente. Quali sono i primi albori della geografia affricana presso i popoli delle età primitive? Il filologo trova nelle radici di lingue semitiche, e nelle usanze ebraiche rinvenute ne- gli opposti punti del Nilo dell’ Atlavte e della Nigrizia , monumenti validi a far congetturare che ebbero anticamente gli Israeliti relazioni , e forse ancora colonie , nelle affri- cane provincie interne. Probabilmente associaronsi essi a°Fe- nici nelle imprese nautiche e commerciali. Certo è che Sa- lomone strinse amicizia ed alleanza con la sovrana Sahea, ossia di Meroe ; il qual reame smerciava in Oriente molto oro , aromi , e gemme. Sì dovizioso traffico non potea ri- manere nè ignoto nè inadescante ad un popolo avido ed abile in negozii qual’era l’ebreo. La Bibbia inoltre menzio- na il fruttevolissimo viaggio triennale ad Ofir ; il quale triennio nella durata del viaggio istesso , impossibile a spie- | garsi, non che a concepirsi, per vie di navigazione, viene dal sig. Maltebrun agevolmente concepito e spiegato opi- nando che gli Ebrei caravaneggiavano con gli Arabi sa- besi a traverso della Nubia e della Nigrizia. Un siffatto itinerario è precisamente quello che pur oggi fanno le ca- ravane del Sudan ; la natura e posizione istessa delle ter- re pare che l'abbia tracciato. Il solo tragitto del Mar Rosso da Eziongamber alle coste Nubiche, e viceversa, era quello che facevasi navigando. Comunque sia se mancano titoli istorici ad asserirlo, possono farne le veci i vocaboli e co- stumi israelitici cosparsi e tuttora vigenti presso nazioni per luogo ed età sì diverse da Israello. Tacesi ugualmente l’ istoria sul limite delle navigazioni antiche intorno all’Aifrica. È il capo Brava, secondo Gos- selin ; e il Golfo di S. Cipriano , siccome opina Maltebrun. Le quali opinioni, assai propinque fra esse , e confortate dal periplo di Annone, dimostrano il vero che gli antichi non molto si inoltrarono nell’Atlantieo. Abbiamo in Erodoto un testimonio dell’ignoranza de’Gre- ci circa l’Affrica interna, Egli stesso credea che questo con- I sd finisse nel gran deserto del Sahara ; nè altre pro-, vincie memora se non l’Egitto , il Nilo superiore , L’Oasi del tempio di Giove Ammone, e la Zona mauritanica lun- go il Mediterraneo. Sol pare che da’sacerdoti egiziani udisse vaghe notizie dell’ altra Oasi d’ Augila assai più in là del-. l’Ammoniaca , del paese de’Garamanti, e del viaggio de’ Na- samoni; viaggio in cui parve ad alcuni moderni di vedervi indicato il Niger e il Tombuctù. Però questi avvisi di Ren- nel e di Heeren rimangono nel cerchio delle arbitrarie con- getture, Quando Strabone scrivea la sua geografia, non più esi» steva Cartagine; unico imperio in istato a dar qualche con- tezza men incerta dell’ interno d’Affrica, D'altra banda as- sai più de’ (3reci ne erano ignari i Romani. Guerrieri e non mercatanti, essi 0 sdegnavano o non curavano di raccogliere e le nozioni tramandate da’ Cartaginesi, e quelle che po- tean darne i Mauri. Paghi di conoscere le provincie nelle, quali inperavano , l’Egitto cioè e le coste boreali, non eran tentati ad esplorarne altre più meridiane , forse perchè al par de’Greci credessero che l’Affrica finia col Sahara, o che inabitabile era la parte torrida. Strabone adunque lasciò nel- l’opera sua gli errori del suo tempo, Incertamente cenna gli Etiopi eterei a tramonto, e la regione cinnamomifera a’ Levante. Rigettando come favolosa ogni memoria e tradi- zione della nautica cartaginese , chiuse con ciò gli occhi al solo lume atto a dardeggiar qualche raggio di verità fra le tenebre di tanti errori sì proprii che della propria età. Ed ei pare infatti oltremodo ignorante nella scienza che” scrivea, poichè gradua l’ Atlante immediatamente dopo le colonne d’Ercole, Assai men ignaro se ne mostra Plinio. Parla esso del Niger; e tracciandone il corso fra Etiopi e Nubi, il crede lo stadio primo del fiume, che quindi nel segar l'Egitto chiamasi Nilo. Memora inoltre molti viaggi fattiin Affrica; dà un sunto del periplo di Polibio allorchè descrive la Maù- ritania ; e infine con sufficiente ragguaglio fa menzione delle due sole imprese cimentate da'Romani nelle contrade igno- te; di quella cioè dell'esercito capitanato da Svetonio Pao= D lino, il quale par che si sospignesse al di là dell’Atlante fin fra’ popoli Perorsi e Canarii sulle sponde del Ger o Ni- ger ; e dell’altra di Cornelio Balbo , di cui può presumersi che non oltrepassasse l’ Oasi d° Agadelz. Vi è però a sos- pettare che il nostro geografo non scrisse tutto ciò che sa- peva. Ebbe egli in mano i commentarii sull’ Affrica, dal re Giuba compilati con le notizie de’scrittori e navigatori cartaginesi; e assai maggiore utile avrebbe arrecato alla scien- za se, pago di fedelmente copiarli, non avesse voluto. pie- | gare alle proprie idee , a’ proprii sistemi, le nozioni che vi leggea. Ma vi rinvenia che nell’occidentale Etiopia sca- turisce dal Lago Nigriz un.gran fiume , il quale separa gli Etiopi dagli Affricani, ossiano i Mauri da’Negri; ed eccolo, che commentando sovra tal notizia, si arbitra a confondere il fiume precitato col Ger o Niger di Paolino, e quindi non meno arbitrariamente passa a farlo sboccar nel Nilo. Le certe e positive cognizioni adunque, che i Romani ave- vano dell’Affrica interiore nell’età di Plinio, non oltrepas- savano le estremità settentrionali del gran deserto. Altra pruova che Plinio errasse più per predilezione de'suoi sistemi e delle idee proprie che per difetto di noti- zie certe, è che molti suoi errori spariscono sotto la pen- na del quasi a lui contemporaneo Pomponio Mela. Questo geografo avvisa probabile il conginngimento del Niger col Nilo ; ma deride l’opinione circa lo scolo dell’un fiume nel- l’ altro per la via sotterranea, sì bizzarramente e vivace- mente descritta dal naturalista latino. Egli fa scaturire il Niger da’monti etiopici ; e quindi aggiugne che a differen- za degli altri fiumi affricani i quali sboccano in mare , si interna quello ad oriente senza che sappiasi ove metta fo- ce. Così dicendo era Mela nell’ istessa incertezza in cui sia- mo oggi circa il Dialiba. Eccoci intanto all’ epoca in cui la geografia antica ( dell’Affrica specialmente ) cessando di aver solo elementi dalle relazioni de’ trafficanti , imprese a fondarsi sovra basi scientifiche. Tolomeo, che per noi fora assai più ricco e preciso, ove non cotanto l’avessero oscurato e intralciato i suoi commentatori , rettifica molte false idee de’geografi / 80 precursori, ed altre ne aggiugne. Fu il primo che annun- ziasse, con certezza l’esistenza di un gram fiume ; non iden- tico nè comunicante col Nilo . Memora sulle sue sponde le città di Tucabath, Nigira, Tagana, Panagra ec.: nelle quali alcuni moderni crederono di ravvisare molte terre della Nigrizia attuale. Memora anche i monti di Mardrus e di Caphus, che piacque ad alcuni altri di riconoscere nelle montagne de’ Mandinghi e di Kaffalba. Alle quali conget- ture non assentisce Gosselin, asserendo che Tolomeo non ebbe idea veruna della Nigrizia. E comecchè noi non con- venissimo in siffatta opinione , ne pare ciò non ostante che le nozioni del geografo alessandrino non si estendessero al di là del Dialiba; nè che egli, a somiglianza de’ suoi prede- cessori, confondesse i fiumi scaturenti dall’Atlante con le contrade propinque al suo Niger. ll quale errore era in- dispensabile conseguenza dell’ignoranza in cui si era circa l’esatta latitudine d’Affrica , avvisando tutti che finisse nel gran Sahara molto al nord dell’equatore. Qui finisce quello che circa le provincie interiori di un tal continente possiam domandare alla geografia antiea. Spirò essa con Tolomeo. Volgiamoci ora alle notizie che ne ebbero e ci trasmisero gli Arabi durante il medio evo. I Mauri , abitanti di quasi tutta la boreal zona afri- cana , oppressi da’Cartaginesi , concussi da’ Romani, e de- vastati da”Vandali , non furon forse uno de’ minori impe- dimenti perchè nè i Romani nè i Cartaginesi non molto; o non punto, si estendessero al di là del gran deserto . Ma originari anche essi da tribù emigrate dall’Arabia , videro negli Arabi , che irruirono nel secondo lustro de’ secoli dell’ era nuova , non già popoli conquistatori , bensì fratelli che venivan a liberarli e proteggerli nella difesa delle na- zionali libertà. Quindi li accolsero come gente dello stesso loro sangue; nè di ciò paghi abbracciarono la religione del Profeta, e con questa lo spirito proselitico dell’islamismo. Allora lo zelo religioso non chè l'ambizione de'Saraceni si associò all’ indole mercantile ed alle annuali caravane che i primi facevano al di là del gran Sahara . Indi le tante colonie fondate verso i confini del Sudan; indi le popolazioni 8r mussulmane snllesponde de’fiumi della Nisrizia; popolazioni e colonie delle quali si hanno non poche memorie nelle croniche de’ secoli 9.° 10.° ed 11.° Più tardi i sovrani di Fez e di Marocco vi inoltrarono armi e conquisti. E infine le relazioni fra” Mauri spagnoli e i colonizzati nel centro d’Africa furon tanto intime, che da Granata mandavansi ar. chitetti a Tombuctùà , chiamati onde edificarvi moschee e la reggia. Che produssero però in favor della geografia questi sei secoli d’intimità nazionale e commerciale fra la Spagna la Mauritania e l'Africa interna ? Notizie men vaghe circa quelle misteriose regioni, ma non sì certe da esser fruttevoli alla geografica esattezza. Il Mauro caravanaggiandovi o scorren- dovi per depredazioni , non mirava il paese che dal solo lato della più 0 men proficua mercatura, oppur dall’aspetto delle scorrerie più o men larghe di bottino . Quindi non riferiva al geografo arabo se non ragguagli incerti ed in- completi ; notizie udite con indifferenza; e computi di si- tuazioni e distanze per lo più presunti , non già calcolati. Saggiamone la pruova ne’trattati geografici degli istessi arabi autori. Incominciando dal sì controverso fiume , dal Niger, Massoudi, Haukal, Edrisi, Ibn-Oudardi, Abulfeda, Bakui, Batuta , ed altri geografi o viaggiatori, il credono nella scatu- rigine e nel primo stadio lo stesso che il Nilo primitivo; il quale in seguito sbrancandosi in due rami, forma con uno il gran fiume d’ Egitto , e con l’altro il così detto Nilo de’ negri. Nè punto essi viaggiatori e geografi convengono circa il luogo in cui quest’ ultimo metta foce. La suppone Edrisi presso all’ isola di Oulil: isola sovente menzionata nella geografia de’ citati autori, e che molto fece larghes- giare in congetture le teste de’ moderni. D’altra banda Sche- habbeddin avvisa che il Niger perdasi nelle solitudini del gran deserto ; e vedremo da quì a poco l’ ipotesi di Leone Africano . Da tanti pareri insomma è deducibile , che la sorgente dell’ attuale Dialiba fosse affatto incognita a'Mau- ri; e che questi non si fossero tanto internati al S. O. ad T. XXV. Febbraio. 6 82 estendersi molto in là di Diinnè. Quanto alle loro escur- sioni a tramonto, troviamo nello stesso Edrisi menzione della tribù de’ Zanaghi (da cui vuolsi che abbia nome il Sene- gal), del Rio Do-Ouro , e del Maghzara ; i quali punti sembrano i limiti estremi delle geografiche cognizioni maure” verso occidente , come il Lamlam par che sia 1’ ultimo paese cognito a mezzogiorno. Circa il Sudan infine trovansi memorate le città di Tocrour, celebre per miniere d’ oro; Gallah, e Berassa abitate da negri di somma bravnra; Ga- nah e Tombuctù ricche per gran commercio. Due viaggia- tori mauri, Batuta e Leone Africano, ce ne trasmisero no- tizie che trovansi anche oggi esatte e veridiche. Vivea e scrivea Batuta verso il mezzo del 14.° secolo. Nativo di Tanger, peregrinò durante venti anni per Asia ed Africa, ove penetrò fino a Tombuctù ed a Melli. Oltremodo ingenua ed allettatrice è la narrazione dell’ itinerario della caravana cui si unì per viaggiare ; e lasciò memoria delle due vie battute nell’andare e nel ritorno. Amendue furon verificate e rinvenute esatte da’ moderni esploratori. Quindi è a dolersi che de’ suoi viaggi non sia a noi pervenuto il racconto intero, ma il solo epilogo. L’altro (Leone Affricano) nato in Granata, ed allievo della scuola di Fez, la più famigerata delle università maure, viaggiò al Bournou verso il1511, colà accompagnando suo zio, dal principe Fezzano deputato al monarca di Tombut, onde indisporre i regoli della Nigrizia contro alle imprese de’Por- toghesi. Scrisse egli in arabo il racconto delle sue esplo- razioni; e pare che ei stesso lo traducesse in italico idio- ma. Da un tal libro deducesi che il viaggiatore si internò neli’Affrica fin al 15.° latitaudinare boreale. Conferma l’esi- stenza della cennata tribù de’Zanaghi fra Marocco e il Sen- negal ; parla inoltre di Melli graduandolo a 300 miglia al sud di Tombuctù ; situa questa città fra foreste immense a ponente, Gago a levante, montagne deserte a mezzogiorno, e Bambara a borea. Ei mostra infine d’ aver raccolto no- tizie del Dahome e d'altri punti della Guinea; però non pare che si fosse inoltrato al Kuranko , al Suliman, ed al Sangara.» Tutti gli esploratori moderni, e sovra ogni altro è ricetta ST Hartman, Bruns e Valkenaer, nel verificar-sovra luogo mol- tissime indicazioni date da Leone , rendono il più bello omaggio alla sua dottrina veracità ed esattezza. Ma ciò non bastò intanto a salvar la sua fama dalla ca- lunnia di impostura. Si giunse da alcuni perfino ad asse- rire che Leone non avesse neppur visto quel Tombuctù che egli descrive con tanto candore e colorito, Fondavan.i siffatte accuse sulla direzione topografica da lui data al fiume tombuctuese, ossia al preteso Niger, che ei fa scor- rere troppo a tramonto ; del quale esagerato inoltramen- to non saprebbesi dar spiegazione se non ricorrendo a con- getture. Per ammettere infatti che il geografo mauro vi ab- bia navigato fino a Ghinea e Melli , è mestieri opinare che il Dialiba di Mungo Park dividasi a Tombnetàù in due rami; un de'quali serpeggiando al S. O. verso Diienne, e quindi al S. intorno Melli, metta foce nel golfo di Benin. Ove ciò non si voglia, è necessario congetturar con Deli- sle non un solo, bensì due grandi fiumi scorrenti in senso opposto. O infine dee supporsi con Barrow e Murray, che il fiume di cui parla Leone sia il Gulbi, ossia il Nilo de’ negri. È intanto possibile che il nostro geografo, troppo rispettoso a Tolomeo, il qual fa scorrere il Niger verso po- nente , credesse che il fiume sul quale egli navigava era precisamente quello indicato dal geografo egiziano. Non pochi autori arabi erano dell’ istesso avviso ; e molti dei moderni , confortati dal parere di Denon , Maxwel, Bur- kardt, Bowdich ec. il credono. Presto o tardi cesserà tanta controversia ; e forse a quest’ ora è già risoluta da Laing e Clapperton. Comunque vogliasi, non è però men vero che sommi servigi alla scienza rese Leone ; e che le sue opere sono l’ anello onde la geografia del medio evo si annoda con la moderna. Verso il suo tempo suonava infatti l’ora di un'e- poca novella per la scienza istessa, mercè le prime naviga- zioni europee intorno all’Affrica. I Portoghesi dopo espu- gnata Ceuta , udite forse nella Mauritania le notizie delle ricche miniere d’oro della Guinea, e non sapendo o non potendo inoltrarvisi per la via di terra, atteso che i Mauri 84 avversi per religione € per politica agli Europei, gliene bar- ravano il cammino, risolsero di arrivarvi costeggiando l’Atlan- tico. Il Capo Noun era stato fino a quel secolo il limite estremo di ogni navigare; avevasi anche la tradizionale opi- nione di fatalissimi disastri comminati a chi ardisse oltre- passarlo. Ma il formidabile pregiudizio fu nel 1438 debel- lato da Gilianez. D’allora in poi tatte le occidentali co- ste affricane fino all’equatore, ed anche oltre , furon co- gnite a’ navigatori lusitani. i Se va prestata fede alle loro croniche , i Portoghesi annodarono relazioni di commercio col Tambuctù e col Sudan molto invanzi allo spirare del 15° secolo. Si me-o mora un tale Golof, africano battezzato , il quale fu nel 1489 mediatore di trattati amichevoli e commerciali fra il Portogallo e i sovrani tombuctnesi. Si memora un’ amba- sceria solenne speditavi da Lisbona nel 1530. Si fa cenno di esplorazioni anteriori, sol cimentate per andare in trac- cia di Ogano (Ganah). Oltracciò Cada mosto diede agli esplo- ratori molte notizie ed indicazioni sul commercio dell’oro di Melli, e sul cammino delle caravane le quali , allora al par di oggi, facevansi per tre vie diverse fra 1’ interno e le coste. Ebbero anche da Pietro di Covilham vari rag- guagli circa le provincie interiori d’ Affrica ; altri ne rac- colsero dagli indigeni del Benin e del Congo. Infine alcuni audaci mercadanti algarvi osarono nel 16.9 secolo risalire il Rio-grande. Ma tutti questi lumi e indizi rimasero sepolti, e perciò infecondi , negli archivi del governo . Senza del signor Barras, che ebbe la laudevole cura di pubblicarli, se ne sarebbe anche perduta la memoria. Fin quì lo spirito mercantile, associato ad una specie di entusiasmo cavalleresco , avea sospinti i primi Europei all’arduo cimento di esplorar l’interno d' Affrica . D' ora in poi l’avidità de’ guadagni e i profitti del commercio ani- meranno gli altri popoli d'Europa a ricalcar le orme por- toghesi. Regnava Elisabetta quando gli Inglesi tentarono i loro primi cimenti in Affrica. Alcuni negozianti di Exeter spe- dirono navi alle coste del Gambia e del Sennegal; nè 85 mancarono nel secolo 17.mo esploratori, i quali sforzaronsi di penetrar fino a Tombuctù, supponendo questa città più da presso al lido occidentale; Johnson e Tompson però, a ciò cominessi , vi fallirono. L'unico frutto di tal cimento fu quello d’aver le prime nuove de’ popoli Mandinghi. Nel 1723 si internava Stibz fino alle cateratte di Barraconda ; ed Harrison nel 1732 pervenne a Fatatenda. Nè più in là di questa potè più tardi inoltrarsi Moore. Sol giovò ad au- mentar la scienza con le nozioni sul Sudan, che raccolse nella sua lunga dimora in quelle coste come fattore della compagnia. Dal canto loro i Francesi stabilironsi nel 1626 sulla foce del ,Sennegal ; e De Bruè, uno degli agenti i più ani- mosi dello stabilimento , si internò nel 1698 fino al Rea- me di Galam, ove si lusingò d’aver raccolto circa il Tom- buctà un ragguaglio, che non si è quindi trovato esatto. Qualche anno prima, intanto, un altro francese (1mbert), accompagnandosi ad una caravana tripolina, vi era per- venuto ; e il racconto di questo viaggiatore trovasi memo- rato in una lettera che Charant pubblicò nel 1670. Noi tralasceremo di menzionar gli altri infruttuosi tentativi, on- de fare un sommario dello stato della scienza geografica e de’ suoi progressi fino al secolo scorso. Le indicazioni date dai Portoghesi, Inglesi, e Fran- cesi circa l’ Affrica interna non eran tanto esatte precise ed unisone da venir sostituite a quelle della geografia an- tica ed araba. Quindi i geografi del 16.mo e 17.1 secolo - si rimasero ne’ sistemi geografici di Tolomeo e degli Arabi. Proseguirono dunque nell’ opinione che il Sennegal era lo stesso del Niger, e considerarono sì il Gambia che il Rio- Grande come due rami di un tal fiume. Furono inoltre di avviso che il suddetto Niger, il Nilo , il Zaira, e le al- tre acque del Congo, scaturissero tutte da un gran lago esi- stente nel mezzo d’Affrica, Si arbitrarono oltraciò a ravvicinar molto alle coste atlantiche e Tombuctù, e il Sudan: nè paghi di arbitrarie congetture o prevenzioni, presero il Burnù pel Fezzan, e lo Zanfara pel Burnù. Questi ed altri errogi trovansi nelle carte di Mercatore; cui piacque di aggiu- 86 guere alle inesattezze de’ geografi antichi anche quelle de- gli Arabi e de’ primi esploratori europei. In mezzo a tante tenebre e fallanza , Delisle dardeg- giò non poco lume e non poche verità. Nella carta d’Af frica, da lui pubblicata nel 1722, l’Abissinia fu ricon- dotta fra’ suoi veri confini ; e il Nilo riscaturito dalla sua vera sorgente (venti gradi almeno più borealmente della scaturigine innanzi presunta) nulla ha più di comune con gli altri fiumi affricani. Non un solo e comune corso, ma bensì due e differenti scoli ebbero il Niger e il Sennegal; il primo cioè a borea; l’altro a tramonto. Vi si veggono infine rettificate (comecchè non esattamente ) le posizioni del Burnù , dell’Orangara , dello Zanfara al nord del Ni- ger, e di Tombuctù. Questi innovamenti più propinqui al vero precorsero a’ lavori di d’ Anville. D’ Anville portando il rigore geometrico in geografia, non volle ammettervi se non quello che era certo. Indi av- venne che la sna carta d’Affrica comparve quasi tutta bianca nell’interno. Però con maggiore precisione vi si veggon trac- ciati e il Gambia e il Sennegal ; videsi in essa per la pri- ma volta il Nilo scaturir da due laghi disegnati presso alle radici de’ monti della luna ; videsi scorrere a levante il Ni- ger ; e, senza comunione con gli altri fiumi senegambici, se- gare il Sudan mettendo foce in un lago al sud del Burnù. Rettificò esso inoltre le graduazioni di latitudini e longi- tudini adottate da Delisle. La geografia dell’ Affrica inter- na, insomma, data da d’Anville con tanta critica, e con tanta severa economia , formò parte e documento ufficiale della scienza, fino all’ epoca in cui la società affricana di Londra imprese a cimentar nuove esplorazioni. Lo scopo di questo istituto nel tentarle fu al certo quello, di far progredire le cognizioni geografiche e i benefizii della civiltà ; ma probabilmente venne ad animarle e proteggerle il governo inglese per mire di utilità mercantile. Comun- que sia, se non tutta generosa e pura fu questa sovven- trice protezione, non perciò non concorse essa allo scopo suddetto. Poco monta adunque che fra le istruzioni date agli esploratori, non siensi mai omesse quelle circa l’in- 87 grandimento del commercio brittannico. Noi quì sbozziamo i progressi istorici della geografia affricana, e non andia- mo indagando la moralità delle opere che concorsero ad ampliarla. Leydard e Lucas furono i primi a’quali si commise (1788) l’ardao incarico di cimentar nuove scoperte in Af- frica. Malavventurosi amendue! Il primo morì nel Cairo. L'altro non oltrepassò Mesurata, non dando se non pochi ragguagli nuovi sul Darfur e sul Fezzan, che noi verre- mo da quì a poco a memorare. Loro successe Hougton, il quale da Pisania si internò nel Woulli, raccolse indica- zioni del Dialiba, corse il Bambouk , e pervenne a Lau- damar; ove fu ucciso dagli abitanti di Garra. Con lui pe- tirono tutte le raccolte nozioni; e perciò poco giovò alla geografia. Poco anche le giovarono Wat e Winterbottom spediti da Sierra Leona onde arrivare alle scaturigini del Dialiba. Noi faremo cenno delle scoperte di essi nel dar conto di quelle di Mollien e Laing, con le quali si as- sociano. i Eccoci ora al famigeratissimo Mungo-Park (1795). Par- tendo anche esso da Pisania, e trapassando le immense fo- reste che separano il Gambia dal Sennegal, non che la- sciandosi dietro il Bambouk e il Ludamar, pervenne a Se- go metropoli del Bambara. Quivi egli vide il Dialiba scor- rente da tramonto a levante, e largo quanto il Tamigi la ove sega Londra. Sempre più animoso e bramoso di per- meare a Tombuctù, seguì il corso del testè citato fiume fino a Silla , ove videsi dagli ostacoli degli indigeni e dalla propria penuria costretto a ritornar d’onde era partito. Co- mecchè mal avesse egli scelta e la direzione de’luoghi e la stagione delle piogge nell’intraprendere il suo viaggio, e quantunque non abbia risoluto il problema circa il mi- sterioso gran fiume del Sudan , ciò non pertanto deggionsi aquesto arditissimo esploratore le prime nozioni esatte delle contrade interposte fra il Dialiba e 1° Oceano. i Mentre Mungo-Park così animosamente esplorava dalla parte occidentale regioni fino allora ignote agli Europei, un altro inglese, animoso non men di lui, cimentava cun 48 non minori difficoltà uguali imprese dalla banda del nord: d’ Affrica. Browne seguendo le tracce di Leydard , ed ac- compagnandosi ad una caravana del Sudan che partia da Assiout d’ Egitto , trapassò la grande Oasi, e pervenne ‘do- po due mesi nel Darfour. La geografia dee molto deplorar 1’ evento che il viaggiatore caduto prigioniero di alcune tri- bù affricane non potè proseguire le sue esplorazioni. Senza un tal sciaguroso incidente, sapremmo molto più di altre contrade , al pari di ciò che per lui meglio ora sappiamo del Darfour. I confini di questa provincia non più son oggi incerti. Ha essa a levante il Sennaar e il Kordofan ; a po- nente i reami di Afnou, «Bergou e Burnu ; ed a mezzo= giorno il Dar Koulla e il Donga. Seezzen inoltre trovò esatte e veridiche le designazioni che Browne diede di molti fiu- mi della Nigrizia orientale. Se i cenni di Leydard infiammarono Browne, quelli di Lucas sul Fezzan punsero lo zelo di Horneman. Partì anche esso con una caravana, che dal Cairo vi andava per mezzo del deserto della Libia. La sua peregrinazione fu men larga di scoperte nuove, che di rettificazioni delle già fatte. Molto accuratamente descrive egli infatti l’ Oasi di Siouah, e la parte del deserto da lui percorsa. Seezzen , che era sulle mosse di internarsi in Affrica pur dalla via d’ Egitto, finì immatàramente i giorni poco innanzi di met- tersi in cammino. Ciò non ostante molto contribuì a’pro- gressi geografici con i ragguagli sulle regioni che ei divi. sava esplorare, avuti da due giovani affricani. Ebbe da uno contezza del preciso itinerario dall’alto Egitto al Bur- nù; itinerario da cui risulta, che uopo è graduare quest’ul- tima provincia molto più al sud di quel che comunemente vien presunta. L'altro, che era Fellah di nazione, e na- tivo di Haoussa , gli dava poi precise indicazioni di Ader, di Zanfara, di Gubir, di Beghirma , e d’ altre regioni in- terne anteriormente incognite. Furon questi i cimenti saggiati (0) eseguiti negli ulti- mi anni dello scorso secolo ; e i geografi non mancarono di far capitale de’ passi inoltrati nell’ Affrica interiore. 1l maggiore Rennel, il quale nella carta pubblicata nel 1792, 89 avea conservato tutto il sistema di d’ Anville, molto in- novò nell’ altra che diede in luce nel 1802. Sovra dati certi e positivi giustamente corresse le graluazioni del Se- negambia, del Fezzan, del Dar-Four, del deserto di Barca e del Nubico; ma si arbitrò ad innovare il resto senza do- cumenti uguali di certezza. Tombuctù , il di cui geogra- fico destino par che sia quello di non aver-luogo fisso, ven- ne nella seconda carta di Rennel traslocato assai più al N. O. del grado assegnatogli dal geografo francese. Il Nilo non ha comunione alcuna co’ fiumi del Sudan. I grandi reami interni non sono già Tombuctù e Cachenah, bensì Bambara ed Haoussa. Melli è lo stesso che Lamlem ; la quale opinione è tuttora una ipotesi. Troppo al borea è segnato il Burnù, ed il Bagherme troppo a levante. Solo il Dar-Four è conservato fra’ gradi calcolati da Brown; e in posizioni esatte ne sembrano graduati Caby, Tocrour, Agades, Kachenah, e il Daoura di Lucas. Questa carta d'Africa, comecchè più delle antecedenti ricca e ripiena, non perciò ha maggiori titoli a non cre- derla ipotetica. Il quale fallo andrebbe scrupolosamente schivato da’ geografi, non dovendo essi tracciare in lavori simili se non i punti innegabilmente cogniti e determinati. Ciò non pertanto l’ Affrica di Rennel fu modello a tutte le carte posteriori; e sovra ogni altra a quella di Arrow- smith e Purdy, nelle quali sol fu aggiunto fra Tombuctù e Ganah un gran lago indicato da Jackson. Jackson, console inglese a Mogador, ebbe da due molto eruditi mussulmani la notizia di un siffatto lago in lin- gua indigena detto il mare del Sudan. I due affricani as- serivano inoltre l’indentità del fiume tombuctuese col Nilo d’Egitto, ed aggiugnevano di avervi navigato recandosi al Cairo. A questi asserti uniformavansi uguali avvisi, dallo stesso console uditi da alcuni negri ; i quali nell’ affermare anch’ essi d’ esser passati per navigazione fluviale da '['om- ctù in Egitto, assicuravano di aver vista presso Kachenah una tribù di bianchi simili agli europei. A sancire queste notizie, che partiano dalle coste tramontane d’Affrica , ve- 90 nia il racconto che nell’opposto punto affricano faceva ad Aly Bey un tale Sidy Mathbouhal. Intanto i geografi inglesi parteggiavano per due din opinioni circa il corso del Niger. Alcuni , alla cui testa era Maxwell, avvisavano che le sue acque avessero sboc- co nell'Oceano per mezzo di un de’fiami del Congo. Altri poi eran di avviso con Reichard , che mettesse foce nel golfo del Benin. Mungo-Park che propugnava la prima delle dette ipotesi, non scoraggito dalla coscienza de’ pe- ricoli e travagli del suo primo viaggio , si esibì a tentar- ne un secondo per verificarla. Egli partì e non più ricom- parve. Un funebre velo copre e la sua sorte e le fatte sco- perte. Le ultime nuove che di lui si ebbero, non furono senza importanza per la geografia. Non più ora si dubita del lago Dibbie, nonchè de’fiumi, che vi sboccano, o ne scaturiscono; e si conobbe una direzione più breve fra Pi- sania e il Dialiba.. In siffatta quistione non punto avea luogo Tombuctù. Spettava ad un marinaro americano (Adams), naufrago su’lidi del Sahara, di rinnovarne la memoria e l’interesse col farne nuovamente menzione. Narrava di esservi stato condotto schiavo; e la descrivea come una città esistente quasi alle sponde di un fiume detto Marzarak in idioma indigeno. Non mancò chi il tacciasse d’ impostura ; però ad altri ispirava non poca fede il candore e l’ ignoranza del testimone, inabile a foggiar menzogne sovra cose che non avesse nè vedute nè udite. Ad accreditare i suoi detti venne un altro americano (Riley ), che naufrago anche es= so, e anche esso schiavo, parte vide, e parte wlì dal suo padrone Sidi Hamet , circa le controverse regioni d’Affri- ca. Secondo i racconti di Riley , aveva esso udito che Tom- buctù , città, cinta da muraglie di terra con forti guardie alle porte ,, ricca di botteghe ingombere di mercanzie , e abitata sì da mussulmani che da negri idolatri, è presso a poco sulle rive di un fiume detto là Zolibib , e più in là Zadi verso Quassanah. Questa seconda città , murata e fabbricata in pietra, è a cinquanta giorni di camino al Ù 91 S. F. distante dalla prima, Quassanah era ignota in geo- grafia ; e il naufrago americano fu il primo a parlarne. La sua notizia venne quindi confermata al capitano Dundas da un negro che dicea d’esserne nativo. Il rimanente di ciò che Riley riferia d’ aver udito da Sidi Hamet , era tutto in favore dell’opinione di Reichard ; poichè aggiugnea 1’ Af- fricano, che i mercatanti Quassanahesi navigando pel Zadi, Zolibi e Dialiba, pervenivano alla grande acqua(l’Oceano); ove dando a’ bianchi i loro schiavi , ne ricevevano armi, polvere piria, tabacco , e drappi. Prevalea però in Inghilterra l’ ipotesi che il fiume ine- splicabile mettesse foce nel Congo; ed a verificarla si af- fidò al capitano Tuckey una nuova spedizione in quelle regioni. Ma inutile fu anche quest’ altro cimento L’esplo- ratore e venti suoi compagni caddero vittime del clima. Il solo utile arrecato alla geografia fu la rettificazione della costa in cui il Zairi ha la sna foce. Tante morti non disanimarono nè il governo nè i viag- giatori; poichè raro freno al male, ma non mai al bene è il timor della morte. Addoppiaronsi adunque novelli ten- tativi di ulteriori esplorazioni sì dalla banda de’lidi atlan- tici, che da quella di Tripoli pel Fezzan. Commettevasi adunque a Peddie ed a Campbell (1822) di risalire il Rio-Nunnez , onde arrivare al Dialiba per una via che li conducesse alle scaturisini de’fiumi senegambici. Ma essi morirono l’un dopo l’ altro a Kakoundi, nulla di più aggiugnendo a ciò che era cognito, se non un più bre- ve itinerario da Kakoundi a Timbù passanilo per Labey, e qualche notizia sulle contrade orientali de’'Fulahi, i più feroci diffidenti ed inospitali fra tutte le genti affricane. Fatto cauto da questa sventura il maggiore Gray prendea altro sentiero partendo da Kayaye, trapassando il Woulli meridionale, e risalendo al N. O. nel Bundù fino a Bouli- bany, che ne è la capitale. Quivi L’Almamy {il principe), non solo gli vietò di andar oltre, e gli impose di uscir da’suoi stati, ma il fece anche aggredire dalla stessa guardia che dovea scortarlo nell’ estraresnazione. Gray con pochi seguaci pervenne a stento a salvamento in Bakelle colonia francese, 92 Non migliore destino toccò a Dochard , altro suo compagno, da lui commesso ad esplorare il terreno fra Phany e Buli- bany. Ritenuto prigione in Bammakù, si salvò con la:fuga raggiugnendo il suo committente a S. Giuseppe. Questo altro fallito tentativo, comecchè poco giovevole alla geografia, rettificò ciò non ostante gli avvisi che aveansi del Bundù, e fece più note le regioni fra il 13.0 e 14.° pa- rallelo boreale, propinque a stabilimenti francesi del Sen- negal superiore. Dimostrò, esso ancora, che mal cimentansi le esplorazioni dell’ interno d’ Affrica, mostrandovisi con molto treno di gente armata. Le armi straniere svegliano sempre l’indigena diffidenza. La ospitalità vuol essere tutta generosa e spontanea ; essa ripugna a prestarsi allorchè si ha l’aria che la si voglia esigere con l’aspetto della forza, e con le ispirazioni del timore. Gli eventi che sembrano i più avversi alle scienze son sovente quelli i quali fanno maggiormente progredirle. La guerra insorta fra gli Inglesi e gli Achantidi viene a docu- mento di tal verità ne’ progressi della geografia d’Affrica. Un giovine (Bowdich) compagno del negoziatore, deputato a trattar la pace fra la colonia e il formidabile sovrano di que’selvaggi, seppe ispirar tanta fiducia agli Affricani, che tranquillo e protetto dimorò per cinque mesi nell’Achantia. Un siffatto soggiorno fu fruttevolmente messo a profitto, ed a ben conoscere questa provincia , ed a raccogliere il mag- gior numero di ragguagli possibili circa i nomi ed i corsi de'fiumi del Sudan. Secondo le nozioni raccolte da Bowdich, adunque dividesi il preteso Niger in due rami presso al lago Dibbie; un de'qua- li, detto Quo//a, ne spicca un terzo che va/a metter foce sotto al capo Lopez; mentie l’ altro denominato Gambarù si versa nel lago Caudi graduato al io parallelo e al 19 me- ridiano. Oltre a ciò lo stesso Niger ramifica un altro bras- cio a Levante di Tombuctù : braccio che i Mauri chiaman Joliba o Dialiba, e che anch'esso si bipartisce presso il Ja- houdi. Udia pure dagli Achantidi che per quest'ultimo fiu- me vedevansi spesso navigar uomini bianchi. Siffatti rag- guagli, comecchè alquanto vaghi e confusi, non mancano ‘ i 93 intanto di naturalezza e verità. Clapperton ed altri esplo- ratori , posteriori a Bowdich, udirono le stesse notizie ne- ‘gli indizi avuti circa il corso e lo sbocco del Quolla nel- l'Atlantico. i Fra questo fiume e l’Achantia gradua Bowdich il .Da- gumba , abitato da negri islamiti, e trafficato da mercatanti mauri. La capitale è Yahndi. Se il tempo ed ulteriori esplo- razioni verificheranno tali asserti geografici ,, il Dagumba acquisterà somma importanza commerciale , poichè sarà lo scalo fra le coste occidentali e l’interno d’Affrica. Bowdich istesso imprese a verificarli con un secondo viaggio; ma scia- guratamente pagò il mortale tributo al clima. La medesi- ma sciagura colpì Belzoni mentre inoltravasi verso il Sudan, Questo nome rammenta con giusto orgoglio agli Italiani un esploratore dotto sagace perseverante e impavido. Pace alla sua ombra, e onore alla sua memoria! L’azzardo addusse che anche un Francese venisse ad essere annoverato fra gli arditi esploratori dell’Affrica in- terna. Mollien , campato dal naufragio della Medusa (1818), volle cimentar nuovi perigli partendo dal Sennegal, ove il balzaron l'onde, ed internandosi nel continente affrica- no per investigar le sorgenti delle acque di Senegambia . Percorse egli le regioni interposte sotto a’ paralleli 15° e 16°, ed esplorò da Diedde fino a Dandiati ed a Canel. Qui- vi rivolgendosi al S. E. scese a Timbù ; e Quindi sempre più discendendo pervenne all’11° parallelo , d’ onde risalì a Geba coionia portoghese. La scienza non ancora ha qual certo tutto ciò che egli disse d’ aver osservato e udito dai Negri. Però fu verificata e l’elevazione che egli diede alle montagne dalle quali scaturisce il Dialiba , e la gradua- zione delle montagne istesse fra’paralleli 8° e 10°. Fu inoltre il primo a parlar della Sulimania e del Kuranko ; le quali provincie eran sfuggite alle esplorazioni dell’ istesso Mungo- Park. A Mollien infine deggionsi i primi e veri indizi delle scaturigini del Dialiba esistenti alla distanza di undici gior- nate da quelle del Sennegal, e ad otto a mezzogiorno di Timbù. Verificatore di molte indicazioni date da Mollien fu il r 4 ret inglese Gordon-Laing. Precisd esso il vero grado del'a Sulimania , ravvicinandola alle coste atlantiche ad una distanza di 200 miglia minore di quella cui venia sup- posta. Fece oltracciò conoscere la Timannia, la Mandin- ghia, il Kuranko settentrionale, non che i corsi e le sor- genti della Rokella, del Kabba, del Kalaba , e dello Scar- scies. Laing non potè trascorrere al di là de’ monti Berria e pervenire al Loma, per una gnerra che venne a insorgere fra’/Sulimanesi e i Kissi;go più probabilmente per gelosie municipiche di Assana re di Sulimania. Lasciando ora le esplorazioni cimentate dalla banda de’ lidi occidentali, volgiamoci a quelle che tentaronsi dal nord al sud, ossia dalla parte di Tripoli. I geografi, con- fortati dall’ avviso di Seezzen e di Horneman , pensarono che vera ed unica via a pervenire al misterioso Tombuctù ed al Burnù, non altra fosse se non quella dalle coste del Mediterraneo inoltrandosi sempre al mezzogiorno. Così fa- cendo si incontrerebbero o il corso del Dialiba, o il gran. lago interiore, foce e scaturigine de’ tanti fiumi reali o pre- sunti, o infine altri punti e accidenti di terreno valevoli a scoprire il certo in ciò che finora è controverso. Avva- lorava queste idee Burkardt , e imprendeva a verificarle con un secondo viaggio, allorchè morì immaturamente al Cairo nel 18:7. La sua morte fu somma sventura per la geogra- fia affricana . Non mai esploratore meglio di lui riunia e possedeva tutti i numeri di lingua costumi ed abitudini manre , necessari ad esplorar con esito l’Affrica interna. Non però desisteva dalle preposte determinazioni nè il governo inglese nè la società di Londra. Si ideò anzi, onde agevolar maggiormente l’ intrapresa, di rivestir l’ e- sploratore con un carattere diplomatico atto a procurargli maggiore assistenza e considerazione fra gli Affricani . Il giovine Ritchie, dotto in scienze geodetiche e naturali, fu prescelto all’ uopo. A lui si unia il luogotenente Lyon , altro animoso e valente giovane . Partian essi da Tripoli accompagnandosi con lo stesso bey del Fezzan ; il quale venuto nella mentovata città barbaresca a vendere un drap- pello di schiavi sudanesi , facea ritorno a Mourzouk. Ogni 05 cosa parea che arridesse allo scopo del viaggio, poichè da pertutto venian ricevuti con onorificenze e riguardi debiti ad ufficiali di Sua Maestà Brittannica. Ma ecco che men- tre si apparecchiavano ad inoltrarsi verso il Tibbous, una malattia, sul principio violentissima , quindi consuntiva, pose fine a’giorni di Ritchie. La sua morte fu sentita con duolo da’ stessi Fezzanesi. ll sno collega ( Lyon) che gli successe nel vicecon- solato del Fezzan, dopo gli ultimi uffici tribntati all'amico, «non rimaneva ozioso. Calcolò esso la graduazione geogra= fica di Gatrone, di Tegherry e di Moarzuk, non che i li- miti del reame fezzanese. Il Fezzan non è, qual credeasi, una Oasi fertilissima ; ma bensì una contrada arenacea quasi simile al deserto. Ne fece inoltre noto l’ irinerario certo delle caravane, le quali impiegano il tempo di cin- ‘ quanta giorni da Mourzuk a Cachenah. E infine fu il pri- mo a dar notizie della città di Grahat; la quale differen- temente dalle altre città affricane, è murata e fabbricata in pietra; è abitata da’ Tuariki che sono oltremodo ric- chi ed industriosi ; e in ultimo va famigerata per una fiera che vi si raduna nella primavera ; fiera in cui convengo- no a negoziare tutti i mercatanti del Fezzan del Sudan e di Gadames. Riepilogando i frutti delle esplorazioni di Barckardt, Ritchie e Lyon avremo, che a loro avviso nopo è gradua- re al 16° parallelo, e quasi al 15° meridiano la città di Burnù ; che l’ intervallo fra Burnù e il Fezzan è di circa 800 miglia; che il Tzad è un gran lago il quale disseccasi alquanto nella stagione estiva ; che al nord del burnuese è il Tibbous; che Nanfi o Niffe è sulle sponde del Quolla; che i Fellati, popoli abitanti al sud del precitato lago, sem- brano i più potenti fra tutte le interne nazioni affricane, e continuamente in guerra co’ limitrofi. Oltracciò confer- mano Lyon e Burkardt le indicazioni di Bowdich circa il ramo del Dialiba che serpeggia per mezzo del Melli, e le altre sul Bergou congetturate da Brown. Verificandosi con esattezza questa conferma , sarà mestieri rimuovere nelle carte almen tre gradi verso occidente le posizioni del Ber- 6 De: del Bagherme. Infine da ‘questi raggnagli può pre- sumersi , ed anche profetarsi , che ‘le montagne bergouesi formano la prominenza la quale separa le acque dell’Egitto da quelle del Sudan orientale ; come ancora che il dorso montuoso del meridionale Bournù osta invincibilmente alla ipotesi che i fiumi, i quali vi scorrono da tramonto, abbia- no uno scolo in quelli del. Congo. Lo schizzo primario de’ punti principali dell’ Affrica interna erasi ottenuto. Non altro dunque rimaneva a farsi che riempire i vuoti intermedi, e sulle tracce del cognito inoltrarsi con sicurtà per entro all’ ignoto. A facilitar l’ese- cuzione e il compimento di un’opera tanto bene incomin- ciata, venne un assai propizio incidente. Il bey di Tripoli offriva al gabinetto inglese di far scortare fino al Burnù qualunque geografo o viaggiatore piacesse a Sua Maestà Brittannica d’inviarvi. Il governo non si lasciò sfuggire l’occasione di sì larga offerta; e facendo un generoso in- vito a chi volesse avventurarsi in un tanto arringo, trovò in Oudney , Clapperton, e Denham tre abili ed animosi esploratori novelli. Metteansi dunque essi in camino da Tripoli a Mour- zouk, e quindi da Mourzuok.al sud, scortati da 300 Arabi a cavallo (1822). Giunti a Tegherry, e seguendo sempre la direzione indicata da Lyon, si inoltrano a nuovi con- quisti geografici. Ed ecco che dopo Bilma , rinomata per le sue saline, e al di.là del deserto di Agades, loro ap- parve il Bournu nel più vago e incantevole aspetto. Sono essi già sulle sponde del gran lago Tsad, di cui con me- raviglia contemplano e i fertili margini, e le molte isole adorne di folte piante, non che popolose di elefanti che vi pascolano fra foltissimi canneti. Quivi si separano i nostri esploratori, onde far maggiori scoperte nel tempo istesso. Denham seguì il comandante tripolino in una scorreria con- tro a’ Fellati, la quale il sospinse fino al 9.° di latitudi- ne, ed a 4oo miglia lungi dal vecchio Calabar sulle co- ste della Guinea. Dal loro canto Qudney e Clapperton, diri- gendosi verso Nyffe, ove perì Horneman, passarono fra le ruine dell’antico Birnie e Gambarrou (città un tempo po- 97 polatissime , oggi covili di belve feroci) e pervennero a_ Balley. Da Balley ricalcarono le luro orme fino a Kouka, onde riprendere la prima direzione, ed entrar nel Beder. Avean già lasciato il Bouriù quando la morte, che li se- guia, volle una vittima. Un freddo subito ed intensissimo, tanto più intempestivo quanto men temuto in un clima sì torrido, invase l’atmosfera. Esso era tale che l’acqua con- gelavasi negli otri. L’infelice Oudney, non reggendo a co- tanta alterazione di temperatura , e colpito da violentissi- mo catarro , finì i suoi giorni il 12 gennajo 1824. Clapperton, poichè ebbe resi gli ufficii supremi al com- pagno , tristamente proseguia le indagini verso Kano. Il sultano di questa città , cui era raccomandato dallo Cheik di Bonrnù , il fece accompagnare a Sakaton, presso alle rive del Ieou o Iaau, detto Quolla o Quora nell’idioma in- digeno. Quivi fa ammesso alla presenza di Bello, del for- midabile Regolo de’ Fellati, che conquistò tutto il Sudan da Djnne fino al Tsad. Ivi anche, raccogliendo nuove ed indicazioni delle contrade adjacenti, apprese che il fiume di Tombuctù, dopo varii serpeggiamenti or a tramonto ed ot a oriente, cola quindi al S. E. S., e infine scorrendo | per paludose pianure, va a metter foce nel golfo di Benin. Ricco di sì importanti notizie raggiunse il maggiore Denham. Denham aveva anche esso notizie non men momen- tose, e non men doloroso evento a communicargli. Toole, il suo collega di viaggio, che lo avea raggiunto a Kouka dopochè erasi separato da Oudney e Clapperton , era mor- to. Navigando sul Chary, avean graduato quasi tutto l’am- bito del Tsad, e il sito di Chowy : quindi eransi internati fino a Kournouk capitale del Loggoum; d’onde scacciati dal sultano per affricana inospitalità o per una guerra insorta co’Baghermesi , pervennero con stento in Angola : luogo in cui Toole, consunto da’travagli del clima e da morbo, avea finito i suoi giorni. È Per distrarsi dal duolo di questa perdita , e forse an- che per propensioni militari , Denham seguì lo Cheik di Burnù in una scorreria contro a’ Baghermesi. Due vecchi T. XXV. Febraio. ! 7 N 8 ci , alla meglio che poteasi fra que’deserti, da lui messi sopra carro ed in istato a far fuoco, decisero della vitto- ria. Il terror panico che la prima ed unica scarica incusse ne’Negri fu tale, che essi sbandironsi rapidissimamente. De- bellati questi nemici si volse lo Cheik contro al paese de’ Fittri, ove il geografo riconobbe e graduò il margire bo- reale del Tsad. Non altro oggi ne rimane a graduare e ri- conoscere se non la parte della sponda al N. E.; ed egli è perciò che la carta , da Gardner fatta con gli elementi dati da Denham , lasciò in bianco la porzione suddetta , Dopo queste separate peregrinazioni riunitisi i nostri due esploratori , ripresero la via di Tripoli, ove arrivarono il 26 gennaio 1825 accolti, e con immenso giubilo, festeggiati dal console inglese ; da’ Tripolini, e dallo stesso bey. La narrazione di questa momentosa esplorazione è sotto i torchi (**). Con molta impazienza l’attendono e i lettori cu- riosi, ed i geografi. Oggi è quasi cognita la vera situazio- ne e direzione del fiume di Tombuctù, non che il suo scolo nel golfo della Guinea. Alcune stoviglie di fabbrica inglese, viste fra le masserizie nella casa di Bello in Sakatou, in- dicano le comunicazioni di commercio fra questa città e i lidi atlantici. Il calcolo da Denham fatto circa l’ elevazio- ne del lago Tsad, risolve negativamente l’ipotesi dello scolo delle sue acque nel Nilo dell’ Egitto superiore. Vi sbocca- no nel lago istesso due fiumi ; il Jaou cioè e il Chary. Vien dal N. O. il primo; l’altro scende dal S., e scende dalle montagne dalle quali il braccio occidentale del Nilo supe- riore ha forse nell'altro acquapendente de’ monti istessi le sue scaturigini, o qualcuna di esse. Noi siam certi che il viaggio di Denham e Clapper- ton cangerà affatto la topografia del Burnù. I due viaggia- tori fanno menzione di 36 città popolate da circa 200 mila abitanti in questo reame. La regione fra il Tsad e la valle di Tombuctù fu esplorata; e graduate furono Kano e Sa- katou. La prima è sotto al 13° parallelo e il 9° meridia- no : la seconda sotto al 5° meridiano e il 12° parallelo. (**) N'è pubblicata anche la traduzione francese, e quanto prima ne ren- deremo conto nell* Antologia, 99 Ampia messe promette l’ ulteriore indagine dello stato fisico e morale del Sudan. I Burnuesi , i Baghermesi, i Fel- lati parvero a Clapperton una nazione che occupa nella scala della civiltà affricana il grado intermedio fra gli Arabi e gli Etiopi Essi, comecchè molto arretrati nell’ incivili- mento, conoscuno intanto molte arti europee, ed hanno non poche nozioni di buona medicina pratica. Combattono con spade ed armi simili a quelle del medio evo , e si mostran ambiziosissimi di que’fregi che in Europa son dati come ri- compense alla bravura. Portano infatti alcune specie di de- corazioni cavalleresche fatte in creta cotta: ed a somiglian- za degli antichi Numidi o degli Arabi moderni, sono abilis- simi a montare e maneggiar cavalli. Son questi i frutti finora colti ne’ cimenti tentati ad esplorar.l’interno d’Affrica. Clapperton è attualmente di bel nuovo in cammino per coronar le sue prime imprese : e for- se va a quest'ora risalendo il fiume che dal golfo del Be- nin deve guidarlo a Tombuctù. Forse ancora questa città, cotanto controversa ed indagata, accolse già nelle sue mura il maggiore Laiog, che a tale oggetto partia testè da Tripoli alla volta del gran Sahara (***). Dopo un’ostinata lotta di tre secoli la possanza della civiltà enropea finalmente trion- fa , e compie l'interna geografia affricana. Poniam la data a questo cenno isto:ico allo stesso modo che gli scrittori antichi supputavano da’grandi eventi l’epoche della loro istoria.‘‘ Noi lo scrivevamo nel momento in cui l’audace e animosa per- severanza europea, vincitrice del clima del fanatismo e della ferocia, strappava ‘al fine dalla superficie d’Affrica il nero velo, che involò finora agli occhi degli uomini l’interno di questo gran continente ,, G. P. (***) Vedi Aut. fas. 67. p. 167. la notizia dell'arrivo di questo viaggiatore a Tombuctà. 100 Lettera al Dirertore dell’Antologia , sopra la scuola di reciproco insegnamento per le femmine, fondata in Siena dal cav. Giurio DEL Tara. Siena, 20 Febbraio 1827. Che direte mio caro amico , che direte voi mai leg- gendo in questo foglio , che a me gode l’ animo per l’acqua che a diluvio è caduta oggi qui in Siena, a me che le tante volte malediva alla incessante pioggia per cui tristissima era fatta la trista mia vita costì in Firenze? Dopo che domenica vi abbracciai mi fui ieri mattina messo in viaggio per alla volta di Roma:io era quarto in una assai comoda carroz- za nella quale viaggiavano insieme tre giovani diversi di nazione, ma non diversi, a quanto ho saputo intendere , d’ indole, d’inclinazioni, di genio: lietissimi tutti e nel con- versare amenissimi narravano ( vere fossero o a sollazzo immaginate ) le loro buone venture , e quella loro beata giocondità serenava a tempo a tempo la mia mestizia , e quasi che lieto mi rendeva, o tale almeno da non parere a chi mi riguardasse meritevole di sedermi, come voi sete usato a dire, nei primi scanni della compagnia dolorosa dei pia- gnoni. Di tal guisa lentamente andando si giunse, tramon- tato di due ore il sole , in questa gioviale città per dove io da venti anni non era più mai passato. Discesi all’ al- bergo ristorammo, dopo breve ora, di buona cena lo sto- maco, e quindi quasi che immediatamente ne andammo a dormire, di niente altro curanti che di metterci di nuovo in cammino al primo albeggiare di questo giorno, onde il più tostamente , che far si potesse , entrare venerdì nella città eterna. Da cotanto in noi desiderio argomentar potete quale ha dovuto essere il dispiacere nostro quando in questa mat- tina al subito destarci abbiamo udito, che copiosa scroscia- va la pioggia, e l'abbiamo poi veduta continua e dirottis- sima . Erano le ore dieci quando annoiato di rimanermi 10I nella oscura cameruccia ove aveva passata la notte, lasciato che i miei compagni a discacciare il, reo umore contratto per il mal tempo tra i sorsi del caffè vuotassero una bot- tiglia di rum, mi sono recato a rivedere il Duomo , edi- fizio siccome voi sapete e nell’ insieme e più nelle sue an. che minime parti stupendo. Una lunga ora è corsa men. tre in esso osservando io gustava quella cara soavità, che dal riguardare il grande, il bello , il maestrevolmente ar- tificiato ci scende nell’ anima : sono uscito per ritornare all’albergo , ma tanta e tanto impetuosa precipitava la piog- gia, che fatti pochi passi ho dovuto ricovrare sotto il por- tico, che sorge sublime a fianco del Duomo , e che rima- ne ancora monumento dell’ altezza di animo degli antichi senesi , i quali reggendosi a comune più volenterosi che potenti allo spendere, un tempio incominciarono a fabbri- care, che, se all’ ardimento non fosse venuta meno la lena, avrebbe superato d’ assai in vastità quello che ora si am- mira esistere grandeggiante. Mentre sotto quegli archi la mia mente vagava di pensiero in pensiero nei tempi che furono , la mia mente che solo per la memoria di taluni vecchi tempi si fa giovine , io vedeva venire e l’une alle altre succedersi spesse carrozze , le quali tutte prendevano via per una strada angusta , la quale si stende dall’ un dei lati del R. Palazzo al portico vicinissimo . Mirava gentili signore in quelle carrozze trasportate , mirava ad ora ad ora volgersi per quella medesima strada non pochi uomi- ni; il perchè mi è nato desìo d’intendere a qual Inogo si accorresse, e per quale cagione. Ne ho richiesto nn digni- toso vecchio che erasi appunto soffermato sotto il portico e che con modo urbanissimo mi ha detto rispondendo: noi andiamo ad assistere alla soleane distribuzione dei premi, che si danno alle povere fanciulle scolare nelle RR. scuole normali fondate dal fondatore ‘della Toscana felicità, dal nostro gran LropoLpo ; e, come mi abbia letto in volto la brama del cuore, mi ha soggiunto : ove vi gradisse essere tra gli spettatori niente altro avete a,fare che accompa- gnarvi meco . Io prima che rispondere mi son mosso con esso; fatta poca via siam giunti al locale delle scuole, sia- 102 mo entrati, abbiamo ascese le scale, e siamo stati intro- dotti in una bastantemente capace sala con semplicità ma non senza decoro adornata. - Sotto il ritratto del Sovrano della Toscana appeso nella parete opposta all'ingresso con avanti una spaziosa tavola sopra la quale erano collocati gli oggetti (ad uso tutti di vestiario) destinati ad esser premio alle povere fanciulle, sedevano, in mezzo il soprintendente alle scuole, alla sua destra l’ ecclesiastico istruttore della morale cristiana , e alla sinistra quello, che mi si disse essere il computista , il qual titolo io mi credo sia dato all’ amministratore del patrimonio delle scuole. Nei due lati in maggiore prossi- mità della tavola erano sedute anteriormente rispettabili signore ( venti almeno ) giovanissime alcune, altre tenen- dosi presso graziosi figliuoletti, accompagnate altre da fi- glie avvenenti: stavano nell’ordine posteriore delle sedie alquanti cavalieri ed altre onorevoli persone tra le quali notai due ecclesiastici , e tra le quali andò pure ad assi» dersi quel cortese, che mi fu guida. Le povere fanciulle istruite nelle scuole, le quali ho udito che sommavano a cento sessanta, erano collocate nello spazio maggiore della metà inferiore della sala a sinistra ; lo spazio minore a de- stra l’ occupavano le maestre ed altri uomini tra’ quali mi rimasi pur io osservatore non osservato. Al mio giungere era incominciata e si proseguiva la distribuzione dei pre- mi secondo che la sorte gli assegnava alle scolare. Un no- bile fanciulletto (cui altro vivacissimo successe poi nello stesso ufficio ) di forme bellissimo con una testa con una fisonomia quale il mio immaginare mi fa credere che aver la dovesse sul finire della infanzia il divino Raffaello, ché aveva poco innanzi ammirato dipinto nella libreria del duo- mo , estraeva da una borsa una schedola in cui era scritto il nome di una delle fanciulle scolare, la quale così chia- mata recavasi avanti al soprintendente, ed un numero da altra borsa estraeva , e il premio all’ estratto numero cor- rispondente otteneva. Nell’ andare, nel tornare le fanciulle inchinavano ad un distinto personaggio , che fui fatto certo essere il governatore della città. 103 Venuto a fine il sortire dei premi io era già per uscir dalla sala quando ho udito il soprintendente incomincia- re un suo discorso nel quale esponeva di aver introdotto da quattro mesi nelle scuole alle sue cure affidate il reci- proco insegnamento per istruire le povere fanciulle nel leg- gere , nello scrivere e nell’ aritmetica. Si dava vanto ( e giustissimo era e verissimo ) di aver egli il primo in Sie- na, il primo in Toscana, il primo in Italia ( e credo che poteva aggiungere il primo in Europa) messo in uso per la istruzione delle femmine questo metodo già per istruire i maschi praticato più molto , che dai propugnatori della ignoranza , contro ai dettami della ragione contro ai pre- cetti della religione , non si vorrebbe. Molt» ha detto delle lodi della popolare istruzione, e del bene pubblico e pri- vato , che ne deriva, e come alla pubblica e privata si- curezza più assai che con la cieca obbedienza è provve- duto colla ragionata sommissione . Ha parlato più che da ornato dicitore da vero eloquente , se vera eloquenza sta principalmente nella manifestazione franca del vero con affetto caldissimo espressa di cuore. E perchè modo alcuno non ha voluto tralasciare d’ incoraggimento per la sua isti- tuzione, ha annunziato aver fatto gettare alcune medaglie perchè fossero onorevole distintivo a quelle tra le fanciulle che maggior progresso avesser fatto nella sua scuola . Ha detto che saviezza E mERITO era impresso dall’ un dei la- ti, e RR. SCUOLE NORMALI DI SIENA dall’altro di queste me- daglie , le quali, finito il ragionare, sono state appese alla sinistra spalla di venti fanciulle dichiarate , nella prima scuola italiana di reciproco insegnamento per le femmine, le prime monitrici. Oh amico ! quanti pensieri nella mia mente quanti moti han destato nel mio cuore e la pompa veduta e il discorso udito , e il muto eloquentissimo plauso , che ho scorto espresso nel viso ai circostanti, e alle signore mag- giormente , le quali vedevano sorto alfine un benefico a soc- corso sempre più efficace delle poverette del loro sesso . Esse saranno quindi innanzi meno infelici perchè più istrui- 104 te, che è quanto a dire più fatte potenti a seguire virtù, per cni meno angoscioso si corre qui in terra il peregrinat della vita. Ma già ciascuno. muovevasi e tutti recavansi alla stanza { invero troppo piccola all’ nopo ) nella quale col metodo lancasteriano perfezionato dall’ Hamilton sono esercitate le fanciulle. Io non ho potuto penetrarvi, ma così guar!ando da lungi ho veduto scritte nelle pareti al- quante sentenze morali , ed ho udito lodare alcuni saggi di calligrafia della monitrice generale sotto ai quali ho let- to: Elisabetta Mercatali. Affollandosi ognor più alla stanza gli spettatori io mi sono ritirato, e seno uscito per ritornare all’ albergo, pren- dendo via non a destra siccome avrei dovuto , ma sconsi- deratamente a sinistra. Aggiratomi molto per angusti tor- tuosi sentieri dai quali , come da laberinto , non sapeva trovar modo a venir fuori, mi si è offerto alfine a mia gran ventura un assai costumato giovine , che vedendomi quasi smarrito mi si è fatto compagno e duce. Egli così andan- do mi diceva, che la scuola di reciproco insegnamento per le fanciulle da noi visitata erasi stabilita nelle RR. scuole normali per lo zelo e patriottismo grande del soprinten- dente : che esso a tutte sue spese aveva fatto venire in Siena. nel passato ottobre un istruttore ecclesiastico fiorentino, al quale si era fatto scolare esso medesimo il primo; che a tutte sue spese aveva provveduto copiosamente di quanto faceva mestieri alla scuola; e che ogni giorno esso stesso impiegava due ore nel dirigere la istruzione delle fanciul- le. Mi aggiungeva questo soprintendente essere l’ ornatis- simo cavaliere Giulio del Taia ritornato in patria dopo lun- go soggiorno fatto in Milano, essere quello stesso, che a tutte sue spese fece lavorare dallo scultore Ricci in onore dell’ immortale anatomico Mascagni quel mausoleo che si vede ora nella libreria del duomo. Mi avrebbe narrate al- tre cose, se non che giunti omai all'albergo, fatti e rei- terati gli ossequi, ci siamo separati. Nel salire la scala mi è sovvenuto che il lodato soprintendente potrebbe forse es- sere quel medesimo cavaliere del Taia di cui mi parlava 105 in Ginevra il professor Rossi come di nipote dell’ egregio consigliere Spannocchi , dell’amico di Filangeri , le di cui rare virtù di mente e le più rare di cuore udii le tante volte ricordare in Milano con ammirazione insieme e con gratitudine. Or che vi sembra, amico, del divisamento veramente nobile del cavaliere del Taia ? Che vi sembra del modo con che lo rende effettivo? Sì certo che egli merita di es- ser salutato col nome, che solo esser dovrebbe glorioso quì in terra, di benefattore della umanità. Vedete come pro- cede sempre di bene in meglio la generale istruzione , e ‘come è fatta più agevole più proficua. Vedete che si distende nelle botteghe e nelle campagne, siccome da vero cristiano se ne congratulava quel tutto amore cardinale Pallavicino. Son questi i frutti sempre crescenti di quella tanto spre- giata, tanto da taluni vituperata filosofia, la quale però (siccome acutamente scrisse lo stesso Pallavicino nel suo trattato Del bene ) ha posto all'uomo il diadema in fronte per farlo principe degli animali e re della terra. Parole son queste a senno mio notevolissime, e sopra le quali avreb- bon dovuto fare considerazione gli struggi-sofia dei tempi nostri , considerazione attentissima quale la meritano (mas- sime da chi all’ autorità anche umana più che alla ragione s’'inchina ) parole pubblicate nell’ anno. 1644 in Roma, e dettate da un uomo originato da principi, da un dotto gesuita , da un cardinale di santi costumi, dal virtuoso amico del pontefice Alessandro settimo senese. Ah ! per- chè..... Ma già voi mi sgridate , già vi adirate meco per- chè alle lamentanze io torno ed al pianto. Mi taccio adun- que, addio. Vi scriverò da Roma, vi scriverò più a lungo da Napoli. Addio, 106 Continuazione del discorso inaugurale della cattedra di aritmetica , geometria e meccanica applicata , pronun- ziato in Parigi il dì 30 decembre 1826 , dal prof. Carto Dvupix (*). Nella prima parte di questa egregia orazione fu dimo- stro quanto beneficamente influisca la sparsa istruzione po- polare alla ricchezza sì privata che pubblica. Però la mo- Na da rale è il primo bisogno de’ popoli, e perciò il primo dovere de’governi. Un tanto oggetto non potea sfuggire alla sa- gacità dell’oratore. Onde è che esso, prendendolo a disa- minare, mette in chiara luce nella parte seconda, l’intima e feconda influenza che 1’ erudimento di una nazione ha sull’ etica individuale e nazionale. Imprende adunque Dupin confutando il paradosso in- valso nelle menti di molti ; cioè che più corrotto è il po- polo là ove è più istruito; e che ivi osservasi minor cor- ruzione di costumi , ove è maggiore l’ingenuità dell’igno- ranza. Nè a debellar cotanto sofismo si appiglia esso alle armi dell'argomento , bensì a quelle del fatto. Mette egli in confronto i diversi cantoni della Brettagna; e in tal pa- ragone fa notare che più assai puri sono i costumi in quelli . che sono più colti. Quindi, elevandosi dalla Brettagna alla Francia intera , divide tutte le 86 provincie del reame in due serie di 43 per cadauna. Nell’ una comprende quelle più inoltrate nell’ istruzione; le più incolte nell’ altra. Le prime mandano 885,589 fanciulli alle scuole elementari ; nelle seconde appena 177,420 imparano gli elementi. Eb- bene...... In queste è il numero de’ bastardi annualmente nascenti a quello de’ fanciulli che si addottrinano ., come 1:6; laddove come 1: 26 è in quelle. Laonde questo sin- tomo di immoralità e scostumatezza sì privata che pubblica, è anche esso proporzionale all’istruzione ; è men del quarto minore nelle provincie, che son quattro volte più istruite dell’ altre. Siffatta enorme differenza è da per sè sola ba- (*) V. Antologia num, 73. == 107 stevole a provare che il più cosparso erudimento è pur largo di buona morale. Dupin volle anche dimostrare i sommi beneficj dell’ad- dottrinarsi mettendo in evidenza , che la vita umana è più lunga ove più instrutto è l’ uomo ; e viceversa. Supponen- do stazionaria la popolazione di tutta la Francia, avremo che nelle 43 provincie più colte, l’anno medio del vivere è nel 4o®°, nel mentre quasi non ascende al 3810 nelle più incolte. Questo calcolo della vita media è approssima- tivo, perchè la popolazione non è stazionaria, ma si aumen- ta. Ed anche l’ aumento di essa mostrasi in ragione della maggiore o minor ignoranza popolare; imperciocchè è an- nualmente di 110054 individui nelle 43 provincie meno ignoranti ; ed appena di 83024 nelle 43 meno erudite. Ciò proviene non tanto dalla popolazione dell’ une maggiore di quella delle altre , quanto dalla facilità che gli abitanti delle prime hanno dalla loro istruzione a procurarsi mezzi di sussistenza per 110054 nuovi individui all’ anno : nel mentre nelle seconde vi sono appena capitali perchè il po- polo cresca annualmente di 83024 teste. v Che se ci rivolgeremo alla differenza di ricchezza fra le due serie , fra le 43 provincie cioè più illuminate e le 43 più incolte, la rinverremo oltremodo notevole e appa- riscente. La quale straordinaria differenza emana dalla sola superiorità de’ lumi, e dalle sue felici conseguenze sull’or- dine fisico non men che sul morale. Siccome l’ oratore salì dalla Brettagna alla Francia in- tera applicando la costante proporzione fra l’insegnamento e la fortuna non che la morale pubblica, così dall’ intero reame scende ad applicarla e notarla nella metropoli. Dal numero de’ fanciulli parigini che vanno alle scuole fa esso argomentare , quanto inferiore a ciò che dovrebbe e potreb- be essere , vi è l’ istruzione popolare, Comparando 100 mila abitanti di Parigi con 1oo mila di Glascow. si avrà, che i primi mandano 4202 allievi alle scuole elementari , nel mentre 14736 ne inviano i secondi, L’erudimento primario adunque è nella capitale della Francia men del terzo di quello che si ha in una città provinciale dell’ Inghilterra. 108 : Quindi viene Dupin ad istituire fra’diversi rioni della metropoli suddetta le medesime comparazioni istituite fra le provincie di tutto il reame . I sestieri più istruiti son quelli delle Tuglierie, dell’Argine d’Antin, e di S. Germa- no ; i men colti son poi quelli de’ sobborghi di S. Anto- mio, di S. Marcello , di S. Giacomo , del Palazzo comu- nale, ec. ec. Intanto la vita media negli abitanti de’ pri- mi ammonta ‘agli anni fra il 43° e 47°; laddove ne’secondi non ascende che all’anno 24° o tutt’ al più 25.9 Circa i bastardi annuali inoltre, se ne hanno 158 sovra 10 mila abitanti de’ rioni meno incolti ; nel mentre se ne hanno 232 sovra 10 mila anime di quelli più ignari. E questa di- versità è tanto più significante e ragguardevole, in quanto che un tal computo non contiene se non i figli naturali che vengono educati nelle case istesse ove nascono. Ma ne’se- stieri ne’ quali vi è più depravazione e miseria , perchè minor coltura, uopo è, oltre a’ bastardi che si educano in casa, computare anche quelli, e non pochi, che si man- dano negli ospizi de’ trovatelli. Ove relativamente a questi ultimi potessero aversi indicazioni sicure del luogo d’ onde sono esposti, trovrebbesi che quasi tutti, se non tutti, son prole illegittima o abbandonata della popolazione delle parti di Parigi le più illetterate. Noi memorammo che l’ oratore esordiò il suo discorso presentando una nuova carta della Francia , in cui dalle tinte più o men chiare, più o men cupe, delle diverse pro- vincie, non che dal carattere numerico di cadauna tinta, argomentavasi e il rispettivo grado di coltura , e il numero, degli abitanti iniziati alle lettere. Una simile carta fu da lui disegnata circa alla città di Parigi. I sestieri più colti son contrassegnati con colori più lucidi; con più oscuri i meno eruditi. Le quali carte fanno ad un solo sguardo os- servare che l’ erudimento , i costumi , e la longevità se- guono una stessa ed uniforme regola tanto per |’ universa superficie del reame, che nel seno della sua metropoli. Sol ne sorprende il vedere che Dupin omise di ingem- mare la sua prestantissima arringa con un altro argomento non men gagliardo e peregrino ; con quello cioè de’delitti pe AI i 109 che ivi sono assai men frequenti o rarissimi ove l’ insegna- mento molce 1’ acrità delle passioni. Siamo infatti sicuri che se egli, dopo istituite le debite proporzioni fra gli abi- tanti della Francia che si erudiscono e gli illetterati , fosse progredito a notar quelle fra le colpe civili commesse an- nualmente dagli uni e dagli altri, si troverebbero queste ne’ primi in un numero oltremodo minore che ne’ secon- di, e seguire anche esse la norma degli altri beneficj del- l'istruzione. Ma l’ oratore o non ebbe dalle corti di giusti- zia penale dati sicuri a dedurne il computo ; o si tacque sovra questo argomento , opinandolo un corollario da) tut- ti presuntivo del vantaggio che 1’ addottrinarsi arreca alla morale. | Lasciamo intanto che ei stesso parli nel conchiudere l’orazione sua. ‘ Dopo l’esame comparativo , che andai facendo circa il grado d’ istruzione necessario alle profes- sioni diverse, e circa il migliore stato di quelle che sono più istruite, non temo di commendare altamente, e senza alcuna eccezione , pel progresso della miglioria sì nelle città che nelle campagne , la somma utilità delle scuole elementari. Dirò con calda sincerità agli uomini religiosi: « In ragione che voi sempre più ingrandirete la popolare ») istruzione , ed inizierete lo spirito del popolo alla intelli- », genza di quelle verità morali, alle quali tutte le religio- ,; ni si fanno un dovere di prestare il loro sostegno, più i 3, beneficii , e percid i concorsi della religione istessa, sa- », ranno intesi e venerati ,,., Dirò agli amici del buon or- dine sociale: ‘ Il solo mezzo ad evitare i trascorrimenti e »» le furibonde insanie della plebe è quello di istruirla nelle », vie della verità, e ne’principii sì delle idee morali che ‘3, delle cognizioni utili. Allora non più si rinnoveranno i s» massacri della Jacquerie, della notte di S. Bartolommeo, »» delle Dragonate , e de’Settembrizzatori. Il popolo guidato ‘3» dal lume della civiltà al sentimento dell’onesto ed al- »» l'amor del bello, non più irromperà in giorni di mania- »» co delirio a rovesciar monumenti istituti ed altari ,,. Dirò agli amici della gloria e della possanza nazionale: “ La mo- » narchia vuole per suo sostegno e decoro generazioni ga- 110 ,»' gliarde ; affinchè nel bisogno abbia maggiori e robuste 3 braccia intente a propugnarla non che illustrarla, Ebbe ,» ne... Le provincie del reame le quali per la bonifica ss della terra, e perciò dell’aria, son più popolose, e insie- s, me più ricche di valida e bellicosa gioventù , son pre- ;» cisamente quelle in cui lo spirito generale della popo- 3 lazione, avendo maggiori soccorsi dal maggiore erudimen- » to popolare, bonificò l’aria col bonificar la terra ,,. Dirò a’filantropi: “ Poichè voi non intendete se non a'voti di > minuir le miserie e le sventure della vita umana, ecco- ss vi più lunga questa, e assai menomate quelle , ove più ,s istruiti sono i viventi ,,. Dirò infine a’ potenti e numerosi amici dell’erario:‘ Se più pingue volete il fisco , non altro », mezzo v'ha ad ingigantir la fortuna pubblica se non quello ,» di aumentar la privata 5 e ad aumentarla non v'è che 3; spandere sempre più l’ istruzione , onde ognun sappia ss amministrarsi il suo ; onde sappia il ricco crearsi o con- >» servarsi la grande proprietà ; sappia conservarsi o crearsi ,, una proprietà discreta il modesto agiato: onde in ulti- s, mo sappiano sì gli agiati che i ricchi dar competente », lavoro, e con esso comoda sussistenza al povero giorna- sere, Che se parlar vorremo di arti e di scienze, di questi primi e grandi titoli della gloria nazionale d’ ogni popo- lo, non è necessario che io ridica quale superiorità di scienze. e d’arti ha la parte della Francia colta sulla parte incol- ta, ossia il territorio boreale del reame sul territorio me» ridiano. Mi si addebitò d’aver schivato di parlar delle let- tere ; e si aggiunse che fu a disegno onde schivare un ar- gomento a mè contrario. Ma tutt’ altro è o Signori. Nelle 3a provincie nordiche, che cotanto superano in popolare istru- zione le 54 meridionali , si videro anche i maggiori pro- digi letterari. La poesia , per esempio, migrò dalla terra della immaginazione , dal clima del mezzogiorno che co- tanto arride al suo genio , per traslocarsi nelle nostre pro- vincie a borea; e quivi son maggiori le forze dello spirito e della fantasia sol perchè è maggiore il numero degli spi- riti che coltivansi. La gloria poetica della Francia meri- I1I dionalè perì co’ trovatori; e i nostri grandi poeti posteriori nacquero tutti al nord della Loira, Malherbe, Boileau, i due Corneille, i due Racine; Moliere, Regnard,, G. B. Rousseau, Voltaire, Piron, Gresset, ec., ne fan fede. Son convinto e persuaso che ove aumentando le scuole, nelle quali possan tutti imparare a parlare e scrivere cor- rettamente , si. propagasse lo studio del nostro idioma tanto al di là che al di quà della Loira, senza dubbio verreb- besi a ravvivar l’estro poetico nelle calde immaginazioni de’ nostri abitanti meridronali. Con l’estro si ravviverebbe anche l’ originalità, e una novella arditezza nella nostra poesia. Nè ciò credasi una spontanea ipotesi. Si ponga mente alla fantasia che predomina ne’ grandi oratori e prosatori, che formano la gloria della Francia meridiana. Essi son più poeti che razionali. | i Però torno al mio subietto circa la utilità della col- tura dello spirito, e dell’istruire il popolo sì nelle cogni. zioni positivamente utili, che ne’ primari elementi di tutte lè scienze giovevoli. In due anni soli dimostrarono i giovani artigiani fran- cesi, che essi sono di entità tale a pervenire all’ intelligenza de’ veri geometrici e de’ teoremi della meccanica. Oggi in 10$ città veggonsi operai di qualunque mestiere che si eru- discono con ardore nell’ insegnamento cui sono invitati . L’ industria già incomincia a cogliere i frutti de’ semi. di siffatta istruzione ; e questi germoglieranno con tanto mag- giore efficacia ; in quantochè la pubblica autorità genero- samente venne ad incoraggire una impresa cotanto utile e nazionale. Il savio il più imperturbabile non saprebbe, nè potreb. be interdire, al proprio cuore un senso di commovimento, allo spettacolo di un-popolo, che, come il nostro, va ala- cremente incontro a’ beneficii della civiltà, ed a’ mezzi di nobilitar l’intelligenza, convergendola al venerabile fine cui mira la società. Il nostro popolo migliora i suoi costumi mentrechè illumina la sua mente. Il savio nel contemplar- lo, sentirà almeno quel puro sentimento di compiacenza, che ogni ingegno trascendente uopo è che gusti nel mirar 112 uomini , i quali cercando di debellar l’indigenza della vita non men che dello spirito, si inoltrano non pertanto con coraggio verso un destino migliore. Non ne insuperbisca però l’ opinione d’esserci noi molto inoltrati in una carriera, in cui femmo appena i passi pri- mi . Rammentiamoci anzi sempre che vi sono în Francia provincie, nelle quali appena la 199%, la 229", e perfino la 268ma parte della popolazione, intende all’erudimento nelle scuole elementari. A queste contrade dobbiam noi rivolgere tutti i nostri sguardi, e convergere futto il no- stro cooperamento, onde cospargervi i primi elementi ne- cessari, e propagarvi l’ insegnamento. Odo intanto o signori che alcuni nemici del cristiane-' simo vorrebbero persuaderne, che a ciò si opponga la parte maggiore ed anche la più istruita del clero, Ma bandiscasi questo timore. Io sono avventurato di potere in presenza dell’ Accademia delle scienze far ben altra testimonianza in favore de’ ministri dell’ altare. Quando ultimamente si istituì una scuola di geometria e meccanica applicata nella città di Beauvais, il benefico eloquente vescovo di quella diocesi mi scrivea:‘‘ La chiesa protesse sempre le scienze le ,» lettere e le arti; essa intese sempre a diradar le tenebre 33 dell'ignoranza e della barbarie, aiutando gli uomini ad inoltrarsi verso la civiltà con l’aiuto de’lumi. Ho adunque creduto un debito di incoraggire, assistendovi presenzial- ,, mente, la nuova scuola via sarà molto giovevole all’in- sì dustriosa popolazione di questa città; e sarò ognor dispo- ,», sto a facilitare i progressi dell’erudimento in ogni ramo. s» Spetta alla scienza di mostrarsi riconoscente alla religione, ,; edi considerarla come alleata non già come inimica,,. E la scienza ve ne rende oggi nel seno dell’accademia le debite azioni di grazie, per mezzo del debole organo della mia vo- ce, o venerabile e savio prelato. Essa ammira in te lo stesso amore pel pubblico insegnamento , che ammirò ne’vescovi di S. Brieux , di S. Flour, di Montalbano, e nel magna- nimo arcivescovo di Bordeaux. Che ove mai gli inimici della dottrina inorpellino la loro ipocrisia col santo zelo reli- gioso, onde meglio riuscir ad abrutir gli uomini, noi loro ” EL) T| 113 opporremo le virtù e la santa opera di quelli ecclesiastici illustri., i quali son felici per aver menomata la miseria nelle famiglie della classe infima con l’istruzione. | Proseguiamo insomma a propagarla con alacrità , e vediamo il bene che può prodursi in Francia universaliz» zandola. La Francia contiene 32 milioni in circa d’ abitanti ; de’ quali pressapoco la. metà conosce più o meno l’alfabe- to. Vorrei dunque che da questo momento si incominciasse a dare, ad ognun che sa leggere, un giornaletto, che non oltrepassando i quattro fogli all’anno, non altro esigerebbe se non la lettura di mezza pagina al giorno. Senza alcun lusso di stile, o inutilità di materie, conterrebbe esso fa- cili precetti igienici sul vitto sul poto e sull’ aria; facili regole sul modo di allevare e conservare sì i piccoli che i grandi animali domestici ; facili norme per migliorarne le razze ; facili indicazioni sulle derrate e le industrie più ati- li; facili insegnamenti infine a migliorare i generi di col- tura, gli istrumenti agrari, e le cose attenenti all’ econo- mia domestica. Questo annuale libretto verrebbe annualmente modi- ficato, migliorandolo coll’aggiugnervi ciò che di utile vi si fosse obliato, o col sopprimervi sia le cose conosciute inu- tili, sia le altre non più rammemorabili perchè introdotte, adottate, e fatte usuali. Sarebbe esso il giornaletto generale per tutto il popo- lo. Ma non tutte le provincie hanno i medesimi bisogni ed uguali produzioni. Quindi non sarebbe superflo di aggiu- gnervi un altro, al pari facile e breve, il quale contenesse utili ammaestramenti sulle cose peculiari a cadauna pro- vincia. E infine se ne potrebbe aggiugnere un terzo, che sarebbe il manuale di ciaschedun mestiere; e in cui me- glio imparasse l’ arte propria il falegname , il fabbro , il tessitore, ec., ec; Ciò introdotto , potrebbesi poi comporre la picciola bi- blioteca per l’uomo del popolo. Conterrebbe essa una pic- ciola e facile grammatica ; una picciola arimmetica , più breve e semplice di quella di Condorcet. Vorrebbesi ancora T. XXV. £ebraio. 8 114 che qualche nuovo Cornelio Nepote vi aggiugnesse le vite de’ sommi e tanti benefattori del popolo francese ; quelle per esempio de’ nostri migliori re; di Luigi VI{ e Luigi IX, protettori delle comuni l’ uno, l’altro de’ corpi d'arti; di Luigi XII e di Enrico IV, l’uno padre e l’altro l’ amico del popolo ; di Luigi XVI infine , I’ ultimo e il massimo liberatore dell'industria nazionale. Dopo de’ monarchi me- morabili, verrebbero memorati i sommi cittadini; Suger, L’Hopital, Malesherbe, Sully, Colbert, Turgot , $S Vin- cenzo di Paola, Fenelon, Pascal, Clairaut, d’Alambert, Bouguer, Vaucanson , Riquet, Monge, Lagrange, Cassini, Lacaille , De-Lambre , Montgolfier , Vauban , Coulomb , Melas, Buffon, Duhamel, Daubenton, Jussieux , Tourne- fort , Parmentier , Bichat, Cabanis, Vic d’Azir, Lavoi- sier, Guyton , Berthollet , ec. ; e infine tutti gli uomini illustri‘i quali inventando o introducendo utili novità, non solo ampliarono l’agiatezza, ma prevennero anche i flagelli delle epidemie e delle carestie. E infatti son questi i veri e magni beneficii che l’applicazione delle scienze alle arti produce nel corpo della società. Una ‘sola pagina per ca- dauna vita d’uomo illustre, fora sufficiente per dire tutto ciò che egli fece di bene al popolo ; ed un tal libretto sa- rebbe il volume il più morale che potesse mettersi in mano sì della gioventù che dell’ età matura. Siffatta lettura for- merebbe il cuore al sentimento della gratitudine naziona- le, e lo spirito a vagheggiare il bello del bene pubblico ,,. “ Porto avviso adunque che procedendo con tal meto- do, e spandendo ora per i 15 milioni di francesi che san leggere due librettini, uno cioè di utilità generale, e l’al- tro di peculiare, fra cinque o sei anni l’amore dell’istru- zione si estenderebbe dalle città ne’ villaggi, da’ villaggi ne’ borghetti , e da’ borghetti nelle case rurali. Con ciò avremmo fra un lustro 20 milioni di francesi istruiti a leg- gere , e fra due o tre, tutti i 30 milioni d’ abitanti del reame ,,. Qui I’ oratore passa a disaminare un reddito pubblico che si percepisce dalle opere consacrate all’ istruzione ele- mentare ; disamina in cui non lo seguiremo onde non di- 115 stogliere e raffreddare l’ attenzione del lettore intralcian- dolo in cifre e computi. Salteremo dunque alle conclusioni di Dupin. «‘ Io il ripeto, o signori; il maggiore ostacolo al pro- pagamento dell’ istruzione primaria nelle provincie men colte è la miseria. Le povere, ma istruite, fanno una ecce- zione, perchè l’erudimento vi introduce l’ agiatezza; le fe- raci poi, ma ignoranti, fanno anche esse eccezione, per- chè l’ ignoranza, che ha per indivisibile sua compagna la pigrizia , seco attira anche la povertà ,,. ‘* Circa le provincie povere (ed infelicemente il loro numero è il maggiore) esse son tali, perchè non ancora hanno l’abilità di divenir ricche con un lavoro utilmente produt- tivo. La loro povertà non permette che esse facciano o tol- lerino il menomo dispendio perchè un maggior numero di abitanti si istruisca in ciò che è indispensabile a sapersi onde procurarsi comodità e agiatezza ,,. ci Spetterebbe dunque alla Francia intera di accorrere generosamente ‘in soccorso di quelle parti del sno territo- rio nelle quali gli abitanti hanno maggior bisogno di aiuti ad erudirsi. Ma se noi non possiamo offrir loro i mezzi po- sitivi di farlo, guardiamoci però di aumentar le difficoltà che hanno ad istruirsi ; e non facciamo in essi più costose quelle poche cognizioni che possono oggi acquistare . La menoma gravezza su’libri, o per le scuole, o pe’ n:aestri, che venisse ugualmente ripartita sovra tutta la superficie del reame, ha seco il danno che non graviterebbe ugual- mente, ma peserebbe sol sulle provincie più povere perchè meno istruite. Che ei dunque mi sia permesso di fare un voto in me ispirato da profondo convincimento , e da lungo studio sullo stato sociale della Francia j il voto cioè che verun tributo non mai si imponga sovra mezzo veruno di istruzione elementare. Nè ciò è per giovare alle provin- cie ricche perchè colte ; bensì in favore delle povere per. chè incolte. È in favore della Brettagna , della valle della Loira, delle contrade intorno all’Alvernia, e di quelle fra le gole dell’Alpi e de’ Pirenei ,,. .< Opinai che avrei reso qualche servigio a’ miei concit- 116 tadini, ed adempito al dovere di un cultore dell’insegna- mento nello spiegarvi, con la maggior chiarezza e sempli- cità possibile alle mie forze , gli inconvenienti che un tri- buto qualsiesi, ed anche il menomo , arrecherebbe all’istru- zione delle classi necessitose. Ho fatto a voi, quali a giu- dici competenti , omaggio di tutte le mie indagini stati- stiche; fu mio pensiero di dimostrarvi che tutte le utilità sì morali che civili di una nazione possono, come altret- tanti corollari matematici, venir dedotte dallo stato più o meno erudito di un popolo qualunque ,,. ‘* Desidero inoltre che questa mia opera, composta solo a disegno d’esser utile, non venga considerata dall’ auto- rità imperante come prodotta da spirito ostile. Ben lungi anzi dall'aver motivi di doglianza, non ho che a laudar- mi, ed a rendere azioni di grazie al governo, per la bene- volenza con cui accolse molte mie idee in favore della po- polare istruzione ; e colgo questo momento per testimoniar- gli tutta la gratitudine mia. Possa il medesimo completar Ja sua cooperazione benefattrice rigettando ogni tributo , che inaridendo oggi le picciole vene , abbenchè menome ed esilissime , dell'istruzione , dell'industria e del lavoro, farebbero in seguito seccar le sorgenti più larghe della ric- chezza pubblica, e perciò del tesoro dello stato ,,. Se posi in evidenza che il numero de’ sommi dotti ed artisti è sempre proporzionale al grado del popolare inse- gnamento , ho un dritto a conchiudere che ogni disposizio- ne legislativa o amministrativa , la quale tendesse a dimi- nuir la popolare istruzione e il numero degli allievi nelle scuole primarie , menomerebbe quello degli uomini che deggiono illustrar la Francia ; menomerebbe coloro che la illustreranno nella generazione prossima, la quale ci do- manda di non diseredarla della sua gloria futura ,,. ‘‘* Però mi rincora , e lo affermo, che non mai l’au- gusta stirpe di Francesco I e di Luigi XIV rinuncierà al- l’amore ed alla protezione de’ migliori ornamenti delle uma- ne associazioni. Le scienze , le lettere e le arti dunque sa- ranno sempre care alla dinastia ed al governo francese . Che esso consideri come i suoi migliori amici e sostegni 117 7 coloro i quali nobilitano un bel carattere con un bell’in- gegno. Io amo di pronunziar parole di concordia di pace e di speranza nel seno istesso dell’accademia delle scienze ,,. << Un giorno Pietro il grande, trascorso in un impeto di sdegno , fracassò un bellissimo e magnifico specchio, onde far comprendere a Caterina che ei poteva con un sol colpo annichilirla. Ebbene !... riprese l’ imperatrice , quando: voi avrete distrutto ogni ornamento della vostra reggia , cre- dete forse che questa sarà più bella ? Pietro che era im- petuoso ma magnanimo, fu colpito da tai detti : e Cate- rina rientrò nella sua grazia, per quindi salvarlo in giorni di serio periglio,,. “ Così possano un dì rientrare in grazia, o per meglio dire nella giustizia delle debite considerazioni, tutti i nobili ingegni che oggi sono in isfavore ,,. « Gl’ingegni illustri nelle scienze, lettere ed arti sono il più bell'ornamento di un imperio. in una monarchia il fulgore della loro gloria fa parte dello splendore onde ri- fulge il trono : e l’imagine del sovrano passa a’ posteri ra- diante , perchè circnita dalle lucide immagini di tutti i sommi uomini che egli protesse ed affezionò mentre visse ,,. “ Oso infine affermare in nome di tutti quelli i quali con decenza onore e disinteresse coltivano le nobili cognizioni scientifiche, che essi amanti dell’ordine e della pace, rispet- tosi alle leggi, fedeli alla dinastia, ardono di desiderio di concorrere, ognuno co’suoi mezzi e nel genere proprio, alla prosperità ed alla potenza del reame. Ma nel tempo istesso ardisco chiedere per essi ciò che Pindaro con una schiettezza e libertà, tutta propria delle generose anime dei sommi artisti, chiedeva a’ greci riuniti nell’ arena Elea. “ Io 3» VÒ per vie semplici, dicea l’immortale lirico; contento del 3, Mio stato , gradito da’miei concittadini e da’magistrati, », non altra è la mia ambizione se non quella di far carmi », che ad essi piacciano, senza però rinunciare al privilegio di »» esprimermi liberamente , e come meglio mi aggrada , sulle »» cose oneste e sovra quelle che non mi sembran tali. Con »» queste disposizioni mi avvio alla vecchiezza. Me felice se 118 ss giunto al limite della vita, potrò lasciare a’miei figliuoli s> il più prezioso fra’retaggi: quello cioè di una ottima ri- 3; putazione ,,. GU. RIVISTA LETTERARIA. Le guerre dei SurLrorri contro Arì bascià di Janina com. mentario di Lurcr Cramporini. Firenze, Ronchi e C. 1827 in 8.0 Che sapeva io otto o diec’anni sono ; che sapevasi in Italia generalmente degli avanzi d’un popolo celebre e sven- turato , di cui tutti deploravano la caduta , e nessuno for- se credea possibile il risorgimento? Una sera, sovviemmi, alcuni giovani venuti , chi dalle rupi leucadie e chi dai sassi fra cui nacque Ulisse, mi narravano di Sulli ciò che poi si è letto in più libri ; ed io non so dire se a quel rac- conto , fatto con un calore impossibile a trovarsi in alcun libro , sentissi destarmi in cuore maggior pietà o maggiore meraviglia. Era esso per me una rivelazione piena di grandi presagi; poichè ove sono forti virtù, io diceva a me stesso, è necessario che torni e gloria e libertà. Il bravo Ciampolini, prendendo a scrivere delle guer- re di Sulli contro il satrapa di Janina, e quasi invidiando agli storici ‘‘ delle antiche republiche o de’moderni principati ,, la maggior grandezza dell’argomento, sembra diffidare della nostra attenzione per quello da lui prescelto. ‘* Ad essi, egli dice , perturbazioni , sovversioni , inalzamenti d’ im- peri, grandi guerre, grandi peccati, grandi sciagure ; a me piccoli moti, gare d’ un pugno di gente senza nome , sen- za scienza, senz’ arti, pressochè salvatica « rapine , astu- zie, frodi, ladronecci, carneficine di tirannelli schifosi ,,. Pure, egli prosegue , ‘‘ perchè virtù tra larghi o stretti con- ni, tra grandi o piccoli travagli risplende, e sì negli no- mini rozzi che in quelli di gran civiltà ; e perchè dalle 119 cose lievi, per bene specularvi addentro , se ne cavano gravissimi insegnamenti per quelle del maggior momen- to, nè le chiare geste vogliono nella oscurità perire, non rinscirà affatto vana o spregevole , cred’ io , questa mia fatica ,,. Ma la storia delle guerre di Sulli , può domandarsi , non è forse il naturale proemio di quella del risorgimento della Grecia? E un tal proemio, interessantissimo per ciò che racchiude, non acquista forse indicibile importanza da- gli avvenimenti a cui ci prepara? Già fino dal 1789 ( scri- vo ciò rileggendo la storia di Pouqueville) al ritornare dei deputati che i più fervidi filelleni aveano spediti a Pietro- burgo, voi vedete posta ne’ sulliotti ogni fiducia , per dar principio alla grande im:presa che , dopo tanti sforzi eroici, ormai s’appressa al suo compimento. La fortuna fu al- lora contraria ai valorosi; la grande impresa venne ritar- data di molti anni. Ma tutti ricordiamo ciò che nota lo. scrittor medesimo che, quando alfine cgn’isola dell’ Egeo, ogni spiaggia del Peloponeso ebbe dato il segno del risor- gimento , i barbari ancor non temevano altri greci che gli abitatori di Sulli. Essi anzi non conoscevano greci che sotto il nome di sulliotti, i quali, da cinque generazioni essen- do avvezzi a combattere per la propria indipendenza, par- vero aggregare a sè stessi anzichè seguire quelli che pren- devano a combattere per l’indipendenza generale. Di quanti finora scrissero di Sulli non so che alcuno, come l’autore del commentario , ne abbia cercato con tanta diligenza le origini , o dipinti i costumi con tanta pacti- colarità. Per ciò che riguarda le guerre col feroce epirota, egli è talvolta più e talvolta meno copioso d'altri autori, giacchè si propose com’egli dice “ di scrivere secondo la maggior fama ed il vero delle cose certe ,,. Ei nun raccolse dai libri soli ciò che narra, ma dai libri insieme e “ dalla memoria de’vecchi ,, con cui un lungo soggiorno fatto nella principale dell’isole ioniche gli diede agio di conversare. Ciò basta perchè il suo commentario non si stimi soverchio , se mai potesse dirsi soverchio il ripetere agli uomini gli 120 esempi d’un’alta virtù. Fra questi giovi sceglierne uno, che valga per molti, e provi a chi ne dubitasse che 1 antica Grecia era sepolta non spenta sotto le sue ruine. Dubitano alcuni (tanta è la meraviglia della cosa) se ciò che narrasi d’ Attilio Regolo debba riguardarsi qual sin- cera testimonianza della storia o qual nobile finzione d'una poetica fantasia. Ciò che narra il Ciampolini di Fozio Za- vella (e di cui non può dubitarsi) vince d’assai la me- raviglia in noi destata dal magnanimo romano. Il passo, che sono per riferire, contiene bastanti particolarità, perchè cia» scuno possa farne il confronto con ciò che i latini lascia- rono scritto di quel magnanimo. u < Risaputasi a Sulli la tornata dello Zavella ( man- davalo il crudele Alì a trattare di dedizione, con giura- mento di restituirsi a Janina, ove non era tenuto che a tra- dimento ) i cittadini a gran concorso di popolo lieti anda- rongli incontro, nè pareano più quegli stessi che aveanlo pochi mesi prima cacciato , nè rassembrava egli a colui , che sì gravi ingiurie patite avesse , tanto era d’animo e di volto tranquillo. E quando, venuto nella piazza , ognuno con gran reverenza se gli fece attorno per ascoltarlo: o cit- tadini , disse, avventurosamente il bascià non cerca più chiu- dere i patti, nè vuol pace con quieto vivere, ma come al- tre volte comprarne con oro , ed è tra noi gente per l’infa- me mercato: non date orecchio ma spegneteli. Chiudeva: vil cosa în sè l'oro, santissima la republica : ricordassero gli avi e la vita passata. Ciò detto ritirossi in casa de’parenti. « Il giorno appresso , avendo manifestato in pubblico lo giuramento dato di ritornare , corsergli appresso in fol- la per rattenerlo. I capitani comandavangli di rimanere. Pw- nirebbero a suo tempo i traditori: governerebbe le faccende come prima : sarebbero le case a pubbliche spese rifatte: non esponesse la sua vita ch' è quella di tutti: non da attenersi le violenti promesse , nè i giuramenti a chi li frange. Egli poi si tacea, ed incoraggiandoli alla difesa e a stare svegli, scompagnavasi da loro. Giunto ai confini , abbracciava i più cari, e ripetendo gli stessi insegnamenti , coraggiosa= mente lasciavali ,,. 121 Dopo questa citazione io quasi non ho uopo di dir nulla dello stile del commentario. Il lettore già ne indovina da sè stesso i pregi caratteristici. Qualche volta, non lo dis- simulo, egli troverà sacrificata alcun poco la chiarezza alla concisione, la naturalezza alla dignità, Più spesso ammi- rerà l’unione della spontaneità e della sceltezza, della forza e dell’ornamento. È difficoltà nou agevole a sciogliersi quella di narrare i fatti o ricordar le parole degli uomini semplici col linguaggio de’ più politi, serbando l'originalità e non mancando all’ eleganza. La scuola storica moderna richie- de forse a questo riguardo più di ciò che realmente è pos- sibile. Io non dirò che quanto era possibile il Ciampolini abbia sempre studiato di farlo. Dirò solo che quanto ha fatto mi par degno di singolare considerazione. Le doti più intrinseche del. suo commentario, l’ ordi- ne, la rapidità, la saviezza delle vedute non sono cose che possano dimostrarsi con brevi parole. Mi basterà dun- que averle accennate, per rendere all’ autore la giustizia che gli è dovuta. D’ un’altra dote pura intrinseca4 il ca- lore che anima ogni racconto, e fa passare ne’lettori quel- l'ammirazione, che l’autore prova in sè stesso per le azioni generose, è facile dare qualche saggio. Una delle particolarità, che più ci hanno commosso nella guerra della greca indipendenza, è l'apparizione im= provvisa di tante eroine fra un popolo di eroi. La storia della Grecia antica non ci presenta nulla di somigliante. Bisognava che le donne divenissero prima le vere compa- gne dell’uomo, perchè fossero capaci di emularlo nel suo amore per la patria, Si esaltano le donne di Sparta, gran- de singolarità de’loro tempi, e meraviglia de’posteriori. Ma quanto maggiori di esse le donne di Sulli, tipo dell’altre che accrebbero la gloria della Grecia moderna! “ Appena (i sulliotti) ebbero sgombrato da Chiafa, i turchi parte si rivolsero all’occupazione di quella, parte a correre loro alle spalle, ma non potendoli impedire git= taronsi ad oppugnare il colle.. Della qual cosa accorgen- dosi la Mosco , rivolta alle donne che in sua compagnia combattevano : non più sassi e pietre da lungi, 0 compa» 122 gne, gridò, ma schioppi e spade d'appresso. Nè son già inusitati strumenti per noi. Fin da bambine apprendemmo a trattarle: con queste , se non la vita, almen la pudici-. zia si salvi. Quindi, dato di piglio ad una scure, aprì a forza una cassa che di cariche era tutta piena, e spar- tille fra le compagne; ed i turchi furono respinti indietro.,, “ Seguendo ella i turchi che fuggivano dal colle (e qui ciascuno porrà al confronto della Mosco la famosa ma- dre spartana) trasse a Chiafa, e fattasi in vicinanza delle torri s'imbatte nel corpo del nipote. Vedatolo, ancor ch’estin- to, col ferro brandito in mano e con minaccievoli trac- cie sullo sparuto sembiante, troppo tardi, esclamò pian- gendo, giunsi , 0 nipote, ma se salvarti mi fu tolto, certo che no vendicarti non mi fia; e contate ad una ad una, e asciugate con i baci quelle onorate ferite , il cuoprì col velo del grembo e lanciossi sugli inimici. ,, Questo racconto si riferisce ad una delle prime guerre da cui s'intitola il commentario. Potrei, seguendo le guerre successive, scegliere altri racconti fatti per destare coll’am- mirazione una profonda pietà. Le greche moderne , supe- riori per coraggio alle spartane antiche, hanno pur ciò di particolare che, vestendo per amor della patria le virili vir- tù, non si sono spogliate di quegli affetti che distinguono il lor sesso. Quindi i loro sagrifici, come ci appariscono più eroici, così ci riescono più commoventi L’ autore del commentario sa quasi sempre narrarli in quel modo che fa sul cuore la più gagliarda impressione. L’olficio di storico , richiedendo da lui intera la ve- rità, l’obbliga a riferire più volte cose meno che eroiche. Egli sente, non ne dubito , 1’ uso che può farne la durez- za o la malevolenza contro il popolo ch’ egli ammira e com- piange. Gli sarebbe facile il dire: non istupitevi che in un tal popolo vi fossero vizi; ma che i vizi d’un popolo, po- sto da lungo tempo fra le minaccie e la corruzione della bar- barie, fossero sì pochi. Fortunatamente ha in pronto un’apolo- gia assai più bella: tante prove di virtù (e non guerriere sol- tanto) ch’ ei propone in esempio ai popoli civili. Nè queste prove , può dirsi, finiscono col suo commentario. Peroc- 123 chè nell’atto stesso di chiudérlo, mostrandoci con dolenti parole “‘ un resto di popolazione che va sparsa qua e là per la Grecia senza patria e senza nome, pagando il fio d’un infelice virtà ,, egli può ancora con qualche magico nome aprirci innanzi una consolante prospettiva in quell’ avve- nire, che tutti brameremmo da lui descritto, “ Tornata vana ogni fatica e ogni virtù (parla del- l’ ultimo combattimento de’sulliotti presso il monastero di Veternizza in vicinanza de’ monti della Tessaglia ) anzi che dare le mani alle catene, avventaronsi nel mezzo del- l’armi nemiche e con ben vendicata morte fuggirono il ser- vaggio; e molti ne furono visti stanchi del ferire di pro- prio pugno trafiggersi in faccia al nemico. E le donne che chiuse erano nel monastero, spettatrici dell’ ultima scia- gura de’ mariti e de’ congiunti, poichè non poteano pre- star loro utile opera nè difender sè, vollero non essere da meno e morire. Il perchè, fatto gran cuore, tutte in una incamminaronsi al fiume , che poco lungi discorre, deli- berate di gettarvisi dentro. Ma abbattutesi infelicemente in due mila turchi , ch’ erano corsi a spogliare quel sacro romitaggio, pugnarono con coltella, con pietre e con quelle armi che il caso somministrava loro, tanto che molte fu- rono trncidate, il resto fatte schiave , e di queste le più fiorite serbate vittime alla barbarica signorile libidine. Una poi , direi per miracolo , riparò a Barga. Ma cento e ses- santa ch’ erano trascorse, per non essere indegne de? con- sanguinei e delle compagne, compierono il funesto dise- gno annegandosi ; e i miseri corpi con pietoso spettacolo per più giorni travolsel’Acheloo. Degli uomini cinquanta- cinque solamente schivarono la morte; tra i quali il Gussi, che Iddio riserbava all’ammenda del parricidio , e Chizzo Bozzari con Marco suo figlio ancor giovinetto , che 1° età nostra vide, pianse e ammirò.,, Il bravo Ciampolini avrà letta a quest’ ora la storia’ dell’ assedio di quella città, che mai non parve più degna di racchiudere le relique di Marco Bozzari che nel giorno tremendo in cui divenne un monte di ruine. Egli si sarà compiaciuto sicuramente dell'antica vaghezza con cui è scrit- 124 ta, e ch’egli pure sembra essersi proposta nel suo com- mentario delle guerre di Sulli. Le cose della Grecia odier- na hanno un tal colore d’antichità, che non sembrano | potersi convenientemente rappresentare che con uno stile antico. L’ industria che in ciò si pone dagli scrittori è ri- chiesta dalle cose stesse, che adorne di fregi moderni avreb- bero minor aria di verità e desterebbero minor commozio- ne. Ma quest’industria, che vuol essere squisita , non de- ve, s'è possibile , in alcun modo apparire. L° egregio Fa- bre nella sua storia dell'assedio di Missolongi s’ è accon- tentato d'adoperarla ed ha schivato di mostrarla. Il no- stro Ciampolini nel suo commentario l’ ha anche voluta mostrare un poco, stimando forse più bello l’essere para- gonato dai letterati a qualche scrittore di molta fama che l’esser ricevuto familiarmente in mezzo del pubblico. -Ma sì può egli apparire insieme antico e moderno; emulare i classici e riuscire scrittor popolare? — Io da un pezzo vo imaginavdomi che sì; e poichè si potrebbe da molti cre- dere il contrario, godo aver nominato la storia dell’ asse-- dio di Missolongi, la qual prova che il mio imaginare non è vano. Padrone, com'è veramente, d’una lingua tanto più ricca e più maneggevole di quella, in cai il Fabre ha dettato il suo libro, che non potrebbe promettersi il nostro Ciampo- lini, se, scrivendo co’medesimi principii di quello storico; ci conducesse anch’ egli con nuova narrazione sino al gran sa- - grificio consumato sulla tomba del moderno Leonida? Eneide di Vrrcrtro del commendatore Annizax Caro. Milano , soc. tip. de’ Classici ital. 1826, t. 2 in 32° Eccola questa bella infedele, a cui si vorrebbero fare tanti rimproveri ed è forza rendere continui omaggi. Essa non ha quasi nulla dell’antica dolcezza , onde ci è sì ca- ra colei di cui si dice l’imagine. Ma chi non si compiace della sua nuova franchezza o non è sedotto dalle sue nuo- ve lusinghe? Il linguaggio da lei usato è ben lungi dal- l’ essere così armonioso e toccante come quello dell’ altra, di cui si chiama l’interprete. Pur esso è sì terso, e ha tanto 125 in sè di leggiadro-, che i maestri stessi del più bel dire ne sono presi di meraviglia. Udite anzi come il più applau- dito fra loro (quegli che diede alla bella infedele una ri- vale iuvincibile) sgrida chi non ne trasse esempi ad arric- chirne il tesoro di nostra favella; e quasi comanda che ciò si faccia al più tosto. Ed io, se ciò m°’appartenesse, non esiterei punto a compiacergli. Solo talvolta, per non com- piacergli contro il vero piacer suo, chiederei forse qual- che spiegazione; e una giusta cautela non mi sarebbe, spe- ro, imputata ad irreverenza. Ma qui il lettore comincia ad aver d’uopo ch'io stesso mi spieghi; e però sia con- tento ch’io tronchi quest’ esordio, che sente anche troppo di poesia, ed entri un poco in pedanteria. Che l’ Eneide del Caro meriti 1’ onore d’ esser citata nel vocabolario, nessuno vorrà contrastarlo all’autore della Proposta, benchè possa contrastarsi la ragione ch’ egli ad- duce del non esserle ancora stato reso un tale onore. Che ogni locuzione di quest’ Eneide vada ricevuta nel vocabo- lario senz’ esame, nè l’autore della Proposta vorrebbe dir- lo, nè alcuno potrebbe concederglielo . È assai probabile che quasi ogni locuzione da lui scelta possa aggiugnersi con tutta sicurezza alle più belle, che già la Crusca trascelse dall’ opere degli scrittori più approvati. Come però la sola, ch'io rammento, mi lascia dubbio sulla sua legittimità, sti- mo opportuno l’ indicarla e il dire le ragioni del mio du- bitare. Avendo mesi fa tra le mani la 2 parte del 3 volume della Proposta , e scorrendo , in grazia di que’ tratti pen- nelli, di cui feci incidentemente parola nella penultima rivista dello scorso anno, vari articoli della lettera P ; mi avvenni in quest’ aggiunta alle definizioni date dal voca- bolario della parola palco, e eredetti di doverla notare , «: Palco è anche termine marinaresco, ed è lo stesso che banco, quel luogo dove stanno i rematori quando remano. Come tale accrescilo agli altri significati che la Crusca ha notati: e siine sicuro per l’esempio di A. Caro, En. 1. 5, V. 170. La Chimera — Fu l’ altro a cui preposto era il gran 126 Gia, — Un gran vascello che a tre palchi avea, — Di- sposti i remi. ,, Palco lo stesso che banco? dissi tra me con sorpresa: e debbo proprio esserne sicnro ? Ingentemque Gyas , leggo nel passo dell’ Eneide latina, corrispondente a quello dell’ita- ‘liana, che il cav. Monti ne adduce in prova, ingenti mole Chimaeram—Urbis opus triplici pubes quam Dardana ver- su — Impellunt, terno consurgunt ordine remi. In una ver- sione un po’ meno disinvolta, ove del triplici versu fosse tenuto egual conto che del terzo ordine (v. per la proba- bile spiegazione di queste due frasi la lettera del Carli sulle triremi nel 9 volume delle sue opere) i palchi sarebbero così ben distinti da’ banchi, ove seggono i rematori, che a nessuno verrebbe in pensiero di confonderlì. La versione del Caro forse non solo dà motivo a confonderli, ma li con- fonde realmente essa medesima. Come però in questo caso manca alla fedeltà ch’essa deve al suo testo, non potrebbe mancare anche a quella che deve alla lingua ? Credete voi, ho domandato ad un amico fiorentino, senza spiegargli il motivo della mia domanda , che palco possa mai prendersi per sinonimo di banco? — Mi sono fatto guardare con tal aria di meraviglia, che vorrei po- ter qui rappresentare con parole. — Verbigrazia, ho ag- giunto, per banco di rematori? — Ve?! i rematori mura- no forse co’ lor remi o dipingono sfondi , che ‘li mette- ‘te sul palco? — Ma non dite voi i palchetti degli scaf- fali, i palchetti delle tende ec.? Se date il nome di pal- chetto ad un’assicella più o meno sottile, perchè non potete dare il nome di palco all’asse o pancone che for- ma un banco? — Oh come l’intendete bene vojaltri d’ol- tralpe (la replica che mi sono meritata colla mia sciocca obbiezione è un po dura, ma debbo riportarla tal quale) questa lingua che narrate di sapere e di usare meglio di noi! I palchetti degli scaffali e delle tende s’ usano forse per sedervi in pancata, o s’usano per trammezzi, che fan- no il doppio uficio di sostenere e di coprire? Quest’ ultime parole furono per me come un tratto di 127 luce, Esse mi fecero rammentare ciò che avea letto in un capitolo, che riscontro essere l’undecimo, dell’architettura di Leon Batista Alberti, tradotta da Cosimo Bartoli, e non citata dalla Crusca , il che basterebbe ad assolvere que- st’accademia dall’accusa di non aver citata l’Eneide del Caro per predilezione verso le cose de’ fiorentini., ‘ Quelle ((co- perture) , che non sono allo scoperto, sono le impalcature e le volte, che son messe in fra i tetti e i fondamenti, onde pare che sia posto un edificio sopra un altro. . . . Ma di queste tali impalcature quella veramente che noi aremo sopra il capo si chiamerà palco, il quale ancora chiameremo cielo ; ma quella che nello andare noi calche- remo co’ piedi si chiamerà spazzo o (come dice altrove) pa- vimento. ,, La Crusca, nelle sue definizioni di palco, sem- bra aver preso per idea fondamentale quella di trammezzo, e per principale dopo di essa quella di sostegno. L' uso per altro vuole , s' io non m’inganno, che si aggiunga all’idea di sostegno quella di copertura o di cielo, senza di cui l’idea di palco non è compita. Quindi se il Caro veramente dà nell’ Eneide il nome di palchi ai banchi de’ rematori, devia troppo quel nome dal suo ordinario significato. Ma forse egli disse palchi per ordini; e allora la sua denominazione cade sotto il para- grafo terzo dell’ articolo citato della Crusca, ove si recano esempi del Redi e del Davanzati, che conforme all’uso del parlar toscano chiamano palchi, 1’ uno i rami delle cor- na de’ cervi e de’ daini , e l’altro quelli de’piantoni delle viti. Fors° anche egli usò la voce palchi nel senso mede- simo , in cui un traduttore toscano della Bibbia , il quale per la lingua è di somma autorità, 1’ adopera volgarizzan- do il sedicesimo versetto del sesto capo della Genesi. ‘ E dà luce all’ arca : e fa il comignolo d’essa di sopra d’ un cubito:e metti la porta dell’arca al lato d’essa: falla a tre pal- chi , basso, secondo e terzo. ,, Che se voglia dirsi che il Caro scrisse palchi per metonimia, dando a’ banchi il no- me de’tramezzi o delle divisioni della nave su cui erano posti, allora si potrà fare una disputa di gusto su questa sua figura poetica, ma non si parlerà più di trarne una 128 norma per la lingna propria e comune. A questa probabil- mente basta il paragrafo sesto dell’articolo Banco , ove sono citati esempi del vecchio volgarizzamento delle vite di Plu- tarco , tuttora inedito, di cui prego ancora una volta co- desti signoti Micstni a non voler più differire la pub- blicazione, Ho usato più sopra o piuttosto ripetuta la parola palco in significato di ponte da muratori o da dipintori, qual fu usata dall’ amico nel breve dialogo ch’io riferiva. La Cru- sca ammette certamente questo significato, quando nel se» condo paragrafo dell'articolo già citato definisce il paleo un “ tavolato posticcio elevato da terra ,,. Ma, poi che ag- giugne “ per istarvi sopra a vedere gli spettacoli o altro,,; e non reca esempi che giustifichino il significato ch'io accenna= va, gioverà forse ch’io ne rechi uno fornitomi dal Vasari nella vita di Buffalmacco. La mia memoria n’è debitrice al ber- tuccione “il più sollazzevole e il più cattivo che altro che fusse mai ,, il quale “stando alcuna volta sul palco a veder lavorare Buonamico (nel palazzo del famoso Guido Tarlati vescovo e signore d’ Arezzo ) avea posto mente a ogni cosa, nè levatogli mai gli occhi da dosso quando me= scolava i colori, trassinava gli alberelli ec. ,, Quindi una volta che Buonamico avea lasciato l’opera, l’animale, non ostante il peso d’ un gran rullo di legno appiccatogli a pie- di, ‘salì in sul palco; e quivi recatosi fra mano gli al- berelli ec. ,, fece la beffa che anche il Sacchetti racconta in una delle sue novelle, e a cui mi piace di mandare il lettore quasi per compenso della noia che gli ho data. La ristampa dell’Eneide, che mi ha tratto, senza ch'io ci pensassi , in questo prunajo lessicografico (forma i vo- lumi 46 e 47 della raccolta portatile de’ nostri poeti già tante volte lodata) è fatta sull’edizione giuntina del 1581, posta al confrento d’ altre posteriori assai accreditate. [o pensava d’ averne veduta più anni addietro una del Son- zogno corretta o approvata dal cav. Monti. Ma bisogna dire che sia questo un sogno, poichè se l’edizione esistesse, la società tip. de’ classici italiani l’ avrebbe sicuramente con- sultata, Riproducendo poco fa le rime del Poliziano, di cui 129 ho reso conto nell’ultima rivista dello scorso anno , essa si tenne innanzi la stampa del Silvestri, intorno alla cui lezione il cav. Monti avea dato il suo voto. Una stampa dell’ Eneide del Caro, a cui quel grand’emulo del Caro avesse posto il suggello della sua revisione, sarebbe stata per essa di minore autorità ? L’antico marmo scritto appartenente alla colonia di Poz- ZzuoLI nuovamente illustrato da Gro. Barrsra Zannoni. Firenze, Molini 1826 in 8.° Licurco re di Tracia assalitore del tiaso di Bacco, bas: sorilievo d’ un antico vaso marmoreo appartenente al sig. principe Corsini, illustrato da Gro: BaArisra Zan nonr. Firenze, Ciardetti 1826 in fog. fig. L’ antico marmo puteolane trovasi, come sanno tutti gli eruditi, nel museo borbonico di Napoli. Esso è scritto in tre colonne, e contiene ciò che noi diremmo uno strumen- to d’ appalto, o regolamento pei lavori da condursi in un’ a- rea posta al di là della via publica rimpetto al tempio di Serapide, di cui ancor si veggono gli avanzi. Il Maffei e po- chi altri lo ebbero per sospetto ; i più lo ebbero e lo han- no per autentico. Fra questi meritano special menzione il Cognolato , il Marquez e il Guarini, che risposero ai dubbi del Maffei con molta dottrina. Il cav. Zannoni, d’accordo con loro quanto all’autenticità del marmo , esaminato da lui medesimo l’anno scorso diligentissimamente, ma non quanto ad ogni parte dell’illustrazione ch’essi ne hanno data, ce ne presenta ora una nuova, che probabilmente non la- scierà desiderio di verun’ altra. i Comincia egli dal determinare il vero carattere del mar- mo , nelle cui prime parole , come dice il Guarini da lui citato , piacque a taluno di non vedere che una semplice assegnazione agraria. Appoggiandosi all’ autorità de’ fasti consolari e a quella di Livio, onde si è certi che il novan- tesimo anno dalla deduzione della colonia di Pozzuoli, espres» so nel marmo, corrisponde precisamente a quello, ivi pure T.XXV. Febbraio, 9 130 espresso del consolato di P. Rutilio e C. Mallio, che fu il 649 di Roma (giacchè la deduzione decretata nel 557 non ebbe effetto che nel 900) ei mostra che quelle parole rac- chiuduno veramente un’ assegnazione coloniare. Ma come mai, si è opposto, conciliare cogli scrittori, che fanno di Pozzuoli una colonia del sesto e settimo se- colo di Roma, e Festo che l’annovera tra le romane pre- fetture, e Cicerone che la chiama città libera di sua po- destà e di suo diritto, e Frontino che la dice colonia de- dotta da Augusto? ll cav. Zannoni scioglie assai bene l’ob- biezione, afforzando con autorità e con esempii ciò che os- serva il Guarini , che la deduzione d’una colonia non can- giava per nulla lo stato politico antecedente d’una città ; mostrando che Pozzuoli . quando ne parlava Cicerone, era, per benefizio della legge Giulia, tornata di fresco allo sta- to di municipio ; e che quando ne parlava Frontino dove- va esservi stata condotta una colonia novella. Indi, aggiunte altre risposte a quelle fatte dagli in- terpreti antecedenti ad alcune obbiezioni di minore impor- tanza , ei viene al regolamento, che, chiamandosi nel mar- mo operum lex secunda , fece dire al Guarini che questo marmo è cosa la qual manca di capo. Il nostro antiqua- rio, lungi dal concorrere in tale opinione, va pensando che il marmo smarrito, contenente la /egge prima , riguardas- se tutt’altri lavori he gli indicati nell'altro che ci rimane; e che fosse uso della colonia di Pozzuoli il distinguere la serie cronologica de’ suoi appalti, apponendo loro un nume- ro progressivo nei marmi che ne serbavano memoria. E qui comincia, ad illustrazione del nostro, una se- rie d’ osservazioni sagaci relative alla lingua e alle arti , cui mi sarebbe impossibile di compendiare senza riuscire lunghissimo , sì grande è il loro numero e sì copiosa l’eru- dizione di cui ciascuna si adorna. Come il loro scopo finale si è pur quello di mostrare la sincerità del marmo illustra- to, anch'esse vengono accennate nell’epilogo che fa 1’ au- tore degli argomenti da lui addotti di tale sincerità, Già abbiamo indicati gli argomenti ch'egli trae dalla storia. Altri egli ne trae, come dice nel suo epilogo , dai 131 modi usati nell’iscrizione del marmo “ che sono quelli, che pur si leggono in scrittori di simili materie, e che non di rado consistono negli anacoluti del parlar familiare, cui certo pensato non avrebbe un falsario ,,. Altri ne trae dalla forma delle parole “ che sono scritte coll’ortografia del tem- po e co’ frequenti sbagli de’ quadratarii, e che , se sono nuove, serbano, come le cosiffatte d’altri non dubbii mo- numenti, quell’analogia che dee farle credere legittime ,,. Altri ne trae pure dal carattere “ che non è di studiata maniera nè di aspro taglio e poco profondo quale esser suole quello de’ falsarii ,,. Altri infine ne trae da altre cose, in modo che a negarli converrebbe, com’ ei s’ esprime , cre- der profeta il lla, ‘ Parla in fatti l’ iscrizione ( reco questo buegé passo a saggio del calore con cui è trattato l’ argomento) d’ un tempio di Serapide e il pone vicino al mare. Passano molti anni e ancor questo tempio resta ignoto. Finalmente nel 1750 scuopresi una gran fabbrica presso il mare ; e la cella e l’ara e le due carapanelle vicino d’essa , per Hide: le vittime; ed altre particolarità eziandio ne convincono che x questa gran fabbrica è un tempio. A qual Dio apparterrà egli questo tempio? Le acque termali, che vi scorrono, le stanze fabbricate per riceverle e renderle altrui giovevoli, e la magnificenza dell’edifizio indicano esser quello un se- rapeo somigliante agli altri che sono celebrati dagli anti- chi scrittori ,,, Se le regole della logica non sono cangiate, egli conclude, bisogna pur avere per sincera un'iscrizione, che concorda sì esattamente con quello che poi si è trovato. Quest’illustrazione del marmo puteolano sarà sicura- mente molto applaudita dagli archeologi; quella del gran vaso corsiniano lo sarà egualmente dai non archeologi, che pur amano cogliere qualche fiore fra le spine che presen- tano gli studi dell’antichità. Chi infatti non fosse allettato a leggerla dall’erudizione di cui è piena, può esserlo dal- l’amenità di cui, e per la natura dell’argomento; e per l’in- gegno dell’autore, è condita. Come il marmo puteolano fu mal giudicato dal Maffei; ‘così il vaso corsiniano fu male interpetrato dal Gori. Quin- 132 di la nuova illustrazione che ci porge di questo il cav. Zan-' noni è, come l’illustrazione di quello, una specie di con- futazione. Giova sicuramente non solo alla vivacità del di-' scorso, ma alla pienezza del ragionamento, l’ avere a com- battere qualche opinione, che o per sè stessa o pel nome dell’opinante, sembri di molta autorità. Il cav. Zannoni altronde sa combattere cortesemente , nè la discrepanza d’opinione prende mai ne’suoi scritti aspetto d’ostilità. Guar- dando all’esordio ‘della seconda illustrazione potrebbe for- se credersi ch’ ei sentisse contro il Gori qualche insolito sdegno; ma procedendo nella lettura si vede ch’egli non gli sì pone a fronte con sentimento diverso da quello con cui si pose a fronte del Maffei. Di questa seconda illustrazione ha già reso conto in termini assai precisi il giornale di Luc- ca nel suo decimo numero ; ed io non posso far di meglio che riportarne le parole. €“ Il Gori crede ravvisare nella scultura del caso corsi- niano (ch’egli reputa, al pari dello Zannoni, elegantissimo) Penteo che armato di scure tenta d’uccider Bacco. Il so- pra lodato Zannoni prova essere interamente erronea sì fat- ta interpetrazione. Egli afferma che la figura barbata del basso rilievo non assale colla scure Bacco ma una delle bac- canti che compone il tiaso di lui; e che non rappresenta Penteo, ma Licurgo re di Tracia: e per provare tal sua asserzione fa opportunamente osservare , che se l’assalitore del tiaso di Bacco fosse Penteo , imbrandirebbe la spada e non la scure, arme che solo è propria delle milizie navali e delle nazioni barbare. E qui con sceltissima e copiosis- sima erudizione, tratta da classici scrittori greci e latini, validamente dimostra che dagli antichi mai sempre s'è at- tribuito a Penteo, come ad uomo greco , la spada , ed a Licurgo re di Tracia , stimata dai greci medesimi barba- ra, la scure, siccome appunto nel basso rilievo del vaso corsiniano vedesi: ed in prova di ciò , oltre le più irrefra- gabili testimonianze degli antichi scrittori , adduce ezian- dio l’ autorità d’una pittura che ritrovasi in un vaso che | si conserva nel real museo borbonico di Napoli illustrato dal sig. Millingen, ov'è effigiato Licurgo in atto di ritrar i 133 la sua scure contro una femmina che afferrata tiene peri capelli. . . “ Dopo avere il dottissimo antiquario assai ingegno- samente provato che la figura barbata rappresenta Licur- go e non Penteo, asserisce che una delle due femmine, che si veggono sotto l’anse di questo vaso, è Rea o Cibele, la quale, egli dice , si riconosce al leone, ch'è l'usato suo simbolo; e che l’altra non è, come crede il Gori, Cerere; ma bensì una divinità locale. Quindi egli fa parola del tiaso o coro bacchico di tal vaso, il quale è composto di due figure virili e di due femminili che intrecciano danze. Fi- nalmente parla .del nome da darsi a sì fatto vaso e dell'uso a cui potè essere destinato; ed è di sentimento doversi chia- mar cratere, voce greca derivata dal verbo che significa io mescolo , e adattata a tali vasi , in cui era contenuto il vino, che mescolato con acqua distribuivasi in tazze ne’con- viti e nelle libazioni. In quanto poi all'uso, che d’esso è stato fatto, ei non determina se abbia servito per libazioni O per conviti,, i X Dei due periodi, con cui il giornal lucchese conchiu- de il suo ragguaglio , riferirò l’uno in segno di adesione, e l’altro per apporvi una breve annotazione. ‘ Le ragioni (così il giornale) che l’ egregio scrittore adduce, onde con- validare quanto asserisce , sono dette tutte con ammirabile saviezza. Solo era da desiderarsi, che, oltre la spiegazio- ne della scultura del vaso, egli colla sua solita maestria provasse eziandio esser desso d’ antico lavoro, e tal cosa almeno per coloro che non hanno l’opportunità di veder- lo, essendo esso di privata proprietà ; tanto più che non è la prima volta che sieno stati interpretati e pubblicati mo- numenti , tenuti per antichissimi, e che poi si sono rico- nosciuti tutt'altra cosa,,. i Certo io non trevo ingiusto che da chi sente lodare il bel vaso corsiniano si desideri una prova della sua antichi- tà. Ma come la prova materiale dipende tutta dall’occhio, avvezzo per lunghi confronti a ben distinguere l’antico dal moderno , bisogna che i lontani si accontentino d’ una prova morale. Ora qual prova migliore che la conosciuta 134 intelligenza del cav. Zannoni, per non dit nulla delle tra» dizioni d’ un’ illustre casa , a cui il gusto dell’arti helle (Roma ne può far fede egualmente che Firenze) è da se- coli così familiare? Che se vogliasi un’ altra prova ancor più autorevole , credo che basterà a tutti l’opinione di Ca- nova, il quale più a nni sono, dice un viglietto che in questo punto ricevo, ‘ essendo stato a vedere il bellissimo vaso, \ prima che sua eccellenza il sig. principe Corsini lo facesse trasportare dal suo casino sul Prato al suo palazzo di Pario- ne, lo ammirò grandemente, giudicandolo egli pure d’antico lavoro. ,, L’ illustrazione , impressa con molta nobiltà , è corre- data di tre tavole abilmente incise, l’una maggiore, che rap- presenta la scultura del vaso, e due minori, la prima delle quali ci pone sott'occhio la pittura che già si disse del museo borbonico, e l’altra una scena bacchica d’un antico bassori- lievo della nostra galleria pubblica, opportunissime ambi- due allo scopo dell’illustrazione. Il dotto autore, traendo- ne occasione d’ allargarsi in ciò che riguarda il culto di Bacco , ha gettato , così di passaggio , uno sguardo sopra un’ antichità più remota che quella della Grecia , quasi additandoci 1’ immenso campo che resta a percorrere agli eruditi, e in cui egli probabilmente si apparecchia a fare non breve cammino. Scelta di prose di Carro Rurerto Dari. Venezia , tip. d’ Alvisopoli 1829 in 12.° Orazione in lode de’ brutti (attribuita a C. R. Dari). Fi- renze , stamp. granducale 1820 in 8.° D’ una trentina , circa, di scelte, che il benemerito sig. Gamba nel corso di due o tre anni ha pubblicate, on- de promovere fra i giovani lo studio del ben dire , la pri- ma che sia pervenuta all’ Antologia è questa delle prose del Dati. Si compone essa delle vite de’ pittori antichi ; escluse le postille; d’ alcune lezioni accademiche ; d’alcu- ne delle veglie fiorentine ; di poche lettere e d’un’orazio- ne, a cui si premette una sagosa notizia intorno alla vita 135 dell'autore e un elenco ragionato delle sue opere. Ove le ‘altre (di che non dubito) sieno fatte coll’ istesso discerni- mento e corredate di simili premesse ; la lor raccolta deve riuscire di non piccola utilità. I giovani vi troveranno press’a poco il fiore di quanto uscì dalla penna de’ nostri prosa- tori più celebri ; e quel tanto di biografia e di bibliogra- fia, che gli ecciti o gli indirizzi a' studi maggiori. L’ orazione in lode de’ brutti, attribuita al Dati, sem- bra stampata poco anteriormente alla scelta delle sue pro- se. “ Pubblica questa cicalata (dice il Gamba registrandola nell'elenco pur dianzi indicato) col titolo d’ orazione l’ab. V. Parigi sopra un manoscritto da lui posseduto. In una nota posta al fine l’editore lascia al tempo lo schiarimento se sia veramente di Carlo Dati. Ma se in questa così detta orazione , attribuita ad uno de’primari campioni del voca- bolario della Crusca, si ripete ben quattro volte ceto per ordine o stato, e due volte riflesso per riflessione ; se si scrive col fraseggiare gallico rilevare, tuelette ec. ; e se contro ogni buona grammatica si dice cos’ è per che cosa è; pare a me che resterebbe a concludersi nor doversi aspettare dal tempo altri schiarimenti ,,- Il sig. Gamba, troppo più erudito di me in queste materie, si ricorda senza dubbio che il Bergantini raccolse da 1500 voci usate, per abitudine già invalsa fra i tosca- ni, nella compilazione del vocabolario, e nel vocabolario non registrate. Io stesso, leggendo la sua scelta delle prose più sicure del Dati, mi sono incontrato in un suscettibile e in qualch’ altra parola, ch’ or non rammento, ma che mi accertai non trovarsi nel gran repertorio della nostra lin- gua. Quindi il non trovarvisi le altre ch’ ei nota, ma che sono qui per avventura usate da un pezzo, non mi pare grande argomerto per affermare che l’ orazione non possa essere del Dati solenne cruscante. Circa al cos'è potrei dire che , ove pure l’elisione si abbia in conto di scorrezione, resta a vedere se questa sia dello scrittore dell’ orazione , o di qualche scrivano a cui fu data a copiare; chè quanto all’editore e allo stampa- tore non posso dubitare della loro fedeltà. Ma qual è, di 136 grazia, la regola onde risulta esser dessa una scorrezionef Scrivere come si pronuncia generalmente dal popolo toscano io non so che sia regola cattiva. Ora questo popolo, la cui lingua è prontissima e il cui orecchio è sommamente de- licate, non solo trova più spedito il cos'è, ma trovereb- be impossibile (ove il discorso non abbia in sè qualche particolar ragione di lentezza ) il pronunciare cosa è. Del resto se la grammatica prescrive a questo riguar- do qualche sua regola speciale, bramerei intenderla. Quanto ad elisioni d’avverbi, di preposizioni ec. so ch’ essa è pre- cettrice indulgentissima. Molto pure, per quello ch'io me n’intendo ; essa concede all’ orecchio trattandosi di verbi; e molto altresì trattandosi d’ aggettivi. “ (Monoscerete se non volet' essere ostinati doversi e potersi fare in altro, modo .,, trovo qui nella vita del Brunellesco, la quale per caso ho aperta sul tavolino, e m’ispira fiducia, poichè il Bottari, che ce la ricorresse coll’altre del nostro messer Giorgio , sapeva sicuramente di grammatica quel più che possa sa- persene da chi la professa. “ Venga l’altera Dea ch'al mon- do diede — Già coll’ asta fatal 1’ etern’uliva ,, leggo pure sul principio della Coltivazione dell’Alamanni; e non du- bito di legger bene, poichè il Volpi, che 1’ emendò , an- ch'egli non era uomo da sbagliare in srammatitèa. Non ho in pronto esempii ben autentici d’elisioni di sostantivi spe- cialmente bisillabi. Ma mi ricordo che il Buommattei, ove tratta dello scemare in fine le parole, permette almeno al discorso familiare il rob’unta e il Rom’ antica ; e il Sal- vini, che gli fa le chiose, dà a simili trorcamenti il nome d’atticismi . i Un furte argomento, per attribuire a qualche scrittore più moderno del Dati l’ orazione o cicalata di cui si favella, meglio forse che ne’ particolari della lingua di quest’ ora- zione, potrebbe trovarsi nel carattere generale del suo stile, Mi dicono che il nostro segretario della Crusca propenda a crederla del Biscioni. Io per me, non avendo pratica di stili che mi basti, confesso che non saprei risolvermi. Forse chi attribuì l’orazione al Dati fu indotto a ciò dal vederla recitata nell’ accademia degli Apatisti, ove quel dotto se- 137 deva luogotenente di Ferdinando secondo de’ Medici. For- s'anche vi trovò molta conformità coll’ altre cicalate del- l’autore che già si avevano a stampa. Se l’ avesse scritta il Biscioni avrebb’egli potuto astenersi dal far motto di quella compagnia de’ brutti , che, come parmi d’ aver letto nelle sue note al Malmantile , ebbe già la stanza presso l’arco de’Pecori e poi rimpetto ai Visacci, e faceva il suo stra- vizzo per le Befane? La cicalata, come ognun sa , era negli stravizzi ac- cademici componimento obbligato. Bellissima prova della gentilezza di questi fiorentini, che sentivano bisogno di condire colla piacevolezza dell’ ingegno i piaceri stessi con cui all’ ingegno davano riposo ! Bellissima occasione ad un tempo di dire molte ardite verità, che in un serio discorso avrebbero trovato meno grazia, se pure non avessero por= tato qualche pericolo! Non può negarsi, che d’ occasione sì bella fu tratto partito assai piccolo e spesso puerile. Ma chi prima, pensò a fornirla forse avea spirito così acuto co- me chi compose l’ elogio della follia, E il rinomato scrittore che in questo giornale, or so- no due anni , disse intorno alle cicalate due o tre parole, di cui taluni ancor si lamentano, volle toccare l’abuso che si fece di questa sorta di componimenti, non l’uso che po- tea farsene. Quindi lo sdegno, che mostra contro di lui l’editore dell’orazione*in lode de’brutti, è veramente so- verchio. Ei gli oppone che le cicalate furono componimento gradito d’ un secolo, che vide il gran Galileo e quella scuola di sapienti che sotto di lui si formò. Sembra pe- raltro che que’sapienti non ne scrivessero che per usanza, poco adoperandovi l’acume del loro pensiero, e troppo con- fidando di quella copia di graziose espressioni, che fluiva spontanea dalla loro penna. Fors’ anche la natura de’ loro studi li rendeva meno atti alla satira piacevole , che sembra l’essenza vera delle cicalata. E chi attendeva più particolarmente agli studi morali si sentiva raffrenato o raffreddato da altre conside» razioni , di cui altra volta ho fatto cenno in proposito della cicalata sul canto alla Cuculia, che il Moreni aggiunse 138 alla sua raccolta di lettere inedite del Dati. Del resto que- sto Varrone toscano, come il Redi lo chiama, avea lo spirito sì grave , che le cicalate, in sua bocca, non poteano pure aver l’aria di uno scherzo spontaneo ;} e doveano sembrar scritte, com’erano realmente, per semplice condiscendenza. Il Gamba per ciò ha fatto bene a non porne alcuna fra le prose della sua scelta. Ho dubitato un poco se abbia ben fatto a porvi l’orazione in lode del commendatore del Pozzo, giacchè il Dati in essa pure è piuttosto dicitore d’of- ficio , che scrittore eloquente. Ma poi , riflettendo e alla qualità del lodato , da cui molti possono trarre un nobi- lissimo esempio, e ad alcuni passi non punto accademici delle sue lodi, come quello sì robusto: di rado fa lega la potenza col senno ec.,,; mi sono risoluto che quell’ ora- zione meritasse il posto che le si è dato. Nelle narrazioni il Dati è così terso, così decente, così bene ordinato, che quasi non mi lascia pensare se non potrebb’essere più co- pioso e più animato. Nelle cose didascaliche poi, lascian- do stare la dottrina ch’ei mostra in esse, e che fu tanto ammirata da’ suoi contemporanei, ei mi pare quasi sempre un modello invidiabile di pulita schiettezza e di bellissi- mo garbo. Taccio delle sue lettere, perchè già ne ho parlato in altra occasione. La più bella delle pochissime scelte dal Gamba è quella a Salvator Rosa, cui prega “di fargli il ritratto della sapienza ,,, Ma anch’ essa è lettera che am- mazza per la gravità; benchè possa piacer molto per Ja di- zione. Quella ad Orazio Rucellai, ove si parla d’ atomi fri- goriferi, fa un poco ridere. Eppure è scritta da chi ha scritta la prosa antecedentemente riportata ‘ sulla difficoltà degli studii intorno alla filosofia naturale ,,. Il Dati non era pro-. priamente destinato dalla natura a questi studi ; ma pure ne avea fatti di buoni sotto il Torricelli, come avea stu- diato di geometria sotto il signor Galileo , che gli portava spesso le chicche quand’ era fanciullo ; cosa da non poter- sene un uomo ricordare senza piangere. La difesa di Dante dalle accuse dategli dal Casa nel Galateo, e la prosetta sul traslatare i classici nel volgar 139 nostro, che a me pajono le migliori cose della scelta, mo- strano qual fosse il vero genio del Dati. Il Targioni gli ha fatto l’ onore di mettere qualche suo opuscolo nelle noti- zie degli aggrandimenti delle scienze fisiche in Toscana . Il principe Leopoldo de’ Medici si accontentava di parlar- gli della sua accademia del Cimento, istituita appunto per aggrandirle ; ma nol distraeva per esse dai lavori imposti gli dall’ accademia della Crusca per la ristampa del gran vocabolario, e a lui sì confacenti. | L'editore dell’ orazione in lode de’ brutti, parlando nella sua prefazione della parte che prendeva il principe stesso a tale ristampa, reca cinque sue lettere inedite, che la comprovano. In esse il bravo principe cerca ad alcuni dotti di Siena vari libri relativi alla lingua , parte com- posti e parte postillati da Celso Cittadini, ch’ei chiama un grande virtuoso. E il Cittadini, infatti, almeno pe’tem- pi in cui visse, era ben degno di questo titolo. D’erudi- zione latina ad illustrazione del volgar nostro non so chi ne mostrasse più di lui. Del rimanente egli avea delle sin- golari opinioni ; se pur aveva opinioni ben fisse, e non era un poco umorista come il Gigli suo discepolo. Poichè il suo nome è stato più volte adoperato dalla parte con- traria ai toscani e ai fiorentini specialmente nelle dispute sempre vive intorno alla lingua, anch'io ho voluto leggere le sue operette che il Gigli ha raccolte. Vi ho trovato due uomini diversi : l’autore del trattato dell’ origine e del no- me della nostra lingua, e l’ autore del trattato delle origini della toscana favella, di cui era divenuto lettor pubblico nello studio di Siena, quasi non hanno fra loro alcuna re- lazione. Il manoscritto delle cinque lettere del principe Leo- poldo è, come dice l’ editore , piccolissima parte degli au- tografi ch'egli ha “ sottratti alla voracità del tempo e alla comune dimenticanza ,., Varii di questi autografi, da che farono scritte le parole che cito, sono già usciti d° Italia. Sarei ben dolente che uscissero anche gli altri, almeno prima che fosse pubblicato ciò che contengono di più pre- zioso per la storia. Essi consistono principalmente in epi- 140 stolarii; e il pochissimo da me vedutone mi ha dato grande idea del rimanente. Possibile che non si trovi librajo, il quale si accordi col possessore per la stampa di scritti, che contengono le confidenze dei Machiavelli, dei Giannotti, dei Guicciardini, degli Strozzi e degli altri più insigni uo- mini della Toscana, in quel periodo specialmente della sua storia, che più merita il nostro studio ? E poichè si favella di librai e di stampa di cose ine- dite, mi sia permesso d’aggiugnere una parola che servirà di suppiemento all’articolo antecedente. Questi librai ci ripubblicano ogni giorno tante cose, poetiche specialmente, di cui si hanno da un pezzo più edizioni che non bisogna- no. Perchè mai fra tanti tesori nascosti di buona lettera- tura, quanti ne possede Firenze, non sanno essi mai uscire da quelle ristampe ? Il cav. Zannoni nella sua illustrazione del vaso corsiniano cita le Dionisiache di Nonno tradotte dal Salvini, che trovansi, egli dice, manoscritte nella Ma. rucelliana. I librai se ne tengano per avvisati , giacchè delle Dionisiache non abbiamo , ch’ io sappia , altra ver- sione; e se questa del Salvini sarà poco gradita agli stu- diosi della verseggiatura , sarà graditissima a quelli del- l’erudizione e delle due lingue greca e toscana, in cui non so chi valesse più di quell’ Anton Maria della Crusca, co- me il Foscolo lo chiama. Che se dovessi parlare di ristam- pe, giacchè i nostri librai le trovano sì comode , tornerei a pregarli, come ho già fatto altre volte, per una raccolta dell’ opere di quel Giambatista Doni , a cui il Dati suc- cesse nella cattedra di lettere greche e latine , e di cui Firenze non ebbe forse scrittore più dotto insieme e più elegante. Mi fa pensare ad esso ciò che ne dice il Gamba nelle notizie della vita del Dati. Oh se questo Gamba fosse qui; nè il Doni rimarrebbe pressochè dimenticato, nè tante cose d’ altri eccellenti scrittori giacerebbero sepolte negli archivi e nelle biblioteche ! 141 Prose di GrovannI DELLA CAsA, aggiuntevi alcune rime. Milano, Silvestri 1826 in 12.9 Descrizioni geografiche e storiche tratte dall’ opere di Da- NIELLO Barrozi. Milano , Silvestri 1826 in 12.° % , Vi rammentate la scena dell’Alfieri giovinotto col Pa- ciaudi non giovane. Questi gli regalava il Galateo , e que- gli il gettava dalla finestra. Eppure lo leggerete , gli di- cea il Paciaudi senza scomporsi. — E lo lessi di fatti, narra 1’ Alfieri ; nè io ho qui d’ uopo di ripetere quando e come ei lo lesse. Qualche cosa di simile, amici miei , credo che sia ac- caduto a ciascuno di noi, Il Galateo e l’altre prose del Casa ci parvero pure la gran noia, quando prima ci si posero tra le mani. Poi ci parvero quello che sono , vale a dire uno de’ più cospicui monumenti dell’eloquenza italiana. Il Silvestri sembra persuaso che il Galateo e gli Ufici sieno gran cosa o almeno cosa molto utile anche quai li-, bri di morale filosofia. Lo argomento dalla cura ch° ei s° è data (come ce ne avvisa nella sua prefazione ) di apporre loro un buon indice delle materie. Di questa cura io me gli sento obbligato , perchè un buon indice fa bene in ogni buon libro. Nel Galateo peraltro e negli Ufici io lo riguar- do come un comodo non come una necessità, Con ciò intendo ben dire che non vo a cercare in quei due libri molta istruzione filosofica ; ma non che il loro au- tore non avesse pe’suoi tempi mente da filosofo. Un bravo amico ragionandone meco, pochi giorni sono, avvertiva che la mente di quest’autore doveva essere molto acuta e molto riflessiva, poi ch’ egli dai vecchi usi, a cui il maneggio degli affari ed altre ragioni parea che dovessero affezionarlo, saliva di continuo col pensiero a qualche cosa di migliore. E mi recava in prova l’esordio degli Ufici , in cui egli mo- strava d’accorsersi che la comune tendenza degli uomini nelle moderne società è la civile eguaglianza, onde sì van- no formando relazioni affatto diverse e sicuramente più mo- 142. rali che non quelle che li stringevano fra loro nelle antiche. Io, per non rimanermi addietro, parlava del suo gran rispetto per la ragione , che non era certamente la divi- nità del suo secolo. E citava un passo dell’orazione a Carlo V, in cui dice di certi consiglieri, franchi disprezzatori, per ciò che pare , di quella che Napoleone nell’ ebbrezza del suo potere chiamava ideologia, e solleciti ad un tempo di palliare con cattivi ragionamenti Ja violenza o la frode. <‘ I quali, egli dice, assai chiaramente confessano di quanta riverenza sia degna la ragione ; poichè essi medesimì , che la contrariano, sono costretti di rifuggire a lei ,,. Non so perchè il nostro Silvestri , che nel sno avviso ai lettori reca le magnifiche lodi che il Parini dava. indi- stintamente alle orazioni del Casa, non abbia tenuto ve- run conto di quella per la Lega, che a me pare, e per l’ar- gomento e per l’eloquenza, troppo più riguardevole dell’al- tra pocanzi indicata. Nulla dico della scelta ch’ei ci avvisa d’aver fatta delle sue rime. Sebbene le più ammirate per singolarità di stile non sieno le più distinte per grazia, sto cheto alle ragio- ni ch’egli adduce dell’averci ristampate le une e nonle altre. Ma delle sue lettere perchè sì poche? Perchè non qual- cuna almeno di quelle sue veramente familiari a messer Carlo Gualteruzzi ch’ ei chiama Carlone , e col quale si loda di vivere al par di lui alla carlona! In esse certo non trovi l’impaccio de’ periodi lunghi lunghi come la barba di monsignore ( frase di Foscolo in una delle sue poche e im- pagabili lezioni all’ università di Pavia ) che fu delle più lunghe e accarezzate fra tutte le barhe. E per me gli scritti gettati là da un raro ingegno li tengo dieci volte più cari che quelli in cui pose il più studiato artifizio. Che è mai peraltro l’artifizio delle prose del Casa in paragone di quello delle prose del Bartoli? Taccio della vera proprietà della lingua.Al Casa mancavano di rado le voci, che sono per così dire specchio pianissimo al pensiero. Al Bartoli (me lo perdonino i suoi caldi ammiratori) bisognavano spesso de’ supplementi ingegnosi, che paragonerei volentieri a tanti 143 specchi curvi, fatti per alterare più o'meno i colori e le ‘ dimensioni degli oggetti che riflettono. Da questo suo non pieno possesso della lingua, che pur avea, studiato come pochi studiarono mai, veniva in parte quel troppo artifizio dello stile, cui d'altronde pareva naturalmente inclinato. Ho letto non so dove che il Redi scriveva a codesto Bartoli d’aver appreso da lui i segreti della lingua e dello stile. — Quanto alla lingua , puro complimento. Quanto allo stile, credo anch’io che, malgrado un artifizio così visi- bile, e il Redi e tutti potesse e possano imparar molto da lui. No: gli epiteti che gli dà il Giordani ora di stupendo ora di terribile non sono punto esagerati. E rondimeno non è ingiusta la doglianza di molti che il suo stile va poco all’anima e stanca facilmente. Sin da quando il Giordani cercò di vendicare da un’in- giusta dimenticanza questo scrittore ( prima nella Biblio- teca italiana e poi nella vita del Pallavicini ) distinse con molta finezza di gusto quelle fra le sue opere, che offrono esempi di stile più sicuro, da quelle, in cui lo stile è meno sicuro e meno esemplare. Veggo che tale distinzione non è stata obliata; poichè oggi chiunque parla dello scrittore medesimo ha cura di rinnovarla. Ma anche le sue opere di miglior stile chi oggi può aver ozio che basti per leggerle intere ? Io non dico che non ci sia nulla da imparare per la materia. Un’ brav'uo- mo , leggendo per esempio la sua Inghilterra, può trar pro- fitto anche da ciò ch’ei dice della sapienza di Filippo se- condo o degli imparziali giudizi della Camera stellata. In tutte le sue storie ci sono da imparare , come cosa di fatto, varie opinioni del suo tempo intorno a materie che anco- ra importano nel nostro. Ci sono sentenze e ragionamen- ti, di cui, per sentirne l’acutezza , basta alcune volte il fare una più ampia applicazione. Ma ciò richiede molto giu- dizio in chi legge ; e chi ha molto giudizio ha probabil- mente molt’altro da fare. Il Bartoli moralizzava assai volentieri, e pare che nelle sue opere dovrebbe almeno trovarsi da tutti un’abbondan- 144 za d’ istruzione morale. Ma la scienza delle azioni, come. tutte l’altre, benchè un po’meno dell’altre, è oggi troppo più inoltrata che non a' suoi giorni. ‘Qual distanza per esempio tra le vedute del Bartoli, ove parla dei poveri negri e degli indegni trattamenti fatti loro soffrire, e ciò che dice Billiard dell’ abolizione della tratta e della schiavitù in risposta a due quesiti successivi della società della morale cristiana; 0 ciò che scrive Sismondi sul medesimo argomento in un articolo intorno all’America, di cui si fregia il gen» naio della Rivista enciclopedica di quest’ anno? Insisto su questi particolari perchè vegso che anche i valentuomini , qual si mostra nella sua prefazione chi ha fatta pel Silvestri la scelta di descrizioni tratte dall’opere del Bartoli, parlano dell’ importanza della materia, che tro- vasi almeno in alcune parti di queste opere. Se parlano d’un’ importanza relativa, li intendo; se d’ un’importanza generale e assoluta , mi trovo col pensiero ben lungi da loro. Fra le parti, che per la materia riescono meno gravi a leggersi, il valentuomo indicato ha fatto scelta tanto più conveniente, che in esse forse, più che in altre , lo stile del Bartoli si mostra pieno di vaghezza e di forza. Ei dice d’averle scelte ‘ tanto più di buon grado , che abbiamo difetto di modelli del modo di scrivere di geografia e di viaggi ,, Veramente all’epoca, in cui viviamo , ci è tanto bisogno d’ andare spediti nelle nostre letture , che i libri di geografia e di viaggi scritti alla maniera del Bartoli ci parrebbero ben lenti. Ne’libri di storia starebbe forse me- glio uno stile che si assomigliasse a quello delle sue de- scrizioni. Ma ivi pure oggi si bramerebbe un poco più di scorrevolezza e sopra tutto di naturalezza. Perfetto è quello scrivere ( non cesserò mai di ripeterlo ) in cui / arte che tutto fa nulla si scopres e l’ arte del Bartoli si scopre tanto, che mi è lecito dubitare se il suo scrivere, nel nostro secolo specialmente, . possa riguardarsi come un modello di per- fezione, 145 r Elogi scritti da Giuseppe BrancuerrI, nuova edizione cor. ed ac. Treviso, Andreola 1826 in 8.° Due cose mi sembrano particolarmente notabili in que- sti elogi : 1’ elevatezza di sentimento con cui sono scritti, . € lo studio, che vi si manifesta, di uscire dai formolari ac- cademici per accostarsi ad un genere d’eloquenza più nuo- vo e più vero. Essi , fra più brevi e più lunghi, sono sei. I più lun» ghi s’intitolano al Filangieri, al Colombo, al Canova, nomi troppo belli e troppo cari alla nazione, per ch’io abbia d’ nuopo d’accompagnarli d’alcun agginnto. I più bre- vi sono dati dalla riconoscenza o dall’amicizia dell’ auto- re ad un Bernardi, che gli fu maestro affettuoso; ad un Be- nozzo , che fu specchio degli educatori; e al giovane Ben- zon , che prometteva assai bene di sè negli studi poetici, L’ ultimo di questi tre elogi, per così dire privati, racchiude poche ma giuste osservazioni sull’arti della pa- rola. I due antecedenti e il primo in ispecie si distendo- no a molte particolarità, riguardanti l’educazione e l’istru- zione elementare , e possono esser letti con molto frutto. Ciò che l’ autore dice del Benozzo mi ha fatto pensare al nostro buon arciprete Marchi , il cui piccolo convitto di S. Maria in Monte presso Castelfranco di sotto merita una vi- sita degli uomini dabbene, e a quanto ho udito più volte del sig. Rosi, ch’ avea fatto del collegio di Spello un luo- go di felici esperienze pel miglioramento de’ metodi d’ al- levare e ammaestrare la gioventù. Dei tre elogi più solenni io vorrei qui poter riportare per disteso quello del Filangieri. Non già ch’esso mi piace» cia interamente per la forma, benchè sia di tutti il più industrioso. Della sostanza stessa non potrei dirmi sempre pago, giacchè i meriti del Filangieri io li riguardo spesso con altr’occhio che l’autore. Ma l’amor degli uomini , il desiderio del bene , il rispetto per yli alti principii a cui s’appoggia la sociale prosperità , sono in quest’ elo- T. XXV. Zedraio. 10 146 gio tanto evidenti, ch’ io non so parlarne che con predi- lezione . L’elogio del Colombo è, per così esprimermi, un dop- pio inno al genio del grand’ uomo e alla gloria d° Italia, Quest’inno è alternato qua e là da alcuni accenti elegiaci; e ogni lettore ben sente come doveano frapporvisi naturalmen- te. Nell’elogio del Filangeri l’autore s'è studiato di cogliere il fiore delle cose, riserbando alle note i particolari più co- nosciuti. In questo del Colombo sembra ch’ei si fosse pro- posto di fare lo stesso , ma poi si è lasciato uno poco de- viare dal primo disegno . Fors’ egli ha temuto d’ impove- rire il proprio soggetto e restringere il campo alla propria eloquenza. Non poteva egli dunque aprirgliene uno nuovo, o in cui almeno è dubbio se altri lo abbia prevenuto? La terribile ecatombe immolata sul sepolero di Colombo a San Domingo, i destini della maggiore delle Americhe , dopo che le sue ossariposano al Messico, e la formazione di quella repubblica che s'intitola dal suo nome, qual nuova materia per la conclusione del suo elogio ! Nell’ elogio del Canova o “ discorso per la dedicazio- ne del suo busto nell’ ateneo di Treviso,, ove anche gli altri elogi furono recitati, primeggia un’ idea, che cia- scuno facilmente chiamerà bella e luminosa. ‘ Considerai (cito le parole in cui mi par contenuto il suo germe) che il calamitoso secolo fu grandemente confortato dalla vita di un tal uomo, e che la viva generazione, quasi da molte ree fame fuggendo, se gli restrinse intorno con inusitat’espres= sioni di maraviglia e d’ amore.,, Svolgendo siffatta idea l’ autore si lascia trasportare talvolta a qualche declama- zione non giusta; ma nessuno vorrà offendersene , pensan- do ch'egli è mosso da un sentimento il più sincero della giustizia. Mi rimane ad esprimere un voto, che credo avere espresso, benchè meno apertamente, altra volta, parlando di qualch’al- tro scritto dell’autore. Poichè la sua mente vede assai bene le cose; e il suo cuore , per raro privilegio, è pienamente d’accordo colla sua mente; quanto è desiderabile che an- che la maniera del suo scrivere corrisponda perfettamente ° 147 alla saviezza dell’ una e alla schiettezza dell’altro! Egli, com’io notava a principio, ha sentito il bisogno d’ un’ elo- quenza più vera che quella usata comunemente ne’consessi letterari. Però nulla dico di qualche sacrificio, ch'egli ha creduto di dover fare alle abitudini di tali consessi, e che, senza dubbio , gli pesa. Quello, di cui non posso tacere, perchè parmi che , lungi dal sentirsene gravato, eyli se ne compiaccia , è quel gusto delle perifrasi e delle ricercate locuzioni, che da alcuni anni è invalso nella nostra lette- ratura, e di cui i suoi elogi portano l’impronta. Un gusto degno della scuola dei sofisti (mi si perdoni questa frase ormai divenuta necessaria ) non è degno di lui. Egli è un brav' nomo , e deve scrivere con quella nobile semplicità che conviene a un brav’ noma. Collezione portatile di Crassici ITALIANI (l' Aminta del Tasso, il Pastor fido del Guarini, la Merope del M 1r- FEI; le tragedie dell’ALrieRrI e quelle del MontI) dal , volume undecimo al decimottavo. Firenze , Borghi e C. 1826 in 32.° TRAGEDIE CLASSICHEITALIANE (del Marrer, dell’Arere- rI e del Monti) in un solo volume. Firenze, Borghi e C. 1826 in 8.° È forse un anno che più non ho fatta parola di ciò che altra volta ho chiamato un sorriso della nostra tipo» grafia. La collezione portatile di classici italiani seguita sem- pie a meritare questa carezzevole denominazione. Col vo- lume diciottesimo pocanzi pubblicato essa è giunta al ter- mine della prima sua serie, quella cioè che contiene il fiore de’ nostri poeti drammatici anteriori al Manzoni. Ciascun sente come alle grazie dell’Aminta e ai vez- zi del Pastor fido convenga mirabilmente la galanteria ti- pografica di questa collezione. Anche alla vaghezza de’versi tragici del Monti , per non dir nulla della soavità di quelli del Maffei, essa propriamente non è disadatta. All’auste- rezza di quelli dell’ Alfieri voi la credereste affatto inop- 148 portuna , se non pensaste che per essa forse tanta austerezza sgomenterà un po’ meno le nostre donne gentili, Per noi robusti petti del forte sesso ecco il volume delle tragedie classiche italiane , ove per sola virtù della forma del volame medesimo e della distribuzione de’versi in doppia colonna per ciascuna pagina , la galanteria della stampa è divenuta una pulita economia o (se vi piace me- glio quest’ altra denominazione ) un’economica nobiltà. Le edizioni minute a doppia colonna erano molto in uso fra noi nel secolo decimosesto ;' segno , parmi, che in quel secolo si leggeva più volentieri e viaggiando e vil- leggiando che non nei due posteriori . Quando sul princi- pio del nostro questa libreria di Pallade ne richiamò l’uso colla sua stampa de’ quattro grandi poeti (che pocanzi il Sicca di Venezia si è proposto di ripetere ) forse più che al bisogno di leggere si volle servire al bisogno di novità. Oggi chi va propagando siffatto uso parmi che serva insieme e a questi due bisogni e a quello di risparmiare spazio , non solo nelle cassette da viaggio o da campagna, ma anche negli scaffali de'nostri scrittoi di città. Ne’paesi, ove si stampano più libri perchè più se ne leggono , ed ove il risparmio di spazio è divenuto sì impor- tante, voi vedete in che numero e di che minutezza di carat- teri si fanno queste edizioni che chiamano compatte, In In- ghilterra uno Shakespeare intero con qualche nota si fa sta- te in un volumotto che appena v’ empie una tasca della giubba o della giacchetta. In Francia la gran collezione dell’ opere del più famoso de’suoi scrittori si è fatta stare in due volumi d’ottavo non grande. E in questo momento si stampa in uno solo una nuova biografia de’contempora- nei, a cui non mancherà nulla di ciò che contiene d’essen- ziale l’altra in 20 volumi, e sarà aggiunto più d’un mi- gliaio d’ articoli , che in quella non si trovano. Il volume delle tragedie classiche italiane, per minu- tezza di caratteri, tiene un luogo di mezzo fra l’ edizione fiorentina de’ quattro poeti in un volume, e le edizioni in- glesi e francesi che pur ora sì indicavarlo. Ogni vista , che 149 non sia debolissima, può fissarvisi a lungo e quasi dissi ri- posarvisi. Voi non trovate in esso quel non so che d’ ab. bagliante che trovasi in alcune edizionette forestiere; ma vi trovate ciò-ch’ è più comodo per voi , una nitidezza che vi diletta senza stancarvi. Tutto il volume ( con frontespi- zio intagliato , ritratti ed altri piccoli ornamenti) non ol- trapassa le 455 pagine. E in tanta ristrettezza gli abili editori, secondati da uno stampatore intelligente (il Magheri che si nomina in calce al volume), hanno saputo mettersi interamente a loro agio, dando non solo ad ogni tragico ma ad ogni tragedia un particolare frontespizio, lasciando fra gli atti, le scene, e le parti di ciascun dialogo quegli ‘spazii che l’ occhio potea desiderare, insomma combinan- do nel più bel modo l'economia e la convenienza. Quindi parmi che il lor volume possa additarsi qual prova di un nuovo progresso dell’arte tipografica nel bel paese, che già diede i primi esempi graziosi di quest’ arte or condotta a tanta eleganza. Ma l’eleganza ed ogn’ altro pregio materiale sarebbe- ro di ben poco momento , ove loro non si aggiugnesse la più esatta correzione. Altra volta ho parlato della cura che si danno per essa gli editori della collezione portatile ; e i soli carticini degli ultimi volumi basterebbero a farne am- pissima fede. Ma parmi che il dare qui un sag gio di que- sta cura non debba riuscire affatto inutile. Più editori delle tragedie dell’ Alfieri, giunti verso la fine della prima scena dell’atto quarto dell’ Asamennone, si erano trovati molto perplessi. L’ edizione originale , cioè la parigina del Didot fatta nel 1787, presenta questo pas- so visibilmente sbagliato : Egisto Alfin ricevi... L’ ultimo addio...d’Egisto Clitennestra Ah! m’odi...Atride solo All’amor nostro ec. Alcuni, anche de’ più valenti, come il Boschini, che ci ha data la ristampa di Londra del 1815 , per quanto un verso di tredici sillabe paresse loro cosa duea a ripeter- si, non ardirono deviare da quell’edizione; Altri si fecero 150 animo, e cercarono, con quell’amputazione che loro parve più ragionevole, di ridurre il verso alle sua giusta misura, Il Capurro per esempio tolse il solo ; il Fusi levò il d'Egi- sto; il Silvestri l’ ah! m° odi. A nessuno venne in pensiero di lasciare l’ Atride se non al bravo Passigli, a cui oggi è principalmente affidata la correzione della raccolta por- tatile , fra i cui volumetti il bel volume delle tragedie clas- siche tiene il luogo d'un leggiadro arbusto fra molte piante di fiori in un giardino ben coltivato. È Ogni lettore intelligente riscontrerà come stia bene il passo da lui così emendato: E gisto Alfin ricevi... L’ ultimo addio...d’ Eyisto Clitennestra Ah! m’odi...solo All’ amor nostro ec. A me basta di poter aggiugnere ch’ essendosi ,: dopo che l’emendazione era già stata proposta, avuto ricorso ai mano- scritti dell’Affieri (prezioso dono fatto alla Laurenziana dal- l'egregio pittore Fabre a cui la contessa d’Albany li avea legati); quest'emendazione si trovò corrispondente alla cor- rezione dell’ autor medesimo, posteriore forse alla prima edizione o non avvertita quando l’edizione si eseguì. Dopo ciò non ho d’uopo di recare altre prove, perchè ciascuno sia persuaso che la collezione portatile de’classici italiani merita del pari la fiducia de’cultori più fini delle lettere che l’ag- gradimento de’ conoscitori più delicati di un'arte, a cui le lettere debbono tanta parte del loro culto. Prose e versi d Uco Foscoro. Milano, Silvestri 1825 în 12.° Prose e versi di G. B. Niccorini. Milano, Silvestri 1826 La o in 12- Certamente , miei riveriti dottori in lettere e colleghi giornalisti d’ogni favella, questo nostro Ugo Foscolo è fatto per imbarazzare un poco i dottori in lettere , e beffarsi più che un poco di noialtri scrittori di giornali. Come parlare di lui, come definirlo? È egli un classico o un romantico, ISI un erudito da buono o. da burla, un poeta e un prosator vero, o un fantasma bizzarro di poeta e di prosatore? — Questi dubbj non sono io che li mova ; e chi li move corre qualche rischio , tentando rispondervi. Mi rammento d’ nna lettera del nostro greco-italico a certo monsieur (e rammentandomene mi dolgo di non ve. derla inserita nella raccolta silvestriana ) sulla sua incom- petenza a giudicare degli scrittori d’ Italia. Quella lettera potrebbe ricevere qualche nuovo indirizzo nel del paese e fuori, all’uscire di qualche nuovo giudizio sul merito di chi la dettò. Non già che il giudizio non possa venire da pen- na molto dotta e molto bene esercitata. Ma come la mag- gior parte de’ giudizi, che con penna dottissima ed eser- citatissima si danno ancora in molte parti del mondo let- terario , sono giudizii da monsieur, dubito che al Foscolo, il quale non ha punto aria di monsieur, possa toccarne uno: conveniente. Anche il Foscolo ha fatto qualche volta da dottore in lettere e da giornalista. Dicono anzi che questo secondo me- stiere gli abbia fruttato in Inghilterra ciò che per secoli non frutterà a nessun uomo in Italia. Io non ho veduto un solo verso di quanto egli ha inserito colà nell’ opere periodiche. Ma il frutto, ch’ei n’ha cavato, prova ch’ei s'è messo di paro co’ migliori giornalisti inglesi, ch'è quanto dire s’ è allontanato più che mai dalle idee e dallo stile d’ un monsieur. Com’ egli da un pezzo ne fosse già lungi potete vederlo in varii articoli, che il Silvestri ha raccolti da alcuni giornali italiani , e specialmente in quello che s'intitola “ ragguaglio d’ un’adunanza dell’accademia de’Pi- tagorici ,,. Se i dottori in lettere e gli scrittori di gior- nali rileggono siffatto ragguaglio , credo che ci penseran- no due volte prima di proferir parola sul suo autore. Ma non è da lui solo ch'essi debbono guardarsi. C° è di mezzo un pubblico nè letterato nè illetterato, ch’ è il giudice de’giudizii de’dottori e de’giornalisti, e se li trova falsi o pedanteschi se ne fa beffe senza pietà. A forza di consumarvi occhi ed occhiali, i dottori in lettere e compagni scoprirono, mi ricordo , nella Chioma 152 berenicea non so che sbaglio d’interpretazione d’un verso di Lucrezio o di Virgilio. I rumori furono tanto più grandi quant’era più desiderata l' occasione di vendicarsi di quello scherno o di quella usarpazione di mestiere, che parea loro di ravvisare nella Chioma. Foscolo non sa il latino , si gri- dò; ma a quel grido il publico spassionato si strinse nelle spalle e sogghignò. Foscolo non sente Omera si è pur gridato al compa- rire del suo primo saggio omerico. Questo grido poteva forse trovare un eco al comparire del secondo , in cui uno stu- dio soverchio di concisione e d’energia costa al traduttore qualche notabile sagrificio di lucidezza;e di leggiadria. Ma allora, signori miei, fu ben intempestivo e ben ingiusto. La discesa d'Apollo , la caduta di Vulcano , il riposo di Giove e di Giunone parvero (in quel primo saggio) e sono forse i primi modelli di vera traduzione d’Omero, che siansi ve- duti nella nostra lingua. Non però il pubblico credette o crede (e giova ch’io lo noti) che Foscolo sia fatto per tradurre Omero in ogni parte. Monti vi era più adattato , così per quel misto di grandezza di bonomia che trovasi nel suo carattere , come per quel maneggio mirabile di verso, che lo distingue fra tutti i poeti. Ma il Monti, come Foscolo già notò, dà vo- lentieri nell’ornato. Ed ove trattisi di serbare il disegno e il colore primitivo di rappresentazioni molto semplici, Fo- scolo, se per accidente non le altera nella propria fanta- sia o nel proprio cuore , può riuscirvi meglio di lui. È stato scritto non ha guari (mi ci fa pensare ciò che ho detto pur dianzi) ch’egli “ è più poeta di studio che da fantasia ,,. Il pubblico risponde ch'egli più che poeta di fantasia è poeta di passione. Però i suoi versi ( parlo de’Sepoleri principalmente, che il Silvestri fa precedere ad alcune liriche già da un pezzo raccolte, ai frammenti de- gl’ invi alle Grazie e al primo e terzo libro d’ Omero ) non paiono fatti per invecchiare. Essi mirano al cuore, e nel cuore, che penetrano profondamente , possono ringiovanirsi per lunga stagione. Ciò non @vverrà forse degli inni alle Grazie , benchè | 153 scritti con più varietà e più vaghezza di stile. Le greche imagini, di cui s’' adornano, sono certamente assai vive; e vestono spesso d’un velo trasparentissimo qualche stori- ca o morale verità. Pure appena ci toccano in paragone de’ sentimenti passionati, che loro qua-e-là si frammischia- no , e di cui solo dura in noi l'impressione .ì Vero è che talvolta le imagini sono così animate dal sentimento, che non solo ne siamo commossi, ma vi ci affezioniamo come a depositarie fedeli de’ più intimi secreti della nostr’ ani» ma. Perchè sio salgo agli aerei poggi di Bellosguardo, e mi avvolgo fra le quete ombre di mille giovanetti cipressi, che prima udirono gl’inni del poeta, mi trovo sempre sulle labbra : “ Intanto al suono Socrate libava ,, cogli altri di- ciotto o venti versi che seguono, e la più bella delle poe- sie mi pare in questi versi ? Le liriche rimate del nostro poeta anch’esse derivano il loro pregio maggiore dalla passione; e questo pregio è abbastanza raro perchè ci compensi di quello della dolcezza o dell’ornamento, che spesso loro manca. Del resto il poeta me recò egli medesimo il più retto giudizio , quando nel- l’ode all’amica risanata diede , se ben mi ricordo, l’ epi- teto di grave alla propria cetra. Questa cetra gli rispon- deva assai bene s’ei dettava il sonetto sulla sentenza ca- pitale contro la lingua del Lazio , che chiude la raccolta del Silvestri, o l’ode a Bonaparte, che non trovasi in alcu- na raccolta. Non però gli risponde male s'ei piange il fra- tello ‘‘ nel fior de’ suoi gentili anni caduto ,,; o invoca la pace della sera, che addormenti per poco ‘ quello spirto guerrier ch’ entro gli rugge.,, Sia lecito ai dottori in lettere e compagni il negare che in Foscolo potessimo avere un Pindaro, purchè non neghino al pubblico, il quale n’è persuaso, che avremmo potuto avere in lui un Alceo. Così ad essi sia lecito il ne- gare che potessimo in questo poeta avere un Sofocle, pur- chè non neghino, che potevamo in lui avere un Eschilo, Il suo Tieste, tal qual è, prova più genio tragico che l’An- tonio e Cleopatra dell’ Alfieri. Ma è forse atto crudele il il 154 ristamparlo, com’ ora si è fatto, così separato dalla Ric- ciarda e dall’ Ajace , tragedia memorabile per tante circo- stanze, e di cui non troveresti nel mondo nulla di più eschi» liano fuori che in Shakespeare. Più altre tragedie 0 com» pite o abbozzate, come parmi d’aver udito più volte, avea l’autore nel suo portafoglio sin dal tempo della rappre- sentazione dell’ Ajace, che da molti poi si lesse manoscritto. Gran danno che il pubblico non abbia ancora veduto che la Ricciarda! Malgrado il sistema teatrale, in cui l’autore sem- bra essersi ristretto, è assai probabile che la sua forte ma- niera di sentire, impressa in tragedie di vario genere, avrebbe giovato non poco ai progressi dell’arte. Del resto può dubitarsi che il sistema, secondo il quale sono scritte le due tragedie del Foscolo che abbiamo alla stampa , sia tuttora quello ch’ei reputa il migliore. E chi sa che all’aver egli, da che dimora in Inghilterra, can- giate idee in tale proposito, non sia da ascriversi 1’ indu- gio ch’ei mette a pubblicare le altre ? Egli era cresciuto nell’ammirazione d’ Alfieri che tutti ammiriamo ; e questo sentimento, che in lui doveva essere proporzionato alla for- za di tutti gli altri, non gli avrà permesso di pensare se fuori delle vie di quel tragico si potesse camminar meglio, e neppure di dubitare se le vie di quel tragico fossero ve- ramente quelle de’ greci. In altri particolari dell’arti, ch’ei coltivava, la sua mente s’ era elevata da un pezzo a con- siderazioni superiori alle comuni teorie; e nell’orazione sul- l'origine e l’officio della letteratura, che il Silvestri ci ha ristampata, ne abbiamo un buon testimonio. Ai dottori in lettere e compagni quest’ orazione spia- cque insignemente ; a quella parte del pubblico, la quale più intende perchè più sente, piacque smisuratamente. “ Le oscurità metafisiche, fra cui, come leggo nella notizia bio- grafica premessa alla ristampa silvestriana, l’autore a bella posta si àvvolse,, eccedono , per vero dire, ogni bisogno. Ma quando pure non le rallegra alcun tratto di luce im- provvisa, le avviva un calore, che sembra tener luogo di luce Ove ciò non fosse, i dottori e compagni avrebbero 155 facilmente perdonato all’autore di cercar l'origine della let. teratura per condannare l’uso puerile o pernicioso che ne vien fatto. E la miglior parte del pubblico avrebbe guar- data con indifferenza una ricerca, da cui non le fosse ve- nuto alcun nuovo sentimento dell’ officio a cui la lettera- tura è destinata, o alcuna nuova speranza di vederlo da lei. adempito. Una cosa notabile nell’orazione di cui si parla è la semplicità dello stile, che spesso forma contrasto coll’av- volgimento dell’idee, Si rimprovera non a torto all’orazio- ne famosa pei comizi di Lione uno stile intralciato alla ma- niera de’nostri cinquecentisti, iquali s’imaginavano che per comparire tanti Ciceroni non potessero far di meglio che periodare alla ciceroniana. Simile stile si aspettava ancor meno dall'autore dell’ Ortis, che non si aspettasse quello della traduzione di Demostene dal traduttore dell’ Ossian. Il dire : noi manchiamo d’ esempi di stile conveniente al- l’eloquenza politica, non somministrandoli nè il Badoaro, nè il Casa, nè il Cavalcanti, patriota sì caldo ed oratore sì freddo, sarebbe stata, trattandosi d’un Foscolo, una giu- stificazione peggior dell'accusa. La principal ragione dello stile da Ini adoperato fu, per avventura, la speranza di far rispettare un nuovo ardimento sotto l’ ammanto d° un’ an- tica maestà. Nell’ orazione sull’origine e 1’ officio della let- teratura egli di rado ebbe d’ uopo di forme artifiziose , e di rado le adoperò. i S’ io dovessi dire ove parmi ch'egli abbia usate forme più schiette e più efficaci, starei forse dubbio fra alcune pa- gine di quest’orazione e alcune del ragguaglio d’ un’adu- nanza dell'accademia de’ pitagorici, nelle quali si tratta presso a poco l’ argomento dell’orazione medesima. Io par- lo, come già intendesi, di forme oratorie . Se si parlasse di forme didascaliche o narrative, direi che le più semplici mi sembrano da lui adoperate ne’ discorsi che accompagnano la sua edizione dell’opere del Montecuccoli, e di cui il Silvestri ci dà qualche frammento ; le più varie nella no- tizia bibliografica, la quale forma appendice alla sua edi- zione elvetica (colla data di Londra) delle lettere dell’Or- 156 tis; le più vivaci nel ragguaglio già due volte nominato ; nella notizia di Didimo cherico, e in alcune altre cose- relle che accompagnano la sua traduzione del viaggio sen- timentale di Sterne. Ai dottori in Jettere e compagni il suo stile didasca- lico e narrativo non va molto a garbo ; ed io prego che loro nonsi dia sempre torto. Questo stile qualche volta ser- ve male al legame e alla chiarezza delle idee , che tutti riguardiamo o dovremmo riguardare come la prima dote del discorso. Ma non è di ciò, parmi, che si biasimi con più ira. Quello di cui taluni si mostrano più offesi.è la sua ori- ginalità e certo colore di passione che lo distingue. In un giudizio recente sovra il primo volume del sno Dante illustrato gli si rimprovera, se ben mi ricordo, uno stile troppo cattedratico. Bisogna dire davvero che sia cat- tedratico spietatamente, perchè fra noi si gridi ok! Quindi cresce la mia sorpresa ; giacchè mi pareva che lo stile di Foscolo desse talvolta nell’enfatico o nel bisbetico; e che il | vero stile cattedratico fosse oggi lo stile privilegiato di noial- tri giornalisti d’Italia. Io non ho ancor potuto vedere quel primo volume di cui diceva pur dianzi. Ma se mai, com’io sospetto, v° è del bisbetico o dell’enfatico, bisognerà attribuirlo a quel- l'esaltazione d’animo, con cui sempre scrive l’autore , e di cui non so lamentarmi, poichè per essa egli mi scuote dal sonno in cui mi fanno cadere tant’ altri scrittori, Mi dorrebbe per altro che l’esaltazione questa volta nascesse in lui da una forte preoccupazione. Pare , s'è vero ciò che ‘sento dirne, ch’ ei siasi imaginato in Dante una specie di Maometto , e voglia spendere l’ ingegno a pro- varci che la Divina commedia è un secondo Corano. Il Rossetti ha presa la cosa un po’meglio prendendola più in grande. Anche per lui Dante è un riformator religioso, ma solo quanto bisognava al suo scopo di riformatore politico. Volendo l’unità d’Italia e quindi fortissimo il potere dell’impe- ro, voleva (il poeta, già s’intende) che questo non incontrasse ostacolo nel potere delsacerdozio.Fuori di tale veduta del Ros- setti parmi che un illustratore di Dante debba trovarsi di con- 157 ‘ tinuo a contrasto colla storia. Ma il Foscolo, possiamo fi- darcene, saprà trarre da questo contrasto lumi inaspetta- ti. Più però che il suo commento della Divina Commedia, in cui sarà costretto di fare ad un sistema fantastico trop- pi sagrifici d'evidenza e di eloquenza, ci riusciranno cari i tre discorsi ch’ ei promette sullo stato religioso, politico e letterario d’ [talia a’ giorni del sommo poeta. Già ne’discorsi intorno al Petrarca , pubblicati in in- glese e abbastanza conosciuti fra noi per la traduzione del- l’ Ugoni, egli ha mostrato come sappia cercare nelle cir- costanze tutte d’ uno scrittore la ragione dell’ opere sne e del carattere che le distingue. Contemporaneamente o po- co dopo questi discorsi egli ne ha pubblicato nella nostra lingua uno sopra il Boccaccio ch’io non ho veduto, ma che ho sentito lodare come cosa veramente notabile. Non du- bitiamo che i suoi discorsi relativi a Dante non riescano tarito superiori agli altri, quanto più Dante deve accender- gli tutte le potenze del pensiero. Con essi egli verrà a chiu- dere (nè nuoce che il faccia con passo retogrado ) la sto- ria della prima epoca della nostra letteratura, epoca d’im- mensa forza, alla cui descrizione si conveniva appunto una mano vigorosa come la sua. « O italiani, io vi esorto alla storia, egli gridava , saranno ormai diciotto o vent'anni, perchè niun popolo più di voi può mostrare nè più calamità da compiangere, nè più errori da evitare, nè più virtù che vi facciano ri- spettare, nè più grandi anime degne d’essere liberate della oblivione.... Io vi esorto alla storia, perchè angusta è l’arena degli oratori: e chi ormai può contendervi la poe- tica palma? Ma nella storia tutta si spiega la nobiltà dello stile, tutti gli affetti delle virtù, tutto l’incanto della poe. ‘sia, tutti i precetti della sapienza , tutti i progressi e i benemeriti dell’ italiano sapere ,,. Queste voci, come ne fanno testimonianza non pochi scritti pubblicati negli ul- timi tempi ed altri che sappiamo prepararsi, non riusciro- no vane. In mezzo però agli sforzi ch’esse eccitarono ri- «maneva il desiderio che chi le pronunziò le rendesse più 158 potenti con qualche sno nobile esempio. Questo desiderio or comincia in qualche modo ad essere sodisfatto Nè vorremo lagnarci, io penso, ch’ei vesta la storia di forme oratorie ; ricordandoci com’ abbia fatto servire alla storia ogni genere d’ orazione. Quella pei comizi di Lione sarà forse più cercata dai posteri qual monumento istorico che qual monumento oratorio. E accanto ad essa verrà posta quella lettera memorabile, con cui accompagna- va a Bonaparte la seconda edizione della sua ode, e quella ancor più degna di ricordo, con cui ne prediceva la politica nella prima edizione dell’ Ortis, e ch'egli riprodusse nelle due ultime, quando già gli avvenimeuti aveano dato al suo presagio il tristo supgallo della verità. Del resto può dirsi che il romanzo dell’ Ortis appar- tenga tutto alla storia, così pel carattere del suo protago- nista, come per le allusioni di cui è pieno. Ai dottori in lettere e compagni è piaciuto altra volta di sentenziare che questo romanzo non era che un’imitazione ; ma il publico vi ha trovato e vi trova qualche cosa di ben originale, poi- chè vi trova tanta parte di storia nostra e recente ,.a cui serve di specchio. Avvi nella notizia bibliografica, la qua- le, come accennai più sopra, accompagna l’ edizione el- vetica del romanzo, un paragrafo intitolato Werther e Or- tis, scritto, per ciò che sembra, onde chiarire quanto l'uno sia imitazione dell’ altro. Bastava parmi a quest’ uopo uno de’ paragrafi antecedenti , intitolato verità storica dell’ ul- time lettere, ove sono riportate le osservazioni d’un critico tedesco, il quale pone 1’ Ortis fra i libri più importanti, “ poiche importa moltissimo, com’egli dice, il trovare con- servata nei libri un’ imagine viva de’ tempi. ,, Il Silvestri, che ha inserito nella sua raccolta alcuni frammenti della versione del viaggio sentimentale di Ster- ne, non ha creduto di dovervene inserire alcuno dell’ ul- time lettere dell’Ortis , forse come di libro troppo divul- gato. Voglio che gli sappiamo buon grado di non avere fra parecchie ommissioni , di cui non sempre s’ indovina la causa , obliato l'articolo sul codice penale de’ cinesi, che e cisti i 159 il Foscolo tradusse dall’ inglese per gli annali di scienze e lettere, uno de’ primi giornali che cercassero di allarga» re in Italia il circolo delle comuni idee. All’epoca dell’esi- stenza di questo giornale poco sapevasi della letteratura di quel popolo antichissimo , che nella relazione del nostro Marco Polo ci era sembrato un popolo favoloso. Oggi che comincia a sapersene ciò che nessuno avrebbe sperato , il Foscolo, capace d’intendere quanto giovi a ciascuna let- teratura il confronto dell’ altre, non mancherebbe di farci partecipare al frutto delle nuove scoperte , e ci consolerebbe forse di non possedere noi pure un Abele Rèmusat. Se, raccogliendo le coserelle minori dell’autore dell’Ortis e de’Sepolcri, al Silvestri fosse piaciuto di tener conto di due brevi dedicatorie, quella delle poche liriche e quella della Chioma berenicea, sento che nell’istante in cui scri- vo: dovrei lodarlo di previdenza. Le due dedicatorie sono ormai divenute un documento importante per la storia let- teraria de’ nostri giorni. Esse , cume ognuno può ricordarsi, sono indirizzate dal Foscolo ad un giovanetto fiorentino suo amico ; e questo giuvanetto è oggi l’ autore del o- scarini. Foscolo può darsi il vanto d’ aver annunciato prima d’ogn’altro all’Italia quali speranze erano da porsi nell’in- gegno del Niccolini. E il Niccolini corrispose ben presto a queste speranze , che ormai sono pienamente adempite . Fino dal 1806, tenendo il suo primo ragionamento qual se- gretario di quest’ accademia di belle arti , ai cui triennali concorsi non è poi mancata mai la sua voce , egli faceva sentire un linguaggio pieno di saggezza e di forza. Nel 1809, ienendo un secondo nali o, che col primo e con altri è riprodotto dal Silvestri, già si alzava ad. ua genere d’ eloquenza che potea chiamarsi inusitato. In questo ragionamento, che s’intitola dell’utilità delle arti, dopo avere cercato filosoficamente ciò ch’esse possano, al paragone delle lettere, sugli animi umani, ei s'era fermato ad additarne col testimonio della storia i mirabili effetti fra i due popoli più famosi dell’antichità. Alfine , epilogando il già detto , aggiugneva: tanta è la virtù di quest’arti , ‘‘ che 160 » avrebbero potuto , non che dividere con le lettere il vanto di promovere e di ricompensar le virtà , emendare ancora le colpe degli uomini e della fortuna ,, . Se non che in mezzo a questa considerazione Io assaliva un doloroso pen- siero : il linguaggio dell’arti , come quello delle lettere , può esso toccare le anime da lungo tempo avvilite ? Indi questa conclusione, che può chiamarsi una traduzione dram- matica dèl pensiero medesimo, e di cui ciascuno può im- maginarsi qual fosse diciott’ anni sono la forza sopra un labbro ancor giovanile. Allora che in mezzo alle tenebre della barbarie ten tò Rienzi tribuno, che la già regina delle genti alaasse alla propria gloria gli occhi condannati nel fango, i monumenti dell’ arti implorava per isvegliare il lungo sonno de’ suoi degeneri concittadini. Mirate, egli dicea, questi archi, que- sti simulacri, questi templi abitati ancora dall’ ombre de- gli antichi romani. Non udite voi la loro voce sorgere da queste ruine per rinfacciarvi la vostra viltà , onde meri- tamente perdeste l’impero universale del mondo? Ma sparse andarono le voci di quell’animoso. Usciti appena dalla schia- vitù ove è tutto silenzio, diffidenza, terrore, ove s'impara ogni giorno a tacere ed anche a dimenticare, comprender poteano i suoi concittadini la muta Agere dei simulacri solamente da’ nobilissimi spiriti intesa? i Quanto egli scrisse in seguito di più notabile, 1’ elo= gio dell’ Orcagna , che trovo nella raccolta del Silvestri ; quelli sì ammirati dell’Alberti e di Michelangiolo, che non vi trovo; le due vite del Machiavello e del Guicciardini, forse posteriori alla raccolta; ed anche le prose varie in- torno alla lingua, tutto mi sembra una specie di coneento, che abbia in quel ragionamento la sua intonazione. Cer- care i principii d’ ogni teorica ne’ fatti sì poco osservati della nostra intelligenza ; riferire a questi ogni fatto este- riore per trovarue l'origine o misurarne la bontà; prestare ad una ragione severa i colori d’ un’accesa fantasia o l’ac- cento d’ una viva passione, ecco, se non m’ inganno , il carattere particolare del Niccolini, manifestatosi in quel ragionamento, e divenuto sempre più degno d'osservazione negli scritti successivi. inte a 161 Non so sio m' illuda ; ma parmi persino di trovare nel ragionamento , di cui si favella , un indizio di quel genio teatrale , che il Niccolini mostrò due anni dopo colla Polissena or ristampata dal Silvestri, indi coll’Edipo , V’Ino e Temisto e l'altre tragedie non ristampate , e che nel Fo- scarini, di cui s° aspetta la stampa , si vede ormai giunto alla sua maturità. Deve certamente far meraviglia , guardando alle pro- duzioni varie del nostro autore, quell’unione felice di qua- lità disparatissime che in lui ci manifestano. Il discorso per esempio “in cui si ricerca qual parte aver possa il po- polo nella formazione d’ una lingua ,, ; e di cui trovasi il germe nell’altro intorno alla proprietà del favellare , che lo precede nella raccolta del Silvestri, a me sembra uno de’ più bei saggi che potessero aspettarsi degli studi d’ un ideologo. Come questi studi sieno oggi necessari per trat- tare convenientemente le questioni rinnovate intorno alla lingua, io non ho pur d’uopo d’accennarlo. Essi peraltro possono condurre a risultati incerti o lontani dal vero, ove non si accoppino ad un’erudizione sicura, che mostrando la concordanza de’fatti co’ prineipii avvalori le conseguen- ze che da questi principii vengono dedotte. E il Nieco- lini ha ben mostrato di sentirlo, supplendo a ciò che av- ‘vi di troppo astratto nel discorso colle sue consideraz oni sulla Proposta del Monti, alle quali chi aggiunga le let- tere di Panfilo e Polifilo , un articolo che fu inserito nel n.° 3 dell’ Antologia, e alcune altre scritture uscite di To- scana, avrà presso a poco ciò che basta per ben determi- uare il proprio giudizio nelle questioni di cui si diceva, Non veggo fra le cose, che il Silvestri ha raccolte , un articolo sulla filosofia morale di Dugalt-Stewart, già in- serito nel numero quarto di questo giornale, e da cui, me- glio ancora che dal discorso indicato, potrebbero i lontani prendere idea dello studio che il Niccolini ha posto nel cercare i fondamenti delle nostre cognizioni. Dico i lon- tani, poichè i vicini già sanno di questo suo stadio assai più che non appaja da quell’ articolo. In esso peraltro è T. XXV. Febbraio. Il 162 contenuta, a così esprimermi, la sua professione di fede ideologica , fatta con quella schiettezza ch’ ei mostra in tutti i discorsi e in tutte le azioni, Egli non è punto per- suaso che per le strade divergenti da quella di Locke, nelle quali da aleuni anni si sono messi vari ottimi ingegni, possa giugnersi a meta sicura. I frammenti filosofici di Cousin, usciti in luce l’ anno scorso e tanto applauditi , sembra- no fatti per giustificare chiunque pensa come il Niccolini. In un’epoca, in cui molti filosofi prendono sembianza di poeti, un poeta che, indagando il vero , sa essere ri- gorosamente filosofo, è un fenomeno ben degno d°’ osser- vazione. E considerato il pericolo che la filosofia, tratta per vie non sue, vada perdendo le poche verità discoperte e abbracciando chi sa quai nuovi fantasmi, si bramerebbe quasi che questo poeta si consecrasse a lei interamente. Ma d'altra parte la letteratura e l’arte drammatica in ispecie hanno an- ch’esse bisogno di mani vigorose che le sostengano; e trop- po ci dorrebbe che loro mancasse quella del Niccolini. Nel discorso, che s’ intitola della proprietà del favel- lare, questo scrittore mostra non so quale ripugnanza per le riforme letterarie, di cui oggi si va tanto discorrendo in Europa, e sembra inclinato a confonderle coll’odierna riforma filosofica. È assai probabile che, dettando quel discorso, egli si sentisse mal disposto da tane esagerazio = ni, a cui nessun uomo di buon senso può prestare la sua adesione. Le riforme letterarie, che oggi si desiderano da chi meglio ragiona, sono una conseguenza , e quasi dissi una parte, non della riforma filosofica qual oggi intende- si da alcani, ma di quella già, fatta nello scorso secolo, e a cui egli si sente affezionato . Le lacune lasciate da tale riforma , e le incertezze che regnano nelle odierne riforme letterarie , possono impedire a taluno di vedere la verità di questa proposizione. Ma egli indovina gli ar- gomenti , a cui potrei appoggiarla, se qui ne avessi agio; e forse gli ha pensati prima di me. Un ingegno della sna tempra, occupato d’ altre meditazioni , poteva indugiare un istante ma non tardar lungamente a raggiugnere culi che anche nelle teoriche della letteratura si sentono spinti 163 avanti dal movimento del loro secolo. È credo che ormai gli sarebbe lieve cosa il precederli, ove gli piacesse d’impiegare in un cammino tutto speculativo la sua forza e la sua at- tività. Ma a lui è toccato un destino assai più glorioso, quello di precedere cogli esempi che giustificano o fan nascere le teo- rie; e già parmi che abbia cominciato a farlo col suo Foscarini. La serA pel pì 8 FeBBRAIO 1827. Firenze , Litografia Ri- dolfi in 8.° La sera dei 7 febbraio fu per noi la sera della sorpre- sa e dell’ entusiasmo. Quella degli 8 fu la sera dell’atten- zione desiderosa , che avrebbe voluto fermare le parole fu- gaci a prolungamento del nostro piacere. Ma forse il piacer nostro era troppo vivo, perchè l’attenzione non ne venisse in qualche modo turbata.— Fosse vero, come se n'è sparsa la voce, che alcuni stenografi raccolgono in carta ciò che noi non ci fidiamo di-ben raccogliere nella memoria ! — Così s’escla- mava da molti ad ogni riposo della seconda rappresentazio- ne del Foscarini. Fra i riposi della terza compariva sotto il titolo qui sopra riportato un saggio dell’opera di queg i stenografi (vari de’ più distinti amici del Niccolini ) reso publico per mezzo della litografia , e adorno del ritratto del poeta con questa leggenda tratta dal quarto atto della sua tragedia: Tempo verrà che un nome sol saranno — Fo- scarini e l’ onor Tal leggenda ebbe, per così dire, il suo commento nel programma di soscrizione per la medaglia, con cui vuol darsi al poeta una testimonianza durevole dell’applauso da lui ottenuto. E l’ una e l’altro mostrano che non si dubita che quest’ applauso de’contemporanei sarà pienamente con- fermato da’ posteri. Danno anzi a vedere non so quale spe- ranza, che l’applauso de’posteri sia maggiore del nostro, e questa speranza, piena d’affetto e di modestia, è anche, se non m?illudo, piena di giustizia e di saviezza. !l publico ha sentito che l’autore della Polissena e del- l' Edipo, avvezzo a sedurci cogli abbellimenti della dram- matica ,.si è nel Foscarini rivolto a commoverci , tentan- 164 ‘do una nuova via, di cui forse egli medesimo non ha an- cora dinanzi agli occhi tutta 1’ estensione . Il primo suo. passo è stato ben franco, ma è passo d’uomo che vi abbia impiegato tutte le sue forze, o che abbia soltanto comin- ciato a mostrarle? S° egli non farà in seguito che de’ passi paralleli, nulla sicuramente potrà aggiungersi all’applauso che si è dato al primo. S’egli, come ci promettiamo , farà de’ passi progressivi, quel primo acquisterà grandezza da tutti i seguenti, e verrà applaudito da’ posteri più che nol fosse da noi. Se la tragedia del Foscarini non si aspettasse presto in istampa, sarebbe qui il luogo d° accennare quale e di che misura ci sembri il passo dato con essa dal nostro poeta. L’ausus deserere vestigia graeca et celebrare domestica facta racchiude forse la ragione di questo passo , giacchè sem- bra ormai dimostrato che sia forza uscire dalle vie degli antichi per ben trattare gli argomenti moderni. Ma il Nic- colini ha egli preso una via molto differente? e in questa via, ov è comparso con tanto splendore , s'è egli molto avanzato? Parecchi di quelli, che hanno assistito alle rap- presentazioni della sua tragedia , avranno fatta a sè stes- si tale domanda , e vi avranno probabilmente risposto . Io per me godo di non essere obbligato a rispondervi in questo momento, sperando che una breve dilazione , per- mettendomi coll’ aiuto della tragedia stampata una mag- gior riflessione , mi gioverà se non altro a non dir nulla di troppo arrischiato. Il saggio litografico racchiude alcune o carissime o bel- lissime cose della composizione , ed è per così dire un’eco della nostra reminiscenza. Quale delle nostre donne gentili non ricorda questi versi, pronunciati dal Foscarini nella quarta scena del pri- mo atto? Oh Contaren vincesti,... Quanto infelice io son! Più non potea Sperar la tua vendetta, Eguale io sono Al prigioner che in un felice sogno, Rivolgendo le braccia a cara imago, Si desta al suono delle sue catene. Ah Teresa! Teresa! dolce un giorno Mi suonò questo nome, ed ogni donna Così chiamata mi sembrò gentile... Or parola d’orrore.... Qual di esse non ripete sospirando questi altri pronun- ; ciati da Teresa nella prima scena dell’ atto secondo? Io che trovai gli affanni Sul fiorito sentier di giovinezza , Io che le gioje, onde la vita è cara ; Non conobbi giammai... O qual di esse potea dimenticate quest’ apoteosi della bella infelice, onde nella prima scena del terzo atto si fa divino ai lor’ occhi il non meno infelice suo amante? Dell’ elvezie rupi ) Sull’ardue cime più di te pensava Allor chio più m'avvicinava al cielo. Nel mesto vaneggiar de’miei pensieri : To dicea sospirando : oh se qui fosse Colei che al par di questo cielo è pura, Dolce come il primier giorno d’amore!... Vana speranza!... Sulle labbra virili voi udite tuttavia in suono di me- raviglia questo vaticinio , che per essere posteriore all’ av- venimento non ha che più forza, e che in bocca del Fo- ; scarini (atto 5 scena 4) posto fra un tribunale crudele e l’ imminente supplizio sembra veramente la voce d’ una sdegnata divinità. Nasce figlio del tempo e della colpa Nel muto grembo dell’età nascoso Il dì fatale all’Adria; ed io lo veggo Con gli occhi che non può chiuder la morte: Città superba il tuo erudel Lione Disarmato dagli anni andrà deriso: Privo dell’ire onde la morte è bella Egli cadrà senza mandar ruggito. Simili versi (ciascuno il sente) era ben naturale che fossero ascoltati con trasporto e raccolti con ansietà. Ma la fortuna della tragedia non è dovuta soltanto ad essi. Gli editori del saggio litografico si sono affidati a qualche pre- gio più intrinseco, quando nel lor proemio poetico hanno 166 promessa al Niccolini 1’ ammirazione d’ Italia , di cui lo chiamano gran figlio. A rincontro degli otto versi non ri- mati di questo proemio se ne sono veduti altri otto rima- ti, i quali promettono tutt’ altro che ammirazione. Il Nic- colini se ne consoli : al suo pieno trionfo non mancava se non la voce del detrattore. La voce de?’ critici , quando la tragedia sarà stampata, non può servire che alla continua- zione di questo trionfo. Collocandolo fra gli scrittori , le cui opere sono degne della più seria considerazione , essa farà più che applaudirlo ; e la sua gravità sarà pes lui il maggiore degli omaggi. M. 107 BULLETTINO SCIENTIFICO N.° XLI. Febbraio 1827... ScIENZE NATURALI. Meteorologia. Sono alcuni anni che gli Annali di chimica e di fisica di Pa- rigi, olîre a contenere in ogni fascicolo , 0 distribuzione mensuale, un prospetto delle osservazioni meteorologiche del rispettivo mese, fatte con ogni diligenza all’osservatorio reale, presentano in ogni ultima distribuzione annua, cioè in quella per il mese di dicem- bre, un epilogo, in cu i risultati mensuali delle ordinarie osser- vazioni meteorologiche d’un intero anno sono ravvicinate e com- parate fra loro, per dedurne delle medie, per rilevarne le differen- ze, ed altri rapporti; ed al quale epilogo fa seguito l’esposizione dei fenomeni meteorologici meno ordinarit , e spesso delle utili con- siderazioni intorno agli strumenti ed ai metodi d’osservazione. L'estensione e l’importanza che presenta l’epilogo del decorso anno 1826, mentre c’inducono ad invitare i coltivatori degli stadi fisici e meteorologici a consultarlo per intero negli annali suddetti (dicembre 1826) , non ci permettono di riferir qui che i titoli delle materie contenutevi. | L'epilogo comincia con nove quadri n prospetti, il primo dei quali presenta l'andamento medio del termometro centigrado e del. | l’igrometro di Saussare ; il secondo i massimi ed i minimi del ter- mometro centigrado ; il terzo le variazioni estreme dello stesso ter- j mometro per ciascun mese dell’anno ; il quarto le più grandi varia- zioni che il termometro centigrado abbia provato in 24 ore in cia- scun mese dell’anno ; il quinto l'andamento medio del barometro ; » il sesto le quantità di pioggia raccolta all’ osservatorio reale, tanto sulla terrazza , che nella corte; 1l settimo il massimo ed il minimo d'elevazione delle acque della Senna per ogni mese : l’ottavo i venti che hanno dominato; il nono finalmente lo stato del cielo. A questi quadri o prospetti vien dietro una descrizione alquan- to minuta delle macchie osservate su] disco del sole in ciascun mese; poi la lista dei terremoti che si sono fatti sentire nel 1826, prece- duta da 8 supplementi alle 8 liste dei terremoti pubblicate negli otto anni precedenti, dal 1818 al 1825 inclusive: in seguito la descri- 168 zione dell’ uragano che devastò la Guadalupa nel 26 laglio 1825; i risultati delle osservazioni del prof. Brandes di Breslavia e di altre del sig. Forster sulle stelle cadenti. Segue una notizia intorno 4 certe nebbie, del sig. Defrance; alcune osservazioni intorno alle cause delle diverse quantità di pioggia raccolta nelle stesse circostanze , da recipienti eguali, posi bensì ad altezze diverse; un esempio di quel finomeno elettrico che i fisici chiamano co/po di ritorno ; al- cuni articoli sopra varii oggetti, come sui paragrandine , sull’au- rora boreale ed i fenomeni che ne dipendono , sulle direzioni delle correnti marine, sul cangiamento dello zero nei termometri ; sopra alcune meteore luminose, sopra una tromba che nel 26 agosto 1826 fece molti guasti in vicinanza di Carcassona. A questi d diversi articoli vengono appresso le osservazioni barometriche fatte a Bo- gota ( latit. bor. 4.° 35' So" altezza sopra il liv. del m. metri 2660 ) dei sigg. Buussingaulte Rivero: l’annunzio di nuovi valcani nelle isole Sandwich, e quello in fine di certo fragor sotterraneo , che si fa sentire a Nakous sul mar rosso. Limitandoci a questa enumerazione, non vogliamo omettere di comunicare ai nostri lettori la notizia d’un utile perfezionamento che si sta preparando ad uno dei più importanti fra gli strumenti me- teorologici , cioè al barometro, E noto quanto sia difficile ottenere la perfezione di questo strumento, anche destinato a rimanere sta- zionario in un posto, e quanto la cause d’imperfezione e le diffi- coltà d'uso si accrescano in quelli destinati a frequenti e quasi con- tinui trasporti per servire nei viaggi scieutifici o di ricerca. Ove l’esperienza non faccia riconoscere qualche difficoltà , che non si sa - prebbe prevedere, una leggiera moditicazione alla costruzione del barometro ordinario sembra duver mettere i tisici interamente al coperto dei danni e delle imperfezioni che risultano a questi stru- menti dal loro trasporto , o dall’aria esterna che vi s’insinui grada- tamente , o dallo sprigionamento di quella che aderisce così tenace- mente al fluido metallico. Questa modificazione consisterà sem pli- cemevte nel rendere il tabo mobile, all’oggetto di potere accre - scere 0 diminuire a piacere ed in proporzioni ben cognite la ca pa- cità della camera barometrica ; disposizione la quale permetterà an- cora di portare in viaggio il mercurio a parte, e non introdurlo nel tabo che al momento dell’esperienza, senza sottoporlo a veruna ebollizione. In fatti si comprende facilinente che se si faccia un 0s- servazione in un certo stato della camera barometrica, ed immedia- tamente si ripeta, dopo aver ridotto la capacità di questa camera, per es. al decimo di ciò che era prima, l’effetto della piccola quan- 169 tità d’aria secca che potrà trovarvisi sarà nella seconda osservazio- ne esattamente decaplo di quello della prima. Però la differenza delle due altezze divisa per 9, aggiunta alla prima altezza, ricon- darrà questa a queila che si sarebbe ottenuta con un barometro perfettamente privato d’aria. Ove questo processo riesca , com’ è sperabile, i viaggiatori non avranno più da temere le rotture dei barometri, giacchè potranno trasportare il mercurio in una caraffa di ferro fuso , e far costruire il tubo barometrico di ferro battuto, riducendo la parte fragile dello stramento ad un cilindro di vetro di pareti alquanto grosse , lungo otto o dieci centimetri, da invitarsi sul tubo di ferro al momento dell’osservazione , e da richiudersi immediatamente dopo in uno stuccio simile a quelli dei termometri, e d'una lunghezza che per- inetta di portarlo nella tasca d’un vestito, Fisica e chimica. Lo stabilimento d’una cattedra di matematiche applicate nel- l’università di Pisa ha dato luogo ad una variazione nella scuola di fisica teorica. Si è lasciato un solo professore di! questa scienza, e siccome quei che vogliono'approfondarsi nello studio della mecca - nica , e delle altre parti della fisica matematica, possono trovare la loro istruzione nella nuova cattedra; così è stato ingiunto al fisico di dare nel corso di due anni i trattati della fisica particolare più este- samente che in addietro , premettendo ogni anno nelle prime lezio- nì quelle notizie di fisica generale, che sono “assolutamente neces- sarie per intendere i detti trattati e la fisiologia. In esecuzione di quest'ordine il sig. prof. Gerbi ha raccolto in dodici lezioni, ultimamente pubblicate dal Capurro, ciò che la fisica generale offre di più importante; e per adattarsi all'intelligenza anche dei meno istruiti, molto ha dedotto dall’ esperienza , molto da semplici ragionamenti teorici; e solo quando non ha potuto fare a meno, ha avuto ricorso alle matematiche. Così, sebbene tutto sia se non rigorosamente almeno indirettamente dimostrato in que- ste lezioni, chiunque sia alcun poco istruito nei soli primi radi- menti della geometria potrà tutto intendere , e nulla dovrà gratui- «tamente credere, tranne due o tre cose annunziatc storicamente. Trovasi unita a queste lezioni un appendice al corso di fisica dello stesso professore, contenente alcune variazioni e aggiunte, re- lative alle scoperte che si son fatte da che detto corso è stato pub- blicato, 170 Il risaltato più generale e più cognito dell’azione dell' elettri- cità Voltaica sopra i diversi composti chimici è il trasporto dei loro principii componenti ai due opposti poli , singolarmente dell'ossige- ne e degli acidi al positivo, dell’idrogene e delle basi al negativo, Per ottenerlo basta che due fili di platino , provenienti l’uno da un polo, 1° altro dall’ altro , s'immergano nel liquido da scomporsi. Il cav. Leopoldo Nobili , variata questa disposizione primitiva ed ordinaria dell’apparato , ha ottenuto nuovi risultamenti assai cu- riosi, di cui faremo conoscere alcani. L'artifizio di cui egli fa uso consiste nell’immergere nel liquido da scomporsi un filo dì platino provemente da uno dei poli della pila, ed in faccia e vicinissimo alla punta di questo un disco o una sa- perficie alquanto estesa di qualunque altra forma, comunicante col- l’altro polo , e posta perpendicolarmente alla drrezione del circuito. Su questa superficie si manifestano i nuovi fenomeni osservati dal cav. Nobili, e prendono origine precisamente in faccia alla panta in cui si termina il conduttore opposto, cioè il filo di platino. Basta a produrre tali fenomeni una corrente di mediocrissima intensità; l’autore vi ha sempre impiegato una pila composta di 12 elementi d’un pollice quadrato di superficie. I fenomeni sono diversi secondo la natura dei liquidi impiegati, (la maggior parte dei quali erano soluzioni concentrate di sali di- versi in acqua stillata) e secondo'‘che il polo a cui appartiene la su- perficie estesa è il positivo o il negativo. Accenneremo quelli che l’autore ha osservato, prima con una soluzione di solfato di rame, quindi con una di solfato di zinco. La superficie metallica estesa, in cui faceva successivamente terminare ora l’uno ora l’altro dei poli, sono state d'argento, di platino, di stagno , di bismuto, e d’ottone. L’argento e l’ottone hanno presentato in generale i fenomeni più distinti. Sull’argento positivo (cioè comunicante col polo zinco della pila) si formarono in faccia alla punta del conduttore negativo quattro o cinque cerchi concentrici, alternativamente chiari ed oscuri. Sallo stesso argento , reso negativo facendolo comunicare col polo rame della pila, si formarono tre piccoli cerchi concentrici di rame, provenienti dalla scomposizione del solfato. Il più piccolo ed il più grande erano di color rosso cupo , quelli di mezzo più chiaro. L’ autore riguarda quelli come formati d’ossido, questi di rame metallico. Passandovi sopra leggermente dell’acido nitrico, sparivano quasi interamente quelli formati d'ossido , mentre quello t71 di rame metallico sussisteva , sparso d’alcune particelle d’ossido. Talvolta si formavano quattro o cinque cerchi alternanti come sopra. Sull’ottone positivo si formarono diverse figare concentriche, le quali asciugate con un pannolino lasciarono sopra questo le trac- ce di cinque cerchi concentrici del color giallo chiaro dell’ottone, gli uni più chiari degli altri ed alternanti fra loro. Sull’ottone negativo si depositò del rame, e dei cerchi di due colori alternanti come sull’argento. Nel solfato di zinco l'argento positivo presentò nel centro una macchia oscura, quindi un cerchio giallo chiaro, poi uno turchi- no leggiero , e finalmente una bella zona pendente al giallo. Sull’ottone positivo immerso nel liquido stesso comparvero cinque piccoli cerchi formati di rame messo a scoperto per l’azio- ne delle correnti. Questi cerchi erano di due tinte, una più chiara dell’altra, ed alternanti nell’ordine in cui si succedevano ; queste tinte sembrano quelle che distinguono |’ ossido di rame dal rame metallico. p Le altre soluzioni saline impiegate dall’autore nei suoi espe- rimenti sono state quelle dei solfati di zinco e di manganese , il ni- trato di bismuto, l’acetato di piombo , quelli di rame , di barite, di potassa, di mercurio , e quelli di rame e di piombo mescolati insieme ; gl’idroclorati di stagno e di cobalto, il tartrato di po- tassa e d’antimonio , il clorato di platino, i nitrati di rame e d’'ar- gento mescolati insieme , i sottocarbonati di potassa e di soda, il sal comune, gl’idroclorati di potassa, di soda, e d'ammoniaca, il sol- fato di soda, l’acido acetico , l’acido fosforico , l’orina , ed una so- luzione d'urea. L’autore riguarda come molto probabile che questo genere d’esperimenti possa condurre a risultamenti importanti, Frattanto egli ne deduce le due seguenti conclusioni. Primo che certe sostan- ze elettronegative hanno in certe determinate circostanze la pro- prietà d’aderire alla superficie d'alcuni dei metalli meno ossidabili ip strati sottili e regolari, in modo da far nascere sotto mille for- | me variate l'elegante fenomeno degli anelli colorati; proprietà della quale alcune arti potranno fare belle applicazioni. Allorquando le sostanze elettronegative non si depositano sui metalli in lame sot- tili, attaccano in generale la loro superficie, e ciò non in un modo uniforme, o per una continua e decrescente gradazione d’intensità partendo da un centro; ma ad intervalli regolari, seguendo una legge in qualche modo analoga a quella delle interferenze. La seconda conclusione dell’autore è che le sostanze elettro- positive , depositandosi al polo negativo, presentano le stesse al- 172 ternative di cerchi d’ossido, e di metallo puro. Lo che lo induce. a pensare che forse il raggiamento delle correnti elettriche possa esser soggetto ad una legge d’ interferenza. Era stato da lungo tempo osservato che la calce ed altre terre fortemente infuocate tramandano una luce non solo assai più viva di quella della fiamma che le circonda e le infuoca, ma intensis- sima, ed abbagliante. Il dott. Brewster in una sua breve memoria pubblicata fino dal 1820 nel giornale filosofico d'Edimbargo , dopo aver rammentato che già il sig. Cameron aveva riconosciuto po- tersi fare qualche utile applicazione di questa bella proprietà , fece noti i risultamenti d’alcune esperienze da sè intraprese intorno a quest’oggetto, impiegandovi specialmente dei pezzi di legno le estre- mità dei quali erano state precedentemente impregnate di calce. Queste estremità , immerse nella semplice fiamma d’una candela, tramandavano una luce brillante. Una piccola massa di creta o car- bonato di calce terroso , esposta alla fiamma avvivata dal soffio pre- sentava una luce poco meno intensa ed abbagliante di quella che sprigiona la corrente voltaica fra due punte di carbone. Partendo forse da questi dati il sig. Drummond, intento a cer- care i mezzi di produrre una luce intensa , atta a favorire l’ osserva- zione delle stazioni più lontane nelle operazioni geodesiche, dopo avere sperimentato tutte le composizioni pirotecniche più luminose, e perfino la combastione del fosforo nel gas ossigene, ottenendo sem- pre una fiamma troppo grande e troppo vacillante per servire di punto luminoso , ricorse all’uso delle terre esposte ad un alto grado di calore. Egli costruì a quest’oggetto un apparato che riuscì com - pletamente , e che collocato nel punto focale d’ un riflettitore , tra- mandava tal luce, che l'occhio non poteva senza incomodo soppor- tarne lo splendore alla distanza di 4o piedi. L’apparato, ch’ è esente da ogni pericolo”, consiste in cinque fiaccole alimentate dallo spirito di vino, disposte circolarimente intor- no ad una palla di calce del diametro di tre ottavi di pollice, cia- scuna delle quali è traversata da un getto di gas ossigene diretto verso il centro della palla. L'intero sistema è sostenuto da un brac- cio mobile , per mezzo del quale si può collocarlo a piacimento al punto focale d’ un riflettitore. L’ autore si è servito del metodo delle ombre per determinare comparativamente l’ intensità luminosa di diverse sostanze incande- scenti, prendendo per termine di confronto quella d’ ana buona /u- cerna d’ Argand, di cui faceva passar la luce a traverso di fori circolari dello stesso diametro delle palle sperimentate. Fra le di- 173 verse sostanze cimentate all' esperienza, la calce è quella chelgl ha. ‘somministrato la luce più intensa, e che, presa una media dei risulta - menti cumulati di 10 esperienze , è°83 volte maggiore di quella che presenta la parte più brillante della fiamma della più perfetta lucer- na d’ Argand. La superficie della palla , che è stata esposta alquanto all’ azio- ne della fiamma , sembra vicina ad entrare in fusione; si consuma a poco a poco , e raffreddandosi presenta un apparenza semivetrosa, Una luce così intensa produce alcuni degli effetti chimici della luce solare, come di scolorare una mescolanza di cloro e d’idrogene, e di colorare in violetto il cloruro d’argento. Il sig. Drummond ha sperimentato con buon effetto nell’otto- bre 1825 il suo processo in alcune misurazioni trigonometriche ese - guite in Irlanda. La luce prodotta sul Slieve- Sraght , che è la col- lina più elevata di /rrischowen, a 2100 piedi inglesi sopra il livello del mare , ed a 15 miglia al nord di Londonderry, fù veduta distin- tamente dalla collina di Divvis vicino a Belfest alla distanza di 66 miglia. Il colonnello Colby ha intenzione di servirsi di questo mezzo per osservare la stazione di Benlomond da Knock-Lady situato al- )’ estremità nord dell’ Islanda alla distanza di 95 miglia, e quelle di Calton-Hill, e d’ Edimburgo da Benlomond, per determinare la differenza di longitudine degli osservatorii d’ Edimburgo e di Du- blino. Quest’ ultimo punto si trova presso a poco nel meridiano di Knock Lady. Il sig Dumas, in una sua recente memoria intorno ad alcuni punti della teoria atomistica , prendendo a determinare la densità di diversi corpi portati allo stato di gas o di vapore, per concluderne il peso dei loro atomi, parla in fra gli altri d’un composto aeriforme di cloro e di boro, o d’ un cloruro di boro, di cui aveva dato cogni- zione in una nota letta all’ istituto nella seduta del 15 maggio 1826, stampata in seguito negli annali di chimica e di fisica. Pochi giorni dopo ciò egli seppe aver prima di lui il sig. Berzelius formato il composto stesso mediante un processo diverso. Ora poi il sig. De- sprez , coll’ appoggio di testimonianze autorevoli, ha provato avere egli il primo formato da più di 3 anni questo composto, facendo passare ad una temperatura molto elevata del gas cloro ben secco sopra del boruro di ferro, o sopra una mescolanza di carbone e d’ acido borico ; l’ ultimo dei quali processi è îquello stesso del sig. Dumas. Il sig. Dudon ha fatto annunziare all’ Accademia delle scienze 174 di Parigi avere egli inventato un processo per distruggere le pietre nella vescica, mediante l'iniezione d’ un liquido dissolvente, dal- l’uso del quale ha affermato d’ avere ottenuto i più felici risultati, Aspettando per formarci una giusta idea del merito di questo processo , di conoscere la memoria relativa promessa dal sig. Dadon, non possiamo frattanto astenerci da rilevare che, conoscendosi oggi più specie di concrezioni orinarie, la di cui chimica composizione è sostanzialmente diversa , sembra impossibile che un liguido possa solo essere il dissolvevte appropriato, per tutte‘ Che se a inalgrado dell’espressioni colle quali è concepito l’ annunzio pervenatoci , il sig. Dudon avesse inteso di fatto proporre dissolventi diversi ed ap- propriati alla varia natura delle concrezioni, anticipatamente esplo- rata coi mezzi opportuni, pure potrebbe non essere intutto ciò nè in- venzione nè novità, essendo stati già da molti anni proposti, special- mente dall’ illustre Fourcroy, e quei mezzi d’esplorazione , edi va- rii dissolventi richiesti per le varie specie di calcoli. Nuovità sarebbe per avventura un effetto costantemente o ordinariamente felice. Si accennò già (Antol. n. 71-72; p. 298) il curioso fenomeno os- servato dal sig. Dutrochet , e da lui indicato col nome d’ eadosrzosi , nel quale egli aveva creduto trovar la causa non solo dell’ascensione e del moto del succhio nei vegetabili, ma anche dei moti congeneri in tutti i corpi organizzati. Ulteriori esperienze lo hanno convinto che l’ impulsione la quale ha luogo fra due liquidi eterogenei vici- nissimi fra loro ma separati da certe membrane organiche, e per cui uno di essi si sostituisce all’altro, sollevandolo nei canali o vasi che lo contengono , sì verifica egualmente a traverso di sostanze inorga+ niche. Così quel fenomeno non apparterrebbe esclusivamente alla natura organica , come l’autore aveva supposto, ma bensì alla fisica generale. G. GAZZERI. Mineralogia. Nell’ isola di Scalpay, sulla costa orientale di Haris si sono tro- vati degli zirconi prismatici in una massa cloritica subordinata allo gnesio , e che contiene ferro ossidato , talco schistoso , e serpentino, Il sig. Burdin ha scoperto presso Ambaur nel Puy-de Dome lo zolfo sparso in un banco di granito, il quale minerale analizzato dal sig. Payen ha dato dello zolfo , dell’ acido solforico libero 3 dei solfati di ferro , e di calce , una materia organica azotata , e delle tracce di acido solforico, 179 A Sterlitamark nella Siberia il sig. Eversmann ha veduto dei pezzi di pietra assai grossi caduti dall’ atmosfera , e che nell’interno racchiudono un nocciolo cristallizzato. Queste pietre sono di color bruno, banho la superfice striata e lustra , e per il loro aspetto si as- somigliano assai ai cubi di pirite aurifera di Beresou. La lor forma cristallina è però quella di una doppia piramide a quattro spigoli, piatta, e i di cui spigoli risaltano un poco, e vengono a formare una croce rilevata sulle due facce , e talvolta i quattro angoli della base comune alle due piramidi sono troncati , e sulla troncatura nascono ‘quattro spigoli pure rilevati, e diretti non in diagonale, ma per- peidicolarmente ai lati del quadrato. Un minerale che ha molta analogia con la stilbite, e colla eu- landite del sig. Rose è stato osservato nella collezione ik. di Berlino, ed in quella del conte di Bournon. Le forme di questo minerale, che è stato chiamato epistilbite, non sono quelle della stilbite, ma si rife- riscono allo stesso sistema di cristallizzazione, mentre che gli angoli della stilbite , e dell’ epistilbite sono incompatibili. Dall'altro canto l’epistilbite e la eulandite appartengono a due differenti sistemi.I suoi cristalli son bianchi, hanno una durezza intermedia allo spato fluore, ed all’ apatite , si sciolgono nell’ acido muriatico concentrato; e dan- no residuo di silice. La lor forma fondamentale è l’ottaedro romboi- dale. La sua analisi è silice 58,59, allumina 27,92, calce 7,56, soda 1,78, acqua 14,48. Un altra sostanza nuova è stata pur descritta dal sig. Casaseca, la quale è una combinazione del solfato col sottocarbo- nato di soda, e si trova verso Aranjuez nel luogo detto le saline d'E- spartines.Questo sale, al quale è stato dato il nome di Thenardite, ba per forma primitiva un prisma retto a basi rombe con gli angoli di 125;° e 55," e le forme con le quali questo minerale si è presentato sono l’ottaedro, che proviene da un decrescimento di due file in altez- za sui lati delle basi del prisma, e la forma dasata, la quale non è se non la precedente che a ciascan vertice ha una faccetta romboidale parallela alle basi della forina primitiva. Contiene 99,78, di solfato di soda, e 0,22 di sottocarbonato; è ir istato anidro, ed all’ aria umida perde la sua trasparenza per l’assorbimento dell’acqua. Il sig. Berthier ha dato il nome di !/7a//oisite ad un minerale che contiene silice 0,4494 , e allumina 0,3906, acqua 0,1600. Esso è compatto, ha rottura concoide cerea. Si può raschiare con l’anghie, ‘e soffregandolo con il dito prende un poco di pulimento, si attacca fortemente alla lingua, nell’acqua divien trasparente, se vi si ponga in piccoli pezzetti , ed allora se ne sprigiona dell’aria , ed il suo peso 176 si accresce di circa un quinto. Calcinandolo perde una quantità di acqua , indurisce molto ed imbianca, H sig. Omalius d’Halloy aveva già da qualche anno osservato questo minerale, e perciò il sig. Ber- thier gliene ha fatto un’omaggio col nome che gli ha dato di halloi- site, e ove esso si trovasse in maggior quantità servirebbe utilmente a fabbricarne l’ allume. Trovasi esso ad Angteure presso Liegi. Riunendo le diverse osservazioni fatte da illastri mineralogisti, ed aggiungendovi le proprie, il sig.7Zasse/ si è proposte di puovamente classarli, e costituirne una famiglia. Le specie che in questa famiglia si comprendono sono : la petalite , l’ ortosa, l’ atbite, il periclino , il labrador , e l’anortite, le quali specie egli ha descritte, e stabilitane la sinonimia. Secondo esso la specie ortosa corrisponde al feldspato di Rose , e racchiude una parte delle adularie , dei labrador di. Nor- vegia, dei feldspati comuni, e vetrini. L’albite comprende una parte dei feldspati vetrini e dell’ Eispat ; al periclino appartengono i feld - spati di Sau-Alpe, e del S. Gottardo. Riguardando poi i feldspati per il lato della loro chimica composizione, ei li separa in,tre serie, se- condo le differenti basi che vi sono combinate con la silice, Nella pri- ma sono compresi quelli nei quali colla silice sono combinati gli alcali, come il litio , la soda , la potassa ; nella seconda quelli ove la ma-, gnesia , e la calce sono combinate colla silice ; e nella terza la com- binazione dell’ allumina e dell’ ossido di ferro alla stessa sostanza. Chiamando la prima serie R; “ R.” la seconda ; R""la terza, la pe- talite, l’ortosa, l’albite, e il periclino, avrebbero per formula 3 3 3 R'" S+ R' S;el’anortite sarebbe rappresentata da 3(3 R'"+R" S). 3 3 E riguardando i due composti (3 R'" S4 R”) e (3 R!"” St R' $) come atti a formare di essi dei feldspati, che è quanto dire, riguardan- doli come composti isomorfi , considera il labrador come una com- binazione di queste due sorta di feldspati rappresentati da un’altra 3 3 formula (3 A S4N5 )43(3A54+CS). Avendo il sig. Z7aidinger osservato che le soluzioni di solfato di zinco, e di solfato di magnesia scaldate dopo di essere state concen- trate danno dei cristalli differenti da quelli che provengono dal sem- plice raffreddamento della soluzione, il sig. Mitscherlich per ispiega- re questo fatto comunicatogli dal sig. Haidinger è venuto in soccor- so con un altro, ed è che l’idrosolfato di magnesia perde la stia dop- pia refrazione elevato ad una certa tein peratura, anco nell’olio, e di- viene opaco. In tal caso osservata la strattara interna dei cristalli , la \ | { | I trovò del tutto cambiata , e ciò alla temperatara di 42° R. Po dando il cristallo del sale in un tubo di vetro, esso si decompone senza perdere alcuna porzione di acqua,lo che prova che le molecole del solido hanno subìto un cambiamento, per cui si collocano sim- metricamente in an’altro modo, e danno occasione ad una diversa specie, sicchè nei corpi diomorfi la doppia refrazione può essere do- vuta a cause consimili. Geologia. Le ossa fossili che s’ incontrano nelle caverne, credute per la maggior parte di animali, che là dentro si sono ritirati, e che vi sono morti, si potrebbe dubitare assai che debbano a tal causa la loro esistenza ivi, quando si consideri |’ angustia dell’apertura di diverse di esse, fra le altre di quella di Lunel- Viel. Il sig. Marcel de $erres, cke ha avuto occasione di osservare quest’ultima, ha dubitato che le ossa vi sieno state introdotte da una corrente che Te ha come cac- Ciate inessa, come forse in altre, con più o meno forza; ma questa sua supposizione non potea prendere l’ aspetto di probabile conget- tura sulla causa che ha ripieno il suolo e gli spacchi verticali di molte caverne, se non ritrovava un vestigio di corrente nella direzione co- mune di queste caverne medesitne, Ciò egli ha potuto stabilire in due altre di queste cavità nei contorni di Montpellier, le quali hanno, egualmente che quelle di Lunel-Viel!, la loro direzione presso a poco parallela al meridiano. Queste stesse caverne confermano ciò che era stato osservato in Toscana, che esse non sono ristrette alla costa, ma che si trovano anco nell’ interno del continente. N. SCIENZE MEDICHE, Il sig. dott. P. Manni, che animato dall’ amore de’suoi simili pubblicò la sua opera: Del Lrattamento degli annegati, anzi che tenersi offeso delle poche considerazioni che io sono per fare intotno ai mezzi da lui proposti a tale uopo ; spero vorrà sapermene gra- do , quando queste mie considerazioni sieno veramente tali che rie. scir possano a vantaggio dell'umanità : e quand’anche io andassi er- rato, piuttosto che sdegnar egli di trovare in me un suo oppositore, godrà in vedere ch'altri pure sia preso dallo stesso sentimento di fi- lantropia. Ed a far ciò mi ha tratto il vedere che que’ mezzi da lui proposti onde rianimare le persone asfissiate, li quali io credo potere andar soggetti ad alcune obiezioni , ,sono quelli appunto che i giornalisti banno specialinente rilevati e commendati nel render T. XXV. Febbraio. 12 E conto di quest'opera. L’uno di essi si è quello di collocare in un’am- biente d’una temperatura alquanto elevata non che riscaldare con panni caldi e con altri mezzi il corpo delle persone che si tenta ri- chiamare in vita. La qual cosa è interamente opposta a‘principii così bene stabiliti dall’Edwards nella sua opera sull’influenza degli agenti fisici sulla vita; nella quale all’opposto si mostra come deb- bano gl’individui asfissiati esporsi ad an’aria libera, fresca e venti- ‘lata ; e perchè ad una bassa temperatura gli animali a sangue caldo, avvicinandosi in certa guisa alla condizione degli aninalia sangue freddo , possono perciò più lungamente sopportare l’asfissia senza essere tratti a morte,; e perchè in un'aria ventilata il corpo denu- dato può alla respirazione polmonare supplire almeno in parte per la respirazione cutanea. Su di che non lascerò di avvertire che lo stesso Edwards non dubita di asserire che il procurare agli asfissiati una calda temperatura è il vero mezzo di accelerare in essi la ces- sazione della vita. E se in alcuni casi di asfissia può , al credere dello stesso. Edwards, farsi ricorso al riscaldamento , ciò non dee portarsi più oltre d’ un’applicazione momentanea del calore, e tan- to quanto basti per eccitare i movimenti del petto (lo che più che nel caso di sommersione conviene nell’ asfissia de’bambini ); al qual mezzo dee tosto rinunziarsi se a bella prima si trovi frustraneo , ov- vero appena ottenuto l’ effetto desiderato. Le cose poi riferite nel - l’Antologia (vol. 24 pag. 310) intorno all’atilità del salasso ne'’casi di asfissia, si accordano perfettamente con an tale principio ; impe- rocché il salasso diminuendo la temperatura de’corpi animali, ten- de quantunque per altra via allo scopo istesso: ravvicinando cioè gli animali alla condizione di sopra menzionata, perchè li rende capaci di vivere più lungamente nello stato di asfissia senza che in essi la vita interamente si estingua. Altro mezzo proposto dal dott. Manni si è l’insuflazione polmo- nare. Su di ciò non farò che accennare quanto si è osservato dal sig. Leroy d’Etoile. Il quale asserisce essere un tale spediente anzi che giovevole ne’casi d’ asfissia , piuttosto capace di dare la morte se non sia praticato con estrema precauzione. Nè si creda che po. nendo appunto in opera tali precauzioni possa giovare ; imperoc- chè dicendoci egli che gli animali morti per |’ insuflazione. pre- sentano tutti i sintomi istessi che si manifestano in quelli in cui siasi legata l’aspera arteria, e segnatamente che il sangue delle ca- rotidi diviene nero anche prima che accada la morte, e che dimi-. nuisce di quantità , abbiamo perciò ogni ragione per temere anzi che sperar dall’uso di un tal metodo , ove si tratti appunto di ra- vivare degli asfissiati. I Sulla poca riescita di alcuni tentativi praticati a tale di ne- gli anni addietro intorno ‘all’applicazione del galvanismo , il dott. Manni fa poco o niun conto di un tal mezzo. Alcune più recenti os- servazioni ; a quanto sembra ignote all’ autore, ci guidano a ben altra conclusione ; ed è a credersi ch'egli stesso sarebbe venuto in tale sentenza ov’esse fossero giunte a notizia di lui. Lasciando per- tanto di riferire tutto ciò che la ,teoria potrebbe presentare in so- stegno di una tale credenza, mi limiterò a riferire come il dott. A. Ure con questo mezzo potè ristabilire momentaneamente la respi- razione nel cadavere di un appiccato, cui oltre il danno riportato da questo genere di supplizio , erasi in parte leso l’organo rachidia- no. E l’effetto al dir di lui fu tale ( Bib. univ. Sc. e A. t. X_ p. 135) ch'egli crede che la vita sarebbesi in lui ridestata se prima non si fosse per alcuni preventivi esperimenti distrutta in parte, come sì è detto , la midolla spinale. Se l’azione de’ polmoni fu in tale sog- getto restaurata , che non potremo lusingarci di ottenere in quelli in cui la vita non è che semplicemente sospesa ? Una tale riflessione che non isfuggiì allo stesso Ure , lo portò quindi ad indicare il mo- do di valersi di un tal mezzo onde soccorrere le persone sommerse, o per qualunque altra causa portate ad uno stato di asfissia; ed ecco il modo ch'egli ne suggerisce di seguire. Anzi che far passa- re la scarica direttamente attraverso del torace pel cuore e pe'’pol- moni; come si è usato da alcuni, metodo ch'egli stima difettosis- simo , si propone da lui di fare “ un'incisione longitudinale ne- »; gl’integumenti del collo verso il bordo esterno del muscolo s) sterno-mastoideo verso il mezzo circa dell’ intervallo fra la cla- » vicola e l’ angolo della mascella inferiore , ove si trova sotto il ‘ 3» bordo di questo muscolo la carotide , bene riconoscibile alle sue 3» pulsazioni, in vicinanza della quale il paio vago ed il gran simpa- 33 tico sono riuniti sotto uno stesso inviluppo ,;. Ciò fatto con uno dei ‘fili provenienti dai due politdi un’apparecchio voltiano, si tocchino ì nerviintal guisa posti a nudo (avvertendo che l’estremità del filo non sia acuminata nè abbia alcana scabrosità, onde non portare offesa alle parti che sì toccano ), mentre il filo proveniente dal polo op- posto dee essere applicato esternamente sotto la cartilagine della set- tima costola, umettando la pelle con una soluzione di sale comune, o meglio ancora con una soluzione satura e calda di sale ammonia- co. La incisione da farsi «secondo una tale prescrizione non esige lu- mi al di sopra di quelli di un chirurgo ordinario. Quando però si temesse da ciò , ovvero in mancanza di persona idonea , può farse- ne a meno, applicando il filo esternamente nella regione del frenico 4 180 e favorendo l’azione con delle faldelle inzuppate della prelodata so- luzione salina. Dalle quali cose fin quì dette sembra dunque potersi conchiu- dere che il riscaldare il corpo di quegl’infelici che si tenta richia- mare in vita debbasi schivare, ed a questo metodo sostituire l’op- posto, procurando ad essi un’ ambiente ventilato e fresco, quindi aspergere d’acqua fredda il loro corpo. Non più l’insuflazione. In fine l’azione galvanica sembra essere lo spediente al quale per pri- mo debbesi aver ricorso j combinando però l’impiego di questo va- lidissimo agente cogli altri mezzi a ciò apportuni, C. PAOLI di Pesaro. x SOCIETA SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia dei Georgofili. — Seduta del 4 febbraio 1827. Il sig. av. Zorenzo Collini lesse una sua eloquente memoria tendente a dimostrare la necessità di dare alle donne , proporziona- tamente alla loro condizione, un educazione più solida e confacente ai lumi del secolo , come quella che dovrebbe potentemente influ!re a farne buone figlie , migliori moglie ed ottime madri. Alla memoria letta dal sig. avv. Collini succedette quella del sig. A. Ata. Paolini , il quale continuando a trattare il tema, di che trat- tenne l'Accademia nell’anno decorso, principiò ad esporre la geogra- fia statistica della provincia pistoiese, di cui avea fatto conoscere, in varìi quadri sinoptici, la storia politica , nei suoi rapporti con |’ agri- coltura. Fece presentire l’autore quanto-lo studio della patria stati- stica fosse inseparabile della natura di un’accademia economico- agraria, la quale ha per oggetto di studiare i meglioramenti possibili nello stato fisico, e morale della nazione. La statistica tiene luogo di libro infallibile alla scienza economica operativa, ed applicata agli interessi locali; e senza di questa geografia fisica e morale sa- rebbe preferibile l’empirismo alla teoria , e la logica della esperien- za a quella del sillogismo. Fra ji nuovi principii dottrinali di Gio. Battista Say contasi anco quello di esiliare la statistica dai dominii della’politica , il che sembra al n. autore lo stesso , che bandire lo studio della notomia, e della materia medica dalla medicina vpe- rativa. Passò quindi il sig. Paolini a dimostrare, con molto dettaglio, la posizione astronomica , e la terrestre, la forma , la misura ge, herale , e particolare, dei monti, e delle valli, ed i confini anti- chi, e moderni della provincia pistoiese. Corredò di storiche, e analoghe nozioni la soggetta materia , e da ogni elemento topografi- 181 co prese occasione di esporre i relativi danni, o vantaggi, che dal medesimo derivano, o possono derivare agli abitanti, E siccome que- sto lavoro è ordinato a comporre la statistica storico filosofica della provincia pistoiese, fu dall’autore avvertito , che il di lui tema sa- rebbe continuato tutte le volte, ché la opportunità si fosse pre- sentata. } Finalmente il sig. av. Vincenzo Salvagnoli, socio corrispon- dente, annunziando l’apertura di una quarta scuola d’ insegnamento reciproco in Firenze, prese a dimostrare che non è dato ottenere la sociale perfezione morale politica ed economica senza la diffusion del sapere , il quale dal sistema lancasteriano viene rapidamente comanicato ai lavoranti nella parte a loro necessaria. Per convince- re di ciò i nemici dell’incivilimento , dopo aver menzionato quanto la istruzione primaria sia estesa in Europa e in America, produsse una prova decisiva. Ripetendo le dimostrazioni di fatto del sig. Du- pio (V. Autol. n. 73 eil pres.), egli espose che in proporzione della coltara intellettuale cresce ne'popoli la moralità , diminuisco- no i delitti, si aumenta la industria, moltiplicasi la produzione, ricchi i pubblici erari senza impoverire i contribuenti , pubblica prosperità vera perchè figlia di privata prosperità ; l’ azione sociale in somma diretta al maggior possibile bene universale. Confermata così la verità proposta si volse ad applicarla alla toscana agricoltara, considerando ch’ essa non può esser jperfezionata senza l’ istruzione primaria ne’contadini. E pose fine al suo ragionamento obbligan- dosi a proporre in seguito i modi eflicaci per giungere a sì proficuo risultato, Dopo di che l’Accademia passò ad eleggere in suoi socii ordi- natii il sig. prof. Padre Giovanni Inghîrami già socio onorario; il prof. Padre Eusebio Giorgi, ambedue delle scuole Pie; ed il pre- lodato avv. Vincenzo Salvagnoli Marchetti, già socii corrispondenti. Società medico fisica fiorentina. — Adunanza ordinaria det 18 febbrajo. Previa l’usata lettura, ed approvazione del processo verbale dell’antecedente seduta , il segretario delle corrispondenze sig. dott. Casini recò in dono alla società da parte dell’autore l’elogio del fu prof. Castellacci dato in stampa dal socio conservatore sig. dott. Lippi. Il sig. Gamberai imprese dipoi nella sua lezione di turno a in- vestigare l’essenza della malattia scrofolare sulla scorta di antichi , e odierni scrittori, nè avendola potuta definire un contagio sui ge- neris dietro i frustranei tentativi fatti dai celebri Pinel e Alibert per attaccarla a’ sani individui col mezzo della eoabitazione con.li f * 182 serofolosi ,e dietro li infruttuosi ‘cimenti d’inotulazione del. pus serofoloso sì negl’uomini che nei bruti azzardati da autori degni di fede , si limitò a riguardar le scrofole come un morbo specifico dis. pendente da una attitudine organica spesso ereditaria a sviluppare un processo inflaramatorio nei tessuti che ne sono la sede ordinaria. Trascegliendo finalmente fra i più preconizzati farmaci quelli, che più gl’avevano corrisposto nella cura di sì comune, e ribelle malo- re conchiuse, che il solo muriato di calce, e l’ unguento mercuriale le avevano nelle sue mani sortito la conferma della riputazione d’anti-scrofolosi , in che sono generalmente tenati. Quindi il socio prof. Bezzi presentò in dono pel museo patolo- gico un piede mummificato in un col terzo inferiore della gamba per gaugrena secca, € spontaneamente segregrato alla metà della gam- ba sal vivente in grazia del processo suppuratorio, che ne aveva in quel punto limitato la necrosi delle ossa. L'individuo, che ;soprav- visse alle fasi di sì lungo , e disastroso processo fu una giovine di 35 anni. Finalmente l’accuratissimo socio sig. prof. Nespoli fece omag:-. gio alla società per parte del sig. dott. Frassineti di Montespertoli d'un singolare feto mostruoso a termine, che visse 7 in 8 ore con un vasto tumore idrocefalico , coll’estroversione completa del cuore edaltre difformità esterne congenite di minore entità ; delle quali tatte insieme coll’altre interne scoperte per mezzo della dissezione diretta dal sig. prof. Zeszi verrà fatta menzione quando sarà comu- nicato lo scritto storico , ‘che s’è proposto di tessere su questo im- portantissimo mostro umabo il sullodato prof. Nespoli. Società di geografia, statistica, e storia naturale patria — La seduta ordinaria del 25 febbraio non è stata meno interessatite delle precedenti. Il dott. Anzonio Moggi è stato chiamato dalla sorte a presederla. Egli ha letto una sua memoria , nella quale ha esposto ì provvedimenti adottati dagli antichi governi della Grecia, e di Ro- ma per promuovere l'aumento della popolazione, dalla quale dipert- de lo sviluppo delle diverse indastrie, e la prosperità degli stati, ed ha rimarcato la proporzione che sempre si teneva tra quella ed ì mezzi di sussistenza. Quindi ha rilevato la convenienza di cono- scere con esattezza lo stato , ed i movimenti della popolazione della Toscana , e presentando il quadro delle diverse proporzioni chè so- no state dalli scrittori di pubblica economia ritrovate tra le nascite; i matrimonii , e le morti con il totale della popolazione, ha osser- vato che queste servono di riprova allo stato numerico, il quale. per. sè stesso cangia nei censimenti fna la mano del compilatore. 183 Esponendo le hotizie da diversè fonti raccolte sopra lo stato della popolazione del granducato nelle diverse epoche della republica fio- rentina, e della monarchia, non meno che quelle speciali della cit - tà di Firenze, ha fatto osservare rispetto alla prima quanto diffi - cile sarebbe ‘lo istitaire dei confronti tra Ja popolazione attuale , e l'antica per essere il granducato di ‘Toscana un aggregato di parti in diverse epoche e per diverse cagiotìi riunite. Ha segnato l’epo- ca dalla quale datano providamente i registri metouici dello stato , e dei movimenti annuali della popolazione, ed ha fatto apprende- re la necessità e la convenienza di quei prospetti sussidiarii dei di- versi movimenti (cioè delle nascite, matrimoni, e morti ) da for- marsi per sesso, per età, per condizioni, per stato degli abitanti di ciascheduna provincia, e più specialmente ancora per i rapporti del- l’istruzione, seguendo le tracce recenti segnate da Carlo Dupin, onde possano servire di soggetto alle varie meditazioni dell’I. e R. Governo. Finalmente percorrendo lo stato ed il movimento della popola- gione dei diversi spedali tanto d’infermi che dei trovatelli del gran- ducata, ha fatto conoscere mediante il resultato irì massa di olto anni dal 1818 a tutto il 1826, che rispetto ai malati il 16 per mille de- gliattuali abitanti della Toscana sì cura negli spedali; che Je guari- gioni ragguagliano a qualche cosa più degli 87 per cento, e le morti a meno del 13 per cento. E rispetto ai trovatelli, l'introduzione ha ragguagliato agli 8 per mille del popolo del granducato, la restituzio- ne ai genitori a qualche cosa meno del 2 per cento del numero to- tale dei trovatelli: la collocazione senza carica degli spedali al 4 per cento, e la mortalità al 20 per cento , compresa l’ età infantile, nella quale suol perdersi un terzo della popolazione ; rilevindo poi che questa negli u:timi tre anni non ha oltrepassato in massa il 14 per cento , attesi i benefizii della vaccinazione , e della diffusione degli esposti tanto a ‘balia che in tenuta alla campagna. Da questi dati ha concluso quanto debbano essere riconoscenti i toscani alla I. e R. Dinastia attuale, che tante beneficenze e tante private cure ha dirette a vantaggio dell’ umanità, e dei fortunati suoi sudditi. In seguito il dott. Gioacchino Taddei, a nome della commissio- me formata di esso e del D. A. ‘fargioni-Tozzetti relatore, ed inca- ricata di prendere in esame la memoria del medico sig. D. Cappelli sulle qualità malsane dell’aria di Piombino e delle sue adiacenze; ha letto il suo rapporto, in cui si adottavano le conclusioni del prefato autore; il quale riguarda come causa precipua dell'infezione del- l’aria di Piombino nell’estiva stagione la decomposizione putrida cui 184 vanno soggette le materie organiche rimaste sul fondo limaccioso dello stagno al momento in cui si ritirano le acque. E siccome quelle putride esalazioni sono fomentate dalla pes- sima pratica che i Piombinesi hanno di scaricare tutte le sozzure nello stagno medesimo quando le di lui acque rasentano le mura di Piombino , così concludevasi che se non per correggere affatto, al- meno per minorare l’insalubrità dell’aria , l’astenersi dal gettare nello stagno ogni sorta di immondezze, ed una palizzata a guisa di siepe fatta costruire nel lago ad una certa distanza dall'abitato , on d’impedire alle conferve galleggianti sull’acqua e a tutte le altre piante acquatiche di recarsi fin sotto le mura di Piombino per 1vì poi decomporsi , sarebbero i più opportuni ripari. Per parte del socio corrispondente sig. Girolamo Guidoni di Massa di Carrara è stata trasmessa alla società una memoria riguar- dante aleune di lui osservazioni geognostiche e mineralogiche isti- tuite nei monti che fan corona al Golfo della Spezia e loro adiacen- ze. Accompaguava la memoria una serie di saggi dei minerali e fossili ivi raccolti. Il sig. Repetti è stato incaricato di farne rapporto. A questo proposito è opportuno di osservare che se per la sta- tistica e per la geografia politica ed amministrativa la soeietà deve limitare le sue indagini alle provincie della "Toscana propriamente detta , le di lei escursioni nel dominio della storia naturale possono senza inconvenienti estendersi al di là delle rive della Magra, fino a Portofino, Il golfo della Spezia , la Magra, il Tevere, e gli Appen- mini formano una circoscrizione troppo reale , troppo naturale per potere esser trascurata nelle sue minime parti. Il dot. Zuccagni ba donato alla società una collezione di mine. rali dell’ Is ola dell’ Elba. Queste due offerte hanno richiamato l’ at- tenzione della società a quell’ articolo delle sue costituzioni, che stabilisce la creazione d’ un conservatore del museo. Sulla proposi- zione del sig. segretario degli atti la società si è occupata della scelta d’ uno dei suoi membri per adempierne le funzioni, e procedendo allo scrutinio col metodo di Borda , il sig. Repetti ha ottenuto la pluralità dei suffragi, ed è stato proclamato conservatore del museo, Fatto questo primo passo, la società non si arresterà. più; I’ esempio dei sigg. Zuccagni e Guidoni sarà seguitato, e ben presto si riconoscerà che non basta per formare un museo avere un conser- vatore e dei materiali da classare, ma che bisogna ancora disporre un locale, delle tavole; e degli arrnarii per riceverli , e farne un ca- talogo ragionato. Tutto ciò richiede tempo e spese. Lo zelo e |’ atti- vità del sig. Repetti son noti; ma bisogneranno dei fondi straordi- 185 marii per supplire a queste spese ; e sarà quello il momento in cui la società avrà bisogno di validi incoraggiamenti. Abbiamo sentito mettere in dubbio l’ utilità d’un museo spe- ciale di prodotti toscani, per la ragione che si ha in Firenze uno dei «più ricchi musei dell’ Earopa, di cui fa parte una collezione di pro- dotti naturali del suolo toscano. Ma non sapremmo entrare a parte di quel dubbio, persuasi che nel nuovo museo riconoscere:mo e stu- dieremo più facilmente tutte le nostre ricchezze, e ce ne occupere- mo tanto più volentieri, quantochè ciascuno dei membri della so- cietà avrà il sentimento della proprietà, e d'una cooperazione qua- lunque in questa creazione. Altronde non sarà una delle applicazioni meno utili quella che risulterà dal confronto dei prodotti nazionali se della loro classazione in ciascuno dei dae musei. Finalmente , di quale interesse non sarà ella , non solo per i toscani, ma per tutti gli altri italiani, e per li stranieri che arrivano a Firenze, questa esposizione continua e sempre crescente dei tre regni della natura così prodiga per noi? Che se a questa esposizione , prodotta dallo spirito d’ associazione , venga ad unirsi una volta , sotto gli auspicii dell’ accademia dei Georgofili, un esposizione dei prodotti dell’indu- stria nazionale , Firenze presenterà agli sguardi dei veri filosofi il . più interessante spettacolo. Qual libro grande ed utile per l’ istru- zione della gioventù toscana questa doppia esposizione, in cui ve- drebbero quali sono i rapporti continui fra l’uomo e la natura per il maggior bene della società ! Il sig. dot. Zuccagni presentò una carta fisica dell’isola dell'Elba, ed esibì all’esame della società il suo progetto di divisione naturale della Toscana in valli: 1.0 per aderire alle ripetute ricerche che gli si facevano da alcuni su tal proposito ;. 2.0 per dileguare il dubbio irsorto nell'animo d’alcuni d’avere egli riprodotto la divisione già proposta dal cav. Baillou, il quale non in valli ma in zone avrebbe voluto repartire la superficie territoriale della Toscana; idea per avventura ingegnosissima , ma non ammissibile in linea di divisione naturale, 3.0 per provocare dalla parte della società stessa un ret- to e definitivo giudizio sulla sua intrapresa di far rinascere l’idea già concepita dal Cocchi, sviluppata da Gio. Targioni nel suo pro- dromo, e da esso Zuccagni notabilmente modificata , e quasi affat- to variata. Se la divisione proposta dal sig. Zuccagni verrà approvata, po- trà utilmente adottarsi dalla società per la distribuzione dei prodotti naturali che le verranno trasmessi , per l’ordinamento e distribuzio - ne dei suoi lavori, e per l’ordine stesso da tenersi per le sedute pubbliche che è autorizzata ad aprire nelle diverse provincie toscane. 186 La società non potendo che applaudire allo zelo del sig. Zucca- gni, incaricò dell'esame del di lui lavoro quella medesima commissione cui fu già passata la carta statistica del Casentino dello stesso autore, L’ esperienza avendo fatto riconoscere la necessità d’ apportare qualche utile modificazione al regolamento , ed altronde essendo stabilito n:1 regolamento stesso non dovervisi fare innovazione pri- ma che sia decorso un anno dall’ istituzione della società; però avendo preso a ragionare intorno a questo soggetto, la società opinò concordemente potersi e doversi fin d’ora esaminare quali provvedi- menti, al giungere dell’epoca prescritta, fosse più conveniente d’adot- tare , specialmente all’oggetto di acquistare alla società un maggior numero di membri, i quali possano concorrere in diversi modi e sem- pre utilmente al di lei scopo. Del quale esame fa incaricata una commissione speciale composta dei sigg. marchesi Capponi e Ridolfi, e professori Nesti e Gazzeri, per riferirne nella prossima adunanza , con invito a prendere in particolar considerazione il pensiero comu- nicato dal primo di detti commissarii, di porre in appresso l’obbligo delle letture di turno nelle adunanze ordinarie a carico delle rispet- tive sezioni, e non più dei singoli individui che le compongono, cia- scuno dei quali per altro potrà fare opportunamente delle letture volontarie. Prima che l’ adunanza si disciogliesse furono eletti due nuovi membri ordinarii nelle persone dei sigg: cav. C. Morali di S. Mi- niato ,e Lelio Franceschi di Pisa, e nominati socii corrispondenti i sigg. Marchese Serristori, dott. Giuseppe Bonfanti di S. Miniato, prof. Francesco Giuli d’ Arezzo , e Clemente Santi di Montalcino. ERRATA. i CORRIGE. Al fascicolo N°. 71-72. Pag. 21 lin, 23 Iliade inglese o italia- Iliade inglese o italiana. Nè certo sarà na? No certo; sarà ec, piccolo quel diletto... 20 33, rilevassero rivelassero 21 9g le li Al presente fascicolo. 5 22 Essendo malagevole Essendo ch’ è malagevole 13 34 truffare tuffare 15 25 converrà converria 15 29 nel 1308 prima del 1308 17 24 fatto ghibellino divenne ghibellino 20 22 in questi termini in questi ultimi termini 187 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*) N.° XXXX. Febbraio 1827. 548. OPERE DELL’ ABATE GIOVANNI romani. Milano 1826, Silvestri. Vol. IV.° — Settima distribuzione. Dizio- nario genérale di sinonimi ital. fasc. 6; prezzo d’ass. lir. 3. 60 it. — vol. VII. decima dist.T'eorica della lingua ital. Vol. II.° prezzo lir. 5. 10. it. 549. La rarsacuia di M. Anneo Lu- cano , volgarizzato dal conte FRANCE- ‘ sco Cassi. Pesaro 1826, coi tipi di Annesio Nobili! fac. 1° in 4° di p. 86. 550. Corso ELEMENTARE DI GEOGRA- FIA antica e modersa , esposto con nuovo metodo dal sig. LeTRONNE ispet- tore generale degli studi di Francia, adottato dal R. Consiglio di pubblica istruzione per le università, scuole , ec. ( traduzione sull’ ottava edizione ) Fi- renze p. Gregorio Chiari.1826. 3.° di (pag. 266 con tav, in rame, 551. Rerum PoLanicarum ab excessu Stephani. Regis ad Masimiliani austria- ci captivitatem. Liber sivgularis iu ]u- cem editus cum additamentis , ab ‘Se- BastIANO Cpampi, in Italia ab negotiis literaris pro regno Poloniae. Florentiae 1827. Typi Josephi Galletti. 8.° di . 108. 552. DescRIZIONE di alcune MEDAGLIE greche del Musto del sig. CarLo D’OT- Tavio Fontana di Trieste , per Do- Menico SestIni. Firenze 1837. Attilio Tofani, 4.° di p. 104 con tavole 12 in rame. Si vende presso l’autore al prezzo di paoli 12. \ 553. Orere pi Niccorò MacHiAvELLa cittadino e segretario fiorentino. Jtalia 1826 vol. IV, Ve VI 8.° — Si vende presso Leonardo Ciardetti. 554 RaccoLtA DE’ viaGGI più interes- santi eseguiti nelle varie parti del mon- do , tanto per mare quanto per terra , dopo quelli del celebre Cook, e non pubblicati fin’ ora in lingua italiana. Milano 1826 presso fi'atelli Sonzogno. Biennio III. n.° 14 della collezzione — Viaggi in Egitto ed in Nubia di &, | B. Betzoni. Vol. III e IV. 555. INUOVA GRAMMATICA FRANCESE, nella quale son trattati in una partico- lar maniera l'ortografia , la pronun- cia , gli ononimi,i participii , etc. } etc., e vengono simplicizzate tutte le difficoltà della lingua e redatta secondo i principii e Je decisioni dell’ Accade- mia di Parigi, e conforme alle migliori Grammatiche francesi: divisa in 20 le- zioni, ciascuna seguita da un tema. Da Crement P** B** es L**, dell’Universi- tà di Francia. Parigi, 1827 Béchet, un vol. in 8 ° da 300 a 400 pag. prez. fr. 4. 556. Ati della distribuzione dei premii d’industria fattasi nel di 4 otto- bre 1826, onomastico di S. M.I. e R. A. da S. E. il sig. conte di Strasoldo , presidente dell’I. e R. governo di Lom- bardia, con analogo discorso del sig. cav. Don AnceLo Cesaris, primo astro- nomo dell’I. e R. Istituto. (Milano 1826 I. e R. Stamperia. 557. ErremErIDI astronomiche di Mi- lano per l’anno 1827 calcolate da Enri= co BramziLa e G. B. CAPELLI con ap- pendice di osservazioni e memorie a- stronomiche. Milano 1826 1. e R. Stamperia, 558. Principi D’IneoLocia, di EvAsio AnpreA GATTI, coronati di premio dal- l'Accademia Labrouca di scienze lette- re ed arti di Livorno. Firenze 1827 Ronchi e 6. libro primo, 8.° di p. 253. 559. DizionARIO compendiato univer- sale della lingua italiana, di CARLO An- tono Vanzon. Livorno 1829 tip. Poz- zolini, Distribuzione III, (ANA-ARC). In adempimento della promessa fatta (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino, non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’ sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con liarticoli che si trovano sparsi nell’Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi y siano come annunzi di opere. 188 col 1.° fasc. si prevengono i sig. asso- ciati che le esposizionì grammaticali precedute dal frontespizio, dalla pref. e dall'elenco degli autori citati, è sotto il torchio , e formerà la quarta distribu- zione, 560. BiELIOTECA AGRARIA o sia rac- colta di scelte istruzioni economico ru- rali, dirette dal dott. Giuseppe MORETTI P. P. di economia rurale nell’ I. e R. Università di Pavia Milano 1827 A. F. Stella. Vol. Il1.° Elementi di agri- coltura teorico-pratica compilati dai sigg. dott. Moretti e CArLo CHIOLINI vol. 3.° prezza lir. 3. 93. 561. Lerrere su Venezia. Milano 1827 A. F. Stella 18.° di p. 244. 562. BiBL10TECA AMENA ED, ISTRUTTI- va. Milano 1826, A. F. Stella volu- metto XXXVII. Rime del PerRARCA, vol. IX ed ultimo. 563. Opere pi M. T. Cicsrone re- cate in volgare con note , prolegomeni ed indici, e col testo latino a riscontro. Milano 1826 A. F. Stella, vol. 1il.® 564. Lertere di M. T: CicerosE, di- sposte secondo Vordine dei tempi, trad. di A Cesari P. O. con note, vol, II° prezzo di ass. lir. 7. 10 ital. 556, TrAvrATO ELEMENTARE DI CHIMI- ca generale e particolare teorica e prati- ca; del prof. «Girozamo MeLanDRI Con- tEssi. Padova 1826. Coi tipi della Mi- nerva. Vol. primo, 8.° di p. 616, con 11 tav, in rame, prezzo liv. 14 aust. 566, Sroria della letteratura italiana di Gixcuent trad. del prof. B. PeroTTI con note ed illustrazioni , ed. rivista sull’ original francese. Firenze 1827. tomo quinto. 567. BioGRAFIA UNIVERSALE, antica e moderna, ec. Venezia 1826 Missia- glia. Vol. XXXII. (LE-LO), 568. L’ Inpustria trapanese, versi di Carvini. Trapani 1825. ; 569. PARNASO ITALIANO novissimo , raccolto e pubblicato per cura di U. E. Napoli 1826.stamp. Francese. tom. Ero 570. DEI PARTI ANTICIPATI, dell’attitu- dine a vivere de’ prematuri nascimenti e degli loro dritti civili. Dissertazione Medico-legale del cav. DomeNICO Met. Perugia 1826, Garbanesi e Santucci 8.° di 175 p. prez. p. 8. 571. La promessa SPosA DI LAMMER- mwonr, 0 nuovi racconti del mio ostiere, raccolti e pubblicati da Fedediah Clei- shbotham, maestro di scuola, e segre- tario della parroechia di Gaudercleugh , volgarizzata dal prof. G. BarzerI, F- renze 1826 tip. Cohen e c. tomo III,° (e III.® della raccolta de' RomAnzi DI WALTERSCOTT, prezzo p. 3. 5y2. Errata al bullettino preceden- te N.° XXXIX, al N.° 527. Il prezzo delle TRAGEDIE CLASSICHE ITALIANE, in un volume, ed. Borghi e cè di p. 36, e non di p. 30 come fu annunciato per errore. 573. MonumenTI ETRUSCHI, 0 di etru- sco nome disegnati, incisi, illustrati c pubblicati dal cav. Francesco ]ncHiRA- m. Poligrafia Fiesolana fas. 56, 57, 58 contenente l'indice generale di tutta l'opera, diviso come segue, — 1, Pro- spetto di tutta l’opera. 2.° Indice deì. monumenti. 3.° notizia delle edizioni citate. 4.° Indice alfabetico delle mate- rie, 5.° Elenco degli associati. pag. 264 in 4. 594. Monumenti d’ un manoscritto AUTOGRAFO di messer Giovanni Boccac- ci pa CertALDO scoperti ed illustrati da Sesastiano Ciampi con il fac-simile : della scrittura «ti Gio. Boccaccio, ora per la prima volta conosciuto. Firenze presso Giuseppe Galletti 8.° 575. STORIA DELL'ARTE dimostrata coò monutnenti dalla sua decadenza nel IV secola,fino al suo risorgimento nel XVI: di G. B. L. G. SERoUx D’AGINCOURT , tradotto ed illustrato da Srerano Ti- cozzi. Prato,1826, fratelli Giachetti, volume secondo del testo, 8.° di pag. (82. Contiene uva introduzione. — 1. Decadenza dell’ architettura dopo il IV secolo fino allo stabilimiento del 9 0- tico sistema. — II. Regno del sistema d’architettura chiamato gotico; dai se- coli IX, X, XI fino alla meta del XV — ill. Rinascimeuto dell’ architettura circa la metà del XV secolo. — IV. Rinnovamento dell’architettura alla fi- ne del XV secolo, ed in principio del XVI Riepilogo e prospetto generale dei monumevti che servirono a formare la storia della decadenza dell’architettu- ra. — Dispensa sesta delle tavole — Architettura p.° 13, 14. — Scultura 21, 22, 23, 24, — Pittura, 19, 22, 24, 29. 56. CoLLezione di tutti i drammi € opere diverse di CArRLo Gonponi. Prato per è fr. Giachetti. Tomo XVI. 577. Atessio, ossia gli ultimi giornì di Psara. Romanzo storico dì ANGELI co Pari. Iralia 1827. Si trova ven- dibili in Firenze, al Gabinetto scien- tifico e letterario, al prezzo di lir. 5. 578. Grornate Brocrarico DI Vicen= zA, per Vanno 1827, con alcune tavo- . le statistiche ec. Vicenza 1827, tip. Parise e c. n.° 1. prezzo lir. 1. 50, il f. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO Ì to Termo — n > = aaa esa Ora S |E|a|5|zs 88 A SI |a Ea CAR SS ARI I LEA A 7 mat. |28. 10,2 | 6,3 5,1| 99 lOstro. Nuvolo 1] mezzog. |27. 10,6 | 6,9 mi | 93 | 0,01,Os. Li. t sera |27. 10,3 | 7,0 | 7,0 99 | 0,05 Ostro 'Nuvolo 7 mat. |27. 10,1 | 7,0 | 6,0 | 9% | 0,02|Scir. |Nuvolo mezzog. |27. 9,7 | 7,0 | 9,1 | 81 Os, Sc.|Nuv. ser. 11 sera |27. 9,0 | 7,3 | 8,0 [100 Scir. |Nuvolo 7 mat. |27. 7,ò | 7,30 | 7,0 94 Scir. |Nuvolo 3) mezzog. |27. 7,9 | 7.7 | 9;9| 8t | 0,04/Sc. Le. Nuvolo II sera |27. 10,3 | 7,9 + 7,0] 98 0,37 Scir. Navolo 7 mat. (27. 11,9 | 7,5 | 7,0| 90 Gr. Tr.|Se. con neb. 4| mezzog. 128. 1,0 | 8,0 |10,0{ 70 | 0,04|Tram. |Nuv. ser. | 11 sera |28. 3,4 | 8,0 | 8,0 | 75 Tram. |Se. con neb. 7 mat. |28. 3,6 | 8,0 7,9| 78 Gr. Tr.|Sereno 5| mezzog. |28. 4.1 | 8,01 9,5 | 72 ‘Tram. | Sereno MU sera |28. 3,0] 8,9 | 0,1] 74 Gr. Tr.| Sereno | 7 mat. ;28. 2,0 | 8,0 | 6,2 | So Gr. Le.|Ser. neb. dì mezzog. (28. 0,9 | 8,1 | 9,4 | 73 Tram. |Nuv. ser. It sera |27. 10,7 | 8,0 | 7,1 | 80 Gr. Le.| Sereno 7 mat. |27. 87 | 7,9] 39|94 "Tram. |Ser. nuv, to mezzog. |27. 8,4 | 7,0 6,0 | 65 Tram. | Nuvolo tI sera |27. 8,7 ! 6,1 | 4,9 | 65 DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205. FEBBRAIO 1827. "Tram. Sasa. Stato del cielo Se. con neb. all’or. Ventic | { Ventic Calma Calma Calma Calma Calma Ven. for, Calina Vento Ven. for- Vevto Sorel! «—.L Seayanto Vento Vento Ventie. Ven. fori Ventic; Vento di Vento || ALTE, im. -} | | | ì | i I i i i Pr | Io ty Termo. II R er = O 2 FAP pa MRI NR fi MATO = ‘dd (mal - s Ora | .s z2||5 ff 3 Stato del cielo 3 e) e) n. | > 3a 3 È 5 È sa 3 i Sile 6 | 9 | Ù 55 |a SAN 7 mat. ly. 9,7| 5.5 | 3,51 Gy Greco |Navolo Ven. imp. | 8, mezzog. g-127. 10,2 | 5,4 | 4,2 | 66 (Fram. Nuvolo Ven. imp __|_rt sera ‘27. 11,0 | 4, 3,5 | 76 {Gr. Tr:| Nuyolo Ven. furiosis. 7 mat. (28. 0,0 | 4,0 | 2,5 | 72 ‘Gr. Tr. Nuvolo Ven. imp gi mezzog. 28. 0,9 | 4,0 | 4,0 | 69 | Tram. |Nuvolo Ven. far° | rrsera ‘28. 1,8 3,9 | 3,9 | 75. Tram. | Nuvolo Ven. imp° {7 mat. |28. 1,8 | 3,9 | 4,01 75 Gr. Pr. ‘Ser. nuv. Vento 10° mezzog.'28. 1,8 | 4,9 | 6,5) 66 Gr. Tr.{Navolo Ven. far. _ ti sera (28. 1,0 | 4,5 5,3| n2 {Greco {Nuvolo Ventic, 7 mat. |28. 0,51 4,3] 5,01 75 | (Lev. | Nuvolo Ventic mezzog. 28. 0,3 | 4,8 Li | 74 | i 0,01 Gr. Le. | Pioggia Vento [usata cant er SE] I 901 | 0,06 Gr. Tr. Navolo . Calma gmat. |27. 72 5,7 7,0 96 | o) 0,26] Lev. Pioggia Vento 12| mezzog.|27. 6,3.| 5,9 | 7,5| 82 |o, 17/Sc. Le. Nuvolo Vento ; tr sera |27. 7,7 6,0 | 4,7: 99 |o ,29. 'Scir. |Ser. nuv. Ventic, i 7 mat. |27. 7,9 | 5.7 | 6,0] 85 | 0,03 ‘Os. Li. dimore Vento 13 mezzog. |27. 7,9 | 5,5 | 7,1] 8 ‘Po. Li.| Piog. con grand. Ven for. | rtsera |27. 8,7 | 5;4 | 3,9 | 55 | 013 Tram. [Sereno Ventie. 7 mat. |27. 11,0 | 4,8 na 71 |Lev. |Sereno Calma 114) mezzog.123. 0,0 | 4,8 | 4,6| 49 Gr. Tr.|\Sereno Vento) 11 sera 28. 0,9 2,7 | 61 Lev. |Sereno Ventic 7 mat. 27. 10,7. | 3,8 |--0,3 ‘58 Tram. (Serenp Vento 15, mezzog. 27. 10;7 | 4,0 | 4,2 | 53 Tram. (Sereno Vento | 11 sera 127. 10,3 | 1,21 77 (Gr. Le. Sereno Ventic, 7 mat. [27. 10,0 ! 3,8 | 20,9 87 Sc Le. [Sereno Calma 16) mezzog.!27. 10,2 | 3,8 | 3,3 | 75 Scir. |Ser. nuv. Ventic. li sera Li 10,1 | 3,9 | 2,9 | 91 Lev. |Nav. ser. Ventie, 7 mat. |27. 10,2 | 3,8 | 2,0 | 89 | 0,02{Greco |Neve Calma 17| mezzog. 27. 10,5 | 3,7 | 3,7 | 76 | 0,02{Tr.Ma. Nuvolo Ven. for. ri sera ‘27. ito 13,5.| 1,8] 80 Tr.Ma, Nuvolo V entic. | 7 mat. |27. 16,9; 3,2 | 1,0] 87 Tr.Ma Ser. con nuv. Ventie 18| mezzog.28. 0,7 | 49 | 5,0 | 82 Tram. |Ser. neb, Calma rrsera 125. 0,6 | 3,7 | 4,0| 88 Mae. Nuvolo Calma 7 mat. |28.. 1,7 | 3,7 | 29| 82 | 0,02| Tram. {Nuvolo Ventic. {|19| mezzog.|28.. 1,0,|] 4,0 1. 5;9 | 73 Tram.,|Nuvolo Ventic. rr sera |28. 0,0! 4,0 | 4,9 '109 | 0,22|Gr. Le.|Nuvolo Ventic. era ET RCA ET ICIIE e le tte ‘I I ll ll"lT el ll e (edile rtn-—@@—@-.---umielcoeiiii 1J sera f. 7 mat. 2I|mezzog. ti sera 27. 27. n 7 mat. - 0139Ww0Ieg Ò 7 mat. |27. 10,7 | 4,0 |20|mezzog. |27. 10,5 | 4,3 o139wo018] 017 -QUW101AN][{ ord -09s0W19UY' 4,0 | 99 osa|Pon Pioggia 5,9 | 95 | 0,48!Scir. |Pioggia 27. 10,0 { 4,5 | 6,1 |100 | 0,17|Ostro |Nuvolo 9,7 | 5,0 5,5 |t00 Ostro |Neb. folta 9,0 | 5.1 | 6,2| 97 | 0,16|Os. Li.|Pioggia 8,0 | 5,1 | 6,2 | 97 | 0,88|Po. Li.|Nuvolo 7,4 | 5:95 | 7,0| g$ | 0,06 Ostro [Pioggia 16,7. | 6,8 | 8,3 | 95 | 0,02 Os. Li.|Pioggia 6,0 | 6,1 | 6,1| 86 [|.0,26| Tram.{Nuvolo 6,0 | 6,2 | 5,9 | 75 | o,o1{Gr. Le.|Nuvolo 9,9 | 6,1 | 5,6 | 66 Gr. Le.|Nuv. ser. 3 Tram. {Sereno 4|mezzog. |27. 1166 | 4,9 | 5,6| 47 Greco |Sereno Ven. for. rt sera |28. 0,0 | 4,8 | 2,8| 62 Tram. {Sereno Vento i mat. |27. 11,8 | 4,5 | 1,0] 70 Tram, |Ser. rag, Calma |{f 5|mezzog. |28. 0,5 | 45 | 4,9 | 49 Gr. Tr.jSer. con nuv. Ven. for.|j rr sera 28. 1,9 | 450 | 3,0] 56 Tram. |Sereno Vento 7 mat. |28. 4,0 | 3,8! 2,4 | 62 | Gr. 'Tr.|Serenissimo Ventic. 26|mezzog. |28. 4,4 | 3,9 | 4,0] 44 Tra m, {Sereno Vento È ri sera [28: 4,6 | 3,7! 1,5| 55 Tram. |Sereno Vento 07 mat. |28. 4,4 | 3,5 | 0,0| 68 Sc. Le.|Ser. neb. Ventic: 27 \mezzog. j28 44 | 37 | 4,0| 51 Ostro |Sereno Ventic:|} H | ri sera ‘28. 4,0 | 4,3 | 3,0 | 78 Scir. ‘Ser. con nuvoli Ventic: _————_——_—_—_—_—_—_—_—_—_————+—+—<——€€m€ = — = dI a {| 7 mat. |28. 3,7 | 4,1 | 2,5| 89 Scir. |Nuvolo Ventie' 28 mezzog. |28. 3,7 | 4,1 | 4,0| 96 Scir. |Pioviggine Calma | | rt sera |28. 3,1 | 3,4 | 4,9| 97 | 0;06|Scir. |Nuvolo Calma ——T— |———— |__| —_— | Stato del cielo Tram. [Serenissimo Calma | Calma Ventic. - Calma Calma |l Calma Calma |f Ventic. Vento Vento Vento Ventic.|! Vento CAI ANTOLOGIA si, pubblica ogni mese, per fasciolo men>minore di10 fogli. ascicoli. compongono un volume, Li Pei volume. è e ti di un (O. a tutto ito regno: dalla Spedizione delle Greve, = Lombardo Veneto 3 presso 1, e Ri Direz. delle Poste. SE Li uti li Stati Sardil (alle respettive Direzioni delle Spediz, della" è “Gazzette presso/a. R..Direz. delle Poste, ‘presso Gem: Vincenzi e Co libr. — presso il “E -Derste direttore eb Poste, nell amministra. ceti ‘delle Poste Pontif.” i E “presso il sig. 4guello Nobile. PALERMO , si per tutta da Seli ci > pf il-sig. F. Gruia, via Toledo N 7. RITI SIE la Direzione delle Gazzette. iena > >. presso Je di Paschoud. #- - presso Barresi laind: lib. Rue de Seitie:N. 10. È Pe C. F. Molini ti dii PRPIAAteE o Ne? n Prezzo è D' ASSOCIAZIONE do peg anticipatamente. CS 4 Friricai di. posto 6 perla postai ta i = TR DEDE a DA i ipa a mir egno Sardo Y. ER RI È ordito: Losi “Ducato di Parma,=. franchi 36. “LL <4 franco alle frontiere BEE ‘per .la-posta' - | Stato Ponta; scali 8 8. RR eg To “franco di porto i "a né x e IMEIORSE peri la posta Îi Estero rv - - franchi 36. parso = CERI ‘franco Torino So CLIO ©-Milano: -V fratico Parigi per la posta n) non sì È può. rilasciare L. 150 7 90 200 INDICE È di e i DE LLE MATERIE CONTENUTE NEL PRESENTE qui \pERNO. n dh Riforta al sig. colonnello ( È. Dr sopra ‘alcune congetture ino aki «ghieri. o o% AO SA SALE Repetti ). Pag. ; Riflessioni, sull’applicazione ad/aléune EI Mbstane del principio. fa n libertà adottato per le. arti indastriali. Saggio filosofico sopra la scuola ‘dei ‘moderni filosofi cain egli lisi dell’ organologià; «della ‘craniologia, della fisiognomonia, della. psi- . - cologia comparata, e con.una teoria delle ‘idee e de ‘sentimenti, del D, Poli. di (Ra Storia de’francesi di S. de: Sinigndli: trad. dell cav. R: aa Art PF. 8) ” Il: sig. Champollion ed il sig,.ab, Lanci. x CF Orioli) na: Saggio sui progressi della geografia dell’Affrica interna, apnea del s sig, de. si la Renaudiere, © E api dica PA se Lettera sulla scuola di reciproco insegnamento fondata ‘în Siena, per le va femmine , dal.cav. Giulio del Taia. {o Un Viaggiatore). na Continuazione del discorso inaugurale della cattedra di geometria e mec= È ‘© canica applicata; recitato ‘da .G. Dupin. ( Estratto dal Globo) (G Pa):; SI BIVISTA LETTERARIA. — Ciampolini, guerre ‘de’ Sulliotti contro Alì bascià | È di Japina, p. 118: — Caro, Eneide di Virgilio; P 124, — Zutnoni, ila lastrazione d'un antico marmo di Pozzuoli, p..129. — Zannoni, il-- lustrazione d’ un antico vaso marmoreo esistente uel palazzo del sig. PrIBRTRS DEDE De 3390 Dati ; dgr scelto, p: 154. — Orazione rime sone ; P- i4i. — - Bartoli; descrizioni mania e fp È podi — Bianchetti, elogi; p. 145: = Collezione VETTANE, di classici | È italiani , p. 197. — Tragetio classiche italiane; p.1147. — ‘Foscolo, prose:e versi, p. 150. + Niccolini, prose e versi, P: 150. — La sera degli. 3 8 febbraio, p. 163: i TI a SEE ee M 2), Bullettino scientifico. nto, LOR) MER Ra e Bullettino bibliografico, bei a pa Si Tavole meteorologiche. AA x x LE gi ae I ta ANTOLOGIA dA N.° LXXV. Marzo 1827. CONTINUAZIONE DELLA RIVISTA DANTESCA. (Y. Antologia N.° 68 , pag. 62.) D alla prima edîzione del poema dantesco, fatta nel 3472, alle ultime di quest'anno se ne contano sopra cen- tocinquanta , delle quali almeno la sesta parte fatte fuori d’Italia, compresevi alcune versioni oltramontane (1). Ora si vuole una nuova edizione , e non già una ristampa della divina commedia: e come la desideri il profess. Scolari nella parte speculativa vedemmo in questo stesso giornale (2). Vediamo adesso come ei brami che sia distribuita e condotta. In questo suo desiderio fu già prevenuto dal Giambul- lari, il quale, secondo che ne dice il Fontanini , inten- deva doversi dare un testo parafrasato mediante una inter- pretazione di fronte al testo medesimo : lo che pare che in parte eseguisse il chiariss, Arrivabene nella sua traslazione. (1) Lo studio del poema di Dante ebbe diverse vicende in diverse epo- che , dalla morte del poeta fino a’ dì nostri. De’ codicì trascritti ,nel 300 e nel 4oo ne sono doviziose le pubbliche e private biblioteche europee; fu pubbli- camente in Italia dichiarato come testo di altissima dottrina, ed ebbe solenni commentatori. Dal 1472, anno della prima edizione a stampa, fino al 1500 se ne contano 19 edizioni nell’intervallo di anni ventottos dal 1500 al 1600 , quaranta ; dal 1600 al 1700 , secolo della corrotta letteratura , non se ne ved- dero che sole ciuque edizioni; nel seguente secolo XVIII, trentasette ; e nei soli ventisette anni d 1 secolo presente, ne abbiamo già più d’ una cinquantina. (2) Ved. Antologia. Tomo XXIII , n.° 68 p. 62. 2 in prosa de’ versi di Dante; la quale sembra che col fatto. dimostrasse la non piena convenienza di questo pensamento. Si cita pure un disegno del Cionacci, il quale avrebbe voluto un’edizione della divina commedia in cento volu- mi, quanti sono i canti della medesima ; ciascuno de’quali avesse il corredo dell’intero commento fatto su di esso da qualunque espositore , postovi secondo l’ordine del tempo: con più una traduzione latina per agevolarne l’intelligenza agli oltramontani. In opposizione all’intemperanza del Cionacci, il chiar. profess. Antonio Volpi usò gl’indici delle materie de”nomi e delle voci per illustrare il testo stampato: metodo di lau- dabile sobrietà, ma non bastevole a dar chiarita la ragione poetica dell’’opera. Monsignor Fontanini significò pure i suoi pensieri in questo proposito. Egli avrebbe voluto un’edizione di Dante fatta sopra un sicuro ed ottimo testo, con brevi allegorie ed argomenti per ogni canto , con note in piè di pagina fatte dietro l’esame del testo, e dopo avere con senno con- sultati i vari interpreti editi e inediti; con un indice a modo di glossario , ed una istruttiva e concisa prefazione . Ma questo ne pare, dice il ch. Scolari, che monti quanto lo scrivere: e’ ci vorrebbe un bene apprestato convito: ed in ciò sta appunto il desiderio di tutti. Poco diversamente dal Fontanini diede cenno del suo desiderio il ch. Pelli ; se si eccettui ch’ ei non vorrebbe che nel commento si tenesse gran fatto dietro alle allegorie. In quanto al testo chiede- rebbe vederlo corretto su’migliori codici, come rispetto al commento, che fosse sugoso e breve, e ricavato da’ migliori fra gli antecedenti espositori. Inoltre , in quanto alle figure che potessero adornare l’edizione, raccomanda quelle di Fe- derigo Zuccheri esistenti nella galleria di Firenze. A questi successe l’ illustre monsignor Dionisi, il quale nel secondo de’ suoi aneddoti stese un. piaro per una edi- zione della divina commedia; ma egli stesso notò che as- sai più ci voleva per eseguirla di ciò che scrisse: e si oc- cupò a discorrere più estesamente ‘ circa alcuni avverti- menti intorno all’ ortografia, grammatica , correzione e spie- 3 gazione dell’ opera ,, con ciò servendo appena ad una parte del piano medesimo da lui proposto. Secondo l’intendimento del prof. Scolari, quattro vo- lumi di giusta mole, in 4.©, conterrebbero lavoro ch'egli propone. Il primo dovrebbe contenere : la preparazione istorica per la piena e giusta intelligenza della divina commedia, la vita del poeta: e tutti i monumenti illustrativi 1’ una e l’altra. Verrebbe inoltre ornato dal ritratto di Dante, Il secondo conterrebbe il solo festo giusta la lezione tratta dal confronto de’ codici e delle edizioni ; ed ogni canto verrebbe preceduto da una tavola in rame a quello appartenente. Il terzo sarebbe destinato alla ragione poetica della divina commedia , divisa in tre libri , ed in altrettanti capitoli, e stampata in guisa che potessero questi capitoli non tanto legarsi insieme in un solo volume con suo fron- tespizio , quanto ancora distribuirsi e collocarsi a fronte di ciascun canto del poema, e così il secondo e terzo vo- lume verrebbero a ripartirsi in tre volumi , quante sono le cantiche. | L’ ultimo volume comprenderebbe gl’indici ; cioè: un vocabolario della divina commedia ; il rimario per le sole desinenze ; un indice delle descrizioni , similitudini e sen- tenze ; uno delle persone e nomi di luoghi, città, fiumi, ec. ; in ultimo l’indice delle materie, e delle cose più no- tabili trattate in tutta l’opera, comprendendovi la prepa- razione storica, la vita, e i tre libri della ragione poetica. Per la preparazione istorica e per la vita del poeta, non meno che per la lezione da fissarsi del testo, abbiam veduto il lavoro ch’ ei crede necessario : lavoro di tanta mole da sgomentare la volontà più determinata. Ma per confortare ed eccitare ad intraprenderlo egli considera, molto esser già stato fatto finora; cosicchè si vuole usare più sa- \gacità e costanza a separar l’ oro dalla mondiglia , che fa- tica a dissotterrare ed aggiungere : che l’ordine e il me- todo soccorrerà mirabilmente a condurlo a termine, e con maggior sollecitudine che non si crederebbe, Così avendo 4 sotto gli occhi il risultamento dell’ ispezione di tutti i co- dici, e di tutte l’ edizioni da riscontrarsi , e l’ opere che si vogliono consultare ; distribuendo il lavoro con intelli- genza ; riportando con avvedutezza ogni opinione di qual- sivoglia autore al punto prefisso di ricerca o d’ illustra- zione, l’opera diverrebbe nè tanto lunga , nè tanto mala- gevole a mandarsi ad effetto. Oltre a ciò , quando una ono- revole corrispondenza aprisse l’adito per concorrere ad opera sì lodevole, si potrebbe ragionevolmente contar sull’aiuto delle accademie e dei dotti tutti d’ Italia (ed anco di quelli del rimanente della colta Europa). La ragion poetica di tutta la favola della divina com- media, destinata a formare il terzo volume della nuova edi- zione, emergerà dalla dichiarazione del senso allegorico, la quale svelar deve i motivi pei quali avendo voluto Dante esprimere un tal sentimento, e dirigerlo a un tale scopo, favoleggiò piuttosto in quel modo olii in un altro. Questa dichiarazione mostrerebbe la convenienza delle immagini scelte fra altre,-che a prima vista sarebber sembrate più naturali e più convenevoli ; e renderebbe ragione di quelle in apparenza più strane e più incompatibili. « Tali per esempio, segue il prof. Scolari, sembrerebbero nella can- tica dell’ Inferno quelle di Caronte , di Minosse, .e tante altre cavate dal fondo della mitologia , se mediante la cognizione del senso allegorico non fosse dimostrato , con quale accorgimento , con quali giuste modificazioni abbia Dante introdotto i mostri del paganesimo a popolare le bal- gie dell’ Inferno cristiano. .. Questa è l’ opera che sì ricer- ca; ma qui è dove occorre più fatica perchè io reputo che sia moltissima la terra incognita : di che ho tentato per qualche modo proporre una dimostrazione nelle note ai pri- mi cinque canti, dove mi diedi a far vedere, credetti al- meno, come stessero sepolte le vere cause, alle quali de- vesi riferire la finzione poetica, p. e. della corrente insegna, l’idea generale del canto IV, e la bella immagine del can- to V della cagnazza fignra di quel Minosse , contro cui fu- rono tante le accuse di stranissima bizzarria , e di turpe mescolanza di profano ,,. 5 Dopo quanto dice il ch. Scolari, se discorreremo i co- menti snl poema dantesco, farà di mestieri seco convenire che non è stato finora compiutamente investigato questo sen- so allegorico, la dottrima nascosta, come dice lo stesso Dan- te, sotto il velame de’suoi versi: investigazione che non fu tanto negletta per ispiegarne il senso letterale. F ciò egli avvisa essere l’ effetto del modo tenuto dalla maggior parte dei commentatori , di dichiarare le parole, e i luoghi verso per verso prima di render conto di tutto il poema canto per canto . Laddove se l’esposizione del senso allegorico ‘avesse preceduta quella del letterale, quest’ultimo ne sa- rebbe venuto più compiutamente dichiarato. Ma, onde anco per questa parte non abbia fatti in- vano i suoi voti il prof. Scolari, opportunamente compari- sce in questo momento l’opera del sig. Rossetti (3). 1l primo volume contiene i soli primi undici canti del- l’ Inferno; ma non vuole il ch. autore che dalla prolissità delle annotazioni e dichiarazioni comprese nel primo , si arguisca la prolissità di quelle contenute ne’rimanenti vo- lumi ; poichè promette di comprendere nel secondo i re- sidui ventitrè canti della prima cantica. L’oggetto primario, anzi unico dell’ òpera del sig. Ros- setti, è la dichiarazione dell’allegoria del poema. Nella pre- fazione , esposta l’ opinione dei più celebri e intelligenti studiosi di Dante , che non sieno stati peranco spiegati gli arcani sensi della divina commedia, si propone mostrare coll’ opera sua come questi debbano intendersi ; sicuro di (3) Za Divina Commedia di Dante Alighieri con comento analitico di Gasriere Rosserri. In sei volumi. Vol. I. Londra John Murray. Albemarle Street 1826. Quest’ opera fu già annunziata nel n.° 464 della Licerary Gazette, che si pubblica a Parigi da Galignani , e fu al termpo stesso data una con- cisa idea delle scoperte che iu essa contenevansi rispetto al senso mistico del poema di Dante. Quel foglio periodico aggiunge esser mente dell’ autore di continuare la sua fatica sul Purgatorio e sul Paradiso , dei quali ha parimente scoperta la pratica e politica interpretazione: ma il compimento dipenderà necessariamente dall’ incontro che avrà il primo saggio in Inghilterra, poichè sem- bra che in Italia andrà soggetto a grandissime dispute ,,. Crediamo che presso di noi sarà gradito il lavoro di questo nostro conterraneo , .e che gli saremmo grati dando‘opera d’ alimentare anco in Iaghilterra l'amor di eui si manifesta acceso pel nustro poeta. 6 aver trovato il filo per condursi in questo non ancora di- stricato laberinto. Sembragli a dir vero, che dopo avere tanti valentuomini speculato per quasi cinque secoli sulle allegorie del poema dantesco , senza che siane risultata una completa e plausibile dichiarazione , possa giudicarsi, come ei dice , un’ arrogante millanteria il promettere di alzare il velo misterioso che asconde le profonde e vere intenzioni di Dante. Pure si riconforta colla fiducia che sia per es- sergli perdonata la sicurezza del suo promettere, dopo la lettura di non molte pagine del suo libro. Per preparare il suo lettore ad intendere i sensi mistici della divina commedia, ha premessa una breve vita dell’au- tore, nella quale non si è esteso al di là di quel che era neces- sario ad intendere il principale scopo dell’opera; non trascu- rando però, nelle note e nelle riflessioni critiche di ciascun volume, di riferire opportunamente tante particolarità in- torno all’autore e all’ opera di lui , che alla fine della let- tura facciano pienamente conoscere “ la vita civile , po- litica e morale, e quasi la storia intellettuale del primo; e la genesi, il progresso e il perfezionamento dell’ altra , anzigran parte della storia pubblica e privata di quei tempi in vario aspetto riguardata ,,. Dopo la vita dell’autore ne segue un discorso preli- minare, del quale il ch. Rossetti raccomanda la lettura per poter comprendere quanto egli anderà esponendo nel co- mento: ‘ chi pei due indicati limitari, egli dice, al poe- ma s’introduce , non troverà nessuno più di quei molti in- toppi e di quei dubbi frequenti, che han ritardato e reso incerto il passo degli studiosi, non esclusi neppure i più provetti ,,, Dopo queste parole ciascuno comprenderà quanto importi ponderatamente leggere la vita, e il discorso pre- liminare. Questo è diviso in IV capitoli. Il primo ha per titolo: di Virgilio. In questo, egli è d’ avviso che Virgilio non sia già la figura della filosofia in generale, come opina la mag- gior parte de’ commentatori , ma bensì della filosofia poli- tica , fondatrice e ordinatrice dell'impero ; della filosofia d'un saggio ghibellino , di chi scrisse il libro pe Mon ARCHIA. 7 Il secondo., intitolato : delle fiere , e suddiviso in tre paragrafi, dimostra che per la lonza, il leone e la lupa debbonsi intendere la città di Firenze, la casa di Francia, e la curia romana. Il terzo capitolo è intitolato : della seloa. Per questa intende che Dante figuri i/ suo secolo inculto, reso quasi sel- vaggio dal vizioso guelfismo; per alberi gli uomini ignoranti che quasi solo vegetavano; per fiere gli uomini che per ma- lignità nocevano. Nel quarto capitolo.: dell'Inferno , determina l’ autore che Dante desume la forma della voragine infernale da tre punti: dal centro della terra apice del cono: e quindi fatto centro Gerusalemme ed intervallo Roma , ebbe la periferia della base del cono. Noi daremo in compendio una qual. che idea delle ingegnose considerazioni sulle quali appog= gia i suoi nuovi pensamenti- E rispetto a Virgilio , figura della filosofia fondatrice ed ordinatrice dell'impero, ecco come ragiona l’autore. — Virgilio stesso nel rispondere a Dante che gli chiede soc- corso , gli dice : io nacqui sotto Giulio, vissi sotto Augu- sto, nella religione pagana : cioè io, che sono la filosofia politica fondatrice e ordinatrice dell’ impero nacqui sotto Giulio Cesare fondatore dell’ impero ; vissi sotto Augusto che lo stabilì. Fu tardi il mio nascere, perchè se nato fossi prima avrei impedite le tante turbolenze intestine de’ Grac- chi, di Mario, di Silla, ec., che agitarono quello stato: vissi nella religione pagana, cioè prima che l’impero sta- bilito dipendesse dall’autorità de’ papi I miei genitori fa- rono lombardi e mantovani ; cioè il gran lembardo Cane della Scala era capo e sostegno del partito imperiale ; e Mantova , che era principal fortezza di Lombardia, dove- va considerarsi come fondamento e cuna di quell’ impero ‘che doveva rivivere. Non sono uomo, uomo già fui, per- chè l’amore dell’imperiale potestà era allora quasi del tutto spento. — Dalla risposta di Virgilio così interpretata prende quindi a spiegare il senso mistico di molti passaggi del poe- ma; come per esempio , perchè Virgilio morto di poco tem- po venisse congiurato dalla maga Erittone ad entrare nel 8 cerchio di Giuda per levarne uno spirito a dar risposta a Sesto Pompeio intorno all’ esito della famosa guerra che ar- deva contro Giulio Cesare ; perchè Dante dicesse a Caval- cante Cavalcanti che Guido suo figlio avesse forse a disde- gno Virgilio, ec. Per ciò che riguarda alle tre fiere dichiarate nel se- condo capitolo , egli osserva che la lonza o pantera coperta di pelo macchiato , cioè con la pelle sparsa di macchie bianche e nere , era simbolo della città di Firenze divisa allora in Bianchi e Neri: che era cagione della buona spe- ranza di Dante la gaietta pelle di quella fiera , cioè la parte bianca che allora prevaleva;; chiamando gaietta, cioè bianca, la pelle in opposizione al color nero, che è colore di lutto , e di tristezza : che la lonza /eggera rammenta 1’ instabilità della repubblica fiorentina ch= di continuo muta.a legge, moneta, ufizio , costume: che il Zeone è nello stemma della casa di Francia, e che i principi di quella casa furono sovente a quel superbo animale assomi- gliati : che Carlo d’Angiò , che fece decapitare Corradino, fu chiamato /eone dl tiri sull’ urna di quell’ augusto sventurato : Asturis ungue Leo pullum rapiens aquilinum Hic deplumavit , acephalonque dedit ; e che Dante stesso allusivamente chiama /eone Carlo di Valois che invadendo Firenze era stato cagione del suo esi- lio (parte VI). Rispetto alla /upa considera che essa è stata sempre l’ arme di Roma: che spesso rimprovera di avarizia e papi e cardinali: ed essendo allora la curia romana centro e vita di tutto il partito guelfo , sotto il nome di /upi intende sempre i guelfi, come sotto quello di canî sempre signi- fica i ghibellini. Così le cagne bramose e correnti sbra- nano Lano e il suo compagno nel bosco infernale , perchè ambiduè fatti in pezzi dai ghibellini d’Arezzo in una im- boscata: così chiama ve/tro Cane della Scala capo de’ ghi- bellini; cagne le famiglie che inseguivano il guelfo conte Ugolino e i nipoti suoi, e perciò chiamati lupi e /upicini ; lupi nella sventurata fossa i guelfi fiorentini ; dotoli spe- 9 zie di cani i ghibellini aretini : lupi i guelfi che fanno guerra a Dante e lo cacciaron dall’ ovile ove ei, dormiva agnello cioè bianco , ec. ec. Senza fermarci sulle ragioni per le quali crede il ch. Rossetti che nella selva venga simboleggiato il secolo in- culto e selvaggio in cui Dante viveva, per le fiere gli uo- mini maligni, per gli alberi gl’ignoranti, accenneremo per- chè sia di parere che Dante avesse tre punti fissi che gli davano la forma del baratro infernale, cioè il centro della terra, Gerusalemme e Roma: I.° Roma, centro della nuo- va religione, e punto del nuovo corso della sua vita po- litica: II° Gerusalemme centro della religione antica, e punto medio della terra : IIl® il centro della terra stes- sa, punto medio dell’ universo, secondo il tolamaico si- stema - ... . Uno gli derivava dal topografico sito in cui fu coltò dal suo maggior disastro: ( Dante era a Roma quando fu pronunciata contro lui sentenza d’esilio): un al- tro da popolare tradizione e dalla sacra scrittura : un al- tro finalmente dalla religione e dalla scienza ,,. Fsposta in tal modo nel discorso preliminare la prin- cipale allegoria del poema , seguono i primi undici. canti dell’Inferno , i quali l’autore ha annotati terzina per ter- zina, e al bisogno verso per verso; aggiungendo dopo il testo una specie di dichiarazione in prosa, in cui ora so- stituisce le transizioni soppresse, talvolta amplifica le fra- si , perchè non rimangano sospesi i concetti, e. per rispar- miare non poche noterelle, ad oggetto di rendere intelli- gibili i passaggi difficili o per sensi troppo compressi , o | per ellissi non tanto comuni, o per sintassi contorta, 0 per modi antiquati; avendo sempre in mira la spiegazione del senso allegorico. Così per es. ha dichiarata la. prima terzina dell’I. Inf. nel modo seguente: Nel mezzo del cammin di nostra vita Mi ritrovai per una selva oscura, ‘Chè la dritta via era smarrita. < Nella metà del cammino di nostra vita mi ritrovai »» per la selva oscura de’ vizi : e ciò non per mia colpa, d, ma perchè la via della rettitudine era smarrita ,,. tri ’> 23 23 10 E vi ha aggiunta la seguente annotazione: ‘‘* Abbiam veduto nel discorso preliminare che selva oscura vuol dire secolo vizioso per ignoranza , e perciò il poeta soggiunse che la diritta via era smarrita: cioè da tutti comunemente smarrita, perchè l’ignoranza, nella oscurità simboleggiata , era generale .,,. E quindi alla decima terzina dello stesso canto : Poi ch’ ebbi riposato il corpo lasso Ripresi via per la piaggia deserta Si che il piè fermo sempre era il più basso. egli ha posta la seguente annotazione, 23 23 33 9 25 ® dI >» 25 33 23 >» 23 23 29 > »3 > 29 ” bel >» dI « Questa piaggia deserta giustifica pienamente la spie gazione che ho data al terzo verso della prima terzina : La dritta via era da tutti smarrita, e quindi deserta ,,. ‘ Ora veniamo al terzo verso di questa terzina su cui tanto si è detto. Posto che il vizio sia da Dante signifi- cato coll’allegoria della valle, e la virtù con quella del colle, ne nasce per conseguenza che scendere alla valle significa immergersi ne’vizi, far cattive azioni ; e salire al colle , elevarsi alla virtù, fare azioni virtuose ; talchè ogni azione verrebbe ad essere quasi un passo o pendente alla valle o tendente al colle. Or essendo il piè basso quello che per ragion di situazione più alla valle s°ac- costa, e il piè alto quello che più si approssima alla cima del colle, ed allegorici essendo sì 1’ uno che 1’ altro....; il piè basso sarà perciò l'inclinazione al vizio, e il piè alto la tendenza alla virtù.... Or se ranimenteremo, che egli fin dall’ età primiera, quando la sua ragione quasi dormiva , era divenuto vizioso, bisognerà conchinderne cheil vizio non la virtù era in lui un'abitudine conferma- ta, e che perciò ei doveva essere più fermo nel vizio in cui era già vecchio, che nella virtù in cui era uomo nuovo. Il dire adunque che riprendendo via per dirigersi alla piaggia deserta , il suo piè fermo era sempre il più basso, significa chiaramente che nelle sue azioni o virtuose per risoluzione. , o ‘viziose per costume, le più ferme cioè quelle in cui era più tenace, erano le più basse cioè le II ,s viziose.... ,, Ciò posto tutto il senso della terzina equi» vale a questo: ed ecco la sua dichiarazione. « Poichè fui riconfortato alquanto dal lume della ra- gione, mi risolvei di correre la strada della virtù, da tutti » abbandonata; ma malgrado ogni mio buon proponimen: ,, to, i miei passi, erano più inclinati al vizio , da cui per ,» abitudine contratta non sapeva rimuovermi , che alla vir- 39 tù, cui io mi dirigeva per sola riflessione ; onde mi avan- ,» zava a virtù lentamente ,,. Alla fine poi d’ogni canto fa succedere alcune rifles- sioni critiche di varia natura, ma sempre relative al senso allegorico ; dopo le quali aggiunge alcune note, e quindi una esposizione in prosa dell’ intero canto, per mezzo della quale si comprenda senza interruzione il tutto insieme del canto medesimo, e sia dichiarato ciò che il poeta dice nei suoi versi, presentando un epilogo del più interessante che il ch. Rossetti dice nelle suè note. Come abbiam dato un saggio delle altre cose, lo daremo pure di alcuna delle note aggiunte , per mostrare eziandio il diverso oggetto delle me- desime. Per esempio alla terzina 20 dell’I. Inferno Tu sei lo mio maestro e il mio autore, Tu sei solo colui, da cui io tolsi Lo bello stile che mi ha fatto onore, dissente dal chiarissimo Monti, il quale per mostrare come Dante avesse tolto da Virgilio lo bello stile , che gli ave- va fatto onore, trova: che ambedue si rassomigliano nell’ar- te di vestire poeticamente i concetti: e che “ gli artifici ss di Virgilio nell’adornare di mirabile poesia un soggetto te» », nue ed umile, siccome i precetti riguardanti i lavori della » Campagna, sono i medesimi che il poeta fiorentino apprese 3 dal mantovano ad abbellire e fiorire il soggetto della di- 33 vina commedia , mille volte più arido, perchè ingombro 3, dispine teologiche più inspide che le campestri ,,. E dopo ciò mette in confronto molti tratti delle georgiche con quelli della commedia. Ma segue il Rossetti, avrebbe potuto mai dire Dante di aver tolto da Virgilio il bello stile che gli aveva fatto onore riguardo ad un’ opera che doveva scri- vere ancora? E come gli fè onore lo stile d’un opera che 12 non era ancor fatta? Laonde egli pensa che Dante inten- desse di parlare dell’onore che avevagli fatto lo avere scritte le sue egloghe latine, che a’ tempi di Leonardo Aretino tut- tavia si leggevano, e dal Landino è detto che tanto san- no d'’ antichità, quanto in quei tempi più non si debba. Che se oggi il suo latino è barbaro, forse allora non appariva tale , nè tale lo credeva Dante. Quindi egli opina che Dante voglia alludere alle composizioni poetiche in latino o in vol- gare per le quali già erasi fatto un nome, e non ad uno stile che non aveva per anche usato in un’opera, che per anco non era nata. | Non va d’accordo col ch. Monti neppure nel signifi- cato che dà alla parola alcuna nel verso Che alcuna gloria i rei avrebber d’egli (16 Inf, III.) e nell’ altro Che alcuna via darebbe a chi su fosse (Inf, XII.) Nella quale occasione nota fra le altre cose non essere vero che la parola aucun francese significhi nissuno in que- sti casi, perchè detta parola in francese ha forza negativa, ma per ellissi ; ma il discorso di Dante qui è intero e non ellittico. Traducendo in fatti il primo verso in francese: Le profond abime ne regoit pas les poltrons, parce que les grands criminels n’ auroient aucune gloire de leur societé : qui la frase diventa negativa per quel ne e non per aucune. Tol- ghiamo ora questo segno di negazione: e profond abime ne regoit pas les poltrons parce que les grands criminels auroient aucune gloire de leur société, e ciò dice il contra- rio di quel che sostiene il Monti. . . Esaminiam tutte le frasi francesi, in cui entra aucun per negare, e vedremo che il discorso è sempre ellittico , il che non è del caso nostro. Così s io dirò: Avez vous des nouvelles, e mi rispon- derete, aucune, vi servite di un ellissi. Levate questa figura grammaticale, e lo vedrete chiaro: Avez vous des nowvelles: risponderete : je n°’en ai aucune, e meglio ancora: non, je n'en ai aucune, ec. ,, e a questo aggiunge altri argomenti per provare il suo assunto , i quali per brevità lasceremo rimettendo i lettori all’ opera istessa del Rossetti. Terminato così di annotare , illustrare e dichiarare l’un= 13 decimo ‘dell’ Inferno , pone in fondo al primo volume una disamina del sistema allegorico della divina commedià , dis- sertazione prima , accennando così che altre dissertazioni saranno ne’ volumi seguenti. È questa divisa in XIV capitoli, ne’ quali discorre I. dell’ Inferno in generale ; II. de’ morti ; III. de’ demoni ; IV. de’ tormenti infernali ; V. del fiume infernale ; VI. della voragine infernale ; VII. genesi dell'Inferno nella mente di , Dante ; VIII. dell’ alto Inferno ; IX e X. del basso Inferno; XI. Apologia di Dante ; XII. del linguaggio allegorico della divina commedia; XIII. Parere di alcuni dotti sull’ alle- goria della divina commedia ; XIV. ultimo risultamento di questa prima disamina ; conchiusione. Sarebbe troppo lungo lavoro il dare estratto di ciò che si contiene in settantrè pagine di questa prima dissertazio- ne. Il fondamento però è che l'Inferno è una pittura al- legorica della società e de’ soverni d’allora; non l’ Inferno della seconda, ma bensì quello della prima vita, ove le colpe si preparano le pene , e dove le mal regolate pas- sioni tengono il luogo delle furie tormentatrici: a ciò l’in- duce un passo della dedicatoria fatta da Dante a Can gran- de, ove sono notate le seguenti parole: ‘ Poeta agit de in- | ferno isto, in quo peregrinando ut viatores, mereri et deme-. reri possumus ,,; e monsig. Bottari presso appoco intese la cosa in ugual maniera. Passa quindi a mostrare cosa debba intendersi sotto l’allegoria de’ demoni, del fiume inferna- le , ec. \ E qui di passaggio noteremo alcune spiegazioni che dà l’autore a varj passi ; le quali forse a taluno potranno sem- brare speciose. Per es. , le parole di Dante a Virgilio: . + + «+ Poeta io ti richieggio Che tu mi meni là dove or dicesti , Si che io vegga la porta di San Pietro, sono dagli annotatori diversamente intese ; e chi vi vide la porta del Purgatorio chi quella del Paradiso. Il Rossetti considerando che Porta San Pietro era una delle porte della città di Firenze , che la famiglia di Dante ebbe la sua casa 14 i quasi sul canto di Porta San Pietro , pensa che il poeta preghi Virgilio ; simbolo del ghibellinismo , di condurlo , non solamente a Firenze , ma a quella stessa casa ove era nato. Speciosa parimente sembrerà a taluno la interpreta- zione data dal Rossetti a quel famoso verso enimmatico: Pape Satan , Pape Satan Aleppe, che può vedersi alla pag. 377 e segg. In questa disamina adunque espone tutto il suo siste- ma di spiegazione , e supplisce a quanto in diversi luoghi delle sue annotazioni ha promesso. Nella conchiusione colla quale pon fine a questa sua prima dissertazione promette altresì diversi nuovi schiarimenti ne’successivi volumi, nei quali mostrerà qual fosse il libro , su del quale Dante si modellò nel concepire l’ immagine del suo poema, e com’ ei felicemente l’imitò, e di gran lunga s' avanzò , oggetto che fe agitar tante erudite penne da vari anni, e che non.mai a suo credere è stato ben colpito. Tratterà pure della lin- gua e dello stile di Dante, ove farà vedere quali sieno i pre- gi, e quali i difetti del suo poema: e per quanto nel corso dell’ opera sembri avere il sig. Rossetti asserite con troppa sicurezza e fiducia di sè alcune cose, pure modestamente aspetta fraterno avviso dai giornali letterari, se il metodo da lui tenuto fosse trovato in qualche parte difettoso, onde correggersi di quelli sbagli che potesse aver presi, ove sia chi voglia farnelo per cortesia avvertito. Questi ingenui sentimenti rendono fuor di dubbio rac- comandabile 1’ autore, a cui la lingua e la letteratura ita- liana, sicuramente è molto debitrice, promovendo egli lo stu- dio del primo nostro classico, presso gl’ inglesi, i quali sono oggi più che in altri tempi zelanti nello studiare il Dante: e sarà officio d’ ogni letterato. italiano l’ inanimirlo a con- tinuare nel suo proposto; del che egli si protesta risolutis- simo, terminando questo suo primo volume colle parole se- , guenti: “ Italia mia, dolcissima Italia mia, per averti trop- po amata io ti ho perduta , e forse... deh tolga l’augurio Iddio! Ma più superbo che dolente d’ un male per te so- stenuto , a te sola io seguo a consecrare le mie vigilie, ed altro premio non attendo che la mia interna soddisfazione, 15 la quale al sommo si accrescerebbe se tu vi aggiungessi un segno che non ti sono discare. Sembra essere pietà del de- stino che quel doloroso bando che per te vien sofferto debba avere un qualche compenso ; talchè se affligge il cuore , rischiari ‘ancor l'intelletto. Un esilio angoscioso valse. per avventura a più sublimare nel tuo Alighieri quell’ anima eccelsa, che era un bel dono del tuo cielo ridente; ed un esilio parimente affannoso ed immeritato vale ora ad aguzzare forse il mio poco ingegno , sì che penetri in quanto ei la- sciò scritto per tua istruzione e per sua gloria. E felici le mie fatiche se per esse udrò ripetere con più ragione: ,, Gloria Musarum Dantes non cedit Homero , Par quoque Virgilio : doctrina vincit utrumque. VERINI. La Literary Gazette and journal of belles lettres , al N.° 468 dell’anno decorso, annunziando quest’opera dice, che la scoperta del sig. Rossetti circa il senso mistico, del poema di Dante, essendo per avventura straordinarissima, verrà probabilmente riguardata della maggiore importanza dagl’italiani suoi compatriotti e dagli ammiratori del poeta fiorentino; e pare che tal prognostico voglia avverarsi. In- fatti il sig. Valedoni direttore del giornale delle scienze e i lettere delle provincie venete termina la sua lettera all’ ah. . Giuseppe Monico colle seguenti parole ( Ved. il detto gior- nale N.° 62). “ Nel vivo desiderio frattanto, che i cin- que volumi che restano giungano sollecitamente ad appa- | gare le giuste brame del pubblico , ‘raccolgasi da quanto | scrissi finora che le speranze degli studiosi sono collocate | molto a proposito nell'opera del sig. Rossetti, per quanto da un uomo solo in tanta e sì vasta impresa si può aspet- | tare; e si accresca ognor più il generale convincimento , Ù che se lo studio della Divina Commedia è importante, lo è ben per altre ragioni, e per fini di religione e di filoso- . fia morale ben più rilevanti, che non sono le nude ric- chezze, e le amenità rettoriche della poesia, e della lin- gua ,,. Il fatto sta che lo stampatore e libraio. livornese > Glauco Masi, con suo manifesto del 06 decembre decorso, promettendo una ristampa della divina commedia col co- 6 mento analitico del sig. Rossetti, mostra evidentemente aver fiducia che essa sia per avere un esito favorevole, Le quali notizie pervenute all’autore, daranno sempre più animo a quel nostro letterato italiano a persistere nell’ incominciato lavoro, nel quale forse taluno desidererà ch’ei ritenga un poco più in freno la sua viva immaginazione. Avremmo volentieri detto qualche cosa del commento di Ugo Foscolo , che ancora non ci è venuto fatto vede- re, come non ci è dato parlare del terzo volume promesso dai sigg. Mattiuzzi in aggiunta ai due tomi già pubblicati del codice bartoliniano. Il solo nome dell’ estensore delle illustrazioni che conterrà ei guarentiscono che l’opera sarà di somma importanza, e coneorrerà efficacemente a mandare ad effetto il lavoro desiderato dal professore Scolari. Faremo fine col ripetere quale a mente di questo pro- fessore sarebbe il modo di distribuire la voluta edizione del poema dantesco in quattro volumi in 4°, di giusta mole. Il primo abbraccerebbe la preparazione istorica, in un colla vita del poeta, col di lui ritratto, e con tutti i ma- teriali illustrativi la preparazione e la vita. Il secondo, il testo giusta la lezione risultante dal con= fronto dei codici e delle edizioni. Il terzo, i tre libri della ragion poetica; e questa do- vrebbe essere stampata in modo che i capitoli di essa po- tessero legarsi insieme in un volume a parte o distribuirsi a fronte dei canti del poema. i Il quarto dovrebbe comprendere gl’indici: cioè: 1.® un vocabolario della divina commedia; 2.° il rimario per le sole desinenze; 3.° le descrizioni, le similitudini , le sen-’ tenze ; 4.° le persone, i nomi de’ luoghi, città , ec.; 5.9 in fine l'indice delle materie e cose notabili trattate in tutta | l’opera. Per portare a termine tanto lavoro, quale lo desidera il ch. autore, si richiederebbe lo studio e l’opera di molti | letterati, de’ quali ei non trova penuria in Italia , ove abon- dano eziandio i materiali e i mezzi per riuscirvi. ‘ Ma per- chè, egli segue, soltanto nella mente di colui che dirige, e nella di lui rettitudine ed accortezza possono trovare uni. I tà, e divenire armoniche le operazioni dei molti , egli è indubitato che la scelta di quest'uno varrebbe tutto l’in- tero, o per la maggior parte almeno 1’ effetto che si ricerca (p. 43) ,;. E qui crediamo di convenire nel sentimento del celebre sig. Bartolommeo Gamba, il quale in una sua. Jettera diretta all’ antore , sollecitandolo a dare opera ad una nuova edizione della Divina Commedia, mostra di ere- dere essere nel ch. Scolari forze tali da assumere questo in- carico. Ci spiace però che dal .1823 in poi, per lo. spazio di più di tre anni, egli abbia taciuto su quanto in questo intervallo è stato scritto e pubblicato relativamente all’Ali- ghieri. Al presente in tanta copia di nuove edizioni, com- menti , illustrazioni ci giova sperare che non saprà alte- riormente resistere alla bella e laudevole tentazione di pro- durne nuove sue considerazioni , onde da noi si veda una volta portata ad effetto l’ esecuzione di sì bel disegno. F.#IE _—r—rrr—————_— ——crry P__P___{-_Òq Delle diverse regole del Gius antico : (*) Titolo 3.° del II libro dei Basilici per la prima volta pubblicato tutto in- tiero da Carro Wirrr professore di Breslavia. Breve notizia delle nuove Fonti di romano diritto recen- temente scuoperte. / Che la scienza dei diritti dell’uomo e delle leggi (sic- come ogni quasivoglia altra scienza o fisica o morale) af- finchè non riesca in vane ciance e in dispute romorose, ma sivvero produca frutti e parti e operativa divenga, debba essere fondata sui principii della ragione e sulla esperienza dei fatti; usare cioè ad un tempo della razionale e della empirica facoltà : è questo uno di quei grandi insegnamen- ti, cui pochi giorni di vita di già renderono luminoso ed illustre. Nè i principii dei diritti dell’uomo e delle leggi per altra via si potrebbero notare nell’ animo e significare dipoi colle parole e nei scritti, che di profonde e segrete meditazioni, per cui l’occhio della umana mente, civol- T. XXV. Marzo. Ì 2 18 gendosi sopra sè stessa e indagando con tutto amore, giun- ge finalmente a contemplare svelato e nudo quel vero pri- mo, (1) che costituisce l'essenza della sua propria morale natura. Sublime contemplazione e , quasi direi , divina e che dai romani giureconsulti fu con bella acconcezza de- nominata INTIMA FILOSOFIA. Ma quando una scienza ha per iscopo di soddisfare ai bisogni degli uomini e agli usi. della vita, non basta vagheggiare il vero in idea ; fà mestieri eziandio rintracciare il vero in azione, ricorrere cioè alla esperienza e meditare lungamente negl’ immensi volumi della storia per vedere , se i fatti convengano coi principii. Bene avvertano però coloro i quali si mettono per entro a questo mare senza limiti, bramosi di rettamente in- tendere i bisogni e i diritti dell’ uomo per provvedervi. e regolarli con buone leggi, avvertan bene, io ridico, a far senno soltanto di quei fatti, che l’indole schietta appale- sano della natura umana in azione, e costituiscono la se- rie de’suoi progressi e maggior perfezionamento nella civil società ; senza curar tampoco nè smarrirsi in quei tanti mo- struosi avvenimenti di scellerate usanze, di rei e falsi co- stumi, di perfide leggi o imbecilli, che, a perdizione degli uomini e per travolgerli dal loro fine , la superstizione, la tirannide o una cieca ignoranza introdussero nel mondo delle nazioni. Lagrimevoli e miserande aberrazioni dalla na- tura e dignità umana, buone soltanto (tranne il costante sforzo della natura stessa per ricondursi nel cammin dritto) da registrar nei fasti degli aborti e non dei parti del tem- po. Imperocchè la scienza del giusto e dell’ ingiusto ardua invero e da costar fatica, in tanta corruzione , presentasi a chiunque voglia sanamente intendere che cosa è giusto e buono, o*vogliam dire pari e conforme alla nostra natura; ma, sortito una volta di ravvisare quell’ unico punto in che riposa il giusto, tosto e facilmente si conosce l’ingiusto , tutto quello e quanto cioè, che per qualsivoglia modo , o a diritta o a manca, diverge dal giusto. Ritrovati per cotal guisa i principii razionali del diritto e visto se siano comprovati dall’ esperienza dei fatti; stretta così concordia , o, per dir meglio , riconosciuta l’ identità 19 del vero in idea col vero in azione , ai cultori della scien- za, perchè divenga operativa , ed ai legislatori , null’altro rimane che adattarla agli usi della vita e civiltà presente. Dico presente, perchè non sono da lodarsi quei siffatti in- gegni, che, dopo avere lungamente meditato sulla natura umana e sulla esperienza delle passate cose , troppo indul- gendo alle loro fervide fantasie, si slanciano di un tratto nei futuri secoli per bearsi di una civiltà maggiore della presente e immaginar sistemi di sì perfette legislazioni, che, se lo credi, gioveranno ai posteri, ma intanto non sono punto applicabili ai presenti bisogni. Costoro seppur pro- ducono ( perchè per produrre si sottintende sempre a suo tempo ) generano parti immaturi ; oro falso che inganna perchè non provato alla pietra di paragone che è 1’ espe- rienza, la quale non si dà delle cose future ; sogno di lon- tane e fallaci ricchezze, che fa trascurare e perdere le reali e presenti; dovizia vana degli occhi, vera povertà delle mani. Lodevole è invero curare dei posteri; più lodevole ufficio di carità e necessario , curare dei presenti e di noi. Che anzi, ove ben si dirizzi la mente, vedremo che , di giovare ai posteri unico mezzo efficace abbiamo nel provvedere a noi. Ricordisi ognuno ciò che pur tutti sanno , procedere la universale natura, non che l’umana , in tutte le ope- razioni sue a gradi e non a salti; così da un rimoto grado di civiltà, mai, per lungo correr di secoli, non si perver- rebbe ad altro d’assai più elevato e sublime , se prima non si muovesse a dovere per tutti e ciascheduni i gradi inter- medii; e tocca appunto alle generazioni presenti ad ascen- dere quei più prossimi gradi di successivo incivilimento se bramano e voglion davvero che le future avanzino a loro tempo. Nè minor biasimo di costoro i quali perdonsi in belle utopie meritano quei professori della scienza , immobile e stazionaria da molti secoli considerando la civil società pretendono dagli uomini dei dì presenti sommes- sione ed obbedienza cieca alle vecchie legislazioni. Peggio ancora che in tempi per tante scienze ed arti d’ incivili- mento così illuminati, sia per infingardaggine o per sover- che quasi ) ' 20 ; chia venerazione di antichi abusi , ciò non s’ insegna sol- tanto nelle scuole , ma si pratica ancora nel reggimento dei popoli. Vuolsi però convenire che ((onta dei nostri tempi!) grande avvantaggio non venne ad alcune delle moderne na- zioni le quali con nuovi codici tentarono provvedere ai loro nuovi bisogni ; assai minore a quelle fra cui que’codici ven- nero , dirò , di botto impiantati. I professori della ‘scienza ed'i legislatori avzichè sui principii della ragione, edifica- rono quei codici o sopra falsi e meschini concetti, o sopra stolte passioni; e fosse malizia, leggerezza o ignoranza, nel gran libro dell’ esperienza bene spesso scambiarono per fatti veri le aberrazioni dalla natura umana. Fu allora che i fau- tori delle antiche leggi, sempre più venerate perchè oramai più non vegliano le passioni che le informarono ; e colo+ ro; i quali, professandole nei paesi dov'erano e sono sem- pre in vigore , si trovavano nell’ obbligo di promuoverle e d’ insegnarle nella miglior possibile maniera ; unitamente agli altri i quali opinasano;, che i giusti e veri principii della scienza si trovasser soltanto negli antichi codici; ov- ver temevano che , introdotte: nuove leggi, non venissero condotti a total sovversione e dimenticanza que’ vecchi sa@ crosanti volumi, sui quali langhi giorni e lunghe notti su> darono ed agghiaceiarono } tutti si strinsero in lega per cu- stodire e difendere il minacciato e caro palladio. Per cotal guisa nacque e si accrebbe una così detta scuola della scienza storica del diritto: nome‘acconcio e ben misurato a significar= ne lo scopo , e che piir basta a difenderli da chi loro muovesse accusa quasi volessero rifiutare a base della scienza i irazio: nali principii per ripararla soltanto nella storia degli an» tichi popoli .e delle antiche leggi, ricca più presto di er- rori che di verità! Imperocchè dallo stesso nome di storica con cui definirono la scienza che a trattare imprendevanu, apertamente fecero palese e protestarono clie già non mi- ravano a nuovi ordinamenti della cosa pubblica e privata buoni pei dì presenti ; ma } e quei principii andavano rin- tracciando che detter mossa alle leggi degli antichi, i quali nel meditare | intima natura dell’uomo tante e ‘sì utilita tutti tempi rinvennero verità luminose ed eterne; (2) e ‘che 21 d’ istruire inoltre intendevano delle storiche vicende che presso uno o più popoli subirono quelle leggi e i costumi per esse introdotti. Così non il presente ma il passato (co- mecchè per norma, per amore e utilità del presente) cedè alla loro occupazione. Sarà questa , se vuolsi , una metà del compito, ma, se non lode, meriterà poi biasimo chi bene l’adempia? Avranno al mondo delle generazioni d’uomini, i quali , nelle sublimi loro meditazioni e concepimenti, tanto lascian correre l’ intelletto e vi si profondano che si smar- riscono , e trasvolato il punto entro cui trattenuti nobil- mente giovato avrebbero alla umana società , riescono sol- tanto a stringer nuvole; uomini che nell’ indagare i fatti e interrogare l’esperienza ( contradizione agli occhi volgari, semplice e naturale congruenza ai più istruiti e contempla- tivi) tutti perduti in microscopiche ricerche, danno soventi volte in minuzie, ma non di rado ancora in di minori veri- tà; ora , ogni picciola verità (se la verità è mai piccola) è un benefizio grande, un magnifico presente per 1’ uni versale degli uomini. Di che costoro vanno altamente ri- meritati ; poichè , se per avventura nell’ indicar sistemi ed opinioni andarono di molto errati, di quelle fallacie farà giustizia il tempo, che renderà d’altronde vie più vantag- giose ed illustri le verità ritrovate. Nè parmi bello a tace- re che fra le vecchie leggi, allo studio e nella storia delle quali tanto vegliano i fautori d’una giurisprudenza storica, molte (e qui, quanto a noi, segnatamente intendo delle romane) sono sempre ed attualmente in vigore : leggi che in qualche parte saranno aberazioni da’ razionali principii e del vero eterno ed iu qualche altra buone soltanto a prov- vedere ai bisogni di quel popolo presso cui furono ordi- nate e introdotte; ma che nel loro insieme elle pur sono deposito nobilissimo della giustizia, dell’ equità e del tanto sapere degl’ illastri nostri progenitori ; leggi, alla cui dritta ragione più che all’ autorità ed alla anticatà sanzione concedemmo, (3) e che tuttora ci governano, ci si- gnoreggiano e ne accogliemmo il giogo egualmenté.in casa; e nella scuola e nel foro ; leggi però ; che passate per tanti secoli e per tante mani non solo a noi giunsero per parte 22 inadeguate, ma eziandio mutilate ed incerte: ora chi, se non altro, tenta, paragonando edizioni e codici , frugando e ri- frugando in cerca di frammenti e d’ opere degli antichi giu- reconsulti, restaurarle; o di più rettamente interpetrarle colla storia ed i classici alla mano per così dileguare o almanco diradare le tante incertezze ad antinomie che le ingom- brano , fa opera sommamente lodevole ed utile , perchè , negli usi della vita , il certo ed incavillabile delle leggi serve agli uomini poco meno del vero e del giusto. E nep pur finalmente vorrebbesi dimenticato che gli antichi giu- reconsulti , alla ricerca delle cui opere con tanto amore e sì indefesse cure attendono i promotori di una storica giu- risprudenza, furono quant’altri mai pieni di senno e di su- blime filosofia , siechè molto incoraggimento essi meritano e quelle ricerche , le quali per avventura potrebbero frut- tare al mondo il ritrovamento non solo di una qualche leg- giera e vizza, ma eziandio di alcuna di quelle opere più grandi e più solide che il tempo, al dir del divino Baco- ne, quasi rapido ed impetuoso fiume travolse ne’ suoi pro- fondi gorghi e ingoiò (4)» Fra coloro appunto, i quali intendono a promuovere la scienza storica del diritto, e dai polverosi codici rica- vando i frammenti delle antiche leggi e le opere degli an- tichi giureconsulti tentano , come dissi, diradare nella ra- gion civile l’ oscuro, il contradittorio e 1’ incerto, tiene onorato luogo il sig. Carlo Witte chiarissimo professore di romano diritto nella università di Breslavia. Giovandosi egli nel suo soggiorno a Parigi del codice coisliniano che, segna- to di n.° CLI, vi si conserva in quella R. biblioteca , e di cui già da un secolo dal Mantfaucon, e negli ultimi tempi dall’ Hugo (5) dall’Junker (6) dal Pohl (7) e dalla Gaz- zetta letteraria di Lipsia (8) era stata data contezza; tra- scrisse allora e dipoi, correndo l’anno 1826, pubblicò in Breslavia intiero una volta e corretto il già mutilato e mal. concio titolo III del libro II dei Basilici: ‘ Delle diverse regole del gius antico ,, (9) non senz’aver premessa una dotta prefazione nella quale va discorrendo del fato singolare che nelle mani dei precedenti editori subì questo importantis- 23 simo titolo. Imperoochè Dionisio Gottofredo , il quale pri» mo d’ogni altro si accinse a restaurarlo , altro non fece che annettere a quanto di tronco e imperfetto ne presen- tava la sinopsi dei basilici (sola in quei tempi conosciuta per le stampe e però soverchiamente tenuta in pregio) quei pochi confacienti passi qua e là da lui spigolati fra i greci interpetri, allorchè adoperò le indefesse sue cure per una edizione delle instituzioni di Teofilo, e dell’ Harmenopu- lo (10). Ed il Fabroto, il quale, dopo Dionisio Gottofredo, si affaticò per una nuova edizione di Teofilo, se, imitando in tutto l’esempio dell’illustre predecessore , ripubblicò puranche il nostro titolo , lo arricchì solo di poche co- se, avvegnachè non fosse vero, e lo provò il Reitzio (11) quanto egli venne gratuitamente asserendo nella sua pre- fazione (12) che allora cioè si servisse all’uopo del R. pa- rigino MS. dei basilici; nè fece punto quei tanto millau- tati confronti di molti codici della sinopsi; e se vide Mi- chele Attalajota, quale lo pubblicò il Leunclajo , nulla potè profittargli ; sicchè veramente egli non vide, nè a lui ser- vi, che Teodoro Hermopolita, quantunque per avventura ne usasse con la sua solita negligenza, temerità , e mala- fede. Vero è che lo stesso Fabroto, nove anni dopo del suo Teofilo , pubblicando i libri basilici, ricavò una buona quarta parte del nostro titolo dal citato regio ms. giovan- dosi , a quel che sembra, ver ogni resto dei scolii ai ba- silici (13) e sempre conla stessa negligenza ; conciosiachè molti capi che pur colà ne giacevano , gli sfuggissero in- tieramente dall’occhio. E finalmente Guglielmo Reitzio uo- mo d’ altronde nell’ investigare i codici diligentissimo, quan= tunque dal Montfaucon avesse avuto notizia del Coislinia- no, nè gli fossero ignote le fonti alle quali avevano attinto e il Gottofredo e il Fabroto, tutto trascurò , nulla vide e . niente aggiunse nella ristampa di questo titolo da lui po- sto in calce del suo Teofilo ; se non che, da quel bravo e va- lente filologo ch’ egli era, bene spesso qua e là n’emendò e migliorò la scorretta lezione. Ma quando al cadere del passato secolo i studii della culta giurisprudenza ripresero in Germania nuova vita e vigore, l’ Hugo, che tanto vi 24 aveva e con la voce e con la mano contribuito, espresse le sue maraviglie che il Reitzio, il quale dal Montfaueon ebbe appresa l’esistenza del codice Coisliniano, non si fosse poi adoperato con Gherardo Meermann, affinchè questi traesse copia, per arricchirne il suo tesoro, di quella parte del se- condo e del sesto libro dei Basilici tuttora inedita; non senza significare puranche il suo caldissimo desiderio che un qual- che dotto viaggiatore tedesco recasse da Francia in Lama: gna copia di quanto mancava (14). Ai quali voti dell’ Hu- go, corse voce che un qualcheduno corrispondesse; ed estratto dalla parigina biblioteca il tanto desiderato apografo se lo recasse in Germania. Ma chiunque egli si fosse o si vantò del non fatto e nulla certamente pubblicò : ed il Pilat, su cui negli ultimi tempi a’ erano rivolte le speranze dei dotti per quella sua copia che seco si avea portata da Pa- rigi, o non potè o non volle compiere all’impresa, ma in- vece se ne scaricò, accomodandogli tutti i suoi fogli, sul- l Hudtwalcher, il quale, coll’ illustre compagno che fama suonò si aggregasse , trovò comodo e dolce far niente e niente pubblicare. Molte grazie pertanto dai cultori della greco-romana giurisprudenza oggi si debbono al Witte, il quale soddisfacendo, in parte almeno, a sì vivissime brame, e dal già fatto dandoci di sè buon augurio perciò che gli resta da fare , (15) intiero una volta e corretto del II libro delle Basiliche pubblicò colle stampe questo III titolo“ delle diverse regole del gius antico ,,. Dà egli il testo (e n’esibi- sce in piè del libro un fac-simile) tale quale lo trasse dal c. Coisliniano, non senz’accennare via via con di brevi e argutissime note ciò ch'era stato fatto dai precedenti edi- tori. Ne vuò, benigno lettore , che tu ignori, andare ogni pagina di quell’ elegante libretto divisa in due colonne, in una delle quali è ‘collocato il testo e nell'altra la versio- ne latina, alcune poche volte leggermente variata, del Reit- zio per quei capi del titolo già da lui precedentemente co- nosciuti e tradotti, del nostro Witte sì per quelli (e non sono meno di quarantasette) da lui testè intieramente re- cuperati, e per quelli (e non sono meno di quattordici) che dal codice Coisliniano , rigettata la parafrasi dei precedenti 25 editori, vengono presentati per la più vera e genuina lezio- ne dei Basilici, imitato sempre, per quanto gli fu possi- bile, lo stile dello stesso Reitzio. E poiché niuno ignora che il frutto principale dello studio dei Basilici tutto stà rel conoscere qual sia la vera e buona lezione delle Pandette, di cui per gran parte non sono che la greca parafrasi, quindi è che il Witte, dopo avere sagacemente avvertito di non affidarvisi alla cieca, tra perchè i greci traduttori non di rado raccorciarono o in parte ancora variarono il testo originale, e perchè non è da cre- dere che nei codici da loro avuti tra mano mai non incor- ressero nè corruzioni, nè errori; va di mano in mano di- ligentemente notando quale delle varianti lezioni delle Pan- lette sia comprovata e quale rigettata dal testo dei Basilici. Ed anche noi perchè a quei cultori della scienza, ai quali peranche non pervenne il libro del Witte, alcun frutto de- rivi da questa nostra rivista , stimiamo prezzo dell’ opera di qui riportare almeno quei sin qui non conosciuti e dal codice coisliniano oggi recuperati Inoghi del testo dei Ba- silici, pei quali si comprova , si rigetta o in tutto ancora si varia, questa o quella delle diverse lezioni delle Pandette, E primieramente alla regola III il prefato codice, ri- gettando il ‘“ non nolle ,, del testo fiorentino ha colla Vol- gata e coll’ Haloandro “zolle, (Td pu StAew) ; ed alla re- gola XIII la voce ererjosws che vi stà scritta mostra che a torto alcuni, secondo la glossa, non vi vorrebbero leg- gere “ a petitione,;. Ed il silenzio del nostro codice lumi- nosameute dimostra ciò che prima avvertirono Antonio Ago- stino (16) e il chiarissimo sig. Savigny nella sua storia del diritto romano nel medio evo (17) che, cioè , sotto alla regola XVIII erroneamente nei codici della Volgata si trovi apposta la /eg. 78 in pr. ff. de Verb. ObI. Anche alla regola XXI il codice coisliniano sembra meglio adattarsi con la Volgata e l’ Haloandro in leggere “ cui quod plur est licet , (Oer Td mAéov èEcor4) che con la fiorentina “ cui plus li- cet. E molte lodi si debbono alla diligenza del Witte, il quale, nonostante che ne mancasse il suo codice, recuperò il testo greco della R. XXXV (rà xerà vopovs yépueva , 26 ; tyybpuws dvarpéreoToy det) (18) da un luogo dell’ Harmeno- pulo, che con leggerezza veramente mirabile il Gottofre- do e il Reitzio avevano scambiato per la parafrasi della re- gola XXXVII. La qual regola XXXVII che male a proposito venga volgarmente letta qui condemnare non potest, ed ab- bia a tenersi invece “‘ qui condemnare potest ,, (6 dvape- vosxatadnitsy) ne fà certa riprova il nostro codice; che poi nella R. LII legge actionem (4ywyMv) e non actiones. Anche alla R. LXXVII il codice coisliniano, in opposizio- ne del testo fiorentino, ha conla volgata e l’Haloandro ‘‘ nor recipiunt ,, (u} eTideyiueva) ed “ emancipatio ,, (@ùrstov - cidrytos) invece di ‘‘ mancipatio ,,. Ed è invero cosa di molto singolare che alla R. CXXI il ricuperato testo dei Basili- ci offra una nuova, e affatto diversa lezione da quante mai furono sin quì conosciute, avvegnachè dopo la parola “ videtur ,; legga “ contra legem facere ,, ( rapà Tèv véjov rosiv). E finalmente alla R. CKXVI $. 1 accordasi con la fiorentina contro la Volgata e l’Haloandro in leggere “ 77 bertum,, (&rsAsiSYspoy) e non “ liberum,, , E poichè ci cadde in acconcio di prendere ad esame una delle scuoperte toccanti il romano diritto e uno dei be’lavori della scuola storica di giurisprudenza ; noi cre- diamo di far cosa nè inutile nè discara ai nostri lettori , proponendo loro un breve cenno sì delle altre scuoperte dello stesso genere che dei lavori consimili onde , in que- sti ultimi dieci anni, tanto venne ad accrescere ed arric- chirsi l’aurea scienza del diritto romano. E sono: I. Gaii institutionum commentarii IV. Queste istituzioni furono ritrovate dal Niebuhr sotto un palimsesto della biblioteca capitolare del Duomo di Ve- rona nell’anno 1816. La R. Accademia delle scienze di Ber- lino inviò allora appositamente a Verona i sigg. professori Bekker e Goescher, affinchè le trascrivessero dal ms. Com- piuto il lavoro , queste instituzioni furono stampate a Ber- lino per cura del suddetto prof. Gòschen e coi commenti quasi direi di tutta la Germania dotta apud Reimer. 1820 in 8.9 E poco tempo dopo il professore Blume in passan= MILITO EE RENE VI = - gna a gen St pf paga à ni do per Verona , dalla nuova inspezione del codice avendo potuto rettificarne la lezione in di molti luoghi , e legger- ne alcuni passi prima non decifrati, per cura parimenti del prof. Goschen ne fu fatta una seconda edizione Bero- lini apud Reimer 1824. Intanto a Parigi dai redattori della . Thémis signori Jourdan, Blondeau e Du Caurroy n'era stata procùrata un altra edizione in corpo al volume che #’inti- tola : Ecloga juris civilis ete. Parisiis 1820 in 8.° E di lì a non molto in Napoli e negli ultimi giorni in Roma ne vennero fatte le due prime italiane edizioni. Molti com- mentarii sì nella Germania, come digià accennammo, che nei Paesi Bassi e dovunque si pregia la scienza del di- ritto romano (non che moltissime monografie sopra dei luo- ghi parziali) comparvero a luce sulle instituzioni di Gajo che pubblicamente oggi s’ insegnano nelle scuole. E tante e tali sono le nuove illustrazioni per esse apportate alla scienza del Romano diritto, che tutti i giureconsulti tede- schi nella ristampa delle lor’ opere doverono cambiarne o . correggerne infiniti luoghi, avendo per esperienza propria dovuto conoscere quanto le conghietture sull’autichità ya- dano bene spesso errate dal vero. II. Codex Theodosianus. Ognuno sa che di questo codice, conosciuto prima in epitome per la legge romana visigotica, dalla scuola fran- cese del secolo XVI n’erano stati poi rinvenuti quasi dieci intieri dei sedici libri che originariamente lo componeva- no. Ed ora appunto i primi V libri e parte del Vl che mancavano , non che cospicua porzione del XVI ed ulti- mo, che pur questo si desiderava, furono rinvenuti a To- rino a Milano a Parigi a Roma per opera dei signori Pey- ron , Clossius, Hànel, Mai e Niebuhr. Le scoperte del Pey- ron furono pubblicate a Torino per gli atti della R. Ac- cademia delle scienze (T. XXVII 1824). Quelle del Clos- sius a Tubinga : apud Osiandrum 1824. Le altre dell’Hà- nel per picciola parte o da lui medesimo o dall’Haubold pubblicate , rimangono per la maggior parte tuttora ine- dite. E finalmente le scuoperte del Niebuhr e del Mai ven- 28 nero tutte portate in luce da quest’ultimo in quel suo bel libro che s’intitola:*Juris Civilis antejustinianei reliquiae ,, Romae apud Burlieum 1823. Di tutti i quali muovi e ric- chissimi acquisti sparsamente pubblicati del codice Teo- dosiano ne comparvero nella Germania due collettive e cri- tiche edizioni, che l’una per cura del dottore (oggi profes- sore) Puggè intitolata: codicis Theodosiani genuini fragmen= ta etc. Bonnae apud Marcum 1825; e l’altra assai migliore per opera del prof. Wenck di Lipsia intitolata : Theodo- siani codicis V libri priores etc. Apud Barth. Lipsiae 1825. Ma queste due per quanto illustri edizioni a senso dello Schroòter professore dell’università di Jena (19) non estin- guono affatto il desiderio di una terza più giudiziosa e più critica. Molti commenti e molte monografie , già se lo im- magina ognuno , trassero dietro in Germania a sì impor- tante scuoperta, e delle quali per non oltrepassare i pro- posti limiti, stimiamo meglio tacere (20). III. Vaticana Juris romani frasmenta. Questi preziosi, oscuri e difficilissimi frammenti di ro- mano diritto scuoperti in Roma dal sempre avveuturato ed infaticabile monsig. Angiolo Mai, vennero quasi al mede- simo tempo pubblicati a Roma a Berlino e a Parigi: a Ro- ma nel poco sopra citato libro ‘ Juris civilis antejustinia- neietc.,, a Berlino sotto il titolo “ Juris romani antejustinia- nei fragmenta vaticana ,, e a Parigi sotto l’altro consimile quì riportato a rubrica. Sono essi frammenti un ragguardevole avanzo di una gran collezione , nella quale dietro le dot- trine degli antichi romani giureconsulti, secondo che cia- scuno nel trattare di questa o di quella matevia erasi più particolarmente distinto, si andavano a mano a mano espo- nendo i principii del diritto. Quest’ opera compilata sicu- ramente nel tempo intermedio frà i codici Ermogeniano e Gregoriano , e il codice Teodosiano , perchè di quelli ma non di questo vi si trova fatta menzione, per la più pro- babile conghiettura dello Schroter sarebbe “ un lavoro ese- guito in Italia o almeno in occidente a compimento della legge citatoria di Valentiniano III ,, (21). È da notarvisi in ' 29 ispecial modo una dissertazione sulla legge Cincia di cui sinora non avevansi che scarse e imperfette nozioni. An- che questa scuoperta fornì nuova occasione ai moderni giu- reconsulti di rettificare i loro pensieri e le opere loro, e nuovi opuscoli vennero ad arricchire il di già troppo pe- sante ed immenso tesoro della erudizione. IV. Julii Pauli Receptarum sententiarum. Di queste sentenze 1’ Hinel ha ritrovato in Parigi un nuovo frammento per ‘cai dimostrasi che quelle prima non erano, nè probabilmente ancora lo sono, giunte a noi tutte intere (22). V. Lex romana Burgundionum. Monsignor Mai a Roma e l’Hinel a Parigi hanno scuo- perto dei nuovi. manoscritti ‘di questa legge che sommini- strano dei nuovi aumenti e molte nuove lezioni delle me- desime (23). VI. Mosaicarum et romanarum lesum collatio. Il Blume a Vercelli il Lancizolle a Vienna, entram- bi nell’ autunno del 1822 scuoprirono due manoscritti di questa collazione per cui si spera di aver Folatimente una corretta e completa ristampa di questa collazione (24). VII. Quatuor, folia antiquissimi alicujus Digestorum codicis. Questi quattro fogli di un codice dei digesti, scuoperti a Napoli prima dal Perz, furono dipoi meglio e più atten- tamente esaminati dal prof. Gaupp di Breslavia che n’estras- se ancora ‘un apografo. ‘Formavano. parte di un codice scritto avanti l’età dei commentatori e sono quindi più ‘antichi del fiorentino MS. delle Pandette , ‘con cui maravigliosa- mente coincidono: sicchè, per questa scuoperta viene a ren- dersi indisputabile l’ eccellenza del nostro testo. Il Gaupp li pubblicò a Breslavia nell’ anno ‘1823 sotto il titolo an- nunciato in Rubrica. 30 VIII. D. Justiniani Codex. Un manoscritto Veronese contenente dei frammenti del codice giustinianeo ce ne dà quattro nuove costituzioni scuo- perte dal Bekker e dal Blume. E un altro ms. che si con- serva nell’archivio del Duomo di Perugia presentò al Nie- buhr l’epitome d’ esso codice dal primo sino all’ ottavo libro , tit. LIV scritta a caratteri minuscoli longobardici. Per lo che si mostra come l’uso e l’autorità del codice giustinianeo durassero in Italia anche sotto il regno dei Lon- gobardi (24). IX. D. Iustiniani Imp. Novellae. Che il testo latino del liber Authenticorum si com- ponesse una volta di un numero di costituzioni maggiore delle 97 riportate attualmente nel corpo civile, già si sapeva. Ed oggi il Savigny a Monaco; il Biener e il Lancizolle a Vienna guidati dal Copitar, e finalmente l’ Hinel nelle Spagne , hanno ritrovato alcune nuove latine costituzioni e delle quali si spera la pubblicazione nella divisata nuova. edizione Tubingense del corpo civile (24). X. Juliani Epitome Novellarum. Questa Epitome che nel ms. del Pithou andava unita alla “ mosaicarum et romanarum legum collatio,, vi si è, con maravigliosa coincidenza, trovata parimenti unita nei due ms. d’essa collezione superiormente citati (v. n. vi) (27). XI. Basilicorum Libri. Non solo il Witte, come diffusamente discorremmo , ma l’ Hinel ancora e maggiormente si è reso benemerito della scienza del diritto greco-romano per aver ritrovato tutto intiero nelle Spagne l’ottavo libro dei basilici che prima correva incompleto per le mani degli uomini. Anche il Mai nell’appendice della sua edizione di ‘‘ Porphirius ad Marcel- lam, Mediolani 1826, aveva trovato un avanzo di Diritto che immaginò essere uno scolio ai basilici; ma l’Haubold dimostrò l’ insussistenza di quella opinione, giudicandolo 31 invece una dissertazioncella del tutto independente dai me- desimi (28). Sono queste le nuove fonti di romana giurisprudenza scuoperte ai dì nostri. E a chi volesse rintracciarne ancora di nuove non sarà forse discaro a sapere o quì trovar ram- mentato: I. Che nel catalogo della biblioteca Oxfordiana visi tro- vano rammentati gl’interi Gaii libri XXX ad edictum (29). II. Che nel Nouveau Traité diplomatique +. III, pag. 52, 53 parlasi di un palimsesto , che, sotto le vite dei SS. Girolamo e Gennadio conterrebbe dei frammenti del codice Teodosiano. I monaci benedettini chiamano quel palimse- sto Ze ms. de l’ Abbaye S. Germain des Prés autrefois de Corbie. Forse oggi stà nella R. Biblioteca di Parigi. IIl. Che Jwan Wasilijewitsch il grande a tempo del suo matrimonio con Sofia figlia di Tommaso Paleologo fra- tello dell’ultimo Imperatore d’Oriente, si portò seco da Co- stantinopoli in Russia 1.° un codice Teodosiano 2.° un co- dice giustinianeo 3.® un codice delle novelle ossia il ‘‘ liber Authenticorum ,, 4.° la traduzione delle Pandette di Stefano 5.° un corpo dei scritti di Paolo, Papiniano e degli altri celebri romani giureconsulti 6.° I basilici assieme con le novelle costituzioni 7.0 più interpetrazioni delle novelle, cioè di Anastasio e varii altri Bizantini giureconsulti (30). _IV. Da più parti si va ripetendo la notizia che tro- vansi nella Grecia degli esemplari (7@0v Pacini) dei ba- silici. E siccome il codice turco Multeka non ne è in gran parte che la traduzione, non bisognerebbe nemmeno obliare ch’indi potrebbe trarsi assai giovamento per la correzione dei libri basilici. Avv. P. Caper. (*) Basilicorum titulus: De diversis regulis Juris antiqui nunc demum in- teger a coilice Coisliniano edente Carolo Witte prof. Wratisl. Wratislavie 1826. Sumptibus editoris. (In 4: gr. pag. XXVI, 46. Errata corr. ed un fac simile.) (1) Dante Pared. c. II. (2) Per dimostrare apertamente che i promotori della scuola storica vanno più di tatv altri persuasi che le buone leggi non si possono altrimenti fondare che sulla verità e sulla ragione , e che essi non usano della storia che come pietra di paragone, e per vedere come dicemmo in principio l'identità del vero in idea 32 col vero in azione y ci crediamo in obbligo di qui riportare quinto dice in propo-. sito Gustavo Hugo principe della anzidetta scuola ai $$ 120 della sua introduzione alla storia del diritto romano. Ediz. francese. Paris 1822 Chez Corby pag. 1, 26 SI. Histoire du Droit. L’ Histoire forme la moitié de la partie scientifique du droit, \c’-est-à dire de celle qui n’est pas purement manuelle ou routinière. Mais cette histoire ne cen- siste pas uniquement à retvacer les vicissitudes de la science et les mavières diver- ses dont on l’a cultivée; car l’idée de quelque chose de positif', c'-est-a-dire , de quelque chose qui n’a pris le caractère de vérité que par le fait des actions des hom- mes, conduit nécessairement à l’envisager dans un sens plus étendu, puisqu'on dé- sire encore de savoir quelle est l’ origine des vérités du droit. $ XX. Rapport avec la philosophie du droit positif. Enfin la philosophie du droit positif forme une branche distincte de la guri- sprudence considérée comme science. Elle puise en grande partie ses exemples dans l’histoire du droit, de mème que celle-ci lui emprunte les jugemens qu'elle porte suv les faits qu'elle retrace, tant ceux qui ont rapport aux sources, que ceux qui cov- cernent chaque doctrine en particulier. On ne saurait déterminer d'une manière gé- nérale, la quelle de ces deux parties ; celle qui est philosophique , ou celle qui est historique, doit précéder l’autre dans l’ensesgnement ou l’étude: ce qu'il y a de certain , c'est que celle qui passe apvés l’autre a un grand avantage sur cette der- nière ; par cela précisément qu' elle vient apiò: elle. (3) Nos vero romanarum legum majestatem sic. comiter conservare ut ta- men illis.-nibil in nos licere patiamur nisi quod earum rationi et aequitati non auctoritate et sanctioni concedimus. P. Pithoei Ep. ded. c. Thuano Rom. et Mosaic. leg. collat. (4) Il dotto Haubold ascriveva in fattî a gloria del nostro secolo, la scuoperta delle instituzioni di Gajo , di cui ragioneremo in appresso. (5) In mantissa ad versionem germanicam diatribes Hoepfnerianae : Prae- termissa Basilictn libris. Civ. Mag. Îl, 416. i i(6) Notitia codicis a Junkero inspecti in Zugonis civil Mag. II, 248 ef. IL, 422,1, ed. 3. (7) Pobl ad Suaresii notitiam Basilicorum. Nota * (8) Leipziger-literatur. Zeitung. Am. 8 des August n.° 197. Iotelligenz, Blatt. Correspondenz-Nachrichten aus Oestreich, (0) Tepì tiv diePopiv nevovwv tiv dinaiov &pyelov. De diversis regulis Juris antiqui. (10) V.iu praefat. ad Instit. Theophili et ed. D. Gothofredì (1587) Ge- nevae 1620 in 4.° Zers, Graeca titulorum. (11) Cf, Guill. Ott, Reitzii Proem. in ed. Theophili (pag. 958-963) $. V- (12) V. Instit. Theoph. primam edit. Fabrotianam in praef. Vers. De- nique graeca. (13) V. in praef, ad Fabroti edit. Basilicorum. Paris 16/7 Vol. gin fol. et in cod. lib. I, 48 (Ad IL, 2 cap. 56.) Zers. Deest etc, (14) L. s. e. — Dass aber Reitz, der den Montfaucon gelesen hatt», nicht auch bewirkte dass Meermann um eine abschrift def noch unedirten _des zweiten und sechsten Buches sich bemiiht hatte ist doch in der thet unbegreiflich. Weit weniger darf man sich wohl dariber wundern dass acltzig 33 jahre lang sonst kein Jurist von dieser angabe Montfaucons notiz genommen hat. Méchte doch irgend ein gelehrter reisender nun noch eine abschrift des- sen was uns fehlt aus, Frankreich uns bringen! (15) Promette il Witte di pubblicare tutto intiero anche il germano. tito- lo “< del significato delle parole.,, (16) Emendat. et Op. 3, 1, (17) T. HI pag. 419. (18% Della felicità, del Witte, nel conghietfurare la restituzione di que- sta regola nun che di varii altri capi di questo titolo (LXV, CXI 6 1 CXXI, CLII 6. 2) ne fui testimone io medesimo nel riscontro che il ch.° profes- sore ne fece in quel bel codice dei basilici che si conserva nella nostra bi- Blioteca mediceo-laurenziana, (19) Hermes Sil. XXV, 2 Heft. Leipzig 1826 pag. 290 e seguenti. (20) A chi amasse un più disteso ragguaglio di tutti ì lavori de” GC. Tede- schi su queste nuove fonti di D. R. basti l’avere quì accennato l’ Mermes l. c. (21) Wir halten das werk fiîv eine in Italien (oder tiberbanpt in ecci- dent) gefertigte bearbeitung, ausfàbrung von Valentinian’s citirgesetz mit einschaltung der vondem verfasserr i wichtig gehaltenem constitutionem Hermes 1. c. pag. 369 70. (22) V. Haubolls programm. uber Hànels entdeckungen pag. 23. (23) Hanbolds op. cit. pag. 25. (24) Blumés Iter Italicum I, 9$. Biener's Geschichte der novellen Justin Pag 71; 72. Zeitschift fur gesehiebtliche Rechtswissenschaft Bd. V pag. 339-40. (25) Zeitschrift etc. Bd. II n° XIIL (26) V. Zeitschrift Bd. II n, 3. Bieners Geschichte der Nega um dritten Anhange, (27) Bieners Geschichte etc. pag. 229, 237, 605, 606. Zeitschrift etc. Bd. V n. X. (28) Prodromus corp. Jur. Civ. pag. 32 n. 19. Bieners Geschichte etc. pag. 59, n. 34 Heimbachs de basilicorum origine. Lipsiae 1825, in 8.° (29) Sammet's, Hermencuuk des Recbts. Leipzig 1801 pag. 19. Questa notizia per altro sembra meritare poca o niuna f-de. (30) Nella Thémis T. VII pag. 92-92, ha una lettera del Clossius in cui per ritrovare queste fonti egli prometteva di avere intrapreso un Iter Russicum nella state dell’anno 1826. È però molto da temere che l’egregio profens. di Dorpat non compisse altrimeati il divisato viaggio per tutte godere in riposo le dolcezze del suo recente imenéo. Viaggio del maggiore Gorvon Larne nell’ Africa interna. Quantunque dal nefario stato. di guerra non altro sembri che possa emergere se non male, pure essa è sovente mezzo a produrre il bene. Nè ciò desti maraviglia; imperocchè vo- glionsi i debiti compensi onde la natura regga in equilibrio,, TL XXV. Marzo, i ò, 34 e non precipiti nel caos , quando scattano le sue formidabili forze non più a dovere imbrigliate. Così, non ha guari, av- venia che ferine ostilità fra selvagge tribù africane, dando agli Europei congiuntura di intervenire a pacificarle, furono opportunità occasionale ad esplorar nuove terre, ad arric- chir la geografia , a spandere il commercio , e infine ad inocular l’erudimento in orde agresti. L’Inghilterra, la quale scolpa la sua sterminata avi- dità coordinando la sua floridezza alla santa opera di uma- nizzare i selvaggi col rommerciarvi, ha , fra le altre colo- nie sulle coste occidentali d’ Africa , anche quella di Sierra Leone. Poco era però giovevole; e cadeva in maggior lan- guore dopochè per 1’ abolito negozio de’ Negri , non più quasi vi trafficavano gli indiseni delle provincie interne. Indi non aveansi delle finitime regioni se non vaghe e con- fuse notizie. Avvenne intanto che alla fine del 1821 udissi romoreggiar la guerra nel dintorno. Era Amara re di Man- dia? il quale debellando Sannassy regolo mandinghese che aspirava all’indipendenza, l’avea sigla in mal punto incalzandolo fin sul territorio Sierra-Leonese. Urgeva adun- que a’coloni che si spegnesse una guerra , la Quale nel men- tre era dannosa alla colonia, poteva anche tentare i bar- bari a scorrervi e devastarla. Era inoltre interesse coloniale che non soccombesse Sannassy , e perchè Punico fra’regoli circostanti a commerciar con gli Inglesi, e perchè non fosse con lui distrutta un’ adeguata contraforza alla già peri- gliosa potenza di Anìara. Che perciò il governadore Maccar- thy commetteva al maggiore Gordon Laing di andare a trat- taraccordi fra que’ nemici; il quale incarico venne laudevol- mente compiuto dall’abile mediatore. Fu in siffatta circo- stanza ‘che questo ufficiale, divisando di avvalersi della fi- ducia e benevolenza ispirata ne’riconciliati Africani, ideò di esplorar contrade interne, da veruno europeo non peranco viste. Oltraciò nel parlamentar la pace era andato molto a genio di Iarredi, fratello del re di Sulimania accorso con un esercito in favore del monarca mandinghese; amicizia che venia molto all’ uopo per inoltrarsi fino a Falaba capi- tale di quel reame, Comunicati insomma i suoi divisamenti ei 35 al governadore , e ricevute le debite istruzioni di sapere , con le mostre di manifatture e minuterie da donarsi a’capi, adescar gli abitanti dell’ interno a commerciar con la colo- nia , mettevasi Laing in camino, È il sunto del suo viaggio che sarà subjetto del presente articolo. Innanzi però di imprenderne la narrazione gioverà pre- mettere pochi cenni corografici sulla parte d’Affrica per- corsa ‘dal nostro esploratore , e da lui conquistata al do- minio della geografia. I sobrii condimenti scientifici fanno sempre alquanto più salutare il pabolo che lo spirito trae dagli studii leggieri. Sierra Leone, graduata presso alla coincidenza dell’8.° parallelo nordico col 13.° meridiano occidentale , è sul lido atlantico quasi nel punto medio fra le foci del Kabba e del Kamaranka. I quali fiumi scorrendo pressochè sempre equi- distanti fin dal 10 longitudinare, tracciano un vasto rom- boide largo oltre a 60 miglia, e lungo 200. Fra essi ser- peggia la Rokella, fiume che insieme con i due mentovati, ha la sua scaturigine nel pendio a tramonto delle monta- gne, d’ onde scaturisce o.almen pretendesi che scaturisca il Niger. Chi dunque fronteggiando al N. E. risalisse la Rokella, avrebbe a manca i reami del Bulima , della Ti- mannia e del Limba al di quà delle sponde del Kabba ; al di là di questo la Mandinghia ; ed oltre alla Mandinghia il Kambia. La sua dritta poi accennerebbe al Kuranko: im- perio di cui tuttora si ignorano i limiti a mezzogiorno; e così sempre procedendo innanzi incontrerebbe la Sulimania , la più interna delle regioni finoggi esplorate da quel lato. Le quali provincie incerte o ignote fino a pochi anni indietro , vennero con scientifica precisione graduate dal maggiore Laing ; talchè i geografi non più lasciano ora in bianco la suddetta parte delia carta d’Africa. Partiva adunque il nostro esploratore a’ dì 15 aprile 1822; e prendendo a direzione del suo camino il corso della Rokella , risalia verso le sne sorgenti onde essere sopra una via da cui potesse, a norma della volontà o del bisogno , digredire sia a destra e sia a manca per meglio conoscere dle contrade adiacenti. Seco aveva, oltre a’bagaglieri per le pio= 36 visioni di sale tabacco armi polvere piria e minuterie necess sarie a facilitarsi il viaggio co’doni, anche una guardia di liberi negri domiciliati in Sierra Leone, ed un interpetre. Dopo aver navigato fluvialmente fino a Porto-Longo, entra va;esso nel territorio della Timannia. La Timannia comprende quattro provincie, designate da Laing co’nomi di Famarè, Bakobalo, Loko, e Basimera: ossia co” nomi de’ quattro regoli che le signoreggiavano nel- l’ epoca del suo viaggio. I Timannesi hanno anche essi un sovrano ; però questo monarca, a somiglianza de’ re di tutte, le nazioni novizie in società, ha più la forma che la so» stanza della regia autorità. Il potere di fatto è quasi intero in mano degli ottimati ; di quell’ordine cioè che è il pri mitivo grado gerarchico a sorgere non appena avviene una sociale aggregazione d’uomini qualunque. E questo vacuo simulacro di sovranità è tanto più appariscente sì nella Ti- mannia che negli altri reami d’Affrica, in quanto che quei, regoli son pressochè sempre in guerra sia fra loro sia con- tro al proprio imperante. La già memorata discordia fra San-. nassy ed Amara ne è un esempio. Delle indicate provincie quella di Basimera parve la, più ampia ferace e popolosa. Rokou è la metropoli. Gli abi tanti mandano molto riso a Sierra-Leone ; fanno anche con- siderevole traffico di grosso legname necessario a’ bisogni nautici della colonia. Il tagliano nelle foreste contigue alle. sponde della Rokella, e quindi lo lanciano a galla in esso, fiume che il trasporta alla foce, d’ onde vien poi rimur- chiato verso i cantieri inglesi, e venduto a’ colonii. Su’ fa- sci de’ tronchi galleggianti vi si suole imbarcare un solo Negro per dirigerli; sovente il fa anche una Negra; e ge- neralmente parlando , sono abilissimi que’ selvaggi a timo- neggiar le piroghe sia navigando in mare, sia che scenda- no o risalgano i fiumi. Il vestimento generale de'Timanesi non consiste. in al- tro abito che in due lenze di ruvida tela pendenti da una corda cinta a’fianchi. Pochi hanno l’usanza di indossare una camicia ; più pochi quelli che abbiano calzoni. Le donne istesse, tuttochè non lascino di adornarsi testa collo e. polsi 3 ebn verzì di margheritine o di altri brani di vetro col ato , non curano un vestire che sia più decente di que’due semplici grembialetti. Ove in. alcune veggansi più larghi e lunghi che in altre , ciò non è già segno di maggior agio o lusso nelle prime ‘che nelle seconde ; ma bensì un distin- tivo dello stato. Quelle son maritate, e questi nubili. L’ar- te della tessitura vi è appena incipiente. Assai più progre- dita è nel Kuranko e nel Sangara; e da questi paesi traesi la quantità delle tele necessarie a’ pochi bisogni De: par- chissimo ‘abbigliamento timannese. Qui insomma all’ aspetto della nudità selvaggia direb- besi che vi sono uomini, ma non già popoli; e che gli uomini son tuttavia nello stato eslege e grezzo della natu- ra. Però l’osservatore il quale sappia vedere alquanto ad- dentro vi scorge i già introdotti elementi degli istituti so- ciali. Il nostro viaggiatore andò notandone i più visibili; è questi trovansi pur là uniformi a’ primordiali ed imman- cabili in ogni grado iniziale d’ ordine civile. In primo luogo memora egli loro del palabra (1); ossia il messaggiero, l’araldo ; il feciale; comunque infi- ne vògliasi denominar quel personaggio , che le genti in- colte sempre deputano allo straniero allorchè il veggono comparir nelle loro terre. Ad ogni ingresso adunque di città villaggio o borghetto presentavasi quest’ araldo , avendo in tnano un ramo, eterno simbolo:dell’ufficio d’interpetre presso le nazioni tutte. Dopo un certo palleggiare di quel virgal- to, e la consueta interrogazione del motivo per cui venisse l’uom bianco, seguia la domanda de’donativi. La conferenza avea termine non appena eran presentati i doni ; i quali non sempre sufficienti a far paga l'avidità timannese , ve- nian però subito tolti è portati via. Il formolario dell’ ar- ringa , oltre all’ essere nel linguaggio connaturale a tutti i popoli rozzi , in istile cioè poetico , era anche pronun- ziato con accento enfatico simile al canto , ed invigorito con gesti non che atteggiamenti oltremodo vivaci. (1) Vocabolo portoghese , che quegli Affricani ì mprontaron forse da’ Portoghe- sì ,i primì fra gli Europei a navigar lungo le coste occideritali d’Affrica, e ad aver commercio con que’ popoli. 38 Rari sono i Timanesi che professano 1’ islamismo ; il culto nazionale, ossia del maggior numero , è tuttora quello dell’antica religione africana; de’ Fezis, cioè, e sopta tutto del Grigris. Il Grigris è il Genio Malo; ed è oltremodo pa- ventato dalle menti di que’ popoli. Ecco adige pur nella Timannia il dualismo; immancabile dogma ne’ culti di tutti i tempi e di tutti i luoghi ;*poichè in ogni luogo e tempo, per istinto della sua natura, l’uomo paventa il male assai più di quello che ei speri o brami il bene ; e così sente perchè il terrore della distruzione è assai più forte ed at- tuoso dell'amore della conservazione. Il sacerdote di questo arizzarismo africano è detto l’uo- mo del Grigris, e porta per seguo distintivo del suo carat- tere jerofantico un’orrida mitra di cranii umani frammisti con piume nere in testa. Esso non mai manca di interve- nire ogni qual volta muoja qualcuno , onde rammentare alla famiglia i suffragii necessarii a placar lo spirito del defonto, non che la formidabile Divinità , che ne volle la morte. Nel giorno de’ funerali infatti, dopochè si è tumu- lato il cadavere , si lasciano nel vestibolo del sepolereto canestri pieni di frutta vivande ed altri generi di doni; quindi ognuno si ritira in disparte , e rimane in guardia delle oblazioni , finchè queste non vengano portate via da alcuni spettri orrendi che a notte buia escono da’ cimiteri. Chi siavi sotto larve cotanto spaventose indovinerallo il lettore. Allora tornano a casa i parenti, paghi e sicurati d’aver calmata l’ira del MMa/-Genio. A’ soli uomini del Grigris è dato l'ingresso ne’ sepol- creti che son murati. Sol vi è che nelle mura si lasciano ad altezza d’uomo alcuni forami alla guisa di feritoie , onde possa ognuno, senza che violi l’inaccessibilità del penetra- le, andar da fuori ad orare e suffragar gli spiriti de’ morti. Il popolo ha anche il costume di lasciarvi cibi e vasi pieni di vino di palma; essendochè quelle genti credono neces- sario il vitto ed il poto alla vita dell’: anime, È dessa una psicologica opinione comune a tutti i selvaggi; ed in Ti- mannia fu accreditata forse da’jerofanti , acciò abbiano più largha provisione alla loro mensa. Quanto all’abito de’suf- 39 fragi, non sia meraviglia il trovarlo pur fra’Timanesi, men- tre è nniversale nell’uman genere, perchè istintivo nell’uomo. Siccome non vi è, nè può esservi, popolo senza reli- gione , e religione senza sacrificio , così dobbiamo atten- derci di trovar fra’Timannesi ancora il rito di immolar vit- time agli Esseri Superiori , a fine di disarmarne lo sdegno ,, o meritarne l’amore. Ed invero v'è un rito siffatto; e prescel- gonsi a tale uopo polli montoni e capre bianche ; colore che vien riputato di buono augurio, non che prediletto a’Numi. La quale idea di predilezione divina circa le ostie pare an- che essa generale fralle genti. Non da altro sentimento sem- bra infatti sorta la divisione che molte nazioni fecero degli animali mondi dagli immondi, ossia degni oppure inde- gni del sacrificio. Abbiamo inoltre che i greci del tempo eroico solevano immolare le agnelle bianche alle deità ce- lesti, e le nere alle infernali, siccome trovasi memorato in Omero. Indi il filologo (2) contemplatore dell’uman ge- nere , scorge fra’ popoli sì diversi per sito età e progenie un fatto comune presuntivo di un comune modo di sentire; un fatto a documento del vero che i culti e le loro forme hanno il germe connaturalmente originario nel cuore uma- no; germe che ogni uomo porta seco e sviluppa ovunque ei nasca. Indi la fallacie de’ sistemi filologici nell’opinar che un popolo abbia imitato un'altro, non appena veggasi il menomo comune istituto di religione. Dio , che volle reli- gioso ogni uomo , diede ad ogni uomo subjettive. le idee religiose. Ma l'istituto più notevole, e diremo ancora più for- midabile , che a Laing riuscì di scorgere nella Timannia, è quello del Purrah. È un’ associazione arcana , misteriosa, ed oltremodo paventata da que’popoli. Il di lei potere è su- periore a quello e del re, e de’regoli, che sono assai più del re potenti. Tutto ciò che concerne questa tremenda conventicola rimane coperto da opaco mistero , il di cui velo nè niun cittadino , nè le stesse autorità non osano al- zare. Dicesi che i membri parlamentino i loro conciliaboli (2) Nel senso del Vico, il quale denomina filologia la scienza di investigare il certo nelle opere rrmane. 40 nel più folto delle foreste ; ed è fama che vi abbiano forti castella inaccessibili ad ognuno che non sia puraho. Guai a chi sia per curiosità , sia inavvedutamente , ardissé ap- prossimarvisi ; il misero o non più vede la luce del gior» no ; 0 se ricomparisce fra” suoi dopo molto tempo , è un segno certo che scampò la morte o la vendita come schia- vo , iniziandosi con. mille pruove esperimenti e guarenti- gie nella setta Pretendesi che coloro i quali affatto scom- pariscono , vengano venduti, e che nell’epoca della tratta de’ Negri , ampio numero di schiavi traesse questo nefan- dissimo negozio da’ purahi. Sovente nel mezzo de’ boschi odonsi fischi, man mano quindi ripetuti intorno intorno ; e son questi i segni per avvertirsi quando stanno in aguato, o per congregarsi. Non rare volte si congregano dandosi avviso con segnali sospesi agli alberi ; e allora tutto è ter- rore e costernazione nel paese , poichè siffatti indizii son sempre forieri di notturni assalti a’ villaggi. Niuno ardisce far parola del sofferto danno nè all’ autorità civile, nè a chicchessia. Insomma il terrore che si ha di questo occul- to istituto è tale , che volendo il maggiore Laing averne tutte le notizie possibili , rifiutavansi tutti a parlarne, al- l’istesso modo che in Venezia si paventava di parlare del formidabile Tribunal de’ tre, Sol gli venivano con estrema precauzione additati alcuni, come quelli che avean fama di essere ne’ gradi supremi della società. E tale è infine il predominio dell’ ordine purahese , che nelle guerre sì frequenti fra tribù e tribù , ogni ostilità cessa subito ove intervenga un puraho ad intimarlo. Puossi dunque asserire che ogni potere privato e publico nella Timannia sia più in mano di que’ settari che ne’ maestrati. Però basti di un fatto africano che funesta rimembran- do i rei giorni della corte Weimica, o i più rei d’altro più atroce tribunale, Le arti primarie o non ancor nacquero, o son appena infanti fra’ Timannesi. Non vi si conosce in- fatti nè il fabro nè il calzolaio. Il solo istrumento da fa- legname che finora posseggano, è la scure. La marra istes- sa, unico utensile agrario che adoprino, non è di ferro, bensì di legno indurito al fuoco. E qui non sembri acre ii LrrtruPeiébeecre-eecta ei \ 4i la censura de’ coloni inglesi e delle autorità amministra- - tive di Sierra Leone. Assai più filantropico , ‘diremo anco- ra assai più proficho alla colonia, sarebbe il traffico con quelle tribù , ove invece di dare a’ selvaggi i mezzi di di- struzione , ossieno armi, polvere piria, e liquori inebrianti, loro si dassero vanghe , zappe , aratri ed altri arnesi pro- duttivi. Poco o nuilà scapiterebbe l’odierno cambio di ge- neri fra gli Africani e gli Europei; ma oltremodo si ingigan- tirebbe il commercio futuro , poichè ivi è maggiore la per- muta de’ prodotti ove è maggiore la produzione. I Timannesi parverto al nostro esploratore neghittosi , proclivi all’ ubbriachezza, avversi al lavoro , e non restii a procnrafsi con mezzi illeciti sia il nècessario sia ciò che loro aggradi. E pare che non migliore idea ne abbiano le finitime nazioni , essendochè nell’occidente d’Affrica il no- me di Timannese è proverbiale a disegnare ogni uomo de- pravatò. Questo popolo come quello che essendo più dap- presso alle toste atlantiche, vendea schiavi più d’ogni al- tro, dovea necessariamente depravarsi più degli altri Affri» cani. Nè malgrado l’ abolizione del traffico de’ Negri, an- dò ancora in desuetudine un sì immane costume. Alcune madri infatti volevano vendere a Laing i proprii figli pel tenuissimo prezzo di qualche ornamento muliebre. Vedendo rifiutata la proposta, impresero a'svillaneggiare l’uom bian- co, ed a sommuovere la popolazione del villaggio contro al viaggiatore. Bisognò dare qualche cosa onde sedare l’ac= cesa rivolta. Nel riferire un tal fatto prende Laing occa= sione di far atra dipintura delle donne timapnesi. Invere- conde incontinenti e crapulone , mostransi assai più cor- rotte perverse e depravate degli uomini. I casolaracci della Timannia son composti di fango fram- misto con paglia , e coperti con foglie di palme. Ove ad alcuna borgata vogliasi dare il nome di città, ciò deve in- tendersi nel senso di maggior numero d’abitazioni, non già per migliore architettura di edifizi strade o piazze. L’ unica stanza in che consistono le case , serve di albergo al pro- prietario , alla sua famiglia, a’suoi schiavi, ed agli ani- mali addomesticati. La Timannia insomma è fra quelle pro- 42 vincie la meno progredita, la più bambina nell’ iniziale erudimento dell’Affrica occidentale ; il quale arretramento - sorprende non poco se si consideri che essendo essa la più. vicina alla colonia inglese., avrebbe dovuto assai meglio, delle altre trar profitto dalla prossimità e dal contatto con gli Envropei. Dopo un mese di soggiorno e viaggio fra’ Timannesi passò il nostro esploratore nel Kuranko. La prima città che trovasi, andandovi da Sierra Leone, è Maboum. In essa scorgesi subito che si è fuori della Timannia. Assai più colto è il contado, meglio intesa l’agricoltura, e men roz- za la vita sociale. Le capanne cedono il luogo a case de- centemente costruite e mantenute ; ed un vestire più ca- sto, non che agiato , succede alla nudità selvaggia di cui femmo cenno. Il forestiere non vi è scoraggito nè da quella penuria d’arti primarie, che cotanto rattrista nel paese la- sciato dietro, nè dalla miseria della pastorizia. Vi si vegs gono i pascoli ricchi di greggia e armenti; vi si veggono le industrie più animate e meglio praticate. I Mabumesi son quasi tutti mussulmani ; ed in quel mentre che Laing vi faceva il suo ingresso, il Muezzin dal vestibolo della Moschea chiamava col grido di Alla-Akbar i divoti islamiti alla rituale preghiera della sera. Maboum dividesi in vecchia e nuova città. Son Ku- rankesi indigeni gli abitanti della prima. Nella seconda al- bergsano famiglie mandinghesi che fuggitive per le guerre civili della loro patria vennero a domiciliarsi in questo can- tone estremo del Kuranko. Il maggiore Laing coglie quì il destro di delineare il ritratto morale de’ popoli della Man- dinghia , da esso studiati, e quando andò a trattare accordi fra Sannassy ed Amara, ed in un viaggio particolarmente fatto a Furicaria capitale di questo reame. La nazione mandinghese è quella che ha maggior sot- tigliezza d’ingegno (la più spirituale direbbe un francese) fralle nazioni tutte dell’occidente d’ Affrica. È anche fra tutti gli altri Affricani la più inoltrata nell’incivilimento. I gradi gerarchici delia sua società sono il re; i sacerdoti; i regoli o generali ; i railimalahi ossieno i membri de’cor= 43 pi d’arte; fra’quali i più riputati sono i feiro (gli oratori) e i diielli o guiriot, cioè i poeti. Vien poi la classe degli uomini o contadini liberi; gli schiavi formano il grado in- fimo, Questi ultimi, a somiglianza de’ servi de’ romani, presso de' quali servì aut nascebantur aut fiebant, sono 0 nati, o divenuti tali ; e le vie più ovvie di divenirvi, os- sia di cadere in schiavitù, sono la spontanea vendita di sè stesso, 1’ insolubilità del debito, e la prigionia in guerra. Eran questi pure i mezzi co’quali in Roma per leggi e con- suetudini si alimentava il padronato.I viaggiatori rinven- gono e verificano presso le attuali genti incolte que’ veri sugli eterni ordini primitivi della società , che il Vico col suo solo ingegno divinava senza che escisse dal suo ga- binetto. Afferma Laing di non esservi popolo che più o al pari del mardinghese veneri l’ età senile. Ivi. non si dà esem- pio che un vecchio languisca nell’indigenza. Ivi l’età gra- ve è una specie di rispettatissimo sacerdozio. Il primo do- vere de’ figli è quello di vegliare a tutto ciò che può es- sere non sol necessario, ma bensì gradevole a’genitori ; ed ove un figlio abbia perduto il proprio padre, non manca esso di andar in cerca di un padre, cui la morte abbia ra- pito il figlio, onde consacrarsi a fargliene le veci, e con- solarlo assisterlo nutrirlo finchè viva. Il Mandinghese è fragli Affricani tutti il più bello della persona . Alla sua svelta forma, alla fisionomia che pre- viene in favore , all’ indole gentile ed ospitale , accoppia anche esso una certa educazione. Da fanciullo impara a leggere e scrivere iversetti più usuali del Korano. Gli Ule- mi sono i suoi maestri ; e l’ora della scuola è dopo la con- sueta preghiera al tramontar del sole. Hanno al pari de- gli altri Mussulmani le quattro orazioni giornaliere, ed os- servano il digiuno del Ramadan. Ogni loro assemblea per negozii pubblici o peculiari incomincia con l’ invocazione di Allah, e termina con un formolario di preghiera al buon esito del deliberato. Dopo l’ultima frase tutti dicono in coro Amena , ossia Amen. I prodotti, de’ quali è più ferace la Mandinghia, so- 44 no il riso, il miele, la cassava, gli ignanii e le banane. L’ali* mento ‘comune degli abitanti è di alcune focacce fatte con miele e riso; ed uopo è dire che a procurarsi il primo so> no non sol ricchi, ma benanche abili nell’ industria degli alveari. Non men industri in greggia ed armenti verificano que’ costumi patriarcali ehe troviamo memorati nelle tra- dizioni storie o poesie de’popoli primitivi ; i figli istessi dei regoli, cioè, sono i pastori che guidano al pascolo e guar- dano armenti e greggia. Da questa digressione fatta sulla Mandinghia passa Laing a descrivere la parte del Kuranko compresa fra la Rokella e il Kamaranca, che fu quella da lui viaggiata. Le città più ragguardevoli che vi si trovano sono Maboum, Kulufa , Si- mera, Natakuta, Kaniakuta, Vurroviah, Kania, Kamato, e Komia. Son esse tutte sulla via che conduce in Sulima- nia, ove fra non molto accompagneremo il nostro esploratore. Ei pare che i Kurankesi , a somiglianza di tutte le na- zioni novizie nell’ erudimento sociale, riuniscano gli estre- mi de’ vizii e delle virtù. Tale è almeno l’idea che desta nel lettore la narrazione del viaggio di Laing. Era questi il primo Europeo che penetrava in quelle incognite contra- de; era il primo Uom bianco che vedevano qaegli Affrica= ni. E intanto in molti cantoni, lungi esso d’aver bisogno di meritarsi benevolenza ed aprirsi strada co’doni, ospita- lissimamente riceveva larghi donativi di latte miele riso e capretti. Oltracciò premuravasi ogni regolo a ben accoglierlo con onorificenze di musica e di danze ;} nè mai mancava il guiriot (il poeta ) onde celebrar col canto l’arrivo del bianco. D'altra banda avvenne che fra questi istessi popoli corse il maggiore Laing un pericolo, non corso neppure fra gli inospitali e perfidi Timannesi ; e vi abbisognò il più for: tuito degli accidenti perchè ei ne campasse. I Negri , da lui noleggiati per bagaglieri, eran stati sedotti dal regolo e da’ principali abitanti di Kaniakuta. Dovevano condurlo per un indicato guado della foresta , ove troverebbesi in aguato gente onde aggredirlo , trucidarlo, ed involare il bagaglio, Ed ecco infatti che nel più folto di un bosco sì 45 soffermano que’ Negri sotto pretesto di stanchezza , ed in cominciano a zufolar fischi in segnale perchè si dasse ma- no al convenuto. Avventùratamente un Kurankese, già stato agli stipendi militari della colonia di Sierra Leone nel reg- gimento real affricano, memore forse de'benefizii avuti dai coloni, o per una reliquia di disciplina verso l’antico suo superiore , sventò la tramata congiura , e salvò il nostro esploratore. Da quel momento Laing il prese al suo ser- vigio e seco il condusse nel rimanente della sua esplora- zione. Nè mal si appose così facendo, poichè ne ebbe do- po pochi giorni un’ altra prova di affettuosa fedeltà, e gli dovè forse per la seconda volta la vita. Quest’altro aneddoto, nel mentre viene a documento, di quell’incomparabile misto di bene e di male che tro vasi fra que” popoli, servirà anche a dare un’idea de’ co- stumi nazionali. Giunto il viaggiatore in Kania fu quivi an- che accolto con i soliti onori di danze e di musica. Nel- Y intermezzo della festa videsi inoltrare un coro di don= ne con cembali e bdlafò , danzando e cantando, le quali nel cantare pareano meno festeggiare l’ospite, che esortare a qualche cosa importante i loro uomini. Nè vi facea at- tenzione o mettea sospetto Laing. Ma tutt’insieme Tombo (il soldato Kurankese testè memorato ) interruppe canto e ballo . Aveva egli udito che il frequente ritornello della canzone di quelle donne conteneva il seguente incentivo *l’ uom bianco è fra noi; esso venne portando ornamenti non mai visti nel Kuranko. Se i nostri mariti fossero pro- di, ed amassero di vedere ben ornate le loro mogli, pren- derebbero le ricchezze del bianco ec. ec. ,,. Le interrompea, dunque Tombo esclamando: ** Se le Kurankesi vogliono vezzi onde ornarsi, deggiono esortare i mariti a commerciare coi bianchi di Sierra Leone, e non già a derubare l’ uom bian- co che è quì. Non mai chi teme il serpente , e vuol ve- derli la testa, gli batte la coda ec. ec.,,. Forse i Kaniesi rimasero più persuasi dalle ragioni del soldato che da quelle delle donne; o forse men delle mogli eran depravati i ma- riti. Comunque fosse, il bagaglio non fu tocco. Riprendendo ora il filo dell’itinerario, vide Laing nel 46 territorio di Kaniakuta molte borgate deserte, e le abita- zioni già mezze disfatte per l'abbandono. Lo opinò un ef- fetto delle frequenti guerre civili. Però si ingannava ; udia dagli indigeni, che ne migrarono gli abitanti per cagione de’ leopardi, onde erano da qualche tempo oltremodo in- feste quelle contrade. Alla notizia gli si aggiugnea l’ av- vertimento a starne sempre premunito , ed a viaggiarvi te- nendo sempre ben raccolta ed all’ erta la sua gente. E in- fatti camin facendo fra macchie e boscaglie udiansi i spessi rugiti di queste belve , le quali ormavano la caravanetta del viaggiatore continuamente roteando intorno al sentiero per cui si marciava, Ove debbasi prestar fede a’detti de’ nativi del Kuran- ko , estendesi molto al sud questo reame. I Kurankesi po- co differiscono da’ Mandinghesi e nella favella e ne’costu- mi. Meno di essi intelligenti , ed anche men civili, non tutti professano l’Islamismo. Adorano un Dio supremo, sic- come è agevole a giudicar dalle loro locuzioni in uso per formole di giuramenti, per segno di parola data ne’ con- tratti o negozii , e nel saluto infine sia d’ incontro sia di commiato. Ma a questa religione purissima mescolano an che il culto del grigris, sebbene con superstizione assai minore di quella de’ Timannesi. Il grigris, o Genio Malo, è una divinità generale per gli Affricani; e così deve es- sere; imperciocchè in veruno altro continente quanto in Affrica pare che fosse piaciuto alla natura di cumulare gli elementi mortalmente malefici nel clima di fuoco , nelle belve immani e ferocissime, negli enormissimi serpenti, nelle piante ed erbe velenose , negli abitanti istessi infine crudi ed atroci. Indi è escusabile l’uomo se divinizzò il male in una regione in cui l’aria ja terra e gli esseri non meno animati che inanimati ne son sì larghi. Kamato è la metropoli del Ruranko ; se pure può darsi il nome di metropoli ad una picciola città, che poche o nulle prerogative conta sulle altre di tanti regoli più in- dipendenti, che federati fra essi, o soggetti al monar- ca. Poche e semplici son le leggi Kurankesi. Il solo omi- cidio è punito con la morte; ma vi è che il colpevole , 47 ove sia ricco, può redimersene acquetando la parte lesa con compenso di denaro o generi. Il rito del matrimonio è facilissimo. L'uomo ottiene qualunque donzella di cui si invaghisca, purchè pervenga a comprarla con doni dal pa- dre. Sovente anche vien data la sposa come una mercan- zia messa all’asta , ossia al maggiore offerente. Non punto ' si consulta la volontà o inclinazione della giovanetta ; ma libera e padrona è poi della sua mano quando essa riman- ga vedova. Indi è frequente nel Kuranko lo spettacolo di vergini trilustrali sacrificate per ispose ad uomini d°’ età grave ; e perciò vi è il proverbio che le prime nozze delle . fanciulle Kurankesi sono infelicissime; benavventurose poi le seconde; imperciocchè con le prime debbono sposar chiun- que piaccia al genitore; ma con le seconde sposano chi me- glio piaccia ad esse. i L’arte della tessitura è quella che appare più progre- dita nel Kuranko; ed i telai son simili a’ nostri, all’ in- fnori dal pettine che è cortissimo. Ciò adduce che i tes- suti possono dirsi piuttosto larghi nastri che tele. Questa industria è molto proficua agli abitanti facendone ampio smercio nelle provincie circostanti. Fanno anche molto traf- fico del legno di Cam, ottimo per grandi e minuti lavori, che mandano a Maboum ed a Sierra-Leone , gittandolo a galla nella Rokella. 11 governo è, al pari di quello degli altri reami af- fricani, in mano di un re poco potente appo gli ottimati che son potentissimi. Non sempre ereditario è il dritto alla successione della corona. Alla morte del monarca suol essa ordinariamente ricadere al più ricco ; alcune volte al più prode ; di raro al più anziano o saggio. È questo l’abituale andamento di tutte le elettive monarchie. Seguiamo intanto il nostro esploratore che si inoltra in Sulimania. Per entrarvi dalla banda del Kuranko uopo è travalicare la Rokella. Relativamente al passaggio de’fiu- mi in Affrica, il bestiame li guada a noto; le mercanzie o altri generi inanimati vengono trasportati da una sponda all’altra sovra tronchi commessi insieme a guisa di infor- mi zattere ; i viaggiatori infine passano sovra alcune corde 48 di vimini rami e cortecee di salci attaccate agli alberi esi» stenti sulle rive opposte. Ordinariamente sono al numero di tre queste corde: delle quali quella di mezzo pende. al- quanto inferiore alle altre due. Sovra essa il passeggiero, camina ingambando, mentre che con le mani si sostiene. alle seconde. Gli indigeni denominano Miakanta un siffatto. genere di ponte. Il bello è che vista la curva indispensa- bilmente fatta dal pendere di quelle corde, è necessario. salir sugli alberi cui sono annodate , onde potersi andar. librando sul descritto apparecchio e passare ; per lo che vi son scale di legno a tale uopo; Pressapoco simile fu nella, scoperta delle Americhe trovato il mezzo che adoperavano gli Indiani per traghettare i fiumi. La natura la quale dotò gli uomini dei medesimi sensi e delle stesse membra , inspirò con ciò a tutti un uniforme genio inventivo. Ove pongasi mente a questo vero, sfamansi gli speciosi sistemi di ar- gomentarun popolo progenie di un altro, non appena veggasi qualche costume comune ad amendue. Quante anfanie fi- lologiche non fa esso andare in aria! Komia è la prima città sulimanese che si trova en- trando dal Kuranko in Sulimania. È men popolosa ma più ampia di Kamato, essendochè le abitazioni, circuite tutte da verzieri, vi son più sparse. Il maggiore Laing vi fu ac- colto fra feste musica e danze , preordinate da Iarredi on- de festeggiarlo, e riceverlo, con onorificenze. La danza, questo, universo ed istintivo. abito. umano,, ebbe la sua prima radice nella pantomimica, ossia nell’at- tuoso linguaggio primitivo degli uomini in supplemento della favella, non peranco completa e sufficiente a tradurre tutto il pensiero. Siffatta origine ha ampio documento nei balli affricani per la prima volta osservati dal nostro viag- giatore. Ivi ogni ballo , é tutto il ballo ;} è nel vivacissi- mo atteggio della persona ; pochissima parte vi ha il moto de’ piedi. Ivi anche ogni danza è la manifesta rappresen tazione di un fatto. Simula essa or la divisione di una pre- da, or la rivindica di un qualche oggetto , or il conquista di una bella. Indi avviene che non vi è danzare senza bran- dimenti d’armi, e. senza simulacri di offese odifese, d’aga 49 gredire o ritrarsi., finehè ad un dato punto non vengasi a fingere il trionfo del vivcitore. Sovente ancora simula i mo- di e le azioni che la natura ispira agli uomini per meri- tar l’amore o il possedimento del bel sesso; e allora per effetto dell’insenuità de’popoli incolti, in tutto simili agli ingenuissimi fanciulli, appijono indecenti quegli atteggi ad un Europeo. Ma ehe esso non si cipigli ad un tale spet- tacolo. Può forse accagionarne que’selvaggi se assistè al Yo- lero e ad altre danze popolari degli Europei; de’ meridio- nali sopra tutto? Noi non dovremmo descrivere che feste e luminarie se vorremmo seguir passo a passo il nostro esploratore. Fare- mo dunque salto al suo arrivo in Falaba capitale della Su- limania . Il primogenito del re istesso gli era andato in- contro con un drappello di cavalieri, e lo introducea in città in una specie di trionfo. Giunto nella piazza mag- giore , ove era schierata la milizia ehe con parecchie sca- riche di moschetteria salutò l’arrivo dell’ospite, fu ivi ri- cevuto dal monarca in persona ; il quale lo prese per ma- no, e il condusse a sedere al suo fianco. Allora incomin- ciarono musiche giostre e torneamenti. Fra gli armeggia- tori Laing riconobbe Jarredi che riportava V’onore di rom- pere tutte le lance. Finita la prima quintanata , ecco in mezzo dell’ agone un guiriot (un poeta). Preludiò esso al- quanto sopra un dalafò, e quindi sciolse le labbra al can- to. “ Un bianco venne dall’acqua salsa (dal mare) a strin- gere la mano al grande Assana Aira (il Re). Onore ad As- sana Aira. Onore all’uom bianco ; e mostriamogli che pos- sentissimo è il nostro principe perchè lo adora il suo po- polo. Dove sono le mie donne per unirsi al mio canto ?,, A questa strofa si udia rispondere dall’ interno di un edifizio nn coro di voci feminee ‘“ noi siam qui ; ma temia- mo la pelle dell’uom bianco. Noì temiamo i suoi grigris. Gli nomini soli possono guardarlo ee. ec. ,,. Però rintuona- va il poeta ‘ venite o mie donne; venite pur senza timo: re, e fate onore all’ uom bianco. Potenti, è vero , sono i suoi grigris; ma buono è egli, e quì non venne per far- T. XXV. Marzo. 4 bo ne male ,,, Uscivan dunque le donne cantando ‘ eccoci ; chindiamo intanto gli occhi, poichè non mai vidimo uo- mo con pelle bianca. Eccoci per fargli onore, e per can- tare sì il potente Assana che Jarredi suo valentissimo fra- tello ,,. l'orneava ed armeggiava allora di bel nuovo Jarredi con altri campioni, nel mentrechè il guiriot e le donne avvicendavano il canto qui appresso. “ Sorgi dal tuo riposo o Leon di guerra, e sospendi al fianco la tua terribile spada.,, “ Vedi i Fullahi che giurarono di distruggere Sulima- nia. Essi il giurarono sal Korano. Sorgi dal tuo riposo 0 Leon di guerra ec. ec. < Il prode Tabaire tuo padre spregiava i Fullahi,in- cendiò Timbo , e cadde da eroe innanzi Herico sol per pu- nire un re spergiuro. Se tu sei degno figlio di Tabaire, sor- gi dal tuo riposo ec. ec. < Ma già il tocco de’ tamburi e lo squillo delle trom- be accende i guerrieri alla pugna. La porta boreale (3) di Falaba si apre. Jarredi montato sul suo destriero ne irrompe. Egli solo vale un esercito. O Fullahi voi rammenterete sem- pre con spavento la fatal giornata, poichè Jarredi Leon di guerra sorse dal suo riposo, e sespese al fianco la sua spada terribile ec. ec. ,, Noi memorammo i riferiti squarci di canti e costumi nazionali de’Sulimanesi, onde possa il lettore raffrontarli con i costumi e canti di un altro popolo il quale quaranta se- coli fa celebrava con simili usi e concetti il trionfo di un suo prode. Si avra quindi sempre più un documento del- l’acre profondità di ingegno dell’ italico pensatore (4), il quale insegnava a leggere le lapidi dell’eterna istoria del- l’uman genere nella natura morale dell’ uomo. Le genti tutte si rassomigliano con le medesime forme quando tro- vansi negli istessi stadi del progresso sociale ; e vestono (3) È la porta della città che è rivolta al paese de’ Fullahi. Ki pare che Jarredì fosse , contemporaneamente all’ arrivo di Laing , di ritorno da una guerra contro a questi popoli ec. (4) G. B. Vico. SI le medesime forme non già perchè l’una le imiti dall’ al- tra, ma perchè sempre ed ovunque uvpo è che l’ uomo in alcuni dati periodi di esistere civile, senta, pensi, ed agi sca allo stesso mo:lo. La vita della società ha le sue età, ed i modi naturali a cadauna età, al pari dell’ umana. E siccome in questa si bainboleggia quando si è bambi- no; si arde di amore e di faniasia nella gioventù ; si ra- giona nell’ età matura; si langue o lauda il passato nella vecchiaja ; e si fa universalmente tuttociò ovunque nasca l’uomo; così pure in quella, ogni epoca ha, e deve ave- re, le sue rispettive immancabili e naturali forme . Indi arguisca ognuno il beffevole disegno moderno di rimbam- bire i popoli. Però cessando da’fiori del viaggio di Laing, e da’ co- menti morali, andremo cennando i frutti colti in quella esplorazione dell’ Affrica interna . L’ esploratore determinò geograficamente tutto il terreno interposto fra il Kabba la Rokella e il Kamaranka, nonchè il corso e le sinuosità di questi fiumi. Falaba risultò dal calcolo graduata pressochè sotto all'intersezione del 1o.° parallelo con l’11.° meridiano; calcolo che corresse la erronea graduazione di Timbo col- locandolo al 10.° 27° di Iatitadine. Quindi imprese Laiug ad inoltrarsi verso orieute onde arrivare alle scaturigini del Niger, da lui presunte poco remote da’ confini della Suli- mania. A siffatto impegno aggiugneasi l’altro non men cal- do di misurar l'elevazione delle sorgenti istesse , a fine di conoscere se questa mai fosse tale ad accomodarsi con la ipotesi che le acque di un tal fiume si scarichino a levante nel Nilo. Ma insorse, o si finse insorta, nua guerra fra'Su- limanesi e i Kissesi ; la quale pose termine all’inoltramento ulteriore del maggiore Laing. A laude però dell’ audace e infaticabile esploratore , che non curava i pericoli fra selvagge tribù mentrechè lot- tava contro un clima di fuoco ed una malattia endemica che il travagliava , non va omesso come egli fece tutti gli sforzi possibili onde pervenire al sospirato punto, oggetto di tanti travagli de’viaggiatori, e di tanti studi de’geografi. Che non fè, che non disse per andare oltre! Non rispar. 5a miò nè preghiere, nè doni, e giunse perfino ad impiega le minacce. Ma Assana fu irremovibile nel rifiutargli il per- messo. E qui sospetta Laing che simulata era forse la pre- tesa guerra co’ Kissesi. Probabilmente il monarca sulima- nese per municipiche gelosie temè che l’ ufficiale inglese avrebbe potuto intavolar con gli abitanti del Sangara un commercio , che sarebbe stato a scapito di quello della Su- limania con Sierra Leone. Laing adunque non oltrepassò il 10.° meridiano ; e intanto non era se non mezzo grado distante da’ monti del Loma, che egli vedeva innanzi di sè; da quel Loma, sulla di cui vetta avrebbe risoluti i più misteriosi e controversi problemi delia. geografia dell’ Africa interna. Addolorato e cruccioso per l’invincibile ostacolo rinvenuto nell’ ostinato cervello di un Africano , dovè limitarsi a far le sue geo- detiche osservazioni sul monte Berria. Da colassù misurò l'altezza delle sorgenti del Kaffalba, della Rokella , e del Kabba, 400 piedi superiore al livello del mare , e credè di poter presumere a 600 la scaturigine del Niger. Secondo le notizie raccolte dagli indigeni Berriesi questo sì controverso e misterioso fiume correndo verso oriente prende il noine di Tembie nel Kangkang ; quindi 1’ altro di Dialiba nel- l’attraversar Sego, Diiune , Tombuctù; e infine più in là ha altre designazioni reali o congetturali , finchè non met- ta foce nel golfo del Benin presso a’ confini orientali del- l’Achantia. Il Berria prendea il suo nome da una città così deno- minata, la quale fu distrutta in una delle tante e conti- nue guerre fra’Sulimanesi e i Fullahi. Nel suo contado, che oggi è pressochè deserto, udiasi , dice il viaggiatore , il fra- scheggiare da’ bufali selvaggi e dagli elefanti mosso nel- l’ aprirsi camino pascolando fra’ canneti, macchie , e le folte erbe onde è ingombro quel territorio. Iufine da questo mon- te, ultimo termine delle sue esplorazioni , facea Laing ri- torno in Falaba. Mentre quindi disponeva gli apparecchi necessari a_ri- mettersi in viaggio per Sierra Leone , andò esso notando tuttociò che gli parve notevole fra’ Sulimanesi ; delle quali 53 osservazioni noi cenneremo quelle sole che ne sembran più degne a memorarsi in un semplice epilogo. Avvenne che un giorno, ne] passeggiar per le strade della città, vide alcuni fanciulli infetti dal vajuolo. A quella vista risovvenendosi di avere nel suo bagaglio due tubi di umor vaccino, chiese al re la licenza di inocularlo. Al pri- ‘ mo dire, rifiutavasi Assana ad accossentirvi ; ma tale era’ la fiducia ispiratagli dal diarco , che insistend» questi on- de il lasciasse operare , fece inocularne i proprii figli. In- coraggito dall’ esempio del monarca, ogni Sulimanese con- duceva i suoi all’ inoculazione ; la quale durò due giorni, e non finì se non quando furon esauriti que’ tubi. Laing insegnava quindi agli Africani il modo con cui riprodurre e perpetuare il benefico rimedio. E noi mentre facciamo voti perchè si perpetui e propaghi , auguriamo che il nome del benefattore rimanga eternamente associato alla memo- ria di un beneficio , che farà epoca negli annali di quelle nazioni, ove esso metta salde radici. Abbia dunque Laing la immortale benemerenza dell’umanità africana ; e piova la benedizione della Divinità sull’ arrendevole fiducia che que’ popoli agresti ebbero in lui. E qui sia dovere di pre- sentare questi Africani a specchio di que’barbari Europei, che anatemizzarono, come tuttavia anatemizzano, un sì sal. vatore antidoto ad uno de’più mortiferi flagelli! che i se- condi non arrossiscano di scorgersi inferiori a’primi in cuore ‘ed intelletto! ed ove ciò malgrado persistano nella barbara influenza a perpetuare il contagio predicando peccaminoso il farmaco , che l’ Europa li balestri in Africa , onde e pur- garne il proprio seno, e mandarli ad imparar da que’ sel- vaggi ad essere più civili o men nocivi, La Sulimania è una provincia interna d’Africa a tra- monto del Loma che la separa dal Sangara, ed interposta fra il Kuranko a mezzogiorno , Ja Timannia a ponente, e la Fullahia a borea. L’aspetto del suolo è oltremodo pittore- sco per la varietà delle colline , e la ricchezza delle acque, de’ prati, delle selve. Vi si semina il grano al finir di mag- gio, e vi si raccoglie verso il cominciar d’ ottobre. Vi si coltivano anche molti ignami. Il paese è abbondante di 54 animali a corna ed a lana: però non fu facile introdurvi le razze de’cavalli, che tanto bene prolificano nel conti= suo Sangara , d'onde se ne provedono i Sulimanesi, San- gonja Semba Musaih Koukodugare e Falaba sono le città più ragguardevoli del reame. Falaba fu edificata nell’anno 1768 da Tabaire padre di Assana re attuale. La sua popolazione ammonta a 6000 anime. Assana professa la religion mussulmana; ma la mag- gior parte de’ sudditi adora i fetisci ed i grigris. Indi av- viene che in Sulimania non vi è il così detto culto domi- nante dello stato , nè le esteriorità delle cerimonie religiose. Ognuno in casa propria crede e adora come meglio aggra- da alla propria coscienza ; quindi in publico ognuno tolera la fede altrui, ed è da altri tollerato nella sua. Il re , a somiglianza de’ principi dell’età eroica e del medio evo , esercita le funzioni del suo ministero , non che la suprema giudicatura , in publica piazza ed all’ombra di un grande albero. Trovansi fra’ civili istituti de’ Sulima- nesi alcuni ordini interamente uniformi a quelli de’Romani ne’loro tempi severi. Il monarca ha i seniori della città per suoi consiglieri ; e questi sono, del pari che in Roma an- tica, chiamati padri. ]l luogo del palabra ( dell’ udienza) è publico ed accessibile da ognuno , come era il Forum. Il generale, cui si commette di capitanar l’esercito e di- rigere una guerra , perde ogni conferitogli titolo grado ed autorità, non appena che sia per la pace conchiusa sia per una sofferta disfatta, rientri egli nelle mura della capitale. Gli schiavi o son tali perchè nati in schiavitù, o vi cado- no per vendita volontaria di sè stessi , per punizione , e infine per prigionia in guerra. In ultimo i giudizii penali von sono arbitrarii , ma esercitati con rito, ed a tenore delle consuetudini che ivi fanno l’ ufficio di leggi scritte, da un consesso di anziani preseduti dal re. ‘ Fui, dice Laing, spettatore della causa di un uworicida. Si udivano i testimonii e il difensore alla presenza dell’accusato. Dopo lungo dibattimento , da cui risultava innegabilmente pro- vato il misfatto , i seniori il sentenziarono colpevole , e il re pronunziò la pena della strangolazione con la corda di 55 un arco. Ma protestarono contro tal sentenza i parenti , fa- cendo valer la circostanza che nel mentre era innegabile il fatto criminoso , non ben dimostra era però la preme- ditazione. Alla qual protesta fecero dritto gli anziani , in- ‘tercedendo perchè if re commutasse la pena ; lo che As- sana concesse ec.. ,, Indi ecco nelle nazioni rozze i pri- marii ed informi germi de’ giurati , e dell’ avvocato della legge , ossia del procuraiore del potere esecutivo. Indi ec- co in popoli che chiamiam selvaggi un rito criminale a lu- meggiar scorno e iniquità nel processo segreto di tante na- zioni colte. L'esercizio dell’ udienza e della giudicatura è giorna- liero ; e le ore prescritte per questo ufficio son quelle fra le 9 matutine e le 3 pomeridiane. Vi si trattano tutte le cause litigiose, vi si odono tutte le querele sia contro a’pri- vati sia contro gli ufficiali publici; vi si amministra insom- ma tutto ciò che appartiene alla giustizia penale o civile. Gli altri affari dello stato son quindi trattati nel. consiglio segreto del monarca. Tuttochè a Sulimanesi sia già cognita ed in uso l’ar- me da fuvco , ciò non pertanto la adoprano nella guerra con poco vantaggio per essi e con picciolo danno dell’ini- mico. L’arme in cui sono abilissimi e nocentissimi è l’arco, Fanno anche molto uso della fionda. Il loro maggiore com- mercio era quello degli schiavi; oggi esso è caduto mercè l'abolizione della traita de’Negri .si industriano adunque negoziando oro ed avolio. La Sulimania è, come cennam- mo, ricca di elefanti ; e la caccia di questi animali oltre all’essere un divertimento per gli abitanti, serve anche a provvederli del secondv de’ due citati generi di negozio. Quanto al primo o lo estraggono da qualche miniera del loro paese , o sel procurano col mezzo di cambii dalle na- zioni vicine. L’ oro non è metallo raro in Africa ; quello della Mandinghia specialmente si controdistingue pel suo co- lore più fosco dell'ordinario. Parve al nostro viaggiatore di scorgere ne’Sulimanesi fredda la fede de’fezisci e de’grigris; la qual cosa, ove sia ve- ra ,sagevolerebbe oltremodo la conversione di que’ popoli 56 al cristianesimo. Nè mancherà di introdurvisi e propagat- visi questa religione , ora che son frequenti le relazioni comnierciali fra la Sulimania e Sierra Leone. Auguriamo adunque un presto e pieno esito a’missionari cristiani. I loro prestantissimi sudori interessano i due sublimi e massimi oggetti, l umanità cioè e la civiltà. Alla ragione uopo è che la morale spiani la via; mentre scala indispensabile alla perfezione dell’intelletto è la miglioria del cuore; nè niuno oserà negare che nol migliori il Vangelo. AI pari di quel che avviene fra tuiti i popoli novizi nello stato sociale , le croniche delle gesta nazionali sono anche fra’Sulimanesi conservate e registrate da’ guiriot, os- sia da’ poeti. Dalle notizie che Laing pervenne a raccoglie- re ei pare che l’ epoca più remota dell’istoria sulimanese, o almen della certa, non risalga al di là dell’anno 1690. Da questa era infatti si ha una sicura e continuata serie de’sovrani che vi regnavano. Un tal Ghima Fondo ha fama d’esser stato il fondatore di questa nazione. A lui successe Mansung-I)ang; di cui si memorano continue guerre co’ Ful- lahi,\i quali pare che sieno i Filistei de’ Sulimanesi, os- sieno gli eterni inimici per causa di religione e predomi- nio. A Mansaung-Dang successe Mansung-Dalla j a questi Aina-Tella; e ad Aina-Tella , Tella-Danga , che si coaliz- zò co’ Fullahi contro a’ Sangaresi. Ma ben tosto la coali- zione cesse il posto a nuove e più feroci guerre con varie fortune; finchè poi la sorte non fece interamente trionfare i Sulimanesi sotto Tabaire, il suo figlio Assana, e il di co- stui fratello Jarredi. Il nostro esploratore lasciava Falaba a mezzo settem- bre 1822, facendo ritorno a Sierra Leone, ove giunse, verso il finir d’ottobre , salutato e festeggiato da’ suoi concitta- dini. Ogni filantropo farà eco a que’ festeggiamenti : poichè è un dovere di far plauso al reduce condottiero di una im- presa, la quale senza che costasse stilla di nmano sangue, arricchì la geografia , aprì nuovo smercio alle produzioni de’popoli colti, fece conoscere nuove genti, e andò semi- nando in queste i fecondi germi delle migliorie sì morali che civili. G. P. 57 Annali universali di Tecnologia, di Agricoltura, d’° Eco- nomia rurale e domestica, d’ arti e di mestieri. Milano, presso gli editori degli Annali di medicina, e di stati- stica. Luglio 1826. Quest’ utilissimo e ben compilato giornale , di cui rac- comandiam la lettura ad ogni padre di famiglia sollecito de’ propri e dei comuni interessi, ci richiama all’animo vari pensieri che sarà non inutile l’annunciar brevemente. | I. È un soggetto di troppe e troppo dolorose conside- razioni il pensare come l’ umano ingegno, di tutta forza astraendo sè stesso da quelle occupazioni, ch’ oltre alla pace : interiore gli prometteano un ben essere esterno , reale, im- mediato ; si sia per tanti secoli compiaciuto a tormentarsi in vane speculazioni , in disputazioni ridicole , in guerra accanita infaticabile con le cose e con sè. Chi volesse tro- var la cagione di questa singolarità funestissima nell’amore che lo spirito porta innato alla verità per sè stessa, sic- chè , per godere la contemplazione di lei o di quello che a lei assomiglia , egli rinunci al pensiero de’ sociali biso- gni ; chi volesse così interpretare la cosa, oblierebbe che la verità pratica è la prima necessità dell’ umana natura, e che nella verità politica entra pur troppo siccome la ve- rità morale da un lato, così la materiale dall’ altro ; sic- chè vero ben’essere non s’ ottiene senza il più o men ar- monico congiungimento d’amendue questi estremi. Giova pertanto cercare l’esplicazione d’un fatto che comincia a sentirsi, appunto perchè già comincia a cessare : e può spe- rarsi di rinvenirla nella storia de’ popoli ch’ è quanto a dire nel fatto stesso. II. Le non molte nè molto precise notizie che ne ri- mavgono dell’ antichità * ci presentano le più possenti e le più famose nazioni , occupate dalla smania della conquista, cercar nella guerra, cioè nella oppressione de’ più, la ric» chezza e la gloria di pochi: dico de’ più; e intendo tanto il popolo vinto , quanto la maggior parte del popolo vin- citore, Le nazioni all’ incontro di cui la bellica fama non 58 ha levato assai grido , noi le troviamo le più fiorenti nelle arti del vivere e nelle instituzioni di una pratica sapien- za; sempre avuto risguardo alle circostanze ed a’tempi. Che nella pace debbano fiorire più le arti che nella guerra, non è certamente un’ osservazione assai peregrina ; e tanto me- glio per le conseguenze che se ue hanno a dedurre: ma non di meno è un po’ singolare a notarsi , come in Egitto lo spirito di conquista non possa per un istante in Sesostri far mostra di sè , senza che la contraria tendenza non si sviluppi ben tosto e nell’ unico esempio di rinunciare al dominio de’popoli conquistati , e nello stesso tirannesco par- tito tratto dagli schiavi di far loro innalzar quelle moli im- mense , che attestano un’ industria mancante di scopo, goffa se vuolsi: ma sempre un’ industria. È un po’ singolare a notarsi, come il primo monumento che gli uomini tenta - rono erigere di loro concordia (ed io qui non riguardo la Genesi che come un documento di storia ) non sia che un monumento d’ industria : come nella nullità degl’ imperi orientali , terribile conseguenza della conquista , la pace non lasci di fomentare certe arti di lusso , che serviranno poscia alla civiltà della Grecia vincitrice: come nella Chi- na, l'industria sviluppi uno spirito creatore , debito non tanto all’indole d'una nazione soverchiamente ligia dell’uso, quanto agl’inflnssi della pace, cioè d’ una volontaria o for- zata morale politica: come in Cartagine, lo spirito del com- mercio venga sempre lottando con la mania di conquista, e come questa all’ ultimo distrugga e l’accessorio e 1° es- senza di ciò che quella avea fabbricato : come in Grecia, la più bellicosa nazione degradi sè stessa , commettendo agli schiavi l’onore di alimentarla: come in Roma stessa, l’esercizio delle arti, sia lasciato agli schiavi; come quel tempo in che la prima dell’arti, l’agricoltura, fu in culto ed onore, Roma fu grande ; come poscia decadde ; come nell’ abbandono o nel coltivamento delle arti più o meno utili, più o meno necessarie alla vita entri sempre un elemento di morale politica, senza cui non si spiegano le contraddizioni apparenti presentate da’ fatti; non si può _ne’ fatti medesimi stabilire un carattere , trarne una con= 59 seguenza , formarne un giudicio. Ben veggo che ne’ fatti stessi da me citati in passando, così superficialmente guar- dati, può scorgersi certa contraddizione al principio ch'io vorrei accennare: ma que’lettori che avranno ingegno ba- stevole da prevedere silfatte contraddizioni, avranno anche la forza di dileguarle osservando che l'aggregato delle circo- stanze modifica spesse volte un principio generale per modo che pare smentirlo ; che la durata d’ una nazione , e nem- men la sua gloria , non son la misura del suo ben esse- re; che l’ immoralità d’ un principio può essere , a dir così, sceverchiata dalla efficacia di molti altri principii che as- sicurano l’esistenza politica, e, a così dire , la spiegano. Per non citare che Sparta: l’oziosità, necessaria conseguenza d’una costituzione semplicemente guerresca , era in parte compensata, non tanto dalle materiali esercitazioni, quanto dalla forza del sentimento che quella costituzione nutriva, la qual forza (cosa singolare ) è una occupazione essa stes- sa. Così la costituzione sua bellica era radicalmente uno stato di difesa, era dunque uno stato radicalmente mora- le ; e quando si declinò dalla fine del governo, il governo corse periglio ; quando la si lasciò del tutto , perì. Ma tor- niamo al soggetto. III. I destini del mondo moderno si raggiungono al destino di Roma. Non si può parlare neppure di tecnolo- gia, senza parlare di Roma. Egli è ormai quasi di moda il piangere con un dolore di congettura sulle ruine di Car- tagine , ed esclamare con la solita eloquenza del sè: ah se Cartagine avesse vinto! Ma quando si pensa che lo spirito di conquista era in quel governo stranamente imbrogliato con lo spirito di commercio ; che se Cartagine avesse vin- to , ell’ avrebbe di necessità fatto legittimo il monopolio di commercio co’ popoli conquistati, cosa più orribile della tirannide romana perchè più legittima in apparenza; allora l’incanto di questo beatissimo sè si dilegua . Quanto alla grandezza romana, è un’assurda e ridicola ammirazione il volerla considerare come modello della vera grandezza: ma egli è pure una specie d’ ostinazione il non volerne tener conto neppur come di un fatto. Nel fatto di un popolo è 60 l'ordine di una mente, che avrebbe potuto far meglio, se il meglio convenia : questo fatto ha dunque in sè Ja ra- gion di sè stesso. Voler fermare la mente in alcune consi- derazioni parziali e ipotetiche; voler esigere un ottimismo che non ha in suo favore neppure un grado di ragionevole probabilità; mi par troppo. Io considero l’impero di Roma come un gran centro di unità; e come tale , veggo matu- rarsi in esso i destini del mondo moderno. Il terrore dap- ‘prima , di poi l’inimicizia di tutte le genti rivolta a que- st’ unico punto , dovea raccostare gli uomini , e raccostan- doli, rendere la loro civiltà meno lenta. Lo spirito di li- bertà, sviluppatosi nel mondo moderno , e ch’ora, rettificato dall’ esperienza, risorge più innocuo ed efficace, lo spirito di libertà è anch’ esso un frutto necessario della romana tirannide. Voleasi un imperio sì vasto , indebolito dalla propria grandezza per figliar nel suo seno tante repubbli- che, che dalla debolezza degl’imperanti traessero non pru- rito ma necessità di sussistere a qualche modo da sè. Con questo spirito di libertà si sviluppa tutt’ insieme lo spirito d’industria, a cui sempre tepdavici in questo discorso la no- stra ciare iV Nelle antiche società , l’uomo privo di que’ pregi interiori ed ignaro di que’principii essenzialmente morali, cioè religiosi, che danno all’anima un’ esistenza, non sen- tia che la propria debolezza, e una smania inquieta di ri- pararvi, che nel perpetuo suo moto rassomigliava alla for- za. Dovea quindi sentire più vivo l'amor di famiglia o di patria; e questo medesimo amore sempre rafforzato dal senso della propria debolezza, doveva disporre gli uomini a cal. colarsi per masse , e trarre da un merito complesssivo piut- tosto che dall’individuale, quel senso d’appagamento che viene da una bene assicurata esistenza. Sottentrata la re- ligione , a rifare l’ umanità (la religione che prima del mille può dirsi non abbia incominciato ad esercitare il suo influsso sulle intere nazioni , e a istillarsi nella politica), la religione , creando nell’ interno dell’uomo un mondo no- vello tutt’incognito all’ uomo antico , gli donò un’esistenza morale e politica diversissima dall’ antica. Fu sentita in i Gr ogni individuo quella forza di coscienza che costituisce la persona e ch’ è la pietra angolare della libertà : quel po- tere ch’ è necessario alla vita sociale non potè più radden- sarsi, e, inegualmente distribuito, aggomitolarsi, a dir quasi, lasciando senza vita politica la più parte della nazione. Ogni uomo si sentì cittadino in quanto che la religione l’avea reso figlio d’ un padre comune ; nè tutti gli sforzi della mal- vagità de’ popoli congiurata a proprio danno poterono abo- lire questo sacrosanto ittoyailo della religione , che li volea lor malgrado liberi ed esistenti da sè. Ma codesto diritto era figlio di molti doveri; altri interni, altri esterni: tra gli esterni era quello di farsi valere, contribuendo alla pro- pria e all’altrui sussistenza, ai propri comodi ed agli al- trui : il dover dell’.industria, L’Italia, da cui pare che un tempo, innanzi la gran- dezza de’greci, prendesse le mosse la civiltà d'occidente, e le arti, e il commercio ; l’Italia che ha fatte schiave le genti per trarne sopra di sè la vendetta e per ingentilirle con le proprie ruine ; ella, dopo la civiltà rinnuovata, diè prima l’ esempio della libertà e dell'industria. L'Italia è, a così dire, la tomba dell’era antica e la culla dell’ era moder- na ; il deposito delle vecchie tradizioni e la cattedra della religione novella : nelle opere dell’ ingegno così come in quelle della mano , gl’italiani non mostrano la via, ma la fanno : il mondo moderno è italiano. Quest?’ anteriorità fa- tale non eccita più l’ orgoglio che di qualche imbecille . Noi l’ abbiamo scontata con tante sventure , con tanti er- ruri, che l’ Europa oramai ce la può perdonare. ‘ V. Queste considerazioni ci parvero necessarie per po- terne con qualche più di asseveranza dedurre , come lo spi- rito d’industria, opponendosi direttamente allo spirito d’ine- guaglianza, d’ oppressione , di guerra , sia causa insieme ed effetto della libertà , vale a dire della morale politica : e come ad ogni degradazione dello stato civile , il culto delle arti utili ed operose sia abbandonato per vani, oziosi e dan- ne.oli studi; ond’ avviene che le arti, lasciate a sè , non diventano che un travaglio meccanico , e non possono, cre- scend’ esse , crescere le sorgenti del pubblico bene. 62 Ma se la morale è promotrice efficacissima dell’ indu- stria; non sempre questa“però soffre quella a compagna . Le idee di doveri e di diritti , naturalmente congiunte alle opere dell’arte umana si scambiano a poco a poco con le idee di piaceri e di dolori , di perdite e di guadagni. Non si riguarda il fine del lavoro , ma il prezzo: la regola delle operazioni umane è il calcolo : e perchè molti termini e moltissime combinazioni sono necessarie ad un calcolo per dedurne un risultamento morale, ne segue che l'economia privata o la pubblica può essere sovente una scuola d’im- moralità convertita in vanto e in sistema. [o sentia non ba molto due grand’ingegni italiani trat- tare appunto una questione vicinissima a questa: ‘‘ se l’eco- nomia politica approssimi od allontani i calcoli della scien- za sociale dalla equità ,,. L’ un diceva che non si può es- sere a un tempo borsaiuolo e mercante ; che essendo ormai dimostrato esser vera ricchezza nostra il crescimento della ricchezza comune , noi veniamo a fare per interesse quello che avevamo a far per dovere : a promovere l’altrui bene. L’altro rispondeva, che, il fine della economia politica es- sendo la ricchezza , la scienza è imperfetta nel fine ; in quanto che questo fine è dipendente da oggetti più nobi- li, da’ quali non sì può certo astrarre , e che questa scienza non suol riguardare se non come mezzi: aggiungeva che ci ha de’ casi in cui l'interesse proprio è ben conciliabile col danno altrui, appunto perchè ci ha dei doveri senza un corrispondente diritto. La questione poteva tirarsi in infi- nito , perchè la ragione era d’ ambe le parti. I casi ne’quali l’ altrui danno è nostr’ utile assoluto e costante, sono assai rari e non tolgono la verità che l’ economia politica giova in ciò che dimostra l’ utile comune non essere che un com- plesso di fatti, e risolversi nell’ utile dell’ individuo, e così viceversa. Il fine della scienza è un bene imperfetto , una parte di bene: ma di questo bene trattando, non puossi astrar- re da tutti gli altri cui esso è legato, e si può trattare di questi senza considerarli come semplici mezzi. Ma ciò non è stato sinora con la debita precisione e semplicità ; e que- st’ era il bisogno che, senza saperlo , sentivano que’ due È 63 grand’ ingegni disputanti , e ch’ uno desiderava , l’ altro, supponeva adempiuto. All’ uno pareva che si negasse la possibilità dell’adempierlo: all’ altro pareva che lo si vo- lesse costringere a chiamarsi contento di quel che finora si è fatto : amendue si scal davano un poco, ed avevano ra- gione amendue. ; VI. Se ci accadrà mai di parlare d’economia politica, allora, scorrendo i sommi capi di quella importantissima scienza , mostreremo com’ ella possa, al nostro parere, ri- compiersi, nobilitarsi, aggrandirsi; applicarsi , informata che sia più intimamente da certi principii morali. Qui non parliamo che di tecnologia ( e sotto questo titolo doman- diamo che si comprenda tutto intero il titolo degli Annali annunciati ) : è riguardiamo come necessario l’ intervento e l’applicazione di certi principii morali a ogni menoma parte di quella. Osservare in ogni nuova proposta che a questo soggetto appartenga, un mezzo di occupazione, una via di perfezionamento, una fonte di ricchezza , un oggetto di comodo , è poco. Ov°è l’animatore, l’adopratore, il fine di questa materia? Ov’è l’uomo? Gli effetti che sull’ani- mo suo e sullo spirito della società dee produrre il movi- mento d’un’arte , la creazione d’ un’ altra ; il nuovo giro d’idee , d’operazioni , d’affetti che ne dee nascere ; nuovo mondo morale che si crea ad ogni importante modificazione del fisico , quest’ è il punto centrico della scienza, questo il fine supremo , cui negletto , non puossi assolutamente giudicare de’ mezzi. Un bene materiale può essere nell’or- dine degli spiriti un male vero ; un comodo particolare può essere un danno comune ; il tempo y il modo, il.luogo di un'invenzione , d’una pratica qual ch’ella si sia, possono rignardarsi in ottima od in pessima parte, secondo che si comprende nel calcolo o se n° esclude il cuore dell’uomo. Voi che consacrate le vostre meditazioni e le cure all’ac- crescimento dell’umaro ben essere, non fate mai astrazione dall’ uomo: non calcolate sovra la materia bruta, come su bene esistente da sè. Quella informe massa d’ interessi si appuri e s’ informi da quello spirito , che n’è servo insie- me e signore. Non obliate mai che il ben essere è un sen- 64 timento; che il principio ed il fine della felicità si nasconde nella più intima parte dell’uomo. Pensate che la morale varrà, non foss’altro, a render più facile, più veloce, meno ineguale , men violenta la diffusione del bene. VII. Una delle cose che in questo genere io mi com- piaccio di riguardare dal lato morale, è quel perfeziona» mento delle arti che le conduce a semplicità; che con meno spesa di tempo , d’ uomini, di materiali, viene ottenendo un maggiore ed insieme migliore effetto, Di questa specie di perfezionamento , le scienze fisiche tanto fiorenti oggi- dì , ci presentano nuovi ed ammirabili esempi. Io di qui traggo un’ induzione che a molti parrà forse fantastiea, a molti precipitata ; ma che nel cuore degli amici del me- glio troverà una risposta già fatta. Se noi riguardiamo all’oc- cupazione degli uomini nelle nostre società , noi troviamo sopra un numero molto angusto di ricchi oziosi, e di oziosi indigenti , il resto del corpo sociale formarsi di coltivatori, d’artieri , di ministri dell’ autorità e della forza pubblica; di mercatanti: e i mali o presenti o possibili (poichè non conviene suppor tutti i mali esistenti) di queste varie mem= bra, a noi par di conoscerli, non come in fonte ma come in indicio ne Ila ineguale distribuzione delle opere, che pro- viene principalmente dalla non ancora ottenuta sempli fi- cazione delle arti. L’ozio e la viziosa opulenza de’ pochi trova un’ ali- mento , uno sfogo nel lusso: e con questo nome comprendo ogni genere di dispendio immorale, cioè di dispendio che in bisogni fattizi consumi ciò ch'è debito a’bisogni reali de’più. Il denaro mal consumato mantiene troppo floridamente quelle arti che sono le men necessarie, che sono anzi in alcuna parte irreparabilmente dannose. L’immeralità del fine di un’arte si comunica per necessità a chi l’esercita: ed ecco un gran nu- mero di cittadini corrotti da quella medesima ‘industria , che sarebbe la conservatrice del costume, ed il simbolo, a dir quasi, del bene. Avvi ne’ bisogni del ricco parte di con- veniente nell’ordine della società, parte di fattizio, di for- zato, di ventoso, di crudele, di falso : avvi adunque delle arti così dette dî /usso non immorali: ma perchè il limi- 65 tarle è impossibile , il men peggior mezzo di renderle meuvo nocive , è semplificarne il lavoro , cioè accelerarlo , e ri- stringerlo a pochi operanti. Il male così è riparato e ri- stretto dal male istesso. L’indigenza oziosa è male inevitabile ov’è difetto di educazione popolare, regolarmente diffusa, e adatta ai bi- sogni della nazione. Gl’ indigenti oziosi non sono già solo i mendicanti ; onde le case di ricovero non bastano a to- gliere il male. Ora la difficoltà di educare cresce con la complicazione delle arti. È ben vero che il semplificare i lavori risparmia gli uomini, e ciò parrebbe contrario al no- stro fine; ma è vero anche, che suddivide gli ufficii, e li agevola. L’ uomo , si dirà, diventa allora una macchina : ma i lavori materiali, io rispondo , non sono già quelli che debbano sviluppare l’ intelligenza dell’ uomo. È una degra- dazione dello spirito pubblico il porre nell’ esercizio delle arti l’unica o la principal gloria d’un popolo. Le arti ministre dell’agricoltura sono già nate, è ve» ro, da lunghissimo tempo : ma non possono dirsi ancora cresciute. Noi non conosciamo a dir quasi, che una tecno- logia urbana : si crede comunemente che l’agricoltura possa stare da sè ; e non abbisogni, al più, che dell’ opera di un ferraio. Ell’è la prima delle arti, e perciò appunto dee aver bisogno di tutte: tutto dee essere alimento alla ali- mentatrice dell’ uomo ; e l’ opinione contraria è così perni- ciosa alla vera politica, come alla vera morale. Quale rivo- luzione d’idee non dee ancora avvenire , acciò che i giu- dicii sociali si collochino nel vero lor posto? Le arti non servono quasi che alla ricchezza. Se tutti gli uomini si dovessero procacciare quegli agi soltanto che rendono meno insalubre la vita, non v’ avrebbe numero d’artieri che bastassero a tanto lavoro. Ella è dunque ne- cessaria la semplificazione delle opere, la iuvenzione di nuo- ve macchine , il risparmio del tempo: e lo stato presente è inconciliabile con l’idea di un’adulta felicità pubblica, cioè d’ una distribuzione di beni, non dico equabile, ma equa . T. XXV. Marzo. 5 66 Quanto ai rappresentanti e a’ ministri della pubblica autorità e della forza , sarebbe troppo lungo e troppo de- licato a mostrare i singolarissimi vincoli ch’ ha il loro stato con lo stato delle arti. Basterà questo solo; che la sempli- cità de’ movimenti è indivisibile da una certa regolarità, che questa viene menomando gli abusi , che gli abusi meno- mati rendono inutile una potestà complicata, la quale, dopo avere ruinata la nazione, rovina irreparabilmente sè stessa, Quanto al commercio , il suo procedere indefinito si può riguardare come un gran bene e come un mal grande: bene nello stato di una società piena di bisogni fattizi; male nello stato di una società che se ne voglia sgra- vare. I primi passi della civiltà si debbono, è vero, al com- mercio ; ma tutto quello ch’ è bene, non è già bene as- soluto. Una nazione che abbia meno bisogno o del denaro o delle merci dell’ altre , sarà più indipendente, avrà un germe di libertà più durabile. Tna nazione che tragga dalla sua terra il proprio pane, dalle sue officine i propri agi, sarà meno tentata a abusar della frode o della forza per aver da al- tri i suoi agi, il suo pane. Il commerciò non è essenzialmente una scuola d’immoralità , ma può essere una gran tenta- zione a mal fare. Comunque però si riguardi il commercio, egli è inutile il dire che l’agevolamento delle opere, age- vola i suoi movimenti : com’è incontrastabile, che , sem- plificati i lavori e però trasportati nelle campagne, l’agri- coltura ne riceverebbe nuov’ aninia e vita. VII. Semplificazione , agevolamento , perfezione del- l’ arte è tutt'uno: ove si parli non di bello, ma d’utile. Fatto men travaglioso il lavoro, l’uomo lo sostiene con più d’alacrità , con quella certa libertà di cuore ‘e di mente che dispone al ben fare. Riman tempo allora a una educazio- ne più nobile, alla educazione dell’animo , che negli ar. tistiè negletta; ond’e’diventano così di leggieri brutalmente viziosi. Riformata l'educazione; alle idee di salarii, di gua- daguo , si sostituiscono idee più gentili, più vere. La sus- sistenza materiale non è che il mezzo d’ un ben essere in- terno : lavorando , si adempiono de’doveri, si acquista la possibilità d’esercitar dei diritti, I giudicii si rettificano ; 67 l’uomo riconosce la propria dignità ; la nazione divien pos- sente perchè virtuosa. Io voleva qui sporre alcune idee intorno al mezzo di rendere, popolare il perfezionamento e la scienza delle arti ; cosa, a cui, specialmente fra noi, si è pensato sì poco : volea mostrare come sia fatale ed ingiusto quel disprezzo con che si comincia a raccogliere una novità qualunque ella sia ; e come questo barbaro modo di ricompensare il talento, e di provvedere alla propria utilità, meriti in tutta la verità del termine il nome di pregiudicio ; volea pro- porre qualche riflessione su quelle precauzioni che potesse- ro rendere men perigliosele novità di tal genere: volea rac- comandare la moltiplicità delle esperienze , la esatta e im- parziale raccolta de’fatti, vale a dire una tecnologia esperi mentale ed una statistica tecnologica: volea far vedere ne- cessaria una communicazione di prove e d’idee più stret- ta, più fraterna tra provincia e provincia, tra nazione e nazione: volea parlare del modo con che s’avrebbono a co- municare alla parte men culta della società, tutte quante le nuove teorie, veramente giovevoli : così dopo aver comin- ciato dalla morale io volea finir con la lingua: ma per un articolo da giornale, ognun vede che tutto questo era troppo. K. X. Y. Sull’ I. e R. Isrrruro peLLA SS. AnwNUNZIATA, aperto in Firenze per l’ educazione delle fanciulle, il primo Di- cembre 1825. — Lettera ad un amico. Firenze 3 Gennaio 1827. Tu mi domandi un raggnaglio sull’educazione che vien data alle fanciulle nel nuovo Istituto aperto in Firenze sotto il titolo dell’ Annunziazione , con la veduta di collocarvi forse la tha piccola Ortenzia , ed io soddisfaccio a questo giusto tuo desiderio volentierissimo , non tanto per l’antica amicizia che passa tra noi, quanto ancora per eorrispon- 680, dere , almeno col buon volere; alla fiducia che mi dimo- stri nella tua commissione. Io sarò forse per dirti alcune cose che ti saranno già mote , forse ne tralascerò altre che brameresti sapere ; tu trascorrerai più veloce sulle prime , iv supplirò alle secon- de dietro un tuo cenno. Ciò premesso, vengo subito al mio soggetto perchè son molte le notizie che ti debbo comu- nicare, e che ho voluto per la massima parte da me stesso raccogliere. Il Gran-Duca FerpINANDO, principe di grata ricordan- za a tutti i buoni, e a noi toscani carissimo, fondò l’Isti- tuto della SS. Annunziata con motupropio de’24 novembre 1823 ; ma il primo concetto di questa fondazione lo dob- biamo a quella Principessa che siede al fianco del presente nostro Sovrano, la quale giunta di poco sulle rive dell’Ar- no, si accorse come tra i vari conservatori che esistevano in Toscana, uno ne mancava in cui le fanciulle di na- scita onesta e civile fossero educate ad esser buone, attive e capaci madri di famiglia , istruite negli studi più utili con quell’ordine che esige una moderna educazione, e col- tivate in tutte quelle arti che parvero un tempo di sem- plice ornamento , ma che hanno grandissima parte nella educazione dei sensi e del cuore. E, o realmente esistesse questa mancanza in Toscana, ossivvero fosse già stato una volta a ciò provveduto, e poi siccome accade di tutte le ot- time istituzioni le quali, coll’andar del tempo, e passando per mano d’ uomini , talmente dalla loro prima origine si allontanano , che più non ne riconosci l' oggetto , questa edificazione o riedificazione, era adesso non solo utile ma necessaria , e la voleva la natura cambiata de’ tempi. Parve , non senza accorgimento , alla Persona che ne concepì l’ottimo pensiero , che alla perfetta riuscita del suo disegno fosse necessario il crear tutto di nuovo, che nuovo fosse il locale, nuove le persone destinate ad abitarlo onde vegliare sull’educazione , cosicchè quello nulla avesse in sè che rammentasse clausura 0 monastero , € queste non do- vessero per vecchie abitudini, o agire senza persuasione , o gli antichi difetti con la nuova educazione innestare. 69 La casa costruita a bella posta corrispose pienamente alle vedute della Fondatrice. Essa racchiude in fatti tutti quei comodi che l’oggetto richiede, è vasta ed ariosa, ed in ogni sua parte ridente per abbondanza di luce , compo- sta di sale spaziose ed ornate, di gallerie scoperte e coper- te; nè poco contribuisce all’interna di lei vaghezza un certo gusto che trovi nell’architettura specialmente delle scale , e la freschezza della novità. Due giardini la corredano di varia grandezza, il più piccolo destinato al passeggio om- broso nelle ricreazioni estive , il maggiore in parte alla cul- tura dei fiori, ed in parte tenuto a prato, serve al diver- timento ed agli esercizi ginnastici delle fanciulle. Venne chiamata dalla Francia a far l’ufficio di supe- riora o direttrice una delle signore già note nell’educazione della Casa di S. Denis. Essa ha portato nel nuovo istituto molte regole che si praticano nell’ educatorio francese , in specie perciò che riguarda l’interna disciplina , ed ha poi avuto luogo d’ introdurre in questo conservatorio alcuni mi- glioramenti suggeriti dall’ esperienza di molti anni, e fa- voriti, dalla nuova montatura e dal numero più ristretto delle fanciulle da educarsi, nel che mi pare che si debba, per la verità, stimar migliore il nostro istituto , destinato per un numero discreto di alunne, e tale da potere rice- vere ciascheduna , una più che sufficiente cultura indivi- duale. Questa superiora come madre dirige l’ educazione e } istruzione delle alunne , assistita da una ispettrice , pure francese, e da varie signore le quali, quasi sorelle mag» giori, vegliano continuamente sulla condotta delle educan- de, nelle diverse loro occupazioni e fisiche e intellettuali e morali. Al fisico delle alunne ottimamente provvede il locale salubre e ridente , che non poco contribuisce allo svilup- po dell’immaginazione e del cuore nella gioventù. In esso possono le fanciulle in ogni tempo esercitarsi nei loro quo- tidiani divertimenti senzachè le interrompa il variare delle stagioni : immediatamente dopo la pioggia dirotta , sopra lunghi terrazzi situati in alto e lastricati, possono passeg- giare e saltare, difese dall'umidità delle piante e del ter- 70 reno: non le trattengono da questo giornaliero bisogno, il rigore del verno o le giornate interamente piovose , per- chè un lunghissimo e vasto loggiato , tutto da muri e da cristalli coperto e chiuso , offre loro un largo campo per di- vertirsi , correre, e così scaldare la persona nel modo più generale e salubre. Provvisto al bisogno dell’individuo colle diverse ricreazioni, nelle quali si esercitano in quei giochi ginnastici che sono introdotti anche in altre case di educa- zione , e che più convengono al loro sesso, passano a com- porre il moto della persona, a stabilirne quel portamento che le distingue certo dalle educande degli altri conserva- tori d’Italia, per mezzo della danza, della quale io qui ti parlo, e. perchè è parte di educazione fisica, e perchè prendono appunto le alunne questa lezione dopo le loro ricreazioni, come quella che partecipando di attenzione e di moto, può ragionevolmente formare anello di comuni. cazione tra lo spasso e lo studio. L’ora dell’alzarsi è sollecita in ogni stagione; ognuna pensa alla coltura della propria persona, a quella del suo letto, e le più grandi aiutano le più piccole , finchè non hanno l’età o la capacità di poter fare da loro. L’abito è nulla più che proprio e decente. Il vitto, in tre refezioni diviso, mi parve regolato in modo che resti una giusta di- stanza tra la colazione , il pranzo e la cena. Evvi un lo- cale a posta per quelle fanciulle che si sentono indisposte, uno per le malate, e quello e questo, invigilati da una per- sona esclusivamente addetta a quell’ufficio, col titolo d’in- fermiera ; entrano qui le alunne dietro l’ordine del medi- co, e senza un di lui permesso non escono. Coltiva ciascheduna fanciulla un pezzetto di terra che le viene assegnato, ed in quella pratica utilissima , appren- de senza accorgersene molte cose naturali necessarie a co- noscersi nella domestica economia e nei bisogni della vita, S'imparano dalle alunne tutti i lavori femminili, non solo i più indispensabili , ma quelli ancora che servono all’ornamento ed al gusto , così tra i primi , il taglio de- gli abiti e della biancheria , i lavori tutti di ago e di pa- glia, e tra i secondi, ogni sorta di ricamo, in lana , in 71 seta , in cotone e in ciniglia. Esse lavorano per il loro istituto , sia per gli arredi destinati al culto divino , sia per il proprio vestiario o per quello delle compagne , sia per farsi dei donativi scambievoli ; talvolta però possono presentare in dono ai genitori un qualche piccolo ricordo, in attestato dei loro progressi. In questi lavori sono ini- ziate e dirette da quelle signore della casa , che vegliano a vicenda sulla loro condotta. Il disegno, che ha tanta e sì bella parte nella educa- zione dei sensi che dovrebbe in ogni istituzione pedago- gica essere uno dei principali istrumenti onde esercitare la gioventù , vien loro insegnato da un professore il quale, insieme con gli altri maestri, tutti per meritata fama chia- rissimi , contribuisce non poco a dar reputazione e fidu- cia al nuovo istituto. La prima volta che andai a visitare questo educatorio che non contava se non undici mesi di vita, veramente non sapea persuadermi come in sì breve spazio avessero le alunne tanto profittato nel disegno, co- sicchè più volte tornai a domandare quanto tempo era che si occupavano di quello studio. Io non veddi , è vero, co- piati dalle alunne, se non che alcuni elementi e di figura e di paese e di fiori, ma questi saggi nella massima par- te, mi parvero annunziare una non ordinaria disposizione, Nè minor maraviglia mi cagionò il sentire alcuni saggi di musica vocale e strumentale , arte sì conveniente al sesso gentile , perchè non solo considerava il breve tempo, ma più ancora la noia di quei principii che esigono dalle fan- ciulle due qualità che non possono avere, pazienza e per- severanza , e poi delle loro fatiche non lasciano sott’ oc- chio un resultato presente che le lusinghi. La direttrice , veduto l’interesse che prendevo per le sue fanciulle , volle che mi cantassero un breve coro da esse preparato per fare una graziosa sorpresa alla loro Fondatrice, quando nel gior- no del suo nome fosse venuta a visitarle. Io non posso can- cellare dal mio cuore la sensazione commovente di quella musica, e mi è spiaciuto di non averne dimandato le pa- role che tanto semplici e naturali mi parvero. Ma perchè finqui ti ho trattenuto con ciò che più particolarmente "2 rigvarda l'educazione del fisico, voglio mio carissimo par- larti adesso di quella dell’ intelletto. 1 In questa parte di educazione mi parve vedere adot- tata una massima giusta , convenuta forse da molti, ma praticata certo da pochi, che debbasi cioè educare l’intel- letto ed esercitare la memoria. Bisogna confessare che nelle ordinarie educazioni , la memoria usurpa l’ ufficio di pres- so che tutte le altre facoltà dell’ intelletto. A questo ter- reno che tutto riceve, ma nulla feconda, sono consegnati i primi germi del nostro sapere ; ora io domando, in tan- ti nomi e di grammatica e di prosodia che si cacciano con questo solo mezzo materiale nella mente dei giova- ni, quale esercizio vi abbiano le altre operazioni dell’ani- ma, e quindi quale educazione possa riceverne l’intendi- mento, che non è che il resultato di tutte queste? Ripen- siamo alla nostra età prima, qual frutto di tante cose imparate a mente? Se ci volgiamo dai quattordici anni in- dietro, noi non vedremo che aborrimento , il più delle vol- te ragionato, allo studio, e poche idee giuste e solo di quelli oggetti che avemmo luogo di decomporre da noi stessi. E noi vorremo in tanta luce di verità morali chiuder gli vc - chi, e stagnare? negheremo un progresso all’ umana ragio- ne? a che nasceranno dunque i posteri se tutto fu fatto da noi? a che nascemmo noi, se tutto fecer gli antichi ? tauto potrà negli uomini una abituata consuetudine? tanto su di noi che sì frequenti esempi avemmo , onde persuaderci a scuotere il giogo di questa seconda natura, che ci acquieta, e ci illude ? tanto potranno le rauche voci dei detrattori delle novità, ai quali la storia dello spirito umano ci mo- stra quale avvenire prepari la fama? e noi toscani primi ad insegnare la vera ed unica via che guida allo scopri- mento delle verità fisiche, dovremo ora trascurar le mo- rali, che su quella via medesima da noi trovata si avan- zano , e così rinunziar quasi alla nostra stessa dottrina ? Ciò non può essere, e non sarà spero tra poco , ed in que- sta speranza mi conferma il modo appunto che a nutrire l'intelletto si pratica nel nuovo istituto. Io non ti dirò già, che siansi adottati in questa edu- p3 cazione metodi totalmente nuovi, e quali li vorrebbe , forse lv stato attuale della scienza ideologica; ma mi è parso, che senza urtar di fronte alcuni pregiudizi , siasi fatto tutto quello che potevasi per indirizzare a poco a poco sul vero cammino le menti novelle, il che stimo sommamente prudente in un luogo che fonda la sua reputazione sull’opi- nione del pubblico, e nel quale 1’ aver voluto troppo bru- scamente piegare, sarebbe stato lo stesso che troncarne af- fatto l'oggetto. © Si danno da primo alle fanciulle col mezzo di certi libri destinati all’ esercizio della lettura dell’idee di cose adattate alla loro capacità, e di oggetti che le circondano; così leggono in essi la divisione dell’anno, i prodotti, e le faccende di ciascheduna stagione, una succinta storia di quegli esseri, che nell’ aria, nell'acqua, sulla terra, e den- tro di lei si muovono, vegetano, e stanno, e vi appren- dono quali relazioni abbiano questi oggetti tra loro, e quali con noi. All’esercizio della lettura va contemporaneo quello del- l'aritmetica, da primo praticamente insegnata, e dello scrit- to, che sul principio serve all’ ordinario uffizio di scioghier la mano , e formare i caratteri; ma poi tien qui dietro coi diversi esemplari agli altri studi delle fanciulle , le quali trovano così nell’ esercizio della calligrafia un aiuto alla loro memoria. Lo studio delle lingue s’ incomincia da esse pratica= mente, si notano cammin facendo a poco a poco le regole, le quali restano loro più impresse perchè non sono mai dall’esempio disgiunte ; così imparano esse il francese par- lando con la superiora , coll’ispettrice, e con alcune di quelle signore , le quali quantunque toscane hanno una più che sufficiente cognizione di quella lingua. Il maestro fran- cese nel tempo della sua lezione , fa loro pronunziare una qualche frase , ne nota l’ ortografia, e quindi passa ad un intero periodo ; e fatto 1’ esercizio della pronuncia e del- l’ortografia, ne mostra ancora la struttura grammaticale. Un metodo simile si pratica dal maestro della lingua italiana, il quale facendole parlare e leggere , toglie alcuni idiotismi e difetti di pronunzia, e a poco alla volta le gui- da alla cognizione della grammatica, nel tempo stesso che fa loro gustare quelle bellezze della nostra letteratura, che sono in istato di comprendere. E qui voglio sperare, mio carissimo amico, che per l’uso di questo istituto, si prov- vederà insieme ad un vuoto che, pur troppo , non senza rammarico de’ genitori , esiste in Italia , io voglio dire alla compilazione di alcune antologie o lettere o scelte di prose o castigate traduzioni o sotto qualsivoglia altro titolo in- somma , a formare dei libretti per l’ uso della gioventù , dai quali possa ricevere pascolo e direzione la mente ed il cuore. Una delle mattine in cui io visitava questo isti- tuto, mi combinai a sentir la prova di una commedia di madama di Genlis, che le fanciulle imparavano a decla- mare per esercizio di pronunzia , e ti posso accertare che recitavano con molta intelligenza, e per quanto mi è dato di giudicarne , la pronunzia ne era assai buona , cosicchè io mi maravigliai non poco quando seppi , che tra le fan- ciulle che avevano parte in quella azione , ve ne erano due sole , che prima di entrare nell’ educatorio avevano avuto una qualche tintura della lingua francese. Incominciano l’educande lo studio della storia da quella del popolo ebreo , che serve loro come di nucleo , per co- noscere tutti gli altri fatti dei popoli antichi. Le lezioni sono scritte a bella posta , facili e castigate ; debbono esse ripeterle dopo un giorno intermedio al loro maestro, secondo il modo col quale ciascheduna le comprese, aven- do avuto luogo di rivederle dietro alcuni appunti , o presi da loro stesse, o lasciati ad una signora di ciò incaricata dal maestro medesimo. Questi nell’atto che dà la sua lezio- ne , ha luogo di spiegare alcune frasi, che non possono le alunne comprendere, e il valore di alcuni vocaboli nuovi affatto per esse; e quando poi ne ascolta la repetizione, loro agevola il senso delle espressioni men chiare, le av- vezza alla proprietà dei termini , ad usare un linguaggio esatto; insegna loro insomma a ben maneggiare questo istru- mento, col quale debbono comunicare altrui le proprie idee. Tuttociò , come ben tu cop:prendi , è assai più facile a i, 75 dirsi di quello che a mettersi ad effetto, ed il corso della storia avrebbe forse potuto di più progredire , se non si avesse avuto riguardo a questo primo dirozzamento » Ma senza di ciò come sapere se le fanciulle abbian veramente capito quel che loro insegnate, quando non si esprimono abbastanza , il che non possono fare , non essendo i ragazzi assuefatti a parlare a lungo, a collegare un discorso? Savis- simo quindi mi sembra questo procedere , che insieme è di grande alimento allo studio della loro lingua nativa. Le alunne non scrivono da loro stesse l’intera lezio- ne di storia che udirono dal maestro, perchè così facendo, o sarebbero obbligate a scrivere un tratto troppo lungo e faticoso , forse superiore alle loro facoltà fisiche e intel- lettuali, e d’impedimento certo al progresso degli altri stu- di; o dovendo il maestro adattarsi alla capacità e alle cir- costanze delle medesime, dovrebbe scorciare le sue lezioni, e questo produrrebbe 1’ altro inconveniente di portare trop- po in lengo il corso intiero della storia , il quale bisogna pure che abbia un ragionato ma discreto periodo , perchè quantunque si ricevano le alunne intorno ai sette anni com- piti, e vi possano rimanere fino ai diciotto, non venen- do peraltro introdotte a quello studio, se non quando ne hanno l’ età più capace , ed essendo d’ altroude possibile che taluna, o per motivo di accasamento , o d’altra cir- costanza domestica , debba uscire prima di consumarvi il tempo prefisso , resta così necessario il compendiare que- sto corso di storia, che pure ciascuna alunna deve ricever completo. È vero che, trattandosi di fanciulle , codesto stu. dio può essere in molte parti ristretto, può contenere i fatti principali che sarebbe vergogna l’ignorare, e le vite de- gli uomini più illustri, gli uni e l’altre corredati di quella sola filosofia che più interessa la morale ed il cuore. E di questa tale storia bisogna bene che si contentino quei genitori che nelle pubbliche scuole tengono ad impararvi questo stu- dio i figliuoli, perchè la cognizione piena e profonda della storia, non è studio da giovinetti, ma da uomini. Ad evita- re adunque gl’inconvenienti di che sopra parlammo, e che sono comuni nelle pubbliche educazioni, il maestro non fa loro scrivere l’intera lezione, ma alle più capaci fa pren- dere soltanto degli appunti, e per tenere l'ordine dei fatti, e per aiuto della memoria ; e perchè opposi che questa pra- tica assuefarebbe forse le alunne a preudere uno stile trop- po arido e secco, mi fu risposto, che quanto all'esercizio dello stile, ognuna a vicenda di tratto in tratto, doveva scrivere una qualche descrizione o di una battaglia o di una città o di ciò che più le avesse nella storia ferito la fantasia , a suo piacimento , al quale esercizio facilitava l’assuefazione ad esprimersi accuratamente di che feci pa- rola di sopra. Dalla storia non va disgiunta, come è di necessità, la geografia, nè questa geografia insegna solo la situazione delle provincie e delle città, ma di quelle e di queste, dice la popolazione , le diverse manifatture, i prodotti naturali ; e la descrizione di questi prodotti trova già nelle alunne delle idee fondamentali e relative , ricevute col mezzo di quelle letture elementari di cui parlammo , e che allora vengono ad esser riprese ed accresciute ; e da queste co- gnizioni di geografia fisica nasce un’ amichevole fratellanza di studi, che tutti ccapiolto a fissare indelebilmente delle idee giuste e necessarie nella mente delle alunne, perchè i prodotti naturali ricordano le manifatture , e le manifat- ture i paesi, e i paesi i fatti accaduti , e viceversa , e ri- chiamata ciascheduna di queste idee , tutte le altre si af- facciano. Vegliano al progresso degli studi e la Fondatrice me- desima, la quale con le frequenti visite, mostra la cura particolare che prende per le sue figlie adottive, e due de- putati destinati dal governo per invigilare sull’ andamento di quella casa ; questi di tratto in tratto assistono alle le- zioni delle alunne , e talvolta saputo lo stato delle loro co- guizioni attuali, prendono ad esaminare sul passato ognuna imparzialmente , interrogandole per turno, la sorte nomi- nando la prima, così sono esse obbligate a star sempre pronte a questo esame inatteso , e il prepararvisi non ferma il pro- gresso dei loro studi. Io ardeva di desiderio di sapere se in questo educatorio , nel quale vedevo molte buone cose 77 adottate, si dassero dei pubblici esperimenti , ma d’altron- de non osava domandarlo, temendo pur troppo una risposta affermativa; venni però a sapere accidentalmente ciò che bramavo , e non ti posso esprimere , carissimo amico, qual fosse la mia consolazione nel sentire che questi esperimenti vi sono assolutamente proibiti. Io non mi so persuadere , come in un secolo, nel quale esser dovrebbe più diffuso, non dirò già la filosofia o il sapere, ma almeno il buon senso; in un secolo in cui tante cose si sono scritte, lette, e vedute; in un secolo in cui tanto si parla di educazione e di morale, non abbiasi rivolto il pensiero a togliere i molti e gravi inconvenienti a cui sono stati soggetti fin’ora quei sti spettacoli di educazione. Per prepararsi a recitare in quelle rappresentanze, particolar fatica della memoria, tron- cano le fanciulle qualche mese avanti il corso dei loro stu- di, e qualche mese dopo più non resta ad esse di tanta ap- parente dottrina, che la rimembranza di quegli applausi, e quindi la presunzione di sapere : nè mi si dica che questi esercizi destano negli animi dei giovani, quella emulazio- ne che si stima così necessaria al progresso dei loro studi, perchè rispondo che codesta emulazione di cui tanto si van- tano le pubbliche educazioni , è una molla pericolosissima a toccarsi, come quella che tiene dell’invidia e dell’amor proprio, che sgomenta il più delle volte gl’ingegni freddi e pensatori, ed i pronti e legggeri invanisce. E qui se vo- lessi esporre le idee tutte che su tal proposito mi si affol- lano alla mente, in specie per ciò che riguarda questo fare al publico (comunque sia scelto) spettacolo di fanciulle, le quali tanto più guadagnano quanto stanno più occulte , questa digressione verrebbe soverchiamente diffusa, nè forse stimata a proposito, parlando di un educatorio nel quale questi pubblici esperimenti, non sono nè saranno , spero, introdotti giammai. È giusto che i genitori , i parenti , i tutori , le per- sone in somma che hanno un interesse diretto all’ educa- zione delle fanciulle , abbiano di tempo in tempo la sodi- sfazione di conoscerne il profitto, Essi soli in fatti , sono 78 nel nuovo istituto invitati ad assistere agli esperimenti che son dati nell’ anno , ed ai quali non intervengono che i respettivi maestri, la direttrice , e i deputati. In questi , che io chiamerei più volentieri conversazioni , che esperi- menti , possono essere a ragione pienamente soddisfatti i genitori, perchè hanno luogo d’ interrogare a loro modo le figlie, e di conoscere se le cose apprese sono state ap- poggiate alla sola memoria ,0 se veramente abbiano pe- netrato nell’ intelletto; possono in questi la direttrice e i deputati, di quelle che più si distinguono, dar le dovute lodi a ciascheduna individualmente , così che ad esse non sieno motivo di orgoglio, alle più deboli cagione di avvili- mento. Anzi mi pare che in questo conservatorio abbiasi grandissimo riguardo, onde ovviare tuttociò che possa far nascere tra le alunne un qualche leggero dissapore, il che influirebbe sull’educazione del loro morale, di cui sono a parlare, e perciò quando si dà lode ad una alunna perchè abbia progredito in un tal genere di studio alla presenza di altre in quello inferiori, si procura di rammentare su- bito dopo quel lato per cui anche queste si sono rese brave e notabili ; così ognuna di esse ha quella lode che merita, e nulla più, e può riguardare le sue compagne , senza in- vidia o scoraggiamento. È saviamente proibita qualunque punizione in tempo del cibo, come altre volte si praticava in molti conserva- tori. Le mancanze delle alunne sono riguardate sotto due aspetti, o commesse verso loro medesime , o verso le altre persone della comunità ; nel primo caso vengono chiamate dalla suporiora che le ammonisce, e mostra con esse un contegno più sostenuto e ineno curante ; nel secondo sono per poco tempo separate dalle altre , così quando entre- ranno nel mondo conosceranno che la società punisce egual- mente col diverso contegno e la non curanza, quelle per- sone che trascurando la propria cultura hanno rinunziato alla stima del pubblico, e col separare da se quelli indi- vidui che sono altrui di fastidio e d’ inciampo . È questo il loro semplicissimo codice penale , al quale non occorre 79 quasi mai ricorrere , perchè la dolcezza , la persuasione, e la continua e regolare occupazione del tempo , rendono inu- tile qualunque mezzo di rigore. Alla morale ed al cuore di queste fanciulle, ottima- mente si provvede con la lettura di quei libretti , che o scritti in francese, o tradotti in questa lingua dall’ ingle- se, sono stati a bellaposta composti per educare la gioventù con gli esempi; e son guidate alle idee di religione da quelle letture elementari , che altre volte citammo, le quali par- lando da prima delle cose create a benefizio dell’ uomo , passano quindi a farne conoscere il Creatore. La prima occupazione delle alunne appena alzate è quella di volgersi a Dio, perciò vanno tutte insieme nel- l’ oratorio privato , ove pregano per la salute e prosperità dei genitori, della Fondatrice, dei parenti e dei maestri; e udita la messa, e fatto colazione, incominciano l’ ordi- ‘ne giornaliero dei loro studi. Recitano una preghiera pri- ma del pranzo, una in ringraziamento subito dopo , la sera avanti di coricarsi tornano nell’oratorio a render grazie dei benefizi ricevuti nella giornata. Dal loro paroco, o cate- chista , in un giorno determinato della settimana, vengono istruite ed esaminate sopra i doveri della nostra religione. La domenica ascoltano la spiegazione del Vangelo , e pas- sano una gran parte di essa in esercizi di pietà. Sono que- - ste fanciulle insomma, istruite in quella religione solida, senza pregiudizi, senza ostentazione , e quale si conviene a giovani destinate a vivere in società per essere utili al- trui coll’esempio e col consiglio, non ad aborrire il mon- do , prendere un velo e ritirarsi interamente da lui. Questo avvicendamento di esercizi del fisico , dell’ in- telletto, del morale e della religione, ogni giorno meto- dicamente eseguiti, procede a suono di campanello senza interruzione veruna, provvede a tutte le parti dell’ edaca- zione e dell’ istruzione , le quali con reciproco vantaggio si avanzano, ed assuefà la gioventù a prendere un insieme di felici consuetudini , utile scopo di qualunque pedagogica istituzione ; ed in ciò bisogna confessare, mio carissimo ami- co, che l’educazione pubblica prevale certo alla privata e 80 domestica, perchè in questa i doveri di società, gli affari di famiglia, ed altre circostanze, alterano spesse volte l'ora- rio stabilito, ed è della massima utilità per i giovani l’as- suefarsi di buon ora ad una vita regolata ed attiva, im- perocchè una perfetta educazione ha ottenuto il suo inten- to, quando lascia alla gioventù queste due sole doti , oc- cupazione , e buon senso. Io so che questi conservatori , istituti, e collegi non si debbono riguardare, se non come supplimenti all’ edu- cazione domestica ; stre questa è la più naturale e la più cara per gli uomini; che in essa sola può coltivarsi l’ in- telletto di ciascheduno individuo , secondo la sua indole , e capacità; che non possono i figli aver migliori maestri dei genitori; che il padre tempera liga dolcezza della madre, questa il soverchio rigore di lui; che l'esempio delle virtù domestiche è il miglior precetto per i figli; che il convivere con fratelli, sorelle e parenti, lega ed unisce più i cuori e le famiglie tra loro, rende più comportabili le sventure , più grati i piaceri della vita. Questo modo di vivere domestico ce lo insegna la natura medesima, che riunisce in famiglie, animali e vegetabili; e dà a que- sti robustezza e vita, finchè i teneri rampolli, difesi da pri- Ina sotto i paterni rami, non possano quindi col proprio vigore durare alla rabbia dei venti; nè da quelli separa i piccoli figli dal latte e dal calore materno custoditi, fin- chè educate membra e difese non sappiano da per sè stessi provvedere ai propri bisogni. Pur nullameno saranno sem- pre utili e necessarie le pubbliche educazioni , fintanto- chè la morale da tutti parlata, praticata da pochi, non sia più diffusa nelle famiglie , e l’istruzione da molti temuta non sia più sparsa in tutte le classi della società; e fors’an- che allora lo saranne per quei fanciulli che persero il pa- dre, per quelle figlie che prive restarono delle cure ma- terne, per quelli infelici ai quali fu di tanto avara la sor- te, che negò l'una, e l’altra conoscenza di questi due es- seri, i più cari e i più rispettabili della vita. Quindi (co- me tu vedi) fu savissimo e veramente materno il divisa- mento della nostra Granduchessa, la quale volle , richia- 87 mando il pensiero all’ educazione delle fanciulle, diret- tamente e indirettamente, provvedere alla felicità dello stato. Vi provvedde direttamente, perchè da quanto ti ho detto di sopra pare a me che nell’istituto da essa fonda- to, sia tutto ottimamente disposto , onde educare le fan- ciulle ad essere attive, capaci, e buone madri di famiglia; ‘ attive per assuefazione al lavoro; capaci, perchè corredate di quelle cognizioni, che possono essere loro utili nella vita sociale, e domestica; buone per morale e per religione. Vi provvedde poi indirettamente, perchè dopo la fondazio- ne di questo istituto , tutti gli altri conservatori hanno procurato di dar nuov’ordine, e miglioramento alla loro educazione , e ti posso accertare, che attualmente in To- scana non è punto trascurata l'educazione delle femmine... Ma la dolce illusione di parlar teco, mi fece trascor- rere i limiti della discretezza; la tua amicizia saprà per altro con questo perdonare tutti gli altri difetti della lun- ga lettera; e compatito l'ingegno, riguarderà solo il buon animo del suo carissimo. Td Histoire des tn EA por J. C. L. Srmonpe DE SrsmoNnDI. Paris 1821 e seg. — Art. II. (Vedi Antologia N° 74 pag. 54 DI: Se per altro notabile non fosse l’epoca dei Carlovingi che per aver dato al potere sociale una base teocratica ri- cevendo la corona dalle mani de’ pontefici , e pel ristabi- dimento dell’impero di Occidente , meriterebbe pur sempre lo studio del pubblicista come quella che grande influen- za esercitò sul dritto publico del medio evo. Ma una tal | epoca per ben altri riguardi è degna di attenzione. Vi scor- giamo infatti in sul bel principio la ricostruzione del po- tere sociale sfuggito di mano ai molli Merovingi, ed i no- stri cuori si senton sollevati dai tentativi pel ritorno de’lu- mi; ma a questo breve splendore vediam presto succedere T. XXV. Marzo. dala \ 8a un lungo periodo di spossamento , di dissoluzione , e di più spesse tenebre. Investigare le cause proporzionate all’alter- nazione di questi fenomeni morali, ci sembra esser l’ufficio della filosofia dell’istoria. Le guerre frequenti ed un prodigo uso della forza pub- blica, puonno certamente annoverarsi fra le cagioni della fiacchezza che succedette al regno di Carlo Magno. Ma an- tichi e recenti esempi mostran pur troppo esservi pei danni della guerra facil riparo , laddove esistano buone e libe- vali istituzioni. E dopochè si è veduto ai nostri tempi una gran nazione escir da una lotta acerrima di 25 anni coll’intiera Europa , più numerosa, più ricca, e più avan- zata nella civiltà di quando vi entrò , è forza concludere che nell’ indole degli stabilimenti sociali, nella distribu- zione della proprietà e degli altri vantaggi che l’ordin ci- vile assicura , conviene ricercare la ragion sufficiente dei principali fenomeni dell’ istoria. Questo principio ha sem- pre servito di scorta al Sismondi , e nella sua opera noi troviamo abbondantissime esposizioni dello stato morale e politico de’ popoli, di molte riflessioni adorne, le quali non posson aver luogo in questo articolo. Noi ci contenteremo di scegliere quei tratti più segnalabili da cui si può conoscere come lA. espone la storia dei tempi che dalla metà del- l'ottavo secolo alla fine del decimo trascorrono (1). Sino dalla metà del settimo secolo ebbe principio la grandezza della famiglia da cui escirono i re della seconda razza. Pipino, dai moderni soprannominato d'Mzristal, alla testa del partito aristocratico acquistò ed ai successori suoi trasmise la carica importante della mèrla o prefettura del palazzo. Da questo momento in poi gli atti publici di fon- dazione di nuovi conventi, di dotazione di chiese, son quasi i soli che ci rammentino l’esistenza dei re ; le storie oscure e concise del secolo settimo , e di una parte dell’ottavo si limitano a parlare dei maires del palazzo, e trascurano i re, la condizione e le opinioni del popolo. Nondimeno bastanti testimonianze ci restano della pro- (1) La metà del IT .° e l’intiero tomo ITI° contengono questo periodo di storin. 83 gressiva diminuzione delle lettere, benchè il clero crescesse in considerazione ed in ricchezza. Niun secolo fu più fe- condo di monaci, di miracoli, e di santi. Ad esempio del clero , i governatori delle provincie , duchi o conti cercarono di crescere in potere , e rendersi indipendenti dalla corona ; cosicchè Carlo Martello succes- sore di Pipino, ebbe a lottare con quella stessa fazione ari- stocratica a cui dovea l’inalzamento del padre. Nel mez- zo giorno della Francia l’ indipendenza si era quasi stabi- lita, ed appoggiandosi sulla diversità di lingua e di costu- mi, era tanto più difficile a sradicarsi; pur non ostante anco l’Aquitania sarebbe stata ridotta alla subiezione dall’ardi- mentoso Carlo, se non l’ avesser distratto le guerre coi sas- soni e soprattutto il bisogno di porre un arigine alla po« tenza de’ saraceni, che dopo l’ occupazione della Spagna (aun. 714.) era divenuta formidabile per le Gallie, Per sup- plire alle spese di questa guerra, da cui dipendeva forse l’esistenza politica della nazione , convenne valersi delle rendite ecclesiastiche in prò dello stato , lo che non fu mai perdonato dal clero. Esiste tuttora una lettera diretta a Lo- dovico Pio da un sinodo della Gallia, in cui si narra esser Carlo Martello eternamente dannato alle più acerbe pene dell'inferno , per aver ardito toccare i beni della chiesa. I pontefici romani riguardarono con occhio più favore- vole Carlo Martello , e lo esortarono a rovesciare la monar- chia dei longobardi; ma la morte del maire rese per al- lora infruttuose le trattative. La potenza di Carlo Martello passò in Pipino ed in Carlomanno suoi figli, e dopochè, per una pietà non rara ne’ tempi di cui parliamo, Carlomanno ebbe abbracciato lo stato monastico , tutta l’autorità si riunì in Pipino. Esisteva per altro nel regno una fazione di malcontenti, che col cre- scere del re Childerico IMI poteva forse divenir pericolosa pel maire del palazzo ; laonde 1’ accorto Pipino pensò d’ag- giungere il titolo regio al sommo potere che difatto eser- Citava , e di consacrare colla religione questo cambiamen- to nella gerarchia politica. Perlochè “ Burcardo vescovo di » Wutzbourg , usiamo le parole di Eginardo , ed il prete 84 Fulrado cappellano furon mandati a Roma a papa Zac- ,; charia per consultare il Pontefice sui re che esistevano ,; allora in Francia, che di regio aveano il nome, senza il ,; potere : per mezzo loro il pontefice rispose esser più con- ,; venevole cosa che re fosse colui il quale ne esercitava il po- tere, e colla sua autorità avendo ciò sanzionato fece sì _ ,, che Pipino fosse costituito re ,,. “ Allora, soggiunge il ,, continuatore di Fredegario , per consiglio e col consenso di tutti i franchi e coll’ autorità della sede apostolica , l’illustre Pipino per l’ elezione della Francia, per la con- sacrazione dei vescovi e la sommissione de’ principi , fu inalzato al trono colla regina Bertrada, secondo gli usi ,» antichi ,,. La consacrazione seguì a Soissons nel 1 marzo 752, e Childerico III fatto frate morì pochi anni dopo. Di più non è dato sapere su questa importante rivoluzione , la quale è circondata di tenebre come la più gran parte degli avvenimenti di quella età. « Nei secoli barbari, riflette a questo proposito l'A. , una rivoluzione quanto più era graude, tanto più rima- neva oscura nell’istoria. Adempiendosi quasi sempre colle guerre , colle stragi , e colla desolazione, distruggeva i propri documenti; PIRANO il poter della spada, fa- ceva abbandonare la cultura delle lettere ; quelli che si impossessavano dell’ autorità potevano esser vani delle vittorie, ma non delle cospirazioni e degli intrighi che l’avean preparate ; desideravano conservare la memoria de’ loro nomi, e de’ nemici o fugati o vinti , nè altro cu- ravansi trasmettere alla posterità. Gli annali dell’ottavo secolo della Francia sono spesso ridotti a fornirci queste sole notizie ,,. Quel poco che possiamo sapere sullo stato morale e po- litico della nazione, dobbiamo attingerlo dai capitolari di Pipino, e dai documenti della storia della chiesa. I gran comizi della nazione nei campi di marzo eran divenuti più rari sotto gli ultimi re merovingi. Pipino pro- curò di convocarli regolarmente , e pel maggior comodo del popolo gli convertì in campi di maggio; e "RAPIRE come egli era all’inalzamento del clero , vi invitò tutti i prelati { 85 del regno. “‘ Per questa sola innovazione, alla quale un po- polo devoto ragione non trovava per opporsi, potè dirsi ;, mutata la costituzione dello stato, ed i campi di marzo s destinati alla riunione dell’armata, divenner sinodi di ve- | scovi. Introdussero i prelati in queste assemblee 1’ uso della lingua latina e de’lunghi discorsi, vi trattarono tutte le quistioni del domma e della disciplina. I soldati fran- »» chi, estranei alla lingua alla scienza teologica ed al modo 3» di deliberare usato dai prelati, si ridussero ad esser sem- 33 plicemente passivi; e così senza che fosse contestato loro ,; il dritto di intervenire , furon cacciati colla noia dal luo- 33 gO ove avean regnato ,, L’influenza degli ecclesiastici è sensibile nella riforma delle leggi criminali. I popoli barbari guidati dall’ impulso delle cose avean riconosciuto il danno sociale come norma 29 dell’imputazione , e riguardavano le pene unicamente come mezzi di pubblica tranquillità. I nuovi legislatori al contra- rio imputarono le azioni per quella che stimarono loro intrinseca pravità, e consideraron le pene come mezzi di espiazione, I Capitolari di Pipino pieni di classazioni , e di minute descrizioni di tutti quegli eccessi che formaron poi subietto dello studio dei Casisti, costituiscon la più sicura prova della corruzione del secolo, poichè secondo le buone regole della critica istorica le leggi repressive suppongono per necessa- rio antecedente l’esistenza dei delitti che si voglion reprimere. Non stimiamo dover passar sotto silenzio una specie di falsità propria del secolo. Molti, o servi fuggitivi o uomini delittuosi , per evitar le pene e trar profitto dalla sempli- cità del popolo , portavano la tonsura , e senza esser ordi- nati da alcun vescovo , esercitavano tutti gli uffici sacer- dotali. ‘# San Bonifazio si duoleva d’ averne trovato, nelle ,, sue missioni, un numero superiore a quello dei veri preti, »» e d’aver dovuto lottare con loro per la conversione de- , gli infedeli ,,. i Le assemblee della nazione alla riforma delle leggi pe- nali unirono molte disposizioni sulla disciplina del clero, sui matrimoni sì dei laici che de’preti, sul divorzio, e sulla PR 86 separazione personale. La disciplina su molti di questi punti era diversa da quella dei nostri tempi. Il regno di Pipino, come ci è imperfettamente conoscin- to, appartiene più alla storia ecclesiastica chea quella dello stato, seppure queste due storie dopo C:stantino si posson separare. Se si presciuda dalle guerre con cui aggiunse alla saa dominazione la Settimania che non avea mai fatto parte della monarchia de’franchi , e VAquitavia che sen’era resa indipendente, le sue spedizioni militari ebbero sempre uno scopo religioso. Eran guerre di religione quelle coi sasso- ni, e coi longubardi , alla monarchia dei quali , dietro l’e- sortazione di Stefano II papa dette due fierissime scosse, di cui fu riservato a Carlo Magno raccorre i frutti. Suocedettero a Pipino (ann. -08) Carlo Magno, e Carlo- manno, i quali si divisero per paterna volontà egualmente il regno, ma non ebbero eguale il favor di fortuna , poichè tre anni dopo fu dato a Carlo Maguo di riunire tutta la mo- narchia per la morte del fratello, conculcando.i dritti de’fi- gli di lui al paterno retaggio. Nel lungo periodo del suo regno (ann. 708-814) Carlo Magno portò le armi vittoriose in Germania , in Italia, nel mezzogiorno della Francia , ed in alcune provincie della Spagna. Secondo il metodo che abbiamo adottato per que- sti nostri articoli, non possiamo seguire la storia militare delle alte imprese del re franco, ma dobbiamo piuttosto oc- cuparci di riunire i dati storici sull'’amministrazione , e la forza del suo impero, e sulla condizione del popolo. Ciò non pertanto è necessario far parola delle guerre coi sassoni, e coi lombardi, per l’ intima relazione che hanno col modo di pensare di quei tempi, e col carattere di Carlo. « I sassoni, già battuti da Pipino e da Carlo Martello , ,», e che Carlo Magno dovea combattere ancor per lungo ,, tempo, eran divisi in ostfalici all’oriente , in vestfalici »» all’occidente , in angorii nel mezzodì ; a settentrione si ,; estendevano fino al mar Baltico, ed a mezzo giorno con- ss finavano coi franchi, A guisa degli altri popoli germa. s, nici, e de’ franchi stessi quando conquistarono le Gal- ss lie , non eran sottomessi ad un sol signore , ma ad al- 87 »; trettanti re , o principi quanti contavan cantoni, o quasi ;; Villaggi, Tenevano ogni anno una dieta per la discussio- ,, ne degli affari politici presso le sponde del Weser.,,. Ai motivi di guerra che nascon sempre dalla vicinanza di due popoli bellicosi , si aggiunse la diversità di religione , poi- chè i sassoni seguivan tuttora 1’ idolatria. Carlo Magno ri- portò sopra di loro segnalata vittoria nell’anno 772, e di- strusse il loro idolo Hermonsul; ma quando negli anni suc- cessivi (773, 774) era distratto dalle cose d’Italia, i po- poli sassoni ripreser di nuovo le armi. La rivolta inasprì il re de’franchi, e secondochè un poeta sassone ne attesta, fu deciso in una dieta di costringere i sassoni ad abbracciare il cristianesimo , o di esterminarli (2). La guerra fu, come ogni guerra di religione sarà sempre , ostinata e crudele. Più volte i sassoni furono vinti, ed accettarono pacifica- zioni parziali abbracciando per prima condizione il cristia- nesimo , ma ad ogni occasione favorevole presero nuova- mente le armi. Dopo trentaquattro anni di lotta alternata da qualche momentanea pace , furon finalmente domati , ed il trasporto di molte migliaia d’ostaggi nelle più remote parti del vasto impero di Carlo, garantì la loro subiezione. Egi- nardo non dubita di asserire , esser stata questa la gnerra più crudele che Carlo intraprendesse, e quella che stancò più il suo popolo. ‘La guerra coi lombardi, in breve tempo condotta a fine, può darci un'idea della debolezza dei mezzi militari di di- fesa nell'ottavo secolo. Al passo delle Alpi che l’Italia dalla Francia dividono, esistevano due chiuse , per difendere i due regni dall’invasione. Allorchè Pipino e Carlo ebbero vinto questo primo ostacolo , ridusser subito i re de’ longobardi a ritirarsi in Pavia, ed ivi soffrire l'assedio. Dal che è lecito dedurre che altri munimenti militari non esistessero per la (2) Non dispiacerà a’ lettori d’aver sott' occhio i versi a cui s1 allude. Hine statuit requies illis ut nulla daretur, Doneec gentili ritu , cultuque relicto Christicolae fierent; aut delerentur in aevum. O Pietas benedicta Dei, quae vult genus omne Humanun fieri salvum..... Poeta Saxo lib. 1.° vers 186-190 ap. Dii-Chesne Hist- frane. seript. tom. 2. 88 difesa del regno; e se la monarchia dei longobardi non cadde sotto Pipino, lo dovette all’ intercessione de’papi, i quali forse non giudicarono allora prudente il distruggerla. Nel- l'invasione di Carlo Magno, dopo una breve resistenza di Verona, ridotta la guerra all’ assedio di Pavia , non si tentò l’espugnazione della città, ma si ridusse colla fame. Detronizzato Desiderio (anno 774) Carlo conservò le leg- gi, le magistrature , e qualificandosi re dei longobardi, si fece considerare dalla nazione come il sucecessore legittimo dell'ultimo sovrano. Nel tempo dell’assedio andò perla pri- ma volta a Roma, e fece ad Adriano I tanti vnori che vinse l'aspettativa del pontefice, non avvezzo ad esser così vene- rato dagli italiani. Gli scrittori del tempo, ed i monumenti della storia ecclesiastica, fanno credere che Carlo confermasse la dona- zione di Pipino; ma qual sì fosse il tenore dell’atto, e quale l'intenzione delle parti, non è questione facile a decider- si. La confusione che regnava allora fra la proprietà pri- vata e la sovranità, lascia sempre in dubbio sulla volontà de’ donatori, Si può peraltro assicurare che in quei tempi i papi non esercitarono assoluta sovranità ; ed a guisa de- gli altri grandi di Italia riconobbero l’alto dominio di Car- lo, il quale intervenne quasi sempre come superiore negli affari di Roma. Iromanzieri francesi, spagnuoli ed italiani hanno finto molte guerre di Carlo Magno coi saraceni, ed hanno supposta la Francia invasa da questi barbari. La storia al contrario ci mostra a questo tempo la potenza saracina decaduta per le interne divisioni, ed è noto che Carlo Magno ricevè delle onorevoli ambascerie dai diversi partiti, col favor dei quali aggiunse alla sna dominazione quella parte di Spagna che si estende fino all’Ibero. Ma non essendo probabile che tante tradizioni popolari, illustrate dai poeti, sieno affatto prive di fondamento, è da credere che sia stato confuso Carlo Ma- gno con Carlo Martello. Pacifiche furon per lo più le relazioni di Carlo col- l'Impero di Oriente , e per qualche tempo si sperò che le due ‘famiglie potesser stringere parentela, È vero che di i 89 tratto in tratto questa buona intelligenza fu alterata, ma le piccole guerre che ne seguirono niente offrono di veramente degno dell’ istoria. L’incoronazione di Carlo come impera- tore de’ romani, accaduta nel natale dell’anno 800, dovè singolarmente inasprire gli imperatori d’ Oriente. Questa restaurazione dell’impero occidentale, che ha tanto influito suila sorte d’Italia nei tempi successivi, non ebbe allora grandi effetti, ma dispiacque ai greci di vedere un barba: ro divenuto eguale del loro imperatore. Gli anni che l’Imperatore visse del secolo nono furo- no meno notabili per le imprese militari ; egli si occupò più della legislazione, degli studi teologici e della futura quiete della famiglia. Nell'anno 806 divise l'impero fra i suoi tre figli. “A Carlo maggiore di essi assegnò la Francia ossia ,: la parte settentrionale delle Gallie colla Germania; dette 3 al secondo Pipino , l’Italia, la Boemia, e le conquiste fatte in Pannonia; ed il terzo figlio Luigi ebbe la Bor- gogna , I Aquitania, la Provenza, e la Marca di Spagna, 3» La divisione, accettata dai tre fratelli e dal popolo , fu », sanzionata dalla firma del papa,,. Ma i primi due figli premorirono al padre , il quale cessò di vivere in Aqui- ssrana circa alla metà del febbraio 814 essendo in età di 2) 23 72 anni. | Carlo Magno fu senza dubbio uno dei più straordinari genii dell'età di mezzo , ed ha pochi eguali fra i principi di tutti i tempi. Se la gloria delle armi, e l'estensione delle conquiste fossero i veri elementi della felicità di una nazione, i francesi non avrebbero avuta epoca più bella da opporre a Carlo Magno fino quasi ai nostri giorni! Que- sto grande uomo ha servito di tema a tutti gli scrittori si- stematici. Mably ne fa il protettore del popolo contro i gran- di; Montesquieu lo considera come il modello dei legisla- tori; e Velly, inclinato ad amplificare quanto favorisce la causa de’ principi, lo dipinge un eroe dotato di tutte le virtù, non ‘esclusa la castità, che tutto compiè per la sola forza del proprio ingegno. Tutti questi scrittori suppongono che Carlo costruisse un nuovo edifizio sociale; ma quando vediamo l’impero di lui indebolito ed avvilito sotto i suoi ld 90 immediati successori, e la potenza della sua famiglia quasi distrutta prima del cadere del secolo, ci sentiamo sforzati a diffidare di tutti questi sistemi. Una gran rivoluzione mora- le seguì invero nella nazione, ma siamo troppo scarsi di ma- teriali per conoscerla adeguatamente: pare peraltro da quello che ci rimane, ch’essa avesse le sue radici nell’ordine an- tico, e che Carlo Magno ad onta del suo grande ingegno fosse trascinato dall’indole del secolo. A questa conclusio- ne ci sembra ridursi il giudizio non assai chiaramente pro- nunziato del nostro autore, o almen tale è 1’ impressione che ci ha lasciata la lettura della sua storia. Alcuni tratti del carattere di Carlo Magno tracciato minutamente da Eginardo , ci daranno luogo di parlare dello stato delle lettere in que’ tempi. ‘ Era facondo , di- ,, ce il biografo , e poteva esprimere con facilità quel- 5» lo che voleva. Non contento della sua lingua ne avea ,, imparate delle straniere ; avea appreso così bene la lin- ,; gua latina che poteva parlarla in pubblico colla stessa ,; facilità della propria ; comprendeva la greca meglio di ,3 quel che la parlasse . . - . Molta cura avea posta nello ,, stadio delle arti liberali , e ne stimava e ne onorava i ,» professori. Pietro Diacono pisano , da vecchio, gli dette lezioni di grammatica. Negli altri studii avea avuto a mae- stro Aibino soprannominato Alcuino Diacono venuto di ,; Brettayna ma d’origine sassone, uomo versatissimo in ogni ,. scienza. Avea seco lui speso assai tempo e fatica impa- ,, rando la rettorica , la dialettica , ed in particolar modo ,, l'astronomia. Imparava anco l’arte del calcolo , e con ,, molta cura applicavasi a determinare il corso degli as- ,; tri. Si provava a scrivere, e teneva sotto il suo origliere ,, alcune cartelle o libriccioli per esercitare la mano, a ,, tempo avanzato, alla formazione delle lettere, ma riescì ,, male in questo lavoro lento ed incominciato fuori di sta- gione. ,, : « È così strano per gli usi nostri, soggiunge l’ A, che ,; sì possa arrivare ad un estesa cognizione di tante lingue ,, 0 di tante scienze, senza sapere scrivere, che quasi tutti ,, i commentatori, seguendo Lambecio, hanno ripetuto che 9I quì si trattava di calligrafia, e non di scrittura, e che Carlo si esercitava in tal guisa ad ornare i suoi mano- scritti di lettere majuscole , ma che il carattere corsivo era stato per lui siccome lo è per tutti i nostri scuola- ri, il primo passo nel corso degli studi. Noi crediamo piuttosto che questi dotti abbiano perduta di vista la di- rezione dell’insegnamento nei secoli barbari. Con pochi libri, e manco carta, lo scrivere era un gran lusso ed una grande spesa, quindi le lezioni erano orali, e la scrit= tura non si adoprava mai per imparare. Carlo invero non avea di bisogno di risparmiar la pergamena , ma i suoi maestri non si erano avvezzati con alcuno a fondar l’in- segnamento su degli estratti e de’quinterni; imprimeva- no la dottrina nella memoria, e non sulle carte ; non esigevano dagli scuolari nè appunti, nè composizioni , e spingevano assai innanzi gli studi senza far praticare un'arte che ci sembra esserne il principio. Rispetto alle lettere missive , ed ai diplomi da concedersi, i secreta. rii ne facevan la spedizione. Carlo avrebbe rimproverato a sè stesso come una perdita di tempo l’ impiego della propria penna, e Ja sua voglia di imparare a scrivere era per lui un piacere di lusso, e quasi senza oggetto. In tal modo sebbene Carlo Magno non sapesse scrivere, non può essere tacciato di barbaro ignorante; aveva anzi il gusto delle lettere, e le conosceva meglio di ogni altro so- vrano del suo tempo e della maggior parte di quelli che son venuti di poi; rispettava gli uomini che contribuivano a diffonderle, e si sforzava d’incivilire i paesi al suo po- tere sottoposti. In Italia le lettere eran coltivate con mag- gior successo che in Francia; in Roma, e nelle provin- cie greche del mezzo dì si trovavan delle scuole, che non essendo mai state sotto il dominio de’barbari, più pura conservavano la tradizione degli antichi studi e del- l'antica filosofia; il poter della chiesa sostituendo le scien- ze teologiche alle lettere umane, lungi dal diminuire avea aumentato il rispetto pe’ dotti. Difatti Carlo cercò in Italia gli istitutori per rimettere in onore le scuole pub- bliche che in Francia erano state abbandonate ; raccolse 2 wi Roma, scrive il monaco d’ Angoulemme, maestri del- ,s L'arte grammatica, e del calcolo, e li condusse in Fran- ,, cia, comandando ad essi di diffondervi il gusto delle let- ,, tere, giacchè prima del signor re Carlo non eravi in Fran- ., cia studio veruno d'arti liberali ,,. Di tutta la letteratura di quel tempo, il canto gregoria- no, e gli studi teologici , furor le parti più favorite, Al- cuino, il più bell’ingegno dell'età sua, era un gran teolo- go,e di teologia si occupava lo stesso Carlo. Eginardo riferi- sce che’l libro della città di Dio era una delle sue più fre- quenti letture. Tanto amore per le scienze sacre non im- pedì per altro che si accreditassero le decretali di Isidoro Pec- catore , sulla falsità delle quali, ai dì nostri, van d’accor- do gli stessi canonisti. Se senza scrittura la perseveranza di qualche uomo raro riesciva ad erudirsi nelle scienze più astratte , 1’ istruzione non poteva per altro divenir popolare; e laddove manca la popolarità i lumi sono sul punto di oscurarsi, ed i dotti, non più tenuti in freno dalla aggiustatezza della media classe degli intelligenti, abbandonano il retto cammino e si im- mergono in oscure ed oziose disquisizioni. Osservazioni pres- so a poco simili dobbiam fare sulla libertà; il numero de- gli individui che partecipano a questo diritto decide della sua conservazione e del suo perfezionamento. Pipino e Carlo Magno riconobbero sempre nel modo il più luminoso la sovranità de’comizi nazionali. Le guerre, le leggi, la successione al trono , la divisione del regno, la disciplina esterna della chiesa, tutto si sanciva da que- ste pubbliche adunanze. Ma i prelati ed i gran possesso- ri di terre eran soli a prendervi parte, e i/ numero di que- sti ogni giorno facevasi più ristretto. Molti piccoli pro- prietari vendevano la loro proprietà per andar forniti all’ar- mata , e molti altri esausti dal servizio militare si trova- van costretti a disfarsi di una proprietà divenuta gravosa. La maggior parte del territorio era coltivata da mani ser- vili, ed Alcuino, la ricchezza del quale non uguagliava quella de’gran signori di Francia, avea sotto di sè 20 mi- la servi. 93 Carlo Magno tenne ogni anno il campo di maggio, ma sempre fuori della Gallia nei suoi dominj germanici ed in luoghi sempre diversi, e fino quasi al principio del nono secolo queste adunanze furono assemblee militari dirette a decretare la guerra e raunare l’armata. La maggior parte dei capitolari di Carlo appartiene al nono secolo. Spesso essi contengono la ripetizione dei precetti della morale , sen- za alcuna regola precisa pel foro; molti riguardano la di- sciplina ecclesiastica , l’asilo e le esenzioni del clero, sia dai servizi militari sia dalla giurisdizione dei tribunali comuni. Egualmente che sotto i Merovingi si ignoravano a tem- po di Carlo le imposte territoriali, ed il re viveva colle rendite delle proprie terre. Questi poderi, che assorbivano una buona parte del territorio, eran coltivati dai servi, o da persone prossime alla condizione servile ; alcuni capi- tolari ne regolavano l’amministrazione minutamente, e colla massima economia, Da queste regole e dal numero dei sor- vegliatori che eran dati ai servi , si può dedurre quanto tristo fosse lo stato di questi infelici. Ma se la proprietà non obbligava alle imposizioni, sot- toponeva però ad un rigoroso servizio militare gratuito, che per la frequenza delle guerre dovè esser sotto Carlo Magno più oneroso delle imposte, e contribuì forse a diminuire i piccoli proprietari. Il possessore di tre o più manse di ter- reno era tenuto a marciare in persona: quello che ne avea una soltanto dovea unirsi con altri due per fornire un uo- mo armato e provvisto di viveri al servizio militare; i con- tumaci eran multati a 50 soldi d’oro, e non avendo da pa- gare pativano la perdita della libertà. Questo jus avrebbe presto fatto sparire una buona parte degli uomini liberi, se la servitù si fosse estesa ai figli; ma Carlo Magno lo tempe- rò ordinando che per la morte del misero contumace si in- tendesse sodistatto al suo debito , e le conseguenze della sua trasgressione non si estendessero nè ai beni nè alla li- bertà de’figli. Le truppe dei /eudi e dei deneficiati, eran guidate all’armata da’loro signori, e gli uomini liberi eran probabilmente condotti dai duchi e dai conti. Dai capito- 94 lari si rileva che i /eudi ed i deneficiati giuravano fedel- tà al re ed al loro signore. Pare che Carlo Magno avesse qualche diffidenza di questo duplice giuramento , poichè in un capitolare si legge: niuno presti giuramento di fedeltà ad altri che a noi ed al suo signore, ed anco a questo ui- timo per il solo vantaggio nostro, e di lui. Ad onta del loro crescente potere i grandi, o laici, o chierici, furon sempre osservantissimi dell’autorità di Carlo ; la forza fisica e mo- rale dell’eroe ne imponeva: bisogna esaminar la loro con- dotta sotto i successori per giudicarli. Il potere giudiciario , giacchè del supremo potere ab- biam detto assai, come sotto la prima dinastia, si seguitò ad esercitare nei mza/li ossia nei placiti minori da dei giu- dici scelti fra’ il popolo, presieduti da’ conti; nè si conob- bero in questa età il processo inquisitorio e la tortura, riducendosi le pruove alle umane testimonianze, ai giura- menti purgatori, ed a così detti giudizi dî Dio. Per riparare agli abusi d’ autorità dei giudici e dei magistrati locali , in- ventò Carlo Magno un istituzione amministrativa per l’avanti sconosciuta in Francia ; volle che de’delegati regii (Missi dominici ) facessero il giro del regno, amministrassero la giustizia, udissero i reclami contro i governatori delle pro- viucie, si informassero de’ principali bisogni dell’ ammini- strazione, e ne riferissero lo stato per dar luogo a de’prov- vedimenti generali. Questi missi dominici eran per lo più vescovi, ed esercitavano perciò grande autorità sugli eccle- siastici. Carlo Magno trattò umanamente i popoli vinti, ed ogni nazione visse colle proprie leggi, dall’ imperatore di nuovo pubblicate ed accresciute. Gl’italiani dettero di rado a Carlo da temere per la propria autorità ; e siccome avea lasciato nei loro posti tutti i duchi e conti longobardi, sop- portarono pazientemente il giogo straniero. Non ostante i papi, i quali sorvegliavano gli interessi di Carlo Magno in Italia, cercarono spesso di mettere in disgrazia del re i si- gnori lombardi. I germani e gli abitatori del nord della Francia, più degli altri popoli partecipi della gloria e delle imprese di Carlo Magno , gli furono anco più degli altri A 95 attaccati e fedeli. La Francia propriamente detta ebbe poca parte ai successi del suo re, ed è raramente rammentata nell’istoria. Le diete si tenner per lo più nei paesi germa- nici, e Parigi l'antica residenza dei Merovingi fu abban- donata da Carlo e da’ suoi successori. Luigi o Lodovico, terzo figlio dell’imperatore, raccolse l’intiera eredità del padre , se si prescinda dall’Italia che per pochi anni fu governata da Bernardo figlio di Pipino, Fino dalla sua prima infanzia Lodovico era stato unto re d’Aquitania, e quella provincia avea governata distinguen- dosi nelle armi, e singolarmente per la dolcezza della sua amministrazione. Ebbe dagl’ italiani e da’ latini il sopran- nome di Pio per la sua singolare pietà , e da’ francesi fu detto débonnaire per la debolezza del suo carattere ; l’uno e l’altro aggiunto conviene al suo nome. I contemporanei disser di lati ch’ era più atto al chiostro che al trono , e più volte vivente il padre ebbe in animo di darsi alla vita contemplativa. La sna pietà, benchè congiunta ad un auste- rità di costumi rara in quei tempi, non lo preservò nè da°delitti, nè dalle misure imprudenti a cui si abbandonava per la debolezza del proprio carattere. Trattò se\eramente le concubine del padre ed i drudi delle sorelle, usò cru- deltà inverso Bernardo re d’ Italia e de’ grandi del suo par- tito, e finalmente confessando i propri falli, e sottoponen- dosi ad una pubblica penitenza in una dieta nazionale , av- vilì la dignità delia corona. Padre affezionato, pio fedele , sposo compiacente, ebbe la trista sorte di ricever le più grandi umiliazioni dai figli e dal clero, e di ripetere i più gravi errori dalle interessate suggestioni ‘dette mogli. Divise fra i figli il regno, e più volte ne alterò la divisione, per lo che il lungo periodo del suo impero (dall’ 814 all’840) fu ripieno dalle fazioni dei figli contro il padre , e del pa- dre contro i figli; peraltro non si venne mai alla pruova delle armi, e se fu sparso sangue civile, fu sangue de’par- tigiani abbandonati alla vendetta del padre. Più di una volta si fecero degli accomodamenti , e per prima condizio- ne d’ accordo , i fautori dei principi furono sempre traditi ma non impararon mai. La fama di pietà e di mansuetu- 96 dine avea fatto accogliere favorevolmente da’ popoli il sue- cessore di Carlo Magno, e tutti speravano la riforma de- gli abusi, ed un sollievo ai lunghi patimenti della guerra; ma accadde al Pio Lodovico ciocchè avverrà sempre ad ogni principe debole; quando volle il bene non lo seppe fare, i tristi si valsero della sua autorità o del suo nome per aggravare gli abusi , ed il popolo l’accusò dello stesso male che non era in suo potere d’ impedire. La condizione della nazione divenne anco peggiore sotto i figli di Lodovico il Pio ; quel poco di forza che rimaneva tuttora ad un impero in cui si scorgevano già tutti i segni della decadenza, fu impiegato nelle guerre civili, mentre le frontiere erano infestate dai barbari. Un sentimento nazio» nale si manifestò peraltro in queste guerre, e si cominciò a vedere allora che i popoli di lingua tedesca non eran fatti per formare una sola nazione con quelli che parlavano il latino o il dialetto romaro. Carlo il Calvo dovè forse a que- sta nazionale antipatia i suoi successi, e per questa e non pel proprio valore fu re di una buona parte della Gallia. Questo re, a cui negli ultimi anni toccò in sorte di riunire sopra la propria testa tutte le corone portate da Carlo Ma- gno, non ha lasciato di sè gran traccia nell’ istoria, nè per virtù d’ animo , nè per enormità di delitti. I suoi succes- sori, quelli specialmente che regnarono in Francia, non fecero che decadere, e nella razza dei Carlovingi come in quella dei Merovingi , si vider tutti i porfiriogeneti inde- gni de’ fondatori della loro potenza , giungere con una ra- pida progressione a quell’ultimo grado di avvilimento, al di là del quale non sembra che arrivar possa la creatura umana. Dalla viltà de’ re rivolgiamo ‘piuttosto lo sguardo ai patimenti del popolo. Fino dai primi anni del secolo nono le coste occiden- tali dell'impero erano state attaccate dai normanni, ma fin- chè visse Carlo Magno furono repressi, e qualche tempo stet- tero in pace pel regno di Lodovico Pio ; sotto i figli di que- sto debole imperatore appena vi fu città celebre in Francia che non soggiacesse alle devastazioni dei barbari o normanni o saraceni. Non come conquistatori, ma come pirati que- DE sti barbari molestavano l’ impero, risalivano i fiumi su dei piccoli battelli appena capaci di 60 nomini, penetravano nell’ interno della Francia per spogliare le città ed i con- venti , e devastare le campagne, non risparmiando nè le cose sacre, nè le persone. La popolazione delle campagnè, per lo più di condizione servile, priva d’armi, non era in grado di resistere, e quella delle città ridotta ad esser com- posta dell’ultima plebe avvezza al disprezzo , non avendo tanto animo da respingere la forza colla forza, si ritirava a pregare nelle chiese per soffrirvi le violenze estreme dei barbari , i quali comecchè di diversa religione , godevano nel violare anco quest’ultimi refugi della miseria. Le forze del regno consistenti nei signori coi loro Zeudi e beneficiati e nella classe degli uomini liberi , occupate nelle guerre civili, non potevano difendere la nazione , e negli inter- valli di queste guerre mancò ai soldati franchi il valore per opporsi ai barbari. Questa diminuzione di valore militare è una delle più attestate rivoluzioni del secolo nono, e forse come crede l’ A., la teocrazia vi ebbe grandissima. parte. Dall’ eccesso del male venne il rimedio. Le dissenzioni della famiglia regnante avean aumentato il potere de’gran- di, poichè essendo soliti ad eleggere i re, e fra gl’ indi- vidui della stessa dinastia trasportar dall’ uno all’altro la corona, misero a prezzo la loro protezione, e per tal modo ottenner sempre o dei nuovi diritti, o la conferma di an- tiche usurpazioni. La dieta di Kiersy tenuta sotto Carlo il Calvo (anno 877) riconobbe il dritto ereditario nei duchi e ne’ conti ; e nei successivi regni i signori particolari delle campagne le munirono di forti castelli, concessero dei ter- reni per dei servigi militari con maggior liberalità di quello ch’ avean fatto per l’avanti, e le cose tutte disposero per divenir sovrani , di proprietari ed aristocrati che erano stati fino allora. Per tal modo il sistema feudale, /enta creazio- ne de’ secoli barbari, come l’A. si esprime, cominciò a farsi distruggitore del poter regio , e noi vedremo in altro arti- colo come ne’ secoli undecimo e dodicesimo dominò solo in Francia ; per ora basti esaminarne gli effetti nel X secolo. T XXV. Marzo. | 7 2 98 » La nuova posizione dei signori gli obbligò a prendersi maggior cura del popolo sul numero del quale fondavano la loro potenza, perlochè la servitù civile fu notabilmente migliorata. Spesso in luogo di servi amaron meglio i feu- datari d’ aver dei manomessi su cui esercitare protezione e gius patronato, e moltiplicarono le concessioni di terre in correspettività del servigio militare quanto più ebber bi- sogno di soldati. In tal modo rimessa l’agricoltura fra le mani di persone interessate a produrre , dovè necessaria» mente crescere la ricchezza nazionale , nè minori dovette- ro esser i vantaggi del sistema dell’ eguale divisione del- l’ eredità paterna fra’ figli, generalmente seguito in quel secolo. Col miglioramento delle campagne non andò di pari passo la sorte delle città. Le guerre o le devastazioni del nono secolo le aveano spogliate ed esauste, perlochè non eran più nè la sede del governo, nè il domicilio degli uo- mini potenti. “ I re, i conti, i duchi, i prelati ed i vi- ,, sconti abitavano i castelli, ivi si raunavano i placiti, ivi ,; si amministrava la giustizia, ivi stavano tutti quelli che »» godevano di qualche indipendenza di fortuna, o che osten- », tavano nell’ alloggio, e nel vestiario qualche eleganza , , 0 qualche lusso ,,. Questo allontanamento dei migliori consumatori influì sulla produzione e sul commercio. Per la difficoltà di vendere i prodotti dell’arte a de’ consuma- tori che vivevano in territori diversi, de’ quali poteva es- ser pericoloso l’accesso, non si vider più nelle città nè grandi fabbriche, nè gran magazzini, nè fiere numerose; ogni si- gnore avea' presso al suo castello dei servi artefici pel suo. necessario , ed il ristretto commercio delle cose di lusso si facea da de’venditori che con un meschino fagotto sulle spalle andavan girando di castello in castello. Che un tale stato di cose dovesse far decadere le arti edi mestieri, e diminuire il numero degli abitanti delle città , non occor- ron gran parole per persuaderlo; vogliam solo annotare che coll’ impoverimento le città perderono ancora i loro privi- legii, le loro curie, e tutta l’antica amministrazione. Gli uomini liberi di alcuni villaggi del mezzo dì supplirono a 99 questo scioglimento d’ amministrazione, con un’associazio- ne per cui si obbligavano a difendersi vicendevolmente con- tro i vicini signori, ma queste associazioni non furon molte, ed il reggimento a comune appartiene ad un altro secolo. Alla feudalità si deve il rinascimento del valor mili- tare quasi estinto nel secolo passato. Le guerre frequenti fra i diversi signori, durante il decimo secolo ne posson es- ser la pruova. E se le piraterie de’ normanni cessarono in questo secolo, forse la feudalità vi ebbe qualche influen- za; poichè quando le campagne eran meglio difese, e le città tante volte spogliate non potevano più offrir ricca pre- da, dovettero accorgersi quei barbari esser più conveniente acquistar territorio, che proseguire le devastazioni. Comun- que siasi, lo stabilimento definitivo dei normanni in quella parte di Francia che tuttora denominasi Normandia, è uno dei più importanti avvenimenti del secolo. Accettarono per prima condizione il cristianesimo, si dettero alla cultura della terra, promisero pace ed omaggio al re di Francia, ritennero le leggi de’ francesi, mantennero una polizia se- vera e vigilante, e tanto crebbero in potenza, che ne’seco- li successivi gli vedremo fare una delle principali figure nell’ istoria. In quanto al loro numero l’ A. nostro non cre- de che i normanni i quali si stabilirono in Francia con Riol- lone potessero eccedere i trentamila. Gli ecclesiastici che aveano trattato laffare della recoguni- zione del duca Rollone capo de’ normanni, voleano indurlo a baciare i piedi al re Carlo il Semplice in segno d’ omaggio. « Giammai, rispose a tali proposte il normanno, non pie- »» gherò le ginocchia davanti ai ginocchi d’alcuno, nè bacierò »» giammai i piedi ad un altro uomo. Contutrocio per disbri- »» garsi dalle istanza de’vescovi ordinò ad uno de’suoi d’ese- ,, guire quest’ umiliante funzione. Ma questi senza chinarsi » prese il piede di Cailo,, e lo portò alla bocca con tal ,s violenza che trasse il re per terra con applauso univer- ss sale de’'normanni,,. Nè il re nè i grandi crederono doversi prender briga per vendicare la maestà del trono, e la fun- zione fu condotta a fine. Non accade aggiungere commento 100 a questo fatto; per sè solo dimostra a che cosa fossero ri» dotti i re di Francia al principio del X secolo. Il clero non ebbe però molto da lodarsi dello spirito militare che rinacque nel X secolo, poichè le proprietà ec- clesiastiche furono spesso invase, i benefizi occupati da se- colari, le elezioni de’pastori men libere, e non mancaron perfino esempi di signori che disponessero per testamento della successione a benefizi. Gli stessi concili nazionali fu- rono più rari; e l’influenza de’ romani pontefici nella po- litica della Francia venne meno ; talchè è cosa da notarsi nell’istoria come framezzo a due secoli in cui l’ autorità degli ecclesiastici fu grandissima, il secolo decimo sia una delle più segnabili epoche della decadenza del poter sa- cerdotale. Delle molte guerre fra i signori di Francia nel decimo secolo non faremo parola, rimandando per brevità i lettori all’opera. La ripetizione degli stessi nomi, poichè non usa- vano allora i cognomi, genera spesso oscurità nell’ istoria, e ne rende più difficile un compendio. Ci contenteremo qui d’avvertire i lettori a non trascurar di riflettere ai nobili sforzi de’penultimi due Carlovingi per ristabilire il poter regio. Questi re, educati alla scuola dell’avversità, furon quasi i soli discendenti degni di Carlo Magno. Ma poche erano le loro forze , deboli i soccorsi che ricevevano da’ grandi , ed acqui- stati a caro prezzo , onde non rinscirono nell’ impresa : e nell’anno 987 Ugo Capeto conte di Parigi, fra i signori di Francia uno de’più potenti, sebben non fosse de’ più illu- stri (3) fu consacrato re , e da lui ebbe principio la terza di- (3) Benchè notissimi, stimiamo utile riferire i versi che Dante meite in bocca ad Ugo Capeto nel canto XX.° del Purgatorio. Chiamato fui di là Uzo Ciapetta, Di me son nati i Filippi e i Luigi Per cui novellamente è Francia retta, Figliuol fui d' un beccajo di Parigi Quando li regi antichi venner meno Tutti , for che un redutto in panni bigi. Dante ha seguito la tradizione popolare dei suoi tempi, e sebbene non sia vero che Ugo fosse figlio di un beccajo , bisogna convenire della oscurità della sua origine, giacchè gli scrittori contemporanei uon rimontano al di la dell’ avo. 10I nastia, Non pare per altro che il cambiamento di dinastia variasse l’ordine delle cose ; il poter regio era talmente an- nichilito, che dovea sembrar superflua la creazione di un re. Non neghiamo per altro che l’ assunzione al trono di Ugo Capeto contribuisse a convalidare la feudalità; e sic- come un nuovo ordine di cose non può dirsi consolidato finchè sussiste la dinastia interessata a rivendicare l’anti- co, così crediamo che l’autore abbia scelto quest'epoca per incominciare la storia della feudalità, della quale sarà più conveniente discorrere in altro articolo. E. Di (Sarà continuato) La perte del’ Anio par. M. ALpuonse de la MARTINE. (*) J'avais révé jadis , au bruit de ses cascades; Couché sur le gàzon qu'Horace avait foulé seesisees d l’ombre des vieilles arcades Où la Sybille dort sous son temple écroulé ; J: l’avais vu tomber dans les grottes profondes Où la flottante Iris se jouait dans ses ondes, Comme avec les crins blanes d’un coursier des déserts Le vent aime à jouer pendant qu'il fend les ars; (*) E lungo tempo, che noi bramiamo consecrare in questo giornale alcuni ar- ticoli allo stato attuale della letteratura francese. I nostri corrispondenti che ce li hanno fatti sperare vorranuo sicuramente ricordarsene; e a tal uopo non sarà forse iuutile questo cenno. Frattanto però riuscirà grato ai lettori che noi qui riprodu- ciamo una composizione assai distinta del sig, De la Martine, uno de’primi poeti della Francia odierna, e forse il più splendido fra quelli che dan nome alla scuola novella. Questa composizione ( di cui si sono già vedute alcune copie in litografia ) non C’ interessa soltanto pel suo merito poetico. In essa l’ autore parla dell’ Italia vostra, e ne parla in modo che ben ci prova che abbandonandosi al proprio seuti- mento, ei non può che meritare la nostra gratitudine. Non sarebbe forse ingiusto chi si dolesse che in questa nuova composizione ei voglia limitare di troppo i nostri desiderii di prosperità e di gloria. Ma non convien esser rigidi con uno straniero che ci si mostra tanto cortese. D'altronde ci giova credere che uno scrittore, come il sig. De la Martine , il quale ha idee così elevate della natura e de'destini dell’uo- mo, non abbia inteso, colla brillante immagine che chiude la sua composizione, di disanimarci dal seguire î luminosi esempi dei nostri padri. G. P. V- 102 Je l’avais va plans loin sur la mousse écumante Diviser en ruisseaux sa nappe encor fumante, Etendre , resserrer ses ondoyants réseaux, Jetter sur le gézon le voile errant des eaux, Et comblant le vallon de bruit et de poussière Poursuivre au loin sa course en vagues de lumière ! Mes regards à ses flots suspendus tout le jour Les cherchaient , les suivoient , les perdoient tour à tour, Comme un esprit flottant de pensée en pensée Qui les perd , et revient , sur leur trace effacée ; Je le voyais monter, rouler , s’évanouir , Et de ses flots brillants j’aimais à m'éblouir ! Il me semblait revoir ces longs rayons de gloire Dont la ville éternelle avait ceint sa mémoire Remontant vers leur source à travers l’àge obscur- En couronuer encor les sommets de Tibur ! Et quand des flots hurlant dans leurs larges abîines Mon oreille écoutait les murmures sublimes Dans ces convalsions, ces voix , ces cris des flots Maltipliés cent fois par de roulants échos, Il me semblait entendre à travers la distance Les secousses , les pas , les voix d’un peu ple immense Qui pareil à ces eaux , mais plus prompt dans son cours, Fit du brait sur ces bords, et s'est tà pour toujours!.... O fleuve ! lui disais-je : ò toi, qui vis les ages Préter , et retirer l’empire a tes rivages ! Toi, dont le nom chanté par un humble affranchi Vient braver , gràce a lui , le tems qu'il a franchi ! Toi ; qui vis sur tes bords les oppresseurs du monde Errer, et demander du sommeil à ton onde , (1) Tibulle soupirer les délires du coeur, Scipion dédaigner les faisceaux du licteur, César fuir son triomphe au fond de tes retraites, Mécènes y mendier de la gloire aux poétes , Brutus réver le crime, et Caton la verta , Dans tes cent mille voix, flenve! que me dis-ta ? M’apportes-tu des sons de la lyre d’Horace ? Ou la voix de César qui flatte et qui menace ? Ou l’orageux forum d’un peuple de béros (1) Mecènes dans les derniers tems de sa vie ne pouvait dormir qu'a Tibur an bruit dos cascatelles (Mistorigue) 103 Dovt la voix des tribuns précipitait les flots , Et qui dans sa fureur, montant comme ton onde Trop vaste pour son lit, débordait sur le monde ? Heélas / ces bruits divers ont passé sans retour! Plus d’armes , de forum , de lyre , ni d'amour! Ce n’est qu’ane eau qui pleut sur le rocher sonore , Ce n’est que toi qui tombe, et qui murmure encore ! Que dis-je ? il murmurait : il ne murmure plas! De leur lit desséchés ses flots sont disparus ! Et ces rochers pendans et ces cavernes vides Et ces arbres privés de leurs perles liquides Et la génisse errante, et la biche, et l’oiseau Qui vient sur le rocher chercher sa goutte d’eau Attendent vainement que l’onde évanouie Rende au vallon muet le murmure et la vie, Et dans leur solitude et dans leur nudité Semblent prendre une voix , et dire ; Vanité!!... Ah! faut-il s'étonner que les empires tombent ? Que de nos faibles mains les ouvrages succombent ? Quand ce que la nature avait fait éternel , S’altère par degrés , et meurt comme un mortel ! Quand un fleuve écumant qu’ont vu couler les àges Disparu tout à coup , laisse à nud ses rivages ? Un fleuve a disparu! mais ces tréves du jour Ces gigantesques monts crouleront à leur tour ! Mais dans ces cieax semés de leur sable splendide Tous ces astres éteints laisseront la nuit vide / Mais cet espace méme ; è la fin périra! Et de tout ce qui fat, un jour, rien ne sera ! Rien ne sera Seigneur ! mais toi source des mondes ; Qui fais briller les feux! qui fais couler les ondes ! Qai sur l’axe du tems fais circaler les jours ! Ta seras! tu seras! ce que tu fus toujours ! Tous ces astres éteints , ces fleuves qui tarissent , Ces sommets écroulés , ces mondes qui périssent , Dans l’abîme des tems ces siècles engloutis , Ce tems et cet espace eux mémes anéantis , Ce pouvoir qui se rit de ses propres ouvrages, » A CeLvI qui survit ce sont autant d’hommages ! Et chaque étre mortel par le tems emporté Est un hymne de plus à ton ÉTERNITE! Italie! Italie ! ah pleure tes collines gi” Où l’histoire du monde est écrite en ruines ! Où l’empire en passant de climats en climats A grave plus avant l’empreinte de ses pas! Où la gloire qui prit ton nom pour son embléme Laisse un voile éclatant sur ta nudité méme! Voila le plus parlant de tes sacrés débris ! Pleure! un cri de pitié, va répondre à tes cris ! Terre que consacra l’empire et l’infortune, Source des nations! iteine ! mère commune! Tu n’es pas seulement chère aux nobles enfans Que ta verte viellesse a porté dans ses flanes , D. tes enuemis mémè enviée , et.chérie , De tout ce qui nait grand ton ombre est la patrie! Et l’esprit inquiet qui dans l’antiquité Remonte vers la gloire et vers la liberté, Et l’esprit résigné qu’un jour plus pur inonde Qui dédaignant ces dieux qu'adore en vain le monde Plus loin, pius haut encore, cherche an unique autel Pour le Dieu véritable, unique, universel, Le coeur plein tous les deux d’une tendresse améère ‘T’adorent dans ta poudre, et te disent: ma méère! Le vent en ravissant tes os à ton cercaeil Semble outrager la gloire, et profaner le deuil! De chaque monument qu’ouvre le soc de Rome On croit voir s’exaler les mànes d’un grand homme ; Et dans ce temple immense où le Dieu du chrétien Regne sur les débris du Jupiter payen Tout mortel en entrant, prie, et sent mieux encore Que ton temple appartient à tout ce qui l’adore !.... Sur tes monts glorieux chaque arbre qui perit, Chaque rocher miné, chaque urne qui tarit, Chaque fleur que le soc brise sur une tombe, De tes sacres débris chaque pierre qui tombe Au coeur des nations retentissent long tems Comme un coup plus bardi de l’audace du tems! Et tout ce qui flétrit ta majesté supréme Semble en te dégradant, nous dégrader nous méme! Le malhear pour toi seule a doublé le respect, Tout coeur s'ouvre à ton nom! tont ceil à ton aspect! Ton soleil trop brillant pour une bumble paupière Semble épancher sur toi la gloire, et la lumière, Et la voile qui vient de sillonner tes mers, 105 Quand tes grands horizons se montrent dans les airs, Sensible, et frémissante, à ces grandes images S’abaisse d’elle mème en touchant tes rivages! Ah! garde nous longs tems, Veuve des nations! Garde au pieux respect des générations Ces titres mutilés de la grandeur de l’homme Qu’on retrouve à tes pieds dans la cendre de Rome! Respecte tout , de toi, jusques à tes lambeaux ! Ne porte point envie à des destins plus beaux! Mais semblable à César, qui, quand l’heure fut préte De son manteau de pourpre enveloppa sa téte, Quelque soit le destin que couvre l’avenir, Terre! enveloppe toi de ton grand souvenir! Que t’importe où s’en vont, l’empire et la victoire?, Il n’est point d’avenir égal a ta mémoire. NB. A1sig. march. Leopoldo Feroni dobbiamo una versinne italiana di que- sta poesia, e ne renderemo conto in una delle prossime riviste. [E rrEeE-——.__ eg RIVISTA LETTERARIA. Della Divina Provvidenza nel governo de’beni e de’'mali temporali, saggio di A. Rosmini. Milano. Visai 1826. I. Chi dicesse oggimai che la forza d’osservazione e di sentimento con che la filosofia già comincia a misurarei campi del vero, che l’efficacia di quella morale senza cui non è nè politica nè libertà, ri- conoscono la loro origine dalla edacazione che certi principii religiosi vperarono sul genere umano , direbbe cosa non ridicola ai più, quan- to forse sarebbe sembrato in tempi non molto dal nostro lontani. Havvi degli autori a cui piacque considerare la religione dal lato del bello estetico che il suo vero presenta; e il successo delle opere loro manifestò un sentimento, fin allora latente, dell’umana natara; a cui, quando non sia corrotta, il sommo vero , fedelmente rappre - sentato, è anche l’unico bello. Chi prendesse, in un’opera a ciò solo indiritta , a mostrare la parte filosofica della religione , incontrereb- be, cred’io, tra’filosofi non men fortunata accoglienza; e riescrrebbe a diradicare col tempo certi pregiudicii che inceppano |’ umana ra- gione in quelle operazioni che paiono le men vicine allo spirito reli- gioso , eppur hanno con esso un secreto legame insolubile. Questa 106 idea par toccata dall’ A. dell'opuscolo che annunciamo in quel nata- bile passo. (p. g.) ‘“ Noi vorremmo che quanto insegna intorno a ciò la cristiana »» religione , egli ponesse come ipotesi: e crediam difficile che alla »; bellezza, alla grandezza, e alla perfezione di questa ipotesi ei non »» $° accorgesse essere questa superiore alle ipotesi tutte: perciò es- »» sere qualche cosa di più che vana ipotesi : essere verità. ,, II. In questo libretto chi nall' altro ricerca, se non se i principii d’ una filosofia vigorosa , sicura , ordinata , e talor auche originale , può leggerlo con istrazione e diletto. I dolori del giusto e le gioie del reo son soggetto di continua querela ; quasichè que’ medesimi che si lamentano non facessero col loro lamento a sè stessi risposta: poichè, s’e’ fosse vero , que” beni di ch” essi godono, non sarebbero che un argomento di loro malvagità , e que’ mali che soffrono sareb- bero un argomento esclusivo di quella bontà che rinnegano ricalci- trando al dolore. In questo trattatello 1’ A. non fa che toccar gli ar- gomenti valevoli a dileguare cotesto sogno della umana debolezza , ma con tal ordine li dispone , e tali ve n’aggiuoge , che il tutto di- venta meritevolissimo di attenzione e di lode. Basterà, per lodarlo , recarne alcun tratto : (p. 22°) « È duro per cotestoro intendere come si possa crescere ad un uomo felicità scemando a lui voluttà , e più ancora sottomettendolo a corporali afflizioni. E pure solamente lo spirito è sede della felici- tà ... Io desidererei che acutamente si riguardasse in questa sublime proprietà dello spirito di vincere con una gioia interiore le miserie corporali . .. i mali corporali adunque giovano all’ uomo di questo, che sono a lui un gradino, pel quale ascenda ad una virtù e ad un gaudio di ordine superiore , ed innanzi sconosciuto. A che niuno può rispondere che Iddio desse questa virtù e questo gaudio senza biso- gno di ascendervi per lo dolore ; perciocchè , così dicendo, mostre- rebbe di non avere a pieno penetrato il valore e 1° efficacia della ra- gione proposta. Se quella virtù e quel trionfo che di lei nasce si for- ma dall'avere vinto lo stesso dolore; questo dolore è necessario a quell’atto di virtù e a quello squisito diletto; e nè pure Iddio potreb- be fare che si vincesse il dolore senza il dolore.,, III. Questo pensiero egli altrove dichiara , riguardando la cosa da un altro aspetto. Al qual proposito gioverà fare una brevissima digressione. Dicemmo altrove che l’ errore non è che una verità ri- guardata da un solo lato: potrebbe dirsi altresì che la scienza è una verità centrale considerata da tutti gli aspetti. Questi che diconsi va- ri argomenti di un medesimo assunto non sono che le varie relazioni 10 d’an oggetto con altri oggetti de’quali la mente nostra ha siii più vicina, Sicchè per attingere l’ estrema evidenza della dimostra- zione, nella intera serie degli argomenti così come in ciascuno di quelli, dee sempre tralucere quel principio d’unità, ch'è come il cen- tro dell'attenzione, e da cui molti autori di libri scientifici, per mal inteso amore di una varietà , a dir così materiale, o per timore di monotonia , 0 per evitare la taccia di soperchio spirito di sistema , a bello studio deviano, Ma ecco il tratto promesso : (p. 49.) “ Se la cognizione umana comincia dal senso , e il senso ha bi- sogno dell’ esperienza, come doveva Iddio condurre questa natura dell’uomo a una cognizione sì perfetta, se non concedendo a lei l’espe- rienza de’ mali e della sua propria infermità ? Come poteva recarla a sì alto grado di convinzione della sua nullità e della divina gran- dezza?,.. Può dar moto alla pietra altra cosa che la forza contra- ria alla sua inerzia? ... Ed è possibile che uomo cristiano non in- tenda quello che, ricogliendo gli avanzi delle prime tradizioni , in- tendeva Platone, il quale scrivea che “ veggendo il Signore Dio de- »» gl’ Iddii, gli esseri sorfimessi alla generazione aver perdute le cose 3» tra le più preziose più belle, decretò di supporle a tale regolamen- 3, to, che acconcio fosse a punirle insieme ed a vigenerarle ?,, IV. Egregiamente l’autore pare a nci ch’abbia quì profittato dell’ idea di Platone. L’ arrogante disprezzo con che da molti oggidì si risguardano i principii filosofici degli antichi, è forse ancor più ri- dicolo d’ un’ ammirazione smodata. Ricogliere quella parte di vero che la tradizione e lo studio delle cose e degli uomini vi deposero ; ordinare in un tutto le membra sparse d’ una monca dottrina ; sog- gettarle ad alcune verità di prim’ ordine mcognite a quegli antichi , e che rendono a noi la ragione di ciò ch’essi tanto più maravigliosa - mente quanto ineno consapevolmente sentirono ; profittare dei loro medesimi errori ; ecco l’ opera della saggezza. Un esempio, a non dire un modello , siane il bel passo seguente :(p. 51.) « Nelle creature si distinguono due primitivi elementi , l’ ùno dei quali è /a negazione o limitazione loro naturale , che le rende abili a tatti i mali, dove il gratuito ed esterno soccorso di Dio si ri- tragga da loro; l’altro è la partecipazione dell’esistenza o similitu- dine di Dio , fonte in esse d’ ordine e di tutti i beni... Queste cose stesse a me pare che fossero già vedute e pronunciate, sebbene al- quanto confasamente , anche da’ filosofi antichi. O che questi abbia - no ricevuto , mediante le antichissime tradizioni , de’ lumi di cui noi non possiamo al tempo presente ben penetrar l’importanza, lumi involti probabilmente nella lingua stessa che i genitori ?communica- vano ai loro figliuoli, spesse volte senza essi stessi avvertirli ; ovvero 108 che w abbiano avati alcuni ingegni che ....0, come io credo, che l'una e l' altra cosa parimenti a ciò cooperasse ; certo è che noi non possiamo negare di rinvenire negli scritti che di quegli studiosi uo- mini sono fino a noi pervenuti , delle manifeste orme d'una sapienza assai superiori a tutto ciò che da quei miseri tempi potrebbesi per noi aspettare. Faccia fede di questo, solo un passo che torrò da Pla- tone, là dove esponendo la dottrina di Timèo filosofo di Locri, pare che assai si sia avvicinato alla teoria de’ due elementi, che noi po- niamo nella natura di tutte le cose create , e da cui deriviamo tutte le leggi costituenti dell’universo ; sebbene non abbia potuto rendere forse con tutta chiarezza la sua idea il Locrase filosofo, e per la mancanza di simil chiarezza non l’abbia potuto nè pure difendere da alcune non vere conseguenze che da essa si vollero derivare. Tinzèo di Locri, sono parole di Platone , disse così : due essere le cagioni di tutte le cose: cioè per due principii potersi spiegare quanto in tutto l’ universo si osserva : primieramente , la mente , cagione di tutte quelle cose, che con alcuna ragione hanno il lor nascimento : ecco l’ idee divine , cagioni ed esemplari di tutte le nature ; e (2 ne- cessità cagione di quelle cose ch'esistono per una cotal forza, secon- do le potenze e le facoltà de’ corpi: ecco la limitazione, a cui, come vedemmno , consegue necessità, la quale più che in tutte le altre cose si dimostra nelle corporee. ,, V. La parte più originale e più bella di questo libro è l’ argo- mento dedotto dalla legge di probabilità , che crediam nostro de- bito di far conoscere nella sua fonte. Parlando di libri importanti nella scelta, mediocri nella trattazione del tema, egli è lecito al gior- nalista diffondersi in appendici sue proprie; ma la degna annuozia- zione delle verità grandi non puossi nè lodare nè commentare, se non riportandole. Basta , dirà taluno, il citarle. Sì : se i libri italiani cor - ressero rapidi di provincia in provincia ; se si leggessero. Ci si per- doni adunque la lunghezza della citazione che segue : dico a noi si perdoni ; che l’ A. non ha in ciò bisogno se non d’ una scusa contra- ria. (p. 58.) « Altra cosa è l’ applicazione della legge, altra la legge stessa. La legge esiste o vige, anche quando non esiste l’ applicazione. Nel caso nostro la legge consiste: in avere i beni umani continua tendenza ad unirsi colla virtù naturale. In qualanque stato si trovi il mondo, in qualunque modo , anche sommamente irregolare, sieno questi beni distribuiti, non è tuttavia meno vero ch’ essi abbiano continuamente quasi una cotale inclinazione a rag ziangersi colla virtù. Così, quand’anche un corpo si trova in quiete, non è meno per que - sto tirato verso la terra. Vuol dire che se i beni umani sono continua- IO mente attratti verso della virtù, nella lunghezza del tempo Par sempre più distribuirsi regolarmente, e perfezionarsi più quest’equi- librio. Ad ispiegare un po’meglio la cosa considerate a parte la legge delle probabilità: legge sovrana. E/la presiede all’esecuzione di tutte le leggi dell’universo: tatte prendono norma da-lei. Eccola in poche parole. Seta metti in una borsa cento pallottole, un sesto delle quali sieno gialle, due sesti rosse , tre sesti nere, e poi aperta le cavi fuori, tu non hai nessuna certezza che t’esca prima un colore che l’altro; hai bensì mezza probabilità per le nere , un terzo per le rosse, un sesto per le gialle. Qualunque colore tu cavi dalla borsa, egli è un’ irre- golarità : perciocchè non aveva intero diritto d’ uscire egli , ma sola una mezza, o terza, o sesta parte. Ma se tu procedi, rimessa la pal- lottola, a prendere per un gran numero di volte, e noti i colori delle pallottole prese, vedrai che il numero delle pallottole si accosterà alla ragione che hanno coi colori, cioè ad essere mezzo nere, un terzo rosse, e un sesto gialle. Quanto più procedi , tanto più svani- sce l’ irregolarità , e apparisce il regolare disegno, che può essere bensì perturbato accidentalmente, ma non sì che non ti faccia ve- dere di continuo la legge che inclina i colori a regolarizzarsi, e ti dà indizio che tu vedresti disparito ogni irregolare assortimento , quan- do moltiplicassi le tratte all’ infinito. Chi adanque considera un caso particolare dell’ universo, non può vedere bellezza ch’ egli è questo universo : vi trova anzi deformità, perciocchè s’ abbatte ad irrego- larità : ma chi considera lunga serie di avvenimenti , vi scorge ordi- ne mirabilmente regolare e simmetrico. Così se alcuno, volendo con- siderare un ricamo bellissimo , mirasse ciascun punto del lavorio in separato , vedrebbe l’un colore dopo l’altro senz’ avvisare la va- ghezza del tutto : per fare stima di questa gli bisogna alquanto lon. tanare da sè il nobile trapunto ,e.. Se tu scorgi un virtuoso nella miseria, pensa che è un caso solo: mira all'intero della sua vita, nella quale forse troverai i beni assai maggiori de’mali. Se non basta, t’ estendi a considerare le intere schiatte; vedrai maggiormente pro- spere quelle ch'ebbero somma maggior di virtù, Le irregolarità che troverai nelle schiatte intere fra loro, ti si minuiranno ancora d’ assai se invece di considerare una sola schiatta, tu ne consideri molte ; e più, se le intere nazioni. La storia di queste dimostra quasi costantemente, per gli vizi traboccanti esser elle perite ;j per le pre- valenti virtù, fiorite, Ancora meno irregolarità ti appariranno guar- dando a tutta la storia della virtù e del vizio nell'intero uman ge- nere; e meno sempre più , quanto è più lungo il corso de’ tempi, nei quali assumi di meditarla, ,, VI. Il premio che merita anco ne’ rei la virtù naturale (p. 66) ; 210 le verità dell’ argomento che traesi alla immortalità dell’ anima dalla non giusta distribuzione de’beni quaggiù, verità che le cose dall’auto- re trattate non tolgono (p. 74. 75); il modo con che si spiega la de- gradazione delle razze selvagge e barbariche (p. 77); l’ educazione che Dio con siffatta distribuzione de' mali e de’ beni dona al genere umano (p. 83) ; l’ uso e l'abuso della civiltà ridotti in origine alle due facoltà di pensare e d’astrarre (p. 90); sono argomento a in- ‘ gegnose , e nuove , e utilissime osservazioni. Quanto a » difetti, diremo che il principale è certa secchezza d'esposizione , la quale non pare a noi neccessario frutto della bre- vità, Ci ha ben l’arte d’essere breve e di dare completa un'idea. Lo stile è chiaro , proprio , virile, talora elegante; non però sempre così semplice , vivo , efficace, come converrebbesi a tanta perspicui- tà ed energia di concetto. Noi che leggemmoò manoscritto l’opuscolo, che confortammo l’autore a pubblicarlo, che potevamo a miglior tempo mostrargliene la nostra opinione tutt’ intera , noi , per quella specie di destino che rende impossenti il più delle volte i consigli del- l'amicizia , o ciechi; per compiere il dover nostro, non troviam luogo nè tempo più opportuno di questo. Ma come l’ ingegno del. l’autore ci mette al disopra d’ogni sospetto d’adalazione; così l’ani- mo nostro ci rende inaccessibili ad ogni taccia di malignità e di livore. K. X. Y. \ Il Dittamondo di FAZIO degli UBERTI fiorentino, ridotto a buona lezione, colle correzioni pubblicate dal CAv. VinceNzIO MONTI nella Proposta, e con più altre. Milano; per Gio. Silvestri 1826. Dobbiamo esser certamente grati al Silvestri per averci procu- rato în piccol sesto, a discreto prezzo, una sufficiente nitida edizione di quell’ antico poema , e quel che più importa , ridotto a buona le- zione. Questo volumetto , che è il 176 della sua biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne, lo ha adornato del ritratto di quel nostro concittadino poeta , copiato da quello posseduto dal ch. con- siglier Rivani pur nostro concittadino, amatore zelante dei buoni studii , e delle patrie memorie. Di questo poema , il primo fra i didascalici , esistevano già due antiche edizioni, la prima fatta in Vicenza nel 1474, la seconda in Venezia nel 1501 ; ed una moderna, pubblicata pure in Venezia per I’ Avdreola. Disse delle due prime il ch. conte Perticari esser due fantasme del Dittamondo. La terza, a malgrado delle promesse del- l’ editore , riuscì per la parte della scorrezione, degna sorella delle prime, e gli errori furono sì grossolani e stravaganti, che meritarono II il riso e i sali frizzanti del cel. autore del dialogo intitolato i Poetà dei primi secoli della lingua italiana. Il Silvestri adunque, giovan- dosi non solo delle correzioni che nel suddetto dialogo e in altri luo- ghi della Proposta venivano notate , di tutte quelle riportate nel vo- luminoso errata corrige formante l’appendice IV dello stesso dialogo, (gran parte delle quali vengon corrette dal codice Anta Idi di Pesaro, copiato già di propria mano dal Perticari) ma eziandio d’ un esem- plare dell’ ultima veneta edizione corretto e postillato in più luoghi di mano dello stesso cav. Monti, e dal medesimo donatogli , diede opera a riformare il testo, aggiungendoci pure altre correzioni che oltre a quelle gli vennero dallo stesso somministrate. Si diede pure l’ editore il pensiero di arricchire la sua edizione d’ aleune brevi no- terelle in piè di pagina , non per illustrare completamente il Ditta- mondo, che altro vi sarebbe abbisognato ; ma per indicare di tanto in tanto il modo tenuto nelle correzioni, e perchè servissero in qual- che luogo di guida a chi non fossero famigliari le maniere di Fazio ; curando ancora la punteggiatara e rettificandola in modo che age- volasse ad intendere il testo. Non dissimulò il Silvestri che poco era il merito intrinseco di questo poema cosmografico e istorico, secon- do l’ avviso del cav. Monti, venato in fama pel gran conto che mo- strarono di farne gli Accademici della Crusca , non essendo in so- stanza che una pedestre rapsodia di nomi e di fatti indigesti e di triviali pregiudizi esposti senza spirito e senza novità ; ond’ è che nulla vi guadagna la poesia , nulla la storia , nulla la geografia, ed assai poco la lingua. Pur nonostante per aver meritati gli studi dei due peregrini ingegni del Perticari e del Menti, pel rispetto che si concilia l’antichità, per essere opera di un nipote di quel magna - nimo Farinata a cui Dante fa pronunciare l’alte parole , avvisò il Silvestri , nè s’ ingannò, che questa sua sollecitudine dovesse riuscir grata agl’ italiani ; cosicchè dovendo anco il poeina di Fazio aver luogo nella sua biblioteca scelta , vi comparisse non deturpato dalle mende dalle quali venne guasto nelle precedenti edizioni. S. Manuale , ovvero brevi elementi di fisica ad uso degli studiosi ed anco degl’ imperiti di questa scienza, del sig. C. BAILLY, mem - bro della società linneiana di Parigi e di molte altre , allievo dei sigg. AnRRAGO, BioT e GAY-Lussac. Zo/gerizzato da GIU- SEPPE MAMIANI; prima edizione italiana. Pesaro, per Annesio Nobili, 1825. Dell’ opera del sig. Bailly non sarà mestieri far molte parole, e basterà il dire che essa corrispoude al titolo che le è dato. Quindi la 112 chiarezza , la semplicità e la brevità di essa ne sono i pregi princi- pali. Dire:mo altresì che la brevità non risulta da omissioni di fatti, notizie o principii della scienza; che pone il lettore al fatto dello stato attuale della medesima ; e che può servire di scorta a chi voglia ap. plicarsi profondamente allo studio della naturale filosofia. Quindi il sig. Mamiani ha fatto un vero dono all’ Italia voltandola dal francese in nostra lingua , ed ha mostrato colle frequenti , sebbene brevi no - terelle poste in piè di pagina, essere un buono ed avveduto cultore di quella scienza. Dal vedere annunziato nel frontespizio esser que- sta la prima edizione italiana, prendiamo argomento e buon augurio che in una seconda edizione sarà posta cura nel correggere in qual- che luogo il linguaggio , tanto per far uso di parole più proprie, quanto per evitarne alcune senza necessità prese in prestito da altra lingua. Avremmo però torto di offenderci di poche macchie consi- stenti in parole, in un libro tanto pregiabile per le cose e per la dottrina. Pare la proprietà e la correzione della lingua è ben, dritto € ragione che si cerchi non nelle sole opere di letteratura. P..P. Istituzioni d’ Aritmetica pratica di GrusePPE ROSSI di Pisa , 0s- sta nuovo sistema per operare con brevità basato su i reciproci rapporti che passa fra le frazioni di peso e misura in moneta. Preceduto da tavole di riduzione ad esse relative. Regolamento cambiario della piazza di Livorno e Firenze con le altre piaz - ze dell’ Europa. Ragguagli dei pesi, misure e monete toscane con quelle forestiere. Tavola per trovare il frutto di un anno di un mese e di un giorno, dal 1f2 per cento l’ anno, fino al 12 inclusive sopra il capitale di lire 1, fino a 100000. Altre tavole în decimali per trovare il frutto tanto semplice che composto sopra qualunque somma, come in qualunque moneta dal 3 per cento fino al 6, da un anno fino a 20 inclusive. Precedute da un'istruzione particolare. Firenze, presso Pasquale Albizi 1826. Un mediocre poeta, prima di recitare un suo sonetto ad An- giolo di Costanzo celebre poeta napoletano del secolo XVI, comin- ciò dall’ annunziargli che questa composizione gli era costata gran- dissimo studio e fatica , e per la condotta , e per la scelta di parole necessarie che cadessero nelle rime, e-‘per la frase e stile poetico, e per comprendervi un ampio tema; poichè nel primo quadernario stabiliva che gli uomini virtuosi devono naturalmente eccitare i poeti a render pubbliche le loro virtù e i loro meriti, ad oggetto di dare esempii ed eccitamento a tutti gli altri: che nel secondo quaderna - 113 rio passava ad enumerare . . .. Ma qui l’interrappe Angiolo di Co- stanzo dicendogli: Tutto ciò dirà lo sonetto. Nella stessa guisa forse dirà talano vedendo il frontespizio della presente opera: tutto ciò lo dirà il libro ; e se il frontespizio dice tanto del libro ;) cosa resterà a dire al giornalista che deve renderne conto? Pure dirà che dopo le solite, prime nozioni che in tuttii trattati pratici si trovano, passa a dare definizioni ed esempi delle quattro principali operazioni arit- metiche ; che segue quindi a trattar dei rotti e dei decimali, mo- strando con vari quesiti come si applichino anco a questi le sopra indicate operazioni; e così in una ottantina di pagine dà gli elementi dell’ aritmetica. Succede quindi un sistema per operare con brevità in vari conteggi di moltiplicazione o divisione, nei quali interven- gono , sì nel moltiplicatore o moltiplicando, che nel divisore o divi- dendo, promiscuamente rotti di peso , di misura , di tempo e di mo- neta : il che ’ A. chiama ridurre in frazioni di moneta le frazioni di peso , di misura, di tempo. Non daremo di ciò un esempio, e di- remo soltanto che equivale a dire che per la nota regola del tre onc. sold. one. sold. den. 12:20::8:X=13. 4. E così egli ha costruite so tabelle riducen- do a moneta le frazioni di misura cubica, lineare, di capacità, di tem- po ec. Compisce poi il suo trattato con dar le regole di tutti i conteggi mercantili , di frutti di capitali ec. per lo che pare che il suo libro debba trovarsi utilissimo, e meritamente essere stafo approvato au- tenticamente dalla camera di commercio di Livorno , e dai più esperti aritmetici di Firenze , come si esprime l’ autore. P. S. Vitae Dantis, Petrarcae et Boccaccii a Philippo Villanio scri- ptae ex codice inedito Barberiniano. Florentiae 1826, in 8.° $< Me non lusinga ambizion di gloria « Ma amor di patria sol mi sprona e desta. Da questi due versi comincia la prefazione al presente libro il ch. sig. can. Moreni editore, ed illustratore con molte note di eru- dizione opportuna. Fortunatamente l’amor di patria non è disgiunto nel sig. Moreni dall’ amore del vero ; e perciò non gli facciam rim- provero d’ essersi annunziato per uno del numero di quelli scrittori che per molti secoli hanno sfigurato la verità per l’amore di patria , esagerando ogn’ atomo , chiamaudo virtù il vizio, o per lo meno T. XXV. Marzo. 8 114 1 dissimulandolo ; facendo guerre letterarie , e talvolta con armi, agli. stranieri ; mettendo al luogo del giusto la gelosia, l'invidia , ')' am- bizione , l’ avidità sotto l’ egida dell’ amor della patria. Quando le patrie erano seminate per |’ Italia come i cocomeri per i campi del pistoiese, tutto era guerre e contrasti ; or che son poche le patrie tutto è sonnifero, pace e profonda tranquillità. Ciò dimostra , che non l’ amor di patria, ma l'amor del vero, del giusto, spronano a ben oprare ; ed ove questo illanguidiscasi, nè colla patria si opera laudabilmente, nè senza patria si può cessare dal beve. Ma bensì saggio amor della patria può esser sorgente di beni, che non avrà mai da sperare chi non ha patria. Per amore del vero confessa il ch. editore che non sono di grande importanza queste tre vite; ma ripetiamo a tal proposito il nostro parere, cioè che nessuno si troverà così audace da voler con- dannare all’ oblio ed alle tarme li scritti degli antichi , per quanto da noi siano creduti poco utili. Verrà forse il tempo che i posteri saranno grati a chi li conservò. Se dunque non debbon esser di- strutti siano rendute grazie al sig. Moreni che contribuisce a con- servarli, che li moltiplica a sue proprie spese stampandoli, e ci mette in grado di conoscerli frugando per noi le biblioteche , ed il lustrandoli a comodo nostro. Nell’erudita prefazione ci mostra la cura datasi per dare queste vite più corrette, che non soro nel codice laurenziano, coll’ ajuto del cod. barberiniano; e discorre di più cose appartenenti alle edi- zioni delle vite di questi tre nostri sommi scrittori. Termina il libro col dichiarare d’ avere afferrata |’ opportunità della vita del Boccaccio per pubblicare ‘due interessantissime lettere d’uno de’ più dotti, tersi, ed eleganti scrittori d’Italia relative ad alcune osservazioni dell’ab. Luigi Fiacchi fatte sulle di lui note appo- ste al Decamerone della edizione immacolata di Parma del 1512 ;y- Ss. G. Descrizione d’ alcune medaglie greche del museo del sig. Carlo d'Ottavio Fontana di Trieste, per DOMENICO SESTINI. Firen- ze 1827, in 4.° Quando lo studio dell’antiquaria non si facea consistere in altro che nell’ applicare i propri sogni ai monumenti, nella nuda, sterile e parziale ricerca d’ usi, di favole, di storie, senza trarne profitto per la critica , per la filosofia, pel confronto ; quando an antiquario metteva il suo maggior trionfo nel credere d'avere scoperto un farfallone d’ un’ altro antiquario ; era l’ antiquaria una 115 specie di indovinello , 0 di lanterna magica che s’ occupava d’ ombre colorate dalla immaginazione ; come dal sole i vetri dipinti. Oggi, dato bando all’immaginario, è anche l'antiquaria ciò che da Cicerone si disse della storia , cestis temporum , lux veritatis, magistra vitae. Il celebratissimo nostro sig. prof, Sestini, per quel che alla nami- smatica appartiene, continua con indefessa fatica a somministrar- cene luminose riprove ; ed ora in particolare coll’ opera che auvun- ziamo , che può considerarsi come un’ aggiunta alla descrizione del medesimo museo Fontana da lui pubblicata nell’anno 1822, d’ al- lora in poi arricchito di nuovi importantissimi acquisti. Il sig. Sestini in questa nuova illustrazione ha preso di mira alcune medaglie greche da lui credute essere o inedite , o di qual- che interesse agli studiosi della numismatica , non che alla celebrità d’un sì ricco maseo, Infine aggiunge il sommario di tutte le medaglie , secondo il suo sistema geografico , e individualmente accenna tutte quelle ap- partenenti alle diverse provincie, e respettivamente alle loro città S. C. Teorica de’ verbi italiani regolari, anomali , difettivi e mal noti, compilata sulle opere del CinoNIO, del PisroLEsi, del MastRO- FINI ec. Edizione quarta. Livorno per il Masi. 1826. Osservazioni grammaticali intorno alla lingua italiana, compi- late da Giacomo ROSTER , professore delle lingue italiana, te- desca , ed inglese , ec. in Firenze ec. dedicate alla culta nazione italiana. Firenze, per il Ronchi 1826. Saggio d’ insegnamento e di pratica della lingua inglese, o prime linee di un nuovo metodo diretto a comunicare gradatamente la pronunzia, ed una perfetta cognizione della medesima, senza preventivo rudimento grammaticale ec. di C. W. F. JOHNSON di Londra, professore di lingua e letteratura. Firenze, presso il + Ronchi, 1826. I. Il primo di questi libri comparve per la prima volta in luce circa dodici anni fa per le stampe dello Stella , di poi ne furono ri- petute altre due edizioni, Il Masi di Livorno lo riproduce adesso per la quarta volta , ed ha fatto cosa utilissima per gli studiosi della lin - gua italiana. Il conto che fù già reso di questo lavoro del cav. Com - paguoni ci esime dal parlarne, giacchè non potremmo ripetere se non ciò che ne è stato già detto. II. Opera originale poi sono le osservazioni grammaticali dell’infa- 116 ticabi!e prof. Roster. Sarebbe im presa difficilissima , se non impos- sibile, il dare esatto conto di questo libro in un articoletto di rivista, tanti sono i particolari , ne’ quali entra |’ autore; ma siamo in dovere di raccomandar quest’ opera per l’ utilità, di che può essere a qua- lanqae italiano voglia scrivere nella propria lingua. Lo studio lungo, indefesso , estesissimo che ha dovuto fare il prof. Roster per compi- lare queste sue osservazioni eccede l’ immaginazione ; non essendovi desinenza di voci o regolare o variata che non sia raffermata dalla citazione di scritti autorevoli in fatto di lingua, de’quali l'A. avreb- be dovato dare un catalogo, il che forse avrebbe fatto se la stampa non gli fosse riuscita più voluminosa di quello che aveva promesso nel manifesto. A_ mostrare il pregio di quest’ opera crediamo dovere riportare la segvente Lettera dell’ Accademia della Crusca scritta all’ Autore. ORNATISSIMO SIGNORE. L’esemplare delle sue osservazioni grammaticali intorno alla lingua italiana , di che ella ha voluto esser cortese all'Accademia della Crusca, fa da me a questa presentato nella prima seduta dopo le vacanze autunnali. L’ Accademia mi dà il grato incarico di renderle grazie di que- sto dono ch'è ad essa riuscito gratissimo : e se per la massima, che si è da sè medesima con ragioni giustissime imposta , vietato non le fosse di dare, fuori dei concorsi, il giudizio delle opere altrui, sono certo che rispetto a questa verrebbe unanime nella inia sentenza, la quale è, che ella ha scritto un libro di utilità pari alla fatica , ch’ io scorgovi immensà, e cui si può con fiducia, e non mai a vuoto ricor - rere; tanta è la giustezza e 1’ abondanza delle cose che vi si con- tengono. Io pertanto mi congratulo con lei di vero caore, e con somina ed inalterabile stima mi do l’ onore di protestarmi Di lei Ornatissimo signore Dall’ I. e R. Accademia della Crusca li 5 decembre 1826. Devotiss, Obbl. Servitore G10, BATISTA ZANNONI segretario. IIl. Dacche udiamo che gl’inglesi studiano la nostra letteratura e la nostra lingua, è ben dover nostro che in reciprocità da noi italiani si dia opera allo studio della letteratura e della lingua loro più che per lo passato abbiam fatto , e che non si trascuri ulteriormente di conoscere nel loro originale i tanti capo lavori che possiede la lette- II7 ratura brittannica, che oggi cominciamo generalmente a desiderare di conoscere. Quindi è che grati esser dobbiamo al sig. Johnson, che, col suo saggio adempiendo ai nostri desideri , ci agevola i mezzi di perfettamente conoscere la lingua inglese. Premessi alcuni precetti sulla pronunzia e su’diversi suoni delle vocali e dei dittonghi, passa a quella delle consonanti fra loro combinate. Ne seguono alcune re- gole grammaticali riguardanti alle parti del discorso, fermandosi spe- cialmente su i verbi che irregolarmente cangiano il passato e il par- ticipio ; ponendo termine alia seconda parte col parlare delle sintas- si, della trasposizione , e dell’ ellissi. La terza parte consta di alcuni temi distinti in vari capitoli sul linguaggio in generale ; sull’ origine e progresso delle lettere ; sulla lingaa inglese ; sulle bellezze della lingua inglese ; e sulla conversazione e pronunzia. Sono questi capi- toli dettati in buona lingua inglese : sotto ciascuna parola vi è posta la parola italiana ; vari numeri indicano a quali parti del discorso ciascuna parola appartiene , e infine di pagina è posta la versione italiana. Questa disposizione indica chiaramente che il metodo del sig. Johnson è conforme all’ Hamiltoniano. Ciò basti per raccoman- dare il libro agli studiosi della lingua inglese. S. Paragone de’ due teatri francese ed italiano. Discorso letto in una pubblica adunanza letteraria in Torino, il 22 Aprile 1826, im- presso dalli eredi Botta. — L'autore e l’ Accademia sono anonimi. Egli è appena concepibile, come in 14 paginette siansi potuti accozzare tanti pensieri e idee disparate senza principio di logica e di buon senso : e come in uno scritto che riguarda le cose dramma- tiche , siasi , direi quasi in ogni periodo , intarsiata la rivoluzione, la democrazia, l’ influenza di Voltaire, le perniciose dottrine anticat- toliche ; e perfino la sperata legge sulla repressione in Francia della libertà della stampa. Noi ci gaarderemo bene dallo intrattenere a lungo i nostri lettori, combattendo le molte assurdità di tale discor- so: saremo contenti di accennarne alcuna. Francia e Italia ( dice questo retore ) non hanno teatri fra loro paragonabili , nè l’ una nè l’ altra non hanno a’ tempi nostri un vero teatro: tuttavia volendo istituire il paragone, gli ammette mal suo grado. Quindi ne porge la peregrina massima : che il teatro moderno non può essere simile all’ antico. Essere difficile il trarre dalle isto- rie cristiane argomenti per tragedie: tale attentato essere delitto , 118 : infamia , profanazione. Ne viene significando : passare diversità tra la lingua greca , e quelle di Europa : per conseguente dover: essere diversità nel comporre, Conclude che non dobbiamo avere teatro greco : del quale avviso gliene rendiamo le maggiori grazie. Ne mostra che i falsi filosofi hanno decantata l’inculta natura, a cui mostrarono di voler condurci per mezzo della democrazia : tatto questo a proposito del paragone fra i due teatri. Soggiunge, che a’ tempi di Credi/lon cui nomina primo), Corneille e Racine, la Francia aveva un teatro , l’Italia nò ; risponderemo che prima del secolo di Luigi XIV, in cui fiorirono valenti scrittori drammatici , l’ Italia aveva tragedie e commedie regolari, la Francia non aveva che i misteri e copie o traduzioni del teatro italiano, L’inferno (esclama il buon retore od oratore se sì vuole) vomitò Voltaire ricco d’ ingegno ma assai più ricco di malizia; perchè di questa , e non dell’ ingegno, nè del sapere solo apparente è opera il suo magico stile. E qui nuove apostrofi alla rivoluzione ed a’ suoi tristissimi effetti: cose dette ridette , fritte rifritte che le sà anche madonna poco fila. Dopo la ri voluzione (prosegue) fu irreligiosa la tragica musa; non era però degna del teatro di una nazione ricchissima di inge- gno e di sapere. + .. il di cui monarca (affinità d' idee) porta meri- tamente il predicato di re cristianissimo. Rispetto a noi italiani ( vien dedacendo ), i quali abbiamo mag- giore unità di religione e di politica, i francesi non hanno tragico teatro. Bella deduzione dopo aver lodato a cielo , Corneille , Racine, e Crebillon, come se l’opere di quei valenti non comparissero più su quelle scene , e non fossero, ed ora e per sempre l’ onore del teatro francese! Dice d’Alfieri: che egli non ristaurò il teatrò tragico greco , nè creò l’ italiano: che egli è grande per lo stile, per la verseggiatura , e per la robustezza de’ pensieri. Ma più sotto a poche linee accusa i pensieri dell’ Astigiano come liberi, ardimentosi e figli de’ teripi sciagurati in cui scriveva, Dunque secondo l’ anonimo discorrente il solo merito d’ Alfieri è nello stile , e nella verseggiatura !! Finalmente , perchè ne usciamo una volta , dopo aver detto che la Francia concede agli autori teatrali larghi compensi, ed agli at- tori una decorosa sussistenza ; e che di guando in quando spunta un qualche bel fiore nel giardino d’ Italia 0 in quello dv Melpome- ne; e che anche i pessimi scrittori scrivono correttamente la loro lingua , chi il crederebbe? conclude poi : che il teatro francese ab- bisogna di saldi ajuti per non decadere ; dove l’ italiano è fiorente di giovinezza, sebbene in Italia mavchivo agli autori di teatro, gl’inco- Ir9 raggimenti, ed' alle istituzioni drammatiche in generale quelle regole e discipline , e le protezioni e sussidii, che a stabilire un buon tea- tro sono richieste: il che tutto trovasi in Francia ed altrove e non fra noi. Quindi non nella giovinezza ma nell’infanzia viviamo di ciò; a tal che se fossero meglio ordinate e condite le trasi dell’ anonimo si po- trebbe il suo discorso scambiare egregiamente per una magpifica ironia ai governi d’ Italia, E così si scrive e si stampa nella patria de’ Napioni , de’ Botta, de’ Balbi , dei Nota e di altri illustri! ! E. Schizzo di principii filosofici. — DI G. N... . SI. Ecco l’opera di un giovinetto che non ha toccato ancora l’anno ventesimo d’una vita che meriterebbe essere meglio favoreggiata dai buoni , che non fu dalla sorte. La tenera età dell’autore ; la molti- tudine de’ libri che cita, ‘molti de’ quali mostra d’ avere letti atten- tamente; la difficoltà dell’ argomento in cui perdonsi anche i pro- vetti assai volte ; la rapida, virile, e non inelegante elocuzione che è pregio ben raro in autori di libri siffatti , rendono questo lavoro de- gno veramente di nota. Il negare la debita lode ai primi sforzi d’ un ingegno nascente (nulla dico del comprimerlo , dello spargervi sopra il disprezzo e la calunnia ) è un delitto; è come uno spegnere nel primo germe una esistenza benefica ; è un prurito crudele di orgo- glio in cui spesse volte entra un poco di quella tacita gelosia senile , che frutta all' ingegno non sofferente tanti rammarichi inaspettati e tante memorabili umiliazioni. Il leggere questo libriccino , il risapere che l’autore dovette rella sua educazione lottare con la fortuna , che dovrà tra poco tor- nere a richiudersi in qualche collegio per poterne escire con qualche sp?ranza di occupazione, ci richiama al pensiere; quali e come adem- piuti sieno i doveri che la Provvidenza impose alla ricchezza quag- giù. L'uomo che forse è chiamato ad essere l’istrattore ed ii benefat- tore del suo popolo, trae nella oscurità e nel silenzio angasta , fred- da, aldolorata la vita, senza speranza di un premio, d’un plauso, d’un tompianto. Passano gli' anni, e passano sterili e dolorosi. Il dover s:rvire alla sorte se non abbassa il carattere (che può sempre serbarsiinviolato) avvilisce però irresistibilmente l’ingegno , lo raf- fredda , lo stanca. Alle opere della 1aspirazione si sostituiscono i la- vori mectanici della necessità. La necessità fissa il tempo , limita il modo; cercoscrive , recide, trasmuta le idee : il solo sentimento di lei è unaspecie di schiavitù. Ad un uomo collocato in simile ‘ condi- 120 zione se rimanesse pur tempo e ardimento d’ alzare la voce , mo- strare una verità , confatare un errore, non è creduto; il suo stato che dovrebbe renderlo rispettabile, lo rende sospetto a’ men rei, dispregevole a’vili; egli è costretto ad arrossirne egli stesso come d'un fatto. Quanti uomini così passarono inosservati, che se un occhio be- nefico si fosse posato lor sopra , sarebbero cresciuti ricreatori d’ una scienza , riformatori d’ un popolo? Ma io non parlo di soccorsi pri- vati : raro è che la virtù sappia renderli tollerabili ; e ad ogni modo qui non si tratta di donare : sì tratta di offrire un tributo. Quel re- gnante che primo con legge solenne destinasse un pubblico soste- nimento a quelli eletti della natura che la fortuna non rispettò, qual retaggio lascerebbe quest’ uomo di sè ? Tutte le glorie dell’ in- gegno , tutta l' efficacia morale che ne verrebbe per tutto il corso de’ tempi alla sua nazione, sarebbero in certa guisa sua creazione , suo dono, Egli avrebbe acquistato un genere bene invidiabile d’ im- mortalità. K. X. Y. Intorno ai progressi delle scienze economiche, memoria dell'Avv. BosELLINI. Modena 1826. L’ opuscolo che abbiamo sott’ occhio, commendabile pei prin- cipii di libertà commerciale che vi si espongono, può offrirsi ai nostri lettori come un buon saggio di una più lunga istoria dell’eco- nomia pubblica, che l’ autore ci dà dritto di sperare. Il sig. Bosellini, prendendo ad esaminare il suo soggetto sotto il duplice punto di vista della pratica e della teorica scientifica, de- linea in primo luogo un quadro interessante dell’ amministrazione economica e finanziera de’ principali stati d’ Europa da’ tempi di greci e de’ romani sino al cadere del secolo XVIII, quindi pasia a discorrere delle opere scientifiche che hanno sortita la luce fino all’anno 1825. Nell’ una , e nell’ altra parte dell’ operetta il lettore vedrà con piacere quanto gl’ italiani abbiano influito sull’ avanzamento della teorica e della pratica. Parlando dei secoli della età di mezze l’ A. attribuisce alle repubbliche italiane l’invenzione del credito pwblico, potente strumento politico di cui il sig. Bosellini si mostra emomia- tore; e venendo ai tempi moderni rammenta colla dovuta loce le sa- lutari riforme del gran LEOPOLDO, e le opere de’ Verr, ce del Beccaria. Il Say ed il Sismondi, nelle loro maggiori opere di e‘onomia , I2I avean già dato un saggio dell’ istoria della scienza, ma quello del signor Bosellini è forse più utile per la maggior copia d’ autori ram- mentati , e per l’ analisi , e pel giudizio che si dà dei loro scritti. In generale ci pare che il modo con cui |’ autore parla delle co- se e degli scritti, potrà mostrare agli stranieri esservi anco fra noi chi riflette sulle scienze economiche, e ne scrive con onesta libertà. F.S. Rivista generale de’libri usciti in luce nel Regno Lombardo nel- l’anno scolastico 1826. Opera di FRANCO SPLITZ chirurgo ec. Milano 1827. Una rivista letteraria bene eseguita sarebbe, come fu ben detto da altri’, un eccellente statistica intellettuale, da cui poter trarre importanti ed utili conseguenze. Leggendo questa del signor Fran- co Splitz, noi ne abbiam tratte alcune, che porrem qui breve- mente , seguendo l’ordine disegnatoci dall’autore. Incomincia dagli Almanacchi ; e dopo avere parlato del pregio di talun d’essi , soggiunge: ‘‘ ma quello che intorno ad essi parmi der »; gno di particolar osservazione si è, che il numero delle copie che 3 tutti insieme hanno prodotto, ascende a cento mila, se non più; » le quali poste in circolazione, e calcolata l'una per l’altra soltanto »; 50 centesimi, danno la somma di lir:: 50000, chein due mesi cir- »» ca di ciascun anno si distendono sui cartai, stampatori , e legato- »» ri ,,. Ma noi qui domanderemo: non è forse un po’ strano che le più fortunate edizioni che in Italia s’ imprendono sieno le edizioni degli almanacchi? E questa ricchezza che circola di 50000 mila lire non dà niente a pensare? Venendo alla raccolta d’opere varie, e cominciando da quella del Silvestri, noi ci troviamo le prose del Casa, e le prediche del Turchi, e una scelta di poemi georgici che a taluno potrebbe parere forse troppo abbondante. Anche la qualità de’libri che si stampano può significare qualche cosa. La Biblioteca Classica del Bettoni, e la Bibliologia Cremonese scelsero più felicemente quest’anno. La Biblioteca Economica Portatile del Sonzogno potrebbe di- ventare importante se la scelta corrispondesse più al fine. L’edizione dei Classici Italiani del secolo decimo ottavo ha dato le opere dello Spallanzani, una raccolta di melodrammi gio- così, e la storia del Lanzi: i cui difetti sono ben tollerabili finchè se ne vegga sorgere una migliore. La raccolta de’ melodrammi gio- così è, a dir vero, alquanto umiliante: e il dover ristampare le opere 122 di Lazaro Spallanzani prova troppo che quella parte di scienza non si è trasfusa sugli italiani in trattati più moderni e più ampii. Così quel perpetuo ridonarci che si fa la storia del Tiraboschi, senza che sorga mai uno a congiungere i pregi di lei con quelli del Ginguenè ed a cansarne i difetti, a fare un tutto , rapido , filosofi- co, senza tante questioni insignificanti di biografia, senza tante am- mirazioni del genio di tale o di tal altro scrittore , è cosa, a dir ve- ro , che minaccia di farsi alquanto noiosa. Anche la Biblioteca Portatile, latina , italiana , e francese del Fontana ristampò il Tiraboschi , con le opere di Pietro Metastasio in palla più di 10 tomi ; con la Secchia Rapita, e le commedie scelte di Carlo Goldoni. La Biblioteca della gioventù non ha dato che un compendio di Storia Universale. La Biblioteca amena ed istruttiva per le donne gentili, non ha dato che il Petrarca commentato a commenti es- senzialmenle grammatici dal sig. conte Giacomo Leopardi. La collezione dei Manuali diede quello di Storia Naturale, quel- lo di Geografia, e quello delle Mitologie. Fra le scelte prose italiane, edizione dello stesso Fontana, troviamo e il Parini, e il Lamberti, e il Ceretti; e il Paradisi , e il Pieri, e l’Erizzo, e il Giambullari, e il Gozzi , e il Colombo, e Alessandro Verri, e il Castiglione, e il Machiavelli , e il Bartoli, e il Tasso, e il Casa, e il Davanzati, e il Magalotti, e il Bonarotti, ed il Gelli. Come abbonda di pro- satori l’Italia! Non basta. Le opere del coute Gasparo Gozzi sì ristampano a Bergamo dal Fantuzzi : le opere del conte Gasparo Gozzi si ristam- pano a Brescia dal Ventarini: finchè si leggeranno tutti e sedici i tomi dell’opera del conte Gasparo Gozzi , il buon gusto non perirà certamente. La sezione prima adornata de’nomi del Niccolini e del Micali, fi- nisce col nome di Romagnosi, Questo riposo ci riconforta un poco a seguitare il cammino. Di biografie non abbiamo che la vita del cavaliere Carlo Gasto- pe della torre di Rezzonico, e quella di Antonio Cagunoli. Si direbbe che i nostri grand’uomini sieno tutti già collocati al vero lor posto, e che nulla manchi nè alla gloria loro nè al nostro ammaestramento ed esempio. A due libri grammatici, con un dizionario accuratamente com- pilato dal benemerito Cherubini, segue un saggio di locuzioni delle Epistole di Cicerone scelte da Aldo Manuzio. limportava molto, ed è venuto in buon punto. 123 Quanto a lingue straniere abbiamo una bellissima edizione del gran dizionario francese dell’Alberti, e tre libri elementari di -lin- gua tedesca. Libri di lingua italiana. Ristampa della grammatica del Soave ; ristampa della grammatica del Corticelli; nuova grammatica del- l’abate Omezzali; Appendice alla Proposta ; Dizionario dei Sinoni» mi dell’abate Romani, osservazioni sulla Crasca dell’abate Romani, teoria della lingua italiana dell’abate Romani; Frasologia ossia rac- colta di venti mila frasi del signor Antonio Lissoni ; capitolo contro i Sinonimi del Grassi: e finisce colle lettere mercantili del professore Filippi. Ecco come si perfeziona la lingua! Lettere. Lettere del Caro e del Bonfadio; quattro lettere del Castiglione tradotte dal latino; le Ciceroniane , traduzione del Ce- sari : cose tatte confacienti ai bisogni del secolo. Oratori e rettorici. Siane lecito non citare altro che la retto- rica d'Aristotele tradotta dal Caro, e i dialoghi sull’eloquenza del- l’aureo Fenelon; con qualche predica dal francese nella raccolta che stampasi a Como. Gioverebbe almeno tradurre gli oratori francesi. Siamo ai poeti. La scelta fatta nella raccolta de’ Poeti Classici antichi e moderni par bene accettabile : ma nelle poesie diverse del Fontana si volle in un tomo aggomitolato il Mazza col Bondi, il Po- liziano col Guidi , col Lamberti, col Bertola , col Pignotti. Chi volesse sapere quali siano i poemi narrativi o didascalici stampati in Italia nel 1826, sappia che oltre la Divina Commedia e la Gerusalemme e la Secchia rapita e il Ricciardetto e il Dittamon- do , e la Monteide, e la Riseide, e l' Ildegonda, e il Corsaro di By- ron e il suo prigioniero di Chillon , e un tratto della Tunisiade, e i quindici canti del Grossi, si è stampata la Gastronomia ossia l’arte di ben pranzare, e una nuova traduzione dell’Epeide, e, ciò che più monta, una traduzione dell'Istria, poema latino di Andrea Rapicio, e un poemetto dell’abate Morcelli sulla fisica in metro elegiaco. Chi non si contentasse del Giorno del Parini, e delle poesie scelte de’ migliori tedeschi, e dell’ esperimento di melodia lirica, avrebbe da soddisfarsi negli epigrammi del Roncalli, nelle anacreon - tiche del Vittorelli, in due traduzioni del Dies irae, ec. Nelle opere teatrali abbiamo , oltre a due edizioni del Metasta- sio, e una di Giraad, e una scelta delle commedie di Goldoni, alcu- ne ristampe di vecchie commedie , il Temistocle e l’Agatocle del conte Cesare di Castel Barco , la Beatrice Tenda del signor Tedaldi, il Sergianni del professore Cristoforis, gli Orazit e Curiazii del si- gnor Martina, l’ Ines di Castro di Davide Bertolotti, il Guido del 124 conte Spinelli , le opere teatrali del conte Gambara : abbiamo per ultimo molti libretti d’opera. Libri di filologia e di critica. L’A ppendice all’ opuscolo il Per- ticari confatato da Dante, l' Opuscolo della Verità poetica , e il di- scorso della mitologia, mostrano che in Lombardia si può dire l’ati- le verità, anche contraria a un’opinione dominante. Le tre lettere contro il Giordani, e gli opuscoli sul poema del Grossi provano qualche cosa di tristo e di umiliante. Il discorso del professor Poli sul necessario mutamento della letteratura 1n Italia contiene delle idee veramente necessarie all’incremento della letteratura italiana. Il Dizionario d'ogni mitologia potrebbe essere , e sarà , speria- mo, un’ ottima impresa. I romanzi esciti quest’ anno son tutte traduzioni dal francese ovver dall’ inglese. La parte storica è la meglio fornita. La Biblio- teca del Bettoni procede. Il Segur è continuato come che sia da Italiani. Una delle imprese utili si è la collana degli storici greci. S'’aggiunga il Mehegan, il Michaud , il Coxe, le famiglie celebri italiane del Litta. Di Storia Ecclesiastica abbiamo il Fleuri, la scelta di lettere edificanti, e i fasti della Chiesa nelle vite de’ Santi. D'antiquaria , una dotta dissertazione del Labus sopra un’epi- grafe latina scoperta in Egitto dal viaggiatore Belzoni; e l’Iconogra- fia greca d’Ennio Quirinio Visconti. Di libri di belle arti, più notabili paiono il D’Agincourt, e le chiese principali d’Italia. Di Teologia, i discorsi di Frayssinous, e un dotto opuscolo sulla Providenza, di A. Rosmini. La collezione de’ Classici Metafisici di Pavia va degenerando ognor più. In Pavia stessa si ristampa il Domat. Gli Annali universali di Statistica, Economia Pabblica , Storia, Viaggi e commercio meriterebbero d’essere più incoraggiati. Si ri- stamparono gli opuscoli di Francklin, ed uscì il r.° tomo della Fi- losofia della Statistica di Melchiorre Gioia. Scienze Naturali. Il Giornale di Fisica e Chimica compilato dai prof. Configliacchi e Brugnatelli; gli Elementi di Storia Naturale del Brugnatelli stesso; il Manuale del Blumenbach; gli elementi di Fisica di Teyssedre ; la Chimica di Payen ; il trattato dei reattivi di Payen e Chevallier ; il trattato chimico di Berzelius; i saggi chimici di Par- kes e Martin sono imprese utili ed onorevoli, Il Giornale dell’Omodei , il Dictionnaire Abrégé des sciences médicales, le stesse questioni ‘Toimasiniane , la storia dei recenti 125 progressi deila Chirurgia di Richerand, le istituzioni chirurgiche del Monteggia, son certo edizioni importanti. Gli annali di Tecnologia , la Biblioteca Agraria , le considera - zioni del dott. Lomeni, con altri opuscoli agrarii, di gente perita , qualche libro di matematica applicata, le Efemeridi astronomiche - sono lavori che risaltano tra gli altri per modo da farne sentire che son troppo pochi. Da questa breve enumerazione ognun vede che alle scienze pra- tiche più solidamente che alla tilosofia ed alla forte letteratura s’ at- tende in Lombardia ; che le ristampe son troppe e non tutte Oppor- tane; che de’libri moderni i buoni sono la più parte stranieri. Ma la statistica d’ un solo anno a ben giudicare non basta. Attendiamo. K. X. Y. 126 BULLETTINO SCIENTIFICO N.° XLII. Marzo ta SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Il sig. Daniel! ha confermato con molte esperienze ciò che ave- va già annunziato in una memoria presentata alla società reale di Londra, cioè che col lasso del tempo l’aria s’ introdace gradata- mente in tutti i barometri, non già disciogliendosi nel mercurio, ma insinuandosi fra questo ed il vetro. Egli ha trovato il mezzo di pre. venire quest’ alterazione dei barometri, e questo mezzo consiste in una guarnitura interna di platino all’ ingresso del tubo barometrico. Il sig. Brandes in ana sua lettera al sig. Jameson fa conoscere alcuni dei risultamenti che gli hanno offerto le sue osservazioni so- pra quelle meteore che son dette stelle cadenti. Eccone i principali. 1.° Benchè queste meteore si muovano in tutte le direzioni rapporto alla verticale, pure quelle che cadono sulla terra , o vi si avvicina - no , sono in maggior numero di quelle che se ne allontanano; in conseguenza sono soggette all’ attrazione terrestre nel tempo della loro apparizione. 2° Le stelle cadenti si muovono sotto tatti gli azi- mat ; tuttavia quelle che si dirigono verso il sud-est sono in maggior numero che quelle le quali si dirigono in senso opposto. Partendo del calcolo di 34 di tali meteore, delle quali l’ autore ha osservato la direzione , sembrerebbe che il più gran numero abbia un moto opposto a quello della terra nella sua orbita. Calcolando per |’ epoca della loro apparizione l’azimut della direzione del moto della terra , e prendendo una media fra tatti i risultati, egli trova che la dire- zione opposta fa col meridiano un angolo di gradi 48 e mezzo verso l’ ovest. Egli divide il cerchio dell’ orizzonte in 8 parti eguali in mo- do che l’azimut gradi 48 e mezzo andando dal sud all’ovest sia il mezzo del primo ottante, Allora egli trova che sulle direzioni delle 34 stelle cadenti osservate , 9 sono nel primo ottante, o direttamente opposte al moto della terra , 7 e 4 nei due ottanti adiacenti al pri- ino, 6 e 3 nei due ottanti del mezzo, 3 e 2 nei due ottavti che se- guono , e 0, cioè nessuna , nell’ottante opposto al primo , cioè se- condo il moto della terra, Sembra risultare da ciò che le stelle ca- denti somministrino una nuova prova del moto della terra, e benchè 127 esse abbiano senza dubbio un moto loro proprio, la più gran parte della loro velocità non è che apparente, e dovuta al moto di trasla -' zione della terra. Il sig. Brandes aggiunge esser desiderabile che | questi risultamenti siano confermati da un gran numero di osserva - zioni. Fisica e Chimica, Nel mese di giugno 1826 fu fatta casualmente l'osservazione che diversi frammenti di spato fluore , o fluato di calce , della montagna d’ Odontschelon in Daouria apparivano fosforescenti o naturalmente luminosi nell’ oscurità , e si mantenevano tali indefinitamente. Bensì l’ intensità della luce diminuiva o si accresceva , dipendentemente dai cambiamenti dell’ atmosfera , essendo maggiore nei tempi umidi e burrascosi ; s' indeboliva in un luogo chiuso, si rianimava all'aria libera. Messa la pietra nell’acqua, l'intensità della sua luce era meno variabile, Il colore di questa luce era verde-giallo debole. Un pezzo di due pollici di diametro , che era luminosissimo , posto s0- pra un libro stampato di minuti caratteri, lo iliuminava bastante- mente per-poterlo leggere alla distanza di alcune linee. Immerso nell’ acqua alla temperatura di 8 gradi R. la sua luce era appena sensibile ; nell’ acqua bollente era molto vivace , sul mercurio scal - dato a 160, era bastantemente forte per leggere alla distanza di an pollice e mezzo; ma in seguito perdeva della sua intensità per es- sere esposta alla temperatura ordinaria , quindi la riacquistava per una nuuva esposizione alla luce solare. Il sig. Doebereiner occupandosi intorno alle proprietà «del plati- no spugnoso , trovò che per esso può prodursi dell’acido acetico for- tissimo cperando come appresso. Si pone dell’ alcool assoluto o pri- vo possibilmente d’acqua in una boccia, e s’insinua nel collo di que- sta il gambo d’un imbuto dal quale discende nella boccia un luci- guolo o fascetto di fili di cotone, Un poco al di sopra dell’ estremità superiore di questo lucignolo , si dispone il platino spugnoso, il quale trovandosi in un atmosfera di vapore infiammabile condottovi dal lucignolo, lo scompone formando un vapore acre e pungente, il quale condensandosi in liquido sulle pareti d’ una campana di vetro con cuisi cuopre l'apparato, si trova essere acido acetico gagliar- dissimo, Siccome la disposizione di quest’ apparato, e le condizioni del- l'esperimento differiscono pochissimo da quelle della lampada aflo- Gistica o senza fiamma del sig. Davy , dalla quale alcuni anni addie- tro il sig. Faraday riconobbe formarsi un acido, che poi raccolto 128 dal sig. Daniell , fa da lui riguardato come particolare , e chiamato acido lampico , nascerebbe il sospetto dell’ identità di questi due acidi ; sospetto il quale sarebbe desiderabile che venisse confermato o dileguato da naove esperienze. Lo stesso sig. Doebereiner ha indicato un modo facile d’otte- nere il platino spugnoso attissimo al fenomeno dell’ infuocamento spontaneo a contatto dei miscugli di gas ossigene e idrogene o altri gas e vapori infiammabili. Il processo consiste nel bagnare con am- moniaca caustica il muriato ammoniacale di platino, formandone una pasta, e quindi por questa in un crogiolo ed infuocarla. Il prodotto di questa semplice operazione è il platino ‘spugnoso dispo- stissimo ad infuocarsi. Il sig. Zogel ha osservato che l’ ossido bruno di piombo in pol- vere messo a contatto del gas acido idrosolforico alla temperatura ordinaria dell’ atmosfera, s’” infaoca spontaneamente trasformandosi in solfato di piombo; ma l’ assorzione del gas cessa, quando si è formata una crosta di questo sale. Però non può sostituirsi al sot- toborato di soda o borace volendo ottenere il completo assorbi- mento del gas acido idrosolforico da un mescuglio aeriforme che ne contenga. Il sig. /V&rzer propone un nuovo mezzo per scuoprire la presenza dell’acido nitrico in un sale o in una mescolanza di sa- li. Egli introduce una striscia stretta di taffettà inglese in una boe- cia di vetro o altro simit vaso, in fondo al quale è il sale nel quale si sospetta l’ acido nitrico, e che egli asperge d’acido solforico concentrato. Un estremità della striscia scende verso il fondo del vaso in vicinanza delle materie, l’altra è contenuta fra il collo o bocca del vaso ed il turacciolo. Dopo alcane ore , se nel sale esa- minato esisteva qualche nitrato, anche in piccola quantità, la stri- scia è corrosa, e vi si vede apparire una schiuma giallastra tena- cissima, e che fra le dita si lascia stirare in fili sottilissimi. Se si operasse egualmente sopra un paro e seniplice idroclorato , la stri- scia di taffettà si aggrinzerebbe soltanto, ed in vece di rammollirsi diverrebbe più rigida, L'autore ha riconosciuto per questo mezzo piccolissime porzioni di nitrati mescolati ad idroclorati, Bensì con - viene usare nel processo alcune precauzioni: bisogna che |’ aria nell’ interno del vaso sia umida, e che non s'impieghi una troppo grande quantità d’acido solforico. 129 I sigg. Bussy e Lecanu, nelle loro numerose e diligenti ricer- che intorno alle materie grasse, hanno riconosciuto che alcune di esse , trattate coll’ acido nitrico , si convertono nei due acidi mar- garico ed oleico egualmente che fu prima riconosciuto avvenire allorquando si trattano cogli alcali, e quindi anche coll’ acido sol- forico , cotl’ossigene , e col calore. I sigg. Deyeux e Vauquelin avevano annunziato alquanti anni addietro trovarsi naturalmente dell'acido ossalico puro sulla pianta del cece, cicer arietinus. Ora il sig. Dulong d’ Astafort, ha an- nunziato non trovarsi su quella pianta Paeido ossalico, ma bensì gli acidi malico ed acetico. Il sig. Pluger di Soletta in Svizzera ha comunicato alla so- cietà elvetica delle scienze naturali .i risultamenti d’alcune espe. rienze analitiche da sè intraprese sopra il gas estratto dal corpo d'una vacca molto enfiata , 0 affetta di meteorismo , il qual gas gli era stato portato in una vescica dal sig. Luthi veterinario , che avevalo estratto dall’ animale malato. Finora questa specie di gas era stato considerato come una mescolanza d’acido carbonico e d’acido idrosolforico. Il sig. Plu- ger ne ha trovata la composizione diversa; ecco i risultamenti delle di lui osservazioni. Il gas appena uscito: dal corpo aveva un odor forte e disgustoso. Divisolo in più vasi, operando in un bagno pneumato-chimico adacqua stillata, trovò 1° ché non aveva colore, ma come si è detto un odor par- ticolare molto spiacevole; 2.° che bruciava lentamente con fiamma debole turchiniccia, imeutre i lumi immersivi si estinguevano, tor- nando poi a riaccendersi se si faceva toro traversare il gas acce- so; 3.° che agitato coll’acqua di calce diminuiva di tre quinti in volume intorbidandosi; 4° che coll’ammoviaca perdeva egual- mente tre quinti; 3.° che il residuo dei due casi bruciava lenta- mente con fiamma turchina, ed estingueva il lume come per l'avan- ti; 6.° che mescolato all’ aria atmosferica non formava gas deto- nante, la mescolanza bruciando tranquillamente con fiamma tur- china ; 7.° che mescolato al gas ossigene dava lo stesso risultamen- to, e che allora l’acqua di calce del recipiente era molto iutor- bata dal prodotto d’ una tal combustione ; 8.° che cento volwni di questo gas con cinquavta di gas ossigene , accesi in un eudio- metro elettrico davano 100 volumi di gas acido carbonico , 1 quali erano completamente assorbiti dall’ acqua di calce ; dall’ammontia - ca; dalla soda caustica, e dall'acqua fredda. T. XXV. Marzo. 9 130 Dai quali risoltamenti il sig. Plager concluse che il gas esami- nato era composto per tre quinti di gas acido carbonico, e per due quinti di gas ossido di carbonio. Alcuni giorni dopo quella prima essendosi presentata allo stesso sperimentatore una seconda occasione consimile, cioé di potere esa- minare il gas estratto da un altra vacca affetta della stessa. ma- lattia, trovò che questo gas, il quale braciava con fiamma alquanto più viva, era composto per un solo quinto d’ acido carbonico, che era assorbito dall’ammoniaca, e per gli altri quattro qaivti di ossido di carbonio. Quest’ ultimo gas, che Priestley incontrò il primo, e di cui poi Craickshank determinò la natura e la composizione, non si era offerto fin quì ai chimici che qual prodotto dell’ arte, o risaltato delle loro operazioni. Il sig. Pluger è il primo che lo abbia trovato formato naturalmente. | Storia naturale. Verso il principio della primavera del 1825 fù osservato sul la- go di Morat in Svizzera un fenomeno, che sebbene vi si mostri quasi ogni anno in quella stagione, è stato nell’ occasione citata veramente straordinario. Questo fenomeno consiste nella, comparsa d’una ma- teria rossa che cuopriva in più luoghi la superficie del lago, colo- randolo in un modo singolare. Diversi dotti ginevrini, avatane co- gnizione , impresero con molta premura a studiarne le particolarità, ed indagarne, quanto fosse possibile, l'origins. Uno di essi il sig. Col- ladon, entrato per quest’ oggetto in corrispondenza col sig. Schul - tess, farmacista a Morat, ne ottenne , oltre un esatta e minuta in- formazione dei fatti , alcune bottiglie piene delle diverse materie , che sembravano concorrere alla formazione del fenomeno, e che il sig. Colladon distribuì fra i natpralisti ed i chimici di Ginevra, ac- ciò fossero studiate sotto diversi panti di vista. Compendieremo quì la narrazione ‘e descrizione del fenomeno, ed i risultamenti delle 0s- servazioni ed indagini dei naturalisti e dei chimici. Solito mostrarsi, come si è detto, quasi tutti gli anni verso il principio della primavera , quel fenomeno ha durato dal novembre 1824 fino al maggio 1825. Sembra che un inverno dolce , e la poca elevazione delle acque del lago abbiano favorito lo sviluppo della materia , evidentemente organica ; che tingeva-it [ago di color russo. Nelle prime ore del giorno non si scorgeva sopra di esso nulla di particolare, ma poco dopo si vedevano lungo il contorno del. la- go; ed a qualche distanza dalla riva, lunghe linee rosse regolarissime e parallele, che il vento spingeva nei piccoli golfi, ove si accamu- lavano intorno alle canne. Quivi una tal materia cuopriva la super, i t31 ficie del lago d’ una spuma fine rossastra, che formava degli strati varianti in colore da un nero verdastro fino al più bel rosso; se ne vedevano gialli, rossi, grigi, di quasi tutti i colori; alcuni erano marmorizzati, altri presentavano» delle figure simili a quelle che produce l’elettricità positiva in alcune polveri sparse sull’elettroforo. Di giorno questa massa esalava un odore infetto; nella notte tutto spariva, per ricomparire il giorno appresso. Se un vento troppo im- petuoso agitava il lago , il fenomeno spariva, e tornava a mostrarsi ristabilita la calma. Diverse specie di pesci , come il così detto persico ed il luccio, probabilmente per aver mangiato di quella materia, avevano le spi- ne ed anche le carni tinte di rosso, come se si fossero cibati di rob- bia, e non sembravano risentirne verun danno; ma altri piccoli pesci, soliti venire alla superficie per respirare o per dar la caccia alle mosche , se traversavano quella materia , perivano dopo alcune convulsioni ; lo che da alcuni è stato attribuito all’aver deglutito di quella materia, da altri al mefitismo dell’ aria presso la superficie dell’ acqua. Una porzione di quella materia raccolta presso l'orlo del lago fù chiusa diligentemente in bottiglie , le quali arrivarono a Ginevra in capo a 24 ore. Aprendole , esse esalavano un odore estremamente fetido. Vuòtatele in vasi aperti, furono osservate due materie ben distinte ; una minutissima di color rosso bruno, |’ altra in lamine irregolari di color verde sporco. La prima posta nell’acqua vi si manteneva alla superficie : se si mescolava ad essa mediante l’ agita- zione , e quindi si lasciava tranquilla, si vedevano formarsi tre strati distinti , dei quali il superiore conteneva la materia quasi pura, quello di mezzo consisteva in acqua, e l’infimo in un ammasso di diverse immondizie , o frammenti , che erano commisti alla materia bruna. Nel primo giorno l’acqua dello strato medio si mantenne chiara, ma dopo due o tre giorni si andò colorando , prima in violetto rossa- stro, poi in rosso violetto vivissimo. Questa colorazione cominciava dalla parte superiore dell'acqua , ov’essa era a contatto colla mate- ria rossa bruna, e non si comunicava che saccessivamente alla infe- riore ; lo che persuade che la colorazione dell’acqua del lago sia do- vuta a quella materia. Osservando questa con una semplice lente, o con nun debole microscopio , non vi si scorge che un ammasso di delicati filamenti cilindrici , e si può pensare che Haller |’ avesse osservata in tal mo- do allorchè la descrisse così: Conferva purpurea aquis innatans. Hanc stagnorum aquis et confervis innatantem confervam vidi , \ 132 tenerum pollinem, qui tamen continua crustam effecerat laete purpuream. Ma un forte microscopio scuopre nei fili cilindrici delle righe trasversali , talvolta interrotte, e più spesso intere, e formanti de - gli anelli molto regolari, e vicinissimi gli uni agli altri. Già questa circostanza faceva presumere che quei fili non fossero conferve, ma appartenessero al genere delle oscillatorie di Vaucher; di che si è acquistata la certezza osservandosi in quei fili dei movimenti proprii e spontanei molto rapidi, e tali da noa lasciare alcun dubbio sulla loro natura animale. Tralasciando molte osservazioni fatte sopra questa materia dal diligentissimo sig. De Candolle; porre:no quì la descrizione che egli ne dà nella forma e nel lingaaggio dei naturalisti : Oscillatoria rubescens. Osc. filis cylindricis tenuissimis ( 1f360 ln. diam.) fusco-rube- scentibus , confertissime annulatis. > Conferva purpurea aquis innatans Haller hist, helv. n. 2109? Habitat in lacu Morattensi, praccipue hyeme et vere; inter- dum , temperie favente, valde multiplicata ad superficiem fluitans cl aquam rubram efficiens, I sigg. Colladon e Macaire avendo sottoposto all’ avalisi chi- mica la materia rossa del lago di Morat , l'hanno trovata composta 1. d’una materia colorante rossa resinusa, 2. d'una resina verde (clorofilla), 3. d’una grandissima proporzione di gelatina, 4. d’ alcuui sali terrosi v alcalini, d’ossido di ferro , ec. I risultati dell’analisi chimica d’ accordo coll’ osservazione mi- croscopica dimostrano nella materia rossa del lago di Morat una so- stanza animale , probabilmente del genere delle oscillatorie. : Si può anche congetturare dover la loro origine ad esseri simili le sostanze animalizzate trovate da alcuni osservatori , specialmente da Gim- bernat in alcune acque minerali , e credutevi ingenite. Sebbene siano circa 28 anni che tutti i naturalisti dell’ Euro- pa hanno rivolto la loro attenzione ed il loro stadio verso |’ Ornito- rinco , animale singolarissimo , pure non sono ancora giunti a deter - minare concordemente qual posto egli debba occupare nella serie degli esseri viventi. Essi non sono nemmeno d' accordo quanto a ri - porlo o fra gli ovipari , 0 fra 1 vivipari. Frattanto mentre una re- cente osservazione fatta dall’ illustre Meckel (il quale ba aununziato avere scoperto nell’ Ornitorinco delle mammelle) fa che in Germania la questione si tenga per decisa , è si riguardi l’ Ornitoriuco come vi- 133 viparo , il sig. Geoffroy Saint-Hilaire , distinto naturalista fran- cese, ha contradetto all’ osservazione del sig. Meckel, affermando che l'organo preso da questo per una glandula mammare, non deve es- ser considerato come tale. Il sig. De Rlainville, sebbene non abbia fatto egli stesso alcuna delle ricerche le quali avrebbero potuto condurlo ad una certezza assoluta intorno ad una tal questione, pure ha annunziato avere delle forti ragioni per credere che il sig. Meckel non si è ingannato , e che le glandale da lui descritte sono realmente glandule maimma- ri, sembrandogli ciò risultare dalla diligentissima descrizione che quel celebre anatomico ne ha dato. Il sig. Geoffroy, a malgrado di questo , persistendo nella sua opinione , ha pro:nesso di appoggiarla a nuovi argomenti in una sua memoria sugli organi sessuali ed orinarii degli ornitorinchi. A malgrado delle scoperte importanti fatte, sono ormai più di 20 anni, dall’ illustre sig. Cuvier intorno alla circolazione dei crostacei, questa parte della fisiologia e dell’ anatomia comparate presentavano tuttora molta oscurità , perchè le idee che si trovano iv proposito in opere pubblicate posteriormente discordavo alquanto dalle opinioni di quel dotto insigne. A togliere intorno a ciò ogni in- certezza , i sigg Audoin e Milne Edwards hanno intrapreso espres- samente delle ricerche; e per mettersi nelle condizioni più favore - voli , si sono stabiliti per qualche tempo salla riva del mare, ove hanno potuto verificare per mezzo d°’ esperienze dirette sugli ani- mali viventi le funzioni delle diverse parti dell’ apparato circolato- rio, non meno che le vie che il sangue percorre. | risultati da essi ottenuti confermano piera mente le osservazioni del sig. Cuvier, Di fatti banno verificato che la circolazione, come questo dotto pensava da molto tempo , si fa nei crostacei come nei molluschi, rassomi - glianza che si estende fino sugli organi che racchiudono il sangue :. giacchè i sigg. Audoin e Milne Edwards hanno scoperto nei crosta- cei dei larghi seni che fanno l’ uffizio di serbatoi venosi , e che sono evidentemente analoghi ai così detti cuori polmonari dei molluschi cefalopodi. Quest’ ultima osservazione è tanto più importante, quan- tochè un distinto anatomico tedesco ha tentato recentemente di sta - bilire che questi animali hanno delle arterie, ma non delle vene. Gli autori promettono dare in una seconda memoria la «descrizione anatomica degli organi della circolazione dei crostacei. Il dot. Prevost in una sua memoria letta alla società di fisica e storia naturale di Ginevra ha esposto i risultamenti che ha ottenuto 134 e le conclusioniche ha dedotto da alcune esperienze dirette a rico- noscere se e come avvenga la rigenerazione del tessuto nerveo, Furono soggetto delle di lui esperienze cinque gatti recentemen - te nati. A ciascuno di essi fu diviso il nervo pneumogastrico sinistro, e recisone un tratto lango due buone linee circa, onde l’estremità su- periore ed inferiore fossero separate da distanza notabile. Niuno dei 5 animali soffrì danno da quest’operazione ; essi continuarono a nu- trirsi; le piaghe cicatrizzarono rapidamente. Dopo un mese, tagliato ad uno di essi il nervo pneumogastrico dritto, soffrì molto, sbadigliò frequentemente, gridò molto con voce rauca , la sua respirazione divenne molto incomoda, poi molto rara , ed in 15 ore morì. Dissecatolo, ed esaminato il nervo reciso un mese avanti, trovò che le due estremità di esso, superiore ed inferiore, erano gonfiate , e si erano distese l’una verso l’altra ; un tessuto biancastro molto si- mile a del nevrilemma condensato e sfigurato le riuniva. I sintomi precorsi e la morte dell’ animale provano che quella sostanza non propagava l’azione nervosa. Dopo un altro mese, il sig. Prevost ripetè l’ operazione sopra un altro gatto , che era di costituzione più forte del primo; questo pore morì come il precedente, bensì solo dopo 36 ore. L’autopsia, presentò li stessi risultamenti, cioè la stessa sostanza che interposta fra le estremità , vi lasciava sussistere la soluzione di continuità. Dopo due altri mesi operò sopra un terzo gatto, che allora ave- va quattro mesi, e che non mostrò riseatirne gran danno, Tre giorni dopo, mantenendosi esso pieno di vita, il sig. Prevost eseguì la stessa operazione sopra il quarto gatto (giacchè il quinto era morto per ac- cidente), il quale non soffri più del terzo ; dopo quindici giorni i due gatti stavano benissimo. Per riconoscere se la conservazione delia loro vita dipendesse da qualche anastomosi che avesse ristabilita la comunicazione nervosa, ridivise sopra il primo di essi il nervo pneu- mogastrico diritto, immediatamente sopra il posto ove era stato di- viso la prima volta. L'animale sopportà, benissimo quest’ operazione; la sua respirazione non ne fu incomodata ; 36 ore dopo divise sopra lo stesso animale il nervo pneumogastrico sinistro, al di sopra della prima sezione ; dopo altre 36 ore il gatto morì, come se i due ner- vi dell’ottavo paio fossero stati divisi nel tempo stesso, Dissecati diligentemente i tronchi nervosi prima divisi, il sig. Prevost trovò che le due porzioni, superiore ed inferiore, del nervo pneumogastrico sinistro erano unite una all’altra per un gonfiamento duro, d’apparenza biancastra , sopra cui il nevrilemma sembrava molto più denso che in ogni altra parte. Aperto diligentemente que- 135 sto gonfiamento e tolto tutto il nevrilemma grossolano chè ne for- mava lo strato più esterno, compresse il resto fra due lame di vetro, e postolo sotto il microscopio, vide distintamente i filetti del tron- co nervoso superiore prolungarsi nell’inferiore a traverso della so- stanza interposta , indicando così la ristaurazione del tessuto nella sua integrità. Esaminò egualmente come punto di comparazione la cicatrice che sì formava nella sezione ‘recente , e nella quale non si scorgeva fra i filetti verun modo di continuità. Le stesse sperienze diedero sult’altro gatto li stessi risaltamenti; dai quali il sig. Prevost conclude che ) ° Diviso un nervo, non basta perchè vi sì ristabilisca l’azione che le due porzioni divise siano riunite , come presto avviene, da quel tessuto cellulare biancastro , che s’interpone fra loro, ed ade- risce all'uno e all’altro. ° Bisogna che in questa sostanza interposta si prolunghino dei a nervosi dalla parte superiore alla inferiore. 3.° Sembra che questo prolangamento non abbia luogo che dopo un teinpo alquanto lungo. I filetti non erano più interposti gli uni agli altri cov quella regolarità che ‘si osserva nei cordoni nervei; al contrario erano separati, come se si fossero fatta con difficoltà una strada a traverso della sostanza ititerposta. GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI» Morte del viaggiatore Moorcroft. È ormai fuori di dabbio che le scienze geografiche banno perduto quest’intrepido ed infaticabile Viaggiatore. Egli dopo aver visitato il Thibet, e le regioni di Caboal è di Cachemire , risolvè di portarsi a Bokara nella Tartaria. Giunto a Culm , fù arrestato dall’ Emir, 0 capo dei Konduz, che lo ritenne prigioniero per vn mese, e bon volle rilastiario che mediante il pa> gamento di 20,000 roupies per suo riscatto. All’opposto il sovrano di Bokara lo trattò con molti rigaardi , ed affrancò i di lai bagagli da qualunque tassa. Volendo continuare la sua strada , ed avendo biso- gno di provvedersi di cavalli, andò ad Andko per comprarne; ma puco dopo esservi giunto fù sorpreso dalla morte. Due altri viaggia- tori che lo avevano accompagnato nella sua spedizione, cioè i signori Trebeck e Guthrie, morirono egaatmente ambedue pochi giorni dopo. I loro cavalli ed i loro effetti furono presi dal Notawalli, o ca- po dei sacerdoti , e gli uomiri che formavano il loro seguito si di- spersero, fuggendo alcuni verso Hérat, ed un maggior numero verso Caboul. Un abitante di quest’ ultima città, da cui queste triste nuo- 136 ve sono state trasmesse al governo dell’ India inglese , ha fatto i più generosi sforzi per riunire e proteggere le persone della spedizione; erranti in quelle contrade inospite. Si spera che le sue premure po- tranno salvare dalla distruzione le carte importanti che il sig. Moor- croft deve aver lasciato. Il popolaccio si era impadronito del corpo di quest’ infelice viaggiatore, che quindi restituito per le premure del visir Sahibzada , fù trasportato e seppellito a Baiks. Navigazione a vapore — Questa specie di navigazione fa i più rapidi e più felici progressi nell’ India britannica. Si sta preparando sul Gange una nave a vapore, destinata a rimorchiare i bastimenti che rimontano a Calcutta , e che, mediante la prontezza di questa operazione, eviteranno .i pericoli ai quali erano esposti quando il vento di sud-ovest li sorprendeva nell’ Hougly. Ora si sta armando “una scialuppa cannoniera mossa dal vapore, la quale deve restare di stazione nel golfo arabico, per proteggere i) commercio inglese contro i pirati. Si aspettano i più grandi vantaggi dalla sua. velocità e dalla sua attitudine a perseguitare i navigli dei nemici fivo negli alti fondi nei quali cercano un rifugio. La differenza di rapidità fra le navi a vapore e quelle a vele è tale , che nella relazione di Calcutta col porto di Rangoun, nelle antiche provincie birmane, la fregata l’ A//igator ha messo nel fare la sua traversa un terzo di più di tempo di quello che vi ha im- piegato l’ Intrapresa , la. quale, sebbene di 300 tonnellate, è mossa da macchine a vapore. Queste macchine s’ impiegano in oggi a diversi pubblici servizi che nell’ India sono d’ una grande importanza , e che al presente si eseguiscono con maggior prontezza , perfezione ,, ed economia. Con tali macchine si batte la moneta a Calcutta ; con esse si batte il riso e sî spoglia del suo guscio nell'isola di Ceylar ; e sono giunti ad ope- rare col mezzo stesso l’ irrigazione delle strade nella metropoli del I’ India inglese ; il qual successo deve avere in un clima così caldo un influenza favorevole sulla pubblica salute. In proposito di navigazione a vapore , non vogliamo omettere d’informare i nostri lettori che Don Fernandez Navarrete, il quale pubblica a Madrid la collezione dei viaggi degli Spagnoli e dei docu- menti relativi allo stabilimento della marina dei Castigliani, ha pro- dotto il racconto d’esperienze nautiche eseguite per ordine di Car- lo V, e che indurrebbero a, credere che l'applicazione delle mac- chine a vapore alla navigazione fosse conosciuta quasi 300 anni ad- dietro, 137 Nel 1543 il capitano di vascello B/2sco de Garay domandò al - l’imperatore Carlo V di fare in sua presenza in un porto di Spagna l’esperienza d’ una macchina che potrebbe far camminare dei grandi navigli senza il soccorso dei remi e delle vele. Barcellona fu scelta per farvi l’esperienza, e vi fa messo a disposizione dell’inventore un basti- mento di 200 tonnellate chiamato la Trinità, ed il di cui carico con- sisteva in grano. Blasco de Garay non fece conoscere i mezzi d’esecu- . zione che aveva intenzione d’impiegare; ma non potè nasconderli quando li messe in opera il giorno 17 di giagno, avanti la moltitudi- ne che la fama di questo progetto aveva radunato. Fu riconosciuto che egli faceva principalmente uso d’una grande caldaia piena d’a- cqua ;.e di due ruote poste all’esterno del bastimento. Il tesoriere dell’imperatore che era stato incaricato di giudicar l’effetto di que- sta macchiua , allegando che la caldaia poteva scoppiare, e che al- tronde la velocità acquistata per questo mezzo non era che di 4 miglia per ora , fece un rapporto sfavorevole , e tale che l’inventore disanimato distrasse quella macchina ingegnosa, la quale alcuni se- coli dopo doveva divenire il più potente motore delle arti e della navigazione. Per altro Carlo V, il quale era allora sul punto di par- tir di Spagna, fece rimborsare Garay delle spese della sua esperien- za, e gli fece dare Jo mila maravedis. Il giornale officiale dell’ India britannica ba offerto un quadro statistico dell’ estensione e della popolazione delle provincie acqui- state sopra l’impero dei Birmani, mediante il trattato di pace cop - cluso in conseguenza dei successi dell’ armata inglese. La superficie di queste provincie è di circa 300 leghe, e però eguaglia quasi l’ estensione del Portogallo. La loro popolazione è stimata come appresso: Arracan 100,000 abitanti; Tavai 20,000; Ye 5,000 ; e Merqui 8,000; in tutto 133,000 abitanti. Questo nu- mero riferito all’ estensione della superficie, ragguaglia a soli 44 in- dividui per ogni lega quadrata, mentre vi sono alcane parti dell’In- dia inglese, co.me il distretto di Bardwan, in cui se ne contano 5,400. Ma è già stato imaginato e posto ad esecuzione un mezzo per rime- diar tosto a questa spopolazione. Ella è veramente an intrapresa ardita , curiosa, ed im portante quella di creare una popolazione in un luogo deserto, un commercio marittimo sopra una costa non frequentata, una città indostriosa circondata da campagne coltivate ove era prima una foresta abitata dagli elefanti selvaggi, dai bufali, e dalle tigri. L'Inghilterra ha ese- guito con una rara abilità questo progetto, che concentrerà fralle di 138 i lei mani tutto il commercio dei Birmani. Essa ha fatto gettare i fon- damenti d’una nuova città all'imboccatura del fiume di Martaban, iu una situazione felice, e con un porto che può ricevere i più grandi bastimenti. Per popolarla è bastato un proclama per cui s’ informa- no i popoli vicini dei vantaggi che essa offrirà loro. Gli abitanti sa- ranno liberi da ogni oppressione ; il loro commercio non softrivà al- cuna restrizione ; niuno interverrà nell’ingresso , nell’ uscita, nella compra o nella vendita delle mercanzie. Gli operai non lavoreranno che per un salario , di cui niuno potrà privarli impunemente. Non vi saranno schiavi ; vi sarà piena libertà dei culti, e protezione per le chiese , per i sacerdoti ; per i movasteri; e per gli uomini santi. Gl’impegni contratti avanti la guerra sotto il governo birmano sa- ranno eseguiti ed i debiti pagati, secondo le stipulazioni scritte. I capi e gli ufiziali nominati per vigilare al ben essere degli abitanti, e che si rendessero colpevoli d’ ingiustizia o di violenza , saranno di- messi e puniti. Non sarà prelevato per le spese necessarie del gover- no che una tassa moderata, la quale non verrà stabilita se non quan- do la prosperità del paese lo permetterà, e secondo il parere dei ca- pi del popolo. Finalmente le persone che cessassero di voler risedere nella nuova città saranno sempre libere d’uscirne, né incontreranno in ciò alcun ostacolo. Appena conosciute queste disposizioni, 1200 famiglie d° indiani, seguitate da'loro bestiami in numero di 3000 teste, hanno lasciato il territorio birmano, e sono entrate in quello della provincia inglese per stabilirvisi. I chinesi , la presenza dei quali è nell’India un argo- mento certo dei vantaggi che presenta il'paese ‘agli abitanti, accor- rono già ad occupare il posto riservato. loro, I sacerdoti di Budha predicono alla nuova città i più brillanti destini; essi hanno scoperto che un'tempio del Dio della fortuna (da essi chiamato Kyai-Kami ) posava preeisamente una volta nel luogo stesso che ella occupa , ed hanno anche trovato , nei loro libri sacri , un oracolo che ne annun- zia la fondazione. Arrivo del capitan Franklin allo stretto di Behring. Il sig. Ara - go ha fatto all'Accademia delle scienze di Parigi una comunicazione verbale relativa alla spedizione inglese incaricata di determinare la forma dei mari del nord. È noto che i capitani Parry e Franklin dovevano concorrere a questa spedizione intrapresa già da dae anni. Era stabilito che mentre il cap. Parry cercasse una strada dal mar del nord allo stret- to di Behring, cioè tentasse di scuoprire il tanto cercato passaggio, prendendo una direzione cortraria a quella seguita da Cook e da al- ) 13 tri navigatori che tentarono di passare dal mar pacifico in infova È il cap. Franklin doveva dal canto suo condursi per l'America setten- trionale allo stesso stretto di Behring, determinando la forma del continente. Tutti sanno essere andata a vuoto la parte dell’intra presa confidata al cap. Parry, e che egli, dopo aver perduto uno dei suoi bastimenti, è stato obbligato a tornare a Londra, dove è arrivato l’an- no scorso. Ora il sig. Arago ha annunziato esser giunte in Inghilterra lettere del cap. Sabine, le quali fanno sapere che il cap. Franklin, dopo aver seguitato il continente dell’ America in una parte del suo limite boreale, è arrivato allo stretto di Behring, donde deve ritor- nare per Canton, mentre una parte della spedizione riprenderà la strada già fatta. Il sig. Arago, dopo aver fatto osservare di quale importanza sa- rebbe una spedizione che permetterebbe di risolvere diverse que- stioni relative alla forma del mare artico, non dissimala che la con- siderazione delle date potrebbe far nascere qualche dubbio intorno alla verità della notizia comunicata. Di fatti si pretende che la nuo- va dell'artivo del cap. Franklin allo stretto di Behring abbia la data del mese d’ottobre 1826; ora è difficile concepire come avesse potuto pervenire in si poco tempo. Per altro la cosa è possibile; e le sor- genti onde viene la nuova sono molto rispettabili. Spedizione russa di scoperte. Due bastimenti da guerra sono de- stinati ad esplorare le coste dei paesi che dipendono dalla Russia e che sono bagnati dal grande Oceano. Vi saranno dei naturalisti e dei disegnatori, e le tre campagne che essi intraprenderarno sono progettate nella seguente maniera. Dopo aver girato il capo Horn, vi- siteranno Otahiti e l’Arcipelago delle isole Sandwich. Da queste isole si porteranno a Sibka, che è il principale stabilimento della compagnia russa alla costa nord-ovest dell'America. Vi lasceranno il loro carico, e continueranno separatamente il loro viaggio. Il Senia- vin si dirigerà alla penisola di Onalasbsca, e tenterà di penetrare nel- l'Oceano artico per lo stretto di Behring. Al suo ritorno esplorerà la costa del Kamschatka. Raggiungerà il Mollen alle isole Caroline, ove sverneranno ambedue. L'estate del 1828 sarà impiegata a rico- noscere idrograficamente il mar d’Ochotk. I bastimenti devono ritor- nare in Earopa per il capo di Buona Speranza, dopo aver visitato le isole Salomone e l’Arcipelago delle Molucche. Mare artico. — Questo mare è stato veduto per la quarta volta al nord del continente dell’ America , e questa volta come le prece- denti libere dal ghiaccio. x4o Il dot. Richardson, il quale nella spedizione del capitan Fran- klin scampò quasi per prodigio dalla sorte dei suoi compagni che pe- rono di fame , non ha esitato ad intraprendere dei nuovi tentativi per riconoscere l’oceano polare. Nel mese d’agnsto 1826 dopo aver traversato un’ altra volta i ghiacci dell’ America settentrionale, ha disceso il fiume Mackensie in un battello con sei marinari, un in- terprete esquimese , e l’ intrepido Franklin , la di cui perseveranza non sì è stancata per i disastri. Essi arrivarono in sei giorni dal forte Norman all’imboccatura del fiume nel nare artico. Di là si avan- zarono fino all'isola Garri, che giace a nove o dieci leghe dall' im- boccatura. Da questo punto essi poterono ottenere una veduta este- sissima dell’ oceano polare fra i paralleli 69° e 70.° Il mare non era agghiacciato, e vi si vedeva una moltitudine di marsoini e di balene. La posizione dell’ isola Garri, ove * viaggiatori restarono un giorno, fu rilevata astronomicamente,. Questo terinine estremo del nuovo mondo si trova a 69° 29 di latitudine, e 135° 4 di longitudine ovest, da Greenwich. Il giorno 6:settembre, i viaggiatori, avendo risalito il fiume Mackensie , erano arrivati al forte Franklin , ed avevano il progetto di fare in quest’anno una nuova esplorazione geografica delle regioni polari, Partenza del colonnello Denham per l’ Affrica. —I giornali inglesi hanno annunziato la partenza del già maggiore , ora colon- nello Denham per un nuovo viaggio in Affrica. Lo porta il vascello il Cadmo , ed ha lasciato il Tamigi negli ultimi giorni di dicembre. L’ oggetto preciso della sua missione , ed il punto che egli deve vi- sitare non sono ancora officialmente coguiti. Ciò che sembra certo si è che questa missione è connessa al progetto d’ aprire delle comuni- cazioni coll’ interno , e di formare un grande stabilimento più cen. trale di Sierra Leone , che non ha fiumi navigabili , e il di cui clima è micidiale. È già gran tempo che l’ isola di Fernando Pò è stata se- gnalata come il punto più conveniente per stabilire una colonia, Quest’ isola è alta , ricca di boschi, bene irrigata ; essa è sana, e la di lei fertilità accresce l’importanza che le dà la sua posizione. Se. le ultime notizie trasmesse dal cap. Clapperton sono esatte, se la sup- posizione di Reichsrd si verifica, se il fiume di Tombouctou si scarica nel golfo di Benin , Fernando Pò deve diventare il gran de- posito britannico in questa parte, ed il posto d'osservazione d’ una naoova linea commerciale che legherà il mediterraneo all’ Atlan- tico , traversando |’ A ffrica settentrionale dal nord al sud. La. par- tenza del colonnello Denbam annuazia che l’ Inghilterra è ora bene 141 informata intorno al corso e alla direzione di quel fiame misterioso , cercato tanto e sì lungamente. Ella ce ne informerà officialmente e scientificamente quando avrà fatto i suoi affari commerciali ed aper - to una nuova via di smercio al prodotto delle sue manifatture. Notizie del maggiore Laing. — Questo viaggiatore celebre ha scritto da Tombouctou ; la sua lettera è senza data. Sembra che egli abbia l’ intenzione di ritornare direttamevte a Tripoli, ed in seguito portarsi in Inghilterra. Questa nuova disposizione comparisce tanto più straordinaria , quanto che è in opposizione con quella parte del suo itinerario da cui la scienza aspettava risultamenti importanti, \ INVENZIONI E NOVITA. La macchina del sig. Perkin applicata recentemente dal sig. Sa- muele Moyle a la tromba semplice di Cornovaglia, benchè non fosse completa in tutte le sue parti, ha dato luogo a riconoscerne la po- tenza ela sicurezza. Non si è potuto ancora determinare quanta sia l’ economia che procura , benchè sia sicuramente considerabile, per- chè la tromba d’iniezione, che deve mantenere il generatore costan- temente pieno d’acqua, presentava qualche irregolarità nel suo anda- mento. Si è bensì verificato che quanto è più grande la pressione del vapore , maggiore è proporzionataente l’ economia del com- bustibile. La sicurezza della macchina è stata provata dalle frequenti rotture avvenute nell’ apparato di sicurezza , senza mai offendere al- cuno, in esperienze nelle quali è stata impiegata una pressione eleva- tissima; la maggiore che il sig. Perkins abbia impiegato nelle sue macchine è stata di-57 atmosfere. I fatti suddetti relativi alla potenza ed alla sicurezza della mac- china sono attestati dai sigg. Horn-blowers ingegaeri meccanici ver- satissimi nella costrazione delle macchine a vapore, e che hanno operato nelle officine del sig. Perkins per adattare il suo processo alla tromba semplice di Cornovaglia , macchina che essi conoscono per 20 anni d'’ esperien» 118 161 Delle diverse regole del Gius Antico; titolo 3.° del II libro de’Basilici per la prima volta pubblicato tutto intiero da Carlo Witte. Breve notizia delle nuove fonti di romano diritto recentemente scoperte, (Avv. Ca- pei.) GC. pag. 17 Aunali universali di tecnologia , di agricoltura, d’ econo- mia ruralee domestica , di arti e mestieri di Milano. (K. X.Y.) 30» 57 Sull’ I. e R. Istituto ir SS. Annunziata , aperto in Fi- renze per l’educazione delle fanciulle, il primo dicembre 1325. (T.Q.Z.) >» >> 67 Della Divina Provvidenza nel governo dei beni e dei mali | temporali , saggio di A. Rosmini (RK. X. Y.).si 029,105 Schizzo di principii filosofici, di G. N... SI. (K. X.Y.) ,» 119 GEOGRAFIA STATISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI» Voyage dans la Russie méridionale, de N. Gamba (G.P.) A. ,, 17 Riunione del mar atlantico al mar pacifico. (G..G 33, 0 157 Saggio su’progressi della geografia dell’A ffrica interna, de ‘la Renaudiere. (G. P.) B. ,» 76 Viaggio del maggior Gordon Laing nell’Affrica interna ,, C. ,, 33 Morte del viaggiatore Moorcroft. PAPMGETRDA 1.151 Navigazione a vapore. sy A36 Popolazione delle provincie cedate dai birmani all’Inghil- terra, e fondazione di una nuova città all’imboccatura del fiume Martaban. 30 7 Arrivo del cap. Franklin allo stretto di Bebring. sl 108 Spedizione russa di scoperte. sit. 1 139 Mare artico. » » Partenza del colonnello Denham per l’Affrica. PRI 11 Notizie del maggiore Laing. » 39 !4I LertERATURA, FrLoLociA, PoEslA, CRITICA LETTERARIA Ec. Sopra alcune congetture intorno all’ Alighieri, lettera al colonnello G. P. (E. Repetti.) B. .,3 I Il sig. Champollion ed il sig. ab. Lanci. (F. Orioli.) ,, ,» 68 Eneide di Virgilio del commendatore Annibal Caro (M.) ,, ,, 124 Scelta di prose di Carlo Ruberto Dati. AO 5) Prose di Giovanni della Casa. Descrizione georgica di - Dan. Bartoli. ” >» FE) 14t 162 Elogi scritti da GiuseppeBianchetti. SN Collezione portatile di classici italiani. Tragedie classiche italiane; edizione di P. Borghi ec. det Prose e versi d’Ugo Foscolo. Prose e versi di G. B. Nic- colini. sarti La sera del dì 8 febbraio. » Continuazione della Rivista Dantesca. roi La perte de l’Anio, par M. Alphonse de la Martine, . Il dittamondo di Fazio degli Uberti, ridotto a'buona le- 29 zione ec. (Sì) » Vitae Dantis , Petrarcae et Boccaccii a Philippo Villanio scripte ex codice inedito Barberiniano. ae (st) ee Teorica dei verbi italiani, compilata sull’opera del Cino- nio, ec. — Osservazioni grammaticali intorno alla lin- gua italiana, di Giacomo Roster. — Saggio d’insegna- mento della lingua inglese, di C. W F. Jonhson. (S.) , Paragone dei due teatri francese ed italiano. i (E); Rivista generale dei libri usciti in luce nel regno lombar- do nell’anno scolastico 1826 , di Franco Splitz. i (RAT) BELLE ARTI. Due sale recentemente dipinte nel palazzo de’Pitti. (X.) A. ARCHEOLOGIA. L’antico marmo scritto appartenente alla colonia di Poz- zuoli nuovamente illustrato da G. B. Zannoni. Licurgo re di Tracia assalitore del Tiaso di Bacco, basso rilievo d’an antico vaso marmoreo appartenente al principe Corsini, illustrato da G. B. Zannoni. (M.) B. Descrizione d’alcune medaglie greche del museo del sig. Carlo d’ Ottavio Fontana di Trieste, per Domenico Sestini. (S. C.) &. SCIENZE NATURALI. Memoria sopra la fiamma. (G. Libri.) A. Manuale, o brevi elementi di fisica ad uso degli studiosi, ec., del sig. Bailly, tradotto da G, Mamiani. (P. P.) C. Sunto del rapporto delle usservazioni geognostiche sopra i monti del golfo della Spezia, letto alla società di 2) ” 2) 39) »” 113 115 117 12I 129 73 ILI geografia, statistica , e storia naturale li 25 marzo 1827 da E. Repetti. » Meteorologia. Bull. Scient. N.* 40 (G.G.) ;;, A 41 BI 42 = »o € Fisica e chimica 3 40 » A. ” 4i » B sE 4a FAMI De Storia naturale. E ’ » » Cristallografia. ” 4o (G. Paoli.) A Fisica vegetale. pa 2A (G. G.) ,; Miperalogia. 2 41 (N.) B. Geologia, 55 ” PORRO) Intorno alle cose di Meleda. (D. Stalli.) ;, SCIENZE MATEMATICHE, ASTRONOMIA, ec. Metodo e tavole per costruire un efemeride di occaltazio- ‘ni delle fisse sotto la luna, di Giovanni Inghirami delle scuole pie. A. Istituzioni d’aritmetica di Giuseppe Rossi, ec. (P.S)C. SciENZE MEDICHE Considerazioni sull’opera del dott. Manni del trattamento degli annegati. (G. Paoli) B. ARTI INDUSTRIALI, SCOPERTE EC. Ballettino scientifico N.° 40 (G. G.) A. ” 42 » SOCIETA SCIENTIFICHE, Accademia de’Georgolili. bb) >» Società toscana di Geografia statistica e st. nat. patria. 7) 7) Società medico fisica fiorentina. HPAPPOGO: 2) 13 2) 2) 145 139 167 126 142 169 127 130 150 154 174 177 190 182 112 177 159 Iki 164 180 143 165 182 145 171 181 164 Accademia pistoiese. A. Accademia degli Euteleti di S. Miniato. Società di scienze e lettere di Modena. Pa Società agraria di Torino. s R. Accademia delle scienze di Torino. ds Accademia dei Tegei di Siena. i C. Accademia labronica di Livorno. i bs Società Gioenia di Catania. = BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. N.o XXXIX. Gennajo 1827. XL. Febbrajo. XLI. Marzo. OwWP NECROLOGIA, BIOGRAFIA EC. Elogi del cav, Andrea Vaccà Berlinghieri , scritti da G. Barzellotti, e da Giovanni Rosini. (M.) A. Intorno alla patria del sergente Giuseppe Bianchini. > Barbier da Bocage. Malte Brun. G. Brocchi. ci Azuni. 5a Volta. è »” Laplace, ”» Fine del Tomo XXV. 9) ” I0I 187 153 155 155 156 167 OSSERVAZIONI . METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. MARZO 1827. Ì 7 mat. |28. 2,7 | 4,6 5,1 | 95 | 0,06 Scir. [es] Termo o Ha > D 3 e) “E 5 na 3 | tifo si ® : S| Ora 3 5 |a | 3 |f5S|88 Stato del cielo 5 © SI © o |o 3 She lara —_. 5 (> [>] é O. luggl o ni ° Pioviggine Ventic. 1| mezzog. |28. 2,7 | 5,0 | 7,8| 99 Os. Li. Navolo Calma rt sera |283. 2,0 | 4,4 | 78° 99 Ostro ' Nuvolo Calma I 7 mat. |28. 2,7 | 5,0 | 7,5 | 95 Ostro |Nuvolo Ventic 2| mezzog. |28. 1,1 | 6,3 |10,0| 85 Ostro. [Nuvoloso Calma * | 11 sera |28. 0,1 | 7,0 | 8,8| 94 Ostro. |[Nuvolo Vento | 7 mat. |27. 11,8 {| 8,0 | 8,5 85| |Ostro |Navolo Calma 3| mezzog. |27. 11,7 | 8,t |1r,5| 85 Po. Li. {Nuvolo Calma ri sera |27. 1r4 18,5 1 9,1] 97 iSc. Le.|Ser. Nuv. Calma 7 mat. [27. 11,4 | 8,5 | 8,0] 84 Lev. |Nuv. ser. Calma 4| mezzog. {27. 10,5 | 8,9 [13,0 | 66 Sc. Le.|Ser. nuv. Ventic. ‘tI sera |27. 8,6 {10,0 {12,0 | 73 Os. Li.| Nuvolo Ventic. “7 mat. |27. 9,3 [to,l. 9:3 | 80 Pon. |Ser. nuv. Ventic. - | 5 mezzog. |27. 10,0 |10,5 [12,0 | 66 Pon. |Ser. nuv. . Ventic rr sera |28. 0,3 [10,7 |] 8,4 | 79 ‘Sc. Le.|Sereno Ventic. 7 mat. ;28. 0,5/9,9| 5,t | 70 Scir. [Sereno Ventic. 6| mezzog. |28. 0,5 | 9,8 [10,0 | 70 ‘Tram. {Sereno Ventic. |__| rt sera (28. ?0,g [10,3 | 7,7 | 80 Os. Li.|Nuvolo V entic. 7 mat. {28. 1,1 |10,0 | 7, | go | 0,02/Ostro |Nuvolo Calma ly mezzog. |28. 10,6 | 74! Os. Li.| Nuvolo Ventic» } | rI sera |28. 8,0 | 85 | Tr.Ma.'Se. con neb. Ventic- Stato del cielo -2w101A0|g | ord ? -0osowauvy |É. o179wo1eg | 017920018] |É 0417 |7 mat. |28. 1,7 | 95 | 7,9] 9r Sc. Le.|Nuv. ser. Calma 8| mezzog.|28. 1,5 | 9,5 {12,0 | 68 Os. Li.| Nuvolo Vento 11 sera |28. 0,7 | 99 | g,1 | 75 Ostro |Sereno Calma i 7 mat. |27. 11,6 9,8 10,0 | 84 Scir. |Nuvolo Vento 9| mezzog.!27. 11,3 |r10,3 |rr,r | 8I |Ostro |Nuvolo Ventic | Ir sera az. 10,1 | 9,9 | 8,1 | 87 | 1,75jOstro {Nuv. ser. Veptic if 7 mat. |27. 9,0 | 9,7 | 7,0! 93 | o,otjLev. {Nuvolo Vento |f 10] mezzog.|27. 9,1 | 9,7 |10,0| 69 Lib. {Navolo Ven. for. 1r sera |27. 10,7 | 9;3 | 7,0! 76 | 0,02/Tram. |Sereno Ventic. 7 mat. |28. 1,3 89 48) 91 Sc. 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