AN . POLOGIA G I o NAL E I sa LETTERE E ANTI i. 100. Ag 102 29. Anno IX. Vol XXXIV. o FIRENZE fi AL GABINETTO SCIENTIFICO: LETTERARIO. | Dr G. P. VIEUSSEUX ®—— Drrerrore e Eprrorz i © TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. | (STORIA. dell'Impero Ottomano e dell Impero Opere di Sagredo, di Cantimiro, di Bu sbeck, di Mouradia , d'Ohsson,; di Vassif- SS Effendi ; di Toderini, di Saluberry ; d'dliai > » did uehereau ye d'altri antichi e recenti serite os MANIFESTO D'ASSOCIAZIONE: iI, pografo e libraio Glauco Mast; far cosa grata al Pubblica, fa-. cilitando quanto è possibile , la! ‘conoscenza di queste due istorie; > si propone di furne uva muovat edizione; nel sesto, carta e ca-L - rattere simili al Manifesto, e'che non oltrepasserà lo stesso nume+: ro di 12 volumi, e la offre- a. ‘que’ Signori che vorranno appor-: re la: firma al Manifesto, al te ‘“puissimo prezzo. di paoli 2 if tomo’; de quali ne sarà pubbli». cato Uno. il mese. + nr Le spese di trasporto € dazio Nar attual: politica situazione dell'Europa , fissano attenzione del Pubblico i due Imperi Ot- tomano e Russo; ma la loro isto= ria: per altro non’è così general: mente conosciuta .; da non ren: dersi. utile una più dettagliata parrazione delle cose di quegli Stati. $ È, Il chiariss, sig» cavi. Gompa- gnonì ha dato recentemente in luce l° istoria ‘dei; due nominati limperii in 12 volumi, la quale istoria 5 indipendentemente dal ‘ pregio letterario e filosofico, con- tiene in sè tutte quelle nozioni che’ possono interessare i dotti e:po: . litici indagatori degli usi e isti- tuzioni di questi due popoli e soddisfare pienamente la geveral curiosità. Lusingandosi il sottoscritto Li; ciati. ù, È ario Jl primo volume è già pub blicato: a ot SÌ, Livorno ro Febbraio 1829 GLAUCO. MASI:.% ANTOLOGIA APRILE, MAGGIO, GIUGNO 1029. TOMO TRIGESIMOQUARTO. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE. TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXXIX. AI SIGG. Vosdociali e Cr DELL’ANTOLOGIA I Direttore. L ho già altre volte, al cominciare d’un nuovo anno , indirizzate ai collaboratori e agli Associati di questo gior- nale alquante parole, per aprir loro l’ animo mio intorno ad un’impresa, alla quale essi prendon parte e che me occupa quasi interamente. All’ approssimarsi di quest'anno, il nono dell’ Antologia, io sentiva un particolar bisogno di rivolgermi ad essi, affine di communicar loro ad un tempo e la soddisfazione che dall’ una parte io provo per alcuni miei voti che si sono fortunatamente adempiti , e il sen- timento contrario che dall’ altra mi affligge per quelli che la sorte non ha secondato. Ma il pensare che dopo pochi mesi io avrei potuto met- tere sotto il torchio la centesima dispensa della mia raccolta, mi fece indugiar fino ad oggi il piacere di abbandonarmi ad una effusione di sentimenti ch’io non saprei trattenere. (II) Noi ci rammentiamo come al comparire del 1° qua- derno dell’ Antologia fuvvi chi vaticinò non poter questo nuovo giornale giungere alla sua quinta dispensa ; e certo, noi dobbiamo confessarlo, potevano alcuni senza animo ostile presumere , che la nostra impresa non avrebbe sortita lunga vita ; ma ciò che poteva sconfortarci dal proseguirlo fu appunto per noi sprone a far sì che veridico non riu- scisse il sinistro presagio. Ed ora che diamo alla luce il centesimo fascicolo della nostra raccolta , ci sarà perdona- to, io spero, se rammentiamo questa circostanza , e a chi confortò con felici augurii il nostro buon volere, ed a chi la rese più solida e più perseverante con augurii spiacevoli, Quest’ esordio parrebbe certamente inutile o singolare in que’ paesi, dove l’unica raccomandazione d’un gior- nale sono i buoni articoli ch’esso contiene. In tali paesi un’opera di questa fatta finisce, cede il posto ad un’altra, nè il pubblico se ne cura, sapendo bene che se la prima non si è sostenuta, la colpa è quasi tutta dell’ editore, che non seppe consultare i bisogni intellettuali del pub- blico stesso, e valersi de’ mezzi opportuni a soddisfarli. In Italia, Ja cosa va bene altrimenti. Qui la stampa periodica è ancor nell'infanzia , e assai spesso contrariata dalla scarsezza o dall’indifferenza de’lettori; dalla pigrizia o dall’eccessiva modestia degli scrittori; dalla incertezza delle comunicazioni fra provincia e provincia. In questo stato di cose , ad un editor di giornale pnò ben perdonarsi se egli cerca d’interessare il pubblico al- Y impresa sua , confidandogli in qualche modo le difficoltà che incontra, e le pene che ne sono l’effetto. Giova pe- rò che questo editore gli confidi nel tempo stesso con egual candore tutto ciò che agevola la sua impresa , i suoi disegni, le sue speranze avvenire. Io debbo far 1’ uno e l’altro ; e nol posso far meglio che colla semplice esposi- zione de’ fatti. 1° Antologia cominciò nel 1821 con meno di 100 as- sociati; e oggi ne conta 530 circa. Questo numero certa- mente è ragguardevole se si confronti col primo ; è scar- sissimo se si abbia riguardo al bisogno dell’ Italia, la qual (11) possede così pochi giornali ; al piccolo prezzo dell’associa- zione , e alle molte spese dell’ editore. De’ suoi 530 associati, 323 sono in Tudesbie , 35 nel Regno Sardo, 6 nel Ducato di Lucca, 6 nel Ducato di Modena , 2 nel Ducato di Massa , 8 nel Ducato di Par- ma, 46 nel Regno Lombardoveneto , 44 negli Stati Pon- tificii, 5 nel Regno di Napoli, 16 in Sicilia, 37 al di là dell’ Alpi, 2 in America, Questa piccola statistica non ha bisogno di commento; e lo avrebbe ancor meno s' io qui indicassi la popolazione rispettiva degli stati d’Italia , che forniscono all’ Antologia un così diverso numero di soscrittori. Gli stranieri, che pur qualche volta sentono il bisogno o il desiderio di giudicare lo stato nostro, potrebbero anco interessarsi a conoscerlo più davvicino e nelle opere de’nostri scrittori, e in que? giornali che rappresentano più fedelmente e lo stato e i desiderii della parte più generosa di questa rispettabile nazione. Grazie, intanto , nuove grazie a’ Toscani, che soli hanno incoraggita la nostra impresa d’un modo efficace, sebbene essa non abbia nulla di municipale, e sia tutta italiana, E appunto perch’essa è tutta italiana, avevamo sempre sperato che il numero de’suoi soscrittori non toscani si an- drebbe aumentando a misura che si aumenterebbero in essa le cose corrispondenti ai desiderii e ai bisogni attuali del- l’Italia. Ora, a ciò sono stati indirizzati i nostri sforzi con- tinui ; di che ciascuno potrà persuadersi guardando agli indici delle materie che da alcuni anni abbondano nel- l’ Antologia. Da questi apparisce chiaramente come si sono in essa evitate quant’era possibile le questioni oziose , le dispute di parole ec. , per serbarne le pagine alle scienze morali ed economiche , alla storia e alla solida letteratura. E quì mi è ben grato poter dire con quanto ardore si sieno adoperati a renderla sempre più degna dell’Italia alcuni giovani scrittori, i quali da’loro cominciamenti fanno augu- rar così bene del loro avvenire, e a cui se ne unirebbero si- curamente molt’altri, se lo stato d’uomo di lettere fosse ge- neralmente più incoraggiato. Parecchi, infatti, di tempo in tempo hanno offerto all’Antologia degli articoli lodevolissi- (IV) mi, che l’ editore, costretto a limitarsi ad un certo numero di fogli, ha con molto suo dispiacere dovuto rifiutare, o differirne indefinitamente la pubblicazione, Ed è forse in grazia de’suoi rifiuti e de’suoi ritardi, che alcuni soscrittori , non comprendendo bene le sue cir- costanze, hanno creduto più d’ una volta potersi lagnare di lui. Ma lasciando stare gli articoli mediocri o di po- chissima importanza , che un editor di giornale ha troppa ragione di non accogliere, spesso egli è pur obbligato di posporre de’ buoni articoli ad altri che hanno il merito dell’ opportunità , o che più s’ addicono all’indole del suo giornale. Così, egli ha dovuto rifiutar sovente delle compo- sizioni poetiche , le quali , sebbene pregevoli per sè stesse , non servivano abbastanza allo scopo dell’ Antologia , parti- colarmente consecrata, come si è già accennato, agli studi severi che si legano più da vicino alla scienza dell’uomo e della società. L'abbondanza degli articoli relativi a questi studi ha fatto che l’ Antologia appena qualche volta abbia trovato luogo per altri riguardanti la fisica, le matematiche, e le scienze naturali. Essa si è quasi sempre limitata a de’sem- plici annunzi di nuove scoperte o di nuove teorie , i quali formano la sostanza del suo Bullettino scientifico. È ben vero che se gli scienziati italiani. ci avessero più di so- vente voluto mettere a parte dei frutti delle loro medita- zioni, l’ Antologia si sarebbe mostrata alquanto più ricca nella sua parte scientifica, la qual finora è ben lungi dal potere stare al confronto dell’ altre sue parti. E noi ci siamo spesso doluti di dover ricorrere all’opere periodiche degli stranieri per poter annunziare i progressi fatti fare alla scienza da dotti italiani. Del resto, i rimproveri che per questa parte potevamo fare a noi stessi erano diminuiti dal pensiero che gli ar- ticoli di fisica, di matematica ec. si trovavano meglio col- locati nelle raccolte periodiche consecrate a queste scien- ze, come quella sì ben diretta dai sigg. professori Confi- gliachi e Brugnatelli di Pavia , e l’altra che dirigeva in Genova il sig. barone di Zach. (V) Quand’ecco, le due raccolte, l’una poco dopo dell’altra; sventuratamente troncate. Quindi il nostro progetto degli Annali Italiani delle Scienze per supplirvi, inserito nel Giu- gno dell’Antologia dell’ anno 1828. Speravamo che gli scienziati italiani lo accogliereb- bero con piacere, e il pubblico con favore proporzionato al bisogno della cosa da noi progettata. È però forza con- fessarlo: due soli scienziati fuori di Toscana, (e senza il concorso della maggior parte degli scenziati italiani non si poteva ottenere pienamente l’intento ), e sei soli soscrittori si sono presentati per secondare un’ impresa che sarebbe tornata a decoro e ad utilità di tutta l’Italia, Quindi, malgrado la costanza, di cui grazie al cielo ci sentiamo forniti, e di cui crediamo aver dato qualche prova , abbia- mo dovuto rinunciare al nostro disegno. Duolci però d’es- serci ingannati nelle nostre speranze; e crediamo aver di- ritto di dolercene in faccia al pubblico , il quale vorrà farci giustizia e indagare da sè medesimo le cause per cui il nostro progetto ha avuto un esito così impreveduto,. Dopo ciò, non sarà meraviglia se dichiariamo di vo- lerci più che mai attenere nell’ Antologia alle scienze morali e politiche , e alla letteratura propriamente detta. Dichiariamo però nel tempo stesso , che il cattivo esito del nostro progetto degli Annali scientifici non porge alcun ar- gomento contro lo zelo e il sapere degli scienziati italia. ni. A quest'ora forse già si prepara in altra parte d’Ita- lia qualche cosa di simile agli Annali da noi ideati, e noi siamo pronti ad applaudire agli sforzi che si faranno per soddisfare in qualche modo ai bisogni scientifici della nazione, Come credere infatti che un tal giornale possa man- care lungamente in Italia, ove i professori distinti del- le scienze sono in sì gran numero, ove sono sì fre. quenti gli istituti destinati al loro insegnamento , ove per conseguenza son tanti quelli che, più o meno, le amano e le coltivano ? Ma senza troppo divagarci in queste considerazioni, guar- diamo alla Toscana nostra, allo spettacolo ch’essa ci pre- (VI) senta, a quanto vi si è fatto, a quanto si tenta di ope- rarvi, a tutto ciò ch’essa ci fa sperare nell’interesse della civiltà e delle scienze. E primieramente come non vedere nel saggio e pater- no reggimento , sotto il quale' abbiam la fortuna di vi- vere, la ferma volontà di secondare quant'è possibi- le tutti i miglioramenti , a cui lo spirito pubblico è già di= sposto ; come non aprire il cuore a tutte le speranze che questa volontà conosciuta fa sorgere naturalmente ? Qual vasto campo allargato alla scienza nella sola in- trapresa, di cui il Motuproprio del 27 Novembre 1828, (v. Antologia Num. 96) ci promette l’ esecuzione ?. Consi- derato e dal lato della fisica, e da quello dell’ economia, e da quello della civiltà, l’asciugamento del Lago di Casti- glione, ch’ è quanto dire il risanamento della Maremma grossetana, interessa del pari i toscani , gl’italiani tutti, tutti gli amici dell’umanità ; e l’Antologia si chiamerà for- tunata se gli verrà dato di poterne discorrere con cogni- zione di causa. I Toscani più colti s’interessano egualmente alla spe- dizione scientifica in Egitto (V. Antologia Num. 94), ben degna anch’essa di tutta la nostra riconoscenza verso l’il. luminato Principe che ci regge, e argomento convenien- tissimo di discorso all’ Antologia. Il nostro dotto profes- sore, che trovasi a capo della deputazione toscana di quella spedizione, dovea, come ognun vede, destina- re ai suoi colleghi , i professori dell’ Università di Pisa, redattori del Giornale Letterario di quella città, i raggua- gli riguardanti i viaggi e le scoperte della deputazione me» desima, ch'io sarei stato bramoso di poter inserire nell’An- tologia . Non potendo io pretendere questo privilegio, mi darò almeno la cura, incominciando dal presente fascicolo, di comunicare ai lettori del mio giornale, insieme col sun- to di que’ragguagli, le notizie spettanti i viaggi e le scoperte della deputazione , a cui presiede 1’ illustre Champollion. Ma i lavori pel risanamento della Maremma , quelli della Deputazione toscana in Egitto, non sono le sole cose toscane , di cui avrà ad occuparsi l’ Antologia. Altre cose , (VII ) per così dire, private ,.ma anch’esse molto importanti , le offriranno argomento. L’amministrazione pubblica può far molto ; in certi casi è pur d’uopo ch’ essa dia la mossa e 1’ esempio: ma è pur d’ uopo che sia intesa e secondata dagli amministra- ti ; che un retto spirito d’associazione fra gli uni corrisponda alle benefiche mire dell’altra. E già la sapiente bontà con la quale il benefico nostro Governo si degnò permettere che venisse effettuato l’ utilissimo progetto da alcuni uomini benemeriti fatto di una cassa di risparmio, (V. Ant. n.° 99.) ci è saggio di quel molto che a noi è lecito attendere, purchè sappiamo desiderare, e operare. Ora, anche a que- sto riguardo, la Toscana presenta un aspetto soddisfacente, e dà molto a sperare per l’avvenire. Le scuole elementari in favore delle classi indigenti si vanno in essa moltiplicando; in questo momento istesso quella di Firenze pel mutuo in- segnamento è trasportata in più vasto locale (7. Are. n.°99), e provveduta di nuovi mezzi; un’altra scuola simile è fon- data a Livorno: (V. Ant. n.° 98) in Livorno stessa, imi- tando il bell’esempio datoci l’anno scorso in Firenze da un privato colla fundazione d’ una scuola gratuita di geome- tria per gli artigiani, altri uomini benemeriti insieme uniti, si preparano ad aprire una scuola più ampia, ove saranno insegnate tutte le scienze necessarie non solo agli artigia- ni, ma a’ negozianti, a’marinai , a’ viaggiatori, Finalmen- te , se, anni sono, noi abbiam dovuto con rincrescimento vedere iti a vuoto i progetti fatti d’un teatro nazionale , che avrebbe potuto riuscire una scuola di morale e di buon gusto, abbiamo ora la compiacenza di vederne, per così dire, il germe in quello della Società filodrammatica (V. Ant. n.° 95-96) recentemente stabilita. Lo stesso spirito d’ associazione , che ha prodotti i beni accennati, potrà produrne e qui e in altre citta della Toscana, di simili e di maggiori. E certo non sarà per mancanza di fa- vore sovrano, se uoi mancheremo in Firenze di tutti quegli aiuti scientifici o letterari de’quali una capitale qual è questa, può mai bisognare; ma necessaria a tal fine è !a unità dello scopo, la concordia degli animi e delle operazioni, la leal- (VII) tà, la fermezza. Sappiamo unirci, sappiamo fare de’ saggi progetti , sappiamo metterli ad esecuzione con prudenza, con costanza , per puro amore del bene ; non per vanità , non per misero prurito di cieca imitazione; e il bene s’avrà. Con un retto spirito d’ associazione , noi potremo avere quanto un’illuminata e prudente filantropia, quanto la moderna civiltà può aggiugnere a ciò che già possedia- mo d’ utile e di bello nella nostra Toscana. Parecchi gabinetti letterari sono stati recentemente aperti a Livorno , a Pisa, a Siena, ad Arezzo, a Pistoia; varie biblioteche circolanti fanno partecipare al vantaggio di codesti gabinetti coloro che ne sono lontani. E ciò pure è un nuovo benefizio dello spirito d’ associazione, una pro- va novella di ciò ch’ esso potrebbe produrre. Già, se le prove mancassero , basterebbe quest’ una : il successo ottenuto dal giornale Agrario Toscano. Il nu- mero de’ suoi soscrittori adempie ogni ragionevole aspet- tazione . I miglioramenti che di giorno in giorno si vengono operando nello stato già fiorente di questo fortunato paese, sun sì legati collo scopo e al successo dell’ Antologia, che assoggettando ai lettori ed ai collaboratori del mio gior- nale le osservazioni precedenti, io non ho creduto però de- viar dal mio tema. Ritornando all’Antologia, dalle cose dette ognun sente come gli ostacoli da me finora incontrati si verranno sem- pre più appianando etogliendo, e crescendo le agevolezze, se alle mie cure s’aggiunga il buon volere del pubblico, che con un numero sufficiente di soscrittori mi ponga in istato di sempre più migliorare l’ impresa con utile del- l’Italia e con decoro della Toscana : il che se mi riescirà d’ ottenere, io crederò di pagare , con le mie diligenze e fatiche un debito di gratitudine al saggio Principe che ci governa, ed a tutti que’ buoni , che m’incoraggiarono sin da principio co’ lor generosi suffragi. G. P. Vieusseux. ceo ANTOLOGIA Ne° 100, Aprile 1829. _____ IM_— Storia delle relazioni vicendevoli dell’Europa, e dell’ Asia dalla decadenza di Roma fino alla distruzione del Ca- liffato, del conte Gro. Barrsra BarpELLI Boni. Parte prima e parte seconda, 2 vol. in 4.° Il Milione di Marco Potro , testo di lingua del secolo decimo terzo , ora per la prima volta pubblicato , ed il lustrato dal conte Gio. Barisra BarpeLLI Boni, To- mo primo, vol. 1 in 4.° Il Milione di Messer Marco Poro Veneziano secondo la lezione Ramusiana, illustrato e comentato dal conte Gro. Barrsra Barperti Bonr. Tomo secondo. Vol. 1 in 4. Firenze da’ torchi di Giuseppe Pagani 1827. MR s che le lettere vogliano non di rado conside- rarsi, come le interpreti delle opinioni dell’ universale , e sieno talvolta quasi una maniera di esploratori , che si danno spontaneamente ad indagare gli oggetti, ai quali dovrebbero volger l’ animo coloro , che siedono al reggi- mento dei popoli , e ad appianare ad essi le vie per arri- LI varvi. Anzi questo è uno dei più nobili uffizi della lette- ratura, sempre che sia rivolto a fini retti, e generosi. 4 Osserviamo , che da qualche tempo gli studi dei dotti intorno a niun altra materia s’aggirano con tanto ardore, come intorno alle cose dell’Asia. Si riproducono in pom- pose edizioni le vashe traduzioni del Galland; le storie del Michaud, e dell' Hammer vanno per le mani di tutti; le ricerche dell’ accademia di Calcutta, delle società asia- tiche di Londra , e di Parigi, come pure le infinite e mi- nute scoperte di cui i Silvestre de Sacy, i Klaproth, i Remusat , Chesy, e tanti altri arricchirono la scienza, sono il principale argomento dell’ odierna filologia. Può darsi, che l’ amore della verità , o il desiderio di porre il piede in non tentate vie , e d’aumentare la som- ma dell’ umane dottrine, sieno stati unico stimolo alle in- vestigazioni di questi eruditi. Pure allorchè si considera come l’ Europa non possa ora mai più conservare quella spezie di principato , che ebbe sinora, se i lumi, e l’ope- rosità de’ suoi abitatori sono condannati a star rinchiusi nei brevi confini , in cui essa è ristretta ; allorchè si pon mente , che l’ America non solo fugge di sotto al dominio di lei, ma anzi si conduce a travagliarsi nel nostro emi- sfero intorno a quelle cose , che dovrebbero essere operate da noi; e che l’ Africa, troppo mal nota nelle interne sue parti, e custodita nelle costiere che la circondano da po poli agguerriti e feroci , non può sopperire a tal perdita , pare, che il simultaneo concorso di tali studii , sia come un accennamento , che additi essere giunto il termine in cui l” Asia, la quale è per noi fonte di tante gloriose memorie , dovrebbe pur diventar radice di qualche lieto avvenire. Ma quand’ anche per contraria disposizione dei cieli, o per alcuni ignoti rispetti ci fosse tolto di godere per ora nella realtà dell’ operare, noi avremo ciò non di meno a benemerito quegli, che col ministerio delle lettere vien cone fortando i nostri desideri, e contribuisce colle sue scrit- ture , ad agevolarne quando che sia 1’ adempimento. Per queste ragioni al conte Gio. Batista Baldelli è do- vuta tutta la lode, che nessuno può negare agli autori , quando la scelta dell’ argomento che pigliano a trattare , 5 ed.il tempo propizio in cui mandano alla luce il frutto delle loro meditazioni , fa testimonio del sagace discerni- mento, e dell’ ottimo loro giudizio, L’opera del conte Baldelli è divisa in due parti di- stinte cioè ; Za storia delle relazioni vicendevoli dell'Europa e dell’ Asia, dalla decadenza di Roma fino alla distruzione del Califfato , che contiene i due primi volumi, forma la prima parte. La vita di Marco Polo, la storia del Milio- ne (che così si chiama la relazione dettata da quell’ illu- stre viaggiatore), il testo di questa relazione citato dal vo- cabolario della Crusca , che vede ora per la prima volta la luce , e finalmente lo stesso Milione riprodotto secondo la lezione Ramusiana formano la seconda. 1 materiali, che il chiarissimo autore avea raccolti per illustrare i viaggi di Marco Polo, crebbero a sì gran mole , che egli scorsendo di non poterli tutti ad»perare nel modo che si era proposto in principio, elesse di servir- sene per la compilazione della storia delle relazioni vicen- devoli dell’ Asia , e dell' Europa. Per essa il lettore vien condotto ad imparare quale fosse la condizione delle contrade percorse dal viaggiator veneziano , quali le vicende a cui andarono anticamente soggette, quali notizie ne avessero i Greci, e i Romani ; e facendo ragione dall’ imperfezione di queste , il lettore è posto in grado di giudicare qual obbligo si debba avere a Marco Polo, che le rettificò in quelle parti dov'erano ine- satte , e le ampliò di molto , svelando l’ esistenza , l’ in- dole dei prodotti, e i costumi di regni, e di province del tutto ignote agli antichi. Avvegnachè il N. A. incominci dalle età più remote , tuttavia non parla nè della spedizione degli Argonauti in Coleo, nè della guerra di Troia, nè delle multiplici colo- nie fondate da Oreste , e dai Milesi lungo le sponde del- l’ Eusino , nè delle navigazioni, e dei traffichi dei Fenici sino alle parti più occidentali delle Spagne, che pur sono le più antiche relazioni tra 1’ Asia e l'Europa di cui si con- servi memoria, Ma si contenta di desumere dalle opere di Eforo e di Erodoto ‘gli argomenti proprii a significare sino 6 a qual segno si estendessero le cognizioni dei Greci nel- l’ Asia , prima delle spedizioni di Alessandro Magno , Os- serva quindi come la mente di quel celebre conquistatore nell’ instituire emporii al commercio, e scuole agli studi ne agguagliasse il valore per debellar principi e popoli ignoti, e vien segnando come le vittorie di lui, e la scuola Alessandrina da esso fondata diffondessero Je cognizioni della geografia, e fossero sorgente di nuove dottrine e di più larghe notizie. Addita quindi Strabone, come il fonte dal quale si può imparare fin dove giungessero le cono- scenze che i Romani aveano dell’Asia ai tempi di Augusto. Finchè Roma si travagliò in guerre co’ popoli vicini, finchè ne fu bandito l’ ozio , e la morbidezza del vivere, Roma non avea nissun pensiero dell’ Asia. Ma l’ Italia era t:oppo breve confine alla prospera fortuna della repubbli- ca, laonde poco indugiò a dover portar le armi nelle co- stiere dell’ Asia , ed a conoscere , e ad as saporar pur trop- po le delizie di cui quella parte del mondo è madre fe- conda. Sopraggiunsero poscia le guerre dei Parti e. le spe- dizioni di Lucullo, di Pompeo e di Crasso. Pompeo, non contento di aversuperato Mitridate fece esplorare le vie più facili per cui le mercatanzie dell’Asia potessero giungere al Faso, da esso discendere nell’Eusino per venir finalmente trasportate a nodrir la crescente la- scivia di Roma. Quindi ne venne, che le parti interne dell’ Asia si fecero dapprima note ai Romani piuttosto per cagione del commercio, che non pei progressi dei loro eser= citi. Perocchè i Lagidi avendo gravato d’enormi tribati il passaggio delle merci asiatiche per l’Egitto, i Romani, per opera spezialmente di Pompeo, si spinsero lungo la via del mar Nero, del Faso, poscia del Ciro, e dell’ Arasse sino al mar Caspio, e finalmente per la navigazione dell’ Osso sino alle parti interne dell’ Asia. Laonde il Formaleone , usando largamente la facoltà delle congetture, ebbe a dire che Tolomeo condusse a morte quel famoso capitano di Roma, per vendicarsi di lui, che avea insegnato, ed age- volato ai Romani il mezzo di procacciarsi per altre vie le derrate dell'Asia, e così diminuito le rendite dell’ Egitto, 7 Per ciò , che spetta al commercio la navigazione del mar Nero fu sempre la rivale di quella dell’ Egitto, in guisa che i traffichi languivano da una parte, quando dal- 1’ altra fiorivano. E perciò dacchè l’ Egitto venne in pote- re dei Romani , le loro corrispondenze lungo le coste del- l'Arabia e dell’ Asia meridionale grandemente si estesero È siccome si può dedurre dall’enumerazione, e dalla quantità delle mercatanzie che ne traevano, dalle opere di Strabo- ne, di Plinio, dell’autore del periplo dell’Eritreo, e.segna- tamente da Tolomeo, celebre fra tutti gli antichi geografi per aver voluto condurre a termine l’ intendimento d’ Ip- parco , di stabilire cioè, con osservazioni astronomiche , le vere positure dei luoghi. Da queste fonti si deduce, che i Romani conoscevano l’ Asia sino ai confini della Cina. L’autore vien quindi spiegando le ravioni che rendea- no difficile l’accesso a questo Imperio, e narrando le guer- re ch’ebbe a sostenere cogli Unni, di cui colla scorta del Des Guignes., si fa a descrivere 1’ origine , l'indole, e le forze. Racconta poscia come que’ popoli, lasciate le anti- che sedi che erano al settentrione della Cina, si spinges- sero verso occidente, venissero a stabilirsi nella Caure. smia, e lungo il Volga , e ne cacciassero gli Alani, i qua- li si accostarono alle terre dell'Impero Romano. Fattosi quindi indietro , descrive lo stato di decadenza in cui esso si trovava, e numerandone lungamente le cagioni , l’irri- Verenza cioè in cui era caduto il nome romano , le sette che , con grave discapito de’ buoni studi, vi si erano in- trodotte , gli sforzi dei loro seguaci contro al cristianesimo, la corruttela dei costumi , lo spartimento dell’autorita Im- periale, e va via dicendo. Narrate quindi le conquiste dei Goti , le grandi imprese di Attila, e degli altri Barbari, si conduce fino al regno di Teodorico, con che si pon fine ai tre primi libri della storia. Pare che questo sia il punto fisso dal quale, secondo il titolo, dovrebbe aver principio l’oggetto principale del- l’opera del N. A. Dopochè Costantino ebbe trasferito la se- de dell’ impero in Bisanzio, e dopochè i Barbari occupa- ronv quasi tutto l’impero d’ Occidente, noi giudichiamo , 8 che , affine di recare qualche ordine nella storia delle re- lazioni tra l'Asia e l'Europa , esse potrebbero venir ristrette a quattro grandi capi distinti, cioè 1.° Le guerre, e i trat- tati di pace e di commercio tra l'impero d’ Oriente e la Persia. 1I.° L’origine ed i progressi del. Maumettismo III.° I pellegrinaggi degli Occidentali in Palestina, il com- mercio dei Greci, e delle repubbliche italiane nell’Egitto, nella Siria, e in altre parti dell’ Asia, e le Crociate. IV.° Le invasioni dei Tartari Gengiscanidi nell’ Asia, e nella parte orientale e settentrionale d’ Europa; le loro rela- zioni coi principi cristiani, e finalmente la distruzione del Califfato. Quegli , che non è digiuno della storia delle vicende per cui fu travagliato il mondo dal quarto , e dal quinto secolo sino verso il fine del decimo terzo, facendosi a con- siderare uno per uno questi quattro capi, non potrebbe non trovare ad un tratto nella sua memoria la somma dei casi principali, che ad essi si congiungono , ed avere così per le mani un filo onde guidarsi nell’intricato Jaberinto delle variatissime relazioni tra 1’ Asia e 1’ Europa. Per questo rispetto ci rincresce che non sia paruto all'Autore di sta- bilire sul principio del quarto libro questa, od altra so- migliante partizione da noi additata. Egli invece allarga soverchiamente il suo discorso , e segnato come per le vicende accadute in Italia ogni sua comunicazione coll’ Oriente venisse interrotta, e descritto quali fossero le condizioni dell'impero Partico , e le per- petue sue contese coll’ impero d’Oriente , tocca del regno d’Arcadio, e di Teodosio II , dell’eresia di Nestorio, della sua propagazione nella Persia , nell’ India , e persin nella Cina; parla dell’ educazione di Giustiniano , delle sue ri- forme nella legislazione, delle spedizioni di Belisario non solamente contro alla Persia, ma eziandio nell’ Africa e nell’ Italia, e delle geste di Narsete in quest’ultima pro- vincia ; si fa poscia a ragionare dei vizi e delle virtà di Giustiniano , e del suo governo, lo scolpa dell’ accusa datagli d’avere per avarizia contribuito alla declinazione degli studi, accagionando di siffatta decadenza la setta 9 Ecclettica, la quale se fn, dic’ egli, benemerita per aver coltivato le matematiche , e ie altre scienze esatte, riu- sciva dannosa per aver conculcato il vero e il retto nei suoi scritti. Passa quindi a descrivere lo stato delle arti sotto Giustiniano, ed in proposito deli’ architettura, viene a parlare dell’edificazione del tempio di santa Sofia, dicen- do che quell’ imperatore pieno di giustissimo orgoglio per sì bell’ opra ebbe ad esclamare : Salomone t° ho vinto. Ra- giona dei progressi della geografia , nè dimentica le tavole fatte da Agatodemone per la geografia di Tolomeo. Ram- menta eziandio il trattato fermato tra Giustiniano e Cosroe onde procacciare ai sudditi respettivi la libertà del traffi- care , e l’ accordo fatto intorno ai dazi da pagarsi ; quin- di osserva che siccome ogni qualsivoglia maniera di pace tra i Persiani ed i Greci, era sempre poco durevole, e che il principal capo di commercio, di cui questi ultimi fa- ceano incetta nell’ Asia, consisteva nei tessuti di seta , così Giustiniano diede opera d’introdurne la coltura nei proprii stati ; e che avendo egli dapprima usato indarno ogni diligenza per procurarsi dall’ Abissinia le cose a ciò necessarie , gli riuscì poscia di venire nel suo intento per mezzo di due missionarii persiani, i quali recarono in una canna forata il seme del filugello, ammaestrarono i Greci nell’ artifizio di nutricare quel prezioso insetto, di trarne la seta, e d’indrapparla, e furono cortesi alle nazioni colte d’ Europa d’ una delle più abondevoli sorgenti della loro magnificenza , e della loro ricchezza. Avverte quindi come su quel principio i prodotti della nuova coltivazione non potendo bastare ai bisogni del paese, 1’ Impero con- tinuasse a trarre dalle contrade dell’ Asia una gran quan- tità di seta, e come quel commercio desse luogo a gravi dissapori tra i Turchi, ed i Persiani, e ad un ambasceria dei primi a Giustino II per trattare dei modi onde far direttamente il traffico della seta senza transitare per gli stati dei Persiani. Toccato così «li volo di questa amba- sceria , abbandonata 1’ Asia, passa lA. a parlare della calata de’ Longobardi in Italia , della barbarie alia quale i nuovi ospiti condussero questa bella provincia, della T. XXXIV. Aprile. 2 10 fondazione di Venezia, città che coll’ andar del tempo dovea diventare uno dei principali veicoli delle relazioni dell’ Europa coll’ Asia ; narra come le cose dei Greci fos- sero presso che ruinate in Italia. Poi tornando di bel nuo- vo a Costantinopoli descrive le diverse vicende dell’impe- ro, enumera le eresie che lo infestarono , i raggiri di corte per cui se ne affrettò la decadenza, riferisce Îo stato lagrimevole a cui era condotto allora quando Eraclio fù innalzato al trono , le vittorie di lui contro ai Persiani, e l’ indolenza nella quale ricadde dopo di averle conse- guite . Colle vittorie d’ Eraclio hanno fine, secondo la par- tizione da noi accennata, le relazioni dell’impero d’Oriente con quello dei Persiani, Dalla breve indicazione dei di - versi punti che il N. A. ha preso a trattare, ognuno ha po- tuto scorgere com’ egli chiami a rassegna un gran numero di fatti, che alla serie delle vicende proprie al suo tema, in nissun altra maniera e per nissun altra ragione si col- legano, fuorchè per essere accaduti ad un tempo medesimo. Di qui nasce per dir così un disordine nell’ opera, e s’in- genera nella mente dei leggitori una confusione tale che, dove già per loro non si avesse un’idea della successione dei casi avvenuti nei tempi esaminati dall’ A., ai più di essi parrebbe di potersela formare più agevolmente e più chiara mercè dei compendi di Bossuet e del Muller (i quali fra gli scrittori di storie generali sono i più ristretti di tutti) che noa per via della lettura di questa istoria ca- tanto diffusa. La stessa confusione a un dipresso sì rinviene in cia- schedun paragrafo dell’opera, perchè invece di raccontare i fatti nella maniera piana e distesa di cui s’ hanno chia- rissimi esempi nelle storie degli antichi, e di tanti mo- derni, il N. A. facendosi a discorrere le varie quistioni in- sorte o sulla maniera dei governi, o rispetto alla bontà ed ai vizi delle istituzioni e delle sette , riferisce e pesa le te- stimonianze degli scrittori, contrappone le une alle altre, e sembra far le parti di critico anzichè quelle di sempli- ce storico. rÌ Seguendo il medesimo stile il N. A., prima d’intrapren- dere la storia dell’Islamismo, si fa a considerare qual fosse la condizione dell’Arabia, quali le inclinazioni degli abi- tanti, e quali le maniere di governo a cui si reggevano. Parla poi della nascita di Maometto , della puerizia di lui; dell’ indole che mostrava avanzandosi nella giovinez- za , descrive'le vicende , in mezzo alle quali si condusse, per costituirsi ‘in’ miglior fortuna , e dipinge la rara au- dacia colla quale, nell’ età più adulta, immaginava e pre dicava le più incredibili menzogne. Racconta come mercè di una cupa'astuzia é d’un'irtemovibile costanza giun- gesse a compire le sue vendette, e ad aver grandissima dependenza presso'i suoi , ed a raccogliere quasi tutti gli Arabi sotto la medesima legge. Di che ne venne che quella stessa nazione , che dapprima era quasi ignota , vinse gli eserciti degli imperatori greci, tolse ad essi il dominio della Siria e dell’ Egitto', si spinse lungo le coste dell’ Africa sino allo stretto Gaditaao, e di là s'introdusse nelle Spa- gne ; in guisa che poco tempo dopo la sua fondazione; l’impero saracinesco avea per confine ad occidente i Pi- renei ; all’ Oriente l’ Osso, il Giassarte, la catena del mon- te Imaus, e i popoli che aveano fondato il regno del Tur kestan ; al mezzodì 1’ Indo e l’ Eritreo j e al settentrione i Longobardi nell’ Italia, e i Greci nell’ imperio d’Oriente, Facile è il dedurre da ciò che narra VA. come la cattiva condotta dei ministri, la mala disposizione , talvolta l’odio dei popoli contro i legittimi principi, e non di r@do la viltà e il tradimento dei rapitani, contribirissero assai più che non la virtù dei Saraceni alle strepitose loro vittorie, Al racconto di esse il N. A. intreccia la stotia del governo di Costantinopoli, la descrizione di quello dei Visigoti nelle Spagne, le vicende del tegno di Francia sino al re- gno di Carlo Magno, le guerre di questo imperatore non solamente contro ai Saracini delle Spagne , ma ben anche quelle usate contro ai Sassoni; parla delle mutazioni da esso introdotte nelle Gallie, ed in Germania, dell’origine e dell’indole degli ordini feudali; descrive lo stato in cui si trovava l’Italia sotto il reggimento longobardo, la dé: 12 clinazione del dominio dei Greci in alcuue città e provin ce di essa, il dominio de’Papi; le loro. nimicizie coi Longo- bardi, e come mercè degli aiuti, di Pipino e dello stesso Carlo Magno venissero a.capo di terminarle con utile pro- prio. Per avere un idea dell’im mensa dottrina, colla quale il N. A. ha creduto di dovere svolgere i principii del Mau- mettismo , e dipingere le condizioni d’Europa; basti il sa- pere che le cose accennate di sopra comprendono il sesto, il settimo, e l’ottavo libro della sua istoria. Il libro nono è consacrato a render conto dell’Arabia, come i precedenti lo renderono dell’Europa. Ivi è spiegato I innalzamento della casa d’ Abbas sulle rovine di quella d’Ommia ; ivi si descrive come gli. Abassidi essendo per effetto della prosperità caduti nell’ indolenza e nella dis: solutezza , alcuni potenti ed astuti raggiratori di, corte usur- passero parte del potere dei Califfi, come indi nascessero scismi e ribellioni, come ne venissero i Fatimiti dell’Africa, e come si fondasse nell’ interne parti dell’ Asia l’ impero di Gazna che fu di tanta molestia alle Indie , delle quali gran parte recava sotto la propria giurisdizione ; e come da tutti questi accidenti i Califfi Abassidi fossero quasi del tutto spogliati delle loro province, altro più ad essi non rimanendo che l’ autorità pontificale sopra i Maumet- tani. In questo libro si contiene inoltre come gli Abassidi proteggessero ogni maniera di studi, e come il loro esera- pio fosse seguito dai Sultani; nè contento a semplici in- dicaziani 1’ A, N. dà il prospetto della storia letteraria e filosofica degli Arabi e di quella dei loro traffichi, e c’in- segna come si spingessero sin nella Cina , d’ onde i navi- gatori Cinesi. si conducevano nel Giappone, e di là nel Fusang paese, che, secondo il Des Guignes sembra dover essere il continente dell’ America ; c’ insegna come dal- l’altra parte s’innoltrarono sino ai lidi occidentali del- l’ Africa , onde è certo aver essi avuto contezza della co- municazione che v°ha tra l’ Eritreo e 1’ Atlantico. Narrato poscia come ad un rampollo della casa d’ Abbas fosse riu- scito d’in;padronirsi della Spagna, il N. A. descrive a lungo la condizione dei Saraceni in quella penisola, la gentilezza 13 e le arti che fiorivano nella corte dei Mori , ìl genere della loro architettura , l’ analogia ch’ essa ha con quella detta comunemente architettura gotica, come agli Arabi sieno pro- babilmente dovuti i trovati della carta, della polvere ni- trica, e dell'ago calamitato. Indica le dissenzioni che in- sorsero fra i. Mori delle Spagne, e come esse profittassero agli antichi abitatori onde ricuperare una parte delle terre” che loro erano state tolte. A questa esposizione tien dietro la descrizione dei pe- ricoli che corse l’ impero di Costantinopoli sotto Niceforo, Staurazio, e Michele Rangabe , dello stato degli studi e delle lettere di cui si conservava ancor qualche scintilla, Ciò agevola all’ A. la strada di parlare dell’ origine degli ordini monastici, e degli obblighi che ci corrono verso di essi, per aver atteso a ritornare alla coltura i terreni inselva- tichiti, ad asciugar paduli,a regolar il corso delle acque, ad esser larghi di caritatevole ospizio ai viandanti, a tenere in serbo ed a trascrivere i monumenti della letteratura Greca e Latina. Passando quindi da questa ad altra digressione si fa a parlare delle eresie degl’ Iconoclasti, dello scisma di Fozio, e delle guerre che i Russi mossero all’ impero; del modo per cui Basilio il Macedone giunse alla corona, e come sotto di lui e sotto de’ suoi successori della mede- sima stirpe, molte province fossero ritolte ai Saracini, i quali non erano al certo invincibili ogni volta che ad essi s’ appresentasse un nemico capace di fronteggiarli. Soffer- mandosi a parlare del dominio dei Macedoni , narra come sotto di essi si avvivasse di bel nuovo l’onor guerriero trai Greci, e si desse lustro e splendore alla nobiltà, e come Costantinopoli diventasse per essi quasi il centro della civiltà, e del commercio del mondo. Imperocchè , dic’egli, dopo la caduta dell’ Egitto in potere dei Saracini, le mer- catanzie dell’ India, cambiando il corso ordinario , erano portate contro il filo dell’acqua dell’Indo, quindi per terra sino all’ Osso, da dove seguendo il corso del fiume venivano nel mar Caspio, e dal Caspio pel Volga, pel Tanai e per l’Eusino si conducevano in Costantinopoli , emporio e mercato universale. Per tal modo , che essendo I 4 i Greci cresciuti in ricchezze, ed abondando delle cose ne- cessarie al bisogno ed al comodo della vita, gl’imperatori poterono rivolgere le loro mire a ricuperare la signoria d’Italia ad essì contrastata dagli imperatori Sassoni ; ciò che diede lnogo ‘all’inutile ambasceria di Liutprando , ed alla guerra mossa da Ottone II; per far fronte alla quale i Greci abbandonarono ogni' cura dell’ Asia ,° dando‘ agio così ai veri nemici dell’ impero d’ avvantaggiarsi verso l’ Oriente. Tanto è vero che l’Italia invaghisce i principi forestieri siffattamente che , affine di acquistarla o di man- tenerla soggetta’; trascurano non di rado'‘i pericoli che d’ altra parte l’incalzano, Passando di nuovo in Italia il N. A. si fa a descrive- re le articolle quali la maggior patte delle città Italiane silevarono'a libertà, i contrasti che ad esse opponevano gli imperatori Germanici , e le contese di questi coi Papi; e mostra come'i Papi,i quali serbando nelle loro cancel- lerie 1’ uso della generosa favella latina aveano contribuito, sicuramente senza avvedersene, ad eccitare il gusto della libertà , la favoreggiassero poscia ogni volta che loro sem- brasse atta a scemare la potenza degl’imperatori avversari. Dimostra come, mercè delle ottenute franchigie , le città marittime Italiane allettate dall’esempio di Venezia e di Amalfi allargassero i loro traffichi, e come le frequenti co- municazioni coll’impero Greco contribussero al risorgimento delle arti belle, degli studi, e della civiltà nell’ Europa. Desterà maraviglia per avventura il vedere come il N. A. tanto si dilunghi dall’ oggetto della sua storia per descrivere la condizione tanto dell’ Arabia, quanto del- l’impero Greco e degli altri reami e delle province tutte d’ Europa. Per noi non si nega essere questo metodo molto nocivo alla chiarezza dell’ opera , ma approssimandosi l’età, in cui l’Asia e l Europa stavano per andar in guerra l’una contro l’altra, forse egli volle far conoscere nei più mi- nuti particolari i popoli che doveano a vicenda cimentarsi insieme. Difatto seguendo lo stesso ordine, e dopo d’aver esposto come la felicità di cui godè l’impero mediante le oure dei 15; Macedoni, fosse venuta meno sotto i successori di essi , il N. A. si fa a narrare come i Turchi Selgiukidi spogliassero l'impero Greco di molte province, e come l’imperatore Michele detto Parapinace , scorgendosi incapace di opporre un argine alle loro invasioni, mandasse a Gregorio VII Pontefice Massimo ambasciatori col carico d’esporgli la lut- tuosa condizione a cui era condotto , e di farlo capace dei pericoli ch’esso portava di venire interamente. disfatto , invitandolo a procurare un alleanza tra gli Orientali e gli Occidentali a difesa comune. Dice che il pontefice , infor- mato dalle relazioni dei pellegrini, che ritornavano dal. 1’ adorare il Santo Sepolcro , e dei navigatori che mercan- teggiavano nell’Esitto e nella Siria, in quale aspra ma- niera i cristiani vi fossero taglieggiati ed oppressi , accolse favorevolmente le preghiere dell’ imperatore Michele, e fece opera affinchè la lega desiderata potesse mandarsi ad effetto; la quale poi ad onta del buon volere d’ambe le parti non potè per allora conchiudersi, per cagione degli sconvolgimenti succeduti in Costantinopoli, e solo ebbe luogo sotto il pontificato d’' Urbano II e sotto l’imperio d’Alessio Comneno, Recitata quindi in tuttii suoi particolari la Storia delle Crociate che furono dalla prima spedizione di Pietro Eremita sino alla caduta di Tolemaide , va intrec- ciando , secondo l’ usato , la storia politica colla letteraria, e descrive non solamente gli scontri che seguirono trai Cristiani i Turchi e i Saracini, maeziandio tutte le contese insorte nell’ Asia tra le diverse tribù e sette maumettiste, e tutti gli scompigli, tutte le mutazioni di stato, tutte le rivoluzioni e vicende di qualsivoglia maniera ch’ ebbero luogo in Europa. La cognizione universale che s’ha delle Crociate ci di- spensa dal dare un sunto qualunque siasi della storia che ne intesse 1’ A. Ma non possiamo tralasciare d’osservare ch’egli notò la diversità d’opinione che se ne portò in tempi diversi, Osserva che il secolo scorso le condannò come ingiuste: e rovinose, e che il secolo che corre le predica come giustissime, e cagion di salute a tutta l’Europa. Fra gli encomiatori di esse terrà d’or innanzi un luogo distinto il N. A., come que- 16 gli che vien divisando i vantaggi prodotti da siffatte spe- dizioni, d’aver cioè dato vita e moto alle navigazioni, ac- cresciuto i traffichi delle nazioni, accomunato i popoli tra di loro, giovato a liberare i servi dalla tirannia dei feudatari , dato ur nobile scopo all’indole cavalleresca dî que’ secoli , sedato per alcun tempo le contese degli uo- mini, e salvato l’ Europa dal diventar preda dei Saracini e dei Turcomanni. Per ciò che riflette alla giustizia del- l'impresa, alle autorità assegnate, il N. A. avrebbe potuto aggiunger quella di S. Tommaso , il quale viveva appunto ai tempi delle Crociate , ed opinava, che se ingiusta ca- gione di guerra tener si vuole la semplice diversità dei culti, i Cristiani però hanno giusto motivo d’ assaltare un popolo ogni volta che esso ponga ostacolo all'esercizio della loro religione, e ne perseguiti i seguaci. Non ardiremo di manifestare il nostro parere intorno ad una tale opinione, ma accenneremo che sarebbe stato ottimo argomento il dire, che le province vccupate dai Saraceni e dai Turco- manni per antico legittimo diritto aveano spettato all’im- pero Romano ; che la forza, mercè della quale ne erano state smembrate , non poteva costituire in favor dei Sara- ceni , e dei Turcomapni giusto titolo di possederle , e che perciò i principi movendosi a riacquistarle , come alleati dell’ antico padrone che aveva, per mezzo del Papa, im- plorato i loro aiuti, non violavano per niente le sante leggi della giustizia. Tra gli oppositori delle Crociate non ho veduto che il N. A. annoveri l'abate Fleury, il quale parlandone , ebbe occasione di dire , che invece d’ armate schiere desti- nate a combattere i Maumettani, sarebbe stato meglio che si tosse dato il carico ad alcuni monaci d’andare , come zelanti missionarii, nelle contrade da essi abitate , per con- vertirli alla fede. Pochi furono i monaci (e tra questi San Francesco tiene il primo luogo ) quelli che si sieno lasciati muovere a cosiffatto pensiero. Eppure il voto era degno d’un uomo profondamente imbevuto della santità e del verace spirito della religione, e potrebbe anche essere ab- bracciato a’ giorni nostri. Perocchè siccome a volere che I un ordine qualunque si conservi, è necessario ritirarlo RI tratto a’ suoi principii, e che il rimuoverlo troppo da que- sti, sarebbe lo stesso, come volerne procurar del tutto la ruina , così sembra che, mirando al nobile scopo della prima istituzione de’ religiosi , si dovrebbero agevolare , ad un maggior numero di quelli che fioriscono oggidì, le vie di travagliarsi al dirozzamento ed alla conversione de’ po- poli incolti, e darci cosìil modo di chiudere la bocca ai motteggiatori che pretendono i religiosi occupati in vece nel ritardare i progressi della civiltà di cui i loro predecessori sparsero i primi semi. Giunto al libro XVI. ch’ è l’ultimo di tutta la storia, il N. A. si fa a descrivere l’ origine e i progressi dei T'ar- tari Mongolli. Narra come alcuni anni dopo la metà del se- colo duodecimo, uscisse fuori dai monti posti a settentrione della Cina, un popolo guerriero , che dovea mutare intie- ramente l’aspetto dell'Asia. Lo guidava Gengiskan principe risoluto , in cui risplendevano tutte le parti che si richie. dono in un conquistatore, e in un fondatore d’ amplissimo regno. Prima di recitarne le geste il N. A. si fa a descrivere minutamente in quali e quanti principati fosse l’ Asia di- visa , quale l’ indole degli abitatori di ciascheduno di essi, quali le condizioni dello stato a cui sireggevano , e quale la religione che professavano. Per dettare questa parte delle sue relazioni egli ha per lo più seguito l'autorità del pa- dre Gaubil e di Petis de la Croix, rettificandoli in quei particolari, dove, mercè degli studi fatti dopo di loro , si scorge che essi sono caduti in errore. Fra le strepitose fazioni di guerra di Gengiskan rac- contate dall’A4., noi accenneremo solamente di volo quella ch’ ei mosse contro a Mohamet re della Cauresmia , e contro Gelaleddino figliuolo e successore di lui. Perocchè - dopo la disfatta di quei due principi , alcuni dei sudditi loro governati da Otogrul, essendosi posti al servizio del sultano d? Iconio, vennero poscia verso la Bitinia, la Pa- flagonia , e l’ Asia minore, dando così principio a quel- T. XXXIV. Aprile. 3 18 l’ impero Ottomano ch’ ebbe ed ba tuttavia cotanta parte nelle relazioni tra l’ Asia e l’ Europa. Parla poscia delle istituzioni sì civili che militari di Gengiskan , e dice com’ esse sieno meritevoli della medi. tazione dei dotti ; narra come nelle prime sue imprese quell’ insigne guerriero si mostrasse. atrocissimo , e come coll’ incutere grandissima paura nel cuore dei popoli s’age- volasse la vittoria ; ma che recata sotto la sua devozione gran parte della Cina , e chiamatoa sè un filosofo di quel paese , detto Kiutchaky , l’ animo suo si venne così ingen- tilendo per gli ammaestramenti di lui, e che persuaso es- sere cosa inutile e di poca lode , il regnare sovra contrade spopolate , diede opera a riedificare le città , a promuovere l’ agricoltura , e a rendere meno penosa ed incerta la vita dei popoli soggiogati. Per rispetto alla religione , indiffe- rente anzi che intollerante , come sono i seguaci di Mao- metro, avendo ordinato che Dio fosse adorato come. erea- tore del cielo e della terra, datore della vita , della morte, della ricchezza, della povertà e come regolatore dell’Uni- verso , lasciò nell’arbitrio di ciascheduno di vivere secondo la propria legge religiosa , e che anzi dispose che il man- tenimento dei sacerdoti d’ ogni culto fosse a carico del- l’erario pubblico. La tolleranza religiosa dei Tartari Mvn- golli conduce l’ A. a dimostrare che il reggimento di Gen- giskan e de’ suoi primi successori , prevalea di gran lunga a quello dei Maumettani. Egli aveva pero altrove avvertito doversi fare una distinzione tra i Maumettani Arabi , ed i Turchi Ottomani , e dichiarato che questi ultimi hanno ogni cultura dell’ ingegno. non solamente a vile, ma in avversione , e che i primi all’ incontro tenevano le scienze in reverenza e in onore. Insistendo su questa distinzione ne manifesta la giustezza provando come quelle stesse pro- vince che, sotto il dominio prima dei Greci, e puscia degli Arabi , fiorivano d’ arti, d’ industria ed erano fre. quenti di popolo , ora sotto la devozione degli Ottomani sieno spopolate ed incolte , in guisa che , a chi s’ abbatte a viaggiar per quelle vie , la solitudine dei campi inse- minati , sembri accusare i potenti d’ ingratitudine verso le 19 benedizioni che Dio sparse sopra la terra. Ed a noi pia- ce sommamente che il conte Baldelli in più d’un luogo osservi, come la maggiore o minore prosperità dei popoli dipenda dalla maggiore o minore cultura di essi, e di chi li governa ; poichè l’ autorità di un tant’'uomo, certamente non troppo vago di cose nuove , è ottima a confondere la malvagia ipocrisia di coloro che o per un esclusivo amor di sè stessi, o per un disordinato appetito di emolumenti, si fan detrattori d’ ogni sapere, apostoli ed encumiatori ‘+ dell’ isnoranza. Segne quindi |’ A. a narrare come , mirando alla sta- bilità del nuovo imperio, i Tartari assaltassero la Russia, la Bulgaria e l’ Ungheria regni ordinati alla milizia e ro- busti, e d'onde potevano ricevere qualche soggetto di timore; ma non offendessero l'impero Greco sottoposto al fragile dominio dei principi Fiamminghi , perchè essendo assalito all'Occidente dai despoti dell’ Epiro, a Settentrione dai Bulgari, ed all’Oriente da Teodoro Lascaris e da’ suoi successori in Nicea , era caduto in debolezza tanto estrema, ch’essi avvisavano di poterue fare acquisto ogni volta che loro ne venisse talento. Ritornando sul favellare dei costumi dei Tartari con- quistatori, il N. A. racconta, come per l’ incredibile tol- leranza religiosa di essi, onde alcuni dei loro principi non isdegnarono di contrar nozze con figliuole dei re Cristiani della Giorgia e dell'Armenia , adattandosi eziandio ai riti dei novelli congiunti , fosse invalsa in molti Europei l’opi- nione che i Tartari avessero abbracciato la fede di Cristo; e come quindi ne derivassero le frequenti ambascerie dei Papi ai Kan dei Tartari, e di questi ai Sommi Pontefici e ai re di Francia e d’Inghilterra, non che ad altri po- tentati d’Europa. Questa notizia è avvalorata dalle dotte investigazioni di Abel Remusat intorno alle relazioni tra i Kan de’ Tartari e i re di Francia, che si trovano negli ultimi volumi dell'accademia di Parigi. Ma il N. A. non ha potuto prevalersi delle peregrine notizie che dentro vi sono, perchè quei lavori viddero la luce dopo la pubbbli- cazione del suo, Ristrettosi VA. N. a toccare dell’ andata 20 d’ Aitone re d’ Armenia alla corte del gran Kan, e del- l’ambasceria del monaco Rubruquis mandato da Lodovi- co IX re di Francia al medesimo principe, narra, che regnando a quei tempiì Mengu il quinto dei successori di Gengiskan , i due oratori lo persuasero a muover guerra al Califfo di Baldacca, mettendogli sotto gli occhi la spe- ranza di gettar così a terra la potenza degli altri principi Maumettisti, i quali imperavano nell’Asia. Che Mengu diede il carico di quell’impresa ad Ulagu, il quale movendo con poderoso esercito, ruppe Ruknneddin Gursha che, col titolo di Veglio della montagna, comandava ai così detti assassini ; che lo pose a morte con tutti i suoi, e diede fine così alla più atroce, ed alla più sottile di tutte le tirannidi, che sino allora avessero contaminato la terra, Che volse quindi le armi contro Musthassem Billah trente- simo settimo califfo deila famiglia d'Abbàs, che dopo averlo superato, lo fece parimente morire ; e che così ebbe fine il califfato , ossia il sommo sacerdozio e l’ impero degli Arabi , il quale seicento e cinquanta sei anni prima era stato fondato da Maometto. Con questi brevissimi cenni non abbiam presunto di far conoscere nemmeno la nuda ossatara dell’ opera del conte Baldelli; chè delle cento parti di ciò che si potrebbe dire non ne abbiam detto una sola. Un compiuto sunto di essa eccederebbe le forze di qualsivoglia abbreviatore , e riuscirebbe più lungo assai che nol comporti l’ indole di questi fogli. Ognuno sa che le relazioni tra l'Asia e l’Eu- ropa di cui l’A. ha tessuto la storia, non si restringono ai conquisti che gli eserciti dell’ una e dell’ altra di queste due parti del mondo fecero nelle respettive province, non alle tregue o ai trattati di pace e di commercio a cui quelle conquiste diedero origine, non agli ordinamenti che si stanziarono, non alle bolle dei Sommi Pontefici per gover- narle; ma fuiono relazioni molteplici e variatissime. Esse sono per la maggior parte rilevanti, e degne dell’ atten- zione degli studiosi ; anzi talvolta ci accade di trovar man- canti ed imperfette aleune opere che trattano di cose no- stre, per colpa della poca dimestichezza che gli autori di 2I esse avevano colla storia di siffatte relazioni. L’ argomento perciò era magnifico, utile la trattazione «li esso per l’uso frequente che se ne dee fare, difficile per l’infinita dispa- rità delle materie che abbraccia; nè questa difficoltà si doveva accrescere col parlar di cose estranee al titolo del- l’opera, e far sì che l’aggiunta superasse la derrata, Abbiamo già veduto come la tela tessuta dal N. A. sia ampissima , e come per riempierla gli convenisse andare innanzi e indietro , non senza grave pregiudicio dell’ordine cronologico ch’ ei parve aver voluto seguire. Dipiù abbia- mo osservato come ogni volta che gli toccò di parlare di un paese, egli si sia creduto in ubbligo di descriverne non solamente l’indole , ma eziandio le vicende; come sempre che dovette far menzione di un popolo particolare , abbia voluto informarci della storia passata del medesimo po- polo, dell’origine e della natura delle leggi alle quali ebbe- diva, e della condizione in cui si trovava nel punto ch’ei l’introdusse a prender parte nelle fazioni da esso descritte; e come perciò l’ attenzione del leggitore possa difficilmeute tenergli dietro, nè la memoria ritenere il seguito dell’in- tiero suo racconto. X Un simile incouveniente si nota quasi sempre in quelle opere, che recitando !e cose accadute in luoghi gli uni da- gli altri distanti, nel corso di molti secoli , e mosse da fini diversi hanno piuttosto furma d’epitome, che non di vera storia. Imperocchè nel significato che ora a noi piace di dare a questa parola , pare , che siffatto titolo convenga soltanto a quelle scritture , che s’ aggirano intorno ad un argomento determinato , oppure alle azioni d’ un popolo solo, o d’un breve spazio di tempo , dove l’ autore può distendersi nel descrivere l’ origine, e i motivi degli accidenti , le passioni ond’ eran mossi, i personaggi che li wuidavano, e recitare i partiti agitati nei comizi delle repubbliche , o nei con- sigli dei principi, non che tutti gli artifizi usati nelle fa- zioni guerresche , le dilisenze e i maneggi adoperati nelle politiche trattative. Nelle opere di simil tempra possono trovar luogo i più minuti particolari , nè si disdicono le 22 concioni degli uomini principali , per cui si dà colore e moto alla narrazione, e si spiegano in bella maniera gli umori e le mire dei potenti e dei loro ministri. Ma nella compilazione delle storie complicate si dee tenere un an- damento affatto diverso, Rispetto alla sostanza esse pos- sono senza scrupolo portare in fronte il meminisse juoabit di Virgilio. Per ciò che riflette alla forma, lo scrittore dee porre sollecita cura e attentissimo studio nel concatenar bene insieme tante parti disparate o disgiunte , affinchè si nuoca il men che sia possibile alla legge dell’ unità; dee contentarsi di riferire solamente i fatti principali, trala- sciare i particolari, pago di desumere dalla notizia di essi i tratti maestri che danno faccia propria ad ogni età. L’eru- dizione soverchia riuscirebbe necessariamente affannosa e fuor di luogo , e se una parte del lavoro è trattata pro- fondamente, mentre le altre non lo sono del paro, manca al tutto la giusta proporzione , senza di cui non havvi ope- ra di mano o d°’ ingegno , che possa pretendere alla lode di esser bella. Riputiamo che quest’amore della temperanza non ab- bia sempre guidato J’Autore nell’intricato laberinto in cui si è messo. Portandoci dall’Asia nell'Europa , dal mezzodì al settentrione, dall’osservare i fatti d’un popolo al consi- derare le azioni di un altro, egli non si ristringe ai sommi capi, ma si dilunga in minute narrazioni, in guisa che pri- ma di tornare al punto d’ onde s’era partito è già cancel- lato nella mente del leggitore ciò che s'era detto per l’in- nanzi. Ma questo difetto nascendo in lui da immensa dot. trina , potrebbe da taluno, che men di noi sia severo a- mante dell’ ordine , essergli ascritto non a biasimo, ma ad encomio ; massimamente quando alle digressioni potesse servir di scusa la bontà dell’ intenzione. Di simil tempra sarebbe per esempio quella nella quale il conte Baldelli narrando le invasioni dei Barbari nell’Eu- ropa, e discorrendo i motivi della declinazione dell’ Im- pero Romano che le avea agevolate, stabilisce, e con lungo discorso dimostra, rome simile decadenza non debba venir attribuita al Cristianesimo. Per questo rispetto noi siamo 23 pienamente d’ accordo con lui, e con noi consente l’ele- gante professore Villemain , il quale additando dalle rin- ghiere della Sorbona i progressi della letteratura france- se, ebbe luogo di spiegare come il Gibbon tenesse contra- ria sentenza, per essere stato troppo imbevato delle opi- nioni predicate dai filosofi di Francia del secolo scorso, e come per indole troppo affezionata agli agii proprii fosse piuttosto temprato a benedire il pacilico e snervante do- minio degli Imperatori, a rimproverar torti alla religione Cristiana , presso la quale s’ era come ad asilo ricoverata ogni libertà di pensiero, anzi che a comprenderne tutta Ta sublimità, ed a confessare gli obblighi infiniti che verso di essa ci corrono. Ben è vero che questa questione si po- teva trattar di passaggio o per incidenza , e che sotto la feconda penna del nostro dottissimo antore diventa così principale, e si distende in tanto spazio, che il lettore debbe usare grande attenzione a non smarrire il filo, per cui s’appieca al corpo dell’opera. Come che paia che l'A. avrebbe per avventura provvisto meglio alla chiarezza ed all’ economia dell’ opera sua se avesse trattato di queste cose in tante dissertazioni separate. Con tutto ciò noi dob- biamo sapergli bnon grado ch'egli abbia discussa la que- stione della decadenza di Roma con molti argomenti , ed abbia corroborato l’ opinion sua con abondanza di testimoni e di prove. Perocchè da quanto ei dice si può di leggieri dedurre l’assioma , che un utile e savia amministrazione, e che l’ indirizzare con cautela gli inevitabili mutamenti che seguono nelle opinioni morali dei popoli, senza urtarli troppo acerbamente di fronte , e senza lasciarli trascorrere all'impazzata , sono i migliori e forse gli unici rimedi, per chiudere la porta agl’ invasori, E tra gl’ insegnamenti della storia, niuno v’ ha certamente più insigve di questo, nè meglio opportuno agli odierni bisogni. Laonde è bene met- terlo in multiplici forme sotto gli occhi degli studiosi; perchè così può succedere, che alcuni di quelli che leg- geranno , tirati poscia ai gradi più sublimi dei principati e delle repubbliche, s’inducano a rimuover l’animo dai 24 calcoli di una meschina politica , e dal pensiero di volere ostinatamente difendere certe vecchie, e caduche istitu- zioni ; ma s’invoglino piuttosto a rinnovare i semi della virtù che va tutto dì scemando, ed a far sì che ciasche- duno, avendo un alto concetto di sè stesso , giudicando come l’ utile proprio vada strettamente congiunto coll’ u- tile universale, e tenendo cara la patria, e caro tuttociò che viene sotto questo santissimo nome, sia apparecchiato a dar volenterosamente la vita, per ischermirla da una sorte simile a quella, che toccò all’ Impero Romano. Sono comportabili , anzi lodevoli le digressioni allora quando conducono a dare ammaestramenti di tanta neces- sità e di tanta importanza. Se noi non abbiamo del pari approvato quelle che non possono fare il medesimo effet- to, si è pel timore che non sieno atte a diminuire il nu- mero dei leggitori di un opera così utile e così instruttiva come quella del conte Baldelli. E fummo indotti a dire il parer nostro, qualunque si fosse, dall’intima persuasione che il chiarissimo autore avvisi che la condizione di quel. li, i quali per cagion dei loro studi salgono ad altissima fama, sarebbe men degna d'invidia, dove ia reverenza ad essi dovuta togliesse ad altri l’ardire di dichiarare aperta- mente ciò che sente intorno alle loro scritture, Siam giunti ad nn età , in cui nè dovizia di censo , nè chiarezza di natali può francar chicchessia dall’obbligo d’imparare. Non mancano i libri per cui taluno può cre- dere d’ essere in grado di soddisfare ‘ad un tale obbligo , rispetto alla storia delle relazioni tra l'Asia e l'Europa. Ma pare, che il chiarissimo autore , lodandoli com’ è do- vere e per la copia dell’ erudizione e per l’ eleganza dei modi, stimi, e per avventura con assai ragione , che. pi- gliar non si possano per guida senza pericolo. Laonde egli, fornito eziandio di molta dottrina, e mosso da intendimento nobile e diritto, dovea anzi tratto procurare che, per una ben regolata disposizione delle materie , l’opera sua vin- cesse quella d’ altrui, come nella sostanza e nell’ inten- zione la vince, Questo era il soave liquore di cui gli fa- 25 cea mestieri d’ aspergere gli orli del vaso per allettare a sè i leggitori ch’ ei bramava campare dalle insidie de’suoi concorrenti. Ad un tal fine era anche meglio restringersi con one- sta misura , anzi che allargarsi di soverchio, perocchè nel- l’attuale abondanza delle scritture, la brevità che ti fa risparmiar tempo e fatica è un pregio principale da non trascurarsi. Se questi rispetti fossero paruti all’Autore di tanta importanza come a noi paiono , egli avrebbe ‘forse eletto di dare un’altra forma estrinseca a tutto il suo lavoro. Di determinare, per esempio, esattamente il punto fisso , dal quale intendeva cominciare la sua storia 5 di descri- vere in compendio la condizione in cui allora si trovavano e l’ Asia e l'Europa; di recitare quindi secondo l’ ordine cronologico le principali vicende e di guerra e di pace, per cui queste due parti del mondo ebbero relazione tra di loro sino a quel tempo dove avrebbe stimato di dar compimento all’ opera; di spiegare poscia in un capitolo a posta come gli studi delle lettere , le sette filosofiche e re- ligiose , e le eresie si fossero dall’ una all’ altra a vicen- da comunicate ; e finalmente di descrivere in un altro ca- pitolo i progressi della geografia , e le corrispondenze di commercio , a norma delle variazioni a cui andarono sog- gette. Partita in tal guisa la materia, e trattata con tutto quel corredo d’ erudizione di cui abbonda l’Autore, e colla sana critica che lo guida , ognuno avrebbe potuto trovare senza fatica nel libro di lui, diligentemente esaminata, o discussa quella parte ch’ egli vuol fare oggetto speziale delle sue meditazioni. Dimanierachè , l’ opera sarebbe riu- scita di maggior vantaggio, e nel tempo istesso più gradita alla lettura, essendo circoscritta e meglio ordinata secondo la regola dell’unità in ciaschedun capitolo di essa. Fatta così la parte della critica, che tutta s’ aggira semplicemente intorno all’orditura , ci corre 1’ obbligo di encomiare la diligenza somma usata dal N. A. nell’esami- T. XXXIV. Aprile. 4 25 nare gli autori tanto antichi, quanto moderni dai quali ha dovuto ricavare i materiali del suo edifizio , e nel riferirne esattamente le testimonianze. Per questo mezzo si induce grandissima fiducia nell’ animo di chi legge , e lo scrittore ne acquista lode di veritiero che è la prima, e la più es- senzial dote che si ricerchi in uno storico. Che se parrà a taluno aver egli dato troppo ciecamente fede ai prodigi, da cui si pretende essere state agevolate le vittorie dei Crociati, non si dee perder di mira che così fece il N. A. o per dichiarare quali fossero le opinioni che . allora correvano , o perchè vinto dalle rimembranze , che il principe dei nostri epici ha scolpito nell’ animo d’ ogni Italiano, non ha potuto schermirsi dal tralasciare, per que- sta parte, la grave maestà della storia, per correr dietro agli abbaglianti colori della poesia. Un altro pregio dell’A. N. da non passarsi sotto in- grato silenzio è quello dell’urbanità, adoperata da lui ogni volta che gli accade di combattere l’opinione d’ altri scrit- tori. Eccone un esempio. Il signor Michaud, seguendo la comune credenza che le crociate avessero quasi spopolato l’ Europa, ha detto, che nella prima di quelle sante spe- dizioni, un milione d’ Europei vi aveva lasciato la vita. Il N. A. , citando i passi degli scrittori coetanei, dimostra evi- dentemente ed urbanissimamente che il raccolto del conto ridotto al netto, non somma a più di duecento e sessanta mila persone morte nella prima crociata. Gli era per av- ventura più difficile il non risentirsi allora quando gli toc- cò di difendere l’ onor nazionale italiano; eppure egli lo fece senza uscir fuori dei termini della modestia, Il prelo- dato signor Michaud parlando del concilio di Piacenza dice che “ presso gl’ Italiani fra i quali si teneva il concilio, », D amor del traffico e della libertà incominciavano ad in- »» fievolire l’ entusiasmo religioso; che perciò il prudente »» Urbano non intraprese di risvegliare l’ ardore degl’ Ita- »» liani, e che immaginò che il loro esempio non fosse ef- ,»» ficace a trarsi dietro le altre nazioni. ,, Per rettificare questa maligna insinuazione il N. A. si contenta di far os- 27 servare «che dei Latini, se se ne eccettuino fi Spagnuoli, i soli Italiani eransi renduti formidabili agli infedeli ; sog- giunge che le sole repubbliche di Venezia, di Genova e di Pisa aveano fornito per la crociata trecento e sessanta navi da guerra ; finalmente all’ asserzione del Michaud contrap- pone l’autorità di Giacomo da Vitriaco serittor francese quasi coetaneo , e che avendo raccolto sulla faccia del luo- go i fatti narrati nella sua storia di Gerusalemme , rife- risce che gli uomini di Francia e di Lamagna, erano bensi bellicosi , istruttissimi di guerra nelle schiere equestri, strenui nel maneggiare la spada e la lancia; ma che gli Italiani erano più forti in mare, per nso e per esercizio più capaci ne’ combattimenti navali ; loda gl’ Italiani co- me uomini gravi, maturi, prudenti e composti, nel cibo parchi, nel bevere sobri, nel parlare ornati e prolissi, nel consiglio circospetti; e finisce con dire che in Terra Santa erano grandemente necessari non solo per combat- tere, ma per le imprese navali, per la mercatura , e per trasportare le vettovaglie e i pellegrini. Ognuno vede che il rispondere coi fatti e coll’autorità di sincroni scrittori alle accuse, è il migliore e il più dignitoso di tutti i mezzi per trionfarne. Ora lasceremo di parlare della storia delle vicende- voli relazioni tra 1’ Asia e 1’ Europa, e diremo alcune pa- role dei lavori eseguiti, e delle diligenze usate dal conte Baldelli intorno ai viaggi di Marco Polo. Questi era figlinolo di Niccolò , il quale partissi nel 1250 da Venezia insieme col suo fratello Maffio per an- dare a far mercatanzia in Costantinopoli. Per cagione della miseria in cui era caduta la capitale dell’imperio d’Orien- te sotto il reggimento dei Fiamminghi, Niccolò ebbe oc- casione di fare acquisto a poco prezzo di molte gioie, e di molte pietre preziose, che secondo i consigli ricevuti sì determinò di voler vendere con suo vantaggio a Barga Kan dei Tartari di Ponente, ossia del Captchak. S'inoltrò perciò nel mar nero, e passando per Soldadia, città posta sulla punta meridionale della Crimea, si condusse alla Tana, e poi a Bolgari principal sede del Can, I due fia- 28 telli fecero vedere a quel principe le loro gioie, e poi- ch’egli mostrò d’esserne invaghito, gliele offerirono; onde Barga non volendo essere vinto in liberalità, loro fece pa- gare il doppio del valore di quelle, e vi aggiunse di più ricchissimi doni. Ma in quel mezzo di tempo, essendosi acceso guerra tra Barga, ed il suo cugino Ulagu signore di Persia, Niccolò e Maffio Polo non poterono più tener la stessa via per far ritorno in Costantinopoli, e furono consigliati d’inoltrarsi nell'interno del paese, affine di po- ter giungere dopo più lungo giro, ma con maggior sicu- rezza nell’ Asia minore, e di Jà restituirsi in patria. Tor- cendo quindi verso il mezzodì, e camminando in quelle terre che sono tra il mar Caspio e il lago d’Aral, e poi volgendo verso levante , i due Polo giunsero in Boccara città non molto discosta da Samarcanda. Ivi impararono la lingua tartara, e vi fecero dimora sino a tanto che, giun- tovi un ambasciatore spedito da Ulagu al Gran Cane os- sia supremo Signore dei Tartari, furono da esso invitati ad accompagnarlo. Accondiscesero all’ invito, e si condus- sero di conserva con lui alle tende del Gran Cane a Che- menfu in Tartaria. Regnava allora Kublai Kan quello stesso che, recata sotto la sua devozione quasi tutta la Cina, aveva non solo esteso il suo dominio, ed accresciuto la sua potenza, ma corroborato l’avea colle dottrine dello stato, per cui i conquisti si conservano e si rendono pro- fittevoli. Aspirava a farsi padrone di tutto il mondo; ma faceano intoppo all’ adempimento de’ suoi vasti disegni i principi Saracini , i quali signoreggiavano gran parte del- lAsia ; avea confusa notizia delle perpetue guerre, nelle quali si travagliavano coi Cristiani ; e perciò era somma- mente vago di sapere quali fossero le condizioni e le forze dei Latini, per poter quindi giudicare se fosse spediente congiungersi insieme con loro per distruggere il comune nemico. Ebbe perciò grandemente cara la venuta dei Po- lo, e poichè fu da loro informato della grandezza, costu- mi, e possanza dei principi d’ Europa, del come nei loro reami osservavano giustizia, come governavano le milizie e le guerre, e saputo delle cose della Chiesa, e della fede t# 29 Cristiana, venne in deliberazione di mandare ambasciatori al Papa per pregarlo d’inviar cento uomini savi, addottri- nati nelle sette arti liberali, e capace d’ammaestrare le genti sue nella fede di Gesù Cristo. Accettata la commis- sione dai Polo, il Gran Can li munì d’una lettera pel Papa e d’una tavola d’oro, nella quale dichiarandoli suoi mes- saggeri, ordinava ai propri sudditi di guidarlì , nodrirli, e in caso di pericolo scortarli nel loro cammino. Mercè d’un simile passaporto, dopo un viaggio lungo per le distanze , più lungo ancora pel tempo che si dovette spendere nel su- perar le difficoltà incontrate, essi giunsero felicemente in Laiazzo città posta sulle coste dell'Armenia minore vicino al sito dov’ora è Alessandretta, Ivi imbarcatisi, si condussero a Venezia, d’ond’erano stati lontani lo spazio di dicianove an- ni. Niccolò Polo pianse la morte della moglie da lui lascia- ta incinta; ma di questa vedovanza alquanto lo consolava la presenza del fisliuolo Marco, nato pochi miesi dopo la sua partenza. Era allora passato di vita il Papa Clemente [V., e come molto si penava a nominarne il successore , i due fratelli non poterono soddisfare aila commissione ricevuta dal Gran Can de’ Tartari ; e pensando che per avventura egli si sdegnasse della troppo lunga tardanza, si delibera- rono di fare a lui ritorno. Preso con sè il giovane Marco Polo s’avviarono però alla volta di Tolemaide, e conferi- rono con Tebaldo Visconti patriarca e vicario apostolico in Levante, intorno all’oggetto del loro viaggio, ed impe- trarono da lui lettere al Gran Can che significassero di non aver essi potuto fare il loro nfficio per non essersi ancor fatta l’ elezione del Papa. Andarono quindi in La- iazzo, ma inteso ivi che lo stesso Tebaldo era stato as- sunto alla sede pontificia, tornarono in Tolemaide, dove il novello Pontefice , che prese il nome di Gregorio X, gli accolse con grande onore, e aggiunse loro a compagni Niccolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli frati predica- tori, e gran teologi. Tornarono tutti cinque di conserva a Laiazzo. I due frati intimoriti per la guerra che ardeva tra il Soldano Bibars, e il re d’Armenia, non ebbero cuor e 30 di proseguire il viaggio ; ma i tre Polo armati di miglior coraggio s'internarono nell’ Asia, e dopo aver penato per ben tre anni, giunsero alla corte del Gran Can de’Tartari. Non è a dire con quanta meraviglia, e con quanta beni- voglienza ivi fossero accolti, massimamente il figlimiolo Marco, che al brio, e al fiore della giovinezza accoppiava l’attrattiva dei modi piacevoli, per cui i Veneti sanno più che non altri entrar nella grazia degli uomini coi quali hanno'a conversare. Troppo lungo sarebbe il riferire le legazioni che furono commesse da Cublai Kan a Marco per Quinsai, per Carazan e Mien, le sue navigazioni nel mar delle Indie, e il suo passaggio alla Giava. Basti il dire che siccome era a «dovizia fornito dell’ acutezza di mente ne- cessaria a ben osservare, e della opportuna diligenza per serbar memoria tanto delle cose osservate da lui, quanto di quelle che gli venivano riferite intorno all’ indole dei paesi vicini, così seppe prevalersi dell’ occasione per farsi capace a descrivere quelle lontanissime contrade, che pri- ma di lui non eranu state visitate da verun altro ‘Euro- peo. Mentre eòlisera insieme col padre e collo zio alla cor- te di Kublai, giunsero gli ambasciatori di Argon della stirpe dei Gengiskanidi e signore della Persia, il quale an- nunziando al Gran Kan la morte di sua moglie , lo pre- gava d’inviargli in isposa una principessa di suo lignag- gio. Kublai si dispose a compiacerlo, ed elesse di mandare in Persia la principessa Cogatin con seguito fastoso , ed accompagnata con scelti ambasciatori. Vaghi di riveder la patria, i Polo si destreggiarono presso di questi ambascia- tori affinchè ottenessero dal Gran Can la facoltà d’averli, come pratici del cammino, a compagni. Con qualche dif- ficoltà Kublai si piegò all’ inchiesta, ma poi ch’ebbe ac» condisceso, i Polo si partirono di sua corte , e condottisi a Fokien paese che sta rimpetto all’Isola Formosa, ivi s’'im- barcarono, e discesi sino allo stretto di Malaca, andarono all'Isola di Taprobana ossia Ceylan, quindi costeggiando le rive del Malabar, vennero sino alla bocca del golfo Persi- co ad Ormuz, e poi viaggiando per terra si condussero al- l’Albero del Sole ossia Teheran capitale della Persia. Ivi di trovarono che Argon era morto, e inteso eziandio che Ku- blai era passato di vita, risolverono d’abbandonare l’ Asia e di restituirsi in patria. Nel sommario cronologico della vita di Marco Polo, il N. A. stabilisce vittoriosamente che Niccolò e Maffio par- tirono la prima volta da Venezia nel 1250; che giunsero in Boccara nel 1261; che nel 1264 partirono per la corte di Kublai; che vi giunsero nei (265; che si restuirono in Venezia nel 1269 ; che nel 1272, partirono insieme con Marco da Laiazzo per recarsi al Cataio; che giunsero di bel nuovo alla corte di Kublai nel 1275; che nel 1291 partirono per la Persia colla principessa Cogatin, e che quattr’anni dopo, cioè nel 1295. si restituirono in Venezia. Infierivano allora più che mai le perpetue guerre tra le due repubbliche di Genova e di Venezia, ed uscivano tratto tratto dai porti delle due città possenti navili a contendere del principato del mare. Marco Polo ebbe il governo d’una delle galee componenti la flotta guidata da Andrea Dandolo, che fu vinta nelle acque di Curzola da Lamba Doria ammiraglio genovese. Fatto prigioniero Mar- co Polo fu condotto in Genova. Ivi a lui accorreva gran moltitudine di persone vogliose d’ udire i ragguagli delle lontanissime contrade da lui visitate nelle sue peregrina- zioni. Ond’egli fatto venir da Venezia le note che scritto aveva sulla faccia dei luoghi, e collegatosi in amicizia coù Rustichello nno di quei Pisani , vinti, e caduti prigioni molt’ anni avanti alla Melloria, a lui dettò la relazione de’suoi viaggi, e la lasciava leggere a chi ne avea va- ghezza ; togliendosi in tal guisa dalla briga di rispondere alle frequenti interrogazioni dei curiosi. Restituito poscia in libertà dopo la pace fermata tra Je due repubbliche a mediazione di Matteo Visconti, Marco Polo tornò in pa- tria, dove attese ad ampliare e a migliorare la prima det- tatura della relazione de’ suoi viaggi, vivendo in compa- gnia del genitore , al quale potè rendere gli estremi uffici nel 1316. Tra le multiplici edizioni che si fecero di questa re- lazione, tenne sinora il primo luogo quella del Ramusio, 32 Questi credeva, che la prima dettatura del Milione fosse in latino; non avendo badato alle parole poste in fronte al testo latino, colle quali fra Pipino dichiara d’ aver voltato quell’ opera per comandamento de’ suoi superiori ; parole osservate da Apostolo Zeno e da lui allegate per provare che l’opera per la prima volta fu scritta in vol- gare. Il conte Baldelli dubita di qual volgare intendesse parlare lo Zeno ; ei crede , che non fosse del volgar Ve- nezian» , poichè al dir di Dante, era a quei tempi poco noto in Italia, e non poteva servire all’ intelligenza del Milione presso i Genovesi ; crede parimente che non in- tendesse parlare del volgar Genovese, poichè, secondo lui, a quell’ età i Genovesi non erano avvezzi a scrivere nel loro dialetto. Noi siamo dello stesso parere, quantunque ci sia noto che nel cartulario di un antico notaio di Sa- vona si trovano contratti stesi in genovese nel 1180, e sebbene in quel dialetto sia scritto il trattato conchiuso tra Giovanni del Bosco console di Caffa e Jhancasius si gnor di Sorcat, pubblicato dal signor di Sacy nel vol. XI. dei manoseritti della biblioteca del re di Francia. Il chiarissimo nostro autore è d’avviso, che per Ja prima volta il Milione fosse dettato in francese , e venne indotto in quest’opinione dall’aver considerato 1.° che Marco Polo poteva aver imparato quella lingua nel soggiorno che fece tanto in Laiazzo, quanto in Tolemaide ossia Acri, dov'essa era comune e nota al popolo, sotto nome di lingua franca; 2.° dall’aver posto mente che a quei tempi la lingua fran- cese era assai più universale che non qualsivoglia altra lin- gua che fosse nella bocca degli uomini, come lo prova il tesoro di Brunetto Latini; e che nel testo da lui pubblicato vi sono certe fogge di dire, che sanno assai più di francese, che non d'italiano ; 3.° finalmente dall’aver osservato che al cap. 50. dove Marco Polo parla di Caracom dice così : Egli è wero ch’eglino non aveano signore, ma faceano rene dita a un signore che VALE A DIRE IN FRANCESCO, Preste Gioanni, dal che secondo il Baldelli, si ravvisa che il Milione è dettato in quella favella. Ma prima d’abbracciare quest’ opinivne, sono da pe- 33 sarsi le seguenti considerazioni cioè, 1.° se la lingua fran- ca del decimo terzo secolo avea qualche analogia con qnel- la che s’ usa anche oggidì nelle costiere della Palestina, convien credere ch’ella s'accostasse assai meglio all’indole dell'italiano, che del francese. Si sa che la maggior parte degli abitatori e dei frequentatori della Siria erano Ita- liani. In Tolemaide per esempio i Genovesi, i Veneziani e i Pisani aveano ciascheduno quartieri lor proprii , mer- cati proprii, proprie torri, proprie chiese, e bagni proprii. Dai diversi dialetti di queste tre nazioni d’Italia, mesco- lati con alcune parole tedesche, francesi ed arabe, ne emerse la lingua franca; laonde i Polo per conversar coi nativi del luogo, non aveano d’uopo d’imparare, e di par- lare un linguaggio molto diverso da quello che usavano nella loro patria. 2.° Egli è il vero, che a quei tempi la lingua francese era più nota che l’italiana, per opera mas- simamente dei Trouverres, i quali non si contentavano di compor ballate, tenzoni e serventesi come i Trovatori di Provenza , ma sibbene opere di molto maggiore ampiez- za, dilettevoli racconti di favolosi amori e di maravigliosi accidenti, Con tuttociò il Tesoro di Brunetto Latini non si può assegnare come esempio a provare che la lingua francese fosse in uso in Italia ; perocchè si sa, che quel solenne maestro di Dante la scrisse in Francia dove si condusse esule, dopo che i Guelfi, per cui parteggiava , furono rotti in Monte Aperti. E in quell’ospital reame andarono seco lui esulando non pochi altri Fiorentini, d’onde tornando poscia alle case loro, arricchirono di molte voci e fosge di dire imparate colà, la natia favella, dic- chè essa, secondo il parere dello Speron Speroni, diven- ne più ampia e più gentile. S’incontrano i segni di siffatti gallicismi tanto nei Villani quanto in altri trecentisti; non altrimenti che, dopo il lungo dominio che i Francesi ebbero in Italia, e dopo che da noi si fa quotidiana let- tura e di libri e di giornali scritti oltremonti , si trovano nelle scritture che vedono a’giorni nostri la luce, voca- boli e modi piuttosto francesi; e molti se ne incontrano T. XXXIV. Aprile. 9 34 nell’ opera stessa del N. A., come per esempio Ja parola retretta per ritirata, ebbe in partaggio per gli toccò in sorte e simili altre fioriture, che guai se i nostri purissimi lo ri- sapessero. I quai vocaboli e modi di dire , tanto rispetto agli antichi che gli usarono, quanto rispetto ai moderni chi gli usano, non vogliono significare che le opere loro furono scritte originalmente in francese, ma sì che gli au tori erano e sono avvezzi a leggere, parlare, e pensare in francese. 3.° Nemmeno siam disposti a concedere, che per aver nsato Ja formola VALE A DIRE IN FRANCESCO, si debba pensare che Marco Polo adoperasse la lingua francese nella prima dettatura del Milione. Per volgar Francesco egli intendeva per avventura la lingua franca detta di sopra , che si piglia colà per linguaggio comune a tutti gli Europei. E che questo significato generico sia il vero, ce lo persuade il pensare come in Levante tutti gli Europei, che vivono sotto proprii magistrati, si chia- mino irdistintomente franchi; ce lo persuade ancora la versione di fra Pipino, il quale voltò il passo da noi al- legato così: Zributarii erant magni regis qui dicebatur Un- chan quem LATINI presbyterum Ioannem Vocant. Inoltre il testo, pubblicato ora per la prima volta , ha faccia così franca, e modi così spontanei, che sembra al tutto cosa originale, non già uscita fuori della penna d’uno che sia tra le strettoie della versione. E caso fosse volgarizzata , il volgarizzatore ne avrebbe avuto invidiabile compiacenza, come padre di bellissima fanciulla, nè l’amor di sè gli avrebbe acconsentito che tacesse il proprio nome, siccome nol tacque Bono Giamboni. E sì vha un bel trar di ma- no tra questa scrittura e la versione del Tesoro. Sembra però più probabile che Marco Polo recitasse a Rustichello le cose da lui vedute nell’ Asia, e che que- sti, al quale, essendo di Pisa, non erano ignote le grazie del parlar toscano, desse veste italiana a quei racconti. Ad una tale opinione a un dipresso s' accosta quella del signor Roux, accennata nella prefazione da lui posta in fronte alla stampa del Milione, a cui fu debitamente as» 35 segnato il primo luogo nella raccolta dei viaggi e memo- rie, venuta alla luce nel 1824, per opera della Società di geografia istituita in Parigi (*). Contuttociò diciamo essere la nostra sentenza semplicemente probabile; chè un po'di dubbio rimane tuttavia , ed è singolar fortuna che lo scio- .glierlo non rilevi più che tanto. Il N. A. vien quindi provando che Marco Polo diede una copia del suo Milione stesa in francese a Tebaldo si- gnor di Cepoy , eletto da Caterina di Courtenay a suo Vicario generale nell'impero d’ Oriente. Ma questo par- ticolare nulla ha che fare colla quistione toccata di sopra. Sappiamo ch’essendo tornato libero in Venezia, il nostro Marco attese a ritoccare , e ad impinguare il suo Milione. Può darsi che volendo compiacere alla inchiesta del signor di Cepoy egli trovasse nella patria sua, dove per ragion di negozio concorrevano uomini d’osni nazione , una persona bastantemente capace a fargli, per avere una copia del- l’opera sua in francese, lo stesso servizio che Rustichello gli fece in Genova , per dettarla in italiano. L’ offerirne poi una copia scritta nella lingua del personaggio che gliela ricercava , fu tratto di cortesia squisita. Il Polo era natu- ralmente uomo di belle maniere, e le avea fors’ anche in- gentilite e fatte più pieghevoli versando lungo tempo nella corte di Kublai Kan. Incontrando il nome dei Tartari nella storia, i più si formano di quel popolo un idea, che tien quasi dello spavento. Ma chi si farà a leggere la parte del Milione in cui il viaggiator Veneziano dipinge la pompa e la magnificenza delle cacce del gran Cane, la dovizia e la morbidezza delle città dov” ei faceva dimora, e dove l’ Autore nota , che vi fossero più di venti mila di quelle donne, che fallano per danari, vedrà che in quelle lon- tauissime contrade era tutto lo splendore e tutte le con- seguenze dei cortigianeschi costumi. Dove più fiorisce il dispotismo , più l’ ingegno degli uomini s’ assottislia nel cercar modo e via onde gratificarsi i potenti ; e l’ Asia fu (*) Vedi Antologia Vol. XIX. B. 92. 36 sempre solenne maestra di quelle arti di cui il Castiglione diede precetti fra noi. Le narrazioni di Marco Polo erano vini maravigliose, che non mancò chi le tenesse in conto di novelle e lui mordesse quale esagerato e menzognero. O per effetto d’'i- gnoranza , o mossi dall’ invidia , gli uomini usano per l’or- dinario così contro quelli, che vengono di lontano. Ma ad onta di quei moteggi , il Milione non tralasciò d’ essere di grande utilità ai Papi, ed ai Veneziani per agevolar loro il modo di coltivar relazioni coi Principi Tartari, di servir di stimolo ad alcuni zelanti religiosi, e di additar loro il come governar si dovessero onde condursi a predicar la fede nelle più remote contrade dell’ Asia. E siccome Marco Polo avea parimente recato con sè molte carte geografiche Ci- nesi ed Arabe, in cui erano segnate le vie da seguirsi na- vigando nel mar delle Indie , in cui era delineata a un dipresso la figura delle costiere dell’ Africa ,, e dimostrato esservi una comunicazione diretta tra l’Atlantico , e il mat delle Indie , così anche da lui i Portoghesi attinsero le notizie, che gli stimolarono , e gl’ incoraggiarono ad arri- schiarsi nei lunghi viaggi marittimi, per cui le corrispon- denze commerciali dell’ Europa coll’ Asia diventarono più frequenti e più essenziali. Il confronto delle relazioni tanto dei navigatori che si contentarono di lambir le marine, quanto dei viaggiatori, che si spinsero nelle parti interne dell’Asia, dimostrò poscia la veracità delle cose riferite nel Milione. E sono da vedere alcuni dotti articoli del Klaproth inseriti nel Giornale Asiatico di Francia, dove la somma veracità ed esattezza del Polo per ciò che concerne alla Cina è pienamente dimostrata. Ma per cagione degli spessi mutamenti di stato, a cui andarono soggette quelle con- trade, molte città, che fiorivano ai tempi di Marco, fu- rono distrutte, e molte cangiarono di nome ; e mercè di quei turbini d’ arena onde in Asia la terra è tratto tratto sconvolta, e mutato per sino il corso de’ fiumi, molti paesi oggi non conservano più l’aspetto , che avevano al- lora. E per questi motivi spezialmente il cav. di Baillou, 37 che fu già direttore dello scrittoio geografico di Firenze, si rimase dall’ illustrare la geografia del Milione , antiveg- gendo le immense difficoltà , che vi si doveano necessa- riamente incontrare. Il N. A. non se ne lasciò sbigottire. Pubblicò un te- sto a penna del Milione scritto da Michele Ormanni , il quale morì nel 1309. cioè undici anni dopo la prima det. tatura del Polo. Questo codice è anteriore a tutti gli altri, perciò ha il pregio dell’ antichità ; fu citato dagli Acca- demici della Crusca, quindi non se gli può contendere quello di purgata favella. Nel procurare le edizioni dei classici antichi. .i filologi attesero spezialmente a consultar codici d’ ogni maniera, e dal loro riscontro , e coll’ ajuto della critica, e delle congetture, supplirono ali’imperizia degli amanuensi, e s’ affaticarono a dare una lezione da essi creduta la più conforme alla mente dell’ autore. Ma un manoscritto italiano , come ha ottenuto 1’ onore della citazione nel Vocabolario, gli editori fiorentini lo tengono in conto di cosa benedetta; guai. a chi ne mutasse una sillaba ; e; quand? anche il senso gridasse, che 1’ antico scritturale è caduto in errore ,.e che non sarebbe mala- gevole emendarlo,, gli, è tutt’ uno ; l'edizione debb’ esser fatta sull’ andare del Virgilio Mediceo, rappresentare cioè un immagine fedele, come se fosse ripetuta da specchio, del testo a penna ch’ ebbe la sorte di star tra le mani dei deputati. Osservatore anch’ esso di siffatta massima (che si può lodare o biasimare secondo il gusto delle persone, ma che saputa e quando fosse candidamente. confessata dovrebbe francar gli editori dai motteggi delle proposte ) il Baldelli ha lasciato , che nel suo testo il discorso rimanesse alcune volte un po’ zoppo. Ma avendo coll’aiuto d’ altri codici sup- plito alle grandi lacune , e messo ove facea di mestieri, a piè di pagina le varianti desunte da altri manoseritti , ed alcune notarelle dichiaranti talora il significato delle voci meno usate, o non registrate nel Vocabolario, e talora fatte a posta per ispiegare alcune particolarità di storia na- turale, ne avvenne che il senso sia sempre facile e piano, 38 per maniera che il Milione pubblicato da lui in questa for- ma, dee annoverarsi tra’i più cari gioielli, che s' abbia la collana degli scrittori che fiorirono nel secolo decimo terzo. E sarebbe benemerito degli studi della lingua nostra chi prendesse a procurarre un edizione meno splendida e me- no costosa di questa , la quale potesse più facilmente an- dar tra le mani anche dei letterati poco danajosi. Ma se nel pubblicare questo codice egli si contentò d' attendere unicamente alta dilucidazione delle cose di lingua e di storia naturale, nel riprodurre in un volume a parte il testo Ramusiano, non ha lasciato indietro cosa alcuna , che contribuir potesse all’ illustrazione storica e geografica del Milione; ed essendovi felicemente riuscito provò come fosse soverchio il timore spiegato dal cavaliere di Baillou. A questo fine egli ha posto in fronte del primo libro una dichiarazione indiritta a distinguere le province de- scritte dal Polo in seguito alle proprie osservazioni, da quelle descritte in seguito alle relazioni altrui, ed ivi a scanso di confusione ha parimente dimostrato quale ordi- ne abbia tenuto l’ illustre viaggiatore nelle sue descrizioni. Con una tal guida , e mercè della cura infinita che il Bal- delli ha posto nel desumere dagli autori Arabi , Italiani, Tedeschi, Francesi ed Inglesi tanto antichi quanto moderni tutto ciò che era opportuno affine di rischiarare con ap- posite annotazioni la parte storica , e geografica del Mi- lione , la lettura di esso non può a meno di riuscire molto più profittevole che prima. Invano vi si cercherebbe tanta chiarezza d’orditura, e tanta filosofia come nelle opere di Volney, di Humboldt e d’altri viaggiatori più recenti: ma si faccia ragione dei tempi, e si penga mente che Marco Polo fu il primo a porre il piede nelle parti più orientali dell’ Asia , e a dar- ne cuntezza. Allora si conoscerà quanto sia grande il pre- gio del Milione, e non si penerà a giudicare che il me- rito di chi lo scrisse pareggia a un di presso quello dei nuovi scopritori di terre sconosciute. Una linea descritta sulla carta geografica che il conte Baldelli ha fatto dise- 39 gnare per l’ intelligenza di tutta l’opera, dimostra in una sola occhiata sino a qual segno giungessero le cognizioni degli antichi, e quanto sia vasta la parte, di cui la co- noscenza è al tutto dovuta a Marco Polo. Oltre a ciò che riflette più particolarmente i rischia. ramenti del Milione , il N. A. ha ancora illustrato la tela del Salone dello Scudo. Seguendo l’ autorità del Cardi- nale Zurla , ed argiungendovi alcuni argomenti desunti dalle proprie osservazioni , ha rivendicato l’ autenticità di quella parte della tela che raffigura l’ Asia. Ha illustrato una porzione del Portulaneo Mediceo Laurenziano , e mercè di esso, dimostrato , come in tempi assai più rimoti che non si crede , i Genovesi spingessero le loro navigazioni sino alle coste della Ghinea. Ha parimente esaminato e de- finito non poche questioni analoghe a tale argomento, in guisa che d’ or innanzi sarebbe una presunzione il pren- dere a parlare del risorgimento della navigazione e della geografia nei secoli di mezzo , senza aver consultato prima queste dissertazioni, Ond’ è che per questi pregi e per la multiplicità delle cognizioni che dentro vi sono , i quat- tro volumi pubblicati dal Conte Baldelli deggiono trovar luogo non solamente nelle grandi biblioteche, ma ben an. che in quelle dei privati ch’ abbian vaghezza d’ avere in un sol corpo raccolte tutte le cose che si sanno intorno all’ Asia , e additati i fonti dai quali si possono attingere, sul medesimo argomento più larghe dottrine. In quest’opi- nione crediamo d’aver consenzienti tutti coloro che si re- carono in mano l’opera annunziata. Frattanto non possiamo finir di parlar di questi studi senza osservare con quanto cordoglio rammentar si debba lo scapito infinito , che la perdita delle corrispondenze di- rette coll’ Oriente ha prodotto per noi Italiani, e con che lagrime riconoscere i pietosi uffizi di quelli , che fanno opera per rinnovarle. I. Sc Dl 4o Opere volgari di Gro. Boccaccro, corrette sui testi a penna. Ed. Prima. Firenze Tip. Magheri 1827-28. (Usciti finora Vol. V). Prima di scendere a parlare de’ pregi di questa edizione do- vuta alle cure del signor Moutier , ci giovi ascoltare le opinioni che intorno all’ ingegno ed allo stile del Boccaccio esprime con l’ usata energia ed evidenza , Ugo Foscolo : al cui Discorso Let- terario sul testo del Decamerone molte cose e importantissime si potrebbero contrapporre, ma io non so che si possa da certi pas- sionati ammiratori del Boccaccio rispondere alle osservazioni se- guenti: « Era il Boccaccio dotato dalla natura di facondia a descri- vere minutamente e con maravigliosa proprietà ed esattezza ogni cosa. Mancava al tutto di quella fantasia pittrice, la quale con- densando pensieri, affetti, ed immagini , li fa scoppiare impe- tuosamente con modi di dire , sdegnosi d’ ogni ragione rettorica. Però , in tanti suoi libri di versi e rime , pare tutto poeta nel- l’ invenzione, e non mai nello stile . .. Bensì quella suna prodi- galità di parole sceltissime , e i sinonimi accumulati , e i signi- ficati purissimi , schietti per lo più di metafore, e vaghi di vezzi nella giuntura delle frasi, giovano a lasciar osservare tutti gli elementi della sua prosa (1) : e scemasi alquanto la somma diffi- coltà di scevrare le certe leggi grammaticali, dalle arbitrarie de’re- tori; e la materia perpetua della lingua dalle forme mutabili dello stile... . Loderò dunque ogni superfluità di parole , in quanto il Decamerone somministra maggiore numero d’ osservazioni gram- maticali ; e tanto più quanto la qualità diversa di cento novelle, e la varietà degli umani caratteri che vi sono descritti porsero occasione all’ A. di applicare ogni colore e ogni stile alla lingua, e farla parlare a principi ed a matrone e a furfanti e a fantes- che e a tonsurati ed a vergini; ed a chi nò?.. Che se io nella descrizione della peste non lo veggo narratore più terribile di Tucidide, nè più potente di Cicerone e di Demostene nelle di- cerie de’ suoi personaggi . . . . insomma se io non ridico quanto tutti dicevano nel secolo XVI , e molti poscia ridissero , e alcuni vanno tuttavia ridicendo , non però ch’ ei non sia scrittore mi- (1) Più sopra avea detto : « Le grazie dello stile del Decamerone,, benchè »» vaghissime , sono ammanierate e create dall’ arte : risaltano agli occhi, e for- »»s zano ad osservarle ; e però i professori di rettorica possono gloriarsi di scer- ., nerle di leggieri ,,. 41 rabile: ed è perchè senz’ essere sommo in alcuna di tante guise di stile, seppe trattarle felicemente pur tutte : Nè in tante lodi chieggo altro che modo. br « E’ mi par tempo che tacciano esagerazioni sì puerili: e ne parlo quand’ anche un critico illustre francese (2) giudica che il Boccaccio, avendo avuto sotto gli occhi la storia di Tucidide e il poema di Lucrezio, abbia emulate le loro doti diverse in guisa che gli venne fatto di superarli; e descrisse la peste da storico , da filosofo, e da poeta. S° ei vedesse 1’ uno e 1’ altro di quegli scrittori, non so : ad ogni modo, bastava il latino, il quale se- gue di passo in passo Tucidide. Molta parte dell’ italiano sem- bra parafrasi, non pure d’ avvenimenti originati per avventura e in Atene e in Firenze dalla medesima epidemia, ma ben an- che di riflessioni e minute particolarità , nelle quali è improba- bile che più scrittori concorressero a caso. Il merito della des- crizione della pestilenza nel Decamerone, non risulta così dallo stile — che raffrontato a quel di Tucidide e di Lucrezio è fred- dissimo — come dal contrasto degl’ infermi, e de’funerali , e della desolazione nella città, con la gioia tranquilla e le danze e le cene e le canzonette e il novellar della villa (3). In questo, il Boccaccio, quand’ anche avesse imitata la narrazione, la adoperò da inven- tore. Bensì guardando ciascuna descrizione da sè , la pietà ed il terrore prorompono insistenti dalle parole del greco, e si affol- lano; ma senza confondersi; ch’ ei procede con 1’ ordine che la natura diede al principio, al progresso , e agli effetti di tanta calamità. Radunando circostanze due volte tante più che il Boc- caccio , le dipinge energicamente in pochissimi tratti, sì che tutte cospirino simultaneamente a occupare tutte le facoltà dell’ ani- ma nostra. Il Boccaccio si sofferma a bell’ agio di cosa in cosa, per isfoggiarle con quel sno pennelleggiare, che da’ pittori si chiamerehbe piazzoso ; e le amplifica in guisa, da far sospettar ch’ egli esageri — Maravigliosa cosa è a udire quello che io debbo dire: il che , se dagli occhi di molti , e da’ miei non fosse stato veduto , appena ch’ io ardissi di crederlo , non che di scriverlo, quantunque da fededegno udito l’ avessi. E non gli basta: — Di che gli occhi miei ( siccome poco davanti è detto ) presero , tra le altre volte, un dì così fatta esperienza nella via pub- (2) Ginguéné, T. III. Hist. Litt. p. 87. (3) L’ osservazione è forse più ingegnosa che retta. T. XXXIV. Aprile. 6 42 blica (4). Vero è che Tucidide narra con maggior efficacia, per- chè n° ebbe esperienza più certa — Ho patito di quel morbo an- ch’ io, e l’ ho veduto patire dagli altri (5): ma s’ astiene da ogni esclamazione rettorica, e da professioni di verità. La tempra diversa de’ loro ingegni, e la diversità de’ loro studi, li am- maestrava a disegnare e colorire i medesimi fatti in' due maniere affatto diverse. Le arti oratorie della narrazione, che il Boccaccio derivò con ammirazione da’ retori romani, non erano ancora fat- turate da Isocrate, e da que’ parolai, nè celebrate in Atene al- l’età di Tucidide ... Il Boccaccio, modellando 1’ idioma fioren- tino sulla lingua usata da’ latini , accrescevagli dignità , ma gli mortificava la nativa energia. Finalmente , Tucidide adopra i vo- caboli quasi materia passiva, e li costringe a raddensare pas- sioni, immagini , e riflessioni più molte che forse non possano talor contenere; ond’ ei pare quasi tiranno della sua lingua. Or il Boccaccio la vezzeggia da innamorato. Diresti ch’ ei vedesse in ogni parola una vita che le fosse propria, nè bisognosa al- trimenti d’ esser animata dall’ intelletto: e però, 4 poter narrare interamente , desiderava lingua d° eloquenza splendida e di vo- caboli eccellenti faconda (6). La loro eccellenza gli era indicata dall’ orecchio , che egli , a disporli nella prosa, aveva delicatis- simo. Certo, che 1’ esteriore e permanente beltà d’ogni lingua è creata da’ suoni . .. Non però è meno vero che quanto maggior numero di parole concorre a rappresentare il pensiero , tanto mi- nore porzione di mente umana tocca necessariamente a ciascuna di esse: bensì, la loro moltitudine, per la varietà continua dei suoni genera più facilmente armonia. Quindi, ogni stile compo- sto più di suoni che di significati, s’ aggira piacevole intorno alla mente, perchè la tien desta , e non l’affatica. Ma se l’ar- monia compensa il languore, ritarda assai volte la velocità del pensiero : e il pensiero , acquistando chiarezza dalla perifrasi, perde l’ evidenza che risulta dalla proprietà e precisione delle espressioni. Sì fatti scrittori risplendono, e non riscaldano: e dove sono passionati, sembrano più addestrati che nati all’ eloquen- za: perciò tu non puoi persuaderti che sentano quanto dicono: e narrando , descrivono , e non dipingono: non vien loro mai fatto di costringere la loro sentenza in un conflato di fatti, ra- gioni, immagini, e affetti, a vibrarla quasi saetta , che senza 4) Introd. 5) Tue. L. IT. 6) Fiammetta, L. IV. ( ( ( 43 fragore nè fiamma; lasci visibile il suo corso in un solco di ca- lore e di luce; e arrivi dirittissima al segno. Bellissimi scrittori pur sono nel loro genere : non però veggo come altri possa am- mirare in essi riunite in sommo grado le doti dello stile de? fi- losofi, degli storici, e de’ poeti. .. Tucidide ti affatica , impo- nendoti di pensare senza riposo ; e il Boccaccio forse t’ annoia, come chi non rifina di ricrearti con la sua musica. È stile } a ogni modo , felicemente appropriato a donne briose e giovani innamorati, che seggono novellando a diporto. Haec sat erit, divae, vestrum cecinisse poetam Dum sedet , et gracili fiscellam texit hibisco. Se libri di politica, come oggi alcuni n° escono , dettati in quest’ oziosissimo stile possano educare sensi virili , e pensieri profondi , non so: di ciò veggano gl’ italiani, o più veramente, quando che sia, i loro posteri. Ma io, guardando al passato, non posso da tutta questa meschina storia del Decamerone , se non desumere, che la troppa ammirazione per quel libro insinuò nella lingua infiniti vizi, più agevoli a lasciarsi conoscere che a ripa- rare : e guastò in mille guise e per lungo corso di generazioni , le menti e la letteratura in Italia. Or se taluni incominciassero ai dì nostri a cumulare sul Decamerone tutte le lodi meritate da’ lavori più nobili dell’ umano ingegno , non sarebbero essi di- sprezzati per l’ appunto dai critici che le ripetono ? Ma discen- dono tutte, per tradizione continuata di critici, e di accademie, e di scuole, sino dal secolo di Leone X. Le tradizioni letterarie, nè giova indagarne il perchè, hanno più forza che le politiche e le religiose, anche negli uomini i quali possono considerare ogni cosa con filosofica libertà. » Dopo alcune altre osservazioni , discende il Foscolo a notare i difetti della maniera del Boccaccio; ed annovera — € Le locn- « zioni ch’egli nella lingua dell’ uso introdusse di fantasia. — La « latinità ch’ei trasfuse nella sintassi. — Gli espedienti suggeri - « tigli dall’ orecchio a rotondare periodi; e il vezzo, fra gli altri « suoi, di calcare gli accenti sulle consonanti, troncando dura- « mente le ultime sillabe ‘(7) — I pleonasmi, poscia prescritti « fra le bellezze dell’ arte (8). — I mosaici di particelle, come « a dire conciossiacosachè , e tutte le sue parenti amorevoli a’pre- (7) Di gran nazion non forse. G. 7. N. 6. — Lo scolar lieto. G. 8. N. 7. — E fu trent’ anni, addietro , atticismo degli ultimi ‘Gesuiti. Ved. le opere del Roberti, del Go. Giovio, e di molti altri di quella scuola. (8) « La parola alle volte solamente come ripieno s’ intreccia ,.. Salviati Avv. Lib. II. 4A « dicatori e alla declamazione accademica : ma la natura della « mente umana desidera che tutti i nessi delle idee siano schietti, « spediti, e pieghevoli a riunirle e disporle, senza indugiarle. — « Le intarsiature d’ incisi e parentesi, che frastagliano il discorso, « e lo fanno languire a forza di chiose e ripetizioni , e intralciano « il senso con superflue parole, e strascicano stucchevolmente le « frasi; e furono poscia sì perversamente ammirate, che gli serit- « tori per natura eloquenti si fecero per imitazione chiosatori « ciarlieri delle proprie parole (9). — I vocaboli scritti per vezzo « in varie maniere, egualmente tenute corrette ; creando suoni « alquanto diversi, hanno il medesimo significato nè più nè meno: « e i loro esempi giustificarono l’ affettazione contagiosa fra? me- « diocri scrittori, e tennero perplessa 1’ ortografia (10). — La « prodigalità di parole , che sembrano profuse meno ad esprimere « che a definire le idee; e quanto lo scrittore più affannasi a « farsi intendere , tanto più confonde la sua mente e l’ altrui: « or la verbosità è più noiosa negl’imitatori del Boccaccio, che CI ( professano di scrivere storia . . . +. )) Questo giudizio ci giova avere recato per confermare con l’au- torità d’un nome ben noto , un’ opinione , che destituta di ci- tazioni, potrebbe a taluno parere irreverente ed ardita. Ma delle altre opinioni esposte in quel discorso del Foscolo, noi non vo- gliam però farci mallevadori ; che, se a giudicare del vero Bello , al Foscolo reggeva l'ingegno, non su tutte però le questioni let- terarie o d’ altro genere, aveva quell’nomo ardentissimo meditato abbastanza. Una discussione, e la più importante di tutte, egli ha nel suo discorso negletta: quali delle novelle del Boccaccio , considerate non come monumenti di lingua antica nè come docu- menti di storia, ma sì come vive opere dell’ingegno, facciano ve- ramente onore alla potenza narratrice del romanziere poeta : quali sieno od inette, od insulse, o mal narrate, o peccanti di quella (9) Conciossiacosachè tu incominci pur ora quel viaggio, del quale io ,s ho la maggior parte, siccome tu vedi, fornito , cioè questa vita mortale , ,» amandoti io assai, come i0 fo , hò proposto meco medesimo.... ,, Casa. Gal. (10) Armenia, Erminia: Virgilio , Vergilio : Siciliano , Ciciliano : Ve- nezia , Vinegia: definire , diffinire: chiunche , e dovunche ; e siffatti ; e il Varchi n’è innamorato, invece di chiunque, e dovunque = e il Davanzati ris- quotere , quore , per riscuotere , e cuore - e il Bembo sempre openione , il Varchi oppenione ; il Salviati opinione ; ma il Salviati cheunque , gli altri qua- lunque. E comecchè molte di queste voci sien oggi , costrette a scrittura uni- forme, più molte tuttavia lussureggiano ; accarezzate in grazia della varietà che ne risulta alla dizione. 45. specie d’inverisimiglianza che non si può mai perdonare: quali delle trenta che diconsi scelte, e che pongonsi in mano a’fan- ciulli debbano stimarsi, malgrado il giudizio del Bandiera e d’ altre persone pie, veramente immorali: quali delle dichiarate dal Bandiera immorali, possan tenersi per meno scandalose che a giudicarle indigrosso nen paia. Questa nuova vagliatura delle opere di un ingegno bellissimo , e che con 1° esempio suo tanto influì sugli studii italiani, noi Ja serbiamo ‘a miglior tempo: ed ora intanto veniamo all’ edizione che il signor Moutier ci pre- senta. Ecco dunque la prima edizione delle opere volgari insieme raccolte; e sarà certamente di tutte le parziali edizioni di queste opere , la più corretta. Le edizioni del Filostrato, del Filocopo , della Fiammetta, sebbene sancite dalla Crusca, sono fuor di mo- do scorrette e capricciosamente alterate : il Filostrato stampato a Parigi nel 1789, pecca di alterazioni e d’ omissioni incredibi- li. Necessario dunque, non che utile giunge il lavoro del signor Moutier ; e in tutte le biblioteche , e private e pubbliche , si dee alla sua edizione di tutto diritto un posto onorevole. Quanto al Decamerone , 1’ Editore ha seguita la lezione del Colombo ; il qual s’ attiene con critici miglioramenti al cod. del Mannelli. Fra le note che nell’ edizione del Colombo si trovano, e che in questa nuova si riportano , del Mannelli, del Martinelli, del Rossi, del Colombo stesso, havvene d’utilissime, e saggie, ed ingegnose , sì per l’ intelligenza del testo , sì per le illustrazioni filologiche e storiche, e sì per le discussioni delle varianti adot- tate o rigettate; havven’altre che poggian sul falso: e molte an- cora se ne dovrebbero aggiungere, stralciando le inutili. Ci spiace il dire che tutti quasi i cambiamenti e le interpretazioni propo- ste dall’ Ab. Fiacchi, e dal n. Editore riportate, hanno un non so che di cavilloso e di paradosso , e non s’ accordano nè colla maniera del Boccaccio , nè col vero gusto di nostra lingua. Il sig. Montier dice, d’ aver tutte ridotte a una regola le varietà ortografiche che s’ incontrano ne’ codici, e nelle edizio- ni : ma convien dire che nel lungo lavoro la pazienza gli fallisse al fatto proposito ; giacchè non rade volte s’ incontrano le parole stesse scritte in modo diverso. Nè di ciò noi vogliam biasimarlo. Havvi delle varietà necessarie a conservarsi , perch’ hanno la lor ragione nelle leggi del numero : e sarebbe un offesa al gusto antico, e alla intenzione dell’ Autore , il mutarle. Il difficile si è , saper nettamente distinguere questa specie d’ ortografiche va- rietà, da quelle che venendo da un metodo ortografico o imper- N N 46 fetto o disusato, non meritano riguardo veruno. Il miglior par- tito in tali faccende, a noi sembra riportare in nota la lezione ripudiata, acciocchè il lettore la ponga a suo luogo, se così me- glio gli piace. Le deviazioni dall’ ortografia antica son sempre gio- vevoli alle indagini etimologiche e alla storia della lingua. Noi lodiamo anco il diligente Editore del proposito ch’ egli espone nelle parole che seguono: « Io tengo per sistema costante « di non accettare che la lezione dei testi a penna, o delle an- « tiche edizioni del primo secolo della stampa. I più diligenti « confronti fra le varie lezioni dei codici, mi fanno adottare « quella lezione che la ragione mi addita per la migliore e più « originale : e se alcuna volta accade che un passo trovisi in « tutti i migliori codici evidentemente alterato , io preferisco di « riportarlo fedelmente come si legge nei MSS., e giammai ar- « disco di metter del mio per addirizzare un periodo. » Ottimo pare a noi questo metodo, purchè nella nota si proponga quella correzione che dal confronto dei codici risulta chiarissima: ciò che il n. A. farà, speriamo, a suo luogo. Nel quinto volume della presente edizione è compreso il Laberinto d’ Amore, con diligenza corretto. Se non che la pun- teggiatura ci parve negletta non poco ; e la punteggiatura è cosa essenzialissima , trattandosi di periodi così lunghi ed ‘intralciati come quei del Boccaccio. D’ alcune varianti che noi proporrem- mo semplicissime alla lezione di quest’opuscolo , qui sotto si ve- drà un piccol saggio (11). (11) Pag. 166. Veramente mi fa il quì vederti, e le tue parole , assai manifesto , se altrimenti nol conoscessi, te del vero sentimento essere uscito, e conoscere se vivo ti sei 0 MOTtO. — Leggasi e non conoscere: giacchè poco prima avea detto: appena io conosco s’ io vivo 0 morto mi sono p. 167. Io allora con voce assai esperta dissi. Quì sospetto scorrezione. Forse aperta. Ad ogni modo è da veder nei Codici p. 168. Avanti che altro da te si proceda. — Forse ad altro p. 169. La mia stanza ha troppo di più durezza. = Leggerei troppo più di durezza p. 169. Questo vestimento.... che.... vi pare, che a coloro che ad alcuno ono- re sono elevati, più che ad alcuni, sì convenga d’usare. — Leggerei : più che ad altri p. 151. Mi piace una sola delle cagioni , per le quali la Divina bontà si mosse a dover me mandare ad aiutarti ne’ tuoi affanni. — Leggasi: dirti mi piace ; 0 simile : giacchè il senso, senza un infinito , rimane sospeso p- 173. Quelli, li quali per avventura Amor della sua corte avendo sbanditi, qui li mandasse , e in esilio. — Direi piuttosto : quì Zi mandasse in esilio. p. 178. Come io vidi la sua statura... subito mi sentii.... correre al cuore un 47 Noi rendiam grazie intanto al colto Editore delle sue dili- genti fatiche; e desideriamo che il pubblico ne lo rimeriti più degnamente co’fatti. Non desideriamo con ciò, che un libro im- morale qual’è il Decamerone, passi nelle mani dei più ; il desiderio d’altronde sarebbe vano: desideriamo che tutti gli amatori della lingua, e i possessori di biblioteche acquistino, la nuova edizione completa delle opere del Boccaccio ; come la più corretta, prese le cose in massa , di tutte le uscite finora. fuoco.... e sì fieramente riscaldarmi , che chi allora mi avesse riguardato nel viso , n° avrebbe veduto manifesto segnale: e come che i segni ve- nuti nel viso per lo nuovo fuoco ; che come prima le parti superficiali andò leccando , così poi nelle intrinseche trapassato , più vivo divenne , nè se ne partissono , mai , se non dentro , cessar le sentii. Ognun vede doversi quì levare il nè ultimo , Ze mutare in Zo , intendendo comechè non per quantunque , ma per in qual che sia modo p. 180. Nè poi sentii, nè per lettera nè per ambasciata , quello che io di ciò che scritto le avea , le paresse. Leggi: quello che di ciò che io scritto le avea p. 181. Che sì ampiamente delle sue esimie' virtù , meco parlando ; distese. Leggi : si distese , frase familiare al Boccaccio p- 182. Assai cagioni giustamente possono me a ogni altro muovere, a do- verti riprendere. Leggerei , o , sopra ogni altro , o: e ogni altro. L’éducation progressive etc — L’ educazione progressiva, o studio del corso della vita ; della sig. NEKER DE Saus- sure. Coll’ epigrafe : Cette vie n'a quelque prix que si elle sert à l'éducation religieuse de notre coeur. — Pa- rigi 1828. Vol. I.° Tutti forse non sanno che quei due bei nomi, Meker et Saussure, ambo nel loro genere secolari , indicano una donna ehe fu unita al primo in stretta affinità, e nacque figlia al secondo, dal quale ricevette una scelta educazio- ne. Ma per certo molti si ricordano aver letto di madama Neker una vita di madama di Staél ( Notice sur la vie et les écrits de mad. de Staél) a lei carissima nipote , colla quale visse ne’ dolci legami d’ intrinseca amicizia. Sicchè e l’autorità de’domestici esempi, e l’aver conosciuto molte illustri persone , e la felice pruova fatta nell’ educare , 48 oltre alle doti naturali dell’ ingegno, han dato animo alla ch. A. di intraprendere un’ opera, a fornir la quale si ri- chiede, e molto sapere in teoria e molto conoscere per espe- rienza. Poichè cosa non fa d’uopo conoscere per definire quali sieno le vie che guidar possono l’ uomo al proprio perfezionamento per tutto il corso di vita, che gli è dalla natura concesso ? Fa mestieri penetrare l’ andamento delle passioni , sapere il modo di farne saggio governo. Ma pri- ma di questo l uomo vorrebbe conoscere a qual fine debba la sua vita riuscire, onde poi ne uscisse una definizione sicura di quel perfezionamento morale che andiamo cer- cando. Di che l’Autrice ne trae argomento a molte gravi discussioni, che quasi occupano intiero il suo primo libro, per provare esser l’uomo animale religioso, e la religione doversi aver per guida sicura al perfezionamento. Reli- giosa si è dunque l’opera di madama Neker, ma come lo sia il rileveranno meglio i lettori dallo squarcio che son per riferire. Quest’ opera sarà (son parole dell'A.) siccome io spero, religio- sa, ma non sarà un libro di edificazione. Da che l’ osservazione della vita tale quale è vi domina, e lo spirito del cristianesi- mo vi dee regnare, senza che si faccia spesso allusione alla sua dottrina. . . « Mi rivolgo soprattutto al sentimento che si dovrebbe sup- porre universale presso i cristiani, a quell’ immensa carità per la quale la parola tolleranza inverso i fratelli è poco, e dirò anco ingiu- riosa; a quella carità della quale la più difficil parte, ma che però più di frequente ricorre, consiste nell’esercitarla verso quelli che ne infrangon le leggi. ( E qui dopo aver detto di non parlare per le persone eminenti per la pietà, ma pei tepidi soggiunge): mi rivolgo soprattutto a quelli che riguardo più particolarmente come miei simili; parlo a quelli individui penetrati della verità e della bellezza e dell’importanza del cristianesimo, ma che vor- rebbero collegarlo più strettamente (avvertano i lettori a queste parole perchè indicano lo scopo dell’ opera) collegarlo coi diversi interessi che non si posson bandire dalla nostra esistenza . Essi senton che la religione è tutto o niente; che se non diviene un motivo principale, non offre che un vano accessorio. Ma essi non sanno trovar il modo di ridurre ad una universale applicazione il 49 principio, tanto è grande il numero delle cose che avendo un poste legittimo ed un’ utilità propria nella nostra vita , sembra- no estranee alla religione. Spiegata la destinazione del libro, credo doverne esporre il piano. Si tratta in quest’ opera dell’ educazion premeditata, cioè dell’ educazione che intende a trar profitto dell’influenza degli uomini e delle cose pel perfezionamento dell’ individuo. Essa deve continuare tutta la vita e non far che cambiar di mano. Varia a seconda dell’ età l’agente, ma l’opera rimane la stessa, e dalla nascita alla morte vi è sempre un soggetto da perfe- zionare . Sotto questo punto di vista la vita si divide in tre periodi. Nel primo, che abbraccia l’infanzia, l'educazione è diretta da intelligenze superiori all’ individuo che si tratta di allevare. Nel secondo periodo, che è quello dell’ adolescenza e di quell’età giovanile sempre soggetta alla ‘potestà paterna, l’ allievo deve vie più cooperare alla propria educazione. Dopo di che nel terzo periodo divenuto uomo , ed arbitro del proprio destino , è chia- mato a faticare da sè al proprio perfezionamento. Questi tre periodi costituiscono tre grandi partizioni dell’opera che mad. Neker sta scrivendo, Ognuna di esse va soggetta a subalterne partizioni, ed il volume che ab- biamo sott’ occhio comprende soltanto i primi tre anni dell’ infanzia. Ma che, dirà forse taluno, vi è egli altra e- ducazione che la fisica nel primo triennio della vita? Volete voi subito tormentare il piccolo bambino col prescrivergli delle regole, col dargli alcuni morali insegnamenti ? Sì, ri- sponde madama Neker, la prima educazione esige moltis- sima cura, perchè in essa si sviluppano i germi delle in- clinazioni morali, dell’indole morale, che voi altri signori, soliti a servirvi de’ bambini come di fantocci, trascurate al primo nascere, e poi vorreste mutare quando non è più tempo; ed allora vi dolete della natura che ve li ha dati tristi, magnificate le cure tardive , e ci fate sapere di non aver risparmiato nè spese, nè preghiere , nè con- sigli per ridurli a miglior partito, ma tutto invano. Infe- lici! Se non aveste abbandonata al caso l’educazione che l’infante riceve dalle cose , non sarebbe intervenuto così. Ma avete permesso che fossero intertenuti di paure e di T. XXXIV. Aprile. 7 50 sciocchezze dalle donne che stavan loro a torno , e vi la» mentate se sono inetti al governo della vita, se sono im- becilli? Gli avete sempre compiaciuti, avete trascurato di far loro sentire in tempo che non eran poi i soli uomini cui tutti dovessero servire, e vi lamentate se sono intol- leranti, irosi ed impazienti d’ ogni freno ? Ne avete sem- pre coltivato l'egoismo , gli avete lodati come franchi o spiritosi , allorchè disprezzavano o recavan afftizione agli altri uomini, e poi vorreste che col crescere in età fossero buoni, compassionevoli, amorosi? Vane lusinghe, fallaci speranze, Non voglio già che tormentiate i fanciulli togliendo loro ogni libertà , procurando loro ad arte le privazioni per- chè si avvezzino a soffrire. Pur troppo troveranno il dolore nella vita senza che voi li facciate miseri negli anni della pue- rizia, So che devono fare il chiasso, che si devon divertire, ma so altresì che non si devon rendere molesti, e devon di buon ora avvezzarsi a sentire che vi è una regola delle azioni, e che vi deve esser commercio permutatorio di ser- vigi e di affezioni fra gli uomini. Se sono malati , se so- no afflitti aceorrete al loro soccorso, non risparmiate cu- re, ma se sono capricciosi non secondate i loro capricci ; lasciateli piangere, che se non vi conosceranno deboli ri- troveranno presto la loro ilarità. Siate discreti nel coman- dare, ma pure avvezzategli all’ ubbidienza; non li po- nete nella necessità di mentire, ma se mentiscono non prendete la cosa con leggerezza . E soprattutto si guardi all’egoismo , giacchè questo si sviluppa di buon ora nei teneri bambini. Rammentatevi d’ essere sempre osservati , e che mal potreste esigere da loro in età più avanzata quelle virtù delle quali non avete offerto l’ esempio ; ma soprattutto pensate che non vi è velo d' ipocrisia che non sappia ta- gliere chi ha interesse di sapere se ,sieno sinceri i vostri precetti. Sia poi la vostra autorità quella del savio che con- siglia, che comanda o che punisce per l’amore o per la cognizione del bene senza muoversi all’ira ; guai se siete conosciuti volubili, incostanti o irosi , 0 se per troppo stu- dio di moralizzare divenite ridicoli o fastidiosi . Serbate 51 per voi le massime generali e le sublimi dottrine , ed at- tendete a’ fatti particolari , aspettando che il natural giu- dizio del bambino si formi la regola per l’ osservazione, e la converta in salutare abitudine. Questi principii di edu- cazione sono invero consentiti da tutti quelli che non son guasti dall’ esagerazioni filosofiche di un ottimo sistema che non starò a nominare , ma il difficile si è nel metterli in opera. Il perchè è da commendarsi molto madama Ne- ker, la quale tessendo minutamente la storia de’ primi tre anni della vita, va di mano a mano indicando il modo da tenersi per aiutare lo sviluppo delle facoltà, e per te- nerle nella via del bene. In questo essa dà buon saggio di saper d’ideologia , e crediamo che anco il semplice ideo- logo che si proponga l’avanzamento della scienza possa ri- cavare un qualche utile dall'opera di lei. Ma non potres- simo recare in mezzo alcun brano dell’ opera per approvar questo nostro giudizio, senza escire in troppo lunghe di- gressioni ; però seguiteremo ad estrarre ciò che può servire a far vie meglio conoscere i principii di morale religiosa, che son l’anima di questo libro d’ educazione. Secondo Kant, dic’ ella, lo scopo dell’ educazione sarebbe di sviluppare nell’ individuo tutta la perfezione della quale è capace . E poichè una tal opera non può condursi a buon termine nell’ infanzia, ma anzi richiede la vita intiera, oserei ri- durre quella bella definizione così: dare all’allievo la volontà ed i mezzi di raggiunger la perfezione della quale sarà un giorno ca- pace . (E qui discorrendo ampiamente della duplice natura e del duplice destino dell’ uomo prosiegue). L’educazione deve cor- rispondere al duplice nostro destino: essa deve preparare 1’ in- fante per due esistenze successive, poichè è in lui uno spirito immortale che è pellegrino sulla terra, ed una debole creatura che viene a soffrire e morire. L’anima ha delle facoltà relative al suo soggiorno sulla terra, ne ha che portano le sue vedute al di là : le une e le altre debbono essere sviluppate dall’ edu- cazione. Conciossiachè non avendo Iddio voluto chiamarci a sè immediatamente, ma obbligarci a cercarlo pel pellegrinaggio della vita , ella è stretta obbligazione dell’ istitutore fornire l’ allievo di ciò che gli abbisogna per tanto viaggio . .. . Inculcati i sen- timenti che scendon da questi principii, 1’ educazione non deve 52 temere di aumentar di troppo le sue forze. Le facoltà le più estese saranno in tal modo i migliori strumenti per eseguire i migliori disegni. Perocchè se la religione e la morale rispondono della purità delle intenzioni, lo sviluppo dell’ intelligenza può solo fare sperare che le buone intenzioni sortiranno effetto. Il che può avverarsi in tutte le condizioni della vita. Non nego che l’ educazione debba procedere secondo le gran differenze di condizione sociale fra gli uomini; ciò è forza non pur della necessità di fatto, ma eziandio di dovere, da che nella società vi è una perfezione relativa ad ogni stato. Se nell’ interno del- l’ individuo si deve stabilire un’armonia, vi è pure un’ armonia da stabilire in questo individuo col suo destino sociale. Un fe- lice accordo dei sentimenti delle opinioni de’ gusti colle occupa- zioni abituali facilita 1’ osservanza de’ doveri, ed il godimento dei piaceri propri di ciascuno stato. Perciò non fa mestieri spinger le facoltà oltre il punto in cui posson trovare un esercizio naturale e regolare nella vita reale. Di che ne risulta una scala di sviluppo corrispondente alle diverse condizioni della vita. Ma nelle con- dizioni eziandio le più umili, l’ educazione deve pur sempre dare una certa cultura all’ intendimento. Havvi un primo grado d’ istruzione che è di diritto naturale per ogni individuo, e del quale non è permesso privare un fanciullo. i Per un cristiano, non saper leggere quella legge divina che stima non poter violare senza pericolo dell’ anima ; per un uo- mo, che può esser condotto davanti ai tribunali, non saper leg- gere le leggi umane che decider posson della vita; per chi fa contratti non poter dar loro stabilità colla scrittura ; per quelli che vive di salario essere incapace di calcolare ciò che può esi- gere, egli è lo stesso che ignorare le condizioni della propria esistenza, e perciò restar privo de’ mezzi di adempirle. Queste di- verse incapacità spargono l’incertezza sulla sua condotta nelle sue diverse relazioni, gli tolgon la sicurezza , e riducono un infe- lice a viver nelle tenebre, in una notte spesso ripiena d’ombre, e privandolo de’ dati necessari per esercitare la sua ragione , la sua giustizia, i suoi buoni sentimenti, impediscono spesso l’effetto de’ più bei doni di natura. Per ultimo, lo stato d’ ignoranza as- soluta , che poteva forse credersi accompagnato di felicità e d’in- nocenza in mezzo ad una civiltà ancora bambina, diverrà ogni giorno più tristo e più pericoloso nelle nostre società europee. L’idea di una ‘situazione sì miserevole, sorte di molti uo- mini che niente possiedono, e perriò non hanno interesse al buon ordine pubblico , quest’ idea lo ripeto è un costante invito alla 53 carità del cristiano ; alla premura del filosofo. L'educazione dei bisognosi è richiesta anco dall’ utilità delle ‘altre ‘classi; co- me l’unico mezzo sicuro. d’ influir. sulla morale e di conte- ner col freno del dovere quelli cui non è sì facile imporne. al- tri. Nè si creda un leggiero ammaestramento nella religione , quale si dà a quei miseri , poter bastare, perchè l’ incoerenza e la confusione dell’ idee , tormenti propri di quelli de’ quali non fu esercitata la ragione, invadono presso di loro la region reli- giosa e vi fan regnare la superstizione. Il che si potrebbe dimo- strare ricercando lo stato morale de’poveri in certi paesi. Ma per rispondere ai detrattori degli stabilimenti di educazione pel popo- lo , dirò che in Inghilterra ed in Scozia i registri pubblici han- no dimostrato ; esser diminuito il numero e la gravità de’delitti, giusta alla proporzione delle moltiplicate scuole. I governi , per tanti lati interessati alla conservazione dell’ ordine e della pro- sperità , dovrebbero esser tocchi da queste considerazioni; ma aspettando che lo siano , conviene che gli sforzi della carità pri- vata non vengano meno, poichè anco il volere individuale nella sfera che gli è assegnata può produrre un gran bene. Nel che gli uomini che per lumi o per fortuna sono stimati maggiori de- gli altri avrebbero bel campo di acquistarsi una giusta superio- rità , una legittima aristocrazia. Ma già il nostro secolo. comin- gia a persuadersene ; ed il dovere di fornire alla prima educa- zione de’bisognosi sembra scriversi a caratteri indelebili nelle co- scienze. Senza volermi far giudice o star mallevadore della giustezza delle teorie esposte fin qui, da che mi son prese le parti di semplice spositore , dirò che i lettori a’ quali sono andati a grado gli squarci riferiti dell’ opera di ma. dama Neker, posson francamente incominciarne la lettura, che ne caveranno molto diletto, e credo non piccola utilità. Forse saranno a quando a quando un poco stancati dalla moltiplicità degli interrogativi e degli ammirativi, e spiacerà loro talvolta trovare il vago e 1’ indefinito dove parrebbe che occorresse una forte arsomentazione. Ma non conviene usare severità con una donna perchè cade ne’di- fetti che a molti scrittori francesi sono al dì d’ oggi co- muni. Lodiamo piuttosto in lei 1’ aver saputo accoppiare a quella acutezza nell’ osservare i primi momenti della vita morale dell’infante , che scuopre il cuore di una buona 54 «madre, un saper quasi virile. Ma lasciando alle donne il giu- dicar meglio del libro, riportiamo i motivi che hanno spinto l’Autrice a rivolgersi principalmente alle persone del suo sesso , e parlare soprattutto della loro educazione. Mi sarà più facile parlar di loro, (sono parole dell’ A.), sì perchè meglio le conosco; sì perchè la contemplazione del loro destino più si confà al mio disegno. Le relazioni domestiche oc- cupano maggior parte della loro esistenza, ed esse sono anco più soggette all’influsso degli eventi naturali. Poichè non abbraccia no alcuna particolar professione ( non sono infatti nè nel com- mercio , nè nella milizia, ne’ magistrati ) la vocazione umana è in loro più evidente; esse sono figlie, spose, madri, assai più che gli uomini non siéno figli padri o sposi. Ponete mente alla gio- vin donzella che vuol esser amata, a quella che sen va a ma- rito , alla moglie gelosa, alla madre che sta in pensiero pe’ suoi figli, e vedrete i medesimi sentimenti, la medesima vita del cuore dalla Lapponia al Perù, dalla schiava alla principessa. Le differenze di età sono ‘eziandio più distinte nelle donne. Difatti un uomo che abbia abbracciato uno stato fa a presso a poco le stesse cose per tutto il corso della vita, e 1’ uniformità che è nelle azioni si comunica ai sentimenti ; laddove per una donna variano cogli anni gl’interessi, e mutandosi la posizione nella so- cietà, riman cosa più facile il definire l’ influenza del tempo nel corso della vita. Parlo poi più volentieri alle donne perchè desse ascoltano quando lor si rivolge la parola ; ed appunto perchè non hanno una carriera civile da percorrere, con più o meno buon senso se ne tracciano una morale. Ciascuna concepisce un certo mo- dello ideale al quale cerca avvicinarsi, e così si trova sempre in cammino : i suoi pensieri, le sue opinioni han poco di stabile : ma se molto ignora non presume almeno saper tutto ; ed al di- fetto di cognizioni positive supplisce in certo modo il desiderio di acquistarne; l'educazione de’propri figli, della quale l’obbli- gano ad amare il meglio o per riguardo loro o per proprio bene; per ciò tutti i consigli intorno a questo sacro oggetto son ben ricevuti, e le osservazioni ch’ essa fa come madre ad ogni mo- mento le fanno pruovare maggior piacere nell’ analisi de’ senti- menti . Sì le madri e le spose Italiane, che han dato buon saggio di aggradire le opere di educazione applaudendo ai 55 libri di madama Campan, sapranno anco trar profitto da quelli di madama Neker, e faran ragione di quello che nou abbiam saputo apprezzare. Ma poichè molto vi è anco di saper virile in quelli scritti, terminerò il presente estratto arrecando un luogo dell’ opera meritevole dell’ attenzione di quelli che o per dovere di stato , o per natural carità intendono a trovar le vie di far gli uomini migliori. Benchè gli stabilimenti di educazione sieno numerosi in Eu- ropa, sono stati sino a questi ultimi tempi foggiati tutti sullo stesso modello, per forma che non si potevan paragonare fra loro che per l’ abilità de’ professori ; il qual confronto può fornir po- chi lumi alla scienza dell’ educare. Ma quando degli stabilimenti che partono da nuovi principii, come quelli di Pestalozzi e di Fellemberg, del Padre Girard in Svizzera, della scuola d’Harlewood in Inghilterra (1) si saranno moltiplicati, allora le gran questioni d’ educazione comincieranno a chiarirsi. Si vedrà per esempio se il mezzo dell’ emulazione, che ispira gran diffidenza alle perso- ne scrupolose, sia poi assolutamente richiesto pel maggiore svi- luppo della mente ; si saprà se basteranno all’ uopo i felici ef- fetti dell’esempio separandoli dai cattivi effetti della rivalità ; e forse si imparerà ad unire un poco più la cultura de’ senti menti a quella dell’ intelletto. Relativamente all’istruzione, qual idea i successi dell’ insegnamento reciproco non danno di ciò che si può tuttavia o scoprire o perfezionare ; e rispetto alla for- mazione del carattere quali lumi non forniscono le nuove scuo- le di piccioli fanciulli? Quando si vedono quelli stabilimenti nei quali forse cento ragazzi di due in sei anni si assuefanno insie- me all’ ordine, e ricevono i primi principii dell’istruzione, senza che nel tempo del sollazzo o nel tempo delle lezioni si odano pianti, grida, o querele, senza che per un momento cessino di offrire l’immagine della felicità , si rimane ammirati per la grandezza de’ resultamenti che possono essere ottenuti coll’ im- piegar i metodi più semplici, e domandiamo a noi stessi come mai tanti secoli sieno scorsi prima che cadesse in testa ad alcu- no di valersi di cotali mezzi. (1) I lettori troveranno nella Biblioteca Universale di Ginevra e nell’An- tologia la desicrizione degli istituti di Fellemberg e di Pestalozzi. Mi duole di dover dire che quest’ ultimo ha cessato di esistere colla morte del suo istitutore, Intorno all’ab. Girard si può vedere il Franscini Statistica della Svizzera. 56 Fa mestieri concedere dover esser sempre difficile 1’ istituir confronti esatti fra i diversi sistemi di educazione. Per riuscirvi bisognerebbe non solo che quelli che ne fanno l’applicazione sot- tomettessero i loro tentativi ad un esame regolare, del quale pub- blicherebhero i resultati ; ma sarebbe eziandio necessario tener dietro agli allievi dopochè hanno compita la loro educazione , e portar il giudizio secondo che sono riesciti nel governo della vi- ta . (2) Queste indagini sono talmente delicate, e dovrebbero esser tanto numerose per giungere a legittime conclusioni, che sarebbe quasi vano sperare di trovare un numero sufficiente di osservatori disposti ad intraprenderle. Contuttociò, qual cosa può sfuggire allo spirito di investiga- zione del nostro secolo? Questo secolo, qualunque sia poi il giu- dizio che se ne porti, è il solo nel quale si sieno veduti riuniti due meriti eminenti , vo’ dire la cognizione e teorica e pratica di quella filosofia sperimentale che da Bacone ‘in poi ha fatto fare alle scienze maravigliosi progressi, e la volontà ardente e ferma di applicare le scoperte che ne resultano in prò della so- cietà. Si conosce ormai lo spirito di associazione per 1’ esecuzio- ne delle grandi opere, e si conosce la division del lavoro ; però ciò che un sol’ uomo ed una sola età non bastano a compire , altri nomini ed altri tempi conducono a buon fine. Ed in que- sto momento in cui tante magnifiche imprese si eseguiscono in favor della religione e dell’ umanità , come mai non sperar che sorga una qualche associazione rispettabile che si assuma di ri- solver col fatto i gran problemi dell’ educazione ? Qual esame più importante sarà mai l’ oggetto delle meditazioni degli uomi- ni? Che forse l’educazione non è il maggiore di tutti i mezzi per esercitar l’ influenza da uomo a uomo d’ età in età? Havvi poi una circostanza favorevole che non posso trala- sciare. In quasi tutte le grandi città esistono numerosi depositi di ragazzi, che offrono de’ soggetti di osservazione al tutto muovi, affatto indipendenti dalla potestà domestica ; intendo parlare dei (2) Alcuni aveano quasi pensato di far presso a poco quello che viene in- dicato dall’A. relativamente agli allievi che escono dalle scuole di mutuo inse- gnamento, ma poi riflettendo alla somma difficoltà di ridurre questi a render conto di sè alla scuola che fornì loro la prima educazione , il progetto fu laciato come disperato più presto che non fosse stato concepito. Ma verrà il tempo in cui il popolo sentendo ‘un poco più il pregio dell’ educazione ricevuta , serberà affetto filiale per le scuole; ed allora quest’ idea che ne pare felice potrà avere esecuzione, 97 miseri trovatelli. Con loro non vi sarebbero antecedenti da te- mere , e si raccoglierebbe quello che si è seminato. Di più pro- vando sopra di loro tutti i metodi che al certo sono innocui , non ne potrebbe venir che del bene per quegli infelici. E sia pure che uno si occupasse soltanto della prima età e delle classi povere ; l’ applicazione de’ diversi metodi ad una quantità al- quanto considerevole di ragazzi, darebbe pur sempre de’ lumi importanti alla scienza. Fra gli ostacoli che si oppongono all’esecuzione del progetto bisogna contare uno scrupolo rispettabile. Si teme di commetter qualcosa alla fortuna , facendo nuove sperienze , e si crede do- ver tenere quello che già si presume esser migliore. Ma la realtà importa assai più della presunzione ; d’ altra parte non bisogne- rebbe scordarsi esservi del risico anco in quello che già credia- mo , e seguitiamo. Concedo vi sieno delle pruove pericolose che non conviene tentare, ma allontanato che fosse ciò che può dar ragion di temere , la miglior cosa sarebbe di cercare una volta per sempre la verità per quella via che sola può farla rin- venire . Dalle cose dette fin qui speriamo che i lettori rile- veranno l’importanza del libro che abbiamo annunziato, ne conosceranno lo scopo , e si sarann6 forse fatta un’idea del modo usato dall’Autrice nel trattar l’argomento. Non volendo noi entrare in questioni psicologiche, abbiam cre- duto bene passarcela con un semplice estratto, Useremo della nostra solita libertà d’ esame, allorchè la pubblica- zione di nuovi volumi di madama Neker ci dia campo di discorrere di materie , dall’ aperta discussinne delle quali possa sperarsi un qualche profitto. Fr. Forti. Versi d’ Acrara Anassirtine. Aggiuntevi le notizie della sua vita scritte da lei medesima. Padova, tip. Crescini. Aglaja Anassillide . .. . (Io compendierò le notizie della sua vita, perchè credo che i lettori ne possan trarre e istruzione e diletto, quando voglia- T. XXXIV. Aprile. 8 58 no considerarle come un pezzo di statistica letteraria delle pro- vincie venete). Aglaja Anassillide nacque sul finire del.secolo XVIII , in una villetta chiamata Biadene in riva alla Piave, poco distante da Treviso, e pochissimo da Possagno, patria di A. Canova. Suo padre era giardiniere, sua madre, figlia d’un fabbro. ‘ S’io fossi » nata , dic’ ella , ne’ secoli del gentilesimo , potrei dire che la 3) mia discendenza ha del divino, poichè appartiene a Flora e a 3» Vulcano.,, Il padre di lei con la moglie viveva in una casipola posta in un fianco del Bosco Montello , sul margine del ruscel-. letto che circonda quel bosco. Questa casipola era di certo signor Bassanini di Venezia , o venditore di stampe o stampatore egli stesso y il quale venendo spesso in campagna, regalava la fami- glinola d’ Aglaia, di libri e di stampe sacre e profane: ed ecco ond’ebbe principio la smania letteraria di tutti i parenti di lei. Forse fu questa la cagione, che parecchi di lei cugini e cugine portavano i nomi eroici di Rinaldi, d’Orlandi, di Griselde, d’Er- minie . Aglaia compiva i tre anni, quando suo padre si recò al ser- vizio di cà Zenobio in Santa Bona, villetta bellissima. « Il » padre d’ Aglaia, a guisa degli antichi patriarchi, portava se- »» co tutto ciò che possedeva ; la moglie incinta, la figlia , la » gatta, un cane da caccia , due fucili, un letto, una culla , s varii libri, e un buon numero di strumenti rurali: tuttociò 3; sopra una carretta tirata da un vecchio caval grigio. Il giar- 3» dino di cà Zenobio era amenissimo , con molte pitture e sta- 3) tue :,, le statue rappresentavano guerrieri, pastori, ninfe, dei, centauri , e semidei: e il padre d’ Aglaia diceva che quella era la rappresentazione fedelissima del gran quadro dell’ universo. Trovò quivi Aglaia un Bernardo villano , gran leggitore di ro- manzi eroici; ‘ poichè in quel paese i villani sapevano tutti leg- » gere, non so se per inclinazione naturale, od in grazia del ») cappellano della Villa, che senza veruno interesse insegnava questa scienza a que’ poveretti, contentandosi del loro pro- gresso e di alcune offerte che appartenevano alle quattro sta- gioni, cioè legna , vino, frumento, e primizie di frutta. ,, Sa- rebbe però desiderabile che tutti i cappellani meritassero l’iro- nia dell’ Aglaia , e che tutti i villani spendessero i loro regali così saviamente. Il villano Bernardo leggeva ciò che gli comandava il padre dell’ Aglaia ; ora il Tasso, ora l’ Ariosto, ora il Cicerone del Passeroni, ed ora 1 Omero del Boaretti. L’ Aglaia imparò alcune 2) 99 ottave del canto d’Erminia, e le recitava a que’contadini ; con che ell’ era tenuta la piccola Sibilla del villaggio . Ella già conosce- va tutti gli eroi e gli Dei del giardino; e sapeva spiegarne le gesta a chi le ignorasse . La nonna di lei era grande amatrice delle favole, e leggeva tutte le sere i Reali di Francia e Guerino il Meschino. Il padre della nostra piccola poetessa si reca a far il giar- diniere a Venezia, a’tempi del Doge Renier. Aglaia lo vide spo- », sar il mare; e domandò a suo padre come la chiesa permet- 3» tesse un matrimonio che univa la Dea Teti Pagana, ad un » cattolico principe. ,, La sua erudizione mitologica trovò pascolo anche nel giardino di Venezia, dove, sotto un bel pergolato s’in- nalzava la statua d’ Enea portante Anchise sulle spalle, e se- guito dal piccolo Ascanio. Nello stato Veneto più che altrove si trovan diffuse in tutte le opere d°’ arti belle, non esclusane la Poesia , le allusioni mitologiche: e noi conosciamo tal giardino dove i santi e le sante delle chiese soppresse furono convertiti in Dei ed in Semidee, posta loro una coppa nelle mani, od un corno . La inclinazione della ineducata figlia del bosco, come il Mazza la chiama, si svela anco nelle menome cose. Le muore la sua vecchia gatta ; ed ella fa piantare sulla sepoltura un bel rosaio, le cui rose chiamò poi sempre /e rose della gatta: presa dal vaiuolo , le pustole che tempestavano tutto il suo corpic- ciuolo , ella le chiama perle; forzata a radersi la sua bella chioma già resa cadente dall’ avuta malattia, e a portar sempre in capo un berretto di velluto , ella lo adorna sovente con foglie di mirto e di lauro. Messa a scuola, ella comincia a raccontare alle sue compagne tuttociò che aveva sentito leggere de’ Pala- dini, delle Fate, delle Metamorfosi, e dell’Eneide : condotta a vedere le singolarità di Venezia, sopra ogni cosa le piace il lido del mare : rimbarcatasi per tornare al villaggio , e colta dal mal tempo, ella si compiace nel pericolo , e pensa all’ottava del- l’Ariosto. Se invece degli Dei e de’Semidei , il suo intelletto na- scente si fosse nutrito d’idee poetiche più contemporanee e più patrie , l’Italia forse avrebbe avuto in Aglaia Anassillide una Corinna o una Saffo. Passando di Treviso, ella conobbe quello Schieson, le cui ri- me vernacole non mancano a quando a quando di certa origi- nalità : nella villa di S. Bona sentì da un cameriere inglese spie- garsi alla meglio le tragedie di Shakspeare. Sull’ età d’ undici anni, invogliata d’ imparare a leggere, spende in libri tutti i de- 60 nari guadagnati col guidare i forestieri nel laberinto del giar- dino, e rimunera il suo maestro col raccontargli le novelle delle fate. Le capita di lì a poco alle mani un tomo del Metastasio , e quella lettura la inebbria. Tra breve , ella lo sa quasi tutto a memoria. “ Stanca , dic’ ella, del continuo leggere , io passeg- »» giava con aria distratta, recitando senza regole declamatorie ciò »» ch’ io avea letto cento volte: e annoiata di replicar sempre 3 le stesse cose, ne creava bizzarramente di nuove.,, Eccola già poetessa. E se agl’ impulsi della natura si fosse congiunta una educazione più solida, la qual non avesse fatt’altru che dirigere la natura a uno scopo, questo titolo sarebbe meritato ad Aglaia, in tutta la proprietà del vocabolo. Poco dopo, le viene alle mani un tomo dell’ Ariosto, ed il Pastor fido. Suo padre , che glieli trova, la sgrida altamente, glieli toglie , e gli dona in cambio il Ricciardetto , e il Petrar- ca. “ Tutto quel tempo (il seguente passo ci parve notabile ), »» tutto quel tempo ch’io non era tormentata dalla terzana , 3» lo era dalla smania poetica ; improvvisava ‘soletta i miei po- », veri versi con libero entusiasmo , non avendo altri spetta ») tori che le statue e gli alberi del giardino. Verso i 14 anni, 3, si destò in me la brama d’ imparare assolutamente a scrivere. >» Una vecchia tabacchiera , dismessa da mio padre, fu il mio »» primo calamaio. Il fanciullo maestro mi regalò una penna , x» un pod’ inchiostro , delle soprascritte di lettere raccolte nella s» fattoria, che per allora mi servirono di libro. Dietro a ciò ch'io »» leggeva, incominciai a segnare le prime lettere: io appoggiava s» la carta stampata d’una poesia fatta per messa nuova o per n0z- »» ze ad una finestra , stendeva sopra di quella una pagina del sì mio libro, e scriveva arditamente, aiutata dal lume del gior- ,; no.» + Il suddetto fanciullo mi recava di quando in quando 33 nuovo inchiostro , nuove penne, e nuove soprascritte . . . Un 3 giorno, nell’autunno dello stesso anno, vidi passare pel terra- » glio il co. Alessandro Pepoli. Egli guidava sulla sua bella bi- ,; ga due veloci cavalli: era giovine, bello, e ben fatto: mi par- »; ve vedere un Apollo, e gli feci un sonetto . . . Lo scrissi con 3» la pazienza di copiare ad una ad una tutte le lettere neces- »» sarie sparse sulle stampe, senza certe regole grammaticali ; ,; ed attendeva 1’ incontro di farglielo pervenire. ,, Un gentiluo- mo se ne piglia la cura : e nell’atto che dopo molti giorni que- sto cortese gentiluomo sta per accendere col sonetto d’Aglaia la sua pipa, un altro N. H. glielo strappa di mano , lo consegna al Pepoli; il quale risponde alla fanciulla con un altro sonetto, 61 che cominciava : Onde vien questa voce ? -— Questa gentile ri- sposta determinò la poetica vocazione d° Aglaia. < I) co. Pepoli, dic’ ella, era uno di que’ fenomeni che di », tratto in tratto offre la natura per dare un’idea di vizi e virtù » bizzarramente accozzati: in una parola, egli era un nuovo so Alcibiade ; poeta comico , tragico ; lirico, maestro di scherma, »» danzatore , musico , letterato, tipografo, cavallerizzo ; amante s; degli stravizzi, delle belle arti, del lusso, e delle donne. Forse s» in altro secolo sarebbe passato per un filosofo; nel nostro, 3» passava per un pazzo. Non so quale delle sue tante passioni > siagli stata la più fatale. Egli morì sul fior degli anni, compian- » to da molti, ma principalmente da’suoi creditori ,,- Già la nostra Aglaia era passata col padre alla custodia del giardino d’ Isabella Albrizzi; con la qual fece conoscenza pre- sentandole un fiore ed un èpigramma. La co. Albrizzi le regalò le anacreontiche del Savioli; poi le mandò da Venezia l’Eneide del Caro con le Metamorfosi dell’ Anguillara. — Conobbe di lì a poco il N. H. Bragadin, che gli portò in dono le poesie dello Zappi , con alcune del Frugoni; e il Rimario del Ruscelli , « del qual però ella non ebbe mai la pazienza di fare uso.,, Questo signore le insegnò a fare il punto ammirativo e l’inter- rogativo; ond’ella per gratitudine fece de’ versi sul suo dianco e prudente cavallo , che ebbe 1° ardire, da vera seguace d’Apollo, di paragonare a un de’ cavalli del sole. Intanto un vecchio ser- vitore di casa le leggeva il Goldoni: ed era questo de’ pochi li- bri, fra quelli che Aglaia avea nelle mani; che potessero inse- gnarle un po’ di poesia contemporanea, vale a dire un po’ di poesia. Ma questa consegnenza che da nessuno de?’ classici sa- pean trarre a que’ tempi tanti de’ Pindari e degli Anacreonti del secolo ; come poteva mai trarla la nostra Saffo-giardiniera ? — che così la co. Albrizzi solea nominarla. L’ Albrizzi, ogni volta che Saffo le presentava o fiori o poe- sie, la colmava di carezze e regali. “ Un giorno essa mandò a >» levarmi nel suo carrozzino per farmi personalmente conoscere >, il celebre Foscolo . Il suo vestito di panno grigio oscuro, sen- »» za alcun vestigio di moda, i suoi capelli rossi, tondati come »; quelli d’ uno schiavo, il suo viso rubicondo, i suoi vivacissimi », occhi azzurri, mezzo nascosti sotto le lunghe palpebre, le sue », labbra grosse come quelle d’un Etiope, la sonora ed ululante »» voce, mel fecero credere a prima vista tutt’ altro che un ele- >; gante poeta. Appena mi vide, s’ alzò da sedere, dicendo: è >> questa la Saffo campestre? È molto ragazza: si vede da’ suoi 62 ,»» occhi ch’ è vera poetessa. — Il suo complimento mi fece ride- » re. — Gran bei denti! esclamò egli — Ditemi alcuni de’ vo- »» stri versi. — Dietro a queste sue lodi, non mi sembrò più tanto ss brutto: mi feci coraggio, e gli recitai un mio idillio pastorale, », ch’ egli applaudì , avvicinandosi a me più che non permette- », va la decenza della vita civile. Mi dimandò che pensassi io ») di Saffo. — Penso, risposi, ch’ella fosse più brutta che bra- » va, poichè Faone la abbandonò. — Oh che dici, ragazza mia ? »» Esclamò Foscolo. Questa è una bestemmia. Saffo era bellissi- »» ma, grande, bruna , ben fatta, ed avea due occhi che pa- » reano due stelle. — Pregato dalla co. Spineda a farci lieti de” », suoi be’ versi, fu compiacente , e ci recitò con molta natu- s, ralezza alcune ottave sulla voluttà, alcune terzine dirette ad », una sua Virginia, di cui i maligni dicevano che fosse da esso » amoreggiata per ottener grazie più riguardanti la sua econo- s) mia che la sua sensibilità.,, — Credo inutile ripetere che questa , al dire dell’Aglaia, non era che una diceria de’maligni. Nelle lunghe sere d’inverno, la nostra Saffo campestre leg- geva a que’ contadini il Goldoni e l’ Alfieri, spiegando loro tut- tociò che in questo era d’ oscuro: essi davano la preferenza al- l’Oreste, che li commoveva fino alle lagrime. Quindi venne che mie- tendo e potando, quella buona gente adoprava le alte espressioni alfieriane ; e a i loro bambini, mettean nome Oreste, Carlo, Vir- ginia, non senza qualche ripugnanza del Parroco. In quel frattempo concbbe l’ Aglaia il Vittorelli; quindi il Cesarotti , da lei dipinto così: “ Mai più mi figurava tanta ama- »» bilità in un vecchio, nè tanta indulgenza in un letterato. I » miei versi gli piacquero a segno che volle onorarli con una »» edizione fatta a sue spese nella tip. Bettoni di Brescia. — Con so chi gli andava a genio, parlava con molto piacere , e questo »» piacere brillava in tutta la sua fisionomia; se al contrario , >» diveniva malinconico , taciturno, ed annoiato perfin di sè 3» stesso . .. Mi condussero a Selvazzano , da lui chiamato Selva 3 di Giano ; ove in un picciol tratto di terreno si vedea il do- so Schetto sacro agli estinti suoi amici, il viale detto dei pensie- » ri, la grotta di Tetide , la collina col gabinetto delle Naja- so di, la sala d’ Iside ec. — Mi fece conoscere il suo diletto » ab. Barbieri. ...., La notissima autrice, Giustina Renier-Michiel, presentò la nostra Aglaia al Generale Miollis, che chiamatala Giardiniera del Parnaso , la consigliò di scrivere e d’amar sempre. — Al leggiadrissimo Gen. Sebastiani ella si presentò con una anacreon- 63 tica: “ e quegli da vero militare , levò arditamente dalle mani della vezzosa co. Spineda un ventaglio , e me ne fece presen- te. Le pitture di questo ventaglio rappresentavano Venere , Imeneo , ed Amore , che fuggiva dall’ uno e dall’ altro. Su questo malizioso taZleaz, io scrissi il più malizioso de’ miei epigrammi: Citerea gridava aita Perch? Amor l’ avea ferita. so» Imeneo che il grido ud Pronto accorse, e Amor fuggì. , Intanto l’ Aglaia scriveva continuamente versi, e ne rice- veva continuamente di scritti da altri, ai quali faceva risposta, poco badando alle insolenze fanciullesche di sua sorella e al con- tinuo brontolar di sua madre. I villani la pregavano di dir loro i suoi versi: e l’un d’ essi, smanioso d’imitarla , fece una sa- tira al Parroco e, alle sue donne di casa , che gli costò cara. Conobbe allora la Giardiniera del Parnaso, l’ab. Dalmistro, l’ab. Viviani, lab. Francesconi, il cav. Lamberti, la co. Mo- sconi , l’ Amarilli Etrusca ; ebbe l’onore di recitare i suoi versi in un accademia di collegio, dove tutte le composizioni termina- vano in lode del rettore: “ e non vi fu sacro oratore nel tempo » quaresimale in Pontelungo (giacch’ ella era passata a dimorare in questa villetta vicina di Padova), del quale ella non fa- cesse , pregata dai fabbricieri, 1’ elogio con quello de’ loro sermoni, ch’ella non aveva intesi quasi mai. E al presente, ella 33 vive in Padova, scrivendo versi ora a capriccio della fantasia, s, ora per oggetti reali, i quali le vengono offerti continuamente »» dalle combinazioni e dalle vicende umane, come sarebbe a dire nascendo, morendo, sposandosi, o laureandosi qualche rispet- 23 23 » tabile e cara persona.,, Le poesie d’ Aglaia Anassillide furono approvate da uomini celeberrimi, premiate da principi, inserite nel Parnaso Anacreon- tico , poste in musica dal valentissimo filarmonico G. B. Per- rucchini. I lor pregi sono l’ evidenza, la facilità, la dolcezza , e talvolta una certa delicatezza, che sarebbe più cara se meno mitologiche fossero le imagini, e più degni della poesia gli argo- menti. Ma la buona Aglaia profonde a ogni persona e ad ogni cosa le sue lodi, con una generosità veramente modesta. Noi la consigliamo a tentare sopra argomenti morali qual- che cantilena popolare con l’ usata sua spontaneità ed evidenza: chè già abbastanza ell’ha approfittato de’ nomi d’Amore, d’Ime- ne , d’Apollo , e d’ Astrea. K. X. Y. 04 Lettera del cav. professore G. CarmicnANI al sig. avvo- cato Vincenzo SarvacwoLi sull'opera del sig. Niccora. Niccorini : Della Procedura Penale nel regno delle due Sicilie ec. Vol 2. Napoli, dalla stamperia Cri- scuolo , 1828. Pregiatissimo Amico. Voi che de’ vostri primi studi nel dritto, e dello in- gegno, con cui ne sapeste, sebben giovanissimo , afferrare non che tutte le parti lo spirito , lasciaste quì onurevole ricordanza, or non sdegnate , divenuto già valoroso atleta nell'arena forense, volgere un guardo di gratitudine a questa umbratile culla di que’vostri studi; e a me, che frequente ebbi il conversare con voi sopra materie relative alla teo- ria della sicurezza sociale, fornite l’ occasione della lettura d’un’ opera, la quale può dirsene benemerita, chiedendo- mene l’imparziale giudizio mio, Sebben l’opera del Niccolini spetti più alla pratica che alla teoria della scienza della privata, e pubblica si- curezza, e, comecchè scritta più specialmente per illustrare il napoletano processo attualmente in vigore, assuma ca- rattere d’opera di circostanza, pure e i pregi, che la di- stinguono, e la particolar tempra dell’ingegno dello scrit- tore le debbono meritare un posto distinto tra le opere italiane di questo genere , siccome il dritto di fornire un modello di comentario ai bandì penali quale la culta età nostra, e gli avanzamenti dell’umano spirito lo desiderano, La storia del rito penale nel regno di Napoli, dalla prammatica del 1738 sino ai più recenti regolamenti del 1824, esposta dall'A. nella introduzione alla opera non può avere interesse per un lettore non napoletano, ma è però in essa da segnalarsi lo spirito, con cui ella è scritta, Se la moderna scuola storica , nella sua avversione ai nuovi codici, prescinde dall’interna amministrazione dello stato, e dalle penali materie, l’A. mostra come in ogni legislati- va riforma non è lecito improvisare come in poesia, e che 65 la utilità pratica delle leggi novelle non può conseguirsi se elle non sieno per così dire la più perfetta figliolanza delle antiche, nel che, salva la differenza della materia, egli si mostra inclinato a seguire il criterio della scuola storica, e quindi non avverso al romano diritto, venuto al dì d’oggi a schifo a tanti Licurghi da trivio : il qual sistema se fa cencepire dell'A. la idea d’un’uomo, il quale ebbe maturo , e lungo uso di foro, non lo mostra però alieno dai lumi filosofici dell’età nostra : perocchè, dando conto d’ un completo codice di leggi, col quale le pub- bliche, e le private cose furono nel regno napoletano com- poste, mostra come una legislazione, destinata a sodisfare ai bisogni, e a promuovere la civiltà d’un popolo, non può ottener questo scopo se essa sia la rassettatura parziale d’alcuna delle antiche anzichè formare un tutto ordinato, e completo. Declinando dal sistema del Bentham , la legislazione di giustizia del regno di Napoli fa precedere il diritto ci- vile al penale. L’A. molto sensatamente osserva, niente es- sere di trascurabile nella legge, fino al modo, col quale s’inti- tola, ed insiste sulla necessità di ben determinare il va- rio significato, che le parole assumono, muovendo dalle lor più remote origini finchè non sien giunte al lor più moderno uso, e di ben costituire le definizioni, che egli crede essere state nel sistema de’romani giureconsulti al- trettante regole di dritto, Quindi la parte quarta del co- dice generale, che leggi della procedura ne’ giudizi penali s'intitola, fornisce all’A. il mezzo di dare non che il giu- ridico , e storico , anco l’ ideologico significato di queste voci diverse. La procedura voce ignota alla Crusca (e a vero dire il processo sembra esser piuttosto il risultato della procedura, sebben, come l’A. osserva, il divino Alighieri ab- bia più volte spesa quella parola come sinonima di que- sta) significavasi a Napoli anticamente colla voce rito, di religiosa origine come sanzione , supplizio, donde l’ altra voce formula, quasi imagine, forma della religione, dichia- rata permanente e solenne per venerare la divinità. Il rito è necessario a tenere in certi confini l’arbitrio del giudi- T. XXXIV. Aprile. 9 66 ce, del che mosso da’suoi bisogni oratorii sdegnavasi Cice- rone, e su di che molte questioni i moderni agitarono. La parola giudizio dà campo all’ A. di svolgerne, ed indicarne i vari significati, se non che era forse desidera- bile, che egli ne fissasse bene il valore nel suo contrap- posto alla parola processo , teoricamente, e praticamente esaminando la cosa. La parola crimen, secondo lui, deri- va da cerno o secerno, voci di analisi, quasi indichi la più rilevante, e difficil ricerca , che occupar possa la mente d’un giudice : dopodichè l’ A. scende a indicare le parti, le quali, avanti al giudice, hanno interesse nella procedu- ra, non sembrandoci però , che egli abbia esaurita questa ricerca nel bisogno de’ due processi accusatorio , e inqui-. sitorio, e delle lor varie misture, forse perchè preoccupato dal sistema prescelto dalla legge, ch'egli ha preso a illu- strare. Dilatasi l’opera a più libero campo allorchè impren- de a svolgere i generali principii del soggetto , che ha tol- to a illustrare. La prima parte de’ generali principii rag- girasi nel rintracciar nella pena, e nel suo più vero significato il titolo, e la misura del delitto, che ella è de- stinata a segnalare e reprimere, quasi come pernio, su cui dee la giurisdizione penale esercitare l’uffizio proprio : on- de per connetter la pena, e la sua indole coll’ officio del giudice presceglie l’A. tra le varie, e moltiplici etimologie di questa parola quella, che fa esprimerle la idea di pe- so, dal che prende motivo di determinare la relativa gra- vità del delitto considerato non tanto per il suo titolo quanto per il suo grado possibile o nelle relazioni della intenzione, o in quelle della esecuzione, facendosi strada così a stabilire le prime basi della competenza de’ diversi dicasteri penali, che debbono proferirne giudizio, sul qual proposito osserva come la distinzione de’tre gradi d’impw- tazione criminale, o esemplare, correzionale, e di semplice polizia non è un ritrovato oltramontano ma fu già conce. pita dal Vico, e dal Genovesi : distinzione però poco pra- ticabile come ragione di competenza per ciò che concer- ne il criminale , e il correzionale ; onde il codice napole- 67 tano l’ ha saviamente abbandonata, adottando la sola di- stinzione tra la competenza criminale, e quella di sempli- ce polizia. Non senza lode di novità l'Autore propone quasi una storia ideale di tutti gli ordigni, i quali fanno capo al criminale giudizio, e questa storia ideale nel suo sistema altro non è se non la serie progressiva, e il concatena- mento delle idee, che fecero nascere la nomenclatura. La seconda parte de’generali principii svolge, anco meglio che non la prima, questo sistema scientifico. Questa parte se- conda è destinata a dare la teoria della giurisdizione, 0g- getto di cotanta difficoltà ad essere ben concepito. Consi- derandola nun tanto nella sua entità teorica quanto nel suo esercizio pratico, l’A., fedele allievo della scuola del Vico, cerca nelle voci, e nella loro più vera etimologia i materiali storici onde fabbricare il suo nuovo ed fizio, rin- tracciando lo sviluppo della giurisdizione ne’ tre grandi ordigni della umana perfettibilità la mente, la parola, }a mano. Nelle operazioni della mente tutte le voci destinate ad esprimerle conducono alla parola notio, primo elemento della giurisdizione ( non venendo dall’ A. valutato l’ altro elemento vocatio forse perchè d’indole più politica che ra- zionale): la parola conduce al fari, pronunzia solenne ; e la esecuzione espressa dalla parola mano trovasi in tutte le solenni formole del dritto, mancipium, manumissio, mi- nistrare ec. [n questa ricerca ideologica, la quale procede colla scorta delle etimologie, l’ufficio della mente contempla il dritto, jus derivato da Jous antico nome di Giove, quasi niuna umana regola di condotta possa prescindere dalla sanzione divina : l’ufficio della parola dà corpo alla idea astratta dell’ordine nella voce /egge, da Zegere quasi otti- ma scelta, e quel della mano esprime la estrinseca, e ob- bligatoria forza della legge medesima, manus /egis. Agl’indicati due gradi di giurisdizione, ai quali l’ in- eremento ideologico degli ordigni della perfettibilità uma- na perviene, si aggiunge il terzo nelle ragioni, e nelle voci. di forza, che è necessaria a fare eseguire la legge, donde 608 le parole autorità , arbitrio, sanzione, potestà pubbliche. Il quarto grado della giurisdizione, nella sna storia idea- le, nasce dalla delegazione dell’ autorità pubblica a’ suoi mandatari, e ufficiali, donde la parola di competenza quasi attribuzione di delegato comando; di wffizio quasi perfe- zione dell’effetto, che la legge nella sua esecuzione desi- dera; di carica quasi sufficiente forza ne’ delegatarj a so- stenere il peso delle delegate funzioni onde in seco- li d’ignoranza i grossolani nomi di daiuli, bastazzi, fac- chini. Il quinto grado della giurisdizione sorge nella idea d’un potere, di cui è per dono di natura ricco chi lo pos- siede, ditio, colla facoltà di fare ad esso obbedire le forze private, imperium, emblema del quale furono appresso ai Romani il fascio, e la scure : sapienza armata , la quale la greca mitologia simboleggiò in Pallade, che tutta aspra di ferro scaturisce dalla testa di Giove. Dall’ eminente dominio, ditio, sorge ìl sesto grado della giurisdizione, il quale di questa precisa parola s'intitola ; ove è da notarsi che l'A. accingendusi a spiegare le parole nozione, giuri- sdizione , imperio mero , e misto adotta un sistema affatto diverso da quello, che nell’assegnare il significato storico, o razionale di queste parole del dritto praticarono il /Voodt, l Averani, l’ Eineccio, l’Equin, il Goveano, il Barclay, e tanti altri illustri eruditi , nuovo altronde, e non senza interesse essendo quanto l’ A. in proposito di queste voci, con non comune sagacità , va filologicamente , e critica- mente congetturando, Il settimo, ed ultimo grado della giu- risdizione nel sistema dell’ A. finisce nelle modificazioni , che l’ autorità sovrana nelle sue delegazioni diverse nel perimetro d’uno stato, partendo dal re, subisce nella ge- rarchia de’'funzionari pubblici destinati a far valere la giu- stizia, e la forza. Volle l'A. mostrare in un’appendice come la storia ideale della giurisdizione, esposta, e certamente prima d’ogni altro tentata da lui, riceveva quasi la propria con- ferma dai fatti, che egli in questo punto di vista intese desumere dal romano diritto. In quest’appendice l'A. corre spesso per una strada parallela a quella, che ha la scuola 69 storica modernamente aperta, e si mostra degno rivale delle dotte fatiche di quella scuola. Sulla non fallace scorta del Gibbon, venuto al dì d’oggi a nausea a certa classe di politici idealisti, egli espone la gerarchia de’ma- gistrati romani, e le diverse combinazioni della forza colla giustizia, che. nelle loro diverse attribuzioni si scorgono. Facile è a concepire, che la forza, come impeto di volon- tà, abbia create le prime politiche istituzioni, mentre la giustizia, come calcolo d’ intelletto, sia stata in principio unita al militare comando, nè abbia assunta attribuzione propria , e distinta se non dopo lungo volger di tempo, lo che l’ A, riferisce all’epoca di Costantino. La giustizia come legge nel concetto del sovrano, e come applicazione nelle decisioni de’ magistrati, ondeggiò sempre tra que.ti due estremi assai distanti tra loro. L’A. tenta di determi- nare il vero momento dell’ autorità , che i Romani giure- consulti acquistarono, ma le sue ricerche restano in quel problematico stato, dal quale recenti programmi accade- mici in Germania, e ne’ Paesi Bassi hanno tentato di trar- le. Sulle classiche tracce del Gotofredo egli mostra i cam biamenti, che l’amministrazione interna, specialmente ri. volta alla repressione de’delitti, subì nel passaggio del ro- mano governo della repubblica all’assoluta monarchia sotto Augusto, e i successivi imperatori : discute i vantaggi, e gli abusi del dritto pretorio, mostrando cone Adriano sentì la necessità di collocarlo sopra basi più definite, e più certe di quelle, che innanzi avesse; e come Giustiniano, mentre aspirava al doppio vanto di legislatore, e di giu- reconsulto, intendesse di aver definita una linea incancel- labile di separazione tra la legislazione, e la giurisprudenza: soverchiando prima col dire, che al solo augusto potere spetta fabbricare, ed interpetrare le leggi, e condiscenden- do poi a additare gli oggetti, ai quali poteva la nuova giurisprudenza applicarsi; — e l'A. si mostra benemerito di queste difficili storiche indagini quanto la imperfezione dei mezzi, che si hanno per meglio chiarirle, Jo può permettere. Non giova discorrere della parte tecnica, della giuri . sdizione nel modo, col quale ella governativamente svi- 70 luppasi nel suo pratico esercizio, onde sodisfare ai bisogni della società, pe’quali fu istituita. Tali cose, sebbene dal- l'A. accuratissimamente, ed anco originalmente discorse , rammentano operazioni giudiciali , ed oggetti ormai a tutti notissimi. Di maggiore interesse sarebbe per un leggitore filosofo il tener dietro a quanto l'A. con faticosa erudi- zione racconta della origine, delle vicende, e dell’ultimo stato dell’amministrazione della giusizia nelle due Sicilie di quà, e di là dal Faro, da’più remoti periodi della mo- derna storia fino ai dì nostri, la qual narrazione altronde, comecchè di più speciale interesse degli abitatori di quei due regni, recentemente in un sol riuniti, non può essere in ogni suo ragguaglio seguita da me, giovandomi di toc- care que’soli punti, i guali sembranmi d'un più grande, e generale interesse. Nel secolo XIII, allorchè tutto era ignoranza e disor- dine per tutta Europa, i Siciliani sovrani concepivano la giurisdizione come uno degli elementi del potere esecu- tivo del principe, e concepivano la gran massima legisla- tiva della umana civiltà, la qual vuole, che le leggi an- tiche cedano il posto a quelle che i nuovi bisogni de’ mo- derni tempi reclamano. Le costituzioni del re Federigo furono apimate da questi due grandi principii, e sotto l’amministrazione oculata, ed energica di questo principe l'anarchia de’ baroni feudali dovette piegarsi a leggi fatte per sudditi-cittadini. Le abusive giurisdizioni ecclesiastiche nelle materie di competenza del mero, e misto impero fu- rono severamente bandite, e l’abolizione degli esperimenti giudiciali per l’acqua, e per il fuoco fa il preludio di quella della tortura, nel che, come nell’aborrimento d’ogni atroce genere di umano supplizio, la terra classica fu la prima a dar l’ esempio della umanità, e della giustizia agli altri paesi. Le costituzioni Federiciane subiron la sorte di tutte le leggi, quando in tempi faziosi 1’ amministrazione pub- blica non può vegliarne la osservanza, nè gl’interpetri di quella età poco contribuirono ad alterarle. Andrea d’Iser- nia, uno di quegl’interpetri, dandosi il titolo di morarcha 71 juris, et legum evangelista, erigevasi in Leviathan nelle le- gislative materie. Il disordine dell’ età fece nascere il di- spotismo delle magistrature, le quali pretesero di attingere nel gius romano la privativa pertinenza ad esse del mero, e del misto impero. Si fece nelle due Sicilie una gran farragine di giurisdizioni speciali, le quali fecero sparire la semplicità del principio della Jor primitiva delegazione dal priucipe, e l’ arbitrio de’ giudicanti imperversò a di- smissura , finchè nel 1774 il re FerpINANDO non vi pose un limite. Le due savie amministrazioni di Carro III. e di Ferpinanpo riordinarono la gerarchia giurisdizionale , e le circolari de’ vicerè Caracciolo, e Caramanico spira- rono quella filosofia delle leggi, che avean quasi natura- lizzata in Napoli il Giannone, il Vico, il Capasso, l’Ar- gento, il De Gennaro, il Cirillo, il Briganti, il Genovesi, il Galliani , e tanti altri illustri scrittori di quel paese , onde prima che il Beccaria sorgesse cogl’ immortali suoi scritti in Milano contro la tortura, e contro la pena di morte, il primo di questi flagelli in Napoli non era più, e il secondo vi appariva rarissimo. L’A. partendo nel descriver la storia , e le vicende della giurisdizione, come forza guidata dalla giustizia, e diretta a proteggere e promuovere la umana sociabilità, dalle sue ideologiche origini, quali posson raccogliersi dalle antiche voci italiane referibili alle leggi, od al diritto, e giungendo per vasta o lunghissima serie di cambiamenti legislativi fino ai regolamenti di amministrazione pubblica, modernamente ordinati nel regno delle due Sicilie , ha per- corso un difficile, e laborioso canimino , ed ha presentato un quadro di nuova, dotta , ed ingegnosa composizione. Una mano, che con tanta maestria delineò l’ origine, e le rivoluzioni della giurisdizione nelle combinazioni di- verse, che per lo stato de’ popoli, per i sistemi de’legi- slatori, e per la influenza delle circostanze i suoi elementi costitutivi soffersero, avea ben dritto di farsi, in prefe- renza d’ogni altra, illustratrice, e comentatrice delle vi- genti leggi della sua patria. Le idee , che l’A. espone sulla polizia, e sulle sue relazioni coll’ amministrazione propria» 72 mente detta da un lato, e colla giustizia dall’ altro, an- nunziano una mente abituata ad ogni maniera di ricerca politica, e le sue indagini sulle attribuzioni, e. sulla di- stinzione della forza destinata a mantenere l’interno ordine della città, siccome sui diversi provvedimenti diretti ad as- sicurare il regno della giustizia civile, e penale, riuniscono il doppio pregio di razionali concetti della scienza legisla- tiva, e di conclusioni pratiche di forense giurisprudenza, La legge a Napoli divide la giustizia penale nella pro- porzione de’ tre cogniti gradi d’intensità della imputazione delittuosa , criminaie cioè , correzionale , e di semplice po- lizia, o come VA. la chiama ammonitiva. Questo cambia- mento di nomenclatura deriva dall’ essere stata sentita a Napoli la impossibilità di disgiungere , come sopra fu già avvertito, onde formare due competenze distinte, la impn- tazione correzionale dalla criminale, mentre quella è sem- pre una degradazione di questa nel medesimo titolo di de- litto, perlochè le leggi di quel paese hanno in ciò corretto un grande errore delle francesi, errore che ne ha prodotti gravissimi nella competenza de? tribunali. Lo stabilimento d’ una corte suprema dello stato nel duplice scopo e che essa sia il più alto anello della catena serarchica de’ tribunali, e che ella provveda alle rettifica» zioni de’ giudicati, non nell’interesse de’ giustiziabili, ma in quello sol della legge, e quindi oltre le linee della ordi- naria giurisdizione, è nel rigor de’ principii, e per quanto la storia ne dice un problema non facile a sciogliersi. L'A. sulle tracce dell’ insigne Henrion de Pansey, delinea la storia di stabilimento sì fatto in Francia da S. Luigi fino all’ ultimo governo imperiale , e mostra come gli elementi della cassazione furono a Napoli modificati nella istituzione delle due corti supreme di quà e di là dal Faro, ove a gloria del proprio paese osserva, che mentre in Francia le censure, e le revisioni erano di competenza del re , e del suo consiglio, nel regno delle due Sicilie, per opera di Carto e «li FerpINANDO, i principii tracciati da Giustiniano, onde dividere la interpretazione legislativa dalla forense, erano stati posti in pratica , e tali attribuzioni conferite 73 a un corpo giudiciario superiore a tutti gli altri. Degno però dell’ attenzione de’ magistrati, e de’ giureconsulti jè quanto a questo luogo dottamente, e giudiziosamente l’A. discorre sul bisogno, che le leggi hanno d’essere interpre- tate e sul modo il più filosofico, il più culto, e nel tempo stesso agl’interessi privati più utile, con cui ne dee la interpretazione esser posta. Io vi ho condotto, egregio amico, quasi per mano, e forse non senza taccia di pedanteria fino a quel luogo dell’ opera ove 1’ A. imprende a delineare le attribuzioni delle diverse cariche giudiciarie, le quali hanno nel na- poletano sistema l’ uffizio di vegliare alla retta, e giu:ta applicazione delle leggi penali , rivolgendosi il resto del. l’opera pubblicata fin quì a dare uno sviluppo maggiore ai principii generali di competenza, che l'A. avea già esposti. Due soli oggetti in questa estrema parte della mia let- tera saranno considerati da me come quelli , i quali pos- sono essere d’un grande interesse per i retti principii della privata , e pubblica sicurezza : l’uffizio cioè del Presiden- te, come giudice di più distinta prerogativa tra i giudici, e l’ufficio del ministero pubblico ne’ metodi giudiciari pe- nali. Voi non ignorate, che in Inghilterra, le cui istituzioni giudiciarie sono state modernamente dedotte in non poco discredito dal Bentham, le leggi danno pochissima latitudine all’uffizio del Presidente, e rigettano quello del ministero pubblico. Se è vero, che l’ A. abbia coperta la carica di Procurator generale, non dee recar meraviglia come egli parlando di que’due uffizi gli prenda, e gli descriva quali pur sono, e tenti, quanto al secondo, le sole sue storiche ori- gini, senza discutere razionalmente il grado d’ influenza , che esercitar possono nella retta amministrazione della pe- nale giustizia : se pel sistema giudiciario siano, come pel planetario, due corpi, che muovonsi in forza di leggi co- stanti, e invariabili insieme con gli altri, o sian due co- mete, le quali, obbedendo ad anomale leggi, annunzino una economia segreta, un’ occulto principio , il qual non crede abbastanza perfetto quel delle leggi costanti, e in- T. XXXIV. Aprile. 10 74 variabili della giustizia. Certo è , che questa ricerca, non ostanti le ultime cose del Globig, e del Meyer , che l’A. non sembra aver conosciute, aspetta sempre uno scritto- re, il quale la deduca da’ suoi veri principii, e la guidi all’ altezza, che il suo soggetto occupa nelle materie di pubblico dritto. Il poco , ch’io vi ho detto, egregio amico, sulla opera del Niccolini, dee avervi persuaso, come ha pur persuaso me la lettura, che a voi solo, ed alla vostra gentilezza ne debbo!, che ella esce dalla comune degli scritti, i quali tutto dì produconsi alla pubblica luce nelle materie, che in essa si trattano . Io non dirò, che dopo aver letto il Bonfini, il Rainaldo , il Fenzonio , e gli altri pratici co- mentatori degli statuti , e de’ Bandi , il cuore si apre la mente sembra ingrandirsi nel leggere il comentario del i: Niccolini : perocchè tal lode troppo sotto al suo merito rimarrebbe. Ma s’io dovessi in poche linee darvene l’ im- parziale giudizio mio, lo che non a titolo d’arroganza , mao solo per condiscendere alle gentili vostre richieste fò, potrei dirvi, che il Niccolini, versatissimo come egli è nelle lettere amene , ha fatto ciò che prima di Ilni niuno ha saputo fare fin quì tra i moderni, innestar cioè i più belli e squisiti fiori della latina, e della volgare letteratura sul vecchio , e spesso orrido tronco della giurisprudenza fo- rense : nè ciò egli fece per modo di digressione, nocèvole sempre nelle opere di scopo scientifico, siccome in ogni fo- rense lavoro , ma lo fece traendo sempre dai classici o la- tini o toscani, e specialmente dal nostro grande Alighieri, nuovi, ed ingegnosi argomenti onde avvalorare l’ originale assunto intrapreso da lui della storia ideale della giurisdi- zione , col chè, divoto discepolo al Vico, ha mostrato co- me non sempre al finir d’ un insigne maestro la gloria d’ una scuola è finita, 75 Del nuovo romanzo La Monaca pr Monza storia del secolo XVII Lettere ad un Amico di campagna. a1 Marzo. Ieri sera finalmente ho ricevuto di Pisa il primo volume del romanzo del nostro Rosini; domani riceverò , spero, il secondo, e fra altri due giorni il terzo. Così , qualche momento innanzi che il romanzo sia sotto gli occhi del pubblico, avrò potuto so- disfare la mia impaziente curiosità . Rintanato, come ti sei, in codesti asili delle capre, tu non potrai sodisfar la tua che un poco tardi , e intanto , lo veggo bene, te ne struggerai. Per com- passione del tuo caso ( ed anche per accrescere la mia sodisfa- zione dividendola teco ) m’ affretto a renderti conto di quel che ho già letto , e te lo renderò al più presto di quello che leggerò. « Non pochi fra i moltissimi lettori de’ Promessi Sposi , non che qualche critico solenne , dice 1’ introduzion del romanzo , han mostrato desiderio di saper più oltre e di Geltrude e dell’a- mante suo e del padre; come l’una fu condotta al ravvedimento, come gli altri furono puniti, ec.; e ciò è quanto di narrar si pro- pone lo scrittore della storia seguente , al quale per caso venne alle mani un manoscritto del secolo 17.° che diffusamente lo nar- .ra. 3 — Bada però: decipit frons prima multos: te ne avvisa l’epi- grafe di quest’introduzione. Io ti ho sentito parlare, quand’ eri qui, di Telemaco e d’Odissea, figurandoti che la Monaca di Monza sarebbe ai Promessi Sposi ciò che il romanzo francese è al poe- ma greco. Ora per que’ pochi versi dell’ introduzione, che ti ho trascritti abbreviandoli , potresti credere d’ aver veramente colto nel segno. T° avvedrai presto d° esserne andato un po’ lungi , il che peraltro non ti farà malcontento del nuovo romanzo. Questo primo volume , che ne ho fra le mani, componsi d’ otto lunghi capitoli, ciascuno colla sua epigrafe allusiva al contenuto , com’ oggi s usa quasi generalmente ; e il suo titolo, non estraneo al contenuto, ma che lo sembra talvolta all’argo- mento del romanzo, com’ è vezzo speciale d’ alcuni scrittori. — Ciò si ripeterà, già s'intende, negli altri volumi che seguiranno. Il primo capitolo (Pericolo imminente) è alla maniera delle prime scene delle tragedie greche : ci trasporta nel mezzo delle cose. Tre ore dopo che gli sgherri di Rodrigo han rapita di Monza la povera Lucia, ecco Agnese , che 1° ha incontrata sulla strada di Bergamo , giugnere al convento che le fu asilo sì mal sicuro. 76 La desolazione della madre infelice, la commozione e la perples- sità delle monache , l’aria severa e indagatrice della superiora , che pensa al disparimento improvviso della conversa , il dispetto e la dissimulazione di Geltrude, sono un quadro d° eccellente disegno. Alfine Agnese se ne va con Dio, e Geltrude si ritira alle proprie stanze , per aspettarvi 1° ora de’ notturni colloqui coll’a- mante. — Quest’amante , di nome Egidio, è un nobil giovane di Bergamo , bello, focoso , ingegnoso ec., che studiò assai presto nell’ opere d’ Ovidio il codice della seduzione, onde s° intende come prima di sedur Geltrude « avesse già fatte molte prove su quelle vittime volgari, che assuefanno i potenti a mettere tutte le cose del mondo a tariffa »; e bevve più tardi alle lezioni d’uno de’ discepoli di Girolamo Zanchio le dottrine de’ novatori, per le quali non si comprende bene come 1’ Innominato , con cui strinse amicizia ; ( concepisse speranza ch’ ei gli sarebbe molto utile ne’ suoi disegni. » Forse 1’ Innominato , che non era sicu- ramente un gran ribaldo per effetto delle dottrine de’ novatori, pensò che il giovane un dì o 1’ altro avrebbe de’ guai con 1° in- quisizione , che ricorrerebbe a lui per iscamparne , e che da quel punto sarebbe un docile strumento nelle sue mani, il che difatti avvenne. Egidio, fuggito col suo aiuto da Bergamo, stette qual- che tempo a Mantova, poi venne a Milano, ove trovavansi molti de’ novatori , benchè nascosti e prudenti , e alfine a Monza, ove s’ accese di Geltrude il dì ch’ella pronunziò i suoi voti solenni , voti ch’ ei le disse esser nulli, poichè estorti dall’ autorità pa- terna, e le promise che tali sarebbero dichiarati dalla suprema autorità della chiesa. — Ivi divideva quasi tutto il suo tempo fra gli studi delle lettere e un amore, che il mistero, la crudel fatalità d’un delitto commesso per salvar l’onore dell’amata, ec., ec. ren- devano ognor più forte.Quando un giorno (mentre appunto Agnese giugneva al convento) ei riceve un viglietto dell’ Innominato, il qual lo avvisa che Federigo, il fratello di Geltrude , gli minac- cia la vita. Poco dopo, il maestro di casa , con un’ altro vi- glietto alla mano, gli annuncia la morte del vecchio Rizio , suo servitore di confidenza, che stava a Milano, e morendo s’era scu- sato « se per isgravio di coscienza avea potuto dispiacere al pa- drone. » Egidio intende troppo come queste parole si leghino coll’ avviso dell’ Innominato , ed è ancor più impaziente di ve- der Geltrude , che questa non possa esserlo di veder lui. — Il colloquio fra i due amanti è vero e drammatico quanto mai possa dirsi; e la conchiusione del colloquio si è di partir insieme la notte seguente pel castello dell’ Innominato. — Geltrude torna 77 lentamente alle proprie stanze, e pensando eom’ ivi si raccolga a prender riposo per l’ultima volta , è compresa da straordinaria commozione. Le parole ch’ella volge alla piccola Madonna, che le pende a capo del letto , e dopo le quali chiude alfin gli oc- chi al sonno, terminano questa scena solitaria in modo degno di qualunque più abile scrittore. — All’indomani Geltrude, dopo aver assistito alle preghiere che si fanno in comune, vuol rima- nersi nella sua solitudine. Ma la campana del convento suona ad agonia, tutte le monache sono in gran movimento, una con- versa viene a dire a Geltrude che la giovane Dorotea brama ve- derla prima di morire. — Dorotea è la vittima d’ un amore tra- dito; fu già tenerissima di Geltrude, in cui s’,immaginò una compagna di dolori e di rassegnazione; poi accorgendosi di cosa. che non volle approfondire divenne seco riservata e fu da lei trascurata. — Geltrude accorre non senza terrore presso la mo- ribonda , mentre le si amministra l’ olio santo, e le più giovani fra le monache assistenti accompagnano il rito con un cantico devoto. Vedendola cogli occhi ormai velati dalla morte, spera di ripartirne inosservata; ma al finire del rito e del cantico, Dorotea chiede di lei per abbracciarla, e abbracciandola le dice piana- mente all’orecchio una parola, che le suonerà lungamente nel cuore, dopo di che rende lo spirito a Dio. — Tutta questa scena è di grande effetto. Il cantico, a dir vero, non serve molto ad accrescerlo , poichè sebben semplice e composto d’ idee tutte analoghe alirito, non ha forse verosimiglianza che basti, come lo avrebbe se si trat- tasse di rito disusato o straniero. L’ autore peraltro ha saputo trarne buon partito per destare in Geltrude sentimenti diversi , e tu. gli darai lode di molta maestria. Mentre Geltrude è presso il letto della moribonda ( cap. 2 Fuga necessaria) Egidio riceve una lettera di Rodrigo (lettera originalissima come vedrai ) che gli annuncia la conversione im- provvisa dell’ Innominato. Indi a poco riceve un biglietto senza firma, ma che comprende tosto esser di Federigo , che lo sfida, e a piè del quale scrive per tutta risposta: « alle ventitre, presso al boschetto di Lambro, con due compagni e la spada. » Indi si dà a riflettere seriamente e coraggiosamente a’ propri casi. Passa a rassegna i diversi stati d’Italia , ove sopravivendo all’avversario può rifugiarsi , e si decide per Firenze, d’onde in caso estremo potrà condursi a Livorno, che ha franchigie e mare sempre a- perto. Manda il maestro di casa a Milano per raccogliervi in fretta gioie e danari; uno de’ suoi bravi che gli noleggi vettura e ca- valcature sino a Casalmaggiore; e il più bravo e fidato di tutti, 78 Anguillotto da Polajola, stato viaggiatore, contrabbandiere , soldato ec. perchè vada ad aspettarlo oltre il Po. Dati infine al- tri ordini per la fuga, e disposte le cose in modo che, se muore in duello , l’onor di Geltrude sia salvo, s’ avvia al boschetto del Lambro ov’ ha la sorte (poichè la sorte è mutabile ) del ven- dicatore di Clarissa contro Lovelaccio. Lasciati allora i due, che l’ accompagnano, a guardia momentanea di que’che accompagna- vano l’avversario , torna pian piano a Monza, ov’è già tornato il maestro di casa con quanto potè raccogliere e una commeda- tizia di cui poi si dirà ; e all’ora stabilita va a prender Geltrude, che stanca di combattere seco stessa già quasi vaneggia — La- sciando ella la propria camera, e volgendo all’intorno un ultimo sguardo , lo ferma sulla piccola Madonna che già si disse, dono prezioso della genitrice. « Un movimento d’affetto , un ritornar sugli anni ch’avea passati nella casa paterna, uno sperar con- fuso nei soccorsi della religione, la spingono a prenderla, a ba- ciarla con una lagrima, e porsela in seno, ec. » — Egidio, fumante ancora del sangue del fratello di lei, trema al suo com- parire , la riveste in fretta di nuovi abiti, gettando i vecchi in luogo appartato, e la strascina al cocchio che 1’ attende a poca distanza. — Tutto questo racconto è pieno di particolarità che lo rendono evidentissimo. Il resto , sino alla fine del capitolo, non riesce meno evidente, ma non oserei dire che riesca in tutto egualmente verisimile. — Geltrude crede andare al castello del- l’Innominato , e sente con sorpresa dar ordine al cocchiere per Cremona. Fa quindi varie interrogazioni , e le risposte che riceve accrescono indicibilmente la sua perplessità. Dopo alcune miglia di viaggio sopraggiungono i bravi lasciati al boschetto del Lambro; Egidio parla con loro in segreto al primo luogo di rinfresco ; li licenzia fidandosi del lor silenzio, e sperando che il parlare di quei dell’ucciso non debba nuocergli , poichè non fu da essi co- nosciuto ; pur dice a Geltrude singhiozzante ch’ è d’ uopo affret- tarsi, e s’ affretta di tanto che sull’ imbrunire è oltre Casal- maggiore alle rive del Po. Indarno però ha fatta così gran corsa: il fiume ingrossato dalle piogge non può varcarsi: convien pas- sare la notte nella casipola del navalestro. — E qui abbiamo una scena che chiamerei deliziosa , se non guardassi che alla fami- gliola del pover uomo, e alle cure ch’ ei si dà per servire alla meglio i suoi ospiti; ma le sofferenze di questi e di Geltrude in ispecie fan veramente soffrire. — All’ indomani , prima che al beggi, s' ode uno scalpitar di cavalli, un chiamar di lontano il navalestro, ec. Egidio comprende quel che può essere, balza il - 79 primo in piedi, si pianta fra 1’ uscio e la fenestrella che dà sul fiume , e dettando al navalestro le risposte ai sopravvenuti ( qui è dove temo che la verosimiglianza non sia perfetta ) cerca. di campare il pericolo. I sopravvenuti passano il Po, Anguillotto fatto avvisare il ripassa, e va ad attendere presso a S. Benedetto di Mantova Egidio e Geltrude che là si avviano. Il terzo capitolo ( Avvenimento misterioso ) comincia colla desolazione della madre, della sposa e de’ figlioletti di Federigo all’annunzio della sua morte. Questa pittura (intramezzata da alcuni periodi alla Bossuet, di cui l’autore si compiace, e in cui poi mi dirai s’ egli riesca sì felicemente come in altri) è vi- va e forte. Più forte è quella del concentramento del padre che da Milano parte subito per Monza “ onde rendere l’ estremo tri- buto a chi aveva occupato vivendo tutto il suo cuore. ,, Egli, che, per indizi avuti dell’ uccisore e della strada da lui presa, ha mandato uomini armati sulle sue orme, è ben lungi dal- l’imaginarsi che sia con lui sua figlia. Quindi appena giunto a Monza si lascia indurre da’ congiunti (essi hanno in ciò un dop- pio fine che l’autore accenna) a cercare presso di lei qualche conforto. Le monache in quel giorno ancor non l’hanno vedu- ta, ma non però nulla sospettano. Va la conversa per avvisarla dell’ arrivo del padre, e trova segni di fuga che non sa come interpretare. La superiora accorsa le impone silenzio, e manda al padre, che aspetta in parlatorio , un biglietto prudente , in cui gli dice che la figlia sua non è in convento, e il resto sa- prà dal cardinal Borromeo. — I fuggitivi intanto, avanzandosi a. gran disagio nel mantovano, s’ incontrano in molti francesi «sbandati (per una rotta avuta pocanzi dalle genti savojarde) e pronti egualmente a manomettere le robe e le persone. Quindi un avvenimento (l’accerimento misterioso del titolo) che non si legge a dir vero nel manoscritto per mancanza d’ alcune. pa- gine ; ma che si congettura da queste parole onde comincia la vigesimanona : sicchè gli sguardi d’ Egidio eran ferocissimi : mor- tificato pareva Anguillotto : non osava Geltrude alzar gli occhi. Quest’ avvenimento , sia o non sia che l’ autore ne tragga in seguito qualche partito , sembra cominciare per Geltrude un’or- ribile serie di disastri. Frattanto ella si ripara con Egidio nella famosa badia, che s'è nominata più sopra, e che 1’ autore non «ei descrive, poichè guai, dice, a chi mettendo in Italia la scena d’un romanzo volesse descriverci ogni luogo degno di descrizio- ne. Ei preferisce far qui una digressioncella semipoetica sopra sè stesso , specie di riposo che si prende , mentre riposano i due 80. fuggitivi, i quali credendosi in sicuro contano rimanere almeno tre giorni. Ma la sera, tornando da un poco di diporto , ritro- vano nella foresteria due cappuccini , che s° alzano al loro. giu- gnere, e l’ uno de’ quali fa un’ involontaria esclamazione. Sono questi (come s'intende da un loro dialogo, che i fuggitivi rac- colgono mettendosi in orecchio all’uscio del proprio quartiere) il celebre padre Cristoforo che va in obbedienza a Rimini, e fra Crespino stato già cercatore a Monza ; il quale ha ricono- sciuto la signora. I fuggitivi, che si veggono in grave ‘pericolo, appena i due serafici sono a dormire , fan sellare i cavalli; e per la strada di Modena s’ avviano a Bologna. L’ esordio del quarto capitolo (Nuovi Pericoli) è veramente inaspettato. Vi si parla in grande stile oratorio del congresso dei triumviri nell’ isoletta del fiume Labinio fra Modena e Bologna, degli orrori che ne seguirono, del nascimento contemporaneo del cristianesimo ec. , memorie le quali, nol nego, poteano presen- tarsi insieme alla mente non inerudita d’ Egidio. Indî si doman- da come i due fuggitivi, nudriti appunto nel eristianesimo, col- l'esempio dell’ Innominato dinanzi ec. ec., possono traversar’ le contrade (essi hanno già passata Modena) ove corse il fiume già detto, e sopportare il peso delle loro colpe? Ma i miseri sono come due ebri che danzano sugli orli del precipizio ec. Però se ne van diritti a Bologna , ove manca poco che al primo entrare non si tradiscano da sè medesimi. — Entrano; come vedrai, il gior= no stesso che deve entrarvi reduce da un viaggio im Germania Ferdinando secondo di Toscana, a cui per cause che 1’ autore accenna si prepara un accoglimento straordinario. Quindi si tro- vano fra un gran concorso di tutti gli ordini della città , com- preso quello famosissimo de’ biricchini , che 1’ autore ici deserive più graficamente degli altri, e dalle cui leggi, dice, nè parmi che dica male, si sarebbe forse potuto trarre qualche buon. docu- mento civile “ come il gran politico atferma d’ averlo tratto da quella ch’ ei chiama repubblica delli zoccoli,,. Quest’ ordine è specialmente raccomandato a ser Liborio bargello , che in abito di funzione se ne viene alla testa de’ suoi aiutanti, ed ha per ogni occorrenza fatta preparar la corda al trave delle carceri del Torrone ; di che 1’ autore non lo biasima, ma loda il Bec- caria e il gran Leopoldo che insegnarono a far senza la corda. Ora , gli aiutanti di ser Liborio vestono pressapoco come i bra- vi, sicchè , al comparir d’ Anguillotto col legno de’fuggitivi, al- cuni di essi gli movono all’ incontro. I fuggitivi impallidiscono , Egidio abbassa gli occhi, Geltrude china la testa, e malgrado 81 la prontezza del cocchiere, che grida signori da Modena, se ven- gono osservati, non vanno certo ad albergo ai Tre Mori. — Que- st’ albergo , che l’autore ci descrive, è già quasi tutto occu- pato ; e i fuggitivi sono fatti salire a un terzo piano. Geltru- de è piena di timori ; Egidio si studia di rassicurarla , ec. Sale intanto l’oste ( /’ oste ch’ era guercio e bolognese ) per prender gli ordini, che sono dati con accorgimento ed eseguiti con di- sinvoltura. Questa piccola scena , che certo non si sarebbe sperata dopo il solenne esordio, ti mette di buon umore. I due fuggitivi in- tanto , se non di buon umore, potrebbero almeno essere abba- stanza tranquilli. Ma un poeta di locanda co’ smoi sonetti, un venditore di storie colla sua bottega ad armacollo, altri importuni di varie specie vengono successivamente a turbarli , e se non è Anguillotto , ch’ entrato co’ bauli mette guardie al pianerottolo della scala , chi sa fin dove la noia procede. — Anguillotto (e qui cominciano scene di mano maestra) aveva altra volta, pas- sando per Bologna , fatta amicizia con uno de’ biricchini più appariscenti , detto il Siboga , divenuto poi uno de’ dignitari della compagnia. Al ritornar co” bauli lo incontra , lo ravvisa , gli dice d’ aspettarlo un istante , e spicciato lo prende a brac- cetto per andar seco a festeggiare un incontro sì felice ov’è mi- gliore la malvagia. Quando a un tratto vede comparire e quindi entrar ne’ Tre Mori una carrozza , che reca sul davanti certo Diego servitore spagnuolo , di cui ha morto il fratello a Milano, e da cui è stato consigliato a cercarsi d’ un altro mondo. Ci sia- mo , egli dice , e bisogna pensare a’ provvedimenti . Pensatili e ordinatili con prontezza mirabile , non volendo per ora tornare all’ albergo , vorrebbe pure far sapere qualcosa al padrone. La fortuna “ ch’ aiuta i pazzi sempre , dice l’ autore , e i birbanti assai volte ;, gli è propizia oltre il desiderio. Essa gli manda innanzi una vecchia conoscenza , un fiorentino un po’ linguac- cinto ma buon figliuolaccio , com’ ha già detto l’ oste ad Egidio proponendoglielo per servitore , insomma un nipote di quel fa- moso Carafulla, ch’ era mezzo profeta , come parmi che dica il Lasca in una sua commedia , e veramente degno di tal paren- tela. Mai nuovo personaggio di romanzo non si è fatto conosce- re a prima giunta da’ lettori come si fa questo nostro nel primo suo dialogo con Anguillotto. Finito il dialogo, amenissimo fra più migliaia di dialoghi, e in cui entra per qualche cosa Gaido Re- ni stato pocanzi padrone di Carafulla , questi se ne va da Egi- dio con una specie di credenziale messagli in mano da Anguil- T. XXXIV. Aprile. II 82 = lotto, e Anguillotto in traccia del Siboga , che frattanto ha presi compagni , e col quale si ferma presso la Zecca, aspettan- do che Diego sbuchi. — Nè Diego tarda molto , ch’ è al servi- zio d’ un agente segreto di Spagna , venuto apposta per abboc- carsi col giovane Ferdinando , e a cui preme di saperne subito l’ arrivo. Ma ecco a un tratto il suo esploratore preso , imbava- gliato e condotto al quartier generale de’ biricchini, ove gli si dichiara in modo che nulla può rispondere, che starà 24 ore. Anguillotto , che frattanto s’ è tenuto in disparte , ritorna al- 1° albergo , trova Carafulla già entrato in funzione, si diverte un poco dell’ ire del padrone di Diego , gli cava in bel modo di bocca se sia per proseguire il suo viaggio in Toscana , e assicu- rato di no va a dormire, per esser ‘pronto dimani di buon ora alla partenza. — All’ indomani altri dialoghi lepidissimi fra lui e il Carafulla, col quale va a far le provviste opportune, nuovo incontro col Siboga , notizie del prigioniero ec. e alfine il buon viaggio dell’ oste col resto del cerimoniale consueto. Carafulla (cap. 5 gli Apennini) va innanzi da mezz’ ora co- me corriere verso Pianoro. Geltrude è in lettiga con una came- riera, Egidio a cavallo presso di lei, e Anguillotto vien dietro a qualche distanza , per non attirare sopra di loro gli occhi della gente. Fatto un miglio , circa , son tutti riuniti, e la vista di Carafulla , col mazzocchio in capo, legato sotto il mento ec. alla foggia di messer Cacciaguida , fa ridere Egidio e per la pri- ma volta anche Geltrude. Carafulla è 1’ eroe della giornata, co- me Anguillotto lo è stato dell’ antecedente. Ei comincia dal far broncire i mulattieri, che per risparmiar le bestie vorrebbero al- loggiare a Loiano , ciò ch’ egli si sforza d’ impedire . La descri zione ch’ ei fa del luogo , cui detesta cordialmente da quando vi alloggiò col Tassoni, gli merita da Egidiv il nome di bravo comico, in proposito di che si viene a sapere ch’ egli ha reci- tato una volta nell’ Assiuolo del Cecchi , ec. Anguillotto volen- do forse provare s’ egli è anche bravo saltatore , gli fa tra l’al- tre una celia, per cui, dopo aver ballato lungo tratto fra la groppa e il collo della mula , è alfin gettato di sella. Così il po- vero Carafulla, non che stanco e affamato , giunge a Loiano coll’ ossa rotte e il capo intronato. Ma indarno si spera ch'egli qui cerchi fermarsi. “ Facendo cuore di rinoceronte ei dà del suo frustone sulla groppa della mula, e il primo passando oltre sem- bra il caprone col campanaccio che guida dietro a sè tutto il gregge. >, — E il paragone , come vedi, è assai bene appropria- to, poichè Egidio e Geltrude qui sono anch’ essi come gregge , 83 si lascian guidare , mandan qualche voce e passan via . Meglio forse pel lor decoro di protagonisti la laconica storia del dì se- guente ‘ proseguirono senz’ accidenti il cammino. ,, Pel piacer nostro però non è male che il primo posto della scena, almen qui nella montagna , sia preso da GCarafulla , pel quale, scom- metto , già provi una singolar simpatia. == La sera del primo giorno egli ha avuto poco onore , in grazia specialmente de’ga- bellieri di Pietramala, cerimoniosissimi e minuziosissimi fra tutti i gabellieri della terra, i quali fecero sembrare un po’ inospito ad Egidio e Geltrude il primo alloggio dell’ ospitalissima Toscana. La sera del secondo, come vedrai, l’ onor suo è più che suffi- cientemente riparato. Mentr’ egli esita un poco a far presagi sul- l’osteria dal Mugnone ov’è forza pernottare, ecco gli si para di- nanzi un tale, per cui la compagnia avrà alloggio non isperato. È il famoso prete Pioppo cappellan di Ghiereto e suo compare, figura da star a pari del nostro amico Don Abondio, e che a _com- penso della poca importanza che ha nel romanzo porta in fronte il suggello della storia. Il buon prete invita tutti alla canonica , ove in questo momento non può seguitarli «( avendo a sbrigare un ammalato » ma dove promette di tornar fra mezz'ora. In cano- nica peraltro non s’ entra senza licenza della Crezia, la fante del pievano ch’è a Firenze. Dopo alcune negoziazioni con madonna, capo d’ opera della diplomazia del Carafulla, 1° affare è conchiuso. Mentre la Crezia (a cui il Carafalla fa un poco il galante) si mette a preparar da cena, prete Pioppo è di ritorno, ed eccitato narra brevemente quanto gli è occorso da che non ha veduto il compare , cioè da cinqu’ anni. Indi 'Carafulla il ricambia colla sua storia contemporanea, e non è così breve. Comincia da quando lasciò qui Sandro scultore o piuttosto fu lasciato da lui che volle andare alle Stinche; poi dice del servir che fece in Lucca il più misero degli ippocratici e il più astuto de’legulei, dal quale in- tese (e li annovera’) i più sottili trovati del mestiere ; poi come passò al servizio del Tassoni che lo condusse a Roma; poi come si acconciò con Guido Reni in Bologna ; poi come lasciatolo fece il cicerone, ec. Questo racconto vivissimo , lepidissimo , uno forse de’ più belli che possan leggersi dopo quelli de’novellieri e de’co- mici fiorentini de’ tempi d’ oro , diverte molto gli ascoltanti che cenano di buon appetito e se ne vanno a letto. — La mattina, prima ch’ Egidio e Geltrude sieno in piedi, Carafulla è a collo- quio segreto col compare , a cui la sera innanzi impedì che pro- ferisse in presenza d’altri il nome di certa persona, ma da cni gli preme pure di saperne qualcosa. Trattasi di monna Ciuta, la Sa moglie sua , che gliene ha fatte delle brutte e da cui egli sembra temerne delle peggiori. Ma mentre, a certa parola del compare, dice « prete non mi mettere questa pulce negli orecchi che torno a Bologna a piedi » Egidio comanda che si parta per Firenze. Ca- rafulla, che non ha ancor veduto Pratolino (meraviglia dell’ arti celebrata dal Tasso e da’principali scrittori di quel tempo) pro- pone che si esca un poco di strada per vederlo , e la sua proposta è accettata. A Pratolino (la cui descrizione , fatta sulle note prese dall’ autore nella sua. prima gioventù , quando la villa era ancora in essere, ci riesce tanto più preziosa ch’è la più compita di quante ne abbiamo) Carafulla seguita a far figura di personaggio principale. Ciò sicuramente non potrebbe giustificarsi co’principii dell’arte, poichè ci fa sempre più indifferenti ai due fuggitivi; ma come ci diverte, poco pensiamo a’ principii dell’arte. Ed eccoci ormai nel campo che 1’ autore predilige (cap. 6 Ministro filosofo ) il campo della storia , che talvolta potrebbe dirsi quello delle felici allusioni. La bella Firenze è vagheggiata e salutata dai poggi co’ noti versi dell’ Ariosto. I due profughi vi entrano con gioia e scendono all’ osteria dell’ Agnolo, ove già alloggiò Montaigne, ove il Carafulla dice aver alloggiato il Tas- soni ec. La giornata dell’ ingresso non può essere per loro che una giornata di riposo. — All’ indomani, prima che s° alzino , Carafulla, dopo essere stato a dare un bacio all’oste delle Ber- tucce, se ne viene in piazza fra i tanti professori minorum gen- tium che già vi hanno piantata cattedra, e gongola dall’allegrezza e spalanca le orecchie « udendo finalmente dalla bocca del po- polo (chè dei dotti non si cura) parlar toscano in toscano. » Passa alle scalere di S. Romolo , ove si mostra la famosa barca de’ Rovinati, invenzion novella di Cecchino del Sere, per la quale ha fatto i versi G. C. Croce. Torna un poco addietro per veder Rosaccio , il più famoso ciarlatano di que’ tempi, che se ne viene a cavallo. Corre quindi ove il suo amico Paolino (il cieco Paolo Baroni , musico , poeta ec. dipinto dal Volterrano sotto l’ effigie d’ Omero, che si dà intagliata a principio del volume) fa ballare i cani, e lo abbraccia con tenerezza. Sopraggiugne intanto un altro amico, Pippo del Castiglioni, che ogni mattina suol dare una rivista in piazza per vedere se ci è da far qualche burla. A lui chiede prima di mona Ciuta, che sempre teme d’ incon- trare, bench’ abbia sentito che sta in campagna, poi di vari amici, fra’ quali il nano Batistone detto il gigante da Cigoli, a cui Pippo ne prepara, dice , una bella , per castigarlo della nuova superbia che gli è entrata adosso da ch’è staffiere di corte. Al= 85 fine va dal Gello ( nipote dell’ autor della Circe ) e principe di tuttii sarti, per condurlo da Egidio che gli darà alcuni ordini. Tutte queste cose , come ti avvedi, sono un po’ agglomerate , ma sono scritte di vena e interessano infinitamente. — Partito il Gello, Egidio vuol recare la sua commendatizia a chi è di- retta, cioè a Tommaso degli Albizzi, da cui per conformità d’opi- nioni ec. spera molto aiuto. Carafulla il conduce al palazzo ove’ egli abita col suo fratello Rinaldo, e passando innanzi alle belle porte che Michelangiolo chiamò del paradiso, alla bella torre che Carlo V avrebbe voluto custodire sotto cristallo, al canto de’Pazzi, a’ Visacci ec. fa lepidamente da cicerone , mentre Egidio si mostra assai ben informato delle cose di Firenze. Al cancello dei palazzo il Carafulla si ferma, ed Egidio salendo le scale ode una voce dapprima indistinta poi sempre più chiara, che ac- compagnata da un liuto canta un’ aria dell’ Euridice del Rinuc- cini, e gli vien dritta al core. Lascia la sua lettera , poichè Tom- maso è in campagna ove starà ancora 15 giorni, torna a casa pen- sieroso, non cerca di Geltrude (il che per ora è un po’ troppo ) e si ritira nella sua stanza. — Viene iatanto l’albergatore a pren- dere i nomi. Egidio si fa chiamare il conte Bianchi di Mantova. I forestieri di distinzione , gli dice quell’ uomo prudente , che non vorrebbe mai aver brighe co’ Signori Otto , soglion tutti, quando arrivano, fare una visita al senator Picchena segretario di stato. Egidio riflette un momento, pargli d’aver veduto questo nome in fronte d’ un Tacito, e manda Carafulla (il qual devi sapere che studiò di latino fin ad Orazio exclusive ) a far ricerca del libro. Carafulla con mezzo doppione alla mano ( chè un libro che porta il nome del segretario di stato non dee valer meno ) corre da’ librai più famosi e non l’hanno. Consigliato da un amico (il qual gli dice all'orecchio che quando il Picchena contava , tutti n’ erano forniti) guarda pe’ muriccioli, lo trova , e il porta a casa per tre giuli. Egidio, dopo pranzo, si fa a percorrerlo , la sera lo ripiglia, e meditandone la dedicatoria a Cosimo secondo, non può non dire a sè stesso « che il Picchena è uno di quegli uomini che la Providenza concede di tanto in tanto ai principi in premio della loro bontà ». — Ma e Geltrude ? tu chiedi, non malcontento sicuramente d’ aver sentito parlar a lungo del Pic- chena o d’altri, ma un po’ meravigliato di non aver ancora avuto notizia di lei. — Oh Geltrude finalmente eccola qui. Ella si è troppo ben accorta d’ un cangiamento d’ umore in Egidio e vor- rebbe delle spiegazioni. Vorrebbe pur sapere ciò ch’ è accaduto il giorno della fuga da Monza ec. ec. Egidio è un po’men che 86 compiacente nelle sue risposte: pur conchiade: domani; dopo aver visitato il ministro, cercherò d’una ‘casa, e là farò, là ti dirò ec. Geltrude per ora s’ accheta, ma non senza sentirsi una leggiera spina nel core. — All’indomani V udienza del ministro (egli abita in Palazzo Vecchio) è appena chiesta che accordata. Il ritratto, che fa l’autore di questo ministre, ti sembrerà molto bello ; il colloquio fra lui ed Egidio bellissimo e ingegnosissimo. Egidio parla con grazia a destrezza mirabile , il Picchena con sa- pienza e abbondanza di cuore, delineando a larghi tratti i de- stini della Toscana dal primo Cosimo in poi, e spiegando i pro- prii principii governativi. Nè quest’ abbondanza, dice l’ autore, che sembra prevedere una critica , deve far meraviglia, poi ch'è comune a quasi tutti i ministri decaduti dal favore, e ordinaris- sima agli autori ( il Picchena pel suo Tacito è del lor numero ) i quali hanno tutti un poco del corvo della favola con chi sa usare con essi il linguaggio della volpe. Sulla fine del colloquio è annunciato il balì Cioli, il vero contrapposto del Picchena , l’ imagine vivente della falsità, come dice l’autore, che di esso pure ci fa il ritratto. Il Picchena congedando Egidio: vorrete ve- der, dice, i nostri scienziati, i nostri artisti, i nostri nomini di lettere e una donna (questo è detto per comodo dell’autore ) che fa l’ornamento di Firenze: dal principe de’nostri scienziati vi con- durrà il mio segretario (il Pandolfini allor chiamato): dagli altri molt’ altri potranno introdurvi ec. — Egidio, come pensi , parte da lui sodisfattissimo. La mattina di poi va dal Pandolfini nella bella casa che conosci di via S. Gallo. Il Pandolfini è assai ri servato sulle cose di governo ; ma sul resto è anch’ egli abbon- dantissimo. Parla prima e teneramente del Galileo, suo maestro, a cui nel 16 ha giovato non poco per farlo tornar salvo da Roma ; poi degli artisti toscani, in proposito de’ quali difende il Vasari dell’ accusa di parzialità; poi della rara donna già lo- data dal Picchena, Barbara degli Albizzi, cognata di Tommaso, quella, la cui voce suona tuttavia al cuore d’ Egidio. Alfine, quand’ Egidio è per licenziarsi : dal Galileo, gli dice, ch’ è ora in campagna , andremo fra una settimana : domenica potrete an- dare dal Tacca, il qual riceve prima di mezzodì gli artisti e i forestieri, e ch'io farò prevenire. — Molti pensieri agitan la mente d’Egidio che torna all’ albergo. Le nuove relazioni, a cui va incontro , gli piacciono, ma lo espongono troppo ad essere discoperto. Non sarebbe prudenza, ei dice , l’andarmene tosto a Livorno o a Pisa o altrove? Qualunque luogo però egli scelga, riflette 1’ autore, la sua condizione sarà sempre difficilissima. E 87 a rendergliela più difficile 5’ aggiugne ciò ch’ egli sente ma ancor non è in grado di confessare a sè stesso, che Geltrude libera non gli par più quella stessa che vedea con tanto mistero fra i vin- coli d’un chiostro. Dal Tacca, il quale abita in borgo Pinti, nel luogo stesso ove abitava Cian Bologna suo maestro (siamo al cap. 7 la Scul- tura ) Egidio impara a conoscese vari artisti, che si succedono gli uni agli altri: Stefano della Bella nel primo fiore della sua giovanezza ; Carlin Dolce ancor più giovane di lui, il Lippi, il Subtermans, il Novelli, il Vanni, il Nigetti, il Gonelli detto il cieco da Gambassi; il Chimenti ec. I due, di cui, pel modo con cui dall’ autore vengono presentati , ci rimane più impressa l’ im- magine , sono il Tacca e Carlin Dolce; ma 1’ uno ha forse un po’ troppo del dottore, l’ altro del ciucherello. La conversazione fra tutti questi signori, promossa spesso da varie opere d'arti o loro o altrui, raccolte intorno al Tacca, è piena di notizie e di buoni giudizii, a cuni si frammischiano talvolta lepidi aneddoti, come quelli che riguardano la ghiottoneria del Chimenti ec. — Dalla sala di conversazione Egidio scende col Tacca alle sottoposte fornaci , avendo al fianco anche il Lippi che conosce il Carafulla , e si addimestica volentieri col suo- nuovo padrone. Fra i loro di- scorsi, che riguardano specialmente ciò che hanno sotto gli oc- chi, viene un figliolino del Tacca a presentare al babbo due pic- coli modelli ; incidente grazioso, che varia la scena, e finisce con un esempio degno d’imitazione.— Indi il Lippi, ch’abita nella Vigna Nuova, si offre di ricondurre Egidio all’albergo, facendogli fare un poco di diporto. Passando innanzi al palazzo che fu di Bart. Scala, gli parla della Sandrina sua figlia amata dal Poliziano, e degna d’es- ser presa a soggetto d’ingegnosi racconti. Facendo la via che divide la porta Pinti da quella di S. Gallo; gli addita fra le ville; di cui sono sparse le colline di Fiesole, quella che porta il nome di Dante, e quella che il Boccaccio ha resa immortale. Entrando in via Larga lo conduce a visitare nella chiesetta che sai il se- polero del piovano Arlotto , e dalla nota iscrizione prende oppor- tunità di favellare del genio scherzevole de’ Fiorentini. Quindi , additatagli la casa, d’onde Bianca Cappello ferì co’ begli occhi il granduca Francesco ; trattenutolo un poco alle soglie del pa- lagio che Michelozzo fabbricò a Cosimo il vecchio e ove rinacque- ro l’arti; mostratagli in S. Lorenzo la cappella di Michelangiolo, sublime e perpetua scuola di gusto a questo popolo, come dice il nostro Zuccagni nella terza carta del suo Atlante, che ricevo in questo punto, lo rimette alla porta deil’Agnolo fra i più dilettevoli (oto) ragionamenti. In essi, non so come, è pronunciato una volta il nome di Barbara, che il Lippi dice semplicemente di conoscere ; « nè Egidio s’avvede che il troppo poco, ch’ei ne dice, è indizio manifesto del troppo più che ne sente. » Geltrnde frattanto (cap. 8 il Gran Linceo) si annoia mor- talmente di star sola. Indi un dialogo non nobilissimo ma vero- similissimo con Egidio, che ritorna, e non si studia punto di coprire la sua noncuranza . Passa un’altra settimana sa il cielo come. Alfin giugne la domenica destinata alla più interessante di tutte le visite, della quale vorrei ch’Egidio fosse un poco più degno. Viene il Pandolfini a prenderlo com’ era stabilito, e pel corso degli Adimari, Mercato nuovo , il Ponte Vecchio , presso cui sono le cose antiche degli Amidei , lo trae in via de’ Bardi, ed indi su per la costa lì accanto al palagio de’ Tempi. Ne scen- dono in questo momento, seguiti da uno staffiere di corte un gio- vane ed un giovanetto, che parlano fra loro con vivacità e a cui tutti dan segno d° affettuosa riverenza. Sono il nuovo granduca giunto da qualche giorno, e il suo minor fratello Leopoldo , che il Pandolfini chiama un portento e di cui narra cose che giusti ficano la sua ammirazione. — « Ma eccoci all’abitazione del si> gnor Galileo.... Sì quest’umile casa contiene l’uom grande, la cui fama non è eontenuta nel mondo, ec. ec. )) Il Galileo è mezzo ma- lato, e lo è per dispiaceri domestici, come accenna il Rinuccini, uscendo dalla sua camera, d’onde sono usciti pocanzi i due principi stati a visitarlo. Questa camera o piuttosto questo sacrario » ciò ch’ essa contiene, l’aspetto del grand’uomo che vi giace ec. tutto è descritto con istorica esattezza. Le parole del grand’uomo sono indovinate eon molta verosimiglianza. — Sentendo ch’ Egidio è mantovano , Galileo comincia dal dirgli graziosamente non so che intorno a Virgilio, che ha familiarissimo, e scende naturalmente al Tasso e all’Ariosto, del quale già vecchio sta leggendo alcune ottave la cinquantesima volta. Un motto sui peripatetici, che inciden- temente gli esce di bocca, è causa d’ una lunga e non timida parentesi sulle noie che costoro gli danno. Indi torna al suo Ario- sto, e per relazione d’idee passa ad Andrea del Sarto, e poi al Cigoli, di cui gli pende una graziosa Madonna a capo del letto. — Nel più bello di questi discorsi entra il principe de’ peripa- tetici toscani Giovanni Nardi , medico di corte , onde si veggono messe a fronte , benchè in due loro troppo disuguali rappresen tanti, la vecchia e la nuova filosofia. Le parole del Galileo e del Nardi, derivate abilmente dalle loro opere, hanno per così dire un colore istorico. Non so quanto sia storica quella lieve 89 ironia con cui il Galileo si esprime. Parmi però che la sola ironia potesse qui farci sentire la superiorità del suo spirito, e sostenere in un conflitto non abbastanza degno di lui la sua dignità. — Partendo dal Galileo, non può parlarsi che del Galileo. Comenti alle sue parole, storia delle sue disgrazie, presagi; pur troppo fondati, di disgrazie future se mai il Picchena gli premore , ecco i discorsi del Pandolfini, promossi dalle interrogazioni d’ Egidio, che al Ponte Vecchio si divide da lui. Dal Ponte Vecchio a quello di S. Trinita ha la parola il Carafulla , e il contrasto non è senza lepore. Allo sbocco di via Maggio vedi il Lippi, che s’accompa- gna con Egidio per visitare al Carmine la cappella di Masaccio, invitandolo a visitar prima il Rosselli suo maestro che abita in quella via. Quì finisce il primo volume, dal cui sunto già t’accorgi che il vero protagonista del romanzo non è Geltrude nè Egidio, ma la cara Firenze che vale troppo più di loro. Io avrei potuto in- dovinarlo dalla dedicatoria ad una gentile straniera, a cui l’ au- tore sembra voler comunicare il trasporto del grande Astigiano per questa terra prediletta, cuna un tempo all’arti che abbellirono e alla filosofia che illuminò tutta Europa. 23 Marzo. Altro volume , il qual comincia da un capitolo, con cni avrebbe dovuto finire l’ antecedente, e contiene oltre di esso al- tri otto capitoli. Il Rosselli (cap. 9 Pittura e Architettura ), che non ha gli agi del Tacca, accoglie Egidio nella sua scuola. Egidio comincia dal domandargli chi sia il migliore fra’suoi allievi, aspettandosi, m’ imagino , un complimento pel Lippi. Ma quel valentuomo ri- sponde francamente chè il Sangiovanni; e dando al Lippi con una mano in sulla spalla gli ricorda che le Muse son donne e gelose, e che o deve rinunciare a loro o rinunciare a’ pennelli. Dopo ciò è ben naturale che il povero Lippi resti un poco silen- zioso, ed Egidio tronchi tosto il discorso degli allievi, cercando di vedere qualche opera del maestro. Questi va a prendere in ca- mera alcuni quadretti, fra i quali due disegni per la galleria, che M. A. Bonarroti il giovane sta inalzando alla memoria dell’avo, e di cui non so sio pussa ancor sperare la descrizione promessaci dal nostro Giordani. Uno dei due disegni rappresenta il gran Michelangiolo che compone in poesia; ciò che pel Lippi è una T. XXXIV. Aprile. 192 90 specie di trionfo. Il Rosselli però non glielo lascia godere intero, dicendogli che, per poter fare insieme il pittore e il poeta, non bisogna esser da meno di quel grande , a cui non crede (ha già parlato d’ altri artisti presenti e passati ) che nessuno per ingegno si avvicini. Il solo , ei prosegue , che gli si potrebbe, sebben da lungi, paragonare, è quel vecchio (Giulio Parigi incontrato da Egidio per le scale) che pocanzi da me si partiva. Quindi un lungo discorso intorno al vecchio illustre, il primo architetto che allor vivesse « ma per l’ infelicità de’ tempi obbligato ad operare nella creta, nel gesso, nel cartone. » Ma voi, dice al- fine il Rosselli interrompendosi, volete andare al Carmine: verrò anch'io con voi. — Cammin facendo entrano a visitare la hella chiesa del Brunellesco, quella che Michelangiolo chiamava la sua sposa , e qui il Rosselli va in gloria. Al Carmine, ove si fa un grande apparecchio di feste, si trovano a prima giunta fra grandi vestigi di eattivo gusto (che sotto il cielo toscano peraltro ebbe corto regno ) nè posson esserne contenti. Ma se ne risto- rano ampiamente nella cappella di Masaccio , ove il Rosselli fi- nisce i suoi ragionamenti di pittura continuati per quasi tutta la via. — Sgraziatamente ei li finisce con una frase che dee fe- rire non poco l’ animo d’ Egidio . Però mi figuro! che , all’ uscir di chiesa, questi lo lasci andar volentieri per la via , che to- sto prende a destra, onde tornar in via Maggio a desinare dal Parigi. Egli intanto se ne vien giù per la piazza col buon Lippi, il qual non fa che parlare della bontà del maestro. Al quadrivio del palagio de’ Rinuccini ( allora de’ Pecori, chè i Ri- nuccini , sento dire, abitavano costì da S. Maria in Campo) in- contrano l’aristotelico Nardi sulla sua mula, e si divertono un poco della sua boria. Alfine salgono insieme le scale dell’ Agnolo, ove Egidio invita il Lippi a pranzo, avvertendolo che troverà la sua sposa un po’ mesta per una bambina morta loro nel viaggio. Il Lippi è un bel giovanotto di 25 anni ( cap. 10 Superbdia punita ) leale, disinvolto , parlatore leggiadro , sicchè piace su- bito a Geltrude, che a lui pure non spiacerebbe « se non avesse l’animo acceso di più alta fiamma. » In sua compagnia , come vedi, il pranzo non può riuscire che lieto. Se Egidio e Geltrude vogliono schivare il discorso delle cose proprie, non hanno che a metter lui su quello delle cose di Firenze, e sono sicnri d’una grata distrazione. Infatti, appena Egidio, sedendosi a tavola , ha detto non so che de’ nostri vini, il Lippi seguita a dire de’vini, de’cibi, delle proporzioni passate e presenti fra le vettovaglie e la popolazione, fra la comune agiatezza e la comune probità ec. ec., ma- | QI terie ch’ei tratta con egual cognizione che piacevolezza. Che se un tal discorso ti sembra per sè stesso un po’serio, non dubitare che il Lippi saprà farne de’ più gai. Una parola pronunziata a caso sopra il Chimenti , pittore anche più goloso che valoroso, gli fa aggiu- gnere qualch’ altro aneddoto ai già raccontati sul conto suo in casa del Tacca, indi altri non meno divertenti sul Sangiovanni e su Pippo del Castiglioni, di cui accenna per ultimo la burla fatta la sera innanzi al Gigante da Cigoli. A questo cenno il Carafulla , che serve a tavola, si fa serio serio , alza la testa come per contare i correnti del palco ec. Egidio lo guarda, gli lancia sorridendo qualche motto in proposito ; gli fa confessare (ciò che già sapeva da Anguillotto, divenuto suo uomo nero) ch’ egli non è straniero alla burla, e desiderandolo anche il Lippi 1’ obbliga a raccontarne per filo e per segno tutte le particolarità. Questo racconto , che fa ridere di continuo anche la melanconica Gel- trude , termina il capitolo con un vero crescendo di piacevolezze (ve ne sono anche delle rimate) e a me pare una delle maggiori delizie del romanzo. Finora, come vedi, siamo stati assai distratti dal soggetto che si annuncia nel titolo. Col capitolo seguente ( Bellezza e Mo= destia ) vi siamo ricondotti; ma in modo che sembra piuttosto annuneiarci lo scioglimento che il nodo d’ un’ azione. « Le pro- messe , la fuga, il delitto medesimo , che legano Egidio a Gel trude , parlano ancora fortemente per lei; ma la voce dell’amore non si fa più sentire che come un eco lontano . » Dopo ciò li stante, in cui Geltrude si sentirà perduta, può essere ancor ritar- dato, ma noi già l’ abbiamo presente poichè lo vediame inevi- tabile. Ella non è già più agli occhi nostri che una vittima, la quale si dibatte indarno contro il proprio destino ; e l’incostante Egidio che un uomo , al cui animo il sagrificarla non può co- stare che de’leggieri combattimenti. S’egli mai ne proverà de’forti, verranno da una nuova passione mal corrisposta, o dalle difficoltà della sua posizione, e l'interesse del romanzo dipenderà principal- mente dall’ ingegno con cui l’ autore saprà distrarci dalla sua fine. — Egidio aspetta con impazienza il giorno in cui Tommaso degli Albizzi sarà di ritorno. Quando va per visitarlo nol trova in casa, ma è ricevuto da Barbara che sta ricamando in una stanza parata di cuoi rabescati, rimpetto a un ritratto del Tass so, fra libri, disegni , strumenti di musica ec. « Ella è una di quelle persone, che di rado s’ incontrano e che vedute una volta non si dimentican più. » Quindi al primo suo aspetto ei rimane muto per meraviglia. Ben presto però trova parole molto fran- 92 L) che, a cui ella risponde in modo da non iscoraggirlo punto a proseguire. Vedendo però, com’ io suppongo ; d’ avergli ispirato anche troppo coraggio , cerca di divertire il discorso, e parla del Picchena, da lei chiamato il mago per la sua credulità nell’astro- logia giudiziaria , e incidentemente di Don Gio. de’ Medici, che si credette ammaliato da Livia Vernazza sua moglie, giovane donna ancor viva ec. Egidio approfitta, come puoi pensarti, di questo discorso, per dare un nuovo assalto di galanteria, chiamaa- dosi. anch'egli ammaliato, accusando la sua ammaliatrice ; ec. ec. Ma vengovo ad interromperlo Tommaso e il fratello, il primo dei quali , dopo i debiti complimenti, seguita a dir del Picchena, indi parla del Cioli, che se non di nome gli è succeduto; di fatto nel ministero , poi dell’attual sistema governativo, poi (in proposito di tolleranza religiosa) d’Antonio degli Albizzi il fonda- tore dell’accademia degli Alterati, e alfine di G. B. Strozzi cieco ottuagenario che la raccoglie in sua casa. — Frattanto Barbara, uscita un istante col marito, rientra , e si pon di nuovo al suo ricamo , che dice di fare pel Lippi amico di casa. Egidio brama d’ esser anch'egli dichiarato tale, e quasi per averne pegno chie- de che Barbara canti sui suo liuto 1’ aria che già sentì dalle sca- le. Ella ne ha prestata la musica , e canta invece un madrigale dello Strozzi , a cui ha fatte le note il Peri. Indi Egidio , che si diffonde in ringraziamenti , è da lei invitato pel sabato prossimo ad una veglia settimanale. Pregheremo il Lippi, aggiunge Tom- maso , guardaudo la cognata che annuisce , a condurvi dallo Strozzi: la casa nostra intanto vi è sempre aperta : ( qui trove- rete (ciò gli dice pianamente conducendolo alla porta ) tutto quello che circostanze spiacevoli , come l’amico mi scrive, pos- sono avervi fatto abbandonare nella vostra patria ». In che stato a’ animo Egidio torni all’ albergo (cap. 12 il Cieco Strozzi) già lo imagini. Ei cerca però d’ occultarlo , par- lando dell’abitazione che ha trovato (nella casa che fu poi detta delle cento finestre dicontro a S. Maria Maggiore) ed ove si tra- sferisce prima di sera. Qui Geltrade , che a stento ha rattenuta per quindici e più giorni la sua impaziente curiosità, vuol subito esser informata di quello che sai. Egidio, volendo in parte so- disfarla , comincia dal parlarle della conversione dell’Innominato. Quand? ella balza in piedi furiosamente, chiamandosi tradita, e dicendo che appunto dopo la sua conversione quell’nomo avrebbe particolarmente potuto loro giovare ee. « Tu conosci male 1° In- nominato, le risponde Egidio con calma: i caratteri veementi , quando cangiano direzione, divengono i più acerrimi persecutori de’ loro partigiani. » Questa riflessione vera e profonda (la quale può esserti saggio d’ altre molte di simil genere che trovansi nel ‘romanzo) non accheta punto Geltrude, che aggiunge alle doglianze i gemiti e il pianto. L’offerta che le fa Egidio d’assegnarle metà di quanto possiede , ed egli andarsene altrove, le porta un colpo mortale: « Ah!... e voleva dire: tu non mi ami più... ma l’ orgoglio la ritenne. » — Alfine Egidio, per calmarla, le parla dello Strozzi, da cui deve andare e da cui molto spera, come da grande amico del papa. Quindi seguita il discorso delle cose passate , occultandole industriosamente con chi ebbe il duello; ed ella pensando al pericolo che ha corso per lei sente risve- gliarsi in core il più tenero affetto. — Viene intanto il Lippi, il qual offre (tacendo chi gliel commise) di condurre Egidio dallo Strozzi il posdomani. Geltrude allora; facendogli varie interro- gazioni su quell’ uomo , è quasi per tradire il proprio segreto ; ed Egidio, volendo riparare alla sua imprudenza, dà motivo a tali parole del Lippi, che sceman di molto le speranze di Gel- trude. — Tutta questa prima parte del capitolo mi sembra scritta con moltissima arte. — Lo Strozzi ( siamo alla seconda , che con- tiene la visita fattagli da Egidio e dal Lippi) abita il bel pa- lazzetto, che sai, fra l’antico palazzo Minerbetti e 1° Uguccioni, nostra prospettiva in estate, quando ce ne stiamo dopo desina- re lì su per le panche del Doney. Il buon vecchio , che ci vede ancora un poco , è al giugnere dei due giovani nella sua biblio- teca ove li riceve. Dopo alcune parole di complimento , fra le quali è pronunziato il nome del Galileo, il Lippi introduce a disegno il discorso dell’Ariosto e del Tasso, che lo Strozzi prosegue volen- tieri poi ch'è uno de’ suoi discursi prediletti. In proposito del secondo de’ due epici ei prende , come forse ti aspetti, la difesa de’ Fiorentini. E da questa difesa, un po’ lunga per vero dire, ma piena d’aneddoti interessanti e in parte ancor nuova, è con- dotto a parlare di sè, il che fa con saggezza e modestia che può servire d’ esempio. Indi viene a parlare d’ altri poeti del tempo ; del Marini, dell’ Adimari, del Salvadori , poi con qual- che minutezza (da perdonarglisi per le ragioni che vedrai) della Sarocchi e del suo poema ; e finalmente del Soldani, uno de’ so- stenitori del più sano gusto.— Usciti dalla sua presenza, Egidio e il Lippi si fermano a guardar le imprese di cui è adorno lo stanzone attiguo , e fra le quali una coperta di velo nero desta particolarmente la curiosità del lombardo. La spiegazione di tale impresa è la storia delle sventure d’Eleonora di Toledo, ascritta all’ accademia degli Alterati, e di cui lo Strozzi fu caldissimo 94 ammiratore. Questa storia, in cui Don Pietro de’ Medici fa win orribile figura, ma il Caccini la fa ancora più orribile, ricon- duce Egidio sino a casa. Com’ egli per le cose udite è alquanto malinconico ( cap. 13 Grazia ed Incanto) Geltrade , che sospetta non le accoglienze fattegli dallo Strozzi sieno disformi ai desiderii , lo interroga con tremore. La sera, vedendolo abbigliarsi con più cura del solito; si sente inquîetissima , benchè sia assai lungi dal prevedere ciò che la minaccia. — Egli giunge assai sollecito alla casa degli Al- bizzi, ove tutto è già pronto pel ricevimento, fuor che quella per cui si è tanto sollecitato. Aspettandola ei si dà a riguardare le ricche suppellettili che lo circondano e che l’autore ci descri- ve. Mentr’egli contempla un bel gruppo d’avotio del Fiammingo, giugne anche il Lippi, meravigliando probabilmente di vedersi da lui preceduto. Alfine , mentre il Lippi si fa a ragionare degli uomini illustri della famiglia , entra Barbara sfolgorante di bel- lezza e di magnificenza , che 1’ autore parimenti ci descrive. Al- cuni versi, posti sotto il gruppo già detto (il qual rappresenta Mercurio che insegna a suonar la lira ad Amore) danno occa- sione ad Egidio di cominciare una conversazione galante, che non sembra molto di gusto del Lippi, e per la quale Barbara ha bisogno di qualche giustificazione. « Dell’amore, ci dice a que- st’uopo l’autor del romanzo; ella non parla che coll’intelletto, e come parlerebbe d’ un libro, d’una musica , d’ un quadro. Il suo sorriso , i suoi sguardi non sono che di pura gentilezza , benchè possano veramente ingannare i più cauti ec. sy Egidio, già troppo invaghito per potere esser cauto, concepisce delle speranze un po’ardite, e s’ingegna di farle comprendere. — Ma ecco lo Strozzi, il quale introduce una conversazione di tutt’altro genere, bene- vola anch’ essa, graziosa, ma non punto adulatoria per Barbara, la qual devi sapere che non è solo brava filarmonica ma anche brava poetessa , e alla quale nondimeno ei consiglia di Hmitarsi a far versi per musica. — Entrano intanto fra varie altre persone il Rinuccini , che già Egidio conosce, e la bella Teresa sua mo- glie, a cui sono fatti molti complimenti. — Indi Barbara pregata canta un nuovo madrigale dello Strozzi, e poi recita una sua canzonetta alla luna, molto lodata da quei che sono in sala, e da quelli che per rispetto si sono fermati in anticamera, cioè una Ginori leggiadra e gentilissima, un altro Strozzi uomo eru- dito, un Capponi giovane de’più colti, il Pandolfini , il Soldani e quasi il fior ai Firenze. Chè fiore veramente son tutti gli amiei di casa degli Albizzi, e stassera non manca se non il Bonarroti É 05 andato a Roma a visitarvi il Doni colà impiegato. E questi amici di casa sembrano anche tutti molto amici tra ‘loro, se n’ eccettui il vecchio Strozzi e Tommaso , fra i quali non pas- sano che poehe parole di civiltà. — Egidio , guardando le tre si- gnore , fa de’ confronti poco vantaggiosi per la povera Geltrude. La Rinuccini lo fa invitare ad un’ accademia di musica in casa di Piero de’ Bardi ove Barbara canterà. Questa lo presenta al Sol- dani qual amatore delle lettere ec. Il Soldani è stato ajo del principe Leopoldo , conosce bene il nuovo granduca, ed è ecci- tato a parlarne, il che egli fa in maniera da accrescere le co- muni speranze. — Come la sera è già molto inoltrata , il vecchio Strozzi , godendo del privilegio dell’ età, prende commiato. Al- lora si mettono i tavolini per le partite. Il Lippi , appassionatis- simo pel giuoco de’ flussi, è il primo a sedervisi, ciò che gli at- tira un dardo satirico del Soldani. Altri si mette a giuocare a primiera , altri ai dadi , altri a giullè. Barbara invita Egidio agli scacchi. Ei le ricorda gentilmente ch’ era il gioco favorito del Tasso, e mescola al gioco mill’ altre cose lusinghiere . Il Lippi lo va occhiando , e Rinaldo, che gioca con lui, ride e appro- fitta delle sue distrazioni. — Nulla di più vero e di più evidente che questo quadretto. — Alfine Egidio, interrotto spesso or dalla Ginori or da Tommaso ; si lascia vincere. Tutti l’ un dopo l’al- tro s’alzano dal gioco, e partono quasi tutti prima di lui. Il Lippi, alzatosi 1’ ultimo , lo accompagna a casa. Due dì appresso (cap. 14 il Contrattempo) Barbara , il co- gnato e il Lippi vanno a far visita a Geltrude . La sorpresa di questa donna, il suo dolore mal celato , i sospetti di Tomma- so ec. sono espressi con verità e non senza riflessioni ingegnose.— Egidio, ch’ è fuor di casa, tornando, incontra Barbara e i suoi due cavalieri per via, e non è troppo lieto di saper d’onde ven- gono. Rientrato vede Geltrude agitatissima , e cerca di calmarla. Ella chiede d’apprendere alcune dell’arti che adornano Barbara; Egidio non erede ciò nè facile nè prudente ec.; dialogo assai | bene ideato, e molto delicatamente condotto. — Viene intanto Carafulla il qual presenta un viglietto di largo sigillo colle palle medicee , che sembrano ad Egidio il teschio di Medusa . È un viglietto del Pandolfini, che a nome del Picchena lo invita ad un pranzo ( per tener compagnia ad un signor mantovano . > Egidio si tiene spacciato e pensa a partir immediatamente di Fi- renze. Ma ove andrò ? come andrò ? .... La notte darà consi- glio. — All’ indomani , appena desto, ei chiama Anguillotto , e comincia dal lanciargli alcune parole intorno a Lucca. Anguil- 96 | lotto, che ha buone ragioni per non desiderar di tornare in quell città, gli fa una pittura del suo governo e de’suoi costumi po- litici quale egli solo potea fargliela. Alfine Egidio gli apre l’ani- mo suo ; quasi dicendogli : cavami d’ angustia. Anguillotto par che sorrida. Vede come in un baleno (previe alcune notizie ) che il signor mantovano debb’essere così mantovano come il suo pa- drone; si assume di chiarirsene, facendo cantare un buon Trivi= giano ch’ è al servizio di quel signore; e il modo che tiene in ciò, impiegandovi anche il nostro Carafulla , è un’altra di quelle cose originali, che Walter-Scott potrebbe invidiare al nostro autore. Il capitolo quindicesimo (Musica e Poesia) comincia da una specie d’inno al genio musicale degl’ Italiani e de’ Toscani spe- cialmente, onde 1’ autore si fa strada a parlare dell’ accademie di casa Bardi, e delle persone che vi si distinguono. Egidio è impaziente d’ assistervi, pensando sopratutto a Barbara. Men- tr’ egli è in questo peusiero , ecco appunto il marito di lei. Gel- trude, al primo vederlo, dice tosto fra sè che il suo matrimonio con Barbara non può essere che un matrimonio di convenien- za , e sente crescere la propria gelosia. Comincia quindi una con- versazione, che mi par sostenuta con molt’arte, e a cui non può forse rimproverarsi che qualche lepidezza di Rinaldo poco con- veniente per una prima visita ad una signora. — Questa non ha potuto negargli ( così Egidio ha voluto) d’andar da lui a pranzo il dì seguente. Alcune particolarità di questo pranzo ( quella p. e. della tazza col chiodo famoso di Piero degli Albizzi ) riescono interessanti . Il contegno de’ commensali, fra cui la Rinuccini col marito, il Lippi, il Soldani, è bene e opportunamente ac- cennato. — Dopo pranzo, essendo uno degli ultimi di carnevale, le donne vanno al corso in maschera e in cocchio. Egidio cogli altri uomini va senza maschera e a piedi ; al ritorno s’ accorge d’ esser seguito da due mascherati; ma non vi porge molta at- tenzione. — A sera inoltrata tutti vanno alla casa de’ Bardi per accademia: Geltrude in un cocchio_colla Rinuccini e i due Al- bizzi ; Egidio con Barbara e il resto della compagnia in un altro. Molte persone son già raccolte nella sala superbamente illumi- nata ec. Non si aspetta che il sig. di Guron inviato di Francia, al quale è destinato il posto d’onore , per dar principio al pas- satempo . Terminata la sinfonia, Barbara canta alcune strofette messe in musica dal giovane Bucchianti, raccomandato di fre- sco a Piero de’ Bardi. Indi il Franciosini fa una sonata di viola e poi di corno , lasciando dubbio in qual riesca più mirabile . | ici Frattanto è annunciato il Galileo , che il Rinuccini è andato a prendere . Allora il Landini, accompagnato da vari strumenti , intuena colla sua chiara e sonora voce il canto dell’Ugolino po- sto in musica dal padre del grand’ uomo; e questo cantu desta molta commozione. — Indi un breve riposo , nel quale il Galileo parla di musica. — Cantano in seguito le due figlie bellissime del Caccini, indi 1’ Archilei romana, prima sola e poi accom- pagnata , indi più altri, ma nessuno tocca i cori come Barha- ra. — A questa si rivolgono molti perchè coroni l’ accademia con ‘qualche suo canto improvviso. Il sig. di Guron, dopo aver dispn- tato un poco sull’improvvisare (qui l’autore non vuol farsi hetfe del solo diplomatico) le dà per tema la civetteria delle donne , ch’ ella accetta, chiedendo un compagno. Piero de’Bardi (credo per bizzarria carnevalesca ) prende allora per mano il Braccioli- ni, pedante ammuffito , e lo tira nel mezzo. Costui canticchia non so quante ottave satiriche (l’autore le ha prese dalla sua Fil- lide civettina ) a ciascuna delle quali Barbara risponde con for- za. Alla fine del canto tutti le sono intorno; Egidio il primo, Galileo l’ultimo. Lasciata dal filosofo ella si fa presso a Geltrude ( Egidio trattanto è assalito dal Nardi, a cui è costretto promet- ‘tere di visitare il suo museo) e le fa molte carezze. Ma la misera, scoraggita, e credendo ancor di sognare, appena le corrisponde. Al tornare dall’ accademia (cap. 16 Gelosia) Egidio e Ri- naldo dicon molte pazzie sul conto del Bracciolini, alle quali mi spiace che Barbara faccia un poco tenore. Geltrude è taciturna, e appena a casa dà in un pianto dirotto. Ella non può rimpro- verar nulla nè a Barbara nè ad Egidio; pur si sente ferita dal- l’uno e dall’altra e passa una notte crudele. Egidio, fra molte rimembranze , fra speranze e timori, la passa anch’ egli molto agitata. — All'indomani Geltrude, appena il vede, gli ricorda di recarsi dallo Strozzi. Ei ne prova qualche impazienza , pur le promette, e senza intenzion d’ingannarla , di fare al più pre- sto ciò ch’ ella desidera. — La sera del sabato seguente ei pro- pone, ma a mezza bocca , di condurla a casa degli Albizzi; ciò ch’ ella ricusa con dolcezza. L’ addio, ch’ ella gli fa quand’esce, è tenerissimo, e dovrebbe penetrare molto addentro al suo cuore, se il suo cuore non fosse troppo prevenuto. — Andando ei di- vora la via; e il povero Carafulla colla lanterna (qui il comi- co mi par che rinforzi il serio) può appena tenergli dietro. Al canto de’ Pazzi incontra uno staffiere di corte, quello stesso (lo dice Carafulla ) che portò il viglietto del Pandolfini; ciò che gli sembra , non sa perchè , di tristo presagio. Entrato infatti T. XXXIV. Aprile. 13 98 in casa degli Albizzi trova Tommaso costernato e Barbara non poco turbata per la notizia allor ricevuta d’ un colpo apopletico sopraggiunto al Piechena. Per questa sera non giuochi, non altri piacevoli trattenimenti, non discorsi d’amore. Ma le parole di pie- tà, ch’Egidio proferisce, i sentimenti, ch’ei manifesta , e che Bar- bara trova sì conformi ai propri, gliel rendono, senza ch’ella se ne avvegga , sempre più accetto. Egli usa in segnito ogni industria per accrescersi questa predilezione. Intanto la gelosia di Geltrude va crescendo e diviene per lei insopportabile. — Giungono le fe- ste del S. Giovanni, che debbono celebrarsi con maggior pompa del solito , essendo la prima volta che il giovane principe rice- verà gli omaggi delle città e terre sottoposte. Geltrude ricusa di prendervi parte ; e accetta a stento d’ assistere da una delle fi- nestre più appartate della piazza di S. Maria Novella al corso de’cocchi. Ma al ritorno è sopraggiunta da Barbara (scena sempli- cissima e bellissima) che la vuol seco a veglia assolutissimamente, sale con lei nella sua abitazione per abbigliarla, ed indi se la conduce a casa. == Geltrude vi è molto corteggiata, ma si an- noia e desidera che cominci la musica. Barbara canta una gra- ziosa canzoncina , ed Egidio 1° accompagna colla viola. La po- vera Geltrude non ne può più , e nel suo dispetto dice ad uno de’ ganimedi che l’importunano una vera villania, di cui la scuso volentieri ma non so come sia applaudita. — Il dì seguente ella. ricusa decisamente d’uscir di casa. Egidio quindi va solo a pranzo dagli Albizzi ov’ è anche il Lippi. A tavola bellissima conversa- zione , in cui per altro il Lippi è posto un poco a cimento . — Dopo pranzo vengono molt’ altre persone , tra le quali la Rinue- cini per vedere la solita corsa de’ cavalli. Egidio si pone ad una finestra fra questa signora e Ja Barbara. Mentre i cavalli passano, cade a Barbara il fazzoletto , ch’ Egidio raccoglie imprimendovi un bacio. La Rinuccini vede in ciò qualche cosa di più che una semplice galanteria . Barbara non vuol vedervi altro e sorride . Egidio , che interpreta il sorriso come il cuore desidera , è fuor di sè per la contentezza. La sera ( cap. 17 ZI Marmi) quand’ egli va a casa, Geltrude è già ritirata. Quand’ esce la mattina dell’ indomani , ella lo è tuttavia. Povera Geltrude! ei non può a meno di dire a sè me- desimo. Ma « le pene di Geltrude gli si presentano al pensiero non come ostacoli da superarsi , ma come differenze da comporsi, di che verrà a capo, spera, colle lusinghe , colla pazienza e coi doni. » E per cominciare da questi, passando innanzi ad un mer- ciaio , che tiene esposti molti vaghi arnesi del mondo muliebife , i È 99 Je compra una cintura trapuntata con varie figurine in rilievo di squisito artificio. Tornato a casa ed entrato nella sua stanza per presentargliela , vede seco un’ altra donna , che, sebben ri- volta colle spalle alla porta d’ ingresso , non so come non sia da lui riconosciuta. È Barbara, che prende tosto dalle sue mani la cintura, ne loda il lavoro, ne spiega il significato , e la stringe a’ fianchi di Geltrude, dicendo frattanto ad Egidio che parte l’in- domani per la campagna e là li aspetta. Egidio turbato vor- rebbe chiederle ragione di questa partenza improvvisa , quand’en- tra Tommaso e la chiede a lui. Ma la risposta , che ne riceve, sebben semplice e chiara, lo lascia in una grande incertezza , come i modi di Barbara, sebben pieni di nobiltà e di candore, lascian Geltrude in una fiera perplessità . — All’ uscire di Bar- bara sopravviene il Lippi, il quale col suo buon umore distrae un poco Geltrude, e non le permette di badar troppo ad Egi- dio. — Questi, dopo aver molto pensato a quella che parte, e imaginato ch’ ella voglia mettere a prova la sua costanza , va cercando fra sè come passar la vita senza di lei. Vedrò spesso, egli dice , la Rinuccini ch’è parte di lei medesima , vedrò molto il Soldani che ha promesso di leggermi le sue satire, vedrò più spesso che non ho fatto lo Strozzi, al quale bisognerà pure che parli dello scioglimento de’voti ec. Se non che l’idea di questa necessità è per lui un'idea funesta, ch’ei cerca sempre d’allontana- re. Quasi ogni giorno Geltrude gliene rammenta, ed ei sempre le replica che ancor non è tempo. — Così passa tutto il luglio e quasi metà dell’ agosto , più male che mai per Egidio , sebbene mn po men male per Geltrude , a cui l’assenza di Barbara è un sollievo. Quando una domenica sera il Lippi invita ambidue al divertimento de’ marmi. Essi vanno , ascoltan passeggiando no- vellette , dialoghi, rispetti ec. Si fermano presso la torre del Guardamorto, ove si aduna una brigata più numerosa dell’altre, e senton recitare nno scherzo poetico (vivacissimo e ingegnosissimo veramente) sull’amor platonico, ossia, per usar la frase del poeta, sull’amor che perde l’ale. Alfine, quando sono per ritirarsi, odono in distanza fragor di ruote, suono di strumenti ec. che annun- cian l’ arrivo d' una cocchiata . Questa infatti si avvicina e si ferma tra S. Giovanni e S. Maria del Fiore. Essa fa dapprima una bella sinfonia, poi suona un coro della Dafne, poi la France- sca da Rimini messa in musica dal Peri. Indi la voce d’un giovinetto (d’un figlio del Peri) intuona un’arietta di tenero addio; e una voce ancor più bella gli risponde con altrettanti versi , esprimendo la gioia del ritorno. — Ma questa , dice il Lippi, è la voce di Bar- 100 bara. — Pare anche a me, risponde Egidio con indicibile agita- zione. — Ella è dunque dappertutto, soggiunge Geltrude con ira, traendosi dietro i due compagni, ec. — Di quest’ avvenimento inaspettato (il primo che le nostre donne troveranno veramente da romanzo ) avremo spiegazione, io m’imagino , nel volume che aspetto. 25 Marzo. Quanti capitoli nel secondo volume, altrettanti nel terzo , che mi dispiace dir l’ ultimo. Si comincia molto lepidamente (cap. 18 gli Scrocchi) con un dialogo fra ’l vinaio di casa Albizzi e un Nencio contadino che ha condotti i barili dalla campagna. In mezzo al dialogo so- praggiunge Egidio per domandar di Barbara. Essa è partita due ore innanzi, e Nencio l’ha incontrata presso Rovezzano. Qui un altro dialogo non meno lepido fra lui ed Egidio , che conosciu- tolo terreno da piantar vigna se lo compera per usarne poi co- me vedrai. — Tornato a casa fra mille incerti pensieri sull’ im- provviso apparimento e disparimento di Barbara , trova il Lippi, venuto in nome di lei a far scuse a Geltrude se non ha potuto trattenersi per salutarla , e a rinnovar gl’ inviti per la campa- gna. Geltrude ringrazia, si lascia sfuggire qualche parola di di- spetto sulle donne letterate, della cui compagnia non si stima degna , poi risoluta di dissimulare cangia discorso. —In un giorno indicato il contadino è di nuovo in città. Egidio gli con- segna , con ordine di presentarlo a Barbara in segreto, un terzo volume allor pubblicato delle rime del Tasso, ov’è scritto in fi ne , come cosa che si attribuisce al poeta, un madrigale allu- sivo al fazzoletto. Egli non dubita che una dichiarazione sì aperta non debba essere intesa. Ma come Nencio al tornare non gli dà indizio di nulla, si risolve d’ andar egli medesimo a trovar Barbara la domenica seguente. — Il contadino Io aspetta , come son convenuti , al pont’a Sieve. Mentre è ivi a discorso con lui, passano altri contadini che lo motteggiano , e anche questa sce- netta è lepidissima . — Egidio, sentendo che Barbara non è più in una villa vicina come supponeva, torna a Firenze assai mal- contento. Più malcontento è all’ indomani quando il Lippi viene a ringraziarlo a nome di lei del volumetto del Tasso. Gli dispiace assai meno di quest’ imbasciata 1’ avviso che riceve quasi contem- poraneamente de’ guasti fatti dalla guerra alle sue possessioni, onde il maestro di casa non può per ora mandargli denaro. — Intanto, a non rimanerne privo, ei cerca d’ impegnar le sue a Ei 10I gioie. I Carafalla s’ indirizza. a quest’ uopo ad una famosa compagnia , che il popolo che di rado s' inganna ,; chiama della Morte, e conduce ad Egidio un ser Imbroglio , in cui la compagnia è personificata. Vi è un poco di caricatura ne’modi di questo sere; vi è un poco d’inverosimiglianza nella lunga lezione ch’ei dà sugli serocchi ; ma vi è pur molta amenità. — Egidio, come t’ imagini , si tiene per avvertito. Intanto è costretto (cap. 19 Mistero svelato) di manifestar a Geltrude il suo stato economico, onde pregarla di qualche ri- forma nelle spese giornaliere. Qui la povera Geltrude è toccante, ed egli non può non esserne intenerito. Sì, egli dice fra sè con più risoluzione che mai , voglio rompere il guado , voglio parlare allo Strozzi ec. Ma come avviene che, mentre vo acquistando grazia presso altri, sembra ch'io la vada perdendo presso di lui? Questa domanda ei fa al Lippi un dì che lo tien seco a pranzo. Il Lippi esita a rispondere ; alfine gli fa intendere che lo Strozzi il sospetta aderente di Tommaso , e procedendo nel discorso della religiosa severità di quel vecchio: « bisognava udirlo ieri, dice, al ricever d’ una lettera del card. Borromeo suo amico , il qual gli dava parte d’ un caso strano ... d’ una monaca fuggita da Monza ec. » — Come Egidio e Geltrude rimangano a queste pa- role, non c’è bisogno di dirlo. Lasciati soli, di che hanno gran- d’ uopo , fanno mille progetti senza fermarsi in alcuno. All’ in- domani si accordano in questo che Geltrude andrà a Roma a cer- carvi da sè medesima lo scioglimento de’ suoi voti , ed egli , che non potrebbe accompagnarla senza pericolo, andrà a Livorno ad aspettarla. — Come però pensare a viaggi, se ormai non v° è più danaro per vivere? Quindi ecco di nuovo Carafulla in moto colla cassetta delle gioie per cercarne. Ei ne trova un poco da un vecchio usuraio (altra scena comicissima ) con cui ebbe spesso che fare stando con Sandro. Per averne di più Egidio aspetta il prezzo della vendita che ha già ordinata d’alcune possessioni, e intanto passa giorni penosi. Fra le sue pene però ei sempre pensa a Barbara che vorrebbe vedere prima di lasciarla per sempre. — Una mattina, mentre per contentar Geltrude s° apparecchia ad andar dallo Strozzi , ecco Nencio il qual dice Barbara tornata, ma per un giorno soltanto. Egidio dimentica lo Strozzi, s’ aggira più ore quasi farneticando , e più non pensa che a trovar modo di parlare a lei da solo a sola. — Or qui l’autore dà la spiegazio- ne, che già m’aspettava, dalla scena de’marmi. Barbara, che vi fece da prima attrice per una combinazione semplicissima , era troppo lungi dal pensare che il suo canto potesse lusingar chic- 102 chessia. Ella non aveva ancor letto il supposto madrigale del Tasso; lettolo, e ricordate allora altre cose, a cui prima non avea posta attenzione , s’ accorse de’ sentimenti d’ Egidio. Quin-. di tornata in città non sa risolversi a visitar Geltrude . La se- ra però s’aspetta una visita d’ Egidio, e forse non la teme tanto che ancor più non la desideri. — Egidio alfin viene , men- tre fra lei, il cognato, il Soldani, il Capponi si parla dell’.Isa- . bella Andreini, d’ un sonetto inviatole dal Tasso ec. Barbara coglie l’opportunità di far intendere ad Egidio ciò ch’ ella pensa del madrigale ; ed egli, dopo avere indarno replicato, è costretto ammutire. — Alfine, come avea tanto desiderato , ei riman solo con lei; momento solenne ; lo intendi, che gli cagiona grandis- sima trepidazione. Questa trepidazione è dall’ autore assai ben dipinta. Il dialogo , che segue, non credo che sia de’ meglio ima- ginati, ma pure è de’ più industriosi. Sulla fine di esso Egidio si lascia sfuggire una parola, che vorrebbe tosto non aver detta, e per cui Barbara intende che Geltrnde non è sua sposa. Tom- maso intanto rientra, e Barbara può appena proferire. qualche parola di sorpresa e di severità. Pure, stando alle congetture dell’ autore, che tu vedrai se. sieno egualmente probabili che ingegnose ; ella si sente forse verso di lui meno severa che prima. Egidio però se ne parte confuso ; disperato ; ed è prodigio se prima d’ uscir del cancello non s°è fiaccata la persona. Egli se ne va solo solo (cap. 20 Compagnia di Misericordia) sotto un cielo piovoso al lume semispento d’ una lampana, che pende innanzi ad un’imagine devota. Ha già passato il canto de’ Pazzi, il palagio de’ Salviati, la torre di Dante. Quando sboc- cano improvvisamente da un chiassetto uomini armati, 1’ un dei quali postagli una lanterna alla faccia gli grida traditore, gli altri si danno a ferirlo. Ma un lume allor comparso dal borgo degli Albizzi impedisce che non sia ucciso. È il lume del capo- rale de’ guardioli; che ha sentito rumore , accorre e trova Egi- dio immerso nel proprio sangue. Ei va tosto a destare il servo della Misericordia ; trova sul ripiano della chiesuola il Caraful- la, che dice di star qui ad aspettare il padrone, e lo conduce a vedere se sia il ferito. Indi lo manda a casa a chieder fascie e pannilini, mentre uno de’ fratelli della Misericordia già accorsi va in cerca d’ un chirurgo. Ma ohime! come farò, dice fra sè Carafulla, a coprire il fatto alla signora? Trovassi almeno An- guillotto che saprebbe ordir qualche favola! Ed Anguillotto ap- punto gli viene incontro, senza saperlo, per ordine di Geltrude, che sentito sonare a caso lo manda per un tristo presentimento 103 a vedere che sia. Anguillotto rientrato si porta il più destra- mente che può , ma pur cagiona a Geltrude uw’orribile appren- sione. Quand’ella dopo mezz'ora vede il cataletto che porta Egi- dio a casa, credendolo morto , si sviene. Rinvenuta e sapendolo vivo (ti noto queste particolarità per indicarti alla meglio la gra- dazione d’un racconto che mi par fatto assai bene) corre a lui singhiozzando ec. Il chirurgo l’ obbliga a ritirarsi finchè sia finita la medicazione. Dopo questa ella rientra; e non volendo abban- donar Egidio a mani straniere passa la notte a piè «del suo letto. — Da chi fossero mandati i sicarii è facile comprenderlo. Il padre di Geltrude (benchè ignaro sempre della fuga di lei ) inferocito da varie cagioni voleva ad ogni costo vendicarsi d’Egi- dio. Al partir de’ sicari gli era morta la moglie. Al lor tornare colla notizia che la vendetta è compita gli muore anche la nuo- ra a lui carissima, ed egli ride d’ una gioia feroce. — Geltru- de frattanto è in preda a nuovi tormenti. Egidio nel delirio della febbre le porta al cuore un colpo mortale chiamando spesso Barbara a nome. Non però la misera scema di tenerezza o di sollecitudine per lui. Viene intanto un cancelliere del magistrato degli Otto, per fare le sue interrogazioni d’ officio. Ella n’ è sgo- menta; ma egli è discreto. Egidio alfine è dichiarato fuor di peri- colo ; ciò ch’ ella ascolta con indicibile esultazione. Con ben al- tro sentimento scopre in seguito d’ ond’egli uscisse la notte che fu assalito. Da lettere di Bergamo , giunte qualche tempo dopo, comincia ad esser chiarita de’ motivi dell’ assalto. == Barbara era partita di nuovo prima di saperlo.‘ Quando le ne giunse notizia, ne provò molta pena, e Tommaso venne subito a Firenze. Ei non fu lasciato entrare da Egidio, ma fece a Geltrude le più cordiali offerte. Egidio riavutosi un poco , sentendo come l’amico fu ri- mandato, ne prova dispetto. Maggiore lo prova allorchè Tomma- so, tornando , è accolto da Geltrude con freddezza impolita. Al- tre cagioni lo fanno adirare con lei, quando tutti gli Albizzi verso natale si restituiscono alla città. Nuove lettere (cap. 1 Pestilenza e Quarantina) finiscono di svelare a Geltrude il mistero del boschetto del Lambro. Il com- battimento de’ suoi affetti al pensiero dell’ avvenuto è descritto eloquentemente. L’ amore per Egidio, com'è naturale, trionfa. — Comincia il marzo del 1630. Egidio, che già si alza, è diviso fra la sua gratitudine per Geltrude e lo sdegno di non aver per sua causa ancor veduto Barbara, a cui peraltro si vergo- gnerebbe di mostrarsi così sparuto e sciancato. S’ode intanto che la pestilenza infierisce nella Lombardia. Essa va sempre più av- 104 vicinandosi , e si fanno indarno provvedimenti per non lasciarla penetrare in Toscana. Si apre qui il primo lazzeretto sul monte di S. Miniato, indi a poco un altro nella badia di Fiesole, e poi un terzo a S. Marco vecchio. Geltrude s° ammala ed è tra- sportata al secondo. Il suo distacco da Egidio, il suo passag- gio per le vie di Firenze, il suo avvicinarsi alla badia (qui tornano in campo le parole di Dorotea , la piccola Madonna della madre ec.) sono cose commoventissime . La scena del suo ingresso nella stanza assegnatale, ove scorge Barbara in un letto vicino al suo, è un poco artificiale ma tragicissima . Barbara , durante il delirio in cui Geltrude è caduta ( delirio che contrasta mirabilmente coll’ antecedente rassegnazione ) si fa trasportare in altra stanza. Geltrnde , tornando in sè e non vedendola, domanda s’ è morta , e udendo che no, ricade nel suo delirio . Nè questo è per lei il peggiore degli stati. Al- l’ uscire si trova assai peggio , nè conforti o religiosi pen- sieri valgono a calmarla. — Egidio, al suo uscire di casa, era rimasto come stupido . Quando gli fu detto che anche Barbara era stata portata al lazzeretto , si sentì come per- duto . Alfine Barbara, ormai ristabilita , passa a compiere la sua quarantina in campagna , e Geltrude va migliorando. Egi- dio, non ne dubito, pensa a ristorarla possibilmente di ciò che ha sofferto. Ma quando sente da Tommaso di che modo el- la s'è portata verso Barbara , prova uno sdegno non ancor pro- vato. <<‘ Finora non ha pur imaginato possibile il caso di doverle mancar di parola, ma comincia da questo giorno a vagheggiarne Y idea. ,, Il pensiero però, che la sua colpa è tutta d° amore per lui, lo fa esitare. — Ella intanto ha finita la sua quarantina. Prima di restituirsi a casa va con altri guariti a render grazie al cielo nella chiesa della Nunziata, ove trova una giovane donna di molta avvenenza che le sorride facendole posto. Giunta a casa è accolta con gran tenerezza, d’onde trae augurio di miglior avvenire. — Ma l’augurio è di corta durata . Egidio ben presto si fa a chiederle conto, in modo tutt’ altro che tenero , del suo contegno con Barbara. Egli aspetta impazientemente questa si- gnora dalla campagna. Al ritorno la trova tutta compresa dal sen- timento del pericolo corso; non rivede da lei che il Pandolfini e il Soldani (il Lippi è da un pezzo in villa) i quali non fanno che discorsi malinconici , e sente che l’uno dice all'orecchio del- l’ altro: “ finita la quarantina bisognerà bene che il povero vec- chio (parlano del Galileo ) se ne vada: il Picchena è morto e il Cortonese comanda. ,, — La quarantina era stata ordinata 105 per tutta la città. Essa è descritta dall’ autore con istorica esat- tezza, la quale non esclude certo colorito poetico. Le particola- rità, che riguardano Egidio e Geltrude, sono assai bene imagina- te. — Geltrude è ormai senza speranze e più non prevede che un orribile avvenire. Il dì delle ceneri (cap. 22 Incantesimi), apertosi prima il se- stiere di S. Giovanni , gli scampati vauno a rendere a Dio so- lenni grazie. Geltrude si reca di nuovo alla Nunziata , e trova di nuovo la giovane donna che le fa luogo e le sorride. Uscita di chiesa, domanda alla cameriera che ha seco se la conosce , ed ode ch’ è la Livia Vernazza “la strega che ammaliò il ma- rito per farsi amare ec.,, Geltrude , checchè debba costargliene, vuol parlar seco la domenica seguente e lo fa. Livia, anch'essa persuasa del potere delle proprie arti , le dà appuntamento per l’altra domenica, poi per un altro dì , in cui le insegna colla maggior cautela possibile la casa ov’ abita fuor di porta S. Gallo. Intanto le dice quel che deve preparare per gl’incantesimi, una treccia de’ capegli d’ Egidio, una sua imagine in cera, ec. il che Geltrude promette. — Ma l’ imagine come procurarsela ? Questo sarà pensiero di Carafulla , che va a trovare il suo anti- co padrone Sandro , uscito pocanzi dalle Stinche ; e quando Ca- rafulla è in moto già sei sicuro d’ una scena assai lieta. Que- sta volta però la scena finisce poco lietamente . Dopo varii dialoghi , incidenti ec. ei va coll’ imaginetta alla casa campestre che gli è stata indicata. Picchia con forza, ode uno scalpicciar di persona che viene ad aprire con cautela , e quando ci pensa il meno del mondo si trova muso a muso con mona Ciuta. L’ef- fetto di quest’ apparizione improvvisa è un dar subito a gambe e giugner al Mugnone prima di volgersi indietro . All’ entrar ch’ ei fa dalle porte , si vuol vedere ciò ch’ egli ha nella pez- zola ; si vuol sapere ove portasse l’ imaginetta , che intanto gli cade ec.; e di tutto si fa il referto al bargello. Carafulla non avendo coraggio di ricomparire innanzi a Geltrude se prima non riparla con Sandro , passa la notte in Baldracca . All’ indomani quand’ è al canto di via del Bisogno , ove Sandro sta di casa, eccoti lì Ciuta a colloquio con un birro suo confidente ; do- po di che già t'imagini che fra pochi minuti il povero Cara- fulla è agli scalini di Palagio. Egidio non vedendolo n’è inquie- to ; più inquieta n'è Geltrude che cerca, ma senza pro, di sa- perne qualcosa da Livia . Frattanto Egidio , spinto dall’angustia delle cose famigliari (e anche più dal desiderio di veder Barba- T. XXXIV. Aprile. 14 105 ra) vuol recarsi alla campagna degli Alhizzi per parlar, dice, a Tommaso. Ei parte verso sera con Anguillotto , dorme alla Sca- la, e quando la mattina è sulla strada di Monte Falcone , in- contra l’ amico e si ravvia seco alla città. In questo mezzo Gara- fulla è processato ; e dal suo processo ne viene l’arresto e quindi il processo di Livia e poi di Geltrude dinanzi all’ Inquisizione . Questi tre processi diversi son notabili per la loro varietà e ve- rità. — Egidio, già tenuto di vista dopo un esame criminale ch’ebbe ne’primi giorni di convalescenza, appena giugne a casa anch’ egli è arrestato. Anguillotto ( cap. 23 1° Accordo ) non si meraviglia nè del- 1’ arresto d’ Egidio nè di quel di Geltrude “ che ha sempre cre- duta donna altrui;, e pensa al modo di liberarli. Va prima a dar parte del doppio arresto a Tommaso , il quale allorchè ., dopo al- cune ricerche , sente parlar d’inquisizione, resta confuso. Intro- mettersi in cosa appartenente a questo tribunale a lui non si conviene . Però si limita ad offerir denaro in segreto per tutte le occorrenze , e a pregar Barbara (la buona, |’ incomparabi- le Barbara) giunta appena dalla campagna a parlarne allo Stroz- zi. Questi accoglie l’ egregia donna con benevolenza ma insieme con certa severità, che tronca ben presto ogni discorso e ac- cresce le apprensioni riguardo ai due arrestati. — Anguillot- to non è uomo da fermarsi a mezza via ne’ suoi disegni; e pare che i suoi disegni sieno sempre secondati dalla sorte . Mentr egli va pensando a Carafulla , il cui disparimento con- temporaneo a quello di Geltrude gli sembra di qualche signifi- cato, sente un picchio modesto alla porta, e vede quindi il buon ragazzaccio comparirgli innanzi con un viso che par uscito di se- poltura. Il dialogo , che ha seco, è il vero dialogo che può ave- re Anguillotto con Carafulla in tal circostanza, uno di que’dialo- ghi che attestano il vero genio comico. Alla fine del dialogo, nel quale Anguillotto manifesta il desiderio di poter parlare un istante al padrone, Carafulla ha un pensiero che non vuol dire, ed esce come in aria di mandarlo ad effetto. S’ avvia infatti verso Pitti, ove trova nell’ atrio il gigante da’ Cigoli che gl’ impedisce d’en- trare, altro pezzo lepidissimo, condito per soprappiù di riflessioni che troverai ben giuste e ben opportune. Ma sopravviene Pippo del Castiglioni, con cui appunto il Carafulla vuol parlare, e da cui, dopo un altro dialogo da citarsi cogli antecedenti, riceve un consiglio utilissimo all’ uopo d’ Anguillotto. Il consiglio si è di valersi dell’ opera dell’ oste delle Bertucce confidente intimo del bargello: ciò che Anguillotto fa da par suo, cioè in modo 107 tanto originale che nulla più. Gli accordi col bargello ; l’andata notturna d’ Anguillotto e Carafulla alle carceri, d’ onde Egidio prudentemente ricusa di sottrarsi , gli altri incidenti di questo resto di commedia, e infine la beffa all’ oste mi sembran tutte cose di mano maestra; sebben possa rimproverarsi loro qualche prolissità. Nel capitolo seguente (la Speranza ) si torna più che mai al tono grave. — Mentre Geltrude soffre, suo padre, prima cagione delle sue sofferenze , sente aggravarsi sul capo le più orribili sciagure . De’ due figlioletti del figlio , che gli sono ri- masti, l’ uno gli è rapito dal vaiolo, 1° altro, sua ultima spe- ranza ed oggetto delle più vive sollecitudini , gli è tolto dalla peste .- Quindi una disperazione furiosa , a cui forse non man- ca, per riuscir più terribile , che d’esser dipinta con colori meno forzati. — Rimasto solo il fiero vecchio comincia suo mal- grado a pensare alla figlia , e cessata la pestilenza alfin si reca dal Borromeo per domandarne. Questa volta il cardinale non ha più le ragioni ch’ ebbe due anni innanzi di tacergliene la fuga. Il vecchio ne piange d’ ira, chè già non crede d’avere alcuna colpa nell’ avvenuto , poichè asserisce e giura che la figlia entrò nel chiostro per sna libera elezione. Prega però che si faccia ri- cerca della giovane e le si usino i riguardi dovuti al lustro della famiglia. Il cardinale ha già chiesto che le si usino i riguardi voluti dalla carità ; ond’ ella è qui tenuta nel monastero delle Murate, ove lo fu Caterina de’ Medici nel tempo dell’assedio ec. — Che se questo monastero le sembra un vero carcere, già non te ne maravigli. Ella però non vi è alle mani d’ una carceriera ma d’ una donna più che pietosa, d’ una vittima della piccola ambizione d’ una famiglia di contado , che dalle proprie pene sa indovinar le sue. Questa donna una sera le mette di nascosto , com’ella pensa, fia i gomitoli o le ciarpe un piccolo foglio sigil- lato , e scoperta le dice che è scritto da mano molto amica. Gel- trude non vi legge nulla; pur riconoscendovi non so che segni fatti collo stagno, se lo pone sul cuore e aspetta il dì seguente per vedere se qualcosa giunga a comprendere. Vi legge infatti sei o sette parole d’Egidio, che dall’eccesso della disperazione la fan passare a quello della gioia. — Ma voi, dice l’ autore , vorrete pur sapere come il foglio fu scritto e come fu inviato. Fu scritto, ei prosegue , per un movimento spontaneo del cuore d’ Egidio, la notte della visita d’ Anguillotto, colla crocetta di stagno che questi portava al collo , e inviato da Anguillotto, non senza la cooperazione del Carafulla (onde abbiamo un’altra scena assai 108 curiosa) per mezzo d’ un certo Vaiani, personaggio storico e gran fiore di virtù , che l’ autore ci farà meglio conoscere, dice , in altro romanzo. Angnillotto , preso gran concetto di lui, gli affi- da quindi un altro foglio per la signora, del quale sapremo fra poco il contenuto. Indi lasciate scritte certe istruzioni pel Carafulla , e comprato un mulo giovane e corridore esce di Firenze alla volta di Bologna. Otto giorni appresso (cap. 25 Punizione) Carafulla parte an- ch’ egli, ma a piedi, alla volta di Ghiereto. Prete Pioppo non è alla canonica , e la Crezia , ch’ è sola in casa, fa la smemo- rata, nè vuol aprire finchè non torni. Carafulla alfine introdotto racconta fra l’ altre cose al compare che deve per medicina far lunghe trottate a cavallo ; ciò che comincia il dì seguente e se- guita per cinque altri andando sempre fino a Scarperia. — Egi- dio intanto , non accusato che del solo rapimento di Geltru- de, chiede e ottien facilmente d’ essere trasferito» a Milano per iscolparsene. Ei parte quindi un lunedì di buon” ora , scortato dal caporal Mascella, il terror di Firenze, e da tre al- tri birri armati sopra i lor muli. Questa partenza e il comincia- mento del viaggio son due quadretti ciascun in sno genere mol- to compiti. — Passato Cafaggiolo Egidio si mostra più del soli- to sopra pensiero , ciò che dovrebbe generare in chi lo accom- pagna qualche sospetto. Un miglio più oltre gli par di scorgere a gran distanza il Carafulla , che veduto lui pure e contatine i compagni dà alcuni segni convenuti con un fischio , poi si ritrae in un boschetto, d’ onde vede fremendo passar la comitiva . Si riduce quindi alla canonica con gran sorpresa del contadino che il vede tornare più presto dell’ordinario ; la mattina seguente è a Firenze per parlare al Vaiani e consegnargli non so che per la si- gnora (una crocetta ch’ è il segno della partenza d’ Egidio an- nunciatole nella seconda lettera) e il di appresso riparte, com’ei suppone, per una lunga assenza. — L’ apparizion lontana di Ca- rafulla, i suoi fischi ec. non erano sfuggiti al Mascella , che a prima giunta si mise in guardia. Ma come pel resto del primo giorno e per tutto il seguente non vide o udì altro, che gli desse sospetto , finì col non pensarvi più. Quand’ecco sul confi- ne toscano sbucar di dietro a un poggetto , e seguito da’ quat tro uomini a piedi balzar rapidamente nel mezzo della via un uomo armato a cavallo. È Auguillotto , come già t’ aspetti , col Siboga e con altri, che ferito il birro d'antiguardia s’° impossessa del Mascella , a cui Egidio s° è già avventato , e poi degli altri che fuggono. Questo colpo di mano, il luogo ove i prigioni son 109 condotti per passarvi la notte ; il giuramento di non dir nulla dell’ avvenuto , fatto lor dare la mattina appresso prima di ri- lasciarli , sono descritti co’ più vivi colori. — In questo mentre il Carafulla se ne viene innanzi per la montagna, onde andar a raggiungere Anguillotto su quel di Parma. Quando , scendendo la sera verso Pietramala, è sorpreso dal Mascella, che già aveva qualche sospetto de’ fatti suoi, e trovatogli adosso il fischio , le istruzioni d’ Anguillotto ec. gli fa passar la mala notte nel- l’ osteria, e gli minaccia più tristi giorni, dai quali poi il Vaiani lo scampa . — Intanto passa scortata da alquanti Sviz- zeri anche Geltrude, che ha pur essa ottenuto , proprio pel giorno additatole da Anguillotto , d’ essere trasferita a Milano . Presso le porte di Parma ella ravvisa questo bravo, che le fa segno ch’Egidio è libero, e a cui ella per altro segno fa intendere che segue Ja via per Casalmaggiore. Verso la sera del dì seguente ella giugue al Po, ove il navalestro , che non tarda a riconoscerla, è pronto a tragittarla, ed ove Egidio co’ suoi si tiene appiattato per libe- rarla. — Non so se tu ti aspetti qui un piccolo combattimeuto terrestre oppur navale. L’autore ha preferito il secondo e ha fatto bene , poichè riesce più pittoresco. Egidio vi fa prodigi di valo- re , e vi riceve colpi mortali. Con che occhi la misera Geltrude lo vegga profondarsi nell’ acque tinte del suo sangue puoi bene imaginartelo. Mentr’ella s’agita e grida e dà animo a’proprii difen- sori, le è ucciso a fianco il Siboga, ed ella stessa è ferita. An- guillotto ; che intanto ricompare, notando anzi guizzando come porta il suo nome, sarebbe uomo da vendicare e i morti e i fe- riti; ma l’ ufficiale di certi Spagnuoli venuti in rinforzo degli Svizzeri gli dice “in fede d’ hidalgo ,, che Geltrude è vergine sacra , e tutto è finito. Sopraggiugne all’ altra riva un ecelesia- stico spedito dal Borromeo per ricever Geltrude , la quale è de- posta nella capanna del navalestro. Ivi (cap. 26 Confessione e Penitenza) ella riviene al can- to, che la moglie, più santa donna che buona infermiera , fa fare a’ bimbi dinanzi alla piccola Madonna che le ha trovato indosso spogliandola , e a un tratto si crede nell’ altro mondo . Assicuratasi bene ch’ è tuttavia nel nostro, domanda subito se Egidio è salvo; e non sentendosi rispondere , o piuttosto leg- gendo la risposta ne’ visi dolenti che ha intorno, manda un ge- mito profondo , tutto, dice, è compiuto, nè più proferisce pa- rola. Giugne intanto il chirurgo, che non so perchè siasi man- dato a prendere fino a Cremona, e dichara la ferita assai leggiera. Quindi all’ indomani ella si rimette in viaggio, accompagnata O1I dall’ ecclesiastico già detto, il quale la rincuora. Al luogo, ove si fermò con Egidio pel primo rinfresco; ella dà in una specie di delirio, e l’ecclesiastico sa compassionarla. Quando vede bian- cheggiar da lungi la guglia del duomo di Milano è presa da gran tremore e poi da gran furore, del quale sono indicate le cagioni , e il pio uomo s’ingegna di rimetterla in calma. Giunta a Milano chiede d° esser subito presentata al Borromeo, già prevenuto del suo arrivo come lo è suo padre. Il Borromeo l’accoglie da par suo , comincia dall’ascoltare la sua confessione che vuol essere un po lunga, e quando è al fatto del disparimento della conversa, che a noi pure premerebbe assai di sapere; ecco entra non annun> ciato (anche il Borromeo doveva avere de’servitori balordi) il pa- dre di Geltrude. Questa, che lo vede, manda un urlo terribile , dà di capo nella prima porta che le si para innanzi, e va a bar- ricarsi in altra stanza. Il vecchio , appoggiato sul suo bastone guarda stupito il Borromeo, che gli dice quel che merita, ma non quello probabilmente che un tal uomo dovea dirgli, indi cade per terra. — S’ egli prima di morire ottenesse di riabbracciare la figlia è incerto. Che la figlia vivesse ancora a lungo e facesse lunga penitenza è assai noto. Ma come il manoscritto , che il nostro autore ha seguito, finisce colla caduta del vecchio , 1’ au- tore non può dirne di più. Quest’ ultimo volume e buona parte dell’antecedente smen- tiscono un poco quel ch'io ti accennava , alcuni giorni sono, del vero protagonista del romanzo. Pure, più che vi penso, meno quel mio cenno mi sembra una follia. L’ autore , scommetterei , s' era proposto da lungo tempo una specie d’ Anacarsi Toscano o se più ti piace di Spettator Fiorentino all’epoca del Galileo. E a tal uopo avea raccolte tante particolarità che, dopo averne empito il romanzo, ch’or ei presenta, gliene sono avanzate chi sa quante per un altro, ch’ei ci annuncia nelle considerazioni poste in calce al terzo volume. — Forse , distribuite con più artifizio, le particolarità , che qui potranno sembrare sovrabbondanti , : il parrebbero meno. Molte però figurerebbero assai meglio in un romanzo di quel genere che s’accosta alle cronache; molt’altre in un romanzo del genere erudito, a cui forse, lo ripeto, erano origina- riamente destinate , come può argomentarsi anche dal vedere in fronte a tanti capitoli un’ epigrafe latina. Legandole ad un sog- getto , come il prescelto, l’autore ha creduto probabilmente di procacciare loro l’istessa popolarità del romanzo di cui quel sog- getto è un episodio. Ma io temo ch’ei ne abbia così diminuito il natural valore, mentre ha distratta fortemente la nostra at- III tenzione dal soggetto medesimo. — Avverrà intanto che , mentre alcuni lotteranno contro questa distrazione, altri se ne lascieran vincere volentieri, ed obliando il soggetto pretenderanno di trovar qui ciò che appena potrebbero pretendere in un romanzo d’altro genere. Io ho già sentito p. e. far questa domanda: perchè ove l’autore (nel primo volume che a quest’ ora è stato letto da molti ), risalendo alquanto i tempi, tocca più cose del primo Terdinando , tace la maggiore delle sue glorie, la creazione di Livorno ? Altri, come vedi , potrebbe dimandare : perchè tace del- l’asciugamento delle Chiane , sua seconda creazione ; perchè del risanamento tentato delle Maremme, che poteva essere la ter- za, ec. ec. ? Così al venire in iscena d’ una persona istorica , altri secondo il particolare suo genio potrà chiedere perchè non vi venga anche questa o quella? Perchè se alcuni gentiluomini discepoli del gran Linceo , non anche alcuni discepoli plebei, che sono egualmente nel catalogo del Nelli ?_ Perchè se Livia Vernazza famosa strega, non anche Maria Ciliegia ( questa la ru- bo a te bell’ umore ) specie di Diogene in gonnella , cujus vita et placita nelle note al Malmantile? — Fuor di celia però : con tutto il desiderio di mai non perder di vista il soggetto del ro- manzo , si potrebbero talvolta, in cambio d’alcune particolarità recate dall’ autore, desiderarne alcune altre che ci facessero pe- netrare più addentro lo spirito della società fiorentina all’epoca già indicata. Di questa società 1’ autore non ci ha dipinta ; se così posso esprimermi, che la parte più visibile. Ei però 1’ ha dipinta abilmente e con colori molti veri, checchè ad alcuni potesse parerne in contrario. Il che forse prevedendo , ei nota più d’ una volta nel corso del romanzo come Egidio si meravi- gliava di trovar qui modi e costumi , che facevano un singolar contrasto con quelli trovati altrove , e pei quali credeva essere trasportato. in un mondo novello. Ciò è necessario ad avvertirsi per ben apprezzare alcuni de’ principali caratteri da lui posti in iscena. Quello di Barbara, per esempio, veduto ad altro lume che della storia domestica della Toscana, parrebbe o men verisimile o meno stimabile, giacchè tanta grazia e facilità non si sarebbe forse unita altrove con altrettanta modestia. Del resto ciò che lo distingue partico- larmente è una schietta e rara bontà, a cui aggiugne pregio una cultura squisita e a molti riguardi tutta toscana. Esso è forse il più bello fra i caratteri di genere nobile che trovansi nel romanzo; è almeno quello, di cui a lettura finita più si ami ricordarsi. — Ma un sì bel carattere è tutto a carico della po- 112 vera Geltrude, per la quale il minimo de’ danni è il rimanere quasi sempre nell’ ombra . Questa nostra Geltrude è, se vnoi, migliore di quella dell’ episodio manzoniano ; troncato chi crede per ragioni d’ arte, chi per altre. Ma essa è migliore moralmente non poeticamente , e tanta sua depressione d’ animo , per quanto naturale nella sua situazione , le toglie molta parte di vita. — Egidio (creato di sbalzo dall’autore) ha in sè di che sostenersi assai meglio: spirito, ingegno, uso di mondo, ornamento di lettere, che gli accresce gentilezza e talvolta gli dà virtù. Ma pesa sovra di lui co- me sovra Geltrude la memoria del rapimento di Lucia e del dispa- rimento misterioso della conversa , che solo dall’ ultimo capitolo sappiamo essere stato senza sangue. À render, malgrado ciò , e lni e Geltrude veramente interessanti, saria stato d’uopo avvolgerli per così dire in un vortice di passioni attive, violente, senza requie. L’ idea di far punire Geltrude dall’ incostanza dell’ amante e l’ amante da un altro amore mal corrisposto è bella e feconda. Ma bisognava seguirla e in modo che n°uscisse tutto quello di più drammatico ch’essa contiene. L° autore , occupato principalmente della sua Firenze, s'è accontentato di trarne alcune scene patetiche, nè molto si è curato di annodare un’azione. Se le cose fiorentine o altre (quelle p. e. della riforma in Italia, alle quali l’autore allude spesso nelle sue note , e di cui non abbiamo finora altra storia che un articolo riprodotto tempo fa nella Rivista Britannica) non formassero che il fondo del quadro , e 1’ azione fosse qual può desiderarsi , i due caratteri d’ Egidio e Geltrude sarebbero naturalmente più notabili. — Quello del padre, se si raffronti al tipo ch’ è ne’ Promessi Sposi, è molto alterato. E 1’ alterazione mi sorprende tanto più, che parmi contro i principii e l’accor- gimento dell’ autore. Vedrai nel terzo volume com’ egli , traspor- tandosi due secoli addietro , sappia benissimo imaginarsi un in- quisitor processante, di natura non punto inumano , che pur minaccia ad una giovane donna l’ esame rigoroso ; cioè in ter- mini volgari la tortura. Come non ha egli pensato che il padre della misera potè essere freddo e spietato verso di lei per solo pregiudizio di condizione senza alcuna ferocia d’animo ? La for- za del qual pregiudizio quanto fosse in lui grande , lo vediamo nel suo penultimo colloquio col Borromeo , allorchè dopo tanti avvenimenti , che avrebbero dovuto illuminarlo , ancor si mostra persuaso di non aver usata alla figlia alcuna violenza. — Del carattere del Borromeo dirò semplicemente: esso non mi sembra indovinato. i caratteri più veri e più originali, come già ti sei avve- 113 duto , sono i subalterni, fra i quali primeggia quel d’ Anguil- lotto ; che non porta invano il nome d’ un prode guerriero. La pittura di tali caratteri , a cui dobbiamo le parti meglio scritte (cioè, pel mio gusto , felicissimamente scritte) del romanzo , sem- bra rivelarci il vero talento dell’ autore. Questo talento , affatto diverso da quello del Manzoni , dovea produrre qualche disso- nanza in un romanzo di soggetto manzoniano , che l’ autore , potendo resistere ad una prima attrattiva, non avrebbe forse mai scelto. Negli altri, di cui sento ch’egli abbia già ideato il pia- no, trovandosi per avventura più d’ accordo col soggetto , non produrrà , spero , che grate armonie. M. SPEDIZIONE SCIENTIFICA FRANCESE TOSCANA IN EGITTO. Più lo spirito umano s’ avanza nel corso della ci- viltà , e s’allontana dalle prime origini delle cose, e più si vengono diradando le tenebre che i lunghi secoli della barbarie addensarono sulle memorie di quella civiltà ve- tustissima , della quale un barlume ci resta ne’ monu- menti che trionfarono degli anni, nell’ arcana sapienza delle tradizioni poetiche, e delle lingue . Quel poco che finora si sapea dell’ Egitto dagli storici greci, intenti sem- pre ad arrogare alla lor patria ogni vanto di civiltà , quel molto che si raccoglieva dalle parole di Platone non me- no che dalla vista delle Piramidi , destava in ogni uomo avvezzo a pensare un vivo desiderio di poter conoscere od almeno indovinare quel moltissimo , di cui la memoria s' è dileguata cogli anni. Il desiderio de’ dotti comincia a compiersi in modo inaspettato e quasi mirabile. Un uomo solo, con una scoperta da lui fatta e da lui perfezionata, ridona il linguaggio a’ papiri ed a’ marmi dell’antichissima terra de’ Faraoni, dischiude all’ avido pensiero de’ posteri quasi un’ immenso sotterraneo dove giacevano accumulate le memorie di secoli e secoli ; e per quello spazio deserto ove sorgea senza nome una qualche piramide solitaria, risu- scita un popolo intero, con la sua religione, co’suvi riti, T, XXXIV. Aprile. 15 1I4 con le arti sue , co’ suoi numi. Venti secoli quasi, aspet- tano da pochi viaggiatori una vita di gloria: nel secolo trigesimottavo dopo la origine della sua grandezza, co- mincia per l’ Egitto il giudizio de’ posteri. — La storia ci- vile e la politica, la scientifica e la religiosa, la naturale e la letteraria, comviranno in questa spedizione una immensa scoperta , e una grande conquista : e quando null’altro se ne ritraesse , se non se il pensiero della vanità d’una gran. dezza, alla quale il trovato d’ un uomo solo può ridonar l’essere e ritrarla dal nulla, questo solo pensiero riempi- rebbe una delle più feconde pagine nella storia dello spi- rito umano. Poco che si fosse ancora indugiato , e la barbarie mus- ‘sulmana, più distruttrice de’secoli, avrebbe tolto a Cham- pollion il piacere e la gloria di rivelarci l'Egitto; ma già questa gloria gli è certa : e dalla memoria dell’egizie sco- perte diventa ormai inseparabile il nome di Champollion, e della Francia : e della Toscana s’aggiunga , che, per la munificenza d’ un saggio Governo e d’ un coltissimo Prin- cipe, potè accorrere a partecipare d’una sì bella conquista. Le molte e importanti notizie de’ fatti e de’ monu- menti raccolti o visitati da’ nostri viaggiatori nel lor yge- neroso pellegrinaggio , noi non possiamo aspettarle com- piute che da loro stessi al ritorno. Giova intanto seguir da lontano le orme loro su quella terra famosa, giacchè l’itinerario loro stesso non può essere ad ogni amico della scienza senza istruzione e diletto, E qual narrazione più acconcia di questo viaggio , che le lettere de’ viaggiatori stessi? Quelle che noi qui rechiamo , sono del sig. Cham- pollion ; e descrivono le prime mosse , e le prime scoperte. Darem poi quelle del sig. Lenormant, valente archeologo , aggiuntosi compagno alla spedizione; nelle quali si sente quell’amenità e quella vita che trasporta la immaginazione sul luogo descritto , e conciliandosi la confidenza del let- tore, gli comunica le impressioni del Vero. 115 Lettera prima del Sig. Cuamportron. Partenza da Agrigento. = Ingresso in Alessandria. — Incontro dell’Ara- bo cieco. — Obelischi. == Visita al Vicerè. = Soggiorno in Ales- sandria. Alessandria, dal dì 18 al 29 d’Agosto 1828. La mia lettera d’ Agrigento conteneva le nostre noti- zie dal dì 31 di luglio, giorno della nostra partenza da Tolone sulla corvetta regia , 1’ Egle, comandata dal sig. Cosmao Dumanoir capitano di fregata, fino al dì 7 d’ago- sto , che dopo un soggiorno di ventiquattr'ore lasciammo le coste di Sicilia , senza poter ottenere la pratica + giac- chè , secondo le informazioni venute da buona parte ai magistrati del luogo, noi tutti eravamo appestati, della gran peste che sta desolando Marsiglia. Vani riuscirono i miei parlamenti cogli ufliziali mandati dal Governatore di Girgenti, i quali, distanti da me trenta passi, mi rivol- gevano la parola, tutti rimidi e sospettosi. La conclusione si fu, che, appestati com’ eravamo , si dovette depor la speranza di visitare i più interi de’ tempi greci che sieno in Sicilia. Si fè dunque vela verso Malta, donde passammo la seguente mattina del dì 8 d’agosto. Passammo , un tiro di cannone distanti , le isole di Gozzo e di Comino , e la città la Valetta, il cui esterno prospetto s’ebbe luogo di pie- namente osservare. Dopo le arene della Cirenaica, dopo il capo Rasat, dopo costeggiata ad ora ad ora la bassa e biancheggiante costa dell’ Africa , senza troppo soffrire del caldo, la mat- tina del dì 10, scoprimmo finalmente il sito dell’ antica Taposiri , chiamata oggidì la torre degli Arabi. Eravamo già presso al termine del nostro passaggio; e già i nostri ca- nocchiali ci mostravano la colonna di Pompeo, tutto quanto il vecchio porto d’ Alessandria , la città stessa che sempre più ampia ci si spiegava dinnanzi , e una selva d’alberi di nave, frammezzo a'quali luccicavano biancheggianti le 116 case. Avvicinati che fammo , una cannonata della nostra corvetta condusse a noi un piloto arabo, il quale ci guidò salvi per mezzo a’ banchi, nel mezzo del Porto-Vecchio : dove ci trovammo attorniati da bastimenti francesi, e in- glesi, ed egiziani, e turchi, e algerini; e in fondo a scena sì varia, giacevano gli avanzi de’bastimenti orientali scam- pati alla rotta di Navarino. Nel porto, ogni cosa tranquil- lo: prova dell’autorità che conserva sullo spirito de’suoi sud- diti il vicerè. Il dì 18, alle cinque ore della sera , la nostra navi- gazione era dunque finita : e 1’ unico dispiacere di tutti noi era di dover lasciare l’ ottimo e stimabile nostro co- mandante Cosmao-Dumanoir , e gli altri uffiziali della cor- vetta, tuttii mostratisi con noi cortesissimi , la cui colta conversazione ci facea parer trasportati in mezzo ad un’ot- tima società. Noi non dimenticheremo giammai le obbli- gazioni che questo viaggio ci ha fatto con essi contrarre. Appena in porto , vennero a noi parecchi uffiziali de” vascelli francesi, e ci diedero buonissime nuove ; ci an- nunziarono i patti di recente conchiusi , per cui le truppe d’Ibrahim dovevano lasciar la Morea. La prima divisione dell’ armata è aspertata fra pochi giorni. Il sig. Cancelliere del Consolato-generale di Francia venne anch’ egli a nome del sig. Drovetti, il quale per buona sorte trovavasi in Alessandria. V’era anco il Vicerè, Quella sera istessa , alle sei, io sbarcai coll’egregio nostro comandante, e co miei compagni, Rosellini, Bibent, Ricci, ed altri : e baciai finalmente la tanto desiderata terra d’E- gitto. Ci furon subito intorno degli asinai (gli asini son le carrozze del paese ); e a cavallo di questi generosi ani- mali, si fece il nostro ingresso nella città. Quante descrizioni si posson leggere d'Alessandria, non valgono a gran pezza a ritrarne l’imagine intera, Un mondo nuovo fu quella vista per noi. Viottoli stretti stretti, con botteguccie dalle due bande; cani che giacciono addormen- tati, e cammelli con sella; nn miscuglio d’urla roche, e di grida confuse di donne e fanciulli seminudi; una polvere che leva il respiro ; quà e là qualche signore in magpnifi- 117 che vesti, che destramente volteggia sopra un bel cavallo riccamente bardato ; eccovi in abbozzo la pittura d’ una contrada d’ Alessandria. Dopo mezz’ ora di cammino, giungemmo per mille andirivieni alla casa del sig. Dro- vetti, la cui premurosa accoglienza colmò la nostra con- tentezza . Egli non poteva a meno di maravigliarsi del nostro arrivo in tale momento : ma ci assicurò che le in- dagini nostre non incontrerebbero alcuna difficoltà : pro- messa ben fondata sul credito che presso il Vicerè gli acqui- starono la sua condotta leale, il suo nobile disinteresse , il suo zelo tutto rivolto a’ servigi del nostro Monarca, (il cui nome è qui venerato come per tutto) , e all’onor della Francia. Il sig. Drovetti colmo la sua cortesia coll’offrirmi un’ alloggio al palazzo di Francia, ch'è l’antico quartier. generale della nostra armata; dov’ io bo ritrovato un bel- l’appartamentino , già dimora di Kleber. Non senza una viva commozione , io mi coricai in quell’alcova dove avea riposato il vincitore d’ Eliopoli. Il nome francese è in tutta Alessandria una memoria ancor viva; tali vestigia ne han lasciate qui le nostr’armi! Nell’ entrarvi, io ho sentito battere la ritirata da’ tamburi e da’pifferi egiziani sull’aria medesima di Parigi. Il Nizan-Ge- did ha adottate tutte le antiche marcie francesi: e de’ vecchi arabi parlano ancora la lingua nostra. Andando io, tre giorni fa, di buon mattino a visitar l’obelisto di Cleopatra, rin- contrai in mezzo a' poggi arenosi che coprono le ruine del- l'antica Alessandria, un vecchio arabo cieco, condotto a mano da un fanciullo : quel vecchio, intendendo d’essere vicino a un francese, mi fe’ cenno di saluto con la mano, e mi disse propriamente così: Bonjour , citoyen: donne- moi quelque chose: je n'ai pas encore déjeuné. Chi poteva resistere a tale eloquenza? gli messi in mano, tutti i soldi di Francia che mi restavano in tasca. Egli li tasta, e su- bito: Cela ne passe pas ici, mon ami. lo allora gli diedi una piastra d’Egiito. — A4/ voilà qui est bon, mon ami: je te remercie , citoyen. Incontri simili nel deserto , valgono quanto una buona opera nella vostra Parigi. lo son già fatto agli usi del paese: caffè, pipa, sie: 118 sta, asini, mostacchi , e caldo grande: non parlo dell’ uso più importante, la sobrietà, che, alla tavola del signor Drovetti, è una vera virtù. Io ho già visitati tutti i monumenti dintorno. La co- lonna di Pompeo non ha nulla dì straordinario : tuttavia ci lio trovato da spigolare. La sua base è di antichi rottami, fra’ quali io ho notato il cartoccio di Psammetico II : ho notata l’iscrizione greca, annessa alla colonna, sulla quale havvi ancora de’ dubbi. Una copia fedele ch'io ne recherò meco in carta, dileguerà i dispareri de’nostri dotti. — Ho visitati più sovente gli obelischi di Cleopatra , sempre a cavallo del noto animale, che i giovani arabi chiamano, con frase provenzale , dor cabal. Quello de’ due obelischi ch’ è ritto, fu dal pascià d’ Egitto donato al Re; onde si disporrà il necessario , io spero, per trasportarlo a Parigi, L’ altro, atterrato, è degl’inglesi. Le iscrizioni geroglifi- che. che sopra ciascuna faccia si dividono in tre colonne, le ho fatte trascrivere e disegnare sotto i miei occhi; che sarà , oserei dirlo, il primo disegno fedele. Il re Meri li eresse in Eliopoli davanti al gran tempio del Sole: le iscri- zioni laterali son di Sesostri ; e due altre brevissime io ne bo scoperte , dal lato che guarda all’oriente, le quali sono del successor di Sesostri: questi monumenti portan dunque la memoria di tre divers’ epoche, Evvi ancora le basi an- tiche di granito rosso, che li sostenevano; ma per gli scavi fatti da” miei arabi e diretti dal nostro architetto sig. Bi- bent , s' è trovato che questa base riposa sopra uno zve- colo di tre gradini, fattura greca o romana. La mattina del dì 24 d’ agosto , alle ore otto, fam- mo dal vicerè, Le belle case, ov’ egli abita , costrutte so- lidamente sul gusto. de’ palazzi di Costantinopoli, son po- ste nell’isola‘antica del Faro. Vi andammo tutti di bri- gata, col sig. Drovetti alla testa , abbigliati alla meglio, chi in un calesse a due be’ cavalli, che correvano a briglia sciolta le viuzze della città maestrevolmente guidati dal cocchiere del sig. Drovetti ; e chi a cavallo del noto giu- mento. Si smontò alla grande scala della sala del Di- vano; s'entrò in uno stanzone , tutto pieno di guardie ; si 119 passò tosto in un’altra sala, tutta finestre; dove in un angolo, tra due finestre appunto , sedeva sna Altezza , semplicemente vestito , con in mano una pipa guarnita di diamanti. Statura mediocre : faccia animata d’ un’ a- ria d’ allegria singolare in uomo, continuamente occu- pato di gravi affari : occhi vivissimi, barba bianca e ve- nerabile che gli copre il petto. Sua Altezza ci dimandò del nostro stato , ci diede il ben-venuto con grazia, e ci gazioni sul disegno del nostro viaggio : io glie n’esposi in breve, e dimandai i necessari firmani , concessimi sull’istante, con due tchaù del vicerè, che sa- ranno per ogni dove i nostri compagni. Quindi S. A. par- lò della Grecia ; ci annunziò la morte d’Akmed-Pascià di Patrasso, dato in mano a’greci intromessi nella sua stanza fece delle interro da soldati mercenarii e compri: ma Ahmed, sebben vecchio, si difese animosamente , uccise sette degli assassini, e non perì se non perchè oppresso dal numero, Poi S. A. fece por- tare il caffè, e ci congedò salutandoci amorevolmente con cenni di mano. Tutto questo favore noi lo dobbiamo alla bontà costante e operosa del console nostro. La commissione toscana, condotta dal nostro amico Rosellini, fu dal vicerè il dì seguente, cioè il 25 d’ ago- sto, presentatagli dal sig. Rosetti console generale della Toscana ; ed ottenne la stessa accoglienza, le stesse pro- messe. L’ Egitto, disse S. A., deve da noi riguardarsi come il nvstro paese nativo . Egli si compiace , cred'’ io , della fiducia in lui mostrata da’nostri governi, che non dubitaro- no di raccomandarci alla sua lealtà nel presente stato di cose . Io rimarrò quì sino al dì dodici di settembre ; di- mora necessaria per gli apparecchi del viaggio: frat- tanto scemeranno i caldi del Cairo, e una malattiuccia che ora vi domina; e il Nilo alzerà . Io ho già bevuto a piacere delle sue acque , condotte dal canale costrutto per ordine del pascià e perciò chiamato il Mahmudieb. Il fiume sacro è in buon essere; per le basse terre l’inondazio- ne è sicura; due cubiti di più, e basterà anche per l’alte, Questa città frattanto è per noi come un compendio d’Eu- 120 ropa : noi siamo amorevolmente e cortesissimamente accolti da tutti i consoli d’Occidente. Ebbimo invito, e ci radu- nammo tatti in casa de’ signori Ace:bi, Rosetti, d’ Ana- stazy . Pedemonte , consoli d’ Austria , di Toscana, di Sve- zia, di Sardegna: qui conobbi anche il sig. Mechin, con- sole di Francia a Larnaka in Cipro, uomo stimabilissimo per tatti i titoli ; che fu dell’ antica spedizione d’ Egitto. Noi ci troviam dunque benissimo , e ne rendiamo grazie continue alla protezione reale che ci precede, e alla cor- tesia del sig. Drovetti, che instancabile ci accompagna. Io spero molto nella buona riuscita di questo viaggio: così corrisponda esso ai desiderii del governo , e agli au- gurii degli amici: da me non mancherà certo, Io scriverò da tutte le città, sebbene non vi sien più gli uffizii di posta fondati da’ Faraoni. Le notizie delle magnificenze di T'ebe, le serberò tutte pel nostro venerabile amico, signor Dacier 3 omaggio debito al Nestore de’ cortesi e de’ dotti . Il Nîso, arrivato in undici giorni, mi ha portate lettere di Parigi, degli ultimi dello scorso. Addio. Lettera seconda. Apparecchi. — Seconda visita. Alessandria , addì 13 di settembre 1828. Dimani si parte pel Cairo : gli apparecchi son già tutti fatti; la spedizione è organizzata , se così posso di- re ; e ciascuno v’ ha la sua parte ufficiale pel bene di tutti. Al dott. Raddi Ja cura medica, e il vitto; al sig. Du- chesne , l’ arsenale ; al sig. Bibent, gli scavi, gli utensili, gli ordigni ; al sig. Lhòte , le spese ; al sig. Gaetano Ro- sellini, i mobili e le robe; e via discorrendo. Abbiamo con noi due domestici e un cnoco, arabi; due altri domestici ; Barabras , il mio uomo , ch’ è un arabo di bell’aspetto, e ottimo ad ogni servigio. Due bastimenti spiegheranno per noi dimani la vela sul Nilo : l'uno è la più grande maask del paese , che portò 121 già S. A.;io gli ho messo nome l' Jside: l’altro è un deha- bié da poter commodamente contenere cinque persone , che io ho nominata l’Athyr, e che sarà comandata dal sig. Du- chesne , intanto che il buon dott. Raddi sarà pel deserto Libico a caccia di farfalle. Athyr, e Iside! Noi navighe- remo sotto gli auspizii delle due più allegre Dee del Pan- teon d’Egitto. — Tra Alessandria e il Cairo, non ci fermere- mo che a Keriun, l’antica Cherevs de’ greci; e a Ssa el- Hagar, la Saide degli antichi : omaggio debito alla patria dell’ accorto Psammetico , e d’Aprio il brutale. Cercherò anco gli avanzi, se pur ve n’'ha, di Siuf, o Suafè , dove Amasi nacque ; e cercherò a Saide vestigia del collegio ove| Platone e tanti altri de’ greci vennero @ scuola. D’umore, stiam bene noi tutti; e di salute altresì: la prova del clima d’ Alessandria , città libica affatto , ci è d’ ottimo augurio. Qualche circostanza sinistra al nostro viaggio, ci tornò in bene , e le difficoltà s° appianarono. Si viaggia in nome del Re e della scienza: l'impresa sarà fortunata. Or ora , (son le otto della sera), io tornai dal vice- rè , il quale accolse graziosamente la nostra visita di con- gedo. Io lo pregai di gradire la nostra riconoscenza per la franca protezione concessaci: egli ha risposto, che, poichè i principi cristiani trattavano cortesemente i suoi sudditi, gli è un dover suo il ricambiare. Si parlò di geroglifici : e' m'ha chiesta la traduzione delle iscrizioni degli obeli- schi Alessandrini ; e domani le avrà , recate in turco dal sig. cancelliere del consolato di Francia. S. A. desiderò sapere sino a qual parte della Nubia io era disposto di avanzarmi, e m'ha assicurato che noi troveremmo in ogni luogo protezione e rispetto. Io gli ho significata con abbon- danti parole la mia gratitudine ; e posso dire ch’ egli ri- spuse compitissimamente. Questi buoni mussulmani ci trattano con una espansione d’ animo che innamora. — Addio. T. XXXIV. Aprile. 16 122 Terza lettera. Canale d’Alessandria. — Rovine di Ssa-el-Hagar. — Veduta del Cairo. — Piazza d’Ezbelieh. = Edifizii del Cairo. = Visita della fortezza. Dal Cairo addì 27 settembre. La mattina del dì 14, spiegata la bandiera di Fran- cia, noi entrammo nel canale mahmudied, lavoro al quale ebbero parte i sigg. Coste e Masi ; che tiene a un dipresso la via dell’antico canale d'Alessandria, se non che va più di- ritto al Nilo, passando fra il lago d’Edku, a man manca, e il Mareotico a destra. Il dì 15, si fu di buon mattino nel fiume: allora fu che io compresi la ragione della gioia che di- mostrano gli arabi d’Occidente, quando dalle libiche arene d’ Alessandria , entrano nel ramo Caaopico , e veggono la verzura del Delta, coperto di tutta sorta piante, al di sopra delle quali sorgono a centinaia i minaretti de’tanti villag- gi sparsi su questa terra beata. Gli è uno spettacolo ve- ramente d’incanto: nè la realità cede punto alla fama. Im- menso è il fiume ; le rive amenissime. — Al mezzodì, fum- mo a Fuah; vici fermammo alcun poco: alle sette e mez- zo della sera , si passò Desuk, dove spirò, mesi fa, il ri- spettabile Salt. Il dì 16, alle sei della mattina, io trovai nel destarmi il Maask fermo vicino a Ssa-el Hagar, do- v’ io desiderava fermarmi , per visitare le venerande ro. vine di Saide., Co’ fucili in ispalla, s’entrò nel villaggio, distante dal fiume una mezz’ ora di cammino : e i nostri giovani arti- sti tirarono per via a due Schacal, che fuggirono velocis- simi. Noi eravamo diretti verso un gran ricinto che si ve- dea da ben lungi sorger nel piano ; ma l’inondazione che copriva parte del terreno , ci forzò a deviare alquanto; e così noi vedemmo la prima necropoli egiziana fabbricata di mattoni crudi, coperta al di sopra di rottami di vasi , de” quali ho raccolte alcune figurine mortuarie. Il gran ricinto non aveva altro accesso che una porta aperta nel muro, mo \ 123 dernissima. To non istarò a descrivere il sentimento che m’oc- cupò, nell’ istante che, entrato , io mi trovai dinanzi quelle moli enormi, ottanta piedi alte, simili a rocce divelte da ful- mine o da terremoto. Corsi nel mezzo dell’immenso recinto, e riconobbi delle costruzioni egiziane in mattoni crudi, lun- ghi sette pollici, larghi sette, grossi cinque. Era una ne- cropoli anche questa: e ciò viene a spiegare (cosa fino- ra incognita ) che facessero delle lor mummie le città del Basso Egitto, lontane da’ monti. Questa seconda necro- poli di Saide, nelle cui vaste rovine si veggono anco- ra varii piani di stanzine mortuarie ( che dovean essere innumerabili) , è lunga 14oo piedi, larga 500. Tra le pa- reti di qualche stanza si trova un gran vaso di terra cotta, da rinchiudervi gl’ intestini del morto , e fare l’ uffizio de’ vasi che si chiamavan canopi. Nel fondo d’ un di cotesti vasi, si trovò del bitume, A dritta e a manca della necro- poli, sorgono due monticelli; e sull’uno trovammo avanzi di granito rosso, e di granito grigio, di bel grés rosso, di mar- mo bianco, così detto di Tede. Quest’ ultima notizia giun. gerà cara specialmente al nostro amico Dubois, che tanti studi ha fatti sulle materie dagli antichi adoprate ne'mo- numenti. Questo marmo bianco , porta varie leggende de’ Faraoni , delle quali ho raccolto un bel saggio. Maravigliosa è I’ ampiezza del grande ricinto che con- tenea tutti questi edifizi, Il parallelogramma , i cui lati minori non hanno meno di 1440 piedi, e i maggiori 2,160, gira ben 7000 piedi. Il muro è So piedi alto ; grosso cinquantaquattro ; i mattoni adoprativi montan dunque a millioni, Quivi entro , eran, cred’io , i principali edifizii reli- giosi di Saide. Tatti quelli di cui rimangono avanzi, non son che necropoli. Nella parte da me visitata, doveva se- condo l’ indicazione d’ Erodoto , essere la tomba d’ Aprio , e de’ Re Saiti, antenati di lui ; dall’ altra parte , il mo- numento dell’ usurpatore Amasi. La parte del ricinto che guarda il Nilo, poteva ben contenere il gran tempio di Neith , la gran Dea di Saide. Noi quivi abbiamo tirato a parecchie civette, uccel sacro di Minerva, il qual si trova 124 nelle medaglie di Saide, e in quelle d’ Atene, sua figlia, Qualche centinaio di braccia più in là dell'angolo vicino alla porta dond’entrammo , sorgono colline che coprono una terza necropoli, serbata alle persone di più alto grado. Vi si fecero degli scavi; e v’ho trovato un grande sarco. fago di basalto verde, che porta il nome del custode de’ templi, sotto il regno del secondo Psammetico. Il signor Rosetti, possessore del monumento, me lo cedeva; ma la spesa del trasporto è gravissima , nè il sarcofago è cosa che valga un tal rischio, Tornato ch’io sarò dal Basso Egitto, si faran degli scavi e quivi ed altrove , se si potrà soste- nerne la spesa. Questa considerazione è di somma importanza. Qui, con poca spesa si può far di molto: e veramente mi dor- rebbe lasciar questi luoghi, senza avere acquistato, per pic- cole somme , que’ monumenti scelti che possono arricchire le collezioni reali di Francia, e aiutare grandemente i la- vori storici de’ nostri eruditi. Io spero che i mezzi necessari mi saranno concessi a tale utilissimo scopo. Questa prima visita a Saide, non sarà dunque l’ulti- ma. — Alle sei della sera si fe’ vela ; il dì seguente, il 17, passammo dinnanzi a Schabor ; il 18 alle nove della mat- tina, fummo a Nada , dove le almée ci diedero un’ ac- cademia vocale e istrnmentale, con salti e canzoni grotte- sche, all’ uso del luogo. A mezzogiorno e mezzo , giungem- mo a Thsaraneti, dov’io vidi de’monticelli di natro, traspor- tati da’ laghi che li producono. La sera, si passò Mit-Sa- lamek, misero paesuccio mel deserto Libico j} e mancatoci il vento , si dovette restar la notte sulla verde riva del Delta, presso il villaggio d’Aschmun. La mattina del dì 19, ci apparvero finalmente le piramidi, delle quali si potea bene stimar la grandezza; sebben distanti otto leghe . Al tocco e tre quarti, arrivammo alla sommità del Delta (Bathn el-Baharak, ventre della vacca), nel luogo dave il fiume si parte in due rami, quel di Rosetta e quel di Damiata. Il fiume che scorre larghissimo , le innumerabili barche e navicelli che vengono e vanno, le piramidi che all’occiden . te s'innalzano in mezzo a’ palmeti, ad Oriente, il pittores- 125 ce paese di Scorafeti , verso Eliopoli ; in fondo, il monte Mohattam , coronato dalla cittadella del Cairo, e coperto alla base da una selva di minaretti foltissima, il tutto in- sieme presenta un singolare spettacolo, — Alle tre, si scorse il Cairo ancor meglio ; e quivi fu che i marinai vennero a darci il benvenuto. Accanto all’oratore , venivano due suoi compagni vestiti in foggia assai strana, eon cappelli a pan di zucchero, screziati all’ arlecchinesca , con barbe e mo- stacchi madornali di stoppa bianca ; con vestiti strettissimi in modo da far risaltare la intera struttura della perso- na, la mercè di drappi bianchi fortissimamente attortiglia. ti. A quell’ abito, e a quelle lor positure grottesche , li avreste detti que’vecchi fauni che si veggon dipinti in sui vasi greci di stile antico. Pochi minuti dopo, il mio Maasch urtò in un baaco di sabbia, e lì rimase - i nostri marinai si buttan nel Nilo; e a forza d’invocazioni al gran nome di Allah a forza di quelle loro spalle larghe e nerborute, in mezz’ ora la vinsero. Costoro son tanti Ercoli, per ro- bustezza ; di belle forme : e a vederli spuntare dall’acque, parevano statue di bronzo testè fuse. Passammo d’innanzi ad Embléh ; e salutato il campo che vide Ja battaglia delle Piramidi, entrammo nel porto di Bulah , alle cinqu’ ore appunto. Il dì 20 si spese ne- gli apparecchi della partenza pel Cairo: sopra cammelli e sopr’ asini furono trasportati in città i nostri letti, e gli arnesi per fornire una casa, ch'io aveva già fatta appigio- nare per tempo. Alle cinque della sera , i soliti giumen- ti, ma più belli che que? d’ Alessandria , ci portarono al Cairo. Il giannizzero del eonsolato veniva alla testa ; poi meco il dragomanno , e dietro gli altri. Quest’ordine non dispiaceva punto agli arabi, che gridavano con cert’ aria di contentezza, Fransaui! (Francesi !) Noi ginngevamo al Cairo in buon punto ; poichè, ’1 dì 20 e il.21, son sacri a celebrare Ja nascita del profeta. La grande e magnifica piazza d’Ezbekieh, innondata nel mez- zo, era tutta affollata di gente che stava a vedere i saltam- banchi, le ballerine , le cantatrici : poi sparse pel campo persone che pregavano sotto tende bellissime, Quà mus- 126 sulmani sednti che leggono a battuta il Corano ; là, tre- cento uomini pii, disposti in file parallele , assisi, che si dimenano continuamente innanzi o indietro, come fossero fatti a molla, e cantano a coro /à-ANlah-Ellallah (altro Dio non v’ha fuor di Dio): più là, quattrocento invasati, ritti, in cerchio, co’ gomiti stretti alla vita, che saltano a battuta, e con voce roca dal lungo gridio , caccian fuori il nome d’ Alla, d’ un tuono sì cupo e sepolcrale, che parea proprio un coro d'inferno. E quivi accanto, musici e sgualdrinelle: e giochi di bossolotti, ed esercizii d'al- talena: miscuglio stranissimo di profano e di sacro, di fisure e di riti e d’abiti d’ ogni specie , che non m'uaci. rà mai di mente, Visto che s’ ebbe abbastanza , s’ andò al nostro alloggio. Fu detto un. gran male di questo soggiorno : io per me , ci stò a maraviglia. Queste straduccie , non più lar- ghe d’otto o dieci piedi, a me paiono comodissime ‘pel gran caldo: le non sono selciate, ma molto decenti. Tutta poi la città è una galleria di monumenti: le più delle ca- se , di pietra ; e molte delle porte di quelle , scolpite in sul gusto arabo: molte vaghe moschée, con rabeschi d’ottima foggia, con minaretti mirabili per eleganza e ricchezza : tutto ragguardevole, e tutto vario, Io 1’ho scor- sa tutta; e sempre ci trovo di cose nuove, Le dinastie dei Tulumidi, de’Califfi Fatimiti, de’sultani Aiubiti, e de'mam- melucchi Bahariti, lasciaron qui tante vestigia dell’Araba civiltà , che il Cairo è ancora la città delle Mille e una notte, non ostanti le rovine accumulatevi dalla barbarie e dal tempo. — Iv ho fatte le mie divozioni nella moschea di Thu'um, edifizio del secolo nono, che, sebben mezzo in ruina, è pure un modello mirabile di eleganza magnifica. lo stava a contemplarne le porte, quando un vecchio Scheik, m’invitò d’ entrar dentro: passo la prima porta , e già cor- reva lesto verso la seconda ; quando , mi sento fermare , e dire che conveniva levarsi le searpe. Io mi trovava con gli stivali, ma senza calze» pigliai un fazzoletto del mio giannizzero e me ne involsi il piè destro , pigliai per l’altro la pezzola del mio domestico nubiano Muhammed , ed entrai sovra i mar- | 127 mi del sacro recinto. Quest’ è il più bello de’ monumenti Arabi che vanti 1’ Egitto : sculture d’ una finezza incredì - bile; portici con arcate d’ aspetto bellissimo. Non parlerò dell’ altre moschèe , nè delle tombe de’califfi e de’ sultani mammelucchi, che son quasi un? altra città intorno al Cairo, e più magnifica ancora. Ho troppo che fare con l’antico Egitto, senza pigliarmela col moderno. Il lunedì, 22 di settembre, io montai alla cittadella del Cairo, per visitare il governatore Habid-Effendi, uomo tenuto in gran conto dal Vicerè. Egli m’accolse cortese- mente , discorse a lungo de’ monumenti dell’ Alto Egit- to, e mi diede de’consigli per poterli meglio studiare a mio agio. Congedatomi , visitai la fortezza. dove trovai un gran masso di grès , con un basso rilievo , rappresentante Psammetico II il qual fa la deilicazione del propy/o. Ne ho levato il disegno. Altri massi sparsi, che eran già parte del medesimo monumento di Menfi, donde furon qui tra- sportati, mi hau fatto osservare una cosa singolarissima , ed è : che ciascuna di queste pietre, benissimo riquadrata e tagliata, porta un segno indicante, sotto che principe il masso è stato levato dalla petriera. La leggenda reale, giun- tovi un titolo che nota il masso essere destinato per Men- fi, è scolpita in un incavo quadrato, E in varii di codesti pietroni , io ho letti i nomi di Psammetieo II, d’ Aprio suo figlio, e d’ Amasi successor d’Aprio: le quali tre leg- gende segnano il tempo che durò la fabbrica di codesto edifizio . Poco più in là , veggonsi le ruine del bel pa- lazzo che fu del gran Salahh-Eddin ( Saladino ), primo dei dinasti Aiubiti. Il tetto, quatr’ anni sono, fu divo- rato dalle fiamme ; e già da più mesi se ne demoliscono a poco a poco le mura. Io ci ho trovato, riconoscibile an- cora, la principal sala ch'è quadrata, e magnifica di più di trenta colonne di granito rosso, ancor rit'e, co se- gni tuttavia visibili della grossa doratura che ne vestiva il fusto: a terra poi son gli enormi capitelli di scultu a araba, malamente imitati dagli antichi capitelli egiziani, che gli arabi avean soprapposti a quelle colonne romane o greche, e che son tratti da’ pezzi di granito delle rnine 128 di Menfi ; sicché portano ancora le traccie de’ geroylifici. In uno di quelli, dalla parte di giù, io riconobbi un bas- so rilievo che figura Nectanebo in atto di fare un’ offerta agli Dei. Più volte io son poi tornato alla cittadella per far disegnare quelle antiche ruine : e ci ho visitato il fa- moso Pozzo di Giuseppe , quel pozzo cioè che vi fece sca- vare Salah-Eddin Jussuf ; ch'è pure un grande lavoro: ho visitato il parco del Pascià, che contiene un leone, due ti- gri, e un elefante : l’ippopotamo era morto poc'anzi, pey avere incautamente dormito agli ardori del sole; ma io ne ho veduta la pelle, impagliata alla maniera de'Turchi, e sospesa sopra la gran porta della fortezza. L’altr’ ieri io fui da Mohammed-Bey , defterdar del pascià , (tesoriere) : il qual m° ha mostrata la casa da lui fabbricata a Bulaq sul Nilo, nelle cui pareti egli ha fatti incastrare, per ornamento , de’buoni bassi rilievi egizii, por- tati da Sakkara: cosa notabilissima in un de’ ministri del pascià , i più avversi ad ogn' idea di riforma. Ho qui trovato ammalato il sig. Derche , nostro agen- te consolare : ho trovato tra i forestieri lord Prodhoé, il sig. Burton, e il Maggiore Felix; inglesi che studia- no sui geroglifici , e che mi colmano di gentilezze . Non ho fatto ancora acquisto nessuno. Il nostro arrivo, cred’io, ha rincarate le anticaglie: ma rinvilieranno tra poco. — Domani, o dopo, io parto per Menfi; nè per quest'anno ri- vedrò il Cairo. Sbarcheremo presso Mit-Rahiné (il centro della vecchia città). Quivi fisseremo dimora ; di li farem delle gite a Sakkara, a Dahsur, e per tutto il piano di Menfi, insino alle piramidi di Gizeh : di là spero di scri- vervi. — Percorso il piano della seconda capitale d’Egit- to, io proseguo; e dopo qualche ora di fermata in Abido e in Dendéra , sonn a Tebe verso gli ultimi del seguente. Io sto benissimo ; meglio che in Europa : e son ve- ramente un altr’ uomo. Testa rasa con ampio turbante ; abito turco ; be’ baffi , scimitarra al fianco. L’ abbiglia- mento è un po'caldo : ma eccellente in Egitto, perchè fa sudare e star bene. Gli arabi, al vestire, mi pigliano per nativo del paese : e tra peco l'illusione sarà più com- 129 piuta 5 quando quest’ arabo , ch’ io vo masticando alla me- glio, si lascerà pronuuziare con un. po’ più di grazia. — Ho già raccolte pel sig. di Ferussac, delle conchiglie del Nilo. — Aspetto con ansietà lettere di Parigi. — Addio, Fasti e vicende di guerra de’ popoli Italiani dal 1801 al 1814, o memorie di un Urricrare ITALIANO per ser- vire alla Storia d’Italia del suddetto periodo. Italia 1829. Bello è vedere un guerriero, che ne rari e brevi istanti di pausa fra gli acri travagli della guerra, se ne ristora no- tandone i particolari , onde poi svolgerli in istoria ne’ dolci ozii della pace. Così facean Cesare Senofonte Davila Mon- tecuccoli e il gran Federico, famosi non meno per le loro egregie gesta , che per averle scritte egregiamente, Il quale bel futto fu ordinario, più che altri non imagina, nell’ulti- ma magna guerra. Indi tante Memorie militari ; che ognuno il quale assai più del bisogno de’ristori fisici sentia quello di ricrearsi lo spirito , il pascea sotto la tenda o al sereno leg- gendo e scrivendo, Sappiamo infatti un ufficiale (cui poscia de’ patiti sudori e perigli non rimasero se non cicatrici con legato di sventure e miserie iniquissime) militar sempre con un centinaio o più di volumi ripartiti ad un per uno fra’solda- ti della sua centuria. La vita del campo nonchè non essere il finimondo sociale , come credono e fan credere gli on- nipossenti accidiosi delle città, è anzi quella in cui si ritem- prano e riforbiscono tutte le virtù cittadine. Miglior sud- dito alla mite civica disciplina è 1’ assueto alla severa di- sciplina legionaria. Il campo inoltre non è scuola di fingere e mentire, com’ è l’ aula o la reggia o ogni altro luogo frequentatissimo da cortigiani e ambiziosi ; onde è che l’in- genuità il candore e la schiettezza son sempre i bei nu- meri predominanti nelle opere degli Autori militari, i soli fra gli Autori tutti, i quali come Cesare Federico e Na- poleone sien potenti dell’ altissimo sforzo di confessare i T. XXXIV. Aprile. 17 130 propri falli. E infine la mente del soldato si ingagliardi- sce fralle armi, affilando il buon giudizio mercè la giorna- liera esperienza ed attenzione sì a’ propri doveri, come ai casi della guerra. {ntenderà ognuno che questo esordio è tutto a laude dell’Uffiziale italiano , il quale dopo avere onorevolmente servito e militato , laudevolmente porta la pietra di sua porzione all’ edifizio dell’ Istoria dell’età nostra, narrando tutto ciò di cui fu attore o testimonio. Oltreaciò nobilita sempre più il suo commendevole divisamento facendo meta a’suoi studi l’onore della nostra Italia e de’ guerrieri ita- liani; a'quali non ostante che toccasse sempre il compito più malagevole ingrato e periglioso in tuite le grandi fazioni, toccò poi in ricompensa o il silenzio o l’oblio, quando il reo volgere de’tempi fece che, ove più ove meno, fosse de- merito il rimembrare que’ servigi que’ sudori que’ perigli . Più di un prode, infatti, insignito di tessera onorifica sui campi di battaglia, udia di non poter comparire alla presenza di taluni personaggi se non a condizione di staccarsi quel fregio compro col suo sangue. Laonde fu geaerosa idea quella del nostro Uffiziale di lasciare nelle sue opere (1) memoria dell’ italico valore, rivendicando a’ suoi compa - triotti tante prodezze che gli esteri o tacciono o si appro» priano. Noi dunque lo incoraggiamo a proseguire con co- stanza, e raccomandiamo , comunque debolissimi sieno i suffragi nostri, al pubblico perchè voglia incoraggirlo an- ch’ esso favoreggiando un disegno patriottico ed utile. Non ne fa duopo giustificare il primo de’ due dati epiteti, perchè il sente giusto ogni lettore senza che altii gliel dimostri. Ma forse il secondo non andrà molto a verso di taluni severi censori , i quali là più armansi di tutti i cannocchiali e microscopi della critica ove gli Autori son più modesti , nel cui raro novero è il nostro. Noi non così opiniamo ; anzi se fossimo da tanto a farlo , ci compiace- remmo a inanimire gli umili e a debellare i superbi. Ma sia che vuolsi; il dicemmo utile perchè vi si leggono molti (1) Gli Italiani in Russia. 131 schiarimenti o ripieni vmessi nelle istorie della presente epoca d’Italia compilate da Autori non militari, e perciò o muti circa gli eventi particolari della guerra, o erronei nel volerne fare i racconti, come spesso scorgesi nella, per altro pregevole , istoria di Carlo Botta. Ogni infima minu- zia può essere un prezioso elemento istorico, non perchè storievole sia ogni minuzia, ma perchè tante volte svela essa alla sagacità delle storiografo il carattere o il talento de’ personaggi, oppur la radice o ]’ anello degli eventi. Oltreaciò utilissima ne sembra ogni‘opera, anche la men leggiadra e la più rozza, la quale dimostra. co? fatti come a malgrado delle tante e sì Junghe e sì operose scia- guie schiavitù tirannie e corruzioni, non perciò furono mai spente le militari virtù degli Italiani, ma si ravv.vano alla menoma occasione ognor più robuste e vigorose, Ciò è un dimostrar co’fatti a’Principi italici il prezioso capitale che hanno in mano, e Ìa certezza di puterlo volgere in bene si- curtà e indipendenza comune, purchè però il sappian fare. L’immensa mente del Macchiavelli dicea che ove vi sono uo- miuie non eserciti, la colpa è tutta de’Governi. E dicea vero quel sommo; che ogni uomo ha naturalmente forze coraggio e sdegno; ma al Governo spetta tatt’intero l’ufficio di saper ingigantire questi bellici numeri individuali con quel ner- vo e quella coesione, che le buone leggi e i buoni ordini possono sol dare agli eserciti, Mirando a questa utilità avremmo voluto che il n.- stro Autore avesse preso la sua mossa: non già dal 1801, ma uno o due lustri innanzi, e se non distesamente , al- meno in iscorcio e come parte introduitiva. Così facendo avrebbe ricondotto in Italia que’ guerrieri italiani rifuggiti in Francia, che furono i progenitori o.gli anziani o i mae- stri del nuovo esercito italico; e il gian pittorico subietto della più grande azione strategica, che sia mai stata con- cepita ed eseguita dacchè vi son sulla terra uomini e guer- re, fora naturalmente venuto sotto la sua penna, Non vo- glionsi comenti perchè si intenda che qui è parola della di- scesa pel S. Bernardo e della campagna marenghese. Nella quale impresa gli eventi paién prodigi e non opere umane. 152 E infatti il trasporto delle artiglierie e d’ ogni altra sal- meria a dorso d’ uomo per i greppi le balze i sentieri le nevi e i ghiacci di quell'altissima Alpe è prodigio più che opera. A noi pare un fatto appartenente alla mitologia; nè dir sapremmo se ciò avvenga per lo stupore che ancor desta nella memoria di tutti, o perchè al ripensarlo ri- membriamo cose viste nel. mitologico stadio della vita, ossia nella prima adolescenza . Là trattavamo le prime armi in quella magica età dell’ amore e della speran- za; in quell’età in cui il futuro è un eliso, puro il cuore, e vergine la virtà perchè intemerata dalle mondane sedu- zioni. Indi niuno non meravigli se ci avviene di parlarne con quel rapimento che fa tanto suavi le reminiscenze dei belli ed ‘innocenti anni primi. A sì incantevole memoria arrogi la coscienza superbissima d’avervi militato ; e ci si indulgerà la vaghezza di rammentarne qualche specialità, Rimembriamo adunque e quanto aspro era il salire , e co- me rifondea lena forze entusiasmo o la vista o il nome dell’ operatore di que’ miracoli. Fra tanti guerrieri, gravi d'armi e d’utensili, vedevi quà e là gli alpigiani nell’agre- sto loro vestire agevolar gli ermi sentieri ; là e quà i ge- nerosi Cenobiti in abito talare, che rimescolati fra le turbe guidavano aiutavano confortavano or col consiglio or con la mano or con le refezioni. Un perpetuo grido di gioia intanto echeggiava per le valli; grido dato da chiunque toccava il culmine; gioia presagio di vittoria e salutatrice dell’Orione che da quell’eterea altezza svaginava il suo fulmine. Al di- scendere non minore travaglio, ma durato fra giocondi trastulli. Parsoleggiava |’ esercito come nna fanciullaia . Per la china del monte chi quà chi là chi altrove , ognun fra risa canti e riboboli, lubricava sulla neve men per econom'a di spazio tempo e forze, che per impeti di gaiezza giovanile. A noi ed al nostro commilitone , com- messi al trasporto di una rotella di cannone, quale il grap- polo degli esploratori israeliti, impalata ad una stanga, avvenia non grato accidente. Intolleranti dell’ attendere o cupidi di singolarizzarci, veggiamo nn pendio intentato per troppa declività. Irriflessivi, di pari età, di pari spiriti 133 imprevidenti , l’ideare il proporre e l'eseguire fu un punto solo. Rotoliamo l’ affilatoci attrezzo, che prendendo moto acceleratissimo sparia fra globi di polverio nevoso, e ci lanciamo appresso a sdrucciolar con la persona. Non si scorrea ma tombolavasi. Giunti al fondo sbalorditi contusi malconci, ecco nuovo accidente dispiacevolissimo. La ruota era scomparsa perchè profondamente infossata nella neve; appena un brano della franta stanga dava indizio a rin- venirla. Senza strumenti idonei ad esumarla poteva il timore della disciplina 0 del disonore che le mani di due giovinetti facessero l' ufficio di vanghe. A tanti travagli a tanta gloria presero non poca parte quattro mila e più Italiani d’ogni provincia. Tutto italiano inoltre era il concetto immenso di sì immensa impresa ; che vogliasi oppur nò, Colui che il concepia e l’attuava era tutt’italiano per nome sangue favella e nascita, le sole che ovunque costituiscono la vera patria d'ogni uomo. Ei fora ridicolo assurdo dir tarchi i greci comunque per quattro secoli sudditi , o direm meglio schiavi, del turco imperio. Indi le gesta in discorso sono parte integrante dell’istoria de’ guerrieri italici e dell’ Italia, che imprese a respirare da quell’ anno terribile di troppo ancor fresca memoria , perchè non si abbia bisogno di ricordarla. Tornando poi all’ utilità di istoriare militarmente i due lustri anteriori al 1801 diremo di volo che la guerra il conquisto! evi disastri d’ Italia nel 1796 son larghi d’al- tissime verità e lezioni. Onde è che è prestantissimo ser- vigio il rivelarle a’principi e popoli italici per provvedervi ove mai l’ira de’ fati rinnovasse que’sinistri. Ogni pagina istorica dimostra lucidamente, che quando Austria e Fran- cia decidono con le armi le loro contese ; il teatro della grande e decisiva guerra è il Reno; quella in Italia non è che guerra d’ appendice o episodica fra le due ali estre- me. Non men lucido inoltre in ogni pagina dell’ istoria è il Vero, che quando le armi estere pugnano in Lombardia, vi si decidono non i destini degli oltremontani potentati, bensì quelli degli Italiani. Indi era urgente necessità il riunire le armi italiche sull’Alpi o sugli Appennini liguri, 134 e far causa comune col Sardo , cui null’ altro debbonsi che laudi per avere con ogni energia e prodezza , eredi- tarie virtù non mai smentite o rallentate negli Umbertesi, propugnato il suo reame. Ciò provvedeva a due momen- tosi fini ; ad avere un’ oste doppia dell’ austro-sarda con- tro alla francese, e ad agguerrire tutte le italiane mili- zie. Quanto il maggior numero cooperi alla vittoria non vuolsi dire essendo oggi noto e trito anche a’ curiali . Non men trito e nuto è come e quanto la guerra agguer- risca i soldati; e |’ antica sentenza di Catone dellum bel- lum alit è vera anche in questo significato. Nè va detto di quale e quanto beneficio sia l’ aver soldati agguerriti e l’ agguerrirti. È poco più di un secolo che un pugno di Svedesi fugava a Narva ottantamila Russi; ma non perciò si smarria Pietro, a ragion detto, il Grande; che anzi ognor riconducendo i suoi al nemico , li assuefaceva man mano a non paventarlo, e finia col vincere il suo vinci- tore. Osgi la Russia è il primo e più nervoso imperio del mondo ; laddove peria infante se avesse opinato per sem- pre imbelli i russi soldati, come altri opinò i suoi , sol pe:chè battuti la prima volta. Ma poichè non fu nè udita nè intesa l’ alta ragione sì di stato come di guerra non riunendo fin dal 1793 tutte le armi italiane sull’ alpe, giovava almeno il riunirle nel Modenese e nel Parmeggiano allorchè le schiere di Fran- cia discendeano nelle pianure Lombarde. Ivi l’esercito ita- lico naturalmente e fortemente vallato dal Pò sulla sua fronte, sicurissimo da tergo e ne’ fianchi, rompeva sogni impeto all’invasore col padroneggiargli 1’ ala destra e mi- nacciargli le spalle. Di quale e quanta formidabile entità sia in guerra una tale giacitura di forze, sarebbe insulto il dirlo; nonchè agli nomini dell’arte bellica, anche a quelli delle professioni le più pacifiche. Ove così si fosse operato , rinuncia ad ogni senno chi crede che Bonaparte avrebbe po- tuto sorpassar sè stesso con quegli sforzi e prodigi d’ingegno, che uopo fu.che ei facesse per trionfar di Wurmser ed Al- vinzi sull’ Adige. In quella Iliade delle guerre il veggia- mo anzi col viso continuamente e ansiosamente rivolto 135 al'a parte cispadana dell’Italia, per iscorgere a tempo se verso quivi movesse il menomo inimico. Sa ognuno le fe- ralissime conseguenze di quel torpore ed ozio mentre sì fervendo la guerra, era necessità accorrere a combattere e non poltrire. Un’ italica antichissima potenza spariva; e le altre se non sparvero, non perciò non patiano men ceru- deli vicende. Noi inanimiamo il nostro Autore a scrivere l’istoria del periodo in discorso come introduzione a quella che già va dando in luce ; avrà in esso un campo larghis- simo ad utilità militari e civili. Ed era (se la sorte ne fosse stata meno avversa) già da gran tempo nostro pensiero di cimentarvi le tenui forze, mirando al solo fine perchè i posteri schivino simili calamità ove mai il futuro raddu- cesse disastri simili. Ma se altri il faccia sentendo non inutili le idee strategiche schizzate in questo cenno, sa- rem paghi, e bene avremo speso il sangue i sudori e gli studi nell’ arte in cui non cogliemmo che spine. GaP. 136 BULLETTINO SCIENTIFICO Aprile 1829. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Il capitano Kater essendo il 29 settembre 1828 a Chesfield Loge in compagnia del prof. Moll, osservò a ore 8 e 35 minuti primi, tempo medio, una zona luminosa che si estendeva nel cielo dall’ est all’ ovest , fino a toccar l’ orizzonte alle due estre- mità. La luce di questa zona era uniformemente bianca ; e più viva di quella della via lattea ; la sua larghezza , presso a poco eguale in tutta la sua estensione, era di tre gradi e 45 minuti primi; i contorni di questa zona erano ben decisi, e tanto lu- minosi quanto la parte di mezzo ; la sua trasparenza era in tutti i punti tale, che a traverso di essa si distinguevano perfettamente le stelle. In basso dal lato dell’ ovest la zona declinava sensibil= mente verso il nord, e si perdeva in alcune nubi , a piccola di- stanza dall’ orizzonte. Avendo l’ osservatore segnato sopra d’ un globo la direzione di questo fenomeno luminoso , ha veduto che esso rappresentava in qualche modo un gran cerchio , che tagliava l’ orizzonte verso l’ est-nord-est, ed ovest sud-ovest , ossia ovest quarto sud. L’al- tezza del punto culminante era di circa 72 gradi ; cosicchè deve essere stato molto prossimamente nel piano d’ inclinazione del- l’ago calamitato, perpendicolare al meridiano magnetico. A 8 ore e 42 minuti primi la zona cominciò ad impallidire diminuendo progressivamente la chiarezza della sua luce dall’est all’ ovest. A 9 ore e 29 minuti primi non se ne distingueva più traccia alcuna ; la sua luce per tutto il tempo in cui restò visi- bile fu perfettamente tranquilla , senza scintillazione e tremore. Per tutta la durata del fenomeno soffiò molto vento dal sud- est; le stelle erano molto brillanti, il barometro era a 29 pollici inglesi, ed il termometro a 59 gradi Fahrenheit. Diverse persone avevano osservato che il tramontar del sole in quella sera pre- sentava qualche cosa di singolare. La latitudine di Chesfield è di 51° 56° 15”, la sua longi- tudine di 43” in tempo all’ovest di Greenwich. Fisica e Chimica. Lettera del sig. Carzo Marrevcci di Forlì al prof. Gazzeri. Sig. Professore. Mi affretto a comunicarle alcune esperienze che sembranmi meritare tutta la considerazione dei fisici. Persuaso già da gran tempo dell’ esistenza della elettricità ne’raggi solari, ho pur voluto una volta convincermene coll’esperienza. Esposto ad un tale 0g- getto al sole un elettrometro condensatore a foglie d’ oro e di una sufficiente sensibilità , non tardai molto a scorgere che queste divergevano , e si spiegavano inoltre su quella fuccia della cassa di vetro che direttamente riceveva l’ azion solare, parendone così attratte. Condotto per questo primo fatto a credere un tal vetro elettrizzato , volli riconoscere se ciò era realmente, e perciò la- sciate alcune lastre al sole, e dopo pochi istanti toccate in vari punti colla palla dell’ elettrometro, mi mostrarono sensibilissima divergenza , che vie meglio potei scorgere toccando le lastre con un piano di prova, e ciò ben leggermente, perchè gli effetti e dell’ attrito e della pressione dubbio non mi rendessero il risultato. Non dubitai allora più che i raggi solari avessero facoltà di elet- trizzare il vetro, e solo rimanevami di sapere se un tale elet- trizzamento era dovuto all’esistenza reale dell’elettricità in questi raggi; o più presto all’aumentata temperatura del vetro, al quale giudizio potea agevolmente decidermi riscaldando una lastra di vetro, e tentandola poi coll’ elettrometro. Ciò ‘è quello che feci realmente, e per quante volte io ripetessi questa esperienza , non mi fu mai dato di rinvenirla elettrizzata . Osservai ‘inoltre che la lastra di vetro esposta al sole in niun modo si elettrizzaoa se posta di sotto ad altra lastra, o se pur poco veniva la faccia del sole oscurata da strato nuvoloso frapposto. Ecco le poche esperienze che sin’ ora ebbi campo di tentare su tale oggetto, e che mi sembrano sufficienti onde stabilire la elettricità ne’ raggi solari. La influenza di un tale fatto sui fenomeni Meteorologici del magnetismo terrestre , e sopra tanti fenomeni della natura , spero varrà ad interessare Lei e tutti i Fisici allo sviluppo ul- teriore di questo futto. T. XXXIV. Aprile. 130 Pubblichi, se le pare, questa mia lettera nell’ Antologia , ed intanto ec. Di lei Sig. Professore Forlì li 25 Aprile 1829. Canzo Marreveer. (1) Il sig. Voehler ha annunziato d° aver ridotto allo stato me- tallico la glucinia e l’ ittria collo stesso processo con cui aveva già ridotto l’ allumina. Egli converte prima la glucinia in clo- ruro col processo del sig. Rose , cioè con esporre ad una cor- rente di gas cloro ben secco una mescolanza intima di glucinia e di carbone riscaldata fino all’ infuocamento . Dispone poi il cloruro di glucinia a strati alternativi con del potassio in un crogiolo di platino, coperto il quale , e fissatovi il coperchio con un filo metallico , lo riscalda con esporlo alla fiamma d’una lam- pada a spirito di vino. La riduzione si opera allora in un istan- te , e con tale energia, che il crogiolo diviene incandescente . Raffreddato questo , e scopertolo , lo getta in un gran vaso di acqua insieme colla materia contenutavi. La massa grigia, che è composta di cloruro di potassio e glucinio , si discioglie in parte, esalando del gas idrogene fetido, ed il glucinio si separa sotto la forma d'una polvere grigia nerastra, che si lava e si asciuga. Prende per il fregamento un poco di lucentezza metallica ; non si ossida all’avia alla temperatura ordinaria, ma scaldato sopra una lama di platino fino all’infuocamento, brucia con fiamma vivace ossidan- dosi. Gli acidi solforico ed idroclorico lo disciolgono con spri> gionamento di gas idrogene , ed il nitrico con sprigionamento di gas azoto. È disciolto egualmente dalla potassa caustica, ma non (1) Il sig. professore Saocerio Barlocci di Roma, in una memoria Sulla inftuenza della luce solare nella produzione dei fenomeni elettrici e magnetici, inserita nel tomo XLI del Giornale Arcadico, riferisce la seguente esperienza da sè istituita per riconoscere il potere elettrico della luce solare. Scomposta questa per il prisma, ha fatto cadere il raggio rosso ed il raggio violetto sopra due dischi di rame tinti in nero, ciascuno dei quali era annesso ad. un filo di rame. Due cerniere dello stesso metallo scorrenti sopra una colonnetta verticale di cristallo, ed alle quali erano fissati i detti ‘fili, permettevano di avvicinare ed allontanar questi uno dall’ altro secondo il bisogno. Sospesa pel tronco una rana preparata al filo superiore, ne ha fatte posare le gambe sull’inferiore. Di- sposto così l'apparato, ogni qual volta, essendo i due dischi investiti dai due diversi raggi rosso e violetto, lo sperimentatore stabiliva il contatto fra le parti estreme dei due fili, ha osservato nella rana segni evidenti di contrazioni. Nota del prof. Gazzeri. 139 dall’ammoniaca ; la quale bensì discioglie l'alluminio. Il glucinio s’ infiamma nei gas o vapori di cloro, di bromo, di iodio , di solfo, di selenio, di fosforo , e d’ arsenico , formando un cloru- ro, un bromuro , ec. L’ ittrio, ottenuto collo stesso processo , presenta con poca differenza li stessi caratteri. Il sig. Serullus esaminando accuratamente quel composto che i chimici indicavano col nome di cloruro d’ azoto , ha rico- nosciuto che esso è un vero cloruro d’ ammoniaca. Ha trovato egualmente che il così detto ioduro d'azoto è un composto d’iodio e d’ ammoniaca. L’ analogia portandolo a presumere che anche l’ argento ful- minante scoperto da Berthollet sia un ammoniuro d’ argento , come l’aveva riguardato il suo discuopritore, e non un azoturo, come altri chimici l’avevano considerato , col mezzo di oppor- tune ricerche si è assicurato che questo composto è formato d’os- sido d’argento e d’ ammoniaca. Era noto per le osservazioni di varii chimici di molto merito che l’azione combinata del calore e del gas ammoniaco induce notabili cambiamenti nei metalli; e che, per esempio, il ferro ed il rame infuocati a rosso, ed esposti all’azione del gas am- moniaco ben disseccato, divengono fragili e cambiano di colore ; ma non trovandosi differenza sensibile nel loro peso prima e dopo l’esperienza , non si sapeva a che attribuire la perdita della loro duttilità. Ora il sig. Despretz occupandosi di ricerche relative a quest’ oggetto ; ha potuto assicurarsi che i metalli così alterati dal gas ammoniaco hanno provato un notabile cambiamento di densità , e che vi si è unito dell’azoto. Qualche volta ha trovato nel ferro un aumento di 11 1 per 100. Spesso per altro 1’ an- mento di peso è quasi insensibile, perchè l’azoto prima unitosi al metallo se n’ è poi sprigionato per l’ effetto d’ una tempera- tura troppo ele vata. Una delle più importanti fra le moderne scoperte della fisica e della chimica è la riduzione di varii gas , perfettamente dis- seccati; in liquidi privi d’acqua, mediante una forte compressione, spesso unita ad un raffreddamento artificiale. Con questo solo ultimo mezzo, e senza compressione, il sig. Bussy potè ridurre il gas acido solforoso secco in un liquido dotato di proprietà sin- golarissime , alcune delle quali sono state recentemente ricono- % 1‘0 sciute in esso dal sig. Augusto de la. Rive, che lo ha preso a soggetto delle sue ricerche . Questo liquido è eminentemente volatile ,, poichè entra in ebollizione alla temperatura di gradi 8 R. ed è sempre allo stato aeriforme sotto la pressione ed alla temperatura ordinaria del- l'atmosfera. In stato liquido ha un peso specifico di 1,45, ed una trasparenza e limpidità perfetta. Esposto all’ aria libera , si evapora con tal rapidità, che sparisce immediatamente, producendo un freddo intenso. Gettandone alcune gocce sull’ acqua conte- nuta in un vaso non grande, vi determina la formazione imme- diata d’ nna crosta di ghiaccio ; e mettendo in un vetro da oro- logio , prima poc’ acqua , quindi un poco d’acido solforoso liquido, l’ istantanea evaporazione della più gran parte di questo trasforma l’acqua ed il rimanente dell’acido in una massa come di neve. An- che il mercurio si solidifica trattato in egual modo. Quest’effetto è più pronto se il vetro da orologio in cui si è versata l’acqua e l’ acido solforoso sia pusto sotto il recipiente della macchina pneu- matica, e fattovi immediatamente il vuoto. Il sig. De la Rive ha pro- fittato della circostanzà in cui faceva quest’ultima esperienza, per riconoscere se la congelazione del mercurio influisca sulla sua fa- coltà conduttrice rispetto ‘all’elettricità , ed ha trovato che effet- tivamente il mercurio solidificato è alquanto miglior conduttore del- l’elettricità che il mercurio liquido. Si sa che a solidificare il mer- curio si richiede un raffreddamento di gradi 30 R. sotto lo zero. Per la rapida evaporazione dell’acido solforoso liquido il sig. Bussy ne ha prodotto uno di gradi 48, ma non ha potuto congelare nè l’ etere nè l’ alcool assoluto. Se si ponga in un vetro da orologio soltanto dell’ acido solforoso liquido , la rapida evaporazione di una parte di esso ne fa congelare il rimanente, che si vede formato in piccoli cristalli bianchi. Un egual fenomeno era stato già osser- vato nell’acido prussico, o idrocianico. Per altro il sig. De la Rive ha riconosciuto che quei cristalli non sono di puro acido solidi ficato , ma una mescolanza d’acido e d’acqua, che prima disse- minata nell’aria in stato di vapore, si è condensata per l’azione del freddo intenso prodotto. Un tal composto cristallino d’acido solforoso e d’ acqua, simile all’ altro già conosciuto di cloro e d’ acqua, era stato osservato dal sig. De la Rive nel. processo stesso della preparazione dell’acido solforoso liquido. Impiegan- dovi tre vasi stretti e lunghi circondati d’ una mescolanza fri- gorifica , comunicanti fra loro per mezzo di tubi pieni di idro clorato di calce, e percorsi dal gas acido solforoso sprigionato col metodo ordinario , questo arrivando nel primo vaso uuita- La 141 mente ad un poco d’acqua, vi si solidifica insieme con essa in forma di cristalli bianchi, mentre arrivando secco 0 privo d’acqua negli altri due vasi, vi si condensa in forma del. puro liquido indicato. Il sig. De la Rive si è pure assicurato che l’ acido solforoso liquido privo d’ acqua non è punto conduttore dell’ elettricità , ma ,lo diviene appena vi si unisce un poco d’ acqua. Il sig. Vogel, trattando la terebintina coll’acido nitrico e col ferro, ha ottenuto un acido artificiale simile all’ acido succinico. La stessa operazione gli ha somministrato un olio analogo a quello che si.,ottiene dalla distillazione del succino. Si devono al celebre sig. Daoy le seguenti osservazioni intorno al color naturale dell’ acqua pura. L’acqua pura veduta in gran massa è di color turchino celeste. Si osserva questo colore nell’acqua di quei laghi o di quelle grandi masse d’ acqua che si trovano sulle alte montagne. Secondo i rapporti del capitan Parry , è tale anche il colore delle acque dei ghiacci polari. Quando in un lago vivono dei vegetabili ; il colore dell’acqua si avvicina al verde-mare. Quando l’ acqua s’impregna di materie vegetabili in scomposizione , diviene più verde, e anche d’un verde giallo. Finalmente se la scomposizione è più avanzata, come nei paesi di torba , il suo colore è giallo , ed anche bruno. Il colore dell’ Oceano è dovuto probabilmente a due principii elementari , l’iodio , ed il bromo , che le sue acque contengono certamente ; e che risultano forse dalla scomposizione dei' vegetabili marini. Quelle due sostanze disciolte in una piccola quantità d’ acqua danno un color giallo, e questo colore, mescolato a quello turchino dell’ acqua pura ; può produrre il verde-mare. Alcuni anni addietro il sig. Davy essendo sul. Mer de Glace nella valle di Chamouni, fece un esperienza su questo soggetto. Gettò una piccola quantità d’iodio in uno di quei pozzi, che si tro- vano in gran numero su quelle montagne di ghiaccio; avendo smos- so l’acqua con un bastone per mescolarla, la vide subito passare al colore verde-mare, poi al verde d’ erba, e finalmente al verde giallastro. Non riguardando questa che come una congettura favorevole ‘alla sua opinione, il sig. Davy aggiugne che la neve ed il ghiaccio , che sono acqua purissima cristallizzata, appariscono sempre di color turchino , se si guardino a traverso della loro sostanza. Egli ha 142 spesso ammirato il colore azzurro delle crepature, o spacchi, che si formano nella neve negl’inverni freddissimi, e di quelli che si vedono in gran numero nei monti di ghiaccio della Svizzera , particolarmente nella volta, similmente di ghiaccio, da cui scatu- risce una delle sorgenti del fiume Arva nella valle di Chamouni. Il sig. Vogel di Monaco ha posto della glyeyrrhizina in una soluzione di solfato di soda, ed in una di solfato di calce, in vasi che ha poi ben turati. Apertili dopo due anni e nove mesi, ha sentito un forte odore di gas idrogene solforato; il liquido aveva un sapore amarissimo epatico o solfureo. Coi sali di piombo e di argento formava precipitati neri di solfuri metallici. Vi si era for- mato anche dell’ acido acetico. Le stesse soluzioni conservate in vasi simili, ma senza aggiunta di sostanze organiche, erano inal- terate +. | L’ autore conchiude che le acque minerali epatiche possono formarsi, purchè contengano , oltre i solfati, una sostanza orga- nica disciolta , senza che sia necessaria, come si supponeva ; la presenza del solfuro di ferro. L’autore aveva più volte osservato in acque minerali delle tracce d’ acido acetico , specialmente in quelle di Neumarkt , piccola città di Baviera , nelle quali quel- l’acido era combinato alla soda. Queste acque lasciano col tempo depositare una polvere nera, bènchè fossero limpidissime alla sor- gente. Questa polvere contiene molto solfuro di ferro. Il sig..Hermbstaedt avendo osservato che una dissoluzione di nitrato .d’ argento molto allungata d’acqua , lasciata a contatto dell’ aria in riva al mare, vi divien rossa, aveva attribuito que- st’effetto ad un principio aeriforme contenuto nell’ aria. Questa sua opinione era stata adottata da altri fisici. Il sig. Vogel di Monaco fu condotto da alcune sue prime esperienze a riguardare come causa di questo fenomeno un idro- clorato , che egli credè trovarsi nell’ atmosfera in vicinanza del mare , e sollevarsi insieme coll’ acqua per l’ evaporazione ; e sic come non aveva fino allora trovato alcuna specie d’ acqua che esposta alla luce del sole , dopo avervi mescolato alcune gocce di nitrato d’ argento , non divenisse rossa, aveva sospettato che in qualunque acqua fosse qualche traccia d’un idroclorato qua- lunque. Il sig. Zimmermann di Geissen annunziò che quest’ effetto era prodotto da una materia vegeto-animale , che egli chiamò pirrina , e della quale altri chimici confermarono l’ esistenza. 1453 Avendo il signor Vogel tenuto per alcuni mesi un pezzo di legno di faggio immerso nell’ acqua, questa aveva acquistato un color giallastro; ma non aveva disciolto nè acido gallico , nè tannino , giacchè non diveniva nera col solfato di ferro , nè pre- cipitava colla gelatina. Mescolato a quest’ acqua un poco di ni- trato d’ argento, e conservatala nell’ oscurità, non si colorò in rosso, ma esposta alla luce solare, divenne di color di vino. Dopo alcuni giorni si scolorì interamente ; e se ne precipitò una pol- vere nera. Il cloro la scolorava completamente ed istantaneamente, nè la luce più intensa poteva restituirle il color rosso. Anche una dissoluzione allungatissima d° iodio produceva lo stesso effetto. Evaporata a secchezza una parte dell’ acqua nella quale era stato immerso il legno , ne risultò una materia bruna , ‘polve- rulenta , dalla quale scaldata in una piccola storta si sprigionò del carbonato d’° ammoniaca. L’Autore riconobbe in seguito che basta lasciare per due ore un pezzo di legno immerso nell’ acqua perchè questa acquisti la proprietà di divenir rossa esposta all’ azione della luce. solare , dopo avervi aggiunto un poco di nitrato d’ argento , effetto da attribuirsi ad una materia organica, non ad un idroclorato . In fatti darino all’ acqua la stessa proprietà molte sostanze organi che, diversissime fra loro, come il terriccio , la fibrina del san- gus, la fecola arrostita, gli olii volatili disciolti nell’ acqua, l’acido benzoico , l’aceto stillato , ed anche gli acetati. Hanno questa stessa proprietà in grado molto notabile l’ acqua-vite di semi ce- reali e quella di patate, ma molto meno quella del vino. Sem- bra che questa differenza dipenda dal più o meno d’olio vola- tile che vi è contenuto . In fatti 1’ alcool proveniente dai semi cereali, purificato o privato del suo olio, non dà alla soluzione di nitrato d’argento allungata la proprietà di colorarsi in rosso allorchè è esposta al sole, cosicchè questo potrà essere un mezzo chimico per riconoscere la presenza dell’olio volatile nell’ alcool. È facile comprendere che gli atomi di materie organiche nuo- tanti nell’atmosfera possono comunicare le proprietà indicate al- l’acqua che vi è stata esposta , ed a quella di pioggia che la traversa. Una dissoluzione allungata di nitrato d’argento, che sia stata qualche tempo in un giardino di fiori o in una stufa , di- vien rossa al sole per un poco d’ aroma, o d’olio volatile, chè ha ‘assorbito. Acquista la proprietà stessa l’ acqua tenuta sotto una campana insieme con dei fiori odoriferi. 144 Sospettandosi in alcune specie di farine la mescolanza dell a fecola o amido di patate, il sig. Henry , per assicurarsene ; le esaminò con una buona lente alla viva luce del. sole, e -rico- nobbe facilmente dei punti brillanti e cristallini ; ma non potendo per questo mezzo determinare la proporzione della fecola mesco- lata alla farina, trovò preferibile il sistema di, verificare la quan- tità del glutine che si potesse ricavarne, prendendo per termine di confronto delle farine pure e non adulterate. Trattando così circa 30 specie di tali farine limitandosi cioè ad estrarne il glutine senza occuparsi degli altri componenti, trovò che tutte contene- vano per termine medio rto e un quarto per too di glutine per- fettamente seccato e polverizzato , mentre delle farine sospette di mescolanza, alcune non hanno dato che 6., ed altre 6 e mez- zo ‘per 100 di glutine perfettamente secco. Il principio amaro del salcio può esserne estratto puro col seguente processo proposto dal sig. Buchner. Fatta infusione della scorza del salcio, si precipita per mezzo dell’ acetato di piombo, si feltra ; e si tratta il liquido feltrato coll’ idrogene solforato , ed il carbone animale ,, e quindi si evapora. Il residuo dell’. eva- porazione somministra il principio amaro, che l’ autore chiama Salicino. Per liberarlo dall’ acido acetico , 1’ autore aggiugne al liquido un poco d’ ammoniaca avanti 1° evaporazione. È sempre difficile separare da. questo prodotto tutto il tannino. I migliori risultamenti si ottengono con una soluzione alcoolica di colla di pesce. La soluzione concentrata del Salicino è quasi incolora , ma l’evaporazione riproduce sempre un color giallastro. Sembra che questo. principio tenda a. cristallizzarsi; ha un sapore amaro schietto intensissimo ; si ravvicina agli alcaloidi. L’ autore che ha trovato nella Calumba, nel legno Quassia , nella Simaruba , e nel Curari, materie amare e solubili affatto analoghe ; promette più estese notiziè intorno a questo corpo. Preparando delle pillole colla resina di guaiaco , col subli- mato corrosivo, e col sapon bianco. , il sig. Regimbau ha veduto svilupparsi nella: massa un color turchino intenso. Era noto che nel vapor di cloro la resina di gnaiaco divien prima verde , poi turchina , poi brana,, che il sapone la colora sensibilmente in yerde turchiniccio , ma il colore di queste pillole è altrimenti pronunziato. L’ autore ha riconosciuto che il color turchino è pro- dotto da una parte di cloro divenuta libera in questa mescolan- 145 za per l’azione d’ un eccesso d’ alcali del sapone ‘sul deutoclo- ruro di mercurio. Lo ha verificato facendo agire direttamente sulla resina di guaiaco una soluzione di cloro , ma in questo caso bi sogna che la resina sia prima disciolta in una sostanza alcalina, la quale non opera che come dissolvente. Il cloro , il bromo , e l’iodio, in proporzioni convenienti, colorano con eguale intensità la tintura alcoolica di resina di guaiaco , ma l’effetto non è per- manente ; il colore s’indebolisce, e sparisce ; l’idrogene solforato lo scolora nel momento , e si precipita del solfo. Fisica animale. Il sig. Weinhold tagliò la testa ad un gatto, e dopo che le pulsazioni arteriose ed i movimenti muscolari parvero compiuta- mente cessati, estratto il midollo dal canal vertebrale, lo riem- piè d’un amalgama di mercurio, argento, e zinco; ricomparvero tosto le pulsazioni ed i movimenti , e 1’ animale si mise a fare dei salti, dei quali fece un buon numero. Quando parve che l’ir- ritabilità fosse esaurita, avendo egli, per mezzo d’un arco metalli- co , posto in comunicazione cell’ amalgama (la quale faceva fun- zione di midollo artificiale ) il cuore ed i muscoli volontarii , vi- de risvegliarsi delle generali contrazioni , benchè non molto forti. Avendo il sig. Weinhold riempiuto della stessa amalgama il cranio ed il canal vertebrale d’un altro gatto, che non dava più indizio di vita, si svegliò in quest’ animale per il corso di 20 mi- nuti tanta tensione vitale , che alzava la testa , apriva gli occhi , guardava fissamente , si provava a camminare, e caduto in terra si rilevava, finchè ricaduto ad un tratto ‘vi rimase immoto. In questo tempo la circolazione del sangue ed il batter dei polsi erano veementi , e continuarono anche un quarto d’ ora dopo che furono aperti il petto e l’ addome. La secrezione del sugo gastrico era evidentemente più copiosa che nello stato ordinario, il calore animale era perfettamente ristabilito. Introdotta la stessa amalgama nel solo cranio d’ un cane, e non nel suo canal vertebrale , e facendo attenzione alle princi- pali funzioni dei sensi , il sig. Weinhold osservò che la pupilla si contraeva; avvicinandogli una candela accesa, l’animale si sforzava di schivare la luce , e tendeva 1’ orecchio mentre si percuoteva con. una chiave la tavola su cui era posato. Le numerose e diligenti ricerche statistiche intraprese dai T. XXXIV. Aprile. 19 146 sigg. Villermè e Milne Edwards li hanno condotti a riconoscere nel modo più indubitato che il freddo è molto dannoso ai bambini recentemente nati, giacchè di quelli che non arrivano a vivere un anno, il maggior numero muore nella stagione più fredda, mentre da un anno in su fino alla vecchiaia esclusive , accade precisa- mente il contrario. Il sig. dott. Roulin, profittando del suo soggiorno in Ame- rica, si è occupato di curiose ed importanti osservazioni, per le quali è stato condotto a riconoscere notabili cambiamenti soprav- venuti negli animali domestici trasportati dall’ antico mondo nel nuovo continente, per l’influenza che un clima diverso ed altre estrinseche circostanze esercitano contro la naturale e costante ten- denza dell’ organizzazione a svilupparsi in una sola e stessa ma- niera , che dicesi normale , per ciascuna specie. Egli ha debita- mente riguardati come cambiamenti prodotti dallo stato di do- mesticità quelli che erano disparsi o disparivano per il ritorno allo stato selvaggio. Ecco le principali conclusioni che egli ha dedotto dalle sue osservazioni : 1.° Quando si trasportano degli animali in un clima nuovo, risulta, non nei soli individui, ma nelle razze, il bisogno di ac- climatarsi, o di conformarsi al nuovo clima; 2.° Nel corso di questa modificazione si operano comune- mente nelle razze degli animali certi cambiamenti durevoli, i quali mettono la loro organizzazione in armonia coi climi nei quali sono destinati a vivere ; 3.° Finalmente dallo stato di domesticità e di schiavitù re- stituendo gli animali a quello d’ indipendenza , le abitudini di questa fanno prontamente ritornare le specie , domestiche verso le specie selvagge, dalle quali provennero. L'accademia delle scienze di Parigi ha riguardato come molto importante questo lavoro del sig. Roulin, le conclusioni del quale possono richiamare a considerazioni d’ un ordine elevato intorno alle modificazioni che le razze e le specie possono aver provate in epoche da noi rimotissime, allorchè l’influenza delle circostanze esterne era più potente, e si operava in limiti più estesi. SCIENZE MEDICHE. Il sig. Robert, medico del lazzeretto di Marsiglia, ha indi- rizzato all’ Accademia delle scienze di Parigi due sue opere , una delle quali è intitolata: Guida sanitaria dei Governi europei , 17 l’altra: Osservazioni sull’ epidemia di Marsiglia. Quest’ ultima contiene: alcune nuove considerazioni sulla vaccina. La lettera che accompagnava le dette due opere contiene delle notizie im- portanti. Nell’ epidemia di Marsiglia più migliaia di vaccinati hanno avuto la varioloide ; la quale è stata mortale per quaran- tacinque fra essi, la maggior parte adulti, e che avevano avuto una vaccina regolare. L’ autore ha verificato , per mezzo di sei inoculazioni di varioloide, la facoltà che ha quest’affezione d’es- sere eminentemente contagiosa, e di poter riprodurre il vaiolo. Il semplice avvicinamento degl’individui basta per l’ inoculazione di questa varietà di vaiolo. L° autore indica nel suo. scritto i mezzi che egli crede i più adattati a prevenire in seguito nei vaccinati l'irruzione della varioloide. In una sua nota indirizzata alla stessa Accademia delle scienze il sig. Lassis cita due lettere che egli ha ricevute dalla commis- sione di Gibilterra, le quali giustificano ciò che egli aveva avan- zato, cioè che l’ epidemia di Gibilterra non deve essere attribuita più ad infezione che a contagio. Di fatti queste lettere annun- ziano che il male si è esteso a tutti i quartieri, e perfino alla sommità della rupe , ove non si può supporre influenza di paludi o d’ altra sorgente d’ infezione. Il sig. Guilbert ha annunziato d’ avere scoperto uno stru- mento per mezzo del quale si può esplorare e riconoscere la gros- sezza delle pietre contenute nella vescica orinaria ; ma del quale non ha ancora dato la descrizione. G.. G. Breve istoria della febbre epidemica comparsa ‘in Palermo nel mese di gennaio 1828 , scritta dal dott. Viro MerLertA; pag. 35. Palermo 1828. Tipografia Baldanza. L’ epidemia cominciò con varii tipi di febbre intermittente; assunse varie forme di sinoca ; la gastrica , la nervosa , e la ga- strico-nervosa furono le più frequenti ; la comparsa della milia- re, e delle petecchie fu di tristo presagio. La china deteriorò le condizioni degl’infermi. Sotto l’uso di blandi purganti, di emeti- ci, di salassi, le malattia si vide volgere a buon termine: i fe- nomeni nervosi scomparvero dopo l’uso del muschio, della can- fora e del sottocarbonato di ammoniaca ; le ostinate diarree, do- po quello dell’ oppio. — Queste febbri attaccarono di preferenza le persone giovani , le deboli, e quelle malate nei visceri addo- minali: si mostrarono nei luoghi elevati , come in pianura ove 148 egni anno regnano delle intermittenti prodottevi dalle emanazioni delle acque dell’Oreto, e di quelle che raccolte da’ contadini; in estate ) rimangono stagnanti. Queste stesse cagioni; e le straor- dinarie vicende atmosferiche; a cui fu sottoposta Palermo dopo. il terremoto del 4 agosto 1827, diedero luogo a tali malattie, se- condo quello che ne dice l’A. Egli ha omesso una. cosa molto, im- portante , cioè di pubblicarne, una statistica. V. Considérations sur un nouveau moyen proposé par le D. Mojon pour l’ extraction du placenta, par le D. Pascal Calderoni. Gé- nes 1828, brochure de 4o pages. È noto fino dal 1825 il metodo per distaccar la placenta in caso di emorragia , dopo 1° espulsione del feto, col mezzo d’inie- zioni di acqua fredda acidulata con aceto , spinte nella vena del funicolo ombellicale. Fatti mamerosi confermano 1’ efficacia , ra- zionalmente presentita , del ritrovamento del dottor: Benedetto Mojon:di Geriova ; che il sig. Calderoni di lui concittadino mira a propagare. Egli avvalora 1’ operetta di nuovi casi pratici, e in- dica i libri ove son registrati i già conosciuti. Comincia: dal de- scrivere anatomicamente il cordone ombelicale, e la placenta; e parla dei rapporti fra quest’ organo e l’utero. All’ esame ‘delle circostanze che esigon di promuovere il distaccamento della pla- centa, o esigono l’estrazione : all’ esame degl’ inconvenienti dei mezzi usati sono rivolte le considerazioni dell’ Autore, onde far risultare 1’ innocuità , e l'utilità delle iniezioni. Il processo “per eseguirle è totalmente quello di Mojon. La pratica di aspirare colla siringa il sangue dalla vena ombelicale, invece di premerla semplicemente prima d’ iniettarla , è la sola innovazione intro- dotta dal sig. Calderoni. V. Istituzioni di materia medica del prof. Domenico BruscHt . Perugia 1828 in 8.° Vol. 2.° Rendemmo conto del primo Vol. nel N.° 92 di questo giorna- le. Due sezioni di rimedi (II.* e III.*) son quì contenute: L’una comprende quelli che 1° A. considera stimolare a preferenza il sistema della circolazione sanguigna , e quelli che servono a de- bilitarlo. Essendo nell’ altra presi di mira gli apparecchi secernenti , vi sono esposti i rimedii diaforetici e diuretici. — Tutte queste parti sono arricchite delle più moderne osservazioni, e l'A. vi si mostra bene iuformato di ciò che è stato scritto più recentemente. V. 149 Osservazioni e rilievi fatti sull’ opera di Loporico Bansieri d° Imola stampata in Bologna l’anno 1680: del cav. Lvicr Ax- cetr editore. Imola 1828 in 8.° Dai tipi d’Ignazio Galeati. Un sentimento di gratitudine alla memoria di Lodovico Bar- bieri d’ Imola ha determinato il suo concittadino sig. cav. prof. Luigi Angeli alla ristampa dell’ operetta pubblicata in Bologna nel 1680 ; rara e di sommo pregio . Due dissertazioni latine la compongono. La prima di esse , dedicata al Senato d’ Imola , è intitolata Spiritus nitro-aerei operationes in microcosmo ; V’altra indirizzata: in forma di lettera a Scipione Sassatelli , tratta de usu pororum biliosorum, ove apparisce l’ erudizione anatomica dell’ autore. L’ editore pigliando in fondo dell’ opera ad esaminare la pri- ma dissertazione , osserva che quantunque il Barbieri, come egli stesso confessa , traesse gran parte del suo lavoro da due disser- tazioni di Mayow pubblicate in Oxford nel 1669 De salnitro et spiritu nitro-aereo ; e De respiratione ; estese le di lui dottrine alla spiegazione di gran parte dei fenomeni della vita, e lo fece conoscere all’Italia ; e riflette che le idee ‘esposte dall’ A. sullo spirito nitro-aereo , che corrisponde all’ ossigeno nella presente nomenclatura sistematica , la scoperta del quale fu attribuita a Priestley 94 anni dopo, ne includono le proprietà le più carat- teristiche confermate dalla chimica moderna e dalla fisiologia. Per quella malangurata ventura che colpisce sì frequente- mente i nomi degl’ Italiani, fu taciuto Barbieri al momento di quella gran rivoluzione , che subì la scienza allo stabilirsi della chimica pneumatica : e una palma di più è stata \involata alla nostra Italia. V. Grocraria , SrATISTICA , e VIAGGI SCIENTIFICI. Note statistiche sugli Stati Sardi. — Lettera di Luisr Cisra- rIO, Capo di Divisione nel Ministero degli affari interni del Piemonte, al sig. de Frerussac. (Estratto dal Bull. Univ. delle Scienze.) Voi gradiste sempre con molta bontà le notizie circa la sta- tistica e l'economia pubblica della Sardegna , che ebbi 1° onore di comunicarvi. Onde è che posso senza peccare di presunzione sperare la stessa cortesia ed indulgenza per qaelle che oggi vi indirizzo. Nelle mie precedenti lettere parlai delle cure del governo 150 verso i Sardi durante il regno paterno di Vittorio Emanuele e i quattro primi anni di quello del re Carlo Felice ; e voi avete potuto scorgere non già nelle mie asserzioni, bensì ne’ computi statistici inviativi, quanto mai favorevoli sieno stati i risultamenti delle cure suddette in Sardegna. Oggi poi posso con ogni sodi- sfazione assicurarvi, che le sagge disposizioni ed opere del gover- no sono state coronate da un successo forse maggiore di quello, che avrebbe potuto sperare chi avesse posto mente agli ostacoli da superarsi per conseguire lo scopo cui si mirava. Nell’ anno 1820 fu con regio editto autorizzata la chiuden- da de’ terreni; negli anni appresso fu incoraggita quest’ opera economicagraria con ogni specie di favori. D’allora in poi il de- siderio di approfittarne fu sì generalmente e sentito ed apprez- zato, che assai considerevole‘è la quantità del suolo tolto al pa- scolo e ingresso comune. È inutile aggiugnere che poderi chiusi essendo divenuti proprietà particolari , sono assai meglio coltiva- ti; e infatti molti gareggiano già con le migliori fattorie del Pie- monte. Perchè questo vantaggio si vada ampliando e divenga ge- nerale , i Sardi non hanno bisogno se non di imitar gli esempii che-loro dà il di loro degno compatriotta il marchese di Villa Her- mosa , le di cui industrie agrarie sono non men vaste che ben intese ed eseguite. Sono anche già presso al termine le careggiate che il re de- cretò nel 1821. La più importante , ossia quella da Cagliari a Sassari, è da qualche tempo compiuta . Ora i carri possono an- dare da un capo all’ altro dell’ isola per vie sicure e comode. I Sardi delle provincie interiori, che a bella prima non ne inten- devano l’ utilità, l'hanno poi sì ben sentita e conosciuta. che oggi i comuni rivaleggiano in zelo a costruire a spese proprie le strade traverse per mettersi in comunicazione con la strada prin- cipale . Le leggi con le quali era amministrata la giustizia in Sar- degna appartenevano a diverse epoche ed a varie dinastie. La carta de Logu (la legge del luogo), che era il codice il più an- tico , rimonta al 14.° secolo, e contiene i decreti della celebre principessa Eleonora, la quale regnava per diritto ereditario e col titolo di Giudice nella provincia di Arborea. Le prammatiche reali e i capitoli delle corti erano statuti degli Aragonesi. Infine. vi si avevano molti editti emanati da che l’ isola venne in possesso della real casa di Savoia. Queste leggi, dettate in epoche differenti e secondo il vario sistema delle dinastie che vi regnavano , non potevano che ingenerar confusione nelle procedure de’ tribunali, 151 e scontento nel pubblico. Onde è che la saggezza del re avvisò di rimediarvi ordinando di farsi una scelta delle. migliori leggi della legislazione antica , conciliandovi le contradizioni, rischia- rando le oscurità, e correggendo gli errori. Questo lavoro, che è stato discusso ed eseguito con grande maturità e avvedutezza , ha ricevuto il suo compimento con la Pubblicazione delle leggi civili e criminali per la Sardegna, fatta nel gennaio 1828. Nell’ ultima mia lettera vi dissi d’ avere il re ordinato che in ogni comune si istituisse una scuola gratuita di leggere scrivere abbaco catechismo ed elementi d’ agricoltura . Questo ordine che avrà immensa influenza sulla civiltà dell’isola, è stato messo in esecuzione. Di 392 villaggi più di 300 godono già del beneficio dell’istruzione, e le scuole veggonsi di giorno in giorno più frequentate. L’ avanzamento dell’ istruzione è attestato dalla diminuzio- ne de’ delitti. Le opere de’dotti scrittori Manno, Marmora e Mi- maut , vi avranno già fatto conoscere che gli omicidii avvenuti per causa di vendetta sono numerosi nelle provincie interiori dell’ isola, nelle più montuose , e soprattutto in quelle di Bar- bagia e di Gallura. All’ incontro i furti di strada pubblica vi son rarissimi, e potrebbe dirsi, quasi incogniti. Lo che prova che il popolo è feroce perchè incolto , ma che non è punto corrotto. Ora posso annunziarvi con piacere che il numero degli omicidii, il quale nel 1818 poteva ascendere più o meno a 150 per anno, è oggi sbassato a 90. Unisco a questa lettera alcuni particolari statistici, de’quali posso guarentirvi l’ autenticità. Numero annuale degli studenti nell’ università di Ca- Mit i ini 13 rota #0 casina 6 cioè , in teologia 46 ; in giurisprudenza 62; in medicina 6; in chirurgia 16 ; in filosofia 127. Numero annuale degli studenti nell’università di Sassari. 226 cioè 41 in teologia ; 51 in giurisprudenza; 14 in medici- na; 7 in chirurgia ; 113 in filosofia. Il poco numero degli studenti di medicina in ambe- due le università è spiegato dalla ristrettezza delle condot- te e degli impieghi a’ quali possono aspirare. Il governo ha coll’ editto del 28 febbraio 1828 in un certo modo dimi- muito cotanta scarsezza, creando i posti di direttore e vice- direttore generale e di commissario dell’ istituto di vacci- nazione. 152 Annuo n.° medio di lanree conferite nell’università di Cagliari 0 el L, aricianichi babies rioni Delle pes 19 di debiti; Annuo n.° medio delle lauree conferite nell’università di Sassari... . x vfrrertrie i 0) rendo he Viti VITA Delle quali 9 di dottori. Annuo n.° medio degli allievi nelle scuole normali nelle i dieci provincie in cui è divisa l’ isola. . . +. . +... 6665 Annuo n.° medio degli allievi nelle scuole secondarie di Cagliari . . otte fa inaitani ia eene Idem in quelle di Seltsnri nità no rifrieà Pv ASI EA Totale (*) . . 9846 Tutta la popolazione dell’isola ammontando a 490087 abi- tanti , stà il numero degli studenti alla popolazione intera co- me 1 : 49,8. Il numero degli studenti nativi di Cagliari, e che frequen- tano le scuole sia dell’ università sia secondarie , è di 1158. Or la popolazione di Cagliari essendo di 27 mila abitanti , stanno gli studenti agli abitanti cagliaresi come 1 : 23,3. Nella stessa città la proporzione fra gli artigiani de’mestieri principali e la popolazione è la seguente Di sarti . .. come 1: 675. Di conciatori . id. 1: 1350. Di ferrai.. .. id. 1: 337. Di stipettai . . id. 1: 252. Di fabbricatori id. 1: 126. Di calzolai . . id. 1: 250. Di pescatori. . id. 1. . 84. È necessario avvertire che ne’ dati numeri son compresi sol- tanto i capi maestri, e non già de’ garzoni di bottega. Negli ultimi anni di soggiorno della famiglia reale in Ca- gliari, volle il governo conoscere quale fosse il numero degli uomini atti alle armi; e se ne trovarono 125621 in tutta l’isola. Dei quali erano 51947 da’ sedici a 30 anni; 45648 da 30 a 45 anni ; e 28026 da°45 a’ 60 anni. Nell’ istessa epoca le milizie a piedi ascendevano a 25489 , e quelle a cavallo a 35496. Tutta questa guardia nazionale era di 60985 individui. Torino 25 ottobre 1828. (*) Questa somma è erronea, ma tale quale trovasi nel Bullettino del sig. Ferrusac. 153 Osservazioni sulle strade che pel Balkan e per l’ Emo condu- cono a Costantinopoli ; seguite da talune riflessioni sulla ne- cessità che i Potentati meridionali dell’ Europa hanno ad in- tervenire negli affari della Grecia. Opuscolo del Luogote- nente Generale conte T... Parigi. (-Art. estr. dal Bull. Univ. delle Scienze. ) Molti varchi, tre de’ quali son praticabili da’ carri, traver- sano l’ Emo. Il primo passa da’dintorni di Gistova a Roustchouk per Sernova Kabrava Kezaulik ec. ec. e mette capo ad Adria- nopoli. Il secondo vi conduce partendo da Silistria e passando per Razgrav Eski Diuma Schumla Carnabat e Papasli. Questo se- condo esige lo stesso tempo , ossia lungo al pari del primo. Il terzo infine parte da Aglau Bazardiik, là ove tra Silistria e il Mar Nero si congiungono tutte le strade del Basso Danubio , e passa per Pravadi Aidoz Aumour Fakih. Vi si impiegano 54 ore di camino a percorrerlo. Indi tre corpi di esercito possono contemporaneamente e pa- rallelamente sormontare il Balkan per scendere nelle pianure della Tracia, e riunirsi in Adrianopoli in 12 o 19 giorni di tempo. L’ autore esamina l’ ipotesi della mossa degli eserciti russi per le direzioni da lui notate , e la probabilità de’ successi bel- lici. Noi rinviamo chi fosse vago di saper le sue idee all’ 8.° se- zione del Bullettino. Non menzionammo il suo opuscolo che per alcuni particolari topografici e statistici circa quelle provincie ; notizie nelle quali il sig. conte T... pare moito istruito. Fra le altre particolarità vi si leggono numerate fin le case di tutti i luoghi o di riposo o da passar la notte, che trovansi sulle strade da Silistria ad Adrianopoli, da Adrianopoli a Costantinopoli’, e da Silistria a Costantinopoli facendo il giro per Varna , lungo il lido del Mar Nero; la quale strada a sentimento dell’autore non è fattibile da’ carri. Infine il predetto Luogotenente Generale computa tutta la popolazione della Turchia europea come qui segue. Moldavia e Valacchia. : . . . . 1,400,000 Semicà pae id strana di ed Verte 990,000 Bosnia e Croazia turca . . . . . ‘700,000 Bellia goa io. apatia ala; 200; 008 Abandon) + a rcigga alli va 800,000 Episorig: him irt atto: rosa ii Lar 70, d00 T. XXXIV. Aprile. 20 154 MAGEdoniano ta 20 LL RT 500,000 Romellia e Tracia ". . ® è e =» 900,000 Tessppa vane sen IITOO Grecia Morea e isole. . . . . . . 1,300,000 Totale. 9,890,000 Dividendo questa popolazione per razze si avranno tre mi- lioni di Greci; due milioni di Turchi; due milioni e mezzo di Slavi ; quasi un milione di Albanesi; e un milione e mezzo di Valacchi e Moldavi. Dividendoli poi per religione si avranno Mussulmani, e Slavi ed Albanesi isla- it 94,0 #80 DIMITISO GITLINCE Seo t00p Cristiani Greci o Armeni. . . . . 6,000,000 Gattoliti” Vos. 2 Ubyexpa 00408 1 07500,000 Totale. 9g,500,000 Il rimanente per sommare a’ 9,890,000 è di Ebrei. Il conte T... avvisa che la popolazione di tutto l’ impero ottomanno , non compresavi però l’Egitto, è di 21,000,000 d’ani- me. Il signor Balbi all’ opposto nella Bilancia politica del Globo, crede che questo imperio abbia nella sola Europa 9,500,000 , e 25,000,000 abitanti in tutte le sue provincie. Spedizione Scientifica in Grecia. Abbiamo già nel fascicolo XCVIII annunziata la partenza de’ dotti Francesi, dal Governo eletti a visitare la Grecia. Par- tirono da Tolone, il dì 10 febbraio sulla fregata la Cibele, e ar- rivarono a Navarino il dì 5 di marzo. La commissione è distri- buita in tre sezioni, ed ecco i nomi di quelli che ne fan parte. Sezione prima. Di Scienze naturali. — I signori colonnello Bory de Saint-Vincent, socio corrispondente dell’ istituto , capo di tutta la commissione — Virlet per la geologia e la litologia — Pector, per la zoologia — Despréaux , per la botanica — Brulet, per 1’ entomologia — Boblaye e Pétier, ingegneri geografi addetti al ministero della guerra , per la topografia ec. — Bacuet, pittore paesista , e di Launay. Sezione seconda. D’Archeologia. — Dubois, conservatore del museo egiziano ; capo della sezione — Quinet , per la storia e per le antichità — Schinas per la storia della lingua greca — De Ke- 155 zel, e Amaury Duval, il figlio, pittori di cose storiche — Lenor- mand, per le cose d’ arti. Sezione terza. D’Architettura. — Blouet , capo della sezione, architetto , e già pensionato dal Re di Francia a Roma — Vietti , scultore — Poireau et Ravoier architetti. SOCIETÀ SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia della ©rusca. L’Accademia della Crusca, nell’adunanza del dì 13 dello scorso gennaio ha eletto suo socio corrispondente il sig. Gràberg de Hemso, membro di molte Società scientifiche e letterarie d'Europa, e ri- putatissimo Autore di lavori filologici e geografici. Così 1’Accade- mia si mostra fedele al suo primitivo istituto, d’ aggregare fra’ Socii corrispondenti, taluno fra i letterati più chiari di qualsisia parte d° Europa. E certo meritava l’onore di questa scelta uno straniero , autore di parecchi scritti italiani; il quale ora venu- tosi a stabilire fra noi, qui prepara una nuova edizione del tutto rifusa, del suo trattato di Geografia cosmografica e statistica. Sem- bra che 1’ Accademia abbia con questa scelta voluto insegnarci quanto a lei paia importante il congiungere allo studio delle parole quel delle cose, e l’ illustrare con saggi confronti la lingua e la letteratura patria, la mercè delle lingue e delle letterature più fiorenti d’ Europa. X. I e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza ordinaria del 5 Aprile 1829. — L° Adunanza fu aperta e preseduta dal presidente $. E. il sig. consigliere di sta- to cav. Paolo Garzoni-Venturi governatore di Livorno . Dopo letto e approvato il processo verbale della seduta antecedente fu- rono presentate dal segretario delle corrispondenze varie opere inviate in dono , fra le quali i due primi fascicoli di una col- lezione di funghi commestibili velenosi e malsani della provin- cia di Mantova con figure in colori , inviati dal suo autore sig. prof. Giuseppe Bendiscioli. Sul conto della quale opera il V. P. invitò l’ Accademia a non perderla di mira , onde col progredire delle dispense voglia affidarne l’esame e suo rapporto ad una de- putazione speciale. Premesso. ciò si udirono le seguenti letture: 1. Il sig. prof. Gioacchino Taddei prese a. dimostrare nella 156 sua memoria di turno che il sistema proibitivo o di grave impo- sta sull’ introduzione dei generi specialmente manifatturati è no- civo anzichè utile ai piccoli stati. Ed in primo luogo , facendosi egli a ribattere i ragionamenti di coloro i quali nel solo sistema proibitivo o nei gravosi dazi veggono rifulgere la felicità dei po- poli, pose loro innanzi recentissimi esempi suscettibili a far ri- credere i più ostinati propugnatori dei vincoli commerciali, esem- pi che l’ accademico prese da quelle stesse nazioni , che i fauto- ri di tali sistemi additano a guida e modello; talchè per la pri- ma parte egli concluse: 1.° Che 1° ombra protettrice con la quale i provvedimenti esclusivi ricuoprono un dato paese , non diffon- dendosi giammai uniformemente sopra tutte le persone , ne av- viene che essa tende a giovare costantemente alle classi più agiate senza provvedere agli operai ed ai giornalieri, i qua- li dovunque costituiscono la maggiorità del popolo; 2.° E che i vantaggi derivanti da un’ assoluta proibizione debbono andare soggetti a grandi e frequenti oscillazioni, e conseguentemente di- venire precarii , perchè subordinati a moltiplici eventi fisici e politici del paese , eventi che i monopolisti sanno pur troppo calcolare, prevedere e non di rado accelerare. Nella seconda parte della divisata memoria il nominato pro- fessore indagò le circostanze per le quali si reclamò spesse fiate la protezione delle leggi proibitive: e fece quindi rilevare quanto fosse difficile di conseguire per mezzo di esse 1’ utile propostosi dal legislatore ogni qualvolta i prodotti manifatturati, a pro dei quali la legge parlò , non possono rivaleggiare con altri della stessa specie fabbricati all’ estero. Che se poi tali provvedimenti esclusivi convenire possono alle grandi nazioni, non sono essi in alcun modo applicabili ai piccoli paesi, i quali per aver troppo ristretti confini non sono al caso di giammai attivare un commercio interno di qualche considerazione. È in questi luoghi specialmente, diceva l’accademico, dove deve riguardarsi saggio e paterno quel governo , il quale , conoscendo l’ impossibilità di potere coi me- todi esclusivi conseguire l’ utile sociale , lascia dal più al meno che l’ uomo inclini a quel naturale istinto che ognuno ha per tutto ciò che ci offre maggiori speranze. 2.9 La seconda memoria di turno fu detta dall’ accademico dott. Carlo del Greco. Proseguendo ad esporre le sue osservazio= ni critiche sulle compagnie assicuratrici dai danni degl’ incendi, egli avvalorò con alcuni fatti di recente data le predizioni che il solo ragionamento sulla natura di quell’ istituti fecegli in al- tra occasione preconizzare. Non attinse egli la storia dei mali 1157 occasionati da questo apparente benefizio in sorgenti sospette di tradire la verità , ma si giovò delle relazioni dei partigiani del sistema da lui combattuto ; e dagli eventi descritti in quelle re- lazioni dedusse la conferma della sua opinione; talchè concluse: sembrare dimostrato dall’ esperienza, che somiglianti istituzioni moltiplicano gl’ incendi per colpa o per frode dei proprietari; onde invece di prevenire il danno degl’incendii allargano il campo alle speculazioni della malizia o fomentano la negligenza degli uomini nel custodire le loro proprietà. 3.° Occupò in seguito l’ accademia il socio sig. dot. Ferdi nando Tartini-Salvatici con un suo rapporto intorno a due me- morie state precedentemente inviate dal sig. avv. Vincenzo M.* Passeri di Siena intitolate : Considerazioni sulla provincia in- feriore e singolarmente sulla Maremma Senese dopo il governo di LropoLpno I sino al novembre del 1828, mese ed anno me- morandi negli annali toscani mercè della magnanima legge che ordinò i lavori opportuni a bonificare efficacemente la provincia Grossetana. 4.° In seguito il socio corrispondente sig. Antonio Piccioli espose un nuovo metodo di riprodurre le piante per margotto. Rammentati gl’ inconvenienti dell’ antico uso di rinchiudere in un imbuto di latta ripieno di terra il ramo inciso della pianta e spesse volte situato in luogo disadatto per avere d’ uopo di so- stegni che ordinariamente consisistono in fragili cannuccie facili a rompersi e a perire ; egli propose di assicurare il ramo che si vuol margottare con una piccola bacchetta o tenace virgulto ca- pace di somministrare un sufficiente sostegno, attorniando questo insieme col ramo inciso con una sufficiente dose di terra argillosa umida, la quale, obbligata costantemente per mezzo di un pezzo di grossa tela legata alle estremità e quindi fasciata all’ esterno con borraccina, tiene compressa ed aderente alla terra suddetta l’incisione, scopo principale dell’ innesto. La semplicità del qual metudo , sebbene non sia che nna modificazione del praticato finora , rendendo l’ esecuzione più facile e di effetto più sicuro e favorevole , può riguardarsi come wn miglioramento da esso sig. Piccioli apportato a questa branca di orticoltura. 5.° Finalmente il segretario degli atti. fece lettura di una memoria inviata dal sig. dott. Giuseppe Valtancoli di Montaione sul modo di rendere più estesamente proficuo all’agricoltura della provincia inferiore Senese 1’ antico stabilimento esistente in Sie- na sotto la denominazione di Monte de’ Paschi. E. R. 158 R. Accademia delle Scienze di Torino. Nell’ adunanza tenuta il 4 gennaio dalla Classe fisico-mate+ matica, il professore Francesco Rossi, deputato col professore Ro- lando, lesse il parere intorno ad una dissertazione manoscritta» che l’autore dottore Rambaud di Joigny volle rassegnare al giu- dizio dell’ Accademia ; la dissertazione è intitolata: De la. part des vaisseaux chylifères et des eines méséraiques dans l’absor- ption des substances alimentaires et des boissons. L'avvocato Colla, collega nella deputazione cogli accade- mici professori Bonelli e Re, lesse un parere sopra una specie di cactus che il sig. Risso coltiva da qualche tempo in Nizza marittima , e che egli reputa essere il cochinellifer, quello cioè sul quale vive l’insetto della cocciniglia; e sopra la convenienza che vi potesse essere di propagare l’ anzidetta pianta nelle no- stre spiagge del Mediterraneo, e trasportarvi il prezioso insetto. Quindi il predetto accademico Colla lesse una breve memoria intorno ad un nuovissimo genere, Morisia , fatto dal chiarissimo sig. Gay, professore in Parigi, in onore del nostro professor Moris, per una pianta da questo trovata in Sardegna, e da lui indicata nel primo elenco delle stirpi Sarde , col nome datole dal profes- sore Viviani di Erucaria hypogaea ; la Morisia acaulis , che così chiamolla il signor Gay, differisce di molto dalle erucarie , e dalle altre crocifere. L’accademico anzidetto si riserbò di parlarne più a lungo in altro suo lavoro botanico, già in precedente adunanza annunziato all’ Accademia, e terminò quella suna lettura con queste parole del professore parigino = MNovum , et insigne hocce genus dixi in honorem Josephi Hyacinthi Moris, M. D. in R. Caralitano Athaeneo Clinices Professoris, qui primus in Sardinia signa botanica firit; iussu Regis insulam longe lateque peragra- vit, et stirpium Sardoarum elenchum ditissimum'edidit. Laus illi, qui obscuram hanc nostri aevi quasi remotam Thulen , historiae naturali demum vindicavit , et feracissimis addidit. Il cav. Plana lesse: MNote relative au S. 5. du Mémoire sur la partie du coéfficient de la grande inégalité de Jupiter et Sa- turne , qui dépend du carré de la force ‘perturbatrice ; la qual nota era stata depositata presso il Segretario fin dal 24 dello scorso dicembre? per accertarne la data. Il professore Bidone: Experiences sur la forme et sur la di- rection des veines d’eau lancées par divers orifices. Il professore Giacinto Carena , Segretario , terminò la lettura 159 della Notizia storica dei lavori della Classe delle scienze fisiche e matematiche nel corso degli anni 1827, 1828. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche. — Nell’ adu- nanza ordinaria del dì 8 gennaio furono letti i seguenti lavori: 1.° Lettera al sig. Washington Irwing, Autore della Storia, della Vita e dei Viaggi di Cristoforo Colombo ; di S. E. il conte Napione. 2.0 Illustrazione di una Stele greca del R. Museo Egiziano di Torino ; del professore Amedeo Peyron. 3.° Continuazione/dei Cenni intorno alla R. Casa di Savoia. Regno di Vittorio Amedeo I. ; del cav. Cesare Saluzzo. 4.° Continuazione della Introduzione alla Storia della Le- gislazione antica del Piemonte e della Savoia ; del conte Fede- rigo Sclopis. La detta Classe , il 22 gennaio tenne altra adunanza, nella quale furono letti i seguenti lavori: © Lettera quinta sulla Storia delle Repubbliche Italiane dei tempi di mezzo del sig. Sismondi ; di S. E. il conte Napione. ° Continuazione della Illustrazione di una stele greca del R. Museo Egiziano ; del professore Amedeo Peyron. 3.° Saggio sull’ indifferenza, considerata come dote naturale della maggior parte degli uomini ; del cav. Manno. 4.° Il castello di Bodincomago diverso dalla Città d’Indu- stria ; lezione del professore Costanzo Gazzera. Classe fisico-matematica. — Adunanza del 1. febbraio. — In essa il professore Bidone, deputato col cav. Avogadro, lesse il parere intorno a una macchina proposta dal dottore Michele Ma- rochetti , corrispondente dell’ Accademia , a Pietroburgo , affine d’innalzar 1’ acqua a considerevoli altezze, mediante la pressione del vapore dell’ acqua. Quindi fu letta una memoria, intorno alla Spal una \depu- tazione avea dato in precedente adunanza un favorevole parere; la memoria tratta di un caso singolare di un individuo spirante soave odore dall’ avambraccio sinistro , con riflessioni sul mede- simo ; del dottore Carlo Speranza , professore nella ducale Uni- versità di Parma. Classe di scienze morali , storiche e filologiche.— Adunanza del 5 febbraio , nella quale furono letti i seguenti lavori : ° Lettera VI sopra la Storia delle Repubbliche Italiune dei tempi di mezzo del sig. Sismondi, di S. E. il conte Napione. 2.° Continuazione e fine della lezione Il Castello di Bodin- 160 comago diverso dalla città d’ Industria, del professore Costanzo Gazzera. 3.° Continuazione della Storia della Colonia dei Genovesi in Galata — Contegno dei Genovesi nella Spedizione dei Catalani e degli Aragonesi contro i Turchi ed i Greci dall’ anno 1302 al :1314 , del cav. Ludovico Sauli. Classe fisico-matematica. Adunanza tenuta il 15 febbraio. Il sig. professore Bidone} deputato cogli. accademici conte Prova- na, e cavaliere Gresy, lesse un parere intorno ad una particolar maniera di mulini a cilindri, pei cereali, che il signor Budmani di Trieste chiede di introdurre con privilegio ne’ Regi Stati di terra-ferma. Quindi il Segretario lesse i capi 3.°, 4°, 5.° e 6.° di un la- voro del sig. dottore Bonino , intitolato : Essai statistique sur la mortalité dans les Troupes de S. M. le Roi de Surdaigne, en tems de paix, rédigé d’après les observations inédites sur cet objet par M. le comte Morozzo , depuis 1775 jusqu'à lan 1791 inclu- vement. Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Adunanza del 19 febbraio. — Furono proseguite le seguenti letture: r.° Continuazione della Storia della Legislazione antica del Piemonte e della Savoia. — Dei malli, e dei placiti ; del conte Federigo Sclopis. . 2. Della Storia della Colonia dei Genovesi in Galata ; del cav.. Lodovico Sauli. R. Società Agraria di Torino. Questa Società tenne la sua solita adunanza il 20 gen- naio 1829: Essa aveva a giudieare delle varie memorie manda- te a soluzione del quesito intorno alla canapa, proposto nel gennaio del 1828, e concepito ne’ seguenti termini : determi nare quali pregi distinguano la canapa de’ cordami da quella da filo e da tela: da quali cagioni o principii quei pregi dipen- dano : sin dove v’influiscano i modi e le differenze nella cultura ; se altre risultino dai modi di preparazione , o per l’ azione di macchine , 0 per la macerazione: quali , in questo caso , siano le differenze, quali le cagioni , quali i rapporti speciali di esse alla canapa o per cordami o per tela: quattro erano le memorie presentate, e due di esse eccitarono l’ attenzione della Società ; 161 nè l’una nè l’altra però non fu giudicata contenere un’adeguata risposta al quesito di cui si tratta : in quella che aveva per epi- grafe, le scienze e le arti hanno per patria il mondo intiero , è stata riconosciuta una buona e lodevole descrizione della miglior coltivazione della canapa nel Bolognese , la qual cosa per altro non ha guari relazione col quesito. La Società tuttavia ha giu- dicato di farne onorevole menzione , e di pubblicarla col titolo di Memoria sulla coltivazione della canapa del territorio bolognese. Apertasi la cedola sigillata, si ritrovò che l’autore di essa è il signor Davide Bourgeois , Svizzero , abitante e possidente di Bo- logna. La seconda dissertazione , la quale fu riputata la più pre- gevole , avea per epigrafe, la scienza è un fiume maestoso che si sostiene, e si accresce coi ruscelli anco i più piccoli. Per essa la Società ha riconosciuto che 1’ autor suo è molto addentro nella cognizione della materia da lui presa a trattare , e ch'egli è for- nito di quanto è necessario per illustrarla: parecchie fra le que- stioni esposte vi sono dottamente discusse e rischiarate con fatti ed osservazioni proprie. Nulladimeno alcune di esse non vi sono trattate colla conveniente ampiezza, ed alcune altre non meno importanti non vengono toccate nella trattazione. La Società però, ponendo mente alle pregievoli dottrine che sono esposte in questa memoria, come pure alle grandissime difficoltà che in generale s’ incontrano nella soluzione compita del quesito , ha determinato di concedere ad essa il proposto premio di lire. 350. Aperta la scheda sigillata, venne riconosciuto autore della dissertazione pre- miata il Cavaliere Giorgio Gallesio di Finale , autor ben noto ai coltivatori delle scienze naturali per la sua monografia del genere Citrus, pel suo trattato sulla teorica della riproduzione de’ ve- getabili, e per la bellissima e grandiosa sua opera della Pomona Italiana. Accademia Gioenia di Scienze Naturali di Catania. Seduta ordinaria del 29 maggio 1828. — Destinata questa seduta a celebrare il fine del quarto anno accademico ; ed il co- minciamento del quinto, si aprì sotto la presidenza del Diret- tore cav. Paternò Castello. Esibironsi quindi i pregevoli doni delle seguenti opere in- viate all’accademia dal socio corrispondente sig. marchese Gino Capponi da Firenze: — Monumenti etruschi o di etrusco nome disegnati incisi, illustrati e pubblicati dal cav. Francesco Inghi- T. XXXIV. Aprile 2I 162 rami , Volumi 9. — Plantarum Brasiliensium nova genera et spe- cies novae vel minus cognitae collegit et descripsit Josephus Rad- dius. Part. 1, Filices: e si esibì pure la duodecima edizione della Farmacopea Ferrarese del prof. Antonio Campana, dall’au- tore stesso rimessa. Furono poscia lette alcune lettere , fra le quali una dell’ I. e R. Accademia economica-agraria de’ Georgofili di Firenze se- gnata dal suo segretario delle corrispondenze sig. Gioacchino Taddei, dopochè vennero presentati i seguenti scritti : Memo- ria sulle produzioni naturali dell’ antico porto di Ulisse e par- ticolarmente sulla zostera oceanica, del socio ordinario prof. Fer- dinando Cosentini. — Discorso terzo alla storia critica delle eruzioni dell’ Etna dal secolo 5.° sino al 12.0 di nostra era, del socio ordinario can. Giuseppe Alessi. — Cenni sulla relativa in- fluenza delle terre della piana di Catania nella vegetazione delle piante cereali , del socio ordinario dott. Prospero Riccioli. — Me- moria sopra un’ aneurisma dell’ arco dell’ aorta scritta dai so- cii collaboratori dottori Andrea Aradas ed Euplio Reina. Per ultimo il segretario generale prof. Antonino di Giacomo pronunziò accurata relazione dei travagli eseguiti nel corso del quarto anno accademico, enunciando in brevi cenni i progressi in poco tempo fatti dall’ Accademia nella carriera da lei in- trapresa. Seduta ordinaria del 19 giugno 1828. — Il socio ordinario prof. Ferdinando Cosentini continuò la lettura della sua me- moria sulle produzioni naturali dell’ antico porto di Ulisse e par= ticolarmente sulla zostera oceanica. L° autore, avendo preso da più anni per oggetto dei suoi prediletti studii, le produzioni na- turali del così detto scaro dell’ Ognina , che vuolsi dover essere propriamente l’ antico porto di Ulisse , si propose in questa me» moria di presentare all’ accademia alcune sue nuove ricerche istituite sulla zosfera oceanica classificata da Persoon alla classe Monoecia Monandria. Dopo un esatta e minuta descrizione di questa pianta marittima , offrì 1’ autore delle interessanti osser- vazioni sulla di lei singolare organizzazione e sulla sua facoltà di fruttificare sotto le acque, desumendone i seguenti resulta- menti cioè che le piante cotiledoni, siano monocotiledoni siano dicotiledoni, sono tutte aerofiti ; che la zostera è una pianta co- tiledone con un lobo alla semenza, ed intanto appartiene a que- gl’ idrofiti che le acque non iscuoprono giammai; che in ogni pianta proveniente da seme , nella germinazione precede il ro- stellum alla plumula ; che la zostera nasce d’ un seme nella 163 germinazione del quale precede la parte ascendente alla descen- dente , la plumula al rostellum; che ogni foglio semplice o è assolutamente caduco 0 pure è persistente; che la zostera ha fo- glie semplici , ma che il solo parenchima fogliaceo si disanasto- mizza e cade, lasciando persistente il picciuolo attaccato allo stipite; che mentre la struttura d’ ogni vegetabile cotiledone è vascolare , l’ intima struttura della zostera è fibrosa, con due differenti maniere di fibre , fascicolate, cioè, e ramose attorniate da un roseo tessuto cellulare portanti alla estremità la vegeta- zione esteriore fogliacea , venendo il centro occupato, non come nelle altre piante da una sostanza midollare , ma da una fibra singolare simile alla resta di un pesce vertebrato a vertebre spi- nose , la di cui continuazione finale porta fiori e frutta ; e che finalmente la fecondazione nella zostera si esegue con mirabile artificio entro il fondo dei mari. Seduta ordinaria del 28 agosto 1828. — Si presentò un regalo fatto al Gabinetto dell’ Accademia dal sig. Direttore cav. Paiernò Castello, consistente in un saggio di carbon fossile rica- vato nei contorni di Mili vicino Messina. In seguito il socio ordinario canonico Giuseppe Alessi fece lettura della continuazione della sua Storia critica dell’ Etna . In questo suo terzo discorso confermò l’ autore con l’autorità di diversi padri della chiesa, quanto nell’antecedente avea provato con testimonianze di varii classici scrittori circa alla continuità delle eruzioni etnee dal primo al quinto secolo dell’era volgare. Proseguì poscia le sue ricerche per tutta l’ epoca posteriore sino al secolo duodecimo, tratto non prima da altri illustrato, e che presentava un vuoto nella storia delle eruzioni del nostro vul- cano ; e provò esservenè state in ciaschedun secolo, e ciò de- sunse da taluni cenni che trovansi sparsi in antichi scrittori , che con critica investigazione si fece egli a spiegare. Seduta ordinaria del 15 settembre 1828.— Il socio ordina- rio dott. Prospero Riccioli lesse una memoria col titolo di cenni sulla relativa influenza delle terre della piana di Catania nella vegetazione delle piante cereali. Osservando l’ autore di quanta importanza sia per noi la coltivazione dei grani, credè utile il ricercarsi qual fosse la natura intima del suolo ove con maggio- re o minor vantaggio possano prosperare. E quindi, dopo essersi incaricato della quistione se le materie terree così dette, che resultano dalla decomposizione delle piante, siano il prodotto delle chimiche combinazioni dei principii esistenti nelle sostanze vegetabili durante la vita vegetale , oppure terre assorbite come 164 un principio della forza di succhiamento delle radici, passò ‘po- scia ad indicare quali terre siano fra tutte le più atte alla col- tivazione dei grani, offrendo finalmente un elenco di tutti i ter- reni della così detta piana di Catania, che secondo tali principii sono i più fertili e i più proprii per siffatta coltura. Indi il funzionante da segretario generale lesse un rappor- to scritto dal socio ordinario dot. Alfio Bonanno assente, sul l'opuscolo in istampa del. dott. Agostino Naudi da Malta col titolo : dell’ industria di allevare i bachi da seta, indirizzo ai proprietari e coloni Maltesi. Accademia degli Euteleti di Samminiato. A dì 10 Gennaio. Il dott. Luigi Pampana dissertò dei vizzi organici del cuore , e il vicario gen. can. Torello Pierazzi lesse il rapporto del precedente anno accademico, A dì 15 detto. L'Accademia celebrò il faustissimo avvenimento. delle LL. AA. II. e RR. alla nostra città, con una serie di analoghi componimenti, A dì 14 Febbraio. Il presidente prof. Bagnoli produsse una memoria sul. 1° Educazione , e il dott. Luigi Pampana proseguì , e terminò la precedente dissertazione. A dì 13 Marzo. Il maestro Raffaello Toni, confrontate le leggi di Mosè colle Egiziane di quel tempo ; escluse la influenza di queste nella compilazione di quelle ; e un socio corrispondente dissertò delle apprensioni. A dì 10 Aprile. Il P. Angelico Marini trattò dello stato attuale della Sacra Eloquenza ; e il sig. prof. Genovesi del Brindisi. A dì 8 Maggio. Fu proseguita e ultimata la precedente memoria del Pad, Angelico Marini , e il vicario gen. can. Torello Pierazzi illustrò le memorie storiche del B. Bbnincontro Bonincontri Samminiatese. A dì 19 Giugno. Il dott. Ercole Farolfi dissertò dell’ importanza, e uti- lità dei Romanzi, e il dott. Luigi Pampana del piano curativo nei vizi del cuore. A dì 10 Luglio. Il sig. Aoeraldo Bonfanti illustro 1’QOde di Orazio: Pastor cum traeret , etc. e il dott. Ercole Farolfi 1'’Ode seconda di Pindaro a Jerone. A dì 21 Agosto. Il vicario gen. can. Torello Pierazzi parlò della neces- sità, che ha il maestro di Educazione di studiare la natura , e il dott. Luigi Pampana dell’ uso dello zolfato di ferro nelle malattie organiche. A dì 18 Settembre. L’ avvocato Maurizio de’ Marchesi Alli Maccarani dissertò dell’ associazione delle idee nello stato di sonno, di demenza e di vi- gilia, e il vicario gen. can. T'orello Pierazzi dette cenni biografici del Beato Gherardo Bonamici Samminiatese. A dì 13 Novembre. Il sig. Pietro Paroli produsse dell’ avvertenze per il giusto addaziamento delle case secondo lo |spirito della legge del 1781; e il prof. Vincenzio Bianchini rintuzzò la follia di chi non attende agli ideologici studi, dei quali coll’ utile rammentò la vera necessità. A dì 11 Dicembre. Il dott. Enrico Bonfanti parlò del metodo delle scuole 105 per educare le povere fanciulle , e il vicario gen. can. Torello Pierazzi, dei pregi, che onorano la parte occidentale di Samminiato sua patria. VARIETÀ. Manifesto per una Cassa pi RISPARMIO , 20 Firenze (*). La mancanza in cui spesso si trovano le persone che vivono unicamente col profitto dell’ opera loro, di certe comodità, dei mezzi di ben collocare la loro famiglia e di quelli necessarii per provvedere alla propria sussistenza nel tempo d’infermità o di vecchiezza , non sempre deriva da scarsità di lavori, o da troppo piccoli guadagni; ma dipende il più delle volte da non aver sa- puto tener conto di certi avanzi che quasi tutti pur fanno. Con- servati e riuniti questi avanzi sebben piccoli, diverrebbero la ricchezza dell’uomo industrioso , ma consumati in spese inutili, se non viziose , o arrischiati per vana lusinga di moltiplicarli , spariscono senza utilità veruna, anzi son di danno al povero av- vezzandolo alle superfluità e forse distogliendolo dal lavoro e dal pensiero della famiglia. Che se un gran bene è per il popolo somministrargli lavoro che gli dia da guadagnarsi onoratamente il sostentamento , bene anche più grande sarà eccitarlo ai ri- sparmii, ed offrirgli inoltre un mezzo di conservarli ed accre- scerli . Per procurare quest’ultimo benefizio all’industriosa popola- zione di Toscana si è formata con Sovrano Beneplacito espresso in un Dispaccio Veneratissimo dei 30 Marzo decorso, una privata Società che assumerà il nome di Società della cassa di risparmio. Essa intanto si affretta a render noto al Pubblico quanto può servire a metterlo in grado di profittare dei vantaggi offerti da questo Stabilimento, che avendo meritata l’ approvazione e una generosa assistenza da Sua Arrezza ImperiAaLE E REALE LAU custo nostro Sovrano offre una nuova riprova della di lui amo- revole sollecitudine pel bene dei suoi sudditi. I. La Cassa di Risparmio sarà fondata in Firenze da una Società di privati composta al più di cento individui i quali pre- steranno gratuitamente l’ opera loro, e la doteranno a proprie spese con la somma di fiorini seimila. S. A. I. e R. 11 GRAN Duca si è degnata di provvedere Essa medesima al più cauto e al più utile rinvestimento di questa dote. (*) Vedi il precedente fascicolo n.° 99. 166 II. La Cassa suddetta starà aperta per ricevere i depositi in tutte le Demeniche nelle ore da destinarsi : eccettuata la Pasqua di Ressurrezione , e la Festa del S. Natale quando cadesse in Domenica. Questo giorno festivo , scelto coll’ opportuna Eccle- siastica approvazione , espressa in un biglietto dell’ Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Arcivescovo di Firenze dei 7 aprile corrente, è stato reputato il più comodo per gli Artigiani e pei Lavoranti, che senza sviarsi dalle loro occupazioni potranno così mettere in sicuro una parte delle loro mercedì riscosse forse da qualenno di loro poche ore avanti. III. Saranno ricevuti i Depositi da un decimo di fiorino (quattrini dieci) fino ai fiorini venti ( paoli cinquanta. ) IV. Cominciando dal giorno successivo a quello del fatto deposito sarà valutato a favore del depositante il frutto a ragione del 4 per cento all’anno , ossia dell’ un per cento ogni tre mesi. V. Il conto dei frutti sarà fatto alla fine di ogni trimestre ad epoche fisse cioè il 31 Marzo, il 30 Giugno, il 30 Settembre, e il 31 Dicembre. A queste epoche i frutti potranno esser riscossi da chi li reclamerà. Nel caso opposto saranno riguardati come un nuovo deposito, e si riuniranno al capitale: così diverranno anch’ essi fruttiferi. VI. Sarà valutato il frutto soltanto sui fiorini intieri. Così il credito di un depositante comincierà ad esser fruttifero quando sia giunto ad un fiorino, anche cumulando insieme le somme portate in più volte alla Cassa. Neppure i rotti tireranno frutti. VII. Non sarà egualmente pagato frutto , 1.° sopra i danari che siano depositati alla Cassa di Risparmio, dopo che i depositi già fatti avanti dalla medesima persona sian giunti a fiorini mille. 2.° Sopra l’intiero credito d’ un depositante , quando questo cre- dito , fra capitale, frutti, e frutti de’ frutti, sia giunto a fiorini cinque mila. Nel primo caso, le somme portate alla Cassa saran ricevute e custodite a titolo di deposito infruttifero , e al titolo medesimo sarà nel secondo caso conservato il credito e tenuto a disposizione di quello a cui appartiene. VIII. La somma di cui a mano a mano si troveranno cre- ditori i depositanti sia in capitale, sia in frutti, sarà loro re- stituita a lor piacere in tutto o in parte; e nell’atto della do- manda , se la somma richiesta non oltrepasserà i fiorini dieci ; quindici giorni dopo se si tratti di somma maggiore. Dal giorno posteriore a quello della domanda di restituzione cesseranno i frutti corrispondenti alla somma ridomandata. IX. Per ricever le domande di restituzione e per pagare , la 167 Cassa sarà aperta in tutti i Venerdì dell’ anno, eccettuato quel Venerdì in cui potesse ricorrere la festività del S. Natale. X. Nell’ atto del primo deposito i ricorrenti alla Cassa di Ri- sparmio riceveranno a tenuissimo prezzo un libretto. munito del Sigillo della Società e sottoscritto dal Presidente, da due Mem- bri del Consiglio d’ Amministrazione , dal Direttore e dagli Im- piegati dipendenti dalla Società e di cui sarà parlato all’ Arti- colo XIV. In questo libretto saran segnati il primo deposito e i successivi, e i pagamenti fatti a ciascun depositante per capitale o per frutti. XI. Senza la presentazione del libretto non sarà pagata som- ma alcuna e neppur ricevuta da chi per depositi anteriori sia già creditore della Cassa. Chiunque presenterà il libretto si con- sidererà (fuori del caso di fondati indizii contrarii) come il suo legittimo Possessore o come il di lui Mandatario. Però quando venga smarrito un libretto sarà cura di quello .a cui appartiene di darne pronto avviso allo Stabilimento , onde siano presi i ne- cessarii provvedimenti per la salvezza del suo credito e per la rinnuovazione del libretto perduto. XII. La Cassa di Risparmio sarà diretta ed amministrata da un Consiglio di undici Membri della Società. Comporranno il suddetto Consiglio per questa prima volta i seguenti Soci: Marchese Cav. Cosimo Riporrr Direttore della Pia Casa di Lavoro e della Regia Zecca. Presidente. Marchese Cav. Grwo Capponi. Vice Presidente. S. E. il Marchese Cav. Prero Rinuccini Consigliere di Stato, Maggiordomo di S. A. I. e R. la Granduchessa Marra Fer- pinampa. Vice Presidente. Marchese Cav. Gran Croce Anprr4 Bourson peL Monrr Gon- faloniere di Firenze. Marchese Cav. Lvicr Tempr. Abate Rarrartro LanervscHINI. Avvocato Lrororvo Prirr Fassroni Segretario dell’ I. e R. Consulta. Marchese Cav. Gruserre Pucci. Cav. Axrownio Mocci Provveditore della Camera di Soprinten- denza Comunitativa in Firenze. Ingegnere Prerro Muwiccni. Frerpivanpo Tarrini Satvarici. Segretario. XIH. Oltre questo Consiglio che esaminerà e delibererà su tutti gli affari, vi sarà un Direttore scelto esso pure fra i com- ponenti la Società, incaricato di eseguire le deliberazioni del 168 Consiglio e di sorvegliare immediatamente la Cassa di Risparmio. Il Direttore è stato per la prima volta nominato nella persona del socio Marchese Cav. Carro Pouccer. XIV. Saranno incaricati del servizio interno dello Stabili mento tre impiegati dipendenti dal Consiglio di Amministrazione; cioè un Provveditore, un Ragioniere , ed un Cassiere. Essi do- vranno trovarsi immancabilmente al loro impiego nei due giorni della settimana in cui la Cassa starà aperta. XV. In questi medesimi giorni la Cassa sarà visitata da al- cuno dei Membri della Società, dei quali ventisei per ciascun anno saranno incaricati per turno d’ esercitare settimanalmente le incumbenze di Ispettore onde assicurarsi del buon andamento delle cose e dell’esatto servizio del pubblico. XVI. In quella stessa guisa con cui S. A. I. e R. 11 Gran Duca ha generosamente provveduto al rinvestimento della dote di fiorini seimila costituita dalla Società alla Cassa di Risparmio, si è insieme degnata di concedere che siano rinvestiti i primi ventiquattro mila fiorini che verranno depositati alla Cassa. XVII. Ogni anno il Consiglio della Società pubblicherà un rendimento di conti da cui apparirà il numero e 1’ ammontare dei depositi ricevuti alla Cassa, la somma e il numero delle re- stituzioni fatte, la quantità del denaro impiegato, e di quello esistente in Cassa, e ogni altra particolarità atta a far vie meglio conoscere lo stato dell’ amministrazione. XVIII. Se col tempo la Cassa di Risparmio farà degli avanzi, questi saranno impiegati nel rimborso successivo dell’ anticipa- zione fatta dai Socii: cosicchè la dote di cui si parla all’ Arti- colo I. passi in assoluta proprietà dello Stabilimento. XIX. In caso dello scioglimento della Cassa e della Società (il che dovrà esser sempre l’ effetto di circostanze maggiori e non mai della volontà libera dei Socii) la dote anticipata dai Socii medesimi sarà loro restituita, se ne saranno ancora in credito ; altrimenti sarà impiegata in opere di beneficenza a piacere della Società. Saranno destinati al medesimo pio oggetto gli altri utili che possano rimanere nel caso indicato, dopo sodisfatti i crediti dei depositanti. XX. La Cassa di Risparmio sarà stabilita in Firenze, ove avrà il centro delle sue operazioni. Accorderà però ed anzi incoraggirà l’ apertura di Casse secondarie e da essa dipendenti in Provincia a norma delle istruzioni che saranno a questo fine quanto prima pubblicate dal Consiglio d’ Amministrazione. XXI. Con successivo Manifesto sarà il Pubblico avvisato 169 dell’epoca in cui sarà aperta la nuova Cassa di Risparmio, del Inogo nel quale sarà stabilita, e delle ore in cui saranno rice- vuti e restituiti i depositi. XXII. A cura del Consiglio di Amministrazione sarà anche sollecitamente redatto e pubblicato un libretto d’istruzioni, che servirà nel tempo stesso a giustificare i motivi che hanno deter- minata la Società ad offrire al pubblico le condizioni qui sopra espresse, e a vie meglio dirigere nelle operazioni da farsi coloro che reputeranno di dover ricorrere alla Cassa di Risparmio per risentire quei vantaggi medesimi che da simili stabilimenti ri- traggono ormai tante altre popolazioni d’ Europa. Firenze li 23 Aprile 1829. Cosimo RipoLrr. Sopra il famoso fanciullo Vincenzio Zuccaro. Sono alcuni mesi che in Palermo un fanciullo per nome Vin cenzio Zuccaro, dell’età di anni 7, ha richiamato l’attenzione ed eccitato la maraviglia del pubblico , comprese le persone più colte e più dotte. Questo fanciullo, senza aver ricevuta veruna istru- zione , risolve esattissimamente colla più gran prontezza e facilità dei quesiti d’ aritmetica anche alquanto complicati e difficili , mostrandosi dotato naturalmente della singolar facoltà di trovare, - quasi per istinto, o di scorgere intuitivamente i variì rapporti che hanno fra loro i numeri o le quantità. Le cose che se ne narravano non trovando facil credenza. nel più gran numero, fu disposto un pubblico esperimento, che operando la convinzione generale , procurasse nel tempo stesso qualche utilità alla famiglia del fanciullo, che è bisognosa. Quest’ esperimento fu eseguito nel dì 30 di gennaio dell’anno corrente, nel locale dell’ Accademia del Buon gusto di Palermo. Vi intervennero oltre a 4oo persone fra le più cospicue e le più intelligenti di quella capitale ; due professori di matematiche fu- rono incaricati di star vicini al fanciullo , e registrare i quesiti che gli venissero proposti e le soluzioni che egli ne darebbe. Molti, varii, ed alquanto difficili furono i quesiti, che tutti il fanciullo disciolse esattissimamente , con tal prontezza e faci- lità , che destò l’ ammirazione universale degli astanti. Vogliamo quì riferirne uno, non perchè più difficile degli altri, ma perchè una piccola particolarità avvenuta mentre il fanciullo ne dava la soluzione ci sembra provare quanto abbiamo T. XXXIII. Marzo. 22 170 affermato di sopra , cioè che egli scorge quasi per istinto i rap- porti che i numeri hanno fra loro , e ciò con tale evidenza, da mostrarsi in qualche modo persuaso che anche gli altri debbano scorgerli egualmente. Ecco questo quesito: « Parte da Napoli verso Palermo una nave a vapore a ore 12 della mattina, facendo 10 mi- glia per ora. Nel momento stesso parte da Palermo verso Napoli un altra nave, non a vapore, facendo 7 miglia per ora. Supposta la distanza fra Napoli e Palermo di miglia 180, si domanda quante miglia avrà fatto ciascuna delle due navi al momento in cui s’in- contreranno, ed a quale ora s’incontreranno ? « Il fanciullo, dopo aver pensato alcuni momenti, rispose: La nave a vapore avrà fatto miglia 105 e quindici diciassettesimi , l’altra miglia 74 e due di- ciassettesimi. Essendogli stato osservato che egli tralasciava d’in- dicare, come n’ era stato richiesto, a quale ora le due navi si sa- sebbero incontrate, soggiunse tosto: Già s'intende: dieci ore e dieci diciassettesimi dopo la loro partenza. Questa seconda risposta es- sendo effettivamente connessa ed in qualche modo compresa nella prima, il fanciullo non avea creduto necessario d’indicarla; suppo- nendo che, gli altri ve la scorgessero come egli ve la scorgeva. Aggiungeremo un altro dei quesiti risoluti dal fanciullo nella occasione indicata, perchè anche nella soluzione di questo in- tervenne una circostanza singolarmente atta a dimostrare che il fanciullo scorge con tutta evidenza l’esattezza delle soluzioni che annunzia ; e l’ impossibilità d’esservisi ingannato. Quesito : Per fare 13 uniformi da soldati bisognarono can- ne 11 di panno ; quante se ne richiedono per fare 245 uniformi? Un momento dopo il fanciullo rispose: Carre 207, palmi 2, e sei tredicesimi. Uno dei due professori avendo rilevato che il cal- colo dava canne 207 e quattro tredicesimi di canna , il fanciullo dopo aver pensato un istante , soggiunse che la sua soluzione era giusta. Allora il professore, confrontate fra loro le due diverse espressioni della frazione , riconobbe che esse erano perfettamente equivalenti. Per questo e per più altri esperimenti posta fuori di dub- bio l’ esistenza in questo fanciullo d’ una tanto straordinaria fa- coltà , fu riguardato come sommamente curioso ed interessante l’investigare per quali metodi egli giunga con tanta facilità e prontezza a risultamenti così esatti. Assunse un tale incarico l’ astronomo di Palermo sig. Niccola Cacciatore , il quale propo- nendo al fanciullo diversi quesiti, ed ottenendone al solito le soluzioni esattissime , dopo ciascuna lo interrogava intorno al modo tenuto per trovarla. Omessine per brevità più altri, rife- 171 riremo alcuni di tali quesiti colle soluzioni rispettive , e più le domande fatte dal professore al fanciullo e le risposte date da questo intorno ai metodi onde fa uso , il tutto nei termini stessi nei quali col nome dello stesso sig. Cacciatore sono stati pub- blicati nei giornali di Palermo. Quesito: Qual è il quadrato di 429? Soluzione : 184041. Dom. Come avete fatto ? Risp. 400 per 400 dà 160000: 29 per 29 dà 841 ; che formano 160841: 29 per 400 dà 11600, che preso due volte fa 23200, e sommato col primo compie 184041. Si vede qui che egli divise il numero dato nel binomio 400+29 ; come a+6, e che ne compì il quadrato secondo la regola algebrica del quadrato del binomio , facendo praticamen- te 160000+232z00+841=2a2+2ab+b2. Quesito : Qual’ è il quadrato di 123? Soluzione : 15129. Dom. Come avete fatto ? Risp. 123 per 100 formano 12300: 123 per 20 sono 2460: 123. per 3 sono 369 : sommati questi, danno 15129. Questo è il solito metodo di decomporre il numero secon- do il valor delle cifre; cioè ha fatto 123 (100+20+3) =a (m4+nH-p). Quesito : In tre attacchi consecutivi perirono una quarta parte , una quinta parte, ed una sesta parte degli assalitori , i quali in tal modo si ridussero a 138 ; si vuol sapere quanti fu- rono gli assalitori al principio dell’ attacco ? Soluzione : 360. Dom. Come avete trovato 360 ? Risp. Se fossero stati 60 non sarebbero rimasti che 23: ma 23 sono la sesta parte di 138, dunque gli assalitori furono sei volte 60 , o sia 360. Dom. Ma perchè avete supposto 60, e non 50 , 0 70? Risp. Perchè nè 50 nè 70 si dividono nè per 4 nè per 6. Si vede qui il metodo di falsa posizione , e nella scelta del numero supposto si scorge la giusta regola per evitare le frazioni. Il lodato sig. Cacciatore termina la relazione di quest’espe- rimento e di quest indagine colle seguenti parole. = Questo ra- gazzo , non ancora d’ anni 7, senza studi e senza metodi, vede colla quadratura del suo intendimento i rapporti esatti che le quantità devono conservare fra di loro , ed a seguire tali rap- porti da lui con somma chiarezza distinti , egli nel momento si forma un modo di calcolare più adattato a facilitargli le opera- zioni. Piglia alcune volte per giugnere al suo scopo qualche stra- da più lunga dell’ ordinaria ; ma allora riesce anche più mara- viglioso , tanto per la rapidità indicibile onde percorre la lunga strada in cui si è impegnato , quanto per la fermezza e sicurez- za colla quale non si confonde mai nel laberinto dei calcoli nu- 172 merici in cui s° ingolfa , e del quale esce sempre a dare li giu- sti risultamenti che cerca ; quanto anche per la vivacità e chia rezza onde ritiene nella sua mente tutte le quantità, tutti i nu- meri , per lunghi e complicati che fossero, quali per le varie esigenze del calcolo convien formare, ritenere, decomporre , e maneggiare =. | Ad un talento così straordinario, a disposizioni così felici , non sembra che sia per mancare la meritata assistenza e prote- zione. Oltre il sig. marchese Schisò , che il primo ha avuto pre- mura di togliere questo fanciullo dall’ oscurità in cui sarebbe forse rimasto , il consigliere di Stato, luogotenente generale , sig. marchese delle Favare, prendendone cura sollecita , con sue let- tere ministeriali al sig. Intendente della Valle di Palermo, ed al sig. Principe di Comitini, pretore di quella capitale , ha in- vitato il primo a convocare il Decurionato, per assegnare al fan- ciullo di cui si tratta un sussidio permanente per tutto il tempo della sua educazione, ed il secondo a consultare il corpo dei professori e scienziati, per quindi suggerire quella ragionata e filosofica istruzione che sia giustamente riputata la più opportuna a meglio sviluppare le rare doti di questo fanciullo , onde evitare che un insegnamento pedantesco , anzichè coltivare e render più feconde disposizioni così preziose , le inceppi e le paralizzi (1). G. G. (1) Quest’articolo era già steso, quando ci è pervenuta da Palermo , ove è stata impressa da Lorenzo Dato , una Epistola di Ferdinando Malvica al conte Leopoldo Cicognara, in cui si danno più estese notizie intorno a questo ma- raviglioso fanciullo , e si propone quel sistema d’ educazione e d'istruzione che, a giudizio dell’ autore , converrebbe ad un individuo così straordinario. Di que- sto scritto interessante ci riserbiamo di parlare in altro fascicolo. ++. hw. —__—————_———____r_r____x7__—___——_——__———————__—__—_—_——————nb Lettera al Direttore dell’ Antologia. In un breve articolo sui Martiri del sig. Chateaubriand, io accennava la tendenza che i moderni ingegni dimostrano a sco- prir nuovi punti di paragone tra la natura morale e la fisica: la qual verità , io soggiungeva essere în aria di mistero indicata in un articolo del Globo sui Pensieri di Richter. Questa propo- sizione dev’ essere temperata , ora che nello stesso pregevolis- simo giornale comparisce un bell’ articolo del medesimo anto- re sullo stile simbolico. In esso mi parve degna di. particolar gratitudine e lode quella nuova maniera di critica , che invece 173 di restringere, pensa a rallargare i confini dell’ arte ; invece di limitare i diritti del genio, pensa a indovinarne le mosse avve- nire , a rivelarne i secreti. Se io ne avessi ora il tempo ed il luogo , io vorrei porgere al ch. autore una più special prova della stima in cui tengo alcune delle sue idee , commentandole , e adattandole allo stato e ai bisogni della poesia e della eloquen- za italiana. In questa disamina io mi troverei forse nell’occasio- ne, non mai di discordare da quelle, ma di restringere alcu- na, tal altra estendere . E trovando , a cagione d’ esempio , le vestigia di questo stile simbolico nelle opere dell’antichità clas- sica, come in Platone, in Pindaro , in Virgilio, nel Petrarca, ed in Dante , io ne dedurrei, che il simbolo, in tanto è un de’ caratteri proprii della poesia é della eloquenza moderna, in quanto la moderna civiltà applica il simbolo a verità mo- rali più feconde, più varie, più vaste; ne dedurrei che non ugni simbolo è poetico e bello , ma soli quelli che col riscon- tro d’ un’ idea fisica rendono l’idea morale più evidente, più luminosa , e se così posso dire, più ampia, facendo quasi sentire che il mundo visibile non è che una imagine dello spi- rituale , e che universali affatto sono le gran leggi governatrici degli enti. La prima condizione della bellezza del simbolo, ognun vede pertanto che dovrebb’ essere la convenienza; un’ armonia cioè sensibile, e prossima tra il tipo astratto, e la veste corpo- rea del pensiero: nel che specialmente , parmi consistere il di- fetto del romanticismo moderno ; il qual si crede che ogni rav- vicinamento d’idee , grandi o picccole, prossime o lontane, omo- genee o no , sia degna prova della originalità dell’ ingegno. Un altra qualità che a’ moderni suole spesso mancare ed in questa ed in ogni altra prova dell’arte , è la parsimonia : troppo allungare l’allusione, sarebbe uno stancare od un ristuccare la mente; trop- po moltiplicare i simboli riuscirebbe sovente a una specie di battologia , e renderebbe la facondia poetica simile alla facon- dia del Ciclope nelle Metamorfosi. Finalmente la soverchia fre- quenza , o la troppa altezza de’ simboli , toglierebbe alla poesia il principal de’ suoi pregi; la popolarità; giacchè , se il ren- dere evidenti le idee spirituali con le imagini delle cose ester- ne , aggiunge all’ efficacia della poesia , coll’ assottigliare pe- rò di troppo la similitudine , si trasporta la mente in una re- gione fantastica, e si assume un linguaggio che non è certa- mente alla portata dei più. Queste cose , come voi vedete, otti- mo e pregiatissimo amico , non contradicono alla luminosa idea dell’ autore dell’ articolo annunziato , ma spiegandola la confer- 174 mano: giacchè , scopo ‘del suo discorso. era soltanto spiegare il fatto e non giudicare il principio. Di che si parlerà a miglior tempo ; applicando questa piccola teoria allo stato della lettera- tura nostra , e a’ presenti di lei bisogni. Aggradite ec. K. X.Y. NeECcROLOGIA. Agostino Pareto. All’ udir così spesso i più sfolgorati panegirici accompagna- re al sepolcro il più degli uomini , che vivono senza infamia e senza lode, e che ci cadono intorno tuttodì, come foglie d’autunno, ben è ragione, che si desti nel saggio generosa vergogna, e no- bile indegnazione , perciocchè sempre nei tempi più tristi, in cui sì rara fiorisce la virtù, se ne affettano più frequenti la ma- schera e l’ encomio . Senonchè non aspettando nemmeno, che l’ inesorabile posterità strappi dal libro de’ suoi ricordi tanti nomi oscuri ed indegni , spogliandoli di quel bagliore effimero ,, onde li circondava 1’ artifizio di venduti lodatori, molte volte gli stessi contemporanei puniscono le opulente nullità coll’ obblivione, nè dura quel grido oltre l’ufficio di ascoltarne o di leggerne le stuc- chevoli adulazioni. Ed io pur vorrei del più giusto e profondo disprezzo colpire quelle penne venali e temerarie , che, ligie al volere d’ un erede prosuntuoso o d’ un mal consigliato parente , si sforzano di procacciare memore fama ai tristi , che inutili alla patria ; a sè stessi, ed agli altri, non meritano di sopravvivere al lor funerale. Stiano i molti contenti al privato compianto, che la desolata famiglia sparge in segreto, nè questo, ove pur sia sincero , è poco tributo alla loro memoria. Ma non temo io cer- to di venire in sospetto di adulatore , se , rendendo il suo diritto ad un ottimo cittadino che troppo presto finì la vita nella. be- nedizione dei buoni, mi farò brevemente a ricordarne i generosi e sagaci consigli ) i nobili ed utili provvedimenti, il caldo e ma- gnanimo operare in pro d’ una patria che sola amava sopra ogni cosa; e com’ egli abbia tentato di richiamarla alla virtù dei pri- schi esempii, e di conservare un soffio di vita a quelle antiche instituzioni , per cui sì grande e temuto se ne sparse per ogni dove il nome; poichè il ragionare di lui non può tornare che a 175 sua gloria: nè dubito i pochi fivri , che intendo spargere sulle ceneri ancora calde di Agostino Pareto, non sian bagnati dalle lagrime de’ suoi concittadini riconoscenti. Nacque in Genova nell’ ottobre del 1773 Agostino Placido Pareto ; per sangue e dottrina, ma assai più per animo illibato e operosa virtù , nobilissimo : nel collegio di Modena, ove di que” tempi si raccoglieva il fiore della gioventù italiana, corsi con lode i consueti studii, crebbe in tutte le arti della civile sa- pieriza., ma fra le discipline intellettuali predilesse con lungo amore le scienze esatte, come: più favorevoli alla superiorità della ragione e all’ energia dell’ ingegno ; che in lui già sopra gli anni appariva precoce; e amò le lettere e coltivolle tutta la vita nelle loro applicazioni più utili, più sublimi , più indepen- denti , acquistando per esse in sommo grado quell’ arte di ret- tamente osservare ; che , a giudicio di Voluey , vuol più eser- cizio che non si crede, e di vedere il fondo delle cose, privi- legio concesso appena agli spiriti più straordinarii. Tornato in patria ‘non gli furono mestieri i natali, onde andarne. pregiato e distinto in una città piena di leggiadrissimi ingegni; chè fu ben tosto dei privati crocchi delizia , dei pubblici uffizii a lui commessi modello . Ma già quel turbine sovvertitore , che di tante stragi e rovine avea ingombrata la Francia, interrotta la quiete della vicina Italia , dopo i fatali avvenimenti del maggio 1797 minacciava in Genova ogni fortuna, ogni esistenza; e in quella lotta terribile di principii contro fatti, di pretendenti contro. possessori, niuna tavola parea poter gettarsi in mare per evitare il naufragio. Ridotta la patria in così pericoloso fran- gente , mentre al sorgere delle haldanzose. prosperità dei tristi, colle private trabalzavano le pubbliche fortune , ‘accorse il Pa- reto a soccorrerla di tutto il suo ingegno: autore sempre di, miti consigli, anticipando 1’ età col senno, ottenne fra coloro , che avea colleghi nel reggimento delle cose civili, distinta fama di sagace prudenza ; e d’impareggiabile desterità a penetrare adden- tro negli oscuri avvolgimenti dei più difficili affari , ond’ è che cercò di ricomporre all’ ordine ;, che non è poi che il sintomo della forza e durata d’ un governo, le interne cose dello stato, e provvedere alle pubbliche entrate esauste e smunte da straor- dinari gravissimi pesi , come meglio poteasi in que’ tempi oscuris- simi, poichè sempre più tardi, come osservava profondamente Tacito, sono i rimedii che i mali. E questo fu veramente utilis - simo benefizio , allorch’ egli , mentre dalla più scellerata demen- za il saccheggio si meditava e lo sperperamento dei pubblici at- 175 chivii, commosso a quell’ ingiùria intollerabile, ora caldamente adoperandosi , ora animosamente opponendosi, potè salvare quel prezioso deposito della privata e pubblica fede dalla rapina. Nè venne meno quest’ ardente carità della patria allorquando all’Im- pero francese si volle la Liguria riunita ; chè non uscì timoroso il voto di Agostino Pareto contro quella usurpazione, cui la for- za, a meglio ingannare il popolo del servaggio, dava invano colo- re di volontario assentimento ; perciocchè non seppe mai con le insegne della servitù, tuttochè abbellite dalle indulgenze della vanità e da molte elevazioni sociali , cangiar le più oneste con- vinzioni , i più giusti principii. Ma quel grande, che tutto. po- teva e tutto ardiva , apprezzò in quel magnanimo rifiuto. un esempio più glorioso che frequente, e chiamò tosto spontaneo l’utile e modesto cittadino a reggere il nuovo magistrato muni- cipale di Genova. Persuaso egli nell’assumere quella carica ono- revole , che meritar non possa della patria chi non cura il van- taggio del pubblico bene , quello del comune affidato alle sue cure cercò di conoscere con profondo accorgimento , e. trovò i mezzi di realizzarlo nei più svariati interessi , vincendo con ot- tima provvidenza quella forza d° inerzia, che ad ogni migliora- mento oppongono sempre l’ ignoranza e 1’ abitudine degli abusi, per modo che vive il suo nome lungamente e con venerazione ricordato. Nè ad uno spirito così saggio e positivo potea certo sfuggire , anche sotto il fascio di negozii sempre gravi e rinascen- ti, di quanta prosperità e gloria le lettere e le scienze siano in uno stato sorgente, ond’è che nei tempi, in cui tenne fra i reggitori della pubblica instruzione luogo distinto, ne promosse con ogni zelo il maggiore incremento e splendore: fra i prin- cipali autori del ligure Instituto , miseramente mancato men- tre prometteva più copiosi frutti, non istette pago ai soli. con sigli, ma volle pure giovarlo di begli esempi. Fra le più utili memorie , che di quell’ accademia vennero a luce, noi leggiamo con interesse e profitto alcune considerazioni sulle cagioni della ricchezza dei Genovesi nel XII, XIII, e XIV secolo, ch'egli dettava quasi a preambolo di più lungo lavoro. E in questo scritto a patrie cose appartenente trovò nel suo sapere un ricco ali- mento all’ eloquenza , che tanto è più bella quando ha dal cuor muovimento ; perciocchè con sicura base di storia e dottrine economiche ragionando il come siano que’ fieri repubblicani a tanta e così vantata ricchezza saliti, e in questa sì lungamente prosperati sempre più allargando le loro conquiste e il loro po- tere , conchiude in questa ragionata sentenza: non avere i ge- | 177 novesi dovuta'a combinazioni accidentali di fortuna la loro grandez- za, ma sibbene alla propria virtù ed ingegno ; “ il che, dic’egli, 3» non si saprebbe troppo ripetere, acciò gli stranieri né sentano »» quanto si conviene, poichè le memorie illustri degli avi sono 5 prezioso retaggio de’nipoti, e il solo che mai nè per volger d’an- 3, ni nè per avversità di tempi può venir meno ;;. Nè le lettere sole furono tanto aiutate da lui; chè anzi sino all’ estremo d’una breve , ma operosa e integerrima vita , cercò studiosamente di promuovere quanto hanno di più lodato e più caro le arti, co- sicchè bella, e lungamente desiderata ne rimarrà nell'Accademia Ligustica la rimembranza. Ma le tante memorabili meraviglie, onde fu teatro l’Euro- pa sul principio del nostro secolo; doveano chiudersi con una più memorabile e straordinaria catastrofe. Al cadere dell’immensa do- minazione francese un esercito coalizzato entrava in Italia e strin- gea Genova d’assedio. Era la città battuta di fuori, spaurata den- tro , (chè di trascorrersi alle offese, da’francesi che la guarniva- no, era pretesto la propinqua diffusione dell’armi Britanne). Vi- veva lontano da ogni pubblica cura per cagion di salute Agosti- no Pareto, che tanto di sè liberale era stato alla patria da sa- crificarle quel massimo bene; ma non sì tosto udì il voto pubbli- co chiamarlo in quell’estremo pericolo , che trattosi co’suoi col- leghi a ciò destinati al cospetto del supremo duce lord Bentink, alla dedizione della città chiedea patti men gravi, che non era- no i minacciati, nè sbigottito all’ ebbrezza di facili vittorie fin allora ‘ottenute , ‘all’ impeto militare opponendo 1’ animo imper- turbato, conduceva a più sani consigli quel generale , che , co- nosciuti i limiti della vittoria , impose leggi men dure all’arren- devol città. Bandita la determinazione di tornare ogni stato alla primiera forma , e fondato in Genova dal capo di quell’ oste vittoriosa un temporaneo governo , gli animi dei cittadini sor- geano alle migliori speranze ; chè nè la novità, nè la forza di straniere dominazioni avean potuto , non che spegnere, indebo- lire in essi l’amore e il desiderio delle antiche abitudini. E a sostenere i loro voti fu eletto Agostino Pareto, e mandato a Pa- rigi e a Londra presso que’ supremi statisti cui erano commesse le sorti d'Europa. Com°egli allora adoperasse in pro della patria sua , e a quale magnanimità giungesse predicandone senza rat- tenimento le difese niuno è che non sappia, per poco versato — che sia nella storia di quell’ epoca : la voce pura di quel fedele e valoroso cittadino parve l’eco del tempo passato. T. XXXIV. Aprile. 23 1178 Schivo di far olocausto della propria opinione così nobil- mente manifestata , nè lasciatosi ingannare da splendidi esempi, su i quali pesa il giudicio dei posteri , tornò privato, e nella quiete domestica gli si offrirono spontanei que’ nobili godimenti dello spirito , onde non ci sono mai scarse le lettere. e le scien- ze. E noi vedremmo volentieri pubblicarsi le nobili seritture, cui dovette certamente in quell’ ozio dar opera ; nè forse il voto di vederle a luce rimarrà senza effetto ; chè entrambi i suoi figli, degni del padre , coltivano con amore le lettere più gentili, e già ne diè il primo in più scritti fatti di pubblica ragione non dubbia prova di sentir molto addentro negli arcani delle scien- ze più difficili. Filosofo più di quelli che se ne dan vanto , le combinazioni del suo spirito furono sempre giuste, perchè prove- nivano dall’inspirazione del cuore. Amico ottimo, costante, bene- fico , ognora che ne fu chiesto giovò altrui d’ opere e di consigli, che una rara sapienza di principii , e d’ applicazione , e un ve- der profondo ne’ casi umani rendea sempre utilissimi. Niun ge- nere di virtù lasciò senza culto ; nella consuetudine de’ privati amici , alla purezza delle viste e a’ modi per una cortese gravità amabili unia la piacevolezza de’ costumi, e un’ impareggiabile schiettezza : le sue delizie nel giovare alla patria, e incontaminato d’ ogni vile ambizione trovò sempre il premio delle proprie azio- ni nel sentimento che le inspirava. Morì santamente in que- sto marzo del 1829 , toccati appena i cinquantacinque anni. L’an- sietà dei buoni, la costernazione dei, cittadini, la pietà degli amici, il compianto d’una virtuosa famiglia inconsolabile ( do- cumento sincero , perchè spontaneo , di amore e di gratitudine ) sono le onorate esequie, che toccarono ad Agostino Pareto; le sole desiderabili nella morte dell’ uomo savio e dabbene. L.A Dadi Antonio Montucci. Nacque a Siena il dì 22 maggio del 1762. Nell’ età di cin qu’anni perdette il padre : vinse le difficoltà oppostegli dalla for- tuna ; entrò, mediante un onorevole esame, nel collegio Mancini, e attese alla legge. Entrò quindi segretario dell’ambasciatore in- glese a Firenze ; donde passò in Inghilterra , raccomandato al sig. Wedgeewood , celebre fabbricante di Londra. Questi lo in- 179 trodusse nelle più cospicue famiglie, dove la sua conoscenza di varie lingue lo rese accettissimo. A Londra apprese da alcu- ni chinesi la lingua loro , e fattivi mediante una immensa fati- ca, rapidi progressi, ben presto acquistò fama di non mediocre sinologo. La contesa letteraria sostenuta col Dott. Hager, lo rese più noto. Compose un dizionario chinese con nuovo metodo, per agevolare a’ comincianti la via, e per render loro accessibili tutte le varietà sì di scritto e sì di stampa, che rendono quella lingua tanto difficile. Chiese a tal uopo soccorso da parecchi principi ; ma solo Federigo Guglielmo III re di Prussia vi si prestò. La- sciata dunque l’ Inghilterra , .il nostro Montucci va a stabilirsi a Berlino: se non che le nuove guerre della Prussia con la Fran- cia impedirono al re d’attener la promessa. Il paziente sinologo pensò a lavorare co’ propri mezzi , e diciassett’ anni spese in que- st'opera. Stato per otto anni maestro d’italiano alla corte , lasciò Berlino, andò a Dresda, ove la corte di Sassonia 1’ elesse subito maestro d’ italiano ; e molte prove ebbe egli poi dell’ affezione di quella reale famiglia . Compiuta nel 1825 la sua opera, egli la vendè , con la rara e copiosa sua Libreria Chinese, e con 29,000 tipi chinesi, a proprie spese incisi, a S. S. Leone XII. Dopo quarantadue anni d’ assenza ,.rivide la terra natale; nel 1827. Ma poco potè goder degli amici, e gli amici di lui. Il dì 25 di marzo dell’anno corrente , fu l’ultimo della sua vita. Uomo probo, amico sincero , buon marito , buon padre. Le cose da lui pubblicate, sono: I.” Lorenzo de’ Medici, Poesie volgari sinora ined. Liverpool 1791. IIL° Pochet Italian et English Dictionary. London 1794. \II.° Metastasio , Opere scelte con vita e ritratto dell’A. Londra 1797. IV.° Lettere d’una Peruviana , Trad. dal francese. Londra 1798. V.° Italian Gram- mar. Londra 1808. VI.® De studiis sinicis in imp. Athenae Pe- tropolitano recte instaurandis. Berlino 1808. VII. Remarques Philologiques sur les voyages en Chine de M. De Guignes fils. Berlino 1809. VIII.® Reéponse à la lettre de M. De Guignes in- sérée dans les Annales des Voyages par M. Maltebrun. Berli- no 1810. IX.° A. Parallel Drawn between the two intended Di- ctionnaries of the Chinese Langage by the Reo. D. Morrisson and D. Montucci. Berlino 1817. X.° A. Complete history of Chinese Calligraphy from about 2700 years before Christ down to the present period. London 1814. XI.° A. foall a count of the Shin- gyu or sacced edict and of the translations of M. Milne sir Georger Staunton. London 1823. — Di lui parla la Galerie hi- storique des contemporains 1827 T. VII. p. 147. 150 Elogio dell’ avo. Giuserre Aressanpri già prof. di Pandette nell’ I. e R. università di Siena. Detto nelle solenni esequie che gli tributarono i suoi scolari il dì 21 febbraio 1829. Dal prof. Francescanronio Mori. Siena , Onorato Porri. Giuseppe Alessandri , nato di poveri genitori , sorse per le qualità dell’ingegno e del cuore , elevato sopra molti di co- loro a’ quali la ricchezza e la nobiltà concedendo più larghi di- ritti impongono più rigorosi doveri. “ Avvenimento egli è questo » (così l’egregio suo lodatore), che spesso rinnovato nel seno della ») società, serve ad atterrare , o a far sì che non sorga tropp'alta » la funesta muraglia fabbricata dall’ orgoglio dell’ uomo a se- »» parare in perpetuo i grandi dagli umili. ... avvenimento co- » Spirante a provare, che in qualsivoglia politica aggregazione 3» due sole e non più son per natura le classi civili, quella com- » posta degli educati , questa dei rozzi intelletti.,, Ebbe 1° Alessandri la prima educazione dall’ ab. Girolamo Palli , “ uno di quegli animi rari , che si compiacciono di donare ' 3) da sè istruito , e quasi creato qualche nomo utile al mon- 3» do.) — Quindi si diede allo studio delle leggi, dove il suo in- gegno aiutato da una memoria maravigliosa , fece ragguardevoli avanzamenti: consacratosi all’ esercizio della professione , diede saggi non solo di dottrina e di diligenza , ma di probità e di disinteresse rarissimi: “e questa dote, maggior d’ ogni lode, che »» distingueva il suo cuore , è tanto più da ammirare, perchè a 3) coloro che passano gli anni, in cui stabilmente contemprasi s) il carattere individuale d’ ogni uomo , in povertà ristrettissi- 3, ma, come era all’ Alessandri accaduto , interviene il più delle »» volte, di attaccare soverchio pregio al danaro, e diventar- » ne, saliti ad agiata fortuna, troppo tenaci amatori. ,» Eletto patrocinatore e consultore del Monte, salvò dalla decretata ruina quell’ utilissimo stabilimento. Il governo france- se , non che adontarsi del suo zelo, lo premiò col crearlo cor- rispondente generale del supremo consiglio di giurisprudenza re- sidente in Parigi, presso il tribunale di prima istanza del dipar- timento dell’ Ombrone ; e indi a poco un de’giudici supplenti del medesimo dicastero. Mutate le cose , fu chiamato professore di diritto canonico. « E poichè non ignorava esser la scienza che a professare im- »» prendeva , d’ aridità e d’ inutil fastidio accagionata da’ giova- 3; Ni... intese col fatto a distruggerne il pregiudizio : e a ade» ————————————————————____—__etalnpet_—_ 18I ;» scarne la curiosità colle profonde ricerche della critica stori- ,» ca, e degli stretti legami per cui son le leggi canoniche alle ci- », Vili congiunte. ,, Passò quindi alla cattedra delle Pandette. “ Convinto che il s, nudo studio della parte dispositiva del romano diritto riuscir ,; dovesse aridissimo e quindi increscevole al fervido intelletto dei giovani; ebbe avveduto ricorso alle feconde sorgenti della giu- » ridica filologia, dalla stupenda erudizione de’ moderni giure- »; consulti germanici mirabilmente arricchite ; e mescolando per »» esse l’ utile al dolce , rese più gradevoli ed importanti le sue »» lezioni accademiche.,, Goviale, affabile, pio, umano, buon padre e marito, visse stimato , morì desiderato e compianto . L’ elogio recitatogli dal suo successore è distinto d’idee sì rette, sì nobili, sì degna- mente espresse , che onorano il lodatore non men del lodato. K. X. Y. Elogio del D. Gio. Prezziner Prof. di Storia Ecclesiastica nel- PI. R. Unio. di Pisa, scritto dal Dott. Fruttuoso Becchi. Firenze Ciardetti 1929. Nacque il Prezziner nel 1781; ebbe a maestri un de’ primi allievi del dott. Poggini, Ottaviano della Nave; e 1’ ab. Miche- langiolo Luchi, che fu poi cardinale. L’arciv. Martini , lo elesse, giovane ancora d’ anni ventidue , prof. di morale al seminario : passò quindi prof. di storia e diritto ecclesiastico nella università Pisana ; dove si rese stimabile per la bontà del suo cuore. — Af- fabile, prudente, morigerato, disinteressato, benefico. — Pubblicò un Corso di storia eeclesiastica, e una storia del publico studio e delle società scientifiche e letterarie di Firenze , dove espone tutto ciò che dal terzodecimo secolo al decimottavo fu fatto in Firenze per la cultura de’ buoni studii e delle arti gentili. L’elogio di quest'uomo stimabile per la bontà dell’animo suo, e pel suo zelo del vero, è sparso di verità degnissime d’ atten- zione, e per molti ancor nuove. È dedicato a Beniamino Sproni , Provveditore generale della Università di ;Pisa,, amico del pro- fessore defunto. Sta in fine un’ elegante iscrizione composta dal P. Mauro Bernardini delle scuole Pie , nella quale la parsimonia e la rettitudine delle lodi, diventa essa stessa una lode ben rara. KEN: 182 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Aprile 1829. TOSCANA. COMMEDIE di Arserro Nora. Edizione undecima ; accresciuta e cor- retta dall’Autore . Firenze, 1827-28 . St. Granducale. Vol. VI.° che contie- ne: La Lusinghiera ; I Litiganti ; I Dilettanti Comici ; Amante timido. FISIOLOGIA DELL’UOMO di N. P. ApeLoN, professore di medicina legale alla facoltà medica di Parigi, membro titolare dell’ Accademia regia di medicina , ec. Volgarizzata e corre- data di annotazioni dal dott. G. Bar. THAON , medico militare e socio di di- verse accademie. Firenze , 1828. Tip. L. Pezzati. Tomo IV.°® Questo volume è stato ritardato, per alcune ragioni, più del dovere, ma i successivi saranno pubblicati con mag- gior celerità fino al compimento del- l’ Opera. VIE D’AGRICOLA par TACITE, traduite par N. L. B. Florence, 1829 Guillaume Piatti , 8.° di p. 58. COLLEZIONE dei progetti d’ Ar- chitettura premiati nei grandi concorsi triennali dall’ I. e R. Accademia di Belle Arti di Firenze. Fascicolo IV.° DESCRIZIONE delle Medaglie an- tiche greche del Museo Hedervariano, dai Re di Soria fino a quei della Mau- ritania, con altre di più musei 3 com- presa in vini tavole incise in rame, di- stribuite secondo il sistema geografico numismatico , per DomENICO SESTINI. Firenze 1829 , Guglielmo Piatti. in 15 LA FEDE, la SPERANZA e la CARITÀ’, Inni di Giuseppe BorcHI. Firenze , 1829, Passigli, Borghi, ec. OPERE di Arrssanpro Manzoni milanese , con aggiunte e osservazioni critiche. Prima edizione completa. Fi- renze , 1829, Fratelli Batelli, 8.° Sono pubblicati i volumi I, II e III Prezzo di ciascun volume paoli 4. REGNO LOMBARDO- VENETO. MONUMENTI di Pittura e Scul- tura trascelti in Mantova e nel suo ter- ritorio. Mantova , 1829, Tip. all’ A- (*)I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Il Direrrore DELL’ AntoLocia rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane , che le inserzioni di annunzi tipografici , nel presente bullettino , non possono avervi luogo che previo l’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero, o di qualunque ‘altro avviso tipografico , mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de? fogli. pollo , di F. Bianchinî. Fascicoli VI° e VII.® FAMIGLIE CELEBRI Italiane ; del Conte Lirra. Milano, 1829, dalla Tip. del dott. G. Ferrario . Fascicolo XVII. — I Medici di Firenze. Parte Quarta. BIBLIOTECA PORTATILE DI EDUCAZIONE. Milano presso Lo- renzo Sonzogno editore. Manifesto per la seconda serie. Elenco delle operette già pubbli- cate formando la prima serie. N. della Collez. 1 al 6. BrancHarp. Curiosissime Av- venture de’ Viaggiatori, ital. Vir. 12. 7. Retazione delle famose scoperte di Colombo, Cortes, Pizzarro e Vasco della Gama, lir. 2. 3. Le BELLEZZE DELLA STORIA , 0 Quadro delle Virtù e de’ Vizj, terza ediz., lir. 2. SanraGnELLO. Raccolta di Sto- riette istruttive e piacevoli, lir. 4. 11. Formasari. Novelle scelte, 1, 2. 12. BrancHarp. Il Tesoro de’ Fan- ciulli, con rami, quarta ediz., lir. 2. 50. 13. NaranaELI. Lettere varie, l. 2. 14-15. I vaRJI StATI DELLA VITA uMA- NA , od il Fiore della Mora- le, lir. 4. 16-17. TEYSsEDRE. La Fisica insegnata in 30 lezioni, con rami, ]. 5. 18-19. Payen. La Chimica insegnata in 26 lezioni, con rami, l. 5. Dizionario delle Invenzioni e scoperte principali , sec. ed. lir. 4. 22-24. CHATEAUBRIAND. I Martiri, o il Trionfo della Religione cri- stiana , sec. ed. lir. 6. 25. Tryssenre. L’ Aritmetica in- segnata in 15 lezioni, lir. 2. 26. La Morate Brigtica, 0 Flori- legio di Massime tratte dai due Testamenti , lir. 2. 27-31. ScHrork. Compendio di Storia universale , lir. 10. 32-38. OLivier-PoLi. Dizionario istori- co degli Uomini celebri , lir. 14. 39-40. GoLnsmira.Compendio di Storia naturale, con rami, l. 5. 41. Sprapa. Compendio di Urano- grafia, con rami. lir. 2. 50, 9-10. 20-21. 183 N. della Collez. 42--53. MaLrre-Brun. Geografia uni- 52e 53. versale compendiata, 14 vol. bis con rami; lir. 29. 54. LerrERE ELEMENTARI sulla Bo- tanica, con rami, lir. 2, 50. 55. PeroLi-SamPIeRI. Sentenze e detti memorabili di antichi e di moderni autori, lir. 2. 56. MassiLon, Piccolo quaresima- le, sec. ed., lir. 2. 57. Gozzi. Novellette e discorsi pia- cevoli ed utili. Nuova scelta ad uso de’giovanetti, lir. 2. 58. —— Seta di Lettere, pre- messivi gli Ammaestramenti per imparare a scriverle; l. 2. 59. IL MarsrRo DI DISEGNO, Ossia Trattato completo dell’ arte del disegnatore, diviso in sei lezioni, con rami, lir. 2, 50. 60. Ir MAESTRO DEL DIPINGERE in miniatura , a tempera e ad acquerello, ossia insegnamen- ti per dipingere da sè so- li, ec., con rami, lir. 2, 50. NB. Prendendo tutta la Collezio- ne vengono diminuiti i suddetti prezzi di 5o cent. per volume. RACCOLTA DE’ VIAGGI più in- teressanti eseguiti nelle varie parti del mondo , tanto per terra quanto per mare , dopo quelli del celebre Coox , e non pubblicati finora in lingua ita- liana. Milano , presso 1’ editore Lo- renzo Sonzogno. = Terzo triennio. VIAGGIO al Messico , alla Nuova Granata, ed al Perù, ossia Saggio po- litico sulla Nuova Spagna, del signor ‘AL. pe Humsoupr , volg. di G. Bar- BIERI, adorno della gran carta geogra- fica della Nuova Spagna. Volumi VI, N.° 118-23 della Collezione. VIAGGIO d’Inghilterra in Russia, negli anni 1821-22-23, di Opoarpo MonruLE , versione di Lurcr Bassi , adorna di tavole in rame. Volumi III. — N.° 115-17 della Collezione. CENNI intorno alla vita ed alle opere del cav. V. MontI, scritti da G. A. Massò. Milano, 1828. A. F. Stella e f. 8.° LA SACRA BIBBIA , o sia Vec- chio e Nuovo Testamento secondo la volgata. Traduz. e annot. di Monsign. A. MartINI Arcivescovo di Firenze . Milano , 1829 , Gio. Silvestri. Volum. XII.° ed ultimo , prezzo lir. 5. 06 it. Prezzo dell’ Opera completa lir. 52 it. 184 CRESTOMAZIA ITALIANA poe- tica, cioè Scelta de’ luoghi in verso italiano , insigni o per sentimento 0 per locuzione, raccolta e distribuita secondo i tempi degli autori, dal Co. Giacomo Leoparpi. Milano. 1828, A. F. Stella e f. 8.° in due parti, pag. 640. RASSELAS principe d’ Abissinia , racconti tradotti dall’ Inglese , di Sa- mueLE Jonnson. Milano, 1828. A. F. Stella e f. 8.° MANUALE per CAPITALISTA , ossia Tavola degl’ interessi del danaro per ogni frutto e su qualunque somma dall’ 1 fino ai 366 giorni; opera utile a’ negozianti, banchieri, mercanti d’o- gni genere, tesorieri, ricevitori, ra- gionieri, agenti, fattori, impiegati delle amministrazioni di finanze e di com- mercio , e generalmente a tutti quelli che danno, o ricevono capitale a cam- bio. Milano, 1829. A. F. Stella, e f.8.° di pag. xx1v e 366, prezzo l. 5; 22 it. SCORSA da Verona a Veja, di Pierro CuevaLieR. Padova, 1829. Fratelli Gamba. Volumetto di p. 190 con molte tavole in rame. LE ISOLE delle Lagune di Vene- zia, rappresentate e descritte, Venezia, 1828, presso ALESSANDRO ZANETTI. Tip. Alvisopoli, in 12 distribuzioni , che formeranno un volume. di circa 350 pagine. Ogni distribuzione comprende 3 tavole in rame, == E pubblicato il pri- mo fascicolo. REGNO DELLE DUE SICILIE. SOPRA il famoso fanciullo Vin- cenzo Zuccaro : Epistola di FeRDI- nANDO Macvica. Palermo, 1829, pres- so Lorenzo Dato , 8.° STATI PONTIFICI. ELOGIO di Giuseppe CALANDRELL matematico ed astronomo , dettato da Mecca. Missirini. Roma , 1829. Tip. Virgiliana , 8.° SAGGIO di poesie di Pierro SreR- sinI. Roma, 1829. G. Salvini e C. 8.° di p. 50. DISCORSI letti nella Pontificia Ac- cademia delle belle arti in Bologna, per la solenne distribuzione dei premi negli anni 1818 e 1824. Per il Sassi stampatore governativo , 8.° di pagi- ne 134. DEL SALASSO, grande rimedio per vita sana e lunga. Dissertazione di FepERICO HorFMmann ; dal latino tra- dotta in italiano , e corredata di noti- zie sull’ Autore, e di qualche annota- zione ; da AnceLo MacisrreLLI M. D. Membro della Società Medica di Bo- logna, e della Società Medico-fisica Fiorentina. Imola; 1829 ; Tipografia Galeati ; 8.° ACONZIO E CIDIPPE, favole del Go. Antonio SAFFI di Forlì. Bologna, 1829 , Nobili e C. 8.° Fine del N.° 100. OSSERVAZIONI | METEOROLOGICHE FATTE NELL'OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. APRILE 1829. dd Termom., S DS, > Q n cgil e] si È S|. Ora S LA Lg agi auch” Stato del cielo fa 3 cr = o | (e) È Rara de ie | abc AM ri PR pi A 5 Rie] ‘asd |. 7imat. [27. 3,41 10! 87 97 | Lib. Nebbia Ventic. I mezzog. |27. 3,65 |10,6 l11;6. 80 Maestr.' Navoloso Calma TR [27. 4;6 !t0,5 | 9,9' gr | 0,03 Ostro Ser. nav. Calma î 7 mat. |27. 4,9 |10,5 | 8,6 | 96 | 0,39/Scir. |Nuvolo Ventic, 12 mezzog, |27. 6,2 {10,5 {to,r | 90 | 0,14| Tram. |Piovoso Calma | sera |27. 6,7 [10,6 | 9,0 | 97 | 0,07|Scir. |Nuvolo Calma | 7 mat. |27. 6,8 [10,5 | 8,5 98° 9,19|Ostro Nuvolo Calma 3 mezzog. |27. 7,25 |10,7 |12,0 | 70 Scir. |Navolo Ventic» rr: sera |27. 7,6 [11,0 | 9,2 | 97 | 0,07 Scir. |Nuvolo Calma 7 mat. |27. 7,6 (10,5 | 8,6 | 82 Tram. !Nuvolo Ventic. 4i mezzog. |27. 7,95 10,8 |t1,1 | 70 Tram, |Nuvolo Vento | tt sera |27. 9,0 (10,5 | 8,5 | 8a Tr. M.'Ser. con neb. Veéntie 7 mat. |27. 10,0 10,0 i 6,0 92 ‘Tram. Sereno Ventie. 5| mezzog. |27. 10,4 (10,3 {11,3 73 Tr. M. Ser. ragn. Ventic. ti sera |27. 10,7 j11,1 | 9,4| 90 Scir. Ser. nuv. Calma 7 mat. 27. 10,7 [11,0 8,4 | 85 Scir. |Nuv. peb. Calma 6 mezzog. 127. 10,8 {[1t,t |13,6 | 68 Ostro |Nuv. neb. Vento _|_3r sera pr 10,4 |11,2 {11,2 | 64 Sc. Le-|Nuv. ser. Ventic _| 7 mat. (27. 9,4 |ri,t ‘10,0 | 68 Lev. |Nuvolo Ventic, 7| mezzog./27 8,5 {11,7 {14,9 | 64 | Ostro |Nuv. neb. Vento 1: sera |27. 8,1 {11,7 ‘to,1 | 87 I o,22|Lib. |Ser. nuv. Vento p I 59 Termom. E ro > O i SIETUE o lea) leo] DS 9 ia 2|a|gs|zs| 88 Stato del cielo E. | E Sf | Ed 18408 | E DIA? E PULA | | 7 mat. lar. 9,9 106 10,0 | 80 Lib. |Ser.nuv. Vento mezzog. 27 10,95 11,9 |13,1| 62 Po. Li. Nuvoloso Vento _ tt sera (27. 11,7 11,8 10,1 3 \Scir.. |Sereno Ventic. 7 mat. (27. 11,6 14 {Scir. |Nuvolo Ventic. 9| mezzog. 27. 11,5 {11,5 Bi o,10 Lev. |Pioggia Ventic. rI sera ‘27. 10,4 |11;5 “on :! 0,02 Lev. |Pioviggine Ventie. 7 mat. /27. 9,9 111,5.;10,5 = Î 0,04|Ostro Nuvolo Calma 10 mezzog. 27. 9,6 {11,7 113,2 | 80 | 0,04 Lib. {Nuvolo Ventic. _| trsera (27. 9,6 9,6 11,5 [10,0 ba it Lib. |Nuvolo Vento 7 mat. |27. 9,1 prg 10,0 È —— |Lib. |Nuvolo Ventic. 11) mezzog. a 99 i 33 |13,7 Lib. |Nuv. ser. Vento forte Len 11 sera 27 7. 10,! It, 8 10,0 | à Os. Li. Se. con nuv. Vento | | 7 pr 7. 11,5 {11,6 [11,0 | 84 Scir. ‘Sereno Ventic. ì mezzog.|27. 11.7 {11,9 {14,1 | 58 Lib. Ser. ragn- Ventic. II sera 7. 11,7 |13,0 lr1,0| 68 Scir. Ser. neb. Vevtic. € mat. 7. 10,9 :|12,5 o [77 77 |Levw. | Pioggia Ventic. 13 mezzog. |27. 10,9 [12,9 [13,2 | 93 | 0,05 Ponen. |Nav. ser. Ventic 9 39 ’ 9 ‘ 11 sera |27. 11,5 |12 hi sera [27. 11,5 [12,8 11,3 | 95 |Seir. |Nuv, ser. Ventic | 7 mat. 11 "| 7 mat. [27. 11,6 |12,53. 12,5 [12,0 | 85 Scir. {Sereno Ventic 14 mezzog. do: pe 13,2 115,7 | 63 Lib. Sereno Vento | xx sera ;27. 11,6 |13,9 [12,2 | 81 Scir. |Ser. con neb. Ventic. } ly mat. [27. 11,t {13,8 |rt,1 90 Scir. |Ser. con neb. Calma 15 mezzog.|27. 10,7 [13,8 13,4 | 88 Gr. Le.|Piovoso Calma i 11 sera |27. 10,3 ]14,0 |i2,5 | 96 | o,o2'Lev. |Nuvolo Calma 7 mat. (27. 9,7 {13,5 12,0} 95 | o,o4[Lev. |Nuvolo Calma 16; mezzog. 27. 7,9 113,7 14,0 | 92 | 0,02/Os. Sc. [Nuvolo Calma 11 sera (27, 6,2 ‘13,2 III 96 | 1,00/0s. Li.|Nuvolo Calma 7 mat. |27. 7,7 bicti 12,0 92 0,06 Lib. |Nuvolo Vento 17| mezzog.|27. 9,0 13,3 15,0 | 74 | 0,03 Po. M.'Nuvolo Veotic. | 1 sera |27. 10,2 13,0 ‘11,5 | 87 Lib. iNuvolo Vento 7 mat. |27. 11,6 |13,0 {10,9 > Lib. |Nuv. neb. Calma 18) mezzog.|28. o,4 [13.3 [15,3 Lib. |Ser. neb. Vento 1 sera ‘28, 0,6 113, 3,2 [10,2 E Scir. |Ser. con neb. Ventics ” «mat. |28. 0 0,6 113,0 o |10,5 | 90 — |Greco |Nuv. neb. Calma 19} mezzog. 128. 0,9 13,0 [14,9 71 Lib, Sereno Ventic. | 1) sera /28. 0,9 13,7 |11,0 80 Os. Li. Ser. con neh. Veotic, ———»———_—_—_____________—€——_—_—_——rmrP6m—_—————m—mm__ AZZ EIA VET REIT PR IO IS ESE 27 LI lic > e’ sens@©—@@ | Stato del cielo 0139w1015] 0417 -2W101A0]q -09s0 120 Y or 28. di 90 Scir. |Ser. con neb. Ventic . |28. 13,9 | 71 (11 M.{Nuvolo Ventic. 28. o, de È 10,4 _97 | 01 Os. Sc. Nuvolo Ventic. “ Î . ia 0,1 10,5 | 90 Ostro {Sereno Calma {{21!| mezzog. 11,7 166 | 62 Ostro {Sereno Calma I . 10,7 | 13,0 | 72 Tram. {Ser. neb. Vento Ù x 8,6 |14,0 !12,8 1 82: Lib. |Nuvolo Ventic. .- |27. 8,9 [143 [13,8 | 95 | 0,05|Po. Li.[Nuvolo Vento 27. 9.3 13,7. 12,0 | 85 | o, 0,93 Po. Li.' Nuvolo Vento . [27 10,8 {13,6 |13,0 | 87 Ponen. Ser. nuv. Vento Sag dI 3: 13,8 |16,3 | 67 Po. Li. Ser. con nuv. Vento 28. 3 | 16,2 11,d:| 92 |Ostro Nuv. ser. Calma - (28. 0,9 |13,8 11,5 | 87 iScir. Sereno Ventic. : 28. /0,9 14,3 Tr. M.! Ser. nuv. Ventic. 11 sera |28. 0,3 |15,1 ) Scir. ‘Sereno Ventie. di 7 mat. |28. 0,7 15,1 Scir. Sereno Ventic. |'25, mezzog. |28. 0,5 |15.3 una 60 "Tr. M. Sereno Ventic. 11 sera :28. 0,5 |16,2 114,0 | 92 Ostro ‘Sereno Ventic. Î) | 7 mat. |28. 0,5 [15,9 12,2, 93 Ostro |Sereno Calma 26 mezzog. |28. 0,5 |16,0 17,7, 67 Po. Li.|Ser. neb. Ventiec. i ti sera (27. tig DE 16,9 15,4! 79 Ostro |Ser. neb. Calma 7 mat. 27. 11,0 16,6, 135) 2° Scir. |Ser.con neb. Calma mezzog. |27. 10,6 :G9 |19,0 Po Li.|Sereno Vento It sera |27. 10,1 |17,3 ‘14,9! Ò Lib. {|Nuv. ser. Calma '————————r—_————1—________ ___ ___—___7_______—1————————_—_-_--+---#F+-==-| | 7 mat. |27. 8,8 [16,8 ]13,t1 | 75 Lib. Nuvolo Vento forte {28 mezzog. (27. 9,0 |t16,7 |17,6 | 30 Lib Ser. con, nuv. Vento fort. fl | vr sera 27. 10,4 10,4 |16,9 |12,0 Cd Ostro {Sereno Calma Pi, 7 mat. |27. 9,0 [15,9 |12, 12,5 da — |Ostro |Ser. nuv. Ventic. g- |27. 8,0 115,4 [14,0 Lib. |Nuv.ser. Vento imp. 27. 7,0 ‘14,5 |11,0 60 ILib. {Ser. con nuv. Vento | 7 mat. [27. 8,3 [t4,0 79 Sc. Le. Sereno Ventic. t]5o|mezzog. |27. 8.95 |13,2 {10, 05 62 Os- Li. Nuvolo Vento imp. It sera |27. 9,4 |131 i 97 Lib. |Ser. nuv, Ventic. VATI ta i «api; F PI Ma lobi qua wc: 0 priorato cc e niton) dpi qui» anti SITA ITIPO 3 i cal uiav mi ‘Brit i gi EIUS Ta ita di Lie. str cal i dann a iran vio oloràni pi "fa De bd È 9 via’ ie " oto parte | irc ai MUZIO aa Mole ela ; Nico! olio a'und perde 4 preraggn Milo notai) 7 tr TU #0 Ned oi siii... È vii Lopes È ETA “pagg MI SI: 03; IR LT VARI IS) Bradl o nitrico LP CRE dense n gaia) ig pid; | do si 1984 dl I MOTAN CAI chel aste i 1 sinti seni Sa tI LP Rees: Totti ESILI PR ole sibi Per ‘Tati omov î dn, 4 LA Uto TTTOAI A } iii edi memeniciin i i soa È ci MOTI] apo va Î se "a bi d di ved. 2° CIPE RT. i 1.001 ; » ir teri nie n —-. i -_ po epani SITO vluvasti{ ; ar ; pedi djs +90 ida! pel dA ni CULO ISNC "RR ks PERO] Tifo js vi 19€ SISI LARA ARLOL bh inf «FOR PURI ‘phi DI “an pai Nuva Had dartoi Ri soda! Mis. 0. 17, SRPR I Me MINO RNNNO pc" Leoriotinaranaze rest ipereaato sd pig N VW i è LATI ca pit al #0%] lA de RE: ' MELE. 1 tt sh: A REI RI RES A 4) "n i ( î i Le Sa È PIET Undlicas elica cani a vind ce generale delle materie, Ti A fi, n i REI A * ss i Let ‘associazioni. osi si prendi Saint, , ‘per. tutto Hi tegno - ale Sdi delle RI Lombar do, Veneto: $ presso /Z. e R. Direz. delle Poste, s Sf per: totti li Stati Sardi, Lipggi. È sig Luigi Croletti, impiegato selle ! Sg Ia e dpi «R. Poste di Torino. | Am CE MEMBRA 2 Ste ‘presso Gem, Fincenzi è Cio libr. È STAT aa |. presso il sig: ‘Derviè direttore delle Poste, i sa per tutto 5 stato > Pontificio, paesed il sig. Pietro Capobianchi, impiegato PESI Tani ‘nell'amministraz: gen. delle Poste Pontif. SORA Rat È presso Roff. Trani, largo. del palazzo, i E il sig: F. Gruîs, via "Foledo N° 7. uu in Ta | Direzione delle Pene: - presso 1 I € "R. Direzione delle Poste. | presso JJ. Paschoudi | ‘ presso AR sad Rue de Toarnon N: 6 Prose: C,F. Retna | N. La Pani he Row.! 03 Prolzo | D Associazione da pogani anticipatamente. (RN & er la Toscana î Lire Eu toscane | per T.anno | E I franco di pito 3 reo MIR I vo ca Tren posta ie. "tutto il ‘Regno y. 0 AA È ST Sa aaa Li PE EMA rencndo Jen è s franchi 36. RR IO O AI oi I ‘AR il Regno Sardo Y e ne perte persa ucato & SR _ fratichi si > franco alle frontiere i i per la posta Re ITA - franco di porto Î PA per. la posta + * franco’ Torino | FLO 4 la o'Milano . SK ; 20 tei a i E RASO 01 boriat ai SATA Poe PPT A AO n DI - per la posta | mi intera. collezione dei 8 anni, } 1891 1828 N; del 296, i in 32 volumi broché | I. « CL 275 < 5 > 3 noi 3ò pi INDICE, consone i == 3 : Sa | Y è re ' “è 5 LN ib, A . > e RARE, IT È eli tati ars ut v f Min è » è Cin Sa 3 CITTOSG ettera a’ Site. Associati e Collaboratori dell Antologia 3 i ES toria delle EA Sinidleyalio dell Lafipa: e s dellAsia aa don: denza di Roma fino alla distrazione del Califfato , del conte. 6. B Baldelli Boni. — Il Milione di Marco” Polo; ora he da daga volta entra ? educazione. progressiva , 0 studio del corso della gi Job si ignora Necker di Saussure... ne. AE Forti) “» 4 fersi d’° ‘Aglaja Anassillide , agginnteri i notizie sui sua vita > scritte. ‘da lei medesima; . | SCA Aaa ella procedura penale nel. Regno delta dn Sicilie. >» “Opera dell'avv. N; Niccolini ; lettera. del prof. Des (6. Carmignani)” o, 64 a Monaca di Monza, storia del setolo XVIK. RA RUS Sia pedizione scientifica francese-toscana i in Egitto. Lettere de sig. Gham= 038 pollion. - * vi So è (Traduzione). roba asti e vicende di guerra. de papolt: italiani dal 180r al 1814; 0 mex morie di un Ufficiale italiano DEE servire alla ‘storia d’Italia del sud- detto periodo. © — i SI MERI ULLETTINO SGxENTIETCO, - Micseoatoda , D 186. —' Fisica e “chimi= A ca , p. 137: — Fisica aniurale , p. 145. — Scienze medichè , p..146. >. — Note. statistiche: sugli stati. Sardi, p. 149. — Osservazioni dalle 00 strade del Balkan; p: 193. — Spedizione scientifica ‘ in Grecia; p. 154. — Accademia della Crusca ; pi LOD, — Accademia de’ Gror- È gofili ,, p. 155. =. Accademia delle. scienze di. Torino ,..p. 158. _. re Società agraria di Torino , p. 160. Accademia. leone di Catania 1 PSE » 161. — Accademia degli Euteleti > P. 164. E a i ARIETÀ. = Manifesto per una Cassa di risparmio. in Firenze 3 1655 = = ss © Sopra_il famoso fanciullo Vincenzio Zuccaro . P: 60: _ Cage ‘al ISS Direttore dell’Antologia , p. 172... — s \ [EGROLOGIA» = Agostino Pareto. ge 256 IERT FERA genio Montuceci. gita Ni agli Avv, Giuseppe Alessandri. III A ISS Prot Giov Prézzinen® 5 Iorio Bullettino bibliografico. -- SOT AO et Tavole Patpanglegizhe. Ì TERARIO LET TI I R 4 * PEZZATI. " vi XXX SEU TER iron ‘8’ Ep ‘Luigi "TIPOGRAFIA DI E Ra £ | Drger TO SCIENTIFICO pi G. P. VIEUS TORE T INE OPERE DI PAOLO SEGNERI. | Id î 1] RA DR v A ° " pa x ali ge 3 | mae Po 3 ES + c DE ALZO i e A ‘ fi x x si DA È ì k SUS bdo Letteranto. E No n 3 } AA, SA x I SIR E Che sa È È d n Più ro d LI # } x : n ù peg i vi si DI » 3 CASSE na (8 si d. 'Votendofar cosa grata agli Amatori della. Sacra Eloquenza e del pure . igato stile de Classici Italiani, da una persona di Lettere si è data mano . ‘ad ‘affrettare Edizione delle Opere del celebre Gesuita -P. Paolo Se- ‘gneri, già intrapresa da Leonardo Ciardetti tipografo fiorentino» Nel pub- 3 'plicarsi il Terzo Tomo sì previene ;1 culto Pubblico, ed i Signori Ass0=- ‘ciati, che speditamente. usciranno alla luce gli altri tre, che comple- << iitano da Classe oratoria; preceduta dal Ritratto a bulino del Ch.-Auto-..& ‘re, e da un erudito Commentario sulla Vita e sugli seritti dello stesso ‘% ‘ che manca nelle passate impressioni. ‘Senz' oscurare «il merito di queste e ‘non può egarsi alla presente Fiorentina il vanto di essere la primav # | nell’avere riordinate sotto di un solo ‘punto di vista le ‘materie confu- zione obbedita per qualche tempo: Ma sul cadere del XII se- colo essendo state commesse dagli scuolari molte prepotenze, e i professori non avendo forze bastanti per esercitare la giurisdi- zione criminale onde reprimerle , se ne spogliarono e ritennero soltanto la civile ; nel qual grado stettero le cose infino ai tempi dell’Aecursio, avvegnachè poco dopo la metà del secolo XII si riprendessero l’antica giurisdizione criminale. Sennonchè troppo» non durarono ad esercitarla, ciò fosse o pel poco riguardo che meritavansi i professori d’ allora, o perchè meglio già si fosse stabilita la potenza della università e suo rettore. È per la prima volta menzione espressa de’ rettori al tempo di Gio. Bassiano, verso la fine appunto del secolo XII. Il quale in un con Azone suo discepolo e l’Accursio impugnarono ai seuo- lari il diritto di eleggersi rettori e comunicargli giurisdizione , da Odofredo combattuta sì ma riconosciuta legittima in Bologna (11) come ce lo attestano eziandio que’grandi muovimenti, che, sappia- mo per notizie, agitarono nel 1214 la città di Bologna bramosa di annichilire o almeno rendersi dipendente il rettorato (12), e una lettera di Onorio III. dell’anno 1224 (13). Così gli scuolari ebbero a questi tempi quattro sorta di giudici, il magistrato della città, il vescovo, i professori e il rettore. Stette per cadere più volte tra pe’ suoi contrasti colla città, per le papali scomuniche contro Bologna, e per la guerra da questa sostenuta contro Fe- derigo JI imperatore, il quale ne ordinò ma poi revocò la cessa- zione della scuola di legge, che era l’unica onde si formò dap- prima lo studio bolognese diviso in due corpi o università di ci- tramontani e oltramontani. Trassero poi dietro anche professori di medicina e d’arti; i cui scuolari fecero da principio inutili ten- tativi per costituirsi in una loro particolare università con ret- tore, essendochè tali nuovità venissero combattute dai legisti, e proibite dalla città, ond’essi dovettero appartenere alla università dei legisti. Ma pochi anni dopo tornarono a scegliersi un retto- re, e nel 1316 venne dalla città formalmente riconosciuto in essi (10) Auth. Habita. G. ne filius pro patre (1v. 13). (11) Odofr. ad Leg. fin. G. de Jurisd. = Tamen per legem municipalem huius Givitatis scholares creant rectores. (12) Sarti P. 1. pag. 120 , 324. P. 2. pag. 57, 58, 223 e 224 ( Rubr. 8, 9, 10, 13). (13) Savioli IIE a p. 56. questo diritto, e presero nome: di filosofi o medici o fisici, e tutti insieme di artisti. Onde, poichè papa Innocenzo VI circa la metà del XIV secolo v’ebbe eziandio eretta, sul modello della pari- gina, una scuola di teologi (università di maestri e non di sco: lari) sottoposta al vescovo, gli scuolari della quale appartenevano alla università degli artisti, venne ad aver Bologna quattro uni- versità; due di legisti (che formando un insieme spesso si addu- cono come una sola) una terza di medici e filosofi, la quarta di maestri teologi. Siatuii delle università esistevano avanti all’an- no 1253 poichè il papa gli confermò in quell’anno. Poteano am- pliarsi o correggersi per regola ogni vent'anni da otto scuolari i quali prendeano nome di statutarii; e doventarono obbligatorj per tutti quando il papa, già fatto signore del paese, quelli con- fermò correndo l’anno 1944. Per considerare a dovere la università dei legisti nel tempo della sua più perfezionata forma, la distingue il Savigny come corpo e come istituto d’insegnamento . Come corpo egli ricerca quali ne fossero i membri, e in quante sezioni si ripartissero, quali gli officiali che ne curavano le intime bisogne e quante l’ estere sug relazioni. Membri della università erano di più specie; al- cuni con pieno diritto di cittadinanza, altri con meno pieno , 0 semplicemente di protezione. Aveano pieno diritto gli scuolari forestieri (@dvenae 0 forenses) sì civilisti come canonisti fra loro pressochè in tutto eguali. Si ricevevano quando inscrivevansi alla matricola per cui pagavano dodici soldi: giuravano ogni anno obbedienza agli statuti e al rettore, da cui convocavansi in as- semblee , nelle quali avean diritto di voto; e dovean comparirvi tre volte l’ anno almeno onde non perdere il diritto di cittadi- nànza. Gli scuolari di Bologna poi non aveano nè voto nè dritto di rivestir cariche: erano come dipendenti e sottoposti alla giu- risdizione d’ ambi i rettori, comunque la città procacciasse impe- dirlo. Anche i professori ne aveano certa personale dependenza, avvegnachè nella loro promozione e ogni anno giurassero obbe- dienza agli statuti e al rettore , alla cui giurisdizione in modo sottostavano da poter essere. multati ed espulsi. Non poteano viaggiare senza licenza e non avean voto se non erano stati ret- tori da scolari; uguali per ogni resto ai medesimi. Andavano final- mente sottoposti all’Università come persone protette, quelli ar- tigiani che lavoravan per le scuole ; cioè i miniatori , copiato- ri, legatori ec. dei libri, e i servi degli scuolari, non che le per- sone scelte per far pegni co’ medesimi, i quali tutti giuravan obbedienza al rettore ed agli statuti. Gli scuolari poi formavano 38 come si disse , due Università, l'una dei citramontani, l’altra de- gli oltramontani: Ordinariamente si compose quella di diciasset- te, questa di diciotto nazioni, alle quali si apparteneva per na- scita. Oguuna di queste nazioni era ordinariamente constituita in altrettanti minori corpi, e i tedeschi aveano procuratori pro- pri; ai quali giuravano obbedienza e non al rettore . Furonvi inoltre alcuni ristretti collegi o comunità di scuolari peveri , che nelle Università Italiane non tolsero verun peso. Primo fra gli officiali della Università era il rettore. Negli antichi tempi or n° ebbe un solo ed ora due, e finì poi con un solo ; scuolare, cherico o letterato, scapolo, non religioso , di 25 anni , facoltoso , e che avesse studiato a proprie spese cinque anni in legge. Sceglievasi ogni anno dal rettore uscente, dai consiglieri delle nazioni, e da certo numero di elettori nominati da tutta l’ Università, e traevasi volta per volta da una deter- minata nazione, giusta l’ordine della lista. Aveva il passo sul- l’arcidiacono di Bologna e su tutti gli arcivescovi e vescovi (me- no quello di Bologna ) non che sui cardinali scolari. Prendeva nel XIV secolo titolo di magnifico. Alla giurisdizione del retto- re, qualche volta impugnata dai bolognesi, andavano soggetti tutti i membri della Università tranne i tedeschi. Nè la civile gli si contrastava quando ambe le parti erano scuolari o dottori, o il reo apparteneva alla Università e l’attore presentavasi avanti al rettore. Ma se l’attore volea rivolgersi altrove grand’ era il contrasto fra 1’ Università e la città, che venne tolto solo quan- do gli statuti dell’ Università confermati dal papa doventarono obbligatory per tutti. S’introdusse allora l’ appello avanti al go- vernator pontificio, mentre prima usava soltanto farsi una sup- plica ai consiglieri delle nazioni, e dalla loro decisione si avan- zava una domanda di nullità dinanzi un tribunale composto del- l’altro rettore, e di quattro consiglieri. La criminale giurisdizione poi del rettore , soggetto di tante controversie , cadeva sui pic- coli delitti, e tuttavolta che commesi contro 1)’ Università me- desima ; punivansi i rei di mu/te che prima si repartirono tra i rettori delle due università, quindi tra il rettore e il sindaco della or fatta unica università ; della espulsione che rendeva in- capaci di assistere alle prelezioni, e della promozione alla facoltà di leggere, e perchè questa avesse forza eziandio contro gli esteri, oltre a togliere ogni gius all’escluso verso i scuolari, si volle si esten- desse perfino contro ai suoi discendenti, e che la città, la quale gratificasse lui d’impiego s’intendesse parimente esclusa con tutti i suoi cittadini. Ma non era difficile venire di bel nuovo rice- 39 vuti, e che all’ espulsione si sostituisse una multa. Nei veri mi- sfatti poco dalla città rispettavasi la giurisdizione del rettore 0, in alcuni casi, si adoperò un misto giudizio. Ma nell’anno 1544 confermò il papa la giurisdizione del rettore quando offensore ed offeso fossero ambidue della Università e non capitale il delitto. Venivano dopo il rettore e come luogotenenti. 1.° Z consiglieri delle nazioni ognuna delle quali ne aveva uno, talvolta due (co- me per esempio due n’ ebbero i tedeschi che appellavansi procu= ratori i quali nella loro nazione avevano giurisdizione in esclu- sione del rettore ) ed erano come il senato del rettore e seco lui conducevano non pochi affari. 2.° Il sindaco scelto dagli scuo- lari e non soggetto alla giurisdizione del rettore ma sì di tutta l’Università congregata, e da esso rappresentata ne’ giudizi cogli estranei. Ebbe dapprima un soldo di lire 12 e poi dopo un terzo delle multe. 3.° / notaio, scelto dagli scuolari fra quelli della città, il quale esigeva sportule ed avea salario di lire 40. 4.° Z/ massaio o cassiere scelto annualmente tra i banchieri. 5.° Final- mente due Bide/li, uno per ciascheduna Università. Quanto alle relazioni esterne in che l’Università stette colla città di Bologna, certo è che tutto fu posto in opera ond’ ella fosse conspicua e fiorente. Quindi que’ tanti privilegi e franchi- gie dal servizio e dalle imposte ai professori e agli scuolari bo- lognesi, quindi se i forestieri furono trattati come cittadini. Nè si trascurò nemmeno il sollazzo degli scuolari, per tener convi- tati i quali ad un banchetto notturno furono, per una legge del 1421, obbligati gli ebrei di pagare lire 104 ai legisti e 70 agli artisti. Tutto poi si adoperò perchè non altrove fiorissero scuole di legge, sottoponendo a confisca e multe gravissime quei professori che ad altre città emigrassero con gli scuolari. Per impedire le liti tra gli scuolari e i locatori delle case crea- ronsi apposta quattro tassatori ; vietaronsi parentele tra scuolari e bolognesi senza licenza del rettore, del qual divieto primo ad esser esentato fu Giovanni d’Andrea co’ snoi discendenti; di poi tutti i discendenti maschi d’ ogni dottor di Bologna. Ottenne l’ università. dal papa anche conservatori, quali nel 1310 furono l’arcivescovo di Ravenna e i vescovi di Ferrara e di Parma, negli anni 1322 e 1326 il vescovo di Bologna. Considerando poi l’Università come instituto d’insegnamento, due cose ne ricerca il Savigny il personale ( dottori e lettori ) l’attività o 1° operar de’medesimi nelle prelezioni » Tepetizioni, e dispute. Quando la scuola del gius nostro nacque iù Bologna il ti fo tolo di dottore, maestro ; signore era quello onde chiamavausi Irnerio e successori, ma non significava nè: un’officio nè una partecipata dignità che allora non esisteva. E infatti nei docu- menti Irnerio appellasi giudice 0 causidico ; nelie storie maestro, dottore non mai: Walfredo poco dopo appellasi ora dottore; ora maestro, ora giudice. Ma dopochè la scuola, circa la metà del XII secolo, si fi bene stabilita e Federigo I oltre la facoltà d’in- segnare ebbe compartito eziandio certa autorità ai professori , sembra che il nome e la dignità di dottore si cominciassero ad accordare in ispecial modo dai dottori attuali per cooptazione, ed i promossi riceveano facoltà di leggere, giurisdizione sugli scuo- lari, e un voto nella facoltà delle promozioni. Circa la fine del XII secolo furono eziandio dottori in gius canonico ( Decreto- rum); nel XHI poi anche in medicina, grammatica, filosofia ed altre arti non esclusa quella del notariato. Divenne allora il ti- tolo di dottore più dignitoso che non quello di maestro, ritenuto dai lettori non promossi al dottorato: a poco a poco peraltro una interessata municipale gelosia tanto ne restrinse i privilegi che le cattedre primarie si accordavano ai soli bolognesi: e gli attuali dottori di Bologna (soli nella facoltà delle promozioni ) avendo inoltre giurato di non accordare il grado che ai membri delle loro famiglie, la scuola bolognese cominciò a trarre in ruina e nacquero quelle commozioni degli anni 1295, 1299 e 1304 le quali si composero con l’ obbligo ai dottori di promuovere tut- t’altri bolognesi che non i loro parenti. Promuoveansi dottori in gius civile e canonico, separatamente o in utroque. Il canvnista giurava innanzi avere studiato sei anni, otto.il civilista; ma una prelezione o repetizione si contava per un anno di studio e s’abbuonavano uno o due anni al civilista che avesse studiato tre o quattro anni in gius canonico. Presentavasi il candidato al- l’arcidiacono da un rettore. Deppio n° era 1’ esperimento ; l’esa- me privato (examen) precedentemente al quale gli si dava a seri- vere su due testi; e il suo lavoro leggevasi dal candidato nel dì prefisso dall’arcidiacono, nel quale sembra che il dottore presen- tante lo esaminasse e gli altri muovessergli contro questioni e dubbi, previo giuramento di non essersela intesa con lui, solo che, dove non lo trattassero con amorevolezza. venivano puniti della sospensione per un anno. Fatto l’ esame i dottori votavano se il reputato degno divenia licenziato. L’ esame pubblico (conventus) tenevasi in Duomo. Faceva il licenziato un discorso ed una pre- lezione di gius, alla quale non i dottori ma gli scuolari obiet- tavano. Succedeva un sermone dell’arcidiacono o del dottore che 4I ne facea ie veci, in cui proclamavasi il dottor novello , al qua- le si presentavano le insegne del dottorato , il libro , 1’ anello , il cappello ec. Talvolta il grado compartivasi privatamente. Il più delle volte l’esame privato e il pubblico succedevinsia bre- ve intervallo, alcune poche assai tardi : come per esempio Cino da Pistoia esaminato privatamente nel 1304 sostenne il pubblico nell’ anno 1314. Per la promozione prestava il candidato tre giuramenti al rettore 1.° di avere studiato il debito tempo 2.° (e prestavasi avanti il Corventus) di non aver pagato oltre il pre- scritto. 3.° (e prestavasi avanti l’ eramen) di non mai fare contro l'università o gli scuolari; e, restando in Bologna , d’ obbedire al rettore e agli statuti. Divenuto poi dottore giurava di non far contro il Collegio dei dottori nè alcuno deisuoi membri o statuti. Infine s’introdusse l’uso che tutti i dottori prestassero alla signoria giuramento di non leggere fuori di Bologna ; giuramento abo- lito poi nell’anno 1312 a prece degli scuolari che lo riscattarono a prezzo. Consistevano le spese per la promozione nelle sportule e nei donativi. Le sportule per 1’ eramen andavano a circa lire 60, pel Conventus incirca 80. Le spese poi in doni di vesti, scar- latti, pelliec. erano in guisa eccessive che il Papa nell’anno 1311 credè prescrivere non si trascorresse mai più la somma di lire 500. Imperatori e Papi non s’ ingerirono di queste accademiche promozioni. Ma , siccome promuoveansi bene spesso in Bologna persone indegne, Onorio III volle che ninna promozione avesse forza se non dietro adeguato esperimento e coll’ assenso dell’allo- ra Arcidiacono Grazia; dopo il quale tal parte di vigilanza e non d’ autorità rimase ne’ suoi successori, che assunsero col tempo nome di cancellieri, e sopravvedevano a tutte le facoltà eccetto la teologica, della quale cancelliere era il Vescovo. Potea 1° Ar- cidiacono essere professore e anche , con dispensa, membro or- dinario della facoltà per le promozioni. Quando fossero queste instituite non può dirsi con tutta precisione : solo che verso la metà del XIII secolo esistevano nella loro pienezza, e si man- tennero infino alla metà del secolo XVI in cui subirono un gran- de cangiamento. Erano diritti dei dottori 1.° poter leggere in Bo- logna e per comando pontificio da per tutto. Se usavano di que- sta facoltà s’ intitolavano /egentes, se nò non legentes: i primi avevano giurisdizione sugli scuolari. 2. Poter promuovere gli altri a dottore, non più soli come in antico , ma dentro il col- legio o la facoltà ond’ erano membri. Dei quali collegi cinque n’ erano in Bologna affatto dalla università separati due legali , uno medico , uno filosofico e un quinto teologico. Antichissimi T. XXXIV. Muggio. 6 492 e di tempo tanto ignoto quanto l’ origine delle promozioni a comune sono i collegi legali, de’ quali inoltre ignorasi se dap- principio fossero o due o uno, se 1° uno pel civile e 1° altro pel canonico : certo è che ambedue s’ incontrano nel XII secolo, e che la costituzione loro si fondò poi negli statuti dell’ anno 1397 alcun poco in appresso cangiati. Ond’ esser membro dell’ uno dei due collegi si richiedeva la qualità di Bolognese per origine e di dottore. Il collegio dei canonisti dodici, quello de’ civilisti con- tava sedici membri ordinari; ma ogni collegio poteva avere tre soprannumerarii, de’ straordinari a piacere, tutti parenti pros- simi degli ordinari e compartecipi delle promozioni ad esclusione de’ soprannumerari. Vi presiedeva un Priore che fra i canonisti cangiavasi ogni sei mesi, fra i civilisti ogni due. Tutti i collegi avevano per adunarsi una casa comune presso al duomo. I col- legi legali s° ebbero col tempo privilegi dimolto estranei alla loro istituzione , per esempio far cavalieri con la sportula dai fore- stieri di scudi 50, dai cittadini, di scudi 100. Davano pareri, se richiesti, all’ esorbitante e non mai minor prezzo di 100 ducati, non contate le spese di cancelleria che almeno giungevano a 20 scudi. Nè questi collegi sono da confondersi con quel più antico Collegio dei Dottori, Avvocati e Giudici proveniente da quello degli schiavini e giudici riuniti che tutt’ al più ebbe relazione con gli altri, inquantochè da questo uscirono i primi professori o dottori, ed i seguenti vi vennero ricevuti ogni qualvolta il vol- lero; sinchè finalmente , diventato comune il grado di dottore , anche i giudici e gli avvocati usarono di prenderlo. Allo stato dei Zettori in legge potevano appartenere anco gli scuolari. Tutti i dottori poi poteano leggere, i licenziati come scuolari. Ma perchè questi potessero leggere doveano riportarne licenza dal rettore, il quale concedevala a chiunque avesse stu- diato cinque o sei anni, per un diritto di 5, 10, 0 20 soldi secondo- che volean leggere o un titolo o un piccolo libro (le istituzioni o le novelle ) o un grosso volume di gius. Lo scuolare poi che aveva letto sopra un’ intiero titolo o trattato , o fatta almeno una formale ripetizione sopra un punto di gius, prendea nome di baccalare e ne godeva i diritti. Ebbero di buon ora i profes- sori in Bologna grado pubblico e soldo. Fino dall’ anno 1279 vediamo pattuito a Guido di Suzaria la somma di lire 300 per un’ anno perchè leggesse loro il digesto nuovo ; onorario più presto che soldo , onde 1’ esempio primo incontrasi nel seguente anno. quando a prece degli scuolari la città diede lire 150 a Garsia perchè leggesse il decreto. Nell’ anno 1289 si stabilirono 43 due cattedre con soldo fisso. Una ordinaria sul decreto con lire 150, l’ altra straordinaria sull’ inforziato e il nuovo con lire 100; quella toccò per la prima volta all’Altigrado da Lendinara, que- sta a Dino. Ma la scelta dei lettori restò sempre agli scuolari, e si rinnuovava ogni anno o sulla stessa o su diversa persona. Cento anni dopo le cattedre con soldo erano in assai maggior numero , giacchè nel 1384 si pagavano 19 lettori di gius e 20 d’ arti, e quale de’ civilisti avea più tirava lire 495 ossia fiorini 300. 33. —. Cominciarono allora ad aversi i professori per impie- gati pubblici, e la scelta degli scuolari doventò più rara, tal- chè nel 1420, dei ar lettori in legge uno appena si narra che fosse stato scelto. Nè dottori soltanto ma eziandio scuolari tro- viam con soldo. Si fondarono in fatti sei cattedre con soldo di lire 100 l’una, alle quali si rieleggeva ogni anno ed erano 1.° Or- dinaria in Decretis. 2.° Extraordinaria in Decretis. 3:° Sexti et Clementinarum. 4.° Infortiati et novi pro diebus continuis. 5.° Vo- luminis 6.° Infortiati et novi pro diebus festivis , alle quali non potevano pervenire dottori, nè bolognesi nè licenziati; ma per 76 elettori repartivansi ugualmente tra gli scuolari oltramontani e citramontani: ma siccome tumulti nascevano all’ occasione della scelta , s’ introdussero poi de’ cangiamenti i quali terminarono nell’ uso che dalle università si presentassero 19 candidati, fra i quali si tirava a sorte e i civilisti ebbero quattro posti, due i decretalisti. Quando così fatta instituzione di scuolari-lettori prendesse vita ; s’ ignora: esisteva certo nel 1388 , e per alcune buone ragioni si ripone dal Savigny circa la metà del secolo XIV. L’ attività o l’ operare dei professori aggiravasi nelle prele- zioni , repetizioni , e dispute. Le prelezioni (lecturae, regere in schola ) daravano un’ anno. Nel giorno di san Luca ( 19 ottobre ) cominciavano a leggere i decretisti , nel giorno appresso gli al- tri. Le vacanze iutermedie erano intorno a 90. Cominciavano le grandi ai 7 di settembre. Tenevansi le prelezioni part: da mat- tina, parte nelle ore pomeridiane. Il lettore che cominciava trop- po tardi pagava 20 soldi, 10 ogni scuolare che arrivava nella scuola alla fine. Nel XIII secolo erano le scuole nelle case dei professori. Ma nel XIV se ne fondarono delle pubbliche , ove i dottori potean sempre leggere due volte per settimana, i bac- calari nelle ore pomeridiane, quando non volea profittarne un dottore. I principali dei medesimi aveano bidelli propri, che nelle promozioni e dagli uditori esigevano sportule; e di Gallo- presso Bidello d’Azone sappiamo che procacciossi un bene di li- re 2000. 1 professori senza. pubblico soldo percipevano onorari 44 o collette che non doveano esser piccole , giacchè molti dei me- desimi morirono ricchissimi. Nè tutti adoperarono con onestà. Alcuni contrattavano gli scuolari; altri, come Francesco Accursio che n’ ebbe assoluzione dal Papa. prestavano danaro agli scuo- lari per esigerne onorari maggiori o procacciar fama; onde quel peccatore di Bonifazio Buonconsiglio si credè in obbligo di la- sciare per testamento ai poveri lire 100 d’ elemosina ec. Sicchè venne costituita pena di lire 10 contro chiunque procacciasse udi- tori con prestiti, lusinghe o preghiere; meno gli scuolari, i quali al principio delle loro prelezioni poteano rivolger preci ai loro uditori. Esigeansi cosiffatti onorari non solo dui dottori, ma an- che dagli scuolari se ne avevano licenza. Eranvi finalmente due altre collette l’ una per le scuole, l’ altra pei bidelli. Distingue- vansi le prelezioni in ordinarie e straordinarie, non perchè le prime si tenessero nelle pubbliche scuole , le seconde nelle pri- vate, o perchè quelle fossero pagate e queste nò , ma secondo- chè fossero ordinari o straordinari i libri letti ; ordinari o stra- ordinari i professori leggenti. Erano libri ordinari, siccome più rilevanti nel gius. Romano, il digesto vecchio e il codice : nel canonico il decreto e i decretali, tutti gli altri straordinari. Le prelezioni sopra i libri straordinari erano sempre straordinarie; le prelezioni sopra i libri ordinari, se faceansi da sera, straordinarie; se da mattina, ordinarie. Così, lettori ordinari erano quelli che avean dritto di leggere da mattina un libro ordinario ; straordi- nari gli altri. Nè solo prelezioni , i lettori teneano , come dissi , anche repetizioni e dispute. Consistevano le repetizioni nel di- chiarare il testo , scioglierne i dubbi e.le diffisoltà . Le dispute poteano tenersi soltanto dai dottori o scuolari pagati per leggere, alle quali dovean sempre assistere tutti i baccalari, e gli scuolari potevano , volendo , obiettare. Erano le repetizioni, e le dispute o necessarie , 0 volontarie. Necessarie soltanto pei dottori dal più giovane in sù. Si tenevano le repetizioni dal principio del- l’ anno insino a carnevale ; dipoi Je dispute insino a Peutecoste, settimanalmente , nei giorni feriati e non solennissimi. Il ret- tore vi sopraintendeva. Ilitesto della repetizione , e il tema (que- stio) della disputa rendeansi noti più giorni avanti. Dietro alla storia della università di Bologna trae quella delle altre università d’Italia Padova, Pisa, Vicenza, Vercelli, Arezzo , Ferrara , Roma , Perugia (14) e Napoli; e leggermente toccasi delle università di Piacenza, Modena, Reggio e Torino , (14) V. App. al Vol. III nel Vol. IV, pag. 481. 45 sulle quali non ci tratterremo sì perchè tutte, eccetto quella di Napoli, fondate sul modello della bolognese , sì perchè tanto di questa principalissima ne convenne parlare che non altrimenti un estratto, ma quasi una compiuta traduzione, venne presentata delle cose ragionate dal Savigny. Sennonchè sembra prezzo del- l’opera accennare come l'Autore dalla storia delle Università di Vicenza e di Vercelli và maestrevolmente deducendo la con- seguenza , che le scaole si divisero dapprincipio in quattro uni- versità di nazioni ciascheduna con suo rettore cioè 1.° Francesi, Inglesi, e Normanni. 2.° Italiani. 3:° Provenzali, Spagnoli e Catala- ni 4.° Tedeschi; che gli statuti dell’antichissima scuola d’ Arez- zo non riguardano 1’ università degli scuolari, ma il corpo dei professori ; e che nella scuola di Napoli instituita da Federigo Il gli scuolari non formarono Università, e le promozioni, ivi fatte per opera del re. o del gran cancelliere senza intervento della facoltà, non furono reputate buone (come intervenne appunto a Giacomo de Belvisio) dalle altre Uuiversità d’ Italia; infine che la napolitana Università non operò, mai grandemente nè potè venire in fama nel medio evo, colpa di sue viziose instituzioni e del difetto di quell’aura di scientifica, libertà, la quale fecon- dò le altre italiche Università. Dalle Università d’Italia, vien quindi il Savigny a ragionare delle Università di, Francia sulle quali, poichè tanto dalle no- stre differenti, giova trattenersi alcun poco. Parigi. Ebbe Parigi infino dal secolo XII maestri in filosofia e teologia collegati in parte alla scuola della cattedrale; o ad al- tre di varii chiostri, e particolarmente di S.° Genoveffa e S. Vit- tore. Della costituzione e forma delle promozioni nella. parigina scuola hannosi notizie da un libro. di Pietro Bramantino , che morì dopo la metà del secolo XIII, il quale avendolo intitolato (secondo il fare dei tempi) da Boezio, alcuni lo. reputarono di quel filosofo del VI secolo, ed altri di un supposto Boezio, del secolo XIII. I più antichi documenti, che riguardino questa Uni- versità sono due decretali di papa Alessandro III,.colla prima delle quali (an. 1180) si-vietò prendere danaro, per dar facoltà d’ insegnare, e coll’altra s’ eccettua dal divieto Pietro Comestore che ne era allor cancelliere. Ma di maggiore rilievo è il privile- gio dell’anno 1200 di Filippo Augusto; per cui gli scuolari (let- tori e studenti) non il rettore o capitale, se commetteano mi- sfatti dovevano essere arrestati dal. prevosto.di Parigi, ma proces- sati e puniti dal tribunale ecclesiastico . Se poi gli seuolari ve- 46 nivano maltrattati i parigini doveano soccorrerli , arrestando il malfattore e rendendo loro testimonianza in giudizio ; osservanza di cose giurata da ogni nuovo prevosto (e prima ancora da tutto il comune) il quale da indi in poi fu considerato appartenere alla Università e ne fu fatto conservatore de’ R. privilegi Un concordato delle quattro nazioni del 1206 per iscegliere il rettore, fa riprova della suaccennata divisione delle medesime, e in una decretale d’Innocenzo III (15) alla scuola di Parigi si vede per la prima volta il nome d’ Università. S’appellò questa scuola pri- mogenita del re, cessò dalle sue lezioni e sermoni ogniqualvolta il braccio secolare le denegò giustizia, inviò anche nell’anno 1588 deputati all’assemblea di Blois; fu tanto povera che mai non pos- sedè una casa e dovè tenere le sue sessioni nelle case degli or- dini religiosi benevoli; e pel suo coraggio, per la sua indepen- denza e per le sue forze intellettuali esercitò. più lungamente d’ ogni altra grandissimo impero sulle menti degli uomini. Le basi di sua costituzione giacciono negli statuti che non tutti in un tratto nè completi, ma vennere promulgati a mano a mano secondo il bisogno. Constituì di buon’ora una sola Università senza diversità di legisti e artisti, nè di nazioni siccome corpi l’uno dall’altro indipendenti, e quel ch'è più tutto il potere stiè sempre nei lettori, senzachè mai (checchè si dica il Bulèo ) vi partecipassero gli scuolari. All’ assemblea generale della univer- sità ebbero originariamente dritto tutti gli aventi grado di dot- tori o di maestri, nomi che allora indicavano i professori effet- tivi. Ma nel secolo XIII, quando quel grado diventò comune, i soli lettori ( magistri regentes) deliberavano, per regola, in que- ste assemblee ; straordinariamente e dietro particolare invito an- che gli altri graduati. Le sezioni della Università di Parigi non si ravvisano così distinte come nelle altre Università. Negli an- tichi tempi quattro n’erano le nazioni r.° la Francese 2.° l’In- glese o Tedesca 3.° la Picearda 4.° la Normanna, ciascheduna delle quali tenea sotto sè esteso numero di provincie (16). Alle nazioni appartenevano dapprima scuolari e professori secondo la patria e senza distinzione tra le scientifiche facoltà: ma nel se- colo X!II, per occasione di una guerra agitata co’ frati mendi- canti aiutati dal papa che volean posto nella Università, se ne staccarono i dottori in teologia e fondarono un separato collegio , esempio che venne imitato dai canonisti e medici; onde di lì (15) G. 7. X. De procuratoribus (1. 38). (16) A. Du Breul, Théatre des Antiq. de Paris p. 456. 47 in poi l’ Università si compose di sette fra loro dissimilissi- me parti , le tre facoltà suddette , ele quattro nazioni. Erano le facoltà dirette e rappresentate dai decani; le nazioni dai procuratori , e queste composero in effetto la vecchia Universi- tà, nominarono esclusivamente il rettore e ritennero la giuri- sdizione. I baccalari e gli scuolari delle tre dette facoltà rima- sero sempre dentro le nazioni, poichè esse componevansi de’soli dottori. Ogni facoltà ebbe sale proprie a ciascheduno de’ suoi professori ed una chiesa comune. Nè i collegi furonvi, come in Italia, pe’soli poveri, ma eziandio come convitto pei benestanti, cosicchè nel XV secolo quasi tutta l’Università vivea pe’ collegi, e gli esteri s° ebbero il soprannome di Martinets. Dei quali col- legi il più antico e famoso fu quello della Sorbona, sorto nel 1250 e male a proposito scambiato con tutta la facoltà teologi- ca. Capo della Università era sempre il rettore ; non potean es- serlo i membri delle tre facoltà, nè parteciparne alla scelta, di- modochè se il rettore durante il suo impiego voleva addottorarsi in una di quelle doveva dimettersi: Si elesse dapprima dai pro- curatori delle quattro nazioni; dopo il 1280 da specialmente no- minati elettori. Per poter nominare o essere elettori facea me- stieri avere 3o anni, non così per essere rettore , il quale si co- minciò per eleggerlo ogni quattro o sei mesi e dal 1279 in poi ogni tre mesi. Doveva essere scapolo , ma non importava che fosse prete. Dopo il rettore venivano in dignità i conservatori. Di quello de’ R. privilegi ossia del prevosto se ne parlò , nè di lui resta a dire sennonchè dopo il 1592 sparì perchè divenuto inetto a proteggere l’ università. L’ altro conservatore dei papali privilegi rivestì sempre una dignità nominale e rade volte eser- citata : ne’ primi tempi conferivasi ad arbitrio ad un ecelesiasti- co; ne’più recenti soltanto ai vescovi di Meanx, di Beauvais e di Senlis ; alla fine poi del secolo XVI anche questa dignità an- dò in decadenza. La giurisdizione sulla Università, come corpo, risiedè prima nel te stesso e dopo la metà del XV secolo nel parlamento di Parigi; gl’individui nel particolare furono, quanto al criminale, soggetti prima al tribunale ecclesiastico, quindi nel XV secolo al parlamen- to; quanto al civile, sia per esempio sia per forza precettiva , si aderì al privilegio di Federigo I e i professori ebbero giurisdi- gione sugli scolari, come se ne hanno chiare tracce, ed in ispe- cie negli statuti parigini dell’anno 1215 (17) in concorrenza del (17) Buleus III, p. 82. Quilibet magister forum sui scholaris habeat. i AREE, vescoyo di Parigi. Nell'anno 1340 passò nel prevosto, onde surse la giurisdizione dello Chatelet, la quale si mantenne infino agli ultimi tempi anche quando il prevosto n’ebbe perduta l’ammini- strazione. Stette poi nella Università medesima quella giurisdi- zione che, non civile nè criminale, riguardava le scolastiche in- stituzioni, puta le dispute tra professori, o tra professore e scuo- lari ; le offese fatte al rettore da un membro della Università ; Ja disciplina degli scuolari, i quali con modi assai diversi delle italiane Università erano talvolta puniti, quantunque già bacca- lari, con le sferzate sulle nude spalle: punizione di cui già s’in- contrano gli esempi nel 1200, e sono assai frequenti nel secolo XV. Esercitossi cosiffatta giurisdizione, prima da depntati spe- ciali, consecutivamente dal rettore coi quattro procuratori, e in appresso anche coi tre decani delle facoltà ; forma nella quale si mantenne infino agli ultimi tempi (18). Dal rettore appellava- si alla Università, e da questa coll’andare dei tempi al parla- mento. Anche il conservatore dei privilegi papali esercitava giu- risdizione nei casi nei quali venivano offesi gli ecclesiastici pri- vilegi. Le promozioni facevansi in tutte le facoltà con assenso del cancelliere del duomo, e, per la facoltà filosofica, anche a be- neplacito del cancelliere di santa Genoveffa. A quanto ne ascen- dessero le spese non si sa bene. Ma negli statuti del 1472 ven- ne stabilito che il baccalare tutt’ al più 7 e il licenziato pa- gasse 12 scudi d’ oro. Per gli statuti de’ canonisti era poi libero dall’ esame il licenziato in romano diritto ; chi avea studiato sol- tanto in gius canonico doveva essere stato uditore 48 mesi in 6 anni, ed aver letto 4o mesi in 5 anni; ma se aveva studiato in civile bastava avesse letto in due anni 16 mesi. Dapprima tutti i professori dovevano essere scapoli, nel 1452 ne vennero dispensati i chirurghi, e per gli statuti del 1600 anche i cano- nisti, la facoltà de’ quali componevasi di 6 professori che dietro esame riempivano a voti ogni posto vacante senza che gli scuo- lari giammai partecipassero alla scelta. Venendo a parlare delle prelezioni, avverte il Savigny come per concepire le relazioni del gius nostro alla università di Parigi, è sostanziale il riflettere che quella tanta predilezione degli eccle- siastici pel gius romano incominciò nel secolo XI! a prendere un diverso andamento, e a tutta concentrarsi nella teologia o nel gius canonico , legge quasi intermedia tra la divina e la civile, (18) Vedi gli Statuti del 1600. 49 in guisa che concilii e papi giunsero persino ad interdire ai preti lo studio del gius civile, quantunque coll’ andare de’ tempi fa- cessero una qualch’ eccezione ai loro divieti. Che anzi Papa Ono- rio II messe fuori nell’anno 1220 una sna decretale, per cui universalmente proibì 1’ insegnamento del gius romano in Pari- gi e suo distretto , sotto colore del non praticarsi questo ne’giu- dizii: decretale bene accolta ed osservata dalla suddetta univer- sità la quale formava principalmente una scuola teologica , di- nivdochè sempre si oppose alle brame dei canonisti, che spesso nel secolo XVI tentarono introdurvi scuola di gius civile, sen- za cui non può mai giungersi a bene intendere il canonico . Può dunque credersi che per questa proibizione (la quale Papa Innocenzo IV tentò estendere per tutta Francia, Inghilterra , Scozia ed Ungheria) non fu troppo favorevole il fato del gius ro- mano nella Università di Parigi. Ad ogni modo, che vi s°’ inse- gnasse nel XII secolo il sappiamo da Giraldo Cambrense, il qua- le ve lo studiò circa l’ anno 1180, e ve lo insegnò. Daniele Merlaco descrive 1’ ordine delle prelezioni che in quel medesimo tempo teneansi a Parigi sulle Pandette (19) e infine Rigordo che scrisse circa l’ anno 1200 parla con lode del romano diritto in quella università (20) ma promulgata la decretale di Papa Ono- rio III questo studio cessò. Sennonchè ne” civili dissidii il parla- mento , per non costringere i suoi cittadini a peregrinare, per- messe nell’ anno 1568 che in Parigi s’ insegnasse gius romano , e nell’anno 1576 il Cuiacio ottenne d’esservi promosso a dottore. Ma tre anni dopo, nella dieta di Blois, rinnovossi la proibizio- ne confermata dagli statuti del 1600 e successivamente tolta con l’ Editto del 1679, onde l’ università di Parigi restò agguagliata a tutte le altre. Anche in Monpellieri fa d’ antico tempo uno studio, onde il più vecchio documento riguarda la scuola di medicina. Quan- do vi si aprisse quella di legge signora: ma il privilegio di esigere giuramento di fedeltà e obbedienza da tutti i dottori in gius canonico e civile dato da Luigi IX al vescovo di Maguelon- ne, entro la cui diogesi stava Monpellieri, ne dimostra la pre- cedente esistenza. Gli ‘artisti finalmente vi ordinarono statuti in- sin dall’ anno 1242. Onde Monpellieri essendo già ricca d’ogni scienza, promulgò Niccolò III nell’anno 1289 quella sua Bolla, con (19) V. Wood Historia Universitatis Oxoniensis. Oxon. 1674 f. pag. 57 ad A. 1189. Vers. cum dudum. (20) Apud Duchesne Hist. Francor Scriptt. T. 5. Paris 1649 f.\ p. 50. T. XXXIV. Aprile. 7 50 che vi eresse studio generale d’ ogni scienza fuorchè teologia (che vi s’ introdusse circa la metà del secolo XIV) con precetto che le promozioni dovessero aver luogo per fatto del vescovo,, as- sistito dai professori come consiglieri , dietro precedente esa- me. Formarono in Monpellieri le scuole de’ medici e dei legisti due università del tutto separate, alla seconda delle quali ap- partennero gli artisti che fecero corpo in un coi legisti: in ogni resto fu l’ università di Monpellieri, come tutte le altre di Fran- cia, simile alle italiane, e gli scuolari soli n’ erano i veri membri, poichè i dottori aveanvi diritti limitati, talchè pare si modellasse su queste e non su quella di Parigi infino da que’ tempi in cui, legisti e artisti, tutti formavano in Italia una sola univer- sità. Tre poi n'erano le nazioni: Provenzali, Burgundii e Ca- talani. Capo della università era il rettore cui sottostavano 12 consiglieri, probabilmente quattro per nazione. La giurisdizione eriminale risiedea nel vescovo, la civile in un regio officiale, e in appresso ne’ tre conservatori che da Papa Martino V si die- dero alla università. Sono queste le cose più notabili fra le osservate dal Savi- gny circa l’ università dei legisti in Monpellieri. Di quella d’Or- leans noteremo che già fioriva nel 1236: che ottenne papali pri- vilegii e venne formalmente riconosciuta nel 1305 da Clemen- te V con diritto di promozione e il re di Francia 1’ approvò nel 1312, dichiarando peraltro espressamente che siccome Orleans era in paese di Droit Coutumier non s° intendesse con ciò alterato il gius in vigore. Erano gli scuolari divisi in dieci nazioni; pri- vilegiatissimi i tedeschi con grado di nobiltà e posto gratis agli spettacoli infino al XVIII secolo. Capo della università il rettore che si scelse prima dai professori e procuratori delle nazioni, poi dai soli professori in un col procuratore tedesco. La civile giu- risdizione risiedeva nel Baiglivo e nel Prevosto ; la criminale pri- ma nel vescovo , e dal 1520 in poi ne’ regii ministri ; la disci- plinaria finalmente nel rettore. I professori venivano cooptati dietro concorso , e gli ufficiali regii e municipali aveanvi voto consultivo. Le promozioni stavano sotto l’inspezione dello scola- stico del Duomo da Clemente V nominato cancelliere della uni- versità. Dopo la storia della università d’Orleans tocca il Savigny rapidamente quelle di Tolosa (eretta con bolla pontificia nel 1233 a spese del suo conte Raimondo IV in pena di aver protetti gli Albigesi) di Valenza e di Bourges che si formarono dagli scuo- lari, e rammenta poi come si trova fatta menzione presso anti- 51 chi scrittori di nna scuola di gius in Lione, e in Vienna di Del- finato. E nominata appena le università di Spagna (21) e d’In- ghilterra, perchè le prime non addiventarono chiare nella nostra scienza che assai posteriormente all’ epoca onde ragionasi, e le seconde vi attesero per breve tempo, espone quindi in succinto alcune generali considerazioni sulle università : come cioè nei tempi ond’è discorso, università significò il corpo e non lo stu- dio più propriamente detto Schola, studium ed anche studium generale , non perchè significasse università delle scienze ma dei scuolari di tutte nazioni, e torna finalmente a ripetere che que- ste università primitive non sursero per autorità del papa nè dell’ imperatore nè delle signorie locali, ma per fatto dei pro- fessori famosi, e che soltanto le novelle scuole procacciarono queste bolle o pontificie o imperiali, onde avere agli occhi del mondo tale autorità che loro meritasse un riguardo pari a quello delle più antiche. Compiuta per cotal guisa la storia delle università, e doven- dosi oramai rappresentare il come dai glossatori si promuuvesse ed arricchisse la scienza del gius romano , comincia il Savigny dal ricercare quali fossero le fonti ove attinsero (cap. XXII) e novera le Pandette o Digesto (22) le instituzioni , l° antico lati- no testo delle novelle (Aurhenticum) e la loro Epitome di Giu- liano (novella). Ogni resto giacque per loro o inutile o scono- sciuto , abbenchè non punto trascurassero le altre fonti di gius estranee al romano , che a que’ tempi vigevano in un con quelle cioè la Lombarda ; la collezione del gius fendale Longo- bardo , le novelle leggi degl’ Imperatori , gli statuti delle città e il Diritto Canonico (23). I. Le Pandette si dividevano nel medio evo, come appari- sce manifestamente anche dalle edizioni del XV e XVI secolo , in tre parti principali. Cominciava il Digesto vecchiv dal primo libro e terminava col secondo titolo (de divortiis) del libro 24. Cominciava l’ Inforziato dal seguente titolo terzo (soluto matri- monito) e finiva in un col libro 38. Sennonchè dapprincipio l’In- forziato parve avere due parti, perchè vi mancava un frammento che costituiva porzione dell’ ultima legge di questo volume e che dalle parole tres partes con le quali incominciava tolse no- (21) V. Vol. IV. Aggiunte e Correzioni al Vol. III p. 482. (22) Il segno {f con cui si indicò il Digesto è un D malamente letto per- chè non troppo chiaramente scritto alla tedesca. (23) Hostien-Summa Decretalium Proem. 52 me di tres partes (24). Finalmente il Digesto nuovo principiava dal primo titolo del libro 39 e terminava con l’ opera. Ciasche- duna poi di queste parti suddividevasi in due. La seconda parte del digesto vecchio incominciava dal 12.° libro , quella del- l’Inforziato dal 30.°, quella del nuovo dal 45.° Suddivisione evidentemente introdotta dalla scuola di Bologna per comodo delle prelezioni, giacchè con ogni nuova parte incomincia una nuova materia. Onde poi questa divisione delle Pandette meglio di tutti lo narra 1’ Odofredo , riferito e corretto dal Savigny, nel ragionare come la scuola del gius nostro fu da Roma trasferita a Ravenua e indi a Bologna ove certo Pepo incominciò a leg- gere senza lode. Ma Irnerio, che vi professava arti liberali quan- do furonvi trasportati i libri legali, si dette per sè a studiarli e quindi a leggerli. Nè tutti a un tempo , ma secondo il seguente ordine que’ libri vennero a Bologna , cioè prima il codice, quin- di il digesto vecchio (perchè primo conosciuto) appresso il 722000, e le instituzioni ; poi dopo 1’ Inforziato (che tal nome ricevette quando venne rinforzato o aumentato dalle tres partes) (25) sen- za le tres paries ; consecutivamente i tre libri (10-12 del codi- ce) finalmente l’ Authenticum. Dalla quale narrazione si spiega il perchè i soli primi g libri del codice e il Digesto vecchio fos- sero libri ordinarii, perchè cioè primi conosciuti e letti in Bolo- gna. Tutte però le suddette fonti furono certamente conosciute ad Irnerio, giacchè del medesimo si hanno glosse persino ad al- cuni luoghi dell’ Inforziato. Da queste ricerche prende il Savigny la strada alla risolu- zione di due quesiti. 1.° Quali MSS. delle Pandette possediamo noi di presente e quali siano le mutue loro relazioni? 2.° Quali MS. ebbero avanti sè i glossatori, e come adoperarono sul testo delle Pandette ? I nostri MS. delle Pandette sono, il fiorentino e già pisano, che non venne a Pisa nel XII secolo pel conquisto d’Amalfi, ma molto tempo innanzi; e molti altri MSS. che per lo più con- tengono alcune delle parti e non l’intiero corpo delle Pandette, e che stante l’ affinità che fra loro passa s1 comprendono tutti x (24) Fatto è che questo frammento stava attaccato e dava principio al Di- gesto nuovo onde fu tolto per restituirlo al vero suo luogo. (25) Questa etimologia è giustificata dal vedersi che Je Provenientes, 0 Pro- oisinae , moneta romana di que’ tempi presero nome d’ Infortiati quando 6 e mezzo delle nuove valsero 12 delle vecchie. G. R. Carli Opere T. 3. p. 262. Milano 1784. 53 sotto il generico nome di Vo/gata, e sembrano tutti parimente muovere dalla scuola di Bologna, tra perchè ugualmente provvi- sti di glosse dell’ Accursio e dei professori Bolognesi, ma non mai puta dei Padovani etc. e perchè tutti sono da riporsi nei se- coli XII, XIII e XIV nei quali fiorì la scuola bolognese. Le re- lazioni poi che passano tra il MS. fiorentino e gli altri variano nelle opinioni dei dotti. Crederono il Torelli e Antonio Agostino che questi ultimi non riconoscano altra legittima fonte ed origi- ne che il MS. fiorentino: credè il Cuiacio (26) che muovano eziandio da parecchi altri antichi MSS., talchè possano esser le- gittime le particolari e varianti loro lezioni: tennero finalmente il Conti e 1’ Eichorn che per una parte del testo muovano dal fiorentino , per l’ altra da MSS. antichi (27). In questa varietà d’ opinioni aderisce il Savigny a quella del Cuiacio e la dimo- stra vera riportando alcuni passi da lui creduti legittimi di tutte parti della volgata , i quali, non potendo essere stati immaginati dai glossatori, debbono avere avuto per fondamento altri antichi MSS. Sennonchè lo scambio dell’ ultimo titolo delle Pandette ca- gionato dall’essere stati sciolti e poi male rilegati due fogli del testo pisano , tutti i MS. lo avrebbero ricevuto da quello. I testi dunque che i glossatori ebbero avanti sè furono MSS. originali (litera vetus, communis) e independenti dal Pisano. Conobbero in appresso ancora questo, lo riputarono migliore e viepiù legittimo, epperò ; se nelle minori varianti scelsero da varii testi ciò che parve loro da preferire, nell’ordine dell’ ultimo titolo aderirono al Pisano, e nell’insieme formarono un nuovo te- sto che dal Savigny , dietro i moderni, s'intitola il Bologne- se (28). Ad ogni modo che la scuola bolognese molto adoperasse per la compilazione di un nuovo e corretto testo ; lo. provano la instituzione nel XII o XIII secolo de’6 peciarii (29) eletti per so- pravvedere che i libri degl’imprestatori fossero corretti ed intieri, sotto pena di 5 soldi e della spesa della currezione in caso con- trario, e per gastigare della multa di 5 lire quei dottori o scuolari i quali avendo buoni esemplari si rifiutassero a comunicarli ; il (26) Observ. Lib. 1. G. 1. Lib. 2. G. 1. e in altri luoghi molti del Bren- ckmann p. 423, 424. (27) Il Conti vuole che abbiano origine dal pisano pel digesto nuovo. in- cominciando dalla parola : Tres partes. = L’Eichorn pel solo frammento : Tres partes, e il Titolo de Reg. Jur. i (28) V. Grandi Epist. De Pandect. ( Edit. 2. 1727 ) pag. 97. Gramer Tit. Pandect. God. De Verb. sign. Kil. 1811. 4. Praef. p. x. xxxIv. (29) V. gli statuti loc. referito dal Savigny, Append. IV. 2. 94 numero dei tanti MS. de’ tempi della scuola bolognese tutti fra loro simili, in contrario di ciò che accade ne’'MSS. del gius con temporaneo , puta del Breviario Alariciano ete.j la glossa dell’Ac- cursio onde vanno provvisti, la quale cadendo bene spesso sulle voci, dee essere stata per necessità basata sopra di un testo uni- forme ; finalmente il vedersi anche ai dì d’ oggi molti MSS. del XII secolo; nel cui margine spesso occorrono varianti tratte dal testo pisano; e che nelle glosse manoscritte di autori citati (in ispecie di Ugolino) in quella stampata dell’ Accursio , e in altre anonime , Irnerio, Martino , e Bulgaro si referiscono come au- tori di varie lezioni. Or se la semplice esistenza di queste rac- colte di varianti basta a provare come i glossatori molto adope- rassero intorno la critica del testo, ed accresce vigore all’ asser= zione di una recensione Bolognese, maggiore se ne fà la certez- za ove riguardisi all’intimo loro contenuto, poichè le varianti ch’ivi si leggono (e se n’esibisce dal Savigny dei saggi nell’Appendice VIII a questo IMI volume) non solo nascono dalla conosciuta differenza tra la volgata e la fiorentina lezione, ma eziandio forniscono in- tieramente nuove lezioni di più antichi MSS., dei quali perfino si riempiono certe lacune col testo pisano (‘non sempre, per la condizione de’ tempi , correttamente nferito) o viceversa con essi riempionsi quelle del testo pisano; cosicchè questi MSS. del XII secolo sono da reputarsi preziosissimi, e perchè dimostrano già mezzo fatto il critico lavoro della scenola bolognese, e perchè tengono come un luogo intermedio tra la nostra moderna volgata o recensione bolognese e quelli antichi MSS., i quali, forse per- chè non più utili, andarono perduti. Nè contro ogni speme, man- cano documenti storici d’ una recensione bolognese , essendochè in quest’ ultimi tempi siasi rinvenuta un’ opera di Vacario legista italiano del XII secolo e maestro di leggi in Inghilterra , nella quale per dare un’ idea completa del gius romano si rac- colsero infiniti luoghi del codice e delle Pandette i quali per la loro varietà dimostrano aver preceduto la presente nostra volga- ta; oltrechè dall’ Inghilterra parimente abbiamo glosse d’ anoni- nimi ove in opposizione alla lettera pisana si cita la bolognese o dei bolognesi (30). Non che peraltro a compilare siffatta recen- sione fossevi un collegio di legisti : 1’ occasionò più presto lo spirito de’ tempi per cui sappiamo fecersi parecchi viaggi a Pisa dai legisti, incominciando da’ tempi d’ Irnerio sino all’ Accursio, (30) V. cit. Append. VIII N.° 101, 104 Bononienses legunt. Secundum li- teram Bononiensem. Mi: aci 55 dal quale venne in certo modo fissata la glossa , e segnato il ter- mine di quel primitivo ardore scientifico di cui più recentemente fornì un così raro esempio Bartolo (il quale per occasione di una lite mandò a Pisa per consultarne il testo ) che se .ne gloriava a segno da rammentarlo in ciascheduna deile quattro sue prin- cipali lezioni: tanto infino da’ suoi tempi erasi renduto languido l’amore per la critica del testo! Tale fu l'origine della nostra volgata ne’ varii MSS. nella quale doverono , come ciascheduno intende, rimanere parecchie minori varianti, essendochè mai non venisse depositata in un solo ed unico monumento. II. Ebbe il codice nella prima parte del medio evo un me- desimo fato col Breviario Alariciano , perchè in dimolti. MSS. venne, lasciato fuori buon numero di costituzioni, ma le ricevute si custodirono intatte: sennonchè in Perugia è un codice maravi- glioso osservato dal Niebuhr in cui le costituzioni veggonsi pe- rifrasate e ridotte in breve compendio. Irnerio ebbe da principio non tutto il codice ma i primi g libri che andavano dagli altri separati, probabilmente perchè gli ultimi tre libri, i quali trat- . tano di pubblico Diritto , si riguardarono allora come oggi quasi chè meno utili per la scuola ed il foro. Anche il testo del co- dice venne, come le Pandette , riempito e corretto dalla scuola bolognese , che anzi più spesse ne sono le varianti in Azone e nell’ Accursio perchè mancò un testo , come il pisano delle Pan- dette, cui riferirsi nel dubbio. III. Le Instituzioni per la loro mole, materia e chiarezza avendo più facilmente scampata la distruzione e le mutilazioni non tanto abbisognarono dell’ opera de’ Glossatori. Ciò nondime- no non isfuggirono alle cure loro , come lo palesano le varianti che occorrono nelle glosse alle medesime. IV. Le Novelle (Autenthicum et Juliani Epitome) di Giu- stiniano furono in due diverse guise conosciute dai glossatori ; nel- l’ antica traduzione fattane in più volte in un con le novelle originariamente scritte in latino , e in quell’ altro lavorò latino che s’ intitola da Giuliano. Sebbene Irnerio a comodo di causa trattasse l’Autenthicum siccome libro illegittimo, ritrattò poi do- po la propria opinione e ne estrasse quelle antentiche onde si modificano le costituzioni sparse pel codice (31) il perchè 1° au- tentico venne da indi poi riguardato come libro di dottrina e commentato, e Giuliano cadde nell’ inferior grado di libro ausi- (31) Rofred. et Odofred. in Cod. Const. Cordi. 56 liare. L’ Autentico, al dire di Giovanni (32) ebbe in principio nome di Novelle, ma perchè un’altro libro (Giuliano) eravi dello stesso nome, lo cangiò in quello d’Autentico per dimostrare la sua legittimità contro quello. Molta cura adoperarono i bolognesi a correggerne e reintegrarne il testo assai più corrotto che non quello del codice. Nè sole 97 delle 168 costituzioni denominate Novelle furono, come apparirebbe dai MSS. e dall’ edizioni, conosciute dai glossatori ; poichè ne’ loro antichi MSS. si ravvi- sa la conoscenza d’ un maggior numero ; e quello s’ arguisce di tutte le altre lasciate in abbandono, o perchè locali o solo con- venienti ai tempi in che vennero promulgate, del resto inutili per le scuole , epperò estravaganti (33) non senza ragione denomi- nate. Le 97 novelle furono dai bolognesi repartite in g collazio- ni suddivise per titoli , e l’ estravaganti in tre collazioni, a imi- tazione del codice diviso in dodici libri, nove utili e tre disutili per la scuola. V. Le altre fonti del gius romano restarono sconosciute ai glossatori, non meno che il Breviario Alariciano , perchè que’due passi di Gaio circa la mancipazione e la cessione riferiti da Cino sono anche in Boezio onde è da credere fossero tolti. Se conosces- sero i basilici e loro scolj, e le opere latine scritte nell’ Italia greca, nulla è che ne attesti ne’ loro scritti, come si vedrà meglio in appresso. VI. Fonti di gius concorrenti in un col romano; e ch’ebbero in Italia vigore di legge e riguardo nelle scuole a tempi dei glos- satori (sia che venissero o nò insegnate nelle scuole ), furono la lombarda glossata ed anche compendiata ad apparato scientifico , ma non mai letta nelle scuole; il gius feudale longobardo, onde parleremo più sotto, e che tanto occupò le menti dei legisti del medio evo; le rovelle leggi dagl’ imperatori promulgate come re di Lombardia e che da Lotario II in poi, ormai compilata la lombarda sistematica, veggonsi sciolte ed utile sarebbe in un rat- cogliere e dichiarare; gli statuti delle città che veggonsi princi piare verso la metà del secolo XI e si moltiplicano nel XII e nel XIII, verosimilmente occasionati dalla fusione in un sol co- mune delle varie nazioni che le abitavano, come avvenne in Roma per la pomulgazione delle XII tavole ; finalmente il gius canonico , onde amplissime colleziuni aveansi ancora innanzi al (32) Summa Novella Proem. (33) Ioannes in d. Summa Novellar. Proem. RO 97 risorgimento del Romano Diritto , e fra la quali quella di Gra- ziano famosissima comparve alla luce del mondo verso la metà del XII secolo contemporaneamente , almeno; al surgere delia scuola di Bologna. Collezione che pel grande rilievo delle cose ivi contenute ben presto ebbe l’onore d’esser pubblicamente letta; onde due scuole di diritto vennero ad essere in Bologna 1’ una in gius civile, l’altra in canonico, e chi appartenne alla seconda fu detto canonista o decretista , o decretalista : raro. essendo a que’ tempi, ciò che da tutti si costumò in appresso, divenire al tempo medesimo lettore e dottore in ambedue que’ diritti. VII. Legame tra ciascheduna delle fonti del gius giustinia- neo ;, che anco a que tempi si chiamò come fra noi Corpus Iu- ris, fu che i digesti, senz’altra fonte, andarono raccolti in tre vo- lumi. I primi nove libri del codice in un quarto. Contenne il quinto 1.° le instituzioni 2.° l’authenticum in 9 collazioni 3.° la collezione del gius feudale 4.° gl: ultimi libri tre del codice: onde per questo suo moltiplice contenuto ebbe il generico nome di Vo- lumen. Come poi nascesse per opera di Ugolino la decima colla- zione delle leggi da Federigo II imperatore mandate a Bologna per leggersi, bene lo narra Odofredo riferito dal Savigny (34) il quale dimostra come solo un errore dell’Alvarotto nell’ intendere Baldo non difforme dall’Odofredo indusse a credere che questa decima collazione venisse fatta in Pavia ; quasichè ai pavesi pro- fessori e non ai bolognesi avesse Federigo II inviate le sue leggi. Anche nel codice (I-IX) penetrarono come nel volume fonti di estranea origine, da noi chiamate Autentiche, e ciò per opera dei bolognesi. Sono di tre specie, e le due ultime , simili tra loro, dalla prima dissimilissime. Appartiene alla prima specie l’estratto delle novelle commentate per opera di Azone e glossate dall’Ac- cursio. Appartengono alla seconda due costituzioni di Federigo I cioè l’ autentica Habita che fu inserita nel titolo del codice re filius pro patre ( lib. IV, tit. 13.) e l’autentica Sacramenta pube- rum C. si adversus venditionem (lib. II, tit. 28 ) che -ritrovasi ancora presso Azone e venne glossata dall’Aceursio: spettano fi- nalmente alla terza undici costituzioni di Federigo II imperatore, e sono appunto quelle medesime da lui mandate ai dottori di Bologna onde inserirle nel codice, e che pur vennero glossate dal- l’Accursio. Come poi queste costituzioni venissero accolte nel co- dice si fa manifesto per la imperiale dignità loro \e»tolsero no- (34) Odofred. in Cod. Auth. Cassa .de,,SS. Eccl. Sarti. Pij1.,p.r 196: n. e. Bald. in uùsus feudor. Proem. Alvarotus in usus feudor. Proem. not. 12. T. XXXIV. Maggio. 8 58 me di autentiche perchè ricevute ancora nella decima collazione> dell’ Authenticum. Del resto anche altri imperatori desiderarono l’inserzione delle loro costituzioni nel corpo del gius (35) ma non l’ottennero perchè dall’Accursio in poi si considerò come chiuso. Nè finalmente vuolsi omettere d’ osservare il modo con che dai glossatori citansi queste fonti, perchè indi s’agevola la conoscenza se un’opera è anteriore o posteribre alla loro epoca ; impercioe- chè avanti l’età dei glossatori i passi chiusi nel Corpus Iuris ci- tavansi per numeri, e non mai quasi per le iniziali del titolo e della legge ; al contrario i glossatori operarono viceversa ordina- riamente citando per iniziali e rade volte per numeri. Dalla storia delle Università e delle fonti del diritto cono- sciute ai tempi de’glossatori, procede il Savigny a ragionare di co- storo come professori (cap. XXIII) ed a rappresentare, per quanto lo comporta la scarsità delle notizie, i modi ne’quali repartissero la scienza nelle loro prelezioni, e come si comportassero lettori e scuolari. Le prelezioni, così in Bologna come altrove, raggira- ronsi sulle cinque parti del corpo civile, sicchè cinque erano le letture principali o corsi delle medesime, due ordinarie 1° altre straordinarie. Ognuna di queste letture durava il corso ordinario dello studio che era un’anno. Ogni prelezione poi durò dapprin- cipio un’ ora del giorno. Non ogni lettore confinavasi a leggere sopra una sola parte, ma leggeva successivamente anche su tutte l’una dopo l’altra; onde gli scuolari poterono non udire che un solo professore, nè era straordinario che nello stesso corso un pro- fessore tenesse più e diverse prelezioni. Ma in appresso s’intro- dussero cangiamenti scritti negli statuti di Bologna e di Padova, per separare le parti che doveansi leggere da ciascheduno dei professori, e così venne a rallentarsi quel vincolo che prima univa gli scuolari ad un professore; ed è curioso il vedere in Padova, se non è un malinteso:, che nell’anno 1484 venisse eretta una cattedra apposta pe’codici Gregoriano , Ermogeniano e Teodosia- no soppresa nell’anno 4687; esempio d’amore per la scienza isto- rica del diritto che non riscontrasi al certo nei tempi posteriori. Era poi sostanziale e indispensabile per gli scuolari assistere a tutte le prelezioni sui libri ordinarii. Assistevano alle altre o no a beneplacito. Coloro che volevano venir promossi a leggere stu- diavano sempre più di cinque anni; il Petrarca ne studiò sette. Nel XV secolo ifacevasi il corso del gius romano in Padova den- (35) Gome' Enrico VII per la'sua Costituzione; Dè summa trinitate 3 etc. del 1312. ; | 50 tro quattro anni. Gli scnolari ed in ispecie gli stranieri erano or- dinariamente di più provetta età che non ai dì nostri; qualche rara volta assai giovinetti (36). Ordinariamente studiavasi il solo diritto romano, di rado in un col canonico. Ad altri studi non at= tendevasi dai legisti, sennonchè spesso udivano, come pratiche, le prelezioni sull’arte de’notari, i quali a que’tempi formavano nelle città un ragguardevole collegio. Quanto poi al modo di leggere incominciavano i professori da una esposizione sommaria di tutto il titolo (Summa ) leggevano quindi partitamente il testo , nel modo in cui lo credevano meglio scritto; ed esponevano lucida- mente il caso, dipoi scioglievano le antimonie e rammentavano le regole generali (Brocarda); finalmente i casi di diritto (quae- stiones) veri o figurati, che poteansi con quelle risolvere; lo che se avrebbe menato in lungo, si riserbava alle repetizioni. L'Odo- fredo da cui tutto ciò sappiamo (37) dice di sè che avrebbe, cosa non mai precedentemente fatta , spiegato ancora le glosse , on- d’egli è da accagionarsi di quel male che posteriormente invase le scuole di trascurare il testo per ispiegare le glosse. Era poi libero ai professori d’ inseguare o parlando o leggendo. Gli scuo- lari scrivevano come ai dì nostri, e talora interrompevano il pro- fessore con interrogarlo, avendo facoltà di farlo sempre nelle straordinarie lezioni, nelle ordinarie più raramente. Ma quantunque al nascere della nuova senola di gius ogni insegnamento venisse comunicato a viva voce, non perciò credasi non avere i glossatori operato eziandio come scrittori (cap. XXIV) conducendo proprii e veri libri. Vero è che tanto i libri quanto le prelezioni raggirarono mai sempre circa la interpetrazione del Corpus Iuris, onde ogni legale letteratura de’ tempi fa capo alle glosse, per dare adeguata idea delle quali comincia il Saviguy dal con- siderarle al tempo in che si veggiono complete, e rimonta quindi all’ origine della cosa e del nome. Non furono le glosse come al- cuni pretendono quaderni. ne’ quali stavano scritte le prelezioni de’ professori , ma sivvero spiegazioni o schiarimenti che ogni le- gista apponeva al proprio esemplare del testo, nel pensiero che poi si potesse copiare e diffondere. Divulgavasi la glossa o dopo la morte dell’ antore o anche vivo lui, ed era sempre munita della sua Sigla. E perchè nelle glosse stava ciò che di meglio (36) Gio Andrea era puerulus quando studiò: Sarti P. 1. pag. 371. Il Pe- trarca avea 15 anni. (37) Odof. in Dig. vetus proem. Go aveano i legisti pensato circa il testo, quindi essi l’ esponevanò eziandio nelle prelezioni ; nelle quali peraltro comunicavano an- cora tutto ciò che di più comune e men raro credevano dovere di mano in mano ragionare sul testo. L° origine delle glosse fu que- sta. Si scrisse sulle prime la spiegazione di ciascheduna più dif- ficile parola tra le linee ; di poi certe più ampie spiegazioni in margine, le quali presero aria di commento: onde la voce glossa, che originariamente significava spiegazione di una voce mediante altra voce corrispondente e più chiara, passò a traslatamente si- gnificare la spiegazione non delle nude voci , ma pur del senso in quelle nascosto. Furono queste glosse di varie guise ; collezioni di varianti onde si parlò più sopra; luoghi paralleli per con- fermare , dilucidare o abrogare un testo, onde poi nacquero le autentiche inserte nel. codice e i tanti estratti delle novelle. Chiamossi apparato quella cosifatta glossa che potea riguardarsi come un compiuto commento al testo, ed il più antico fu opera del Bulgaro al titolo: De regulis juris. Affini alle glosse erano le somme di tutto un titolo di gius per servire d’ introduzione alle prelezioni eregetiche le quali successivamente furono ridotte a libri. Venivano quindi i casi o posizioni di fatto con che ren- vasi più palpabile il contenuto del testo. Finalmente la drocarda, ossia le regole generali di gius riportate laddove l’ opportunità lo richiedesse, alle quali bene spesso contrapponevansi le discor- danti per quindi risolvere ]° apparente loro contraddizione , onde ne nacque l’ antico errore di chiamare 2rocardiche quelle questioni che parevano intrigate e dubbiose. Primo che usasse questo nome di Brocarda fu il Pillio: se ne ignora la derivazione, perchè il ricavarlo dal nome di Burchardo di Worms, come alcuni imma- ginarono , non ha sapore. Tali furono gli scritti o libri di gius occasionati dalla lettura. Le ripetizioni e le dispute diedero an- ch’esse origine alle questioni che nel XII e XIII secolo miransi raccolte e conosciute in Bologna come proprii e veri libri. Altre opere infine furono condotte dai legisti, le quali aggiravansi prin- cipalmente sul processo fordo judiciarius) e sulle azioni. Vennero quindi le distinzioni e le raccolte delle controversie (Dissensiones Dominorum). Furono però, giova ripeterlo, tutte queste opere dif- ferentissima cosa dalle prelezioni , le quali ci giunsero in parte conservate nei quaderni che gli scuolari raccoglievano dalla viva voce del professore e di poi pubblicavano. Che un simile lavoro imprendesse Niccolò Furioso nella scuola di Giovanni, ed Ales- sandro da S. Egidio in quella d'Azone, ne abbiamo menzione espres- 61 sa (38). E la più parte di ciò che resta dell’ Odofredo non che quasi tutto quanto abbiamo del XIV e XV secolo giunse a noi nella medesima guisa. Anche i professori medesimi, in ispecie per evitare che gli scuolari o altri non se lo appropriassero, pub- blicarono talvolta queste loro fatiche, come di sè stesso narra Roffredo Beneventano (39). Esposte in tal guisa quelle più rilevanti ricerche istorico- letterarie, le quali toccano nell’universale le condizioni del gius nostro e sue scuole nel medio evo, conclude il Savigny, rappre- sentando nel capo XXV, cosa fossero i libri nel loro estrinseco e quali mezzi esterni onde aiutavasi la nostra letteratura ; tratta cioè dell’arte dei copisti e simili artefici, del materiale da scri- vere, del traffico librario, del prezzo dei libri e delle biblioteche. Era l’ arte de’ copisti molto lucrosa laddove come in Bologna e Parigi si avea dagli studiosi bisogno dei libri , che fino dal XII e XIII secolo costumarono di molto lusso , e diedero da cam- pare ai molti miniatori, correttori, legatori e fabbricanti di car- ta. Il materiale da scrivere nei secoli XII, XIII e XIV furono pergamene e carta bambagina. La grandezza dei libri si distingueva secondo che formavansi del Quadernus o della Pecia. Il quaderno era di otto fogli, la Pecia di quattro. Il traffico dei libri face- vasi ordiariamente dai copiatori, ma vi era. altresì l’ arte dei Stationarii , i quali tenevano provvista di libri e gli prestavano per esser copiati. Hanno gli statuti di Bologna un eatalogo di 117 libri che doveano trovarsi presso ciascheduno stazionario in un col prezzo del presto. Generalmente i bidelli , ma anche al- tre persone facevano in Bologna l’arte di stazionarii o impre- statori de’ libri, dei quali altre assai diffuse notizie giacciono in questo capo XXV, al quale rimandiamo eziandio per la dimo- strazione che il prezzo dei libri era allora molto meno caro che oggi non si suppone. Delle biblioteche dei legisti abbiamo fi- nalmente le seguenti notizie. Nell’ anno 1219 lasciò un’ Arcive- scovo di Ravenna, il digesto vecchio , il codice, decreti, istorie , sentenze, Ezechiele. Nel 1257 Zoen Vescovo di Avignone e già professore in gius canonico lasciò a Tommaso Tenerario i libri del suo studio, cioè il codice, il digesto , le instituzioni e la somma d’Azone. Nel 1265 Bernardo Botono glossatore delle decretali lasciò ai nepoti i suoi Jibri legali cioè: il codice, i digesti (nuovo e vecchio) e la somma d’ Uguccione al decreto. Nel 1279 un dot- (38) Odofr: in Dig. vet. L. g. de Transact. (39) Rofredi Quaestiones Proem. 62 tore in gius canonico lasciò 4 esemplari delle decretali , il de- creto , il codice, il digesto vecchio, la somma di Roffredo e quat- tro libri teologici. Nel 1291 Alberto Odofredi che già aveva dato a suo figlio Benedetto il Digesto vecchio d’ antica mano, il co- dice , l’ inforziato, le-istituzioni, e la lombarda sottopose a fide- commisso il digesto vecchio (in 2 volumi ) l’inforziato ( volu- mi 3) il nuovo (v. 2) tutti con la glossa, le instituzioni e i tre li- bri (v.1) la somma d’Azone, le lezioni del vecchio Odofredo sul codice, il digesto vecchio e 1’ inforziato. Da queste ed altre no- tizie, dal Savigny riferite, raccogliesi che le biblioteche degli an- tichi legisti erano assai magre poichè in dimolte non v’ era nem- meno un’ intiero corpo civile. E siccome essi erano di molto ric- chi, e nel 1422 Giovanni da Imola perdè in un incendio la sua biblioteca che componevasi di 600 volumi; ossia più del quin- tuplo che non erano obbligati a tenerne presso sè gli staziona- rii, deduce il Savagny che ai giorni dei glossatori tal povertà di biblioteche dipendesse da un costume onde si svela 1’ indole dello studio di un tempo che nulla ci offre di letterario e sva- riato, ma tutto si dimostra concentrato ad un sol punto. E in- fatti, che mente ed unico pensiero di que’ legisti fosse di sempre rileggere e rilavorare su quel poco che possedevano, ce lo dimo- strano apertamente gli scritti loro, onde avveniva che nemmeno il possesso in proprio di tutte le fonti del gius fosse indispensa- bile per essi. i Col XXV Capo termina il volume terzo della istoria del gius romano nel medio evo. Traggono peraltre in calce al medesimo otto ragguardevolissime appendici, nella prima delle quali (notevo- lissima) si espone il sistema monetario de’tempi in quest’istoria di- scorsi, e si ragguaglia al nostro. Si adducono in fonte nella seconda que’più antichi sussidi o quelle più antiche notizie che ha la nostra istoria letteraria. Seguono nella terza alcuni saggi della non im- pressa storia letteraria del Diplovatazio. Nella quarta estratti degli statuti della Università di Bologna : nella quinta la Carta delle convenzioni per la erezione della scuola di Vercelli nel 1298. Nella sesta gli statuti della università d’Arezzo ( A. D.) 1255: Nella settima alcuni antichissimi diplomi di dottori, cioè di Pie- tro Amadeo Kingolio ( 1276 ) di Bartolommeo da Capua (1378 ) di Francesco da Telesia ( circa il 1300 ) e di Cino (1314). Ven- gono finalmente nell’ ottava le collezioni di Varianti che incon transi appo i glossatori. Avv. P. Caprt, PE O n | i | | | | 63 Spepizione D’ Ecitto, Lettera I. del sig. Lenormant. Arrivo in Alessandria. — Aspetto della città. = Guglie di Cleopatra, == Indole degli abitanti. — Bagno alla turca. — Visita al Vicerè. Alessandria 29 Agosto 1828. La sera del dì sette, poichè ci venne impedito lo sbarco in Sicilia per cagione della malattia di Marsiglia ; noi ci partimmo: e alla mattina del dì seguente, già ci appari- vano le coste di Gozzo, l’ isola di Calipso; poi Malta, e la maestosa città, la Valletta, da cui passammo rapidamente mezza lega distanti. Il dì dieci , si scorsero le coste d’Africa dal lato loro più verdeggiante ed ameno, la Cirenaica. Pare- va quasi che quella terra , già consapevole del grido che di lei suona, volesse in sulle prime allettarci col suo bello, perchè non pensassimo alla suna sabbia infocata. Il dì poi, contemplammo quella bella riva a nostr’ agio : e in fondo alle valli scernevamo le tende e le gregge degli A- rabi; e la sera, tutta risplendente de’ lor fuochi la costa. Il dì 13, i lidi cominciarono a poco a poco a involarcisi agli occhi; e quand’ eran già per isparire, noi vedevamo, dietro quasi a una ciocca di verdura , gialleggiare laggiù in fondo le sabbie del solitario deserto. Tranquillo era il mare; se nonchè tirava, quanto bastasse a condurci innanzi, una brezza ‘leggera. Quattro giorni si stette senza’ veder. terra: la mattina del dì 17,ci apparve la bassa e arenosa riviera della Marmarica ; che noi seguitammo tutto quel giorno; onde alle undici del seguente vedemmo Alessandria, Nè vi ci appressavamo tranquilli, nulla sapendo da gran tempo delle cose politiche. Forse, là dov'era per noi tanto desi- derabile la pace , potea già essere soprarrivata la. guerra ! Ma poi, il vedere ancorati dentro nel porto tre bastimenti di guerra francesi , ci tranquillò . Due o tre volte fummo al punto di rompere. ne?’ pericolosi. banchi che difendono 64 l’ entrata del porto : ma venne a guidarci , e ci guidò a maraviglia, un bravo turco, de’ più be' turchi che por:in barba e turbante. Di lì a un quarto d’ora, venne il com- missario del porto, col suo dragomanno, ansioso ancor più che noi, di nuove politiche , e sconfortato al sentire che noi mNon'avevamo” da' dirgliene1,/00ji cizocn imprcsizienzi tti ov è Tre o quattro giorni prima del nostr’ arrivo , era uscita d’ Alessandria una flotta di circa quaranta vele , per ricon- durre dalla Morea Jbrahim con le truppe: l’ ammiraglio Codrington era, con una piccola squadra, venuto a sol- lecitare la conclusione del trattato col vicerè , il quale ac- consentì prontamente : gli schiavi greci liberati , eran già partiti per le case loro : le cose della guerra in Grecia 0 in Turchia non potean dunque turbare i nostri disegni. Noi avevamo veramente bisogno di tutte queste notizie ; senza le quali il nostro viaggio sarebbe facilmente potuto ire a vuoto. A dirla schietta, il sig. Drovetti aveva scritto a Champollion una lettera , che per buona ventura non ei trovò in Francia, dove lo consigliava, anche a nome del vicerè , di differire la spedizione a un altr’ anno. Ond° è che al vederci arrivati, il sig. Drovetti si trovò per un momento impacciato: ma pel pascià poi, il pascià ricevette latamoya idonututto ‘piacenerunigra: sedia ann sli eta Impossibile sarebbe descrivervi il singolare spettacolo dell’ agitazione continua e della confusione strana che re- gna in questa città, Converrebbe creare de’termini nuovi; giacchè quelli dell’ uso nostro darebbero un’ idea falsa, e lontanissima dalla realità. Città , nel senso che gli diam voi, è un vocabolo che comprende l’idea di strade, di selciati , di case; con un maire di soprappiù , e qualche dozzina di gendarmi » ma qui, di tante belle cose quasi nulla : e’ pare che gli uomini sieno venuti a stivarsi su questa lista di sabbia, così alla meglio, come madre na- tura glie 1’ ha permesso . E che razze d’ uomini ! Le più varie, le più strane, le più nuove che possano mai cade- re in fantasia d’ europeo, Quà un turco con la sua gra. vità e co’ suoi abiti lunghi; là un ebreo, bello come Giuseppe, o ingrognato come Caifasso : dall’ una parte il 65 molle armeno , dall’ altro il beduino selvaggio, pittores- ca figura!, rinvolto nel lungo suo manto bianco, a ca- vallo del suo dromedario ; e la camicia turchina dell’arabv accanto al soprabito europeo ; e il vestito rosso de’ soldati d’ Ibrahim accanto a’ panni azzurri dei nostri marinai; dinnanzi, un magistrato tutt’oro , preceduto da schiavi con torce alla mano; dietro, una schiera di donne velate e di fanciulli ignudi, imagine viva della più trista miseria. E tutto questo miscuglio aggirarsi intorno a edifizii recenti , per vie tortuose, con tale un trambusto di movimenti, e di grida, e di favellii, che Napoli al paragone sembrerebbe un. deserto . Ecco, in compendio, un’ imagine d’ Ales- sandria : varietà bella insieme e burlesca. Aggiungete che questo spettacolo appariva a noi per la prima volta in sull’ imbrunire ; parea proprio una specie. di lanterna magica. Il dì 19, ciascuno sen’andò negli alloggi preparati: il sig. Champollion restò in casa del sig. Drovetti, io fui col- locato col sig. Pedemonte, genero del nostro console, e con- sole di Sardegna egli stesso: ed ora appunto io sto scri- vendovi da una bellissima stanza; donde veggo il più vago museo che si possa vedere ad aria aperta ; una casa tutta tappezzata di frammenti antichi, di sculture egizie, greche , romane, bizantine; e di faccia, un portico arabo di foggia originale e leggiadra. Io pensava, se fossi. con- dannato a vita prigione in questa stanza , a scrivere la mia storia dell’ arte co’ frammenti che ho qui sott’ occhio: ma perchè, grazie al cielo, io non sono in tal caso, approfittai della mia libertà, per passare, insieme co” miei compagni, di visita in visita, e di console in console. Finite le visite, noi salimmo una delle più elevate terrazze della città , donde godesi l’intero prospetto d’Ales- sandria antica e d’ Alessandria moderna, Sulla sera , la no- stra passeggiata fu verso le guglie di Cleopatra , che offer- sero al signor Champollion varie singolarità. non ancora notate. Questo punto, ch’ entra nel sito dell’ antica città, e ch’ offie una bella veduta del mare, di varii conventi T. XXXIV. Maggio. 9 66 e greci e copti , della moschea dov’ ha la sua sepoltàra la famiglia del pascià, questo punto , io diceva , pe’ piccoli scavi già cominciativi, attrae a sè tutti i nostri disegna- tori; sicchè può ben dirsi che già la spedizione ha dato prin- cipio alle sue faccende. [o frattanto mi sto preparando alle cose ben più importanti che nell’ alto Egitto ci attendono, colla lettura d’Erodoto , e con lo studio de’ geroglifici. E ad ogni mio bisogno, il sig. Champollion si presta con una gentilezza *inistiicabiile)ci 0010upna o ua diem Oa L'opinione , io lo ripeto, che in lontananza si piglia di questi luoghi come di un soggiorno di mostri, è falsa ; perchè, in certe cose, qui si sta meglio che non nelle nostre grandi città. Certo che tutti i franchi qui dimoranti da lungo tempo, non hanno che da lodarsi de’miti costumi degli arabi, in tutto quanto l'Egitto. Gli omicidii, per esempio , qui son rarissimi ; e anche que’pochi son merce forestiera. — Dura ancora nel popolo viva memoria della spedizione nostra, e la nostra lingua suona spedita sulle bocche degli arabi. Probabilmente , il sig. Pariset troverà poco da osser- vare al suo arrivo ; giacchè di peste non v’ ha sentore da tre anni; nè par che il corrente la voglia portare. Il pascià ha fondati, al bisogno, de’lazzeretti. Un marinaio, volontario, del nostro bastimento, giova- ne di diciannov’anni, d’una buona famiglia francese, disser- tò, e rifugiossi dal governator d'Alessandria, per farvisi mu- sulmano. Egli appartiene ormai al governo del luogo, nè il console ha più altro diritto che d’ interrogarlo tre volte, presente il governatore , e vedere s’ egli è libero e fermo nel suo proposito: se persiste, un rinnegato di più . . È singolare 1’ autorità del vicerè sull’ animo de’ suoi sudditi; incredibile poi 1’ affezione ch’ egl’ispira a quanti gli stanno dintorno. C'è un po’ del Bonaparte in que- st' uomo . Giorni fa, ho preso il mio primo bagno alla turca; chè , come archeologo , io desiderava di farmi un’ idea di questa specie di piacere , fedelmente conservato da’ cos- tumi antichissimi . E infatti io vi ho trovato nell’ atto , tutto ciò ch’ io avea letto ne’ libri e osservato ne’ monu- 07 menti. Come avreste riso voi altri a vedermi disteso co- me un crocefisso sovra lì una tavola , in una stufa riscaldata al quarantesimo grado , stropieciato da un arabo , insapo- nato come si fa d’ una camicia; poi rinvolto in due scialli di Persia, col turbante in capo, sdraiato sur un divano , e ricevere da altri schiavi prima una bevanda di sugo di datteri, poi la pipa e il caffè. Ma ho sentito ben io quanto salubri sieno cosiffatti bagni, che in un clima tanto caldo aprono i pori a una traspirazione abondante , necessarissi- ma alla salute ; e ammorbidiscono il corpo tutto. ‘ Jer mattina alle otto , si fu dal pascià , che ci accolse alla semplice , ma cordialissimo. Il sig. Champollion , col comandante dell’ Egle e con me, eravamo venuti nel ca- lesse del sig. Drovetti, gran rarità pel paese ; gli altri su- gli asini. Uniti tutti allo scalone del palazzo, si passò un’ anticamera piena di guardie, e s’ entrò in una camera ri- schiarata da più di venti finestre, dove, in un angolo, stava assiso un piccolo vecchio, appunto come un presi- dente delle nostre corti di giustizia ; con in capo un tur- bante schietto di mossolina bianca , con una pelliccia co- lor celeste ; con una pipa lunga dieci piedi, tutta diamanti e altre pietre preziose ; l’ unica ricchezza di tutto l’appar- tamento. Una ventina di uftiziali gli stavano intorno, assai più riccamente vestiti di lui. Entrati che noi fummo, egli fè cenno d’ uscire a parecchi de’ ministri che lavoravan seco, e a noi di sederci. Parlò allora il sig. Drovetti in nome nostro , e il Dragomanno del consolato rendeva in francese quello che il pascià dicea "n turco Questi ci pro- mise affabilissimamente protezione e sostegno. Dopo di- mandatoci se noi pensassimo di dirigerci subito alle som- mità di Faraone, così chiamano gli arabi le piramidi, si venne alle nuove politiche. Egli parea molto dolente della morte d’ Achmet , pascià di Patrasso, trucidato dai greci, intromessi la notte nel suo appartamento da’ topchi, i cannonieri. Io stava stupefatto a guardare la figura d’Ibrahim, pensando al quadro d’ Orazio Vernet, e allo schizzo del viaggio del sig. Forbin: e in vece d’ una testa antica, d’un €8 naso aquilino , d’ una faccia ideale, io mi vedeva dinanzi, un uomo di mediocre statura , con naso grosso, barba pa- triarcale , occhi arguti, gesti risoluti e bruschi, maniere vivaci e inquiete , piglio d’ uomo avvezzo a farsi ubbidi- re. — In questo frattempo, sotto una salvietta tessuta d’oro venne in certe tazzine un caffè, al quale io non sono, per verità , molto avvezzo. Così passò un quarto d’ora. Fummo congedati con la medesima cordialità ; e rimontammo in carrozza. Lettera II. Partenza d*Alessandria. Aspetto del paese, = Il Pascià. Alessandria 13 Settembre 1828. Domani si parte. La nostra flottiglia consiste in un grande mutch o match, da starci dodici persone comoda- mente, con un altro legnetto da contener quattro o sei, Di qui al Cairo ci vorrà cinque giorni, pel canale Mah- mudied, poi pel Nilo. Per potersi dire in Egitto, con- viene essere al Nilo; perchè questa quì è Libia davvero. Il buono si è che in mezzo a queste sabbie , a l’ aspetto di questa natura per tutti i viaggiatori sì lugubre, io mi ci trovo. Prima, quest’aria pura, questa splendida luce, que- sto ciel mite , (bisogni , voi lo sapete, per me essenzialis- simi); poi la vista di questi monticelli d’arena,e frammezzo, le fabbriche che biancheggiano , i minaretti che spuntano; poi quà e là be’ giardini di palme; a destra un obelisco, a manca un'antica colonna; in prospetto , la vasta e tran- quilla pianura dell’acque, non interrotta che dalla bian- chissima schiuma del flutto che batte agli scanni , tutto codesto mi alletta, non solo perchè nuovo, ma perchè grande e bello: e sia pur con pace de’ be’ paesaggi d’Italia. Dacchè noi siam qui, la società non è così tutta un corpo com’ era prima < gl’Italiani vivono col lor console ; i nostri artisti sono in un casino là in fondo alla contrada de’ franchi ; Champollion col sig. Drovetti , io col console 69 di Sardegna : onde in questo tempo noi non ci vedevamo che a cert’ore del giorno sotto il tetto ospitale del conso- le nostro. I nostri lavori qui son finiti. Il sig. Champollion ha fatto levare de' disegni bellissimi degli obelischi. Io ho notato tutto il possibile a riconoscersi dell’ antica città , il cni terreno mi parve più messo a soqquadro , di quanti luoghi io ho mai visitati. E poi, l’aria, impregnata di particelle saline, dissolve in pochi anni anco le moli di gra- nito, che rimarrebbero intatte fin sotto il cielo di Francia. Non è maraviglia dunque, se la seconda città dell’im- pero romano non è più che un mucchio d’ informi ruine. Egli è però singolare trovare un esempio simile di distru- zione lì presso a un paese, dove le forze della natura son sì conservatrici che il tempo non pare aver potere alcuno sui lavori dell’ uomo. Epperò ci aspettiamo di trovare una grande differenza tra il libico suolo d’ Alessandria e il li- mo vivifico del vero Egitto. Frattanto, io attendo a’gerogli- fici, studio vergine che m’ innamora. Il match nostro grande, ha nome Iside; l’altro minore, Athyr, la Venere egizia. Un regolamento breve, ma preciso, determina gli uffizi e i doveri di ciascun de’ compagni lungo il viaggio. L’Iside di superficie è quasi come l’ E- gle: a poppa, ha due stanze, la piccola pel sig. Cham- pollion , la più grande per Rosellini e per me: di lì fino all’ albero di maestra, è una gran sala coperta di stuoie , ove dormono sei persone , ove di giorno si sta a ciarlare e si mangia. Così, in proporzione, è nell’Athyr. Si lavora , si riposa , si dorme, si cucina, si fa tutto nel bastimento, senza bisogno di por piede a terra, appunto come si farebbe in un vascello di cenventi cannoni. A poppa, ondeggia la bandiera bianca, e la toscana; due giannizzeri, portanti un bastone con pomo d’argento , stanno alla guardia : i ma- rinai arabi sono venti. Domani dunque si monta su pel canale scavato, due anni fa, da Ibrahim, vale a dire da trecentomila uomini, raccolti da tutto l’ Egitto, i quali compirono questo gigantesco lavoro tutto con le lor mani senz’ aiuto di zappa. 70 Stasera. si prese congedo dal vicerè ; il qual ci parve molto più gaio che non fosse alla prima visita. Si trattò a lungo di geroglifici. Champollion disse d’aver lette le iscri- zioni de'due obelischi d’Alessandria , di che parve compia- cersi molto il Pascià, e desiderò di vederle tradotte, e lo chiese con tale lei: che appena tornati, convenne mettersi al lavoro per accomodargli alla turca la scritta de’ Faraoni , suoi chiarissimi predecessori. Convien dire che quel far brusco e irrequieto ch’ io aveva la prima volta os- servato in questo personaggio storico, venisse da certa agi- tazione nervosa prodottagli dalle triste nuove testè rice- vute. Oggi l’ho trovato più grave:quel sorriso dolce, stava più in armonia con la bella sua ‘barba bianca. Oggi , a dir vero. , egli aveva un non so che, che mi andava al- l’anima, Lettera 1II. Aspetto delle rive del Nilo, — Le donne arabe. = Hovine di Galdi; Sul Nilo. Di faccia a Nadir 18 Settembre 1828. Il dì 14, ci partimmo d’Alessandria in sul mezzogiorno; e percorso tutto intero il canale Mahmudied , il dì 15 alle sette, entrammo nel Nilo. Il viaggio fin qui non è trop- po piacevole; sempre fra due argini di sabbia , oltre a’ quali non vedi che l’ arido deserto, o vaste maremme coperte d’efflorescenze saline , chiamate o Mariotide , o lago d’ Ethu. In certi punti, il canale si trova rinserrato in mezzo a queste grandi pozzanghere, come il Po nelle risaie là vicino a Ferrara. Di tempo in tempo tu incontri aleuni monticelli coperti di rena, indicanti il sito delle antiche stazioni greche poste in sul margine dell’ antico canale , che teneva a un dipresso il medesimo corso del muovo . Ma d’abitanti, non orma : e tu passi talvolta più d’ una lega senza vedere un fil di verdura, due palme, una ca- panna , una faccia d’ uomo. Ora il Nilo è alla maggiore sua altezza ; onde il canale è pieno, e la navigazione age- ‘ I vole e viva; ma quando le acque son basse, PIER, pas- sano i barchetti laddove ora volteggiano i gran bastimenti; e alle grida e al trambusto succede un tristo silenzio. . Se un paese tale fosse al settentrione , ‘sarebbe ‘cosa orribile; nè tanta miseria e desolazione parrebbero tolera- bili sotto la pioggia ed al gelo : ma qui sotto questo bel cielo, la natura par sollecita sempre a vendicarsi del- l’umana inerzia o barbarie, e ripara gli effetti malefici della imprevidenza o della miseria con la sola virtù di sue forze instancabili. Onde il povero Fellah cresce tuttavia vigoroso , come una progenie benedetta , svolge le sue forze sotto gl’influssi d’un clima benefico, apre il cuore alle liete sensazioni di cui l’ aria intorno par quasi impregnata ; e cresce , nazione poetica, sensibile al bello delle forme, alla potenza del ritmo e de’suoni, gioconda di quella pienezza di vita esteriore ch’ è tutta de’popoli del mezzodì, al cui difetto, gli esercizii dell’intelligenza sono sovente ben picciol compenso. Ecco perchè a que’ villaggi costrutti di mota seccata , il genio del clima dona. un’ aspetto. o di - gnitoso o leggiadro ; perchè quelle linee architettoniche sentono un’ armonia che rammenta i be’monumenti de’se- coli antichi. Ecco perchè quelle donne, non ostante l’ abi- tudine di penose fatiche , ben formate e complesse, conser- vano nelle lor delicate fattezze , nell’armonia delle forme, una grazia nativa, rabbellita da quell’abbigliamento sempli - ce ma singolare. La povera figlia dell’arabo, con la sua lacera camicia turchina , potrebbe essere offerta a modello d’una certa grazia, direi quasi, amorosa, alla più bella contadina di Francia. Una bella araba è come l’ ideale d’ una ballerina di teatro : figura svelta, ma bene proporzionata ; membra delicate, ma bene adatte; piè piccolissimo , forme leggia- dre, mano così gentile che i braccialetti dell’ impugna= tura ci possono passar sopra senz’aprirsi ; occhi di gazella, cui le ciglia tinte in nero aggiungono soavità insieme e vivezza. Le povere non portano indosso altro che una langa camicia turchina, con un velo turchino che strin- gono , tenendone un lembo in bocca , quando passano in presenza d’ uomini, e specialmente di Franchi. Le più 72° rieche si coprono, il, viso d’ una gran maschera di taffe- tà nero, la qual non lascia vedere che gli occhi e la fronte. Buccole agli orecchi, collane di conchiglie, di gra- nella di vetro, sparsivi tra mezzo degli amuleti d’ ar- gento o di rame ben terso ; braccialetti molti e variati al medesimo modo ; il mento picchiettato d’azzurro , e così le mani, e parte delle braccia ; le ciglia dipinte in nero; ecco tutto l’ abbigliamento d’ un’ araba , strano se vuolsi, ma pur singolare e leggiadro. Si noti però ch'io piglio il lato poetico della cosa, lasciando da un canto i difetti ; tra’ quali non è il men notabile quel sudiciume schifoso che rende più squallida la miseria. Noi avanziamo adagino ; tanto il vento è incostante. Ier l’altro , il di 16, fu giorno di gran lavoro : si visitò ed esaminò a parte a parte , sotto gli ardori del sole afri- cano , le ruine di Saide : fra le quali non v’ ha monumenti interi, ma il muro del sacro recinto è quasi intatto ; e gli avanzi di tre necropoli con sopra frammenti di marmo , di stoviglie, e di mattoni egizii smaltati, bastano ad in- dicare il proprio sito della quarta città del regno al tempo de’ Faraoni; tanto più che il nome istesso se u° è conservato nel nome del villaggio vicino Sa-el-Haggiar , ch’ è come dire, Saide della Pietra. La grande muraglia è un monumento colossale , da se, e predispone l’ am- mirazione alla vista delle piramidi. Figuratevi un recinto di 2,500 piedi in lungo, 1500 in largo, formato da un muro ottanta piedi alto, e grosso quaranta ; e nel mezzo un ammasso di edifizi rovinati, un labirinto di camere aperte nel seno di massi immensi, disposte a più piani infino ad una stragrande altezza ; e mura.e necro- poli , tutto costrutto di mattoni crudi con paglie sen- za vestigio di cozione ; sicchè tu non sai di che più stu- pire , o della immensità di tali edifizii, o della durevo- lezza di masse in apparenza sì fragili, sì presso a confon- dersi con quel limo ond’uscirono, Il solo monumento riguar- devole , quivi trovato da noi, gli è un gran sarcofago di basalto verde, in due pezzi. Nè recò men piacere a Cham- pollion la scoperta d’una figura quasi microscopica , di 73 terra di smalto , rappresentante la dea principale di Saide: nuova prova esser questo il sito dell’ antica città. Lettera IV. Il Gairo, = Architettura degli arabi. Dal Cairo 26 Settembre 1828. Vi farà forse maraviglia l’intervallo di tempo ch’ è tra la data della lettera precedente e la data di questa : ma non si mette impunemente piede nelle contrade del Cairo. Lo stordimento che lascia negli orecchi questa grande metropoli dell’oriente, non può che non duri più giorni. Dovendomi fermar quì il men possibile, io m’ empio la testa e gli occhi, di moschee , di nomi di califfi e di mammelucchi, e con l’attività m’ ingegno di com- pensare la brevità del tempo che mi sfugge e mi manca. Aggiungete che noi siam capitati nel fervore d’una delle più grandi feste mussulmane, e che due giorni convenne spendere nel celebrare la nascita del profeta , correndo ad osservare le illuminazioni, le danze ; a veder quelli girare in tondo, gli altri star fermi a@ urlare, chi rimanere sdraiati sotto la zampa d’ un cavallo, chi sbranar le serpi co’ denti ; e simili gentilezze , che si leggono in tutti i libri de’ viaggi , «ma che pure al primo vedeile destano raccapriccio e ri- brezzo. La sera del dì 19, arrivammo a Bulach, città rag. guardevole sul Nilo, che conta degl’importanti stabilimenti, lontana dal Cairo una mezza lega, sicchè può quasi chia- marsene il porto. La mattina del giorno stesso, noi vede- vamo già in distanza d’otto leghe le cime delle piramidi, che maestose sorgono di mezzo a un fondo di luccicanti vapori. Più noi ci appressavamo, e più questi immensi e be’ monumenti sembrava che ci movessero incontro ; onde, alle tre dopo mezzogiorno pareva che noi le andassimo a toccare con mano. E già ci sorgeva dinnanzi, fra le palme T. XXXIII Maggio. 10 n4 e i sicomori , il paesuccio di Embabeh , dove s’ attaccò la battaglia delle piramidi; a manca, Cubia, villa del pa- scià ; di fronte il Mokatan , e sopr'esso la cittadella e i più elevati edifizi del Cairo. Le piramidi, in fondo al paesaggio, dominavano fin le alture lontane della Libia, e coronavano un dei più magnifici spettacoli che umana fantasia possa conos- cere e concepire. Infino a Bulach, il quadro andò sempre crescendo: in bellezza; ma alfine i minaretti del Cairo si na- scosero dietro le eminenze artefatte che circondano la città; nè a sinistra altro prospetto rimase che le bianche mura della lunga dogana di Bulach, e i tetti dell’ abbandonato palazzo d’Iswail Pascià , in giro in giro attorniato da ve- rone e ringhiere. Per non isbarcare tutte a un tratto le nostre robe, ed entrare in una casa tutta nuda , si risolse di partire pel Cairo non prima della sera seguente. La mattina dunque del 20, io me n’andai a preparare l'alloggio, e primo entrai in questa nuova Babilonia. Gli era un caldo da morire; e quel sole che mi cadeva a piombo sul capo mi rammentava il supplizio di Ruggiero indiritto verso il palazzo di Logistilla; se non ché a guardarmi d’intorno, io pensava piuttosto ad Alcina. Il dì festivo parea ridonare a quella città già tanto fiorente un non so che dell’ antico splendore : la bellezza de’ vestiti, il luccicar delle banderuole, le liete grida del popolo , agginntavi la magnificenza varia de’ monumenti , e la freschezza della vegetazione , facevano della piazza d’ Esbekiè , e delle belle acque che a questa stagione la coprono; un ameno spettacolo. Nè il gran calore impediva a quella buona gente di abbandonarsi all’ ardor della gioia, temperata appena dalla orientale tranquillità e compostez- za. Traversammo , il mio asino ed io, tutte le contrade della citrà occupate dalla festa, non camminando, ma por- tati, e riuscimmo alfine negli andirivieni di queste viuzze che fanno di tutta la città un labirinto . Quivi la folla scemava : sedeva il silenzio in quelle buie centrade; sic- chè quando , passate quattro o cinque porte , e cinque 0 sei corridori, io mi trovai di faccia alla casa destinataci, mi parve di trovarmi in una solitudine della Tebaide. 75 Questo contrapposto è qui molto frequente. Ne’bazari, nelle strade dove sono botteghe, non si può dare un passo senza pericolo di farsi buttare per terra da un dromedario, o di storpiarsi le ginocchia contro i ferri aguzzi delle staffe. Le case, quasi tutte di bella pietra e bene tagliata , sor- gono altissime, e nell’ alto si comunicano mediante pon- ticelli e terrazze. S’ aggiunga a quest’ ombra , le tende o le stuoie distese tra tetto e tetto : sicchè in que’ viottoli non si vede mai sole, e il fresco v’ è soavissimo. Gli è anche singolare l’ aspetto di quelle sterminate moschee : tu ci passi accanto senza vederne altro che gli svelti mi- naretti, e le mura listate di varii colori, senza poterne con- cepire un’idea dell’intero , un disegno , una forma comec- chesia regolare. Io ho provato sovente in me stesso, che i monumenti, specialmente del medio evo, fanno più im- pressione a vederli in vicinanza in uno spazio angusto, che non con quelle gran piazze che vi apriamo davanti noi altri moderni: e questo sentimento l’ho riprovato nel Cairo. Non v' ebbe furse al mondo città magnifica quanto il Cairo, al tempo de’ suoi sovrani nazionali; nè popolo sensibile al bello mostrò ne’ suoi edifizi più gusto di questo: se dunque sovrani assoluti che ordinavano e piazze e palazzi di tanta magnificenza, non ordinavano delle contrade ti- rate a filo come qualcuno vorrebbe , crediam noi ch’ e’ lo facessero per impotenza o per ignoranza? Per ben giudicare questo paese converrebbe diventare un altr’uomo; immedesimarsi nelle idee che crearono queste cose sì strane, sì grandi. Ma io non sono da tanto: io che ignoro quasi del tutto le lingue dell’oriente, che non ho studiata nè la filosofia né la storia di queste contrade , io non posso che fare delle osservazioni alla spicciolata, e sentir cose che pur mi feriscono vivamente perchè diverse affatto da quanto io ho mai letto ne’libri. Per monumenti poi, io son qui nel mio centro: abbondantissimi e scelti, Al vedere quel molto che gli arabi han fatto ne’lor tempi migliori, al conos- cere il posto distinto che lor si conviene nella storia dell’ar- ti, io rimasi in verità stupefatto. I monumenti specialmente del secondo secolo dell’ egira e del terzo, hanno un non 76 so che di grande e di semplice, di cui tutto ciò che si chiama da noi architettura araba , non può fornirci l’idea. Par che l’ aspetto de’ grandi monumenti deli’ Egit- to antico abbia ispirati gli artisti: e certo è che gli ammi- rabili monumenti di Memfi duravano ancora interi quando fu eretta la moschea di Tulocca, e la porta della Vittoria, i due migliori edifizi del Cairo, Checchè sia di ciò , questi ed altri argomenti danno molto a pensare; e io sto rarco- gliendo le mie note di fretta, giacchè Champollion vuole andarsene , intanto ch’ io avrei bisogno di qui ricenermi de’ mesi per isciogliere tutti i dubbi che mi occnpano. Il più forte però, grazie al cielo, è già sciolto: io son certo ormai che l'arco diagonale puro (ogive ), usato ne’ grandi edifizii gotici, se pur non è proprio degli arabi , era certo dagli arabi conosciuto alla fine del nono secolo : io ne ho visti nella moschea di Tulocca de’ magnifici esempi. S' io volessi tutto scrivervi ciò che mi detta la vista di questa bella città, io non la finirei più. Converrebbe che io potessi portarvi meco in tutti i luoghi, a tutti i mo- menti ; farvi contemplare dall’ alto della cittadella questa veduta mirabile, ove la trista e selvaggia bellezza del de- serto , fa contrasto con le delizie del più ameno paese che sia nella valle del Nilo ; dove la mano dell’ uomo , che in- nalzò le piramidi, par ch’abbia voluto emu!are quella po- tenza di creazione che rende sublime il deserto, ed amena la valle. STORIA DELL'AMERICA in continuazione del compendio della storia universale del sig. co. pi SEGUR; del cav. Comra- cwonI, in 28 volumetti. Milano presso la Società Tipo- grafica de’ Classici Italiani 1820 1822. ( Avrebbe 1’ Antologia di già parlato della Istoria del- ’ America del cav. Compagnoni, se il Direttore di quesio giornale non avesse pensato far cosa maggiormente grata e al cav. Compagnoni e agl’ Italiani tutti provocando il 77 giudizio di un qualche dotto Americano, Rivoltosi pertanto al sig. Caset Cussine del Massachussetts, come a quegli il del E quale nella Rivista dell’ America Settentrionale aveva dimo- strato singolare amore e non comune intelligenza delle italiane lettere, ne ottenne il seguente articolo : onde ai redattori dell’ Antologia toccò soltanto il ben gradito inea- rico di voltare nel nostro idioma i sensi del gentilissimo Americano, ) P. C. L’italiana istoria dell'America, onde prendiamo adesso a ragionare ella è l'unica veramente completa e regolare istoria del nuovo mondo che siavi in qualsivoglia lingua : poichè nè la Spagna (quantunque per tre secoli pacifica ed assoluta signora di mezz'America) nè l'Inghilterra (abbenchè le sue Colonie cedano soltanto alle spagnole per lo spazio che prendono nell’occcidental continente) non hanno una completa relazione dei tanti e così grandi avvenimenti oc- corsi nel nnovo mondo. Toccava all'Italia il vanto d’inal- zare siffatto munumento alla memoria de’suoi figli, la fa- ma dei quali tanto a'immedesima con quella del paese per lei renduto più illustre, Vero è che l’ltalia non prese parte, come tante altre nazioni d’ Europa, a quelle spedizioni di colonie le quali | operarono grandissimi mutamenti nell’intera faccia del glo- bo. Fra le novelle nazioni dell’Occcidente una non vi ha che la saluti per madre : e se migliaia d’europei , traver- sato l’ Atlantico, renderono vernacole le respettive loro lingue sotto un cielo cui erano dapprima straniere ; la più bella di tutte /a bella favella Toscana non è parlata in America. A malgrado ciò nella mente sempre l’Italia ac- coppiasi al pensier dell'America : Questu istesso nome dato in principio al Brasile, e poi dopo a grado a grado e co- me per caso esteso a significare prima il meridionale e quindi ancora il settentrionale continente (nome che quasi per comun consenso oggi ristringesi a più propriamente denotare gli Stati uniti) sveglia tosto nell’animo il pensiero di quell’audace fiorentino, il quale così per tempo si mise per le tracce del Colombo: e se questi soffrì grave torto 78 PA nell’adottar che fecesi il nome del Vespucci per geograficar mente designare il nuovo mondo, non vuolsi dimenticato che il nome di Columbia dato alla più vasta delle meridionali Americane repubbliche egli è ad un tempo un solenne atto di, quantunque imperfetta e tarda, personale giustizia; ed un novello omaggio tributato alla fama degl’ Italiani. E quì notisi come la celebrità dagl’Italiani acquistata nel nuovo mondo ella è d’una specie veramente singolare; avvegnachè tutta sia degl’individui e non punto della na- zione. L'Italia nel XV e nel XVI secolo non avea nè tale comunione di politici interessi nè tal centro al suo potere che la costituisse, così nei sensi come nelle opere, una na- zione nel vero e proprio significato della parola. Onde la fama procacciata da’suoi figli ella è meramente individua- le. Erano essi, se il termine può perdonarsi a chi parla del Colombo e dei :Caboti, avventurieri di smisurato inge- gno , solitari e senza patria che riscuotevano una fiducia pari alla decantata loro abilità. Nè tampoco questa cele- brità deriva o dal merito accidentale di ricchi mercatanti i quali piantano stabilimenti fuori patria onde conseguire una maggiore opulenza, o da conquistatori soliti avventu- rarsi alle fortune della guerra, ma sivvero dalle doti egre- gie del cuore e dell'animo: costanza, ardire, perseveranza, avvedutezza, scienza e profondità d’ingegno senza pari col- locaron essi nel sublime grado di condurre e guidare i loro meno qualificati contemporanei alla terra d’ infinita ricchezza. Tempo già fu che quattro regni d'Europa, fondati prin- cipalmente sul vago dritto della scuoperta , tutta appro- priavansi l'America per le pretensioni che avanzavano chi | sovra una maggiore chi sovra una minore estension di pae- se. Prima si presentò la Spagna, e, come Simbald nella valle i dei diamanti, fastidiosa di tutt'altro che delle gemme più grandi e più lucenti, quelle trascelse che a lei parvero le più ricche regioni del continente, onde sola goderne e sola avvantaggiarsene : eppure il suo titolo lo teneva dal Co- lombo! Trasse dietro il Portogallo, e fidato nelle scuoperte. fatte dal Vespucci al suo servizio se ne ne appropriò tal LI ba da 79 parte, che quantunque allora riputata inferiore -alle pos- sessioni spagnuole, non sembra in fatto cedere a queste neppure per l'abbondanza dei minerali prodotti, e ne ha vantaggi assai per fertilità di suolo, per bontà di clima e per geografico sito. Nacque dipoi contesa tra Francia ed Inghilterra pei primi ed esclusivi dritti sull’ America Set- tentrionale, quando navigatori Italiani, il Verrazzani e la famiglia dei Caboti, ebbero e l'una e l’altra guidate alla senoperta che ‘procacciò loro Colonie nel nuovo mondo. Che più? A ben guardare trovasi che il Pigafetta fu scorta al viaggio che prende nome dal Magellano; e Sebastiano Caboto, iasciato il servizio d’Inghilterra per quello di Spa- gna, si segnalò esplorando le acque del Rio della Plata. Tan- to illustre e di tal rilievo esser dovea l’opera di uomini italiani in quello straordinario giro d’ eventi che portò la scuoperta del nuovo mondo! La storia dell'America dividesi in tre grandi serie di fatti , ciascheduna ben separata e distinta dall’ altra ; la prima delle quali comprende la scuoperta e lo stabilimento degli Europei nel nuovo mondo; l’altra i progressi delle Colonie in vigore stabilità e ricchezza; la terza i movi- menti di rivolta che queste separarono dalla madre patria e loro diedero independenza e indole nazionale. Campeggia- no nella prima le geste degli Italiani, ed essi veramente meritano que’tanti encomi di che le successive generazioni furono larghe ai medesimi. Non così negli ultimi due pe- riodi. Poichè delle primitive Americane Colonie niuna fa d’Ttaliani : e la trista politica condizione in che dipoi ro- vesciò l’Italia le tolse di poter tentare, come gli Olandesi e gl’ Inglesi, veruna impresa di conquiste e colonie per piantare stabilimenti nel nuovo mondo; onde la moderna istoria dell’ America non ha verun manifesto vincolo con l’ Italia, e ben poche sono le dirette relazioni che tiene con essa o qualsivoglia degli stati secolari che ne ingom- brano il territorio. Ciò nondimeno gl’Italiani vanno a ragion superbi della onorevol parte che gli avi loro tolsero alla scuoperta del nuovo mohdo e della tanta gloria indi avvenuta al nome 80 ed alla nazione loro. Nè la terra ove la musa dell’istoria più si piace starsi a dimora, nè la lingua in che più gode di favellare, mancar potevano di rendere giustizia al Co- lombo, al Vespucci, ai Caboti, ed alle nobili regioni per essi rivelate all'Europa. E veramente egli è ozioso addur- ne in prova le tante opere istoriche condotte in vari tem- pi, e più ai dì nostri, sopra siffatte cose che gl’Italiani debbono rimirare con singolar compiacenza. La fiera lite dai moderni letterati agitata intorno la patria del Colom- bo, le qualità ed i viaggi del Vespucci, singolarmente di- mostrano il tanto amore che portasi all'argomento. Ed i poeti, eco fedele dei popolari sensi, dalle sublimi odi del- ’Alfieri sulla libertà americana risalendo ai tempi, quando G. Chiabrera celebrava il genovese Nocchiero, e al Tasso correan dalla penna quelle sì belle ortave che lingua ve- stono e senso spirano di profezia (Ger. Lib. c. XIV stan- ze XXX-XXXIl]l), hanno significato sempre quali pensieri elevinsi nelle italiche menti intorno a questo proposito. Ma la verità dell’assunto più concludentemente fermasi e per la classica opera di Carlo Botta sopra la guerra della indipendenza degli stati uniti e per la completa istoria del- l'America, che abbiam tra mano del cav. G. Compagnoni, La prima già venne in salda reputazione per consenso della repubblica letteraria ed il merito della medesima ugual- mente pregiasi in ambedue gli emisferi. E il:inostro sen- tire intorno le qualità dell’altra, mosso da un’attenta let. tura di tutta l’opera, ne da diritto di assegnare anche a questa un’alto grado di eccellenza. Le sovra esposte riflessioni ci nacquero nell’animo pel mero fatto della pubblicazione di quest'opera. Ma, dopo averla letta, noi crediamo che il presentarne il piano e la condotta non sia che satisfare al merito della medesima. Vuolsi però, innanzi tratto, avvertire che il nostro A. non mosse per un battuto sentiero. I materiali dell’opera gia- cevano sparsi in infinito numero di volumi, seritti in va- rie lingue e bene spesso pieni d’asserzioni o contradittorie o incoerenti che per essere fra loro conciliate voieano molta avvedutezza e moltissimo discernimento. Nè questo è tutto. di 1) u$ 81 Ogni scrittore, il quale imprende a dettare una popolare istoria di qualsivoglia gente o dell’antica o della moderna Europa, trova per guida d’ogni suo passo opere dotte e la- vorate sopra un sistema, onde per lui non è mestieri sen- nonchè di criterio nella scelta dei fatti s e garbo nel rac- contare. Non così nel caso del Compagnoni. Bene esiste- vano delle copiose relazioni di separate parti dell’ Ame- rica, ma nulla invero che meritasse il nome di regolare istoria, tranne quella del Robertson non portata a termine per la morte di quel dotto e laborioso scrittore. Sono que- ste le circostanze che aver dee presenti chiunque voglia portare dritto giudizio intorno all’ opera del Compagnoni, Principalissima poi fra le qualità che la contraddi- stinguono quella si è che venne condotta in modo da do- ventar popolare, non solo perchè pubblicata in piccioli volumetti che succedendo l’uno all’altro a breve intervallo ella vestì naturalmente tale estrinseca forma, ma perchè fu proprio ideata per satisfare ai bisogni dell’universale, e questo scopo vedesi avuto sempre in mira per entro alla medesima. Onde l’A. rimane giustificato del narrare che fa infiniti accidenti e tratti particolari, i quali se da taluno | reputansi meno degni della elaborata istoria, vero è che ne formano la parte più instruttiva a un tempo e più pia- cevole. Abbonda l’ opera eziandio di fatterelli curiosi e singolari, di accidenti strani e non mai intesi che ti com- muovono sollevando ed animando il discorso, e compartendo al cuore tanta vita e vivacità d’ impressioni quanta non mai si comunica da chi se ne va freddamente per le ge- nerali. Non precipitisi perciò Ja conclusione che l’ opera sia superficiale o tutt’ al ‘più un grazioso racconto di notis- simi avvenimenti. Poichè lungi dall’ essere un’ arida com- pilazione di fatti, anzi, non manca di certa indole tutta sua propria ed originale. In semplice, chiaro e non pretenzioso stile, non povero per troppa famigliarità , nè ridondante di mal collocati ornamenti e tumide frasi, narra Vl’ A. la leggenda e gli strani eventi dell’ americana Istoria in mo. T. XXXIV. Maggio. TI 8a do facile e disinvolto , e con quell’ ingenuo candore che richiede 1’ imparzialità della storia. Se l’ occasione gli ca- pita non è avaro di quelle riflessioni morali che natural- mente nascono dalla trattata materia, e presenta alla con- siderazione de’ suoi lettori quelle grandi vedute filosofiche delle umane cose, per le quali tanta differenza corre tra gli antichi e moderni storici a singolar. vantaggio degli ultimi. Ma questi pensieri non si cacciano dappertutto, nè si avventurano se non quando l’opportunità e la convenienza ne porgono invito, oi fatti stessi richiedono simili schia- rimenti. Degna di lode eziandio ci parve un’ altra qualità ori» ginale del piano del nostro A. Il Compagnoni, che riguarda la storia delle genti indigene del nuovo mondo siccome degna di particolare attenzione, avvegrachè fornisca al fi- losofo osservatore un’ istruttivo .studio dell’ uman genere congiunto in società, spazia in ricerche intorno l’ indole, le tradizioni , e la condizione individuale e politica de- gl’ indiani d’ America. E a dir vero le instituzioni delle tribù loro sono degne di attento esame, potendosi nella istoria di tutte quante trovar qualcosa d’utile e interessante. Sennonchè pericolerrebesi di cadere in prolissità e confu- sione da chiunque iu una storia generale dell’ America. si volesse minutamente descrivere, e, per le più lievi differenze che fra loro passano, diligentemente contraddistinguere le tante picciole tribù in che gl’indiani vanno presentemente divisi. Per contrario, quando gli europei conobbero la pri- ma volta gli abitatori del nuovo Mondo, erano questi co- stituiti in varie leshe di tribù cresciute a grandezza d’imperi e di possenti politiche società, come le sei nazioni, i Nat- chez , e i Messicani nell’ America settentrionale ; Bogota, il Perù e l’ Araucania nell’ America meridionale ; popoli onde l’istoria abbonda in tratti commuoventi, e ci presenta instituzioni ugualmente curiose e nuove in raffrontarle a quelle delle razze europee, Al qual. proposito troverà il lettore nell’opera del Compagnoni molte cose non trattate ne’compendi storici o tutt'al più addensate in un prospetto troppo vago e indistinto. 83 Prenderebbe poi troppo spazio il voler dare minuto ragguaglio delle varie parti di quest’opera o il compiacersi in ricerche sopra le tante materie che vi sono tolte a di- scutere. Per intenderne la distribuzione basterà osservare come (premessa una introduzione, nella quale giace la fisica descrizione del nuovo Mondo , la generale istoria degli aborigeni e dei naturali produtti ) incomincia il Compagno- ni a narrare i viaggi del Colombo e quindi passa ad esporre l’ istoria delle varie grandi partizioni dell’ America, in so- stanza secondo l’ ordine in che vennero conquistate o po- polate dagli europei; ond’è che Hayti e Cuba vengono le prime ; appresso traggono il Messico il Perù e il Chili, e quindi, procedendo lungo la parte orientale del continen- te, dalla Plata giungesi successivamente al Paraguay, al Brasile, alla Guiana, a Venezuela, alla nuova Granata , e di bel nuovo alle isole , ove incontrasi una descrizione dei Buecanieri e delnuovo governo d’Hayti. Trattate tante e sì diverse cose il nostro A. si fa dalla punta dell’Ame- rica settentrionale che giace fra Oriente e tramontana, e narra l& storia di Terra verde, del Canadà e dei stabili- menti colà piantati dai Francesi e dagl’ Inglesi, e termina tutta l’ opera con un largo e lusinghiero quadro delle pas- sate fortune e della presente condizione degli Stati uniti. Vastissimo campo d'’ istoria che viene dal Compagnoni pre- sentato con quel più di metodo e fedeltà che poteva aspet- tarsi dall’ indole popolare della sua opera. Nè l’ artento lettore non osserverà che se egli conduce la sua leggenda degli avvenimenti occorsi in Hayti e negli Stati uniti in- fino a quest'ultimi tempi, non però si avvisa di tessere un sì compiuto racconto delle Spagnuole-Americane Co- lonie, Nè ciò senz’ ottimo consiglio : poichè avanti quella rivoluzione, da cui queste belle contrade sono sempre te- nute in agitazione, la gelosia spagnuola vietò tutta pubbli- cazione di qualsivoglia cosa. d’ abbenchè menoma impor- tanza toccante i suoi possessi nel nuovo mondo: e gli otto stati che ora vi si veggono independenti (il Messico, PAmerica centrale, la Colombia, il Perù, Bolivia, il Chili, la Plata e il Paraguay) non giunsero ancora a stabil- 84 mente comporre le cose loro. Onde a buon dritto il Com- pagnoni non punto ne introdusse l’istoria nella sua opera, e riserbò l’ impresa a più tardi tempi; quando gli auten- tici materiali per la medesima saranno più facilmente ac- cessibili. Tale è lo scopo e l’indole generale dell’opera che ab- biam fra mano: pregevolissima perchè presenta dell’Ame- rica un’istoria che molte cose abbraccia, perchè scritta conformemente al secolo in che viviamo, ed è finalmente così condotta che comunica quanto più importa a sapersi in una guisa piacevolissima ed instruttiva. E veramente non può negarsi che il nostro A. fu tanto felice nella scelta dell’ argomento, quanto giudizioso nel modo in cui lo trattò. Niuno ignora ditatti che molta parte dell’ Ame- ricana istona tutta riveste le seducenti qualità del più in- gegnoso romanzo. Così, per modo d’esempio, le fortune del Colombo, la conquista del Messico, del Perù, e di Bogota ; gl’infelici sforzi degli spagnoli onde assoggettarsi gli Arau- canj, le guerre degli Olandesi e Portoghesi, nel Brasile, ed altri mille avvenimenti che all’utilità del vero accop- piano il magico colorito della favola. Ora il Compagnoni mai non perde l’opportunità di serbare a questi argomenti quel più vivo interesse di che naturalmente sono capaci, Nè meno belle, già lo dicemmo, ne sono le filosofiche ri- flessioni. ‘* Il nuovo mondo (così Egli presso a poco giudi- ziosamente osserva ) fu scoperto ad un epoca memorabile de tempi moderni. Le ultime reliquie del sì grande Romano imperio erano allora appunto cadute in preda ai barbari guerrieri dell’ Oriente ; le instituzioni feudali scemavano di luro forza fra le nazieni dell'Europa occidentale ; l’in- venzione della stampa era recente, e già incominciava .a operare nella storia dell’ umano intelletto que’ prodigiosi cangiamenti de’ quali noi fummo poi testimoni, quando accadde la scoperta del nuovo mondo in tempo adatto a dare energia d’azione e conveniente scopo agli agitati ele- menti della sociale perfettibilità, Per cotal guisa si aprì eziandio un recettacolo alla ridondante popolazione del- l'Europa, e vi fu uno sfogo sì pe’ malcontenti, audaci , e 85 baldanzosi spiriti del secolo, come per que'siffatti irrequieti e disagiati uomini che non isperavano nè occupazione nè felicità senza interamente mutare di condizione. Vennero dipoi versati dalle miniere del Messico, del Perù, e della nuova Granata i preziosi metalli in tanta profusione, che tutto cangiò l’ aspetto delle mercantili faccende. E gl’ in- digeni o naturalizzati vegetabili prodotti delle Indie occi- dentali e delle calde regioni del continente (come a dire il caffè, la cioccolata, lo zucchero, il cotone e il tabacco) non minor cangiamento operarono nei gusti e nelle abi- tudini del vivere degli Europei. Ciebbe quindi a stupenda altezza quell’immenso edifizio di tanti nuovi ed impoitanti interessi, io vuo’ dir le colonie. E poichè la più parte delle medesime venne a indipenderza si stabilì finalmente una nuova famiglia di nazioni, le quali banno principii e sensi tanto per una parte simili tanto per l’altra dissimili a quelli de’ popoli dai quali trassero origine ,,. Considerazioni tutte per le quali mirabilmente spieyasi come avviene che l’Ame- rica abbia poi cosiffattamente riagito sull’Europa, e che chia- risce qual sia Ja sufficiente causa di quella sì grande sim- patia che o nella buona o nella trista fortuna questa sente e sempre sentira per l’altra: massime poi per la patria di Washington primogenito figlio dei liberi stati del nuo- vo mondo, CALEB Cusninco. Lettera seconda intorno a’ Codici del marchese Luorer Tempr. Certo avrei voluto ; scrivendovi 1’ altra volta, potere indovi- nar l’autore di quella filippica ; ma non mi riuscì. Pensai un tratto all’Alamanni, in grazia de’ due versi famosi, che Carlo V, vedendoselo comparir dinanzi ambasciadore a Madrid, mostrò di rammentar troppo bene ; ed anche per aver letto che il De Rossi, quando fu a Parigi, si strinse con lui di particolare amicizia. Poi, avvertendo che il poeta morì due anni circa prima dell’im- peradore, mi volsi agli altri usciti, che alla morte del secondo potevano ancora esser vivi, e aver qualche dritto all’ epiteto che il De Rossi dà all’amico non nominato. Ma come noverarli tutti 86 o fermarmi in alcuno, se essi, come sapete, eran tanti; poiché nè le commozioni civili impedirono mai in Firenze gli studi delle lettere, nè vi fu quasi cultor distinto delle lettere, che non me- ritasse d’ andarne in bando colla scacciata libertà? Per questa medesima ragione m’è quasi impossibile conget- turar l’ autore d’ un breve trattato della Repubblica Fiorentina, vari frammenti del quale (trascritti, sembra, dalla mano stessa che copiò quelli del Varchi) occupano un sesto, circa, del co- dice, di cui ho preso a rendervi conto. Al primo accorgersi di questo trattato , che nel codice non ha titolo, e il cui autore s'intende tosto esser fuoruscito e letteratissimo, il pensiero corre al Giannotti, che fece e poi trasmutò affatto (come sappiamo dall’ ultima delle poche sue lettere stampate) quella sua opera immortale venuta in luce da poco più d’un secolo. Chi sa mai, si dice, che il trattato imperfetto del codice non sia 1° abbozzo di tal opera, e a compenso di que” pregi , che sono il frutto della meditazione, non abbia in sè quel maggior calore, che dà il primo impeto della composizione ? Infatti sin dall’ esordio sentiamo che il calore deve abbon- darvi, come forse non abbonda che in alcuni de’ più bei passi dell’opera accennata. Ma oltre il calore avvi nelle parole di que- st’ esordio non so che di passionato e di mesto , di cui il Gian- notti, chio sappia, non offre verun esempio. Nè forse 1’ uomo stesso , ch’ormai settuagenario , scrivendo al Varchi da Venezia, città al dir suo felicissima , si vantava scherzando d’ esser « di que’ ribaldi di Montemurlo ,, e accertava di passar la vita “ con grandissima quiete e dolcezza ,, che per molesti pensieri non vo- lea turbare, avrehbe cominciato fra il tuono dell’elegia e del- l’ invettiva, lodando chi a fuggire la comun corruttela, non che dal governo delle repubbliche, ormai tutte invase dalle tiranni- di, si astenesse “dal conversar con gli altri nelle città per qual- sivoglia affare ,, e si riducesse “ in luoghi remoti o ne’ volontari esilii delle ville, dove, vivendosi poveramente e del suo, potesse attendere o ai santi studi della filosofia, o a coltivar l’antica ma- dre senz’ invidia d’ altrui e da essa prender la vita , o ad eser- citarsi in molti onesti piaceri , come già ferono l’ antiche genti, che più di noi vissero secondo la natura, ec.,, nè quindi “ eran forzate, per mantenere i lor gradi, a rapire il pubblico, ad as- sassinare il privato, ad adulare i mostri e a reggerli con ogni sorte di vitupero e d’ infamia. ,, Fu comune a tutti gli usciti più illustri (voi che avete lette tante loro scritture lo sapete) la ferma speranza d’un cangia-. 87 mento propizio alla libertà. Nel Giannotti questa speranza fu poco meno che viva fede, ond’egli conchiudendo il primo capi- tolo del primo libro della sua maggior opera : tre cose, dice , mi hanno indotto a scrivere della Repubblica Fiorentina, cioè il voler dilettare me medesimo, il veder la rovina della presente tirannide propinqua , e la necessità di correggere i mancamenti de’ due passati governi. ,, L'autore del trattato manoscritto nè vede propriamente ciò che vede il Giannotti , nè par che senta l’istessa necessità di correggere ciò che a’suoi occhi stessi ha pur uopo di miglioramento. “ Trovandomi io con altri assai cinto d’ infinite miserie, nondimeno del viver libero desideroso , non possendo altramente dimostrar il mio animo, nè esser in altro grato alla patria mia, cerco con quel poco ingegno , che mi ha la natura concesso , e con quel poco giudicio che 1’ esperienzia mi ha fatto, mostrare qualmente la città nostra ha sempre po- tuto e poteva e può ancora viver libera , quando i cieli ne le porgessino l’ occasione, e ancora come il governo datole nel 1494 dal divino Jeronimo Savonarola le fu ottimo e proporzionato. Do- ve io ultimamente aggiugnerò alcune cose per farlo migliore, essendo, come si dice in proverbio , agevolissima impresa sopra le cose trovate metter qualcosa di più, e non possendo un solo nè tutto dire nè tutto fare compitamente. ,, Il Savonarola era sicuramente pel Giannotti qualche cosa di più venerabile che pel Machiavello o pel Guicciardini. Non però egli era per lui il divino Jeronimo, il trovatore del più per- fetto de’ governi che Firenze avesse avuti, ma il semplice pre- dicatore di quello qualunque siasi che dal 494 durò sino al 1519, e poi rinnovato con alcune modificazioni nel 27 durò sino al 30. La base almeno di tal governo, il gran consiglio, ei la dice in- trodotta (cap. 5 del primo libro) da Paolantonio Soderini, il quale , stato pocanzi ambasciadore a Venezia, di là ne prese l’esempio. Ben confessa che , per introdurla , il Savonarola gli fu di grande anzi di necessario aiuto, poichè tutti coloro, che hanno voluto cose nuove introdurre , sono stati costretti ad in- terporvi la volontà divina non bastando la propria. ,, L’ autore del trattato manoscritto, in quel capitolo, che nu- merato viene ad essere il decimo , nega assolutamente che il go- verno dato o favorito colle predicazioni dal divino Jeronimo ab- bia alcuna somiglianza col veneto. « Migliore è quella repubbli- ca (ei chiama di tal nome il solo governo misto) che ha maggior rispetto a quell’ umore che in una città predomina. Ma perchè nella città nostra questo è il popolare , perciò il governo datole 88 i nel 1494 fu ottimo, per aver egli inclinato il suo favore più al popolo che a’ pochi. Di ciò ne può esser indizio il governo messo nel popolo (col gran consiglio), il non esser proibito il poter fare nuovi cittadini, l’ esservi dati molti magistrati alla sorte, i quali ordini tutti hanno del popolare. Nè già fu in ciò imitato la ve- neziana repubblica , che tira più con li suoi ordini alli ottimati, avendo serrato il numero de’ suoi gentiluomini , ed eleggendo i suoi magistrati co’ più favori per la più parte , le quali usanze non sarieno state buone a Firenze, ec. ec. ,, Quanto al consiglio grande ben si vede che il nostro autore non pensò punto a quel ch’era in Venezia originariamente. Ch’ivi pure ebbe molto del popolare, come Trifon Gabriello dice al Borgherini nel dialogo del Giannotti intorno alla Repubblica de’ Veneziani, onde non dubita che servisse di modello al gran consiglio fiorentino, come poi il doge al gonfaloniere perpetuo. “E Dio volesse per beneficio della vostra patria e per l’ onore d’Italia , egli aggiunge, che voi aveste saputo imitare gli ordini della nostra repubblica , che non sono così, com’è il consiglio e la perpetuità del doge, a ciascuno chiari ed apparenti . Per- ciocchè la città vostra si sarebbe libera mantenuta ; nè avrebbe sentito quelle alterazioni, che 1’ hanno ad estrema ruina con- dotta. ,, Per introdurre in qualche modo tali ordini, ammirati generalmente da tutti ì politici, ma più specialmente da que- sti fuorusciti, par che il Giannotti scrivesse la sua Repubblica Fiorentina , a cui potrebbero darsi per epigrafe le parole qui ci- tate. Le quali, per quanto discordino da quelle del trattato ma- noscritto citate più sopra , non debbono però farvi supporre fra il trattato medesimo e l’opera omonima del Giannotti una gran- dissima discordanza. Vedrete ( poichè le due opere valgon la pena d’ un confronto) che la discordanza non solo non è nel fine che i loro autori si propongono, ma è sì poco ne’mezzi da loro additati per conseguirlo , che appena si può dir sostanziale. Così l’este- rior dissomiglianza , più che nell’ andamento delle due opere o in altro, è nella forma dello stile. Chè questo nell’ opera del Giannotti è più regolato e più scelto; in quella dell’ anonimo è per così dire abbandonato. Non però è senza proprietà e senza vaghezza (il vecchio stile fiorentino quando mai ne fu privo?) e può farvi parer brevi le più lunghe citazioni. Benchè il trattato manoscritto non sia formalmente diviso in libri; guardando però alla divisione delle materie, può dirsi che ne contenga altrettanti che la Repubblica Fiorentina del Gian- notti. Il primo e il secondo , come quelli dell’ opera or nomi è 89 nata , sono particolarmente storici ; gli altri, come. nell’ opera detta , sono propriamente legislativi. Il Giannotti, molto incli- nato alle speculazioni generali, parla prima , se vi rammeutate, dell’ ottima specie di repubblica, poi di ciò che si richiede ad una città perchè ne sia capace; e a meglio provare che Firenze n’ è capacissima reca in mezzo la sua storia da’'tempi romani al 1527. L’ autore del trattato manoscritto comincia addirittura da questa storia, non prendendola peraltro che in tempi assai vi- cini, quelli cioè di. Cosimo il vecchio, e seguitandola fino a quelli in cui scrive , per poi dedurne che Firenze può viver li- bera. Il Giannotti, come sapete, nella rapidità del suo corso noù tocca i fatti che alle loro sommità ; lanciandovi per entro rifles- sioni feconde e piene di luce. L’ altro scrittore ;, che si è dato più agio restringendosi lo spazio; scende a maggiori particolarità, ed interessa specialmente pel sentimento con cui vi si ferma. Del resto ambidue concordano in certi giudizi, come quello che la tirannide del vecchio Cosimo fu profittevolissima alla libertà (giudizio che vi noto perchè il Giannotti ce lo dà come suo par- ticolare) e servono egualmente di testimonianza a molte opitio- ni e inclinazioni della loro età. Raffrontate , se vi piace , questi brani del secondo ‘capitolo del trattato dell’ anonimo con quella parte che lor corrisponde nel quinto capitolo del primo libro del Giannotti. « Però , ripigliando da alto, è da sapere che nel 1434 Co- simo de’ Medici si fe capo della città col favor popolare; che si volse a farlo grande per isbattere una potenza di pochi, che rettisi da 5o anni sotto un governo da prima assai laudabilmente composto , a poco a poco diventarono cattivi, come fan tutte l’ umane cose, avvenga che buone sieno , ma quelle principal- mente che hanno cattivo principio . Laonde a Cosimo, senza inolta fatica , balzò in mano quello stato, il qual esso poi riten- ne, con una parte de’ cittadini rilevati da lui; perla più parte della sua vita , a loro permettendo assai, al resto togliendo l’ar- me e lasciando poco degli altri beni che si stimino, e molti altri sspogliando della lor patria, e; se pur alcuno ne restò, mettendogli addosso il erudel supplizio delle gravezze , che li condusse a poco a poco in estrema rovina. Questo modo di vivere durò in lui , in Piero suo figlinolo, e successivamente in Lorenzo e Piero do- po lui insino al 1494. E veramente può affermarsi , in fra le ti- rannidi state questa aver avuto lunghissima vita , il che non na- eque d'altro che dall’ essere stata molto civile ed in un certo T. XXXIV. Maggio. 12 Q0 modo che non se n° accorgevano i goffi, poichè vissero (i Medici) il più del tempo senza guardia del corpo , con li abiti civili e con li costumi simili alli altri cittadini, ed ancora perchè essi erano fatti dal popolo e dalla gente bassa , a cui ebbero sempre rispetto , e li grandi rovinaron di sorte , che in pochi era rima- sto virtù o animo da sapere o da potersi torre il giogo della servitù. Ma venuta, quando al ciel piacque, la morte di Loren- zo de Medici, e successo Piero nello stato , che per tener modi al padre disformi in tutti i costumi, e massime per aver con li suoi più congiunti fatta nimicizia (chè una ceffata dett’ egli a Lorenzo di Pierfrancesco) nacque , dico , per tutti questi conti che gran parte di quella nobiltà , che prima li aveva favoriti (i Medici), se gli rivolse , onde nella venuta di Carlo di Fran- cia Pier Capponi e gran parte di essa nobiltà lo cavarono di stato , e quasi tutti furono uniti a far un governo libero, ma discreparono ne’ modi , volendo alcuni d’ essi più al largo, ed aleuni più allo stretto rivolgerlo. E certo che allora sarieno stati poco concordi, se Dio non avesse lor preparato un aiuto divino e di luogo non aspettato da un fraticello Jeronimo Savonarola , uomo di santissima vita , di rara eloquenza e di quella virtù che sa tutto il mondo. Costui dette le leggi della repubblica , e creò il consiglio generale , cioè messe nel popolo la signoria , il che se fusse ben fatto o no più di sotto disputerassi , e qui ba- sti aver detto che per suo mezzo la città prese un modo di vi- vere non mai sutovi pari in bontà da ch’e’fu edificata Fi- renze ec. « Surgono or qui li calunniatori della libertà con dire; es- sere stato meglio per la città viver sotto il governo de’Medici, e di ciò allegando due ragioni, perchè, essendo ella stata retta da loro 60 anni , s° era per questa lunga servitù perduto ogni virtù da poter vivere liberamente , ed ancora per essere tal go- verno migliore in lei della licenzia populare, ec. Quanto al pri- mo capo rispondo che , sebben Firenze era stata 60 anni tiran- neggiata , non perciò aveva perduto ogni virtù nè ogni forma di libertà ; anzi legghinsi li storici e vedrassi in quei tempi lei sem- pre aver mantenuto gl’ ordini liberi della signoria , dei consigli, delle imborsazioni de’ magistrati, i quali, avvenga che fossero all’ arbitrio di Cosimo e di pochi potenti, non però è ch’ e’ non apparisse in quel vivere qualche po’ d’ ombra di libertà e di vi- ver civile. Ancora si sa la città ne’ tempi di detto Cosimo esser vissuta qualche tempo liberamente e senza dar la balia a Cosi- mo ed a pochi cittadini (il che fu nel 1456 quando li timori delli OT fuorusciti furon mancati ) ed esservi durata tal libertà per due anni in fin che Luca Pitti di nuovo ridette la signoria a Cosimo e ritolsela al popolo. Vedesi ancora in tutti i tempi di detto Co- simo, e quando egli ebbe e quando ei non ehbe la balìa , essere stato sempre in Firenze qualche cittadino di lui poco manco po- tente; in fra i quali Neri di Gino, cittadino egregio, sempre mentre ch’ e’ visse mantenne qualche ombra di libertà nella pa- tria. Più oltre, a Piero di Cosimo non fue congiurato contra dai primi cittadini di quello stato ? E che altro ciò importa se non in Firenze essere stato sempre mai dei cittadini desiderosi di vi- ver liberamente , e che stimavano che si potesse usar la libertà nel governo ? ed il medesimo si può conchiudere per la congiura de’ Pazzi fatta contro a Lorenzo e Giuliano. « E venendo alla seconda ragione , cioè che ’1 governo dei Medici fosse sempre migliore in Firenze degli altri suoi stati po- polari, che dicono averla rovinata d’ uomini, di consiglio, d’ono- re, a tali che ciò allegassino si potria veramente rispondere , ch’ eglino avessino corrotto il primo principio a voler, dico, prefe- rire la tirannide alla libertà. La quale avvenga che non libertà ma licenzia fosse da dirsi, non per ciò fia che tal licenzia populare non sia men cattiva e di sua natura migliore ch’ ogni onesta ti- rannide. E ciò non si provi con altri esempi che con li propri , e raccontinsi li stati della città nostra, che quasi tutti sono stati popolari in fuor che ’1 racconto e quel del duca d’ Atene dopo l’ abbassamento delle case di famiglia, e vedrassi in questi così popolari stati esser germinati tutti i semi della vertù e potenza della città. Chè , per non raccontare gl’ ordini civili constituiti per pareggiar i cittadini e farli viver contenti del giusto , dove fiorì mai la vertù militare se non in c»sì fatti governi P dove fu acquistato il dominio di quasi tutte le terre circonvicine se non in questi modi di vivere ? da chi altri fu fatta la città degna d’ esser annoverata in fra le celebrate repubbliche ? Mettasi dal- l° altra banda il governo della casa de’ Medici , e vedravvisi in- nanzi tratto toltovi 1’ armi, che sono il nervo della repubblica , sbanditivi li cittadini nobili e vertudiosi , e rinvestitovi delle loro spoglie gl’ignoranti e vili adulatori; vedravvisi tolto ogni onore alla patria ed in una sola casa ridotto non pur l’ onore e la glo- ria, ma le ricchezze ed ogni altro suo bene, del cui latrocinio non puote al mondo escogitarsi il peggiore. E queste son brevemente le vertù di quello stato, per non raccontare le cat- tive usanze , li disonesti costumi messi in fra i cittadini, onde 2 dae altri viveri si sariano astenuti, se non per amor del be- ne , almeno per timor della, pena e della vergogna. « Ma dichinmi per loro fe’ li tanto affezionati a quello sta- to, e che tanto innalzano, al cielo sopra di tutti gli altri quel non mai secondo loro abbastanza lodato Lorenzo de’ Medici , di cui non pur l’azioni ma li segreti concetti vanno ammirando ; dichinmi di grazia se, quando e’ lo celebrano , intendono di ce- lebrarlo per uomo vertuoso ? Ma come potria ciò essere , essen- do gl’ nomini vertuosi amatori della libertà della patria , della giustizia , della religione? Se per buon cittadino? Ma questo è impossibile, essendo diffiniti li buoni cittadini con la scambie- vole podestà del potere or comandare ed or ubbidire , e ciò per fine di ben vivere. Se per buon principe ? Ma non son quei buoni principi, che non pur fanno osservare, ma che ancor essi osser- vano le leggi, e che sono del pubblico bene amatori ? Se per buon tiranno ? Oh se per buono ma tiranno , questo confesso io con loro, e medesimamente confesso quel governo essere stato buono ma tirannico. Nè convengo già con loro in lodarlo più del popolare, conciosiachè li stati populari, li cattivi dico, sien migliori o, per dir me? manco rei d° ogni stato tirannico e della miglior sorte , se non per altra ragione, per questa sola, che nello stato populare cattivissimo è manco unita la forza al far male, ed è di manco vita che non nello stato d’un solo che sia cattivo principe. E per un’altra ragione ancora son meno rei tali stati di popolo , perchè in essi il maggior danno che vi si aspetti è il pericolo e la propinquità della futura tirannide. Però si può egli molto bene conchiudere li Fiorentini aver fatto bene, nel 1494 a liberarsi di servitù, ed essere stati atti a viver libera- mente . « Questo medesimo , che io ho detto,, si potria confermare con una ragione della sopportata tirannide , e dire, se fusse le- cito dir bene del male , lei aver potuto causare in Firenze mi- glior libertà che mai fusse statavi. E certo, niente importi qui il dirlo, cioè ch” ella accidentalmente di tanto bene sia stata. ca- gione al pubblico corpo , non altramente che nei privati si vede intervenire , in quei, dico, che sono per lor natura mal sani, dove l’ infermità grandi e diuturne vi partoriscòno sanità e net- tanli di tutti i cattivi umori. Che il simile accadde nella città nostra , chè una di quelle ch’ ebbero. cattivo principio, per es- sere stata gran tempo suddita dell’imperio, e poi goveruata dalle case di famiglia , che erano baroni ed uomini grandi e disuguali 93 al politico vivere , i quali sbattuti dal popolo , e ridottasi l’an- torità nei Guelfi, non perciò finirono con i loro esili le contese civili. Perchè subito in fra i medesimi Guelfi, per conto di mag- giore o di minor grandezza , surse acerba divisione per le. parti Nere e Bianche, e da poi fra il grasso. popolo e ’1 magro per 1’ acerbità della legge dell’ ammonire, e causarono tai semi di discordie , che sempre quel bene , che si faceva nella repubbli- ca , fusse inteso non per pubblica ma per privata utilità , dalla parte che più poteva nello stato.. Di qui nacquero li spessi esilii de’ gran cittadini ; la concessione della signoria ai reali di Na- poli; la potenza del bargello d’ Agobbio; la tirannide del duca d’ Atene e ultimamente lo stato infame dei Ciompi. I quai mali tutti della nostra città dico io non essersi mai spenti sì intera- mente quanto nell’ autorità della casa de’ Medici, la quale per essere stata di lunga vita , e per aver favorito da prima il po- . polo, venne di necessità a spegner molte grandezze , che non lasciavan vivere Firenze libera , riducendo in 60 anni quella cit- tadinanza a una, conguaglianza maravigliosa , onde chiaro si po- | teva dire altro impedimento non restarvi alla libertà che.la gran- dezza di quella casa ; la qual essendo, stata tolta via dall’ occa- sione di que’ tempi, Firenze non aver mai avuto più bel prin- cipio da viver libera che quella età. ,, Jl capitolo seguente non ha riscontri in quello sovra indi- cato del primo libro del Giannotti, ma bensì in vari del secon- do , ov’ egli, considerando i ditetti de’ due governi del 494 ‘e del 527, or estende le cose già toccate della storia patria, or continua ia storia medesima. Ed ivi pure lo troverete molto con- corde col nostro autore, da cui si distingue piuttosto per la pro- fondità che per la diversità delle vedute. Così, per recarne un esempio , ove l’ autore s° accontenta d’attribuire la caduta di Pier Soderini, di cui la repubblica ebbe. tanto a soffrire, all’in- vidia e alla malignità; il Giannotti cerca la causa che le rese vit- toriose, e gli par di scorgerla principal:mente nell’ eccesso d’ un potere , che anche in uomo tutto rivolto al pubblico bene era divenuto odioso. La qual veduta è consentanea all’altre sue in- torno a’ limiti necessari ad ogni autorità, delle quali è pieno il libro già detto. Ma di esse avrò occasione di far parola più sotto ; e intanto non voglio ritardarvi il capitolo, che vi ho an- nunciato. « Seguendo l’ ordine proposto vegnamo a discorrere la ria- wuta libertà del 1527, e in prima diciamo come Firenze dopo il 1494 resse lo stato con libertà tale, che ciascuno , avvenga 04 che di lei nimicissimo , confessa la città nostra non esser mui stata nè sì onorata nè sì ricca nè sì vertuosamente composta, e - È massime dal 1502 al 1512, che fu tutto il tempo di Pier So- derini , il qual fu insieme con la libertà della patria cacciato e per invidia d’ alcuni e per malignità di certi che volsono ridurre la patria in servità. Intervenne in questa infermità civile il me- desimo danno che nell’ infermità d’un solo uomo, la quale molto più affligge il corpo nella ricaduta che nella sua prima giunta. Che alla città intervenne il medesimo, perchè dove nella prima signoria de’ Medici non vi era il maggior male che a voler ad ogni modo tener lo stato e nel resto parer cittadino ; in questa seconda vi stette ferma la prima intenzione ; e di più fu accom- pagnata da tutte le grandezze de? principi in ogni maniera di vi- vere , di vestire, di guardie del corpo ed in ogni altra disugua- glianza dagli altri. Le quali imprese furono dalla fortuna favo- rite talmente , ch’ e’ pare che le felicità scendessino a gara a far Giovanni (cardinale) papa Leone , ed il fratello e'’l1 nipote du- chi , e li parentadi reali, e, se nulla mancava, quasi a perpetuar il papato in Clemente , di sorte che la povera terra di tai gran- dezze particolari scese in tanta bassezza , che chi non avesse provato di poi quanto ella poteva più miseramente condursi, non arìa già creduto ch’ ella fusse potuta star peggio. Ma essendo , quando il ciel volle, venuta, dopo l’intera destruzione virile della stirpe legittima dei Medici che si spense in Leone , la presa di Roma e di papa Clemente dalle genti tedesche; li cittadini fio- rentini , in cui non era ancor spenta ogni generosità d’ animo , ripreson vigore ; e furono in fra’ primi Niccolò Capponi e poi Filippo Strozzi e molti altri della parte de’ Medici, che li cac- ciarono un’ altra volta , e ridussero in libertà la lor patria. 9 Surgono ancor qui le calunnie contro gli autori di tal li- _ bertà , date loro per due conti. Il primo per non essere stato , come dicevano, partito da savio il rimettere la libertà in un po- polo corrotto: e provano la corruzione in questo, per esser, dico, li Medici stati 15 anni in istato come principi assoluti, nel qual tempo avevan messo in Firenze tutte l’ usanze e costumi disfor- mi al viver libero , e per aver di più Leone e Clemente compe- ratosi con doni e con benefici molti cittadini nobili. Nel secon- do luogo allegano, ch’ essendo vivo Clemente non era bene torgli lo stato e metter la città in un maggior pericolo di aver per forza a ritornare sotto ’1 suo impero. Al primo si può rispon- | dere in certo modo confessando e in certo modo negando la cor- | ruziune , confessandola, dico, ne’ particolari e non concedendola 95 in tutti. E che l’universale non fusse guasto si prova con l’esem- pio dei tumulti fatti popularmente e senza capo, un mese avanti che i Medici fussero cacciati, solamente col nome di libertà ; lo che non mostrò altro che un grandisssimo desiderio di lei, che non è nei popoli che son corrotti. Più oltre la corruzione , che fa i popoli inetti al viver libero , non si piglia tanto dalla diso- nestà dei costumi quanto dal non aver memoria di libertà nè se- gno alcuno nè ordine da poterla ricomperare. Saria per mia fe’ cosa assurda a dire che la memoria di lei fusse stata spenta in Firenze , conciossiachè quindic’ anni avanti 1’ avessino avuta, e ch’ ella vi fusse durata diciotto con tanta vertù e con tanta po- tenza che non mai più vi fu tale , e dove erano ancor vivi tutti o la maggior parte quelli che vi si eran trovati a goderla . Ed in quanto a’ segni ed alli ordini, v° era il palazzo e la signoria, i parlamenti, i tumulti fatti con quell’ arme che in quel tempo si potevano avere, il nome di libertà , le quai cose tutte furono usate. Ancora li cittadini grandi ; ch’ erano stati beneficati dai papi , se essi avevano alcuna virtù, non dovevano tai benefici anteporre alla salute e al pubblico onore , sì come in quel tem- po fecero , che come si vedde sdimenticarono tutti li privati co-. modi pe’ comodi pubblici ? « Quanto alla considerazione della vita di Clemente, par certo che tal punto più dall’ evento che, da essa cosa meriti ap- provazione. Perchè nel tempo , ch’ ei si mutò lo stato di Firen- ‘ze, Roma era saccheggiata , il papa era prigione in Castello d’un esercito barbaro , grosso e senza capo (chè perduto l’ avea nel primo assalto dato alle mura) ed in oltre di quel seggio e di chi lo teneva nimicissimo per conto della setta luterana in tutti re- gnante , talmentechè più di lui ( Clemente ) era da stimarsi la morte che la salute. La quale, avvenga che non gl’avessero data i soldati inimici, non era egli da imaginarsi con ragione che ’l dispiacere di Roma saccheggiata, il disagio sopportato , e se noi vogliamo aggiugnervi il mutamento dello stato fiorentino non avessero a causargliene ? Ma posto la sua morte e la sua vita da canto, che avevano in cotal caso a fare li cittadini prudenti e della lor patria amatori? Avevano a mantener quello stato per farsi ostilmente accostar quell’ esercito barbaro , acciocchè insie- me col papa si perdesse anco l’onore e la vita della città? O ‘avevasi ad accordar con loro? Ma come si poteva ciò fare volen= do tener fermo lo stato pe’ Medici, se già non si fusse ricom- | pensato le bilance con una inestimabile quantità d’oro? Anzi non fu miglior partito in un medesimo tempo e dalla nimicizia 96 del vittorioso esercito e dalla servitù liberarsi ?_E sebbene tal liberazione dappoi successe infelice ;} sappiam di ciò grado alla rabbia di pochi cittadini popolari ed alla malizia della parte pal- lesca. E basti fin qui aver provato questi cittadini allora aver fatto virtuosamente e con buon consiglio quelle azioni che in- dussero in libertà la lor patria. ,, Dopo questo capitolo , ch'è il terzo, ne succedeva nell’ori- ginale un altro , di cui nella copia non son riferite che queste prime parole: “ Ma vegnamo al 1536 , quando la città meravi- gliosamente fu liberata dalla crudele ed inaudita tirannide d’Ales- sandro, e discorriamo ec.,, E qui seguivano altre otto carte, in luogo delle quali l’ autore pose una nota, in cui dice che le stracciò perchè , avendole scritte nel principio del muovo prin- cipato di Cosimo , non volle si vedessero. E veramente il partito preso gli spiace assai, poichè in esse sbatteva tutte le ragioni di coloro che ridussero di nuovo la patria in servitù ec. “ Pure, ei conchiude, ogni cosa sia per lo meglio e di tutto Iddio rin-. graziato. ,j Questa nota ci dà 1’ epoca in cui il trattato inedito fu scritto (il 37 o il 38), l’epoca stessa in cui fu terminata, co- me sappiamo, la Repubblica Fiorentina del Giannotti. E parreb- be dul fatto , che diede motivo alla nota, che 1’ autore fosse piuttosto confinato che fuoruscito , se non si pensasse che anche i fuorusciti doveano pur sempre sentirsi sotto la mano di Cosi- mo, a cui in nessun luogo mancavano strumenti di vendetta. La perdita del capitolo indicato è per noi tanto più grave, che ci ha forse cagionata anche quella del quinto, di cui nel codice non si legge che la conchiusione. Pare che in questo ca- pitolo V autore , seguitando la storia, venisse a mostrare che tutte le disuguaglianze , dalle quali poteva temersi ostacolo al viver libero , in Firenze erano ormai tolte « essendo pur pochi mesì avanti seguito il raro e miserabile esempio di Montemurlo, che ha parte spento a parte sbattuto le maggiori grandezze della città nostra, ec.,, E sebbene, ei prosegue; ci resta de’ cardinali fiorentini ( Ridolfi e Salviati) dico tal grandezza non essere no- civa alla città quanto quella, e per aver i cardinali modo di sfogar fuori la loro ambizione (ciò non avrebbe forse detto il Giannotti, che intitola al Ridolfi la sua opera col magnifico proe - mio che sapete ) ed oltre di questo per esser di buona qualità e scoperti in favore della libertà quanto nessun altro buon cit- tadino. » Ma lasciando questo ragionamento , ei dice da ultimo, « passiamo con un altro principio a dimostrar il governo dato a Firenze nel 1494 del divino Jeronimo Savonarola esserle stato 97 ottimo e convenientissimo ; ed inoltre esser da riporre nel numero de governi buoni, e non doversi chiamar popolare come fa la più parte de’ volgari 3 ec. )) Il principio ; con cui egli prova la prima parte di quest’as- sunto (materia di tre nuovi capitoli, i quali con un altro formano il secondo peo è tutto negativo , la sconvenienza cioè o l’inop- portunità d’ogn’ altra specie di governo. Spiegando un tal prin- cipio , ei torna spesso alla storia, e all’ uopo risale ove non ri- salì il Giannotti medesimo. « E chi volesse qui arguirmi con l’antichità di questa provincia, ch’ ella fusse già stata sotto il governo de’ re, e allegare Porsenna (scelgo dal capitolo settimo un passo, che racchiude una tesi famosa sostenuta anche dal no- stro Micali contro il giureconsulto Lampredi ) si potrebbe met- tergli all’ incontro unica medesima antichità de’ Toscani, che vivevano a’ cantoni com’ oggi fanno li Svizzeri e le terre franche della Magna s e raccontargli di tal modo di vivere e la grandezza e la forza, perchè signoreggiarono allora gran parte d’Italia, e dall’un mare all’ altro stesero l’impero , ec. » Talvolta ei rincalza le cose dette più sopra, come in questo passo del capitolo nono, il qual sembra ad alcuni riguardi un comento del quinto quasi affatto perduto. « Ma che ne’ tempi d’oggi si trovino molti potenti nella città, n'è detto sopra ab- bastanza. Qui solamente aggiungneremo che , posto ciò esser vero, si metta da una banda la ricchezza, la nobiltà e la potenza di questi tali, e dall’altra parte considerisi la virtù; la nobiltà, la ricchezza di tutto il popolo fiorentino, di tutto dico accozzato insieme e non a uom per uomo ragzorato (in questo senso manca al Vocabolario ) e vedrassi manifestamente lui insieme essere di più valore e di più eccellenza che tutti li raccontati beni di quei grandi. E ciò per mia fè non senza ragione interviene, perchè un popolo non servile e di qualità mediocre, com’ è il fiorentino , tutto insieme considerato è non altrimenti che wn solo uomo, che abbia infinite mani, infiniti piedi, infinite riechezze ed in- finita virtù , la quale senza comparazione avanza quella di qual- sivoglia particolare potentissimo, ricchissimo e virtuosissimo. ») In ciò, come vedete, ci non potrebb’essere ‘più d’ accordo col Giannotti. Ma ove , trattando l’ altra parte dell’ assunto in- dicato, mostra di credere poco men che perfetto il governo del 94, per ciò solo ch’ era misto ; ei si tiene molto addietro da quel politico , solito penetrare un po’ oltre la superficie delle cose. An- che il Giannotti (voi vi ricordate bene di quel suo mirabile se- T. XXXIV. Maggio. 13 98 condo libro ) dice ; che il governo del 94, e quindi l’ altro com- posto a sua imitazione , fa bello e profittevole alla libertà, ma pieno ad un tempo de’ vizi de’ governi antecedenti , che il legi- slatore non corresse perchè non li conobbe. Fu bello e profitte- vole alla libertà per ciò che riguarda la creazione de’ magistrati tolta all’ arbitrio de’ pochi e data al generale consiglio. Per ciò che riguarda l’ introduzione delle leggi, la deliberazione della pace e della guerra e le provocazioni o appellazioni, che sono l’altre cose da cui dipende il vigore e il ben essere della re- pubblica , fu violento e tirannico. Una sola eccezione potrebbe forse esser fatta a così generale sentenza , allegando Ja legge delle appellazioni dai vari magistrati al consiglio grande nelle condanne per delitti di stato (v. il Nardi nel secondo delle Storie ) otte- nuta dal Savonarola sul principio del 95. Ma come questa stessa legge, o per mancanza di conservatori o per altro, fosse male os- servata, lo argomentiamo dalle condanne del 96 ; onde il Savonaro- la ebbe dal Guicciardini (credo nel primo libro) nota d’infamia. Per quanto fosse allora incompleta o inesatta l’idea che avevasi della libertà , offendeva grandemente in un governo chiamato libero il sentirsi soggetti ad un potere arbitrario. Quindi il grido popolare udito spesso dal Giannotti: guarda bella libertà ch’ è questa ; grido che molti di noi si rammentano d’ aver sentito ri- petere in epoca non ancor remota. Volendo stabilir repubblica più durevole , bisogna, conchiude quel politico , stabilir repub- blica la quale sia più amata. Ma essa non sarà più amata se non ‘sarà più libera, e non sarà più libera, se i membri che la compongono non saranno più dipendenti gl’uni dagli altri, e non prevarrà veramente quello che per la costituzione della repub- blica è dichiarato principale. Quest’ ultima condizione che , stando all’ ultimo capitolo del secondo libro del trattato manoscritto , pareva all’ autor suo molto bene ottenuta, è soggetto di nuovo ragionamento in alcuni de’pri- mi capitoli del terzo libro della Repubblica del Giannotti. Indi le dune opere procedono per così dir parallele , come potete av- vedervi da queste parole del trattato: « successivamente diremo qualcosa di nuovo circa il governo , dimostrataci dall’esperienza e dal tempo, e in prima quanto alli ordini di dentro, di poi quanto a quei di fuori ed ultimamente della milizia ec. » Il discorso degli ordini interni ed esterni , ossia di ciò che il Giannotti chiama governo civile, doveva occupare altri di- ciassette capitoli, di tre de’ quali (il 24, 26 e 27 di tutto il trattato ) nel codice non si hanno che. titoli. Sarei troppo lungo 99 se volessi accennare tutte le concordanze o discordanze , che possono trovarsi fra i quattordici che si leggono, ossia fra il terzo libro del trattato e il terzo già detto dell’opera del Giannotti. Mi limiterò dunque ad alcune più notabili , fra le quali ci si presenta prima quella de’ membri che debbono comporre la re- pubblica. Voi vi rammentate del famoso corpo piramidato del Giannotti, la base del quale doveva essere il gran consiglio, la punta il principe , e i membri intermedii il senato e il collegio; corpo a cui egli dà anche il nome di pianta nella lettera che scrisse non meno sapientemente che infruttuosamente al gonfa- loniere Niccolò Capponi, e in cui trovasi il germe del suo libro della Repubblica. L’autor del trattato manoscritto non parla propriamente nè di pianta nè di piramide, e par che 5’ accon- tenti del solo senato fra il principe e il gran consiglio. Nondi- meno , come fra poco vedremo , anch'egli propone sott’altro nome il collegio del Giannotti, di cui forse non fa un membro a parte, perchè lo confonde in certo modo col principe medesimo. Quanto al consiglio grande, voi sapete che il Giannotti tro- vava l’ antico pressuchè aristocratico, e domandava con certo sdegno : che direbbe Platone, che direbbe Aristotele , entrando in Venezia o in Firenze, e vedendo d’una sì ‘gran moltitudine d’ uomini non esser tenuto conto alcuno , salvo che ne’ bisogni della città, ec. ec ? Però avrebbe voluto che si ammettessero nel gran consiglio tutti i popolari, ch’erano, come dicevasi, a gravezza; e si facessero così abili a’ magistrati. Ma dovendo pur stare al vecchio reparto de’ cittadini , gli sarebbe almen piaciuto ch’essi entrassero in consiglio di 25 anni, onde gustar presto ; com’ ei dice, la dolcezza della repubblica, ed essere poi più ardenti nel difenderne la libertà. L’ autore anonimo vede anch’ egli (cap. 11) « che, quando quelli, che sono la più parte della città , fossero esclusi dal governo, verriano ad essere malcontenti e inimici dello stato, e ciò sarebbe cosa pericolosa » ; anch'egli crede « che il popolo tutto insieme accozzato non erri nell’ eleggere i magistrati ‘e con- fermare le deliberazioni senatorie , perchè in quel modo piglia lun dall’ altro prudenza e consiglio » ; anch'egli pensa (cap. 12) potersi dire « che se li più ragunati insieme fantio ‘buona ele- zione , li vie più la faranno migliore »; e nundimeno si decide pei non molti. « Ancor si potrebbe allegare , egli aggiunge , che essendo l’arme il nervo d’ una repubblica, a voler farla armigera e potente, bisogneria dar animo a quanto più numero d’uomini fusse possibile, conciosiachè il più numero de? soldati il più delle 100 volte superi il manco, onde chi facesse ognuno cittadino verrebbe a fare maggior numero d°’ amici soldati, che non pure ci difen- derebbero ma che ci acerescerebbero l’imperio. E in verità che tali ragioni varrebbono , se il fine delle ben ordinate repubbliche tusse il dominare, e per conseguenza se la virtù militare dovesse a tutte 1° altre preporsi. Ma perchè il vero fine di quelle è la vita felice, che altro non vuol dire che il vivere secondo le virtù morali, che di gran lunga superano la virtù dell’ arme, non altrimenti che’l virtuoso ozio si superi le fatiche (tutte queste idee son notabili per la storia della moral politica.in Italia); però è bene conchiudere non esser ben fatto indirizzare tutti gli ordini della repubblica al duminare come a fine principalissimo , e così star molto meglio non allargar il consiglio nella plebaglia (nem- mene il Giannotti lo pretende ). ma doversi tener un modo di mezzo fra il romano e il veneto, come fu ordinato in Firenze, cioè non dar lo stato in mano alla plebe ; nè ancora escludernela in tutto; ma darle animo con aprire ogn’ anno la via di potervi entrare per qualche numero determinato, ec. )). Quali e quanti però saranno i cittadini (cap. 13.) che com- porranno il generale consiglio ? In ciò mi rimetto, egli risponde; al giudicio de’ savi, questo solamente dicendo che la mediocrità è in tutte le cose laudabile, e che la troppa moltitudine genera confusione, così come la poca fa debolezza. « Ma egli è ben ra- gionevole che chi ha ad esser cittadino abbi qualche ombra di civiltà e d’ ingegno, e che nei gradi ed esercizi ch’ei fa sia di costumi lodevoli. e vnesti. E in fra gl’ uomini d° esercizio non accetterei io. mai quelli dell’ arti sordide , ma solamente mi. ri- stringerei alla, lana, alla seta, al fondaco;,alla ,mercatura e al cambio, le quali arti, sebbene nel vero sonda collocarsi in fra le arti meccaniche (questo scrittore o era dottor. di legge 0 go- deva i nobili ozii), nondimeno l’ uso fiorentino le rilieva dalla bruttezza ov? elleno per natura loro son fatte. Vorrei oltre di questo ch’ egli avesse almanco un fiorino di decima (il suo va- lore può vedersi nel primo volume della Decima del Pagnini ) ed almeno l’ avesse pagata anni 25 davanti, e ch’ egli avesse abitato dentro alle mura della città. Non vorrei che’l cittadino così diffinito potesse andar in detto consiglio se non avesse anni 28, e che bene dai 24 a’ 28 vi potessero andare straordinariamente quei giovani, che in fatti e in detti o nell’arme avessino in fa- vore della patria quest’ onore meritato (e per tal dichiarazione. mi piacerebbe doversi far il senato) intendendo che tal premio straordinario. non si dovesse dare nè alla nobiltà nè alla ricchezza IOI ma solo alla virtù o separata o congiunta ch’ ella si fusse dalle contate qualità. Vorrei ch’ e’ fusse lecito ogni anno accrescer il numiero de’ cittadini , che avessino le proprietà conte, e ch’ e’ non passassino il numero di dieci da vincersi dopo la metà delle fave con i più favori. Vorrei che tai cittadini novellini per ispazio d’anni 4 non potessino esercitar altri magistrati che l’ andar in consiglio, e per ispazio d’ anni 25 non potessino usarne alcuno dei viuti con i più favori, ma bastasse lor quelli che di sopra furono racconti (nel cap. 12 ove propone che per alcuni ma- gistrati principali sieno sostituiti i favori alla sorte , ciò che il Giannotti vorrebbe per tutti) quando di quei della sorte si fè menzione. Loderei ancora nell’elezione de’ magistrati mandar i cittadini a partito secondo 1’ antica divisione di quartieri, acciò che nelle nominazioni fosse più agevolmente ognun ritrovato. Leverei in tutto via (anche il Giannotri è del medesimo senti- mento) la distinzione della maggiore e della minore, per partorir tal cosa due effetti cattivi, uno per mostrar la divisione in fra i cittadini; 1’ altro per essere con tal ordine necessitati gl’uomini a dar sovente un magistrato a chi non è degno. Piacerebbemi che in detto consiglio si stesse con silenzio e a sedere, e ch’e’non si potesse andar da un luogo ad un altro per andar a ragionare con alcuno, nè fusse lecito a persona il parlar in. pubblico senza licenzia del magistrato supremo. E quanto alle provvisioni da vin- cersi in detto consiglio, mi piacerebbe si vincessino con la metà de’favori tutte quelle che prima ne’luoghi più stretti fussin pas- sate, ed approverei finalmente in questa parte tutti quelli ordini che dal divino legislatore della fiorentina repubblica furono con somma prudenza ordinati ec. ec. )) Ho riferito volentieri questo passo anche perchè racchiude qualche cenno sui costumi parlamentari del gran ‘consiglio, ch’io non mi ricordo aver trovato in alcuna parte nè della Repubblica Fiorentina del Giannotti, nè del suo discorso , benchè tutto isto- rico , sul governo di Firenze. Voi paragonerete , se vi aggrada questi costumi con quelli d’ altre assemblee nazionali antiche e moderne. Spiacemi che manchi nel trattato uno de’ capitoli più opportuni a compir il paragone , quello che s’intitola de’ nomi- natori, o com’oggi si direbbe degli elettori. Il male però sareb- be leggiero, se un tal capitolo non fosse anche più opportuno al paragone, che naturalmente amerete fare de’ principii. costitu- tivi della fiorentina repubblica coll’ altre più celebri costituzio- ni. A tal nopo avrete notate senza dubbio come importantissime quelle parole citate pocanzi: « mi piacerebbe si vincessino 102 con la metà de’ favori tutte quelle ( provvisioni ) che prima ne’ luoghi più stretti fussino passate. » Esse hanno spiegazione in un altro passo del capitolo medesimo, uv’è detto che il legislator fiorentino volle che il popolo « fusse arbitro d’ eleggere i magi- strati e di confermar le provvisioni vinte ne’ luoghi più stretti, le quali senza le confermazioni di quel popolo fussono di nessun valore. » Il Giannotti, s°io intendo bene il suo pensiero , vor- rebbe all’ incontro che, eccetto il caso dell’introduzione di nuove leggi, si terminassero ne’ luoghi stretti le cose che 1’ anonimo vuol terminate nel consiglio grande ; con che se si mostri più prudente o più consentaneo che l’ altro a’ principii stabiliti, ne lascio a voi il giudizio. Quanto al senato (detto anche ne? passati governi il con- siglio degli Ottanta o de’ Richiesti ) 1’ anonimo gli concede pres- s'a poco l’ istess’ autorità che il Giannotti, dal quale appena discorda sopra alcuni particolari dell’ elezione , come potrete av- vedervi dagli ultimi periodi del cap. 15. « Conchiudiamo adunque così, la elezione (de’ senatori ) per sei mesi esser migliore che quella a vita, con la pudestà , dico , dell’ esser raffermi. E quanto al numero d’essi mi piacerebbe osservar gl’antichi costumi; e ancor nei nomi e nei numeri, perchè il mantenimento dell’antiche usanze si concilia grazia. Darei tal dignità all’ età di 4o anni almeno , e dividerei medesimamente l’ elezione per quartieri. Lo> derei per ben fatto di mettervi in ogni elezione r2 di minor età che anni 4o , cioè da anni 3o a quel numero; facendone sempre 3 per quartiere, di maniera che tutto il numero con loro arrivassi a 80. E ciò sarebbe ben fatto per diversi rispetti, uno per av- vezzar le gioventù ai consigli delle cose pubbliche , acciochè in età più matura e’ fossero maggiormente prudenti , e l’ altro per generar amore della patria nei cuori giovenili ed emulazione vir- tuosa all’imprese generose. ») Avrei potuto recarvi tutto il passo, ov’ egli dice le ragioni per cui non gli pare che i senatori debban essere a vita; ma com’ esse o le principali fra esse tornano in campo nel capitolo 17 (ove come nel 16 parla del principe civile) ho ereduto di poter qui senza molta diminuzione del vostro piacere servir alla bre- vità. Il Giannotti, ben lo sapete , vuol il principe a vita, e non si accontenta, come fa proponendo che i senatori sieno per un an- no, d’allegar l’esempio de’Veneziani. Ad alcune delle ragioni ch’ei mette innanzi, o fossero facili ad indovinarsi , o fossero in quel tempo ripetute da molti, par quasi che l’anonimo siasi proposto di rispondere. 103 ‘ « In favor dell’elezione a vita si potrebbe dire che 1’ nomo buono , stando perpetuamente alla cura della repubblica , potesse più giovarle ; conciosiachè , esercitandosi più , divenisse ognor più prudente. Ma e’ si potrebbe dir all’ incontro che la vecchiaia, che conseguita al tempo lungo , gli facesse ancora invecchiar il senno, e che la dignità perpetua lo facesse diventar insolente e di buono cangiarlo in cattivo , essendo chiar» che le prosperità di fortuna sono per tal conto pericolose. Ma più oltre, quando un tal rischio non si corresse, guardiamo se in ogni soggetto ( intendi stato ) fusse bene eleggere questo principe a vita. E potrebbesi dire ch’e°non fusse bene, per non piacere a tutti una medesima cosa , essendo gli appetiti umani diversi nell’elezione de’piaceri, e però a tutti gli stati non convenirsi il principe a vita. E sebbene si potesse allegare contra l’antica Sparta; che faceva i re perpetui, e Venezia moderna , ch’ elegge i dogi, e che con tal modo profitta , si potria ancor rispondere che Roma faceva i consoli per un’ anno, e che 1’ accrebbe 1’ imperio più di Sparta e che non. farà mai Venezia. Senza che in esse repubbliche non si vede esser schivati i pericoli che occorrono dove si fanno i principi a vita , sì come in Sparta si dice di Pausania che tentò di farsi principe assoluto ; ed in Venezia anticamente si sono sollevati molti tumulti per cagione di essi dogi, che han cerco di farsi maggiori, sì come per le storie loro apparisce. Da quai tumulti se da gran tempo in qua si son liberati , sappinne grado principalmente a quel sito ( quest’ idea corrisponde, se ben mi ricordo, ad altre del Machiavello nel libro primo de’ Discorsi ) che fa che gli eserciti forestieri e i malcontenti di dentro non possono mutarvi lo stato, e a qualche buon ordine escogitato da loro ec, ( « E per venire al particolar di Firenze , io non vi approverei mai per buona l’ elezione di tal principe a vita. In prima per la natura degl’ingegni fiorentini, inquieti e perciò vaghi di mu- tamenti, e per esservi i grandi ambiziosi e per ciò insupportanti delli perpetui onori altrui; ed oltra di questo per la tirannia sop- portata , che molti cittadini ha fatto sospetti, ed a molti ha in- segnato il modo di farsi cattivi. Senza che gli stessi esempi del gonfaloniere fattovi a vita confermano questo ch’ io dico; chè non per altra cagione fu di quel luogo rimosso (il Giannotti nel lib. 2 non dice per unica ma certo per una delle principali ra- | gioni) che per esservi stato fatto perpetuo. Nè questo esempio | solamente cel mostra, ma molto più il secondo di Niccolò Cap- poni, che non a-vita ma per un anno fu fatto e con permis- _——_re—t’e——em———————EEEERRCOECO.m.d.''ERAOC.tedkétteenonzen nei) nen e e a _———————— —_—— —— 104 sione di poter esser raffermo ; perch’ e’ si vide tal ordine della rafferma aver generatogli tanta invidia appresso i cittadini gran- di, che alla fine con rovina della patrià nostra e con gran ‘suo pericolo si disfogò. Per il che si può conchiudere tal dignità es- ser alla città nostra dannosa ec. » Non volendo peraltro mutazione ad ogni due mesi, come con poco onore e molto pericolo si usò dal 1494 al 1502; ve- dendo la città , per l’ ultima guerra di Clemente e poi per l’ul - tima tirannide, venuta in tanta miseria, che a ristorarla bisogna tempo non breve; ben conoscendo che alle imprese ardue di rado si mette chi non ha speranza di poterle ei medesimo condur a termine , propone che il gonfaloniere si faccia a principio per 3 anni , finchè possa farsi per uno e senza rafferma. Anche circa l’ autorità che gli debb’ essere concessa ( cap. 18 ) ei differisce un poco dal Giannotti, che, dopo avere nel li- bro secondo chiamata esorbitante 1’ antica , non le impone nel terzo alcun limite particolare, affidandosi che si troverà abba- stanza ristretta dai limiti imposti agli altri magistrati. « Quanto all’autorità da darsi a tal principe ( ecco ciò che ne pensa l’ano- nimo ) mi determinerei a tutta quella che fu. già data a Piero Soderini e poi a Niccolò Capponi, eccettochè io non vorrei che tal priucipe potesse proporre una provvisione in consiglio grande se prima ella non fusse stata vinta in senato, né in senato se prima non fusse stata approvata nelle pratiche più strette (i con- sigli segreti di cui parla nel cap. 22 ) almeno dalla metà di loro. E qui mi basti l’ esempio di Pier Soderini ne’ casi di Pisa, nel 5, che non potendo nel senato ottenere di far tale impresa , la pro- pose nel consigiio grande ed ottennela; perch’ e’ si vide che tal cosa di poi tolse.\la reputazione ed a lui ed al popolo, e dettela a quei cittadini che forse avevan caro di rimettere i Medici in Firenze. Ma più oltre, un tale esempio in una repubblica non sarebbe egli atto a rovinarla ogni volta che al principe ve- nisse bene? Che se ben Piero l’ usò (intendi l’ autorità sua) con buon: animo e in favor della patria, un altro che fusse maligno e volesse farsene principe assoluto , qual più destro modo po- trebbe usare, che avendo facultà di proporre quel ch” e° volesse a un popolo , mettergli innanzi tutte quelle cose ond’ e’ pensasse farselo amico senz’aver rispetto al dovere ec. ec.? Quanto ai modi del suo consiglio; vorrei ch’ ei si consigliasse con li dieci e con le pratiche fatte nel consiglio (grande) di. che di sotto dirassi. Proibirei che tali pratiche si potessin mai allargare nei. collegi o in altri magistrati che non fussino fatti con i più favori ; e que- 105 sto dico io per aver veduto tai modi tenuti in opposito nello stato dal 1527 al 1530 aver rovinato Firenze, i quali per esser notis- simi e chiari non andrò raccontando‘al presente. E per mantenere tal usanza metterei io pena di stato a chiunque di tal materia proponesse altramente , o fusse questi il principe , o cittadino di magistrato , o privato. E perch’ e’ potrebbe accadere che il prin- cipe contrafacesse a questi ordini, e che di buono diventasse cattivo , in tal caso, per gastigarlo, userei li modi civili ec. ec. 59 E qui parla non brevemente del modo d’ accusare il prin- cipe ( passo che non ha riscontro nel Giannotti, e supplisce in parte al cap. 27 ; di cui nel manoscritto del trattato non abbia- mo che il titolo: dell’ accuse de’ magistrati) e poi di quello di supplirgli, quando egli o per accusa datagli o per infermità non possa esercitare il suo uficio. Indi viene all’ autorità straordina- ria, di cui talvolta può esser d’uopo investirlo, e a qualch’altra facoltà che potrebb’ essere aggiunta alle sue ordinarie. « Prov- vederei ancora che detto principe in certi casi avesse autorità quanto tutta la repubblica in compagnia di due dei dieci, che furono eletti dal senato con i più favori, per durar tutto il tem- po che piacesse al senato, e tal dichiarazione dovesse fare il se- nato e prima la pratica, cioè quando e?’ fusse tempo da dare quest’ autorità dittatoria , la quale è di necessità che sia in ogni bene ordinata repubblica. Darei ancora autorità al principe, che nei suoi consigli potesse chiamar sempre due cittadini che non fussero delle pratiche, e tale usanza per li chiamati fusse ono- revole , nè al principe nè a loro invidiosa, essendo per legge. E di ciò si potrebbono addurre tali ragioni, perchè il consiglio al- cuna volta lasciando indietro ; o per difetto delle nominazioni o | per altra cagione, i buoni cervelli, la repubblica non venisse a > de patirne; ed ancora perchè i cittadini grandi lasciati indietro avessin modo d’ intervenire alle pratiche senza danno della re- pubblica. » La conchiusione del capitolo riguarda la sicurezza del prin- cipe ed è questa. “ Per la conservazione di detto principe vor- rei si tenesse al palazzo la guardia nel modo che di sotto diras- si , la qual guardia fusse tale non di manco che il principe non potesse più di tutto il popolo , ma ben di tal misura ch’ e? po- tesse più di uno o di due o di pochi , che assaltar lo volessero, acciò ch’ e’ non fusse in arbitrio d’ ogni sedizioso ammazzarlo o in altro modo cacciarlo con rovina della repubblica, sì come nel 1512 ‘avvenne di Antonfrancesco degl’ Albizzi contra Pier Sode- . T. XXXIV. Maggio. 14 106 rini, e nel 1529 di quei giovani, che si chiamavano allora vol- garmente la setta delli Arrabbiati, contra Niccolò Capponi, che allora era principe. E quando pure tai casi occorressino , vorrei che sempre e per tutti i tempi avvenire fusse lecito ad ogni cit- tadino e privato accusar chi ciò fatto avesse in consiglio grande, e che di lui se ne dovesse pigliare quel supplicio che meritano i cittadini sediziosi. ,, Nel capitolo seguente ei tratta de’ consiglieri del principe, i quali corrispondono in qualche modo a’priori o procuratori del Giannotti , cioè a quel suo collegio o quarto membro della re- pubblica , destinato a sodisfare il desiderio di grandezza , ch° è sempre , egli dice, ne’ più savi e valenti, come il senato sodi sfà al desiderio d’ onore, e il gran consiglio a quello di libertà. Anche i consiglieri sono dall’ autore fatti partecipi del principa- to, e sostituiti alla signoria, ch’ ei rigetta per ragioni non dis- simili da quelle del Giannotti, e ch’ io qui recherò per disteso con poche altre parole sui limiti in cui debb’ essere contenuto il potere del nuovo magistrato. « E qui potrebbe dir alcuno perchè io non volessi mante- nere l’antica usanza della signoria, e massime creandone un al- tro (magistrato) a lei tutto simile in fuor che in pochi casi, che medesimamente si sariano alla signoria proibiti ? A che si rispon- de : per due conti; uno per fuggire la inconvenienza , l’ altro i disordini. Inconvenienza sarebbe a far un magistrato col nome signorile , coll’ abito e con la residenza , e di poi renderlo inu- tile ai casi dello stato. Chè quiinterverrebbe non altrimenti che nel guardar un bell’ uomo riccamente vestito , il qual poi non sapesse parlare nè muoversi, ed in tutti i suoi gesti ed atti fusse inconcinno. Ma ben di questa inconvenienza sarien peggiori i disordini , quando al nome di signoria vi si aggiugnesse e la virtù e la forza; il che non con altri esempi vo’ dimostrare che con li stessi nostri dal 1494 al 1502 quando e’ si creava il gon- faloniere per due mesi. Chè in quel modo di vivere accadde so- vente che la signoria volle far 1’ ufizio de’ dieci , anzi parendole esser di più cervello ch’ ella non era (e ciò per li eventi fu ma- nifesto) proibì per certo spazio di tempo la creazione del magi- strato detto. Dal cui ordine nacque che le faccende importanti furono governate popolarmente e senza consiglio, e per la de- bolezza di tal magistrato, e per la! brevità del tempo di quei due mesi, che una signoria non poteva finir mai impresa comin- ciata. Per ciò seguirono di dentro molte sette civili ed il caso iniquo del frate ; e di fuori la perdita d’Arezzo e l’esser venuto 107 in cattivo concetto d’ ognuno ; di sorte ch’ e’ si sarebbe perduta la libertà assolutamente e forse il dominio s’ e’ non si creava il gonfaloniere a vita, e non si fussino proibiti alla signoria i ma- neggi dello stato. ,, « Dal 1527 al 1530, discorrendo più oltre , la signoria volle entrar nelle pratiche e fu consentito per manco male. Interven- ne in quello stato per tal ordine usato , che le cose segrete si sparsono pel popolo, e che ciascuno ebbe materia alle pancacce di cicalare. Di qui seguì una gran prosunzione ne’ cittadini po- polari, ed una gran diffidenza del principe col popolo, i quali due mali furono la rovina di quello stato. Ma più oltre , i tu- multi civili fatti in Firenze e le mutazioni degli stati non sono tutti seguiti con questo mezzo? E cominciandosi innanzi al 1494, chi confinava i cittadini potenti , chi toglieva loro la vita se non i parlamenti fatti dalla signoria ad arbitrio sempre. di. pochi ? Chi diè lo stato in mano al duca d’ Atene; chi lo diede a’Ciom- pi ? Chi confinò nel 1433 Cosimo de’ Medici , e chi nel 1434 il fe’ principe se non il medesimo magistrato , che poi nel 1458 gli ‘accrebbe maggior autorità ? E chi nel 1513 fe’ signori i Medici ; chi nel 1529 sbalzò Niccolò Capponi se non questo magistrato , composto d’ nomini deboli, e che sempre in guisa di palèo è stato ora in questa ed ora in quell’ altra parte rivolto da citta- dini scandalosi, i quali con difficultà maggiore. arebbono con- dotto le lor disonestissime imprese , se non fusse stata l’occa- sione di questo magistrato pernizioso e disutile? Ma tai disor- dini, dirà unu ; come si potranno schivare nel magistrato de’con- siglieri, avendo tal magistrato la medesima autorità che la si- gnoria ? Schiverannosi ; dico, in questo modo e con non dargli autorità grande se non nei casi civili, ove sia di bisogno asset- tar la giustizia , e con proibire a tal magistrato nell’ autorità delle sei fare tre cose: una lo esilio e la morte de’ cittadini , l’altra i parlamenti , la terza il poter intervenire ai segreti dello stato, ne’quai tre casi vorrei che tale autorità gli fusse in tutto vana ec. ,, Il rispetto , ch'egli qui mostra per la vita e la libertà indi- viduale- de’ cittadini, si manifesta vie più nel cap..25 ove parla del magistrato degli otto “ che sopra tutti gli altri è necessario per doversegli dare la balia nell’ esecuzione della giustizia , senza il cui mantenimento non si può vivere non che ben vi- vere. ,, Collocando però sì alto un tal magistrato (assai più alto del Giannotti, che ne pacla appena per incidenza, mentre con- sacra interi capitoli ad altri magistrati minori) circoscrive però 108 1’ azion sua fra limiti assai ristretti. Poichè pare a lui che col dare a pochi molta autorità si venga a incorrere in un grande inconveniente prodotto da due cagioni “ dalla cattività degli uo- mini che non voglion far la giustizia, e dalla paura di lor me- desimi che li impedisce di eseguirla ,, il che accade, egli dice , ogni volta che hanno a maneggiare cittadini potenti . Quindi per le cause più gravi, come quelle per delitti contro lo stato, nelle quali appunto ciò avviene, ei propone una quarantia ; . qual si vide in Firenze dal 1527 al 1530. Ma perchè, egli di- ce , potrebb’ essere che le querele fussino poste per odio parti- colare , per ciò riserberei io agli otto 1’ autorità di potere 0 non potere mandar tali querele in quarantia in questo modo, che tre de- gli otto dovessino esser d° accordo, e tal consenso bastasse a man> darvele e senza tal consenso non vi dovessino ire. Chè , quan- do tal consenso non vi fusse , sarebbe segno che la querela fusse tanto disconveniente , ch’ ella non meritasse d’andar in tal giu- dizio, a cui saria bene mantener la riputazione ec. »» E per mantenergliela ei propone fra l’ altre cose , occorrendo che una querela , dopo esser stata messa tre volte , fosse trovata ingiu- sta “ non se ne potesse far considerazione dal magistrato pre- sente 0 succedente per aleun tempo. , Che se la querela si ac-, cetti, ei vuole in pro dell’accusato tutto quello che già si usava in Firenze « cioè ch’ ei potesse in sua difesa parlare e per pro- curatore difendersi ed esser udito tre volte e in tre giorni dit- ferenziati ec. ,, Ciò non vale sicuramente le grandi vedute del Giannotti + che propone le due quarantie, una civile ed una criminale, come tribunali supremi d° appello all’ uso veneziano. Pur nostra come anche 1° anonimo pensava ad assicurare la civil libertà , che i pubblicisti moderni dicono a ragione essersi in tutte le antiche repubbliche sagrificata alla politica. a Degli ultimi capitoli (sei in tutto) riguardanti la milizia e componenti un quarto libro, che corrisponde esattamente al quar- to della Repubblica del Giannotti, non vi dirò nulla, poichè non ne trovo scritto che uno solo e breve intorno a’ commissa- ri, che l’antore vuol cittadini e non forestieri “ poichè i capi forestieri o e’ non voglion vincere per esser dall’inimico corrotti o per invidia alla gloria tua, sì come di Paulo Vitelli si disse 4 o vincendo essi, tu sei poi costretto a stare a lor discrezione co- me intervenne a’ Milanesi di Farncesco Sforza ec.,, Da queste parole potete argomentare com’ egli desideri una milizia nazio- nale (e il titolo infatti del primo capitolo del libro di cui sì parla, 28 di tutto il trattato , è questo: /a milizia apparte- {PI 109 nersi alla repubblica ) nè pensi diversamente dal Giannotti ; il quale, cominciando il quarto suo libro, dice di pensare in que- sto particolare come il suo antecessore nel segretariato della repubblica il Machiavelli. Uscito dal confronto col Giannotti, era naturale ch° io pen- sassi a qual altro degli scrittori più conosciuti potea per sorte appartenere il trattato manoscritto, di cui sa il cielo se si con- servi l’ autografo , e se questo sia più completo della copia del codice. Un amico; a cui ne parlai, guarda, mi disse, che non sia cosa del Benivieni, gran devoto del. Savonarola, e vissuto ancor a lungo, dopo averlo difeso in quell’ epistola che scrisse a papa Clemente sul riordinamento dello stato di Firenze, con- fidatosi , come dice il Varchi (nell’ undecimo delle Storie) o nella propria bontà o nella molta vecchiezza , ec. La curiosità piut= tosto che la speranza di scoprir nulla che facesse al mio uopo mi ha condotto a leggere quell’ epistola, di cui abbiamo nella Riccardiana .l’ originale e un’ assai bella copia, nella cui prefa- zione è detto che l’ epistola fu tenuta nascosta 20 anni; onde s'intende come il Nardi non la vide che a stento e assai tardi; per ciò che scrive nel secondo delle sue Storie. Leggendola vi ho trovato ciò che il Nardi medesimo e il Varchi ne accennano ne’ li- bri citati; e ciò basta perchè l’ autor del trattato (ove pur non si ponga nel numero de’ fuorusciti ) non possa confondersi col Benivieni. Ma vediamo, ho detto, se per sorte quest’autore non fosse il Nardi, il quale nelle sue Storie, seritte in vecchiaia e con visibile studio d’imparzialità e di calma, può sembrar freddo; ma il cui ca- lore apparisce ablastanza in que’suoi discorsi scritti in Venezia, l’uno contro i calunniatori del popolo fiorentino, l’altro per infor- mazione delle novità seguite in Firenze dal 1494 al 1534, mano- scritti essi pure nella Riccardiana coll’ orazione detta in Napoli a Carlo V. Il dir egli però nel primo delle Storie che il Savo- narola, nelle sue prediche sulla riforma del governo, proponeva quasi per un esempio alla considerazione degli uditori la forma del governo e del consiglio grande di Venezia; e 1’ aggiugnere ch’ ei fa nel secondo, che il gran consiglio fiorentino fu ordinato in gran parte secondo i modi del consiglio veneziano , de’ quali era stato principal ricordatore Paolantonio Soderini, mi ha tosto obbligato a rivolgermi altrove. Quindi vagando di scrittore in scrittore mi son fermato un istante in Bartolommeo Cavalcanti, in grazia di quella sua let- tera sulla Repubblica di Siena al cardinal di Prato che n’ era 110 governatore ; e a riordinarla cercava i lumi de’ sapienti; come parmi che attesti 1° Adriani, e può argomentarsi anche dal di- scorso indirizzatogli dal Giannotti. Ma , eccetto alcune genera- lità derivate dal comun fonte aristotelico, non ho trovato ‘in tal lettera altra relazione d’.idee col trattato; da cui. d’ altronde differisce affatto per lo stile. Un passo del Segni nel primo delle sue Storie; ove parla incidentemente delle mutazioni avvenute in Firenze dal i215 al 1434 , riferendosi pel di più alla storia del Nerlî, corrisponde per tanti riguardi ad un passo dell’ ultimo paragrafo della prima lunga citazione da me fatta in questa lettera, che ne ho preso gran speranza di trovare nelle Storie suddette altre corrisponden- ze. Ma, tranne alcune idee s comuni a quasi tutti gli scrittori’ politici dell’ istess’ epoca, non mi si è presentato di corrispon- dente che una frase intorno all’ estinzione della'stirpe medicea, di che si parla nel libro ottavo in proposito dell’elezione del duca Cosimo. Ed anche (per tacer qui dello stile) potrebbe dirsi che, se il trattato fosse del Segni, vi si troverebbe vestigio del suo grande affetto per Niccolò Capponi suo zio, a cui giustificazione principalmente par che scrivesse lé sue Storie , come a’ tempi nostri la figlia d’ un celebre ministro scrisse, a difesa particolar- mente della memoria paterna ; quella virile sua opera sulla fran- cese rivoluzione. Or vedete voi se tra que’fuorusciti, che andarono a Napoli col Nardi, e di cui parla il Varchi diffusamente nel libro 14, oppure fra que’principali cittadini , di cui dice il Segni nel quin- to, che misero ad istanza di Clemente il lor parere in iscritto sulla forma da darsi al nuovo governo , vi sia alcuno, a cui con qualche verosimiglianza possa attribuirsi il trattato. Se 1’ autore di questo desse qualche indizio d’aver avuto parentela con Leone e Clemente o d’ averne ricevuto favori, vedendolo (come in un luogo che non ho citato) sostenitore assai vivo di certe distinzioni de’ grandi , crederei quasi che fosse quel Iacopo Salviati che , malgrado la parentela , i favori, 1’ amore delle distinzioni, ec. « non ispiccò mai l’animo dal viver civile , come quello che avvezzo nel fiore della gioventù nella repubblica vi fu molto onorato , e come affezionatissimo in quei tempi a fra Girolamo Savonarola, grande autore di quel modo di vivere, riteneva ancora questi concetti. » Se il tempo non mi fosse mancato , avrei voluto fare altre ricerche in proposito ; come avrei voluto farne per discoprir l’an= tore di due frammenti; che nel codice succedono immediatamente III al trattato , e son l’ esordio della vita d’ uno degli uomini illu- stri della famiglia Guadagni. Il primo frammento è un elogio di Firenze , al quale bisognerebbero , giusta il concetto dell’ autore, molti Svetonii e molti Plutarchi ; l’altro è una notizia delle ori- gini della famiglia già detta, a cui hanno, consecrata la penna molti scrittori. Ambidue questi frammenti (i quali sembrano au- tografi ) sono scritti in uno stile che si accosta molto a quello dell’Ammirato. Ma nè la prima parte delle sue Famiglie illustri fiorentine , la quale è stampata , nè l'altre che sono inedite nella Magliabechiana mi autorizzano ad attribuirglieli, giacchè in nes- suna di esse si parla de’'Guadagni se non incidentemente. Io non so se potessi attribuirli con qualche verosimiglianza al Rondinelli, che ha scritte alcune memorie sulla famiglia Guadagni, annoverate già dal Morelli fra i colici della Naniana di Venezia, ed ora probabilmente nella Marciana. Ma a chiunque essi appartengano, mi fa grandissima dif- ficoltà ciò che l’ autore nel primo di essi dice del suo eroe (del GC. G. forse Cav. Guadagni) che « sebben nacque fuor d’Italia , tuttavia l’ origine sua da nobilissima famiglia fiorentina traendo, che non molto tempo innanzi di qua partitasi (ciò avvenne nel 1530) se ne andò in Francia , non si deve riputar meno che se in Firenze nato fosse , tanto più che in servigio de’ granduchi di Toscana gli ultimi anni della sua vita consumò. » Quest’eroe, la cui famiglia passò in Francia non molto tempo innanzi, non può essere che quel Guglielmo, che prese parte a quasi tutte le più famose azioni di guerra a’suoi giorni operate; e in tal persua- sione mi conferma una frase dell’ autore, il. qual dice che non proponsi di mettere in carta se non alcuni de’ tanti egregi suoi fatti. Or nessuno degli scrittori, ch’ io conosco (nè il Monaldi inedito nella Magliabechiana , nè il Gamurrini, nè il Mecatti, nè il Tristano, autore della Toscana Francese ) dicon parola de’servigi da lui prestati a questi granduchi; e la vita, di cui ho dinanzi l’ esordio che li accenna, sarebbe forse la prima , se si trovasse, a renderne testimonianza. i Dopo quest’ esordio si torna nel codice ai frammenti del Varchi, ai quali tornerò io. pure con altra lettera, quando sotto il canicolar fervido raggio — all’ ombra scriverò d’ un pin d’un faggio. M. 112 Inni di Giuseppe Borghi. — Firenze. Passigli, Borghi, e C. 1829. Per raccomandare quest’ Inni ad ogni lettore di gusto, basta annunziarli com’ opera del traduttore di Pindaro. Per farne l’elogio, basterà citarne alcun tratto. Il primo Inno, alla Fede, dopo invocatala con que- sti versi, che son forse di tutto l’inno i più belli, Di reconditi misteri Servatrice pudibonda, . Notte al ciglio degli alteri, Luce agli umili gioconda , Ragion ferma in nostra scuola Entra con questa lirica interrogazione , nella più intima parte del tema. Qual potea fuggir menzogna Senza te dell’ uom 1° orgoglio ? Al misfatto e alla vergogna Surser tempi in Campidoglio. Poetico sommamente ci parve , il ritorno che fa l’in- no all’ idea della redenzione , dopo percorsine gli ultimi effetti : Venne il Messo della vita, E alla Vergine romita Sposo fu 1° eterno Amor. E già quasi sempre lirico noi troviamo l’ andamento di quest’Inni; sovente anco fecondo il concetto, e l’espres- sione forte d’ idee. Ne sien prova i due primi versi del second’ inno alla Speranza , in cui rivolgendosi alla vita, Ja chiama: D' affanni , di miserie, Di pentimenti ordita. Questo principio ci parve dedotto da un intima osserva- zione del tema, e però veramente poetico, e d’ una poe- sia nuova , sul fare degl’ Inni Manzoniani: la Pentecoste, e il nome di Maria: giacchè, siccome il cominciare le lodi di quel nome dalla commemorazione del viaggio che fa la sposa d’un fabbro Nazzareno, e il canto del Paraclito dalla 113 umiltà della chiesa nascente, è un’ armonia di concetto lirico di nuova bellezza ; così nell’inno della Speranza questo rivolgersi alle infelicità della vita, ha un non so che di retto e di vero che arresta l’ attenzione; e più piace quando continuando vi si trova accanto , seconda fonte di speranza, l’idea della morte ; espressa poeticamen- te così: ‘ Oggi di mille popoli — Sugli obliati avelli — Pas- seggia un’altro popolo — Sarà diman con quelli. ,, — Sulla quale idea della morte insiste ancora il Poeta, rignardandola da un lato più vasto e più nuovo. — ‘‘ Qual cor, qual oc- chio penetra — Gli arcani della tomba ? — Chi nelle vote larve — Ravvisa l’uom che sparve? — O come si separa- no — La colpa e la viriù? Quindi risale alla fonte suprema della speranza ; dal cui obblio venne agli uomini quell’ errore che spera nel- le proprie illusioni e quell’ indifferenza ch’ è il velo del- la disperazione: e toccando della aspettazione dell’ unico liberatore — ‘ Già di più lieta sorte — Di trionfata mor- te — Di pace ragionavasi — Di vittima e d’altar. ,, — Poi ‘discende ai tempi della redenzione compiuta, e abbando- nando il tuono meditativo ed il descrittivo che in que- st'inni s'alternano, prende quel dell’ affetto, ch’ è forse il più proprio dell’ Inno, per dire: — “ Leviam , fratelli , ai monti — Le sonnacchiose fronti — Presso è quel dì che termina — Che adempie ogni desir. ,, Egli è un pensiero familiarissimo alla religione , e che dona al presente inno la principale bellezza, questo della speranza ch’emerge da’mali, che vieta il suicidio e i delitti, che concilia tutti gli uomini nella onnipotente eguaglianza d’un destino comune : Ma là tra le purpuree Coltri o sull’ umil paglia , Quando il. fedel preparasi All’ ultima battaglia , Gli vien la speme accanto , ec. Ma la speranza sarebbe, stoltezza ed audacia, non vir- tù, se sopra la virtù fondata non fosse. Quindi, all’intimo T. XXXIV. Maggio 15 114 dell'argomento appartiene l’enumerazione che soggiunge il poeta: — « E le son vanto i fervidi — Voti, e i rigori occulti, — E la soccorsa inopia ,—E i perdonati insulti, ec. ,, — Onde acquista nuovo risalto, e diventa doppiamente poe- tica l’aspirazione che segue: Quando vedrem l’ unanime Gerusalem celeste ? Quando di-coro in coro Sulle bell’ arpe d’ oro Intuonerem la splendida Canzon di libertà ? Che , se il sesto verso rammenta un po’ la poesia tutta estrinseca dalla prima metà del secolo decimottavo , questa leggerissima disarmonia è ben compensata dalla elevazione tutta Biblica del volo seguente: — Spera, Israele, oh spera ! — Gran cose si narrarono — Della regal città. ,, Alla Carità è I inno terzo: Della tua santa immagine Non ricreati al raggio , Gome 1’ un l’ altro estermina L° indomito selvaggio , Tal ne vedea ribelli Fratelli da fratelli Un secolo crudel. Degno della poesia ci parve il paragone notato tra i popoli inciviliti e i selvaggi, giacchè lo stato permanente di guerra è stato di barbarie o consumata o vicina. Degno della poesia, quel nuovo senso dato alla parola ribelle , giacchè vera ribellione ivi è soltanto dove non v’ abbia un diritto da difendere o da vendicare. Insiste il Poeta nel pensiero de’ tempi, in cui l’amore degli uomini era tenuto cosa indipendente dall’ amore an- cora incognito , della divinità ; e viene al tempo in cui fatto Iddio placabile Pel sanguinoso eccesso, manda in terra lo spirito della Carità : Per lei si stese all’ emulo Dell’ emulo la destra. Diè lor 1’ istessa speme, Ad una mensa insieme Presso un altar gli unì. Le 115 Narra quindi gli effetti, quali sono e quali esser do- vrebbono, della carità ; nel salvare il pudore del povero , nell’ illuminare le tenebre dell’ ignaro , nel consolare l’af- flitto, nello spegner le invidie. Scende la Carità nell’ Ospizio de’ carcerati per confor- tarli ; Versando la parola Che calma, che consola Se risanar non può. Da questa idea alla seguente, era ben vicino il passag- gio: — “ Oh al ciel diletta e agli nomini — La terra gene- rosa — Che cittadini a civiche — Stragi educar non osa — Che rimandar detesta — Un’ alma ancor non chiesta — A Lui che la creò. ,, — Questi versi richiameranno alla mente di molti l’ argomento singolarissimo del sig. de Bon- nald, e serviranno a ribatterlo. Non potea tacere il poeta, come sieno inimiche alla vera Carità le persecuzioni in nome della religione pro- mosse: e così poeticamente le parla : Tu là fra’l solitario Vestibolo e 1° altare Dall’ arbitro de’ corì Pel cieco gregge implori Del creder la virtù. Degna de’ versi citati ci parve l’ enumerazione seguente : — “ Non superbisce ai prosperi, — Ai giorni rei non pave: — L’altrui fallire occulta, — Non danna, non insulta, — Non cerca il suo piacer. — Ov’ uomo la sollecita — Va, nè lo guarda in faccia : — Gode se può nascondere — Del suo venir la traccia — È Dio la sua mercede — ec. Ma l’Inno sarebbe incompiuto , se alla ragione non si venisse della carità ; a quel consorzio dell’anima col suo Creatore, che non può parere ridicolo se non a chi nega )’ esistenza di Dio. Di questo consorzio canta il Poeta, con la nota frase» ‘° Forte — Come il suggel di morte — È quel di carità. ,, — E conchiude con questi versi che a noi paiono veramente invidiabili : 116 Gon lei tutto è dovizia , Tutto senz’ essa è poco. Misero chi non ama : Se la grand’ ora il chiama Mai più non amerà ! ‘ L’autore di questi versi non ha certamente bisogno nè delle nostre lodi nè de’ nostri consigli. Se però fosse lecita una preghiera, noi vorremmo, a lui che mostra saper così bene accoppiare la dignità con la familiarità e la fran- chezza del linguaggio poetico , vorremmo, dico, raccoman- dare quel genere di poesia che dalla meditazione attingendo sole la varietà e la pienezza , attinge dall’ affetto la po- polarità e 1° evidenza. O voglia il nostro poeta trattare materie religiose, o morali, o voglia destinare il suo verso a consacrare quei momenti solenni della vita domestica e della civile, ne’ quali ogni uomo si sente fremere dentro la corda della poesia , parli egli, noi nel preghiamo , parli sempre al maggior numero possibile d’ uomini, parli loro l’ universale linguaggio , il linguaggio del cuore; sacrifichi a questo fine nobilissimo di civiltà (io non gli parlo di gloria) qualche concettuccio ingegnoso, qualche pensier sot- tile, qualche immagine simbolica , qualche frase illustre e splendida ; egli che di questi pregi posticci non ha bi- sogno per apparire poeta, egli a cui dev’ essere intolera- bile ricercare l’aspetto vero dell’arte, laddove non n'è che l’ombra o la maschera, E già quest’ inni ci paiono, quanto a stile, un bel passo fatto verso questa preziosa evidenza : resta ancora da ottenersi (e non è il men dif- ficile ) 1’ universalità dell’ affetto , e quella semplicità so. vrana di pensiero e di tuono, ch'è stata sempre l’insegna della originalità, e lo stromento della potenza poetica. Una parola de’ metri. E’ sono i Manzoniani; tranne una varietà nell’inno secondo, dove lo sdrucciolo è pre- posto al tronco, invece di intuonar la quartina, e prece- dere i due piani rimati. Questa osservazione ci richiama all’animo il sentimento d’una bellezza da noi notata nei metri lirici del Manzoni, bellezza della quale il poeta me- desimo forse non sarà , come avviene nelle opere de'suoi pari , conscio a sè stesso. S'osservi come in parecchi dei 117 metri del Manzoni la prima parte della strofa ha sempre le rime alternate ; la seconda ha i due versi rimati sem- pre 1)’ uno all’ altro vicini, e seguiti dal tronco. Quest’or- dine de’ versi dona all’armonia dapprincipio una gravità , una quiete, che alletta l’ orecchio e quasi arresta l’atten- zione; quindi una vivacità, una energia , che affretta e quasi raddensa il pensiero , e concorre a riscaldare l’affet- to. Si osservi ne’ suoi Decasillabi: il primo verso rimato col terzo : il secondo col quinto ; i due seguenti insieme; e così preparano e rendon gradevole il riposo dell’ ultimo . Si osservi negli ottonarii e ne’settenarii: quattro versi con rime alterne, poi due rimati un con l’altro; poi’! tronco, S'osservi ne’settenari della Pentecoste e in que’ del Nata- le : due sdruccioli che s’alternano con due rimati ; quindi nel secondo due piani rimati, nell’altro uno sdrucciolo in- nanzi a’ due piani, per dare al metro più gravità e più riposo. Quest’ arte di cominciare dall’armonia men serrata, è nella natura della poesia e della musica : non v° è sin- fonia, non v'è pezzo musicale che non la confermi: ei me- tri più belli greci, latini, e italiani, le obbediscono. Vedete l’ Alcaico, un de’ più nobili metri lirici antichi: i due pri- mi versi più lunghie con cesura ; il terzo quasi ondeggiante e restio, ma più breve però : il quarto breve insieme e scorrevole. Osservate in Orazio ; i metri più animati son quelli, dove la prima parte è più grave, la seconda più viva e spedita:(t)in quelli all’incontro dove 11 primo verso è più breve del secondo (2), la monotonia è più sensibile, e la forza minore, Così fra’ metri italiani, il sonetto, che non senza una qualche ragione (oltre all’autorità del Pe- trarca), deve aver sì lungamente goduto de’primi \onori; il sonetto comincia da due quartine e finisce ne’ terzetti ; l’uttava dopo tre rime alternate ne ha due contigue ; la canzone istessa nella soverchia sua gravità tanto è più dolce (1) Solvitus acris hyems. — Laudabunt alii. Quis multa gracilis nel Lib. I. — Altera iam teritur. = nel Lib. V. (2) Lydia, dic per omnes. = Sic te Diva potens , nel I. / 118 quanto più nella fine le rime si ravvicinano (3): 1’Ode Saf- fica infine, un de’ più vivi ed agili metri, e de' più anti- chi e più classici, riposa sopra un piede tanto più angusto della sua intera struttura (4). Queste cose giova notare , acciocchè coloro che tacciano i metri Manzoniani di dislac- chi e di peggio, pensino che la loro grande efficacia, da ogni nomo che abbia orecchio sentita , è dovuta ap- punto alla loro conformità con la.ingenita disposizione del senso umano e con la natura de’ suoni. Che s’ altri intendesse esser poco italiani questi me- tri, perchè non se ne son veduti in Italia gli esempi, pensi che simil rimprovero si potea fare, e con più ‘apparenza di rettitudine, all'Alamanni , al Tolomei, al’ Chiabrera, (3) Se il settenario fosse verso indegno della lirica vera , io non veggo per- chè Dante, e Cino , e il Petrarca, avrebbero degnato di dargli luogo nelle gravi canzoni ; e il Petrarca, in più d’ una delle sue conchiudere una strofa alter- nata di settenarii ed endecasillabi , con due settenarii. Nella canzone p. e. Vel dolce tempo, ch’ è tutta endecasillabi , il Petrarca non trova sconveniente d’ inserire in mezzo a quella lirica gravità un settenario. Così nell’altra Spirto gentil. La canzone: Verdi panni sanguigni , e 1° altra Se 1 pensier che mi strugge , finiscono la prima con un settenario , la seconda con due. Il vero si è che il settenario è un de’ versi più nobili e più lirici che la poesia possa sce- gliere ; o sia perchè le sue poggiature lo possono far considerare , e come il prin- cipio e come la fine d’ un endecasillabo intero ; o sia perchè queste stesse pog- giature son così varie da Aare al numero una grande pieghevolezza ed efficacia; o sia infine perchè fra i: skitellare dell’ ottonario , e lo scorrere del decasillabo , il settenario conserva Dn mezzana agilità non disgiunta da gravità e da ener- gia. Che se la piccolezza del verso fa a taluni parere i metri di quello com- posti, metri anacreontici, costoro dimenticano che a questo modo diventerebbero men che anacreontici certi metri e certi versi di Pindaro stesso. (4) Si noti come il Manzoni nella sua Saffica ha prescelto al quinario il settenario ; e non senza ragione. L° Adonio latino composto d’ un dattilo e d’uno spondeo, armonizzava con la lunghezza de’versi anteriori, perchè il numero latino e greco ha in sè stesso un’energia che non può avere il ritmo italiano più po- vero di consonanti , e da altra legge sensibile non moderato che dal numero delle sillabe. Quindi la Saffica latina e greca è un metro agile insieme e digni- toso , .dove la Saffica italiana che posa sul quinario ha un non so che d°’ av- ventato e leggero, che non s’ affà ad'ogni genere d’ argomenti . E per avve- dersene basta paragonare quelle odi di Labindo che poggiano sul quinario , con quella del :Monti che ha il settenario alla fin d’ogni stanza. Il Manzoni pertanto in un tema, tutto dolcezza e riposo ; saviamente prescelse il settenario al quinario , come quello che rende 1° armonia più soave e tranquilla. tig al Parini; che certe innovazioni , specialmente de’ tre primi, si potrebber tacciare non pure di non conformi ma di contrarie affatto all’ indole della lingua; che l’uso dello sdrucciolo e del tronco , noi lo troviamo ne’ più antichi monumenti della nostra poesia, in Tragemi d’este focora , in quel da Todi, e in tant’ altri, senza dir della lirica latina ove lo sdrucciolo è sì frequente e nell’ Iambico e nell’ Ascelepiadeo e nell’ Alcaico ; che i canti popolari del quattrocento, composti da Feo Belcari , da Lorenzo de’Me- dici e da altri, portano e il settenario rimato al modo del Manzoni , e l’ottonario ancora, e il tronco alla fine; che il decasillabo è metro anch’ esso del trecento ; che il settenario a strofe composte di tre sdruccioli , due piani ed un tronco , è nel Parini e nel Monti, se non che que- ‘ sti, a cinque versi piccioli sogliono appiccicare un endeca- sillabo in fondo , che certamente nulla aggiunge alla bel- lezza del numero, e gli toglie la musicale eguaglianza (5). L° unico metro nel Manzoni ch’ abbia del Rossiniano ; se così può dirsi, è il Senario doppio del Coro dell’ Adelchi al terz” atto. Ma di Senarii nella nostra poesia ne avevamo anche troppi; e il Manzoni raddoppiandoli, fece quel ch’al- tri già operò sul Quinario, che raddoppiato venne a formare il così detto endecasillabo, eguale nel numero delle sil- labe, ma non nelle poggiature all’ antico. Dove , in luogo di biasimare l’innovazione, converrebbe piuttosto render lode al Manzoni che di quel versuccin sdrucciolevole e ciarliero , trasse col raddoppiarlo , un metro pien di forza e di vita. Giacchè, se si potesse assolutamente definire quali sieno i metri contrarii all’indole della lingua, quelli sopra tutti dovrebbero stimarsi tali, che con la loro piccolezza, la rendono esile , languida , e infantilmente loquace; come sarebbe il quinario puro, il quadernario alternato con (5) Di questa sorta di metro così parlava il Baretti con l’usata severità : «« quale è quell’ orecchia di ferro che non senta la martellata di que’ due en- »» decasillabi così tronchi ? Eppure i poveri poeti di Parma, di Piacenza, di »» Reggio , di Modena, di Bologna, e di qualch’ altra città di Lombardia, non 33 sentono alcun dolore di tali martellate. ,, 120 l’ottunario , l’ottonario e il decasillabo a .trofe brevi. Altro merito del Manzoni si è appunto l’ avere nobilitati certi metri con l’allungarne le strofe ; giacchè la pienezza del numero , oltre all’ offerire agiata sede al concetto, sostiene e quasi puntella ciascun di que’ versi, che, in periodo più breve, ciondolerebbero, se così posso dire, senza elas- ticità e senza nerbo. E già quella specie di lirica. con- templativa , e forte di pensiero , che il Manzoni prescelse, par che richiegga una certa ampiezza di periodo, quasi per dare adito a tutte le idee accessorie che affollandosi in- torno alla principale rendono la sua poesia sublime, e fanno dalla pienezza della espressione risaltare quell’affetto tranquillo , che il Manzoni deduce appunto dalla interezza e dalla universalità del pensiero. E così, tutte quasi le cen- sure che vengon dirette contro gl’ingegni sommi, o tornano loro in più bella lode, od almeno dimostrano che tutto nelle opere loro è governato da un sentimento sicuro, da una intenzione profonda, Che se il Manzoni non ha cre- duto opportuno di ritornare alla grave Canzone Petrar- chesca, io non so chi gliene possa far colpa, altri che coloro i quali della poesia vorrebbon fare un'arte ascosa a’profa- ni, e siccome non intelligibile, così nè anche cantabile a’più, che pur soli della bellezza poetica dovrebbero essere veri giudici e desiderabili lodatori, Non è già che noi crediamo , i metri del Manzoni, perchè belli e lirici, doversi da tutci i poeti imitare. L’i- mitazione del metro porta con sè, quasi involontaria l’ imitazione del tuono e dell’ andamento poetico : ond’ è che ogni nuova epoca dell’ italiana poesia, venne segna- lata dall’ introduzione di metri nuovi od in tutte od in parte. Egli è perciò che noi preghiamo il ch. Traduttore di Pindaro, di volere, colla facilità che gli è propria tentare qualche nuova struttura di poetiche melodie , fog- giate, se così gli piace, all’ antica, ma tali che portino evidenti in sè le vestigia d’ una poesia propria sua. K. X. Y. i) MV 121 RIVISTA LETTERARIA. Antidoto pe’ giovani studiosi contro le novità in opera di lingua italiana , scritto da Awrow10 Cesari. Forlì, Casali 1829 in 8.° Già presso al termine d’ una lunga carriera, consecrata in gran parte all’opera della lingua , il buon Cesari, quasi presago di ciò che gli era imminente , volle dettare una specie di resta- mento letterario (l’Antidoto annunciato) affidandolo a tale, che ne sarebbe non solo amorevole ma anche autorevole esecutore. Al primo entrare in carriera l’egregio uomo avea trovato, com’egli dice , la lingua nostra assai malconcia e incattivita per. modo ch’ era sul perdere le natie fattezze. Quarant’ anni di fatica , spesi quindi intorno ad essa, gli valsero la sodisfazione di suscitarle cultori in ogni parte d’Italia, e di vederla quasi tornata alla primitiva bellezza. Se non che al compimento de’ suoi voti per essa opponevansi ancora molti ostacoli; ed egli non era senza qualche timore che il ben fatto, o per amor di novità , o per presunzione di miglioramento , potesse esser guasto. Ad assicu- rarlo , per quanto da lui dipendeva , restrinse in uno le dottrine sparse nelle sue opere varie; onde pe’ giovani studiosi servissero d’ antidoto alle dottrine opposte , ch’ egli ormai non sarebbe più in istato di combattere. E quest’ antidoto , che uno de’ suoi più fervidi seguaci, 1’ ab. Manuzzi, nelle cui mani il depose, or fa di pubblica ragione , vuol esser accolto con gratitudine e reve- renza , a mostrar la quale desidero che ci valga anche un poco d’ esame. Comincia il buon Cesari dal riproporre quella sua dottrina cardinale, già da lui proposta ed esposta nella famosa disserta- zione , che fu scintilla, come a lui pare, che ravvivò l’ amore della lingua nostra , la vera forma di questa lingua essere negli scrittori del trecento. E tal dottrina, presa così alla lettera, mi sembra incontrastabile, nè vorrei che ormai più se ne disputasse da alcuno. Ma se equivocando un poco, siccome forse al Cesari accade , tra la forma della lingua e la lingua medesima, si viene a far di questa una lingua morta da più di quattro secoli, onde ogni voce o locuzione non usata innanzi si direbbe illegittima , credo che Ja ripugnanza per siffatta dottrina sia ben giusta , e mi dorrebbe che non fosse universale. Non ho ‘ardito asserire che questa sia la dottrina del Cesari, poichè ciò ch’ egli dice T. XXXIV. Maggio. 16 122 degli scrittori del cinquecento accettati nel Vocabolario potrebbe farne dubitare. Come però qualch’altra sentenza, che sarebbe qui soverchio il riferire, mi parve indicare 1’ equivoco accennato , non ho potuto astenermi da una dichiarazione. x Dopo di questa, do al Cesari ambedue le mani , ringrazian= dolo del suo consiglio utilissimo di voler vedere sulla faccia del luogo ciò che sia la lingua del trecento , che molti deridono per- chè veramente non la conoscono . Di quelli, che il fanno icon mala fede; non parlerò, bench’ egli ne parli, non avendone io lo stimolo ch’ egli ne aveva. Loderò peraltro la sua moderazione, che non usi parole più gravi contro coloro , che , per iscreditare la lingua da lui celebrata , gli attribuirono , come al più stolido degli scrittori, locuzioni scempiate , il famoso andar del corpo , la carogna di chi per rispetto non vuol dirsi , ec. ec. Le quali io pure credendo verissime , come i più le credevano , mi sentii molto alienato dallo studio d’ una lingua, da cui. pareami non si apprendesse che a far ridere le brigate , e troppo tardi ho in- teso potersi apprendere non dico ad esprimere ma a stampare nelle altrui menti ogni bel concetto e a trasfondere negli altrui animi ogni nobile sentimento. 9 Ma che sia la vecchia lingua , ch’ io celebro , dice il Cesari, vedetelo qui, se un maggior studio v’incresce, in quest’ esempio del Passavanti , il cui Specchio di penitenza è vero specchio della lingua del suo tempo. E qui reca la famosa visione del carbo- naio, che, malgrado il soggetto quasi infernale , riesce , per la lingua ; nna vera cosa di paradiso. Quindi la contrappone a due brani di moderne orazioni, ch'egli con una di quelle frasi felici, che gli scappan sovente fra altre , ch’ io confesso di non trovar sempre nè le più naturali nè le più convenienti, chiama un bagordo ; e vedete, dice , da qual parte sia la proprietà , la chia- rezza, l’ efficacia. Se non che gli si potrebbe opporre : come la vera lingua del trecento (il lettore avverta che in quasi tutto il libretto del Cesari questa parola lingua è presa ne! suo più largo significato ) non è negli arcaismi che i derisori ne citano; così la vera lingua moderna non è nei modi o goufii o contorti 0 biz- zarri, di cui le due orazioni sembrano abbondare. È possibile che queste orazioni sieno scritte , come il Cesari suppone , da due grandi avversari della lingua del trecento. Non però io le credo scritte da due grandi amici della lingua moderna, trascurata , imbastardita , insufficiente , tutto quello che vuolsi, ma pur lin- gua adoperabile e intelligibile, non caricatura di lingua. Il Cesari, buon osservatore in queste materie , avrà sicuramente notato che 123 la caricatura non è vennta di moda che in questi ultimi tempi, cioè da poi che si grida tanto contro la lingua moderna. E non è raro che i zelatori stessi del trecento , quelli che più ripetono doversi la lingua richiamare a’ suoi principii, ne la traviino più che nessuno degli avversari saprebbe fare. Certo non era avver- sario del trecento quel valent’ uomo, che nell’ Italia uscente il 1816 augurava al Cesari, pe’ tanti suoi meriti verso la lingua, il cappello di cardinale; e come richiamasse la lingua a’suoi prin- cipii ciascun lo vede. Nè il buon Cesari, se la forza d’ un au- gurio lusinghiero non è più che magica, avrebbe saputo additare fra la lingua del suo augure e quella del Passavanti la minima conformità. Forse un po’ di quell’arte socratica, di cui egli, proseguendo il ragionamento, si val così bene contro gli avversari del trecen- to , avrebbe dovuto adoperarsi contro certi zelatori , ne’ cui scritti le lodi di quel secolo sono peggio che derisioni. A que’ primi poi mi piacerebbe ch’ ei non dicesse mai se non cose assolutamente vere e credibili. Essi, per esempio , hanno gran torto quando as- seriscono così in generale che il trecento era senza filosofia ; ma egli non ha gran ragione rispondendo che n’era pieno anzi provvisto per tutti i secoli. Ben l’ha grandissima, parmi, quando risponde a chi ‘sprezza la lingua del trecento come povera o vile. Povera, egli dice, quella lingua ch’ è bastata all’ infinita varietà del Bartoli ; vile quella che s’ è piegata a tanti nobili usi in mano del Davanzati ? E in proposito del Bartoli ei fa una digressione al Segneri, per ispiegare un giudizio già dato di questo scrittore, e appostogli a gravissima colpa, onde screditare al solito le sue dottrine intorno al- la lingua. Non in proposito propriamente del Davanzati, ma pur di cosa a lui relativa, e per cui l’ ha nominato, ei viene a par- lare del linguaggio comico fiorentino , riproponendo alcune idee già proposte nella prefazione al Terenzio, come poco sopra ne ha riprodotte altre del suo dialogo delle Grazie. Gran parte di quel linguaggio, che per alcuni è plebeismo , per lui è atticismo, accreditato dagli esempi degli scrittori illustri del trecento, e così essenziale alla commedia ; se mal non l’intendevano l’Ariosto, il Caro, e parmi anche il Monti, come opportuno a molt’ altri ge- neri di composizione, ove si voglia dar loro vita e leggiadria . Infine , terminando 1’ epilogo delle dottrine già sparse in altti suoi scritti, torna il buon Cesari all’ effetto ch’ esse produssero , nomina taluno de’ lor fautori più distinti, fra’ quali il Manuzzi, si rallegra di qualche avversario ad esse acquistato (qui manca , mi si dice, nella ristampa veronese dell’Antidoto un breve passo, 124 compensato in fine del libretto da non so quale aggiunta ) e con- chiude con aleune raccomandazioni opportune a’ giovani a cui l’Antidoto è diretto. L’editore lo intitola ad un degno amico , il conte Valdrighi , con lunga e affettuosa lettera, in cui parla degli ultimi istanti del Cesari, e recando le sue ultime parole riguardo ad un uo- mo , che, dopo essergli stato lungamente amico , gli si mostrò sommamente avverso , si fa strada a compiere la difesa del Cesari medesimo, cominciata l’anno scorso con altre due lettere al conte Valdrighi già detto , stampate in Modena dal Vincenzi. Questa terza , in cui si recano vari documenti onorevolissimi al Cesari , fra i quali una lettera del Botta, qualche brano di lettera del Giordani ec., è come un saggio del commentario sulla vita e gli scritti del Cesari, promesso in uno de?’ passati quaderni dell’An- tologia , e prossimo ad uscire in luce ne’ due che succederanno al presente. \ M. Dante, la Divina Commedia con nuovi argomenti e note. Fi- renze, Borghi e C. 1827, tomi 3 in 32. Annunciando sì tardi questo piccolo Dante, 1’ Antologia deve chiamarne al pubblico doppia scusa. Un lavoro ben fatto con- vien sempre, se si può, annunciarlo presto. Un lavoro fatto bene e opportunamente vuol essere annunciato senza il minimo indugio. Molti studi si sono fatti da alcuni anni intorno a Dante . Il frutto di questi studi era già stato raccolto in qualche dotto comento, per cui parve men dispiacevole il non potersi formare una biblioteca dantesca. Ma questo frutto così raccolto era an- cora poco accessibile al maggior numero. Conveniva estrarne il succo più sostanziale, posto da parte ciò che non appartiene che al nutrimento de’ letterati, e farlo servire al comune bisogno. L’ autore de’ nuovi argomenti e delle nuove note alla Divina Commedia ha usata ogni diligenza per ottenere quest’ utile in- tento . f Egli è l’autor medesimo (ciò potrà a tutti ispirare fiducia ) delle note al Canzoniere del Petrarca nella collezione portatile de’Classici Italiani, cominciata da Borghi e G. nel 1825, e a cui ci giova sperare che non sia posto termine coi tre volumetti del Dante. M. 125 Ammaestramenti degli Antichi rac. e volg. da F. Barroronnro da S. Concoxnpro. Milano , Silvestri 1829 în 12° Avea in capo , non so come, che il Cesari avesse tempo fa data anch” egli un’ edizione di questi Ammaestramenti. Ne ho chiesto a quel suo intrinseco , il quale ha pocanzi pubblicato l’ Antidoto, e mi ha risposto che il Cesari li stimava libro più latino che volgare. — Il Cesari per verità non avea torto. E non- dimeno non ha torto chi ristampandoli crede giovare allo studio della nostra lingua. Tutto sta che si sappiano legger bene ; il che può dirsi di quasi tutti i libri di lingua e massime di quelli del trecento. Chi impara presto a farlo io lo chiamo fortunato. M. Volgarizzamento dell’ Esposizione del Paternostro fatto da Zvc- carro Bencivenni pub. e illus. dal dott. Lurer Risori Acad. della Crusca. Firenze, Piazzini 1828 in 4° fig.® Di grazia, guarda un poco per entro a questo libro ( diss’io ad un amico , il qual farebbe gran pro a me ed a molti se vo- lesse talvolta , scrivendo , esserci maestro ) e nota quel che ti par degno d° annotazione. L'amico, per compiacermi , si prese il libro, e leggendo segnò : a pag. 3, lin. 15, ove si dice: per /e quali ( sette petizioni) noi richeggiamo al nostro buon padre del cielo si è ch’ elli ci doni ec. leggi ste (così ) altrimenti non v” è senso: — a pag. 7; lin. 28, ove trovi: lo primo motto ci mostra la sua lunghezza ec., osserva che quel sua, se non è fallo di stampa, è fallo di manoscritto : — ivi pure alla lin. 33, ove leggesi : oh Dio! chi sapesse bene tutta l’ entrata e la canzone , ec. nota quell’en- trata musicale, che risponde al barbaro odierno ouverture ; — ed ivi una terza volta a lin. 35, ove si legge: non è dottanza che nella canzone , che la sapienzia di Dio fece quelli che insegna li uccelli a cantare ec. , avverti, che dopo fece bisogna metter virgola, per intendere il senso ; — a pag. 17, lin. 10, ove si legge: ch'elli non sia per neuno ingegno diceduto ec., nota il diceduto per ingannato dal francese degu , decevoir, lat. decipere : == a pag. 23, lin. 34; ove dicesi: molto amò questa povertà il ricco re del cielo quando sì da lungi là venne a chiedere , bada , che dev? essere /a senz’ accento; articolo, non avverbio ; altrimenti non corre il senso: — a pag. 24, lin. 10, ove si legge: onde se tu vuoli sa- pere che cioè metti ec., bisogna leggere ciò è ; altrimenti non si 126 ha senso: — ivi pure a lin. 20, ov’ è detto : crede tutto semplice- mente cioè ch’ elli dice, leggi. cioe ; vale a dire ciò coll’aggiunta dell’ e all’ uso antico, per non finir con sillaba accentata; altri- menti non corre il senso; — ed ivi una terza volta a lin. 32, ove si legge che i wocoli orgogliosi ec., nota il vocoli abbreviato da avocoli dal barbaro latino aboculus senz’ occhio ; onde il fran cese aveugle. Più oltre l’ amico mio non ebbe tempo o pazienza d’ andare; ed io, che non potrei andarvi così bene com’egli, non vorrò , tentandolo , mettere a cimento la pazienza de’ lettori. D’ altronde le poche annotazioni dell'amico bastano a dar indizio e dell’utile che può trarsi dal volgarizz:mento del Bencivenni riguardo alla lingua ;, e del merito letterario dell’ edizione. Il Bencivenni è noto per altri volgarizzamenti citati anch’essi dalla Crusca. Questo è tratto da un bellissimo codice magliabechiano tenuto a confronto d’uno riecardiano , le cui varianti son riportate a piè di pagina. Lo precede una prefazione ; ov’ esso è maguificato come dagli edi- tori soglion magnificarsi le cose che pubblicano ; e confrontato per alcune voci con altri scritti della stessa età, e fra gli altri con una orazioncella di Dino Compagni ambasciadore del comune di Firenze a papa Giovanni XXII, già pubblicata dal Doni e qui .ripubblicata secondo un codice magliabechiano , il qual differisce in più luoghi dalla stampa. Lo seguono due tavole, una de’molti esempi, che già la Crusca ne avea tratti, e un altro d’ altri non pochi , i quali poteano trarsene, e che 1’ editore illustra con esempi simili di vari scrittori, servendo così alla storia della lin- gua. L’edizione è adorna di 26 tavole in rame, esprimenti altret= tante miniature del codice magliabechiano, lavoro tutte del se- colo decimoquarto. Queste tavole , gradevoli all’ occhio, possono servire insieme all’ illustrazione del libro e alla storia dell’ arte, M. Narratio ec. — Narrazione delle cose avvenute in Mosca addì 20 settembre del 1682, dopo la morte d’ Alessio Mikalowicz , Imp. delle Russie, mandata da Mosca a Francesco Martelli fiorentino Vescovo di Corinto , Nunzio Apostolico presso Gio= vanni III Re di Polonia, scoperta, trascritta dall’autografo, e pubblicata dal Cav. Srsasrrawo Ciampi. Firenze Tipografia Piatti 1829. È preziosa sempre l’autorità d’un testimonio oculare : e me- rita riconoscenza il dono fattoci dal dotto Ciampi. I fatti nella 127 detta narrazione accennati, in breve son questi. Artemone Ser- geiewiez, figlinolo d’un prete d’origine oscura, ma accorto e pra- tico degli affari, è da Alessio Mikalowicz eletto suo cancelliere ; e s'assume , non senza rancore de’ nobili, tutto quasi il governo del regno. Fa sposare all’imperatore una fanciulla di non illustri natali , sua parente; dalla quale nascono due figlimoli , Pietro Alexiowicz, e Giovanni. Già da una prima moglie, Alessio aveva avuto Fedor. L’astuto cortigiano stava sempre consigliando l’im- peratore a lasciare l’ eredità dell’ impero a Pietro, affermando che Fedor era infermo , Giovanni losco e dappoco. A questo ru- more , accorrono parecchi della famiglia imperiale e de’ grandi, e da Alessio, già morente, ottengono a forza di lagrime l’eredità per Fedor. Artemone è cacciato in esilio: ma egli avea già trafugato in tempo gran parte di sue ricchezze ; la cui mercè trasse al suo partito non pochi nobili, per farsi richiamare alla corte. La trista riuscita dell’ ambasceria inviata alla Porta, e una nuova incur- sione degli Sciti, dimostrano la necessità di richiamare Artemone com’nomo prudente ed esperto. Egli torna, da altri bene accolto, da taluni della famiglia imperiale guardato biecamente e sfug- gito. Fedor intanto era gravemente ammalato , e già parte del- la nazione gli si mostrava in secreto avversa, sì per aver egli bruciato il libro d’uro della nobiltà , sì per aver promesso l’edi- ficazione d’ una chiesa cattolica e 1’ aprimento di cattoliche scuole in Smolensco. I nobili adunque si diedero a Pietro, e con essi non pochi viffiziali dell'esercito , temendo che Giovanni non seguitasse l’ esempio magnanimo del fratello. Morto appena Fedor, sua so- rella Sofia , cominciò ad altamente accusare Attemone d’avergli fatto da’ medici dar veleno (il cortigiano non s’ era mai allonta- nato dal letto del moribondo ); d’ aver avvelenato anco il padre, d’ aver corrotti i Bojardi , d’avere iniquamente amministrato l’im- pero. Alle querele e alle grida di Sofia si commovono i congiunti, il popolo s’eccita, e grida morte contro Artemone, contro Nariskin, il cancelliere ed altri: il tumulto si diffonde per tutto il paese; la moltitudine si scaglia contro i Bojardi ; altri vuol imperatore Giovanni , altri Pietro. I nohili danno il giuramento a Giovanni; il tumulto s° accheta. Frattanto Nariskin, il più giovine fratello della madre di Pietro , piglia le insegne imperiali così per gioco, monta sul soglio, e dice : fatemi imperatore me, io saprò reggervi. Giovanni gli risponde che la testuggine non dee volare con l’aquila; e un vecchio de’nobili, gridandogli: cane, che latri tu? gli dà uno schiaffo sonoro. Fremono i nobili ; insorge tumulto , irrompono i soldati, Nariskino è buttato dalla finestra, Artemone è strascinato 128 pel collo, a Laricnio è punzecchiata la lingua, a Dolgorukio è tormentato il figlinolo. Si cerca del medico sospettato di veneficio; lo gettano a terra , gli strappan la lingua, lo sventrano, gli apron le vene da’ piedi, gli uccidono due figliuoli, gli coprono di fe- rite la moglie. Il tumulto dura una settimana, e col tumulto il saccheggio. Pareva, dice l’A., il dì del giudizio. Le altre circostanze del fatto son da vedere nella narrazione stessa , di barbaro stile, ma pur piacevole a leggersi. K. X. Y. Esoro . Poema giocoso in Canti XII di dodici Autori diversi. T. II. Venezia. Tip. Picotti 1828. Dal secolo decimoquinto , co’ poemi eroicomici , co’ canti car- nascialeschi, co’ capitoli, e con altri simili generi di poesia; in- comincia in Italia un nuovo spirito di facezia, tanto lontano dall’ antica semplice festività , quanto dalla leggerezza potente, dall’acrimonia, e dalla pensata profondità della facezia moderna, qual fu creata in Inghilterra ed in Francia. Uno spirito , io dico, di stranezza accattata , di affettata inezia, ove tutto lo studio è posto ad essere insignificante , grottesco, balzano. Il tempo in cui questo genere sorse tra noi, ne indica abbastanza la cansa ispiratrice; la degenerazione de’ pubblici e de’ privati costumi. Lo spirito d’ imitazione il qual non fa che corrompere il bene , e invelenire e diffondere il male , diffuse per tutta Italia, e tenne vivo fin ne’ nostri tempi , questo contagio d’ allegria mendicata ne’ testi di lingua: e fortunato il lettore, se alla scipitezza di quelle rancide amenità , non s’ aggiungeva ( userò due versi del Poema annunziato ) Un furbesco parlar pien di malizia Che sa ben d’ altro che di pudicizia. Egli è inutile il dire che oggimai lo stato intellettuale e morale degl’ Italiani abbisogna d°’ altre consolazioni; e che la facezia ; con parsimonia adoprata e di vena, allora solo è tollerabile, quan- do si propone un fine più nobile che quel di movere il riso, quan- do del suo velo ricopre una qualche verità, ch’altrimenti esposta offenderebbe , o noierebbe , o parrebbe ai più non ben chiara; quando il tuono leggero e buffonesco è opportunamente alter- nato col serio e grave , acciocchè la lealtà de’ sentimenti e la dignità del carattere di chi scrive non sien dubbie a’ lettori. Il poema giocoso che noi annunziamo era già bell’ e scritto 221_———_———mrrmrÉÉrrrtt 129) nel 1808: e noi siam certi che nel 1828 i dodici autori che v’ebber parte, non avrebbero avuta la sofferenza di trarlo a fine. Nè i più severi potrebbero pure imputar loro la pubblicazione, troppo a dir vero scusabile, di questo scritto giocoso; giacchè il colpevole , possiam nominarlo , è il sig. Emanuele Cicogna , uomo per altri titoli benemerito delle lettere patrie. Non potendo noi dunque biasimar l’ intrapresa , nostro dovere è lodare l’ese- cuzione , laddov’ ella ci sembra lodevole ; ed è specialmente nel canto primo d’Angiolo Dalmistro, nel secondo di Morando Mon- dini, nel sesto di Francesco Negri, nel nono d’ Anonimo. Lo- dare , intendiamo,, come/si può lodare un poema giocoso, un poema che cerca il Parnaso sulla gobba d’ Esopo, un poema ch’ ha per testo le inezie onorate col nome del buon Planude , un poema infine dove la principal fonte di poesia , l’ invenzione di nuove favole, acconcie a’ bisogni del tempo nostro, è negletta. L’Ab. Dalmistro , uomo che può chiamarsi allegro in buona cos- cienza, non avendo bisogno d’accattare una certa festività postic- cia , stentata, e però doppiamente puerile, si fa leggere con pia- cere, perchè i suoi versi dimostrano la sua buona fede. Il signor Negri, ingegno elegantissimo e delle cose greche erudito, ha ani» mata la sua narrazione con alcune allusioni feconde , e con qual- che tocco di verità storica ; così dimostrando come la storica eru- dizione possa giovare all’ evidenza ed alla peregrinità della rap- presentazione poetica. Gli altri autori non ancor nominati sono, oltre un secondo Anonimo, i sigg. Lorenzo Crico , Iac. An. Via- nelli, Ant. de Martiis, Vincenzo Scarsellini, Antonio Toaldo, F. C., Ruggero Mondini. Segue al poema la vita d°’ Esopo , scritta dal cav. A. Mustoxidi ; e gli autori non s’ offenderanno, io spero, se noi vorrem dire al pubblico cosa ch’ egli immagina già da sè : che la Vita val più del Poema. K. X. Y. Lettera del Prof. Muavrizio Bricuenti al co. Francesco Cassi Gonfaloniere , intorno al Belvedere di S. Benedetto in Pesaro. Pesaro 1828. Tip. Nobili. La coltura degl’ingegni è grazia che a poco a poco si dif- fonde in tutte lc cose che circondano l’uomo, e le abbellisce or- dinandole , e le nobilita indirizzandole a fine di civiltà. Pesaro, piccola città, ma chiarissima d’ uomini culti e gentili , porge ora alle città tutte d’Italia un degno ed imitabile esempio. In un T. XXXIV. Maggio. 17 130 luogo di pubblico passeggio; ameno e per sito e per arte , essa raccoglie tutti i monumenti già sparsi de’ suoi concittadini più celebri ; «€ quanti marmi preziosi, o scritti o effigiati, lapide , cippi, « basamenti; colonne; giacevano qua e là negletti. » — Fra tante ricordanze di romani e di meno antichi tempi, avranno quì particolare onore Guidubaldo del Monte, il Passeri, l’ Olivieri, il Lazzarini, e gli altri molti che diedero gloria a questa città fortunata. « Di quanti affetti, segue a dire il ch. Autore della lettera, di quanti affetti, ai Pesaresi e agli stranieri sarà cagione questo luogo! Quì converranno, per diporto , d’ogni età e con- « dizione i cittadini ; e col diletto delle graziose amenità rice- « veranno una novissima dolcezza da sì care memorie: e i gio- « vani s’ accenderanno a meritarle ; i valorosi vecchi avranno si- « curtà di venire un giorno in questa onorata compagnia. I fo- « restieri, che visitano 1’ Italia coll’ orgoglio e lo sprezzo della « fortuna nuova, dopo avere ammirata 1’ arte di Commandino , « e la principesca magnificenza di Francesco Maria I, Duca d’Ur- « bino e signore di Pesaro, che fece queste più ampie mura « alla città, e questo capace bastione (che gira intorno mille « piedi ) guardando all’ uso presente , vedranno che la nostra « umiltà non è senza magnanime intenzioni. )) Che questi non sieno boriosi vanti di smodato amor patrio, cel mostrano le belle promesse, contenute nelle seguenti paro- le : « Costituita in Pesaro l’ accademia agraria , auspice l’Em. sig. « card. Bertazzoli, prefetto degli-studi , volgerà i maestri che ha « nelle cose naturali ad insegnare popolarmente le pratiche onde « i nostri beati campi divengano più copiose fonti d’ utili com- « merci: ed anche a questo effetto presterà grandissimo aiuto il « boschetto co’suoi giardini, già dati in cura al prof. di botanica, « e direttore degli sperimenti. )) Il vedere in un luogo di pubblico diporto raccolte le più venerande memorie della patria , e le speranze e le prove d’ un nuovo e potentissimo mezzo di benessere e di civiltà , qual è il perfezionamento della scienza agraria , e delle altre che a quella vengon sempre seguaci o compagne , è spettacolo che non può non destare in ogni anima retta sensi di gioia e di riverenza, Ab- biasi cotesta rispettabile città, abbiasi viva ed intera la nos- tra gratitudine per avere offerto alle città italiane un esempio, non inefficace , speriamo. Questa cura di abbellire i luoghi del pubblico passeggio , è forse più nobile e più morale, che a pri- ma vista non paia. I divertimenti pubblici, e sovra tutto i di- CI 2 2 = wi 13t urni, hanno un non so che d°’ innocente, di sereno, di solenne, di veramente cittadino: e quando alla festiva vivacità di un pas- seggio pedestre non faccia insolente contrasto l’aristocratica pompa delle carrozze , che tolgono e agli altri e a sè stesse quella li- bertà de’ movimenti la qual sola dà vita alle grandi adunanze; il pubblico passeggio, appunto perchè pubblico e diurno, è un de’ diporti più desiderabili da chiunque ami veder data al costume civile una direzione franca ed innocua. E per ottenere ad ogni città questo abbellimento tant’utile , che altro si richiederebbe fuorchè uno spirito retto d’associazione, il quale raccogliendo ad un punto le sparse ambizioni e tendenze , imprima in esse un movimento nobile e regolare ; la cui meta ferma e fissa sia il bene e l’ onor della patria ? Kai. Yi Dell’ antico Egitto e degl’Imperi Assiro e Medo-Persiano. Saggi di Compendio Storico del cav. G. Tamassra. Cremona Tip. Frat. Manini 1828. L’idea di questo libro a noi pare eccellente. Dare la sto- ria antica il più delle volte con le stesse parole degli antichi storici, gli è il modo di rendere originale insieme e morale la storia; dilettevole ed utile ; e sopratutto sincera: giacchè ormai tutti sanno niente esser più falso nè più facile del metodo sto- rico di Voltaire. Tra le innumerabili conseguenze che dal siste- ma storico del signor cav. Tamassia si ritraggono, non è delle meno feconde, questa ch°io esprimerò con le sue stesse. paro- le: « Leggendo le storie antiche nelle opere stesse degli antichi € scrittori, si rimane ad ogni momento stupiti e scoraggiati nel « vedere quanto poco si sappia di veramente certo intorno al « passato . » Tutto quello che tende a rendere più modesto l’umano sapere, giova insieme a renderlo più diligente, più co- stante, più docile , più sicuro, più suscettivo di perfezionamenti continui, e, ciò ch’ è il meglio di tutto, più virtuoso. — Ma ap- punto perchè poco si sa del passato , giova con diligenza racco- glierne le più minute notizie, giova collegarle tra loro; e con le idee più lontane ; giova delle recenti cognizioni e scoperte ser- virsi come d’ illustrazione alle idee degli antichi; cose di cui l’ importanza comincia ad essere conosciuta da’dotti, e sarà sem- pre meglio. Ri DV, 132 Gesta navali Britanniche dal grande Alfredo fino alla battaglia di Navarino, Poema di Srer. Eeipro Perroni. Ediz. seconda Vol. II. Londra Treuttel e Wirtz 1828. Può egli , si domanda l’ A., può egli chiamarsi epico un Poema che abbraccia le geste di ben dieci secoli ? — E si fa rispondere dal Gravina: « Se epico, altro non significa se non che narrativo; » perchè non sarà epico ugualmente , anzi più , chi un volume » di molte imprese grandi espone, che chi ne narra poche. ridotte »» ad una principale? Ed è invero cosa assai strana, che per so- » stenere uu precetto d’ Aristotele, o dagli altri male inteso, o »» da lui confusamente spiegato, ci riduciamo a credere narratore » chi narra poche cose ridotte ad una , e non chi ne narra molte » e principali. . . » — Pigliare 1’ esempio dell’ Iliade per norma inviolabile di tutti i puemi, è cosa veramente assaz strana come nota con l’usata sicurezza di raziocinio il nostro Manzoni. « Dans » le poème épique, on est parti de l’Iliade , pour trouver les » règles : et le raisonnement que l’on a fait pour prouver qu’el- » les s’y trouvaient, est assurément un des plus rurieux qui soient 3» jamais tombés dans l’ esprit des hommes. On a dit que, pu- » isqu’Homère avait atteint la perfection en remplissant telles » et telles conditions, ces conditions devaient étre regardées » comme nécessaires partout, pour tout , et pour toujours. On » n’a oublié en cela qu’un des caractères les plus essentiels. de » la pogsie et de l’ esprit humain: on n'a pas vu ; que tout poète » digne de ce nom, saisit précisément dans le sujet qu'il traite » les conditions et le caractère qui lui sont propres; et qu’ à »» un but déterminé et spécial il ne manque jamais d’approprier »» des moyens également spéciaux. Aussi les règles générales que » l’on a tirées, Dieu sait comment, de l’Iliade, pour les imposer » à tout poème sérieux de longue haleine, se sont trouyées non > seulement gratuites, mais inapplicables relativement à beau- » coup de productions du premier ordre., par la raison que les » autenrs de celles-ciont vu dans leur sujet, ainsi qu’Homère dans » le sien, ce que ce sujet avait de propre et d’individuel etc... Questo passo ci piacque recare per non lasciarci sfuggir l’occa- sione di combattere un di que’tanti pregiudizii letterari, tuttavia dominanti, e già smentiti sì dall’ opinione di critici riputatissimi come dall’ esempio de? classici stessi. Venendo all’ opera del signor Petroni, noi non gli sarem li- berali del titolo di Poema epico per altre ragioni che sarebbe lungo 133 accennare. Dobbiam dire però che in un tema di cui l’ adu- lazione potrebbe parere la musa, 1° A. ha saputo dar saggi d’una imparzialità commendevole , biasimando non tutte, ma alcune delle cose che nelle geste dell'Inghilterra son degne di biasimo. Noi ne recheremo per saggio una nota al C. XLIX. « L’ ammi- » raglio Caracciolo», famoso marino, e vuolsi per qualche riva- » lità, nell’infausta catastrofe di Napoli fu impiccato su quella » spiaggia ad un albero della nave stessa di Nelson. Il gran Ci- » rillo , Mario Pagano, Marcello Scotti, Conforti, Ciaia, Nic- » cola Pacifico, il gen. Federici , il gen. Carafa, Vincenzo Rus- » so, Luigi Rossi, e tanti altri, rifugiatisi nel Castello di S. » Elmo, ed usciti per solenne capitolazione segnata da Nel- » son, infranta la suddetta capitolazione, furono ugualmente in » Napoli mandati a morte. Vuolsi che la troppo nota Lady Ha- » milton co’ suoi vezzi inducesse Nelson a tali ingiustizie. » Così, dovunque parla di Napoleone, il poeta ne parla con di- gnitosa franchezza : e toccando della dedizione spontanea del vinto nelle mani dell’ Inghilterra ; soggiunge : cola alia La severa istoria , Bilanciando il grand’ atto e l’accoglienza Narri l’ evento ai secoli futuri. G. L. In Brighton compose il sig. Petroni il suo lungo Poema di canti cinquanta: e quivi, speriamo, egli avrà posa dalle onte della fortu- na, di cui si lagna nel GC. XIV.— Egli è inoltre l’A. d’un poema istorico-numismatico-lirico in lode di Bonaparte , in ricompensa del quale gli vennero dall’ Imp. assegnati trentamila franchi, ch’ egli per le tergiversazioni d’un ministro che non nomina seb- bene già morto, non potè mai riscuotere. Parecchi passi del suo lavoro lo provano ardente italiano: e le commemorazioni ch’ egli fa di parecchi italiani illustri, con- fermano ch’ egli non ha nella sua lontananza rinunziato alle memorie della patria sua. Fra gl’italiani ch’egli nomina con onore ; abbiamo 1’ erudito Cancellieri, Mezzanotte , il tradut- tore di Pindaro, Vermiglioli l’ autore di tanti dotti lavori , )'An- geloni, il Biagioli, il Botta a cui però solamente rimprovera lo stil vieto alquanto; il co. Gazzola, l’orientalista Venturi, il prof. Bini, il Rossetti, il fervido Rosini, il Carmignani profondo, il vaghissimo Pananti;, l’ egregio Collini. De’ Francesi egli cita il Ginguené , amico suo ; e il march. Lavallée, il quale scrisse le note alla prima edizione di questo Poema. Degl’Inglesi poi, oltre a Lord Byron e a Walter Scott, Tommaso Campbell, autore del Poemetto Z Piaceri della speranza , Samuele Rogers, 134 autore del Poema, Y Piaceri della Memoria, e d’ un altro sopra l’Italia; Giorgio Crabbe , autore di poesie campestri e satiriche ; Roberto Southey, lirico celebre; Montgomerry, autore del Poema L’ abborrimento della schiuvitù; Tommaso Moore, traduttore d’A- nacreonte, autore delle Melodie Irlandesi e di Lalla Rook; Tom- maso Mathias , scrittore anco di versi italiani. Chi volesse un saggio della versificazione di questo Poema, legga la breve enumerazione delle rarità che ritrova alla Gu- iana il cav. Leigh, approdatovi nel 1604. Il molle lino, la gradita foglia Che le nari solletica e i pensieri, Il vago augel ch’è dell’ umana voce Loquace immago , l’ animal deforme Scaltro e giocoso insiem , che il gesto imita Dell’ uomo , e 1’ opre ; la bambagia lieve , Di color vari la filata lana, L’odorifera gomma, il rosso pepe, Ed altro ancor dell’ Epidauria scuola Sacro all’ arte vitale , e sacro a quella Ch? ogni colore a suo talento alterna. Se tuttii versi del signor Petroni fossero in coltura di stile ed in armonia simili ai riportati, egli avrebbe fatto un Poema, del genere ‘didascalico, se così piace, ma sempre lodevole. Noi dob- biamo però confessare che la troppa aridità della narrazione e la troppa incuria dello stile rendono il suo lavoro alquanto minore del grande soggetto. K. So, Storia dell’ Impero Ottomano compilata dal cav. Compacwoni. Livorno tip. Masi 1829. Questo compendio , dove le più notabili circostanze de?’fatti principali sono esposte con sufficiente evidenza, giunge oppor- tuno in un tempo che l’attenzione universale è portata con tanta ansietà ad interrogare i destini d’ un impero che noi ancora non ben conosciamo , e che tanto influì per più secoli sulle sorti d’ Europa. Raffrontando le cose presenti alle passate, e scorgen- do nella storia l'origine di quelle consuetudini il cui potere og- gidì apparisce sì forte , si prova quella compiacenza che viene alla mente dalla spiegazione d’ un enimma, o dal ravvicinamento inaspettato d’ idee che parean lontanissime. Fondato da Solimano nel terzo decimo secolo , l’impero Ot- tomano prima della metà del decimoquarto è già sì ragguarde- 135 vole , che 1’ usurpatore Cantacuzeno concede ad Orcano sua fi- glia in isposa: inutile alleanza; chè l’ardito Sultano non per que- sto si ritenne da tentare la prima invasione in Europa, la qual doveva essere il cominciamento d’ una sì lunga tirannide. Amu- rat, successore d’Orcano, istituisce quel corpo degli Spaì, sì ter- ribile ancora, e que’ giannizzeri , de’ quali resta ancora a sapere se la distruzione sia stata una via di salute; determina le fun- zioni e l’antorità del gran visir, dignità che pe’suoi poteri quasi fa parte della costituzione dello stato : e debellata la Servia, . quella Servia che siccome nel primo ingrandirsi così nel deca- dere della turca potenza , fu delle prime a mostrarsi pronta di scuotere il giogo, si muore. Di lì a poco , la Moldavia , quel- la provincia che alimentò le scintille della greca insurrezio- ne , insorge contro Bajazet successore d’ Amurat, ed è sog- giogata. E già l’ influenza del potere ottomanno si stende sin den- tro alla capitale del greco impero ; ed è stabilito che le querele insorgenti tra i sudditi ottomanni mercatanti in Costantinopoli , sieno giudicate da un Cadì , e che tutti i mussulmani abbiamo 1’ esercizio libero della loro religione. Nè la greca città sarebbe durata più a lungo nel dominio de’ Paleologhi , se alle conqui- ste di Bajazet non s’opponeva il discendente di Gengiskan, Ta- merlano. Da Amurat II comincia l’esempio, troppo spesso rinnovato, di strozzare i secondogeniti della famiglia imperante. Quest'Amu- rat prese già possesso della Morea, conquistò Tessalonica, inutil- mente difesa da’ Veneti. Sotto di Imi furon visti la prima volta gli eunuchi neri circondare il Monarca, trattare co’ ministri esteri la guerra e la pace. Sotto di lui cominciò a sorgere il terribile Scanderberg ; il cui esempio diede vita a que’ Clefti senza i quali la Grecia non sarebbe mai potuta risorgere dalla sua schiavitù. Maometto , il Sultano vivente , tanto penò a stabilire nelle sue truppe la disciplina europea ; ed a Maometto secondo fu tanto facile il diffondere l’ uso delle artiglierie, innovazione al certo non meno sacrilega, e non men contraria ai dettati di Mao- metto il Profeta. Que’ Genovesi che ne’ tempi innanzi avevano con le lor navi aiutate le invasioni de’ Turchi , ora, veduto di- ventar sì terribile quella potenza , accorrono alla difesa di Co- stantinopoli. Ma è però un Genovese che impedisce, per gelosia de’'Veneti rivali, un colpo di mano, il qual potea forse ritardare al greco impero l’estrema rovina. Occupata Costantinopoli, Mao- metto fa della Grecia quasi tutta, una provincia Ottomana, e con 136 tradimento distrugge l’impero di Trebisonda. Scanderberg , e i cavalieri di Rodi, soli gli resistono. I veneziani, con l’usata loro politica , invece di opporsi direttamente ‘e per tempo alle ingiu- ste invasioni, comincian ora a suscitar contro a’Turchi de’fiacchi nemici. E dopo vistosi invadere il Friuli, devastar V' Albania, e pigliare Scutari, dalla repubblica difesa come tutrice del figlio di Scanderberg , perdono le piazze che loro restavano in Morea e nell’ Albania, perdon l’ isola di Lenno : a tali patti conchiudon la pace. Di Maometto II , che fu il primo ad assumere il titolo di Gran-Signore, e della presa di Costantinopoli così saviamente ra- giona l° A. n. “ Nè vogliam poi tacere, che per giustamente ss giudicare di lui, non è permesso riportarsi alla testimonianza » de’ vinti, nè all’ amarezza de’ risentimenti loro. Noi umana- », mente deploriamo l’ orribile loro infortunio. Ma non possiamo », non considerare il troppo manifesto divario che , in fatto di s, andamento politico , tra i Greci e i Turchi avevano messo la », corruzione de’ primi e il valor de’'secondi. Un’astuzia vigliacca, s, una lunga sequela d’odii, di tradimenti, d’usurpazioni, avea- s, no da lungo tempo tolto alla corte di Costantinopoli ogni sen- »» timento di dignità ; e l’abuso dello spirito avea diffuso nei » principali ordini dello stato nin tale smarrimento d’ogni buon sì principio , che parvero spente fino le più comuni reminiscenze » dell’ antica sapienza. Il popolo pervertito dalla più vergognosa 3; superstizione , era sceso ad una condizione inferiore a quella » dello schiavo; poichè lo schiavo è capace almeno di eseguire 35 con forza i comandamenti del suo padrone; e i Greci de’tempi » che discorriamo, perduta aveano l’ energia dell’ uomo. I pa- > dri nostri, ricevendo dai fuorusciti bizantini le opere immor- s» tali dei sommi ingegni che sparso aveano tanto splendore sul s, secolo di Pericle e d’Alessandro, facilmente confusero il merito o delle medesime con quello di coloro che n'erano gli apportato- sì ri: udivano quegli stranieri parlare nella lingua di quegli an- 3, tichi sapienti, pochissimi essendo #ra essi quelli che ne avea- » no pratica; dissero sapienti coloro , e sapiente il popolo presso », cui que’ libri eran comuni. Ma avrebbero meglio ragionato ar- »» gomentando dalla rovina in che quel popolo era caduto, e dalle » cagioni che gliel’ avevano preparata. Così, mentre voleasi pur » dare un giusto tributo di pietà a uomini miseri, anzichè ri- »» petere contro i conquistatori del lor paese odiose imputazioni, »» suggerite dall’ acerbità dell’ infortunio sofferto, era degna ope» » ra consultare i fatti. La storia di tutti i tempi e di tutte le 137 3; mazioni comprova troppo chiaramente che nessun impero cadde s; mai senza colpa di chi lo teneva. ,, Sotto Bajazet II, figlinolo e successor di Maometto, troviamo la prima insurrezione de° Giannizzeri , nata per opposta ragione a quella che mercè l’ energia di Maometto , fu l’ ultima ; dico, per la disgrazia di Achmet , gran visir, dal Sultano deposto ed ucciso. Questo Bajazet umilia i Veneziani con nuove incursioni e sconfitte; Selim suo figlio, fa suo tutto quanto l’Egitto : e con ciò il Sultano ottomanno venne ad unire alla dignità di Califfo : quella di primo imanno della setta Ortodossa de'Maomettani Sun- niti. Questo doppio potere giovò grandemente alle mire del vi- vente Mahmud. E fu Selim I, che primo ebbe l’ uso , sì oppor- tunamente seguito dal Sultano vivente , di percorrere travestito le città e le campagne , per conoscere il contegno de’governanti e l’opinione del popolo. Solimano I s’impadronisce di Rodi : crea il corpo de’ Bo- standgi , giardinieri insieme e soldati, che tanto giovarono a Mahmud nell’ ultima strage de’ giannizzeri; per chetare appunto un'insurrezione di questi, depone, come poi fece Mahmud, un Gran-Visir da loro abborito: invade 1’ Ungheria, e trascorre fin sotto le mura di Vienna; ma non la potendo prendere, fa dire a’ Viennesi essere andato colà non per impadronirsi della città loro, ma per altre ragioni: protesta di singolar buona fede, rin- novata testè, e non da’ Turchi. Un intrigo di serraglio, decide la guerra contro la Persia, come decise già quella contro la Russia nel principio del secolo decimonono. La dedizione della Moldavia, e la sconfitta da Soli- mano sofferta in Persia, son gli ultimi avvenimenti narrati in questo primo volume. Ki Delle gesta dei Romani. Di L. Annro Foro libri IV. Tradu- zione con note, di Ceresrino Massucco. Seconda Edizione. Milano , Silvestri 1828. Il ch. Traduttore nella Prefazione si lamenta del rigore della sua sorte: quand’ anco il suo libro porgesse soggetto ‘al rigor della critica, noi non oseremmo rivolgerlo contro un anima addolorata. Meglio per noi che il lavoro del sig. Celesti- no Massucco merita non pur la lode ma la gratitudine nostra , ‘non tanto per la traduzione , la quale del resto, tranne poche T.XXXIV. Maggio 18 138 eccezioni , è corretta , fedele , evidente, ma per le brevi note ap- postevi, dove è offerto agl’ italiani commentatori un nuovo ed imitabile esempio. Perchè, non solo gli anacronismi e gli sbagli e le esagerazioni di Floro vi sono notate e corrette ; e citati gli storici che le narrazioni di lui od illustrano, o amplificano, o con- fermano, o contraddicono, ma que?’ fatti della romana storia che per non so qual deplorabile pregiudizio la moderna ammirazio- ne ligia all’ antica superbia , trovava non pure onesti ma nobili e belli, vi si mostrano all’ uopo nella loro ingiustizia e sconcez- za. Così, l’ eroismo di Bruto che fa cacciare di Roma Colla- tino , che fa trucidare i propri figli, intanto che il popolo, più umano , li condanna all’ esilio; la grandezza di Roma, vincitrice di tutti i popoli perchè non mai assaltata a prin- cipio che da un solo nemico ; il coraggio di Scevola traditore e bugiardo ; la generosità di Porsenna che non solo concede ai romani la pace ma la impreziosisce con largizioni ricchis- sime; son giudicati e in bene e in male con rettitudine nuova. Il ch. Annotatore si burla della invidia mostrata da’ Numi con- tro alla romana repubblica ; mostra come la gnerra Sannitica ebbe principio unico nell’ interesse di Roma ; nota la saviezza degli ordinamenti di Coriolano intorno all’ agricoltura, ordinamenti da Roma puniti con l’ esilio ; chiama vile la persecuzione dai ro- mani mossa ad Annibale, vecchio , esule, sventurato; parago- na ingegnosamente la frase di Floro che nomina pie le guerre romane infino alla Giugurtina , con la frase del Tasso, che l’ar- mi Crociate chiama pietose; conferma la verità del motto di Giu- gurta contro Roma venale; spiega con la supposizione d’una spe- cie di telegrafo il miracolo di Castore e Polluce apparsi nel gior- no medesimo della vittoria CGimbrica ad annunziarla al pastore; chiama barbari più de’ Sarmati i Romani che quelli lasciarono in vita con le mani tronche ; iniquo dice il rubamento delle Ci- prie ricchezze osato sotto il comando del giusto Catone. La cie- ca adorazione della Greca e della Romana grandezza diffusasi dalle scnole e da’ collegi fin ne’ gabinetti e ne° campi, ognun sa quanti delitti giustificasse , e facesse parere onorevoli. Egli è tem- po di rompere questo giogo vergognoso di superstizione e d’ er- rore; e di riporre in altro che in un’ammirazione stupida il sa- ero amore di patria. E finchè la storia Romana e la Greca non saranno sopr’ altri principii rifuse, e dato alla grandezza vera e alla vera virtù tutto ciò che le è debito, tolto alla ingiustizia e alla frode quell’ammanto di luce che le rendon sì lusinghiere e funeste, nè vera storia nè vera educazione avrem mai. 139 E già Floro stesso , il rettorico lodatore delle glorie di Ro- ma, tacitamente vitupera la nostra servile venerazione, allorchè insegna la superbia del regnare essere ai buoni più grave della crudeltà ; allorchè contagio di guerra chiama quello che spinse Roma a soggiogar mano mano l’Italia tutta, e tanta parte di mon- do; allorchè la bontà del popolo romano distingue da quelle altre qualità per le quali i più lo reputan grande ; allorchè fa ‘chiaramente sospettar d’ ingiustizia la espugnazione de’ Galati; allorchè ferrei dice i tempi che successero alla guerra numanti- na ; e abbomina Aquilio dell’aver nella guerra Asiatica avvele- nate le acque dell’ assediate città ; e la sola cupidigia dà per ra- gione alla guerra di Creta ; e l’ oro attesta prima sorgente delle romane sedizioni ; e toccando delle ingiustizie osate in Germa- nia, dice essere più difficile il conquistar le provincie che il ri- tenerle , poichè si acquistano con la forza e si ritengono con la giustizia. Dovunque poi il nostro Floro parla della Spagna sua patria, usa un linguaggio sì appassionato, ma insieme sì vero, che non può non piacere e commovere. Certo , a paragonarlo con Tacito , tu non trovi in esso nè un ingegno sì forte, nè uno scrivere sì profondo; ma senti a quan- do a quando uno spirito più sereno , più gentile , più largo. E di cotesto osservare le cose non con severità di calunniosa cen- sura, ma nelle grandi e vere lor cause ; son prove a Floro ono- revolissime , il capitolo ottavo del libro primo , e il decimoterzo del terzo: ai quali non v'è, al parer nostro, tra gli storici anti- chi cosa alcuna da porre a confronto. Lo stile istesso , sebben rettorico ed ambizioso , ha del vi- vace , dell’ evidente; e una serenità che contrasta fortemente con l’anima tenebrosa di Tacito. E in generale, l’improprietà de- gli scrittori del secolo chiamato d’ argento, ha un particolare suo pregio ; che invece di falsare 1’ idea, ne lascia indovinare una parte in guisa che la cosa taciuta paia maggior della detta. Non è un acqua torbida che tolga la veduta del fondo; gli è un colore proprio che fa parere il fondo molto più lontano che veramente non è. La mente del lettore invece d’ adagiarsi nel- l’idea dell’ autore quale la presenterebbe un vocabolo che pre- cisamente con quella combaciasse, nella maggiore ampiezza del vocabolo si spazia con più libertà ; in luogo d’ un senso solo chiaramente tenuto, ne intravvede parecchi ; e si gode di quella intelligenza come d’ una sua propria scoperta. K. X.Y. 140 Volgarizzamento del trattato della coscienza. di S. Bernardo. Testo di lingua dell’ aureo secolo tratto la prima volta da ottimi Mss. Verona presso Giuseppe Rossi 1828. Si raffronti, io prego, la superba e inefficace sapienza decla- matoria d’un grande scrittore Pagano , Seneca , io dico, con la semplicità sublime e la pratica conoscenza degl’intimi recessi del cuore che si manifesta nel libretto che noi annunziamo ; poi si neghi il progresso che la civiltà anche ne’ secoli barbari venne facendo tra gli uomini. Si raffrontino gli scritti di S. Bernardo con le opere morali che al medesimo tempo uscivano in Italia ; e si vegga come fin d’ allora , iu certe parti di pratico incivi- limento la Francia di già ci avanzasse. Il volgarizzamento del presente trattato è di scrittore igno- to, ma del secolo XIV. A sua commendazione ciò basta. Sem- plicità, brevità, proprietà , sono i pregi singolari dello stile di quel secolo singolarissimo : e dalla semplicità, a que’buoni anti- chi veniva la grazia, dalla brevità l’ energia, dalla proprietà 1’ evidenza ; mentre noi moderni cerchiam troppo spesso il gra- zioso nel manierato , l’ evidente nello sguaiato e nel diffuso, 1’ energico nel contorto, se non nell’ oscuro. Due qualità spe- cialmente, che a noi più che le altre mancano, ci restan da attin- gere dal trecento: la concisione e la proprietà. E perchè l’utile di simili studii non sia troppo gravemente compensato dall’ incon- veniente d’ educar gl’ingegni tra scritti od osceni od inetti, gio- verebbe assaissimo la raccolta che noi altre volte proponevamo de’ tratti scelti , dove la gioventù, senza danno del costume e del senno venisse a formarsi il gusto e lo stile. Se a quest’im- presa si desse mano, parecchi tratti bellissimi potrebber trarsi dal libro annunziato, che noi dobbiamo alle cure diligenti del sig. Paolo Zanotti , il quale lo riscontrò sopra due manoscritti pre- gevolissimi. Pose infine un indice di vocaboli, o significati, o modi tratti da questo libro , e che la Crusca non nota : tra’ quali po- chi ve n’ha di adattabili all’uso della lingua viva. Uno ve n° è omesso , che noi troviamo alla pag. 4: GONFESSANTE, participio necessario nun ch’ utile. Del resto, queste antiche traduzioni dal latino giovano gran- demente a determinare e l’ origine e il senso vero di certe voci che o sono sì stranamente corrotte che noi non sappiamo onde vengano, o di significato sì vago che nessuno ha pensato finora ad esporlo con termini chiari. Così, raffrontando col testo latino la CA tdi traduzione antica della città di Dio, si rinviene il 'vero sen- so della voce adonare , che Dante usa due volte, che i com- mentatori spiegano , così indigrosso, senza darne prova nessuna : €@ possiam dire che 1’ antico adonare italiano, vale domare, giac- chè al latino domare sempre nella città di Dio corrisponde que- sto strano adonare. Ma tornando alle aggiunte che il ch. ed. propone da farsi alla Crusca , tolte dal presente trattato ; qui giova inculcare sulla grande importanza di distinguere d’ ora innanzi nel dizionario la lingna viva dalla morta; e di pensar quella ad arricchire non questa. Invece d'aggiungere , per esempio , alla Crusca , abisso addiettivo , approvato per comprovato , costringere per rimuo- vere, non sarebb’egli miglior partito tare alcuna delle giunte ch’io quì sotto propongo tratte appunto da questo medesimo libriecino : giunte tanto più belle e necessarie, quanto più note a tutti, e comprovate dall’ uso ? I. Egli è d’ uso il dimandare soddisfazione d’ un’ ingiuria ri- cevuta , e in questo senso usa il Boccaccio soddisfacimento (I. 9). Ebbene: soddisfazione in un senso simile è adoprato alla p. 2. II. Egli è d’ uso il cancellare od almeno il prometter di cancel- lare un’onta, un’ offesa, un delitto : questo senso traslato manca alla Crusca , e quì ne abbiamo un esempio alla p. 3. III. Egli è d’ uso : ajutare a fare, ammaestrar a dire, l’accompagnamento insomma di questi verbi con un infinito preceduto dalla parti- cola «: e di quest’ uso che manca alla Crusca, è un’ autorità nella p. 4. IV. Egli è d’ uso il participio raccolto, e il verbo raccogliersi parlando della mente e dell’ attenzione; e la Crusca nol nota, ma la può notare citando le frasi della p. 5 e 6. V. Siccome è d’ uso la frase informare a un’ immagine, a un modello , così dovrebb’ essere di riformare. Vedine l’esempio alla p- 6. VI. Tempio di Sapienza chiama il Boccaccio il petto di So- crate ; una frase simile è nell’ultima canzone del Petrarca; tem- pio chiama Dante il Cielo con senso affatto Lucreziano; tempio di Dio chiama il nostro la coscienza : e tempio in senso traslato la Crusca non ha. Ecco le vere ricchezze della lingua; le ric- chezze dell’ uso. K. X.Y. 143 Collezione delle Opere de’ Padri e d’ altri Autori Ecclesiastici della Chiesa Aquilejese , tradotte , illustrate, ed impresse col testo a fronte: cui si aggiungono le notizie intorno la vita e gli scritti de’ singoli autori dall’ ab. G. O. Muxnzvrrimi. Vol. I. Udine pei fratelli Mattiuzzi 1828. Questo volume contiene due lettere di S. Pio I , papa del secondo secolo : uno scritto, ma non autentico di S. Ermete o Pastore , fratello di Pio ; e alcuni discorsi sul Vangelo di S. Gro- mazio arcivescovo d’Aquileia. Le lettere di Pio son preziosi mo- numenti del secolo e della Chiesa nascente, e dimostrano la di- gnità e la fermezza di quelle anime infiammate di speranza e d’ amore. I discorsi dell’ arcivescovo d’ Aquileia non hanno nè facon- dia nè affetto ; son semplici e piani ; e tanto lungi dalla abbun- dante eleganza de’ padri greci , quanto dalla energia imaginosa, dalle allegoriche allusioni , da’ giuochi di parole e d’ imagine che s’ osservano ad ogni pagina negli scritti de’ padri Africani. Tu senti un uomo pieno del suo soggetto , che tendea schietta- mente ad istruire uditori già docili e persuasi: e singolare è il con- trasto che fanno quegli ammaestramenti paterni con la profana boria , e il declamatorio furore di certi oratori moderni che tutti conoscono. La traduzione è molto tersa, numerosa, evidente . Il testo latino è corretto secondo le osservazioni del dotto mons. Braida, a cui l’ opera è dedicata. Havvi qualche nota dettata con senno ; e noi n’avremmo desiderata qualch’altra ancora, indicante que’ passi dove l’ interpretazione del Santo Arcivescovo , per correr dietro all’ allegoria s° allontana dal significato più semplice del testo Biblico. Anche dal lato letterario questo volume ha il suo pregio , come monumento di lingua ecclesiastica del secondo e del terzo secolo. Ognun sente che i due nostri autori sono più antichi, e per conseguente men ferrei di molti Cristiani e Pagani dal For- cellini citati. Gioverebbe dunque nelle aggiunte che a quel di- zionario si fanno ora in Padova , registrare non sole le parole ecclesiastiche da Pio e da Cromazio usate , che poi ne’ Pa- dri posteriori s’ incontrano ; come incitator, (p. 78) unigenitus, (p. 72) inaccessibilis , (p. 82) congaudeo , per mostrare che sif- fatte voci non son figlie dell’ ultima corruzione , ma vantano un antichità più degna d’ onore; non sole , io dico , registrare co- 143 deste parole , ma quelle ancora che questi due Padri in modo diverso adoprano dal notato nel dizionario ; come erroneus tra- slato, colobium in senso dell’abito vescovile (p. 46); deatitudines nel plurale (p- 72); dominicus nel senso cristiano (p. 130) ; infa- tuare parlando del sale (p. 156) ; resplenduit preterito di cui ci mancavano esempi (p. 184); e molti altri simili. Abbiamo anco de’ nuovi vocaboli che il Forcellini non nota, come suPERBEA- rus (p. 43), PrRIMARCA (se pur la lezione è vera (p. 44)), PERSE- VERABILIS , (p. 44), LATERITII, nome sostantivo d’ una contrada di Roma (p. 58), sANncTIMONIUM (p. 52), PERPENETRARE (p. 156) SPIRITVALITER (p. 172), INCARNATIO (p. 182), ACGEPTE (p. 200), OBVELARE (p. 176): de’ quali taluno potrebb’ anche esser aureo; tanta conformità vi si scorge col conio dell’ oro. Ko. X. }. Dell’ arte della parola considerata ne’varii modi della sua espres- sione, sia che si legga, sia che in qualunque modo si reciti. Lettere ad E. R. Giovinetto di 14 anni. Del cav. Compacnoni. Milano Stella 1827. Tratta dell’arte di ben pronunziare , di ben leggere , di ben recitare, sulla scena , dal pergamo, dalle cattedre, nelle acca- demie. Definisce il parlare; dà la costruzione dell’ organo della voce , e l’analisi de’ suoni; viene a discorrere della scrittura , dell’ alfabeto , delle vocali, dell’ ortografia italiana: e quanto all’ arte del ben leggere e del ben recitare , insegna che convien leggere e recitare a senso; far l’ intonazione giusta; adattata alle | cose che si vengon dicendo ; studiare gli affetti umani per saper con l’ azione imitarli. Quel che può dirsi a qualche ;modo im- portante , si è il cenno sulla necessaria riforma della nostra or- tografia; le notizie che il vecchio A. ci porge d’alcuni attori, pre- dicatori, avvocati del secolo decimottavo; e l’idea ch'egli espone di Viganò , il qual pensava a trovar l’arte di scrivere il Ballo come si scrive la musica , e di poterlo così conservare quale uscì di mente all’ artista inventore. Se questa scoperta si fosse potuta ottenere, noi forse non vedremmo l’arte del Ballo tornar sempre all’infanzia, e appagarsi di gesticolazioni indeterminate, di pompe spettacolose, di lubriche danze. Il ch. A. non ha creduto necessario d’ abbracciare nelle quat trocento pagine dell’ opera sua un esame filosofico dell’ arcana corrispondenza de’suoni agli affetti ; l’ indagine delle fisiche, ca- | gioni, che rendono non pur ne’ varii climi ma in una nazione >= 144 istessa sì vario il pronunziare delle varie razze; la considerazione dell'influenza che possono le lingue madri, anche morte , ser- bare sulle favelle che vengonsi succedendo nel mondo. S’ egli avesse tentata taluna di queste ricerche , egli avrebbe scoperto , oltre ad altre importantissime verità ; queste : che la pronunzia toscana ne’ difetti suoi stessi, conserva ancor più che il romano, le vestigia etimologiche della lingua madre; che le deviazioni dal volgo indotte nel parlar familiare, non sono come altri mi- seramente declama, dettate da cieco capriccio, ma dalle leggi mirabili e costanti della più delicata eufonia; e che non pochi idiotismi della toscana pronunzia vennero adottati o come licenza o come regola, dalla lingua scritta, dalla lingua illustre d’Italia (1). Nè al n. A. parve punto necessario, entrando a parlare del- l’ ortografia, dar le regole dietro a cui riformarla; nè dimo- strare come la inscienza, nel più degl’italiani, del ben pronun- ziare, del ben leggere, del ben recitare venga dalle sociali con- dizioni della lor patria, dalla superba impopolarità della loro letteratura ; nè toccare con che mezzi le tante goffaggini e va- rietà del pronunziare, che sono al ben recitare evidentissimo ostacolo , si possan ridurre in bella unità. A lui bastò in quella vece affermare ch’anche i popoli di Toscana hanno le loro magagne alfabetiche , e che 1’ aspirazione de? fiorentini potrebbe farli cre- dere strettissimi parenti de’ popoli di Valcamonica. A lui bastò d’insegnare che il romanticismo è un cupo delirio, un genere di barbarie, un vapore ch’ ha saputo talvolta prendere i colori maravigliosi dell’ aurora , alzantesi sugli eterni ghiacci del Polo! — Il carattere più singolare degli scritti del cav. Compagnoni, è l’intrepidezza. K. ke Y. Saggio dei Monumenti etruschi e romani trovati a Chianciano, illustrati dal dottore Desiverro Maser, ec. ec. Un vol. in 8.° con una tavola in rame. — Poligrafia fiesolana 1829. Si compone questo libretto di 62 pagine , e contiene le se- guenti materie così disposte. Una brevissima lettera, colla quale indirizza 1’ autore il suo lavoro all’ egregio e dotto archeologo cavaliere Francesco Inghi- rami, alla quale sussegue una introduzione compresa in 7 pagine, (1) Dovea, avea } ambasciadore , imperadore , de’ per dei, be? per bei, e tant’ altri , (sono idiotismi toscani. ne 15 ove mette l’ erudito illustratore in bella vista, la remotissima antichità ed i pregi di Chianciano sua patria , e vi sparge più altre dottrine e massime filosofiche , riguardanti le triste vicende cui soggiacquero non di rado gli antichi monumenti per igno- ranza, e per zelo malinteso di religione. Dopo di che succedono 4 capitoli, e nel primo di questi contengonsi 24 iscrizioni , fra bilingui , semibarbare , e puramente etrusche , colle respettive loro interpetrazioni ed illustrazioni. Abbraccia il secondo 4 iscrizioni romane parimente in esso illu- strate ; descrivonsi nel terzo i ruderi di antichissime terme che trovansi nel territorio chiancianese, e se ne aggiunge una tavola in rame in fine del libro. E finalmente nel 4 ed ultimo capito- letto che è brevissimo, sono illustrati alcuni monumenti figurati, che tuttora conservansi in Chianciano stesso. Il tutto poi è dal giudizioso archeologo rischiarato e convalidato con varie citazioni erudite , e con dotte note. Sia data pertanto la debita lode al signor dottor Maggi , che educato , com’egli è nei buoni studii, per una certa inclinazione che lo persuade ad accordare qualche cura, dopo quelle indi- spensabili alla sua professione di legale , anche alla nobilissima scienza archeologica , e spintovi ancora dall’ amor patrio, ha tolto, con questo suo lodovole lavoro, alla dispersione e all’oblio varii interessanti monumenti etruschi, che giovar possono ad ac- crescere i materiali ed i mezzi di confronto, per viemaggiormente dissipare le tenebre, che involgono tuttavia la lingua e le antie chità dei nostri maggiori. E per ultimo dirò, che questo libretto è dettato con retto giudizio , e sana critica ; e fra le altre cose mi è piaciuta moltis- simo la ragione, che l’autore adduce (e mi par nuova) dell’avere sempre gli etruschi seguito l’uso d’ introdurre nelle loro epigrafi sepolcrali il nome della madre, invece di quello del padre; per la certezza , cioè, che abbiamo di quella, e non di questo. D. VALERIANI T. XXXIV. Maggio. 19 146 BULLETTINO SCIENTIFICO Maggio 1829. SCIENZE NATURALI . Meteorologia. Nel Bullettino universale che si pubblica a Parigi sotto la direzione del sig. barone di Ferussac, sezione delle scienze ma- tematiche, fisiche, e chimiche, fascicolo di marzo 1829 , si trova un articolo estratto dal Giornale americano delle scienze, in cui è descritta una meteora osservata la notte del 13 marzo 1815, un poco prima delle ore ro. Benchè questa notizia sia alquanto antica, la particolarità del fenomeno c’ impegna a riferirla. La direzione di questa meteora era presso a poco a 20 gradi nord-est; la sua forma era d’un ellisse, i di cui orli fossero angolosi ; la larghezza del suo diametro trasversale era presso a poco eguale al diametro apparente della luna al meridiano ; il suo colore era più giallo che la luna ;, e formava una traccia di luce di 10 a 12 gradi. Il corpo della meteora era più luminoso che la suna coda; la sua luce era così viva , che tutti i corpi po- sti in vicinanza dell’ osservatore erano poco meno illuminati di quello che lo sarebbero stati dalla luna piena; una moltitudine di globetti del diametro apparente delle piccole stelle, ma molto più brillanti, erano lanciati continuamente dalla meteora, e spa- rivano dopo esser discesi alquanto. La meteora fu visibile per otto o dieci minuti secondi. Uno o due secondi prima che sparisse, se ne distaccarono tre grandi frammenti luminosi, due del dia- metro apparente del pianeta Venere, il terzo molto più grande; la loro direzione fu da primo presso a poco parallela a quella della meteora, in seguito ne deviarono rapidamente, descrivendo delle curve paraboliche, finchè parve che cadessero perpendico- larmente sulla terra; la più grande continuò ad esser visibile fino a 20 gradi circa all’ orizzonte. La meteora stessa disparve in un modo così subitaneo , co- me se fosse passata in un mezzo opaco; ma alcuni momenti dopo, il cielo fu illuminato come se la luce fosse riflessa da una su- perficie ignota. Quando la meteora disparve era presso a poco a 30 gradi RE e n 147 all’ orizzonte, e nella direzione di 45 gradi nord-est , o 25 all’est del luogo dove era comparsa: Non meno di 8 nè più di 10 minuti dopo la sua scomparsa; ‘ fu sentito un fragore più cupo che quello del tuono o del can- none, e che non produsse verun effetto sensibile. Nella notte del dì 11 febbraio 1828 , fra le ore undici e la mezza notte, fu osservata, pure in America, una meteora che restò visibile per due minuti secondi; il suo moto era da 5 gradi circa al di sotto dello zenit, in una direzione nord-est; essa de- scrisse un arco di circa 20 gradi, quindi scoppiò senza strepito. Il suo colore era d’ un bel verde d’ erba; la traccia che lasciò era dello stesso colore, non meno che le scintillazioni le quali accompagnarono la sua apparente esplosione. Sulla fine d’ ottobre 1828, presso a poco a due ore pomeri- diane d’ un giorno dolce e sereno , fu veduto a Plymouth alzarsi una riunione di striscie nuvolose distinte e separate, intorno al- 1’ estremità sud del meridiano magnetico ; e divergenti in tutte le direzioni, stendendosi in seguito colla stessa uniformità al polo nord della stessa linea. La striscia che tagliava lo zenit, e gli assi della quale coincidevano prossimamente col meridiano magnetico , si distingueva particolarmente per la regolarità della sua forma; e la simmetria delle piccole masse di nubi onde era formata. Le striscie dei due lati diminuivano successivamente di densità ; la più bassa e la più elevata da ciascuna parte erano ad una elevazione di 14 o 15 gradi. Queste nubi si mantennero tutta la serata, e furono ben visibili a ore 5 1, velando l’ azzurro del cielo che brillava d’in- numerabili stelle, in un modo degno d’ attenzione; a 6 ore si alzarono dei vapori leggieri, ed avanti le 8 tutto 1° emisfero era coperto ; un venticello leggiero soffiava dall est-sud-est. Il ba- rometro a 6 ore era a 3o,1 e la temperatura a 44 R. Il sig. Flaugergues, che ha fatto uno studio particolare del- l’azione che la luna esercita sull’ atmosfera , in venti anni d’os- servazioni ha trovato costante una certa relazione fra il numero dei giorni piovosi e le fasi della luna. Un osservazione costante, dic’ egli, ha provato che piove più spesso quando il barometro è basso che quando è alto. Da un altra parte l’osservazione di- mostra che il barometro è più basso nel primo quarto della luna x che nell’ ultimo, e più basso quando la luna è nel suo perigeo 148 che quando essa è nel suo apogeo. Ne consegue dunque neces- sariamente che vi debbano essere più giorni piovosi nella prima quadratura della luna che nella seconda; e similmente devono esservi più giorni piovosi quando la luna è al perigeo che allor= . quando è all’ apogeo ; lo che si accorda perfettamente coi risul- tamenti di numerose osservazioni. Il Giornale americano dellè scienze del settembre 1827, e del gennaio 1828 contiene due articoli nei quali è non solo am- messa ma riguardata come certa e provata l'efficacia e l’ utilità, dei paragrandine. L’ autore del primo di detti articoli pensa che nella teorica della formazione della grandine non si siano fatti en- trare tutti i fenomeni che essa presenta. Secondo lui l’elettricità deve decomporre dell’ acqua, e però produrre un freddo consi- derabile, ed egli crede che 1’ idrogene per la sua leggerezza si sollevi nell’ atmosfera talmente, che l’ acqua non possa essere ri- composta. Il secondo dei due indicati articoli riferisce le opinioni del dot. Hare in proposito di parafulmini e di paragrandine. Egli ri- guarda come erronea e perniciosa l’idea ammessa quasi general mente dai fisici, che i metalli attirano l'elettricità più degli altri corpi. La terra e le nubi trovandosi in stati opposti d’elet- tricità , l’ elettricità tendendo a mettersi in equilibrio , e l’atmo- sfera posta fra la terra e le nubi essendo un corpo non condut- tore, ne segue che qualunque corpo il quale s’inalzi al di sopra della terra, e che possa trasmettere l’elettricità meglio dell’aria, serva di mezzo di comunicazione. I metalli essendo buoni con- duttori, l’ elettricità passa per essi più facilmente, ma non è già che essi l’ attirino più degli altri corpi. L’ autore stima non es- servi idea meno fondata che quella emessa recentemente da al- cuni, secondo i quali l’ attrazione fra un vascello ed una nube potrebbe essere accresciuta per mezzo d’ una punta metallica posta in cima al grande albero. Se alcune case o alcuni vascelli sono stati fulminati, benchè muniti di conduttori , ciò deve at- tribuirsi alla circostanza che i conduttori erano imperfetti o in incompleta comunicazione col suolo . Il potere d’ un corpo per ricevere una scarica elettrica dipende dal potere conduttore del mezzo nel quale egli va a terminare, egualmente che dal suo proprio. Il dot. Hare conclude raccomandando ciò che era già noto da molto tempo intorno ai mezzi di stabilire una completa comunicazione del parafulmine col suolo. o 149 In un discorso che il sig. Parrot ha recitato all’ Accademia delle scienze di Pietroburgo si trovano indicati i principali risul- tamenti ottenuti dal capitano Wrargel, che ha esaminata per il corso di tre anni la costa settentrionale della Siberia sopra un estensione di 600 verste ; incontrando e superando pericoli gravissimi. L’ aspetto del mar glaciale nell’ inverno sembra un. piano immenso coperto di neve, sparso qua e là di montagne e mon- ticelli, e solcato da molte fessure di ro a 15 tese di larghezza, che hanno sembianza di fiumi, e che farebbero credere d’essere sopra un continente. Il capitano Wrangel distingue le montagne di ghiaccio d’an- tica e di nuova formazione ; le prime presentano delle masse di | ghiaccio di 20 a 30 piedi di grossezza ; e di oltre a 100 piedi d’estensione, cogli angoli rotondati, ed accumulate in gruppi in- determinati; il loro colore è celeste sporco, grigio quando con- tengono molta terra ; il loro taglio verticale presenta delle righe orizzontali che formano un gran numero di strati. Il loro carat- tere chimico è di non contener sale. I monticelli di nuova formazione hanno grossezze differen- tissime, da 3 a 42 pollici, hanno piccola estensione e le estre- mità e gli angoli taglienti. Il loro taglio verticale presenta una massa omogenea di color celeste-verdastro; contengono un poco di sal marino. I monticelli d° antica formazione sono provenuti dal conti- nente , come lo dimostrano la terra contenutavi e l’ assenza del sale ; essendo rigati trasversalmente , e divisi in strati da lame di neve compressa , appartennero evidentemente alle ghiacciaie. AIl’ opposto i precedenti sono un prodotto dell’ acqua del mare, la quale non perde mai interamente il sno sale nel congelarsi. In questa regione , ove il mercurio rimane gelato più mesi, ed ove il termometro discende a 42 gradi sotto zero, si trovano dei tratti d’ acqua liquida di più d’ una werste di larghezza , e di due a tre verste di lunghezza, in quei luoghi ove il mare ha un movimento libero. Anche Parry ha veduto, bensì in estate , il mare aperto al di là dei ghiacci, presso gli 83 gradi di lati- tudine ; Wrangel vi ha navigato in inverno. Lo stesso capitano Wrangel dà anche alcuni ragguagli in- torno alle aurore boreali. La loro estensione ed intensità è va- riabile; qualche volta non consistono che in una luce debole verso il nord, diffusa o divisa in colonne ; quei getti di luce che spariscono istantaneamente fanno sentire del fragore ; all’opposto 150 quelli che sono permanenti e formano delle colonne, non ne pr ducono mai ; il segmento luminoso donde partono le colonne, le colonne stesse sono trasparenti, e vi si distinguono a petra le stelle. Le aurore boreali sono ad un altezza grandissima ; la posi- zione del segmento è sempre presso al nord, spesso nel meri- diano magnetico , o all’ intorno. Le aurore boreali influiscono sull’ ago calamitato per tutto il tempo che durano, e.qualche volta sull’ elettricità atmo- sferica. Quando una colonna è posta fra la luna e l’osservatore , vi si forma intorno una corona, che occupa uno spazio circolare di 20 a 30 gradi. Quando una colonna luminosa si avanza fin presso allo ze- nit dell’ osservatore , nel disparire lascia una nube biancastra leggiera , che si ritrova qualche volta il giorno dopo nel mede- simo posto. Quando una stella cadente passa a traverso d’ una colonna luminosa , spesso questa si accende in quel luogo. Il sig. Parrot, combattendo le diverse ipotesi presentate fin quì intorno alle aurore boreali, crede potere stabilire che esse sono prodotte da del gas idrogene carbonato, il quale è infiam- mato dalle stelle cadenti; ed egli riguarda questo fenomeno come grandemente vantaggioso per distruggere la gran quantità d’ idrogene carbonato che si produce , e 1’ azione del quale sa- rebbe così deleteria sugli animali, se non fosse distrutta da qual- che causa. Diverse osservazioni fatte a Casan, e delle quali è re- centemente pervenuta la notizia a Parigi, hanno resa sempre più probabile l’ asserzione del sig. Arago , che le aurore boreali esercitano sull’ ago magnetico un azione sensibile anche nei luoghi ove esse -non sono visibili, asserzione contro la quale si erano dichiarati alcuni fisici inglesi, e specialmente il sig. Brewster. Il sig. Arago fa osservare a questo proposito che l’ influenza esercitata dalle aurore boreali vedute a Casan sull’ ago magnetico di Parigi, oltre ad essere già degna d’attenzione per la distanza considerabile che passa fra queste due città, lo diviene anche più se si consideri che tutto porta a credere che Casan non sia sottoposta all’influenza dello stesso polo magnetico di Parigi. Di fatti un gran numero di fenomeni magnetici non sembrano po- 151 tersi spiegare ammettendo un solo polo magnetico, e tutto fa presumere che nella Siberia ne esista uno particolare ; che eser- citi la sua influenza sulle regioni vicine. Lo stesso sig. Arago ha comunicato all’accademia delle scien- ze di Parigi alcune particolarità intorno al terremoto che si è | fatto sentire a Dieppe e nei contorni il dì 2 aprile decorso. Do- po aver dette poche parole del terremoto che ha recentemente prodotto sì grandi mali in Spagna, rammenta che ordinariamente | le grandi scosse della terra sono accompagnate , a piccoli inter- valli, da moti meno considerabili in luoghi più o meno lontani. Ecco le particolarità conosciute riguardo a ciò che avvenne nei contorni di Dieppe. Nella notte dal 1 al 2 aprile cadde un poco di neve , che il sole levandosi fece sparire in meno di mezz’ ora. Il barometro si manteneva fisso a 739 millimetri e 94, il termometro a 2 gradi sopra zero ; il cielo era bellissimo , e soltanto all’orizzonte verso l’ est si vedeva una leggiera striscia di nubi, quando a 7 ore e Io minuti si sentì in tutto il paese un romore cupo , che i lavoratori dei campi crederono il tuono ; e che nei villaggi e borghi parve una grave vettura che percorresse la strada; nel medesimo istante, in diversi luoghi fu sentita una scossa di ter- remoto che durò più secondi, che fece muovere nelle case molti oggetti , e perfino dei ragazzi nel loro letto. Una signora che abita alla distanza d’ una lega da La-Chapelle, si gettò giù dal suo letto , credendo che il muro della sua camera » le cadesse addosso. Alla distanza d’ alcune leghe al sud-ovest di La-Cha- pelle la scossa fu più forte. Al villaggio di S. Marco ne furono sentite due coll’ intervallo d’ un quarto d’ ora; un cammino si distaccò dal muro a cui era appoggiato. A Longueville la scossa fu sentita più particolarmente da quelli che erano nelle case. É singolare che avendo tante persone nei contorni di La-Chapelle sentito il terremoto , dentro questo stesso villaggio nemmeno un solo individuo lo abbia sentito. Tutta la giornata fu bella; la sera cadde della neve , nè si sentirono più scosse. Il 4 di aprile fu osservato un fenomeno molto notabile nei contorni di Dieppe: alcuni uomini che si portavano al mercato di Dieppe , partendo da villaggi lontani gli uni dagli altri più leghe, viddero al mezzogiorno una striscia di fuoco, che sembra- va larghissima nel suo mezzo > lunga un quarto di lega, e ter- minata in punte alle sue estremità . Essi l’ hanno generalmente stimata all’ altezza degli alberi, e sempre vicinissima ad essi, 152 come di quattro o cinquecento passi ; ma questa era un illusio- ne , poichè in due luoghi lontani fra loro d’ una lega almeno, un falegname ed un mugnaio la vedevano precisamente nella stessa direzione. La sua luce illuminava come un bel lume di luna . All’ occasione del terremoto sentito a Dieppe, il sig. Roulin ha indirizzato all’ accademia delle scienze di Parigi la relazione di circostanze simili da lui osservate nell'America del sud, quanto alle irregolarità che presentano i terremoti nel mode della loro propagazione, nella durata delle scosse, nell’intervallo che le se- para , nel fragore che le precede. Per esempio , la piccola città di Mariquita risente frequen- temente al fine dell’ estate dei terremoti che durano da tre a quattro settimane , e si ripetono dieci o dodici volte per giorno. Houda situata soltanto quattro leghe più all’ est, nello stesso piano , e, per quanto sembra, nelle stesse circostanze geologiche, non partecipa quasi mai di tali movimenti: ma a Mariquita le scosse sono sempre senza inconvenienti , essendovi dei muri mezzi rovinati, fuori di piombo, che pure si sostengono da lungo tempo, .mentre Houda, fabbricata molto più solidamente, fu quasi intera- mente distrutta nel 1807. Verso il nord, la linea dei movimenti si stende alquanto più lungi. Nel dicembre 1824, quando i terremoti erano molto forti a Mariquita , il sig. Roulin li sentiva egualmente alla distanza di 15 leghe , all’ imboccatura del Rio-verde ; ma le scosse non si corrispendevano nei due luoghi, di modo che una scossa la quale a Mariquita fece suonare le campane della chiesa, non fu sentita nella foresta , e che reciprocamente una scossa che in questo luogo fece cadere un gran numero d’alberi morti, non fu sentita a Mariquita. Il terremoto che fece tanto danno a Bogota nel 16 giugno 1826 , fu sentito a Mariquita : l’ intervallo fra le due scosse fu in questa città di quattre o cinque minuti ; nella prima appena d’ un minuto. Nel 15 novembre del seguente anno 1827, si fece sentire un secondo terremoto , egualmente terribile e più esteso che il primo. Bogota , Ibagua , Popayan, e diverse altre città della valle del Cauca soffrirono estremamente; Mariquita ," punto interme- dio, rimase immune. La durata della scossa fu differentissima in luoghi diversi. Essa fu osservata con molta esattezza in tre punti, cioè a Bo- 153 gota dal sig. Roulin, a Santana dal dot. Cheyne e dal suo fra- tello ufiziale di marina , ed alla Vega-de-Snpia dal sig. Boussin= gault, A Bogota il movimento durò da 25 a 30 secondi, a San- tana da 3 a 4 minuti, alla Vega-de-Supia da 6 a 7. Anche il fragore presentò notabili differenze: a Bogota fu quasi nullo; a Santana fu forte e prolungato ; ed alla Vega fu accompagnato da 7 a 8 detonazioni simili a forti colpi di can- none + Dopo il primo terremoto è stato osservato che una monta- gna coperta di neve, vicina al pico di Tolima , ha cominciato a gettar del fumo j ma siccome questa montagna , situata nella Cordigliera centrale , non è visibile che al levare del sole, si sa- rebbe potuto dubitare che certe nebbie della mattina, che spesso si sollevano in forma di colonna verticale , fossero state prese per fumo ; non trovandosi fra gli abitanti memoria di veruna eru- zione. Per altro ve ne fu una pochi anni dopo la conquista, della quale si conserva la memoria in un istoria inedita del paese scrit- ta nel 1542. L’ eruzione accadde il 15 maggio 1495; ed all’epo- ca in cui l’autore scriveva , il paese portava ancora le tracce dei danni cagionati da quell’ avvenimento. Egli è tanto più importante accertar l’ esistenza di questo vulcano , in quanto che esso è il più lontano dal mare fra tutti quelli che si conoscono. In fatti fra esso ed il mare si trova tutto il declivio della Cordigliera centrale, la valle del Cauca, la Cor- digliera orientale, ed il littorale , cioè uno spazio di più di 40 leghe. Fisica e Chimica. Fra i caratteri per i quali si distinguono uno dall’ altro il potassio ed il sodio, è generalmente noto quello che , sebbene ambedue scompongano l’acqua appena la toccano; il solo po- tassio s’infiamma in questo caso, non il sodio. Il sig. Serullas ha fatto recentemente avvertire un altro ca- rattere, già osservato dai sigg. Gay-Lussac e Thénard , cioè che il sodio si unisce al mercurio con sprigionamento di calorico e di luce , il potassio di solo calorico, e non di luce. A provare .che l’.infiammarsi il potassio e non il sodio per il contatto dell’ acqua, mentre sì l’ uno che l’ altro la decom- pongono , dipende dalla maggiore elevazione di temperatura che ha luogo operando col potassio, di quello che operando col so- dio, 1’ autore produce il seguente suo esperimento. T. XXXIV. Maggio. 20 154 Sciolta una discreta quantità di gomma arabica nell’acqua, e formatane una mucillaggine poco densa, vi getta sopra un poco di sodio , il quale tosto s’ infiamma , per la ragione che la densità del liquido ritenendo sopra un punto il frammento del sodio, gli permette di riscaldarsi quanto basti per accendersi e bruciare con fiamma giallastra, e non turchiniccia o violetta , come il potassio. Se si tenga fisso un frammento di sodio sopra del legno, o altro corpo non conduttore del calorico , e si bagni con una o due gocce d’ acqua , s’ infiamma ; non avviene lo stesso se sia posato sopra un corpo buonu o mediocre conduttore. Ai diversi processi conosciuti per accertare e rendere evi- dente la presenza dell’ arsenico in un composto , riducendolo allo stato metallico dopo averlo precipitato in stato di solfuro , il sig. Liebig ha aggiunto il seguente, altrettanto esatto, quanto sem- plice e di facile esecuzione. Precipitato l’ arsenico per mezzo del gas idrogene solforato dal liquido acido in cui si trovi diseiolto , si raccoglie il solfuro d’ arsenico ottenuto , si secca perfettamente , quindi s’ introduce in fondo ad un tubo di vetro stirato alla fiaccola d’ una lucerna in modo da ridurre sottilissimo il suo foro interno. Si aggiunge sopra il solfuro uno strato di due o tre linee di tartarato di calce carbonizzato , senza mescolare le due sostanze , e si scalda , por- tando a poco a poco la temperatura fino all’ infuocamento , con dirigervi sopra la fiamma d’ una lucerna spinta ed animata dal soffio della cannella mineralogica. Si espone alla fiamma , prima il tartarato di calce, che fa funzione di fondente , poi il solfuro d’arsenico. Questo si riduce allo stato metallico, e si attacca alle pareti del tubo sotto la forma d’ uno strato lucido , poco al di sopra del tartarato di calce carbonizzato. L’ arsenico metallico è ben visibile anche operando sopra un trecentesimo di grano. Facendo passare una corrente di gas idrogene fosforato a tra- verso di varie dissoluzioni metalliche , il sig. Rose ha veduto precipitarsene i metalli puri, servendo l’ossigene dell’ ossido a formare dell’ acido fosforico e dell’ acqua col fosforo e coll’idro- gene. Per altro ciò avviene soltanto con quei metalli che hanno poca affinità per l’ ossigene , e le dissoluzioni dei quali sono ri- dotte anche dal fosforo solo. Sono specialmente in questo caso le dissoluzioni d’ oro e d’ argento, dalle quali le prime bolle di gas idrogene fosforato cominciano subito a precipitare il rispettivo 155 metallo. Quanto all’ argento , sono così scomposti non solo il suo nitrato , il solfato , l’acetato , ec. ; ma anche la soluzione del suo cloruro nell’ ammoniaca. Tutti questi precipitati consistono nel ‘semplice e puro metallo rispettivo, senza un atomo di fosforo. Trattando egualmente una soluzione di solfato di rame, non si osserva l’effetto se non dopo una mezz’ ora; il rame comincia allora a precipitarsi rapidamente , sotto la forma d’ una polvere nera, la quale a prima yista non sembra di rame metallico ; ma esposta alla luce , apparisce rossa, e seccata sopra un feltro, prende l’ aspetto del rame. Nemmeno essa contiene la minima quantità di fosforo. In alcuni distretti della China , e specialmente in quelli di Young-Hain, e di Wei-Yuan-Hian , del dipartimento di Kia-Ting- Fon, della provincia chinese di Szu-Tchhowan , che confina col Thibet, si trovano dei pozzi d’ acqua salsa, dai quali scaturisce anche in copia del gas infiammabile. La profondità di questi pozzi è ordinariamente dai 1500 ai 1800 piedi francesi; il loro diametro non è che di 5 o 6 pollici; sono quasi tutti scavati nella pietra. Il mezzo semplicissimo, ma molto lungo , con cui i chinesi sca - vano tali pozzi, è il seguente. Introducono verticalmente nel terreno un tubo o cilindro vuoto di legno, il cui foro o cavità interna ha un diametro eguale a quello che voglion dare al pozzo; una pietra con apertura simile è soprapposta al tubo di legno. In questa cavità introducono un montone o testa d’ acciaio del peso di tre a quattro cento libbre , concava nella parte superiore rotonda o convessa nella inferiore, la quale termina in alquante punte simili ai merli d’una corona. Un operaio saltando sull’estre- mità d’ una leva, all’ altra estremità della quale è attaccato quel grave strumento d’ acciaio, lo solleva all’altezza di due piedi, e lo lascia ricadere per il proprio peso, gettando di tanto in tanto dell’ acqua nel foro per aiutare la triturazione delle materie. Ogni volta che per il movimento della leva lo strumento è, portato in alto, un secondo operaio fa fare un mezzo giro alla corda che lo sostiene, movendo un triangolo di legno adattato alla corda stessa, e ciò perchè lo strumento cadendo agisca sempre sopra punti diversi. I due operai cambiano a vicenda d’ ufizio ; la notte due altri uomini sono sostituiti a quelli che hanno lavorato il giorno. Quando lo strumento si è profondato di tre pollici, viene tirato su per mezzo d’un argano, e porta seco nella sua cavità superiore la materia risultata dalla triturazione , stemperata nel- l’acqua. Vuotata questa materia , si torna a ‘calare lo strumento, 156 e si continua il lavoro. Quando s’ incontrano materiali di buona qualità, in 24 ore si avanza l’escavazione di circa due piedi , cosicchè lavorando continuamente giorno e notte s’impiegano presso a poco tre anni per scavare un pozzo. Un altro mezzo semplicissimo serve ad estrarre dai pozzi 1’ acqua salsa. Si cala in fondo un tubo di bambù lungo 24 piedi, al fondo del quale è adattata una valvula che si apre di basso in alto. Un operaio appeso alla ‘corda che sostiene il tubo dà delle forti scosse, ciascuna delle quali fa che si sollevi la valvula , e s’ introduca dell’acqua nel tubo. Allorchè questo è pieno , è tirato su per mezzo d’ un argano. L’acqua evaporata in vasi di ferro fuso del diametro di cinque piedi, e fondi quattro soli pollici, dà un quinto, e qualche volta un quarto del suo peso di sale. Molti di questi pozzi essendo nel tempo stesso sorgenti co- piose di gas infiammabile , i chinesi profittano del calore che pro- duce la combustione di questo , per operare l’evaporazione del- 1’ acqua salsa senza spesa d’ altro combustibile. Il gas è con- dotto sotto i vasi o caldaie, dove deve subire la combustione , per mezzo di tubi di bambou ; terminati da un tubo d’ argilla nella parte a contatto della fiamma. S’' impiega anche una parte di quel gas, condotto ovunque occorra per mezzo di tubi di bam- bou, ad illuminare le strade , e le grandi fabbriche. Quindi è che i chinesi hanno preceduto gli europei , come in tante altre cose, così anche nell’ illuminazione a gas. lI sig. Cheoreul hariconosciuto che l’azione combinata del gas ossigene e degli alcali opera sopra molte sostanze organiche dei cambiamenti chimici, che niuno di quei due agenti applicato se- paratamente può produrre. Così, per esempio, la soluzione. acquosa di potassa dà col verzino un color di porpora che può conservarsi per degli anni, ma che per il contatto dell’ ossigene divien tosto rosso bruno, e si altera. La stessa soluzione di potassa forma colla cocciniglia un color bruno-purpureo , che si può conservare inalterato per più d’un anno, ma che esposto all’ azione del- l’ossigene , passa al giallo, distraggendosi il carminio. Il colore della viola mammola e d’ altri vegetabili divien verde per l’azione d’un alcali; aggiuntavi quella dell’ ossigene , o dell’ aria atmo- sferica, diviene giallo bruno, o di foglia morta. Sono circa 4o anni che il sig. De Humboldt aveva annun- ziato che alcuni funghi esalano del gas idrogene. Il sig. De Candolle 157 nella sua Flora francese ha scritto che la Sphaeria digitata, e- sposta sotto l’acqua alla luce del sole, dà un gas nel quale ha trovato ro per 100 d°idrogene. / Ora il sig. Marcet, avendo intrapreso dell’ esperienze per riconoscere se i funghi nella loro vegetazione alterino l' aria nella quale si trovano immersi , se esalino dei gas particolari , quali ‘siano questi, e quale la causa ed il modo del loro sviluppo, si è assicurato che, racchiusi in un recipiente pieno d’ aria atmo- sferica, non alterano sensibilmente questa, nè vi versano gas idrogene, sia che l’apparato si trovi esposto alla luce del sole, o tenuto nell’oscurità. Se poi i funghi si trovino immersi nell’ acqua, esalano un gas misto d’azoto e d’ idrogene, anche nell’ oscurità , ma più prontamente ed in maggior copia se esposti alla luce del sole. Quanto alla causa del fenomeno, l’autore pensando che da alcuni potrebbe attribuirsi ad un processo di putrefazione che si stabilisse nella sostanza dei funghi, oltre ad averlo evitato nelle sue esperienze, ne esclude col ragionamento l’influenza, e pensa che il gas idrogene provenga dalla scomposizione dell’ acqua , operatasi per una continuazione di vita o di vegetazione, che ha luogo nei funghi immersi nell’ acqua, e non altrimenti, e per la quale, mentre l’ossigene si combina alla sostanza del fungo, l’idrogene si sprigiona in gas. Pensa poi che l’ azoto sprigionatosi provenga dalla scomposizione dell’aria comune , sia di quella che trovasi disciolta nell’ acqua , sia di quella che esiste fra le cavità e nel tessuto stesso del vegetabile. Il sig. Plisson farmacista di Parigi , che aveva già dimostrato 1’ identità della materia cristallina che si ricava dagli sparagi con quella che si può ricavare agevolmente dalle radici di regolizia, di malvavisco , e di consolida, ne ha ricavato un acido , che dalla voce asparagus, con cui i latini appellavano lo sparagio , ha chiamato aspartico. Il processo per mezzo del quale lo estrae è il seguente. Unendo l’ asparagina , o la materia cristallina indi- cata, all’idrato di piombo, si forma un sale insolubile. Sospeso questo nell’ acqua, vi si fa passare a traverso una corrente di gas acido idrosolforico , che scomponendosi, mentre per 1’ unione del suo idrogene all’ossigene dell’ossido di piombo forma dell’ acqua, per l’ unione del suo solfo al piombo metallico forma un solfuro, che si precipita in fondo al liquido, il quale contiene in solu- zione l’ acido aspartico. Quest’ acido separandosi dall’acqua, prende la forma d’una 158 polvere brillante, che esaminata col microscopio sembra composta di lunghi prismi a 4 facce terminati da sommità diedre , traspa- rentissimi , e senza colore. L’ acido aspartico non ha odore; ha sapore acidetto che presto si dilegua, arrossa la laccamuffa; è poco solubile nell’ acqua , la quale alla temperatura di gradi 6 R. ne scioglie un centoventottesimo del suo peso ; bollente ne scioglie molto più. Scomposto per 1’ azione del calorico, dà fra gli altri prodotti dell’ammoniaca e dell’acido idrocianico. Li stessi prodotti si ottengono dalla scomposizione dei sali formati da que- st'acido, o degli aspartati , che abbiano per base un alcali mi- nerale. Gli aspartati solubili hanno un carattere particolarissimo, ed è questo, che le loro soluzioni hanno il sapore del brodo di carne. L’ acido aspartico forma dei sottosali, unendosi ad una quantità di base doppia di quella che si contiene negli aspartati neutri. Trattando coll’ acqua l’estratto alcoolico della radice di Cain- ca, si ottiene una soluzione bruna, dalla quale la potassa cau- stica separa un precipitato voluminoso ; che non si ha egualmente coll’ ammoniaca. Questo precipitato seccato prende la forma d’una polvere bianca che il calore altera. È perfettamente solubile negli acidi , e l’ammoniaca lo precipita di nuovo da queste soluzioni sotto forma di fiocchi bianchi. Coll’ acido solforico dà una massa gommosa ; è disciolto in gran parte dall’ alcool bollente, ed ha quasi tutte le proprietà dell’ emetina. Il sig. Brandes, cui si devono queste notizie , promette di darne altre, in seguito di sue ulteriori ricerche intorno a questa sostanza. Il sig. Robiquet avendo intrapreso un esame diligente del Lichen roccella, da cui si ricava il bel colore conosciuto sotto il nome d’ oricello, ha scoperto e separato dagli altri materiali il principio colorante di questo vegetabile. Il nuovo e singolar pro- dotto da lui ottenuto ha un sapore dolcissimo , è solubilissimo nell'acqua, senza colore, capace di cristallizzare in bei prismi quadrangolari appianati; per mezzo d’un discreto calore può vo- latizzarsi senza scomporsi, e non acquista la proprietà colorante, se non dopo aver subìto 1’ azione successiva dell’ ammoniaca e dell’ aria. | | | 159 SCIENZE MEDICHE. Fra i mezzi proposti ed impiegati per tentar di richiamare alla vita, gli asfissi ed isommersi, era stato da lungo tempo ri- guardato come uno dei più utili, e più spesso efficaci, l’ insuf- \ flazione artificiale, per eseguir la quale (operata in principio direttamente colla bocca ) erano stati imaginati ed adottati dei mezzi meccanici, e specialmente un piccolo mantice o soffietto , corredato di tubi, e chiavette opportune al bisogno. Ma non è molto che il sig. Leroy d’ Etioles, richiamando l’ attenzione dei medici e dei filantropi sugl’ inconvenienti ai quali una tal pra- tica va soggetta, ha dimostrato coll’appoggio di molti esperi- menti da sè fatti sopra varie specie d’animali, che un insuf- flazione un poco forte d’aria nei loro polmoni uccide immedia- tamente i montoni, le capre, i conigli, e le volpi, resistendovi al contrario i cani, bensì non senza risentirne notabili incomodi per più giorni, decorsi i quali si sono poi ristabiliti. Nell’ impossibilità di fare dell’esperienze dirette sull’ uomo vivo per verificare se l’ insufflazione un poco forzata riuscisse in esso mortale come negli animali di quelle prime specie, o pro- ducesse soltanto degl’ incomodi presto sanabili, come nel cane, il sig. Leroy d’ Etioles ha accumulato non pochi fatti ed argo- menti che rendono probabilissimo il primo e più tristo evento. Però proclamando la necessità di procedere colla più grande moderazione e delicatezza nei casi nei quali si volesse praticare l’ insufflazione, ha suggerito un altro mezzo , che dei fatti già ‘noti e dei nuovi esperimenti da lui espressamente intrapresi hanno dimostrato utilmente efficace a promuovere negli asfissi e som- mersi un principio di respirazione artificiale , seguitato in molti casi dal ritorno alla vita. Questo mezzo consiste nel. profittare dell’elasticità delle coste , delle loro cartilagini, e delle pareti addominali , comprimendo l’addome ed il torace interrottameate, o con intermittenza, facendo cioè succedere a ciascuna compres- sione un intervallo di tempo che permetta alle parti compresse di tornare alla posizione naturale. Egli ha pure riconosciuto efficace a promuovere un principio di respirazione , ed il conseguente ritorno alla vita , una corrente voltaica applicata e diretta a determinare le contrazioni del dia- framma. Tuttavia raccomanda in special modo e di preferenza il mezzo della compressione ; come atto ad esser praticato imme- diatamente e da chiunque, a differenza dell’ ultimo, per cui si 160 richiede x:m apparato che non si trova dovunque, che richiede qual- che tempo per esser messo in azione , e che pochi sanno disporre ed apprestare. Diversi fatti, alcuni dei quali recenti e bene accertati, pro- vano che nei bambini nati di fresco, e che hanno poco respirato, l’ insufflazione artificiale non produce li stessi dannosi effetti che negli adulti. Conseguentemente può e deve praticarsi , bensì colla necessaria moderazione e delicatezza, nei casi non molto rari di bambini nati asfissi. Un grandissimo mumero di ricerche statistiche ha condotto il sig. Villermé ad alcune conclusioni intorno all’ influenza di varie circostanze esterne sul numero dei concepimenti nella specie umana. Un primo fatto generale da lui verificato è questo ; che i mesi nei quali è maggiore il numero delle nascite sono i 6 se- guenti, secondo l’ordine con cui li nomineremo: febbraio, marzo; gennaio, aprile, novembre, e settembre , ai quali corrispondono respettivamente per il tempo del concepimento quelli di maggio ; giugno , aprile, luglio, febbraio, e'marzo. In conseguenza il più gran numero di concepimenti avrebbe luogo (per altro senza una grande regolarità) nei sei mesi consecutivi fra loro, che cominciano fra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera, e che finiscono fra il solstizio d’estate e 1’ equinozio d’ autunno ; vale a. dire mentre il sole si ravvicina al nostro emisfero, e s’ inalza sul nostro orizzonte. Sembra che questo fatto confermi un antichis= sima opinione volgare ; che attribuisce all’ azione solare molta influenza sopra ogni maniera di fecondità o di propagazione. Pres- so tutti i popoli la primavera è in qualche modo il simbolo di quella potenza che rianima la vita e promuove la fecondità. Fra le circostanze meteorologiche , l’autore ha riconosciuto come la più influente sul numero dei concepimenti o sulla fe- condità della specie umana ; l’ aria dei luoghi paludosi o d’acque stagnanti , la quale contribuisce alla scarsità della popolazione, non solo con produrre o affrettare la. morte degl’ individui vi- venti, ma ancora con porre ostacolo alla fecondità. Notabile è l’influenza che esercitano su questa diverse isti tuzioni ed abitudini sociali in uso presso varii popoli. I tempi di grandi lavori , come per esempio quello della mietitura, non sono , come potrebbe supporsi, contrarii alla propagazione della specie. La favoriscono notabilmente le circostanze di gioia e di festa, di abbondanza ‘e di, prosperità e vi sono avverse quelle di carestia di digiuno , ec. 161 Senza punto impegnarci in discussioni intorno al magnetismo animale , riguardo al quale uomini di sommo merito sono di opi- nioni diametralmente contrarie, e limitandoci ad osservare che delle cose ammesse e sostenute dai partigiani del magnetismo ani- male la più maravigliosa , e però la meno creduta dai loro con- tradittori è lo stato d’ estasi , che i magnetizzatori affermano di potere indurre in alcuni individui , e 1’ assoluta insensibilità che asseriscono conseguirne ; non vogliamo omettere di riferire un recente fatto singolarissimo , premettendone a questo un altro alquanto più antico, ma anche più maraviglioso, e che si riguar- da come bene accertato. Maddalena Durand, convulsionaria dell’ età di anni 19, la quale aveva nella bocca un tumore canceroso che le cagionava un dolore orribile, e che i più abili chirurghi , fra i quali Le- dran, avevano ricusato d’operare , dichiarandolo incurabile coi mezzi dell’ arte , nello stato d’ estasi si estirpò ella stessa quel tumore, tagliandolo a più riprese colle cesoie, e strappando colle unghie quella parte che le cesoie non avevano potuto raggiugnere, il tutto senza dar segno di sentire il minimo dolore; e mostran= dosi insensibile. Ecco poi il fatto recente avvenuto a Parigi. La madre d’ un rieco negoziante della via S. Dionigi, dell’età d’ anni 64, affetta d’un canero ulcerato nella mammella diritta, con ingorgo delle parti vicine e dei gangli ascellari, è stata operata dal sig. Giulio Cloquet,uno dei più distinti chirurghi di Parigi, essendo nello stato d’estasi, senza dare il minimo segno di sensibilità in tutto il tempo dell’operazione , che dnrò da 10 a 12 minuti. Soltanto allorquando fu lavata la piaga con una spugna imbevnta d’acqua, la malata provò una sensazione simile a quella che produce il solletico , e senza uscire dallo stato d’ estasi, gridò più volte con ilarità : non fate più, non mi fate il solletico. La malata fu lasciata nello stato d’estasi per 48 ore. In quest’intervallo fu levato il primo apparecchio , e questo pure senza che ella dimostrasse di sentire verun dolore. Finalmente uscita dallo stato d’ estasi, e svegliata, si accorse non senza sorpresa che l’ operazione a cui non aveva voluto sottomettersi era terminata felicemente. G. G. T. XXXIV. Maggio. 2I ARCHEOLOGIA. ISTITUTO DI CORRISPONDENZA ARCHEOLOGICA IN Roma. — Annali dell’ istituto con rami illustrativi, e con una raccolta di mo- numenti inediti. Di questo nuovo istituto che promette tanto onore alla scien- za, ecco in breve le condizioni e lo scopo: In mezzo ai molti progressi degli studi attenenti alle antichità e all’arti belle, molti ostacoli tuttavia al sno studio s’oppongono, a causa della difficile comunicazione di notizie e d’idee fra i letterati, gli artisti, e gli amatori italiani e que’ d’ oltremonte. Ad agevolar tali ostacoli e a promovere gli studii dell’antichità con ogni sorta di scambievoli relazioni ed aiuti, s'apre ora sotto la protezione di S. A. R. il principe ereditario di Prussia , un istituto di corrispondenza archeologica , composto d’ italiani in- sieme e d° esteri: corrispondenza , che tratterà, oltre i monu- menti dell’ arte, qualunque siasi argomento spettante alla clas- sica antichità. Dall’ anno 1829 in poi ; l’istituto darà un rag- guaglio continuo e compiuto d° ogni nuova scoperta , sia di mo- numenti , sia di letteratura archeologica. Ma ne’ detti raggua- gli non entrerà la parte illustrativa , ch’ è I’ ordinario soggetto delle altre accademie archeologiche ; se non quanto le illustrazioni faran parte dello stesso carteggio che terrà l’istituto. Questi rag guagli insomma saranno una compiuta raccolta di notizie e di fatti, non una sistematica e prolissa dichiarazione di monumenti, spesso dubbia , sovente arbitraria. Ognun vede pertanto che di molti e molti corrispondenti ab- bisogna la nuova società per raccogliere tutte le notizie che ca- dono sotto la sfera delle antichità classiche. E perchè all’ indi- cazione di monumenti , o non conosciuti od inaccessibili, può giovare la relazione non solo dell’ archeologo e dell’ artista ;} ma del culto amatore , saranno anche gli amatori aggregati come soci corrispondenti o socii onorari. I membri ordinari adunque saranno letterati ed artisti già noti all’ Europa: onorarii saranno i mecenati, i promotori , i raccoglitori : corrispondenti , quegli amatori che o per viaggi fatti o per indagini tentate sulle patrie antichità possono fare sperare alla scienza qualche notizia im. portante. I soci corrispondenti dovranno aver dato saggio della loro attitudine : gli ordinarii dovranno aiutare le opere dell’isti- tuto, comunicandogli memorie ; disegni, osservazioni , notizie , 163 e contribuire alle spese degli annali con due luigi all’anno per copia. Questo sussidio si paga anticipato di semestre in semestre ; ma potrà essere compensato con articoli o con disegni, che si retribuiscono al fine dell’ anno in ragione di due luigi per fogliv stampato di sedici pagine, e di un luigi per ogni disegno accolto ne’ monumenti inediti dell’ istituto. I socii corrispondenti non avranno questi obblighi : ond’ essi, volendo le opere dell’istituto, saranno registrati nella lista degli altri associati: ma riceveran- no separato ogni foglio degli annali che riguardasse antichità vi- cine al paese da loro abitato. L’amministrazione della società sarà tenuta da que’ membri or- dinarii, i quali ne hanno formato il disegno, e contratto 1° ob- bligo del carteggio e della redazione: come soci onorarii dell’am- ministrazione, saranno consultati in ogni affare importante i di- rettori dello studio delle antichità italiane e straniere; i quali son pregati d’ assistere alle adunanze , ma senz’ obbligo nè let- terario nè pecuniario , se non quand’ essi vi soscrivessero di loro buon grado. I membri invitati a far parte di questo corpo ar- cheologico, saranno distribuiti in quattro sezioni, secondo i quat- tro paesi che sono principal teatro di tali studi: l’Italia, la Germania, 1’ Inghilterra , la Francia. Ciascuna sezione avrà tra i suoi membri amministranti uno o più segretarii , il cui uffizio sarà raccogliere ed ordinare i materiali , per fornire all’ istituto un continuato generale ragguaglio di tutte le notizie archeolo- giche del lor paese ; e far riscuotere gli annui sussidi. Essen- do questo l’ unico mezzo di assicurare all’istituto una stretta e perpetua relazione con 1’ estero, scopo principale della sua fon- dazione , si è dovuto sollecitare la scelta di segretarii esteri pel prim’ anno. E quando la nuova impresa , sostenuta sin d’ ora dal favore d’ uomini insigni, prenderà miglior forza , altre se- zioni si stabiliranno per la Grecia , la Scandinavia, 1° Olanda, la Russia. La sez'one italiana, come centro della società e della scienza, dee avere più impiegati delle altre, e tenere delle regolari adunanze; avere innoltre un archivista perpetuo , il quale riceverà ogni nue- vo rapporto, e conserverà il deposito de’ rapporti inviati. L’adu- nanza sarà tenuta ogni tre settimane a un dipresso , per comu- nicare le più importanti notizie del carteggio estero , e delle sco- perte del suolo romano, ed esaminarle in quanto possono entrar negli annali: la lettura di memorie si potrà fare, ma non sarà mai un obbligo, secondo i principii dell’istituto. Queste adunanze si terranno in casa del sig. cav. Binsen: il dì ar d’aprile sarà gior- 16 no d’ adunanza solenne , come anniversario della fondazione di Roma, e vi si leggeranno i rapporti generali composti da’ secre- tarii delle quattro sezioni, sui progressi della scienza, sui lavori della società , sull’ entrate e le spese. L’ istituto pubblicherà annualmente fogli dodici incisi di mo- numenti inediti in foglio , e circa fogli quaranta di aunali d’ar- cheologia in forma d’uttavo. Crescendo la mole delle opere, non crescerà perciò l’ annuo sussidio di due luigi. Agli associati, le copie saranno mandate senza spesa di porto nelle capitali d’Ita- lia, dove essi pagheranno l’ associazione all’ indicato ricapito, e donde sarà loro cura farsi venire il libro fino al luogo della propria dimora. I monumenti inediti saran disegnati a semplici contorni; non senza però de°fogli coloriti, quando la cosa lo ri- chiedesse; e con brevi spiegazioni. Gli annali saranno divisi in tre parti. 1.° Degli scavi de’ monumenti finora negletti o scono- sciuti, de musei novellamente arricchiti. 2.° Della letteratura archeologica, cioè ragguagli de'’libri riguardanti la scienza. 3.° Delle osservazioni illustrative , cioè descrizioni e comparazioni de’mo- numenti senza lunghe investigazioni antiquarie . Gli articoli sa- ranno scritti o tradotti in una delle tre lingue più cognite : ita- liana, francese , latina. Quanto agli articoli od a’disegni comu- nicati, e’ saranno a dir così, guarentiti dalla soscrizione d’un dei soci ordinari. Trattandosi d’ articoli lunghi da non si poter subito inserire, se ne darà tosto un estratto , riserbandoli a tempo mi- gliore. E se di qualche notizia non si credesse poter profittare, se ne darà tosto avviso all’ antore o con lettera, o, se la cosa può farsi convenientemente, nello stesso giornale. In questo istituto pertanto, la parte illustrativa dell’Archeo- logia cede il luogo ai fatti ed ai monumenti; innovazione im- portante, giacchè lascia il campo a una moltitudine di materiali, che scambievolmente diventano illustrazione a sè stessi. Quaranta fogli di stampa in un anno sarebbero ben presto riempiuti da dis- sertazioni illustrative; ma una raccolta in quella vece di noti- zie e di monumenti, quanta più luce non versa sulla scienza , e quanto la solleva al disopra di quella caparbietà sistematica che spesse volte diventa più ostinata nella inscizia o nella ne- gligenza de’ fatti! Altra novità importantissima del romano istituto si è di ave- re indistintamente ammessi e invitati alla partecipazione della scienza i dotti tutti d’ Europa; unione utilissima alla diffusione del vero, necessaria agl’incrementi rapidi della scienza, onorevole a coloro che primi l’ hanno sperata , proposta , eseguita . Roma hd 165 certamente doveva essere il centro d’un tale istituto; ma l’ unità non era da confondere con l’ isolamento , siccome molti mostran di credere; pazzamente superbi delle glorie del nome italiano. Anche 1’ ammettere nel numero de’ socii corrispondenti gli amatori della scienza e dell’ arte, è sapiente mezzo non solo di accrescere le ricchezze dell’ istituto, ma di diffondere 1° amore diligente ed erudito di tali studii che tanto armonizzano con gli storici, co’filologici , co’ letterarii , e che con questi congiunti ricevono e danno al sapere una fecondità , una pienezza tanto desiderabile quanto rara fra noi. Così quel rinunziare alla boria delle inutili adunanze acca- demiche, e alla consuetudine spesso tanto noiosa delle lunghe let- ture; è un miglioramento non piccolo che dimostra, come dalle ostentazioni infantili e da’ fatui incoraggimenti, la scienza pro- cede verso la virile disquisizione del vero, ch°è il degno suo scopo . I nomi di Biinsen, Gerhard, Kestner, Millingen, Thorwaldsen, fra i socii ordinari presenti ; di Panofka , Rumohr, Stackelberg, Welcher, fra gli ordinarii esteri; di Fea, Guattani, Visconti, Nib- by, Cardinali , fra gli onorarii presenti; di Arditi, Avellino, Carelli, Inghirami, Mustoxidi, Zannoni, fra gli onorarii esteri, son guarentigia bastante a questa degna intrapresa. Giova spe- rarne un esito felice, onorevole , e pronto. Lo spirito d’associa- zione è il solo ormai che in letteratura e nel resto possa dar vita alle belle ed utili cose. Avranno dunque gli archeologhi tutti un giornale a cui ri- volgersi per far conoscere al pubblico le loro scoperte , le opere loro. E noi invitiamo tutti quelli che volessero d’ora innanzi inviarci lavori simili da esaminare, di rivolgerli al vero lor cen- tro. Sarebbe pure desiderabile che tutte le scienze avessero pari- mente un giornale lor proprio; che così e l’utilità degli studiosi, e l’onore de’ Giornali, e il diletto de’ lettori ne diverrebbe mag- giore. Troppo picciolo spazio è già un volume periodico a con- tenere tutte le notizie di rilievo riguardanti una scienza, un'arte sola: e siccome negl’intellettuali così ne’lavori meccanici è mezzo insieme ed indizio di perfezionamento l’ opportuna suddivisione delle opere e degli uffizii. # X. 166 SocrETÀ SCIENTIFICHE. : I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza del 3 Maggio. — Aperta la seduta sotto la Vice Presidenza del sig. marchese cav. Cosimo Ridolfi , letto ed ap- provato l’ atto della precedente adunanza, e reso conto della cor- rispondenza del mese ultimo decorso, 1° accademico sig. dott. Cosimo Vanni supplendo il turno di altro collega imprese a leg- gere la seconda parte di un suo dotto non meno che erudito la- voro sui livelli toscani. Dopo avere egli esaminato in una precedente memoria l’ origine de’ detti livelli, quali classò in tre specie, cioè in li- velli antichi, in livelli di manomorte, e in livelli secondo i nuovi regolamenti, ha impreso questa fiata a indagare quale in- fluenza ognuna delle tre specie enunciate abbia avuto ed abbia ancora sull’ agricoltura e sulla pubblica economia , e di quali mi- glioramanti siano suscettibili. Trattandosi di materia che tanto interessa i proprietari toscani, noi ci proponghiamo di render conto di questo importante lavoro in altro fascicolo di questo giornale. La lettura di altra memoria di turno del sig. prof. Gaetano Giorgini fa rimessa ad una delle successive adunanze. Sciolta la pubblica udienza 1’ accademia si raccolse straordi- nariamente per sentire dal suo Vice Presidente la proposizione per aggregare al corpo accademico S. E. il sig. Barone de Vitrol- les Ministro di S. M. Cristianissima presso la R. Corte di Toscana, il quale fu a pieni voti eletto e quindi proclamato socio corri= spondente. Accademia Gioenia di Scienze Naturali di Catania. Seduta ordinaria del 13 novembre 1828. Il socio ordinario dott. Carlo Gemmellaro fece lettura della sua interessante memoria sulla fisonomia delle montagne di Sicilia , esponendo dapprima 1’ idea del sonnno naturalista Adan- son , che stimò il primo più alla natura confacente lo stabilire un sistema fisio- logico, che, su i caratteri essenziali dell’ insieme della pianta poggiasse , onde distinguer questa dalle altre si potesse a primo colpo d’ occhio ed al solo suo aspetto esteriore : quanto Adanson riflettea e proponea per la botanica , opinava l’Autore anche proporre in certi limiti per la geognosìa , in quel che riguarda la conoscenza dei terreni e delle rocce che li costituiscono ; con questa diffe- renza però , che il poter conoscere una pianta a distanza e senza l’ aiuto del microscopio , non apporterebbe mai tanta utilità , quanta recar ne patrebbe il 107 poter riconoscere da lungi la natura di un terreno o di una montagna. Gosì non solo si sarebbe ben diretti nelle ricerche mineralogiche , e. si abbrevierebbe il cammino nell’ acquisto dei minerali, scansando i terreni inutili, o non con- facenti all’ oggetto; ma dal gabinetto potrebbesi anche decidere sulla verità di un rapporto , a misura che questo si allontanerebbe o avvicinerebbesi ai prin- cipii stabiliti della scienza geognostica. Su queste considerazioni fondato , crede quindi opportuna cosa il ricercare e stabilire , come dottamente fece , la fisio- nomia delle montagne della Sicilia , le quali tuttochè siano, per dir così, delle elevazioni in miniatura, in confronto di quelle del continente, pure non lasciano di essere per noi un’ oggetto interessante, dovendo meritare a preferenza la no- stra attenzione ed il nostro studio ; oltrecchè rimarcò l’Autore potere esser lecito qualche volta di paragonare le piccole cose alle grandi, potendo anzi le osser- vazioni fatte sopra piccoli e distinti oggetti servir di spiegazione ai fenomeni la di cui grandiosità occupa talmente lo spirito da non farne travedere le circostanze. Dopo ciò, siccome trovavasi presente alla seduta, il socio collaboratore dott. Francesco Scriffimano da Aggira, che aveva diretto all’ Accademia una sua lettera anatomica, con cui pretese provare che il così detto acquidotto cochleare di Cutugno è un canaletto , che non merita il nome di acquidotto , e che Gu- tugno non ne fu lo scopritore , sulla necessità di doversi passare alla dimostra- zione di alcune preparazioni anatomiche dal giovane collaboratore eseguite per meglio comprovare il suo assunto, 1° Accademia permise che ne facesse egli stesso la lettura, dispensando per questa sola volta all’art. 38. degli statuti, che non accorda ai socii collaboratori il diritto di sedere nel corpo accademico. Si nominò in seguito un comitato per riferire sulle opinioni in questa lettera esternate. Seduta ordinaria del 21 dicembre 1828. = Il socio ordinario can. Giuseppe Alessi recitò una parte della sua memoria sopra gli ossidi di silicio ed i sili- cati esistenti, o nuovamente ravvisati in Sicilia e che l’arte mettere a profitto potrebbe, riserbandone la continuazione alla seduta seguente. Discorse egli del- l’ossido di silicio semplice, che forma gran parte del regno minerale, senza esclu- derne i terreni vulcanici di Sicilia, e de’ varii silicati che dall’ ossido di silicio combinato con ossidi metallici, e talvolta con un’aleali, derivano. Divisò quindi successivamente il quarzo jalino vario-cristallizzato , e vario-colorato, il quarzo concrezionato ramoso, gatteggiante, in massa laminare, arenaceo ; la calcedonia, l’onice, il legno fossile semi-agatizzato ed il selcioso, varii quarzi piromachi con geodi rimarchevoli, il quarzo resinite, le agate e gli svariati diaspri; il granato il felspato, la turmalina, l’anfibole, il pirossene, il peridot, l’epidote, la mica, la cerite ; fece un cenno dell’asbesto, della mesoripe, della fiorite, della filspite , e di varie altre sostanze con l’ossido di silicio combinate. Presentò in vaga mostra alla dotta osservazione dei socii tutti gli obbietti illustrati. Appalesò 1’ uso che farsene potrebbe per comodo, diletto e lusso della vita, ed accoraggiò finalmente i siculi artefici ad eseguirne preziosi e lucrosi lavori. Dopo ciò il socio onorario prof. Giuseppe Rizzo lesse la relazione sopra due individui tenuti per ermafroditi scritta ed inviata dal socio corrispondente dott. Luigi Gravagna da Malta. In essa l’ autore, con l’ appoggio di due fatti occorsi ultimamente nell’Isola di Malta, intende confermare quanto si è stabilito, in seguito di diligenti ricerche e degli odierni lumi, sull’ assoluta inesistenza di veri ermafroditi, cioè d’individui aventi gli organi della generazione di entrambi i sessi atti a fecondare ed a concepire, mentre devesi tenere come impossibile la simultanea esistenza delle parti perfette della generazione dei due sessi nel medesimo individuo, ma solamente uno de’ due sessi può essere più sviluppato 168 2 e prevalere all’altro, che solo è indicato dalla deformità di alcumi organi non proprii, !a cui alterazione dello stato nattrale dà loro una mentita apparenza. Seduta ordinaria del 22 Gennaio 1829. == Il socio ordinario dott. Carlo Gemmellaro annunziò una lettera scritta dal socio corrispondente dott. Tommaso Hodghing da Londra sopra uno stato particolare delle valvole dell’ aorta, ri- serbandosi di offrirne nella prossima seduta ordinaria una versione italiana. Furono poscia presentati, una memoria manoscritta sopra un vuluminoso tu- more steatomatoso , che sviluppatosi tra l’intestino retto e Vuretra produsse PIcuria, la rottura ‘della vessica e la morte della paziente, scritta dal socio collaboratore dott. Euplio Reina; ed un grosso pezzo di legno petrificato delle contrade di Paternò donato dal socio collaboratore dott. Gio. Batt. Calì. In seguito il socio attivo can. Giuseppe Alessi diè compimento alla lettura della sua memoria sopra i varii silicati esistenti o nuovamente ravvisati in Si- cilia e che l’arte mettere a profitto potrebbe , donando al. Gabinetto dell’ Ac- cedemia 30 varii silicati, fra i principali di quelli che nel suo seritto prese egli ad illustrare. Finalmente il socio ordinario dott. Alfio Boranno lesse una parte della sua utile memoria sull’uso del pepe nero e delle sue preparazioni nelle febbri pe- riodiche. Cennò da principio la preferenza che meritar deve questo specifico su qualsiasi altro per il facile rinvenimento dello stesso; il poco suo costo ed il nessun timore che possa essere adulterato. Indi discorse dell’uso che in diverse malattie ed in specie nelle febbri a periodo facevasi del pepe dagli antichi me- dici, aggiungendo come sin da epoche remotissime esso fosse posto in opera da- gli agricoltori di varii paesi. Parlando in seguito dei felici effetti ottenuti da po- chi anni in quà dal prof. cav. Meli e da altri medici colle diverse preparazioni tirate dal pepe nero, espose i motivi per i quali, a suo credere, tanto nei tem- pi andati, che nei presenti, abbia trovato impedimento nella pratica medica l’uso ed il progresso di un febbrifugo così sicuro e costante, con positivo danno dell’egra ‘umanità, ed in precipuo modo della gente di campagna, che per non potersi procurare il solfato di chinina, tanto per il suo costoso prezzo, che per la difficoltà di poterlo prontamente ovunque rinvenire , spesso rimane vittima del morbo di cui viene attaccata- Dopo ciò imprese a far parola degli esperi- menti da lui eseguiti colle varie preparazioni dell’indicato farmaco, nelle febbri periodiche che dominarono nell’ estate e nell’ autunno dell’anno prossimamente scorso in Treccastagné e negli altri comuni di quel dintorno, non solo fra la gente che avea dimorato vicino le paludi, ma benanco presso coloro ch’ erano restati a respirare l’ aria salubre delle amene contrade dell’Etna ; palesando i suoi pensamenti su quanto abbia potuto contribuire ad avvalorare od a formare la costituzione allor dominante di tali febbri. Espose susseguentemente come nelle sue cure restò in prima deluso dall’ azione del pepe in polvere per !'non averlo dato a dosi sufficienti, ed aggiunse come queste aumentate produssero dei felicissimi e prosperi effetti in un gran numero di ammalati che da lui furon trattati con tal febbrifugo. Finalmente riportò alcune lettere scrittegli da taluni medici suoi amici, i quali, da esso espressamente invitati, avendo posto in uso lo specifico în discorso ne ottennero dei vantaggiosi resultamenti, dei quali si fe- cero a rendergli un minuto conto, promettendogli in appresso delle nuove par- tecipazioni. Conchiuse 1’ autore la sua memoria manifestando il desiderio da lui nutrito perchè fosse vieppiù esteso fra noi l’uso del pepe nelle febbri a ca- rattere periodico, e ad ottenere un tale scopo richiamò 1’ attenzione di tutti i medici delle nostre contrade. » 100 Seduta ordinaria del 28 febbraio 1829. Il Vice-Direttore sig. Meravi- gna fece lettura della prima memoria di un suo nuovo lavoro che porta per ti- tolo : Materiali per servire alla formazione della Mineralogia Etnea. L’autore divide questa fatica in memorie, ognuna delle quali abbraccia una famiglia mi- neralogica. Nella prima letta in parte in questa seduta tratta delle antratici. Dopo di avere esposto nel discorso preliminare le cause, che hanno ritardato i progressi della mineralogia Etnea, passa a descrivere le specie che appartengono a quella famiglia, cioè: il Petroleo o nafta. L’idrocarbonato di soda. Il carbo- nato di calce romboedrico, Le specie sono descritte non solo nelle loro varietà di forma, di colore ec. ma l’autore si occupa egualmente della loro giacitura. Dopo la descrizione di ogni specie seguono alcune considerazioni sulla probabile formazione di essa, per quanto lo è permesso in un ramo di sapere tanto intri- cato ed ascoso. D. $S. L. R. Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze morali, storiche , e filologiche. = Adunanza ordinaria del 12 marzo 1829 , nella quale furono letti i seguenti lavori : 1.° Rapporto in nome d’ una Giunta Accademica intorno ad un lavoro MS. del signor Francesco Lencisa regio intendente della proyincia di Novi, intito- lato: Dell’ industria della Seta ne’ Regi Stati ; del conte Federigo Sclopis relatore , del quale essendo state approvate dalla Glasse, venne da esso inco- minciato secondo le norme accademiche la lettura dell’ opera stessa. 2.° Continuazione e fine del Saggio sull’ indifferenza considerata come dote ra dell’ uman genere ; del cav. G. Manno. Adunanza ordinaria del 9 aprile, nella quale furono letti i seguenti lavori: 1.° Degli ordinamenti particolari della Colonia di Galata , del cav. Lo- dovico Sauli. 2.° CGontinuazione della memoria del sig. Lencisa, intorno all’ industria della seta negli Stati di S- M. Adunanza del 30 aprile. Il Conte Federigo Sclopis fece lettura della memo- ria MS. sopra l’industria della seta nei Regii Stati, del sig. Intendente Fran- cesco Lencisa, la quale a tenore degli statuti accademici, e secondo le con- ‘chiusioni del rapporto già fatto prima alla Classe, venne ammessa a pieni voti nel numero delle memorie da stamparsi nei volumi della R. Accademia, Classe fisico-matematica Adunanza ordinaria del 12 aprile. Il Pro- fessore Cavaliere Plana , a nome di una Giunta, lesse il parere intorno a una nota trasmessa da Parigi dal sig. Antonio Marechal, relativa a una sua me- moria precedentemente mandata all’ Accademia, intitolata : De la forme de la terre , et de l’ influence de cette forme sur le système astronomique. Il Professore Bidone , a nome pure di una Giunta y fece rapporto sopra un artifizio proposto dal Dottore Giovanni Finazzi, per agevolare il trasporto di colonne e di massi pesanti. Quindi il Professore Plana lesse una Note sur le calcul de la partie du coèfficient de la grande inégalité de Jupiter et Saturne , pri dépend du carré de la force perturbatrice. La sudetta Classe fisico-matematica nell’ adunanza del 26 Aprile ebbe ad ‘occuparsi del risulamento del concorso al quesito proposto col Programma del r.° TV. AXNXIV. Muggio. 22 IO a di luglio 1827, in cui era stato promesso un fremio all’antore del miglior lavoro generale o particolare intorno alla Storia Naturale ne’ Regii Stati. Sentito il parere di una Giunta che a tal fine era stata nominata , la Classe deliberò che il promesso premio della medaglia d’ oro, del valore di seicento lire , sia dato al Professore Giacinto Moris; Dottor Gollegiato di Medicina , già Professore di Glinica nella Regia Università di Cagliari, come autore dell’ Opera intitolata ; Stirpium Sardoarum Elenchus Carali, 1827, et Taurini, 1829, in-4-° Quindi l’ Accademico Professore Bidone lesse: Addition au mémoire sur la forme et la direction des veines et des courans d’ eau. R. Società Agraria di Torino. La R. Società Agraria nell’ ultima sua tornata di febbraio ricevette una nuova dissertazione ad essa indiretta coll’ intendimento di concorrere al premio già stato aggiudicato per l’ illustrazione del noto quesito sulla canapa ; la So- cietà non si fermò a deliberare ; essa però ordinò che la scrittura venisse serbata nella sua Segreteria onde l’ Autore potesse ritirarla. In questa mede- sima adunanza vennero sottoposti al giudizio della Società varii importanti 0g- getti, e si lessero alcune memorie tutte meritevoli della sua attenzione : il marchese Lascaris direttore presentò il modello di una barchetta a vapore che venne specialmente commendata , e quindi la descrizione di una tromba porta- tile, semplicissima e di poca spesa ; questa nuova macchina ideata dal conte Ponte di Pino venne applaudita da tutta la Società , e più particolarmente dal dottor Bidone professore d’idraulica : si è quindi ordinato che la sua descrizione sia fatta di pubblica ragione. Il conte Leonard, prese dopo di lui ad informare la dotta adunanza de’continui successi ottenuti nella coltivazione del riso secco, Il conte Francesetti trattò poscia della coltura del fico nelle pianure : la ma- niera da lui descritta è stata giudicata vantaggiosissima siccome quella che pro- mette un ricolto abbondante , ed assicura ai possidenti la conservazione della pianta. Il prof. Lavini lesse varie osservazioni sulle api, ed espose 1’ analisi di una specie di cartafumo. Finalmente alcune osservazioni intorno al modo di coltivare la Robinia, presentate dal prof. Re , e la dimostrazione di una frode frequente nel commercio del seme del trifoglio , insieme col modo proposto dal Maggiore Musso per riconoscerlo , hanno riscosso 1’ approvazione della R. Ac- cademia. NECROLOGIA. Ab. Giuseppe Monico. Treviso e le provincie Venete deploreranno la perdita d’un uomo coltissimo , sincero amico de’ buoni studi ; noto per inge- nuità e gentilezza d’ animo singolare. Dopo aver detto ch’ Egli diresse per otto anni circa un Giornale che a Treviso si stampa col titolo di Giornale delle provincie Venete, mi conviene soggiun- gere che dal Giornale non convien portare giudizio del suo di 171 rettore ; poichè sua intenzione costante era di ampliarlo e di migliorarlo , se la cura de’ dotti di quelle provincie e la coope- razione del pubblico fossero concorsi a sostenere 1’ impresa. — « I grandi autori (così mi scriveva egli con dispiacere, anni sono) « i grandi autori, i veri letterati, le opere d’ importanza sono « poche in Italia, e meno in queste provincie. Molti i mediocri; « moltissimi i piccoli letterati, e gli scioli.... e la menzione « d’ un opuscolo, un’ articoletto, ti procurerà un paio d’ asso- « ciati; e un articolone elaborato , nessuno. Questo vostro piano, « bello e grandioso ; avrebbe potuto aver luogo , se avesse avuto « nn buon effetto ec... ..) Certo , nella compilazione di quel Giornale, le sue inten- zioni eran buone; sentito era 1° amore del vero. — « Se qualche « giudizio (così scriveva egli ad uno de’ suoi collaboratori ) se « qualche giudizio o articolo del Giornale non vi garba , scrivete « pur contro, ma urbanamente. » — Gli articoli che gli venivano da altra mano troncati , che da quella dell’Autore, per conve- nienze estrinseche all’ arte , egli li solea scherzosamente parago- nare al Deifobo di Virgilio ; e li chiamava deifobati. Scrissero nel suo Giornale, il P. Cesari, che quivi inserì i primi dialoghi sulle Bellezze di Dante ; il dotto geologo signor co. Marzari: il naturalista sig. Naccari v’ inserì delle notizie or- nitologiche degne di menzione : havvi qualche articolo inoltre di mons. Iacopo Monico, cugino del nostro, degnissimo Patriarca di Venezia, uomo per coltura di mente e per bontà di cuore me- ritevolissimo della venerazione e dell’affetto che sincero gli serba quanti vivono o vissero al suo reggimento soggetti, quanti lo co- noscono da vicino. E già sul cominciare dell’ impresa , il buon direttore aveva tutti invitato a concorrervi.i dotti delle provin- cie venete: ma troppa è, non so s’ io mi dica, la modestia, © l’ inerzia , o il ritegno da altre cagioni consigliato, di que’molti uomini rispettabili e valentissimi che nelle provincie Venete ono- rano e la letteratura e la scienza . Un Giornale, per esempio , compilato in Venezia od in Padova , dove gli articoli medici fos- sero scritti da Aglietti, da Gallino, da Zecchinello, da Brera, da Fanzago, da Caldani; i matematici, da Santini, da France- schini, da Conti ; quelli di scienze naturali da Renier, da Mar- zari , da Melandri, da Zamboni, da Rio (1), da Del Negro, da (1) Dal sig. Go. da Rio si pubblica appunto un Giornale in Padova, che ha cominciato col secolo, che ha veduto tempi migliori de’presenti, ed è ora, in circostanze men propizie , sostenuto dal ch. Direttore della facoltà filosofica con, 172 #-d Traversi, da Naccari, da Mengotti, ch’ è pur veneto anch? es- so ; que’ di Bell’ Arti, da Cicognara. da Diedo, e dagli altri che onorano la scuola veneta; que’ d’ erudizione e di filolo- gia antica , da Mustoxidi, da Valbusa , dall’ Ab. Venturi, da Furlanetto ; da Melan , da Svegliato ; quelli di filologia italiana, da Gamba, da Rossetti, da Tomitano , da Scolari, da Monte- rossi ; quelli di storia patria, da Bettio , da Manin , da Tiepolo, da Cicogna; da Correr, da Dezan , da Regazzi, dalla co. Michiali , da Persico ; da Stoffella , da Giovannelli, da Mazzetti, da Asquini; i letterarii e di scienze morali, da Talia, da Barbieri, da Viviani, da Bianchetti, da Pezzoli, da Tipaldo , da Paravia, da Carrer, da Venturi; i filosofici da Rosmini ; un giornale siffatto , non ver- rebb' egli gradito all’ Italia, non premierebb’ egli chi osasse in- traprenderlo con tanto almeno di lucro quanto bastasse a trarre partito dall’ opera e dal tempo impiegatovi; non gioverebbe po- tentemente alla nuova direzione, al più forte impulso da darsi, in quelle provincie segnatamente , agli studii più ameni non men che ai più gravi? Ma torniame al nostro Monico. Aveva egli ideato col titolo di Magazzino letterario ; una raccolta d’ opuscoli, la quale, av- vedutamente fatta, sarebbe giovata non poco alla conservazione di tante produzioni leggere di mole ma non d'importanza , che per lo più se ne vanno di lì a poco tempo smarrite , o diven- tan sì rare da non servir più a quello scopo pel quale i libri si stampano ; e sarebbe insieme giovata alla storia letteraria e mo- rale delle provincie venete ; giacchè non soli gli opuscoli distinti per qualche pregio avrebber dovuto trovarvi luogo , ma quelli ancora distinti per qualche stranezza notabile, di qualunque ge- nere ella si fosse. E tale impresa, dovunque si tentasse, pur- chè saviamente diretta, potrebbe tornare , cred’ io , e utile al pubblico, e al libraio lucrosa. — A tal fine forse, il nostro Mo- nico solea raccogliere d’ ogni parte opuscoli e buoni e tristi: la qual raccolta gioverebbe che dopo la morte di lui non andasse spersa, come suole il più delle volte avvenire. Un’ altro suo progetto io ritrovo, comunicatomi nel giugno del 1824. — « Ho alle mani il Prospetto delle donne letterate « d° Italia: se avessi tempo vorrei scovar materiali per farvi un « appendice , sì delle antiche, come delle moderne ; ed anche uno zelo, con una perseveranza , degnissimi d’ elogio e di gratitudine. Se alla sua impresa i professori di cotesta università volessero , quant’ è da loro, coo- perare , il nostro desiderio sarebbe in. parte adempiuto. \ % 173 « delle viventi. Di viventi, ne ricorda tre veneziane: l’Albrizzi, « la Michiel, la Querini (e poteva aggiunger fra le altre la col- « tissima dama Marcello): due trivigiane; padovana , credo , « nessuna. Dev” esserci la Treves , la Benetti,....» E fra le lettere di quest’ ottim’ uomo, ch’io ancora con- servo, havvi non pochi tocchi che si direbbero appartenenti alla statistica letteraria delle provincie alle quali era indiritto il titolo e il fine del suo Giornale. Così , in una sua del detto an- no, parlandomi del Dante Bartoliniano: « Cesari, e Tomitano, « grandi Dantisti, mi scrivono di trovarvi delle buone cose. — « Ho cercato , ma invano ; di trovar de’ documenti sul soggiorno « di Dante a Treviso ; ne avrò sopra suo figlio Pietro ; ne avrò « anche sul codice Trivigiano , che Viviani vide solo alla sfug- « gita .... )) È curioso in questo genere, un passo d’ una sua lettera del 1823 , ch’io qui trascriverò per dare un’idea delle faccende che porta nelle Provincie Venete agli stampatori, agli oratori, ai poeti, l’ inaugurazione d’ un vescovo riputato , il matrimonio d’ un uomo ricco , od anche l’ ingresso d° un parroco graziato dal Cielo d’ una buona prebenda: « Sono eccitato a procurar qual- « che poesia di qualunque lingua o metro per l’ ingresso del ve- « scovo di Ceneda: ma si vorrebbe che il poeta rinunziasse al « diritto di Autore, per istamparla nella raccolta col nome d'altri. « Credo che potria star bene anche qualche cosa vecchia, eru- « dita o rara, con due righe d’ indirizzo: ma ci vuol breve; e « conviene sia sacra 0 morale ; originale o tradotta ....... Gli « antichi vescovi di Ceneda, sino a mezzo secolo fa, avevano « anche la giurisdizione civile, e governavano in nome della re- « pubblica. È celebre il vescovo dalla Torre nel 1547, che fu « cardinale , e nunzio a varie corti. Così Albertino Barizoni, « padovano ; eletto nel 1653, amico del Galileo, del Tassoni, « del Pignoria : fu canonico in patria, accademico Ricovrato, pro- « fessore dell’Università. — Per tale occasione , avremo vari opu- « scoli. Il Seminario di Treviso ha pubblicato una spiegazione « de’ Vangeli, testo di lingua , inedito : io pubblicherò alcune notizie sui parrochi letterati della Diocesi trivigiana. L’ab. Dal- « mistro la versione d’ un’ Elegia sacra: un’ altro mio amico, la « versione d’ un’ Elegia di Cornelio Amalteo in Collem Ceneten- « sem: la città di Ceneda , una raccolta: quel Seminario, un « poemetto : quel Commissario , la versione de’ Salmi Peniten- « ziali: V Accademia di Castelfranco , una raccolta : la congre- gazione de’ Parrochi , una orazione latina ec. .... » *% z z 174 Quanti pensieri non desta questo catalogo ! Ma io non debbo dimenticare che qui si tratta della necrologia d’ un uomo aureo, non d’ una statistica letteraria; e che per lodare i morti, non è necessario entrare a discutere quel che dovrebbero essere î vivi. K. X. Y. Cenni Biografici di mons. Gruserre PanniLINI vescovo di Chiue st e Pienza scritti da Aneroro Crorr di Chiusi. Per rendere degna lode e al buon volere del colto A. e alla memoria d’ un personaggio benemerito della sua chiesa e della patria ; basterà compendiare le notizie in quest’ opuscolo conte- nute; lavoro d’un uomo a cui molti sarebbe desiderabile che somigliassero nel sincero amore della patria e del bene. Nacque Mons. Pannilini in Siena, nel 1742, di antica fami- glia patrizia ; e fatti gli studi teologici, pensava d’ andarsene a Roma per correre la via della Prelatura, quando ne fu dissuaso dal monaco olivetano D. Bernardino Pecci suo zio, che fu poi vesco- vo di Montalcino. Ritornando in Siena, fu di lia poco, eletto vicario ad causas nella Diocesi d° Arezzo ; giacchè le curie ec- clesiastiche giudicavano allora anche delle contese civili. Nel 1773 fu chiamato Vicario generale della diocesi di S. Miniato ; ove dlimorò per due anni , e fu modello di vita veramente religiosa: chè tutto il tempo che gli restava libero dal sno ministero , egli 1’ occupava in conversare con un dotto e pio ecclesiastico ; dormendo sovente sulla nuda terra presso l’ altare dell’ oratorio vescovile. Nel 1775 fu nominato vescovo di Chiusi e Pienza. Da Leo- poldo che l’amava, impetrò la costruzione d’una comoda strada , che riuscendo alla posta di S. Quirico per Firenze e per Roma, da Pienza conduce a Chiusi , e passa per Montepulciano e Chian- ciano. Ed ecco (qui soggiunge l’ A.) che per opera di M. Pan- s; nilini; con lieve aggravio delle comunità (giacchè in mas- »; sima parte il regio erario contribuì alla spesa), sorse il primo » vantaggio per gli abitatori di questa provincia, moder namente s; avvalorato ed esteso dal genio di un provido Governo , il quale ;; con ampie vie con lavori di abbellimento e di utilità , ha can- s» giata la paludosa ed insalubre Val di Chiana in uno forse dei » più belli giardini d’ Italia. ,; Impetrò anco quest’ egregio prelato dalla bontà del Princi- pe, pel comune di Chiusi il dono di que’terreni paladosi , ch’ ora vediamo quasi disseccati del tutto; onde con la sanità del paese 175 crebbe ben tosto il numero degli abitanti. Le strade jdi Chiusi già vestite d’ erbe , furono allora selciate ; riedificato il palazzo vescovile ; ristaurata per cura del buon vescovo non solo quella chiesa, ma molte altre cadenti nelle campagne. Egli stesso pre- siedeva di persona a’ lavori d’ agricoltura, e ne dava agli altri col precetto l’ esempio; sicchè le possessioni vescovili , di sterili e deserte ch’ell’ erano, divennero in pochi anni non men deli ziose che fertili. Fece edificare nuove case pe’coloni ; disseccare paduli, purgare i terreni bassi dalle torbe de’ vicini torrenti. Fondò due case dieducazione per le tanciulle, una in Chiu- si, l’altra in Pienza; eresse il Seminario Vescovile ;. istituì scuo- ‘le diocesane e in Chiusi ed altrove per la gratuita istruzione de’ giovani nelle lettere , nella filosofia , negli studi sacri: favorì il nuovo metodo del mutuo insegnamento ; e a tal fine comprò un adatto locale, dotò del proprio i maestri , si mise in corri- spondenza coi direttori di simile istituto in Firenze , e da lui non mancò che i concepiti disegni non sortissero effetto. Benefico di vero cuore, talvolta cammin facendo e’sì spogliò dell’ unico suo mantello nella stagione più rigida per ricoprirne il mendico ; si privò delle sue suppellettili per fornirne chi ne aveva bisogno ; si tolse fin di dito l’ anello, per saziar l’ altrui fame. E sebbene nel vitto, nel vestito, e nel resto, conducesse una vita più che privata , pure nè il domestico patrimonio nè le rendite vescovili bastavano alla sua carità ; ond’ egli fu qual- che volta forzato di ricorrere per prestito alla, ricchezza altrui af- fine di aiutare l’ altrui povertà. Riordinò le confusissime carte della cancelleria e dell’archi- vio vescovile; scelse a snoi consiglieri gli uomini più valenti e più probi , egli che non aveva nè a sospettare dell’ altrui dot- trina nè ad arrossire dell’ altrui probità ; non trascurò mai l’an- tico uso santissimo delle visite pastorali; ma badò, nell’adempiere un suo dovere , di non aggravar le parocchie in modo da far pare- re ch’ egli venisse ad esercitare un dispendioso diritto. Soppresse inutili cure d’ anime , aumentò la rendita a’ parochi che ne ab- bisognavano, pose collaboratori alle vaste parrocchie, cambiò in utili cure d’ anime sterili benefizii. Compilò per -la sue diocesi un catechismo , stimabile per semplicità e per chiarezza. Noi taceremo d’ una parte della vita di quest’ uomo stima- bile , siccome di cosa nella quale a noi non ispetta portare giu- dizio : ma ben rammenteremo in compenso le parole da Pio VII scrittegli, quando ritornato il Pontefice in Italia, Mons. Pannilini gli sottopose un rendiconto delle cose da sè operate durante l’as- 176 senza di lui. Scrisse che non pur le approvava ma le lodava. (8 gennaio 1817.) Giunto all’ anno ottantesimo secondo dell’ età sua, quaran= tesimo ottavo del suo episcopato , si sentì assalire da un legger male di petto ; e finì placidamente al dì quattro d’ Agosto del- l’ anno 1823 ; benedetto e compianto da tutto il suo popolo. L’ esequie furon solenni del comune dolore, di quel dolore sin- cero il cui spettacolo è non men sublime che raro. Possano gli esempi d’ una vita veramente cristiana , ch’ è quanto dire mansueta, sofferente, operosa, essere tanto frequen- ti nel mondo quanto grande n’ è il bisogno , quanto soave n'è il premio. Possa la religione mostrarsi sempre circondata da tutte quelle civili virtù che da lei sola ricevono direzione , perfezio- namento , e fermezza. K. X.Y. Giuseppe Merli. Nacque in Milano da agiata famiglia nell’ agosto del 1759, e venne educato in ogni letteraria e scientifica disciplina . Pre- diletto discepolo del celebre matematico Frisi ereditata ne avea la dottrina. Noto è al pubblico il suo giovanile ma applaudito lavoro sulla tavola parabolica del De Regis, e nota non meno la dotta sua memoria per la soluzione d’ alcune questioni sull’uso dell’ acque e sugli orarii aggiunta all’ opera del professor Roma- ‘ gnosi sulla condotta dell’ acque. Fra le sue opere inedite si lo- da molto un trattato sopra vari generi di curve , ch’ egli riuni- sce sotto un solo punto di vista, considerandole come generate dalla sezione d’ un solido da lui chiamato disfeno. Si spera che quest’ opera vedrà presto la luce, essendo passata cogli altri ma- noscritti dell’ autore nelle mani d’ un suo degno erede l’ inge- gnere G. B. Mazzeri. Il Merli non fu solo distinto pel sapere, ond’ ebbe varii impieghi ragguardevoli , e fra essi quello di so- printendente alle fortificazioni col grado di colonnello ; e poi direttore degli studii nell’ orfanotrofio militare di Milano negli ultimi anni del Regno Italico. Lo fu pure per le sue sociali vir- tù, sicchè venne molto compianto in morte, accaduta li 28 aprile di quest’ anno , e accompagnato al sepolero da molti e stimabili amici , dinanzi ai quali Francesco Longhena pronunciò il .su0 elogio (stampato poi dal Rusconi) ond’ è tratta questa breve no- tizia. M. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Maggio 1829. TOSCANA. VITA DI NAPOLEONE BUO- NAPARTE Imperator dei Francesi , preceduta da un quadro preliminare della Rivoluzione di Francia , di Sir Warrer-Scorr. Prima versione ita- liana dall’ inglese di' Virrorio Prc- cHnioLi. Firenze, 1828. Coen e C. Tomo XX. ed ultimo. STORIA dell’Impero Ottomanno , compilata dal C. CompacnoniI, sulle opere di Sagredo , di Cantemiro , di Busbeck, di Mouradia, d’Ohsson, di Vassif Effendi, di Toderini. di Salaber- ry, d’Alix , di Juchereau , e d’altri an- tichi e recenti scrittori. Livorno 1829. G. Masi. Tomo III.° RIME di Fra Gurrtone d’Arezzo. Firenze , 1828. Gaet. Morandi e fi- glio. Volumi II in 8.° LETTERE CAMPESTRI ed altre del prof. Giuseppe BarsIERI da Bas- sano. Firenze , 1829. Tip. Chiari, 8.° Tomo IV.° della Raccolta delle Ope- re. Prezzo paoli 4. RACCOLTA completa delle Com- medie di Carro GoLponi. Firenze , 1829. Passigli Borghi e C. Vol. XV.° L’ECCIDIO DI TROIA, di TrirIo- poro Eciziano , tradotto ed illustrato dal Cav. Baccio paL Borco professore nell’ I. e R. Università di Pisa. Pisa, 1829. Iiccolò Capurro , 8.° ICONOGRAFIA Contemporanea , ovvero Collezione di ritratti dei più celebri personaggi d’ Italia, accompa- guata di notizie biografiche e lettere cronologiche. = Dispensa Terza che contiene il ritratto del prof. D. SestI- NI, disegnato da P. Ermini, ed inciso da F. VenpraminiI ; Testo di D. Va- LERIANI = Firenze , 1829 ; St. Pez- zati, presso Fr Vendramini editore. Prezzo paoli 10, MEMORIA intorno la necessità e la maniera di conservare i denti, di Gio. Pompeo GriconI chimico e far- macista, prof. d’odontalgia, ec., ec. Seconda edizione. Siena, 1828. Tip. Guido Muggi, 8.° (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Il DiretroRE DELL’ ANTOLOGIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane , che le inserzioni di annunzi tipografici , nel presente bullettino , non possono averci luogo che previo l’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da\inserirsi per in- tiero, o di qualunque ‘altro avviso tipografico, mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- «arsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de’ fogli. 1-8 REGNO LOMBARDO- VENETO. STORIA della vita e delle opere di RarraeLLo Sanzio d’ Urbino, del sig. QuarreMeRE DE Quincy, trad. e illus. da Francesco LoncHENA, con 24 tavole a bulino e un facsimile della scrittura del Pittore. Milano , F. Sanzogno q. G. B. 1829 in 8.° ed in 4.° Quest’ istoria, promessa fino dal novembre del 1826 , è ormai vicina a veder la luce. Le molte illustrazioni, di cui il traduttore 1)’ ha arricchita, sono state la causa principale del molto ritardo. Egli ha spiegato l’intendimento suo in un lungo avviso ai lettori , che serve di prima prefazione all’ opera che si annuncia. Indi viene la prefazione dell’ autore ; la storia di-Raffaello fatta italiana coi richiami a piè di pagina alle respettive illustrazioni ; un’appen- dice composta di documenti storici , fra i quali tutte le lettere di Raffaello; un? altra appendice contenente scritti , la più parte inediti, relativi all’opere del pittore; un prospetto generale di queste opere, del luogo ove si tro- vano , degli intagli che ne sono stati fatti ec. , un elenco speciale de’ di- segni originali del pittore ; 1’ indice delle cose e de’nomi contenuti in tutta l’ opera , e infine quello delle tavole che 1’ adornano. L’edizione è stata eseguita con molta diligenza nel doppio formato di 8.° e di 4.° in carta velina sopraffine ma diversa secondo il formato, in caratteri pur dif- ferenti. In 8.° (di pag. 880) legata alla bodoniana costa franchi 25. In 4.° (di pag. 520) legata egualmente alla bo- doniana ma colle tavole di prima tira- tura costa franchi 50. Alcune copie in carte veline colorate costeranno, se- condo il formato diverso , il doppio di ciò che costano in carta bianca, L’edi- tore nel suo manifesto del 1826 avea promesso di adornar l’ opere co’ ritratti a colore di Raffaello , e della Fornarina. Ma poichè così colorati non avrebbero dato che una falsa idea dell’ originale , ha creduto meglio di farli eseguire a bulino. E per non rincarar soverchia- mente l’ edizione si è proposto di ven- derli a parte. BIBLIOTECA PORTATILE la- tina , italiana e francese. Milano 1828. Antonio Fontana. Classe italiana. Sto- ria della letteratura italianà di Gs- roLamo Tirasoscni . Volumetti XXII e XXIII. Prose scelte di Giruserre BarerTI. Vol. unico. PROPOSTA di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Cru- sca, Opera del Cav. Vincenzo Mon- tI. Milano, 1829. Antonio Fontana. Vol, II.° Parte I. GENIO DEL CRISTIANESIMO, ovvero bellezze della Religione Gri- stiana di F. A. di CHATEAUBRIAND , nuova versione ital. di L. Toccacni Bresciano. Milano, 1828. A. Fontana. Vol. III. ISTORIA della Letteratura Greca profana, di F. ScHOoELL , recata in italiano con note ed osservazioni ceri- tiche del Dott. EmiLio TiraLpo, prof. nell’I. e R. Collegio di Marina. Ve- nezia , 1829. G. Antonelli. Vol. V.° Parte I, ed un fascicolo di Annot. al Vol. IV. DIZIONARIO del Dialetto Vene- ziano , di Giuserpe BoerIo. Edito per cura di DanieL Manni. Venezia, 1829. A. Santini e figl.°, 4.° di pag. xm e 802. Prezzo lir. 26, 50 austr. BIOGRAFIA Universale antica e moderna ec. Venezia, 1829, G. B. Missiaglia. Vol. LI.° (SA-SO). DELLE ISCRIZIONI Veneziane raceolte ed illustrate da Em. Anr. Cicoena. Venezia, 1829. in 4° — Fascieolo VII.° contenente la chiesa di Santa Maria dell’Orto ; con un ra- me , al prezzo di lir. 4 austr. DELLA SCIENZA del cuore, li. bri tre di Lorenzo MartiINnI. Milano, 1829. Ant. Fontana. BIBLIOTECA STORICA di tutte le nazioni. Milano, 1829 , per Anto- nio Fontana , in 8.° — Classe prima. Storia italiana : ==. Dell’Istoria delle Guerre cicili di Francia di ArRrIGO CarerINo DaviLa. Vol. primo di p. x. e 556. Prezzo I. 7. ital. STORIA GENERALE delle Belle Arti, attenenti al disegno, del dott. Srerano Ticozzi. Milano , 1829 , per Antonio Fontana. (Manifesto) LA PIANTA DEI SOSPIRI, ro- manzo di Derenpente SaAccHI, con fisure. Seconda edizione. Milano 1829, per Gio. Silvestri, in 12.° di p. 280. # COMPENDIO STORICO dell’ an- tico e del nuovo Testamento, coll’ ag- giunta di alcune utili istruzioni espo- ste in maniera di dialogo , ad uso dei fanciulli e del popolo. Milano , 1829. G. Silvestri. Ottava ediz. in 16.° Vol. Unico di p. 400. LA VITA di Gesù (Cristo, e la sua Religione. Ragionamenti di AnTO- N10 CrsaRI, prete veronese. Secon. ed. Milano, 1829. G. Silvestri. Vol. 1 a 3. — Quest’ opera vien divisa in 6 volu- mi , ognuno al prezzo di lir. 3 austr. SOPRA il Sermone Poetico, lette- ra al ch. sig. Gio. ZuccALa prof. ord. di letteratura classica e di estetica nel- l'Università di Parma. Milano , 1829. G. Silvestri, 8.° di p. 76. NOUVEAU GUIDE portatif du Voyageur en Italie , orné d’une carte generale, de neuf cartes routières , et du plan des villes prineipales. — L°é- dition exécutée avec tous les soins pos- sibles , soit pour ce qui regarde les de- scriptions, que pour l’exactitude des desseins et des gravures des cartes rou- tières , sera publiée dans les premiers jours de juillet prochain en deux volu- mes en 12, au prix de 10 francs. Mi- lan, 1829 , chez Epimaque et Pascal Artaria marchands d’estampes, musique et cartes gécgraphiques, Rue S. Mar- guerite, num. IIIO. OPERE di M- T. CiceRonE, re- oate in volgare con note, prolegomeni ed indici, e col testo latino a riscon- tro. Milano, 1829. A. F. Stella e C. Volume VII. — Lettere di M. T. Ci- cERONE disposte secondo 1’ ordine dei tempi. Trad. di A. Cesari P. 0., con note. Vol. VI.®, 8.° di pag. 680. COLLANA degli antichi Storici greci volgarizzati. Milano, 1829. Fr. Sonsogno q: G. B. Volume 58.° della Collezione. La Grecia descritta da PausaNIA , volgarizzamento con note al testo , ed iliustrazioni filologiche, antiquarie e critiche di SEBASTIANO Grampi. Tomo II.°, 8.° di p. xxvmi e 488 , con n.° g tavole in rame, con più 3 carte geogr. SAGGIO di lettere sulla Svizzera. Milano , 1829. A. F. Stella e. C. Il Cantone de’Grigioni. Volumetto di p- 232, con una carta geografica. Prezzo lir. 2, So it. 179 TRATTATO di Chimica applicato alle arti, del sig. Dumas. Volg. Mila- no 1829. A. F. Stella e. C. Fascico- lo II.° STABAT MATER tradotto da Q. Viviani. — S, Giovanni al Sepolero. Canto profetico del medesimo. Udine, 1829. Fratelli Mattizzi. PIMMALIONE , favola Ovidiana in versi italiani, pubblicata, per le felicissime Nozze Beltrami-Zerbini , da Q. Viviani. Udine , 1829. Tipogr. Murero. REGNO DI SARDEGNA. LETTERE INEDITE di principi e d’ uomini illustri, raccolte e pub- blicate da Lurcr GisrARIO, torinese, col simile delle scritture d’Alfieri e della Contessa d’Albany. Torino, 1828, presso G. Pic, 8.° di pag. 190. DELLA GRAMMATICA delia lin- gua italiana. Libri IV, del Sac. Mr- cHaeLe Ponza da C. Torino, 1828. Ved. Ghirindello , 12.° A DEI PRIMI MAESTRI de’ giova- netti, ossia alcuni esercizi teorico- pratici d’ insegnamento , estratti dai più celebri maestri di Pedagogia. Per MicÒueLe Ponza. Torino , 1828. Chia- ri e C. in 12.° ERRORI E DANNI della medici- na curativa di Le Roy. Avvertimento al pubblico di FRANCESCO QuAGLIA ; dottore in medicina , e socio ordinario dell’Accademia delle scienze ed arti di Alessandria sua patria. Voghera, 1828. Tip. Sormanni , 12.° di p. 270. Prez. lir. 2, 50 it. ; STATI PONTIFICI. COLLEZIONE di Testi di lingua ristampati e corretti. Bologna, 1829, presso Riccardo Masi. Questa col- lezione è ora limitata a soli 12 volu- metti, ognuno dei quali costerà paoli 2 e mezzo, = Paoli 2 per chi prenderà i 12 volumetti. -— Sono pubblicati : 1.° Le lettere e Rime di Vincenzo Mar- veLLi. 2.° L’Arcadia di Sannazzaro. 180 L’ARTE DI GUARIRSI DA SÈ, ossia Cura delle malattie sifilitiche sen- za mercurio , del dott. GrrADEAUX DE S. Grrvai1s. Nona ediz. Parigi, 1829. Volumetto di pag. 46. — $i trova in Bologna presso i principali librai, PRINCIPII del Diritto commerciale secondo lo spirito delle leggi pontificie, opera di Empro CesARINI curiale rosa- to. Roma, 1827, presso /’ Autore, in via Leccosa N.° 15. Tomo I.° di p. xvi e 170. Tomo II.° di p. vmi e 176. — .Prezzo baj. 50 il volume. IL NARCISO , favola in musica di Ortavio Rinuccini, tratto da un MS. originale Barberiniano, e nella lieta oc- correnza che si celebrano le Nozze di S. E. il sig. D. Sigismondo Chigi, principe di Campagnano con S. E. la sig. Donna Leopolda de’ principi Pam- phili, pubblicata la prima volta per le stampe da Lurci Marra Rezzi, prof. di lingue lat. e ital. nell’Univ, di Ro- ma, e Bibl. della Barberiniana: Roma 1829 , V. Pozzioli, 8.° REGNO DELLE DUE SICILIE. FUNEBRE ELOGIO del Santissi- mo Padre Leone XII Pontefice Mas- simo , recitato il dì 23 Febbraio nella Chiesa della Reale Arciconfraternita di S. Ferdinando in Napoli, dall’ abate EmanuELE Vaccaro socio di varie ac- cademie. Napoli, 1829. Vedova da Reale e figl.°, 4.° di p. 20. DUCATO DI PARMA. IL COMPENDIO della Storia Ro- mana di FLavio EurRropio , recato di latino in italiano da Giuserre BANDINI, Parma , 1828. Tip. Ducale, 8.° di p. xx e 354. Prezzo, in Carta reale fine comune , lir. 5. In (Carta velina lir. 7. INTRODUZIONE alla filosofia del- l’affetto , di ALFronso TestA piacenti- no. Piacenza, 1829, Del Maino, 8.° di p. 170. Lir. 1. 61 it. DUCATO DI LUCCA. CONGETTURE intorno al primi- tivo alfabeto greco , del march. CesarE LuecHesini , seconda ediz. Lucca 1829, Tip. Martini, 8.° di p. 51. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO DELL’ORIGINE e dell’ufficio della letteratura, Orazione di Uco Foscoro. | Lugano, 1829. Ruggia , 8.° di p. 68. ORAZIONE A BONAPARTE pel congresso di Lione, di Uco Foscoto . Lugano , 1829. Ruggia e C. 8.° di pag. 54. DEL GOVERNO. Articolo del sig. Giacomo Mirr. Estratto dall’Enciclo- pedia britannica. Traduz. dall’Inglese. Lugano , 1829. Ruggia e C., 8.° di pag. 66. MANUALE di filosofia di A, Mar- THIA. Trad. dal tedesco , con un Sag- gio della nuova. filosofia francese del sig. Cousin. Lugano , 1829. Ruggia e C., 12.0 di p, 212. Fine del N.° 101 NOTIZIA INTERESSANTE Gli Studiosi DELLE SCIENZE MEDICHE. Dappoiche alcuni anni addietro il dott. Magendie in Francia ed altri fisiologi in altri paesi, coll’ appoggio di nuovi e speciosi esperimenti, tentarono di riprodurre quel- l'antica dottrina, che a spiegare alcuni fenomeni della macchina animale attribuiva alle vene la facoltà d’assor+» bire, concessa poi esclusivamente ai vasi linfatici, il sot- toscritto, che da qualche tempo aveva assunto 1’ incarico di stendere in gran parte un bullettino scientifico per l'An- tologia, fu premuroso di annanziare in quello del n. Jr maggio 1824 che il dottor Regolo Lippi, sostenitore di quest’ ultima dottrina , che era quella del suo maestro Ma- scagni , cercando con ogni studio le vie per le quali ne- gli esperimenti del Magendie e d’ altri alcune sostanze in- trodotte nella cavità addominale avessero potuto insinuarsi nel sistema venoso } anche essendo allacciato il canal to- racico , aveva scoperto successivamente in varie parti del (I) corpo un gran numero di vasi linfatici che imboccavano nelle vene. In più altri successivi numeri, come nel 47, novem- bre dello stesso anno 1824, nei 50 e 60, febbraio e di- cembre 1825 , e nei 73, 79 gennaio e luglio 1827, furono date altre notizie relative a questa discussione o al sog- getto di essa, da alcune delle quali ognuno avrà potuto rilevare che alcuni medici di questo paese si mostravano acremente avversi alle cose annunziate dal dott. Lippi. Il sottoscritto, quasi affatto digiuno di anatomia e di fisiologia, ma che conosceva perfettamente il dott. Lippi, cui lo lega particolare amicizia, e che non poteva dubitare in modo alcuno della di lui lealtà, suggerì all’amico d’in- viare a Parigi le sue Z//ustrazioni anatomico-comparate del sistema linfatico chilifero, per concorrere avanti all’Accade- mia delle scienze, ed avanti a quella di medicina al premio di fisiologia, che ciascuna di quelle due società dotte doveva conferire in quell’ anno. Vinta finalmente la non lieve re- nitenza di lui, l’opera fu mandata a Parigi , e fatta pre- sentare alle due nominate società. Delle quali quella di medicina dichiarò che il lavoro del dott. Lippi avrebbe riunito tutti i suffragi, se fusse arrivato più piesto, e non fosse stato stampato. L'Accademia delle scienze poi dichiarò che l’opera del Lippi aveva richiamato la sua attenzione, e per quello che ‘concerne i fatti annunziati dall’ autore, e per l'esecuzione delle belle tavole che 1’ accompagnano; Ma i commiissarii nominati dall’Accademia per esaminare quel lavoro, non avendo potuto verificare in modo sodisfa- ciente i fatti principali che vi erano annunziati, lo che non deve recar maraviglia trattandosi! di. vasi linfatici, giudicarono, conveniente di rimettere il giudizio all’ anno seguente , riservando al dott. Lippi il diritto dì concorrere. “Avvicinandosi quel tempo , l'amicizia indusse lo scri- vente a.suggerire al dott. Lippi di portarsi a Parigi, per ivi dimostrare da sè stesso le cose. .annunziate , persuaso che in ogni, ipotesi. glie. ne. sarebbe .tornato. vantaggio; (111) giacchè, o i commissarii dell’Accademia avrebbero ricono- sciute vere le cose da lui asserite nell’ opera e fatte deli- neare nelle tavole , ed in tal caso, proclamandone l’ esat- tezza e la verità, l’avrebbero fatta ammettere da tutta la colta Europa , o diversamente, riscontrato nelle cose del dott. Lippi qualche errore, lo avrebbero rilevato con quel. la decenza , da cui non si allontanano mai i veri dotti , e , se non altro, avrebbero lodato in lui il buon volere, lo zelo, e la pazienza che aveva impiegato in quel lungo e penoso lavoro. Il dot. Lippi, non avendo potnto determinarsi in quel tempo a fare il viaggio di Parigi, vi si è determinato nel decorso marzo. Giunto colà , e ricevuta cortese accoglien- za da molti di quei dotti, potè mostrare alcune delle cose sue, a malgrado della scarsità e del non buono stato dei cadaveri sui quali ha potuto operare. Prese quindi animo a domandare d’ essere ammesso al concorso allora pen- dente ; lo che dopo qualche difficoltà gli fu conceduto , alla condizione di mostrare ad una commissione nomina- ta dall’ Accademia le cose da lui annunziate nell’ opera e fatte delineare nelle tavole. La commissione nominata era composta di cinque membri, e n'era presidente il dot. Magendie , acerrimo sostenitore dell’ assorbimento venoso. Il 22 maggio era il giorno destinato al formale esperimen- to. Il dott. Magendie si astenne da intervenirvi, ma v'in- tervennero gli altri quattro commissarii , che si dichiara- rono sodisfattissimi del risultato, avendo fortunatamente il dott. Lippi, sopra un solo e stesso cadavere , potuto di- mostrare diverse imboccature dei linfatici nelle vene, Pe- rò ?' Accademia delle scienze , adottando le conclusioni dell’ onorevole rapporto della commissione, conferì al dot. Lippi nell'adunanza degli 8 giugno correute il premio di fisiologia fondato dal barone di Montyon , consistente nella somma di franchi 895. Faremo conoscere, appena ci pervenga , il rapporto della commissione , nel quale sono sviluppate le ragioni (IV) che hanno determinato il di lei giudizio, e nel quale è data un analisi succinta di quei lavori dei concorrenti, che erano degni d- una ricompensa , o d’ una distinzione per parte dell’Accademia. ID, Questo grave ed autorevole giudizio , non emesso in prevenzione , o senza severo esame , deve confortare il dot. Lippi, fin qui non umiliato o confuso , ma gravemente e giustamente contristato dai giudizi leggermente formati da alcuni dei suoi colleghi di professione, Ma già anche nel maggior fervore della contradizione avevano dovuto recare al dott. Lippi opportuno conforto le dichiarazioni per lui onorevoli d’ nomini troppo superiori ai di lui avversariì , e specialmente quelle del fisiologo d’ Italia professor Gal. lini, il quale aggiunse espressamente nn appendice al primo volume della terza edizione dei suoi Nuovi elementi della fi- sica del corpo umano , per dichiarare quanto apprezzasse i ritrovati del Lippi, con cui si trovava talmente d'accordo sulla questione deil’ assorbimento , che termina quell’ ap- pendice dicendo: mi sembra inutile l° insistere maggiormente a rispondere alle sognate prove dell’ assorbimento venoso . Avevano anche apprezzato i risultamenti annunziati dal Lippi, il dot. Palloni il prof. Vaccà, e molti dotti stra- nieri che hanno vi-itato negli anni decorsi questo paese. Fra i quali il dot. Valentin ha parlato molto onorevolmen- te del Lippi nell’ ultima edizione del suo viaggio medico in Italia, dicendo che i fatti da lui annunziati erano stati dimostrati pubblicamente , e verificati da varii professori. Il solenne giudizio dell’Accademia delle scienze di Parigi dovrà sgomentare, fra gli altri, quello il quale non esitò a scrivere nel Giornale pisano, che gli esperimenti del dott. Lippi mancano del primo grado di probabilità. G. Gazzeri. e” OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO | DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. MAGGIO 1829. : T ermom,, a fi I | A Stato del cielo 01}9wuo1eg 0U127U] 0U19IST i 013901018] 01} ord -0oso0wuauy ir TI e el eee: | Î | ho 7 mat. |27. 9,7 TIA 5,0 | 89 Scir. |Sereno Ventic, Ponen. ! Sereno: l Ventie Po. Li. Sereno Ventie 1] mezzog. |27. t0,6 {11,9 RA 29 | rtsera |27. t1,8 [12,4 | 8,9 | 7 mat. |28. 0,3 [12,1 | 8,5 | 9t Sc. Le.|Ser. con neb. Ventic, | mezzog. [28. 0,8 |12,4 |t4,7 | 58 Tr. M.|Nav. ser. Ventie, | xt sera |28. 1,6 |19,t |11,7| 75 Scir. |Nuv. ser. Ventiec, | 7 mat. [28. 1,7 |13,0 11,0 gr {Ostro |Nuvolo Calma .3| mezzog. [28. 2,5 |13,7 |13,3 | 73 Tr. M.!/Nuvolo Ventic. È 11 sera |28. Mn sera 135. _177119;9 113,1 | 96.160 13,9 113,1 | 86 Scir. {Nuvolo Calma 7 mat. {27. 11,9 {13,7 |11,0 | 7 mat. [27. 11,9 [13,7 [11,0] 95 [ox 0,44!Sc. Le Navolo Ventic. * mezzog. |27. 11,9 |13,8 |14,0| gt | 0,02| Tram. | Piovoso . Ventie. | tt sera (27. 11,7 13, |13.0 | 90_ Ponen. ‘Nuvolo Ventic, | 7 mat. |27. 11)9 |12, 2,5 |11,6 tal Rica or |3er: puv, Ventic. 5| mezzog. |23. 1,0 |13,8 154 . Nuv. ser. Ventic, rt sera |28. ‘a |28. 1,7 |! [13,7 |t6 |1u2 65 pe ‘|Sereno Ventic. Ò 7 mat. ;28. 1,8 [13,3 [10,5 { 89 Gr. Le.|Sereno Ventic: 6 mezzog. |28. 2,2 |13,8 |16,6 | 4o Tram. |Sereno Ventic* | ir sera |28. 2,2 14,7_ 7_|13,9- 4 Tram. |Sereno Calma ti 7 mat. |28. 2,0 14,3 2 11,3: na Sc. Le.| Sereno Ventic. mezzog. (28 2,t |146 [17,6 | 52 Ostro |Sereno Ventie, | rr sera |28. 2,2 115,6 '14,t | 58 Lib. |Nebbioso Calma | di Termom #a x >| 19 3 UR a Odi È Ora î >| z S|55| 38 Stato del cielo |a la = AR de 3 5 È | ito e | | | 7 mat. 8. 2,3 |15,9 [12,7 | 83 Scir. |Coperto Calma 8 mezzog. 28 2,1 [15,8 [17,8] 64 Lib. |Nuv. neb. Calma ne ri sera 128. 2,1 |16,0 127;90|° |Po Li.|Sereno Calma | | 7 mat. ;28. 2,1 |:5,5 [12,2] 99! |Os.Sc.[Nebbia —— Calma 9| mezzog.'28. 1,9 {15,8.[17,2 | 63 i Po. Li. Ser. con neb. Calma | ri sera 28. 1,t |16,5 |19,0 | 52 ‘Tram. Sereno Calma ; | 7 mat. (28. 0,9 16,0.j11,5 | 69 Scir. |Sereno Veutic. no, mezzog./28. 0,4 |17,5 [165 34 !Lib. {Sereno Calma sera |27. 10,9 |17,0 13,0] 75.) Os. Li.|Sereno Calma. 7 mat. |27. 10,6 "165° 113,5 "77 | Scir, — ‘Ser. con neb. Venti; tI mezzog. 27. 10,4 16,7 | 116,5 | 64 | Tram. |Nuvolo Vento. Ii sera 27. 10,4 15,9 (10,4! 80 | 0,04 Tram. {Nuv. ser. Ventic, | 7mat. |27. 10,4, | 15,0 {12,0 | 75 Greco {Sereno Ventic. 12) mezzog.|27. 106 |15,5 [16,5 | 58 Fonen.|Se. con nuv. Ventic,J 1r sera [27. 10,6 {16,5 |14,0| 78 Lib. Ser. nuv. Ventic. 7” mat, — 27. 10,9 16,5 |13,1 95 —— |Lib. |Nuv..neb. Calma |l TRI mezzog. |27. t1,5 [16,4 |16,3 | 81 { Po. Li. Nuv. neb. Vento || vi sera |27. 11,5 116,2 13,8! 92 ' Po. Li. Nuv. neb. Calma ! 7 mat. 27. 11,5 |16;0 [13,2 97 Po. Li.|Nuvolo Calma | 14° mezzog. Li 11,6 16,4 |17:7 | 75 | 0,03' Po. Li.|Nuv. rotto Venticil | Ji sera 27. 11,7 16,9 |146 | 92 (Lib. Nuvolo Calma | | 7 mat. |27. 11,7 |16,4.{14,9 | 9» Lib. |Nuvolo Calina | 15 mezzog. Pri 11,4 [16,7 |u7,0 | 78 Lab. Nuvoloso .. Calma | ! rr sera /27. 11,7 {16,8 14,7 | 92 ‘Lib. [nuivolo Calma. 7 mat. (28. 0,4 (16,7 15,0} 90] |Lib. Nuvolo Calma 16: mezzog.|28. 0,15 lo 17,1 | 75 | 0,02/Po. Li.|Nuvolo Vento bur, 11 sera (28. 0,7 (16,8 17,0! 94 0,98 Sc. Le.{Nuv. rotti Calma, ran LT EI angie" E SR Mia gg near i me 7 mat. |28. 0,7 16,5 (13,0 | 95 | n.01;Sc. Le. Piovoso Calma. 17) mezzog.,28. 0,3 16,5 115,8 | 84 | 0,25! Tram. ‘Navoloso Ventie ri sera /28. 0.4 164 13.0! 97 | 0,06 Os, Se. Bel sereno Ventie | 7 mat. |27. 11,6 |16,0 qui È 92 {Ostro |Raguaîo Venti 18 mezzog. re 7. IT,0 16 15,4 | 61 Sc. Le.|Nuvolo Calma | | 11 sera n (AT. 10,6 116,4 13, | 9 0,41 Greco |Nuvolo Calma, |7 mat. \27. 9.0 (16,1|14,5. 80° Greco |Nuvolo Vento. fort 19' mezzog. 27. 8,65 16,0 {16.0 70 Greco 'Nuvolo Veoto for I rr sera 27. 8,9 15,5 (14,5 Bi 0,03! Tram Nuv. piovnso _Calma SIA SIZE RIZZI CIO III TIZI E SIINO il SI Termom. | 7° no) > | O E; 5 ti d le ms || Ora 3 2 |a g]|s=]| 2.3 Stato del cielo |3 EIDOS CSO Md _s (anal lo) | SR ar pa RE I 7 mat. |27. 9.0 [15,4 115,2 VA | Tr. Gr.|Nuvoloso Ventic. |20 mezzoz. |27. 8,7 [15,8 {18,0 | 59 Tr Gr.!Ser. con nuv. Vento | 1) sera |27. 9,0 |16,5 |15,5 | 59 Tram. |Nuvolo Calma | 7 mat. |27. 9,0 |:6,5 | 135] 85 Gr. Le. Pioggia Calma (21 mezzog. |27. 8,8 16,1 [15,1 | 86 | o,14|Greco |Piovoso Ventie. i | rrsera|27. 8,6 [16,0 112,4 97 | 0,02|Gr. Le.|Ser. con nuv. Calma | 7 mat. |27. 10,3 |15,5 (14,01 95 | Os. Li.| Nebbie basse Calma (22|mezzog. |27. 10,7 |15,8 |17,7 | 62 Greco ! Nuvoloso Vento rt sera |28. 0,8 {16,0 |14,5 | 85 Tram. {Sereno Calma È 7 mat. /28 1,6 {16,0 14,5 | 85 Ostro !Ragnato Calma 123|mezzog. |28. 1,4 |16,3 |19,5 | 63 M. Tr. Nuvoloso Vento | ri sera 28. . 2,7 |17,0 '14,0 |too | o,ot'Lib. Sereno Ventioe. 7 mat. 128. 2,3 |17,0 |[14,6| gt | 0,01|Lib. |Nuvolo Calma 24 mezzog. 128. 2,5 |17,0 [17,8| 75 Tr, M.' Nuvoloso Calma || ri sera |28. 2,2 [17,3 {14,0 | go O.tro |Coperto Calma \ | 7 mat. |28. 2,0 17,0 15,0 | 90 — |Ostro |Nuv. neb. Ventic, 25 mezzog. 28. 1,3 |17.0 I18,0 | 66 Po. M.: Nuvoloso Calma \ | 1» sera ‘28. 1,5 |17,5 (16,0 92 Os- Sc.' Ser. con nav. Calma 7 mat. |28. 1,2 [17,5 16,0 | 79 Scir. |Nuvolo Ventic. 26|mezzog. |28. 0,8 |17,8 \19,2 | 56 Lev. |Nuvolo Ventic. i_| Ft sera |28. 1,2 |17,8 io ixoo | o,5o|Lib. {Nuvolo Calma È 7 mat. |23. 1,2 mà | 115,9 via) Î Ostro |Ser velato Calma 27 \mezzog. |28. 0,7 |15,3 |19,0 7 | Sc. Le.| Nuvoloso Ventic | i rt sera 128. 0,9 [18.0 15 ,5 v Greco |Nuvoloso Calma di 7 mat. |28. 0,3 [17.8 |15,0 Lev. Nuv. neb. Ventic. 10 mezzog. 127. 11,8 |17,8 |17:9 E Lev. |Nuv. neb. Calma È ri sera |27. 11,6 |17,5 |13,5 _99 |° 54| Tr. M.|Pioggia Calma | 7 mat. [29. 11,3 17,0 n 99 IC ogiTr. M.{Nuvolo Calma e g mezzog. |27. 11,0 117,9 |17» 5) 68 Greco |Nuvoloso Ventie lit sera 27. t1,2 17.1 |15,0] 78 Tram. |Sereno Vento n 7 mat. |27. 19,0 {16,8 |15,8 | 70 Tr. Gr. Sereno Ventie j9o|mezzog. |27. 9,7 |17,3 |18,8| 58 | Lev. |Sereno Vento fort. È 1t sera |27. 9.5 |18,9 |15,0) 76 Greco |Sereno Calma | 7 mat.|27. 9,6 |17,5 |14,0'| 99 Sc. Le.|Nuv. neb. Ventic. Sl\mezzog. |27. 9,8 |17,7 |19,0 | 67 Lib. |Nuvoloso Vento fort ts sera |27. 11,6 |17,9 |19,0 | 90 Ostro Ser. nuv. _Calma = | ip ani piva SR ANIELLO av PA ar hit; spet glio Ù; STO E OR È et ri RA, Hai -radidza M ui sà ib a > dra “n vr Pa da ber pod j por mici t, 14 val TR at Vo Lo: ‘gualo? Ma ian VA tacere near ARDA VARIA ALTO dA Prste vero menti depiniie È pioli pei dna passar Ra soho dra sir PMcgett i fu METT prg i ; î” ea bi ) ii te RN a sonia 4 o è eli i i aaproneni 7 PAIN DI CIA prnÌadhi -- itinere A eni cualiy fas: LIU oguiora ri “ = st Dis È E L " ip RI + ella! rido} 0 abit CR ng Ti i volo vg Le ritto ro SLA f 00 Tadat done aa $ " ada | * s ferrnr sa i Lo Îa Po de (del fi I CRI LIO: alta & Lieranie Trac 490 tà ; gi «are pc: La ri ICLE ef Be I. "ie @0; Sic È Hegra Set adi ‘ Ù je li. cina IR rali) è ; 1 sii TITO LIA Kia dn vY: "INDI 18 fi crd tai: Pie pur. | patate i Vin nivirimnioal vwIatà | i RY Liar pmi pan Beta oi > DOTI lg pian i Sui i |, A } sat k 0 Sie Mao Pe ay mata: a Va ala matt bia | È Da tt TATO oi Hi vi nat ; "mt gi 4 f Mau di if AVI +e : CIT RÙe xi : È; Ù pù È 0 % È } pi Mapei) «+ ti Ùu f U | scie ti E iI do | 3 di i nei d im “pri Eh} i î 9 wo? Ber PI x AI, DELI | ha fe,cr) È, xi, 7B NTOLOGIA si bio ca ogni mese; per fundialo: non minore di 10 FERA i d gicoli ; sompongono ud Pa enne , ed sogni TONE è Vespro pegnato. Lia uni ) ww i “Ie associazioni si i prendno eNZE; AV Direttore Editore G. P. Vi ieussenz. I PSA » È pei NO, per tutto‘il regno. a ‘dalla Spedizione delle IA io i, Ea Lombardo Veneto;€ presso 71 e R. Direz: delle Poste. È o Ta perl totti li Zio31 parti presso i sig. a Croletti, impiegato. sala i i SR R. Poste di Torino. presso Gem. Vincenzi e C.0 libr. presso if sig Dervi è direttore delle Roster: ot # ell'immbalbistroa: .gen. delle Poste Pontif. presso Raff. Trani, Jargo del palazzo. LERMO ; ; per tutta la Stia “presso il sìg. SA ‘300 ol fsito quod sia n dona: Re ia i INDICE ndo ; nni Matenie. Fstifimioni di Estetica del P. Ka Fanali TE . n (K.X LI Società: de’ Naturalisti € Medici tedeschi a nt np Storia del Diritto Romano, di Carlo de Savigny. Spedizione - d’ Egitto. — Lettere del sig. PRIANO Li Storia dell* America ; del cav. Compagnoni. Lao [Caleb Lettera seconda intorno ‘a ? Codici del march. Lea Tempi. RAS Inni di Giuseppe. Borghi. SRI È di “ Rrvisra LerTERARIA.IT'A. Cesari” Aritidoto po’ giovani studiosi:,. > pi3 — Dante, La divina commedia, ed. di Borghi e C.y p. 194. — FP. Bar- tolommeo da S. Concordio, Ammaestramenti degli antichi, p. 125. — n Zucchero Bencivenni, volg. dell’espos. del. Paterniostro si P. 195. -— Ciampi, Riv. in Mosca nel 1682, p-. 126. + Esopo; poema gio>, C050;-p. 198. — M. Brighenti, Passeggio ‘pubblico ‘di Pesaro,. ps 129. — Tamassia, Dell’ antico Egitto } p.131..== Petroni, Gesta ‘navali britanniche > P:132. = C. Compagnoni , Storia dell’ ìmpero. ‘otto mano ; p. 134. — Cel. Massucco ; Floro volg. pi 137. — Trattato della coscienza di S. Bernardo, ywolg. P: 140, — Marzuttini ; Collez. degli autori ecclesiastici aquileiesi, p. 142, == Cav. Compagnoni; Del-' l’arte della parola, p. da ale Montmienti etruschi i Chian- ciano, p. 144. BuLLertINno SoxENTIFICGO. — - o aroizia P ‘pi rta _ ; Fixjoa e Chimica, p- 193, = Scienze mediche, p. 159. — Archeologia . Istituto ar cheologico di Roma ; p. 162. — Società: Scientifiche , pi 166... NrcnoLocia. = iridati Monico , p. 170, «a Mons. Pannilini È pi 1 — Gius. Merli p.176.. i | Bullettino bibliografico. Tavole Meteorologiche L. î BIBLIOTECA. na grato: ilo he per ‘tutta Italia ha avuto la Serie I. della mia Biblioteca economico « portatile di Educazione, mi fa È credere che. volgendo . questa al suo termine , una nuova che io E ne aggiunga , potrà sperare dal ‘Pubblico non'minori favore. A ciò mi spinge anche la giusta- considerazione, che molte utili e dilettevoli cose pie a: con- compimento degli oggetti templati nei primi 65 volumet- i ‘ti, Je quali solamente. pel. pre- fisso numero di essi non hanno “potuto esservi comprese, Lo 'sa- ranno adunque in questa ‘appeni dice che propongo. di. pubblita-, ‘re, non dubitando punto;.che i «miei signori Associati non-sieno ‘pet darvivil oro nome, come spero ‘che altri ancora non esì teranno ad. aggiungeivisi sulla evidente prova che questa mia: Biblioteca per la qualità, Vino w ‘e moltiplicità delle ‘operette ‘voriginali‘o ‘tradotte, ‘che la.co ‘pongotio , non corrisponda. ‘“namente ‘alla istruzione. di og | persona d’ entrambi i sessi, & voglia bene abituarsi nella. principale. di ‘presentare Bo ‘versi RAT, sì di Poeta: A e greca. i sore per queste ultime i più riputati: ‘vole .garizzamenti. Intanto. si a ‘no. frammischiando sgli. E i e dilettevoli di Richard ; SRI Li i meviti no A di Las, di da tura.sì dello spirito che del e - La nuova Setie avrà per isc Fontenelle: ‘quelli di Chimica Accum'colle hote di ‘Parkes; e ‘Applicazioni matematiche usuali po png è cati " metria di T. erquemj alcuni tr DEGLI DEI E DELLE DEE MANI E DEGLI Editori del Forsellini, —T AI Noi non siam più , grazie al Cielo, a que’ tempi felici, che i filologi, per una questione di grammatica , si lasciavano pelare la barba. A’giorni nostri, perfino i filologi son diventati un po’ più misericordiosi verso gli altri e verso sè stessi: son discesi, cosa veramente maravigliosa, al tuono della facezia; ma d’ una fa- cezia ben semplice e bene innocente. Noi ce ne congratuliamo di vero cuore con essi, e coi loro lettori: e prendiam coraggio a penetrare nel lor orto rinchiuso, per cogliervi qualche fiore , .che non appassirà , speriamo , trattato da mani profane. Gli Dei Mani, divinità veramente bitona, come dimostra l etimologia del vocabolo , hanno promossa una disputa alquanto singolare; la qual mi duole non si possa risolvere con una ispe- zione medica , giacchè qui non si tratta che di determinare il loro sesso, e decidere se sieno o no tutti maschi. Giacchè l’au- topsia medica ci è vietata , contentiamoci della filologica, e no- tomizziamo il passo d’Orazio, che ha data occasione allo. scisma. Jum te premet nox, fabulaeque manes, Et domus exilis Plu- tonia. — Tre interpretazioni possibili, io trovo di questo passo. Z mani della favola. I mani che son favole. I mani favolosi . — La prima è un anacronismo , perchè distingue i tempi della favola da quelli d’ una vera credenza: e ognun sente che noi possiam dire gl eroi della fuvola, e modi simili ; ma che in bocca ad un contemporaneo d’° Augusto ; la frase non sarebbe conciliabile nè Il ) con le sue idee nè con I° uso della sua lingirta . Veramente , se crediamo ai poeti mitologici, i tempi della favola non sono ancora passati. Ma lasciamo i poeti mitologici, e veniamo alla seconda interpretazione ; la qual conterrebbe, a parer nostro, un’ ineleganza, e un assurdo. Un ineleganza , perchè il fadulae, allora, verrebbe a stare a modo di parentesi , e il gue che gli va conginnto, andrebbe ri- ferito al manes ; sicchè quella congiunzione sarebbe come un osso slogato : cosa che alla prima ispezione d’ un uomo dell’ar- te si rende evidente. Ma l’ interpretare fabulaeque Manes, i Mani che son favole , sarebbe. innoltre un assurdo ; perchè quì il poeta parla della morte davvero ; e, nel tempo medesimo ch'egli la minaccia a Sestio , il venire a dirgli ch’essa non è che una favola , non so se sia degno d’ Orazio. L’ incredulità d’ Orazio non è così goffa ; e il voler trovare dell’incredulità in questa fra- se, è un doppio giudizio temerario , un doppio peccato: contro la carità, e contro il gusto. Che se la chiusa dell’ Ode si prende per uno scherzo (giacchè spesso anche nelle Odi il Venosino giustifica l’ epiteto che gli appone Dante , di Satiro) in tal caso fabulae, inteso a quel modo, guasterebbe l’ironia; e Orazio, per verità, non è tanto mawvvais plaisant. Resta dunque la terza : è Muni favolosi: favolosi, non per- chè i Mani che ron esistono, possan premere un morto, ma per- chè intorno a loro, molte favole si sono spacciate : favolosi, ap- punto come da Orazio medesimo è detto favoloso. 1’ Idaspe, nou perchè 1° Idaspe non esista, ma perchè molte favole si raccontano «le’luoghi ch’ e’ Jambe. Questo riscontro dello stesso poeta, nel me- desimo epiteto, toglie, parmi, ogni dubbio (1). E finchè non si pro- vi che cosa che non è , (giacchè l’essere una favola, vale non essere), possa premere ; io continuerò a credere che i mani d’ 0- (1) Il Bond, il Minelli, ed altri commentatori convengono pienamente nel senso, ma non badano poi all’assurdo che viene da pigliar fabulae per sostan- tivo. I due citati spiegano: Manes de quibus tam multa et Poetae et philoso- phi fabulantur. Altri commentatori spiegano letteralmente fabulae Manes, Ma- nes fabulosi , come il Lambino , il Gruquio , il Chabot. Il Bentlejo ha sentita la difficoltà del passo, e dimanda se fabulae sia genitivo o nominativo 3 con- chiudendo però con soverchia sicurezza, che la cosa torna al medesimo. Si noti ch’ anche i MSS. dimostrano, non volendo, che il passo non va considerato così leggermente. I più di quelli della Laurenziana leggono: fabnlaeque et Manes; e così taluno di que’della Riccardiana. Un cod. del Bembo leggeva a sproposito inanes: ma queste varietà provano che il Manes quae sunt fabulae, non è mai parsa nè a’copisti nè a’commentatori la più bella nè Ja più chiara cosa del mondo, (I ) razio non sien favole, ma sien faoolosi. Il senso , cred'io, è quel che determina la costruzione grammatica ; e un filologo, per quan- to rispetto abbia alle nude parole, non dovrebbe, se non erro, di- menticare che queste parole debbono avere un senso. Se tutte le frasi nelle quali è adoprato_o un vocabolo nuovo; o un nuo- vo modo di dire che faccia eccezione agli esempi noti, dovessero essere rigettate dal vocabolario come solecismi e come barbarismi, il Forcellini ne sarebbe pieno zeppo ; e i nuovi editoriadel Forcel- lini sarebbero de’ barbari anch’ essi. Io non rammenterò loro l’agnasco per agnosco, l’adonens per idoneus , l’abigenius per abiegineus, o abiegnus, ch’essi han cre- duto dover registrare nel vocabolario della lingua latina. Questi, in confronto di fabulae, saranno gemme rarissime, native elegan- ze. To non son così dotto da poter conoscere tutte le arcane ra- gioni, per le quali fabulus pare loro un barbarismo; e non adorews; e non agnasco . Ma quegli editori dottissimi sanno bene che una voce coniata sull’ analogia d’altre voci latine , non può mai chiamarsi con proprietà barbarismo ; e che se il senso assoluta- mente richiede che uma voce si consideri come epiteto, il bar- barismo sta nel non la volere considerar come tale. Chi dirà, p. e. che cymbalis per cymbalistria, sia un barbarismo, se cymbalis abbiamo in uva iscrizione, e se codesto cy rbalis non può essere il dativo o l’ ablativo plurale di cymdalum? Il volere che il cymbalis femminino dell’iscrizione sia il cymbalum neutro, e l’ accusare di barbarie il Forcellini che 1’ ha notato , sareb- b’egli cosa degna dei dotti editori del Forcellini ?_ Quando nel registrare i vocaboli non s° ha a badare al contesto, quando s'ha a declinarli senza la costruzione del periodo , allora il mestiere del lessicista diventa ben facile; e il buon senso è manifestis- simo indizio di barbarie consumata. Ma Manes non ha altri esempi che di genere mascolino. — E se quest’ uno fosse di genere femminino , non basterebbe per conchiudere che v’ ha delle dee Mani, vale a dire dell’ anime femmine ? Un anima di genere femminino , è forse una cosa sì strana? Io per me durerei più fatica a trovare degli spiriti ma- schi. Quanti esempii abbiam noi d’abortium per abortus? d’absi- da per absis ? d’ubsinthius per absinthium ? Un solo. E pure que- ste voci al Forcellini non parvero solecismi. Eppure alcuna di queste voci potrebb’ essere lo sbaglio d’ un copista; dove, nel caso nostro , gli è il senso della frase intera che infemminisce i Dei Mani. (IV E egli poi tanto difficile il ASCA nell’ esistenza delle dee Mani ? Prestiti de° Mani, non eran forse due Dee ? La Dea Ma- na, e la Dea Manuana ? E Mania non era lor madre ? Ela de- clinazione del nome Mares, non si presta forse tanto all’ un genere quanto all’ altro, come vi si presta l’ epiteto immanis , ch’ ha l’ origine stessa? E Mariae non si chiamavan forse quelle figure con cui le balie facevano paura a’ bambini ; e quelle ma- nie, non avean forse figura e muliebre e virile? (Macrobio e Festo) E il Fauno, che pure è maschio, non comprende forse sotto que- sta generica appellazione, la Fauna? Insomma, se in questa fra- se v’ ha solecismo , il solecismo è tutto colpa de’costumi pagani; e mi duole che quella buona gente non conoscesse i deside- rii grammaticali dei dotti editori del Forcellini per poter cor- reggere un error di grammatica che fa torto alla classica loro eleganza. E anche il Giraldi, (Syntagm. VII.) per sua sventura, incappò , senza saperlo in quella spietata condanna di solecismo, quando scrisse : Munias autem, quas nutrices minitantur pueris, esse larvas , idest Manes Deos DEASQUE putabant. — Povero Lilio Gregorio Giraldi. Quisgue suos patimur Manes ! (2). Ma perchè , si dirà, perchè non dire fabulique, se pur vo- leva che fabulae s° intendesse per aggettivo. — Perchè ?_ Per im- brogliare i filologi del secolo decimonono . Orazio aveva delle idee alquanto strane , e pigliava piacere a burlarsi del prossimo. E perchè, dimanderò io alla mia volta, perchè Varrone usare absinthius , e Properzio, est quibus? Solecismo evidente, che il Forcellini ha notato , e che provoca quella esclamazione mise- ricordiosa : Quisque suos patimur Manes. Infine chi sa che Ora- zio satiro non abbia pensato a contrapporre l’idea delle dee Ma- ni , all’ idea del tenero Licida, con che l’ ode si termina ? Il contrapposto , a dir vero, non sarebbe Pindarico , ma sarebbe Oraziano. Del resto , se i dotti editori del Forcellini, desiderano i Mani tutti maschi, noi non vorremo perciò venire alle mani. Codesto non sarebbe contendere per il bel sesso, ma per il ses- so in astratto; e le astrazioni filologiche hanno un confine. Nes- suno per altro ci vieterà nel privato nostro penetrale venerare tra i lari domestici anche le Dee Mani, e, per usare una frase Dantesca, chiuder loro le mani. Se questa ai dotti censori paresse (2) Quando il dotto Dacier al verso d’Orazio: ut melius quicquid erit pati, spiega pati per patere, non è egli più di me colpevole di solecismo ? ____._eem v) una specie di mania Mania: noi non ci affanneremmo a scol- parcene. (3). Cogliamo intanto questa occasione per ringraziare i dotti editori del Lessico Forcelliniano , del bel dono che stanno pre- parando alle lettere. Se gran parte de’ vocaboli nuovi da loro aggiunti, sono o nomi propri, o vocaboli della non aurea latinità; se delle addizioni e delle correzioni più desiderabili sono state da loro lasciate agli editori avvenire, ciò non toglie al molto me- rito, e reale, dell’opera loro. Pure, se mai questa nota cadesse sot- t’ occhio a qualcuno che col volger degli anni pensasse ad in- traprendere nuove ampliazioni e perfezionamenti al Lessico stes- so, noi pregheremmo il futuro editore di porre cura a quelle am- pliazioni e a que’ perfezionamenti che sono più importanti e più necessarii. E sono di quattro specie. I.° Correggere le inesatte definizioni e dichiarazioni. II.° Riordinare gli articoli in serie più logica, secondo l’ ordine delle idee. III.° Rettificare le cita- zioni inesatte , ricompiere le imperfette. IV.° Aggiungere i nuo- vi sensi , i nuovi usi delle frasi già note, e cominciar que- st° aggiunte , che non son poche, da’ classici del secol d’oro. Di queste quattro specie di perfezionamenti , siaci lecito offrire un picciol saggio, tutto sul primo articolo di quel dizionario; per di- mostrare che il lavoro dell’egregio Forcellini sebbene superiore a tutti forse i Lessici di tutte le lingue , è tuttavia grandemente lontano da quella perfezione relativa, a cui può col tempo es- ser condotto il Lessico d’ una lingua già morta. (3) Altri spiegherà fabulae nel senso di quel di Terenzio : Fabulae sumus senex atque anus, passo singolare dal Forcellini omesso , che vale : siamo sog- getto a dicerie. Ma il gusto ancora rifiuterebbe simile interpretazione, come sten- tata, e come richiedente il notato slogamento del que. Senzachè , nel Forcel. limi sarebbe sempre lo sbaglio d’ aver notata fuori di luogo la frase. Per tutte queste ragioni, io ritengo che fabulus per fabulosus , sia l’ interpretazione più naturale , più chiara, più degna d’ Orazio. Per dimostrare ; del resto , che il Forcellini non è infallibile, mon è ne- cessario uscire dall’articolo fabula. = Fabula, fabulum, fabulus , nota il For- cellini in senso di piccola fava. E con quanti esempi ?_ Gon tre: Fabulos, fa- bulis , fabulo. Tutti e tre questi esempi provano can certezza una sola de- clinazione , la declinazione di fadulus. Fabulo e fabulis possono essere femmi- nino e neutro , ma possono anche essere mascolino. Non dovea dunque il For- cellini far tre parole di un nome che forse è sempre lo. stesso : doveva esporre il sospetto , che i latini potessero avere anche. fabulum e fabula , in senso di parva faba, ma non mai affermarlo. == Ed ecco come anche il Forcellini po- trebbe da qualche critico severo essere ripreso d’ aver dato luogo nel suo Les- sico a due barbarismi ! (vi ) I:° DEFINIZIONI, DICHIARAZIONI. == I 4, dice il F., locum et personam; apud quem aliquid fit, significat. — E porta l’esempio, a sinistra porte. Ognun vede che manca un altro esempio di persona, e che l’ apud è spiegazione inesatta , giacchè, quand’io dico da una parte , da fronte, e simili, posso intendere an- che d’ una gran lontananza. II Conjunctae cum nomine loci incolam ejus loci significant. Esempio: Turnus ab Aricia. Non solo 1’ incola, ma il nativo d’ un luogo. La frase ha due sensi; abbisogna dunque di due esempi, e d’una spiegazione più piena. III A principio. Spiega: a, sul principio. Esempio. Haec a principio tibi praecipiens. — A principio , qui vale dal principio, non a nè sul. IV A primo, pro primum. À primo non par voglia dire primum, ma corrisponde al- Li italiano, sin dal primo. V Ab unguiculo ad capillum summum pro re tota. Non re , ma persona. VI A cura, italice, stando a pensare. Non stando a pensare } ma dopo ‘aver pensato. VII A , ab, cum verbis passivis , significant personam agentem. Esempio: ab Hipparcho reprehenditur. Una riprensione è un’ azione in senso largo, ma non propriamente. La parola agentem meritava una dichiarazione più ampia , e il paragrafo un esempio migliore. VIII Il For- cellini avea detto che Cicerone chiama l’ @ insuavissima lettera ; i nuovi editori vogliono che s’ intenda della r. Il vero si è che nel passo da Gicerone citato , 1° insoavità viene dall’ a ; ma che Cic. non intese già di dire in generale che V a sia una lettera insoavissima , bensì che in quel passo tale diventava per- chè di soverchio moltiplicata. II.° OrpINE LOGICO DEGLI ARTICOLI. = I Al Par. 5 è notato ab se in senso di per se: al par 28 a se aliquid facere, per se, ex sua volontate. Questi due pa- ragr. andavano ravvicinati , fors’ anco riuniti, corretta la dichiarazione del se- condo , e postogli accanto il n. 27. II Gosì, i num. 13, ar, 25, 26, 30, an- davano posti di seguito , perchè quelle frasi esprimono idee vicinissime. III Gosì il 24 e il 29 il 6 e il 31 il 7 e il 36; in alcuni de’ quali la frase stessa è registrata in due diversi paragrafi, e lontanissimi. III. CITAZIONI. — Al n. 22. Il verso di Tibullo è non 1, 5,3; ma 1, 5, 4; e quel verso meritava d’essere riportato, per dimostrare che, come in quel d’O- vidio ; il pleonasmo dell’ ad si lega al' vocabolo arte ; cosa notabile ; giacchè nell’ esempio aggiuntovi di Properzio si potrebbe porre in dubbio se 1° ab vera- mente soprabbondi; II Al n. 1 è eitato Ter. Hec. 1, 5, 56. E dovea dire 57: e' invece di abs‘guivis ;: che'dicè îl*testo , il Lessico pone abs quolibet , lieve licenza, ma non nedessaria: TII Aln. 13, la citazione Cic. 1. Leg. 4. io la credo sbagliata ; ‘e al n: 6, non bastava il citar nudamente la frase di Cic. stare « mendacio , frase ch’ egli forse non avrebbe a quel modo adoprata, ma a men- dacio contra verum. IV Al n. 4 Ab resicita come frase di Svetonio, ma senza recare il passo; e giovava il recarlo trattandosi di modo non comunissimo. Et quoniam ad hoc ventum'est, non ab re fuerit subterere: dove l’ab non significa propriamente praeter , come il Lessico dice. V Al n. 17 è citata come frase di Plauto ab unguiculo ad; e Plauto dice; Usque ab unguiculo, che varia il tenor della frase. VI Al n. 11 è citato Cicerone Id. 4 ibid. 33, e dovea dire Id. Ib. 33: AI n. 16 è ‘citato Att. 7; ed è, se non erro , citazione sbagliata. Leggeri difetti son questi ; ma troppo frequenti s diventan gravi. IV.° AcciuntE. — Le frasi petere ab aliquo = animo a me alienato , e altre comunissime non sono notate, II Ab innanzi a consonante, ha un solo esempio; de. ( VII ) e un altro, aggiunto dai nuovi editori, ad tergo, ch'io non credo imitabile. Per- chè non aggiungere il bello ab limite della prima Egl. di Virgilio ? III Da que- st’ Egloga sola, veggasi quante frasi si possono aggiungere al primo fascicolo della nuova edizione del Lessico Forcelliniano. IV Ager, in poesia e ne?’ casi obliqui, è ora breve ora lungo : del suo uso come breve, manca l’ esempio. V. 12 Totis usque adeo turbatur agris. 2.° Ago. Il Dizionario confonde Ago con Duco. Il seguente passo insegna a distinguerli. V. 13 En ipse capellas Proti- rus aeger ago, hanc etiam vix, Tytire, duco. 3.° Ah = A questa voce il passo di Virgilio è recato , ma tronco sì che non ha senso. Gemellos , spem gregis , ah silice‘ in nuda connixa reliquit. Così alla voce aes il passo è troncato in modo da far torto a Virgilio: Non unquam gravis aere domum mihi dextra redibat. 4.° Absum coll’ hinc. V. 39 Tytirus hinc aberat. 5.° Ambo: singolar modo d’ap- plicarlo. V. 62 Ante, pererratis amborum finibus , exul Aut Ararim Parthus bibet , aut Germania Tigrim. Nota che l’amborum s'applica alla Germania ed al Parto, e vale per /’ uno e l’altra. 6.° Alius d° ordinario è seguito da un altro alius, quando vale a indicare parte d’un numero d’ oggetti; nel seguente esem- pio è seguito da pars. V.65 At nos hinc alii sitientes ibimns Afros , Pars Scy- thiam et rapidum Cretae veniemus Oaxem. 7.° L’ab limite, l’abbiam già notato. : Se con altrettanta esattezza si esaminassero i classici tutti, e se nella medesima proporzione si ritrovassero le aggiunte e le cor- rezioni da farsi, soli cento versi di Virgilio darebbero almen cen- to tra correzioni ed aggiuute; Virgilio tutto, a far poco, ne ver- rebbe a dar diecimila. E fosse anco la metà, sarebbe assaissimo. RAR ANTOLOGIA N. 4102, Giugno 1829. —_______Dò—___ Osservazioni sull’ origine e progressi dell’ arte d’ istruire i sordo-muti dalla nascita. ( Vedi Antologia Vol. XXVIII. B. pag. 79) Art. V. Da predominio che suole acquistare talvolta una dot- trina qualunque, dagli encomi che i suoi ammiratori e seguaci le tributano , dall’ interesse che questi vi prendono in propalarne i principii, dall’influenza in fine che quel- la va costantemente esercitando , ci sembra poter de- durre che tutto questo ha potuto avvenire solo perchè me- diante il suo metodo ella fece considerare sotto differente aspetto le cose , solo perchè il germe dischiuse di alcune . verità, le sviluppò, le promosse, e solo perchè seppe dare un nuovo impulso, e una nuova direzione agli spiriti. Ogni riforma d’ altronde traendo l’origin sua dal cam- biamento , o dal progresso di un metodo già noto , il primo e speciale divisamento di un autore si è quello di tenere 2 con tutta chiarezza presente il punto dal quale egli sen parte , e l'andamento che è proprio di quel metodo ch'egli adotta, e che in sè contiene , come in germe, ignote ri- sultanze, ma alle quali condur debbe necessariamente la successiva applicazione di esso. Nella posizione in cui il Sicard trovavasi, campo va- stissimo se gli apriva, favorevoli circostanze se gli offrivano a discoprire quanto d’inesatto , o d’ imperfetto rendeva il metodo del suo valente maestro men commendevole : e l'osservazione e l’esperienza lo soccorrevano nel tracciare un sentiero novello, per cni giungere a sviluppare e ad elucare le intellettuali facoltà del sordo-muto. Egli infatti osservò e felicemente sperimentò , e tutte rivolse le sue cure a superare quegli ostacoli, i quali per insormon- tabili tenuti sempre avea il medesimo de-l’ Epée. Si ac- cinse pertanto a fissare il metodo , che nell’ esercizio dell’ arte sua praticar proponevasi , e che vide poscia senza opposizione applicarsi e senza contradizione, e presso che generalmente adottarsi. E gli applausi inoltre che dalla af- fluenza costante di spettatori istruiti alle pubbliche adunanze si profondevano, rassicurarono ognor più l’istitutore sull’ag- giustatezza de’ suoi processi , sulla novità delle sne teorie , sulla utilità della figura, per così dire, e della fisiunomia , di cui le più astratte nozioni rivestiva. Grammatico e mate- matico insigne il Sicard vedeva che la lingua universale è basata sul primitivo linguaggio: che gli elementi dalla na- tura se ne attingono: che questi soli indicar possono delle cose i caratteri, e delle lingue parlate rettificare 1’ etimo- logia. Questo metodo (1) dal de-l’ Epée scoperto , e dal successore di lui perfezionato alla sorgente di ogni cogni- zione nell’ uomo risale, vale a dire , al naturale sviluppo delle facoltà dell'anima, e in un corpo di dottrina la edu- cazione, e l'istruzione racchiude, prendendo i tre soli og- getti di cui possiamo occuparci : Dio, l’uomo , e la natura. Questo è in. ristretto un albero genealogico di tutte le umane cognizioni nell’ ordine della filiazione delle idee : (1) Gosì il sig. Paulmier. 3 le diramazioni solamente offrendo i principii di tutte le scienze , le quali intorno alla materia bruta , ai vegetabili, alla organizzazione degli esseri viventi, e intorno a tutti gli oggetti della natura e delle arti in generale s’aggirano; le quali dalle sensazioni che questi oggetti medesimi ci fanno provare , dalle idee semplici che ne risultano , fino alle idee astratte ed ai più elevati sentimenti si estendono. ,, Di questo metodo pertanto il Sicard giovandosi, ad emen- dar pervenne quei difetti , pei quali meno accetto rende- vasi il metodo che il suo predecessore esponeva , corresse e coordinò i segni metodici, comprender fece al sordo- muto come le forme grammaticali nel quadro del pensiero rappresentano le vedute dello spirito e le funzioni delle idee: e nei segni grammaticali trasportò un'immagine viva e come una stampa di queste operazioni e di queste funzioni mede- sime. Il Sicard finalmente riempiè la più sostanziale lacuna lasciata dal de-1’ Epée, per causa della quale lo scopo prin- cipale, a cui mirar dovea precipuamente l’ istruzione , mancava , e ad abilitare intese il sordo muto ‘alla espres- sione de’ suoi pensieri, alla costruzione delle proposizioni di qualunque specie esse fossero. Istruirlo adunque con- venne non solamente nelle regole della sintassi , che alle nostre lingue presiede, ma iniziar lo spirito ancora a queste regole stesse, in quanto che del pensiero le leggi rappre- sentano. Principii son questi giusti e giudiziosi, e propri di uno spirito eminentemente filosofico. Ed affinchè se ne possa l’ esposizione conoscere , e l’importanza apprezzare , inutile non crediamo pei leggitori il dar loro un’ idea del piano che adottò il Sicard per lo sviluppo e per l’applicazione delle sue teorie. Fa d’uopo adunque parlare del corso d’istru- zione di un sordo-muto dalla nascita, in venticinque temi, o esercizi progressivi diviso , ai quali dette il nome l’ au- tore, nè sapremmo dire con quanta esattezza, di mezzi di comunicazione. Prendendo in mano quest’ opera , per cui meritamente a tanto grido levossi l’ illustre Sicard , ripieni ci sentiamo di ammirazione e d’interesse alle scene variate che v’in- contriamo, a quella specie di dramma , di cui l’autore 4 x sa rendere come spettatore chi legge , al racconto animato e patetico che egli fa sovente delle incertezze e delle ardue posizioni nell’angustia delle quali l’istitutore si trova astret: to a procedere: della gioia e contentezza che sul volto del muto brilla e lampeggia al ritrovamento di ciò che dal- l’ istitutore stesso guidato , discoprire tentava, | L’ esempio dei teneri fanciulli insegnando che per la semplice nomenclatura di oggetti familiari e usuali ad ar- ticolare incominciano i suoni, e ad apprender quindi a poco a poco le forme ed il nesso del linguaggio na- tio, e che i nomi conoscono di tutto ciò che gli cir- conda prima che sappiano formare una frase, condusse il Sicard a dar principio alla istruzione del sordo-muto Massieu colla nomenclatura degli oggetti. Nè potevano essere più naturalmente concepiti i primi due mezzi di comunicazione, i quali furon dall’ autore destinati ad aprire quella vasta e difficil carriera, a percorrer la quale ìn compagnia dell’alunno accingevasi. — Prima di pensare fa d’ uopo sentire ; per sentire distintamente ricercasi che gli organi delle sensazioni sieno diretti e fissati sopra gli oggetti. Il Sicard pertanto, onde attirare , dirigere , e fis- sare l’attenzione e la sensazione del sordo-muto sopra gli oggetti prima di nominarglieli, a’ di lui sensi ama di presentarli, dai più usuali e comuni incominciando , e ne disegna inoltre contemporaneamente la respettiva loro figura. L’ allievo allora non dee che gettare uno sguardo sull’ oggetto e sul disegno che lo rappresenta per ravvisar- ne al momento la rassomiglianza. Esibendogli in fatti l’og- getto ei ne addita il disegno, come all’ indicargli il dise- gno, ei l’oggetto parimevte presenta. Le paro!e adunque del sordo-muto in questa prima lezione sono le fiuure stesse de- gli oggetti, come le parole sono pur le figure degli oggetti per i già esperti nel leggere: parlasi pertanto coi suoni arti- colati agli orecchi di chi ascolta, come colle figure delineate agli occhi del muto si parla; e le immagini perciò fan pas- sare nella intelligenza di questo, ciò che le parole fan pas- sare nella intelligenza di quello, se non che differenza con- siste nel senso: che per l'uno si è il senso dell’udlito, il senso 5 della vista per i’ altro quello che vien chiamato in soc- corso (2). Aperte in tal guisa, siccome opina il Sicard , della intelligenza le porte , e principiando l’ allievo a di- venire comunicativo , l'intervallo che il suo spirito da quello dell’ istitutore separava , era scomparso, A tenore del metodo che l’autore adottava , fu questi indotto a porre da parte l’ insegnamento dell’ a/fabeto per oggetto , col quale altre volte dawa al corso di sue lezioni cominciamento , rilevata avendo la imperfezione di que- sto mezzo, che sin dai primi passi il cammino analitico contrariava , essendo che nulla dice alla ragione un se- guito di caratteri convenzionali ordinati in un modo inin- telligibile per allora alla vista non aiutata dall’udito , al quale questi caratteri servono, e che nulla di equivalente hanno nella natura (3). Dal primo mezzo di comunicazione passando l’autore al secondo, fa una nuova applicazione dell’antecedente pro- cesso , cui la nomenclatura sussegue , e la classazione de- gli oggetti, e fu allora che gli elementi delle parole scrit- te presero un valore determinato, avendoli scritti il Sicard intorno alle figure degli oggetti già disegnati, e procurato avendo di far comprendere a Massieu che quei caratteri erano destinati a rappresentare la figura di un oggetto dopo che essa fosse stata tolta di mezzo. Ma fu però necessario all’ istitutore di ricorrere a nuovi e variati tentativi , af- finchè pervenisse il suo allievo a concepire come poche cifre che designar non sembravano cosa alcuna, servir po- tessero d’ immagine agli oggetti, e in una maniera sì in- variabile e sì pronta rappresentarli (4). Fu da quel momento sostituita al disegno la scrittura, esibendo però sempre le intiere parole, le quali una qualche cosa significassero , e non i loro elementi isolati che nel disordine del nostro altabeto significato alcuno , nè alcuna idea alla intelligenza del sordo-muto presentano. (2) V. cours d’instr. ec. da p. 7 a 9. (3) Ivi p. 17, 18. (4) Ivi da p. 13 a 16. 6 Non ebbe appena conosciuto Massieu il sommo van- taggio che ricavar poteva dalla scrittura , che tutto cono- scere e nominare , e scriver tutto volendo, all’istitutore mostrava qualunque oggetto che ai suoi sguardi offerivasi, Ogui giorno più in tal modo la nomenclatura nella sua memoria si aumentava , ed egli dall’ altro canto al maestro insegnava il segno dei medesimi oggetti, dei quali scriver questi facevagli le denominazioni (5). Ma era giunto il tempo di decomporre gli oggetti, e di far comprendere al muto che ciascuna parte ha ugual- mente che il tutto un nome che lo distingue. Furono in- fatti decomposte tutte le parti del corpo umano suscetti- bili di decomposizione , e così apprese Massieu i nomi di tutte le parti in un nome collettivo racchiuse , e potè fa- cilmente conoscere che non si trovava in natura nè essere, nè cosa, che non andasse, al pari del suo corpo, a decom- posizivne soggetta. La curiosità ebbe allora un impulso no- vello, e più attento addivenne il sordo-muto, e osservatore più diligente. Non potè per questo tener più in freno la propria impazienza , e poichè il corpo umano ebbegli in una sola parola presentati tanti oggetti ciascuno dei quali aveva il suo nome particolare , credevasi di tutto ignorare, sin tanto che non sapeva anche il nome delle parti degli oggetti, dei quali non conosceva altro che il nome col- lettivo. Abbisognò pertanto che il Sicard analizzasse col suo allievo tutti gli altri oggetti della natura, procedendo di divisione in suddivisione, e mentre sembrava che questi non imparasse se non nude parole, acquistava a poco a poco la scienza analitica delle cose. Trovavasi frattanto Massieu in possesso di una estesa nomenclatura egli già conosceva unitamente ai respettivi lor nomi la più gran parte degli oggetti usuali , e li rap- presentava per mezzo di segni. Le perlustrazioni in cam- pagna, le visite alle miniere e alle officine fatte sempre in compagnia del suo istitutore, favorevoli occasioni gli offri- rono onde apprendere i nomi, sia degli oggetti, sia degli es. (5) Ivi. e n sti 7 seri viventi; talmente che possiam dire che la duplice im- mensa scena, della natura cioè, e della società , per ciò che a’ sensi apparteneva , sempre nuovi e innumerevoli materiali alla sua istruzione amplissimamente prodigasse. Procedeva quindi il Sicard a dividere in classi gli oggetti, e gli esseri viventi: quindii generi, le specie, gli individui. Ciascuna specie fu considerata come una parte di un gran tutto, la quale poi, dopo averla da questo separata, di- venne anch’ essa a vicenda un corpo, di cui ciascun’ in- dividuo ne costituiva una parte. ‘ Tali furono i primi passi nel corso d’istruzione, senza per anche affrontare le prime difficoltà della grammatica , del cui soccorso abbisognamo onde esprimere i nostri pensieri (6) ,,. Sebbene Massieu pel 2.° mezzo di comunicazione im- parato avesse a distinguere la differenza, che passava fra gli esseri e le cose, e già ne avesse acquistate le idee, non ancora però veduti ne aveva i segni scritti rappresentativi di queste idee medesime. Il Sicard per tanto nel 3.° mez- zo di comunicazione, mostrandogli un oggetto-essere da una parte, e un oggetto-cosa dall’ altra, ne scrisse il nome corrispondente framischiando tra loro gli elementi di am- bedue le parole, così che venissero a comporne come una sola , ma doppia. ‘La parola essere fu quindi scritta nel nome di tutto ciò che non era stato fatto, e la parola cosa nel nome di tutto ciò che era un prodotto dell’ industria umana. Si avanzarono quindi ancor più l’istitutore e l’al- lievo, e lo stesso processo ripetendo, dettero agli esseri e alle cose il nome ancora più generale di oggetto. Ma co- me osserva molto a proposito l’A. tutti gli oggetti, quan- tunque di una specie medesima, non hanno perciò la stessa maniera di essere, e sebbene scorger si possano le differen- ze, ciò nonostante apprendere doveva il muto a distinguer il soggetto dalla qualità, di cui essa non è sé non una ac- cidentalità , e che con l’ oggetto medesimo confonder non debbesi. Era d’ uopo pertanto astrarre l’ una dall’ altro , e il modo di astrarre esser doveva fisicamente sensibile, (6) Ivi da p. 20 a 32. Secondo mezzo di comunicazione. 8 Ripreso adunque per gli aggettivi il processo medesimo che l’a. praticato aveva pei nomi generici, immaginò di fare scendere, per mezzo di linee punteggiate, inferiormente alla parola che indicava l’ oggetto, le lettere , le quali la pa- rola significante la qualità componevano. Portate poscia ambedue queste parole medesime, per mezzo delle stesse linee, l’una dirimpetto all’altra, e tutte in fine le suddette linee in una sola comprese, e questo accoppiamento tra- dotto nella parola é, l’istitutore e l’allievo alla prima propo- sizione , alla prima frase pervennero. A quanto abbiamo di- scorso in proposito, e che nel precitato 3.% mezzo di comu- micazione è contenuto, ha relazione in gran parte ciò che l’a. è per esporie rispetto alla generalizzazione delle idee, a una nuova spiegazione delle parole essere, cosa, e oggetto nel successivo 5.° mezzo di comunicazione, ove inoltre si determina il senso delle parole sorte , specie , genere , e natura. Procede l’A. nel 4.° mezzo di comunicazione alle qua- lità attive e passive, che agli aggettivi pure si richiamano; passa quindi alla invenzione del pronome per togliere la continua ripetizione del nome del soggetto, di cui una qual- che cosa affermiamo, ripetizione che non solamente rendereb- be spiacevole, ma benanche equivoca ed intralciata la frase; determina i segni numerici (7) applicati ai tre elementi della proposizione enunciativa, che è la più semplice di tutte ; ci dà l’idea del plurale, quanto ai verbi e alle qualità, ed esibisce finalmente la teoria della proposizione attiva , la quale poi vien riprodotta nel 6.° mezz. di com. ove si fa parola pur anche dei tempi assoluti , dei pronomi personali, e della proposizione passiva. Rispetto alla teoria della proposizio- ne attiva tutti ne presenta il Sicar4 con non ordinaria sa- gacità gli elementi , e la espone all’ alunno sotto il più chiaro. punto di vista. La teoria è fundata sulle seguenti (7) Questi sono le cifre 1 e 2, la cifra 1 fu scritta sopra il soggetto e so- pra la qualità per mostrare che queste due parole non erano due segni distinti e separati. La cifra 2. fu scritta sopra il verbo. per mostrare che questa parola era di una classe differente dalle altre due. Ivi. p. 52. e considerazioni: ‘#* Non avvi alcun’ azione in natura senza un oggetto, su cui quest’azione si porti, o in altri termini, non v° ha soggetto agente senza uno paziente : non v’ è dunque proposizione attiva che non ne supponga una’ pas- siva. Sonovi dunque delle qualità passive, poichè ve ne so- no delle attive. Due pertanto sono le forme per enunciare un’azione qualunque, una furmaattiva, ed una forma pas- siva. Può considerarsi il complemento di una proposizione attiva, come il recipiente dell’azione da questa proposizio- ne medesima enunciata. Un tal complemento, dal nome che la riceve e la soffre si esprime , e perciò paziente si ap- pella, ovvero oggetto dell’ azione quando la frase è attiva; . ma quando viene espresso nella forma passiva, questo com- plemento addiviene il soggetto della frase passiva ,,. (8) In coerenza delle accennate riflessioni costruì il Sicard4 una proposizione attiva ad accennare un'azione fatta sotto i suol occhi. Pose quindi per maggiore chiarezza le due proposi- zioni, che costruir si potevano sull’azione medesima, l’una dicontro all’altra; e subir facendo al verbo essere varie mo- dificazioni successive, ricomparve la terminazione del ver- bo attivo; ed eliminati gli elementi della proposizione pas- siva , non restò che il solo complemento (9) della frase attiva. il quale è pel sordomuto il rappresentante della proposizione passiva. i ‘‘* Ma non bastava, (son parole dell’A., 6.° mezzo di co- municazione pag. 87,e seg.) che Massieu conoscesse la teo- ria della proposizione attiva; mancavagli quella della propo- sizione passiva col suo complemento..... lo ho già osservato che non v’ha una proposizione attiva senza una proposi- zione passiva richiamata dalla prima. Egli è lo stesso del- l’attiva, allorchè si annunzia un’ azione in forma: passiva; imperocchè non vi può essere passione senza azione, come (8) Ivi, Quarto mezzo di com. p. 62 e 63. (9) La cifra 3 fu scritta su questa parola che resta la sola della proposi- zione passiva, e che racchiude in sè sola la qualità indicata dalla cifra 1, e il verbo . indicato dalla cifra 2, addivenuto inutile , poichè soppressa la perni à altro non vi rimane da congiungere e legare ec. Ivi p. 65. T. XXXIV. Giugno, 2 10 non può darsì effetto senza causa. In quella guisa che fu accompagnata la frase attiva dalla passiva , sarà questa accompagnata adesso da quella ; e come la frase passiva , rigettando tutto ciò che l’ attiva supponeva, è divenuta il di lei complemento , nella stessa maniera la frase at- attiva cangiando di forma , diverrà il complemento della frase passiva ,;- Alle teorie qui sopra accennate aggiunger potrebbesi quella della preposizione e dell’ avverbio , essendochè si continua a vedere non interrotta l’orditura della frase, e la successione delle cifre destinate a rappresentare gli elementi della proposizione , e ad assegnarvi a ciascuna parola il suo valore relativo. Lo sviluppo di questa teoria s’ incontra infatti nel 7.° mezzo di comunicazione, ove troviamo il sog- getto della frase passiva, complemento dell’attiva , con- trassegnato (10) con la cifra 3, accompagnato dalla prepo- sizione e suo complemento indicati dalle cifre 4, e 5, ov- vero congiunto all’avverbio, il quale come che rappresenta e la preposizione, e il suo complemento, è indicato anch’es- so dalle cifre suddette. E quì ci sembra opportuno di av- vertire che fa il Sicard degli avverbi il 16.9 mezzo di co- municazione, ov’ egli espone alcuni principii generali in- torno ai medesimi per mezzo di opportuni esempi dichia- rati, siccome aveva anche altrove praticato , secondo che la circostanza, o il bisogno esigeva. Sapeva già esprimer Massieu tutti i pensieri che alla convenienza, e disconvenienza del soggetto, ed alla quali- tà si limitano, come pure tutte le azioni nella forma at- tiva e passiva esprimeva. Ma nel menzionato 7.° mezzo di comunicazione apprese inoltre ad enunciare il modo, il fine, la ragione, il motivo ec. per cui le’ azioni si fanno, ed imparò a conocere ancora quella specie d° e/lissi, per cui un sol verbo attivo può avere dopo di sè per comple- mento diretto , o regime più oggetti, i quali formar pos- sono altrettante proposizioni separate , se a proposito di (10) Siccome già vedemmo alla nota segnata di N.° 9. IL ciascuno di essi, e il soggetto, e l’azione si ripete (11). Ri- chiameremo quì pure, prima di dare un cenno dei tempi as- soluti , e dei pronomi personali, la teoria delle cifre indi- canti gli elementi della proposizione, e della quale fa pa- rola l'A. al 10.° mezzo di comunicazione, e che diremo es- sere nella massima parte un riepilogo per così dire, di quan- to egli ci aveva già detto in proposito, enumerando inoltre tutti i vantaggi grandissimi, dei quali, a parer suo, è fe- conda questa teoria medesima, All’ 8.° mezzo di comunicazione è rimessa dall'A. la teoria dei zomi numerali, nei quali tutto è collettivo, tutto è resultamento; e nulla v’ ha d’individuo, se la sola uni» tà vogliamo eccettuarne (12. L'esperienza però mostrando- gli, che la numerazione non era intesa da Massieu senza una chiara nozione dell’individuo isolato, e senza che si dipartisse affatio dal concetto astratto dalla quantità sola o numerata, ebbe senz’avvedersene una prova e della in- dispensabilità del metodo analitico, e della necessità di fon- dare qualsisia parte della istruzione sulle relative idee ma- teriali e sensibili. Ritornando adesso d’ onde ci eravamo discostati col fine di riunire insieme ciò che al meccanismo della pro- posizione , ed alle cifre numeriche apparteneva , vediamo in qual modo proceda il Sicard per condurre il suo allievo alla intelligenza dei tempi assoluti, i quali esso considera come la prima parte, la parte essenziale della coniuga- zione, la sola necessaria al sordo-muto, fintanto che una più estesa istruzione non gli permetta, a parer suo, di pase sare ai tempi relativi, e ai modi, Tre linee furono i segni sensibili dei tre tempi as- soluti. Credette il Sicard di dover cominciare dal tempo futuro, e fatti porre alcuni oggetti usuali sopra una tavola ad una certa distanza, vi scrisse da una parte il proprio no- me, e un poco più avanti la voce toccante. Incaricò quindi Massieu di tracciare una linea dalla detta parola di qualità (11) Ivi p. ga. (12) Ivi p. 108. 12 verso il di lui rome a misura che verso gli oggetti i quali andava a toccare si fosse avanzato, e di sospenderla, quan- d’egli si fosse arrestato, Tanto fu eseguito, e frattanto quella linea incominciata, sopra la quale fece scrivere il Sicard la voce sarà, fu il segno del futuro. Seguitò l’istitutore a con- dursi verso gli oggetti : la linea fu continuata, e terminata quando giunse a toccarli, e fu così riunita l’azione espres- sa dalla parola toccante alsuo proprio nome. Nun esisten- do più il futuro, fece scrivere il segno è in luogo del se- gno sarà. Avendo poi cessato di toccare gli oggetti, e la sua azione non essendo. più nè futura, nè presente , fece troncare la linea, la quale non doveva legar più il di lui nome ad una qualità che non gli conveniva, e furono so- stituite al segno è le due parole è stato a significare il passato. ,, Questo metodo fu ripetuto per tutti e tre i tem- pi differenti, furono preposte le tre voci del verbo essere alla radice della qualità, che con una inversione per le modificazioni prese in ultimo la desinenza del verbo attivo nei tre tempi suddetti (13) jr Fino dal 4.° mezzo di comunicazione ci faceva osser- vare l’ autore che il bisogno dei pronomi erà da lun- go tempo sentito, e a rappresentare il nome fu scelto al- lora il segno possibilmente più certo , il pronome, cioè , della 3.° persona di ambi i numeri, e di ambi i generi. Fatto questo passo, riuscir non poteva difficile a Massieu d’ apprendere l’ uso degli altri pronomi personali , e ren- derseli familiari per mezzo di frequenti applicazioni , ed imparare come servirsi del verbo in tutte le persone dei tre tempi assoluti. Coll’ aiuto della simultaneità delle azioni , (così l'A. ) e dell’ enunciazione di esse io eser- cito l’ intelligenza del mio allievo , ed egli impara alla maniera degli altri fanciulli ad esprimer le sue idee ; e le azioni delle quali io lo rendeva , o agente , o testimone, ne erano l’ occasione ,, ( p. 83 ). Nella stessa guisa che Massieu per mezzo di reiterate 13) Ivi, Sesto mezzo di com. da p. 78 a 82. La stessa operazione fu ri- P P petuta pel numero plurale. 13 applicazioni era stato istruito a rettamente servirsi dei pronomi personali , pervenne ad apprendere l’ ufficio dei pronomi passivi, aggettivi, e possessivi, alla teoria dei quali fu dall’ A. destinato il 12.° mezzo di comunicazione. Con l’ uso poi degli articoli, (v. 9.9 mez. di com.) potè anche esporre con precisione, ed aggiustatezza le sue frasi, e dare al sno linguaggio quella esattezza che il senso delle proposi - zioni esige, per esser chiaro e limpido al pari del pensiero stesso , la cui espressione dev’ esserne sempre l’immagine trasparente (p. 118). Nè omise l’ istitutore di moltiplicare gli esercizii sulla teoria degli articolî, affichè 1’ allievo potesse comprenderne bene la differenza , e l’ ufficio co- noscere che a ciascheduno di essi conviene. La teoria della coniugazione che 1’ A. incominciato aveva a sviluppare, siccome abbiamo veduto , coi tre tempi assoluti, è ripre-a al mezzo 11.° di comunicazione col modo infinitivo. Fece il Sicard osservare che il verbo non pre- ceduto da persone, e per conseguenza impersonale, pren- der doveva una maniera di essere, o un modo relativo a questo nuovo stato , senza determinazione veruna , e perciò un modo indefinito, il quale in ultima analisi fu rappre- sentato da una linea orizzontale non determinata nè dal soggetto da una parte, nè dalla qualità dall’altra. AI verbo essere fu sostituito per la terminazione comune di tutti i verbi attivi il verbo fare il cui significato fu gene- ralizzato per poterio impiegare nella interrogazione , la teoria della quale è sviluppata nel precitato mezzo di co- | municazione. Svolge 1’ A. nel 13.° mez. di com. la teoria di cui in- terrogativo, e di differenti sorte di cae; nel 14.° quella del cue congiuntivo in alcune composizioni composte al modo indicativo soltanto , e nei gradi di comparazione. Cì parla nel 15.° del tempo, della divisione che se ne fa, e ci dà delle nozioni sul sistema del mondo. La coniugazione è di nuovo ripresa al 17.° mezzo di co- municazione , ove occupandosi l’istitutore dei modi , dei tempi relativi e composti in tutte le loro variazioni , il sordo- 14 muto col soccorso di replicati esercizi potè acquistare la cognizione della natura , del valore , e della relazione di tutti i tempi: apprese inoltre differenti classi di verbi , e questo mezzo di comunicazione fu terminato con un qua- dro di tutte le coniugazioni. Nel 18.° mez. di com. prima di riprendere l’A. le qualità astratte, ritorna sul modo inff- nitivo, (del quale aveva già data a Massieu un’idea, allorquan- do gli mostrò il verbo spogliato di tutti i numeri , e di tutte le persone. Gliene scopre adesso la generazione } e due cose essenziali finalmente gli pone sott’ occhio. Prima. ‘* che 1° infinitivo , sebbene ridotto alla semplice qualità di nome astratto, non conserva però il carattere del verbo, che consiste nell’ esprimere le differenti epoche della esistenza rapporto alla .durata; che ha per conseguenza de’ tempi come tutti gli altri modi. Seconda. Che sebbene ridotto a ricevere l'influenza immediata -di un altro verbo, egli conserva la sua, per usarne riguardo ai regimi , che dargli vogliamo (p. 85, 86). Ritorna il Sicard nel 19.9 mezzo di com. sulla teoria delle congiunzioni. Il 20.° mez. di com. possiam dire che sia l'applicazione della teoria grammaticale. L' istitutore assicurarsi dovea se i passi che il suo allievo aveva già fatti erano incerti, o sicuri. Abbisognava che egli con tutta precisione conoscesse , a qual punto questi trovavasi pel sentiero , in cui sì erano entrambi incamminati, onde poter continuare insieme il viaggio. Di tutto questo schiarir dovea il Sicard l’analisi di un periodo, che propose a Mas- sieu, e che questi ridusse in proposizioni semplici e stac- cate , avendone indicato con la cifra che gli era propria ciascun elemento. Quel tutto insieme con la sua proposi- zione principale e colle respettive sue modificazioni fu come un gran quadro, in cui Massieu discoperse tutte le operazio- ni della intelligenza. Procedendo ai tre seguenti mezzi di comunicazione tro- viamo , che introduce l'A. il suo allievo alla cognizione delle facoltà intellettuali, lo istruisce della esistenza , spi- ritualità, e immortalità dell’ anima, e lo guida all’ analisi 15 delle facoltà della medesima ( 21, 22, 27, mezzo di comu- nicazione). Fa di nuovo parola l'A. delle astrazioni, e s'in- trattiene inoltre sul parlar figurato nel 24.° mezzo di co- municazione. Il 25.° è consacrato alla esistenza di Dio (la quale per mezzo della natura dell’uomo è provata nel ca- pitolo seguente, ) e a questo estremo punto pervenne l'A. dopo aver percorso insiem con Massieu la catena degli es- seri, dopo averlì paragonati, classati e ordinati secondo il posto che occupa ciascuno di loro nell’immeso teatro del- la natura. Alcuni modelli finalmente di lezioni, la scelta dei quali non. fu sempre felice, chiudono il mentovato corso d’ istruzione, del quale i sommi capi toccando, ci sforzammo di esibire a’ nostri leggitori, nel miglior modo che ci fu possibile, un succinto ragguaglio, temendo esser tratti, con fare altrimenti, a soverchia lunghezza. Ci sia lecito adesso, rispetto a quest’ opera sì merita- mente celebrata, i sensi nostri in poche parole manife- stare, lunge però dal pretendere di oscurare quei pregi, che molti e in sommo grado vi splendono. Percorrendo il precitato corso d’ istruzione , scorgerem facilmente che due ne sono le basi, sulle quali fabbricò il Sicard quel vasto, ed ammirando edificio , /a teoria de’se- gni, cioè, e /a grammatica generale ; e ch» la nomencla- tura , la grammatica e la sintassi tutto l’ insieme ne for- mano. È stato osservato che il de l’ E|.ée a’ suoi alunni due lingue insegnava, una di lettere e di gesti e l’altra di parole ; che i mati fedelmente e reciprocamente le tradu- cevano, ma che inalcuna di esse nè parlavano , nè pensa- vano. Fece pertanto un passo immenso la scienza, poichè Sicard, che al de l’Epée succedeva, la vanità riconobbe di questo metodo così autorevole a quell’ epoca, e sotto gli oc- chi stessi del venerato precettore un metodo concepiva ed eseguiva, il quale, se con assai maggior lentezza per gradi quasi insensibili procedeva, di una utilità però vera e reale era fecondo , e verso la perfezione più del precedente avanzavasi: imperciocchè tutti gli sforzi di questo istitu- tore ad apprendere a’ sordo-muti a pensare e ad esprime- 16 re i loro concetti nella lingua del proprio paese furon di- retti. Adottò nonostante i principiî fondamentali del de 1’ Epéee, ma si condusse peraltro conforme questa idea magistrale, che l’istruzione de’ sordo-muti considerar si do- veva come una traduzione, i gesti come la materna lor lingua, e la lingua convenzionale, qual nella società si pratica, come una lingua straniera che per mezzo di tra- duzione dovrebbe ad essi insegnarsi (14). Quindi possiam dire, che i sordo-muti istruiti sieno in possesso di due lin- gue; di una che scrivono e non parlano, cioè la nostra, e di un’altra che parlano e non scrivono, cioè quella dei gesti. Il nostro A. ha distinto ancora nel linguaggio de’muti due parti, siccome nelle nostre lingue parlate le distin- guiamo. La prima, quantunque più limitata e più sem- plice, tale quale ne’ muti non istruiti suole riscontrarsi , e che i segni comprende degli oggetti, e delle loro mo- dificazioni, delle azioni fisiche e sensibili e più ordinarie della vita, come delle affezioni dell’animo, ma che però è atta a prendere una maggiore, o minore estensione secon- du la posizione sociale dei muti, secondo l’esercizio spon- taneo e il naturale sviluppo delle loro facoltà (15). Questa sorta di linguaggio tutto proprio del muto e come det- tatogli dalla stessa natura, che perciò l’istitutore è tenuto ad imparare dal suo alunno, onde ravvicinarsi ambedue scambievolmente , serve di fondamento ai primi mezzi di comunicazione, alla prima parte cioè della istruzione , la quale abbraccia la vastissima nomenclatura degli og- getti, delle loro qualità ec. avvertendo però di cominciar sempre dagli oggetti fisici più conosciuti e più familiari, e di sceglier quelli che possano essere divisi, e dei quali ciascuna divisione abbia il nome suo proprio. L° altra parte del linguaggio è più estesa , più elegante, più regolare , e più rapida, frutto dello studio , della meditazione, di un uso lungo e continuato , in una parola, della istruzione, (14) Ved. Dell’educ. de’ sordi-muti. (15) V. l'Art. preced. 17 che hanno i sordo-muti ricevuta, ed essa i seyni comprende artificiali, o metodici, che staccandosi dalle idee sensibili alle più astratte nozioni si estendono, le quali altro non sono che pure creazioni del nostro spirito. Questa seconda parte del linguaggio di azione , possiam dire che all’ istitutore appartiene, il quale deve al muto trasmetterla, ricevendo peraltro innanzi da lui stesso non solo la prima provvisio- ne dei segni, ma valendosi eziandio della sua cooperazio» ne e prendendolo talvolta anche per guida. Nella seconda parte dell’ opera, la quale abbraccia la grammatica e la sintassi, risale il Sicard ai principii della grammatica generale, nella esposizione ed insegnamento dei quali delle nozioni logiche e metafisiche si giova, che a quelli presiedono. Non ignorando altresì che la vista supplir doveva all’ udito , procurò coll’ industria de’ suoi me:rodi , che le forme grammaticali venissero a rappresen- tare come in rilievo le operazioni dello spirito. Dotato di una imaginazione vivace e feconda e di uno spirito som- mamente analitico, cercava, e ognora discopriva nuovi e variati sentieri per giungere a spiegare , e a rendere sen- sibili queste operazioni medesime ; e dar sapeva, in certo - modo, corpo e figura alle più astratte nozioni. Si direbbe che il Sicard è il pittore della sintassi, e il poeta della grammatica (10). Niuno oserà negar certamente all’istitutor parigino una capacità estesissima di elevarsi agevolmente alle più alte me- tafisiche speculazioni, come pure niuno oserà ugualmente ne- gare che abbia l’opera di cui ragioniamo esercitata una gran- de influenza sulla direzione dell’insegnamento nella maggior parte delle scuole. Ma non sembra però che tutti convenga. no, che siasi formato il Sicard una idea giusta e precisa sulle facoltà de’sordo-muti, che egli non tenda a rendere più luminoso il trionfo dell’arte snila natura, che tutta l’opera insieme non abbia a sostegno una sua opinione fondamen.- tale, di collocare cioè i muti nella classe de’ più stupidi animali, e che questa opera stessa non lasci il desiderio di (16) Ved. Dell’ educ. de’ sordo-muti. T. XXXIV. Giugno 3 18 una conveniente subordinazione fra le sue parti (17). Infatti se dalle basi sopra le quali il lavoro del Sicard riposa, pas- siamo ad esaminarlo nelle diverse parti che lo compongono, non ci pare con assai d’ ordine e metodo esser disposto e condotto. Dopo i primi due mezzi, così detti, di comunica- zione sì felicemente e saggiamente concepiti, e che apro- no la vasta e difficil carriera, a percorrer la quale e V’isti- tutore e l’ alunno s’impegnano , invece di veder seguitato passo passo l'andamento logico della generazione delle idee, troviamo anzi il sordo-muto trasportato subitaneamente ad una immensa distanza, alla cognizione, cioè, delle parole essere, cosa, e oggetto, che sono le tre nozioni più generali e più astratte che abbia mai saputo concepire lo spirito uma- no. Da questo punto ogni ordine, ogni piano è scompar- so: s' introducono entrambi per ignote contrade, procedo- no alla scoperta , stendono a caso il passo titubanti ed in- certi, e fanno spesso ritorno a quei luoghi medesimi d’onde s’eran dipartiti. Quindi teorie, o premature, o troppo tardi prodotte , altre senza ragion sufficiente interrotte e di nuo- vo riprese, alcune con altre di natura diversa confuse ; le teorie metafisiche fra le grammaticali disseminate senza che nesso alcuno le unisca tra loro. Avendoci inoltre il Sicard fatto osservare molto a pro- posito, che non si tratta di formare del sordo-muto un me- tafisico, ma solo d’iniziarlo a far’ uso della nostra lingua, era forse egli indispensabile di ingombrare lo sviluppo delle sue teorie di tanto metafisicume ? Di più: queste teorie me- desime che il suo corso d’ istruzione costituiscono, sono tutte da ammettersi, da seguirsi tutte indistintamente? Sono tutte ritrovate con pari felicità, e condotte in modo da es- sere agevolmente comprese , da esser poste a livello della intelligenza ordinaria degli alunni? e un piano d’istruzio- ne dedotto da un insegnamento particolare e individuale sarà egli applicabile senza modificazioni essenziali all’inse- gnamento generale e collettivo? e quegli andirivieni, quella (17) Jonr. de sourds-muts. 19 incertezza , che per ovunque vi scorgiamo potrà dirsi una esposizione didattica dei precetti ? Noi saremmo indotti per cuesto a dubitare se il Si- card nel suo forzato ritiro dall’ istituto (18) pervenisse a perfezionare il corso d'istruzione , essendo stato asserito , che a sì fatta utilissima occupazione tutto il tempo del suo esilio consacrasse. Imperciocchè se speculativamente occu- pavasene , sopra base mal sicura e mal ferma avrebbe la- vorato : se scevro di prevenzione sulle resultanze degli ap- plicati principii meditava, riconosciuto avrebbe, che ogni processo dagli applausi del pubblico ratificato addivenir non poteva a’suoi occhi un principio irrefragabile , e a qualunque esame , per così dire , superiore : se alla espe- rienza appellavasi, avrebbe potuto ritrovare che i snoi me- todi, sebbene originali, non andavano immuni da qualche difetto , che sebbene ingegnosi, e talvolta anche più del dovere, di modificazioni e di semplicizzazioni abbisognavano, che il sistema adottato un tipo normale reclamava e un andamento regolare, e che finalmente dal confronto di par- ticolari pratiche operazioni resultarne dovevano le teorie generali. Ma siasi pure esclusivamente occupato il Sicard a perfezionare l’opera di cui ragioniamo. Un ostacolo som- mo alle sue cure , alle sue fatiche opponevasi, e consi- steva nell’ aver esso riguardata l’ intelligenza del muto, in qualche maniera , come l’opera dell’ istitutore, e come una creazione dell’arte. Qualunque miglioramento pertan- to, che vi avrà potuto a quell’ epoca iintrodurre, sarà stato sempre subordinato al suo principio favorito , e lo avrà portato in conseguenza a confermare e a sanzionare il ‘suo metodo stesso , senza che influisse a realmente emen- darlo, e a maggiormente perfezionarlo. Fu già sentimento anche di altri illustri scrittori, che il corso d’ istruzione , quale fu reso di pubblico diritto , considerato come una didattica esposizione dei precet- ti, niente abbia di normale, e che non proceda con (18) Fu compreso il Sicard come redattore degli annali ecclesiastici nel nu- mero dei giornalisti deportati a Synnamari . Il suo esilio durò due anni. (Vedi Biogr. Univ.) 20 quell’ ordine logico , che formarne dovrebbe il suo prin. cipale ed esclusivo carattere. Ora cosa noi dovrem dire quanto all’ uso pratico dell’insegnamento ? dovrà forse te- nersi anche rispetto a questo la enunciata opinione mede- sima ? Che se la esperienza acquistata , la necessità , il concorso de’ sordo-muti , le circostanze, l’ inspirazione del momento , diverse cause infine concorrevano a fare retti- ficare , sviluppare, semplicizzare i metodi pratici nell’in- segnamento dell’ ab. Sicard , a modificare perciò le regole che dalla sua dottrina resultare sembravano, e a far anco variare spesso questi metodi, e ad applicargli differente- mente, dovrà dedursi per questo , che la pratica sopra una teoria inferma ed incerta riposasse? Che non era in modo stabile e preciso fissata ? che spesso fluttua- va , e che per molti riguardi mobile e indefinita rimane- vasi? (19) Quanto a noi, ci faremo ad osservare , che se 1’ instabilità, e 1’ incertezza nella pratica istruzione del Sicard si appresentava all’ osservatore ideologo come re- sultante dal difetto di uniformità, di certezza, e di ordine progressivo nella teorica, dalla quale la didattica operazione dipartivasi , in tal caso potremmo di buon animo con venire nell’opinione di quell’insigne ideologo della Francia il chia- rissimo Degeraudo. Ma se in vece il rettificare, o il presen- tare sotto differente aspetto i processi influiva a rimuovere qualunque operazione o troppo ricercata , o troppo com. plicata, o superfiua , ed in forme più naturali , più sem» plici e più facili a comprendersi li esibiva, allora mostrava col fatto il Sicard i difetti e le imperfezioni parziali dei me- desimi, e al tempo stesso additava di quali miglioramenti fosse suscettibile il suo piano d’ insegnamento. Parimente, se le modificazioni, le innovazioni, e le semplicizzazioni delle teorie erano subordinate alle diverse cause dalle quali l' istruzione dell’individuo dipendeva , alle diverse circo- stanze che l’accompaghnavano , alla di lui maggiore, 0 mi- nore prontezza di percepire , e al differente grado d’intel- lettuale sviluppo, mostrava pure col fatto il Sicard che (19) Ved. Dell’edue. de’ sordo-muti. be DI le teorie generali stabilite per 1’ insegnamento collettivo vanno soggette a modificazioni , rettificazioni e riforme nella pratica , individuale istruzione. Non sembrerebbe dunque che si potesse tanto francamente asserire , secondo questi brevi riflessi, che 1’ insegnamento pratico del Sicard fosse mobile , fluttuante, e incerto, e che inoltre il Sicard me- desimo non potesse per la sua viva imaginazione sottomet- tersi servilmente alla esecuzione rigorosa di un piano in prima delineato in tutte le sue parti: ma che invece ad una specie d’ istinto obbedisse, e che le circostanze del momento e, per così dire, l’inspirazione molto influissero sul di lui modo d’ insegnare. Secondo quel poco che conoscer possiamo in sì fatte materie a noi sembra che si condu- cesse il Sicard non altrimenti che qualunque altro abile e sa- gace istututore condursi dovrebbe, o si trattasse di operare in processi analitici di esporre , e sviluppare una teoria , o di esigerne dall’ alunno per mezzo di appositi esempli ed | esercizi analoghi l’ applicazione , o di guidarlo a concepire da se medesimo le idee che vorrebbe indurlo ad esprime- re. Nè rivocare in dubbio vogliamo che si distinguesse il Sicard per la fecondità e flessibilità di spirito nelle spie- gazioni , per la facilità a riprodurre le stesse vedute in un quadro sempre nuovo, per l’arte di mettere come in scena le regole le più aride , di rivestire le astrazioni di forme le più pittoresche, per l’ abilità infine di fare agire i sor- .do-muti, e di far loro esternare i propri pensieri (20). Doti son queste da non mai ammirarsi abbastanza , e sa- tà tanto più fortnnato nei suoi successi quell’ istitutore , che avrà la bella sorte di possederle, e che istruendo, saprà entrare al pari del Sicard in azione, penetrare nello spirito dell’ allievo, porlo seco in intima comunicazione , investirsi dell’ oggetto che vorrà fargli comprendere, va- lendosi delle forme che sono più note o più familiari al- l’ alunno , e metterlo nella situazione di concorrer coll’ i- stitutore alla sua propria istruzioue. (20) Ivi. 29 i L’ opera dell’ab. Sicard quantunque lasci molto da de- siderare relativamente alla teorica, ciò nonostante si farà sempre apprezzare per lo sviluppo che vi è dato ai segni artificiali del linguaggio d’ azione , per tutto quello che la intelligenza della lingua parlata concerne, e pel meto. do filosofico dell’insegnamento. Egli ha concepita una grande e bella intrapresa, ma vasta non poco e ardua in- sieme. L’ analisi è quella che esercita sull'andamento della istrazione una influenza propria e ideologica, ma bisogna ancor confessare che l’analisi diretta è sovente di malage- vole accesso, soprattutto a giovani tuttora nuovi nell’arte di ragionare e che le astrazioni didattiche esigono un no- viziato troppo difficile. Nel novero di coloro che posso- no lusingarsi di aver compiuta realmente l'onorevole mis- sione, che l’umanità aveva lor confidata, siede frai primi il Sicard. Pochi, o nessuno crediamo che tanto abbia scrit- to intorno all’arte d’ istruire i sordo-muti, nessuno che ne abbia per quanto sappiamo , così estesamente sviluppati i veri principii, nessuno, che vanti e in Europa e fuori di essa tanti seguaci nella didattica esposizione di quelli , e nessuno finalmente che con tanta rinomanza, e così colmo di onori sia stato alle sue filantropiche cure da morte ra- pito , quanto l’ illustre istitutor della Senna. Pianse l’ Europa e religiosa e scentifica nel dì fatale in cui dormì quest'uomo sommo il sonno dei giusti, e l’ani- ma sua tutta lieta a bearsi in grembo a Dio sen giva, Spiegò poscia di lei sull’ orme, e non ha guari, il volo quel puro spirto del solitario Sofo, (21) che onor d’ Italia no- stra là del Bisagno in riva le più assidue, le più tenere cure paterne a pro di que’ miseri figli della matrigna na- tura profondeva. Ei gli dirà fra i più dolci affettuosi am- plessi come a buon dritto superba vada Liguria dell’ isti- tuto suo. Ei gli dirà come i germi di quello dal Labronico lido sulle sponde dell’ Arno si trapiantarono mercè la cle- (21) Il celebre Pad. Assarotti , detto il Solitario dell’ acqua sola morì il 24 gennaio 1829 in età di anni 55. Il suo nome è celebre per tutta Europa. NIE 23 menza di Ferpinanpo III. Ei gli dirà come poi quei germi stessi vie più rigogliosi e fecondi vi germogliarono all’om- bra sacra del Trono dell’ Augusto Regnante LeopoLpo II del popol suo Principe e Padre. SacerpotE M. MArcACCI già Direttore e Istitutore nell’ I. e R. Istituto dei sordo-Muti in Pisa. Discorsi sulla Storia Veneta del co. Domenico Tirporo. ArticoLo II. ( Ved. Antologia N.° 98. pag. 44.) Una gran legge, che al primo aspetto parrebbe potersi confondere col principio della fatalità, ma che, a hen pensare , è fondata sul principio contrario, domina tutti i movimenti della ragione individuale e sociale , e ne sve- la il mistero ; io dico, la perfettibilità morale e politica. Secondo questa legge sovrana, i terribili sconvolgimenti de’ popoli son crisi violente ma inevitabili di mali da lungo tempo maturati e con misurata proporzione cre- scenti ; que’ riposi più terribili ancora in cui s' addormenta, a dir quasi, la coscienza dell’ uomo e dell’ umanità , ab- bandonata ad una inerzia più deplorabile dell’ estrema disperazione , son gastighi meritati, opportuni , di falli an- tichi, di comuni delitti , di una volontaria degenerazione morale ; son purificazioni necessarie ad una vita più vivida, e più tranquilla. Questo castigo sovente pare vergognoso troppo, e quasi interminabile ; questa purificazione par come un’agonia prolungata : ma la indomabile continuità di patimenti sì ingloriosi, piuttostochè provare il governo della fatalità nella vita de’ popoli, dimostra all’ incontro in piena evidenza, che se l’uomo non può fare degno uso de’ suoi diritti, ciò non avviene se non per averne egli troppo reamente abusato. Non si tratta quì delle colpe 2/4 degli avi, che si rovesciano in flagelli sui nepoti lontani; si tratta d’un abuso presente, quotidiano, che tanno gli uomini della morale libe:ità, e che per pena trae seco la perdita della libertà e della coscienza politica. Non già che si possa, nel fervore dell’ atto , e nell’ aspetto mede- simo delle presenti vicende determinare e presentire tutti i beni de’ quali il germe è nascosto nella sventura , tutti i mali che minaccia od apporta una prosperità fatua ,, pas- seggera , abasata: ma nello spazio de’secoli, nella lenta maturità degli eventi , nello sviluppo insensibile di quelle grandi idee che sola una lunga esperienza può cangiare in assiomi ed in sentimenti, si svolge in tutta la sua sublime onnipotenza quella legge della perfettibilità, alla quale innu- merabili fatti sembrano tuttodì contrastare, Io per me tengo, che nel giudizio non meno che nel reggimento delle cose politiche, invece di esagerare il bene, e di pascersi d’un orgoglio vano o d’una mendace speranza 0 di quella sod- disfazione che dona alla, mente il vagheggiamento d’un priucipio generale , o rettamente o a torto applicato che sia, invece di sforzarsi a trovare nel male o in ciò che male si reputa, una potenza , una generalità, ua’ irrepara - bilità senza limiti, meglio sarebbe tentar di conoscere come dal male possano essersi generati de’beni, e dal bene de’ mali; come l’ abuso o la sconoscenza del bene sia fra i mali il più tristo perchè volontario; come l’esperienza del male venga utile e. a ridestare il desiderio del bene per- duto, e ad insegnar quindi i mezzi di riacquistarlo e di ri- tenerlo. Questi pensieri, svolti che fossero più stesamente , sarebbero , a mio credere , sufficiente risposta e a coloro che nella morte della repubblica veneta non riguardavano se non l’infelicità de’ popoli da quella lunga pace improyv- visamente strascinati ad uno stato di guerra , dove il san- gue versato nulla valeva per la felicità dell’ [talia ; e a coloro che nel governo veneto non vedend’ altro che l’ in- quisizione e le spie, si maravigliavano come un giogo sì fatto avesse potuto per tanti secoli aggravar la miseria di popoli civilissimi; e a coloro infine che i movimenti 25 della rivoluzione francese in Italia pensano essere stati effetto d’ una generosa e disinteressata volontà di giovarci, No, conviene pur crederlo : nè la distruzione della Veneta repubblica è stata una sventura per noi ; nè quella repub- ica si sarebbe potuta prima distruggere senzachè ne ve- nissero sventure ancor più gravi all’Italia : nè Bonaparte , invadendo questa terra ch'era sua patria, ad altro pensò che ad una conquista , a una preda. Acciocchè la conquista fosse meno fusgevole , acciocchè fosse più ricca la preda, conveniva cangiare certe opinioni, lusingare cert’altre ; alcune cose distruggere, alcune edificare : taluni di questi cangiamenti han prodotto del bene; ma l’idea di codesto bene non era nè nella mente nè nel cuore del grande Ita- liano, invasor dell’ Italia. Giova dimostrarlo con le sue stesse parole : ‘ Si vo- » tre projet, scriveva egli al Direttorio , est de tirer cinq ou six millions de Venise, je vous ai ménagé exprès cette espèce de rupture . . . Si vous aviez des intentions plus prononcées , je crois qu’il faudrait continuer ce », sujet de browillerie, m’instruire de ce que vous voulez »» faire , et attendre le moment favorable , que je saisi- rai suivant les circonstances; car il ne faut pas avoir è »» faire à tout le monde è la fois: ,, (1) E il direttorio al Ge. nerale Bonaparte : ‘ Quant’à la situation politique de l’Italie, ss une observation principale fixe notre attention, et doit diriger votre conduite à l égard des différents états ou villes qui voudraient se donner un gouvernement: c'est ,; que la paix, notre premier voeu, peut dépendre du sort du Milanais, et qu'il nous importe de nous ménager des moyens d’échange pour covsolider la réunion de quelques parties du territoire à la république. Il est 3» done essentiel dle ne pas favoriser indiscrètement des innovations politiques nuisibles a la conclusion de la = > 2 »» paix, et à l’affermissement de notre liberté ,, (2). (1) Addì 7 Giugno 1796. (2) Addì 20 Settembre 1796. T. XXXIV. Giugno. 4 26 Ell’è cosa veramente inimitabile l’ingenuità che appa- risce in tutto quanto il carteggio del Gen. conquistatore col direttorio di Francia , e de’ generali dell’armata d’Italia col comandante supremo. ‘ Toutes les fois , que votre général ,» en Italie ne sera pas le centre de tout, vous courrez de s» grands risques; ,, (3) : scriveva Bonaparte al direttorio ; e n’avea ben ragione. E il Gen. Joubert da Bassano : ‘ Le ,» désarmement se fait: Saint-Marc est abattu; et les », fonds publics sont intacts : il n°y @ donc plus rien è s» faire ;$ et ma manière d’agir en pareille circonstance est » toujours de Zaisser les choses comme elles sont; parce que », toute innovation qui n’a aucun but réel , ne favorise que »» les fripons. Je ne me mélerai dune en aucune manière ,, de l’organisation civile du pays où je me trouve: je ,, veux n’y rien voir, n'y entendre rien, parce que je n’en ,, vois pas le but. ,, — Un longobardo non avrebbe potuto dir meglio (4). Queste cose giovava premettere, per poter conchiudere senza apparenza di paradosso , che la tirannide veneta era in fine meno ostile all’ Italia della generosità de’suoi nuo- vi liberatori. Ma ingiustizia sarebbe giudicare da questo lato soltanto un avvenimento sì grande : vediamo dunque, qual fosse all’ istante della sua caduta il governo veneto e rispetto a forza politica, e rispetto a sapienza amministra- tiva : quanto fosse cioè terribile ai nemici di fuori, e de- siderabile alle provincie soggette. Certo , ne’ primi mesi dell’ invasione , il direttorio af- fermava che son intention n'est pas de rompre avec la ré- publique de Venise (5) : e Bonaparte, nell’agosto del 1796: (3) Addi 8 Ottobre 1796. (4) Addì 14 Maggio 1797. — Che un soldato ragioni a quel modo , ell’ è certamente cosa deplorabile, ma che non fa maraviglia. Ciò ch’è veramente umilian- te, si è il sentire un uomo di lettere, Arnault, autorizzare e aggravar con lo scherno il latrocinio ; e a proposito de’ cavalli di S. Marco scrivere a Bonaparte : © Les > Frangais n’ont-ils pas quelques droits à les revendiquer, ou du moins à les ac- 3» cepter de la reconnoissance vénitienne ? Ne serait-il pas raisonnable aussi de 3» les faire accompagner par les lions que Morosini fit enlever au Pirée ? Paris 3» ne peut pas refuser un asyle à ces pauovres proscrits ,». (5) Addì rx Giugno 1796. Li 27 “ Dès l’ instant que j'aurai balayé le Tirol, on entamera 3» des négociations conformes à vos instructions. Dans ce s» moment-ci , cela ne réussirait pas. Ces gens-ci ont une », marine puissante, et sont è l’abri de toute insulte dans 3» leur capitale. ,, (6) — Non giova però dissimulare tutti gli indizi apertissimi che dal primo istante della inva- sione , diede la repubblica della coscienza di sua debo- lezza. Imbasciate continue, con divote proteste di lealtà e d’amicizia; poi di soppiatto incoraggimenti offerti al nemico, insurrezioni tentate, e segni non dubbi d'avversione importuna (7). Non è necessario leggere la corrispondenza de’ generali francesi per avvedersene : i fatti ce n’ offrono prove più chiare e meno sospette. Noi non dobbiam cre- dere, è vero, a quelle amare parole del vincitore super- bo: Venise qui va en décadence depuis la découverte du ' (6) Addì 26 Agosto 1796. (7) Il dì 7 Giugno del 1796, Bonaparte, dopo fatta invadere la for- tezza di Peschiera, e trattati assai bruscamente i due savi del consiglio , scrive : “ en attendant, il se prétent de la meilleure fagon, à nous four- »» Nir ce qui peut étre nécessaire à l’armée ,,. — Il dì 26 di Luglio, scrive Bonaparte stesso ; « Plusieurs individus frangais ont éprouvé dans ces états des 3» procédés rigoureux ,,. == Il di 19 d’Ottobre , il cittadino Aillaud , da Vene- zia : « Le gouvernement Venitien continueses armemens. Il arrive fréquemment 3» des troupes de la Dalmatie: elles ne paraissent point à Venise, on les disperse », sur les différentes îles des lagunes, où elles sont exercées. Tout se fait dans le 3» plus grand secret ,,.- Napoleone, che era allora giovane e di più buon umore, scrive il dì 1 di Gennaio del 1797 al Provveditore di Brescia : Engagez , je »» vous prie, M. le provediteur de Bergame, qui est votre subordonné, à ètre un ss peu plus modeste, plus réservé, et un peu moins fanfaron lorsque les troupes »» frangaises sont éloignées de lui; engagez-le à ètre un peu moins pusillanime, à »» se laisser moins dominer par la peur à la vue du premier peloton frangais ;,. Il dì 16 d’Aprile, l’Aiutante di campo Junot a Bonaparte: Tout le peuple »» vénitien a arboré la cocarde bleue et jaune.... Depuis que j'ai paru au sé- »» nat , la cocarde a un peu disparu, mais l’esprit n’a pas changé : au reste, 3» vons pouvez ordonner, et le sénat et le gouvernement Venitien sont à genoux . — Il solo fatto degli Schiavoni ci è prova da sè di codesta politica tergiversante che attesta un intrinseca irrimediabile debolezza. E ordinato che le truppe Dal- mate, come perturbatrici della tranquillità di Venezia , n’escano; e poi all’istante della occupazione di Venezia, queste truppe si trovano appiattate lì presso, aspet- tando l’ occasione opportuna di far mostra di sè. O il governo le credeva utili , e perchè scacciarle ? o pericolose; e perchè ritenerle ? — Non parlo della fuga de’ due nobili promessisi in ostaggio; fuga certamente condannabile, perchè violatrice d’ una scritta promessa. 28 h ,; Cap de Bonne Espérance , et la naissance de Trieste et ‘d’Ancone, peut difficilement survivre anx coups que. nous venons de lui porter : population inepte , làche , ,, et nullement faite pour la liberté ,, (8): ma pure che pensar d’ un governo che per una trasgressione de' pat- ti ( non vera se al signor conte Tiepolo vogliam erede- re ), mette in arresto i suoi inquisitori di stato (9); d’uu governo che tradito dai figli suoi stessi i quali dann’adito nella città alle baionette nemiche , non trova che qualche migliaio di Schiavoni il qual osi gridare viva San Mar- co, e consuma con un silenzio che non è nè innocente nè coraggioso , l’ altrui tradimento? Che ha ella fatto Vene- zia per protestare contro la propria rovina? E un popolo dove il timor della morte è tanto più forte dell’ amore di patria, è egli degno della sua libertà ? Era ella libertà que- sta sua? Come amava egli uno stato di cose, di cui vide la fine senza pur mettere un grido? E che pensar di un >» 2) governo che a tale fiacchezza aveva educati gli spiriti ? La peur (quali parole /) /a peur est jle sentiment dominant dans cette ville, et y est le gage de la tranquillité publi- que (10). I veneziani, spogliati della loro libertà, temon quasi di piangere : e il vincitore si fida non nelle pro- prie forze, ma nella loro paura. — Si dirà. che ad un male insuperabile, opporre un vano sforzo è stoltezza ; che tutti ì cadaveri de’veneziani non potevano già colmare la voragine aperta ; che altro partito non rimaneva se non lagrimare in silenzio, e aspettare dal cielo un migliore destino. Ah! chi rispondesse così, mostrerebbe bene di non conoscere che dir voglia amore di patria, non cono» scere di che sia capace un popolo intero quand’ ha la co- scienza del suo diritto, della sua miseria, della sua di- gnità. Se tutti i popoli oppressi da un ingiusto invasore avessero aspettato in silenzio il momento della liberazio- ne, se avessero tremato di turbare coloro lamenti la pa- (8) Addì 26 Maggio 1797. (9) Addì 14 Maggio 1797. (10) Lett. del Gen. Baraguay d’Hilliers 19 Maggio. 29 ce d’ una iniqua vittoria , che sarebbe dell’ umanità, che sarcbbe della giustizia nel mondo? — E che dovea, voi chiedete , che dovea fare un popolo abbandonato e tradi- to? — Morire, io rispondo. Combattere pe’proprii diritti, e dar per essi la vita, non è suicidio, perchè il suicidio politico non è che nel perdere la coscienza de’ propri do- veri; nè il combattere senza speranza di vittoria , è dispe- razione insensata, quando a’ propri figli, a’concittadini, all'umanità tutta, si lascia in retaggio una memoria, un esempio. L'individuo che per timore di una privata sven- tura, si getta in braccio alla morte, è un vigliacco che non sente le proprie forze , o un infelice dissennato che ri- pon la speranza dove non è: ma quando la morte è consacrata da uno scopo di pubblico bene , ell’ è il dove- re de’ cittadini , il diritto degli infelici , il bisogno d’ogni anima generosa. Io so bene che gridare ai veneziani del 1797 : cittadini , no tutto‘non è ancora perduto; voi avete un cuore ed un braccio; la vostra patria è il vostro di- ritto ; la vostra speranza sta in voi: v'è tempo ancora di resistere, perchè v’ è tempo di morire : correte di contro a quelle batterie già occupate dal nemico , gettatevi sotto al fuoco di quelle armi già vostre: voi morrete, ma quelli che vi terran dietro , occuperanno que’ posti : i vostri ne- mici o fuggiranno o cadranno: voi non piangerete derisi ; il vostro silenzio non sarà creduto viltà ; e chi sa ancora ? Italia non è tranquilla , combattono per voi la religione, la consuetudine, le tradizioni dei popoli, la politica di tutta quasi l’ Europa : una sola speranza ne trae seco al- tre mille: chi sa? voi vivrete, e vivrete italiani : — io so bene che gridar tali consigli ai veneziani del 1797, sareb- be stato un farli sorridere di pietà e di disprezzo. Ma que- sta, ell’ è questa appunto la somma sventura ch'io voleva indicare. Queste parole sembreranno a molti una digressione importuna , dettata da colpevole smania d’insultare alla memoria d’ un governo celebrato , e d’ aggravar col di- sprezzo la miseria di quella trista sna fine : si dirà, che ad altri governi è stata in varii tempi comune la sven- 30 tnra di perire senz’ altro onore che d’ un tacito ed impo- tente compianto. Ma , oltrechè questo fatto non iscusa Venezia , oltrechè chiaramente dimostra che nella repub- blica Veneta istituzione non v'era la qual provvedesse a ripararne con mezzi efficaci e nobili la ruina, come pareva richiedere quella.tanto decantata sapienza; nella storia di codesta ruina si sente qualcosa di particolarmente deplora- bile, si veggono così chiari gl’indizii d'una debolezza inop- portunamente astuta , che ben dimostrano ciò che noi affermavamo, una grande deviazione da que’principii che sono la vita e la dignità degli stati. Il popolo di Venezia era certamente malcontento della invasione straniera; gli stessi suoi nemici l’afferma- no (11) : il mal umore era sparso in tutte le provincie al veneto governo soggette: e come andò infine a_ sfogarsi ? In ischiamazzi . in saccheggi, inammazzamenti alla spic- ciolata , in zuffe da nulla: mentre che il numero de'solle- vati era tanto da schiacciare , anche senza il vantaggio della militar disciplina, la mole delle forze nemiche. Se qualche vantaggio s’ ottiene, egli è quasi tutto merito dei così detti Schiavoni, delle milizie Dalmate , che la lor forza corporale dovevano ad uno stato non molto lontano dalla barbarie. Ma i cittadini d’ Italia, ma i villici, con tutto il loro accanimento non giungono che ad attizzare lo sdegno del vincitore, e ad accrescer la soma de’ proprii mali. Se così combatte il vero amore di patria, vel dica Montenegro , il Tirolo, la Grecia, la Spagna. Io non cerco ora se le insurrezioni delle venete provincie a quel tempo, venissero da pura devozione a San Marco , o da pietà re- ligiosa , o da denari e da sospetti a bella posta diffusi, o da amor di rapina. Di queste cose toccheremo più sotto : qui supponiamo che tutta lealtà, tatto affetto verso la re- pubblica fosse quel movimento sì generale e sì minaccio- so: ed appunto da ciò conchiudiamo, che un popolo il cui sdegno riesce sì impotente, sì fatuo, dovea certo essere stato educato da istituzioni non solv poco guerriere, ma, (11) Lett. del citt. Arnault. 3I conviene pur dirlo , poco virili. Sopra ciò giova insistere , acciocchè l’ ammirazione e la gratitudine non sia cieca- mente data ad oggetti che non ne son meritevoli ; accioc- chè meglio si pensi , in che consista il vero amore delle pa- trie istituzioni, la vera energia e dignità de’ popoli e degli stati. Per timore che le provincie conquistate abusino della propria forza , educarle a bello studio, o lasciarle almen crescere nella mollezza ; rendere affatto straniero alla na- zione quell’ innocuo e virtuosissimo spirito militare che non cerca i pericoli nell’ ingiustizia, ma antivede i biso- gni, e s’ addestra all’ esercizio franco di tutti i propri di- ritti e presenti e possibili ; far della milizia una specie d’ appalto (12); rendere la difesa della patria opera mer- cenaria , e affidare il deposito della esistenza politica al braccio venale degli stranieri (13); tutta, per conseguen- (12) Tiepolo, T. I. p. 140. « Gli uffiziali di cavalleria avevano il /dovere »» di pensare ad equipaggiare i propri soldati secondo le forme dalla legge pre s Scritte, per la qual cosa avevano una proporzionata paga : sicchè non Vv? era ,» altra differenza, se non che, invece di esservi degli appalti generali perd’e- »» quipaggiamento di queste truppe , ogni capitanio pensava ad equipaggiare la »» propria compagnia , sotto la sorveglianza delle autorità superiori ;,. Ognun vede l’ inconvenienza di questa militar consuetudine. Lasciando i pericoli della venalità , e le tentazioni di cupidigia a cui venivano esposti que’ Capitanii , la cura sola di doversi occupare in simili fornimenti ha non so che di basso e d’in- degno del vero soldato. (13) Diecimila uomini di Corfù , si dice che patteggiasse la repabblica al momento delle minacce Francesi. La Grecia è stata d’ ogni tempo il semenzaio de’ soldati Veneti ad ogni straordinario bisogno. == Ed era appunto nel biso- gno che si venivano a sentir le strettezze, a cui quella costituzione politica- mente militare ed ostile, e civilmente commerciale e pacifica, riduceva il go- verno. Noi troviamo nel Diario ferrarese all’ anno 1489. Murat. R. It. T. 23, p. 368: “ Avevano preso tutti li fachini che fachinavano in Venezia, e per s» forza mandati in galea contra Turchi. Item, amollati di prigione tutti gl’in- »» carcerati d’ ogni sorta.... et comandati per tutto il loro paese uno homo per »» casa a dicta impresa ; et che non era chi li volesse andare ,,., E pag. 367: « Ha interzato tutti li suoi dazzi; mandato per forza contra Turchi uno homo »» per fontico di Venezia ; item li loro zaffi ; tutti li facchini, tutti li traget- 3» teri di barche. Chiama tutti li sbanditi a casa, perdona tutti li delitti ed 5» eccessi loro. Hanno imposte gravezze di decime, più gravi che mai facessero a »» tutti li loro. sudditi ,,. Codesto , del richiamar gli sbanditi , fu praticato an- che al cadere della Repubblica. Nè già si creda che a tutte queste operazioni le province suddite si prestassero di buona voglia. Nei preparativi del 1487 , se 32 i te, la forza dello stato ripor nel danaro (14): non è certa- mente sistema da mantenere a lungo alla repubblica una vi- ta gloriosa e tranquilla. Per sostenersi, egli è forza ricorrere ad arti minute, a maneggi e ad ingegni non sempre tali da potersi con dignità rivelare (15). E questi ancora non bastano : e un cambiamento improvviso di cose distrugge d'un lampo il lavoro penoso d’anni e di secoli (16). Un crediamo al Navagero, i Veronesi non vollero dare che scudi 250; intanto chè i Vicentini armarono a loro spese. = Quale affetto poi potessero portare alla causa dellà repubblica uomini compri, e greci, ognun può pensarlo. Quindi le diserzioni frequenti. Diar. Ferr. 267, 271, 273; 274. (14) Diar. Ferr. nel 1486. Dentro Venezia rimasero disfatti assai merca- danti per le gran decime che pagarono, Sanudo R. I. T. 25. « Conveniva » loro d’ astringere d’ angarie la terra., e mettere etiam decime assai ,,. — Ab- biamo, nello stesso Sanudo , a questo proposito , una singolar confessione : «« Pensò ( Lodovico Sforza ) come e con qual modo abbassare la potenza veneta. »» Non trovando alcun modo, salvo che fare spendere loro i danari, e consumarli »» sopra le genti d’ arme; e considerando che, perdendo i danari e consuman- », doli, succintamente perderebbero riputazione e potere.... Considerando che , » cavati i danari, etiam le caveria la riputazione e il potere ,,. = Un’ altra singolar confessione nel medesimo Autore , ove parla della battaglia contro i Francesi : « Il Gonzaga, marchese di Mantova, voleva dar in Parmigiana bat- »» taglia a Garlo , contra il volere de’nostri Provceditori ; e si governavano sa- +» pientissimamente, perchè volevano lasciar passare il Re, e non mettere lo stato in pericolo; perocehè il fatto d’arme, come tutti benissimo intendono, consiste in ventura; e però uno stato tale, e potente, e della qualità del Veneto non bbi 25 :3 sì doveva mettere in pericolo col fatto d’arme ,,. = Seguìta poi la vittoria : ss lascioti estimare quale estimazione , qual fede, qual fortezza appresso i Po- tentati abbia ottenuta l’ inclita signoria di Venezia, et non immerito, per aver ,, rotto e fracassato il Re di Francia...... E i gentiluomini per allegrezza erano »» impazziti ; perchè dubitavano di servitù. ,, E finisce coll’ avvertire che al suddetto fatto d’ arme, non furono de’ Veneti se non tre squadroni. (15) Eppure talvolta li confessano i suoi storici stessi, contraddicendosi con 55 una ingenuità singolare. Si leggano nel Navagero le negoziazioni della Repub- blica col Ke di Francia, e co’ nemici di lui. E il Sanudo , a proposito dell’al- leanza dello Sforza : I Veneziani , pieni di zelo e di carità verso il traditore, »» e di onore, e di benevolenza, e di bontà soprattutto, deliberarono di mandar +, tutte le loto genti d’ arme e il campo all’ assedio di Novara ,, Si volti una pagina , e si troverà svelata la vera causa di questa bontà : « Conside- », rando che , perdendo il suo stato di Milano , ancora eglino perderebbeno il a TOTO 305 b (16) Alla fine del secolo XV, i Turchi invadono gli Stati Veneti senza tro- var resistenza: l’ unica forza direttamente nemica, che la repubblica incontra , spinge contro le le rapine fino all’ insulto. E qui il Diario Ferrarese, più volte citato , soggiunge : « Anzi pare che del suo male ognuno ne giubili ,,. A_sk- mile attestazione però, non è necessario credere affatto, Aa ne gie. STO ver è: da pifi nta: Li da 23 governo , immedesimato alla nazione , qual dovrebb’ essere ogni governo perfetto , posa, cred’ io, sovra più solide fondamenta. Dalla misera fine d’una sì celebrata repubblica, e dallo stesso affetto a lei protestato in quegli estremi dai più de’ suoi sudditi, noi abbiamo dedotto nu’ im perfezio- ne essenziale nella costituzione di lei; resta a dedurre una conseguenza a quella costituzione ben più onorevole, appunto da questo affetto che verso la repubblica dimo- strarono le provincie soggette. Si potrà bene detrarre dal calcolo del sig. co. Tiepolo tuttociò ch’è dovuto all’amore del saccheggio e della rapina, il qual potè sollevare una parte de’ villici e de’ cittadini nel momento della inva- sione francese (17); tutto ciò ch'è dovuto all’ entusiasmo religioso (18), al movimento destato dalle estorsioni e dalle rapine degl’invasori (19), dall’odio della dominazione stra- niera , dalla fama d’una rivoluzione sanguinosa , dal de- naro infine e dai maneggi della repubblica minacciata (20) : (17) E in Venezia e fuori, ebbero luogo in nome di San Marco derubamenti e saccheggi ; e il titolo di Giacobini non era sempre adattato con tutta esat- tezza. (18) Aillaud a Bonaparte: “ On a mis en jeu tous les ressorts du fanatisme 33 réligienx; et on l’a fait avec tant de succès, qu’on entend assez généralement 3 des individus du peuple se plaindre de ce que le gouvernement ne leur per- 3» met pas de s’armer contre nous ,, — Balland à Bonaparte: Les paysans sont 3» fanatisés ; ils se rassemblent au son du tocsin ,,. (19) Queste son confessate da Bonaparte e da’ suoi generali. (20) Kilmaine a Bonaparte , rendendogli conto delle ostilità presso Berga- mo : Quoiqu'ils fussent plusieurs milliers , ils furent culbutés, et mis en so déroute , après avoir perdu. quelques hommes; mais ils se sont arrétés à 35 l’entree des gorges, d’où ils menacent toujours. Ils ont avec eux des hommes »» avec toute espèce d’uniformes, Piemontais, Tyroliens ; mais point de Ve- ss Nitiens , quoiqu’ils aient beaucoup de soldats vénitiens, parmi eux, deguisées », en paysans. Le gouvernement de Venise aurait pu facilement faire rentrer 3» Bergame dans le devoir, par le moyen de ses troupes de ligne; mais il a pré 3 fere d’exciter les paysans qu’il n’avone pas, pour n’avoir pas à répondre des 3» évenemens. Il y a plus de cent mille écus de répandus dans les vallées pour 3» ce soulevement; et outre beaucoup de soldats déguisés, il est sorti de Venise | 3, trois agents principaux pour diriger toute l’affaire ,,. Lo stesso < Jai fait s» arréter cette nuit un homme venu de Venise: cet homme, qui était. muni s» d’argent, et de lettres-de-change pour des sommes considérables, était charge 3» d’ exciter un soulèevement dans la Lombardie ,,. T. XXXIV. Giugno. 5) 34 Lal riman sempre una parte di risentimento, dovuta unica- mente all’ affetto che lasciava nell’ animo dei più quella dominazione tranquilla, antichissima. Giova dunque spie- gar quest’affetto, cercarne le vere cagioni o le probabili, dalle quali ognuno ben facilmente può trarre innumerabili conseguenze, non meno onorevoli al veneto dominio, che applicabili agl’ interessi e ai bisogni di tutti i popoli , di tutti i tempi. Stanche delle dissensioni intestine, o de’ bellici ter- rori e sospetti, o delle minacciate o delle sperimentate tirannidi; consigliate da false idee di prudenza, mosse dalla legge prepotente della propria debolezza, molte città in varii tempi si diedero alla repubblica; altre le furono o per negoziazioni o per altro mezzo cedute (21): e codeste dedizioni , e codeste cessioni onorarono più o meno la giu- stizia o l’ accorgimento de’Veneti reggitori. Certo, di que- sto nuovo genere di conquiste gli esempi non ci sono of- ferti che da due soli governi, e repubblicani amendue, sebben di diversa natura ; Roma e Venezia : chè le cessioni in varii tempi fatte alla sede pontificia , traggono origine da altre cause e da altri principii, che alla mera politica non ispetta indagare. E più singolari a noi paiono conqui- ste siffatte nello stato politico di Venezia, che non in quello di Roma. La romana grandezza poteva , .e col ti- more e con la speranza, condurre i popoli al sacrifizio della indipendenza loro, senza che la stima della romana giu- stizia fusse la più potente delle ragioni che a ciò li traes- se. — Le città pertanto da Venezia conquistate al modo che noi accenniamo , tre principali vantaggi e speravano, ed erano in diritto di sperare dalla dominante a cui s’assog- (21) Le frequenti sollevazioni di Zara , il bando d’ Obizzo da Polenta, i maneggi per aver Pisa , il modo non molto leale tenuto per punire il Signor di Carrara , l’ espulsione che soffrirono i Veneti da Faenza, la rinunzia fatta fare alla Regina di Cipro la qual parte compianta da’ suoi sudditi, la disputa avuta in senato per ritenersi Taranto contro a’ patti , son prove ch’ io qui accenno in massa, ma che troppo bene si potrebbero svolgere , degli artifizii non sem- pre lodevoli e generosi, dalla Repubblica usati per allargare le sue incruente conquiste. 35 gettavano volontarie. La conservazione delle istituzioni pro- prie , per cui avevano fino allora o combattuto , o trema- to, o sofferto; il mantenimento della tranquillità ‘al di dentro , e della pace al di fuori; e la cessazione delle estorsioni tiranniche o delle inevitabili gravezze a cui ve- nivan forzate dalle lor continue turbolenze. Amministra- zione e istituti municipali, pace interna ed esterna, gra- vezze il men che si possa; ecco tre beni reali, sensibili a tutti, e tanto più desiderabili quanto più infelice è lo stato che li precedette: un governo che lascia alla nazione le sue leggi, che le assicura uno stato tranquillo, che non l’asgrava di spese esorbitanti senz’ utile e senza com- penso , è certamente un governo benefico. Potrebb’ essere migliore , io nol nego , se lasciando a ciascun popolo le sue leggi, pensasse con l’assenso de'sudditi a migliorarle, e a tal fine ne consultasse i desiderii , e i bisogni ; sareb- be migliore se non approfittasse della pace per isnervare gli animi, educandoli all’inerzia politica , e se volesse raf- fermare la pace con que’mezzi che servono a rendere men rovinosa una guerra: sarebbe migliore se quell’ ammini- strazione che poco costa, egli la regolasse il più possibile con leggi assicuranti a’ sudditi il diritto di moderarne gli abusi ; se non credesse elementi di buon governo una po- litica stazionaria, e un potere arbitrario : ma certo è, ch’ anche senza queste ultime perfezioni , il governo che noi descrivevamo qui sopra, quello cioè sotto cui si con- servano le proprie consuetudini , si paga poco , si vive in pace, è un governo più desiderabile d’ una libertà turbo- lenta , dispendiosa , il cui nome serve di pretesto ora alla tirannide della oppressione , ora a quella della licenza. Non giova pascersi di vane apparenze. ll nome di libertà è sacrosanto : ma il nome solo, in verità, è poca cosa. E in politica molte volte , tanto nella pratica quanto nella teoria , convien dirlo , si gioca di nomi. Che la repubblica Veneta, nel ricevere o nel pren- dere la signoria d’ una città o d’una provincia, solesse lasciarle le antiche leggi e consuetudini, è cosa nota, e 36 dimostrata dal sig. co. Tiepolo ad evidenza (22). Che poche fossero le imposte , e la pace conservata anche a prezzo di danaro (23), è noto del pari. Qual maraviglia dunque , se minacciate di istituzioni diversissime , d’ insopportabili ag- gravi, di guerre continue , e da farsi in nome e a profitto dello straniero, le provincie Venete attestassero in quegli sconvolgimenti 1’ affetto loro all’antico governo? Egli è da maravigliarsi piuttosto che non abbian saputo dimostrarlo in modi più efficaci, più aperti, più nobili , più costanti. A ciò s’aggiunga una ragione , in tutti i tempi po- tentissima: la consuetudine consolidata dall’ ignoranza ; che tanto vale a scemare 1’ impressione de’ mali. Con- vien pur dirlo: il governo Veneto non facea tutto quel- lo che far deve un governo per la civiltà de’suoi sud- diti: eranvi delle provincie da lui mantenute in una quasi barbarie vergognosa (24). Avvezzate per secoli e secoli uo- mini ignari del meglio ad una cieca obbedienza, togliete dalle lor merti ogni idea di perfezionamento politico , al lor braccio ogni occasione d’ esercitarne la forza o pur di sentirla, alla lor vita civile ogni obbligo, ogni desiderio di immischiarsi nelle cose del governo che stà loro sul capo: egli è certo che ogni pensiero che non sia d’ interesse in dividuale o al più civico, parrà loro peccare o d’ardimento ribelle o di pretensione ridicola: per uomini siffatti nulla più semplice del disimparare il senso della parola razio- ne, nulla più debito del sopportare in silenzio il bene ed il male che viene dall’alto, come si sopporta il caldo ed il gelo; nulla più giusto e più naturale del trovarsi circondati da spie. De Principe nikil ; nè in male nè in bene : diven- ta la divisa dell’ uomo virtuoso, dell’uomo avveduto, del vero amico di sè stesso e della propria famiglia : ogni pro- posito contrario, non solo condannabile e iniquo, ma stolto e spregevole, Tutto codesto è necessaria conseguenza della (22) T. I, p. 204-385 a 388. (23) Tiepolo, T. I, p. 363. (24) La Dalmazia . per esempio. 37 consuetudine secondata dalla educazione : e 1’ educazione Veneta , a dir vero, tendeva a formare degli uomini do- cili, perchè la Serenissima non amava molto d’ essere con- traddetta. Se questo non era, le notissime ingiustizie im- punemente osate nelle provincie da quelli che con voca- bolo filosoficamente civile, eran chiamati Rappresentanti, non sarebbero divenute nè così frequenti, nè così famose anco a’ posteri (25): se questo non era, la impunità di quegli amorevoli protetti dalle famiglie patrizie, non sa- rebbe divenuta fecvnda di tanti delitti (26) : se questo non era, non si sarebbe sentito uno de’ senatori più illustri, con parole aperte e solenni dichiarar necessarie alla si- curezza del governo Veneto le spie ; nè il popolo di Ve- nezia avrebbe esultato di gioia al sentire che l’inquisizio- ne politica non sarebbe abolita (27): se questo infine non era , le proposte fatte di politico miglioramento non si sa- rebbero rigettate con tanto disdegno ; e gastigando gli au- daci che avessero , nel presentarle , offese le civili conve- nienze o l’ onore della repubblica, si sarebbe saputo di- stinguere il desiderio giusto dal sedizioso lamento (26). Ma le due impertezioni gravissime, e quindi le due somme sventure della repubblica, furono, noi lo ripetiamo, la po- litica stazionaria, e il potere arbitrario. Per questo secondo (25) Tornava Rappresentante un vecchio Patrizio, amico del Facciola- ti; se si lamentava coll’ Abbate dell’ aver dovuto condiscendere al pubblico voto , e accettare un uffizio sì gravoso , in età sì avanzata : ° Vedete, dice- va, io non ho più denti! = Restano le unghie , Eccellenza — Rispose 1’ Ahb- bate. — I nobili poveri , (il sig. Go. Tiepolo è che lo afferma T. I, p. 356 ) . venivano mandati nelle provincie ; e questo , dic’ egli , era l’unico modo di soccorrere alla lor povertà. Imaginate s’ essi non avranno pensato a concorrere ne’ sapientissimi fini della Repubblica. —= Frattanto le cariche più grandi dello stato, siccome quelle che richiedevan più spese, erano quasi sempre confidate ai più ricchi : egli è il sig. Co. Tiepolo stesso che ce lo insegna. T. I. p. 178. Gosì l’ oligarchia era di fatto , se non di diritto: e l’ eguaglianza aristocratica non diveniva che un caso d’ eccezione. = O poveri o ricchi , poi , i nobili di Venezia, e i cittadini Veneti tutti non potean essere citati che al Tribunal di Vene- zia. Gomodissima soddisfazione per i sudditi delle provincie ! (26) Lettere su Venezia. Lettera III. (27) Foscarini, Orazione pubblicata dal sig. Gaspari. (28) Tra le riforme dal Pisani proposte , ve n’ avea d’ utilissime , di neces- sarie ; e n’ è prova quel che ne dice il sig. co. Tiepolo stesso. 38 de’ mali , il governo, non che immedesimarsi alla nazio- ne, ne rimase straniero del tutto; e cadde, inefficace- mente amato da’ sudditi, disprezzato con soverchia inso- lenza dagli esteri : pel primo poi, mentre tutte le nazio- nì vicine, qual più qual meno avanzavano nella via della civiltà, la qual, come il nome suona , non è più tale se. si tenga divisa da’ perfezionamenti politici, il Veneto go- verno seguitò a regolarsi con le norme de’ secoli andati , e perduta l’antica forza , riporre ogni sua difesa nel se- creto, nella delazione , e in quella specie di politica ce- rimoniosa ed obliqua, dove Ja lealtà stessa appar velata da’ simboli della frode. K.Ku%: eee © e e ee—=—_—r.-_r"_ ——__________n SPEDIZIONE SCIENTIFICA IN EciTTO. Lettera quinta del signor Lenormant. Partenza dal Cairo. = L'Isola di Roda, — Sito di Memfi. - Salchara. Da Sakhara , addì 6 ottobre. | La sera del dì 30 di settembre partimmo , a mal mio grado, dal Cairo. Era buono il vento , e il tempo bellis- simo. Io vi ho già detto quanto sien belle a Bulac e nei dintorni del Cairo, le rive del Nilo: e al continuare il no- stro viaggio noi lo sentimmo vie meglio. Più si lascia ad- dietro Bulac, e più, per lo spazio d’ una lega, cresce il numero de’giardini e delle ville, la bellezza de’ sicomori e delle palme : infinchè ogni bello vien quasi a con- centrarsi nell’ isola di Roda, poco men celebre che Ele- fantina e File. Quivi, in Roda, è il famoso nilometro; che noi non potemmo visitare, ma che, a Dio piacen- do , io vedrò al mio ritorno. Oggidì lo chiamano melkias ; ed è alla punta meridionale dell’ isola. Quindi si sco- pre il Cairo vecchio, che in lontananza pare più beilo che 39 nel vero non sia. E quivi.il fiume s’allarga : a manca re- sta una riva bassa bassa ; poi cominciano, quasi a un. tratto per margine, rocce a perpendicolo della catena de’monti libici, traforate di petriere a migliaia. A destra», lunghi boschi di palme, che spuntano dalle acque inondanti, Di dietro , a diritta le piramidi di Ghizech; d’innanzi, al- l’ultimo orizzonte , le piramidi di Sakhara e di Dachour. Nello spazio di mezzo, giaceva Menfi, la popolosa, l’im- meusa : e quivi noi ne venivamo cercando vestigia di que- sta città biblica, della quale, sei anni fa, sussistevano i principali monumenti , ed ora non restano che infor- mi ruine; e, più immortale fra tutti i monumenti, le tombe. La sera ci fermammo a Maasara , ch’è sulla riva si- nistra. Già dalle notizie raccolte al Cairo, noi sapevamo esser quivi le petriere onde uscirono le piramidi e Menfi; piene d’ iscrizioni e di monumenti scolpiti nel masso, Nè fu delusa la nostra speranza. La mattina del dì 2 d’ otto. bre, noi c’incamminammo per una pianura deserta verso le cave di Gebelturah ; e subito , la prima scoperta fu una preziosa iscrizione, da cui si raccoglie che mille nove- cent’ anni innanzi G. C. si pensava a riparare i tempi di Menfi. Io non vi parlerò di tutte le iscrizioni in carattere demotico , ed in ieratico , che copron le mura: nè già po- trei parlarvene se non ripetendo quel ch’ ho udito da al- tri. Ma posso ben dirvi che m’ ha fatto piacere il veder che i tagliapietre d’ Egitto avevano anch'essi il lor ge- nio buffo non meno che i soldati della cavalleria pom- peiana. Io ho quì disegnato una caricatura di leone, ve- ramente comica , lavorata forse quattro mila anni fa. Per raccogliere il più possibile in una scorsa sì rapida, nvi e’ eravamo sparsi a due a due nello spazio di quasi una lega : chi montava, chi scendeva ; l’un correre, l’altro chiamare , l’altro disegnare ; e tutti con una sete da Tan. tali: sicchè immaginate con che piacere si abboccava fi- nalmente quella benedetta mezzina che conteneva l’eccel- lente acqua del fiume. Era venuto a far la giornata con noi, insieme co’suvi 4o dromedarii, un artista francese, dimorante al Cairo , e ‘Arabo già più che a mezzo; il signor Linant.(:.; UL Il dì tre, si passò sulla riva a destra , dov’è il sito, bene avverato, di Menfi, classica terra, che da trent’an- ni attrae a sè tanti amatori e mercatanti d’ antico , e fa palpitar tutti i cuori che sentono il geroglifico. Lo spazio già occupato dalla grande città , è ora tutto una lunga foresta di palme, con villaggi tramezzo , cui la selva na. sconde, talchè non li vedi che vicinissimo . Sotto alle palme , coperte di datteri dorati , giacevano pezzi di gra- nito, di basalto, di pietre sculte, di piccole tombe. Pres- so il villaggio Mit-Rainè , noi trovammo prostesa bocconi una statua del gran Sesostri , trenta piedi alta , d’nn sol pezzo : scultura mirabile. La figura del conquistatore in quella positura là, mi faceva, lo confesso, un po’di com- passione, come chi direbbe, simpatica : e la mia commo- zione crebbe al sentire; che, disperando di poter traspor- tare quel Sesostri così grosso , si pensava a dovergli ta- gliare la testa, — Questi due giorni di indagini e di la- voro ci fruttarono a Mit-Rainè la scoperta d’una iscrizione importantissima. E la sera del dì 4, eravam tutti a Sak- hara: dove qualcuno de’ nostri che ci avea preceduti aye- va già piantate le tende. . 0.0... +++. A manca , ci stà quasi sopra ’l capo la più grande delle piramidi di Sakhara 5 non maggiore , ma forse più antica che quelle di Ghizeh. Jeri.io montai questa gran mole a quattro piani, costrutta di gran pietroni quadrati , che, a credere la cronologia di Manetone , vanterebbero 1’ età di settemil’ anni. Stando in cima, io ho contate in tutto lo spazio che si stende la catena libica, parallela al sito di Menfi, diciannove piramidi , dalle due grandi di Ghi- zeh , fino a’ tumuli che indicano il luogo delle piramidi distrutte, tumuli de’ quali taluno è già quasi sformato. Tutte queste piramidi sono (egli è oramai indubitato) an- teriori all’uso della scrittura sui monumenti ; giacchè di scrittura non si vede, linea in que’ lunghi corridoi , in quelle ampie sale. Ecco dunque i più antichi monumenti 41 del mondo, dopo la gran torre di Nembrot. E posti in mezzo a un deserto di sabbia, che accresce alla scena tri- stezza e maestà! E quella forma sì bella e sì pittoresca, acconcissima ad esprimere l’idea della stabilità e della du- rata perenne! — Magnifico e solenne cominciamento alla storia dell’ umanità! Le idee che quindi si risvegliano, son molte e grandi; l'impressione è piena e profonda..... Lettera sesta. La Sfinge. — Le Piramidi. Dal Cairo, addì 10 d’ ottobre. Oggi, giorno tutto dato al lavoro de’disegnatori, mi re- sta il tempo di rivedere ancora una volta questa perla dell'Oriente, ch'io avea sì mal volentieri lasciata. Voi m’avete veduto nell’ultima lettera, appiè della piramide di Sakhara, star contemplando da lontano, nel- l’orizzonte gialliccio del deserto, edifizii più magnifici an- cora che que’ di Gizeh, commosso all’ aspetto di quegli enormi monumenti dell’ umana vanità e piccolezza. Alla mia maraviglia si confondeva una certa pietà , certa sde- gnosa compassione degl’ infantili ardimenti dell’uomo. Il dì 8, allo spuntare del sole, lasciammo Sakhara, Da Sakhara alle piramidi, ora che la pianura è tutta inon- data, il cammino è lungo e noioso ; giacchè conviene per più di quattr'ore tener dietro alle ‘lunghe e sempre uguali sinuosità, che fa la via del deserto. Questa via gira intorno all'antica Memfi, appunto come l’arco d’intorno alla sua corda , e segna l’estensione della necropoli Memfitica , la quale incontrava a settentrione il gigantesco gruppo delle PIERRO, BIOS, SLI RUDI Non lontano dai quattro be’ sicomori che sorgono in mezzo al deserto , appiè delle piramidi, alza la roccia calcare le ignude sue cime; e tra quelle, la famosa sfinge, non men celebrata delle piramidi. Questo monumento , T. XXXIV. Giugno. 6 42 sul quale si è almanaccato tanto, pare eretto per attestare i profondi scavi fatti intorno intorno, le cui pietre dovevan servire quasi di supplemento a quelle che uscivano dalle petriere immense del Mohatan. La testa , ch'è guasta pur troppo , è il ritratto del re Tutmosi XVIII, il qual visse 1300 anni innanzi l’era di Cristo, E questa testa sola , d’un color rosso, che molti viaggiatori pigliarono per granito, s'in- nalza col collo e con parte del dorso, sopra la sabbia. Ma non è gran tempo che un certo Caviglia ha fatto scavar giro giro, e ha scoperto tra le gambe un monolito con quattro leoni, e con una iscrizione che indica l’ epoca notata più sopra. Questo Caviglia, da Vandalo vero, ven- duto un leone agl’inglesi, fece ricoprir di sabbia il re- stante : ma il vero intanto è certo; e noi possiam dire che cosa sia questo grande colosso , appetto al quale sa- rebbe una figurina il Nettuno di Gian Bologna. Mettetevi di faccia alla Sfinge; e voi d’ un'occhiata vedete la gran piramide , tutta spogliata degli ornamenti che la rivestivano, e foggiata a dentelli dall’ alto al bas- so; la seconda non men grande, e che conserva in cima, cioè nello spazio d’ un quarto dell’ altezza totale, come una crosta liscia, la qual non finisce in una linea. orizzontale diritta, ma rimane interrotta senza regolarità nessuna ; la terza, che al paragone delle due sorelle è veramente pigmea; poi, intorno intorno una serie di piccole piramidi, di argini in ruina , di recinti, e d’altri edifizii; e porte di sepolcri scolpite nel vivo masso ; e gli avanzi insomma, tuttavia mirabili, del più bello fra gli spettacoli che fantasia d’uomo possa godere. Ma il colpo di scena sta nell’insieme,in quell’occhiata una: nell’analisi, l'impressione del grande svanisce. A guardare la gran piramide , per accorgersi della spa- ventosa mole de’ suoi massi, convien toccarli, conviene misurarsi con quelli; e 1’ imaginazione riman confusa a vedere quell’ ammasso di materiali di cui non si conosce più l’uso o lo scopo. Ell’è quasi stupefazione che. vi prende a percorrere tante magnificenze , a scalar que- gl'immensi gradini che paion fatti per il piè di giganti, a pevetrare que’ lunghi corridoi , que’ laberinti sinuosi ; e si 43 pena a credere che tutto codesto sia costrutto all’unico fine di aprire la via d’una tomba. Insomma, le idee si smar- riscono ; e non c'è modo di farne un sistema. Quindi è ch'io con piacere andai a riposare l’ attenzione sui bassi rilievi d’ un sepolcro comunale; dove almeno io trovava cose in- telligibili, forme più a portata dell’uomo, e uno scopo evi- dente. Lettera settima. Partenza da Menfi. — Aspetto dell’ Egitto. — Tombe e rovine d’Ermopoli. Da Beni-Hassan, addì 23 d’ottobre 1828. L’ ultima mia vi veniva dal Cairo. La sera dell’ 11 , io partii di lì con Duchesne, ch’è de’ disegnatori del- la spedizione; ottimo compagno di viaggio. Tutta la not- te il vento fu buono; e l'indomani, noi ci trovam- mo al destarci, vicini alla nostra flottiglia, e a Champol- lion, ch’ era già con tutti gli altri ritornato da Sakhara il giorno innanzi. Si diede un addio solenne a Menfi e alle piramidi , e si sciolse allegramente verso le ruine d'un’ altra capitale magnifica e antica. Il primo giorno, un buon vento di tramontano ci cacciava velocissimi su pel fin- me , le cui rive tuttavia ridenti, come là presso al Cairo, e il paese animato da mille giochi di luce e aspetti di ve- getazione , smentiva quella vecchia fama che lo taccia di trista e noiosa uguaglianza. Ma a poco a poco, la valle si venne restringendo, gli alberi diradando ; e già le cime delle due catene de’monti apparivano più triste e più nude : e quivi appunto dove l’ Egitto cominciava a mos- trarcisi nel suo brutto, venne a coglierci la bonaccia. Non v'era che la vivezza , veramente mirabile, della luce, che potesse consolarci di quella spiacevole nudità, Per quattro giorni e’ pareva un incanto che ci ritenesse nel medesi- mo sito: ogni giorno s'avanzava, ma sempre la medesima scena : l’una riva squallida come l’ altra. Solo , al tramon- tare del sole, lo spettacolo magnifico del cielo sereno ralle- grava quella desolata natura di inaspettate bellezze. Il dì 44 17,tirò un miglior vento, che ci condusse presso Beni-ak-Deir, villaggio pittoresco, bene situato in mezzo a piante di dat- teri. E già si stendevano alla destra le vaste pianure , ora innondate, dell’Eptanomi, con in fondo il canale di Giu- seppe, e le montagne libiche; a manca, i monti d’Arabia, sorgenti in forma singolare a foggia di terrazze , scende- vano sino al Nilo, e figuravano una forte muraglia, sparsa di petriere e di grotte. Quest’ è l’ Egitto interme- dio , di cui capitale era Ermopoli-Magna , oggi chia- mata Achmunein. Gli Arabi conservan qui l uso avti- co, di coltivar la pianura, che ogni anno è tutta quasi allagata dal Nilo, e quivi abitare ; la riva arabica poi de- stinarla per abitazione de’morti, le cui meste case si veg- gono da lontano aperte nel fianco della montagna. Gli arabi anch’ essi , seppelliscono nella riva diritta , ch'è come una moderna necropoli. Quel che abbiam qui veduto, non l’avevamo trovato finora. Sakhara forse ha di meglio ; ma il tutto ricopre la rena: che se scavi si fanno, dopo spogliate le tombe si ri- caccia l’arena com'era prima: e gli ipogei, che per ispecial favore rimangono accessibili, non presentano, tranne un solo, cosa alcuna notabile. Il medesimo è delle tombe che attorniano le gran piramidi. Ma qui la natura del mon- te, fa sì che i piani di sopra di queste tombe, sono al- trettanti monumenti : la porta non n'è mica bassa e fonda come là a Sakhara; la fronte esterna è lavoro di gusto, talor anche magnifico ; e armonizza bene con l’ordine in- terno. Tanto più importanti son poi queste tombe, che tutte sono di militari, i cui monumenti si contano al paragone più rari che que’ de’ sacerdoti ; e son anche differenti all’aspetto. Qui pugne, esercizii ginnastici , assedi, caccie di fiere , in vece delle occupazioni tranquille a cui si credeva do- vere esser dediti nel mondo di là i sacerdoti, Questo era il tema; ma gli artisti poi, lo arricchivano a grado lo- ro, e cogliean quindi il destro di rappresentare in lunghe file di pitture e di bassirilievi, tutti gli usi della vita ci- vile, dell’agrico!tura , della mietitura, della pastorizia ; 45 tutti i mestieri, dal calzolaio al muratore; tutte le pro- fessioni dal giudice al medico; tutti i divertimenti, come giostre fluviali, caccie , pescagioni, lotte con animali sel- vaggi, e simili : sicchè, seguitando il lavoro cominciato da Champollion , si potrà senza libri determinare esattis- simamente e fino alle menome particolarità, costumi, usi, arti, e mestieri d’un popolo vissuto trenta secoli innanzi a noi. S’ accresce il piacere di queste indagini dal confronto degli usi antichi co‘moderni; onde molte delle antichità fisurate ne’ monumenti, si spiegano con le consuetudini quotidiane dell'Egitto vivente. — Quanto ad arte, non tutte queste rappresentazioni son belle del pari; ma ve n' ha di vaghe molto, specialmente in genere d’animali. Il tutto insieme , poi è spettacolo singolare affatto : i colori, quasi dappertutto vivissimi, e cosa di cui l'Europa non fornisce nemmeno un’idea, Io ho trovate quì, d’ epoca certa cioè di mille trecent’an- ni innanzi l’era nostra , colonne scanalate che paion por- tate da Agrigento o da Pesto. Questa origine del dorico , io l’ avea già presentita ne’ miei lavori di Roma, ma non avrei mai sperato di trovarne una sì solenne conferma . Il singolare si è, che codeste colonne tanto più antiche de’più antichi monumenti di Grecia , eppure d’ un tempo in cui l’arte egizia passava dal grande e dal severo al grazioso e al leggiadro , non hanno quell’ aspetto di gra- vità che si trova ne’ tempii di Pesto e di Selinunte. I greci dunque , imitando da un popolo ch’aveva ormai trascorsi tutti i periodi dell’ arte, non potevan però, come popolo nuovo , non rifarsi dal percorrere tutti gli stessi periodi : legge, secondo me, universale delle umane creazioni , da cui lo spirito stesso d’imitazione non saprebbe sottrarsi. 46 Lettera ottava. Saggio della pittura egizia, nove secoli innanzi l’ era nostra. — Tempio sotterraneo di Bubasti, la Dea de’gatti.— Sepolcreto degli animali del genere felis. Imposte sui datteri. = Città faraonica conservata al mezzogiorno d’ Arsinoe. = Avanzi d’Elefantina, d’ Arsinoe, di Luxor, distrutti. — Alto Egitto. Sul Nile, presso Achmunein prima d° arrivare a Syut. Addì 8 novembre, 1828. Otto giorni, io scriveva che noi ci fermeremmo a Be- ni-Hassan e ne abbiamo passati ben quindici. Fossi stato solo, il mio viaggio io l’ avrei compiuto secondo il computo fatto a Parigi: ma una spedizione è una macchina che non va da sè come un uomo. Io ho messo, il meglio possibile, a profitto questa lunga dimora; e osservando più a bell’agio,,. ho trovate cose, che non avrei scorte in una corsa leggiera. Tra questi ipogei, ve n’ha uno segnatamente, che in fatto di pittura, è il più bello degli Egizii monumenti. Gli è del nono secolo innanzi l’era cristiana ; moderno dun- que: epperò d’una finitezza che non può certo esser pro- pria ai monumenti dello stile severo, Da quest’ esa- me io ho dedotto un riscontro singolare, ma comprovato anche da altri fatti evidenti : cioè che la pittura egizia, portata a quel fare animato e teatrico tanto estraneo alla natura sua, si trovava allora nello stato medesimo che la pittura nostra nel medio evo, e la nostra pittura sul ve- tro , innanzi a Gio. Cousin. Da questa io traggo moltis- sime conseguenze , che chiariscono, parmi, la natura del- l’ egizia civiltà , e lo stato intellettuale della nazione , nelle sue relazioni con le leggi della civiltà universale , e con la natura dello spirito umano. Questa riflessione farà piacere al sig. Ballanche: ditegliene. Io spero di portargli delle altre notizie più strettamente attenenti a’suoi studii diletti, acciò ch'egli sappia ch’ io non ho lette invano le Istituzioni sociali, e il primo volume della Palingenesi. In molte cose io mi dichiaro già suo discepolo; come discepolo 47 mi dichiaro del Vico , in tutto ciò che riguarda la storia ideale de’ popoli. Havvi certe regioni che paiono pel volgere intero de' secoli consacrate ad un certo destino prefisso. A’ santuari di Tebe veniva Orfeo ad attingere i principii della sua teologia : giacchè la scienza orfica di qui nasce. Codest’in- ni d’Orfeo sì sospetti, sono senza dubbio monumenti d’al- tissima antichità; e rammentano in modo chiaro i nomi e gli attributi delle divinità dell’ Egitto, . .. . +... In Egitto, diceva Adriano a Serviano suo cugino , tutti gli egizii son cristiani, e i cristiani son tutti egizii. Quindi l’ errore che attribuì ai primi tempi del cristiane- simo i libri d’Ermete, sinceri monumenti delle antichis- sime tradizioni religiose in Egitto. Pare che codesto culto soffrisse una grande rivoluzione, la qual però non ne ha turbata che la superficie e le forme. E, intanto che le ce- rimonie isiache percorrevano l’orbe romano, impregnandosi ogni dì più di tutta la corruzione de’popoli degradati, vi- veva nella sua potente unità là in fondo a’ santuarii della Tebaide, la vecchia cosmogonia , insegnatrice all’ uomo della sua libertà , santa pe’ dogmi della rivelazione e del. l’ incarnazione divina, non oscuramente adombrativi. Date uno sguardo alle rieche ed immense rappresentazioni teo- logiche del tempio di Denderah , in gran parte costrutto sotto i romani; poi volgetevi a’monumenti di diciotto secoli Minanzit non vw è!differenza .uba ga del datale «sere paia Mentre che i nostri disegnatori stavano occupati nelle grotte, io me n° andava su e giù pel Nilo a scoprir terre- no sulla feluca del Masch, con provvigioni per più gior- ni; e m'internava in tutti i seni della montagna, tutta seminata , com’io vi diceva, d’ innumerabili petriere e ipo- gei. I primi giorni non trovai nulla, altro che qualche cattiva iscrizione copta ; e simili scoperte mi cominciaro- nu a riuscire tanto noiose, che gli arabi miei compagni, giudicando al mio modo , che copto e nulla fosse tutt'uno, quando s’ entrava in un ipogeo senza ornati, senza iscri- zioni, esclamavano: che? roba copta? Finalmente, Ali, un de' miei fidi, venne tutto allegro a darmi la nuova d’aver 48 trovato in un borro qualcosa di più bello che le grotte ove si stava lavorando; che c’era delle pietre scritte, roba insom- ma, da farmi contento. Il borro è ben largo; e i suoi fianchi a perpendicolo mi rammentavano quella montagna con in cima un castello, da noi due veduta là presso Orange, Incavate ne’ fianchi del borro erano innumerabili camerette. Alcune porte decorate di bella architettura co- minciarono a farmi battere il cuore. Entro in una , dove per isventura le pitture erano già cancellate ; poi in una fila d’appartamenti, sulla cui porta riconosco il cartoccio d’ Alessandro. Se non chè alla prima io non sapea veder l’ uso di questi scavi. Arrivo finalmente a una facciata com- posta di otto enormi pilastri sopra due linee : e le mura coperte di gran bassi rilievi m’ indicano esser codesto. un tempio sotterraneo , dedicato dal re Manduége, uno degli antenati di Sesostri a Bubasti, la Dea de’gatti, Bubasti era la Diana de’ greci; e il luogo vicino al tempio è appunto negl’ itinerari chiamato le grotte di Diana. Più ; il nome egizio del luogo , si legge nelle iscrizioni del tempio, ed è Abenni: or ecco il moderno Beni-Hassan, che con tutta la sua coda araba, non è, come spesso, altro che la corruzio- ne d’ un nome antichissimo. Il giorno dopo, il Caimacan del luogo mi disse ehe nei dintorni si trovavano molte mummie di gatti: nuova ragione di rimettermi a nuova ricerca. Condotto dal Cai- macan per mezzo all’arenosa pianura ch’ è tra il monte ed il fiume, qual fu il mio stupore al vedere in luogo di un bel museo di be’gatti in belle file ordinati, una gran buca a forma d’imbuto, donde, razzolando con le mani, si tiran fuora dell’ossa di gatto. Andammo poi verso il mon- te nella dirittura del tempio, sebbene per via diversa da quella ch'io avea tenuta il dì innanzi; e tornati alla por- ta decorata del cartoccio d’ Alessandro , i nostri arabi co- minciarono a razzolare, e a tirar fuora de’gatti; ma questi rinvolti a dozzine in larghe tele , decentemente imbalsa- mati, sebbene un po’ macerati dagli anni, e gentilmente posati su letti di stuoie. Cani ve n’era innoltre non meno che gatti : e io v' ho riconosciute parecchie teste di quella 49 razza sì bella di Jevrieri, ch'io aveva ammirato scolpiti nella più bella fra tutte le tombe di Beni-Hassan. Finalmente M penetrando col lume in quella fila di camere delle quali io non intendea l’ uso , vidi la terra tutta seminata d’ ossa di gatto ; da che cunchiusi esser quella l’eterna dimora dei gatti, come a dire, aristocratici. Ne portai meco dell’ossa ; che il naturalista della spedizione toscana giudica essere ossa di leone o di tigre. E Bubasti infatti, nel tempio vi- cino, e sulla porta dell’ Ipogeo, è rappresentata con una testa di leonessa o di tigre. Da che si deduce , che gli Egiziani, secondo le vere idee della scienza, metteva- no insieme tutti gli animali della razza de’ felis. Allora intesi che il pozzo là nella pianura, era, come Erodoto narra, destinato a prima macerare gli animali del comune, acciocchè occupassero meno spazio nel nobile ipogeo che li aspettava laggiù presso al tempio . .... Il villaggio di Beni-Hassan è circondato d’ una selva di piante di datteri della estensione di ben? undici mila piedi; e ogni pianta paga di tassa tre soldi circa , buona o cattiva che sia, vecchia o giovane , fruttifera o sterile. Gli abitanti non possono neanche atterrare gli alberi vec- chi, giacchè il numero n° è segnato ex officio; e se una vecchia pianta si sbarba, convien sostituirne una nuova. Dopo pagata l'imposta, dopo seccato il frutto, il colti- vatore non lo può vendere che al Pascià, al prezzo da lui stabilito con annunzio solenne. Il Caimacan che fa la compra forzata, pretende su questo prezzo un tanto per sè; e per la legge del più forte, l’ottiene. Io mi son trovato pei caso a questo spettacolo : a vedere il bravo Caimacan, con la sua pipa in bocca, seduto sotto una baracca coperta di stuoie, con quattro o cinque Copti, dal guardo bieco, e dalla faccia di sbirro, che, come gli ssherri d’un barone del medio evo, gli stavano attorno; a vedere quelle povere donne cenciose portargli tremando l’im- posta delle sfruttate lor palme ; ed altri abitanti un po’ meglio vestiti, a’ quali la barba ispirava un po’di corag- gio , invocare il cielo e il Pascià , le cui leggi erano a quel T. XXXIV. Giugno. 7 50 modo violate , e tentare indarno di smovere l’impassibile Caimaenini it potest iatale ee SIAE adr lch Con dolore trovammo Antinoe adeguata al suolo. Ach- munein, Anteopoli, ed Elefantina sono state già distrutte per farne calcina ; Leuqoor è venduto ad un fabbricator di salnitro. Del teatro d’ Antinoe , delle due grandi contrade porticate, dell'arco trionfale, più nulla: dal portico immen- so d’Achmunein, si son tratte le porte del canale, e una raf: fineria di zucchero. Pensate con qual cuore noi visitammo il terreno d’Antinoe! A Acmunein, certi già di nulla trovarvi d’utile alle arti ed all’ archeologia, non si ebbe il cuore di scendere. Ma il cielo ci riserbava per la sera una gran consolazione in compenso. Alla diritta del Nilo, due leghe circa al mezzogiorno d’ Antinoe , avvi una città fa- raonica bell’ e intera , con le sue strade, case, edifizi; ab- bandonata un tempo dagli abitanti, s’ignora il perchè. Il sistema di costruzione è lo stesso come in tutto l'Egitto an- tico e moderno : mattoni seccati al sole, di cui l’ anti- chità si conosce alla grandezza e alla forma più o me- no elegante. Di materia sì fragile, gli egizii, aiutati dal clima , costrussero monumenti immensi , indestruttibili . A Psinaula (l’antico nome della Pompeia d’Egitto ) hav- vi un recinto di mattoni entro al quale era un tempio oggidì interamente distrutto, Il singolare, e che mi ha fatto provare una viva commozione archeologica, gli è 1’ avanzo delle decorazioni interne di varie case, ‘e segnatamente delle pitture intorno intorno a più camere sulla parte più bassa della parete; fresche come se finite d’ allora. A que’muri di mattoni seccati si dava una mano di calce, co- me usano ancora gli Arabi ; e sopra un intonico così leg- gero , si dipingeva ; e quelle pitture son tuttavia intere e vive/ Le son quasi frange d’ ottimo gusto , e d’ un bellis» simo ornato. La spedizione va a maraviglia: buonissima salute , bel tempo ; e concordia. Son due giorni però che il’ sole s’ alza annebbiato come farebbe in Olanda : e stamane, gli è la seconda volta, da che siamo in Egitto, che ab- SI biamo avuto cinque minuti di pioggia : pioggia sul confine della Tebaide , ove dicesi che non ne cade mai, Quattro giorni fa, il termometro segnava quarantatre gradi al sole, all’ombra ventotto. La vigilia del dì di San Carlo, abbiam celebrata la festa del Re collo spiegar le bandiere a tutti gli alberi de’ nostri vascelli , col distribuire della carne a’ marinai, e col bere qualche misura di vin caldo alla prosperità del museo di Carlo X. Nel deserto , un miglio distanti dall’abitato , non si potea far di più. Il vento è forte, e ci manda ben bene innanzi : dal punto ch’io ho cominciato a scrivere, abbiam fatto già più d’otto leghe ; e in poche ore saremo a Syut, capitale dell’ Alto Egitto. Non ci fermeremo se non giunti a Tebe. I molti uccelli e la bellezza delle varie lor piume, ci annunzia che noi siam già presso al tropico. Comincia- no i coccodrilli a farsi vedere alla riva. La luce, sempre più viva e potente , anima la natura, ne abbellisce ogni aspetto, e cangia in paesaggi mirabili de’ siti che sotto il nostro cielo non parrebber degni d’ un guardo. Il con- trasto continuo fra la verdura della valle , e l’aridità del deserto il qual d’ ogni parte la attornia, tiene in moto la fantasia , che non sente noia nessuna di quella eguaglianza ineloquente che parrebbe dover produrre un fiume il qual corre ristretto fra due montagne. Ancora po- chi giorni; e i colori di questa luce vivifica illumineran- no a’nostr’occhi de’magnifici monumenti s noi vedremo co- minciare quella catena che non interrotta continua fino all’ estremità della Nubia ; vedremo razze nuove, strani costumi, una natura sempre più singolare, più viva, più | forte. Chi non si sentirebbe commosso a tale spettacolo ? Dall’ebrietà del diletto io trascorro in un tratto al raccogli- mento d’una languida meditazione, dalle impressioni più dolci alle considerazioni più triste. Questo breve passaggio, dich’io fra me, non sarà che un lampo sfuggevole della mia vita! Le cose vedute misi presentano ancor più belle di pri- ma. Ora m? assale il rimorso d’ aver bestemmiato contro le piramidi, il cui aspetto mi ha poi così cangiato, e per sem- pre. Or che sarà, quando tornato nel nebbioso nostro eli- 52 ma , in quella angusta natura, su codesta terra che spnatò ieri dall’ oblivione , io rammenterò questa serie lunga di secoli che 1’ Egitto m’ ha schierati dinnanzi; e la vivezza di questa luce , e l'apparizione sublime dell’arcano Orien- te, verrà a dipingersi nella mia memoria come un ima- gine lontana lontana ? —In somma, un nuovo universo mi si è aperto all’ anima. io ne contemplo quasi sbigot- tito l’ immensità; pur m° innoltro coraggioso , e sicuro che ormai questi studi saranno la fatica e la delizia dell’intera mia vita. (Sarà continuato ) Il rimanente dell’ Appendice agli articoli sulle Lezioni di Letteratura del sig. V1irLeM41N. Se nelle tragedie , che 1’ Alfieri ci ha date di greco soggetto, e nelle quali ammiriamo tanti pregi d’ arte e d’ingegno , resta a desiderarsi ( dice Villemain) quel sen- timento poetico della Grecia , di cui Racine, malgrado il suo sistema teatrale, si mostrò sì bene compreso; in quelle di \soggetto romano non manca , nè mancar poteva , grazie all’indole del poeta, quell’alta ispirazione , che può dirsi il sentimento poetico di Roma antica. Sono però esse vere imagini di questa Roma; quadri animati, in cui veramente si riproduca la vita de’suoi personaggi? Cominciamo a ve- derlo in una tragedia, nella quale si tratta uno de’soggetti più patetici della romana istoria, la morte di Virginia, Questo soggetto , già trattato da qualche francese (e da cinque italiani di cui parla il Signorelli ) prima che dall’ Alfieri, lo è pur stato recentemente da un inglese , Knowles, il quale, sebben reputato fra’ suoi uno de’ prin- cipali sostegni della scena tragica , non è sicuramente gran poeta. Un critico (dice 1’ autore d’ un bell’articolo, inse- rito nel n. 51 del tomo 6 del Globo, e a cui sembra che Villemain talvolta alluda) gli dà gran vanto d'originalità, ch’ ei merita difatti a più riguardi ; e specialmente per aver seguito il sistema shakesperiano senza farsi imitatore 53 di Shakespeare. Egli però è piuttosto abile a ben formare il disegno d’ un quadro drammatico, di quello che a fi- nirlo e colorirlo come conviene. Ei può accusarsi ora di povertà or di freddezza , per tacere d’altre mende, come certi anacronismi d’idee, certe ridicolezze d’espressione, ec. Malgrado ciò, grazie alla libertà del sistema da lui segui- to, le sue composizioni son piene d’ attrattive e di vita. E se potesse ancor dubitarsi dell’opportunità di tal siste- ma per la più parte de’ soggetti storici , il suo Virginio , al confronto de’ Virginii o delle Virginie d° altri scrittori, basterebbe a dimostrarla. Fra questi scrittori nell’ articolo indicato si annovera primo Campistron, che Villemain non nomina. Per servire insieme alle classiche unità e alla classica dignità ( uso pressappoco le frasi dell’articolo ) ei fece nella sua Virgi- nia uno sforzo , che non è abbastanza conosciuto, e me- rita d’ esserlo. Pose e mantenne per cinqu’ atti il luogo della scena in quello ch’ei chiama palazzo d’Appio, esclu- dendone il rozzo Virginio , e facendo supplire con un rac- conto alla catastrofe , niente più degna secondo lui d’es.- serci presentata allo sguardo, che il foro ove avvenne. La- harpe e Alfieri non furono sì delicati. Ambidue credettero che l’azione delle loro tragedie potesse aver luogo nel foro. Ambidue verosimilmente pensarono che ciò che avvi di più tragico in quest’ azione è ancor meno la morte di Virginia che la sorte del. padre costretto ad ucciderla. Se non che, per interessarci a lui , bisognava addomesti- carci alquanto con lui, mostrarcelo in situazioni diverse, onde ci si scoprisse il fondo del suo carattere, quel misto di fermezza e di tenerezza che gli era proprio, e per cni l’ ultima risoluzione dovea riuscirgli egualmente tormen- tosa che inevitabile. Essi invece, impediti dal lor sistema, non ce lo presentano nelie loro tragedie che verso la fine. Accanto a Virginia pongon frattanto la madre sua per la- gnarsi o chieder giustizia ; ciò che divide quell’ interesse che dovea concentrarsi in lui, come vediamo essersi fatto da Knowles, il quale ha così ottenuto la più bella delle poetiche unità. 54 Le prime scene della sua tragedia (mi prevalgo del- l’articolo citato , che Villemain ci addita in qualche modo come un supplemento alle proprie osservazioni) hanno luo- go nel foro. Per esse noi siam testimonii de' mali umori ch’eccita il poter dei decemviri, ancor sostenuto da molti del popolo, ma già combattuto da’ migliori cittadini , fra’quali Virginio e Dentato. Dal foro noi passiamo nella casa di Virginio, ove siam testimonii de’ suoi affetti domestici , degli amori della figlia sua e d’Icilio, ec. E questa scena (lodata molto anche da Villemain, che ammira in essa un misto assai poetico di gravità romana e di piacevole familia- rità) è di bellissimo effetto. Peccato che lo guastino alcune inezie alla Kotzebue, il ricamar che fa Virginia le iniziali del nome dell’amante, le affettazioni sentimentali di que- sto buon giovane, ben più inopportune delle declamazioni tribunizie o filantropiche postegli in bocca dall’ Alfieri e rimproverategli dall’ autor dell’articolo. Malgrado ciò noi ci sentiamo vivamente interessati ; e quando giugne avviso di guerra, quando Virginio è per partire, noi proviamo tutto ciò ch’ei prova in suo cuore, tutto ciò che prova sua fiylia. Vedete all’ incontro, dice Villemain, il principio della tragedia di Laharpe. Ivi Numitorio parla ad Icilio del suv vicino imineo, e mescola insieme congratulazioni amichevoli e considerazioni politiche in versi pomposi. La vostr’anima non è captivata menomamente ; voi non vi trovate in Roma in mezzo ad una famiglia plebea ; voi siete al teatro. Se Alfieri, sottomesso anch’egli alle convenienze della dram- matica francese, ha schivate le pitture familiari , le parti- colarità d’ una vita comune; se neppur egli ha saputo dipartirsi da certa sollenità e uniformità di linguaggio, ha pur saputo fare assai meglio di Laharpe. L’azione nel primo atto della sua tragedia è assai viva. Perchè t’ arresti? dice a Virginia la madre sua , vieni: ai lari nostri — tornar si vuole. Al che la giovanetta ri- sponde : O madre , io mai da questo — Foro non passo, che al mio piè ritegno — Alto pensier non faccia. È questo il campo, — Donde si udia già un dì liberi sensi — Tuo» 55 rar da Icilio mio; muto or lo rende — Assoluta possanza. Oh quanto è in lui — Giusto il dolore e l'ira! Se qui non avvi ciò che tanto interessa nella scena domestica del poeta inglese (la calma d’ un’ umile famiglia in mezzo a Roma guerriera ed oppressa, una figlia innocente e laboriosa, che verrà fra poco minacciata da un rapitore, e per cui sarà agitato e insanguinato il foro ) avvi però qualche cosa che vi tocca. Voi siete pure a Roma, voi la vedete la figlia di Virginio, voi non vi meravigliate di udir da lei il grido dlelle passioni politiche, poichè queste passioni gliele ispira l'amore. Quando apparisce il decemviro accompagnato da schiavi, e qual schiava la vuol tratta alle sue case: Soe- narmi qui, ella esclama con impeto sublime , pria che me- narmi schiava, — Carnefici v’ è forza. To d’ alto padre — Figlia, certo , son io: mi sento in petto — Libera palpi- tar romana l’ alma. — Altra l’ avrei, ben altra, ove pur nata — D’ un vil tuo par schiava più vil foss’ io. Giugne intanto Icilio per difendere quella che gli è promessa, e le parole, ch’ ei volge a’ suoi concittadini adunati , sono piene di calore e d’ eloquenza : Odi mie noci popol di Roma ec. ec. — Tra Icilio e Marco il mentitor qual sia | — Danne sentenza tu popol di Roma, L’ effetto di queste scene (le più belle di tutta la tragedia ) è grande. Quanto più grande è però (torno a valermi dell’ articolo già citato ) quello d’ alcune scene corrispondenti , nella: tragedia del poeta inglese / In essa Virginia non traversa il foro colla madre che al terz’atto. Allora è veduta da Appio, richiesta quale sua schiava, fatta strascinare al suo tribunale ec. Queste scene, per merito di composizione, sono assai inferiori a quelle che lor corrispondono nel primo atto della tragedia d’ Alfieri. Onde vien dunque che ci commovono tanto di più? Dal loro contrasto ( in ciò Villemain e l’autore dell’ articolo ‘convengono perfettamente ) colla scena domestica già lo- ‘data; dalla conoscenza che noi già abbiamo di Virginia , la quale, allorchè nella tragedia d’ Alfieri ci apparisce ‘così sventurata , è ancora per noi sconosciuta. 506 Al rivederla ora, dopo averla già veduta in sua casa, di cai è la delizia, il nostro pensiero corre naturalmente al padre suo. Il poeta approfitta di questa disposizione del nostro spirito (ecco uno de’ migliori segreti del sistema ro- mantico per agevolare i passaggi da luogo a luogo) e ci conduce nel campo romano, Là noi vediamo il corpo di Dentato, ucciso per ordine dei decemviri, e presso a lui Virginio che giura vendetta. Poco dopo arriva da Roma chi gli reca avviso di ciò che a noi è già noto , e ch' egli è sì lungi dal sospettare. Nulla di più patetico e di più vero che i moti diversi del suo timore, dell’ira sua, del suo dolore. All’ aria costernata del messaggiero , al sentir pro- nunciare con tremito il nome di Virginia , ei pensa a un tratto che la fanciulla più non viva. Indi si rassicura al- quanto , poi ch’ ode che vive pur sempre e lo aspetta. Ma quale sorpresa, qual ferita perlui, quando gli è detto che Claudio osa pretenderla come sua schiava! Allor rammen- tando alcune particolarità, a cui prima appena pose men- te , introvedendo la trama che si è ordita, con qual tra- sporto veramente paterno si slancia fuori del. campo e vol- ge i suoi passi verso Roma/ Noi lo precediamo colà sull’ali della nostra imaginazione. Ivi intanto troviamo Virginia, che piange e paventa ch’ ei non giunga in ternpo da proteggerla. Ma eccolo, ei giunge; ella è nelle sue braccia. Figlia mia , figlia mia! egli grida, Sì, mio padre, son tua, ella replica, /o sento, il sono! Parole semplicissime e commoventissime, di cui nella tra- gedia di Laharpe nè in quella d’Alfieri può trovarsi V’equi- valente, poichè Virginio ancor non è comparso. È quasi impossibile dare una giusta idea della gran scena del foro nell’ atto quarto. Bisogna vedere quel Vir- ginio , che cerca di reprimere il proprio furore, che or minaccia or supplica il decemviro, ora invoca l’ aiuto del popolo , e udito alfine l’ iniquo decreto che gli toglie sua figlia, costretto a separarsi da lei, la stringe a gran forza tra le sue braccia supina e svenuta. Egli spera un istante negli sforzi d’ Icilio e degli altri del popolo che gli sono 57 più affezionati. Ma quando i suoi difensori sono dispersi , quando ogni speranza è perduta, quando la sua risoluzione e già già presa, quand’ egli ha già impugnato il ferro fa- tale, con che sguardo carezzevole e doloroso (l’autor del- l’ articolo scrivea per così dire alla vista dell’ attore. Ma- cready, il Talma dell’ Inghilterra) ei contempla la figlia sua che gli è più cara di sè stesso, e a cui non può dar più altra prova d’ amore che di piantarle quel ferro nel seno/ Mai azione sì forsennata fu resa all’ occhio di tutti sì naturale, sì inevitabile, e però d’ effetto sì tragico. Alfieri, dopo il prim’ atto , come osserva anche Vil- lemain, va scemando ognor più d’ originalità e di vigore. Lasciamo stare la povera figura, ch’egli al solito fa fare al popolo, il quale nelle tragedie di genere shakesperiano è vero popolo, numeroso, tumultuoso, or volgare or ener- gico or profondo ne’ suoi detti; e in quelle d’ altro genere è per lo più sì scaìso, sì inetto, e si potrebbe anche dire sì muto se non pronunciasse di tempo in-tempo alcune esclamazioni uniformi, che ciascun di noi sa a memoria, La parte, ch’ ei fa fare ad Appio e a Virginio, è quella che più nuoce alla sua tragedia e che dee veramente recar sorpresa. È egli verisimile infatti che il decemviro abbia due col- loqui col padre della sua vittima, cerchi di guadagnarlo, di dissuaderlo dal prender parte ad una pretesa cospirazio- ne d’Icilio ? La natura, il sentimento dell’ arte non ci di- cono che fra questi due nomini l’ odio , il sospetto hanno posta una barriera insormontabile ; ch’ essi non debbono accostarsi che una sola volta sulla piazza pubblica, quan- do l’ uno sta per pronunciare la sua sentenza iniqua, e l’altro, per prendere una disperata risoluzione ? Ma la leg- ge delle unità , togliendo all’Alfieri di moltiplicare gli ac- cidenti della scena, forzandolo a concentrare tutto il mo- vimento drammatico in breve spazio e fra pochi personag- gi, lo ha condotto, per empire i cinqu’atti, ad imaginare i due colloqui indicati, e a contradire con essi al primi- tivo concetto della sua tragedia. Quando questa è al suo termine, quella di Knowles T. XXXIV. Giugno. 8 58 n’ è ancora un poco distante. Il Sismondi aveva osservato che la tragedia d’ Alfieri, terminando colla morte di Vir- ginia, manca d’ un necessario compimento , la punizione d’ Appio. Alquanti versi , che annunciassero questa puni- zione, pare, dice l’ autor dell’articolo più volte cita- to, che dovrebbero bastare al compimento della trage- dia di Knowles. Ov° essa peraltro non contenesse nulla di più , sarebbe imperfetta , poichè dopo esserci tanto in- teressati a Virginio , noi abbiamo un bisogno di riveder» lo, di seguirlo, finchè sia uscito dallo stato orribile , in cui lo abbiamo lasciato. Egli, dopo il colpo fatale, ha quasi perduto il senno ; e non si può vederlo ritornare in sua casa senza sentirne la più profonda pietà. Appio frat- tanto è preso, carcerato , strozzato , e noi lo vediamo fra poco ( scena veramente terribile ) giacer senza vita a’ piè del padre della sua vittima. Quest’ infelice non è ancor tornato bene in sè medesimo ; eppur già si compren- de che il dolore comincia a pesargli meno sull’ anima. Alla voce d’Icilio sembra che si risvegli in lui lawrimem- branza d’una voce più cara. Alfine gli è presentata un’ ur- na, ei manda dal petto un gemito profondo, i suoi occhi s’ inumidiscono, il nome di Virginia esce dalla sua bocca fra i singhiozzi e le lagrime. Queste ultime particolarità, mal- grado un nonsochè di melodrammatico, onde il gusto è un poco offeso , riescono anch’ esse assai commoventi. A simili particolarità l’Alfieri sicuramente non avreb- be mai potuto discendere; nè ciò deve rincrescerci. Ma forse, quand’ anche il ‘suo sistema drammatico gliei’avesse permesso , ei mai non avrebbe pensato a presentarci. un padre, prima felice, poi a lunga lotta colla sventura, come ha fatto Knowles col suo Virginio e poi col suo Guglielmo Tell. Ciò avrebbe pur richiesto ch’ei ponesse come Knowles sul dinanzi del quadro una storia domestica, e relegasse nel fondo gli interessi politici; ed egli era dalla sua indole e da’suoi principii quasi forzato al contrario, Come sareb- b’egli riuscito a far dì Virginio, non dico esclusivamente, ma principalmente un padre, o d’Icilio semplicemente un i 59 amante, quand’egli avea tanto bisogno di mettere sè stesso in tutti i suoi personaggi ? L’ uomo , dice Villemain, passando dalla sua Virginia al suo Bruto secondo, lotta in lui continuamente col poe- ta, e l’uomo vince. Se voi aveste proposto a Shakespea- re, il quale soprattutto era poeta, di mostrare in una tra- gedia Bruto che aringa i Romani dopo la morte del ditta- tore, ne rianima il patriottismo , ne risveglia il corag- gio , ec., ma di non lasciarvi apparir Antonio ; egli avreb- be risposto : il mio vecchio Plutarco m’insegna a fare altri- menti : al dir suo, dopo che Bruto fu applaudito , venne nel foro ‘Antonio , che parlò differentemente da lui ; i Ro- mani si mutarono d’ animo , si sollevarono contro quelli che pocanzi ammiravaro ec. ; e ciò io debbo porre in isce- na. Alfieri, che non avrebbe cangiato avviso per le parole d'Antonio, che sarebbe sempre rimasto fedele a Bruto, era offeso sicuramente che i Romani l’avessero così di leggieri abbandonato. Ei non volle mettere in iscena una verità che l’offendeva, quantunque fosse non meno teatrale che istorica. Morto il didattore, Bruto bagnato ancora del.suo sangue fa, come deve in una tragedia d’Alferi, un fortissimo. discorso; i Romani, che il poeta ama d’imaginarsi eroici e ;inftessibili come ne’ primi tempi della repubblica , lo applaudiscono ferocemente ; nessuno parla in favor dell’ ucciso, nessu- no serba di lui alcuna rimembranza pietosa, e la tragedia finisce. Quella forza, che 1’ Alfieri fa d’ordinario agli uomini e alle cose; ;la fa pure alle parole. Nulla sicuramente di più appropriato a’ soggetti romani , che quel linguaggio fermo , conciso, ch’ei s’ era studiato di formarsi e. che si direbbe un latino risuscitato. Nondimeno, anche trattando tali soggetti, egli avrebbe spesso avuto bisogno d’infletter- lo, di variarlo, ciò che ha sdegnato. di fare. Egli anzi si compiace talvolta del più rigido laconismo, di cui non può trovarsi alcuna ragione. Sei l’usasse , come Shake- speare, facendo parlar Bruto , a cui la storia in ‘qualche «modo lo attribuisce, ciò potrebbe servire ad accrescere Vil 60 lusione. Ch’ ei l’usi in altre occasioni, come ne’ primi versi del dialogo fra Seneca e Nerone , onde comincia l’Ot- tavia, ciò (come osserva anche il Sismondi). ne devia af- fatto dalla verità. Così può dirsi che anche nelle sue tra- gedie di soggetto romano , o si gaardi lo stile o si guardi l'invenzione , il suo carattere personale predomina sul suo genio poetico. Or vediamo ciò che avvenga nelle sue tragedie di sog- getto moderno. Alle tragedie di questa specie particolarmente debbono , come ognun vede, applicarsi le odierne questioni intorno alle forme drammatiche. Infatti, quando pure la forma inventata dai Francesi fosse, qual non è sicuramente, un’imitazion della greca, quest’imitazione avrebbe un limite nella differenza che passa fra i soggetti moderni e gli anti- chi. L’oblio di tal differenza produsse nel sedicesimo se- colo varie tragedie egualmente false che fredde , come la Rosmunda del Rucellai, ove, per tacere de’cori senza mo- tivo e senza verosimiglianza , i costumi del medio evo so- no alterati da nn colorito fantastico , il qual non è nè an- tico nè moderno. Alfieri avea troppo ingegno per cadere in simile oblio:; e la forma francese da lui adottata serviva anch'essa a preservarnelo. Ma, d’altra parte, questa forma è meno che propizia a quella varietà e a quella verità che si ricercherebbe nelle tragedie di moderno soggetto. Rendendo- la com’egli fece, ancor più severa, si obbligò più che mai a certa rigidezza, a certa nobiltà artificiale e monotona , a cui era anche troppo inclinato. Quindi egli non riesce veramente drammatico , che quando il soggetto è più a- dattato alla sua indole, e i caratteri da lui messi in iscena hanno col suo qualche conformità. Vuol egli presentarci Maria Stuarda? Ei non sa pie- garsi, come Schiller , ad esprimere i ‘sentimenti diversi di quest'anima debole e passionata ; mon sa prestarle che un' linguaggio ricercato e laborioso . Ei sbaglia perfino il suo: punto di veduta, mettendoci innanzi la morte di Darnley., che fa Maria colpevole, piuttosto che la morte di Maria; Ci presenta egli all’ incontro Ja congiura de’Pazzi ?_ Allo- 61 ra, abbandonandosi all’impeto de’ propri sentimenti , fa opera piena di vigore. Non posso anche dire piena di verità, poichè questa a più riguardi mi sembra mancarle. Senza farmi apologista de’ Medici, che già ebbero , come Augusto , in grazia della protezione prestata alle lettere , tanti officiosi lodatori, dirò francamente che mi sembra trovar in loro unite all’ambizione politica tai qualità sociali da non dover essere dipinti coi neri colori con cui lo sono dall’ Alfieri. E un’ altra specie di verità manca nella sua tragedia. L’ influenza del fanatismo e dell’ ipo- crisia vi è appena indicata; i ministri d’ una vendetta nè repubblicana nè generosa vi sono trasformati in gene- rosi e repubblicani cospiratori; involontaria menzogna an- che questa della passion dominante dell’autore. Nella sua tragedia, che s'intitola dal secondo Filippo, avvi maggior verità, e forse più genio poetico. Questo Fi- lippo è assai più naturale che nol sieno i tiranni di Cor- neille. Egli non si vanta del proprio rigore , non fa pom- pa della propria crudeltà, non è insomma un tiranno di teatro, è un vero tiranno, A ben rappresentarne il caratte- pai re cupo e taciturno, il poeta, che ha aboliti i confidenti, gliene dà uno , a cui egli non dice nulla. Questo confi- dente (originalissima invenzione lodata molto anche dal Si- smondi) lo segue , lo osserva , lo indovina. Avvi fra l’ani- ma atroce e dispotica dell’osservato, e l’anima atroce e ser- vile dell'osservatore una corrispondenza segreta, che quasi rende fra loro inutile l’officio della parola. Si vede che l’ uno è fatto per servire alla volontà dell’ altro , al suo silenzio medesimo ; si vede e si freme. Altre particolarità di questa tragedia sono veramente ed eminentemente drammatiche. Tale è la scena, in cui Filippo, fatti venire innanzi a sè i due oggetti del suo odio e della sua gelosia (Isabella e Carlo) li spaventa, li inganna con parole di doppio senso, e confrontandoli sen- za averne sembianza , fa sorprendere il lor segreto da un testimonio che ha lo stesso occhio di lui, Questa scena , che più si considera, più riesce terribile, è forse superio- 62 re a quella, in cui Racine pone Britannico e Giunia sotto la guardia invisibile del geloso Nerone. Dopo una tal sce» na viene un dialogo , famoso per la sua contisione , tra Filippo e Gomez (Wdisti? — Udii, ec. ec.) ch'io non so dir bene quanto sia naturale. L’arte del poeta , che spezza i suoì versi e risparmia le sue parole, vi è troppo visibi- le. L’ira, la vendetta , la servilità pare che si esprimano ordinariamente d’ altro modo. Al carattere di Filippo forma bellissimo contrappo- sto quello del figlio , caldo, leale, espansivo , com’ è pro- prio dell’ innocenza‘e della gioventù, e a cui perciò il poeta dà un amico. Gli altri caratteri della tragedia non sono a gran pezza del medesimo valore. Fu bel pensiero di Schiller il collocare nella sua tragedia quel vecchio inquisitore, ombra de’ tempi trascorsi , evocata da Filippo onde riceverne forza a compiere il suo ‘delitto, Quest’ inquisitore /la creazion del quale ben compensa la poco felice trasformazione del giovane marchese di Posa in un filosofo tedesco del :8 secolo ) non istrepita, non inveisce, quasi nemmeno si adira, Egli è cieco, ha ottan- t'anni, ha ordinati tanti supplizii , che ogni vittima or- mai gli riesce indifferente, ogni dolore lo trova egual- mente inflessibile, Interrogato da Filippo, a cui rimane qualche scrupolo sulla morte ormai decisa del figlio; fa quella risposta orribilmente tragica : Per placare del: pa- dre la giustizia — Il figliuolo di Dio moriva in croce. Nella - tragedia d’ Alfieri, in luogo del terribile vecchio , noi ‘ab- biamo un consiglio di stato, ove un altro personaggio , di carattere non ben definito (ciò si deve forse alle nostre convenienze sceniche), ma che sembra far l’officio d’ in- quisitore , sostiene con veemenza quella ch’ei chiama caù- sa della religione , e domanda la punizion di Carlo, usan: do il linguaggio d’ un fanatico volgare o d’ un declama- tore ipocrita , Questo fallo è da ascriversi alla solita non curanza dell’ Alfieri per quello che chiamasi color locale. Egli ( ec- cetto forse nel Sanl, direbbe Schlegel) non dipinse mai " i i 63 gli uomini d’un tempo od’ un paese particolare. Nel con- siglio di Filippo , Perez, l’ amico di Carlo, parla con una libertà, veramente per noi inconcepibile, se a simili inve- rosimiglianze non ci avessero avvezzato i costumi teatrali. Infatti in alcune tragedie francesi , anche de’ grandi mae- stri, il tiranno vi è così ingiuriato, così insultato, che si finisce coll’ averne pietà. 1l Filippo della tragedia dell’Al- x . fieri non è meglio trattato da Perez. Le parole di questo giovane spagnuolo , che il poeta ha immedesimato con sè stesso , son piene d’ odio e di disprezzo il più manifesto. Ch’ esse quindi sien cosa inverosimile, non c’è dubbio. Che sieno anche un fallo drammatico, non so dirlo, poichè il poeta ne approfitta, per dar una pennellata di più al- l’impenetrabile ipocrisia di Filippo. Lungi infatti del sem- brarne offeso, questi dice: Pietade alfine in un di voi ritrovo, — E pietà seguo. S'egli infatti ha avuto la pazienza d’ascol- tare simili parole , se mai alcuno ha avuto l’ardire d’in- dirizzargliele , io son tentato di credere, ch’ ei se ne sia giovato sino all’ istante di punirle. Frattanto rimasto solo ei sfoga l’ ira mal repressa dinanzi al consiglio. Il mono- logo che Alfieri gli pone in bocca ( O%/!.. quanti sono i traditori? audace — Perez fia tanto ? Penetrato ei forse — Il cor mi avesse ? ec. ) è uno de’ più semplici e de’ più na- turali , giacchè Filippo non potea confidare ad alcuno le pene del sno orgoglio umiliato: Ma ecco, s'io non m’inganno, ciò che avvi di più mirabile in questa tragedia, la prima fra le alferiane in ordine al tempo, e una delle prime in ordine al merito. Si veggono solitamente nell’ opere drammatiche vili tradi- tori, che ciascun riconosce per tali, allorchè aprono bocca. Nell’opere del Metastasio anzi se ne veggono di quelli , i quali con degli a parte si danno cura d’avvertirci di quel ‘che sono. Nella tragedia dell’ Alfieri vediamo cosa ben nuova e ben singolare. Quel confidente, a cui Filippo dice sì poco, quel Gomez, a cui sembrano rivelarsi da sè stessi i suoi segreti pensieri, vien d’improvviso da Isabella, le confessa le crudeltà del re, le offre il suo aiuto per sal- 61 var Carlo, e rende sì verosimile, per le ragioni di pro- prio interesse che adduce, la sincerità della sua offerta, che la giovine regina rimane ingannata, e lo spettatore con lei. Quindi l’ infernale perfidia , che prepara la cata- strofe, diviene una specie di peripezia che la ritarda, una ragione di dubbio e di speranza , che prolunga e so- stien l'interesse, Nulla di più drammatico della. scena, in cui questa perfidia, prima d’aver prodotto il suo effetto, è smascherata da Garlo, il qual non s’ illude come una giovine donna credula e appassionata. Appena questa , en- trata nel suo carcere , gli ha ridette le parole di Gomez: Incauta , ei grida , ahi troppo — Credula tu! che festi? ah! perchè fede — Prestavi a tal pietà? Se il ver ti disse — Dell’empio re l’empissimo ministro — Ei col ver t'ingan- nò. Infatti parte di ciò che Gomez le avea detto era vero, ma non avea servito che a trarla in inganno, e a dare un pretesto di più alla vendetta del tiranno. Bellezze sì nuove e sì ardite ben compensano i falli non lievi, che trovansi in questa tragedia, di cui ho voluto dare piuttosto un'idea che un giudizio. Nè simili bellezze son rare nelle tragedie varie dell’ Alfieri, onde può dirsi che , malgrado il suo sistema d’imitazione, egli è uno de’ poeti più originali. Nella sua severità di principii, nella sua alterezza misantropica, egli (è forza ripeterlo) non ha punto curato la varietà drammatica e poco anche la verità. Ma è spesso andato per vie non segnate da altri, e di tal passo e in tal sembiante, che desta la più viva ammira- zione. Egli è andato pe’ campi|della tragedia (ci sia lecito prendere a simbolo una sua pittura ) come là nella villa Strozzi presso le terme di Diocleziano , percorrendo con tutta la velocità del più focoso destriero quelle vaste soli- tudini, che invitano, com’ei s'esprime, a pensare, a pian- gere e a far versi, M. PRO 65 DELLA VITA E DELLE oPERE DI AnToNIO CESARI. Avendo io meco medesimo proposto di scrivere (a sfogo di dolore, ed a conforto de’ buoni) alcuna cosa della vita, e delle opere di Antonio Cesari, Prete dell’ Oratorio di Verona, uno de’più bei lumi e forti sostegni, che in questa nostra età vantas- sero le belle lettere , e la santissima religion nostra; io non so ben io, se mi debba in lui lodar meglio o le morali sue qualità, o l’ampiezza non ordinaria del suo sapere. Vissuto in tempi as- sai pericolosi e dubbi, tra per la incostante moltiplicità delle opinioni , a cui fummo soggetti, e per "la varietà romorosa di leggi, di governi, e di guerre, dalle quali fu la nostra bella pe- nisola agitata, egli si mantenne sempre fermo e stabile in quei veri principii di morale e di religione, ne’ quali fu da’ suoi egre- giamente instituito : lasciandosi mai sempre dire, ed avendo co- stantemente a sdegno l’ esempio di que’ tanti, i quali ( comechè valenti per naturale ingegno e bontà di studi) facendo servire i pensieri agli affetti, lodarono e magnificarono , nel dì della vit- toria , quelle persone e quelle cose, che poi nel dì della sven- tura, misero codardemente in vituperio. Per la qual cosa, se le morali virtù si debbono, come credo, principalmente estimare dai più o meno ostacoli, che repugnarono a chi le possedeva, io tengo per fermo: dover noi quelle di Antonio Cesari non pure avere in altissima riverenza ed ammirazione ; ma e far opera che ne pervenga, a’più tardi posteri, la dolce memoria sì a conforto ed esempio de’ buoni, come a testimonianza perenne della pre sente nostra riconoscenza e civiltà. E quantunque il Cesari, mer- cè la saldezza e costanza di sua opinione, sia vivuto sempre lungi da’ pubblici negozi italiani; tuttavia ei si rendette molto bene- merito della sua diletta Verona, alla quale prestò specchiatissimi servigi e col chiaro esempio de’suoi illibati costumi, e col suo espor costante dal pergamo le verità evangeliche. Onde morendo potea affermare con tutta sincerità 5 lui aver compiutamente sod- disfatto ai doveri di figliuolo, di cristiano, e di cittadino ; cioè usato a benefizio della patria tutte quelle forze della mente e doti dell’animo, onde la Divina Provvidenza gli era stata sì larga donatrice. Il che mi è dolcissimo ricordar quì, come cosa della quale furono al Cesari rendute magnifiche lodi da intere pro- T..XXXIV. Giugno. 9 66 vincie, e da ogni animo cortese, cui sta a cuore la gentilezza italiana, e l'avanzamento delle buone e sante discipline. Ma poi- chè la vita di Antonio Cesari fu lunga anzi che no ( brevissima al desiderio ed alle speranze de’ buoni), e le sue opere varie e molteplici fuor di misura, io mi credo in debito di estendermi alquanto nel rammemorare all’Italia i molti e diversi meriti che questo suo nobilissimo figlinolo ha con essa, e del quale io forse tesserò in altro tempo la vita, Dio concedente, con quella accu- ratezza e sincerità, che potrò maggiore. In Verona, in cui non falli mai copia d’alti e nobilissimi in- telletti, nacque di Pietro Cesari, onestissimo e pio mercatante , e di Domenica Nadalini, persona molto religiosa e dabbene, que- st’onore delle lettere, e propugnatore della religion nostra, An- tonio Cesari, l’anno 1760 a'16 di gennaio, sedendo pontefice Cle- mente XIII. Fino dalla più tenera età fece presagire assai chia- ramente l’ottima riuscita, che avrebbe fatto sì nelle lettere, alle quali mostrò subito maravigliesa attitudine; sì nella pietà , che fin d'allora gli fu dolce compagna. Dotato riccamente, com’ era, d’un felicissimo ingegno, e d’una assai tenace e lucida memoria, ed altresì d’un generoso desiderio di sapere , in picciol tempo ebbe appreso, da privati maestri, le prime lettere. quindi, man- dato alle scuole del seminario, con non comune profitto (e por- tandone sempre la palma), la grammatica, la rettorica, e la filoso- fia: insegnamenti, che allora davansi con que’metodi non troppo felici, che ognun sa. I suoi precettori ebbero sempre a lodarsi as- saissimo di lui; e solevano additarlo a’ condiscepoli, come spec- chio di verecondia, e singolar diligenza, aggiugnendo : lui dover al tutto riuscire, in ogni facoltà, uom sommo, se già la comples- sion sua, che avea sortito assai gracile, non avesse spento in lui quel nobile ardore, con che si era dato agli studi sì di buon’ora. Nella pietà, oltre a’ genitori, che se ne presero gran cura (sin golarmente la madre), ebbe a maestri i Padri dell’Oratorio , i quali il tenevano tutto esercitato in opere di virtù, e guardingo da ogni rischio, che potesse adombrare. come che si fosse il can- dore dell’ ottimo suo costume ; facendogli anche toccar con ma- no, come la grazia della virtù, e l’amabilità dell’innocenza era ammirata da’ que’ medesimi , che non l’hanno in sè. Allevato e cresciuto in questi eccellenti insegnamenti, a'17 di gennaio de- gli anni 1778 vestì in patria l’abito della Congregazione dell’Ora- torio. Quivi attese di forza allo studio della teologia nella scuola del P. Francesco Bertolini, uomo di sapere e virtù lodatissimo. e mentre si veniva fornendo di quel tesoro d’ infinite cognizioni 67 teologiche e scritturali, le quali poi, con sì bella prova quanto vedremo, mostrò nelle opere sue ; si profondava eziandio, con in- faticabile amore e diligenza, ne!la lingua greca e latina, assapo- randone vie meglio le già assaggiate bellezze. Se non che un’al- tra lingua gli era assai più cara, nella quale dovea tornare ma- raviglioso e stupendo scrittore ; io voglio dire l’ italiana del mi- glior tempo ; al cui studio, senza che alcun vel confortasse, avea posto l’animo fin da cherico, trattovi, come ebbi da lui medesi- mo, dalla lettura del Passavanti, del quale non ebbe appena gu- state le prime pagine, che tutto ne innamorò, nè seppe poi par- tirlo da sè , se non per morte. Sì possente è la forza del bello , semplice ed elegante scrivere , per chi sortì quella sceltezza di natural senso o giudizio, senza cui poco o nulla varrebbe lo stu- dio, fosse anche lungo ed accuratissimo: essendo troppo vero quello, che in questo proposito diceva l’abate Zeviani, e ripete- va spesso il nostro Cesari, A cui natura non lo volle dire Nol dirian mille Ateni e mille Rome. Dallo studio profondo del Passavanti (le lingue s’imparano ne’ prosatori, non ne’ poeti). passò A. Cesari a quello del Boccaccio , del Petrarca; dell’Alighieri, ed a mano a mano degli altri eccel- lenti .trecentisti: con che si dispose a scrivere in que?’ tanti stili . diversi, come vedremo, e sempre con tanta disinvoltura, dottrina, e maestria, che sarà certamente la meraviglia de’ posteri. E quì, lasciando da parte i suoi primi lavori letterari, cioè le latine elegie, le canzoni, e’ sonetti Petrarcheschi, a’ quali si era già dato assai per tempo , egli è da determinare il suo so- lenne ingresso, dirò così, nella repubblica delle lettere, il quale fu indubitatamente fino dall’anno 1789, e non nel 1788, come scrissero ed affermarono altri. Egli conobbe fin d’allora, che per apprendere ‘a bene scrivere, torna assai utile all’uomo il darsi nel- l’età giovanile alle traduzioni, per mezzo delle quali s'impara a saper dire per appunto nè più nè meno, ciò che si vuol dire. la qual cosa, comechè a taluno possa sembrar la più facile , suole tuttavia riuscire allo scrittore, come testifica un celeberrimo let- terato, la più malagevole. Mosso egli adunque da questo vero, ed eziandio dalla pietà, e religion sua, pubblicò appunto nel 1785 I quattro libri dell’ imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis tradotti di Latino in Toscano: col qual lavoro, di vero assai ela- borato , egli s’ acquistò non poca stima appo i veri letterati, i quali dovettero far le meraviglie, come da una penna sì giova- 68 ne, ed in tempi alla buona lingua, ed al sano scrivere così av versi, fosse potuto uscire una traduzione tanto bella e leggiadra da lodarsene il più provetto ed esercitato scrittore. Se non che nel 1815 (1) tornatovi sopra coll’ occhio , s' avvide bene, mercè dello studio da esso non mai interotto sopra la lingua nostra , che qua e là poteva aver tradotto anche meglio l’ originale, ora con più vibratezza e proprietà, ora con voci più note, e costrutti più naturali, e quando altresì con uso più parco di certi ripieni e vezzi di lingua, che sogliono pur troppo impedire, ai non pra- tici lettori, la pronta e spedita intelligenza: il che gli venne fatto tanto felicissimamente, che piacque e tornò gradito al som- mo sì alle persone spirituali, come agli amatori del bello ed ele- gante scrivere italiano, che questa versione reputarono e repu- tano unanimamente una delle più belle e leggiadre scritture, che abbia prodotto l’età moderna. Per l’anzidetta ragione, e per l’amore e studio non piccolo da esso posto nel greco idioma, di cui si piacque in tutta la vita, si condusse eziandio a voltare in terze rime da quella lingua la elegia di Calimaro sopra i lavacri di Pallade, e l’apolegetico di S. Gre- gorio Nazianzeno. Questa versione, che mandò fuori nel 1787, fu sempre accettissima al colto pubblico tanto per l’eleganza e purez- za, con che seppe dettarla, quanto altresì per l’accurata fedeltà al testo. E certo, se non per altro, per questo ella si rende quasi più pregevole di quella medesima, che ne fece Annibal Caro, nella qua - le se si ammira spesso, con diletto e meraviglia, l’usato suo brio, e quella sua maestrevole disinvoltura e vivezza di stile, vi si scorge anche non di rado un troppo spesso allontanamento dall’ origi- nale, una certa sprezzatura ed oscurità di discorso, e qualche volta di frase eziandio, che a’ più de’lettori torna di faticosa in- telligenza: colpa per avventura della morte del traduttore, che gli tolse di poter ripulire e perfezionare vari suoi scritti mirabili. Ma se queste lodate e stimabilissime versioni misero fin d’al- lora (e giustamente) il Cesari in voce di puro ed elegante prosatore, un’altra, assai più difficile e scabrosa, gli dette fama di buono e valoroso poeta. ciò fu la versione delle Odi di Orazio da esso messe in rime toscane, e pubblicate la prima volta, nel 1788, e nel 1817 la seconda. E poichè ad alcuni parve, che il Cesari non fosse punto poeta, e ne allegarono in prova questa traduzione, e quella (1) In questa edizione, come nelle molte altre, che furono fatte di poi, il titolo è questo : Della imitazione di Cristo di Tommaso da Kempis libri quat- tro tradotti in italiano da un Veronese, 69 di Terenzio altresì ( veramente il Terenzio, recato in volgar fio- rentino, come vedremo, non era da citarsi, chi l’ha non letto, ma pur veduto), mi piace di trascriver quì il giudizio , che ne portarono alcuni sommi e dottissimi letterati ; affinchè si vegga sempre meglio, se è vero o no, che molti oggidì parlamentano e sentenziano pro tribunali delle produzioni letterarie, senza averle pur prima lette ed esaminate , anzi vedute. e ciò per darsi aria e tuono, pare a me, di sottili ed acuti ingegni. Ma ecco quello che ne dice il cav. Ippolito Pindemonte, esso pure, con infinito dolore de’ buoni, rapitoci testè. « Lessi con piacere (così | scriveva al cav. Vannetti) le traduzioni del P. Cesari, che tra- duce veramente da gran poeta. Che se qualche volta le sue espres- sioni sono inferiori a quelle di Orazio, ne ha però spesso di tali, che Orazio stesso gl’invidiarebbe. Ond’io mi consolo molto di tale opera e con lui , e con Verona, anzi coll’ Italia ,,, E’1 Bettinel- li: “ Cotesto Cesari, così scriveva al Vannetti medesimo, mi ha rapito. Può egli darsi più forza, più robustezza, più armonia di- pintrice ! E qual padronanza delle due lingue elegantissima, cor- rettissima; originale! che fraseggiare , che contorcersi, che frab- bricar di versi, e inchiodarti in quelli per colpo. inaspettato di man maestra! Oh divina possanza di stile e di lingua; ch'io tanto predico, e cerco, e che trovo iu una traduzione divenuta un vero Orazio Italiano del secol d’ Augusto. Mi parea proprio legger colui, e gustarlo, come un Romano tra Virgilio, Mece- nate, Augusto. Poi tornando Italiano, sentia il Petrarca in tutte le vene, e allora: che Laura è questa, dicea, Laura eroe latino, o è Orazio nelle canzoni di Colonna, di Roma, d’Italia, 0 è quì la fonte di Sorga , che può irrigar tutti i campi? Ma fuor del- l’estro, che m’ha ispirato costui, dico il vero che non conosco poeta eguale, non che traduttore. Mi dica ella, se tal penna si trova, e poi dicami, perchè Verona non parlane ancora. To certo non tacerò scrivendo a Verona del nuovo fenomeno. Oh S. Fi- lippo benedetto, lasciate ch’ei faccia del bene al Parnaso Italia- no! Già tanti vostri figli onorano il Carmelo , il. Calvario , il monte Sion : pietà di Pindo, ch'è santo anch'esso, ma screditato. Basti di questo, nè voglio dir altro , se non che la. dedicatoria mi fe presentire (perchè d’ uno stile, sapere, e giudizio raro ) quel valore, che poi trovai sublime nel verso. ,; E il cav. Van- netti “ Vengo (così scriveva al Cesari ) (alle tue ode . .. . Ti giuro che io ne vo innamorato, come fusse mai Medoro d’Ange- lica, e scrivendo e parlando dico, che il Petrarca ; il Bembo, il Casa , questi tre, se le leggessero, si batterebbon l’anche, e. te o) ne dgr invidia. Tu hai trovato quel èongiungimento ma- raviglioso della poesia lirica Latina con la Toscana; che niun al- tro giammai sognò: tn hai conseguito per eccellenza il tuo fine di farci sentire Orazio,come avesse poetato in Toscano egli pro- prio : tu l'hai renduto in più d’ un luogo anche più bello, più passionato, più splendido ec. ,, A chi è nota (e a chi non è no- ta?) la profonda conoscenza ch’ebbe d’Orazio, e della lingua no- stra il cav. Vannetti, conosce bene di quale autorità sieno que- ste sue parole ; le quali non avrebbe certo scritte, dove altro n’ avesse giudicato. conciossiachè egli non era persona da piag- giare chicchessia, nè da contraddire giammai alla propria coscien- za, per piacere al Cesari, nè lusingarlo . anzi gli dette tutta la mano per la vera intelligenza de’lnoghi più oscuri del poeta; del che gli si confessa schiettamente obbligato esso traduttore. Se non che questa versione piacque anche assai a_ quell’alto intel- letto; ed elegante scrittore, Pietro Giordani ; che scrisse già al Cesari: “ Ho letto non poco del vostro Orazio : nol paragono al Terenzio ; che son cose troppe diverse: ma ben parmi che l’Ora- zio avesse molto maggiori difficoltà; e che le abbiate molto bra- vamente vinte. E questo Orazio mi riesce una cosa assai nobile ed elegante. Nel Terenzio quando l’avevate inteso; ‘ed avevate quella felicissima provvisione di stil comico, era fatto. Ma in Ora- zio, ogni ode è un’impresa nuova ; e non leggera. Vi dico di cuore che io v’ammiro assai assai ;;. lo dunque me ne sto volen- tieri al giudizio di questi sommi uomini, e veri conoscitori» del bello, nè punto schiavi de’trecentisti, singolarmente i primi due; ai quali può aggiugnersi altresì il celebre Tiraboschi, che al Ce- sari rendette bellissime lodi nel vol. 42 del giornal di Modena; e lascio altrui pensare e. dire quello che più gli piace. e torna meglio. Quanto poi a quelli, che non si sentiranno acconci di menar buona al traduttore quella sua opinione recata in mezzo nella prefazione alla seconda edizione, in vero assai migliorata verso la prima; vale a dire di aver portato in italiano Orazio per chi abbia assaissimo studiato , e ben inteso il latino ; rispondo, che non tutte le versioni si fanno per chi non ha conoscenza delle lingue altrui, ma molte e molte per apparir letterato, per lustro e onore della propria favella, che recata in prova, e messa in gara con una già illustre e famosa, fassi vie meglio venire in voce , e s’aceresce non poco di vanto e di gloria, arricchendosi anche a.nn bisogno delle ricchezze straniere. Del resto, il Ce- sari sì in) questa traduzione; come nelle altre, che ci diede, ha pigliato (e seguito quella foggia, che giudicò mai sempre la mi 1 gliore ; cioè di rendere e conservare intera senza più la sentenza dell’originale, non le parole: perocchè quella, e non queste, sono da trasportarsi nella propria lingua; chè così faceva eziandio Cicerone, voltando dal greco in latino, come dice egli medesimo : Nec converti ut interpres , sed sententiis iisdem , et eorum for- mis tanquam figuris ; verbis ad nostram consuetudinem aptis. Per la qual cosa non .è punto da maravigliare, se il Cesari ha, in più luoghi, largheggiato anzi che no: aggiugnendo eziandio qualcosa del proprio per dare, come e’ dice, piena forma e giu- sto divisamento alle stanze , 0 per compartire a ragione le ne- cessarie posate: e questo medesimo avrebbe fatto Orazio, mi penso, dove egli avesse poetato in italiano, ed alla Petrarchesca. Nè Annibal Caro operò diversamente nel suo impareggiabile vol— garizzamento dell’ Eneide, dove la versificazione è più larga as- sai assai dell’ originale. E per non uscire affatto delle traduzioni dirò altresì. come il Cesari mandò fuori nel 1800, in un volume di sue rime di- verse, una epistola, e tre satire d’Orazio, da esso recate in versi sciolti, colle quali, pare a me, superò assai felicemente quasi tutte le aspre difficoltà, che si attraversano di leggieri a chi volta quel vigoroso e vibrato originale. La lingua del 300, che ivi ado- pera da maestro, secondo il solito, gli dà quel forte, colorito, proprio ed elegante, che non gli avrebbe mai e poi mai potuto dare la moderna tutta vernice e liscio senza più. Se non che di questo ne diede egli una più luminosa e incontrastabile prova, allorchè nel 1804 trasportò in italiano la bellissima lettera di Cicerone a Quinto fratello, e la mandò in luce, contrapponendola alla versione, che di essa lettera ne fece già il celebre Iacopo Facciolati ; quel Facciolati, che della lingua del Lazio avea tanta pratica e conoscenza, che in essa dettava di maniera, che il di- resti per poco scrittore del miglior tempo. Ora, per non avere lui punto studiato negli antichi scrittori italiani, nè appreso que’ modi semplici , efficaci, propri e vivi, che spontanei piovevano dalla lor penna, ci diede questa lettera non pur senza colore di parlar netto, espressivo , elegante; ma tanto snervata,; languida, e pedestre, che nulla più: per tale, che la lettera di Cicerone in mano del Facciolati avea perduto ben la metà, e forse più, della sua forza, grazia e bellezza ; dove nella versione del Cesari tor- na tutta vigorosa, venusta, e piena di evidente proprietà: co- talchè resta provatissimo, che le cose medesime recate in parole con una lingua, fanno un effetto, e con un’altra, un altro : cioè che nella lingua del 300 è assai più di forza, colore, ed energia , ra che nella moderna tutta fiacca e svenevole. Questa prova trionfa- trice e calzantissima ribadì in capo a molti e a molti quel vero , che fin dal 1785 andava il Cesari predicando ; che bisognava cioè tornare al tutto allo studio de’ vecchi maestri , e da quelli far ritratto in opera di lingua, chi voleva aver nome e fama di scrittore appo quegli che questo tempo chiameranno antico. Dissi fin dal 1785 ; da che fu appunto in quell’anno, che egli surse coraggiosamente a combattere quel bastardume di stile, e quel- l’imbratto di linguaggio, che dell’italiano non tenea che la de- sinenza delle parole , o poco più: e surse colla sua ricordata e maravigliosa versione di Tommaso da Kempis, nella cui prefazio- ne, facendosi gagliardamente incontro a quel torrente di corrotto e barbaro scrivere, mostra chiaramente quanto a torto fosse bia- simato e deriso chi si studiava d’imitare le scritture degli anti- chi, portando ne’ propri scritti, le loro maniere ; ed aver lui per ciò dato opera di condurre la sua versione sulle pedate degli scrittori che fiorirono nel miglior secolo. Fu allora, che in mezzo ad uno scriver barbaro e rozzo, si rese egli esempio espresso di una maniera infinitamente più pura, gentile e corretta: esempio che poi rinforzò potentemente nel 1796, quando mandò in luce la vita del suo amicissimo cav. Clementino Vannetti, uno degli ornamenti più belli e preziosi, che di que’dì vantasse la lette- ratura italiana. Questa vita divise egli in tre parti. Nella prima discorre gli studi e le produzioni dell’ amico: e ciò con discernimento ma- raviglioso, lodando e amplificando quanto in esse vi ha di bello e di buono, senza però risparmiar mai quello che crede non ottimo. Quivi altresì narrando come il Vannetti, fino a’trent’ an- ni, pose studio ne’soli moderni, e delle sole lor forme di lingna straniera e sozza si dilettò, ribatte il chiodo, che al tutto è me- stiere di ritornare allo studio degli autori del 300, per iscrivere con garbo ; e venustà il vero italiano: e mostra eziandio come il Vannetti medesimo , assaporati che gli ebbe, ne innamorasse di sorte, che ogni qualunque parlar infranciosato , o poco sano andamento gli fosse poi un frastuono all’ orecchio, ed una nan- sea allo stomaco: sicchè si diede tutto a ripulire e riformare ogni sua scrittura, fatta prima di quel tempo , studiandosi al possibile di recarla nella lingua pura, e variamente efficace ed espressiva di quel beato secolo. Il quale esempio di un tanto uo- mo e letterato, dovette certo rincalzar non poco quel vero , ch’ egli andava instancabilmente predicando , come dissi; e del quale gli venne fatto poi di renderne persuasi tutti gl’ Italiani, 73 con infinita sua gloria, e ben delle lettere. Nella seconda parte ragiona dell’animo del Vannetti; e ne fa un ritratto sì bello ed ingenuo, che per poco ti senti portato ad amarlo di forza. Nella terza. finalmente dice della specchiata religione di quel gran- d’ uomo , e come sentia molto innanzi in divinità: e pro- va (scrive esso Cesari alla faccia 94) che egli nelle divine cose sentisse sì bene, fu in lui quel medesimo, che alcuni anzi san- tocchi che buoni, possono aver tirato a sinistra opinione; voglio dire quella idea grande e magnifica , che della religione si era formata, lontana da quelle picciolezze e frivole meschinità , on- de alcuni, sperandole far buon servigio, la smozzicano, storpiano e impoveriscono. Certe divozioncelle ambigue , che possono far lega. con ogni vizio ; e che hanno però presso al volgo gran fa- ma, e tiran gli sguardi, non le spregiava, ma nè le seguiva. la divozion sua era un sentimento di pia meraviglia , di generoso ossequio , di forte amore alla sua religione: la cui esterna pro- fessione, e gli atti del culto, e gli esercizi legittimi egli osservò sempre e onorò, non cercando già le minuzie, ma possedendo tutto il massiccio e ’1 midollo. ,, Lo stile poi di questa vita è tanto sciolto, e scorrevolmente facile e piano, e la lingua così pura ed elegante, che a leggerla se ne prova un diletto indicibile : e °l proemio, che le manda innanzi, è cosa, che ha tanto dell’affet- tuoso e dell’ingenuo, che chi è di cuore punto tenero, non può tener le lagrime. In fine è posta anche la canzone, che egli, pie- no di doloroso affetto, scrisse in morte del medesimo Vannetti; ed è poesia da piacere assai, a cui piace il Petrarca, e’ versi, co- me direbbe esso Vannetti ; filati d’oro in oro. Il medesimo è da dire sossopra delle altre varie sue poesie, pubblicate parte l’an- no 1794, e parte il 1800: ma di queste parlerò più avanti. ora è tempo di favellare di alcune ristampe; che il nostro Cesari donò all’ Italia. L’esempio delle ricordate scritture tutte naturali, spontanee, limpide , e piene di una somma proprietà di voci, e modi, dovea certamente valere assai, e valse , a persuadere agl’Italianîi, che. la lingua del 300 era tutt’ altro che oscura, rugginosa, ed «aspra, come dicevasi, non so se per ignoranza o ad arte, dai nemici di quel secolo ; ma non sarebbe forse mai intieramente bastato ad aver quel felice effetto, ch’ egli si era animosamente proposto, l’uni- versale ristoramento di essa lingua, se non ‘si fosse dato altresì a mettere in mostra, e a render sempre più noti e popolari, al- cuni de’ migliori trecentisti, traendoli dalla polvere delle biblio- teche; ove giacevano per poco dimentichi ‘del tutto. Conosciuta T. XXXIV. Giugno. 10 4 \ per da medesimo questa gran verità, mise mano all’ opera, fino dal 1798, rimettendo in luce ; e può dirsi anche in vita, l’aureo Specchio di Penitenza di Iacopo Passavanti ; e mel 1799 le Vite -de’Santi Padri, delle quali volle conservare tutt’ essa! per punto la edizione del Manni, fatta in Firenze l’anno 1731 e seg. ; af- finchè essendo questa allegata dagli Accademici della Crusca, nel loro vocabolario, avessero i lettori il medesimo richiamo de’ nu- «meri delle pagine, e così trovassero per appunto ogni parola. E perchè questa sua edizione dovesse poi riuscire più pregevole, e di più certa utilità agli studiosi, che quella del Manni, venne tra via notando in margine i vocaboli antiquati, 0 fuor d’ uso. Alle quali fece anche una bellissima giunta. ciò fu la vita di To- bia e Tobiuzzo, traslatata nel 1300 dal libro di Tobia, qual è nella Bibbia ;e che egli crede quella medesima, che già fu citata nella Crusca, nè prima d’ allora stampata mai , secondo che fu assi- curato sotto fede. E siccome essa traduzione si diparte in alcuni luoghi dalla Vulgata, ed ha qualche luogo difettoso, o mancante, così egli il nota a piè di faccia, e vi supplisce colla storia di To- bia, stampata nell’ anno medesimo in Livorno dal Poggiali: Egli è cosa indubitata ; che queste opere , che sono veramente un te- soro delle più schiette grazie e natie proprietà di nostra lingua, contribuirono assaissimo a rendere avvisati gl’Italiani della molta intemperanza ed artificiosità di stile, a che erano venuti, facen- do loro conoscere in pari tempo, quanto falsamente alcuni scrittori, che allora tenevano il campo , si dessero a credere ; esser copia il torrente delle parole; splendidezza il gonfio; ed armonia il fra- stnono. Furono queste opere elegantissime , che cominciarono a ridestare ne’ loro petti , colla stima, l’ amore omai spento della bella lor lingua del 3oo : ed al Cesari senza manco siam noi de- bitori dello studio, a cui si diedero poscia ; della proprietà, del- 1’ efficacia, e delle natie forme, tutti coloro , ch” ebbero in desi- derio di scrivere a’ posteri. Se non che il nostro debito verso lui venne sempre più mol- tiplicando, allorchè nel 1806, spinto da vero e caldo amore della nazione , rincalzò felicemente la incominciata impresa ,;con un altro suo assai generoso e benefico lavoro: io dico la ristampa del vocabolario dell’ accademia della Crusca , con aggiunta di 45 e più mila voci: fatica veramente Erculea, che vivrà eterna nella bocca de’ posteri , come chiamolla giustamente l’accademia medesima ; ovvero , come si espresse rettamente l’Angeloni, par- lando di essa: una delle più faticose, e delle più belle e profit- tevoli opere , che mai fossero fatte in pro di nostra lingua : ed 75 io aggiungo; che farà stupire non poco chiunque consideri, che essa (il più) fu lavoro di un solo letterato , e fatto in tempi, in che gli antichi scrittori non solo non erano punto in voga nè letti, ma quasi calpestati. Egli è ben vero che qualche vol- ta. restò oppresso dal peso; ma che perciò ? Saranno per questo le sue cure men gloriose ? nol credo. Imperocchè chi fu mai quel- luomo avventurato, che non soggiacesse a qualche errore, sin- golarmente in lavori di tanta mole e varietà? Sappiam pure, che opere in.longo fas est obrepere somnum. Sappiamo , che la stessa benemerita accademia della Crusca, quantunque abbia lavorato attorno per interi secoli a questo suo vocabolario , s’ad- dormentò più volte. E più volte non si è addormentato altre:ì l’ autor della Proposta? Molti errori confessa egli medesimo (nè il. Cesari negò mai i propri); molti ne furono già pubblicamente notati dai dotti; e parecchi ve ne son tuttavia non osservati per anche, che io sappia ; i quali allegherei qui volontieri, se que- sto fosse luogo da ciò. Ma quanto a quelli della ristampa vero- nese , de’ quali si fecero tanti lamenti, e tanto si è schiamaz- zato ; singolarmente in questi ultimi anni; vorrei che altri si facesse a considerare; come quella stampa fu fatta con assai fretta ; vorrei che ponesse mente , molti e molti non essere opera del compilatore , ma di chi attese alla correzione della stampa; in vero poco felice; o di chi gli fu cortese di alcuni spogli. ed ognuno , che abbia punto svolto quegli utili volumi, sa che la giunta delle voci più anticate ; de’ modi più rozzi e duri ; delle uscite più disarmoniche, non essere cosa sua, ma del Lombar- di. Vorrei che pensasse, essere uffizio di un buon vocabolarista di registrare non tanto le voci, e’ modi vivi ed efficaci, quanto i morti, i disusati, e gli oscuri altresì. I primi, perchè sieno usati da chiunque ama di pulitamente favellare, e regolatamente e con eleganza scrivere (che a questo mira in vero il motto del- l'Accademia ; /2 più bel fior ne coglie): gli altri, per l’ intelligen- za degli scrittori, che di quelle voci o disinenze fecero uso. Per questa ragion medesima il Forcellini registrò nel suo bellissimo dizionario quelle stesse voci, quae ipsì Ennio rancida et. obso- leta videbantur. Se altri avesse badato bene, come ‘doveva , a questo vero , non avrebbe certo fatto tanto scalpore contro del Cesari , il quale in fin de’ fatti non promise , che di ristampar il vocabolario della Crusca con aggiunte. Del resto, il repliche- rò , non pur le voci antiquate , o fuor d’ uso , ma e le storpia- ture , e gli arcaismi debbono essere registrati. Senza questo aiu- to, i poveri giovani italiani , e molto più gli stranieri, son per- a 76 i verrebbero mai alla piena intelligenza degli antichi nostri serit- tori, conosciuti e venerati, già da più secoli, per classici, come. sono. Se questo poi sia da farsi in un sol corpo, come piacque all’ Accademia , e piacerà sempre a’ più : o in un corpo separa= to, come sarebbe piaciuto all’ autor della Proposta ; poco monta: basta che ciò si faccia. Il Cesari adunque registrò molti voca- boli antiquati, o che l’uso non porta più; alcune desinenze aspre e dismesse, non già per una eccessiva riverenza alla lingua di quegli antichi, come altri affermarono, senza tema d’ errare j non già perchè l’ adoperino i moderni (e questo fu altresì l’.ani- mo degli accademici , come dichiarano nella loro: Prefazione.).; ma perchè s’intendino gli antichi: che certo, dice il Cesari me- desimo , se io avessi voluto mettere in voga quelle anticaglie di lingua (come mi appongano) , io le avrei usate io medesimo pri- ma di tutti. Il sole non è più chiaro di questa verità. Del re- stante, la intelligenza degli antichi scrittori fu sempre; e sarà, da chiunque di buon senno , reputata di assai utilità, e da non fuggir d’ occhio giammai ad un giudizioso vocabolarista. Che se poi il Cesari non istampò in fronte a’ suoi il marchio del disu- so, come alcuni avrebbero desiderato , e fecero gli accademici della Crusca ; egli fu perchè questa non era autorità da far sua un privato , ma da lasciarsi tutta ad un legittimo tribunale, co» me per appunto quello della Crusca, il quale però non fu esen- te dalle censure del Cesarotti, per questo medesimo, che notò col contrassegno dell’ antichità molti vocaboli ‘ che hanno un ) pieno diritto , son sue parole , alla luce ed al commercio de- so gli scrittori, e collocati a dovere, avranno un doppio merito di »» ferire colla novità, mentre esiggono rispetto coll’antichezza. ,, Per la qual cosa lo stesso scrittore , in altro luogo, rimprovera francamente chi si mostra timido di usare qualche voce , o lo- cuzione anticata , e fuor d’ uso, dicendo: ‘ Qualora un letterato »; serupoleggia sopra un termine o una frase non comune, e se >, ne mostra offesa la semplice ragione , che quel termine non è s3 inteso , 0 comunemente usato dal popolo, egli si degrada da sè 3» medesimo , e si confonde col volgo. Egli è uh cittadino ille- »; gittimo , che si fa schiavo de’suoi servi. ,, Le quali parole do- vrebbero certo far arrossire tanti schizzinosi, che oggidì ad ogni vocabolo e modo, che non intendono , torcano la bocca, come se quelle voci e frasi non dovessero riuscir barbare ed incognite a colui , che per poco non lessa mai gli antichi autori; e facen- dosi beffe, con atti incivili, di ciò che non sanno, mettono poi in biasimo e mala voce tanti valorosi scrittori. cosa non so se 27 più pazza ; o prosuntuosa. Ma tornando al vocabolario del Ce- sari , che direm noi delle derisioni ; dei rimproveri ; dei dileggi, che gli furono scagliati contro., perchè in qualche testo da esso allegato in conferma de’ suoi temi , fu notato qualche errore ? e questo non nella voce del tema, che allora avrebbero avuto qualche ragione; ma nel costrutto del testo ? Dio buono! Quan- do mai nell’ imprendere la ristampa .del vocabolario, con aggiun- te , si obbligò egli e promise di emendare e correggere i testi, che citava? Dove ha egli dunque fallita la fede ? Dove è venuto meno all’ obbligo suo? Non fu questo un volerlo appuntare, do- ve non era ombra di ragione? Iv ne lascio il giudizio ai discreti ed assennati lettori; e a dir.vengo alcune parole intorno alla dissertazione ‘sopra la lingua italiana. Questa dissertazione; scritta dal Cesari nel 1808; e nel:1809 coronata dall’ Accademia italiana di scienze, lettere ; ed arti, confermò e suggellò di maniera le dottrine , che egli avea. per innanzi predicate , che nulla più. Alla lettura di essa conobbero gl’Italiani assai chiaramente quella verità che egli andava ri- hadendo da tanto tempo; e abbandonando quella lor falsa ma- niera di scrivere con forme e voci non loro; si dettero per, vin- ti, ed entrarono allo studio de’ trecentisti ; ne’ quali dovettero pur confessare (dico quelli che non vollero. far torto alla ragio- ne); essere tanta dovizia di voci pure ,. di modi eleganti e va- riamente efficaci: un tal nitore e candor natio di lingua: una certa urbana semplicità , e maravigliosa dolcezza , che indarno si ricercherebbe in quegli scrittori, che fiorirono di poi. E che que- sta dissertazione .risvegliasse gl’ Italiani,,. e raccendesse. ne’ loro petti il. pregio e l’ affetto della bellissima lor lingua, è. cosa sì certa et indubitata, che mai la maggiore: e. già infinite testimo- nianze ne furono rendute all’ autore ; e forse non è letterato in Italia (parlo de’ discreti ed imparziali) , che tuttavia, nol confes= si. Quivi il Cesari, la prima.cosa, ferma e dimostra la vera forma, el naturale indole di nostra lingua, dimorar precipuamente nel trecento ; poscia passa a parlare dello stato di scadimento , al quale essa lingua era divenuta, e le cagioni discorre , che ve la condussero, e quelle altresì , che la potrebbero recare a peg- gio : quindi addita ‘î mezzi più acconci ed efficaci ;; per ricon- durla possibilmente alla original sua. purità, grazia, e natia bellezza. Queste cose discorre egli con tanta dottrina; con tanta copia di ragione , e di autorità ; che al tutto è forza, chi non voglia contraddire alla verità palesa , darsi per:vinto e confessar con esso-lui “ 1 unico mezzo da ristorar la lingua, e vendicarle la 78 prima gloria, esser quello di rimettere in fiore ‘lo studio e V’imi- tazione de’classici del trecento : «questo essere appunto l’aureo secolo della lingua italiana; dal quale è bisogno ritrarre , chi vuole aver fama di buon dicitore: e tanto essere .la corrente lingua italiana o buona ; o sconcia ; quanto più ‘6 meno allo seri- vere di quel secolo si rassomigli ;;. E qui si noti bene, che il Ce- sari parla di lingua ; e non di stile: che sossopra in tutti i tre- centisti è ottima la lingua, a mio giudizio, ma non in tutti egualmente è buono lo stile. Ma io non voglio nè debbo qui dissimulare ; che in questo mezzo tempo , alcuni (fosse invidia od altro) si levarono contro di lui; e piluccando qua e là alcuni suoi detti, ne trassero poi, per metterlo in dileggio e schernirlo ;. illegittime conseguenze , e sommamente ridicole. Toccherò brevemente di alcune. E in- nanzi tratto dico , che ad ogni cosa l’ uom può apporre, e con una arguzia e sciocca fanciullaggine, dar aria di ragione alle falsità più palpabili e svergognate. In secondo luogo, non essere da sentenziare un’opera da qualche proposizione, incidentemente caduta dalla penna dello scrittore, che mostri sopravanzare il vero , o del tutto non accostarglisi; ma doversi questa raffron- tare con altre dello stesso autore ; e così trarre recisamente qual fosse il vero intendimento di chi la pronunziò o scrisse. Per que- sto il Cesarotti, quando dette fuori il suo saggio sopra la lingua italiana si credè “in diritto di pregare i lettori di non voler giu- o dicar dell’ opera da qualche proposizione incidentale, o in- »» termedia, presa in generale e isolatamente , ma di compiacersi so di paragonarla coll’ altre, che ne spiegano , o ne restringono 3 il senso, e di seguir la progressione delle idee e la connession »» del ragionamento innanzi di arrestarsi al minuto esame delle » parti. ,) Ora, se gli avversari del Cesari avessero osservato, come dovevano, queste regole di sana critica e giudiciosa , non avreb- bero senza dubbio menato tanto rumore, nè tanto schiamaz- zatogli contro. Non avrebbero recato in mezzo, qua e là, i luoghi più aspri ed avvilippati di Pier delle Vigne, di Ser Brunetto ; di Buonaggiunta , di Fra Guittone, e degli altri di quella schiera ;, quasi il Cesari avesse sostenuto in prova; aver costoro scritto con chiarezza; leggiadria e vaga giacitura ; quasi avesse inculcato a’ giovani, e persuasoli. alla imitazione delle viete lor forme e maniere. No signore. Il Cesari parlò sempre degli scrittori del 300. che quanto a quelli del 200, che sono i ricordati, già siam d’ accordo ; esser eglino presso che tutti rozzi, aspri, e pieni d’ intralciati , oscuri , e disarmonici andamenti ; ve) come quelli, che per sentenza dello stesso Cesari, scrissero roz- zamente , come con lingua tuttavia balbettante (Diss. fac. 9g). Ma che dirò io di chi stampò testè , sostenere il Cesari in essa Dis- sertazione, che la lingua italiana cessò col finir del 300? Per verità chi disse questo dee aver letto molto male. Lungi anzi il Cesari dal sostener ciò, dice alla pagina 65.‘ Ma io voglio qui >, aver avvertito coloro . che leggeranno , che quantunque io ab- 3» bia detto, e dica che la bella lingua si dee per noi prendere, 3» la prima cosa, dal 300, e da coloro eziandio, che nel 500 con » tanta lode la ci conservarono, non dirò già per questo , che 3; troppo più al bello scrivere non ci bisogni. e questo è il giu- »» dizio ; senza di cui tutto il resto niente o pochissimo ci gio- , verebbe. Io vo’ dire quel fino acccorgimento , che ne insegni s) sciegliere dalla massa delle parole le migliori, le proprie, le più s, acconce al luogo , ed alla materia, e dar loro quel cotale atto, ») e fattezze, quel giro e quel legamento , che loro stia bene. 3» Infinite avvertenze bisogna averci, per formar l'eleganza ; co- 33 me infinite e minutissime sono appunto le cose, dal cui ar- 33 monico e convenevole accozzamento risulta . ma questo non >> può insegnarsi. ,) Qui il Cesari parla molto chiaro , e non la- scia certo alcun dubbio dell’intenzion sua . Se non che seguita a pag. 66. « Egli è però una goffa calunnia il dire, che i Puristi », insegnano a prendere dal 300 i riboboli , le anticaglie , le pe- 3» dantesche maniere. niuno il fece, nè lo farà , che abbia sen- > n0. 3) Ho voluto trascrivere anche queste ultime parole a mo- strar vie meglio quanto falsamente si vada ogni dì dicendo , che il Cesari consiglia i giovani a imitar ciecamente ogni cosa de’tre- centisti. Falsità già dimostrata altra volta da quel medesimo , che ora la rimise in campo. Nel resto, credo che le suddette pa- role dichiarino aperto , se il Cesari mantiene o no; la lingua italiana aver cessato col finir del 300. Ma quel signore avrà forse avuto l’° occhio alla faccia 67 di detta dissertazione , dove si dice. « Ben credo io ( parla degli scrit- « tori che furono all’ età del Boccaccio ) che studiando que’ gran « maestri, e ben addimesticandosi a quel linguaggio ; gli uomini « rimarrebbon chiariti, che quella purità, e candor nativo di « lingua morì con quel secolo d’ oro , che lo produsse. » Ora se ciò è (e non può essere che così ), io non dubito punto d° af- fermar francamente ; quel signore aver gran torto. In fatti , altro è il dire; morì la lingua; altro; la purità , il nitore e candor natio della lingua. Chi dicesse, a cagion d’esempio: col secol d’ Augusto venne meno la lingua latina, direbbe assai male , es- "o seuilo essa sorvissuta non poco. ma direbbe vero , ed assai bene, chi affermasse , esser di essa, con quel secolo beato , morta la purezza , il candore, e quella original leggiadria; che tanto am- miriamo in Terenzio, in Catullo, in Cornelio, in Cesare, in Cice- rone, in Virgilio ec., candore, purità; natia bellezza , che ricer- chiamo indarno in Tacito, in Valerio Flacco , in Lucano, in Se- neca , e in quanti altri fiorirono dopo quel secolo dell’ oro. Non vi è cosa al mondo più chiara di questa. Ora , e chi non sa, 0 può negare ; che nel secolo XIV vi furono alcuni scrittori, che diedero al volgar nostro tal vezzo di grazie natie , tanta pro- prietà , e siffatto original colore di vivi ed efficaci parlari, che al tutto nessuno ha poi potuto superare, non che uguagliare ?. « Già l'oro puro del trecento, dice il Giordani in una lettera al Cesari, dove si trova fuori di quel beato secolo ?_ Parliamoci libero.: lo stesso cinquecento ( fuori del Gelli; e qualche cosa del Firen- zuola ) non ha anch’ esso della lega? non è discosto da quella vena purissima? non s’intorbida spesso ? Il lusso delle figure e delle sentenze, non fu un contagio del seicento? » Se non che il ricordato critico , cacciatosi in testa; che il Cesari fac- cia la lingua italiana, come dice poco dopo, affatto morta col morir del trecento, ne compiange poi esso Cesari, per- chè si dette, secondo lui, @ servir meschinamente un partito : ed afferma poscia (contro l’ universale opinione ) che per ristorar la lingua nostra non era bisogno di rimettere in corso le parole di quel secolo: e si Jagna altresì dell’ aver detto il Cesari, in più luoghi, e nella stessa dissertazione ; esser nella lingna del 300 tanta grazia, e copia di soavi ed efficaci maniere , tanta abbon- danza di voci e modi variamente espressivi , che al tutto chi si ponesse a leggere attentamente quegli scrittori , non gli parrebbe poi essere idea (il dirò colle stesse parole del Cesari )>} nè con- cetto a cui esprimere non trovasse ivi i modi appropriati e cal- zanti. Or sappia questo egregio signore, e quanti tengano con lui, esser questa dottrina tanto vera, che non pure il Ge- sari, la mantiene, ma eziandio molti altri dottissimi uomini, e di quella lingua assai pratici, fra’ quali citerò il solo Giordani, il quale dee valer per mille. Egli adunque dopo aver mostrato ( Ant. n.° 70 pag. 30), come i giovani debbono prender la vera lingua ; cioè la facoltà di significar nettamente le cose dal’ se- colo XIV, dice. « Allora sarà, cessato il vano disputar nostro : sarà sentenza comunemente ricevuta , che la lingua si fece in quel secolo a ‘tutti gli altri secoli italiani buona e bastante. » 0! non dic’egli , o pare a me, la stessa stessissima cosa del Cesari, 81 con diverse parole. In somma è da leggere esso Giordani, che dopo alle allegate parole mostra ad evidenza; il 300 essere ve- ramente il secolo della bella e pura lingua italiana, ed essere stoltezza il voler mutare o abbandonar le frasi, che ebbero vita in quel tempo: tuttavia concedendo, che le vere novità deb- bono accrescere la separata favella degli scienziati e degli arte- fici: e questo è altresì il parere del Cesari, come rilevasi dal- la sua dissertazione , e forse meglio dalla lettera all’ Amal- teo. E perchè qualcuno non debba, su questa mia asserzione, metter dubbio, ecco le sue parole. « Qui tuttavia debbo notare (così scrive dopo d’ aver detto che tutto può dirsi colla lingua del 300), che io intendo parlare delle locuzioni, o frasi ( come si dicono ) , le quali sono come le natie forme della nostra lin- gua, dalle quali però non si può uscire , che al tempo medesimo non si parli un’altra lingua. Ma quanto a’vocaboli e nomi , credo io bene assaissimi potersene aggiugnere. le cose nuove son da dirsi con nuove voci ; e se i trecentisti non le hanno , pigliansi da’ mo- derni. In fatto di vocaboli delle arti, e scienze abbiamo il di- fetto grande; ed io ringrazierei Dio, se per sentenza di tribunal legittimo fossero elette e proposte agl’Italiani le infinite voci che mancano. ) Parmi che anche qui il Cesari, o m’inganno io, parli non punto chiuso; ed è quel medesimo che più volte disse a me. Non è da guardarla tanto nelle voci, mi scriveva il 18 gennaio 1829, quanto ne’ modi di dire e nelle locuzioni, nelle quali di- mora il sangue e la carne della lingua. Ed in altra sua del 18 luglio 1824: Rebus novis nova nomina sunt ponenda, mi diceva con Cicerone. Ed al mio abate Galassi di Cesena che fu, scriveva a’ 18 di gennaio 1823. Le voci che ella mi nota userei tutte, perchè vengono tutte dal buono , ed alcune son già nella Crusca. Preeletto c’ è perchè no prescelto ? Irrepugnabile e’ è, perchè no l’ avverbio? Attuale è registrato. socievole; v'è società , e sozio , e soziale. In questo punto io andrò leggermente d’accordo. il car- dine sta nelle locuzioni, e nelle frasi natie sopra tutto. Egli è dunque cosa falsissima , ciò che fu scritto di lui testè : cioè lui sostenere che #ufto deve dirsi colla lingua sola del beato trecento. Noti bene chi legge , che altro è il dire recisamente : quanto & me , dal molto legger che feci e lungo, quegli scrittori, parmi aver potuto ritrarre sicuramente così ricca esser questa lingua , che basta a poter dire elegantemente tutte le cose (Graz. 150 ), altro ; tutto doversi dir con essa: colle quali parole si fece gen- tilmente dire al Cesari quello, che non volle, nè disse mai. E che il Cesari non abbia mai ristretta la lingua a quella sola età, ol- T. XXXIV. Giugno. II 82 tre alle riferite ragioni , il prova altresì incontrastabilmente l’aver lui spogliati molti scrittori del 500, ed alcuni eziaudio , come il Menzini, del 600, e portatone i loro esempi nella ristampa che fece del Vocabolario : il provano le infinite voci da esso messe in uso, e che i trecentisti non conobbero mai: da ultimo ne rendono veridico testimonio e potentissimo, le varie voci nuove, di cui fece uso egli medesimo. Ne vo’recare alcune: frugale, amanuense, indis- solubilità, carattere (per indole), insociabile, squarcio (per brano), esultanza , bonaggine, benveduto , eliminare, irreligione , illegit- timo , morigerato , sopraccrescere, partito ( per parte , fazione), moltissimo, avverbio. Affettato (per affettazione) eccettera. Ma al- cune gli fuggirono senza avvedersene, come mi disse egli mede- simo , ed è vero pur troppo; che non può tutto la virtù che vuole. Son falli che humana parum cavit natura , aut incuria fudit ; de’ quali ogni uomo ha naturalmente diritto , che gli sieno perdonati. Molte altre voci però e false maniere , che si veggono usate spesso dai moderni poco accurati scrittori, egli le fuggì sem- pre, e giudicò doverle fuggire chiunque ami di puramente scrivere italiano. A pagine 37 di questa dissertazione ce ne.dà-un lungo catalogo , ed a me avea promesso ultimamente in Faenza, di rac- coglierne un volume colla vera corrispondenza italiana. il che sa- rebbe stata opera utilissima alla gioventù studiosa , che spesso si trova impacciata a mettere in buono italiano, que’ tanti modi falsi, che oggidì hanno preso piede nelle nostre scritture. E questa non è opera da tutti: e lo stesso Cesari, che era certo il Varrone de’ tempi nostri , diceva ; che avendo i moderni travisata e adul- terata la propria lingua, avea duro partito, e assai malagevole, chiunque volesse trovare i veri modi natii, che rispondessero per l'appunto a que’lor ghiribizzi , o arzigogoli. Nelle sue lettere a me, nota parecchie voci o locuzioni, non registrate nella detta dissertazione. Mi sia conceduto di metterne qui alcune , secondo che mi verranno alla penna. D'altronde , per d’altra parte; Af- fare rombinabile. Onde, per acciocchè , massime coll’ infinito. Ir proposito , per a proposito. Cosicché , o cosichè , per sicchè , o si che. Meno che, o a meno che, per salvo se, eccetto se, se già non. \Prestatsi a una cosa, per prestar favore. Sottoporre alla combinazione. Seco lui, seco lei, seco loro ec. Compartire , per donare, concedere. Sì seguito da un che; come sì l’ uno, che l’ altro, Indossarsi , per addossarsi, vestirsi. Esser d’ avviso , per avvisami , essere avviso. Dissertare , per far dissertazioni. Piano dell’ orazione , per ordine, struttura. Rivoltoso, per ribelle. Man- care a\vivi, per morire. Epoca, per tempo ec. Alcuni per av- 83 ventura si faranno beffe di queste minute osservazioni ; e que’so- pra tutto, che ignorando la propria lingua, nè volendola impa- rare dai maestri, alla osservanza del corretto sermone, come diceva il Vannetti, hanno posto nome pedanteria , e stitichezza alla sanità del temperato stile. Ma che ? Cicerone m>desimo ; il gran padre della Romana elequenza , non teneva forse e som- mamente alla proprietà, e purezza della lingua ? E chi non sa, lui aver corretto 1’ uso improprio , che dell’ avverbio fideliter avea fatto il suo Tirone? Chi non sa, lui aver mandato lettere ad At- tico , e a Varrone perchè correggessero , nel libro secondo delle Questioni Accademiche , quel luogo dove aveva usato impropria= mente inibere remos , per remos suspendere , come gli venne poi imparato da un barcaiuolo. e d’aver altresì confessato ad Attico medesimo , d’ aver errato, scrivendo: în Piracea, per in Piraceum; il quale esempio di tanto uomo dovrebbe far vergognare que’tanti presuntuosi, che ridendosi della proprietà delle voci e de’ modi, mettono ,poiin canzone chi studia la lingua al possibile. Lo stesso Cicerone , nella terza Filippica, morde e vitupera sentitamente Marcantonio , perchè avea usato, con improprietà, la voce di gnus ; ed anche per aver preso contumeliam facere in senso di contumelia affici: e nella decimoterza, d'aver dato a Lepido del piissimus , che non era mai stata voce latina. Da ciò si vede chiaro , che Marco Tullio, in fatto di lingua e di eleganza, la guardava assai nel sottile: di che, a far le ragioni giuste; niuno dovrà darsi maraviglia , nè far lo schiamazzo grande , se il Cesari rifiutò sempre quelle voci, che sopra accennai, e molte altre, e se a me scriveva nel maggio del 1828. « Ogni dì leggete del 300 rugumando bene e notando, exempligrazia moltissimo , per av- verbio non fu mai usato: sì assaissim0 ; come il latino , che avendo multum, non ha però multissimum , ma plurimum. Voi avvisate me de’miei sbagli : i0 voi de’vostri. sebbene il nerbo della lingua non dimora tanto nelle voci, quanto e più nelle frasi e locuzioni, e modi di dire. » AI Cesari fu dato biasimo altresì e mala voce per aver detto alla pag. 14 che non tanto le cose quanto la lingua è che dona agli scrittori la vita e l’ immortalità: e che indarno (face. 32) il signor Muratori induce un comune parlare Italiano, usato dai letterati ne’ loro scritti. Quanto alla prima parte, rispondo ; che quel cotale , che volle testè ricantarci quanto era stato inutil- mente notato un 18 anni fa, doveva egli prima (il che era im- possibile, secondo me) sventare la risposta , che ne diede trion- falmente esso Cesari nel suo dialogo intitolato le Grazie. In se- A 84 condo luogo , stava a lui il dimostrarei perchè le odi di Orazio, le favolette di Fedro , le poesie di Catullo, il galateo del Casa, i sonetti del Petrarca, le stanze del Poliziano, e mille altri libri, sieno immortali ed abbiano tanto grido quanto i maggiori filosofi, e forse più , per tutt’ altro, che per la natia proprietà delle voci, e de’ modi ; per la original bellezza e grazia della lingua; per quella urbanità ed eleganza, la quale, come dice il prof. Costa ( Eloc. 54), seguendo Cicerone, e per conseguente il Cesari me- desimo , în che precisamente sia riposta si è difficile dichiarare , e perciò assai meglio che con parole si può mostrare cogli esempi; de’ quali ne dà poscia alcuni trovati da se medesimo , e moltis- simi trascrivendo in nota le facce 35 36 37 38 e 39 di questa dissertazione. Ma quel signore non sa persuadersi, che lo scri- vere con sincerità, purezza ed eleganza abbia tanta possa da im- mortalare, e render vie più care le scritture. Or bene , gliel dica per me l’ ab. Colombo, da esso allegato , ed al quale (spero ) non saprà contraddire sì leggermente. « Sono gli uomini così fatti, dice questo dotto scrittore, che poco del pregio interno delle cose par che si curino, dove queste non s’ appresentino con una certa appariscenza e decoro : ed io non dubito punto che gli scritti di molti grandi uomini giaccionsi nella polvere seppelliti per questo solo, che mancano ad essi gli allettamenti di uno stile forbito ed elegante. Chi dirà che Valerio Flacco non sia pieno di elevati pensieri, di peregrine immagini, di robusti concetti, di nobili sentimenti egualmente e forse più che Virgilio ? E donde nasce adunque che questo sia salito e mantengasi anche oggidì in tanto grido , e che dell’ altro si faccia appena menzione ? donde nasce che non sia colta persona, la quale da capo a fondo non abbia letto e riletto il gentil Cantore di Enea ; e che pochissimi sieno coloro i quali, non dirò già che abbiano letto, ma che conoscono alquanto il poco venusto Cantore degli Argonauti? Tanto potere hanno sopra di noi gl’ incanti edi vezzi di un terso e leggiadro stile ». Fin qui il Colombo, al quale s’ accosta il Perticari, di- cendo: € i libri male scritti poco si sogliono venerare dai presenti, e per nulla si speri che i posteri li veggano. » E prima del Per- ticari avea detto il card. Pallavicino ( Tratt. stil. pag. 29) “ La gentilezza dello scrivere , la proprietà, 1’ eleganza e?l nitore della lingua è una calamita che tira gli occhi alle.carte, un cedro che rende i libri immortali ; e senza di cui malagevolmente sapremmo annoverare uno scrittore che abbia potuto difendersi dalle tignuole del tempo. » Così la sente il Pallavicino; ed è falso falsissimo quello che gli fa dire il ricordato Aristarco, citandolo contro del 85 Cesari ; cioè, Che 7 eleganza non è altro che un minio dato alle cose per renderle dilettose agli ascoltanti : ovvero un lustro dif- fuso sopra le cose per mezzo delle parole e delle metafore. Queste parole son desunte, parte dal Cap. III del Trattato medesimo, dove il Pallavicino parla dell’ ornamento, che riceve l’ eloquenza ; e parte dal Cap. IV, dove tratta dello splendore dell’ elocuzione ; nè l'eleganza vi è punto ricordata. Io prego i miei lettori a far- sene far fede a’ propri occhi ; che in-vero sì poca lealità non par credibile. E Dio volesse , che questa fossè stata la sola volta, che il €Censore falsò le cose per mettere in beffe e deridere il Cesari! troppe altre ne notai io, leggendolo, ed avrò forse altra opportunità da trarle in luce. Ma tornando ora all’ eleganza; o non sappiam noi dalle storie, che le opere di Epicuro, e di molti altri, non ebbero che pochi lettori, e pochissimo, o niun plauso per questo appunto che mancavano di forbito stile, e di maestria di parlar urbano ? Per tutte le quali cose, resta provatissimo , o pare a me , il detto del Cesari , il quale alla fin de’ fatti non importava altro, se non che lo scrivere elegantemente merita maggior lode, e va in più fama tra gli uomini, che non lo scrivere cose dotte e sublimi di scienza e dottrina ; essendo l’eleganza dello scrivere, come ben veggiamo tuttodì , cosa assai più rara della dottrina medesima. Quanto all’ altra parte, della non comune lingua ita- liana ; non posso non confessare, E parlo per ver dire Non per odio d° altrui, nè per disprezzo , che il Cesari, dopo letta l’opera del Perticari, come ebbi da lui, e ritraggo da alcune sue lettere, si era ricreduto non poco; del che ne dà prova altresì nell’ An- tidoto pubblicato non è molto in Forlì per opera mia, dove dice a pag. 26 che il Perticari vendicò alla nostra lingua la ragione ed il nome d’ Italica, ma riconosce sempre (dico il Cesari) nella Toscana (e chi potrebbe giustamente negarlo ? ) il fior dell’Italia, quanto alla lingua ; come della Greca era V Attica. Laonde mi do gran meraviglia , che chi non poteva ignorare di questa sua mutazione ; e certo non la potea ignorare il suddetto censore; abbia poi osato di far tanto scalpore , e proverbiarlo, scaglian- dogli contro mille vituperi e derisioni, come se il Cesari fosse stato uomo irremovibilmente fermo nella sua opinione, e amante più di se stesso che di quanto ha faccia di vero. la qual cosa prova bene , che quando l’ uomo parla sopr’ animo e con passione, avvien raramente , che e’ non parli il falso od a sproposito. Ma usciamo oggimai della dissertazione , e diciamo alcun che del suo dialogo intitolato le Grazie pubblicato 1’ anno 1813. : In questo e’ si continua alla materia proposta. nella detta 86 dissertazione , ricercando ed esaminando diligentemente quelle sincere virtù, speciosità , e grazie di lingua, che allora potè ap- pena toccar di passaggio : sicchè ne fa tornare nel suo genere , un perfetto e arcicompiuto lavoro ; il quale testimonia prestan- temente la somma pratica dell’ autor suo nella lingua nostra, e la molta pazienza, ch’ei deve aver avuto nel raccogliere e ordi= nare una materia per se medesima noiosissima. Il dialogo è diviso in tre parti. Nella prima si fa tosto a ricercare sottilmente , che cosa sia eleganza, e dopo lungo ragionare conclude con Cicerone, essa riuscire ad un /on so che sentito da tutte le anime ben fatte e gentili; ma non potuto giammai da alcuno definirsi. Pa- ragona la bellezza delle parole a quella di un volto, nel quale richiedonsi parti ciascheduna verso di sè bella ; e crede che que- sta bellezza sia intrinseca alle parole medesime, e non accattata dall’ uso. E siccome essa bellezza si può ben vedere , non già provare a chi è cieco ; così la eleganza non si può dimostrare a chi non ha un certo natural senso o lume del bello. E per ele- ganza e bellezza di favella egli intende singolarmente un certo spirito o anima o brio , che ricevono le parole da alcuni congiun- gimenti o accozzamenti, onde pigliano un cotale loro lustro e splendore. quello appunto che secondo lui, ed i pià valenti co- noscitori e maestri di quest’ arte, non può definirsi, e che noi ammiriamo soprattutto nelle scritture de’ trecentisti, dai quali (torna egli a ripetere) bisogna far ritratto chi vuole scrivere alla immortalità. Fattosi il ponte di questa guisa , passa a recare in mostra, e (a chiunque abbia sortito quella cotale squisitezza di natural senso o giudizio, che dicemmo bisognare ) a far sentire, conoscere e gustare la eleganza, grazia, e vaghezza de’ nomi, e de’ verbi sì propri, come figurati: quindi l° uso gentile , appro— priato e calzante delle particelle , le quali, che che altri dica, sono una grandissima parte della bellezza e leggiadria d’ ogni parlare: e da ultimo mette in palese ed accampa; con fino accorgimento e diligenza, molti begli usi e leggiadri, e vaghi costrutti di no- stra lingua; i quali collocati nel discorso a tempo, come sono ne’ classici, danno alle scritture uno splendor soave , ed una in- dicibile singolar venustà. E tutto questo e’fa nella prima e se- conda parte del dialogo. Nella terza ed ultima parte, dopo rac- colti , schiarati , e tritamente illustrati alcuni de’ più bei luoghi della divina commedia ; si pone a confutare efficacemente le an- notazioni , che furono fatte contro alla prefata dissertazione , colle quali volevasi rovesciare dai fondamenti tutto quel sno mirabile edificio. La sana dottrina, che ivi ei mette fuori, e le ragioni, 87 che viene allegando, sono di tal peso , così sincere, sottili, cal- zanti, e tanto chiare e manifeste, che altri non potrebbe darsi per non vinto , e sentir la forza della verità palpabilmente di- mostrata, se già non volesse contrastare e repugnare al natural lume. Senza che quel Sere annotatore , non era certo uomo da parlar di lingua , nè di eleganza a quel che si pare dalle sue ma- niere di dire, tutte francesi, e che d’italiano non hanno forse altro, che la desinenza. Giu. Manuzzi. ( Sarà continuato ) Discours sur les révolutions de la surface du Globe, et sur les changemens qu’elles ont produits dans le règne ani- mal. Par le Baron G. Cuvizr. Paris 1828. Allorquando ci occorre fortuna di favellare di opere interessanti, che dischiudono ignote o neglette verità ,. e non lasciano che poca o punta occasione alle censure della eritica , crediamo che i lettori dell’Antologia preferibilmen- te gradiscano che per noi si adempia all’ ufficio di espo- sitori; e che per non menomare le bellezze degli autori, e servire in un alla precisione delle loro idee, ci sia con- cesso prevalersi talvolta delle stesse loro frasi, anzichè mossi da amore di originalità altre proprie sostituirne me- no adatte all’ argomento. Noi seguiremo questi principii nella compilazione del presente estratto, considerandoli come refugio alla pochez- za nostra, e per corrispondere al fine che ci proponghiamo con quella utilità generale, che può sperarsi in simil sorta di lasori. In altra opera sulle ossa fossili si propose il Cuvier la specificazione degli animali ai quali appartengono gli os- sei avanzi che si trovano più o meno intimamente compresì negli strati esterni dei Globo. Antiquario di nuova specie, mentre restaura questi monumenti di passate vicende , ne decifra pur anco il sen- so. Dai frammenti superstiti egli con arte mirabile, e fon- 88 dandosi sulla più rigorosa induzione compone 1’ intero scheletro, — da questo desume i caratteri e le abitudini del- l’animale — e spesse volte queste indagini svelano V’esisten- za di razze che più non esistono. L’indole di queste ‘ri- cerche porse all’ illustre autore l’opportunità di chiari- re ancora l’istoria fisica del Globo , cui è collegata la mineralogia , la geologia, e perfino la storia istessa della specie umana. Se con tanto fervore si tenta scuoprire nell’ oscurità dei tempi le tracce quasi affatto svanite di tante passate nazioni, perchè non ricercare egualmente nei primordii del- l’esistenza del nostro globo le rivoluzioni fisiche anteriori allo stabilimento di ogni civile società? Noi ammiriamo lo sforzo dello spirito umano pervenuto a misurare i mo- vimenti delle sfere, che natura sembrava aver.sottratti alla penetrazione del nostro sguardo, — il genio e la scienza han- no oltrepassato i limiti dello spazio, — e col corredo delle osservazioni, e del ragionamento siamo giunti a conoscere il meccanismo del mondo. Non conseguirà dunque egual gloria quell'uomo che saprà penetrare i limiti del tempo, e ritrovare per mezzo di alcune osservazioni 1’ istoria del nostro globo , la successione e la natura degli avvenimenti che ha subiti? Gli astronomi hanno in vero proceduto con maggior celerità dei naturalisti; ma l’epoca in cui è stata sinora la teoria della terra rassomiglia non poco quella nella qua- le alcuni filosofi supponevano il cielo formato di solido piano , e la luna grande come il Peloponneso. — Però ad Anassagora successero Copernico e Klepero , i quali hanno aperto l’ adito al Newton ed al Laplace. Il Barone Cuvier in questo suo Discorso imprende a svolgere le intime relazioni che passano fra l’ istoria del- le. ossa fossili, e la teoria della terra, e mostra qual nuo- va importanza assuma a questo riguardo il loro studio. Sviluppa in seguito gli elementi sopra i quali s’appoggia l’arte di distinguere queste ossa, di riconoscere un genere, e di determinare una specie da un solo frammento osseo, dalla certezza della qual arte dipende interamente il fon- 89 damento delle applicazioni geologiche, ed istoriche che se ne fanno. Indica sommariamente le nuove specie e generi attualmente incogniti, e scoperti in virtù dei suddetti prin- cipii. Enumera e classifica i diversi terreni che racchiudo- no i fossili ; dimostra che la differenza tra i quadrupedi reputati estinti e quelli esistenti, non è compresa nei na- turali caratteri che distinguono le varietà ; e determina fin dove possano queste estendersi per 1’ impero delle esterne influenze. Ciò premesso chiarisce la necessità che grandi cata- strofi siano accadute per produrre le differenze notabili, e le forme che presentano gli strati del globo; esamina fino a qual punto la storia civile e religiosa dei popoli concorda coi resultati dell’osservazione concernente i suc- cessivi cambiamenti della superficie della terra , e ragiona sulle probabilità che da questi fatti possono dedursi circa l’ epoca dello stabilimento delle società umane. Mostrare ai lettori dell’ Antologia che la superficie della terra ha subìto varie rivoluzioni, reputiamo frustra- nea impresa , copia di osservazioni concorrendo a provare la realtà di tali vicende — La disposizione degli strati della terra nei monti e nei piani — la configurazione dei mari e dei continenti — i prodotti marini, i ligniti che nei più alti monti, e nelle più recondite profondità si osservano, ci additano le tracce di questi cambiamenti. Non è più il tempo in cui l'ignoranza può sostenere che questi resti di corpi organici siano semplici prodotti concepiti nel seno della terra, mediante [e di lei forze creatrici ec. Non tutte le rivoluzioni della superficie della terra so- no state Jente e progressive. Infatti cadaveri di grandi qua- drupedi ora abitatori dei tropici, e ritrovati sepolti nel ghiaccio nei paesi del Nord, si presentano colla loro pel- le, col loro pelo, e colla carne loro intatta. Se appena morti non fossero stati gelati, la putrefazione gli avrebbe decomposti ; eppure così bassa temperatura non puteva do- minare nel luogo nel quale questi animali farono dal fred- do investiti, perocchè non avrebbero potuto vivervi, L’av- T. XXXIV. Giugno. 12 90 venimento adunque che ha fatto perire quegli animali è stato istantaneo, improvviso e senza gradazioni. La vita è stata sovente turbata da terribili vicende ; numerosi viventi sono stati vittime di queste catastrofi ; gli uni abitanti della terra sono stati inghiottiti dai di- luvii, altri che popolavano i seni del mare sono stati po» sti a secco col loro letto subitamente innalzato — le loro razze sì estinsero per sempre, e non lasciarono nel mondo che alcuni avanzi appena riconoscibili dal naturalista. La materia sotto forma organizzata non sempre ha esistito nel globo. Facile all’ osservatore è riconoscere il punto in cui la vita ha cominciato a deporre i suoi pro- dotti, e vi hanno montagne le quali offrono tutti i segni di sofferti intestini cambiamenti, senza che vi si manife- sti traccia di essere organizzato. La geologia coi lumi che le porge la scienza dei fos- sili, ci fa conoscere una serie di fatti e di epoche ante- riori al tempo presente , la cui successione, può senza al- cun dubbio verificarsi e dimostrarsi, quantunque la durata dei relativi intervalli non possa con esattezza precisarsi. Le cause che presentemente in modo rapido, o lento esercitano la loro azione nel nostro pianeta , sono atte a produrre quei fenomeni che provano l’ esistenza di prece- denti rivoluzioni nel nostro globo ? L’ autore esamina il potere e l’ influenza di queste cause; e con sufficiente cor- redo di fatti, e colle più fondate induzioni dimostra che. niuno degli agenti che impiega attualmente la natura è di tanto capace. Ma come sono accaduti questi diversi cambiamenti nel globo? — Si sono per lungo tempo ammesse due canse, la creazione nel suo successivo svolgimento ; ‘ed il diluvio universale. Quando i naturalisti riuscirono a far considerare i sei giorni della creazione come altrettanti periodi inde- finiti, poterono numerare quanti secoli vollero , ed i loro sistemi acquistarono nna latitudine proporzionata agli spa- zii di cui poterono disporre. Vaga com'è la mente umana di stabilire generalità e 9I di crear teorie per facilitare l’intelligenza dei faiti, ha in- ventato le più ingegnose e talvolta le più bizzarre ipotesi per spiegare la misteriosa formazione del nostro globo. Al- cune di queste sono dall’ autore nostro esposte non per dimostrarne il fondamento o per confutarle , ma ad oggetto di palesare le cause che hanno fatto tanto divergere le opinioni dei naturalisti, e per dedurne quanto gli errori di metodo abbiano rese infruttuose le loro ricerche. Infatti tutte le condizioni del gran problema non fu- rono mai prese in considerazione, quantunque senza risol- vere una serie di questioni che si collegano specialmente col sistema dei fossili organizzati, sia impossibile appli» care i principii delle probabilità alla cosmogonia ed ai sue- cessivi mutamenti del nostro pianeta. La geologia minerale fu diretta è vero a questo genere d’ applicazioni, e seb- bene dischiudesse e chiarisse , così considerata, molti im- portanti fatti, non riuscirono bastevoli all’ uopo; chè a simili ricerche importa lo studio dei fossili, riguardati fino a questi ultimi tempi come mere curiosità anzichè come documenti istorici, e la cognizione delle leggi generali di posizione e di rapporto tra i fossili e gli strati della terra. Questa scienza è pervenuta oggi a dimostrare 1.° Che il globo non è stato sempre nel medesimo involucro rav- volto, giacchè gli animali innanzi di essere seppelliti nei suoi più interni strati hanno dovuto respirare sulla su- perficie della terra. 2.9 Che le materie che racchiudono i fossili sono precipitati di un liquido. 3.° Che le variazio- ni nelle forme dei fossili corrispondono all’ influenza del fluido depositante. Le ossa dei quadrupedi forniscono i maggiori lumi in proposito , perchè caratterizzano in modo più manife.to i cambiamenti che hanno subiti, essendo dalle esterne cir- costanze meno modificabili delle conchiglie , e perchè il numero dei quadrupedi essendo limitato , e le specie più grandi di questi conosciute, facilmente si determina se le ossa appartengono ad un animale esistente, o se song gli avanzi di una razza perduta. Il Barone Cuvier sì occupa in un lungo e classico ca- 92 : pitolo a mostrare .che resta ben poca speranza, e punta probabilità di scuoprire nuove grandi specie di quadrupedì viventi , e che è veramente favolosa la natura di quei stra- nissimi animali descritti dagli antichi, le cui forme consuo- nando alle religiose o popolari credenze, si trovano in certo rapporto coi progressi maggiori o minori delle belle arti fra le nazioni che l’ inventarono, Mediante i progressi dell’ anatomia comparata, e la correlazione delle forme degli esseri organizzati, siamo per- venuti ad acquistare una nuova scienza , frutto delle me- ditazioni del nostro autore , la quale non essendo ancor diffusa quanto basta, ha presso alcuni più l’aspetto di am- biziosa pretesa che di positiva realtà. Eppure malgrado le difficoltà che sembrano doversi incontrare per chiarire a quale specie d’animale un osso fossile appartenga, si de- termina da un solo pezzo l’individuo di cui formava parte, e se ne compone artificialmente lo scheletro, Per coloro che sono versati nelle scienze naturali è inutile imprendere la dimostrazione della certezza di questi principii; per chi non è in esse iniziato lungo discorso si richiederebbe, e per la sua tecnicità riuscirebbe non meno tedioso che inintelligibile. Però chi brama convincersi ed istruirsi consulti l’ opera della quale favelliamo, e princi- palmente mediti il Trattato delle ossa fossili del nostro ce- lebre antore, Le ricerche istituite finqui sui fossili, offrono il ri- trovameuto di novanta specie di animali quadrupedì inco- gniti ai naturalisti , oltre altri resultati di non minor im- portanza. Ma le razze attuali non potrebbero essere modificazioni di quelle antiche ed estinte ritrovate tra i fossili ? A chi crede la possibilità indefinita delle alterazioni delle forme nei corpi organizzati, facile riesce la soluzione del proble- ma; non così la pensano i dotti naturalisti per rapporto ai nuovi generi stabiliti o scoperti dal nostro autore trà i fossili, giacchè presentano caratteri che resistono a tutte le estrinseche influenze, ed essendo il sistema osseo in- variabile nella configurazione, le ossa e gli scheletri ri- 93 trovati atteso la loro forma speciale non possono essere i tipi delle razze esistenti. Lo studio dei fossili offre un fatto negativo meritevole della maggior considerazione, cioè non essersi fin quì re- perte ossa fossili umane. Questa circostanza è una prova ulteriore che dimostra le razze fossili non essere varietà, non avendo potuto risentire l'impero dell’uomo, che è l’agen- te principale delle modificazioni nelle forme degli animali. Nei primi passi delle scienze naturali le apparenze indussero in errore valenti naturalisti che pretesero di aver ritrovate ossa umane fossili; ma accuratamente indagati questi resti organizzati furono riconosciuti non appartenere alla specie umana. Ed il famoso homo diluvii testis di Scheuhzer che.tanto rumore menò nei tempi passati, esa- minato coi positi\i elementi della scienza dei fossili, si appalesò per un individuo compreso nel genere delle sa- lamandre, La composizione chimico-organica delle ossa nostre pa- ri essendo a quella dei quadrupedi, e nelle più vetuste catacombe ed altrove incontrandosi ossa di uomo sui quali lungo corso di secoli passò senza alterarli, tutto induce a credere, dice il Cuvier, che nei paesi ove si scuoprono le ossa fossili, la specie umana non esistesse nell’ epoca delle rivoluzioni che le hanno sepolte, non essendoci ragione per supporre che gli uomini sfuggissero a catastrofi così gene- rali e così subitanee, e che i loro avanzi non si ritrovi- no al presente, e non siansi impietriti come quelli degli altri animali, Colla scorta della geologia, esaminando ciò che è se- guito nella superficie del globo dopo che è stata posta a secco per l'ultima volta, e la constatata progressione dei cambiamenti che vi accadono, chiaramente si deduce che quest’ultima rivoluzione, ed in conseguenza lo stabilimento delle nostre società attuali., non può essere antichissimo. L’ autore dimostra e conferma questa opinione col sussidio dell’osservazione, ed invocando in appoggio lo studio della naturale istoria, e quello della civile. 9f Sebbene al primo aspetto, le tradizioni di alcuni po- poli, che la loro origine fanno rimontare ad un epoca lon- tana tante migliaia di anni, sembrino contradire questa gio- vinezza del mondo attuale, esaminate col sussidio dell’er- meneutica tali tradizioni si riconoscono destituite di qua- lunque istorico fondamento. L’ autore in modo non meno opportuno che vittorioso in un esteso ed importante capi- tolo, dimostra che quasi tutti i fasti meno dubbiosi delle nazioni coincidono colle epoche mosaiche, e che i monu- menti astronomici lasciatici dagli Egizi e dagli Indiani non segnano già quella remota antichità che loro pretendesi attribuire, A ciò i più valenti astronomi contemporanei, e gli antiquarii i più dotti consentouo, e mentre riferiamo la conclusione dell’autore invitiamo i lettori nostri a con- sultare nell’ originale la trattazione di simile argomento, ove ogni cosa è illustrata colla più sana critica e colle più distinte peregrine osservazioni. Relativamente all’ultima rivoluzione subìta dal globo pensa l’autore con Deluc e Dolomieu 1.° Che la superfi. cie del medesimo sia stata vittima di una improvvisa ed istantanea catastrofe, la cui data non può risalire al di là di cinque o sei mila anni. 2.° Che questa rivoluzione ab- bia subissato e fatto sparire i paesi che abitavano preceden- temente gli uomini e le specie di animali oggi più cono- sciute. 3.° Che al contrario abbia posto a secco il fondo del mare che in allora esisteva, formando le regioni oggi abitate. 4.° ‘E «he dopo questa rivoluzione gli individui che ne camparono si siano sparsi e propagati sui terreni posti nuovamente allo scoperto, ed in conseguenza che do- po quest'epoca soltanto le nostre società abbiano ripreso un andamento progressivo, formato stabilimenti, eretto mo- numenti, raccolto fatti naturali, e combinati sistemi scien- tifici, L'esame degli strati minerali e degli oggetti che vi si racchiudono bastarittemente manifesta che nei paesi posti a secco , ed attualmente abitati, vi vissero precedentemente se non uomini, almeno animali terrestri, e che più di una 95 rivoluzione hanno sofferta pria di essere ricoperti dalle acque, potendo quasi determinarsi il numero delle subìte irruzioni, Così regioni abitate furono sommerse, e per nuo- vo accidente liberate dalle acque divennero abitacolo è soggiorno di differenti razze di animali. La geologia e la scienza dei fossili riconosce ed enu- mera sovrapposte l’une alle altre serie di zuofiti e di mol. luschi marini incogniti, poi rettili, e pesci di acqua dolce, ed in ultimo ossa d’animali terrestri. Questa graduata stra- tificazione di sostanze terree e di fossili si succede e si avvicenda in un modo sorprendente. Cuvier e Brongniart si sono occupati di ricerche a ciò relative pei terreni dei dintorni di Parigi, e ne hanno pubblicato una classica de- scrizione. Analoghe osservazioni sono state intraprese in altre contrade da Buckland, Webster, Constant-Prevost, e dal sommo Humboldt. Nel discorso di cui ci occupiamo, espone il nostro au- tore la successione dei terreni non meno che la loro di- versa condizione, ed il rapporto dei medesimi cogli avanzi delle sostanze organizzate, conchiglie, vegetabili, ligniti, ed ossa fossili. La natura costante nelle sue leggi, uniforme nel suo andamento ci svela fatti mirabili e portentosi — la qua- lità del terreno in correlazione cogli esseri organizzati e colle loro forme — l'ascendenza progressiva nelle dimen- sioni degli animali —, ed i rapporti numerici che i carni- vori ed i ruminanti ebbero tra loro nelle diverse epoche della storia del nostro globo. Adolfo Brongniart, estendendo le osservazioni del no- stro autore, ed applicando i di Ini principii nella disami- na dei vegetabili fossili, lesse nell’accademia di Parigi nel- l’otto decembre 1828 una memoria sulla natura della vege- tazione che ricopriva la superficie del globo nelle diverse epoche della formazione dei suoi esteriori involucri. Dal- l’esistenza dei differenti vegetabili fossili, dedusse tre pe- riodi di formazione e dimostrò che nei primi depositi si ri- trovano i vegetabili più semplici, e che essi sono in rap- 96 porto coi resti degli animali impietriti. Le forme colossali dei vegetabili predetti, ed altri fatti naturali coufermano il Brongniart nell’ opinione che la temperatura del globo in Europa era maggiore e più uniforme di quello che è attualmente. 1.° Periodo — Vegetabili semplici. Temperatura ele- vata. 2.° Detto — Vegetabili più complicati, ed analoghi a quei che ora crescono nelle regioni equatoriali — decre- sciuta temperatura. 3.° Detto — Vegetabili monocotiledoni, e dicotiledoni — moltiplicate famiglie, — minore temperatura. Fra l'immenso numero di mammiferi ritrovati in la- titudini diverse da quelle nelle quali abitano presente- mente, o che appartengono a specie estinte, non fu ricono- sciuto alcun’osso, alcun dente di quadrumano, nè d’in- dividui della umana famiglia. Questa circostanza suggerisce al Cuvier importanti ri. flessioni, a schiarimento delle quali propone alcuni quesi- ti, che però omette dal risolvere, poichè lo stato delle no- stre attuali cugnizioni non lo concede (1). Noi così terminiamo questo estratto dell’opera senza fare che un cenno dell’Appendice aggiuntavi, nella quale coi lumi della storia naturale e dell’ antiquaria , ricerca e determina il Cuvier a quale specie di animale apparte- nesse l’Ibis (2) uccello sì venerato dagli Egiziani , giacchè consideriamo questo soggetto, più come curioso che come interessante, La copia dei fatti, la forza della dialettica, la preci- sione e l’ eleganza dello stile, la novità delle applicazio- ni sono pregi tali che collocano questo discorso sulle ri: (1) Nella seduta del 9 febbraio 1829, il sig. Cordier comunicò all’accademia delle scienze di Parigi che negli scavi fatti in una caverna, di Bira Tour- nal figlio di Narbona asserì aver trovato ossa fossili umane frammiste ad ossa di animali di specie estinte; ma questa pretesa scoperta fu successivamente smen- tita dietro il più accurato esame dei pezzi. (2) Numenius ibis. 97 voluzioni della superficie del globo tra le più fumose pro- duzioni dell’ età nostra (3). Dor. E. B. (3) Inserendo nell’Antologia un articolo intorno al Discorso sulle Rivolu- zioni del Globo del sig. Cuvier, non possiamo passare in silenzio come quest’ope- ra commendabilissima è stata voltata in Italiano dal sig. Asare PARADISI, e tro- . vasi vendibile alla Tipografia Ciardetti. Nè è da tacere che il traduttore, sti- mando alcune proposizioni del Cuvier esser contrarie ai documenti della Bibbia credette dell’ ufficio suo farne un’ urbana sì , ma ampia confutazione . Nella quale opera del traduttore è sembrato ad alcuni che se si fosse adoperata un interpretazione 0 più benigna rispetto al discorso del Cuvier, o più sottile ri- spetto al testo cui credevasi contrario , molte contraddizioni sarebbero sparite, e sarebbe venuta meno la materia al confutatore. Ma il sig. Paradisi ha creduto meglio andar per la piana comecchè non mancassero illustri esempi in contra= rio; quanto a noi nè lo lodiamo nè lo biasimiamo in questo, bastandoci il dar contezza della traduzione , e delle spirito che animò il traduttore. (Nota dell’Editore). Sul prodigioso fanciullo Vince. Zuccaro, discorso al decurionuto di Palermo , dell’ Avv. Fir. Foperà. Palermo Tip. Giordano 1829. Sopra il famoso fanciullo Vinc. Zuccaro, Epistola di FeRDIN. Marvica. Palermo Tip. Dato 1829. I cenni già dati su questo maraviglioso fanciullo (1) avranno eccitata la curiosità de’lettori, la quale noi possiamo ora soddisfare con più abbondanti notizie. Nacque Vincenzo Zuccaro nell’ aprile del 1822 in Cefalù, piccola città, quarantotto miglia distante da Palermo, da Benedet- to Zuccaro professore di flauto, e da Lucia de Luca d’Ischia. Va- gava il povero padre, per guadagnarsi il pane, di comune in comu- ne; e lo seguitava il fanciullo, portando i musicali strumenti, già destinato alla medesima professione; chè ad allevarlo pure ne’primi rndimenti delle lettere il padre non avea mezzi. Vincenzo in quelle gite , era sempre pensoso e taciturno ; e laddove il padre si fermava a sonare o a dar lezioni di musica, egli se ne stava rannicchiato in un angolo della stanza. Nell’anno scorso accadde (1) Vedi Ant. N.° 100. T. XXXIV. Giugno. 13 98 che Benedetto , dovette starsene sei mesi e mezzo lontano da casa, invitato da alcuni giovani a dirigere una banda musicale : egli torna a rivedere i suoi figli, e trova il piccolo Vincenzo dima- grato di molto: ne chiede alla madre, e si sente rispondere che da alcuni mesi il fanciullo stava quasi sempre desto, meditabondo, e calcolava sempre tra sè, borbottando : cento, dodici cento, ventitre cento. Egli aveva già appreso a contare sino al centinaio giocando alle nocciole con le sue sorelluccie — Sorrise il padre, e dimandò, così beffando, al fanciullo: che cosa devi tu contare ? che sai tu di conti? — Ah sì, replicò quegli, io faceva il conto tra me, di quanti tarì guadagnaste voi 1’ anno scorso, e di quanti danari ci avete mandati in questi mesi, e quanti ne spendevamo nvi tutti i giorni, e a quanti sommavano per mese e per anno: contava poi quante stelle fossero in cielo, e quante finestre fos- sero in Cefalù. Il padre lo credeva impazzato : e così per prova gli dimandò : 47 e 38 quanto fanno? — 85 — E chi t'ha in- segnato a sommare? — Nessuno — E dimmi: 5 via 9g, quanto fa? — Che vuol dir codesto? — Cinque volte nove ? — 45 — E chi t° ha insegnato la tavola pitagorica? == Il fanciullo non sapea che si fosse codesta tavola, e la madre affermava che in casa non era entrato nessuno. Soggiunse il padre altre domande più difficili: 47 via 36, quanto fa? — Sedici cento e novantadue. — Che cos’ è , gli osservò il padre, questo sedici cento? Ogni dieci cento, fa mille. — Dunque, riprese tosto il fanciullo, ogni venti cento fa due mila; e così mano mano. Dunque 47 via 36, fa 1692. Sbigottito il padre piglia in mano la penna, e trova il conto esatrissimo : aggiunge domande più difficili ancora , e sem- pre risposta pronta e sicura: chiama due amici a testimoni del fatto, e questi gli propongono il seguente quesito : noi -tre vo- gliamo far un pranzo ; tuo padre ha comprato quattro rotoli di maccheroni, e ha speso tre tarì e quindici grani, ha comprato tre quartucci di vino e un rotolo di fegato, e ha speso 21 grani per quello e per questo; io ho comprato 25 grani di cacio , 48 di carne, 7 di frutte; quest’ altro ha speso un tarì, e 17 grani di pesci, 45 di pane, e di verdura : quanto dunque ha speso tuo padre . quanto quest’ altro, quant’io, quanto tutti insieme? — Volete che ve lo dica in grani o in tarà? — In tarì — Ogni tarì è 20 grani: dunque , rispose senza interruzione nessuna, mio padre ha speso tarì 6 e un grano, voi 4 tarì, l’altro 4, e 4 grani ; in tutto tarì 14, grani 5. Meravigliati costoro, molti- plicaron le prove; e sempre la stessa franchezza. Consigliarono il padre di condurlo a Termini; dove diede una pubblica accademia; a 99 e tanta maraviglia destò che i Termitani vollero se ne facesse il ritratto, e lo decorarono della medaglia del loro liceo. Trovavasi presente allo sperimento il march. Schisò palermitano , che con rara generosità prese a proteggere il fanciullo, e lo condusse a Palermo col padre. Intanto il decurionato di Termini, radunato il dì 6 di dicembre , lo raccomandò all’ Intendente Del Valle , acciocchè gli impetrasse la protezione del luogotenente generale del re. In Palermo fu data un’ altra accademia , alla quale presente era con altri matematici illustri, il degno allievo di Piazzi , sig. Niccolò Cacciatore. « Come io (son parole del ch. sig. Foderà € p. 17) come io sulle mie braccia lo introdussi, e nell’ elevato « luogo che destinato gli si era, lo posai ; rigoroso si fece dap- € prima il silenzio; ed i più discosti, fattosi delle sedie sgabello, « si elevarono per contemplarne le fattezze. Il vedere un fanciul- « lino di sei anni e mesi, di ben fatta taglia, di aspetto avve- « nente, sulle cui turgidette guancie brilla il colorito di una per- « fetta sanità, che volge tardamente ed in atto dignitoso le sue « azzurre e grandi pupille, che scendono al limite d’ una can- « dida e spaziosa fronte )) . . . . . (il narratore quì nota che il fanciullo ha le sopracciglia considerabilmente avanzate, come tutti quelli matematici che lungamente enumera il sig. Gall, il quale crede di mostrare che l’ organo de’ numeri esiste nell’ ar- cata orbicolare dell'occhio)... « Io già tuttora veggo e sento « il caro fanciullo, che mi dice di annunziar, come il feci, al- « l’ udienza ;, che operar volea al musicale concento che serviva ad « allietar la scena ne'momenti di pausa. Nulla lo distragge quando « egli opera il calcolo, nè degl’ istrumenti il suono , nè delle voci «il cauto, nè il parlare o gridare che altri fanno , nè gli stre- « piti qualunque; isola egli la sua attenzione . . . e mentre agli « altri apparisce che nulla faccia, o di puerili movimenti si trat- « tenga, la sua vasta mente comparte le quantità ricevute, le mol- « tiplica, le divide, le combina a suo modo, deduce i parziali « risultati, e quasi li mette da canto in una propria celluletta « del suo cerebro; e quando li ha tutti preparati, li richiama «in un punto , li riunisce, ed inaspettatamente pronunzia il fi- « nale risultato. Io che 1° ho più volte tenuto stretto tra le braccia « mentre opera de’ calcoli difficili, mi son convinto che, come « egli intuitivamente scioglie i quesiti facili, ed io parlo di quelli « che nessun altro può al par di lui intituitivamente sciogliere, ‘« così ne” calcoli lunghi e difficili , la intensità estraordinaria della « sua attenzione ; i movimenti prodigiosi degli organi del pen- 100 « siero, in tal eccitamento pongono il suo sistema, che bisogna « riguardarsi come nello stato di perfetta convulsione. Racconta « Mac-Neven (2) che il fanciullo Colborn Ferah , prodigioso an- « ch'egli poco meno del nostro Vincenzo ; durante la operazione « del calcolo, facea mostra, al suo contegno, alla contrazione « de’suoi muscoli, di quanto veniva il suo spirito travagliato » (p. 18-19). La figura del maraviglioso fanciullo , ed il suo stato du- rante l’ operazione affannosa del calcolo , così ci vengono an- cor più particolarmente dipinti nell’ annunziata epistola , dal ch. sig. Ferdinando Malvica. “ Nel vedere un fanciullino di statura »» pari agli anni, e di aspetto gentilissimo, piero però di non 3» so che di grave e di profondo , non potei non provare gratis- 3) sima sensazione ; ma quando ascoltai la sua voce , di suono s» quasi maturo . . . mi sembrò che natura avesse rotto le sue »» leggi . . . Io ho attentamente considerato quest’angelica crea- », tura, e credo che non riuscirà vano alla storia degli mom ni 3 il dire ch’ell’è grave più che l’età sua non comporti, senza »; lasciar però di aver maniere puerili: tostochè sente il quesito, 3, chiede qualche dilucidazione in termini concisi, e , quasi direi, 3) in monosillabi; ma ogni monosillabò contiene un’ idea : fissa s» quindi gli occhi in alto, e pare la sua anima alienata da’sen- si... ma dopo di aver compreso il tema, e di aver principiato i calcoli nella sua mente, il cuore gl’incomincia a battere forte, abbassa gli occhi, e gli gira qua e là, facendo de’ movimenti irregolari e colle mani e col corpo : questi movimenti però non sono che meccanicamente eseguiti, perciocchè egli è tutto in sè medesimo riconcentrato . . . diguisachè puossi chiamarlo a nome . . . che nulla ne sente. Solo si osserva che, mentre esegue il calcolo, muove a quando a quando le labbra , se condando il pensiero che ravvolge; e gli si ascolta pronunziare qualche numero fra i denti ,) . . . . (p. 21) Delle operazioni difficili che questo fanciullo di men di set- t’anni eseguisce con rapidità , sicurezza, e originalità inaudita , nel N.° roo dell’ Antologia s’è già offerto un saggio. Eccone al- cuni altri esempi. Un tale gli diede una progressione geometrica dupla, dicendo: se io raddoppiassi sempre dall’ unità sino al nu- mero 24, che somma avrei? Ed egli, dopo cinque minuti, avre- ste 8,388,608. — Secondo la Scrittura, domandò un altro , dal 23 2) 25 29 23 29 23 23 25 23 (2) Medical and philosophical Journal and Review New-York 1811. 101 principio del mondo fino ai due di gennaio , sono scorsi 5828 anni e due giorni. A quanti mesi, giorni, ore, uso tempo equiyale ? Dopo tre minuti di pensiero, il fanciullo risponde: 69,936 mesi, e 2 giorni: 2,128,679 giorni: 51,088,296 ore; 3,065,297,760 mi- nuti primi, ,183,917,865,600 minuti secondi; e se voleste i minnti terzi, soggiunse, tenendo gli occhi per un’ istante intenti e fissi, eccoli 11,035,071,936,000. — Ed era cosa singolarissima l’osser- » vare , prima che il ragazzo avesse le nozioni del milione ; con »; quanta facilità tenesse a memoria un’immensa serie di numeri, ,» e con che franchezza combinasse e maneggiasse le quantità di » venti cento mila, di trentadue cento mila, di cento cento mila, »; com’ egli dicea. ,, (p. 20) Con la forza insomma d’ una mente infantile e ineducata , egli risolse problemi di secondo grado; estrasse la radice cuba (3) del numero 474,532 propostagli dal sig. Niccolò Cacciatore, e dimandato del metodo tenuto , con chiarezza l’ espose. “ Dopochè (così il signor Foderà ) dopo che > il nostro fanciullo ha terminato un calcolo difficile, doman- > datelo del processo della operazione eseguita. Egli vi rimet- 3) terà distintamente tutte le somme parziali, in che ha diviso >» le quantità propostegli, i risultati parziali di queste quantità 3» divise ch’ egli ha combinato, i risultamenti distinti delle se- »» conde , delle terze, delle ulteriori combinazioni; e tutto ciò 3, come se in una carta le cifre leggesse da maestra man vergate: >; e se gli suggerite di riunire i risultati di due combinazioni par- 30 ziali, ch’ egli ha espresso , lo farà nel momento della domanda, 3» come se, materialmente una quantità sull’ altra cadendo , in »» terza quantità di risultamento si trasformasse. Or come ciò può »» farsi senza una forza d’ intuizione ? E ben accuratamente si » esprime il fanciullo; che sente avere due altri occhi nello in- 35 teriore della sua fronte: questa espressione fanciullesca ritrae 3 al vivo ciò che piacque all’ Onnipotente di accordargli. + Così so parimenti il faciullo Colborn, dimandato come faceva i suoi »; calcoli, rispondea di vederli chiaramente dinnanzi lui; ed un 33 altro fanciullo , scolare del sig. de Saint Poelten a Vienna in- » terrogato da Gall colla stessa dimanda, dicea veder le cifre »» segnate sopra una tavola. (p. 21-22) -— Alla proposizione del (3) Il narratore non dice, se il fanciullo abbia appreso in prima, che sia ra- dice cubica , o se lo si sia fatto spiegare all’ istante, o se la dimanda del prof. non sia stata fatta nei termini della scienza. Gioverebbe saperlo. 162 > problema, purchè non sia tale che supponga la conoscenza »» positiva delle matematiche , il nostro piccolo Zuccaro non solo >» con facile percezione lo capisce, ma con metodi tutti suoi pro- :> pri lo risolve, i quali egli crea ed inventa secondo il bisogno. 3) (23-24). — Da quella bocca, da cui, in tutti gli altri, siamo av- », Vezzi sentire mal pronunziate parole, idee stranamente accoz- »: zate, fanciulleschi pensieri, ascoltiamo stupefatti i risultamenti > che i maestri nelle matematiche non potrebbero darci più esatti: 3 allora, appena noi crediamo a noi stessi, i nostri sguardi per s corrono rapidamente sopra tutte quelle tenere membra , per », persuadersi s’ egli è veramente bambino ; il nostro amor pro- >» prio tace ; l’ entusiasmo di cui repentemente bolle il nostro sy cuore non trovando maniere convenienti a manifestarsi, si spiu- » ge ad una impensata adorazione . . . . (pir6y' “ Questo matematico della natura (io cito le sagge parole »» del sig. Foderà ) , lo sarà più grandemente con lo studio ; gli 3» argomenti ch’ egli dà di una intelligenza prodigiosamente su- » periore all’ età sua, sono quelli che nato il dimostrano alla »» specolazione, ed alla invenzione in questa facoltà sublime. Egli, »» senza saperlo sospettare, ma per sola perspicacia d’ ingegno »» eleva a date potenze le quantità grandi, in più fattori decom- 3» ponendole , e col seguir nelle operazioni quelle algebriche for- 3» mole, che tanto onore fecero agl’ inventori di esse. Egli con ss un colpo d’ occhio di tutta intelligenza , i limiti assegna del- »» le quantità che va cercando, e che con tal modo infallibil- » mente ritrova. Egli vede chiari i rapporti e le proporzioni delle » quantità , di forma che, senza saperlo , il metodo della falsa »» posizione vi applica, per arrivare alla vera. In somma, il pro- »» digioso fanciullo, di regole da altri insegnate non è servo, ma »» padrone assoluto di una facoltà attivissima , che a suo talento s» maneggia. Ei non ripete, ma crea; e crea nel momento me- »» todi suoi propri, ed indipendenti. Il signor Cacciatore ... ha »; più volte detto, e la propria esperienza me ne ha fatto saggio, >, che i metodi dal fanciullo seguiti.... sono così variati, che non s, solo mostrano la penetrazione del suo raziocinio nel capir le 3, relazioni esatte tra le quantità date e le incognite di cui va s, in cerca, ma pure fecondità maravigliosa nel variar i metodi > d’ esecuzione, ne’ calcoli della stessa specie . .. . Egli spesso » trabalza in più tortuosa e lunga strada di quella che indicano » i metodi e le formule già da’ matematici inventate ; ma riesce »> allora il nostro fanciullo assai più maraviglioso ,tanto per la ba) 2 29 29 22 23 23 103 rapidità incredibile con cui percorre il lungo intrapreso cam- mino ; quanto per la fermezza e sicurezza , con la quale non mai si smarrisce in quel laberinto di calcoli.... (26-28). « Egli è vero che in taluni si è osservata unicamente una prodigiosa attitudine al calcolo , ma null’ altro talento . Tale nel passato secolo fn Tedidiah-Buxton , il quale , condotto a sentire un pezzo di Shakespeare rappresentato dal celebre Gar- rich , di altro non si occupò che di contare il numero delle parole profferite dal famoso attore. Così narra Goelis (Trattato dell’ idrocefalo cronico ed acuto), che il figlio del Maresciallo Ferrant , quantunque stupido ad ogni altro riguardo , aveva però a dodici anni una memoria sorprendente dei numeri. Ma il nostro Vincenzo nella sua tenera età mostra spirito grandis- simo. Dimandato da due persone, che voleansi divertir di lui, ‘quanto faceano 4 e 4, ei rispose prontamente 800 . = Ma perchè P_— Perchè 4 e 4 fanno 8; e due zeri, che siete voi due, fanno 800 . Così Mac-Neven racconta del fanciullo Col- born , che dimandato da una capricciosetta quanto faceano 3 zeri moltiplicati per 3 zeri, rispose : per l’ appunto quel che voi siete, o mia signorina , un nulla assoluto (4). « Egli è pur vero che i grandi matematici hanno fin dalla prima età mostrato la loro irresistibile inclinazione al calcolo, come si narra di Galileo, di Ticho-Brahe , e di Eulero. La Lande aveva appena 19 anni, quando fu nominato commis- sario dell’ Accademia per andare a Berlino a determinare la parallasse della luna , di concerto col sig. La Caille , spedito per la stessa operazione al Capo di Buona Speranza: ma altra è l’ inclinazione di buon ora dimostrata, altra 1’ attività at- tuale, e di così prodigiosa maniera (5). Egli è vero ancora che (4) Questo scherzo del fanciullo è una prova e della sua maturità, e della sua prontezza , e anche un poco, come il sig. Malvica notò , del suo orgoglio. M d’ a non c'è bisogno di simili prove a dimostrare che un tal calcolatore è dotato ingegno. (5) « Goloro , nota il sig. Malvica ( p. 8), che son riusciti famosi in nn° arte o in una scienza, ne hanno manifestato invincibile passione, sin da- gli anni loro più teneri. Così abbiam visto il Goldoni di anni otto scara- bocchiare commedie : abbiam veduto Carlo Linnéo di non altro dilettarsi nella sua puerizia che di zappare e di piantare, e di dieci anni scorrere i contorni di Roeschult , e riportare in casa varie erbe indigene che piantava in un giardinetto, che il padre , vista la sua inclinazione , gli aveva donato; Giusto Lipsio, nell’età in cui gli uomini ignorano che cosa sia esistenza, era trasportato da gusto sì ardente per ogni ragione di sapere , che di nove anni ) e : x» si sono conosciute delle persone adulte che son divenuti mate- 33 matici da sè stessi: così Pietro Annich, pastore del Tirolo, sì rese ,) famoso pei suoi calcoli astronomici, senza aver nessuna cogni- ;» zione dell’ astronomia e delle matematiche : così un negro, nel s principio del presente secolo , levò rumore in Londra per gli ,> stupendi calcoli che eseguiva. Così sappiamo parimenti di altri ;» che senz’ aiuto di maestro, pervennero o si segnalarono nella ;, conoscenza delle matematiche sublimi, come narra Gall d’un »; certo Martino Haefale , vignaiuolo di Altal-Traeh. Ma qual s parallelo potrà farsi tra questi e un fanciullo d' anni sei ? (p. 3» 26). I pochi esempi che si hanno di simili prodigi, lasciano ;, certamente la superiorità al nostro Vincenzo . Così lo-scolaro 3; del sig. St. Poelten a Vienna , che facea prontamente a me- » moria delle grandi operazioni , era di nove anni, ed era stato 3» insegnato da valente maestro . Il fanciullo Devaux calcolava ,, a memoria a sette anni; ma la sua abilità restringevasi a se- 3» guir prontamente, ed a correggere con tutta esattezza i calcoli », che altri operavano. — Il sig. Spurzheim narra di aver visi- »» tato in Londra la figlia di Lord Mansfield, che a tredici anni ,» estraeva a memoria con grande facilità la radice quadrata, ed » anche la cubica, di numeri di nove cifre: ma costei vi era stata » educata, ed era nell’età dello sviluppamento. - Simile al nos- ;3 tro, a differenza dell’età, fu il giovine americano Colborn-Ferah, 3; nato in aprile del 1804 a Cahot. Egli a sette anni scioglieva s> gli stessi problemi che il nostro Vincenzo (V. Gall.). Però Gal- 3 born aveva sette anni, e pregava di non fargli questioni molto 3» complicate ; il nostro Vincenzo è di minor età , e s’ inquieta » se gli si propongono questioni non complicate. — Se il gio- ,, vane Bidden di Devon Shire, figlio di un povero operaio, fece » stordire il duca di York nell’esercizio dell’ugual talento , egli ,» aveva dodici anni : e se il giovane americano , Odoardo Ord, ,» di cui hanno ultimamente parlato i fogli del Piemonte , fa a ,, memoria dei calcoli ugualmente difficili, pur egli è di nove 3 anni ( p. 24-59). ;; « Il celebre (così il ch. sig. Malvica) , il celebre Cristiano 3; scrisse de’poemi; di dodici, de’discorsi; di 19, la sua opera. ... variae lectio- , nes. Michele Adanson di anni 13, fece dotte note sopra Plinio ed Aristotele; » e di 20, percorse il Senegal e le Canarie, facendo tesoro di naturali scoper- +, te. . . + Ma questi chiarissimi uomini . . . ebbero tutti principii d’ institu- ,. zioni, e circostanze che facilitarono più o meno lo sviluppo precoce del loro 3) INgegno ,, 105 »» Enrico Heineeken s nato a Lubecca nel 1725 , di sì svegliato >», ingegno che parlò a dieci mesi » sapeva a dodici i principali sì avvenimenti del Pentateuco » a tredici l’istoria dell’ antico tes- » tamento, a quattordici quella del nuovo, e a due anni e mezzo », le principali cose che all’ istoria antica e moderna si appar- », tengono : .... e maraviglioso era senza alcun dubbio il sen- >» tire con quanta facilità parlasse il francese ed il latino, che >», aveva imparato in pochi mesi nel terzo anno dell’ età sua; e > non fa più sorpresa certamente il pensare ch’ei, prima che per- » venisse al quarto, conoscesse le genealogie delle principali fa- » miglie d’ Europa. Ma questa straordinaria creatura non avea >> Appreso, com’ è naturale , che dagli altri tutte coteste cogni- »» zioni .. + .. Le operazioni del nostro Zuccaro sono il prodotto >> d’ una mente creatrice . ... L’ Heineeken s invece di sapere » quelle cognizioni di geografia, di storia, di lingue a dicias- 3» Sette anni, le imparò nell’ infanzia per uno sviluppo straor- s» dinario della sua lucida mente: ma ciò che Zuccaro fa da sè » Stesso , non lo fanno gli uomini di nessuna età e di nessuna >» dottrina. Certamente , se il fanciullo sassone non fosse morto »» nel 1725 per una complicazione di malattie, come morì, ed 3» Il suo ingegno fosse sempre progredito cogli anni, noi avrem- 3» mo avuto in lui un nomo che colla sua mente avrebbe ab- »» bracciato . . . tutto. — Se altri poi mi apponesse il classico e- 33 sempio di Ces. Fr. Cassini , che seppe a dieci anni... calco- », lare le fasi dell’ ecclissi totale del sole, che si attendeva nel- »» l’anno 1727, io ricorderei a costoro >» che il piccolo Cesare si »» trovava già istruito nell’ astronomica scienza. . .. ( p. 11-12 A Quel che più s'avvicina alla maraviglia presente, è l’esempio no- tissimo di Pascal; ma più maraviglioso, ben dice il sig. Malvica, è il nostro: chè Pascal, ignaro di geometria , era già in altre cose stato alquanto educato ; e aveva già dodici anni ; e lo strano di- vieto del padre poteva essergli più acre stimolo alla contempla- zione delle incognite verità geometriche: nel nostro all’ incontro la natura, la sola natura, ha destato il bisogno di creare, e l’ha soddisfatto. Non è maraviglia pertanto se una singolarità sì nuova abbia attratto lo stupore, le considerazioni, e le cure di quanti ne furono testimoni. “ Trovandosi, racconta il sig. Malvica, trovandosi di pas- s» Saggio in questa isola, sono pochi mesi, il Barone Sermont, in- »» tendente generale dell’ armata francese in Morea, mosso dal », rumore che già menava 1’ analfabeta Vincenzo, volle vederlo, 3» € sentire per sè medesimo i suoi decantati prodigii: ma nel T. XXXIV. Giugno. 14 » » 106 s; vedere un sì piccolo fanciullo, e nell’ ascoltare la sua voce, »» che con tanta forza pronunziava sui calcoli ch’ ei medesime :) volle dargli, ne fu preso da sì vivo entusiasmo, che lo de- sì corò dell’ordine del merito : ordine che per autorizzazione del :) suo signore , potea quell’ uffiziale generale dispensare ai mi- »» gliori. (p. 23). ;, Abbiamo già ricordata la protezione conces- sagli dal sig. march. di Schisò; e le larghe lodi del eh. sig. Cac- ciatore: a che si aggiungono i veti unanimi del dotto prof. Do- menico Scinà, e degli altri Muzio, Batà , Casano, matematici re- putatissimi. (Malv. p. 33). E il Luogotenente generale del Regno di là dal Faro, come vide il fanciullino, ed il nuovo ne ammi- 3) Tò portentoso talento , non potè nel colmarlo di carezze e di » private beneficenze rimanersi pago, ma provveder volle a che 5» la Sicilia lo ritenesse, l’educasse ...,,(Fod. p. 4.) A tal fine si rivolse al decurionato di Palermo , acciocchè decretasse i ne- cessari sussidii (p. 41); e alla commissione di pubblica educazio- ne, acciocchè proponesse il metodo con che questa straordinaria creatura si doveva educare (p. 45). A che la commissione rispon- de: “che tale si è la tempra della di lui mente, che non può ,) venire istrmito coi metodi che si osservano cor Za comune det », ragazzi; che ciò facendo, si corre rischio di comprimere e di far »» abortire quell’ energia di spirito di cui lo ha la natura dota- s» to; lochè sovente si vede avvenire in taluni, i quali, suo- », nando o cantando bene senza veruna cognizione delle regole »; della musica, quando si sono dati ad apprenderla, hanno per- »» duto quell’ agilità e quel gusto che avevano meccanicamente 3, acquistato (52-53). Ciò posto% è di avviso la commissione, che >, debba usarsi nell’istruirlo l’accorgimento di non fargli sospet- s; tare , che gli si vogliono insegnare delle cose che esso crede 3» di sapere , o che forse sa con effetto, sebbene ignori le regole »; con le quali si apprendono, o che suppone poter da sè stesso 3) imparare; ma condurlo nella’ via del sapere quasi conversan- ,» do , ed interrogandolo , o sotto la larva di sollazzarlo facendo ,» uso de’ giuochi, a similitudine di quelli che si sono inventati ;, all’ uopo di facilitare ai ragazzi l’ apprendimento di leggere e , scrivere, della geografia, della storia, dell’arte della guerra , della storia naturale, e di altri simili. Il maestro insomma do- so vrà studiarsi di eccitare la di lui curiosità, 0 insegnando ad altri fanciulli ciò che vuole far apprendere a lui , 0 inducen- dolo a tentare da sè medesimo di scoprire e imparare ciò che ,, non sa. E siecome straordinaria è la struttura della sua men- ,» te, così fa d’ uopo a colui che prende ad educarlo, indagare 109 » quanta parte abbia nelle di lui operazioni l’ ingegno , quanta s; la memoria , e quanta l’ immaginazione, per poter proporzio- » nare il metodo d’ istruzione al di lui particolare meccanismo, ,3 adoperando più o meno il ragionamento , l’ esempio, la cu- s riosità , l'emulazione . . . (p. 54). E questo metodo è da te- », nersi cominciando dai primi elementi di leggere e scrivere sino »» alle più alte lezioni scientifiche. —Il cammino poi che sarebbe »; da tracciarsi per l’ educazione letteraria del medesimo; dopo », aver appreso le cose elementari, volendosene formare un mate- »» matico, al che pare che lo abbia la natura destinato , procu- » rare ch'egli passi dai calcoli numerici, a lavorare e speculare »» nelle ‘linee e le fisure della geometria; e da queste alle cifre s; dell’ Algebra: e ponendolo al caso di fargli travedere le ana- ss logie che hanno tra loro questi tre rami delle matematiche , se s, ne otterrebbe il vantaggio che esso vi farebbe dei rapidissimi »; progressi, e potrebbe forse giungere a trovare delle nuove pro- s, prietà ed affezioni in questa divina scienza. . . . Questo è il »» piano che si può per approssimazione segnare al corso degli , studi del suddetto fanciullo; der inteso, che deve lasciarsi al- ss l arbitrio del maestro il variarlo più o meno secondo le osser- »» vazioni particolari che farà sull’ ingegno e le tendenze del me- », desimo .... (p. 55). Da quanto si è detto , ben si capisce , »» che debba questo fanciullo venire più presto affidato ad uomo », onesto , dotto, e veramente filosofo, e non già collocarlo in > pubblico stabilimento, non essendo sperabile che si possa nel 3» medesimo praticare tanta diligenza e tanta cura per la parti- »» colare educazione del medesimo , mentre in tai luoghi si dee »; osservare uniformità di metodo d’insegnamento, e regole co- s, muni, che non potrebbero adattarsi a lui, nè violarle con »» un’ eccezione particolare , che dovrebbe farsi pel medesimo s» (p. 56).,, L’ educatore dalla commissione prescelto, è il sacer- dote Giuseppe Minardi. Così non si verrebbe il fanciullo a » separare dal padre, il quale non soffrirebbe di vedersene pri- »» vato , tanto per l’ affetto paterno, quanto perchè, essendo po- »» vero. . + + + E non si esporrebbe il fanciullo al dolore di ve- s> dersi strappato dalle braccia paterne in così tenera età; il che » potrebbe smorzare quella vivacità singolare di spirito, che in s» lui sì maravigliosamente sfavilla ,, (p. 57). « Dimanda la commissione a sè stessa, se convenga mandar fuori questo fanciullo per meglio educarlo: e risponde: “ ol- , tre di essere un tale espediente molto più dispendioso di quan- » to bisogna per educarlo tra noi... ne sarebbe al tempo stesso 108 » incerto l’esito , potendo bene accadere che la tanta varietà 3, delle nuove sensazioni, o cancellasse del tutto 0 scomponesse »» quelle disposizioni di mente che lo traggono alle matematiche. sì Potrà mettersi a viaggiare quando sarà cresciuto negli anni, »» ed avrà maturo l’ingegno ,, (p. 58). Conchiude la commissione col raccomandare che il povero padre sia proveduto in compen- so di ciò ch’egli perde lasciando all’ educazione il fanciullo, in luogo di condurlo , come delle maraviglie suol farsi, per Italia e fuori, con lucro certamente continuo e non picciolo. Tutte queste considerazioni a noi son parse degnissime d’es- ser qui riportate, per la rettitudine, e la sapienza che le di- stingue : e non dubitiam d’affermare che da un paese dove tali uomini presiedono all’ educazione , dove tali consigli si richie- dono, si danno, e si pongono in opra, molto è da attendere, da imparare non poco. Nè certo i fondi all’ educazione di que- sto fanciullo mirabile mancheranno. “ Quale somma (così sag- ») giamente il sig. Foderà) quale somma non si profonderebbe del s; pubblico danaro , se celebrar si dovesse un avvenimento qua- s» lunque per noi fausto e glorioso , in passaggeri spettacoli ed ,» argomenti di comune allegrezza? Eppure ec.,, (p. 5.) Tra le considerazioni poi che il ch. sig. Malvica aggiunge alla sua narrazione, intorno al metodo d’ educare il suo giovine concittadino, havvene di notabili, che noi qui riportiamo , e in lode dell’ autore , e come soggetto alle meditazioni di tutti co- loro che intorno alle importantissime cose dell’educazione priva- ta o pubblica si occupano o per diletto o per istituto. — ‘ Son più che certo, che, se i mezzi dell’ educazione non si propor- zionano alla natura sua singolarissima , egli va a perdere o la vita o quelle facoltà intellettuali che già lo caratterizzano... so E qui mi ricorrono al pensiero que’ pochi fanciulli osservati » dal Gall, che facean bene predire pel precoce loro sviluppo , ,» € che moriron tutti prima che giungessero a maturità di senno... E i fanciulli dal Gall osservati e immaturamente spenti, non ci ,) presentano il quadro straordinario che abbiamo oggi sotto gli »» occhi; ed il più piccolo di essi era maggiore del nostro Znc- ,» caro + + + (p. 34). Io credo che s’egli si sottoponesse al harba- ro metodo delle presenti scuole, diverrebbe stupido ad otto »» giorni: e i pedagoghi , già sì tristi e tremendi pei giovani tutti s» indistintamente, sarebbero per quell’ angelica creatura i più s» pronti sicarii . . .3 Per due ragioni desidera il sig. Malvica che uno sia il pre- cettore del Zuccaro: “ non dovendosi la mente del tenero ragazzo 109 5 caricare di molte cognizioni ad un tempo, ma con senno e con » perspicacia fargli gustare, questa più che quella ; così dannosa, »» anzichè giovevole , riuscirebbe la pluralità de’ professori: e poi, s; non potendo la concordia esistere che raramente fra diversi »o individui, incaricati di portare un' istesso fardello , ne avver- s» rebbe che i vari maestri, volendo chi una cosa e chi un’altra, s; e disgustandosi tra loro , recherebbero un notabile danno al- » 1’ intrapresa educazione del figlivolo : e siccome non si può ss tracciare pel Zuccaro un piano invariabile d’ istruzione, do- », vendo il professore, a seconda che fanno in lui gli ammaestra- » menti, ritenerlo o incalzarlo , e variare o persistere , così un »» solo debb' essere il precettore , e parecchi non mai (p. 35) ,,. Incomincia il sig. Malvica dalla educazione morale, neces- sarissima ad infrenare e a dirigere un tale ingegno. Il ragaz- »» zo, dic’ egli, già conscio del suo merito, comincia a sentir 3» molto di sè medesimo (p. 40) ,,; e la risposta dei due zeri anch’ essa n’ è preva. Il sig. Malvica ne reca un altro saggio: andava una sera Vincenzo col padre, in casa d’un signore di Pa- lermo ; il fancinllo saliva primo le scale, e francamente s’in- noltrava negli appartamenti: quando s’ abbattè nella figliuola del signore di casa, la quale, nol conoscendo, gli chiese chi fosse. Il ragazzo , con bieco sguardo , le mostrò la medaglia e la croce che gli decoravano il petto. Ah voi siete Zuccaro ? esclamò quella tra lo stupore e la gioia. = Zuccaro : rispose in tuono grave , il fanciullo di sei anni, abbassando la fronte. Venendo all’ educazione del corpo ; l’A. dell’ epistola racco- manda gli esercizi ginnastici. “ Il savio precettore del Zuccaro ss lo risparmi nella fatica; chè il suo ingegno vuole pochi le- »» gami: lo conduca spesso in campagna a respirare un aere pu- 3) TO; e in tal circostanza non trascuri mai d’ infiammargli il »» cuore del sentimento della bella natura. ;, (p. 45) = E nell’inter- dirgli l’ uso del vino, e in altri simili consigli, il sig. Malvica si avvicina alle idee degli autori che meglio scrissero d’educazione : quindi viene allo spirito. Tra le prime istituzioni da darsi a Vincenzo, il ch. A. consiglia la storia, che “lo alletta , lo coltiva, e dà al precet- so tore, senza ch’ ei se n’accorgesse, campo di penetrare nel- »» 1’ animo suo , e di studiarne meglio le inclinazioni (p. 48). La »» Storia , dic’ egli, infiamma la mente ed il cuore . . . Io però », non vorrei che l’ ingegno del giuvinetto, di molti nomi e di », molti fatti si caricasse ; vorrei bensì che con chiarezza e con » semplicità gli si presentassero le cose, ma in un modo da TIO : ,, scuoterlo , e da stradarlo a nozioni più forti. (p. 4g). »» Pensa anco il sig. Malvica , che il fanciullo , da natura portato alle matematiche, nel sentire la storia degli uomini più celebri della scienza , s’ infiammerà di nuovo ardore, aguzzerà l'ingegno a in- dovinar le operazioni da que’ sommi inventate: e così la storia della scienza gli sarà quasi maestra alla scienza stessa. “ Imper- ») ciocchè bisogna nell’ educazione presente, piantare questo prin- » cipio , che dar si debbono al nostro allievo idee ch’ hanno s, un qualche legame fra loro , e non mai trattati consecutivi di s) scienze. ,, (p. 50). Non vuole il sig. Malvica negletto lo studio delle lettere e della lingua nativa, a cui; troppo più che taluno non creda, dovrà e l’ efficacia delle idee nuove , e l’ utilità degli umani ri- trovamenti : poi consiglia di farlo passare alle dottrine de’mate- matici più sommi e alla lettura delle opere loro le quali men- tr’egli studia, “l’ educatore gli chiegga @ guisa di parere, ciò »» ch’ei ne sente, e se le faccia a mano a mano ripetere, dialogiz- s» zando .. . Vedrà il maestro come il giovine penetri e vada colla s) creatrice sua mente più oltre che quelli non giroro. ,, (p. 54-56). Ma per creare in una scienza; “ non st dee esser solo matema- s) tico ; bisogna che si possegga una larga estensione di sapere; s, e fa d’ uopo che si signoreggi per lunga distanza la matema- > tica medesima. Gli si tuoni perciò nelle orecchie che . . nulla 3» vale la geometria senza la filosofia : e quei gretti matematici, ,» che altro non sanno che matematica, non sanno mai nulla : », bisogna coltivar la ragione per cento altre strade . .* Dunque ,, non ci applichiamo pel nostro Zuccaro alle esatte discipline so- 3» lamente : irsiem con esse applichiamoci a studiar l’ uomo , a »» studiar la natura , a studiar quelle cose che ci riempiono l’anî- snai (pe 87:) « Fu detto da un filosofo , e a gran ragione i/ fu detto, che ,» vi sono molte cose che fa di mestieri situare nella propria bi- s» blioteca, e che sarebbe superfluo # collocare nella mente. Di s» queste , alcune appartengono alle scienze , altre alle lettere : ,s onde a tal bisogno dee accorrere il giudicio e la dottrina del- ,» I educatore ; perchè vegga qual cosa allontanare dagli occhi ,» del nostro allievo, di qual altra debba fargli sapere la sola ,» definizione. Gli uomini grandi sono stati sempre prodotto di s; sè medesimi : e tutte le nostre cure debbono risguardare i pri- ss mi anni del nostro fanciullo ; chè in questi la guida è neces- ss saria ; e senza di essa un ingegno felice si perderebbe: ma ss quando appena metterà le ali, e proverà da sè medesimo le III ss sue forze, si spianerà il cammino, e giungerà alla difficile ») meta senza bisogno di alcuno. ,, (p. 58). ,». Quindi il sig. Malvica consiglia gli studi della filosofia. “ Se però il precettore s’ accorgesse ch” ei si annoia e si ributta , non dovrebbe persistere più oltre ; chè tali studi non sono neces- sarii pel nostro presente bisogno , ed ei li farà da sè stesso quando sarà cresciuto negli anni ; perciocchè noi dovremo con esso lui toccare tutti i suoni, ma fermarci sopra quelli sola- mente che lo dilettano . Ecco il gran principio che dovrebbe » essere , secondo il mio debole opinare, di scorta al filosofo edu- » catore , il quale per questo prezioso fanciullo dovrebbe riunire ,» in sè medesimo i sacri titoli di padre, di amico, di maestro. ,, (p. 59). ‘A notizie così singolari, a così saggi consigli noi non sog- giungiamo commento. Tra poco forse un collaboratore dell’Anto- logia prenderà ad esporre alcuni pensieri intorno al metodo d’edu- cazione degli ingegni singolari , je li applicherà al siciliano cal- colatore più segnatamente ; ricercando se assolutamene un solo maestro a tal fanciullo convenga , e come l’ unità del metodo con la pluralità degl’ insegnanti o dei conviventi si potrebbe conciliare ; se la cognizione della matematica applicata giovi nel caso nostro posporla all’ insegnamento della matematica pura, o non piuttosto mostrare la fecondità de’ principii con la bellezza delle applicazioni ; se giovi per alcun tempo distrarre affatto la mente del fanciullo da’calcoli e ad altre cose applicarla; se a qual- che modo si possa eonciliare il diletto dell’imparante con la rego- larità dello studio e con l’integrità delle cognizioni da apprender- si; quando convenga col metodo sintetico dargli l’ultimo risul- tato delle idee altrui, quando con l’ analitico porlo sulla via di cercare un risultato da sè , e forse di rincontrarne uno nuovo ; con che mezzi taciti si possa trasfondere in esso il sentimento del buono e del bello senza farglielo, a dir quasi, ingoiare come una medicina ; come educarlo alla modestia ed alla docilità sen- za ottundergli quella confidenza nelle proprie forze, ch'è l’ ala del Genio ; se certe cognizioni elementari e letterarie e scientifi- che sia utile o no differirle ad un tempo in ch’ egli potrà non apprenderle ma giudicarle: ed altre questioni siffatte, di un’as- vb; 23 23 2) 29 29 soluta ed universale importanza. A. Z. — RIVISTA LETTERARIA Rime di Fra Guirtone D° Arezzo. Firenze, Morandi 1828 volu- mi 2 in8.° Il Redi così pregiava Guittone , che apparecchiavasi a pro- durne l’opere , ciò che prima dalle molte cure e poi dalla morte gli fu impedito. Mezzo secolo dopo , il Bottari ( aiutato dal Man- ni) cominciò dal darne impresse le Lettere, che forse dai più non s’ aspettavano le prime. Un altro de’ nostri filologi ( Lodovico Va- leriani, a cui dobbiamo fino dal 1816 un’ accurata edizione de” Poeti Antichi) ci ha dato alfine insiem raccolte anche le Rime, empiendo così un troppo gran vuoto nella serie de’ vecchi monu- menti della nostra lingua e della nostra poesia. In una prefazione erudita (che per lo stile ci ricorda l’al- tre già da lui poste a’ vari libri, compreso quello insigne dello Stellini ch’ ei tradusse e che or sento ristamparsi a Siena ) dopo aver accennati i particolari della vita del poeta, desumendoli dalle sue opere , viene , e non senza motivo , a parlar della sti- ma che da’contemporanei e da’posteri fu di lui fatta. “ Se Dante, egli dice , lo vilipese , l’ebbe in tal pregio il Petrarca , che non pur volle onorarlo insieme allo stesso Dante ed a Cino, ma co- me il Vezzosi e il Redi osservarono, limitò. ,, Quelli, che ven- nero dopo , confermarono quasi d' unanime consenso il giudizio che nei diede Benvenuto da Imola , dichiaradolo bell’ inventore nella materna lingua, se non a ragion dello stile, almeno del- le gravi sentenze. Quindi può parere che troppo severamente ne giudicasse lo scrittore dell’Amor Patrio di Dante (il suo giudizio fu già pesato dal Niccolini in due note alla celebre lezione sulla formazion d’ una lingua) allorchè nell’ ardore della contesa obliò « che del modo stesso, ond’egli prese a schernire quell’aretino , usò l’ autor delle Lettere Virgiliane a strazio dell’ Alighieri. ,, i Di quell’ altro scrittore, pieno ad un tempo di sdegno dan- tesco e di sali samosatensi, il cui scherno fu al povero aretino ancor più micidiale, egli non fa espressa menzione , ma ben pare che pensi a lui, dicendo ciò che segue. Aspre, più che le Rime, sono le Lettere di Guittone e pe’duri modi e per l’informe sintassi e per le orride voci: talchè non è maraviglia che in tanta soa- vità di favella abbiavi appena orecchio che le sostenga. Ma si dee pur riflettere che dal linguaggio poetico in ogni tempo fu prece- duto il prosaico , cui tempo ed arte abbisogna a sciogliersi d’ogni 113 impaccio per sostenersi con grazia e con dignità nell’ oratorio anda- mento. Talmentechè se in Tucidide Cicerone desiderava il perio- do, credo avvenisse per essere stato il primo ad accostumare il suo dialetto alla prosa. Eppur la Grecia aveva già voci e modi ad esprimere quanto può la ragione intendere e 1° immaginazione abbellire; ed oltrechè nella stessa Atene , per opera de’ suoi tra- gici, e poi de’ suoi comici, s’ era dal verso eroico condotta al giambo il più conforme alla prosa, gli altri dialetti offerivanle di che istruir l’ attico ad usar numeri convenienti a sciolta e grave orazione. Or come non dovea muoversi incerta e fosca la nostra prosa , mentre mostravasi ancor mal ferma la poesia , quasi nel primo articolar d’ una lingua, che nello squallor d’ ogui arte an- davano rozzi ingegni arditamente abozzando ? Pure Guittone , che foggiò versi talora degni di maggior lira, non ebbe l’ anima sorda alle armonie della prosa , ec. ,, In prova di che ei reca buona mano di sentenze ; scelte dalle sue Lettere, e di cui, dice , potrebbe abbellirsi ogni nobile o gen- til prosa de’tempi nostri. ,, Ne alcuno vorrà sdegnarsene', ei pro- segue, se affermiamo che , accostumandosi a volgere queste Let- tere ove pur sono più scabre ed aspre di modi e di voci,si ap- prenderebbe a più serrare i concetti, e maggior senno chiudendo in minor volume rinvigorire la nostra prosa, Frecpaen teso lenta ne’ suoi avvolgimenti , talor cascante di vezzi, nè raramente af- fannosa per carico di parole. E siamo a ciò confortati da Cicerone, che sommamente pregiando i latini antichi, che più gentili non erano di Guittone , a chi schifavali per l’orridezza soleva rispon- dere così parlavano; ed animando i romani ingegni a giovarsi della ingenuità de’ modi e della semplicità delle forme, per cui tanto commendavali, mostrava come a valersene nobilmente ba- stava cambiarne i vieti vocaboli con quelli che 1’ esperienza mo- strasse di miglior uso. ,» « Sia dunque Guittone, ei conchiude, orrido nel'e sue Let- tere più dell’antico Catone , da cui Sallustio traeva modi assai propri alla gravità della storia : sia nelle Rime ispido al pari e di Lucilio, che deridevasi ma si leggeva da Orazio, e d’ Ennio stesso , dal eni sterco Virgilio solea trar oro : sien anzi e queste e quelle sì squallide come quelle canzoni, che molti secoli in- nanzi a Catune stesso cantavansi nella ilarità delle mense, e la cui perdita si deplorava da Cicerone, che nella stessa rozzezza delle dodici Tavole venerava un’ imagine dell’ antichità ed am- mirava l’ antica autorità de’vocaboli. Se non vorremo usargli la T. XXXIV. Giugno. 15 114 riverenza , che Quintiliano vuol si professi a’ suoi pari ; che quali maestose roveri sorgon ne’ sacri boschi, ed empiono di religione le selve, non dovrà negarglisi il culto che dagli antichi prestavasi alle sorgenti de’ fiumi, che aveansi più sacre ancor delle foci per cui si mischiano al mare; credendo in quelle albergasse la loro divinità. Poichè , se al pari de’ fiumi le lingue crescono di volume e di suono più che si scostano dalle sorgenti, conviene andare a’ rampolli per accertare, come di quelli il corso , così di queste l’etimologie , utili ad ogni lingua, ma necessarie oltr’ ogni dire alla nostra, che viva ancora e fiorente pur si dibatte fra. risse grammaticali, e sulla cui denominazione ed origine tuttor si di- sputa e si disputerà lungamente ,,. Per le quali parole ciascun s’ imagina la diligenza da lui usata intorno alle Rime del suo poeta , ch’ei trasse, dice, da nove codici, fra cui due vaticani con brevi note, ed altri due, trascritti, l’uno per mano del Salvini e l’altro del Biscioni, da quello di Rime Antiche già posseduto dal Redi, e corredati an- ch’ essi di note , a cui egli aggiunge le proprie , giovandosi al- l’uopo di quelle del Bottari alle Lettere più volte ricordate. Per la scelta delle lezioni, per l’ ortografia, ec. io mi son tenuto (ei ci avverte da ultimo) alle regole ne’ Poezi Antichi osservate. Specialmente ove non mi fu dato accertare l’ intelligenza d’ al- cuni luoghi o vocaboli, li ho posti siccome si hanno. da” codici, imitando in ciò i più dotti editori dell’opere classiche greche e latine , i quali, piuttostochè farne strazio in parte alcuna, lascia- rono al tempo, che può trarre in luce migliori codici o far na- scere migliori interpreti, il togliere quelle oscurità ch’ essi non seppero dissipare. M. Libro di Caro , 0 tre volgarizzamenti del libro di *Carowne dei costumi, con note ; indici ec. Milano, Stella 1829, in 8.° Le cose, recate qui sopra in commendazione delle rime e delle prose di Guittone , possono a più riguardi servir di difesa (chè la difesa presso alcuni sarà necessaria) alla stampa de? tre volgarizzamenti del libro di Cato e specialmente del primo. Do- vrebbe peraltro bastare a tal uopo il passo del Salvini dato lorv per epigrafe , ov’ è pur ricordato Cicerone, il più compito scrit- tore che il mondo abbia avuto, e il più gran veneratore di quella ch’ altri chiamavano , per dispregio , rozza antichità. Jl primo volgarizzamento, tratto da un codice trivulziano 115 del principio del secolo decimoquarto , a cui ha servito di ri- scontro uno magliabechiano del medesimo secolo , è forse, come opina il dotto editore (Michele Vannucci), della metà del secolo decimoterzo ; se pur non deve credersi anteriore. Sappiamo , egli dice , che il libro di Cato (0 Dionisio Catone fiorito sotto gli Antonini, o altro che intese dargli il nome di Catone il censo- re, del quale si hanno in Plinio alcuni ammaestramenti al fi- gliuolo) fu sin da’ tempi di Carlomagno usato comunemente nelle scuole. Nulla di più probabile che un tal libro venisse volga- rizzato appena si cominciarono fra noi a scriver prose ; il che fu mezzo secolo almeno prima della prosa di ser Ristoro. E che an- tichissimo sia il volgarizzamento , di cui si parla, ne danno in- dizio più voci che non si trovano in alcuno de’ vecchi scrittori fin qui stampati , ed altre che si trovano solo in alcuni de’ pri- mi rimatori. Esso è uno de’libri più necessari allo studio delle origini della lingua , e se fosse stato prima d’ora pubblicato avrebbe talvolta , come l’ editore dimostra , messi un poco più sulla via del vero i nostri lessicografi. Il secondo volgarizzamen- to , tratto da un codice riccardiano (suppongo anch’ esso del secolo decimoquarto) è del miglior tempo della lingua , e quindi contiene esempi non infrequenti di bella proprietà e di schietta eleganza. Il terzo, ch'è pur di quel tempo , fu già pubblicato in Firenze dal Manni, che il trasse da un codice di Rossantonio Martini, poi ristampato in Bologna per cura d’ una dama coltis- sima, e ben meritava d’esser qui unito all’ antecedente. Tutti e tre questi volgarizzamenti sono stati riscontrati dal- l’ editore con testi latini di pregiata edizione, riordinati ove ne avean d’uopo, ec. ec. I primi due sono pur stati da lui suppliti l’ uno coll’ altro, e con volgarizzamenti diversi , fra i quali uno inedito fornitogli da un bel codice riccardiano del secolo deci- moquinto , e un altro stampato in Roma dal Fritag d’Argentina ma rarissimo , di cui ha trovato copia presso il conte Melzi di Milano. A tutti egli ha fatte mutazioni ortografiche , ma senza arbitrio soverchio , studiandosi di conciliare 1’ uso moderno col rispetto all’ antichità. A tutti ha poste note di varia erudizione, ma specialmente spettanti alla lingua; e fra le note al primo varie rettificazioni di sentenze morali, per chi leggendo non sa- prebbe rettificarle da sè. A ciascuno finalmente ha aggiunto un indice de’ vocaboli e de’ modi o non registrati nel Vocabolario o mancanti d’ opportuni esempi ; con che ha compito una fatica in suo genere utilissima , e degna veramente d’ esser presa a modello. M. 116 . Lettere inedite di Principi e Uomini illustri rac. e pub. da Lvici Cisnazio , ec. Torino , Pic e Alliana 1828, in 8.° Quando , in proposito d’ alcune lettere di Veneziani illustri, pubblicate dal sig. Gamba , mi lagnava che queste , pubblicate dal sig. Cibrario , e da me credute di soli illustri Piemontesi, non fossero ancor giunte all’ Antologia, esse erano per così dire al suo uscio, dolenti del proprio indugio , di cui non avea colpa che 1’ accidente. Avviene spesso che le cose molto deside- rate ci facciano poi o ridere o vergonare un poco del gran de- siderio che si ebbe di loro. Quello , che da me e da altri si ebbe di queste lettere , ci è sembrato , al vederle, assai bene giusti- ficato . Esse , com’ indica il titolo riferito qui sopra, si dividono in due parti: lettere di principi; e sono da 25 , le più in francese: lettere d’ uomini illustri; e sono in numero di 27, quasi tutte italiane» Le prime sembrano destinate specialmente agli studiosi della storia del Piemonte. Alcune di esse peraltro possono interessare non poco ogni studioso della storia italiana anzi della storia in gene- rale. Quella d’Emannele Filiberto di Savoia al governatore di Barce- lonetta ci rivela un notabile contrasto fra la natural mitezza d’ani- mo d’un principe, reputato de’più saggi, e il rigore impostogli dal- l’indole de’tempi e da altre circostanze. Quella di Carlo Emanue- le I alla comunità di Poirino ce lo mostra, qual sappiamo ch'egli era, magnanimo ed eloquente. La lettera di Luigi XIV al suo amba- sciadore a Torino ci è testimonio novello e della sua alterezza e degli artifici della sua ambizione. L’altre, che seguono, della duchessa reggente Maria Giovanna al suo ambasciadore a Parigi, formano una serie di documenti curiosi, in cui si manifesta la fermezza e l’accorgimento di questa donna , obbligata a difendersi dalle nimicizie interne e dall’ esterna protezione, che per non esser rifiutata comincia coll’ invasione. Non men curioso è il tenore d’ una lettera di suo figlio Vittorio Amedeo II , che serivendo , com’ ella brama, contro il marchese di Pianezza all’ambasciado- re già detto, dà-i primi saggi di quell’ arte di simulare di cui poi, minacciato ad ogni momento dalla Francia , si fece maestro. Le iettere delle due sorelle Enrichetta e Margherita di Savoia al protomedico Ercole Rocca (del quale 1’ erudito editore ci dà qui una sugosa notizia) sono piccanti pel loro contrasto e non inutili alla storia della filosofia e alla scienza dell’ uomo. » 117 4 Le lettere della seconda parte dovrebbero interessare ogni specie di lettori. Interessantissime sopra tutte dovrebbero riescir le prime, quelle cioè del Peiresco al Galileo e ad altri. La pie- tà e la riverenza di quell’uomo celebre pell’ uomo grandissimo, che gli era stato maestro , e cui cerca di consolare , veramente ci commove. Il coraggio , con cui lo raccomanda al cardinal Barberino , or dicendo che la severità , che si usa al Galileo, sarà trovata cosa durissima per tutto e maggiormente nella po- sterità che dal secolo presente, dove pare che ognuno lasci gl’in- teressi del pubblico e specialmente delli miseri per attendere alli propri ; ora che sarà una macchia allo splendore e fama del pre- sente pontificato, se l’ eminenza sua non si risolve di prenderne qualche particolar sollecitudine ; ora che sarà forse comparata un giorno alla persecuzione della persona e sapienza di Socrate nella sua patria, tanto biasimata dalle altre nazioni e dalli po- steri stessi di quei che gli diedero tanti travagli ; questo corag- gio , dico , merita la nostra venerazione e la nostra gratitadine. Una delle sue lettere al Galileo ha un poscritto del Gassen- di, il quale, trovandosi, cora’ ei dice, in essa nominato, vi mette sotto due linee per baciar umilmente le mani a quello a cui è diretta, e assicurarlo del suo sempre devotissimo affetto. Nella lettera il Peiresco parla d’ alcune osservazioni astronomiche fatte a Aix in compagnia del Gassendi col canocchiale prestatogli dal Galileo ; indi prega il Galileo medesimo di varie cose, e fra l’al- tre d’ottenergli i disegni di certe rarità della guardaroba del gran- duca, dal quale non dubita (il granduca non era de’suoi persecu- tori) che debba essere favorito. Con questa lettera va pur ram- mentata quella a Curzio Inghirami (antenato, m’ imagino , del- l’autore de’ Monumenti Eiruschi) sul suo libro delle etrusche antichità. Il Peiresco parla di esse colla passione con cui oggi potrebbe parlarne il consigliere Dorow , che ha trovato recente- mente un sì degno interprete nell’ illustre Thorwaldsen. Dopo le lettere del Peiresco son notabili due di Pasquale de” Paoli, il propugnator magnanimo de'Corsi, che Alfieri stimò degno d’udire i sensi di Timoleone. L’una è piena di non so qual entusia- smo poetico di gloria ; l’ altra d’un entusiasmo patriottico il più ge- neroso. È loro frammessa una lettera del buon Metastasio, che pre- ga non sia portata al suo tribunale certa opera per musica, sapendo bene che gli autori non vogliono giudizi ma lodi, che non basta gen- tilezza per farsi perdonar la censura , ec. ec. Vengono quindi varie lettere dell’Alfieri, fra cui due alla sorella in proposito della nota renunzia , che fu il prezzo della sua indipendenza , ed una al 118” Caluso, accompagnata da una specie d’attestato della contessa d’ Albany , intorno a que’ suoi studii di greco, i quali possono forse citarsi come la più gran prova della forza del suo carattere. Alle lettere dell’Alfieri se ne frappongono varie di*vari al Denina, fra cui ne ricorderò una del Galluzzi per quel che dice dell’ac- chetamento di certi fieri accusatori della sua storia del granduca- to ; un’altra del Malacarne per ciò che accenna della vita beata ch’ era al suo tempo quella di professore in Padova; una del Bo- doni per quel che narra così ingenuamente de’ Francesi, che lo spaventavano coll’ armi, e lo seducevano comperando le sue belle edizioni; ed una di Carlo Bossi; la qual va messa in capo di lista quando si faccia una raccolta particolare di lettere d’ uo- mini di spirito. Chiude la raccolta delle presenti un simile della scrittura dell’ Alfieri e di colei (v. la dedica della Mirra) che sola a lui fu Musa. La provenienza di tutte queste lettere (trascritte la più parte, dice l’editore, dagli originali e il resto da copie degne di fede) è in- dicata in una dedicatoria che serve loro di proemio, ed ove fra V’al- tre cose si parla della convenienza e della sconvenienza di pubblica- re simil genere di scritture. Certo, trattandosi di lettere per così di- re ancor fresche, la discrezione non può mai essere soverchia. Trat- tandosi di lettere d’altri tempi, sarebbe a desiderarsi che si pubbli- cassero tutte quelle che possono servire a vera istruzione. Ma que- sta è forse ciò che meno si ricerca dalla pluralità de’lettori. Se fosse altrimenti, non si vedrebbero, per esempio, invendute ne’magaz- zini le lettere istoriche del Busini al Varchi e molto meno quelle del Guicciardini, pubblicate in Pisa da un dotto professore, a cui dobbiamo , oltre le ristampe di più opere classiche , molte lettere inedite del Tasso, più cose inedite del Giannotti, ec. ec. E in proposito del Giannotti , di cui il professor di Pisa non po- tè darci che le sei lettere conosciute, avvi in Firenze un pos- sessore di manoscritti preziosi , l’ ab. Parigi, che potrebbe oggi fornirne più altre, e aggiugnerne non poche d’ altri uomini fa- mosi di quell’ epoca specialmente. Molte pure se ne raccoglie- rebbero , volendo , da vari di questi depositi di ricchezza lette- raria che tutti conoscono. Ma quanti oggi in Italia ne incorag- girebbero la pubblicazione? Desidero che le lettere dateci dal sig. Cibrario sieno così ben accolte da rianimare chi è un poco sgomento dall’ indifferenza che si è mostrata per quelle del Bu- sini e del Guicciardini. M. 119 Crestomazia Italiana poetica del conte Gracomo Lroparpi. Mi- lano , Stella 1828 , parti a in 12.° Per chi ami applicarsi allo studio de’ modelli d’ un’ arte, nulla di più propizio che il trovarsene innanzi d’ ogni specie , scelti e ordinati da chi sia eccellente in quell’ arte. Ciò debb’ essersi detto al comparire della Crestomazia Italiana in prosa, che il conte Leopardi tempo fa ci ha fornita; e ciò si ripeterà adesso al com- parire di questa sua Crestomazia poetica , la quale forma un tutto coll’ antecedente. Che 1’ una somigli all’ altra per la bontà delle cose che contiene , già ciascuno se lo aspetta. Che non le somigli egualmente per la loro distribuzione, nessuno vorrà la- gnarsene , quando ne abbia dal conte Leopardi udite le ragioni. « Nella prefazione della Crestomazia Italiana di prose ; egli dice , il compilatore promise di fare una Crestomazia poetica con quei medesimi ordini e in quella stessa forma; la quale non era d’ invenzione sua , ma tenuta in tutti i migliori libri di tal ge- nere pubblicati in lingua francese , inglese ed altre , e approvata per buona dal consenso generale di quelle nazioni. Postosi all’ ope- ra conobbe che la cosa non poteva appena convenire al caso no- stro; perchè il porgere e distribuire per classi le impressioni poetiche gli parve primieramente impossibile e poi di pessimo effetto se si fosse potuto fare. Per questa ragione , in cambio del- l'ordine delle materie ha seguito quello dei tempi: ordine non contrario all’ effetto poetico , ed utile, com’è manifesto, alla cognizione storica della poesia nazionale ,,. Non d’ogni opera, per altro, degna d’esser proposta a mo- dello ; ei doveva o poteva offerire un saggio. « Di Dante e del Petrarca , egli dice , del Furioso e delle Satire dell’ Ariosto , della Gerusalemme e dell’ Aminta del Tasso, del Giorno del Parini (il compilatore ) non ha tolto cosa alcuna, perchè ha creduto, prima, che a voler conoscere la poesia nostra , sia necessario che quelle opere si leggano tutte intere, poi che il farle in pezzi, o il dire questo è il meglio che hanno, sia un profanarle. È ge- neralmente da tragedie e drammi d’ogni sorte non ha creduto che si potesse prender nulla, che posto fuori dal luogo suo; e diviso dal corpo dell’ opera stesse bene. Nè manco ha preso nulla dalle traduzioni, per non allargar troppo il campo. Finalmente si è aste- nuto dalle cose d’ autori viventi. ,, Le altre avvertenze ; ch’ egli ha avute scegliendo , e quelle eh’ ei desidera che s’ abbiano leggendo, sono indicate in questo ran passo. ‘ Dall'altra moltitudine che abbiamo di versi, quasi ine finita , ha scelto ciò che gli è riuscito, o più elegante, o più poetico , o anche più filosofico , e infine, più bello; incominciando dagli autori del secolo decimoquinto , e non prima ; perchè de’più antichi, fuori di Dante e del Petrarca , crede egli, e crederanno forse tutti, che quantunque si trovino rime, non si trovi poesia. Sarà poco meno che superfluo l’ avvertire i giovani italiani e gli stranieri, che nei passi che qui si propongono di poeti o di ver- seggiatori di questo secolo e della seconda metà del decimottavo , cerchino sentimenti e pensieri filosofici ed ancora invenzioni e spirito poetico, ma non esempi di buona lingua, nè anche di buono stile. ,, Quest’ ultime parole fanno intendere abbastanza che la scelta è stata fatta, quando, pel proposito accennato più sopra d’aste- nersi dalle cose d’ autori viventi, non potea darvisi luogo ad al- cuna del Monti. ‘“ Ma avendo la morte, con dolore universale, tolto dai vivi quel sommo poeta prima che la stampa fosse com- piuta, parve, dicono gli editori, che sarebbe stata una grave man- canza il non far raccolta anche de’ più bei fiori della sua Musa, principalmente di quelli che sapevansi essere stati da lui predi- letti. Della scelta di questi fiori preziosi noi andiamo debitori ad un amico del Monti medesimo , zelantissimo della sua gloria, e vogliamo sperare che ogni animo gentile ne rimarrà sodisfatto. ,, M. L’ Eccidio di Troia di Trirroporo Ecizrano trad. e illus. dal cav. Baccio Der Borso. Pisa, Capurro 1829 in 8.° Trifiodoro, come dice in un proemio erudito il nuovo tra- dutore dell’Eccidio di Troia, si fa contemporaneo di Q. Calabro, di Coluto , di Museo, vissuti sotto i primi successori di Mar- ciano. Scrisse , oltre l’Eccidio ; che ci rimane, vari poemi ricor- dati da Suida e da Esichio, e fra essi un’ Odissea lippogramma- tica ( mancante ne’ versi di ciascun canto della lettera numerica di quel canto ) gareggiando in ciò con Nestore Licio , che sotto Settimio Severo compose una simile Iliade. Questa gara puerile mostra, che se il vero genio poetico della Grecia non era affatto estinto , certo non vivea in Trifiodoro. Però nessuno s’ aspetta di trovar nel suo Eccidio (piccola epopea di 681 versi) uno di que’ componimenti , per cui si chiama prediletta dalle Muse la terra, che dianzi si nominava. E il nuovo traduttore, con nota- bile ingenuità, spende non brevi parole a mostrarci com’ esso è 121 inferiore per ogni riguardo, non che al seconilo libro dell’Eneide, anche a’luoghi corrispondenti de’Paralipomeni di Q. Calabro. Mal- grado ciò , o invaghito d’ alcuni versi più belli, o preso da sin- golar amore per tutta !’ antichità, duolsi che sia stato meno ch’ altri poemi accarezzato dagli editori eruditi, benchè nè pochi nè volgari sieno quelli che lo han riprodotto da Aldo il vecchio al giovane Wernicke ; il solo ch’ei non annoveri. Duolsi pure che non abbia avuto in Italia se non due traduzioni , l’una poco men letterale dell’ altra, quella del Villa , cioè , e V antecedente del Salvini, che leggesi colla latina del Lezio a fronte del testo ban- diniano. Quindi ei ne ha impresa una nuova , e a renderla più poetica ha scelto per essa il metro dell’Ariosto e del Tasso. Mal pago delle libertà ; che si presero, traducendo, non dico il Cesa- rotti, ma il Caro e il Bentivoglio, egli avrebbe voluto conciliare un tal metro almeno colla fedeltà che si propose il Guidiccioni. Era però inevitabile ch’ei si trovasse costretto ora a degli allargamenti ora a de’ raccocciamenti ; e di essi a mano a mano dà ragion nelle note. In queste dà pur ragione delle lezioni prescelte, confron- tando il testo del Bandini coll’ edizione del Northmor e d'’ altri, e talvolta ce’ due codici laurenziani onde quel testo fu tratto , nel, che gli giovò , dice, l’ amicizia del dotto professore Del Furia. Questa parte filologica del suo lavoro contenterà, spero, anche quel. li, a cui non sodisfacesse la parte poetica, e parrà tanto più lode- vole, ove si consideri qual semplice riereazione dai gravi studi della giurisprudenza , che il traduttore professa. M. Scelta d’Iserizioni Moperne in lingua italiana. Pesaro, No- bili 1829 in 13,9) Accanto al fascicolo delle romane iscrizioni , raccolto già dal Polcastro , or metteremo questa Scelta d’italiane , fatta dal conte Mamiani, e anche noi diremo, colle parole del Convivio di Dante, ch’ ei le dà per epigrafe : @ confusione di coloro che accusano la italica loquela. L essersi fin d’ oggi potuto. fare una tal scelta rende ormai soverchia ogni disputa intorno alla possibilità o alla convenienza d’ altre iscrizioni che latine. Nel giudizio almeno de pensanti (uso una frase dell’autor della scelta ) la causa del- l’epigrafia italiana è già vinta. Quindi in un discorso premesso alla scelta medesima, più che questa causa, ei mostra aver d’uopo di difesa la causa contraria. « Se i fautori della latina epigrafia, egli T. XXXIV. Giugno. 16 122 dice , vogliono difendersi col porre innanzi 1’ antichità e 1’ uni- versalità del costume delle iscrizioni latine, noi li farem tacere coll’ addurre un costume più vecchio e più universale: vogliam dire quello di tutti i popoli e di qualunque età. E certo essi me- desimi dire non possono di seguitare 1° usanza de’ Romani e dei Greci; chè i Romani e i Greci scrissero nel loro volgare , e così fecero gli Egizi , così i Caldei, e ogni gente insomma a cui è nota l’ arte di perpetuare la memoria delle umane cose incidendo nel marmo e nel bronzo. » Nè si creda, ei prosegue, che 1’ epigra- fia italiana, come taluno asserì, sia affatto de’ nostri giorni, e nata così a un tratto per le mani del Muzzi, innanzi al quale dovea pur nominarsi il Giordani « che primo la informò dell’im- pronta vera dell’ idioma nostro e la empiè degli spiriti più vigo- rosi de’ trecentisti. » Si trovano iscrizioni volgari d’ ogni secolo, noverandole fino dal dugento; intorno a che tarderà poco ad ap- parire un’ erudita fatica del Manuzzi « il quale rinnoverà fra noi l’ esempio de’ Greci, le cui vecchie iscrizioni furono adunate e trascritte da quel Filocoro ricordato da Ateneo, ec. » Ma posta da lato la consuetudine, chi ignora , egli dice, le difficoltà a cui vanno incontro i latinisti de’nostri tempi? E qui prova con molti esempi come queste difficoltà sieno quasi sempre insuperabili , maneando alla lingua del Lazio le voci opportune per esprimere schiettamente le cose civili o religiose de’tempi posteriori a quelli in cui essa fiori. Ma supposta pure ne’nostri latinisti la più mi- racolosa abilità , a che pregiata intenzione, egli domanda , a che leggiadro fine riescono le loro fatiche? « Diletto vero dell’ arti è la novità de’ trovati , o il rabbellirli e condurli ai termini del- 1’ eccellenza. Ma in verità per noi non si vede come questa sorta di piacere possa entrar mai nell’ animo degl’ iscrizionisti latini, poichè a loro è legge la imitazione scrupolosa de’ marmi dell’au- reo secolo ; e il por piede fuori di quelle orme vorrebbe giudi- carsi eresia. E d° altra parte chiunque s’argomentasse di rintrac- ciare nuovi fiori di stile, nuovi collegamenti di frasi e simili, a chi mai potrebbe persuadere ch’ esse non sono licenze ma leg- giadrie , non istranezze ma begli ardiri? Necessità è dunque a costoro il premere anzi il tritàr sempre le vie medesime; fuor di speranza , non che di avanzare, ma nè tampoco di farsi uguali agli antichi. Lasciamo stare la noia e la briga che hanno di porsi spessissimo a lunghe e seccaginose questioni per rimaner chiari sul valore d’ una voce, d’ un emisticchio , d’una sigla o altro : chè con tutto questo rade volte convengono in una sentenza, e 123 resta ignoto come certi concetti s'abbiano a interpretare o a espri- mere . Per tal modo assai si travagliano e s’ erudiscono , molto leggono e moltissimo scrivono a divenire non ottimi mosaicisti : il perchè può dirsi di loro nella repubblica delle lettere quello che Tacito afferma d’ alcuni illustri Brettoni, da’ quali humani- tas vocabatur quod erat pars servitutis. » Qualche eccezione egli intende bene doversi fare a questa sentenza per riguardo ad alcuni celebri iscrizionisti e specialmente al Morcelli. « Ma si conceda di osservare , egli dice , che appunto gli studi nuovi e continui di lui nella lapidaria, e i documenti che ne ordinò, e gli esemplari d’ ogni foggia che ne offerse, come hanno frut- tato a quella cima di filologo fama bellissima e unica, d’ altra parte hanno compiutamente preclusa la via dell’ invenzione, che già non era molto vasta e lunga da correre. E certo, allorchè il chiarissimo Schiassi avrà posto termine alla compilazione del Lessico Morcelliano, ove a ciascun concetto di epitaffi , d’ inti- tolazioni , di fasti, e di qualunque altra ragione di epigrafi, tro- verannosi registrate a rincontro le frasi più accomodate e del mi- glior latino; sembra che lo scriver titoli nel sermone romano sia per divenire l’allegro officio e la pingue messe de’pedanti, ec. ec. ,, Dopo ciò parrà quasi eccessiva condiscendenza , ch’ei si fermi alla trita obbiezione , che la lingua nostra , per divenire epigra- fica , è troppo men grave e meno concisa della latina, o all’al- tra frivolissima che a ben comporre iscrizioni italiane ci mancan norme sicure. Nondimeno alla prima ei risponde che, stando a’ principii di chi suol farla, “ non sarebbe da tentar mai nè ora- zioni forensi, nè poema epico, nè sermoni, nè satire, poichè a dir vero non è speranza di giugnere alla copia, al nerbo e alla grandiloquenza di Tullio, nè alla varia e grave armonia dell’esa- metro virgiliano , nè ai sali urbani e alle veneri delicate del Ve- nosino ,,; ciò che opponevano infatti i grammatici del cinque- cento , ‘ chè in ogni tempo la viltà si fece scusa dell’ impos- sibile, e i maestri d’ una lingua, per esaltar sè in quella, di- spregiarono 1’ altre . ,, Alla seconda ei replica “ che noi siamo nella condizione di que’ primi greci e latini che intrapresero l’epi- grafia loro nella loro favella ; poichè lo stile de’ titoli nè tra essi pure è apparso tutto bello e compiuto cume il destriero al per- cuotere del tridente ,,; anzi che noi siamo forse in condizione migliore « avendo essi tramandate a noi Je iscrizioni loro, in cui studiando diligentemente ci avverrà di trovare un modo d’ ana- logia, un tipo di forme, alle quali accostarci nel nostro idioma, 121 sempre aiutati da squisitezza di giudicio e da profonda crogni- zione d’ ambidue le favelle ». Quindi viene a dire che il trat- tato del Morcelli intorno alle iscrizioni latine può riguardarsi , almen ne’ capi generali, come un codice legislativo anche per le italiane: che non sarebbe forse disconvenevole che al codice s’ag- giugnesse un tribunale, cioè che qualche italiana accademia pren- desse cura delle iscrizioni che si scrivessero, e ne proferisse senten- za: che gioverebbe sopratutto che le iscrizioni non si chiedessero che ad esimii scrittori, e non presumesse di dettarne ogni misero grammaticuzzo , il qual non può fare che le sopportino le pie- tre. In ciò, ei prosegue, noi imiteremmo l’ esempio de?’ latini « presso i quali, avvegnachè non si trovi memoria d’un consesso d’ eruditi ; al quale fosse assegnata la disamina delle epigrafi , certo è che ne’ pubblici monumenti non se ne affiggeva alcuna giammai che non fosse lavoro di sapiente, o non venisse, come a dire, sanzionata dal senno de’letterati ». Ove fosse altramente « non sapremmo venir capaci del perchè i marmi tutti, nomi- nati del buon secolo , splendano di elegante dizione o propria 0 non isprovveduta d° arte; chè non fu mai nel mondo un'età così aurea da perdere affatto il seme dell’ignoranza, ec. ec. ». Del rimanente , ei dice , il pregio di non poche fra le iscrizioni, che già possediamo in nostra lingua; risponde meglio d’ ogni argo- mento alle obiezioni che ancor possono farsi contro l’ italiana epigrafia. « Sebbene però nel farne scelta e nel porle ciascuna al debito luogo (nel distribuirle per classi ) ci sia occorso di seru- polosamente esaminarle, secondo quel lame dell’arte che ci cream- mo ragionandovi sopra, e ponendo mente agli esemplari greci e latini, noi non saremo arditi di pronunciare giudizio sopra al- cuna in particolare, nè di far sentire la differenza dei dettati, e quali meno quali più s’ accostino alla bontà e alla perfezione del genere ». Solo aggiugniamo, ei prosegue, « che al nostro credere più lodevoli sono quegli iscrizionisti, cui piace attenersi a un modo piano e semplice, e abborrono dal pomposo e dal ri- dondante » vizi principali dello stile odierno. Al qual proposito ei fa alcune riflessioni sensatissime , e degne d’ esser da tutti ponderate , potendo giovare anche per altre composizioni che le epigrafiche. « Stranissima cosa , egli dice , di veder sempre au- mentare le lodi e sopraccaumularsi gli onori a misura che scema- no le azioni alle quali competono ». E qui reca alcune iscrizioni di tempi già lontani, le quali ricordano in semplici parole gran- dissimi fatti, laddove oggi, egli dice, non si ricordano generalmen- 1209 te che piccoli fatti con gonfie parole Indi raccomanda che si torni all’antica semplicità, anche per fuggire il sospetto della menzo- gna; gravissimo quando si parla de’vivi, e perniciosissimo quando si tratta degli estinti « poichè fa perdere il frutto morale che sorge dal ricordare le loro virtà ». Conchiude infine con altre giuste avvertenze e con voti, ch’ egli medesimo sembra destinato a sodisfare; di che abbiam pegno in alcune delle sue iscrizioni, frammiste a quelle da lui scelte de’nostri epigrafisti migliori, che già tutti conoscono , e ai quali era da aggiungersi G. B. Nic- colini . M. Parole di Groserrre Brancuerti in morte di Gruserpe MonIcO, ec. Treviso, Andreola 1829 in 8.° Altra volta, rendendo conto d’ alcuni elogi del nostro Bian- ‘hetti , scrittor savio e filantropo, se alcuno merita oggi questo titolo in Italia, mostrai desiderio che alla schiettezza de’ suoi sentimenti corrispondesse nelle sue composizioni la schiettezza dello stile. Un tal desiderio è ‘oggi pienamente sodisfatto per le parole da lui dette all’ ateneo di Treviso în morte di G. Monico, uomo candidissimo (v. la sua necrologia a pag. 170 del quaderno antecedente di questo giurnale ) e da non potersi lodare che in istile assai candido. Questo stile, che ci rende più caro il doppio ritratto morale e letterario che il Bianchetti ne ha fatto, accre- sce pur valore alle belle e franche riflessioni, con cui lo accom- pagna , e delle quali non cito alcuna, per la speranza che lo scritto , ove si trovano, sia ricercato e letto da molti. M. Sulla Milizia Costantiniana memoria storica del conte cav. For- caino Scuizzi. Milano, Truffi 1828 in 4° fig® Questa memoria ha due parti , 1’ una riguardante la storia greca della milizia, da Costantino a Francesco primo di Parma; l’ altra 1’ italica, da Francesco suddetto alla regnante Maria Lui- gia. La prima , come ciascuno s’ imagina , è un compendio di congetture erudite , nelle quali, non che la verità, sarebbe forse troppo pretendere una rigorosa verosimiglianza. Mi è stato parla- to d'un libricciuolo assai raro (De fabula Ordinis Constantiniani) già attribuito al Bacchini, chie uno dei due ultimi Farnesi ebbe 126 per ciò la debolezza di esiliarè, ma scritto realmente dal princi pe dei dotti del suo tempo , il marchese Maffei. Io non ho an- cor potuto vedere questo libriecinolo , di cui per verv dire sarei curiosissimo. Non ho per altro bisogno di esso, per dubitare di quanto sì è asserito intorno alle origini della milizia già detta, o per accorgermi della natura del contratto che fece il Comneno col buon duca Francesco. La seconda parte, come ciascuno s’aspet- ta, racchiude notizie positive , e come queste , ch” io sappia , non erano per anco state raccolte, può dirsi un’appendice essen- ziale alla storia degli ordini cavallereschi. Alla prima serve d’or- namento il disegno d’una medaglia di Costantino, che fu già del museo Vaticano e passò quindi a quello di Parigi; all’altra serve d’ illustrazione una tavola che rappresenta vari degli attuali di- stintivi de’cavalieri della milizia. L’autore, ad essa aggregato, volle renderle colla penna quell’omaggio, che i soli aggregati insieme ad altre milizie possono in qualche modo renderle colla spada. Ma ciò facendo ebbe pure altra mira, che può argomentarsi da queste parole: “Senza derogare formalmente a quanto gli anti- chi statuti disponevano relativamente al grado di nobiltà , che per essere insigniti del titolo di cavalieri costantiniani si esige- vano , praticamente l’arciduchessa Maria Luigia non nominò fino ad ora che cavalieri così detti di merito, mostrando assai saggia- mente di voler destinato quest’ ordine a premio degli utili cit- tadini, ec. ,, Da simile destinazione ei dice dipendere il decoro e l’ utilità che possono ancora avere gli ordini cavallereschi, in- torno ai quali non ragiona con altri principii che con quelli di Genovesi e di Say , maestri di studii a lui prediletti. M. Vie d’ Acricora par T'acire traduite par N. L. B. Florence, Piatti 1829 in 8.° Un grande scrittore (Hooft) poco noto alla colta Europa, ma non ignoto sicuramente al nuovo traduttore della vita d’Agricola , prima d’ accingersi alla sua storia d’ Olanda, lesse Tacito 52 vol= te. Il nuovo traduttore si prepara , dicono, a percorrere anch'egli la carriera di storico , per la quale nessuno ebbe mai più grandi eccitamenti domestici ,.e stimò forse parte di preparazione il ten- tare ciò che quello scrittore , in una lingua, come 1’ olandese, non ancor da lui perfezionata abbastanza, dovea credere troppo arduo. Sarebbe presunzione per parte nostra il voler decidere del 127 merito di questo suo primo esperimento. Ch’ei ne abbia vedute le difficoltà lo mostra ciò ch’ei dice in una lettera di proemio a persona a lui cara, e quanto vien osservando nelle note con cui accompagna l’ esperimento medesimo. Com’ egli pregi Tacito, con qual amore per conseguenza si sia fatto suo interprete , come sia per seguitarne l’ orme, può argomentarsi da questo passo della lettera già indicata. “ Tucite est le modèle des écrivains; presqu’à chacune de ses phrases il fuit éprouver à l’dme une sensation pro- fonde; ses ouvrages respirent la vertu le plus pure ; ses idées sont Justes et fortes. Bien different de certains auteurs de nos jours , il dedaigne les grands mots et les déclamations. Sa conscience seule est son guide ; il ne dit que ce qu’il sent. Et qui mieux que lui a senti l’ amour de la patrie et la haine de la tyrannie! Il aime le genre humain , et lorsqu’ il dénonce à la posterité les crimes des oppresseurs de son temps , c’ est avec cette noble moderation et cette frappante vérité qui seules sont dignes de l’histoire. Per doppia modestia, io credo , ei non ha fatta alcuna illusione al giudizio datone dal più grand’ uomo «de’ nostri tempi, ma scri- vendo storie non vorrà sicuramente obliarlo. M. Saggio di Favocerre Esorrane. Milano, Silvestri 1829 in 8.° = Esopiane come quelle del Roberti; ma di stile, parmi, as- sai più franco. Sono dedicate da Francesco Longhena a due sposi novelli, come cose da leggersi co’ figlioletti che nasceranno. I figlioletti, par ch’ei supponga, avranno al solito la tentazione di fare i poeti, e metà delle nuove favolette (sei fra tutte) scritte contro questi incomodi del secolo (3° intende i cattivi che sono sempre i più) serviranno loro di preservativo. Le altre serviran- no ad altr’ uopo , di che parlano abbastanza tutte le prefazioni ai libri di favolette esopiane e non esopiane,. L’ autore di que- ste nuove, una delle quali, per vero dire, non è troppo felice, ma tre hanno speciale vaghezza, sembra promettercene di molto belle. M. 128 Canzoni del cav. Giovanni Cassetti. Firenze , Ciardetti 1828 in 8.9 I rimedi d’amore d’Ovipro trad. dal cav. Gro. Casetti. Firenze, Ciardetti 1828 in 8.° Il più gradito fra’traduttori d’Anacreonte ha pur voluto fare le sue prove con Ovidio, e non potea farle infelicemente. Se non ogni terzetto della sua versione de’ rimedi d’ amore presenta un’imagine fedele del distico a cui è contrapposto , tutta insieme però. questa versione può dirsi uno’ specchio assai terso dell’ eri- ginale. Non è facile trovare in altre più aria ovidiana, più brio, più chiarezza , più elegante facilità. Le stesse deti appariscono pure nelle canzoni, cinque delle. quali son consecrate ad altrettante splendide opere del regno di Maria Luisa di Parma , il Ponte sul Taro , la Biblioteca , il Tea-= tro , il Ponte sulla Trebbia, 1’ Accademia di Bell’ Arti; ed una alla memoria del maresciallo conte di Neipperg. Non può lodarsi indistintamente il concetto poetico di queste canzoni, anzi quello. della terza potrebbe dirsi meno che ingegnoso. L’intenzion ci- vile è in tutte lodevolissima e specialmente nell’ ultima , cioè nella più bella, di cui si ripete con vera commozione quest’ul- tima strofe Beato l’ uom che partesi ° Dalla mortal carriera , E l’accompagna un gemito. Concorde , una preghiera ! Corona tutti i voti Quel sasso ove si noti Dei popoli l’ amor. M. La Grecia descritta da Pausania. Volgarizzamento con note al testo ed illustruzioni di Ses. Crampi. T. II. Milano. Tip. Fr. Sonzogno. Abbiam già , due anni sono , annunziato il primo volume; ed ora ci duole di non poter con uguale larghezza distenderci ne’ pregi di questo secondo, non men degno dell’ attenzione de’ dotti. Ragguardevoli sopra tutto ci parvero le ricche illustra- zioni ai capitoli del Tempio di Giove Olimpico, e a quelli della cassa di Cipselo. Nelle prime il ch. Trad. combatte e con molta ragione, per quanto a noi pare, le opinioni e le congetture del 129 sig. Quatremère de Quincy ; nelle seconde aggiunge alcune no- tabili cose alle già dette dall’ Heyne in una dissertazione che in fine al volume ci si dà lodevolmente tradotta dal march. Girolamo Lucchesini , e fornita di note del cav. Ciampi, dilettevoli pe’con- fronti che si vengon facendo della storia dell’arte greca con quel- la dell’arte fra noi. Tutto il volume poi è arricchito d’illustrazioni, parte dedotte parcamente dal Clavier, dall’ Amaseo, dal Siebelis; parte nuove: e tra queste ci parvero degni di menzione alcuni riscontri eti- mologici, non sempre incontrastabili, ma sempre ingegnosi ; e certe distinzioni importantissime de’varii sensi di parole e di modi comu- nemente creduti sinonimi, ma che nell’uso degli autori conservano costanti e osservabilissime differenze. Di tali illustrazioni citere- mo per saggio, quelle che a proposito de’verbi 7057y EJLTIOISTY, “4 PdAASv. Evy Alpe dvay Ab @ev, inserì il sig. Ciampi in questo giornale, e ch’ ora pone nella prefazione al volume secondo del Pausania, con altre note filologiche riguardanti l’uso de’ vocaboli nuovi , la distinzione d’ alcune voci italiane che paion sinonime, e la preposizione dell’articolo ai nomi di donna. Quanto a’ vo- caboli nuovi, purchè necessari e confermati dall’ uso, ognuno consentirà col ch. A.; e anche gli accademici della Crusca col fatto se ne mostrano persuasi. Questa specie di pedanteria , con- vien dirlo , non alligna in Toscana. — Quanto alla distinzio- ne da farsi delle voci sinonime, i cenni del ch. cav. son ve- ri, e gioverebbe ch’ altri di questa materia si occupasse di pro- posito ; giacchè 1’ opera del Romani è quasi nulla o forse peggio che nulla , e il lavoro del Grassi non è che un saggio. — Quanto all'articolo da preporsi ai nomi dì femmina, noi concediamo che nello stil familiare ciò torni bellissimo , e che per que’ nomi an- tichi che potrebbero scambiarsi con nomi maschili , il cav. Ciampi abbia saggiamente adottato lo spediente di distinguerli con l’ar- ticolo; ma fuor di questo caso, l’ uso della lingua scritta è pre- ciso e costante. Se Dante ha detto: Vidi Camilla e la Pentesiléa, ciò non fu che per servire al numero; ma in quel medesimo luo- go stanno nominate senza articolo — Lucrezia , Giulia, Murzia , Corniglia. Un de’ pregi delle note di questo volume, come di quelle del primo , è il riscontro che pone il trad. de’ nomi e de’costumi antichi, co’ nomi e costumi tuttora viventi. Così p. e. parlando di Sparta: Il sito di Sparta è ora occupato da un castello chia- T. XXXIV. Giugno. 17 fi 1.30 mato Paleo-chari ; secondo altri, è assai distante dal sito del- l’antica Sparta. ,, Così del teatro di Sparta vicino al Cenotafio di Brasida , cita Anacarsi ed il Gell: così nel Capo-Matapan, riconosce l’ antica Malea ; nel porto Quaglio o Caglio, la cala Achillea ; in Kalamo i Talami dell’ antica Laconia ; nella cala chiamata Plasa, la Pefno di Pausania ; accenna esser visibili an- cora le rovine d° Abia in Messenia ; pone con Gell 1’ antica Ira tra Dorio ed Aulone; nota col medesimo che Turia od Antéa è chiamata ora Paleo-Castro , tra Scala e Calamata; che Calamata è tutt’ uno con l’antica denominazione di Calami; che le rovine di Messene si riconoscono nella vicinanza di Mauromatti; che Do- rio ed Aulone erano probabilmente vicini al moderno Sidero- Castro; che il promontorio presso Teganusa ora ha nome Capo- Gallo ; che dell’ isole Inuse il moderno nome secondo alcuni è isole di S. Venetico , second’ altri, della Sapienza ; che Navarino occupa il luogo della Pilo di Nestore, cosa ormai riconosciuta in- dubitatamente dalla spedizione francese; che il Prodano d’ oggidì è l’antica Sfacteria; che il sito di Lepreo era vicino al Borgo Stro- vitzi tra Sidero-Castrò ed Agio Isidoro ; che la celebre Olimpia oggidì è detta Antilalla , tra i borghi Floka e Paleo-Fanaro. Noi desideriamo vedere dal cav. Ciampi compito quanto pri- ma questo dotto lavoro , il qual riuscirà degno della sua fama, e ornerà la Collana degli storici greci che viene con tanto zelo pubblicando il Sonzogno. K X.Y. Srasar Maurer, Trad. da Q. Viviani. — S. Giovanni al Sepol- ero, Canto Profetico del medesimo. Udine Frat. Mattiuzzi. Tip. Pecile 1829. Ognun sente , quanto difficile impresa debba essere il ben tradurre gl’inni della chiesa, dove tutta la poesia è nella ignuda semplicità dell’ affetto. Questo dal sig. prof. Viviani prescelto, era forse uno de’ più difficili per le molte ripetizioni che contiene de’ medesimi sentimenti o concetti. Pure il ch. trad. ci è riuscito con rara felicità. Solamente, non so se in un inno de’dolori della Vergine, sia troppo opportuna la commemorazione delle bolge di Dante. Nel canto profetico , si comincia dai benefizii del cristiane- simo , tutti sapientemente raccolti nella parola amore; e si finisce I3I con la rivoluzione di Francia, con la emancipazione d’ Irlanda, con la libertà della Grecia. Ammesso (e sopra questo io non di- sputo ) ammesso che San Giovanni canti una profezia sulla tomba del Redentore, io trovo convenientissimo ci’egli, celebrando quella legge che un apostolo chiama legge perfetta di libertà , rammenti e la Francia e l’Italia e l’Irlandae la Grecia. Anzi io trovo che San Giovanni nel cantico del sig. prof. Viviani dice in questo proposito, piuttosto poco che troppo: codesto sarebbe un difetto se non si trattasse d’ un canto profetico. Parlare più chiaro , sarebbe stato un violare le leggi del verisimile , che , secondo i retori , è più venerando del vero. Finito il cantico, trema la terra, e il Redentore risorge. Questa risurrezione, posta quasi di fronte alle idee consolanti dal poeta annunziate , è un lampo di vera poesia. Noi ne facciamo al sig. prof. Viviani le nostre congratulazioni. E tanto più vive, che d’ un altro signor Viviani, non so se della stessa famiglia, noi conosciamo, recentemente stampato, un Vaticinio di Tetide. Io, per me, amo meglio i canti profetici di San Giovanni che quelli di Teti e di Nereo: sebbene non creda necessario di porre in bocca a un apostolo delle profezie ch’egli, a quanto si sa, non ha fatte. Insomma gli argomenti sacri, e morali, gli argomenti importanti e intelligibili al più che si possa e di dotti e d’ in- dotti, ecco quelli ch’ io reputo degni della vera poesia. Non è più tempo che le danze delle ninfe co’ satiri, per usar la frase d’ Orazio , dividano il poeta dal popolo. Se questo dev’ essere , rimettiamo a Polinnia il bardito Lesboo ; e facciamo a meno di versi. i K. X. Y. Descrizione delle medaglie antiche Greche del Museo Hederva= riano, dai Re di Soria fino u quei della Mauritania, con altre di più musei, comprese in otto tavole incise in rame, distri- buite secondo il sistema geografico-numismatico , per Donz- nico Sesrinr. Parte terza. Guglielmo Piatti 1829. Seguita in questa terza parte la Siria, fino alla Persia. Quan- te inesatte descrizioni , quanti sbagli del Caronni sieno dal ce- lebre Sestini notati, quanto acume e dottrina nel discernere, nel congetturare , nel rigettare alcune opinioni d’ uomini celeberri- mi , mostri l’ illustre Toscano , può bene immaginarlo chiunque conosce l’ altre opere di lui, già classiche nella scienza. Sta in fronte al volume quest’epigrafe : “ alla confusione di 132 tutti i moderni falsificatori di medaglie greche e romane, al disonore dei trapassati , al disprezzo di tuttii fautori, all’ au- »» dacia dei tassatori delle medesime, causa di danno gravissimo »» per la scienza della numismatica .. il decano dei numismati- »ì ci, consacra. ,, == Nella prefazione avverte : “ nella descrizio- + ne delle diverse dinastie dei Re , non ci è riuscito di potere »» citare tutti i numeri corrispondenti a molte dei medesimi, per »» essere stati scambiati, e non bene veduti i monogrammi ri- ») spettivi, oltre un infinità d’ incongrue descrizioni. ,y La quarta parte darà la continuazione di quelle d’ Egitto e della Cirenaica , con le provincie numismatiche dell’ Affrica e della Mauritania. Le medaglie di nuovo acquisto saranno al so- lito segnate con un arterisco. Nelle seguenti parole 1° A. ci fa una promessa ben cara : « Se il nobil possessore del museo Hedervariano avrà a cuore la »; continuazione di tutte le altre medaglie non state descritte , » principiando dal Bosforo Tracio sino a tutte le isole dell’ Ar- »» cipelago, non saremo alieni dall’impiegare la nostra opera, che », ben lo merita, stante che molte sono le erronee lezioni e fal- se attribuzioni delle medesime, affine di evitarle, per non » perpetuarne gli errori, come spesso è accaduto a chi ha vo- »» luto far uso d’ un catalogo molto fallace. ,, Il n. A. fa nella prefazione stessa, onorevolissima menzione del- l’insigne opera numismatica del sig. Eduardo de Cadalvene, stam- pata in Parigi nello scorso anno, nell’atto stesso che circa alcune cose mostra di dover dissentire da lui. Possa lo zelo infaticabile del numismatico italiano eccitare 1’ emulazione dei direttori di tutti i musei principali d’Europa a voler fare al pubblico parte di que” nascosti tesori; acciocchè, conosciuto tutto il materiale della scien- za , si possa solidamente edificare con esso e sovr’esso, e risalen- do dalle descrizioni bene accertate a quelle indagini senza le «quali la numismatica non merita il nome di scienza , trarne le molte conseguenze che trar se ne possono non solo intorno alla cronologia, ma e alla storia delle provincie, e a quella delle ar- ti, e a quella delle religioni e de’ simboli. Il più difficile è ve- rificare i monumenti, ed intenderli: ma il più difficile non è però il più importante : conviene applicarli. Queste cose avevamo già scritte; ed ecco ci giunge un nuo- vo volume, la continuazione della P. III, che comprende la de- scrizione delle medaglie dei Re d° Egitto fino ai Re della Mau, ritania, con tutte le provincie intermedie dell’ Affrica. “ Man- 133 ca ora (così nell’ Introduzione il ch. A.) , manca ora la de- scrizione delle medaglie d’ Europa , e di quelle della Grecia antica , le descrizioni delle quali formerebbero tre altri tomi, se non quattro. Questo dipenderà dalla nobile idea del posses- » sore, il signor co. de Viczay, il quale certamente non più soffri- ss rà che il suo catalogo resti in una certa tal qual abiezione , > per le erronee descrizioni. A noi basta averne purgate molte » per decoro della scienza. ,, E chi non desidererebbe che il ce- lebre Numismatico fiorentino consacrasse le forze ancor vegete della infaticabil sua mente al compimento dell’ intero lavoro ? Se a lui non vien meno il tempo e la sanità, certo la forza del volere non manca. E n’ è prova il catalogo di tutte le opere di bb} d> 2) b>) quest’ uomo chiarissimo , testè pubblicato nella breve vita scritta- ne dal dotto sig. prof. Domenico Valeriani; vita che accompagna il bel ritratto del Nestore de’ Numismatici, dal signor Ermini di- segnato, ed inciso dal signor Vendramini, nuovo ornamento .del- l' Iconografia contemporanea da que’ due ch. artisti sì opportu- namente ideata. Per soddisfare al desiderio di coloro a cui non tutte forse saran note le minori opere di questo scrittore infati- cabile, e per dimostrare com’ egli, nella sua scienza raccolto , non ha però disdegnate altre cognizioni più pratiche e non me- no importanti, recherem qui quello stesso catalogo , che da sì alto incomiucia la gloria e le benemerenze del Vecchio venera- rabile che l’Italia ripone tra quegl’ illustri suoi figli i quali, col- tivando i varii rami dell’ umano sapere , li ricrearono. I. Dissertazione intorno al Virgilio di Aproniano, prezioso codice della Laurenziana. Firenze 1774. II. Descriziòne del museo d’ antiquaria e del ga- binetto d°istoria naturale del Principe di Biscari di Catania. Firenze 1776. Seconda edizione nel 1807 in Livorno, con aggiunte. III. Agricoltura, prodotti, e commercio della Sicilia T. I. Firenze 1777. IV. Lettere scritte dalla Sicilia e dalla Turchia. VII tometti, Firenze 1779-81, Livorno 1782-84. V. Della pe- ste di Costantinopoli del 1778. Firenze, falsa data d’ Yverdun 1776. VI. Opu- scoli. Firenze 1785, cioè : 1.° Descrizione del littorale del canale di Costanti- nopoli, e della coltura delle vigne lungo le coste del medesimo. 2.° Della col- tura di varie cose geoponiche sulle medesime coste. 3.° Idea dei Giardini Tur- co-Bizantini, e coltura dei vari fiori che si fa ne’ medesimi. 4.° Della caccia tur- ca, con una descrizione degli animali e degli uccelli che si osservano lungo il canale di Costantinopoli . VII. Lettere odeporiche , o Viaggio per la penisola di Cizico , per Brussa e Nicea, fatto l’ anno 1779. Tom. II. Livorno 1785. VIII. Viaggio da Costantinopoli a Bucaresti fatto l’ anno 1779. Roma 1799 con una lettera sulle capre d’ Angora , e le preziose manifatture di scialli e stof- fe ec. IX. Viaggio da Costantinopoli a Bassora dell’ anno 1781. Livorno 1786 , falsa data d’ Yverdun. X. Viaggio di ritorno da Bassora a Costantinopoli per strade. diverse del 1781-2. Livorno, data d’ Yverdun. XI. Viaggi e opuscoli 134 diversi. Berlino 1807. Volume contenente 1.° I viaggio del 1780 da Vienna per il Danubio a Kutsehuck , e di là per terra sino a Varna, quindi a Costan- tinopoli. 2.° Viaggio per diverse provincie dell’ Asia minore del 1782. 3.° Viag- gio da Costantinopoli ad Angora, per la via di Brussa dell’ Olimpo , del 1787. 4.° della setta degli Jasidi. 5.° Lettera sopra il Murex degli antichi. 6.° Gor- rispondenza sopra le Plumbate degli antichi. 7.° Lettera sull’ origine e uso de- gli anelli presso gli antichi. 8.° Lettere di un Levantino, ossia di Sadik-el- Celebì sopra uu colloquio d’ un Imàn turco. 9.° Note alla suddetta Lettera, 10.° Lezione accademica sulla cultura del Sesamo in Turchia. 11.° Scpra alcune figuline cronologiche del Museo Bischeriano. 12.° Francisci Maurolyci Tractatus de Piscibus siculis, ad Petrum Gillium. 13.° Note e osservazioni al suddetto trattato. XII. Viaggio curioso-Scientifico-Antiquario per la Valacchia, Transil- vania ; e Ungheria; fino a Vienna. Firenze 1815. XIII. Viaggio di ritorno da Vienna a Costantinopoli per il Danubio e il Mar Nero. XIV. Lettere e Disser- tazioni Numismatiche sopra alcune medaglie rare della collezione Ainsleiana ed altri musei. T. IX con tavole T. I-IV. Livorno 1789-90 T. V-IX. Berlino 1804-6. XV. Dissertazione sopra alcune monete Armene dei Principi Rupinensi della collezione Ainsleiana. Livorno 1790. Dissertazione inserita anche nel II T, delle lettere Numismatiche. XVI. Descriptio Nummorum Veterum ex Museis Ainslie, Bellini, Bondacca, Borgia, Casali, Cousinery, Gradenigo, Sanclemente , De Schelersheim , Verità ete. Lipsiae 1796 con molte figure. XVII. Classes gene- rales geographiae numismaticae , seu monetae urbium , populorum , et regum , ordine geographico et cronologico dispositae P. I e II. Lipsiae 1797. XVIII. Ga- talogus Nummorum Veterum Musei Arrigoniani, castigatus, nec non dispositus secundum systema geographicum. Berolini 1815. XIX. Descriptio Selectiorum Numismatum in aere maximi moduli e museo olim Abbatis de Camps , postea- que rarissimum exemplum, quod nune est reg. Biblioth. Berolinensis, Tab. aenas CCXXIV continens, vet CCCCLXIII Numismata maxima; tam graeca quam romana, typis aeneis impressa. Berolini 1808. XX. Descrizione delle meda- glie Greche e Romane del fu Benkowitz. Berlino 1809. XXI. Illustrazione d’un vaso antico di vetro ee. Firenze 1812. Lettere e dissertazioni numismatiche di continuazione ai IX tomi già editi. T. I. Milano 1813. T. II. Pisa 1817. T. III. Milano 1817. T. IV, V. Firenze 1818. T. VI. Firenze 1819. T. VII, VIII, IX. Firenze 1820; tutti con figure. XXIII. Dissertazioni sopra le medaglie antiche relative alla confederazione degli Achei. Milano 1817. XXIV. Descrizione degli Stateri antichi illustrati con le medaglie. Firenze 1817. XXV. Descrizione delle medaglie Ispane e Celtibere del museo Hedervariano. Firenze. XXVI. Classes Generales Geographiae Numismaticae 2.a editio. Flor. 1821. XXVII. Sopra i moderni falsificatori delle medaglie antiche Greche. Firenze. XXVIII. Descrizio- ne d’ alcune medaglie greche del museo del sig. Garlo d’ Ott. Fontana P. I, e II. Firenze 1822-27 con figure. NB- La terza parte si darà tra poco alle stam- pe. XXIX. Descrizione della serie consolare di detto museo Fontana. Firenze, 1827. XXX. In Catalogi Musei Hedervariani Partem I. Numos Graecos ample- ctentem Gastigationes. Flor. 1828. XXXI. L’opera, nel presente articolo e in al- tri di questo Giornale annunziata. « Ma quantunque, conchiuderemo con le parole dell’egre- sì gio Biografo; in sì gran numero e di sì vario genere sieno quelle so già fatte di pubblico diritto , nulla è non pertanto da compa= nb » rarsi al suo Sistema Geografico Numismatico Universale , che » si conserva MSS. in XIV vol. in foglio; e che, oltre 50 anni di cure e d’ indagini, lo rendono opera unica nel suo genere. — Amato ed accarezzato dai Potenti, fu stretto in amicizia coi più dotti uomini dell’ età sua , dei quali nomineremo soltanto il gran Metastasio, Eckel, Neumann, ed il celebre card. Bor- gia, tralasciandone un gran numero dei viventi. Dotato di affa- bilità e costanza, fu ricercata l’istruttiva sua corrispondenza, da- gli scienziati di tutte le nazioni . . . Consultato da chicchessia, corrisponde sempre graziosamente; e sarebbe difficile a dire se prevalga in lui la dottrina o la cortesia. ,, > X. Pimmazione. Favola Ovidiana, trad. dal prof. Quirico Viviani. Per nozze. Udine Tip. Murero 1829. Tutti sanno che Pigmalione scultore ; innamoratosi fieramente d’una sua bella statua, ottenne in grazia dagli dei di vederla cangiata in una leggiadra vergine piena di vita. Ma non tutti sanno ciò che il sig. professore Viviani ha trovato in un codice greco ; che questo Pigmalione era un giovinetto invaghito di una donna ideale perfetta di grazie e di virtù, la qual donna, non ritro- vando nel mondo, egli se ne accorava forte; onde mossi a pietà gli dei glie la crearono a bella posta secondo il suo desiderio. Il signor Viviani non dice se nel suo codice sia riportata la con- chiusione della storia , e se Pigmalione sia vissuto lungamente contento di tanto miracolo. I lettori avranno gran voglia di sa- perlo ; giacchè la più parte di loro in un tempo di lor vita sa- ranno stati simili a Pigmalione , e avranno creduto di aver fi- na!mente trovato per grazia particolare del cielo la donna che andavan cercando. Le favole greche hanno questo , tra gli altri pregi, di buo- no, che come tutte le pagane teologie , in qualunque senso si pi- glino, fuori del letterale, riescono vere. Io, per esempio, ho sco- perto in un codice armeno, benissimo conservato, la interpetrazione seguente della favola, dal signor Viviani molto francamente tradotta: « Un uomo di forte ingegno, ma di fantasia ancor più forte, andava 3» di continuo ripensando i mezzi che potessero essere conducevoli ». al perfezionamento ed alla felicità dell’umana famiglia. Dopo aver 3; lungamente pensato, s’innamorò delle proprie idee in modo tanto 3» singolare, che non più come opera della sua mente ma come »» cose reali le vagheggiava. Entrato pertanto in mezzo alle rea- 136 » lità della vita, con gran dolore s’aceorse di aver troppo con- 3 fidato nel proprio affetto , e non si trovò circondato che da 3: statue immobili, fredde, e dure . . .,, Il codice Armeno ha 3 quì una lacuna: se a me verrà fatto di scoprire il restante, e di sapere come la storia finisse, ne darò parte al pubblico. Lo stesso verrà fare, io spero, il ch. ed ingegnosissimo sig. prof. Vi- viani. La sua storia probabilmente finirà in modo affatto diverso dalla mia; giacchè ciascun sente la differenza che deve passare tra un interpreta greco e un armeno. K. Ti Lettere del card. BenrIvoGLIO, con note grammaticali e analiti- che di G. Bracrorr. Ed. terza. Milano Silvestri 1828. Guido Bentivoglio che , ( per usare una frase comica del Pal- lavicino ) , illustrò la porpora con l’ inchiostro , ci ha date le sue memorie , queste lettere, e la storia delle guerre di Fiandra. Delle lettere può ripetersi ciò che 1’ Andres dice delle storie ; che esse sono un de' libri più dilettevoli a leggersi ch’ abbia l’Italia. E delle lettere, al pari che delle storie, può ripetersi col Gravina , che il Bentivoglio è scrittore “ povero di sentimenti, e » parco nel palesare gli ascosi consigli, da lui forse più per pru- », denza taciuti che per imperizia tralasciati. ,, Il Tiraboschi non intende punto cotesto giudizio del Gravina, e afferma all’incon- tro che il nostro card. in queste lettere si dimostra “ uomo di » maturo ingegno , osservator diligente, avveduto politico, e »» fornito di tutti que’ pregi che propri son d’ un ministro » . . ,; Il Ginguené dichiara egregiamente la sentenza del Gravina os- servando qu'il réfléchit beaucoup, peut = étre méme trop, mais il creuse peu. Io ho detto che queste lettere sono delle più dilettevoli a leggersi, perchè riguardano fatti storici ; e fatti importanti. Spe- cialmente le dissensioni di Luigi XIII e della regina madre, sono degnissime d’attenzione: se non che in mezzo alle cose che narra, il carattere del nostro Bentivoglio , non ci si presenta sempre nel più nobile aspetto. Quelle dimostrazioni, freddamente forzate, d’af- fetto, quelle sguaiate adulazioni che invano si tenterebbe palliare supponendole dettate da bontà soverchia d’animo , da convenienza d’ uffizio ; quelle offerte di servitù fatte tutte nel medesimo giorno al card. Borghese, all’ imperatore , al re cattolico , al card. In- fante, all’ Infanta , all’ arcid. Alberto , al march. di Spinola ge- nerale in Fiandra , al co. di Bucoy, generale dell’ esercito im- 137 periale, appena ricevuta la nuova della promozione al cardinalato, sono indizii che armunizzano troppo bene con quella fisionomia, quale il Ginguené la accenna, e quale noi la vediamo nella edi- zione del benemerito nostro Silvestri. Il tuono di queste lettere è semplice, disinvolto, virile ; ma manca di profondità , di finezza, di grazia. Quando il card. vuol far dello spirito , non si può tolerare. È ben vero che lo tenta di rado: e la secchezza del suo fare è, al parer mio, più de- siderabile di quella forzata o puerile leggerezza che affettano alcuni scrittori di lettere molto più celebri. Lo stile è del pari disinvolto ; ma pecca talvolta di figure sguaiate : la lingua talvolta impropria , come quella che non par bene affinata dalle toscane eleganze. E da questa causa proviene , cred’io, quella frase sem- pre scolorita , e non mai tanto viva da rendere a qualche "modo sensibile il concetto, privilegio mirabile della lingua toscana an- che sulla bocca dell’ infima plebe. La lettera che meno manca di colore, pare la XL, dove descrive le ville reali di Francia. Sin4 golarissimo è in essa il passo che segue: “ Noi quì ora viviamo >, in altissima quiete; ma quiete però di Francia, che non suole 3» aver altro di certo che l’incertezza. Come il mare quand’ è 33 più tranquillo , non è però men pcofondo, nè meno esposto al 3 furore delle tempeste , così la Francia, quando più promette »» tranquillità, allora convien meno fidarsi di quel che promet- s, te. ,, — E su questa mutabilità delle cose di Francia torna sempre il card. eon una ingenuità che non dee far maraviglia. Poteva egli accorgersi che quelle turbolenze erano indizii del sentimento già sorto nella nazione, de’ proprii bisogni; sentimento addormentato per poco dalla gloria personale di Luigi XIV, come da quella «di Napoleone, ma poi ridesto con impeto vie- maggiore ? Si ha un bel fare: le nazioni protestano e proteste- ranno sempre o all’ un modo o all’ altro, contro tutto ciò che sa d’ arbitrario , foss’ anche questa forza rivolta a lor bene. Il pericolo dell’ abuso spaventa sempre tutti gli spiriti previden- ti (1); e la previdenza è una delle qualità che distingue l’uomo dal servo — io volea dire, dal bruto. Il Silvestri ha ristampate le note, come il Ginguené le chiama, grammatiche e filosofiche ; vale a dire di grammatica , secondo il (1) Non faciemus , ihquit. = Primum nescio: deinde timeo: postremo non committam ut vestro beneficio potius quam nostro consilio salvi esse pos- simus. Cic. Agr. I. T. XXXIV. Giugno. 18 138 Ginguené , filosofica , che il Biagioli a queste lettere appose : e le ha ristampate in francese. Meglio era farle tradurre ; meglio forse ometterle ; giacchè le son tutte per gli stranieri. Non già che dallo spirito che le anima, gl’ italiani non possano trarre pro- fitto. Tutto cio che appartiene alla vera filosofia della lingua è da noi miseramente negletto ; ed anche l’ultime scaramuccie ( che il nome di battaglie non meritano), date a questo soggetto dal Perticari e dagli altri, versano quasi tutte sul campo d’una eru- dizione sempre facile, sempre inutile allo scopo; spessissimo pueri- le. Quindi è che i pedanti, esercitano ancora sulla lingua e sulla letteratura italiana un impero così vergognoso. , Il metodo del Biagioli è adottato da parecchi maestri in In- ghilterra ed in Francia ; e noi sappiamo esservi a Parigi una scuola sulla cui porta a gran caratteri è scritto : quì s’insegna l'italiano secondo il metodo di M. Biagioli. Tanto più dunque a noi corre il dovere di notare i difetti di questo metodo ; e due ci paio- no i principali. — La confusione della lingua viva italiana con la morta ; si è il primo. Il Biagioli trae quasi sempre gli esempi dagli scrittori più antichi; su quelli fonda i suoi grammaticali precetti, senza dir mai se l’uso corrente, a codesti esempi o contraddica , o faccia eccezione , o comecchesia modifichi la regola su quelli fondata. Ch’ anzi il Biagioli dà per fiori freschissimi, per care gemme, di quelle che ormai son quisquilie. In un suo libro an- teriore , egli aveva, per esempio , saggiamente avvertito , che gl’infiniti sostantivati non s° usano più nel plurale con vezzo. Un toscano ch’ io conosco , lo avvertì poi non men saggiamente, che dall’uso vivo non paiono escluse frasi simili alla seguente: ‘ quel- 1’ nomo ha de’fari che non mi piacciono. ,, Dove, alla voce fari si tenterebbe indarno sostituire una che esprimesse propriamente lo stesso. Così dicasi di parlari , non ben reso sovente da lir- guaggi, favelle, e simili. Ma fuori di questi due casi, e di qual- ch’ altro ben raro, l’infinito sostantivato non soffre plurale; ed è ridicolo gli abbracciari, i sentiri, i saliri. Ma il Biagioli, gene- ralizzando , come fanno coloro cui non è familiare 1’ uso della lingua viva, generalizzando due casi particolari, disse che questi infiniti plurali, possono ancora plaire aux vrais connuisseurs de la langue. L’altro difetto, e più grave, del suo metodo , è il voler tutte ridurre le particelle ad un solo senso; e le deviazioni da que- st'uno, chiamar frasi elittiche. Secondo il Biagioli, la particella da, indica sempre allontanamento ; a , attribuzione 0 tendenza (questi, sia detto in passando , sono intanto due sensi diversi ); 139 di, qualificazione ; în, esistenza in un luogo, movimento in un luogo (anche questi son due sensi diversi ); con, compagnia. E quando il di, per esempio, par indicare altra cosa che qualità , non è già che la indichi veramente : egli è che ci ha elissi. Così quand’ io dico: parte di quì, intendo dire : parte dai luoghi di guì . Contorsione evidente , e bene strana: sia detto con pace d’un uomo sì benemerito e sì diligente. Egli è chiaro in- tanto, che tutte le lingue sogliono talvolta ad una stessa parola dar due sensi diversi; talvolta contrarii: così pe latini, incinetus valeva e cinto è non cinto ; investigabilis, cosa che si può e cosa che non si può investigare. Molto più poi le particelle mi- nime del discorso; specialmente fra’ greci. Nell’ italiano , s” ag- giunge una nuova ragione di queste varietà ; ragione tratta dalle origini della lingua , la quale, ammettendo gli articoli, ha so- vente apparentemente confusi gli articoli colle preposizioni. Quan- do noi diciamo : il poema di Virgilio, il di è segnacaso, e non ha corrispondente latino, ma segna semplicemente il genitivo ; quando diciamo: partire di quì ; il di è preposizione, e corri- sponde al de dei latini: voler confondere queste due origini di- verse , sarebbe uno sconoscere 1° indole della lingua. Nell’ errore però del sig. Biagioli, è nascosta una verità lu- minosa. Tutti i varii sensi d’una preposizione, d’una parola qua- lunque , sebbene apparentemente contrari, hanno un legame fra loro , derivano l’ un dall’ altro ; e 1 ideologia può segnare il pas- saggio che fece l’uso dal primo senso a uno diverso; a uno op- posto. Quì sta la filosofia delle lingue; la qual giustifica le appa- renti deviazioni dell’uso popolare , miseramente oggidì conculcato. Ma altro è scoprire l’armonia delle idee che ravvicina le diffe- renze de’ significati, altro è adun solo significato ridurre cia- scun vocabolo ; e gli altri spiegare mettendoli sull’ eculeo della elissi. K. X. Y. Commedie di Arserro Nora. Firenze 1828. Stamperia Granducale. Esce or ora alla luce il settimo ed ultimo volume ; che con- tiene la Fiera, l’oppressore e l’oppresso, e la novella sposa ; tutte e tre state rappresentate lo scorso autunno in Firenze dalla com- pagnia drammatica di S. M. il Re di Sardegna, la quale darà anche quest’anno e nella stagione medesima un nuovo corso di recite. La Fiera scritta per la valente attrice signore Carlotta Marchionni nostra concittadina è giudicata una. delle migliori 140 commedie del Teatro Italiano : 7° oppressore e l’ appresso è parto della prima gioventù dell’ autore , ed è d’ un genere misto: Za novella sposa è buona commedia ma patetica troppo nella cata- strofe: di tutte daremo quanto prima un’ analisi , siccome pure faremo un cenno delle altre contenute ne’ vol. 5 e 6 secondo la nostra promessa. Intanto rendiamo la debita giustizia di lode al sig. Cambiagi tipografo per la somma accuratezza della stam- pa ; giudicando noi che questa edizione superi a gran pezza tut- te le altre fatte sin quì e quelle che si stanno contraffacendo a Milano ed anche fuori d’Italia; quindi si raccomanda per sè stessa agli amatori delle cose drammatiche. E. APERTURA DELLA CASSA DI RISPARMIO IN FIRENZE. L’ Antologia, che col pubblicare la lettera de’ sigg. Compi> latori del Giornale Agrario Toscano (N.° 94 pag. 149) întorno alla Cassa di risparmio, può menar vanto d’aver contribuito a. dar la prima spinta alla fondazione di questo prezioso stabilimento fra noi; non sarà certamente l’ ultima a parlare e a rallegrarsi dell’ esecuzione di sì pio e generoso progetto. È stato già nel N.° ror inserito a comodo de’ nostri lettori il manifesto del 23 aprile p. p. con che s’ annunziava al pubblico la formazione d’una società anonima. per la Cassa di risparmio, la prossima apertura di tal Cassa, e le condizioni offerte ai depositanti. La Società, che nata da un piccol numero si accrebbe ben presto e giunse al suo compimento , non rimase da quell’ epoca in poi un momento inoperosa : e dopo che il suo consiglio d’ ammini- strazione ebbe tutto preparato e per l’ordinamento interno della Società medesima , e pel buono andamento dell’intrapresa, e per l’esatto servizio del pubblico , convocò il dì 18 giugno in adunanza generale la Società nella sala terrena del già Palazzo Riccardi accordata dalla Reale Munificenza alla Società mede- sima ; e in quella il consiglio, per mezzo del suo degno Presi- dente il sig. Marchese Cav. Cosimo Ridolfi, rese conto ai Soci radunati di tutto ciò che era stato da esso operato ; espose i tratti della Sovrana clemenza in pro della nascente istituzione , e comunicò i regolamenti approvati dall’ I. e R. Governo, che divenivano d’ allora in poi lo statuto della Società , non che le istruzioni che il consiglio medesimo aveva creduto di dover fis- I4I sare per norma degli impiegati. In questa generale riunione , che devrà sempre essere pel popolo Toscano di una cara ricor- danza, fu fissato di aprire la prima volta la Cassa nella prossi- ma Domenica 5 luglio , e fu annunziata la vicina pubblicazione d’ un’ operetta contenente i regolamenti della Società , le istru- zioni per gli impiegati , il ruolo de’ Soci, e alcune avvertenze per chi ami di profittare del nuovo stabilimento. Noi crediamo di far cosa grata ai nostri lettori, pubblicando quì 1’ assennato e ‘caloroso discorso con cui il benemerito Presidente aprì la ses- sione. Signori. Nel pregarvi o Signori di riunirvi in questo luogo ed in questo giorno nen ebbi già in mente di rendervi ascoltatori di quelle frasi che l’uso fa proferir tanto spesso che omai son fatte vane e di niuno effetto, adoperate nelle più belle occasioni. O1- tre di che voi tutti sapete , anzi profondamente sentite il pregio e la santità dello scopo pel conseguimento del quale ci siamo riuniti, di modo che tornerebbe opra superflua il trattenervi un solo mo- mento intorno ai pregi dell’istituzione che sollecita le nostre cure e che il popolo saluta impaziente come sua tutrice ed amica. Sì, nel chiamarvi o Sigg. in questa sala (1) superba assai più del pensiero di divenire tra poco l’ausiliatrice del povero, la spe- ranza dell’industrioso , il conforto del faticante, il tempio della carità, che dei tanti fregi i quali da sì gran tempo sterilmente l’addobbano, io volli unicamente rendervi giudici dei primi passi da noi segnati nel gran cammino che ci si para d’avanti, e dai quali forse saprete presagire come prosperosa esser possa la nostra carriera futura. Il progetto di fondare in Firenze una Cassa di risparmio non potea manifestarsi neppure senza che si verificassero due condi- zioni essenziali, cioè favore e fiducia nel Principe, volontà de- cisa e operosa in pochi privati. Sarebbe inutile il trattenersi a provare la necessità della prima; che è per sè medesima eviden- tissima, e le difficoltà invincibili ai particolari per trovare im- piego convenientemente lucroso e sicuro ai capitali raccolti col cumularsi dei depositi versati alla cassa, senza aver ricorso a qualche concessione governativa, ne è una palpabile dimostrazio- (:) La Società era radunata nella ricca Galleria terrena del fu Palazzo Ric- cardi , dalla clemenza sovrana accordata alla Cassa di risparmio. 142 ne. Non è così evidente, sebbene non meno certa, la necessità della condizione seconda, ed a persuaderne ciascuno; sarà neces- sario un breve ragionamento. Quanto riesce vantaggiosa e potente la forza del numero de- gli individui in una società o indipendente affatto o solo guidata da regolamenti omai stabiliti, e tendenti ad un oggetto positivo e circoscritto, altrettanto inceppante e generatrice di disordine è quella forza medesima allorchè preceda la legge ; e si tratti di materia amministrativa, e quindi siavi qualche elemento indeter- minato ed astratto. Allora il numero, lo zelo e perfino la sagacità stessa degli opinanti diviene imbarazzante e pericolosa, perchè in mezzo al- l'abbondanza ed alla varietà dei criteri e delle teorie l’ applica- zione rimane incerta, o sorge lentissima e combattuta. Penetrati da questa massima i nostri colleghi onorevolissimi marchesi Gino Capponi e Pier-Francesco Rinuccini vollero unirsi meco per im- piorare dal R. Trono e permissione ed aiuto, onde procacciare a Firenze l’istituzione d’una cassa di risparmio facendosi malleva- dori per l’ esecuzione del tentativo, e quindi per la costituzione della dote di seimila fiorini necessaria alla Cassa, qualora però si accordasse ed a questa somma ed ai primi 24000 fiorini deposi- tati dal pubblico il privilegio d’essere rinvestiti nell’acquisto della rendita di 50 azioni sulla banca di sconto tra quelle possedute dall’I. e R. Depositeria, unico mezzo tentabile da principio con speranza di buon successo per trovar modo di far fronte alle spese d’amministrazione, a qualche temporario disimpiego di ca- pitali ulteriormente raccolti, a qualche differenza tra i frutti at- tivi e passivi, finalmente a certe piccole spese e scapiti impre- visti e non calcolabili per allora. Questo primo passo sortì felicissimo esito, ed i tre ottennero l’invocato provvedimento. Allora fu che dessi accettarono nuovi compagni e costituirono per tal modo quel magistrato composto d’ undici membri che dissero consiglio d’amministrazione , ed al quale aggiunsero un dodicesimo individuo che specialmente cun- rasse l’interesse della nuova Cassa e che però ne lo chiamarono direttore, mentre essi più di tutto andavano occupandosi dell’or- ganizzazione delle leggi sociali le quali esigevano comunicazioni continue col R. Governo. Formato frattanto il regolamento organico, il’quale permette ai dodici di aumentarsi fino a cento e prescrive di divenir trenta; compilate le istruzioni per gli impiegati della Cassa e nominati 143 i soggetti a quegli impieghi medesimi; avvertito il pubblico col manitesto dei 23 aprile dell’ irritrattabile risoluzione di fondare in Firenze una Cassa di risparmio che potrà avere delle casse af- figliate in provincia; non altro restava che completare il ruolo dei soci per interessare così un più gran numero alla buona riu- scita dell’intrapresa, per fissar maggiormente l’attenzione del pub- blico, e per far tesoro dello zelo filantropico che in molti mani- festavasi a vantaggio della istituzione a cui tutto frattanto ar- rideva. Fu allora che il nostro ruolo ebbe 1’ onore di portare in fronte i nomi di tutta la Real Famiglia , mentre l’Augusto ca- po della medesima con nuovo tratto di munificenza attestava l’alta protezione che volea compartirci accordandoci l’uso di que- sto locale, 1’ esenzione dalla tassa del bollo , il dono dei mezzi occorrenti per disporre di quanto facea mestieri per provvedere alla sicurezza materiale della cassa e dei documenti. Fu allora che voi tutti, o Signori, cedeste all’invito, ed ac- cesi dal più puro sentimento di carità voleste accordarmi l’onore di quì presiedervi adunati, onore di cui vado fastoso, perchè non è un onore che parli alla sola vanità, ma un onore che lusinga ed inalza l’anima in petto d’ ogni amico verace del pubblico bene; di quel bene il quale si fonda principalmente nella mo- ralità, nell’istruzione, e quindi nell’industria onesta e libera non meno che nella saggia e previdente economia della nazione. Vantarono i nostri antenati le filantropiche lor fondazioni dirette al conforto , alla tutela, al ristoro degli individui d’ ogni età, d’ogni sesso, d’ogni condizione nelle loro fisiche calamità ; più tardi insegnò la pietà a combattere le malattie morali degli uomini, che sebbene meno evidenti non ne sono per questo meno tiranne e micidiali ; ed il nostro secolo oggimai si vanta a ragio- ne , e voi pure ve ne pregierete o Sigg. d’ aver saputo opporre alla piena dei mali inseparabili dal torrente dei beni che tengon dietro al movimento felice dei tempi e della civiltà, un argine insuperabile ove si frange la loro furia. Gli sforzi cospicui dei privati , le liberalità più insigni dei principi a vantaggio degli infelici, oggi son vinte di gran lunga dai lievi doni di quei mol- tissimi cui stringe insieme il vincolo tenace e potente dello spi- rito d’associazione. E questo fragile in apparenza, ma in realtà infrangibil legame che sgomenta il vizio, che solleva la miseria, e consola l’afflizione, che accresce le forze della virtù della ric- chezza e dell’influenza, come altrove ha dato la vita a grandi e 144 benefiche imprese, così è ora tra noi il fondamento, l’ anima, il pegno di perpetuità della salutare istituzione che siamo lieti di aver fondata ; e concilia a quest’istituzione medesima la compia- cenza del nostro Principe e la fiducia del nostro popolo. È prima un umil virgulto quella che poi diviene robustissima pianta, e spesso origine d’un’intera foresta. Una capanna un vil- laggio determinò non di rado il nascimento d’una maestosa città. Propizio è questo suolo alle belle azioni ; felici arridono i tempi all’intraprese magnanime ; l’ingegno , il cuore , il potere non vi manca o signori. Voi non vorrete certamente che l’ opera vostra non sia degna di questa terra , di questa età ; di voi stessi. 145 BULLETTINO SCIENTIFICO Giugno 1829. SCIENZE NATURALI . Meteorologia. Nell” Universale , giornale di letteratura, scienze ed arti che sì pubblica a Parigi, si trova in data dei 28 maggio decorso la seguente lettera del sig. Bertrand-Geslin figlio, nella quale, a rettificare molte notizie false o inesatte divulgatesi intorno ai disastri che nel precedente marzo avevano afflitto la provincia di Murcia in Spagna, ne produce altre più degne di fiducia, che egli si è dato il pensiero di procurarsi. bb) 29 2) bb) 2) >k) 23 2) 23 9) 2) bkj 29 55 53 2) bEI 53 2) 29 bb) 25 « Le prime nuove a noi giunte dei terribili disastri che nel giorno 21 del decorso mese di marzo hanno desolato i contor- ni d’Alicante nella provincia di Murcia, si trovano nei gior- nali francesi del 15 aprile. in essi questo fenomeno è riguar- dato come vulcanico. Secondo alcuni un vulcano era scoppiato vicino a Murcia ; il cratere vomitava per diverse aperture dei torrenti d’ acqua. Secondo altri si erano formate quattro aper- ture, due delle quali lanciavano della lava, e le altre dei vapori solforosi fetidi; le sorgenti d’ acque minerali di Burat erano disparse , e si erano mostrate alla distanza di più di due leghe dalla città. Il fiume Segura aveva cangiato il suo corso , e sboccava nel mare per un altro punto. “< Desiderando notizie più circostanziate intorno ad un fe- nomeno geologico sì interessante , scrissi tosto ad un mio amico che risiede ad Alicante , facendogli conoscere ciò che i gior- nali di Parigi annunziavano ; e proponendogli varie questioni relative a questo fenomeno. « La sua risposta , degli 8 maggio, non essendo interamente d’ accordo coi fatti annunziati dai giornali, io credo doverla far conoscere nell’ interesse della scienza. Essa potrà forse at- tirar di più l’attenzione dei naturalisti, e servire ad illu- minare la loro opinione intorno ai fenomeni di sollevamento. Ecco letteralmente ciò che egli mi scrive. « Dalle questioni che voi m’ indirizzate , io giudico che ; giornali di Parigi vi hanno dato un idea molto falsa dei fe- nomeni geologici prodotti dalla grande scossa del 21 marzo. T. XXXIV. Giugno. 19 146 ,) Questa scossa, e tutte quelle che 1’ hanno seguitata per più ,; d’un mese, non si son fatte sentire in tutta la loro violen- ,; za > che sopra uno spazio di terreno di circa quattro leghe »; quadrate , situato fra Orihuela ed il mare, ed il centro del »» quale è occupato dal fiume Segura. Tutti i villaggi situati in ,» questa parte della Huersa d° Orihuela sono stati rovesciati da ,> cima a fondo in pochi secondi dal tremoto del 21 marzo, il s) quale, secondo diverse osservazioni, sembra che abbia agito ,s in una direzione verticale. Esso , egualmente che i seguenti, ;» era accompagnato da fortissime detonazioni. È stato osservato s» subito dopo l’ avvenimento ; sù tutta l’ estensione del terreno ,» che ho indicato , un numero infinito di fessure di diverse lun- » ghezze , che non hanno più di quattro o cinque pollici di ss larghezza , e tutto questo stesso terreno era e rimane ancora ,, come traforato da piccole aperture circolari viciuissime le une ,» alle altre, e che non hanno più di due o tre pollici di dia- ,; metro. Potrebbero chiamarsi crateri, se ne fosse uscita qual- ;» che materia d’apparenza vulcanica , ma io non ne ho veruna 3» cognizione. « Tutte queste piccole aperture hanno vomitato in quan- so tità grande , alcune della sabbia grigia-giallastra fine, senza ,s mescolanza alcuna di materie metalliche ; altre hanno gettato, ss similmente in grande abbondanza , un fango nero e liquido , , alcune dell’acqua di mare, delle conchiglie, e delle erbe ma- ss rine. Non esistono sul terreno di eui si tratta sorgenti mine- ss rali. Le sorgenti solforose d’ Archena e d’ Alhama ne sono ,s lontane da 7 a 8 leghe, edi terremoti non hanno prodotto »» effetto alcuno sopra di esse, come neppure sul corso del fiu- », me Segura. « Il suolo che deve esser considerato come il focolare di ;; questi terremoti, è di due nature ben distinte ; sulla riva ,» sinistra della Segura è un terreno seconilario, composto di s» piccole colline gessose e calcari. L’ effetto di questi terremoti ,» è stato terribile dai due lati della Segura, ma è da osservare ,; che le scosse sono state in maggior numero e di maggior du- ;, rata sulla riva diritta. ,, La sera del 16 aprile 1829 cadde un fulmine in Arezzo sul tetto dell’ abitazione d’ un tal Grazi , fornaio in via del Corso. La luce che se ne sviluppava era di color giallo dorato in- tenso : grande la forza della corrente elettrica , a giudicarne dal fragore dell’ atmosfera ; e dagli squarci prodotti nelle muraglie. 147 Ma sopra tutto meritano d’ esser rammentati alcuni fenomeni che si connettono con altri fatti della storia di questa meteora. I. Traversando una vetrata , il fulmine fuse in più punti il piombo che riuniva i vetri: la costola dei vetri contigui al luogo della percossa restò fusa e rotondata , e la fusione si este- ‘se di qua e di là sulla superficie dell’ uno e dell’ altro vetro, in figura di due mezze foglie di quercia poste a contatto per formarne una sola. Dall’ azione del calore fu desquammato il vetro , e se ne staccò una laminetta sottilissima ed elastica sotto l’ aspetto della foglia indicata. 2.° Al di là della parte disquammata i vetri erano intona- cati d’ una polvere nera sottilissima, che macchia le dita, ed in qualche parte tende al color cinereo ,° in cui i reagenti chi- mici e la calamita non hanno indicato ferro nè zolfo, ma sem- plice ossido di piombo. Tanto questo deposito polverulento, quan- to la fusione già descritta del vetro mostrano, un azione diretta di basso in alto. 3.° Un grosso massello di rame , che serve alla fabbricazio- ne delle paste ; fu toccato dal fulmine in un punto isolato d’una delle sue facce. Qui comparve una prominenza imitante una goc- ciola o perla ovale, di circa una linea nel suo maggior dia- metro , senza vuoti nè ossidazioni esteriori, aderente al pezzo metallico ; come se fosse stata opera del getto primitivo. 4.° Finalmente allorchè una porzione del fluido elettrico si fece strada dal pian terreno della casa al torrente Castro, che ne lambisce i fondamenti , vetrificò alquanto cemento siliceo-cal- care fra sasso e sasso d’una parete, dando principio ad un tubo fulminare , che non ha proseguito se non per la lunghezza di poche linee. Questa vetrificazione era levigata nel vuoto interno, fragile , spugnosa , ed agglutinata alla polvere del cemento nel suo esteriore ; imitava il colore del vetso giallo-scuro da botti- glie , ed aveva pochissima grossezza, talchè non fu possibile di toglierla dal posto , se non in piccolissimi frammenti. ( Articolo comunicatoci dal sig. Antonio Fabroni. ) Il sig. Carlo Matteucci di Forlì, di cui abbiamo fatto co- noscere più altri lavori, ha recentemente pubblicato un suo di- scorso intorno all’influenza dell’elettricità terrestre sui temporali. In esso dopo aver ricordato che il Volta riconobbe e dimo- strò nell’ evaporazione dell’ acqua la causa principale dello svi- luppo dell’elettricità atmosferica, attribuito bensì da esso a sem- plice cambiamento di stato , mentre il sig. Pouillet ha provato 148 dipendere dalle azioni cusaliehe le quali hanno luogo fra i corpi disciolti e l’acqua che si separa da essi, soggiugne che al Volta ed agli altri fisici è sfuggita un altra cagione che molto influi- sce sui temporali , giacchè considerando essi il vapore acquoso che si eleva nell’ atmosfera a formar le nubi temporalesche , hanno poi trascurato lo stato elettrico in cui conseguentemente sono costituiti i corpi abbandonati dall’ acqua che sì evapora. Però prende egli a considerare le cariche elettriche in cui si costituiscono alcuni punti del suolo, non solo per l’ evapora- zione che si effettua alla superficie del globo, ma ancora per le azioni chimiche le quali hanno luogo nell’interno del globo stes- so , ove esistono materie -capaci di vive scomposizioni chimiche , come attestano tante acque minerali, spesso provenienti da pi- riti scomposte , tante mofete , tanti terreni ardenti , oltre i vul- cani che si producono con tanto complesso d’ azioni chimiche . Eccettuate le quali ultime attenenti ai vulcani, le altre azioni chimiche sono in genere più intense e più vive nell’ estate che nell’ inverno , più nel giorno che nella notte, quando appunto più viva e più intensa si mostra l’ azione elettrica. E quanto all’ evaporazione , osserva 1’ autore che mentre per essa il suolo è costituito in stato elettrico, li strati più esterni di esso per la perduta umilità divenendo cattivi conduttori, quello stato si conserva più lungamente. La varia indole poi dei terreni ed al- tre circostanze fanno sì, che in punti diversi diversa sia 1’ elet- tricità, non solo in quantità, ma anche in qualità. Dalle quali e da altre considerazioni l’ autore conclude che si formano nell’ estate in certi punti del suolo, e per evapora- zione, e per chimiche interne azioni stati elettrici che non tro- vano subito facil modo di dissiparsi per la secchezza che la terra ha acquistato. Le quali cariche non possono non esercitare molta influenza sui vapori dell'atmosfera, che ne saranno attratti, con- densati , e costituiti in nubi temporalesche, ed anche debbono influire sui fenomeni del temporale. Da simili cause pensa il sig. Matteucci dipendere un altro fenomeno , di cui non trova assegnata dai fisici spiegazione suf- ficiente , cioè quei lampi frequentissimi e quasi continui che si osservano nelle notti serene d’estate. Secondo esso, gli stati elet- trici del suolo trovano un facile scaricatore nello strato vaporoso che nel corso della notte si deposita presso la terra. Aggiugne poi che questi stessi stati elettrici possono anche divenir causa di terremoti; specialmente di quelli che si fanno sentire dopo una lunga siccità. Che quelli sentiti lo scorso anno 149 in diverse parti d’Italia ne dipendessero , fu dichiarato , secondo l’autore, da molti segni, e specialmente da quelli osservati, poco prima d’ogni scossa, negli animali, gli organi dei quali sono più sensibili dei nostri all’ azione elettrica. Egli ne vede una conferma nell’ interruzione della linea percorsa dal terremoto , fenomeno che non può intendersi, dic’ egli, se non attribuendo la scossa a scarica elettrica ; la quale incontrando ora terreni secchi e coibenti , ora strati umidi e conduttori, e però trovan- do o resistenza o facilità al passaggio , scuoterà fortemente alcuni punti, .e si farà appena sentire in altri. Al qual proposito soggiu- gne che all’occasione di fondarsi una nuova città, dovrebbe farsi attenzione alla natura del terreno , giacchè piantata sopra un suolo costantemente umido , sarebbe meno soggetta a terremoti d’ origine elettrica. Che tali fossero quelli citati di sopra è anche confermato da un’altra osservazione, ed è questa, che ogni scossa era pre- ceduta da annuvolamento che si dissipava soppravvenuto il ter- remoto. Gli stessi principii servono all’ autore per spiegare la ripe- tizione a brevi intervalli delle scosse di tali terremoti . Quelli dello scorso anno, contemplati di sopra , cessarono tostochè una pioggia abbondante tolse agli strati superiori del terreno lo stato di coibenza in cui erano per la siccità, e che manteneva lo stato elettrico degli strati inferiori. Fisica e Chimica. ’ Il sig. Dulong essendosi occupato in ricerche importanti in- torno al calorico specifico dei gas, ha riconosciuto la seguente semplicissima legge generale : Tutti i fluidi elastici semplici o composti , considerati ad una stessa temperatura e sotto una stessa pressione , essendo compressi o dilatati d’ una stessa fra- zione del loro volume, abbandonano 0 assorbiscono la stessa quan- tità di calorico. Il cambiamento di temperatura che ne risulta è lo stesso per tutti i gas semplici, perchè essi hanno, sotto lo stesso volume , la stessa capacità per il calorico; ma esso varia per ogni gas composto in ragione inversa del suo calorico spe- cifico. Una volta stabilito questo nuovo principio, si può servir- sene per trovare il calorico specifico degli altri gas. L’ autore si è impegnato a farlo nella seconda parte del suo lavoro, il quale conterrà inoltre la determinazione dei cambiamenti che provano i rapporti di due calorici specifici quando si fa variare la pres- 150 sione e la temperatura , e finalmente 1’ applicazione della legge precedente ai vapori. Avendo intrapreso delle ricerche sulla struttura intima dei metalli, il sig. Savart è giunto a conclusioni curiose ed interes- santi. Solito ad applicare con successo il metodo delle vibrazioni alla determinazione dello stato elastico dei corpi, parte da que- sto principio, che in una lama omogenea, ben eguale di grossez- za, e di forma circolare, un modo di divisione composto di linee nodali diametrali, deve potersi porre in qualunque sorte di di- rezione , secondo che si fa variare il punto della circonferenza che è stato primitivamente scosso; e che in quelle lame delle quali le proprietà fisiche non sono le stesse in tutte le direzio- ni, i modi di divisione non possono prendere che due posizioni determinate. Per mezzo di questo processo il sig. Savart ha po- tuto riconoscere che i metalli in vece d’ essere omogenei , come si era creduto finora , sono delle riunioni di sistemi cristallini , i quali hanno qualche volta un estensione molto considerabile, di modo che possono riguardarsi come dei gruppi di cristalli più o meno voluminosi e volti in ogni maniera di direzioni. Quasi tutte le sostanze solide conosciute posseggono una struttura ana- loga a quella dei metalli, e sembra che quelli che compariscono ammassi o aggregati di materia polverulenta , come la creta per esempio , siano i soli i quali godano d’ una elasticità sensibil- mente uniforme in tutte le direzioni. Finalmente il sig. Savart ha riconosciuto che le particelle dei corpi i quali sono stati fusi non arrivano subito dopo il raffreddamento ad uno stato d’equi- librio stabile , e che per questo bisogna loro un tempo, il quale è qualche volta considerabilissimo. Si può ottenere l’ ossido di cobalto puro per mezzo del se- guente processo , suggerito dal sig. Quesneville figlio. Dopo aver disciolto il minerale di cobalto coll’ acido nitrico , si evapora la dissoluzione a secchezza ; si ridiscioglie il residuo con acqua stil- lata, di cui si aggiugne una quantità notabile, e vi si versa del sottocarbonato di putassa , finchè, dopo un primo e diverso pre- cipitato, cominci a precipitarsi l’ ossido di cobalto. Si separa al- lora per feltrazione l’ arseniato di ferro che formava il primo pre- cipitato, e si versa nel liquido una soluzione di soprossalato di potassa. Dopo alcune ore tutto l’ossalato di cobalto è precipitato ; il ferro, l’arsenico, il nichel restano in dissoluzione. Il precipi- tato ben lavato si tratta con ammoniaca; secondo il processo del 151 sig. Laugier, quando si voglia aver l’ossido rigorosamente puro; diversamente si scompone l’ ossalato col fuoco. In questo caso l’ossido non contiene nè ferro nè arsenico , ma solo qualche poco di nichel. Ecco un altro processo per preparare l’ossido verde di cromio. Si espone al calor rosso in un crogiolo coperto una mescolanza di parti eguali di cromato acido di potassa, e di sale ammoniaco, con un poco meno di carbonato di potassa o di soda, finchè non si sprigioni più vapore ammoniacale. Allorchè la massa è raffreddata , si tratta con acqua , la quale sciogliendo le altre materie, lascia per residuo il solo ossido verde di cromo.. Il sig. Mitscherlich , avendo esaminato diligentemente diverse preparazioni mereuriali , ha riconosciuto che quella indicata sotto il nome di mercurio solubile dell’ Hanemann , riguardata general- mente come un semplice protossido di mercurio, è un vero ni- trato di protossido di mercurio e di ammoniaca. Al processo ge- neralmente usato per prepararlo, e che 1’ autore dimostra essere imperfetto , propone di sostituire il seguente. Si scioglie in acqua acidulata con poche gocce d’ acido nitrico il protonitrato di mer- curio cristallizzato , il quale non contiene mai deutossido ; vi si versa goccia a goccia dell’ ammoniaca molto allungata, evitando di aggiugnerne un eccesso , per il quale il precipitato cangerebbe di natura , passando il protossido di mercurio allo stato di deu- tossido , e risultandone una nuova combin azione di deutonitrato di mercurio e di nitrato d’ ammoniaca. Il prodotto ottenuto col processo indicato, e che è nitrato di protossido di mercurio e d’ ammoniaca , ha la forma d’ una polvere grigia-nerastra , mentre il deutonitrato di mercurio e d’ammoniaca , che risulterebbe im- piegando un eccesso d’ ammoniaca, è affatto bianco. Quella preparazione che i farmacisti indicano col nome di precipitato bianco, e che ottengono versando del sottocarbonato di potassa liquido in una soluzione di sublimato corrosivo e di sale ammoniaco, è stata riconosciuta dal sig. Mitscherlich per un idroclorato doppio di deutossido di mercurio e d’ ammuniaca. È stato riconosciuto da diversi chimici che la materia la quale rimane dopo aver tenuto per un tempo notabile in stato di fusione ignea il nitrato di potassa , trattata con acqua esala una quantità notabile di gas ossigene quasi puro. Il dott. Hare interrogato in proposito di questo fatto, che più sperimentatori 152 avevano verificato , opinò che il residuo della calcinazione del nitro, come dicono impropriamente, o piuttosto della sua fusione sostenuta per un tempo notabile , è perossido di potassio, il quale per il suo contatto coll’ acqua si converte in idrato di protossido di potassio , esalando il rimanente gas ossigene. Anche il sig. Philips di Londra spiega nel modo stesso il fenomeno da sè pure verificato. L’ estensore di questo bullettino ; rendendo conto dell’analisi da sè fatta d’ un acqua minerale , nella quale non aveva trovato . acido idrosolforico nè idrosolfati, sebbene l’ odor sulfureo che si fa sentire intorno alla sorgente di quell’ acqua facesse presumere il contrario , riconoscendo la causa di quell’ assenza nella tem- peratura assai elevata di quell’ acqua (gradi 34 e tre quarti R. presso la sorgente ) la quale determinava la volatilizzazione di quell’ acido, emesse l’ opinione che esso acido idrosolforico non solo in questo ma in più altri casi risultasse dalla scomposizione di qualche solfato operatasi per l’intervento di sostanze organi- che, specialmente vegetabili. Ora questa congettura è stata verificata per mezzo d°’ espe- rienze dirette intraprese in proposito dal sig. Vogel. Egli ha ve- duto che una dissoluzione allungatissima di solfato di soda , ed una dissoluzione saturata di solfato di calce, mescolate con dello zucchero , della gomma arabica, con un infusione di legno , o altre materie vegetabili, e conservate lungamente in vasi difesi dall’ azione della luce, sono state decomposte, formandosi del- 1’ acido idrosolforico , dell’ acido carbonico, e dell’ acido acetico. Questi liquidi tramandavano un forte odore d’acido idrosolforico, e scaldate fino al bollore , hanno dato una mescolanza d° acido idrosolforico e d’ acido carbonico. È noto che diverse qualità di gesso, benchè preparate ed impiegate nel modo stesso e colla stessa diligenza, presentano dif- ferenze molto notabili, alcune facendo presa, o solidificandosi più perfettamente ed acquistando una durezza molto maggiore d’ alcune altre. La presenza di qualche centesimo di carbonato di calce nell’ ottimo gesso di Parigi, aveva fatto attribuire a quello la sua qualità superiore. Ma il sig. Gay-Lussac ha dimostrato l’ insussistenza di questa spiegazione ; giacchè la temperatura a cui si espone il gesso per cuocersi è affatto insufficiente a scomporre il carbonato di calce, il quale restando tale non può contribuire a dare al gesso mag- 153 gior solidità , come per avventura aleuno potrebbe pensare della calce che provenisse dalla sua scomposizione. Altronde non si trova calce libera nel gesso cotto , ed anche aggiungendola espres- samente a quelle qualità di gesso che acquistano poca solidità , non le migliora sensibilmente. Però il sig. Gay-Lussac pensa che si debba cercar la causa della diversa consistenza o solidità che prendono coll’ acqua di- verse specie di gesso cotto , nella durezza diversa che presentano le qualità stesse in stato crudo. In fatti è facile a concepirsi che una pietra da gesso di qualità dura avendo perduta per l’azione del fuoco 1’ acqua nativa o ingenita , riprenderà nel tornare al suo stato primitivo una consistenza ed una durezza maggiore che una pietra da gesso naturalmente tenera trattata in modo eguale. Si può dire che si riproduca in qualche modo la stessa primitiva disposizione moleculare. In conferma di questo ragionamento il sig. Gay-Lussac cita l’esempio del buono acciaio fuso , il quale dopo aver perduto una parte del suo carbonio per la sua ce- mentazione .coll’ ossido di ferro, cementato nuovamente col car- bone dà un acciaio molto più omogeneo e più perfetto di quello che si otterrebbe nelle circostanze stesse cementando del sem- plice ferro. Il sig. Hermstadt si è assicurato che nelle spugne, oltre l’iodio , che vi era già stato riconosciuto , esiste ancora del bromo, in stato d’idrobromato di calce. I sigg. Wohler e Kind lo hanno trovato nelle acque del mar Baltico. Il caro prezzo dell’acido citrico che trattiene dal destinarlo ad alcune utili applicazioni, delle quali sarebbe suscettibile, ha impegnato il sig. 7//oy farmacista a Digione a ricercarlo in altri frutti diversi dal limone, da cui si è fin quì estratto esclusiva- mente tutto quello di cui si fa uso. Egli è giunto a ricavarne una quantità notabile dal Ribes e dall’ Uva spina (Grossularia) col seguente processo. Si schiacciano questi frutti, e si fanno fermentare. Dalla massa fermentata si ricava l’ alcool per distil- lazione, quindi si separa il liquido rimanente dalla feccia, in parte per decantazione, in parte per la pressione operata con un buono strettoio. Si satura l’acido contenuto nel liquido per mezzo del carbonato di calce, e ne risulta un citrato di calce insolu- bile, che si lava a più riprese, e quindi si spreme fortemente collo strettoio. Allora stempratolo in acqua in forma d’ una pasta T, XXXIV. Giugno. ‘20 154 liquida , si scompone a caldo con acido solforico allungato d’una quantità d’ acqua doppia del suo proprio peso. Il liquido che ne risulta, e che è una mescolanza d’ acido citrico e d’ acido sol- forico , è saturato nuovamente con carbonato di calce. Il preci- pitato separato dall’acqua per feltrazione e per pressione , è scom- posto di nuovo per mezzo dell’ acido solforico , il quale unendosi alla calce in solfato insolubile, lascia nel liquido chiaro"ma leg- germente colorato il solo acido citrico. Scolorato il liquido per mezzo del carbone animale si evapora fino ad un certo punto ; allora lasciatolo chiarificare per deposito , e separatolo dal sedi- mento , si pone in una stufa scaldata dai 20 ai 24 gradi R. ove si cristallizza per lenta evaporazione. I cristalli sono un poco co- loriti, ma si purificano con "un processo di lavazione simile a quello usato nelle raffinerie di zucchero per mezzo d’una pasta d’ argilla alquanto liquida; poi si ridisciolgono , e si procede ad una seconda cristallizzazione. Libbre 133 e un terzo di quei frutti hanno dato al sig. Tilloy una libbra d’ acido citrico puro e cristallizzato , che, computate tutte le spese , costava la quarta parte del prezzo che si paga per l'acido citrico del commercio. Benchè la mirra sia conosciuta da tempi remotissimi, pure non è ancora ben nota la sua origine , perlochè la società medico- botanica di Londra ha proposto una medaglia d'oro a chi scuo- prirà l’ albero che la produce. Il sig. Bonastre, senza pretendere di risolvere una tal que- stione, ha impreso a rischiararla. Egli comincia da riferire le principali opinioni proposte. Bruce riguardava la mirra come il prodotto d’ una mimosa ;, o acacia ; da lui detta mimosa sassa ; Duncan gli contradisse, appoggiandosi al fatto che le mimose danno pure gomme, non gomme-resine. Forshal crede la mirra un prodotto dell’ Amyris Kataff o Kafal. Ekrenberg, e Hemprich, naturalisti di Berlino , i quali hanno viaggiato di commissione del loro governo in Egitto , in Siria , in Arabia, e nell’ Abissinia, hanno raccolto la mirra sopra un albero , che essi riguardano come molto analogo all’ Amyris Kataff o Kafal, e che hanno chiamato Balsamodendrum myrrha. Questa identità non essendo dimostrata , il sig. Bonastre la mette in dubbio, appoggiandosi a buone ragioni. Egli ha pre- sentato all’ Accademia reale di medicina di Parigi alcuni pezzi d’ una gommaresina che ora si vende in commercio per vera mirra, ma che è un mescuglio di più specie di gomme-resine, fra le 155 quali la mirra vera o antica si trova in piccolissima proporzione. Egli ha esaminato diverse qualità di mirra, separando per ciascuna i pezzi di ogni specie particolare. Avendo egli sottoposto diverse specie di mirra all’ analisi, ed esaminatine i prodotti, osservò che 1’ olio volatile per il suo contatto coll’ acido nitrico, anche a freddo, prendeva un co- lore prima di rosa, poi rosso, poi di feccia di vino, che qual- che volta passava al violetto. Immaginò e quindi verificò che an- che una tintura concentratissima di vera mirra si colorava egual- mente , lo che accadeva con alcune specie di mirra del commercio, non accadeva con alcune altre. Riconobbe poi che ciò dipendeva dal trovarsi o non trovarsi nelle diverse specie esaminate della mirra vera o antica. Di 18 diverse mostre così sperimentate, 16 presentarono il fenomeno della colorazione per l’ acido nitrico, due sole non lo presentarono. Di queste ultime una fu ricono- sciuta per Bdellio, dell’ altra non si potè determinare la natura. L’ indicato fenomeno di colorazione per l’acido nitrico è dun- que un mezzo sicuro per distinguere la mirra vera o antica da qualunque altra gomma-resina con cui potesse confondersi. Il sig. Rissart, farmacista a Tarascona, ha osservato essere impossibile chiarificare le decozioni di molte sostanze animali, ed anche quelle d’alcuni licheni per mezzo della sola albumina, alla quale è necessario aggiugnere un acido, o del cremor di tartaro, nel qual caso son modificate le proprietà di quelle decozioni. Il sig. Rissart sospetta, non sapremmo quanto ragionevolmente, che quest’ effetto dipenda dalla presenza dell’ albumina che preesi- steva in quelle sostanze. È stato scoperto in Francia che diverse specie di biscotterie erano colorate con sostanze minerali pericolose ed anche decisa- mente venefiche, quali sono l’ arsenito di rame per il color verde, ed il cromato di piombo per il giallo. È da temersi (e sarebbe importante il verificarlo ) che quest’ inconveniente si ripeta anche in altri paesi. Il dott. Westrumb di Hameln ha consegnate in un giornale tedesco (gli archivi della medicina) le osservazioni di 7 persone avvelenate da formaggi guasti. Il sig. Sertuerner analizzando questi formaggi, vi ha trovato un acido particolare, nel quale par che risieda il principio ve- x nefico. L’ analisi è stata fatta coll’ etere e coll’alcool. Ne sono 156 state ricavate tre sostanze diverse, tutte con odor di formaggio, cioè : 1.° Caseato d’ ammoniaca ; 2.° Una materia grassa o resinoide, caciosa , acida; 3-* Una sostanza meno grassa, egualmente acida. Provate queste tre sostanze sopra cani e gatti, la prima era meno velenosa, la seconda al più alto grado , la terza meno vio- lenta. I sintomi dell’ avvelenamento erano prima nervosi , poi se—- guitati da infiammazione gastro-intestinale. Un fenomeno degno d’attenzione era la produzione d’ un enorme quantità di gas am- moniaco negl’intestini, risultante da una secrezione organica , giacchè quei corpi grassi venefici non contengono ammoniaca. Mineralogia . Lettera del conte G. Mamiani di Sinigaglia , al conte Dom. Paorr di Pesaro. ( Ved. Antologia N.° 98. pag. 162.) A. voi pregiatissimo e stimatissimo amico dovevasi intitolare questa mia lettera, che tende ad illustrare uno de’prodotti mine- rali della provincia, e precisamente delle cave selenitiche di Sinigaglia ; ormai rese celebri per le rinvenute acque solforose , per l’ abbondanza delle ittioliti, e per 1’ immenso numero delle filliti che vi stanno sepolte. Dissi a voi; giacchè pratico come siete delle cose naturali, e ricco di tutte le dovizie dell’ingegno, vi degnaste di aiutarmi a determinare la sostanza da me per la prima volta scoperta in queste litomie sinigagliesi. Rammenterete forse la Vota che io pubblicai nel Giornale di Pavia (Decade se- conda T. IV Sesto Bimes.) su la strontiana solfata di queste con- trade: allora fu per me annunciata una sola forma cristallina ; cioè l’ épointée di Hauy, alcune volte limpidissima e alcune altre semitrasparente e senza piramide sovrastante al prisma esaedro. Raddoppiate ora le mie indagini su quella sostanza , che il chia- rissimo Brocchi e il sig. prof. Moretti assimigliarono perfetta- mente al solfato di strontiana della Sicilia, e fatti analizzare i nuovi saggi col semplicissimo metodo datoci ultimamente dal Gay- Lussac, ecco quanto ho potuto vsservare nei molti pezzi raccolti sul luogo. Era ben naturale che la forma épointée come varietà della dodecaedra non dovesse stare senza:quest’ ultima. Difatto ho ra- dunati molti e molti cristalli decisamente di codesta figura, aventi cioè sul prisma esaedro due pentagoni e due quasi romboidi sui 157 lati; mentre all’ opposto l’épointée ha sempre quattro pentagoni, ora più ora meno inclinati sui lati, e concorrenti ad angolo più o meno acuto. Posso anzi accertarvi che dove scorgesi l’épointée, havvi ancora la dodecaedra ; e non è raro il caso di trovare un cristalio della prima impiantato su quello della seconda ; quasi- chè la natura avesse voluto farci sicuri del loro reciproco rap- porto. Se poi nella dodecaedra fate che due delle facce opposte del prisma si allarghino e quelle ad angolo fra loro si restringhi- no; se date maggior dimensione ai due pentagoni della piramide soprastante, sicchè abbiano a divenir trapezi concorrenti in uno spigolo molto acuto ; e se lasciate chiudere la figura dalle due romboidi alquanto allungate, parmi sortirne una specie di tavola troncata sui quattro spigoli del solido intero. Ed ecco la terza forma da me trovata, e che io non ho saputo meglio riferire che alla prima specie in favole rettangolari data da Jameson. Ma non mauca neppure l’ altra tavola che 1’ inglese chiama rettangolare acuminata sui bordi, che i sigg. Moricard e Soret appellano uni quaternaire, e che passa per una varietà della strontiana trape- zoidale delle cave di Bex nel cantone di Vaud. Che anzi gli stessi autori danno le inclinazioni delle diverse facce appartenenti a quei cristalli, ed io le ho verificate nei nostri: più, i sullo- dati naturalisti affermano che la trapezoidale esiste quale modi- ficazione della épointée in alcuni saggi di Sicilia , ed io ho esa- minato attentamente quelli posseduti dal. pontificio Gabinetto della Sapienza, e sul medesimo pezzo ho riconosciuto i cristalli di ambedue le forme. In mezzo ad alcune geodi piene di cristalli di strontiana ho raccolti varii cristalletti di quarzo, limpidissimi, e nella consueta forma prismatica: ciò non fa meraviglia , po- sciacchè la matrice è fornita di silice qualche volta mostrantesi all’ esterno, e facilmente riconoscibile pe’ suoi caratteri chimici. Non saprei dirvi con sicurezza , ottimo amico, se io abbia o no raccolta la forma ottaedrica detta dall’Hauy wnitaire e l’ altra da lui chiamata entourée ; ma tuttavia ho molte ragioni per cre- derlo . Dal che vedete che in queste cave abbiamo la celesti- na sotto tre forme prismatiche , due tavolari, ed altre due co- nosciute , o facilmente determinabili. Nè io mancherò di mo- strarvi il bellissimo saggio nel quale per. l’ estensione di poco più che due pollici in lungo ed uno inlargo si ponno numerare circa 5o cristalli limpidissimi, lunghi 5 linee e più, varii \dei quali sono dodecaedri, alcuni epointés ed altri tabulari. Debbo qualche cosa accennarvi sui colori di codeste cristal- lizzazioni , le quali generalmente non oltrepassano le 4 0 5 linee 158 per lunghezza e a per larghezza; ma che sovente giungono al pollice per la prima e alle 6 linee per la seconda dimensione. Riguardo ai colori della sostanza, lessi già in Tondi trovarsi essa con isplendore vetroso e con isplendore mezzano fra il vetroso e il perlato: sotto ambedue gli aspetti si offre in S. Gaudenzio. Havvi altresì quel colore che dall’ Hauy vien detto dlanchatre e dal Brochant dianco latteo ; talehè mancherebbe il solo tur- chiniccio che è proprio dei dodecaedri di Spagna. In rapporto alla trasparenza , gode la nostra strontiana dei due stati distinti per semitrasparente e traslucido: ma quello che più sorprende si è il vedere in alcuni saggi un colore brillante diamantino , che vale a scomporre la luce, e specialmente nelle due varietà épointée e dodecaedra. La forma tavolare si rinviene anch’ essa limpida , talvolta splendente , e tale che io in uno dei più grossi cristalli ho potuto chiaramente ravvisare la doppia refrazione. Su la geognosia della roccia e su la particolare giacitura degli strati mi riporto a quanto indicai nel giornale di Pavia. Aggiungerò che i nuovi tagli praticati nella litomia per l’estra- zione della selenite , hanno resa sempre più chiara e la disposi zione alternante degli strati selenitosi, marnosi , strontianici; e la loro inclinazione all’orizzonte, che ho veduto sorpassare li 60 gradi , come l’ altra volta accennai. Spero che voi, carissimo conte , non rigetterete queste mie nuove osservazioni , e che anzi vorrete aggradire nn attestato di quella altissima stima in che vi tengo, e che mi fa essere Uno de’ vostri veri amici. G. MAMIANI. Storia naturale. Il dottor Virey ha comunicato all’ Accademia delle scienze di Parigi una sua curiosa osservazione dell’ elevazione sponta- nea nell’ aria di piccoli ragni filatori. Egli comincia dal rammentare quanto sembra difficile a spie- garsi come i ragni stendono dei fili e delle tele da una riva d’ un ruscello all’ altra , o fra due alberi molto lontani. È stato supposto che i ragni gettassero lungi i loro fili glutinosi perchè si attaccassero ad un'punto determinato; ma una tal supposi- zione non sembra ammissibile ; specialmente quando la distanza è alquanto considerabile. Il sig. Virey ha veduto dei giovani ragni di diverse specie, e principalmente quelli della epeira diadema, i quali in una 159 stanza chiusa, e senza il concorso del vento , potevano ele- varsi a loro piacere, anche di sopra la mano. Essi salgono in aria, senza essere sostenuti , verso qualunque luogo , lasciando un filo attaccato al luogo donde sono partiti. L’ autore spiega il moto ascensionale di questi piccoli aereonauti per il moto delle loro quattro zampe, che agiscono insieme come dei remi o delle piccole ale, di modo che questo movimento sarebbe un nuotare nell’ aria , o una specie di volo. Il sig. Geoffroy Saint-Hilaire ha presentato all’ Accademia delle scienze di Parigi il disegno d’un mostro vivente che si trovava a Turino nei primi giorni del mese di marzo di que- st anno 1829. Il disegno e la notizia gli erano stati comunicati dal prof. Rolando e dal sig. Giulio ‘Arthaud medico francese. L'individuo rappresentato è una bambina con due teste. Le sole parti inferiori sono comuni ai due individui, il resto è separato , e presenta la conformazione propria allo stato normale. Veden- do in quest’ essere due individui separati, il sacerdote li bat- tezzò ciascuno separatamente ; ad uno fu imposto it nome di Ritta, all’altro quello di Cristina. Nacquero a Sassari in Sarde- gna sul principio del mese di marzo suddetto. La loro comune statura è quella d’ un figlio a giusto termine. Sembra che Ritta soffra. Il padre aveva l’intenzione di portarle a Milano e quin- di a Ginevra. Il Globo, nel dare questa notizia cita alcuni altri esempi analoghi. Sotto il regno di Giacomo III re di Scozia, ed alla di lui corte, viveva un uomo doppio dall’ ombilico in sù , sem- plice al di sotto di quella regione. Il re lo fece educare con premura. Egli fece dei rapidi progressi nella musica. Le due te- ste impararono diverse lingue , discutevano insieme, e le due metà superiori qualche volta si battevano ancora; ma più comune- mente vivevano in buona armonia. Quando si pizzicavano o si pungevano le parti inferiori del corpo , i due individui ne ri- sentivano l’ impressione nel tempo stesso. All’ opposto qualun- que irritazione eseguita sopra uno degli individui superiori , era sentita da quello solo. Quest’ essere mostruoso morì dell’ età di 28 anni. Uno dei due individui morì alcuni giorni prima del- l’ altro. Nel 1723 il sig. Martinez vidde a Madrid un uomo con due teste , che si mostrava a prezzo. Sigebert afferma egualmente d’aver veduto un fanciullo dop- pio superiormente , semplice inferiormente. Uno dei due indivi- 160 dni mangiava , l’altro non mangiava. Spesso si battevano fra loro. Essendo morto uno di essi , l’altro sopravvisse appena quat- tro giorni. Scienze MEDICHE. L’ abile e dotto chirurgo sig. Massimiliano Rigacci , di cui abbiamo annunziati più altri lavori: ha ora in un suo ragiona- mento medico-chirurgico dato in luce per le stampe del Fanto- sini impreso a provare l’impossibilità di separare la pratica ester- na o chirurgica dall’ interna o medica. Egli comincia da ricordare come la chirurgia , la quale fu madre alla medicina, le restò unita finchè verso la metà del se- colo 12 il concilio di Tours proibì agli ecclesiastici, che erano in quel tempo medici e chirurghi , d’eseguire operazioni cruen- te, le quali essendo state indi in poi abbandonate ad ignoranti barbieri, i medici posero questi nell’ assoluta loro dipendenza ; cosicchè la chirurgia, se tale poteva dirsi, nulla osava intra- prendere senza l’oracolo spesso fallace della medicina. Riferisce poi come Ambrogio Paréo , colla scorta dell’ ana- tomia , nello studio della quale si giovò dei lavori del Vesalio e d’altri, pose le prime pietre di quel nuovo e solido edifizio che presenta 1° odierna chirurgia. Osserva che nell’epoca avventurosa in cui Bacone e Gali- leo richiamarono li spiriti sulla via dell’osservazione e dell’espe- rienza, mentre la chirurgia conquistando positive cognizioni ana- tomiche e fisiologiche progrediva felicemente , la medicina si sforzava di piegare i fatti alle ipotesi ed ai sistemi, nel laberinto dei quali si avvolgeva. Fra i quali sistemi l’ autore deplora grandemente e giusta- mente gl’ immeusi danni cagionati all’ umanità da quello dello scozzese Brown , rovesciato poi specialmente per l’ opera dell’il- lustre Rasori. Discorse con dottrina e criterio molte cose risguardanti alla medicina ed alla chirurgia, e ravvicinandosi alla conclusione che si era proposta, afferma che e peri rapporti e consensi del= le varie parti dell’ organismo animale, e per il propagarsi le ma- lattie esterne ai principali sistemi, e perchè molte affezioni ester- ne riconoscono una causa interna, non può nè deve la pratica esterna o chirurgica separarsì dall’esterna o medica. Secondo il dottore Schoenemann, il freddo è un mezzo molto efficace per impedire lo sviluppo dell’ idrofobia. Però consiglia i6i «di cuoprire di ghiaccio o almeno di pannilini bagnati nell’acqua fredda la parte morsicata dagli animali rabbiosi ed anche le parti adiacenti, continuandone quanto più si può |’ applicazione. Poco in uso presso di noi, è molto impiegata dai francesi una pomata di Laureola o Pepe montano , Daphnae laureola di Linneo , Garou dei francesi, la quale ha virtù caustica e vesci- catoria . Il sig. Guibourt avendo osservato che una simil poma- ta, nella ordinaria composizione della quale entrano delle canta- ridi, produceva talvolta dei gravi sconcerti nelle vie orinarie , ha sostituito ad essa una pomata di laureola senza cantaridi , che ha riconosciuta attivissima senza produrre inconvenienti , e che prepara col seguente processo. Pesta la scorza fresca di Daphne nell’ alcool , ne forma una tintura molto carica, che riduce per evaporazione ad estratto alcoolico. Tratta nuovamente questo, che è di color bruno, con alcool , per separarne le materie resinose. Questo secondo estrat= to, più ricco di materia vescicatoria verde, è da lui unito in proporzione d’ una dramma con 9g once di grasso ed un oncia di cera. Ottiene così una pomata che mantiene l’ azione vesci- catoria per più mesi, senza cagionare veran accidente sulle vie orinarie. Il N.° 1or, ro giugno 1829, dell’ Universe, giornale di letteratura, scienze ed arti, che si pubblica in Parigi, rendendo conto , come snole , delle sedute dell’ Accademia delle scienze , dopo aver dato un cenno di varie cose fatt» e dette in quella del dì 8 giugno decorso, soggiugne quanto appresso. « Il sig. Geoffroy Saint-Hilaire , come organo della cominis- »» sione incaricata di fare all’ Accademia le sue proposizioni in- >, torno alle opere mandate al concorso di fisiologia per il premio >» fondato dal sig. di Moutyon, legge un rapporto, nel quale 3) sviluppando le ragioni che hanno determinato il giudizio della » commissione , dà un analisi suecinta di quei lavori dei concor- », renti, che sono stati truvati degni d’una ricompensa o d’una » distinzione per parte dell’ Accademia ,,. < Sulla sua proposizione è stato accordato un premio di 895 » franchi al sig. Regolo Lippi professore d’anatomia a Firenze, » per la sua opera intitolata : Illustrazioni fisiologiche e patolo- »» giche del sistema linfatico chilifero , un volume in 4° stam- »» pato a Firenze nel 1825, e che la commissione del 1827 aveva 3) rimandato al concorso di quest’ anno ,,. T. XXXIV. Giugno. 21 » 162 La commissione dichiarando degne di menzione onorevole diverse altre pregevoli opere, e, per avere l’opera del dott. Lippi meritato l’intero premio di fisiologia, mancando altri fondi per ricompensare un opera interessante del dott. Poisezi/le intitolata: Ricerche intorno alla forza statica del cuore e sull’ azione delle arterie , propose all’ Accademia di domandare al ministro dell’in- . terno il permesso di conferire all’ autore una medaglia d’ oro del valore di 500 franchi. Propose finalmente una particolar distinzione, ma diversa dalla collazione del premio, a favore d’un opera manoscritta del fin Legallois , cioè che fosse stampata a spese dell’Accademia. Altri giornali hanno confermato queste notizie. Gli an- nali di chimica e di fisica nel fascicolo per il maggio 1829, ‘a pag. 109 si esprimono come appresso: “ L’ Accademia reale 3 delle scienze decreta il premio di fisiologia sperimentale fon- »» dato dal sig. di Montyon all’opera del sig. Regolo Lippi sotto »» il titolo di ZIlustrazioni anatomico-comparate del sistema lin- »» fatico-chilifero e delle palpebre , nel quale l’autore ha sta- »» bilito in una maniera che sembra sodisfaciente la comunica- »» zione dei vasi linfatici delle glandule conglobate coi vasi ca- » pillari venosi ,,. Seguono le altre distinzioni che sopra. Siccome il bullettino del mese precedente era già stampato allorchè ci pervenne il citato numero dell’ Universel, e quindi gli altri giornali, l’estensore fece nota al pubblico la collazione del premio di fisiologia al dott. Lippi in una Votizia staccata , che fu per altro distribuita col precedente fascicolo dell’ Anto- logia. In questa notizia essendo corso un errore involontario, l’ estensore si riconosce in dovere d’ emendarlo. La notizia ter- minava così: IZ solenne giudizio dell’Accademia delle scienze di Parigi dovrà sgomentare, fra gli altri, quello il quale non esitò a scrivere nel Giornale Pisano che GLI ESPERIMENTI DEL DOTT. LIPPI MANCANO DEL PRIMO GRADO DI PROBABILITÀ. Queste ultime espressioni non solo non esistono nel giornale pisano, ma tali quali non esistono in verun luogo. Eeco da quali combinazioni riunite è risultato 1’ errore. Era noto alio scrivente che nel tomo 16 del giornale pisano si trova una lettera d’ un anatomico , il quale , dopo aver riferite alquante sue ricerche sperimentali intorno ai vasi linfatici o assorbenti, conclude con- tro le cose annunziate dal dottor Lippi. Seppe in seguito lo scri- vente stesso che nell’ adunanza degli 8 ottobre della società medico-fisica fiorentina il dottor Lippi aveva recitato una sua scrittura, nella quale replicava non solo ad una memoria letta 163 da altro membro di quella società in altra adunanza, ma anche ad una lettera dell’ anatomico sopra accennato , riferita per intero in quella memoria, e nella qual lettera da molti esperimenti d’iniezione dei vasi linfatici si conludeva contro le asserzioni del dott. Lippi. La stessa forma di lettera nei due scritti, 1’ identità dell’ autore, dell’oggetto, e della conclusione , indussero con facile errore lo scrivente a pensare che la lettera confutata dal dott. Lippi avanti la società medico-fisica fiorentina, e quella in- serita nel tomo 16 del giornale pisano fossero una sola e stessa lettera. Trovando poi nel processo verbale della citata adunanza del dì 8 ottob., riferito nel n.° 83-84 dell’Ant. novemb. e dicemb. 1827, che il dott. Lippi aveva rimproverate all’ anatomico autor della lettera queste espressioni: che gli esperimenti del dott. Lippi mancano del primo grado di probabilità, e sapendo non essere stata fatta a quel rimprovero risposta alcuna , lo scrivente credè che le riferite espressioni fossero quelle stesse che 1° anatomico aveva scritte, molto più che erano in carattere corsivo. Un giusto reclamo pervenuto allo scrivente avendolo impe- gnato a schiarire la cosa, egli ha riconosciuto che dalla lettera inserita nel giornale pisano è affatto distinta quella letta e di- scussa in due successive adunanze della società medico-fisica , e che in quest’ultima e non in quella si trovano alcune espressioni nè affatto simili nè affatto diverse da quelle sopra riferite. L’ana- tomico autore delle due lettere aveva terminato quella recitata avanti la società medico-fisica con queste parole : 0 Ze mie inie zioni non furono abbastanza fortunate , o quelle degli altri man- cano del primo grado di probabilità; il dott. Lippi riportandole nella sua replica, le aveva variate alquanto , sostituendo loro, quelle più volte ripetute: gli esperimenti del dott. Lippi man- cano del primo grado di probabilità. L’ estensore del bullettino , nel vivo dispiacere che prova per essere incorso in quest’ errore , che una maggior diligenza avrebbe dovuto fargli evitare, si consola che esso non è punto ingiurioso nè al giornale pisano, nè all’autore delle due lettere citate. I sigg. Semmala e Schoenberg hanno recentemente annun- ziato che il cloruro di calce ha la virtù di prevenire lo sviluppo dell’idrofobia negl’ individui morsi da animali arrabbiati. Il sig. Semmala assicura d’averlo impiegato con felice successo sopra 19 individui, tanto con far lavare ripetutamente con una soluzione 164 di esso le parti lese, quanto amministrandolo internamente con un emulsione di gomma. Anche il dottor Costa ha istituito degli esperimenti analoghi, dai risultamenti dei quali conelude che il cloruro di calce possa somministrare un rimedio profilattico non solo contro il veleno idrofobico, ma anche contro il sifillitico. Sia che l’ esperienza confermi o non confermi questa preziosa proprietà del cloruro di calce , non è da dimenticare che alquanti anni addietro un distiuto chimico italiano il prof. Luigi Brugna- telli di Pavia raccomandò l’ uso del cloro contro 1’ idrofobia. i G. G. Grocraria , STATISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI. Viaggio archeologico nell’ Impero russo. — L° Imperator delle Russie ha approvata la proposizione d’un viaggio archeologico perle provincie dell’impero, fatta dal sig. Stroieff , membro dell’Accademia delle scienze. La cosa s° effet- tuerà dentro l’anno. Saranno visitati dalla commissione e gli antichi monumen- ti, e i Mss. delle biblioteche , de’ quali il sig. Stroieff pubblicherà poi il ca- talogo , a norma de? dotti. Viaggio del sig. Humboldt. — Il cav. Humboldt, ( Ved. Ant. N.° 100) s’ è indiritto per la via di Pietroburgo e di Mosca, verso i monti Ural, per esaminar le miniere , e specialmente i ricchi depositi di rena d’oro che sono tra la Nieva e l’ Isset, al Nord-ovest di Iekaterinnburg. I confronti che il celebre viaggiatore farà tra queste e le miniere dell’America , sì bene da lui conosciu- te , torneranno utili alla scienza e allo stato. Di là egli si rivolgerà alla capi tale della Siberia orientale , Tobolsk ; quindi nel novembre , a Berlino. Nuovo viaggio del sig. Ruppel. = Il cel. viaggiatore Ed. Ruppel è partito per esplerare le regioni dell’ Abissinia , non ancora visitate che da ben pochi europei. Il senato di Francfort gli ha, con unanime voto , assegnati mille fio- rini all’ anno, per anni sette , e come premio e come sussidio. Nuova colonia sulla costa occidentale della Nuova Olanda. — Il gover- no inglese fa da qualche tempo de’grandi preparativi per istabilirsi nella Nuova Olanda presso Swan-River , paese quasi sconosciuto : e già degli ordini son dati per impossessarsene. Sul principio dell’ anno scorso (così la Gazzetta Letteraria di Londra ), il capit. Stirling, comandante della nave il Success, ebbe l’ or- dine di esplorare le coste occidentali della Nuova Olanda, andando dal Capo Lewin , verso tramontana ; il qual capo è l’ estremità sud-ovest della Nuova Olanda , così chiamato dal vascello olandese che lo scoperse nel 1660. Il cap. Stirling , incaricato di cercare il sito per una nuova colonia, dopo percorse cinquecento miglia dalla costa , prescelse lo Swan-River , fiume de’ Cigni , po- sto al 32.° 3’; così detto da’ molti cigni neri che vi si veggono ; fiume già mi- surato fino a 60 miglia, dalla spedizione francese diretta dal cap. Freycinet, e 165 ora. esplorato:dal cap. Stirling fino alla sorgente , ed anco più insù. Scorre il fiume per paesi pittoreschi e fertilissimi ; e scende da una gran catena di mon- tagne donde l’occhio non vede che una bella pianura senza limite . Nel: mon- tar su pel fiume, il cap. Stirling incontrò gl’ indigeni ; e ne fu ricevuto ostil- mente : ma bentosto si mise con essi in buona concordia. E’ son selvaggi affat- to, non vestono che una pelle di Kangara , o di opossum; armati di lan- ce che hanno in cima punte di osso o di ciottoli. Un’ ascia di pietra, degli ami di scaglie, e delle lenze da pescare fatte di corteccia , son questi i loro arnesi. D’ estate , i più scendono al fiume, e vivon di pesci, colpiti con le lor lance : reti non hanno ; non sanno costruire un battelluccio, una zattera. L’in- verno , si ritirano più in su, cacciano il Kangara , l’ Opossum » le testuggini di terra, varii uccelli, che vi si trovano in abbondanza. Si nutrono anche di piante e di radici. All’aspetto; son duri e selvaggi : alla menoma cosa s’irrita- no, e vengon tosto alle offese : vendicativi, bizzarri. La testa hanno grossa sen- za proporzione col resto ; pur sono molto agili, e di vista acutissima, Il clima par saluberrimo. Il caldo, fortissimo in sul mezzodì , è temperato da piogge frequenti e da’ venticelli della montagna. Le mattinate e le serate lasciano tempo al lavoro ; le notti son belle e serene. Sulla riva forse, il caldo è più forte che non in sù; nondimeno non fece male a persona del seguito. IL terreno pare adatto alla coltura ; e le sorgenti v’ abbondano : vegetazione ani- matissima : il cardo e la felce vi mette fino a dodici piedi : gli alberi belli e fronzuti. Il cap. Stirling ne ha portate delle mostre di minerali , deposte ora alla Società geologica. Gli uccelli più comuni sono l’enve o cassowary, il cigno, I° anitra di più specie ; quaglie , piccioni , pappagalli , falconi, e vari uccelli di canto. Sulle coste si trovano foche , pesci-cani, balene. Del pesce , abbondante e buonissimo. Son già allestiti due vascelli da guerra per trasportarvi la nuova colonia , direttore il cap. Stirling » ispettor generale il luogotenente Roe, già stato nella spedizione del capit. King alla Nuova Olanda. Hayvi, come impiegati, anco de? dotti . Egiziani che studiano ia Francia. == I giovanetti egiziani, destinati a imparare le arti chimiche , per poi diffonderle nella loro patria , sono stati il dì 5 di marzo esaminati in casa del loro professore signor Gauthier de Clau- bry ; in presenza del signor conte Chaptal. Sei di loro, interrogati e sulla teoria e sulla pratica, hanno, non ostanti le difficoltà della lingua e della materia, in- dicate le operazioni , descritti e disegnati gli apparecchi , eseguite delle espe- rienze chimiche con destrezza . Si sono particolarmente distinti i due ultimi, Akmed Jussuf , venuto in Francia di vent’ anni, Akmed Gha’bàn , di dicias- sette, del Cairo ambedue. Risposero sulla fabbricazione dell’acido solforico, della barite , del solfato e del carbonato di magnesia; e sovra molti altri de’ princi- pali argomenti della scienza : eseguirono poi le esperienze seguenti: prepara- zione del gas idrogene , analisi dell’ aria , composizione dell’acqua. L’adunanza ne fu soddisfattissima : v° era presente il sig. Mimaud , nominato console gene- rale in Egitto in luogo del signor Droyetti , nel frattempo del suo congedo; il general co. Bertrand , il sig. co. d’Aure , ambedue della prima spedizione d’E- gitto , il sig. Bonafons , dell’Accademia di Torino ec. Si noti che, dopo diciotto mesi di studi preliminari della lingua francese , di disegno”, di matematica, di geografia , il maggio soltanto dell’anno scorso, e’si son dati alla chimica.==lenderem poi conto degli esami sostenuti dagli altri allievi, 166 che studiano medicina , storia naturale , o s’ addestrano agli uffizii d’ ammini. stratori e d’ingegneri. Ne? giorni appunto che si preparava l’ esame , si riseppe dell’ arrivo di sei fanciulli, nati nelle più lontane parti dell’Etiopia, mandati in Francia dal cav, Drovetti, per essere educati alla meglio nella cultura europea . Sviluppiamo questi deboli germi d’incivilimento: forse un giorno verremo a raccoglierne i frutti, con utilità del commercio , delle scienze , dell’ umanità. Certo è che l’Egitto, e le rive del Nilo, son l’ottime delle regioni per introdurre nell’Africa e nel- l’Asia occidentale , i benefizi della moderna civiltà. Già l’Egitto s’avanza nella nuova via; a passi lenti, ma con progresso evidente, Arrivo della spedizione scientifica francese in Grecia. = Modone 7 mar- zo 1829. — Il viaggio fu tranquillo , ma lento. Il vento contrario ci ha lun- gamente tenuti verso la Corsica e l’ isola dell’ Elba; donde tra le nuvole on- deggianti , ci apparve la campagna di Roma, le deliziose rive d’ Ischia, e il Vesuvio, versante , in forma di conca marina, il suo fumo, dal lato di Caprea. Stromboli ci apparve più presso: ma sul punto di lasciare l’Italia e d’entrar nel mondo d’Omero , quivi lo spettacolo si mostrò nella sua piena bellezza. L’Ap- pennino velato di neve, Messina stendentesi appiè de’ monti, come un’ onda schiumosa spinta dal vento alla riva, lo scoglio di Scilla , verdeggiante d’olivi e coronato da un villaggio che sembra quasi erpicarsi su quella cima ; e in luogo del mostro favoloso qualche barca arrenata. Cariddi oramai non è che una spiaggia ; in luogo del fico selvaggio , rifugio d’ Ulisse, un faro di misero aspetto: armenti di cavalli pascenti all’intorno. L’Etna ci rimase nascosto. «= Ma a poco a poco la Magna Grecia e la Sicilia si vanno confondendo a’ nostr’ oc- chi ; e siccome ne’ movimenti dall’ istoria narrati, voi discernete un non so che di conforme tra le colonie di Taranto e di Messina, di Agrigento e di Meta- ponto , così sovra amendue quelle cime ravvicinate dalla lontananza , noi scor- gevamo o le vette nevose che ci rammentavano le montagne della selva nera testè lasciate, o de’ gruppi di fichi d’ india e d’ulivi, o roccie scintillanti della lor nudità , o la pianura del flutto azzurro. All’ uscir dello stretto , ‘cangiò il vento, e in quattro giorni ci portò sulle coste della Messenia. Il dì tre di marzo , alle quattro della sera , io ho potuto scernere nettamente la desiderata e desolata spiaggia di Navarino. Alle cinque, eravamo già in porto , presso all’ isola Sfacteria , presso all’ ammiraglio Miauli, allora allora tornato da quell’ ambasceria in cui la Grecia lo scelse a portare gli omaggi della sua riconoscenza all’ armata di Francia. Dal luogo ove erava- mo » si sarebbero potute sentire le grida degli opliti, su quelle punte dov’essi sostennero l’ estremo assalto. Della foresta consumata nella notte precedente alla ruina, neppur vestigio ; nè nell’isola nè nel vasto suo anfiteatro di sabbia, 1’ occhio trova da riposarsi sopra un fil di verdura. A man manca, sola una palma s’innalza sulle ruine della moschea. Per una strada tutta umida, tracciata sopra una terra rossastra, venimmo alle porte de’ bastioni ; da’ suoi rottami , quasi contrasto allo squallore della circostante natura , s° udivano canti di sol- dati, e suoni di trombe e di musica militare. E già, tra quelle ruine l’ordine avea cominciato a rinnovare la vita: ciascuno avea ritrovata una casa, e già pen- sava a renderla men disagiata e men povera. Usciti per la porta occidentale, noi ci trovammo in mezzo a’ poveri Greci : nella lor miseria , ancor belli, come le statue d’ Olimpia. Dugent’ uomini seminudi , i più armati di pistole e pu- guali, lavoravano fra’ soldati , alle fortificazioni interne : le donne e ì fanciulli 167 raccolti in casolari diroccati, in luogo di tetto coperti di pelli : altri sotto le tende francesi. Più alto sulla montagna , alcune famiglie stavano annidate tra caverne immalsanite da stillicidii. Su questa terra , desolata dall’ odio , abban- donata dalla natura, che attrista l'occhio e il pensiero, imaginate l’attività ma- ravigliosa di quegli infelici: qua e là gruppi «di gente; verso il mare, nuove case; alle quali s° aggiungon sempre e s’ affollano nuovi abitanti ; in lontananza 3 rO- mor di tamburi, di trombe, di grida guerriere : posate questo doppio spetta colo in un anfiteatro di montagne bruciate infino alla cima, in un porto pieno di vascelli, sui ripidi scogli dell’ isola Sfacteria; e voi sentirete la Grecia quale ella per la prima volta ci apparve, nuda sull’ arida sabbia, bella non d’altro che della pietà e della sapienza che spira dalle grandi sventure. Delle bandierucce bianche ondeggiano sulle sparse tende de’ pastori e de’ soldati che stanno a difenderle, Appena in città, noi siam corsi al sito dell’antica Metone ; indicatoci solo da qualche eminenza coperta di fiori. In luogo de’ tempi di Diana e di Minerva Anemotide , non altro resta che de’ forni di terra, costrutti dagli Arabi. Bian- cheggiavano tra’ sassi i manti degli uccisi egiziani, i carcami de’cavalli; e l’on- da del mare gettava al lido, e pareva quasi scherzare con ossa umane ; con frammenti di vestimenta e d’arme che andavano a rompersi contro l’ argine di un acquedotto veneziano, In altra lettera, vi parlerò pei de’ greci. Giò che fa stupire in sul primo, è l’ indifferenza ch’ e’ dimostrano in mezzo alle tante novità che si veggono intorno. Hanno già tante cose veduto , tante sofferte , e tante dimenticate, che la naturale loro curiosità n’è già vinta. Vivono co’nostri soldati di buona e sin- cera concordia ; e non v’ è più quasi esempio , che ‘a’ viaggiatori nell’ interno della Morea sia stato recato dispiacere od offesa. A poco a poco , ogni ombra sì verrà dileguando . Quanto alla Francia, oh come appar bella la Francia su queste rive desolate , tra queste cadenti ruine ! Tutti noi stiam benissimo , e speriamo tra poco indirizzarci a Messene...... SOCIETÀ SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza ordinaria del 14 Giugno. — La Società fa preseduta dal sio. march. cav. Cosimo Ridolfi vice-presidente . Dopo la lettura ed approvazione del processo verbale dell’ antecedente adunanza , il Segretario delle corrispon- denze annunziò le opere e gli scritti ultimamente indiritti all'Accademia, fra .i quali una lettera del socio corrispondente cav. Giovanni Aldini unita al Prodro-. mo sopra una nuova difesa da esso lui adoprata per condurre a salvamento -fra le fiamme persone ed oggetti preziosi ; e con la quale esternava il desiderio che l'Accademia volesse destinare una deputazione onde manifestare il suo parere intorno al metodo enunciato, A tale effetto fu nominata una commissione spe ciale composta degli accademici prof. Giuseppe Gazzeri , prof. Antonio Tar» gioni-Tozzetti , e segretario Emanuele Repetti. Passandosi alla lettura delle memorie di turno, il sig. dott. Giuseppe Giu- sti trattenne prima di tutti 1’ Accademia con un suo scritto che può dirsi l’ins troduzione di un più lungo ed elaborato lavoro. Raggiravasi 1’ argomento sul 168 applicazione dell’ economia politica alla scienza della legislazione ed atla Giurisprudenza. Abbenchè la possibilità, diceva egli, di una buona applicazione delle scienze morali alle altre discipline, sia da credersi tanto più problematica quanto meno quelle scienze si avvicinano alle qualità caratteristiche delle scienze esatte, pure la prima di esse che abbia diritto di aspirare a questo vanto è senza dubbio l’eco- nomia politica , sicchè applicandola alla giurisprudenza vi è ragione di sperare che, lasciate a parte una volta le interpetrazioni filologiche e scolastiche, si con- templerà unicamente 1° oggetto filosofico di ogni legislatore, che è quello di condurre e di accelerare il perfezionamento sociale. Ma la scienza economica ; ‘soggiungeva l’ Accademico , essendo di fresca data , ha bisogno prima di tutto di depurare sè medesima da quei sistemi , i quali producono fra i suoi cultori scissura di opinioni perfino sovra alcuni suoi principii fondamentali, onde togliere ogni confusione nelle discipline morali alle quali si voglia essa applicare. Dopo avere l’ autore mostrato di passaggio il quadro dei principali scrittori della scienza economica, cominciando da Adamo Smith ; dopo accennato in qual modo per un inaspettata catastrofe commerciale, per cui l’opulenza di una grande nazione minacciava di essere inghiottita in una aperta voragine , ritor= nasse in problema quello che ormai pareva elevato al grado di assioma, ed in qual modo 1° economia politica fra l’ urto delle opinioni , in mezzo al combat- 9 aver rammentato lo stato tuttora incerto della scienza, e quindi la difficoltà di trattare della sua applicazione , l’Accademico esternò che era sua intenzione di esaminare in una sua prima memoria; quali sonovi principii dell’economia po- timento dei suoi principii sia stata abbattuta dalla polemica dei sistemi ; dopo litica, che attraverso le moderne dispute possono riguardarsi come concordati e inconcussi ; e quindi in una seconda memoria: qual’ è il vantaggio che la giurisprudenza può ritrarre dall’ applicazione di tali principii. Dopo ciò intraprese a, dire altra lezione di turno il sig. commendatore cav. Lapo de’ Ricci , ed il cui argomento potrebbe assai bene collegarsi all’ altro dallo stesso Accademico discorso nell’ adunanza ordinaria del r3 aprile 1828 , e che verteva intorno all’ attuale amministrazione agraria in Toscana, mentre in questa trattò della necessità dei capitali circolanti per il proprietario terriero . Molti, diceva egli, non fecero riflessione che 1° agricoltura non differisce dalle altre operazioni industriali, e che quella come queste esige per essere pro- fittevole , lavoro , capitali , sapere. Coloro che si danno a coltivare alla distesa il terreno , qualunque sia la sfera della coltivazione , nella lusinga di sempre guadagnare , e che non calcolano il rapporto fra lo speso ed il migliorato , spesse volte restano ingannati nelle loro speranze , tanto più se i proprietarii non erano in circostanze economiche opportune a ciò eseguire. Ad oggetto di rendere più sensibili i perniciosi effetti di tali errori fra i possidenti terrieri della Toscana , l’ egregio collega andò accennando alcune circostanze nella storia della nostra economia rustica, le quali servirono a porre in chiara luce l’ interessante argomento ch’ egli imprese a trattare. Terminata la quale lezione, l'Accademia raccoltasi in adunanza privata, ascrisse , dopo onorevole partito , nella classe dei soci corrispondenti i signori cav. barone Gio. Batt. Luigi Giuseppe Rousseau console di S. M. Gristianis- sima a Tripoli, e dott. Giuseppe Cera prof. di agricoltura nell’ Università di Napoli. E. KR. 169 Società Medico-fisica fiorentina. Adunanza ordinaria del di 22 febbraio 1829. — Letto ed approvato il pro- cesso verbale della preceduta adunanza secondo le nostre forme accademiche , mancate essendo le letture di turno , trattenne la Società il socio prof. Magheri con una sua memoria avente per scopo mostrare primo quali punti di analogia e di contatto passino fra le antiche e le volute moderne teorie patologiche , e in secondo luogo quale-influenza abbiano o possano avere î vizi degli umori per il mantenimento o sviluppo di varie malattie che infestano la macchina umana. Nel che esaminando principalmente quanto al primo assuntosi argomento l’ eccitabilità e 1’ eccitamento in stato sano e morboso, la diatesi, la riprodu- cibilità dell’anzidetta eccitabilità , le condizioni patologica e irritativa, le forme delle malattie e i così detti specifici medicamenti, credè quanto alla prima tesi ( all’ eccitabilità cioè e all’ eccitamento ) null’ altro doversi accordare allo Scoz, zese loro fautore se non che di aver chiamata con una frase tutto al' più più semplice e più facile quella proprietà del solido vivo che ‘con. altri, ma non molto dissimili termini nominata avean già molti e varii pratici precedutigli , non tralasciando però di notare i dannosi corollari che dalle modificazioni , e affezzioni malamente concesse a questo principio risentiti nè aveva la medicina e soprattutto l’ inferma umanità. Dal che passando alla diatesi e fatte. osservare le applicazioni varie che di questo nome sono state fatte da varii autori, scese a mostrare come anche i me- dici da noi più remoti, riducessero ( come i seguaci dello Scozzese che in se- quela delia semplice divisione di stenica, ed astenica diatesi, steniche, ed aste- miche. vollero esser tutte le malattie ) riducessero dissi a due sole classi generali tutti, o la maggior parte almeno dei mali come evidentemente lo provano ex. gratia , lo strietum et laxum di Temisone, il, vel ex replectione, vel ex ina- nitione d° Ippocrate , per tacere altre frasi referite. dal nostro socio , e da molti altri che con lui emanarono già simili pensamenti. Nè credendo. ehe le due accennate differenti , anzi opposte morbose modi- ficazionî della diatesi esser possano o debbano l’unico oggetto che occupar debba il medieo pratico , opinò esservi pure altri rilevanti fonti di malattia eui forza è in pratica tutte rivolgere le mediche indagini e le terapeutiche ordinazioni , l’ arcana alterazione cioè del misto organico onde il solido vivo resulta che per varie e differenti cause può a suo parere svilupparsi ed esser causa di mali , e le varie condizioni patologiche che , distinguendo Egli dalla diatesi (nel che oggi non tutti i patologi consentano) varie ed importanti riflessioni ripetono dal me- dico osservatore.. Dopo di che ammessa l’ irritazione quale altra causa di altra classe di mali, ammessa come unica caratteristica di questi la cessazione presso che istantanea di essi, allontanata la causa , e concesso il Joro facil passaggio in malattie dia- tesiche continuando o persistendo la causa irritante che le produsse, terminò que- sta prima parte del suo ragionamento col parlare delle così dette forme delle malattie, nome con che il P. Bondioli appellò per il primo l’insieme dei feno- meni che un dato morbo presenta , e che bene anzi mirabilmente osservato e descritto avevan già ( come disse il nostro socio) Ippocrate , Oreteo , Galeno e T. XXXIV. Giugno. 29 170 tanti altri, finalmente diè cenno dei medicamenti così detti, e giustamente detti specifici. . Dal che passando a parlare degli umori, e di qual parte aver possano ed abbiano nel mantenere o sviluppare le malattie, non accordandogli mai alcuna parte di vitalità o di vita checchè ne induca, o ne inducesse a ciò credere la loro anteriorità ai solidi , il loro numero , quantità ec. , credé ciò non ostante che varii casi vi fossero e si offrissero alla predica medica che costringano il pra- tico a prendergli in considerazione. Dt Quali varii casi riducendo a due sommi generi al potersi cioè viziar ora se- condariamente per causa di affezzione di qualche organo o sistema, ora primi- tivamentg per causa di veleni contagiosi, di alterata crasi del chilo ec. formando nel primo caso effetti morbosi, e nel secondo potenze nocive, credè non doversi nè potersi mai trascurare o di eliminarli , o di neutralizzarli ; potendo e nell’una e nell’ altra circostanza o aggravare , 0 suscitare e mantenere la malattia. Finalmente dato un cenno di ciò che recentemente fu detto da due nostri viventi professori e sulle possibili alterazioni del sangue da uno, e su quelle degli umori dall’altro, terminò col far sentire quanto , a suo parere, negar deb- basi al primo , e quanto concedere al secondo. F. PROGRAMMA DEL PREMIO PROPOSTO Dalla Società formata în Firenze per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento, nella sua seduta del 1 Luglio 1829. La società formata in Firenze per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento avendo vivamente sen= tita la mancanza di un’ opera originale italiana, la quale serva ad un tempo, d’ esercizio dilettura , e d’ istruzione morale per i fanciulli, crede che il riparare a questo di- fetto sia, non solo utile, ma necessario al suo istituto , ed è perciò venuta nella determinazione di assegnare un premio di 25. zecchini all’ autore di quello seritto , che adempiendo all’ indicato duplice oggetto, presenti le mas- sime principali della morale nel modo il più confaciente a destar l’interesse e quindi l’attenzione della gioventù ; sù di che ella espone alcune sue idee , le quali anzi che considerarsi come vincoli all’ ingegno dei concorrenti , si I7I dovranno piuttosto riguardare come schiarimenti del suo intendimento. 29 9) 23 29 39 33 LE) 93 »” 29 >» 29 23 >’ DEI »» 99 LEI 33 »” ‘* Lo scopo della Società è quello di diffondere l’istru- zione elementare specialmente nella bassa classe del po- polo ; i fanciulli debbono profittare delle richieste let- ture dai sei ai dodici anni da ‘ Essa bramerebbe che in quel periodo fussero i gio- vanetti iniziati a tutti quei doveri che l’ uomo dab- bene debbe poi adempiere nel progresso della vita. I fanciulli in quella età poco più conoscendo dei pro- pri bisogni, sarebbe utile il far che la cognizione di questi, servisse di scala alla cognizione di quelli; e, trattandosi d’ idee astratte s non potrebbero esser loro presentate con maggiore efficacia che per via di fatti o d’ esempi, i quali avessero due qualità , che a destar l’attenzione dei fanciulli ci sembrano indispensabili , novità e verità ; e lo scrittore farebbe cosa gratissima attingendo tali fatti dalla storia e dalla biografia ita- liana ,,. 5 “ Quei doveri morali, di cui deve il libretto far co- noscere la necessità , potranno esser collegati tra loro e dedursi quasi corollari l’uno dall’altro ; e dovrebbe tra- sparire in tutta l’ opera ed essere in ultimo presentato nel suo pieno splendore come conseguenza o risulta- mento generale di essa, quel principio solenne di mo- rale, Non fare ad altri quello che non vorresti fatto a te medesimo ,s. « Sembra inoltre necessario avvertire, che il compi- lare quest’ operetta a domanda e risposta o a dialoghi, sarebbe affatto inconciliabile con i metodi d’ insegna- mento pratici adottati dalla Società Le Il desiderato lavoro non dovendo esser certo volu- minoso, nè d’altronde di tante poche pagine che la me- moria se le trangugi prima che 1’ abbia assaporate l’in- telletto, la Società ha pensato che non debba oltre pa:- sare i venti fogli di stampa, nè essere minore di quin- dicessi « Sarebbe supertluo il raccomandare la semplicità del- 172 » lo table , la chiarezza , e la purità della lingua, in un »» libro di questo genere ,, La Società ha stabilito che sia rilasciata all'Autore la | proprietà del MS. che ottenesse il premio a giudizio del suo Comitato del nuoco metodo , alla condizione però che egli debba averlo pubblicato nel termine di tre mesi dal premio riportato , offrendosi la Società compratrice di 100 esemplari; e non effettuando l’autore questa pubblicazio- ne nel tempo indicato s’intenderà devoluto alla Società il diritto libero di stampare l’ operetta per proprio conto e interesse. I concorrenti dovranno inviare al sottoscritto i loro lavori dentro il mese di giugno 1830 fregiati di un epi- grafe da ripetersi sopra un biglietto sigillato, il quale do- vrà racchiudere il nome, cognome e domicilio dell’Autore. I MSS. non premiati saranno restituiti insieme con i respettivi biglietti sigillati alla persona che consegnandoli avrà avuto cura d’ esigerne ricevuta. A SY Il Segretario degli Aiti Firmato \ Cosimo RiDpoLFi. =—@——@—@—@—@—@—@<@<—<€—€——1142À4À6—ÈÀ>@m6@—_mmm___É1.121212112—T » > Amaestramento degli antichi romani » volg. di fra Bartolommeo da S. Concordio. 1 TESO SIE Volg. dell’esp. del Paternostro fatto da Zuechero Ben- civenni, pubblicato ed illus. da Luigi Rigoli. 3» 0» Narrazione delle cose avvenute in Mosca dopo la mor- te d° Alessio Mikalowiez , ec. pubblicato da Seba- stiano Ciampi. (K.X. Y.) » » Esopo. Poema giocoso in canti dodici. I » Dell’ antico Egitto , ec. di G. Tamassia. > 5 Gesta navali britanniche , ec. poema di C. Petroni. ,) ,, |, Il rimanente dell’ appendice agli articoli sulle lezioni di letteratura del sig. Villemain. (M.) G. ., Della vita e delle opere di A. Cesari. (G. Mannuzzi) ,; , Rime di fra Guittone d’Arezzo. (BEJin 137 186 Libro di Cato , o tre -volg. del libro di Catone dei .. costumi, ec. (M.)G. Pag. 114 Lettere inedite di principi ed uomini illustri, pub. da L. Cibrario. i 3365 Crestomazia italiana , poetica del co. G. Lenpardi. ,) 3» L’Eccidio di Troia, di Trifiodoro Egiz. trad. da Bac- cio dal. Borgo. ..., » ”» Scelta d’ Iscrizioni modèrne in lingua italiana. 0 Parole di G. Bianchetti in morte di G. Monico. ssi Sulla milizia costantiniana, memoria del co. Fol- chino Schizzi. he Vie d’Agricola par Tacite trad. par N. L. B. ila Saggio di favolette esopiane. Bolsa Poesie del cav. Caselli. si 23 La Grecia descritta da Pausania. Volg. di Seb. Ciampi. (KAT. Stabat Mater, trad. di Q. Viviani. ssi Sestini. Museo Hedervariano , parte III. rg Pimmalione , favole trad. da Q. Viviani. na Lettere del card. Bentivoglio, con note del Biagioli. ,, ,» Commedie di Alberto Nota, vol. VII ed ultimo. ,,, GEOGRAFIA , STATISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI. Il Milione di Marco Polo, pubblicato ed illustrato dal conte G. B. Baldelli Boni. (L..S> D. I.) Ai Spedizione scientifica Francese-Toscana in Egitto. Let- tere di Champollion e Lenormand. trad. ,, 29 tb) 39 29 B. » bb) kb) 2) Note statistiche sugli Stati Sardi (L. Cibrario) A. Osservazioni sulle strade che dal Balkan conducono a Costantinopoli. È Spedizione Scientifica in Grecia. Di ” ” C. Viaggio archeologico nell’ impero russo. si Viaggio del sig. Humboldt. n Nuovo viaggio del sig. Ruppel. E Nuova colonia sulla costa occidentale della Nuova Olanda. 5 Egiziani che studiano in Francia. ba Db») 23 25 116 119 120 I2I 123 125 126 127 128 128 130 133 135 136 139 187 ARCHEOLOGIA. Saggio di monumenti etruschi e romani trovati a Chian- ‘ ciano illustr. dal D. D. Maggi. (D. Valeriani) B. Pag. 145 Istituto di corrispondenza archeologica a Roma. (X.) s3__» 162 SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Bullettino scientifico. A. ,, 136 ” 9» B. ,, 146 » ” C. ,, 149 Fisica e chimica. 5ì D- VMPO e I) ” ” B. ,, 153 DO, »” C. ,, 149 Fisica animale. A A..;35140 Discorso sulle rivoluzioni della superficie del globo, del Baron Cuvier. (D... EB) G. 5 87 SGIENZE MEDICHE. Bullettino scientifico. A. ,, 146 Do) B30,, 159 2) C. 9 145 Breve istoria della febbre epidemica di Palermo, di Vito Merletti Ji vag Considérations sur un nouveau moyen proposé par le D. Mojon pour l’extraction du placenta, par le D. Cal- deroni (V.).La7348 Istituzioni di materia medica, del prof. D. Bruschi. (V.) ;, 148 SOCIETÀ 8CIENTIFICHE E LETTERARIE. I. e R. Accademia della Crusca. Ad. del 13 gen. 1829. A. ,, 155 I. e R. Accademia de’Georgofili. Ad. del 5 aprile 1829. ,, ;, 155 Ra 3 maggio. B.. 3, 166 » 14 giugno. CC... 1607 Società medico-fisica fiorentina. Ad. del 22 feb. 1829. ,, ,, 169 Accademia degl’ Euteleti a S. Miniato. An. 1828. Aida 0A R. Accademia delle Scienze di Torino. Ad. dei 4 e 8 gen. I e 19 febbraio 1829. PRESTITO » Ad. del 12 marzo e 30 aprile. Big 0g 158 R. Società agraria di Torino. Ad. 20 gen. 1829. A. Pag. 160 9» feb. . B. Accad. Gioenia di Scienze naturali. Ad. dal 22 maggio al 15 settembre 1828. A. bs Ad. dal 15 novembre 1828 al 23 febbraio 1829. B. VARIETÀ. Sopra il famoso fanciullo Vincenzo Zuccaro. (G. G ) A. Sul prodigioso fanciullo Vinceenco Zuccaro; dise. di Fr. Foderà. — Sul medesimo Epilogo di Fr. Malvica. C. NecRoLOGIA. Agostino Pareto. (Lo4:D-P.ft Ai Antonio Montucci. (K. X..-V.} 53 D. Gio. Prezziner. ss o Av. G. Alessandri. > si Ab. Giu. Munico. si B. Monsignor G. Pannilini. ;ì RS Giuseppe Merli. (D.) » Cav. Onofrio Davy. Estratto GC. Prof. Ottaviano Targioni Tozzetti. i; Giuseppe Calandrelli. (4° Zil'» Fine del Volume XXXIV 3% 171 16r 166 Alla Pag. 175, linea 5 del presente quaderno, ove dice 1826 , leggasi 1829. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. GIUGNO 1829. Termoin. Stato del cielo È | | 01) aU01eg 017201018] 7 01) -21U01AN]q od -00s0w1auyY | 7 mat. s* 10,7: /17)1 lio ‘ 94 Ostro Ser. nuv. Ventic. j 1[mezzog. |27. 11,8. (ir 18 7; 63) Os. Li. Ser. nuv. Ventic ii sera |28. 1,0 ‘17,8 115,5 88) Po: Li. Nuvolo Ventie. SM n RP e SM ci RO De AAT A III ipo mat. |28. 1,5 [17,8 ,0 | 86 Lib. |Ser. neb. Calma | 2; mezzog. |28. 1,25 [17,8 |rc 61 Ponen.|Nuvoloso Ventic. | r sera |28. 1,93 |18,4 909 Lib. ‘Sereno Calma 7 mat. 28. 1,3 |18,2 trio ib. |Nebbioso Calma :3| mezzog. |28. 1,0 |18,2 |rc Lib. !Nuvoloso Vento 1» sera |28. 1,4 iPonen. Ser. nuv. Ventic. ——— | 7 mat. i; 0,9 {18,5 Lib. Ser. nuv. Ventic. | 4| mezzog. |27. 11,85 187 | Po. Li. Nuvoloso Ventic | 11 sera 27. 11,6 | 11952 |16; Po. Li. Nuvolo Calina | 7 mat. |27. 11,0 ‘18387 8 1 Os. Li. Nebbia Calma 5| mezzog. |27. 10,0 ‘18,9 120,3 Lib. |Nuv. neb. Vento rt sera |27. 95 19,2 |t7,0 Lib. |Nuyolo Calma 3 {189 117,0 Ostro |Nebbioso Calma 19;0 |20,I Ponen. | Nuvolosu Ventic. 0,21|Gr. Le.!Nuvolo Vento fort: 27. Tram. {Sereno Vento mezzog. |27 11,2 16 7 na rd | Greco |Se. con nuv. Ventic risera |28. 04 116,6 }13;0 Tr. Gr.lSer. con nuv. Ventic. —_ 017 Ost g 017241015] ! | lac) » E e asl Stato del cielo B È oi j7 mat. |28. 0,8 |16,0 13,5 | 6 "l'ram: |Navolo Ventic. 8. mezzog..28.. 0,5 {16,0 |16,0| 51 I Tram. | Nuvoloso Vento ta] 11 sera ‘28. 0,5 |15,5 {12,51 75 | Tram. |Pioggia Vento 7 mat. 27. 113 |:5,2 |11,5 | 86 | 0,38 Ponen. | Navolo Ventic»* 9! mezzog. 27. 11,2 |14,8 [12,6] 72 Tram. {Nuvolo Vento rr sera 28. 0,3 [14,8 [12,0 | 88: 'Scir. Nuvolo Ventie { 7 mat. 28. 0,9 [14,6 j14,0 | 84 | |Sc. Le.|Sereno Calma 10 mezzog. 23. 1,1 {14,9 [17,0 61 Der Ser. con nuv. Vento rr sera |28. 19 15,7. 13,1 I 84 Os. Li.{Ser. con nuv. Ventic. | 7 mat. e las a 35 115,5 115,0 uu ig Ser. con neb. ’Ventic 11j mezzog. 28. 2,9 15,9 1739 | i Lib. |Nuvoloso Calma risera 28. 2,8 (16,3 |13, 6 | Bi ‘Lib. |Ser. con neb. Calma I 7inat. |28. 2,7 |16,0 13,7 | gu ‘Ostro |Nebbioso ser, Calma 12! mezzog.[28. 2,3 |16,3 |15,4| 73 | 0,04 Tram. |Nuvolo Ventic 11 sera |28. 2,0 |15,9 [12,0 | 97 | o 27 Lev. Ser. con neb. Calma vi 7 imat. |28. 1,9 |15,4 15, 6 55 ‘Tram. |Ser. neb. Ventic 13 mezzog. [28. 1,9 (15,8 (17,6! 53 ‘Ostro. |Navolo Calma i vr sera |28. 2,0 |16,0 113,0 | 70 ‘Gr. Tr. Sereno Ventic 7 mat. [28 2,3 [15,8 [14,0] 81 | (Greco. |Sereno Ventic* 14 mezzos.28. 2,3 {16,1 |18,8 | 4o Tram. |Ser. con nuv. Veutic i 1rsera 128. 2,4 17,9 13,7 | 81 (Lib. Sereno Ventic | 7 mat. |28. 2,7 16,8 14,0 | 80 | Lib. [Sereno Ventic 15 mezzog.28. 2,9 17,4 |20,7 | 45 Praa PR Fano Ventie ‘rr sera |28. 2,6 118,2 15,2 93 |15,a | go | ‘Ostro. |Se neb. Calma | 7‘mat. [28. 2,3 ‘17,8 14,51 82] |Scir. |Ser, ragn. ragn. Ventic 176: mezzog.|28. 1,4 :|18,2.20,6 | 4o Lev, |Ser. ragn. Calma 11 sera |28. 1,0 18,9 ‘16,0 | 86 Lib. |Nuvolo Calma DI 7 mat. 28. 0,9. 18,5 115,0 ‘957 0.02 Gr. Tr.'Nuvolo Calma 17) mezzog.128. 0,4 18,8 (19,8) 60 iPonen., Nuvolo Calma bora sera 128. o,t_ 18,7 (16,0 | 89 | 0,02 Ostro. Nuvolo Calma 7 mat. |28. 0,0 {18,7 [15,0 | da Ostro |Ser. con neb. Calma 18° mezzog.|27. 11:6 |18.8 [19,6 70 Ponen.| Nuvoloso Ventic 1i sera 27. 11,3 118,7 ixr5,0 75 Lib. Ser. con neb. Ventic 7 mat. |27. 11,3 18,2 |15,5. 82° | [Sci Le Le. [Bere coa cou neb. Ventic 19) mezzog. 28. ‘0,0 18,4 19,3 48 (Lib. Ser. ragn, Ventic | ri sera 28. 0,6 18,8 Indo 72 ILib. Sereno Gala [ee] 'Termom. — o > o DEI | Q 3 cy tri O |edl 3 I ‘©i Ora 3 Blal glass] = Stato del cielo 13 © Lig tisi NH egli ME ir Ss 3 5|T ® 8 | ° o ° ° Ù î ; | ! 7 mat. {28. 0,6 [18,0 i 76 Sc. Le.|Ser. ragn. Calma 20, mezzog. |28. 0,5 {18,3 118,8 | 45 Po. Li.|Ser, ragn. Ventic. | 1) sera 28. 0,5 18,7. |15,0 | 88 Lib. [Ser.nuv. Calma l ” mat. |28. 0,5 18,3 3 (15,0 gi — |Se. Le. Nebbioso Calma a:|mezzog. |28 0,5 18,3 19,0 | 72 Po. Li.|Nuv. neb. Calma I 11 sera |28. 0,0 [1832 ae 93 [Seir. _ ir. |Sereno 1; DES | 7 mat. 128. 0,9 |18,0 ‘16,0 83 Scir. |Sereno Calma $22|mezzog. |28. 0,9 {18,4 [21,5 | 45 Lev. !Sereno Ventie. 1t sera 28. 0,8 |19,5 [16,7 | 72 Lev. | Ser. con ueb. Ventic. ess —_—_—___—— | ——_ —— _—— — ——_ | _—_ — r_---_-_ 3| 7 mat. |28 0,8 {19,5 |17,0 | 79 [Se Le. Ser. con neb. Calma :33|mezzog. |28. 0,8 [19,5 [21,5 | 37 Po. Li. Ser. con neb. Ventic. __{_rt sera 28. 1,5 |20,5 |17,0 | 87 iScir. Sereno Ventic. 7 mat. |28 1,9 |20,1 117,3 84 | Scir. | |Sereno {Calma 24 mezzog. |28. 1,2 [20,5 122,3 | 58 \'Er. M.'Ser. con neb. Calma | 11 sera |28. 2,t |21,0 |17,0 | 80 ‘Lib. |Sereno Ventic. i i ir ll Aloe ss) PAOOI MEO de E ea i m mat. |28. 2,1 |20,5 [16,0 | 85 iScir. |Sereno Ventic: (35 mezzog. |28. 1,9 |20,9 (22,3 | 54 Ponen.:Sereno Ventie. | 1» sera ;28. 1,6 |21,7 |18,8 72 Os. Li.'Sereno Ventic. | | 7 mat. |28. 1,6 [21,3 | ;17,0 | 72 Lib. |Nuv. neb. Calma 26 | mezzog. 28. 1,5 [21,4 \20,1 75 Tr. n Se. neb. Ventic. ti sera [28. 1,4 210 17,4 | 90 Po» Li.|Ser. con. neb. Calma 7 mat. “Si 1,0 20,5. 116,1 gi Gr. no Nuv. neb Calma {27 |mezzog. |27. 11,9 |20,7 [31 4 = fl Maest. [Sereno Ventic. | Pi It sera n 11,9 {21,2 !18,0 8 | 0,03|Lib. {Sereno Calma Dl 1t sera |a7, 11,9 [2t,2 {18,0 | 88 | o,o3]Lib. [Sereno __—’—— Calma Îl | 7 mat. |27. 10,3 |at,o |16,5 | 95 | Scir. |Nuvolo Calma 128 mezzog. (27. 9;6 |20,6 |14,9 [100 | 0,21|Muest. Pioggia Vento | r1 sera |27. 9,7 19,5 14,9 9g| 85 «> 0,38|Ostro {Ser. nuv. Vento | | 7 mat. |29. 98 18,9 16,0 "80° Ostro Pioggia Vento \29 mezzog. |27. 10,5 [18,7 |16,5| 89 | 0,18Os. Li. [Pioggia Ventic. |__'_1t sera [27. 10,6 !18,0 |13,3 | 98 | 0,46|Ostro [Nuvolo Calina | 7 mat. |27. 11,3 {t7,5 |14,5 61 Ostro Nuv. ser. Calma :30|mezzog. [28 0,2 |17,5 {18,1 | 68 Po. M. Nuvolo Vento i it sera {28. 0.5 {18,6 {14,9! 92 Lib. Ser. con nuv. Calma AN î 4 odi iso 34 lazy > de x Teo. E Al Bert) i dune ti Dit i per ci Il ati, # gm È iva atprii: IN sì doi si Sio). au pantera ate pinna en — La TTI Po vb@{. Li maori). 09; 11 pate tet P: 149. — Mineralogia p- 156: = Storia naturale p.198. — Scienze > radio p. 160. -—= Geografia e Viaggi. scieutifici È 164. - = Gost 5 scientifiche. Pi 167. Programma del: premio. proposto dalla Società del metodo di mutno ine segnamento... $ 3 3 < i NecroLoGIA:» = Onofrio de pe 179.» —_ RA daga Torso p- 175. Elogio di SETE Colani p 179: FAIR Buliektino Bibliografica. 3 3 Le Fe ARI 5 Tayole Metéorologiche. CS; GEO da “ si a DSP Mt a