INT ‘fi n pu AIRONE Pater sz” td - I 0 R N sa LE scithze. ubrtene E ARTI À 1 05. Laglo di » © Ano IX. Vol XXXV. i pr uN o bvai Ra NI N96 Sali ” FIRENZE ‘dl , GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO pr G.P, VIEUSSEUX © Direrrors e Ebrrons ie ten TIPOGRAFIA DI LUÉGI PELZATI. — PER ar e ù che ogni altra il frutto de’ suoi lun- Aitina il pregio di rendere familiari dottrine di una scienza ch’ebbe culla Italià e che in oygi piucchè mai .me- a di essere studiata da ogni classe di rsone.. Testimoni di fatto delle. cure ch'ei si prefisse, quello cioè di rac- aliere ed'esporre una serie di fatti che' rvisse di appoggio alle sue dottrine, icare_ per intero la suddetta opera.in ò comune; ed anche per la spesa a rtata di tutti, L' opera sarà divis in quattro vo- mi in 8,° distribuiti in tre fascicoli DI. Ta a “< {pet ciascuno. cdi sel a dieci i fogli. ! S: totte Ja opere del nostro Mel iorre Gioia hanno un'intrinseco va- e, la filosofia della Statistica; che è ‘Itima da lui pubblicata, racchiude ‘colla. ‘celerità che procuriamo di dimo: “notizie storiche intorno alla vita èd alle opere dell’ autore, «non che: 5 ritratte del: medesimo, FaGidi mella sbienzò economiche; ed. se dall'autore per gingnere allo scòo- | tine si daranno © gratis:, e nell’ ultimi Sopotie. per al volume: istestioa, ndenti sempre al miglior essere della || ecie umana, abbiamo divisato: di publ a. edizione. comoda ed economica ,. lla vista principalmente di renderla stampa , del formato degli Annali Uni: versali,, e se ne farà la pubblicazione strate intatte le-altre nostre ‘pubbli: cazioni, Nel ‘primo: fascieolo vi-sono k FELT ga centesimi italiani per "foglio di pagini 10 Mg: : IH titratto , cda legatura: e SPE Sao î E (Il prezzo resta fissato. a: “quindi fascicolo di ogni volume si ‘unirà D: AO “Gui Eprront _ Prezzo del primo fisciolo, SE "panno volume; RR Pi AGLI STUDIOSI Delle Scienze Mediche, Jenbericoei pervenuti due numeri d’un giornale di medicina che si pubblica a Parigi, ed intitolato La Clinica degli spedali e della città, in uno dei quali si trova il rapporto originale letto avanti all’ Accademia delle scienze di Parigi dal sig. Geoffroy Saint-Hilaire come relatore della commissione che aggiudicò il premio di fisiologia al dottor Lippi , crediamo far cosa grata agli studiosi delle scienze mediche portandoli a loro cognizione, in seguito della prima Iotizia da noi pubblicata. Articolo contenuto nel N.” 39 del detto Giornale 4 luglio 1829. « Rendendo conto della seduta del 23 febbraio, avevamo », esposto alcune riflessioni su quella parte dei premi fondati s, dal barone di Montyon che si riferisce alle scienze naturali e 3» mediche, ed avevamo annunziato che quaranta opere di tren= »» ta autori erano state mandate al concorso per il premio an- »» nuo di medicina e di chirurgia. Questo concorso ‘è stato dun- »» que notabile per il numero delle opere, e, come lo ha fatto 3» osservare il sig. Flonrens, per il merito d’alquante. Una fra »» le altre farà epoca nella storia della medicina , jtanto per la ss sua importanza, quanto per la resistenza d'un membro della 3» commissione nominata per giudicare questo concorso , e la sua | indifferenza per esaminare i fatti e le esperienze intraprese »» da questa stessa commissione (1). Quest’opera è quella del pro- fessore Lippi, scritta in italiano, e che ha per titolo: Aicer- (1) I membri che la componevano erano i sigg. Dumeril, Boyer, Portal, M*gendie, Dulong , Flourens, Serres , Geoffroy Saint-Hilaire. 23 29 che intorno ai vasi linfatici. e alle loro comunicazioni colle vene. Questo lavoro era stato mandato al concorso nel 1827; ma siccome bisognava verificare le esperienze dell’autore, fu rimandato a quello del 1828, nel quale anno essendo stato proposto all’ Accademia di comprendere in quello stesso con- corso le opere di fisiologia vegetabile , in seguito della sua decisione positiva , il premio fu accordato al sig. Brongniart. Finalmente l’opera essendo stata rimandata di nuovo al 1829, il sig» Magendie credè essersi convinto che la comunicazione dei vasi linfatici colle vene , annunziata dal sig. Lippi, non esistesse . Egli è vero che Bichat, il quale fu fino alla sua epoca il più grande anatomico conosciuto, non ne dice una parola , e che il Mascagni aveva negato questa comunicazio- ne,, egualmente rigettata da diversi altri anatomici; ma fatti di questa importanza non devono essere esaminati’ se non collo scalpello alla mano. Il dottor Lippi persuaso di ciò , in vece di rispondere al sig. Magendie , parte da Firenze, si por- ta a Parigi, e propone all’Accademia di ripetere le sue espe- rienze in presenza della commissione dei premi Montyon.In- vano un membro , che è inutile nominare , obietta che era troppo tardi; la commissione accetta con premura le offerte del dottor Lippi, e le esperienze tentate allo spedale della Pietà ed al Giardino del Re in presenza della stessa commis- sione e di alcuni dotti, come dei sigg. barone Cuvier, de Blainville, Edwards, producono la convinzione intima della verità dei fatti annunziati dal professor fiorentino . Un solo membro non ne fu convinto , cioè il sig. Magendie, presiden- te della commissione. Come poteva egli esserlo, giacchè non si degnò mai d'assistere ai lavori della commissione di cui era presidente ; lo che fece dire all’ onorevole sig. Geoffroy Saint- Hilaire , in piena accademia, che 3/ sig. Presidente , in vece di riunire la commissione , la disuniva . Per altro la commis- sione fu di parere d’accordare il premio di fisiologia al sig. Lippi. Allora il sig. Magendie, cambiando sistema , disse che questa scoperta si trovava consegnata nell’opera di Béclard , ed anche nella sua propria, lo che offerse di dimostrare. Que- sta proposizione era giusta, però fu accettata ; ma ne risul- tò che il fu professor Béclard ed il sig. Magendie non ave- vano emesso che delle probabilità intorno a questa scoperta , alla quale il sig. Magendie credeva così poco, che, siccome »» abbiamo veduto , l’aveva negata in seno dell’ Accademia. ,, « L’ opera del dottor Lippi fu pubblicata, come 1° ultima 3 » edizione di quella del sig. Magendie , nel 1825 , lo che sem- »> brerebbe provare che il fisiologo francese nulla ha preso dal » professore di Firenze; ma il sig. Lippi aveva già pubblicato ») e dimostrato la sua scoperta in due memorie inserite nel 1823 », e nel 1824 nell’Antologia. Altronde niuno prima di lui aveva »» provato i fatti con esperienze dirette , cioè l’ iniezione dei vasi linfatici ed il passaggio del mercurio da questi vasi e dai gan- »» gli nelle vene. La Commissione lo ha ben sentito coronando »» questa bella scoperta. Di più ha riconosciuto che il sig. Lippi »» essendo straniero , ella gli doveva tutta la sua benevolenza . »» Però lo ha accolto con quella wrbanità e quei riguardi che sono >» inseparabili dal vero merito ; ella ha voluto provargli, per ser- 3» virmi dell’ espressione del sig. Geoffroy Saint-Hilaire , che agli »» occhi dell’ Istituto Ze scienze e le arti non hanno patria, e che tutto l’ universo è loro impero ,,. « Questa comunicazione dei vasi linfatici colle vene non tar- ,» derà a fissar di nuovo l’ attenzione dei chimici sulla differenza del sangue arterioso e del sangue venoso , che non differiscono 3 » vw 2 -» 2) »» secondo le esperienze tentate fin qui se non per la disossi- ;; genazione o la carbonizzazione dell’ ultimo. Se i vasi linfatici »» versano dei liquidi nelle vene, come siamo portati a crederlo, s, sembra evidente che il sangue venoso debba contenere dei »» principii estranei al sangue arterioso , o almeno in proporzioni »» diverse. ID questa una nuova questione da trattare, noi ci li- >» mitiamo a provocare quì quest’esame importante. ,, Nel numero 39 dello stesso giornale si trova il seguente Rapporto fatto dal sig. Grorrror Sarnr-Hirarre all’Acca- demia reale delle scienze , sulle opere mandate al concorso di fi- siologia. I.° parte — Opera coronata del sig. professor Lippi, sulla comunicazione dei vasi linfatici colle vene. « L’opera del sig. professor Lippi, pubblicata a Firenze nel 3» 1825, arrivò all’ Accademia poco dopo la sua pubblicazione. » Non rammenteremo le diverse prove alle quali questo lavoro 33 fu esposto dopo quell’epoca, e che obbligarono l’autore a por- s; tarsi a Parigi per ripetere le sué esperienze avanti la com- » missione ,,. « Ma si era elevata una questione intorno al carattere di », novità dei fatti annunziati dal sig. Lippi. È bisognato dunque ,, trattare. di questo punto in particolare : uno dei membri so della commissione ha intrapreso delle ricerche, il risultato del- »» le quali si trova nelle riflessioni seguenti: — Le scoperte che , più c’ interessano in fisiologia sono quelle che somministrano delle viste generali, o che hanno i più stretti rapporti con al- cuna delle funzioni principali dell’organizzazione dell’nomo e degli animali. La comunicazione diretta ed immediata dei lin- fatici e delle vene formava una verità di quest'ordine. Que- sta verità, traveduta da lungo tempo, ma contrastata ed ab- bandonata, è finalmente messa fuori di dubbio dalle ricerche del sig. Lippi. La commissione desiderando verificare questo punto, ha ripetuto le esperienze, ed assistito a quelle di que- st’abile fisiologo. Ella aveva in vista due oggetti: 1.° di ben verificare il fatto ; 2.° d’esaminare diligentemente le obiezioni che lo avevano fatto rigettare. Dobbiamo primieramente ricor- dare gli anatomici che hanno primi conosciuto la comunica- zione di questi vasi: questi anatomici sono Gayant, Claudio Perrault, e Giovanni Palquet per l’imboccamento dei linfatici nella vena emulgente; Needam per la loro connessione colla vena cava inferiore; Morgagni per quella della vena spleni- ca; Haller e Duverney per le vene della lingua; finalmente Nuck, citato dal nostro celebre baron Portal, il quale dice che i vasi linfatici dei membri superiori e della testa si apro- no nelle vene succlavie ,,. «“ (Queste comunicazioni sono relative all’ insieme dei sistemi venoso e linfatico: quanto alle connessioni dei chiliferi colla vena azygos e colla vena porta, Mertrud ha riconosciuto la prima, ed il sig. Formon la seconda. Aggiugneremo a questi autori il sig. Louth figlio, il quale si è occupato di queste relazioni negli uccelli, ed il sig. professor Rossi di Turino , le di cui ricerche son posteriori a quelle del sig. Lippi ,»- “ Per concepire come un fatto di quest’ importanza è stato posto fuori della scienza , a malgrado di così positive e così numerose asserzioni, è necessario primieramente di ricordare che fino dalla scoperta dei vasi linfatici, Asselins sostenne la loro indipendeaza assoluta dai sistemi arterioso e venoso: in seguito fu creduto di osservare che questa comunicazione si . stabilisse nei capillari venosi e linfatici che formano i gangli dello stesso nome. È risultato da ciò che si sono contrapposte ad un fatto delle supposizioni o delle ipotesi prodotte sulla struttura di queste glandule. Quindi è stato detto da una parte, anche per spiegare i fatti precedentemente indicati, che po- tevano farsi delle rotture negli ultimi vasi dei due ordini , e che allora la comunicazione non formava che uno stravaso : supposizione inverisimile, perchè se si spinge il mercurio per » » 5 vasi linfatici, si comprende bene che questi vasi possano rom- persi; ma i capillari venosi non essendo soggetti a veruna azio- ne, a veruna pressione, non si vede chi potesse romperli , e perchè , dopo la loro rottura , il mercurio dovesse penetrarli . Da un altra parte è stata opposta a questo fatto la presunta rottura delle glandule linfatiche. Niuno ignora che anatomici celebri hanno pensato che nell’interno di queste glandule esi- stessero delle cellule , nelle quali i vasi incontrando ostacoli depositassero la linfa, che venisse poi ripresa dai vasi efferenti. Partendo da ciò si è supposto che il mercurio si spandesse in queste cellule, e che indi penetrasse nelle piccole radici ve- nose. Il Mascagni ha fondato su queste asserzioni 1’ indipen- denza del sistema linfatico , e il di lui assenso aveva tirato seco fino a questo giorno l’ assenso degli anatomici ;,. “ Supponendo che tale sia la struttura delle glandule , il mercurio si spanderebbe nelle cellule, e soltanto nel minor numero di casi entrerebbe nelle piccole radici dei vasi che escono; più spesso questo metallo s’infiltrerebbe nel tessuto cellulare della glandula al punto di produrvi delle rotture, il che è contradetto dall’ esperienza. Ma queste cellule esistono elleno ? L’iniezione ordinaria dei linfatici prova il contrario , e l’ anatomia dimostra la loro assenza. In conseguenza se si seguita , nei giovani embrioni, la formazione dei gangli linfa- tici, si vede che essi non esistono fino al fine «del primo terzo della gestazione. In luogo di essi si trova un tessuto o reti- cella di vasi, ove la loro continuità non può esser posta in dubbio. Più tardi l’iniezione mette fuori di dubbio questa con- tinuità ; essa non diviene oscura nel feto a termine e più ol- tre, se non perchè il tessuto cellulare che unisce quei vasi di- viene più denso. Ora se questa continuità fosse interrotta nel- l'adulto dalle supposte cellule, bisognerebbe che questi vasi, contenuti nell’embrione, cessassero d’esistere più tardi, cosa che niuna ragione può far presumere. Altronde nell’ uomo e nei mammiferi esiste, anche nella vecchiaia, un grandissimo nu- mero di gangli, sui quali la continuità dei vasi è evidente. In seguito di certe malattie tutte le glandule acquistano que- st’aspetto: si possono dunque riguardare come ipotetiche le cellule che sono state supposte nelle glandule. L° esame dei vasi linfatici degli uccelli sparge una nuova luce sulla strut- tura di questi corpi. Non s’ incontrano in questa classe veri gangli linfatici se non alla parte superiore del torace. In tutto il resto del corpo, in luogo di glandule si trovano dei plessi l'i sir numerosi. Sutto questo rapporto gli uccelli riproducono la strut- tura primitiva dei gangli negli embrioni dei mammiferi. Di più si vede manifestamente nei plessi linfatici degli uccelli ‘ che esistono delle dilatazioni ai punti di riunione dei vasi. Egli è evidente che queste dilatazioni hanno fatto nascer l’idea che esistessero delle cellule nell’ interno delle glandule linfatiche. Si avrà la convinzione di questo fatto se si considera che il Nuck ed il Morgagni non hanno fatto ammettere queste cel- lule nella composizione delle glandule, se non dopo aver di- latato i linfatici insufflandovi dell’ aria. Se partendo da questi vizi d’ anatomia ; noi arriviamo alle ricerche del sig. Lippi , diremo che egli ci ha perfettamente convinti che i vasi linfa tici comunicano direttamente coi capillari venosi : egli ha prin- cipalmente dimostrate le comunicazioni seguenti: ,, « 1,° Nelle vene emulgenti e spermatiche ; 5) 2-° Nelle vene lombari ; 33 3.0 Nella vena azygos; 3° 4° Nei capillari venosi supposti nei gangli linfatici ; s, 9.° Nella vena cava inferiore. ,, Alcune di quaste iniezioni sono state egualmente vedute dai sigg. Cuvier e de Blainville. « Sono queste osservazioni , dice 1’ onorevole relatore , e so- lamente queste, fra diverse altre riferite egualmente nell’opera del sig. Lippi, quelle che noi abbiamo verificate, e che inten- tendiamo di garantire e di coronare. L'autore aveva dato an- cora dei grossi tronchi venosi per rami linfatici, ma su questo punto egli si è arreso alle dimostrazioni dei membri della com- missione. Frattanto noì abbiamo dovuto rivedere più attenta- mente il nostro lavoro, a fine di restar convinti che la nuova teorica sulle comunicazioni dei sistemi linfatico e venoso sarà dovuta al sig. Lippi. ,, Le due più recenti opere d’anatomia e di fisiologia non ram- mentano che i fatti antichi, e li rammentano per contradirli. Il sig. Adelon nella sua Aratomia tomo 3 pag. 7 protesta contro questa pretesa comunicazione. Si vede anche meglio dalla se- guente citazione di Béclard quanto bisogno aveva la scienza di fatti positivi per fissare l’ opinione dei dotti. Il dotto naturalista nominato, scevro d’attaccamento a qualunque sistema, e condotto dal suo sapere e dalla sua sagacità , si espresse così nel 1823: I liquidi sono in seguito trasportati per i vasi linfatici efferenti, e rorse per le vene. Quest'ultimo punto è stato negato da molti anatomici e fisiologi di gran nome , come Haller , Cruiskshank, % » Hewson, Mascagni, Soemering, ec: Ma egli è da temere che »o l'autorità di questi uomini celebri non abbia fatto rigettare », senza esame una verità: Svilauppando in seguito questa propo- » sizione, Béclard continua: Oltre i fatti g'à riferiti quì sopra 3 in favore dell’ opinione di cui si tratta , si può dire che molti », osservatori. hanno veduto delle strie di chilo nella vena porta : s> si può aggiugnere che un grandissimo numero d’ anatomici so hanno veduto, ed ho veduto io stesso più volte , il mercurio » introdotto nei vasi linfatici del rhesenterio passare al di là »» d'una glandula: ora questo passaggio è troppo facile e troppo s» costante per credere ‘che dipenda da una doppia rottura, e »» non da una comunicazione naturale dei vasi linfatici e dei »» venosi ,, (pag. 416 , 417). « Queste sagge riflessioni, queste osservazioni positive face- » vano sentire il bisogno d’ un lavoro ex professo ‘per, stabilire », una verità rigettata dalla scienza. Il sig. Lippi ha dissipato » tuttii dubbi. La manifestazione. piena e. perfetta di. questa ,»» verità è dovuta alle ricerche laboriose di questo dutto anato- x» mico : noi abbiamo dunque persistito , dice il sig. Geoffroy ; a »» dichiararle degne del premio ,, . Con questa nobile imparzialità , soggiungono gli estensori del giornale citato , l’ Accademia reale delle scienze ha dimostrato che le scienze e le arti non debbono formare che nna sola ca- tena ; il centro della quale è dovunque. In effetto, benchè il con- corso fosse brillantissimo , e che la commissione avesse delle opere commendabilissime da coronare , ella ha creduto dover provare ai dotti, stranieri alla Francia, che ella aveva unicamente in vista i progressi delle scienze, fatta astrazione dai paesi. Così Fi- renze ha veduto dimostrare la comunicazione dei vasi linfatici coi vasi venosi, e la Francia l’ ha sanzionata coronando l’autore. A questa dotta sentenza che avanti al primo tribunale scien- tifico dell’ Europa-e del mondo hanno pronunziato giudici d’ al- tissima riputazione, scelti nel suo seno, vi sono degl’ individui che credono non doversi acquietare. Tacendo di ciò che è stato detto e-si dice da alcuni dei no- stri, in Parigi stessa, mentre i francesi colmavano d’ onori e di cortesie il nostro concittadino, un italiano , tale almeno per lun- go domicilio , si comportava in una maniera affatto diversa, co- me risulta dal seguente articolo del giornale francese intitolato Il Globo nel quale si dà ragguaglio della seduta che tenne l’Ac- cademia delle scienze nel dì 13 luglio decorso. « Il sig. Antonmarchi legge una memoria relativa alla co- »» municaziono delle vene coi vasi linfatici ,,. ge 8 ‘6 L’ autore, allievo del Mascagni, non crede all’ esistenza >> di quelle comunicazioni di cui il sig. Lippi ha crednto recen- > temente metter la verità fuori di dubbio. Il lavoro del signor > Lippi su questo soggetto è stato coronato dall’Accademia delle ,, scienze. Ma il sig. Antonmarchi pensa che questa Società ce- >» lebre si è troppo affrettata a dare la sua decisione. Egli si pro- 3) pone di provare che la comunicazione di cui il sig. Lippi ha »» preteso stabilire la realità non esiste, e che il mercurio non ss penetra mai nelle iniezioni che per delle rotture; egli annun- ») zia delle esperienze che ripeterà avanti la commissione ,,. « I sigg. Dumeril e Magendie sono da primo nominati com- » missarii, ed incaricati di ripetere le esperienze del sig. Anton- », marchi ,,. « Il sig. Dumeril fa osservare che la questione svegliata »» di nuovo dal sig. Antonmarchi è appunto quella che è stata >» già giudicata dalla commissione (composta di cinque membri) s incaricata di decretare il premio di fisiologia. A lui sembre- + rebbe poco conveniente che due membri d’ una commissione 3» fossero incaricati di censurare , per così dire , la decisione della »» commissione intera. Bisogna o non nominare fra i commissarii », veruno dei membri della prima commissione, o destinar que- s» sta intera per apprezzare le nuove esperienze che può avere s; da presentarle il sig. Antonmarchi. Lo stesso sig. Dumeril an- sì nunzia di più che la commissione la quale ha decretato il pre- »» mio di fisiologia conosceva perfettamente tutto ciò che contè- »; neva la memoria del sig. Antonmarchi , relativamente all’espe- »» rienze del Mascagni, ed all’ impossibilità nella quale questi »» si è sempre trovato di far passare le sue iniezioni dalle vene », nei vasi linfatici ,,. (Qui non sappiamo se sia occorso un er- rore, e se debba leggersi = dai vasi linfatici nelle vene =). « Su queste osservazioni del sig. Dumeril , la commissione », intera è stata incaricata dell’ esame dell’ esperienze del sig. s» Antonmarchi. Ai membri che la componevano saranno aggiunti ;. i sigg. Cuvier , De Blainville , e Boyer ,,. Da un altro giornale francese , 7 Universale, rileviamo che nell’adunanza del dì 20 luglio della stessa Accademia delle scien- ze , e però sette giorni dopo la lettura del sig. Antonmarchi , il sig. baron Portal lesse una memoria nella quale egli si pronun- ziò apertamente in favore dell’ opinione del dottor Lippi sulla comunicazione dei vasi linfatici colle vene. Appena conosceremo i risultamenti della nuova indagine provocata dal sig. Antonmarchi ne daremo notizia. G. GAzzERI. ANTOLOGIA LUGLIO s AGOSTO, SETTEMBRE 1629. TOMO TRIGESIMOQUINTO. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE. TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCAXIX» da Sa En prat * DR pasr pote di é iu Pinza Lr tr cip i ar wr deb nt Vila a a SR, n fiano: sent 3 de doi e gr LAS AS Pe ata e po af e Pair, îe duo y i UO di teso I ROLITAA Vi fee ga LT RA “ Mi tic art. A ax rega Pe po Ù° inparaizn Re "VON SRI CRE TIVI LA TROLL te na pini at sii os INR sul lei tt: 4 SL a Die ui tO ca x i sia E SUIS Li A sa 1a Val SR RAI 4: VT AS Neri Li ‘# At 1 do A fi Ag IR 4! DAD ear Î bi u As VERI pai * ANTOLOGIA N. 1035. Luglio 1829. —__——=90o====—_ SPEDIZIONE SCIENTIFICA IN EcirTo. Lettera nona del signor Lenormant. Syut = Aspetto della Tebaide = Portico di Denderah == Rovine di Tebe — Pace amica dell’ arti. Da Tebe, addì 25 Novembre 1828. St che noi scorgemmo la sera del dì ch'io vi scrissi l’ultima mia, è adesso la capitale dell'Alto Evitto ; e ciò viene a dire che v’è di molti turchi, delle triste moschee di gusto moderno , e un po’ di movimento e di vita. I din- torni sono ben coltivati, i giardini molti e con buone pian- tagioni ; ridente il paese, e simile in piccolo alle terre del Cairo. Il singolare poi, è un cimitero tanto bene imbian- cato ed ornato, quanto la città è sudicia e nera. Ecco per certo , un vestigio delle antiche idee degli egizii sulle se- polture ; ma trasportata a’tempi moderni quest’ idea stessa E) 4 diventa quasi nna creazione che piace. Nella montagna v'è qualche grande ipogeo, ma guasto, e che dopo queili di Beni-Hassan non merita d’ esser descritto. Dopo Syut, comincia la Tebaide; e cominciò per noi con ottimi auspicii. Tebaide in Europa vale solitudine spa- ventosa ; ma il fatto sta bene altrimenti. Paese pieno di vita; villaggi popolatissimi ; vegetazione ben ricca, e ben varia. Questo spettacolo andò di giorno in giorno sempre più migliorando ; talchè oramai la Tebaide per me è un de’ migliori paesi di questo mondo. La sera dopo lasciata Syut, arrivammo al villaggio Sandgy, dove sapendo nou v esser nulla di notabile, nostro pensiero era, la mat- tina seguente, tirare innanzi, senza pur mettere piede in terra; quando ci apparì sulla riva una casa di buon aspetto , bene illuminata, e ci si fece sentire il suono di tre o quattro tristi strumenti, Nui stavamo dimandando che cosa fusse codesto, quando venne un domestico da parte del padrone a invitarci a passare seco in allegria la se- rata. Credendo che si trattasse d’ affare non diplomatico, Champollion pensò meglio di mettersi a letto; ond’io con tre o quattro compagni fummo inviati come rappresentanti della Francia al cospetto dell’autorità del villaggio. Il lusso della casa, il numero de’domestici, ci fece dapprima un po’di rignardo; ma già, quando noi entravamo, il buon turco era sì cotto , che si credette bene poterlo trattare senza gran complimenti. Egli aggradì la maniera; si ubriacò ancora meglio ; e non ci lasciò partire che alle due dopo la mezza notte , e dopo fornitaci una cena squisita, Gli avevamo da- ta promessa così in aria, di ritornare l’ indomani alla festa ; ma considerando che noi non eravamo venuti in Egitto per nbriacarci co’ turchi , sull’ alba ce ne partim- mo, e andammo a sbarcare lì presso, alla città detta d’Akmin, dove ce’ era qualche antichità da vedere, Tor- nati dalle nostre indagini, trovammo vicino al nostro maasch un magnifico cange , carico di sette agnelli, di cento polli, di burro, di cacio. Il governatore della pro- vincia, dal quale noi avevamo cenato senza avvedersene, ci rimproverava in una lettera la nostra inciviltà; e 5 que’ presenti erano. un rimprovero anch'essi. Fatta con- sulta, dopo qualche dubbio, deliberammo di tornarcene addietro, Io non vi descriverò le: magnificenze di quella serata memorabile , la riechezza della cena, la musica , le danze, insomma tutto il lusso di un’ accoglienza alla turca. La pace; in una parola , fu bell'e fatta, col bic chiere alla mano. Il buon Turco avea del buon vino, e non lo lasciava infortire. Dopo una seduta di ott’ore, ce ne partimmo, ben paghi di esserci procacciato con sì poca fatica, un amico sì caldo. Il dì 14, un po’ prima di arrivare a Girgeh, scor- gemmo , sur un’ isoletta di sabbia, quattro gran cocco- drilli., tutti coperti di piccoli uccelli : che al nostro ap- pressarsi , si gettarono in acqua. A Girgeh , non ci fer- mammo punto; hè alle rovine d’Abidv. Il dì 15, verso le quattro , scoprimmo di nuovo sopra un’ isoletta arenosa diciannove coccodrilli, fra’quali alcuni di mostruosa gran- dezza ; e sopra loro, moltissimi grossi uccelli, come grù , aironi, e simili. Ci appressammo con le barche in silen- zio ; e tirammo sopra tre rimasti alla riva: speravamo d’ averne ferito uno ; ma sparì anche quello, nè si potè più trovare, Così ci è seguito spesso altre volte. I nostri coc- codrilli impagliati non possono dar l’ idea vera di questo animale orribile e delle mostruose sue forme. Qui a Tebe non se ne conosce che un solo, ma così grande, che gli arabi lo chiamano il gran-visir de’ coccodrilli : e fa molti danni nel paese ; e quest’ anno dicesi ch’ abbia portato via sei persone. La sera del dì 16, arrivammo , o piuttosto ci parve d’ arrivare a Denderah, tanto desiderata, come il primo grande monumento da vedersi in Egitto, Faceva un bel- lissimo chiaro di luna: dopo cena, ci avviammo al luogo dove speravamo godere il misterioso aspetto del tempio ne’ silenzii arcani della notte : ma perchè noi ci eravamo sbarcati troppo in giù, ci volle due ore di cammino per giungere a vedere al chiaro di luna e al lume d’un fuoco di paglia , quel portico magnifico, che non è già , come vuolsi , il più bel monumento dell’ alto Egitto, ma che 6 pure gareggia con le maraviglie faraoniche di venti secoli innanzi. La mattina dovo, scorgemmo più chiaramente in che questo monumento gigantesco appartenga all’ estrema decadenza dell’ arte in Egitto. Ma non è egli ammirabile tuttavia un edifizio concepito nelle proporzioni’ de’ più vasti monumenti romani, e innalzato nel tempo che l’E- gitto dal dominio de’ Persi passato al Macedone , era per entrare sotto al giogo di Roma, per quindi perdere e cul- to, e istituzioni , e costumi , e tutto ? Da Denderah a Tebe si spese ire giorni. Ci fermam- mo alle ruine di Copto , e a’ pochi monumenti di Apolli- nopoli la minore. Il dì 17 ci mancò il vento; sicchè a Tebe non si arrivò che al niezzodì del seguente. Dal venti, noi non facciamo che percorrere queste rovine immense, e inebriarci di grandi sensazioni, così alla rinfusa e sen- z’ ordine, Immaginate uno spazio di sei leghe quasi , chiuso da due catene di monti, diviso in due parti ineguali da un gran fiume , e qua e là distinto di grandi colon- ne e di rovine magnifiche. A destra si notano tre centri principali, nominati Quernak , Mnemonium, Medinet- Abu. Nel mezzo della pianura sorgono i due colossi : de’ quali il più alto è quel tanto celebrato Colosso di Mennone. La montagna libica ha in seno ipogei senza numero ; e in una delle valli sono le tombe de’ re , nominati oggidì Biban- el-Maluk. A. man. manca , due miseri villaggi, coprono in parte le grandi ruine di Lugsor, e Karnak. Un angolo infine, più vicino alla montagna arabica, dove si veggonu ancora delle rovine , indica l’ estremità dell’ antica Tebe, che doveva esser grande non men di Parigi. Il terreno di mezzo fra le rovine è coperto di fango ben fondo, a cagione del lento ma continuo innalzamento della valle; onde l’occhio non vede il disegno di tante parti oggidì separate. Ma de’monumenti di mezzo ce n’avea bene ad essere ; nè vuolsi credere che gli antichi Egizii vives- sero, come i Beduini, attendati così dintorno a’ lor grandi edifizi. Tanto è ciò vero, che delle statue, ancor ritte sulla lor base , si trovan coperte da bene otto piedi di terra ta) 7 vegetale. Questa città ci ha fatto fare delle scoperte inat- tese. Nella gran corte di Medinet-Abu, il sig. Champol- lion ha veduto ire all’aria una dinastia intera di re, ch’egli credeva piantata sopra basi inconeusse ; e ha dovuto ricom- porla dietro Je tracce d’ un monumento certissimo. Altrove, l'Egitto antico apparisce sotto la forma d’una nazione dolce, perseverante, religiosa: qui gli è un gigante guerriero, un popolo forte come i barbari sono. I grandi mo- numenti di ‘l'ebe son quasi tutti d’una serie continua , che comincia al regno de’re Pastori, due mila anni circa innanzi l'era di Cristo. Tra questi monumenti i più antichi sem- brano piuttosto dell’ arte ricreata , che dell’ arte nel suo primo sviluppo. Della prima epoca pacifica il punto su- premo è il regno di Meri, sì celebre pe’snoi grandi lavori di pubblica utilità; la cui fisionomia bella e soave, espressa ne' monumenti con graziosa ingenuità, corrisponde all’idea che del suo carattere ci ha lasciata la storia. L’epoca di Meride non è l’epoca dei monumenti più mirabili; ma sì certo de’ più perfetti. Finezza, morbidez- za, grazia , diligenza. E questi pregi vanno sino a tutto il regno di Manduée ; il qual pare il primo conquistatore dell’epoca. Il ritorno di questo re dalle sue conquiste, è il più notabile degli storici bassirilievi di Tebe, scolpito sulla facciata del palazzo di Karnak. Al re sul suo carro, tirato da due cavalli bellissimi, seguono i capi dell’eser- cito; gli precedono incatenati i duci de’ popoli vinti : egli viene verso l’Egitto , indicato dal fiume che corre a traverso , e quale indicato l'avrebbero forse gli artisti Greci in simil soggetto, nel fiore delie arti loro. Dall'altra riva del Nilo vengono i sacerdoti e i capitani in due file: i primi s'inchinano al re, presentandogli a mani alzate de’ lun- ghi mazzi di loto, gli altri levan le braccia in segno di gioia. Un disegno di questo bass» rilievo, chi lo portasse in Francia, quant’ idee cangerebbe , formate sull’ arte egizia ! Dopo aver confessato che tutte le teste sono in profilo; che quelle di fronte sono caricature mal model- late, che non c° è ombra di prospettiva , giova soggiun- g gere , che la dignità della rappresentazione , la precisione de’ movimenti , la disposizione monumentale delle masse , nelle opere di nessun popolo sono così mirabili’, come in questa ;, e in altre parecchie. Tra le quali la piu piccola ha ben venti piedi di altezza. Scultura biblica » maestosa come un inno profetico, vera quasi come il verso d’Omero. Sotto il regno d’un de’ predecessori di Manduée, fu- rono incominciati codesti monumenti immensi , che tene- vano estatici di maraviglia i nostri soldati, all'aspetto di questa eterna città. L’ arte perdetie col tempo di sua finezza, pur si man- tenne in buon es-ere fino ad Amenofi secondo : e di ques- ta età i monumenti furono danneggiati più ch’ altri dalla barbarie e dal tempo. Non ne abbiam che i colossi della pianura, qualche avanzo informe del grande palazzo sulla riva occidentale, e la parte più antica del palagio di Lugsor: ma bastano per conchiudere che il regno di questo principe è come il punto di mezzo tra la finiteeza leggiadra di Me- ride, e la colossale grandezza dell'età di Sesostri, Quì l’ arte egizia sbigottisce davvero; quì si torna a provare di quell’affanno che fanno sentir le piramidi. Egli è ben vero che codeste proporzioni gigantesche armonizzauo sovranamente fra loro, che un sol capitello non havvi che non sia grazioso, un solo ornato impreciso: ma e’par tuttavia un sogno penoso questo spettacolo; pare che 1° immagina» zione esca di viva forza fuor de’limiti umani , e cada quasi schiacciata da un peso immenso , abbagliata da una virtà simile al sole cocente di questi climi. Certo , io non faccio astrazione de’sensi ; ma a me non basta che le proporzioni del grande mi incutano meraviglia, che mi diano piacere le forme del Bello : io amo che le arti narrino il bene dell’ umanità ; e perciò appunto le amo. Qui, esse non parlano che dispotismo ed orgoglio . Onde le grandi creazioni dell’ ultimo de’ conquistatori d’ Egitto a Medinet-Abu, m'hanno agitato, non commosso: e mi gode l’ animo di dire che l’ arte in Egitto fu perfe- zionata da’ principi pacifici e liberatori della patria ; dai conquistatori alterata . +0... 0.600 6000000 9 Domani si parte per la prima cateratta: e s’affretterà il più possibile. — Dir tutto di Tebe in una volta non posso: e la mia lettera, io men” accorgo, si risente della confusione delle impressioni provate in una corsa sì rapida. Nel ritorno, io rivedrò Tebe ancora, e mi ci fermerò qualche giorno ; allora ie ne prenderò idee più chiare, e ve le trasmetterò fedelmente. Lettera decima. Tempio in onore di Cesarione. == Monumenti Egizii di recente distrutti, — Arabi indipendenti. — Siene. — Isola di File. — Effetto de’ co-- lori nell’ architettura. == Ritorno del viaggiatore in Europa. Dall’ Isola di File, addì 8 di dicembre 1828. Tutte le impressioni che in me lasciarono i monumenti di Tebe io non le potea certo esprimere: la confusione delle mie idee vi sarà bene apparsa da quella lettera. E già in tutto questo viaggio, voi avrete osservata una gran torba di pensieri ; che ancora, a dir vero, non son ch'a- riti. Ma tale agitazione è tutta effetto della inovità: tanto inaspettate sono le consesuenze ch'io trassi da questo spet- tacolo , che adagiarle dentro alla mente senza una qualche lotta non pesso. Tra noi e l’antico Egitto, tanta è la di- stanza di luogo e di tempo, che con le analogie della sim- patia non v'è mezzo d’indovinar nulla; e queste ana- logie hanno, voi lo sapete, gran forza sulia mia immagina- zione: quì le conseguenze convien trarle tutte a forza di calcolo, di raziocinio. In cerie cose, il muro che ci divide insuperabile affatto; in molte, i monumenti religiosi e civili tacciono; e se qualche fatto inaspettato ci fa sentire il mo- vimento di vita che sobbolliva sotto a quella superficie im- mobile, mancano però gl’ istrumenti per romperla, e tu resti ad ascoltare il confuso mormorio del vulcano dormente. Ma l’Egitto è la terra dell'umanità: della libertà, direi quasi: e quel primo destarsi della intelligenza umana ha un non so che di sì importante in sè stesso, che le più vaghe speranze che sorgano di penetrarne le cause o di seguirne il corso, v’ inebbriano di diletto. E però Tebe, io spero , attrarrà T. XXXV. Luglio. 2 10 a sè d’ora innanzi gli sguardi d’ una curiosità sapiente , piuttosto che di quella stupida maraviglia, la qual non fa- cea che anfanare sulla proporzione degli obelischi , sulle dimensioni delle sfingi e de’colossi. Il primo impulso è ap- pena dato: il velo comincia ora ad alzarsi ; e le scoperte non sono che congetture : ma nell’avvenire è una luce che rivelerà innumetabili fatti, perduti nel baratro del passato. Con questi pensieri io partiva dalla sede precipua della più antica civiltà, per appressarmi a que’ luogbi che ne furon la culla, La sera della partenza (il dì 26 di no- vembre ) eravamo già poco distanti da Hermonthis; la mat- tina dopo, vi fummo. Il vento non era favorevole per pro- seguire; e ci ritenne tutto il giorno intorno ad un tempio de’ Tolomei, edificio veramente miserabile se si raffronti agli antichi, ma che ci scoperse de’ fatti singolari , e ci mostrò a qual bassezza fosse già sceso il culto Egiziano prima di cadere sotto il giogo di Roma, Questo tempio non è che una splendida testimonianza delle lussurie di Cle- opatra , un monumento del famoso sno parto, un’ antici- pata apoteosi del figliuolo di Cesare. Uno stanzino dietro al santuario , di cuì non si sapea l’ uso nè nulla, è chia- mato nella leggenda geroglifica, la stanza del parto: e Cleo. patra vi è rappresentata in quell’ atto, con il nome e la figura della Venere Egizia , che partorisce il nuovo Oro, Cesarione. Più presso all’ uscio dello stanzino si trova Ja partoriente, ancor debole, verso la quale viene Ammone istesso ; e la sostiene la Dea Swan, la Lucina degl’ Egizi. Jl padre degli Dei sta accarezzando il figliuolo degli amori di Cesare. — In una rappresentazione vicina, Cesarione, già adulto, fa visita agli Dei principali, che gli concedono cias- cuno i propri attributi: dopo le quali visite, il nuovo Oro diventa d’ un subito il Sole Ammone ; 8° asside imperiosa- mente sul simbolico loto: e Tifone , 1l’ emblema del male, ch’ è quanto a dire della materia , riconoscendo forse nel nuovo Dio qualcosa di consimile alla sua propria natura, ne diventa custode , e sta in atto di allontanare i profani non men coll’ aspetto del tristo suo viso, che coi coltelli che impugna. Tutte queste prostituzioni della mitologia, 11 son trattate dall’artista in modo goffo e ben degno del vile argomento. Si conosce poi che il tempio e le scalture, son lavori di fretta, fatti per soddisfare l’impazienza di una donna qual era Cleopatra: ma l’aspide ha posto fine a ques- ta buffoneria degna d’Enrico III, e un monumento sì vergo- gnoso e ridicolo rimase incompiuto. Il dì 29, arrivammo ad Esné; dove io aveva a far de- gli acquisti ; e mi apparecchiava a vedere il gran tempio che Denon chiamava il capo d’ opera dell’ arte egizia. Il sig. Champollion andò a sbarcare sulla riva opposta, dove sperava trovare il tempio di Contra-Lato. Io tastando le colonne dell’ edifizio sotto le balle di cotone di sua altezza il vicerè, ebbi ad accorgermi degli sbagli non infrequenti che Denon ha presi nell’ esame de’ monumenti d’ Egitto, scambiando i più recenti edifizii co’ più antichi e miglio- ri. Trovai Champollion, più scontento ancora che io stesso non fossi , dell’ essere arrivato dieci giorni appunto dopo l’intera distruzione del tempio cercato. E così fu 1’ indo- mani al tempio d’ Elythia , dove il dolore fu ben più gra ve, perchè codesto era edifizio dell’ età di Sesostri. Aggiun- gete i due d’ Elefantina, de’ quali il maggiore era forse il più perfetto monumento dell’ Egitto; aggiungete il tem- pietto d'’Ombos, in gran parte portato via, non ha molto, dal Nilo, complice della barbarie turca quivi come ad An- teopoli ; ed eccovi cinque altri edifizii distrutti, oltre a quelli di cui v ho parlato nelle lettere precedenti. Certo è dunque; che se Ie potenze d’ Europa non vi pongon ri- paro , entro vent’ anni in tutto l’ Egitto non resta un sol (monumento, | Partiti d’Elythia, un vento fortissimo , in poche ore | ci spinse a Silsilis, dove son le cave di grès, materiale de’ principali edifizii di Tebe: e queste cave stesse sono altret- tanti monumenti per le molte iscrizioni che ne vestono le pareti. Havvi anco un tempio incavato nel masso, come a Beni-Hassan: ma a tanti tesori io non potei dar che un’oc- chiata. Si ripartì in fretta in fretta; e la sera si venne alle ruine d’Ombos, capitale dell’ ultimo nomo d’ Egitta. Nella mia narrazione , ora lo veggo, ho saltato un 12 giorno: fra Elythia e Silsilis , si trova Edfa, e il gran tempio d’Apollinopolis Magna. Il tempio d’Edfu è un gran monumento : ma lo gnasta quel misto di gotico bizzarro fra le linee d’ un’ architettura tntta semplice e austera ; e la scultura de’ Tolomei , che nelle piccole proporzioni è tollerabile, nelle figure colossali, che , al modo de’ mo- numenti di Tebe, coprono le pareti esterne , è fiacca in- sieme e affettata. Questo però è il meglio conservato di tutti i templi egiziani, e giova per intendere le ruine degli altri. Tornando ad Ombos, noi vi trovammo un gran tem- pio dell’ epoca de’ Tolomei, ma di miglior gusto che non quello d’Apollinopoli: la situazione poi pittoresca, e il color delle pietre ammirabile. Sorge il tempio in un seno del Ni- lo in cima a un colle che solo s’innalza nel piano, e ch’ora è tutto coperto di rovine. La cura del sito, pare che poco solesse importare agli Egizii, al contrario d’ altri popoli. Le sabbie del deserto che ora coprono la pianura, hanno invaso auche il sacro ricinto , sicchè non ne spunta che un terzo delle colonne del tempio . Sul declivio che va verso il fiume, stanno ammonticchiati de’ rottami che pa- Ton già già sull’atto di precipitare nel gorgo. Infine, per compire la singolarità della scena, i mattoni del ricinto che sono per lo più d’un bruno ben cupo, pigliarono, per causa d’un incendio che li cosse , de’ colori varii e vivissimi. Ci sapeva male però d’incontrar sempre edifizii che non contano piu di venti secoli : quando, nel girare il ricin- to, io scorsi una porticina, incastrata quasi nel muro co- me una reliquia: m’appresse, e vi leggo il nome di Meri, e di sua madre, la Regina Amepse. Onde m’accorsi che i costruttori del nuovo tempio vollero così religiosamente ser- bare quel poco che rimanea dell’antico dai Persiani di- strutto. Questa prima scoperta mi fece attento a ricono- scere sulle pietre de’ rottami molti frammenti dell’ antico edifizio, adoprati nel nuovo: e ne raccolsi tanti da dare a Champollion il filo di ,riromporre la dedica del tempio primo. A questa piccola scoperta si dovette una piacevole mattinata, La mattina seguente, tutt'altra scena. Si trattava di 13 visitare il villaggio arabo, Ababdeh, tribù di mezzo fra l'Egitto e la Nubia, che conduce una vita patriarcale all’ ombra d’ amenissime palme. Anni sono, queste tri- bù vivevano libere affatto; e tuttora non riconoscono il potere del pascià che di nome: onde la miseria non ha ancora turbato il sereno de’ lor giorni, nè la servitìl ficcati gli artigli in que’ volti sì belli. Gli arabi agricoli , non hanno già quelle forme digiune e arcuate che stan- no scolpite in faccia ai Beduini del deserto, nè la te- nuità de’ Fellah imbastarditi ; ma la calma della loro esi- stenza si dipinge in quevisi sereni e tranquilli. Ogni cosa è bello sotto un cielo sì puro - quelle lor basse capanne non sudicie nè disordinate, non ispiacciono all’ occhio , e non fanno disarmonia col restante. Pochi son ivii biso- gni , e lì prossimi son tuttii mezzi di soddisfarli : la stuo- ia e la coperta da dormire , il mulino , l’acqua, qualche gran vaso di terra, il latte e la lana del gregge, le frut- te degli alberi. Aggiungete qualche campo di durak , de’ be’ vigneti; ecco tutte le ricchezze di questa tribù, che rammenta la semplice vita d’ Abramo. Le ‘donne tesso- no la tela, e fabbrican da sè-i vasi di terra per la casa; dal commercio non traggono che il superfluo , come perle di vetro per le collane e pe’ braccialetti, grandi anelli per le orecchie e pel naso , e l’olio di cedro da profuma - re i capelli. Le donne, pulite, belle come tante statue di bronzo, graziose , e non già feroci come son le Egiziane : le paiono convenientemente libere , e sostengon bene la parte di padrone di casa. Gli uomini grandi e ben fatti , con fisionomie aperte e miti. Vi si vede di molti giovanet- ti ; cosa in Egitto ben rara, giacchè S. A. il vicerè, in materia di coscrizione, è Napoleonico affatto. Portano lan- cia, scudo , frecce, come ai tempi di Mosè: e con que’ capelli raccolti in gran trecce paiono tante sculture Egi- ziane. Io stava ruminando fra. me tutte le mie memorie pa- storali e bibliche , e mi teneva ancora lontano da Suan; quando vidi a un tratto il Nilo ristretto entro una fila di rocce d’un rosso cupo , vidi della medesima forma e co- 14 lore le circostanti colline spuntare con le larghe lor cime dai verdeggianti palmeti: dinanzi a me dne gran liste di roccie a perpendicolo lasciavano al fiume un’angusta via, e mi rammentavano quelle lingue di neri massi accaval- ciati che s° incontrano all’ entrare ne’ nostri porti di verso l'Oceano. A destra una verde isola sempre 1infrescata dalle grandi ruote è pots, che si fanno sentire sì da lontano; a sinistra di gran fabbriche arabe già rovinate ; più vicino a noi un picciol porto ameno di verdura, e non senza vita di popolazione ; sulla riva, de’ be’ cavalli della razza di Gongola , uno struzzo che incedeva in mezzo a’ cam- melli come nella propria famiglia. Ecco Siene , l’ultima città dell’ Egitto : poco più in sù è la cateratta; poi File, quindi la Nubia. Ora ch’ io ho respirato quest’ aria del tropico, ora sento d’ aver fatto un po’ di strada, e d’es- sere un po’ lontano da casa. L’ arido deserto che da Siene si stende a Filoe, dove il granito ripercote i molesti fer- vori del sole, cresce la desolazione del luogo. Quanto alla cataratta , il Nilo è ancora pieno, sicchè non se ne vede altro che un’ondulazione alla superficie, prodotta dalla punta de’ massi: e la voce terribile del Niagara antico non è di questa stagione che come un soffio simile al zefiro della sera. Due giornate spendemmo a Suan, per visitare un tristo tempietto 3 e per prepararci al gran trasporto, che per una spedizione sì numerosa non è cosa dappoco. La sera del secondo giorno si venne a dormire a Filoe: siam qui da tre giorni. Quest’isoletta al disopra della cataratta, d’ un quarto di lega di circuito , è tutta coperta di mo- numenti e di palme. Il tristo e selvaggio aspetto delle rocce circostanti, aggiunge vaghezza ineffabile a questa solinga dimora. Nell’ isola non v'ha che tre donne : il resto è del primo occupante. Noi, tra viaggiatori, domestici , drago- manni , e giannizzeri, siam venticinque : onde dal tempo della spedizione francese, non si vide mai quì tanta gente, I monumenti son tutti del tempo greco o romano; pure mol- to importanti, perchè tanto bene conservati, quanto‘altrove non sono. Io ho qui potuto giudicare in grande, dell’effetto dei colori nell’architettura ; e mi confermo nel credere che 15 noi altri moderni non ce n’intendiam punto punto. Ignudi de’ lor colori, i monumenti di Filoe, sarebber forse peg- ‘giori che il tempio d’ Edfu; ma così conservati son gio- ielli : e la più trista scultura acquista grazia dall’ armo- nica varietà de’ colori. Io non potrò più venirvi descrivendo il seguito del mio viaggio nella Nubia; giacchè lascio qui la spedizione; la qual resta ancora qualche giorno per mancanza di barche che la conducano in su. Se il mio domestico non fosse da due giorni ammalato, io pensava a partire domani. Ho noleggiata una barca, ho fatte le mie provvigioni, come per un viaggio marittimo, In Nubia non c’è da trovare che latte, carne d’ agnello , e foglie d’ una specie di fagiuolo che si sminuzza come da noi gli spinaci. La forma d’una barca di Nubia è cosa singolare ; tutti i pezzi bistorti; le commessure si turano con terra ; e bell’ e finita. La mia ciurma è di cinque uomini, compreso il Sais, cioè il ca- pitano ; neri tutti come il carbone, e tutti quasi sempre ignudi. Per arrivare al tempio di Semoné , ch’ è una gior- nata al di là della seconda cateratta , e ch’ è il termine del mio viaggio, mì ci vorrà dieci giorni, Quest'ultima es- cursione è tanto più importante per me che può servire a sciogliere la più grave delle questioni che il viaggio ab- bia fatte ancor nascere. Vedutolo appena, io scendo: cin- que o sei giorni a Tebe: poi in Alessandria: poi, se a Dio piace , in Europa. La stagione continua a esser bella,, serena oltre ogni credere. Ottimo momento per visitare parte della zona tor- rida, che, a giudicarne da ciò che si sente in qualche ora del giorno, di state dev’ essere insopportabile. Champol- lion è sempre lo stesso; cordiale, prodigo de’ suoi tesori scientifici ; egli si è acquistato un diritto alla mia grati- tudine eterna. I nostri disegnatori son tutti eccellenti com- pagni: io son vissuto con essi alla fraterna: onde non senza dispiacere mi allontano da questo centro d’ allegria fran- cese, che per tanto tempo non fu mai turbata da un sol MO o e bo eo re | ci OR bra e she Voi mi parlate delle malattie dell’armata d’Ibrahim: 16 non c'è pericolo. Que’disgraziati son sottoposti a una qua- rantina sì dura, che il male non esce di là. Per credere, bisogna vedere che cosa sia una quarautina alla turca, Gli ordini erano tali, che nè un medico nè un infermiere osò o volle passare la linea del divieto , e que” poveri sol- dati morivano a centinaia nelle ceste de' cammelli, ove stavano stivati come si fa delle merci. Così precipita alla sua propria distruzione questa tirannesca barbarie. DELLA VITA E DELLE OPERE DI AmronIio CrsaARI. Articolo II! ( Vedi Antologia N.° 102. ) D’un altro genere di scrivere ben diverso dagli enunciati fin qui (e da quelli eziandio, che enuncierò di poi) si piacque il nostro Cesari. ciò sono le novelle , delle quali 14 pubblicò fino dal 1810, a cui ne aggiuuse altre quindici nelle susseguenti edi- zioni. Quando egli pose la mano a scrivere non ebbe l’ animo di assegnare alle sue narrazioni cagione alcuna, come fece il Boc- caccio , ed altri; e però scrisse, secondo che gli suggerì a mano a mano la fantasia. Di esse a me piace grandemente la Luisa (che è la XX della quarta edizione, Ver. 1825), in cui è nar- rato un infelice caso d’ amore con tanta forza, leggiadria , dol- cezza e magniloquenza da non ceder punto, sto per dire, alle più belle del Boccaccio ; e da tirar le lagrime agli occhi di chi- unque si pone a leggerla, se egli è di cuor tenero ; singolarmente che il fatto non fu da lui trovato, ma addivenne in verità. La XIII è d’invenzione assai curiosa, nè saprei persuadermi che altri potesse leggerla, od ascoltarla, per quanto fosse malinconico, senza muoversi al riso. Come 1’ ebbe scritta gli venne in talento di ri- fonderla in un dramma giocoso per musica , sembrandogli che il caso il comportasse, e così fece, intitolandolo Z Macco, dal protago- nista della novella stessa. In tutte generalmente la invenzione è bella, giudizioso 1’ artifizio de’ racconti, pura ed elegante la lin- gua: tuttavia, a parlare schietto quel che me ne pare, dico che lo stile delle prime sente alquanto dell’ affaticato ( comechè in alcuni passi contrafaccia assai bene il Novellino, ed il Sacchetti ); 17 colpa forse d’ averle talora un po’ troppo seminate di proverbi e di modi fiorentini ; verso l’ ultime che spirano una certa disin= voltura, un brio e una padronanza di frase purissima ed elegante, che torrà leggermente a’ posteri la speranza di superarle, non che di uguagliarle. Egli è poi da render lode al nostro Cesari, che dettandole colla lingua , e colla purità degli antichi nostri novel- lieri, seppe tenersi affatto lontano, da que’ racconti, e da quelle ambigue maniere , e talora aperte de’ medesimi ; le quali, di- rebbe Diogene, fanno proprio apparir sul volto delle costumate persone i colori della virtù; la quale non può non corrucciarsi e chiudere gli orecchi alle narrazioni licenziose , e scostumate. Alle varie bellissime traduzioni, di che toccai sopra, date dal nostro Cesari all’ Italia, nelle quali ei fece sempre gareggiare per eccellenza la propria lingua , con quella da cui tradusse ; or debbo aggiugnerne alcune altre. e prima sia quella delle sei commedie di Terenzio recate in volgar fiorentino. Egli avea messo mano a quest’ opera difficile fino dal 1805, nel qual an- no mandò fuori la donna d’ Andro, e'l punitor di se stesso. ma sopraffatto poscia da moltissime altre faccende, procedè sì leute- mente nel lavoro, che fino al 1816 non l’ ebbe tutte e sei vol- garizzate. E siccome nella edizione delle prime due egli non avea traslatato il prologo di ciascuna ; ed anche perchè riandandole gli venne trovato qua e là, come avvenir suole, di che miglio- rare ; massime ( secondo che io estimo ) per lo studio da esso continuato assai profondo sopra i comici del cinquecento ( delle cui maniere e forme e’si piacque sempre); così nella edizione fatta in detto anno ristampò eziandio le prime due , arriechendole , al par delle altre, di alcune osservazioni, che pose a guisa di notein fine d’ogni scena; dove fa avvertire assai sottilmente, tirando le cose a morale utilità, o letteraria; quando l’ artifizio o maestria de!lo scrittore latino, nel dipinger al vivo la natura, le voglie e i movimenti vari delle passioni del personaggio comico , che ha per le mani: quando que’passi, ne’quali il volgar fioreatino tiene assai più del comico , per essere naturalmente molto animato, brioso, e assai ricco di partiti e scorciatoie, ed ha eziandio van- taggio verso la lingua latina, che suole anche in queste com- medie tener spesso somma maestà. E qui senza che io gitti pa- role in rendere le dovute lodi al Cesari (che forse non sarei da tanto), per aver saputo egregiamente trovare ed aver presti i veri modi , le allusioni vivaci, le spiritose maniere, ed i proverbi gentili, che rispondano a capello ai concetti ed alle sentenze di Terenzio , mi sia conceduto di trascrivere il giudizio, che di T. XXXV. Luglio. 3 18 questa maravigliosa versione ne fece già il Giordani, da me altre volte ricordato ; ed al quale nessun certo sarà ardito di contrad- dire , senza vergogna. Se io credessi ( così ei scriveva al Cesari a’ 20 di marzo 1817) essere così pienamente conosciuto da lei non dubiterei punto di dire a lei, quello che agli altri dico. Basta ; ella tenga per ora e per sempre, che io di giudizio posso mancare spesso, di veracità non mai. Posto ciò , comunque sia per ricevere quello che io sono per dire, le affermo liberamente che in vita mia pochissime cose ho vedute al parer mio così per- fette come questo suo Terenzio. In verità buona che io non posso finire di stupirmene. Fosse anche una sciocchezza quel che sog- giungo , nol tacerò : dico che questo lavoro mi riesce maraviglioso anche dopo tutto quello che ho veduto di lei. Ella potrà far delle cose eguali, poichè ha fatto questa: ma che possa farsene una più bella, mi perdoni, nol eredo ; sto per dire , nol credo nè anche a lei. Oh, V. S. mi farà un poco di sopracciglio , se vuoto il sacco ; e con tutta la sua urbanità e bontà sarà tentato di sgri- darmi: un altro men buono e men cortese di lei, mi direbbe fuor dei denti che io devo esser debole nel latino, se professo che non poco mi piaccia più la traduzione che il testo. Rispondo francamente che mi par d’ intendere il latino quanto l’ italiano: e appunto per questo affermo che in questa traduzione (muoia io, se mai vidi cosa più originale ) trovo per tutto un’ anima, una vita, un calore, un moto, che non mi mostra il testo. Si dimentichi per un poco di essere ella il traduttore: metta da parte quella venerazione religiosa al nome di classici ( nella quale pro- fesso di non cedere nè pure a lei): e mi dica sinceramente : dove Simone propone a Cremete che dia per esperimento la sua fi- gliuola a Panfilo, non le pare che gelatamente , per non dir gof- famente, Cremete risponda in via di sentenza at istud periculum in filia fieri grave est ? laddove il traduttore con movimento na- turalissimo replica « Diavolo! son prove queste da farle in una figliuola ? ») E io mi son maravigliato che il traduttore, il quale ha pur sentito d’ aver aiutato e avvalorato il suo originale; e talora colla nobile schiettezza del Davanzati lo accenna; non abbia toccato questo luogo, che è pure bellissimo. Ma se io volessi fir paragone d’ ogni luogo dove a me pare che il traduttore trionfi, farei un libro. In somma, io finora di due soli traduttori ho creduto che la nostra lingua potesse degnamente vantarsi ( lascio il suo pregio a tutti: ma anch’io ho le mie opinioni). Ora metto questo Terenzio per terzo tra’l Davanzati e’l Caro ». Dopo una così onorevole e certa testimonianza di un tanto celebre letterato, 19 io mi guarderò bene dall’aggiugnere un iota in lode di questo volgarizzamento. Domanderò soltanto , se possa esser vero, che il Giordani abbia stimato , aver il Cesari , in ispezialtà con questo volgarizzamento , portato qualche opinione, che parve soverchiare il vero, 0 di lunga non avvicinarsegli, come testè fu detto da noa so chi, tirando a questo senso le prefate parole: parole che al loro posto vogliono significare ben altro , se è vero che altro è il dire precisamente portò ; altro , se portò , come realmente dice il Gior- dani nella lettera al cav. Monti, donde esse sono desunte. Del resto, io non dubito punto di liberamente affermare , che niuno de’ letterati viventi era forse, ed è tanto in accordo col Cesari, circa all’efficacia, bellezza, grazia, e semplicità della lingua del trecento , quanto esso Giordani, pel quale è anche dogma, di cui gli pare impossibile il dubitare, che lo stil comico perfettis- simo ed unico, è quello delle commedie fiorentine , come si espress® nella ricordata lettera; dove approvò altresì la bella, modesta, e calzante risposta , che diede il Cesari ad un giornale, che aveva appuntato la donna d’° Andro , e confortatolo a scrivere in buono italiano, e non nel volgar fiorentino. Questa risposta, che è un dottissimo ed elegante ragionamento , già pubblicato dal Cesari nel 1810, fu quivi ristampata innanzi alle sei commedie; ed il Giordani l’ ebbe per fatica nun inutile; da che, dice: infinita è la turba degli sciocchi, e di chi agli sciocchi crede. D’ un’ altra bellissima traduzione fece dono all’ Italia il no- stro Cesari; ed è quella delle lettere di M. Tullio; non potuta compiere affatto, perchè sopraggiunto anzi tempo da colei, che va , ahi troppo spesso , privandoci de’ migliori e più cari ingegni. Di quest’ opera sua se ne sono dette assai sì in lode, come in biasimo . tuttavolta quello che è certissimo, a parer mio, si è ; che il Cesari traduceva da gran maestro. I vostro tradurre (gli scriveva a'3 di gennaio 1824 il P. Villardi) è cosa divina. Ve ne levano al cielo fino a’ vostri più accaniti avversari. Che ne volete! Cicerone , se fosse vivo, e sapesse la lingua italiana, come voi, non farebbe più nè meglio. Mi è caro di poter qui allegar questo testimonio , quantunque adiratosi poi assai stranamente col no- | stro Cesari, suo grande amico e benefattore , ne abbia scritto ben altramente. Quanto al modo tenuto dal Cesari nel tradurre; io dissi già, lui aver sempre creduto uffizio di chi trasporta da una in un’ altra lingua, di rendere e mantenere intero il concetto , e quasi anche l’ atteggiamento dell’ originale dalla lingua in fuori; poichè ciascuna favella ha sue fattezze, proprietà e maniere. Onde il Cesari in questa versione, singolarmente nelle lettere a Tre- 20 bazio, a Balbo, e ad Attico, co quali M. Tullio suole spesso e con piacere motteggiare, usa parecchi modi famigliari, e maniere piacevoli, che la lingua latina non aveva , o certo non usò Ci- cerone. Che che altri dica, io tengo per fermo, il Cesari aver fatto generalmente benissimo. Trattandosi di lettere , e di lettere fa- migliari e giocose (che nelle gravi non usa mai questa foggia di parlare ) del cui genere si piaceva assai Cicerone, come dice egli medesimo nella lettera 700 e in più altri luoghi, era da usare quella lingua , che meglio si addice a cosiffatte scritture ; cioè un parlar famigliare , scherzevole , ed anzi basso che non. Ed a questo parlare non v'era lingua che potesse servir meglio di quella de’ comici fiorentini, già passata in gran parte anche nelle nobili e gravi scritture. Essa ha una certa leggiadria , e vi- vacità, ed un cotal color vivido, che a pezza non ha la latina. Io non crederò mai che si abbiano da eliminare così fatte ma- niere dallo stile famigliare e giocoso. Le lettere del Caro ne son piene, specialmente le burlevoli. Basta leggerle, per esserne af- fatto convinto. Ma che appello io alle lettere del Caro ? O non la pensava così forse il gran Torquato? Quel Torquato che della dignità nello scrivere fu cotanto studioso e sollecito , che alcuni gliel vorrebbono per fino imputare a difetto. Egli dice pure ra- gionando delle lettere , che il segretario scrive in proprio no- me agli amici ed a’famigliari « che in questa sorte di lettere «i proverbi e i leggiadri motti sono convenientissimi; dei « quali il volgar fiorentino è più ricco e copioso, che al- « cun altro. Laonde i fiorentini, o coloro che lungamente sono « vissuti in Fiorenza sanno mordere e pungere più graziosamente « degli altri, ed unger parimente. Ma il motteggiare non si fa « con tanta grazia, nè con tanta vivacità dai lombardi, o dagli « altri, che sono nati nelle altre parti d’ Italia ». Or dunque che fece il Cesari, se non seguire il consiglio del gran Torquato ? Ma si dice; le lettere di Cicerone , eziandio le giocose, non hanno però i modi plebei, di che fa uso il Cesari: chi traduce dee aver d’ innanzi agli occhi il secolo, e le costumanze , in che visse I antor suo, per darne ai lettori una idea chiarissima: non dee far uso di voci antiquate nè d’alcun modo , che senta del basso, o idiotismo. Quanto alla prima obbiezione , rispondo; che oltre alle ragioni, che il Cesari reca in mezzo negli avvisi al lettore mandati fuori nel II (r) INI e IV volume, è da leggere la fac- (1) A proposito di questo avviso ; risi assai allorchè lessi in una lettera del Cesari al ch. sig. Pezzana « Credo che di corto uscirà il T. II. delle lettere 21 cia 23 e seg. del ricordato Antidoto , ove dimostra assai chiara- mente, i modi da lui usati , essere non plebei; sì burlevoli. In secondo luogo , debbo notare, che non tutte le traduzioni si fanno per far conoscere il secolo , e le costumanze de’ tempi dell’ autore, ma molte e molte sì per mettere in gara la propria lingua, e renderla più gloriosa ; sì per mostrare le forze del proprio inge- gno. A questo fine aver il Cesari avuto l’ occhio principalmente nel tradurre; che è quel medesimo di Cicerone , di Plauto , di Cecilio , e di Terenzio, allorchè traslatarono dal greco ; come al- tresì del Davanzati e del Caro. Quanto poi alle voci antiquate ed agl’idiotismi; io non negherò averne il Cesari usato qualcuno. ma che per questo? Sarà egli forse indegno della lode di mara- viglioso traduttore? Scemeranno di pregio i molti luoghi , che gli vennero traslatati con tanta maestrevole felicità da portargliene invidia lo stesso Cicerone ? Oltre a che, le voci antiche adoperate a tempo, e ben incastonate, come ha saputo fare il Cesari, pos- sono perdere la ruggine (e già molte l’ hanno perduta ), far bella mostra , e tornar eziandio in corso. La prima facoltà che si « compete ad uno scrittore, dice il Cesarotti , si è quella di rin- { giovenire opportunamente le voci invecchiate, e richiamarle « alla luce. Questo è un atto di pietà , un vero benefizio tatto « alla lingua che si ripopola, come lo farebbe ad un conquista- tore chi trovasse il modo di ringagliardire gl’ invalidi e mandarli « di nuovo al campo. Questo rinnovamento accade alle volte na- « turalmente in ogni lingua: quel che si fa per caso, non si po- “ trà fare per arte? Multa renascentur, quae jam cecidere , cadentque Quae sunt in honore vocabula? » E prima del Cesarotti avea detto Quintiliano. Verba a vetustate repetita non solum magnos assertores habent , sed etiam afferunt orationi majestatem aliquam , non sine delectatione. Nam et au- ctoritatem antiquitatis habent, et quia intermissa sunt, gratiam novitati similem parant. E quanto agli idiotismi, o voci e modi, che senton del basso , egli è da ascoltare Longino nella sessio- ne XXXI del suo trattato del sublime. « E talvolta 1’ idiotismo (che è lo stesso che proprietà di dire ) molto espressivo, e fa ve- der l’eleganza ; perocchè per se medesimo egli è divenuto no- s» Ciceroniane. Ci ho posto innanzi una mia protestazione, o voglia spiegazione s» del mio sentimento in opera di traduzione , da che tutti vogliono parlare, e >» parlamentare , eziandio le gazzare ,,. 22 tissimo dall’ uso comune: e ciò che è più usato, è anche più creduto, facendo prova ed impressione maggiore , e però con evi- denza somma fu adattato il mandar giù ed ingozzar le avverse cose a uno, che brutte e vergognose cose sa sopportare e per l’ ingorda ambizione sa tollerarle giocondamente ». Ora poste le dette cose per verissime come sono , io non veggo perchè sia da dar tanto biasimo ad uno serittore di gran fama e polso; qual è il Cesari, se talvolta ha dato corso, e rimesso in piedi alcune voci e modi, che sentono dell’antico, ed anche del basso; sin- golarmente avendolo fatto con parcità e grandissimo magistero ; cioè in quelle scritture solamente e luoghi, che erano da ciò. Questa facoltà fu sempre conceduta agli scrittori , nè mai scemò pregio di eccellenza al loro stile, che io sappia. Sallustio è uno di questi, che non fu lasciato mai di dirlo sommo scrittore puro ed elegante , pognamo che nella sua storia desse luogo ad antiche voci e maniere: nè al Botta, scrittore insigne , dice il prof. Bar- bieri, vorremo dar mala voce, perchè usò di frequente alcune parole, che il dizionario rigetta nel ferro vecchio. Oltre a che, io dico, se questi fossero anche nei, sarà sempre vero , che le cose , che il nostro Cesari dice con vocaboli e maniere un po'an- tiquate sono come un a centomila. Non credo che alcuno possa negar questo vero. E d’ altra parte qualche difettuzzo non dee poter oscurare le tante altre bellezze, di che maravigliosamente risplendono le opere sue; in quella guisa appunto che non si è lasciato mai di dir sole al sole anche dopo che gli astronomi vi notarono delle macchie. Un’opera di molti volumi non è da senten- ziarla (eppure avvenne così di quelle del Cesari !) da una qualche parola , senza notare, e tirar fuori il bello ed il buono , che pur v'è in grandissima copia: anzi tale che talora indarno si cerche- rebbe in altri scrittori; senza che qualche vocabolo non è la lin- gua- Il sig. Carmignani, dice il ricordato prof. Barbieri, diede biasimo all’ Alfieri per conto di alcune parole antiche . ma che perciò ?_ Chi dirà mai l’ Alfieri un affettatore di voci e modi, che rendono odore di rancidume ? nessuno certo. Il medesimo sarà del Cesari, a parer mio. il tempo fa ragione a tutti: non è da du- bitarne. E di questo si confortava assai esso Cesari; e 1 dice aperto nell’ avviso, che manda innanzi all’ ultima sua versione ; io voglio dire all’ orazion Miloniana di M. Tullio, pubblicata l’anno scorso , dove conchiude , che quelle parole del medesimo Cicerone al suo Attico : sine, quaeso, sibi quemque scribere , sono un vero tesoro. Della qual versione non credo cosa facile il dire le dovute lodi. egli ha saputo così bene esprimere e i 23 mantenere il numero ; la forza, ed il .colore dell’ originale, che mai meglio. Io ‘dirò di essa quello che disse il Giordani del Te- renzio * in verità buona che io non posso finire di stupirmene ,,. Le altre traduzioni , da me vedute , sono tutte, qual più qual meno , troppo serrate ; e conservon troppo del costrutto e giro latino. questa del Cesari pare originale , e scritta ‘proprio di col- po. andamento , periodo ; fattezze , tutto è italiano: e ben mi duole , ch’egli non ci abbia traslatata che questa , come altresì che non’ gli sia bastata la vita da tradurci , secondo che avea proposto ; il libro De natura Deorum. Le osservazioni , di che volle arricchirla ; sono assai giudiciose , belle e sottili ; e mo- strano non pur tutte le bellezze dell’ orazion medesima; ma e il sommo magistero ; che mise in atto M. Tullio in tesserla ; ed io desidererei che. fossere ben lette e ruminate dalla studiosa gioventù . che certo sarebbe con suo gran profitto. Dissi già qualche cosa di alcune opere di bellissima lingna ristampate dal nostro Cesari : ora toccherò di alcune altre, che allora non potei, colpa d’ essermi proposto un certo tal qual ordine cronologico. La vita del B. Giovanni Colombini, \e d’al- ‘tri suoi compagni , scritta da Feo Belcari , è un tesoro di natia eleganza , purezza , e semplicità ; la quale piacque sempre e agli amici della lingua , e della religione. Egli era già valicato un secolo e mezzo e più ;' da che fu stampata l’ ultima volta. Il Cesari adunque , confortatone dal’ Giordani, la ristampò nel 1817. compilandola sopra tre edizioni ; la prima di Firenze, senza data d’ anno ; la seconda stampata in Siena l’anno 154r: la terza in Roma il 1556 ; la quale fu poi fatta credere ristampata due anni dopo, per una delle troppo usate frodi de’ librai. Ma io non so perchè il Cesari non ricordi anche 1’ edizione fatta pa- rimente in Roma nel 1559, per Giacomo Dragonelli ; che è ap- punto la citata nel Vocabolario della Crusca , la quale dal rag- guaglio , che ne feci con questa del Cesari, trovai piuttosto cor- retta e di buona lezione che no. A due cose mirò singolarmente il Cesari in questa ristampa , di verità ‘sopra le altre accurata e di ottima lettera. La prima; all’utilità delle persone spirituali pur troppo costrette di dover attinger la pietà da que’ fonti im- puri di parlar barbaro , o francese, che tutto dì vanno per le mani. l’ altra ; all’ùtiiità degli studiosi , i quali mentre leggono esempi di virtù eccellenti, possano raccogliere le più care gra- zie, e schiette eleganze della lingua del secol d’ oro, comechè questa vita fosse dettata in quel tempo medesimo , ch’ essa lin- gua andava perdendo il suo natio candore e purezza. 24 L’amore straordinario , che il nostro Cesari portava alla sem- plice lingua del 300, gli fece esser sempre carissimo il libro dei Fioretti di S. Francesco, nel quale studiò a di lungo : libro, diceva spesso, del tutto aureo e celeste in opera di lingua e d’ele- ganza. Adunque anche a questo volle egli rivolgere le sue cure, e nel 1822. ci diede una bella e magnifica ristampa della edizione fatta in Firenze l’ anno 1718 ; la quale essendo citata nel Vo- cabolario , volle mantenerla tanto. nelle facciate , quanto nelle linee , per la ragion medesima, che aveva fatto delle vite dei Santi Padri. I miglioramenti da esso fatti a questo libro sull’au- torità di otto codici, e due stampe del 4oo , sono 246. cioè 104 errori , e 142 difetti, come, dall’ indice , che ne diede in fine dell’opera, “ Quanto all’accuratezza della correzione (così egli chiude la sua bella ed elegante prefazione), io oserei promet- tere , non esservi pur un errore , se la pratica di 40 anni non mi avesse convinto: ciò essere sopra la condizione umana: ma a conoscerlo bisognano li 40 anni ; e fossero tanti! ,, Era eziandio qualche anno, ch’egli andava vagheggiando le vite dei SS. Padri, (nelle quali studiava ogni dì ogni dì), per una nuova ristampa, ed aveva già tentato l’animo degl’ Italiani per trovar sozi. Egli le avrebbe date ( come fece de’ Fioretti) così vantaggiate dal- l’ edizione di Firenze , che l’ opera ne sarebbe rinata quasi di colpo bella ed intera. tanti erano i miglioramenti e le varie le- zioni, che n’ avea avuto ne’ragguagli fatti fare sopra più codici. Dio voglia, che queste sue fatiche e cure non periscano ; anzi sieno continuate presto da qualche altro letterato da ciò , dei quali non ne mancano certo nella dotta e gentile sua patria. Ma egli è omai tempo, ch’ io venga alle Bellezze di Dante, opera in tre grossi volumi, alla quale il nostro Cesari, come- chè, rispetto al suo molto sapere e valore, sentisse di sè assai bas- samente, avea spezialissimo affetto , e reputavala una delle cose sue migliori; tuttavia confessando d’aver errato talora. « Innanzi tratto , scriveva all’ avvocato Fracassetti nel 1825 , io voglio che ella creda; confessar io medesimo d’ aver commessi non pochi errori , e d’esser contento , che nella scrittura mia plura niteant : se questo è vero, mi basta. ,, Nè è da credere ch’ egli s° ingan- nasse nel pensar così bene di questa sua fatica ; da che, come dice il Pindemonte , quanto gli uomini di basso ingegno lasciansi abbacinar dall’ amor proprio nel giudicar delle cose loro ; altret- tanto quelli di virtù e dottrina (de’ quali uno e sommo fu An- tonio Cesari ), se ne spogliano opportunamente. Così da gio- vane , come da vecchio, egli fu tanto innamorato dell’Alighieri , / 25 che non mi sarebbe così facile , volendo s di poterlo raccontare. bastimi il dire, che oltre ad averlo tutto sicuramente imparato a memoria , se ne fece altresì dipingere il busto in una casa cam- pestre di suo nipote (1), dove egli soleva passare qualche mese dell’anno, con sottovi questa iscrizione. Danti Aligherio - poetae © omnium . primo . magistro » et - anctori + suo * fecit è» A. C. a. MDCCCXXI. Quod - vivo - et - placeo-* si - placeo - tunm - est. E l’ amor suo verso questo poeta era sì sviscerato e cordia- le, che al sol sentirlo alcun poco malmenare sdegnavasi, e ve- niva per poco in iscandescenza: e del suo nobile sdegno ben sel sanno alcuni commentatori della divina commedia , a'quali quando il criticano a torto , egli fece sodamente il dovere. Questa Can- tica ebbe chiosatori senza numero ; de'quali chi si diede con no- te grammaticali a spiegare e chiarire i passi più scabrosi: chi a mettere in mostra e nel maggior lume alquanti casi di storia ;, a cui accenna qua e là il poeta : chi pose tutto il sno studio nel dichiarare qual fosse il senso mistico 0 allegorico , che si nascon- de sotto il velame de’ versi strani: ma niuno avea per anche ricerco le qualità principali di questa Cantica; le quali rendono indubitatamente l’autor suo il primo poeta del mondo . ciò sono le grazie , la bellezza e dovizia della lingua da lui maestrevol- mente adoperata : l’ inarrivabile magistero dell’ arte poetica, che per tutto il lavoro signoreggia ; e da ultimo la maschia terribi- le eloquenza, che assai risentitamente sfolgoreggia a’ propri luo- ghi. Ora il nostro Cesari pigliò sopra se medesimo questo cari- co ; e l’ adempiè per forma, che io non esito punto (e so per certo moltissimi tener meco) di raffermare ; Essere queste 22/- lezze opera perfetta nel suo genere. Per menomar la stanchezza del cammino , cessar la sazietà de’ leggitori, e con più chiaro ordine procedere , egli mise le cose in dialogo : e così si aprì la strada molto bene a poter dar luogo a quelle tante osservazioni, che si era proposto ; ed a fiorirle di quelle tante grazie di lin- gua , e di stile, ond’era sì duvizioso; dando eziandio alla fa- vella nostra, con mirabile chiarezza » forza e garbo, nuove atti- (:) In un elogio del P. Cesari, stampato già nel giornal di Modena, fu detto, questa casa esser sua. Io per amore alla pura verità , debbo notare primieramente ; ciò non esser vero ; essendo essa la dote della moglie del sud- detto nipote sig. Pietro Cesari. L’ altra; che dove anche fosse stato vero , non per questo aveva egli bisogno di difesa o scusa ; da che è ben noto a tutti; la , particolar proprietà non repugnar punto all’ istituto da esso abbracciato. T. XXXV. Luglio. | 4 26 tudini, tragetti nuovi, e forme svariate , molteplici; e risentite quanto è grande il suo regno , nè mai per innanzi adoperate o vedute da altri. Le bellezze del poema , come intendimento suo principale , mostra e ricerca con molta sottigliezza e gusto ; in tutti e tre i proposti argomenti; ma in quello della lingua per modo ,-che non si potea nè più nè meglio. E in fatti, chi potea contendergliene una pratica e conoscenza grandissima ? la mag- giore forse che uom avesse fin qua della nostra? certo nessu- no. Infiniti sono i luoghi, dove mostra appunto colla pratica dei modi natii della lingua, i commentatori aver fallato ; da che nelle lingue la sola critica non basta: essendo di esse non la metafisica , sì 1’ uso il solo maestro legittimo : e per uso inten- de non quel del popolo , ma degli scrittori classici, co’ quali è da stare al tutto chi non vuol fallare : e nondimeno , mi dice- va, falleremo tuttavia qualche volta. De’ luoghi più oscuri, o di dubbia intelligenza ed incerta ; dà illustrazioni chiarissime : nè credo vi sia persona fornita di qualche lettera , la quale con quest’ opera alla mano, non possa intendere da capo a fondo tutto il poema. E ben a ragione gli scriveva il P. Villardi. “ Quest’è un operone che suggella la glo- ‘ria di questo secolo , che si dice Dantesco, ed è per l’amore che si porta a Dante, non per la conoscenza che se n’abbia, se mal non m° appongo. Ma voi farete che ci sia il detto, ed il fatto. ,, Ed in altra. « E se un tempo alcune città d’ Italia vollero aver cattedra peculiare per la spiegazione di Dante , or questa catte- dra voi 1’ avete donata non pure alle città, ma alle castella , ed eziandio ai borghi , ed ai villaggi d’ Italia tutta , se vogliono farsene pro ; e cattedra immortale ed eterna, non potendo qui temersi la morte del professore.,, Ed io aggiungo, che non solo l’ha donata per la spiegazione della Divina Commedia ; ma e per far assaggiare e conoscere una buona parte del bello mara- raviglioso del linguaggio nostro dolcissimo . Imperocchè i brani di questo e quello scrittore del 300, ed eziandio del 500, da esso riferiti in quest'opera, cominciando dalla fine del dialogo VI del purgatorio , e seguitando ad ogni fine degli altri, per infino all'XI del paradiso, sono così pieni di elegante semplicità, e di una così mirabile purezza e grazia di dire, che chiunque si fac- cia ad attentamente leggerli, e ben ruminarli, può prender tal pe- rizia della proprietà delle voci , dell’ indole naturale de’ modi , e del natio lume dell’ eleganza di parlare , che poco più gli bi- sognerà leggere di quegli scrittori, per iscrivere dicevolmente con quella natural indole e forma. E gli studiosi gli debbon anche 714 saper grado dell’aver qua e là seminati i suoi pensamenti intorno al modo di studiare , o far altrui studiare » sì l’arte poetica, co- me l’oratoria. Mi sia concesso di recar qui un picciol brano dei molti , che potrei, dove e’ parla di questo ; il qual brano varrà altresì a far conoscere a’lettori lo stile e la lingua da lui usata in questi suoi dialoghi. Dice dunque alia faccia 195 del para- diso “Io mi vò sempre più ribadendo in capo un mio antico giudizio : che le regole della poetica e’ precetti (e dite il mede- simo dell’ oratoria) fanno pochissima prova nell’ insegnarla a’fan- ciulli. Di regole ferme o n° ha pochissime , o nessuna, e sono di cose assai note per sè.; cioè sono certe generalissime osser- vazioni , alle quali sapere basta il natural lume: del resto e’ vuol essere ingegno , fantasia pronta , ricca , vivace, che sappia trovare , accozzare , informar idoli di concetti , di atteggiamenti d’ idee ; e d’ infra i molti eleggere i più vaghi , espressivi e va- ri, con nuova luce e sempre vario componimento. Or queste co- se nessuno l’ insegna: se non che leggendo i Classici, e notando qua e là, e vagheggiando il meglio , e ben rugumandolo , l’ani- ma e la fantasia per lungo esercizio viene acquistando una certa abitudine, o attitudine d’immaginare e idoleggiare alla somiglian- za di quelli, e se V ingegno è buono e fecondo ; può talora il discepolo entrare innanzi al maestro. Ed a ciò appunto i maestri dovrebbono intendere nelle senole, e non a stancare ed opprimere i teneri cervelli di regole e leggi: le quali tenendosi al genera- le, e nulla contornando di preciso e particolare, sfumano come in acqua la spuma , non lasciando in quelle menti vestigio al- cuno di cosa, del mondo: In somma sono da mostrar loro le re- gole recate in pratica, ed esemplificate ne’ sommi autori, e far loro notare quelle bellezze, e quasi snocciolarle e cavarle del guscio , ma hoc opus, hic labor est. 33 Oh che lezione a certi maestri ! Nè il Cesari ci dà Dante per un poeta impeccabile : anzi a guardia degli studiosi » nota , quando gli occorrono , tutti i difetti di lui} e i luoghi altresì dove è meno poeta , ma sem- pre però colla debita riverenza : chè lo straziar Dante , 0 met- terlo in ridicolo per una qualche desinenza o voce , come fanno alcuni , è cosa, dicea, incredibilmente sciocca 0 infame. Di que- sta guisa potersi anche mettere in beffa e mordere Omero e Vir- gilio, da che non fu mai scrittore o poeta, eziandio de’ primi e più notabili, che, essendo uomo » non avesse tuttavia qual- che difetto. Dei principii , e della ragione del bello poetico , ed in che principalmente consista ne discorre nel IV dialogo dell’ inferno 28 (ove ha introdotto un trattato di questa materia). con tanta acu- tezza , filosofia, vrdine , dottrina , ed erudizione da fare strabi- liare chiunque si:dà a leggerlo senza passione. O! quivi sì che dimostra assai chiaramente cogli esempi, in ispezialità di Dante, quanto possa la lingua nella poesia ; anzi con sola essa rendersi nuove e rugiadose le cose già vecchie ed appassite. Imperocchè l'eccellenza del poeta , al dir del Flaminio , e di tutti i savi, non dimora già nel fuggire i concetti comuni, ma sì nel saperli dire con forme e maniere lontane dal comun modo di favellare, Io de’ moltissimi esempi , che il Cesari reca in mezzo per provar questo vero, ne scieglierò un solo, dopo di che uscirò quasi to- sto di quest'opera, la cui lettura vorrei raccomandata quanto posso il meglio ed il più agli amatori dell’ Alighieri, e alla gioventù studiosa del bello e del buono . “ Dante , sono parole del Ce- sari, volea scrivere cose, che ad alcuni sarebbero dolute, e sentitone un spor di forte agrume: e però stavane in forse . ma dall’altro lato, dice ; se non oso dire la verità, io perdo fama di animoso presso i posteri. che è più comune di questo secondo parlare? udite ora nuovo abito , ch’egli mette a questa sentenza: E se io al vero son timido amico, Temo di perder vita tra coloro , Che questo tempo chiameranno antico. Chi s’aspetta- va questo modo di nominare i posteri ?_ e però il lettore gode assaissimo di questo nuovo trovato : il quale è tuttavia naturale, e senza lavoro di figure. ,, Della Cantica , che innesta per intero in questi suoi dialoghi, era suo intendimento di allegar que’soli versi, intorno a’ quali egli avea che notare: ma gli altrui confor- ti, e singolarmente di alcuni soci, che amarono d’ aver. colle osservazioni di lui tutto il poema , lo fecero cangiar di pensie- re e porre a’ loro luoghi tutti i versi. la qual cosa di verità tor- na assai comoda ed utile agli studiosi , e piacque assaissimo an- che a me: anzi fui uno di quelli, che lu. confortarono a . ciò fare. Qui per avventura sarebbe luogo di rispondere alle cose esagerate e fuor di ragione, che di quest’opera stupenda furono scritte da certi, che vollero cou ciò piagiare e far la corte ad un valente avversario del nostro Cesari; ma io non vo’gettar la fa- tica: poichè il non aver essi trovato in tutto il lavoro nè pure una cosetta di buono e lodabile (che eziandio nelle più triste suole esserne qualcuna) dice chiaro : loro aver giudicato sopr’ani- mo ed a passione : e però perdutane ogni fede. Nondimeno non vo’ omettere di notare , che le cose anche buone ed ottime, messe in vista da certo lato , e spostate ad arte , possono sembrar ben altro da quel che sono realmente ; e di recar in mezzo un bra- 20) no di lettera di esso Cesari, scritta al ch. sig. Pezzana a’ 19 di Agosto 1827. “ Chiudo con recitarle una cosa, che da. Pistoia mi fu scritta, essere stampata nella Biblioteca italiana, N.° 136 faccia 9. Il Cesari è pessimo nemico di Dante, che-raccoglien- done con tenerezza ogni lordura , osa presentarla come ricchezza del suo amore all’ ammirazione degl’ italiani. Lodato Dio! che in tre grossi tomi , tutto è lordura di Dante: sicchè poco più di nulla. può restare di quel poeta , che sia punto buono . La voglia di bestemmiar me , ha fatto conciar così anche il nostro maggior poeta, e gl’Italiani si lascian dir di queste, e taccio- no. ,; Ed in altra gli aveva detto. “Il Purgatorio è stampato ec. nuova materia alla Biblioteca italiana: ma se credono aver mia risposta , aspettano il corbo.,, L’ aver parlato delle Bellezze di Dante, mi tira alle cose poetiche del nostro Cesari : io dico alle originali ; che delle ver- sioni toccai già sopra quanto basta. Di due generi di poesia ei si piacque grandemente : l’ uno grave, piacevole 1’ altro. Del pri- mo abbiamo un volume pubblicato nel 1823, e diviso iu. tre parti. Nella prima, e seconda raccolse quelle Rime, che gli par- vero migliori delle già stampate nel 1794, e nel 1800: nella ter- za tutte quelle che dal detto anno fino al 1823 venne. scriven- do. Io non dirò mica che il Cesari sia tanto valente e straordi- nario nella poesia, qual mi riesce nella prosa sempre ricco, va- rio, nbertoso , caldo, e pieno di maschi e ‘peregrini concetti, e tutti suoi; mai no. dico bene che se il bello della esecuzione. poe- tica risulta in gran parte, come pare a me, dal sapere il poeta sciegliere fra le voci e le maniere della lingua, le più belle, efficaci , proprie ed acconcie per dipinger al vivo le cose , che ha per le mani, dando loro sempre nuova forma , e nuovo abi- to ; le poesie del Cesari hanno tanto pregio da questo lato, quanto altri possa per avventura desiderare. Non. raffinatezze ; non puerili arguzie, non fantasticherie di concetti e di figure; ma natura schietta , candor di parole, e singolar proprietà è il poe- tar del Cesari. Nelle canzoni e ne’ sonetti egli imita mirabilmen- te, ma senza servilità , la dolcezza , il sapore, e l’eleganza del Petrarca; e. nelle terze rime tiene assai del nerbo, e della for- za del suo Dante; e prova ne sian quelle, ch’ egli dettò nel ritorno di Pio VII. ed anche la traduzione d’ un’elegia latina del P. Villardi , della quale già disse esso Villardi: ‘ Chi non sapesse 3; quanto il Cesari si conosca delle bellezze della poesia di Dan- 33 te, e non volesse aspettare a saperlo ,. quando saranno usciti », i tre volumi, che sta pubblicando sopra esse bellezze; leg- 3» »» ga questa traduzione , e ne avrà un saggio luminoso non pu- 3, re dell’ intendere , ma e del far Dantesco di quel primo scrit- s, tore, che vanti a nostri giorni la lingua italiana. ,, All’imita- zion del Petrarca ei si diede per questo singolarmente , di ri chiamare i giovani al buon gusto, allontanandoli al possibile dallò scrivere improprio , dalla falsità ed intemperanza delle metafo+ re; dal sonoro, dal rimbombante , da quell’.idoleggiar sempre in aria nè mai composto e secondo natura ; di che era tanta va+ ghezza in que’ dì ; e presso alcuni ‘non poca anche al presente Del qual benefizio gli debbono essere molto obbligati i savi. Ita= liani ; chè come fu necessaria al ristoramento della prosa la imi+ tazion degli antichi prosatori, così fu della poesia : ‘nè alenno che sia giusto e discreto vorrà negare al Cesari la ‘glòria' d’aver colle sue canzoni, dettate tutte con lingua divinamente pura , elegante , leggiadrissima , assai cooperato al ristoramento della poesia medesima: massime che oltre al Petrarca , mise altresì l’ Alighieri in quella tanta venerazione ed onore ; che è ‘al'‘pre+ sente , e nel quale forse non fu mai per innanzi. Se non che do ve il Cesari è veramente gran poeta si è nel piacevole ; del'’cui genere abbiamo un volume di Rime mandate fuori fino dal 1807 ed altrettante , anzi più , in fogli volanti ; le quali avrebbe cer- to (e già l’avea promesso) raccolte in un sol corpo , se imorte non cel rapiva anzi tempo. In queste Rime egli seppe formare ‘un co- tale impasto, dirò così, dello stil vivace e faceto del Berni , col vi= goroso e risentito dell’ Alighieri , che gliene riuscì un terzo pien d’ anima, di nerbo, di grazia, e di colore quanto esser possa : sic* chè in questo genere , tutto sno proprio , esi rende caposcuola a que’ che ci verranno. Se questo fosse luogo da ciò ; io prove- rei bene il mio detto, recandone in mezzo ‘parecchi tratti) do- ve la bellezza originale mi par tanto manifesta da vederla uù cieco. Ne accennerò alcuni senza più. Nel capitolo indirizzato al march. Sagramoso con quanto magistero di parole calzanti, e di naturali concetti non dà egli del miterino ad amore, che accoppia talora siffatte persone , che non troppo onorarono il ma- trimonio ? Il furor del giuoco ; nel quale quanto il giocatore è più perdente , tanto meglio vi s° incoccia , non è forse dipinto con vivissimi contorni e spiccati ? Che dirò del modo festevole e gentile, con che nel capitolo della villa descrive e loda il man- giar contalinesco ; e dell’ avventarsi altresì , che ivi fa, con pari naturalezza e vigore, contro la farraggine de’ piatti, e le troppe salse e’ guazzetti , di che fanno uso i grandi? Il capitolo della villeggiatura dell’ Oppio, e quello eziandio sopra il Venerdì Guoc- 31 colajo de’ Veronesi; non sono forse un miracolo. di continuata originale bellezza ?_Leggasi nel capitolò sulla utilità della poe- sia la descrizione dei tormenti dell’ inferno di Dante , e poi mi si dica se ella ha o no, tutta la vigoria ed evidenza dell’Alighie- ri? Certo non ebber torto quelli, che vedendo affermarsi, essere stato il Cesari prosatore de’ primi, poeta non mai, ne indegna- rono. tanto più che in prova ne fu allegata, come dissi, la ver- sione di Terenzio , nè fatto punto menzione di questo genere di poetare. Per verità che non si potea parlare più a sproposito ; il che dico liberamente , poichè : Temer si dee di sole quelle cose Ch'hanno potenza di far altrui male ; Dell’altre no che non son paurose. Ma io son fermo in questa credenza, che queil’egregio e stimabilissimo signore mon abbia letto mai, non che veduto, questi maravigliosi capitoli : che al tutto dove li avesse veduti, e letti qualche poco , non avrebbe osato di pronunziare una sen- tenza cotanto ingiusta. Del rimanente il Cesari non pur si dilettò di versi italiani, ma di latini eziandio; de’quali ne abbiamo alquanti in fine delle ricordate Rime gravi, tutti pieni di leggiadri erobusti concetti; e di una assai nobile e maestosa dizione. E qui non vuol pas- sarsi la sua maravigliosa perizia nella lingua latina. Se i molti libri; ch’ egli trasportò eccellentemente , come vedemmo , da que- sta favella in italiano, ci dicono chiaro: Lui dover esserne stato gran conoscitore: le cose che in essa compose, cel danno per gran maestro. anzi tale da lasciare in dubbio , sto per dire , dove egli valesse più, se nell’ antico o nel nuovo latino. tanta è la bellezza , la semplicità, la leggiadria, ed il candor purissimo ed efficacissimo , con che le venne dettando. Abbiamo di suo alle stampe il commentario di Tommaso Chersa Raguseo , molto suo amico , e valente letterato ; e parecchi elogi ; in cui si vede an- che assai chiaramente l’animo suo beniguo ed amorevole. Di questi elogi (i più de’ quali, come altresì il prefato commentario , vol- garizzò coll’ usato suo stile ed eleganza) a me piace assaissimo quello di Benedetto del Bene, gran latinista, e letterato esso pure; dove ha saputo imitare maravigliosamente Cornelio Nipote nella vita di Tito Pomponio Attico: quindi quello di Domenico Bellavite suo confratello, di Antonmaria Grandi Barnabita , del- l’ ab. Luigi Trevisani, di Gio. Batista De Rossi, di Giovanni Tre- visani, di Gio. Carletti, di Luigi Zoppi, del Sega, del Viola (questi ultimi sono assai brevi, e a foggia d'iscrizione), tutti dettati con istile egualmeute sincero , proprio , netto, e mostrante una severa ed elegante maestà. Distese anche latinamente la vita del 3a Manzoni, la quale lasciò inedita, e che speriamo di veder presto pubblicata, per opera del degnissimo suo nipote , ed ereile. Scrisse eziandio in latino parecchie lettere , le quali venendomi alle mani, come confido , pubblicherò forse appresso alle sue italiane , che sto raccogliendo a questo effetto da ogni parte (1). In un altro ge- nere di compor latino esercitò egli non poco la penna. ciò sono le iscrizioni; delle quali mi scrisse fin dal 18 dicembre 18522 d’averne per un tomo. E tanto gli piaceva questa maniera di scrivere , che oltre allo studio non piccolo ed accurato già posto nelle antiche romane, soleva eziandio passare con diletto qual- che ora nella lettura di quel bellissimo libro e veramente clas- sico De stylo inscriprionum del Morcelli. Fino dal 1800 ne dette fuori parecchie, stampandole in fine delle sue Rime diverse ; e moltissime poscia in fogli volanti, come quelle pel Trevisani, pel vescovo Liruti, pel Sega , e per mille altri, che 1’ an noverarli tutti sarebbe ora cosa assai noiosa. Se io, come assai mi piace, mi conosco altresì punto di questo stile (il quale come tutte le arti, ha suoi peculiari istrumenti , cioè certi parlari, modi, e costrutti suoi proprii traenti al vetusto, e non punto delle altre scritture ); le iscrizioni del Cesari son dettate con somma chia- rezza, e pari semplicità, ed inanno tutt’ esso quel cotal atto, colore , e nerbo di quelle del secol d’ Augusto : sicchè eziandio in questo genere di comporre il suo nome audrà glorioso con quello de’ principali maestri di quest’ arte. La semplicità e bre- vità ebbe sì cara in queste composizioni , che avendogliene io mandata leggere una mia, in cni era effusi in lacrimas. « La- sciate, mi scrisse, l’ effusi in lacrimas ; state col semplice cun lacrimis. ,, E qui non mi si neghi di metterne una, tuttavia inedita , la quale oltre che servirà per un cotal saggio, darà a me’ eziandio il contento di soddisfare ad un mio vecchio deside- rio. Essa fu scritta per un mio carissimo fratello , della cui per- dita avrò dolore finchè mi basterà la vita. Eccola. Cineribus re- victuris Dominici Francisci F. Manuzzi, domo Caesena, incolae foroliviensis. mercatoris sollertia, pietate, candore praestantis; juris (1) Qui io debbo pregare con ogni efficacia i signori corrispondenti del Ce- sari, acciocchè si compiacciano di mandarmi o in originale, o in copia esatta, e per particolare occasione ; in ispezialtà se molte , tutte quelle lettere, ch’essi hanno di lui, indirizzandole alla mia abitazione in Firenze, presso il sig. cav. Gio. Batista Covoni, in Via Larga. Io poi non porrò mano alla stampa ; se non dopo averne raccolte un sufficiente numero ; al quale per verità non sono 0g- gimai lontano. 33 atg. tei rasticae peritissimi, qui sui suorumg. eristimatione nihil habuit antiquis. Vinit annos XXXII. M. II. D. VIII. utiles quibus potuit, omnibus charus. obiit XV. cal.jul. a. MDCCCXXIII. Fratres cum conjuge moerentes majora merenti posuerunt. Quanto garbo e grazia di purissima elegante latinità non è egli in questa epigrafe! Ah perchè, mio caro Cesari , non fosti sempre persuaso, come eri da ultimo, del potersi fare con colore , forza ed effi- cacia le iscrizioni in italiano ? In verità buona, che ce ne avresti dato di bellissimi esempi; come belle, nette , sugose , e divina- mente italiane sono quelle poche che traslatasti dalle tue latine, che sono (le note a me) quelle pel Sega , e’l voto de’ veronesi. Ancora mi suonano alle orecchie quelle tue affettuose e dolci parole : Non dubitate, Manuzzi mio; giunto a Verona, se a Dio piacerà , ne volgarizzerò parecchie altre, e parecchie ne scriverò altresì di colpo in italiano. vel prometto. Ecco che questa altresì è perdita da non isperarne ristoro così tosto , nè tanto legger- mente. Ma qui non si vuol lasciare di far cenno d’ un altro suo merito verso le lettere latine: ed è; lo spoglio di alcune voci nuove , 0 nuovi significati, che inviò al ch. sig. abate Furlanetto , acciocchè li aggiungesse al lessico del Forcellini . nel qual cer- cavansi indarno. Se chi 1’ appuntò d’ aver usato impropriamente una voce latina nel commentario di T. Chersa si fosse ricordato del luogo di Cicerone donde il Cesari la tolse, certo non gli avrebbe fatto quella censura ; intorno alla quale non dirò altro , se non che convien persuadersi, che gli scrittori veramente accurati, come era il Cesari , difficilmente usano vocaboli, di cni non abbiano esempio; singolarmente scrivendo in una lingua morta ; nella quale non può mai esser lecito a chicchessia crear nuove voci , o di dare alle vecchie nuovi significati, come pur troppo fanno spesso alcuni moderni non accurati latinizzanti. Ma torniamo alle cose italiane. Essendosi da un non so chi censurata, e con fiera animosità malmenata la orazion latina in lode di M. Zaguri vescovo che fu di Vicenza, scritta dal Villardi , e dal Cesari, con molta grazia di eletto stile e lingua tradotta, e data fuori nel 1816 : egli si levò francamente a difendere dagli altrui morsi l’orazion mede- sima, e la vilipesa persona dell’ amico ; e scrisse una ben lunga memoria ; colla quale ebbe salvata la fama letteraria del Villardi già in pericolo, e resa giustizia al merito. Del qual suo rilevante servigio fu poi testè ricambiato di quelle tante vituperose beffe e scherni, che ognun sa. tanto può nell’ uomo la passione ! Quanto al merito di questa difesa, in cui è sommo il decoro, e la mo- T. XXXV. Luglio. 5 34 destia , io per me non aggiungnerò punto nulla a quello, che ne scrisse il Giordani ad esso Cesari: chè è quello che ne pare a me, cioè che « Trattar le questioni letterarie con urbanità , con chia- rezza , con diritta logica , con purissima lingua , con facile e ma- nesco stile, occupare il lettore senza punto gravarlo, fare insomma una scrittura come questa , sarà più presto ammirato e desiderato , che imitato ,,. Nel detto anno 1816 scrisse anche la vita di Teresa Saodata di Salò , la quale morì in concetto di santità fino dal 1757. e nel 1823 quella di S. Luigi Gonzaga ; ambedue in uno stile così dolce, e con una lingua tanto pura, viva, semplice, e va- riamente atteggiata , che non credo punto esagerare dicendo ; che sono perfezioni perfettissime. Nè alcuno stiasi al giudizio mio: anzi le legga, e vedrà se io dico il vero, e niente, ma niente più. Intanto io domanderò , se i tre miracoli raccontati in fine della vita di S. Luigi potevano essere descritti con maggior garbo, con più brevità ed eleganza di parlar vivo e venusto ? Doman- derò , per tacere di tanti altri luoghi bellissimi , se la parlata che nel cap. XII fa il padre al figlinolo per distorlo del preso par- tito di abbandonare il secolo e rendersi Gesuita, sia come la credo io , cosa da non ceder punto alle scritture più care , affet- tuose , e gravemente semplici de’ greci, e de’ latini ? Che direm noi della descrizione (facc. 52 e seg. ), ch’egli fa del modo, con che la Saodata veniva orribilmente inferocendo contro il proprio corpo, martirizzandolo al possibile ? Chi può leggerla senza sentirsi per poco tremolar il sangue in ogni vena ? tanto è vivace e schiettamente sentita. E queste vite debbono essere carissime ed assai raccomandate alla studiosa gioventù, ed alle persone divote, le quali in un colla pietà, possono quivi sicuramente at- tingere la più bella e scelta parte delle naturali bellezze e grazie del nostro linguaggio , seminatevi con mano franca e disinvolta. Per le persone spirituali dettò anche il nostro Cesari, nel 1819, un libretto di esercizi a G. Nazareno : e nel 1820 fece la de- serizione della festa dell’anno cinquantesimo della Madonna del popolo Veronese (in apparecchio della quale aveva già recitata una assai bella , tenera, e sugosa orazione, che abbiamo alle stampe ) ; dove in poche parole narra elegantemente cose diffi- cilissime a dirsi, e che altri non avrebbe forse saputo descrivere nella metà più carta. Belle sono altresì le Memorie, da esso rac- colte e pubblicate nel 1825, sopra la camera e l’ immagine di Maria Vergine Lauretana. Al paroco di Soave che fu, D. Gae- tano Cortesi, rendette nel 1823 assai lodi con una molto elo- quente ed affettuosa orazione , nella quale le virtù di esso paroco 35 mi paiono messe nel maggior lume. Si legga di grazia 1’ esordio di questa orazione, e poi mi si dica, se al Cesari mancava l’arte di parlare al cuore ? Il racconto che fa ivi d’ aver perduto , in pochi mesi , quattro dottissime e care persone, è tanto patetico, e l'amarezza e ’1 dolore, da cui dice essere sopraffatto, è tanto bene e semplicemente descritto , che forse mai meglio. Io certo non lo lessi mai (e’l lessi assai delle volte), che non mi si gon- fiassero di compassione gli occhi. È dell’ altra sua orazione , re- citata per le annue esequie fatte a’ benefattori della casa pia del Ricovero di Verona, che dovrem noi dire ? Che robusta eloquenza ! che alti e nobili sentimenti! che sanità di concetti! come vi- vamente descritti gli effetti della povertà! con che vivezza e fa- condia invita i poveri ad entrare nella pia casa! con che ma- gistero mette loro in bocca la risposta! la quale può altresì, come testimonianza , rincalzar non poco le osservazioni de’ più recenti scrittori di pubblica economia sulla finta mendicità di molti. e questa sola eloquentissima risposta ; secondo me, sarebbe più che bastevole a farlo conoscere per quel ch’ egli valeva in opera di oratoria ; non avesse eziandio scritto alcun’ altra cosa. Ma e nel panegirico del B. Saul, recitato in Roma nel 1822, poteasi egli descrivere la Madera, da esso immaginata per ritrarre la Corsica, con più pittoreschi e vivi colori ? sicchè ella ti è posta sotto degli occhi. Con quanta forza di animata e rapida eloquenza non vien egli amplificando, e ben lumeggiando , co’ sussidi dell’ arte ora- toria , le eccellenti virtù del Sauli? che è quel medesimo, che adoperò poi, con sottil raziocinio e maestria, nell’ altro suo pa- negirico di S. Vincenzo Ferrerio , pubblicato nel 1824, nel che si è allontanato consigliatamente dal modo quasi comune di tessere siffatte orazioni. Sogliono i più degli oratori abbandonare il largo campo de’ fatti, per deliziarsi poeticamente nelle congetture e ne’ supposti, e render così accessorio quello, che per ogni ragione dovea essere principale. Al nostro Cesari questa maniera, che diceva guizzar di falso lume, non piacque mai, e tenne sempre con Cicerone; il lodatore non poter uscir da’ fatti ( che parlando di santi, è quanto dir virtù ); che non esca altresì dalla vera ed unica fonte della lode. Intorno a che è da leggere la lettera, ch’ egli manda innanzi al detto panegirico di S. Vincenzo. In tanto io vo’ che si sappia; lui aver sempre amato poco questo genere di comporre, come quello che non suole ordinariamente riuscir gran fatto fruttuoso a’ fedeli , alla cui utilità ei mirò sem- pre ed accuratamente nelle sue religiose fatiche: ed ecco forse il perchè di panegirici non iscrisse , che questi due, che io sappia. 36 Ora avendo io di questo preclarissimo ingegno contato tante opere e sì diverse di stile e di materia , siccome feci fino a qui, si crederà leggermente, essere il novero delle medesime affatto compiuto. Ma che? troppe altre ne rimangono tuttavia , e sono forse delle cose sue, le più reputate e gradite. io voglio dire Le lezioni storico-morali , sopra le vite di alcuni Santi del Vecchio Testamento, raccolte e pubblicate in 7 volumi fino dal 1816 e seguenti: La vita di G. Cristo, in 5 grossi tomi, cominciata stampare nel 1817, con in fine de’ medesimi 17 orazioni accen- nate qua e là nell’opera stessa: I Fatti degli Apostoli, tomi due, pubblicati il 1821: e il Fiore di Storia Ecclesiastica , che si va stampando di presente, e del quale due volumi furono già mandati fuori vivente l’antore. Di queste opere eccellentissime io toccherò brevemente , ed alla rinfusa ; che il dir di tutte per minuto e giusta il merito loro , sarebbe opera assai lunga e non affatto da questo scritto. E qui io vo’che si sappia innanzi tratto una cosa, la quale dee valere assaissimo a sempre più convin- cere chicchessia della somma potenza del suo alto e fecondissimo ingegno: ed è; che scioltasi nel 1810 la sua diletta congregazione dell’ oratorio , e i snoi confratelli iti chi qua chi là alle loro case; egli si addossò il peso, che prima era comune co’ medesimi, e seguitò egli solo a predicar tutte le domeniche nella lor chiesa di S. Fermo: sicchè mentre dettava tante di quelle maravigliose opere , che sopra descrissi, veniva eziandio componendo infalli- bilmente ogni settimana uno di questi ragionamenti morali, lo imparava a memoria ; e quindi nella domenica lo recitava al po- polo , che accorreva in folla: e ciò per ben dodici anni, dopo i quali e’ volle prendersi un po’ di vacanza , come era solito dire; e fu di sermonare due domeniche sì, e una no. riposo in vero assai discreto e piccolo. Quanto al modo , da esso tenuto nel- l’ esporre le diverse vite de’ Santi, e di G. Cristo; si è, d’ in- tromettere acute e molto utili ed aggiustate riflessioni alla storia de’ fatti della vita, che ha perle mani, ora sopra le eccellenti e divine virtù del lodato , ora con ispiegare il senso allegorico , che si nasconde sotto il velame delle divine parole , quando a incoraggimento delle cristiane e civili virtù , ovvero a riprensione e mordimento del vizio. e questo non per via di povera ed arida dottrina; sì con molta erudizione, forza e colore di maschia ed animata eloquenza. La lingua poi che in queste opere reca in uso è viva, e della più semplice , schietta, ed efficace , che abbia mai dato, o possa dare la purissima vena del trecento : la strut- tura o giro del periodo naturale anzi che no, e lo stile maesto- 37 samente piano, facile, spontaneo, e tanto chiaro che fino alle donnicciuole se le comprendono ottimamente : del che feci io me- desimo più volte la esperienza, leggendone loro qualcuna , e la feci fare altresì a qualcheduno de’ miei amici; i quali trovarono verissimo , e confessarono quello, che io aveva lor detto sempre; cioè questa essere la vera e sana maniera di predicare ; e questa sola la lingua, colla quale sony da esporsi al popolo italiano le verità evangeliche. La vita di Cristo parmi, se non più perfetta, quanto a lingua, che tutte sono scritte, come è detto , coll’ in- vidiabile semplicità e purezza degli antichi; certo più robusta , vigorosa e veemente, in opera di oratoria; singolarmente nel terzo e quarto tomo, dove chiosando la più parte delle parabole , ebbe maggior campo da recare in atto, e far risplendere di un lume assai risentito, quella sua splendida ; risoluta, e trionfatrice elo- quenza: sicchè ti s’insinua mirabilmente nell’ animo , ti scuote, t’infiamma, e piegandoti potentemente la volontà , ti tira, quasi senza avvedertene, dove egli vuole; che è il vero fine e trionfo dell’oratore. AI qual proposito non posso tenermi, che io non riferisca qui ciò, che mi rispose un mio assai dotto e caro amico, che non nomino per non offendere la sua modestia; ma certo ben noto ai lettori dell’ Antologia, pe’molti e begli articoli già in essa inseriti, a cni aveva dato leggere quest’ opera. Cotesto Cesari mi riesce tal dicitore, che io non l’ avrei creduto mai, se non me ne fossi fatto far credenza a’ miei propri occhi. Or veggo chiaro quello, che mi diceste assai delle volte, vale a dire che molte opere di lui non furono lette mai. Che eloquenza ! che ordine! con che forza e brevità descrive e ricerca le passioni più ripo- ste del cnore umano! con che indicibile maestria e tutta sua traduce il sacro testo! con che lena fresca, e pieghevole spirito torna al proposito nelle digressioni , le quali escono sì spontanee dell’ argomento , che sembrano naturalmente e quasi necessaria- mente prodotte da esso! che illuminare e fornir di vari e pro- pri rincalzi l’ argomento , che ha:tra mano! sicchè 1’ aggrandisce e salda stupendamente. Vi giuro; che dopo il Segneri non saprei trovar meglio ; nè credo il possa altri. Le orazioni, massime quella sulla Verginità, sul Matrimonio, sull’ Amor del prossimo , sulla Passione , e sulla Dilezion de’ nemici , le ho per esemplari di ori- ginale sfolgorante eloquenza, nè so se alcun altro le possa, non dirò superare , ma arrivare giammai. E ’1 cav. Ip. Pindemonte, dell’ orazion sopra le reliquie de’ Santi ; scrisse già al P. Villardi; d’averla trovata tanto maravigliosa, che basterebbe anche sola a mostrare oratore , che è il Cesari. E Benedetto del Bene di fe- 38 lice ricordanza, solea dire: Il P. Cesari nelle sue opere, singo- larmente nella vita di Cristo, ha cose, e concetti, che io non leggo altro che in lui, e che mi fanno maravigliare. lo godo assai d’aver meco in una stessa sentenza questi grandi uomini , e veri conoscitori del bello, nè aggiugnerò punto altro, dopo sì gloriose testimonianze. Invece accennerò due altre operette morali del nostro Cesari. La prima è una dissertazione sopra i beni che la religion cristiana portò a tutti gli stati degli uomini, stampata in Venezia poco fa, dove le fu assegnato il premio da quella pia istituzione, alla quale io debbo cordialmente e senza fine far plauso. Anche qui la lingua è di quella medesima tempera e co- lore, con che dettò le altre opere morali, da me sopra discorse. Le ragioni che mette in campo per provare il suo tema, sono sempre assai solide, vere, ed efficaci: i rincalzi delle prove tutti cavati da ottime fonti ; di che magnificano acconciamente e saldano bene il tema medesimo; il qual dimostra, sto per dire , con matema- tica evidenza. Fra’ molti passi che mi sembrano assai vivamente illuminati, e con molto nerbo di vigorosa e sfolgorante eloquenza descritti , sono; quello degli effetti della carità cristiana, e quello de’ giorni felici, che menerebbero gli uomini su questa terra , se tenessero , come e’ debbono, i comandamenti della legge di Cristo. L’ altra, è una memoria tuttavia inedita , il cui tema proposto dalla suddetta pia istituzione di Venezia, si è: La Religione Cristiana, quanto a’ costumi, favorisce gl’ interessi individuali e sociali, e spinge la società al più alto punto di perfezione. La qual memoria sarà delle cose sue, piena di sugo , ordinata, cal- zante, penetrativa. non ne dubito; anzi ne son certo anche pel giudizio, che ne vidi fatto da un letterato sommo , a cui il Ge- sari poco prima di morire l'aveva data leggere. Nè il saper suo si estendeva solamente alla bella letteratura greca; latina, ed italiana ; alle scienze ecclesiastiche; ed alla filosofia cristiana; ma eziandio ad una buona conoscenza delle arti liberali. il che si ritrae anche assai chiaramente dalle opere sue, dove cadendogli l’ opportunità di parlar d’ architettura , di scul- tura, o simili; il fa sempre con tanta perizia ed aggiustatezza di finissimo gusto, che si direbbe , lui esserne stato per poco mae- stro. Cosa veramente mirabile, non avendo egli in queste arti posto mai studio alcuno. Per la pittura soprattutto , non trali- gnando dal padre suo, avea assai buon gusto : si che solea dire, scherzando: Iddio averlo creato cen questo peculiar dono, di conoscere il bello, o il brutto d’ogni pittura, 0 scultura a primo tratto. Per la qual cosa non è poi a maravigliare, se intendeva 39 le varie scuole di quest’ arte , e se veduto un qualche quadro, sapea anche accertarne per poco l’ autore. Delle cose matematiche fu vaghissimo , e della sua perizia in esse ne dà saggio qua e là ne’suoi scritti, singolarmente in un capitolo al P. Grandi: ed in altre composizioni mostra di conoscersi di medicina, di ana- tomia , di archeologia , di fisica ec. Per conto delle matematiche era anche solito dolersi agli amici, perchè poco o nulla s° inse- guavano quando egli era giovane. Ma il suo forte era nella mu- sica, nella quale sentia molto innanzi: e quantunque la voce non sempre gli rispondesse egregiamente, tuttavia cantava bene. La qual dote di eccellente orecchio ei dimostrava altresì nella recitazion de’ versi; i quali declamati da lui riuscivano belli e graditi due tanti più , che declamati da altri: ed io quante volte l’udii recitar qualcosa del Petrarca, o del suo Dante, le tante restai compreso di maraviglia. In ogni cosa amava la perfezione; e spesso dolevasi della poco cura e diligenza ; che gl’Italiani pon- gono nello scrivere la lor lingua, che è il solo patrimonio ri- masoci, dopo perduta ogni altra cosa; e della più parte degli scrittori moderni solea dire : Non sono sicnri in lingua. e di quelli che venivano lodati per perizia di qualche idioma straniero : Pec- cato proprio che non istudino il loro , bello , dolce , efticace , ed acconcio ad ogni stile quanto altro mai. E l’amore ch’ egli por- tava svisceratissimo al nostro faceva sì, che udendo altri usar muove voci, 0 le vecchie impropriamente ne indegnava ; e se punto legato seco d’ amicizia ne lo riprendeva gentilmente. Io il so ben io, come quello che ne fui amorosamente corretto assai delle volte: di che se nulla so, in opera di proprietà e di lin- gua , il conosco tutto da lui; e me gli confesso e confesserò mai sempre obbligatissimo , quanto fosse giammai discepolo a maestro. Della Religion nostra fu tenacissimo sostenitore, e tanto gli fu cara quanto la pupilla sua , e più. Laonde mantenne sempre ed onorò al possibile le dottrine cattoliche , e la santa Sede ; nè si contenne giammai , ogni qual volta se gli porse il destro, di commendare la mansuetudine, e la costanza di Pio VII; dal quale ebbe benigne accoglienze , lettere, ed onorevoli presenti. Guardò sempre di mal occhio le novità di alcuni; in opera di disciplina ecclesiastica ;} e contro le moderne sentenze, che intendono a rovesciare tutto il divino edifizio della Religione di Cristo , non si stette, che per morte dal declamare, con quel calore e forza di viva è robusta eloquenza, tanto propria del suo facondissimo ingegno e forte animo ; e con tutta quella schietta libertà, che 4o giudicò essere opportuna ad un tenero seguace del vangelo ; massime in tempi per la religione di così grave pericolo , quali furono i trascorsi. Alcuni lo accusarono di poca moderazione; di averne esagerato il pericolo ; nè d’ aver posto mente, secondo ragione , alla condizion de’ tempi. Non mi pare .. ma se anche in certo qual modo fosse stato vero, era poi per questo da ban- dirgli la croce addosso ? era da apporgli cose false e persegui- tarlo ? o non anzi da risguardare a quella sua ingenua e vera- mente antica semplicità? ed altresì alla sua poca pratica e cono- scenza del mondo, nel quale non usò che pochissimo ? Senza che, saliva egli sul pulpito per altro , che per bene della misera uma- nità ? che per riprendere il vizio, e lodar la virtù? Non era forse per scemare il bisogno a’poveri, ed accrescere la pubblica e priva- ta felicità , che trafiggeva , e rimproverava continuo i ricchi su- perbi , ed avari? Non fu l’ affetto al buon costume, alla pudi- cizia, ed ai diritti matrimoniali, che lo recò a declamare viva- mente contro il disonesto vestir delle femmine; il verseggiar de- gli osceni poeti; e l’ uso vituperevole ed infame dei così detti cavalieri serventi ? In somma il suo scrivere o favellare fu mai rivolto ad altro , che alla salute delle anime , ed al migliora- mento de’ costumi e della civiltà ? Che se sferzò con veemenza gli empi, e gl’ increduli, non fece minor prova di maschia terribile eloquenza contro gl’ ipocriti, e gl’ impostori. E de’ Fa- risei troppo creduli che non disse? che non disse di quella peste d’ uomini ribaldi, che dimenticando la carità evangelica , corrono di leggieri , sotto sembiante di pietà e zelo , non solo a giudicar sinistramente i loro fratelli, ma eziandio ad accusar- li, mettendo in mostra ed in voce ciò, che per ogni ragione do- vrebbono tener nascosto? che di coloro , i quali le cose dubbie pigliano e qua e là spacciano per vere , e le piccole aggrandi- scono ? che prudenza? che cristiana carità è ella questa ? Il cri- stiano da bene, diceva, comechè vegga alcuni manifestamente sviati da Dio, e pubblici e solenni peccatori, non per questo li perseguita mai e disprezza ; nè mai dispera della loro salute : anzi prega affettuosamente per essi. Ora, dimando io ; era que- sta una soverchia indiscretezza? o non anzi una giustissima in- terpretazione del vangelo e della legge di Dio , la cui perfezio- ne dimora affatto nella carità ? È non fu per avventura la ca- rità più perfetta , che lo guidò in tutta sua vita ?_Egli certo non sospettava mai male d’alcuno: e dove altri glielo avesse pure af- fermato , ne lo scusava sollecitamente, e copriva al possibile . e non ne potendo altro : Che volete ? diceva. Infelice! al tutto 41 egli è da pregar Dio per lui. Io medesimo l’udii rispondere d’al- cuno in queste parole. Nè mai rompeva con chicchessia i legami della più soave e benigna carità cristiana. O non fu questa vir- tù , regina di tutte le altre, che lo mosse ad aprire il porto del legittimo matrimonio, o del chiostro a molte povere vergini ? loro sborsando anche la dote ?_ A quante povere famiglie non sovvenne egli? A quante fanciulle e fanciulli non fece imparar mestiere P Quanti ragazzi non raccolse per la città, ed am- maestrò della dottrina cristiana, o vestì, se ignudi? Quante case non recò a pace e tranquillità ? Quanti peccatori non con- vertì e mantenne fedeli al Signore ? Noi potremmo ben arrecare molti esempi delle prefate beneficenze : ma nessuno potrà giam- mai allegar con verità pur un testimonio , che in fatti, o in parole uom si sentisse, non che danneggiato, menomamente offeso da lui. Egli sapeva bene, d’ essere in odio a molti; e d’ essere da molti deriso e schernito » in vista, perchè tenacissimo man- tenitore del trecento ; ma in sostanza » perchè animoso e vera- ce banditore del Vangelo. E pure di questa vituperevole ingiu- ria ei non chiese da Dio mai altro, in nome di vendetta , o di premio del suo zelo, dalla conversione in fuori de’ suoi ne- mici. Udiamolo. “ Questo ebbi io (Vit. Crist. vol 5, pag. 340) a cagion vostra, o Signore : che certo se io non mi fossi mostrato sì tenero e caldo di voi, m’ avrei, pare a me, avnto ben altro che beffe. Or a voi s° appartiene la difesa dell’ onor mio. Ven- detta dimando delle ingiurie a me fatte , e la voglio al possibi- le per me bella e gloriosa. Vorrei vedere umiliato questo nemi- co vostro e mio a piè della vostra croce ; confessare la vostra divinità ; e vinto dalla vostra virtù, e del suo errore ricreduto, da voi aspettare e chieder grazia e misericordia , e come da unico Salvatore ‘in fatti ottenerla. Questo m’aveva io proposto per fine; e questo o per vendetta vi domando, o per guiderdone. Salvate i miei e vostri nemici: e se non la mia gloria cercai, ma la vostra , glorificate voi stesso ; dilatando il regno della vo- stra fede: ed io non desidero nè voglio altra mercede , se al- cuna ne posso aspettare. ,, Ma se nelle cose di Religione ei seppe serbare , verso i suoi malevoli, la moderazione del vero cristiano ; nelle questioni let- terarie serbò sempre mai la tranquillità del sapiente , e quella urbana modestia nel contraddire, che pur troppo, con dolore de’ buoni , era così rara in Italia fra’ letterati. della stessa età sua. E sì, che la sua pazienza e mansnetudine fu s in do e più T. XXXV. Luglio. 42 anni, messa alla prova assai delle volte, ora da uomini da puco, ed ora da altissimi ingegni; ma quasi sempre con armi vili, e al tutto indegne del decoro delle lettere, le quali sarebbono da mantenersi costantemente civili e vereconde da chi le. professa. Egli però o non rispose mai (e così aveva proposto di fare , che che si fosse scritto o detto contro di lui); o se ripose , il fece in modo da non offender mai dirittamente nella persona gli av- versari o i calunniatori: ed anche con tanta dignità, grazia ; e disinvoltura, che diresti proprio , essere una regal vergine turbata da qualche misero cencioso. E dissi eziandio calunniato- ri; essendochè molte cose appostegli da questo e quello, per metterlo in beffa, non sieno che mere calunnie , delle quali ne accennerò due sole: e sono andar del corpo , per morire; e la sacra carogna di Cristo, pel corpo morto del Salvatore, da lui non usate mai; e nondimeno rinfacciategli assai volte. tanta è la lealtà di alcuni moderni aristarchi! Ma buon per lui; che se i suoi oppositori avessero potuto accusarlo di qualche vera scioc- chezza, non avrebbero avuto ricorso alle false per accattargli disprezzo. Nel rimanente , la prudenza e moderazion del Cesari è tanto più ammirabile e degna di lode, quanto che sappiam per certo , lui essere stato di natura piuttosto sdegnosa d'ogni cosa , che sentisse dell’ingiusto o dell’itragionevole ; e d’un ani- mo pien di vigore, alacrità, e forza ; e assai ricco di sali vi- vaci e pungenti allorchè scrisse di dottrina , o di cose piacevoli. Per la qual cosa, se egli non rispose , o rispondendo seppe os- servare esemplarmente ogni misura nelle parole, e da ogni mor= dacità ben temperarsi, non fu già perchè non sentisse vivamen- te le villanie e gli scherni, come altri si son dati a credere ; sì perchè giudicò semipre e saviamente, non essere da rispondere agl’indiscreti ed incivili censori, o da farlo senza venir meno giammai al decoro delle lettere , alla tranquillità del sapiente, e singolarmente alla carità del buon cristiano. Ma chi potrebbe dir tutte, od esprimere sufficientemente le qualità egregie del- l’ animo suo nobilissimo ? Egli fu in vero qual dovrebbono es- sere gli uomini: mente severa , e cuor benigno. Alla verità eb- be un amore, se può dirsi, eccessivo : cotalchè non avea ri- guardo a dirla in faccia a chicchessia : e spesso dolevasi perchè non tutti fanno così. nondimeno assai prudente e discreto. Ab- borriva ogni adulazione e parlar simulato ; e ben lo sa (fra’molti) un certo sacerdote, il quale venutogli innanzi per domandarlo, se doveva accettar la cattedra d’eloquenza, alla quale era stato 43 eletto: No , gli rispose ricisamente : ella non è da ciò. badi be- ne che se l’ accetta ne dovrà rendere stretta ragione a Dio. D’una ‘semplicità poi ed innocenza di vita, da non la credere, onde non sapea ben comprendere i raggiri, nè i maneggi del mondo. Nella sua dilettissima congregazione fu specchio delle più ammi- rate virtù ; singolarmente dell’ obbedienza (sicura pietra del pa- ragone da saggiar la virtù vera) ; della quale basti recar in mezzo questo solo testimonio ; che perdutosi una volta nel predicare , e sceso dal pulpito , soffrì in pace maravigliosa il rossore di su- bito risalirvi, perchè gliel comandò il suo superiore. Anche da questa virtù egli riconosceva il bene d’ essere stato liberato da molte angustie di spirito ; le quali lo tribolarono lungamente, e di tal sorte, che solea poi dire all’ egregio P. Morelli suo con- fratello: Se non era la Grazia di Dio , che mi sostenesse ; sarei morto di pura angoscia . sì erano terribili e paurose.. La patria sua amò sempre svisceratamente ; ed a lei , come notai da prin- cipio , rendette assai utili e specchiatissimi servigi, procurandole tutto quel bene , che potè maggiore , specialmente in opera di buon costume sia coll’ esempio suo , che di vita fu integerrimo ; sia colle parole , mostrandole francamente e con amore i doveri del cristiano e del cittadino. Non so quanto ne fosse ricambia- to : ma egli è certo che nella terra natia per ordinario 1’ uomo di merito singolare, non attecthisce nè prospera un millesimo di quello che dovrebbe. Beate quelle città, che siffatte benedizioni conobbero prima di perderle ! Amici ebbe parecchi (io qui non ricorderò alcuno, per non offender quelli, che mi venissero omes- si ; tanto più, che a contarli tutti non mi sarebbe possibile) ; e a ciascheduno soddisfaceva pienamente , rispondendo con as- sai puntualità e gentilezza alle lettere loro. ma non di tutti eb- be a lodarsi egualmente : anzi ricevette da alcuni scherni e vil- lanie incredibili, le quali tollerò con pazienza e dignità somma. Amava di essere in concordia con tutti, nè era capace di nutrir inemicizia con chi che sia. Nel confortare a pazienza fu sommo , come altresì nel dar consigli: sicchè dell’ opera sua si valsero molti ; in ispezialità il Vescovo Liruti, nella cui grazia fu mol- to innanzi. D’ ogni cosa parlava assai sentitamente, e nelle punto dubbie aveva caro di starsi all’altrui parere ; eziandio d’uomini, che non aveano fama de’ primi ingegni del mondo; ed affatto contro il suo. Alla famiglia sua ebbe amore di padre; e quantunque per se medesimo e’ fosse assai nobilmente disin- teressato ; tuttavia delle letterarie sue fatiche promosse di buon cuore gl’ interessi di\lei, lasciatagli dal padre suo bisognosa an- dh zi che no. I benefizi sentiva molto addentro , e lungi dal dimen- ticarli mai, godeva anzi non poco di manifestare la sna cordia- le gratitadine : onde i snoi benefattori visitava spesso ; e vo-. lentieri , avendone il destro, nominavali ne’ suoi scritti. Parlava con piacere di lettere, e con piacere si facea maestro a’ giovani, animandoli affettuosamente a studiar di forza. A Dio e alla gloria di lui, avea un amore cocentissimo, e da ogni cosa pigliava partito per favellare di lui: e lui avea sempre dinanzi agli occhi : e nel ragionare de’ suoi divini attributi andava per poco fuor di sè, per lo gaudio ed ammirazione. Ma la pupilla sua era Cristo , del quale parlava con tanta forza , e con parole sì calde e cordiali, che tirava con dolce violenza le lagrime agli occhi; ed egli me- desimo fu visto piagnere assai delle volte : massime in questi ultimi anni, ne’ quali aveva cominciato ad avere un lume di tal conoscenza dell’ essere perfettissimo dell’ amato suo Gesù, che un dì affermò al P. Morelli, di non poterlo, volendo, re- care in iscrittura . sì era vivo ed acuto. Per le quali cose tutte non maraviglia, se si guadagnò l’animo di molti: chè non era oggimai nomo di lettere , eziandio de'’primi, e più notabili, che non si gloriasse della sua a micizia : e se prima di morire potè raccogliere amplissime e non dubbie testimonianze dell’ ardente desiderio, che avrebbe lasciato di sè non pure agli amici, ma eziandio agli amatori tutti delle buone lettere e di- scipline. Molte furono le accademie , e forse le più cospicue , che per cagion d’onore lo scrissero nella loro società. basti il nomi» nar qui quella della Crusca. Anche nelle sue gite, che qua e là fece negli ultimi anni, per la diletta sua Italia , fu molto ono- rato. Condottosi nel passato autunno a Faenza, dove aveva un amico assai caldo il sig. D. Gaetano Della Casa , maestro di belle lettere, vi fu accolto da quegli animi gentili colla maggior cor- tesia e festa del mondo. Anzi alcuni, non tenendosi contenti alle sole private dimostrazioni d’onore e d’affetto, che signori e sacerdoti gli dettero assai splendide, vollero altresì farlo di sorte , che ne dovesse pervenire a molti più la notizia, e vie più durar nel tempo. e fu con dare alla luce chi sonetti, chi lettere, chi iscrizioni intitolate del nome suo. Nè mancò eziandio chi si condusse fino a Bologna ad incontrarlo ; e chi dalle vicine città trasse a Fa- enza per conoscerlo personalmente, e rendergli di presenza quelle significazioni di stima e d’ amore , che ben si dovevano a tanto merito e singolare virtù. Ei dimorò quivi un dieci giorni (i più lieti e giocondi, mi disse in sul partire, che si ricordassè aver goduti mai in tutta smna vita), onorato nobilmente di stanza , e 45 di mille cortesie e garbatezze dalla signora contessa Lucrezia Ca- vina , fior di matrona piissima , e da’ suoi cari e degni figliuoli; ed io altresì con esso lui. Ma chi avrebbe mai creduto, non che immaginato , que’ giorni essere degli ultimi del viver suo ? e quella l’ultima volta, che io lo vedeva ed abbracciava in questo reo mondo? Ahi soave e dolorosa memoria! Pur troppo è vero, che gli uo- mini non ponno esser mai felici su questa terra, e che ad una somma consolazione suole non raramente tener dietro una im- portabile amarezza. Egli era tuttavia sano ed in ottima tempera allorchè cammin facendo da Faenza a Ravenna fu soprappreso per via dalla febbre (che fu a’25 di settembre 1828 in giovedì ): e postosi in letto nella villa del collegio de’ nobili, dove era con ansietà aspettato, non surse mai più. Nella sua malattia non fece che lodare il Signore: ed in essa dette altresì chiaro esempio della sua paziente carità; tollerando in tutta pace le molestie gravissime , onde era afflitto. Finalmente, riconfortato da tutti i soccorsi della Religion nostra, da esso sollecitamente richiesti; ed alla età pervenuto di 68 anni 8 mesi e 15 giorni, con bella ed accesa fiducia in Dio, morì d’una sinoca inflammatoria, alle due dopo mezza notte, venendo il mercoledì, primo ottobre del detto anno. Il suo corpo , accompagnato da numeroso popolo , fu ono- revolmente portato a Ravenna , a cinque miglia dalla detta villa, e nella chiesa di Classe in città seppellito. Fu Antonio Cesari ( chi bramasse saperlo ) di statura nè pic- colo nè grande : assai più presto leggiero, che compresso di carne: di color bruno ; e da molti anni quasi calvo del tutto. Ebbe fronte ampia , rugosa , e sensibilmente sporgente in fuori : occhi vivi e scintillanti, sotto a ben archeggiate ciglia: naso grosso: bocca larga anzi che no. Nel volto gli risplendeva una dolcissima e be- nigna severità : portava le spalle un po’ curve. Era molestato da una continua convulsione ; effetto forse dell’ uso che facea gran- dissimo dell’ oppio. Nel domestico favellare mostrava d’ essece al- quanto impedito della lingua : nel pergamo non mai. il suo re- citare era assai chiaro, piano , e sonoro. Moderatissimo nel riso : eccessivamente timido. Nel vestire amava l’ antica parsimonia, e la nettezza. S’alzava sullo schiarir del giorno, ed avea le sue ore assegnate, alle quali non falliva mai : principalmente all’ora- zione , che facea con singolar esemplarità. De’ minuti convenevoli era nemico , senza però trascurarli giammai. Il suo favellare por- gea assai diletto, come quello, che era sempre condito di belle maniere , e spesso di motti onestamente lepidi e graziosi. salvo pochissime cose, il suo scrivere è un vivo ritratto del suo par- 46 lare. La perdita irreparabile di questo grand’ uomo riuscì gravis- sima e dolorosamente acerba a tutti i buoni, singolarmente al caro suo nipote sig. Pietro Cesari, che tuttavia non sa darsene pace; come altresì a Giuseppe Manuzzi, che dell’ amico ottimo desideratissimo compilò questa memoria ; ed a cui la manda af- fettuosamente, come testimonio debito di sua gratitudine, e di eterno amore e dolore. Giu. Manuzzi. Delle carceri di penitenza, e particolarmente di quelle di Ginevra e di Losanna. Già lunghissimo tempo, mio caro Vieusseux, ho tenuto sotto gli occhi l’opuseolo da voi speditomi del ch. prof. D. A. Chavannes intorno alla casa di correzione in Lo- sanna. Io aveva determinato di farne parola, per due mo- tivi; l'uno generale , l’altro privato. Stava il primo nel fermo pensiero che quanto si riferisce al miglioramento della disciplina delle carceri, è uno di quegli oggetti che meritano ormai la più generale e profonda attenzione. La pubblica morale e la pubblica sicurezza vi sono interes- sate del pari; si tratta di stampare nuovamente in fronte all’ nomo il carattere della suna perduta dignità ; si tratta di cancellarne la macchia infame del delitto, e quella me- no apparente, ma più profonda, del vizio; si tratta infine d’una. nuova creazione morale. Lode dunque a coloro che han posto mano ad opera sì sublime; lode alle società di privati che ne hanno fatto scopo alle loro fatiche; lode ai governi che hanno emulato i privati. Certo, a me pare che lo spettacolo di tanti sforzi e dì tanti sacrifici fatti dall'uomo soggetto a colpa a prò dell'uomo colpevole, sia degno di segnare una pagina lumiuosa nella storia dello sviluppo ognor progressivo delle umane istituzioni. Nè chi scriverà quella pagina oblierà d’onde venne a tanto bene l'impulso. E questa la prima restituzione benefica che dal- l'America riceve l'Europa. Dopo tante deva-tazioni e tante 47 carnificine , dopo tanti atroci delitti che altro non ci frut- tarono che un oro fatale, sorge dai lidi settentrionali del mondo novello , ove la libertà, combattuta ancora sugli altri, ha già posta ferma radice, una splendida luce che invita l’umanità a confortarsi e a sperare. Ivi l’uomo ap- prezza appieno sè stesso; e ben era ragione che dove ciò avviene , sentisse pur l’uomo doppia pietà per coloro che più non possono stimar sè medesimi. In questo sentimento, figlio di religiosa e politica libertà, ripongo la prima origi- ne di quanto, prima in America e quindi in Europa, si è fatto, per migliorar que’luoghi ove è punita la colpa. E do- vere è il farlo, e doppiamente è dovere laddove più im- perfetia trovandosi la pubblica educazione, più va l’umana natura soggetta a degradarsi nel delitto e nel vizio. Certo è tristo il riformar nelle carceri :e nelle catene, adulto e forse ancor grave d’anni, chi già potea ne’primi anni di sua fan«iullezza, libero in mezzo ai suoi simili, ricevere i mezzi da resistere al male; ma più tristo ancora è il punirlo senza tentare di riformarlo; e tristissima cosa poi anzi orribile e snaturata sarebbe il soffrire che il luogo della espiazione fusse fucina di colpe novelle, e conducesse non a perdono, ma ad irrevocabil condanna, A un tanto motivo per non lasciare inosservato l’opu- scolo del professore di Losanna, uno secondo si aggiunge che me stesso riguarda ; ed è il desiderio di pagare, ben- chè debole e tardo, un qualche tributo di riconoscenza ad una città che mi è per più ragioni carissima, Essa mi ac- colse al mio primo uscir dall’Italia, e in lei trattenendomi, e vedendomi in faccia la maestosa catena de’ monti della Savoia, pareami che parte d’Italia mi stesse ancora dinan- zi, che dall’Italia spirassero l’aure, e che italiane pur fos- sero quelle scene della natura sì vaghe insieme e sublimi. Là trovai prima, non uomini degni d’istituzioni migliori, ma istituzioni più degne degli uomini; là trovai modi che non lasciaronmi gravare sull’animo il sentimento. penoso di trovarmi isolato e straniero ; là finalmente strinsi il pri- mo indissolubil legame d’un’amic?zia che poi divenne fra- terna. Dirò pure che vidi già allora sorgere questa mede- sima carcere, che il sig. Chavannes descrive ; e fralle sue mura, che s’innalzavano appena sul suolo, andai a studiarue la disposizione e gli usi, e ne imparai fin d’allora i rego- lamenti futuri. E come di questo, così pur vidi in Losanna i principii di molti altri istituti benefici, che debbon la loro esistenza alla pietà de’privati, e che vengun sopra tutto animati dall’operosa carità delle donne. E per render più semplici i mezzi e più sicuro l’effetto, ne è sempre speciale lo scopo. Così volendo soccorrere ai poveri, altri pensano solo a provvedere di vesti i vecchi e i fanciulli; altri si occupano dell’ educazione di questi ultimi, altri di quella delle indigenti fanciulle; un comitato particolare prende di mira i soli onesti cittadini caduti nella miseria ; un al- tro distribuisce a vil prezzo legna ai bisognosi ; e un altro di pietose madri viene in soccorso di quelle misere che in mezzo a tutte le privazioni stavno per dar la vita ad altri infelici (1). (*) | Ma tornando alla casa di correzione, voi forse diman- derete ; perchè con tanti motivi di scriverne, pur tanto a farlo indugiasti? Mi scuserò col dirvi ch'io aveva presente allo spirito un articolo scritto su questa e su quella di Ginevra in uno de’fogli di Francia, E siccome lo aveva ri- conosciuto superiore a quanto avrei potuto scrivere io stesso su questa materia, mi era proposto il tradurlo. Or non è che in questi ultimi giorni che ho potuto rammentarmi e quale era il foglio, e quale a un incirca potevano essere i numeri in cui si trovasse l’ articolo, Ritrovatolo , subito l’ho tradotto e ve lo invio, incitato a ciò maggiormente dal trovarsi questo inserito in uno di que’ fogli, che per essere giornalieri, non vivono che la giornata, mentre l’ar- ticolo è certamente degnissimo di vita più lunga. Sicco- me poi l’ Autore nel parlare della carcere di Ginevra ap- poggiava le sue osservazioni a uno scritto comunicatogli dal sig. Prevost, e a due rapporti del sig. Dumont, men- tre per quella di Losanna non sembra che avesse l’aiuto dell’opuscolo del sig. Chavannes, così ne farò uso per ret- (*) Ved. per le note alla fine del presente articolo. 49 tificare a sviluppare in poche hote alcune sue osservazioni o inesatie o imperfette. Che fare de’ forzati liberati? Appena usciti dalle galere essi riprendono il mestiero di ladro , e tornano in breve ai loro bagni: è questo un circolo infinito di delitti e di pene. Che far dun- que? gli uni dicono: deportateli ,,; gli altri: ‘ coreggeteli , rendeteli migliori se lo potete. ;, Quanto a me, senza pretendere indicare i mezzi di guarire questa piaga della nostra società, per- mettetemi di dirvi alcune parole sulle prigioni penitenziali di Losanna e di Ginevra. Questi sono stabilimenti affatto nuovi; quello di Losanna non esiste che da circa due anni ; e quello di Ginevra da tre anni al più. Si può tuttavia già presso a poco giudicare qual effetto avranno questi istituti. Ho visitato queste case, non come pubblicista o come giureconsulto (io non sono che un semplice curioso ), vedendo e ascoltando tutto ciò che m'interessa , e narrando oggi nel modo stesso in cui ho veduto, cioè senza troppo metodo nè ordine. A Losanna, mi diressi al sig. Manuel, ecclesiastico addetto alla casa penitenziale , uomo d’uno spirito vivo e generoso, consacrato al miglioramento de’prigionieri, peno di buone spe- ranze; senza però farsi illusioni filantropiche. Egli mi diede alcune parole di raccomandazione per visitare la carcere ; e tosto mi vi recai. Questa casa è situata sopra un’ altura dalla quale scuopronsi Losanna, il lago di Ginevra e l’ Alpi del Chablais, cioè una delle più ammirabili vedute della Svizzera. È un grande edifizio rettangolare circondato da vasti cortili. Nel mezzo v’è un’ ampia scala che serve a tutta la casa e la divide in due parti distinte: una, destinata ai prigionieri condannati a pene afflittive e infamanti ; l’altra , ai prigionieri condannati a pene correzio- nali. Giammai i prigionieri della forza, che così chiamansi i condannati in materia criminale, non communicano co’ prigio- nieri della correzione. Nella cappella medesima, sono separati da una parete di tavole. In ogni parte sonovi due grandi sale da lavoro, una peri tessitori e i calzolari , un’ altra per i le- gnaiuoli. Questi sono finora i soli mestieri in cui si ammaestrano i prigionieri. Si comincia però ad introdurvi quelli di carraio «e di tornitore. Le donne sono occupate a filare. Tutte queste sale sono vaste, arivse e pulitissime ; esse ricevono dall’ alto la luce. T. XXXV. Luglio. 7) 5o In ogni sala da lavoro alcune aperture fatte nel muro permet- tono al direttore della casa di veder tutto senza esser veduto. La casa di Losanna non è fabbricata secondo il piano panottico del sig. Bentham, e però la cura d’invigilarvi è più faticosa ; ma la distribuzione interna dell’ edifizio dicesi esser più comoda e più semplice. Il sig. Bentham vuole una prigione circolare , ove il governatore , posto in una loggia centrale, invisibile e presente a tutto, si trovi come un ragno in mezzo alla sua tela. Questo piano non è stato addottato a Losanna, nè nelle nuove carceri d’ Inghilterra (2). In Ginevra si è tentato di accostarvisi. In ogni sala di lavoro, un ispettore mantiene il buon ordi- ne. I prigionieri lavorano in silenzio ; non è loro permesso di conversare , neppure durante il pasto. Hanno ore di riposo, par- te nelle loro celle, ( perchè ognuno ha la sua) parte ne” cortili; è qui soltanto che posson parlarsi. Così hanno essi poca comu- nicazione fra loro ; nè vi è cosa sì funesta fra simil gente , come il poter conversare liberamente; perchè conversando, i più mal- vagi acquistano impero sugli altri: isolati gli uni dagli altri, vi è maggiore probabilità ch’ essi giungano poco a poco a riflet- tere e a correggersi. Per seguitare rigorosamente il sistema di correzione , bisogna che un prigioniero, allorchè diventa migliore, passi in un altro quartiere , ove vivendo con uomini già meno viziosi , egli con- tinui poco a poco a emendarsi. In Losanna la cosa non è così. Si è creduto , e questa fiducia mi piace , che l’esempio del bene avesse ancora la sua efficacia. Un prigioniero che si emenda , può condurne altri ancora alla virtù ; toglietelo dalla sua sala , e per uno ormai salvo , quanti ne restano che il suo esempio e la sua vicinanza avrebbero resi migliori, e che per mancanza di questo modello animatore, rimarranno incorreggibili! E poi che fare in una classe ove non resterebbero che i più malvagi ? come dirige- re simili persone ? per contro lasciatevi alcuni pentiti , la loro influenza si estenderà poco a poco, e la classe diverrà tranquilla e docile. D’ altronde guardiamoci dal far sì che il miglioramento de’ prigionieri abbia in sè qualche cosa di artefatto. Destinati a rientrare nella società , spirata la loro pena , essi vi vivranno in mezzo ai buoni e ai malvagi : tale è quaggiù il destino di tutti ; ma lo è soprattutto di quegl’infelici che la vergogna della loro condanna costringerà forse a vivere loro malgrado col rifiuto della società. Bisogna dunque avvezzarli già nella carcere a divenire e a restar buoni in mezzo a cattivi esempi. È un servizio inop= 5I portuno quello di render loro troppo facile la libertà. Questi mi- glioramenti artefatti sono simili a quelle sanità di cmi prendesi soverchia cura, e che non possono sopportar l’ aria aperta. Non basta costringere i prigionieri al lavoro ; bisogna ispi- rarne loro il gusto. Ecco come vi si arriva : il prodotto del loro lavoro appartiene ad essi per intiero, salva una piccolissima de- duzione (3). A Ginevra non ne hanno che la metà ; l’altra metà appartiene all’ Istituto. In Losanna, i condannati sanno ch’ essi non lavorano che per sè stessi: gran motivo di zelo. Ciò che guadagnano è iscritto sopra un libretto che hanno fralle mani ; ognuno sa il suo conto. Il danaro è versato nella cassa di ri- sparmio , e quando sortono, vien loro rimesso. Vi sono ancora altri mezzi posti in opera per inspirar loro 1’ amor dell’ ordine e dell'economia. Essi ricevono giornalmente una libbra e mezza di pane per ciascuno, e siccome molti son quelli che non maa- giano tutta la loro razione , la casa ricompra da essi ciò che. ri- sparmiano. Di più , ciascuno ha nel cortile un quadrato di ter- reno di cui dispongono come vogliono ; coloro che vi coltivano legumi li vendono alla casa, ciò che è pure un profitto (4). Tut- to s’ inscrive sul libretto ; tutto si versa nella cassa di risparmio : quindi conti e dettagli infiniti, ma quindi ancora abitudini d’or- dine , d’economia e di sobrietà inspirate ai prigionieri , utili sal- vaguardie , col mestiere appreso; contro la miseria e i suoi per- fidi incitamenti, preziose guarentigie del loro miglioramento , che fanno sicura la società, quando vi rientrano all’uscir dalla carcere! Vorrei poter stabilire un computo comparativo di ciò che costa un forzato nelle galere , e di ciò che costa un prigioniero nelle case penitenziarie ; paragonare le spese d’ ispettori e di guardie ; (a Losanna non vi sono che sei ispettori per ottanta prigionieri e due sentinelle intorno alla casa ) le spese di per- quisizione , in caso di recidiva, contro i forzati liberati, e quelle di due spedizionieri impiegati a tenere i computi del peculio di ciascun prigioniero : ebbene ; tutto annoverato , credo che l’eco- nomia starebbe ancora dalla parte della casa penitenziaria. Con- sento ancora di non mettere a calcolo il vantaggio inaprezzabile di aver rialzato al grado d’ uomo qualche misero degradato. Ne’ bagni, è il timore che rende docili i prigionieri ; quì, è la speranza : i filosofi e l’esperienza decideranno qual è fra questi due sentimenti il più potente sul cuor dell’ uomo. In Lo- sanna , quando un prigioniero tien buona condotta, una com- missione particolare ha il dritto di abbreviare la durata della sua pena. Un registro tien conto giorno per giorno della condot- Ea ta buona o) cattiva de’ detenuti: disubbidienza | mormorazioni, cattiva volontà , tutto viene esattamente iscritto. Così i prigio- nieri sanno che la loro condotta è continnamente tenuta a ‘cal- colo , ed è questo un potente incoraggimento a ben fare. In quanto al loro cibo , è buono e sano ; tre minestre e le- gumi ogni giorno , zuppa di grasso e carne due volte la setti- mana per la correzione, e nina volta soltanto per la forza. Que- sta dieta salutare, unita alla buon’ aria , conserva la sulute del corpo , e procura la calma allo spirito. E però nella casa peni- tenziaria non scorgesi nè miseria nè depressione di spirito. Tut- to vi ha un aspetto , se non di benessere , almeno di rassegna- zione e di tranquillità. Quindi il mal umore di alcune persone, che dicono esser ciò troppo buono per prigionieri. Ho anche udito narrare che un huon abitante di Losanna , gran partigiano delle vecchie carceri nere, esclamava un giorno con dispetto, man- giando la sua zuppa :“in somma la zuppa de’vostri bricconi val più che la mia! ,, Ecco un forte argomento , il confesso; ma il buon uomo dimenticava, che a quella zuppa tanto invidiata man- cava un condimento che aveva la sua , e che rende saporita an- che la più cattiva, la libertà. « Ma, dirà alcuno, cosa è mai la perdita della libertà per tali uomini? È forse una pena ? Quando sono liberi, non han- nu sovente nè fuoco nè tetto; prigionieri, hanno buon allog- gio e bnon cibo ; è tutto profitto per essi di essere incarcerati! )» Non v’è miseria pari alla catena; il lupo ama meglio stentare che far buoni pasti a spese della libertà ; il cane può ben cian- ciare d’ossi di pollo e di piccione, il collare con cui viene attac- cato basta a confutare tutti i suoi discorsi. Quanti mendicanti preferiscono il vivere presso un cantone di strada esposti alla pioggia e al freddo, ma liberi, all’ andare ai depositi di mendicità! D'altronde , è egli una vita sì dolce il lavorare in un carcere dalla mattina alla sera, costretti al si- Jenzio anche nelle ore del pasto ? Quale stato più contrario alla natura, e qual punizione più efficace per uomini avvezzi a una libertà clamorosa, vagabonda e oziosa ? Così, mi veniva raccon- tato in Ginevra, che due prigionieri, parlando insieme nel cortile .4Al’ora della ricreazione: « ho conosciute assai carceri, diceva uno di essi, ma non ne conosco alcuna più penosa e più noiosa di questa; se mai mi faccio riprendere, prego almeno Dio che non mi faccia più rientrare in questo luogo (5). Quando una carcere spiace al prigioniero, quando s'intimorisce all’ idea di rieutrarvi, essa risponde alla sua destinazione; imperocchè quan> 53 do si stabiliscono carceri non bisogna mai dimenticare il princi pio d intimidazione di Bentham. Ogni pena deve intimorire, ma le migliori sono quelle che intimoriscono senza degradare. Tale è l’effetto della reclusione e del lavoro in silenzio delle case di correzione. Intimorire da una parte, migliorare dall’altra; ecco tutta la teoria dell’incarcerazione. Nelle case penitenziarie, non vi è che il puro necessario per intimorire; nulla di superfluo in simil materia; ma vi è molto per migliorare : il lavoro profittevole, il silenzio che porta alla riflessione, le istruzioni religiose , le abi- tudini d’ordine e di economia, la pulizia severamente ingiunta , le celle solitarie, la sobrietà ricompensata ; tutti mezzi propri a ricondurre i condannati sulla via dell’onoratezza. Vi sono per- sone che riguardano come inutili tutti questi stabilimenti : «che vale l’interessarsi tanto ai bricconi »? « Per diminuirne il nu- mero'— essi sono. incorreggibili ». « Alcuni forse; ma i più fra i condannati sono ancor capaci di pentimento, possono tornare one- sti. » Quanti hanno ceduto soltanto alle tentazioni della fame e della miseria, ai movimenti della collera! perchè non aiutarli a pentirsi e a emendarsi? Nelle antiche carceri tutti i prigionieri erano confusamente ammucchiati, di giorno, e di notte, oziosi, malfattori tutti pronti ad ammaestrarsi e. ad esercitarsi scambie- volmente ne’vizi e ne’disordini, i peggiori guastando i meno mal - vagi. Quindi per una specie d’insegnamento reciproco; una trista uguaglianza di bassezza e di degradazione. Nelle case peniten- ziali, occupati senza intermissione, invigilati di giorno, separati di notte, se vi è nell’anima de’prigionieri qualche germe di vir- tù, qualche memoria e qualche resto di buona educazione, non v'è da temere che vi sia soffocato. Nessuno almeno vi si cor- romperà ; questo è già un vantaggio inapprezzabile . . . Quante passioni spingono ai delitti senza esser però vizi radicati. Ebhe- ne; per simili delinquenti sono fatte le case penitenziarie; là po- tranno emendarsi col pentimento. Proviamo se possiamo riuscire a non aver più altri malvagi, che quelli creati tali dalla natura; e saremo, grazie a Dio, sorpresi del loro piccolo numero. In Ginevra, visitai ancora la casa penitenziaria; ma quì ho da offrirvi qualche cosa di meglio che le proprie osservazioni. TI sig. Prevòt figlio, che si era fatto la mia guida colla più ama- bile compiacenza, mi aveva comunicato uno scritto eccellente sulla casa di Ginevra; e il sig. Dumont mi avea dato due rap- porti da lui fatti a quest’oggetto al consiglio rappresentativo di Ginevra. Da lungo tempo il sig. Dumont non mette più la sua - 94 gloria a meritar elogi di cni non ha bisogno, ma a propagare la riforma degli abusi: antico amico di Mirabeau , ardente parti giano di Bentham, egli ha la distintiva degli uomini d’ ingegno del secolo XVIII, cioè l’attività dello spirito e la nettezza delle idee, ed è uno di quegli nomini i quali, invece di rimanere glé stazionari. d’ un altro secolo ; hanno anteposto di farsi le guide del nostro. Passo ad analizzare questi due lavori. In Ginevra la casa penitenziale non è fabbricata in una si- tuazione così ridente come a Losanna; essa ha unvaspetto; più severo ,.e annunzia meglio la sua destinazione. I prigionieri vi hanno ancora meno vantaggi che a Losanna. Vent’una oncia di pane, invece di una libbra e mezzo , e però nulla da rivendere alla casa; non hanno giardino ,, nè legumi da vendere. Il pro- dotto del loro lavoro appartiene per metà alla casa 5 V’altra metà torna ai prigionieri, ma essa si divide in due parti; una delle quali è subito posta a loro disposizione, e l’altra forma un fon- do di risparmio per la loro uscita. Questo quarto può esser va- lutato a due soldi circa per giorno. Il risparmio medio di. ogni prigioniero è di circa due aa all’anno ; questa somma, che può così divenire assai forte, nun è rimessa al. prigioniero se non dopo che ‘è stato liberato . « In un momento in cui l’ avidità di go- dere è stimolata da una lunga privazione, sarebbe ; dice il sig- Dumond ; esporlo a una tentazione quasi irresistibile il rimet- tergli. una tal somma ; bisogna riserbarsi il mezzo di guidarlo nell’impiego di questo capitale : si accresce il benefizio prevenen- done l’abuso ». A Ginevra e a Losanna evvi la stessa distribuzione di beagle ro, lo stesso vitto, le stesse misure d’ordine e di proprietà nelle celle, la stessa legge di silenzio nelle sale. Le punizioni son presso a poco le medesime; il pane e l’acqua, la cella solitaria, la cella tenebrosa secondo la gravità delle colpe , i ferri ancora a Gine- vra, non come punizione, ma come mezzo di ripressione, quando il prigioniero giunge alla violenza. Il detenuto non può restare a pane e acqua più di tre giorni; al quarto riprende il vitto or- «linario della casa, tornando però il quinto a pane e acqua; così di tre in tre giorni ve nè uno di sospensione di pena, imperoc- chè anche ne’ castighi si ha la maggior cura della loro salute. Neppure resta il delinquente rinchiuso più di sei giorni nella cella tenebrosa ; il settimo forma sempre intervallo. Così a Ginevra e a Losanna molte cose si somigliano. Vi è tuttavia, a mio credere, una differenza di spirito e d’intenzione tralle due case. Forse in Losanna la filantropia non si è bastan- COLI 3 temente tennta in guardia contro sè stessa. Le prigioni sono pri» ma di tutto stabilimenti destinati a punire, e non case da lavoro di carità, ove verrebbe a lavorare chiunque non ‘avesse che fare. Lasciare al prigioniero tutto il profitto del suo lavoro, è un ren- dere la sua condizione migliore di quella dell’operaio che non è nè alloggiato nè nutrito, e che guadagna a stento la sua vita e quella della sua famiglia. Chi sa se qualche lavorante non sarà tentato di farsi aprire con un delitto questa casa, ove si guada- gna di più ? Chi sa se non si lascerà sedurre, se non sagrificherà alla speranza di guadagno il suo onore e la sua libertà? Que- sta è una tentazione chè bisogna prevenire. Bisogna che il po- polo veda che il galantuomo libero guadagna più che il condan- nato, e che infine l’incarcerazione è veramente una punizione e mon un mestiere : tutto è perduto se nella prigione o nella so- cietà, i detenuti giungono ad esser riguardati come lavoranti; perchè gli artigiani si sentiranno avviliti, e i condannati non si crederanno più puniti. Però, nel togliere ai prigionieri metà del prodotto del loro lavoro, vi è una ragione più valida di quella dell’economia; è una ragione di giustizia e di morale : così il pri- gioniero è tenuto al suo posto ;, e l’artigiano non ha grazie al cielo di che invidiare i detenuti in carcere (6). Questa prudente riserva, questa saggia misura nella filan- tropia caratterizza principalmente l’amministrazione della casa di Ginevra. Questa discrezione annunzia l’esperienza, e questa espe- rienza in una casa nuova avrebbe di che far meraviglia; se non si sapesse che Ginevra deve la sua casa penitenziaria ai consigli e all’ influenza del sig. Dumond. Ne’ suoi dne rapporti su. que- st’oggetto al consiglio rappresentativo, il sig. Dumond parla col tuono d’un uomo che ha veduto e osservato, che conosce a fon- do i vantaggi e gl’inconvenienti del nuovo sistema ; che esortan- do a fare il bene non ha l'entusiasmo d’un principiante, e che neppure sta per disperare al primo discapito : egli osserva un giusto mezzo fra ciò che è necessario a punire, e ciò che vi vuole per incoraggire al lavoro mediante 1’ interesse. A quest’ oggetto, il sig. Dumond fa sul nuovo sistema penitenziale degl’ Inglesi alcune riflessioni piene di giustezza. Io voglio rapidamente rie- pilogarle. In Inghilterra, nelle carceri penitenziali, il lavoro de’detenuti era stato dapprima retribuito: quindi una nuova classe, di ma- nifattori. Ciò fu trovato un controsenso, e si pensò tosto a cor- reggerlo; ma allora si cadde in un altro eccesso ; e ciò, per vo- ler troppo sottilizzare. Prigionieri seduti a un telaio di tessitori, 56 e paguti alla giornata, sono, venne detto , de’ lavoranti ; non vi è più castigo. Ebbene! non gli pagate, e di più inventate qual che lavoro che sia di pura perdita : allora il prigioniero si sentirà punito e umiliato da questo lavoro senza profitto e senza scopo ; poichè niente umilia tanto quanto il non produr nulla : tessere, anche senza guadagnare, ha pure in sè qualche interesse; pu- nite i vostri prigionieri togliendo loro anche quell’interesse. Que- sto ragionamento sottile, che lusingava l’orgoglio industriale, riu- scì in Inghilterra. E però vennero quasi generalmente cessati i lavori industriali nelle carceri, per sostituirvi il molino di disci plina (the tread-mill). Questo genere di pena fu premurosamente adottato. ‘ Il primo aspetto di questa macchina in moto vi presenta 3» quindici o venti nomini, tenendosi colle due mani a una sbar- ra di legno, e posando alternativamente i piedi sui gradi d’una ruota che fanno muovere col peso de’loro corpi, cioè che fan- no sempre il movimento di salire, quantunque restino sempre al medesimo posto : ciascuno di essi fa circa cinquanta passi per minuto. Ad ogni quarto d’ora, il prigioniero si riposa cinque mi- nuti, poi ricomincia , e questo movimento di rotazione conti- nua dalla mattina fino alla sera, facendo così un cammino equivalente a una ascensione di dieci o dodici mila piedi al 23 23 39 33 25 3) ») giorno. sy Questo genere di pena ha un gran merito agli occhi del car- ceriere e delle guardie : la sua semplicità. Non esige alcuna istru- zione e non richiede che un grado comune di forza; non può al- cuno, nè per astuzia nè per pigrizia , sottrarsi al lavoro: non vi è alcun compito da dare, alcun lavoro da invigilare ; tutto proce- de con una regolarità perfetta, e siccome ogni uomo vi è ridotto ‘a una macchina che muove le sue gambe , ne segue che il go- verno d’ una carcere diventa la più facil cosa del mondo. Il molino intimida esso i colpevoli? Dapprima sembrò effi- cace, e i delitti parevano diminuire . Questo è l’ effetto d’ ogni pena nuova: essa comincia dallo spaventar vivamente |’ imma- ginazione de’ malfattori; poi vi si avvezzano , e l’ efficacità di- minuisce. “ Ho veduto, dice il sig. Dumond, nelle due carceri so di Londra, vagabondi di 13 a 17 anni che ricomparivano al ,, molino per la seconda ed anche per la terza volta. Dunque , ,») questo movimento rotatorio non è un esorcismo che scaccia i »» cattivi spiriti, e che rende all’ uomo la salute morale. ;, D’ altronde dopo due o tre giorni di pratica , questo lavoro cessa ben presto d’ esser penoso. Il prigioniero acquista una tale 97 facilità di seguitare il movimento della ruota, che quest’ eserci- zio si fa macchinalmente senza attenzione come senza sforzo. Se non vi fosse in ogni quartiere un ispettore che costringesse al silenzio, gli esperti converserebbero fra loro ; come donne che fanno la calza. Così il molino non è un supplizio barbaro , co- me taluni hanno voluto dirlo; ma è un lavoro tristo e monoto- no, che nulla apprende ai prigionieri , e toglie loro il tatto e la pieghevolezza della mano : all’ uscir dalle carceri dopo due o tre anni di pratica del molino, essi trovansi senza mestiero, sen- za risorsa, capaci al più de’ lavori dell’ agricoltura. Quante pro- babilità ch’ essi tornino ladri ! Che risulta egli da queste osservazioni? Che il molino di disciplina non intimida nulla più che le altre pene, e che da un altro canto, non ha in sè niente che possa contribuire ‘al mi- glioramento de’ prigionieri : nelle case penitenziarie i detenuti apprendono un mestiero, che sarà il loro pane all’ uscir di carce- re; essi hanno un piacere industriale , e la loro, intelligenza si sviluppa: il profitto che ricavano mostra loro l’ utilità del lavo- ro; essi prendono abitudini d’ ordine e di attività ; lavorando in comune , la loro emulazione si eccita : son questi altrettanti ger- mi di pentimento e di onestà: col molino , essi guadagnano poco e non imparano niente. Docili e passivi come la macchina che è l’istrumento della loro pena, essi non hanno più morale o più intelligenza di lei. Quale speranza di cangiar mai in uomini in- dividui talmente abrutiti ! In Inghilterra , il molino di disciplina non si applica che a detenzioni di due mesi a due anni o tre al più ; perchè i delitti più gravi son puniti colla pena di morte o colla deportazione. Ma col nostro codice penale, i lavori forzati e la reclusione so- no di dieci, di venti, di trenta anni, e talvolta ancora a per- petuità. Sarebb’ egli possibile di condannare nomini a girare una ruota per trent’ anni, o per tutta la vita! La monotonia e la tristezza eterna d’ un simil supplizio cagionerebbe bentosto la di- sperazione o l’ abrutimeuto. Il molino a vita! potrebbero . ben allora i nostri galeotti esclamare: riconduceteci ai nostri ba- gni! (7) In Ginevra come in Losanna i prigionieri imparano a legge- re, a scrivere e a far di conto due volte la settimana, giacchè l’ istruzione è sempre di soccorso all’ emenda, soprattutto nei principianti: quando l’ intelligenza si rischiara , 1 anima nella stessa proporzione si purifica. Queste lezioni, ch’ essi non pren- T. XXXV. Luglio. 8 58 devan dapprima che con ripugnanza, sono loro infine dive- nute piacevoli. È una distrazione nella loro captività ; è di più un talento acquistato , ed ogni acquisizione di simil genere è un titolo di onore che innalza l’ uomo ai propri occhi : è un merito che sembra cancellare la macchia stessa della condanna; e quando il prigioniero esce di carcere sapendo leggere e scrivere, è meno umiliato dalla memoria della sua pena, che fiero di que- sta nuova scienza che ha acquistato; egli rientra nella società con maggior fiducia, ed anche con maggiore onestà. Queste lezioni date a prigionieri d’ogni età, giovani e vec- chi, sono non solamente un benefizio, ma ancora una sperienza curiosa per la storia dello spirito umano. Dubitavasi che nomini maturi potessero ancora imparar qualche cosa, nè mancavano ragionatori i quali con buoni argomenti provavano che al di là di una certa età l’ nomo non era più suscettivo di esser istrui- to. Si provò non pertanto. In Portsmonth , a bordo di un pon- tone venne stabilita una scuola , e sopra 450 detenuti, più di 200 appresero in otto o dieci mesi a leggere e a scrivere cor- rettamente. Ne’ nostri reggimenti, i soldati a malgrado de? loro venti e più anni compiti, apprendono col mutuo insegnamento a leggere ; e mi è stato detto da un colonnello, che un vecchio soldato che avea fatto tutte le guerre della rivoluzione e del- l’impero senza saper nè leggere nè scrivere , lo aveva imparato in pochi mesi. — Allora, diceva egli, non provava altro ram- marico che quello di esser rimasto tanto tempo senza poter leg- ger da sè medesimo i bullettini della grande armata (8). Così il lavoro, l’ istruzione , le esortazioni religiose, tutto ha per oggetto il miglioramento de’ prigionieri. Non basta che siasi favorito il pentimento ; si allontanano le tentazioni; i giuo- chi di carte e d’ azzardo sono interdetti ; mai bevande spiritose 5 benchè possano esser concesse per ordinanza del medico . Ogni imprestito di danaro è proibito fra i prigionieri ; e gl’ impiegati lella casa non possono nè avanzar loro danaro, nè riceverne. Queste assidue cure hanno già comineiato a esser premiate col buon successo. Nel mese di novembre 1826, dice il sig. Prevòst nel suo rapporto, eranvi nella casa quaranta cinque prigionieri. Su questo numero, dieci aveano meritato, pel loro pentimento, di passare nel quartiere d’eccezione; perchè in Ginevra il sistema penitenziario è rigorosamente usservato a questo riguardo , e se- condo che un prigioniero si migliora , passa in una stanza di- versa . In quanto alle recidive, lo stabilimento di Ginevra è ancor 59 troppo nuovo , perchè sia possibile 1’ istituire un parallello fra gli effetti delle nuove e delle antiche carceri (9). Solamente ve- do in uno de’ rapporti del sig. Dumond : « che a Filadelfia, sotto »» l’ antico sistema, più de’ tre quarti de’ prigionieri ricadevano s3 fralle mani della giustizia ne’ sei mesi che seguivano la loro 33 liberazione. Dopo l’ adozione del sistema penitenziario la pro- ‘3, porzione è stata nel senso inverso. Cinque per cento è il rap- »» porto medio di coloro che si fanno di nuovo incarcerare. A 3» New-York, durante cinque anni, sopra 349 prigionieri che sono »» stati elargiti o perchè la loro sentenza era spirata, o per un » perdono , 29 soltanto sono stati convinti di nuovi delitti , e ;s sopra questi 29 , 16 erano forestieri. ,, In Ginevra ancora hav- vi fra i prigionieri buon numero di stranieri; ciò è soprattutto l’ effetto della vicinanza della Savoia. Nelle prigioni penitenziarie, i condannati non possono mai abbandonarsi alla disperazione; tutto concorre a preservarneli : l’ idea della loro liberazione tenuta incessantemente presente al loro spirito, quel mestiero che imparano ; quel peculio che si am- massa , e che sarà il loro sostegno nel giorno della loro libertà, e soprattutto infine la speranza di abbreviare la loro pena col loro pentimento e colla lor buona condotta. In Losanna una commiz- sione ha il dritto di ridurre la durata della reclusione de’ con- dannati, ma soltanto di un mese per anno: ora che son mai dieci mesi di meno sopra dieci anni di carcere ? Debole speranza, de- bole incoraggimento ! (10) In Ginevra, la Commissione di ricorso, è un vero tribunale, investito di poteri estesi. Dopo aver com- piti i due terzi della loro detenzione, i prigionieri che sono stati condannati a più d’un anno di carcere , sono ammessi a presen- tare alla Commissione di ricorso una supplica di liberazione. Al- lora la Commissione , che tiene sempre le sue sedute nella pri- gione medesima, esamina la supplica, consulta i Repertorio della condotta de’ prigionieri, registro nel quale ognun d'’ essi ha il suo conto aperto, e ove sono notatiisuoi torti e i suoi meriti; ascolta le varie persone impiegate nella direzione e nella ispe- zione de’ prigionieri , e allora o pronunzia la liberazione imme- diata, o rigetta la supplica, o fissa un termine dopo il quale sarà permesso al prigioniero di presentarla di nuovo. Questa decisione motivata è letta ne’ diversi quartieri della carcere. Così è questa una vera causa che s’ istruisce , è una scena giuridica che ha luogo nella prigione stessa ; avvenimento interessante per i pri- gionieri , e che rammenta loro continuamente ciò che hanno da sperare e da temere (11). Go Paragoniamo un momento i nostri ricorsi in grazia, quali hanno luogo in Francia , e le suppliche in liberazione , quali si fanno in Ginevra. Quì, prima di aver compiti i dne terzi della sua pena , il prigioniero non pnò presentare la sua supplica. In Francia, il condannato può ricorrere alla clemenza reale durante tutta Ja durata della sua pena: quindi mille speranze incerte e inquiete ; egli è sempre nella aspettativa e nell’ incertezza : sarà egli graziato, o nol sarà? La sua imaginazione si travaglia e si agita: oh! avesse egli de’ protettori! potesse pur procurarsene! e con quai mezzi? Così sempre preoccupato egli non può appli- carsi al suo lavoro in una maniera calma e seguitata; egli non sarà nè violento , nè insobordinato per timore di non mettere ostacolo al suo ricorso in grazia; ma non sarà rassegnato , non avrà la tranquillità d’ anima e di spirito necessaria, sia per im- parare un mestiero , sia per pensare a emendarsi e a riformarsi: egli sarà nello stato d’ un uomo che aspetta qualche gran for- tuna , o qualche grande sventura , che giunoca alla horsa o alla lotteria. In Ginevra non vi è nulla di simile. Il condannato sa a qual partito attenersi: durante i due terzi della sua pena, egli dee rassegnarsi e comportarsi bene onde risparmiarsi il terzo ri- manente. Così non v'è alcuna incertezza d’aspettativa; e in quanto alla speranza ; egli non ne ha nè troppo, il che agiterebbe la sua immaginazione , nè troppo poco, il che l’impedirebbe di pensare. al suo miglioramento. Tutto ciò che diminuisce la certezza delle punizioni è un male; e ogni pena che non è fissa, che lascia ondeggiare fra il timore e la speranza, è un cattivo genere di pena, funesto al prigioniero che rende meno rassegnato , funesto alla giustizia che rende men forte, rendendola meno irrevocabile. Un altro svantaggio de’ nostri ricorsi in grazia si è che non vi è nulla di pubblico ; nulla di solenue ; sono affari che trattansi negli scrittoi. E però coloro che soffrono un rifiuto, attribuiscono la loro disgrazia all’ ingiustizia e alla calunnia . Se alcuno ottiene la sua grazia , si dice esser effetto di favore e di credito. Il tribunale solenne della Commissione di. ricor- so, non ammette nè sospetti nè interpretazioni simili. A. Dio non piaccia ch’ io impugni il diritto di grazia, il più bell’ at- tributo de’ re! vorrei solamente che i condannati non potessero indirizzare il loro ricorso in grazia se non durante un mese, datando dal giorno della loro condanna definitiva. Così , spirato questo termine, non vi sarebbe più incertezza nella pena, più inquietudine nè preocenpazione nello spirito de’ prigionieri . In quanto ai detenuti che si condurranno bene, abbiate una Com- 61 missione di ricorso che ‘possa abbreviare le loro pene; giacchè senza Commissione di ricorso, non vi è rimunerazione , e senza rimunerazione non vi è probabilità d’ emenda ‘, cioè non vi è più sistema penitenziale. Riepiloghiamo quanto abbiam detto. Ciò che costituisce il vero carattere del sistema penitenziale , è di punire e correggere in un tempo, l’ uno servendo all’ altro : il lavoro , il silenzio , la sobrietà, l’interdizione de’ giunchi di carte e d’ azzardo , sono privazioni che puniscono mentre sono pratiche che emendano. Tutto è disposto per giungere a questo doppio scopo . Genova aveva iscritto sulle sue prigioni la parola Libertà ; iseriviamolo pure arditamente sul frontispizio delle case penitenziali ; poichè è un nobil mezzo di assicurare la libertà de’ buoni quello di mi- gliorare i malvagi. Scalia (1) Società di Losanna per poveri incurabili. = Siccome alla carità non può mai venir meno il campo da esercitarsi, così dal tempo in cui presi nota delle varie ‘Società benefiche di Losanna, accennate nella mia lettera, già due nuove ne sono state formate : una per sottrarre poveri fanciulli ai malvagi esempi di genitori viziosi , l’ altra per alleviare i patimenti de’ poveri incura- bili. Intorno a quest’ ultima ho ricevuto da una signora di quella città aleune notizie , che non ho scrupolo di quì pubblicare . « La Società degli incurabili >» si è formata poco fa per mezzo di soscrizioni private, non avendo il governo 3» potuto per ora occuparsene , avendo esso rivolte le sue cure ai malati in ge- »» nerale, e introdotti nello spedale de’ grandi miglioramenti. Inoltre esso ha »» incorso immense spese nella casa di correzione, che sempre più adempie il 3» suo. scopo . . . . . . IMa se il governo non poteva occuparsi per ora de’ po- s» veri incurabili, è il cielo venuto in loro soceorso , ispirando ad anime pie il s» desiderio di farlo. Si è formata una commissione di cittadini distinti, inca- so ricati di amministrare i doni che volontari si accumulano tanto dalle somme »» del ricco, quanto dal denaro della vedova. Varie signore ne’ differenti quar- tieri della città hanno assunto il carico di vegliare sugli ammalati, che ven- »» gono posti in case, per lo più situate ne’ contorni della città, presso a buoni », contadini, i quali ricevono una retribuzione proporzionata alle cure che deb- »» bon dare agli infermi, ec. ,,. Dopo aver indicate sì varie e belle istituzioni, debbo fare osservare che la città di Losanna non arriva a contare 15,000 abi- tanti; e a chi si maravigliasse che queste istituzioni siano tutte di data sì re- cente, dirò che non sono molti anni, che quella città si trova indipendente, . essendosi sottratta alla signoria di Berna. (2) Dell’ottima costruzione delle carceri. == L° asserzione dell'Autore che il piano panottico o circolare di Bentham non sia stato adottato nelle nuove carceri dell’Inghilterra , è inesatta, Non .solo in Inghilterra, ma nella Scozia ancora e nella Irlanda sono state editlicate varie carceri su questo piano ; e se 6» ora abbandonasi , la ragione si è che anche il buono, deve cedere al migliore. Il gran principio, non solo di Bentham, ma di quanti si sono occupati della rifor- ma delle carceri, si, è di rendere l’ ispezione facile e universale; principio non agevole a porsi in effetto, daechè per prima essenzialissima riforma si divisero in varie classi i detenuti. Bentham propose il sistema panottico, e panottico per eccellenza è il sistema recentemente adottato in Inghilterra dietro le cure della Società per il miglioramento della disciplina delle prigioni , che ha pubblicato un opuscolo su questo interessante soggetto. Il piano di Bentham è circolare o per dir meglio poligono ; quello della Società è raggiante. Gredo far cosa grata ai lettori nel metter loro sott’ occhio le piante di due carceri edificate secondo i due diversi sistemi. (Ved. Fig. I e II ). La sola ispezione comparativa di queste due figure sembrami dover esser bastante a convincer ognuno della superiorità della seconda sulla prima. A me suenti indicazioni : ra i servirà l’ agevolare il paragone con le seg Fig. I. aaa.... Stanze separate per le varie classi di prigionieri. Fig. II. 35b.... Id. Tutte queste stanze sono suddivise come vedesi in 4’, d’; ee sono le celle separate per ciascun prigioniero; ii le stanze in cui lavorano e mangiano insieme ; cc. i cortili distinti per.cia- scuna classe . Per semplicizzare la figura non ho ripetuto le suddivisioni nelle altre sezioni, come neppure non vi ho indicato gl’ ingressi , fimestre, comunicazioni interne ec. , non avendo ancora speranza di porla sott’ occhio a qualche architetto. Fig. I. a, Fig. II. d. Abitazione del direttore e degli ispettori. ddd .... Cancelli e divisioni nell’ interno, mmm.... Muro esterno. Scegliamo ora i tre punti più essenziali di paragone, cioè : 1.° La facilità dell’ ispezione. 2.° La sicurezza della carcere. 3.° La salubrità della medesima. 1.° Ognun vede a quanta distanza trovasi l’ispettore dai prigionieri, secondo il piano circolare, mentre li hasquasi sott'occhio secondo il piano raggiante. Due finestroni {f bastano in questo a render completa l’ispezione , mentre nell’altro dovrebbero aprirsi tutte le pareti corrispondenti ai cortili. Aggrangasi che quando il direttore o altri impiegati vogliono recarsi nelle stanze da lavoro, possono nel secondo sistema farlo in un momento e sorprendere i prigionieri , mentre ciò riesce impossibile nel sistema circolare, dovendo essi attraversare i cortili , dando così tempo ai prigionieri e agl’ impiegati secondarii di prepararsi per la loro visita. .Di più, in una carcere di riforma dove 1’ ordine e il silenzio costi» tuiscono una delle regole essenziali , devesi invigilare non solamente cogli oc- chi, ma molto ancora con gli orecchi: ora egli è per sè stesso evidente quanto il sistema raggiante favorisca la trasmissione de’ suoni all’orecchio del direttore. 2.° Nel sistema circolare le celle sono appoggiate alla parete esterna della «carcere , e sono lontane da ogni ispezione. Se riesce al prigioniero di fuggir dalla cella, trovasi nel cortile esterno e gli rimane il solo muro m da superare. All’incontro nel sistema raggiante, le celle comunicano con i cortili interni ce.. e però anche fuggendo ricadono sotto gli occhi degli ispettori. Inoltre quanto 63 ho detto della trasmissione de’ suoni in questo sistema , rende quasi impossibile la riuscita di qualunque mezzo violento onde aprirsi la fuga dalle celle. 3.° Nel piano circolare non vi è che da una parte libero accesso all’ aria ; mentre nel sistema raggiante l’ aria circola liberamente da tutte le parti. Que- sto cenno è bastante a dimostrare la maggior salubrità delle carceri costruite secondo quest’ ultimo sistema. Dopo queste considerazioni dirò che la carcere di Ginevra si accosta ap- punto al sistema raggiante, e non al circolare come asserisce l’autore. Essa di- fatti occupa un semicerchio, 1’ arco del quale non è già occupato dalle stanze de’ prigionieri, ma soltanto da un muro esterno corrispondente a quello mm nelle nostre figure. Le sale di lavoro e i cortili convergono in raggi, mentre sul diametro è edificata l’ abitazione del direttore. (3) Devesi o nò retribuire il lavoro de’ prigionieri ? — L' asserzione del- I’ autore che il prodotto del lavoro appartenga per intiero ai prigionieri di Lo- sanna è inesatta; ma piacemi che mi dia luogo a citare a questo riguardo le seguenti parole del prof. Chavannes : «« Una parte del prodotto netto de’ varii lavori è rilasciata ai prigionieri , s» € forma ciò che chiamasi il loro peculio . Questo peculio è regolato dietro », una tariffa che determina la parte da concedersi per ogni specie di lavoro ,;. Ogni condannato ha un conto aperto in un gran libro, ed ha di più un libretto particolare. Vi si mette ogni mese a suo credito ciò che gli è stato concesso ; queste piccole somme sono poste in salvo nella Cassa di risparmio , per consegnarle poi al detenuto quando gli vien resa la libertà. Finchè dura la detenzione , non può disporre di alcuna frazione del suo peculio , eccettuato in favore de’ suoi parenti, quando ne sia riconosciuta la povertà. Per questo an- cora deve ottenere il consenso della Commissione, che accoglie con piacere si- mili domande , che hanno sorgente in sentimenti lodevoli , e che necessaria mente tendono a riconciliare il colpevole con i suoi. Da quattro anni , da che è stabilito questo peculio , sono usciti dalla carcere uomini e donne che ave- vano fino a dieci luigi in danaro , oltre all’ essersi ben rivestiti a proprie spese. Prima che fosse stabilito, il prodotto netto del lavoro era di 4ooo lire svizzere (pari a 6000 fr. di Francia) sotto l’ attual regolamento sono state annualmente distribuite da 1600 fino a 2000 lire sv. di peculio, e tuttavia il prodotto a van- taggio della casa è ancor più grande di prima. Ciò prova che il peculio ha ec- citato maggior premura al lavoro. Dopo questi fatti è superfluo l’ insistere sul- 1° utilità del nuovo regolamento. Dai precedenti numeri è manifesto che il peculio non giunge alla metà e forse neppure oltrepassa il terzo de’ prodotti del lavoro. In Ginevra essi rice- vono , già nella carcere, un quarto di quanto guadagnano; il governo ne prende la metà, e l’ altro quarto è conservato per i prigionieri, fino al momento della loro liberazione. (Ved. 7.° Rapporto della Società delle prigioni dl Londra. 1827 p. 289). Il determinare il miglior uso possibile da farsi del prodotto de’ lavori dei prigionieri, è un soggetto che ha cagionato molta discussione fra i promotori della disciplina delle carceri. Egli è certamente di massima importanza, non solo per il mantenimento dell’ ordine , quanto per la salute, ed anche per il miglioramento morale de’carcerati , ch’essi sieno tutti assiduamente occupati. Per quelli non ancora condannati , il lavoro deve essere volontario , e limitarsi a facili occupazioni. Essi hanno dritto indubitatamente a una parte considerabile 64 de’ loro guadagni , ed al privilegio , colle debite restrizioni, di farme uso im mediatamente. Ma la situazione de’ prigionieri convinti è affatto differente, ed impugnabile è il principio di conceder loro in qualunque circostanza una parte de’ loro guadagni. Questo principio è sostenuto per due motivi: la sua influenza morale nell’ incoraggire l’ industria 3 e 1° opportuno sollievo che ne deriva al prigioniero nel momento critico della sua liberazione. 7 Non può dubitarsi , che il prospetto quantunque lontano d’ una rimunera- zione pecuniaria stimolerà il delinquente a raddoppiare la sua attività, e per conseguenza potrà contribuire a formare in lui abitudini industriose. Ma è ne- cessario in una carcere , non solamente che si formino tali abitudini, ma che si formino dietro retti motivi e retti principii. L'idea d’una ricompensa pecuniaria, indebo!isce necessariamente il carattere della pena, e ne tempera la severità. La condannazione a lavori forzati indica colla parola stessa che il lavoro deve essere per compulsione e non per premio ; questa compulsione al lavoro costituisce appunto il carattere essenziale della pena, e il condannato deve esser costretto a fare ciò che prescrive la legge. Non può maggiormente giustificarsi il mitigare il rigore della prigionia quale la infligge la legge, che l’ aumentarne la pena ed aggravarne il terrore. Il dritto di punire non comparisce più tanto deciso nella mente del prigioniero , quando egli ottiene una ricompensa pecuniaria per la sua sommissione alla pena. S’intende ch’ egli riceva, e riceve di fatto un eventual benefizio dalla sua carcerazione, nel miglioramento morale del suo ca- rattere , e nell’ acquisto di abitudini al lavoro , dalle quali potrà ricavare ; al- lorchè sia liberato , onesti mezzi di sussistenza, Questi sono vantaggi grandi e reali, nè altri dovrebbe sperarne il reo dalla sua prigionia. — L’ uso di conce- dere ai prigionieri convinti una parte de’ loro guadagni nel tempo medesimo della loro detenzione , va soggetto a un altro inconveniente. Questo danaro vien generalmente speso in vitto , e così resta neutralizzata l’ efficacia d’ un nutri- mento rigorosamente limitato. Anche speso altrimenti procura l’ introduzione di articoli che non convengono alla carcere, e ne distruggono il buon ordine e la disciplina. Ma una questione affatto distinta da questa si è quella di porgere assistenza a quei prigionieri, i quali dopo aver mostrata buona condotta durante la loro detenzione , trovansi nel tornar liberi privi d’ ogni mezzo da dar principio a una onesta carriera. Si è questo il momento il più pericoloso, e da cui dipende - la sorte di tutta la sua vita futura . Allora soltanto può cominciare a vedersi l’ effetto della disciplina delle carceri; allora può riconoscersi se tanti tentativi di riforma sono stati inutili, o se hanno esercitata la desiderata influenza sul- I’ animo del prigioniero. Ma un impulso ancora resta a darvi; mentre egli già si decide per la via dell’ innocenza, non gli si lasci un momento sentire il peso del bisogno, che potrebbe far sì che si riaffacciasse al suo spirito l’idea d’ un nuovo delitto. Gli si presti il necessario soccorso 3 sarà questo il migliore im- piego a cui potrà riservarsi il prodotto di que’ guadagni che gli saranno stati providamente ritenuti durante la sua prigionia. ( Vedasi il 4.° Rapporto della Società delle carceri per l’ anno 1822 ; e l’ operetta sui Regolamenti delle pri- gioni inglesi secondo l’ ultimo atto del parlamento a questo riguardo). (4) È stato tolto ai carcerati di Losanna il permesso di coltivare per sè o per la casa un pezzo di terreno. Questa occupazione nuoceva alla regolarità degli altri lavori, e all’ unità d° ispezione; ed era una causa giornaliera di disordini. (5) Se questo aneddoto mostra che la carcere ottiene uno de’suoi fini, quello 65 di spiacere al prigioniero, il seguente mostra il conseguimento dell’ altro fine più importante e più difficile a conseguirsi, quello cioè di migliorarlo. Una donna di servizio in Ginevra commise un furto domestico. Condannata ai lavori forzati -nella casa di correzione , essa fu poco a poco condotta al sentimento della sua colpa, e diè chiare prove di pentimento. La sua riforma morale indusse la Com- missione a voler abbreviarle la pena, ma la donna. insistè su ciò che vi si la- sciasse rimanere tutto il tempo della condanna. Essa metteva da parte quanto le veniva rilasciato del suo guadagno , coll’ intenzione di avere assai da resti- tuire 1’ equivalente di quel che aveva rubato. Dato effetto al suo proponimento, tornò in altra casa a servire, e si è dipoi sempre meritata la stima di quella società , che l’ aveva infamemente rigettata dal suo seno. (6) Tutto questo periodo parte da falsa premessa per quel che riguarda Lo- sanna , come l’ ho mostrato nella nota 3; ma il ragionamento generale è con- forme. a quanto ho aggiunto in quella medesima nota. (7) Del Tread-mill 0 molino di disciplina. — Questo genere di punizione introdotto nelle carceri inglesi ha cagionato tante discussioni, che non sarà fuor di proposito il dirne quì qualche parola ; tanto più che la storia che ne fa l’au- tore è alquanto ipotetica, e le considerazioni da lui istituite non sono tutte ugualmente giuste. Questo molino , o per dir meglio questa ruota non è cosa nuova in Italia, nè credo in alcun altro paese. I nostri condannati alle galere camminano in ruote applicate a que’ pontoni destinati a pulire il fondo del mare o de’ canali , a sollevar gravi pesi , a sostener navi ec. Questa ruota non è altro in meccanica che un sistema di leve applicate al cilindro d’ un argano, e gli uomini vi costituiscono la forza motrice. La differenza fralle ruote de’no- stri pontoni e quelle de’ molini di disciplina, non consiste in altro se non che nelle prime gli uomini camminano internamente , e nelle seconde esternamente, e che per conseguenza la forza applicata nelle prime a uno de?’ quadranti infe- riori, trovasi nelle seconde applicata a uno de’ quadranti superiori. La pena consiste nel far muovere col peso del proprio corpo questa ruota per lo spazio di 7 fino a 10 ore al giorno, alternando la quiete al riposo. Le obiezioni che fa l’ autore a questo genere di castigo sono tutte morali; quelle che sono state fatte e si vanno tuttora facendo in Inghilterra sono appoggiate a considerazioni fisiche. Ghi vuol vederle addotte e combattute .in disteso consulti le tre opere seguenti: 1.° Rules for the government of gaols, houses of correction , and peniten- tiaries ec. London 1823. Regole per il governo delle prigioni, case di correzio- ne , e carceri penitenziarie ec. da p. 93 a 101. 2.° Description of the Tread-mill for the employment of prisoners ec. Lon- don 1823. Descrizione del molino a passo per l’ impiego de’ prigionieri ec. spe- cialmente a p. 26-32, oltre l’ appendice. 3.° I vari rapporti della Società per il miglioramento delle prigioni, e par- ticolarmente 1’ appendice al 5.° Rapporto, ed il 7.° per l’anno 1827 a p. 62-65. Sarebbe vano per noi e fuor di luogo il voler entrare in questa discussione, che è stata in compendio toccata nell’ opera di un Italiano, che ha fatto alia patria sua un prezioso dono pubblicando le notizie da lui raccolte e le osserva- zioni proprie su varie Società e instituzioni di beneficenza in Londra (Luga- no 1828 p. 233-236). Solamente dirò che i rapporti annualmente trasmessi al parlamento sullo stato delle prigioni inglesi concorrono a stabilire il tatto della utilità di quella pena; che in varii luoghi della Germania, e nominatamente T. XXXV. Luglio. 9 66 nella Prussia e nella Baviera, è stata con ugual successo introdotta ; e final- mente aggiungerò essere inesatto ciò che dice l’ autore , intorno all’essere que- sto lavoro succeduto alle manifatture che dapprima eransi introdotte nelle pri- gioni. Queste vi continuano ancora, e in molte servono a stabilire una classi- ficazione di pena. A me sembra, che riconosciuto che sia, come lo è in modo indubitato , non potere questo genere di pena nuocere per sè stesso e usato come si conviene , alla salute del condannato , que?’ difetti appunto che gli si rimpro- verano possano valere per ulteriori motivi onde ammetterlo. Io torno alla di- stinzione fra lavoro forzato e lavoro volontario , fra quello che il condannato deve eseguire , e quello che l’ uomo libero o non ancor condannato può eser= citare. Questa distinzione potrebbe suggerire un nuovo miglioramento nel siste- ma disciplinario , che non ho ancor trovato avvertito in quelle opere che ho citate ; cioè a dire, che potrebbero ottenersi vantaggiosi risultati dal dividere il tempo del prigioniero in due parti, una consacrata al lavoro forzato , e da forzato , 1° altra al lavoro che quantunque forzato per lui, è pur tuttavia da uomo libero. Ne risulterebbero a parer mio due vantaggi essenziali : l’ uno che l’ uomo libero non vedrebbe avvilita la propria opera ; 1’ altro che il carcerato sentirebbe la differenza de’ due lavori, e riguarderebbe come un premio il po- ter consacrar qualche ora al più dignitoso. Considerato come premio ne potrebbe derivare una proporzionata divisione nelle ore concesse a questo lavoro, non solo come classificazione fra i prigionieri , il che si fa come dissi in molte car- ceri dell’ Inghilterra , ma ancora come un eccitamento alla riforma di ciascuno in particolare ; facendo che secondo ch’ egli bene o male si conducesse , si di- minuisse in ragione inversa o si accrescesse il numero delle ore di lavoro forzato. (8) Istruzione degli adulti. = Anche in Firenze abbiamo esempi partico- lari di adulti che frequentarono e frequentano con profitto le scuole di mutuo insegnamento , ed ho pur veduti adulti nelle scuole comunali di altre città della Toscana. Ma l’ istruzione degli adulti non si appoggia ormai più ad esempi par- ticolari. La Germania, l’ Inghilterra, la Francia, la Svizzera hanno scuole separate per quelli che desiderano supplire a quanto non fu provveduto per essi nella loro infanzia. Alcune sono destinate a continuare l’ educazione ricevuta in amni più teneri, e per lo più si tengono di domenica per non interrompere i lavori della settimana. Non parlo poi delle scuole meccaniche da cui 1 In- ghilterra ritrae tanto vantaggio , e che poi trasportate in Francia da Carlo Du- ‘pin, vi hanno mosso tanto grido, che quasi si son da poi riguardate come un ritrovamento di lui. Per mostrar poi che uso la voce adulto in tutta 1° esten- sione del termine , dirò che in una scuola della città di Bath, vi erano cinque donne , i di cui anni sommati insieme montavano a 283. ; (9) Lo stesso vale per Losanna. Tuttavia le seguenti parole del prof. Gha- vannes , danno giusto motivo di sperare che i casi dì recidiva non saran molti. «Il ragguaglio morale ( intorno alla condotta de’ prigionieri ) sì continua »» per quei che restano nel Cantone , anche dopo la loro liberazione. A que- 33 st effetto, la Commissione si dirige ai curati delle parrocchie dove abitano, ss @ dimanda loro notizie confidenziali sulla loro condotta e sui lor mezzi di ss sussistenza. È stato deciso che questa corrispondenza si continuerà per cin- 53 que anni : e in questi primi quattro anni, si sono ricevute generalmente le ss più sodisfacenti risposte. Tornando alle loro case, ben vestiti e possessori di s, mna piccola somma che serve ai loro primi bisogni, e al provvedimento de’ma- + teriali da continuare il mestiero che hanno appreso , questi uomini, che in 607 ,» altre circostanze ne sarebbero stati respinti, vi sono accolti con henevolenza. ( p. 23-24). (10) Questa osservazione. è tito la necessità di venir autorizzata come in Ginevra a introdurre una mag- giustissima. La Commissione di Losanna ha sen- gior diminuzione nel tempo della pena ; e. al dire del prof. Ghavannes (p- 21) ne era stata fatta istanza presso il Governo. Non dubito che la decisione di questo sarà stata conforme al voto della Commissione. (11) Il repertorio della condotta de’ prigionieri, è non solo tenuto anche in Losanna, ma come è manifesto dalla nota g si continua anche dopo la loro liberazione. Ciò serva a supplire al silenzio dell’ autore a. questo riguardo , e a distruggere 1’ asserzione nell’ ultimo rapporto della Società di Londra (p. 293) che questo repertorio non si trovi in Losanna. Saggio di filosofia teoretica. di Grusepre GRONES, prof. di matematica pura nell’ I. R. Liceo di di Tip. Al- visopoli 1828. Particolar lode dobbiamo a questo libro, non tanto per- chè nuovo ci paia o irreprensibile il metodo dall’A. adoi- tato , o tutti insolubili i suoi argomenti, o le investigazioni progressive della scienza condotte insino a quel punto estre- mo, da cui solo si parton sicure le mosse, in cui solo risiede } intera ragion de’ sistemi. Ma i ravvicinamenti che vien facendo il veneto Prof. delle verità metafisiche coi fatti delle scienze naturali, di necessità conducono a riguarda. re in un aspetto alquanto nuovo de’ vieti argomenti , e a fecondare certe idee di cui tutta non s'è forse ancora misurata l’ ampiezza. Egli stesso nella prefazione , confer- ma il metodo che presceglie, con 1’ autorità di un detto sublime di Leibnitz : ‘* che tutto si fa meccanicamente in- sieme e metafisicamente nei fenomeni della natura ,,: con l'esempio de’ naturalisti più celebri, che tutti quasi alla scienza del mondo esteriore congiunsero lo studio od al- meno una certa divinazione di quelle verità universali che reggono gli enti, e che nelle cose visibili si manifestano quasi a modo di simboli; con l'esempio de’ più celebri metafisici che sentirono il bisogno di portare anche sul mondo di fuori parte delle loro indagini e meditazioni ; per ultimo, con una ragione evidente , ed è questa: che tutte 68 le umane idee sono? cognizioni di rapporti, “ onde au- », mentando il numero de’ rapporti, può avvenire che vi s, traluca qualche verità inattesa, cni appresso confermi »» 0d il ragionamento più severo ovver lo studio maggiore », della natura ,, (p. 15). Egli è dunque giusto in parte il rimprovero che certi sensualisti fanno allo spiritualismo; di non troppo curare i fatti dell’uomo e dell’universo sensibile, da cui l’uomo e l’universo interiore in molte parti dipendo- no, su cui debbono ad ogni istante esercitare la loro attività, e che con questi insieme, formano un tutto da non potersi con assoluta e perpetua astrazione dividere. E tanto più ci giova raccomandare alla metafisica l’ osservazione dei tatti fisiolozici e cosmologici, che invece di riceverne con- futazione, i principii di lei non potranno dedurne che luce ed ampiezza. Più si conosceranno le leggi degli enti, e più vi si sentirà l’armonia d’una sapienza rettrice ; più si mol- tiplicheranvo le indagini sugli effetti, più si semplificherà la scienza delle cause immediate, e più si sentirà il. va- cuo immenso che resta se a queste cause materiali non si suppone un impulso, se non si considerano come semplici effetti, semplici mezzi predisposti ad un fine trascendente la materia e lo spazio, Nulla insomma dallo studio delle scienze obbiettive ha a temere la scienza sovrana del vero primo : e chiunque con Broussais si confidasse di trovar nel cervello il pensiero , sarebbe simile affatto a quel Re- tore, che nell’ analisi delle sillabe che compongono un verso pretendesse scoprire la fonte del genio poetico. Que- sta similitudine, che del resto fa bene al caso, non è l’uni- ca via di mostrare quanto il sistema del sensualismo ab- bia in sè del piosaico e del pedantesco. In tre capi è diviso il saggio : dell’uomo, del. mon- do, di Dio. Comincia l’Autore dal porre che “ ciò che ,», non è assolutamente paragonabile, è affatto incom- 3 prensibile ; e ciò solo ch’è suscettivo di confronto, ciò »; solo.che può soggiacere alla nostra riflessione sotto aspetti ,, differenti , ovver che noi possiamo relativamente consi- ss derare, può sempre servirci di mezzo alle nostre cogni- ., zioni ,, (p. 25). Per conoscere adunque la sostanza ani- 69 matrice dell’uomo, conviene istituire de’confronti : e per- chè non si può confrontare l’ ignoto , ed ignota è l’ essen- za delle sostanze , perciò s’istituisca il confronto sulle qua- lità dello spirito, su quelle che non si posson negare sen- za contraddire al nostr’ intimo senso. E quì l’argomento ‘cardinale, anzi unico, da noi altro- ve trattato, dell’ attività dell'anima umana, il n. A. lo rin- novella e fa suo col contrapporvi la forza fisica dell’ iner- zia, e dimostrare che nella materia non è attività vera 5 cioè “ che la materia non possede forze proprie per la pro- ss duzione de’ fenomeni che si ripetevano da sostanze stra- 3 mere ,, (p. 26). Il ch. sig. Ambrogio Fusinieri affermò che, l’esperienza insegnandoci, molti validissimi agenti della natura non essere sostanze, ma sì proprietà della materia , ne segue dover la materia avere un'attività pro- pria sua; che sicecrme la scoperta del celebre Oersted ha tolti i due magnetici, così forse spariranno i due elettrici, e che l’ uno e l’altro si scoprirà essere effetto del calore; che consultando meglio la natura, si verrà a togliere la distinzione tra calorico e luce; che quindi alla materia ponderabile saranno un giorno attribuiti que’ grandi effetti che si recavano alle sostanze imponderabili., come il ca- lorico, la luce, 1’ elettrico , il magnetico; e si riconoscerà per tal modo ‘nella materia ponderabile. un’attività che certamente si oppone all’inerzia. A che il n. A. risponde, che l’ imponderabilità non è che un’effetto della mancan- za de’ mezzi atti a conoscere un peso minimo ; che quan- d’ anche gli effetti delle così dette sostanze imponderabili fossero effetti di semplici qualità anzichè di sostanze, co- sa disputabile ancora, da ciò non verrebbe che la mate. ria sia attiva, cioè ch’abbia in sè stessa il principio d’azione. E questo principio non le si può certo concedere. ‘Noi ,; vediamo obbedir la materia ad alcune leggi; in guisa che 3; le sue azioni non variano mai se non col variare le leggi 3 medesime, ovvero col far sì che vi concorrano leggi più ;, o meno vigorose in unione alle prime ,, (p. 30.). Non istà nella materia il violar questi leggi: ora, azione vera non havvi senza volontà ; e nessun sensualista ha mai detto 70 che la materia voglia; cosa ch'era pur necessario dire, per rettamente conchiuilere che l’uomo è materia, giacchè l’uomo vuole, Il n. A. pertanto non disputa se sieno 0 no tutti effetti dell'attrazione i fenomeni che le si attri- buiscono, nè fenomeni unicamente dipendenti dall’ elet- trico.0 dal magnetico tutti quelli che a tali agenti rechia. mo : ma tiene che siffatta questione nulla decide contro all’ inerzia naturale de’ corpi; la quale se si toghe alla materia, invece di rendere gli spiriti corpi , i corpi stessi si renderebbero spiriti. L'altro vecchio argomento della contrarietà manifesta dell’ente composto con la semplicità del peusiero, il n. A. lo ringiovenisce e se l' appropria, applicandugli la legge fisica della impenetrabilità; e dimostra che “ la contemb »» poraneità di sensazioni e percezioni simnltanee , ripur »s gna all’ esser composto, cui è qualità essenziale l’essere sì impenetrabile ,, (p. 38). Il sensualista oppone che la ra- pidità del. pensiero ci fa parer simultaneo quel ch'è suc- cessivo: a che l’A. risponde, che nella formazione de’giu- dizii, questa simultaneità è mecessaria. Ma il. sensualista potrebbe opporre che il giudizio non consiste già in .tre idee simultanee, ma. nell’effetto, cioè nell’ impulso di due fibre sopra una terza; come la reminiscenza e la coscienza della propria personalità, dall’A. n. opposte, sono, secon do il seusualista, la prima un’ impulso ripetuto sulla me- desima fibra , la seconda il movimento d’una fibra parti- colare il qual pare un’ idea simultanea } ma uon è : giac- chè la coscienza della personalità non s’ ha veramente se non allorchè ci si pensa. Questa obbiezione, alla quale nes- suno finora, ch’io sappia, ha risposto; svanisce quando si consideri l’anima nell’atto del: volere: allora in essa è cer- tamente simultaneità di concetto, perchè le stainnanzi e il sentimento: del volere , © l’idea della cosa voluta. Ed ecco perchè l’ umco argomento insolubile in questa mate- ria a noi paia l’attività dello spirito;; perchè con questo solo ogni obbiezione si dissipa, e direttamente s’ottiene lo scopo ultimo di tutra la scienza; e la scienza stessa sì fa (co: me base alla cosmologia e alla morale. Al quale argomen- Vi to riviene anch'egli 1’ autore , allorchè nota‘ che pen» ,, sare, e molto più confrontare, giudicare, volere, è una ;; vera azione, siccome risulta ilal nustro intimo senso; talchè ,; noi saremmo astretti simultaneamente ad ammettere ed ;, attivi e passivi i corpi organici : lo che è una aperta ,; contraddizione ,, (p. 4a). Nè vale opporre che anche l’anima neì sentire è passiva; giacchè se nel riflettere al sentimento e molto più nel volere ell’ è attiva , differisce essenzialmente dal corpo, che nello stesso volere dovreb- b’ essere insieme attivo e passivo. E così, la questione dal Boscovich e dal Leibnizio e da altri posta sulla se mplici- tà degli elementi de’ corpi, diventa estranea affatto al uo- stro argomento; perchè, o semplici sien essi o composti, a noi basta che non sieno operanti da sè. Quì l'A. ripiglia 1’ argomento, in una nota preceden- te trattato, dell’inerzia, per istabilire che il moto non può trarre l’ origine da una sostanza di sua natura inerte, ‘‘ che s: la materia non agisce quando pel di lei moto si pale- ,, sano varie mutazioni ne’corpi, ch’ è quanto a dire nè il ,, corpo urtante nè il'corpo u:tato realmente agiscono nella ;; comunicazione del moto, ma entrambi sono pazienti ; e ;;s nè l’ uuo nè l’altro ha in sè stesso il principio del 33 moto ,, (p. 52... Se il mio corpo pertanto è mosso da me a mio piacere, senza ch' io da altro corpo sia mosso, ell’è immateriale la causa che i. miei movimenti produce, Né il caso de’ moti involontarii altro fa che confermare la regola, giacchè questa distinzione non si farebbe ; se un movimento volontario nella natura non fosse. Da un’altra legge de’ corpi trae il n. A. un altro e non men forte argomento. ‘ I° Tutti i fisici stabiliscono » che la mutazione dello stato in un corpo non può non ;; essere proporzionata alla furza motrice , e non può non so farsi nella direzione della forza medesima. IIS Che l’azio- ss ne è sempre eguale e contraria alla reazione (p. 54): è» Se fosse materiale dunque la sostanza operante in noi, ne ver- rebbe che mosso il nustro corpo in una direzione, non po- trebbe senz alterazione del sistema rivolgersi ad. un movi- mento contrario: al che contraddicono i fatti.... * Per tale r2 ,» cagione stabilisce il sommo Bacone , essere lo. spirito e ;s non il corpo umano la fonte del moto (p. 56). ,, — Oppone il Darwin nella sua Zoonomia ‘ che due cose non ;s possono influire l’una sopra l’altra se non hanno qual- ,, che comune proprietà, da che vorrebbe dedurre la ma- » terialità dello spirito ; e non si rammenta d°’ aver con- ,», ceduto immateriale la Divinità che pure opera sulla » materia (p. 64) ,,. Al qual proposito prende da più alto ancora le cose l'A. nostro , e ragiona così : ‘* che la materia , inerte per sè, »» possa trarre dalla stessa sua natura la facoltà di pensare, 3» è stabilire un filosofico assurdo. Forse la trarrò da una »» esterna cagione? Ebbene : o si suppone che questa ca- s» gione sia materiale , e si cade nell’assurdo che la ma- s» teria possa dare ad altrui ciò che ella non ha nè può », avere : 0 la si suppone spirituale, ed allora si ammette s» che un attributo d’una sostanza spirituale sia simulta- ,, neamente modificazione d’una sostanza materiale (p. 59). ,, A Darwin poi risponde: ‘non sa comprendere que- ,» sto filosofo in qual guisa un ente spirituale possa im- s, primere il moto in un ente materiale : ma sa egli forse ,, meglio comprendere come un ente materiale ad uno ,, egualmente materiale lo imprima ? No certamente : dun- sì que dovrebbe negare il moto, ed iscriversi tra i seguaci ss dell’antico sofista ,, (p. 67). Due principii stabilisce quì il n. A., semplicissimi e ‘di tutta importanza, I. ‘‘* Che il porre che la sola via ;, per giungere a discoprire se una data qualità convenga o non convenga ad una qualche sostanza , sia il cono- 9) » scere a fondo l’essenza e la natura della sostanza me- ,, desima, è ammettere un principio che distrugge i fonda- ,, menti della certezza e ci fa strada al più insensato »» Pirronismo ,, (p. 66). Si potrebbe aggiungere che, secondo il ragionamento de’ sensualisti, prima che l’ esistenza degli spiriti, verrebbe ad essere distrutta l’ esistenza de’ corpi; giacchè noi conusciamo per esperienza che sia la facoltà di volere, ma non sapremmo immaginare come un corpo inerte operi sull’ altro corpo inerte, od uno spirito sopra P P 73 un corpo. ST.° Che “ dall’ associamento degli immediati »» rapporti delle cose, che si percepiscono mediante av- j, vertite , uniformi, e rinnovate Impressioni, emergono ,; necessariamente altii rapporti, i quali perciò non sem- ,s brano riferirsi alle sostanze medesime, perchè allonta- ;, nandosi dalle prime nozioni della mente che le perce- ,; pisce , la mente stessa dura talvolta fatica a giudicare ,; che convengano a quelle sostanze dalle quali pure de- ,; rivano: ma per negare così l’ esistenza de’ primitivi rap- ;, porti , come di quelli che chiameremo derivativi, ossia” ,, per negare e l’ esistenza de’ rapporti che si percepiscono ,; mediante la testimonianza infallibile de’ sensi, e la ve- ,; rità delle conchiusioni che si traggono da’ rapporti me: ;, desimi accuratameute considerati nel loro associamento, , converra negare la verità del principio di contraddizio- » ne ;; (p. 68). Da che segue, che siccome nelle fisiche scienze tutti i corollarii pratici che si traggono diretta- mente da’primi principii, non sono men veri de” principii stessi; così nella scienza dello spirito, tutte le conse- guenze che necessariamente derivano dal principio del- l’attività dello spirito, si debbon tutte da una mente retta adottare fino all’ultime applicazioni che far se ne possono alla. morale ed alla religione, e non fermarsi a mezzo, come taluni fanno , dicendo che il rimanente delle indazioni non è che fantasima e pregiudizio. Dopo esposta in una nota l’opiniov sua sul principio della vita animale, ch’ egli, contro il detto d’ alcuni dotti uomini, crede, e forse non immeritamente, essere un’azione chimica e meccanica (p. 73); l'A. dimostra che se i pensieri fossero modificazioni della materia , ogni raziocinio sarebbe un’ alterazione dell’ individuo, e mancherebbe 1’ ilentità della coscienza , argomento anch'esso rinnovato dalla con- fermazione che gli prestano le idee della fisica. Nè giove- rebbe 1’ opporre che la fibra particolare della coscienza nel comune movimento delle fibre de’ pensieri riman sempre immobile; giacchè quì pire, come sempre , converrebbe supporre una materia svincolata dalle leggi comuni a’corpi T. XXXV. Luglio. 10 74 tutti, una materia con tutte le qualità dello spirito : e allora la questione ricade ad un gioco misero di parole, Dette alcune cose dell'immortalità, e comprovatala con quel principio di Leibnitz, dalla moderna chimica con- fermato più che mai, che neppure degli enti corporei nes- sano perisce; sciolta l’ obbiezione che gli scettici fanno, come l’anima possa senza il corpo sentire , sciolta, di- co, col distinguere il sentire passivo dall’ attivo pensa- re che può non abbisognar punto degli organi del senso: toccato di poi del commercio dell’ anima col corpo , in modo che lascia , a dir vero, non poco a desiderare ; viene l’A. al sistema del sig. Tracy; e comincia dal rispondere ad una proposizione d’un suo traduttore, che dei primi lampi della buona filosofia dà merito ad Hobbes non men che a Bacone (p. 107); confuta quell’ equivoco principio, che provare è sentire, e nuil’ altro che sentire; e venendo all’ ultimo termine del sistema di quell’ ideologo : ‘ Ove, ,; domanda col Villiers, ha veduto il sig. di Tracy, il ;, punto matematico , l’iperhole coll’assintoto prolungantisi ,, all'infinito , la causa e l’ effetto, un dovere ec. ? In qual ;, maniera, mediante il soccorso de’ sensi, potrebb'’ei ra- sì gionare sui varii ordini dell’infinito, sullo zero, e so- s, pra cento altri oggetti di tal genere, dalla contempla- ;, zione de’ quali emergono innumerevoli verità ? Forse in ,» sì fatte disquisizioni viene il matematico così assistito ,, 0 da operazioni grafiche , o da artifizii meccanici , o da ,, calcolo compiuto , ch'ei possa con tali mezzi, se pur ,; taluno volesse chiamarli sensibili, derivare le verità che ,, va mano a mano sponendo? Quegli solo può ciò asserire ,s che non conosce la scienza ; ben sapendo il matematico ,; che o non si danno tai mezzi, e quand’anche si des- ss sero , sarebbero inutili, ove gli mancasse la forza com- ,, prensiva per cui si solleva dal sensibile , e che è la sola ,» che sia atta a fargli quasi di slancio annodare gli estremi ,, anelli di sì astratta catena? ,, (p. 116). Ma l’e:roneità del confutato sistema apparisce intera quando si viene alla volontà , che il sig. De Tracy ripo» ne (p. 122) uel sentir desiderii. A che il Soave risponde: 79 « La volontà non è la facoltà di. sentire dei desiderii; è ,s la facoltà di secondarli e di sopprimerli.... è la fa- ,, coltà che ha 1’ anima di determinarsi ad abbracciar una ,y cosa o rigettarla, a sceglierne una piuttosto che un’altra. ,» Perlochè , soggiunge l' A., affermare che volere sia sen- tire desiderii, è confondere la tendenza colla determi- » nazione di assecondarla, è ridurre passiva un'azione ;s propriamente detta, è ignorare che l’ anima rende effi- ;, cace il motivo il quale non ha sopra di lei che un’in- ;s fluenza morale. . . .. La volontà, riflette saggiamen- ;s te Cousin, non è la sensazione , perchè spesso la com- »» batte , ed in questa opposizione appunto ella eminen- ,, temente si. manifesta ,,. Sentir relazioni, dice il sig. De Tracy, è giudicare. — Ma come, dimanda lA. come si può stabilire che le relazioni si sentano? « La relazione null'altro è, fuorchè ;, ciò ch'è un oggetto rispetto ad un’ altro, o più pro- ,, priamente il nesso di due cose fra loro: ,, (p. 127) e il nesso di due cose non è il soggetto nè di una sensa- zione unica, perchè le non ‘sarebbero due ; nè di due, perchè non sarebbe più nesso. — Altra cosa è che per ;», giudicare sia necessario conoscere delle relazioni , ed », altra cosa è che il sentir semplicemente relazioni sia giu- ,3 dicare. ,, Giudicare insomma è un’azione, non un sen- timento ; e cel prova la parte ch'ha ne’buoni o ne’ falsi giudizii la volontà. Onde fu chi disse che il miglior giu- dice degli uomini grandi è il sentimento, intendendo, che nel giudicare lealmente anch? de' grandi matematici , entri un po’ di morale. Quanto alla facoltà d’ operare, il signor De Tracy non ne fa mai parola: e basta quest’ omissione a giudica» re il sistema: ma viene a conchiudere che “ gli atti della », nostra volontà sono forzati e necessarii. ,, Questa pro- posizione conduce il nostro A. a trattare della libertà; dove incide la questione, distingnendo motivo da principio di agire, cioè spontaneità da libertà. ‘ Quella ha luogo in », tutti gli esseri semplicemente animati , questa in que'soli », che sono di ragione forniti ,, (p. 153). E reca il bel 26 passo di Cicerone : “ Sentit anima se moverì : quod dum i, sentît, illud ‘una sentit, se vi sua, non aliena, moveri. ,, — Poi tocca della quistione se vi abbia oggetti allo spi- rito indifferenti, e conchiude che no. Poi parla dell’istinto, in modo che molti ne possono rimanere appagati (e questo diciamo perchè non crediam quì necessario, nè dissimu- lare nè spiegare a tal proposito le nostre idee). Il ra- gionamento dell’ istinto lo conduce a parlare dell’ abitu-. dine , ch’ egli saviamente deduce dall’ associazione delle idee : con che si fa strada a ragionare de’ sogni. Giova in- dicare il filo del suo discorso : ‘‘ Se la serie. delle idee » associate si sviluppano interamente fin dalla sua origine, s» il giudizio formato dall’anima si accorderà colla realità »s del principio che lo ha prodotto. Ma se si risveglierà ss la serie perciò solo che si desti casualmente. 1’ una o l’altra idea delle associate, avverrà assai di frequente, ‘ per non dir sempre, che l’anima giudichi falsamente »» derivare gli effetti che attualmente prova dalie cagioni 3» medesime per le quali si è ella abituata a provarne de’ simili... In conseguenza di tali principii può avvenire che si destino vivissimamente nell’uomo le idee ss di quegli oggetti che attualmente non gli feriscano i » sensi, tanto nella veglia quanto nel sonno .... . Non ,, si è detto, che si deggia eccitare nell’ anima tutta. la serie associata delle idee, attesochè , pe: quella ragione medesima che s’è risvegliata una serie, può per qual. siasi accidente risvegliarsene. un’altra, . ... Si è detto sibbene , che tali fenomeni avvengono tanto nel sonno quanto nella veglia. E difatti non usserviamo, noi le tante volte con maraviglia taluno dialogar solo in istrada come se fosse con altri associato, senza badare a chi ne lo saluta cortesemente , 0 senza sofferire pel tempo burrascoso, dalla cui molesta azione tutti gli altri si af- frettano di gnarentirsi? Non osserviamo talvolta cou maggiore istupore l’ uomo di bel talento e di molta im- maginativa adorno passare rapidissimamente da un di- 33 ” ,» SCOrso ottimamente sostenuto ad un altro non avente »» col primo verun rapporto? .. . Ciò dunque che succede 77 », nell'uomo vegliante ,.può più facilmente avveni:e nel - x luomo dormiente: e quindi, per mezzo dell’associazione :» abituale delle idee si può rendere ragione della esistenza s» de’ sogni ,, (p. 150-56), — Ma l’anima, opporrà il sen- sualista, in queste associazioni è passiva. — Appunto, risponde l’A., perchè l’anima in alcune cose è passiva, e sel sente, appunto perciò è dimostrato che quand’ ella sente d’essere attiva, tale è davvero. La distiuzione di questi due stati, è una conferma della verità d’ambedue. “ Dell’ ipotesi medesima, segue egli, potremmo gio- s, varci per ispiegare in qualche maniera il sonnamboli- :, smo ed il sonniloquio, il delirio e la pazzia , stabilendo »; che il delirio sia una specie di sonnambolismo o di son- s, niloquio , e la pazzia un continuato delirio ... Tant'è »; verosimile, derivare un tale fenomeno dall’associamento 33 delle idee sulle quali trasporta l’ animo abitualmente ss la sua attenzione , che se venga interiotta la serie delle 3, sue idee o per destarsene una che dia luogo ad un no- ss vello associamento, o per un ostacolo, casualmente ov- ss vero ad arte frapposto alle operazioni incominciate, ed », a vineere il quale non era ella abituata, cessano in ge- ss nerale i fenomeni del sonniloquio e del. sunuamboli- 3» SMO ,, (p. 161-2 ). Che se qualche eccezione si nota a questa regola, l’A. n. saggiamente osserva che meglio con- siderate e ben conosciutene le circostanze , tali eccezioni rientrerebbero a confermare la regola stes:a. E la faci- lità con cui l’ anima in quello stato cede ad ogni motivo che la rivolge ad un’ altra serie d’idee o d'atti, dimostra la differenza ch'è dallo stato in cui essa opera per abito e passivamente, a quello in cui ope:a con libero avvediì- mento . «« La differenza tra un sonniloquo ed un delirante s, sembra riposta nella vivezza ordinariamente maggiore ., con cui nel secondo si risvegliano le idee. Del resto , ss sì i sonniloqui che i deliranti , dice il P, Soave, veg- »;3 gono al medesimo modo le persone, e ne odon la voce; ,, ma credono di vedere ed udire tutt’altri da quelli che s, vedono ed odono realmente... L'attenzione loro, viva- 78 ,; mente occupata dalle idee risvegliate dall’immaginazio- ne, non dà campo d’osservare e distinguere le differenze de’ loro lineamenti ; vale a dire, per non essere siffat- ,; te sensazioni da essi avvertite, ne riesce nullo 1’ ef- »3 fetto. Non dissimilmente si spiega, essere la pazzia un », delirio più lungo, e divenuto abituale: perciocchè l’in- ;; tensa applicazione dell'anima ad una o più idee risve- ;» gliare dall’immaginativa, in forza della quale non può ,; ella rivolgere la sua attenzione agli oggetti presenti, e riconosce:l: per quelli che, sono, è ciò alla fine che sem. so bra costituire Ja pazzia. ,, ( p. 163-4). Se il n. A. non entra nella soluzione delle molte que- stioni o difficoltà che i quattro stati accennati presentano, se in questo ed in altri argomenti non tocca l’ultimo fon- do della discussione, sicchè ad un più rigido osservatore la- scia ancor luogo da internarsi e da investigare ; se tra le prove da lui addotte havvene alcune o non abbastanza valide ,, 0 hisognevoli di un più meditato svolgimento per portare il lor frutto e stare da sè , non è però da negare che molte cose con rettitudine dichiarate , molte con chia- rezza espresse, alcune anche osservate sotto un nuovo as- petto non si trovino nel suo libro. E noi di queste sola- mente tocchiamo. Nel secondo capitolo , del mondo, comincia l’A. dal porre che , ignote essendoci l’ essenze de’ corpi, non resta che considerarli “ in riguardo alla loro qualità, alla loro ,, maniera d°’ esistere, a’ rapporti loro scambievoli ,,: in- torno alle quali cose alcune cognizioni ci somministra il Naturalista colle sue indagini ed osservazioni, il Chimico colle sue composizioni e decompo-izioni , il Fisico co’ suoi ragionamenti e col calcolo. ‘ Sicchè a questa triplice fonte s3 dlovrà il Cosmologo attingere i principii delle sue astrat- ,, te meditazioni. ,, ( p. 168). ‘* In seguito osserviamo che se i corpi hanno de'rap- ,; porti tra loro dipendenti da alcune leggi invariabili , ,, hanno eziandio de’ rapporti colla nostra organizzazione, i quali per questo non sono determinati, perchè non sono , determinate abbastanza le leggi della sensibilità. E sa- Va 79 ,, rebbe di somma importanza , che queste fossero statuite, so semprechè si renderebbero mote, per esse, alcune verità fi - sì siologiche che ignoriamo ,, ( p. 169). Se iu tutto questo libro altro passo non fosse, degno di nota, che questo, ba- sterebbe , a mostro parere, quest’ uno a rendere commen- devole il libro intero. Queste parole contengono nulla me- no che il germe d’ una scienza nuova, della quale ci ca- drà forse altra volta di tenere discorso. Dopo alcune osservazioni generali sui corpi, nelle quali I’ A., a proposito della chimica, espone il suo desiderio ‘‘ che per amore di denotare con un solo vocabolo e il 3, numero degli elementi d’ una sostanza, e qualche non ,; rimarchevole loro combinazione, non si fosse soverchia- ,, mente ampliato il dizionario della chimica , e miuor 3» fretta si avesse nell’introdurvi voci novelle all’occasione »» di qualche scoperta ,, ( p. 177); desiderio che con la debita moderazione potrebbe estendersi anco ad altre scien. ze ; discende l’ A. a confutare la proposizione dell’illustre Berzelius, il quale ne’suoi elementi di chimica dice: ‘‘ tra », i corpi semplici v’ è una ceita classe di sostanze, le 3» quali mancano delle principali proprietà degli altri corpi, 3; che noi quindi con incertezza annoveriamo tra le sostan- »» ze propriamente materiali, e che perciò sono da molti 3» considerate semplicemente come proprietà di que’corpi, 3; ne’ quali si presentano esse in determinati casi. Il prin- » cipale carattere che le distingne dagli altri corpi, si è 3») Che esse sono senza peso, e che per sè stesse non oc- » cupano spazio alcuno percettibile. Questi sono i quattro »» seguenti : la luce , il calorico , l’ elettricità , ed il ma- ,» gnetismo. ,, Sebbene al metafisico non debba, siccome abbiamo accennato , importare se erronea sia o no la detta sentenza, pure, per amore del vero , giova torre l’ errore dovnnque egli siasi : e il n. A, persuaso che quì ci vada della spiritualità dell’ anima umana, entra in una discus- sione non men filosofica che evidente; e comincia dal dire: ‘< O il calorico, la luce, l’ elettricità, il magnetismo, suno 33 Corpi, o sono puramente qualità di corpi. Se sono qua- ;, lità, suppongono una sostanza in cui sono inerenti, e »» 33 [ito] perciò non si possono tra le sostanze seinplici anmnove- rare. Se poi sono corpi, (e tali sono, siccome ammette la più sana parte de?’ fisici e chimici, perchè realmente agiscono su’ nostri organi sensorii in modo da non po- tersene dubitare), pare cosa incontrastabile che deggiano avere le qualità comuni a tutti gli altri esseri materiali... Oltrechè, non è egli vero che que’ fisici e chimici me- desimi i quali ammettono imponderabili tali. sostanze, applicano ad esse le teorie dell’attrazion generale? . . Havvi forse ipotesi più valevole della Newtoniana a spiegare i fenomeni della diottrica ? Non trova forse con ottime ragioni il Fischer nell’ attrazione la spiegazione d’alcuni fenomeni della catottrica? E come poi il me- desimo fisico asserisce non potersi alla meccanica della luce applicare nessuna delle leggi del moto, relative agli altri corpi? Assai più filosoficamente la pensa in ciò il cel. suo commentatore Biot , il quale s° esprime così: se si consideri la luce come formata di molecole mate- riali dotate di un moto rettilineo rapidissimo, e suscet- tive d’ essere attratte da’ corpi , allora questi movimenti sono soggetti alle leggi della meccanica ordinaria : e fu in tal modo che Newton pervenne col calcolo a deter- minare le leggi della rifrazione . . . . . Asserire che mancano i dati per istabilire assoluta materia la luce, e che dev? essere il fisico unicamente soddisfo di consi- derarla ne’ suoi effetti, non è sciogliere l’obbiezione ; LI perciocchè qualsisia effetto suppone una causa; ed è ;; appunto questa causa che quì si ricerca se sia materiale o immateriale, La nostra ignoranza sulla natura della luce, allor sulamente potrebbe indurci a stabilirla non materiale, quando per la spiegazione de’ di lei effetti, si richiedesse costantemente un sistema di leggi affatto diverso da quello che regola gli altri . . . . Che se poi siffatte sostanze non appalesano un peso sensibile, sic- . come ciò provano in risguardo al calorico i replicati sperimenti di Scherer e di Guyton , contro l’ opinione di Richter, nè scorgiamo occnpar esse uno spazio, non sembra essere noi perciò autorizzati a stabilire l’assoluta 81 3 loro imponderabilità, o la penetrabilità loro assoluta. . .. 3» Forse il difetto d’ una vera induzione filosofica e di mezzi 3 ACCUNCI ad esperimentare accuratamente, non avevano », indotto i peripatetici a giudicare non pesanti alcune so- 5; stanze, che gravi or si ammettono perfin dalla plebe ? s, Prima del Torricelli, non si giudicava imponderabile 3» l’aria? Non si ammetteva ugualmente imponderabile il ,. fuoco, prima della scoperta della macchina pneumatica? » Anzi osiamo asserire che quand’anche avessero i rino- ,, mati chimici Fordice, De-Luc, Guyton, Chaussier, ;, coll’ esperienza provato , siccome opinavano , che 11 ca- »: lorico diminuisce il peso assoluto dei corpi, nulladimeno s» affermare non si potrebbe che sia imponderabile siffatto » agente : perciocchè non si potrebbe comprendere in qual s»; guisa un ente che non può per sè stesso anmentare il 3; peso d’un corpo, deggia col semplice suo congiungi- ;, mento diminuirlo ,, (p. 181-883). — Tanto insiste l’ A. su questo argomento, per tema che la proposizione d-l sig. Berzelius indebolisca tutte le prove tratte dalla natura de’ corpi a difesa della spiritualità dell'anima umana, E le indebolirebbe verameute tutte , tranne una: quella tratta dall’attività dello spirito, e dalla passività della materia, che, al nostro parere è l’ unico argomento sul quale tatti gli altri s’appoggiano, senza il quale vacillan tutti. L’A. s'era proposto di trattare: I. Se il mondo real- mente esista. II. Quale siane l’origine. II. Quali e di qual indole siano le sue leggi. IV. Se sia perfetto nel suo ge- nere, vale a dire relativamente allo scopo che si prefisse Dio nel crearlo (p. 180). Comincia dunque dalla questio- ne dell’ idealismo , e la tratta in modo da ribattere i più superficiali degl’ idealisti, ava non forse i più profondi ed arguti. — Poi passa alla questione della eternità della ma- teria, e quindi per necessità, della ammissione d’una pro- gressiva infinità di cause e d’effetti senza una prima ca- gione: e dice: ‘ A favore di questa ipotesi non vale l’au- »» torità di Locke che distingue infinito da infinità, opivione T. XXXV. Luglio. II 82 da Leibuitz valorosamente impuguata. E neppure val- » gono a sostenerla le teorie matematiche , conciossiachè , l'infinito propriamente detto, non è quello di cui s’in- ,; tende in esse parlare. Esso è l’indefinito : esso è un li- ;, mite : ed è già per questo che i matematici considerano ,; nell’ astrazione varii ordini d’ infinito: astrazione che ,, non potrebbe mai aver luogo nell’ infinitv considerato »» metafisicamente. Oltrechè, abbisognando ciascuna parte s, della supposta serie , d’ una causa determinante, anche » l’intera serie abbisogna della causa medesima (p. 206-7) ,»e L’ ipotesi degli atomi , se bene non meritevole di confu- tazione, l’A. n. la rigetta con le note ragioni: poi, da’mi- steri che involgono la natura de’ corpi all’uomo più noti, deduce quanto sia degna di compassione l’ arroganza di coloro che trovano non incomprensibili ma imaginati i mi- steri della natura morale: poi viene alle leggi reggitrici degli enti ; e, avend’ egli distinti gli enti tutti in corpo- rei e spirituali , distingue le leggi cosmologiche in fisiche, morali, e miste, come le leggi del!a sensibilità , che par- tecipano insieme del morale e del fisico. Questa distinzio- ne , riguardata in certi aspetti, presenta delle considera- zioni nuovissime, che noi avremmo desiderato veder dall’A., se non isvolte, almeno accennate. Ma 1’ angustia de’ limiti d’ un saggio , forse a lui parve che nol permettesse: onde, lasciate le leggi morali ad altra scienza (e si noti che se invece di leggi morali , egli le avesse chiamate spirftuali, avrebbe trovato che queste spettavano più direttamente alla metafisica ) lasciate , dico, ad altra scienza le leggi morali, viene alle corporee; e tratta dello spazio, in modo da far conoscere le difficoltà della questione piuttosto che pensare a risolverle. Dall’ ordine stabile dell’universo, deduce l’A. doversi ammettere le cause finali: giacchè “ non havvi organizza- », zione, non havvi meccanismo che non supponga un fine », in chi è l’autore dell’ uno o dell’ altro. Anzi non v? è ;, semplice composizione che non supponga la preesisten- »» za d’ un fine; perchè , siccome senza un fine , sarebbe ,» talora incompleta, talora disordinata, talora impossibile, 83 3, e sempre incostante un’organizzazione, mancando la ra: »» gion sufficiente nell’ applicazione p. es. delle leggi del ,;3 moto ; così non si darebbe quella costante varietà am- s» mirabile de’corpi, se senza una scelta, vale a dire senza » tuna predeterminazione di cause e d’effetti venissero uniti s; i primigenii elementi, che sono dotati di differenti gradi »» d’ affinità. ,, (p. 228). Vuolsi che Bacone abbia gran- demente giovato alla filosofia collo sbandirne la conside- razione delle cause finali; e Voltaire e tant’ altri glie ne danno vanto : ma Bacone, osserva l’ A. n., non volle se non se combattere la soverchia importanza da Aristotele © piuttosto dagli Aristotelici data alle cause finali, che li rendean creduli alle cause occulte, ed alieni dalle indagini e fisiche e matematiche ; onde il Galileo li deride a buon dritto. Del resto, che Bacone non intendesse combattere altro che l’eccesso, lo provano le sue stesse parole: se la con- siderazione , dic’egli, delle canse finali sia tenuta ne’ giusti confini, grandemente s' inganna chi la crede ripugnante allo studio delle cause fisiche. — ‘‘ Altra cosa è, soggiunge , il n. A., che il fine sia Ja meta delle contemplazioni »» del filosofo naturalista , ed aitra cosa che sia principio »» delle medesime : altra cosa è che per l’ indagine delle cause finali si trascuri quella delle cause efficienti ; ed », altra, che per mezzo della investigazione delle canse s, finali si giunga alla cognizione delle fisiche cagioni. La », prima maniera di contemplar la natura, è una mera, » spesso oziosa, talvolta falsa, e per lo più infeconda con- », siderazione naturale : la seconda è una vera interpreta- ,; zione della natura . Se l’ Harvey si fosse limitato alla », considerazione che debbono aver un fine tutte le val- » vule delle vene, forse ignoreremmo ancora la circolazione del sangue. Ma avendo sospicato che un tal fine spiegare non si potesse, se non mediante la circolazione del sane gue , e confermata avendo questa sua ipotesi colle teorie fisiche , e coll attenta osservazione de’ fenomeni che ac- »» compagnano un tale movimento, giunse a stabilire una ,3 Tilevantissima verità fisiologica . . .. Il ricercare perchè 84 », Una cosa esista, può facilmente gu'darci a conoscere ;> Che ella sia in sè stessa , in che sia ella da tutt’ altro », distinta, e quali siano i di lei rapporti + divinamus in- », terdum hac via, dice Leibnitz, quae per illam efficien- », tum non aeque aut non nisi hypotethice patent. Laonde ». tanto è lungi dal vero, che non deggiasi nel modo espu- ss sto far uso delle cause finali, che anzi è assai proba- ;» bile che moltissime scoperte , e forse le più rilevanti, |» si siano fatte mediante il retto uso de’fini. ,, (p. 234-36). E così segue il ch: A., in un bel passo che noi non pos- siam quì recare, a combattere un errore che tende a di- strngger la scienza da’ fondamenti, e a far credere l’ordine dell’ universo fortuito, e l’ umana ragione insensata. Quel che alla pag. 229 leggiamo intorno a'la univer- salità delle leggi matematiche ; alla pag. 250, intorno alla composizione e decomposizione de’ corpi limitata dall’ es- senza loro stessa ; al Num. LXXVI, intorno a’ fatti che trascendon le legsi della natura ; al Num. LXXVIII, LXXIX, LXXX, intorno al sistema dell’Ottimismo ; alla p. 270, intorno all’idea di Dio; alla p. 296 ; intorno alla divina unità; alla p. 307 e seg. , e quindi alla 334, e alla 336 intorno alla Provvidenza ; alla 31f infine, intorno alla degradazione dell’ uomo; ci parve più specialmente degno di menzione e di lode. Noi non ci siam fermati a discu- tere, lad:ilove il nostro parere era contrario alle idee del- l’A.: e già, anche a citare le cose che approviamo ci manca lo spazio. Ma questa lunga disamina noi la credevamo im- portante nello stato in cui trovansi gli studi e le opinioni filosofiche in )talia: che se i più la troveranno noiosa , noi non siamo più a tempo di chiederne loro scusa: eglino già si saran vendicati co! passare a più amena lettura. Ki rd DI 85 Atti dell’ I. e R. Accapemia petra Crusca. Firenze, volume primo dalla stamperia Piatti 1819 ; secondo e terzo all’ inse- gna di Dante 1829 in 4° L’ Accademia ; giusta il decreto che la ripristina e il primo articolo de’suoi statuti, è specialmente consecrata alla correzione e all’ampliazione del gran repertorio della lingua. Quindi la pri- ma cosa, che noi cerchiamo ne’suoi Atti, è ciò che si riferisce a questo doppio oggetto, che mai forse com'oggi non parve sì im- portante. Anche la vecchia Accademia vi ebbe quasi sempre il pen- siero. Le sue varie edizioni del Vocabolario (cominciato nel 1591, ‘cioè nov’ anni dopo la fondazione dell’ Accademia, e pubblicato la prima volta nel 1612, indi ripubblicato con progressivi miglio- ramenti nel 1623, nel 1691, e poi dal 1729 al 1734) ne sono pro- va sufficiente. La prima edizione, preparata con immensa fatica e accolta con generale fiducia, parve in certo modo contentar I Accademia, che ne diede quindi una seconda poco dissimile. Ma dopo questa, assai prima che uscissero in luce le annotazioni dell’Ottonelli attribuite lungo tempo al Tassoni, assai prima che il Magalotti scrivesse da Vienna le parole che il Monti riferisce in principio della prima parte del secondo volume della Propo- sta, l’Accademia cominciò ad accorgersi ch’era possibile il far molto meglio; nè le ristampe, che poi vide moltiplicarsi della sua ope- ra, la persuasero d’ aver fatto bene abbastanza. A que’ primi e certo non inetti compilatori del Vocabolario, il Deti, il De’ Bar- di, il De’Rossi, ec. ec. ( vedi per queste ed altre particolarità , che andrò accennando, i prolegomeni al primo volume degli Atti) già erano succeduti nel suo seno uomini di maggior intendimento e di più vasto sapere, il Dati, il Redi, il Rucellai, ec. Per quanto l’antico spirito del Salviati ancor dominasse l'Accademia, essi na- turalmente doveano proporre per una terza edizione del gran reper- torio norme più larghe e più ragionate di quelle che servirono per la prima. E ciò avvenne intatti, come apparisce, confrontando i quesiti lessicografici del De’ Bardi, e le risposte dell’Accademia nel 1597, cogli avvertimenti dell’Accademia medesima a’suoi lessico- grafi nel 1650 e 58, stesi forse dal Dati, nelle cui carte si son rinvenuti. Ma gli avvertimenti più belli, se additano i mezzi, . mon tolgono le difficoltà del ben esegnire. Tra per mancan- za di molti de’ testi a penna. veduti da’ primi compilatori , tra per deferenza soverchia al giudizio di questi, e tra per al- 86 tre cause, la nuova edizione riescì meno corretta che abbondante, nè ancora sì abbondante che bastasse al bisogno. Di ciò 1° Ac- cademia s’avvide ben presto, e all’entrare del 1696 (mentre Apo- stolo Zeno, assai pago, per quel che sembra, della muova edizione, la riduceva a compendio ) sospesi, come piacque al Salvini, i la- vori già cominciati per l’Etimologico Toscano, ordinò quell’ edi- zione che si annovera la quarta. Fra i primi deputati ad essa, oltre il Salvini già detto, il Bellini, il Doni ed altri uomini della loro sfera, fu pure quel Magalotti dalle severe parole che si di- ceva pocanzi. Fra i deputati eletti in seguito, oltre l’Averani, it Manni, il Biscioni , il Casotti, il Bottari, che consultava all’uo- po il Del Papa e il Micheli, oltre gli altri valenti, che son nomi- nati nel Diario d'Andrea Alamanni, era pure il Lami citato an- ch’esso dal Monti a rincalzar le parole del Magalotti. Quel che da loro si studiasse di fare già potrebbe presumersi, ove non fosse largamente narrato nel Diario già detto, e indicato abba- stanza nel proemio all’edizione che dobbiamo alle loro fatiche. A principio, mancando or di pratica or di coraggio, essi fecero meno ' bene, onde uscì un primo volume di cui l'Accademia non fu so- disfatta. In seguito, resi più esperti e più franchi , fecero assai meglio, di che l'Accademia potè railegrarsi nell’ avviso premesso al sesto volume. Dalla sua allegrezza peraltro non andò scompagnato il desi- derio d’opera più perfetta; e un accidente, l’inondazione del 40, che mandò a male molti esemplari dell’edizione novella, servì a renderlo ancor più vivo. Quindi un anno appresso (un secolo in | punto da che il Buommattei consigliò la terza edizione ) , men- | tre lo Zeno preparava una ristampa della quarta, che il Manni già avea compendiata, Rossantonio Martini, il qual fu uno dei de- putati all’edizion medesima, facendosi interprete del comun de- siderio, propose formalmente che s’ imprendesse la quinta con metodo, qual ei l’ additava, più pensato e sicuro che quello se- guìto per le antecedenti. Ma già il secolo, per usar una frase dell’attual segretario dell’ Accademia ( ne’ prolegomini citati più sopra ) cominciava ad inclinare ad altri studi che a quei della lingua. Vari degli accademici, a cui si aggiunsero e in Toscana e fuori altri non accademici, or riproducendo e postillando i no- stri classici, ora per altra via, fornirono privatamente molti ma- teriali, che poteano giovare all’opera proposta. Quindi la ristampa napoletana del Vocabolario procurata dal Tommasi con giunte del Casaregi, del Bergantini, ec. ; quindi la veneziana fatta dal Pitteri con nuove ginnte di Francesco Martini, precursore , a i g- dif vero, di chi poi diede la ristampa famosa delle 50,000 giunte e mostrò tanto gusto per gli arcaismi. L’ Accademia , poco sti- molata dal pubblico voto, non fece che dare una nuova edizione della Grammatica del Buommattei (nel 1760) con osservazioni , per altro, utilissime; indi parve assonnarsi come la Fiorentina ond’ era uscita due secoli innanzi. Riunita ad essa nell’ 84, o piuttosto divenuta con essa e con quella degli Apatisti sezione d’una nuova Accademia Fiorentina (l’altra sezione era consecrata agli studi economici e legislativi ) tornò a pensare alla quinta edizione del Vocabolario, per la quale fece stendere da Idelfonso Frediani un nuovo progetto più largo - dell’antecedente, e compilare da non so chi un nuovo elenco d’au- tori da citarsi, il quale, come provvisorio, dovea rimaner segreto, ma che divulgatosi fu poi stampato più volte dall’Alberti, dal Gam- ba e da altri. Verso il 94, chiedendosi da una società tipografica di Livorno di poter frattanto ristampare la quarta, ella parve accen- dersi vie più nel pensiero già detto, e riveduti alcuni lavori prelimi- nari (chè in otto o diec’'anni già non si stette contenta ad un pro- getto e un elenco) mandò fuori il manifesto dell’opera che apparec- chiava. Ma sopraggiunsero avvenimenti ben fatti per distrarre da ogni occupazione accademica, sebben servissero forse a rimettere in onore gli studi della lingua, come sembrano provare e il Dizionario Enciclopedico dell’ Alberti impresso dal 1797 al 1805, e la gran compilazione del Cesari e de’suoi collaboratori cominciata a stam- parsi nel 1806, e la gran collezione de’Classici Italiani intrapresa nel 1803. Nel 1808, stabilito ormai il nuovo ordine di cose che quegli avvenimenti avean fatto nascere, l'Accademia, già ridotta, come si disse, a semplice sezione, ripigliò l’antico nome della Crusca, qual classe d’una nuova Accademia Fiorentina (specie d’Istituto, d’onde si esiliarono gli studi economici e legislativi, ma ove alla Crusca si riunirono altre due classi, l’una per gli studi fisici e naturali che fu detta del Cimento, l’altra per l’arti belle che si chiamò del Disegno ) e ripigliando il nome pensò più che mai a ripigliare l’officio. Nel 1811 finalmente, qualunque fosse il pensiero di quel potente che si volse a favorirla (un minor potente avea creata la prima Fiorentina per far obliare gli ultimi studi della Platonica ) essa ridivenne accademia da sè , conservando il nome pocanzi ripigliato , e l’anno dopo cuminciò subito ad occuparsi dell’opera, che tu sempre sua cura, ed or le venne più partico- larmente affidata. Quindi elesse una deputazione, composta degli accademici Del Furia, Sarchiani , Lessi, Follini, Fiacchi e Pacchiani , per- 85 chè esaminasse i due progetti, che già si dissero, del Martini e del Frediani; ordinò al Lessi il doppio volgarizzamento della prefazione al Dizionario Inglese di Tohnson e del proemio al Castigliano del- l'Accademia di Madrid, a cui poi dal traduttore fu aggiunto quello della lettera di Swift al conte d’Oxford sul perfezionamento della lingua inglese; volle che i tre volgarizzamenti, non meno che i due progetti ancor inediti , fossero impressi, per fornir lumi a’ nuovi ‘ compilatori del Vocabolario ( così nell’ avviso premesso al terzo volgarizzamento ) intorno all’ universalità delle lingue , alta quale sembra che meno ponesser mente gli antecessori ; creò da ultimo una deputazione speciale , composta d’ una metà dell’altra, cioè degli accademici or defunti Sarchiani, Lessi e Fiacchi'(il terzo sì pratico delle cose della lingua , i primi forse un po’meno pra- tici, ma pieni, se così posso esprimermi , dello spirito enciclo- pedlico del secolo 18.°) perchè stendessero un nuovo progetto , che fu pure stampato. In questo progetto (inserito anche ne’ prolegomeni ) trovasi pressapoco tutto ciò che il voto de’ saggi e il bisogno de’ tempi potea suggerire agli estensori, e la sua pubblicazione unita alle antecedenti era come una promessa che il voto de’ saggi e il bisogno de’ tempi nella ricomposizione del Vocabolario non sarebbero obliati. Quindi ciascun s° imagi- na la sorpresa dell’ Accademia, allorchè di là appunto , ove tal promessa doveva esser meglio conosciuta, udì a un tratto uscir parole, che, esagerando i falli dell’ antica Accademia , parevano dire agli Italiani tutti: non vi aspettate nulla di meglio dalla muova. Ciò mi fa varcare non meno di tre anni ( ne’ quali vedremo poi quello che si operò a norma della promessa ) per giugnere al 1816, quando 1’ Accademia fu dal R. Istituto di Milano invi tata a cooperare con esso ad una nuova compilazione del Voca- - bolario. Il Monti in quella sua lettera eloquente , che precede la prima parte del primo volume della Proposta , lagnandosi che l’invito non fosse accettato , dice che i membri dell’ Istituto , . mossi da unanime riverenza , pregarono 1’ Accademia a dar loro la sua valida mano in sì egregia fatica , sottomettendo scevri di pretensione tutto il da farsi al supremo oracolo dell’ Accademia medesima , e reputandosi abbastanza onorati del semplice nome d’ausiliari. Più schiettamente , però , sulla fine dei due celebri Erruta aggiunti alla prima parte del terzo volume della Proposta già detta , e pui nella lettera premessa alla seconda parte del volume medesimo , ei parla di semplice confederazione , nella quale ciascuno intende (e i termini dell’ invito gliel provano ) che 89 il corpo invitante non volea tenere il secondo posto. L’ Accade- mia, che credeva aver buone ragioni per non volerlo tenere nep- pur essa, fece la risposta che ormai tutti sanno ( si legge ne’pro- legomeni unita all’ invito ) e colla risposta mandò le sei scritture che si disse, i tre volgarizzamenti e i tre progetti, perchè l’Isti- tuto se ne valesse piacendogli, e in ogni casv li avesse quai do- cumenti di ciò ch’ ella s’ era proposto , e già da alcuni anni si studiava di mandare ad effetto. Di fronte a tali scritture pote- ‘vano ancor farsi al Vocabolario della Crusca osservazioni o cor- rezioni quali per esempio le fa Pougens, quali, se vuolsi, le fa Nodier al Dizionario dell’ Accademia francese ; poteva farsene un parallelo qual lo fa il nostro Grassi co’ Dizionari inglese e casti- gliano. Scrivere più volumi da cui risultasse questa sentenza , che un celebre professor di leggi ha raccolta in un suo articolo sulla Proposta (v. il tom. 13 della Riv. Univ. di Ginevra): la Crusca est dans une mauvaise ornière : elle n’a pas su en sortir dans l’espace de deux siècles: elle n’en sortira pas, etc. etc. ; dovea sembrar contrario ad ogni giustizia. Nè molto più giusto, a fronte di ciò ch’ ormai è noto ge- neralmente de’lavori dell’ Accademia, deve sembrare quel dubbio già mosso più volte, e manifestato ancor di recente in qualche scritto periodico , s° ella realmente si occupi di quel che richiede il primo articolo de suoi statuti. L'esecuzione di tale articolo è assicurata da altri (5, 9,18 e 22) ov'è detto: che tutti i membri residenti dell’ Accademia (in numero di 18) sono incaricati delle aggiunte e correzioni da farsi al Vocabolario, secondo il metodo e il reparto che sarà fissato dall’ Accademia medesima; che di tal lavoro, pel quale verranno sempre accolti con gratitudine i lumi e gli aiuti de’ membri corrispondenti (20 fra tutti) dovrà trattarsi in una almeno delle due adunanze private che l’ Acca- demia tiene ogni mese; che due volte l’anno, a norma che il lavoro progredisce , ne sarà dall’ Accademia dato conto al governo per mezzo del suo. arciconsolo, ed una al pubblico in adunanza pubblica per mezzo del suo segretario. In quella che fu tenuta verso la fine del secondo anno accademico (la prima dopo la so- lenne d’ingresso ) il segretario Collini annunziò in qualche mo- do, come principio al lavoro, l’ esame di que’ testi, in cui è il fondamento della lingua. Una libreria, che ne possede molti inediti e molti non inediti, ma opportunissimi ad emendar le stampe che ne furono fatte, era come cosa di ragion privata, ben- chè aperta a tutti gli studiosi, vicina forse a passare in mani che l'avrebbero chiusa o trasferita sott’ altro cielo ; e l'Accademia, T. XXXV. Luglio. 12 99 per mezzo di due suoi deputati, Collini e Fontani, e col favore d’ illustre personaggio , operò che . divenisse di ragion pubbli- ca, il che fu un serbar que’ testi all’ uopo del Vocabolario . Nel tempo stesso , chiedendo alcuni valentuomini .di potere sotto i suoi auspici pubblicare l’intera collezione di quelli che nel Vocabolario sarebbero citati, essa, a cui premeva specialmente la correzione de’ più antichi, delegò il Fontani già detto e. il collega Lessi che presiedessero all’ impresa. Questa, con dispia- cere dell’ Accademia , non seguitò oltre il secondo volume.. AL cuni degli Accademici però si proposero di supplirvi per quella parte almeno che riguarda i testi del trecento. Quindi il Vegezio del Giamboni pubblicato dal Fontani, la Storia del Malispini ripubblicata dal Follini, l’Esopo ed altri libri messi in luce dal Rigoli, il Tesoretto del Latini riprodotto dallo Zannoni, il Mi- lione di Marco Polo datoci dal Baldelli, i Viaggi al Sinai del Frescobaldi e del Sigoli preparati per la stampa dal Fiacchi, e il secondo de’ quali (chè il primo nel frattempo è stato pub- blicato in Roma dal Manzi secondo un codice barberiniano ) u- scirà al più presto per cura dell’ accademico Poggi. Colle fati- che per la impressione de’ testi cominciarono presto quelle de- gli spogli, così di molti non mai citati, come d’ altri citati scarsamente , e già sul principio del quinto anno accademico avean preso vigore. In questo e nel seguente, cioè a tutto il marzo 1817 ; fin dove giungono i prolegomeni del primo volume, il Follini presentò a più riprese lo spoglio del Febusso , poema del secolo decimoterzo e primo esempio conosciuto di ottave ita- liane, il qual si conserva fra’ manoscritti della Magliabechia- na; il Del Furia quello del Simbolo del Cavalca, nell’ edizion romana delle cui opere furono , come |’ accademico ha potuto accorgersi, presi dal Bottari non pochi 'arbitrii; il Fontani quel- lo di vari scritti più moderni , e fra essi di non poche Lettere e dei Consulti del Redi; il Fiacchi un primo saggio di quello dei Dialoghi filosofici del Rucellai , il cui autografo è nella bi- blioteca Ricasoli. Dal 1817 il lavoro intorno al Vocabolario di- venta più generale e più metodico, siccome apparisce dai rap- porti dell’attual segretario, tre de’ quali contengonsi nel secondo, e sei nel terzo volume degli Atti, e forman seguito ai. prolego- meni o alla storia che vogliam dire dell’ Accademia. Il rapporto letto nell’ adunanza pubblica del rg (la prima, sembra, dopo quella del 12 che si accennò ) ci fa sapere essere state create nell’ Accademia tre deputazioni, 1’ una composta dei colleghi Del Furia, Follini, Fiacchi e Bencini; per compilar la 9! tavola degli autori che debbono far testo nella futura edizione del Vocabolario ; l’altra de’ colleghi Ferroni, Niccolini, Targioni e Nesti, per esaminare, scegliere , definire le voci d’arte o di scienza già registrate 0 nuovamente presentate; la terza de’col- leghi Niccolini, Bencini e Zannoni, per cccuparsi delle greche e latine già apposte e da apporsi alle nostre : — avere il Follini proposto un mezzo ; pel quale con egual celerità che sicurezza le citazioni del Vocabolario si correggono e si riducono conformi alle edizioni o ai manoscritti migliori ; si scuoprono i titoli dati loro falsamente da’ passati vocabolaristi, e le confusioni fatte d’ un’ opera coll’ altra; si possono aggiugnere gli spogli di quelle che furono indicate nella tavola de’ testi ma non adoperate, e conoscer 1’ altre che abbisognano di nuovo spoglio; e tal mezzo consistere nel ridurre le voci del Vocabolario in tanti alfabeti quante sono l’ opere già citate, di che è data al Follini mede- simo la direzione: — essersi a lui pure affidato il rintracciar i codici adoperati nella quarta impressione del Vocabolario, onde verificare le citazioni e ridurle a faccie od a carte, e quando alcuni più non si trovino sostituir loro i più degni di fede: — aver ;intanto questo laborioso accademico fatto lo spoglio della Storia del Malispini; il Del Furia quello dello Specchio de’pec- cati, dello Specchio di croce , delle Trenta Stoltizie e della Di- sciplina del Cavalca ; il Sarchiani quello degli Atti apostolici del Cavalca medesimo , e de’ varii. Discorsi del Cocchi, compreso il Ragionamento sul Matrimonio ; e in parte anche de’ suoi Bagni di Pisa ; il Rigoli quello del Volgarizzamento d’ Esopo secondo il testo riccardiano da lui pubblicato nel 18, e in parte anche delle Prose sacre del Salvini; il Nesti quello delle Osservazioni sulle Torpedini del Lorenzini e in parte anche del Lucrezio del Marchetti ; il Ferroni quello delle Lezioni del Torricelli e della Misura dell’ acque correnti del Castelli, primo saggio del suo spoglio degli Autori che trattano del moto dell’ acque; avere il Fiacchi proseguito quello de’ Dialoghi filosofici del Rucellai, e cominciato quello de’ Discorsi anatomici del Bellini; aver pure il Montalvi cominciato quello delle Vite del Vasari; il Tassi quello della Vita del Cellini, che sta per pubblicare secondo il manoscritto originale ; il Targioni quello de’ Viaggi del padre, sì ricchi di voci appartenenti alla mineralogia alla botanica , e il Bencini quello dell’ Iliade Salviniana ; aver infine 1’ accademico corrispondente Colombo trasmessi due volumetti manoscritti con- tenenti vocaboli di nostra lingua non registrati nel tesoro di essa. Nel rapporto dell’ adunanza pubblica del 20 è detto primie- 92 ramente che l’ operazione preparatoria, per agevolare il riscontro degli esempi allegati nell’ ultima edizione del Vocabolario, è stata dall’ accad. Follini condotta a termine: — che il segretario Zan- noni ha cominciato a correggere co’ classici greci alla mano le greche parole già poste in quell’ edizione , ciò che proponsi di continuare : — che, uditi, in proposito delle definizioni de’ vo- caboli appartenenti a scienze, i deputati Nesti e Targioni, l’Ac- cademia ha statuito che, volendosi fare un Dizionario d’ uso comune , tali definizioni si compongano di parole usuali, e al più le scientifiche si aggiungano in parentesi; che tolte quelle definizioni , che consistono in chiamar note le cose che dovreb- bero definirsi, aggiungasi invece, ove tali cose realmente sian molto note, qualche caratteristica bastante a distinguerle dalle somi- glianti; che potendosi nelle definizioni indicare una caratteri stica universalmente conosciuta , questa ad ‘ogn’altra sia prefe- rita; che le definizioni distinguano gradamente ; quant'è pos- sibile , gli oggetti definiti, per classi, ordini, generi e specie; che si abbia riguardo che gli esempi sempre corrispondano alle definizioni, che gli uni per esempio non si riferiscano alla specie quando le altre si riferiscano al genere , o viceversa ; che quando la definizione non può riuscire abbastanza chiara , vi si supplisca' colla dichiarazione ; che non si trascurino le etimologie ; che fi- nalmente si badi che tutte le parole d’ una definizione sieno an- ch’esse definite nel Vocabolario. — In seguito è dato ragguaglio avere l’ accad. Ferroni fatto uno spoglio dell’ Esercitazione ma- tematica del Viviani sulla misura dei cieli, e aggiunto un saggio d’ etimologie tratte dalle prose del Salvini e dalla lingua araba ; il Nesti aver parimente fatto spoglio delle Osservazioni anatomi> che del Caldesi sulle tartarughe e della Litotomia dell’Alghisi,, e quindi aver dato mano a quello dell’ Opere fisicomediche del Vallisnieri ; il Fiacchi aver proseguito quello de’ Discorsi anato- mici del Bellini ; il Montalvi quello delle Vite del Vasari, e il Bencini quello dell’ Iliade Salviniana ; il Del Furia aver comin- ciato quello de’ Frutti della lingua del Cavalca ; il Rigoli quello di due libri da lui recentemente pubblicati, l’Albero della Croce testo del trecento e le Parafrasi poetiche del Sollecito, (V. Capponi) sopra i Salmi; il Niccolini quello degli Idilli di Teocrito, e il. seg. Zannoni quello dei due poemi d’ Oppiano , che, come 1’ al- tre cose di greci scrittori tradotte dal Salvini, possono insieme fornire bei modi alla nostra lingna ( specialmente nomi verbali e voci composte) e servir d’ aiuto a’ deputati sopra le parole gre- che da correggersi o da aggiuguersi nel Vocabolario . — Infine 93 si avverte che, non facendosi alcun spoglio senza approvazione dell’Accademia , tutte l’opere , di cui vien fatto , avranno titolo nella tavola delle citate, la quale si va ogni giorno correggendo e ampliando. Pel rapporto dell’ adunanza pubblica del 21 sappiamo aver l’ Accademia prese in esame molte osservazioni de’ suoi e degli esteri, e fatte quindi al Vocabolario varie correzioni importanti, assolvendolo nel tempo stesso di vari errori supposti: — aver pure intrapreso l’ esame de’ testi a penna, di cui Firenze più che ogn’altra città italiana è doviziosa , e per esso già tolte dal Vocabolario alcune voci false introdottevi o da error di lettura, o da cieca deferenza a copiatori inesperti: — aver finalmente cominciato il riscontro degli esempi allegati, dilatandoli ove il senso lo richiede, abbreviandoli quando vi si scorge superfluità , e riducendoli ove bisogna alle pagine o ad altra divisione delle stampe migliori e de’codici più emendati : — frattanto avere il Del Furia arciconsolo compito lo spoglio de’ Frutti della lingua del Cavalca; il Fiacchi quello de’ Discorsi anatomici del Bellini per passare alla traduzione , che il Salvini già fece, e che an- cor giace inedita della Georgica di Virgilio , e il Niccolini quello degl’ Idilli di Tegcrito del Salvini medesimo ; avere il Rigoli fatto quello degli Opuscoli morali di Plut irco tradotti dall’Adriani; il Montalvi proseguito quello delle Vite del Vasari; il Nesti quello dell’ opere del Vallisnieri; il Bencini quello dell’ Iliade; il seg. Zannoni quello della Pesca e della Caccia d’ Oppiano altre ver- sioni del Salvini; e il Ferroni aver presentato un nuovo saggio d’ etimologie. Nel rapporto dell’ adunanza pubblica del 22 è detto che 1° accad. Nesti ha compito lo spoglio dell’ Opere del Vallisnieri, fatto quello delle varie opere matematiche del Grandi, di due Trattati del Manetti, l'uno sulle varie specie di frumento e di pane , l’ altro sulle terre considerate come cibo, della Geometria del Manfredi ; dell’ Esperienza sulle zanzare del Sangallo, de’Pro- b'emi vari del Cavalieri, delle Istituzioni analitiche della Agnesi, degli Opuscoli del Castelli, e cominciato quello della Misura dell’ acque correnti del medesimo ; che il Bencini ha pur compito quello dell’ Iliade Salviniana , e cominciato quello dell’ Odissea ; che il Fiacchi parimenti ha compito quello della Georgica inedita, e cominciato quello de’ primi Otto libri pur inediti dell’ Eneide, volgarizzati come la Georgica dal traduttore de'due poemi d’Ome- ro; che il Rigoli ha fatto quella del Testamento di Lemmo di Balcuccio, ove son voci. dice il segretario , di cui il repertorio qui della lingua ha bisogno, e del Volgarizzamento d’alcuni Opu- scoli! di S. Gio. Grisostomo , testo inedito da lui dato in luce; il Ferroni quello del Saggitore del Galileo ; del Diario dell” Acca demia del Cimento già pubblicato dal Targioni sull’ autografo d’ Alessandro Segni ; e d’ alcuni scritti del Viviani s del Torricelli e del Perelli contenuti nella ‘raccolta degli Autori che trattano del moto delle acque ; e il Gelli del romanzetto ‘di Senofonte Efesio-tradutto dal Salvini; che il Montalvi ‘ha coridotto molto innanzi quello delle Vite del Vasari ; 1’ arciconsolo Del Furia co mimciato quello d’ un Dialogo di S. Gregoriò tradotto dal Cavalca; eil Nesti quello dell’ Orlando Innamorato del Berni, ‘e delle An- notazioni del Bottari al Volgarizzamento ‘de’ Gradi di S. Girolamo? — infine che, trovandosi già raccolti non pochi materiali‘, ‘che potrebbero col tempo andar dispersi o essere men bene adoperati; il segretario ha ‘proposto ‘che sieno esaminati , scelti e stampati alternamente in volumi or di correzioni or di aggiunte , non'senza qualche dichiarazione intorno alle correzioni e alle aggiunte sug- gerite da altri nelle loro opere, perchè il pubblico sappia quali dall'Accademia sono accettate; e che l'Accademia ha nominato‘a tal uopo una deputazione composta de’colleghi Follini, Fiacchi, Ben- cini e Nesti, che opererà di concerto coll’arciconsolo e il segretario.» Questa deputazione, ‘dice il rapporto dell’adunanza pubblica del 23; si è trovata fin da principio aver nelle mani da’ 205006 giunte, che tosto si:son andate accrescendo. Poichè l’arciconsolb del Furia ha compito lo spoglio del. Dialogo di S. Gregorio volg. dal Cavalca; il seg: Zannoni quello della Caccia d’Oppiano trad. dal Salvini; il Fiaechi quello degli Otto Libri dell’ Eneide :puv trad. dal Salvini; il Nesti quello delle Annotazioni del Bottari ai Gradi. di S. Girolamo. Quest’accademico, seguitando lo spoglio dell'Orlando Innamorato del Berni, lo ha pur fatto delle sue Ri- me varie, delle burlesche del Casa, di Lod. Martelli e del Bron- zino ; del Trattato dell’ Elocuzione di Demetrio Falereo trad. da Piero:Segni, dell’Astrolabio e d’altre opere d’Ignazio Danti, della Prospettiva dell’ Accolti, delle Osservazioni del Bonomo: sui pel- licelli del corpo umano, e cominciato quello delle Lettere scien- tifiche del Magalotti. Il Ferroni, mentre ha raccolto ‘un altro fascicolo d’etimologie , ha pur fatto spoglio di vari opuscoli del Galileo, del Viviani, del Castelli, e d’alcuni autori che parlano dell’ultime cose del Torricelli. Il Rigoli lo ha fatto delle Rime e Prose dell’Allegri, dell’Apologia del Tosi in una causa d’aucupio; «d’un Estratto di leggi, bandi è provvisioni stampate nel 1739, e di qualch'altro libro di questo genere; il Gelli del Museo e del Cal- 95 limaco del Salvini; e il Bencini d'un autografo del Mani d'onde ha tratte, voci di mascalcia. Il Montalvi intanto ha seguitato il suo spoglio delle Vite del Vasari, e il Fiacchi incominciato quello del Comento del Boccaccio .al poema di Dante. Altri accademici, col riscontro de’codici e delle stampe migliori , hanno fatte correzioni di vocaboli e d’ esempi recati nel Vocabolario, nuova messe per la deputazione già detta, che ove non fosse la difficoltà delle defi- nizioni, dell’apposizion delle voci greche e latine, ec. ec. potreb- be offrir in breve un primo frutto delle fatiche da lei intraprese. Nel rapporto dell’ adunanza pubblica del 24 è detto che l’acad. Fiacchi ha compito lo spoglio del Comento del Boccaccio a Dante, e aggiuntovi quello della Medicina del cuore del Ca- valca; che il Del Furia ha fatto quello della Pisto!a di S. Giro- lamo ad Eustochio volg. dal Cavalca medesimo; il Rigoli d’alcune ‘Vite de’ Padri, dell’Epistole di Lapo da Castiglionchio, della Fiam- metta del Boccaccio, delle Lezioni dell’Averani; il Nesti d’altre Vite de’ Padri, del Volgarizzamento dell’ Omelie di S. Gregorio, d’alquante Lettere del Redi, delle Lezioni del Torricelli, delle Istituzioni astronomiche del Manfredi; delle Proporzioni e del Diporto del Viviani, seguitando intanto quello dell’ Orlando in- namorato del Berni, e dando compimento a quello delle Lettere scientifiche. del Magalotti; il Ferroni dell’ Uso. della tavola per gli artiglieri posto in fine del libro secondo del Moto. nell’opere geometriche del Torricelli, e d’ alcuni scritti d’ ufizio riguardanti il Censimento; il Gelli finalmente aver cominciato quello del Teo- gnide, del Focillide e del Pittagora del Salvini, e il Poggi del Po- dagroso di Luciano del Salvini medesimo, ne’cui scritti originali 0 non originali, avverte il segretario , si trovano a dovizia vocaboli sfuggiti agli antichi compilatori del Vocabolario, ma non giudicati; come si pensò da taluno , indegni di cittadinanza. Prima di ricevere nuvvi spogli , come sappiamo dal rapporto dell'adunanza pubblica del 25, Ja deputazione per le correzioni e le aggiunte , volendo accelerare il lavoro, ha chiesto .d’ essere accresciuta di due soggetti, e si è quindi divisa in due consulte, l’una composta dell’ arciconsolo ; e degli acad. Del Furia, Nesti e Poggi, l’altra del segretario e degli acad. Bencini , Rigoli e Gelli, incaricandosi ciascuna d’ un diverso lavoro. == Frutto di questo sembra il riordinamento , accrescimento ec. dato alla pri- ma particella che s’ incontri nel Vocabolario dall’ acad. Nesti , il quale ha pur esaminato ‘in pro del Vocabolario medesimo il Trattato delle volgari sentenze del Bambagiuoli 3 e presentato lo 96 spoglio d° altre Lettere del Redi, delle Prose del Salvini, d gli Elementi di Cronologia del Manfredi , del Modo di misurar ls distanze di Cosimo Bartoli, della Sfera astronomica, della Pratica astrologica , e delle Regole»d&e” ‘triangoli del Cavalieri, delle Notizie della China, delle Relif#ioni varie e del Mendicare abolito nella città di Montalbano, éòmpilazioni e traduzioni del Magalotti. — Frutto parimenti di tal lavoro sembra la revisione e correzione degli esempi che il Vocabolario registra, in numero d’ oltre a 3200, del Volgarizzamento di Palladio e dell’Opere del Firenzuola , fatte dall’acad. Rigoli , il quale ha pur presentato lo spoglio delle Prose toscane del Niccolai, e incominciato quello di due opere di Filippo Bonarroti , le Osservazioni storiche sopra al- cuni medaglioni antichi, e quelle sopra alcuni frammenti di vetro ornati di figure. — Intanto l’acad. Montalvi ha proseguito il suo spoglio delle Vite del Vasari; il Bencini dell’Odissea , e il Gelli del Teognide , Focillide e Pittagora del Salvini; e il Poggi dato principio a quello d’uno scritto inedito del Varchi sopra materie grammaticali. Molte voci di botanica e d’agricoltura ha tratte da vari scrittori toscani di queste due scienze l’acad. Targioni, per aumentare il suo Dizionario de’nomi volgari delle piante, e servire nel tempo medesimo al nuovo Vocabolario dell’Accademia. A servigio della deputazione già detta, l’acad. Poggi, sic- come si legge nel rapporto dell’ adananza pubblica del 26, ha date corrette alcune definizioni grammaticali già poste nel Voca- bolario senza alcun riguardo alla filosofia delle lingue. Egli ha pur compito lo spoglio dello scritto inedito del Varchi nominato più sopra, e cominciato quello della Cerere Vaticinante ch'è tra le Selve del Dati; il Gelli parimenti ha compito quella del Teo- gnide e degli altri Gnomici Salviniani; il Montalvi proseguito quello delle Vite del Vasari; il Rigoli presentato quello di due testi inediti della Riccardiana , il Volgarizzamento del Trattato del libero arbitrio di S. Bernardo, e un Trattato d’ anonimo in- torno alle virtù, a cui ha aggiunto quello del Volgarizzamento di Palladio, de’tre libri di Seneca intorno all’ ira trad. dal Ser- donati, delle Lettere di Feo Belcari e della Storia di S. Cresci del Mozzi ; il Nesti ha dato quello del Parlamento Liviano fra Scipio- ne ed Annibale volg. dal Passavanti, del noto Trattato d’ Arri- ghetto da Settimello , della Cronaca del Compagni, delle Cento Novelle antiche , del Sidro , e delle Lezioni del Magalotti inse- rite fra le Prose fiorentine, d’ altre Lettere del Redi, e d’ una parte delle Rime del Lasca; il Bencini quello della Manna e 97 d’altri scritti minori del Segneri, della Batracomiomachia e degli Inni Omerici del Salvini; il Del Furia ha cominciato quello della Cronaca di Buonaccorso Pitti. Compiutolo , come dice il rapporto dell’ adunanza pubblica del 27, ha poi dato mano a quello del Puugilingua del Cavalca. Il Nesti parimenti; compiuto quello delle Rime del Lusca, al quale aggiunse quello de’Reali di Francia sul testo a penna, m'imagi- no, che fu già dello Stradino ed ora è nella Magliabechiana, delle Lettere del Magalotti pubblicate dal Manni, di vari Opuscoli del Redi, del Vallisnieri e del Zambeccari, de’ Trattati vari di G. Del Papa, ha dato mano a quello del Cristiano istruito dal Segneri, non obliando di proseguire quello delle Vite de’Padri e delle Let- tere del Redi. Il Poggi, dopo aver compito quello della Cerere del Dati, ha fatto quello d’ altro scritto inedito del Varchi in materia grammaticale , e del Tito Manlio, abbozzo di tragedia del Salvini. Il Gelli ha presentato quello d’altra operetta salvi> niana, la version poetica del Rapimento d’ Elena di Coluto, e il Rigoli quello di vari scritti di Gio. da Uzzano , di Francesco Pegolotti e d' altri, che leggonsi nell’ opera sulla Decima del Pagnini. — Così verso il tempo dell’ ultima adunanza pubblica , di cui parlino gli Atti dell’Accademia finor dati in luce, si son trovate raccolte da 40,000 giunte e con esse moltissime corre- zioni, al cui esame, scelta , impiego, ec. procedono alacremente, dice ‘il segretario, le note deputazioni o consulte, com’ altra volta furono da lui chiamate. Solo, per quel che può inferirsi da una sua annotazione, non vi procedono coll’ istess’ ordine di prima , avendo l’° Accademia deposto il pensiero di dare de’ saggi alternativi di correzioni e d’aggiunte , e deciso d’ inserire le une e le altre al debito luogo; ciò che non ritarderà di molto, co- m’ egli spera, un primo volume del nuovo Vocabolario. Non è detto espressamente , ch’ io mi ricordi, in alcuno de’ rapporti se l’ opera delle due deputazioni o consulte sia sot- toposta di mano in mano al giudizio dell’ intera Accadem:a; ma ciò sembra assai naturale. Quando il segretario propose que’saggi che si dissero di correzioni e d’aggiunte (cosa a parer mio molto opportuna, giacchè il bisogno delle correzioni in ispecie è ur- gentissimo ) propose altresì che posti in ordine da chi n’avea l’incarico fossero postillati foglio per fuglio da ciascuno degli accademici. Ora che le correzioni e le aggiunte =’ inseriscono immediatamente ove debbono stare , si postilleranno , m’ imagi- no, i fogli preparati per la nuova stampa del Vocabolario. Nou è neppur detto se le due deputazioni si sieno distribuite fra loiv T. XXXV. Luglio. 13 8 diverse lettere alfabetiche o diversa ‘materia 3 ma questa seconda distribuzione è tanto preferibile all’ altra , che può quasi accer- tarsi essere stata preferita. E già al tempo delle prime deputa> zioni, una di esse, come si accennò più sopra , era particolar- mente incaricata di correggere , aggiungere , definire ec. i voca- boli spettanti alle scienze e alle arti; nè par probabile che siasi operato in seguito con meno avvedutezza che in principio. La distribuzione delle materie, come ciascun vede; .è asso- Jutamente necessaria per ottenere buone definizioni; che. sono la parte più importante e più malagevole d’ un Vocabolario. È prudente il consiglio dell’ Accademia, riferito in uno de’ primi rapporti, che quando una definizione non riesce lucida abbastanr za, vi si supplisca con una dichiarazione. Non è meno prudente in ciascuna materia il dar la cura delle definizioni ai più periti della materia medesima, onde il bisogno delle dichiarazioni non sia frequente. Se non che potrebbe dirsi che le dichiarazioni sieno il più delle volte le sole definizioni possibili ; il che non fa (s’in> tende bene) che debbano abbandonarsi ai meno. periti. Un mio dotto amico , il quale non è straniero all’ Accademia, mi diceva pocanzi: i soli concetti della mente si possono definire; tutto il resto non si può che descrivere. E di questa opinione sembra anche Iohnson , che nel proemio del suo Diziunario dice \d’ es- sersì studiato di spiegare ogni idea con una definizione stretta- mente logica, e di descrivere ogni prodotto della natura e del- I’ arte in maniera sì accurata che non bisogni più particolare esposizione. Egli dubita peraltro d’ aver ottenuto compitamente il suo intento ; e il dubbio, com’ io penso , non è di sola mo- destia. Il descrivere per l’ appunto gli oggetti esterni , or tanto differenti nella loro somiglianza, or tanto simili nella loro dif- ferenza , non è senza grave difficoltà. Il definire le cose intellet- tuali, le varie modificazioni del pensiero, spesso quasi impercetti- bili e sempre sì delicate , è ancor più difficile. Quindi Pougens, per ciò che potei raccogliere da’ giornali, non avendo io mai ve- duti i prodromi delle due grandi sue opere, anzichè propriamente definire o descrivere, par che s’accontenti di dichiarare ciò che secondo gli esempi da lui riscontrati s'intende comunemente sotto questo o quel vocabolo. Buon supplemento alle definizioni sono talvolta le. etimolo- gie, ch’io non dubiterei di chiamare le prime conservatrici delle lingue. Quindi vorrei esteso a più altri vocaboli che i scientifici quel decreto dell’ Accademia che « le etimologie non si trascu- rino. » Non so quanto rimanga de’ lavori della vecchia Accade- 97) mia intorno all’ Etimologico Toscano, opera che importerebbe troppo ch’ or fosse compita. Pougens , al cui Dizionario ragionato della lingua francese aggiugne , dicono ; sommo pregio un gran numero di chiare, brevi e ben fondate etimologie, non si sa- rebbe forse confidato di collocarvele prima d’ aver spesi molti anni intorno al suo Tesoro delle Origini. E come nel labirinto etimologico servon di guida anche i snoni più tenni, se pur essi non sono la guida più sicura, sarebbe forse desiderabile che nel nuovo Vocabolario le voci men recenti della lingua fossero ‘scritte e coll’ odierna e colla più antica ortografia, che ne mu- strerebbe più facilmente la parentela con quelle d’ altre lingue. L’Accademia si dà gran cura di contrapporre alle nostre le equi- valenti greche e latine , le prime il più delle volte per corredo erudito , le altre per evidente conformità ; nè dimentica all’uopo le arabe, d’° onde provengono , come tutti sanno, quasi tutte le prime che noi abbiamo avute di marina. Potrebb’ essa obliar le ‘tedesche , d’onde provengono in gran parte quelle che ancor usiamo di guerra ; potrebbe vbliare le provenzali, d’ onde pro- babilmente ne provengono tant’ altre, a cui diamo più lontana derivazione ? Del resto chi sa quante parole madri si trovano in altre lingue, s'è pur vero, come sembra credere anche Pougens, del cui Tesoro ho veduto ne’giornali qualche piccol saggio, che le lingue di popoli i più distanti e diversi si sono mescolate al- l’ infinito ? Certo l’Accademia , volendo pure tener dietro a tali parole , deve imporsi nel Vocabolario assai più stretti confini che non farebbe in un Etimologico. Ma sarebbe sventura che se li imponesse troppo stretti nel momento appunto , che l’ allargar- si le riuscirebbe più facile , annoverando fra’ suoi , se non a ti- tolo di residenza almeno di corrispondenza , oltre Pougens già detto, oltre più altri dotti uomini, il principe de’poliglotti d’Ita- lia anzi d’ Europa. Rallegriamoci intanto , alla vista degli spogli, che dall’ Ac- cademia si vanno facendo, e ch'io ho voluto indicar minutamente per servire alla giusta curiosità di molti , nelle cui mani non andranno forse i suoi Atti, che il nuovo Vocabolario sarà final- mente quello specchio di tutte le cose intelligibili o per meglio dire da noi intese, che gli ultimi editori del vecchio avrebbero pur voluto presentarci, come apparisce da uno de’ più bei passi della loro prefazione , riunfrescato poi con sì vivaci colori nella lettera proemiale alla Proposta. Alcuni di tali spogli , non è da dissimularsi , potrebbero far nascere il timore che per metà al- meno anche il nuovo Vocabolario fosse per riescire ciò che diceva 190 del vecchio lo scrittore d’ un’ articolo già citato , Ze musée d’une langue morte plutòt que le trésor d’une langue vivante et en cir- culation. Ma gli altri ci affidano abbastanza, e più di tutto ci affila il nuovo spirito dell’Accademia , che per le cose qui sopra riferite è assai manifesto. Quindi chi pure non volesse abbandonarsi a troppo grandi speranze , può almeno esser certo che da nessuno anche severissimo, potrà dirsi che si trovi nel suo lavoro, come in quelli dell’antica la méme absence de toute philosophie; la méme ignorance réelle ou affectée des progrès de l’esprit humain. L’istessa scelta d’uomini dediti alle scienze o a tutt’ altro che ad una let- teratura municipale, con cui da qualche tempo va ristorando le sue perdite interne; quella di più uomini insigni, con cui ha cer- cato di ristorare le sue perdite esterne, e fra i quali è da sperarsi che trovi de’ cooperatori benevoli, ce ne son pegno. Del restu , a dar giusta idea di quello che da lei possiamo aspettarci, e a sciogliere nel tempo stesso molte questioni chè il dettone fin qui può far nascere , sarebbe stato d’ uopo non disgiungere ciò che ne'suoi Atti si trova così bene riunito , il ragguaglio cioè de’suoi lavori lessicografici , e quello de’ suoi studi filologici. Ma il se- condo ; in grazia dei documenti che lo corredano , le lezioni cioè di molti accademici, inserite o testualmente o in compendio ne- gli Atti medesimi, mi è stato forza riserbarlo a men affrettato discorso. M. Srmonp. Voyage en Italie et en Grèce. Paris, 1828, 2 vo.umi. Un viaggiatore, per naturale talento o per trista es- pesienza poco disposto a confidare nella diritta ragione degli uomini , passando per la prima volta in Italia nel 1816, difficilmente poteva concepire buona opinione de’pe- poli e di ciò che dal loro volere in niun modo dipende, Perocchè il grido de’ meudici che domandavan sostentamen- to, i discorsi de’ semplici che dicevano artifiziata la care- stia, ed i lamerti della plebe cittadina intorno all’econo + mia di alcuni nuovi governi , succeduta al largo spendere dell’ antico, non doveano , lo ripeto, mettergli uell’animo grande opinione della civiltà italiana. Dalla plebe volgen - 101 do poi lo sguardo alle persone civili, da mua parte era fa- cile a vedersi lo scoraggimento in quelli che cresciuti per l’ idee comunicate dalla Francia all’ Europa si dolevano amaramente del passato, nè sapevano ancora cosa sì pen- sare dell’a\venire; d’ altra parte vedevasi scontentezza eziandio in coloro che avendo sempre tenuto care le an- tiche opinioni non si stavan contenti deila vittoria, perchè a’ loro sfrenati desiderii non eia possente a sodisfare. In mezzo a tanta varietà di affetti, tra’'quali il comune biso- gno di dolersi più che la fredda ragione era guida ai di- scorsi, non dovea venir fatto ad un viaggiatore di trovare il filo che ’1 conducesse a giudicare dirittamente della na- zione, onde argomentare poi qual via le sarebbe dato se- guire nell’andamento della civiltà , dopo che il nuovo or- dine di cose recatole dalla forza maggiore delle armi avreb- be messe ferme radici. Difatti, come ne poteva egli anti- vedere l’azione e misurare la morale resistenza? Agl’ italiani stessi o spettatori o attori sarebbe stato difficile il predire sì l’avanzamento morale, sì le sciagure civili, onde si do- vrebbe comporre le storia dei dodici anni che dal 1816 in poi sono ormai trascorsi . Migliori condizioni, pareva dovesse offiire al viaggia- tore il pacifico stato dello sp'rito pubblico in Toscana. Perocchè qui dove la breve dominazione de’ francesi non avea recati grandissimi mutamenti , essendo già fatti i più importanti sotto il regno di LeoroLpo ; qui dove il governo francese non avea aperti gli animi a nobili speranze, fu anco assai facile alla saviezza del principe , far paghi i desideri de’ popoli, e ridurne tutti a confidare nel nuovo governo. Ma, disgraziatamente , le febbri petecchiali e la carestia empivano di gemiti le nostre città e le nostre ter- re, e di paura la stessa capitale. Il Principe ed i privati non mancarono invero al loro debito di carità nel soccor- rere i miseri fratelli; si provide alle cresciute spese degli ospedali senza aumentar di troppo le gravezze, si dettero de’ soccorsi ai mendici, e si ordinarono molti lavori e da privati e dal governo. Tuttavia i patimenti presenti ed i timori per I’ avvenire erano grandi , anzi tali da essere 102 argomento de' cotidiani discorsi. Però anco'in questa ian d’Italia giungeva in: mal punto il viaggiatore. Di quì passando negli Stati ‘pontifici e nel regno di Na- poli, le strade malsicure, i frequenti benchè inutili sapplizi, l'aspetto delle membra de’ malfattori appese agli alberi prossimi alle pubbliche vie, ed il patteggiar coi banditi, facevano brutto contrasto colla vana pompa delle città; e colla vita epicurea che si conduceva da molti in mezzo alla pubblica miseria. D' altri lamenti era ripiena la Sicilia. Poichè i baro- ni mal soffrivano d’ esser spogliati de’nuovi diritti politici, ad ottenere i quali aveano generosamente rinunciato gli antichi, Nè i vassalli sentivano il bene del mutato signore. Risalendo nell’alta Italia, i genovesi dolenti della perduta indipendenza, ed i piemontesi che vedevano quasi tutto frettolosamente distruggere quello che era venuto di Fran- cia, compivano il tristo quadro delle incertezze e de’timori italiani, fatto più lagrimevole dalle febbri contagiose, dalla carestia, e dalla mendicità. In questo tristissimo stato vide l’Italia il viaggiatore Simond nel 1816; scrisse allora le sue osservazioni, e dopo dodici anni si è risoluto a darle alla luce. Considerando gli splendidi monumenti che testimoniano la ricchezza degli avi, e veggendo la povertà de’ tardi nipoti ; ram- memorando l’ antica gloria del senno italiano , ed osser- vando, o silenzio o inutilità nelle lettere al tempo in cui visitò la nostra penisola, e’ fu dalla forza dell’ argomento più fiate condotto a ragionare delle cagioni del presente decadimento. Nel che, sebbene fosse stato preceduto da al- tri e con ben altra forza (1), gli vien fatto sovente di dir cose meritevoli di molta attenzione, per le quali peraltro abbiam creduto meglio rimandare i lettori all’ opera. Pe- rocchè ci pare più conveniente di ricercare con quale in- tendimento sia stato dettato il libro del Simond, onde farci poi strada a ragionare del movimento morale della civiltà in questi ultimi tempi. (1) Sismondi. Hist des Rép. Ital. Chap. dernier. Vol. XVI. 103 Pubblicando nel 1828: un! viaggio scritto nel sedici, sembra che il nostro Autore voglia far credere esser rima- sta ‘sempre nell’ istesso stato la nazione italiana. La qual sentenza darebbe luogo a supporre , le nostre opinioni non esser figlie del raziocinio, ma pregiudizi, natura dei quali si ‘è di rimaner sempre gli stessi; i nostri studi esser solo rettorici, e’ però sempre da poco; i costumi nostri così ra- dicalmente corrotti da render vana ogni speranza di miglio ramentoi la condizione economica sì misera; che la mendicità debba essere perpetua. Tale essere il sistema del Simond., cel conferma l’ osservare ‘che dal momento! che:ha ripassate le Alpi nivina cura'si' è presa d’ informarsi delle cose della nostra! penisola; e contuttociò presume darne idea agli stra- rieri pubblicando! il suo viaggio: Da:supposizione siffatta rie seyuita,'a mente dell’A., esser vane tutte le nostre spe- ranze ; insipienti i nostri desiderii , perchè questa nostra patria ‘non sarà mai terreno atto a.sostenere 1 perfeziona- menti sociali che si godono da altri. popoli di Europa, fin; chè il' matrimonio non sarà rispettato., finchè.gli odii municipali , l'intemperanza nelle dispute e la .disistima i degli italiani fra loro non saran tolti di. mezzo; finchè l'amor dell’ozio e della dissipazione i non avranno dato luogo al desiderio di essere utili a sè ed. all’ universale ; finchè finalmente gli interessi dell’ amministrazione pub- blica invece di aver contrarie le volontà de’ privati, non saranno riguardati come mezzi e guarantigie;della comune utilità, L’ esaminare parte a parte i capi di accusa contro la nazione italiana, rilevarne in alcuni punti la rigorosa giustizia, notarne altri di esagerazione, sarebbe un as- sunto impegnoso e difficile, nel quale le nostre deboli forze verrebbero meno al dovere. Chè se potessimo asserire con sicurezza che |’ Italia non dissimula a sè stessa le proprie piaghe e ne desidera il rimedio, ci parrebbe avere addotia la più bella e la più utile difesa contro le accuse stranie- re. Frattanto, siachè da autori francesi o da scrittori italiani ci vengano fatte ammonizioni severe noi le raccoglieremo sempre senza sdegno, nè diremo giammai villania a chi 104 guidato dall’ amor sincero del bene ci vada ricordando i nostri d:fetti. Perocchè una critica onestamente severa vale assai più delle lodi per l’ avanzamento morale de’popoli, e dove per alcun difetto si dovesse cadere, fora forse. me- glio peccare in severità che in adulazione. E quì ‘cadrebbe in acconcio il rammentare a coloro che vorrebbero le ino- stre vergogne taciute : che gli oratori venduti a Filippo erano adulatori.in Atene, laddove, Demostene caldissimo amatore della patiia , e quanto altrimai esperto! nel. civil governo degli affari, non credette esservi via .di salvezza fuori della verità. Ben è vero che la severità di Demostene esa senza animo di contumelia, e lontana sempre dal ge- nerar disperazione. Nel che non sapressimo dire se più sia da ammirare ‘0vil. maraviglioso artitizio dell’ oratore, o l’e- sempio fornito del modo da adoperarsi da chiunque, inten- da ragionare al popolo de’ vizi per indirizzarlo a virtù, Se dalla regola di illuminata filantropia che Demoste- ne dimostrò coll’ esempio, il viaggiatore Simond.si fosse dipartito,, noi saremmo stati de’ primi a levar.la. voce contro di Jui; perchè non siamo men teneri degli altri dell’ onore italiano. Ma poichè Je osservazioni del Simond ci parvero dettate a fin di bene, ci sentimmo l'animo ri- volto ‘piuttosto alla lode che al biasimo, Non vogliamo. per altro ascondere ai lettori che ‘un certo spirito di misantro- pia sembra aver dettati molti giudizi del Simond ; ma sa- rebbe appunto questo il caso di dire a chi si sente al tutto mondo, che si faccia avanti e getti la prima pietra. Oltre a che egli è da notare, che gli uomini dell’età del nostro viaggiatore , ‘balestrati dal rapido succedersi delle rivolu- zioni fra ’l troppo sperare ed il soverchio ‘temere. se. di un forte sentire eran dotati dalla natura, doveano alla fin de’ fatti ridursi alquanto misantropi. A noi partigiani di quella capacità di avanzamento che suol chiamarsi perfettibilità del genere umano, giova sperare ch’essi se- guano una falsa sentenza; ma saremmo ingiusti se non volessimo condonare alla violenza delle passioni un abito dell'animo , generato dalla ‘ricordanza sempre viva del passato soffrire e dal dolore delle deluse speranze 105 Contuttociò il rispetto per l’autore non deve recare impedimento al libero e-ame delie teurie. Nè lo stesso Si- mond, dove per avventura gli venisse alfe mani questo ar- ticolo; avrebbe rayione di dolersi di noi se coll’ usata li- bertà notiamo ciò che ci pare men rettamente pensato. Ed invero, io non potrei sentire con lui allorchè prende a sostenere (e questo è il punto cardinale di tutta l’opera) esser vano sperare riforma negli ordini sociali se prima non si riformano i costumi , quasichè le istituzioni sociali f:sser l’etfetto della morale de’ popoli, e non piuttosto questa fosse il necessario conseguente di quelle. Siffatta sentenza che in Francia ha Duvoyer (a) per principale sostenitore, pare a me contiadderta dalla storia, e da ciò che la filosofia analitica ha scoperto intorno ai motivi delle azioni degli uomini. Della storia la natura di questo scritto non consente che si parli distesamente, nè bievemente ba- sterebbe al bisogno; ma quanto agli argomenti filosofici credo si possa dire assai in poche parole. E'mi pare che a considerar la morale praticamente essa sia senza più la regola che si impone all’egoismo, affin di terminare per viceuilevoli concessioni la ‘natural guerra de’ privati interessi ed accordarli coll’ utile della comunità. Or bene, se gli stabilimenti sociali favoriscono: quest’ ac- cordo, la ragione dell’interesse fa sì che vi sia morale; se per lo contrario gli ordini fondamentali della società pon- gono gl’ interessi in discordia, se fanno la virtù infelice, e mettono in opera tutti i modi di corruzione e di avvili- mento, ben è difficile che un popolo non venga corrotto, Accorderò volentieri che le opinioni religiose temperino al- quanto gli effetti degli ordini politici, ma mi pare altresì cer- to che quanto a certi modi di esterior disciplina, ed al mo- do popolare di ridurre all’atto i documenti della religione sia sempre sensibile l’influenza delle istituzioni politiche, E valsa il vero, chi potrebbe negare essere stata sempre sensibile una certa disparità tra l’Italia, la Francia e la Spagna quauto alle popolari credenze ed alle pratiche di religione, (2) Vedasi la sua egregia opera La morale e l’ industria. T. XXXV. Luglio. 14 1006 benchè in queste tre regioni una stessa chiesa dominasse e tenesse un istessa dottrina. Ma per non uscire d’Italia, non è forse sensibile la differenza tra i tempi del Boccaccio o quelli del Machiavelli ed il XVII secole , ed il nost:o che troppo mi pare in certe parti di senso comune anfe- riore ai secoli XIV, XV e XVI ? Sì tutte le parti della ci- viltà, come pure tutte le parti della morale privata si ri- sentono delle istituzioni politiche, perchè essendo queste destinate ad esprimere e guarentire la transazione tra i pri- vati interessi , se non corrispondono al giusto , o se danno una guarentigia di vano nome, ottengon l’effetto di impedire l’ avanzamento morale di un popolo. Perocchè la forza di signoreggiare l'egoismo quando tu'to ne alletta a lasciarlo libero di freno , sembra dover essere una virtù de’ pochi che coll’ immaginativa si godono innanzi tratto le benedi- zioni sperate dai posteri, o che confidano in un premio cui non è dato ai potenti della terra potere eguagliare. Credo ben io che se tanta virtù potesse essere tra gli uomini, che l'avanzamento morale si operasse adonta degli impedimenti politici, sarebbe pur forza agli ordini sociali piegarsi alla nnova condizione morale della società. Ma bi» sognerebbe citare almeno un esempio pel quale si cono- scesse esser mai alcun popolo giunto per questa via ad un insigne mutazione di stato. D'altra parte alcuni esem- pi han mostrato, che i miglioramenti politici fondamen- tali si conquistano per la forza che dà 1’ estremità dell bisogno fatto patente pel ministero de’ lumi ; che si di. fendono colle eroiche virtù che mette negli animi la no- vità delle passioni, e fermano lo stato o cadono secondo impero di fortuna. Allorchè poi sono stabiliti, se vera- mente corrispondono ai bisogni della società , gradatamente nasce quella morale civile che li deve sostenere , ed. a puco a poco tutti gli interessi privati stringon lega col- l'ordine pubblico , il quale allora soltanto può stimarsi sicuro quando è giunto a porsi sotto la salva guardia de’pri- vati interessi. Prima che si giunga a questo termine non vi sono istituzioni sociali, non miglioramenti legislativi che possano dirsi sicuri; tante sono le arti de’ nemici del 107 bene comune, e tanto l’aiuto che ne hanno da certa stolta rassegnazione al soffrire, che sino a che il male possa es- sere eseguibile egli è sempre da temere. Perciò havvi una certa proporzione da osservarsi religiosamente fra lo stato morale di una nazione ed il modo di governo più o meno libero che vi vuole per lei; poichè se il cammino da farsi per metter la morale al livello delle istituzioni è troppo lungo, ben è raro che in sì prolungato pericolo si abbia sempre propizia la fortuna. Onde si spiega come sovente alla repubblica libera si legga succeduta una tirannide crudele. Ridotta a questi termini la teorica di Dunoyer e del Simond persuade anche me; ma messa per fondamento ad un sistema esclusivo, come ce la danno quei lodati scrit- tori, mi sembra contenere un errore capitalissimo. Tuttavia lodo le loro intenzioni generose, e convenvo nello stato presente della Francia esser le teoriche opportunissime e colle debite proporzioni potersi adattare anco all'Italia; ma vorrei che per l’ interesse della scienza e per la giusta estimazione della moralità de’ popoli avessero aggiunto: esser da distinguere i governi che lasciano aperte le vie al perfezionamento , da quelli che vi pongono impedimenti, da quelli che le chiudono al tutto, da quelli infine che tormentano chi osasse pure pensare a riaprirle : ne’ governi della prima specie tutte le speranze politiche dipendere dall’avanzamento della morale civile e domestica ; in quelli della seconda e della terza il perfezionamento morale dover fare in gran parte la strada ai miglioramenti politici; ma in quelli della quarta solo il temperamento de?’ cattivi or- dini di governo poter lasciare speranza di avanzamento morale. Ma il riguardare le istituzioni sociali unicamente come effetto, senza considararne la forza come cagioni, egli è un lusingare la rassegnazione stolta, e l’inerzia ; di che un secolo epicureo qual noi viviamo, potrebbe mo- strare in verso i filosofi una gratitudine troppo maggiore di quella che essi, come uomini desiderosi del pubblico bene, avrebhero osato sperare. 108 Ma già e' mi par quasi vedere alcuno .che a questo punto del nostro ragionamento dopo un benigno sorriso di compassione esclami.: “ Metafisica , sottigliezze, roba da s, università. Proprio l’ozio civile de’ nostri tempi mette ss certa vaghezza di trattar quistioni inutili, di annoiare ;s ìl pubblico pei termini di una definizioncina, in quelli sì stessi i quali per non esser colti facilmente in contra- s, dizione , dovrebbero ben guardarsi dalle oziose disputa- », zioni. Chi non sa oggimai esser tanti i semi gettati sul » suolo da più di settanta anni , i quali portarono alcuni »» frutti nel secolo pas ato, e molti assai nei primi quat- », tordici anni del presente, perchè ormai non debba più bastar l'animo ad alcuno a farli infrattuosi. La civiltà ai dì nostri ha acquistata una forza tale , che difficile assai s, riesce tardarne l’ azione, ma impedirla al tutto, si stima 39 73 » impossibile. Di questa forza indefinita; che al pari del » fluido elettrico può produrre effetti maravigliosi, gio- verebbe assai far conoscere il procedimeuto ne’ nostri tempi : questa si vorrebbe accrescere per quanto è da noi , certi che il premio della virtù non debba mai venir meno, Così sarebbero da interpetrare le teoriche de' francesi, comechè possa esser vero ch’ e’ compongano un sistema zoppo come sogliono esser. tutti i sistemi, Fatti e morale , e lasciamo du parte la discussione delle tesi di mera speculazione, altrimenti correremo pericolo che la professione delle lettere sia per noi ridotta un vano esercizio accademico. ,, Di questa obiezione che mi son fatta a me stesso, preve- dendo che mela munverebbero persino i più benigni lettori, sento anch'io la forza, e tuttavia mi pare che avrei molti argomenti da adduire in mia difesa. Ma avendo detto già quanto basta, o credo debba bastare, a sostenere la tesi , mostrerò col fa!to d’uver in pregio l’ubiezione sottoponendo al giudizio dei Jettori alcuni cenni storici , intoruo all’an - damento della civiltà italiana in questi ultimi tempi. Do» vrei in vero pigliare il principio al mio discorso dai primi auni del secolo, ma per non ripetere cose già dette ad altra 29 ’' 13 109 occasione (3) parlerò solo del movimento della civiltà dal 1816 sino al presente. Ragionare di civiltà senza far parola delle istituzioni politiche, deve parer cosa ridicola a molti non soliti a ri- flettere essere stata sempre questa la condizione di ognu- no, che non avendo libero il campo al biasimo ed alla lode, non voglia, vituperando parer di servire agli odii recenti, lodando aver malavoce di adulatore. Oltre a che le cose lodevoli , e molto più que!le da riprendersi, sono ormai troppo note perchè faccia mestieri ricordarle ai presenti ; e pei posteri vi dovrà pensare chi darà mano a scrivere la storia. Quanto a me, persuaso che L’uomo , TANTO PUÒ quanto sA (4), mi limiterò a considerare qual’ineremento abbia avuto la civiltà dal lato del sapere, toccando pure qualche cosa delle utili applicazioni che ne sono state permesse pel maggior bene de’ popoli. Tuttavia , perchè l'aspetto esteriore delle cose più che la sostanza andò sog- getto a grave mutazione dopo gli sventurati casi del 1820 e del 1821, così prima di entrare a ragionare dello stato presente giova discorrer gli anni che furono di passaggio. I quali corsero assai felici per l’Italia, fortuna che non si sarebbe potuta sperare se il ristoramento degli antichi principi fusse accaduto nel 1799. Ma poichè fu conosciuto eziandio dai principi esser già di troppo mutata la condi- zione della moderna società , sì adoperaron modi temperati nell-esercizio del potere assoluto. Non vi furono nè civili travagli, nè soverchianti gravezze, nè risentimento per le ‘antiche offese, nè troppo scrupolose ricerche intorno al pensare presente ; l’amnistia giurata a Vienna e solenne- mente promessa a’ popoli nel principio dei nuovi imperii, fu osservata ; e come che i principi non fosser più rifor- matori come nel passato secolo furono, non mostrarono per altro volersi opporre all’ accrescimento de’ lumi , alla civil tolleranza , ed alla giusta egualità de’ cittadini. Una mediocre libertà era concessa agli scrittori nazionali , e più (3) Vedi Antologia N.° 87, pag. 60. (4) Bacone. Tio assai si concedeva per le traduzioni, purchè fossero di opere gravi e voluminose da non andar facilmente nelle mani del popolo. Si riprendevano assai animosamente in Lombardia gli studii incuminciati sotto il regno italico , e fregiato di tre bei nomi usciva alla luce in Milano un giornale che prometteva di essere italiano non solo per l'avanzamento degli studii dilettevoli, ma eziandio per fa- vo:eggiare le utii discipline. Frattanto, nel far comuni al regno Lombardo veneto i codici austriaci, si esentavano gli italiani dalla pena ignominiosa della frusta, e nella maggior. parte degli Stati d’Italia si mantenevano esecu- tori di giustizia validi e degni di rispetto. A questi omaggi per la cresciuta civiltà italiana ne andava compagno un altro doloroso ma pur onorevole , cioè il trasportare in Germania l’ esercito acgnerrito sotto il regno italico (5). Comecchè meno facile a dimostrare di accordarsi collo spirito del tempo, il governo di Piemonte pensava a rior- dinare l’esercito di terra con savissimi provvidementi , ed a mettere a profitto l’ acquisto di Genova per acquistar- si potenza in mare, I quali miglioramenti militari. sono tanto più da notarsi, che dalle vicissitudini de'tempi po- steriori non hanno ricevuto nocumento, Nè con ciò intendo dire nelle sole cose militari consistere il bene dello stato, ma bensì spero non mi venga negato che senza di quelle non vi può esser bene durevole, e che il ruvinarle o .il trascurarle sia per un regno il massimo de’ vituperii, 0 dirò meglio una tacita confessione di tirannide. I piccioli principati seguivano l’ esempio de’maggiori, provando minori difficoltà nel governo, perchè oltre le molte cagioni morali il ristretto territorio faceva i sudditi meno animosi. Gli Stati pontificii, sotto la moderata amministra - zione di Pio ‘VII, ricevettero buoni regolamenti municipali diretti a compensare i privilegi perduti per la conquista ; e fu allora saviamente pensato che nelle provincie, le quali aveano fatto parte del regno italico, fosser necessarii de’be- (5) Coppi, Annali 1816. III nigoi riguardi ai mutamenti recati dal tempo (6). Non mancò nè pure di questi rispetti il nuovo governo di Na- poli; nè può dirsi che si mostrasse sdegnoso o che rom- pesse apertamente la guerra alla inuova civiltà. Così le comunicazioni tra gli Stati d’ Italia non im- pedite , i mezzi di conoscere i progressi civili ed intellet- tuali di Europa nov tolti, il commercio de’libri non sot- toposto ad esorbitanti gravezze, le imposizioni diminuite, l'agricoltura e l’industria incoraggite, le scuole elementari di leggere e scrivere aumentate , l’ innesto vaccino messo in credito dai governi per tutta l’Italia, erano mezzi reputati valevoli a quietare lo spirito del secolo senza muovergli guerra fierissima e sempre pericolosa. Questa avveduta po- litica , che in altri tempi avrebbe fatti i popoli più che contenti, non bastò a sopire al tutto i desiderii di. cose maggiori, nè ad impedire i tentativi di recare ad effetto le cose «desiderate ; ma valse non poco a toglier forza ai desiderosi di novità, e ad accrescer i timori contro la ragione de’ nostri tempi che alla cieca fiducia vorrebbe sostituite salde guarentigie. Però ad una politica di asso- pimento , dove per pruova si era conosciuta insufficiente, ne succedette una più vigorosa e più aspra, che prese a combattere apertamente quello spirito del secolo che sino allora si era confidata o di distrarre o di ridurre puramente accademico , sì che molti vinti dalla sola considerazione delle cose presenti credettero troncato il corso all’anda- mento progressivo della civiltà italiana. Quanto a me, senza voler negare i gravi danni che recan seco le male pruove, senza intendere a scemare il vivo senso di compassione pe’ patimenti degli afflitti, oserei sostenere che la causa perpetua della civiltà non ha cessato di guadagnare, La qual sentenza non deve parere assurda a coloro che nella storia de’secoli di gravissima lotta abbiano osservato, spe-sòo potere star insieme due fatti a prima giunta contraddit- torii, vale a dire un notabile accrescimento de’ mali della (6) Coppi, Annali 1816. Collection de Gonstitutions. Tom. IV. 112 generazione presente, ed un aumento non meno notabile di opere che saran fiuttuose per gli uomini. avvenire. Venendo adunque a ragionare degli incrementi che Ja civiltà riceve dal Jato del sapere, pare a me che sieno a distinguere tre cose, vale a dire: l’estensione del patrimo- nio delle idee che si opera pe’ nuovi trovati dell’ingegno, o pel perfezionamento e per le nuove applicazioni degli antichi; la diffusione de’ lumi già acquistati nel maggior numero possibile degli uomini ; il carattere morale che ani- ma la direzione delle lettere. Di queste tre cose le due ultime son da considerarsi dal politico con maggior atten- zione della prima, dipendendo principalmente da queste l'utile o lo svantaggioso andamento della civiltà peculiare di una nazione. Perocchè, sia pure che una scoperta si fac- cia in Italia in Francia in Inghilterra o in Germania , essa può tosto farsi dell’ utile comune , se trova dappertutto il terreno atto a riceverla , e degli uomini volenterosi .di col- tivarla. Solo l’onore nazionale vuol che si dimostri non mancare appo di noi un attività tutta propria , un genere profittevole di studii che ci dia a conoscere non al tutto servi de’pensamenti stranieri, ma capaci di recar qualche cosa del nostro nel commercio dell’idee, e di ridurre alla nostra forma italiana quelle che possiamo stimare utile di prender di fuori. Il perchè si potrebbe a questo luogo ricordare quanto merito abbiano italiani viventi o mancati da po-. co, nella medicina, nella chirurgia, nelle fisica , nell’astro- | nomia e nelle scienze che diconsi esatte, alcuni de’quali non han forse pari fra gli stranieri, ed altri son certo da noverarsi tra’ primi che l’ Europa conti al presente. Ma di queste cose e per la mia insufficienza , e perchè meno hanno che fare col soggetto principale del presente discorso, | me la passerò in silenzio, rimettendo i lettori ad un vo- lume della Biblioteca italiana dove se ne ragiona assai di- stesamente , e con molta duttrina (7). Per le stesse cagioni | mi tacerò delle dotte investigazioni dei chiarissimi Mai e | (7) V. Bibl. It. Vol. 14. Part. II. 113 Peyron, onde tutti gli eruditi d’ Europa han presa somma istrazione e diletto; nè dirò parola de’viaggi di Belzoni o del Brocchi che pure han dovuto essere di non piecolo aiuto all’avanzamento della geografia appo l’estere nazioni. La parte murale e politica del sapere umano è la sola che mi son tolta a considerare ; ed in questa, benchè i più sieno soliti tener dietro alle cose di Francia o d’ Inghilterra, poco curando le italiane, non credo che manchi a noi un ca- tattere proprio, nè che siamo al tutto sprovvisti di idee onde gli stranieri potrebbero cavar giovamento. Comineierò dal parlare degli studii che nella seconda metà dello scorso secolo massimamente fiorirono, e ne'quali gl ingegni italiani si mostrarono più che altri non pensi indipendenti dall’ influenza straniera. Sarebbe da ricordare prima degli altri lo studio del diritto canonico pubblico, essendo le quistioni giurisdizionali, è di riforma ecclesia- stica escite alla luce in alcuna parte d’Italia prima delle riforme economiche e delle criminali; ma poichè sia leg- gerezza, sia distrazione causata da quistioni che si reputano di maggior momento, questa maniera di studii suol esser assai trascurata e nel pubblico e nel privato insegnamento, converrà passarla con silenzio. Difatti, sebbene per la mag- gior parte si ritengano le utili riforme operate dai principi nel secolo XVIII, ed abbiano acquistato dal tempo la forza della prescrizione, dall’ utile sperienza il consentimento popolate ; tuttavia pochi sono eziandio fra gli uomini colti che ne cunoscano a pieno l’importanza, e ne sappiano l’istoria. Per la quale ignoranza cresce nei sofisti l’audacia dell’ asserire, e rimanendo libero il campo alle argomen- tazioni scolastiche si fa più facile la via a chi procura sciogliere i legami di carità pei quali si mantiene la pace fra gli uomini. Miglior sorte hanno avuta gli studi dell'economia pub- blica. Perocchè oltre all’essersi propalate le opere di Smith di Say di Malthus e del Sismondi, con religiosa cura si sono ripubblicati gli scritti de’ nostri italiani, per l’ opera e per l’ autorità de’ quali le riforme economiche del XVIII secolo avanzarono o furon preparate. E poichè la sapienza T. XXXV. Luglio. 15 114 del secolo avea trovato : la libertà del commercio ‘e del- l'industria essere il miglior mezzo di provvedere alla pub- blica prosperità, laddove coi vincoli e colle forzate prote- zioni si danneggiavano i più per favorire i pochi, e si otteneva soltanto un apparente ricchezza ; era secondo l'ordine della natura che gli sforzi della scienza si riduces- sero a viemeglio dimostrare siffatti principj, rinforzandone e moltiplicandone gli argomenti, procurandone un intiera applicazione , e facendo ogni opera perchè vincessero al tutto i pregiudizi popolari. Così difatti agirono gli econo- misti nei tempi dell'Impero Francese, comecchè le opere loro non fossero gradite a chi imperava in Francia. Ma le rivoluzioni economiche che andaron compagne agli sconvolgimenti politici de’ nostri tempi, messer negli animi nuove dubbiezze intorno ai principii già approvati, talchè negli ozii della pace le dispute presero nuovo vi- gore. Della qual cosa dirò brevemente le cagioni. La grande operosità economica di un secolo in cni tutti si studiano di migliorare le proprie condizioni, ha dovuto necessariamente generare un notabilissimo aumento di concorrenza nei più lucrosi rami d’ industria. Di che non è maraviglia se quelli che prima eran quasi soli a ca- varne profitto , ne muovono alte querele. Ma il bene dei consumatori, che suol esser sempre vantaggiato dalla con- correnza, gli avrebbe fatti tacere, se non fosse paruto tal- volta in pericolo per lo stesso aumento delle produzioni. Conciossiachè trovandosi gli intraprenditori in una nuova posizione mercantile senza averne la coscienza, han se- guitato a cercare i modi di accrescere la produzione delle merci, senza far ragione che la concorrenza straordinaria- mente cresciuta e scemava il prezzo di vendita e rende- va più difficile lo smercio. Onde ne vennero i fallimen- ti che afflissero l’ Inghilterra nel 1826, inutilmente pre- detti da alcuni politici osservatori (8). E poichè pare probabile che siffatta crise commerciale si debba assai spesso rinnovare ; finchè la nuova condizione economica (8) V. Viola, Memoria sulle manifatture della Sicilia, pag. 1-3. 115 delle moderne società non sia meglio compresa dagli spe- culatori , han creduto alcuni che una saggia ed avveduta amministrazione potesse trovar modo di prevenire coteste calamità. Ma bisogna confessarlo , mezzi pratici di preve- nire il male, compatibili colla giusta eguaglianza da mante- nersi tra i cittadini, von si sono ancora potuti trovare ; sì che la questione astratta della proporzione fra il prodotto ed il consumo rimane un utile quesito proposto agli specu- latori anzichè un problema legislativo da risolversi. Tut- tavia si è venuti per questo modo a porre il dubbio, se sia dato ai governi di adoperarsi nella direzione dell’ in- dustria. Ma un colpo più fiero alla sicurezza delle teo- riche intorno alla libertà commerciale , 1’ ha dato l’ esem- pio delle cresciute manifatture nell’ impero francese, quan- do era soggetto ad un rigoroso sistema proibitivo delle merci inglesi. Si è però dubitato se potesse mai esser utile ad una nazione permettere che. fossero aggravati i proprie- tari de’ generi grezzi ed i consumatori de’ lavorati, da dei regolamenti che impedissero l’asportazione de’primi e l’im- portazione dei secondi , finchè le manifatture nazionali non fosser giunte a tale da sostener la concorrenza dell’ estere. 1 governi per la maggior parte , sia alta ragione di stato , sia persuasione, hanno adottato il Colbertismo. Ma fra i filosofi è rimasta gran divisione di opinioni. Pare che l’opi- nione favorevole all’ assoluta libertà prevalga in Toscana, e l’ opinione che sottopone l’ industria ed il commercio ai favori ed alle proibizioni del governo abbia maggior cre- dito in Lombardia. Per nostra buona ventura possiamo ra- gionevolmente credere che l’ una, e 1’ altra sentenza , sia sostenuta senza alcuna intenzione di adulare i potenti. Per- ciocchè vediamo in Lombardia ed il Gioia ed il Mengotti comechè autori di diverse sentenze egualmente pregiati ; in Sicilia lo Scuderi, il San Filippo ed il Palmieri, che non sentono ad uno stesso modo, aver buon numero di se- guaci ;-e fra noi pure non è ignoto che ambo le sentenze ban trovato generosi propugnatori. Gravi sono state le discussioni, e per l’una e per J’al- tra parte onorevoli; ma alla fin de’ fatti la controversia si 116 è trattata sempre cogli antichi argomenti, benchè rincalzati di nuove osservazioni con molta forza d'ingegno. Onde sa- rebbe difficile il dire qual parte fosse escita vincitrice dal. I’ arena , se l’essere le massime restrittive della libertà più conformi alle inveterate opinioni popolari, e più confacienti agli ordini politici che intendono trattenere il corso rapi- do della civiltà, non desse a temere che alla perfine da que- sta parte dovesse piegare la vittoria. Tanto più che aleuni, non sdegnandu gli artifizi rettorici, si studiano d’introdurre la vanità nazionale a prender parte nella disputa (9); per- chè si mantenga un sistema al quale inclinarono quasi tutti gli economisti italiani del passato secolo , e del quale il Gioia fu ai di nostri principale maestro. Contuttociò dob:- biamo confessare essere indicato dallo stesso Gioia il mo- do da tenersi per venire in chiaro del vero , e persuaderlo altrui, derivando cioè la dimostrazione de’teoremi economici dai dati statistici. Il perchè quando e’ fosse convinto d’er- rore in alcune sue teorie , gli rimarrebbe sempre il meri- to d’ aver messo in amore il metodo più confaciente al se- colo nostro per guarentire la vittoria de’sani principj della pubblica economia. Ditatti, vi vogliono delle cognizioni sta- tistiche per sapere se e come convenga agire nell’ipotesi che si abbian per buone le teoriche del Gioia; come per lo contrario vi vogliono delle cognizioni statistiche per dar l’ultimo colpo al sistema mercantile nell’ipotesi che si re- puti un errore, Osgimai la statistica è un nuovo atteggiamento de- gli studi economici che può renderli profittevoli e meglio graditi. Il perchè dobbiamo applaudire assaissimo ai be- nemeriti compilatori degli Annali di Statistica di Mi- lano, i quali danno opera ad alimentare questa fiamma raccogliendo quanto di più importante si pubblica in Europa di notizie statistiche, e dottamente commentan- dole. Per nostra mala ventura sono assai scarse in quegli Annali le notizie delle cose d’Italia , della qual cosa an- zichè darne colpa ai bene:neriti compilato:i ne siamo do- (9) Vedi Antologia N.° 80, pag. 19. N.° 81, pag. 28. e 117 lenti come di nostra sventura. Tuttavolta noteremo , che nelle poche statistiche venute fuori in. lingua italiana è dato osservare una special cura di ridurre a quantità tutte le parti che contribuiscono al ben vivere, introducendovi, sempre che il comporta l’argomento, degli ammaestramenti economici e morali utilissimi. Talchè, se fosse dato far per ogni paese delle statistiche della forma di, quelle pubbli- cate finora, ogni cittadino verrebbe ad aver modo di co- noscere le cagioni della prosperità che gode , o delie mi- serie onde è afflitto, e ne prenderebbe quell’istruzione mo- rale ed economica tanto necessaria al ben vivere, Così dif- fondendosi per osni parte i lumi intorno ai diversi. rami d’industria, verrebbero meno i pericoli del privato arbitrio, e si risolverebbero col fatto le quistioni che han permesso di dubitare della possibilità di un utile intervento de’ go- verni nella direzione dell'industria. Sarà stato osservato in fatti, che in molte quistioni nelle quali sembra che la libertà del privato arbitrio al presente riesca nociva, non è dato trovare leggi nè giuste nè efficaci per frenarla , laddove si vede chiaramente che una migliore educazione economica basterebbe al bisogno. Di che, per citarne un esempio , 1icorderò le disquisizioni del Giornale Agrario in- torno agli sboscamenti, nè dirò di più; comunque a voler cumulare gli esempi potessi trarre il discorso in infinito, Riponghbiamo adunque nella diffusione de’ lumi ogni spe- ranza del trionfo delle liberali dottrine economiche ; che se vien meno all’ uopo il soccorso de’ ragionamenti stati- stici,, le opere che si vanno tuttodì pubblicando intorno all’ agricoltura ed i mestieri nell’ Italia superiore, il Gior- nale Agrario Toscano con gli altri di simil genere ch'esco- no alla luce in altre provincie d° Italia, ne porgono .tal conforto da non disperare, come .che le scule sembrin piegarsi in altre sentenze. Dall’economia pubblica passerò al diritto criminale, modo di studii italiani quasi. popolare nello. scorso secn- lo, e non abbandonato ai dì nostri. Gli scrittori italiani del secolo XVII[, partendo quasi tutti dai principj del patto sociale, si facevano a ragionare de’fondamenti razionali del 118 pubblico potere in modo sì franco che ti parrebbe udire de’ repubblicani, se le lodi maggiori del vero strabocche- volmente profuse a de’ regnanti meritevoli peraltro di lo- de, non ti facessero avvisato quei ragionamenti di libertà politica esser poco più di una discussione accademica. La quale se poteva esser portata con pazienza allorchè era una disputa speculativa di mere definizioni, non si ammette- rebbe oggi dai potenti, perchè i discorsi allora sì dirigevano ai signori, oggi si rivolgono ai soggetti. Questo mutamento nella direzione delle speranze e delle opinioni, spiega come in libertà di dire gli scrittori de'tempi nostri debbono cedere ai loro maestri del secolo XVIII. Ma gli avanzano assai e nella scelta degli argomenti , e nel rigor logico delle di- mostrazioni, e nella copia delle conseguenze. Per le quali cose , e perchè oggimai la scienza in due università della l'oscana è inseguata nel modo che si conviene ai lumi del secol nostro , pare a me non sia da negare un notabile avanzamento in questa maniera di studii tutto proprio del secolo decimonono. E questa è gloria dell’Italia che la Fran- cia non ha potuto ancora raggiungere. Non citerò già le leggi sul sacrilegio , o la proposizione di legge sul duello per mostrare quanto sieno ancora in dietro i francesi nel co- noscere i principj e la misura dell’imputazione civile ; ma sì bene il codice penale che fu fatto da uomini riputatis- simi in Francia e dato per forza agli italiani che ne sen- tivano i difetti, e da lunga mano eran persuasi: la impu- tazione criminale non dover essere che un modo di difesa; le pene dover esser proporzionate ai motivi che spingono a lelinquere ; ed ogni idea di espiazione e di vendetta dovere esser proscritta dai codici come resto o di superstizione o di barbarie. Così furon trovati in quel codice errori gravissi- mi nel decidere della moralità delle azioni, maggiori er- rori cella scala penale, resti di ferocia nella qualità delle, pene , sì che la nazione alla quale il Romagnosi dettava ben altri principii e prima di ogvi altro li riduceva a mate. matica dimostrazione, vide cadere con plauso un codice tan- to al disotto dei lumi della scienza, da far desiderare le mal’ ordinate leggi ital'ane che Jo precedettero. Solo da 119 pochi anni; si cominciano a sentire in Francia i sommi di- fetti del codice penale, e colà dove 1’ opinione pubblica lia modo di essere esaudita si possono sperare riforme. Fra noi, al contrario dovranno esser tardi i frutti della scienza, Nel che furono più fortunati quei filosofi del passato se- colo mercè de’ quali molte pratiche disumane furonovabo- lite, e si fece generale voto di umanità il temperamento delle «pene. Sarebbe stato da desiderare peraltro che l’attenzione dei filosofi non si restringesse alla pena di morte, senza con- siderare le altre specie di pene generalmente adottate in Europa, che miravano più a tormentare i rei che a por freno ai delitti ed emendare i colpevoli. Oggimai alcune. felici esperienze, d’ America e della .Svizzera indicano un meto- do, di punizione migliore delle galere, dalle quali escono i facivorosi peggiori di quando vi entrarono. Ma di. questo metodo di provvedere ad un tempo alla sicurezza della so- cietà ed all’ emendazione de’ colpevoli , metodo che i fran- cesi chiamano sistema penitenziario, non so che alcuno fra noi si sia occupato seriamente. Sono pure trascurati i prin- cipj della pulizia correzionale che potrebbe ridursi a -re- gole precise, e dalla quale dovrebbero esser bandite le pe- ne che avviliscono, o che recan danno troppo maggiore delle stesse coudanne criminali. D’ altra parte si è cominciato a conoscere bol dilata to de’ giudizi esser d'importanza massima per la civil sicu- rezza. Perocchè, se la giustizia e l'umanità richiedono che le. pene sieno proporziovate al bisogno senza più nè meno, a più forte ragione esigono sicura la libertà dell’innocente ed inevitabile la punizione del colpevole : le quali cose tutte dipendono in fatto dal modo de’ giudizi. Intorno a questo faticarono pure i filosofi del secolo passato, ma si confusero più nello stabilire delle regole per la prova le- gale che nel trovar delle vere guarenzie. Conciossiachè la necessità di decidere secondo il valore che dà la legge alle pruove ed agl’ indizi, anzichè secondo la convinzione ch’ esse operano uell’ animo del giudice, non è guarenzia d’innocenza, ed è danno di pubblica giustizia. Difatti, nella inaggior parte de’ delitti premeditati essendo impossibile 120 il concorso della pruova legale , e d’ altra parte necessario assicurare la società dai pericoli in che la pone un uomo per comune convinzione reputato colpevole, ne viene la conseguenza che ad onta del difetto della pruova si con- danna, ma ad una pena minore di quella stabilita dalla legge: (Così per eguali delitti havvi diversità di pene, e la sentenza che proporziona le pene al grado della pruova, sembra quasi punire il sospetto , comechè punisca difatto un vero colpevole. Questo sistema , che si oppone al pieno adempimento delle leggi, talvolta può far condannare l’in- nucente che le pruove legali dimostrino reo , ma che non sarebbe condannato se il giudice avesse uditi da sè i te- stimoni e pronunziata sentenza secondo il suo convincimen- to. Certo poi l’ innocenza corre sempre pericolo della tor- tara necessaria ad estorcere le confessioni degli imputati, in un ordine di giudizi ia cui si vuole la pruova legale per sottoporre i rei alla pena ordinaria. Che se le specie di tormenti propriamente conosciute sotto’ nome di tortura da molti anni sono abolite , tuttavia è venuto in uso al presente l'esperimento del carcere per estorcere le confes- sioni , ‘0 per purgare le ‘contraddizioni de’ testimoni, mo- do di tortura morale men crudele del martoro, ma più ar- bitrario, da che 1’ adoperarlo dipende intieramente dalla prudenza di cui suol riputarsi ad onore il dimostrar reo l'imputato. Queste inevitabili conseguenze di un catti- vò sistema hanno alfine persuaso i filosofi , la sola pub. blicità de’giudizi e come metodo critico e, come guaren- ziu civile corrispondere ai bisogni presenti della civiltà, mo- strando la ragione e l’esperienza: esser vano sperar guarenzie nel processo inquisitorio, di natura suna insidioso, ed inca- pace di ‘notabili miglioramenti, perchè non può esser mai sicura l'osservanza delle regole ordinate dal. legislatore a proteugere 1 innocenza. D’ altra parte la felice pruova del codice d’ istruzione criminale recato dai francesi, ha rin- calzato questa persuasione, Perciò in alcuni stati d’ Italia il sistema francese è rimasto, ‘in altri si è contessa alme» no pubblicità di discussione, e somma libertà di difesa , nia quasi dieci milioni d° italiani rimangon sempre s0g- I2I getti alle antiche. forme «del. processo ‘inquisitorio senza pubbliche discussioni, e senza piena libertà di difesa. Que- sti stessi ordini poi sono quasichè generali in Italia pei così detti processi economici, e la libertà di ognuno può venir lesa facilmente da una polizia non tenuta a render ragione dell’ operato e che non ammette nè pubblicità nè regolare difesa. Disgraziatamente molti pregiudizi fa- voriscono questo ordine di cose, e sarebbe. opera degna della scienza il dileguarli, ma non so che alcuno vi ab- bia dato mano come si dovrebbe. Tuttavolta nello stato pre- sente delle cose la polizia è parte più importante di sicu- rezza , dello stesso diritto penale, perchè ferisce. maggior numero di persone, e adoperata come si conviene è utilis- sima, ma rimessa all’ arbitrio privato di molti divien mezzo di soverchierie, cagione: d’ avvilimento e di delitti, Conclu» dendo adunque sull'andamento delle discipline criminali , si può dire che la teoria dell’imputazione civile si è ri- dotta ai suoi principii nel nostro secolo ;' che nella teoria delle guarenzie si son fatti alcuni progressi; ma la cosa più importante per assicurare il bene e far Ja strada al meglio si è la riforma del pubblico insegnamento, opera tutta del Carmignani, al quale siamo eziandio debitori di alcuni pro- gressi della scienza. Ci duole di non poter notare eguali progressi nel diritto civile, e che la ricca eredità degli avi nostri sia coltivata al presente dai dotti di Germania, Vero è peraltro che nè pure il secolo passato fu ricco di ‘opere intorno alla civile giurisprudenza; ma almeno fiorirono massime in Toscana dei- pratici giureconsulti , le decisioni de’ quali han guadagnato a quei tempi il nome di secol d’oro del Foro Toscano. Dirò pure esser quasi venuto meno quell’ ardore nel- l’ investigare e nel far pubblici gli antichi documenti e le storie inedite, che fu sì onorevole per l’Italia nel se- colo XVIII. Difatti, benchè negli anni della dominazione francese sieno stati aperti al pubblico due de’ nostri prin- cipali archivi e de’ meno visitati, niuna raccolta di nuovi documenti è venuta alla luce, comechè si sappia che in quegli archivii sieno cose preziose per ogni parte di storia. T. XXXV. Luglio. 16 122 Forse la meravigliosa grandezza degli avvenimenti contem- poranei potè allora cagionare tanta negligenza; ma nell’ozio presente, se non mettiamo a profitto i mezzi che rimangono, non è ragione che ‘basti alla nostra discolpa. E l’ Italia, che alla giornata si fa serva nell’opinioni della Francia, non si scuote all’ esempio delle buone opere storiche che di colà tratto tratto vengono alla luce , mentre sembra in- clinata a seguire le ipotesi fantastiche d’una filosofia gal- lo-germanica , la quale seguendo i modi de’ trovatori di nuove superstizioni tenta invadere tutte le parti della ci- viltà, ponendo per principio quello che appena può esser tenuto in ipotesi, facendo reputare solenne ciò che sino ad ora agli assennati pareva ridicolo , e quanto l’ umano senno credette migliore mettendo in vituperio. Contro sif- fatta filosofia, che nelle mani de’ minori discepoli va tut- todì crescendo in intrepidezza , potremmo adoperare util- mente le armi deila storia, facendo viepiù comune il de- siderio di conoscere l’ origine , l'indole, i mezzi e gli ef: fetti delle istituzioni sì civili come morali, onde è venuto lo stato presente della civiltà. Ma a questi progetti recano gravissimo impedimento i così detti compendi filosofici e le pretese filosofie dell’istoria, onde si genera la presunzione d’ indovinare la storia 0 di comporla colla scorta dell’ana- logia sui soli fatti strepitosi e generalmente cogniti, trascu- rando al tutto la cognizione de’ particolari che a quelli danno anima e vita. Mettete in credito questa: pericolosis- sima ma comoda maniera di ridurre le storie presenti pas- sate e future a poche formule, e parrà fastidiosa Ja let- tura delle dissertazioni del Muratori, delle prefazioni ai secoli Benedettini del Mabillon, de’ Discorsi del Fleury, e delle Storie del Giannone; opere che dovrebbero pren - dersi per primo fondamento degli studii della storia , co- me della Giurisprudenza , da chiunque desideri saper qualcosa delle ragioni della presente civiltà, ed aver tanto capitale di critica da scernere il poco di buono dal molto cattivo delle opere piuttosto improvvisate che pen- sate, di coloro che si pongono a ragionare di civiltà a ise- conda «lell'immaginazione. Dove questi fondamenti di studii 123 fossero generali riuscirebbero. fruttuose le storie scritte a dovere , e d’ altra parte nascerebbe eziandio ne’ retori una certa vergogna di posporre la verità agli ornamenti di uno stile immaginoso, o all’ ostentazione dell’ affetto. Ma se per assoluta mancanza di buone regole nell’ insegnamen- to, la comune lezione si ridurrà alle sole opere contem- poranee e meno voluminose che vengon di Francia , de- stinate dai loro stessi autori a non aver vita più lunga della moda cui intesero servire, non sarà stranezza d’ipo- tesi che non trovi lodatori, non goffo errore di storia che non venga scusato, perchè dove si guarda più al nuovo e all’ immaginoso che al vero ed all’utile, ogni lavoro d’iu gegno, quanto più si allontana dai confini del giusto, tanto maggiori lodi merita da coloro, ai quali non meno dello stu- dio dispiace il confessare di non aver meditato. In siffatto modo il pubblico viene ad applaudire gli scrittori come suole appleudire gli istrioni, sol perchè commuovono e dilettano, senza curarsi del vero, senza esaminare la sincerità dell’in- tenzioni, ll perchè si anuderà a poco a poco distruggendo quella morale censura della pubblica opinione, che sula può far le lettere veramente utili alla civiltà. E le opere stam- pate, che dovrebbero esser pegno delle azioni, e testimonii sinceri delle opinioni, si ridurranno trastulli della mente, e mezzi di sodisfare una sfrenata ambizione di lode. In Francia donde questa corruzione delle lettere trae origine, e riceve incremento, non sarà mai dato, lo spero, nè alle bizzarrie. dell’immaginazione, nè alla mania de’sistemi me- tafisici di rovinare affatto gli studii che son d’ utile civile, perchè l’ordinamento politico del regno rende ogni giorno ‘più necessaria la solidità della dottrina civile, e la severità della pubblica opinione. Contuttociò anche per la Francia sono lontani 1 tempi ne’quali nè forza d’ingegno nè vaghezza di stile basti a toglier macchia d’infamia a coloro che scrivo. no contro coscienza, prendendo a sostenere in pruova d’in- gegno quello che non pensano in cuore, o per turpe avidità d’onori, o per nefanda libidine di fama. Alle quali cose vi- tnperevoli, se il pubblico per un so\erchio rispetto alle opere dell’ ingegno (se pure si dà bello durevole disgiunto dal- 124 l'utile e dal vero ) seguitasse a dar plauso senza tener coato della torpitudine morale , non so come in avvenire si po- tesse sperare buon numero di persone, le quali vincendo i rispetti umani, calpestando i meschini calecli dell’egoismo, volessero meritata fama di buoni e pel comun bene since- ramente operosi, dove con minore spesa d’ingegno e con minori virtù fosse dato guadagnarsi maggior riputazione. Con questo discorso non vorrei già consigliare una censnra spietata, perocchè capisco anch'io quanto debba concedersi all' umana debolezza , e come il soverchio numero de’col- pevoli può aver generata in Francia quella soverchia in- dulgenza con che si giudicano gli ipocriti o î desertori delle proprie parti; ma si bene vorrei che nun fosse. rice. vuta teorica: tutto doversi condonare all’nomo prande che si vale delle forze della mente piuttosto da improvvi-atore che da cittadino. Cunciossiachè le lettere oggimai se non ‘sono civili non meritano maggiore onoranza di quella solita con- cedersi ai ballerini ed agli istrioni, che ci dilettano e ci fanno maravigliare, senza che per questo si tolgano per isti- tutori o maestri, o si abbiano in venerazione, Ora la scuola che intende sostituire alla natural sem- plicità del vero le amplificazioni rettoriche, al rigore del ragionamento le immagini poetiche, alle conclusioni severe e forse talvolta triste della filosufia e della politica la vana ostentazione dell’ affe:to , quella scuola in somma che po-. trebbe intitolarsi da madama di Staél e da Chauteaubriand, sembra fatta per traviare la mente ed il cuore, e toglier credenza agli uomini che sinceramente si scaldano per a- more del vero, nella cuisa appunto che la moltitudine delle donne che ripeton fingendo i concetti d’amore, suol far gli uomini ingiusti ed increduli inverso quelle che non men- tiscon l’ affetto. Così si va introducendo un modo di let- teratura che obbliga gli scostumati a parer malinconici è misantropi , gli increduli a mentir religione per sembrare poeti , i religiosi a far mostra di mezza incredulità per pa- rere spregiudicati, gli uomini fieddi a mostrarsi appassio- nati, i partigiani del dispotismo a parlar di libertà , i fau- tori di libertà ad adnlare la dinastia per schivare la tac- A 125 cia di nemici del trono. Ma quando in siffatto modo s’in- troduce l’ipocrisia nelle opinioni e negli affetti, non vi è più. modo di misurare le vere forze della civiltà nè di ado- prarle pel comun bene, perchè i prudenti diffidano , e gli incauti senton presto il.danno del confidare , di maniera che seiogliendosi col mancar della fede il principal lega- mento della società, rimangono sterili i lumi e le virtù de- gli individui che ja compongono. Di questi principii di male politico gli effetti sono più o meno tristi, secondo che le leggi guarentiscono più o meno la libertà e la sicurezza del cittadino ; per tutto sono poi tristissimi pel ritardo che pangono ai progressi sperabili della civiltà dove i presenti lumi fossero dirittamente adoperati. Ma quando anco le scuole che insegnano ad esagerar tutto , a far nobili le cose meschine ed a sostituire l’imma- ginazione al ragionamento ; non generassero il male gravis- simo dell’ ipocrisia, ne produrrebbero un’ altro non meno fatale, accrescendo l’ umana debolezza col far l’uomo sem- pie piè servo delle passioni e dell’illusioni dell’ immagi- nativa. Perocchè pare fuori di dubbio, che quanto si toglie di forza alla ragione, tanto si toglie di libertà all’arbitrio, e però di moralità alle azioni degli uomiai. La qual con- clasione non credo potesse venir negata nè pure da coloro che stimano le azioni umane anzichè libere , necessarie. Perocchè nell’ipotesi stessa della necessità dell’umane azio- ni (ch’io per altro ripagno dal consentire ) non è dubbio che lo stato della mente sia sempre da considerarsi come una delle principali cagioni dell’ agire degli uomini. Pari- mente credo incontrovertibile, che le azioni degli uomini dipendon più dallo stato abituale della mente che dai ra- gionamenti attuali che si facciano al momento d’agire. Di che si potrebbero recare in pruova alcune ovvie ‘osserva- zioni sulle risse comuni fra gli ignoranti rare fra gli uo- mini educati, se il bisogno di servàr brevità non ci costrin- gesse a concludere: esser soimmamente difficile, che da un uomo signoreggiato dall’ immaginazione e dalle passioni venga ‘azione conforme alla diritta ragione, E d’altra parte essendo dimostrato, che se gli uomini fossero ragionevoli po- 126 trebbero trovare la sicurezza dell’interesse particolare du- revole, nel bene comune, ne viene per conseguenza esser necessario accrescere a tutta possa le forze della ragione e le abitudini del calcolo, temperare le forze interiori che portano alla precipitazione, perchè secondo i fatalisti cresca la probabilità delle azioni conformi all'interesse comune, secondo noi partigiani della libertà dell’ arbitrio si faccian più rari i casi nei quali la facoltà di scieglier liberamente vien meno al bisogno. Ma quando nelle lettere l’.inima- ginativa soverchia il ragionamento, si agisce. precisamente contro a questo precetto : onde per noi siffatta tendenza letteraria. è giudicata pregiudizievole. Vorrei eziandio che il calore d’ immaginazione che si cerca mettere in credito fosse di mera convenzione, e per tale conosciuto da tutti; e tuttavia, siccome collo sforzarsi al fine si diventa quali siamo soliti mostrarci altrui, e dopo avere ian altri, restiamo noi pure presi all’ inganno, direi il dannò di. siffatto modo di scrivere rimanere sempre lo stesso, nom P tanto per chi legge, quanto ancora per chi scrivendo lo prenda a seguitare. Ho dovuto poi parlare nelle due ipotesi della fatalità, e del libero arbitrio, perchè la filosofia come che teologica de’nostri tempi che tanto si adopera in cercare la divisione del punto indivisibile, sembra poi con strana con- traddizione inclinare alla fatalità e ‘volerla introdurre nel- l’ esposizione dell’istoria. La qual tendenza della moderna filosofia francese, a giust:ficar tutto, a far tutti contenti e sicuri ne’propri errori, a mitigar la pubblica censura con- tro coloro che per privata ambizione mutano sentenza , mostra, l’ intenzione di guadagnarsi gran numero di parti- giani ed ottener fama da quelli cui riescon comode e grate siffatte dottrine. Usarono quest’istessa arte certi avve- dutissimi uomini che per più di due secoli han domi- nato in Europa, i quali con una morale al dire di Pa- scal obligeante et accomodante si cattivarono il mondo , quietarono il desiderio di riforma che era generale , ed in molti luoghi fecero succedere tempi di viltà, e di sciocchezza , ai secoli ch’erano stati fecondi di sapere e di virtù abbenchè frammisie a molti delitti, Ma la for 127 tuna che a quelli uomini fu propizia non potrebbe assi- curare esito egualmente avventurato a chi ne seguisse l’e- sempio; da che la libertà di discussione e di esame oggi- mai fa breve l’impero della moda in fatto di opinioni, nè può consentire lunga durata a de’ sistemi filosofici affidati all’immaginazione , e contrarii aì bisogni della causa per- petua della civiltà. Supponghiamo che i lumi maggiormente si spandano, che il perfezionamento dell’ industria faccia meglio sentire il pregio della personale indipendenza, che nell'ordinamento morale della società tutte le utili profes- sioni dieno campo ad un onorato impiego dell’ ingegno ; ed allora 1’ ambizione, meglio accomodata ai mezzi, potrà giungere ad onesto fine senza conculcar la coscienza e pro- stituire la dignità dell’umana natura, nè sarà più neces- sario il benigno uffizio delle lettere a ricoprire e scusare le colpe ; ma la letteratura come le altre liberali professioni avrà per iscopo il bene della società non disgiunto dal bel. lo e dal dilettevole, dove il bisogno il richieda e l’occa- sione il comporti. Frattanto e’ conviene prendersi in pace i sofismi finchè la forza della libera discussione non sia giunta a distruggerli. Il che speriamo veder presto ope- rato in Francia dove non sono impedimenti al libero ragionare ; assai più tardi in Italia dove non potrebbero essere eguali le condizioni de’ combattenti, se 1’ introdu- zione delle teoriche di moda colle conseguenze morali che le seguitano , facesser necessaria una discussione. Non dico già che la tendenza morale e metafisica che ripruovo nella letteratura di Francia abbia preso piede in Italia, ma lasciando ai lettori il giudizio del fatto presente , mi contento di palesare il timore dell’avvenire, Dobbiamo anzi confessare che reca non lieve con- forto il vedere ogni giorno cresciuta la riputazione del Ro- magnosi, uomo al tutto italiano, alienissimo d’ogni vil pro- ponimento di soggettare le idee agli affetti ; moltiplicate le edizioni degli storici e de’ politici italiani ; aumentate le traduzioni dei classici dell’antichità; proseguiti con sin- golare amore in molte parti d’Italia gli studii della lingua e della Divina commedia, che 11 secolo nostro ha veduti 128 risorsere, comechè a ristorarli avessero posto mente alcuni pochi del secolo passato, ai quali non tenne dietro l’uni- versale (10). Le quali cose tutte, perocchè indicano animo italiano dovrebbero impedire 1’ assoggettamento alle idee straniere che la moda sembra accreditare. Che se alcuni degli studi italiani venuti in pregio nel secolo XIX non dettero peranco frutto proporzionato alla fatica ., basta la certezza che vi sieno tra noi degli uomini di fermo pro- posito studiosi, perchè se ne debba sperare qualche utile risultamento ; non essendo cagione di povertà in Italia la debolezza dell’ingegno , ma sibbene la fiacchezza della .vo- lontà che mal seconda il naturale potere. Sia per tanto lecito alla terra’ che vide nascere il Foscarini, 1’ ode del cinque maggio, ed il veramente lirico. coro che fram- mezza la tragedia del Carmagnola , gloriarsi. d’ essere stata la prima in questo secolo tra le. meridionali ad al- zare la poesia alla dignità di interprete de’ più generosi sensi italiani; laddove per lo contrario in Francia, ad onta del tanto parlare de’Classicisti e de’ Romantici , si stanno tuttora aspettando delle opere poetiche da reggere al con- fronto colle rammentate italiane, i La qual cosa non deve far maraviglia a chi rifletta essere stato sempre proprio dei gran poeti italiani servire ai bisogni della civiltà , or con ironia ed ora con nobile sdegno, come per tacere degli antichi fecero nel passato secolo il Parini , l’Alfieri e l’ autore degli animali parlanti, prima che di nuove teoriche si levasse tanto rumore. Che se fra i passati ed i presenti si vogliono notare alcune dif- ferenze caratteristiche del secolo dirò : che nell’ordine mo- rale si ricercano con più accurata analisi i secreti. nascon= digli del cuore , nell’ordine politico si espongono con mag. gior maestria i più sottili mezzi della ragione di stato; che in generale la gravità filosofica e la nobiltà delle sentenze vengon preferite all’ironia ; il che dove peraltro giungesse al segno di proscrivere quest’ultima non potrebbe più esser lodato. Ma d’ onde viene adunque che si ragioni sempre (10) Vedi Gesari vita di Glementino Vannetti. 129 di Romanticismo come di cosa capitale, e quasi di nobi- lissimo trovato del secolo nostro? A ben rispondere a sit- fatta domanda conviene esaminare qual relazione abbiano le così dette quistioni romantiche colle gran quistioni fi- losofiche onde nel presente oziv è diviso il regno de!le opinioni, Dopo che il progresso degli studi filosofici, nella via appianata da Loke e da Condillac, avea fatto scuotere il giogo dell’autorità nelle cose che devon esser del ragiona- mento, non era più dato alle regule della rettorica sot- trarsi alla libertà dell'esame. Si cominciò ad esaminare se esse fossero poi realmente le sole condizioni necessarie per prodnrre la sensazione del bello, e molte se ne dovette- ro trovare arbitrarie, ed altre piuttosto utili osservazio- ni dell’ arte ricavate dagli esempi , anzichè principii tro- vati 4 priori e collo stesso metodo dimostrati . Però il saper comune della rettorica fu reputato da poco , essen. do che chi ritiene in mente una regola senza cono- scerne l’ origine e la ragione , può considerarsi come uo- mo che ripete de’ vocaboli d' isnoto valore, che non sono a lui d’alcuna utilità, Questo primo colpo all’autorità dei retori, trasse seco nece-sariamente il disprezzo della poe- sia d’imitazione, dettata solo a fine di verseggiare con sen- timenti accattati , senza che alcun sincero impeto poetico abbia mosso l’autore. Però ebber guerra fierissima e costan- te i madrigali ed i sonetti insulsi, che con danno e ver- gogna d’Italia si son reputati un tempo pruova d’ingegno bastante a guadagnarsi il titolo di letterato e di poeta. Lo stesso spirito di osservazione dette a conoscere: i gran poeti essere stati sempre ispirati secondo i bisogni della civiltà a cui appartenevano, e questo dar loro quella forza che ce li fa graditi perchè ci rappresentano al vivo la storia delle passioni, delle virtù e degli errori degli uomini. Però si dissero inconvenienti alla nostra poesia quelle forme di mera convenzione, che niente dicendo al cuor del poeta, von posson neppure esser di grande effetto pei lettori; la qual regola sarebbe troppo strettamente applicata se si re- stringesse alla sola mitologia de’ Gentili. In siffatto modo T. XXXV. Luglio. 17 130 ricercando le ragioni del bello non intesero i primi roman- tici di sostituir fole a fole, imitazione de’ moderni al- l’ imitazione degli antichi , licenza di tutto osare alla ser- vilità di regole meschine; ma bensì di creare una critica letteraria che non si mostrasse acerba coi felici tentativi del genio , e scoraggisse i servili imitatori. Ma i partigiani della filosofia tedesca ora fatta fran- cese, valendosi di questi primi ragionamenti ne mutarono tosto i termini di applicazione, per ridurre la questione romantica strumento ai progressi della loro filosofia. Mi- sero in credito la poesia dell’indefinito , e trovarono bello quello che non avea senso, perchè è un carattere, dicon essi, della presente civiltà l’andar vagando negli spazi im- maginari. Altri 1’ amore del vero storico spinsero al segno da escludere il bello ideale, altri fino ad amare il cinismo. E perchè la questione letteraria si congiungeva come mezzo alla filosofica, dovea necessariamente prorompere in dileggi ed in falsi giudizi su tutti i grandi uomini che non furon della scuola, ed in lodi smisurate ad alcuni fanatici del- l’età di mezzo. Così ne è avvenuto che il nome del ro- manticismo (nome per sè stesso assai bizzarro e di cat- tivo augurio) comprenda opposte sentenze conciossiachè sieno effetti di diverse cagioni. Siffutto andamento della questione romantica, se in parte giustifica molte declamazioni contro il romanticismo, mostra peraltro quanto vedessero cortamente coloro che remerono i romantici quasi nemici dell’altare e del trono; perocchè si sono veduti devotissimi al primo, e quanto al secondo rassegnati e prudenti. Nelle quali disposizioni è da credere che dureranno in avvenire , se come pare, le giu- d:cheranno sempre condizioni necessarie della presente ci- viltà. Ma rimettendo pure al governo del caso l’esito di co- tali questioni, giova almeno sperarne l’effetto di screditare il dispotismo de’pedanti e d’accrescere il patrimonio della libera discussione. Del resto poi, quando anco le scuole an- dassero nelle più strane sentenze, la diffusione de’lumi in tutte Je classi degli nomini togliendo ai letterari il mono- 131 polio del sapere, deve secondo la. ragione delle proba- bilità, toglier pregio alle scienze di mera convenzione per acerescerio a quelle che servono all’utile della società. Di ‘fatti, nella Francia istessa dove a’nostri giorni le teoriche che diciamo di moda hanno numeroso stuolo di approva- tori, gli studi solidi della erudizione storica, dell'economia pubblica, e della storia delle opinioni, sono cresciuti al se- gno da scolpare alquanto i francesi da quell’accusa di leg- gerezza onde suole essere addebitata la loro nazione, Presso di noi la diffusione de’lùmi è fatto della storia di questi ultimi anni più notabile de’progressi originali, che sino ad ora sono pochi ed incerti. In mancanza di libri che ci facciano conoscere con precisione matematica i fatti, con - sidero come segni indubitati della diffusione de’lumi il cre- sciuto numero delle tipografie, i gabinetti letterari, il nu- mero ragguardevole di quelli che vivono insegnando le lin- gue straniere ,l’ applauso con che si ricevono le opere adatte all’intellisenza popolare, e la gran quantità di ma- nuali d’arti e mestieri e di libri diretti ad accrescere i ma- teriali godimenti della vita, che si vanno pubblicando a Milano; le quali cose tutte senza avere in sè niente di meraviglioso pruovano un fatto importantissimo, vale a dire il comun desiderio d’ istruirsi, di migliorar condizione, e di prender modi di educazione civile. Di quest»: morale incivilimento sono naturali effetti l’amore della levge 1’ odio dell’ arbitrio, talchè se in Italia delle soverchieria sì commettono non manca ai tristi la dovuta dose d’infa- mia. Per la stessa cagione i buffoni e gli ubriacovi, e gli uomini notevoli per stravagante modo di vivere, che in altri tempi resero più facile abbenchè più triviale la com - media, debbuno venir meno quando i prugressi del senso comune fanno mancare chi gli paghi, chi gli applandisca, e chi gli ammiri. Invano alcuni stimano pruova d’iugegno vivere senza leggi, sostituire il motteggio al ragionamento, la calunniosa maldicenza alla giusta severità della cen- sura, che perdonando gli errori colpisce le tristizie ; per- chè la cognizione de’ veri interessi che si va diffondendo, rende superiori ai motteggi le istituzioni filantropiche, le 132 opere dell’agricoltnra, i meglioramenti dell’industria. In siffatta guisa crescendo l’amore per 1’ utile applicazione del- Je lettere ai bisogni, né gli odi mnnicipali, nè le antipatie nazionali potranno più esser d’impedimento perchè l'utile ed il vero si accolga dovunque con plauso , qualunque sia la nazione che vada superba d'averlo trovato; ma nel tem- po istesso un giusto sentimento della dignità nazionale farà ridicoli coloro che si fan servi degli stranieri in pro- ‘a d’ingegno, o di modi peregrini. Per nostra mala ven- tura le difficoltà delle comunicazioni fra le provincie d’Ita- lia, e dell’Italia coi paesi stranieri, recando non piccolo ri- tardo alla cognizione dei fatti della civiltà europea, 0, ciò che è peggio, facendo sì che i più sieno costieiti a cono- scerli parzialmente, mantiene sempie vivi due calamitosi pregiudizi , vo’dire la soverchia ammirazione o il soverchio disprezzo. Dovrebbero i giornali d’Italia riempire per quanto è da loro queste lagune nella cognizione de’fatti, sponen- do il vero, e serbando la giusta moderazione fra il biasimo e la lode; e così :e sono meno forti in dottrina di quelli in cui scrivevano ‘il Maffei il Verri ed il Beccaria, lo Zeno ed il Lami, riuscis:ero più utili come annali della civiltà europea; se sono meno liberi di quelli di Francia si ren- dessero più profittevoli per la sincerità della critica e per la sicurezza de fatti. Questo seinbra chiedere l’Italia soste- nendo tanti giornali quanti ne conta al presente. Se i giornali italiani servano come e’dovrebbero alla vera uti- lità delle lettere , posson dirlo soltauto i lettori. Quanto a me noteiò come del modo di rendere utili i giornali ad onta dei molti impedimenti, han dato l’esempio in diversi scritti il Gioia il Romagnosi ed il Giordani. Ma a questo luogo jiarmi dover conchiudere il mio ra. gionamento, dicendo che a proporzione de’ mezzi lo stesso movimento intellettuale ch'è ne’paesi prù inciviliti di Eu- ropa trovasi eziandio in Italia; che in ragione degli impe dimenti quello che è stato fatto o si fa è quasi meravi- glioso. La qual conclusione basta a vindicare l’Italia dagli ingius'i gindicii che si portano di lei, ed a metter negli animi qualche speranza di temp} migliori. Francesco Forti. 133 RIVISTA LETTERARIA. Il Paradiso perduto di Gioramwni Mrrrow tradotto da Lazzaro Puri, quarta edizione ricorretta. Lucca, Giusti e C., tomi 3 in 8.° “ Or egli spiega sì gran volo, ha detto Pope favellando di Milton, che l’ampiezza de’cieli non basta a contenerlo; ora ca- dendo nello stile prusaico va strascicandosi come una serpe. ;, E i traduttori fra noi, poco atti a seguirlo in quel volo, lo aveano per lungo tempo obbligato a strascicarsi quasi di continuo, fa- cendo dubitare a chi nol conosceva che per mezzo loro, s’ei fosse degno della sua celebrità. IL Papi fu il primo (nel 1811) che, sol- levandosi con lui quando vola e sorreggendolo quando cade, gli ottenesse in Italia una generale ammirazione. Va prevalendo nel mondo letterario una massima, che il traduttore non debba sco- starsi d’un passo dal suo autore, che immedesimatosi con lui debba per così dire abbandonarsi alla sua sorte, non abbassarne il volo, ma nen cercar mai d’impedirne la caduta. Nè di tal massima io mi stupisco dopo le esagerazioni della contraria, presso quel po- polo specialmente, che, tutto sacrificando all’osservanza d’ alcune convenienze, avea fatto del suo gusto esclusivo una legge al gu- sto degii altri. Il Papi, obbligandosi alla fedeltà ov’essa era bella, ndo ove non solo il potea senza danno ma con evidente vantaggio, pensò di soddisfare meglio che in altro modo al suo debito di traduttore , e 1’ esito ha provato ch’egli non s’ingannò. A principic veramente, sembrandogli, com’egli dice, che col se- guir fedelmente il suo autore non potesse far cosa che agl’ Ita- liani riescisse gradita, e tenendo per termo che quel libro ( poe- tico specialmente ) è cattivo , il qual non trova lettori, si prese forse alquanto più di libertà che non era necessario o convene- vole. In seguito (nel 1817) ritornando sul proprio lavoro si studiò ovunque era d’uopo, e con quelle avvertenze che la ragion poe- tica gli suggeriva, di ravvicinarlo all’originale. Anche prima egli si era ben guardato da quelle alterazioni, che facendo sparire al- cuni difetti avrebbero fatte sparire insieme non poche bellezze. Dopo la recensione, che si è accennata, i suoi cangiamenti più sostanziali-si riducono ad alcune ripetizioni qua e là soppresse, ad alcune voci tecniche o frasi dottrinali tradotte in altre più usate e alla vera poesia più confacenti, a qualche ornamento ag- giunto ai passi più trascurati, a qualche modificazione, non punto 134 nuova fra noi, de’passi eterodossi, a qualche parola frapposta alle allusioni mitologiche , onde salvarle dalla taccia di sconvenienza e d’anacronismo. E come di questi cangiamenti ei da quasi sem- pre ragion nelle note ( che seguono dopo ciascun libro le osser- vazioni d’Adisson da lui abbreviate) nessuno può lagnarsi ch'egli oceulti menomamente ciò che costituisce il carattere particolare del suo poeta. In varii luoghi, per meglio rappresentarci questo carattere , egli avrebbe desiderato , dice, d’ essere più conciso , e con una lingua sì pieghevole come la nostra lo avrebbe potuto ; ma temè d’ andar incontro all’ oscurità, che in un, lungo poe- ma sarebbe troppo dispiuciuta al lettore, il qual cerca diletto e non fatica. E volle anche esser fluido quant’era chiaro, variando peraltro quanto seppe l’armonia del verso, come fece quasi sem- pre in maniera mirabile il suo poeta. Se il Monti avesse corso seco il medesimo aringo, non lo avrebbe fatto, parmi, con mira diversa dalla sua; e chi ha veduto 1’ invocazione del poema mil- toniano da lui tradotta per prova, or saranno 14 o 15 anni, può giudicarne. Forse per aver curato meno or la chiarezza, or la flui- dità, cercando principalmente la maestà e la forza , ebbe minor numero di lettori chi ci diede una nuova traduzione di quel poe- ma poco innanzi alla secunda edizione di quella del Papi. Le persone d’un gusto delicato sapranno anche grado al nostro tra- duttore di non essersi mai stancato nello studio della proprietà e dell’eleganza, onde i molti miglioramenti della quarta edizione (terza fra le lucchesi da lui dirette) colla quale i sigg. Giusti e Compagno hanno voluto per dir così inaugurare la loro nuova tipografia. Del resto quest'ultima edizione è quasi una ristampa della seconda, ove pur trovansi le varie prose proemiali, e fra esse la vita del poeta, ch'io ignoro se sia ancor stata lodata ne’gior- nali; ma che a me sembra assai bella, e mi fa intravedere nel traduttore , che la compose, l’ingeguo già maturo d’uno storico. Arcadia di Iucoro Sawazzaro giusta lu lezione cominiana. Bo- logna, Masi 1829 in 18.° Lettere e Rime di Vincenzio MarrerLi. Bologna, Masi 1829 in 18.° Sono le primizie d’una muova collezione di testi di lingua ristampati e corretti. Come questa collezione è limitata per ora a 12 piccoli volumi, farà un poco sorpresa il veder fra essi anzi a capo di essi un testo ch’ebbe già tante edizioni, qual’è l’Arcadia e 135 | del Sanazzaro. Ma la sorpesa cesserà, tosto che ‘sappiasi, come dice il raccoglitore, che tutte più o meno quelle edizioni son piene d'er- rori e di lezioni spurie, eccetto la cominiana assai rara, fatta sulla prima del Summonzio, il qual ebbe dinanzi l’autografo, ed or ri- prodotta. Come anch’ essa però non va esente da alcune piccole mende, specialmente ortografiche, il raccoglitore le ha molto op- portunamente nella sua ristampa fatte sparire. Egli ha pur scelto dalle varianti, di cui essa è corredata, e quindi poste nel testo alcune lezioni ivi date come spurie ,, e da lui credute legittime. Se ha preso abbaglio (e qualche volta probabilmente lo ha pre- so) com’ egli addita al lettore la scelta del Comino e la sua, gli valga, dice, ad ottenergli indulgenza, il pensare che i libri più corretti, come s’ esprimeva il Comino medesimo , son quelli che hanno l’indice degli errori. Molto più a proposito, per un principio di piccola collezione come la sua, sembreranno le Lettere e le Rime di V. Martelli, allegate spesso nel Vocabolario, eppure da dugenventitre anni non più stampate. Le Rime son rime e non altro, perchè, come la vita travagliata, che l’autore condusse. non gli lasciò tempo di comporne molte; così, per valermi delle parole di Baccio suo fratello nel dedicar che fa queste poche al principe di Saler- no, non gli permise ch’egli s° andasse da giovanetto provedendo di quelle scienze ed arti le quali ornano ed aggrandiscono la poe- sia. Son però tutte piene di gentilezza, e a questo riguardo non inferiori a quelle di Lodovico suo fratello, onde Baccio può van- tarsi che non ismentiscano quel genio natio, che per somma gra- zia de’cieli, com’ei s'esprime, era proprio «della sua casa. Le let- tere possono servir insieme allo stu:lio della lingua e dello stile, alla storia de’ tempi e a quella della vita dell’antore , della quale si hanno pochissime notizie. Quantunque già spogliate pel Voca- bolario , esse forse non si rispoglierebbero senza qualche frutto. Jo lettor disattento vi ho ritrovato per la prima volta la voce af- fittuario (a pag. 31 in una lettera a Pier Vettori) mancante a quel repertorio giuridico , e registrata senz’ esempio nel Diziona- rio dell’Alberti come voce dell’uso. Altri, o naturalmente più at- tento o più obbligato all’attenzione, vi farebbe altre scoperte non dispregevoli. Chè, sebbene alcune voci nuove appartenessero alla seconda edizione non citata, e dal nostro raccoglitore tenuta a | confronto della prima; come questa non è più autorevole dell’altra (il che apparisce dalle varianti peste in calce alla terza che ho di- nanzi) potrebbero pure meritar una dichiarazione di legittimità. Ma, come di voci proprie, le lettere del nostro antore sono piene 136 i di maniere leggiadre e spesso molto efficaci, massime allor che trattano o di cose gravi, che la storia non ha obliate, o d’altre, da cui egli era particolarmente commosso. Poichè alcune sono scritte per così dire dal tavolino di consigliere, come quelle che s’inti- tolano pareri al principe di Salerno, ora sull’andare alla corte. cesarea dopo la fuga del duca di Somma , or sopra il romor di Napoli pel noto affare dell’Inquisizione ec. ec, ; altre dal tavolino del letterato, che pur non ha deposta la veste di consigliere, co- me quella al Tasso padre, che nell’affare già detto fu di contra- ria opinione ; altre dal tavolino dell’amministratore , come quella curiosisima alla principessa di Salerno, che volea danari ad ogni patto, ed a cui il Martelli dice francamente che i già esatti per servire a’commodi suoi aveano posto i poveri vassalli della Basi= licata in tante necessità e in tanti fastidii, che gli parea compas- sione lo stringerli e il molestarli davantaggio. Da tal lettera forse venne la sua prigionia, che il nuovo editore attribuisce a non so che libero consiglio dato al principe , se pur non venne da al- tra non meno curiosa al principe stesso , di cui non temè dichia- rarsi rivale in amore, sperando d’esserne trattato come Apelle da Alessandro. Altre particolarità della sua vita si ricavano da. altre lettere, fra le qualiuna singolarissima a Vittoria Colonua, a cui pare che avesse scritto poc’ anzi collo stile d’ un adoratore che brama e teme d’essere inteso; un’altra al Copola suo medico, pie- na di non so qual ironia temperata e pungente, che mostra quanto il suo animo fosse ad un tempo irritabile e gentile ; unal- tra al famoso padre Stradino, al padre per quel che sembra della fiorentina lepidezza, con cui dubito se il Berni o altro di que’begli ingegni avrebbe all’istesso proposito saputo scherzare più grazio- samente. Col sapore di questa lettera in bocca io fo all’editor bo- lognese, che l’ha insieme all’altre per così dir rinfrescata, i miei più cordiali ringraziamenti. È Le Isorr della Lacuwa di Venxzia rappresentate e descritte. Venezia, tip. d’ Alvisopoli 1829 , dispensa prima in pic. f.° velino oblungo. La vaga schiera delle isolette ( frase dell'editore ) che quasi ancelle circondano l'antica regina del mare. — Nè vi sarà chi nou le guardi volentieri così graziosamente rappresentate, spaziando in> tanto colla sua immaginazione o ridestando cento perdute rimem- branze. = Nè visarà chi non le vegga volentieri descritte, sembran- 137 dogli quasi di soggiornarvi, di seguire passo passo il vecchio abita- tore, che gliene mostra ogni parte , gliene racconta le vicende, talvolta il rallegra, più spesso lo costringe a sospirare cou lui. Abbiamo nella prima dispensa l’isola di S. Michele presso Murano , disegnata e incisa da M. Comirato e descritta da An- tonio Diedo; quella di S. Lazzaro degli Armeni, disegnata da V. Sgualdi, incisa da R. Annibale e descritta da Giustina (Renier Michiel ; e quella di S. Clemente, disegnata e incisa anch’ essa dai due artisti nominati dianzi , e descritta da Agostino Sagredo. — La prima, vaghissima fra le vaghe, è celebce specialmente per la sua Cappella Emiliana, di cui fu autore Guglielmo Bergamasco, uno de’ percursori dell’ aureo secolo della veneta architettura . La seconda, già ospizio di lebbrosi al tempo che i Veneziani fre- quentavano le scale della Soria e della Palestina, divenne poi asilo di dotti asiatici ormai famoso in tutto il mondo. La terza, già ospizio de’ pellegrini armati, che si precipitavano in Asia al gran conquisto, poi di pii eremiti, or sembra ricetto più che mai convenevole al pensator malinconico. È adorna di nobil tempio , d’ antico cenobio , di laureti, d’ oliveti ec. Ma chi vi approda (uso le frasi di chi la descrive ) più che a mirare il tempio, il cenobio , i laureti, gli oliveti , si arresta ad una tomba e onora la santa e gloriosa memoria d’un eroe, — di Tommaso Morosini, morto d’ una ferita d’ archibugio nella guerra di Candia, coman- dando le navi de’ Veneziani. « Il fratello suo Bernardo , che venne in benemerenza di lui eletto suo successore ; gli fece erigere un monumento vicino a quello del padre loro, che fu anch’ egli nebilissimo e valoroso guerriero. Il qual monumento solennemente ricordava a’ naviganti e a’guerrieri, che da Venezia uscivano sulle navi di S. Marco, il debito loro, e come a nulla vaglia la vita se sacra non sia alla patria. La quale ordinò al Morosini pub- blici funerali e pubblico lutto. E la sua memoria fu pur onorata da una canzone popolaresca in ottava rima, che sebbene me- diocre per la dicitura, è calda d’amor patrio, e fu molte filte ristampata , e lungo la laguna si udia cantare altra volta dal gondoliere , che vi adattava la flebile melodia , di che suole ve- stire i divini canti del Tasso . . . . La memoria del Morosini, come quella degli altri prodi Veneti, che onore arrecarono alla patria comune , starà nella benedizione degl’Italiani non solo , ma d’ogni straniero ancora , se rammenta , com’ebbe a dire in que’ suoi terribili e in uno dolorosi versi il Byron , « che a Ve- T. XXXV. Zuglio. 18 138 nezia più che ad altri dee la terra , se la Luna non s° alza dove la Croce ». M. v ®. . . . La vita di Gesu Crisro e la sua religione , ragionamenti d’ Aw- row10 Cesari, sec. ed. Milano, Silvestri 1829, tomi 6 in 12. Certo , quando comparvero la prima volta questi ragiona- menti, che i più si accordano a chiamare 1’ opera meglio scritta del Cesari, la meraviglia fra i cultori della lingua dovette esser grande. Già erano uscite in luce alquante sue lezioni scritturali, che gli aveano , com’ egli esprimevasi, lastricata la via a publi- care i suoi ragionamenti con qualche buona fiducia , essendo state accolte con molto favore , specialmente a cagion della lingua . «S'è durato gran tempo, egli diceva, a vituperar questa lingua del trecento come vieta, rancida e dura, come una catena delle menti e de’ pensieri degli uomini; oscura poi e povera soprat- tutto, che delle mille cose , che ci accaggiono da spiegare , non sopperiva alle dieci. Ora, lodato Dio! s° è' alla fine toccato con mano la cosa essere tutto altrimenti, ec. ec. » Che se ve ne rimane ancor dubbio, par ch'egli volesse far intendere , leggete i miei ragionamenti , e poi decidete. Infatti ei non avea per anco, nè altri prima di lui, maneggiata la lingua a lui cara per sì lungo tratto e con tanta agevolezza , sicchè questo nuovo espe- rimento avea quasi del prodigioso. Quindi è naturale che fosse assai celebrato ; il che veramente potea farsi anche senza parlare di vanto della lingua (frase d’ uno scrittore illustre citata dal nuovo editore de’ ragionamenti) tolto alla disfatta Toscana. Ben era degno d esser considerato specialmeute in Toscana, sì per farne paragone colla lingua che vi si usa favellando , e sì con quella troppo diversa che dai più si usa scrivendo. Ma io non voglio , entrando in maggiori particolarità usurparmi l’officio di chi ha dettato intorno alla vita e all’opere del Cesari l’elegante commentario , di cui si è veduta parte nell’ antecedente quaderno di questo giornale , e parte è destinata al presente. Da lui potrà sapere il lettore, che ancor non abbia veduti i ragionamenti già detti, quel ch’ essi debbano stimarsi non solo come esperimento di lingua, ma altresì come opera appartenente a sacra eloquenza. M. Pi 139 Prime lezioni di Marta EpcewortH , prima traduzione italiana di Branca Miresit Moron: Milano, Fontana 1829 in 12.° Alcune traduzioni , per la penuria in cui siamo di tanti libri originali che ci bisoguerebbero , possuno dirsi più che opportune ; questa delle prime lezioni di miss Edgeworth la direi quasi ne- cessaria. Un'altra volta quest’ anno ho avuto occasione di parlare della rara abilità di così benemerita scrittrice a compor libri pei fanciulli. Un ingegno facile, un cnore amorevole, un’imaginazione graziosa , e l’esperienza di 20 e più anni, fatta sotto la direzione d’un padre saggissimo , in una famiglia di 17 fanciulli, de’quali ell’era la maggiore, ecco ciò che la rese sì abile e quindi sì utile al suo paese. Nulla colà di più popolare, dopo il suo libro dell’Edu- cazion pratica tanto lodato, che le sue operette varie, le quali ne sono per così dire l’ applicazione. Esse , credo , o molte fra esse, trovansi oggi raccolte sotto il titolo generale di Lezioni progres- sive per la prima età: dai cinque ai sett’ anni; dai sette ai nove ; dai nove agli undici; dagli undici ai tredici; dai tredici ai quindici. Le prime , e forse le piu importanti, attesa la dif- ficoltà di trovar nulla d’ equivalente, sono quelle, ch’or ci si danno tradotte dalla signora Milesi Meion, il cui solo nome val loro un elogio. Associer le plaisir à ce qu'on veut que les enfans recherchent , et la peine à ce qu'on veut qu’ils évitent, è la loro epigrafe comune , tratta dal proemio di C. Pictet alla traduzione da Imi fatta dell’ Educazione pratica ; e dall’epigrafe s’ argomenti l'intenzione con cui sono scritte. Ma ciò cho le distingue pro- priamente è la loro grande semplicità, che appena si crederebbe potersi conciliare colla vaghezza della loro forma e coll’istruzione di cui son piene. A me sembra che 1’ autrice abbia sciolto in esse uno de’ più difficili problemi dell’ arte di comporre. E la tradut- trice coltissima, guidata ad un tempo e da un gusto sicuro e da un sentimento di madre , 1’ ha molto ben secondata. Esami- nando minutamente il suo lavoro , si osserverà forse che qualche periodo poteva rendersi ancor più chiaro , qualche frase cangiarsi in altra più propria, qualche definizione del piccolo glossario , frapposto all’ ultima lezione , tralasciarsi o migliorarsi. E nondi- meno questo lavoro ‘parrà a tutti felicissimo, e degno che le madri in ispecie gliene professino molta gratitudine. Spero ch’ a misura che le amabili creaturine, ond’ebbe probabilmente il primo impulso a sostenerne la fatica, andranno crescendo, ella vorrà darci anche le altre lezioni sovra indicate, delle quali frattanto va fa- 140 cendo una version francese mad. Belloc, la traduttrice. de’ Pic- coli Industriosi , che ben meriterebbero pronta veste italiana dalla traduttrice delle prime lezioni. M. Sulle Infermerie degli Antichi e loro differenza dai Moderni Ospedali. Dissertazione del prof. Gruseree De Marrzaers. Ro- ma 1829. Felici gl’ingegni che vivendo in Roma sanno temperare col passato il presente! Inesaurabile è la sorgente delle contempla- zioni comparative , e se molte ci fanno sospirare i tempi che fu- rono, pure alcune sono atte a riconriliar 1’ animo nostro co’giorni che sono. Quest’ ultimo effetto è prodotto dalla dissertazione che abbiamo sott’ occhio. Noi vi riconosciamo due parti distinte. La prima destinata a dimostrare l’ esistenza d’infermerie presso gli antichi; la se- conda calcolata a provare la superiorità de’ moderni spedali. Am- bedue compiute in sè stesse , ambedue convincenti. Ma la prima ripiena di classica dottrina senza vana pompa di erudizione : la seconda appoggiata alla storia del cristianesimo e spirante cri- stiana carità. Facilmente, come accenna l’autore , poteva esten- dersi la prima ricorrendo per il mondo romano alla storia del morbo di Elio Aristide , e alla vita romanzesca di Appollonio Tianco scritta da Filostrato ; e per 1’ antica Grecia alle varie fonti dalle quali il Barthelemy ha raccolto nel suo Anacarsi non poche singolari notizie su questo istesso argomento. Noi invitiamo i no- stri lettori a ricercare que’ passi, ove troveranno cose che sì di vicino si ricongiungono co’ processi del magnetismo animale. da destar maraviglia, e da toglier vanto di originalità a Mesmer, ed agli odierni magnetizzatori. Diciamo originalità, perchè siam ben luogi dalla presunzione di voler dar giudizio intorno alla realtà o all’illusione di effetti che a noi sembrano miracolosi , forse so- lamente perchè non sappiamo spiegarli. Anzi noi adottiamo per motto le parole di Shakespeare , e le rivolgiamo agli indagatori della natura : « There are more thingsin Haeven and Earth . . . . Than are dreami of in your Philosophy. ,, Sì, vi sono più cose in cielo e in terra che ancor non sogna la nostra filosofia. Ma quando o col progredir della scienza , o per qualche felice accidente noi cominciamo ad aver sentore dell’una i I4I o dell'altra di tali cose, è dovere in noi d'’ istituire tali ricerche, da strappare o il manto alla verità , o il velo all’ illusione , o la maschera all’ impostura. Il peggior partito è quello della indiffe- renza. Perchè intanto si lascia vagare il mistero , ove tutto deve essere precisione e chiarezza, e il mistero nel mondo fisico ha sempre appestato il mondo morale. Da quello i superstiziosi ter- rori, e le profane speranze; da quello mille inganni e mille em- pietà: sedotte le menti de’ semplici , tradita 1’ umana ragione, . oltraggiata la Divinità. Ci sia perdonata la nostra digressione, e tornando alla dis- sertazione del De Matthaeis, vogliam porre sott’ occhio ai lettori lo squarcio seguente, che serve come di vincolo alle due parti che la compongono , seguitando la prima qual di sopra l’abbiamo accennata, e servendo d’ introduzione alla seconda. “ Se da tutto quello che abbiamo esposto sinora, alcuno volesse conchiudere , che le infermerie , e gli Asclepii degli antichi pos- sano confondersi coi nostri ospedali, quasi che nulla fosse capace distinguerli, anderebbe assai lungi dal vero , deducendo una con- seguenza tanto contraria al mio assunto, alla verità dell’istoria, e alla ragione stessa delle cose. Grandissima è senza dubbio la differenza, che passa tra siffatte istituzioni de’ secoli anteriori e quelle de’ secoli posterieri al cristianesimo. Il più bel pregio delle nostre mancava interamente in quelle esistenti A’ tempi degli Dei falsi e bugiardi. Il balsamo soavissimo della carità , la più nobile, la più preziosa, la più salutare di tutte le virtù, quel sentimento così degno del- l’uomo che lo possiede, e del vero Iddio che lo comanda, quel principio in somma che anima e dirige i nostri stabilimenti di tal genere non era conosciuto dai gentili. V° era bisogno di altri tempi e di altre idee, affinchè il cuore umano si sollevasse al- l’acquisto di un nuovo senso , che potrebb’ esser chiamato per antonomasia senso cristiano. Vi voleva una nuova e santissima religione, pura e vera quanto la fonte da cùi emanò, che inse- gnando agli uomini altra morale , ispirasse negli animi loro una scambievole benevolenza, una carità disinteressata , un amor sin- cero e fraterno ; che facesse ad essi conoscere esser questo il più gran precetto della nuova legge, il vincolo della perfezione, il più accetto di tutti i sacrifici, il fondamento di ogni altra virtù, il più sacro e il più necessario di tutti i doveri. « Penetrate queste verità nello spirito e nel cuore umano , dovea necessariamente aver luogo un cambiamento grandissimo 142 ‘ di azioni e di costumi. E tutto in fatti cangiò sotto l’influsso benefico di un sentimento così nuovo, così ardente e così ope- ratore. Ecco la vera origine della gran differenza , che incomin- ciò bentosto a comparire anche nello stabilimento e nel governo delle case destinate ad accogliere gl’infermi. Si potrebbe dire che una nuova specie di ospitalità e di beneficenza si vide allora introdotta ed esercitata tra-gli uomini. Non più tessere ospitali ; non più impulsi di venalità e d’interesse nel prestar benefici; l'accoglienza e le cure non furono più riserbate ai soli ricchi e liberali; non fuvvi più scelta o distinzione per speranza di gua- dagno dalle persone beneficate; la sola tessera di ospitalità e di” beneficenza fu quella della povertà e del bisogno ,, Il grato sentimento che provasi alla lettura di squarcio sì bello , accrescesi dal pensiero che alla carità e alla scienza del- l’ autore si apre qual vasto campo di giornaliero e prediletto eser- cizio il grande Archiospedale di S. Spirito in Roma. — Noi non termineremo questo articolo senza esprimere un desiderio che sap- piamo esser quello di molti, cioè che l’ autore raccolga e pub- blichi riuniti i varii suoi opuscoli. Se non a questi la sua fama si appoggia , egli non deve però dispregiarli, che ciò sarebbe un dispregiare l’ approvazione di tutti coloro che li han letti. Ci contenteremo di citar quello sul culto della Dea Febbre che ha destato curiosità anche fuori d’ Italia, e quello sull’ origine de’ nu- meri romani che per adozione del Franchini (*) occupa un posto nella storia delle matematiche. Sincero è il nostro voto per la ri- stampa di questa e di altre memorie, sicuri che il pubblico ci sarà grato di averlo espresso, allorchè vedranno esse nuovamente la luce. E. M. Saggio di Poesie di Prerro Srerzini. Roma 1829. 8.° È nostro costume di esser brevi parlando di versi, perchè questi avendo ali proprie devono per propria forza o innalzarsi, o radere il suolo. Vi sono però de’ casi ove o per soverchia mo- destia o per altre ragioni, il poeta non dispiega l’ ali quanto il potrebbe, e allora fa d’uopo inanimarlo a cose maggiori. = Noi crediamo che così debba farsi col nostro autore. Questo saggio di poesie lascia intravedere chiaramente che quello che viene of- ferto al pubblico è poco in paragone di quello che per sè ritiene (*) Saggio sulla storia della matematica. Lucca 1821. E cosa singolare che 1’ autore, mentre segue il prof. De Matthaeis, neppur lo nomina, 13 il poeta. Noi sappiamo che le scene romane ripetutameute ap- plaudirono a una sua tragedia, e che di pubblico plauso furono pur coronati altri suoi versi. Ora nè quella tragedia nè que’versi, trovansi nel volumetto ch'egli ci dona. Pur comunque egli siasi noi l’accogliamo qual cosa grata, perchè vi riconosciamo non un verseggiatore ma un poeta, e perchè ne togliamo augurio di altri e più importanti componimenti. L’ autore dedica questo saggio a Thorwaldson , la cui statua . di Cristo gli ha ispirato la prima poesia intitolata #/ Salvatore. Se i pensieri non vi sono vigorosi o nuovi, hanno però i versi | quella soave tenerezza che richiedeva l'argomento. — Quello della seconda composizione La Poesia è sì vasto che nun poteva toc- . carsi che di volo: e l’autore ci ha rapidamante mostrato lo spi- rito poetico nelle favole, nelle belle arti, nella religione , ne’te- neri e ne’ magnanimi affetti; finalmente ci ha mostrata la poesia come dispensatrice eterna di fama o di obrobrio. Bello ci è sem- . brato il passaggio dalla mollezza alla forza ne’seguenti versi di- retti alla Dea che lo ispira: Ove guidi, ove traggi il mio spirto ? Ghe mi mostri ? una selva di mirto , Verdi colli, odoriferi prati, Molli fiuti — d’ un vento leggier ; Un ruscello che irrora , e va via, D’augeletti una dolce armonia , Lieti cori di Ninfe, e d’ amanti Esultanti — di puro piacer ... . . Taci o Dea, non parlarmi d’ amore, M° apri a sensi magnanimi il core , Tu amorosa assai più mi seduci, Che due luci — educate a ferir. Fammi udire una tromba guerriera Di vicina battaglia foriera, Fammi udire il suonar dei timballi , Dei cavalli — impazienti il nitrir: Mostra al prode il cammin della gloria, Al temente predici vittoria , E gl’ insegna a sprezzare i perigli Per i figli — pel patrio terren. L’ ultimo giorno di Gerosolima è il soggetto della terza poesia. Sublime soggetto per chi sentendosi suonar nell’ anima la voce | lamentevole di Geremia, e quella di Cristo piena talora di te- pi rammarico., e talora tremenda profetizzando all’ ingrata onne l’irrevocabile eccidio, avesse al tempo stesso presente al | pensiero il terribile racconto dello storico Gioseffo. Il nostro A. 114 confesserà ingenuamente di non aver attinti che pochi sorsi poe- tici da questo triplice fonte. | Maggior lode daremo alla poesia che segue în morte di Vin- cenzo Monti. Tocca dapprima de’ pregii dell’illustre estinto ri- guardo. alla lingua italiana; poi celebra la sua traduzione del- l’Iliade. Di quì con felice transizione è condotto ad accennare la differenza fra la Grecia nell’ età di Omero e 1’ Italia nell’ età di Monti: | Fù grande Omero; io lo dirò beato ; Quel che negava a noi A lui concesse il Fato : Lodare ai figli illustri i padri eroi ; Dal patrio suo terreno A lui venia nel seno Il fuoco di virtù. E all’ inspirata mente La forte età presente Piangea 1’ età che fù. Tristo è il paragone, e però viene scusata la necessità del Bardo Italiano di consacrare la sua lira a glorie straniere; e ciò forse ancora a sno malgrado: ‘ Ahi quante volte s’ arrestò pensoso Su le armoniche corde, Ghè il suo cuor generoso Al suono della cetra era discorde ; Ma lo agitava un Dio, Ma di gloria il desio Lo invase , e lo guidò. La fine del canto è in lode e conforto d’Italia, ma la verseggia- tura non mi pare corrispondente ai pensieri. Segue Beatrice Cenci. Visione. Bella composizione piena d'immagini e di affetto. Il metro è la terzina; e par che Dante sempre inspiri chi si muove in questo dominio del suo genio. Il poeta suppone che lo spirito di Beatrice debba per acquistare il : paradiso tornare a sentire il dolore della morte che ebbe a sof- frire. Quella è la notte in cui si rinnuova il supplizio. S° inalza il palco e il carnefice vi attende le vittime , (Beatrice e il fra- tello ). Sul palco istesso tutta in se romita Un altr’ ombra s’ ergea : la conoscenza Dal manto, e dai capelli era impedita. Segue il supplizio. Allora l’ombra ignota il manto aprìo , Minacciosa gittò i capelli indietro Come avesse a dispetto; e terra , e Dio. Oscuri e cavi gli occhi avea lo spetro , La faccia dalla pelle s’ informava . Parea morto risurto dal feretro. Un feroce piacere lo agitava , E della bella le forme leggiadre Dal profondo delle orbite guatava. Quand’ ei scoprissi , quelle aeree squadre Si strinser come prese da timore , Poi diero un grido, e intesi, il Padre! il Padre! Poco abbiamo da dire delle due ultime composizioni che hanno per titolo La notte che precedette la natività di Maria Vergine e La nascita in cielo di M. YV.Sono due odi manzoniane per il metro e per la dicitura. Il poeta ha dovuto supplire a ciò che non gli porgea il soggetto , introducendo cose appartenenti alla nascita del Redentore e non della Vergine. Che però vi sia quì pure del bello basti a provarlo la seguente strofe, in cui è dipinta Maria uscita appena dalle mani del Creatore a mirar la luce del Paradiso : Quale è quei, che i rai racchiude Se improvviso il dì lo fere La Fanciulla or apre, or chiude Le pupille lusinghiere , Ed ignara della vita Non par viva, ma sopita Nel suo Dio, nel suo Fattor. Chiuderemo queste osservazioni come le abbiamo cominciate , cioè incoraggiando lo Sterbini a darci nuovi e maggiori saggi del suo valore. Egli è poeta , e sembra, poter essere uno di quelli de’quali non mai tanto quanto a’dì nostri ebbe bisogno l’Italia. E. M. ArrreDo 11 Granpr. Tragedia di Gro. Bart. Marsuzzi roma- no. Roma, 18.28 Osservazioni sull’ ALrreDO. ec. Ibid. L° autore della Giovanna ha ormai acquistato un nome fra i viventi poeti italiani. Quest’ ultima tragedia non glielo toglierà certamente , ma ove non l’avesse avuto , non l’ avrebbe a lui procacciato. — Egli ha scelto un argomento più interessante nella semplicità storica che nella pompa drammatica ; e ne ha fatto T. XXXV. Luglio. 19 146 una tragedia , mentre presentava tutt’ altro che tragico avveni- mento. Poco felice nella ‘scelta del soggetto ; era necessario che vi supplisse con bellezze poetiche ; e crediamo poter dire che queste abbondano. Forse sarebbe stato miglior consiglio nell’au- tore il contentarsi di fare un dramma lirico ; che. già senza vo- lerlo è tale in molte parti.la sua composizione. Egli avrebbe po- tuto allora usare più libertà nel cangiamento di scene , e sopra- tutto render più breve ‘e però più vigoroso e incalzante il suo componimento. — Ma non so perchè ai dì nostri si vergognano i poeti di cercar di giungere a quel segno, verso il quale , senza arrivarvi, mossero lo Zeno e il Metastasio. La via su cui stanno le traccie del Poliziano, del Guarini e del Tasso non dovrebbe abbandonàrsi ai soli rettili chè strisciano sul Parnaso ; e per l’ono- re stesso della' poesia non dovrebbe soffrirsi che questa dal trion- fante potere della musica vi fosse ridotta a suoni peggiori del si- lenzio. Che se pur volendo fare una tragedia non trovava mate- ria per cinque atti, perchè non farne tre , due o anche, uno ? Questa sola dimanda farà gridare e poeti e critici, i quali con sacro orforè vedranno minacciarsi ciò che fu rispettato da Shake- speare stesso e da Schiller. Ma se quì fosse il luogo non mi sa- rebbe difficile il dimostrare che la regola de’ cinque atti ha no- ciuto più di quella delle unità, senza aver per essa alcuno di que’ speciosi motivi co’ quali vennero queste difese. Pur torniamo all’ Alfredo. Se non lo lodiamo egli è soltanto perchè non lo tro- viamo uguale ad altre precedenti composizioni , mentre chiedia- mo a un poeta , che in ogni volo sempre maggiormente s’innalzi. Non però entriamo a farne minnta critica , che ove ciò facessimo non ci mancherebbero pure come lo abbiamo accennato bellezze da citare. Il perchè proviamo indignazione nel parlare delle Os- servazioni che sono state pubblicate su questa tragedia; sna- turandola con imperfetta analisi; condannandovi senza eccezione condotta , caratteri, verseggiatura, e negando riconoscervi non solo ogni affetto, ma anche ogni duon senso. Noi ripetiamo che indignazione ci destano tali critiche ove tutto a biasimo e nulla a lode si arreca, prodigando intanto all’ autore come per ironia gli epiteti, d’ illustre, di valente, di egregio. Tanto più gridia- mo contro queste pagine perchè chi le ha pubblicate, mentre è rimasto anonimo , ha detto di aver ottenuto in iscrittu queste Osservazioni da una Società di uomini dall’ A sino alla Z che hanno nome e fama di poeti e di letterati ( p.- 6). Se questo è vero , oh misera condizione delle lettere! ‘Ma se non lo è, su 147 lui ricada l’ onta d’ una asserzione che è calunnia alla critica Romana. E. M. Armanacco Brocrarico per l’ anno 1829 , cioè breve compendio della vita de’ più illustri letterati italiani nati in ciascun giorno dell’ anno. Pesaro , 1828, Nobili 12. Grata deve essere ad ogni italiano la vista di questo volu- metto . Se la Francia Imperiale potè pubblicarne uno col titolo Ogni giorno una vittoria , non so qual paese possa dire con l’Italia: Ogni giorno un grand’uomo. Anzi scorrendo que- sto Almanacco vedremo con maraviglia quanti nomi illustri vi mancano ancora , e trarremo compiacenza dal difetto steli Nei libro. Esso risponde in parte a un’idea che da gran tempo ave- vamo concepita di compilare un. Almanacco Italiano . Il nostro piano era più vasto, abbracciando ancora i fatti storici più me- morabili, e gli aneddoti particolari più degni d’essere conosciuti; e mentre per proprio studio riducevamo in compendio la Storia del Sismondi avevamo cominciato a distenderlo. Ma se continue- ranno a venire in luce almanacchi speciali simili a quello che annunziamo , ci sarà caro il veder resa inutile la continuazione del proprio lavoro. — Solamente ci facciam lecito di pregar l’esten- sore ad usare migliore spirito aualitico nel compendiar le notizie degli uomini e delle cose ,,e maggior attenzione nell’ usare cor- retta e semplice dicitura . Noi ci rallegriamo. d’ ogni progresso , anche di quello degli almanacchi, perchè sappiamo quanto pus- sano giovare a rendere popolari molte utili dottrine . Sappiamo quanto giovano quelli che già si pubblicano in Italia per istru- zione e diletto degli agricoltori, e ci rammentiamo la salutare in- fluenza già esercitata dal piccolo Almanacco che pubblicava in Genova il Barone di Zach. Si moltiplichino tali almanacchi senza pretensione di astrusi argomenti, o di recondite scienze. Noi non chiediamo che si pubblichi fra noi in un Almanacco di Dame una Storia come quella della guerra di trent’ anni che in si» mil libro venne per la prima volta stampata dallo Schiller: Nep- pur vogliamo o desideriamo che dagli Almanacchi si passi a. que gli inumerevoli libretti da tasca che inondano la Germania sul cominciar d’ogni anno, e che già si spargono con profusione per la Francia e per l'Inghilterra. Libretti pieni di novellette e di poe- sie, e però ottimi se composti dell’ottimo ; ma vera peste per le lettere e anche pe’ costumi, se indistintamente vi si riceva per 148 far numero ogni genere. di composizioni. Già in oltramonte i più non si ricercano adesso che per i bei rametti di che vengono cor- redati,.e molti tagliano questi e gettan poi via il libro. A Dio non piaccia che cosa simile avvenga fra noi. Come splendida è spuntata in Italia la luce del Romanzo, così più umile ma non men chiara sorga pel popolo una letteratura istruttiva e piacevole che ancor desidera, e che ogni giorno gli si fa più necessaria , per quella migliore educazione di che a’dì nostri gli è dato di godere. E. M. I Sermoni. — Le Stagioni. Discorsi e Orazioni. == Lettere Campestri ed altre del prof. Groserre Barzigri di Bassano. Firenze, Tipografia Chiari, 1828 e 1829. 4 Vol. in 12.° Queste operette in verso e in prosa del sig. prof. ab. Bar- bieri, in parte ristampate per la terza volta con aggiunte, in parte inedite , non potevano venire in luce tra noi in migliore opportunità. Ad un pubblico che rammentava ancora con una dolce commozione il Barbieri orator sacro , esse han fatto cono- scere o hanno ricordato il Barbieri letterato e poeta. E l’editore non ha mancato di raccomandare con le grazie della tipografia questi 4 volumetti , a chi già era disposto ad accoglierli con trasporto , pel solo nome che portavano in fronte. L’Antologia non aveva bisogno nè di annunziare nè di lo- dare quanto essa merita, questa nuova pubblicazione che fu subito saputa e gradita da tutti. Ella non doveva che far an- ch” essa dal suo canto una festiva accoglienza alla ristampa di così leggiadre produzioni : perciò ha potuto aspettare a parlarne quando tutti quattro i volumi fossero pubblicati; e di parlarne, ha potuto incaricar me che inabile a dar giudizj letterarj, era però ben atto a ripetere al Barbieri gli elogi che il pubblico gli tributa; e ad esprimergli quei sentimenti di stima e di amore, che sono vivi in tutti i cuori de’ fiorentini, e sono vivissimi nel mio. Senza intendere di arrogarmi l’ uffizio di giadice in lettera- tura , vorrei però per mia parte far risaltare lo spirito di verità e di bontà che anima tutte le composizioni del Barbieri. Anche a traverso a quelle idee e a quelle frasi, che sono per così di- re , il patrimonio avìto della nostra poesia, traluce sempre ai miei occhi un chè di proprio e di individuale che anuunzia un'osservazione fatta da sè, e rende un’impressiune sentita. Nel- 149 I’ uso medesimo ( parco , a dir vero) che fa il. Barbieri della mitologia , il cui culto era ancora sì fervido nella giovane età del nostro poeta , da non maravigliarsi che anch’ egli abbia arso a quest’ idolo qualche grano d’incenso ; in questo medesimo uso , io diceva , della mitologia , il Barbieri ha dinanzi agli occhi una verità o un fatto o un sentimento da manifestare ; non profes- sa quelle finzioni come una dottrina di convenzione, le adopra come un linguaggio ; e nelle poesie più recenti non le adopra più affatto. Il suo animo pieno delle idee morali e degli affetti profondi , che soli possono oggi ispirare un vero poeta, disde- gna di ricorrere a questa frasologia, che dal momento in cui ces- sò di esprimere una credenza , divenne uno stucchevole gergo di scuola. & E appunto i forti e consolanti pensieri morali, ed ogni ma- niera di affetto caldo e gentile, come spirano da ogni parola del Barbieri! Pensieri morali ed affetti, che uno schietto e saggio sentimento religioso dirige, rinforza e raggentilisce. Questa con- formazione dell’ anima del Barbieri alla verità, alla religione e alla benevolenza , io la trovo impressa in tutto quello che esce dalla sua penna; e questa, a mio credere , fu la forza irresisti- bile che attirava alle sue prediche ogni classe di persone. A quel tuono di moderazione, di riservatezza, di convincimento che an- nunziano uno spirito amico del vero ; a quelle parole d’ indul- genza e di bontà che annunziano l’ amore de?’ suoi fratelli , ogni resistenza si arrende , i cuori si aprono e cedono ad un’ eloquenza che non è un’ eloquenza di sole parole. Ecco quel che dava ef- ficacia alle prediche del Barbieri, e che la dà ai discorsi ora stampati, massime a quelli che trattan la causa de’ poveri, mal- grado uno stile , che sempre puro , sempre corretto, sempre pen- sato , non è ugualmente sempre libero , snello, nativo. Certi giri artificiosi ; certe parole antiquate , certi latinismi urtano anche più i lettori che gli uditori. La voce, il gesto, e quei mille e indistinti mezzi di comunicazione che si stabiliscono fra un ora- tore ed il popolo, e sopra tutto fra un oratore come il Barbieri ed un popolo come il fiorentino, chiariscono ed avvalorano in modo la parola, che fa meraviglia veder la gente più inculta comprendere facilmente cose e termini che paiono superiori alla loro capacità. Ma chi legge non ha tutti questi aiuti, e per in- tendere con facilità, e gustare le bellezze della parola e dello stile, ha bisogno di trovar nella lingua scritta una maggiore uniformità con la lingua parlata . E questa lingua parlata dai toscani (solo che si corregga dalle irregolarità inevitabili nel dia- 1°0 logo) ha tanta leggiadria, tanta forza, tanta proprietà , tanto ca- lore, che chi la sbeffa come plebea ; e va in ‘cerca d’ una. lin- gua illustre che non ha mai vissuto, mi par simile a chi amò- reggi una gelida ed immobile statua, mentre ha dinnanzi una bellezza viva che incanta a riguardarla , e con cui si può discor- rere, e da cui si può essere inteso. Il Barbieri non è certamente uno di tali adoratori delle cose morte; e solo che egli potesse soggiornare per qualche tempo tra noi, e conversare intimamente eol nostro popolo, tengo ben io per certo che la sua anima bisognosa di espandersi , gioirebbe di rompere i ceppi d’'un lin- guaggio artificiale, e di farsi tutta comprendere e da tutti, con modi più facili più disinvolti più nostri, senza essere meno \cor- retti e meno degni del secol d’ oro. Me ne assicura quello stessu sermone intitolato Il Cruscante che il bnon Barbieri avrebbe vo- luto omettere nella presente edizione, o a cui almeno avrebbe desiderato che non fosse stata conservata una nota sul Salvini, della quale il suo gentile e grato animo temeva che i fiorentini potessero offendersi (*). Quel Sermone benchè in apparenza favo» revole a chi ammette una lingua italiana formata dagli scrittori, differente dalla lingua parlata dal popolo in Toscana, è più espres- samente diretto a mordere i pedanti accozzatori di parole , e i pazzi idolatri delle parole viete: i quali‘ho gran piacere anch’io che siano punti e derisi. E la specie d’ abbiurazione fatta ora dal Barbieri di quella nota, non solamente prova i suoi giusti riguardi verso Firenze , ma è anco una ricognizione che si può dal popolo fiorentino apprendere una lingua aurea ben differente da ‘quella . che per l’ addietro si è attribuita ai Cruscanti Toscani, e che ora vorrebbero risuscitare i Cruscanti d’ altre parti d’Italia. Del resto l’ editore , nell’assumere generosamente ( vedi la prefazione al 2.° volume) sopra di sè il carico della pubblicazione del ser- mone e della nota , ha giustificato abbastanza e il Barbieri e sè (*) Egli ha espresso a più persone il suo rincrescimento a questo proposito e lo ha espresso a me medesimo, Io godo di poter qui trascrivere alcuni periodi di una lettera da lui scritta da Padova ad un suo amico di Firenze il dì 30 luglio 1828. «« E perchè lasciarmi correre nella nota quei pedissequi della fiorentineria? A cessare ogni offesa dei Fiorentini, avrei voluto lasciare anche il Cruscante, E perchè mai non togliere almeno quelle due parole ? È ben vero che furono scritte in altro tempo , che sono poste laggiù in una nota; ma io non so che 53 33 35 »» cosa darei per cacciarle al diavolo. Tanto mi sta a cuore di mostrarmi grato, 3 come sono veramente , alla generosità di un popolo così benemerito del mio .; NOME 3. i SEE 15DI | medesimo; dimostrando. che è impossibile. di trovare in quella composizione 1° allusione Ja più lontana alla. presente Accademia della Crusca ,,i cui membri sono tanto saggi e tanto diretti nei loro lavori da uno spirito filosofico, che condannano essi i primi la pedantesca saccenteria che il Barbieri ba inteso di mettere in ridicolo. Non tema egli dunque ,che sia stata mal interpretata da moi una sua composizione. scritta per altri tempi e per altre per- sone che le, presenti non sono, e sia certo che è qui conosciuto . il suo buon animo verso una città che lo ricorda, lo ama e bra- ma di rivederlo. Così son io pur certo ch'egli non avrà discare le osservazioni sincere che un amico non ha temuto di aggiungere ai suoi sinceri elogi. To ho. ardito di chiamarmi amico del Barbieri. È egli mede- simo che me ne. ha, dato il diritto, dirigendomi, una delle epistole contenute nell’ultimo volume. Questa sua' dimostrazione di bontà mi lusinga più ch’ io non so dire. Egli gradisca i pubblici, rin graziamenti ch’ io intendo di fargliene. La mia penna è incapace di rispondergli in quei modi nei quali egli mi scrive;s ma la mia anima pensa come la sua; ed ama come la sua, o! ini Pi LA WS RUSGHINI. « PS. Mi betod mio articolo era già consegnato allo stampatore ufo mi giunge una lettera del Barbieri, nella” quale, leggo con giubilo l’annunzio della sua prossima venuta tra noi, e trovo una sua composizione da rimettersi all’ Editore delle. sue. ope- rette , onde sia pubblicata nel 5.° volume. Verrà dunque fuori un altro volumetto ancora! Sono hen lieto. d’ annunziarlo .472+ ticipatamente e di compensare così il tardo. parlare ch'io ho fatto de 4 primi. Non so predire che conterrà , ma sicuramente tutte care cose, quali abbiamo omai diritto dî, aspettarle dalla penna del Barbieri. i Rio Li Brocrarra degli Scrittori Perugini, e Notizie delle opere loro, ordinate e pubblicate da G. B. Vermicriori. T. I P. IT.\ BAN- DON. Perugia Tip. Baduel. Presso Bartelli e Costantini 1829. Sogliono taluni accogliere cen certo disdegno le opere di quegli eruditi , che nell’ abbondanza di loro dottrina, non te- mono di far dono al lettore di notizie Biografiche, e Bibliografi= che intorno ad uomini mediocri; e di disquisizioni di minuta cronologia intorno alla vita degli uomini di pregio e di grido . Noi crediamo. all’ incontro che la storia civile nè la letteraria 152 d’ un secolo non si possa tutta conoscere dalle azioni e dagli scritti degli uomini sommi; crediamo che giovi molto il vedere quanto questi sovrastassero alla loro nazione e alla loro età , col mostrare ne’ particolari in che stato fosse la nazione e l’età loro, e quali elementi di grandezza trovassero essi già preparati nell’ atmosfera , se così posso dire , che li circondava ; crediamo insomma che siccome nè i soli nobili nè i soli ricchi non danno la statistica d’una nazione , così i soli grandi ‘non dieno la piena idea d’un secolo , d’ una letteratura. Quanto alle minute dispu- tazioncelle cronologiche , noi, per dir vero, non ci sentiam dispo- sti a trovarle tanto disprezzabili e pedantesche ; quant’ altri, quando pensiamo che da un errore di data può nascer dubbio se un’ opera sia postuma o no, se un uomo insigne abbia potuto o no sentire o vedere un’ altro suo pari, se abbia o no potuto trovarsi in tal luogo, fare o dirigere la tale azione che la tradizione ‘a lui ‘attribuisce ; se suo sia o d’ altri il merito d’ una invenzione, d’ una scoperta ; quando insomma pensiamo che una circostanza, per sè picciola e nulla , raffrontata con altre, può essere regola a giudicare il carattere dell’ uomo; le sue azioni i suoi scritti. '©l male di simili indagini allora comincia , quando per esse si Jascia o si trascura l’ essenziale del carattere, delle ‘azioni, delle opere. Noi pertanto, invece di far rimprovero al dotto sig. prof. Vermiglioli che di tante minute notizie abbia arricchita la sua Biografia Perugina, di questa ricchezza gli sapremo buon grado. Altri poi , de” materiali dalla sua dottrina raccolti , potrà fare uso , sia per l’ istoria della letteratura italiana , sia per l’isto- ria particolare di tale o tal altra arte o scienza. Noi lo preghere- nio soltanto, giacchè nè giudicare le opere, nè farne con degli estratti dilettevoli conoscere il pregio, è suo assunto; lo pre- gheremo di voler d’ ora innanzi omettere que’ giudizi esagerati o falsi ch’ egli ripete, portati da’ contemporanei intorno all’ uo- mo del quale egli scrive la vita ; e similmente di voler omettere quelle citazioni, che non giovano nè a dilettare il lettore nè ad istruîrlo ; quali sarebbero quelle ‘alla p. 142 , 227, 344 ; e altrove non rado. Io non parlerò della correzione tipografica, intorno alla quale furon fatti ‘al ch. Prof. de’ rimproveri: parlerò d’ un’ altra specie di correzione, a cui non si suole così spesso piegare la pazienza degli uomini dotti. Ma io credo però che ci sia ua mezzo di con- eiliare la impazienza dello scrittore tutt’ occupato delle cose con la soddisfazione del severo lettore ; ed è scrivere, intatte sem- pre le leggi grammaticali, scrivere come si parla. Io non so, per 153 es., se il dottissimo sig. Vermiglioli vorrebbe nsare parlando taluna delle frasi che nel suo libro si trovano: « rassettare un monistero, condurre dimora, menare non piccola stima , menare un alto si- lenzio ». Il tipo della lingua parlata è, al mio parere, l’antidoto sì della ineleganza scorretta , come della pedantesca eleganza. E fortunati i toscani, dico i più di loro , se volessero scrivere co- me parlano: Sua si bona norint ! Ma questi difetti accessori non tolgono al pregio intrinseco d'un libro ricco di molte , nuove, e rare notizie. I toscani, pe e., leggerebbero con piacere , che il perugino Bart. Borghi vis- suto nel secolo scorso , uu de’ migliori geografi dell’ Europa , ha riordinata la carta della Toscana; che il perugino Serafino Ca- lindri, matematico riputatissimo, felicemeute operò sulle Marem- me di Grosseto al tempo del Gran Duca Leopoldo ; che Felice Caravagli ,, morto nel 1826 , scrisse anch’ egli nel 1771, sulla in- salubrità dell’ aria delle Chiane , e loro vicine campagne e po- polazioni ; che Fortunato Coppoli nel sec. XV fu il primo istitu- tore dei Monti di pietà : e qui, a dir vero, avremmo desiderato d’un tal uomo più ricche notizie ; che dopo le indagini del dotto sig. Vermiglioli non isperiamo quasi più di vedere. Altri nomi ve- ramente Italiani, in questa seconda Parte raccolti, sono il Cop- petta , il Bonciario , il Caporali, il Cardaneti, il Corneo, il Gri- spolti, Napoleone Comitoli , Ignazio Danti. Si potrebbe anco aggiungere Riccardo Bartolini, Autore dell’Austriade; a proposito del quale noterò che scorrendo i ma- teriali dall’ eruditiss. cav. Ciampi raccolti per le sue memorie italiano-polacche , ho trovato un Tommaso Bartolini, professore onorario e medico decano del re di Danimarca nel 1662, del quale nella Magliabechiana si conserva una lettera a Carlo Da- ti; più un altro Bartolini, di cui una lettera d’ Olao Vormio (Magliab. Cod. D. 1389 ) ; del 1630, annunzia la morte , e ne scrive. Vidua D. Bartholini varia quidem eius tenet MSS., sed paulo ante obitum testamento cavit ne divulgarentur, paucis exce- ptis theologicis , et Commentariis in officia Ciceronis . ... Del suddetto Tommaso poi, e di Gasparo suo figlio, abbiamo : Anti- quiratum veteris puerperii synopsis, a filioi Casparo commentario illustrata. Amstelod. 1675 con rami d’antichità. — Nella prefa- zione, il figlio Gaspero fa memoria di alcune opere scritte dal padre , e perite nell’incendio della sua bibl. ; tra le quali: An tiquitates puerperii variorum gentium, imprimis Romanorum, della qual opera fece la descrizione nella lettera ad filtos de in- cendio. Bibliothecae. Inoltre: De inauribus veterum Syntagma; T. XXXV. Luglio. 20 154 et Th. Bartolini de Annulis narium. Amstelod. 1076. = De ti- biis Veterum, et earum antiquo usu, libri tres. Romae 1677. - Expositio veteris in puerperio ritus , ex arca sepulcrali antiqua desumpti, 1677 Romae. Se questi tre Bartolini fossero , com’ è probabile, di Peru- gia , il ch. Biografo avrebbe una non dispregevole aggiunta da fare al suo libro (1). Ko SETAO Scorsa da Verona a Veja di Pierro Caevatien. Padova presso i Frat. Gamba. Tip. della Minerva 1829. Tanti libri si sono scritti da un secolo sull’ Italia , e tanto resta ancora da dire ! E° par quasi che questa patria della seconda e della terza civiltà , in tanti spettacoli si diversifichi, quanti son gli occhi e le menti che la vagheggiano. Un cumulo d’idee varis- sime giace sepolto sotto a queste venerande rovine; un’ atmo- sfera di sentimenti circonda l’ uomo che viene a visitarle , e che li bee col respiro. Irradiati da questo splendido sole , infiorati da questa ridente natura , i rottami de’ secoli si presentano co- me le primizie del Bello, come la primavera della europea civiltà; come il fiore della speranza che spunta intorno ai sepoleri, entro a’ quali dormono le memorie ammucchiate come 1’ ossa di cada- veri senza nome. Penetrate nelle valli deserte, inerpicatevi sulle cime di solitarie montagne, internatevi nelle catacombe , negli acquidotti, nelle caverne; dappertutto memorie d’ una civiltà ,' d° una gloria, che quanto più si riguarda, tanto si scopre più te- nebrosa e remota: e sovente nel medesimo palmo di terra, sul sasso medesimo , le vestigia di due età lontanissime , la lotta o I armonia di due mondi. Lo straniero superbo c’ invidia le no- stre ruine; le compra a caro prezzo ; visitandole, vorrebbe giu- dicarle , ma non fa che imparare. L'involontario tributo ch'egli ci porta di un’ammirazione insultante, dovrebbe iusegnarci a rispet- tar meglio un passato che noi calchiamo quasi uomini ch’ hanno perduto la coscienza del giorno di ieri; dovrebbe insegnarci a leggere in que’ruderi che già il tempo divora , una di quelle ‘ pa- role potenti ch’ echeggiano per secoli e secoli nel iontano avve- nire. Ma noi lasciamo allo straniero la cura di conoscere e d’ in- tender 1’ Italia; a’ suoi giudizi, spesso insolenti od inetti, oppo- (:) E potrebbe anco aggiungere che del Doni, da lui nominato , segr. del Re di Polonia Gio. Casimiro , s° hanno lettere a nome di quel re scritte al G. Duca Ferdinando II, 155 niamo un silenzio che non è nè orgoglioso nè modesto; un silen- zio che allora solo osiam rompere quando si tratti di vendicarci d’un nostro concittadino ch’ abbia voluto levar la voce per mo- strarci gli esempi dello straniero, e i snoi scherni. Ciascuna scienza , ciascun’arte dovrebbe, se così posso dire, viaggiare l’ Italia, e raccogliere in particolare deposito i tesori che in essa trova a sè proprii. Voler commentare l’Italia intera in un libro, sarebbe audace proposito del par che vano. Il sig. Chevalier (italiano, a quel che crediam noi ) piglia a soggetto del suo libriccino una breve gita da Verona al ponte di Veja, e vi trova materia ad una narrazione che potrebb’esser più breve, più elegantemente scritta , ma non più ingenua, nè più diligente. Innanzi di uscir di Verona, egli volge uno sguardo « agli « anneriti volti dell'Anfiteatro ; di quell’ enorme massa , monu- « mento ammirabile di grandezza ; di distruzione, di patrio zelo, « che con tanta solerzia vi lotta attorno continuamente contro « la forza dei secoli ». Si ferma un istante innanzi ai sepolcri degli Scaligeri; sale ai castelli diroccati per la via che sul dorso del colle corre lungo le mura, eretti ‘colassù da Can Grande. « Gli « squallidi abituri, tra i quali io passava salendo alla più antica « parte di Verona, posano sulle rovine degli edificii dei Romani « e dei Goti. Sni massi infranti, che formavano un tempo gli « acquedotti , le terme, i portici; i palagi dell’ irrequieta opu- « lenza; la miseria si fabbricò il tugurio , sotto cui trova un pa- « cifico sonno . .. + Le costumanze efferate di tredici secoli ad- « dietro , le atrocità , i delitti immanissimi, di che fu contami- « nato tante volte quel colle, mi passavano rapidamente al pen- « siero. Là io scorgeva il primo re dei Longobardi libare nel cranio « del re dei Gepidi; colà osservava Rosmunda rivolgere inorridita «le Jabbra dal teschio fatale .... e riflettendo alle vicissitudini « degli avvenimenti che fecero successivamente inalberare las- « suso i vessilli della Scala , del Carro, della Vipera , del Leo- « ne, e delle Aquile... ». Ma se v’ ha qualche lettore il qual brami esser condotto dalla piazzuola di San Zeno in Monte , al gran ponte di Veja, di cui lo Scamozzi dice : « è cosa maravi- « glìosa.a vederlo ; e certo pare che l’arte non possa fare altret- « tantà opera rustica » prenda a guida il sig. Chevalier, ed avrà nn egregio conoscitore del Bello della natura e dell’arte, un di- segnatore fedele, un compagno sincerissimo , come sogliono es- sere gl’ innamorati di cuore. K. X. Y. 150 Orazione detta nel Giorno XVII Febb. 1829, Anniversario delle Esequie Solenni ai Benefattori della pia casa di ricovero e d’ industria , in Padova , da Mons. canon. dott. Sesasrrano Meran. Padova Tip. Crescini. In Venezia ed in Padova s° è da qualch’ anno stabilito il bell’ uso di lodare con annua orazione i defunti benefattori della pia casa di Ricovero, e per omaggio agli estinti, e per istimolo a’ vivi. Quel dover ogni anno ripetere le medesime esortazioni } le medesime lodi della pubblica carità , quel dovere schierare in bella mostra oratoria i nomi d’uomini, i più, affatto ignoti, ad un ingegno mediocre parrà sterile impresa, a penna faconda è campo bellissimo di vera eloquenza. Noi vorremmo che in tutte le città d’Italia od in questa od in altra simile solennità, cia- scun’anno, e, se si può, più sovente ancora, una voce cittadina s'udisse parlare delle patrie cose, de’comuni bisogni; e alla lode contemprando i consigli, esercitare i cuori al seutimento di quegli affetti senza i quali la vita è un dolore , e l’esistenza sociale un pericolo. Niuno, ch’ io sappia, ha finora approfittato di questo bel tema ; meglio del ch. A. dell’ orazione annunziata : tanto spirito di modest: cioè virile eloquenza, tanta sapienza di belle allu- sioni e di civili principii io vi riconosco e v’ ammiro. Ben si vede qua e là che l’Oratore ha creduto dovere abbondar nelle lodi ; e per la brevità del tempo concessogli non ha potuto incalorire alcune parti del discorso , e renderle più efficaci: ma queli’arte di tutto ridurre ad imagini vive e belle, di trarre dalle menome circostanze partito, e innestare sull’ albero della. eloquenza i fiori poetici , semichiusi, a dir così, e verecondi , non quasi soprac- carico di ornamento, ma quasi naturale e necessaria bel!ezza ; quest’ arte ci parve tanto più degna di lode, quant'è più diffi cile e rara. — O amplificazioni sguaiate, od aridi ragionamenti ; o lo scheletro ignudo insomma , o sola la polpa floscia e cascante senza nervi, senz’ossa, ecco, tranne ben poche eccezioni, l’elo- quenza italiana da più secoli in quà. Porre in armonia con l’im- maginazione il pensiero, col pensiero l’affetto, è secreto a. que’soli serbato che hanno meditato, e che sentono. Da una tavola, posta in fondo all’ opuscolo , rileviamo con piacere che il numero degli industrianti alla casa di Padova, è di 368, 5o tra fanciulli e fanciulle , 142 uomini , donne 176; dove 757 quello de’ ricoverati non è che di 347. È ben vero che in questo numero entrano 80 donne sane, e uomini sani 56 ; ma speriamo che la somma de’sani ricoverati sarà scemata col tempo. Ducento e trentadue famiglie poi, ricevono giornaliero sussidio alle lor case. Su questi dati, moltissime cose troverebbero i cittadini delle città d’ Italia da meditare , se o con libri o con altre istruzioni fossero posti a giorno delle questioni che intorno all’ estinzione della mendicità si vanno agitando o promovendo nelle altre parti d’ Europa. Certo noi non possiamo senza spavento gettare un’oc- chiata sopra il prospetto, mesi fa pubblicato delle somme perve- nute alla commissione di pubblica beneficenza in Venezia e delle spese dalla stessa sostenute dal 1 luglio 1817 a tutto il 3o giu- gno 1828; ove fra le altre spese si legge: « per compenso ai sor- vegliatori delle porte dei teatri. (nelle serate a benefizio de’po- veri), Lire Austr. 14,043; per acquisto di valuta d’argento picco- la, e perdita sulle valute d’oro calanti, L. 9,479! K. X. Y. Poesie del co. Crrsrororo Fruri , Funese. Grisopoli 1828. Dal discorso posto innanzi ai versi del sig. co. Ferri, apparisce esser questo uno scrittore grandemente stimato nella sua patria : i suoi versi stessi dimostrano un’anima libera, un ingegno edu- cato allo studio de’ classici. Rech:amone i seguenti per saggio ; tratti da un sonetto in morte di G. Perticari : Io lagrimava, ed egli: o di mia sorte Testimon fido, mal per te si plora Ghe innanzi tempo del reo mondo fuora Me ne sia gito: ah tu non sai la morte. Questa gentil non è , com’uom si pensa ec. x Tra questi versi è una traduzione del sogno di Richter, che sarebbe ancor più italiana se fosse un po’più concisa. Gi duole però, che il ch. Trad. abbia scelto quel sogno ad esercitarvi sopra la sua maestria; giacchè cosa più strana sarebbe difficile imma - ginare. Sogna il poeta d’ entrare in una chiesa duve le fantasime de’ morti contraffanno le cerimonie de’ vivi: entra Cristo , ed an- nunzia loro, che non v’è Dio: tutti sprofondano, e il mondo ri- piomba nel caos. Questa fantasia pare a mad. de Staél un com- mento al pensiero di Bayle: “ che l’ateismo non dovrebb’ spe- »» gnere in chicchessia il timore delle pene eterne. ,, A_mostrare come sia profonda nell’ uomo 1’ idea dell’ esistenza di Dio, della 18 immortalità dello spirito, e la forza del rimorso , un poeta poteva certamente trovare un'idea men balzana che questo sogno, il quale del resto è reso terribile da alcuni particolari poetici; che pos sono per un’ istante velare la sconcezza dell’ idea principale, ma non iscusarla. Certo, se il romanticismo italiano dovesse imitare, o pur, lodare simili creazioni, sarebbe più detestabile del clas- sicismo più pedantesco e servile. E certi avversarii del romanti- cismo son tanto incapati dell’ idea d’imitazione , che quando si parla di non imitare gli antichi se non come Sofocle ha imitato Eschilo, e Virgilio l’Iliade , cioè di sentire e pensare e parlare con l’anima, con la fantasia, con lo stil proprio, essi intendono che il romanticismo insegni ad imitar gli stranieri: e gridano: omne malum ab aquilone, e facezie simili. Ma il sig. Polidori, ’ in- gegnoso autore del discorso premesso ai versi del co. Ferri, in dovinò la verità quando disse che per romanticismo s’ ha a in- tendere « non altra cosa che il complesso dalle condizioni neces- »» Sarie a' costituire la nazionalità di ciascuna delle moderne let- s, terature ,,. Onde , siccome noi non siam più nè romani ne greci, nè di religione, nè di governo, nè di consuetudini , così non siamo nè trovatori del medio evo, nè tedeschi, nè inglesi: quelle cose bensì che abbiamo comuni con tutti i popoli moderni, la religione, amor della patria e del retto, della bellezza e della verità ; certe consuetudini ancora e certe vicende, saranno certamente più degno argomento alla moderna poesia, che non quelle che alla sola nostra terra si limitano: ma se qualche particolarità deesi ammettere nelle creazioni dell’arte, certo quelle de’ climi e de’ costumi stranieri non sono da preferire alle patrie. Ell’ è la più puerile ; la più dannosa, delle imitazioni cotesta ; e il Manzoni, i cui scritti e ragionamenti noi citiamo com'unico saggio del romanticismo italiano , il Manzoni l’ ha ben dimostrato col fatto. To non so chi abbia detto al ch. A. di quel discorso, che i romantici son que’ medesimi « sconsigliati novatori con più degno », titolo chiamati non molti anni sono, libertini . . . . che gri- »» dano con maggiore insolenza che mai , che a fine di poter si- s; gnificare le novelle idee recateci dai progressi delle scienze, è »; necessario agl’ italiani di creare un novello linguaggio ,, .. I romantici non hanno mai parlato, ch'io sappia, di novello lin- guaggio; hanno anzi sempre sostenuto che il linguaggio più po- polare, ch'è quanto dire il più italiano, è il più degno della scienza e dell’arte: hanno creduto però che tutte le idee del secolo deci- 159 monono non si potessero comodamente significare coi vocaboli e ‘con le frasi del decimoquarto. Io non sv se questa al ch. Critico . parrà un’ insolenza. K. X. Y. Poesie italiane di sacro argomento, di P. A. Paravia , con la traduz. in versi latini dell'ab. G. B. Svecrraro prof: del se- minario di Pudova , e di Francesco FiLiprr, prof. nel Gin. d’ Udine. Venezia Tip. Antonelli 1828. Questi versi son prova de’progressi che viene facendo il ch. A. nell’ arte difficilissima dello scrivere. E primieramente noi ci con- gratuliam seco, ch” egli abbia alla fine voluto smettere quella mo- desta sua consuetudine di consacrare alle nobili e vaghe donne di Venezia e d’Italia, che gli capitavano innanzi, un tributo del suo coltissimo ingegno. Le Muse per lui erano ben più che nove ; e le corde della sua cetra erano d’ una moltitudine poco | men che stupenda. Ma egli s’ è accorto in tempo , che i versi composti per Occasione, son calvi al pari di quella, e che all’ im - mortalità è ben difficile afferrarli pel ciuffo prima che fuggano; saggio com’ egli è, ha conosciuto che la mente, impiccolita e | snervata in soggetti dappoco, perde la forza di raggiungere e fin di vagheggiare l’ altezza de’ nobili e belli argomenti; appunto come la galanteria tarpa l’ale e scioglie i nervi all’ amore. Da argomenti più degni della poesia, egli comincia ad attingere l’ ispirazione d’ immagini più peregrine e di uno stile più pieno. — 0 de' secoli sospiro — O sorriso dell’Eterno — Come il nembo, come il verno — La tua guancia scolorì! ... Tal non eri il di ch’ emerse — Dal purissimo tuo grembo — Chi la folgore ed il nembo — Chi la terra e il mar creò . . . . Ti spuntava allor sul labbro — Quel sorriso che consola — Come lieta a far 1 aiuola — Spunta un fiore in su lo stel ..... E sul dono tu china- vi — Uno sguardo sì cortese — Che , qual raggio in onda , sce- se — Nel segreto del mio cor . «- . Or, perchè sì pia mirar- mi? — Nonè degno d’un tuo sguardo — Chi lo spasimo d’ un dardo — Ti serbava per mercè. — Questi versi, e altri simili, dimostrano nel ch. A. un progresso sensibile. Manca ancora che dalla meditazione egli attinga vie meglio la pienezza de’ con- cetti, la vita dell’ispirazione , e quella peregrinità che consiste non nell’ accattare lo strano, ma nell’ elevarsi all’ altezza dell’ argo- mento, elevazione che di necessità trasporta l'ingegno in un’ aura a’ mediocri intentata. La maggiore ricchezza e solidità delle idee, 160 trarrà seco un altro bene ; che dalla poesia del signor Paravia spariranno que’ piccoli riempitivi che son posti come i curri alla nave per farla da terra scivolare nell’ acque. Certi epi- teti, se non oziosi , almeno un po’ troppo comuai, fanno quasi sdrucciolare la mente del lettore sui versi : ed havvi de?’ lettori che desiderano passeggiare tra le idee altrui , non iscorrervi sopra. L’uguaglianza dello stile è mn gran pregio certamente ; ma la soverchia uguaglianza, la scorrevolezza soverchia può essere pe- ricolosa. Anche il ghiaccio è ugualissimo , luccicante, pulito. Questo non s’intenda applicato ai versi del ch. A.; ma detto in generale a coloro che tutta o quasi tutta nella pulitura dello stile ripongono 1’ efficacia dell’ art= (1). Quanto alle traduzioni, mi duole sinceramente di doverle lodare: esse sono terribilmente felici. Dico terribilmente , perchè come mai sperare che uomini i quali scrivono il latino con sì franca eleganza , vogliano rinunziare ad un sì legittimo, e sì faticoso possesso ? — Io farò adunque come que’ critici che piantano la regola, ma poi, se un uomo d’ ingegno s’avvisa di violarla in silenzio , non zittiscono; e s’arrabbiano allora solo che del- l’ esempio d’ nun nomo d’ ingegno si voglia fare un’autorità scan- dalosa. La politica di questi critici è molto comoda, e molto prudente: e trattandosi di versi latini, io sento che sarà buona cosa il seguirla, K. X. Y. Perchè in Roma le donne sono più belle, più attive, e più per- spicaci degli uomini? Memoria di G. d’A. Pesaro Tip Nobili. Da questo titolo, io m’ aspettava una memoria ben gaia e ben vispa sulla attività e sulla perspicacia del sesso: una me- moria, la cui facondia o imitasse un poco o almeno rammen- tasse quell’ abbondanza e quell’ à-plomb, che certi uomini troppo delicati in materia di facondia femminile rimproverano , non so se a ragione, alle donne di Roma. Malgrado, così nel 3» proemio l’ Autore , malgrado la mia età ancor verde, ed i ,» portenti di bellezza di cui è fecondissimo il suolo romano , ,; io scrupolosamente mi racchiuderò ne’ limiti della più arida » e della più fredda dimostrazione. ;, Così farebbe un bravo (1) Due di quest’inni vennero, in una Raccolta d’Inni sacri, ristampati in Firenze ; ma, per isbaglio , sotto il nome del sig. prof. Svegliato. 16 commentatore , illustrando le bellezze d’ un classico italiano o la- tino : lo serupolo però potrebbe parere alquanto inopportuno ; giac- chè sei portenti di bellezza si esaminano in modo arido e fred- do, io non saprei che linguaggio rimanga per le sezioni ana- tomiche. Quand’io penso però che in un giovine il fare una dimo- strazione sulle cagioni della bellezza , può essere una specie di divertimento virtuoso dalle tentazioni che invitano a sperimen- tare della bellezza gli effetti; trovo lodevole ed invidiabile la freddezza di questa memoria. Il ch. A. considera le donne molto seriamente ;j e quest’ è , parmi , il miglior mezzo per non se ne innamorare in sul serio. E pui, tante triste e rimbambite lepidezze si sono sciorinate sulle donne da cinque secoli in qua , che una fredda dimostrazione può essere riguardata come la facezia più vriginale e più salsa di tutte. Comincia 1’ A. dalla fisica conformazione de’due sessi, e ne deduce la differenza de’ temperamenti , della sensibilità , delle forme: ciò premesso , discende al suo tema, e dimostra che il clima umido e crasso di Roma rende gli uomini alquanto molli ed inerti, e che gli alimenti, le bevande, i vestiti, la sonnolenza aristocratica, e la negligenza degli esercizii ginnastici tolgono al corpo, e quindi allo spirito, la virile energia; che però le donne di Roma debbono essere più belle, più attive, e più perspicaci degli nomini. Questi argomenti , sebbene fiancheggiati da ottime osservazioni e vere, non isciolgono però la questione del tutto; giacchè, e il clima; e gli alimenti, e le altre cause accennate dovrebbero deformare e ammollire e intorpidire le donne poco meno che gli uomini. Dato dunque, come un postulato mate- matico , che le donne a Roma sien più vive e più vispe e più vaghe degli uomini (e postulato lo chiamo, perchè siffatte in- dagini potrebbero parer simili alla questione del dente d’oro) cer- chiamo, se oltre alle notate dal ch. A., altre ragioni ci abbia d’una singolarità sì notabile pe’forestieri che accorrono alla città delle belle e delle colonne, I.° Ognun sa che da sedici secoli Roma è stata lo scopo ed il centro delle invasioni de’ barbari ignoranti e de’ barbari inci- viliti, de’ barbari non credenti e de’ barbari che si-dicevan fe- deli; ognuno sa che nelle invasioni, le donne sono il terreno del vinto che patisce le scorrerie più frequenti; ognun vede che da queste mistioni di razze le forme e i temperamenti delle genera- zioni debbono col volger del tempo alterarsi; pochi ignorano T. XXAXV. Luglio. 21 16) quel principio che col tempo sarà viemeglio dimostrato»; che nella generazione delle femmine la femmina generante ha l’in- flusso maggiore, e il maschio nella generazione de’ maschi: da che si vengono a trarre due conseguenze un po’ lontane, ma, se non erro , evidenti: — Che le donne di Roma debbono rite- ner più dell’antico sangue italiano , che non gli uomini — e che le donne di Roma debbonu essere più attive degli uomini , perchè generate da donne tali, che accoppiate con uomini di razza diversa, hanno nondimeno potuto tenere il disopra, ed essere nell’influsso del germe prolifico più attive di quelli. Queste in- duzioni parranno a molti stranissime; ma sappiano questi molti che il sig. Edwards, dotto naturalista, in una recente lettera al sig. Thierry, dalla forma del cranio dimostra potersi distinguere le varie razze: opinione che, spinta tropp’oltre , tocca nel falso, ma che ne’ suoi limiti è feconda di belle scoperte. II.° Le donne di Roma sono più attive degli uomini , appunto perchè son più belle ; e sono più belle appunto perchè son più attive. III° Son più attive e più perspicaci, perchè vivono in una città di pere- grini, ei peregrini cercano più volentieri il consorzio delle donne che quello degli uomini. IV.° Son più attive e più belle, perchè i tristi influssi del clima , meno possono sopra il sesso che meglio sa guarentirsene, e che negli sfoghi del parto e delle mestrue pur- gazioni si libera da molti umori nocivi. V.° Son più perspicaci e più attive, perchè quelle tante altre cause che influiscono sugli uomini, non hanno sulle donne un immediato potere. E quali son queste cause ? — Noi aspettiamo l’ occasione di parlarne a nostr’ agio. K.cXo W Istoria della letteratura greca profana di f. Scuortt. Recata in italiano con note ed osservazioni critiche del dott. Emrzio Tirano prof. nell’ I. R. Collegio di marina. Tip. Antonelli Libraio Calcografo , 1829. È uscita la prima parte del quinto volume ; e un fascicolo d’ annotazioni al volume quarto. Crediamo fra queste, degna di menzione la nota dove il sig. Tipaldo confuta 1’ affermazione dello Schoell, i romani non avere stimata grandemente la greca letteratura , nè profittatone ; e l’ altre , dove aggiunge perecchie notizie intorno a Scimno, a Dionigi il Periegeta , ad Oppiano ; e quella dove supplisce una omissione del Gamba; e quella dove ammenda il difetto dello Schoell , d’ ordinario sì negligente di 163 citare i lavori in Italia fatti sui greci scrittori; e quella inoltre dove, corregge, un errore dell’Ab. Federici sopra un’ edizione del Laerzio ; e quella infine dove cita un passo della traduzione del Pompei , lo ritraduce con maggior fedeltà, e brevità, ed ele- ganza ; saggio che pare da nulla , ma che, al nostro credere , onora la critica e lo stile del ch. Professore. , Da queste note togliamu alcune novità letterarie che a qual- che; lettore non sarà discaro conoscere. == Essere usciti in luce tre quaderni in foglio della famosa collezione delle iscrizioni gre- che ; promessa dall'Accademia di Berlino. == Conservarsi inedita del. dotto Negri una traduzione di Dionigi Periegeta , con altri scritti importanti , dal ch. Emanuele Cicogna. = La varia isto- ria d’ Eliano, e i prolegomeni del Coray alla Geografia di Stra- bone stampati dal Sonzogno nella Collana .greca , essere arric- chiti,.di belle note del cav. Mustoxidi . == Giacere inedita una memoria del sig. ab. Bettio bibliotecario della Marciana , intor- no alla vita ed alle opere di Natal Conti. Dell’ Opera dello Schoell , abbiam già detto abbastanza. Lo stesso ch. Trad. saviamente la giudica, quando, alla proposta che fa lo Schoell di non riferire i nomi di tutti i trattati di Ploti- no ; soggiunge : “ Sarebbe stato desiderabile ch'egli avesse ap- » profittato di così utile consiglio sin dal principio della sua »» storia ; che così avrebbe risparmiato ai lettori il fastidio di s,' percorrere una sterile nomenclatura di titoli d’opere , alcune 3» anche delle quali ci furono dall’ingiurie del tempo involate ,.. K. X. Y. Ragionamento medico-chirurgico di Massrmirrano Rrcacer. Fi- renze dalla stamperia Fantosini 1829 in 8.° di pagine 70. | Fiorito di sentenze poetiche, ornato di tre epigrafi e di un’apo- strofe al Vero tratta da Ugo Foscolo , è questo ragionamento una lamentazione del poco conto in cui i medici tengono i chirurghi. L’A. proponendosi di far risaltare i danni che dalla separazione di queste due professioni derivano, mette spesso in confronto gli uni cogli altri, ed accorda ai secondi la superiorità , che egli fa dipendere dalla maggiore scienza anatomica e fisiologica. L’ egregio estensore del bullettino scientifico dell’Antologia, non considerando che dal lato scientifico il libro del sigs Rigacci, ne ba fatto il soggetto di un annunzio (vedi fascicolo precedente ), nel quale giustamente loda le cognizioni medico chirurgiche del- l’autore. Noi non intendiamo di mettere in dubbio la sua dottrina; 164 ma pensavamo che potesse pur convenire che nella parte let- teraria di questo giornale si prendesse in esame uu opuscolo nel quale l’ asprezza dei modi può scemare agli occhi di molti il merito di una discussione scientifica $ e avremmo voluto racco- mandare quei vincoli di amicizia che dovrebbero sempre congiun- gere i seguaci di queste due professioni , sorelle inseparabili ) fra le quali non dovrebbe sussistere altra gara che quella di contribuire ciascuna coi suoi mezzi e coi suoi lumi al conseguimento di uno scopo comune. In questo mentre ci è caduto sott’ occchio un arti- colo di nn nuovo giornale francese (1° Universel n.° 176), in cui si annunzia un’ opera piena di lamentazioni su//o stato di avoi- limento nel quale la medicina è caduta. Il giornalista ne ha presv il frontespizio solamente per dare un titolo alle sue riflessioni. Noi ad esempio di lui, tralasciando Panalisi del libro del signor Rigacci, profitteremo di queste riflessioni, convenienti ai chirurghi quanto ai medici, ed atte a far sentire come le discordie scien- tifiche tra confratelli sieno una sorgente di continuo malcon- tento , e del discredito della scienza che professano. Crediamo di far cosa grata ai nostri lettori, (i quali rammenteranno che lo scrittore parla della Francia, e che non tuttociò che egli dice può applicarsi a noi) traducendo quasi per intiero quest’ artico- lo, che contiene molte altre utili verità. “« Da qualche tempo in quà, tutti i medici sono in mo- 3) vimento. Fanno a chi più scrive sul modo di sistemare la » medicina, a chi più si lagna dell’avvilimento in cui ella si »» trova, a chi propone un miglior sistema di riforma ec. In >) somma se tutti questi opuscoli gemebondi non sono letti da »; aleuno, e non concludono nulla, rimane però dimostrato o Che i medici non sono contenti .. .... Quanto a me che », son medico anch’ io, e per conseguenza molto daovilito e 3, molto malcontento, voglio provare così di passaggio se riesco s, a rendermi conto del mio malcontento: ed occupandomi uni- s) camente per ora dello stato dei medici nella società, cercherò >, di buona fede di scuoprire fino a qual punto la sorgente pri- s» mitiva del male sia negli uomini o nelle cose ,,. « Bisogna distinguere nella medicina la scienza e l’ arte. * Quindi una divisione naturale dei medici in due classi , in uo- »» mini di gabinetto , e in uomini di pratica. La scienza riguar- s» data in sè stessa, e astrattamente dalla pratica , è, senza con- 3; tradizione , la più nobile occupazione a cui possa applicarsi »> lo spirito umano. L’oggetto del suo studio, è l’uomo stesso , » è tutto l’universo nei suoi rapporti colla nostra natura fisica ©) 165 e morale. Tutte le altre scienze non sono, per così dire, che accessorie a questa, perchè alla fine non si propongono per ul- timo scopo che il miglioramento della nostra esistenza. I me- dici non hanno dunque da reclamar nulla riguardo alla loro scienza. Se non sono contenti , convien pur dirlo; ciò dipende dal non essere essi filosofi. Ma quanto è lungi la pratica dal presentare i medesimi vantaggi! Che cosa è un medico nel giudizio del popolo, e anche delle persone illuminate ? È un uomo che mandano a cercare quando fa loro comodo , presso a poco come cercano del magnano per accomodare le loro toppe. È egli venuto ? Gli si raccontano le minuzie le più sgradevoli, e spesso le più inutili. Dà il suo parere? Si argomenta con lui; le signore non vogliono una tale o una tal altra cura; la vecchia serva di casa gli oppone una sua’ teoria sugli umori ; e s’egli non l’approva non può essere ‘che un igno- rante, e non è più richiamato. Si ha bisogno di un cousulto ? Egli è messo insieme con un: ciarlatano , il cui solo nome è un obbrobrio ; si sacrificano le sue opinioni a quelle di qualche mediconzolo della casa , e che ha guarito una tal malattia , che niun altro poteva guarire. È egli partito? Non si esegui- scono le ordinazioni, e si va senza fargli saper nulla a prendere delle medicine da uno speziale» Si tratta finalmente di pagarlo ? Lo si costringe a fare una nota come un droghiere. Si mercanteg- gia con lui otto giorni, gli si fa osservare che un altro non prende tanto, e che avanti la rivoluzione non si dava che 3: franchi per visita ; e poi essendo convenuto il prezzo, dopo questi di- verbii, gli si manda: il giorno dopo la metà di quello che spe- rava : fortunato quando nou li si mette in mano il'danaro da- vanti a tutti i servitori della casa ; fortunato ancor più quando non gli si promette pel corso di un anno ciò che non gli si vuole dar mai! Tale è la sua ‘professione medica presso inma- lati. È ella più piacevole nel corso ordinario della vita ? Nò. Un medico in qualunque luogo si trovi, agli occhi del mondo è sempre un medico. È. chiamato dottore come il dottor Le- Roy, o il dottor Giradeau di S. Gervasio ; gli si raccontano le storie de’suoz confratelli condannati alla polizia correzionale per aver venduto senza licenza dei medicamenti ; gli sò domanda a tavola che cosa bisogna mangiare , ciò che è riscaldante , o ciò che è frigido allo stomaco; non si manca mai di fargli scalcare i polli perchè egli se ne deve intendere; e mille altre gentilezze di questo genere , che fanno arrossire un momo bene 33 bb) 3 w ®» i 166 educato. Questo non è tutto; vi sono degli inconvenienti an- che più gravi, e derivano da quella mancanza di stima , che si ha troppo spesso pei medici. Obbligati; come essi sono, ,eiper.la natura dsi, loro studii, e per il soggetto ordinario idelle! loro, meditazioni , e per le abitudini medesime della loro pratica,,a «elle dissezioni stomachevoli per quelli che non vi sono assuefatti, a delle analisi fisiologiche del bene e del male che sembrano renderli indifferenti per l’uno e per l’altro, a delle. confidenze intime che non lasciano alcun velo. fra loro “eil. pudore delle donne; si è portati generalmente a riguar- idarli.come nomini il cui pensiero, non può esser, puro ,, e le «azioni dei quali sono spesso colpevoli. Uno scolare di me- idicina è necessariamente uno scapestrato. Nelle farse egli passa la.sua vita alla Chaumière, battendosi coi veterani, o va gi- rando perle «case di via S. Giacomo per sedurvi tutte le ra- gazze di già sedotte s in realtà , è disprezzato dalle persone oneste iche non vedono .in'lni che un peppino , un, taglia-ca- daveri ;\e.ridotto a nascondere la sua professione per piacere alle belle signore, e per esser ben ricevuto nei saloni liberali della Chaussée d’ Antin. «Qual. è finalmente il termine della carriera medica ? Con- duce :almeno alla fortuna ?_ Se.un medico si è dedicato all’in- ‘segnamento , se ha sacrificato tutta la sua vita all’ ingrandi- mento della scienza e all’istruzione dei suoi simili , forse arri- ‘verà verso i quaranta cinque 0 i cinquanta anni ad esser no- minato, professore della facoltà di, medicina, cioè 1a ricevere dieci mila franchi l’anno; e allora; o si limiterà alla scienza, e viverà miserabilmente colla moglie e coi suoi figli; oppure unirà la pratica all’ insegnamento , e farà male luna e 1° al- tro, ammazzando i suoi malati, e trascurando i suoi scolari. Non ho bisogno di aggiungere che sopra due cento o trecen- to ‘che aspirano il titolo di professore; venti, 0 trenta sola- mente vi giungono ; che l’intrigo ; gli odii personali , lo spi- rito di partito, le opposizioni di dottrine, e mille altre cau- se, vegliano continuamente sull’ ingresso della facoltà per al- lontanarne il merito e ammettervi la mediocrità. Il medico sco- raggito da una prospettiva tanto poco gradevole ,, fuggirà egli la scienza per darsi alla pratica? Dopo venti anni e più di occupazioni penose, potrà a forza di mille disgusti guadagnare ciò che è necessario per vivere onorevolmente; ma sarà invec- chiato nelle fatiche, e se vuol prendere allora il riposo del 23 bè) 167 quale avrà bisogno ; le sue rendite diminuiranno, e sarà con- dannato alla più misurata parsimonia. Quale stato! Ed ecco intanto a qual termine ci conduce 1’ applicazione pratica di una scienza così bella in teoria, così degna di ammirazione a motivo degli alti pensieri che inspira e dello scopo che si pro- pone. ‘ Si dirà egli che abbiamo caricato i colori del: quadro ? No, nulla v’è d’ accresciuto; ell’ è la verità stessa, senza orpello, ma senza esagerazione. Ne appello alla testimonianza dei medici che succiano giornalmente tutte queste ignominie . To intendo dunque il perchè si lamentano, e i loro lamenti non sono che troppo fondati. Si può egli cangiare questa di . sposizione del pubblico riguardo ai medici? e quali mezzi bisognerebbe adoprare per arrivarvi ? “ Quando si vuol guarire un male , bisogna prima di tutto conoscerne le cause. Ora le cause son quì, come in qualun- que altra cosa , parte evitabili , parte necessarie . Le prime son quelle che resultano da colpa degli uomini , e son que- ste principalmente che bisogna combattere. « Dirò dunque , senza esitare, che i medici debbono pren- dersela primieramente con sè stessi per questa specie di di- scredito in cui sembra esser caduta la loro professione . Co- mincino da riguardarsi da capo a’ piedi, e quando avran- no ben veduti i loro difetti, cerchino di correggersene. In fatti domanderò loro prima di tutto , perchè si credono con- dannati a conservare una vestitura tutta particolare, tale da esser riconosciuti nella strada come se portassero un’ uni- forme , un’andatura ) un portamento di corpo, e, come essi ‘idi= cono , una facies sui generis? Perchè sempre un abito nero, mal fatto , un cappello a larga tesa, e mai guanti ? Perchè son eglino stati gli ultimi a lasciare i calzoni corti dei nostri padri , mentre quei calzoni erano andati a raggiungere nell’oblio e le parrucche a lunghi ricci pendenti, e gli abiti francesi, e i diritti feudali? Perchè quell’aria pensierosa che chiamano di gra- vità, e quell’ imbarazzo nel camminare, come se fossero tal- mente avvezzi a girare in carrettella, che non sapessero più andare a piedi come tutti gli altri? Ecco quanto all’ esterno. « Tn società , i m>dici non sono meno riconoscibili per le loro maniere. Sembra che si picchino di non essere come gli altri. Accennerò in primo luogo quella maniera dalla quale Molière non li ha ancora corretti, di mescolar sempre alle lo- ro conversazioni dei termini tecnici, che non debbono essere 9; bb) 168 intesi da quelli che li ascoltano. Si direbbe che non sanno parlare ‘altro linguaggio. Presuntuosi spesso fino al ridicolo, cre- dono di possedere tutti i segreti della scienza universale, per- chè hanno imparato la natura in Richerand , la filosofia in Vi- Fey: #sla:letteratmra iu. Alibett sio alette Leto “ Ecco su quali fondamenti riposa la società di un sì gran numero dei nostri confratelli; io dico dei più dotti, e dei più giustamente celebri. Aggiungete a questi torti ridicoli, dei reali, e dei quali il pubblico è troppo spesso testi- mone. Le dispute scandalose, che occupano senza frutto tut- te le loro riunioni accademiche ; gli odii inveterati dei me- dici fra loro ; gl’ intrighi bassi e meschini coi quali cercano di soppiantarsi reciprocamente presso i malati; quell’ uso di considerare le famiglie ove sono chiamati come una loro pro- prietà , come un fondo che coltivano a loro profitto ; quelle speculazioni sulla vita e sulla morte troppo mal mascherate , perchè il pubblico non ne sia disgustato ad ogni momento ; e altre cose che io so, e che direi, se non temessi di essere accusato d’imputare a tutti ciò che è difetto di alcuni. « Tali sono in parte le cause di quel discredito generale , in cui sembrano esser caduti da qualche tempo i medici ; di- co i medici, ma non la medicina ; poichè è ormai tempo di aggiungere , che si vede anche fra noi un gran numero di uo- mini che sanno sfuggire tutti questi rimproveri col loro per- fetto buon senso, e colla loro condotta senza macchia ; il che non distrugge però la verità di ciò che ho asserito di sopra. I medici vi riflettano. Noi viviamo in un tempo in cui non vi sono più gradi nella società , nè distinzioni fra le profes- sioni esercitate dagli uomini ; solamente vi son dei riguar- di per il merito personale. Gli uomini sono nel mondo, ciò che si fanno essi stessi ; e se qualcuno si lamenta del suo stato , ha torto, perchè di sè medesimo solamente si dee lamentare. ,, V. 169 Della clorosi; Commentario di Canzo Sprnanza. Milano per Antonio Fontana 1828. Riflessioni sopra l’ opera intitolata “ Voyage en Italie par le D. Lov1s VatentIN ,, Lettera al prof. Lvuier Aneeti , inserita nelle opere mediche moderne italiane , stampate da Iacopo Marsigli. Goll’ erudizione che lo distingue I’ A. ha raccolto i pensa- menti dei più celebri autori sì antichi che moderni nel discorrere i varii punti di patologia che spettano all’ argomento del primo libro. Egli ritiene la clorosi, come sintoma , esclusivamente pro- prio delle femmine, di una malattia la quale ora consiste sola- mente in una irritazione dell utero, ora in una nevralgia dello stomaco, nata per simpatia con quest’ organo. Nell’ altro opuscolo , dopo aver premesse delle considerazioni sull’utilità dei viaggi scientifici, e sulle qualità che dee avere un viaggiatore che vuol pubblicare delle utili relazioni , fa co- noscere la poca fedeltà di alcune di quelle del viaggio medico del signor Valentin: lo segue nelle sue riflessioni da Napoli fino nel ducato di Parma: e rammenta quali distinti seguaci dell’arte meritavano onvrevol menzione. V. Cassa pi RisparMIO. Lettera al Direttore dell’ Antologia. L’opera periodica di cui dirigete la pubblicazione, riportan- do una lettera dei redattori del Giornale Agrario (Tom. XXXII A. p. 149) sull’utilità delle Casse di Risparmio, servì di validis- simo eccitamento alla popolazione di Firenze per istituire una di tali Casse, e per profittarne. Quindi la Società della nuova Cassa di Risparmio si è fatta un obbligo di comunicarvi il suo Atto di riunione, i suoi rego- lamenti , e gli annunzi dell’ apertura dello stabilimento, e delle condizioni da esso offerte al pubblico. Conseguentemente i lettori del vostro Giornale sanno digià che la Cassa doveva essere aperta il dì 5 luglio decorso : e si- T. XXXV. Luglio. : 22 1I7O curamente si aspettano di trovarvi allo spirar del primo mese il prospetto degli incassi e delle restituzioni. Onde possiate adunque corrispondere a tale espettativa, mi affretto ad informarvi che sono stati incassati tiorini 13472 e quattrini 12: e restituiti a N.° 6 depositanti fiorini 16 e quat- trini 40. Il numero dei creditori per depositi a tutto luglio era di 994 : e quello dei depositi di 1616 ; d’onde si deduce che molti indi- vidui hanno dopo il primo rinnuovati i versamenti di altre somme. Due avvertenze son indispensabili a farsi sulle operazioni della nuova Cassa onde assicurarsi che essa corrisponda all’ og- getto per cui fu istituita. Si riferisce la prima alla misura dei singoli depositi ; la se- conda alla condizione dei depositanti. Quanti più difatti saranno i depositi di piccola somma, e quanti più gl’ individui apparte- nenti alle classi bisognose, i quali li abbian fatti: a tanto mag- gior ragione potrà credersi che la Cassa abbia raccolti i piccoli avanzi dei settimanali guadagni della gente obbligata a vivere dell’ industria propria ; e tanto meno potrà temersi che la nuo- va istituzione si presti al comodo degli speculatori. Eccovi lo stato dei depositi. N.° 75 inferiori al fiorino 537 da un fiorino a quattro 439 da quattro a dieci fiorini 117 da fiorini 10 a 19. 448 di fiorini venti. N.° 1616 Ed avendo voluto il Consiglio d’Amministrazione della Cassa che si tenesse conto della condizione di ognuno dei depositanti , si è potuto dai registri ricavare il prospetto seguente : N.° 36 Reclusi nella Pia Casa di lavoro 33 Alunni delle Scuole di Reciproco Insegnam. 18 Dotati dal sig. cav. Eynard 120 Persone di servizio dei due sessi 12 Agenti di campagna o agricoltori 294 Manifattori o botteganti diversi 30 Negozianti 20 Giovani di studio o di scrittoio 18 Legali, medici, o artisti 69 Impiegati o Pensionati 4 Militari ro Ecclesiastici 269 Benestanti 6r Incogniti. N.° 994 Queste notizie divengono la più chiara prova del buon ef- fetto delle disposizioni inserite nei regolamenti nostri , allorchè si rifletta che comunque sembri considerabile il numero dei de- positi del massimo limite, esso non è per la più gran parte co- me resulta dai registri che l’ effetto del versamento fatto alla Cassa dei risparmi già cumulati dai providi ed industriosi, e dei quali sarebbe ingiusto l’ impedire il ricevimento con quelle mi- sure che adotterebbe il Consiglio , appena vedesse invader la Cassa dalle speculazioni dei danarosi. Credetemi sinceramente Dalle Stanze della Cassa di Risparmio li 31 luglio 1829. Vostro Aff. Serv. FERDINANDO TARTINI-SALVATICI Segretario del Consiglio d’ Amministr. 172 BULLETTINO SCIENTIFICO Luglio 1829. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Nel Giornale delle scienze d’ Edimburgo per il niese di gen- naio 1829 si trova la seguente notizia : ‘ Lo stretto che conduce nel porto di Plymouth è limitato all’est ed all’ ovest da due piccoli capi moderatamente elevati e ricoperti di bosco. Questa disposizione locale sembra la causa d’ un fenomeno osservato dal sig. Harvey. Il dì tr maggio verso mezzogiorno egli vide una nuvola densa e ben circoscritta, la quale venendo dall’ ovest pervenne ben presto al promontorio occidentale chiamato monte Edgecumbe , arrivata al di sopra del mare, disparve lasciando l’ aria perfettamente serena, ma si riformò sul capo orientale , e quindi si perse verso l’ orizzonte. La massa nuvolosa era visibil - mente in moto. Questo spettacolo aereo ha durato due ore ,,. Lo stesso giornale dà ragguaglio come appresso di due tem- peste atmosferiche avvenute nel Worcestershire , e nelle quali sembra che la scarica elettrica si sia lanciata dalla terra alle nuvole : “ La prima tempesta avvenne il 14 dicembre verso sera. Fu sentito un tuono violento seguitato da un fragore prolungato nelle nuvole. Nello stesso tempo fu veduto come un lampo vi- vace, che si fosse diretto dalla terra all’ ovest verso la nuvola tempestosa. Il giorno dopo il sig. Williams , a cui si devono queste notizie , seppe che la guglia della chiesa di S. Andrea a Wor- cester era stata colpita dal fulmine. Congetturando dalla natura del suono che le nuvole fossero state elettrizzate negativamen- te, egli predisse che i frammenti di pietra sarebbero trovati per terra dal lato occidentale della chiesa. La sua congettura fu tro- vata vera. Dei rottami di pietre che si potevano ben riconoscere erano sul suolo alla distanza di 30 passi dalla chiesa , precisa - mente dalla parte che guardava il punte donde il fulmine sa- rebbe venuto se il suo punto di partenza fosse stato nelle nu- vole .,. « La seconda tempesta si scaricò sopra il villaggio del gran 173 Malvern alla distanza di 7 miglia da Worcester. Il fulmine ve- nendo dall’ovest colpì una capanna costruita sopra una montagna; di nove persone che vi si erano rifugiate , ne uccise due. Una persona che stava all’ ingresso della capanna in faccia al levante, vide come un globo di fuoco che si rotolava sulla terra, e che entrò nella capanna. Questa capanna costruita di frammenti di granito era ricoperta d’ un tetto di lamiera di ferro. Dopo l’ av- venimento vi fu osservata una lunga crepatura dal lato dell’ovest, ed i frammenti di granito riconoscibli alla calce che li ricopriva furono trovati anch’ essi per terra da questa parte. Il sig. David Brewster ha osservato il dì 5 luglio 1828, un arco-baleno notabile per la vivacità dei suoi colori. Era composto, al solito, di due archi, uno interno, l’ altro esterno, ma questo era circondato al di fuori d’ un arco rosso , il quale era simil- mente circondato da un arco verde. Questi due archi formavano così un arco-baleno sopranumerario analogo a quelli che così spesso accompagnano l’ arco-baleno interno. Il dì 2 di ottobre è stato osservato un altro arco-baleno ac- compagnato dal raro fenomeno della convergenza dei raggi solari. Siccome il punto verso il quale i raggi convergono è esattamente opposto al sole, esso coincideva esattamente col centro del- l’ iride. Da un gran numero d'’ osservazioni sull’andamento delle tempeste nel dipartimento del Loiret in Francia, il conte di Tri- stan ha concluso che la loro direzione media in quel dipartimento sembra venire dal sud-ovest-quarto-ovest. Oltre a questo egli ne ha dedotto altri risultati più generali, che sebbene non possano riguardarsi come certi, pure meritano attenzione ,.e che sono stati da lui esposti sotto la forma d’ aforismi, come appresso: 1.° Le tempeste sono attirate dalle foreste ; 2.° Quando una tempesta arriva ad una foresta, (A) Se vi arriva molto obliquamente, si striscia appresso ad essa; (B) Se vi arriva presso a poco direttamente, (B1) O la tempesta è stretta,.e gira intorno alla foresta ; (Ba) O è larga, ed allora può essere totalmente arrestata. 3.° Ogni qual volta una foresta trovandosi un poco sulla strada che fa una tempesta , tende a sviarla , la velocità di questa tempesta sembra un momento ritardata , e la sua intensità si ac- cresce. 174 4.° Una tempesta che non può esser deviata bastantemente, nè può aggirare una foresta, e che si trova nel caso (B2) del- l’aforismo 2, (A) Si dilegua presso la foresta ; (B) O se alla lunga vi passa sopra, è molto indebolita ; (0) Qualche volta , in quest’ ultimo caso, riprende la sua forza un poco più lungi. 5.° Le foreste attirando le tempeste, e non arrestandole sempre , può accadere che delle tempeste che si muovevano lon- tane una dall’ altra si ravvicinino in conseguenza dell’ attrazione d° una foresta , e che perciò siano disposte a riunirsi, o avanti, © anche dopo il passaggio della foresta. In quest’ultimo caso una tempesta può sembrare più forte dopo che ha passato una foresta e quando se ne allontana , di quello che fosse prima d’arrivarvi. E questo un effetto naturale , il quale si accorda cogli altri fe- nomeni osservati, ma che può fare illusione, e sembrare in con- tradizione coll’ aforismo 4 (B); 6.° Una tempesta può seguitare la direzione d’ un gran fiume o d’una vallata, purchè ciò non la devii molto dalla direzione che prenderebbe senza questa circostanza. (A) Se una tal direzione è presso a poco parallela al fiume o alla vallata, vi si conformerà interamente ; (B) Ma l’avvicinamento d’ una foresta o d’ un notabile re- pentino svolgimento del fiume o della vallata glie la farà abban- donare ; 7.° Una tempesta la direzione della quale incrocia quella d’un fiume o d’una vallata, la traversa senza ostacolo e senza ritardo ; 8.° Una nuvola tempestosa ne attira un’altra che si trova a poca distanza, e la svia dalla sua direzione; si può credere che l’azione sia reciproca, e che in conseguenza la deviazione di ciascuna delle nuvole sia in ragione inversa della sua potenza, salvo l’effetto delle circostanze accessorie ; g.-° Una nuvola attirata da una più forte, va accelerando il suo movimento a misura che si avvicina alla tempesta prin- cipale ; 10.° Quando vi è una nuvola affluente , la quale dal canto suo faceva delle devastazioni , (A) Qualche volta le sospende avvicinandosi alla tempesta principale ; il che è forse un effetto del suo movimento acce- lerato ; (B) Ma dopo la riunione , ordinariamente il danno è maggiore. Fisica e Chimica. Lettera del sig. Carro Marrevcci di Forlì al prof. Gazzeri. Sig. Professore. La importanza del nuovo fatto sulla solare elettricità che io le comunicai in una mia lettera pubblicata nell’ aprile dell’Antologia di quest'anno, mi obbliga a farle note su questo stesso alcune osservazioni non meno delle prime interes- santi. Sin dall’epoca in cui per la prima volta osservai un tale fenomeno, mi si affacciò all’ idea che lo stato elettrico acquistato dal vetro potesse anche dipen- dere dall’evaporazione del velo acqueo che sempre ne bagna la superficie. Onde togliere sì fatto dubbio alla mia osservazione, ho cercato tentare la esperienza in altro modo; dopo aver più volte con un piano di prova toccato una lastra di vetro senza poter scorgere niun sensibile sviluppo di elettricità, l’ho fortemente riscaldata onde perdesse la umidità aderente, e lasciata così raffreddare sotto una campana disseccata già innanzi col calore, e col cloruro di calce, 1’ ho allora tentata più volte collo stesso piano, e giammai mi fu fatto di vederne svolta elettricità, il che però avvenne ben presto abbandonata che fosse per po- chi istanti la lastra alla diretta azion solare. Quantunque volte però io vedessi così esclusa dalle cause dell’ elettrizza- mento del vetro esposto al sole anche la evaporazione dello strato d’ acqua che il bagna, nulla meno il toccare la lastra col piano di prova in più punti non mi parea metodo che sfuggir potesse ogni eccezione, essendo troppo agevol cosa lo svolgersi elettricità o per pressione, o. per un’attrito qualunque. Ho voluto quindi variare il modo dell’esperimento, e non per questo avrebbe dovuto fallire la os- servazione , se pur reale, e ciò difatti in nulla ne turbò il risultato. Aggiunto al piatto condensatore un filo metallico saldato all’estremità con largo disco di ottone, disposi su questo una lastra di vetro, e feci in modo che i raggi solari ne percuotessero la superficie senza che ne fosse tocca la cassa dell’ elettrometro. Viddi allora divergere sensibilmente le foglie, ed alzata la lastra ; (ed indi il piatto collettore, osservai, come era ben naturale, accrescersi la divergenza. In questa guisa parmi ridotta la causa dello stato elettrico acquistato dai vetri esposti al sole ad unica facoltà de’ raggi solari. Se Ella crede che queste mie nuove considerazioni possano in qualche modo interessare i fisici , le pubblichi nell’Antologia, ed intanto mi ritenga Di Lei sig. Professore Forlì li 13 Agosto 1829. GarLo MartTEUCCI. Il celebre Davy, di cui le scienze deplorano la recente gravissima perdita, aveva alcuni anni addietro intrapreso alcu- ne esperienze intorno all’ elettricità della torpedine . Lo stato della sua salute non permettendogli di seguitarle, egli trasmise 176 da Lubiana nell’Illiria fino dal 24 ottobre dello scorso anno 1828 alla Società Reale di Londra i risultamenti che ne aveva raccolti. Questa relazione , che diremmo il suo testamento, si trova nella Biblioteca Universale per ii mese di giugno 1829. Ec- cone la sostanza. Walsh aveva osservate e considerate alcune notabili diffe- renze che presenta l'elettricità comune a confronto di quella degli organi della torpedine e del gimnoto, e specialmente l’in- capacità di quest’ultima a traversar l’ aria , ed a produrre l’in- fuocamento dei metalli, anche per mezzo delle scosse più vio- lente . | Cavendish con molta sagacità paragonò l’azione elettrica degli animali a quella d’una batteria debolmente caricata , nella quale un elettricità abbondante ha poca intensità. Pure è diffi- cile accordare i fatti menzionati con questa maniera di riguar- dare il soggetto. Il Volta , inventata la pila, credè trovare, una perfetta so- miglianza fra l'elettricità delia pila stessa e quella sviluppata da- gli organi degli animali. Scoperta l’azione chimica della pila , il Davy volle ricono- scere se anche l’ elettricità svegliata dagli organi degli animali operasse li stessi effetti chimici. Trovandosi a Napoli nel 1815, e procuratesi due torpedini vive, fece passare le scariche prodotte da esse per un circuito interrotto formato per l’ immersione di due fili d’argento nel- l’acqua , di cui non potè scorgere la minima scomposizione. Ri- petè l’esperienze a Mola di Gaeta con apparati nei quali la su- perficie dell’ argento era la minima possibile, e nei quali dei buoni ‘conduttori liquidi, come delle soluzioni di potassa e d’a- cido solforico , formavano il circuito ; il risultato fu lo stesso. Nel mese di giugno dello stesso anno, essendo a Rimini , operò con una torpedine più grande, ma senza ottenere verun effetto : In quest’ occasione egli fece passar la scarica per un circuito molto breve, che sopra una lunghezza di un quarto di pollice terminava con un filo d' argento del diametro di meno d’un millesimo di pollice, preparato dal Cavendish per costruire un micrometro. Questo sottilissimo filo non fu minimamente in- fuocato ,y- . Da queste esperienze il Davy concluse che l’elettricità svi- lmppata dagli organi degli animali ha più analogia con una bat- teria debolmente caricata , e le di cui superficie caricate fossero conduttori imperfetti, eome l’ acqua. Pal LE A Comunicate le sue ricerche al Volta in Milano, nell’ estate dell’anno stesso , il Volta gli mostrò un apparato d’ altra forma che gli sembrava riunire tutte le condizioni degli organi della torpedine. Era una pila , la cui parte liquida era un condutto- re imperfettissimo , come il miele, ò una soluzione densa dî zucchero ; pila che richiedeva un certo tempo’ per caricarsi, @ che non scomponeva l’ acqua, benchè caricata desse delle scosse sensibili. Scoperta da Oersted l’ influenza della pila voltaica sull’ ago magnetico , il Davy volle verificare se l’ elettricità degli animali godesse della proprietà stessa. Otténute non senza difficoltà a Trieste due torpedini vive' prese recentemente , fece passare un certo numero di volte la scarica della più grant per il circuito d’ un elettrometro magnetico estremamente delicato, ma non os- servò nell’ago deviazione alcuna. Per assicurarsi che il circuito fosse completo , volle farne parte egli stesso , tenendo in una delle sue mani bagnate d’acqua salata il cnechiaio d’argento su cui riceveva la scarica , nell’ altra il filo connesso coll’ elettro- metro. Le scariche le quali passavano per i giri moltiplicati del- l’ elettrometro , senza esercitare veruna azione sull’ago mague- tico, erano bastantemente furti per farsi sentire nei suoi due go- miti, e fino una volta nelle spalle. A spiegare questi risultamenti negativi, suppone il Davy che il movimento dell’ elettricità degli organi della torpedine si effettui in un tempo non misurabile per la sua grande brevità, e che a produrre la deviazione dell’ago sia necessaria una qual- ehe continuità della corrente. L’ elettrometro era egualmente insensibile alla scarica debo- le d’ una boccia di Leida, mentre deviava per la più debole corrente mossa da piccolissimé combinazioni voltaiche. Due paia zinco e rame del diametro di un sesto di pollice, tramezzate da dischi di carta bagnati con acqua salata , cagionavano una de- viazione permanente dell’ ago. Sembrava al Davy di scorgere negli effetti dell’ elettricità della torpedine più analogia con quelli dell’ elettricità ordinaria che della voltaica, e credeva probabile che l’elettricità animale debba in seguito riconoscersi di natura particolare, e distinta . L’ ordinaria , diceva egli, è eccitata sopra corpi non conduttori, e trasmessa da conduttori perfetti o imperfetti. La voltaica si eccita per mezzo di combinazioni di conduttori perfetti ed’ im- perfetti, e non è trasmessa che per conduttori perfetti, 0, se im- pertetti , della migliore specie. T. XXXV. Luglio. 23 w 178 Il magnetismo (se egli è una forma particolare dell’ elettri- cità) non appartiene che ai conduttori perfetti, e nelle sue mo- dificazioni ad una classe speciale di questi conduttori. L’ elettricità animale non risiede che nei conduttori imper- fetti, i quali formano gli organi degli animali viventi, ed il suo oggetto nell’economia animale è di agire sugli animali vivi.’ È notabile un altra analogia. L’ azione degli organi della torpedine dipende dalla volontà dell’ animale. Hunter ha rico- nosciuto in quegli organi una grande abbondanza di nervi . Esaminatane la struttura , il Davy non vi ha mai potuto scuo- prire combinazione di conduttori diversi simili ad un apparato galvanico , nè credeva improbabile che la scossa fosse dovuta a qualche proprietà sviluppata dall’ azione dei nervi, ‘ Ignorandosi la natura dell’azione elettrica, ed ancor. più quella dell’azione dei nervi, egli pensava che 1’ esame attento della relazione che esiste fra 1° elettricità animale ed il sistema nervoso sviluppatissimo degli animali elettrici, e la considera- zione della dipendenza dell’ elettricità animale dalla volontà, e della natura istantanea della sua trasmissione , potrebbero con- durre sperimentatori abili a qualche scoperta in fisiologia. Il sig. Donné con un lungo seguito di osservazioni ha im- preso a riconoscere l’ influenza che i fenomeni meteorologici eser- citano sulla tensione variabile delle pile secche. Egli si è assicurato che l'umidità non agisce se non come corpo conduttore, sottraendo più o meno elettricità , senza mo- dificare 1’ azione della pila. E Non ha trovato relazione alcuna fra le variazioni di tensione delle pile secche e le altezze del barometro , o la diversa. gra- vità atmosferica. Posta una pila secca sotto il recipiente della macchina pneumatica , fattovi il vuoto, e mantenutolo per più giorni, la tensione della pila non è stata punto diminuita. La temperatura è fra le circostanze atmosferiche quella che agisce sulle pile secche nel modo più immediato ed insieme più vario, essendo la sua azione complicatissima. L’esperienza e l’os- servazione hanno dimostrato : ©*Che gli effetti della temperatura sono diversi secondo che le variazioni sono o repentine ed istantanee, ovvero progressive e lente. Nel primo caso la tensione della pila è considerabil- mente diminuita, e può anche esser ridotta a zero ; nel secondo quest’azione e molto più moderata ; 2.° Che la temperatura agisce meccanicamente con dilatare Did o contrarre la pila, e conseguentemente accrescendo la sua ener- gia, per la pressione più grande che subiscono gli elementi quando la pila si allunga, o diminuendola quando avviene il contrario. Agisce anche sulla funzione della pila con favorire l’azione chi- mica che produce 1’ elettricità. __—3.° La temperatura non produce i suoi effetti immediata- mente, ma dopo un certo tempo. Non agisce in una maniera assoluta , cosicchè un dato grado di tensione corrisponda ad un dato grado del termometro, ma la sua azione è relativa alla tem- peratura che esisteva alcune ore prima; 4.° Finalmente il calore il più delle volte accresce soltanto la rapidità della corrente, e non la quantità dell’ elettricità prodotta. La questione più difficile è quella di sapere se e come in- fluisca a modificare l’ azione delle pile secche l’ elettricità atmo- sferica. Però l’ autore unisce ad alcune poche osservazioni delle congetture, che non staremo a riferire. Il professore Osann analizzando il platino greggio dei monti Oural, vi ha trovato due nuovi metalli, ad uno dei quali ha dato il nome di Rutenio , all’ altro quello di Pluranio. Il sig. Berzelius ha scoperto una nuova terra, la quale pos- |, siede tutte le proprietà di quella che era stata chiamata Torinia, e che non era altra cosa che del sottofosfato d’ Ittria. Per questa grande analogia il sig. Berzelius ha conservato alla nuova terra il nome di Torinia. Essa è bianca; non può ridursi in stato me- tallico nè per mezzo del carbone , nè per mezzo del potassio ; dopo che è stata fortemente calcinata al fuoco gli acidi non la disciolgono più, eccettuato il solforico concentrato. La Torinia si discioglie benissimo nel carbonato d’ ammoniaca ; scaldando la soluzione , si precipita una parte della terra, che si ridiscioglie poi per il raffreddamento. Tutti i sali di Torinia hanno un sa- pore astringente puro , quasi come quello del tannino. Il cloruro di Torinia trattato col potassio si scompone con viva deflagra- zione. Ne risulta una polvere metallica di color grigio, che non scompone l’ acqua , ma che al di sopra della temperatura rossa brucia con una vivacità quasi simile a quella del fosforo nel gas ossigene. Gli acidi solforico e nitrico hanno una debole azione sulla Torinia. All’opposto l’acido idroclorico la discioglie con viva effervescenza. La Torinia contiene 11,8 per cento d’ossigene; 180 il suo peso specifico è di 9,4. Il sig. Berzelius ha trovato la To- rinia in un minerale rarissimo di Brevig in Norvegia. Se per un tubo di porcellana fortemente infuocato , e pieno d'acido borico in scaglie. si faccia passare una corrente di gas idrogene , l’acido si vetrifica, e prende un coloc bruno. Trattan- dolo coll’ acqua bollente, questa lo discioglie in parte, e rimane indisciolto. del boro , sotto l’ aspetto d’ una materia in fiocchi di colore olivastro. Questo processo si deve al sig. Varvinski. Il sig. Landgerbe ha insegnato a comporre una polvere ful- minante di grandissima forza\esplosiva , e l’effetto della quale si dirige d°alto in basso, mescolando insieme 2 parti di nitrato di potassa, 2 di carbonato di potassa ; 1 di solfo, e 6 di sal co- mune, il tutto esattamente polverizzato. Un nuovo mezzo per scuoprire la presenza dell’ acido nitrico in un liquido è stato suggerito dal sig. Ziebig. Egli mescola il liquido da esaminarsi con tanto indaco quanto ne bisogna per fargli prendere un colore turchino ben distinto; vi aggiugne alcune gocce d’acido solforico concentrato , e scalda fino all’ebol- lizione. Se il liquido contiene un nitrato, si scolora, per l’effetto dell’ acido nitrico che 1’ acido solforico pone in libertà ; se la quantità del nitrato è piccolissima , il color turchino del liquido si tramuta in giallo. Se al liquido si aggiunga un poco d°’ idro- clorato di soda prima di scaldarlo ; si può scuoprire con facilità la presenza anche di un cinquecentesimo d’acido nitrico. Avendo il cromato di potassa la proprietà di potersi combi- nare ad altri sali a base di potassa, senza che, dentro certe proporzioni , il suo colore e la forma dei suoi cristalli provino cambiamenti notabili , alcuni speculatori hanno profittato di que- sta circostanza per adulterare quel sale, con una frode tanto più pericolosa , quanto che i solfati e gl’ idroclorati di potassa , che più comunemente vi s’impiegano, non possono essere scoperti per mezzo dei soliti reagenti, cioè i nitrati di barite e d’argento , essendo egualmente insolubili i cromati di barite e d’ argento che il solfato di barite ed il cloruro d’ argento. Una memoria del sig. Daniello Koechlin-Schouch sulla scom- posizione del cromato di potassa per mezzo degli acidi vegetabili ha fatto nascere l’idea d’un mezzo altrettanto sicuro quanto tas: a ler= diree 181 facile di scuoprire quei dune sali. Un tal mezzo consiste in ver- sare nella soluzione del cromato di potassa che si vuole esami nare un grande eccesso d’acido tartarico : il cromato è subito scomposto , ed il liquore, dopo circa dieci minuti, prende un color d’ ametista cupo, da giallo chiaro che era in principio, ed allora non forma più precipitato alcuno nè col nitrato di barite nè con quello d’ argento; quando il cromato su cui si fa l’espe- rimento era puro; laddove li stessi reagenti indicano le minime tracce di solfati e idroclorati che fossero contenuti nel liquido. Il dott. Runge di Breslavia analizzando il Dipsacus fullo- num e diverse specie di scabiose , ha scoperto in queste piante un principio particolare che si comporta come gli acidi vegeta- bili, e che ha la proprietà di formare coll’ ammoniaca una com- binazione gialla, la quale, per il contatto dell’aria , prende un colore turchino-verdastro. Per preparare questo nuovo acido, il signor Runge piglia la radice della scadiosa succisa, che ne contiene più delle altre piante , e dopo averla seccata e polverizzata , la tratta con al- cuol, e quiudi aggiugne alla tintura alcoolica dell’ etere solfo- rico. Si precipita allora una materia in fiocchi abbondanti ; di- sciolta questa in acqua, versa nella soluzione dell’ acetato. di piombo, che vi produce un precipitato , il quale, dopo essere stato lavato, si priva del piombo per mezzo dell’acido idrosolto- rico, e dell’acido acetico per mezzo dell’ evaporazione. S1 ottiene così una massa giallastra, fragile, che arrossa la carta di lacca- muffa , neutralizza l’ammoniaca , e produce all’ aria libera l’in- dicato fenomeno di colorazione. La combinazione ammoniacale gialla non divien verde se sia difesa dal contatto dell’ aria. Chiusa sotto una campana piena di gas ossigene , si colora in verde, ed il gas è assorbito. Il li- quido verde tenuto in digestiune con un poco di potassa ed un poco d’ amalgama di mercurio e zinco , si scolora come 1’ inda- co, nè ripiglia il suo color verde , se non per il contatto del- l’ aria. Il principio acido, se non è combinato coll’ammoniaca, non cambia di colore all’ aria libera. La putassa e la soda agiscono come l’ ammoniaca, ma più debolmente, e la colorazione in verde si fa più lentamente. Aggiugnendo un acido alla combi- nazione ammoniacale avverdita , si forma un precipitato rosso- bruno, che si ridiscioglie nell’ammoniaca, nella potassa, e nella soda , prendende un color verde. In quest’ultima circostanza , 182 anche l’acqua di calce colora il precipitato in verde. I sali ter@ © rosi e metallici producono ordinariamente dei precipitati gialli coll’ acido non colorato , e dei precipitati di color verde-cupo coll’ acido colorato. L’ acido non si colora che per un ossidazione diretta; da diverse esperienze il sig. Runge ha dedotto che l'acido colorato contiene un atomo d’ ossigene di più che l’acido senza colore. Tutti questi caratteri qualificando un principio acido parti- colare , l’ autore gli ha dato il nome d’ acido glaucico. Per i no- mi d'incoloro e colorato distingue le due forme sotto le quali si presenta quest’ acido , che egli ha trovato in diverse famiglie di piante. Non ne ha trovato indizio nelle rubiacee ; ma ‘altronde egli annunzia d’ avere di già scoperto in 45 individui di questa famiglia un altro principio particolare, il quale ha la proprietà di colorarsi in turchino quando si scalda coll’ acido idroclorico allungato. L’ autore fa sperare di pubblicare quanto prima i ri- sultamenti di queste sue nuove ricerche. In Francia , come presso di noi, la polizia fa amministrare del veleno ai cani erranti, per timore dell’ idrofobia, e pare che s’ impieghi in quest’ uso la noce vomica. Ad un cane così av- velenato , e che provava violenti convulsioni tetaniche , il sig. Guibourt fece ingoiare per forza della galla polverizzata. Le convulsioni cessarono , ma l’animale non potè vomitare , seb- bene a quest’ effetto gli fosse data dell’ ipecacuana. Gli fu dato molto latte , ed il giorno dopo fu purgato colla manna. Egli rese molte materie nerastre e dure , e guarì. Questo fatto sembrerebbe provare che la galla ha sull’eco- nomia animale un azione contraria a quella della stricnina, e può servirle d’ antidoto , e che distrugge anche o contraria gli effetti dell’emetina , come altri chimici le attribuiscono un egual virtù contro altri veleni vegetabili In fatti il sig. Caventou af- ferma che l’ infusione di galla è un mezzo efficacissimo contro il vomito , e che neutralizza l’azione dell’ emetina , come egli ha provato sopra sè stesso. Il sig. Virey rammenta che questa stessa infusione combatte gli effetti dell’oppio , ed il sig. Orfila ne ha consigliato 1’ uso nell’ avvelenamento operato coi sali di mortina ; egli è poi noto che essa scompone l’ emetico ed altri sali minerali. Il sig. Poutet, farmacista a Marsiglia, mettendo a contatto col clornro di calce del pesce, fresco o salato, e-diviso minuta- È SIA 183 mente , coll’ aggiunta d’un poco d’ acqua pura, ha séntito esa- larne un fortissimo odore di bromo , così. insopportabile , che ha recato non lieve incomodo e cagionato delle nausee a diverse persone. La carne fresca di bove o di montone trattata in modo eguale non tramanda alcun odore spiacevole , ed il cloruro di calce non fa che scolorare il sangue che circonda la fibra mu- scolare. La carne del pesce corrotto , sottoposta allo stesso pro- cesso, tramanda un vapor di bromo anche più fetido che il pe- sce fresco. Le alghe marine , le conchiglie , e specialmente le spugne , producono lo stesso effetto. Il sig. Poutet ne tira la conclusione che il cloruro di calce non può servire a disinfettare nè distruggere l’ odore degli ‘animali marini, come fa delle ma- terie animali terrestri putrefatte. Egli attribuisce questa diffe- renza alla composizione particolare della carne di pesce, compo- sta, secondo lui, di fibrina azotata , d’ictiocolla, e di bromo. 1l miglior mezzo disinfettante per il pesce; e per le ceste nelle quali è contenuto , sembra al sig. Poutet una semplice lissivia caustica, e quindi una copiosa lavazione. ) Il sig. Henry. padre attribuisce il buon, effetto del cloruro di soda nel disinfettare le ceste del pesce ad un poco di soda in eccesso che si trova sempre nel cloruro. Il sig. Chevallier ha citato in proposito un epizootia che do- minava fra le galline a Vaugirard, e che è‘stata arrestata’ col cloruro di calce. Con una serie di osservazioni proprie il sig. Pfaff ha con- fermato l’opinione che la fosforescenza che si osserva nell’acqua del mare , principalmente alla fine dell’ estate e nell’ autunmo , è dovuta alla presenza d’animali microscopici e principalmente d’infusorii. Egli cita in appoggio di quest’ opinione le osserva- zioni che ha fatte con molta diligeuza il dottor Michaelis su questi animali, dei quali ha già determinato diverse specie, nel tempo stesso che ha osservato le circostanze più importanti. di questa fosforescenza. Il sig. Pfaff ha poi notato che se si fa pas- sare una corrente elettrica a traverso d’ un tubo pieno d’acqua attinta recentemente dal mare » si vede subito in quest’ acqua una quantità di punti brillanti , continuamente in moto, e che son visibili solo per alcuni istanti: L’ esperienza dimostra che ‘@mesti animali microscopici fanno apparire la loro luce quando si fanno agire sopra di essi degli eccitanti, come l’ ammoniaca, ME... “ È ; gli acidi , 1’ etere » l'alcool; si osserva ancora che una pressione 18£ meccanica esercitata snll’ acqua produce lo stesso effetto, e che questa fosforescenza si fa vedere raramente in un acqua tranquilla. GroGRAFIA , SraTISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI. Nuovo cieggio del sig. Sieber. = Il sig. Sieber, di Praga, naturalista e viaggiatore già noto per le ricche collezioni riportate d’ Egitto , dalla Palesti- na, dalla Grecia, dal Capo di Buona Speranza, dall’isola Maurice , dalla Nuova Olanda , si trova ora a Parigi, e si sta prepararido a un nuovo viagg:o nell’in- terno dell’America settentrionale. In quattr’anni, percorrerà gli stati dell’Unione, i monti Allegani, e Apalasci, ec. ; passerà il Missurì, il Mississipì, la Golom- bia: penetrerà fino al Messico , e visiterà la costa occidentale del continente d’ America, Lo zelo e Je molte cognizioni del ch. Viaggiatore promettono una proficua escursione in luoghi sì ricchi di naturali preziosità , e le cui piante al lignano facilmente in Europa. (Unioersel). Nuovo viaggio nei Mari Polari. = Il capit. Parry non sarà l’ ultimo a visitare i mari polari del nostfo emisfero. Un’ ardita e lodevole curiosità spinge ora il capit. Ross, a portarsi più oltre ancora. Ma perchè l’ utilità del viaggio è affatto incerta, non sarà a carico del governo, ma del capitano e degli amici di lui. La Vittoria, della portata di 200 tonnellate , sarà la prima barca a va- pore , spinta tra i massi galleggianti del ghiaccio , su questa monterà il Gapi- tano ; un’ altra barca , il Jole, di tonnellate 300 , porta il combustibile e le provvigioni. I perfezionamenti dal cap. Ross dati alla navigazione a vapore , le precauzioni da lui prese , il suo molto sapere , sono argomenti di belle speranze. Egli si volgerà dalla parte delle coste d’America , per finire di riconoscerle , e per vedere quanto le terre si stendano verso il nord. I mezzi a tant’uopo, paion piccioli; ma de’ mezzi il più potente è l’esperienza e 1’ ardire. La Vittoria porta 20 uomini ; il Jole, 4o. Sebbene ormai una spedizione al polo non sia cosa nuova , pur questa desta un entusiasmo che si può dir nazionale. Ross è nipote del compagno di Parry: ha pubblicato , non è molto , a Londra, un bel trattato sulla navigazione a vapore, dove ne considera gli usi commerciali ed i bellici. (Literary Gazette). Statistica di Torino. Estratio dalla Gazzetta Piemontese, Num. 83. — Fra tutte le prove della crescente prosperità, non solo delle nazioni; ma delle ‘città altresì y e specialmente delle capitali, la più sicura, la più con- vincente di tutte; e quella che dimostra ad un tempo la paterna sollecitudine, e il dolce freno di chi ne regge i destini , è senza dubbio la popolazione. Nel 1798 la città di Torino contava 80,752 abitanti; al principio del 1814 non ve ne avea che 65,548 ; risulta dallo specchio statistico pubblicato al fine del 1828 dalla Civica Amministrazione , che il loro numero era salito a 121,781. Non 117,997 Ne risulta la differenza in più nel 1828 di N.° 3,794 Categorie degl’ Individui componenti la Popolazione in Città , ne’ Sobborghi e nel Territorio. Sacerdoti N.° 753 Ghierici 54 136 Nei Conventi: Religiosi, N.° 236; Laici , 103 ; Servi, 18 ; in tutto sd 357 Nei Monasteri: Monache, N.° 171; Converse; 16; Figlie, 150 3 Sacerdoti, 3 ; Servi, 12 ; Serve, 32; in tutto "” 384 Nei ritiri: Figlie, N.° 671; Donne e Vedove , 89; Sacerdoti, 4 3 Servi, 9; Serve, 26 ; in tutto sa 799 Nel Seminario ; nei Collegii e nell’ Accademia Mi- litare: Superiori, Professori e Sacerdoti, N.° 109; Ghierici, 170; Figliuoli, 683; Servi, 112 ; in tutto ,, ‘1,074 Negli Spedali: Maschi, N.° 1,067; Femmine , 1,643; Sacerdoti, 27 s Servi , 74; Serve , 102 ; in tutto ,, 2,913 Lavoranti » 8,932 Lavorante s» 4,912 Servi 33:0 03,751 Serve n >» 5,737 Di condizioni diverse 3» 90,479 Ebrei 39° 1,556 Somma eguale come avanti N.° 121,781 \ T. XXXV. Luglio. 24 186 SOCIETÀ SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’ Georgofili. Adunanza ordinaria del 5 luglio. == In assenza del Presidente e del Vice- Presidente, aprì e presedè la tornata il sig. prof. Giuseppe Gazzeri primo de- putato. Premesse le communicazioni dei respettivi segretari, il socio ordinario sig. avvocato Vincenzio Salvagnoli Marchetti trattenne 1’ udienza con una sua memoria di turno, nella quale prese a ‘trattare un soggetto già da molti di- scusso , che egli riportò ai suoi veri principii, cioè Za proprietà intellettuale, volgarmente chiamata Zetteraria. (L’Antologia darà esteso ragguaglio di questo interessante lavoro , appena sarà stampato ; lo che verrà fatto in breve ). Altro discorso letto dal socio corrispondente sig. avvocato Pietro Capei verteva intorno la necessità che correrebbe ai possidenti della provincia di vivere alle case ed ai possessi loro. Esaminate le cause dello spatriare dei provinciali, 1’ Autore lungi dallo sconsigliare quei possidenti di venire nei loro primi anni nella città per giovarsi di quei mezzi di civile educazione che maggiormente vi abbondano, reputa anzi cosa utilissima un breve abbandono della casa paterna onde visitare uni- versità, capitali ed anche estere genti per indi acquistare idee più vaste, me- nomare i pregiudizi di una troppo ristretta educazione ed abilitarsi a divenire in tutto ottimi cittadini; ma vorrebbe eziandio che essi non perdessero mai di mira che scopo e fine di ogni loro azione esser deve di tornare a spendere util- mente la vita nelle case loro: chè ogni loro cura voltassero alle scienze eco- nomiche ed arti agricole, onde potere avvantaggiare la propria civile condi- zione, migliorare 1’ educazione popolare, promuovere .i mestieri, i progressi agra- rii, e industriali del suo comune ; e , non foss’ altro , portando un occhio at- tento e intelligente alle cose sue, tenere in rispetto i contadini e fattori, ren- derli di necessità più attivi e più onesti, e vedere per conseguenza crescere le. proprie entrate. Progredendo l’ Accademico a considerare per qual modo si potrebbe persua- dere all’uomo di provincia lo starsi nelle sue terre fu di parere, che incomin- ciare si dovesse dal combattere quella pessima educazione la quale fa vizi e non virtù delle due passioni tanto naturali agli nomini inciviliti ; L’amore cioè, di essere onorati e distinti ; l’ amore o il bisogno di un’ utile applicazione ; e agevolasse di ogni maniera quei mezzi pei quali veramente fosse da conseguir- sì ne’ municipi una vita onorata ed utilmente occupata. A raddirizzare l’edu- cazione gioverebbe a suo giudizio , se presso noi si fondasse uno 0 più istituti in campagna, ove uomini probi si raccogliessero ad ammaestrare più specialmente i figli dei possidenti delle provincie, previi gli elementi delle buone lettere, nelle scienze economico-agrarie. E perchè i principii si stampino nella mente col soc- corso di una chiara autopsia, vorrebbe che accanto all’ Istituto vi fosse una Tenuta esperimentale colle opportune fabbriche ove i giovinetti vedessero dimo- strato in fatto quanto come astratta verità impararono nelle scuole. Di più lo- dava assaissimo che oltre alla Tenuta fossero prossimi all’ istituto opifiej atti al lavoro dei prodotti che precipuamente crescono nelle campagne, cioè lanifici, filande , manifatture di lini e di canape , ec. onde così al possidente venisse in- 187 stillato il genio e l’ inclinazione di capacitarsi a stabilire una qualche altra si- mile manifattura per avvantaggiarsi di quei lueri che ne vengono a chi esibisce i materiali prodotti del suolo belli e lavorati. Conéludeva finalmente , che se nella medesima guisa di quasi tutti gli stati circonvicini, si mostrasse almeno ogni tre anni in queste accademiche magnifiche sale lo stato e i progressi del- l’agricoltura, dell’industria nazionale, e dell’ educazione popolare , onde premi e lodi distribuire a benemeriti di esse, allora l’uomo della provincia , adoprandosi assiduo in occupazioni che gli portano lucro e lode riuscirebbe a perfezionare le arti onde impedire che passi dalle nostre mani ogni avere in quelle degli esteri più di noi industriosi ed attivi; e potendo largheggiare d’ onori verso questi così onesti e proficui cittadini, e le municipali forme venendo di alcun che amplificate , più bello , più beato, piùonorevole e così più desiderabile si renderebbe il vive- re nella provincia. Dopo ciò l’ Adunanza fu sciolta. ? E. R. R. Accademia delle Scienze di Torino. Classe delle Scienze Morali. Seduta del 4 Giugno. In questa Ad. furono letti i seguenti lavori : 1.° Lettera settima intorno alla Storia delle repubbli- che italiane del sig. Sismondi , del Conte Napione. 2.° Due Orazioni del li- bro di Tucidide , che fanno parte del Volgarizzamento della Storia di questo insigne autore greco , al quale attende da più anni l’accademico ab. C. Peyron. Adunanza del 20 Maggio. Classe Fisico-Matematica. Il prof. Bidone a nome di una giunta , lesse il parere sopra un’ ordigno meccanico proposto dal sig. Bartolommeo Martini per muovere a braccia d’ unmo carri gravati da pesi anche considerevoli. — Quindi fu terminata la lettura di un lavoro del dottor Goll.° Giangiacomo Bonino, intitolato : Essai Statistique sur la mortalité dans les troupes de S. M. le Roi de Sardaigne , en tems de paix , ec. Adunanza del 14 Giugno. In quest’ alunanza venne discusso e deliberato il cenno del programma per un nuovo quesito proposto da essa Classe con asse- gnamento del premio. = Quindi il prof. Carena lesse : sui poggi artesiani , v poggi trivellali ; ed il prof. Rolando lesse una parte di un suo lavoro intito- lato : del passaggio dei fluidi allo stato di solidi organici , ossia della forma- zione dei tessuti vegetabili ed animali. Adunanza del 28 Giugno. Il dott. Bellingeri, deputato a nome della Com- missione fece relazione intorno agli effetti di un liquore anti epelettico, stato tra- smesso dal dott. Marchetti , corrispondente dell’ Accademia di Pietroburgo. — Quindi il prof. Rolando continuò la lettura del suo lavoro sul passaggio del fluido allo stato di solidi organici, ec. - Il cav. Grezy, lesse una Note sur quelque formule exposée dans le mémoire sur le probléme de la perturbation des planètes. — Il cav. Plana lesse: Note sur la constante de la parallare equatoriale de la lune. Procramma. -— I segnalati vantaggi che la Meccanica e la Ghimica hanno arrecato ed arrecano tutto dì alle varie arti, cui vengono applicate , non la- sciano dubbio che altri non meno importanti siano per esserne, allo stesso mo- do , conseguiti. Perciò la Classe propone il premio d’ una medaglia d’ oro di seicento lire all’ antore del miglior lavoro di argomento chimico 0 meccanico ; scientifica- 188 mente trattato, e particolarmente applicato all’incremento delle arti che sono od esser possono convenevolmente introdotte ne’ Regii Stati, comprese quelle che atte siano a migliorate la nostra agricoltura. Il giudizio farassi tra tutti que’ lavori analoghi all’argomento , e seritti in lingua italiana, latina o francese , i quali, dopo la data del presente invito, sino all’ ultimo giorno di giugno del mille ottocento trentuno , saranno presen- tati manoscritti 0 stampati, 0 che verranno in altro modo a notizia dell’ Ac- cademia. I lavori manoscritti , che saranno presentati all’ Accademia, dovranno es- sere anonimi , e portare un’ epigrate o qualunque altra divisa, ed aver unito un biglietto sigillato , con dentro il nome e l’ indirizzo dell’ autore , e di fuori la stessa epigrafe o divisa posta sullo scritto. Se da questo non sarà vinto il pre- mio , il biglietto non aprirassi , ma sarà bruciato. ; Non saranno ammesse al concorso le opere o parti di opere a quest’ora già stampate e pubblicate. Essendo premiato un lavoro stampato anonimo ; il premio sarà rimesso a chi darà prove sufficienti d’ esserne 1° autore. Chiechessia, nazionale 0 straniero, può vincere il premio , fuorchè gli Ac- cademici residenti. A merito giudicato eguale , un lavoro intorno a materia più vasta 0 di mag- giore importanza sarà preferito ad altro di materia più ristretta 10 meno im- portante. o: Quantunque il giudizio non dovesse portarsi che sopra un lavoro solo, que- sto potrà conseguire il premio , se ne sarà giudicato degno. Il giudizio sarà prenunziato non più tardi del dicembre del mille ottocento trentuno, I pieghi con gli oggetti o i disegni che fossero necessarii , dovranno essere diretti alla R. Accademia delle Scienze, sigillati e franchi di porto ; quando non vengano per Ja posta, dovranno esser consegnati all’ Ufizio dell’Accademia medesima , dove al portatore se ne darà la ricevuta. Torino , dalle sale della R. Accademia delle Scienze , il 30 di gingno del- l’anno 1829. Il Presidente. GoxtE Prospero Bano. L’ Accademico Segretario. Prorsssore Gracinto CARENA. 189 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Luglio 1829. TOSCANA STORIA antica e romana di Carro Ro,tin. Prima edizione italiana correda- ta delle osservazioni e degli schiarimenti storici del sig. LETRONNE, membro del- l’ istituto , con l’ elogio dell’ autore , di Sarnr ALsin DerviLLE che ha riportato il premio di eloquenza dall’ accademia francese. Firenze , 1829, G. Galletti. 8° Tom. XIII e XIV. L’ ARTE poetica di Q. Orazio FLacco , ricondotta ad ordinate lezio- ni, con versione italiana, in ottava rima , «li GamiLLo ToRIGLIONI pastore arcade e socio di varie accademie. Fi- renze , 1829, Coen ec. Volumetto di p- 96. Prezzo l. 1. QUATTRO novelle narrate da un maestro di scuola. Firenze, 1829, Coen ec. Volumeito di p. 150 , paoli 2. DEL PROSCIUGAMENTO delle maremmane paludi a S. A. I. R. Leo- poLpo II. Opuscolo di Pracino Cam- reti. Livorno, 18239, tip. Pozzo- lini8.° BIBLIOTECA portatile del viag- giatore. Firenze , 1829; Passigli, Bor- ghi ec. 8.° Dispensa V.a e VI.a (V’Or- lando Furioso; i primi XII canti e parte del XIII in fogli 9g di stampa). INNI SACRI di Aressanpro MAn- zoni, di G. BorczHi, e d’ altri autori. Firenze, 1829, Passigli, Borghi ec. Volumetto in 64.° OSSERVAZIONI teorico pratiche per conservare la vista, del cavalier Prerro Lazzarini ottico. Firenze, 1829, Gregorio Chiari. Opuscolo. VECCHIO E NUOVO TESTA- MENTO secondo la volgata , tradotto in lingua italiana, e con annotazioni dichiarate da monsignore Anr. Mar- TINI arcivescovo di Firenze. Prato, 1828, Fratelli Giachetti. 8.° Tomo VIII, parte Ila Asdra, Tobia, parte 2. Giuditta e Ister. STORIA dell’impero ottomano , (*)I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna eonfonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Il DirerrorE DELL’ AnToLOGIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane , che le inserzioni di annunzi tipografici , nel presente bullettino , non possgno averci luogo che previo l invio di una ‘copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti ‘da inserirsi per in- tiero, 0 di qualunque altro avviso tipografico, mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de’ fogli. 190 compilata dal cav. CompacenONI, ec. Livorno , 1829 , Glauco Masi. To- mo VI ed ultimo, | STORIA dell’ arte dimostrata coi monumenti, dalla sua decadenza nel IV° secolo , fino al suo risorgimento nel XVI, di G. B. L. G. Seroux D’A- cincourT. Prima traduzione italiana. Prato , 1829, fratelli Giachetti. Di- spense 27 e 28 delle tavole. RIME dell’ avv. Carro Bionpi. Firenze 1829; per il Magheri 8.° di p. 128. ATLANTE geografico , fisico e stori- co del Gran Ducato di Toscana , del dott. ArTILIO Zuccacni ORLANDINI. Firenze, 1829, tip. Granducale £.° mass. Tavola VI.a Val di Chiana. REGNO LOMBARDO-VENETO. FAMIGLIE CELEBRI ITALIA NE, del conte Lirra. Milano , 1829 ; tip. del dott. G. FerRARI0, in foglio, fasci- colo XVII. Medici di Firenze , parte V. Prezzo senz’ obbligo d’ associazione lir. 22 it. ISTORIA della vita e delle opere di RarraeLLo Sanzio da Urbino, del sig. QuarreMmèRE DE Quiner; voltata in italiano , corretta , illustrata ed am- pliata per cura di Francesco Lon- cliena , adorna di XXIII tavole e di un fac simile. Milano, 1829, Fran- cesco Sonzogno q. G. B. di p. 844. = In 8.° carta velina fr. 25. == in 4.° carta velina più sostenuta fr. 50. -— Pei pochi esemplari in carta colorita in 6.° fr. 50. = In 4.° fr. 100. RICERCHE STORICHE. sull’ In- dia antica , sulla cognizione che gli antichi ne avevano, e su i progressi del commercio con questo paese avanti la scoperta del passaggio pel capo di Buona Speranza, di GucLieLmo Ro- BERTSON con note, supplementi ed il- lustrazioni, di Gran Domenico Ro- Macnosi. Milano, 1829. Francesco Son- zogno q. G. B. Volumi 2 in 8.° prez- zo lir. 9g it. LA VITA DI GESÙ CRISTO e la sua religione, ragionamento di An- tonio Cesari, prete veronese, seconda edizione. Milano, 1829, Giovanni Silvestri. Volume IV.° 228.° della Bi- blioteca Scelta. BIOGRAFIA universale antica e moderna ; ec, opera affatto nuova com- pilata in Francia da una società di dotti, ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e correzioni. Venezia, 1829, G. B. Missiaglia, 8.° Volume LIII.° (SF.S0.) DELL’ INGIURIA , dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili; dissertazione di MeLcHIORRE GiroJa autore del trat- tato del merito e delle ricompense. Se- conda edizione , aumentata dell’ elogio dell’ autore , scritto dal prof- G. D. Romacnosi. Milano ; 1829 , per Gio- vanni Silvestri. Vol. unico, 234. della Biblioteca Scelta. ELOGI di letterati italiani , scritti da IrroLITo Pinpemonte. Milano. 1829, G. Silvestri. Vol. II.° 233.° della Bi blioteca Scelta. DISSERTAZIONI del conte FraN- cesco MencortI ; lette al cesareo regio istituto 3 il 6 marzo 1828, il 3 e :23 aprile 1829. Milano 1829, G. Silvestri 8.° di p. 37. LETTERE di Domenico Marosini, nobil veneziano , al sig. abate FRANCE- sco CanceLLIERI di Roma , e di questi a quello intorno alcune cifre spettanti all’ accademia de’lincei. Venezia 1829, G. Picotti 8. EPISTOLA di Giro. Grorcio Tris- simo a Margarita Pia San Severina, data novellamente alla luce. Venezia , 1829 , tip. Alvisopoli, 8.° LETTERA intorno al palazzo du- cale, e descrizione dei quadri nella sala del gran consiglio esistenti prima dell’ incendio del 1577» pubblicate da Francesco Sansovino, e riprodotte con illustrazioni. Venezia, 1829 , tip. Al- visopoli 8.° LETTERE del canonico RamzaLDI degli Azzoni Avacaro, per la prima volta pubblicate in occasione delle no- bil nozze VaLLieri Tirporo. Venezia , 1829 , tip. Alvisopoli 8,° DELLA vera nobiltà di uno sposo, orazioni due d’ incerto autore scritte ed impresse l’ anno 1544; ed ora rivedute e ridonate alla luce. Venezia, 182), tip. Alvisopoli 8.° RIME di Niccorò e Jacopo Tir- poro viniziani poeti del secolo XVI. Ve- nezia , 1829 , G. Picotti. 8.° LE TRE descrizioni del terremoto di Ragusa del 1667,°di GrapI, Rocacci, Stray, versione dal latino. Venezia, 1828, Sim. Occhi 12.° REGNO DI SARDEGNA BRIAMONTE TIEPOLO. Trage- dia di Ferice Vicino. Torino, 1829 , St. Alliana, 8.° CENNI medici statistici della città e provincia d'Asti, del medico Gru- seppe Maria DE RoLanDESs di Castel- l’ Alfieri. Torino , 1829 , St. Alliana. 8.° p. 64. BREVI considerazioni mediche so- pra Torino, del dott. Gruserpe MARIA pe RoLanprs. Torino 1829, St. Alliana 8.° di p. 68. ESPOSIZIONE con aggiunta di note posteriori di FrancEsco RiccaRDI ru Carto , riguardanti il metodo ge- roglifico simbolico , spedita da Oneglia li 19 febb. 1829, a S. E. ilsig. conte Prospero BaLgo , ministro di Stato , e presidente della reale accademia di To- rino. Genova , 1829 , St. Gravier. 12.° 191 della Russia, Turchia e Grecia , nel 1829. Ferrara, 1829 , tip. Pomatelli. Tavola in folio mass. Si vende in Fi- renze presso G. Piatti. LIBRI ITALIANI STAMPATI O DA STAMPARSI ALL’ ESTERO. L’ EUROPA NEL MEDIO EVO fatta italiana su l’ inglese di Argico HaLram per M. Leoni. Manifesto — Fra ie opere lettera- rie, che negli ultimi tempi richiama- rono più altamente l’attenzione e il plauso dei dotti ; è per fermo da porre l’ Europa nel, Medio Evo di Arrigo Hallam. Essa valse all’ illustre autore, ancora vivente , il ditficil posto d’Isto- rico a canto ai più insigni che onorino l’ Inghilterra. Per quantunque intralciata e oscura fosse la materia di un simil lavoro, e faticoso 1’ ordinamento delle sue parti, l’ industria di quell’ eccellente Britan- no fu nondimanco sì avveduta e felice, che, lasciata da banda ogni lunga e noiosa via di aggiunger suo, scopo, venne a comporre il più bello e abbon- devol prospetto di cose che mai fosse da attendere. E se un’ arte tutta nuo- va di ringiovanire i fatti, le idee no- bilmente chiare, 1’ alta erudizione e le acute singolarissime indagini, congiunte a una filosofia tutta generosa e sublime, sono bastevoli a risvegliare la curiosità de’ lettori in una stagione che nulla oramai più comporta di frivolo , que- Mi idi.p. 24. st’ opera dell’Hallam dovrà esser presto s1Ù diffusa ancora tra noi appo qualunque Li ami entrar dentro la condizione delle Ra. x REGNO DELLE DUE SICILIE CAUSE, E RAGIONI che fanno classico il poema di Dante, discorso accademico di LronarDo AnTronIO Tor- veo. INapoli, 1828, tip. Criscuolo. 12.° di p. 26. STATO PONTIFICIO BULLETTINO degli annali del- l’ istituto di corrispondenza archeologi- ca. Roma, N.° VII Luglio 1829. QUADRO STORICO-STATISTICO diverse contrade d’ Europa, allorchè la moderna Italia rompea prima la notte e i ceppi della Barbarie. Sì fatti pregi ci confortarono a pro- curarne la versione da mano così esperta dell’ idioma inglese e del nostro, che alla sicurtà di ritrarre con esattezza i pensamenti del testo, accoppiasse la venustà dell’ italico. Il primo volume presenterà come in varii gran quadri i Rivolgimenti politici d’Italia fino al cadere del secolo quintodecimo : L’ Istoria di Spagna fino al Con- quisto di Granata : L’ Istoria de’ Greci e de’ Saracini. Il secondo comprenderà L’istoria di Francia da Glodoveo si- no alla spedizione di Napoli per Gar- lo VIII : 192 L' esposizione del sistema feùdale Un compendio dell’ istoria di Alle- magna. Il terzo sarà aperto dall’ Istoria della Potestà Ecclesiastica , e chiuso con un profondo e. svariatis- simo : Ragionamento intorno la società , il commercio , i costumi e le lettere nel Medio Evo. La sicurtà della critica , sciolta da ogni rispetto servile, e l’ ammisurata indipendenza de’ giudici , spiccano so- vrattutto in questa nobilissima parte dell’ opera , al cui paragone poche altre presentano fatti d’ interessamento più generale. Il quarto diviserà tutti i particolari concernenti al nascere e consolidarsi della sì famosa Costituzione d' Inghilterra fino a Riccardo III: lavoro così diligente e compiuto , che toglie a ogni altro la speranza di avanzarlo. Di questo modo agli amatori de’so- lidi studi sarà offerta in pochi volumi un’ opera , la quale mostrerà come in uno le varie fortune de’ moderni po- poli della più civile parte del mondo dal primo lor sollevarsi su le rovine degli antichi fino al cessare di quel- l’ età , in cui l’ invenzione della stampa (quel sì mirabil dono della Provviden- za!) venne preparando a tutti un sì diverso e glorioso avvenire. E di vero il buio che cuopre i secoli a noi più lontani, e ’1 poco lume recatovi sino a’ dì nostri dai freddi ricercatori delle anticaglie, non poteano rendere nè troppe , nè vane le investigazioni di un ingegno come quello dell’ Hallam, il quale alla perseveranza e dottrina di un perfetto annalista accoppiò, scrivendo , le più belle vedute di uno spirito ac- corto e magnanimo , è insieme il nobil candore di un filosofo senza pregiudizii e senza vanagloria. La forma dell’ edizione sarà l’istessa della Biblioteca storica di tutti i tem- pi e di tutte le nazioni : divisamento consigliato dall’ idea che la difformità dell’ apparenza non fosse una ragione valevole a ritenere da questa chi quella. possiede. La carta e i caratteri (i quali sono stati fusi espressamente a tal fine) ri- sponderanno in tutto all’ avviso che or divolghiamo. Avremo poi cura che:la correzione resulti accuratissima. I soscrittori pagheranno 18 centesi- mi italiani il foglio di 16 facce : più la spesa della coperta e legatura, e del trasporto. Chi piglierà dodici esemplari ne otterrà un altro gratuitamente. Quando poi saranno dati fuora i due primi tomi (it che ci ‘confidiamo possa essere dentro l” anno) al prezzo cre- scerà di un quinto. Le soscrizioni saranno accolte così da noi come dai dispensatori di que- st’ annunzio. Lugano , 1 luglio , 1829, Giuseppe Ruggia ec- TRAGEDIE di Uco Foscoto , pre- cedute da un cenno biografico sull’au- tore. Lugano , 1829, G. Ruggia ec. Volumetto in 12-° di p. 222. AJAGE , tragedia di Uco FoscoLo. Lugano , 1829 , Ruggia' ec. i TIESTE, tragedia di Uco Foscoto. Lugano 1829 , Ituggia ec. RICCIARDA , tragedia di Uco Fo- scoLo. Lugano , 1829 , Ruggia ec. IL GIUOCO DEL LOTTO, ver si di E. M. Lugano, 1829, Ruggia cc. in 8.9 PRINCIPII della genealogia del pen siero. Opera del sig. LaLLeBASQUE. Lu- gano , 1829, Ruggia ec. Vol. IMI.° ed ultimo in 12.° di p. 430. ORAZIONE a Bonaparte pel con- gresso di Lione, di Uco Toscoro. Lu- gano , 1829, Ruggia ec. 8.° DELL’ORIGINE e dell’ offizio del- la letteratura, Orazione di Uco Fosco- Lo. Lugano , 1829 , Ruggia ec. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE ATTE NELL'OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. LUGLIO 1829 D Termom.. & ry p d multi È o dà Ora 3 35_|algslssi 38 Stato del cielo orse US | Rol 2 1g | Ca gui 48 BU] S| 710 j 7 mat. |28. 0,5 nr 15,0 od Scir. {Ser. neb. Ventic mezzog. |28. 0,9 [17,7 |19,8 Lib. |Ser. neb. Ventic 11 sera |28. 0,9 718,0 |15,t 88 Lib. ‘Ser. neb. Ventic. 7 mat. |28. 0,9 [18,0 [16,0 | 88 Scir. |Ser. ragn. Ventic ‘mezzog. |28. 0,6 {18,3 [20,3 | 63 Po. M./Ser, ragn.j Ventic- Ir sera |28. 0,6 tg it Br Lib. |Sereno Ventic. 7 mat. |28. 0,6 |19,0 16,9 go. —— |Sc. Le.|Se. neb. Calma mezzog. |28. 0,6 21,3 [1x1 sera 28. 0,6 [20,0 119,0 | 90 Lib. {Nuv. ser. Calma [7 mat. |28. 0,5 [20,0 |17,5| 89 Sc. Le.'Nuv. neb. Calma. Miiizos. 28. 0,6 20,4 21,3 | 75 Ponen.|Ser. con nuv. Ventie, ti sera |28. . 0,5 20,5 {18.2 | 88 a ‘Ser. con neb. Ventic | 7 mat. |28. 0,5 da 18,2 (go tor: culi ragn. Calma mezzog. |28. 0,3 120,7 22,6 65 Pa Li. Ser. ragn. Ventic | tusera |28. 0,3 |21,0 18,5 | 71 Lib. | Sereno Ventic. 7 mat. ,28. 0,0 [21,0 [16,2 | 95 Scir. {|Nuv. ser. Ventic. mezzog. (28. 0,2 |20,9 [21,4 | 58 Po. Li.|Ser. cou neb. Ventic: — i 28. »_06_ 21,0 |16,9 | 90 Tram. |Sereno Ventic. 7 mat. 28. 07 0,7 |20,3 {17,0 | 85 “—— {Ostro {Sereno Ventic. | mezzog. [28 0,7 |20,9 [22,7 | 58 Maestr.|Sereno Ventic. ti sera |28. 0,7 ‘21,8 !19,0 | 65 Lib. |Sereno Calma o) Termom Pi mi. > 3 e $ Ora 3. Ei | 3 |2 s. E Stato del cielo _ tsa Ici m' pos A 5 Ò i n PEA ME Or.Ì = ll. È mat. 38. 0,7 |21,2 [18,0 | 77 Lib. |Sereno Ventic.jf 8 raFaaOg- pi 0,6 |225 {22,3 | 58 Ponen.|Sereno _. Ventic __ rt sera 128. 0,3 |22,1 |22,2! 70 iPo. Li.|Sereno Ventie 7 mat. :27. 11,8 |2:,8 [18,0 | 76 (Sc, Le.!Ser. neb. —Calma | 9| mezzog.'27. 10,8 {21,9 |22,6| 58 Ponen. ‘Ser. neb. Ventici] tI sera 27. 10,0 |22,0 [16,3 | 92 l'o,r1 Os. Li. Ser. nuv, Ventic.] | 7 mat. (27. 10,1 |21,0 |17,9 | 81 | Scir. |Ser. con neb. Ventic+] 10 mezzog.' 27. 10,7 |21,3 21,2 | 63 Maest. |Ser. neb. Ventic:| __| tt sera |27. 11,5 [214,2 16,8 | 80 | ILib. |Sereno Ventie. I 7 mat. |27. 1:,6 /20,5 15,0 | 90 Lev. {Ser. raga. Ventic.IB tI mezzog. 27. 11,9 {20,5 [20,4 | 62 Po. Li.|Nuv. neb. Calma Iisera ‘27. 11,3 |21,0 |17,2! 73 Lib. |Nuv. ser. Calma | | 7mat. |[27. 11,1 {20,7 |17,5| 82 Lib. {Nuv.ser. Ventic*] 7 |17 12) mezzog.|27. 11 I |20,8 |19,0| 72 Tr, M.|Nav. ser. Calma vr sera |27. 11,4 [20,8 |18,1| 72 Tr. M.|Nuvolo Calma | 7 mat. 128. 0,1 420,5 |16,5| 92 Lib. |Nuv. neb. Calma | i 113 mezzog. |28. .0,8 |20,7 |20,5 | 67 Lib. |Ser. neb. Calma. J l‘wx sera |28. 1,6 20,5 |18,0 | 88 {Lib. {Sereno Calma. i © 7 mat. |28. 1,8 |20,4 [17,3 | 86° Os. Li.|Sereno __. Ventic: 14 ‘mezzog. 28. 1,8 {20,8 [22,0 | 38 Ponen.j! Sereno |Calma. | 11 sera |28. 2,0 |20,8 |19,9 | 60 Os. Li.| Sereno Calma | | 7 mat. |28. 2,0 |20,5 20,0 72 pei Scir. Sereno. x i, Neptieh 115 mezzog.|28. 2,0 |21,9 [25,2 | 49 Po. Li.|Sereno Ventic.|BM 11 sera |28. 2,0 j24,0 |a0,5| 58]. 'Lib. {Sereno Calma | "| 7 mat. [28. 1,6.:22,6. 20,0 | 75 Scir. |Sereno Ventic.if 16: mezzog.!28.. 0,8 [23,2 26,9 | 53 Po. Li.|Sereno Ventic.jBl| 11 sera |28. .0,6 [239 21,0 | 56 Lib. Ser. ragn. Ventic| i lo OPUSCERN DEE VASI || _— = ——— —-—r—__—-.) 7.mat. |28.. 0,6 23,5 120,5 | 71 Os. L |Sereno . Galma {Qi 17| mezzog. 28... 0,6 .23,7 124.9 56 Mae st ‘Sereno Calma: | 11 sera \28. 133 24,1 |19,5| 75 Ostro |Ser, ragn. Ventic.] \ 9 mat. |28.. 1,3 |24,1 {16,1 | 82 Lib. {Sereno .. Calma | 18 mezzog.}28. : 1,7 |23.1 [22,5 | So Po Li.|Sereno +» Ventie.Jfl ri sera !28. r,2 (23,1 {15,8 72 Lib. |Sereno i Veptic, 7 mat. |28. 1,0.|22,0 [16,5 | 79 |Seir. |Se. neb. . ... Ventici 19 mezzog. 28. 1,0.‘22,0 {22,1 | 64 Po. Li. Ser. con neb. .: : Ventiel ‘msera 28. 0,9%22,2 lig,o! 69 Lib. ‘Sereno . .. Venticl Crer"r(s@@ ss 0179w01$] 0417 -2W101AN]q 01739W01eg 20 mezzog. |28. | {1 sera [28. O,1 [22,0 |16,9 7 mat. |28. 0,9 |21,5 [17,1 DE: Jl21|mezzog. |[28. 1,2 21,3 |21,5 | 7 mat. |28. o,1 [21,2 liga 77 od -09s0 w2UY Stato del cielo Os. Li.|Ser, con neb. Ventic. Ponen. |Sereno Ventie, Maestr.|Sereno Ventic, Lev. Ser. con. neb. Calma Tram. |Ser. con neb. Vento 11 sera |28. 2,2 |a1,2 |17,5| 56 Tram. |Sereno Calma 7 mat. |28. 3,3 |20,9 18,0 | 65 Lev. |Sereno Vevtic. fla2|mezzog. |28. 3,4 |a1,0 |21,3 | 44 Tr. M.|Sereno Ventic. | rt sera |28. 3,3 |21,4 |18,0| 59 Ostro |Sereno Calma i 7 mat. |28. 3,0 (20,6 |18,0 | 65 © |Scir. Sereno Calma fi23|mezzog. |28. 2,9 |20,8 [23,0 | 45 Po. Li. Sereno Ventic. il 11 sera |28. 2,1 21,9 118,0 | 58 | —|Maestr.+ 118,0 | 58 |Maestr. Sereno Ventic. | 7 mat. |28. 2,1 |21,2 |18,0 | 66 a [180] 66] |Scir. |Sereno Ventic. iI lg mezzog. (28. 2,0 [21,6 |22,8| 53 Po. M.|Sereno Ventie, i 11 sera |28. 1,9 [22,2 [18,6 | 58 Tr. M.|Sereno. i| n mat. |28. 2,0. 21,4 118,0 | 68 Sc. Le.|Sereno J'25|mezzog. |28. 2,1 [21.6 123,5 | 45 Maestr.|Sereno fj 1 10 sera 28. 2,2 [23,5 ligo] 56] scir. IS 11 sera 28, 2,2 |23,5 | 19,0 56 cir . Sereno dl | 7 mat. 21,6 (18,1 | 68 7 mat. (28. 2,2 [21,6 18,1] 68 | |Tram. |Sereno j:26|mezzog. 21,8 [23,6 | 48 Po. Li.|Sereno 10 II sera 23,0 '20,f) | 60 Ponen. [Sereno | | 7 mat 22,2 |19,5 | 69 Scir. |Ser. neb. Ventic. i] 27 |mezzog. 22,6 |25,0 | 49 Ostro |Ser. neb. Ventic. I | rt sera |28. 1,0 |23,2 [20,0 | 8t Fonen.|Ser. con neb. Ventic. il | 7 mat. 1,2 |22,8 |18,4 56 | 0,01|Gr. Le.|Nuvolo Calma j:28 mezzog. |28. 1,3 22,6 |16,8 56 | 0,20| Po. Li.{Pioggia Ventic. il | 11 sera |28. 0,7 21,6 17,0 | 98 |o ,39| Ponen.{Ser. con neb. Calma lin ——_—__ | ____— _—r—_ —=\; ——— Î | 7 mat. |28. 0,6 [21,0 |t7,5| 9t Scir, |Ser. con neb. {29 mezzog. |28. 0,3 |21,2 [20,7 { 73 Ponen.|Ser. con nuv. Î 1t sera |28. 0,4 ‘21.4 |18,0 | 80 Os, Li.|Sereno 7 mat. |28, { {21,0 |17,0 28. 0,4 |21,4 |21,6 28. 0,4 {21,4 [18,8 95 6 | | 0|merzog. 7 mat. |28. 21) 17,7 31|mezzog. |28. 21,2 |21,3 11 sera |28. 16,5 | 21,0 Ostro {Nuv. neb. Calma Po. Li.{Se. con nuv. Ventic. Ponen.|Ser. con neb. Calma Os. Sc* Ser. con neb. Calma: Do. Li. Ser. con neb. Vento Maestr. Sereno Ventic. n Lai wi 1 alt i prat) EN DE sete 24 frg!Y. E Pio Ga L'ARIA RTeIO ho uo dosi” abi Ko ‘ad 9a! rt Lan. spia % Ù RI. SRP quit, mpplt i le A re did i CO CR) ui PEPORERIOTE a Mi amine. otk9 Ai artt sette] deri MELIIRELE Nr Dr | Qatareit RE. AT a O ve; 18, dr! BCLLLOLAA anti) pata ict Jai om) ° pert er 7 591 ReT tte Giivvodi: Map dk È Eri |AREGNi OR. CAILICO sata 14 PR de. LI “rel Go n va pate | conii da Raf A IFOVETA . dd (PA pre "lE pr INTICO ini del d OASI HRS ont ù È 26 fi VP ul [eg 4 Ì d ‘ gusci * ‘Vi? (o; ‘di ri ate dl e ts ga 4° dirne LIETI iaia mt diari Gpl i osa: RA panna N e I 0) [TOI n° LI - A E oerrest) nun} ale inez nia Liga La rn Sat ao TO price Gui ag. ist vo di #1) mit Anno Gori VERONA AA ar rriviziani neri. Snia vati "ot 0) CO LIVUIOO isp | att B.éri PI DI bi GIR vd dillo. a 1 dii TOT Bari O RO. fot £ mo ver AG ot, è’ Ro ui d sE N da “i nos pian È oo pad sa csi - ANI pr OTT ; dti =, 154 do parta peo! alti) DL î I gta La d. di IPC) II. MPA È sn na ina dk ) ce ei e pr? ut Ode «i (0 ua Lal Jan I, % Si, - Lombardo Veneto $ ene: A È; R. Diret. delle Poste. 4 SERRE Re Posto di "Perito + Cita | presso. Gem. Vincenzi e C.0 dibie | Lage < presso il sig. Derviè direttore ‘elle Poste, “ presso sà 0g. E 7. Crui via Toledo N : FE: area la Direzione delle sani “presso. y 1, e Ri ‘Direzione delle’ Poste. Sf ; LI “presso 7. sf ‘Paschoud: - presso J. E nliugni Rue de Tournon N. 6 - Lia C. r Molini N. Gi anda Row, = I Pio » > ASSOCIAZIONE da pagarsi iti patamente; È sa ut - {franco di porto. dI pr re per la posta - Treo “di sporto. È si per la posta —;> SOTA CI per fa posta —< 2 franco-di porto “> AO, -0 Milano i È - franco Parigi > © 3 — 14. la prio DE Lai 9 INDICE DELLE MATERIE, % pr A dra prat ‘‘niazione ). È ni | Della vita e delle opere di. dev Cesari. nei Ti È pa, Mi i Delle Carceri di prison € pae di quel di “Gin di 00 Losamna,. dia - {E° papi - Saggio di filosofia tosti di G. Bacone o DV pt | VAtti dell’I e R. Accademia della Crusca: Val. 1,2 cs. QRS da Viaggio di Simond in Italia... .L (E- Porti = Rivista irrreraria: = Milton, CARRI RISI È di del. Papi 3; Pa 190; Saniazzaro 3 A#ch0IN i Martelli; ; Lettere Rime, ps 136 a Isole delle Lagune di Venezia, pi 136. n 4 Cesari; Vita di Gesù ._ Cristo, p. 138. 2 M. Edgeworth ; prime. lezioni, trad. di B' anca Milesi, p. 189. — De Mîtthaeis, Infermerie degli antichi; p. 140. — Sterbini, Poesie, p: 142: Marsuzi; Alfredo il grande, trag SR] dia, p. 149. — Almanacco: biografico pel 1829; p- 47 —.G. Bar- Hi bierî , Opere varie, p. 148, —. Vermiglioli, Biografia degli scrittori. ‘perugini, p..151, — Chevalier; “Scorsa da Verovaa. aVeîa, pe 154. + Melan, Orazioni , xD: 156. — Ferri, Poesie. spe Sri Para- dia 3 Poesie ,. x Ps 159. — chè in Roma Je donne sono più atti» ve ec. p. 160), = Schoell, Ist. della lett: greca, trad. da £. Te paldo ; p.162.— Rigacci, ‘Ragionamento: medico chimuegico 5 pe 163. i fa Speranza s Della clorosi ’ “ec, n E; SR 3 "ET Cassa di risparmio, Lettera. BR RS F. Tartini-Salvatici { 3 Buureerimo SOTEN'PIFICO, ran Melog dà pe ma. — Fisica. e chimi-. (CA, pi 175: — Geografia e statistica. p. 184. + I. e R. Aoca- -& densa de’ Georgofili + Pi 186. — (E dela; scienze di Forino Vaso Bullettino Biblioftificot: 3° di Tavole Meteorologiche.» | “.< i o » 7 î : Lante $ i LI LC: £ at h NR Di ni Sigg. Associati che ; non ] hanno ad | Pisa, » 1898. 29. ga tò lil * incora pagato À DI < t » ” gi ta Si » È 3 à é 7 $ i % 7 nt - Ca ‘ Fede abc È pe SA ir L- 5 . TA , CAR “semestre dell densa i “sono pregati di — corta de ni il pr STORIA ED ANALISI DEGLI ANTICHI ROMANZI DI CAVALLERIA E DEI POEMI ROMANZESCHI D'ITALIA CON DISSERTAZIONI SULL’ORIGINE, SUGL’ ISTITUTI, SULLE CERIMONIE DE CAVALIERI SULLE CORTI D’ AMORE SUI TORNEI, SULLE GIOSTRE ED ARMATURE DE’'PALADINI SULL’INVENZIONE E SULL’USO DEGLI STEMMI reco. CON FIGURE TRATTE DAI MONUMENTI D'ARTE DEL DOTTORE GIULIO FERRARIO. FIRENZE PER VINCENZO BATELLI E FIGLI MDCCCXXIX. COACIOIOIOR O CIO TOSO AO RACC AAACASA SOA ACI I cortesi associati alla fiorentina edizione della grand’ opera in- titolata: il Costume antico e moderno, avranno ormai per lunga prova potuto conoscere la diligenza perseverante e sollecita da noi posta nel corrispondere degnamente alla loro fiducia. Per dimo- strare ad essi la nostra riconoscenza degli incoraggimenti da loro prestati alla nostra impresa, noi facciamo un’ offerta, con la quale noi non intendiamo già d’imporre ad essi un’ obbligo nuovo, ma solamente soddisfare l’obbligo nostro, aggiungendo alla edizione del Costume tutti que’ perfezionamenti ch’ei era in nostro potere d’ aggiungervi. Il Signor Dott. Giulio Ferrario ha testè pubblicata 1’ opera dilettevolissima, il cui titolo sta in fronte al presente Programma, la qual può considerarsi come una opportuna appendice al Co- stume antico e moderno; e sarà da noi, a comodo di quegli associati che amassero possederla, stampata in seguito al Costume. d’ Europa, del quale essa verrà a formare il decimo Tomo. Ma quest’aggiunta, noi lo ripetiamo, dev'essere considerata come un’ offerta di miglioramento, non come un dovere che noi vogliamo imporre a’ nostri gentili associati. Quelli di loro pertanto che amassero di possedere la detta Appendice, noi li preghiamo di dirigersi a’ distributori rispettivi del Costume antico e moder- no, e farci per tal mezzo giungere il loro desiderio e il lor no- me. Quanti sono gli associati che vorranno possedere la Storia ed analisi degli antichi Romanzi di Cavalleria, tanti, e non 4 più, saranno gli esemplari tirati dell’ Opera ; e ciascuno esemplare porterà in fronte stampato il nome, cognome, titoli e lnogo di dimora dell’associato che ci avrà fatto conoscere il suo desiderio. Il prezzo di tutto il volume sarà circa venti franchi. Questo si nota, perchè noi crediamo che ai soscrittori giovi sempre conoscere i limiti della spesa da farsi. Il volume, al solito, si pubblicherà per fascicoli. Per offrir poi un’ idea dell’Opera che noi presentiamo , por- rem quì i titoli delle dissertazioni, e gli argomenti de’ rami. DISSERTAZIONE PRIMA Degli antichi romanzi di Cavalleria e singolarmente di quelli che hanno per fondamento le origini de’ Franchi, le imprese di Carlomagno e de’ Paladini; e dell’uso che ne fecero i principali Poeti Italiani, Storia deila vita di Carlomagno e di Rolando estratta dalla cronaca attribuita all’ Arcivescovo 'Turpino. Cenni sulla vita di Carlomagno, sulle imprese d’ Orlando, e sulle costumanze di que’ tempi, secondo la verità storica. DISSERTAZIONE SECONDA Sull’ origine. de’ Cavalieri e sull’ istituzione della cavalleria. Cerimonie, gradi, giuramenti, voti, distintivi, privilegi, rivalità, superstizioni , virtù, vizi e decadimento de’ Cavalieri. DISSERTAZIONE TERZA Relazione della cavalleria e le corti d’ Amore. Loro oggetto. Onde ebbero principio. Costumi licenziosi del. secolo. Quistioni d'amore nelle avventure de’ trovatori. Avventure di Giuffredo Rudello , ed altri Cavalieri. Varie corti d’ amore. Corte d’ Ermen- garda Viscontessa di Narbona. Della regina Eleonora d’ Equitania. Di Maria di Francia, Contessa di Sciampagna ec. — Cavalieri so- vente associati colle Dame per pronunziare sentenza. Composi- zione delle Corti d’ Amore, e formole che vi si osservavano. Co- dice d' Amore. Materie trattate nelle Corti d’ Amore. Disposizione dell’ Amore, lasciataci da alcuni trovatori. Incadimento delle corti d’ Amore ee. DISSERTAZIONE QUARTA. Armadure de’ Paladini, castelli, fortezze, rocche, assedj, macchine militari ec. DISSERTAZIONE QUINTA. 1 tornei, le giostre, i cavalieri della tavola ritonda ee. DISSERTAZIONE SESTA. Insegne, arme, stemmi gentilizj ec. DELLE TAVOLE PARTE PRIMA. I. Combattimento di Rolando e di Ferracuto. Il signor Luigi Sabatelli professore di pittura, inventò e disegnò. II. Morte di Rolando in Roncisvale. Inventata e disegnata dal signor Angelo Monticelli pittore di storia. III. Figure di Carlomagno. Tratte dai monumenti d’arte. Di- segnate dal signor Giuseppe Bramati. IV. Corone e spade di Carlomagno : antiche figure d’ Orlando e di Oliviero ec. Tratte dai monumenti d’arte e disegnate dal signor Giuseppe Bramati. V. Due Paladini che, sul punto d’ intraprender nuovo viag- gio in cerca d’ avventure, danno l’ultimo addio alle loro dami- gelle. Architettura del signor Alessandro Sanquirico , figure del signor Bramati. VI. Cerimonie per la creazione di un cavaliere. Architettura del signor Sanquirico : figure tratte da un antico monumento e disegnate dal signor Bramati. VII. Combattimento fra il ciamberlano di Tancarville ed il Barone di d’Harcourt con veduta del castello di Tancarville, Ar- chitettura del signor Sanquirico , figure d’ Orazio Vernet. VII. N. 2. rappresentante i monumenti sepolcrali de’ Cavalieri, d’invenzione e disegno del signor Alessandro Sanquirico. VII La scoperta del codice d’ amore. Inventata e disegnata dal Pelagio Palagi. IX. Arresto della regina Eleonora contra una Dama accusata di venalità dal deluso amante. Inventata e disegnata dal signor Francesco Hayez. PARTE SECONDA. I. Armi e cavalieri armati del secolo IX al X. 6 II. Armi, soldati ec. tratti dalla tappezzeria della regina Ma- tilde e da altri antichi monumenti. III. Elmi, cimieri, berretti di maglia ec. IV. Elmi, corazze, giachi di maglia, sorcotti ec. V. Spade, stocchi, pugnali, sciabole ec. VI. Scudi, rondelli, brocchieri, targhe, pavesi ec. VII Mazze, accette, magli, martelli, armadure di cavalli ec. VII. Dardi, giavellotti, balestre , verrettoni ec. ( NB.) Tutte le suddette tavole sono disegnate dal pittore signor Giuseppe Bramati. IX. Sala d’armi del medio evo, di composizione e disegno dell’architetto e pittore scenico signor Paolo Landriani. X. Interno di un castello del medio evo, di composizione e disegno del pittore scenico signor Alessandro Sanquirico. XI. L’assalto di una fortezza del medio evo, di composi- zione e disegno del signor Giovanni Migliara. XII. L’Orifiamma di San Dionigi, della casa d’Harcourt, ed altri stendardi ec. di composizione e disegno del suddetto signor Giuseppe Bramati. XII. Il Carroccio, di composizione e disegno del pittore ed incisore signor Gallo Gallina. XIV. Antichi bassi-rilievi in avorio rappresentanti giostre ed altre romanzesche avventure ec., disegnati dal pittore signor An- gelo Monticelli. Sogno di un cavaliere armato ec. XV. Giostra. XVI. (Combattimenti sulle mura di una città ed ai piedi XVII-| delle medesime. XVIII. Apparecchio per una caccia. XIX. Cavaliere che rappresenta la testa di un cervo ad una principessa. XX. Antiche miniature rappresentanti giostre ec. disegnate dal suddetto Monticelli. XXI. Torneo celebrato in occasione del solehne ingresso in Parigi della regina Isabella di Baviera, disegnato dal suddetto signor Monticelli. XXII. Torneo celebrato in Inghilterra sotto Entieo II, dise- gnato dal signor Giuseppe Bramati. 7 XXIII} Tormeo dipinto nel castello di Laxemburgo per or- XXIV dine di Massimiliano I, disegnato dal suddetto si- '} gnor Monticelli. XXV, Varietà delle forme, de’ metalli e colori degli elmi e degli scudi sécondo l’arte del Blasone, tavola disegnata dal si- gnor Biasioli. Prezzo del presente centesimi 10. TER ANTOLOGIA N.° 4101. Agosto 1829: —_T _= ee —___ Recueil de Voyages et de Mémoires publié par la Société de Géographie. Tome deuxième in 4. Parigi 1825-28, dalla stamperia d’ Everat. — Parte prima pagg. 244. Parte seconda, pagg. 245 a 520. Historical Researches on the conquest of Peru, Mexico , Bogota, Natchez , and Talomeco , in the thirteenth century, by the Mongols accompanied by elephants, and the local agreement of history and tradition , with the remains of elephants and mastodontes , found in the new world: With two maps, and portraîts of all the Ircas, and Montezuma. By Jounn Rankin. Londra , 1827, in 8.° Bichhe cosa superflua il ripetere ora ciò che da gran tempo si conosce da tutta la repubblica letteraria , che la Società di Geografia, dal momento della sua fondazione, si è incamminata costantemente allo scopo per cui fu in. stituita, quello cioè di dare agli studii, ed alle memorie di geografia una spezie di unità, e di direzione , onde ye- neralmente mancavano infiro allora . Pell’ intera Europa, e fin nelle regioni più remote dei due emisferi , sentesi chiavissima risonare la fama , che a giusto diritto ella si 2 è cogli utili ed importanti suoi lavori acquistata. E vera- mente parzialissimi come noi siamo del passo progressivo, infinito , illimitato dello spirito umano, e di quell’ asso- ciazione di uomini che pensano , la quale colla riunion delle forze individuali costituisce la potenza di tutta la specie , ci ride il cuore di gioia al vedere , che appunto dall’ epoca in poi , ove fu instituita in Parigi la Società di Geografia , le scienze che insegnano a conoscere, e de- scrivere la terra, e le nazioni che la popolano, hanno su- bìto un cangiamento quanto felice , altrettanto improvvi- so , e diremmo quasi meraviglioso. Il famoso problema del passaggio così detto del nord-oveste quasi risoluto; nuove terre scoperte verso il polo antartico ; l’ antica Cirenaica ricercata, e descritta; l'interno dell’ Affrica centrale , il corso del famoso Nilo dei Negri, e quel celebre misterioso emporio di Tombuctù se non interamente conosciuti, al- meno in parte grandissima discoperti ; regioni intere delle due Americhe, dell’ Oceanica, e dell’ antichissima madre Asia, quasi tratte dalle tenebre, ed intorno le quali viag- giatori intrepidi, ed istruiti, fanno a gara di somministrare alla Società tutto ciò che vale ad accrescere la massa delle cognizioni positive. E non solo i viaggiatori continuano a farle omaggio delle relazioni, frutti del loro coraggio; ma gli uomini ancora amanti del ritiro, e dedicati a pacifici studii , le rendono tributo di ricordi, e di notizie per iscritto , frutti delle loro vigilie , e dotte investigazioni. Egli è appunto di così fatte relazioni, e di simili no- tizie, che si compone il secondo volume, di poco dalla So- cietà di Geografia finito di dare al pubblico, della raccolta di viaggi, e memorie. Già si è parlato nell’ Antologia , n.° 56 agosto 1825, del primo volume, che conteneva uni- camente il testo francese, e latino del viaggio di Marco Polo ; ed erasi quivi esternata la fiducia, che potesse la So- cietà, nella bella e dottissima edizione del Milione illustrato e comentato , per opera e studio del sig. co. Baldelli, trovar copia onde arricchire la raccolta di lei relativamente al veneto viaggiatore; e di fatto la Società stessa invocava, a 3 tale effetto , i soccorsi di tutti i dotti, che si erano occupati nello studio dell’ Asia duranti i secoli del medio evo. Con- tuttociò non s’ incontra in questo secondo volume un solo cenno nè d’ illustrazione, nè di comento, a’ quali poteva- no pure aver dato luogo le tante, e profonde investigazio- ni di geografia, di storia, di scienze naturali, economi- che, e militari dal signor conte Baldelli a larga ma- no sparse, e dilucidate nel monumento laborioso , da lui innalzato alla memoria del benemerito precursore di Cristoforo Colombo , cui la geografia fù debitrice di cogni- zioni esattissime, sempre vie più confermate , dell’ estre- mo Oriente dell’ Asia , di quasi tutte le coste del gran gol- 4 fo dell’ India fino al di là dell’isola di Madagascar, e della prima scoperta da un moderno europeo fatta di alcune delle infinite isole, che compongono in oggi la Oceanica , parte della terra che, per tale riguardo, fu conosciuta in Euro- pa due secoli prima delle due Americhe. (1) La prima parte di questo secondo volume si apre con una relazione di Ghanat, e dei costumi dei suoi abitanti, tradotta dall’arabo per opera del sig. Amedeo Jaubert, at- tualmente agente diplomatico del governo francese presso la sublime Porta Ottomana. L’estensore del presente arti- colo è tanto mèglio in grado di giudicare del merito di questa traduzione , in quanto che l’ originale manoscritto arabo fu da lui medesimo trasmesso fin dall’anno 1824 alla Società di geografia. Mi correggo: ciò che mandai alla So- cietà non fu veramente l’originale, che tuttavia è in mio possesso ; ma bensì una copia che ne feci fare in Tripoli di Barberia, da uno scrivano pubblico del paese. Confron- tando ora il manoscritto mio colla traduzione francese , non posso non rendere al sig. Jaubert il più giusto tributo di lode della somma precisione colla quale ha saputo mettere in chiaro il senso talvolta equivoco del testo; ma duolmi assaissimo di vedere, dalle voci arabe da lui citate nelle no- (1) V. Annali di Geografia e di Statistica , composti e pubblicati da Ya- copo Gràberg, svezzese, Genova 1802, due volumi in 8.° con carte e figure . Tomo II, pagg. 202-208. 4 te, che il copista tripolino sia stato molto meno esatto di ciò ch'io mi era immaginato , e tanto più me ne dolgo, che nella fretta dell’opportunità che mi si offeriva, di spe- dire il manoscritto a Parigi, non ebbi tempo di collazio- nare la sua copia col mio esemplare. Debbo per altro dir francamente, che in molti luoghi la sagacità del signor Jaubert ha supplito agli errori del copista , cogliendo dd dispetto di lui, il vero senso delle parole , e delle frasi , onde pochissime volte si è trovato in fallo. (2) Il signor Jaubert ha fatto seguire la sua traduzione da due altre notizie di Ghanat, estratte dalle geografie arabe dello sceriffo E-Edrisi, e d’Ibn-al-Wardi , le quali per altro non presentano veruna giunta importante a ciò che già sapevasi di quell’emporio centrale dell’ Affrica. Tengono dietro a queste descrizioni tre memorie ine- dite della Cirenaica, mandate alla Società dal signor De- laporte, vice con-ole di Francia in Tangeri, cioè, due serit- te dal dottor Agostino Crivelli, nativo di Pisa, e la terza dal R. P. Pacifico del Monte Cassino. La prima, sebbene scritta diciotto anni sono, è piena d’interesse , e sommi- (2) Così alla seconda pagina, nota 4, ha tradotto Dakakin, laddove il ma- noscritto ha Dakakir , il quale errore è ripetuto al verso secondo della pagi- na 4. Quest’ ultima voce significa , per dir vero, monumenti, ma il sig. Jau- bert 1’ ha molto bene interpretato per idoli. Nella stessa pagina 4 nota 2 ha benissimo letto en-nehhàs , invece di en-nàs , come avrà male scritto il copista. Alla nota 4 crede egli stesso, che vi sia error di copista; ma il passo accennato corrisponde nel mio manoscritto precisamente alla traduzione del signor Jaubert. Alla pagina 5 nota 5 si deve leggere Zaughara invece di Zoghara, ed alla nota 6 Ou’ntal invece di Oun’til. Pag. 6. nota 1 pensa con ragione, che deb- basi leggere el-fila (elefante) e non el-ghila . che non significa nulla. Pag. 6 verso II e nota 3 pare che il copista abbia scritto ma’ziz invece di Ma’ziar- mi , e due versi più basso Jurmi invece di Jarmi, come nel mio manoscritto. Pag. 7; verso primo e nota 1, si legge Melek invece di Mulku. Pag. 8, ver- so 21 , nota 8 il nome del re di E/-Veken si legge Taimai figlio di Basavah ; nel mio esemplare sta scritto T'imen figlio di Bassùi. Pag. 9, verso 5, no- ta 1 si legge el-Masan invece di el-Fasan. Alla stessa pagina, verso 16 nota 2 si deve leggere Tauraza invece di Tourza, nome di un albero. Finalmente il signor Jaubert ha tutta la ragione di leggere Kutàn lino , invece di Kitab, libro , come pare, che abbia seritto il copista ; ed il Re Ferdelando di Gelalika vuol certissimamente dire il Re Ferdinando di Galicia, o veramente il Re di Leone e di Castiglia Ferdinando III, soprannominato il Santo, che morì nell’an- no 1252, 5 nistra descrizioni esattissime delle città, e dei contorni di Barca, Ben-Ghazi, Safsaf, Grenna, Derna ed Agidebia, situate nella costa, e nell’ interno di quella provincia. Queste memorie sono accompagnate da tre tavole in rame. Il signor Coraboeuf, caposquadrone nel corpo reale de- gli ingegneri geografi di Francia, dà quindi il raggua- glio d’ una misura geometrica delle altezze verticali, sovra il lrvello del mare, di alcune vette delle alpi, accom- pagnato pure da una tavola, che rappresenta la catena dei triangoli stabiliti per determinare quelle elevazioni, Ecco i risultamenti di queste operazioni, Indicazione dei luoghi. Elevazione in metri. Dalla parte della Francia. Ul Arorite Bianconi i idr urta ii AS Ba Nanoise Li, ld uv ia 4 A ai a {ll179803, La Sassiere n. ni. ei eni fail 3703. — pene si ad lol ing e itato 108,8. Belleface O citeai eat agi. La'Magdelaine 0 LU. 00000 a Lat 00120688. Ba. Memonte+Chervini 20040 GIGI 0 1415030) MeGienianoti ili it Aa, Ada, 19380. MERDIDIGHIT, me Lira o loi) dela 6g i, BiiGolambipme Gli: puizop ng seni oadir.or0 Pieve ide Salevest, gh 31210199040 0041030 138328 &a Specola di Ginevra. . * . +. 404. 83. Vagordi4Ginevrar i do Di sin sh ar maziLiy Dalla parte d’ Italia. N ARR 4 Ghiacciaja del monte Iserano. . . . 4045. — Me e SII Moccia Melone. i. -\. L00902 (3) Il Calendario generale pei Regii Stati di S. M. Sarda, sesto anno, 1829 contiene un quadro consimile di altezze verticali sopra il livello del mare , di varii punti di quegli stati, e di alcuni punti limitrofi , determinati dal dottore Tommaso Griva del collegio medico di Torino . Le elevazioni sono indicate in tese di Francia. Im altro quadro sono esposte anche le elevazioni di varii punti del Globo, determinate dai più rinomati viaggiatori. 6 Dalle Alpi, e dall'Europa la Società di geografia ci riconduce in Affrica , che in ogni tempo fornì ricca messe di cose nuove, ed importanti. Un negoziante di Tiscit nella Nigrizia nominato MM Bowia, che da più anni va girando pelle regioni interne di quel misterioso continente, ha somministrato al comandante francese del Senegal, sig. ba- rone di Roger, alcuni fatti molto curiosi, la cognizione dei quali debbe avere accresciuta la fiducia del sig. ca- valiere Caillé , innanzi che si mettesse a traversar 1’ Af- frica dal Senegal a Marocco , pella via di Tombuctù. Que- sti fatti comprovano in sostanza, che un viaggio simile sarebbe più agevole di quel che finora si è creduto; ed offrono molti ottimi avvertimenti al viaggiatore cristiano che si proponesse di visitar Tombuctù. I negri tanto ido- latri quanto maomettani, sono generalmente buoni, ed ame- rebbouo i cristiani; ma i mauri, cioè arabi abitanti della Barberia , che dappertutto s'incontrano in coteste regioni, sono forse i peggiori di tutti gli uomini del mondo cono- sciuto. Quelli poi che attualmente posseggono il paese di Walet sorpassano tutti gli altri in fanatismo, ed in perfidia, Un fatto interamente nuovo , affermato da M’Bouia , e da altri negri , si è che la città di Sego non siede già sulla riva sinistra del Gioliba ; ella è posta sulla riva destra , si divide lungo il fiume in quattro città separate l’ una dall’altra, ed ognuna circondata da muraglie. Anche la città di Genné trovasi sulla riva destra del fiume. La di- stanza di Tombuctù da Cabra è di circa sei miglia, ciò che s’ accorda colle nostre conghietture anteriori , (4) con- fermate dall’ ultima lettera dello sventurato maggiore Gor- don Laing. Dalle colline che circondano Cabra si vede la città capitale. Nessun altro fiume, salvochè il Gioliba, scor- re nelle vicinanze di Tombuctù. In calce di questi fatti comunicati al signor barone di Roger, si leggono varii itinerarii da Galam nel Senegal alla Mecca, passando pell’impero di Marocco. Da questi (4) V. Antologia N.° 97 , pag. 130 e nota 3. 7 itinerarii risulta , che tanto il fiume Gioliba, quanto la città di Tombuetù , sono molto più vicini al mare di quel che finora è stato supposto. Un’altro itinerario conduce da Galam alla Mecca pella via di Tombuctù, in circa 150 giorni, senza passare nè per Sego , nè per Gennè ; stra- da, che gli affricani rappresentano come facile, e che non è finqui stata battuta da alcun viaggiatore europeo. Già da più anni si erano dalla Società di geografia proposte ai viaggiatori , ed agli scienziati, diverse doman- de intorno l’ Affrica settentrionale, e si erano pure pro- messi premii a chi avesse date le più soddisfacenti rispo- ste. Alle principali di queste domande sono state date ri- sposte sommamente interessanti, dal summentovato sig. Delaporte , vice console di Francia nell’Impero di Maroc= co. La prima mette fuori di ogni dubbio , che la catena del monte Atlante, che principia , e domina nel salta- nato di Marocco , si stende a traverso le reggenze di Al- geri , Tunisi, e Tripoli fino al monte di Ben Ulid , ed al Casr Ahhmed, o Capo di Missrata, che forma l’ estremità nord-oveste del golfo di Sidra. Se non che questa catena sembra ricomparire ancora a due o tre giornate all’oriente di cotesto golfo , e di Benghazi, sotto nome di Gebel-/- Akhdàr , cioè montagna verde , a cagion della sua grande fertilità , in mezzo ai deserti di rena, dai quali per ogni lato trovasi attorniata. Questa nuova catena, che prende in appresso altri nomi dalle diverse tribù che vi dimorano, si estende a Derna , a Tobruc o Tabrice, al Acbà ossia il Catabatmo degli antichi , e fino ai contorni di Alessandria d’ Egitto, ove pare , che termini finalmente quel maestoso Atlante, collocato dalla natura sulle rive di tutta 1’ Affrica setten- trionale a guisa d’un faro immenso , rizzante il suo capo sovra l’ Oceano, e sul Mediterraneo , e come un vastissi- mo argine creato per difendere quei due mari dall’inva- sione delle sabbie moventi, le quali occupano l’interno del continente affricano. Le principali montagne della Reggenza di ‘fripoli sono, dal ponente al levante , il Fossato, il Gharrian, ed il 8 Ben Ulid, Nelle vicinanze della prima trovasi l’isola di Gerbi , o Gerba , che dai tripolini si pronunzia Giurbè. Il monte di Zefren è una congerie di piccole montagne col- legate le une alle altre, in mezzo alle quali s° incontra una vasta pianura, che ha per unico ingresso una. gola strettissima. La quale pianura è abitata da una tribù in- dipendente , quella cioè dei mahamidi, che è quasi sempre in guerra col governo di Tripoli , da essa poco temuto , perciocchè conosce che la sua situazione la rende inattac- cabile, Il monte di Gharrian è il più elevato dei tre, che ab- biamo nominati, e conserva in alcune parti la neve du- rante tutto l’anno. Dal suo pendio settentrionale si discuo- pre il mare mediterraneo. Questa montagna è la sola in Affrica che produce lo zafferano. Il signor Delaporte vor- rebbe trovare una grande affinità fra il nome di Gharrian, e quello degli antichi garamanti , ch’ erano neri, e popo- lavano le arene secche sull’ estremo confine del mondo abitabile. Fatto sta, che gli abitanti odierni di quei monti sono tuttavia veri trogloditi, presso i quali i morti occu- pano il luogo dei vivi, e questi il luogo dei morti; im- perciocchè le loro abitazioni sono scavate nell’interno della montagna, e le sepolture al di sopra, nello strato di terra che ricuopre i tetti delle case. La descrizione del golfo di Sidra, la Syrtis magna degli antichi, contiene una folla di osservazioni molto importanti, e di conghietture ingegnosissime sull’ antica fisonomia del continente affricano, Del rimanente questo lavoro del signor Delaporte è seguito da una sposizione delle strade battute dalle caravane, che da Tripoli si re- cano a Murzucco , città capitale del Fezzan, e termina con una nomenclatura araba, e francese di cento fra città, villaggi, e montagne della Reggenza di Tripoli, ove l’au- tore fu cancelliere interpetre del consolato generale di Francia, prima di stabilirsi a Tangeri. L’ Itinerario che siegue , e che da Costantinopoli con- duce alla Mecca , è stato dal signor Bianchi estratto da un libro turco di preghiere, e pratiche religiose composto Ì . 9 mel 1682 da certo Mehhemmed Edib ben Mehhemmed, e stampato nel 1816, per ordine del governo ottomano. Oltre la parte religiosa , contiene una descrizione esattis- sima storica, e geografica di tutti i luoghi situati sulla strada, che percorrono quelle carovane. Se non che l’igno- ranza , i falsi giudizii, e la superstizione dell’autore ren- derebbono questo lavoro di poca importanza , senza le dot- tissime, ed ingegnose annotazioni del fù signor Barbié du Bocage , continuate e finite dopo la morte di lui, dal vi- vente sig. cav. Jomard, e dal traduttore, sig. Bianchi ; le quali annotazioni rettificano nn grande numero di posizioni geografiche dell'Asia minore, della Siria, e dell’Arabia. An- che la nomenclatura dei luoghi comparata con quella delle carte pubblicate da d' Anville., da Paultre , da Burkhardt, da Lapie, e dal barone cav. Rousseau, della quale ultima parleremo qui appresso, serve a rimoderare la descrizione grafica spezialmente della Siria. Del rimanente tutto ciò che vi si dice delle città di Medina , e della Mecca, si accorda mirabilmente con quello che ne sapevamo per le relazioni di Ali Bey, di Burkhardt , e di altri viaggiatori moderni, Ma l’articolo del volume che stiamo esaminando, il quale, per nostro avviso, merita più di tutti la più profonda attenzione degli uomini dotti, che si occupano di studii con- ducenti a stabilire sovra basi inconcusse l’origiae , e la storia dei popoli antichi, e moderni, si è quello nel quale il chiarissimo signor Warden, antico console generale degli Stati Uniti dell’ America settentrionale , in Parigi, ha data la descrizione delle vestigia di antichità discoperte nelle vicinanze di Palenchè, nel regno americano di Guatemala, presso il fiume di San Paolo, unitamente ad alcune inve. stigazioni intorno l’ antica popolazione dell’ America (5). Questa descrizione , estratta in grande parte da un opera pubblicata sette anni or sono in Londra, ed in lingua (5) Il signor Warden avea già nel 1819 dato alla luce , in lingua inglese , un Ragguaglio statistico, politico, e storico degli Stati Uniti dell’ America set- tentrionale , stampato in Edimburgo 3 volumi in 8.°, e tradotto in francese a Parigi, 1820 , quattro volumi in 3.0 T. XXXV. Agosto. 2 10 inglese, dal dottor Paolo Felice Cabrera , nativo della città. di Nuova Guatemala, ci apprende, che fino dall’anno 1786 il re delle Spagne comandò, che si facesse un nuovo esame di quegli avanzi d’antichità , esame che dal governatore generale del regno di Guatemala, Don Josef Estacheria , fu confidato al capitano Antonio Del Rio, accompagnato da D. Josef Alonzo de Calderoa, e da un centinaio di americani indigeni della città di Tombala. Giacciono coteste rovine alla distanza di quindici mi- glia da Palenchè , ultima città verso il settentrione della provincia di Chiapa, presso il piccolo fiume Micol, e poco lungi dalla catena di monti, che separa il regno di Gua- temala dal Jucatan, Cominciando a salire dalla sponda del Micol, s'incontrano nel pendio della collina quattordici edifizii di pietra più o meno rovinati, ma nei quali si scuoprono ancora distintamente molte camere. Sulla sommità più elevata della catena di monti an- zidetta, evvi una pianura, o superficie rettangolare larga no- vecento piedi, e lunga mille trecentocinquanta , nel centro della quale si alza un poggio di sessanta piedi di altezza, sulla di cui cima è situato il più grande di quegli edifizii, circondato da molti altri più piccoli, cioè, cinque dalla parte del norte , quattro al mezzodì , uno verso il libeccio, e tre dalla parte del levante. Avanzi di altri edifizii si estendono al levante lungh’esso Îe montagne, sopra uno spazio circolare di tre o quattro leghe di raggio , ciocchè può fare supporre, che la città girasse per una circonfe- renza di sette in otto leghe ; ma la sua larghezza diminuisce considerabilmente , e non è più che di mezza lega nel punto ove terminano le rovine , verso il fiume Micol. La situazione del luogo è bellissima, il clima delizioso, ed il suolo di una estrema fertilità. I fiumi abbondano di pesci, ed i ruscelli di granchi, e di testacei. Il così detto Palazzo grande di Palenchè, di forma quadrata con peristilio che da tutti i lati lo circonda, può avere trecento piedi di lunghezza , e circa trentacinque di elevazione. Le imuraglie hanno quattro piedi di grossezza, e l'interno è diviso in molti appartamenti, separati da II quattro cortili. Al di sotto del palazzo vi sono vasti sot- terranei, nei quali si discende per iscalere. Le muraglie sono ornate di bassi rilievi scolpiti nella pietra , e ricoperti di uno stucco finissimo. I personaggi rappresentati in questi bassi rilievi sono colossali. L’ interno di questo grande edifizio è d’ uno stile che si accosta al gotico. Vi si entra, pella parte del levante, per mezzo d’ un portico, o corridojo lungo cent’ otto piedi, e per una porta di nove piedi di larghezza. La volta è sostenuta da pilastri lisci, di forma parallelepipeda , senza piedestallo, nè basamenti. Ma sulla parte superiore posano, in forma d’architrave , quattro pietre quadrate egualmente liscie , grosse più d’un piede, con una spezie di rotelle di stucco , a guisa di ornamenti esterni. Finalmente sovra queste pietre giace un altro ceppo anch’ esso parallelepi- pedo , di cinque piedi di lunghezza sopra sei di larghezza, estendendosi da un pilastro all’ altro. Medaglioni o spar- timenti di stucco , contenenti varie figure della stessa ma- teria, sembrano aver servito a decorare gli appartamenti , E a giudicare dagli avanzi di teste, che si possono tuttavia raffisurare , si presume, che queste imagini siano quelle di una serie di principi, o signori del paese. Fra i meda- glioni si è praticato , per tutta la lunghezza della mura- glia , una fila di finestre, o piuttosto di nicchie, alcune quadrate , ed altre in forma di una croce greca. Dietro questo corridoio havvi un cortile quadrato, nel quale si discende per sette scaglioni. La parte verso il norte è interamente distrutta ; però si vede ancora, che v'è stato un corridojo con una stanza , simili a quelli verso il levante. Dalla parte del meriggio sono quattro picciole camere, aventi una o due. finestre, simili alle già de- scritte. La parte del ponente è simile perfettamente a quella che le sta di fronte, tranne gli ornamenti di stucco, che sono molto più grossolani, e più ridicoli. Le figure hanno una spezie di maschere grottesche , con in capo una corona , ed una barba lunga , come quella d’ un becco , e al di sotto due croci greche. Andando innanzi nella stessa direzione, si trova un r2 altro cortile uguale in lunghezza al precedente , ma meno largo , con un corridoio che gli gira d’intorno , e che co- municava colla parte opposta. In questo corridojo vi sono due camere uguali alle giù descritte, ed una galleria in- terna, che sporge per una parte verso il cortile, e pell’al- tra verso la campagna. Quivi si vedono ancora molti avanzi di pilastri, con bassi rilievi che si credono rappresentare il sacrifizio di qualche sciagurata vittima umana , indigena del paese, Tornando verso il mezzodì si vede una torre alta set- tantacinque piedi sopra una base di trenta , che in se rac- chiude un altra torre interna, con finestre per dar luce alle scale, che conducono alla sua sommità. Nella spiega- zione della tavola che rappresenta questa torre composta di diversi piani, separati da doppie cornici architravate, si dice, che di questi piani rimangono ancora quattro in piedi, e che la fabbrica è quasi tutta di pietra massiccia. Dietro le camere già mentovate ve ne sono due più grandi benissimo decorate, comecchè rozzamente alla foggia degli indigeni, e che possono aver servito ad uso di ora- torii, Fra gli ornamenti havvene alcuni di stucco smaltato, e si è creduto di vedervi alcune teste greche rappresen- tanti oggetti, e misteri di religione, Dietro questi oratorii vi sono vari appartamenti, estesi dal norte al sud , ognuno lungo ottant’ un piedi sopra sette di larghezza. L’ unico oggetto osservabile che contengono, è una pietra di forma ellittica, lunga quattro piedi, e larga tre, ingessata nella muraglia, a tre piedi circa dal pavimento, i Sotto questa pietra havvi un ceppo liscio, e paralle- lepipedo, lungo più di sei piedi, e largo tre ed un terzo sovra sette pollici di grossezza, posata in cima di quattro piedi a guisa di tavola, con una figura di basso rilievo, che sembra sostenere la mensa. Sugli orli di questa mensa , come anche sovra altre pietre, e diversi stucchi, si ve- dono caratteri, o simboli, di cui non si conosce il signi- ficato. All’ estremità di quest’ ultimo appartamento , ed a livello del lastrico , havvi un’ apertura lunga sei piedi e 13 larga tre, che conduce per una scalinata ad un passaggio sotterraneo , nel quale si scorgono altre simili aperture. Eranvi in questa scala, a regolari distanze, varii pianerot- toli, ognuno colla sua corrispondente porta. Al secondo di essi fu d’nopo d’accendere torchii per continuare la di- scesa , che si termina per un piano pochissimo inclinato, Alla volta d’un canto in questa scala, ad angoli retti, sì entra per una porta in una stanza di 192 piedi di lun- ghezza , e larga quasi come quelle di già descritte. Un al. tra stanza simile a questa, riceve la luce da molte fine- sre che guardano sopra un corridojo a fronte del meriggio; il quale corridojo conduce nell’ interno dell’ edifizio. AI- cune pietre tirate a pulimento , lunghe sette piedi e mezzo, ‘e larghe tre e tre quarti, posate sovra quattro zoccoli, alla distanza d’un piede e mezzo dal suolo, sembrano in- dicare , che hanno servito ad uso di letti, AI mezzodì di quest’ edifizio vi è un’ altro situato sopra un’ eminenza di 120 piedi. La sua architettura è del me- desimo stile del precedente. Vi si osserva un salone lungo sessanta piedi, e largo dieci e mezzo, con un frontispizio rappresentante figure di grandezza. naturale , eseguite di stucco , e di basso rilievo, le quali sono senza testa, ma portano bambini fra le braccia. Altri edifizii consimili, più o meno grandi , s’ incon- trano in tutta l’estensione della pianura ; tre di esse hanno sul tetto una specie di torricella alta nove piedi , caricata di ornamenti , e d’imprese di stucco. In uno di questi edi- fizi v'è un oratorio, ove si vedono due bassi rilievi rap- presentanti ciascheduno un’ nomo. Il lastricato di quest’ oratorio era ugualissimo , e di otto pollici di grossezza. Dopo di avere scavato alla pro- fondità di un piede e mezzo, fu trovato un vasetto di terraglia, di circa un piede di diametro , congiunto orizzon- talmente , con calcina o gesso, ad un altro della medesima forma, e grandezza. Un piede più basso s'incontrò una pie- tra grandissima di forma circolare , sotto la quale si disco-. Ù . Agrà .]° » . pn, in una cavità cilindrica, una lancia armata d’ ur ciottolo , due picciole piramidi coniche , e la figura d’ un ti, cuore , di pietra nericcia cristallizzata. Inoltre : due gia- rette con coperchi, ripiene di sassolini, ed una palletta di vermiglione. Simili oggetti si ritrovarono scavando al disotto degli oratorii di diversi altri edifizii. In altro luogo si dissotterrò pure un vaso di terra contenente ossa, e denti umani. [l Capitano del Rio aggiugne alla sua relazione altre particolarità intorno simili edifizii ritrovati venti leghe al sud della città di Merida; nel Jucatan, comunicategli a Palenchè, dal R. P. Tommaso de Soza, In cotesti edifizii si discoprirono mezzi rilievi, che rappresentavano serpenti , lucertole , ed altri rettili di stucco. Vi erano pure molte statue di uomini, con palme nelle mani, e nell’ atteg- giamento di persone che danzano battendo il tamburo; del resto somigliavano affitto a quelli di Palenchè, Otto leghe al nord di Merida si trovano altre vesti- gia simili, le quali aumentano a misura che si va innanzi dalla parte del levante. Del Rio sembra inferire da tutto questo, che gli an- tichi abitanti del paese che andava esaminando, abbiano avuto relazioni coi romani, non tanto a cagion della si. tuazione delle fabbriche, quanto per riguardo ad un acque- dotto sotterraneo , che passava sotto la più grande di co- teste fabbriche. Se si esaminano con attenzione, dic’ egli, i bassi ri- lievi degli oratorj, non si pnò non ammettere, che gli abitauti di questi luoghi abbiano vissuto nella più crassa superstizione ;3 stantechè si ritrovano nelle loro allegorie i subbietti favolosi dei fenicii, dei greci, dei romani, e di altre nazioni della più remota antichità. Per la qual. cosa può naturalmente conchiudersi, che alcuni individui di questi. popoli abbiano spinto fino a quei lidi le loro navigazioni e le loro conquiste, e che vi abbiano soggior- na:o assai. di tempo perchè le tribù indigene siano arri- vate ad imitare, d’ una maniera rozza e grossolana bensì, ma chiara e palpabile, le idee, che i loro conquistatori , ed ospiti avranno cercato ad imprimere nelle loro menti, Domingo Juarros, che ha pubblicato una descrizione 15 di Guatemala, aggiugne a queste conghietture: ,, La città ;s di Palenchè era probabilmente la capitale di un grande impero , di cui la storia non è pervenuta sino a noi. Questa metropoli a guisa d’un altro Ercolano, colla sola differenza che non fu già subissata dalla lava d’un al- tro Vesuvio, è rimasta pel decorso di molti secoli na- scosta nel centro d’un immerso deserto , fino all’ anno 1750 quando gli Spagnuoli , sendosi internati in quella tetra solitudine, furono attoniti di trovarsi per ogni dove attorniati da rovine di una città anticamente superba , di più di sei leghe di circonferenza. La solidità dei suoi edifizii, la magnificenza dei suoi pubblici monumenti , > non erano punto sorpassati in importanza dalla sua grande estensione, ed i templi, gli altari, le divini- tà, le scolture, e le pietre monimentali attestano l'alta sua antichità. I geroglifici, i simboli, e gli emblemi in cotesti tempii discoperti, hanno una rassomiglianza così mirabile con quelli degli egizii , che saremmo tentati di credere, che una colonia di questa dotta, e celebre na- zione abbia fondata la città di Palenchè , o di Culhua- can. Lo stesso può e deve dirsi di Tulbha, ove pure sì scorgono ancora vestigia di remota antichità presso il vil- 99 % 53 »» laggio di Ocosingo ,, (6). Il più curioso però di questi avanzi di un'alta anti- chità, è un grande e ben conservato basso rilievo figurato in una delle sei tavole, che ne accompagnano la descri- zione, nel quale l’oggetto principale è una croce di forma latina, sormontata da un gallo, o fagiano, ed eretta sopra una base che ha la forma di un cuore. Da un lato di que- sta croce si vede una dunna, che nelle braccia tiene un bambino, ch’ella presenta ad un personaggio più piccolo, in abiti sacerdotali, il quale le sta in faccia, dal lato op- posto della croce. Questo gran quadro è ripieno e contor- (6) V. Compendio de la Historia de la ciudad de Guatemala, escrito por el dott. D. Domingo Juarros , presbitero secular de este Argobispado,"que com- prelende las preliminares de dicha Historia: en Guatemala 1809-1818, due volumi in 8.° grande. 16 niato di numerose figure geroglifiche; da un canto infe- riore del lato manco , si distingue ancora il T in un pic- < ciolo medaglione (7). Un altro basso rilievo rappresenta il dio dei mari del popolo autore di questi monumenti, co- perto di varii ornamenti di perle; un pelicano, che nel suo becco tiene un pesce, è inalberato a guisa di cimiero, sulla sommità del suo capo. Un suonatore di strumento a fiato è adornato di piume attorno ai polsi delle mani, ed alle noci dei piedi ; sugli omeri ha una pelle di leo- pardo. Nella ghirlanda che gli circonda la fronte , si os- serva la foglia del loto. In altro bassorilievo si vedono due personaggi, che hanno in eapo il berretto frigio. Nove di questi bassi rilievi sono accuratamente disegnati nelle tavole in rame, unite alla dotta sposizione del signor Warden. Ad onta delle più diligenti ricerche non si è potuto fin quì assegnare veruna spiegazione soddisfacente del- l’ origine dei primi abitanti dell’ America, ed ancora meno degli autori dei monumenti di Palenchè. Il celebre poli- grafo spagnuolo Feyjoo , nel suo Teatro Critico, dichiarò che dopo di avere per lunghi anni studiato attentamente le molte, e diverse opinioni intorno questo punto di sto- (7) Questa croce però non è la sola che siasi incontrata nell’antica Ameri. ca, avanti la scoperta fattane dagli Europei. Garcilasso de la Vega , nella sua storia degli Incas del Perù , parla d’un altra posseduta da quei principi, e fatta di marmo finissimo , 0 piuttosto di diaspro lustrato , d’ un solo pezzo di circa diciotto pollici di lunghezza, e di tre dita di larghezza, e di grossezza. Era guar- data in una stanza sacra del palazzo , e tenuta in grande venerazione. Gli spa- gnuoli 1° ornarono di oro e di gioie, e la collocarono nella cattedrale di Cuzco. Anche l’ isola di Cozumel, sulla costa orientale del Jucatan, non molto lonta- na da Palenchè, era, secondo il detto di Gomara nella sua cronaca della Nuova Spagna, celebre per un oracolo, cui accorrevano in folla i popoli del conti- nente , e per un luogo sacro dove adoravasi, prima dell’arrivo degli spagnuoli , una croce di legno , della quale s’ ignorava l’ origine. S° invocava spezialmente per impetrare la pioggia, primo bisogno di quell’ arida isoletta. È inutile di parlare d’ un altra croce , che pure adoravasi , avanti l’ arrivo dei primi missio- narii, nella penisola di Gaspesia , da un popolo notabile pel culto che rendeva al sole ; imperciocchè pare dimostrato , che quel simbolo sacro fosse quivi arre- cato dal vescovo del Groenland , che nell’ anno 1121 visitò quelle contrade . V. Maltebrun , Précis de la Geographie Universelle . T. 1, p. 595; e T. V, pag- 312. IT ria universale, dovette abbandonarle tutte, per non aver- ne trovata una sola, che si potesse ragionevolmente am- mettere. Altri scrittori più moderni hanno dovuto deve- mire alla medesima conclusione. Comparve però in inglese il libro già da noi accennato dal dottor Cabrera, sotto il titolo enfatico di Soluzione del gran problema istorico del- l'origine dei popoli americani; e di questo libro si legge un estratto nel presente volume della Società di geografia. Il dottor Cabrera c’informa, che in un libro stampato a Roma fino dall’anno 1702 col titolo di Costituzione dio- cesana, opera del vescovo di Ciudad Real di Chiapa, Don Francesco Nugnes de la Vega, trovasi inserito un opu- sculo istorico, che si dice composto da certo Votan in lin- gua indiana, ove quest’eroe, vero o favoloso, fa menzione nominatamente dei popoli, e dei luoghi da lui veduti nei molti suoi viaggi. La famiglia di questo Votan esistea, dicesi, anticamente a Teopicza, e nella sua relazione si trova, ch'egli era signore di Tapanahuasec; che avea ve- duto la Grande Casa, (la torre di Babelle forse?) (8) edi- ficata per ordine del suo proavo Noè, e che dalla terra ergeasi fino al cielo s ch'egli fu il primo da Dio mandato a fare in America la distribuzione delle terre; e final- mente, che nel luogo ove vide la Grande Casa , ogni na- zione ricevette la propria sua favella. Quest'opuscolo, con molti altri, che sembrano essere stati da monsignor de la Vega per male inteso zelo di re- (8) Sotto questo nome di Casas Grandes esistono a 34 gradi di latitudine presso il fiume Gila, al nord-este del golfo di California ; e al nord della pro- vincia di Sonora, avanzi di edifizii, e fra gli altri d’ uno di tre piani , e d’ un terrazzo , senza porta d’ ingresso nel piano inferiore , come si usa nelle case del Tibet, ove si ascende ai piani superiori per iscale movevoli. Da un lato quest’ edifizio è difeso da un alto monte , e dagli altri circondato da un muro grosso di sette piedi, le fondamenta del quale esistono tuttavia intatte. Le travi del tetto sono di pino, e denissimo lavorate. Nel centro della fabbrica si vede un monticello , dalla cui cima si scuoprono i contorni; ed in più luoghi si tro- varono vasi di terra, piatti, giare, e piccioli speechii della pietra liscia detta Jzli. Questi avanzi si attribuiscono comunemente agli aztechi, antenati asiatici degli odierni messicani, che Clavigero , nella sua Storia del Messico, fa uscire _ dal paese. di Aztlan , situato al nord della California , ‘verso 1’ anno 1r60. T. XXXV. Agosto. 3 18 1 ligione annientati, apparteneva a certa setta d’infedeli, conosciuti sotto il nome di Nagualisti, che propagavano la loro dottrina per mezzo di lunarii ed almanacchi, nei quali trovavansi consegnati i nomi di tutti i Naguali., o falsi © numi, cioè stelle, elementi, uccelli, quadrupedì, pesci, e rettili, con osservazioni applicabili alle stagioni, ai mesi, ed ai giorni dell’anno. Giusta le tradizioni unanimi degli indigeni, i docu- menti preziosi della loro storia furono dallo stesso Votan cellocati, come prova irrefragabile della loro origine presso la posterità, nella Casa Lobrega (stanza delle tenebre) da lui con un solo soffio edificata. Una donna di rango di- stinto, ed un certo numero di custodi nominati annual- mente, conservavano religiosamente, per lunga serie di se- coli, questo tesoro presso gli abitanti di Tacoaloja nella provincia di Soconusco , infinoattantochè questi documenti venissero dal prelodato vescovo di Chiapa ricercati , e di strutti. Sappiamo però da lui , che questo tesoro consiste- va principalmente di alcuni grandi vasi di terra, d’ un solo pezzo, chiusi da coperchii della stessa materia, sui quali erano rappresentati, in hasso rilievo di pietra, im- magini degli antichi americani nominati nel calendario , con altre figure superstiziose. Furono cavati da un sotter- raneo dalla stessa dama indigena , e dai tapiari, o custo- di suddetti, e consegnati agli spagnuoli per essere sulla pubblica piazza di Hueguetan abbrucciati , allorquando il santo prelato vi fece la sua visita provinciale , nell’ an- no 1691. Il sullodato capitano Antonio del Rio, che visitò le rovine presso Palenchè, vuole dalla posizione di. questa città, e-dalle figure di stucco quivi discoperte conchiude- re, che anticamente esistessero comunicazioni fra gli in- digeni del paese , ed i romani. Nella quale opinione lo raf- ferma la lettura della narrazione geroglifica di Votan. Se- condo l’interpretazione del dottor Cabrera ‘° Votan condus- s, se in sua compagnia sette famiglie da Valum Votan in 3» America, ove stabilì una Colonia. Risoluto poi di viag> sì giare fino al cielo per rintracciare i suoi parenti, i Cu- 1) ,» lebras jo Serpenti , fece quattro viaggi a Chivim, andò ,y in Ispagna, e quindi a Roma, ove vide la grande casa »» fabbricata , ed abitata da Dio. ,, | * Da questo racconto inferisce il dottore, che le figure, e gli idoli, ma più spezialmente i geroglifici trovati nel tempio di Palenchè , sono egiziani. Ed uno degli idoli. avendo in capo una specie di mitera, e corna di toro, ei suppone , che sia l’Osiride degli egizii; un altro dicesi. rassomigliare ad Iside. Queste confacenze sono certamente curiosissime, ma non crediamo perciò che se ne possano dedurre le conseguen- ze immaginate dal dottor Cabrera. Egli pensa, che in tempi remotissimi abbia esistito una comunicazione marittima fra 1’ Affrica, e 1’ America ; che l’avolo di Votan fosse Chivita oriundo di Tripoli di Soria, e che il primo abbia egli po- polato il nuovo mondo ; che il suo nipote Votan facesse quattro viaggi al continente antico; che per conseguenza i primi abitanti giugnessero in America dall’oriente per la via delle isole Antille, e nominatamente di quella di San Domingo, e procedessero quindi verso il settentrione popolando le regioni bagnate dal golfo del Messico , e le isole adiacenti, da dove coll’ andar dei secoli, passarono a formar colonie negli odierni Stati Uniti. E per fianchesg- giar queste sue opinioni, fa osservare , che il discorso di Motezuma a Fernando Cortez , ed i suoi proclami ai ca- ciechi o principi messicani, conservatici da Acosta , da Herrera , da Solis, da Clavigero , e da altri istorici di | quell’impero , e dell’ America , accennavano l’arrivo, e la partenza di Votan , da Motezuma nominato Quezalcoatl , e valendosi di quanto scrissero il Calmet, il Bochart e l’ Ornio, conchiude , che 1’ Ercole Tirio fosse uno degli an- tenati di Votan; che la Sepramania, o isola delle Septe Citadi del medio evo, fosse l’ isola Atlantide o Hispaniola, cioè quella di Haiti o San Domingo dei nostri dì , dove Votan imbarcò la sua prima colonia pel nuovo mondo ; che il pronipote di Ercole autor della narrazione gerogli- : fica , fosse il terzo della sua stirpe , e. vivesse circa tre 0 quattro secoli prima dell’ era cristiana ; infine, che al suo — 20 ritorno sul continente antico diede ai romani , ed ai car- taginesi le prime nozioni dell’ America, dove questi ultimi spedirono quindi una colonia avanti la seconda guerra punica. Non sarà discaro ai nostri leggitori di ritrovare qui un sunto del citato discorso di Motezuma al conquistatore spa- gnuolo del Messico. ‘‘ Voglio ,, diss’ egli, ‘che sappiate , » avanti di parlarmi, che ben si sà tra di noi, e che non s» abbiamo bisogno di persuasione per crederlo , che quel gran Principe, a cui obbedite, è discendente dal nostro antico Quezalcoal signor delle sette grotte dei Nava- tlachesi, e re legittimo di quelle sette nazioni, che die- dero cominciamento all’ imperio messicano. Per via di una sua profezia, che veneriamo come verità infallibile, e della tradizione dei secoli, che si conserva nei nostri annali, sappiamo ch’ei se ne uscì da questi paesi a con- quistar nuove terre per la parte d’oriente, e ci promes- se, che verrebbe un tempo in cui tornerebbero i suoi ,», discendenti a riformare le nostre leggi, e a rimettere a ,, dovere il nostro governo. E perchè i contrassegni, che ,» recate, si conformano a questo vaticinio, ec. (9). ,, Fra le figure che il capitano del Rio ha copiate, due rappresentano, secondo il detto del dottor Cabrera, Votan sopra l’ uno e l’altro continente. Altre immagini e figure di baccanti, di divinità egizie, di falli, ec. sembrano con- fermare sempre più la loro origine orientale. Conseguentemente il dottore conchiude in ultima ana- 29 29 (9) V. Istoria della conquìsta del Messico , della popolazione, e de’pro- gressi nell’ America settentrionale , conosciuta sotto il nome di Nuova Spagna, scritta in castigliano da D. Antonio de Solis, e tradotta in toscano da un Accademico della Crusca. Firenze 1699 , in 4.° Edizione bella e rarissima ; p. 304 e segg. Cotesto Quezalcoal , o più esattamente Quetzalcoat] , dio dell’a- ria, ed uno degli enti più misteriosi della mitologia messicana, fondatore di una setta che dedicavasi a penitenze molto austere , legislatore ed inventore di pa- recchie arti utili, avea un altare sull’ immensa piramide tronca di Giolula , o Sciolula , presso Tlascala, che sopra una base lunga 1355 piedi s’innalza fino a 172 . piedi di elevazione. V. Alessandro de Humboldt, Vues et Monumens d° A- mérique p. 30 , e le tavole; e si confronti il suo Saggio sul Messico , T. II , pag. 271, 21 lisi, che il senso della narrazione di Votan c’insegna es- sere egli stato nativo di Chivim, o di Tripoli di Sorìa, patria del famoso Cadmo, che pel suo coraggio, e le sue . grandi azioni, meritò di essere cambiato in Cu/ebra, ov- vero serpente, e posto nel numero degli iddii ; e che par- tito dalla patria , per girare l'antico mondo, insegnasse il culto di quel Cadmo a sette famiglie di Tzechili, le quali al suo ritorno da uno dei suoi viaggi trovò riunite alle sette da lui già condotte in America da Valum Votan, ed alle quali avea distribuito terre da coltivare. ‘ Che se, un ,, lettore difficile ,, aggiunge il dottore ‘‘ non fosse soddi. 3» Sfatto di questa spiegazione, dovrebbe scacciare qualun- 33 que dubbio esaminando la medaglia di bronzo a due », impronte trovata presso Palenchè ,, e disegnata nella curiosa tavola che accompagna la sposizione del signor Warden. La quale medaglia , intagliata delicatamente so0- pra due pollici di diametro, e tre linee di grossezza, sem - bra una prova autentica della veracità di quanto viene raccontato da Votan, ‘e dimostra pienamente, che a lui si riferisce la tradizione messicana sull’ espulsione di lui, e “dei cicimechi dall’imperio di Amaguemecan, del quale la città di Palenchè fù indubitatamente la capitale. Da una parte di questa curiosa medaglia si vede un enorme serpente, avviticchiato ad un grosso albero di fico d'India detto Nopal, che occupa il centro del campo, rap- presentante un boschetto. In cima di uno degli alberi si vede la metà superiore d'un uccello, antico simbolo della navigazione, colla testa rivolta in sù, per dinotare un viaggio non ancora finito. Sal rovescio della medaglia ricom- parisce lo stesso boschetto, con un uomo fornito di lunga barba, d’un turbante, e di stivaletti, ed inginocchiato fra due draghi od altri mostri, che colla bocca spallancata appariscono in procinto di divorarlo. Clavigero parla dell’impero di Amaguemecan, del- l’arrivo dei cicimechi nell’ Anahuac, l’odierno Messico, e della tradizione dei medesimi cicimechi, secondo la quale ‘aveano regnato colà più re della loro nazione, circostanza che viene confermata da Torquemada , che disse di aver 22 trovato nelle storie messicane menzione di tre re di Ama- guemecan, paese che centralmente corrisponde all’odierne provincie di Chiapa , di Merida, di Vera Paz, di Soconu- sco, di Oaxaca, e di Tabasco, e che probabilmente com- prendeva prima di tutto la penisola del Jucatan, nella qua- le il passaggio dalle isole era facilissimo, e dove all’epoca della prima scoperta Hernandez e Grijalva incontrarono una nazione incivilita, abbigliata con certo lusso, che abi- tava in case regolari di pietra, e che possedea vasi, uten- sili ed ornamenti di oro, Scendendo poi a combinare i suddetti discorsi, e pro- clami di Motezuma colle figure di Iside, e di Osiride tro- vate nel tempio di Palenchè, e con varj passi di Sallustio, e di Diodoro di Sicilia, il dottor Cabrera ha creduto sta- bilire per cosa certissima, che Votan, partito dalla Siria , giugnesse in America circa 290 anni prima dell’era cri- stiana, e che le prime notizie di quel continente furono da lui arrecate ai romani, ed ai cartaginesi , sendo anche probabilissimo , che questi ultimi ne abbiano poco stante avuta la conferma da marinai del bastimento menzionato da Diodoro, o sì veramente che i sette tzechili trovati da Votan al suo ritorno, fossero avventurieri cartaginesi. Può darsi ancora, che questa prima colonia spedita in Ame- rica dai cartasinesi, fosse partita avanti la prima guerra punica , e che rinnitasi ai tzechili, e rafforzata dai mari- nai cartaginesi, che sottraevansi ai pericoli della guerra, fosse rimasta in America, ove s' impadronì poco dopo del pae-e, soggiogandone gli abitanti, e cambiando l’uso infino allora dal popolo primitivo osservato , di governarsi per due cavitani eletti dai sacerdoti, l’ uno della famiglia di Votan , e l’altro fra i tzechili, secondo viene riferito da Clavigero. Fu allora, che per conservare l’ armonia gene- rale, si fondò il regno di Amaguemecan ; e le emigrazioni che fecero quivi i cartaginesi motivarono, e produssero il decreto del senato, che ingiungea loro di ritornare, sic- come ce ne assicura Diodoro di Sicilia, e ne rafferma il discorso di Motezuma a Cortez. Si può credere , che il non a ere gli emigrati ottemperato a questo decreto, e la. 23 ‘costernazione ch’ egli dovette far nascere, abbiano cagio- nato la decadenza, e la rovina della signoria di Amague- mecan , per essersi gli antichi abitanti a tale effetto \ap- profittati del primo movimento di stupore, accresciuto an- cora per la morte dell’ultimo re Amaczin, e per le dissen- zioni che ebber luogo fra figli di lui, per la successione al trono. La quale rovina dell’ imperio di Amaguemecan viene dal dottor Cabrera fissata nell’anno 181 avanti l’era cristiana, e così trentaquattro anni prima della distruzio, ne di Cartagine. Quest’ origine fenicia , o cartaginese dei tzechili, che Votan trovò uniti alle sette famiglie da lui già condotte dall’ isola di Haiti, e stabilite in America, pare d’altronde confermata da quanto hanno scritto, e di- mostrato a questo proposito il dottissimo Huet vescovo di Avranches , Alessio Vanegas, ed altri autori, che credet- tero questa colonia essere stata Chivita, cioè fenicia di Tiro, Per prova finale ed irrefragabile della sua opinione si cita dal dottor Cabrera il seguente passo delle Veglie Ame- .ricane, opera composta da D. Francesco Jusef Granados y Galvez, vescovo di Sonora, e stampata in Messico nel 1778. ‘‘ Oltre le sette grotte, da dove i cicimechi sono usciti per popolare il norte, o sia la terra di Amaguemecan, vi sono molte isole da essi sulle loro mappe collocate all'oriente, confondendole così con quelle dei toltechi situate verso l’occidente ; se non che le mappe di que- sti ul'imi non rappresentano paesi, ma soltanto tribù, 9” 9» 99 3? 99 »» 0 famiglie, ,, Checchenesia di questa opinione del dottor guatema- lese, noi non ci faremo a sostenere che sia nè improbabile, nè inverosimile. Converrà in questo caso aggiungere una quinta alle quattro origini già proposte dei diversi abitanti di quel vastissimo continente, prima della scopertà fattane dai Colombi, dai Vespucci, dai Cabotti, e dai Verazzani. Conciossiachè è innegabile, che i più antichi di essi, an- che velle parti interne come nell’ Amazonia, e nelle pro- vince unite di Kentucky, e di Tenve-sea, hanno apparte- nuto alla razza malese, giuntivi dall'Oceano pacifico sulle 24 coste occidentali dell'America, e soggiogati e quasi distrutti poi dagli antenati degli attuali indigeni del Messico e del Perù , che furono, senz’ alcun dubbio, di origine asiatica, tatara, o mongolla, come ha finito di provarlo ultimamente il dottissimo signor Giovanni Ranking, in un opera di som- ma erudizione, da lui pubblicata due anni sono in ingle- se, col titolo di Investigazioni istoriche intorno la conqui- sta del Perù, del Messico, di Bogota, Natchez, e Talome- co, nel decimoterzo secolo , da Mongolli accompagnati da elefanti, e concordanza della storia, e della tradizione col- l'esistenza d’ avanzi di elefante, e di mastodonti in Ame- rica; due vol. in 8.9 accompagnati da carte e figure, Già il celebre viaggiatore barone de Humboldt , e pri- ma di lui il signor Mitchill , americano , dimostrarono, che la prima di queste origini, quella cioè de’ malesi, ed isolani del grande Oceano, è resa manifestissima dai cra- nj trovati nei tumuli, o poggi sepolcrali degli Stati Uni- ti, e spezialmente delle due provincie testè nominate; ma per ciò che spetta ai tumuli, ed alle fortificazioni incon- trate più all’oriente ed al settentrione, lo stesso signor de Humboldt , in ciò d’ accordo col signor de Witt Clinton, pensa, che cotesti monumenti sieno l’opera de’'popoli scan- dinavi, i quali dal secolo undecimo fino al decimo quarto, visitarono regolarmente le coste del Groenland , del La- brador , di Terra nuova, del Vinland, di Drogeo, e forse anche di parte delle attuali Caroline (10). La quale ori- gine scandinava dovrà tosto potersi o dimostrare, o ripro- vare per mezzo dei cranii appunto trovati in cotesti tu- muli, che apparterranno , nel primo caso , non alla razza americana , non alla tatara, mongolla, mantciussa, o ma- lese, ma bensì a quella detta volgarmente del Caucaso. Il signor Warden, in un altra dissertazione sulle antichità (10) V. Annali di Geografia, e di Statistica , quì sopra citati, T. II , pagg. 160 a 171. I. R. Forster Storia delle scoperte e dei viaggi fatti nel norte , T.I, pagg. 75 a 100 {dell' originale tedesco. Sprengel, Storia. delle più importanti scoperte geografiche , p. 197 e segg. 210 , 211, 240, 242, pa- rimente dell’ originale tedesco ; ma sopratutto Maltebrun, Précis de la Géogra- phie universelle. T. I, Libro decimosettimo pagg. 384 a 406 , e 499-552. RA 25 degli Stati Uniti dell'America settentrionale, inserita nella parte seconda del volume che stiamo analizzando, ci, ap- prende , che certo sig. Caleb Atwater a Circleville , nello stato di Ohio, possiede di quei cranii una numerosa rac= colta, la quale, a quel che pare, è finora troppo poco cu- noscinta in Europa. Laonde sarebbe cosa desideratissima, che gli uomini dotti, che in tanta copia onorano attual. mente gli Stati Uniti, facessero passare nella nostra Eu- ropa gli scheletri di quei tumuli, e quelli delle grotte o caverne , ad oggetto di confrontare gli uni cogli altri, e cogli abitanti odierni di razza veramente indigena, non che con individui di razza malese, mantciussa, mongolla, tatara , e caucasea di già esistenti nelle grandi collezioni dei signori Cuvier, Simmering e Blumenbach. E quì m'è impossibile d’astenermi dal ricordare, che tranne le saperficiali ricerche di Joutel, di Tonti, di La Salle, del padre Luigi Hennepin, e del dottore Douglas, il primo che veramente facesse rivolgere a quei monu- menti di antichità l’attenzione dei dotti europei, fu il . Viaggiatore naturalista svezzese Pietro Kalm, nel terzo ed ultimo tomo della sua relazione di viaggi pubblicata in lingua svezzese a Stocolma nel 1761, e tradotta in tede- sco, Gottinga 1764, ed in inglese, Londra 1772, due volu- mi in 8.° Le sue osservazioni furono confermate, e messe più in chiaro dal signor Carver, che nel 1768 visitò da esperto osservatore le sponde del gran fiume Mississipì, e vi scoprì fortificazioni regolari, le quali secondo lui pare-. vano con. tanto metodo fabbricate, come se un Vauban avesse presieduto in persona alla loro costruzione. Il quale fatto è diametralmente opposto all’ipotesi favorita di Ro- bertson che, nella sua storia dell’ America, fece quanto per lui si potè, onde distruggere l’idea dell’esistenza d’un popolo incivilito nel nuovo continente, sostenendo con ra- gioni più speciose che solide , che le nazioni meno rozze del medesimo non avessero cognizione alcuna di molte invenzioni semplici, nelle altre parti del globo presso che antiche quanto la società , e che si ritrovano nelle prime epoche della vita civile. T. XXXV. Agosto. 4 26 Le notizie date da Kalm, e da Carver, risvegliarono l’attenzione e la sagacità dei dotti enropei, e nominatamente del professore scozzese James Dunbar, che in un'eccellente opera pubblicata nel 1786, sotto il titolo di Saggio della storia del Genere Umano nelie età rozze, e non ancora in- civilite, pose fuori di ogni dubbio l’esistenza di antichi po- poli americani più 0 meno inciviliti, dei quali la storia non fa menzione alcuna. Non sonò però mancati scrittori, che hanno voluto accusar di falsità le scoperte di Carver; ma gli argomenti che hanno posti in campo si dileguano tutti innanzi alle scoperte più moderne dei monumenti di Palenchè , e delle rive superiori dell’Ohio. Anche il celebre Franklin avea la sua opinion parti- colare dell’ origine di questi monumenti, e soprattutto di quelli scoperti nel Kentucky, e presso il fiume di Musk.n- gum, attribuendoli a Fernando de Soto, che nel 1541 con- dusse una spedizione nella Florida; ma il signor Warden dimostra , che questa supposizione non sì può sostenere, stante che di quei monumenti se ne incontrano fin nelle vicinanze del lago di Erié, e nelle parti orientali dello stato della nuova York; laddove si sa che Soto. varcato il Mis- sissipì a trentaquattro gradi di latitudine, non oltrepassò mai, verso il norte, la catena dei monti della Carolina me- ridionale, e che inseguito, d'altronde, e tribolato conti- nuamente dagli indigeni, non si fermò in nessun luogo assai di tempo per innalzare quei monumenti, alla costru- zione dei quali mancava inoltre di stromenti , e di mate- riali indispensabili. Checchenesia infine di tutte queste opinioni , e delle scoperte di altri monumenti, successivamente incontrati nel tratto di paese racchiuso fra i due fiumi di Savan- nah e di Oakmulgee, nella Georgia, e fra la spiaggia del mare ed i monti cerocchesi ed apalacchi, dal fiume di San Giovanni infino alla Florida, bisogna pur confessare, che nessuno di essi ci offre il benchè menomo indizio di arti, di cognizioni, e di architettura degli europei, o di al- tri popoli del continente antico. Ciò noridimeno sembrano appartenere alla più remota antichità. Fra i popoli che "3-00 occupavano quei paesi all’epoca della scoperta, nessuno fu capace di somministrare nemmeno una conghiettura, per rispetto alla nazione, che avrebbe costrutti quei. monumen- ti, nè per riguardo all'origine, e l’uso dei così detti tumu- li, piramidi, e poggi sepolcrali, di forma sferica, ottagona quadrata o bislunga, alcuni dei quali hanno cencinquanta piedi di lunghezza sopra cento di larghezza, e trentacin- que di elevazione verticale sul livello del suolo adiacente. Ciò che. non ammette più alcun dubbio per rispetto ai grandi poggi, ed alle muraglie di terra scoperte , si è che la regolarità e l’estensione lorò prodigiosa sono prove manifeste , che furono innalzate da un popolo numeroso , e come già dissimo molto destro nell’arte di fortificazione, e di difesa. Gli alberi d’altissimo fusto che coronano, e cir- condano quei poggi, da tanti secoli abbandonati alla forza della natura, uguagliano in vetustà ed in grossezza quelli delle foreste circonvicine, e dimostrano quanti secoli han- no dovuto trascorrere , dacchè le regioni ove crescono sono rimaste incolte, e diserte. E la ritirata delle acque dei fiu- mi, e dei laghi, che visibilmente hanno altre volte bagna- to i piedi di coteste colline, aggiugne nuova forza a cosi fatto argomento. Da un altra parte questi poggi sepolcrali sono ripieni di ossa, che hanno indotto vari scrittori, e fra gli altri il vescovo della Virginia, Maddison, a conchiudere, che fu- rono veramente sepolture formate a diverse epoche, e di mano in mano, dalle osse e dalle terre, che vi si traspor- tarono. Ma per tornare a bomba, e gettare ancora nn ultimo sguardo ai preziosi monumenti di Palenchè , dei quali i confini d’un articolo di giornale c’interdicono di consegnare qui le molte idee che ci hanno risvegliate, ripeteremo sol- tanto che l’esistenza in essi d’una croce, ed anche di pro- ve d’ un’ adorazione di questo simbolo dell’umana salute, forma una delle particolarità più curiose, e più inespli- cabili di quei venerandi avanzi di una remota antichità, La quale particolarità concorre per nostro avviso, nel di- mostrare una origine asiatica per la via d’occidente piut- ai; tosto che per quella dell’ Oceano atlantico . Imperciorchè dopo di avere letto, e ponderato il libro del signor Ran- king, ci è fanposgibilb: di credere, che i primitivi america- ni siano venuti da altra parte, che dall’ Asia, e nomina- tamente dalla Mantciussia, e dalla Mongollia, regioni si- tuate al settentrione dell’impero cinese. La religion cristia- na penetrò fino dai primi secoli nell’ estremità orientale dell’Asia, e la storia ci assicura, che molti individui della stessa famiglia di Genghis Kan, e dei figliuoli di lui fu- rono cristiani, e principalmente della setta dell’ erasiarca Nestorio. I toltechi sono senza contraddizioni i popoli più antichi di quelle parti dell’ America ; e Clavigero , fian- cheggiato da tutte le antiche tradizioni, afferma positiva- mente , che si eran vennti dalla parte del nord-oveste. Il sisnor Ranking crede, che usciti dalle vicinanze del fiume Tola o Tula, nella Mongollia, arrivasiero nei contorni del- l’odierna città di Messico nell’ anno 544 della nostra era, e che fabbricassero quivi la città di Tula, o di Tullan, come sede d’impero del medesimo nome, che il signor Ranking crede derivato da quello di Tola, siccome sembra che ne. derivi pure quello dei toltechi, nella guisa medesima che dal nome di Aztlan deriva quello degli aztechi, e che dalla città di Tlascala gli abitanti di lei venivano chiamati tlascaltechi. La monarchia dei toltechi , di Tula, o di Tol- lan, principiò verso l’ anno 670, e durò circa 384 anni, l’ultimo suo re Vopiltzin essendo morto nell’anno 1052. I cicimechi, signori antichi del regno di Amagueme- can, entrarono più tardi in America, e vennero, secondo il signor Ranking, parimente dalla Mongollia. Verso l’anno 1170 giunsero eglino a Tula, venendo dal settentrione. Clavigero ne racconta minutamente la storia, e la marcia progressiva. Non è questo il luogo di esporre, e discutere piena- mente tutto quello che si è detto, e scritto sull’ origine dei popoli americani; ma prima di finire di ragionarne , crediamo pregio dell’opera il dichiarare, che da quanto ab- biamo letto intorno quest’interessante punto di storia, sia- mo rimasti persuasi, e convinti, che non ad una sola mi- 29 grazione di popoli dell’antico mondo sono debitori quei del nuovo della loro origine; ma bensì a cinque o più .trapassi di nazioni, appartenenti a razze, ed a contrade af- fatto diverse, La più antica di queste trasmigrazioni sarà certamente quella degli Eschimali, abitanti del Groenland , e delle parti più boreali del continente americano. Essi vennero indubitatamente o dalla Siberia per via dello stretto di Bering, o dalla Lapponia per la via del Groenland. An- che i cippevaisi che occupano un vastissimo tratto di con- tinente al mezzodì degli eschimali sono, giusta le loro pro- prie tradizioni, originarj della Siberia, Altra non meno ovvia, e naturale trasmigrazione dal- l'antico mondo nel nuovo, è quella che , in secoli poco distanti dal gran cataclisma, e subito dopo la popolazione delle isole dell’Oceanica, e della Polinesia, dev'essere en- trata nell’America, passando appunto per quelle isole, le quali furono certamente popolate da gente di razza ma- lese, come lo prova tuttora, dopo un sì lungo andare di secoli, la grande affinità di dialetti parlati dagli abitanti di quelle numerosissime isole. I patagoni, e gli abitanti aborigeni del Cile sono senz'alcun dubbio della medesima razza degli abitanti dell’isola di Pasqua, e degli arcipela- ghi meridionali della Polinesia. La terza classe di migrazioni deve, a norma di tutte le probabilità , essere stata eseguita in tempi molto anti. chi, ed anche successivamente a diverse epoche, da po- poli dell’ alta Asia settentrionale, di razza o tatara, o mongolla, sia che abbiano tragittato anch'essi lo stretto di Bering, oppur la catena delle isole Aleutine, o sia che vo- gliansi con Rinaldu Forster, Ranking, e noi medesimi, (11) considerare come avanzi di varie armate navali dalla Ci- na, o dalla Corea spedite alla conquista del Giappone , e quindi -da terribili uragani distrutte, o disperse nel grande Oceano; una delle quali spedizioni ebbe, secondo Thun- berg, un così fatto destino nell’anno 599, ed un altra se- (1) V. Annali di Geografia , e di Statistica, T. II, p. 204, nota 6. 30 condo Marco Polo, Du Halde, Koempfer, il P. Amyot, ed altri, verso l’anno 1281. La quale opinione, che abbiano gli asiatici in cotal guisa, ed a diversi tempi, abbandonato l’antico mondo per arrivare fortuitamente al nuovo, fu già presentita tre secoli sono dal padre Gioseffo di Acosta, autore d’una bellissima storia naturale e morale delle In- die, ed è ora stata dal signor Ranking resa quasi indubi- tata per una serie di argomenti, pruove, tradizioni, e con- ghietture , al complesso delle quali ci è parso difficilissi- mo, per non dire impossibile, il non arrendersi compiuta- mente. Robertson, de Humboldt, Pennant, Carver, Barton ed altri vanno in ciò d’accordo con noi. La sola parte del libro del signor Ranking, dove non ci possiamo combinare con lui, è quella che tratta delle così dette antichità di Talomeco , pretese scoperte da Fernando de Soto, e de- scritte nella storia della Florida di Garcilasso de la Vega. Quand’anche potessimo ammettere l’esistenza di quei son- tuosi edifizi , e l'origine loro tatara, o mongolla, confesse- remo sempre esserci stato impossibile di avere alcuna idea nè della località, nè della sorte succesiva tanto del paese dei cofacicchi, quanto della città di Talomeco. Checchenesia è cosa impossibile di determinare alcu- na epoca per la prima, o la più antica di quelle emigra- zioni asiatiche; dappoichè nessun opera dell’uomo, nessun progresso visibile d’incivilimento , od altro fatto qualun- que ci sì para dinanzi per manifestare, o comprovare una popolazione molto antica. Contuttociò pare indubitato, che alla dispersione d’una flotta cinese, e mongolla nel 799, se non alle prime colonie malesi, debbano l’ origine loro le rovine scoperte da Mayta Capac, pronipote e terzo suc- cessoro di Mango Capac, nella città di Tiahuanaca , sul- la sponda del lago di Ciucuitu, presso Titiaca , nell’ al- to Perù, consistenti in un tumulo o poggio altissimo , costrutto certamente’ per mano d’uomini, la cui base componevasi d’immensi ceppi di pietra, benissimo assodati con calcistruzzo, a fin d’impedire i terrazzi progressivi di cadere gli uni sovra gli altri. A qualche distanza eranvi due giganti con vestimenta, che scendevano fino al suolo, 31 ed un berretto sul capo. Un muro vicino, ed altri edifizii, erano formati di pietre di tanta mole, e gravezza , che è impossibile anche di conghietturare come possano essere state colà trasportate da nomini; tanto più che non so-. novi nei contorni nè roccie, nè scavi di pietra di sorta al. ‘enna. Molti di questi ceppi enormi erano lunghi trenta piedi, larghi quindici, e grossi sei. Altro muro era fab- bricato di mattoni non cotti, e gli abitanti del paese non aveano nessuna idea dell’origine di cotesta fabbrica. Gar- cilasso de la Vega, ed il signor de Humboldt hanno dato una minuta descrizione di questi monumenti, accennati eziandio nella storia del gesuita d’ Acosta, e che possono probabilmente avere qualche relazione con quelli esistenti tutt’ora nell’isola di Pasqua non molto distante dal conti- nente americano, in mezzo al grande Oceano. Secondo il testè nominato autore gesuita raccontavano gti indigeni d’Ica, e di Arica “ che soleano navigare anticamente ad s, an isola nel ponente molto lontana, e la navigazione »; era in una pelle di lupo marino legata insieme. Talchè ,; non mancano indizi, che si abbia navigato il mar del ;s Sur avanti che vevissero gli Spagnoli in quello ,, (12). La quarta specie di migrazioni comprende quelle ve- nute dall’ Europa, fra Je quali la storia ne conserva spe- ciale memoria di quelle eseguite intorno l’anno mille, e nei secoli susseguenti, dai cos) detti normanni, navigatori audacissimi della Scandinavia, e di un’altra, operatasi verso l’anno 1170, da un principe del paese di Galles. .La ‘quinta finalmente, ma non l’ ultima, nè la mevo importante, sarebbe ora quella degli autori dei monumenti di Palenchè, venuti probabilmente dalla costa dell’Affrica per opera o divisata, o fortuita dei cartaginesi, od alme- no entrati in America per la parte dell’ Oceano atlanti. (12) Historia naturale e morale delle Indie , scritta dal R. P. Gioseffo di Acosta; traduzione italiana di Gio. Paolo Galueci Salodiano.. Venezia, 1596 in 4.° Libro I, cap. 19, f. 18. Nel capitolo seguente l'Autore dimostra essere con tutto questo più ragionevole il pensare, che venissero per terra i primi abi- | tatori dell'America , comecchè apparisca sommamente probabile , che altri siano stati colà portati dai naufragii, o dalle tempeste di mare. 32 co. Un fatto incontrovertibile, frammezzo alla gran diver- genza delle opinioni esposte, si è, che quando il Colombo ed il Vespucci discoprirono 1’ America, non contenevano quelle due immense penisole nè un solo uomo bianco, nè “un vero moro, nè altro individuo di color nero ; cosa som- mamente ammirabile ove si consideri la varietà infinita del clima, e di temperatura dal capo di Horn fino all’ Oceano glaciale artico. Nella seconda parte di questo volume della Società di geografia si legge una esposizione ugualmente dotta ed in- teressante del medesimo sig. Warden, di tutti i monumenti finora scoperti nel paese irrigato dal fiume Ohio , o spar- si in altre provincie degli Stati Uniti, i quali tutti com- provano una popolazione antichissima, giacchè gli indigeni odierni , e gli antenati loro per molti secoli, non hanno fatto uso di simili oggetti, né ebbero mai alcuna cogni- zione della loro origine, e dell'uso cui furono destinate. Questi monumenti di antichità vengono dal sig. Warden distribuiti in nuove classi , cioè 1.° fortificazioni ; 2.° tu- muli o poggi sepolcrali; 3.° muraglie parallele ; 4.° muri sotterranei di terra, e di mattoni, ed oggetti infossati ad una considerevole profondità ; 5.° aperture scavate nella terra, comunemente detti pozzi; 6.° roccie con iscrizioni ; 7.2 idoli; 8.2 conchiglie di altri paesi ; e 9.9 mummie. Fra i monumenti descritti , il più curioso è senza dub- bio una roccia con iscrizione geroglifica , situata presso le foci del fiume Taunton, nello stato di Massacciusetts , ove sopra un ceppo di gneiss, o granito secondario, si scorge un certo numero di tratteggi, e figure triangolari , di teste ..umane, e di caratteri da varii scrittori creduti fenicii. Ap- piè dell’ iscrizione trovasi anche quì un uccello colla te- sta rivoltata in alto , come sulla medaglia di bronzo del palazzo grande di Palenchè (13). (13) Nel momento che stiamo scrivendo risuonano i giornali letterarj della scoperta fatta nelle vicinanze di Montevideo , verso il fiume della. Plata, di una lapida che copriva una piccola tomba, entro la quale si rinvennero due antichissime spade, un’elmo , ed uno scudo, con un anfora di grande ampiezza. Ad onta del tempo si riuscì a dicifrare su quella pietra un'iscrizione in lingua 33 Altra scoperta non meno curiosa ed importante , e che sommivistra una prova per nor concludente dell’ arrivo, e del soggiorno, anche nell’ America settentrionale , di uo- mini di razza malese venuti dalle isole del grande Oceano, si è quella delle mummie incontrate a dieci piedi sotto la ‘ superficie del suolo , nelle immense grotte , 0 caverne cal- caree del ‘Kentucky. L’invoglio interiore di quelle mummie consiste d’ una stoffa fabbricata di spago dopp'o , e ritorto d’ un modo specialissimo , e di grandi piume brune , in- trecciate con molto artifizio. Il secondo invoglio è della me- desima stoffa, ma ‘senza piume; il terzo d’ una pelle di daino rasa, ed il quarto ed ultimo d’ un aitra pelle simile col pelo. Sul corpo non v° è segno alcuno nè di fascia , nè di sostanza bituminosa, od aromatica. Fatto sta, che la tela che servi ad involzere cote:te mummie, come pure tutti gli altri oggetti d’ antichità che le accompagnano , rassuomigliano perfettamente a quelli che i nuvigatori hanno apportati dalle isole Sandwich , Figi, ed altre del mare del sud. Il signor Mitchili, che nell’ archeolo zia america- na ha dato la descrizione di una di queste mummie, tro- vata presso Glasgow nel Kentucky, e che ivi deduce i fatti qui esposti, dimostra di più |’ analogia perfetta dei pezzi di scoltura antica, soprattutto di figure umane, e fin degli avanzi di fortificazioni ed opere di difesa , con quelli che si sono ugualmente trovati a Taiti, nella nuova Zelanda, ed altrove nella Polinesia. Il signor Warden termina la sua sposizione di queste antichità. con un epilogo delle tradizioni degli indigeni medesimi intorno la loro origine, da cui risulta , in ul- greca del seguente tenore : Al tempo di Alessandro figlio del Re Filippo di Macedonia. — Tolomeo ,,. Il resto era illeggibile. Sull’ impugnatura di una di quelle spade stava scolpito il ritratto d’ un uomo , che si erede Alessandro; e sull’ elmo un altro lavoro d’ intaglio, che dovea essere maraviglioso. Esso rappresentava Achille; che trascina il corpo d’Ettore intorno alle mura di Troia, Questa scoperta , se ne sono esatte le particolarità , merita tutta 1 attenzione degli archeologi, e confermerebbe sempre più l’ opinione , che nei primi secoli del mondo parecchi abitanti del continente antico siano, per la parte dell’Oceano | atlantico , stati gettati in America , e soprattutto alle coste del Brasile , ed alle isole Antille. T. XXXV. Agosto. 5 34 tima analisi, che tutti credono di essere venuti dall’ oc- cidente , e che progressivamente sonosi avvanzati verso l'oriente, valicando , e discendendo la gran fiumara del Mississipì. ll dottor Jarvis, in un libro suo veramente aureo , pubblicato alla nuova York, nel 1820, sulla 1eli- gione delle tribù dell’ America settentrionale, ha posto fuori di ogni dubbio , che tutte le nazioni disseminate dal- la baja di Hudson fino al capo Horn, ed alle Indie orientali, comecchè sconosciute fra loro, e parlando idiomi diversis- simi, mon ebbero, e non hanno tuttavia , se non se una sola, e medesima religione. Adorarono e adorano sempre l'Ente supremo , creatore, conservatore , e dispensatore di tutte le cose, e tennero per cosa indubitata , ch’ egli prende piacere nell’accomunarsi, di una maniera divina, e misteriosa, con certe anime predilette; ma non si permisero mai di effigiarlo sotto alcuna forma sensibile, o materiale. Riconosceano anche un certo numero di genii tutelari , cui rendeano un culto inferiore , e di cui faceano immagini. Credeano , che l’ anima è immortale, e che dopo la sepa- razione del corpo riceve le ricompense od i gastighi , che meritò nel decorso dell’ unione sua con esso. Una verità grande, ed importantissima è quella , che la nazione autrice dei monumenti sparsi nelle vallate del- l° Ohio , dal paese degli Illinesi fino al Messico , fu essen- ziaimente diversa da quella che occupava quel medesimo tratto di paese, allora quando fu disroperto dagli enropei. Da un altra parte è da notarsi, come un fatto non meno fondamentale, che non esiste neppure un indizio di cosif- fatti monumenti sul lato orientale della gran catena dei monti Alleshani; nuova riprova , che gli autori di quelli del lato opposto fossero venuti dall’occidente. Questi popoli antichi dell'Ohio erano però nell’incivilimento , e nelle arti, di gran lunga inferiori agli antichi abitatori di Pa- lenchè. La linea dei pozzi , delle fortificazioni, a comin- ciar dalle froutiere del Messico , e continuando fino ai grandi laghi degli Stati Uniti sembrerebbe indicare , che quelli fossero una colonia di questi. La quale curiosa que- stione potrebbe per avventura essere risoluta , se un na- 35 turalista abile si dasse l' incomodo di esaminare i ceranii degli scheletri trovati nelle valli dell’ Ohio, paragonandoli colle figure dei monumenti di Palenchè , nelle quali la testa puntaguta, ed il profilo della fisonomia, differiscono da quelle di tutti i popoli conosciuti. Da tutto questo resulta, che il continente da noi chiamato nuovo , è popolato molto più anticamente che non si è creduto, dappoichè contiene tante vestigia del- l’ arte , intorno le quali la stessa tradizione del paese ri- mane mutola, e che appartengono ad un’ epoca forse più antica di quella in cui gli annali dei popoli asiatici, ed enropei incominciano ad essere appoggiatia fatti autentici, ed a prove veramente istoriche. Per non interrompere il filo di questa sposizione delle antichità americane , distribuita in due parti separate nel volume che andiamo esaminando, abbiamo lasciato addie- tro alcune notizie quivi inserite, che pure. meri‘ano più o meno l’attenzione degli amici «della geografia. Una delle piu importanti è il ragguaglio d’ una carta generale delle provincie di Baghdad , d’Orfa, e di Hhaleb, ossia d'Alep- po, e di una pianta della città di quest’ ultimo nome. L’au- tore dell’ una, e dell’ altra di queste mappe, il signor barone Rousseau, attual console generale di Sua Mae- stà Cristianissima in Tripoli di Barberia, orientalista eru- ditissimo , noto alla repubblica letteraria per molti opu- scoli pubblicati, e che fin dall’ infanzia , e poco menodi quarant’ anni, abitò quelle contrade dell’ oriente , ha sa; pito far entrare , spezialmente nella carta geografica , inolte nozioni , che comunemente isfuggono ai viaggiatori, come per cagion di esempio l’ indicazione dei correnti d’acqua, delle ramificazioni dei monti, delle strade e di- rezioni tenute dai mercanti , dei pozzi, delle sorgenti d’ acque minerali?, e soprattutto della situazione abituale. di quelle orde di semibarbari che , senza interruzione ribelli contro il loro sovrano, non riconoscono altra an- torità se non chè quella del più forte. Con tutto questo deve però rincrescere ai veri geografi , che cotesta bella carta non sia stata assoggettata alle regole della geografia 26 patematica ; sendochè, bisogna pur dirlo , si discerne a prima vista non essere ella 1° opera di un geografo di pro, f:ssione. E di fatto la società di geografia col pubblicarla nei sno: volumi, non ha inteso di dare se non che una riunione di molti materiali, che nelle mani d'un abile professore potranno divenire utilissimi, Una piccola notizia accompagna la carta, ed il piano d’ Aleppo, il quale peraltro è al dì d'oggi di cenue importanza pella topogra- fia, attesochè , disegnato nell’anno 1811, nen rappresenta quasi più niente di quella sgraziata città., subbissata, da un terremoto nel 1822. Questa notizia termina con un quadro della pronuncia, dell’ortografia, e del. significato di molti termini geografici, ed altri vocabili turchi ed arabi inscritti nelle mappe, e gli snccede prima una ta- vola alfabetica, araba e francese, di tutti i nomi geo- grafici contenuti nella carta generale, e quindi una, dot- tissima descrizione della città di Aleppo estesa dal sig. cav, I. G. Barbié du Bocage , ch’ è quanto dire da un vero maestro dell’ arte, Il secondo fascicolo del volume incomincia da un estratto dal signor barone di Nerciat fatto d’ una memo- ria del celebre orientalista signor de Hammer sulla Per- sia, per la parte solamente che spetta alla geografia; il quale estratto contiene una folla di ragguagli cusiosissi- mi, ma che i limiti d’un articolo di giornale non permet- tono neppure di ricapitolare. Le provincie descritte sono quelle del Kerman , del Fars , del Laristan col Destistan, e del Khusistan, Nella descrizione di quest’ ultima pro- viucia si dimostra, con prove per noi evidentissime , che l'odierna città di Sciuster o Suster è l’antica Susa situata sulle sponde dell’ Euleo , o del Coaspe , dove se ne scor- gono anco in oggi le rovine, nel castell» che corona un monticello; ladlove a S ius, o Sus, non si trovano nè rovine di fortezza , nè l'ombra d’ un poggio, sul quale un forte abbia potuto essere fabbricato. L’ unica obbiezione plausibile, che contro quest’asserzione poteva dedursi dal sarcofago del profeta Daniele , il quale certamente esisteva a Svius, viene riprovata vittoriosamente colla citazione 3- di. un testo arabo di Ahhmed di Tus , autore del secolo duodecimo , il quale espone i motivi , e le circostanze per cui quel sarcofago da Sciuster, dove trovavasi , fusse stato a Scius trasportato, La geografia turca detta Gihan Numa conferma l’ esistenza di questo sarcofago in quest’ ultimo luogo. L’ identità di Susa coll’ odierna città di Sciuster è d’ altronde provata colla situazione delle. acque correnti , confrontata colla navigazione di Nearco, e di Alessandro il Grande. Ma che cosa significano allora tutte quelle im- mense rovine, che nelle vicinanze di Scius si estendono dalla riva destra del Kerat fino al fiume Ab-i-zal, e con- sistono come quelle di Ctesifone , Babilonia, e Cufa , di greppi o monticelli di terra , e di macerie piene d’infiniti frammenti di mattoni di diversi colori? Noi risponderemo francamente col signor de. Hammer che sono quelli gli avanzi della città di Elimaide, ove secondo i detti di Stra- bone , Giuseppe Flavio. e di Zonara , vedeasi il maestoso tempio Azara, dedicato a Venere ed a Diana. Questa de- scrizione geografica è succeduta da alcune osservazioni ge- nerali sul carattere dei persiani, sui loro costumi, e le loro usanze , le vestimenta , le abitazioni, le feste, le dignità , la forza armata, i prodotti del suolo e della letteratura; e finalmente si legge un elenco delle migliori opere di au- tori, che hanno descritta la Peisia , e le principali sue città. Tutto il volume è terminato colle liste di sette presidenti onorarii , di nove corrispondenti esteri, e di 139 membri .ordinarii della Società di geografia, i quali uniti ai 353 ancor viventi che stanno registrati nel primo volame, formano un totale di oltre sei cento individui appartenenti a quasi tutte le nazioni incivilite, che pigliano a cuore 1’ avanzamento delle scopeste , e delle cognizioni geografihe. In questo no- vero figurano , fra i socii esteri, 13 russi, 11 inglesi, 7 americani degli Stati Uniti, © belgi, 6 portoghesi , 5 po- lacchi, 4 italiani, 4 danesi, 4 spagnuoli , 3 greci, 3 te- deschi, 2 austriaci, 2 prussiani, 2 colombiani, 2 mes- sicani, uno svezzese, un'armeno , ed un nativo di Bue- nos Ay:es , in tutto settantasette membri non francesi, 38 cioè poco più dell’ ottava parte del numero totale. Fra i quali membri esteri ci duole vivamente di non osservare neppure un solo Italiano residente in Italia, giacchè l'uni- co veramente Italiano , il signor Adriano Balbi, pare es: sersì irrevocabilmente stabilito in Francia. I tre altri , si gnori Bianchi, Gamba , e Maffioli si direbbono con più! ragione francesi che italiani, J. G. H. -——+——— — — ——+—+—+—+—+—+—+—+—+—+——+——+.»-.- __m_1_1——21À2ÀZ<_=_———__———_—_———___——2==#==—@ 14 Eprro Rx. Tragedia di Srrvesrro Cenroranti. Firenze, tip. For- migli 1829. Eschilo, Sofocle, Euripide, Licofrone, Filocle, Senocle, Dio- gene, Enomao, Giulio Cesare, Silanione, Seneca , l’Anguillara, il Bartolommei, il Beverini, con altri poeti italiani ; Corneille ; La- Motte, Voltaire , e non so se altri francesi di minor grido, tratta- rono (dell’Edipo a Colono non parlo) il medesimo soggetto a cui volge ora il suo molto ingegno l’egregio sig. Centofanti. Dopo quello di Sofocle, l'Edipo più sostenutosi in fama, era quel di Voltaire, la- voro dell’età d’anni ventuno, e bella prova di precoce destrezza di stile e di mente. Questa tragedia ebbe 1’ onore d’ essere rap- presentata a Erfurt, se io non erro, dinanzi a Napoleone e ad Alessandro, durante il famoso trattato del 1808 : e se non fu Na- poleone stesso che la volle, certo colui che ne fece la scelta de- v’ essere stato un avveduto e pratico lodatore. Si sa che a quel verso: l’ amitié d’ un grand homme est un bienfait des Dieux, Alessandro ch’ era con Napoleone nel medesimo palchetto, stese la mano all’uomo fatale , per abbracciarlo. Quest’ atto, ch’anche dalla parte d’ un imperatore poteva esser trovato non molto op- portuno , ha , parmi, la sua spiegazione da un cenno che io leggo in un articolo recente del G/ob9; donde si potrebbe conchiudere che Alessandro fosse in quel congresso iniziato agli arcani della mente di Napoleone, ben più che le cose antecedenti e le sus- seguenti non paiano dimostrare. Quel verso del resto, non era nè la più chiara nè la più lusinghiera delle allusioni , che l’Edipo di Voltaire presentava agli spettatori del secolo decimonono. Au dessus de son dge, au dessus de la crainte, == Guidé par la fortune en ces lieux pleins d’effroi, — Vint, vit le monstre affreux, l’en- tendit, et fut Roi = Helas! nous nous flattions que ses heureu- 39 ses mains — Pour jamais è son trone enchainaient les destins. == E questo, a cui forse Alessandro non pensava nell’ atto d’ ab- bracciar Buonaparte : Je lisaîis mon devoir et mon sort dans ses yeux. Ma il più fortunato; non dico degli emuli, (perchè, come mai emulare un antico trattando un soggetto antico, dove non si può far bene se non quanto s’imita?), il più fortunato , io diceva , degl’ imitatori di Sofocle , colui che della sua tragedia scriveva je travaillai è peu-près comme si j'étais à Athènes; colui che schiettamente confessava alla duchessa du Maine: tout ce qui était dans le got de Sophocle, fut applaudi généralement , ha voluto essere insieme il più audace ‘e il più ingiusto de’suoi critici e derisori. A Laharpe, ad un Retore, potea bene esser lecito l’affer- mare con una leggerezza di cui l’ ardimento de’ così detti nova- tori non offre l’ esempio: le Frangais de vingt-un ans, l’empor- te en plus d’ un endroit sur le Grec de quatre-vingt : ma Vol- taire , il giovanetto , 1’ imitatore Voltaire , poteva egli scrivere, e i suoi lodatori approvare in silenzio , che l’Edipo di Sofocle pre- senta des endroits qui m’ont révolté ? E: cette grossièreté n'est plus regardée avijourd’hui comme une noble simplicité? E : j'avoue que je ne connais point de termes pour exprimer une pareille absurdité ? E finalmente: ce qui suit , me parait également éloi- gné du sens commun? E altre simili gentilezze, ben classiche ; e ben convenienti all’ uomo che propone le sue censure comme les doutes d’ un jeune homme, qui cherche à s° éclairer. Non perchè Sofocle abbia bisogno di discolpe o di lodi, ma perchè parlando, dell’ Edipo Greco , noi veniamo anco indirettamente a parlare degli Edipi romani , francesi , italiani che del greco son figli in- sieme e fratelli, e perchè queste considerazioni generali ci con- durranno a debitamente apprezzare quant’ ha di stimabile il la- voro del signor Centofanti; noi porrem qui alcuni pensieri sulle | intenzioni profonde, sul mirabile artifizio, sulla vera poesia ; sui pregi inimitabili insomma della creazione di Sofocle. Al primo sguardo, ognun vede le infinite difficoltà del sog- getto : un figlio esposto da’snoi genitori regnanti, alle fiere: dalla pietà d’ un pastore salvato, da un altro pastore condotto in ca- sa d’un altro Re , e da questo adottato per figlio, che viene senza saperlo ad uccidere il vero suo padre, che sposa la madre, senzachè una dimanda , una novella, un dubbio îgli richiami all’ anima le circostanze del commessu omicidio : che dopo quin- dici anni circa, scopre i suoi involontarii delitti, e che nel suo nascere, nel suo crescere, nelle sue sventure sì riconosce strasci- 4o nato da una forza invincibile, prestabilita; tutto codesto mon sarebbe al certo un argomento degno della tragedia, se la tradi- zione nol desse ; la tradizione intera d’ un popolo, la qual può donare alle favole più strane la viva e solenne autorità della sto- ria. E quest’autorità era per Sofvele : i gravi disastri, i fatali delitti di Tebe, erano parte viva de’ greci annali, e si attenevano in certa guisa alla greca teologia: quì il poeta non. cerea un av- ventura strana, posata sopra falsi principii, circondata da partico- larità o inverisimili 0 turpi: quest’ avventura egli la trova nella comune eredenza, ne vuol trarre della poesia, e ad altro non pensa che a rendere il suo lavoro più ragionevole ; più. filoso- fico , più morale , che, poste le dette condizioni, si possa. Le inverisimiglianze , le falsità sulle quali l’azione è fondata ; e che la precedono ; egli non pensa nè a dissimularle nè a vincerle; le prende come un fondamento del quale la solidità è tutta in una credenza comune; e su questo fondamento qual ch’ egli si sia, pensa ad innalzare un hello, semplice, regolare , e sapiente- mente architettato edifizio. Le inconvenienze adunque del fatto non son colpe del greco poeta : come sarebbero s° egli avesse que- sto fatto medesimo tratto da storie non nazionali, 0 non più cre- dute, nè più eredibili, e non pur fondate sopra una falsità di storia, ma sopra una falsità di morale. Se pertanto egli avrà, con la sa- pienza dell’arte e del senno, saputo mettere nella maggior pos- sibile armonia gli elementi d’ una favola assurda, suo sarà tutto il merito; merito certamente degno di meditazione e di maraviglia. E così, frattanto che i successori di Sofucle (io non parlo del giovine vivente italianv) si affanneranno per. concilia- re insieme le tante inverisimiglianze d’ una tradizione altera- ta da’ pregiudizii religiosi, e dalla calda ed indocile immagina- zione del popolo greco ; intanto che per iscusare la inesplicabile non curanza in cui vivono Giocasta ed Edipo senza informarsi delle circostanze della morte di Laio, per ispiegare la varietà delle voci sparse sul modo onde il Re cadde ucciso, per dis- porre con avvedutezza l’ intrigo, per tenere sino alla fine qerroa l’attenzione , e riempiere lo spazio inevitabile de’ cinqu’ atti, discenderanno a piccoli ingegni, a spiegazioni prosaiche, e si dif- fonderanno in episodii non solo estranei al tema, non solo nocevoli all’ effetto totale , ma disformi affatto da ogni verisimiglianza, da ogni tradizione , da ogni costume del tempo; Sofocle, il vero poeta , getta in un verso la soluzione d’ una difficoltà , poi tra-. svola al campo dell’ affetto, della passione , dell’ umana natura; stralcia dal suo ordito tutto ciò che sa d’ involucro o d’ intri- 41 go , e va diritto alla meta, ma non per una via arida , ignuda, e lunga; se così posso dire, della sua brevità, non a forza di de- clamazioni affinnose, di invettive monotone, e generiche, e alie- ne dal tema : tutto nel suo disegno è necessario , tutto semplice, tutto vero; tutto proprio di un solo soggetto : e quella sapienza ch’altri ripone in ano stentato inviluppe d’incidenti comunali, ac- cozzati per tirare innanzi il dialogo sino al punto della catastro- fe, questa sapienza Sofucle la indovina nella espressione inge- nua di que’sentimenti che sono eternamente poetici perchè rive- lano il cuore d’ un uomo posto in mezzo a circostanze che lo premono da ogni parte , non dell’ uomo astratto , di quell’ ente ideale , in cui si raccolgono i casi e le qualità di tntti gli uomini, e che si sforza di riscaldare gli affetti dello spettatore batten- dogli in faccia qualche verità generale , raffazzonata a mo' d’ epi- gramma. L’ applicazione teologica della storia d’ Edippo , era nella religione stessa de’greci : io voglio dire, l’invincibile potenza del | Fato. Questa sola considerazione basta a farci conoscere che la ca- tastrofe dell’Edipo Re, è soggetto greco, unicamente greco; e po- trebbe tutt’ al più trovare una espressione conveniente nella mo- derna Turchia. Ma la mente di Sofocle, non s° appagherà certa- mente di tener dietro al delirio d’ una popolare credenza: egli saprà infondere nel suo poema una sapienza più vera; ed è qui dove si riconosce principalmente il senno dell’ uomo , 1’ artifizio del poeta. Nella mente e nel dramma di Sofocle, Edipo non è già un innocente strascinato a delitti involontarii dal volere del cielo. Orgoglioso, sospettoso , «disprezzatore delle cose divine, negligente di affari che troppo dovevano importare all’ animo d’ uno sposo e d’ un re; egli insulta Tiresia , diffida di Creon- te, lo minaccia di manifeste ingiustizie; e in mezzo alla bontà con la quale tratta il suo popolo, dimostra bene che nel profondo del cor suo cova il germe della tirannide. Sofocle non poteva al- terare le circostanze del fatto ; pensò dunque a spiegare ciò che questo fatto presentava d’ arcano , e spiegarlo in modo morale e profondo. Quest’ è la vera morale del dramma: il far sentire che Edippo , non reo dell’incesto , era reo però d’ altre colpe che gli avevano meritato dagli Dei un sì terribile disinganno; che doveva- no aggravare il suo infortunio con le furie della disperazione, con la solitudine della cecità . Si dirà che la pena non era propor- zionata alla colpa: ma colpe maggiori, il Poeta non poteva ad- dossargli , senza cozzare con la tradizione notissima: ond’ egli fece quant’era in lui per dare all’azione tutta la ragionevolezza T. XXXV. Agosto. 6 142 e la moralità che 1’ indole sua comportava. Si legga con questa avvertenza l’ intera tragedia, e si vedrà sorgerne una quantità di nuove e non osservate bellezze. Il pensiero di Schlegel, che l’uomo il quale avea saputo sciorre gli enigmi della Sfinge , e che tuttavia rimane enigma a sè stesso, sveglia mille senti- menti di simpatia profonda , non mi pare il pensiero dominante del grande lavoro di Sofocle: sarebbe quasi una piceolezza 1° at- tribuire al poeta l’ intenzione d’ un contrapposto sì accidentale, sì meschino, e il cui merito infine sarebbe non già del poeta ma tutto del tema. E da questo lato considerata , la favola in Sofocle diventa d’assai più morale che non ne’ suoi successori. In Sofocle l’ idea del Fato è con tutto artifizio allontanata ; ed è fatto risaltare quant’ ha d’oltraggioso e d’ irriverente agli uomi- ni ed agli Dei la condotta di Giocasta e d’Edipo : ne’ successori di Sofocle (del signor Centofanti io non parlo), declamazioni sul potere del Fato, sull’ingiustizia del cielo che a tali angoscie con- danna una famiglia innocente. E il singolare si è che tra questi declamatori, Voltaire, il giovane libertino Voltaire , non si mo+ stra il più caldo. Il cinquecentista Anguillara (1), il religioso Cor- neille son quelli chè le dicon più grosse: tanto è difficile in ar- gomento alieno dalle idee e da’costumi nostri portare quella con- venienza , quella ragionevolezza , oserei aggiungere, quel huon senso , ch’ è tntto locale ; che in Sofocle singolarmente, diventa . istrumento del Bello e del Genio. S° io potessi diffondermi, come confesso che desidererei vi- vamente , sulle particolarità di quell’ opera mirabile (e non è, al ereder mio , la più mirabile tra quelle che di lui ci rimangono), s’' io potessi mostrare quanto il fare del grande poeta sia lonta» no Galla smania di quell’ideale , che tende oggidì ad abbellire i caratteri, a generalizzare , e quindi a render monotone le situa- zioni drammatiche per farne campo di qualche meschina allu- sione; s’ io potessi infine far sentire così profondamente come io * (1) Io cito l’Anguillara ancora una volta, perchè in mezzo alla molta fiac- chezza di quella tragedia, e alle molte cose che farebbero ben più che sorri- dere gli spettatori moderni, havvi de’ tratti d’ una naturalezza e d’'un affetto veramente poetico. Per esempio : ... . . Intanto il Re ch’ avea sentito Pianger la sua più piccola fanciulla , La qual stridea quanto potea più forte Per veder cieco e sanguinoso il padre, Ghinò ver lei l’ insanguinato viso Pregando tutta- via che non piangesse. Dappoi volse baciar la mesta figlia, E le macchiò di san- il viso e il seno. — E così in un de’cori, a me parve notabile certo movimento, di dialogo, certa vita di verità , che ne’cori tragici è tanto desiderabile e piena d’ effetto, quanto è difficile e rara. 43 la sento in me stesso , la poesia ch’ è nascosta in quella sempli- cità senza fasto, in quel secreto artifizio di tutto predisporre al- l’ effetto totale, in quel buon senso che a’ mediocri poeti, come a tutti gli uomini mediocri sembra nulla più che comune; io vorrei forse persuadere a taluno, che non nel ripetere a modo d’ enti irragionevoli le lodi de’ sommi antichi, ridotte a una frase, a un epiteto, non nel tacere de’loro difetti, non nel co- piare le-lor bellezze più estrinseche , che copiate non rimangon bellezze se non in quanto consolano la memoria con l’idea d’ un tipo migliore; non in simili spedienti sta il culto del Bello ; e che il ricercar le ragioni della bellezza, aiuta insieme e a. discernerla e ad emularla. Ma io debbo parlare della tragedia del signor Centofanti. I lettorî avvezzi ad ammirare i nomi di Voltaire e di Corneille, gri- deranno alla bestemmia s’ io dirò che 1° Edipo del poeta toscano a me par men lontano dall’ Edipo di Sofocle , e però più stima- bile dell’ Edipo del giovine Arouet , e del vecchio Rouenese. Il ‘signor Centofanti poi non sarà offeso , io spero , sio dirò che il suo Edipo mi par grandemente lontano dall'Edipo di Sofocle. Mol- tissimo noi dobbiamo aspettare da questo giovane ingegno, s’egli vorrà, come saviamente promette, appigliarsi d'ora innanzi a sogget- ti più prossimi alle nostre idee, a’nostri costumi; e non si esercitar più, per modestia soverchia, sopra argomenti trattati da Sofocle. Certi germi dal greco poeta gettati in passando , egli li ha, con- vien dirlo , svolti o per istinto poetico o per avveduta medita- zione , con raro artifizio : e la sua tragedia in certe parti è più greca , che a prima vista non paia. Ma gl’ intrighi di Creonte, ma certe parole del Sacerdote , io credo mi sarà lecito chiamar- le inopportune, perchè diventano inverisimili allorchè si trova- no in disarmonia con l’intero. Certi tocchi del cuore , certe espres- sioni ispirate dallo spirito di più adulta civiltà ,, mi dimostrano chiaramente ‘che se il ch. Poeta vorrà, (lo ripeto), trascegliere fatti nazionali e da noi men lontani che sia possibile , troverà degno pascolo alla sua mente, e degno premio di lode alle sue già più che giovenili fatiche. RAT 44 Al chiarissimo signor Giuseppe GRASSI socio e segretario della classe di scienze morali, storiche, e filologiche della Reale Accademia di Torino. Sopra le illustrazioni dei papiri greco-egizi pubblicate dal sig. prof. Perron. Lertera III. Più fedele mantenitore della promessa datale, che giusto estimatore delle mie forze io vengo a lei, chiaris- simo Signore e Collega, per compiere il sunto dei papiri greco-egizi del R. Museo di Torino illustrati dal chiaris- simo professore Peyron; ma siccome l’ occasion porta che quì più che di cose legali io m’abbia a discorrere di ma- terie varie ragsuardanti all’erudizione. archeologica , così conviene che più assai che non feci nelle due prime mie lettere , io all’ indulgenza sua mi rivolga. Comincerò per- tanto dal notare brevemente le indagini fatte dal dottis- simo comentatore per chiarire alcuni punti ancora incerti dell’ antica geografia dell’ Evitto, mi farò dopo ad esporre un po’ più largamente le dottrine metriche adoperate in Egitto ai tempi de’Tolommei, e terminerò col parlare dei papiri di Zoide. Per quanto i Greci divenuti padroni dell’ Egitto an- dassero rimessi nel togliere gli usi antichi ad un popolo che ne era quant'altro mai tenaci.simo, la nuova signoria non potè a meno peraltro di caugiare le apparenze di quella contrada, E se i Tolommei schivarono di mostrarsi risoluti e pronti innovatori, von ai tralasciarono all’in- contro coll’ arte nascosta e per vie diverse d’ operare in guisa che gli ordini ed i modi dei Greci sempre prevales- sero a que’ degli indigeni. Co-ì per ridurre in altro aspetto le conquistate regioni , introdussero nuove divisioni di ter- ritori, nuovi nomi diedero ai luoghi, e mutarono la for- tuna di alcune città principali lasciando che le più anti- che decadessero mentre fiorivano le più recenti. Il nostro illustre comentatore prendendo a parlare della varia denominazione di alcnne parti dell’ Egitto di- 45 chiara di non volere entrare nella intricatissima quistione de’trentasei Nomi d’ Egitto , e solo stabilisce che Strabone annoverò dieci Nomi nella Tebaide, d’onde poi per le cose scritte da Plinio da Tolommeo e da altri non che per le leggende di alcune monete se ne volle accresciuto il nu- mero , fino a quattordici secondo il d’Anville. Ma egli cre- de che quel supposto aumento anzichè alle nuove divisio- ni di territorio fattesi dai Romani, siccome alcuni asseri- rono, attribuire si debba alla polionomìa di alcuni Nomi von bene dai moderni geografi avvertita. Quindi egli ac- cenna che le due denominazioni d’un Nomo cioè Tinite e Patirite sono sinonime e proprie d’ una sola provincia ; di cui Chemmi ab antico, poscia Tolemmaide furono le città capitali. Lo stesso dice del Nomo Panopolite e Tinite. Di più egli ci dice che quella provincia chiamata da Plinio Faturite e da Tolommeo Patirite comprendeva ne’ tempi più antichi tutto l’ Egitto superiore , ma in età meno ri- mote si ristrînse alla sola prefettura Tebana nell’ alto Egit- to, Colla scorta poi dell’ottavo papiro ci dà a conoscere, che, essendo dal corso del Nilo diviso quel tratto di pae- se, che aveva per capo la città di Diospoli, la parte di esso che volgeva a ponente si chiamava Patirite , e l’altra verso Levante appellavasi Peri-Tebe, o come oggidì di- rebbesi Circondario di Tebe. Colà era la città di Diospoli che ebbe il suo nome dai Greci in vece della primiera de- nominazione egizia che significava il domicilio d'’Ammone, ed erano Ze Memnonie , regioni divenute celebri. pel mo- numento , che ivi si ammirava innalzato da Amenofitep ovvero Amenofi II, ma che dai Greci credevasi dedicato a Memnone re d’ immensa fama. Ned è maraviglia , che quelle moli si reputassero con- secrate a Memnone, la cui memoria di tanti prodigi vol-' lero onorare gli antichi, credendo che la sua statua risuo- nasse allo spuntare del ‘sole, e gli augelli partitisi dalla nativa terra d'Etiopia venissero a fare giostre e torneamenti sul luogo del suo sepolcro. Egli è appunto a proposito di queste Memnonie, che il Peyron ricorda melto opportunamente dietro la testi- 46 monianza di Manetone, essersi dai Greci conquistatoti scambiato il nome di Amenofi II con quello di Memnone, e si fa a cercare se tutti i laoghi da quelli appellati Mem» nonii sì dovessero veramente riferire a quel principe Etio- pico figliuolo dell’ Aurora e di Titone che da Omero si dice ucciso per man d’ Achille. Ma l’ acutezza critica del nostro comentatore avvalorata dai lumi delle etimologie egiziane ha scoperto, che con suono non dissimile da quel nome gli Egiziani indicavano /e sedi de’ morti, i luoghi sot= terrane: pe’ sepolcri. Di là probabilissima spunta da con- gbiettura, che i Greci innoltrandosi verso l’Etiopia e'con- fidatisi di trovare vestigi di Memnone, tostochè udironò suono da quel nome non troppo diverso e videro. monu- menti di recondita antichità, punto non indugiassero ad ascriverli all’ antica gloria dell’ alleato di Priamo. Così; trovato un colosso lo credettero la figura di Memnone, e la mole vicina; che Amenofia chiamavasi appellarono Mem- non a, e Memnonie per fino dissero le circostanti campagne, Data cotale spiegazione di questi sbagli di nomi; si fa vieppiù manifesta la diversità delle due persone , Amenofi e Mem- pone , che vissero in tempi lontanissimi 1’ uno dall’ altro, poichè la guerra di Troia, nella quale comparve Memno- ne fu circa l’anno 1200 prima dell’era nostra , ed il regno d’ Amenofi , secondo Ja cronologia datane dailo Champol- lion, (1) risalirebbe più in là di quatiro secoli cioè al- l’anno 16087. Queste confusioni di nomi, cueste mutazioni di limiti delle province , anzi l’intiero ordine delle divisioni terri- toriali tutto improntato di grecità,, mi richiamano alla mente i consigli del Segretario fiorentino, il quale racco- mandava al Principe nuovo di fare nelle città nuovi go- verni con nuovi nomi; con nuove autorità, con nuovi uomini ; edificare inoltre nuove città, disfar delle vecchie, e non lasciare insomma niuna cosa intatta nell’ acquistate piovincie (2). Avvertimenti questi che messi in pratica nei (1) Première lettre relative au Musée de Turin, (2) Discorsi sulla prima Deca di T. Livio, lib. 1. cap. 26. 47 primi tempi della rivoluzione di Francia produssero ef- fetti tali da non mai dimenticarsi dagli statisti. Venendo alle misure di quantità numeriche e di va- lori monetali usitati in Egitto , nelle quali, mercè di que- sti papiri, è venuta al Peyron la gloria di avere il primo certe norme fissate , convien anzi tutto aver presente, che i numeri si segnavano in due maniere, o con cifre maiu- scole, come li troviamo ne’ monumenti pubblici, o con minuscole per le varie occorrenze della vita de’ privati. Tralascerò di ricopiare molti de’ segni de’ conti consegnati nei papiri, poichè non mi sembra esserne questo il luogo opportuno , e chi ne fosse curioso potrà trovarli nella ta- vola aggiunta alle illustrazioni del Peyron. Esporrò sola- mente la ragione di alcuni segni più generali, come, p. e., che le unità delle migliaia s’indicavano colle lettere pro- gressive dell’ alfabeto , le quali per la loro pos'tura ordi- nale significavano altrettante unità, vale a dire, 4, 15; B,2:7,3;0, 4; aggiunta sempre al di sopra una li- neuzza piegata a sinistra e corrispondente a que’ segnuzzi apposti dai meno antichi Greci a fianco delle lettere, Le decine delle migliaia si notavano co’ numeri delle unità sovrapposti alla lettera M, iniziale delle Miriadi. «Ai segni numerici, i quali spessissimo per l’incuria degli amannensi si voltavano in figure sformate, aggiu- gnevausi talora altre indicazioni a dinotare la qualità delle monete , così una sigla composta delle lettere g p notava argento ; la sigla A significa dramma ; la lettera X indica- va rame. Siffatta lettera s’ appresenta nel papiro XIM se- guita da una sigla precedente il numero, la quale sembra formata dalla linea superiore orizzontale della r, e dalle due gambe allargate della X con una linea diagonale frap- posta che raffigura in certa guisa la parte inferiore della 7 e la superiore della X Questa distinzione, direm quasi anatomica, delle parti di quelle lettere guida l’acutissimo nostro professore a ravvisare nella sigla tre iniziali della parola talento, T&A, e tanto più confermasi questa conghiettura da che il va- 18 lore di quel talento, rispondeva al prezzo probabile della cosa venduta. Il ritrovamento di questa indicazione del talento di ra- me apre la via al comentatore di esporre colla più squi- sita erudizione molte notizie ragguardanti alle varietà delle misure dei talenti presso gli antichi Greci. Posta, pertauto l’ esistenza del talento di rame contro la dottrina comune degli archeologi che tale misura rife- rivano al solo argento, si debbe osservare che variamente trovasi presso gli antichi definito il valore del talento Egi- ziano 5 Varrone riferito da Plinio lo agguaglia al talento Attico stimandolo , siccome dee credersi, del peso di 80 mine ; Appiano Alessandrino valuta il talento Euboico sette mila dramme Alessandrine ; Polluce dice essere il talento Egiziano pari a mille cinquecento dramme Attiche che cor- rispondono a 1300 franchi; Didimo Alessandrino lasciò scritto essere il talento Attico il quadruplo del Tolemmai- co ; e se per ultimo si volesse dedurre il calcolo dalla. pro- porzione prescritta da Cleopatra nella dramma Alessandri- na, cioè ch’essa fosse la sesta parte della dramma Attica, il valore del talento Alessandrino ridurrebbesi a novecento franchi. A conciliare l’ estrema divergenza di questi numeri il chiarissimo comentatore , rigettata quella insulsa divisio- ne da alcuni proposta tra il talento Egiziano e l’Alessan- drino , s’ appiglia ad una semplice distinzione di materia, ed intende i luoghi di Varrone e d’ Appiano del talento d’argento, mentre riferisce le testimonianze di Polluce, di Didimo e di Cleopatra a quello di rame. Non si affida peraltro nè all’ una nè all’ altra di queste autorità pa- rendogli minima la proporzione tra il rame e l’ argento che di là ne verrebbe, cioè di 1 a 7 e propone di esten- derla almeno a quella di 1 : 30. Per accertare poi il valore del taleato d’argento si vale il nostro Accademico del mezzo che gli appresta il citato papiro XIII , nel quale si fa menzione di una ven- dita di certa quantità di una specie di grano. frequentis- 49 simo in Egitto, cui Plinio dà il nome di triticum spetta, ad un prezzo determinato. E, mediante un calcolo compa- rativo , dimostra che quattro moggia e mezzo in misura ro- mana di quel frumento si vendevano in Egitto lire a. 16 centesimi , cioè 0,48 centesimi il moggio. Quindi stabilisce che il talento Alessandrino o Egi- ziano che dir si voglia non debba valutarsi a più, anzi a meno piuttosto di 6500 franchi, e per la relativa propor- zione circoscrive il prezzo del talento di rame tra franchi 2I6 e 220. I sovraccennati elementi di calcolo , tuttochè pel pic- ciolissimo numero di documenti antichi concernenti alle con- trattazioni , e per le infinite irregolarità e le molte lacune che in essi occorrono non ci dieno peranco modo a scio- gliere tutte le difficoltà, che incagliano questa parte de- gli studi archeologici, non si possono tuttavia chiamare se non importantissimi, perchè già rischiarano le principali distinzioni proporzionali di quelle misure. E noi non pos- siamo abbastanza commendare il metodo , con che proce- dette il chiarissimo comentatore in queste disquisizioni , nè la felicità colla. quale si attenne agli esami compara- tivi. tra le quantità delle derrate ed i prezzi loro corri- spondenti. In tutte le illustrazioni di documenti antichi pubblicate dal Peyron abbiam dovuto sempre ammirare la moltiplicità delle sue cognizioni e la facilità con che annodando le une colle altre spinge l’ acume suo critico nella ricerca del vero. Così, nel rintracciare queste ragio- ni di calcolo egli si è appigliato appunto a quegli elementi che dagli economisti si reputano principalissimi a _ deter- minare i veri valori, e se documenti più abbondevoli si scoprissero e con queste norme si dichiarassero, si potrebbe venir a capo di conoscere con qualche certezza la vera con- dizione del popolo egiziano a’ tempi de’ Tolommei. Ma oltre a queste misure nominali di quantità trag- gonsi eziandio dai papiri, di che si ragiona, alcuni ele- menti delle misure di superficie adoperate dagli Egizi so- pratutto nell’ uso degli edifizi ; di esse peraltro non en- trerò a parlare , perchè so essere in pensiero dell’’eccel- T. XXXV. Agosto. 7 5a lentissimo sig. Conte Prospero Balbo di rendere pubbliche certe osservazioni da ‘lui fatte nell’applicare ad alcuni par- ticolari descritti in questi papiri le dottrine di metrologia egizia, ch'egli ha non è guari esposto nelle memorie ac- cademiche (3). Bensì io credo di far cosa grata a lei, mio chiarissi- mo Signore e Collega , ed a chiunque leggerà questa let. tera, il toccar di volo la primitiva origine delle misure , quale venne dal lodato signor Conte Balbo descritta nel corso di quelle memorie (4) parte delle quali, com’ ella ben sa, ancor si rimangono inedite. Pensa egli adunque” che l’antichissimo e primo istromento di misura sia stato il cubito , e questo diviso in sei palmi, e ’1 palmo in quat- tro pollici , e che quel cubito desunto dalle naturali di- mensioni d’un uomo di statura poco più che mezzana siasi preso a braccio piegato incominciando dal gomito e ve- nendo fino alla punta del dito medio, onde dovette es- sere di 444 millimetri, il palmo di 74, il dito di 18 e mezzo ; e ver la stessa ragione che si elesse il cubito ad elemento di misura, si adoperò eziandio il piede, il quale non altrimenti che il cubito tratto dalle infinite varietà che sempre si sarebbono incontrate quando si fosse v»luto desumerlo da particolari individui, potè definirsi in mil- limetri 254, dovendosi peraltro sempre notare che la lun- ghezza naturale del piede non è parte aliquota di quella del cubito, nè le dne lunghezze hanno un divisore comu- ne fuorichè troppo piccolo. Che se non fosse il timore di troppo sviarmi dal mio proposto mi lascerei vincere dal desiderio di ragionare di- stesamente del metro sessagesimale egiziano con tanta esat- tezza illustrato da quel gravissimo personaggio lume e de- coro della nostra accademia; a compiere peraltro queste indicazioni che ho dato degli elementi delle misure ado- (3) Per tratto di singolar cortesia di S. E. il sig. Conte Balbo ci vien dato di poter arricchire il nostro giornale di quelle sue importanti osservazioni, che si troveranno stampate dopo questa lettera ( Nota dell'Editore). (4) Cioè nell’ ultima di esse letta all’Accademia nel giugno 1825. SI perate in Egitto, conviene ancora che io noti essersi dal Peyron dimostrato siccome gli Egiziani esprimevano la mi- sura dei terreni in modo conforme a quello oggidì osser- vato dalle culte nazioni che notano la sola base del pa- rallelosrammo , tralasciandone l’ altezza che sempre è co- stante . I cenni che ho fin qui dato dei papiri del museo di Torino bastano a mio credere per soddisfare alla mia pro. messa ; ma prima di chiuderli ardisco di tornare sopra a un modo di dire legale che si trova in fine del sesto pa- piro dove racchiudesi la risposta ad una supplica, e con- siste nelle parole pi ùrapia, anzi poichè il comentatore lascia ai giureconsulti Ja cura di definitne il significato , non mi rimarrò dall’ osservare che forse quella frase s’ac- costa alla formola antica latina non liquet , della quale si valevano i giudici quando per la oscurità della causa cer- cavano di sottrarsi dalla necessità di assolvere o di con- dannare (5). Colla quale significazione riscontra benissimo il testo del decreto consegnato nel papiro, in cui 1’ Epi- stratego pare che voglia mantenere il solito praticato senza sciogliere il nodo della quistione. Fin quì dei Papiri to- rinesi. Nell’I. R. museo di Vienna sono tre papiri che il sig. Giovanni Petrettini Corcirese professore ordinario di filoso- fia greca e latina presso l’Università di Padova prese a tra- durre e ad illustrare, e pubblicò colle stampe e con esat- tissimi fac simili in litografia nel 1826. Il primo di essi contiene un abbominevole esempio di discordia tra una fi- gliuola e suo padre, sovra il cui capo essa chiama le ma- ledizioni del cielo. Il secondo ci conservò la descrizione di un atto di compra, e la ricevuta di una parte di prezzo pagata da certa Zoide figliuola d’Eraclide alla Banca Reale in Menfi. Il terzo pochissinio dissimile dal secondo ci appresenta la descrizione e la ricevuta del quarto pagamento con che si venne a spegnere affatto il conto col tesoro reale. (5) Brissonius de formul. lib. 5. sd 5a Del primo non si curò il Peyron di dare illustrazio- ne, perchè di troppo ingrata materia non porge verun par- ticolare che . valga a rischiarare lo stato degli Egiziani al tempo dei Tolommei. Ma sopra il secondo ed il terzo dif- fuse all'incontro tanta luce, che ci guida per così dire ne- gli atti interni della vita di quegli antichi, e ci apre i re- cessi dell’amministrazione. delle pubbliche entrate. Lo stu- dio posto dal sig. Petrettini nella disamina e nella dichia- razione di questi papiri non aveva dato quel frutto che gli accurati investigatori delle cose archeologiche avrebbero desiderato , ma la diligenza con che erano state condotte le copie litografiche di quei papiri posero in grado il no- stro collega di riandarli con più sottile avvedimento e con quell’immenso corredo di notizie affini che gli avevano pro- cacciato i monumenti del R.° Museo di Torino, Così a lui toc- cò la sorte di avere da essi un testo; in cui tutto è acconcia- mente connesso, ed in singolar modo .sono chiariti i calcoli aritmetici, i quali, se si fosse dovuto stare alle ‘spiegazioni del primo interprete , avrebbero accusato |di inescusabile imperizia gli ufiziali del tesoro dei Tolommei. A sostegno poi della sua illustrazione in confronto di quella del Petrettini non addusse il Peyron altro .argo- mento che il paragone dei due testi secondo le due diver- se lezioni, ed invocò per decidere la controversia la sentenza di tutti i filologi, aggiugnendo il fac simile dei due pa- piri quale appunto dal Petrettini si pubblicò. Nessun arin- go al certo potè essere aperto con più lealtà, nessun giudi- zio di pari richiesto con più fiducia, e nessuna causa potè dirsi istituita con miglior fondamento. Toglierei a questa mia lettera il suo maggior orna- mento se io quì non cedessi al desiderio che ho di riferirle, chiarissimo mio Signore ed amico, colle proprie parole del Peyron il sunto del fatto descritto nei papiri citati di sopra. ‘‘ Dorione, egli dice, aveva con altri soci presa in ap- s» palto dal Re l’esazione della Nitrica per l’anno 29; co- ss me cauzione dell’appalto aveva egli ipotecati tutti i suoi ». beni stabili; ma questi non bastando , aveva indotta ., Tanubi figlia d’Itoroito a supplire quanto mancava Que- 53 ,» sta erasi perciò resa mallevadrice di Dorione per talenti ,, undici e dracme 4000, dando per ipoteca speciale di tal 3» somma un suo giardino di arure sei ed un ottavo , che ,, ella possedeva in Memfi. Tanubi pagò alla Banca Reale s» le dracme 4000, cosicchè non rimaneva più mallevadrice ,; che di talenti ufidici di rame. Ma né Dorione pagava ;» gli undici talenti, nè Tanubi era capace di sborsare sì »» egregia somma. Epperò Tanubi essendo nell’anno se- ,, guente 30 compellita al pagamento da un Dorione pro- », curatore dell’Esazione della Nitrica per l’anno 29, pre- » sentò la sua figliuola Zoide, che avrebbe soddisfatto ì ,s residui talenti undici. Zoide accettò di pagare per conto 5 della madre quella somma a cui monterebbe il giardino ,»» posto in vendita all’ asta pubblica. Quindi Dorione pro- s, curatore dell’ Esazione fa pubblicare dal. banditore De- ,; metrio in un coi beni di Dorione il debitore anche il 3; giardino di Tanubi ; fatto l'incanto , addì 18 Farmuti »» dell’anno 30 il giardino è aggiudicato a Zoide pel valore » di talenti dieci e dracme 4oco pagabili in quattro anni 5 in eguali rate. Mancavano pertanto dracrme 2000 a com- » pire l’intera somma di talenti undici, di cui era malle- » vadrice Tanubi ; e Tannbi le sborsa. Zoide paga nello 3» Stessu anno la prima rata in talenti due, e dracme 4000, »» @ fa registrare il pagamento. “ A riscuotere il pagamento della seconda rata nel s3 mese di Farmuti del seguente anno 31, a farlo inscri- 13 vere nel registro della Regia Banca, e speditne la rice- s» vuta a Zoide, è consecrato il papiro primo. Vediamo », con qual ordine amministrativo ciò sia stato eseguito. ,, *: Dorione il Controllore trasmette a Teodoro ( forse procuratore delle regie entrate ) lo stato del conto del- l’esattore dell’anno 30, dichiarando che il giardino è com- preso fra i beni stati in quell'anno venduti all’incanto sì da Dorione procuratore dell’ esazione della Nitrica. per ss l’anno 29, siccome quello, che era stato per talenti un- » dici, e dracme 4000, ipoterato da Tanubi per cauzione » di Dorione appaltatore di tal esazione. A norma! di tale ne dichiarazione Teodoro ordina addì 3 Farmuti ad Eracli- » » 54 de banchiere di esigere e registrare sul conto dell’ esa- zione della Nitrica per l’anno 29 talenti due e dracme gooo; non che i due diritti della sessagesima e della centesima ; ingiunge che Dorione il Controllore pur vi si sottoscriva , e dice che tale riscossione far si dee in virtà della seguente diaypapù Descrizione , in cui egli narra, che Zoide è debitrice al Re per prezzo d’un giar- dino. Teodoro conchinde tale descrizione ordinando di nuovo ad Eraclide banchiere di riscuotere talenti due e draeme 4426 2/3, non che quegli altri dritti che spettare potessero, e comandando a Dorione Controllore d’apporvi il suo, vista — Dorione il Controllore si sottoscrive il giorno seguente 4 di Farmuti ed approva che Eraclide riscuota talenti due , e dracme 4oco , purchè ciò venga confermato da Petearendoti scriba del luogo ( Asclepieo in cui era situato il giardino ) — Petearendoti nello stesso dì 4 Farmuti si sottoscrive attestando, che niuno sbaglio. per ignoranza vi occorse — Allora finalmente Zoide vedendo che l'ordine del pagamento era rivestito di tutte..le necessarie. forme, va addì 6 Farmuti a pa- gare alla regia Banca la somma dovuta, e Cheremone vicegerente d’Eraclide banchiere le spedisce la ricevuta, confessand» che da Zoide gli furono pagati talenti due, e dracme 4426 3/3, alla presenza di Crisippo testimo- nio — Epperò Crisippo si sottoscrive ed attesta addì 6 Farmuti di. aver veduti pagare i talenti due, e dracme 4426 2/3 — Ultima viene una sottoscrizione affatto ille- gibile , che può conghietturarsi dovesse dire registrato nel libro N. N. ,, Chi si diletta di dottrine legali noterà essere invalso anche in Egitto a quei tempi l’uso delle malleverie sopra gli stabili, o a parlar più chiaramente delle ipoteche. Im- perocchè la: malleveria quì vedesî data sur un fondo sta- bile ,, eppetò s’ acconcia colla vera definizione romana del- l’ipoteca che la dichiara un patto nudo mercè del quale per diritto onorario ùn debitore obbligava alcuna cosa a vece del. credito. Dove mi sembra doversi particolarmen- te notare le parole greche Ey dsey yunpari , che hanno si- 55 gnificozione di patto. A tutti quelli poi che volgono uno sguardo curioso alla antichità sarà gratissima 1’ esposizione di questi giri di molteplice sindacato, co'quali si assicurava la legittima riscossione dei crediti e dei proventi spettanti al reale governo. Così pure merita d’essere avvertita la quantità dei tri- ‘buti che si pagavano all’erario pubblico , e che da questi papiri si accenna in varie proporzioni di corrispondenza col valore gravato del tributo ; onde talvolta trovasi la vi- gesima , e talvolta la trigesima, e via scemando fino alla sessagesima ed alla centesima , e v'ha ragione di credere che per un solo contratto diversi lucri venissero all’erario pubblico. Nella descrizione addotta di sopra s'incontra la parola Nitrica indicatrice d’ una parte di territorio , nella quale Dorione e’suoi compagni erano divenuti per appalto col- lettori di tributi. Il proprio significato di quel nome non si spiega con altre notizie di questi papiri, ma il sig. Pe- trettini lo interpreta di certe sterili pianure e montagne non guari distanti da Memfi, e solo abbondanti di Natro , d'onde venne loro l’appellazione di /Nicricke. Quest’ interpretazione non par sufficiente al sig. Le- tronne (6) il quale osserva, che trattandosi del prezzo di un terreno situato in Memfi quell’ appellativo non poteva intendersi di una regione , e guidato poi dall’ analogia di altre desinenze simili e' dall’autorità di ‘aleuni {frammenti di papiri, lo intenderebbe piuttosto di una specie di bal- zello, ovvero modo di riscossione con nome egiziano sotto forma greca. . Egli è appunto esaminando questi papiri che il Le- tronne faceva voti, perchè il Peyron si accingesse a farne materia di quegli egregi studi, ai quali erasi già tanto mi- rabilmente mostrato disposto. Ma piuttosto che voti pre- sentimenti volevano dirsi questi che nascevan nell’animo dell’erudito francese, poichè quando insursero tali pensieri, (6) Journal bes Savants, aoùt 1828. pag. 477. 56 il nostro chiarissimo collega già aveva condotto a termine l’opera desiderata, Meno opportuno sarebbe il ripetere in questo luogo, ‘quanto il Letronne notava nel citato fascicolo del giornale A dei dotti, cioè, che egli aveva compito il suo lavorò prima -che gli venisse sentore di quello del Peyron, e che in alcune minime parti parevagli potersi scostare dalla lezione dell’accademico Torinese, La correzione di questa, il corredo di amplissimi comenti, di che il nostro collega l’ha arrie- chita, l'applauso di tutti i più celebri filologi , non lasciano incerto il giudizio degli studiosi di queste dottrine archeo- logiche. E per quanto riguarda al tempo della. pubblica- zione di queste illustrazioni, noi lieti dell’ esito di questo concorso di studi, non entreremo in dichiarazioni crono- logiche , perchè egli è fuori d’ ogni dubbio che il Peyron non venne dopo a nessuno, Nel distendere questo mio sunto spesso mi tornò alla mente l’ espettazione in che stavano i dotti archeologi di vedere se non tutti almeno la' miglior parte dei monu- menti del nostro Museo illustrati per le cure della Reale Accademia delle Scienze , la quale per quanto ha potuto non si rimase dall’ adoperarsi efficacemente , siccome in ogni altra occorrenza, onde servire alla gloria dell’augusto Sovrano che ci governa, ed al vantaggio d’ ogni maniera di nobili studi. Piacemi almeno il vedere che se non le fu dato di proseguire l’opera incominciata, ciò non impedì ad alcuni tra, gli egregi soci che la compongono di prendere ad illustrarne alcune parti principali , e di mostrare così come l’insigne dono della letteraria munificenza del Re po- tesse rendersi fruttuoso. Giunto al termine del mic lavoro io debbo ripeterle, chiarissimo Signor mio, la preghiera che già le ho fatto di voler guardare al buon volere, anzi che ai mezzi con che io l’ho condotto; e senza più co’ sensi del maggiore osse- quio le fo devotissima reverenza. Di Torino addì 22 di Luglio 1829. FepeRICO ScLoris. n 57 . De nomi di misure lineari adoperati ad esprimere misure di p: superficie , pensieri di Pnoserro Batno , per servire ad inter- be petrazione di antiche scritture d’ Egitto, esposti nella classe cn filologica dell’Accademia Torinese di scienze, il 27 di mag- gio 1824. I.° Il chiarissimo nostro signor abate Peyron, in un papiro greco venuto d’ Egitto, ed anteriore d’ oltre un secolo all’ era volgare , ha trovato sette cubiti di area fabbricata. Se vogliono intendersi di superficie uguale a sette cubiti quadri, era degna stanza di un cane, tutto al più d’ un maiale. Se poi s’ inten- dono di superficie uguale al quadrato da sette cubiti di base, verranno ad esser quarantanove cubiti quadri, bastanti ad un pic- ciolissimo camerino, non più. II.° Il cubito segnato sopra il. metro sessagesimale di, Memfi è di 444 millimetri , e questa lunghezza fu anche prima trovata dal Gosselin. Un altro antico cubito egizio di 462, o 463 milli- metri par dimostrato con buone ragioni dal Jomard. Ma quan- d’ anche si volesse supporre che fosse chiamato cubito il metro sessagesimale degli astronomi egizi, il quale nell’esemplare no- stro è di 523 millimetri, non si avrebbe tuttavia che una su- perficie di metri quadri 13,4. III.® Se dunque nou havvi dubbio sul numero di sette, o se anche fosse di poco maggiore, e se il contesto dimostra che si tratti di vera casa, è dimostrato del pari che la detta espressione deve intendersi altrimenti. Or ecco l’interpetrazione che propongo. Que’cubiti non sono le misure immediate del terreno; sono le di- mensioni della pianta che lo figura, secondo scala determinata dalla legge o dall’uso, per li catasti, o per altri pubblici re- gistri. IV.° Senza parlare delle scale prescritte modernamente in Fran- cia, ed anche accettate altrove, per servir di regola agl’ingegneri topografi, civili 0 militari, noteremo che già da secoli, in Italia, nelle carte corografiche levate per li catasti, le quali noi chiamiamo mappe , abbiamo esempi di siffatte ordinazioni od usanze. A’no- stri è nota la scala che dicono di Suvoia , perchè altre volte ge- neralmente praticata in quella Ducea , sebben credo vi fosse por- tata dal Piemonte, sopra la quale opportunamente ha scritto il nostro collega chiarissimo signor Raymond. Ma restano da farsi altre ricerche; ed io penso, che ab antico quella scala esser do- vesse di uno al duemila quattrocento. T. XXXV. Agosto. 8 , 58 V.° Veramente, ch'io sappia, non troviamo a’ nostri tempi , che le dimensioni figurative siano usate nelle scritture invece delle misure reali. Ma ‘una perfettissima analogia. colla nostra maniera d’ intendere , la troviamo nella lingua tecnica de’ catasti per ciò che riguarda le valutazioni de’ beni. Quivi lo scudo , la lira , il soldo vagliono molto più di quello che suonino. Come siansi introdotti siffatti metodi, non è difficile lo spiegarlo, ma troppo lungi mi trarrebbe dall’ argomento. VI.® Stando ne’nostri termini, osserverò che quell’aggiunto di area fabbricata (I.) può farci credere che altra sorta vi avesse di cubito per dir così da pianta o da catasto, e sarà stato per le aree non fabbricate , e sarà stato di scala minore, essendo cosa naturale lo usare per li fabbricati una scala maggiore che non per gli altri terreni, ed il distinguere ne’ catasti le due sorta di posses- sioni, come ancora si usa oggidì. VII.°® Del rimanente si sa che in Egitto la necessità di ritro- vare fra’ giusti limiti dopo le inondazioni, ciascuno i suoi terreni, ha fatto nascere prima che altrove la geodesia. Epperò quasi ad un tempo ha dovuto altresì far ordinare quelle istituzioni di governo che proprie fossero a,conservare e carte corografiche e registri. ) VIII.® Or venendo ad applicare la esposta spiegazione, io con- sidero , che il sistema delle diverse scale in Egitto dovea pro- babilmente esser conforme a quel sistema delle moltiplicazioni successive per sei e per dieci, del quale ho qui ragionato altre volte, ed anche prima di me, come più dottamente , ha scritto il Jomard. IX.° In generale altresì crederei che quegli antichi agrimensori adoperassero scale maggiori delle nostre. Perchè , se non m’in- ganno , in ogni arte umana la ricerca del picciolo vien dopo l’ usanza del mezzano , che pur sempre riman più volgare. X.° Sicchè, ogni cosa considerata, parmi non sia conget- tura improbabile il supporre tre scale, cioè d’ una sessantesima perle piante degli edifizi, di una trecensessantesima per le misure de’ terreni, e di una tremila secentesima per le carte maggiori. XI.° Prendendo adunque pel nostro bisogno la prima di queste scale, epperciò la proporzione de’ lati essendo di uno al sessanta, quella de’ quadrati sarà di uno al tremila secento : sette cubiti quadri sulla pianta ne rappresenteranno sul terreno venticinque mila e dugento, superficie uguale al qudrato della base di cento cinquantotto cubiti e quasi tre quarti. Ragguagliato il cubito, per quello che si è detto qui sopra (11.), a metri 0,4625, si avrà 4 59 la base in metri 73,422, equivalente alla misura piemontese di trabucchi 23,788. Il quadrato di questa base cidà tavole nostre SIURATANetRA e quasi mezza. 4 XII. Se quest'area sia probabile, sarà giudizio del sig. abate Peyron. Se nuove scoperte additeranno :l bisogno di proporzioni maggiori, avremo due mezzi di soddisfarvi ; o salire per altra scala, o supporre, purchè il testo lo comporti, che la espres- sione di cubiti per indicar superficie non voglia dir tanti cubiti quadri , ma siccome già ne abbiamo. dato un cenno (I.) , voglia dire un quadrato che abbia tanti cubiti di base. Nella nostra fatti specie, in cambio di sette cubiti ne avressimo quarantanove, e così seguitando il calcolo; invece d’ aver meno di una gior- nata e mezza, ne, avressimo sette fiate altrettanto , cioè quasi dieci. XIII.® Che se mai le nuove scoperte facessero desiderare mi- sure minori, bisognerebbe prendere altra via , perchè nella no - stra mon possiamo ragionevolmente supporre scala più lunga d’ una sessantesima. Quest’ altra via ce 1’ addita il chiarissimo nostro Signor Cavaliere Ignazio Michelotti, il quale , sentito ap- pena il mio pensiere , altro ad un tratto me ne propose col ci- tarmi quella nostra misura di superficie che ‘chiamiamo piè di tavola. È questo un rettangolo, del quale il minor lato è di un piede , il maggire di dodici , epperò contiene dodici piedi quadri. Poniamo che tal fosse il cubito d’ area degli egizi. Que’ sette cubiti d’ area avrebbero significato ottantaquattro cubiti quadri, che riuscirebbero a meno di due trabucchi quadri, interpreta - zione che non può convenire al nostro caso. XIV.® Ed in questo senso i sette cubiti essendo già misura di superficie quadrilunga, più non pare che possano qui considerarsi | come base d’un quadrato per farne quarantanove, come abbiam fatto in una delle applicazioni dell’ipotesi nostra. Ma chi volesse approvando il pensiere del cavaliere Michelotti, anch’ esso senza dubbio ragionevolissimo;, farne risultare una superficie decupla, potrebbe nou senza fondamento supporre che gli egizi avessero un cubito, come diressimo noi, di giornata; un rettangolo cioè, del quale il minor lato essendo di un cubito , il maggiore fosse , non già solo di dodici cubiti, ma di cenventi. Si avrebbe nel nostro caso un’area di quasi diciannove trabucchi quadri, ossia quattro tavole e quasi tre quarti. Mi riservo di esaminare se giusta il sistema’ egizio delle misure di superficie , il quale si trova essere stato assai simile al nostro, tuttavia si possa vie più pro'ungare il maggior lato di quel rettangolo. 60 Operette varie d’ Uco Foscoro. Lugano, Ruggia e C. 1328-29 in 8.° e in 12° Pare che i sigg. Ruggia e C. si sieuo proposto di pub- blicare un po’alla volta o ripubblicare quanto verrà loro alle mani delle composizioni del Foscolo. Già nel 1824 i loro antecessori Vanelli e C. ci avean dato i Saggi sopra il Petrarca, scritti, m’imagino, originalmente in italiano, ma pubblicati dall’autore in inglese, e quindi tradotti e comenta- ti dal continuatore del Corniani. Nel 1827 essi ci avean pur dato l’Illustrazione di Dante, o piuttosto la prima parte di questo lavoro , già pubblicata in Inghilterra, e contenente il Discorso intorno alla storia e all’emendazione della Divina Commedia. L’anno appresso, mentre usciva a Napoli dai tor- chi di Borel e C. l’Ajace ancora inedito colle osservazioni del Lampredi, i successori ci diedero il discorso intorno al Deca- merone del Boccaccio, già premesso dall’autore ad un’edizione fatta in Londra del Decamerone medesimo. Quest'anno essi ci hanno dato 1’ Orazione famosa pel congresso di Lione , già impressa nel 1802, e credo una seconda volta più anni dopo mercè una desua contraffazione ; quella già più volte ristampata intorno all’origine e all’officio della letteratura ; alcuni Dettati inediti, un’orazione cioè per laurea in legge e due lezioni d’ eloquenza , raccolte , quella interamente , queste sommariamente dalla voce dell’ autore , e alfine le Tragedie , a cui premettono de’ ragguagli biografici, già da loro stampati a parte, e scritti verosimilmente da chi ebbe col Foscolo relazioni assai strette, qual socio nella compi: lazione degli Annali «li scienze e lettere. De’Saggi sopra il Petrarca, già fatti conoscere dall’An- tologia quando ancora non erano tradotti , fu poi da essa parlato subito dopo la traduzione ; del Discorso intorno alla Divina Commedia lo fu, non ha guari, nella sua Rivista Dantesca; di quello intorno al Decamerone in un articolo sull’Opere volgari del Boccaccio, di cui ora si va facendo una raccolta completa ; dell’altre composizioni sopra nomi - nate, eccetto i Dettati inediti ed una delle Tragedie, in bi” 61 altri articoli, a cui la stampa o le ristampe di varie cose del Fuscolo diedero occasione. Isnoro se i giudizi de’letterati intorno a que'suci scrit- ti, riguardanti i tre padri della nostra letteratura , sieno ancora abbastanza concordi. L’ autor de’ ragguagli ibdicati ne parla in questa sentenza , che riferisco abbreviando- la. “ Guardando il Foscolo entro all’ vpere di que mae- stri, si fece ad indagaine le ragioni, ad esaminarne per minuto le bellezze e le mende, Se non che la servi. lità d’un’ erudizione poco più che grammaticale discordava troppo dai liberi concepimenti del suo alto ingegno. Laon- de, ogni volta che le sue investigazioni gli presentano oc- casione di filosofare, ei l’abbraccia cupidamente. Ma allora accade spesso che, allontanandosi dal primo oggetto, e av- volgendosi ne’laberinti della metafisica, venga a produrre una tal mescolanza di fatti e d’ opinioni che conf.nde il pensier de’ lettori. Non però quelle sue investigazioni sono prive di gran lume di critica. £ chi in futuro vorrà pigliar a scrivere intorno a’fondatori della nostra letteratura, molto potrà giovarsi di esse ; chè d'un intelletto come il suo non sono da reputar vani neppur i deliramenti. , È comune la domanda se e presso chi si trovi il re- sto della sua Illustrazione della Divina Commedia, anzi propriamente questa Illustrazione di cui non abbiamo ve- duto che il prologo. Alla prima parte di tal domanda m'è dato di sodisfare assai largamente, recando vari brani d’una « lettera, che il Foscolo scriveva di Londra li 26 settembre 1826 ad ungentiluomo fiorentino (il marchese Gino Capponi) suo amico. Da essi apparisce quanto il suo primo disegno nel comporre l’Illustrazione fosse più ampio che il prologo non manifesta, e si ricavano più altre particolarità intorno ad altri de’ suoi ultimi lavori, che indarno si cerchereb- bero altrove. Quindi penso che i nostri lettori debbano tutti esserne molto curiosi. Alcuni anche, non ne dubito, ne rimarranno di quando in quando molto commossi. « ...Sperava di lasciarti sapere ch’ io vivo, mandandoti la Commedia di Dante illustrata da me ; e se il libraio non si fosse . dato al tristo, tutto intero il poema oggimai sarebbe stampato e fia pubblico e arrivato in Italia. Da prima era l’animo mio di. starà parlo in quarto, e non più di cinquecento copie, non aspettando- mi io per compratori se, non alcuni amatori di edizioni belle e cor- rette , e i bibliotecari delle pubbliche librerie qua e là per VEn- ropa , e parecchi lettori di Dante, ai quali impurtasse di vederlo illustrato in guisa tutta nuova e non tentata mai da veruno , ben ch'io mi creda sia 1’ unica possa giovare a far conoscere davvero la poesia , il secolo e la mente tutta quanta di Dante. Alcuni fogli dell’ edizion mia erano già tirati , quando per fal- limento d’ un banchiere .che aveva trecento lite del ‘mio ; e per non pagamenti di certi editori di opere periodiche ; fra? quali quello dell'European Reviéw, mi toccarono rovine e afflizioni di mente , e sciagure importabili, credo a tutti, e presto fors’anche a me ; — e perpetue., considerando questa età mia di quasi qua- rantotto anni, da che mi, trovo oggimai, seuza tetto nè libri , avendo venduto ogni cosa per nulla a pagar creditori, e non vi- vermi a loro pregiudizio , e non disonorarmi , pigliandomi il pri- vilegio sciaguratissimo, che qui chiamano insolvent act. Porò pa- gando quarti ho potuto, e, dalla mia libertà in fuori, restando mi senza nulla ; l’ edizion di Dante , ch’ io aveva incominciato, rimase a mezzo. « Nè io poteva continuarla , se non ricorrendo ad associati ; e sarebbe stato accattare elemosina nè più nè meno == 0, ..ad- dossandomi le spese della stampa gravissime , dove i tempi del pagamento fossero scaduti innanzi lo smercio dell’ opera ; io mi sarei trovato di nuovo ingolfato fra° debiti, quando invece , per uscirne, mi sono contentato di approdare nudo alla riva. Però mi rassegnai a’ patti esibitimi da ‘un libraio d’illustrare per conto suo la Divina Commedia, e quattr’ altri poemi ‘maggiori italiani, chè in tutti farebbero venti un tometto , e fu stipula- to che io gli darei il testo e le note di tutti nel corso di dae anni, e ch’ei mi pagherebbe mille dugento lire sterline. — Sì fatto lavoro per me (dalla noia in fuori di rivedere il testo, è di tradurre ‘e accorciare quanto ho inserito intorno a’ nostri. poeti nell’ Edimburg e nel Quarterly Review e in altre opere periodi» che) era layoro, da nulla. Pur non mi pativa il cuore di perdere tanti miei studi intorno a. Dante, e benchè ne’ tometti adottati per economia del libraio io dovessi strozzare il mio primo dise- gno, pur mì provai di serbarlo alla meglio; e questa fu la su- data dellè mie fatiche. Ma verso la fine dell’ anno. scorso falli- rono alcuni librai, i quali erano! interessati col mio ‘in questa impresa: dell’ edizione de’ poeti italiani; e sa il cielo quaati e 03 quali scrittori, che vivevano allegramente co’ loro lavori, si so- no trovati esi trovano tuttavia in povertà per parecchie altre im> prese fallite a que’ giorni con que’ librai ?_ Walter Scott ci ha perduto da trenta mila lire, e il governo gli provvide di non so quale ufficio lucroso. Ma io non mi sono nè Walter Scott’ nè tory, e sono forestiero; però mi è toccato di starmi contento della perdita delle mille dugento lire sterline, e d’ altre trecento spese in libri e copisti e correttori di stampe, — e starmi anche contento di non trovarmi padrone d’ una unica copia del volu- me già pubblicato ; perchè fra il libraio e gli stralciari de’suoi par- tecipi nell'impresa dell’ edizione , alcuni tomi già mezzo stam- pati, e i miei manoscritti si stanno sequestrati e in vendita a beneficio de’ creditori delle firme fallite ; — e, davvero, anch'io mi trovo fra’ereditori; ma frattanto, aspettando di riavere 1’ uno per dieci , sono caduto in angustie durissime, e con l’ edizione la vita mia s’ è arenata. « Del volume primo di Dante già pubblicato col titolo — Discorso. sul testo e su le opinioni diverse prevalenti intorno alla storia e \all’emendazione critica della Commedia = alcuni esem- plari capitarono credo in Firenze; e so di certo che il cavaliere Puccini n’aveva uno, e tu fa’d’ averlo e di leggerlo. Te lo man- derei; se non che mi toccherebbe di comperarlo ed è caro; e non ho dinanzi a me se non la copia che m’è venuto fatto di mettere insieme aiutandomi delle prove del torchio. Strozzato , come pur è, e guasto tutto il mio primo disegno in quel me- schino volumetto , basterà ad ogni modo a lasciarti discernere quali illustrazioni io abbia preparato, e credo che arriverebbero necessarie e care all’ Italia tanto più quanto niuno s’ è mai at- tentato .d’ applicarle allo scopo a cui le diriggo; nè stampatore nè plagiario veruno potrà avventurarsi a rifarle o tutte o in parte in altre edizioni , ec. ec. « Adunque io mi sono deliberato di tornarmi e starmi d’ora innanzi pur sempre al mio primo proposito, e illustrare il poema a posta mia, e pubblicare l’ edizione in cinque volumi in 4.° Ma di libri forestieri qui non si fa mai vendita tanta che basti a rifare le spese ; da che settecento copie , a dir poco, son ne- cessarie innanzi tratto a pagare lo stampatore e gli sconti richiesti da’ librai, e la gravissima fra le altre spese d’inserire nelle gaz+ zette moltissimi avvisi, senza de’ quali libro veruno in questo ‘paese non può mai pubblicarsi nè trovare chi comperi. Aggiun- gi la miseria , se passeggiera o perpetua non so ; ma fiera di certo 64 ed universale in questo paese; e la letteratura oggimai come cosa di lusso, e più quand’è forestiera , sarà tralasciata da chiunque la coltivava, ed oggi a stento può provvedere alle più fiere necessità della vita. Senza che, a dirne il vero, benchè molti ivvaniscano a chiacchierarne , pochi intendono Dante ; ed è li- bro da Italiani, ed io m° intesi sempre a illustrarlo per l’ Italia presente o futura. « E però se avessi alcuna certezza di smerciare in Italia da dugento cinquanta copie della mia edizione, non avrei da gittare danaro innanzi tratto per avvisi di gazzette , nè soggiacere alla regola degli sconti richiesti da’librai in Inghilterra. Le copie 250 sarebbero per l’ appunto la metà dell'edizione, e ad una ghi- nea per volume darebbero a un dipresso le lire mille cinque- ‘cento richieste a stamparli. A me quindi resterebbe quasi netta l’ altra metà dell’ edizione che farei di smerciare ; in parte qui per via di baratto di libri, che mi son necessari, e dopo che m’ è toccato di venderne parecchi per vivere sento assai più che mi mancano; e in parte nel continente per le pubbliche libre- rie ec. ec. , « A me, Gino mio, importa più ch’ altro il non perdere tanti anni di studi intorno a Dante ed al medio evo, e all’Ita- lia. Cominciai a fare le parti di critico e d’antiquario e pedante per 1’ Edinburg Review , perch’ ei cominciassero a conoscere una volta davvero docuit quae maximus Atlas in tempi che la razza umana europea non era atta ad intenderlo. Poscia andai innanzi con articoli e libricciuoli sovra i nostri poeti, disegnandomi, pur troppo , di fare arnese e ferruzzo da bottega della mia penna, finchè essendone divenuto stucco fracido , e pur nondimeno con- tinuando per provvedermi miseris viatica canis, tutti i miei prov- vedimenti ed avanzi tornarono in nulla, e .solo mi rimase il vantaggio d’ avere ben imparato il modo d’illustrare il poema di Dante. E vi ho tanto studiato sopra e con tanta insistenza, che oggimai non mi bisognerebbe se non tempo e opportunità di stampare, = e me ne struggo tanto più quanto nel diradare il poema e il secolo oscurissimo di Dante , parmi d’ avere spiato barlume ad esplorare il secolo ignotissimo d' Omero e lo stato della civiltà de’ Greci a que’ tempi. La traduzione mia della Ilia- de intendo di stamparla poscia e illnstrarla nella guisa medesi- ma per l’ appunto adottata da me per la Divina Commedia ; e per ultimo volume vorrei aggiungervi un testo greco, dove mi proverei di giovarmi delle novità proposte dal Wolf, dall’Heyne 65 e ‘da Payne Knight, e il mio testo sarebbe fatto per uso de’Greci d’ oggi in guisa da persuaderli una volta a leggere in Omero non già ‘spiriti e accenti , bensì piedi musicali ed esametri. « Innanzi all’ edizione in 4.°, incominciata, come ti ho detto dianzi , e interrotta , della Commedia, dovea starsi una lunga letterona politica agli uomini letterati italiani, amara forse, ma utile un giorno furs’ anche , e vera a ogni modo. E n’ erano già stampate da 5o e più pagine; pur al libraio, essendosi egli fatto impresario dell’ edizione , e riducendola a. piccolissimo sesto , la lettera non servì; onde si giace a mezzo e mezza stampata, e per giunta col rimanente di quel manoscritto in mano degli stralciari che ne faranno ciò che potranno 0 sapranno: nè me ne curo ; — quando , se pubblicherò l’ edizione mia di Dante, io vi porrò quella lettera; — e, se perderò ogni speranza del- l’ edizione , la lettera ad ogni modo sarà stampata , pigliandomi altra occasione e rimutandovi solamente il principio. i “ E parimenti all’IÎliade avrei voluto premettere un discorso politico in via di lettera diretta a’Greci su le faccende della loro sacra e misera patria; e mi sarebbe stato caro di potere pub- blicare ad un tempo medesimo il volume primo della Comme- dia e il primo dell’ Iliade, della quale mi trovo d’ avere fatti e © finiti nove libri, che oggimai , dopo studio moltissimo, non mi sembrano indegni del cli: Il libro terzo stampato nell’Anto- logia di Firenze l’° ho ripulito in guisa che, se tu il rivedrai, ti parrà statua levigata e moventesi. D’ altri libri io fo ricopiare , mentre ora ti scrivo , parecchi squarci, tanto che tu pur abbia alcun saggio , che ti giovi ad avvisarmi se la pratica mia lun- ghissima m° aiuta a trattare meno infelicemente il metodo di tra- durre adottato da me , e dal quale le sue mille ed incredibili difficoltà pur nun faranno mai ch'io mi diparta. Il copiatore an- drà innanzi ; finchè l’amico mio , che verrà a pigliarsi quest’in- volto e dirmi addio , farà far punto al èopiatore ed a me. Or tanto che ho tempo e me ne ricordo , pregoti d’ ottenere dalla signora Quirina Maggiotti una copia dell’ Esperimento di tra- duzione del primo libro dell’Iliade , dove in alcune carte bianche legatevi insieme troverai parecchi tentativi di ritraduzione qua e là. Lascia andare gli altri, e solo fa di raccozzarmi e spedirmi lo squarcio ove Pallade cala dall’ alto a rattenere Achille , che sta per dar addosso ad Agamennone. So che allora ; e sono og- gimai quindici anni , io rifaceva que’ versi con ardore, e che poi io rileggevali con piacere. Forse che oggi, rileggendoli , mi T. XXXV. Agosto. 9 66 : darebbero noia ; ma pure impartirebbero fuoco alla nuova mia traduzione. Fa’ dunque di rimandarmeli. Cominciano al verso Disse e l’ angoscia s° infiammò d'Achille, procedono co’ discorsi fra Minerva e il guerriero , e chiudono col ritorno della Diva in Olimpo ec. « Per altro a finire la traduzione tutt? intera dell’ Iliade e illustrarla come vorrei e potrei mi bisognerebbero quattr’anni di lavoro e di quiete, e certezza che smercierei l’ edizione mia fuor d’ Inghilterra ; = perchè qui altri libri che inglesi possono avere lode, ma non mai fare fortuna ; e John Bull ha ragione, e gl’ Inglesi forestierati chiacchierano di letteratura e poesia fo- restiera ; ma non l’ intendono; non però sono oche; per ch'io pure non giurerei d’ intendere addentro e a modo i loro poeti ; e mondimeno tra bene e male scrivo spesso e mi lascio stam- pare alle volte in inglese. Frattanto se hai piacere e opportuni- tà di far pubblicare nell’ Antologia alcuni altri libri della mia traduzione, io ti manderò il quarto e poscia il quinto — e l’un dopo l’ altro sino a tutto il mono ; il secondo mi pare finito an- ch’ esso, e non domanda più d°’ essere ritoccato; ma il primo mi darà tuttavia da pensare; nè per ora potrei affaccendarmi sovra l’ Iliade. E però bisognandomi path on account of my pu- blic and private character, per dirla all’ inglese , di lasciar leg- gere al mondo le mie opinioni e passioni intorno alla Grecia, il discorso politico , che doveva precedere la versione e le illustra- zioni ad Omero , uscirà presto da sè in lingua inglese; e se la vendita risponderà all’aspettativa , forse che potrò allora stam- parlo in italiano co’ primi nove libri dell’ Iliade, la quale allora potrà dir nun foss’ altro ron omnis moriar. « Tu più che ad altro attendi a riscrivermi intorno all’edi- zione di Dante ; ma innanzi tratto ti ripregherò di leggere il vo- lume primo già pubblicato in 8.° edizione di Pickering. Questo Pickering, bench’io dicessi ostinatamente di no; put trovò mo- di e.ripieghi a farmi parere anche illustratore d’un’ edizione ar- chitettata da esso del divinissimo Decamerone , del quale pur nondimeno io non ho mai saputo farmi veneratore, comechè d’al- tra parte io ami e onori il Boccaccio. Per uscirne con Pickering e con certi giornalisti che avevano stampato avviso delle mie illustrazioni , io gli regalai certo mio Discorso storico incomin- ciato da più tempo, ma non mai finito intorno alla lingua ita- liana; e riempiendovi qua e là alcune lacune , e accrescendolo d’ alcune giunte , che riguardano segnatamente il Decamerone e i Decameronisti e compagni, gli lasciai stampare quella scrittura ; 67 e se mai il Boccaccio del Pickering, edizione elegante davvero, fosse capitato fino a Firenze, vedi di leggere quel centinaio di pagine che stanno innanzi al primo volume , e fa’ch’io possa intendere quando che sia ciò che ne pensi, e ciò che ne dico- no non tutti i dottissimi, ma i pochissimi, dotti fra’ Fiorentini , e il reverendo mio Niccolini fra gli altri. So che Non Cruscanti e Cruscanti mi si faranno nemici; pur credo che i fatti osser- vati da me su questa faccenda delle questioni grammaticali, e il modo di raccontarli, e i teoremi che ne ho desunti gioveran- no un dì o l’altro non a rimediare a’ guai della lingua , e non a racquetarne le liti, bensì a indicare a ogni modo la radice delle questioni e de’ guai. — E la radice è quest’ unica ; che la lingua italiana non è stata mai parlata; che è lingua scritta e non altro, e perciò letteraria e non popolare ; — e che se mai verrà giorno che le condizioni d’Italia la facciano lingua seritta insieme e parlata, lingua letteraria e popolare ad un tempo, allora le liti e i pedanti andranno al diavolo e dentro a vortici del fiume Lete in anima e in corpo, e i letterati non somiglie- ranno più a’ mandarini , e i dialetti non predomineranno nelle città capitali d’ ogni provincia ; la nazione non sarà moltitudine di Chinesi, ma popolo atto ad intendere ciò che si scrive, e giu- dice di lingua e di stile — ma allora, non ora, e non mai pri- ma d'allora. « Parecchie altre scritture su la storia della lingua italiana (da che la storia sola de’ fatti e le vicissitudini della letteratura giovano a ricavare utili teorie) feci inserire in quel giornale, che cominciava con promesse magne e magnifiche, e finì sciagurata- mente , e che ho nominato dianzi The European Review. Allora io per la somma di lire 240 diedi agli editori quattordici articoli intitolati Epoche della lingua italiana , ciascheduna delle quali occupava mezzo secolo , incominciando da Federigo I (il Barba- rossa) sino a’ dì nostri. Le prime tre o quattro Epoche si pub+ blicarono ; — ma gli editori fallirono ; io non toccai nè un uni- co soldo, e non solo sborsai da forse tre dozzine di lire per co- pisti e traduttori, ma per avere parte non foss’ altro del mio credito ; gli avvocati mi travolsero in altrettante dozzine di lire per le spese forensi, e non n’ ebbi vantaggio se non questo, che pur non è poco , di riavere i miei manoscritti delle Epoche non pubblicate. Vorrei ridurle in una sola opera; diretta alla Accademia della Crusca col motto Battimi e ascolta; benchè forse i Montisti ei Perticariani con tutta la loro confraternita mi hatterebbero peggiormente. Se non che , Gino mio, quid brevi 68 fortes jaculamur aevo multa? A me mancano pochi anniai cin- quanta , ed oltre alla minore certezza e gioia e forza di vita in questa età mia , s'è accanita contro di me la fortuna, tanto che non ho certezza oggimai nè di vivere per lavorare , nè di lavorare per vivere , ec. ec-,, E quì sesuono alcuni altri paragrafi ,, ove parla delle sne cose domestiche , del suo modo di vivere in Inghilter. ra, della risoluzione ormai presa d’andar a passare quattro o cinqu ’anni all’fsole Ionie, per compiervi con meno disa- gio i suoi lavori intorno all’ Iliade e alla Divina Commedia. Ma la sorte decise altrimenti; nè io saprei dire, benchè non abbia mancato dì farne inchiesta, presso chi oggi si trovi ciò che di tai lavori egli sicuramente ha lasciato. Quanto alla piccola Illustrazione della Commedia , vengo accertato da un biglietto di persona che ha coll’Inghilterra frequenti re- lazioni (il nostro bibliotecario palatino) ch’essa è di uuovo e tutta intera nelle mani di Pickering, il quale peraltro non si affida a pubblicarla per timore di non cavarne le spese. I vari saggi di traduzione dell’Iliade, mandati al marchese Gino Capponi in aggiunta al terzo libro già pub- blicato nell’ Antologia, li ho io nelle mani, e ove mi sia lasciato un po ° di spazio in questo giornale , ve li in- serirò forse con qualch’altra coserella che spero ottenere da altra persona affezionatissima al Foscolo. f Più anni sono sentii dire, ma non rammento su che si fondasse la notizia, ch’ egli avea nel suo portafoglio parecchie tragedie oltre la Ricciarda e l’Aiace. La Ricciar: da, com'è noto, la stampò egli medesimo in Londra nel 1820. L’Aiace, di cui forse era meno contento , è stato stampato, come accennai, lo scorso anno in Napoli colle os-ervazioni del Lampredi (quelle che già si lessero nel Poligrafo in océasione della recita ) ed or ristampato colla Ricciarda e il Tieste , che venne in luce verso il 1797. Duro fatica a credere ciò ch’è stato scritto da vari, che que- sto primo saggio della musa tragica del nostro autore fosse così ammirato dall’Alfieri, che gli facesse esclamare: Fo- scolo andrà molto più avanti di me. Certo però come pri. mo saggio, dato a diciannov’ anni ancor non compiti (lo n === 69 dice un’articolo dell’Anno teatrale allegato da’ nuovi edi- tori, ed io lo noto in grazia di quelli che fan nascere il Foscolo del 1775, onde si redarguirebbe di menzogna mu- liebre un passo della lettera sovracitata ) certo, ripeto , come saggio tanto giovanile è cosa mirabile. L’autor de’ ragguagli lo addita qual primizia della scuola alfie- riana che andava a formarsi, e a cui il Foscolo, per quanto gliel concedeva la sua indole; fu poi sempre fe- dele, Dico per quanto gliel concedeva la sua indole, poi- chè, se mai ce ne rimaneva dubbio, la Ricciarda ha do- vuto chiarirci ch’ ei non era fatto per un severo piano tragico, e che il dialogo, le sentenze, il verso, tutto na- turalmente sotto la sua penna si volgeva alla lirica. Di questo parere sembra anche l’autore pocanzi citato, il qual però non lascia di notare quanto nella Ricciarda la condotta sia più ragionata, e i caratteri più abilmente sostenuti che nel Tieste. Quanto all’Aiace, senza attribuirgli più merito drammatico di quel che faccia il Lampredi, ma senza negargli altri pregi poetici , loda in esso come nella Ricciarda “ quella fiamma patria; che mai non si discompagnava dalle scritture di quel magnanimo ,,. Il calore d’ una tal fiamma, denunziato con scandalosa ser- vilità , giusta la bella e memorabil frase del Salfi nella sua notizia sopra Foscolo, bastava sicuramente , pe’giorni in cui l Aiace fu composto, a farlo, anche senza le allu- sioni che si pretese di trovarvi, proscriver subito dalle scene. Così bastò , senz’ altra causa, a far troncare sul bel principio que’ celebri ragionamenti, che il Foscolo tenne dalla cattedra , uno de’ quali, l’orazione per lanrea , rac- colto forse per mezzo di stenografo, sembra ora pubblicato quasi testualmente, e due altri, le prime due lezioni d’èlo- quenza, ci sono date in compendii di diversa misura, L’ora- zione, la quale s’intitola dell'origine e de’ limiti della giustizia , ha i pregi ei difetti d’altre simili cose del'Fo- scolo , ricerche d’un ordine elevato , vigore , erudizione, passione , e nel tempo stesso condotta non abbastanza lu- cida , idee poco determinate, ec. Quanto al fondo può dirsi che l’autore, wvivento sotto 1 impero d’ una gran do) forza, combinata accortamente con una gran civiltà, si sentì più che mai proclive a riporre. negli ordinamenti della forza l’origive e i limiti della giustizia, La prima lezione , fu, se il suo doppio compendio non c' inganna, qual doveva aspettarsi dopo la nota orazione inaugurale intorno all’ origine e all’officio della letteratura. La ‘se- conda par che fosse il germe d° otto almeno di quell’Epo- che della, nostra lingua, di cui è fatto cenno in uno de’brani di lettera più sopra riportati. Dal compendio di questa sì ricavano varie opinioni dell'autore intorno a vari de’ nostri principali scrittori nell’epoche differenti, Dal dop- pio compendio dell’altra si raccolgono le idee sull’insegna- mento filosofico delle lettere, da lui stimate, come tutti sanno , pretta vanità ove non s’indirizzino ad nno scopo morale e sociale. Anche questo doppio compendio può ser- vir di prova a ciò che dice l’autore de’ragguagli , che il Foscolo, e prima e dopo la nota scissura del mondo lette» rario, fu egualmente alieno da ogni pedanteria e da ogni stravaganza. Volendo che le lettere fossero utili, dovea volerle ad un tempo e consentanee a ciò che la natura ha in sè d’invariabile , e corrispondenti alle nuove tendenze che si van manifestando nella società, Solo parrebbe, guar- dando al paragrafo 4 del suo Discorso intorno al poema di Dante, ch’ei stimasse la seconda cosa troppo men di- pendente dagl’ingegni che dalla fortuna, e quasi compas- sionasse , come imbevuto di pericolosa opinione , chi ne pensava altrimenti. Ho saltata per così dire a piè giunti l’Orazione inau- gurale , come cosa troppo conosciuta , e di cui pressapoco tutti giudicano all’istesso modo, L’autor de’ ragguagli ha ristretto in breve formula questo giudizio comune, dicen- do quasi in precisi termini ‘ che delle due parti, che la compongono , la prima è un abisso di metafisica, ove nes» sun lettore è allettato ad ingolfarsi, ma l’altra è sì splen- dente d’imagini e .d’idee , sì calda di nobili affetti, che tutta l’eloquenza delle cattedre vien meno al paragone. ,, Così io penso ch’ ei siasi fatto interprete del comun sen- timento, lodando nell’ orazion famosa, pel congresso di PI Lione il coraggio specialmente con cui è scritta , e aggiu- gnendo che il pregio in cui è tenuta mostra ai piaggia- tori della forza e dell’ ambizione fortunata come la poste- rità paghi di reverenza e di fama la memoria del gene- rosò , che si vergognò meno di offendere i presenti che il vero ,,. Il germe di quest’orazione è nella lettera, con cui il Fo- scolo indirizzò qualch'anno innanzi (quando andò a Genova, eredo , colla prima legione italiana ) un’ode a Bonaparte, e della quale non veggo che alcuno faccia menzione. Essa, l’urazione già detta, e la lettera sopra Bonaparte , che si vide nella prima edizione dell’ Ortis e più non si rivide che nell’ultime (quella di Zurigo colla data di Londra, e quella di Londra propriamente) sono tre cose che non vanno scompagnate. E poichè ho nominato 1’ Ortis, ch’ è 1’ opera da cui il Foscolo ha avuta maggior ritiomanza, dirò anche del giudizio che l’autor de’ ragguagli ne reca , e a cui penso che quelli, che ancor ne disputano, potrebbero ac- cordarsi. Dopo aver accennato ciò che, secondo alcune spe- ciali notizie, diede origine a quell’ opera, non dissimula ch’ essa si dilanga non poco dall’ origine sua per assumere la sembianza è il colore dell’altra notissima del Werther. Non però , egli aggiunge, se ne dilunga in modo, che giustifichi l’ aperta accusa di plagio che da taluno le fu data. ‘“ Imperocchè, salve poche situazioni e lo scioglimen- to, non si può nel fondo trovare fra que’ due lavori con- formità veruna di cose. Tutta del Foscolo è la ragione politica non toccata dal Goethe. E se il lib:0 dell ale- inanno è per ventura più scorrente di bella passione e più largamente drammatico, l’altro dell’italiano è più ricco di generosa filosofia , e a tratti ancora più mascliio e più caldo. E si può dire, che siccome un simil romanzo fu il primo di che si potesse gloriare l’Italia, così rimane tut- tavia solo ,,. E tale rimarrà sempre, può assicurarsi, poichè dato pure in altri l’istess’ ingegno, 1’ istessa forza di sentire, insomma le stesse qualità che nel Foscolo, più' non si da- ranno le stesse circostanze fra le quali ei l’ha scritto . Si 72 è detto a ragione dell’ opere di Byron , che rappresentano da sè sole un’ epoca dell’ umano pensiero, e che nè i loro pregi nè î lor difetti istessi potrebbero riprodursi in un’al- tra. Tanto io non credo che possa dirsi così in generale dell’ opere del Foscolo. Ma dell’Ortis in particolare non dubiterei d’ asserire, che anch'esso, almeno relativamente al paese in cui fu scritto , è l’ espression vera d’un’epoca singolarissima , nè lo è solo peryle idee e per gli affetti, ma anche per lo stile. Chè saria ben poco avveduto, chi non scorgesse in questo uno sforzo, forse mal sicuro, ma originale quanto mai possa dirsi, di nuova nazionalità. A questo riguardo anch’ esso è parte della passion politica , la quale infiammava il petto del Foscolo come di molt’al- tri italiani. E sebben ricompaia quasi colle medesime for- me, e come continuazione d’ uno stesso sistema, nell’al- tre opere dell’ autore , già si sente che ove pure è men diverso non è già più lo stesso. La sua più bella variante, se non si guardi che all’ accuratezza , è forse nella ver- sione del Viaggio Sentimentale di Sterne, fatta, per/ quel ch’ io intesi altra volta, al campo di Calais (ove Foscolo esercitò pure la sua eloquenza ne’ tribunali militari) e poi perfezionata qui in Toscana. La meno bella , se si guardi alla lucidezza e alla proprietà, è per avventura in alcune parti dei suoi discorsi critici stampati in Inghilterra, o debba accagionarsene la fretta del lavoro, o la lontananza dal- 1’ Italia o altra circostanza. La bellissima per ogni riguar- do a me pare nella notizia di Didimo Chierico , aggiunta alla versione. già detta , e specchio d’ una seconda epoca nella vita del Foscolo. A questa notizia, di cui io sono incredibilmente inva- ghito , avrei. voluto, com’ è naturale, che l’autor de’ rag- guagli fosse men parco di lode ; chè non è certo gran lode il chiamarla assai curiosa. Ma forse Didimo gode presso di lui meno favore che Foscolo, in grazia di quell’Ipercalisse, ch’ei chiama ‘ componimento di poco valore se si guardi alla parte letteraria, illiberale se alla stagione e allo scopo. ,, Del qual giudizio io non accetto senza contrasto che la seconda metà , per la ragione dall’autor medesimo accennata , che 73 le persone , cioè, percosse in quel componimento, pira; quand’ esso fu pubblicato, quasi tutte nella sventura, E qui vorrei che la distinzione, fatta per ischerzo fra Didimo e Foscolo, avesse fondamento di vero. L’anacroni- smo commesso pubblicando quel componimento è una vera anomalia nella condotta d’un uomo, il cui carattere non ebbe mai nulla di vile. E l’autor de’ ragguagli gli rende a que- sto riguardo piena giustizia. Le parole da lui impiegate a farcene il ritratto morale a me sembrano assai notabili. E sono pur state trovate verissime in ogni parte da chi ebbe col nostro Foscolo i vincoli più stretti, e a cui non ha guari, essendo egli venuto a rivedere i suoi amici in Italia, ho potuto mostrarle. Meno vere gli parvero alcune altre im- piegate a dipingerci il suo ritratto esterno , quelle p. e. intorno agli occhi ed all’abito, gli uni un po’ meno pic- coli, l’altro per qualche tempo un po’ più molle ch’ esse non dicano. E l’amico mi rammentava a questo proposito I’ Alcibiade Alcibiade! del povero Lomonaco, che 1’ autor de’ ragguagli deve aver conosciuto. Se non che egli dirà forse che Diogene poteva dar dell’Alcibiade anche a Platone. Il ritratto morale dei Foscolo (cosa degna d’esser no- tata) è una delle parti più belle di tutti gli articoli che soro stati scritti sopra di lui. Veggasi, oltre quello del Salfi, ch'è nella Rivista Enciclopedica PA quello che fu tradotto nel Globo da non so qual giornale inglese , e un altro del Liverpool Commercial Chronicle , di cui non ho avuto notizia prima di questo momento. Chi ha scritto que- st’ articolo debb’ essere stato molto amico al Foscolo, e avergli fatte più visite al Regent’s Park, ov’abitava presso Londra. Ei ci parla con trasporto della sua conversazione animatissima, che faceva, egli dice, un singolar con- trasto colla calma de’signori britannici che vi prendevano parte . Come l’ erudizione classica in Inghilterra è assai pregiata , e Foscolo ne aveva moltissima, l’ autor dell’ar- ticolo dice che le citazioni frequenti , ch’essa gli forniva, erano nella sua conversazione , e nelle sue lezioni in ispe- cie, siccome gemme in bel ricamo d' oro. Ma nulla, egli T. XXXV. Agosto. 10 4 Mes A di più sorprendente che il sentirlo parlare d’Ome- ro, di Dante, di Shakespeare , i tre poeti , a cui egli pro- fessava un culto il più religioso. Al loro nome ei parea farsi maggior di sè stesso, e trovar sempre nuove fonti di dottrina e d’ eloquenza. Dalla sua bocca forse lo seritto- re, ch’io cito , ha raccolte certe altre particolarità che ci narra di lui, ia sua origine indubitatamente italiana , la sna-nascita a bordo d’ un bastimento, che conduceva suo padre all’ isola di Zante, onde spiegasi quel passo ri- guardante l' [onio nell’ode all’Amica risanata: ebbi in quel mar la culla ec. Dalla stessa può aver anche raccolto quel copioso catalogo ch’ei ci presenta degli articoli da lui in- seriti ne’ giornali inglesi, e de’ quali la lettera sopra ci- tata nomina quelli su Dante dati all’ Edinburg Review, e quelli sull’Epoche della lingua italiana dati all’European Review. Ad essi ne vanno aggiunti uno sulla nostra poesia epica dato al Quarterly Review, uno sulla nostra poesia tragica dato al Foreign Quarterly Review, uno sopra una versione della Gerusalemme del Tasso dato al W'estmin- ster Review , uno forse intorno ad una versione dell’ Or- lando furioso dell’ Ariosto che si lesse nel Quarterly Re- view, uno sulle Memorie storiche del Casanova dato al Westminster Review , uno sulla democrazia della Repub- blica di Venezia, dato all’ Edinburgh Review , e poi tra- dotto nella Biblioteca Britannica , infine altri più piccoli inseriti in buon numero nel London Magazin e nel Retro- spective Review. Così apparisce evidente che, nei dieci o dodic’ anni passati in Inghilterra, ei pensò pur sempre all’Italia e al- I’ onore della sua letteratura. E se il merito e le fatiche potessero mai placare la fortuna avversa, ei certo non avrebbe mai dovuto trovarsi nell’angustie, di cui la sua lettera fa cenno , e che, dando causa all’alterazione de’suoi umori , lo trassero innanzi tempo al sepolcro. Esse non furono , com’ altri pensa, il solo effetto dell’ impreviden- za, d’altronde ordinaria ai più nobili caratteri. Nè l’im- previdenza d’un uomo, che spesso chiuse gli occhi a’pro- pri bisogni per non guardare che agli altrui , è la meno = 5 degna di scusa. Ma tutto nel Foscolo doveva esser lato severissimamente. La sua fama, le sue opinioni, l’indipen- denza del suo carattere avean d'uopo d’espiazione. È facile intendere, dice l’autor dell’articolo, onde partano in questo mondo certe censure inesorabili ; ma obtrectatio et livor pronis auribus accipiuntur , quippe adulationi foedum cri- men servitutis, malignitati falsa species libertatis inest. Pur è sì tristo fermarsi a’difetti massime ove risplendono, come nel Foscolo , insigni virtù; ed è sì grato obliar gli uni, che già nel mondo son tanto ordinari, per trattenersi nella contemplazione dell’ altre che son così rare / Depongo la penna mal volentieri, chè il parlare del Fo- scolo m’ è egualmente dolce che doloroso. E già gli avrei dedicato in questo giornale , poich’ altri, che il poteva assai meglio di me , nol fece, un lungo articolo biogra- fico, se non mi fossero mancate le notizie a ciò necessarie, Quelle della sua doppia dimora in Firenze, al tempo cioè della ricomposizione dell’ Ortis vivente ancora l’Alfieri i e a quello della pubblicazione del Viaggio sentimentale da lui tradotto, mi era facile raccoglierle. Dell’altre molte, che mi bisognavano , tra per la dispersione di molti ami- ci, tra per la distruzione di molte lettere, tra per altre cause, non ho potuto ottenerne alcuna che già non avessi, o che poi non siasi letta in diversi giornali. Fra le lettere da me vedute, quelle scritte dalla Svizzera al tempo dell’edi- zione dell’ Ortis coll’ appendice, vale a dire dopo gli av- venimenti del 14, mi aveano lasciata un’impressione pro- fonda. Esse erano piene ad un tempo di nobile fermezza e di profonda malinconia. Una in ispecie, dove Foscolo parlava d’ una sua visita al sepolcro d’ Ulrico Hutten in un'isoletta del lago di Zurigo, mi era sembrata commo- ventissima. Qual contrasto coll’altre, che pur vidi , scritte di Firenze all’ epoca già accennata della pubblicazione del Viaggio sentimentale, ch'era pur quella della composizio- ne dell’inno alle Grazie! Ma altre sue lettere non poche, ov’ è probabilmente gran parte della sua storia , debbono pure esser rimaste. Rimangono , poi ch’egli è morto sì im- maturo, molti de’ suoi amici, che hanno vissuto con lui 76 nelle varie capitali italiane e al di là de’ monti o de’mari. Ov’ essi lascin ricordo di ciò che videro in lui o da lui udirono di più degno, si avran pure un giorno i documenti per scrivere una vita, che fra quelle de’ letterati a noi contemporanei deve riuscire la più interessante. Grazie in- tanto all’autor de’ragguagli e agli altri, che in Italia e fuori non vollero che rimanesse a lungo senza qualche tributo d’ onore la memoria d’ un uomo, a cui, per dir tutto in una parola, molto deve della sua conservata dignità l’ita- liana letteratura. M. L'Empire Russe comparé aux principaux États du monde , ou Essai sur la statistique de la Russie , considérée sous les rap- ports géographique, moral et politique, etc. par Aprien Barzr. Tavola sinottica in un foglio in carta velina. Parigi, 1829, da Rey e Gravier , stampata da Paul Renouard. Quadro storico-statistico della Russia , Turchia, e Grecia, nel 1829. Altra tavola sinottica sul gusto della precedente , Ferra- ra, 1829, Tipografia Pomatelli. Quod bonum est tenete. S. PaoLo. — Dicasi pure tutto ciò che si vuole del poco, o niuno favore di cui sembrano godere in Italia gli studii geografici, e statistici, questa bella parte del nostro globo, che sempre fu, e sempre sarà la terra classica , maestra delle colte nazioni, presenta già nel chiarissimo signor Adriano Balbi uno dei primi etnografi, e statistici della nostra età , che le orme calcando indefessamente del celebre danese Malte Corrado Brun, siegue a rimpiazzarlo con uguale onore , e lode. Se non che debbono i veri figli d’Ita- lia dolersi di vedere cotesto loro dotto concittadino abbandonare la dolce, pura ed armoniosa favella natia , per dettare le uti- lissime sue opere nell’ idioma oltremontano in cui scrisse quel- l’ erudito, e desiderato suo predecessore, il quale nato nell’antica penisola dei cimbri , ebbe talento, e genio bastante per farsi scrit- tore quasi classico nel severo, e difficile idioma dei Corneille , dei Voltaire, e dei Chateaubriand. Anche la nostra Italia mostrò ; sul principio del secolo cor- 77 rente , il fenomeno d’uno straniero discendente da quei goti , i quali un tempo la gettarono nell’abisso della barbarie, e del- l’ignoranza , che, impossessatosi della lingua italiana, fu il primo a volere, mediante un opera periodica , propagare , e diffondere in questa bella penisola il gusto ; e lo studio della geografia, e della statistica. — Anche prima che il sommo geografo danese avesse in riva alla Senna fermata la sua stanza ; lo svezzese Ja- copo Gràberg avea già ideato, e messo in punto, fra i banchi di Genova, i suoi annali di geografia, e di statistica (1), forse a que- st’ora pochissimo conosciuti in Italia, e fuori, ma che ebbero la gloria di precedere non solo tutto ciò che mai scrisse in con- simile materia il poligrafo danese, ma eziandio il primo giornale geografico, e statistico pubblicato in Francia dal Ballois, je con- tinuato poi dal Deferrieres , sotto il titolo di Annales de Stati- stique. In quei suoi annali avea di già il Gràberg inserito tavole statistiche comparative, che ad un solo colpo d° occhio offerivano al paragone le forze geografiche, morali, e politiche di tutti gli stati dell’ Europa. Le quali tavole poi, nelle Lezioni di cosmo- grafia, geografia, e statistica da lui più tardi pubblicate, prima nel 1813 in francese, e poi nel 1819 in italiano, (2) furono sviluppate con maggiore accuratezza , ed estese a tutte le altre parti del globo, e dieron probabilmente la prima spinta alle più elaborate fatiche del sommo etnografo veneziano. Pare nondimeno che questi non abbia veduto , nè lette le tavole dello svezzese, se non se nella traduzione tedesca fattane in un volume delle Effemeridi universali di geografia , che si pubblicavano a Veimar, ove, senz’avvedersene , gli editori aveano lasciato scorrere alcuni grossi errori, Intanto è cosa innegabile, che il signor Balbi continui a far onore all’ Italia non solo, ma eziandiv al paese che lo alberga, ed all’ intiera Europa. Già 1’ Antologia fece più volte (3) onore- . (=) Pubblicati a spese dell’ autore nel 1802 in Genova, dalla stamperia Api in Scurreria la vecchia , otto quaderni mensuali, formanti due volumi in 8.° con figure, carte geografiche , tavole statistiche , ec. (2) Genova , stamperia Bonaudo , un tomo in 12.° di 498 pagine, con carta elementare , molte tavole statistiche , ed un lessico etimologico dei vocaboli, e termini derivati da varie lingue antiche , e moderne. == La seconda edizione francese era già stata tradotta parzialmente , ed assai male , in italiano, da N. Tanotace, e stampata in Milano, 1816 in 12.° colla carta elementare , ma senza tutte le lezioni di geografia fisica, e di statistica , e conseguentemente anche senza le tavole comparative. (3) Vevgansi i N. 96 e 99. 78 vole menzione delle produzioni di lui, fra le quali 1° Atlante etnografico del Globo ha fatto , e farà epoca nelle scienze che hanno per oggetto di descrivere la terra, e la generazione umana che la popola. Alla Bilancia politica del globo, e alla Monar- chia francese comparata ai primi potentati del mondo, si pagò, non ha molto, da uno dei più valenti nostri collaboratori, un giusto non meno che dotto ed elegante tributo di ammirazione, e di lode, al quale ci affrettiamo di aggiugnere , che la ricchezza, e l’importanza delle notizie contenute nel nuovo quadro , che stiamo attualmente esaminando , ci confermano sempre più nel- l’ intima persuasione , che l’ autore sarà per rendersi padrone , se già non lo è, del primo posto fra gli etnografi della nostra età. Il paragone dell’ Impero Russo con trentanove altri stati del mondo , collocati per ordine di maggioranza nell’ estensione del territorio, secondo la popolazione assoluta, e relativa , le rendite annue ; i debiti, la forza armata, la' marina di guerra; e la po- polazione delle città capitali , occupa la fronte di questo quadro bellissimo. Dal quale paragone rileveremo soltanto quì per la curio- sità dei nostri leggitori , che fra tutti cotesti stati 1’ Impero Russo ha la maggiore estensione di superficie, e la più numerosa forza armata di terra ; la monarchia britannica la maggiore popolazione assoluta , le più vistose rendite, il più grosso debito, la più pos- sente marina , e la più popolata città dominante ; il regno dei Paesi Bassi la maggiore popolazione relativa , la monarchia sarda la minore superficie in miglia quadrate; gli stati uniti del Rio de la Plata la minore popolazione tanto assoluta, quanto relativa, la repubblica di Bolivia le più scarse rendite , gli stati uniti dell’ America centrale i più piccioli debiti, ma iasiememente la più debole forza armata, e gli stati uniti dell'America settentrio- nale la città capitale la meno popolata. È però da notare, che in Europa i regni dei Paesi Bassi, e di Danimarca hanno un territorio più picciolo di quello della monarchia sarda, e che il regno unito delle Due Sicilie ha, dopo i Paesi Bassi, e le Isole Britanniche, la maggiore popolazione Nrativa di tutti gli stati del mondo. A proposito delle somme registrate nelle diverse categorie di questo paragone, ci permetteremo una, o due osservazioni. Un soggiorno di più anni nell’ impero di Marocco , che , come quello di An-nam, dovrebbe appellarsi col suo proprio nome di Mogh'rib- el-Acsà, e molte accurate indagini quivi fatte per determinarne, almeno per approssimazione, il numero degli abitanti, ci auto- rizzano ad asserire , che se non possiamo, col signor Grey Jackson, | | 19 dare a quell’impero una popolazione \li quindici’ milioni , non è dall’ altra parte possibile il ridurla , col signor Balbi, a soli quattro milioni, e mezzo. La popolazione relativa di cotesto im= pero è per :lo meno uguale, se non superiore, a quella della Spagna meridionale, e soprasta certissimamente a quella della Tur- chia europea, e dell’ Egitto ; perciocchè sappiamo ess:re non solo le vaste, e verdeggianti sue pianure , ma ben anche le falde, le alture, e le creste medesime dei suoi monti coperte di una popolazione molto numerosa. Vi s’ incontrano pochi deserti di sabbia nelle provincie interne, ove il suolo fertilissimo è irrigato perennemente , e quasi ovunque, da fiumi, e da ruscelli. Laonde se, col nostro autore, restringiamo anche la superficie di quel- l'impero a sole centrentamila miglia quadrate, meutre per no- stro avviso ne avrebbe diecimila di più, ed assegnandole una po- polazione relativa anche minore di quella dell’ Andalusia , dello stato di Algeri, della Turchia europea , e dell’Egitto , ne avremo sempre un numero assoluto di otto milioni, da distribuirsi presso a poco nella maniera seguente. Regno di Fez, 2,750,000 sovra 52,700 miglia quadrate. Regno di Marocco, 3,550,000 ,, - 30,800 sì Tafilelte, Segelmessa, ec., 1,700,000. ,,) 46,500 » pa: E così 8,000,000 sovra 130,000 miglia quadrate La vera capitale poi del Mogh°rib-el-Acsà non è già. la città di Mechinesa , ma sivvero quella di Meracasce , o Marocco ; la più popolata però , e dove spesso risiede il sultano , è quella di Fez, cui non si può dare meno di 80,000 abitanti ; laddove Me- chinesa non ne racchiude neppure 60,000. Le rendite di quel Sultano , lungi dall’importare annualmente 22 milioni di franchi , non arrivano neppure alla terza parte di tale somma. Scendendo ai riconti statistici comparati , e distribuiti in se- dici categorie, o quadri , entra l’ autore in particolarità , che i confini d’ un articolo di giornale non ci permettono neppure di ricapitolare. La prima categoria esibisce le disuguaglianze esi- ‘stenti nella superficie delle divisioni amministrative , fra le mo- marchie russa, francese , e prussiana; dalla quale risulta, che in Moscovia il governo di Ieniseisk è il più esteso , e quello di Curlandia il più picciolo ; in Francia i più grandi dipartimenti sono quelli della Gironda, della Corsica, e della Dordogna ;ed d più piccioli quei di Valchiusa , del Rodano, e della Senna. In Prussia il distretto di Konisberga è il più vasto, e quel di Co- logna il più ristretto. 8 Il secondo prospetto novera i prodotti del regno minerale negli stati europei delle cinque grandi potenze , donde risulta, che la Russia è la più ricca d’oro, e di sale; l’ Austria d’ar- gento ; l’ Inghilterra di piombo ; di rame, di ferro, e di carbone di terra; e che appunto la Gran Bretagna non possiede alcuna miniera nè di oro, nè di argento, siccome parrebbe ancora, che in tutta la Russia non s’incontri nessuna cava di carbone di terra. Nella terza categoria si vede la distribuzione del suolo per rispetto ai principali prodotti del regno vegetabile, ove, come di ragione , si viene a conoscere, che la Russia è la più ricca di terreni coltivi pei cereali, di pascoli, di foreste, e di raccolti di commestibili ; ciò che deve peraltro intendersi assolutamente , per la maggioranza delle somme, non già relativamente alla vasta estensione del suo territorio , e della sua popolazione. Che ove si contemplassero questi elementi, rimarrebbe vinta nel terreno coltivato, nei pascoli, e nelle raccolte dei commestibili dall’ In- ghilterra , nelle foreste dall'Austria, e nei vigneti, ed i raccolti di vino dalla Francia. Il quarto prospetto , esponendo il novero degli animali do- mestici , fa vedere, che l'Inghilterra, e la Francia posseggono im proporzione un maggior numero assoluto di pecore che la Russia , comecchè le siano relativamente inferiori in quello dei cavalli e muli, dei bovi, dei maiali, e delle capre. In propor- zione l’ Inghilterra, e 1’ Ausrria sono più abbondanti della Francia di bovi, e di porci, ma non in cavalli, e muli. La Prussia però sembra relativamente essere di tutte la più ricca di cavalli. Ricapitolando nel quinto prospetto le disuguaglianze nella popolazione assoluta delle divisioni amministrative dell’ impero russo, e paragon:ndole con quelle della Francia, e della monar- chia prussiana, ne risulta che in Russia i governi di Poltava , di Kursk, e di Volinia sono i più popolati, e quei di Arcangelo, di Astracan, e di Ieniseisk i più poveri di abitatori. In Francia i dipartimenti della Senna, del Nord, e della Senna inferiore hanno la, maggiore popolazione, e quelli dei Pirenei orientali, della Lo- | zera, e delle alte Alpila più picciola. Nella monarchia prussiana primeggiano a tal riguardo i circoli di Breslavia , di Potsdam, e di Liegnitz, mentre sono i più poveri quelli di Koeslin, di Er- furt, e di Stralsunda. i Nel sesto si fanno vedere le disuguaglianze nella fertilità , nell’opulenza , e nell'industria interne dell'impero di Russia , cioè nelle annuali raccolte delle biade , nei capitali impiegati 8I pel commercio , nel novero delle fabbriche, e delle manifatture , e nelle rendite pubbliche delle diverse provincie. Risulta quindi, che in Russia i governi di Poltava, Tambof, e Kursk sono i più doviziosi di biade , e quei di Olonets, Arcangelo, ed Astracan i più meschini. I governi di Mosca , Pietroburgo ; e Twer pos- seggono i più cospicui capitali impiegati nel commercio; e Mohilef, Vilna , e Grodno i più ristretti. Così pure vedesi nei governi di Mosca, Vladimiro, e Niscenei Novogorod , il maggior numero di fabbriche, e di manifatture, mentre quello di Tauride ne ha sole tre, e quei di Ecaterinoslaf, e di Oremborgo uno solo per ca- dauno. In quanto poi alle rendite pubbliche primeggiano quei di Mosca, Viatka, e Pietroburgo, siccome sono i più scarsi quei di Curlandia, Grodno , ed Estonia. La settima categoria paragona le somme delle derrate, e merci introdotte, od asportate all’estero, con quelle della Fran- cia, e del regno unito britannico, durante gli anni 1825, e 1827 nella maniera seguente, cioè : importazioni asportazioni Nell’ Impero Russo, rubli 180,633,000. rubli 217:095,000 (4) nella Francia 4 franchi 554;718,000. franchi 610,068,000 nell’ Inghilterra, va 1,056,522,000. ,3 1,411,763,000 Nell’ottava si espone la divisione etnografica , ossia il ripar- timento della popolazione secondo le lingue , donde resulta che vi erano sulla fine dell’anno 1828 : I. Nell’ Impero Russo. Di origine slava 50,812,000 individui da turca, e tatara 2,920,000 A finnica 2,190,000 sà ‘ caucasea 1,800,000 DI germanica 770,000 ai semitica 590,000 Di greco-latina 450.000 7 » armena 279,000 à s mongolla 210,000 53 persiana 170,000 RA tungussa 50,000 ds | eschimossa 47,000 5» sanscredonica 20,000 (4) Il rublo in carta moneta si può valutare ventisei soldi toséani Ossia un franco e dieci centesimi. T. XXXV. Agosto. 11 Ai: 82 È: samojeda 18,000 ch siberiche diverse 50,000 » americane 24,000 Somma totale 60,000,000 JI.° Nell Impero Ottomano. Di origine turca , 0 tatara 3,600,000 individui ha greco-latina 6,270,000 ee semitica 5,300,000 pra slava 1,700,000 di armena 1,620,000 ti) persiana , 0 curda 1,000,000 55 indostana, o zingara 200,000 7 georgiana 100,000 sa poco conosciuta 210,000 Somma totale 25,000,000 III.° Nel Regno di Persia. Di origine persiuna 8,000,000 individui 4i turca , 0 tatara 500,000 i semitica 345,000 3$ armena 55,000 3 diversa 100,000 Somma totale 9,000,000 Nel nono quadretto si legge un paragone delle navi entrate nei principali porti dell’ impero russo , con quelle entrate in Fran- cia, e nelle isole britanniche, nel decorso dell’ anno 1826, ove, come si crederà facilmente , la decisa superiorità rimane a ques- t’ ultima potenza , tanto pel numero dei bastimenti, quanto per quello delle così dette tonnellate. Il decimo espone la disuguaglianza nella popolazione relativa delle divisioni amministrative, nelle monarchie russa, francese, e prussiana entro l’anno 1827. Nella prima il governo di Mosca ha sopra un miglio quadrato 145 abitanti, quello di Kursk 131, e quello di Kaluga 125; laddove quello di Arcangelo ne ha solo 1,40 quello di Tobolsca 1,30, e quello di Ieniseisk 0,25, cioè un solo indi- viduo sur una superficie di quattro miglia quadrate. In Francia il dipartimento della Senna ha per ogni miglio 7321, quello del nord 597, e quello del Rodano 577; mentre quello delle alte Alpi 83 non ne ha che 79, e la Corsica soli 65. In Prussia il circolo di Dusseldorf ne ha 431, e quel di Koeslin 73 (5). Nei due prospetti che sieguono si vede: nel primo la popo- lazione relativa dei contorni immediati delle città di Londra , Lilla, Parigi, Costantinopoli, Vienna, Mosca, Berlino , e Pie- troburgo ; e nel secondo la distribuzione della popolazione rela- tiva secondo che vive nelle città , e che si occupa di commercio e di arti, ovvero di coltivare la terra. Dal quale prospetto si rileva , che in Inghilterra la metà degli abitanti vive in città o borghi ; un terzo circa si dedica all’ agricoltura , e nove ven- tesimi al commercio , ed alle manifatture . In Francia non più d’un terzo vive nelle città, nove ventesimi sono agricoltori , e sette ventesimi manifattori, o trafficanti. Nella monarchia prus- siana poco più di un quarto sono cittadini, un quinto commer- cianti , e due terzi agricoltori. Nell’ Austria invece un solo quinto sta nelle città, un decimo nel commercio , o nelle tabbriche , e sette decimi intorno la cultura dei campi. In Russia un ottavo appena si trova chiuso in città o borghi, un ventesimo solo si dedica al commercio , ma i quattro quinti, o forse più vivono dell’ agricoltura , della pastorizia , della caccia , ec. Nella decimaterza categoria si espone il novero per classi , ed ordini dei russi, degli ottomani, e dei persiani, secondo le diverse religioni, e sette che professano. Eccone i risultamenti. I.° Nell’ Impero Russo. Gristianismo , come sotto 55,632,000 cioè : Chiesa Greca 45,353,000 % Gattolica 7,300,000 RA Luterana 2,600,000 " Armena 279,000 5 Galvinista 80,000 Altre sette cristiane 20,000 Islamismo , Sunniti, e Sciiti 2,735,000 Giudaismo , Ebrei 578,000 Lamismo, e Sciamanismo 210,000 Idolatria , o senza religione positiva 845,000 en, Somma totale 60,000,000 (5) Nella maggior parte dei più vistosi di questi computi , entrano le po- polazioni di città capitali. In Italia il Ducato di Lucca , coi suoi 630 abitanti per miglio quadrato, ed il principato di Monaco con 790, sono certamente molto popolati, e ciò senza capitali troppo grandi; ma sono di gran lunga superati Sai . H.° Nell’ Impero Ottomano. Islamismo , la maggior parte Sunniti 14,230,000 Cristianismo , Greci 6,500,000 $ Armeni 1,4003000 = Cattolici 800,000 39 Altre sette 1,000,000 9,700,000 Giudaismo , Ebrei 610,000 Sabeismoj Drusismo ec. 220,000 Idolatria , Feticcismo ec. 240,000 I Somma totale 25,000,000 III.® Vel Regno di Persia. Islamismo , Sciiti, e pochi Sunniti 8,858,000 Cristianismo , Nestoriani , ec. 80,000 Giudaismo , Ebrei 25,000 Magismo , Ghebrì 25,000 Sabeismo , pretesi cristiani 12,000 nni Somma totale 9,000,000 Colla decima quarta si fa conoscere, a prima vista, la rela- zione delle forze , e dei mezzi di sussistenza nei principali stati europei , colla rispettiva loro popolazione , fra le quali trascrive- remo qui le seguenti , cioè : 1.° Quella delle rendite pubbliche , dove si vede che ogni individuo paga Nel Regno Unito Britannico n Franchi 65,2 Nella Francia 30,9 » Nel Regno dei Paesi Bassi ho 26,3 Nella Monarchia Prussiana > 17,2 egli Stati Uniti dell’ America settentrionale Ri 12,I Nell’ Impero d’ Austria »” 10,9 Nell’ Impero di Russia » 6,2 Aalla Castellania di Courtrai, e dal distretto di Dendermonde nella Fiandra, che hanno , la prima 1182, ed il secondo 1302 individui per miglio quadrato, e ciò senz’alcuna città cospicua. Lo stesso Brabante ne conta 951, e la Fiandra orien- tale fino a 1142. Il.° Quella del delito pubblico , onde si scorge ' che pesano sovra ogni individuo Nel Regno Unito Britannico Franchi 86,9 Nel Regno dei Paesi Bassi sa 63,5 Nella Francia < » 14,9 Nell’ Austria » 45,6 Negli Stati Uniti » 34,8 Nella Monarchia Prussiana »” 29,3 Nell’ Impero Russo » 28,8 III.° Quella della forza armata. Nell’ Impero Russo , v° è un soldato per ogni 57 abitanti Nella Monarchia Prussiana, uno in 80 Nell’ Impero d’Austria, uno in 118 Nella Francia, uno in 138 Nel Regno de’ Paesi Bassi, uno in 143 Nel Regno Unito Britannico , uno in 229 Negli Stati Uniti dell’ America settentrionale uno in 1,977 IV.° Quella della Marina, dove si riconosce che esiste un Vascello o Fregata Nel Regno Unito Britannieo , per ogni 82,979 abitanti Nella Monarchia Scandinava , per ogni 154,640 Nel Regno dei Paesi Bassi 170,556 Nella Francia 290,909 Negli Stati Uniti d'America 316,000 Nell’ Impero di Russia 700,000 Nell’ Impero d’ Austria 2,909,09I in un momento che con interesse sempre crescente tutti gli sguardi sono rivolti verso il teatro dove, con dura ed incerta guerra , i russi ed i turchi vanno facendo prova delle respettive loro forze, valendosi di tutti i mezzi che posseggono di sussi- stenza , e di offesa , deve recar meraviglia il vedere in questa categoria l’ Impero ottomano perduto di vista interamente. Per sovvenire a questo difetto , sarà, non ne dubitiamo , pregio dell’ opera, l’ aggiugnere qui sotto i resultamenti a tal riguar- do tratti dagli elementi statistici di quell’Impero , giusta le som- me dallo stesso sig. Balbi assegnate , acciocchè , fattone para- one , si veda, che nell’ Impero ottomano , , E) p .° delle rendite , ogni individuo paga .° del debito pubblico , pesano sovra ogni individuo ° della forza armata vi è un soldato per ogni . . I 2 d 4° fr. 10 fr. 4 89 individui e della marineria , un vascello ed una fregata per ogni 480,769 id. 80 Il prospetto che siegne espone la relazione del numero degli scolari, o studenti dei due sessi , col totale della popolazione nell'impero di Russia, nella Francia , nella Svizzera, nell’ Au- stria, nella Baviera, nel ducato di Nassau, nella: Prussia , negli stati Sassoni, nei regni di Virtemberga, dei Paesi Bassi, della Gran Bretagna, di Portogallo, e delle Due Sicilie, nonchè negli Stati uniti dell'America settentrionale, e nella repubblica di Co- lombia. Se si eccettua il governo di Pietroburgo, che naturalmente debbe essere più incivilito , si vede, che in Russia le provincie ove gli abitanti sembrano più studiosi, erano, nel 1824, quelle di Bialistock, Vilna, e Curlandia, che tutte aveano uno scolare per meno di dugento abitanti; laddove in quelle di Kostroma, e di Saratof appena sene trovava uno in più di quattro mila. In Fran- cia vi era nel 1821 uno scolare per ogni 18 abitanti, in Prussia ‘mel 1825 uno per ogni sette, nei Paesi Bassi 10 per 97; nel re- gno unito Britannico uno in 15, cioè in rr, nella Scozia , in 13,6 nell’ Inghilterra, ed in 17 nell’ Irlanda. Nel regno di Napoli uno in 65, e nella repubblica di Colombia uno in 120. Ma stentiamo un poco a credere, che negli Stati uniti dell’ America setten- trionale vi fosse, nel 1826, uno studente per ogni undici abitanti, e nello stato della Nuova Jork , dieci per ogni 38 abitanti. Finalmente nella sedicesima ed ultima categoria si espone la relazione delle cause criminali col novero della popolazione interna della Russia, nell’anno 1826, dove si riconosce, che fuori di Pietroborgo, e Mosca, che naturalmente debbono in ciò so- prastare alle altre provincie, quella di Niscenei Novogrod , e Simbirsk offerivano il maggior numero di coteste cause , cioè una per ogni 1050 individui circa, e quelle di Kursk, e di Ka- luga il minore, non oltrepassando una per 2650 abitanti. Nel centro del quadro generale, che veramente ne forma la più cospicua, e dall’ autore stimata la principale parte, si trova collocato un prospetto sinottico della statistica istorica , fisica , morale , e politica dell'impero di Russia, nel quale figura in primo luogo una cronologia , all’ autore somministrata dal sig. Hereau, di tutti i sovrani della Russia , colle epoche più rimar- chevoli della storia, ed i successivi accrescimenti del territorio, dall’anno 862 della nostra era, fino al 1828. - Crediamo pre- gio dell’ opera il riportare qui di pianta I’ epilogo dei detti suc- cessivi ingrandimenti dell’ impero. 687 Superficie Popolazione nel 1462 (6) Miglia quadrate 295,900 = 6,000,000 33 1505 (7) 5 594,200 == 10,000,000 39 1584 (8) Di 2,007,400 == 12,000,000 3» 1645 (9) ca 4069,300 == 12,000,000 23 1689 (10) fai 4,2224000 = 15,000,000 o 1725 (11) SS 4:413,000 «= 20,000,000 so 1762 (12) DI 5,112,600 -- 25,000,000 33 1796 (13) 5A 5,309,300 = 36,000,000 3» 1828 (14) 3 5,879,900 = 58,000,000 Siegue quindi un elenco dei nomi di quarantanove governi, sette provincie , e cinque territorii, che compongono quel colos- sale impero , oltre gli otto palatinati del regno di Polonia , che pure ne dipendono; dirimpetto ai quali nomi si leggono , in co- lonne separate , disposti i noveri delle rispettive loro superficie, popolazione , prodotti del testatico, e di altre gravezze, raccolti delle biade, capitali impiegati nel commercio, numero delle fab- briche o manifatture, scolari o studenti nel 1824 , e cause cri- minali nel 1826 ; ed in altra colonna più larga si trova , in faccia pure ai nomi dei governi, ec. un catalogo disposto per classi, ed ordini dei diversi popoli che quivi hanno le loro sedi, colle loro diverse razze , origini , e suddivisioni, Compiuto così il nostro debito inverso 1’ autore italiano d’ un opera etnografica che, nelle attuali circostanze di guerra fra la Russia ela Turchia, acquista un nuovo grado di interesse, e d’ importanza ; passeremo a congratularci coll’ editore ferrarese che, colta l’idea medesima, ha mostrato lodevol premura di far dono agli italiani, nella loro natia favella, di ciò che nel qua- dro francese del signor Balbi, confrontato coll’opere di Las Ca- ses, de Hammer, Gilbert, Niellon , D’Ohsson; Rabbe, e Se- bastiani , non che con altri documenti moderni , possa appunto, nell’ attuale congiuntura , meritare l’attenzione spezialmente dei leggitori dell’ Antologia. Alle quali memorie , tratte da altri scrit- (6) All’ avvenimento di Giovanni terzo. (7) Alla sua morte, (8) Alla morte di Giovanni quarto. (9) Alla morte di Michele Romanof. (10) All’ avvenimento di Pietro il Grande. (11) Alla morte di lui , colle conquiste fatte nella Persia. (12) All’ avvenimento di Caterina seconda, (13) Alla sua morte. (14) Alla morte di Alessandro. 88 tori, ha egli aggiunto del sno altri confronti, ed altre riflessioni, le quali non poco depongono anch’ esse in favore del suo talento, e del desiderio suo di essere utile. In fronte del suo quadro si presentano, in tre distinti pro- spetti, allato uno dell’ altro, gli elementi statistici degli tre stati Russo , Ottomano, e Greco. Nel primo si vede che LA Russia pos- siede attualmente , compresovi il Regno costituzionale di Polonia , 4 *, In superficie TA quadrate 5,911,000 cioè : Nell’ Europa russa (15) 1,449,000 Nell’Asia russa 4:006,000 Nell’ America 370,000 Nella Polonia 36,000. In popolazione , come sotto , individui 60,020,000 per lingue : Slavi 51,210,000 Turchi 2,521,000 Finnesi 2,370,000 Ebrei 578,000 Diversi (16) 3.221,000 per religioni: Greci 44,762,000 Altri Cristiani ‘10,870,000 Maomettani 2,750,000 Diversi (17) 1,455,000 per -classi : Servi 35,251,000 Nobili 1,000,000 Liberi }7:849:000 In rendite , franchi 400,000,000 In debiti, sa 1,300,000,000 In forza armata di terra 1,039,000 Ed in marineria , 50 vascelli, 30 fregate , e 50 bastimenti di- versi, dei quali attualmente nel Mediterraneo: 8 vascelli, 7 fregate , una corvetta, e 4 altri navili, che in tutto portano 1022 cannoni. (15) Qui dev’ essersi commesso certamente un errore di stampa , poichè le quattro partite non sommano già 5,911,000 , ma soli 5,861,000 , mancando così 50,000. In fatti nei quadri del signor Balbi la superficie della Russia europea è appunto di 1,499,200 , cioè di 1,396,500 nel vecchio Impero, e di 102,500 nel gran-ducato di Finlandia. Nella superficie della Polonia si sono inoltre dal sig. Pomatelli fatte sparire 700 miglia quadrate. (16) Queste cinque partite sommano soli 60 milioni; per farvi entrare i 20,000 di più bisognava o ripartirli proporzionatamente nelle cinque somme , Oppure mettere nell’ ultima: 3,241,000. » (17) Anche qui mancano alla somma totale 183,000, che doveano aggiugnersi all’ ultima partita , onde questa dicesse: 1,638,000. 39 e nel Ponto Eusino , 9 vascelli, 5 fregate, 2 corvette , e 28 altri bastimenti , che portano fra tutti 1550 cannoni. Duolci veramente di vedere disfigurato questo prospetto da una delle solite noncuranze dalla più parte dei facitori di con- simili quadri commesse , cioè di non guardare a far corrispondere la somma delle parti con quella dell’ intero. Così vedonsi , oltre le partite già rilevate nelle annotazioni , mancare in quella degli abitanti per classi niente meno di 5,920,000 3 dei quali ci è im- possibile di rendere alcuna ragione. Non sappiamo d’ altronde dove possa ]’ autore aver pigliato , che vi sia nell’ Impero Russo appunto un milione di nobili; nel 1812 siamo sicuri che non ve n’erano più di 580,000. Il clero è stato saltato di piè pari, e pure forma egli solo più di un 400,000 ; ma probabilmente sarà dall’au> tore stato compreso nel suo milione di nobili. L’ Impero Ottomano possiede : In superficie, di miglia quadrate 1,396,000 cioè : Europa ottomana 155,000 Asia ottomana 556,000 Africa ottomana 367,000 Algeri 70,000 Tunisi 40,000 Tripoli 208,000 dI ci In popolazione , come sotto 28,960,000 per lingue: Turchi 8,6009,000 Grecì 4,155,000 Armeni 1,623,000 Polacchi 1,400,000 Arabi 8,004,000 Altri popoli 1,218,000 Sn per religioni : Maomettani 13,661,000 Greci 6,405,000 Armeni 3,386,000 Gulti diversi 1,548,000 per classi : Liberi 23,000,000 Schiavi 1;900,000 —__—__ In rendite , franchi 263,000,000 In debiti La 100,000,000 In forza armata di terra 308,000 In marineria : 31 vascelli, 37 fregate, e 287 bastimenti minori. T. XXXV. Agosto. 12 90 I Lo Stato Greco Indipendente. La Morea, in superficie 6,439 miglia quadrate di popolazione , 300,000 Le isole , come sotto 1,339 » tr 192,000 Somma 7;778 miglia quadrate Pop. 492,000 Sporadi settentrionali Superf. 72 Pop. 6,600 Sporadi orientali 245 54,800 Sporadi occidentali 126 40,000 Cicladi settentrionali 358 46,400 Fa Cicladi centrali 376 25,200 Cicladi meridionali 212 19,900 La Morea è divisa in sette dipartimenti, cioè: Argolide, che ha per capitale Nauplia; Acaja, Kalavrita; Elide, Gastu- ni; Alta Messenia, Arcadia; Bassa Messenia, Kalamata; La- conia , Mistra, e Arcadia, Tripolizza. Le capitali dei sei dipar- timenti delle isole , sono nell’ ordine che questi stanno registrati qui sopra: Ipsarà, Samo , Idra, Andro, Nasso, e Santorino. Ma ritorniamo per poco all’ Impero Ottomano. Abbandonate quivi le tracce del sig. Balbi, 1’ autore del quadro che stiamo esaminando , ha voluto unire a quell’Impero le tre Reggenze Barbaresche di Algeri, Tunisi, e Tripoli , alle quali poi assegna elementi statistici per lo meno incongruenti. In primo luogo quelle Reggenze non dipendono più in verun modo dal Gransi- gnore ; se non se talora per qualche fatto di religione , e non gli forniscono più nè vascelli di guerra , nè soldati, nè un solo parà di tributo. Il territorio appartenente al Bascià di Tripoli, sten- dendosi dai confini di Tunisi a quelli dell’ Egitto , e fino ai li- miti meridionali del Fezzan, e di Gadams, ha certamente più di 660 mila abitanti, e non crederemmo di correr troppo se gliene diamo almeno il doppio. La sola capitale , coi tre governi imme- diatamente circonvicini di Menscièh, Sahha, e Tagiura, ne hanno per lo meno 100,000, e le numerose tribù dei Ssatù , Assabé , e Novairi, che vivono nelle montagne all’ occidente di Tripoli, hanno più d’ una volta opposto alle estorsioni del Bascià un’eser- cito di trenta mila e più combattenti, ciò che suppone almeno una popolazione di dugentomila individui. I cento ed uno vil- laggi del monte Gharrian, e le falde di quella fertilissima gio- gaja, e di quello di Tarhona sono popolatissimi; e sappiamo di certa scienza , che la sola regione della Cirenaica detta Gebel- Akhdar, o Montagna Verde , contiene almeno quattrocentomila abitanti, e che più di una volta ha schierati in campo oltre cin- 9 quantamila combattenti. Contuttociò il Bascià di Tripoli non ha mai avuto, nè avrà mai una rendita di due milioni di franchi , come si dice nel quadro ; non ne può riunire neppure la metà. I suoi debiti possono invece computarsi almeno ad una somma eguale a quella datagli per rendita. Di fregate non ne ha più; ma possiede due corvette, sette bregantini o golette;, e dodici scialuppe o barche cannoniere , più o meno atte a servire. Di truppa non crediamo , che abbia mai in piedi neppure i 4000 as- segnatigli nel quadro; ma in un caso di bisogno potrà benissimo far muovere venti, o venticinquemila soldati a cavallo , ed otto a diecimila fanti, purchè possa dar loro da mangiare. Circa 400 uomini della sua guardia del corpo hanno appreso 1’ esercizio all’ europea. Togliendo per conseguenza dalle somme del signor Pomatelli le 318,000 miglia quadrate di superficie , le 3,960,000 anime di popolazione , i 13 milioni di franchi di reddito , i 30 mila sol- dati, e gli ottantasei navigli di guerra dati alle Reggenze bar- baresche , si ridurranno gli elementi statistici dell’ Impero Otto- mano a quegli indicati dal sig. Balbi, cioè di 1,078,000 miglia quadrate, 25 milioni di abitanti, 250 milioni di rendita, 278,000 soldati, e 21 vascelli, 31 fregate, e 225 navigli minori. Giova però convenire, che lo stesso sig. Pomatelli in alcune delle somme non ha fatto caso delle Reggenze. Così nelle cate- gorie staccate della popolazione per lingue, e per religioni, somma solamente 25 milioni; ma in quella per classi ha escluso , non sappiamo per qual motivo, un numero tordo di centomila in- dividui . Queste minute osservazioni , che ci duole assaissimo di non aver potuto pretermettere , cambiano per conseguenza i varii ele- menti dell’ ingegnoso prospetto dall’ autore intitolato : La Tur- chia ragguagliaic alla Russia, e presentato nella forma seguente : In Superficie » come 1,396 a 5,911; meno d’un quarto. Deve dire : come 1,078 a 5grI , cioè , come 0,18 all’ unità. In Popolazione, come 1448 a 3001 ; più della metà. ‘Deve dire : come. 1250 a 3001 , cioè ,, come 0,42 all’ unità. In Rendite , come 263 a 400; quasi due terzi. Deve dire : come 250 a 400 , cioé cinque ottavi. ‘In Debiti; come r a 13; tredici volte meno. “ In Soldati, come 308 a 1039; circa 3 decimi. Deve dire: come 278 a 1039, cioè , come 0,27 all* unità. In Vascelli come 21 a 50 ; circa tre quinti. Deve dire : come 21 a 50 circa due quinti. 92 4 In Fregate , come 30 a 37 y più d’ un sesto. più. Deve dire : come 31 a 30, cioè, una di più in trenta. In altri bastimenti , come 287 a 50 ; cinque volte più. Deve dire : come 223 a 50 , più di quattro volte più. Attesa la Superficie , la‘Turchia è popolata il doppio , ha di rendite due voltè e cinque ottavi più, ed ha meno debiti per due volte ed un |. quarto. Attesa la Popolazione , la Turchia ha in arme due quinti meno, ed ha un quinto di più di rendita. La Grecia è di Superficie 179 ( deve dire : 139 ) volte meno della Tur- chia. Non è però popolata che 58 ( deve dire : 50 ) volte meno. Attesa la Superficie , la Grecia ha due quinti più di popolazione. Il resto del quadro contiene in ristretto le dinastie russe A ed ottumane dai principii delle monarchie fino al dì presente , ed alcune brevi sì, ma eccellenti osservazioni sulla composizione delle armate russa, e turca , sulla marineria , e le colonie mi- litari della Russia , sulla città di Costantinopoli , e 1’ ingrandi- mento e decadenza della Porta Ottomana; sulle rivoluzioni di palazzo in Russia, e del serraglio in Turchia ; sul dispotismo dei Czari, e quello dei Sultani; sul soldato russo , e turco , sul popolo musulmano, e finalmente un sunto cronologico dei fasti della Grecia, della guerra per 1’ indipendenza , e delle intra- prese della Russia contro la Turchia. Chiude poi il tutto una. picciola lista di traduzioni dalle lingue russa , turea , e greca di alcuni vocaboli, la di cui intel- ligenza è indispensabile per leggere con frutto le gazzette, ed altri seritti politici dei nostri giorni. I Got Intorno gl’ Inni sacri di Arrssanpro Manzoni dubbi di Giuseppe SaLvacnoLi MarcHeTtTi. Roma, 1829. Chi non conosce gl Inni del Manzoni? Stampati e ri- st: mpati quasi in ogni luogo d’Italia, tradotti in varie lin- gue, e nella/tedesca da un Goéthe , volarono omai quei versi pel cielo d'Europa, e dovunque destarono ammi- razione ed applauso. Or che vuole questo libro di dubbi ? Es.i s’innalzano come vapori, che vorrebbero velare Ja pura faccia d’un astro ;. ma nei raggi di questo è con- 93 centrata tal forza di luce e di calore; da far tornar quelli a gravitare sul suolo. Poche pagine contengono gl’ Inni del Manzoni,;;cento trenta non bastarono ai dubbi del Salvagnoli; e con tut- | tociò dice il critico, ch’egli fa “ non come colui che miete, ma come colui, che spigola ,, ( p. 57). Che sa- rebbe di noi se nella stessa proporzione si cominciassero a stampar dubbi sulle più celebri opere antiche e moder- ne? E se a questi dubbi si rispondesse, dove mai an- drebbe a finire questa serie crescente in progressione di potenze? Ogni Jibro potrebbe così diventar simile al pri- mo quadrato d’uno scacchiere, sul quale posto un solo granel di frumento , due sul secondo, quattro sul terzo , e così di seguito, non basterebbero all’ ultimo le raccolte di tutta la terra, E con quale utilità? fo lo dimando ad oyni giudice imparziale, anzi vorrei pur dimandarlo al Salvagnoli medesimo : crede egli aver fatto opera utile alle lettere? utile all’ Italia? crede egli che il suo libro, passati i primi momenti di curiosità, sarà più rammentato da alcuno ? Egli forse si lusinga che sia per esserlo, men- tre pur dovrebbe far voti in contrario, Opera utile. alle lettere è certo l’alzar la voce contro urta male acquistata celebrità; opera generosa è lo strappar l'alloro da fronte indegna d' esserne coronata ; ma tale non è stata al certo l’opera del Salvagnoli ; anzi egli ha operato in modo che non può evitare la pubblica riprensione. Il ciel mi li- beri dal seguirlo a passo a passo nel suo labirinto di dub. bi. Non mai ancora ho tuffato la. penna nell’ amaro in- chiostro della polemica, nè adesso intendo .di farlo. Ma essendomi questo libro venuto alle mani in tempo, quando ancora pareami udire il suono di quell’inno sublime, /a Pentecoste , volli vedere. ciò che il critico vi aveva tro- vato da dubitare , e per fortuna trovai essere questi dubbi contenuti in sole dieci pagine ( 76-86 ). Da queste si giu- dichi qual sia il valore del rimanente del libro, e mi si con- doni 1’ increscevol fatica di passarlo in rivista, ‘* Veramente ( confessa lo scettico ) quest’ inno batte » le ali un peco più alto, e lascia i suoi compagni a ra- sr La 94 I » der la terra, ma pure alcuna volta si piace di. tornare »» a far loro compagnia , se non erro, ,, i Que’ versi Quando il tuo Re, dai perfidi 20 ‘Tratto a morir sul colle, si | ul \ Imporporò le zolle VA vip n Ei : rist i 4; afidi i Del suo sublime*altar Ù gli danno materia a tre dubbi : 1.° che putano di seicen- to , perchè ‘ è da Manini il chiamare altare un monte. » Che rispondere a tale dubbio ? ‘€ Nè è vero, soggiunge : “ che il Golgota fosse l’altare , ma fu il luogo, ove fu eretto ]’ altare , ossia il santo legno della Croce. ,, Dun- que nelle chiese , }’ altare non è più la. mensa sopra la quale s° offerisce a Dio il sacrificio, ma è la croce che vi sta sopra! — 2.° ‘ Dubito che sublime non bene si ac- cordi nè col monte nè coll’ altare. ,, E. inutile il recare le insussistenti ragioni di simil dubbio. — 3. Dubito che imporporò senz’ aggiungervi col sangue non voglia dire in- sanguiuò, » Dubiti pure e andiamo avanti. E allor che dalle tenebre La diva spoglia uscita , Mise il potente anelito Della seconda vita; E quando, in man recandosi n 00) Il prezzo, del perdono , Da questa polve al trono Del genîtor salì, Cinque pagine di dubbi su questa strofa! Tanto pale Ino lettore ; ‘arriveremo’ così in un momento alla p. 83; e al- l' 86 ti ho promesso di finire. Il primo dubbio è per il potente anelito , e quì come sotto allo scudo di Aiace si ravnicchia il critico dietro le radunate autorità di Dante, del Tasso, del Segneri, del Grassi, nè bastandogli questi ricorre anche ai latini, e chiede ainto a Plauto e a Ci- cerone. E tutto questo per insegnarci ‘‘ che ‘anelare è travagliarsi giandemente per ‘conseguire la cosa desiderata; e la metafora è tratta dagli aneliti dell’uomo stanco per fatica, e viene dallatino anhelare. ,;} Non so qual bam- bino lo ringrazierà per sì nuova definizione , e per sì re- condita ‘etimologia. Ben io lo ringrazio d’aver così confer- 4 95 mata egli stesso la somma proprietà colla quale il Man- zoni ha quì usata l’ espressione potente anelito, che vi.a i presenta ‘allo spirito 1’ idea di quel primo lungo respiro di che può imbeversi il petto riscosso dal sonno della norte, e che torna con forza a farlo palpitare sì che sem- bri ansante e affannoso. E siccome l’ autore ricongiunge (p. 81) con amara derisione questo dubbio ad ‘altro su i versi « Come un forte inebriato Il Signor si risvegliò 35 al quale ha destinato una intera sezione ( 6. IT. p. 60-63) mi sia permessa una breve digressione. “ Bel vedere, egli esclama , il divino nostro Redentore svegliarsi dal sonno di morte come un forte ubriaco! ,, Perchè non ripete ine- briatot Non conosce egli per inebriato altro significato che quello di ubriaco ? conoscendone altro perchè lo tace? Veda nel Vocabolario ciò che valga la voce inebriato. Egli vi troverà di molti esempi, che sarebbe opera da pedante he che la voce inebbriare usasi dagli italiani ad esprimere non solo ogni forte agitazione dell’ animo, ma anche quella pienezza di un sentimento che tutta 1’ as- sorbe , come inebriato nella contemplazione , inebriato di dolcezza, inebriato di furore ete. Egli, combinando que- sto senso metaforico col senso proprio della parola, tro- verà che non con altra migliore poteva rendersi la forza della imagine nel salmoigi7 : Et excitarus est tamquam dor- miens dominus ; tanquam potens crapulatus a vino. Sì , io non temo asserire che questa sola voce irzebriato val più che tutte le timide parafrasi di questo passo, che il critico ha accozzate da Origene, dalla Società Clementina , dal Boaretti, e dal Venturi. Or che diventa tutta la critica della p. 84?... Ma torniamo alla p. 81 ove dice lo scettico di non intendere cosa sia i/ prezzo del perdono. Dopo una disgustosa pagina, in cui usa uno stile bernesco, che nè all'argomento, nè all’ autore, nè al critico si conviene, pur indovina che possa essere il segno della croce. Ma trova ridicola questa ur, perchè il Manzoni doveva sapere che questa croce è trecento e più anni dopo fu ritrovata da Sant'Elena , e che 96 ora in piccole parti divisa è posta segno al’ adorazione dei fedeli dall'uno all'altro polo!! Dio buono! e con tali ar- gomenti si muove guerra al Manzoni! Ma già ch'egli parla di santi e di miracoli , dica se era la croce trovata da S. Elena quella che apparve in cielo a Costantino? dica, se è la croce di S. Elena quella che il Redentore impugna , qual vessillo trionfatore, in tanti quadri de’ più eccellenti pittori che rappresentano appunto la Risurrezione? Possi- bile ch’egli non sappia distinguere un simbolo da un og- getto materiale! Ma ciò non ti farà o lettore tanta sor- presa, quanto l’udire che su questi due soli dubbi provati l’uno e l’altro insussistenti si appoggiano le seguenti con- clusioni. ‘ Ecco , esclama il Salvagnoli con voce di trion- ») fo, ecco quali forti dubbi nascono intorno ad una stro- s, fe, che udendola recitare, o lesgendola senza grand’at- s, tenzione ti pare sì bella; ecco la conseguenza di scrivere », a capriccio, senza proprietà , senza eleganza d’idee ; e so di parole. Gran suono, gran romore di parole , che ti. », empiono le orecchie ; ma dato luogo alla ragione, eri» ;» chiamato il tutto all’esame e alla critica, nulla più ine ss tendi, nulla resta di vero e di bello; e non vedi che ‘»» oggetti confusi, oscuri, fia loro discordanti, e spesso s) mostruosi; non altrimenti, che se dall’alto di un moute s, al cader del crepuscolo miri una lontana valle, su cvi »; già si addensano i vapori e le nebbie. Zox, vox, dirò s» nuovamente praefereaque nihil. , Raffrena ancora o lettore la tua impazienza, e meco prosegui. E l’inconsunta:fiaccola Nella tua destra accese. 6 Non essendo stata ancora accesa dovea certamente essere inconsunta quella fiaccola. ,, Così l’ acuto critico , che non ha saputo intendere che inconsunta si riferisce ai dì nostri. Spose , cui desta il subito Balzar del pondo ascoso , Voi già vicine a sciogliere Il grembo doloroso. ——e peo 97 Compiango l’imaginazione di chi può “ intendere abortire quello sciogliere il grembo ,,.! Ma si condoni il rimanente della p. 84, e il principio dell’ 85, chè così salteremo a piè pari sopra quattro dubbi, uno più vano dell’a!tro. Nè mi prendo pensiero che il critico possa dire che io non li tocco perchè non so ribat- terli. Ogni lettore può farlo in mia vece coll’aiuto ‘del vocabolario o senza , ed io ho intanto un dubbio più serio da sciogliere all’autore, e forse ancora un’ utile lezione da dargli. ; “ Che vuol dire (egli domanda ) che vuol dire di un », fiore — nè sorgerà coi fulgidi color del lembo sciolto ? » — Che cosa è questo /embo sciolto ? È un nuovo astro, 3, è un nuovo pianeta , che si chiami /embo ? Ma no ; che 3» un astro e un pianeta non può essere sciolto. È forse », una nube? Ma la nube non ha fu/gidi colori. Che cosa », è dunque un /embo sciolto, e quali sono i suoi fulgidi » colori ? L’ autore certamente non ha potuto qui usare la > 0 lembo in quel significato , in che l’usano gl’ita- iani tutti. Egli non può aver commesso un errore sì ss badiale : e questa parola dee avere un qualche signifi- », cato nuovo finora e incognito , e che imparerò con molto »3 piacere. ,, (p. 85) — Gli darò io questo piacere , ma prima dichiarerò apertamente, che a parer mio in tutto il campo della critica letteraria , o piuttosto di quell’ odiosa polemica di cui sì trista è fra noi la storia, non sia da trovarsi cosa che pareggi il precedente periodo. Che cosa è il lembo d’un fiore ? Questo egli sembra domandare , ma poi dà ad intendere cle il significato, in che gl’ italiani tutti usano la voce /embo, è quello d’un astro, d’un p'a- neta , d’ una nube! Or io son quello , anzi credo che gl’ita- liani tutti sen quelli che impare:ebbero con piacere dal Salvagnoli d’onde abbia tolto questo significato nuovo fi- nora e incognito. Ben io sospetto l'equivoco, ma senza trattenermi in definizioni di meteoro!ogia, gl’inseguerò che lembo vale orlo, estremità d’ogni cosa, però anche d’ un fiore; di più gli dirò che /embo è termine più particolar- mente botanico e proprio de'fiori munopetali, usato per tale T. XXXV. Luglio. 13 98 in intte le lingue moderne che hanno per madre la latina; e in quanto all’italiana gli dirò con uno scrittore italiano che “ il Zembo è quella più superior parte del calice e della corolla che trovasi più dilatata in una più larga superficie ec. ,, (Tenore trattato di Fitognosia, Napoli 1816 Vol. 1 p..162, e 176). Il Zembo è dunque quella parte appunto del fiore che sciogliendosi mostra i suoi fulgidi colori. Or che diventa quell’ ironico interrogare , e quel. l’ indiretto accusare il Manzoni di aver commesso un er- rore badiale? —Peggio di un errore badiale è quello che ha commesso il critico, perchè peggio d’ un errore qua- lunque è il tentar di villaneggiare un grand’ uomo, Eccomi finalmente all’ultimo: Per te sollevi il misero dA Al ciel, ch’ è sno , le ciglia ; Volga i lamenti in giubilo , Pensando a cui somiglia : Cui fu donato in copia Ad Con quel piacer pudico Doni con volto amico, $ sà n Che accetto il don ti fa. Lettore ! se questi versi destano in te que’ medesimi sensi di tenerezza e di carità che m’ ispirano , leggerai con pietà le seguenti parole , che a gran pena trascrivo : ‘‘ Confesso ,» la mia ignoranza, dice il Salvagnoli; ma senza che l’au- ,; tore mi spieghi con altre parole il suo pensiero , io non ;. so giungere a intendere i quattro ultimi versi di questa ,» strofe , per quanto mi vi affatichi, e mi lambicchi il », cervello ,, ( p. 86). — Certo qui non giova il lambic- carsi il cervello : e voglio credere che il troppo pensare gl’impedisse il sentire. Li rilegga una volta ancora, e un palpito del cuore gli farà, spero, intendere ciò che ri- mase oscuro al pensiero. Ma fortunatamente son passate le dieci pagine , e però sono sciolto dall’obbligo mio. Venga pure il Salvagnoli a mietere o a spigolare nel mio campo; io certo non vi porrò il piede più per incontrarlo. Ma s’egli vuol ricevere un utile consiglio, scenda nel nobil campo della vera critica, abbandonando quello dell’ invidiosa polemica. Qual bene 99 può egli sperarne per sè o per gli altri, supponendo ancora che avesse qualche volta ragione? Mi ricordo che nelle scuole venni un giorno costretto co’ miei condiscepoli a cercar difetti in una ecloga di Virgilio, e che premiato fu quello che più si accostò al Castelvetro, che ve ne aveva notati, se ben mi ricordo, più di cinquanta. Io non ebbi il premio , perchè per ogni difetto notai un doppio numero di bellezze ; e più mi rallegra la memoria di quella disfatta che quella di qualunque fanciullesco trionfo. Ora non doppio ma decuplo al numero de’dubbi è quello delle bellezze che il Salvagnoli poteva notare negli Inni. del Manzoni ; ed egli non ha saputo accennarne neppur una sola. Anzi, in molti luoghi del suo libro, egli si mostra affatto insensibile ad ogni incanto di poesia , e mostra non potere tener dietro a un volo che devii dalle regole comuni, o per dir meglio che sprezzi queste, onde altre più sublimi seguirne. Egli si è posto fra quei critici a’ quali dovreb- besi dar l’ ufficio di rigar carta bianca per i poeti cui piac- ciono le linee parallele , o che volendo far versi dovreb. bero starsi contenti col mettere in rima i primi sei libri degli Elementi di Euclide. Pur non debbono l’ultime mie parole esser parole di scherno. lo non conosco il Salvagnoli , e se mi è cara l'amicizia del Manzoni, pur non altrimenti avrei scritto, se ignoto il Manzoni , e amico mi fosse il Salvagnoli. Se non che in quest’ ultimo caso forse non mi sarebbe stato necessario lo scrivere, perchè avrei impiegato tutto il. po- tere dell'amicizia a impedirgli di pubblicare un tal li- bro. Egli è certo capace di cose migliori, onde perchè fare abuso di forze in un campo ove amari sono i frutti stessi della vittoria ? ove i successi si numerano coll’impallidire di nobili (fronde ? ove spira per aura un soffio che tutto inaridisce, ove scorrono rivi di fiele che tutto avvelenano, ove la luce è un livido raggio che tutto scolora ? — Oh sva- nisca , svanisca dal paradiso d'Italia questa creazione di larve maligne , e torni la critica seguace ai voli del genio, compagna ai moti del cuore! Enrico Mayer. 100 Opere varie d' Ennio Quirino Visconti rac. e pub. per cura del dott. Gio. Lasu-. Milano, Stella 182) tomo secondo in 8.9 fig.° Altra volta si è detto nel nostro giornale , perchè que. sto secondo volume dell’opere varie del Visconti siasi anda- to stampando assai lentamente. Voleasi da chi ci raccoglie quell’opere ch’esso fosse, non di nome soltanto, il compiniento della parte italiana dell’ opere medesime. Quindi l’indugio della stainpa, cagionato dalle indagini e dall’altre cure che il volume richiedeva, ci era pegno della novità non che del- I’ abbondanza delle cose che vi si troverebbero, e ch'io verrò enumerando. Prima è l’ illustrazione , già stampata in Roma nel 1794 ma divenuta assai rara, delle pitture d’ un antico vaso fittile trovato nella Magna Grecia ( presso Bari nella Pu- glia ) ed oggi appartenente al principe Poniatowski. Du- plice e non comune, come il Visconti ci assicura , è il soggetto di queste pitture. Poichè nel dinanzi del vaso esse ci rappresentano Trittolemo su cocchio alato e tratto da due draghi fra sette altre figure, tre dai lati, Cerere, Ecate e Cibele, e quattro all’alto, Giove, Mercurio, Proserpina e la Primavera, che il Visconti spiega dottissimamente come si trovino insieme ; e nel'a parte posteriore lasio , altro pre- diletto di Cerere, entro un’ edicola fra quattro figure , due di sacerdotesse e due d’ iniziati ai misteri eleusini. Le pit- ture del dinanzi possono chiamarsi, come s’ esprime il Vi- sconti, un vivo comento al famoso inno a Cerere , sco- perto più anni sono a Mosca , e attribuito ad Omero. La loro squisitezza, a cui corrisponde il molto buon garbo dell’ altre, che dovendo trovarsi meno in vista sono me- no elaborate, le fa credere de’ tempi anteriori ad Ales- sandro, Nel mezzo d’ un grazioso arabesco , che adorna il collo del vaso, vedesi una testa pileata di giovanetto spun- tar da un fiore , probabilmente il narciso, dipinto anche di fianco a Cibele. Altri ornamenti del vaso, 1’ ellera che ne circonda il labbro, le maschere in cui terminan l’anse, I10I i cigni sotto l’anse medesime , questi allusivi alle Ninfe, e quelle a Bacco, convengono ad un'recipiente che potea contenere sì l’acqua che il vino “ per-tacer delle miste- riose relazioni di Bacco con Cerere e con Proserpina, e di quelle delle Ninfe con Proserpina stessa e con Bacco ,,. Vien quindi l'esposizione, già stampata in Siena nel 1794; ma anch'essa oggi rara, delle leggende e de’ tipi della medaglia coniata l’ anno già detto , per premio de'con- vittori del collegio Tolomei ‘di quella. città. La medaglia rappresenta nel diritto ( ch’ è la parte ‘più degna d° espo- sizione) una mensa agonistica, la qual sostiene una corona d’ olivo, un ramo di palma ornato di bende e un vaso a due manichi di greca foggia , ed ha da lato un Ermatene con scrigno rotondo pieno di volumi ed un freno a’ pieili, AI dissopra della mensa leggesi per epigrafe Dona Miner- vae, e nell’ esergo Apereioy , onde si fa chiaro a chi quei doni son destinati. Come il Visconti dice che Ja medaglia è imitata da una di Ne:one allusiva ai certami capitolini, il dott. Labus, perchè veggasi in che questa propriamente le abbia servito di modello, gliela pone a fronte, illu- strandola colle dottrine del suo celebre maestro , il -Mor- celli, che scrisse già sull’Agone Capitolino. Segue la descrizione, tratta dal Giornale di letteratura, che stampavasi in Mantova nel 1795, d'un antica tromba idraulica, trovata presso Castronovo, era la Chiaruccia, nel littorale di Civita Vecchia. È la tromba famosa (aspirante e premente ) di Ctesibio , il qual fiorì sotto i Tolomei , 250 anni innanzi all'era nostra , vale a dire 20 secoli circa prima che fosse dimostrata la teoria del peso dell’aria. Se ne avea la descrizione da Vitruvio e da altri, e se ne desiderava il modello qual cosa importantissima. Questo», di cui si parla, sembra al Visconti de’tempi d’Antonino Pio, ed è molto ben conservato. Nella presente ristampa della sua illustrazione si è supplito ad alcune dimenti- canze dell’ archeologo relativamente a varie sue parti. Succede una /ettera, già diretta al card. Borgia e stam- pata in Roma nel 1796, su d’un antico piombo weliterno conservato nel museo di Parigi e mandato in disegno dal / 102 Barthelemy al Zoèga. Un'altra lettera avea scritta pocanzi sopra di esso il nostro Sestini al Zoèga medesimo, dichia- randolo una. tessera di spettacoli, e congetturando che dall’ una parte vi fosse rappresentato l’ ordine de’seniori , dall’altra quello de’juniori di Velletri..Il Viscontì è più che d’accordo con lui quanto alla denominazione del piombo, ma differisce nello spiegarne i tipi, ne’quali invece ravvisa il Genio del municipio,e quello del collegio della gioventù di Velletri già detta. Da un tal piombo, secondo lui, ap- parisce la forma delle tessere usate ne’ municipii e nelle colonie romane pe’ ludi, che si celebravano dalle sodalità giovanili, e rammentate ne’ libri e nelle iscrizioni. Questi ludi, consecrati nel calendario latino come un’ appendice .de’ saturnali , ei propende a crederli cominciati sotto l’im- pero di Caligola ; il dottor Lubus sotto quello di Nerone. Del resto si veggano intorno ad essi le dissertazioni del- l’ Oderici, come intorno alle tessere degli spettacoli la dis- sertazion del Morcelli, che colla lettera del nostro auto- re, dice il Labus medesimo, viene a formare un trat- tato completo. Più dotta, anzi sparsa de’ più bei fiori dell’erudizione, è la Zettera, che viene appresso, già diretta al Zoéga e stampata in Roma nel 1799, su due monumenti in cui è memoria d' Antonia Augusta. Uno di essi è un altro piombo veliterno , un’ altra tessera di spettacoli , appartenente al museo borgiano. Servi, pensa il Visconti, per spettaco- li funebri, dati nell’ anfiteatro di Velletri da vari col- legi riuniti , in morte dell’ Augusta già detta, di cui vede l’ effigie nel diritto del piombo, come vede nel rovescio un Mercurio Psicopompo. Un dotto alemanno, Kohler (que- gli che dichiarò già una misera frode moderna la celebre argenteria scoperta sull’ Esquilino e illustrata dal nostro archeologo ) non esitò a farsi beffe anche della sua spie- gazione del piombo , di cui ora si parla. Quindi il dott. Labus la vien confermando con nuovi argomenti ; ai quali gli piace aggiungere l’ autorità ben rispettabile del Zoé- ga, e quella non dispregevole del Millin. — U secondo monumento è una lapide scoperta nelle ruine dell’ antica _—-rr—r———ooité@e@iIte@tet.etetettt0t0t0t00tttoEOtdteéeéIàReeRe az 103 Sinuessa poco lungi dal moderno Mondragone , ed or con- servata nel museo Danielli di Napoli, la qual contiene un greco epigramma, assai leggiadro , che il Visconti ci dà tradotto con opportune annotazioni, Quest’epigramma parla di un’ Eone, ÉEon che già di Druso e della sposa , — cre- sciuta ne’ palagi era letizia, — era delizia de'signori suoi. Aveva essa fatto erigere su//e spiagge del mar sinuessane un tempio a Ciprigna, e invitava i passeggeri, salutata che aves- sero la Dea, a soffermarsi un poco presso a Bacco e alle Ninfe alle sals’ onde, cioè sotto i pergolati posti ivi in- torno e a’ bagni vicini. Autore del leggiadro epigramma , il cui comento ha parti non meno leggiadre , fu per av- ventura , come il Visconti vien dottamente congetturan- do , quel M. Pompeo Giuniore , poeta antologico , di cui s’ ignora la patria e l’ età; ma che può credersi quello stesso che Strabone ci addita come caro ai figliuoli di Li- via Augusta. Seguono due /ettere, una inedita, scritta al cav. Lam- berti nel 1806 intorno a due antiche iscrizioni trovate presso Risano in Dalmazia, l’ altra seminedita , scritta al conte Silva nel 1811 intorno alle 16 colonne presso S. Lorenzo in Milano. Delle due iscrizioni , che il Visconti all’uopo cor- regge e supplisce, l'una è greca, l’altra latina. La prima contiene una legge sepolcrale con pena pecuniaria a’contrav- ventori ; ciò che nelle greche iscrizioni non è frequente . La seconda riguarda un lascio per non so che fabbrica, la qual doveva inaugurarsi con un banchetto. Come in essa è nominato un Manlio judex ex quirque decuriis, il Vi- sconti osserva ch’ ei non potè essere anteriore all’ impero di Caligola, il quale aggiunse alle quattro decurie già esistenti di giudici per le cause civili anche la quinta , sì ch’essi di quaranta , che già erano sotto Augusto , divennero cin- quanta. Ma il dott. Labus opina e direi quasi dimostra che la voce decuria nell’iscrizione di cui si parla significhi ceto o collegio di mille, sicchè i cinquanta giudici si accrescono fino ai cinquemila. — Circa alle colonne presso S. Lorenzo, ‘che molti credettero un avanzo delle terme di Massimia- no , il conte Silva avea già detto in un suo opuscolo che 104 doveano essere state trasportate colà ne’ bassi tempi da un edifizio vicino; forse da un tempio di Lucio Vero. Al Vi- sconti par probabile che il fossero da uno degli edifizi, che sorgevano presso al foro , e forse dall’Augusteo o tem- pio de’ Cesari, ove sarà stata anche la statua di L, Vero, il che argomenta da un'iscrizione citata dal Silva, e ch’ei suppone incisa in un gran piedistallo, Ma il dott. Labus avverte ch’ essa lo è in una tavola rettangolare, e ripro- ducendola qual’ ei 1’ ha trascritta dalla tavola medesima, cioè esattamente qual mai non fu stampata; dice esser verosimile che fosse posta all'imperatore già detto', allor- chè, dopo aver trionfato in Roma degli Armeni e de’Parti, passò per Milano movendo contro i Quadì e i Marcomanni. Dottissima quantunque brevissima è la spiegazione, ch’ indi si legge, d'un antico musaico, già stampata nelle Memorie romane d' antichità e belle arti con annotazioni del nipote dell’ autore , che qui si danno trascelte. Questo musaico fu trovato a Poggio Mirteto nella Sabina, ed or si conserva nel museo Chiaramonti. Esso è assai riguar- devole per l’ esecuzione ma non lo è meno per 1’ inven- zione. Sotto il noto emblema della Diana multimammia , che veneravasi in Efeso, vi è rappresentata nel mezzo la virtù produttiva della natura . Il circolo intrecciatole in- torno da una ghirlanda d'alloro allude al sole che, giusta la frase del poeta, è il suo maggior ministro, 1’ aquila , che stringe il fulmine, postole al dissopra , significa l’azion di Giove o della Divinità sulla natura medesima, a cui dà energia per mezzo del fuoco , la più attiva delle crea- ture, ‘* Anzi l’accorgimento di collocarla fuori del cerchio ci dimostra che l’ inventore era molto alieno dal pantei- smo, dogma che si era propagato nelle scuole di quasi tutti i filosofi, ec. ,, Altri simboli, la querce, 1’ olivo, il loto egizio , 1’ arboscello del balsamo arabico , il gallo , la ci- cogna, altri volatili circondano l’ emblema. principale , ed hanno tutti o nel testo o nelle annotazioni opportuna spiegazione. In più luoghi del fregio, che non è la parte meno bella del musaico, sembra rappresentato il fiore del silfio cirenaico , soggetto pel Visconti d’ erudita poscritta, 105 che leggiamo in un facsimile aggiunto alla tavola rappre- sentante il musaico medesimo. Le osservazioni finora inedite sopra un catalogo degli antichi incisori in gemme (quello, dice il dott. Labus, che si vide nella prima edizione dell’ Introduction & l érude des pierres gravées del Millin, e che in grazia di queste os- ‘servazioni fu poi tanto migliorato nella seconda) possono ri- guardarsi come un proemio all’ altra operetta, anch’ essa inedita, che vien poco dopo, l’esposizione cioè dell im- pronte d' antiche gemme raccolte per uso del principe Chigi. ‘Se le:osservazioni sono cosa più originale e più dotta , l’al- tra operetta, ch’ è d’ estensione assai maggiore, sembra anche duver riuscire di maggiore utilità, È gran tempo , dice il dott. Labus, che gli studiosi vanno chiedendo alla critica archeologica una regola sicura , per distinguere i monumenti antichi dalle imitazioni o contraffazioni moder- ne , statuirne l’ età , lo stile, gli autori , l’uso ; il signi. ficato. Questa regola generale sicuramente non può essere l’opera: d’ un solo uomo, o sembra almeno che non possa esserlo se. da uumini diversi non si fanno precedere delle regole speciali , relative alle diverse classi di monumenti. Un’ esposizione , fatta dal Visconti, di secento e più gem- me, da lui classate col suo solito giudizio, e notabili tutte o pel soggetto o per l’ artificio o per qualche accidentale celebrità , sarà facilmente ricevuta qual ottimo saggio, per non dire qual modello de’ lavori speciali ch'io accennava. Che se è vero ciò che dice il Visconti medesimo, che, fra tutti gli antichi monumenti , le gemme , e per la loro or- dinaria conservazione ,° e per la facilità di averne copie esattissime , sono i più utili, certo l’ esposizione , di ‘cui si parla , dovrà chiamarsi utilissima. Quest’esposizione non è accompagnata da tavole, che avrebber richiesto troppo lungo lavoro, senza speranza d’utile corrispondente, poichè tutte le gemme, ch’essa riguarda , già sono edite ne’ datti- lografi citati dall’ autore, nè i disegni, che le rappresen- itassero , molto avrebbero aggiunto all’esposizione medesi- ma. Essa è or pubblicata sopra una copia dell’ autografo, T. XXXV. Agosto. 14 “a bui 106 coli i chi è a Roma , coll’ aiuto d’un altro della biblioteca! rea- le di Parigi, il quale ha fornito non. poche giunte e varianti, Così il catalogo, che segue, delle gemme anti- che del principe Poniatowski è tratto da un autografo romano , posto al confronto d°’ altro della biblioteca ;pa- rigina già detta, e alquanto più copioso. Del rimanente anche questo è assai lungi dal raggnagliarci compitamente d’ una raccolta , che dopo la partenza del Visconti dall’Ita- lia si è tanto andata accrescendo. Il Visconti peraltro ‘(nen ne avea solo cominciato il catalogo, ma anche l'esposizione, che per disgrazia è perduta, Per disgrazia:ancor più.grande'è perduta quella delle Gemme Vaticane, ch'egli nomina nelle osservazioni sul catalogo del Millin, e che dovea veder la luce in, due volumi in foglio uguali a. quelli della prima edizione del Museo Pio Gi ladecatinde Fra le osservazioni dette pocanzi , e l’esposizion delle impronte, che ho creduto bene di riunire, leggesi l’illustra- zione d'un gruppo d’ Apollo e Giacinto già pubblicata.nelle Effemeridi Romane del 1823 ; e la descrizione finora inedita ‘d’altro gruppo rappresentante la Pace che allatta Pluto bam- Bino. Il primo gruppo, che ignorasi ove oggi sitrovi, fu tratto nel 1790 dagli scavi della Villa Fede, che occupa una parte dell'antica villa Adriana, Esso, giusta l’asserzione del Visconti, è'cosa ‘bellissima, e conferma alcune dottrine già da lui pro poste.sul. metodo de’greci artisti, e fra l’altre che sempre facea- no gli Dei maggiori degli uomini. Nulla di più delicato, egli dibel del Giacinto; nulla di più sublime dell'Apollo, Certo questa scultura. è opera d° insigne artefice, chè tale doveva essere il prescelto ad eseguire per la villa d’Adriano un sog- getto! “ sì atto ad adulare la nota debolezza di quell’ Augu- sto, che aveva anch’ egli in Antinoo perduto e deificato il suo Giacinto, ,, L’ altro gruppo , bello d° altra bellezza, è replica d’una delle produzioni più filosofiche dell’arte an- tica. Rappresenta , come si accennò, la Pace che allatta Pluto bambino 4 il qual si riconosce a vari simboli, cioè la pace alimentatrice della ricchezza. L° originale, scolpito da Cefisodoto, ammiravasi, come sappiamo da Pausania , nella curia d' Atene. La replica, un po’ maltrattata dal tempo, n $ "i 107 è stata restituita alla primiera integrità da V. Paccetti. — Aggiugniam qui, poichè il Inogo è opportuno, l’illustrazione scritta nel 1701, e stampata quest’ anno a Venezia , d’un* altra greca scultura , posseduta dalla contessa Grimani , una testa bellissima d’ Apollo , proveniente anch’ essa da Atene, Essa ha molta somiglianza , dice il Visconti, con quella dell’ Apollo di Belvedere. È peraltro più svelta, più tranquilla, ha i capegli meno elaborati , fermati da un solo nastro , e raccolti al di dietro da un nodo artificioso, ma di stile assai antico. Forse è presa da qualche insigne origi - nale, da cui pure fu presa quella dell’ altro Apollo , cioè , come può supporsi, dall’ Apol!o di Calamide. Innanzi a quest’ ultima illustrazione è la dichiarazione del tempio dell’ Onore e della Virtù, già pubblicata. nella raccolta de’ tempii antichi del Piranesi , ed or corredata di ho. da altre dichiarazioni della raccolta medesima. detto tempio , che già fu doppio g°e dominò maesto- samente l’ antica Valle Egeria , or più non esiste che quello dell’ Onore , sotto il titolo di S. Urbano. Chi lo cre- dette un tempio di Bacco fu tratto in inganno da un’ara che ancor vi si vede, e che vi fu trasportata, come il Vi- sconti congettura , dal vicino. predio /di Aproniano . È uno de’ più antichi tempii , che ci sieno rimasti così in- teri , e segna, per così dire, un passaggio fra due età dif- ferenti della romana architettura. I suoi ornamenti e cangiamenti successivi sono anch'essi di qualche momento per l’ arte. Ma indipendentemente dall’arte avvi nella sna storia qualche cosa che interessa in particolar maniera, e il Visconti dovea ragionarne con piacere, Egli ha fatto de- gli scavi per iscoprire i fondamenti del tempio della Virtù, di cui sì veggono sopra terra alcune rovine, ed ha trovato ch’ era pressappoco d’egual grandezza che quello dell’Ono- re. lo non dubitava di questa proporzione, troppo consen- tanea alla saggia idea di (arci passare al pio dell’Onore per quello della Virtà. Terminan la serie degli scritti archeologici contenuti nel volume alquante emendazioni ed aggiunte al Museo si Na , De. 108 Pio Clementino trasmesse nel 1817 al nostro Molini, che pe’conforti del celebre Schlegel avea intrapresa la ristampa di questa grand’ opera , e per la morte dell’ autore avve- nuta poco appresso la interruppe. — Vengono quindi due scritti letterari, alcune riflessioni cioè sulla maniera di tra- dur Pindaro, già impresse in Modena del 1773 nel nuovo Giornale de' Letterati, e una Zezione accademica sul Neu quarta loqui persona laboret 4’ Orazio, già stampata in Roma del 1785 nelle Memorie per le belle arti. Se i sag- gi di traduzione, che il Visconti frammette alle rifles- sioni indicate, non corrispondono del tutto alla gran- dezza e alla varietà del liriro tebano , queste riflessioni però mostrano ch’ei ne avea molto bene compreso il ca- rattere. Quanto al recato verso d’ Orazio, ognuno può. esser certo che non lo interpreta da pedante. In tutto il corso della sua lezione egli si mostra assai. perito e del teatro greco e de’ vari teatri moderni, Ed è notabilissimo, pel tempo in cui la scrisse, il pomposo elogio che fa di Sha- kespeare verso la fine. ‘‘ Nè credo già lodando Shakespea- re (sue parole ) di contraddire a quanto di sopra espressi in lode de’greci esempli e della loro osservanza e imitazione: il copista della natura non può esser mai tanto lungi da- gli antichi originali, ec.,, Del resto, egli aggiunge, ribat- tendo |’ accusa capitale che suol darsi a quel poeta, an- ch’ egli s' è proposto il simplex et unum, e l’ha mirabil- mente ottenuto : solo è da avvertire che la semplicità e l’unità delle sue composizioni ‘ non è quella comunemente intesa dagli scrittori di drammatica..,,, — Chiudono: il vo- lume undici lettere quasi tatte inedite (cinque delle quali al Molini in proposito della ristampa che già si disse del Museo Pio Clementino, due al Monti in proposito della sua Iliade, ec.) una breve biografia del Morcelli, della quale già si lesse un brano nelle notizie che il Baraldi scrisse di quel dotto:e stampò in Modena del 1825, e final- mente l’ altra breve biografia , che il Visconti scrisse di sè medesimo, e che si lesse poco innanzi alla sua morte nello Spettatore Italiano. — La diligenza di chi procura 1’ edi» nie n 109 zione delle sue opere varie non potrebbe, come ognun ve- de, esser più grande, Sia essa corrisposta da quelli almeno che dicono di amar tanto la nostra classica terra. M. —————€<€€€&>——x=x———£v_Té-|----—T_k»£Ò_T-++I+{.-__————_+1P+__—_.—_——_____—__—_—_——_——_—_ Srepizione sotentiricA IN Ecirto. Lettere del signor CA Am- porr1on dal dì 8 di novembre , al primo di gennaio(4). Monfaluth, addì 8 di novembre 1828. e Tre. giorni stemmo accampati sotto ‘alle immense Pi- ramidi; non in grazia di quelle moli che sì poco ti dicono per ci sei vicino, ma per vedere e raccogliere note e disegni dalle tante grotte sepolcrali scavate nel masso. Una specialmente , di certo Eimai, presenta una serie di bas- sirilievi importantissimi alla conoscenza delle arti. e dei mestieri dell’antichissimo Egitto. Tali monumenti me- ritano non minore attenzione che i gran quadri bellici de’ palazzi di Tebe. D’intorno alle piramidi ho trovate assai tombe di principi, figliuoli de’ re , e di gran ‘personaggi; i ma iscrizioni di conto ben poche . +. +. + + + + + Nell’alto Egitto, a Brinieh , visitammo la filatura di cotone , lavorato con macchine all’europea. Di lì, fatte le provvigioni necessarie, n’andammo a S\adeh per vedervi mn ipogeo greco d’ordine dorico, già da altri descritto: quin- di a Zauyet-el-Maiehn, dove trovammo qualche ipogeo ‘con bassi rilievi rappresentanti oggetti di vita domestica e civile: ‘e copiatili in tre giorni, si giunse col favore d’ un tempo burrascoso , a Beni-Hassan in poch’ ore. Sull’ alba del giorno seguente , alcuni de’ nostri gio- vani , iti a visitare le grotte vicine, annunziarono che le (1) Le relazioni del sig. Lenormant ci abbandonano ; e noi torniamo alle lettere del signor Champollion. Ma le particolarità filologiche e storiche, qui le omettiamo , giacchè queste si conosceranno ben/meglio dall’ opera che il ch. viaggiatore pubblicherà al suo ritorno. Quì non si dà che il semplice itinerario, 110 pitture erano quasi tutte svanite. Io mi. vi recai nondimeno; e qual fu la mia maraviglia e il piacere, al vedere una serie mirabile di pitture che diventavano evidentissime fin nelle} particolarità più minute, appena bagnate con una spugna, e levatane quella crosta di polvere fine che le velava.. Si mette mano tosto al lavoro, e in virtù delle nostre scale e della nostra benefica spugna, vedemmo spiegarcisi innanzi i più antichi dipinti che mai si sap- Piamontizii n ib. Im i . . . . e) i . . . . . I dipinti della tomba di Neothopht, son tante vere pitture a guazzo, di bello e delicato disegno : la più bella cosa ch'io m’ abbia fin quì veduta in Egitto. Gli ani. mali , sien quadrupedi, sieno necelli, sien pesci, sono rap- presentati. con tal verità, che le copie in colori ch'io ne ho, fatte trarre , somiuliano alle incisioni in colori delle nostre più belle opere di storia naturale. É se non fossimo in quattordici ad attestare la esattissima fedeltà del nostro layoro , non sarebbe facile il crederla . + I quindici giorni di lavoro a Beni-Hàssan son, passati non senza frutto. Allo spuntar del sole, si saliva agl’ipo- gei; e lì disegnare, colorire ,, trascrivere: un'ora al più era concessa al parco desinare portatoci dalle barche ; e si imbandiva Ja»mensa lì a terra sulla sabbia , nella gran sala dell’ ipogeo, dalla quale noi scorgevamo, a traverso le colonne di dorico antico, le belle. pianure dell’ Epta- nomide, Col cadere del sole, finiva il lavoro ; si tornava alla barca a cenare, a dormire : e all'indomani la mede- sima vita, Questa vita sepolcrale ci ha fruttata una serie di tre- cento disegni esattissimi, felicissimi. Sole queste ricchezze basterebbero a render utile il mio viaggio. L’ architet- tura se ne eccettui ,.alla quale io non m’ applico se non ne Inoghi o non visitati o non conosciuti. Ecco la nota delle mie conquiste , quale la tengo nel mio portafoglio; nota per ordine alfabetico , per poter tosto trovare i disegni già fatti, e confrontarli coi nuovi monumenti del mede- simo genere, I.° Agricoltura. — Disegni di lavoro a mano e co’bovi; Tri seminagione ; picizitara della terra, fatta da’ montoni e'non da’ maiali, com’ Erodoto dice; cinque sorte''d* aratro'; la vangatura ; la mietitura del grano , del dino ; 1° accovona- tura, la macinatura , la battitura, la misurazione , 1 am- maggazzinamento; due disegni di ‘vasti granai sopra' due piani differenti; il lino trasportato sugli asini; molti ‘al- tri lavori campestri, e fra questi la vaitodiea del loto; la coltura della vigna, la vendemmia; il trasporto dell’uva, Ta sgranellatura-; diie forme di strettoio ,, umova braccia , di altro a ssalilta l’infiascatura; il riponîmento in'cantiva, la fattara del vin cotto; eccettera’: e tutte queste’ rappre- sentazioni, e le seguenti, con leggende ‘geroglifiche dichia- rative, con innoltre nominatovi l'raterideritettdella Casa | campestre e i suoi segretarii. Il-° Arti e mestieri. — Quadri, il più, colorati’, ‘per me- glio dichiarare ogni cosa; rappresentanti, lo scultore in' pie- a, lo scultore in legno, il pittore di statue, il pittore d'architettura, di mobilia, e di lavori di legni; il ‘pittore in atto di lavorare al suo cavalletto $ scrivani e giovani di studio di tutte le specie ; operai di petriera trasportanti de’ massi; tutte le operazioni dell’arte ‘del vusaio , pi- giatori che impastano la terra ‘co’ piedi , altri con ‘mano, l’'informatura dell’ argilla, i cocci al tornio, il vasaio che . lavora al ventre o alla bocca del vaso, la prima cottura ‘vin forno, poi la seccagione ; il taglialegne, il fabbricator di mazze, di remi; il legnaiuolo , lo stipettaio’, il lavo- rator di mobilia ; il segatore di legna, il cuoiwo, il co- | loritore di pelli o di marrocchini, il calzolaio , i filatori, pa) tessitori di tela o dia itre materie il vetraio con le sue operazioni , l’ orefice , il gioielliere , il fabbro ferraio , ec. III° Canto’; musica ,. ballo» — Quadro rappresentante una sinfonia di canto e di suono : uno che suona l’ arpa, un che canta, secondato da quattr uomini e cinque fem- mine le quali con la mano battono il tempo; poi sona- ‘tori d’arpa d’ ogni sorta, e di flauto, é di zufolo , e d’una icerta conca; poi ballerini in varii atteggiamenti, con sotto il nome de’passi che fanno , poi una raccolta singolarissima Pi è 112 di ballerine o sciupatelle del classico Egitto, che ballano, cantano, stanno giocando alla palla, facendo alle forze. IV,® Educazione del bestiame. — Disegni molti di bifolchiù, e di tutta sorta bovi , vacche, vitelli ; 1’ gtto del mungere, del far il cacio ed il burro ; caprai, asinai , pa- stori con le lor pecore; operazioni veterinarie ; cortile con oche, e anitre di varissime specie; poi.una sorta di cicogna, familiare all’ antico! Egitto. iti x? Giochi, eserciziù, divertimenti. — La mora, Te bruschette, lo scaldamano, il pallamaglio, giuochi. di piuoli, conficcati in terra; varii esercizii di forza ; caccia di fiere ;' una gran caccia nel deserto con quindici specie ;0, venti, di quadrupedi; il ritorno dalla caccia, con gli uccelli parte morti, parte vivi; varii quadri dell’ uccella- gione a rete (un de’ quali è in grande, colorito sul fare dell’originale), poi un disegno in grande di varie sorte di lacci per gli uccelli. Questi arnesi da caccia. son.dipinti a parte in qualche ipogeo. Poi de’quadri di pescagione, come la pesca alla lenza, alla lenza con la canna; pesca col tridente 0, col didente ; alla rete. Poi la governatura degli 1 uccelli presi ; e simili. VI® Giustizia domestica. — Un. quindici disegni di bassirilievi, che rappresentano. delitti commessi da’ do. mestici ; l'arresto, l'accusa , la difesa del reo ,.il suo giu- dizio dato da'soprastanti della casa; la condanna , e la pena, ch’è la bastonatura, di cui si presenta dal sopra- stante il processo verbale in man-del' padrone, # VII.S Iconografia. — Ritratti de’ re; e (di gian perso — naggi. Questa raccolta non è che incominciata ; nella T'e- " baide avrà compimento. VII. Interno di una casa. — Questa serie è ormai ricca, e comprende. tutti gli oggetti della vita privata. Curiosi disegni di varie case egizie, più o meno belle, di vasi, utensili, e mobili; tutto in colori, i quali: costan- temente indicano la materia: poi un bellissimo seggiolone: poi delle stanze; con porte a due battenti, portatili sopra un carro , e che servivano di vetture a’ gran personaggi 113 poi scimmie, cani, gatti di casa, ‘e nani , e altre mo- struosità , che mille cinquecent’anni avanti G. C. servivano a stuzzicare il diafragma dei buoni signori egizii, come mille cinquecent’ anni dopo la venuta di G. C. servivano a rasserenare il negro umore dei buoni baroni europei: poi gli impiegati d'una casa ricca, intendenti, scrivani e simili: poi domestici e fantesche che; portano comestibili ‘ogni sorta ; poi la maniera di ammazzare e squartare un bove per gli usi di casa; poi molte cuoche che starno preparando di buone robe classiche ; infine domestici che portano alla tavola le vivande. IX.9 Milizia. — Educazione de’ soldati , e tutti gli esercizi ginnastici ; più di dugento disegni: con tutte le attitudini e po»iture che può prendere un abile lottatore, in atto di assalire , difendere, rinculare , avanzate , ritto, riverso. Quì si vedrà , se l’arte egiziana non conoscea che il profilo , e non sapea fare che le gambe unite, e le braccia appiccicate a’ fianchi. Più di sessanta figure rap- presentano soldati di varia armatura e qualità ; più la guerra alla spicciolata , e l’assedio, e la testuggine , e l’ariete ; e i gastighi militari ; e un campo di battaglia ; e un desinare all’ accampamento; e fabbrica di lance, giavellotti , archi, frecce, clave, azze ,s eccetera. ; X.° Monumenti religiosi. — Immagini di divinità , disegnate con colori, sui più be’ bassirilievi. Questa serie mi diverrà sempre più ricca e più bella. XI.° Monumenti storici. — Iscrizioni » bassirilievi , — memorie d’ogni genere , portanti il nome d’ up re, con l’anno. i | i XII.° Navigazione. — Costruzione di bastimenti e di barche d’ogni sorta; giochi marinareschi, similissimi alle giostre moderne della Senna ne’ giorni solenni. XIII.® Zoologia. — Quadrupedì , uccelli , rettili, in- setti, pesci , disegnati e coloriti fedelissimamente o sui bassirilievi dipinti, o sulle pitture più intatte. Ho già più di dugento figure : gli uccelli son bellissimi, i pesci di- pinti alla perfezione : e di qui si avrà l’idea di un ipo- T. XXXYV. Agosto. 15 114 i geo egiziano di qualche rilievo. Abbiamo disegni di quat- tordici differenti specie di cani da guardia o da caccia, dal levriere fino al bassotto dalle gambe storte : monumenti insomma di pittura scientifica che faranno piacere al sig. Cuvier , e al sig. Geoffroy-Saint-Hilaire, & Tutte queste serie diverranno lungo il viaggio più compiute e . più ricche. Fin quì, io non ho, posso dire, veduti monumenti egizii: cominceranno ‘ad Abido ; e noi non, vi saremo che fra una diecina di giorni . . . .. ‘ Stanotte si arriva a Syut, l'antica Licopoli : dimani io rimetterò questa lettera alle autorità del luogo, che la mandino al Cairo , di là in Alessandria, quindi in Europa. Possa ella essere più fortunata che non sono le vostre. Da che sono in Egitto, io non ho ricevute una lettera dal- l'Esrggpaseszisso avion orep ati 1 prio O RIO! Tebe 24 Novembre. Di Francia , ancor nulia. Ieri soltanto, da un capitano di nave ; inglese , che viaggia in Egitto, ho saputo che il dott. Pariset era arrivato al Cairo ; ma della mia famiglia, notizia nessuna. Questo solo manca alla mia contentezza. Il dì:10, io mi partii d’ Osiuth, visitatine gli ipogei, che i sigg. Jollois e Devilliers hanno ottimamente descritti. Quì in Tebe, poi, io ho luogo a riconoscere ad ogni passo lresattezza ide lorda A TO Le ne SETE Il dì 12 ho visitate le rovine d’ Achmin, la Panopoli antica; e vho fortunatamente trovato una pietra scolpita che m'ha data l’ epoca del tempio ; il regn» cioè di To- lomeo Filopatore. Ci ho trovato anco l’ immagine di Pane, ch'è, com’io l'aveva già detto, l' Ammone generatore del mio Panteon. La notte del dodici fu passata allesramente: in casa di Mahommed Aga, uno de’ comandanti dell’ alto Egitto, eccelleute persona , allesrissima e molto bevitrice persona. . .. . +... I nostri giovani gli cantarono a coro l’aria di Malbrough , che gli ha fatto un piacere sovrano; tanto che i suoi musici l’hanno dovuta imparare sull’atto, Sul mezzogiorvo del 13 , si passò da Tolemaide che TIÒO non ha nulla più di notabile... ..... La sera del dì 16, a Dendera. La voglia di vedere il tempio, non molto lontano, ci mise in via subito dopo cena, a lume di luna. Senza guida, ma armati come assassini , ci misimo a tra. versare.i campi sempre in dritta linea, cantando le arie delle nuove Opere; e così cantando, si camminò un ora e mezzo senza trovar nulla. Finalmente, eccoti un nomo. Al sen- tirsi chiamare, al vederci così vestiti di bianco con un gran cappuccio, costui che ci aveva pigliati per beduini, fuggiva a gambe; un europeo che ci avesse incontrati ci avrebbe giudicati un capitolo di certosini forniti di buone arme. 1] fuggitivo fu raggiunto, messo in mezzo a quat- tro de’nostri; e gli si ordinò di condurci al tempio. Il po- ver’'uomo dapprincipio tremava, ma poi si rassicurò un poco, eci messe in sulla buona via. Magro, secco, nero, cencioso, e’ pareva una mummia ambulante : ma egli ci. servì bene; e noi, non si fu sconoscenti. I templi ci apparvero final - mente: e, che dirvi della impressione che in noi fece la facciata e il portico del tempo maggiore? Sentirlo si può, ma darne un’ idea all’immaginazione, è impossibile: gli è un' insieme sovrano di grazia e di maestà, Due ore vi stemmo estatici , a scorrere quelle gran sale col nostro lanternone , a leggere le iscrizioni esterne al lume di luna. Alle tre si rivenne al maasch ; alle sette di nuovo al tem- pio : e lì tutto il dì 17. Ciò che al lume di luna pareva magnifico, a’raggi del sole era sublime: un capo d’ opera d’ architettura ; ma le sculture , sia detto con buona pace delle dotte persone , le sculture d’ un pessimo stile. Ap- partengono infatti ad un’età che la scultura s’ era già de. gradata e corrotta; intanto che l’ architettura, sempre men variabile , s'era serbata ancor degna degli Dei dell'Egitto, e dell’ammirazione de’ secoli. Il muro esterno all’ estre- mità del tempio; è la parte più antica; e vi. si veg. gono in proporzioni colossali , Cieopatra , col figlio Tolo- meo Cesare:.i bassirilievi di sopra son'del.tempo d’Augusto, ed .\anche i muri esterni da’ lati del Naos, tranne qualche piccola varte ch’ è idell’età di Nerone : il Prorao è tutto coperto delle leggende di Tiberio, di Caio, di Claudio , 116 di Nerone. Nell’ interno del Naos, nelle camere , e negli edifizii al disopra del tempio, nessuna scrittura ; non segno di cancellatura; tutto vuoto: le sculture poi, e quivi e dentro del tempio, son trista cosa, e non più antica di Traiano, ovver d’Antonino ... Il Typhonium infine si co- nosce decorato sotto Traiano , Adriano , e Antonino Pio. La mattina de! dì 18, si lasciò il maasch, per cor- rere alle ruine di Koptos (Keft). Nulla d’intero i templi ne furono demoliti da’ cristiani, e que’ materiali adoprati a fabbricare una gran chiesa, fra le cui rovine si veggono ancora frammenti non pochi di bassi rilievi egizii. Io vi ho riconosciute le leggende di Nectanebo , d’ Augusto , di Claudio, di Traiano: e più là, delle pietre d’un piccolo edifizio del tempo de’ Tolomei. A giudicar dunque da ciò che si vede ora, pochi monumenti d’ alta antichità si tro- vavano in Copto. Le rovine di Quus ( Apollinopolis parva), che noi toccammo il dì 19, sono più interessanti; sebbene degli antichi edifizi non resti che il disopra d'un propy/or, mez- zo sotterra. La mattina del dì 20, finalmente, il vento, stanco di impedirei l’entrata al gran santuario, ci lasciò veder Tebe. Nome nella mia mente già grande, ora augusto! Quat- tro intere giornate si spesero nel passeggiare la più an- tica città della terra; e nel correre di maraviglia in \1ma- raviglia. {Il primo , si visitarono il palazzo di Curna, i co- lossi del Merznonium, e il così detto sepolcro d'Osimandia, che altre lesgende non mostra se non di Ramsete il gran- de, e di due de’ suoi disceridenti..... Quello che si vo- lea d’ Osimandia è un colosso ammirabile di Ramsete . Tutto il secondo giorno, a Medinet-Abu, sublime grup- po d’edifizii del tempo d’ Antonino, d’ Adriano, de’ To- lomei, di Nectanebo , di Tarraca l’Etiope, di Tutmosi 1ll, ch’ è quanto a dire di Meri; più, il gigantesco palazzo di Ramsete Meiamun , tutto bassirilievi storici. Il.terzo gior- no , si fece la visita ‘ai vecchi re di Tebe ne’loro sepol- cri, o piuttosto palazzi , cavati a scalpello nella montagna di Biban-el-Moluk; e quivi dalla mattina alla sera, a lu. va me di fiaccole, ci straccammo a scorrere lunghe file di ap- partamenti coperti di sculture e di pitture , la più parte tuttora freschissime ; e a raccogliere notizie storiche di su- prema importanza. Ho veduto una tomba regia tutta am- maccata a martellate, tranne le imagini e le leggende della regina madre e quelle della sa ggie : tomba , certis- simo , d’un re condannato dopo la morte secondo il giudi- zio costumato in Egitto. Ho visto la tomba d’un re di Te- be dell’epoca antica, usurpata da un re della XiX dinastia , che ha fatte stuccare le vecchie leggende per sostituirvi la sua : pur cortese , che il sarcofago per sè, e’ l' ha col- locato in una sala vicina. Se si eccettui questa , le altre tombe son tutte delle XVII] , XIX, e XX dinastia: man- can però quelle di Sesostri e di Meride. De’ tempietti mol- tissimi, e d’altri edifizii sparsi tramezzo a queste grandi co- se, non parlo: rammenterò solamente il tempietto di Athor, la Venere , dedicato da Tolomeo Epifane; e un tempio di Thoth, presso Medinet-Abu , di cattivo gusto, dedicato da Tolomeo Evergete 11, alle sue due mogli ; dove, nei bassi rilievi, si vede questo Tolomeo presentare delle obla- zioni a tutti i Lagidi , suoi antenati, femmine e maschi, Epifane e Cleopatra, Arsinoe e Filopatore , Berenice ed Evergete , Filadelfo ed Arsinoe ; tutti ritti, co'lor sopran- nomi greci, tradotti in egiziano , al di fuor de’ cartocci. Il quarto giorno (ieri, il dì 23), si lasciò la’ sinistra del Nilo per visitare la parte orientale di Tebe. E Lugsor in prima; palazzo immenso , con innanzi due obelischi di presso ad ottanta piedi, d'un sol pezzo di granito , e di squisito lavoro ; con quattro colossi, di granito anch’ essi, alti trenta piedi circa, e sotterra fino al petto : monumenti del Grande Ramsete. Le altre parti del palazzo sono di Manduei, d’ Oro, d’ Amenofi-Mennone, con restauri ed ag- giunto di Sabacone l’Etiope, e di taluno de’Tolomei; con un santuario , tutto di granito, ch*è d’Alessandro, figliuolo del Magno. M°indirizzai finalmente al palagio, 0 piut- tosto città di monumenti, a Karnac: dove m’ apparve la magnificenza faraonica nella sna piena grandezza ; m’ ap- parve quanto di più grande ideò fantasia , operò mano n 118 d’,uomo. Tutto il,sublime che m’ avea reso estatico alla sinistra del Nilo, al paragone del nuovo spettacolo sembra- va misero e basso. S’io volessi descrivere , s’io volessi ren- dere il millesimo di quel ch’ io n’ ho sentito o ne sento, parrebbe entusiasmo stravagante il mio , parrebbe forse fol- lia. Dico solo, che. nessun popolo, antico nè moderno, nou ha concepita l' arte architettonica così in grande; a forme così larghe e sublimi. Le son concezioni da uomini di cento piedi : e la fantasia europea che si slancia ardita ‘al diso- pra de’ nostri portici, arresta l’ ale e cade sbigottita appiè delle, centoquarantà: colonne della gran sala di Karnac. In questo maraviglioso palazzo , iio ho contemplati ‘i ritratti dei più tra gli antichi Faraoni famosi per le lor geste ; ritratti veri, cento volte ripetuti ne’ bassi rilievi de’ muri interni ed esterni; ciascuno con fisionomia tutta propria. Quivi, in forme colossali, d’una scultura veramente eroica, e più perfetta che non si voglia imaginare in Eu- ropa , si vede Manduei, che combatte i nemici, e torna in trionfo : più là , le guerre di Ramsete-Sesostri; altrove Se- sostri, che conduce appiè della Triade Egizia,, Ammone, Mutcl, e Coos; i capi di più di trenta nazioni da lui vin- te, tra le quali io lessi chiaramente Judahamalek , il re- gno di Giuda : e ciò dimostra all’ evidenza, esser. tutt'uno il Scheshonk egiziano., il Sesostri di Manetone, il Sesas o Scheschék della Bibbia. Attorno al palazzo poi , edifizii di tutte le epoche : ricchissima messe di notizie storiche, per quando, tornato dalla seconda cataratta (e ci parto dima- ni) ; io penserò a stabilirmi cinque o sei mesi in Tebe. In quattro giorni soli, senza pur vedere un solo de’ mille ipo- gei della montagna Libica, ho già raccolto de'documenti im- portanti.... S'io dovessi notarvi tutte le scoperte, le curiosità singolari, dovrei passare tutto il mio tempo in iscrivervi : ma io lo fo ne' momenti che mi lascia liberi la contem- plazione di tante bellezze, e il godimento di piaceri, che se sì, rinnovassero altrove come quì, io chiamerei trop= pò vivi; n gar 201 Quanto.a salute, benissimo : il clima mi. si. affà me, glio che quel di Parigi. Questa buona, gente ci colma. di ‘ VA 119 favori. Nell’atto ch'io sérivo, ho! quì “nella mia stanza un agà turco, comandante ‘in capo di Kurna, nel palazzo di Manduei ; lo Scheik-el-Belad , di Medinet-Habu, che comanda al Ramessè (così dettà tomba d’ Osimandia) e al palazzo di Ramsete-Meiamun ; uno Scheick di Carnac, al quale obbediscono le colonne del: vecehio palagio de’ re d’Esitto. Io fo loro portare di quando in quando pipe e caffè; e il mio dragomanno ha l’incarico di intertenerli in- tanto ch’io serivo : io non fo che rispondere Thaibin (così va bene), alla dimanda Ente-Taieb (va egli bene così?) ch’ e’ mi fanno senza sbagliare ogni dieci minuti. Io gl’in- vito a desinare, tutti, alla lor volta: ed essi ci col- mano di regali. Attorno al portico del palazzo di Karnac, stanno ora pascolando , e son nostri, una piccola greggia di pecore, e una cinquantina di polli. Noi li compensiamo con della polvere, e con altre bagattelle: Oh venisse a rag- giungerci il dott. Pariset! Si parlerebbe almeno un po’ dell'Europa: giacchè io non ne ho nuove, nè anche dalla parte d’Alessandria. Innanzi di varcare la primia ‘cataratta, sciiverò da Siene , se pure avrò come manare la lettera. Questa, la mando a Osyuth , dove un Copto s' incarica di dar corso alla nostra corrispondenza. A Beni-Hassan, ho raccolti de’ fossili molti Deb Tebe ne trovai di bellissimi. Spero che l’ottimo e vero ami- co nostro, sig. Dacier , troverà qualche distrazione a’ suoi mali, nel poco ch’io ho potuto dire delle magnificenze di Tebe : di questa Tebe che tanto destava l'entusiasmo di lui, a cagion dell’onore che viene da’ suoi monumenti alla storia dello spirito umano. A voce, io gliene potrò dire ben più. — Mandatemi lettere di Francia; e io sarò sig. di Fernssac; e anche a lieto appieno. — Add:o. File. Addì 8 dicembre. Eccoci , dalla sera del dì 5 , nell’isola santa d’Osiri, all’estremo confine dell’Egitto, ‘tra’ neri Etiopi, direbbe un bravo Romano della guarnigione di Siene , che si fosse tro- vato a cacciare vicino alle cateratte. — Da Tebe si partì il dì 26. Poco ho potuto vedere, pochissime idee certe formare 120 in quattro giorni o cinque di corsa veloce. Tebe non è am- cora per me'che una selva di colonne, d’ obelischi, di co- lossi: aspettate ch'io pianti le mie tende tra i peristilii del Palazzo di Ramsete ; e allora avrete da me qualche descri- zione più netta, qualche idea più matura. La sera del dì 26, ci fermammo a Hermonthis: il 27, ci premea di vedere quel tempio delle cui leggende nessuna era stata ancora descritta. Vi si passò tutta la gior- nata; e la conchiusione si fu, che Cleopatra, il fatale mon- strum , aveva eretto questo monumento in commemorazio- ne del felicissimo parto, frutto della sua simpatia verso l'an- tore dei commentarii , se crediamo alla storia . . . È pro- babilissimo dunque che il quadro astronomico del soffitto, disegnato dalla prima commissione egizia, non sia nè il solstizio d’estate, nè l’ epoca della fondazione del tempio, ma l’indicazione del natale del Dio Harfrè, vale a dire di Cesa- rione; giacchè tutti sanno che la calda e docile fantasia de’ sa- cerdoti d'Egitto impinguava con la lista de’suoi re il numero degli Dei... Ognun vede del resto per qualragione il tempio sia rimasto imperfetto; Augusto e i suoi successori, ch’ave- van fatto compire stanti de’ tempii cominciati da’ Lagidi, non dovevano avere gran fretta di compir questo dedicato al figliuolo di G. Cesare, i cui diritti non furon da loro con soverchia severità rispettati. Il meglio si è che del tem- pio del figliuolo di Cesare, un cascef ha pensato di ridursi una comoda abitazione , con cortile, e con piccinnaia , co- prendo v frammezzando l’ edifizio di muragliacce di mota imbiancata con calce. La sera del dì 27, fummo a Esnè: poco più in su si trovò il tempio di Contra-Lato, da pochi giorni già bell’e distrutto per far argine al Nilo. Tornato al Maash, lo trovai ripien d’acqua : e fortuna che l’acqua del ca- nale era bassa! Si dovette votarlo , e ritornarsene a Esnè , per risarcire il buco: ma le provigioni eran già infradiciate ; il sale, il riso, la farina di granturco. £ se il Maasch fa- cev’ acqua , nell’atto di navigare il gran canale, addio spedizione scientifica! La mattinata del 29 , intanto che si stava asciugando 121 il fradiciume «della nostra sventura ; iv mandai a visitare il gran tempio d' Esné; ora magazzino di cotone ; che, in grazia del nuovo sno uso; vivrà forse più a lungo. Bella l'architettura , le sculture pessime. Il.più antico è di To- lomeo.Epifane;, poi si viene giù giù fino a Sett. Severo; ed..è la prima volta ch'io lo trovo in. Egitto. L'iscrizione geroglifica d'una delle colonne del Pronao , indica che se il santuario del tempio fosse in piedi, e'sarebbe di Tutmo- si IM, cioè di Meri. Ma do che io ne ho negro vedere, è tutto moderno. La sera del RETTA giova s si fia; a Elethya ; (El- Kab);le cui rovine e il. recinto io percorsi con la lanterna in mano : ma nulla d'antico. I due tempii futono demoliti per arginature; o per altre costruzioni recenti, Nel 30, ho visitato il gran tempio.d’Edfu (Apollino- poli Magna), rifatto ; ma di trista scultura. .Io lo. studierò meglio, non meno degli altri, sceso che sarò dalla Nubia. Giungemmo ‘alle. petriere di Silsilis (Diebal-Selselek), il dì primo di dicembre, al tocco: e-quivi, già ristucco di sculture. moderne;, io ho potuto consolar gli occhi con bassi rilievi faraonici. Havvi molte iscrizioni della diciot- tesima dinastia: con parecchie cappelle scavate nel masso da Amenofi-Mennone ; da Oro, da Ramsete il Grande, da Ramsete il figlio , da Ramsete Meiamun, da. Manduei. An- che quì spero , di mio ritorno, di trovare abbondante raccolta, La sera stessa, a Ombos ; la mattina appresso, al gran tempio , edifizio di Tolomeo Epifane , di Filometore , e d’ Evergete IL La mattina del dì 27, il vento ci portò finalmente a Siene (A4-Suan), ultima città occidentale dell’Egitto. De’due templi d’ Elefantina , neppur vestigio; tranne una porta di granito , dedicata ad Alessandro , il figliuolo del Grande, e a Cnufi, Dio d’ Elefantina ; tranne una dozzina di ge- roglifici scolpiti in un vecchio muro, e qualche rottame faraonico adoprato nelle costruzioni romane . . .... A Syene, si vuotarono i maasch, e si fece cia T. XXXV. Agosto. 16 122 sui cammelli ; nell’ isola di File, tutte le nostre robe. Io, la sera del:dì 5 , at caval d’ unvasino:,\e sorretto da: un atlante aribo; in grazia d’ un reumatismo al piè sinistro; arrivai a'File:, per ‘mezzo ‘alle petriere di. granito color di rosa, tutte coperte ‘d’ iscrizioni geroglifiche de’ Faraoni. Passato «pet barca il Nilo} evgiunto: all'isola santa: ‘non potend’ io! mover” passo ,s quattr” uomini, sostenuti davaltri sei, giacchè ‘l’verta è quasi a perpendieolo, mi-sollevarono a forza di spalle: fim presso \unitempietto; dove ‘era ipre- parata una stanza, in mezzo ai cadenti edifiziò romani 5 stanza che somigliava molto a una'carcere' sana,e ben di- fesa da’venti. La» mattina del 6, sorretto: da’miei domestici Mohammed «il Barabra ‘,;e Solimano l'arabo; mi strascinai alla visita del'gran tempio: donde: tornato; mi ricoricai tosto a letto ,-e'ci sono ancora ; giacchè la mia gotta ha creduto bene venir da Parigi ‘alla prima ‘cataratta; ‘per co- gliermi ‘al varco. Ell’ è però molto discreta, e la .sua vi- sita non durerà più di due giorni. Intanto si preparan le barche pel viaggio di Nubia : altre novità da vedere. Di la, se occasioni mi si offrono da mandare una lettera, vi scriverò, si Tutto del restante va bene. Qu) ‘a File, ho Gita limito ricevute lettere d’ Europa , del dì 15, del 25 d° tento, e del.3 di settembre, È assai. ‘= Addio; Gili loto li * 123 Li RIVISTA: LETTERARIA. : i ) ik. Lù 4 Prose scelte del principe D. Pierro OprscaLcni\ dei duchi del ‘Sirmio. Milano; tip. Silvestri (a). I la ‘ fiati x Animo fermo .e. franco, colto ingegno ; coltissimo stile, amor sincero delle lettere .e ide’ letterati, son rari pregi, . che nobili= tano il:nome del principe. D. Pietro Odescalchi ,. direttore del Giornale Arcadico traduttore della repubblica di Cicerone. Tra | queste prose; ci parvero più degne di lode la lettera, sopra una Biblioteca istruttiva pel sesso gentile; e il trattato della. comme- dia. Nel primo scritto il ch. A. propone per Biblioteca ‘alle don- ne una serie di libri che facciano quasi vece d’ un corso-di edu- cazione ; pensiero utile e bello, che, in tanto. profluvio, di edi- zioni miserissime ; (potrebb’ essere non men lueroso che. onore- vole al libraio che ne sapesse far senno. .Il trattato sulla com- media riguarda , più che il.genere in sè, i modi di approfittarne al pubblico bene. E quantunque il. nobile A. troppo si confidi nell’efficacia dello spettacolo teatrale, pur non è da negare che la drammatica può aver molta parte nel formare il costume de?’ citta- dini, e che, o buona trista, n’indica a qualche modo., e ne segna la corruzione; il miglioramento , lo stato. Fra le opere da rappre- seutarsi , il ch. A. comprende anco:quelle d’ oltramontani poeti, purchè bene scelte; idea semplicissima ; la qual. però. par. che trovi de’ contraddittori fra taluni de’ molti che han parte all’isti- tuzione di questa nuova società filodrammatica , da cui tanto si sperava, e tanto si potrebbe ottenere, se non si volesse, giudicare a priori |’ effetto di ciò che non s’è mai posto a prova. Il nostro autore vorrebbe veder.1’ arte. comica. sollevata dal vitupero in cui giace; vorrebbe. gli attori meglio educati a questo non mestiere ma uffizio , nobile, quaud’ è nobilitato da nn utile scopo; nè questo mutamento d’altronde spera 0 ri- pete che dalla munificenza e bontà de’ governi. E quì, ricor- 33 da. per \cagion d’ onore., l’incoraggimento dato, appunto agli » attori comici del Piemonte dalla maestà del, re. di Sardegna »» Carlo Felice, che per suo sovrano decreto , nella sala del re- »» gio teatro, al cospetto di quella nobile direzione e, d’un gran sy numero d’attori y.con tutta;la pompa e solennità conveniente è A - . A . ui L bi VILEt} . (a) Il presente articolo era già scritto mesi prima che cominciassero le di- scussioni pubblicate su ‘questo proposito in altri giornali. 124 »» alla reale munificenza , ha fatto distribuire diversi premii a », que’ giovani che ne’ personaggi minuri hanno mostrato maggior » zelo è più fino conoscimento dell’ arte.,, Abbiam detto, l’arte comica essere in questo trattato riguar- data più come rappresentazione che come poesia; quì dobbiamo aggiungere però che in alcune delle questioni dal ch. A. accen- nate; egli si avvicina assai più che taluno de’ suoi cooperatori non faccia, a quella che noi reputiamo la via più retta. Lascio della mitologia, ch'egli, in altro suo scritto , confessa esser lan guida fonte di bellezza poetica rispetto al vero di questa. reli- gione che noi professiamo ; ma il nostro autore schiettamente af- ferma essere pedantesca quella sentenza del Castelvetro il qual biasima Cicerone e Platone dell’ avere scritti dialoghi filosofici, perchè que’dialoghi non sono da recitare, e perchè un discorso in dialogo non può avere altro fine. Con che il nostro autore viene a concedere che quand’ anche la violazione delle unità rendesse inverisimile la rappresentazione materiale del dramma, pure ; se giovasse alla più fedele e più bella rappresentazione del vero (il che tutti concedono), dovrebb’ essere tolerata e lodata, giacchè una bella ed utile poesia , letta, è al certo migliore d’ una rap- presentata , ina che manchi di quella specie di verità , la quale, chi ben pensa, è tutt'uno con la moralità dell’intero spettacolo. E così l’ autor nostro si burla dell’ ab. d’Aubignac, il quale imperiosamente dimanda ai nostri poeti drammatici: «Da chi 3) Mai siano essi stati investiti della magica facoltà che abbisogna », a trasformare in gabinetto o giardino, nel corso stesso d’un 33 dramma, quella porzione medesima di palco che al primo aprirsi »» della tenda era portico o piazza.,. Al che l’autor nostro saggia- mente risponde : “ che nè Aristotele , nè Orazio, nè verun altro » antico maestro ha mai fatto parola di questa unità di luogo (e »» neppure dell’unità di tempo, come di regola); e che tal muta- 3») mento non toglie punto la illusione; anzi 1’ accresce ; e sol- 3) leva la mente degli spettatori del fastidio di dover con l’aiuto » della! propria imaginazione , figurarsi quello che a’ loro occhi 3; non è rappresentato. I greci nelle loro commedie generalmente 3», non mutavano mai luogo 3 perchè i loro teatri non erano fatti » per simili cangiamenti; e imum portico o in una piazza (ch’era la 3) perpetua scena dell’antico teatro) facevan giacere in letto le re- »» gine e i principi infermi; nella pubblica piazza ordivansi le più ») atroci e ‘pericolose congiure; nella pubblica piazza le donzelle »» reali aprivano il loro cuore alle fide damigelle, svelando le più », secrete e talvolta ancora le più nefande passioni. Questo però ci 125 3; convince che se presso i greci era conservata la materiale unità 5 diluogo, non era però conservata nella mente degli spettatori, s3 i quali, se udivano dirsi in piazza quelle sozze confessioni; con , la loro fantasia dovevano certamente trasportarsi ne’ più ripo- s3 sti penetrali della reggia. Dal che ne viene chiaramente quello 3, che di sopra abbiamo detto, cioè che aiutando con la varietà ss della scena la imaginazione degli spettatori, si è accresciuta 3» e non tolta la illusione; e si è maggiormente conservato il s, verisimile, appressandosi assai colmutamento di luogo alla per- s3 fetta imitazione del vero.,; Saggissime osservazioni son queste, e incontrastabili : e dimostrano ; che siccome alcuni celebri au- tori han potuto in questo rispetto purre a sè stessi una legge so- verchiamente severa, così potrebb’ essere in altri; giacchè basta un sol fatto, ben comprovato, a togliere loro il privilegio della in- fallibilità. Io per me credo che maggiore sforzo d’ imaginazione sia necessario a supporre avvenute in un giorno tutte le cose rappresentate nel Bruto, nell’ Agide, e in tante altre tragedie ; che non a supporre tra l’uno atto e l’altro passati de’ mesi, 0; se così piace, degli anni. Il primo è d’una inverisimiglianza fisi- ca; d’ una falsità reale ; il secondo è d’ una inverisimiglianza creata dai Retori , fondata sulla falsa supposizione che lo spet- tatore creda di assistere ad un fatto reale, di viaggiare co’per- sonaggi che vede rappresentati, e senta sottratto ‘alla propria esistenza tutto quel tempo che il poeta suppone trascorso tra scena e scena, atto ed atto. Ma tornando alla unità di luogo, concessa la corivenienza del mutare scena una volta, non v’ha più legge che ragionevolmen- te possa determinare le condizioni di tal cambiamento. Cè chi vorrebbe ‘che i personaggi nou escissero' mai dal recinto d’ una città : e perchè ciò? Non per altra ragione se non perchè si sup- pone che mentre gli attori stan dietro la ‘scena essi abbiano il tempo di fare tutta quella via, che al tornar loro in iscena si . suppone da loro già fatta. Ora codesta supposizione è gratuita : ma quand’ anco fosse ragionevolissima ; perchè dunque il recinto d’ una città? Perchè non potrò io trasportare la scena in una villeggiatara vicina ? Perchè non da Firenze a Prato ? Perche non da Venezia a Padova; da Venezia a Vicenza ? E la mia libertà non dovrà ella dunque allargarsi in proporzione della velocità de’ cavalli, del buon umore del postiglione , e della forza del vapor che mi porta ?. La regola dunque d° Aristotele, o di quel- 1° altro valent’ nomo ch'io non conosco che primo 1’ ha genera- ta ,.cotesta regola ha potuto ricevere variazioni essenziali secon- 126 do.le variazioni dei mezzi,di trasporto ; e .le unità dovevano. es- sere.molto più' terribili prima che si cominciassero ad usar; le carrozze, prima che .s’inventasse la macchina a. vapore, il globo. aerostatico,— À. proposito ! Il gloho aerostatico mi.concede legitti- nia libertà d’imitare le stranezze di Goethe (non parlo di Sofocle), e di collocare parte della scena. in terra; e’ parte ne” comodi spazii dell’ aria. Gli unitarii avranno bene la bontà di permet- termelo.;. giacchè in pochi minuti la mia scena è cambiata di qualche centinaio di miglia. Oh guai, guai davvero. se. questa invenzione degli aereonanti va innanzi! Le, regole delle ‘unità tutte e due, se n’ andrebbero, all’ aria davvero! cod + Ma lasciando gli aereonauti della letteratura; e venendo ai palombari,, io d:mando «ancora : il recinto. duna città ! Sta! be- nissimo : ma non sapete voi ch’anche tenendo confinato il dram- ma nel recinto d’una città ; si può peccare contro il verisimile ; intendo il werisimile vostro ? Eh la libertà è una terribile e no- iosissima cosa : lasciatene agli momini un pocolino soltanto ; ed essi troveranno la via d’abusar di quel poco, per ricuperarla tutta com’ essi dicono, 0, come meglio si direbbe, per tramutarla in licenza !. Supponete ché questa città sia. grandissima. come 'Lon- dra, o Parigi ; che. si tratti d’ un fatto avvenuto in tempi an- teriori all’ uso delle, carrozze ;. che i luoghi ch’ io debbo rap- presentare sieno, a’ due capi estremi della. città; che i perso- naggi ai quali io do licenza di aggirarsi comodamente entro a questo recinto , prima di rivenire al luogo destinato , abbiano a fermarsi in molt’ altri per finire, a bell’agio, cosa giustissima , i loro affari, e per saperci dire qualcosa di nuovo del fatto che abbiam sotto gli occhi : basterann’elleno le ventiquattr'ore a tutte coteste faccende ? Io non lo so , yoi direte. Ebbene: per saperlo pigliate le, vostre misure da luogo a luogo; numerate con l’ ori- uolo alla mano tutti i passi che il vostro personaggio dovrà fare fuor, della, scena ; e poi ; quand’ egli torna , sappiategli dire se la sua comparsa in quel luogo sia verisimile. Insomma. le regole dell’ arte tragica insegnatele con alla mano una carta topografica ed un cronometro; e allora direte qualcosa di preciso ; di intel- ligibile ; allora, o buona o cattiva; avrete creata una regola. Questa discussione, noi non la rivolgiamo al chi autore delle annunziate prose , uomo nelle opinioni sue moderatissimo, nelle: espressioni urbanissimo. Se poi il sig. principe Odescalchi crede i drammi così detti sentimentali esser cose romaatiche; se.sospetta che; i romantici vogliono far contro alla. natura , al. clima; e alla libertà italiana ; se afferma che nei classici soli è foridata ogni hi 127 vera ‘dottrina di moirpopoli meridionali noi non verremo perciò con'esso a battaglia; e approfitteremo intanto di quelle ‘conces- sioni } delle quali egli degna esserci’ liberalen» o 10% eo! | © suo stile , noi lo ripetiamo, è coltissimo. Se non ‘ché val- cum ‘vestigio vi si lascia vedere déllà gravità non sempre dppor- tiuna'e della improprietà dello stile del Perticari. « Ragionamenti he’ quali si diceva del bene della repubblica = preso ‘id di ut simile esempio = mi' sono ‘consigliato a dividerlo per capitoli + ragionerò dell’ înstituto della commedia = mostrare la‘civiltà che'da essa commedia può derivare alle ‘nazioni ='è prc ‘modi simili non ci paiono nè proprii di proprietà filosofica"; nè belli di'‘vera eleganza. E tutto lo ‘stile del' Perticari è di ‘puesti! ‘indi îfitarsiato ; tanto ‘più ‘pericoloso che con la'gravità del' tuono ‘può ricoprire la‘ povertà delle idee, e avvezzare il lettore’ ad po garsi d’ apparenze e di suoni. Leggiamo i nostri scrittofi più ib signi, e troveremo non esser ‘questo lo' stile di ‘Dante @del'Ca+ valca , del Poliziano e del Caro, del Bartoli e del Maîgalotti, dell’ Alfieri ‘e del Monti: Convien pur eredérlo : darà sempre nel- l’affettato , e nell’ ampolloso chi cerca là dignità fuori della sem- plicità , la forza in altro che nella concisione; in it che nella proprietà 1’ eleganza. Queste parole noi possiam francamente rivolgerle al nobilis= simo autore: tantà è in lui la conoscenza della dii n i dell” animo‘, e la rettitudine dell’ ingegno: K.X.Y. Il Castello di Binasco, o sia Brarrice Tenpa. Canti III di Pre- rro Marocco. Milano Tip. Rusconi 1829. Schiller; in una lettera a Gosthe:, dice d’ aver trovata la differenza fra l’epopea e.la tragedia: .e la ripone in ciò; che la prima fa un passo innanzi; e un.altro indietro; si ferma a.\va- gheggiare gli oggetti, a dipingerli sfoggiatamente ; la seconda ‘dee correre sempre innanzi, sempre rincalzare l’ attenzione e l’affetto. Pare a me che un’ epopea, la. quale invece di andarsene innanzi e indietro. procedesse sempre. col. calore. del dramma , del, vero dramma , cioè non enfatico nè affannoso ; ma sereno; largo, ma- gnifico, potrebb” essere } con. tutta. pace; di Schiller. y/ un’ eccel- lente epopea. Quello che, al mio credere, più muoce all’epica dignità , pienezza ;, efficacia, evidenza» è ‘1’ affettazione delle forme liriche ; la soverchia, rapidità di certi tocchi, la giovenile n 128 abbondanza de’ colori . ‘appositizii , le esclamazioni, le interroga zioni; e que’passaggi avventati che si chiamano voli. Se sia questo il difetto del poemetto che annunzio , se' l’autore abbia bene approfittato della, poesia ch'è nascosta nel carattere storico di Filippo., e nelle sventure di Beatrice, io non istarò, a ricercare» Queste. cose è egli stesso vedrà un giorno da se, col maturare degli; anni. Io. debbo un conto al. pubblico delle speranze che nel presente lavoro offre il poeta di sè; e queste a me paiono. belle e ‘vicine. PIPR sedili IVO. À Incomincia i, primo canto da una specie di coro de’ ribaldi satelliti di Filippo , che in nascoste gozzoviglie Compensar 1 vre che mentir virtude ; tra’ quali è Zannino che inganna e Filippo e gl’ ingannatori di lui; il vizio finge e la vittù ; guidatore d'una malvagia turma di donzelli presti, trascelti a voluttà ; ispiratore a Filippo di quel timor ch’ aita a crudeltà domanda. Poi vien la: pittura del vilissimo. Regnante, a cui segne questa bella escla- mazione : Ahi sventurato! sventurato! e regni? Beatrice gli stà daccanto , muta e vergognosa Come donna che bee l° amara tazza D’ una rampogna che non merta : il cibo Pregustato gli. porge, e lo consola D’ ansiosa servitù; d’ amor verace, D’ affettuosi e savi accenti ; e spesso D’ un tacer la consola, Zannino presenta al Duca la nuova druda, e lei inesperta consola con dolci parole. Ahi, ahi, non ha conforto Del vitu- pero la sciagura! Agnese ammutolisce ; e nella propria angoscia anco l’angoscia Di Beatrice vilipesa accoglie. I lettori che amas- sero de’versi simili a questi da noi citati, ne troveranno nel Ca- stello di Binasco non pochi. To li prego di visitarlo. RI RN Viaggio letterario nella Grecia, o lettere sui Greci ‘antichi e moderni, con un Parallelo de’loro costumi. —' Del sig. Gurs dell’ Accad. di Marsiglia. = Vers. dal francese. Roma 1828 Vol. IV. geo Ajani. Viaggi, Storie , Notizie, tutto ciò che riguarda la Grecia , o vecchio o’ nuovo che sia, è quasi di moda. L’ Editore romano ha dissotterrato un’ opera che conta oramai più di mezzo secolo ; e che ha; co’ suoi difetti; il suo pregio. Giacchè , sebbene il pa- rallelo ‘tra la Grecia antica ‘e Ja moderna sia in alcuni luoghi imperfetto , in altri immaginario o forzato, sebbene i passi in abbondanza recati di autori greci e di latini non facciano tutti 193 al proposito ; sebbene il volume del lavoro intero si potesse. senza scapito della sostanza , ridurre alla metà, nondimeno le os- servazioni peregrine ed amene che fioriscono quasi a ogni pagina, e la continua fragranza che spira dalle greche e dalle romane memorie, immortali ne’ versi e nelle storie de’ Classici, ralle- grano l’immaginazione, risvegliano o 1’ affetto o il pensiero. Spet- terebbe poi ad un greco il perfezionare e il correggere questo lavoro , le notizie inesatte togliendo , aggiungendo le non poche che mancano. E tanto più preziosa alla storia de’ costumi e dei popoli verrebbe quest’ opera, che già il gran trambusto della ri- voluzione , il commercio di tante genti straniere , e mille acci- denti, altri fausti , altri lagrimevolissimi, tendono a radere e ad annullare il forte rilievo del carattere greco , e a sperdere fin la memoria deile consuetudini antiche. Certo, non si può senza un senso profondo di pietà e di terrore leggere nel numero nono della Revue frangaise la bella relazione d’ un giovane viaggia- tore, il qual dipinge la Grecia non quale noi sull’ addentellato delle rimembranze classiche la edifichiamo, non quale il cuore d’ogni amico sincero della umanità la desidera, epperò se la crea, ma quale ell’è di presente, mortificata, avvilita dalle consuetu- dini d’una servitù lunghissima, degradata dall’abuso e dalla dege- nerazione delle sue stesse naturali virtù. Checchè sia per altro del suo destino , ognun sente che la mossa novella data dai mo- vimenti della Grecia alle cose d° Europa , deve ormai segnare un’ epoca nuova nei fasti della storia europea; e che quand’an- che i nostri desiderii e le speranze sulla rigenerazione dell’E!- lade andassero a vuoto, avrebbero però in altri luoghi ed aspetti un più intero e forse più nobile compimento. Non però che la Grecia, per quanto degradata ella sia, non debba tuttavia riguardarsi con amore e con riverenza. I nove anni che passarono ; pieni della sua gloria, cel dicono. — « I Greci « d’ oggi, (così, sessant’ anni sono, scriveva il Guys), sono stati « troppo disprezzati, per motivo che niuno ha su di essi haste- « volmente studiato . La vecchiezza che rispettasi nelle città e « negli antichi monumenti, sarebbe fors’ ella meno venerabile « in un’intera nazione , ed in uomini infine che per le rughe « stesse della loro caducità , non restano giammai sfigurati al « punto di più non poterli ravvisare ?_Reverere gloriam veterum, « diceva Plinio il giovane ad un suo amico che andava a viag- « giare nella Grecia, et hanc ipsam senectutem , quae in homine « venerabilis , in urbibus sacra est. » (V. IV. p. 150) — « Per T. XXXV. Agosto. 17 120 « ben conoscere i Greci, dic’ egli altrove, non è mestieri di let- « teralmente attenersi a ciò che Tounrnefort ed altri viaggiatori « ne riferiscono, i quali non hanno da vicino osservato i Greci « che nelle isole dell'Arcipelago, dove regnar vedendo general- « mente tra quegl’ isolani 1’ ignoranza e la povertà , rimirarono « quindi tutta la nazione con disprezzo. Se avessero eglino però « con maggiore attenzione studiato i Greci, ne avrebbero for- « mato ben altra idea, ed avrebbero pur tra essi, in numero « Denchè scarso, rinvenuto di vescovi sapienti, di preti istrutti, « di uomini di genio e di gusto. » (V. II p. 17) Giova nelle testimonianze del passato cercar quasi i germi de’ grandi avve- nimenti che ci stanno sugli occhi, acciocchè si possa a qualche modo spiegare come da un branco di schiavi sia potuta improv- visamente sorgere una nazione d’ eroi. Giova nello stesso Guys leggere quanto ne’ Greci d’ allora potessero le domestiche virtù, l’ amor coniugale, il filiale rispetto; quanto vivo ardesse l’amore di patria. — « I Greci, sempre innamorati del loro paese , non « viaggiano che per istruirsi 0 per commerciare , e riturnano poi « alla lor patria per quivi godere il frutto delle proprie fatiche. « Pare che sotto il giogo de’ Turchi le loro stesse catene viep- « più li attacchino al paese de’ loro antichi. La Grecia moderna, « ricoperta dal lungo velo delle schiave, è una madre prigio- « niera e dolente, cui teneramente abbracciano i proprii figli, « e le promettono di non mai abbandonarla. » ( V. III. p. 123 ) « Presso i Greci delle isole, 1’ amore di patria è sempre più forte « e più deciso che negli altri. Sarebbe egli forse , perciocchè « 1’ isolano avvezzo a considerarsi come isolato dal rimanente de- « gli uomini in un piccolo mondo a parte, del quale egli solo « ha la più grande idea, vi si conserva più indipendente ? » (V. IV. p. 151) Certo è che i maggiori servigii alla causa igreca, furono nelle presenti vicende renduti dagli abitanti delle isole. — Rechiamo infine questo passo che in bocca d’un uomo, morto già da mezzo secolo, acquista una singolare importanza » « I « Greci sé lusingano che una posterità numerosa potrà ricupe- « rare un giorno, col favore di una rivoluzione, tutto ciò che i « conquistatori della Grecia ad essi rapirono. Però il matrimonio « ha per loro delle forti attrattive ; e pochi celibi contansi.fra « essi. » ( V. IL p. 79). Da questi saggi, ognuno può giudicare il merito della tra- duzione. Noi avremmo desiderato almeno che Pausania non si fosse fatto vivere nel XII secolo ( deuxième ); nè che incessam 131 ment si fosse tradotto continuamente ; e Admete , Or , Chariton, Damas , si fosse prescelto a Oro, Admeto, Caritone , Damasco. Wii V. » Saggio di Lettere sulla Svizzera == Il Canton dei Grigioni La Svizzera considerata nelle sue vaghezze pittoresche, nella storia , nelle leggi, e ne’ costumi.» Lettere di Turrio Daw- DOLO == La Svizzera Occidentale. Il Cantone del Vallese — Milano. A. F. Stella e Figli 1829. L’Autore ha ricevuto in retaggio la nobiltà d’un nome chiaris- simo, e caro all’Italia ; e vuol mostrarsene degno. I due volumetti che noi annunziamo, elegantemente stampati dal sig. Stella, provano nel sig. Dandolo non solo là bontà del cuore, e un’amore sincero dell’umanità, ma la coltura dell’ingegno, ed il senno. Un libro sulla Svizzera mancava all’Italia, ed egli ce l’oftre. Potrà forse un gior- no egli stesso, perfezionarlo, arricchirlo; togliere taluna di quelle esclamazioni sulle bellezze della Natura e sui siti romantici, che i viaggiatori portan già bell’ e pronte nella valigia, o ritrovano a casa nella cassetta del tavolino; rendere un po’ più eleganti le traduzioni de’ be’ passi d’ autori stranieri ch’ egli viene oppor- tunamente recando ; sostituire a certe osservazioni troppo gene- rali, delle notizie di umile statistica, più preziose appunto per- chè più neglette: ma questo ch’egli al presente ci offre , è già per sè stesso un bel dono. Molti di que? lettori che rifuggireb- bero dall’ immergersi nella storia intera della Svizzera, godranno di delibarne col signor Dandolo le più scelte bellezze, e quindi s’ invoglieranno a cognizioni più piene, più precise , più forti . Questa a noi pare la principale utilità del suo libro. Nel volume del Vallese è inserita una breve tragedia di Werner, e alcune scene d’un dramma di Southeby: questo , romanzesco affatto , e non meritevole, al parer nostro, delle lodi che 1 A. gli dona; quella, ben più che romanzesca , ben più che inverisimile nél concetto, ma nella esecuzione sparsa di non comuni bellezze. Se il sig. Tullio Dandolo vorrà darci tradotti , o in questa, o in altr’ opera, degli altri saggi della Poesia Ale- manna ed Inglese , ancora incogniti a noi, farà cosa utile a non pochi lettori, a molti piacevole. Qui potremmo, per saggio della sua maniera , citare taluna delle belle pitture che nelle sue lettere abbiam con diletto no- tate; p. e. alle pag. 20, 28, 60, 100, 105, 109, 184 , 254 del Val- lese , alle pag. 35, 42, 42,143, 219 del Canton de’ Grigioni. Ma + 132 prescegliamo un saggio più utile, sebben meno piacevole, tratto dal capitolo della Costituzione del Vallese. bb « Il cantone del Vallese è diviso in 13 decurie . .. Nessun cittadino vi gode dei diritti politici se non ha compiuto i 18 an- ni: a 2I è eleggibile alle funzioni di Consiglier comunale ; a 25, a quello di Capo di Consiglio e di Decurione. Ogni comune ed ogni decuria ha suoi consigli particolari per trattare i propri interessi. Ogni decuria ha un presidente ed un vice-presidente nominati dal Consiglio ; a’ quali è affidato in gran parte il po- tere esecutivo. Il poter sovrano è affidato alla Dieta , che si com- pone di quattro deputati per ogni decuria , stipendiati dal pub- blico tesoro. I deputati alla Dieta son nominati dai Consigli di Decuria , siedono due anni in posto, e sono sempre rieleggibili : i presidenti delle decurie sono di diritto membri della Dieta ... Le proposte di legge sono preparate nel consiglio di stato , e la Dieta esercita il potere legislativo: ma le leggi (ed osserva in questo qual parte larga sia concessa alla democrazia) non man- dansi ad effetto, che dopo essere state discusse ne’ consigli di Decuria , e sancite in essi dalla pluralità de’ voti. Le leggi di fi- nanza poi, le capitolazioni militari, e le domande di naturaliz- zazione , non solo a°consigli di Decuria, ma devono essere pre- sentate anche a tutti que’ di comuni. La Dieta ha diritto di gra- zia, e di commutazione di pena ... si aduna due volte all’anno; il primo lunedì di maggio , e 1’ ultimo lunedì di novembre... Le rendite dello stato sono piccolissime : consistono in un lieve dazio sul sale, e sulla introduzione delle merci. Anche le spese sono proporzionate alle entrate. » Il capitolo della Costituzione de’ Grigioni è ancora più im- portante , e per sè, e per le osservazioni che vi aggiunge l’Au- tore = Giova che il lettore lo vegga ; e lo mediti. K. X. Y. La infelicità de’ Letterati di Prerio VaLeRIANO ; ed Appendice di Corm. Torrio. Trad. dal latino. Aggiuntovi altro Dialogo originale del Valeriano sulle lingue Volgari, ed un Capitolo di Corn. Castaldi contro i Petrarchisti. Con Note storiche e filologiche. Milano Tip. Malatesta 1829. Il Dialogo del Valeriano è pieno di peregrine notizie con- temporanee ; e si legge con un diletto, malinconico sì ma non vano. L’ infelicità de’ letterati v’ è trattata nel più largo senso , non solo delle persecuzioni e della miseria , ma delle morti pre- x 133 mature , violente, tormentose, volontarie, o cagionate dal dolore di deluse speranze. Molti de’ letterati che il Valeriano annovera, dovettero l’infelicità loro al sacco di Roma ; molti di quelli no- tati dal Tollio, alla giornata di San Bartolommeo: il Traduttore v’ aggiunge degli altri , tratti dall’ opera del Corniani , che non , son forse stati nè i più infelici, nè i più ragguardevoli dell’età loro. La traduzione è accurata , fedele evidente ; spesso elegante e vivace. Chi volesse del resto tentare a’ dì nostri un’ opera su que- sto argomento , dovrebbe prendere più da alto le cose ; cercare quali sieno i benefizii che la letteratura può e-deve rendere alla società per meritare da questa ricompense ed onori = che do- vrebbe fare la società per porre i letterati in istato di poter es- sere senza pericolo utili maestri del Vero e del buono — se i let- terati che hanno meglio degli altri adempiuta la loro missione sieno stati infelici — a chi si debba la felicità di certuni tra i cultori delle lettere + a che la loro infelicità = quali sieno i difetti che più nocciono al letterato — quali i pregi che più gli attrag- gono persecuzioni od invidie = come correggere i primi — come usare i secondi — come tollerare l’avversa fortuna — come la pro- spera. Un libro tale sarebbe cosa migliore del dialogo di P. Vale- riano: non però che il dialogo non sia buona cosa; e buonissima la traduzione del nostro Anonimo. Noi lo pregheremo soltanto , in altri lavori che da lui aspettiamo più utili ed importanti , di voler evitare alcune rare improprietà che nel sno stile s’osser- vano, come derivare una stirpe; —ruminare un'immensa fortuna — in cui la virtà e la calamità marciarono di pari cammino. Il Dialogo sulla lingua ha del sale, e qualche lampo di buon senso ; dico duon senso , perchè lo credo più raro di quel che chiamasi ingegno. Ma il tutto è miserissima cosa. Si sostiene che quanto ha di bello il Toscano , è della lingua comune: e cote- sto è falso, perchè lo stesso Perticari confessa dal Toscano de- rivate le ricchezze maggiori di quella lingna ch’egli chiama, con nome aristocratico, cortigiana. Il secondv degli argomenti in quel’ dialogo ostentati, è tratto dai Toscani idiotismi, quasichè Ta grammatica non basti a correggerli; quasichè ai non toscani basti la sola grammatica ad insegnar tante voci e tanti modi au- rei; quasichè la lingua comune possa sola bastare al linguaggio delle arti e degli usi comuni del vivere; quasichè quella che di- cesi proprietà, si possa d’altronde attingere che dalla lingua e dagli autori Toscani. E lo stile di questo dialogo stesso n'è pro- va: « Per mia fè, Colozio, ieri sera vi portaste bene ; pro- 124 » metteste venir a cena con noi, e non solo non véniste, ma » pur non mandaste a dire che non venivate. Noi aspettassimo » fino a notte; e le vivande soanivano, in modo che M. Mario » rinnegava le stelle, non già tanto per le vivande, quanto che » non avevamo lo zuccaro e pepe vostro d’acconciarle. 1 — Se il Valeriano avesse meglio studiato il Toscano, e nell’uso vivente e ne’ libri, avrebbe imparato a scrivere con più proprietà e con più grazia. Viene in ultimo un Capitolo del Castaldi contro i Petrar- chisti, del quale giova citare i versi seguenti: « Altro che certi punti di ricamo == Si vuole a far un suo lavoro eterno..... == Pe- rocchè mai non mi parrà Poeta == Chi sol 1’ orecchie mie pasce col canto....== Questo vostro infilzar di parolette = Mi rappre- senta alla tenera etate == Quando un fanciullo ad imparar si mette — Che s’ ei non scrive su carte rigate == Non sa tener da sè dritta la mano..... == Pur egli impara e s’addestra pian pia- no ; — Tanto che non a lui, come a voi, pare == Lo scriver senza esempio incolto e strano -- S° io mi tenessi buon nocchiero in mare , = Poi sopra d’ una tavoletta, a guisa == Di fanciul, gissi in un rivo a nuotare - Chi si potrebbe ritener le risa?..... — Fin ch° io trovai che la diritta via — È non seguir nè moderno nè antico , per eccellente e singolar che sia, Ma farsi ognun di lor noto ed amico.... — Che per tal via camminàr quegl’ il- lustri — Che invenzione e stil fèr da sè stessi ec. — Ecco dal buon senso di questo oscuro poeta decisa la gran quistione. Non imitare nessuno; conoscer tutti; e poi fare da sè. Ma molti e dell’uno e dell’altro partito trovan più comodo l’ imitare : e convien confessare che le imitazioni di taluni di loro sono origi- nali anche troppo. Koi Aol Il nuovo segretario italiano. O sia modelli di lettere sopra ogni sorta d° argomenti , colle loro risposte. Tipog. Silvestri. Sesta edizione, con aggiunta d’alcune regole sull’ortografia — 1829. Questi modelli di lettere sono invenzioni molto simili ai Zu0- ghi comuni de’ Retori, che facevano gran parte del vecchio in- segnamento nobilitato col nome di umanità , e che sott’altri nomi fioriscono ancora e nella pratica e nella teoria, giacchè la let- teratura per molti non è che un gran /uogo rettorico. Fin che si tratta d’affari e di commercio, d’anniversarii , e di capo d’an- no, si può fino a un certo segno compatire 1° idea di ridurre si- 135 mili argomenti di lettera a modelli ideali; ma dar dei modelli per dimande in matrimonio , e per biglietti d’ amore? Questo mi rammenta que’ dotti segretari che stanno a Venezia appiè della scala de’ Giganti, aspettando la donnicciuola e il galantuomo il- letterato che venga per farsi elaborare una supplica, oppure una dichiarazione amorosa. E io medesimo (ho voluto riportare un saggio della loro eloquenza e ho per un prezzo un po’ maggiore del solito ottenuta una dichiarazione nelle forme, ben lunga e ben calda, (perchè tale era la commissione), nella quale il mio amore era paragonato all’ incendio di Troia. Quand’ anche le lettere del libretto annunziato fossero ve- ramente modelli di grazia e d’ eleganza, quell’ essere così ge- nerali le renderebbe non solo inutili ma fatali a chi volesse imi- tarle. Vedete , per esempio , se mai supplica si sia fatta più bella della seguente, che in cotesto libretto è recata, da Dufresny indirizzata al reggente di Francia. « Dufresny vi supplica di la- » sciarlo nella sua povertà ; affinchè resti in lui un monumento » dello stato in cui era la Francia prima della Reggenza di V. A. R. >» — Il Duca d°’ Orleans sccisse appiè del memoriale: io ve lo nego assolutamente. — E questa supplica ; e questa ri- sposta dicono più che cento modelli. Si noti che il libro dal Silvestri stampato , non è che una traduzione dal francese; e fa di tutto per darlo a conoscere. P. e. « Ho sentito, Signore , con un vero piacere, che le è nato un » figlio: sarà questi al certo ... un’ altro ella stesso. — Se mi 3» è sempre penosa la lontananza da Lei, me lo è maggiormente. .. » È da qualche tempo ch’ io loro non iscrivo : eglino ne accu- » seranno sicuramente la mia negligenza. » — Queste lettere sa- ranno , se così piace ; modelli di ogni pregio possibile , fuorchè di rispetto alle regole della grammatica e della lingua italiana. Ed è veramente doloroso che il Silvestri ci abbia a guadagnare taiti quattrini. Noi attendiamo dal suo zelo qualcosa di meglio : attendiamo una scelta di lettere riguardanti i più comuni affari e accidenti della vita, scritte da Italiani, o tradotte in italiano, ma quel che si chiama italiano; con un indice, in fine, delle frasi dell’uso presente , non barbare e non antiquate, atte ad esprimere cose di commercio, d’arti, e tutti gli oggetti e le idee che occorrono ad ogni tratto nella vita civile e nella domestica. Possibile che un libro ben fatto gli avesse a fruttare meno d’ un libro pessi- mo ? Io lo inviterei a farne la prova. ASSI. 136 Discorsi letti nell’ Accademia delle Belle Arti in Bologna per la solenne distribuzione de’ premi negli anni 1823 e 24. Tip. Sassi. Dopo aver detto che il discorso del sig. prof. Orioli, agli altri sovrasta nella eleganza e nella numerosità dello stile, giova soggiun= gere che noi non intendiamo a simili lavori dar più d’ importanza che loro non ne dieno gli autori stessi, tutti, al creder nostro, stimabili per pregi ben maggiori che non sia l’arte di tirare con qualche pazienza al suo termine un’ Orazione accademica. E in generale parlando, noi non vediamo qual utile, quale onore possa venire o all’ eloquenza od alle arti da queste relazioni; esorta- zioni , dissertazioni, gratulazioni, ed elogi accademici; de’ quali l'assunto più comune si è d’insegnare le cose cognite , e di pro- vare le dimostrate. Può , nol neghiamo , un valente oratore aver bell’ e pronto un buono ed elaborato discorso, e serbarlo al giorno dell’ esposizione; può un uomo d’ ingegno anche da vieti argo- menti, anche da congiunture non importanti trarre scintilla a qualche tratto felice, materia a non inutile intertenimento. Ma il più delle volte, ognun sa, che e lettori e uditori considerano discorsi siffatti come cose di circostanza ; come quasi gli avanzi d’ una consuetudine antica che non si sa nè abolire , nè con- servare , che non è nè morta nè viva. Questa coscienza però, che può dirsi quasi universale , non toglierà che per molti de- cennii non si scrivano , non si leggano, non si stampino de’ di- scorsi accademici, e che tra questi non ve n° abbia taluno me- ritevole d’ udienza e di lettura. Dando un'occhiata ai soggetti de’ lavori premiati, o di quelli che furono presentati alla esposizione , se ne rincontrano non pochi di mitologici, molte copie , moltissime imitazioni. E il sin- golare si è che la predilezione ai soggetti mitologici si trova in alleanza fra noi con l’amore delle cose fiamminghe ; e i due estremi di due imitazioni opposte, s'uniscono nella mente di persone che si pretendono poco meno che originali. Intanto che gli stranieri vengono tra noi a rallegrare il lor estro con le ridenti imagini del Bello della natura e dell’arte italiana, gl'Italiani (non dico che sien molti, ma un solo basterebbe a giustificare il nostro lamento ) gl’Italiani se ne vanno ad imitare, a copiare quant’ha di grottesco e di prosaicv l’imitazione Fiamminga. Io per me non trovo ragione alcuna plausibile nè anche per avvezzare la gioventù alla servile imitazione o alla copia quasi meccanica de’grandi italiani modelli. Due pretesti in favore di simile educazione si possono addurre : 137 il vantaggio di osservare con più delicatezza ed efficacia le mi- nute bellezze de’ capo-lavori che si vengono'imitando 0 copiando; e il vantaggio di farvi Ja mano. Ma egli è, parmi, un far tortg alla dignità dell’ ingegno umano il credere che per imparar a os- servare sia necessario copiare ; e che l’imitazione servile del tutto sia l’ unico mezzo efficace a far 1° esercizio dell’ arte. E così re- stringendo , abbassando , mortificando le forze naturali della men- te, della fantasia , dell’ affetto, non si corre forse pericolo d’im- picciolir l’ arte stessa ; e con la cieca ammirazione delle artificiali bellezze è renderla quasi estranea alle vergini ispirazioni della natura? Altro è dell’ esempio de’ Grandi farsi una guida, un aiuto ; altro è crearsene una catena, un’ inciampo. Le Accademie stesse potrebbero forse concorrere, quant’ è da loro, alla rigenerazione dell’ arte; proponendo soggetti dove un’ ispirazione contemporanea forzi l'artista a sentire, a vedere da sè; e que’ lavori premiando, dove alla correzione e alla fi- nezza, necessarissime, della esecuzione s’aggiunga quella franchezza nella invenzione, quello spirito nelle particolarità, che dimostra un sentimento sicuro , una fantasia, mi sia permesso l’ epiteto , pensatrice. Ke Ki X. Trattato del governo della famiglia di Acw. Panvorrinr. Edi- zione corredata di spiegazioni ed osservazioni tratte da quella di Napoli del 1815. Quarta edizione di questa Tip. ad uso delle scuole d’Italia. Milano Tip. Silvestri 1829. A far l'elogio della civiltà di Firenze e della sua lingua nel secolo XIII, basta citare questo trattatello d’ un mercatante ambasciatore e gonfaloniere di quest’Atene novella. Il Perticari, nel suo dotto e grosso volume, ha dimenticato di citare un qual- che trattato de’ mercatanti di Palermo o di Todi , da potersi con- trapporre a questo del Pandolfini; e me ne duole per la sua lin gua illustre. Quanto alla saggezza ed al senno delle cose in esso esposte; par che 1’ Autore abbia avanzato di quattro secoli e mezzo il buon senso rigeneratore di Franklin. Molti passi ha que- sto libro, che potrebbero convenire alla Scienza del buon uomo Riccardo. E gioverebbe poterlo diffondere per le mani del po- polo, con qualche noterella d’ illustrazione per le frasi anticate, od anche (purchè avvedutamente fatto) con qualche leggier cangia- mento nel testo come fece lo Stella; o piuttosto scegliendone i tratti T. XXXV. Agosto. 18 138 più sensati e più pieni. Noi altri italiani, contiamo , tra vecchi e nuovi , tra imbalsamati e fradici, un'infinità di classici che fa spavento. Tra poco sarà difficile , non che possederne una Biblio- teca, averne un compiuto catalogo. Ma di classici leggibili dalla nazione, non so quanti ne abbiamo. Plebe , e nobili; ecco i due ordini della nostra letteratura : ma il ceto medio , il terzo stato ci manca; e Dio sa quante rivoluzioni bisogneranno per farlo spuntare. L’ Editore di Napoli nella spiegazione d’ alcuni vocaboli e modi di dire , ha delle osservazioni sagge , ma ne ha di troppo comuni, e molte importanti ne omette. Per non uscire dal pri- mo periodo del trattato , non era egli conveniente spiegare in che differisca sollecitudine da diligenza, consuetudini da osser- vanze , che 8° intenda propriamente per umanità , che per faci- lità, giacchè facilità qui non vale , disinvoltura, garbatezza , come l’ illustratore insegna più sotto ; notare infine se sia elissi o no, quella frase ormai inusitata , delle famiglie degne, piut- tostochè fermarsi a insegnare che stremi bisogni vale grandissimi, cosa, a dir vero, non molto esatta; e che interpretare per di maniera che, ed altre simili osservazioni, per cui bastano i di- zionarii, od anche l’ uso della lingua parlata in tutti i dialetti d’ Italia ? In alcuni luoghi dove l’ editore di Napoli si oppone alle osservazioni del sig. Stella’, noi troviamo quelle critiche o soverchiamente sottili, o talor anche non vere. Meglio avrebbe fatto quel valente editore, nell’ indice delle voci e delle frasi non registrate dalla Crusca , distinguere quelle che sono dell’uso vivo , da quelle che ormai si possono dir viete e morte ; per porre un antidoto alla pedanteria degli scolari , ed a quella ch’ è molto più cocciuta e più perfida, de’ maestri. Ma l’arte di far l’Editore de’testi , che dopo un sì lungo esercizio dovrebbe essersi ormai perfezionata in Italia, aspetta anch'essa la risurrezione di quella filosofia che in tutte le cose umane vuol avere autorità ed effi- cacia ; tanto è importuna e tiranna. Intanto i nemici della così detta pedanteria, ne tripudiano ; e pedanteria chiamano ogni stu- dio ch’ abbia per fine la fedele e vivace espressione delle idee e degli affetti. Buon per noi che costoro non sono i più forti tra” pensatori ? Ad ogni modo non porgiam loro l’ occasione , a pro- posito di testi, di passare, con l’associazione delle idee ch' è in loro sì rapida , da’ testi a’ cocci. 1000 EI 1°9 Rendimento di conto dello stabilimento di mendicità di Siena mantenuto dalla volontaria beneficenza de’ cittadini, e prese- duto gratuitamente dai sottoscritti deputati eletti dall’ impe- riale e reale governo. Siena 1829 presso Onorato Porri, in foglio mass. (1). Se egli è vero, come tenghiamo per fermo, niuna amministra- zione potersi mantenere in buon concetto del pubblico senza dar ragione dell’operato, onde i cittadini veggano come si spendono utilmente i denari che dettero per la pubblica utilità , dobbiamo saper grado agli amministratori dello stabilimento di mendicità di Siena per la pubblicazione dell’ annunziato rendimento di conti. Lo stabilimento di mendicità raccoglie i poveri di Siena, che al- trimenti anderebbero mendicando , in una pia casa di lavoro dalla mattina alle otto fino alle venti quattro della sera , rimandan- doli poi alle proprie case, tranne alcuni pochi orfanelli che ri- cevono lume letto e fuoco dallo stabilimento. L’ istituto dà ai poveri il vitto , il vestiario ed una piccola retribuzione giornaliera, che è di 5 soldi per gli uomini , e di un soldo per le donne. Così To stabilimento spende per un uomo lire 209. 15. 8, per una donna lire 123. 18. 2, per una ragazza lire 95. 10. 8, per un ragazzo lire gr. 1. 4. “ Non vi sono, come rilevasi dal prospetto, tranne.i o militari ed il barbiere sempre necessari , che soli due inser- > vienti, ed ancor questi al momento che avranno altro destino 3; non saranno rimpiazzati, potendo benissimo disimpegnare le x» loro funzioni i poveri, e così avere nell’interno tutta l’ammi- so Nistrazione gratuita ,,- Il vitto dei poveri consiste in minestra e pane i giorni fe- riali; nelle domeniche poi al vitto solito s° aggiunge mezza libbra di pane, cinque once di carne, ed un quarto di vino. Parimente, benchè in tuttii giorni si pensi all’istruzione cristiana de’ poveri, nei dì festivi vi si pone una cura speciale. Parmi poi cosa meri- tevole di osservazione che ogni domenica si rilegga ai poveri il regolamento. Quest’ ottima consuetudine deve valere a senso mio (1) Le sottoscrizioni al. regolamento sono le seguenti : march. cav. Angiolo Chigi gonfaloniere. Cav. Rettore Bandinello Cerretani. Ab. Filippo Bellonti. Giuseppe Ballati camarlingo. Leopoldo De Terra. — Visto il consigliere di stato luogo tenente generale e governatore della citta e stato di Siena, Presidente della deputazione, Conte Giov. Battista Baldelli Boni, 140 più di ogni altro mezzo ad avvezzarli alle idee di diritto e di dovere , ed ad impedire ogni cattivo trattamento, come ogni rilas- samento di disciplina. La pulitezza della persona, massime nella gioventù , è specialmente raccomandata ai caporali ed alle mae- stre. “ Questi caporali e maestre devono occuparsi de’ loro sot- 3, toposti, e specialmente le maestre hanno l’enere d’ogni giorno »» di pettinare , e lavare le mani ed il viso alle ragazze affidate 3 loro; e dare ad esse una buona educazione ,,. Lo stabilimento ha per oggetto di toglier la mendicità dalla città di Siena, però i soli sanesi sono ammessi nello stabilimento; gli altri mendici sono espulsi dalla città. “ Tuttavia lo stabili- », mento accorda tre giorni di convalescenza a tutti i poveri fo- »» restieri i quali escono dallo spedale e che non sono in grado, »» attesa la debolezza, di partir subito per il loro destino, ed » altrettanto ai sanesi inabilitati sul momento ad impiegarsi nel » lavoro ,,. Vedete bello esempio dell’ umanità de’ privati, che reca qualche rimedio ai cattivi regolamenti degli ospedali! E poichè il luogo pio,-oltre i soccorsi materiali dà ai men- dici una educazione morale ed economica conveniente al loro stato, è ragionevolissimo “ che non si accordino sotto alcun pretesto », sussidii a domicilio, ma si richieda assolutamente che i pove- s, ri, per ottenere le sovvenzioni promesse dal pio istituto , si »» trasferiscano ogni giorno personalmente allo stabilimento, e si »» uniformino in tutto e per tutto agli ordini veglianti nel me- 3» desimo ,,. Ella è pure un ottima regola che ‘‘ quando qualche ») ragazzo o ragazza è in grado di procurarsi col proprio lavoro »» la sussistenza , venga licenziato dal luogo Pio; poichè devono s, appartenere al medesimo quelle sole persone che per vivere 3» sarebbero di necessità costrette a domandar l’elemosina per le »; strade. Il rendimento di conti ci assicura di un avanzo a tutto il 30 giugno 1828 di lire 3262 — 5..Ci dà pure il numero de’ po- veri per otto anni, che noi sottoponghiamo volentieri alla consi- derazione de? lettori. Dal 1 Luglio 1820 al 30 Giugno 1821 N.° 175 1821 1822 163 1822 1823 150 1823 1824 195 1824 1825 136 1825 1826 138 1826 1827 97 1827 1938 127 TAI Nell’anno 1820 l’uscita fu di lire 21,176. 5. — ; l’anno 1827 è stato di lire 17,568. 8. 5. Lo stabilimento si mantiene colle volon- tarie beneficienze de’ privati, le quali poichè in alcuni tempi sono state superiori al bisogno , hanno dato luogo al pio stabili- mento di mettere a frutto sul Monte de’ Paschi la somma di li- re 17000. Il pubblico di Siena vedendo pubblicare questi fatti pren- derà animo, lo spero, a favorire a tutta possa uno stabilimento sì pio e sì onorevole. Così fosse dato sperare che giovasse 1’ esem- pio, e che tutti si persuadessero al fine che la’ generosità de’cit- tadini suol essere proporzionata alla bontà ed alla lealtà de’mezzi di amministrazione, che soli possono ispirare fiducia. F. Fort. Istoria di un sonnambulismo con alcune riflessioni sopra questo fenomeno e sul sonno, letta nella pubblica adunanza dell’ Ac- cademia Labronica del dè 19 marzo 1829 dal dottor G. Par- zoni. Livorno 1829. Il fenomeno importante del sonnambolismo viene esposto dall’A. della presente lezione con rara perspicuità , e con osser- vazioni le quali, se non sono al tutto nuove, hanno almeno il pregio dalla sobrietà , e dell’ aggiustatezza. Ed in vero in tempi ne’ quali è somma intemperanza d°’ ipotesi psicologiche , e somma indulgenza pei cattivi ragionamenti che si fan forti dell’imma- ginazione, qualunque cosa savia scritta a fin di bene merita lodi, come imitabile esempio di rara moderazione nell’ adoperare le forze dell'ingegno. La qual cosa parmi assai più lodevole nelle persone che godendosi già la fiducia dell’ universale potrebbero esser facilmente credute, per poco che fossero intrepide nell’as- serire. Però lodo moltissimo che 1’ autore non abbia preteso d’as- segnare la cagione prima del sonnambolismo, ma esponondone gli effetti, ne abbia tratte alcune osservazioni che confermano le più sane regole de’ moralisti e de’ politici intorno all’ imputa- zione degli atti de’ sonnamboli, narrando eziandio due o tre fatti recenti, che probabilmente non erano stati ancora scritti da alcuno. F. FortI. 142 Il compendio della Storia Romana del dottor Gorpsmirz recato in italiano da F. Frawcrsco Vircarpi. Firenze 1828 presso Veroli un Vol. paoli 4. Si è parlato in altro numero dell’Antologia (N.° 99) della tra- duzione fatta. dal. Villardi, della Storia Greca del Goldsmith ; sì che adesso basterà notare come la traduzione presente meriti le stesse lodi, e vada soggetta alle stesse obiezioni: solo aggiun- gerò che la traduzione della storia romana è paruta ad alcuni in- telligenti più accurata dalla prima. Di che peraltro si lascia libero il giudizio ai lettori. i F. Forti. Manuale di polizia medica di Lorenzo Marini. Milano per Antonio Fontana 1828 in 8.° In quest’ operetta, che fa parte della collezione dei manuali che si pubblica in Milano, l'A. espone in stile chiaro e aforistico le più importanti cognizioni riguardanti la salute pubblica. Dieci capitoli costituiscono i prolegomeni, destinati a mostrare 1’ impor- tanza della polizia medica nello stato sociale, e le sue relazioni colle scienze naturali e filosotiche delle quali anzi è costituita. Le materie son disposte in quattro sezioni divise in capitoli ; ciascun capitolo si compone di paragrafi. Nella 1.* sezione si parla della popolazione ; nella 2.* dell’uomo sano ; nella 3.* dell’uomo ammalato ; nella 4.* dell’ nomo morale. A ciascun tema è stata data una sufficiente estensione , e le dottrine e i precetti che da tutta l’opera si attingono sono al di sopra di quello che si aspet- terebbe di trovare in un libro di 304 pagine , destinato a sì vasto argomento. a V. Errori e danni della medicina curativa di Le Ror. Avvertimento al pubblico di Francesco Quactra. Voghera, dalla Tipografia Sormani 1828 in 8.° È questa un’ analisi, e una confutazione delle dottrine pa- tologiche del signor Le Roy, i cui danni più che da qualunque ragionamento sono oramai fatti palesi da una dolorosa esperienza. Gli errori in fatto di scienza sono così grossolani nell’ A. fran- cese , che fino dalle prime pagine lasciarono prevederne le fatali 135 conseguenze. Ciò che ha abbagliato le deboli menti , sono i rac- conti di supposte guarigioni miracolose; quindi la storia nuda dei sinistri efletti di questa maniera di medicare è più atta a togliere d’inganno i creduli, che un esame scientifico di principii. Il nu- mero dei tristi casi ha già cominciato ad illuminare gl’ illusi ; e la riputazione del dott. Le Roy si va proporzionando al suo merito. Pare che attualmente si voglia accordare fiducia di rimedio universale al cloruro di calce ;} e noi temiamo , che per una ma- laccorta applicazione , si venga screditando, e perciò abbando- nando in molti casi nei quali può essere utile una sostanza così | preziosa per disinfettare. Non è la prima volta; che si son fatti cader di stima e quasi dimenticare degli eccellenti rimedii per averli voluti applicare a tutti gli usi, e averne così smentita l’ efficacia. V. Il Discernirore. Opera periodica da stamparsi in Roma. = Programma di associazione. Stamperia Salviucci ; 1829. Dopo aver dovuto parlare nel precedente fascicolo di due scritti che non possiamo considerare come appartenenti alla critica, ci è caro l’ annunziare che verrà pubblicata in Roma un’opera periodi- ca, in cui si promette di rendere il meritato onore a quell’ arte luminosa. Il solo titolo Discernitore racchiude in sè tal promessa, che più esplicitamente poi si esprime nelle seguenti parole: Non »» essendovi nulla di bello al mondo e di ben ragionato che in sè 3, non abbia qualche menda o difetto, così non ometteremo, cono- », scendoli , di notarli e farne avvisati i nostri lettori ; e sì ur- 3, banamente il faremo che agli scrittori antichi non sia per noi 3 diminuito il rispetto, e ai viventi non debba venire onta o di- s) Spiacere dalle nostre parole ,, (p. VI). Il Discernitore, mentre abbraccia la filosofia , la letteratura e le belle arti, si propone ancora di dare se non una Rivista retrospettica come l'inglese, almeno una scelta di cose ntili e poco conosciute tratte. da scrittori antichi. Noi abbiam sempre pensato che opera di gran giovamento sarebbe: 1.° il tornare nel meritato onore scrittori o poco conosciuti o trascurati dai più non dimenticando i MSS; s.° l’ istituire ragionate indagini sopra opuscoli interessanti, e pur troppo facili ad obliarsi e a smartirsi; 3.° il richiamare alla memoria idee luminose sparse o in questi, o in opere periodiche, che per lo più si metton da parte appena lette. — Quanti bei pensieri tornerebbero così in luce de’ nostri 144 © padri, quante fatiche si risparmierebbero ai viventi ! Quanti ma- teriali da render più completa ogni storia sia politica ; sia scien- tifica o letteraria! E chi sa pur quante glorie dà rivendicar come nostre delle quali si onorano gli stranieri! — Veda di qual servizio potrebbe in questa sola parte essere il Discernitore al- l’ italia; e Roma, per la copia delle biblioteche pubbliche e pri- vate, è una delle città dove possa sperarsi abbondante la messe. Per le Belle Arti ancora, alle quali verrà consacrata buona parte del nuovo giornale, non può esservi luogo miglior di Roma; anzi è quell’ unico centro in cui possa pronunziarsi giudizio sull’ anda- mento delle varie scuole che vi si formano , e sulle opere para, ticolari che ogni dì vi si terminano. In questo ramo ancora potrà il nuovo giornale render servigi, de’quali non è qui luogo il di- scorrere. Riguardo alle scienze morali, i redattori rendono loro il dovuto omaggio assegnando ad esse il primo posto nella loro opera ; e in quanto alla filosofia applicata, ci piace il ripetere le loro parole : ‘ Le lettere e le Belle Arti non possono stare » senza filosofia. È per l'unione di questa che da loro ne ri- 33 sulta il vero bello, cioè quello che non rallegra 1’ uomo di », una dilettanza passeggiera che solo attragga l’ occhio , o tocchi 3» lievemente il cuore, ma che presta un vivo godimento che si » prolunga nello spazio della vita; quello che movendo forte- »; mente gli affetti ne istruisce 1° animo ,,. Dopo tal concetto della filosofia e della morale speriamo veder degnamente trattati in questa parte d’ Italia tanti argomenti che interessano su tutti gli altri la pubblica e privata prosperità. Resta che facciam parola di quella sezione del Discernitore che abbraccierà articoli di critica , 0 originali o presi da giornali stranieri. E quì ci facciam lecito esporre alcune idee figlie d’ un desiderio, al quale nissun giornale che conosciamo soddisfà pie- namente. Una rivista deve dare o ragguaglio o giudizio, e talvolta ragguaglio e giudizio delle opere principali che vengono in luce. Qualche volta è bastante 1’ ufficio di relatore, quando l’opera è di tanta importanza e di merito sì evidente che basta farla co- noscere al pubblico onde questo per sè stesso l’apprezzi , o quando trattandosi di opera straniera, ce ne può essere utile l’ analisi , e ne sarebbe presuntuoso o soverchio il giudizio. Altre volte un’ opera essendo già per le mani di tutti è inutile il dire minuta- mente ciò che contenga, ma non così il darne giudizio quando principalmente ci sembrasse traviata l’ opinione pubblica ; o pe- ricolosa la tendenza di mal acquistata celebrità. Non occorre poi 15 dire quando debbansi riunire insieme gli uffici di relatore e di ta gindice , ciò accadendo nel più de’ casi, anzi in tutti quelli che . non abbiamo testè accennati. — Bisogna poi sempre distinguere tra opere nazionali e straniere. Per quest’ ultime dovrebbe una rivista prender soltanto quelle di mira le quali sono degne di cittadinanza in tutta l’ estensione della repubblica letteraria ; © che hanno più stretto rapporto con la propria nazione. L’ Italia deve principalmente aver l’ occhio sulle opere di quest’ ultimo genere, perchè 1° Italia è la classica terra verso la quale i dotti d’ogni paese tengon rivolto il guardo e in ‘cui trovano materia © inesaurabile d’ interessanti lavori. Però dobbiamo conoscere ciò che si va scrivendo oltramonti sulla nostra storia , sulla nostra letteratura ec. ec. La sola Germania potrebbe occupare una ri- vista, come dovrebbe occupare la penna di molti traduttori ita- liani. Ma per disgrazia non sono soli i dotti stranieri quelli che si occupano di cose italiane. — Vengono ogni anno migliaia di viaggiatori a premere questo sacro terreno, e molti fra di essi, per varii motivi e non tutti onorevoli, si fanno lecito di pub- blicare una massa di strane o imperfette notizie sopra un paese che non sanno vedere, e sopra un popolo che non sanno ap- prezzare. Per questi dovrebbesi in una buona rivista inalzare un tribunale italiano , che ove pronnaziasse ben ragionate sentenze, forse da una parte farebbe muover più cauta la turba viaggia- trice, e dall’ altra potrebbe dalle opere degne di stima dedurre per gl’italiani stessi giovevoli avvertimenti. — E ciò mi fa pen- sare che noi pure potremme dare un’ occhiata ai paesi stranieri; noi pure potremmo esaminarne gli usi e le istituzioni; ma più generosi non lo faremmo onde vituperarli di ciò che hanno d’ imperfetto , ma per trar profitto da ciò che hanno di buono. Già a tutti maestri, noi non abbiam vergogna di confessare che alcuni frutti da noi piantati hanno potuto in forza di circostanze più favorevoli prosperare sull’ altrui suolo con più vigor che sul nostro ; or facciamoli nostri per adozione que’ frutti che già per origine il sono; facciam loro di nuovo sentire l’ aria nativa. Essa adesso spira loro più seconda ,itempi cangiarono , e la stagione è propizia ad ogni util cultura. Che se taluno per falso orgoglio nazionale nulla volesse dagli stranieri ritogliere , io gli rammen- terei ciò che un Cesare diceva di quei romani che fondarono Ia gloria della repubblica: « Non i nostri maggiori ebber penuria 3» mai di consiglio o d’° ardire, ma non però li distoglieva, la o superbia dall’ imitare, ove pur buoni fossero; stranieri istitu- T. XXXV. Agosto. 19 146 ,, ti + . + + Quanto, in qual siasi luogo , fosse fra gli alleati o »» fosse ancor fra i nemici, sembrava ad essi opportuno , a quello »» con sommo studio nelle proprie mura applicavansi: più lor » giovando imitare che invidiare il bene altrui ,, (1). Così a tre punti principali si ridurrebbe secondo noi per le cose straniere l’ ufficio d’ una rivista italiana ; cioè 1.° all’ opere degne di fama europea, 2.° a quelle che hanno rapporto all’Ita- lia, 3.° a quelle che possono suggerirci utili instituzioni. — Ai quali tre punti, un quarto vorremmo ora aggiungerne , che po- trebbe far cessare molte dispute e sradicare molti pregiudizi , cioè di esporre in una serie di articoli lo stato della critica e i? principii che regolano la letteratura presso le più culte nazioni d’ Europa. Intorno alla parte nazionale d’ una rivista italiana, ben più difficile ci riesce l’ aprire il nostro pensiero. Le parole di che vorremmo far uso sembrerebbero dette in censura de’ presenti giornali, mentre sappiamo per esperienza che non tutta di questi è la colpa. La tarda communicazione fra le varie provincie d’Italia fa che sovente ignoriamo nell’ una ciò che nell’ altra si pubblica, e talvolta ancora , oh vergogna , noi lo apprendiamo dagli stranieri. Per inconcepibile indifferenza , nè gli autori nè gli editori si curano di fare universalmente conoscere ciò che mandano in luce, con danno a sè stessi e con detrimento alla geuerale utilità de’pubblici fogli. Da ciò risulta che questi conser- vano sempre per necessità un carattere municipale ; e quantunque in essi ciò sia effetto non di gelosia e d’invidia, ma dell’essere ben informati soltanto di quello che vedono nel proprio luogo ; può al pubblico e agli autori stessi negletti apparire altrimenti, e derivar- ne cagioni di dissenzioni non solo fatali alla letteratura, ma alla unione dello spirito nazionale. A ciò potrebbe ovviarsi con una regolare corrispondenza che s° istituisse fra uomini dotti di varie città @’ Italia. Se questi si facessero scambievolmente relatori 1’ uno all’altro di quanto si fa intorno ad essi, non solo a prò delle lettere, ma ancora a vantaggio d’ ogni utile disciplina e d’ogni progresso sociale, non piccoli sono i risultati che potreb- bero sperarsi da sistema sì semplice e facile. Non è quì luogo di farne più lungo discorso, e da questa idea che tenderebbe a (1) « Majores nostri neque consilii , neque audaciae unquam eguere : ne- 3» que superbia obstabat, quo minus instituta aliena, si modo proba erant, >» imitarentur..... Quod ubique apud socios , aut hostes idoneum videbatur, cum 3» summo studio domi exequebantur: imitari, quam invideri bonis, malebant ,,. (Sallustio. Catilin.) 147 riavvicinare i dotti delle varie città d’Italia , passo ad un altra che potrebbe riavvicinare fra loro quelli d’una stessa città. — La critica come oggidì si esercita dai giornali non è per lo più tale da ispirare o fiducia al pubblico, o rispetto agli scrittori. Le sentenze si pronunziano da un solo, e questi talvolta le pro- nunzia ancora su cose di cui non è maestro. Per contro i giudizi dovrebbero pronunziarsi soltanto da tale il cui nome fosse auto- rità nella sottoposta materia, e questo nome non dovrebbe mai tenersi celato. Non che in alcun ramo di letteratura o di arte possa esservi autorità senza appello ; non che 1’ ingegno debba piegarsi innanzi a qual siasi nome; ma anzi affinchè questo si senta acceso da stimolo generoso udendo la voce o di un inco- raggiatore autorevole o d’un degno oppositor&@ E dove uomini di tal fatta o per trista ignavia o per pregiudizio , non volessero pronunziare tali giudizi in opere periodiche , allora bisognerebbe che colui che in esse esamina e giudica non si rimanesse isolato, ma si facesse l’ organo del parere di più nomini autorevoli. Onde vorrei che i redattori d’ un giornale, divisi in classi discutessero fra loro il merito delle nuove pubblicazioni, e che dalla loro discussione risultasse l’ articolo critico affidato per l’ estensione a quella penna riconosciuta più atta all’ ufficio. Questo sarebbe un vero giudizio , questa una critica ponderata. E allora soltanto potrebbe il giornale prenderne la responsabilità per sè stesso, senza farla pesare sul nome d’ un solo estensore. Mi è stato op- posto, che mentre io spero che da quelle letture e discussioni comuni fosse per nascere o un concorde assentire alla verità , o una investigazione della medesima per vie diverse , e però nuove vedute , nuove opinioni, nuove ricerche; in realtà poi non ne verebbero che oziose contese, ed ogni opera nuova sarebbe un pomo di discordia gettato fra i dotti. Se la mia speranza non è che un bel sogno, questa asserzione per contro sarebbe una sì brutta realtà , che io vorrei ad ogni costo che una prova si fa- cesse in Italia fra una lusinghiera speranza e una ingiuriosa as- serzione. == La tentino i redattori del nuovo giornale di Roma, chè faranno cosa nuova non solo in Italia, ma forse in Europa. — Noi intanto desideriamo ogni miglior successo alla loro im- presa. Abbiamo ultimamente applaudito al nuovo istituto archeo- logico, e sempre applaudiremo a qualunque progetto che possa contribuire alla gloria delle scienze , delle lettere e delle arti italiane. Non in noi può destarsi mai invidioso timore di veder diminuita la nostra propria influénza ; nè mai sì basso pensiero ci farà augurar breve vita alle nuove pubblicazioni di genere 146 somigliante alla nostra. Anzi più che avanziamo , più vediamo dilatarcisi innanzi il campo da esplorare , e sentiamo che nè vi bastiamo noi soli, nè vi bastano ancora i giornali che ora si pub- blicano nella penisola. Dall’ Etna all’Alpe vorremmo, che rapida come scintilla elettrica percorresse l’ Italia il lume della scienza, e che ogni sua parte simultanea sorgesse, come mossa da un unica mente animata da un grande pensiero (*). E. M. (*) Nota del Direttore dell’ Antologia. — Il soggiorno in Roma del no- stro amico e collaboratore sig. Enrico MayEeR adempie alfine uno de’nostri più vivi desiderii, quello d’ avere un corrispondente, che , penetrato del’ vero spi- rito della letteratura periodica , ci faccia conoscere con esattezza quanto di più bello e di più utile alla civiltà italiana s’ intraprende nella capitale antica del mondo. Nell’ articolo , che dà occasione a questa nota, egli esprime de?’voti, che sono pure 1 nostri, e ai quali ci è per ciò doppiamente caro il dare pub- blicità. Com? essi non racchiudono alenna di quelle critiche particolari, da cui per una giusta delicatezza e pel bisogno che noi stessi abbiamo d’ indulgenza, ci siamo fatta una legge d’ astenerci riguardo. a’varii giornali d’Italia ; com°es- si non s’indirizzano meno a noi che ad altri ; ci pare che nessuno possa esser- ne offeso. A questi voti noi aggiugneremo una preghiera , già fatta altre volte a’ nostri eollaboratori, di aver principalmente di mita ne’ loro scritti i bisogni morali ed economici della nazione. Sarà sempre onorevole pel nostro giornale il dar pascolo ai cultori delle scienze e delle lettere. Ma noi dobbiamo consi- derare come troppo più importante il porgere quel genere d’ istruzione , che può convenire anche ai meno colti , e contribuire più direttamente al bene generale. ” 149 BULLETTINO SCIENTIFICO Agosto 1829. SCIENZE NATURALI . Meteorologia. Il sig. Du Commun dell’ Accademia militare di Westpoint ha proposto una singolare ipotesi, colla quale gli sembra potersi spiegare i vulcani ed i terremoti. Se una campana sospesa ad una catena colla bocca o aper- tura volta in basso, e piena d’aria atmosferica, s’immerga nel- l’acqua del mare, a proporzione che essa discende, l’aria conte- nutavi anderà condensandosi e riducendosi in minor volume , in conseguenza della pressione sempre crescente che essa prova per parte dell’ acqua. L'autore ha calcolato che quando la campana sia discesa alla profondità di 32,736 piedi, l’ aria inclusavi, sof- frendo una pressione eguale a quella di 800 atmosfere, avrà acquistato una densità eguale a quella dell’ acqua marina. Da quel punto in poi, seguitando a discendere, la sua densità, e conseguentemente il suo peso specifico , diverrà maggiore di quello | del’ acqua del mare, perlochè cedendo il luogo a questa, dalla parte superiore della campana, che aveva orcupata fino allora, discenderà in basso fino al fondo del mare. L’ autore non esita a supporre che se un numero grandissimo di simili campane fosse immerso nell'oceano, si formerebbe in fondo a questo uno strato d’aria compressa ; ed anche togliendo di mezzo la supposizione delle campaue, prodotta per render più facile l’intelligenza del suo con- cetto, egli ammette in sostanza la cosa come effettiva e reale , benchè operata in altro modo. L’acqua di pioggia, dic’ egli, è saturata d’ aria ; l’acqua del mare discioglie continuamente del- l’aria, a contatto della quale è sempre agitata ; dunque, egli conclude, si può ammettere che l’acqua del mare è completa- mente saturata d’ aria. Quella unita all’ acqua degli strati molto profondi, avendo una densità eguale a quella dell’ acqua stessa, ed acquistandone una maggiore con discendere più a basso , in nseguenza dei movimenti dai quali venga agitata, deve cadere fondo al mare, dove si devono ammettere degli strati d’aria ‘condensatissima. 150 Allo sprigionamento di quest’ aria 1’ autore attribuisce gli effetti dei vulcani e dei terremoti. Crediamo inutile fermarci a confutare un’ipotesi così strana. Il barone Leopoldo De Buch, prendendo a spiegare la tem- peratura delle sorgenti d’acqua, ricorda che Wahlemberg fu il primo ad osservare che la temperatura media del suolo è tanto più elevata di quella dell’ aria che vi corrisponde sopra , quanto più uno si avanza verso il nord. Per questa ragione, intorno al polo possono vivere delle piante che perirebbero in un terreno arido, e che vivono dove è umidità. Wahlemberg ed altri dotti hanno attribuito il minor raffreddamento del suolo alla neve che lo ricuopre, e che mal trasmette il calorico. Il sig. De Buch di- chiara; erronea quest’ opinione , poichè il calore penetra nella terra. \Egli riguarda l’acqua d’ infiltrazione come il principal mezzo per cui il calore o la temperatura si distribuisce nel suolo prontamente e profondamente. Nei luoghi nei quali il freddo non è sufficiente ad impedire la circolazione dell’ acqua, la tempera- tura delle sorgenti perpetue è quasi identica con quella dell’atmo- sfera. Humboldt è statu il primo ad osservare che nelle contrade calde la temperatura delle sorgenti è quasi sempre inferiore d’al- cuni gradi a quella dell’ atmosfera. Da molte osservazioni proprie ed altrui, fatte in diversi punti del globo ; il sig. De Buch conclude che la temperatura delle sorgenti nella regione del nord , ove la superficie delle acque è gelata, è più alta che la temperatura media dell’ atmosfera am- biente ; che nelle regioni temperate , ove la superficie ed in conseguenza le acque d’ infiltrazione non gelano, la temperatura delle sorgenti eguaglia la temperatura media atmosferica , e che in fine nelle parti meridionali d’ Europa fino al tropico la tem- peratura delle sorgenti è più bassa che la temperatura media dell’ atmosfera. di Fisica e chimica. La somma importanza ed utilità dell’acqua per i bisogni della vita , dell’ agricoltura , e delle arti, ha impegnato da al- cuni anni le nazioni più colte e più industriose a conquistare Così sollevando all’altezza opportuna con macchine ingegnose e specialmente con quelle attivate dal vapore, le acque d’alcuni finmi, si sono fatte affluire in gran copia ad alcune città ca- pitali d’ Europa. cogli aiuti dell’ arte questo benefizio della natura. i ni i , 151 Più numerose benchè meno ampie sorgenti d’ acqua viva e perenne si sono andate e si vanno cercando, specialmente in Francia, in quelli che dicono Pozzi artesiani, o Fontane arte- siane , perchè praticate, per quanto sembra , prima e più che in altro paese di Francia in quello d’ Artoîs. Noi italiani dovremmo chiamarle fontane o pozzi modenesi, giacchè nella città e nelle vicinanze di Modena pare che si conoscessero e si praticassero molto prima che nel paese d’ Artois. In fatti il celebre Domenico Cassini, chiamato a Parigi sotto il regno di Luigi XIV, vi diede notizia delle fontane modenesi ; delle quali come di cosa, già antichissima dissertarono il Valli snieri e prima di lui il Ramazzini sul principio del secolo AVI. Sebbene a scavare questi pozzi o fontane s’ impieghino og specialmente in Francia, in Inghilterra, ed altrove, HF fficasi assai più che prima ingegnosi e. perfetti, e quali comportano i moderni progressi delle arti meccaniche , pure l’ operazione è sostanzialmente la stessa che quella praticata nel modenese da un tempo che può dirsi immemorabile. In un suolo che o l’ esperienza abbia mostrato a ciò acconcio, o che faccia presumer tale 1’ analogia con altri terreni sperimen- tati con successo, si fa un foro verticale smovendo , triturando, ed estraendo con strumenti appropriati i diversi materiali che s’in- contrano , e che sono ordinariamente, prima uno strato più o meno profondo di terra vegetabile, poi altri strati d’ argille varie, di arena, di ghiaia, banchi pietrosi ;-ec. Incontrandosi circostanze opportune , avviene che al momento in cui si finisce di traforare l’ ultimo strato o banco adiacente all'acqua sotterranea , questa s’ introduce impetuosamente nel foro , ed ascende in alto, arrestandosi talvolta più o meno al di sotto della superficie del suolo, tal’ altra elevandosi al di sopra di esso , e spingendosi in getto verticale nell’ aria, anche ad un altezza considerabile. Nella sua prima eruzione l’acqua ordina- riamente porta seco in alto terra, arena, e ghiaie, o minute pietre, ma ben presto a quella torbida succede acqua limpida e chiara , e per lo più assai buona e potabile. Per altro siccome a quest’ acqua, che è quella di cui si vuol fare acquisto, si mescolano o possono mescolarsi altre acque meno pure, e qualche volta anche acque minerali, provenienti .dalli strati superiori, però s’insinua fino al fondo del foro fatto un tubo o condotto per cui passa la sola acqua della sorgente profonda , senza confondersi colle superiori» Ove le condizioni locali fanno che 1’ acqua si elevi più o 52 i , meno al di sopra della superficie del suolo , si formano delle fon- tane; ove poi la superficie dell’ acqua elevatasi resti più o meno inferiore alla superficie del suolo , si formano dei pozzi , scavando più estesamente il terreno intorno alla sorgente ; ed abbassandosi con questo scavo tanto , quanta profondità d’ acqua vuole aversi nel pozzo , componendo la parete che circonda il pozzo x con- serva di buona calce e buoni mattoni bp di contener 1° acqua, ed il fondo di buona argilla, se pur non s’ incontrano natural- mente banchi o strati pietrosi o argillosi impenetrabili dall’acqua. Così procedesi , presso a poco, dovunque sia incerto se tra- forando il suolo franche a notabile profondità, sia per incontrarsi l’ acqua desiderata ; si comincia cioè da cercar questa, e solo dopo averla trovata ; si (pensa a costruire i pozzi, o le fontane. Ma in’ Modena e nei suoi contorni, ove si ha la positiva cer- tezza d’ incontrar l’acqua dovunque si trafori il suolo alla con- veniente profondità , si procede diversamente. Disegnato il pozzo precisamente nel sito ove si vuole aver- lo, se ne incomincia lo scavo, e si continua finchè alla profon- dità di circa 28 piedi s’ incontra dell’argilla compatta , ed impe- netrabile dall’ acqua. Allora si sospende l° escavazione , ed eva- cuate dallo scavo le acque introdottevisi per infeltrazione latera- le, si costruisce di buoni mattoni e calcina il muro circolare del pozzo , addossandovi poi esternamente e comprimendovi ella buona argilla; per assicurarsi dalle ulteriori infeltrazioni delle acque superficiali. Fatto ciò si ripiglia l’ escavazione nel banco argilloso e si continua fino alla profondità d° alcune braccia al di sotto del livello a cui si sa che 1’ acqua è per elevarsi. Deter- minato così il fondo del pozzo , verso il centro di esso s’impren- de a fare con una trivella appropriata un foro , il quale appena perviene allo strato dell’ acqua sotterranea, questa vi entra im- petibzazionte , portando seco in principio alquanta terra, arena, e pietre , e si eleva nel pozzo ad un livello che divien costante. In alcuni siti, ove la superficie del suolo è più bassa di questo livello , l’ acqua sotterranea erompendo si solleva in aria ad un altezza proporzionata, formando «in vece d’un pozzo una fontana. Sebbene questa violenta eruzione dell’ acqua da ime parti della terra fino a qualche altezza al di sopra della di lei super- ficie, e più ancora la costanza e la durata indefinita di quest’eru- zione compariscano fenomeni singolari, ed anche maravigliosi, pure semplici e certe nozioni di geologia e d’ idraulica bastano a darne sufficiente ‘Spiegazione. 153 Se dal fondo d’ un lago s dal letto d’ un fiume , o da altro deposito alquanto elevato 1’ acqua trovi una via sotterranea per cui discendere, sia che s’ insinui per le fessure o interstizi che separano uno dall’altro diversi banchi o strati, o diverse parti d’ un banco stesso , sia che s’ infeltri per strati di materie per- meabili, come di ghiaie , di sabbie , ec., spinta dal proprio peso seguiterà quelle vie sotterranee , ordinariamente più o meno di- scendenti ; nè cesserà di percorrerle se in qualche parte pianeg- gino , o se anche tornino alcun poco ad elevarsi, seguendo gli accidenti o le sinuosità del terreno , sollecitata dalla pressione dell’ altra acqua che le succede. Qualunque sia la forma e 1’ estensione ti queste vie sot- terranee permeabili dall’ acqua , ogni qual volta esse sono inter- poste e contenute fra materiali impenetrabili dall’ acqua stessa, quali sono i banchi e li strati di pietra e d’ argilla, 1’ acqua che le occupa e le percorre , vi si trova nelle stesse condizioni di quella che sia rinchiusa in tubi o condotti, dalle parti più basse dei quali tende a risalire alla stessa altezza da cui è discesa , o erompendo per una apertura , si slancia in aria ad un altezza proporzionata. ; A formarsi un idea materiale di questi effetti , si pigli un catino o altro vaso vuoto , di qualche profondità , e in mezzo ad esso si collochi stabilmente altro vaso della stessa forma, ma al- quanto più piccolo , talmente sospeso , che tra fondo e fondo, tra parete e parete , uu intervallo di circa un pollice separi uno dall’ altro i due vasi. L’ interno o minore abbia soltanto la forma esterna di vaso, ma sia solido o pieno nell’ interno di materia , almeno fino ad una gran parte della propria altezza. Se dopo avere empiuto d’ acqua l’ intervallo frapposto ai due vasi , e di- ‘sposta una sorgente che lo mantenga costantemente pieno, si tra- fori verticalmente d’ alto in basso il vaso interno ; appena il foro avrà traversato il fondo del vaso interno , 1’ acqua frapposta ai fondi dei due vasi s’insinuerà per esso , e spinta dalla pressione delle colonne laterali , rimontando in alto, comparirà alla super- ficie del vaso interno,; se questo sarà interamente solido, o pieno, ovvero si eleverà anche in aria, se quella superficie sia alquanto più bassa dell’orlo dei due vasi, e conseguentemente anche della superficie dell’acqua che ne riempie l’ intervallo. Si è rilevato di sopra che quel genere di pozzi e di fontane di cui si parlava, e che i francesi chiamano fontane e pozzi ar- tesiani, erano conosciuti e praticati in Italia ; e singolarmente T. XXXV. Agosto. 20 154 nel modanese ; molto prima che in Francia: Possiamo aggiugnere che una pratica in qualche modo analoga è conosciuta da tempo immemorabile anche in Toscana. Alcuni ortolani del piano di Firenze , allorchè in qualche parte dei terreni che coltivano ven- gon a mancar d’ acqua , traforano con una grossa e lunga tri- vella il terreno , da cui in molti luoghi scaturisce l’ acqua fino alla superficie del terreno stesso , o poco al disotto. Ed anche allorquando i comuni pozzi mancano o scarseggiano d’acqua , un foro più o meno profondo ve ne fa affluire da nuovi strati , inferiori a quelli che prima ve la versavano. È morto recente- mente un tal Vincenzio Guidi di Peretola, capomaestro muratore di molto ingegno , il quale era spesso chiamato ad eseguire simili operazioni , delle quali si era reso espertissimo , e che erano or- dinariamente coronate da buon successo. In alcuni dei molti casi del suo esercizio incontrò il Guidi le condizioni ed i fenomeni dei pozzi artesiani e modenesi. Eccone uno molto recente. Circa tre anni addietro, mentre egli, intento a richiamare copia d’acqua nel pozzo esausto d’ un tal Romanelli fornaciaio a Peretola , vi faceva eseguire un traforo ; giunto questo a notabile profondità, ne emerse ad un tratto l’ acqua con tale impeto, che ruppe un grosso tronco d’ abeto a cui era adattata la trivella , ed obbligò gli operanti a risalire precipitosamente fuori del pozzo, per iscam- pare dal pericolo di restarvi sommersi. Una lettera scritta da Strasburgo dà notizia d’ una scoperta relativa al magnetismo minerale. Riferiremo quì un’ estratto di questa lettera inserito nel giornale francese 1’ Universe! N.° 231 19 agosto 1829. « Il sig. dot. Kei di Langensalza ; che si trova quì in que- 3» sto, mumento, ha scoperto un mezzo di fabbricare delle cala- », mite artificiali d’ una prodigiosa forza attrattiva, ed infinita- » mente più potenti di quelle che si possiedono in oggi, senza »» che si richiedano grandissime dimensioni. Coll’azione di questi >» strumenti egli arriva a guarire diverse malattie che dipendono 33 più o meno dal sistema nervoso ,,. < Le più forti calamite che si sia fin quì arrivati a prepa- ,s rare , non hanno potuto sostenere più di 4o chilogrammi , ed >», erano d° un volume considerabile. Col suo nuovo processo il »» sig. Keil ne ha fatta una che sostiene 20 chilogrammi, e che >») non pesa più d’un chilogrammo e mezzo; ma ne possiede una 3»: più forte, che sostiene un peso di 218 chilogrammi. Questa » calamita , come la maggior parte di quelle che si fabbricano , w 59 155 presenta la forma d’ un ferro da cavallo. Essa è composta di 9 lame; la sua lunghezza è di 0,43 metri, ed il suo peso di 19;5 chilogrammi ,, . “ Io ho veduto coi miei propri occhi, continua l’ autore della lettera , questa calamita sostenere il peso indicato , ed il sig. Keil assicura che potrebbe costruirne molto più forti ancora ; e che sostenessero un peso di mille chilogrammi, senza che la loro grandezza sia proporzionale a questa forza ecces- siva. Egli può anche rinforzare le antiche calamite , ma que- ste non giungono mai ad eguagliar quelle fatte secondo il nuovo metodo .,; - « Questa scoperta , interessantissima per il fisico, diviene anche più importante per i vantaggi che può ricavarne l’arte medica. Benchè sia stata da lungo tempo riconosciuta l’ in- fluenza del fluido magnetico sulle malattie , e che si sia an- che giunti a guarirne alcune passeggiando le calamite sulle parti affette, per altro non si sono ottenuti ancora che risul- tati poco notabili, essendo troppo deboli le barre magnetiche impiegate. Quelle del sig. Keil, che sono d’ una forza ecces- siva, producono effetti sorprendenti, e permettono sole d’ ap- prezzar l’efficacia del fluido magnetico nella guarigione di va- rie malattie. Già 1’ uso che l’autore ne ha fatto nella sua pra- tica è stato coronato dal più felice successo: egli è arrivato a guarire nell’istante stesso i più violenti dolori reumatici , l’epi- lessia , quando non dipende da lesioni organiche , delle. con- trazioni di stomaco, la debolezza della vista, delle macchie sulla cornea trasparente , la sordità proveniente da reumati- smo , il gozzo , la cefalalgia ; i mali di denti , il tic doloroso, ec. Lo stesso mio fratello è stato testimone della guarigione istan- tanea d’ un violento reumatismo , col solo mezzo di passare sopra la parte uno di questi strumenti ,,. « Oltre 1’ esperienze che il sig. Keil ha fatte intorno alla cura delle malattie mediante 1’ applicazione della calamita ; ‘egli ha anche intrapreso delle ricerche relative alla teorica del magnetismo , ed ha intenzione di pubblicare quanto prima i risultamenti ai quali è arrivato. Egli me ne ha detto confi- denzialmente qualche cosa , ma io non posso comunicarvela. Se le di lui opinioni si confermano , come io ho luogo di cre- derlo , le teoriche oggi esistenti proveranno grandi modifica- zioni 3; Il sig. Scoresby , che fino dal 1820 e 1821 aveva comunicato 1506 alla società reale d’ Edimburgo delle osservazioni che egli aveva fatte intorno ‘ad alcune refrazioni atmosferiche notabilissime of- ferteglisi nei mari della Groenlandia ;, ha in seguito osservato un gran numero d’ altri esempi singolarissimi, il più straordinario dei quali era l’ imagine rovesciata d’un vascello, che compariva nella parte bassa dell’ atmosfera così distinta e così ben termi- nata; che egli non ha esitato a pronunziare esser quella l’ima- gine del vascello di suo padre, come era di fatto, benchè ad una distanza di circa 28 miglia, e più leghe al di là dei limiti della visione diretta. é Fra le varie osservazioni che egli riferisce, ecco quelle da lui fatte sulla baia di Brinlington a 5 ore pomeridiane, il dì 12 giugno 1826. Dopo una giornata calda e serena, tutti i vascelli ad una distanza sufficiente comparvero benissimo contornati , € diversi di essi esaminati col telescopio presentavano al di sopra di loro stessi delle imagini rovesciate. Una porzione del mare all’ orizzonte sembrava separata dal resto come per mezzo d’uno strato di nebbia, e fra l'orizzonte rifratto comparivano le imagini rovesciate. Alcuni vascelli erano nelle loro proporzioni naturali, con una copia rovesciata al di sopra. In uno o due casi, oltre l imagine rovesciata, vi era anche un imagine imperfetta, diritta, posta sulla linea superiore dell’ orizzonte. Diversi vascelli , benchè sembrassero posti: sull’ vrizzonte vero , erano realmente molto più distanti, e diversi erano al di là dei limiti della visione. Mentre l’occhio era fisso sopra questi vascelli, il cambiamento continuo dell’ atmosfera faceva che gli uni o gli altri disparissero frequen- temente , restassero qualche tempo invisibili, e quindi ricompa- rissero nuovamente. Gli oggetti posti all’ orizzonte , alla distanza di circa 6 miglia, appena soffrirono refrazione ; l’ orizzonte su- periore o rifratto era spesso irregolare, e qualche volta spezzato, ed era generalmente oscuro e ben definito, ma l’ intervallo fra esso e l’ orizzonte reale era spesso meno pronunziato , qualche volta vi era un triplice orizzonte formato di strati paralleli. La costa bassa d° Holderness, che forma la parte nord della baia , subiva una leggiera refrazione. L’ aria era serena e tranquilla, vi era di tempo in tempo un leggero vento di mare. Dopo queste e più altre. osservazioni , che non stiamo a ri- ferire, il sig. Scoresby , avendo lasciato questa località, non ebbe occasione di farne altre se non alla metà d’ agosto, nè osservò più fenomeni simili. Egli crede non potersi assegnare altra causa di tali fenomeni che gli strati d’aria di diverse densità, che il dott. Wollaston Pi 157 ed il dott. Brewster hanno dimostrato. nelle loro esperienze sugli effetti degli strati d’ acqua calda e fredda e di ghiaccio. Una particolarità notabile osservata sulle coste d’Holderness e difficile a spiegarsi è questa che i fenomeni erano limitati ad un livello particolare; ma sembra potersi supporre che la costa osservata dalla più grande altezza fosse veduta intorno ad. uno strato d’aria d’ una densità presso a poco uniforme. A. quest’ occasione è da ricordare che il dott. Prévost ha 0s- servati sul lago di Ginevra dei fenomeni dello stesso genere ; ben- chè meno variati. Nel fare alcune esperienze coll’ amalsama liquida di mer- curio e di zinco sopra altri metalli; il sig. Kemp ha osservato alcuni fatti singolari. Avendo disciolto un trentesimo 0 un cinquantesimo di zinco nel mercurio ; versò l’ amalgama in un ‘vaso di vetro, che quindi empiè d’ acido idroclorico un poco allungato, e pose verticalmente dei fili metallici ben puliti e lucidi immersi con una estremità nell’ amalgama. Si sprigionò del gas idrogene in abbondanza ; e nel tempo stesso il mercurio s’ inalzò intorno ai fili fino all’ al- tezza del liquido , ed in qualunque posizione fossero situati i fili, il mercurio salì neila maniera stessa. Lo zinco si discioglie nell’ acido, e continuandosi l’esperienza per un tempo sufficiente, si trova depositato alla superficie del filo, sotto la forma di belle lame cristalline. Sia che s’ impieghino dei fili di platino ; d’oro, d’ argento , di rame, di bronzo, di stagno, di ferro, di zinco , d’ acciaio , il mercurio si solleva sopra di tutti, bensì con rapidità differen- tissima. Messi comparativamente in esperienza dei fili di platino, di rame , di ferro, e di zinco, di quattro pollici di lunghezza, il mercurio s’inalzò in 8 minuti sul filo di zinco, in 14 sul filo di rame, e presso a poco in 195 sopra quelli di platino e di ferro. Impiegando dell’acido più concentrato, ed elevando la tem- peratura, il mercurio si solleva più rapidamente, a misura che l’azione chimica diviene più forte. Me Sembra che la causa di questa singolare azione dipenda dagli stati elettrici opposti dei metalli impiegati , l’ amalgama di zinco essendo positivo rispetto ai fili d’ altri metalli ; ma non si spiega egualmente la rapida elevazione del mercurio sopra i fili di zinco, che sono nello stesso stato elettrico. Lo stesso autore, per mezzo d’ una serie d’ esperienze in- 158 gegnose eseguite con un apparato di sua invenzione , ha rico- nosciuto che il carbone diviene molto miglior conduttore del- l’ elettricità quando sia fortemente riscaldato ed infuocato , che quando è freddo ;l’ effetto è anche notabilmente maggiore se all’ infuocamento del carbone si unisca l’effettiva sua combustione. Un pezzo di carbone facendo parte d’ un. circuito voltaico, ed essendo infuocato, produsse anche gli effetti magnetici, facendo deviare l’ ago calamitato ; e ciò similmente in proporzione della temperatura , che per ottenere effetti notabili si richiede eleva- vatissima. Se una mescolanza a parti eguali d’arena bianca e di solfo sia esposta ad un calore moderato in principio , poi successiva- mente accresciuto fino all’ infuocamento , si ha per prodotto una massa di color grigio, porosa, insolubile nell’ acqua e negli acidi, e durissima. Trattata con una soluzione di potassa caustica, si discioglie in essa, senza che resti altro residuo che alcuni grani di silice inalterata. Il liquido , dopo essere stato decantato , de- posita a poco a poco una polvere fine, nera , la quale; secondo il sig. Van-Mons a cui si deve questa notizia , sarebbe un ossido di solfuro di silicio. Il sig. James Smithson aveva suggerito come un facile e si- curo mezzo per riconoscere la presenza del sublimato corrosivo in un liquido l’ aggiugnervi una o due gocce d’acido idroclorico, ed immergervi una specie di piccolo apparato voltaico, consi- stente in una lamina d’oro intorno a cui è avvolta una spirale di stagno. Se il sublimato corrosivo o altro sale mercuriale è nel liquido che si esamina, si forma sull’oro una macchia bianca di mercurio che vi si deposita. Il prof. Orfila fa osservare a questo proposito che un effetto simile è prodotto, anche senza la presenza del sublimato corrosivo, o dei sali mercuriali, in qualunque liquido che contenga dell’acido idroclorico e del sal comune , formandosi egualmente sull’ oro una macchia bianca dovuta ad un poco di stagno. Insegna per altro come si possa distinguere questo caso da quello, cioè, o con ver- sare sulla macchia un poco d’acido idroclorico freddo , il quale discioglie lo stagno e non il mercurio , o riscaldando fortemente in un tubo di vetro la lamina d’oro imbiancata , dalla quale si separa il mercurio volatilizzandosi, ma non egualmente lo stagno. Lo stesso prof. Orfila propone come un reagente opportunis- 159 simo a riconoscere in un liquido la più piccola quantità d’acido idrocianico il nitrato d’argento, il quale appena infuso in un liquido che contenga quest’ acido, lo intorbida, formando il cia- nuro d’argento , che ben presto si deposita sotto la forma d’una materia bianca, grave, insolubile nell’ acqua , nell’ acido nitrico freddo, ma solubile in quest’acido bollente e concentrato , come pure nell’ ammoniaca. I rimedi da apprestarsi nel caso d’ avvelenamento per mezzo dell’ acido idrocianico sono, secondo lo stesso prof. Orfila, l’eme- tico per far rigettare il veleno, l’inspirazione per le narici del- l’ emanazione che si solleva dalle soluzioni acquose discretamente concentrate d’ ammoniaca e di cloro, 1’ aspersione dell’ acqua fredda sulla nuca, consigliata dal dott. Herbst, ed il salasso dalla giugulare o dal braccio. Il sig. Henry figlio , soggetto da qualche tempo a reumatismi acuti articolari, avendo osservato che in ciascun accesso le sue orine ; oltre ad essere acidissime, erano di color rosso intenso , e formavano nel raffreddarsi un deposito abbondante di colore aranciato, ha voluto verificare se quel colore sia dovuto, come sembrava risultare dagli esperimenti dei sigg. Proust, Vauquelin , e Vogel, ad un nuovo acido che hanno chiamato rosacico. Egli ha riconosciuto esser ciò esattamente vero , ed essere tale orina af- fatto priva d’ acido urico , il quale sembra che si trasformi in rosacico. Vi esiste bensì anche l’ acido fosforico in gran propor- zione. Alcuni giorni dopo l’intera guarigione le orine sono molto meno acide, non più rosse, e contengono alquanto acido urico. In fatti avendo versato nell’ orina ancor tepida del sottocarbo- nato di potassa liquido in leggiero eccesso, lavato conveniente- mente il precipitato, e trattato questo ad un dolce calore col carbonato di potassa ;, il liquido raffreddato , con versarvi del- l'acido idroclorico , ha dato un precipitato d’acido urico in forma di pagliette, che purificato ha presentato tutti i caratteri che gli son propri. Il sig. D’Arcet ha insegnato un facil mezzo per conservare inalterate le ossa per un tempo lunghissimo. Questo mezzo con- siste nell’ immergere le ossa alquanto triturate in una soluzione densa di gelatina, e porle su delle reti per disseccarsi. Ripetuta quest’ operazione più volte, fino ad aver rivestite le ossa d’ un sufficiente strato di gelatina secca , quest’ involucro le difende benissimo. 160 \ |... Wien proposta una nuova specie di colla come più atta d’ogni ‘altra a riunire tenacemente diversi pezzi di pietre dure; di por- cellana , di vetro, ec. Quelle grosse chiocciole, che presso di noi sono volgarmente chiamate martinacci , che:sono così comuni nei giardini e nei boschi ; e che taluni mangiano volentieri, hanno all'estremità del loro corpo una vescichetta piena d’ una sostanza che sembra grassa e gelatinosa, e che è biancastra di colore. Se dopo averla ricavata dall’animale si applichi alla superficie di due corpi , comunque duri , e si pongano questi a contatto immediato ed esatto, essi aderiscono così fortemente dopo il disseccamento, che se per mezzo d’un colpo, o d’ uno sforzo violento si cerchi di separarli , spesso avviene che si spezzino in una parte diversa da quella ove si è fatta la riunione. Il giornale francese delle cognizioni usuali, da cui è tratta questa notizia, soggiugne che dopo essere state riunite con questo mezzo due porzioni d’ una pietra focaia grossa come un pugno , gettata questa con violenza sul pavimento , si è spezzata in parti precedentemente intere, e son rimaste saldamente aderenti diverse parti riunite con quel glu- tine. Prima di cimentare la tenacità della riunione , bisogna dar luogo al perfetto disseccamento. Fisica vegetabile. Circa sette mesi addietro il sig. Pinot annunziò all’Accade- mia delle scienze di Parigi che la radicula di diversi semi che egli aveva fatto germogliare sopra il mercurio aveva penetrato questo metallo fino ad una profondità di otto o dieci linee. Egli ha ripetuto queste esperienze al giardino del Re, in presenza di due commissarii nominati dall'Accademia. Ma siccome il peso del seme e l’adesione della massa dei cotiledoni alla superficie umida del mercurio potevano suggerire qualche spiegazione ; di cui era importante determinare il valore , egli ha fatto perciò ‘una nuova esperienza da lui descritta come appresso. « To impiantai, dic’ egli, ad una delle estremità d’un pic- » colo ago d’argento, sospeso nel suo centro sopra un asse mo- » bilissimo , un seme di Zatyrus odoratus, seme i di cui cotile- so doni, com'è noto, non si sviluppano mella germinazione ; s posi in seguito l’ ago perfettamente in equilibrio per mezzo » d’ una palla di cera adattata all’ estremità opposta , e che io +; tirava in avanti o indietro a volontà , e quindi \collocai que- » sto piccolo apparato sotto una campana saturata d’ umidità, in » modo che il seme si trovasse sopeso ad una distanza di circa 161 > due linee da una certa quantità di mercurio contenuto in un ») vaso posto sotto questa parte dell’ apparato; e di cui io aveva » hagnata la supèrficie.. La germinazione si effettuò; md più + lentamente del solito , per esser posto il seme in un mezzo » interamente aereo , e la radicula, quando giunse a toccare lu » superficie del mercurio ; la traversò e vi si internò come nel » caso in cui il seme riposa sopra il metallo ». Si sa da lungo tempo che la segale viziata da quella malattia che 1’ ha fatta chiamare segale cornuta , e dai francesi seigle er- gote , usata come alimento produce delle malattie convulsive e gangrenose ; che amministrata convenientemente esercita un azione speciale sull’ utero. L’analogia ha fatto pensare che la stessa malattia sviluppasse proprietà simili negli altri vegetabili che investe, ma non si avevano fin quì prove di questa suppo- zione. Si devono al sig. Roulin delle importanti osservazioni in= torno a quest’ oggetto. Nel suo soggiorno in America egli ha avuto occasione d’ os- servare questa malattia sopra una pianta ché non ne ha imai sufferto in Europa, cioè sul granturco , che in tutte le patti calde della Colombia forma una gràn parte del nutrimento del popolo. I sintomi che produce somigliano in parte quelli che pro- duce la segale cornuta , ma in parte ne differiscono notabilmente. Al granturco infetto di questo male danno nella Colombia il nome di peladero , perchè pela la testa, o fa cadere i capelli di quelli che ne mangiano, accidente molto notabile in un paese ove la calvizie è quasi incognita anche fra i vecchi. Qualche volta, ma più di rado, cagiona lo smovimento e la caduta dei denti, ma l’autore non hà mai veduto provenirhe la gangrena delle membra, nè malattie convulsive. I porci che se ne cibano perdono in pochi giorni il pelo; in seguito i loro membri posteriori si atrofizzano e li sostengono appena. Il sig. Roulin non ha potuto osservare gli effetti ulte- riori, perchè subito che 1’ animale comincia a dimagrare, l’ uc- cidono per profittare della carne , l’uso della quale egli non ha ‘mai inteso che abbia prodotto sinistri effetti. : _ I muli mangiano senza difficoltà il granturco così viziato , che cagiona loro la caduta del pelo, l’ingorgo dei piedi; e qual- che volta la caduta dello zoccolo; o unghia. | Le galline che ne mangiano fanno spesso delle nova senza guscio. A spiegare questa circostanza , che sembra singolare, il sig. Roulin suppone che il seme malato ecciti negli organi destinati T. XXXV. Agosto. 2I 1602 pa all'espulsione dell’novo delle contrazioni che lo scaccino dall’ovi- dutto prima. che abbia il tempo di rivestirsi del suo inviluppo. Molti animali sono avidi del granturco. Quando la raccolta è infetta della malattia contemplata, non essendo sorvegliato dai coltivatori come quando è sano ; gli animali accorrono a cibarsene, e ne risentono con una prontezza grande i terribili effetti. Non è raro veder delle scimmie, dei pappagalli cadere come ubriachi in mezzo al campo senza potersi più alzare. Dei cani indigeni, dei cervi, i quali non vanno a cibarsene che nell’ oscurità, pro- vano qualche volta la stessa sorte. La mattina si. trovano nei cespugli vicini alla piantagione, ove sono andati a nascondersi per morire. Dopo quanto è stato riferito, si crederebbe egli che un seme capace di produrre così prontamente la morte possa perdere in poco tempg le perniciose sue qualità, e divenire atto a servir d’ alimento? Eppure ciò sembra provato da molte testimonianze autorevoli , secondo le quali quel seme infetto, dopo aver pas- sato le alte montagne chiamate Paromos , ove regna. un freddo eterno , si trova spogliato d’ogni nociva qualità. Egli è certo che quel seme è spesso portato mei villaggi della Cordigliera situati sul declivio opposto, dove è comprato da uomini i quali sanno qual pericolo vi sarebbe a farne uso nel luogo ove è stato rac- colto. Storia naturale. Allorchè al cessare del Giornale di Pavia , e della Corrispon- denza Astronomica del Barone di Zach , restò 1’ Italia senza un giornale propriamente scientifico , per un progetto veramente ita- lico, benchè nato quì in Firenze , i dotti di tutta. la penisola furono invitati a dar mano alla compilazione d’ un giornale con- sacrato alle scienze, che il bisogno degli studiosi e 1’ onor na- zionale sembravano reclamare egualmente; e che si proponeva di dare in luce in Firenze (1). ì La cognizione degli uomini, e di certe affezioni, dalle quali anche i savi mal si difendono , avendo portato 1’ autore di quel progetto a riguardare come. possibile che i più fra i dotti italia» ni, disposti a cooperare ad un impresa che si eseguisse nel pro- prio lor paese, non lo fossero per avventura egualmente riguardo ad opera da pubblicarsi in paese diverso , sebbene italiano ; fat- tosi interpetre verace di quelli che coltivano le scienze in To- (1) Vedi Antologia N.° 9go Giugno 1828 pag. I a K — Manifesto - 163 scana , dichiarò che essi avrebbero veduto con egual piacere, ed anche coadiuvato coi loro mezzi l’ esecuzione di quella impresa, in qualunque altra parte d’Italia volesse mandarsi ad'effetto. Fallito quel primo progetto, per il niuno assenso dei dotti d’I- talia ; (2) siamo ora hen contenti di vedere in qualche modo adem- piuto il secondo ‘nostro voto , per la recente comparsa dei nuovi Annali di Storia Naturale che ha impreso a stampare in Bologna il Marsigli. Ne sono compilatori i chiarissimi professori di quella pontificia Università RANnzANI, BrrtoLonI, ed ALESSANDRINI, è per divisamento dell’ editore debbono formarne il soggetto la Mi- neralogia , la Botanica , la Zoologia, e 1° Anatomia comparata . Vogliamo lusingarci che in seguito anche la fisica e la chimica, scienze importantissime , e molto più generalmente coltivate che la storia naturale, troveranno posto in questo giornale. Speria- mo ancora che la distribuzione , attualmente bimestrale , potrà divenire in seguito mensuale. Delle materie contenute nei primi tre fascicoli venuti contem- poraneamente in luce, daremo un cenno nel prossimo bullettino. Nello stato di Nuova York, mon lontano dalla città di Pal- ‘mira , si è scoperta una sorgente naturale di gas infiammabile, del quale si dice che si vuol cavar profitto per illuminare la città suddetta. * Nel fascicolo per il mese di giugno 1829 degli Annali delle scienze naturali che si pubblicano in Parigi si legge il seguente articolo :' > “ Due leoni morti da alcuni mesi nel serraglio del giardino ‘del re , hanno somministrato l’ occasione di verifieare un fatto curioso, indicato in alcune opere antiche, ma che gli autori moderni hanno generalmente omesso nelle opere loro. Il fatto è che esiste all’estremità della coda del leone una piccola unghia nascosta in mezzo al ciuffo di lunghi peli neri che vi si trova- no ; essa e una produzione cornea , lunga circa due linee , che si presenta sotto la forma d’ un piccol cono un poco ricurvo ‘sopra sè stesso, e che aderisce colla sua base alla pelle sola, e non all’ ultima vertebra , che ne è separata da uno spazio di due o tre linee. Questa piccola unghia esiste negl’ individui d’ambedue i sessi. I commentatori d’ Omero credevano di pote- re spiegare colla presenza di quest’ unghia un osservazione cu- (2) Vedi Antologia N.° roo pag. V_ — Proemio. 164 riosa.e vera fatta dall’ antore «dell'Iliade ,-cioè che il leone è il solo fra gli animali che essendo irritato agiti violentemente la sua. coda ei si perenota con essa li fianchi, Essi eredevano che il leone cercasse d’ eccitarsi. pungendosi i fianchi coll’ aculeo della sua) eoda, Blumenbach ha verificato, aleuni anni addietro , l’esi- stenza.di quest’ aculeo ; ma la piccola stampa nella»quale egli ha consegnato le sue osservazioni era rimasta ignota ai natura- listi.. ei senza dubbio anche il fatto curioso che abbiamo riferito sarebbe rimasto ignorato per lungo tempo se il signor Deshayes non,ne avesse trovata l’ indicazione, e non avesse impegnato i naturalisti che si occupano più specialmente dello studio dei mammiferi a, fare ‘delle osseryazioni relative. Quest’ unghia che aderisce soltanto alla pelle per la cireon- ferenza della sua hase,si distacca da essa facilissimamente. Però ordinariamente non se ne trova traccia alcuna sugl’ individui impagliati . Non si è potuto ancora verificare se quest’ unghia esista egualmente nelle. altre grandi specie del genere feliz ,»- SCIENZE MEDICHE. Occorre spesso alla ginrisprudenza criminale consultare: la medieina legale. per. verificare se delle. macchie. o altri segni che appariscono di sangue siano realmente tali. Già alcuni abili chi- mici avevano suggeriti dei mezzi, che il sig. Raspail si sforzò di mostrare equivoci, perchè, secondo esso, danno risultamenti simili sia che si applichino al vero sangue o. ad un liquido. composto artificialmente per imitarlo. Intorno a che sembra clè il dot. Or- fila abbia vittoriosamente confutato il sig. Raspail. *. In una sua recente memoria il sig. Barrzel'indicando i più sicuri mezzi ‘per, distinguere il vero sangne da qualunque. altra materia apparentemente simile ma sostanzialmente diversa da esso, fa conoscere un nuovo e semplicissimo processo per distinguere il sangue dell’uomo da quelli delle diverse specie d’ animali, ciascun di questi fra loro, ed anche quello dell’ uomo. da quello della donna. Dopo aver ricordato che il sangue nero o venoso divien rosso vermiglio per il suo contatto col gas ossigene o coll’ aria atmo- sferica , aggiugne che esso conserva questa proprietà per un tem- po alquanto lungo, ed anche quando alcuni dei suoi elementi; e specialmente la fibrina e l’albumina hanno cominciato ‘a scom- persi; egli ne conclude che la materia colorante è dotata d’una forza vitale molto grande ,se che non si estingue se nun dopo la 165 morte completa di tutti gli altri materiali immediati del sangne. Questa materia colorante è la sola che distingua il sangue da tutti gli altri liquidi animali. Risulta dall’ esperienze del dot. Orfila, che il sangue dissec- cato anche da lungo tempo, messo nell’acqua forma un liquor rossastro , che esposto al calore s’intorbida , diviene grigio-sporco, opaco, solubile nella potassa caustica , la quale gli fa prendere un colore che sembra verde visto per riflessione, e bruno-rosso visto per refrazione; proprietà che niun altro composto, special- mente artificiale ,, presenta. Se il sangue naturale seccato ed nn composto artificiale che lo imiti siano trattati egualmente con. acqua stillata , questa di scioglie sì dell’ uno come dell’ altro la. materia colorante e 1’ al- humina , colla differenza che del vero sangue rimane ‘indisciolta una piccola quantità di fibrina in filamenti bianchi, che non, con- tiene e non può formare il composto artificiale. Toccando egual- mente con acido idroclorico una macchia di sangue naturale , ed una di sangue composto artificialmente, la prima piglia un color bruno , l’ altra. un color giallo. Questi caratteri bastano a far riconoscere il sangue di qua» lunque specie d’ animali a sangue rosso, ma non possono far di» stinguere, se d’uomo o di donna, ovvero d’altre specie d’animali; @ di,quale specie... ‘+. «Ma un osservazione casuale ha condotto il. sig. Barruel a scuoprire un mezzo di distinguere non solo, il sangue umano da quello degli altri animali, ma ancora quello delle varie specie d’.animali,.e perfino quello dell’ uomo da quello della donna. Nell’ analizzare il sangue d’ una ‘persona avvelenata colla morfina, e precisamente nel versare sopra di esso dell’ acido sol- forico , il sig. Barrnel sentì esalarne. un odore intensissimo di sudore umano , e si ricordò d’ avere molto tempo avanti sentito odore di hove edi stalla trattando il sangue .di bove collo stesso acido. Però intraprese molte ricerche , i risultamenti delle quali lo portarono.a concludere quanto appresso : 1.° Che il sangue di qualunque specie d’ animali contiene un principio particolarmente proprio a ciascuno di essi; 2.° Che questo principio, il quale è volatilissimo, ha un odo- re simile a quello del sudore o dell’esalazione cutanea e pol- monare dell’ animale da cui proviene. 3.° Che questo principio è allo stato .di. combinazione nel sangue, e mon è sensibile finchè questa combinazione esiste. 4° Che quando si rompe questa combinazione , il principio 116 odorante si volatilizza, e fin da quel momento è non solo possibi- le, ma molto facile riconoscere 1’ animale al quale appartiene . 5.° Che in ogni specie d’ animali il principio odorante è molto più distinto nel sangue del maschio che in quello della femmina: “ I 6.° Che questo principio colorante si trova in stato di dis-. soluzione nel sangue , cosicchè &î può svilupparlo tanto dal san- gue intero , quanto da quello privato di fibrina. 7.° Finalmente che di tutti i mezzi impiegati per mettere in libertà questo principio ; 1’ acido solforico concentrato è quello che riesce meglio d’ ogni altro. Per ottenere i risultamenti indi cati; basta versarne alcune gocce sopra un doripia volume di sangue, o del suo siero posto in un bicchiere , ed agitare con un tubo di vetro ; tosto il principio odorante si manifesta. 1.° Dal sangue dell’ uomo esala un forte odore di dune cage , che è impossibile confondere con qualunque altro; ‘a.° da quello di donna, un odore analogo , molto meno forte , simile al sudore di donna ; 3.° da quello del bove ; un torte odore di bovile; o di sterco di bove; 4.° da quello di cavallo, un forte odore di sudore di cavallo, o del suo sterco; 5.° da quello di pecora , un vivo odore di lana impregnata della sua naturale untuosita; 6.° dal sangue del montone un odore ue al precedente, mescolato ad un forte odore di montone ; 7.° da quello del cane. re della vepiapalcne del cane; 8.° da quello del porco, un' odore di porcareccia ; 9.-° da quello del topo un odore frana di‘ topo. Il sangue delle galline , delle' anatre } dei piccioni dà col mezzo stesso un odore che caratterizza questi diversi volatili. Trattando egualmente del sangue disseccato , il sig. Barruel ha ottenuto effetti simili. Egli ignora se dopo un più lungo ra il principio odorante sarebbe ancora sensibile. Applaudendo alle studiose indagini di quest’ abile chimico, e riguardando come interessanti per la scienza i curiosi risulta- menti che egli ne ha ottenuti, non possiamo astenerci da di- chiarare che ci sembrano lontani da quella certezza ed eviden- za che si richiede per fondamento di giudizi gravi e capitali. Il dottor Desportes ha inviato all’ accademia delle scienze di Parigi il racconto d’ un osservazione nella quale egli ha ve- duto un piccolo piccione vivere due giorni dentro il guscio del- l’uovo in cui era nato , e dal quale non poteva liberarsi, e vi- vere anche alquanto tempo dopo . benchè fosse privo dell’ en cefalo; e della parte superiore della midolla spinale. 167 Un osservazione casuale ha condotto un tal sig. Duriel a scuoprire il seguente mezzo di provocare il singhiozzo. Se dopo aver fatto digiunare un cane per otto o dieci ore , si ponga col dorso in basso e la pancia in alto, e si versi sul suo stomaco dell’acqua fredda, si prodno» tosto in esso il singhiozzo. Di 23 cani sottoposti a quest’ esperienza , il singhiozzo è stato prodotto in 22. Lo stesso è avvenuto a dei vitelli e dei tori. Il sig. Beaudelocque nipote ha presentata all'Accademia delle scienze di Parigi una memoria nella quale fa conoscere un nuo- vo metodo da lui imaginato per praticare 1’ embriotomia. Egli comincia da indicare i casi nei quali ha veduto eseguire all’Ospi- zio della Maternità quest’ operazione , la quale, nel sistema fin qui seguitato dagli ostetrici più esercitati , è lunghissima, dolo- rosissima, e quasi sempre mortale. Il processo che egli propone non ha li stessi inconvenien- ti. Per mezzo d’ uno strumento di sua invenzione, e che ha presentato all’ accademia , il sig. Beaudelocque può ridurre in pochi minuti la testa d’ un feto di dimensioni ordinarie al dia- metro di due pollici. Egli non si è limitato a fare molti tenta- tivi sul cadavere, che tutti hanno avuto successo felice; egli ha anche operato sopra soggetti viventi. L'operazione è stata termi- nata in pochi minuti , non è stata dolorosa, ed ha avuto l’esito più felice. Una donna la quale non aveva subìta l'operazione se non 75 ore dopo un travaglio penosissimo, si è ristabilita perfet- tamente in alcuni giorni. sd «da , La sezione di farmacia dell’ atcademia reale di medicina di Parigi ha proposto per soggetto d'un premio da conferirsi nel 1830 la seguente questione: « Analizzare il sangue d’un itterico, comparativamente 5 a quello d’ una persona sana , e stabilirne le differenze chi- » miche. ,, L Accademia stima importante il verificare per mezzo d’espe- rienze chimiche, nell’itterizia e nelle affezioni dell’apparato epa- tico, se nel sangue esista la bile o i suoi elementi immediati, co- me già alcuni lavori lo hanno fatto sospettare , e come è stato dedotto dalla forte colorazione dell’ orina degl’ itterici.. I concorrenti potrebbero anche ricercare qual sia la natura di quel principio che colora in giallo i liquidi animali, e con- tribuisce a rendere la carnagione più o meno scura negl’ indivi- 198 dui di complessione detta biliosa, specialmente nelle stagioni e nelle contrade calde. Di Il premio sarà una medaglia d’ oro del valore di mille fran- chi. Le memorie dovranno erser trasmezze nella forma otdivaria avanti il dì 1 settembre 1830. abi o GEOGRAFIA , STATISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI. Spedizione Scientifica nella Morea. = Questa Spedizione, onorifica al Go- verno che l’ ha sì opportunamente condotta, della quale fan partè , ‘oltre al ch. colonnello Bory de Saint-Vincent, il sig. Abele Blouet , stato: cinqu’ anni in Italia, e noto per vari lavori d’ arti belle segnatamente per la restaurazione delle terme di Caracalla ; e 1’ archeologo sig. Dubois, valente disegnatore , au- tor del catalogo ragionato del Gabinetto del sig. De Choiseul-Gouffier ; giunta, come abbiamo annunziato, a Navarino il dì dieci di gennaio, dopo visitato e di- segnato quanto v° è di notabile e a Navarino, e a Modone; e a Corone, e.ia Petalidi, su pel largo letto del Pamiso , arrivò il dì dieci d’ aprile a Messene. Un mese li tennero occupati le ruine di quest’ antica città: fu scoperto lo sta- dio circondato di be’ portici col loro pavimento , col sopraornato e coi capitelli delle colonne ; furono scoperte le basi d’ altri monumenti ancora , il teatro, delle iscrizioni importanti alla storia, tutte le parti d’ un tempio all’ estremità dello stadio , tre bassirilievi benissimo conservati, uno rappresentante la caccia del cinghiale , gli altri due de’ vaghi ornamenti. Questo fino ai primi di maggio: ma gli scavi dovevano seguitare, giacchè non è da imaginare , dicono i viaggia- tori, quanti sì trovino zoccoli d’ edifizii, ale di muro , colonne ritte » 0da terra. Si riconoscono anco le mura che girano il vasto circuito del monte Itome; e fuor della città s° è scoperto, sul pendio d° un monte, parecchie tombe assai degne d’ esame. Intanto , il sig. Quinet , giovane filologo della sezione archeologica , s° era indiritto verso Tripolizza e Argo, a Napoli di Romania, e ad Egina. Gli ultimi d’ aprile sovr’ una barca greca entrò nel Piréo, e quindi in Atene: specialmente a fine di riconoscere in che stato sieno i monumenti dell’ Acropoli, occupata da’ turchi, e ogni dì più stretta dalle armi de’ greci. Trovò che del lungo as- sedio dell’ anno scorso pochi edifizii n° ebbero a soffrire; che il tempio di Te- seo non fu punto danneggiato dalle due palle cadutevi sopra. Nell’ Acropoli non potè metter piede ; ma guardando dal margine dell’ Ilisso, e dalla Torre de’ Venti, il Partenone e i monumenti vicini non gli parvero tanto sformati. Prima di uscire dalla città, gli edifizii antichi erano stati da’ greci lasciati tutti; ei turchi anch’ essi li lasciano come sono. Di case quasi nessuna: quella del sig. Fauvel, piena già di sarcofaghi, di cippi, di marmi con iscrizioni, è at- tertata; e Se me riconosce il sito ai tanti mafmi scolpiti, sparsi per terra. Soli i tempii e le colonne rimasero in piedi: e qualche palma . Due giorni stette in Atene il sig. Quinet : e fra le ruine trovò alcuni bassirilievi e due statue; l’una è un Tritone. — Tornò poscia al Pireo ; e quindi in Egina. L’ antica Eleutero-Laconia , abitata da tribù guerriere , era stata sinora ai viaggiatori quasi inaccessibile. Alcuni della spedizione tentarono penetrarvi per Calamata, Kitriess , e Scardamula. Il sig. Pector, medico valente e grecista DI È della sezione de’ naturalisti, vi raccolse d’ottime cose per l’ itticologia e per la | T 69 botanica ; scoperse delle iscrizioni inedite che illustrano la storia di Sparta al tempo de’ Re, e ne’ prim’ anni del dominio di Roma. Per tutto, i viaggiatori fu- rono accolti con ospitale cordialità, e con la gratitudine dovuta ad una nazione | sì benemerita della Grecia. Intanto che il sig. Pector co’suoi colleghi visitava la parte orientale del golfo di Corone e i borri del Taigeto , la sezione di architettura e scultura passò dalla Messenia nell’ Elide . Il sig. Blouet, partì dall’ Itome il dì ro di maggio , e venne a Strobitzi, l’antico Lepreo, dove la cittadella antica rima- ne intera tuttavia : riconobbe una città di cui non s’ indovina ancora il no- me, vicino al mare; poco distante dalla fortezza di Clidi, all’estremità della catena del Monte Smirne: di questa città le mura son cosa importante, come lavoro de’ primi secoli della Grecia. Disegnate che 1’ ebbe esattamente ; il sig. Blouet venne a Olimpia, vi trovò il sig. Dubois con gli altri della sua sezione, occupati a far degli scavi per dissotterrare un tempio appiè del monte Saturno. Era già scoperta parte del Pronao, con alcune colonne doriche , grosse di più di sei piedi. Intanto che il sig. Dubois lavorava sul davanti , il sig. Blouet facea scavare di dietro 3 e in pochi giorni scoperse i gradini dell’ altra estremità del tempio , ed il pavimento , che il sig. Dubois dal suo lato aveva anch’ egli sco- perto. Vi si scavarono molte interessanti scolture , e parte di esse dell’ antico stile eginetico ; de’ frammenti di metope , un Ercole in atto di domare un toro, una figura di donna seduta , che pare Minerva ; due teste d° Ercole , 1’ una bel- lissima e ben conservata ; braccia , gambe ; frammenti d’una serpe ( forse l’idra di Lerna ) ; un leone atterrato ; de’ piedi giganteschi ; teste di leone , che paiono dover essere state collocate sulla cornice del tempio. Egli è solamente a dolersi che queste magnifiche sculture, degne di acere- scer lustro ai più ricchi musei d° Europa , sieno oggidì all’ aria ‘aperta , esposte a maggiori pericoli, che non sotterra, dove giaceano nascoste dalle alluvioni dell’Alfeo. Già , malgrado la vigilanza de’ dotti francesi, i barbari abitanti dei dintorni avevano incominciato a mutilare quello che non potevano portarsene intero. Approfittarono di una notte molto buia, per fare in pezzi una statua , e rubarne de’frammenti di parecchie altre. Ma i viaggiatori ricorsero al gen. Mai- son ; che facesse custodire in luogo sicuro questi preziosi avanzi, sinchè sia de- ciso a chi spettino. Non parliamo qui de’ lavori topografici , eseguiti in grande dagl’ ingegneri dell’ armata , nè delle collezioni importantissime alla botanica ed alla zoologia; di cui parte fu mandata già in Francia: onde i dotti di Parigi potranno veri- ficare a che animali e a che piante corrispondano veramente i nomi che leggonsi ne’ libri antichi. Quanto all’ archeologia , le speranze ‘ormai sono realità. E si noti che la spedizione non ha toccato ancora Tegea, dove è il tempio di Mi- nerva , edifizio di Scopa , il più ornato di tutto il Peloponneso. Si seguita a la- vorare in Olimpia. (Estr. dall’Universel giornale franc. ) Della XV Sessione della Società Ulvetica delle Scienze Naturali, adunata nell’ Ospizio del Gran San Bernardo il dè 21, 22, 23 di luglio del 1829. Nella sessione dell’ anno scorso , i Padri del S. Bernardo avevano offerto il loro convento all’ adunanza del 29. L° offerta fu accolta con riconoscenza ; si scrissero lettere a’socii, invitandoli a trovarsi a Martigny il dì 19 di luglio. In quel giorno , da tutte le parti della Svizzera, si videro raccolti a Martigny dei T. XXV. Agosto. 24 12) 13 compatriotti teneri della scienza , degli amici lieti di rivedersi , degli stranieri solleciti di rendere più solenne di loro presenza un unione singolare e per sè stessa e pel luogo che le veniva prescelto. Era già disposto ogni cosa per le co- modità del viaggio ; muli, guide accaparrate, stazioni allestite. Insomma la So- cietà tutta in corpo si trovò agevolmente trasportata all’ altezza di quasi mille trecento tese : e tenne le sue sedute fra le nevi eterne , e gli ardui massi del- l’Alpi. L° ospitalità di que’ padri fu cordiale , sollecita ; e tale da farci dimen- ticare l’austerezza del luogo. Il dì 19 era un po’nevicato ; ma tornato. ben pre- sto il sereno , tuttavia facea freddo ; e nella notte del 20 al 21 , il termometro era al di sotto dello zero; nel dì 21 era salito a tre gradi; nel seguente , a sette, $° aggiunga un tramontano forte e continuo , un’ aria rarefatta sì che il baro- metro si reggeva appena a ventun pollice; si rammenti ch’eravamo nel cuor della state , e poi si pensi quel che dev’ essere l’ inverno col suo corredo di ghiacci, nevi, e valanghe. Che sacrifizio di religione, che carità profonda , vivere in un clima tale , e laddove un aura più mite, spira lì presso quasi ad invito ! E con che semplicità , con che serenità compiono quegli uomini pii i lor più rigorosi doveri ! Il sito era opportunissimo per gli amici delle scienze naturali : onde gl’in- tervalli tra le sedute, e il mangiare che si facea sempre in comune, si dedica- vano a gite frequenti o scientifiche o. pittoresche. Nè forse a quest’ adunanza dovrà men che alle altre la scienza. Questa al certo, lascerà ne’ socii memoria di sè più profonda. Alle sedute , che duraron tre giorni , assistetter cento persone , tra candi- dati e stranieri: tra gli ultimi, i sigg. Leopoldo de Buch; Bouvard, membro del- 1’ Accademia delle scienze di Parigi; Michaud, membro della Società reale d’Agricoltura di Parigi stessa. Per l'assenza del sig. De Rivaz, presidente, in- fermiecio , apre le sedute il sig. Canonico Biseix , curato di Vevey , vice-pre- sidente , che in un discorso cordiale ed ingenuo , esprime alla società il piacere che i religiosi del San Bernardo provano dell’accoglierli nel loro ospizio : poi scorre pe’ sommi capi la storia di quel ricovero, ch’ eretto nel seco- lo XI, tre volte rifabbricato , incendiato due volte, perdette , quasi un secolo fa ogni suo bene , e alla generosità de’ vicini , degli Svizzeri segnatamente do- vette la sua ultima restaurazione. L’ oratore deplora la perdita dei titoli e atti antichi , distrutti dall'incendio del 1555 , che fornirebbero dei documenti sto- rici, preziosissimi : parla infine de’ miglioramenti nell’ospizio operati, cioè la co- struzione de’caloriferi, l’erezione ormai compita d’un altro piano, a cuiè dovuto il comodo d’alloggiare nuovi passeggieri, e di dare in questo giorno ricetto alla Società. E qui rammenta con viva riconoscenza come al sig. Parrot di Dorpat è dovuta l’idea d’ una soscrizione europea , al miglioramento del locale ; soseri- zione con zelo efficace sostenuta dal fu prof. Pictet, la cui mancanza in tutte le adunanze della Società elvetica si fa sentire, e in questa più vivamente che mai, = Quindi il vice Presidente annunzia il dono dal governo del Vallese fatto alla Società di una somma di 4oo lire di Svizzera , ossiano franchi 600 di Fran- cia ; e fa sapere che nel Vallese stesso si sta formando una Società Cantonale di Scienze naturali , simile a quelle già fondate in altri Cantoni (1). (1) Si noti la felice influenza ch’esercita la Società Elvetica, col suo me- todo di trasportare le proprie sessioniin varii paesi della Svizzera. Nel 1815, si contavano appena tre a quattro Società Cantonali , languide e con pochis- IMI Sieguono due notizie neerologiche, consacrate alla memoria del sig. Meckel di Berna, e del sig. Scheurer di Soletta, Soci morti in quest'anno. Quindi, come segretario generale, il cons. Usteri espone le cause che hanno ritardato la stampa delle memorie della Società, delle quali nondimeno egli può presentare la prima parte testè pubblicata. Allora il sig. Horner di Zurigo, parla delle osservazioni meteorologiche, che si fanno da più anni in varii luoghi della Svizzera, e ch'egli ha in buona parte raccolte. Il relatore desidera che si moltiplichino le stazioni, specialmente ne’ luoghi elevati ; e dimanda che sui fondi della Società gli s’ ac- cordi il credito necessario per far rivedere gl’ istrumenti meteorologici mandati ai varii osservatori a fine d’accertarsi ch’ e’ non son punto alterati. — Adottato. Il sig. Ebel fa avvertita la Società, che la commissione alla quale è affi- data l’analisi dell’ acque termali della Svizzera, compirà,il suo lavoro nel 1830. — Il sig. prof. Rausis di Martigny, dimanda che alcuni de’Soci faccian l’analisi dell’ acque minerali trovate nella valle di Ferret , che paion simili a quelle di Cormayeur. Dietro l’avviso del dott. Schinz di Zurigo, espresso a nome de’secretarii, è dato un accessit al sig. Hegetschweiler di Zurigo, per la Memoria sulla quistione proposta dalla Società , intorno alla distruzione ‘degl’ insetti nocivi agli alberi da frutte. — Dietro proposta del Comitato , la Società raccomanda alle altre So- cietà de’ Cantoni , di procurare soscrizioni a favore d’ un rifugio aperto a mezza strada tra S. Pietro e l’ Ospizio di S. Bernardo, in luogo sovente pericoloso a’ viandanti. È letto il rapporto del comitato centrale d’ agricoltura , che risede in Ber- na. = Il sig. Cons. Usteri è di nuovo eletto membro del segretariato generale della Società. Il sig. dott. Mayer di Losanna dà la descrizione d’un nuovo letto , fatto in modo da poter agevolmente sollevare gli ammalati costretti a giacere supini. Poi d’un’operazione meccanica, semplicissima per raddrizzare la spina dorsale. Il sig. Charpentier legge una bella descrizione del viaggio da Bex al Gran San Bernardo , e di tutte le singolarità naturali, geologiche, e botaniche, che s° in- contrano nella strada percorsa dalla Società il giorno innanzi. Il sig. Leopoldo de Buch, presenta una carta topografica del paese tra il lago d’Orta e quel di Lugano; e la spiega. Il sig. Gaudet di Neuchàtel, legge una memoria importante sulle pianure che sono alle falde settentrionali del Gau- caso , dalle quali egli è di ritorno da poco. Il sig. Bouvard, legge una memoria sulle variazioni diurne del barometro. — Il sig. Usteri presenta una memoria del sig. Hegetschweiler sul Piteuma orbi- culare e il betonici jolium , e sulle molte loro varietà , delle quali , dice l’A., si fecero, non sempre a diritto, delle specie distinte. — Il sig. Baup di Vevey espone dietro a molte esperienze , che i pesi degli atomi de’ corpi semplici sono tanti esatti multipli gli uni degli altri ; legge finora annunziata a modo d’ ipo- tesi, e senza prove di fatto. Promette una memoria su quest’ argomento. Il sig. prof. Gautier di Ginevra parla del nuovo osservatorio da costruirsi simi soci. Ora, con questa del Vallese, ne abbiamo ben undici , e tre 0 quat- tro se ne sperano ancora. Dalle relazioni poi dei loro annui lavori , se ne riconosce ben chiaro V utilità. ( Vedi a questo proposito il bello squarcio di lettera scritto nel 1825 da un toscano viaggiatore nella Svizzera ; e inserito nell’Antologia V. XVIII p. 168). 172 in detta città, e n° offre il disegno. Annunzia poi un nuovo giornale meteoro- logico che si stampa a Yverdun dal sig. Huber Burnand : e legge una memoria meteorologiea del sig. D’Hombres-Firmas.= Il sig.:prof. Aug. De la Rive, espone le ricerche fatte col sig. prof. Gautier sull’ inclinazione magnetica a Ginevra e al S. Bernardo , con una bussola d’ inclinazione di Gambey : dalle quali ri- sulta, che , calcolata la differenza di latitudine , 1’ inclinazione al S. Bernardo fu trovata minor che a Ginevra. Lo stesso presenta alla Società varii apparecchi , altri per misurare il rag- giamento del calore terrestre , altri le quantità minime d°’ elettricità , e special- mente dell’ atmosferica. Dalle osservazioni fatte al S. Bernardo consegue che il raggiamento è quivi intenso più che a Ginevra, e l’ elettricità atmosferica quasi nulla. Il sig. Cardy di Losanna legge una memoria sulla costruzione geognostica del S. Gottardo. Il sig. Valetz, ingegnere del Vallese, un altra sullo sposta- mento de’ ghiacci , e sui fenomeni che ne seguono. Egli attribuisce a ghiacciaie scomparse , i massi dispersi e le pietre rotolate che in varii luoghi si trovano , affatto simili a quelli che si rincontrano nelle ghioacciaie presenti. Poi vien letta una memoria del sig. De-Luc sulle conchiglie fossili trovate nella valle chia- mata du Reposei. Ji sig. Curato di Sion legge un suo lungo e importante scritto sulle osser- vazioni meteorologiche in genere , e in ispecie sulle barometriche , ch° egli de- sidera veder promosse , e con diligenza eseguite. — Il sig. Michaud, mostra un pezzo del legno del planera crenata , albero che cresce in riva al mar Caspio, molto affine all’ olmo ed al frassino , ma più elastico, più tenace, e però da potersi meglio adoprare nelle fabbriche ; tanto più che allignerebbe facilmente in Europa. Si leggono le relazioni de’ lavori delle Società de’ Cantoni. Poi si viene a varii particolari, riguardanti l’interiore governo della Società. — L’adunanza del 50 , avrà luogo in S. Gallo. Presidente il sig. Zollicoffer. ( Bibl. Unioer. ) VARIETÀ. Diversi giornali raccomandano il seguente preservativo, è piuttosto rimedio contro le cimici. Questo schifosissimo insetto è eccessivamente prolifico ; la femmina depone una moltitudine d’ uova nei fori o cavità delle muraglie e dei mobili ed altri og- getti di legno, ove dopo tre settimane circa si schiudono uscen- done i piccoli insetti. Per purgare dalle cimici un abitazione qua- Innque, il punto più importante è la pulizia. I primi insetti esco- no dall’ uovo al principio della primavera, e spesso anche in febbraio. In questa stagione bisogna usare le maggiori precan- zioni. Allora bisogna smontare interamente il letto infetto di cimi- ci, lavare copiosamente con acqua calda e spazzolare fortemente ogni parte ed ogni oggetto che vi appartenga; le giunture di quelle parti che restano connesse e qualunque fessura o foro devono esser lavate con spirito di vino, perchè in queste parti principalmente le 173 femmine depongono le uova. Dopo ciò conviene empiere tutte le cavità di sapone della miglior qualità , impastato con verderame e tabacco fine. I piccoli insetti che chiusi nelle uova fossero scampati dalle precedenti operazioni , appena usciti fuori si get- tano sopra questa pastura e periscono tutti, come le vecchie cimici che potessero esser rimaste nel legno del letto. Ma per distrugger la larva degl’insetti perfetti non vi è cosa più efficace dell’ olio di terebintina impregnato di canfora. È probabile che la cipolla o 1’ aglio, i quali applicati im- mediatamente sopra le parti offese dalla puntura delle vespe fan- no subito cessare il dolore, producano lo stesso effetto riguardo alla puntura delle cimici. Dopo molti rimedii successivamente vantati contro le bru- ciature, è stato recentemente raccomandato il cotone in stoppa , © senza filare , che i medici degli Stati Uniti hanno impiegato i primi. Secondo il dottor Anderson , che spesso ne ha fatto uso, l’ effetto più notabile e più immediato dell’ applicazione del co- tone supra una piaga prodotta da bruciatura, è la cessazione su- bitanea del dolore e dell’ irritazione, qualunque sia il grado della piaga. Diversi malati che egli aveva in principio sottoposti a cure diverse, hanno potuto apprezzare quest’effetto , e tutti hanno provato un sollievo al dolore che niun’altro mezzo aveva potuto procurar loro. Perfino nei casi nei quali l’ estensione e la pro- fondità della bruciatura non lasciano alcuna speranza di salvar la vita del malato , l’ applicazione del cotone è immediatamente seguitata da un grande alleviamento , o anche dalla cessazione completa del dolore. Nei casi meno gravi, il calore del corpo di- minuisce, l’ansietà si dissipa, ed il sonno si riconcilia col malato, che non tarda a ricuperare l’ appetito. Il cotone diminuendo così 1’ infiammazione nelle bruciature superficiali, ne accelera molto la guarigione , e spesso sembra perfino che impedisca la formazione dell’escara. In questo caso esso fa coi fluidi che emanano dalla piaga una specie d’invilup- po che fa le veci dell’ epidermide distrutta dalla bruciatura , protegge la superficie spogliata contro l’azione irritante degli agenti esterni, e favorisce la formazione d’ un epidermide nuo- va. In un carbonaio che aveva provato! una larga bruciatura , sulla quale fu lasciato il cotone quattordici giorni seuza cam- hiarlo, furono trovati alla prima medicatura più pollici della circonferenza delle piaghe cicatrizzati , ed il resto molto avan- zato verso la guarigione. 174 Una giovane essendosi bruciate profondamente , e presso a poco egualmente ambedue Je gambe , il sig. Anderson applicò ad una di queste il cotone; all’ altra la medicatura ordinaria . La malata non soffrì nella prima gamba che alcuni leggieri dolori , e quando , dopo tre settimane , fu levato il cotone, la piaga era interamente cicatrizzata ; all’ opposto l’altra gamba si mantenne lungo tempo infiammata e dolorosa , e le ultime ulceri non fu- rono chiuse che dopo tre mesi. G. G. Souibrà SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’ Georgofili. ; Adunanza ordinaria del 2 agosto 1829. == Aperta, e preseduta la tornata dal Vice Presidente sig. march. cav. Cosimo Ridolfi, letto , ed approvato l'atto della precedente adunanza il segr. della corrispondenza rese conto di questa du- rante il mese ultimo decorso. Dipoi l’ accademico sig. Ferdinando Tartini-Salvatici ‘disse una sua me- moria di turno , nella quale , parlando delle principali industrie agrarie del- l’ alta Alemagna, si fermò precipuamente ,a_ discorrere sull’ esteso commercio delle lane e sulla cura che si ha nel regno di Prussia, di migliorare col mezzo dei merini, e di propagare il bestiame lanigero. In seguito il socio corrispondente sig. Francesco Forti trattenne 1°udien- za con una memoria , intorno alle varie leggi toscane, relative alla protezio- ne della proprietà dei piccioni vaganti; nella quale dopo aver discorso idelle cagioni per le quali il colombicidio era divenuto uno special titolo di delitto distinto dagli altri danni, e dopo avere esposto come nel secolo XVI e XVII ne furono esasperate le pene sino al segno di condannare i colombicidi alla pena della galera a beneplacito di sua Altezza , esaminò se potesse dirsi giusta e conveniente tanta protezione della legge per sì fatta maniera di proprietà. Con- venne che l’ essere quella proprietà di natura sua difficile a difendersi coi mezzi or- dinarii del proprietario dava ragione al legislatore di rafforzare colla pena la difesa legale, ma osservando che i piccioni recano danno alla proprietà territoriale, disse che non poteano d’altra parte costringersi i proprietarii a portarsi in pace i danni che quelli recano, e che però se non avevano altro mezzo di tutelare la proprietà doveva essere loro permesso di uccidere i volatili danneggiatori. Facendosi poscia ad esaminare la questione di fatto se il proprietario avesse mezzo da difendersi dai ‘piccioni senza ucciderli , concluse negativamente , sicchè terminò facendo voti per l’abolizione del titolo del colombicidio in quanto ai proprietarii ed agri- coltori che uccidono i piccioni per tutelare la proprietà. Tuttavia perchè aleune recenti osservazioni agrarie sembrano indicare che il danno dei piccioni vaganti sia limitato a certi tempi dell’ anno , disse che dove l’ esperienza confermasse siffatte osservazioni, esse potrebbero servire di regola alla conciliazione dei di- ritti in collisione , facendo lecita in certi tempi l’ uccisione dei piccioni , ed in certi altri mantenendo la proibizione ‘antica. Quindi il corrispondente sig. cavalier Graberg d’Hemso lesse uma sua me- moria sull’ agricoltura dell’ impero di Marocco , nella quale dopo aver brevemente 175 descritta la topografica sua posizione, la natura del suolo e del clima, parlò con profonda cognizion di causa dei varii prodotti vegetabili, del modo di coltivarli e prepararli, della struttura e qualità degli strumenti campestri colà praticati, e di molte piante, che spontanee vegetano e somministrano frutti abbondevoli e proficui agli abitatori di quella parte dell’ antica Mauritania. La lettura di altre memorie state antecedentemente annunziate fu rimessa ad una prossima adunanza supplementaria. Adunanza supplementaria del 23 agosto. —S. E. il Presidente sig. Cons. March. Paolo Garzoni- Venturi presedè la seduta, nella quale dopo le comunica- zioni di uso il socio sig. dott. G. Giusti fece lettura di una memoria sulla statistica della provincia del Chianti compilata dall’accademico sig. avv. Michelagnolo Buo- narroti. La prima parte di questo lavoro , comunicato all’Accademia fino dall’an- no 1827, dava a conoscere la statistica agraria della provincia medesima , mentre la seconda parte, scopo dell’ annunziata memoria , verteva sulle manifatture e commercio , istruzione , costumi, e pubblica beneficenza. In secondo luogo il segr. degli atti lesse una memoria del corrispondente sig. Gio. Carboncini di Campiglia, tendente a confermare, mediante alcune espe- rienze da esso intraprese , la teoria degl’ ingrassi già dall’ Accademia adottata, e nel tempo stesso a far conoscere un modo da esso praticato , onde conservare e ridurre in minute parti i letami senza dispersione di principii fertilizzanti. Poscia il sorio corrispondente sig. Cosimo Giachi, esibendo il modello di un tino quadrilungo , desunto da un’ opera agraria del secolo XVI di Agostino Gallo Bresciano , con quelle correzioni ed aggiunte che il mentovato georgofilo credè opportune , ragionò dei vantaggi che ritrar si potrebbero dall’ uso di simili tini a preferenza dei consueti. Finalmente il sig. Pedeoille in nome degli editori del giornale di commercio a Firenze, presentò una pianta di cavolo albero dell’altezza di braccio 1 e mezzo, con la relazione della sua vegetazione , cominciando dal momento del suo primo sviluppo. Quindi chiese, ed ottenne licenza di leggere una sua memoria sui ten- tativi che si fanno per attivare all’ estero la frabbricazione dei cappelli di paglia, simile a quelli di Firenze , e sulle cause dell’ avvilimento cui trovasi questa ma- nifattura in Toscana. Fatto ciò l’ adunanza pubblica si sciolse, e 1’ Accademia si riunì in seduta straordinaria , ad oggetto di passare all’ elezione triennale degli ufiziali. Gli eletti furono i seguenti. Vice-Presidente sig. prof: Giuseppe Gazzeri ; Segr. degli Atti sig. dott. Ferdinando Tartini-Salvatici ; Segr. delle corrispondenze sig. Attilio Zuccagni-Orlandini s Bibliotecario sig. Emanuele Repetti ; Tesoriere sig. mar- chese Carlo Orazio Pucci. In luogo dei più anziani Deputati che cessano , il sig. march. cav. Cosimo Ridolfi, e sig. dott. Gius. Giusti ; ed in rimpiazzo del terzo Deputato sig. dott. Ferdinando Tartini-Salvatici chiamato ad altro uficio, il sig- prof. Gioacchino Taddei. E. R. R. Accademia delle Scienze di Torino. Classe fisico-matematica. = Ad. straordinaria del 2 Agosto. — Il prof. Bidone fece un rapporto intorno ad un ordigno meccanico relativo all’ arte del tipografo. — Il prof. Giobert, Dir. della Classe, a nome pure di una giunta , 176 lesse una relazione intorno alle qualità tintorie di un insetto indigeno , creduto, n sino ad un certo punto , suecedaneo alla cocciniglia. Quindi il segretario lesse un’ antica scrittura . compilata in nome dell’ Accademia dall’ abate Caluso, se- gretario perpetuo , intorno all’ uso delle stufe per il grano , e generalmente su tutto ciò che può convenir per conservarlo. Classe delle Scienze morali. = Ad. straordinaria del 13 Agosto. = Vi furono letti i seguenti lavori : 1.° Rapporto fatto a nome di una giunta dal sig. L. Sauli intorno ad una domanda di privilegio per un opera stampata in altro paese d’Italia. 2.° Cenni intorno alle principaliì cose contenute nei due volumi degli Atti dell’ Accademia della Crusca ultimamente pubblicati , di S. E. il Conte Napione. 3.° Due Orazioni del libro primo della Storia di Tucidide , trad. dal prof. A. Peyron. Cassa pi RisparmIO. Lettera al Direttore dell’ Antologia. Per aderire alle vostre gentili richieste , mi affretto ad in- formarvi che la Cassa di Risparmio ha ricevuta nel corso del mese di Agosto la somma di fiorini 25,963. 08 divisa in N.° 2537 depositi : ed ha restituiti fiorini 263. 49 in numero 33 partite distinte. È da notarsi quanto agli incassi un rapidissimo aumento , mentre sono ammontati nel secondo mese al doppio circa di quelli raccolti nel primo : e quanto alle restituzioni, che hanno avuto luogo quasi tutte al terminare dell’ Agosto, epoca. nella quale come sapete ricorre il pagamento delle pigioni di casa; e noi siam certi che le restituzioni fatte hanno quasi in totalità servito appunto per supplire a questa spesa. Mi credo in dovere di avvertirvi che oltre ai bilanci annuali della nostra amministrazione, da pubblicarsi ai termini del ma- nifesto dei 23 Aprile decorso, a fine d’ogni trimestre e vale a dire quando debbonsi porre in regola i conti dei depositanti , sarà regolarmente redatto un prospetto dello stato della amministra- zione medesima e delle operazioni da essa fatte durante ciascun periodo di tre mesi. Noi pubblicheremo direttamente questi prospetti insieme riuniti a fim d’ogni anno: ma poichè voi ponete tanto interesse nel ricercare come il pubblico ricorra al nuovo stabilimento, noi vi comunicheremo le resultanze dei prospetti medesimi appena ) pali saran posti in essere, affinchè possiate dar loro luogo; se lo cre- derete a proposito, nella vostra Antologia. Mi pregio di confermarmi con la più distinta considerazione. Dalle stanze della Cassa di Risparmio li 6 settembre 1829. Vostro Dev. Serv. F. TARTINI-SALVATICI Segr. del Consiglio d’ Amministrazione. —————————_—_——————_——_—__—_—_—_———————tktkn——ymem ANNALI UNIVERSALI DI STATISTICA. Godiamo di poter modificare quant’avea d’ inesatto la proposizione da noi inserita nel fascicolo N.° 99 dell’Antologia , riguardo agli Annali suddetti , ripro- ducendo la seguente nota che troviamo nel fascicolo del mese di luglio , ora pervenutoci. ERRATA per il Nuovo Archivio di Storia, Politica, Lettera tura ed Arti, giornale che si pubblica a Vienna ; e per l’An- tologia, giornale che si pubblica a Firenze. Nel fascicolo di marzo 1829 dell’ Antologia di Firenze alla pag. 108 si legge una nota concepita nei termini seguenti: Nel punto di mandare il foglio sotto il torchio leggiamo con piacere molti elogi dell’ opera del Balbi nel n.° 4.° del Nuovo archivio d’ Istoria, Politica, Letteratura ed Arti, riputatissimo giornale Viennese, che già redatto dal sig. Hormayer passato al servizio di S. M. il re di Baviera, è continuato con ottimi au- spiciù mercè le cure de’ valenti Mihlfeld ed Hohler coadiuvati dal celebre barone De Hammer. Noi siamo molto grati a questi. egregi compilatori pel modo gentile ed onorevole con cui nel pre- fato numero ebbero la cortesia di far menzione dell’ Antologia ; ma astretti dall’ obbligo di rendere il debito omaggio al vero non possiamo lasciare inosservato il non giusto rimprovero all’ Italia di negligere gli studi statistici. Certamente non si ignora nè può essere ignoto in Vienna che Milano vede uscir da’ tipi. un’ opu- scolo periodico intitolato Annali di Statistica ; opuscolo i quale oltre al far paghi i voti di tutti gl’ Italiani amanti dell’ utilis- sima scienza in discorso, ha anche il merito d’ essere stato cone cepito e portato a maturità dall’ egregio Melchiorre Gioia , non ha guari con dolore di tutta Italia rapito a’ viventi. ( Nota del- l’ Editore). 0 T. XXXV. Agosto. 23 178 Per ’ errata. applicabile al. giornale di Vienna vi supplisce la nota dell’Antologia di Firenze, e quì le rendiamo i più sin- ceri attestati di riconoscenza ; ma per l’errata che concerne l’An- tologia ., si dichiara all’ Editore della medesima: 1.° Che non è vero che il giornale intitolato: Amnali Uni. versali di Statistica , che si. pubblica a Milano, sia stato conce- pito e portato a maturità dal celebre M. Gioja; ma l’idea di que- sto giornale fu del solo suo Compilatore ; 2:° Che il Compilatore degli Annali ha dovuto instare non poco, e molto dopo ch’ essi Annali avevano già ricevuto vita , prima d’ indurre il Gioja a dargli qualche articolo, e di persua- derlo che scrivendo per i giornali ei non avrebbe perduto della sua celebrità ,, ed ognuno sa ch'egli ne dava, e non molti, alla sola Biblioteca Italiana ; 3.° Che il Compilatore degli Annali Ha di questa circo- stanza , sia perchè gli offre il mezzo di poter rinnovare la felice memoria del celebre Econemista italiano, di M. Gioja ; come quello che ha fornito agli Annali degli articoli che di tanto con-. tribuirono alla loro riputazione , sia perchè gli porge motivo di rendere la dovuta lode a tutti gli altri che vi presero parte, e tra questi si devono nuotare: Un Barone P. Custodi - Un G. D. Romagnosi - Un Conte Bossi ed i signori G. B. Carta — L. Ferreri — Ant. Clerichetti — Gius. Sac- chi — Defendente Sacchi — G. Radaelli — Conte Volta — Conte Sanseverino — Professori Rolla, ed altri che onorano e sosten-. gono i buoni studi in Italia. Queste nostre parole non tendono certamente a distruggere ciò che il Gioja fece per noi, che quantunque estinto, viva gliene serbiamo gratitudine, e sempre di cara rimembranza ne sarà il di lui nome , e l’opera sua, ma tendono soltanto a rettificare errori di data e di esposizione. 4.° Che il Compilatore degli Annali si gloria di aver con- tribuito a togliere gli ostacoli che si frapponevane alla pubbli- cazione del 2.° vol. della pregiata sua opera, = La filosofia della Statistica.= opera ch'egli attualmente riproduce iu una edizione in 8.vo. comoda ed economica , e della quale si è già pubblicato il primo volume. Il Compilatore Francesco Lampato. Nella fronte dello stesso fascicolo vediamo’ con piacere riportato il Quadro Storico-statistico della Russia, Turchia e Grecia , del. quale abbiamo parlato 179 qui sopra a pag. 76 menzionandone il solo editore sig. Pomatelli di Ferrara ; ora apprendiamo ll’/autore di quel'lavoro essere il sigi Gaetano Recchi. Cre- diamo pregio dell’ opera riportare la nota che il benemerito compilatore degli Annali v’ appone. EI grattato | Y bè (Nota) « Di mano in mano che veniam pubblicando la Filosofia della Statistica di M. Gioia, non manchiamo di esternare quanto a nostro credere sia necessario , che lo studio della Statistica ragionata si renda comune in *Ttalia , nel tempo ‘che di tanto si moltiplicano le opere di questo genere in Inghilterra , im Germania ed in Francia i e spetta soprattutto alla gioventù di «mon trascurare, questo studio. E, siccome i lavori della gioventù , quando ci provino: forza di raziocinio ; esattezza di calcolo , viste giudiziose , e sieno spo- gli di una cert’aria' di "presunzione sono da noi accolti col più vivo piacere, così crediamo pregio ‘ad opera il dar luogo nei nostri Annali al Quadro che presentiamo: (compilato da un colto giovine ferrarese , dal sig. Recchi, tanto (più che si presta alle: circostanze del momento. Non lasciamo però di osservare che alcune delle raccolte notizie potevano essere diversamente collocate , come ‘sono i paragoni che si fanno tra la Russia e la Porta, compresi nella parte che concerne |’ Impero (Ottomano , e che dovevano essere posti nella colonna della Statistica comparata , ma mondimeno l’ assieme del presente lavoro prova. nel sig. G. Recchi tutta la disposizione per altri di maggiore rilevanza ,,. IL COMPILATORE DEGLI ANNALI DI STATISTICA. 180 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’Antologia (*). LI sigosto 1829. TOSCANA MAPPA URANOGRAFICA, rap- preseniante la porzione dell’ ora XVIII, compresa fra i paralleli XV.° boreale e XV.°australe, delineata nell’osservatorio delle Scuole Pie di Firenze, negli anni 1827 e 1828, con la narrativa del metodo ed esposizione de’ documenti adoperati per costruirla, presentata alla R. Acca- demia delle Scienze di Berlino, da Gio- vanni IncHiRami, delle Scuole Pie, direttore dell’ Osservatorio , professore di Matemetica e Astronomia, corri- spondente della Società Astronomica di Londra , uno dei Quaranta della So- cietà italiana delle Scienze. Firenze , 1829 nella Stamperia Calasanziana. Fol.® mass.® TAVOLE LOGARITMICHE del sig. GarpIiNER. Quarta ediz. italiana, pubblicata per opera e cura di Gro- vanni IncHirami delle scuole Pie, prof. d’ Astronomia nell’ Istituto Ximeniano di Firenze, con note preliminari ed aggiunte. Firenze 1827. St. Calasan- ziana. SAGGIO di un Trattato teorico- pratico sul sistema livellare , secondo la legislazione e giurisprudenza tosca- na,dell’Avv. GrroLamo Pocci. Ad uso di Manifesto n’e stato pu blicato un proemio che' forma appunto l’ introduzione del Saggio annunziato, e può servir a far conoscere. anticipa- tamente al pubblico l’intenzione, l’or- dine , e le partizioni principali del la- voro. La prima parte dell’Opera verrà pubblicata a tutto il’ futuro mese di Ottobre , in un volume in 8.° non me- no di 400 pagine, che verrà rilasciato a’ sigg. Associati al prezzo di Fior. 4. Firenze, 1829, dalla Stamp. Bonduc- ciana , e presso l’Autore, via de’Ser- vi N.° 6390. VITA DI NAPOLEONE BUONA. PARTE imperator de’ francesi , prece- duta da un quadro preliminare della Rivoluzion francese di Sir WaLrER Scort. trad. ital. Firenze 1828. L. Ciardetti. Tomo XIV ed ultimo, SULLE COMUNICAZIONI dei vasi linfatici colle vene. Lettera scritte da Mass, Ricacei ad un Amico. Fi- renze , 1829. St. Fantosini, 12.° di pag. 20. LE EROIDI di ,P. Ovipio Nasone tradotte in terza rima da Agomico FionentIno. Firenze, dalla T'ipogr. Magheri, in 8.° (*)I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non decono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Il DrrerToRE DELL’ AnToLoGIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettioi Autori e Editori di opere ituliane , che le inserzioni di annunzi tipografici , nel presente bullettino , non possono avervi luogo che previo l’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero, 0 di qualunque altro avviso tipografico , mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de’ fogli. 181 STORIA dell’ impero russo compi- | strino del loro idioma, e sé, massime lata dal Cav. ComracnonI, con un snpplimento che giugne sino all’ inco- ronazione dell'Imperatore Alessandro I. Livorno 1829, Glauco Masi. Tomo I.° GIORNALE AGRARIO Toscano , compilato da’sigg. RarrareLe Lampru- scnini, Cosimo RipoLri } e Lapo DE Ricci. Firenze } 1829, presso G. P. Vieusseux Editore. Fascicolo XI.° — 3.° dell'Anno terzo. REGNO LOMBARDO-VENETO. FILOSOFIA pera STATISTICA di MeLcHiorre Giola. Milano . 1829. Presso gli Editori degli Annal Uni- versali delle scienze e dell’Incustria. Nuova ediz. in 8.° — Sono pwblicati i tre primi fasc. che formano il1.° vol. FALCO DELLA RUPE, 0.a guere ra di Masso ; Racconto storico ti G. B. Bazzoni autore del Castello di lrezzo. Milano , 1829 , presso A. F, ìtella e ΰ, 8.0 di p. 320. TRATTATO di Chimica wplicata alle arti, del sig. Dumas. Milano, 1829, presso A. F. Stella e f° Fasci- colo IlI.® TOTIUS LATINITATIS LEXI. CON Consilio et cura JAcoBI.FACCcIO- LATI Opera et studio AEGIDII FORCEL- L}NI , seminarii patavini alumi , lu- cubratum in hac tertia editione auctum a Joser4o FurLanETTO alumno »jusdem Seminarii. Patavii 1827-29 Trpis Se- minarii. 4.° Tom. Il tasc. 6 (Dnatiun- cula-Fatigatus ) fasc. 7 ( Fatijo-Hon- norarium ). BIOGRAFIA UNIVERSALE an- tica e moderna, ec. Venezia, 1829 , G. B. Missiaglia, 8.°; Volune LIV. (SO—ST). REGNO DELLE DUE SCILIE VOCABOLARIO UNIVIRSALE ITALIANO. Napoli, 1820 Torchi del Tramater . | Programma. = La relizione e la lingua essendo i soli generali legami «ella comunanza italiana , non è da inaravigliare se gli abitatori della bel- lissima tra le penisole così teneri si mo- nell'età nostra, con tanto amore il coltivino. Vero è che non ha guari questo affetto medesimo fece le dispute loro degenerare in contese, e le criti+ che in contumelie ; ma sembrano ora- mai calmarsi le ire gramaticali , e gli animi stanchi delle logomachie, ricer- care in tali studi eziandio alcun che di più utile, di più positivo, che quelle contenzioni non davano. Il per- chè non più si quistiona sul vocabola- rio della Crusca , ma si ristampa ; e meglio, 0 quello si corregge ed accre- sce, ovvero altri con altre norme sen fanno. E tanto punge gl’Italiani il bi- sogno di possedere alla per fine una miglior tavola della loro favella , che non era ‘ancor compiuta la stampa del gran Dizionario di Bologna, quando quivi medesimo , in Venezia , in Mi- lano , in Pavia, in Livorno ed in Pa- dova altri ne venivano in luce ; ond’è che nello spazio di poco più d’un lu- stro sino a dieci possiamo annoverarne, più 0 meno ‘estesi, qual finito qual no , parte affatto nuovi parte ristam- pati con giunte e miglioramenti. Se questo non breve catalogo ve- niamo or noi ad aumentare del Voca- CABOLARIO UNIVERSALE ITALIANO di cui ora si annunzia la vicina pubblicazio- ne, non sia chi il creda opera vana e soverchia ; chè anzi, staremmo per dire , lo rende indispensabile questa copia stessa di tal generazione di libri. Poichè non sono eguali doti in tutti, ma qual dell’ una qual dell’ altra va senza ; a cessar, se non altro, l’ im- paccio dello scegliere , ben si richiede che novello vocabolarista , i mali passi evitando in che altri per avventura in- ciampò , in un sol lessico raguni le pe- culiari prerogative di molti. Ghe se con felice ardimento: ei pervenga ad ornarlo di quelle puranco le quali ai precedenti mancano , e che ai linguaggi delle più colte nazioni di Europa noi Italiani in- vidiamo , chi mai avviserà di reputarlo superfluo ? Certo a ragione nella sterile abbondanza di quanti fino ad ora ne vanta la patria favella , ottimo vien predicato quello che pubblicano dal- l’ anno scorso in Padova i benemeriti compilatori CarreR e FepeRICI. Gli è una assai migliorata impressione della bolognese, decima della Crusca, la qua- le non mai rivide la luce più raffaz- zonata, nè per maggior corredo di giun- te insigne, come ora pe’ tipi della Mi- nerva; in guisa che avendo a mano que’ volumi , possiamo mettere dall’un de’ canti e l Auserti ed il Cesari, e > 18% si hartutta.intera.la Grusca, non senza le correzioni. e le aggiunte del, Monti accolte dal Gosra.,.e quelle al. Gosra fatte dal. Parenti dal PezzAna. e da altri. Pur nondimeno, a noi che vegniam dopo ; non manca. da spigolare,nel cam- po ove que” valenti mietono.; vanzi ter rem, modo, da riprodurre con, sì impor- tanti ed. utili mutamenti l’ opera loro, che, perverremo, forse, a. farla , 0, che c’.inganniamo; più; pregevole. e, lodata. 1. Non imitando,i compilatori ho- lognesi.:che, ristamparono Je} prefazioni degli accademici della | Grusca yi )nò i padovani che quella ristamparono de’bo- lognesi , in una che sarà ituttà nostra renderemo ragione del Javoro ; che. im- prendiamo; premessovi brevemente qual- che storico cenno, intorno alla italiana lessicografia. Le. terran dietro gli elen- chì degli antori e delle opere citati co- mei testi di lingua, de’ libri e dizionarii di cui. si è giovato il nostro, e delle abbreviature le quali useremo in esso onde restringerne il più che. si possa la mole. Riserbiamo per la fine , e quasi giunta alla derrata; due cose che al- tri, se gli è più a grado ; potrà meglio , collocare in principio ;. una gramatica della lingua italiana di recente compo- | sta da nostro amicissimo. concittadino secondo le norme della gramatica gene- rale : e la reorica de? verbi dietro-le ta- vole di conjugazione del Compagnoni , appostivi in nota gli esempi a dichiara- zione di talune uscite anticate 0 dismes- se , le quali perciò invano si eerchereb- bero in questo Vocabolario. 2. Se la quantità delle voci forma il primo pregio di un dizionario gene- rale italiano , osiam dire che per tal dovizia vincerà il nostro e quel di Pa- dova ed ognun altro de’ pubblicati. Ba- sterebbe raccoglier soltanto le registrate in essi tutti, e schierarle alfabeticamen- te in quello che promettiamo , perchè avanzasse d’ un terzo anche i più co- piosi (*): ma noi consulteremo. altresì gli spogli da poco in qua pubblicati; e quelli ancora inediti, de’ quali la cor- tesia degli amici nostri e delle lettere ci lascerà disporre ; consulteremo le o- pere del buon secolo di fresco messe in istampa , tali il Cennini, il Ceffi , il Bencivenni, ed altri ; consulteremo in fine presso che tutti i dizionarii speciali di.cui l’undì più,che 1° altro va Italia arriechendo4 Non escluderemo i.nomi istorici y nonvi; mitologici ,, non,i,geo- grafici, purchè italiani o divennti o atti a divenire «italiani. Quindi non mai si sarà fatta più ampia ragumata di termini tecnici, e ad un.tempo di voci così dette di uso e di. regola;, non che di quelle che il Monni volea confinate mel,gran cimiterio della favella, Serbando un solo ordine alfabetico, no1 semplici raccogli- tori facciamo ragione, di non espellere che ririssimamente i vocaboli. già. inse- riti da coloro i quali ci han' preceduto in questo ginepraio. Sia pure il Cesari o lVAuserni} il Gosra 0 il BAZZARRINI, Tros Rutulusve fuat, nullo discrimitie havebo. CR! Se noi che' per non indurre nessuno in errore, e perchè. rispettiamo la fede che in assouta guisa molti hanno: nel. solo vocabokrio della Grusca, gli articoli cavati la esso andranno privi ‘di segno; per tuti gli altri; i dizionari da emi son tratti, e de” quali apporremo le ini ziali, re faranno malleveria. I contras- segnati colla lettera (N.) sono i nostri; e portennno in fronte un asterisco tutti quelli ile. sono aggiunti alla’ Grusca padovara. 3. Riccolte le voci, nopo è ordinarle secondo 1’ alfabeto , semplicissimo lavo ro, main cui presso che tutti gl’ ita- liani nanenelatori han peccato , mala- mente confondendo tra esse le lettere Ie J, T e V, intermedie o iniziali che fossero sed insieme affastellando Je pa role di cui quelle fan parte : macchia di cui ion va mondo neppure il yoca- bolista {i Padova ; ma che non sarà in- dugio ale ricerche degli studiosi che al nostro i accosteranno. 4. Ein quello, siccome nella più parte dgl’ italiani lessici, altro lieve difetto | colpa forse de’ tipi : la man- canza digli accenti in talune voci serit= te in letere maiuscole, abbenchè ri- chiesti lalla moderna ortografia . Se questa dee pure impararsi da’ vocabo- lari, tae sconcio, comunque minimo, conviene ad ogni patto schivarlo. E noi lo schiveremo non solo, ma, dando pria (*) Prendiamo , per cagion di esempio , le voci comprese tra le iniziali AA ed ABA: ne rinverremo 13 nell’ Alberti, 2» nella Crusca del Pitteri , quasi altrettante in quella del Cesari, 27 ne? due dizionarii di Bologna, 33 nel livornese del Vanzon, 49 nel padovano , 50 nell» Ortografia di Venezia. Sommando insieme quelle che potrebbero da essi raccogliersi per formar serie ini novello vocabolario , ne conteremo 74. le parole nel modo in cui si hanno a | scrivere , le ripeteremo , quando occor- ri, nel modo come si hanno a dividere per sillabe, ed a pronunziare. Nella parte ortologica , il dizionario dell’ ab. Lorenzo Nesi ci sarà scorta e modello. 5. Si ricorre al’vocabolario, e il più sovente indarno, per saper tutti i par- ticolari d’ una voce; vale a dire, a qual parte del discorso, o a qual arte o scien za appartenga ; se sia soltanto di uso 0 di regola, anticata o erronea, burlesca, bassa, familiare o poetica 3 se infine idiotismo , latinismo , neologismo e va discorrendo. Siffatte indicazioni che non sempre s’ incontrano nella padovana compilazione , avranno nella ‘nostra sigle corrispondenti ; con questo anco- ra dippiù , che verranno accennati ne? nomi i plurali d’ eteroclita uscita , e così i femminini se mancan d’esempio. 6. Apporremo , se non sempre al- meno assai spesso , ai vocaboli primi- tivi la propria etimologia : notabile au- mento che per noi si farà al dizionario ‘della lingua. Gli editori di Padova si contennero a quelle de’ termini scien- tifici desunte dal greco , siccome loro somministravale il Bonavilla. Ma pres- so che intatta si rimane ancora la mes- se etimologica delle voci che formano propriamente il corpo della nostra Fa vella. E noto quanto disagio si abbia e desiderio di siffatti lavori in Italia ; alla cui lingua fallisce chi le abbia quel servigio renduto che alla latina prestarono il Barzizza ed il Vossio , alla greca il DieTERICH e l’IrRLBURGH, il BarLey ed il Jonnson alla inglese , il Virrorson, il GatrEL, il JAUFFRET, ed il Boisre alla francese. Uno de’no- stri collaboratori, che già da gran tem- po occupato a penetrare i secreti del pensiero e della parola , avea posto m serbo gran copia d’ importanti notizie per avvalersene quando che sia a for- mare un dizionario universale etimo- logico italiano, si è contentato di estrarne quel che fa al bisogno di un vocabolario generale della lingua , e ne arricchirà l’opera nostra. Non pas- sionato per verun sistema ; interrogan- do gl’ idiomi de’popoli ch’ ebbero nel- 1° itale regioni dimora e signoria; pro- cedendo sempre per gradi , scorto da quelle due faci degli etimologisti cir- cospetti , analogia de’ suoni ed analo- gia de’ sensi ; non audace, non pusil- lanime ; preferendo le più prossime origini alle più remote; in fine a tutte quelle avvertenze couformantesi che V) poo nella nostra pretazione ampiamente ‘di- scorre, 7. Rilevantissima condizione d’ogni buon dizionario sono le definizioni delle tecniche voci e significanze : nel che quanta sia la povertà della Crusca non v'ha persona che il nieghi. Alla quale sottentrarono con tanta pompa di sa pere gli editori bolognesi, che corsero ad urtare nell’ opposto eccesso, fucen do descrizioni più presto che definizio- ni. E ben lo avvertirono e ne li bia- simarono i loro successori di Padova; sebbene poi, non osando correggerlo, ed avendo nel tempo stesso obbligata lor fede all’ interezza della Crusca, n° è avvenuto che di quasi tutti que’ ter- mini ci regalano doppia definizione, l’ama magra e triviale siccome nell’in- tangibil volume stava; l’ altra tutta dottrina , tutta lusso scientifico. To- gliendo affatto di mezzo la prima, che in vero il dir sorta di pietra, erba nota; agrume noto, non è definire, e recidendo dalla seconda quelle super- fluità ( massimamente botaniche ) le quali non sono del luogo, crediamo servire ‘alla brevità , non che ai desi- derii del maggior numero. Andrèmo pure ; ove faccia d’uopo , rettificando co’ dizionarii speciali alla mano le de- finizioni scientifiche dell’Alberti e dei seguenti collettori di voci, siccome pure le altre aggiugnendo che in essi per avventura mancassero, 8. Fu parte fino ad ora trasandata ne°dizionarii generali italiam la sino- nimia, per la quale intendiamo la spie- gazione delle differenze tra vocaboli che mentiscono somiglianza: differenze talvolta quasi indiscernibili, ma l’igno- rarle nuoce alla proprietà della favella e di brutti vizii brutta la rende. Ay- gruppando insieme siffatti vocaboli re cò il RaBBI non lieve danno al nostro idioma ; del quale perciò in questi ul timi anni ben meritarono il Grassi col suo troppo ristretto Saggio, ed il Ro- MANI con quel postumo dizionario te- stè ristampato in Napoli , la cui pub- blicazione trattenne l’altro già prepa- rato dal nostro ch. ab. SeraFINO Gat- mi. A lui pertanto ci siamò rivolti per la trattazione di questa parte ‘non facile della nostra impresa ; ed egli ci soccor- rerà dell’ opera sua, rendendo così di pubblica ragione gli ultimi risultamenti del lavoro che aveva presso che al fine condotto. Da lui si noterà pure le voci che hanno identità di significazione , sebbene veggansi variare per desinenza, 1934 per arbitrio ortografico , per uso. pro- saico 0 poetico. 9. Le parole italiane hanno il più sovente signifiati diversi , che tutti vo- glionsi. partitamente additare . Segui- tando al. possibile le orme del Jonnson, noi li distingueremo l’ uno dall’ altro, a via di numeri progressivamente , po- nendo prima i più semplici, naturali e proprii, indi i sensi metaforici e figu- rati, le frasi proverbiali , gli usi che fanno di quella voce le arti e le scien» ze. Così ne’ nomi non sarà il sostantivo posposto all’ addiettivo , e ne” verbi , l’ attiva significazione precederà, se vi abbia , la neutra assoluta, e questa la neutra passiva. Oltre a ciò, 1’ anda- mento alfabetico ne’ lunghi articoli ser- bato ; a ciascuno de’ detti significati congiunta l’ equivalente parola o frase del latino e del greco idioma ; nulla omesso in somma nè di quanto rende commendevole la Crusca ; nè delle ri- forme che la fecero 0 possono ancora , a quanto pare , farla migliore. Questa in ispecie del più logico ordinamento negli articoli dovrebbe andare a’ versi a’ suoi devoti medesimi ; dapoichè per antepor che si faccia. o posporre un paragrafo ad un altro paragrafo, secon- do il.vogliono l’ ideologia e l’etimolo- gia, ne andrà guasto forse e corrotto quell’ esimio lavoro ? Ghe in esso molto fosse da correggere, da migliorare , da toglier, da aggiungere, da mu- tare , il confessava lo stesso giudizioso Satvini, principe de’eruscanti. E qual mutazione più acconcia che il mettere in assetto quel ricchissimo sì ma con- fuso arsenale ? Verranno in fine a convalidare cia- scun vocabolo, anzi ciascun significato, gli esempi, colle citazioni degli autori e de’ luoghi delle. opere da cui son tratti; la quale ultima indicazione man- cherà solo in quelli raecolti dall’ AL- sERTI e dal BazzariNnI, come coloro che non ne tennero conto. Benchè a giudizio di alcuni tai luoghi alle volte sien troppi, pure non li menomeremo, essendo che il maggior numero l’hanno per la più ghiotta parte del Vocabola- rio, e quanto ben torni l’ apprendere come i diversi maestri nostri diversa- mente adoperarono la tal voce o il tal modo non è da dire. Soltanto dalle giunte veronesi tronchiamo porzione di quegli esempi che mal confortano muf- fati o storpii vocaboli. Lettori, queste ed altre cose ri- guardanti il disegno , e diciam così la parte letteraria del nostro. Vocabolario» le scorgerete più a dilungo dichiarate nella prefazione. Ricapitolando la quale, vi promettiamo che troverete in questo nuovo Lessico della lingua italiana tutta quanta la Crusca del Pitteri ovvero del Ponzelli, colle giunte veronesi, bolo- gnesi e padovane; colle correzioni e gli accrescimenti dell’ALserti, del Mon- mir, del ParentI, del Pezzana, del BazzarrINnI , del CARDINALI, del Van- ZON , ec. ec. ; novellamente arricehita della parte ortologica , etimologica , si- nonimica e gramaticale; migliorata nel. l’ ortografia, nelle definizioni e nella disposizione de’significati. Vi rinverrete non solo tutti gli esempi allegati dagli Accademici fiorentini, ma pur quelli dai nostri predecessori apposti a molti vocaboli che ne pativan difetto, e gli altri co’ quali avvaloriamo noi le nuove purgatissime locuzioni non registrate si- nora ; oltre a più migliaia di termini tecnici e di voci di uso e di regola, ricavati da venti e più dizionarii tra generali e speciali italiani, e dall’uni- versalissimo Boise. Rispetto alla parte tipografica , vi facciamo avvertiti che adotteremo la forma dell’ in-4.°, e le doppie colonne nelle pagine, il carattere detto testino stretto; poco margine e carta fina di Regno, poichè miriamo a togliervi quan- to si può quell’ingombro che rende i nostri dizionarii divisi in molti volumi sì incomodi a consultarsi. Per la cor- rezione poi porremo ogni studio perchè non dovessimo poter essere accusati di negligenti. Del rimanente, se in nes- suna delle opere umane può mai attin- gersi la perfezione , molto meno si po- trà in un vocabolario, opera di sua na- tura imperfettissima, Ci confidiamo per- ciò nella indulgenza del pubblico ita- liano , implorandone altresì , nella pe- nosissima impresa cui siamo cinti, assistenza , incoraggimento e favore. Il prezzo di associazione è di gr. cinque il foglio , da pagarsi al rice- vere d’ogni fascicolo. I quaderni com- posti ciascuno di 20 fogli , si pubbli- cheranno esattamente di bimestre in bimestre, cominciando dal prossimo dicembre. Chi si obbligherà per dieci esem- plari , acrà l’ undecimo gratis. Napoli 15 Settembre 1828. ) TRAMATER EC. E pubblicato il 1.° fascicolo del Vol. I.° in 4.° di pag. XXIV e 104. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. AGOSTO 15829. se) Ri gal lac. > | o 3 Ie w|d|.5],8 | | Ora z 3 | assi 8 Stato del cielo | 3. gi PIA li ISO A lle ” | ò DI GONO PI QRS | ì | 7 mat. |28. 1,4 {21,1 |16,1| 86 iScir. |Sereno. Venti 1] mezzog. |28. 1,4 |20,6 [20,7] 53 Ponen. Ser. con neb. Calma 11 sera |28. 1,8 j21,0 11734 | 82 Po. Li. Sereno Ventic, 7 mat. |28. 1,8 [20,5 [15,2 | 86 Scir. |Sereno Ventic. 2| mezzog. |28. 2,1 |20,6 |21,0 | 55 Ponen. |Ser. con neb. Ventic. 11 sera |28. 2,5 [20,9 [18,0 | 55 Gr. Tr.|Sereno Vento 7 mat. |28. A 20,7 |16,5 | 69 © |Tram, {Sereno Ventie.] 3| mezzog.|28. 2,2 |21,0 [21,2 | 58 Lib. |Sereno Ventic. | xs sera |28. 2,1 [21,3 118,0 | 66 Greco +Sereno Calma 7 mat. |28. 2,1 |20,9 |16,0| 82 Gr. Le.!'Sereno Ventic. 4| mezzog. |28. 2,1 {21,2 |21,7| 55 Po. Li.|Se. con nuv. Ventic] 11.sera |28. 1,8 [21,3 [16,1 | 62 Tram. '!Sereno Ventic. 7 mat. |28. 1,6 {21,0 [16,5 | 81 Lev. |Ser. neb. Ventic* 5| mezzog. |28. 0,6 |21,2 !21,4 | 60 Lib. Ser. nuv. Vento 11 sera |28. o,r (21,0 |17,6 79 Os. Li.|Ser. con nuv. Vento 7 mat. 28. 0,0 [20,5 16,7 83 Greco [Ser. neb. Calma 6| mezzog. (28. 0,0 [20,8 |21,7 | 57 Lib.‘ {Ser. neb. Ventic. _|_1® sera |28. 0,1 |21,2 |18,0 | gi Po. Li.|Se. neb. Calma «| 7 mat. |[28. 0,2 |20,8 {16,1 | 96 Lib. Ser. con neb. Calma mezzog. |28 0,6 |21,0 |21,8 | 44 Tram. |Ser. con neb.: ——Ventic. _| 11 sera 28. 1,3 {21,0 117,0 | 46 Tram. |Sereno ___Ventic,{ (o EIASCORTO 7 mat. |28. 1,4 01791015] 01) ord -09s0w13ùY Scir. - -2Uo1AN|q ' Stato del cielo I Sereno Venticl i | mezzog. 28. 1,8 |20,5 [22,8 39 Tram. |Ser. con nuv. Ventie. Si ri sera !28. 28. 2,0 |20,9 18,51 48 Greco |Sereno Ventic, 7 mat. AR ad 2,4 |20,2 |16,3 | 65 Sc. Le.|Sereno Ventie. 9| mezzog. 28... 2,4 (20,4 [22,8 | 47 Po. Li.|Ser. con nuv. Vento |l II sera sta 2,1 |2:,2 [18,2 | 6t | 0,04! Ponen.! Sereno Calma | 7 mat. 20,8 (156; 73 Sc. Le.|Sereno Ventic, to, mezzog. 9a 3; si 20,9 (21,9! 51 Po. Li.|Ser. ragn. Ventic. & ve sera +6 20,8. 18,2 61 [Lib. |Sereno Ventic.|j a 7 mat. sa % 2,0 co 18,2 | 79 Scir. |Ser. neb. Calma 11} mezzog. 2,1 |2:,2 [22,0] 65 Po. M.|Sereno Ventic.. | 11 sera gie 2,3 Kia I 119,0 | 62 Os. Li. |Ser. ragn. Calma | 7 mat. |28. 2,8 }21,6 [18,0 | 76 Scir. {Sereno "Calma 12| mezzog.|28. 3,2 [21,7 [22,8 | 53 Muestr.|Ser. ragn. .Ventic. ri sera |28. 3,3. {22,3 [19;3| 78 Lib. _{Nuv. ser. Calma 7 mat. 128. .3,1 [22,0 {18,0 | 83 Po. Li.|Nuv. neb. Calma | r3.mezzog. |28. 2,7 [22,3 |23,0| 55 Os. Li. {Sereno Ventic. virsera |28. 2,0 [22,8 |19,1| 82 Ostro |Sereno Ventic. |.7. mat. (28. 1,3 |22,0 117,8 90 {Scir. |Ser.ragn. Ventic.|f | 14. mezzog.!28. 0,4.(22,2 [22,6 | 54 Tr, M.!Sereno Ventic | .|.twsera /27. 11,8 .|22,9 1935 | 7 Ponen. |Ser. con neb. Ventic 7 mat. |27. 11,1 22,3 17,5 98° Dati Piuggia 15| mezzog.|27. 10,9 {22,6 [ali | Bo | 0,02'Po. Li.|Nuvolo rr sera |27. 11,6 |22,0 18,0 80 !Ostro Sereno 7 mat. (28. 0,1 ;21,6 17,0 | 86 Lev. |Ser. con neb. Ventic.j | 16} mezzog.|28. 0,7 [21,3 :213 | 56 Lib, |Ser. con neb. Vento for. || Ir sera lata 1,5 (20,3 117,9 | 68 Lib. ]Ser. con neb. Vento |. 7 mat. |28. 1,3 320,6 ,6 115,2 89 Lev. |Ser. ragn. 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Ventic: | 7 mat. 28. 0,1 [20,0 117,5 | 72! Scir, |Sereno Calma 122|mezzog. (28. 0,8 {20,2 {16,7 | 50 Tram. !Ser. ragn. Vento | rt sera |28. 1,9 |20,4 |17,0| 48 Lev. |Sereno Calma 2a Si cis del” 5 Get ACL ria 0° RIST E ve | 7 mat. (28 2,0 119,8 13,9 | 65 |Scir. |Sereno Ventic. i23|mezzog. |28. 2,0 |19,8 |20,0 | 48 Maestr. Sereno Veutic 1t sera |28. 1,8 ;20,2 [16,2 | 56 |O;tro Sereno Ventic, | 7 mat. |28. 1,8 [19,7 |13,1 85 |Scir, Nebbia Ventioc. 24'mezzog. |28. 1,5 |19.5 (19,3 | 59 |Lib. (Sorano Ventic. 11 sera |28. 0,8 |19,8 |16,0 | dI :Po, Li. | Ser. neb. Calma da bat a SARA ba di ORE ci te PRI crea 7 mat. |28. 0,6 |19,5 115,5 | 85 Svir. Ser. neb. Ventic. J:25'mezzog. |28. 0,7 [19,5 120,5 66 Lib. Ser. neb. Ventic. 11 sera 28. 0,8 |19,5 {15,2 | 98 | 0,66 Po. Li. Pioggia Ventic. | 7 mat. |28. 0,8 [19,0 15,0 | 97 agita Li.'Ser. nuv. Ventic. po mezzog. 28. 1,4 {18,8 (17,8 73 Tram. | Nuvolo Vento 1: sera |28. 1,5 |18,1 15,0 | Bo Tram. {Sereno Ventic. 7 mat. 28. 1,4 |17,9 113,5. 88; — |Gr. Le.|Sereno Ventic. \27\mezzog. |28.. 1,3 {18,1 [19,8 52 Ponen, |Serenò Ventic. | rt sera |28. 1,2 |18,7 !15,1 | 86 Lib. Sereno Calma i | 7 mat. |28. 0,4 [18,3 |14,9 93 Sc. Le.|Nuvolo Calma w” mezzog. |27. 11,8 {18,6 |20,2 | 62 Po. Li.| Nuvolo Vento L. ri sera |27. 11,1 |18,4 [15,9 | 80 | Lib. {|Nuvolo Ventic.|f Fr 7 mat. |27. 11,2 18,0 15,8 } 79 Ostro |Nuv. neb. Galma 29 mezzog. |27. 11,7 |18,4 18,3 | 74 Po. Li.{Nuvolo Ventic. 1t sera |27. 11,5 ‘18.2 [15,0 | 88 | 0.14jPo. M.|{Nuvolo Calma 7 mat. [27. 11,0 {18,0 [15,0 | 90 Lib. {Nuvolo Calma ‘3o|mezzog. |27. 11,0 |t7,6 [15,0 { 90 | 0,23|P°o. Li.|Nuvolo Vento It sera |27. 10,3 {17,2 |12,1 _97 | 0:22 Scir. |Se, nuv. Ventic. 7 mat. |27. 9,9 {168 {12,01 96 | 0,41|Lev. { Nuvolo Calma * Siimezzog. |27. 10,0 |17,8 {12,9 | go Lib. ‘Sereno nuv. Ventic. i ! xx sera |27. 10,1 {18,8 [12,8 | 98 Lib. Sereno Ventic. (RO VI TIE = | va | Bite Wi Li ri uo «adi dn ad dg ta 497 pa (et «ni per, si o ibid non Sei pet pr ounIst: lane, lane a dd «OR 7 hO cu gt Ape |EBLE pai, Boia 49 Vo aghi o ti sa: Gest Pa 1) $i Fassi di «Mi da Ret «11.6 dii ho hi erbe 0» Prandi y* spin CT) P nei ATA mis cfr riali Mine pd seront rime = 7 ntppa Srila o 4 iv ANI "ce ita ARIE PRE dp vai VIOLI pate : } IN — dgpraài. picici i | La Soliiani i polti. 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SE n Mitano, per tutto il regno - vue Spedizione delle Gaxzette, opta Lombardo Veneto € presso l'I°e R. Diret. delle Poste. s: tin Tonino È per tatti li Stati Ped presso il SIE Luigi Croletti, impiegato nello va ; SEZ: po v---R. Poste di Torino. $ INA NA fo ; È presso Gem. Vincenzi e C.0 Vibra n-PARMA RSA __—. presso: il sip. Derviè direttore delle Poste. 3 ‘Roma, ne tatto lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato rta Fat netE amministraz. Le delle Lante FOOD | “in PALERMO. 3 per tutta la Silla -.; presso.il sig. G. Gruis,” via Toledo N° Ti ‘in AUGUSTA. > > «|>. pressorla Direzione delle Gazzette. ‘do si per. tatto } nipro Atistriaco, dalla Spedizione delle Gazzette; va SE DARE eRa: Lo I. e-R. Direzione delle Poste. < i ESS presso JJ: Paschoud. ‘ presso J. Renouard Rue.de Tournon N. 6 . po: C. F. Molini N. 41 Paternoster Row. ct Puezzo 1 D' Associazione e da Lan anticipatamente. Per la Toscana. 3 “Lire 36 toscane peri anno. Rai, tivo di porto i Sn; per la posta © tatto il Regno. ren ne, È mbardo Veneto franchi 36. cina) ; pento r A Sardo: P posta franco alle frontiere ‘per la posta franco di porto ‘. per la posta franro Torito ; SR 0 Milano franco Parigi nu per la posta ua a g6, i in 32 volumi broché. " L. 275 ; 30 »”» 3 La + INDICE. di "DELLE MATERIE sa CONTENUTE NEL - PRESENTE quaDeRNO: ) i "Mea della. Società di dosare di- Parigi, tomo ILo tI. c. a a 3) | Edipo Re, tragedia di Silvestro Centofanti. (Ki X. Y's 8 Sopra le illustrazioni dei papiri gi 3 del: profess. Peyron:Let®. > ‘9 stare IL (Conte Federigo Sglopis} De nomi di misnre lineari sdiprati. ‘ad rar misure di ‘superficie. » 8 servire .ad. atea di antiche scritture «d' Egitto, ec». LR Lane {Conte Prospero Balbo}! » 57) Operette varie di Ugo Foscolo. pit IAR (DM) | Statistica della Russia , di Adriano Balbi, —_ Quad: storico=statistìco ia i della Russia, Turchia, Grecia, pubblicato a Ferrara. »\(7.G.H.} >» Inturno ‘gl’ funi sacri di Messandro DERE: 3 dubbi di Giuseppe Salya> o se ; “| gnoli.Marchetti. PIA SA Enrico Mayer) do ; Opere varie ‘d’ Ennio Quirino Visconti Cata 0 AE) 10 Spedizione scientifica in Egitto. Lettere del sig. Champollion. (Estratto) SO, RIVISTA LETTERARIA. — Odescalchi , » Prose. scelte. pi 193. _ Maroe- SA a co Il Castello di Binasco , pi 137. — Guys, Viaggio letterario nellà o Cieciso p..128. — Dandolo, Lettere sulla Svizzera ; p. 13 = Pa dito Al leriano; La. infelicità de’ letterati ,, p. 139. — Silvestri ; Nuovo ia i gretario italiano, p. 134. — Discorsi nell “Accademia. delle Relle- Arti - ì di Bologna ;:p. 136. — Pandolfini; Trattato del ‘governo della fa-... miglia, p: 137, — Rendimento ‘di conto dello ‘Stabilimento. di monst:: pe . dicità di Siena, p. 13g9- = Palloni; Istoria di un sonnambulismo 3‘. p. 141. — Goldsmith; Storia romana ‘trad. del Vallardi, p. 142. «me ne ; Manuale di ‘polizia medica , 142. — — Quaglia s Medicina di si Leroy.;. pi 149 Il: Discernitore , opera penrina da ig eb ino ci SE È Roma; p. 143. RA si ; 4 123; BuLLeuTINO SCIENTIFICO. Meteorologia > Ps ‘149. Te Fisica e Chimica' Pi Sa p. 150. — Pozzi attesiani 3 p. 150. ‘Fisica Vegetabile 3.160." _. E Storia naturale , p.‘162..== Arinali di storia naturale ‘di Bologna , E edo p. 162. — Scienze mediche. > P 164. Geografia e Viaggi. scienti» || tifici. — Spedizione nella Morea ; pi (168. — Società elvetica al San Bernardo.,.p. 169. — Varietà ,' pi ‘172 — Società scientifiche. L od :, ‘ Accademia de Georgofili, Pr cal Ra Acca. oe: scienze di To Si rino; pi 179.5. i NGEFAPY ea a E Cassa di risparmio, Lettera di IRA ARA RR di Tartini-Sulvatiai 9 09 Aunali Universali di Statistica. in AIAR: ® ETA Redi cda 177 Bullettino Bibliografico. Tayole Meteorologiche. SCE nre i de Cra- la Sei- ti monti mo Gui- ,, Fi, i antico rtol. fa- »onosce- ‘o della ‘unciata i scien- ma cade avoro , trambi ile e la risola , > aiuto ui, oggi per riu- I) NI ba ya RO \ N Y 7A CIA C, paper 1a e A04 ve a Li 4 D) (6%) cs lor N È ® N [N R N DS N . » N 7A ZGUDVDAUE VG » ANTOLOGIA STORIA DELLA VITA E VIAGGI DI GRISTOFORO GOLOMBO de CHa- SCRITTA x vo : la Sei- DA WASHINGTON IRVING 1 i 1 monti AMERICANO imo Gui- TRAD. DALL'INGLESE ‘i antico itol. fa- »onosce- ‘o della ‘unciata i scien- , Firenze na cado ’ “/avoro , TH'OGRAFIA ALL’ INSEGNA DI MINERVA di dai trambi id ile e la risola , ‘> aiuto : È epigoni . uuni, oggi Golfo della Spezia, dove la natura na satto tutto per riu- » MANIRBITO - F ra le diverse storie che abbiamo della Vita e Viaggi di Crisrororo CoLomso, quella scritta dal celebre Washington Ir- ving merita giustamente il primato, es- sendo ricca di fatti e documenti finora 0 ignoti, od oscuri, che posti in luce ‘accrescono la cognizione delle immortali imprese di quell’ illustre scopritore del Nuovo Mondo. Conosciuto il merito di quest’ Opera, hanno creduto gli Editori far cosa utile e grata al colto Pubblico di eseguirne un’ accurata edizione, giacchè il favore con cui è stata generalmente accolta, gli assicura di riscuoterne gradimento. CONDIZIONI DELL’ASSOCIAZIONE L'Opera sarà divisa in Volumi quattro, ognuno dei quali sarà suddiviso in tre fa- scicoli, del formato e carattere, simili al presente Manifesto. ANTOLOGIA de CHa- ‘e la Sei- ; ‘ i monti i amo Gui- ell’ antico Antol. fa- conosce- alfo della enunciata oni scien- ssima cade » lavoro, entrambi urale e la penisola , roco aiuto . Luni, oggi Golfo della Spezia, dove la natura na ratto tutto per riu- \ AI % \ si, : 1 rip di LETI IVO A » Si è pubblicato il primo fascicolo ed alla fine del futuro mese di Ottobre sarà © pubblicato il secondo, e così successiva- mente ogni venti giorni un fascicolo ; e si darà in dono il ritratto di Colombo in- ciso da valente bulino. Il prezzo di ciascun Fascicolo è fissato a paoli due, ma per quelli che si associe- ranno avanti la pubblicazione del secon- d do, il prezzo sarà di Lire una fiorentina ; | rimanendo a carico dei Signori associati | le spese di dazio e porto. Le associazioni || si ricevono in Firenze dagli Editori alla loro Tipografia posta in Via de’ Ginori all’insegna di Minerva, e presso i primari librai d’Italia. | Li 25 Settembre 1829. ‘a ” ANTOLOGIA N.° 4105, Settembre 1829. ___anRmSE=Yr- Mémoire sur-le Golfe de la Spezia par le comte de Crna- sro DE. Vorvic ; Conseiller d' Etat , Préfet de la Sei- ne. Paris 1824. Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i monti che circondano il Golfo della Spezia di Grroramo Gui- pont. Genova 1828. * À torehè rendemmo conto della statistica dell’ antico dipartimento di Montenotte del conte Chabrol (Antol. fa- sc. 76) ci riserbavamo a migliore opportunità far conosce- re a’ nostri lettori un’interessante memoria sul Golfo della Spezia dello stesso autore inserita in calce della enunciata opera. Ora che sono comparse alla luce le osservazioni scien- tifiche del sig. Guidoni intorno alla località medesima cade il destro di dare un sunto dell’uno e dell’ altro lavoro, e ciò tanto più a proposito in quanto che da entrambi acquista lustro la topografia fisica , la storia naturale e la statistica di un punto interessante della nostra penisola , per modo che possono, direm così, prestarsi reciproco aiuto e corredo. I. La celebrità ed ampiezza del porto di Luni, oggi Golfo della Spezia, dove la natura ha fatto tutto per riu- 2 nirvi i più comodi e più sicuri porti del Mediterraneo, (1) fissò per un istante l’attenzione di Napoleone, allora quan- do divenuto l’ arbitrio della Liguria e dell’Italia determi- nò farvi un emporio della sua marina. Quindi è che con decreto imperiale , datato gli 11 maggio 1808, dichiarò il Golfo della Spezia porto militare e residenza di un prefet- to marittimo , e diede contemporaneamente ordine ai mi- nistri della guerra e della marina di preparare i piani di difesa, e di costruzione per un grande arsenale e per una nuova città. Il conte Chabrol fu nel numero dei dotti destinati ad esaminare quella contrada , e specialmente le località più opportune alla fondazione della progettata città , ca- pace di 12000 abitanti, alla quale dovevano dar vita numerosi stabilimenti marittimi e manifatturieri, Mentre tali indagini progredivano alla loro meta, la fervida mente di Colui che tante cose operò, assorta in im- prese di altro genere e di più gran momento, fece sì che quella del nuovo porto militare si rimanesse nella serie dei progetti che non saranno probabilmente per realizzarsi mai più; cosic- chè si può preconizzare che, ad onta dei molti tentativi ope- rati, il porto di Luni conserverà ancora per lunghi secoli la sua pristina verginità. Nonostante ciò gl’italiani , e pre- cipuamente i Liguri non possono non essere grati al conte Chabrol , per opera del quale furono resi di pubblico di- ritto documenti preziosi alla statistica, alla geografia fisica, idraulica e militare del Golfo della Spezia, Brevi cenni storici sulla città e porto di Luni prece- dono le osservazioni scientifiche della memoria in questio- ne. Per quanto l'oscurità dei tempi nasconda l’ origine dei popoli che abitarono intorno al Golfo della Spezia , per quanto non si trovino colà tracce di stabilimenti ve- (1) Sino da’ tempi della R. Repubblica il porto di Luni fu disegnato come il punto più comodo e sicuro per raccogliere numerose navi da guerra e da trasporto onde tragittare intiere legioni nelle Gallie, nelle Spagne e sulle coste di Affrica. Sono costantemente celebri nella storia dell’ Impero la spedi- zione contro la Gran Brettagna comandata dall’ Imperator Glaudio , e quella di Carlo V contro Algeri, partite entrambe dal Golfo della Spezia. 3 tusti, eccetto poche vestigia della città di Luni, non vi ha però luogo a dubitare che questa giacesse alla sim- stra del fiume Magra, e non alla sua destra, come lo ha supposto il conte Chabrol , e prima di lui Cluverio e l’ab- bate Lami. i La quale supposizione ebbe origine da un passo della geografia storica di Strabone , dove si legge che tra Zuna e Pisa ha luogo la Magra, senza esaminare, se il greco scrittore intese in questo caso di Luna città, ovvero del di lei porto. Imperocchè aveva egli stesso avvertito i suoi lettori (Geogr. Lib. V) che tanto chiamavasi Aoùye il porto quan- to l’oppido vicino ; cosicchè i greci entrambi i luoghi col- lettivamente appellavano ZgAyvy. E par bene che nell’istes- sissimo collettivo senso lo usassero i romani, tostochè Tito Livio all’occasione di parlare della città disse: qui Lunam Pisasque depopulati erant (lib. 41, cap. 19), e altrove: Exer- citu in hiberna Lunam et Pisas deducto ; (lib 43, cap. 9) mentre volle dire del porto allorchè M. Portius Con- sul...... a Luna proficiscens edizit ; ut ad portum Py- renaei sequerertur, (lib. 34, cap. 8.) e quando C. Calpur- nio Pretore inviato al porto di Luna; quarto die qui mis- sus erat Lunam venit etc. (lib. 39, cap. 21). Non è del tema nostro esaminare quali ragioni de- terminarono Strabone a non seguire le orme di molti serit- tori suoi coetanei che avevano designato la Magra. per confine della Toscana, nè a prender tampoco a mo- dello i suoi connazionali Scillace e Polibio , che circo- scrissero l’ antica Etruria fra il Tevere e l’Arno, o se piuttosto amò di preferire la divisione politica dei tempi della romana repubblica, a tenore della quale Pisa col suo territorio era dal lato del mare inferiore il confine dell’Ita- lia propriamente detta, mentre il municipio e la colonia di Lucca facevano parte della Gallia Cisalpina, Quantunque la perdita della seconda decade Liviana ci tolga il miglior mezzo di rintracciare l’anno preciso, in cui il tratto di paese posto tra Pisa e il porto di Luni cadde in potere di Roma, intorno alla qual epoca coincidere deve il transito della coorte di Ennio in Sardegna, sicchè l’aspet- 4 to del magnifico porto di Luni fece esclamare a quel ca- pitano poeta: Lunai portum operae est cognoscere cives : ciò nonostante , siccome dalla storia superstite di Livio apparisce che durante la lunga guerra ligustica le falangi destinate alla difesa della toscana frontiera tenevano stan- za contemporaneamente a Pisa ed a Luni, vi è luogo a congetturare che eritrambe queste città socie del nome ro- mano venissero di buon ora ascritte ed incluse nell’etrusca regione, Supposto ciò resterebbe anche a provare se l’ antico corso del Serchio, come parve al Borghini, o piuttosto la criniera dell’ Alpe Apuana serviva di demarcazione fra i distretti di Lucca , di Luni e di Pisa (2). Quello però che non dà luogo ad alcuna controversia si è che Strabone portò la lunghezza massima dell’Etruria littorale da Ostia'‘a Luna a 2500 stadii: vale a dire circa 28 miglia più estesa di quella designata da Plinio, fra le foci del Tevere e della Magra. E che nell’enunciata dimen- sione di 2500 stadii si trattasse di comprendere non solo Luna città, ma anche il suo porto, lo dà a conoscere il greco autore , allora quando facendosi a specificare le respettive distanze dei luoghi intermedii disse: E’ pèv obv Ilioas dard Aobws, mAsiovs T&Uv U oladiwv Ugiv : cioè : Imperocchè da Luna a Pisa si contano più di 400 stadii. La quale misura riescirebbe onninamente erronea per co- loro che specificare volessero col vocabolo Aodyys la città e non il porto, mentre da Luna città sino a Pisa a teno- re della tavola Peutingeriana si contavano appena 37 miglia romane , pari a 2096 stadii, distanza effettiva che corre anche oggi fra Pisa e l’ Anfiteatro diruto Lunense. Infatti Strabone servire volle d’ interpetre a sè stesso al- lorchè poco dopo soggiunse : Téurwy d' ij pèv Aobva, THA fat), a) Asjy. Casaubuono, Xilandro e Cluverio non facendo (2) Che i Liguri Apuani confinassero da un lato col territorio pisano lo dà a conoscere Tito Livio in più luoghi della sua opera , e che la spiaggia di Pisa fosse limitrofa con quella di Luna non ne lascia dubbio il seguente passo: Ligures........., Lunensem primum agrum depopulatos, Pisanum deinde finem transgressos , e omnem oram maris peragrasse ( Hist. Lib. 34. Gap. 36). 5 alcun cas» delle voci rogrwv d 1 diedero al testo greco una manca e confusa interpetrazione quando spiegarono : Ergo Luna urbs est et portus ;$ invece di dire: Morum (Stadio- rnm ) enim est urbs Luna et Portus, espressione che dà chiaramente a conoscere non tanto essere diversa l’ ubi- cazione dell'uno e dell’altro luogo, quanto che nei confini etruschi era incluso l’attual Golfo della Spezia. Ne è da dire che il più volte citato scrittore ignorasse il sito preciso della città di Luna, e che la Magra corresse tra essa e il porto Lunense, tostochè discorrendo di quel gruppo di monti che separano la valle superiore di Lucca dalla Lunigiana avvertì: ITpds dè rozs Ypeciy for) TIME Toi Urepueimévor ris Aoyye A&xa , cioè , che la città di Lucca è poco distante dai monti che stanno sopra Luni. Niuno che abbia la benchè minima cognizione topica dei luoghi in discorso sarà per ammettere che qui si discorre della di- ramazione dell’appennino che accerchia il golfo della Spe- zia, diramazione volta in altra parte e affatto isolata da quell’immensa rupe marmorea dell'Alpe Apuana , (3) alle di cui falde occidentali sono i monti di Luni dove ronca Lo Carrarese che di sotto alberga, e le famose lapidicine, mercè cui la memoria dell'antica Luni renderassi durevole quanto quella delia moderna Carrara. Non è dunque che Strabone abbia fatto del porto e della città una cosa medesima, ma sivvero che i limiti della sua Etruria estendevansi a cento e più stadii oltre la de- stra del fiume Magra, dentro il quale spazio era compreso il porto Lunense, li monti e promontori che lo chiudono. Lasceremo agli archeologi la cura d’ indagare se i confini della diocesi Lunense, una delle più anti- che d’Italia, si modellassero su quelli del comparti- mento politico di quel romano municipio, o se anche il (3) Non potremmo dare una più esatta descrizione dei monti per cui Lu- na veder Lucca non puote , se non che’ riportando le parola del Boccaccio : — Petra Apuana mons est olim Gallorum ( Ligurum ) Frimenatum ab initio Apoennini in agrum Lucensium protensus, hinc Ligustinum Tuscumque mare, et veterem Lunam civitatem , inde Pistoriensium et Florentinorum campos aspiciens. (De Montibus etc.). 6 cippo grafico etrusco recentemente scavato in val di Vara a circa 12 miglia all’occidente della Magra, potesse mai ap- partenere a uno degli antichi termini del territorio di Luna piuttosto che all’immagine di una divinità campestre , sic- come parve al ch. cav. Zannoni. Nè fanno contro al nostro proposito , siccome sospetta il conte Chabrol , le parole di Pomponio Mela perchè chia- mò Luna Ligurum , nella stessa guisa che nol farebbe Giustino per aver detto Pisae in Liguribus ; nè Cornelio Nepote là dove scrisse che Annibale per Ligures appen- ninum transiit petens Etruriam, avendo i nominati autori avuto riguardo non alla località ma ai popoli che prima dei Romani colà signoreggiarono. Checchè ne sia da quanto abbiamo esposto sembra risultare la conferma di un altro as- serto di Strabone, a proposito del magnifico porto di Luni, ch’ egli chiamò degno di una nazione, la quale ebbe per tanto tempo il dominio sul mediterraneo. Sì fatta testimo- nianza accoppiata al documento lapideo poco sopra ram- mentato starebbe ad infirmare la congettura del Noris, quan» do cpinò che la mercantile città di Luni, anzi che mesco- larsi nel governo e nelle cose degli etruschi, fosse unica- mente loro confederata. Rettificato nel miglior modo possibile un punto con- troverso di antica geografia tuscana , altro addebito ci ri- chiama in sostegno di Strabone e della storica verità. Pro- gredendo il conte Chabrol a indagare l’etimologia dei paesi di Porto-Venere e di Lerici, dice che essi provinrent sans doute d'un temple consacré à Venus, et construit, suivant Strabon, sur la colline qui domine actuellement Lerici. Ce temple, qui subsista long-temps après Luni , donna son nom au golfe, et successivement è Porto-Erice et à Porto Venere. Che per altro il n. A., imitando qualche altro scrittore locale, contasse più sulle tradizioni del volgo che sulla fe- de di Strabone, può dedursi dalle varie congetture che die- dero vita a simili leggende. Tanto è vero che, mentre il co, Chabrol accennava per sede del tempio anzidetto la col- lina di Lerici, il chiarissimo astronomo Barone di Zach segnalava l’ isola di Tino all'imboccatura del Golfo, 7 quando altro astronomo Ligure propendeva nell’opinio- ne di coloro che cercavano il supposto tempio pagano sul promontorio di Porto Venere; e quest’ ultimo non du- bitava di asserire che il diruto tempio di S. Pietro ivi esi- stente (benchè di struttura del medio evo) fosse un avanzo di quello consacrato a Venere Ericina per voto del console L. Porcio , l’anno di Roma 566 (4). Ma quando si voglia ricorrere ai fonti originali si vedrà che Strabone non fece menzione alcuna di tempio nei con- torni di Luni, e che uno di quei due dedicati a Venere Ericina, e da esso lui nominati al libro sesto della sua geo- grafia , esisteva non già sul colle di Lerici, ma sul monte Elice presso Segeste nella Sicilia, accennando l’ altro in Roma davanti alla porta Collina, quello appunto, che al dire di T. Livio per voto del console L. Porcio Lici- nio fu innalzato colà , e non a Porto Venere alla dea di Gnido (5). A togliere fede ad alcune pie cronache che ripetono la derivazione di Porto Venere da un santo Eremita chia- mato Venerio , il quale menò vita esemplare nell’ isola di Tino nei primi secoli del cristianesimo, il lodato Ba- rone di Zach contrappone la geografia di Tolomeo, e l’ iti- nerario di Antonino, opere in cui trovansi registrati i no- mi di Portus-Veneris e di Portus-Ericis. Ma tale obiezione perde ogni valore quando si riflette, che l’itinerario ma- rittimo , (e non quello di Antonino) dove trovasi una tale mansione, è un frammento prodotto la prima volta da frate Annio da Viterbo, mentre invano si cercano le stazioni di Portus-Veneris. di Sinus-Ericis e di Portus-Ericis nei cu- dici del geografo Alessandrino, essendo queste al pari di tante altre aggiunte fatte da uomini di mare o da mo- derni traduttori (6). (4) Correspondance Astronomique du Baron de Zach. Vol. I e IV. (5) Strabon. l. c. T. Lio. Histor. Lib. 40. Tacit. Annal. Lib. IV. G. 43. (6) Vedasi la Geografia di Tolomeo pubblicata da Pietro Bezio col testo originale di fronte alla latina traduzione , per tacere di tante altre meno in- terpolate edizioni. Quattro codici preziosissimi della Biblioteca Laurenziana at- 8 Fatto sta, che la menzione più antica di Portus Vene- ris, (seppure nell’ autografo non debba leggersi Portus Ve- nerii), sta in due lettere di S. Gregorio Magno ( Epist. 16 e 17, lib. IIl ); e che il paese in questione conservossi estrema frontiera del comune di Pisa sino a che quello di Genova, alleatosi con i Lucchesi, discacciò i Pisani dai contorni del porto Lunense; e finalmente che il monte di Lerici, su cui fu edificato nel secolo XII un castello, appel- lavasi nelle vecchie carte e negli annali genovesi Mons Ilicis, e non come lo chiamò posteriormente Petrarca Mons Ericis. Di data anche meno antica è il paese della Spezia posto in fondo al Golfo cui diede in seguito il sno nome. I vantaggi della sua posizione, considerata sotto il duplice aspetto delle relazioni commerciali e di stabilimento ma- rittimo, non avrebbe dovuto sfuggire alla perspicacia di un popolo industrioso ed attivo in un epoca in cui la repub- blica di Genova era divenuta la prima potenza marittima dell'Europa; se non chè, la saggia politica del suo governo (soggiunge il n. A.) allontanò \sempre con premura qual- siasi idea di creazione in queste località, sul timore di recar danno alla supremazia del commercio esclusivo della metropoli. Sottomessi per un momento al dominio dei Visconti duchi di Milano, i Genovesi non poterono frattanto im: pedire che uno di quei dinasti facesse edificare presso alla Spezia un arsenale, il quale fu convertito nel castello di S. Giorgio tosto che poterono scuotere il giogo di quei potentati. La prossimità del golfo a Genova offriva anche il van- taggio di tener lungi dal suo frequentato porto ogni timore di contagio. Le prime costruzioni del bel lazzeretto posto tra l’ anse di Varignano e delle Grazie, dove potevano stabilirsi nel tempo stesso quattro quarantene , rimontano tinenti al secolo XIV da noi riscontrati mancano essi pure dei nomi sopra in- dicati . 9 al 1723, vale a dire, tre anni dopo la famosa peste di Marsiglia. Dopo avere il conte Chabrol passato in rapida rivista le varie opere di fortificazioni nei tempi addietro eseguite intorno al golfo della Spezia, ad oggetto d’impedire l’ingresso ai vascelli nemici di Genova , egli si occupa dei dettagli scientifici, frutto in gran parte delle sue indagini, In quan- to alla branca astronomica e geodetica già il Barone di Zach aveva pubblicato, sino dal 1818, nelle sue Corrispondenze astronomiche (Vol. I, pag. 521) la longitudine e latitudi- ne del lazzeretto delle Giazie e del monte Castellana, l’al- tezza di questa montagna, gli angoli azimutali col meri- diano del lazzeretto e della cima di detto monte; le quali osservazioni servirono di base ad operazioni anco più este- se, fatte dal sig. Antonio Rossi di Portovenere e consegnate nel Vol. IV della stessa opera periodica (pag. 486). Quindi parlando della periferia del golfo, esso ne av- visa che il maggiore ingresso fra il capo Tirotto ed il ca- po Corvo è largo circa. nove mila metri, ma' che si ristrin- ge in molti punti, talchè in alcuni luoghi non offre che 3500 e persino 2300 metri di larghezza. Il sno ingolfamento dentro terra dai due capi sopranominati sino alla Spezia è di diecimila metri. ji Altro vento non soffia con violenza dentroil suo seno eccetto quello di sud-est , e anche da esso si può restare totalmente difesi in diverse cale formate da luvghe pro- pagini dell'Appennino che intorno al golfo discendono. Vi ha di più ; la natura quasi prodigando in quel luogo i suoi beneficii sembra che abbia opposto un riuovo ostacolo agli effetti dei venti che soffiano nella direzione del golfo della Spezia. Un basso fondo che si estende davanti la sua gran- de apertura fa in certa guisa l’uficio di molo, frenando l’impeto dei flutti sollevati. Questo banco, che visibilmente distinguesi in tempi di calma dai pescatori che vi getta- no le loro reti, era pur noto agli uomini di mare sino dai tempi del Petrarca, poichè di esso cantò nella sua Affrica : (Lib. VII.) T. XXXV. Settembre. 2 10 Esxoritur, Corvique caput , tumefactaque circum Dissiliunt maria , et saxis fremit. unda vadosis Cognitus iu medio nautis . . .. Uno dei preziosi vantaggi di esso golfo è la quasi uni- forme profondità delle sue acque, sufficiente per 1’ anco- raggio dei più grossi vascelli , e l'eccellente qualità del suolo melmoso coperto di piante marine, che lo rende atto a ritenere l’ancore senza lasciarle lavorare. I pietrosi e frequenti contrafforti che î monti circo» stanti spingono entro il mare sulla duplice ala del golfo hanno fatto di quelle anse altrettanti porti indestruttibili e perfettamente difesi dalle traversìe. Quelli che per la loro vastità e sicurezza meritano la maggiore attenzione stanno dal lato occidentale, e sono: 1.° il seno di Porto Venere, che insieme con la cala dell’ Oliva forma il più bel por- to, ed ha una estensione di 1,250,000 metri ; a.° la cala dei Corsi o della Castagna alla prima contigua che offre una area di 160,000 metri ; 3.° l’ansa di Varignano di circa 100,000 metri di capacità. Sulla punta del contrafforte che separa questa dall’antecedente cala si veggono ancora gli avanzi del forte S. Maria che gl’inglesi fecero saltare in aria nel 1800. 4.9 L’ansa delle Grazie incontrasi dopo raddoppiata la punta di Varignano, sul di cui contraflorte esiste il magni- fico lazzaretto , oggi ridotto a bagno di forzati. La di lei estensione di 240,000 metri offrirebbe ai vascelli il porto più sicuro e più comodo qualora vi si facessero alcune ri- parazioni ad ‘oggetto di profondare tutta la parte inferiore ripiena di terreno trasportatovi da due torrenti che ivi sboccano , e se. si prendessero le opportune precauzioni contro le nuove alluvioni. 5.° La cala di Panigaglia che presenta un ancoraggio di 400,000 metri; sebben possa dirsi in generale sicura, siccome ha una grande apertura, quando il mare è in fortuna resta facilmente agitata, San Zito, Marola, Cadamà e Fezano sono altrettanti piccoli seni sulla stessa costa occidentale non meritevoli di speciali osservazioni, Quanto alle anse situate sull’ opposto lato del golfo, II essendo più esposte ai colpi di vento, qualora si eccettua quella vasta e profonda di Lerici, esse non offrono rap- porto alla loro sicurezza tali vantaggi reali da avere moti. vo il n. A. di descriverle in dettaglio, e ciò tanto meno in quanto che si trovavano troppo distanti dal solo, punto su- scettibile di erigervi gli stabilimenti marittimi progettati. Finalmente il fondo centrale del golfo , il quale po- trebbe al bisogno servire di porto ai vascelli da guerra , presenta un ancoraggio di otto a nove milioni di metri quadrati. Tre paesi la Spezia , Lerici e Porto Venere formano la principale popolazione di quei contorni. Il primo, che è una piccola città, situata nel centro del golfo ed in un pia- no fertile, ha più risorse agricole ma minori vantaggi dal lato del mare degli altri due. La. profondità delle acque che bagnano la. sua spiaggia diminuendo progressivamente per effetto d’ interramenti impedisce che vi possano abbor- dare i grossi legni (7): al contrario di Lerici e di Porto Venere, i di cui seni hanno una profondità costante. Uno di questi è situato al termine dell’ antica strada carrozza bile che conduceva a Genova prima che fosse aperta quella della Riviera , l’ altro sul piccolo ingresso del Golfo, e può dirsi vantaggiosamente collocato per il commercio di. pic- colo cabotaggio e per la pescagione. | L’isola Palmaria, che sorge all’estremità del Promon- torio occidentale , e di cui essa non è che il prolunga- mento, forma il piccolo ingresso del golfo, denominato bocca di Venere. ‘Tre isolotti, Tino, Tinetto e Scola, quasi dipendenti dall’anzidetta isola, offrono anch’essi. altrettanti punti di difesa per impedire ai legni nemici di penetrare in. quel (7 miglio da terra che con piccoli battelli. Quasi per tutto altrove si getta 1’ an- cora alla profondità di 13, 15 e 20 braccia. Il Capitano Smith ed il sig. An- avvicinare alla spiaggia della Spezia sino presso a un mezzo tonio Rossi istituirono nel 1820 e 1821 copiose e interessanti osservazioni idro- grafiche e geodetiche nel golfo della Spezia (Correspond. Astronomi du Baron de Zach. Vol. I e IV ). 12 seno di mare. L' ultimo di essi aveva un forte che gl’in- glesi demolirono dopo il famoso blocco di Genova. Prima di esporre i piani dei progettati stabilimenti marittimi e militari .il n. A. fa conoscere in snuccinto la struttura e qualità del terreno circostante , e le industrie che potrebbero alimentare gli abitanti della nuova città . ‘ Quattro formazioni diverse, secondo lui, compongono il suolo esteriore dei monti del Golfo: 1.° il grés, che raf. facciasi su tutte le prominenze, a.° il serpentino schistoso, che estendesi dal villaggio di Carofanno al Bracco ; 3.° il calcare, che serve di base alla maggior parte di quelle mon- tagne ; 4° lo schisto argilloso , che è ordinariamente in- terposto fra la roccia ca/caria ed il grés. La natura dei terreni fa strada al nostro autore per rintracciare le sorgenti ricche di acque. Quelle che proven. gono dai terreni schistosi sono più o meno abbondanti a seconda della nudità o imboschimento dei respettivi val- loni; sotto il qual rapporto egli fa osservare quanto sia stato funesto l’ abbattimento di una gran parte di selve a quella contrada , divenuta meno produttiva ed in certi luoghi più arida. Tutta l’estremità del contraforte meriodionale che for- ma l’ala destra del golfo essendo calcare, le sorgenti vi sono rarissime, e sopra tutto troppo basse per tirarne un utile partito. Lo schisto non comincia che dal villaggio di Biassa a 6000 metri in linea retta dagli stabilimenti progettati; ed è su quel punto dove si affacciano molti fonti perenni, uno dei quali di tre pollici di diametro può essere condotto sulla vetta della Castellana, montagna che domina dal sud ovest tutto il golfo. Altre sorgenti che pullulano da diverse al- tezze, e la somma delle di cui acque può calcolarsi a dieci pollici di diametro, potrebbero senza difficol sul luogo della progettata città. Parlando della coltivazione e dei luoghi in questione ]’A. calcola a un dipresso che sia un terzo il terreno coltivato a vino, olio, canape, con poco frumento e molti castagneti , mentre il restante è nudo o coperto di boscaglie, Gli abi- 13 tanti della montagna si nutriscono quasi esclusivamente di castagne; quelli della spiaggia vivono in generale del. pro» dotto della pesca. In quanto all’industria il tessuto delle vele è la princi- pale risorsa delle circostanti popolazioni, quantunque la natura offra loro altri rami di commercio, il maggiore dei quali dovrebbe essere l’escavazione e lavorazione de’ marmi di Porto Venere e di altre qualità esistenti nei monti del Gol- fo. Ma ciò che al dire del n. A. sarebbe per divenire un oggetto interessante d’industria commerciale tra le mani di uomini meno sprovvisti di mezzi di miglioramento è il ferro, di cui egli assicura esservi una miniera di eccellente qualità ed a prezzo bassissimo per mancanza di sbocchi. Senonchè dalle osservazioni dei mineralogi, che prima e dopo la pubblicazione dell’opera del conte Chabrol visita- rono il paese in discorso , non apparisce esistere cola alcuna miniera di ferro, ma solamente indizi di ferro solfurato e ossidulato sparsi in alcuni di quei terreni. L’ ispezione topografica convinse il n. A. che l’unica località di quei contorni capace di una nuova città ma- rittima era il piano dolcemente declive dei contrafforti che spingonsi nel golfo fra l’ansa dell’Oliva e quella delle Grazie. La quale sitaazione fiancheggiata da’ quattro porti ivastis- simi atti all’ edificazione dell’ arsenale , dei cantieri , del molo e delle darsene, offre la più magnifica e pittorica pro- spettiva che si possa ideare, In quel caso l’ ansa dei Corsi sarebbe stata propria- mente il porto della sovrastante città. Nel disegno e dire- zione delle strade principali, quella che dal porto inol- travasi alla città col pendio di uno per ogni venti metri doveva avere di fronte alla sua più elevata cima un ca- stello di acque perenni, destinate non tanto all’ ornamen- to e salubrità dei diversi quartieri, quanto a dar moto alle varie officine e fabbriche di manifatture. Erano. state de- signate per servire al primo effetto le sorgenti da allac- ciarsi sul monte di Biassa, mentre per gli altri usi econo- mici supplire dovevano le acque del fiume Vara , il quale porta anche in estate 33,000 tese di acqua per giorno, e 14 che non servendo attualmente nè ali’ irrigazione nè ad al- tro uso, potrebbe senz’'alcun inconveniente essere deviato dal suo corso ordinario. L'A. traccia di esso il nuovo cammino prendendo le acque all’ altezza di Borghetto, vale a dire, a 200 metri sopra il livello del mare. A partire da quel punto, rinser- rato il fiume in un canale scavato sul fianco dei monti, esso passare doveva da prima al di sopra di Memone, di Bracel- li, e di Vitrate , quindi contornare i torrenti di Po/verata, per giungere al di sotto di Folli, di Bastremoli e di Vale- rano, donde sortito dal bacino di 7a/ di Vara per il colle di Buonviaggio facevasi entrare, nel recinto del golfo, soste- nendolo a mezza costa sino al suo arrivo nella parte più elevata della nuova città, cioè a circa ottanta metri al di- sopra del Mediterraneo. ‘ Piantata sopra aride e nude rocce, e al tempo stesso priva di ogni risorsa agraria, la progettata città non avrebbe potuto avere che un esistenza efimera senza i mezzi di creazione e di costante prosperità per le copiose acque del deviato fiume, le quali distribuite da prima con arte per abbellimento , non che ad oggetto di salubrità, e quindi riu- nite per discendere la mare, avrebbero potuto mettere in moto nel loro passaggio numerose fabbriche di manifatture, che sarebbero state d’ immenso soccorso in tutti i generi di la- vori indispensabili ai grandiosi stabilimenti marittimi e mi. litaii, base di ogni progetto di creazione nel golfo, e per opera «dei quali di città sarebbesi resa commerciante e in- dustriosa. È per ciò che la scelta sulla ubicazione della medesima fu collegata alla località più propria agli stabili- menti anzidetti, e precipuamente all’arsenale, il quale do- veva sorgere nelle piagge che circondano le due anse di Va- rignano e delle Grazie, come quelle che oltre lo spazio di 1800 tese offrivano altri vantaggi per meritare la pieÈ renza su tutte le altre. La punta del coritrafforte di Varignano difesa dalla for- tezza S. Maria è di una solida roccia calcare, dove puossi facilmente intraprendere ogni sorta d’opere da difesa e da costruzione pel cantiere e per l’arsenale. 15 Designato lo spazio da occuparsi dagli stabilimenti marittimi lungo l’ansa di Varignano, lA. passa a deserive- re imezzi che la natura e l’arte possono ivi fornire a dife- sa dei stabilimenti progettati. Sennonchéè le istruzioni date a tal uopo per assicu- rare l’ ancoraggio del porto, la fondazione della: nuova città marittima , l’ingresso e sortita de’ bastimenti, non. essendo state accompagnate da alcun dato preciso. sulla limitazione delle spese, fecero sì che i diversi piani pro- gettati richiedevano la esorbitante somma di 33,528,900 franchi , come apparisce dai prospetti che corredano la memoria del conte Chabrol. Imperciocchè la costruzione del grande arsenale e sue dipendenze era stata ‘calcolata 7,190,000 franchi; quella dei cantieri per la edificazione con- temporanea di sei bastimenti da guerra 1,111,000 franchi; per l’ acquisto del terreno e la costruzione delle principali strade, acquedotti e pubbliche fabbriche della nuova città 4,870,000 franchi; sicchè la spesa totale destinata agli stabi- limenti marittimi del golfo estendevasi a 13,417,700 franchi. Per le opere di difesa sulla costa occidentale e diramazione dei monti del golfo medesimo 17,949,600 franchi, sulla costa orientale 2,408,900 franchi. Totale per i lavori militari 20,110,800 franchi. Della quale ultima somma futono im- piegati tra il 1809 e il 1811 franchi 247,706. Chiude la memoria una nota sommaria dei paesi in- torno al Golfo e sue adiacenze , compresa la valle di Sar- zana con le respettive popolazioni, dalla quale risulta che nel 1808 abitavano quella contrada 57,337 persone: Finalmente l’opera è corredata di quattro carte to- pografiche eseguite in litografia. La prima rappresenta la pianta del golfo con i vari scandagli del suo fondo, e le progressive altezze dei monti principali e delle loro pendi- ci sino alla spiaggia; la seconda è una veduta del golfo e della città della Spezia presa dalla sommità del monte Ca- stellana; la terza offre alla vista le tre anse della Castagna, di Varignano , e delle Grazie, presa dalle rovine del forte S. Maria ; e l’ultima rappresenta il promontorio e seno 16 di Portovenere ‘col suo castello, visto dalla vicina isola di Palmaria. II. In quanto. spetta all’ altra memoria del sig. Giro: lamo Guidoni giova rammentare che 1’ A. inviò sino dal 1827 il MS. alla Società toscana di geografia , statistica e. storia, naturale, patria, e che fu dato nel fascicolo. 75 di questo. giornale, per ciò che spetta la parte mineralo- gica e. geognostica, un breve sunto del rapporto fatto per commissione della Società medesima, Noi pertanto fino d’ allora annunciammo che il. la- voro inviato dal signor Guidoni si componeva di cinque articoli ,, il primo dei quali raggirasi sui naturalisti che hanno! parlato di quella contrada, e nel cui numero re- sta a. desiderarsi 1’ Autore delle osservazioni mineralogi- che, consegnate nella. memoria sul Golfo della Spezia testè analizzata. Lo che era tanto più facile a compren- dere in quanto che l’opera del. Conte di ‘Chabrol non fu messa in commercio ,, ma particolarmente dall’Autore regalata. L’Articolo secondo ha per oggetto la descrizione to- pografica delle montagne che circondano il golfo. Prenden- do l’A. per limiti le formazioni dei terreni piuttostochè l'andamento dei monti, circoscrive le sue ricerche fra il Capo Corvo e il Capo del Mesco per il lato esterno, e per la parte interna fra il canale di Pignone all’ovest, la valle di Vara al nord nord ovest, e per il lato sud-est il fiume Magra. Vi.si notano i piccoli valloni cui danno origine i diversi avvallamenti dei monti che spalleggiano dal lato occidentale il golfo, si accennano le principali prominenze, delle quali la. più elevata è quella del monte Castellana, e che il Barone di Zach fissò a 261 tese sopra il livello del mediterraneo. In quanto alla direzione delle due branche di appen- nino che fanno corona al golfo della Spezia l’ A., dicen- dola volta dal nord al. sud, come tutti i promontori della Riviera di Levante , sembra accordarsi alla carta topogra- fica del golfo medesimo pubblicata nel 1820 dall’astrono- 17 mo sig. Rossi (8) piuttosto che a quella del Conte Cha- brol , secondo la quale i promontori di Capo Corvo e di Porto Venere scenderebbero in direzione di nord ovest a sud-est, L’Articolo terzo tratta delle rocce che compongono le montagne del golfo. Sono a parere dell’ A. di questo nu- mero 1.°, la calcaria primitiva o saccaroide s 2. la calca- ria intermedia, o compatta ; 3. la calcaria porosa o Rau- chwack; 4.è l'arenaria , o grauwacco s 5.* Varenaria schi- stosa o schisto grauwatico ; 6.8 il fillade intermedio © schi- stoso; 7.° la clorite compatta, o schisto talcoso; 8.° il ser- pentino ; 9.° l’eufotide ; 10. il diaspro compatto o argilloso. La sola enumerazione delle anzidette rorce bastar dovreb- be per far comprendere a prima vista che i monti dove esse si incontran appartengono al periodo geologico così detto di transizione, se non che il giudizio stato emesso cal celebre Cordier nella sua Statistica mineralogica del. l’antico dipartimento degli Appennini, e dall’ illustre Cha- brol nella memoria poco sopra annunciata, dove non trova- si segnalato alcun terreno che possa dirsi più antico dei secondarii, starebbe a infirmare l’ opinione del signor Gui- doni (9). Essendo che solamente una lunga pratica accoppiata ad una profonda dottrina può spianare al geologo la via per giungere a bene scolpire i caratteri delle formazioni , ad oggetto di poterli esattamente descrivere e determinare , consci della nostra insufficienza a ciò, esternammo una tal (8) Ved. la Correspondance Astronomique du Baron de Zach. Vol. IV. Fase. VI. (9) Con unalettera del 15 maggio p. p. il sir. Guidoni, gentilmente comuni candoci le osservazioni da esso nuovamente istituite sui monti di. Carrara e del Golfo insieme col geologo inglese sig. De la Biche, ci fa sapere che, quest’ultimo scienziato non è lontano da credere le Alpi Apuane un imitazione in piccolo dell’ Alpe che Italia chiude: e che in quanto al calcareo delle montagne del Golfo egli giudica , che debba appartenere alla formazione che gl’Inglesi chiamano Lias, composta di strati calcarei e di straterelli di schisto argilloso, contenenti una quantità di ammoniti e di belemniti » Sostanze che il sig. Guidoni aveva già riscontrate nel luogo due anni fa. T. XXXV. Settembre. 3 18 quale titubanza nel proferire il proprio parere rapporto alla caratteristica di alcune rocce della Spezia sino da quando la Società toscana di geografia , e di storia naturale ci de- stinò relatori del MS. inviato dal socio sig. Guidoni. Imperocchè mentre egli stabilisce le Alpi Apuane co- me centro di una formazione primordiale e senza alcun legame col restante degli Appennini della Liguria , di Mo- dena e dalla Toscana, propende poi a credere che i monti del golfo, sebbene affatto staccati da quel gran masso pietroso , siano un seguito immediato dell’ anzidetta. for- mazione. L’argomento maggiore egli lo desume da una qualità di calcaria da esso tenuta per primitiva, costituente una roc- cia alle falde orientali del Capo Corvo, la quale sino dal se- colo XIV chiamasi la Rupe Bianca (10). E sebbene essa rupe sia lungi da offrire i caratteri necessari per dichiararla una calcaria saccaroide omogenea, é piuttosto simuli le ap- parenze di una roccia mista di calcarea lamellare e di clo- rite compatta sparsa di frammenti angolari di quarzo bianco opaco e sensibilmente friabile, caratteristiche affatto diverse da quelle dei marmi di Carrara, }’ A. non dubita punto che que'la non sia di un epoca a questi coetanea, É in- fatti dallo scoglio della Bianca che egli incomincia le sue osservazioni geognostiche , considarandolo quasi la chiave della formazione delle montagne del golfo, ed il vero punto donde a parer suo la natura pare che abbia voluto dare origine ai monti eircostanti. In sostegno della primordialità della calcarea sacca- roide di Carrara, e quindi di quella di Capo Corvo, il sig. Guidoni consacra una nota, nella quale dopo averci fatto l’ onore di citare una nostra opericciola sull’Alpe Apuana relativamente ai marmi di Carrara come appartenenti alle primitive formazioni , il lodato autore soggiunge ‘' suidato poi (Repetti) dall'alto sapere dell’ Hausman, il quale esclndeva i marmi suddetti dai terreni primitivi, parve inclinare verso i sentimenti del medesimo in altro (10) Fr. Petrarchae Epist. famil. Lib. V. ep. 3. Poema Africae Lib. VII 19 suo lavoro sopra l’A/pe di Pietrasanta stato inserito nell’An- tologia (fascic. 65) ,,, Ora chi volesse rileggere per un mo- mento quest'ultimo opuscolo troverebbe nelle nuove osserva- zioni del Repetti non solamente la conferma di quelle già pubblicate nei Cenni sull’ Alpe Apuana, ma le prove che contraddicono la sovrapposizione del calcareo saccaroide alla breccia e al grauwacco nei monti di Carrara , sicco- me è stato asserito dal geologo di Gottinga. Bensì dopo l'esposizione di alcuni fatti circa la giacitura e qualità delle rocce calcaree e schisto-talcose sul monte Altissimo e sue adiacenze lo scrittore di quell’articolo dell’Antologia, qualora fosse stato sollecitato a proferire il suo parere circa l’epoca della formazione del filone marmoreo del monte Altissimo, avrebbe creduto prudente di rispondere: ‘‘ che un quesito di », tanta importanza non sarà probabilmente risoluto con si- », curezza se non allora quando la scienza della geologia a ,3 forza d’ indagini e di confronti potrà pervenire a scuoprire » qualche legge fisica generale che renda una spiegazione ,; soddisfacente di tante anomalie, le quali formano tuttora ;, il tormento dei più zelanti cultori di questa branca di ,» storia naturale ,,. A Secondando il profilo dei. terreni disegnato dal sig. Guidoni, dopo il calcareo costituente la punta del Capo Corvo dal Jato della bocca di Magra s’ incontra un banco di schisto talcoso con indizi di ferto ossidulato, indi uno schisto cloritico ovela quantità del ferro è in molto maggior copia, poscia /a roccia arenaria , che il sig. Guidoni con- sidera identica al grauwacco , mentre il conte Chabrol la crede una varietà di grès. Quest’ ultimo terreno incontrasi sparso nelle mon. tagne del Golfo in un modo veramente singolare. Impe- rocchè l’arenaria a Capo Corvo simula le apparenze di un granito, e per tale fu preso all’ab, Spadoni e da qualche altro più illustre naturalista de’ tempi nostri: stante che i frammenti di quarzo alquanto smussati negli angoli e negli spigoli, e dei quali una tale arenaria per la massima parte è composta, sono della grossezza di un pisello sino a quella di un pugno, di un colore carnicino acceso, con 20 qualche paglietta di mica nera , insieme collegati da un copioso. cemento calcareo ; mentre in altra sorta di arena- ria che affacciasi al disopra di un calcario compatto presso alla torre di Santerenzo , i frammenti di quarzo, sebbene dello stesso colore carnicino, sono di assai più piccolo volume , collegati insieme senza cemento visibile, ‘e sce- vri di altre sostanze. A proporzione che uno si allontana da quei due depositi diminuiscono nelle rocce psammiti- che dei monti del Golfo i grani quarzosi, mentre aumen- tano le pagliette di mica, e subentrano al quarzo fran- tumi di schisto filladico; allora la roccia di carnicino cam- biasi in grigio e forma quella pietra volgarmente chiamata macigno, (grès schistoso ) atta a pavimentare le strade, Di questo conglomerato sono quasi per metà composte le montagne del Golfo, alternando esso con lo schisto argil- loso e con la calcarea compatta, Quest’ ultima sostanza ocenpa un posto non meno im- portante nelle formazioni di quelle montagne. Generalmente la calcarea compatta vaivi soggetta ad un infinita variazione di colori cominciando dal bianco sudicio sino al nero as- soluto, come apparisce dalla enumerazione dei marmi de- scritti nell’Articolo quarto, provenienti tutti da una con- simile roccia. È Mescolandosi questa al fillade diviene schistosa, meno cristallina e di struttura granulare. Quando il calcareo nero è attraversato da venature di spato bianco e giallo acquista i caratteri del bel marmo di Porto Venere, Questa roccia che dal lato di Capo Corvo si estende sino al canale di Lerici costituisce l’intiera sommità del Monte Caprione, da cui ha origine il promontorio orientale Lunense- Dalla parte di occidente incominciando il calcareo suddetto all’ isolotto del Tino per una lunga zona prosegue nella vicina. Palma- ria, quindi sul promontorio di Portovenere, e forse anche al di là del canale di Pignone. Tra le sostanze eterogenee mescolate al calcario compatto del Golfo è da notarsi il ferro solfurato epatico { ferro ossidato epigene di Hauy ) il quale si presenta sotto moltissime forme, e con una sin- golare giacitura. La forma più comune, soggiunge il sig. 2I Guidoni; è quella di globuli rotondati di maggiore o mi- nor volume, di un color bruno nerastro, cui gli antichi mineralogisti diedero i nomi di etiti, pietre aquiline ed altri, e che i più moderni hanno considerato come sem- plici varietà di solfuro di ferro. Giacciono essi in quantità sulla cima delle montagne del Golfo, e precipuamente alla Coregna, su quella di Fabiano, di Valdepino , di Pignone, ed in quasi tutti i luoghi dove seguita la roccia calcarea. Sul proposito del qual fenomeno noi già avver- timmo (Antolog. fasc. 75 p. 149 ) che ciò non incontrasi giammai nel calcareo compatto, ma sivvero nelle crete fer- ruginose risultanti dalla decomposizione di rocce più antiche. Simili fenomeni, di cui abbiamo più di un esempio frai terreni di alluvione della Vai di Chiana e in altri luoghi della Toscana, recarono sorpresa al sig. Guidoni per averli incontrati sulla sommità di monti che non hanno intorno a sè maggiori prominenze, onde non sospettare che siano stati ivi da più alte cime trascinati, e tanto più ne fu sorpreso in quanto che egli trovò insieme con quelle masse globulose copiosi resti di più specie di ammoniti e belemniti, sorte di conchiglie che appartengono ad esseri viventi, dei quali si è perduto non solamente la specie ma l’intiero gene- re, e conseguentemente esistenti in terreni di antichissima data , e che possono dirsi una nuova scoperta nella geolo- gia dei nostri Appennini (11). Sul qual proposito parimente (11) Ulteriori indagini fatte dall’ autore intorno ai monti di Campiglia nel Golto della Spezia hanno fruttato la scoperta di consimili fossili in mezzo ai fi- loni di calcarea del genere che gl’ inglesi chiamano Lias, ed in altra di aspetto granulare e traslucido. Una lettera inviata al sig. Guidoni dagli amministratori del museo d’istoria naturale al giardino del re a Parigi, e gentilmente communicataci dallo stesso naturalista, può dirsi il documento più prezioso e capace di provare il merito di un così interessante ritrovato. Noi ci facciamo un dovere di farne omaggio al pubblico a gloria del nostro autore. Pregiatissimo sig. Emanuele. Massa 20 agosto 1829. Sapendo quanto Ella abbia in pregio i progressi delle scienze naturali e per la bontà colla quale si trattenne meco sovente a ragionare dei paesi soggetto 22 rammentammo (1. c.) un consimile caso incontrato da Bi. guot de Morrogues presso Neuveville, il quale trovò ne’ban- chi superiori di marna delle palle geodiche di calcaria ferru- ginosa miste a conchiglie fossili de’ generi sopraindicati. Una terza specie di calcareo trovasi pure a piè dei monti del Golfo, il calcareo poroso o cellulare ; e là apparisce chiaramente la formazione sedimentaria: Una si- comune dei nostri studi, mi faccio un dovere di comunicarle una lettera per- venutami da Parigi, concernente la scoperta dei fossili da me fatti nelle mon- tagne del Golfo della Spezia. Suo Dev. Ser. e Amico. G. Guinoni. Administration du Muséum d’ Histoire Naturelle , au Jardin du Roi. Paris le 7 Juillet 1829. M. Dehabèche , Géologue anglais, s’est empressé , lors de son passage à Paris, d’ entretenir ceux de nos collègues qui s’occupent de travaux relatifs à la géologie, des précieuses découvertes que vous avez faites auprès de la Spezzia en fossiles très variés tels qu’ammonites, belemnites , orthocèratites ec. et il leur a fait voir quelques échantillons très remarquables de ces fossiles dont il était redevable à vos bienveillantes indications. La presence de corps marins bien caractérisés dans les roches calcaires des Apennins est un fait trop impor- tant pour qu'il n° attire pas toute l’ attention des maturalistes et en particulier toute celle de 1’ administration du Muséum. Nous desirerions bien vivement, Monsieur , que vous pùssiez nous mettre à mème de propager la ‘connaissance de ce fait remarquable , en nous envoyant quelques échantillons, qui étant déposés dans les Galeries du Gabinet de S. M. pourraient ètre examinés , non seulement par plusieurs d’entre nous, mais encore par tous les savans que cet envoi intéresserait à juste titre. Si la prière que nous avons l’ honneur de vous adresser à cet égard est accueillie par vous, Monsieur, nous en ‘serons extrèmement reconnaissants. Vous pourriez utilement joindre à cet envoi quelques unes des roches provenantes des montagnes environnantes , car le Muséum ne possède absolument aucun échan- tillon de la partie des Apennins qui s’ étend de Gènes à Florence. La caisse devrait étre adressée à MM, les professeurs administrateurs du Muséum d°’Histoire Naturelle au Jardin du Roi à Paris. Recevez, Monsieur, avec les felicitations qui sont dues au succès et au mé- rite de vos habiles et savantes recherches, l’assurance de la considération très distinguée avec la quelle nous avans l’honneur d’ètre Vos très-humb. et très Obéissans Serviteurs Les Proff. administrateurs du Muséum DESFONTAINES, «= CORDIER. «= A. DE JUSsIEU Directeur. Trésorier. Secrétaire. 23 mil roccia si osserva vicino al forte di Santerenzo, e alla batteria di S. Teresa dove sembra sorgere dal fondo. del mare , ed è subordinata al calcareo compatto. Là dove que- sta pietra resta sommersa dalle onde prestamente vi si an- nida il Mytilus Lytophagus che vi cresce vistosamente con maraviglia dei poco esperti nelle cose naturali. Il fillade , o schisto argilloso poca estensione occupa nella contrada perlustrata dal sig. Guidoni, il quale l’os- servò subordinato al calcario compatto o allo schisto grau- watico. Allorchè in alcune porzioni del terreno filladico si accumula una certa quantità di carbone possono formarsi delle masse di antracite, sostanza che 1’A. dice di avere 0s- servato alla sommità della Foce sopra la Spezia e in alcuni altri luoghi del Golfo. Ma poichè, egli soggiunge, queste antraciti non sono atte alla combustione , nè presentano mai indizio di sostanze vegetabili o animali , rome segue comunemente nei terreni di simil natura, ci nasce il so- spetto che quel terreno filladico carbonoso , altro non sia che un qualche strato di schisto nero o alluminoso , ana- loghi a quelli visitati da De Buch nella montagna di Ege. berg ed in altri luoghi della Norvegia, e che hanno fatto perdere agli speculatori delle somme cousiderevoli in saggi infruttuosi con la speranza di rintracciarvi il carbon fossile. In quanto spetta al serpentino , all’ eufotide , al dia- spro compatto e argilloso , roccie che a parere dell'A. non hanno alcun legame con le giò descritte, sarebbe assai dif. ficile il separare una formazione dall’altra, e non è im- probabile, dice egli, che quelle serpentinose della valle di Levanto, le quali s'innoltrano verso Portovenere sino al Capo del Mesco, e altre consimili della moutagna del Brac- co ricche di enfotide, vengano a diramarsi e confondersi con i terreni del Golfo. Il diaspro rinvenuto dal sig Guidoni sarebbe di due specie ; uno così detto compatto trovasi al Capo del Mesco subordinato al serpentino, e presenta gli stessi caratteri geo- gnostici osservati da Brongniart nei diaspri della Bocchetta e di vari altri luoghi d’Italia. L’ altra specie chiamata da e-so diaspro argilloso , è di a quasi sempre a contatto del terreno arenario. Non si pre- senta giammai in masse dure e cumpatte, ma per lo più sotto forma di terra di un color rosso vinato, che serve d’ indizio alla ricerca dell’ ossido di manganese. Si osserva esso in varie località, e specialmente nelle colline di Ar- cola all’ oriente di Lerici, e nel poggio di Pitelli, e dal lato verso il mare , al luogo detto /a Rossa. L’Articolo quarto è dedicato alla ricerca dei marmi e di varie altre sostanze minerali e metalliche che si trovano nelle montagne del Golfo ,e che servendo al lusso delle civili società, fornire possono a quelle popolazioni altrettan- ti mezzi d’ industria atti a somministrare loro un lucreso cominercio, Figurano fra i primi i marmi di Portovenere , di cui esistono da gran tempo due cave nel golfo, una all’estre- mità orientale dell’ isola Palmaria, l’altra nell’ansa delle Grazie, sebbene in molte altre località potrebbero tentarsi utilmente simili escavazioni. Questo marmo, rinomatissimo per le sue vene giallo-dorate e talvolta bianche in un fondo nero capace di un bel pulimento, alterna con una calcaria porosa di colore cenerognolo scuro sparsa di lami- ne di nn calcare bianco cristallino , il quale affetta l’ap- parenza del marmo di Carrara. Per quanto quelle vene sembrino di origine spatosa , il n. A. trovò in esse una con- ferma sulla natura intermedia di quelle montagne, con- templando dette lamine cristalline come una continuazio- ne del calcareo saccaroide dell’Alpe Apuana. Dopo i marmi di porto Venere vengono rammentati quelli del canale di Biassa, specie di breccia colore di fior di pesco con macchie rotonde biancastre, ma che non riceve un deciso pulimento. Altro marmo di color rosso cupo con macchie verdo- gnole e suscettibile di un bel lustro affacciasi nel piccolo canale che divide la sommità della Coregna dal villag- gio di Campiglia. Si hanno indizi di marmi variamente colorati nei canali di Carpena , di Valderpino , e sotto la chiesa di Ponsone, ma tutti in situazioni molto elevate e di costoso trasporto. u 25 Il. marmo di Pignone impiegato nella sala del gran consiglio in Genova fu estratto da un tenuissimo strato di calcareo compatto disposto a zone rossigne e verdogno- le, le une più compatte delle altre , e sparse talvolta di dendriti . Fra i marmi esistenti nel lato orientale del Golfo e verso la Magra l’A. rammenta un marmo consimile a quello di Porto Venere ed altri macchiati di rosso , ai quali ul- timi appartengono le colonne della chiesa di Trebbiano (12). Quanto sono ricche le montagne del golfo in varietà di marmi, altrettanto dimostrano essere meschine di so- stanze metalliche , mentre il sig. Guidoni indica come ma- trice di ferro ossidulato solamente il tenuissimo banco di serpentino al promontorio del Mesco, che ivi si affaccia sotto la forma d’idrato e di solfato di ferro, e pochi indizi di ferro ossidulato che si osservano all’estremità di Capo Corvo nel calcareo della Bianca. Il manganese ossidato rinviensi al canale di Fegina nella roccia da esso lui chiamata dia- spro compatto, e che è subordinata al serpentino nelle colline di Arcola e di Pitelli in quella terra argillosa di color rosso vinato , che egli crede un diaspro argilloso. Nella roccia serpentinosa del Mesco trovasi parimente una bella steatite lardacea e alcuni filoncelli di asbesto amianto. In quella poi della valle di Pignone presentasi una specie di grammatite , ed una terra magnesiaca capa- ce di servire a molti usi domestici. Finalmente si cita una finissima arena quarzosa che si forma dalla decomposizio» ne naturale del conglomerato siliceo all» spiaggia di San- terenzo , la quale viene adoperata per Sare i marmi , (12) L’Abate Spadoni nella sua settima lettera Odeporica sulle montagne ligustiche cita altre qualità di marmi, come quella specie di alberese da esso rinvenuto sul/Monte Marcello nel fosso di Campatello con macchie di giallo scaro, di color carnicino, e di un bianco sudicio. In un fondo rabescato di piante e selve, un mischio consimile a quello di Seravezza nella cala di Canetro. Ed è anche credibile che dalle pendici del Capo Corvo si estraessero fino dai tempi della Romana potenza quei gran massi cubici di calcario grigio nero venato, di cui noi trovammo lastricata l’ antica via di Emilio Scauro presso i ruderi della città di Luni. 7 T. XXXV. Agosto, 4 » 26 i, ma che con maggior vantaggio servirebbe nelle fabbriche dei vetri. n Il quinto ed ultimo Articolo tratta delle maravigliose fontane ed altre curiosità naturali del Golfo. Sebbene tali curiosità, che hanno senza dubbio una qualche connessione con la natura delle montagne del golfo, siano state in gran parte annunciate da Vallisnieri , da Spallanzani e dallo Spadovi, pure il sig. Guidoni ha vo- luto tornare sullo stesso argomento per aggiungervi alcune interessanti osservazioni sue proprie. Dopo la polla sotto-marina lungi 65 piedi dalla costa di Marola nel golfo, e che ha fatto dire più favole sul di lei conto che non il fonte di Aretusa, il n. A. richiama l’at- tenzione dei suoi lettori verso le acque che fluiscono negli stagni vicini alla Spezia ; e che traggono la loro origine da un serbatoio sottomarino , il quale non sembra avere comunicazione alcuna col mare. Avvi un altra sorgente abbondantissima denominata la Sprugola o Voragine di Maggiola, che alle falde del monte di Parodi scorre fra due erbosi poggi dando il moto a di- versi molini, oltre molte altre minori polle , parte delle quali vanno a depositare le loro acque negli insalubri stagnoni situati all’ oriente della Spezia. Ma di tutte la più interessante al nostro naturalista sembrò la voragine di S. Benedetto, volgarmente detta Sprugola di Zegori presso .la foce della Spezia. Fra i torrenti che ivi inabissano il più considerevole è quello di Carpe- na; | Autore crede che essa possa avere una sotterranea comanicazione tea la voragine di Maggiola e con la polla sottomarina del Golfo, A queste e ad altre sorgenti, che lasciamo di nomi. nare, il sig. Guidoni aggiunge le acque termali di Pitelli, situate nella costa orientale del golfo fra la Spezia e la batteria di S. Bartolommeo, ele di cui vantate proprietà me- diche non sono dovute che ad una piccola quantità d’aci- do carbonico, che acquistano forse , sospetta l’A., dall’at- traversare qualche strato di fuchi marini, o altre sostanze che si accumularono in quel luogo prima che il mare si 27 ritirasse dall'attuale spiaggia. Fatto è che l’ ab. Spadoni invitato a visitare le stesse acque termali, v' immerse il termometro e vide che lo stesso grado che segnava all’om- bra nell’atmosfera si manteneva costante dentro le suppo- ste terme. E. R. Srepizione sciEnTIFICA IN Eerrro. Lettere del signor CH Am- PoLLion dal dì primo di Gennaio al dì dodici. Uadi-Alfa. Dalla seconda cateratta. Il dì 1 di gennaio 1829. Eccoci felicemente all’ ultima meta del nostro viag- gio ; alla seconda cateratta , barriera di granito , so- verchiata dalle acque del Nilo. Al di là non mancano monumenti; ma poco importanti : e poi, converrebbe la- sciare le barche , trovar de’ cammelli , cosa non facile, e mettersi per il deserto , a rischio di morire di fame ; giac - chè ventiquattro: bocche vogliono mangiare almen come dieci, e i viveri comincian già a scarseggiare. Guai , se non avevamo il nostro biscotto di Siene/ In dritta linea dunque io non andrò più oltre , e comincerò ora ia disa- mina attenta della Nubia e dell’ Egitto, veduti così in- digrosso finora. Adesso comincia il lavoro. Io ho già raccolti più di secento disegni : ma che è mai questo a ciò che resta da fare ? Io ne sbigottisco quasi. Pure, in otto mesi spero di cavarmene con onore. Il gennaio in Nubia ; alla metà di febbraio, fino a mezzo agosto, a Tebe; poi giù pel Nilo di fretta , dopo una breve posata a Dendera, ed in Abido. Il resto è già disegnato. Quindi il Cairo, e Ales. sandria. L’ultima mia vi veniva da File. Nell’isola d’Isi e d’Osiri, la gotta non mi potea stare ad inquietare a lun- go 5 e già io ho cominciata la mia raccolta. Tutto quivi è moderno, cicè del tempo greco o romano, tranne un tem- pio d’ Athyr, e parte del tempio d’Iside, costrutti e dedi- 28 cati dal povero Nectanebo I. . . ..Sculture barbare ? AI ritorno io mi rifermerò qualche giorno ancora, per esaurire la parte mitologica , .. A Syene (Asuan) lasciammo il nostro maasch, e il dehabié , troppo grandi per passare la cateratta : la nuova squadra è composta d’un piccolo dehabié , ch'è la nave ammiraglia , con bandiera francese e toscana ; di due bar- chette con bandiera francese ; due altre con bandiera to- scana ; la barca per le provigioni e per cucinare, con ban- diera turchina ; e una infine per la forza armata , cioè a dire, due guardie del corpo dateci dal pascià, armate delle lor mazze con pomo d’argento, che rappresentano il vicerè, e ci accompagnano per ogni dove. La nave ammi- raglia , se volete saperlo, porta un cannone da tre, che il nuovo nostro amico , Ibrahim Mamur d’Esnè, ci ha pre- stato, passando da File. Arrivati alla seconda cataratta, meta del nostro pellegrinaggio, noi ne abbiam fatto un bell’ uso, sparandolo in onor della scienza e di tutte le di- vinità dell’ Egitto. Da File, si partì per cominciare il viaggio della Nu- bia, e sì partì con buon. vento, Passammo dinnanzi a De- bud, senza punto fermarci, tanto più che codesto tempietto è cosa moderna, Il dì 17, alle «quattro della sera, si fu ai piccoli monumenti di Quaas, dove nulla ho trovato da spigolare: il 28, si passò da Taffah, e Kalabsehè , senza toccar terra. Giunti sotto il tropico, entrati nella zona torrida, noi battevamo i denti dal freddo ; e ci fu forza in- tabarrarci ben bene, La sera si dormì più in là di Dan- dur; e non si fece che salutar di lontano il tempio, Così il dì 19, ai monumenti di Ghirschè , che sono del buon tempo vecchio; così al gran tempio di Dakhéh, dell’epoca de’Lagidi. La sera, si sbarcò a Mekarraka, dov’è un tempio egiziano de’ meno antichi, cambiato già in chiesa copta. Il dì 20, ci fermammo un’ora, a Uadi-Essebua, ossia la Valle de’ Lioni, così chiamata dalle Sfingi che ornano il dromo d’ un monumento eretto sotto Sesostri, ma vero edifizio provinciale, di pietre congiunte con ismalto, del quale smalto, (come anche di quello delle piramidi) io ne presi un 29 pezzo pel nostro amico Vicat. Il di at, e il 22 sispesero, a dispetto della bonaccia e del vento, a raggiungere Amada, il cui tempio antichissimo rivedrò al mio ritorno . Il dì 23, si fu a Derr, o Derri, di buon’ora: e quivi, per modo di refocillazione, m’aspettava un bel tempio cavato nel masso, conservante ancora de’bassirilievi di Ramsete il Gran- de, ne’ quali io lessi i nomi ed i titoli di sette figlinoli e otto figliuole del Re. Si fece una visita al bravo Cachef di Derr; il quale ci fece sapere, che non avend’ egli che darci da cena , verrebbe egli a cenare con noi; e bravamente ce- nò. Da che potete conoscere la magnificenza e ricchez- za della città capitale della Nubia. Si voleva far del pane: ma che? nè fornaio, nè forno. Il dì 24, allo spuntar del sole, lasciammo Derri , passammo sotto la fortezza rovinata d’ Ibrim, e arrivammo la sera sulla riva orientale , a Ghebel-Mesmé , bel paese , e ben, coltivato. ll dì 25, ora spinti dal vento, ora tirati dalla corda; si tirò innanzi un poco, senza poterla sera arrivare a Ibsam- bul. Nel luogo della fermata , godemmo lo spettacolo di be’ coccodrilli, che stavano a diporto sopra un'isoletta di sabbia. Il dì 26, finalmente, alle nove, sbarcammo a Ibsam- bul; e vi si dimorò tutto il a7, a godere i più be’ monu- menti che sieno nella Nubia: due tempii, tra gli altri, tutti interi cavati nel masso , e coperti di sculture ; de’ quali il più picciolo , è dedicato ad Hathor, da Nofrè-Ari , moglie di Ramsete il Grande; e ha una facciata con sei colossi, ciascuno di piedi trentacinque circa, rappresentanti il re con la moglie di lui, con appiè dell’ uno i figliuoli e le figlinole, appiè dell’ altra scrittivi i lor nomi e titoli. I colossi sono d’eccellente scultura : forme svelte. atteggia- mento elegante. Io ne avrò de’ disegni fedelissimi. Anche i bassirilievi son belli; e i più importanti son già di- segnati, Il gran tempio d’Ibsambul , meriterebbe esso solo, un viaggio nella Nubia: maraviglia , che tale parrebbe anche a Tebe. La fantasia si spaventa , sì perde a pensare il la- 20 voro di uno scavo siffatto. Alla facciata, quattro colossi se- duti, alti sessantun piede, bellissimi tutti e quattro, tutti ritratti di Ramsete il Grande, similissimi alle figure che del medesimo sì rincontrano a Menfi, a Tebe, per tutto, Lavoro mirabile? E l'interno vi corrisponde. Ma vederlo, ci costa e ci costerà del sudore. La sabbia, rimpinzata an. che per opera degli abitanti, ne chiudeva 1’ entrata. Si fece sbrattare un piccivl passaggio , si presero tutte le pre- cauzioni per sorreggere codesta rena d’inferno , che in Nu- bia del par che in Egitto, minaccia di tatto inghiottire. Io mi spogliai quasi affatto, salvo la mia camicia araba, e un paio di calzoni di tela; e pancia a terra, entrai per una porta, che, sgombrata che fosse, mostrerebbe venti- cinque piedi almeno d’a!tezza. Mi pareva d’entrare in un forno : penetrati nel tempio, la temperatura saliva a cin- quantun gradi. Eran meco Rosellini, Ricci, ed un arabo; tutti con un lume alla mano. La prima sala è sorretta da otto pilastri ; a’ quali stanno appoggiati altrettanti co- lossi, di trenta piedi l’uno , tutti ritratti del re. Sulle pa- reti, bassirilievi istorici, rappresentanti le conquiste di Ram- sete nell’ Africa: uno tra gli altri , col carro triunfale , con torme di Nubiani, di Negri, figure grandi al naturale, è cosa egregia. Le altre sedici sale abbondano di fbassi- rilievi religiosi, singolarissimi. In fondo, un santuario , con quattro belle statue , più grandi del naturale : d’ egregio lavoro. Le son le imagini di Amon-Ra, di Phré, di Phta, di Ramsete. Dopo due ore e mezzo di ammirazione, visti già tutti i bassi rilievi , ci si cominciò a far sentire il bisogno di re- spirare un po’d’aria libera. All’uscire , io mi messi addosso due sottoveste di frenella , un berretto di lana , il mio gran pastrano: e lì fuori seduto all'ombra d’uno di que'co- lossi, la cui mole immensa mi difendeva dal tramonta- no , stetti mezz’ ora a rimettere la traspirazione nel de- bito corso. Poi tornato alla barca, mi misi a letto ; e vi stetti due ore. Questa prova ci ha dato a conoscere , che un due ore o tre si può benissimo rimanere nel tem- pio, senza patire difficoltà alla respirazione, nè debolezza dI alle giunture o alle gambe: si conchiuse dunque che , al nostro ritorno , si sarebbe potuto, in quattro ( per non far troppo consumo d’ aria) stare a lavorare due ore la mattina , e due ore la sera. L’ impresa è un po’dura : ma i bassi rilievi son tanto belli, che ad ogni costo bisogna possederne un disegno, con le leggende intere, Il calore d’ Ibsambul , io lo paragono al calore d’un bagno turco, e queste visite ci risparmieranno davvero de’ bagni molti. La mattina del dì 28, lasciammo Ibsambul: verso mez- zogiorno , ci fermammo a Ghebel-Addeh, dov’ è un tem- pietto, scavato nel masso. Quasi tutti i bassi rilievi, era- no stati da’ cristiani coperti di smalto, e soprappostivi dei santi, specialmente de’ San Giorgi a cavallo. Levato lo smalto , io trovai che il tempio era dedicato a Thoth dal Re Oro, figliuolo d’ Amenofi-Mennone. Levatii disegni di tre bassi rilievi mitologici , molto importanti, s’ andò a dormire a Faras: il dì 29, colpa la bonaccia, si dormì poco più là di Serré; e il 30, a mezzogiorno , si fu finalmente a Uadi-Alfa, mezz’ ora di cammino distante dalla seconda cateratta, verso la quale io ho fatta una passeggiata sul cadere del sole, Ieri soltanto si diede mano al lavoro. Sulla riva oc- cidentale ho trovato le ruine di tre edifizii ; sulle qua- li non restano che le code delle leggende. Il primo è senza sculture ; cosa dappoco: il secondo, importante. Gli è un tempio , con mura di mattoni crudi, sostenuto al di dentro da pilastri o da colonne, di grès gli uni e l’ altre ; queste simili al dorico: origine indubitabile degli ordini gre- ci. Il tempio dedicato a Orammone (Ammone generatore) è del tempo d’Amenofi II, figlinolo di Meride; e la dedica, io la trovai facendo a’ miei arabi scavar con mano la sabbia. A questo modo ho sbrattata una grande stela, raccomandata a un muro di mattoni , la qual porta un atto d’adorazione, e la lista de’ doni fatti al tempio da Ramsete I, cun sotto tre linee indicanti i doni del re successore. Finalmente , dietro le indicazioni del dott. Ricci, si fece da tutto il nostro seguito scavare nel santuario con zappe e badili , e vi si trovò una grande stela, già disegnata dal dottore, e 39 importantissima ; rappresentante il Dio Mandu, una delle massime divinità della Nubia, che conduce dinanzi ad Oser- tasen , re della XVI dinastia , i popoli della Nubia , coi lor nomi scritti sovra una specie di scudo appeso alla ima- gine, inginocchiata e legata, di ciascun d’essi popoli. Ei no- mi sono : Schamick , Osau , Schuat, Oscharkin, Kos ; con tre altri, cancellati affatto. Se voi altri costà non trovate nn geografo greco, di venti secoli innanzi G. C., sarà dif- ficile che leggiate altrove i cinque nomi ch’ io v’ ho quì trascritti. L’ altro tempio, più grande, ma del pari in rovina, è del regno di Meride : ed era il gran tempio dela egizia- na città di Beheni, che, a giudicar dagli avanzi sparsi nella pianura oggigiorno deserta, dev’ essere stata ben gran- de. Gli egizii l'avranno certamente scelta come piazza forte per sorvegliare i popoli abitanti tra le due cateratte . .. . Altro da vedere non resta a Uadi-Alfa: questo è anche più di quel ch'io mi figurava al primo venire., Di quì dunque io mando a tutti voi il buon capo d'anno ; e tutti v° abbraccio. — Ibsambul 12 gennaio. Ho riveduto i colossi, degno vestibolo al più magni- fico degli scavati edifizii che vanti la Nubia. Belli mi son parsi non meno di prima ; e vorrei esser mago per poterli trasportar bell’e interi sulla piazza di Luigi XVI, e così convincere a un tratto i nemici dell’ arte egiziana. Tutto quì è colossale : tengono del colossale anche le nostre fatiche. Quelli che conoscono il iucgo sanno per prova le difficoltà che bisogna vincere pur per disegnare un solo geroglifico nel gran tempio. Il primo dell’anno, si partì d’ Uadi-Alfa , e dalla se- conda cateratta ; a Gharbi-Serrè s’ è dormito ; e l’indomani a mezzogiorno , si fu alla riva dritta del Nilo a studiare gli scavi di Maschakit, al mezzogiorno del tempio di Thoth. Ci arrampicammo su per uno scoglio ripido quasi a per- pendicolo sul fiume , per mettere il naso in uua stanzue- cia, cavata nel monte, adorna di sculture, ma guaste dal 33 tempo ;. non però che non la si potesse ricunoscere per una cappella dedicata ad Anuki (Vesta), e agli altri Dei dela Nubia, da un principe etiope, di nome Polri, go- vernator del paese, sotto Ramsete il grande: dove il bra- vo Polri, prega la Dea di fare che il Magno Ramsete renga sempre i libii ed i nomadi sotto i suo’ sandali. Da che pare che i nomadi d’Affrica venissero di quando in quando a far delle noiose visite ai pacifici coltivatori delle valli del Nilo. Il singolare si è , che qui sui monumenti di Nubia , io non ho trovati finora altri nomi che di principi Etiopi o Nubiani, governatori sotto Ramsete e la sua dinastia. Tanto pare che la Nubia fosse attaccata all' Egitto ; che i re non dubitavano d’ affidare le armate ad uonsini del paese . La sera del dì 3, cominciammo a lavorare a Ibsambul, nel gran tempio, coperto di bassirilievi sì grandi e sì belli. Di tutti que’ della sala, noi volevamo possedere i disegni in grande e in colori: le altre stanze non offrono che soggetti religiosi , già noti. E quando saprete che il calore di que- sto tempio già quasi turato dalla rena , è quel d’ un ba- gno turco ben bene riscaldato , che ci s’entra quasi ignn- di, che il sudore cola a rivi sugli cechi e sulla carta già fradicia dal vapore, imparerete a stimare il coraggio dei nostri compagni , che per tre o quattr’ore al giorno so- stengono il martirio di questa fornace ;$ e non n’ escono se non quando non possono più reggersi in piedi. Oggi , il dì 12, il lavoro è già quasi al suo termine, Noi possediamo già sei gran quadri. Il primo:Ramserte il gran+ de sul carro ; tirato da cavalli di galoppo , tre figli di lui sui lor carri di guerra: un esercito d’ Assirii che fugge. Il secondo: Ramsete a piede , che atterrato un de’ capitani nemici, ferisce un altro di lancia: disegno e composizione ammirabili, Il terzo: il re seduto tra’ capi dell’ esercito ; gli si reca la nuova dell’ assalto nemico: s' appresta il carro del re ; i servi stanno infrenando, i cavalli disegnati anche quì alla perfezione: più in là l’assalto ; i nemici so- T. XXXV. Settembre. 5 34 pra carri alla rinfusa, gli Egizii militarmente ordivati, Quadro' pieno di vita : pare una bella battaglia dipinta su vaso greco.— Quarto: trionfale ingresso del re, (certo in Te- be); carro magnifico , cavalli che vanno di passo , ricca mente bardati. Davanti al carro, due file di prigionieri africani, una di negri , l’altra di razza Barabra ; gruppi d’egregio disegno , di bell’ effetto ,. di gran movimento. — Quinto e sesto : il re che offre in omaggio agli Dei di Tebe, e a que’ d’Ibsambul, i cattivi, ‘Resta a compire il disegno d’un grandissimo bassorilievo che prende tutta quasi la parete destra del tempio , e rap- presenta una battaglia, un campo intero, la tenda del re, le guardie, i cavalli di lui; i carri, i fardaggi del- l’esercito ; giuochi militari, castighi, eccettera. In tre giorni sarà fatto ; ma senza colori ; l'umidità li ha sman- giati. Non così gli altri sei : da noi coloriti e ritratti a puntino. Si conosceranno un poco le magnificenze del lusso Faraonico ne’ cocchi e negli abiti del mille cinquecento innanzi l’ era di Cristo ; e lascerò a voi imaginare l’effetto di questi bassi rilievi dipinti con tanta finezza. Costoro fon quali negano il bello che può venire all’architettura dalla scultura dipinta , io vorrei condurli nel tempio d’ Ibsam- bul; e vi giuro io, che un quarto d’ora farebbe a costoro sudare tutti i lor pregiudizi ; e le opinioni 4 priori se ne fuggirebbono via pe’ pori, in vapore. Rosellini attende con me alle leggende geroglifiche , sottoposte a’gruppi od alle figure stovtelta; e talune ben lun- ghe. Le si copiano o sopra luogo , o se tropp’alte, se ne leva lo stampo : io le confronto con l’originale più e più volte, le copio, e le do a disegnare. La grande iscrizione tra i due ultimi colossi a manta, nell’interno del tempio, quella di cui m’ aveva parlato l’amico Huyot, è di trenta due ‘versi; e contiene un decreto del Dio Phta, in lode di Ramsete il grande pe’ lavori da lui compiuti, e pe” benefi- zii largiti all’ Egitto: poi viene la pur del re, garbatis- sima. Singolar monumento / Eccovi le notizie della nostra campagna memorabile d’Ibsambul: la più bella, e la più penosa di tutte. Fran- 35 cesì e toscani, tutti hanno gareggiato di zelo. AI dì 15, spero, farem vela per l'Egitto col nostro bottino storico. Appena arrivato quì, io ebbi tre giorni di gotta; mai bagni a vapore del tempio, me n’hanno liberato , e per buon tem- po , spero. D’ Europa, finora una sola lettera. — Addio. (1) ‘(1) Nel Giornale Pisano, leggiam finalmente , con piacere ; la terza lettera del capo della spedizione toscana , , il sig. prof. Rosellini : più fortunata della seconda, ch’ ormai convien supporre smarrita. —.errt;,r;r;_ ee Lezione di Lurer Ricori , letta nell’ Adunanza della Crusca il dì 10 marzo 1829, sopra un testo a penna di Prer SEGNI, col titolo di Chiose sopra Dante, esistente nella. Libreria riccardiana , creduto smarrito dal Vocabolario del 1729; fal- samente attribuite al Boccaccio. Chi ha una piccola tintura della storia dell’ uomo può age- volmente gindicare, che egli in tutti i tempi si è cercato per varie cagioni'di dare ad intendere delle fole e delle menzogne anche in fatto di letterarie notizie. Così, per esempio, molte e molte volte si è dato il caso, che ad un’ opera anonima si è ap- posto il nome di un autore, a cui non apparteneva ; e fatto il primo passo i copiatori hanno perpetuato l’ inganno , che non si è potuto scoprire se non dopo una lunga e scrupolosa disamina. Esistono nelle biblioteche delle lettere di Seneca dirette a S. Paolo, e di S. Paolo a Seneca, tenute per vere da S. Girolamo, ed il Boccaccio nel Comento sopra Dante P.I, pag. 255 non dubita punto della loro autenticità, ma da’ moderni critici sono meritamente riposte nel novero delle false. La biblioteca riccardiana possiede un manoscritto intitolato Chiose sopra le tre cantiche dell’ Alighieri, segnato nell’ indice del Lami 0. I num. XIX , ed ora 1028 in foglio, che fu di per- tinenza del Segni, fatte da messer Giovanni Boccacci , come ap- parisce in carattere rosso in ciascheduna cantica. Infine poi si leggono le seguenti parole: “ Finito e compiuto per me Nichola »» di ser Bino di Nichola dell’ arte della lana questo dì XVIII » d'ottobre 1458 a ore quattro di notte a stanza e pitizione di »» Lazero di Michele di Piero da Varna del popolo di San Piero »; Ghattolino , avendo la luna XII dì. El detto libro comincia’ a 30 »9 dì XVIII di marzo nel MCCCCLVII, e con: tempo e modo e »» con piacere l’ abbiamo condotto insino allo infrascritto tempo » di sopra ,,. Il dottissimo Giovanni Lami diede discarico di queste Chiose nelle Novelle letterarie all’ anno 1752, col 324, 447, e 479, attribuendole senza alcun dubbio al Boccaccio , asserendo che questo lavoro fu fatto nella sua età giovanile. Senza cognizione di causa abbracciarono molti un tal sentimento, e fra questi il Mazzucchelli Scrit. ital. vol. 2, P. III, pag. 1365, ma non 8’ acquietò a simili autorità il Baldelli, nostro Accademico, il quale in una nota alla vita di Giovanni Boccacci, Firenze 1806, pag. 206. rigetta il parere del Lami con quelle valevoli ragioni, che leggersi possono da chicchessia. La lettura, che ho fatto delle Chiose da capo a fondo m'ha pienamente convinto, che la decisione del Lami non ha verun fondamento ; come più sotto dimostrerò , così che porto speranza, che questo mio ragionamento schiarirà maggiormente la materia, essendo in istato di portar dei fatti e dei confronti tralasciati dal nostro anzidetto Collega , che faranno senza veruna dubitazione conoscere non potere essere il Boccaccio autor delle Chiose. Quando. ci viene all’ animo di voler provare, che un’opera sia d’un autore, al parer mio fa di mestieri in prima esaminare, se que’ modi ; di cui spesso spesso fa uso ; si trovino in un’altra composizione , che porti sicuramente il suo nome. Escludo da quest’ esame certe maniere di dire, che nell’età del trecento si leggono negli scrittori , come per cagione d’ esempio il chiosatore adopra la frase di accorrere alla mente pag. 58, ed il Boccaccio g. 1, n. 2 disse: gli venne a memoria, e per variare nella no- vella quinta s’espresse: M° è caduto nell’ animo. A_ pag. 73 delle Chiose si dice: Tenne lui a sua posta, e nel Decamerone molti esempi ne abbiamo, e segnatamente nella g. 5, n. 4 si ha: Zo non posso far caldo e freddo a mia posta. Alla pag. 83, ed. in più luoghi tenere a parole si legge, e spesse fiate usò il Boc- caccio questo medo di dire, e nella.g. 8 , n. 7 per non ripeterlo, disse: Il tenne gran tempo in pastura. A pag. 75 a tergo si legge: Mi rendei in colpa, e tornai in penitenza ; e nelle vite de’Sauti padri t. 2; pag. 354 abbiamo: Rende’ mi in colpa a Dio. È tre- quente in bocca dell’ autor delle Chiose l’ avverbio ir. ispezialità, come. può vedersi alla pag. 6, e 24 in luogo di spezia/mente. Il comento stampato dice alla pag. 8 in singularità, e P.2, pag: 40 in ispezialità, e nel Decamerone g. 10, n. 2 leggo una sol volta: Et in ispezialità chiese di poter veder Ghino. A pag. 26 leggiamo: 37 se gli darebbe il cuore di dipignere ec. ed il comento Bess, pag. 333 ; Non mi darebbe il cuor di fare ec. L’ uiiormità ed approssimazione di. tali esempi ché sono comuni ai più degli antichi.serittori nulla decidono in favor delle Chiose per appropriarle al Boccaccio. Altre frasi addurrò ; che sono proprie unicamente ; e come familiari del. chiosatore , tanto che converrà con franchezza decidere , che egli non è lo stesso che scrisse le lezioni. | Il Boccaccio in niuna.delle sue opere adoprò avvenire, venire ed occorrere colla giunta di caso , ma sempre disse avvenne che, per accadde. Costantemente ; e quasi ad ogni pagina si legge venne caso , ed alla pag. 180 a tergo occorse caso. Della frase venire caso per accadere ,. il. Vocabolario. non riporta che due esempi ‘tratti dalla Cronica del Velluti, ma se ne truova un al- tro in Franco Sacchetti nov. 96 , che dice: Avvenne caso, che questa donna infermò che anderebbe al. v. Avvenire caso, che manca al Vocabolario. Ad ogni tratto s’ incontra l’ avverbio il di che, tanto nel significato di i perchè, per la qualcosa, che della qual cosa. Il Vocabolario adduce un. solo esempio deile Declamazioni di Seneca , ed io fra’ moderni mi sono imbattuto in due, il primo è negli Asolani del Bembo , Venezia Sabbio, 1530} pag. 125; che dice: Zl di che primieramente mirò in loro, ed il secondo nelle vite de’ pittori del Dati, pag. 99, così dicendo: // di che altri forse prese occasione di affermare ec. e due altri si leggono nel Vocabolario al $. dî che. Tanto nel Decamerone, che nel Comento non si truova giammai usato coll’ articolo, ma sempre di che in ambidue i sensi, come nella g. 8, n. 8 si legge: Di che Spi melloccio prestamente andato su, che viene a significare per la qual cosa. Non farò conto d’una particolarità , quale è, che il Boc- caccio sì nel comento , sì nelle novelle disse sempre reina, e non regina, come a pag. 15 delle Chiose si legge, perchè que- sto cangiamento può esser seguìto per difetto del copiatore. Parmi però che si debba valutare una voce che viene di frequente in acconcio adoprata dal chiosatore , civè circolo in luogo di cerchio, come si legge costantemente nelle lezioni sopra la Commedia di Dante. Parrà forse un’ osservazione di poco rilievo, e che non ci ponga in istato a risolverci a non riconoscere il Boccaccio per autor delle Chiose in vista di queste minuzie. Io dico però , che anche queste sono autorevoli a non attribuirgliele , perchè uno scrittore che è addomesticato con un vocaholo, o con qualche 38 frase qualunque siasi , senza avvedersene ne farà nso ogni qual- volta che pigli in mano la: penna per scrivere: Rinforzando le prove io aggiungo, che più e più volte ci imbattiamo nei medesimi fatti ‘storici, descritti in modo: che l’ espressioni sono malamente appropriate , e per:darne un esem- pio il manoscritto a pag. 14 a tergo legge: Didone , non volendo far fallo al suo marito Sicheo, nè alle cenere sue , s’ uccise. Fa di mestieri avvertire, che nel caso presente il chiosatore si servì di un modo di dire inesatto } e come tale non potea venire in mente al Boccaccio. Perocchè , la vedova, quando le piaccia di riaccasarsi, non fa fallo al morto marito, ma ella gli sarà infe- dele, se dopo la promessa di non voler con altri in matrimonio congiungersi, si rimarita , e però con accorgimento si ha nella stampa: Per non romper fede al cener di Sicheo. Parmi adunque; che questa inesattezza sia bastevole a decidere , che le Chiose non possono esser parto di Giovanni Boccacci, che in fatto di proprietà di lingua fu sommo maestro. In senso di commettere adulterio si truova nella g. 6, n. 7 che dice: Modificarono il . crudele statuto , e lasciarono , che egli s’intendesse solamente per quelle donne, le quali per danari a’ lor mariti facesser fallo. Molte altre autorità addurre si potrebbero , ma quella basti di Franco Sacchetti nov. 206. che dice: Con vituperio fanno fallo alle lor mogli. Diversità sorprendente ravvisansi nel racconto dei fatti, come anche nella divisione dei capi sì nelle Chiose , e sì nel comento , vedute dal Lami , il quale se ne sbriga dicendo a pag. 482: £ credibile che (il Boccaccio) nel far le lezioni non curasse di rivedere le chiose, e che le disprezzasse come studio giovanile. Quanto egli abbia sbagliato , appresso vedrassi; ma è bene il dire ciò che si legge nella P. 2 pag. 36, dove, descri- vendo il can cerbero , avverte così il lettore con le seguenti pa- role: Ion è conforme a quella , la quale gli diedi nella sposizione allegorica del precedente canto, dove mostrammo , lui significare il vizio della gola , e qui dimostro per lui significarsi tre spezie d’ avari. Stava adunque a cuore al Boccaccio di non esser colto in errore, 0 in aperta contradizione , nè può immaginarsi che se fosse stato veramente autore di quel lavoro, non ne desse cenno in qualche congiuntura ; anche nel caso che le dottrine non discordassero. Fra i tanti fatti raccontati in diverse maniere ho scelto due, il primo de’ quali è a pag. 10, dove il chiosatore fa dire a Sesto Tarquinio, nell’atto che stava coricato accanto a Lucrezia , che se 3 ella non acconsentiva alle di lui voglie; veciderebbe un al pie colo figliolo, che ella aveva al lato, e di ciò fece vista, par- ticolarità che non si legge nelle lezioni. Il secondo è a pag 15, ove ragionasi di Cleopatra, che per iscansare la vergogna d’esser condotta schiava a Roma in trionfo occultamente si fece recare tre aspidi sordi; ed ella autigli se n° appiccò a ogni poppa uno, e succiandola ella s° addormentò morta. La lezione della stampa a pag. 301 della prima parte è concepita così: attesi aprire le vene delle braccia , a quelle si pose una spezie di serpenti, chia- mati inacli, il veleno de’ quali ha ad inducer sonno, e a far dormendo morire il trafitto , e così addormentata si morì. Come è egli possibile, che lo stesso autore potesse descrivere un fatto in così diversa maniera ? Il monoscritto ragionando a pag. 31 del papa Anastasio, che tenea l’ eresia di Fotino , dice, che egli volendo «sostenere la falsa opinione di quell’ eresiarca in faccia a’ cardinali, Iddio ne mostrò miracolo, che a lui venne bisogno d’ andare al /4ogo co- mune , ove gli uscì di corpo a un’ ora tutte l’ interiora insieme colla sua anima. L’espressione usata dal comentatore alla pag. 159 P. 1, è molto conforme a quella di cui si servì il Boccaccio nella nevella d’ Andreuccio, perocchè il comento dice: Andato al se- greto luogo, dove le superfluità del ventre si dispongono. E la n. 5 della g. seconda porta: Richiedendo il naturale uso di dover diporre il superfluo peso del ventre. Per abbattere la credenza del Lami farò conto di altre ra- gioni, che mi sembrano di gran peso. Dalla lettura dell’ Espo- sizione del simbolo del Cavalca abbiamo contezza di quelle opere, che egli compose. Così alla pag. 220 si ha, che fu sua compo- sizione il libro intitolato della pazienza , ripetendo ciò alle pa- gine 261 e 356. Alla pag. 276 ci rende certi d’ aver tradotto il Dialogo di S. Gregorio , ed a pag. 310 ci fa sapere che lo spec- chio di Croce è suo lavoro. Non ha molto tempo, che ignoravasi il volgarizzatore delle vite de' SS. padri, pubblicate dal Manni, ma adesso sappiamo che fu il Cavalca; perchè egli stesso cel dice nell’Esposizione del simbolo pag. 387; e nella Medicina del cuore ovvero Trattato della pazienzia; pag. 208, cap. XX; la quale opera è rammentata nello Specchio de’ peccati, pag. 40, ripubblicato con giudiziose illustrazioni. dal. nostro collega Del Furia sul finire dell’ anno decorso. Firenze, Tipografia all’ Inse- gna di Dante, 1828. Nel comento del Celtaldese P. 2, pag. 104 si enna Come pienamente si traiterà nel cap. XVI del Paradiso. A pag. 186 4o sul canto XI prega il lettore a ritornare a memoria ciò che disse nel canto IV. A pag. 196 si truova : Dove d’Achille si fece men- zione nel quinto canto; ed a pag. 257 si protesta di tessere pie- namente le lodi di Catone Uticense nel primo canto del Purga- torio: Non gli tornava più conto , senza tenere a speranza i let- tori ad aspettare di leggere lezioni non fatte; di accennare via via i luoghi delle Chiose , che furono parto ; al dire del Lami, de’ primi suoi studi? Pare a me, che questa difficoltà sia di dif- ficile scioglimento. Sul principio del di lui comento,; venendogli il taglio di menzionare le gesta di Dante, egli a pag. 8 della stampa ci dice poco , perchè già delle predette cose scrissi in sua lode un trattatello ; che debb’ essere Za vita per lui composta . Ognun sa quanto il Boccaccio amasse il Petrarca ; e nella prima parte del comento lo rammenta nelle pagine 34, 35, 38, 95, e 231, e nella P. 2 pag. 306 si espresse così: “ Non ha il », nostro carissimo cittadino, e venerabile uomo, e mio maestro, » e padre; messer Francesco Petrarca , con la dottrina poetica » riempiuta ogni parte, dove la lettera latina è conosciuta, della +, sua maravigliosa , e splendida fama , e messo il nome suo nelle » bocche non dico de’ principi cristiani, li quali li più sono og- 53 gi idioti, ma de’ sommi pontefici, de’ gran maestri, e di qua- 33 lunque altro eccellente uomo in iscenzia ? ,, Veruna menzione viene fatta nelle chiose del gentile Petrarca. Ma, che sto io ad ammassare ragioni per distruggere l’opi- nione del Lami;, mentre si hanno documenti, pe’ quali dobbiam confessare, che il compositor delle chiose sopravvisse al Boccac- cio? Egli medesimo nella parte seconda pag. 88 ci nota il tempo preciso , in cui scriveva le lezioni sopra Dante dicendo : sono 1373 anni, che nacque Gesù Cristo ; e queste terminano ; come a tutti è noto , al cominciamento del canto XVII dell’ Inferno. Si ha parimente notizia certa dell’ anno, in cui il Chiosa- tore chiosava la prima Cantica , giacchè a pag. 28 facendoci av- visati, che nel 1265 i Guelfi rientrarono in Firenze colla forza di Carlo re di Puglia , cacciando i Ghibellini, soggiugne : i quali, infino a questo punto, cioè 1375 non vi tornarono, nè son per tornare. Resta adunque provato ; che il Lami non s’ imbattè in questo passo, perchè non avrebbe attribuite queste Chiose al Boccaccio ; e sarebbe stata per lui di maggiore ostacolo la data del 1375 , in cui a’ 20 dicembre morì. È da notare, che la libreria riccardiana possiede altro codi- ce contenente le medesime Chiose sotto il numero 1037, regi- strate nell’ antico catalogo O. I num. XIX, parimente in foglio, del anteriore almeno un mezzo secolo di scrittura all’ altro, senza no- me d’ autore , veduto dal Lami, non abbracciando però che l’In- ferno, con poca varietà, come dice il Baldelli, ma in riguardo della dettatura , perocchè il manoscritto 1037 è più abbondante di fatti storici, come è da vedere fra molti altri quello alla pag. 97 sull’ esposizione del canto XX, v. 8, che dice: Qui non ha luogo il santo volto dove si legge una lunga diceria sul volto santo di Lucca, che manca nel MS. del Segni. Posto ciò , l’anno del 1375 distrugge la credenza, che il Boc- caccio componesse queste Chiose nella sua gioventù , e ci assicu- ra a poter dire, che gli mancava il tempo a terminarle. Peroc- chè, si ammetta che egli desse principio a questa fatica il dì 25 di marzo , primo giorno del 1375, secondo lo stil fiorentino, co- me può credersi che il 20 dicembre , in cui morì, avesse già po- sto fine ad un lavoro, contenuto in pagine 480 quale è il ma- noscritto riccardiano ? Chiosando l’ anonimo il canto 30 del Paradiso v. 133. In quel gran seggio ec. fa dire a Beatrice :! “ Guarda quella grande e »» nobile sedia vota , in sulla quale è già posta su una corona »» in significazione , che quella cotale sedia de’ venire ad abitare e possedere il re Arrigo di Lambergo , il quale fu avolo di que- », sto re Carlo imperadore, il quale Carlo regnava ora nel x MCCCLXXV.,, Dicendo fu avolo di questo re , noi intendiamo che parlava d’un principe vivente; ed il regnava ora non viene a signifi- care, che Carlo fosse passato all’ altra vita, perchè cessò di vi- vere nel 29 di novembre del 1378 , secondo il Muratori, Ann. Ital. tom. VIII, pag. 301, ma parmi che si debba intendere, che egli scriveva questo fatto nell’ anno 1376. Quest’ ora indica tempo passato , e si può convalidare con un esempio di Dante, ove dice : Purg. 13, v. 67: E come agli orbi non approda il sole, Così all’ ombre , dov’ io parlava ora Luce del ciel di sè largir non vuole. Quando scriveva le Chiose sulla prima Cantica ce l’ha la- sciato detto chiaramente in quelle parole: Jr questo punto, cioè 1375; e l’espressione di regnava ora nel 1375 , vale allora, che correva l’ anno indicato ; cioè finito. E dato , che si trovasse al- tro manoscritto colla lezione di regna or4 questa variante non T. XXXV. Settembre. 6 42 darebbe forza a sostenere, che il Boccaccio fosse 1’ antore delle sopranominate Chiose. Piacque al Chiosatore di occultarci il suo nome e casato, lasciando scritto soltanto sul fine del canto Xi del Paradiso pag. 194 , che & sostenere e reggere questa barca di santa chiesa ec. fu San Domenico mio protettore. E leggendo nella pag. 38 delle Chiose sull’ Inferno queste parole: fà, che queste arpie sieno tre, benchè di più si scriva nella genelagia del Boccaccio, si può agevolmente conchiudere, che se mai il Celtaldese ne fosse stato autore avrebbe usato altro linguaggio. È fuori del mio proponimento d’ esaminarè , se i fatti sto- rici riportati in queste chiose reggano in faccia alla critica , so- Jamente annunziando , che a pag. 196 ci dà Graziano , collet- tore de’ canoni, per Lombardo , mentre con fondamento si reputa nativo di Chiusi in Toscana. V. Tiraboschi stor. lett. ital. tom. 3, pag. 146. Si avverta però, che sbagli in fatto di: storia si truo- vano anche nel Comento del Boccaccio. Or io facendomi a credere di avere bastevolmente dimostrato con le ragioni per me addotte, che le predette Chiose non pos- sono in verun conto appartenere al Boccaccio , mi resta a dir brevemente , che chiunque fosse si dee in pregio tenere, perchè visse in quella beata stagione ;, in cui da tutti scrivevasi con pu- rità e chiarezza di lingua , tanto che son d’ opinione, che sareb- bero accolte con gioia, se qualcuno pigliasse 1° incarico di pub- blicarle. In conferma di ciò voglio riportare una descrizione, che sta a pag. 157 sul canto venzette v. 37 del Purgatorio, che dice : Come al nome di Tisbe aperse il ciglio Piramo , in sulla morte, e riguardolla ec. « La storia, che dà Virgilio all’ altore è questa vera , la quale iscrisse Orosius , e dice , che in Babilonia, al tempo di quella valente reina Semiramis , moglie ch’ era istata del re Nino, sì furono due, cioè un giovane ed una giovane , i quali ista- vano a casa a muro a muro. Costoro due s’innamorarono in- sieme 1’ uno dell’altro insino da piccolini. El maschio aveva nome Pirramo , e la femina Tisbe più nobile di lui, e aveano nel muro una fessura, per la quale si parlavano insieme. Ed essendo costoro di un tempo e d’ un amore e’ non vedeano per »» maritaggio confarsi insieme, perchè l’ uno era povero e l’altro | 3 ricco; il perchè eglino deliberarono d’ andarsene insieme , e | » preso partito dierono la posta dove 1’ uno dovesse aspettare | » l'altro. ,, 45 Prima di terminare questa mia prosa debbo notificare una scoperta che ho fatta in queste Chiose, quale è, che furono citate nella prima impressione del nostro Vocabolario pubblicato nel 1612, e nelle due susseguenti. Si legge nella tavola delle abbreviature della quarta impressione pag: 17 questa avvertenza. “ Nelle prime im- » pressioni fu citato un testo a penna di Pier Segni nostro ac- »» cademico detto 1° Agghiacciato, che poscia fu posseduto dal sy Guernito. Nella presente non essendo stato possibile il tro- », vare il testo del Segni, ci siamo prevalsi di nn altro testo a » penna, che era già nella libreria Magliabechi. Questo testo »» ha poi servito di norma all’ edizione , che n’è stata fatta colla so data di Firenze l’anno 1724, in due tumi in 8.° onde questa », parimente abbiamo alcuna volta citata. ,, I vecchi accademici leggendo in ogni cantica del manoscritto il nome del Boccaccio , come autore delle dette Chiose, fecero la citazione così: Bocc. sopr. Dant.; edi nuovi compilatori non venendo loro fatto di ritrovare il testo prealiegato, immaginaro- no che fosse lo stesso che quello pubblicato nel 1724, e però di due espositori formarono un solo. Il codice, che ho preso ad esaminare è quello stesso, di cui si servì il Vocabolario del 1612, perchè nella prima pagina è scritto il cognome del proprietario , cioè del Segni, e perchè gli esem- pi della Crusca sono perfettamente conformi al testo a penna; cosicchè è di necesssità che le citazioni si debbano fare in que- sta forma: Chios. sopr. Dant. cioè Chiose sopra Dante. Il modo , per cui venni in chiaro , che dal manoscritto se- gnato col num. 1028 furon tratte voci e frasi per riporle nel te- soro di nostra lingua, successe così, che pigliando io copia da quelle chiose di parecchi vocaboli e maniere di dire, che sfuggiron d’ occhio a chi si messe a spogliarle , trovai la parola imperiato a pag: 9 che mi fece venir voglia di ricorrere al Vocabolario, dove lessi questo passo , coll’ indicazione di Bocce. Com. Dant. Ebbe per moglie Lavina figliuola del re Latino, del quale e della quale discese lo imperiato del mondo , il quale combina a capello col manoscritto. Allora collo spoglio delle voci del co- mento di Giovanni Boccacci sopra Dante , che sono di numero 36, mi messi a riscontrarle sull’ edizioni del vocabolario ante- riori alla quarta, nelle quali si rinvengono dieci, ed eccole: Coreggiuolo , disciplina , disvolgere , fattezza $, imbendare, im- periato , nota, ombrosità $ , sedizioso , e truffato , le quali., da due infuori , cioè disciplina ,° e truffuto concordano col mano- seritto. Nel vocabolario del 1691 si ha la voce disciplina , che 44 non si truova nelle Chiose, ma bensì nella prima parte del co- mento stampato a pag. 276 , cosicchè è indubitato , che gli ac- cademici della terza impressione fecero uso del MS. del Maglia- bechi. Resta 1’ addiettivo truffato , che non m’ è riuscito ritro- vare nè nelle Chiose , nè nel Comento. È da avvertire, che nella edizione del 1612 è citato al verbo #ruffare , ma nelle consecu- tive si legge truffato , che dice : veggendosi truffato , e ingan- nato dal suo zio , forte si turbò. Chiosando 1’ anonimo il canto IV dell’ Inferno a pag. 8, dove si rammenta Rachele promessa sposa a Giacobbe da Labano dopo il servizio di sette anni, spi- ratii quali in canthio di essa fu introdotta in camera la figlia maggiore per nome Lia , dice così: veggendosi Jacob tradito, ed ingannato dal suo zio , forte si turbò. Così legge 1’ altro mano- scritto riccardiano nominato di sopra. È forza adunque di fare questa correzione , togliendo cioè 1’ unico esempio dell’ addietti- vo truffato , e sostituire il tradito , che s’accoppierà coll’ altro di G. Villani. Il vocabolario alla v. Tortiglioso riporta quest’esem- pio coll’ indicazione: Com. Inf. 16. “ Siccome la corda è node- 5 rosa , e tortigliosa , così è la fraudolenza.,, Il medesimo leg- gesi nelle Chiose a pag. 49 , onde crederei necessario il correg- gere la citazione così: Chios. sopr. Dant. 49. Avventure di Crarice Visconti, Duchessa di Milano, scritte da Prerro Marocco. Milano Tip. Rusconi 1828. Allorchè nel disegno d’ un’ opera, il critico trova di non potere convenir con l’ autore , ma ne? particolari rico- nosce non poche e non comuni bellezze , il mezzo meno ingrato e di rendere giustizia al merito, e d’ informare i lettori, è, al mio credere , l’offrire un estratto non tanto dell’opera intera, quanto delle parti più belle, notando di passaggio quelli che al critico posson parere difetti. Que- sto farem noi nel dar conto della Clarice; e raccogliendo in poche pagine il bello di una parte di questa narrazione, indicheremo tacitamente all’ A. come possa egli perfezio- narsi, e diventare a poco a poco originale imitando sè stesso. ee” S’apre il Romanzo con un ritratto, alquanto abbellito, 45 di Francesco I, occupator di Milano , il cui merito tra gli ‘altri, era , dice l’ Autore compiangere non insultare i vinti “‘ Né corrivo agli altrui consigli, nè di suo capo, usò le altrui abilità come sue ,,. La sentenza, se non adattata all’ eroe , è però sempre bella. Viveva in Milano Clarice , figlia del morto Astolfo Vi- sconti, leggiadra e virtuosa donzella. Eleonora, la madre, aveva sollecitamente pensato alla sua educazione: a questa prima. fonte d’ogni felicità e delle famiglie e delle repubbli- che. Della gentilezza, per cui i menomi favori tanto vengono aggranditi, un dono peculiare della natura, anzichè l’opera della madre, che di sì bella qualità andava alquanto sfornita, ne adornò Clarice. Apprese ella a non contraddire altrui, dove non fosse d’uopo in servigio del necessario vero o del- l’onore , a non far pompa d’austerità importuna . . . Spesso dilettavasi la madre di seco menarla o nelle vie suburbane ad un quieto passeggio , od a condurre lieti giorni nella campagna: e Clarice preferiva que’ quieti e spontanei di- letti a quanti il lungo studio e l’arte s' affatica di pro- durre nelle città ,,. Queste e simili idee, che a molti parranno comuni, e certo non son pellegrine, a noi paiono belle, e in libri che debbono correre le mani dei più non mai abbastanza ripetute: con più d’artifizio, se così piace, ma con non minore evidenza. Entra un giorno Clarice alla corte di Francesco I, con Isidoro vecchio domestico , per domandare la grazia d’innalzare una tomba privata a suo padre, morto per la patria, nel combattere contro Francesco. La cagione di questa visita non parrà verisimile a tutti; nè a tutti parrà naturale il dialogo che s’ attacca nell’ anticame- ra tra Clarice e l'ammiraglio Bonnivet, che subito se ne invaghisce. — L'aria di franchezza e di finezza, che aveva ella assunta, e che tanto ‘facea spiccare la sua dignitosa avvenenza, l’ avrebbe forse manifestata per cortigiana valente nell’ arte più fina d'abbattere i cuori, se la naturale schiettezza ad un occhio esperto non si fos- se. palesata agevolmente . Egli è alquanto singolare, a dir vero, che in due minuti secondi, in un’ anticamera , 46 la modesta Clarice , venga a dichiarare a Bonnivet , ch’ella non vuole ingolfarsi negli abbaglianti e noiosi diletti degli alti gradi, e suggiunga in tuono sentenzioso ; ‘ i pochi », anni ch’io ho veduti trascorrere ; furono pieni di mille », vicende, tutte , anzi ciascuna per sè bastante ad istruire »» chi sa cavare profitto dalle vive istruzioni della Prov- » videnza ,,. Passa il Poeta a narrare un colloquio di Francesco, col celebre Morone : e questo dialogo , non sempre forse so- stenuto colla debita naturalezza, è sparso però di be’tratti; che quì raccogliamo. ‘* Sul volto al suddito non apparia suggezione; sul volto al sovrano, non imperiosità o disprezzo: dirò più : meglio leggevi in Francesco il desiderio di fa- vellare con uomo di sì gran mente , che in Morone l’or- goglio di tener famigliare discorso con tanto glorioso e possente Monarca. — Questi, dopo brevi parole gli dice: ‘‘ sarete senatore... . Chi è nato con vigoria di corpo, l’ho veduto sovente agognare alle brighe dei gabinetti; e chi è fornito d’ingegno penetrativo ed esperto , spesso è paz- zamente innamorato ilell’armi. Quindi nei cortigiani tante sciocche domande , nei principi tante dannose condiscen- denze. . . . . . +.,, Francesco lo vuol senatore, ma in Francia : il Morone risponde : Maestà , io son milanese. I ministri forestieri nel vostro regno non hanno della patria altro che sè stessi : solo a sé stessi. penseranno. — Il re gli rimprovera allora d’ aver tradito Massimiliano : il Mo- rone gli fa osservare che “ dopo l’ anarchia , il più cattivo stato è il reggimento d’ un principe imbecille e sciocco, — Morone non conusceva il linguaggio de’ cortigiani ; ma le parole da lui dette , forse ingenuamente , furono finissime a toccare la vanagloria di Francesco . . . . + Francesco sa- peva d’esseste saggio. — Non so per altro se spettasse ad un suddito il giudicare dell’ ingegno del sno sovrano. — Spettava a lui, domandatone da tutta la patria. — Non v’ intendo. — Non so spiegarmi d’avvantaggio ; e. piuttosto che rimestare tali cose, soffero, come se fosse giusto, il vostro rimprovero. — Il. monarca stette sorpreso \e tacito alcun poco. Volea poi ricominciare con severo cipiglio : 47 ma glie ne cadde o la voglia o l’ardire tantosto. — Voi siete dunque interrogato dalla vostra patria ? Non è poco, Girolamo. A me tocca talvolta di supplicare invano i miei nazionali che. m° ascoltino ; e sono il lor signore ..., To non ho ancora quì in Milano sollevato aleuno a grado splendido ed opulento. — Desidero che nol facciate. — Per mia fede, vorreste voi dire che nessuno lo merita? , . Che vogliate esser modesto per gli altri, la sarebbe cu- riosa... Comincerò da voi medesimo: vi creo senatore di Bresse, collo stipendio . . . — Di Bresse! — Collo stipendio di... di quello che voi vorrete. — Maestà, Bresse, non è città di Francia? — Appunto, di Fran- cia. Milano non è per voi. — Quì il Monarca rizzossi al- teramente in piedi — No? E non sia — Rizzossi anche il Morone ,,, Dopo alcune parole ambigue , escono tutti e due. — “ L’ apparire del re dopo una specie di congres- so con una persona da nessuno o da pochissimi di que’ francesi conosciuta , e ch'era passato, nello andarsene, in mezzo a loro, come se fosse passato per una filza di pali addobbati , levò un bisbiglio tra quella folla di mil- le umori. Vedevansi nella sala capitani de’ più valorosi; cavalieri insigni o per nobiltà o per ricchezza , richiamare sulle loro fisionomie a tutta posta l’aria di maggiorauza : giovinotti, dame: nè tra tanti buffoni ( tali in realtà, ma pur tali non creduti ) che cercavano ed otteneano am- mirazione, vi mancava qualche buffone di mestiere, che aveva obbligo cercarsi le risate , ed alle cui scempie buf- fonerie era obbligo ridere ,,. Entra allora Clarice, ‘‘ lentamente procedendo, tutt'al rovescio di Bonnivet, ch’avea una furia insolita. Ma ac- costatasi al Monarca ripigliò un poco il suo spirito , co- minciando dal gettare un’ occhiata di rimprovero al sno condottiero. Francesco stava in capo al salone; e la rive- renza teneva lungi da lui molti passi il maggior numero de’ cortigiani ,, , Debolmente nariato e rappresentato ci parve questo colloquio: dopo il quale , esce il re al un pomposo passeggio ,,. Faceva un bellissimo vedere, nota l’A, l’esteriore del nostro duomo formicolato di mi- . 48 nuto popolo che s’ aggruppava su per que’ pilastroni, onde meglio osservare la pompa. Tutti lodavano quel no- bile aspetto, quel riso grazioso , quell’ affabilità del rin- graziare, Il Monarca , ogni poco che potea riposare dai ri- salati, volgea il guardo ad un tale, che coll’alta statura sopravanzava ogni altro “ che mai non guardava il Mo- sì narca , ma girava attorno un par d’ occhi irrequieti e », cerulei sul popolo ed alle finestre, parendo che notasse chi ») più schiamazzava.-La fisonomia certamente era delle più s» risentite e sospette, poichè scarno , livido, e muscoloso, sì parea macero da una stizza affannosa ,,,— Il re gli si ap- pressa : ‘“ arrestossi egli pure immobile, con un piglio torvo ed indifferente ad un’ ora ; e colle braccia inerocic- chiate sul petto : poi si dileguò tra la folla: rivedelo più oltre Francesco ; si move verso lui: sparisce di nuovo. Quest'uomo lo mise in un’ apprensione, ch’egli non osava non che dichiarare, nè meno lasciar trasparire. ,, Era questi il card, di Sion, che noi subito dopo rincontriam dal Morone; e che comincia con dargli del traditore: ‘ ma ebbe un bel rizzarsi sdegnosamente sulla sua alta persona, un bell’aggrottare le ciglia : il Morone non era uomo da adombrarne : e quel fiero e furibondo svizzero , che da maestro di scuola avea saputo giungere fino alla porpora, e tuttavia non avea rispetto di mettersi a mazzo colla più sfrenata soldatesca, e avea potuto far mosse di accaniti svizzeri contro a’ francesi , e che ora correva di Germania in Italia come fosse una passeggiata, e ficcavasi da per tutto a spieggiare, a rinfocolare ; questo demonio incarnato sentì chiamarsi pazzo dal Morone, e se lo sofferse in pace ,.. <«* Pazzo | gli gridò il Morone, e si mise tranquilla- mente a sedere, invitandolo a fare il simile. — Sapete che io non mi siedo mai , rispose Sciner, spingendo da sè la seggiola offertagli... Che è mai cotanto schiamaz- zo, cotanti evviva, cotanta baldoria, per questo fran- cese conquistatore ;,, — Il Morone gli fa osservare che i milanesi sono già stanchi di guerreschi travagli. — “ La paura soffoca le voci ; le armi abbattono; ma vince gli animi tutti la prosperità. Io medesimo, vel confesso , io fo medesimo mi unirei al. popolo applaudente, se.non esistesse il co. di Barni (con tal nome venia chiamato Francesco Sforza, fratello di Massimiliano , e che dovea succedere nel. ducato a costui ) ; e se l’invegno e il cuor suo non mi promettessero. altrettanto , e più sinceramente che il re francese or dona.,,. E qui nota il Morone, come ‘ quan- do .sen partisse il re, il trattar de’ francesi muterebbe registro. . . e qualche suo governatore quaggiù mandato , nella lombarda grassezza vorrà certamente impinguare .. . «Francesco passava i termini nelle spese : la madre di lui altezzosa , che a sua posta il governava., faceva roia a taluno de’ grandi : vari potentati d’ Europa frugavano alla Francia ne’ visceri: tra. poco Francesco avrebbe che fare in casa sua . .... + Jl Papa avea già manifestati pen- sieri favorevoli ai maneggi per lo ristabilimento del duca; e Venezia, benchè pacificata con Francesco , avea più de- siderio, senza fallo, d’un vicino che avesse molto del suo, che non di chi era per la mala via d’ arricchirsi di, stra- nieri possedimenti ,,. Dividevansi que’ due personaggi d’un assai diverso animo e sistema, adesso però tendenti ad un’opera me- desima. Acquetate le cose, sarebber certo venuti a zuffa. A Morone, parea giovevole lo smisurato entusiasmo del card., a costui l'autorità e la previdenza di quello, E dovea poi esservi quel terzo potente che si giocasse d’ entram- bi, e succiasse il frutto de’loro sudori. ,,, Anche questa scena ne’ passi notati ci parve degna del nome di quel Mo- rone , che ‘ dottissimo tra i dotti giureconsulti e i lette- rati d’ allora, poteva ben tralasciare di cercar lustro. co- gl’ intrighi politici; e forse più, splendida la sua fama sa- rebbe se avesse solo atteso alla dottrina. ,, Bonnivet è già bell'e innamorato: un po’ presto, a dir vero; ma l’amore ne fa di più belle « L’ingannevole luce » di cui folgoreggiavano le stanze del trono, cominciava » afftochirsi a’ suoi sguardi , solo che pensasse alla gioia »3 d’essere amato da Clarice. Come un pellegrino che, ab- ;; bandonati gli scoscendimenti di un balzo . ... trovasi con- T. XXXV. Settembre. 7 50 . »» dotto in orezzante boschetto , ove ‘è rotto il patetico si- ,; lenzio dal solo balzellare tra ’1 musco e ripulita arena 3, di limpido ruscelletto, così dallo spettacolo rumoroso ss degli aulici piaceri, volgea Bonnivet la sua immagina- ;; zione alle delizie di un quieto ma caldo amore.... Delibe- ,, rava recarsi alla casa di lei, e favellarle: ma la modestia di ,»; Clarice, lui medesimo più che mai modesto rendeva ,,. La pittura che qui ci si fa del carattere e dell’animo di Bon- nivet, è diversa alquanto da ciò che ne dice la storia. Ma l’amore è la passione meno erudita che sia sulla terra:e molti diranno, che volerlo trattare con erudizione sarebbe pedanteria. Anche Clarice era presa. ‘ Le sembianze dell’ ammi- raglio non se le toglievan mai d’ innanzi agli occhi della mente ; persuadevasi che d’ uno spirito virtuoso e gentile fosser ricetto ; e ricordava tutta commossa i modi cortesi ... l averla di continuo fiso riguardata mentr’ ell’ era al co- spetto del re. — La gratitudine , dicev’ ella tra sè , sarà ella così tumultuosa? — Il nome d’ amore non si presenta mai per la prima volta alla mente di bennata giovine sce- vro d’ una tintura di sconvenienza ,,, — Clarice si consi- glia con Isidoro, e quegli ‘° composte le labbra ad un certo sorriso che indicava ed il suo accorgimento, e la pietà insieme che glien’ avea , così le disse: ... Perchè ingannare voi stessa ? se il cuor vostro può sinceramente dubitarne , fidatevi alla mia esperienza... Voi foste alle- vata ad essere madre, Allorchè i genitori s’allegrarono d’una figlinola , 8° allegrarono altresì de’ nipoti. Se Bonnivet è virtuoso , se può rendervi felice, voi non udite nel vostro affetto che la voce del cielo ... Non è ad apprezzarsi un cuore insensibile negli anni del sentimento. — Clarice non sapea comprendere , come in così piccola ora avess’ ella. già dato cagione che ad altri il suo affetto trasparisse. Ma l’amore è come una fiaccola chiusa in un vaso di fino ala- bastro.... ,;. Bonnivet si risolve di scrivere a Clarice, la madre legge la lettera, e gli risponde: ‘« perciò che vi stimo gen- tile, schietta vi parlo ... Un leggier soffio di vento ab- a 5I batte i delicati fiori , opera di lunga ed amorosa indu- stria.... La vostra forse non fu arditezza, fu inavvertenza; ma eguali ne potrebbero esser gli effetti... Vivete però sicuro .che dove è virtù, ivi, non tanto ch’ io assenta, verrò eziandio eccitatrice. — Non saprei ben dire qual si fosse , letto il foglio.,.l’animo di Bonnivet; se più la ver- gogna il vincesse che il piacere d’ aver trovata la ma- dre» della sua Clarice, donna. così saggia e virtuosa ,, Un dialogo che 1’ ammiraglio tiene col vecchio domestico de’ Visconti, Isidoro ,: dialogo sparso di tratti finissimi (sebbene non ‘in tutto eguale ), conferma Bonnivet nelle concepite speranze. Vien dopo una visita che fa il marchesino Roberto ad Eleonora e a Clarice: e questo marchesino, oltre all’essere un anacronismo tutto del secolo XIX, conchiude molto meschinamente il capitolo. Del resto , la semplicità e la franchezza con ch'è trattato 1’ amore di Bonnivet e di Clarice , senza incidenti maravigliosi , senza strane peri- pezie , ci parve degna di lode. Tanto più che la madre nel fomentar quest’ amore ha una ragione, che poi non dissi- mula. « Se voi vedessi mio genero, collocato a reggere i miei concittadini, godrei di poter porgere in certa guisa una mano alla loro felicità ,,. Il francese Monarca passava , dice l’A., quì fra’ no- stri maggiori lietissimi giorni ... Già la magnificenza ; la vastità , la ricchezza del nostro Duomo , avea ferito alta: mente la sua fantasia, e non potea a meno di non visi- tarlo ogni mattina , e ogni mattina stupirne. Fra i po- chi ornamenti delle arti leggiadre, sommo fino d’allo- ra tra le nostre mura si era nel convento delle Grazie il Cenacolo. Il soggetto più sublime e più tenero che possa imaginar mente umana, le parole più commoven- ti che si possano udir sulla terra, quando la bontà per essenza accenna in atto soave e paziente fra’cari suoi il suo traditore , e gli amorosi discepoli, tra la tema, la pietà , e la curiosità fluttuanti, e l’ empio tra essi fulmi- nato dalla divina parola , rabbioso non vinto dall’ interno rimorso ... chiedevano l’ingegno e il pennello di Leonar- 53 Ò do:da Vinci: ,,, — Nel 11517; fu Leonardo alla corte francese.—* E ci piace ‘ricordare le ‘memorabili parole ‘che Francesco rispose ‘a chi' consigliavalo non s*accorasse per la morte d’ un uomo del: volgo: de’cavalieri poss'io a mia posta creare una dozzina ‘all’anno s'mavegli è solo Iddio che crear possa de’Leonardi, e ne crea doni un solo in un secolo: (}, 00 ©». MISI i edo Bonnivet va a Francesco per panilesigli del suo matri- monio + “ Francesco con un volto: scherzoso : davvero, gli rispose, che la tna galanteriaoti ha, abbamlonato in que- sta.tva dichiarazione ; Essa ini pute forte d’ ingenuità , Ad ogni modo, mio ammiraglio , sembra» che questa terra per cui cogliemmo: sì faticosi allori; eci voglia mostra- re. ch’ella (si merita/i sudori mostri 0... + Te. più fortu- nato ec. Ma al trono ,ov'io. risiedo ; gli altri affetti, non giungono che mentiti o lordi d’ ambizione. A me è di bi. sogno trovare avvenenza da cui sbandita sia la virtù : bi- sogno perl’. ordinario, di leggeri soddisfatto; ma sciagu- rato. bisogno .;,. — Insomma Francesco, si dichiara in- namorato di Clarice Visconti, e sceglie Bonnivet per suo confidente. Immaginate lo stato di Bonnivet : Francesco lo motteggia del suo turbamento , senza vederne però, la .ca- gione . Soliloquio ‘disperato di Pn 3 speranza di Clari- ce : con. tramezzo delle cose gentili, e delle altre forse troppo comuni. Clarice finalmente comincia a pensare che il darsi a un francese, oppressore della sua patria, forse all’ uccisore di suo padre , era unione sacrilega. ‘ Così funesto pensiere non le lasciava luogo nè meno a im- maginare alcuna scusa, che pur. era sì naturale, .,, La notte seguente elia sogna suo padre Astolfo , che “ smi- suratamente grande la persona , rabbaruffati i capelli, con sola una gran fascia nera ad armacollo , coll’ agghiacciata destra l’ afferra per un braccio, la scuote, e stringendo la sinistra in un pugno che gli tremava ,, viene a rimproverarle il suo amore; spicca il proprio ritratto dalla parete, e con es- so sparisce, Il ritratto infatti l'indomani non si trovò più nella stanza: — era stato portato dallo scultore per modello al busto a 53 da erigersi, nel giardino. Di'qui îl vecchio Isidoro che nulla sa di questa ciscostanza ‘piglia: il destro di declamare: con- tro la superstizione ;: ma‘dopo la sua predica“: e il ritrat- to? esclamò Clarice con un sembiante il più turbato, e solle: vando ‘alquanto le ‘mani, indi percotendole insieme, fissava in faccia ad Isidoro un paio d’occhi che mostravan ‘sicu- rezza di averlo con solo quelle due’ parole convinto. — Il ritratto... (volea dite Isidoro ; ma veramente una tale circostanza lo imbarazzava je faceagli ‘conoscere essergli mestieri più particolari concetti , e non sentenze in sulle generali. ) Il ritratto non e” era: veramente più? — Non c'era. — Dunque'alcuno l’avrà tolto (ciò disse il vecchio quasi'in celia). Uno stringer le-labbra che fece Clarice, un‘lieve crollar di capo; ed ‘un r72, valsero quanto una ri- petizione di quell’enfatico e il ritratto? Ma Isidoro, al quale pareva troppo pericoloso l’entrare sui : vedremo. . - quanto a questo forse +. . indovinerei che .- ., e di rim- beccarla con una diretta risposta non \avea certo ‘alcun mezzo , continuava quasi non avesse udito quel monosil- labo gravido di tanto senso ; e mostrava il suo dire alto e concitato , ch'egli volesse ingolfarsi in una dissertazione, della quale noi, non tenendo conto che della perorazione., diremo che Isidoro terminava ec. — Questa piccola scena ci parve è naturale, e di buon gusto, e d’ottimo effetto . Lia scena di Bonnivet che annunzia alla madre l’amo- re del re, nella sua rapidità ha qualche tratto felice : quella del ragazzaccio che porta il ritratto nell’ offici- na del marmorario, e l’altra dove Clarice scopre 1’ affar del ritratto, non fanno , a dir vero, armonia col restante. Di lì si torna a Bonnivet, “ il-cui spirito illanguidito e fiaccato a nessuno particolar pensiero dava luogo ,, . Un amico traditore, che l’aveva adulato, per potersene all’ uopo servire , e poi, trattone profitto, con qualche ca- lunnia tracollarlo , risaputo da Bonnivet ogni cosa , lo con - siglia a non voler rinunziare all’ amor suo per rispetto © per Vani al re. ‘Lo spander grazie e favori è dei Regnanti destino; la ventura mette lor sotto chi li rac- colga. Alla fin fine egli non ha. però superato il me- SS i rito de’ suoi servigi ,,. Poi recatosi dal re, “ se. gli mostrò, titubante come. colui che volesse. e .non voles- se parlare : .,, finalmente, gli svela le, intenzioni no- velle. di Bonnivet. Più arte che si fosse adoprata in que- sto doppio colloquio, avrebbero. fatto tutti e due mi- glior gioco. Ma Francesco , rappacificato da La-Tremouil- le, si riconcilia' con l'ammiraglio, e pattuiscono tutti e due di rinunziare a Glarice. Questa scena potrebb’ essere |} io credo, molto migliore. Intanto , gran feste a Milano : ‘ L* unico pensiero in tante serie occasioni e necessità di pensare , era quello di divertirsi ,,. Una scena bene strana , e affatto episodica, ci trasporta in casa :di Eleonora, dove il marchesino Roberto introdu- ce due promessi sposi, un goffo militare e una giovane ch’ egli ‘il marchesino, in secreto vagheggia, e che poi spo. serà. Io consiglierei l’A..a levar via tutt’intero quel dia- logo , sebbene sparso di qualche tratto felice. — ‘* Vedete queste dne personcine? Domani si appaiano. — Claudia, a queste parole non so bene se arrossisse alquanto; ma certo diede un sogghigno, e abbassò leziosamente il capo; mentre il capitano nicchiò la sua grossa testa tra le spal- le, allargò le braccia, e a quest’atto trivialissimo ag- giunse le sciocche parole; che volete fare? — I nostri antichi, le cui usanze ( fattone malamente un fascio ) la moderna civiltà ha riconosciute per goffe , non aveano il benefizio di seggiole così leggeri da poter barcollare sopra di esse , o far con esse qualche passeggetto per la camera, a scanso di mattana. Un seggiolone di que’tempi era mas- siccio quanto una moderna cassapanca. Gli spedienti d’al- lora dovevan esser dunque palpeggiare le gran bottoniere, e delineare scorrendo con l’ indice i labirintei ricami de- gli abiti ,,. Francesco intanto ordina un sontuoso torneo, che l’au- tore non vuol descrivere per non annoiare i lettori. E fa benissimo: c'è anche un’altra ragione perchè i romanzieri e 1 poeti moderni non abbiano più a descrivere tornei , guerre de’ tempi romani o del medio evo, e simili cose : ed è, che non le hanno vedute ; non le posson dipingere 55 che rubacchiando in qua e in là, e rubacchiando con più o men d’artifizio, ma sempre ‘male. ‘ Cotali cose, ‘sog- giunge l’A., non hanno. più nulla di ‘gustoso a’ nostri giorni: del che , a mio sentire, (e non voglio dir de' tor- nei), non abbiamo cagione di lodarci. A que’ solazzi dei padri nostri tutte le arti belle accorrevano a gara e non isdegnavano di metterci mano uomini di somma vaglia , un Vinci, un Michelangelo, un Leone Aretino, un Tri- bolo, e mille altri, Oggidì . . . corre beata la gioventù a tempestarsi di coriandoli (allude a uno strano uso carne- .valeseo in Milano ), a mirare statue che respirano cari- che d’ ornamenti e di stolta ambizione : e si compiace og- gidì la gioventù, in una calca d’ogui razza, degli urti e punzecchiamenti notturni, Oggidì il savio non prende parte alle cittadine allegrezze : poichè , quale allettamento sarà mai a chi ama patria e virtù, vedere unica ricchezza della patria l’ oro , unica virtù scialacquarlo ? Gradevole torna veder negli onesti diletti l'ingegno; poichè , quanto sarà poi nelle severe azioni ? ,, La festa da Francesco ordinata era una rappresenta- zione simbolica tratta da un quadro di Apelle, e rianimata poi dal pennello del Sanzio. ‘* Un re fornito di lunghis- sime orecchie: gli siedono allato l’ignoranza e il sospetto: procede la calunnia lisciatamente adorna e di spiacevole aspetto , strascinandosi dietro l’ innocenza. Faceva il pas- so a quella fiera donna un brutto ceffo d’ uomo , a cui gli occhi quasi schizzavano da livide e tisiche guance : e simboleggiava il livore. A corteggio della calunnia eranvi due altre donne , l’invidia e l’adulazione. Ma supraggiun- se la verità, fugò i nemici, e abbracciò l’ innocenza. Per ultimo, fu veduto in abito cencioso, sucido, e bigio, il Pen- timento. — Bello fu che un monarca mirasse rappresen- tazione cotale: bello fu che tutti i cittadini n’avessero dilet- to, e la commendassero.,, Ritorna Francesco al suo regno, e lascia governatore Lautrech. Eleonora si ritira con Clarice alla campagna: Isi- doro per distrarle, consiglia loro una gita al mon'e di Va- 56 rese le sorprénde il mal tempo per via, e si rifugiano in casa di certo Eduardo , signore. incognito. La breve descri- zione del viaggio, e l’ entrata nell’ ospizio di quest’ nomo ci parve una delle più poetiche parti del romanzo; Poeti- co chiamerei anche il fortuito incontro di quel cappucci- no: a cui Clarice confida l’ amor suo, se la confidenza fosse un po’ più modesta, e se non istesse Edoatdo quasi ap- piattato ad udirla. Il meglio si è che la madre senza molto pensarci , offre all’ ospite appena conosciuto, Clarice in isposa , ed egli già consapevole del secreto amor suo, se ne ‘protesta non «degno. Tornano le due donne a Milano. Quì è una soena d’ episodio d’una donna tormentata per maga. La descri- zione ha de’buoni tocchi, ma è troppo episodica. I francesi son cacciati di Milano, ed escon d’Ita- lia; Clarice segue con l’affetto il suo Bonnivet. — L' at- tentato d’ un Bonifazio Visconti sulla persuna del duca Francesco Sforza, irrita il popolo contro tutti i Visconti. Prospero Colonna, quel celebre capitano che ognun sa, ma uomo insieme corrottissimo , salva dal pericolo Eleono- ra e Clarice, e ottuagenario com’è, ed ammogliato, se ne innamora ; fa la sua dichiarazione ; è respinto ; giura ven- detta. La madre, per sottrarre Clarice a novelli pericoli, l’ offre con singolare bontà ad Eduardo di nuovo. Eduar- do... . si vedrà quel ch’egli risolva: ma intanto il Colon- na irritato, si vendica col consigliare al duca di pigliar Cla- rice per, moglie : ve lo induce, e si fa paraninfo. Eleonora chiede tempo a pensare. Bonnivet da una lettera d’ incognito è chiamato. in Italia a un colloquio del quale è fissato il luogo, il gior- no, e l'ora, Bonnivet, con esemplare docilità, passa 1’Al- pi... ma prima che le passi, una zuffa l' attende, in cui egli deve salvar dalle mani di due rapitori venduti la figlia d'un vecchio montanaro. Questi, per ricompensa lo trattiene per un giorno lassù; ed egli, nonostante il desi- derio di arrivare in tempo al desiderato colloquio, si fer- ma a sentire la storia d'un giovane francese , il quale in 57 riconoscenza dell’ ospitalità lassù ricevuta, donò al vecchio il proprio ritratto, e raccontò le proprie avventure. L’in- verisimiglianza di queste circostanze non toglie che la zuf- fa di Bonnivet co' due ribaldi ‘non sia dipinta con tratti franchi e felici. Il giovinotto insomma del quale il ritratto è restato in cima all’Alpi a disinganno de’giovani scape- strati che passassero di lassù, era un tale che lasciata la casa paterna e la donzella promessagli sposa, n’audò a Parigi, si vide ridotto alla vergogna e alla miseria, tornò pentito , trovò i genitori già morti, una buona eredità ; e venne a stabilirsi in Italia. In Italia! Un incognito ! — Bonnivet col ritratto alla mano, va al luogo dell’ appun- tamento , e riconosce che lo scapestrato francese e il ricco Edoardo non eran ch’ uno. Edoardo lo fece apposta venire di Fiancia , per dirgli che gli cedeva Clarice. Bonnivet corre a Milano, scavalca un muro, si presenta a Clarice che stava sonando ; e le dice : ‘“ io non chiedea che di ve- dervi: domani sarò quì a più agio,,, — La madre risà da Clarice ogni cosa ; vede il Colonna ; gli comunica il fatto ; gli dà licenza di riparare all’offesa: il Colouna dà l’ordi- ne di chiudere in carcere Bonnivet. Isidoro , il buon domestico, muore. La scena tra que- sto vecchio amoroso, e la madre, a noi parve morale, pve- tica, e bella. Ma già Clarice è duchessa. La madre, nello staccarsi da lei, le dà i suoi consigli; ed è questo forse uno de’più bei passi del libro. — Bonnivet, fuguito con destrezza di mano a’ suoi nemici, si presenta ben tosto con l’armata francese , assediator di Milano. Il Morone, vuol profittare dell’amor di Clarice, e la consiglia a dargli un menzognero appuntamento per trarlo ne’ lacci. Clarice , in quella vece , dichiara in un foglio a Bonnivet, ch’ ella ormai non deve più pensare al passato. Il Morone fa contraffar la scrittu- ra; e manda la falsa lettera a Bonnivet. L’ ammiraglio è corbellato, ma non cade nelle mani nemiche, come s1 do- veva aspettare, Muore il Colonna ; gli succede nel posto Carlo Lanoia, * T. XXXV. Settembre. 8 58 bravo militare, ma burbero e barbaro. Anch’egli (e que- sto è, a dir vero, un po’ troppo !) s innamora a morte di Clarice, della moglie del Duca. Quel goffo capitano , di cui s'è parlato già, è il malvagio consiglier del Lanoia : e consigliere del goffo capitano è un altro goffissimo per- sonaggio , a cui l"antore mette in bocca non il toscano di Camaldoli , ma il toscano del trecento , il toscano del padre Cesari: modo veramente nuovo di dar la berta ai toscani, Il Lanoia propone a Clarice o di cedere alle sue vo- glie , o di lasciarsi accusare per traditrice , in forza di certi fogli di scrittura contraffatta al modo della prima lettera a Bonnivet. Clarice resiste; è disonorata agli occhi del duca, Vanno ambedue al castello di Trezzo ; ma vivono separa- ti : il marito non degna più parlare a quella tradita in- nocente. E quì un rincontro sull’ Adda , una delle più poe- tiche e originali situazioni che si possono desiderare in romanzo. La fine è la morte di Clarice , avvelenata per ordine del duca geloso; e la morte di Bonnivet, che ver- gognoso d° aver consigliata a Francesco una spedizione sì mal riuscita, sì getta disperato nel folto della mischia, e perisce. La poesia della storia , la dignità de’ caratteri, la ve- rità e la convenienza del dialogo, la naturalezza dello sti- le, l’ opportunità delle considerazioni morali , e delle sce- ne episodiche, son pregi, è vero, che il ch, A. deve inge- gnarsi d'acquistare con gli anni; ma Ja finezza di corte 08- servazioni, la novità di certe vedute, la vivezza di certe pitture, la poesia di certe situazioni, poesia che ne’roman- zi anche più famosi è rarissima, e che è tutt’altro da quel che si dice interesse drammatico , o dalla minuziosa ric- chezza di certe descrizioni , son pregi nel giovine autore ormai degni di stima, e di lode viva e sincera. REMY. da 59 Introduzione alla filosofia dell’ affetto di ALronso Tesra Piacentino. Piacenza 1829. La filosofia dell’ affetto a mente del nostro autore con- siste nel conoscere l’origine ed il natural procedimento delle umane passioni onde tessere la storia de’ motivi delle azio- ni degli uomini. Questa parte importantissima delle mo- rali discipline, nella quale furono eccellenti tutti coloro ch’ebber fama di conoscitori profondi del cuore umano, re- putasi necessaria ai politici non meno che ai moralisti, pe- rocchè senza la cognizione del subietto che si vuol rego- lare, non sembra possibile presiedere al governo delle azio- ni umane con provvedimenti che giungan sempre accomo- dati al bisogno, Per la qual cosa, mentre a seconda de’tempi vediamo or crescere ora scemare la fama de’filosofi che di- sputarono astrattamente del diritto e dell’onesto dettando ipotesi di gius naturale, o figurando in idea un ottimo stato di repubblica, osserviamo d’ altra parte star sempre fermo il giudizio de’ savi in lode di coloro che furono acu- tissimi nel penetrare i più segreti nascondigli del cuore, e lasciarono a noi documenti perpetui intorno alle cagioni delle virtù e delle debolezze degli uomini. Egli è in vero da confessare alcuni di cotesti osservatori sottilissimi essere stati messi in mala voce d’immoralità , perchè ragionando de’ mezzi non discussero la legittimità de’ fini, e conside- rando la morale e la politica unicamente come arti di in- dirizzar gli uomini ad un fine, secondo la diversità dello scopo proposero mezzi diversi , laudando egualmente le pra- tiche oneste e le tristissime sol perchè riuscivano. all’ in- tendimento desiderato. Ma lasciando pure da parte la di- scussione intorno alla rettitudine delle intenzioni del Ma- chiavelli e di quanti altri politici italiani andaron soggetti, a siffatte accuse; dirò sempre che le loro opere, conferendo non poco alla vera cognizione dell’ uomo, sono e posson diventare di maggiore utile morale e politico , delle stesse opere d’ intenzioni forse migliori, che presero a trattare dommaticamente del fine legittimo delle azioni degli uo- 60 È mini. Perocchè ella è cosa a senso mio da porsi fuori di dubbio che senza cognizione del subietto e de’ mezzi .il ragionare del fine è inutile, anzi direi quasi dannoso, per- chè o si generano desiderii non proporzionati al potere, o si separa sempre più la teorica speculativa dalla pratica del vivere, due cose per le quali si accresce notabilmente l’umana infelicità } e si disperdon delle forze morali che potrebbero essere utilmente adoperate. Ma.vi è di più. La storia delle opinioni dimostra come nella dottrina de’ fini o abbiamo tante disparate sentenze quanti sono gli nomini che riflettono e che ragionano , talchè sia impossibile ot- tener mai quell’ assentimento comune necessario a ridurre una dottrina all’ utile civile, o pure bisogna fermarsi nel punto in ché tutti convengono, vale a dire esser fine delle discipline regolatrici degli uomini, indirizzarli a quel mag- gior grado di comune felicità che secondo i mezzi dell'uma- na natura sembra potersi ottenere. La qual dottrina non può ridnrsi all'atto senza una cognizione profonda di tutti i fatti della storia morale dell’ nomo. Difatti la sola storia del sentire può indicare quali sieno le cognizioni volute a procurarci una qualche beatitudine, come ci mostra le cagioni perchè gli uomini.sono naturalmente in guerra tra loro, ed i mezzi di stabilire una conciliazione che accor- di gli interessi e però le volontà naturalmente nemiche. Dalla stessa cognizione de’ fatti morali della scienza del- l’uomo si attingono i lumi onde determinare quello che deve fare la forza sociale a contener gli uomini nella via che può condurre la comune felicità; e quello che deve esser permesso al privato arbitrio alla morale privata ed alla domestica istituzione, Così dallo studio de’ fatti de- riva la cognizione de’ diritti, col vantaggio notevolissimo che illuminandosi gli uomini sui propri interessi sui modi di provvedervi e sugli ostacoli che vi repugnano , si ren- de facile 1° accordo, sendo difficile che il bene conosciuto non sia eziandio potentemente voluto , laddove prendendo a trattare le questioni del diritto secondo le ipotesi meta - fisiche, si mantiene quella soverchia divisione di sentenze che rende impotenti i Jomi, e si alimenta l’ intolleranza. 61 Difatti quanto è facile trovar modo di transigere nelle qui- stioni di volontà, altrettanto è difficile per non. dire im- possibile modificare a seconda de’ bisogni le opinioni astratte intorno all’ assoluto vero delle cose , le quali anzichè dal- l’ analisi de’ bisogni traggono origine da quella che chiamasi pura ragione. Questi vantaggi della filosofia del sentire paragonata alla pretesa filosofia @ priori ci fanno risuardare con grato animo un’opera intorno agli affetti, che viene ad arricchi- re il patrimonio di una filosofia resa ‘tanto fruttuosa ai dì nostri da Bentham. Il volume che' abbiamo sott’ occhio non è altro che } introduzione dell’ opera che l’A. disegna con- durre a compimento , ma ci pare che basti a dar ‘ragione di concepire buone speranze. Noi non potremmo scendere ad esaminarne i particolari senza impegnarci in lunghe e noiose discussioni, dove per avventura o non fossimo del parere dell’ autore, 0 deside- rassimo un diverso modo di esporre la dottrina. Ma re- putiamo dell’ uffizio nostro il recarne in mezzo alcuni brani valevoli a giustificare i nostri elogi e ad a metter negli animi de’ lettori le stesse nostre speranze. Adunque; poichè al presente molti scrittori intenti più a far mostra di squisito sentire per averne lode di affet- tuosi , che a giovare coi loro scritti sponendo i risultamenti di una sincera ricerca del vero con quella ‘semplicità che tanto si addice alle trattazioni filosofiche, antepongono al rigore del raziocinio gli ornamenti come che vieti della rettorica, o i delirii dell’ immaginativa ;, importa assaissi- mo por sott’ occhio de’lettori gli squarci. dell’ opera ,. nei quali l’autor nostro professa volerseue stare al fatto, e ra- gionare degli uomini quali sono , e mon come per avven- tura si potrebbero desiderare. Ottimo divisamento , peroc- chè la morale e la politica non possono mutare la natura, ma devon conoscerla per seguirla, e per indirizzar l’uomo a quel maggior bene che, coi mezzi de’quali è naturalmente fornito , gli è dato a raggiungere. Noi dobbiamo aver sentito (son parole dell'A.) quello che ci val- gono le nostre forze; è il frutto più prezioso che si raccolga studian- 62 do nell’umano spirito. Non saremo dunque di coloro; i quali put dicendo: questa cosa è incomprensibile, ci stampano dei volumi per ispiegarla. Non cercheremo le primitive cagioni che costituiscono 1’ esistenza dell’essere animato; ma ci atterremo semplicemente e scrupolosamente ai fatti del nostro sentire , ed alle osservazioni. Qual sia per uscirne 1’ uomo, lo si vedrà. Ho letto, che i Siamesi si anneriscono i denti f perchè credono non essere dicevole all’ uo- mo lo averli bianchi, siccome le bestie. Ecco un popolo che non si reca a coscienza il farsi correttore della Natura; così fossero soli, e non avessimo anche tra noi de’Filosofi Siamesi. Io mi guar- derò dal correggere la Natura: analizzatore esatto, per quanto il sa- prò, de’fatti suoi, o bello © brutto, l’uomo sarà sempre per me rap- presentato quale mi è parso ch’ ei fosse. Chè non è pensier mio gratificare ad alcuno, ma pure intendere al vero , ritraendo le condizioni di nostra natura. Forse cercandone s’abbatteremo a risultamenti opposti ad opinioni accarezzate ; ma per questo non ristaremo. Chi vorrà spegnere il Sole , perchè vi sono di tali che non possono comportarne lo splendore ? No, niuna cupidigia , niuna stolida riverenza, o sciocca superstizione torceranno i no- stri passi. Qui si tratta di sentirci, e a questo come ci giove- rebbero i pensamenti altrui, che chiamansi autorità ? Si consul- tano forse i libri a sapere se lo zuccaro è dolce, e 1’ assensio amaro ? Sono veramente .a. compiagnere gli uomini allora che , la Natura è niente per loro , s’.altri non ne gli avverte. Sentiamo adunque com’ ella ci tocca, se vogliamo istruirci , discendiamo nel nostro cuore , raccogliamovi i tratti che improntano l’ essere nostro ;, e devono servire di base all’ ordine morale; dico quei sentimenti , ai quali la Provvidenza diede a guardare le più im- portanti verità, mal soccorse dalle dialettiche arguzie. Però prima d’ impegnarci in queste investigazioni diamo un’ occhiata ai mezzi che possediamo , onde arrivare a questa scienza , e sappiamo in- nanzi tratto sin dove, e come vi potremo giugnere. (p. 19-20). Quanta fiducia ispiri questa protesta io non potrei dirlo con parole , ma spero lo argomenteranno i lettori rilevan- do da quella come l’autor nostro , allevato alla scuola di Loke e di Condillac (de’ quali scrittori parla sempre colla dovuta riverenza), non lasciandosi vincere dalla moda , s mantenga fermo nella filosofia dell’esperienza, che sola a senso nostro può riuscire ad un fine utile alla società. Tuttavia se le parole che abbiamo già riferite non bastas- sero a dar piena sicurezza, toglierà certo ogni dubbio il 63 vasso che siam per recare , e che sembra scritto appunto per coloro che vanno lambiccandosi il cervello per scioglier problemi insolubili; nè sanno adattarsi a quel prudente scetticismo tanto confaciente ad un secolo, il quale riuni- sce il doppio vantaggio di conoscere la successione degli errori che han tormentate le menti degli uomini, e d’ave- re argomenti da occupare l’ umana ragione più utili e più serii della metafisica trascendente, O Filosofi, voi vi credete savi; ( avvertano i lettori che queste son parole dell’autore) ed io devo intanto somigliar- vi al fanciullino, che cerca l’oggetto dietro lo specchio. Al di là dei modi che proviamo, v’ ha egli qualche cosa che pos- siamo conoscere? Sì, veramente: sonvi tutte le chimere , che hanno disonorato la Metafisica. Non cerchiamo dunque di voler penetrare codesta forza, la cui azione ci fa provare ciò’ che di- ciamo affezioni morali, e domina altamente sulla nostra vita. Ella esiste, però ch’ è manifestamente voluta dai fatti ; e tanto ‘ci deve bastare: che vorremmo noi saperne di più ? Conosciamo meglio tutte le altre forze che supponiamo ai moltiferi fenomeni » che ci stanno d’intorno ? Non è anzi in Natura ogni cosa coper- to e chiuso per chi pensa ? La vegetazione del Lichene ; quella d’ un’ erbuccia che scalpitiamo , non è meno misteriosa del più sublime sentimento del cuore umano. E senza uscire fuori di noi, l’ineffabile magistero della vita nostra non ci mostra egli solo fenomeni numerosi , e inesplicabili a tale che la Fisiologia stu- diata da pensatore , come lo si deve, ci rende strani ad ogni altra meraviglia ? Nè per simile cagione dobbiamo perderci d’ ani- mo. Il saper d’ignorare è una scienza anch’ essa ; ed è quella dei Saggi, ai quali sono le cose astruse. Confessiamo dunque d’ignorare che cosa sia sostanza, forza , impulso; confessiamo che una sola molecola è per noi un grande abisso » che non ha fondo. Non però quest’ ignoranza c’ impedirà di ragionare degli effetti. E la vera scienza nostra è appunto quella dei fatti, i quali sono risultamenti moltiformi di ciò che chiamiamo po- tenze e forze della Natura. Sarebbe pur bella la scienza delle cagioni , quella de’ le- gami che esistono tra i fatti, quella del vincolo de’ fenomeni che si succedono. Ma questa scienza dove s’ impara P_Ella è quel vero che è caduto nel pozzo da tempo immemorabile. Noi ve- diamo le cose venire le une appresso ‘le altre; ne sappiamo noi di più? Noi v’ intendiamo così poco: che quando pure l’ ordinè 64 attuale .venisse sconvolto ,. mon avremmo altro ad ‘opporre ; che la sperienza nostra passata. Il sasso lanciato ;, cadeva a terra, ora stassi sospeso nell’ aria. Ecco tutto. Se noi conoscessimo le cagioni, quell’ intimo ingegno, che adopera tutto ciò che una cosa è, e donde sono le relazioni che ci si manifestano , e le infinite che non conosciamo 3 staremmo contenti a questa osservazione, 0 non vedremmo piuttosto là dentro, perchè innanzi cadeva, ed ora non debba cadere? Ma noi non conosciamo alcun fatto per averlo veduto nelle sue cagioni. I rapporti che chiamiamo di cause e. di effetti non ci sono indicati che dalla maniera costan- te delle precedenze e delle successioni dei fenomeni. Siamo noi ben fondati ragionando in questo modo? Lo siamo abbastanza per soccorere alle necessità della vita. L’interna struttura delle cose , e le intime forze ci sono ignote: un corpo non è per noi che la collezione delle qualità, che ci si manifestano pel mezzo dei sensi; la mente è ciò che in noi pensa. Lasciamo . dunque ogni sterile contemplazione della nostra essenza ; e del come de- gli interni modi che proviamo. La vita è un arcano; moi ne ignoriamo il cominciamento e la continuazione. All’ uomo è negato di conoscersi a fondo, epperò siamo contenti a ciò che sentiamo , occupiamoci dei risultamenti delle nostre facoltà, rac- cogliamo i fatti, vediamo l’ordine e la concatenazione; e non valendo a conoscere le prime cagioni, analizziamone gli effetti, e caviamone quelle conseguenze che ci possono essere utili ve- ramente. Soprattutto procuriamo d’intenderci bene: è questo il primo dovere di chi si fa a significare i proprii concetti; e il voglio quì ricordato , ov’è discorso delle cagioni, perciocchè in | tali ricerche molto si vaneggiò ; e di grossi volumi fummo regalati, che non istarebbero ora inutil peso negli scaffali, se i loro autori avessero innanzi procacciato d’intendere sè stessi. Ma non par- liamo di loro, chè spiacevole assai è la troppo lunga infanzia del senno umano. E pensiamo piuttosto che noi, i quali siamo venuti in tempi più avventurosi per le scienze, non abbiamo più scusa , se, dopo le fortunate prove che ci chiarirono l’ ori- gine delle nostre idee, venissimo ad impegnarci in ricerche im- possibili. Sì al certo noi siamo obbligati ad apprezzare con mag- giore aggiustatezza i mezzi che abbiamo per conoscere , e sapere dove non possiamo aggiugnere. Chè ella è grande vergogna lo smarrirsi in vane chimere , ed è argomento non dubbio di somma stolidezza l’ accontentarsene. (p. 45-48). Dimostrato come l’ A. sappia starsene contento ne’con- 65 fini prescritti dalla natura all’ umano intendere , egli è da sapere di quali soccorsi si giovi onde venire in chiaro dei fatti e trovarne il natural legamento, Come noi dicevamo di sopra eccellentissimi uomini ci hanno lasciate osserva- zioni profonde, e la storia e le particolari biografie ci for» niscono esempi valevoli a compiovare siffatte osservazioni ; ma ridurre le osservazioni particolari all’ unità scientifica, trarne delle regole generali per una sicura applicazione ai diversi bisogni del governo delle azioni umane, questa è parte che rimane propria dell’ autore; a compire la quale non basta il voler mettere a profitto i risultamenti delle altrui fatiche, che sarebbe un accrescere inutilmente il nu- mero degli zibaldoni , ma e’conviene ritrovar da sè l’ori- gine , e la dipendenza delle passioni , misurarne da sè la forza , e con siffatto metodo giungendo all’ istesse conclu- sioni che i sommi politici trovarono per la somma espe- rienza, coglierne il vero senso , ridurle a tutta l’utilità di che sono capaci, trovar finalmente il lesame che le uni- sce e comporre la scienza. Tenendo altra via l’aver de’ pre - decessori anzichè giovare nuoce assaissimo ; perchè ci con. duce ad ammettere degli assiomi, de’quali non conoscendo noi pienamente la ragione, non possiamo neppure aver compresa la forza logica , sicchè si riducono nelle nostre mani strumenti inutili quando non sono nocivi. Così in questa come nelle altre parti delle scienze morali è manifesto che a voler bene imparare , convien sempre ser- virsi di quel metodo che ci fa ad un tempo trovatori e discepo- li, e conducendoci alla verità per la strada colla quale vi si dovette giungere la prima volta, opera l’efletto che al cono- scerla ce ne facciamo talmente padroni da vestirla di quelle forme che meglio si confanno al nostro ingegno, e da poter- la riconoscere sotto qualunque veste si riproduca. Questo metodo è precisamente l’ opposto di quello che si suole usare insegnando, e però non è maraviglia se a molti vien fastidioso lo studio , e se tanti altri dimenticano presto le cose imparate. S° insegna come il padrone comanderebbe allo schiavo, imponendo al misero discepolo la necessità T. XXXV. Settembre. 9 66 Ai tener a memoria delle regoluccie, delle definizioni , e delle distinzioni spesso superflue, sempre. fuori di luogo, laddove maestro e discepolo si dovrebbero tenere per mano ed andare insieme trovando i principii e componendo la scienza; sicchè rimanesse fra loro questa sola differenza, che il maestro dotto negli errori onde sì spesso fu traviata l’uma- na ragione avvertisse gli scogli , appianasse la via affine che il discepolo potesse in breve percorrere quello stadio a correre il quale son voluti tanti secoli al genere uma- no. Oggi si suol far diversamente; tuttavia e’sono bene ot- tanta anni che si predica il contrario, Ma il predicare che giova , se prima nelle opere stampate non viene adottato il metodo che si vorrebbe eziandio seguito nell’ insegnare ? Pervechè si ha un bel.dire, ma la riforma dell’ insegna- mento lungi dall’ esser cosa agevole a farsi si stima quasi impossibile , finchè nella generazione d’onde si hanno da prendere i maestri, non sono già moltissimi che abbiano studiato con buon metodo e possan dirsi a ragione proprie- tarii della scienza che possiedono. Però notando i difetti che sono al presente nel comun modo d’insegnare non intendo accennare alcuno speciale stabilimento nè imputare cosa alcuna a difetto de’ presenti istitutori (se avessi inteso a questo mi sarei valso di mo- di più rimessi), ma bensì di porre in miglior vista i pre- gii del libro che ho fra mano, il quale mi par condotto col metodo desiderato. Dio voglia che le opere didascaliche si riducan poco a poco a questa forma, e sarà pur forza ai maestri abbandonare affatto le miserie scolastiche per se: guire la via piana e ragionevole, se pure non preferiscono di esser beffeggiati e derisi senza che alcuna protezione ba- sti a salvarli dal meritato disprezzo. Volendo pertanto il nostro autore condurre per mano i suoi discepoli a rintracciare la storia degli affetti , si prende per principale guida il proprio sentire , poichè questo solo può dare vita. ai fatti della storia. morale dell’uomo, Tuttavia questo istesso metodo facilmente con- duce in errore , dove una. fredda. ragione non sottometta al rigore dell’ analisi i sentimenti nostri presenti, come 67 quelli che cì figuriamo in altrui, o ricordiamo avere pro- vato ‘e che la forza dell’immaginativa ci rappresenta come se fossero e nostri ed attuali. Però quanto il filosofo del- l) affetto abbisogna di squisito sentire , e di forte immagi- nativa per considerare il momento della passione, altret- tanto ‘ha necessaria tal padronanza di sè da non lasciarsi trascinare a precipitati giudizi. La suna ragione si trova in mezzo a delle torze che sono in lotta fra loro, ad ognuna delle quali deve procurare quella massima libertà d’agire che si può concedere senza soverchiare 1’ altre . Può forse al momento della meditazione lasciar libere di freno ora le simpatie ed ora V’imaginazione; ma poi chiamando a ras- segna i risultamenti di questi diversi esami parziali, deve con freddo esame trovare la verità, Così nell’animo del fi- losofo devon trattarsi con calore le parti degli avvocati, si deve proferire per fredda ragione la sentenza del giu- dice. Ma quanto sia difficile unire ad un tempo queste parti ognuno può facilmente estrmarlo. L° esperienza della vita, il conoscer casi di molte persone, l’esser versato ne- gli affari, l’assidua lezione delle storie danno alla ragione la forza di resistere alla violenza dell’ immaginativa e del- l’affetto, per poter penetrare a dentro i misteri del sen- tire. Parimente la cognizione di quanto è stato detto ed osservato finora intorno agli affetti, perocchè fornisce al fi - losofo tanti punti di quistione da esaminare, serve non poco a trattenere la precipitazione dei giudizi, e la ma. nia dell'ipotesi, che sono i difetti logici per cui sogliono spesso cadere coloro che fidando al tutto nel sentir pro- prio , e nélla propria immaginativa, si figurarono poter da sè soli fare in opera di scienza quello che è costato tanta fatica al genere umano, Poichè nell’opera da noi esaminata manca la parte delle applicazioni, noi non possiamo dire ancora qual uso l’A. abbia fatto dei naturali sussidii della scienza, e qual sia il pre- ciso valore che assegna alla guida del sentire. Ma quel tuo- no di saviezza che > Sora va in tutta l’ opera dà luogo a sperare ogni bene. Per ultimo non è da passare in silenzio aver procu- 68 rato l’autore di dettar l’opera sua in purgato stile italia- no, lasciando tuttavia da parte gli archaismi e le durez- ze. Nel che se parrà ad alcuno la mano non aver sempre secondato il volere, crediamo che tutti gli sapranno gra- do del buon proponimento. Francesco Furti. .r._—_————rrr—r—r—r—"* rr. PP ———_—_—_——mÈ1—_——__+__—__________—_r—_————_———_—_—_—_————_ ò Lettera terza intorno a’ Codici del marchese Lurcr Tempt. L’ autore delle famose lettere di Giunio , critica severa, co- me sapete , del ministero di lord North e del duca di Grafton, anzi di tutti i cattivi ministeri passati e futuri, scrisse fra il 772 e il 779, e consegnando il suo scritto al Public Advertiser mise gran curiosità di sapere il suo nome in tutta 1° Inghilterra. Pure il suo nome; dopo ricerche e congetture senza fine , è ancora un mistero , chè la sentenza di Brunet, il quale attribuisce le lettere a Boyd, non sembra punto definitiva. E la disperazione, io penso, ha dato credito alla novelletta , ch’ essendo quel nome >stato confidato in gran segreto ‘a quattro segretissime persone , 1’ una delle quali ancor vive, quando anch’ ella andrà a rag- giugnere chi lo portò in questo mondo , lo troveremo alfine nel sno testamento. L’ autore del trattato inedito della Repubblica Fiorentina , il Giunio, starei per dire, de’ primi tempi medicei, scrisse , come già intendeste , verso il 538, non consegnò a nes- sun pubblico avvertitore il suo scritto , lo nascose forse gelosa- mente, per non accrescersi, ovunque allor vivesse , i pericoli ; e voi volete ch’io oggi, prima ancora d’avere scoperto ; se di que- sto suo scritto ci rimanga altro che i capitoli da me veduti, vi sappia dire com’ egli si chiamò ? Chi potesse scorrere da, capo a fondo quella Storia degli Scrittori Fiorentini del Negri colle po- stille manoscritte del Gori, ch’ io mi sono pur tenuta dinanzi qualche oretta nella Marucelliana ; chi potesse rifrugar ben bene ia Biblioteca volante del Cinelli con que’ sei o sette volumi d’ag- giunte fatte ad esse dal Biscioni, che rimangono inediti nella Magliabechiana , forse vi troverebbe qualche filo, per condursi alla meglio nel labirinto delle supposizioni. Ma io , lo vedete da voi; per ora ho altre faccende. Quindi ; lasciando ‘in pace l’ano- nimo e il suo trattato , di cui parmi aver mostrato abbastanza s’ io tengo conto, vengo ai frammenti del Varchi; i quali for- ‘ 69 mano la terza ed ultima parte del codice s di cui presi; a par- larvi, e mi daranno occasione di parlar oggi anche d’un secondo. Parecchi di essi appartengono all’ undecimo libro della Sto- ria Fiorentina ; alcuni pochi al decimoterzo ; altri pochi al deci- moquarto ; alquanti più al quindicesimo , ed alcuni al seguente ch’ è l’ultimo. Tutti sono dell’ istessa mano , che copiò il proe- mio e il frammento del primo libro , di cui vi dissi nella mia prima lettera. Tutti, confrontati colla stampa ; sia con quella di Colonia cioè d’ Augusta fatta nel 1721, e seguita poi dalla mi- lanese del 1803, sia con quella di Leida senz’ anno, ma che sappiamo essere del 1723, e per la quale fu adoperato un testo diverso che per la prima, danno qualche piccola variante. Uno anche la dà non piccola ; e persuaso di farvi piacere fra poco ve lo trascriverò. Ma prima è necessario ch’ io vi dica qual sia la loro auto- rità. E, per dirvelo in modo sodisfacente, mi viene opportunis- simo quel secundo codice, di cui vi facea motto pocanzi. Anch'esso è cartaceo e in foglio, ha 98 pagine, tre delle quali non scritte, ed è tutto di mano del Varchi, di che fa fede a chi non potesse chiarirsene per altri confronti una lettera autografa del Varchi medesimo a Iacopo Vettori, la quale vi è inserita . Esso è dal Varchi, a principio della 7 pagina , ove cominciano i frammenti, pe quali or ve ne parlo, intitolato libraccio, e porta scritto per traverso sull’ ultima cose seguite nel 29 e nel 30. Con- tiene primieramente una specie di prologo , il quale ora si rife- rirebbe alla più lunga parte del libro nono, alla “ digressione , cioè, intorno il sito, entrate, costumi e dominio di Firenze ,,; ma che pur giustifica il titolo pocanzi indicato. Poichè , dopo al- quante parole , contormi ia parte al principio della digressione già detta , qual si legge in istampa, ma d’onde può inferirsi che tal digressione , secondo il primo concetto dell’ autore, doves- se essere introduzione alla storia, vengono quest’ altre: “ per- chè quest’ opera ricerca assai tempo e diligenza , noi , andandoci preparando , noteremo in su questo libro quanto giornalmente ci occorrerà , per ridurlo poi con più agevolezza a quell’ ordine che ci parrà conveniente, ec. ,,. Al prologo succede un elenco di cose corrispondenti ai. quattro capi della digressione o introdu- zione accennata. Indi, fra quest’ elenco. ed un altro, che s° in- | titola ordine della Storia, ma ove non sono: indicati che, i prin- cipali capi de’ primi sei libri, leggesi questo ricordo ; ripetuto in altri autografi o libracci, che poi nominerò ; onde si vede come il Varchi lo volesse aver sempre dinanzi per norma al suo scri- "o vere: Verità, Prudenza; ‘Gravità, Leggiadria. Poi vengono i frammenti già accennati, i quali appartengono’ tutti al libro un- decimo, 'e il primo de’ quali corrisponde a quel passo, che negl’in- dici della stampa ‘viene ‘intitolato’ caso e valore d’ Anguillotto da Pisa, ; l’ultimo a quello; che; secondo: gl’indici stessi , s’in- titola ‘« «il Ferruccio fatto ammazzare barbaramente dal Mara- maldo ‘,;+ Questi frammenti‘o 'sbozzi ; che vogliam dire , i ‘primi forse ; che il Varchi andasse» giornalmente gettando sulla carta), non ‘sono un'intera metà de? trascritti nel codice più grande. Quel codicey come accenmai ‘nè racchivide di quattro altri libri; e ve- dutà la provenienza di quelli'd’ uno, era naturale il pensare che non l’ avessero dissimile i rimanenti. © HI Moreni mella ‘sua Bibliografia Toscana ci ‘avea detto /'e il Gamba nella sua Serie di testi di lingua ci avea ripetuto, che in un'codite della Lantenziana si trovano cose inedite apparte- nenti alla storia del Varchî ; ed'io doveva affrettarmi a visitare quel codice. Esso non'è molto voluminoso ; ma pure è il doppio dell’ autografo ‘che già vi ho descritto, onde a prima ‘giunta presi speranza di ‘trovarvi ‘assai ‘cose ‘al mio uopo: Vidi però tosto che per buona metà consiste în semplici appunti segnati con tanta frettà ;} che appena vi si raffigura la mano del Varchi, e pel ri- manente in sbozzi di sbozzi ; ‘se così posso esprimermi, alcani spettanti al libro decimo, altri all’undecimo ; fra cui distinsi noù so che intorno alla mortè del Ferruccio già detta, alla presa d’ Empoli , all’iscita di Caterina de’ Medici dalle Murate , alla perfidia di Malatesta ; ec. ‘Tn principio del codice leggesi in un foglio volante in ricordo relativo ad una prima copia della Sto- ria sino al 14librò inclusive, cioè fino a tutto il 1533, un anno più là, che'il Varchi; quando fece il prologo al piccolo auto- grafo, che già si disse; non doveva essersi proposto. Ciò almeno sembra potersi argomentare da queste parole del prologo mede- simo: “ laonde ho' giudicato non solamente utile ma necessario il fare vn libro della Repubblica Fiorentina, cioè del modo e forma del governo di Firenze, comificiando dal suo primo prin- cipio ‘infinio al 1532 , quarido spenta del tutto la libertà e la li- cenza ; se ne fece capo per non dire tiranno Alessandro de’Me= dici , ec. ‘, In quel ricordo, che tiene ‘due pagine $ è detto che i primi otto libri ‘della storia già trascritta sono di mano di Le- lio Bonsi (il'niarratore; se vi rammentate, del Dialogo dell’Ercola- no); gli altri, parte di mano del Bonsi medesimo, parte del Varchi; il qual ciò nota indicando alcune mutazioni fatte e da farsi. Per rinvenire altri autografi più confacenti al bisogno ; io 71 non potei rivolgermi alla Riccardiana , ove, fra tanti codici ur- bani , di cui è doviziosa , già sapeva non esser, nulla di mano del. Varchi, appartenente alla sua storia. Mi volsi quindi al gran- d’ emporio della, Magliabechiana ,, ben pensando che il corso de’ tempi qualche cosa doveva avervi portato di quel ch’io cercava, ma non quanto vi ho trovato. Poichè, per tacere de’ vari auto- grafi di tutta la Storia, qual più moderno, quale non più an- tico d’ altro della Laurenziana , che nel catalogo del Bandini è detto saeculi XVI exeuntis ; per tacere di vari volumi di mate- riali adunati per quella storia, ed ove apparisce di tempo in tempo la mano del Varchi; per tacer finalmente d’ un volume, ove son raccolti frammenti della prima copia della storia , spesso corretti , qualche volta rimutati per intero , un po’ ne’ margini un po’ fra verso e verso, da questa mano instancabile; avvi un gran codice, il qual contiene non solo gli sbozzi di molti de'fram- menti trascritti nel tempiano, ma altri in gran numero. Essi pro- vengono tutti dalla Strozziana, onde passarono alla Magliabechiana tant’ altri manoscritti preziosi ; e il dotto bibliotecario Follini , che li ha ordinati , vi ha pur notato diligentissimamente , con- frontandoli colla stampa : qui la stampa cessa , qui varia , qui ricomincia. Ve l’ ha notato, dico, per quanto potevasi fra tanti pentimenti , ripetizioni, ec., onde gli sbozzi principalmente del primo , nono e decimo libro riescono sì voluminosi. E forse al- cuni ; che si crederebbero supplementi, non sono, propriamente che passi trasposti o per nuova divisione di materie o per mag- gior esattezza cronologica o per altro. Di che ho avuto indizio, quasi al primo aprire il codice, gettandomi , com’ era naturale, sugli sbozzi del primo libro, per la speranza che qualche cosa mi presentassero oltre il noto frammento ch’ è stampato. Al leg- gervi marginalmente in un luogo: quel che. segue manca nella stampa; e al vedere che quel che segue è due volte il fram- mento medesimo , il cuor, mi batteva di contentezza. Ma questa fu di corta durata, poichè dopo una pagina, e mezzo , circa, di materia poco altro che genealogica, mi accorsi d’entrare in quella che forma: oggi il secondo libro, Da tutti insieme gli sbozzi così del primo come degli altri libri si raccoglierebbero, se un’occhiata su- perficiale non m’illude, cose abbastanza pregevoli. Se non che man- cano al codice magliabechiano , oltre gli sbozzi contenuti ne’due piccoli autografi tempiano e laurenziano s. quelli, de’ libri quinto , sesto , settimo ; ottavosle, quattordicesimo , che converrà cercare altrove , forse nella libreria del marchese Rinuccini , il qual ora è in Sassonia. In questa libreria, celebre pel. Dioscoride che an- 72 cora visi conserva, pel Milione di Marco Polo; che credo smar- rito, e per altri manoscritti di gran pregio , so esservi diversi autografi del Varchi, trasportativi, mi si fa supporre; dalla casa Valori con molte scritture inedite degli uomini letterati della casa medesima. Altri suoi autografi so essere nell’ archivio pre- positurale di Montevarchi , intorno ai quali fu letto, non ha guari (dal dott. Cini, se non m'inganno ) un discorso erndito nell’ Accademia Valdarnese. Ov’ oggi sia la copia a penna della sua storia , che i penultimi compilatori del Vocabolario ebbero dal senatore Leonardo Tempi , e gli ultimi dissero trovarsi pres- so i discendenti di quel collega/de’ loro antecessori , lo ignoro . Anche di essa peraltro gioverebbe il tar ricerca a chi imprendesse una nuova edizione della storia già detta. E questa nuova edizione mi par veramente desiderabile. Che autenticità abbiano le due prime, nè io so dirlo, nè altri sa dirlo a me. Quella di Leida , procurata da non so chi, si annuncia nel frontispizio qual copia d’ un testo irrecusabile , poichè tratto dall’originale dell’autore per opera d’un suo consanguineo. L’an- tecedente d’ Augusta , procurata dal cav. Settimanni (a cui dob- biam pure la pubblicazione delle Storie del Segni e del Nerli) non vanta una sì bella provenienza. Nondimeno, come dice il Poggiali citato dal Gamba , essa è di lezione troppo preferibile all’ altra ; benchè l’ altra , al confronto , offra variazioni ed emen- dazioni importanti. Or come mai ciò, ove non si suppongano più originali, l’uno più perfetto in alcune, l’altro in altre parti, dai quali poi, non che forse da molti sbozzi, l’ autore , potendo dare alla sua storia l’ ultima mano, avrebbe tratto quel testo che desiderava lasciare alla posterità? Ciò, che nella posterità può farsi di meglio in vece sua, è di collazionare le più vecchie copie della sua storia con quanto lor corrisponde ne’ suoi auto- grafi che ancor ci rimangono , di formarne un nuovo testo ; e di dare con esso le varianti di maggior riguardo in una nuova edi- zione , che poi serva d’ esemplare alle future. La verità, la prudenza , la gravità, la leggiadria , con cui il Varchi ha scritto, meritan ben che gli si renda un tal ser- vigio. Alla-verità , com’ ei dice nella dedica della sua storia , si sentiva inclinato dalla natura , allettato dall’ uso, sforzato dal dovere. Quindi, come apparisce dalla dedica stessa , egli avea in certo modo pattuito con Cosimo di potere dir tutto liberissima- mente. Se Cosimo 'credè che, narrando le‘cose come furono, oc- culterebbe almeno i propri giudizi o le proprie affezioni , sg’ in- ginnò grandemente. Il Varchi si mostra sempre fedele alla causa, 73 per cui avea militato e' poi' sofferto l’ esilio e la poverta. Ei dice a ‘Cosimo, che l’accarezzava; qualche parola .di complimento: Ma narra; senza ‘cercàr ‘di scusarsene, d’aver fuggito il suo dominio in compagnia del Giannotti a cui si dichiara amicissimo ; non occulta la propria ammirazione per Palla Rucellai, che solo in consiglio si oppose al suo esaltamento 5 mon ha lodi che gli bastino per Andrea Doria; che, potendo insignorirsi della sua patria, preferì di resti. tuirla in libertà; ec: ec. Le lodi del Doria, censura troppo chiara di Cosimo ; sono nel libro settimo, e ‘a me sembrano ancor più notabili di quelle «del Bruto Toscano , che leggonsi nel quindice- simo , e che tutti gli‘apologisti del Varchi han ricordata . Esse doveano bastar sole: a far cadere di mano la penna a chi chiamò il nostro storico un adulatore. E fu quel medesimo , se ben mi ricordo; che quasi gli diè taccia di maligno per que'motivi stessi, probabilmente, che chiamò il buon vecchio Nardi troppo appas- sionato. Altri, per scemargli il vanto di coraggioso , disse che i biasimi da lui dati a Clemente e ad Alessandro non suonavano punto ingrati a Cosimo, il quale essendo d° altra linea sentiva per loro una tacita gelosia. E anche a questa sentenza taluno ha fatto eco; obliando che la causa di Clemente e d’ Alessandro era pur quella di Cosimo ; obliando che Cosimo avea giurato d’ essere il vendicator d’Alessandro. Del resto, se la sentenza era giusta, perchè non notare come ardito ciò che il Varchi, pur nel libro quindicesimo, non esitò a scrivere de’tre concetti ; uti- lissimi allo stato di Firenze, che Alessandro avea nell’animo; e che il successore (come apparisce anche da uno de’ frammenti del De Rossi, di cui vi parlai nella prima lettera ) non si curò punto di mandare ad effetto ? Il qual passo riguardante Alessan- dro , ch’ ei certo non amava , posto al confronto d° altri ben se- veri intorno ad uomini, ch'egli prediligeva, sia suggello a quanto ho detto del suo amore della verità. Imparziale verso gli uomini, ei lo fu tanto più facilmente verso le cose, non dissimulando nè il bene che potè mescolarsi a quelle ch’ ei reputava cattive , nè il male che alterò quelle che il suo intimo convincimento gli fecea proclamar come buone. Dopo tutto ciò, non ho d’uopo di avvertire che la prudenza da lui propostasi, come seconda norma allo scrivere, non è già quella che il volgo intende, l’ arte cioè di simulare o dissimulare se- condo i consigli dell'interesse o della paura. È l’arte d’ indagare i vincoli segreti , le cause , le conseguenze degli avvenimenti ; al qual fine ei sera prescritto un metodo rigoroso, che trovasi T. XXXV. Settembre. 10 74 fra’ suoi autografi , or non mi rammento 4 se nella Magliabechiana: o nella Laurenziana. Senz’ essere propriamente un nomo di stato, egli, voi ben lo sapete, e per l'indole della fiorentina repub- blica ; e pel tempo specialmente in cui ‘visse, è per altre sue particolari circostanze, fu non mediocremente versato fra i pub- blici affari. Questa condizione, opportunissima a saperne il vero, gli giovò pure moltissimo a ben giudicarne. E tanto appena bi- sognava ad nn uomo nudrito come lui nell’antica sapienza , stu- diosissimo della nuova ; che già vecchio andava ancora cercan- do nelle scuole de’ filosofi , e di tanto. acùme d’ingegno , qual lo mostrano sigolarmente alcuni suoi ‘scritti, in uno de’ quali. (il trattato dell’ alchimia) so che un giovane matematico, il quale un giorno sarà forse de’ primi d’ Enropa ; non esita a dire che si trovano vedute degne di Bacone. Noterei particolarmente nella sua storia le sue vedute sui futuri destini d’Italia , se non fos- sero già state notate da altri, e non gli fossero comuni con Dante e con Machiavello. La gravità , quando pure non fosse stata di suo gusto, gli sarebbe stata prescritta dal gusto de’ contemporanei , a cui erano sì familiari gli antichi storici della Grecia e di Roma. Avea pen- sato, anch'io, gli scriveva il Giannotti, di comporre una storia della nostra repubblica dal 27 al 30, e mi era proposto ad esem- plari Tucidide e Salustio. Voi però , avendo per le mani una storia di molti anni, potrete darle altra forma che l’ usata da que’ maestri, ec. Ma egli certamente non volea dire una forma che non fosse classica ; e il Varchi nel suo proemio ha cura di far intendere che studiò particolarmente di conformarsi a Polibio e a Tacito. Di qualunque modo lo abbia fatto ; n’ è provenuta alla sua storia molta gravità e spesso anche troppa, non avendo egli a narrar sempre nè le gesta del Doria, nè la mirabil virtù de’fuorusciti fiorentini, o la loro generosa risposta a Cesare « degna veramente di quegli antichi italiani, ec. ec. » Éi però non le ha ridicolmente sagrificato alcuna delle particolarità che il suo buon giudizio , più ancora che il suo affetto patrio , gli facea riguar- dare come importanti. Queste particolarità furono. tacciate più volte di soverchia. minutezza ; è forse , se si trattasse di storia ineno speciale , l'accusa non sarebbe ingiusta. Dico forse, perchè inclino nu poco a quella sentenza che il Sarpi, cioè il primo de’ nostri storici quanto all’ artifizio , esprime in più luoghi, che ogni storia debb’essere un tutto compito e spiegarsi da sè stessa in ogni sua parte. Nè alle spiegazioni deve dar misura 1’ impa- zienza di chi sa troppo o cura poco di sapere ; altrimenti può avve- ” 759 nire che, anche trattandosi di cose molto note, lascino a chi legge molti desiderii o molte oscurità. Di che ho prova ne’dieci volumi della Storia della francese rivoluzione del Thiers, che ad alcuni, acui bastano i due volumetti del Mignet, potranno parer troppi, ma ad altri sembran meno del bisogno. Checchè sia di ciò, è cer tissimo che in nessuna storia ci è presentata veramente la vita del popolo fiorentino come in quella del Varchi ;. e un tale effetto delle molte particolarità, che vi si narrano, ben compensa la noja delle meno importanti. Fra queste voi ben pensate ch'io non comprendo i ragguagli familiari o di minuta statistica , ad espri- mere i quali, se il Thiers, che pur non fa professione di classica dignità , ebbe d’uopo, com’ ei dichiara , di qualche coraggio, il Varchi 1’ ebbe d’ assai maggiore. È vero che, ove non potè serbare abbastanza la dignità, si fidò almeno di supplirvi colla leggiadria, dote che nessuno de?’ critici gli nega (oltre ciò che dicono di lui il Ginguené , il Sismondi ec. or sono da leggersi i giudizi del nostro Ugoni in un articolo della Biografia Universale) e ch’egli dovea conseguire meglio d’ ogn’ altro. Cultore assiduo della lingua nativa, educato ad ogni più squisita eleganza , ei scriveva di primo getto sì bene; co- m° oggi molti per avventura sarebbero paghi di scrivere a costo di molto studio. Pure, come attestano i suoi autografi , egli an- dava mutando e rimutando con assidua diligenza , volendo forse che quelle doti, che gli mancavano a fronte del Machiavello e del Guicciardini, fossero compensate da un’altra ch’essi non posse- devano. È vero però che tanta diligenza, per la quale il suo stile poco guadagnò di concisione e di forza, non fu sempre molto giovevole nemmeno alla leggiadria. Chi almeno preferisce certe grazie spontanee ad altre più studiate, può talvolta ritrovare nei suoi sbozzi maggior piacere che nella stampa della sua storia. Voi argomentatelo da questa prima parte del frammento che ho pro- messo di trascrivervi, la qual corrisponde a quel passo del libro decimoterzo che nell’indice delle stampe s’intitola : ‘° usanza dei Fiorentini nel carnevale, e insolenza fatta col pallone da più giovani nobili, ec. ,, « La vigilia della pasqua di Natale si ragunò nel palazzo degli Strozzi una frotta di giovani con Vincenzio , messer Lione e Ruberto, e dopo alcuno ragionamento si risolvettono a un tratto , poi ch’ era piovuto, uscir fuora col pallone , la quale uscita fu principio d’ infiniti mali e alla fine della miseranda morte di Filippo. Era in Firenze, tra l’altre, un’antica pessi- ma usanza , che là ne’ giorni vicini al carnovale , e spezialmente 76 quando le strade erano molli e fangose usciva fuori inaspetta> tamente una moltitudine di giovani mascherati con una cami> ciaccia o. altre veste cattive di sopra , e avendo un pallone gon- fiato, grande per tre volte una grossa zucca, andavano come infuriati correndo per Firenze (e, mentre davano a esso pallone, non solo imbrattavano chiunque riscontravano ; fusse chi si vo- lesse e avesse nome come gli paresse) al canto de’ Tornaquinci , in Mercato nuovo ; sutto le volte di S. Piero, dal corso de’ Tin- tori, al canto de’ quattro Pagoni, e dovunque si vendevano er- baggi facevano danno agli ortolani, e a qualche bottega minuta, se ne trovavano aperte, mandando sottosopra ‘e in terra ciò che trovavano : è vero , che, a fine che la gente avesse qualche tem- po a potersi cansare e le botteghe a metter dentro e serrarsi , suonavano le trombe. Questa usanza , barbara per sè medesima, era venuta (come le cose vanno sempre di male in peggio per la licenzia de’ giovani scorretti , i quali si dilettano di far male altrui eziandio. senza niuno pro loro anzi bene spesso con danno) a tanta bestialità e pazzia che i giovani, i quali andavano. col pallone , ancora che la maggior parte d’ essi fussono di buone case, s’ andavano voltolando per lo fango e. imbrodolando se ed altri; e con alcune pezzacce line, che tenevano in mano, tutte intrise di broda e d’ altre brutture, davano nel viso più dirit- tamente che sapevano a qualunque veniva loro bene; e a chi si fuggiva correvano dietro infino per le chiese e su per gli al- tari, e non pure facevano danuo agl’ erbaggi, ma entravano in quante botteghe trovavano aperte, e mandavano sottosopra e rompevano ogni cosa , e otta per vicenda se ne portavano delle cosette. La quale più tosto villania che scvrtesia era cagione, prima, che di carnovale stavano tutte le botteghe, se non serra= te , a sportello, per potere spacciatamente, quando sentivano le trombe o le voci de’ fanciulli che gridavano : ecco il pallone, lieva, serra, mettere dentro le robe e salvarsi; poi, che in quel tempo non si portavano grasce in Firenze, poichè i cons tadini e altri fruttainoli e pescivendoli , tra per questo e per te- ma di non essere zimbellati da’ fattori, non si attentavano di venire alla città. E anco ‘bene spesso si facevano per questo conto delle questioni e di male gozzaje. Perchè chi era offeso , non potendo vendicarsi allora (benchè alcune volte ne erano feriti, poichè molti avevano sotto pugnali) s’ingegnava di cono- scerne alcuno , il che era agevolissimno , perchè molte volte an- davano scoperti, e si vendicava poi a bell’ agio, o di giorno alla scoperta o di notte sconosciutamente. 27 « Uscì dunque il pallone fuora di casa gli Strozzi con Vin- cenzio e con Ruberto , e perchè nessuno si guardava , sì per es- sere il giorno ch’ egli era, e sì per non essere ancora di carno- vale, trovando le genti sprovvedute e le botteghe aperte e piene , fecero un danno incredibile. Chè solo a un bicchieraio tra fer- ravecchi, vicino a casa loro, roppero tanti vetri che lo peggiora rono per più di cento fiorini ; e a uno speziale tanti alberegli e altre robe, che montavano più di dugento. Il danno de?’ pizzi- cagnoli e de’ trecconi e ‘d’ altri rivenduglioli, con quello de?li- najuoli e d’ altre botteghe grosse , fu inestimabile. Il magistrato degl’ Otto , sentendo questo romore ) e parendo loro , com’ era, cosa insolita, si ragunò in un momento , e diedero commissioni a’ lor famigli e altri birri , che tanti ne pigliassero quanti avere ne potessero; e tanto più che a Francesco Vettori , tra gl’ altri, e a Francescantonio Nori, i quali gli aveano ripresi e egridati ; fu risposto sinistramente e gettato loro adosso il pallone così im- brattato com'era. Gli altri, veggendo venire i famigli d’Otto, si misero subito a fuggire. Vincenzio e Ruberto , sendosi scoperti , stettero fermi, pensando forse che fusse loro avuto rispetto, on- d’e’ furono presi e menati in prigione. E sebbene non seguì al- tro contro agl’ altri, ed essi furono lasciati senza pena o con- dannazione nessuna, se non che dovessero rifare lo speziale e Becuceio bicchieraio de’ loro danni; nondimeno, perchè alcuni volevano farlo caso di stato, dicendo che, non essendo il duca in Firenze, quel romore poteva cagionare in quel tempo di cattivi effetti, e forse essere stato fatto a posta per sollevare il popolo, bisognò che Filippo dolendosi, e dicendo che gli volevano scam- biare i dadi, venisse a Firenze a giustificarsi. Onde in lui e nei figliuoli cominciò a nascere nuovo sdegno e sospetto contro il duca, e nel duca nuovo sospetto e sdegno contra i figlinoli e contra di lui, benchè ciascuno dissimulasse e facesse la vista di pensare a ogni altra cosa che a vendicarsi. ,, Alcune dell’ ultime parole; quelle cioè che riguardano l’in- terpretazione data dai malevoli ad un semplice accidente, spiega- no, più di ciò che leggesi nella stampa, com’ esso fu principio a gravi mali che finirono colla rovina d’ Alessandro e degli Strozzi. Fra questi mali sono principalmente da annoverarsi una grave of- fesa fatta alla Luisa Strozzi moglie di Luigi Capponi , e la morte infelice della giovane donna. L’ offesa, ch’ io diceva, le fu fatta nella primavera del 1533, alcuni mesi dopo il caso del pallone; la sua morte avvenne verso la fine dell’anno seguente, allorchè i fratelli, per cose occorse dopo quell’ offesa , erano già stati co- % 78 stretti a fuggire. Ciò raccogliesi dalla storia stampata del Varchi, a cui accresce fede quella del Segni. Ma\quando il Varchi scrisse il frammento, di cui ho riferita una parte; e fra. poco riferirò il restante, avea la memoria un po’confusa. Par anzi che l’avesse più confusa che all’ ordinario, facendo ancor viva la madre dei giovani Strozzi, ch’ egli stesso nella storia dice morta nel 28, e attribuendole in un'occasione parole verosimilmente proferite in un’ altra. Quindi nessuna meraviglia che faccia pure, come ve- drete , avvenir la morte della Luisa subito dopo l’ offesa e però innanzi alla fuga dei fratelli, e unisca al caso del pallone questi altri casi più dispiacevoli ; che nella stampa sono divisi. Ciò pe raltro, che in tal racconto perde l’esattezza storica, è compensato da un maggior interesse drammatico, a fronte del quale appena è da contarsi il piacere che può darvi qualche piccola variante, come quella d’un terzetto di Piero Strozzi, il capriccioso poeta Sciarra , le cui stanze hanno avuto in questi ultimi tempi sì accurate edizioni. Qualche sintassi, che troverete non solo in- traleiata ma zoppicante; vi guasterà poco il piacere che debbono recarvi le solite grazie della dizione. « Tornato il duca da Bologna nel principio della quaresima cominciarono in Firenze casi veramente tragici. Per ciò ch’ egli, caldissimo di sua natura e in sul primo fiore della giovanezza, ed ebbro della sua fortuna, si diede del tutto in preda alla libidi- ne, e quante donne poteva avere o vergini o maritate o vedove , tante ne voleva : e così si può credere che non solo non gli man- cavano molte di quelle , ch’ egli desiderava, ma alcune ne gli erano offerte di quelle a cui egli non pensava. Ma due sopra l’ altre gli andavano all’ animo , la... moglie di Giuliano di Fran- cesco Salviati, figlinola d’ Agostino Chigi ricchissimo mercatante sanese ; e la Luisa figlinola di Filippo Strozzi e maritata a Luigi di Giuliano Capponi, Ja quale era tanto bella e tanto onesta che pareva una maestà a vederla. Ma la.... era innamorata e, co- me si dice volgarmente , tanto guasta di Francesco d’ Antonio de’ Pazzi chiamato Ceccone, ch’ ella non vedeva nè più qua nè più là di lui; e Ceccone era in carne e in ossa di Piero, nè fa- ceva più qua o più là che si volesse egli. La Luisa era tanto schiva e pudica , che nessuno poteva sperare d’ aver da lei pure uno sguardo solo. Avvenne che Piero e Ceccone in su una cena, dove era più per fare onta al duca e scorno a Giuliano, il quale era tutto del duca , che per altra cagione, usarono parole verso la... e anche qualche atto meno che civile e onesto. Onde Giuliano , il quale aveva, come si dice, il cervello sopra la 79 berretta, per rendere loro la pariglia (e si pensò con volontà non che saputa del duca) un venerdì di marzo , quando si tornava da San Miniato , s’accostò alla Luisa, e in presenza di molto popolo le mise le mani in seno e le tolse un mazzetto di fiori che ella vi aveva. Di questo atto veramente biasimevole prese Piero sì grande lo sdegno, e tanto volle, o mostrare agl’ altri quanto stimasse l'onore, o al duca quanto gli voleva male, che deliberò ; ancora ch’ ella innocentissima fusse , di farla morire ; dubitando che il duca per averla non si volgesse o alla forza o agl’ inganni ; e con crudeltà da non credersi le fece dare il veleno. Andò la voce ch’ella , nel mangiare un’insalata di raperonzoli , aveva ingolato un bruco velenoso ; il quale le aveva roso e bucato le budella. E Piero, chè Piero e non il padre o fratelli. faceva ogni cosa , perchè si sapesse per tutto ch' essa era stata avvelenata ; la fece sparare a’ medici (e chiunque volle potette vedere le budella fo- rate) e ciò seguitando la falsa opinione e barbarissimo costume di coloro, i quali oggidì, mentre vogliono mostrare di tener conto dell’ onore, commettono scelleratezze vergognosissime e de- gue d’eterna infamia. Nè gli bastando così empia ferità , ordinò a Vincenzio suo fratello e a Tommaso chiamato Masaccio Strozzi, giovane manesco e da commettere ogni tristizia (il quale fu poi, per rimunerarlo di questa opera, fatto fare cavaliere di Malta da messer Lione) che sfregiassero e storpiassero Giuliano, il che essi fecero , avendolo aspettato una sera imbacuccati dalla piazza delle Pallottole, e quivi datogli due grandissime ferite una in sul viso e l’altra in una gamba. [ « Nessuno potrebbe immaginare quanto dispiacesse al duca l'uno e l’altro di questi due atti. Ma dissimulando il primo, di aver Piero attossicata la sua sorella , sebbene questo gli co- ceva più ; si fermò in sul secondo e si dispose di vendicarsi sotto spezie di fargli paura per la yia della giustizia. Egli , saputo il caso, montò subito a cavallo e andò a visitare Giuliano , e la mattina per comandamento suo furono sostenuti Piero e Ceccone in palazzo nella camera del capitano de’ fanti, perchè , non si sapendo chi avesse commesso cotale malefizio, si pensava da ognn= no che fossero stati essi due. Voleva il duca che fossero esami- nati con tortura , e perchè non gli fusse rotto la testa se ne andò a Pisa. Di questa presura si fece per tutto Firenze un gran bù bù, e se ne scrisse snbito in posta al papa più lettere. Gl’ Otto; tra” quali era Palla Rucellai, non che dare della fune a Piero, il che Palla disse apertamente che non farebbe mai se il duca stesso non gliela comandasse , egli fuggiva il disaminarli a pa- 80 role , aspettando da savio che facesse quell’ ufizio un altro, per non si fare, malvolere da. Filippo e dagl’ amici e non mimicarsi casa così potente , tanto .che Niccolò del Troscia , il quale an- dava per la minore ; s’ offerse d’ andar egli a disaminarlo. Ma Piero, dandogli del tu, e rispondendogli ogni cosa ‘al contrario, per ischerno l’ uccellò di maniera , ch’ egli con tacito riso de- gl’ altri se ne tornò da essi tutto scorbacchiato ; dicendo ch'egli si faceva beffe dell’ uficio. Piero 1’ altra mattina mandò loro un sonetto in burla, chiedendo, perchè fù la domenica-dell’ulivo, che gli mandassero per ser Maurizio una frasca, perch’ egli viveva di quella devozione tutto l’anno ,. e l’ultimo verso diceva : Son io però quel ch’ a in custodia gl’orti! Il papa, sollecitato da Francesco Del Nero, scrisse che fussino lasciati senza farne altra dimostrazione. Ma, perchè il duca si stava a Pisa senza rispondere cosa nessu- na, gl’ Otto non sapevano che si fare. Pure alla fine , essendo venute nuove lettere di Roma, furono licenziati amenduni ; e Piero, oltre il sonetto, lasciò scritto col carbone nel muro della camera questi tre versi, scritti come soleva le più volte alla ple- bea: Qui Piero Strozzi a mattana sonò , — Perchè volevon che dicesse sì : - Lui ,noll’ avendo fatto , disse nò. — Voleva Piero, per maggiore scorno del duca , cavalcare subito con Ceccone a Pisa per ringraziarlo , ma non fu lasciato, dubitando che il duca, come iroso e appassionato , nollo manomettesse. E Benedetto Var- chi, il quale era amicissimo dell’ uno e dell’ altro, pregato da madouna Clarice sua madre, la quale ancora vive , lo confortò ma senza forza a lasciar andare così fatte novelle, e non si met- tere in così manifesto risico e pericolo, donde non si poteva alla fine guadagnare altro che danno e vergogna per sè e per altri. Non andò molto che Piero , essendo Filippo andato in Francia, come si dice , dubitando di quello che agevolmente avvenuto gli sarebbe , presa più tosto che ottenuta licenza, si partì, menandone seco Ceccone , di Firenze, dove nè l’ uno nè l’ altro ritornarono mai più ,.. La morte di Luisa Strozzi è stata, come avrete udito, presa a soggetto d’ un nuovo romanzo; che va ora componendo l’ au- tore della Monaca di Monza. È impossibile parlare della morte di Luisa senza rappresentarsi quasi in prospetto quella di Fi- lippo suo padre, che, sio fossi poeta, avrei presa da un pezzo a soggetto di tragedia. Nel sistema, che obbliga a tra- sformare i personaggi moderni in antichi eroi , o piuttosto in gi- ganti morali di non so quale favolosa età , un tal soggetto sa- rebbe intrattabile : non ne uscirebbe che un pendant alla trage- SI dia; che una scrittrice inglese (miss Mitfort, se ben mi ricor:lo) ‘compose poco fa sulla morte di Cola Rienzo. Nell’ altro sistemna, che oggi va prevalendo, e a cui si dà il nome di storico, per- mettendosi la schietta pittura d° un carattere come quello di Fi- lippo , potrebbe uscirne cosa bellissima e nuova , quando vi met- tesse mano un vero poeta. E forse non è lontano dal farlo chi ha scritto di fresco il Giovanni di Procida , non per anco uscito in luce, ma per cui già parmi vedergli raddoppiata la corona che gli meritò il Foscarini. Alcune lettere inedite di Filippo, la nota vita di quest’ uomo celebre con postille parimenti inedite ch’egli “da qualche mese ha acquistato , la rocca di Montemurlo , ch’ ei sale spesso a visitare da un suo ritiro poetico a cui sorge in fac- cia, mi son quasi pegno che il mio forse non sia una vana ima- ginazione. In una di queste visite anch’ io un giorno gli sono stato compagno. La rocca , or posseduta da un signore di Pistoia e un tempo da’ Nerli, che vi accolsero Filippo co’principali fuorusciti, è pressapoco nello stato in cui questi la lasciò nella giornata far- salica della Repubblica Fiorentina. Gli stretti e tortmosi sentieri, che vi conducono, ed ove ancor si veggono avanzi d’antiche for- tificazioni, mi aveano , per le memorie in me ridestate , già di- sposto a riceverne la più melanconica impressione. Questa però doveva essere ancor più melanconica di quel ch’ io potessi ima- ginarmi. Usciva dalla rocca un canto lamentevole e monotono , a cui faceva tenore lo strepito d’ un mosso telaio. Io porgeva at- tento l’orecchio, quasi parendomi che in quel canto si piangesse il destino di Filippo e della Repubblica. Ma il canto, composto ve- rosimilmente in tempi assai posteriori, era canto devoto, in cui parea narrarsi qualche gran colpa e qualche gran castigo , forse di donna appassionata, o d’illustre prepotente. La casiera, che ingan- nava con esso la sua solitudine nella rocca deserta, non aveva forse mai udito il nome di Filippo o de’suoi. Essa ci condusse alcun poco per loggie e camere oscure , ed indi sino a’ merli , d’ onde verso tramontana ci vedevamo a’piedi un resto di torre, e in prospetto, al di là d’alcune valli e d’alcuni puggi, un monticello sormontato da una croce. Il resto di torre era al dir suo una piccionaia ; il monticello, d'onde, a quel che si crede, si salvò già Piero Strozzi, che poi combattè a Siena le ultime battaglie de’repubblicani in To- scana, «un luogo sacro per non so quale miracolo, e perciò visitato ogn’anno in un giorno solenne da’popoli all’intorno. Quai riflessioni le cose udite — le cose vedute; — tante memorie — tanto oblio mi facessero fare, non ho bisogno di spiegarlo. Quando scesi dalla T. XXXV. Settembre. II 82 ‘rocca anch’io avrei potuto scrivere , se non versi di tragedia , qualche pagina di doloroso romanzo. Ma zitto , vi prego , che non ne sappian nulla i bibliotecari , i quali trovandomi tra la polvere de’ codici hanno già troppe ragioni di riguardarmi come un intruso. M. Esercitazioni dell’ Accademia Agraria di Pesaro. Anno I° semestre I.° Un vol. Pesaro 1829. A. Nobili. Se chi annunziò non ha guari nell’Antologia l’ordina- mento di una società agronomica a Pesaro avesse detta im- minente la pubblicazione dei suoi atti, non avrebbe trovato credenza appo la maggior parte de’ lettori. Perchè avvezzi come noi siamo a proceder lentamente, non possiamo di leg- gieri persuaderci che in una piccola città di provincia una accademia nascente si meriti d’ esser lodata per la sua ope- rosità anco fuori del municipio. Ma così è : dove son ar- due le vie a procacciare un poco di bene , ivi pure si tro- vano degli uomini volenterosi della pubblica utilità, che si farebbero coscienza di trascurare una favorevole occasione senza trarne profitto, Però essendo benignamente piaciuto al governo di permettere lo stabilimento di un’ accademia rivolta ad un fine di utilità economica e morale, non è maraviglia se i membri della nuova società sieno stati solleciti nel dare pegni al pubblico dell’ utilità del loro istituto, Interessati come noi siamo ad esporre ai. nostri lettori i fatti della presente civiltà italiana, ci tratterre- mo non poco a ragionare dell’ accademia pesarese , e delle esercitazioni mandate alla luce. Perocchè importa assai il conoscere quali dei progressi della civiltà europea de’ tem- pi nostri ricevavo cittadinanza nelle provincie d’Italia cui men benigna arride fortuna, comechè meritevoli di mi- glior sorte pel buon volere degli abitatori. Intorno alle quali cose se dicessimo recisamente gli atti dell’accademia aver vinta la nostra espettazione , nè saremmo intesi, nè potremmo trovar fede appo i lettori. Però e’ conviene en- 83 trare in alcuni particolari, e dare un ragguaglio delle cose trattate nelle esercitazioni accademiche , onde si sappia a che si appoggiano le nostre lodi e le nostre speranze. Ma prima di tutte farem parola degli statuti, e dello scopo dell’ accademia. L' accademia di Pesaro fondata nel corso del 1828 sotto la speciale protezione dell’ eminentissimo signor Cardinale Bertazzoli, ha per oggetto il perfezionamento dell’ agricol- tura. La quale per altro vien considerata moralmente non meno che economicamente ; sicchè la società intende non solo ad accrescere e migliorare la produzione delle terre , ma eziandio a migliorare gli agenti ragionevoli che servo- no all’ agricoltura , sieno essi o proprietarii o coltivatori. Così tutto il vasto campo delle disquisizioni economiche e morali rimane aperto ai socii dell’ accademia. Il che credo sia fatto con ottimo divisamento , non essendo infatti pos? sibile conseguire notabili perfezionamenti economici nel- 1’ agricoltura, se non si perfeziona eziandio l’ intelligenza e la moralità di quelli che attendono alla produzione. Que- sta gran connessione delle discipline morali e dell’ econo- mia pubblica, avrebbe dato ai soci pesaresi il diritto di prendere un titolo meno modesto, come fatto avrebbe una società che fosse figlia d’ ozio letterario anzichè di un bi- sogno civile; ma a quegli uomini operosi piacque meglio starsene contenti al prometter poco per cattivarsi l’opinio- ne col molto attenere. Però avvisando al modo di render veramente utile l'accademia, stabilirono un orto sperimen- tale, ed un lettore d’ agraria, e vollero che tutti i socii o ordinarii o corrispondenti avessero obbligo di lettura, Gli stessi socii onorarii che sono gli esteri di chiarissimo nome vengon pregati a gratificare l’ accademia ogni trien- nio di qualche Joro memoria. Ottimo statuto reputiamo pur quello che determina il numero de’socii ordinarii a quaranta, e vuole che de’ giovani che più si distinguono nell’ amore alle cose agrarie si componga una classe di aspiranti all’ onore di accademici. Godono gli aspiranti del diritto di leggere le loro memorie all’accademia previa cen- sura; sono poi tenuti a venire alle sedute, e ad assistere 84 alle lezioni del professore di agraria. Il quale due volte almeno la settimana dà lezione teorica di agricoltura e Ù statistica applicata ali agricoltura, a tutti i fattori e colti vatori e amatori di agraria che vogliono intervenirvi ; alla teorica poi unisce la pratica nell’ orto sperimentale. E° poi annualmente compensato secondo le forze economiche dell’ac - cademia. Per quello che noi sappiamo le entrate dell’ ac- calemia per ora si riducono ai donativi de’socii, agli utili dell’orto sperimentale , ed ai profitti sperati dalla pubbli- cazione degli atti. Non è poi da tacere che i socii ordinarii si prendono fra le persone che han domicilio a Pesaro , a Fano, Sini. gaglia, Urbino, e Rimini; e benchè la residenza ordinaria sia a Pesaro, tuttavia l’ accademia intende tenere delle se- dute solenni anco nell’ altre città già rammentate ; anzi sappiamo quasi di certo che la prossima tornata avrà luo- go in Rimini. Tutti questi statuti sembrano ordinati al fi- ne di impegnare molte persone a prender parte ai lavori dell’ accademia, e questa pare a me la più forte guaren- tigia che si possa dare di buon riuscimento. Ma senza volerla fare da profeti non lasceremo di dire come cosa notevole, che il secondo articolo delio statuto così si esprime: ‘‘ L'accademia 3, è tenuta a prestarsi con tutto zelo agli inviti ed ordini del », governo ,, il quale articolo eongiunto col 35 mustra aver confidato i fondatori nell’intenzione del governo di valersi de’loro nobili uffizi. “ Nelle adunanze ordinarie (sono pa- »; role dello statuto) si fanno sopiattutto conoscere i lavori ;, eseguiti tanto per corrispondere all'’intendimento del go- sì verno, quanto per l’onore, e l’interesse dell'accademia. ,, Finqui degli statuti. La prefazione al volume che abbiamo sott’ occhio dice quanto all’ ordine tenuto nella pubblicazione degli atti, quello che più importa sapere ; però ne riferiremo le parole. ‘ Col presente libro si comin- », ciano a porre innanzi al giudicio de’ savi i risultamenti s» delle esercitazioni accademiche intraprese in due adu- »» nanze trimestrali. ,Seguiterassi di tal modo a pubblicare sì un libro ogni sei mesi compiuti, e nella forma in cui ,, è ordinato questo saranno pur gli altri. Cioè a dire che 85 ,3 în principio avranno per esteso e qualmente furono det- ,. tate le dissertazioni, memorie o note, che versino intorno »; a subietti di maggior rilievo, o racchiudano assoluta novità s» di fatti. Sesuirà un transunto dell’altre, perchè eruditi »3 sieno i lettori del più importaute e del meglio pensato. »» Da ultimo vi si incontrerà un du/lettino (come è uso s; appellarlo) ove rassegnerannosi le pratiche e le scoperte ,; novelle , sien di questa accademia o dell’ altre, ovvero ,, annunciate da’ giornali di provato nome, sciegliendo ,; quelle singolarmente che paiono poter riuscire a pro ,, Nostro, ,, Noi nun possiamo giudicare del pregio intrinseco delle memorie agrarie contenute in questo primo volume , sì per- chè non siamo abbastanza esperti delle cose dell’ agricol- tura, sì perchè mancando della cognizione de’ luoghi non siamo sempre in grado di \valutare la forza degli argomeo- ti. Ma possiamo bensì fare osservare come coteste memo- rie sieno tuîte ripiene di fatti, ed espongano non meno i lisogni che i convenienti rimedii per |’ agricoltura delle provincie che costituiscono il distretto accademico. Vi ab- biamo notate tra le altre una lunga ed accurata memoria sui bachi da seta , un’ altra sulle praterie, che ci sembre- rebbero degne dell’ attenzione de’ nostri agronomi toscani. Parimente le osservazioni sugli effetti del catasto rispetto ali’ agricoltura, e sull’ utilità delle comunicazioni interne per strade o per canali , oltre alle particolari notizie che contengono sui paesi della Romagna , sono notevoli come documenti che dimostrano i principii dell’ economia pub- blica esser colà assai ben conosciuti. La condizione del paese fa preferire 1’ industria agricola alla manifatturie- ra, e verso quella si rivolgono principalmente le inten- zioni di perfezionamento, Si sente generalmente che la pro- duzione degli olii potrebbe esser aumentata , quella de’vini notabilmente migliorata , nei bestiami si potrebbero fare de’ miglioramenti nelle razze, e quanto alle pasture poco vi vorrebbe a renderle più produttive. Queste cose dimo - strate con argomenti locali e con opportuni suggerimenti devono essere di un qualche effetto su'l’animo de’proprie- 86 tarii ; i quali si devon pure una volta persuadere che senza accrescere e migliorare i prodotti del suolo, non vi è mezzo che possa ristorarli della diminuzione di entrate che se- guita il vil prezzo de’ generi negli anni della pace . Gli accademici stessi che pur sembrano aver qualche fede ne're- golamenti proibitivi sono scesi in questa sentenza. Piace- mi di riferire le conclusioni del socio A. Belmonti , colle quali termina un discorso statistico sul commercio maritti- mo d’alcuni porti dell’ Adriatico. 1.° Che rinunciando alla pretesa di addivvenir popolo mani- fatturiere, ci determiniamo al perfezionamento dell’agricoltura, e specialmente alla formazione di un codice agrario. 2.° Che venghino adoperati tutti i mezzi per l’ aumento e la facilità delle comunicazioni interne migliorando le strade esi- stenti, e formandone delle nuove. 3.° Che non debbino abbandonarsi i ricolti stante la dimi- nuzione de’ prezzi; mentre questa non sarà permanente ; già non impedì che prosperasse la massa del popolo , e sarà sempre rela- tiva ai prezzi della mano d’opera, al nostro lusso ed alle tasse governative. 4.° Che debbonsi introdurre le fabbriche delle manifatture grossolane o di maggior richiesta presso la più gran parte della po- polazione ; abbandonando quelle che sono di mero lusso, e cer- cando che le altre si stabilischino presso noi per quello spirito di associazione, che pur troppo altrove abbonda e qui manca del tutto. Queste conclusioni sommamente lodate da chi dette l’analisi del discorso accademico , si accordano assai bene coi principii che predominano nelle altre memorie accade- miche , però abbiam creduto dell’ uffizio nostro il riferirle. Non possiamo fare lo stesso dei dati statistici perchè, sebbene sieno desunti dai libri di dogana, non appagano la nostra fede. Per dare un più lungo saggio delle esercitazioni ac- cademiche scieglieremo uno squarcio del discorso del socio G. B. Spina intorno al modo di diminuire i danni delle lotterie creando delle casse di risparmio . L’autore le vor- 1ebbe aggiunte alle lotterie, talchè nello stesso uffizio per una parte fosse il male, dall’ altra il rimedio. Forse l’ A. pensò a questo modo di esecuzione per ovviare più facil- 87 mente alla difficoltà dell’ impiego del denaro e della ga- ranzia. Ma che che si pensi intorno ai pregi di questo par- ticolare disegno, non può giungere ingrato o disutile lo squarcio del discorso che siam per riferire. II. Ai nostri giorni vedemmo in Italia sorgere e sparire un vasto regno, che quantunque strumento particolarmente dal 1802 in poi della Francia guerriera, e conquistatrice lottò con qualche successo in alcuna parte di pubblica amministrazione per la mi- gliore floridezza italiana. Ma chi fra noi non deplorava la cecità del governo nel sanzionare un errore fatale al ben essere delle famiglie , e alla morale del popolo, concedendo , cioè , la più illimi tata libertà de’ giuochi così detti di sorte? A che valeano tante rigorose pene minacciate ai furti dando finanche la qua- lità di gravi e di violenza implicita a quelli commessi sulle pub- bliche vie, quando aveasi d’ altra parte ne’ servi , negli artigiani, ne’ figli di famiglia tanti incitamenti a commetterli, quanti ne suol porgere una passione sempre mal appagata o perdendo o vincendo ? A che vale pur oggi in Francia , che il tentato e non ‘accaduto suicidio sia gravemente punito, quando i trecento cin- quanta e più suicidii , che si contano ogni anno nel solo cir- condario di Parigi, traggono la loro primaria origine dalle case di giuoco , nelle quali 18 in rg millioni di franchi si perdono annualmente dai giuocatori ? Non punisce la legge colla neces- saria efficacia se prima non previene i delitti; ed è troppo facile presso una nazione sì altera del proprio incivilimento surrogare altro ramo di rendita pubblica , perchè cessi una volta l’opulenza di pochi appaltatori e la rovina e disperazione di tante famiglie. III. La divisata contradizione di leggi, o piuttosto questo traviamento dell’ umana ragione presso noi disparve, e solamente si concede il giuoco del lotto, che ebbe principio in Genova nel 1550, e che diffuso con varie condizioni per una gran parte di Europa assume oggidì 1’ aspetto di volontario tributo. Quando attentamente si esamini la influenza anche di questa invenzione economica sulla massa del popolo, ognuno sentesi inclinato col saggio Muratori , coi chiar. Genovesi e Verri a' desiderare, che di tal pubblica rendita si faccia sacrificio alla virtù del minuto pupolo , di cui più che il trastullo suol essere la rovina. Una pratica osservazione , che col progresso generale della statistica in ogni paese non sarebbe difficile d’ istituire, deve a mio cre- ‘dere far conoscere a guisa di termometro la maggiore, o minore ignoranza e povertà delle respettive popolazioni , presso le quali 88 questa infezione si sparse. Due circostanze ini condussero a so- spettare tale risultamento. Dednssi la prova della maggior povertà rispettiva dall’ eccedente profitto della cassa del lotto in. una città, che annovera quasi mille famiglie povere o disagiate in confronto del ritratto da altre città di uguale popolazione, ma di minor numero di poveri. La prova della minore ignoranza ri- spettiva mi parve indicata dalla notabile diminuzione di tale pub- blico reddito , che accadde gradatamente in più anni nella ca- pitale del più ricco reame del continente , dove più che ai fa- volosi sogni delle donnicciuole prestasi fede ai rigorosi calcoli del matematico ; che dimostra tanto lontana la probabilità di wincere. Dopo questo cenno passeggero , ma che potrebbe fornire argo- mento di utili investigazioni, chi meco non riguarderà più viziosa nelle sue cause , sorgenti dell’ umana degradazione , che ne’suoi tristissimi effetti questa tanto divulgata invenzione ? IV. E già al suffragio de’ pensatori va avvicinandosi qualche nazione , che cerca di sostituire altra imposta a quella della lot- teria ; ed ottime considerazioni su questo proposito si fecero, non è molto, nel parlamento di Svezia. Ma non so, se nei pic- coli stati circondati da molto maggiori, ne’ quali non sia egual- mente quel giuoco abolito, possa sperarsi di ottenere lo intento, e quanto alle vedute economiche dubito altresì, che il danno s’ accresca. D’ altra parte veggiamo tuttodì , che il commercio della vita civile si compone di ragionevoli transazioni ; e che la discrepanza non solo delle opinioni, ma degl’ interessi suole per tal modo aver termine, e meritare la lode del saggio. Animato da questi principii andai più volte ravvolgendo in mente di qual modo senza la distruzione di un uso inveterato e generale po- tesse temperarsi la influenza di esso nociva alle scarse sostanze del povero rendendolo anche moralmente migliore. La soluzione del problema non è per avventura difficile ,' ma siccome niuno che io sappia ne ha sin qui parlato , così non vi dispiaccia, che io v'intertenga alcun poco. V. Fu osservato, che lo stimolo naturale all’ uomo di torsi alla schiavità de’ bisogni è tanto più operoso, quanto per una parte è più violento lo stato di privazione , e per l’altra quanto è , o si crede minore la fatica , e leggiero il sacrificio presente per riuscirvi. Dissi, quanto è , o si crede minore la fatica , e il sacrificio ; perchè la moltitudine in generale sfornita di edu- cazione; la sola maestra , che ci fa conoscere il giusto valore delle cose , si abbandona alle apparenze , e vagheggia il fu- turo profitto senza occuparsi dei calcoli , che lo fanno ragione- à9 volmente. difficile, e rimoto. Se si rendesse popolare la formola newtoniana sulla serie delle combinazioni dell’ambo, del terno ec. ben pochi vedremmo. accorrere sedotti alla lotteria , perchè con quel mezzo il vero nella sua nudità si palesa , e cade il prestigio delle dorate illusioni. Ma siccome la moltitudine non sarà mai ‘esattamente calcolatrice ; quanto miglior partitò non deve sem- brar quello di volgere, e dirigere ad un più certo vantaggio, ad un più lodevole successo e più conforme alla dignità umana io stimolo sempre insistente di torsi alla schiavitù dei naturali bisogni Î P Chi è misero e ignorante mon tarda a scegliere una via di lucro; che gli sembra sempre ‘di facile conseguimento quando per anticipazione da lui poco, o quasi nulla si chiede. Ma chi per dono della Divina Provvidenza è in istato di apprezzare di- rittamente le cose ha obbligo, e strettissimo di sovvenire all’al- trui miseria e ignoranza dirigendo le menti e i cuori, ad uno scopo altrettanto utile, che morale. Allo slancio improvvido e tumultuoso, col quale il giuocatore getta una moneta, che. gli è pur molte volte necessaria, si sostituisca la benefica ed equa- bile previdenza, figlia dell’ umana ragione , e si sarà non lunge dal male collocato il rimedio. Se non che tale rimedio per le buone qualità , che gli sono particolari, abbellirà ben tosto la società de’ suoi. moltiplici vantaggi; renderà cara all’ artefice , al famiglio, all’agricoltore la fatica per la fedeltà delle promesse; ac- crescerà le speranze e l’ attività d’una famiglia novella , che nel seno della dolce unione coniugale ; e della frugalità va crescendo; riparerà un, giorno i torti dell’. avara fortuna; o de’ lenti nemici alla fisica costituzione dell’ uomo. Chi potrà esitare nella scelta ? Nel giuoco tutto è illusione, incostanza , seduzione; nella pre- videnza tutto è certezza , lealtà, conseguimento non tardo di un capitale. Il guadagno offerto, e rare volte dato dal primo è un premio all’ inerzia fortunata , alla scioperatezza mendica ; la mer- cede sempre concessa dalla seconda è un incoraggimento del- l’ utile fatica, e del merito riconosciuto. Chi potrà. anche per poco esitar nella scelta ? Se il popolo fatto accorto dal quadro di questa varietà di cause e di effetti, arde già di voglia per migliorare moralmente , ed economicamente nell’ impiego, dei suoi risparmi, qual animo, qual mente, qual. reggimento po- litico non seconderà generoso sì degna , ed utile vocazione P_Sof- frasi pure una diminuzione di rendita pubblica, quando si au- u;enti lo spirito di previdenza , edi moralità nelle classi meno agiate, quando l’austero filosofo disposto a riguardare qual chi- mera il giuoco del lotto, debba vedervi non disgiunta , come T. XXXV. Settembre. 12 9° beneficenza , la cassa dei risparmi; alla quale istituzione già vi ‘accorgeste , 0 signori , alludere il mio discorso. VI. Lo scopo primario della cassa di risparmio oggi fiorente in Milano, e molto prima in Inghilterra, in Francia, in Ger- mania si è quello di porgere a chiunque , ma segnatamente agli artigiani, ai giornalieri, e ai meno agiati cittadini pronto e si- curo mezzo di procurarsi , mediante tenui ripetuti depositi frut- tiferi, e quindi aumentati dei legali interessi al finir d’ogni se- mestre comulabili, un capitale , di cui giovarsi ne’ vari bisogni della vita a semplice richiesta dei deponenti. Istituita questa cassa nelle provincie lombardè fin dal luglio 1823, ebbesi a tutto dicembre un capitale di deposito ascendente a lire austriache duecento novantanove mila, cento trentanove ; capitale che andò gradatamente aumentando , cosicchè ai 31 dicembre 1826 superò i quattro milioni di lire. Progressi così rapidi e van- taggiosi garantiti, e diffusi dalla pubblicità della stampa do- veano ben presto eccitare l’ ammirazione, e l’ esempio di altri «stati italiani. E già nel 1825 le casse di risparmio si videro nelle provincie venete, e in Verona particolarmente col vantaggio d’ impiegare le somme depositate nel nuovo monte de’ pegni. Nel luglio del 1827 apparve in Torino il regolamento di questo be- nefico istituto a favore della città e suo territorio. La sovrana di Parma l’ approvò nel novembre del 1828 , ed ebbe in fatti prin- cipio col primo gennaio 1829. La Toscana vicina più di tutti a noi non vuole starsi neghittosa spettatrice a tanto bene; e tre ingegni lodevolissimi sviluppandone partitamente i vantaggi ben meritarono della patria , ,e più ancora meriteranno , se il buon volere si condurrà all’ atto. Riguardano essi a buon diritto un tale istituto “ come raffinamento ingegnoso di una carità diretta 3) e sostenuta dalla religione , del quale può gloriarsi più che di »») qualunque scoperta la nostra età ,;; quindi proseguono a chia- marlo “ una vera ispirazione , una quasi rivelazione della carità. 3, Dovunque le casse di risparmio si stabiliscono , mutano la si- tuazione industriale e morale dei popoli, e il cambiamento è così rapido , che ha del miracoloso a chi non considera questo soccorso sotto il suo vero aspetto ; cioè come un mezzo, che stimola e sviluppa le facoltà dell’intelletto e del. cuore, che richiama il povero ai suoi veri destini facendogli trovare la sua vera ricchezza nel lavoro ,.. i VII. E niun cenno peranche fu dato di tale istituzione dai nostri scrittori, niuno stimolo dai grandi, niuno impulso dai ma- gistrati, che veggono ogni giorno crescere senza rimedio la men= 73 2) 1 dicità valida e scioperata, che sono fatti accorti della e moralità del popolo dal vizioso contagio, che riunisce tanti pri- gionieri nelle carceri ad eccessivo peso del governo, e tante vittime della dissolutezza nelle case degli esposti a carico oggimai soverchio dei costumati cittadini ? Non erano certamente tali le speranze , Eccellenza Reverendissima , quando sotto il pontificato illustre del Settimo Pio ebbi l’onore d’assidermi a voi collega nella consulta governativa di Forlì intesa a promuovere il bene della provincia; e tali molto meno debbono essere oggidì , epoca, in cui, fatto voi preside della cultissima pesarese provincia, e decoro primario di quest’ accademia ;, rivivendo nella pontificia monarchia il nome di Pio, è ben da sperare , che tutto sia per prendere norma e qualità da titolo sì bello, e sì caro. Egualmente calda d’amore del bene si è la memoria del conte Paoli sulla necessità di promuovere l'istruzione nella classe degli agricoltori. Riducendo la questione alla pruova de’fatti dimostra come l'istruzione sia necessaria alla prospe- rità ed alla buona morale del popolo. Questo è il punto prin- cipale, da che l’ utilità economica dell’istruzione uon può neppure mettersi in dubbio, “ Così pur fermo fosse in mente 3» di ognuno, (dice l’A.) che il procurare la propagazione ss dei lumi debba giovare alla morale pubblica ; che con », nostro dolore e dirò pure con vergogna dell’ età nostra »» vediamo taluni non solo sostenere l’ opposto ma pur s» anche affaticarsi incessantemente nel persuadere altrui ss l'ignoranza e la salvatichezza. ,, A ribattere siffatti pre- giudizi l’autore si vale dei ragionamenti del Dupin già noti ai lettori dell’Antologia (1). Vi aggiunge pure alcune cose gentili per la Toscana, per le quali noi dobbiamo serbare in verso di lui somma gratitudine. F. FoRrtI. (:) Antologia Vol. XXX. B. I 92 Di una tavola a olio attrrbuita a MicaeLAnGIOLO BonarRoOTI (*). È alta braccia fiorentine due e mezzo , larga uno e tre quarti. Vi sono tre fisure, la Vergine col Bambino in grembo, ed. il Battista. Siede in mezzo la Vergine , e tiene assiso sulle ginocchia il suo pargoletto, cui attraversa colla, destra mano il piccol corpo, mentre posa leggermente, e abbandona la sinistra sul dorso del S. Giovanni. Grande, e maestosa della persona è questa figura, mirabilmente di- segnata quanto alle proporzioni, tutta Michelangiolesca quanto alle forme, alle attitudini, agli scorci. Un pieghevol lino le scende dalla testa ail’ebraica maniera giù per le spalle : una semplice cintura raccoglie alquanto supra. e sotto il petto le larghe pieghe della tunica di un finissimo tessuto di lana, con molta semplicità ed eleganza, Ma i partiti delle pieghe s' ammirano soprattutto nel facile , e dignitoso ravvolgimento di un vasto drappo, gittato con bella negligenza ; il quale ricoprendo 1’ iuferior parte del corpo mostra, girando , lo svoltar dell'ignudo, e il ripiegar delle gambe in guisa che attesta |’ arte d’un gran maestro. La fisonomia della Vergine è regolare; ma severa , e di una tale bellezza che snol pendere nel fiero, quand’altri abusa de’ buoni modi dell’ arte: vi spunta un non so che di pensieroso , che non t' indica umana passione , ma s0- piannaturale tranquillità, e spirituale raccoglimento. A piuger il quale sembra avere il dipintore astratta Ja mente da ogni oggetto temneno , per essere tutto in contemplare la madre di Dio, (*) Tovasi in Firenze presso la sig. contessa Cammilla Ferrari, e forma parte d’ una sua collezione di quadri che ora è in vendita. Questa collezione è composta , oltre la tavola che qui si descrive, di—= 2 Guido Reni — due Glaudii di Lorena della prima maniera = due Poussin = due Tiziani = due — Salvator Rosa = due piccoli Teniers = due Annibal Caracci = Un Raf- faele Pertus Spagnolo = un Sebastiano del Piombo = un Rembrant = un Leandro Bassano — un Guercino — un Domenichino = un Pordenone — un Leonello Spada = un Panmigianino. 93 Soavissimi sono i volti de’ fanciulli ; vegeti i loro cor- piccioli, pienotte le guance, ricciuti i capelli, e se ti fermi alquanto a riguardarli ti sembrerà scorgervi l’inquieto palpitare della puerile età. Gesù ‘è in atto di benedire : il Battista di preghiera. La fervorosa attenzione di questo , che, col ginocchio a terra, e le mani incrocicchiate al petto, riguarda fisamente nel volto del Bambino, è cosa pie- ua di soavità e di affetto. Il tono de’ colori è forte (e a rinforzarlo ancor più con- tribuisce il fondo del quadro; ch'è un campo d’aria assai chiaro); terree le carnagioni, e non molto sfumate ne’con- torni ; prive le tinte di una ricercata eleganza ; ma inge- gnosa oltremodo è la distribuzione delle ‘ombre, e de’ lu- mi, e affatto simile a quella del tondo di Michelangiolo , ch’ esiste nella Galleria di Firenze. Tutto altronde nel nostro quadro è maestrevolmente condotto: vi è larga maniera, forza d’ invenzione, dottrina di composizione, energia di disegno. I quali caratteri dominanti suppliscono assai bene al'a mancanza di argomenti storici, ed hanno indotto diversi valorosi artisti a crederlo opera del Bonarroti. Altri più cauti nel giudicare, ma non di minore autorità, vi riscon- trarono almeno il suo disegno , e un compartimento di tiute non alieno del suo fare, onde lo dissero opera eseguita forse di sua commissione e col suo consiglio da qualche bravo coloritore. Fu ad essi semplicemente d’ ostacolo l’ addotta mancanza di documenti , e la finitezza di certe parti per crederlo di un’ autore , che anche nella statuaria, poche volte perfezionò i suoi lavori. Ma le loro dubbiezze sembrarono prive dif fondamento a un valente professur fiorentino, il quale asserì, che « Michelangiolo in quella sua tremenda opera del Giudi- zio finì alcune figure con mirabile accuratezza , e bon- tà di colorito ,, ; e soggiunse che “ nelle opere di chi ten - tò imparentarsi colla fiera mente di quel grande si,scorge sempre lo sforzo impotente d’ un imitatore, a fronte di un genio poderoso , che fu inimitabile, perchè non imitò veruno, ,, 94 Alle quali parole, aggiugnerò qui, per cagion d’ono- re , due pareri posti in iscritto , e ancor più decisivi , del professor Francesco Sabatelli (giovane d’alte speranze , di cui ora deploriamo l’immatura morte), e del più celebre di- segnatore de’tempi nostri, il professor Minardi. Così il pri- mo scrivea di Milano alla contessa Ferrari: Rapporto alla di lei tavola e all’attribuirla a Michelangiolo , io non ces- serò mai dal confermarle quanto le dissi a voce, allorchè ammirai la scelta collezione de’ quadri ch’ Ella. possiede ; cioè che la bella composizione è degna solo dell’alta mente del Bonarroti, e toglie per questa parte ogni dubbio al- l’ originalità ; che di più si trovano riuniti in questo qua- dro tutti i caratteri che distinguono la maniera di quel sommo pittore; ardimento di scorci, rotondità di contor- ni, fierezza di fisonomie , correzione di disegno , e con- cludo che ad onta di qualche piccola menda nella figura di un putto, effetto forse di un qualche ristauro , il qua- dro è conservatissimo ed uno de’più bei gruppi, che l’arte abbia composto. ,, Il secondo, scrivendo anch’egli alla detta signora, s’esprimea così : ‘‘ Il parere del professor fioren- tino, che attribuisce a Michelangiolo il di lei quadro in tavola a me ben noto, sembrami avere in suo favore delle buone ragioni; ed io stimerei bene ch’ ella ne facesse fare un’ illustrazione , unita ad un’ incisione , sia pur di po- chi tratti, ma ben caratterizzati. Ciò servirebbe a farlo maggiormente conoscere ed apprezzate : e sarebbe di pia- cere e di studio agli artisti per la sua composizione pie- na di maschia bellezza e novità. Se la breve descrizione , che qui se ne è fatta, recan- dune i giudizii d’ autorevoli professori, a cui si conforma- no quelli di più altri, che sarebbe soverchio il riportare, non serve abbastanza all’intento, supplirà, speriamo, l’evi- denza del contorno che qui si aggiunge, e che fa ono- re alla perizia del bravo incisor Sassone il sig. Maurizio Steinla, ( Articolo comunicato). 95 RIVISTA LETTERARIA. Congetture intorno al primitivo alfabeto greco del marchese Cx- sare Luccresini. Lucca 1829, 8.° Chiarezza , squisito criterio, e scelta erudizione sono i prin- cipali pregi di questa operetta , che è divisa in due parti. Dice la prima dell’origine dell’ alfabeto greco , e delle lettere, che nei primi tempi lo componevano ; e la seconda , del digamma. Che i Fenici desser l’alfabeto ai Greci, è affermato dagli an- tichi scrittori , tra’ quali va primo così di tempo , come d’ auto- rità, Erodoto , che anche attesta d’ aver veduto iscrizioni in let- tere cadmee. Ma ancorchè questo non testimoniasse la storia, ma- nifesto il farebbe la sola ragione; la quale ne convince, che senza l’arte di scrivere non può quell’ampia mercatura farsi, che i Fenici facevano sì con altri popoli, e sì co’Greci , ai quali si recavan frequenti. Pel dottissimo Wolff, ed altri eruditi, l’ arte dello scrivere tardi pervenne in Grecia , e la ignorò anche Omero ; anzi per non picciol tratto di tempo la ignoraron pur quelli che venner dop’ es- so. “< A mostrare però , dice 1’ A. che Omero sapeva scrivere, »» parmi che bastino i suoi poemi. So che ancora gl’ illetterati 3» possono far versi. So che può imprimersi nella memoria gran » numero di versi ; e cosa rara sarebbe, non però impossibile , 3» che alcuno tutta sapesse a mente l’Iliade e 1’ Odissea... ... 3) Ma ognuno sa quanta costi fatica il far buoni versi, quanto »» bisogni cancellare , e come ciò che oggi ci piace, condanne- 3» remo forse domani. Ognuno sa quel celebre avviso d’Orazio, 3; il quale dice ad ogni poeta: saepe stilum vertas , e ciò che al- », tri scrive, vuole , che nonum prematur in annum , membranis s» intus positis. Ma per far ciò conviene scrivere i versi: chè >, male se ne correggono a mente più di ventimila, la qual 3, somma oltrepassano que’ due poemi ,,. Ma si vuole che Omero mai non fosse, e si pretende che dai canti dei Rapsodi si siano eletti quelli che appartenevano alla guerra di Troia, e quelli altresì, che descriveano i viaggi d’Ulis- se, e così formato l’uno e l’ altro poema, e postovi il nome d’Ome- ro. Lasciando che tutta l’antichità sta contro a questa opinione, si ponga mente a ciò che ne detta il sano criterio. “ Se diversi », erano gli autori di quei canti, doveva ognuno avere stile di- sì verso, e diverso modo di trattare un argomento. Se il Pulli 23 bb) 23 "Da bb) 33 29 23 23 23 55 95 29 29 29 46 il Boiardo , l’ Ariosto e-iì Chiabrera ed altrettali avessero cia- scuno esposto un fatto appartenente alla presa di Gerusalem- me, come potevasi mai dai loro diversi canti formare la Ge- rusalemme Liberata del Tasso? dove tutte le parti si corrispon- dono perfettamente , ed è manifesto , lo. stile. essere. sempre dello stesso autore, benchè vario secondo la varietà della ma- teria. Così in Omero tutte le parti sono prpporzionatò fra lo- ro , tutte rispondono al subietto; e lo stile sempre è lo; stes- s0 + + + +» Que’ perpetui aggiunti , il piè-veloce Achille anche quando sta, la dianchi-braccia ;| ed occhi-bovina Giunone’, e l’ Aurora dalle dita di rose, e le parole alate, e i gambierati Achei, e , ciò che è ancor più , gli stessi modi di dire , anzi gli stessi versi ripetuti cinquanta volte , cioè sempre che \av- viene di dover dire la stessa cosa, fanno certa e chiara, testi- monianza , che sono prodotti dalla stessa mente ,. Del resto il Wolff, che nega alla Grecia l’ arte della sorit- tura ai tempi d’Omero , fa fondamento di sua sentenza l’Iliade e l’ Odissea , in che asserisce non trovarsene esempio. Ma v° è splendidissimo nel sesto libro della prima , ove “ si narra, che 2) 25 23 be) 29 2) 29 99 29 23 25 23 >») bk) 29 29 53 25 23 29 29 2) Preto volendo la morte di Bellerofonte , senza che egli ne pren- desse sospetto , lo mandò al suocero suo Acrisio di Licia, e gli diede note perniciose , scrivendo (o se vuolsi , incidendo) in tavola (o epistola) compiegata , molte cose perditrici dell’ani- ma , cioè mortali. Il Wolff non iscorge qui lettera o serittu- ra, ma vuole che si tratti d’ un segno inciso in una tavola , e convenuto prima con Acrisio, talchè dovesse questi uccidere qualsivoglia persona, che gliel presentasse. Ma siffatta con- venzione stranissima può solamente supporsi tra gli assassini, o altrettali scellerati, non fra Preto ed Acrisio, la diplomazia de’ quali non crederò , che avesse stabilito un trattato di am- mazzamenti per tuttii casi possibili. Arroge a ciò, che in quella tavola , od epistola , erano scritte , o incise, molte cose ; e se- condo la sentenza del Wolff, essa non avrebbe avuto che un segno solo indicante uccisione » . . . . Arroge ancora la voce Truxrà la tavola complicata. Se ( diciamola pure così) era simile , come si vuole ; alle tessere ospitali , non vedo perchè, nè come dovesse essere complicata. Dovea esservi scolpito solo un segno, segno di morte , ma da Bellerofunte non inteso : chè uon era di quel tempo nata l’arte d’interpetrare le cifre. Dunque non vera bisogno di complicare quella tavola, affinchè il por- tatore nou vedesse l’ interna incisione. ,, Un’ altra osservazione fa il Wolff. Sian pure, egli dice; an- 97 teriori alla guerra di Troia le antiche iscrizioni allegate da Ero- doto , Aristotele; Demostene, jDiodoro Siculo, Pausania e Pli- nio : ciò nulla rileva. Richiedesi molto tempo , e molte difficoltà si debbon vincere per iscrivere con acconci strumenti in. picco- le pagine, e formarne libri : al che fare egli reputa necessarii sei secoli. “ Io non so bene , ripiglia saviamente l’ A. per qual 3) ragione egli richieda sì lungo tempo , che a lui non è piaciuto »» di recarla , e vuole che senza più gli crediamo. So che il po- »» polo, qualunque sia , portatore in Grecia dell’arte di*scrivere, »» deve ancora aver portato gli strumenti a ciò necessarii ; altra- ss mente non si direbbe che avesse portato quell’ arte. So altresì »» che le iscrizioni si scolpiscono perchè sieno lette. Dunque eranvi »» parecchi, che sapean leggere, quando furon poste quelle iscri- s) zioni. Ma sulle iscrizioni non s’ impara a leggere , perchè son > brevi e rare , e a quell’ età doveano essere brevissime e raris- » sime. Dunque v’ erano prima scritture fatte o sulle pelli , o 3, sulle tavole incerate , o sul papiro , o su non so che altro,,. Il qual divisamento è con altre ragioni evidentissime afforzato dal sig. marchese Lucchesini ; il quale altresì dimostra, che le iscri- zioni che Erodoto chiama cadmee , dovettero almeno precedere di goo anni l’ era nostra. Passa quindi a cercare quali fossero le lettere del primitivo alfabeto greco ; “ nel qual esame avverrà , egli dice, che si ot- sx tenga una conferma dell’ origine loro fenicia. Più delle opinio» ») ni di Plinio ed Aristotele ... gioverà a questo intendimento 3 il confronto dell’ alfabeto greco, quale ora l’ abbiamo, con »» quello delle lingue, delle quali fu dialetto la fenicia, e il s» confronto altresì de’ segni adoperati pe’ numeri, che erano le stesse lettere. Scelgo perciò l’alfabeto samaritano e l’ebraico. ,, Segue una tavola comprendente questi due alfabeti, ed il greco; la qual tavola è illustrata con tanto sapere con tanto di- scernimento , e con tanta vittoria delle obiezioni, che tu conosca non esser verità che nella sentenza del sig. march. Lucchesini. E basti aver ciò detto generalmente; chè non potrei dar contezza dei particolari di questa illustrazione , che è succosa e rapidissi- ma , senza trascriverla presso che interamente. Con ugual felicità è trattata la parte seconda ; cioè quella che concerne il digamma. Si riporta in breve ciò che ne dicon Greci e Latini; e con le non dubbie tracce d’ Esichio si scuo- prono parecchie voci, che anticamente furon d’ esso dotate . Il qual cumulo di dottrine fa grandissima opposizione agli arbitrati divisamenti del Bentley , dell’ Heyne e del Knight, che si assot- T. XXXV. Settembre. 13 98 tigliarono d’ indovinare quali fossero in Omero le voci che ave- vano digamma. Per dar un saggio del modo , onde son confatati dal n. a. io recherò ciò che riguarda l’ iato. < Vogliono, egli & be) 23 3 23 23 23 29 be) 23 scrive che in Omero non siano iati mai. Chiamasi. iato lo scontro di due parole, la prima delle quali termini. con una vocale breve e la seconda cominci con un altra vocale 0 con un dittongo. Ma se la prima è accorciata per apostrofo, non v’ ha iato . . . Credono essi d’ avere bastevolmente provata questa opinione dicendo che ‘ove questi iati s’incontrino, si dee supporre il digamma , o correggere il testo, o dichiarare spu- rio il verso... Se però si considera che a parecchie centinaia sommano i versi da mutarsi , o da togliersi, forse alcuni in quella gran quantità di versi ravviseranno una gagliarda obie- zione contro questi divisamenti. Dall’ altra parte mi tornano a mente quelle parole d’ Aulo Gellio , che di Catullo. ragio- nando lo disse amantem hiatus illius homertici (1). Gellio dun- que riconosceva frequenti in Omero gl’iati, ed era riserbato ai moderni lo sbandirli da’ suoi versi. Ame poi fa maraviglia, che tanta asprezza sentano nell’ iato questi signori, i quali essendo tedeschi ed inglesi, ed avvezzi alle natie loro lingue dovrebbono avere l’ orecchio meno difficile . . . Certo non si la- gnarono di quegl’ iati per tanti secoli i Greci avvezzi alla soa- vissima loro lingua, che anzi li usarono ne’loro versi; non se ne lagnarono i Latini, nè finquì ce ne siamo lagnati noi Italiani, le orecchie dei quali non sono così mal conformate, che per giu- dicare della dolcezza del suono nel fatto delle lingue dobbiamo consultare i dotti abitatori del Settentrione. Ma siano pure spiacevoli quegl’iati, dovrà dirsi per questo che a tempo d’ Omero i poeti gli sfuggissero? Non gli sfuggirono i poeti a giorni migliori, quando per tante opere insigni la lingua gre- ca-era salita all’ apice sommo della perfezione , e dovrà dirsi, che li evitassero quando era ancora rozza ed aspra? e la sua rozzezza a quei giorni confesseranno principalmente coloro, cui piacesse d’ adottar gl’insegnamenti del Knight intorno alla grammatica omerica yy. Recate presso che sempre, nel dar contezza di questo li- bretto , le, parole medesime dell’ autore , ho, credo, acquistata fede a quelle , onde fu per me incominciato l'articolo, e di- sposto il lettore ad esser. meco d’ accordo in riputar troppo mo- desto il titolo di congetture dato a materia che svolta è con pie- nissima e vera dimostrazione . G. B. ZANNONI. (1) Gell. n. a. lib. 7; c. 20. 99 Il castello.di Bodincomago diverso dalla città d’ Industria. Le- zione accademica del professore Cosranzo Gazzera. Torino | 1829 4.° Era Industria una città della Gallia Cispadana posta dal lato settentrionale dell’ Appennino e sulle sponde del Po. La nomina Plinio due volte nel libro terzo della sua Storia naturale. La pri- ma , quando dice: ad altero eius ( Apennini ) latere ad .Padum amnem Italiae ditissimum, omnia nobilibus oppidis nitent, Li- batna ; Dertona colonia, Iria , Barderate , Industria etc. (1): la'seconda, quando. scrive parlando del Po: Pudet a Graecis Italiae rationem mutuari. Metrodorus tamen Scepsius dicit quo- niam circa fontem arbor multa sit picea., quales gallice vocen- tur pades ; hoc nomen accepisse. Ligurum quidem lingua amnem ipsum Bodincum vocari , quod significet fundo carentem. Cui ar- gumento ‘adest oppidum iuxta Industria, vetusto nomine Bodin- comagum , ubi praecipua altitudo incipit (2). Alcune edizioni di Plinio fatte nel secolo decimo quinto, non esclusa la prima, cioè quella del 1469 ed alcuni codici leggono Industriam invece d’In- dustria. Laonde due diverse spiegazioni a questo passo. Chi ac- cetta la variante, tien Bodincomago per una città distinta da Industria; e chi la ricusa, vede nel passo pliniano una città con due nomi, nazionale 1’ uno , romano l’ altro. Dell’ opinione dei primi è il sig. Gazzera, e in questa prosa accademica le dà ampio sviluppamento. Incomincia dall’ esame di esso passo. Distingue benissimo le parole di Metrudoro da quelle di Plinio, dicendo che le prime terminano a fundo carentum , e che le seconde incominciano da cui argumento. Vede però in queste ur costrutto contorto e for- zato, e contrario alla maniera di Plinio , anzi all’ indole mede- sima del latino. « Adest , egli dice , oppidum iuxta? a che? al 33 Po dicono : dirimpetto ; o.a lato del Po , è indicazione così vaga 3» ed incerta, che non si debbe supporre uscita dalla penna dello 3; storico naturalista. Non credo poi, che .mai l’ autore \adope- », rasse il ivxta in così avventata forma. /urxta montem , iuata n oppidum, iurta domum , fanum ; sono formole di dire chiare » e di significato determinato e preciso , per cui uno può for- 3; marsi un’idea adeguata della cosa posta di riscontro \ai luoghi (1) Sect. VII. (2) Sect. XX. 100 »» predetti; ma iurta Bodincum per chi voglia determinare il Po luogo individuo d° una cosa ‘poco nota; è. n , mi si perdo- ») ni, non troppo conveniente ;; . Giudica poi il sig. Gazzera, che Pea nine di Plinio: quali stanno nel comune delle edizioni, e quali le ho io recate di so- pra , itidichino che Bodincomago perdette questo suo antico no- me ; cangiandolo in uno nuovo ; che fu Industria. Reca altresì due iscrizioni ) in che si rammemora Bodincomago , e più altre, nelle quali rammentasi Industria : le quali iscrizioni ‘tutte ap- partengono ai tempi imperiali. Lo che gli dà motivo di ragionare in questo modo. “ Abbiamo noi ‘due luoghi chiamati amendue 5» col proprio ‘e distinto nome, uno d’ Industria ; 1’ altro di Bo- 33 dincomago : amendue fiorenti nello stesso spazio di tempo ; 3; aveuti amendue i proprii maestrati;, ed ammessi ciascuno alla s, cittadinanza romana. Glî abitanti dell’ un luogo è dell’ altro, 5 nei loro pubblici monumenti, o nei titoli. privati, non mai 3» immemori della patria, si pregiano, d’ indicarla patentemente; 3) e mentre gli uni si chiamano cittadini d’ Industria, gli altri 33 si proclamano Bodincomagensi. Se ‘il complesso di queste \cose 5, non sarà sufficiente ad’ evidentemente provarci la simultanea :» esistenza dei due luoghi sovraindicati; nulla più sarà ‘capace 3, di dimostrarlo ,;. “ Ma se è pur vero , che Bodincomago ed Industria fossero ,, una sola e medesima città , che all’ antico nome celtico da 3» lunga pezza fosse succeduto quello romano, che fosse città :» fiorente per civiltà, per ricchezze e per frequenza di abita- », tori, municipio inoltre e tra’ principali e più illustri di que- s; sta parte nostra d’Italia : com’ è da credere che ad un citta- »» dino distinto e Decurione d’ Industria, ad un valoroso soldato 3» ed ascritto a una coorte pretoriana (3); ai quali la pietà dei » parenti ; e la tenera amistà d’ un commanipolare Veterano in- »» nalzarono la tomba , si volesse così scambiare il nome. della > patria da farne un enigma? Non era meglio d’ assai, che per », essi fosse interamente taciuto il ‘suolo natio del defunto, che ,; col segnarne uno spento da tanti anni e dimenticato , obbli- », gava i leggitori a dovere svolgere il Du-Cange dell’età loro, od », a frugare per entro alle: origini del dotto Varrone? ,, (3) Allude ‘alle due iscrizioni di Bodincomago rammentate di sopra. Sono funebri ; ed una è posta a Tito Lollio Masculo, che chiamasi IIIIVIR - BO- DINCOMAGENSIS ; e l’ altra a P. Oviconio Ingenuo DOMO - BODINCO- MAGVS ( così ). LU, 10I Se le parole del passo di Plinio sono così da intendere, co- me il sig: Gazzera le intende ; certo è che dee con, lui accettarsi la variante Industriam ,. ed. aversi. per dirittissimo il ragiona- mento. La qual dichiarazione varrà, credo, a mostrare che io non ho in animo di derogar punto al. molto ingegno e alla molta dottrina di lui, andando in diversa sentenza. PR \ Dico adunque primamente che la parola iuxta, posta com'è tra oppidum e Industria; non presenta. costrutto che sia contra- rio alla maniera di Plinio e. molto, meno all’ indole della lingua latina. Che non ripugni a questa ; provato: è , per lasciarne in- finiti esempi; da un ‘(luogo di Cornelio Nipote nella vita di Ti- moteo ; che è questo : Cuius laudis ut memoria maneret, Timo- theo publice statuam in foro posuerunt: qui honos huic uni ante hoc tempus contigit ; ut quum' patri populus statuam posuisset , filio quoque daret. Sic IVXTA posita recens filii, veterem pa- tris. renovavit memoriam. Mostrano poi non pochi passi di Plinio che questo modo, ch'è latinissimo, non si oppone allo stile di lui. Due soli ne trascelgo ; e sono questi: Hoc ante Eridanum ostium dictum est, aliis spineticum, ab urbe Spina, quae fait IVXTA praevalens , ut delphicis creditum est thesauris, condita a Dio mede. Così al cap. 16 del lib. 3. Haustum ipsius maris dulcem esse et Alexander Magnus prodidit : et M. Varro; talem perla- tum Pompeto ; IVXTA res gerenti mithridatico bello. Così al cap. 17 del lib. 6. Nei quali luoghi tutti , ugualmente che nel passo controverso , iurta è avverbio se non preposizione , come la giu- dica il sig. Gazzera. Passo a considerare le parole vetusto nomine. Se la voce Bodincus, con la quale chiamavasi il Po, è voce ligure, appartien pure alla lingua medesima la voce Bodincomagum: ciò che an- che risulta dall’ allegato passo di Plinio. Questa adunque è voce nazionale , e nulla ha che fare con le latine. Or di siffatte voci geografiche è immenso il numero nel libro terzo. di Plinio; ed egli non vi nota mai che sono esse di antica derivazione. Ed in vero non ve n’era mestieri. Un latino che parla di genti stra- niere, vivute gran tempo con le proprie leggi , e soggiogate poi dai Romani, se nomini in lor lingua le città ,-i fiumi, i monti di loro, ne palesa senz’ altro che queste appellazioni precedet- tero i tempi della conquista. Adunque le parole vetusto nomine star qui non possono di per sè sole , ma sì respettivamente ad un nome men antico. Pertanto questo men antico nome è Indu- stria, perchè latino, e n° è Bodincomago il più vetusto, perchè ligure. Ma quando venne quello in uso, n’ uscì egli questo, 102 oppur vi rimasero amendue?? Sono in Plinio esempi dell’ un caso e dell’ altro; ma più frequenti quei del secondo: Eccone del pri= mo: Berpii storni colonia una Beneventum, auspicatius mutato nomine , quae quondam appellata Maleventimi (4 ). Angusta fossa (Padus) Ravennam trahitur j ubì Padusa wocatur; quondam Mes= sanicus appellatus (5). Caeretanus amnis; et ipsum Caere intus M. pass. quatuor , Agylla a ‘Pelasgis conditoribus. dictum! (6) - Tiberis , antea Tybris , et prius Albula (7). Eccone del secondo: Ossigi, quod cognominatur Laconicum:; Illiturgi, quod Forum Tulium ; Ipasturgi, quod Triumphale . + « Obulco , quod Ponti- ficense appellatur . . . . Corduba , Colonia: Patriciae cognomi» ne +... . Osset, quod cognominatur Julia Constantia'; Vergen- tum, quod Julii Genius (8). Pollentia Carrea ; quod Potentia cognominatur ; Forofuloi, quod Valentinum (9g): Ucultuniacum, quae et Turiga nunc est (10). E in queste sinonimiei monumenti scritti van d’ accordo con la storia. È' detto di sopra colla testi- monianza di Plinio, che Corduba si chiamò anche Colonia Pa- tricia. Ora abbiamo Corduba in moneta del Questore Cneo Giu- lio figlio di Lucio , e Colonia Patricia in moneta d’ Augusto. Alle quali monete annota saviamente l’Eckhel (11): Vetus suum nomen in Corduba retinet , obiecto adventitio Patriciae. Utroque nomine ertant numi non pauci. E di questo ritenersi insieme da Cordova i due nomi è conferma in un’ antica iscrizione posta a certa Valeria sacerdoti coloniai Patriciai Cordubensis (12). Di somigliante maniera la città d’ Industria ritenne anche il suo più antico nome di Bodincomago , e di qui gli abitanti di lei si dis- sero or Industrienses , or Bodincomagenses , com’ è nelle iscri- zioni recate dal sig. Gazzera. Lo che non è contraddetto , ma anzi afforzato dalle parole di Plinio , che recai sopra, e che or giova ripetere: cui argumento adest oppidum iuxta Industria, vetusto nomine Bodincomagum , le quali certo debbono così tra- dursi: A cut indizio sta presso la città d’ Industria, con (0 (4) Lib. 3. e. 10 (5) Ibid. e. 16. (6) Ibid. c. 5. (7) Ibid. c. 5. (8) Ibid. e. 1. (9) Ibid. c. 5. (10) Ibid. c. 3. (11) Doctr. n. v. tom. I. p. 18. (12) Grut. p. 323. n. sa. 103 per ) antico nome Bodincomago. Adunque raccolte le fila del ra- ‘gionamento , fatto è manifesto; 8° io non m’ inganno , che Zrndu- striam non è buona variante, ma certo errore , nato per avven- .tura dall’aver creduta preposizione, e non.avverbio la voce iuxta, e reso vie più manifesto dal famoso codice di Plinio, che si cu- ‘stodisce in questa nostra libreria Riccardiana , che è del seco- lo X, e che legge Industria, come altri ragguardevoli mano- scritti, e le edizioni più nobili e più accurate. i G. B. ZANNONI. Sul Saggio sopra l’ origine unica delle cifre e lettere di tutti i popoli. Per M. Dx Paravry. Parigi 1826. Dissertazioni tre del P. Gracomo Bossi. Torino 1828 , stamp. Reale. Commendevolissimo opuscolo, dove con cognizione del tema e con chiarezza esemplare vengono epilogate e illustrate le idee del sig. Paravey. Il quale dalla conformità e analogia delle forme alfabetiche di genti diversissime , e delle lor primitive allegori- che o simboliche o naturali significazioni , deduce la comune origine di tutte le scritture da’ vari popoli usate, con tale acu- me e dottrina, che se non conduce a certezza , dà almeno mol- tissimo a meditare, e mette sulla via di scoperte importanti. Im- possibile qui sarebbe compendiare un compendio : però riman- diamo il lettore alle dissertazioni del ch. sig. Bossi, che a noi hanno fornito non poca istruzione e diletto. E già, confermazioni non mancano alle belle congetture del sig. Paravey. Io mi ma- raviglio, come, per esempio , parlando della prima lettera, il cui geroglifo in varii alfabeti presenta l’ immagine d’ un bambino, le cui significazioni chinesi sono figlio , virgulto, germe, feto, e che nell’ egiziano significa pure uomo che nasce , non sia caduto in mente al sig. Paravey di notare esser questo il primo .vagito del bambino appena uscito alla luce. Così, nell’ ora seconda , che ha per segno del Zodiaco ,! il Bue, per geroglifo la forma d’ una chiave in più d’un alfabeto , nella seconda lettera. che in alcune lingue vale mano chiusa , man sinistra , impugnare , stringere , in altre, uomo che edifica , casa, si potrebbe sospet- tare che dalla voce degli armenti, (dos, belatus, brebis ) si passasse all’ idea delle prime proprietà ch’ erano pastorali , onde la significazione d’ impugnare e di stringere (Bsos , forza; Baxrpor baculus ec.) e, quindi all'idea di recinto, di chiuso, di casa (BaBaAov , porta, barra, sbarra , Batir ec.) Così nella quinta, il cui segno nel Zodiaco è un drago , la forma una bocca, un vaso, 104 il geroglifo hora , dies , il cui significato ebraico è er, ecce; _era forse notabile che il greco “Eap è molte volte. sinonimo di Wpa , che 1’ ecce de” latini ritiene tutta la significazione dell’ori- gine sua, che quest’ecce è per gl’ illirici evo ; onde forse l’evoè, grido baccanale , il qual corrisponde alle idee di Zocca e di vaso; e anche a quella di dies, giacchè Bacco e Apollo si sa ch'eran tutt’ uno. Di simili osservazioni ne vengono alla mente infinite; che, ciascuna da sè, posson parere chimeriche, ma ravvicinate e ordinate acquisterebbero e darebbero luce inaspettata a verità importantissime. Non già ch'io creda che il significato delle let- tere, quale oggidì lo conservano alcune lingue, meriti sempre d’essere riguardato come cosa primitiva e come cardine di verità, nè che i suoni originarii della voce umana debbano dedursi quasi per isbieco da forzate etimologie , come par che affermi il sig. Pa- ravey , quando dal #se tsaî, tsa Cinese deriva 1’ 4 europeo , e quando del tew ,' ted, theb de’chinesi deduce il beth; e da tchaou (nella Cochinchina stui , nell’ illirico doi) deduce il duo greco e latino; o quando infine dal suono dell’ ottava lettera ouey , vhi, deduce il francese huit , che viene da otto, come conduit da condotto. Ma queste piccole esagerazioni, non tol- gono alla verità delle molte e ammirabili analogie di signifi- cati, e di tradizioni , e di simboli, e di caratteri, dall’ A. sco- perte o notate. Che se prendendo il cinese per centro delle sue congetture, il sig. Paravey ne ha vedute nascere tante belle induzioni; or che sarà, quando messisi nel vero punto della discussione i filo- logi pensatori , e il Cinese , e l’Indiano, e lo Slavo , e l’Egizio, considereranno come raggi d’ un punto incognito da non si poter trovare con assoluta certezza, ma da potersi, semplificando i suo- ni e i significati , e riducendo le lingue antichissime ai suoni e ai significati più brevi insieme e più comuni, daspotersi, dico, con molta probabilità indovinare , e con molto vantaggio e del- 1’ ideologia e della storia dello spirito! umano? Giacchè quella angusta ideologia che oggidi si vien meditando , e che tutta si arresta e quasi si perde nell’ individuo, verrà giorno che sì ve- drà maestrevolmente applicata allo spirito umano; ‘e le tradizio- ni de’ popoli insieme con le etimologie de’ vocaboli ci daranino la chiave della grande origine delle idee, quale avvenne ‘in questo arcano individuo che chiamasi umanità. Dico le tradizioni e le etimologie: giacchè senza la luce della tradizione , 1’ etimo- logia non è scienza , è fortuito , arbitrario , e quasi pazzesco ac- cozzamento di suoni e di sillabe ; e senza la face della etimolo- 105 gia, la ricerca delle tradizioni è via tenebrosa ed incerta, dove gli oggetti s'incontrano, ma travisati, come sono non si ricono- scono. Di qui si deduce come nè la filologia senza la storia , nè la storia senza la filologia non possano ormai sperare veri pro- gressi; e come unica. guidatrice nel duplice labirinto , venga ad essere l’ ideologia. Al disopra però e della filologia e della storia, si presen- tano parecchie questioni, che, per ora almeno , non è possibile risolvere se non per approssimazione , e quasi 4 priori, ma che giova, anzi è necessario aver sempre dinanzi agli occhi nelle par- ticolari indagini che si vengon tentando. Noi ne esporremo bre- vemente qualcuna. 1.° La prima occasione della scrittura, è ella stata, come pare dalle indagini del sig. Paravey , la necessità di notare le misure del tempo? Certo, il tempo è una delle più essenziali idee della vita animale , razionale , sociale ; ma è ella la prima che abbia sviluppato l’ istinto dell’ iscrivere i segni? II.° Nella trascrizione de’primi segni, si pensava egli ad imi- tare un oggetto, a rendere le cose indicate con alcuna qualifi- cazione lor propria? E quali pare che fossero le analogie seguite tra la cosa ed il segno, #ra la cosa ed il suono che. da lei viene , tra la forma del segno , e Za forma della bocca che pro- nunzia la parola della quale esso tiene le veci ? HI.° Per quali occasioni probabili si è ella la scrittura estesa dal significare tale o tal altro oggetto, all’indicarli tutti ? Ognun vede che allora soltanto può dirsi fatta 1’ invenzione vera della scrittura: e io oserei dire che questa invenzione non fu, come nessun'altra quasi, fatta da persona, ma che col crescere delle idee, a poco a poco si moltiplicassero i segni , e che l’ analogia delle idee facesse servire con piccola aggiunta il medesimo segno a idee diverse ma legate tra loro. IV.° I segni della scrittura hann’ eglino giovato a mol- tiplicare o a fissare le idee ? Io credo che se la necessità di dare un segno all’idea dovea renderla netta e precisa, la necessità di non moltiplicare i segni all’ infinito, doveva fa- re scoprire tra varie idee un legame che le rendesse associate , e scopertolo , conservarlo perenne. Dall’ associazione delle. idee nasce la loro moltiplicazione ; dal mantenimento costante delle idee in varii gruppi determinati nasce la loro classificazione. Sen- za la scrittura non si sarebbe, a mio credere, potuto educare lo spirito umano : ma le analogie necessitate da’ segni, dovevano moltiplicare insieme con lè figure gli equivoci: quindi. dall’ un T. XXXV. Settembre. 14 106 lato il linguaggio poetico , dall’ altro il mondo mitologico , e la immensa varietà delle tradizioni , che nel fondo son pure le Stesse . i à V.° Ogni segno esprimeva egli primitivamente un?’ idea ? E se: ciò è, come nacquero i polisillabi ? == Ogni segno , a mio credere , doveva esprimere un’idea: quando il medesimo segno si applicava ad esprimere un’ idea diversa , allora alla prima ra- dice si doveva aggiungere l’ indicazione dell’ altra idea : la ra- dice era il genere ; il secondo segno , la specie. E perchè poche erano per quegli uomini rozzi , e molto generali le specie , po- chi dovevano essere gli elementi dell’ alfabeto. Di quì si dedu- cono varie conseguenze importanti. 1.° Come i chinesi abbiano conservata una scrittura così complicata: e’ non s'arrestarono alle specie più generali, e moltiplicarono i segni quasi cogl’ indivi- cui. Ma se questi segni non avessero nna radice comune, la lin- gua sarebbe inintelligibile. 2.0 Come la lingua de’Cinesi nella sua complicazione sia pure monosillabica , e come ogni segno espri- ma per essi un’idea. 3.° Come i primi polisillabi non fossero che, per così dire , matrimonii d’ idee , e come i primi lettori , nel legger due segni, dovevano compitare due idee. 4.° Come, seb- bene non ogni monos:llabo delle lingue a noi cognite debba cre- dersi primitivo, pure lo studio delle lingue settentrionali possa tornar utile all’ ideologia della specie. 5.° Come nella primitiva scrittura le consonanti dovessero essere omesse. 6.° Come nelle grandi rivoluzioni de’ popoli que’segni le cui parti ciascuna da sè esprimevano un’ idea, vennero a smarrire le particolari significa- zioni und’ eran composti , e non si riguardò più in essi che il senso totale. 7.° Come nelle lingue che ammettono la composi- zione delle parole , si conservi ancora un vestigio e una prova della primitiva origine della scrittura. VI.® Come si son elleno originate le forme grammaticali P e son esse dovute all’uso della lingua parlata, od a quel della scritta? — Posto che ogni segno esprimesse un'idea, ognun comprende che le forme grammaticali, fossero desinenze od au- menti, dovevano essere in origine altrettante idee , altrettanti segni stanti da sè; e cel comprovano anche gli usi delle lingue derivate, come (am-habilis, Doc-endo, puA €44), amar-ò , amar- abbo , amar-uggio). Ora, io credo che nella lingua parlata , la cognizione dell’oggetto del qual si trattava, il tuono della voce, il gesto infine potessero rendere men necessarie le forme gram- maticali; ma che nella scrittura il segno isolato, bisognoso affatto d’una determinazione più circostanziata, richiedesse assolutamente 107 le distinzioni di genere, numero , tempo , e simili. Così si spiega come nella lingua parlata le forme grammaticali si vengon sempre più o meno alterando, e però tramutandosi le lingue stesse. VII. Che s’ ha egli a pensare delle tante maraviglie che si fecero sull’invenzione del distinguere e fissare in iscritto gli elementi dell’ umana parola ? — Io crederei che gl’ inventori della scrittura tanto pensassero a distinguere gli elementi della voce umana , quanto gl’ inventori della musica a far 1’ analisi della natura de’ suoni. Il più divino degl’ inventori è l’ istinto. Un segno doveva esprimere un’ idea; due segni, due idee; due segni uniti imsieme , una terza idea. Quando si pensa che un solo vocabolo nelle lingue primitive ha tanti sensi traslati, vien quasi maraviglia, non già che a così pochi segni di scrittura si potesse ridurre la lingua, ma che più pochi ancora non bastassero al- l’ uopo. Ed infatti troviamo che l’addizione di nuove lettere all’ alfabeto è de’ tempi ne’ quali il bisogno di farsi intendere era ben soddisfatto. E le invenzioni di Palamede m'hanno quasi una certa analogia con l’ omega del Trissino. Ma questi pensieri dovrebbero, per essere svolti, dare mate- ria a una dissertazione, ad un’opera. A noi basta aver gettati dei germi, ch’ altri saprà svolgere poi ben più potentemente che noi non sapremmo. K. X. Y. Dizionario del dialetto veneziano, di Gius. Borrròo. Venezia Tip. Santini 1829. « Tra tanti eruditi e cultori della letteratura, che deco- ss rano la città nostra, non fuvvi alcuno sinora che si accin- 3» gesse a quest’ impresa: ed era dunque riserbato (così nella »» prefazione il modestissimo A. ) all’ ultimo di tal numero , qual 3» io mi reputo, di dar cominciamentoe a quest’ opera , di perse- s» verarvi per cinque lustri continui tra le difficoltà degl’impieghi s» pubblici sostenuti; di ricopiarla senza noia per cinque volte , so di mano in mano che un ammasso di giunte, di riforme ; di »» correzioni sopraggiungeva; e di compilar finalmente una col- ss lezione che se non può vantarsi perfetta, sarà certo sufficiente s» nella quantità , perchè comprende tutte quelle voci e nozioni »» che sono le più comuni fra noi . . . Questo mio Dizionario », comprende , oltre a tutte le voci e Je frasi familiari che si »» usano’ presentemente , quelle ancora che appartenevano al Go- s; verno ed al Foro repubblicano; le nostre voci antiquate e 168 ;»; perdute; i neologismi che dall’ epoca del 1797 sonosi intro- 3» dotti specialmente nel Foro e nella pubblica amministrazione, ,, e che.ora si fanno come nostrali. V° hanno le voci marinare- » sche ; i termini sistematici , per lo più di Linneo, che appar- 3) tengono alla storia naturale ; e parecchie etimologie, cioè quelle »» che diedero immediatamente origine alle parole vernacole. Vi 3; Sono aggiunte, senza confusione delle nostre, moltissime voci 3 del Padovano, tratte del Diz. dell’Ab. Patriarchi, giacchè il »» distretto del Dolo, fin dal 1807; appartiene alla ‘provincia di 3» Venezia. E siccome quelle che si riferiscono alla pesca ed alla 3» produzione del mare sono per lo più proprie di Chioggia, così », ho pensato che sarà gradevole di trovare in questa collezione », molti altri termini particolari di quella città, la quale fa s, parte della veneziana provincia; città non meno benemerita >» della repubblica letteraria , per aver prodotto anche a?’ nostri », tempi tanti insigni cultori della zoologia adriatica, che hanno 3» molto contribuito a quest’ opera nel suo principio e nel suo 3, termine ,,. | Tra i libri e gli autori dal compilatore consultati per l’opera sua, notiamo il Malmantile , il Morgante , le: Lettere del Ma- galotti, il Burchiello, il Sacchetti, i Modi toscani del Pauli, ’En- ciclopedia metodica , l’ Ornitologia fiorentina del 1776, i voca- bolarii de’ dialetti Bresciano, Milanese, Padovano, Siciliano , Ferrarese, Mantovano ; il Dizionario Militare del sig. Grassi, il Vocabolario agronomico del Gagliardo, il Vocabolario della musica, le Istituzioni botaniche del Targioni Tozzetti , il Giardiniere av- viato del cav. Re , il Trattato degli alberi della Toscana del prof. Savi, la Zoologia Adriatica dell’ Ab. Olivi, il Diz. del Diritto comune e veneto di Marco Ferro , il Diz. etimologico scientifico di Verona, lo Statuto veneto , la Teoria e pratica del nuovo si- stema di misure e pesi , le Osservazioni sopra alcune voci del dia- letto veneziano, scrittura inedita di F. Negri, comunicata all’A. dal ch. sig. Emanuele Cicogna. Prima di entrar a parlare dell’opera stessa , converrebbe fer- marsi un poco al Discorso preliminare , per lodarvi le regole che l'A. pone a sè stesso riguardo all’ ortografia del dialetto , regole che sebbene non applicabili al Diz. italiano , potrebbero però nel loro. genere servir di modello; giacchè ben dice uno scrittore francese , che una lingua della quale 1’ ortografia non è hene determinata , non può dirsi ben determinata nè essa pure : e che l’ ortografia del Dizionario italiano sia molto vaga e varia, nes- suno ; io credo, vorrà contrastarlo. Converrebbe peraltro su que- È \ 109 sto stesso discorso appotre .alcune osservazioni intorno ‘a ciò che VA. afferma dell’ antica lingua de’ Veneti: al. qual proposito mi rammento d’aver due anni fa nell’ Ateneo di Venezia sentito un ingegnoso scritto del N. U. sig. Manin, se rion erro. Conver- rebbe fare avvertito il sig. Boerio che molte di quelle voci vene- ziane che, secondo lui, non hanno;un equivalente nella lingua toscana qual si conosce da’ libri ; 1’ hanno benissimo nella lin- gua parlata. Ma quest’ultimo argomento non si potrebbe toccare , senza manifestare l’antico e ben legittimo desiderio, che gl’illustri accademici della Crusca, abbandonando per sora il metodo di spo- gliare i. trecentisti, si dessero ad, imitare i.saggi loro antecessori nella raccolta diligente di tutte quelle voci della lingua, parlata, che possono nella, scritta tornare , non ch’ utili , necessarie. Ma noi dobbiamo affrettarci,a parlare dell’ opera stessa ; fa- ticoso lavoro di|venticinqu? anni ,. bene. consacrati . dal valente sig. Boerio all’onore della sua , patria. Dico..all’ onore , giacchè in questo! dizionario. così ricco , così diligente io non riconosco sol- tanto una compilazione filologica ,, ma uno storico monumento. Io c’avrei forse qualche piccola aggiunta da, proporre, e la pro- porrei volentieri. anche a costo di far ridere i lettori toscani ; se ne avessi il luogo; e se non temessi che le parole ch’ io reputo veneziane ; non sieno di qualch’ altro vicino. dialetto , che mi suona ancor nelle orecchie non men familiare del veneto. Ad ogni modo, che sarebbe egli mai qualche piccolo mancamento in mezzo a tanta ricchezza? Un’ altro difetto io mi farò lecito di notare, non tanto per- chè noccia alla bellezza dell’opera annunziata; quanto perchè rinnovato. ne’ Dizionarii degli altri dialetti, potrebbe ingrossarne inutilmente la mole, renderne più incomodo |’ uso e più gravoso l'acquisto. Il difetto ch'io dico ; è la soverchia ricchezza. Sebbene l’A. nella Prefazione prometta di lasciar: fuori tutte le voci vene- ziane simili a quelle della buona lingua italiana ; pure ,nella suna opera ne viene registrando non poche ; p. e. Abdicar, Abitante , Abitante de cità, de borgo , de colina, e:simili. — Detratte da’di- zionarii provinciali simili soprabbondanze, non se ne scema punto l’ utilità , e se ne ottiene più direttamente lo scopo. È ben vero che segnare il limite il qual discerne dalla lingua italiana le se- condarie favelle, è cosa assai più difficile che non paia. Un difettuzzo ancora che il ch. A. ha comune con la Crusca stessa , si è il metodo di notare alcune frasi fuor del debito luogo. Alla voce abifo , per esempio , sono notate vensei frasi, delle quali alcune avrebbero altrove ritrovato un posto migliore; come TIO Abito che sta ben, che va a tochi, strazzoloso, i quali modi andrebbero meglio sotto. le voci strazzoloso , star, andar. Se nella Crusca si fosse seguito il metodo di accennare nell’ un luogo la frase e di rimandare il lettore al luogo dov’ ella più convenientemente s’° adatta., non vi si vedrebbero tante ripeti» zioni inutili che l’ aumentano nulla meno che d’ una metà. Non v’' è dubbio del resto , che dall’ opera del sig. Boerio ; siccome da tutti i dizionarii municipali non possa trarre profitto il dizionario toscano. Giova peraltro osservare che molte di quelle voci che a questo mancano, e presso il sig. Boerio si trovano , nella lingua parlata od anche nella scritta si rinvengono comunis- sime , come abbatino j per abito (abitualmente ) , abbondanza di parole, e simili a centinaia. In generale parlando , la lingna ita= liana , de’ particolari dialetti non dee profittare ; se non quando sia certo che nella Toscana manchi la frase o il vocabolo equi- valente. E questo caso è più raro, ch’altri, non ben conoscente della lingua parlata toscana, non pensi. Ma per evitare gli equi- voci, per trontar le questioni, una cosa, una sola cosa è ne- cessario che i toscani facciano: dare a conoscere agl’ italiani la lingua ch'e’ parlano, tutta quant’ è. Allora , alle beffe ed agli odii, succederebbe un docile affetto; una riverenza non scevra di maraviglia. Ma infinattanto che si contende a parole, i più arditi, i più faceti, infine i più, che son gl’italiani tutti, avranno sempre la ragione, e l’ avranno a proprio lor danno (1). a E in cotesto confondere le ricchezze de’ dialetti con la lin- gua comune » comunque la si voglia chiamare , tanto più ci con- viene andar cauti, quanto che non basta sempre la desinenza toscana ad italianizzare le voci e le frasi; e ne’ modi de’ dialetti, sotto una apparente vivacità ed abbondanza si nasconde assai spesso un non so che d’ improprio; di pesante, di disarmonico dalla lingua scritta, quale l’ha fatta 1’ uso di tanti secoli. Per esempio , A bel bello, A bel belletto , chi vorrebbe adoprarli ? Non solo nel secondo modo è un non so che di goffo, ma in ambedue 1’ a preposto è inutile e improprio . Abilitataccia ; in sense ironico a modo di talentaccio, quale orecchio lo soffrireb- be; educato un poco alla soavità delle toscane eleganze ? Abisso (1) Un accreditato giornale , fra gli altri pregi che nell’ opera del signor Boerio accenna , pone anche questo di insegnare ai non toscani , come nella lingua scritta si esprimano tante idee e tanti oggetti , il cui nome a’ Toscani è famigliarissimo, agli altri Italiani tutti è sconosciuto. Savissima osservazione, che pare ovvia, ma che pure nell’ epoca della così detta rigenerazione della italiana civiltà , è stata il gran nodo di quelle misere questioni che tutti sanno. N uc di strada , per istrada affondata, è ella un’ iperbole che s’ affà punto al soggetto? E così all’ infinito. Del resto, se monumento storico noi abbiam chiamato il com- mendevolissimo lavoro del sig. Boerio , ciò fu specialmente per- chè co’ vocaboli , con le frasi, co’ proverbii, egli ci ha conser- vato le preziose vestigia di costumi, di usi, di opinioni, che il tempo va ormai disperdendo. Noi vorremmo che ci si porgesse l’ occasione di considerare questo bel dizionario dal lato storico e dal morale ; e forse , quant'è stata la noia de’ lettori nel leg- gere quest’ arido articolo , tanto allora ne sarebbe il diletto. — Accolga intanto l’egregio A. i ringraziamenti e le lodi, che noi, certi di essere gl’interpreti del voto universale , gli offriamo con istima e con riverenza. K. X.Y, Le tre descrizioni del terremoto di Ragusa del MDCLXVII, di Grapi , Rocacer, Srar , versione dal latino del dott. Luca Srurrr. Venezia tip. Antonelli 18328. Ognuno rammenta i nomi di que’ tanti medici illustri per la coltura delle letterarie discipline: ognuno rammenta in che uggia i cultori della letteratura, e specialmente 1 poeti, avessero la leg- ge e i leggisti. Io dal mio canto ho potuto osservare una cosa; che in molti de’ leggisti , salve sempre le note e le ignote eccezioni, manca od è molto ottuso il senso del Bello; e che son questi appunto, come avviene già sempre, ch’ hanno la smania di trin- ciare giudizii d’ alta letteratura. Io potrei anco addurre delle buone ragioni di questa prerogativa de’ medici e di questo privi- legio de’leggisti; ma il tempo stringe, e io debbo parlare dei tre terremoti tradotti dal ch. Stulli. Questo valent’ uomo , nato in Ragusi nell’ ottobre del 1772, studiate le lettere in patria , filosofia e medicina in Bologna, vi- sitate le più ragguardevoli città d’Italia, tornò nel 98 in Ra- gusi ad esercitare la sua professione con lode« Con molte cu- re, con molte spese introdusse nel suo paese l’innesto vacci- no : non neglesse la storia naturale , amò le lettere con grande affetto. Pio, modesto, ed urbano. Morì d°’ apoplessia nel settem- bre del 1828. La biblioteca universale di Ginevra, e l’Antologia con altri giornali, hanno reso giustizia ai meriti di lui, rammen- tando alcuni suoi opuscoli intorno alle detonazioni marittime ne- gli anni scorsi fattesi sentire vicino a Ragusa. Altri in questo giornale parlerà di due suoi opuscoli medici; pubblicati non ha 1:12 molto in Bologna, e. dettati in latino nitido ed: elegante. Io debbo parlare di queste tre descrizioni del terremoto. ch’ egli ha con molta cura tradotte. os i Rd La prima è di Stefano Gradi, nato in Ragusa nel 1613, ‘morto in -Roma nell’83, prefetto della Bibl. Vaticana, di cui molte opere si conservano inedite , italiane e latine; tutte (io non fo che ripetere la parola del dott. Luca Stulli) eccellenti. La seconda è di Bene- detto Rogacci , nato in Ragusa nel 1646, morto in Roma nel 1719: la terza di Benedetto Stay , nato in Ragusa nel 1714, morto in Roma nell’ 801; antore dei due noti poemi che lo resero sì fa- moso a’ suoi tempi. Il Rogacci diresse il suo carme a Cosimo II G. D. di Toscana, il Gradi alla repubblica Veneta , ambedue chiedendo soccorso. Il Granduca ne accomandò a Dio; i Ve- s, neziani adorarono in silenzio i decreti del cielo , e si recarono 3» a coscienza d’ impacciarsene. Intanto Clemente IX , e Leopol- 3» do I Imp. de’ Romani, ai quali fu parlato e scritto in prosa, »» ci furono liberali di compassione e di soccorso. ,» Egli è inutile l’ avvertire che la descrizione dello Stay vola sopra le altre di lunghissimo tratto. Narra il dott. Stulli, che il Cesarotti, essendo a Roma, andò a visitare lo Stay: ed a so lui recatosi, da in sull’ uscio del suo gabinetto, invece di dar »» fiato ai soliti complimenti, che 1° usuale civiltà ci detta sulla »» lingua in simili occasioni, tolse a proferire ad alta voce e di »» meglio che sapesse: ;, hic patriae me casus.. = Ancora , dopo >» trent’ anni, vammi per la memoria il sorriso, che, mentre egli » mi narrava l’accaduto, rendeva meno austero il volto di quel s, Lucrezio in veste di Platone , come soleva chiamarlo il fior sad ogni letterato, E. Q. Visconti. ,, Altri avrebbe potuto chia- marlo Platone in veste di Lucrezio, e gli avrebbe dato un titolo forse più adatto. — “ Ma per disavventura de’buoni studii ( dice 3, con dolore il dott. Luca Stulli) pochi sono al dì d’oggi che leg- 3) gono filosofia in versi latini. ,, anche vero quello che nella prefazione soggiunge il ch. Traduttore. « I nostri concittadini , fin da que’ rimoti tempi iu ss che alle altre nazioni che sparse sopra un vastissimo tratto d’ Europa parlano la .lingna illirica , era ignoto ‘ogoi umano ,; sentimento di coltura e di lettere , la recarono a tanta abbon- so danza, ‘varietà , espressione ; soavità., e splendore , che puossi s; liberamente affermare aver ei preparata la dotta, la illustre lin- »» gua Slava; essendochè fra tutti i popoli di Slava origine il Ragusèo » @ il più antico in fatto di ripulimento sociale e di buoni studi. ,, Ed è veramente unica gloria, ered’ io, di Ragusa , fra tutte le 2) 113 città che mai furono, l’ aver coltivate ad un tempo con gran successo tre lingue; e la Slava in modo da crearsi, prima fra tutte le nazioni illiriche , una letteratura 3 la latina, in modo da contare essa sola per un secolo più latinisti famosi che non ne contasse forse nel medesimo corso d’ anni l’Italia in- tera. Segua ella ad emulare con sempre nuovo zelo la gloria letteraria de’ suoi maggiori ; e soprattutto aspiri alle scientifiche corone de’ Ghetaldi, de’ Banduri, de’ Baglivi, de’ Boscovich. K. X. Y. La Poetica d’ Orazio , tradotta verso per verso. = Lettera di- scorsiva sulla letteratura. Sermoni di Prerro Marocco: Milano Tip. Rusconi 1828, Tradurre un poeta latino , tradurre Orazio , tradurre la poe- tica verso per verso , gli è certo un difficile ed ingrato lavoro. Si può sconsigliare un autore dall’ intraprenderlo , ma non si può non ammirarne la riuscita felice, foss'anche in pochi riscontri, purchè pari ai seguenti = “ A’vati ed a’pittori Sempre si diè di tutto ardir licenza. Sì , ciò chiediam , ciò concediam di paro — Nè serpe a uccel s’appai , tigre ad agnello , — Il lido Striscia chi troppo è in guardia, e teme il fiotto. — E di simili versi, nella traduzione annunziata se ne potrebbe ritrovare non pochi. Certo, il tradurre verso per verso è una briga di più, che accre- sce i ceppi del traduttore, e non la gloria nè il merito: ma quel che gioverebbe a certi traduttori inculcare si è , che tradurre il più brevemente che si possa, è sovente non solo un dovere, ma quasi un conforto ; e non già un vincolo, ma un aiuto. E trat- tandosi di poeti, io dirò cosa che a molti parrà strana , ma che, bene osservata , si troverà forse vera: ed è che , o si traducano due versi in due versi, o due versi con tre, giova, il più delle volte nella traduzione conchiudere il verso con la conchiusione del concetto , come Omero fa quasi sempre, e quasi sempre Virgilio , Dante , il Petrarca, l’Ariosto. Quel rompere, come si dice oggidì, l’armonia, può giovare nella tragedia, nel sermone, ma nell’epopea rade volte, al mio credere: e il trasportare alla metà del verso quel riposo dell’ attenzione che il poeta avea posta alla fine, dona non solo al numero, ma e al sentimento un non so che d’ineguale, d’ arbitrario, di incomposto ; toglie al numero la grazia musica- le, al sentimento la forza simpatica. Primo il Cesarotti, e giova notarlo, insegnò con esempi strepitosi cotesto rompimento dell’ar- T. XXXV. Settembre. 15 vid monia ; quel Cesvrotti i cmi sacrilegi ben peggio che romantici, sono oggidì dissimulati _Todati, e non volendo seguiti da coloro che più ne avrebbero dovuto aborrire. La lettera discorsivà , non è che l’effusione de'personali sen- timenti dell’ A.; tra’quali ve n’ ha però di degnissimi di passare nell’animo e nelle menti di tutti. “ L° utilità, dic’egli, sia un »» principalissimo fine a cui tender dedbe chi studia : dar vita e 3» pulimento a quella sensibilità che avvinchia sì stretto gli uo- mini fra loro, aguzzar l’ ingegno a scernere i confini tra il retto e l’ ingiusto , tra il commendevole e lo sconcio ( confini che le scaltre costumanze, e i ripieghi dalla malizia inven- tati, rendono così spesso incerti e sfumati), corroborarsi con- tro le vicende della fortuna . . . ecco i bei frutti che si ri- ,; traggono dalle lettere, chi assennatamente v’ attende ,,. — « Sebbene quaggiù sienvi sempre stati i medesimi vizi da bia- simare.e fuggire , e le medesime virtù da commendare e se- guitare, tuttavolta sogliono vestire e quelli e queste dalle ,; svariatissime azioni degli uomini , così moltiplici forme ed »» aspetti, d’ età in età, d’ anno in anno, di giorno in giorno , ; che v’ è sempre bisogno di chi, come di cosa nuova, nuova- «+, mente ne ragioni ,, . Quello che 1° A. osserva della popolarità delle dottrine (p. 34-35 ), della illusione di coloro che si cre- dono di conoscere gli uomini quando li sanno trattare ( p. 36 ); del modo di combattere le opinioni dominanti ( p. 38), ci pare non meno ingegnoso che vero. Quanto allo stile , ecco quel ch'egli ne pensa. “ Quelli che reputansi di possedere la lingua perchè, »; andati a ruba de’ frasarii, lardellano e chiazzano i loro scritti di vocaboli pellegrini, di modi eleganti, e di riboboli, vanno di lunga mano errati; poichè possedere la lingua si è sapere fitta fitta la proprietà delle voci, discernere quale s’ adatti allo stil piano, quale all’ alto, quale allo scherzevole , quale 3; all’ adorno, collocarle sì fattamente al lor luogo , che le pa- ;) iano ivi nate da sè da sè ; fare infine sì ben giocare le parole che, dirò così, divengano, da semplici colori, sostanze del discorso. Quelli da ultimo che menan rumore se altri usa certe maniere, ch’ essi chiamano fiorentinerie , non badano che tutte 3 le lingue ne hanno di sì fatte . . . ,,. De’ sermoni, noi non ammiriamo , a dir vero, nè gli argo- menti, nè il modo di trattarli; ammiriamo la perizia della lingua, la franchezza che prende a quando a quando lo stile , la finezza di certi particolari, ed il senno. Per esempio, nel V sermone, è Poeti : 23 25 bbi 23 25 23 23 29 2) 115 Che più si bada ? Quà la penna. — È fatta. Quì 1° usignolo querulo gorgheggia , Scorre l’ argenteo ruscelletto , e increspalo La scherzatrice mattutina auretta 5 Sorge una Ninfa tutta gaia , e snoda In dolci accenti e teneri la lingua. Gosì ne’ tempi addietro ; e ne’ moderni : Deh senti susurrare in quel frascheto I silfi misteriosi , e star guatando Gli accavallati nuvolon, che vengono Sull’ orizzonte maestosamente Procedendo .... Zuleika .... ah! più Zuleika Non somiglia il mattin : la sua beltade È or sole scendente dietro a’ colli Da cui sbucan notturne upupe e gufi. Ah, Zuleika! Zuleika! .... Ove î tuoi passi Rivolti son ? .... Cupo dolor ti mena; Gupo dolor . , ! = Di linear son stracco E ritrar Petrarchesche leziosaggini E Caledonii ipocondriaci sogni. Ma il Falimbel ringalluzzisce tutto Se arriva un foglio ad imbrattarne = O bella ! Egregia canzoncina! Oh la romanza Maravigliosa ! E par di getto! — Questa E canzon ? Questi versi ? Il Ciel ti serbi Il cervello , se 1’ hai. == Forse non trovi Sillabe e accenti a luogo lor? - Deh guata Golà dal parrucchier quella figura; Ha testa al naturale , ha mani, ha gambe , E vestita appuntin : la chiami un nomo ? Quando si pensa che questi versi son opera d’ un giovane di ventidue anni, alla voglia di censurare e di consigliare sot- tentra la riverenza e la meraviglia. Li A Le Odi di Q. Orazio Fracco, a più facile intelligenza della gio- ventù , di spiegazioni e note corredate da I, C. = Colle, presso Pacini e figlio 1829. L'Arte Poetica di Q. Orazio Fracco con versione italiana in ottava rima di Camirto Torierioni. Firenze, Coen e C. 1829. Orazio , come il solo che sta a rappresentare tutta la poesia lirica di una epoca e di una nazione, e che ha delle sì felici ispirazioni e sì bella poesia di concetti e di lingua, merita lo studio e di quelli che vogliono rintracciarvi una immagine delle opinioni.e dei costumi romani al tempo di Augusto , e degli altri che vogliono solo considerarlo come modello di poesia. 11A Quindi una folla di comentatori si gettò sulle di lui opere, e fecero gran pompa di retorica sapienza nello sciogliere diffi- coltà , nel togliere dubbi ed oscurità , nell’ inviluppare ogni pa- rola dell’autore in un ammasso di erudizione a proposito e fuor di proposito (dice il nuovo annotatore): e così sempre fino ai nostri giorni, continuando nella ripetizione” di cose che bastava. pur dire una volta. Era assai meglio se qualcuno invece avesse posto mente ad intender lo spirito e a spiegar le bellezze di quella poesia , a indagare le cagioni di tanta diversità di opinioni mo- rali, politiche e religiose che s’ incontrano in quei versi, dove ora è divinizzato il feroce triumviro che spegneva nel sangue e nei vizi l’avanzo della romana virtù, ora è celebrato il generoso Regolo e 1’ invitto animo di Catone; qua si ammira l’ intrepidezza e la costanza degli animosi guerrieri, là si confessa una fuga co- darda in quella battaglia che fu 1 ultima della libertà : ora Stoico , ora Epicureo ; il timore di Giove tonante e le pratiche supertiziose miste al sogghigno del filosofo che le disprezza. Tutte queste cose , che senza avvertirsi e spiegarsi non so quante buone idee sui più importanti doveri generino nell’animo della gioventù , sono state trascurate: ed era ciò consentaneo a quel metodo di educazione che si occupava esclusivamente delle parole. Ma se quel metodo è dai più disapprovato al presente ed in parte cangiato , debbon pure cangiarsi quei comenti, ed uscirne altri che corrispondano ai desideri ed ai bisogni del secolo , gio- vandosi di tutti i soccorsi che presta alla filologia la storia dive- nuta più sicura e più libera, e la filosofia delle lettere , che ha sradicato tanti pregiudizi, e che togliendo la superstiziosa reve- renza alle antiche rinomanze , le ha poste al suo vero luogo. Ma tale non è stato lo scopo del nuovo annotatore , che “ solo ha preteso (sono sue parole ) di agevolare 1’ intelligenza s» di questo sublime poeta dando la spiegazione dei termini meno »» ovvii e delle dizioni più astruse con delle note italiane ,,. E questo è un servigio , di che gli saranno grati i giovanetti , che entrano nuovi nello studio di questo poeta , giacchè toglierà loro molta noia e molta fatica (spesse volte inutile) il ritrovare a piè di ogni ode le corrispondenti frasi italiane, e gl’ invoglierà a legger le note il vederle scritte nella nostra lingua . Era for- se più utile allo studio della lingua in generale lo spiegare le differenze , le analogie , i vari significati di quelle frasi, che così sole non saranno bastantemente comprese dai giovani; ma ‘l’autore ha ragionevolmente pensato , e forse conosciuto per espe- rienza, essere questo l’uffizio de’ buoni maestri, dalla viva voce dei 117 quali piuttosto che dalla lettura di annotazioni possono venirne istruiti. In ogni fatica che a questi è destinata si procuri soprattutto di volgere l'intelletto alle utili ricerche, non di appagarlo colla mostra del sapere; e se non si può pienamente istruirlo, s’infonda il desiderio della istruzione — e questo è seme che al suo tempo frutta sapienza. A ciò debbon specialmente pensare coloro che spendono cure intorno ai libri usati tuttodì nelle scuole per non gettare inutilmente il tempo e la fatica. A che prò per esempio moltiplicare le traduzioni di un qualche scritto; che sarà solo interessante a chi intende l’originale , e che se pure avesse lettori in chi non l’intende, è stato più volte ed assai bene tradotto ? Questo mi pare appunto il caso della poetica di Orazio, di cui si è avuta una nuova traduzione dal sig. Toriglioni. Esso l’ha ricomposta in modo che gli è sembrato più armonico e re- golare , l’ha tradotta in ottave assai facili e disinvolte : e dopo ciò la sua fatica quanti avrà dilettato , a quanti giovato ?_ io ne lascio il giudizio a coloro, che da gran tempo gridano : i versi ai nustri giorni esser merce non molto cercata e gradita se non agitano potentemente l’intelletto ed il cuore, se non servono alla presente civiltà ingenerando nobili e magnanimi affetti, l’amo- re di tutte le civili e morali virtù. L. Dr Aqua, Carmen. Florentiae, ex Typographaeo ad Signum Dan- tis 1829. 8.° pag. 20 vers. 355. Al medesimo autore , che, correndo l’ anno 1825, pubblicò per le stampe un latino poemetto intitolato: ZEusedius seu de Christiana Educatione (v. Antolog. Fasc. 63 p. 140 ) andiamo adesso debitori di un altro latino : Carmen de Aqua ripieno an- ch’ esso di quella tanta dottrina nelle divine e naturali scienze che da tutti si ammirò nel poemetto. Nè minore è nel carme l’eleganza e la facilità dello stile: di che non vorranno certo maravigliarsi coloro i quali stimano vera la fama che suona es- sere l’anonimo autore uno dei principalissimi nostri magistrati e giureconsulti, degno erede insomma di un Bizzarrini, di un Mer- li, di un Pompeo Neri e di un Domenico Brichieri Colombi, veri lumi della Curia nostra , i quali ben si/sapevano, che invano spera asseguirsi la intiera cognizione della romana giurisprudenza da chi prima non apprese tutte 1° eleganze della romana favella. Ma sì perchè i lettori prestino più facilmente fede ai nostri detti, @ per fare a un tempo opera di patria carità , stimiamo dovere 118 addure un passo del Carme ove l’ A., dopo aver cantate molte lodi dell’acqua, si fa da buon cittadino a pregare che presto ven- gano condotte e raccolte in questa bella Firenze acque purissime onde gli abitatori non soffrano necessità di bevere quelle malsane de’ pozzi con grave danno della salute e venustà dei loro corpi. Coelicolae magni, Florae queis credita cura , Queis crevit , queis crescit adhue decor urbis amatae , Ne sinite e puteis undas haurire bibendas. Numine vestro , opibus regum , studiisque sophorum , Musarum plaudente choro ; citharaque sonanti , Hue fontes ducti ; at magnae vix plebis in usus. . Quod deest dulcis amor patriae suadentibus addat Nune vobis, nec majus opus sibi ducat agendum. Regis ad exemplum tot tantaque ubique parantis Gaza potens per aquas patriae bene consulat urbi : Sat se luxus alit : colat utile civica virtus. Erumpant capita undarum, venaeque perennes Quaesitae huc illue , et vasto carcere clausae Largifluo dociles descendere gurgite discant , Fontibus atque sonent spumantibus urbe , suosque Jam tandem felix habeat Flora inclyta Agrippas. Forte jugis undae illimes , scatebraeque salubres Deficiunt ? cisterna patens sit plurima in urbe : Ipsa imbrem nulla collecta sorde receptet, Quem satis Italiae plenis dat mensibus annus. Evenient : morbosque salus , borealis ut aura Nubes, hinc abiget. Strumis turgentia colla, Gibbo deformes humeri , distortaque crura , Multi hebetes oculis, non pauci lumine capti, Exiles pueri, pallentique ore puellae , Tantilli et moduli muliercula, homunculus idem , Atque alvus longo , aut homini vix commoda obeso, Et jecur obstructum maculosa per ora rubescens , Occurrunt misero quae saepe miserrima visu , Sit bona aqua ; aere et hoc puro rarissima fient. Roma ; tuis quamquam tabescis pallida in agris , Fontibus urbe viges , quos hospes flumina credat. Urbs Pisaea, domus Sophiat , spes thusca juventae , Fernandi latices tibi origo fuere salutis. Fernandi Austriaci coelo aucti , et fausta precantis Gentibus Hetruscis, sonat inclyta fama Labronis Ad portus: Leopoldus amans coeptique , patrisque Longinquis puras ducentis collibus undas , Urget opus : Leopoldus adest , succrescite fontes. E quì ne sarebbe grato riportare eziandio que’ versi che ap- presso seguono, per celebrare la grande e veramente regia impresa di rendere siccome prima ridenti e fertili le ora squallide e deso- 1Ig late maremme : sennonchè ci consiglia a ristare il timore di of- fendere quella modestia che non crede dovuta lode ai magnanimi e sublimi concepimenti prima che vengano coronati del più felice successo in pro della patria e dei sudditi. - P. Gi Lucar StuLLI rhagusini, opuscula duo Medica. Bononiae stu- diorum , 1829; ex Typ. Ann. Nobili et soc. Lettera del dott. G. Terrmanini di Bologna, al dott. Lvier Pisrorini. Ho letto i due Opuscoli medici dell’ antico mio condiscepolo e nostro comune amico, Luca Stulli di Ragusi, di cui deplo- riamo la recente improvvisa perdita. Mi è molto piaciuto quel cenno biografico latino, che vi ha posto in fronte Michele Fer- rucci, che allo stile conciso ha per tal modo accoppiata l’ ele- ganza e la proprietà delle parole , ch’ io non so se gli antichi scrittori di quel dolcissimo idioma avessero saputo far meglio. I due Opuscoli poi dello Stulli, dei quali mi dimandate pa- rere , sono ambedue a mio avviso interessantissimi , ed il secondo ancor più del primo. Il primo descrive accuratamente con uno stile, che molto s’ accosta a quello di Girolamo Mercuriale, ciò che aveva di co- mune coll’ ordinaria peste di Levante, e ciò che aveva di pro- prio quella peste dudonica, che mossa da Tessalonica , dov’ essa è quasi endemica, per la via della Bosnia penetrò in Ragusi verso la fine del 1815. Nell’investigarne che fa sottilmente l’ori- gine, egli la ripete dalla disposizione, che i corpi umani di “tratto in tratto contraggono da certe condizioni loro proprie e dell’ atmosfera ; per cui il contagio, di cui le merci sono imbe- vute , il quale nè prima nè dopo è capace di risvegliare la pe- ste, nel tempo in cui le suddette condizioni esistono , e finchè durano, è atto a svilupparla e a propagarla nell’ uomo. Esattissima ancora è l’ altra descrizione della peste bovina, che tanto piacque all’ intrepido affrontatore della peste orientale ed occidentale, Eusebio Valli. Stulli 1’ ha riscontrata molto si- mile alla Qubonica di Levante, ed ha osservato ch’essa è comune agli uomini ed ai bruti: che è spontanea nei bruti, nata da cat- tive condizioni dei cibi e delle stalle: e che essa non è conta- giosa per i bruti stessi, nè per gli uomini, se non se per mezzo 120 degli effluvi esalanti dai loro escrementi, mentre vivono, e per il maneggiamento dei loro cadaveri. L’ altro Opuscolo descrive la febbre scarlattina , che, de- rivata dalla Dalmazia ex-veneta, si manifestò in Ragusi sul finire del 1822. Egli tratta magistralmente 1’ antica controversia sull’ origine e la diffusione delle epidemie in genere , è special- mente di quelle delle scarlattine , e sul modo di agire dei mia- smi: intorno alla quale quistione egli richiama a rigoroso esame tutte le opinioni pubblicate su tale argomento. Poscia descrive diligentemente la maniera , colla quale egli crede che il conta- gio introdotto si svolga , si moltiplichi, si getti alla pelle, e da questa retrocedendo , ai visceri con imminente pericolo dell’ in- fermo. Adduce in seguito e succintamente narra dieci casi vera- mente strani, presso che tutti inaspettatamente funesti, di quella epidemia. E finalmente dichiara coll’appoggio della propria espe- rienza , che il cloro , tanto decantato per la cura delle scarlat- tine | è stato da lui trovato infruttuoso. Intorno allo stile vi dirò solo , ch’ esso è conciso e chiaro, che l’ espressione latina è esatta , e che per questa parte ancora nulla manca , acciò questi due Opuscoli del nostro Stulli siano riconosciuti e giudicati degni di somma lode. Bologna 24 Agosto 1829. GAETANO TERMANINI. Della vera nobiltà d’ uno sposo. Orazioni due d’incerto autore, scritte ed impresse Vl anno MDXLIV, ed ora rivedute e ri- donate alle luce. Venezia Tip. Alvisopoli 1829 (Per nozze ). Lezione di Grecorio Livin: intorno al diletto dell’ imparare e dell’ insegnare ; ora per la prima volta pubblicata. Venezia Tip. Alvisopoli 1829 (Per nozze). Gli antichi, nelle menome faccende della vita domestica e della civile, badavano con gran cura a scansare tutti gli oggetti e i suoni d’augurio men che fausto. Convien dunque dire o che i nostri padri fossero grandemente degenerati da’ classici loro arcavoli , o che i versi cattivi sieno d’ un ottimo augurio per tutte le più se- rie intraprese di questo mondo. Giacchè , non era lecito diventar paroco, vescovo , provveditore , delegato , laurearsi, monaearsi, maritarsi , morire, senz’essere mortificati da una grandine di versi, e di sonetti segnatamente; metro, come ognun sa, essenzialmente amoroso. — Ora l’influenza de’versi comincia a passare; e l’uffizio 121 del rappresentare la privata e la pubblica gioia , comincia a ri- cadere sui poveri bibliotecarii. I quali non sempre hanno alle mani un’ opuscolo muovo, elegante, ameno , breve soprattutto ( perchè tale è la commissione ) da ‘consegnarlo ‘alle stampe. E in un simile imbroglio si trovavano, cred’io, i due valetiti bi- bliotecarii editori di questi due libriccini, ambedue d’ autore o incognito o sconosciuto, ambedue di stile assai terso, ambedue molto sterili d’ idee, e di tuono molto mortificati e melanconici, e perciò , dirà taluno , matrimoniali anche troppo. Arcades ambo! — Equivalgono insomma a due sonetti per nozze. Nelle due orazioni della vera nobiltà dello sposo si disputa giudizialmente qual sia degli sposi il più nobile , quello che ha magnanimo il cuore , o quello a cui scende da lombi magnanimi il sangue. La questione è alquanto delicata, e pizzica molto del democratico: e non saprei spiegare come si fosse lasciata stampare a Venezia nel 1544, se leggendo la disputa non m’accorgessi, che la melensaggine del tuono d’ ambedue gli ‘oratori li rende ‘ aristocratici egualmente ambedue; o ambedue democratici, se così piace. I giudici che avevano a decider la lite , devono cer- tamente essersi trovati in uno stranissimo impaccio. Iò per me trovo che la questione trattata dall’ incerto autore, ne ‘suscita un’ altra: ed è questa se dovendo scegliere assolutamente , sia più saggia cosa alla donna scegliere un nobile ‘sciocco , ‘0 uno sciocco non nobile. — Del resto, giurerei che l’autore ‘incerto di queste orazioni doveva essere un nobile veneto, il quale le avrà meditate e scritte e limate nella maturità degli anni per dar la berta ai plebei. Ora dunque le due orazioni hanno meri- tato l’ onore della ristampa, in grazia d’un nobile matrimonio: tanto è vero che la gloria è bizzarra quanto la fama ; che i ma- trimoni per quanto siano felici non possono mai sfuggire tatti gl’ inconvenienti ; e che tutte le censure del mondo non servono a prevenire tutti gli abusi deplorabili della stampa. Il secondo opuscolo, intorno al diletto dell’ imparare e del- l’insegnare, è una questione anch’ esso sul far della prima , una questione accademica : e 1’ autore, dopo avere accademicamente esaurito il suo tema e la pazienza dagli accademici , conchiude che l’ insegnare è cosa molto più dilettevole dell’ imparare ; vale a dire che ci si trova più gusto —. Lo credo! == Son tanti quelli che insegnano; e son così pochi coloro che imparano, che la cosa dev'essere assolutamente quale ce la dimostra il ‘signor Gre- gorio Livini. È ben vero che l’insegnare può essere molto peri» T. XXXV. Settembre. 16 122 coloso, e che l'insegnante talvolta è costretto nell’ esercizio del suo ministero ad imparar certe cose che avrebbe assai volentieri ignorate. Ma certo è nondimeno che moltissimi si sentono una vocazione, un prurito irresistibile per insegnare : e ciò prova ad evidenza che l’insegnare è una gustosissima e vantaggiosissima cosa. Nessuno lo può saper meglio de’ giornalisti; i quali, dopo aver imparato non poco da un libro , si mettono poi per voler giudicarlo. È ben vero che anche il giornalismo , come tutte le scuole del mondo, si potrebbe ridurre ad una scuola di mutuo insegnamento. Ma l’insegnare, l’ insegnare puro e semplice, è cosa cento volte più bella! = Ascoltiamo il sig. Gregorio Livini: « Che più perfettamente conosca di sapere quegli che insegna , è tanto noto che niente più, poichè con questa parola sola in- segnare , diciamo quella vera cognizione d’ intendere che gli ari- stotelici direbbero saper di sapere ,. Queste parole fan saggio della logica del sig. Gregorio Livini: ma se voleste conoscere quanto addentro egli conosca il cuore umano ; ascoltatelo ! “ L’imparare ,» è perciò grandemente dilettevole, perchè quei che impara 3» viene quasi in sicura speranza di poter insegnare ad altri. ,, Ciò prova due cose. I.° Che i più degli uomini non imparano per imparare , ma imparano per insegnare. II.° Che quelli che vogliono insegnare dovrebbero prendersi la pena d’imparare qual- cosa. = Sia lode all’illustre accademico! Io conosco pochi uomini più ingegnosi di lui. K. X. Y. L’ Orrino Commento della Divina Commedia testo inedito d’un Contemporaneo di Dante citato dagli Accademici della Cru- sca. Pisa , Capurro 1827-29 tomi 3 in 3.° con figure. Fin dalla prima compilazione del Vocabolario gli Accademici trassero da questo Commento , appellato or 1’ antico , or il buo- no , ora l’ottimo , più di 1500 esempi. I Deputati sopra ’1 De- camerone , il Salviati negli Avvertimenti , altri scrittori di molta autorità ne lodarono a cielo la pura favella e la semplice ele- ganza. Chi ne sia l’ autore è ignoto : che il sia un coetaneo e forse :famigliare di Dante , come que’ Deputati congetturarono , è fatto certo da ..due passi, l’ uno relativo al verso 87 del ca- pit. 10, l’ altro al 144 del capit. 13 dell’ Inferno. Molti già lo attribuirono ad Alberigo di Rosate, traduttor latino , come si scoprì in seguito , del commento ch’ ei dice toscano di Iacopo Della Lana. Il Salviati , a cui si dee la scoperta, confermata poi 123 dal Tiraboschi, lo attribuisce a Sacopo stesso , dicendolo però scritto da lui originariamente in bolognese, indi rivolto da qual- ch’ altro in toscano. Il Dionisi, che ne diede il primo nel quinto de’ suoi Aneddoti non brevi saggi , dice nella Preparazione critica alla nuova edizione di Dante d’ aver « veduto con gli occhi suoi che l’ autore del Commento antico, detto anche il buono o l’ot- timo , e Iacopo Della Lana sono due commentatori totalmente diversi -di pensare e di scrivere dal principio sino alla fine », e aggiunge che « l’uno e l’altro scrisse bensì in italiano, ma l’an> tico (il quale secondo lui è indubitatamente di Toscana ) nel suo, e Iacopo bolognese nel suo , ch’ei trasfuse alcune volte nel tesoro stesso della Commedia ». Il Perticari, non rammentando que- ste cose, vuol di nuovo che il nostro Commento sia di Iacopo , il quale vien così ad essere dichiarato , per sentenza de’ Deputati già detti, scrittore più terso di Francesco da Buti commentatore pisano. Il Foscolo domanda se non potrebb’ essere d° Iacopo fi- glinolo di Dante , ma derivato per avventura da quello dell’al- tro, e prega questi valentuomini « odoratori sagaci di perga- mene » a cercare un poco per le nostre ricche biblioteche , se lor riuscisse di trovarne alcuna che servisse alla risposta. Il colto editore ( Alessandro Torri ) che , dopo due secoli e mezzo di ge- neral desiderio , alfine ce lo dà a leggere intero, vorrebbe che lo confrontassero con quello che si denomina da Giovanni Vi- sconti arcivescovo di Milano , il qual chiamò sei dotti del suo tempo a dettarlo , anzi con tutti i più antichi, sperando che n° esca qualche lume intorno al suo vero autore. Intanto ei pro- pone , fondandosi particolarmente sopra un passo relativo a’ ver- si 97 e 98 del cap. 26 del Purgatorio , alcune congetture sulla condizione di lui, che avverate potrebbero aiutare a discoprirne il nome. id; Queste congetture mi fan pensare ad un passo, che al primo aprire il Commento mi si è presentato agli occhi, e ch’ io non so dire se sia fra quelli che agl’occhi dell’editore servono a con- fermarle. Esso è relativo al v. 65 del quinto dell’Inferno , e può far riscontro a quello sì celebre del Malispini, ove si narra come « la reina Belisea era alla messa la mattina della, pasqua di Penticosta nella calonaca di Fiesole ». È di questo tenore: «© E vidi °l grande Achille ec. Fu Achille il fortissimo de’ Greci, fi- gliuolo di Peleo e ‘di Teti, la quale per guardarlo dal venire sopra Troia lo rinchiuse in un monisterio di donne: quivi sver- ginò la monaca Deidamia figlinola di Licomede ec. » Forse il passo è uno de’ molti, che si sospettano interpolati ; fors’anche 124 è uno de’ più autentici. E il lettore, che ha pratica de’ nostri vecchi scrittori, sorride ma non ne argomenta nell’ autor del Commento, nè stolidezza nè ignoranza delle cose contemporanee. Il Foscolo anzi, giudicandone dagli estratti del Commento me- desimo , che il Renzi inserì nell’edizion fiorentina di Dante, detta dell’Ancora, non dubitò di porlo a capo di tutti gl’ interpreti del poeta, come raccoglitore , se altro non fosse , delle dichia- razioni venute in parte dalla viva sua voce, e in parte da’suoi manoscritti, quand’ egli ebbe in animo d’ interpretarsi da sè. « Le parole dell’anonimo : î0 scrittore udii dire a Dante mi mo- verebbero poco (v. il par. 185 del Discorso intorno alla D. Com- media) se non vi sentissi la voce di Dante. I versi del 10. dell’In- ferno : Quel popolo è sì empio Incontro a’ miei in ciascuna. sua legge — Tale orazion fa far nel nostro tempio, furono or trasandati or illustrati così = il senato di Roma antica sedeva ne’ tempii; però l’ usanza arrivò agl’Italiani nel medio evo , e si adunavano nelle chiese: onde tempio è da spiegarsi per curia, e orazione per le leggi e consulti che vi si fanno. = Certo i versi e il loro contesto. mi suonano le pubbliche imprecazioni usate nelle cat- tedrali a sterminio de’ nemici della casa o della setta regnante. Odo che la cerimonia si celebra da’ tirannucci in Irlanda contro a’ papisti; ed allora i preti, a nome del popolo fiorentino , rin- frescavano la scomunica ne’solenni giorni d’ogni anno sovra tutte le razze de’ ghibellini. Di ciò l'anonimo non saprei se lasci ricordo; e forse tacque di rito vigente e notissimo. Bensì t’avverte = disse tempio e non chiesa per più proprio parlare e non perchè rima lo stringesse: studiosamente disse fempio a denotare ; che come il tempio è la chiesa de’ pagani, la quale la fede cattolica abo- mina, così li preghi, de’ quali di sopra si fa menzione, non sono , quanto alla cattolica fede , accettabili. = Or non diresti d’ udire Dante sollecito, nel suo Convito , della proprietà de’vo- caboli, e sdegnoso de’ lettori corrivi a. frantenderli ? Ovunque il poeta fa motto di casati o individui fiorentini , l’ anonimo li de- scrive come se sapesse ogni cosa di loro , e della loro vita dome- stica, e della loro indole , e delle condizioni della loro posterità. Ove gli pare che importi registra le date puntualmente. Così sotto al dialogo del poeta con Forese Donati nel Purgatorio: = messer Borso fu ucciso a’ dì 6 ottobre 1308, e da questo giorno, in che parla Fonese , sette anni, sette mesi, venti dì incirca. = Il terzo fra questi filosofi Parmenide, Melisso, Brisso e molti = I quali andavano e non sapean dove (Paradiso 13), sconosciutissimo a’com- mentatori tutti quanti sino a’ giorni del Volpi, era pur noto al- 125 l’anonimo, come se il libro antico, dov'è nominato, gli fosse stato additato da Dante. = Brisso con false dimostrazioni volle dal circulo trarre proporzionalmente il quadro , del quale tocca Ari- stotile nel libro delle Posteriore. = Finalmente molti de’ dubbi metafisici e dottrinali, che gl’ interpreti, per non averli origi- nalmente pensati da sè , e non poterli intendere a un tratto , sono costretti a spianare con lungo. discorso, e lasciarli intricati a ogni modo , escono dalle brevi parafrasi dell’ anonimo schietti e sicnri, come se fossero ridotti a definizioni dalla mente che aveali meditati e condensati in sentenze a rivestirli di poesia ». L’ edizione del prezioso Commento è fatta sovra una copia che già ne trasse da un codice laurenziano (n. 9, pluteo 40 ) Bartolommeo Follini, riscontrata col codice medesimo da Gaspero Bencini. Ma questo riscontro, per sè stesso utilissimo ,, era troppo lungi dal bastare al bisogno, poichè il codice è assai difficile a leggersi, sparso di lacune e scorrettissimo. Quindi all’ editore è stato d’ uopo di molta critica e di pazienza infinita per cavarne lezione chiara, intera, e quanto gli fu possibile corretta. Le emen- dazioni più indispensabili le pose a piè di pagina, le altre le propose in tre appendici corrispondenti alle tre parti dell’ opera. In quella, che riguarda il commento dell’Inferno, ne inserì molte fornitegli da Luigi Muzzi e da Carlo Witte ; per la seconda, che riguarda il Purgatorio, si giovò assai delle varianti che tro- vansi negli estratti già accennati del Renzi; per l’ ultima si giovò e delle varianti del Renzi medesimo. e d’ altre emen- dazioni del Witte già detto , ch’ ebbe innanzi un altro codi- ce laurenziano ( anch’ esso del pluteo 40 ) contenente il com- mento del Paradiso. Alle tre appendici aggiunse tre indici delle voci del Commento registrate nel Vocabolario o da registrarsi , l’ uno compilato da Luigi Muzzi ; gli altri due da Paolo Zanotti. È noto che il testo del Commento, adoperato dagli ultimi. compi- latori del Vocabolario, non è quello stesso che adoperarono i pri- mi. Quindi una varietà di lezioni e di citazioni , che 1’ editore si è dato cura di notare. E poichè gli piacque, per le ragioni che accenna, di prendere a testo della Divina Commedia quello degli Accademici, notò pure diligentem:nte le varianti di quello che adoprò l’autore dell’ Ottimo , moltissime delle quali , egli dice, concordano, colla lezione del Codice Bartoliniano. Di queste e d°altre particolarità del suo lavoro, che qui mi basta d’ avere annunziato., non che dell’utile che può venirne agli studi intorno alla Divina Commedia, parlerà più distesamente quell’uomo eru- dito, che va scrivendo per l’Antologia le Riviste Dantesche. M. 126 Collezione dei progetti d’ architettura premiati nei grandi con- corsi triennali dall’ I. R. Accademia-di Belle Arti in Firen- ze. Fasc. III, IV e V. Gl’intelligenti dell’arte troveranno , speriamo , da lodare in questi disegni la perizia dei valenti editori , la nitidezza dell’ope- ra loro, il merito intrinseco de’ progetti , se non sempre nel gran- dioso e nell’ uno dell’ intero , almeno nel gusto e nella leggia- dria delle parti. Noi sentiamo il dovere di nuovamente racco- mandare a tutti gli amatori e a’protettori dell’ arte questa edi- zione sì esatta, sì splendida : e sentiamo insieme rinnovarcisi il dispiacere che spesso n° è forza provare del veder le imprese ti- pografiche e artistiche più commendevoli, o non curate dal pu- blico , 0 ricompensate di sterili encomii. Questo scoprire ‘i mali dello spirito publico in Italia , si chiama da taluni irriverenza e sacrilego amore della barbarie stranieta; e si vien gridando che prima di tutto convien essere italiani, e veramente italiani : e sa il cielo, solo il cielo lo sa , che cosa con questo nome s’in- tenda : poi sì canta in aria di trionfo, che l’Italia, in fatto di civiltà , di studii solidi, e d’ogni sorta di bene, vien facen- do poco ‘men che miracoli. E in quest’ adulazione vigliacca dello stato presente , in questo ignorante disprezzo degli esempi stra- nieri si ripone l’ amore di patria. Ma per dimostrare che in Ita- lia non si fa tutto quello che si potrebbe , mi sia permesso co- gliere dalla pregevole opera annunziata , occasione alle seguenti dimande : Quanti son eglino i libri , quante le opere d’arte col mezzo della stampa rese comuni, veramente utili e belle? — Non mol- te. Per quanto sia fervido nei freddi disprezzatori delle cose straniere 1’ amore di questa classica terra , converrà pur sempre conchiudere che non molte. — Ebbene : sarebb’ egli troppo stra- no ed ingiusto esigere da tutti coloro che comprano libri , e non dico romanzi , ma libri sufficientemente pesanti e noiosi , esige- re, dico, che comprassero i più belli, i più buoni? — Stranissimo, risponderà taluno. — Ma semplifichiamo la dimanda : sarebb’egli un troppo chiedere a’ricchi, a’nobili più ragguardevoli di ciascuna delle nostre città , che delle opere degne di lode pensassero a for- marsi una piccola biblioteca contemporanea, utile, se non per loro , per 1’ educazione almeno , o per l’intertenimento , o non foss” altro, per la vanità de’ lor figli” — Ponete nella più 127 scelta parte de’ cittadini d° Italia questo proponimento , al certo. non dispendioso nè malagevole a porsi ad esecuzione , e voi avrete assicurato alle opere utili uno smercio , un’ associazione tacita e perpetua ; agli autori un incoraggiamento , un compenso ; uno stimolo , insieme ed un freno all’interesse, sovente sì cieco e sì sordido, de’librai. + Ma e chi sarà che dovrà giudicare quali sien l’ opere degne d’ entrare in questa Biblioteca aristocratica ?_— Il pubblico grido , il voto de’dotti, la fama dell’ autore , l’in- dole e io scopo dell’opera; e , ultimo indizio, la concorde opi- nione de’ più accreditati giornali. — Così costituitisi tutti i ric- chi, quasi in comune consorziv, perpetui e necessarii mecenati di ogni classe d’autori e d’opere, sarebbe restituita agl’inge- gni la loro indipendenza , la lor dignità ; alla parte più scelta della nazione , una diretta, innocua , operosa influenza sulla ci- viltà, sullo spirito publico, sulla educazione: alla quale finchè non penseranno , come a proprio interesse, i privati, non s’avrà mai nè famiglia nè patria. K..X. Y. Poesie inedite di Frtirro e di Domenico Rosa Moranvo. Verona Tip. Tommasi 1827. Saggio di Poesie facete di Grus. Zucconi Veneziano M. C. Ve- nezia Tip. Picotti 1827. Chi volesse rinnovarsi il piacere ch’ avrà forse gustato in sua gioventù nel leggere il Pastorfido e l’ Aminta ; chi, senza punto curarsi delle idee , degli affetti, dell’ intreccio drammatico, della natura pastorale, qual è, volesse godersi i pastori qual li han fatti il Guarini ed il Tasso; chi amasse de’ versi leggiadri, d’ una facile semplicità, d’ un gusto delicato e sicuro ; chi desiderasse in- fine conoscere una vecchia Amarilli, tanto meno sfacciata e più gentile, più comica di Corisca, quanto il secolo XVIII era più consumato in amore del decimosesto, legga le nozze doschereccie di Fil. Rosa Morando, e me ne saprà grado , io nol dubito. Un non so che di puro, di sereno, d’antico, traspare da questi versi; che tanto più conforta quanto ormai diviene più raro. Ed è ben da dolersi che in una favola boschereccia si sieno iti a perdere doni sì cari: ma non conviene dimandare agli uomini più di quello che il secolo nel qual vissero, permettesse loro di tentare , o di pur concepire. Quest’è quel Filippo Rosa Morando che nei dialoghi sulle bellezze di Dante è chiamato con vezzeggiativo garbatissimo, f'- 128 ippetto: e fratello di lui; è quel Domenico del quale ie rime piacevoli ha pubblicate il Tommasi. Fra queste è un capitolo a Niccola Casati; e in questo capitolo v'è una terzina che dice: Evvi un certo buon vecchio cicalone Con gli astrusi vocaboli, che fanno Maravigliar le semplici persone, A giudicar della vena di questo Domenico servirà parte d’ un sonetto per matrimonio, che mostra come una consuetudine sciocca si possa mantenere per secoli, quantunque disprezzata da coloro stessi che vi si assoggettano. Gran cosa ell’ è in mia fè, che un matrimonio A” nostri dì non s’ abbia a celebrare Senza che astretti sien per testimonio I poveri poeti a bestemmiare. Ma noi come ci entriam ? Vada al demonio Ogni impazzato che si vuol legare. Ne pigli due , tre, quattro, alcun nol vieta. ‘|. Oh, se la quinta ammazza , e poi la sesta, Allor sì sarà un tema da poeta! Le piacevolezze del sig. Domenico Rosa Morando non son sempre così piacevoli: ma quando dal Rosa Morando noi passiamo al Veneziano Padre Zucconi, ci par quasi d’essere trasportati dalla cima del Parnaso (ci si perdoni l’ allusione mitologica) in una delle vallate di Bergamo. Dio buono, com’è stranamente faceto questo Padre Zucconi! È ben vero ch'egli è morto nel 1754, d’anni trentatre, e non ha avuto il tempu di diventare abbastanza padrone del proprio spirito; è anche vero ch’ egli era un minore conven- tuale, e che il suo ditirambo sull’ Amore non poteva essere la più cara cosa del mondo. Ma, tutto considerato, io dubito che quest’ uomo non avrebbe mai, quanto a ditirambi, passato gli anni della minorità. Con la mente umile e inchina Vi scongiuro, o mia Reina, Per i gusti che amor dà Ad aver di me pietà. Questa orazione non è già in nome suo, è in bocca d° un certo Platone , del quale giova vedere nel Padre Zucconi la smemorag= gine, bulordaggine , trascuraggine , com’ egli la chiama. Dopo l’amore viene 1° arrosto. L° argomento par meglio adat- tato : eppure io non saprei dire qual sia il più faceto di questi due ditirambi . Che Tiziano dipirigesse coll’ unto dell’ arrosto , che il Colombo nell’atto di conquistare 1° America si gettasse sopra 12 un cervo arrosto che si stava cuocendo da’ barbari ; che alive si dovesse la gloria di Roma perchè il padre Enea, giunto in Africa, fece arrostir sette cervi; che le stelle del cielo non sien altro che arrosti sempre allestiti per solleticare il palato degli Dei del- l'Olimpo... quest’ è nulla. Ma il Padre Zucconi soggiunge : S’io fossi Papa , non che Cardinale , E che l’arrosto. mi fosse interdetto, Rinunzio al grande onor pontificale. Poi viene un capitolo in lode dell’ozio, di cui dice “ Par- lategli volgar, greco; o latino — Paziente v’ ascolta. — Questo non è tanto vero dell’ozio, quanto di qualch° altra virtù ch’ io non nomino: ad ogni modo quest’è la facezia migliore del libro. Segue un capitolo in lode della pazzia: poi un sonetto sul vacuo. Il Padre Zucconi sapeva almeno sceglier bene i suoi temi. KI ATI Intorno alla fondazione dell’Accademia Elementare di Belle Arti in Ravenna. Lettera del Co. ALessanpro Capri, segretario di detta Accad. , al ch. sig. prof. Tommaso Minarpr. Firenze, Tip. Pezzati 1829. Delle consolanti ed esemplari cose in questa lettera riferite, daremo notizia recando compendiate le stesse parole del ch. sig. co. Cappi. « L’ anno 1827, venuto da Roma in Ravenna a pro- fessore di disegno nel collegio Ignazio Sarti Bolognese, valentis- simo artista, nacque nell’ animo di Mons. Lavinio de’ Medici Spada , allora Vice-Legato , desiderio di vedere stabilita in Ra- venna un’Accademia elementare di Belle arti con principale in- tendimento di migliorare î mestieri. Ottenutane dall’ autorità la licenza , nell’ anno stesso l’ Accademia fu fondata, e in breve termine compiuta, con bella architettura del Sarti che n’è diret- tore. Il sig. co. Carlo Arrigoni, allora gonfaloniere, si prestò, perchè il prof. Sarti, spedito a Bologna ed a Roma, potesse ar- ricchir 1’ Accademia di freschissimi gessi, e ornarla di stampe nobilissime. Tra’ Gessi ella conta ormai il Torso di Belvedere, i Torsi di Fidia, quelli che furono donati dall’ Inghilterra al Ca- nova, molti bassirilievi, molti frammenti d’architettura e d° or- nato , e sessantaquattro teste antiche tutte di carattere diverso ; tra le stampe, lavori di Edelinck , di Muller, di Woollett. — Mancavan modelli per la pittura: e Mous. Spada , per provve- derne 1’ Accademia, invitò con lettera i Ravennati che avevano T. XXXV. Settembre. 17 130 quadri, a depositarne per amor della patria i migliori. Di questa lettera, e della cortesia degli egregi Ravennati è bel frutto una galleria di secento quadri tutti buoni; alcuni ottimi. Molti ne depositò il Comune; il ch. Arciv. Falconieri alcuni de’ suoi, al- cuni della congregazione di Carità : e fra i tanti che qui omet- tiamo, degnissimi della pubblica riconoscenza} primo tu il co. Teseo Rasponi , il quale non dubitando un momento per sì ono- revole cagione di spogliare le pareti della propria casa, depositò nell’ Accademia 160, quadri. di pennelli riputatissimi : sono in questo novero un Leonardo ,. un. Correggio, un Bastiano del Piombo, un Innocenzo da Imola , un Lodovico Caracei, tre Gui- di, due Albani, due Tintoretti, un Sassoferrato , due Rubens, un Claudio di Lorena , un Poussin, un Teniers , ed altri di gran- dissimo pregio. Il Card. Galeffi donò all’ Accademia in un fre- schissimo gesso il gruppo del Laocoonte , e un gesso della Tra- beazione del tempio di Giove Tonante ; il Card. Rivarola, 1’ En- dimione di Canova. E sono pur di Canova i due Pugillatori, e le memorie sepolcrali del Volpato, e del: Falier, regalate all’Acca- demia in quattro bei gessi dal. fratello ed erede di lui, Mons. Giambattista. Le donò il cav. Thorwaldsen i‘gessi di due teste antiche , e di due suoi bassirilievi ; il sig. Ant. D'Este i gessi del Vaso Borghesi; d’ un, Torso d’ Apollo , della testa del cavallo di M. Aurelio , e del busto che Canova a sè medesimo scolpì: Gae- tano Monti, una graziosa danzatrice; e il sig. Filippo Tomasini, segretario gen. del Camerlingato , i bassirilievi in gesso del tem- pio d’Egina. Mons. Spada, alcune belle armature del 500; il cav. Giulio Rasponi, alcune buone stampe ; S. E. la sig. Principessa Luisa Murat, moglie di lui, le impronte in gesso degli antichi e moderni intagli in pietre preziose ; e la sig. Carlotta De’ Medici Lenzoni, un fresco gesso del Bassorilievo di una pugna , opera giovanile di Mich. Buonarroti. S. A. I. e R. Lroporno Il, Gran- duca di Toscana; supplicato in iscritto da Mons. Spada perchè concedesse che si levassero le forme della Venere Medicea e del- l’ Apollino, ne fece all’Accademia libero: douo. Un busto a lui innalzato in apposita stanza, ed una iscrizione di P. Giordani testificheranno agli avvenire la gratitudine dell’ Accademia ». Ogni anno vi saranno esami, pubblica esposizione; e pubblici premi. « E perchè uno de’ principali scopi con cui quest’ Acca- demia si concepì, fu il miglioramento dei mestieri , così da’ suoi regolamenti venne ordinato che vi dovessero pur essere premi per gli artefici della Ravennate Provincia. Consistono gli annuali in tre medaglie d’ argento , i triennali in tre medaglie d’ oro ». «- 131 Quest’ ultima notizia è per noi la più esemplare di tutte, e la più consolante. Trasfondere nelle arti della vita, e quindi negli animi de’ più il puro senso del Bello, ecco opera degna della vera civiltà. Gli stranieri, men privilegiati di noi, pur tendono a questo fine con più di costanza, e ci giungono; e le opere delle arti loro spirano un’ eleganza non ancora imitata fra noi. Ci sia stimolo il loro esempio; ci sien modello il raro disinteresse , lo splendido zelo che onorano nell’ istituzione di quest Si cenadeniii la nobile città di Ravenna. KE XIV Il due novembre. Meditazione di Givs. Nicorini. Brescia Betto- ni 1827. Pianto Paterno di Gio. TTI, Bracarpr. Faenza 1827. Le vibranti aure, di forti Anime altrici, e di leggiadri inge- gni! == Così fa 1’ elogio della sua patria il Bresciano Poeta; e, sen- z’avvedersene, di sè stesso.— Questi versi son degni della sna fama. E fra tanti pregi sono macchie ben lievi qualche oscurità imitativa della maniera di Foscolo; qualche imagine mitologica , che a lui si può francamente raccomandare di sperdere affatto dalla sua poe- sia, sì perch’ egli non ne ha bisogno , e sì perchè non aggiungono punto punto di bellezza o di venustà a questo carme, anzi , se fossero più frequenti , gli toglierebbero e forza e calore. Quantun- que l’ill. Poeta consideri il suo tema dal lato del dubbio, che, se- condo noi, è il più basso e il più arido, onde talvolta lo stile pren- de una forma quasi didattica , pur tanta è in lui l’energia dell’in- gegno , che non può a quando a quando non aprire il volo in etere più sereno e più largo. = Al vedere in un medesimo recinto con- fuse le ceneri degli acattolici, de’ suicidi, e de’ giustiziati, egli esclama : Ma perchè sotto alle medesme zolle Quivi dormir l’ ineccitabil sonno Veggo e chi fea de’ giorni altrui rapina Con destra infame , e chi de’ suoi fea gitto , E mal pensanti, e malfattor confusi ? Perchè all’ ombre più ree , patria, dai stanza Fra? domestici Mani, e ancor non sacri A? domestici eroi degno un’ Eliso ? Peregrino sopra tutti, e vero , ci parve 1’ ultimo concetto , al quale è luce la nota seguente : “ Nella notte dei morti, il campo , del cimitero si vede sparso di lumi, che i parenti dei sepolti , fanno ardere innanzi alle croci. Ella è cosa notabile che questi ?a ) >> lumi sogliono essere più numerosi nell’ nltiina fila che nella pe 3» nultima , e così di mano in mano sempre decrescendo ; tanto che ss le prime sono affatto all’ oscuro ,,. Forse le destre ancor che il fievol raggio Nutrir solièno a que’ remoti estinti Ha già la morte assiderate , e forse I cor soltanto assiderati ha il tempo. Spegne il tempo gli amor, mentre di sdegni Ahi pur mantice è il tempo! e all’ uom, pensiero Ghe non sia di sè stesso è sì gran fascio Ghe a giù deporlo a suo poter s’ affretta, Questi versi equivalgono , io credo , a una splendida lode. Alla meditazione del sig. Nicolini, congiungiamo il pianto paterno del sig. Bragaldi, perchè il tema funebre li ravvicina, e più del tema la nobiltà degli affetti patrii che il Poeta Bresciano espri- me, e la nobiltà del patrio amore che il cittadino di Faenza ha comprovato con legazioni efficaci, e con utili monumenti. Ed è pur dolce il sentire questo padre desolato che piange così tenera- mente alla tomba del suo Vittorio , esclamare : Odio i vili e i superbi, e la fortuna Che li soffre, e li serba a tristo esempio ; E piango sulla terra ov’ebbi cuna. E se manca chi m’ami e mi conosca, Queste piante , quest’ aure . . . . Il Faentino Poeta non possede così 1’ arte sua, come il forte Bresciano ; ma possede un affetto, la cui verjtà a quando a quan- do lo ispira soavemente. Nulla di più comune del parlare alle au- rette; ma nulla di più delicato della chiusa di questo sonetto, dove una d’ esse risponde al padre lontano dal suo figlinolo già estinto : Leva al cielo Tuo sguardo , dice , e passa immantinente, Segue l’ altra: or salir contro 1’ Aurora Il vidi io stessa ; e neve era il suo velo: E quella è luce del tuo figlio ancora. Quanta verità e quanto dolore nell’idea di questo padre che cerca nell’ unica figlia sua , fatta sposa , le fattezze del figlinolo perduto , e da lei spera nn nipote, a cui porre il nome del suo Vittorio. Simili idee non sono, è vero , frequenti nel nosto Poeta ; ma in chi mai son esse frequenti ? Se il Poeta Bresciano volesse talvolta attingere le sue ispirazioni alla fonte dell’ affetto , il suo verso ne acquisterebbe inaspettata evidenza , semplicità , ed ef- ficacia. Kekoti 133 La villa di Camaldoli al Vomero , Polimetro del Cao. A. M. Ricci 1827. Saggio di Poesie di alcuni moderni Autori Corsi. Fasc. I: Tip. Butini 1897. Fasc. II. Tip. Fabiani 1828. Son tante in Italia le fame e le glorie municipali , che voi non potete movervi un poco senza tremare di schiacciarne due ad ogni passo. Esse vi formicolano , vi serpeggiano da ogni parte: e quando voi meno ve l’ aspettate , vo’ sentite un formicolare più spesso, un serpeggiare più inquieto, segno di collera e di bat- taglia. E voi non ne sapete il perchè ! = Ma in tanta prodigalità d’ammirazione, in tanta abbondanza di Genii, domandate che conto si faccia d’ uno scrittore, le cui poesie molte e varie spirano una freschezza , una spontaneità, un’ evidenza, una grazia, vera- mente italiana , veramente sua; e voi vedrete molti uomini ri- nomati , fingere di conoscerlo forse appena per nome. Tuttavia , cercando una qualche ragione , un pretesto di questa singolarità dolorosa, per non dir più , pare a noi di vedere che quella stessa fecondità di vena , quella stessa uguaglianza di stile , quella vi- vacità sì spontanea che sdegna quasi di mortificarsi nel perfezio- nare con minuta diligenza lavori di getto , d’ istinto , infine il non aver lA. degnato mai di lusingare ne’suoi versi veruna delle opinioni dominanti , ma l’ aver cantato, solo per bisogno di sfo- gare la sua imaginazione, per sè ; possa essere , non dico scusa ma spiegazione del fatto ; possa essere insieme al ch. À. un gio- vevole avvertimento. Vedete in questo polimetro: sciolti, terzine, settenarii a strofe di versi sei, ottave, settenami a strofe di versi quattro, sena- rii, canzone alla Petrarchesca , settenarii con isdruccioli e piani alternati, settenarii collo sdrucciolo in capo, e il tronco alla fine ; senarii raddoppiati, sestine, ottonarii a strofe, sonetti en- decasillabi ; ottonarii a periodo libero, decasillabi, ottonarii a strofe col tronco , endecasillabi con .lo sdrucciolo a mezzo , saf- fiche , quartine con due sdruccioli e piani alternati ; sonetti set- tenarii, strofe irregolari a modo del Guidi, quinarii con isdruc- cioli, endecasillabi a terzine, sonetti quinarii, quinarii a quar- tine col tronco , decasillabi al medesimo modo; e quasi tutti questi metri trattati con franchezza notabile, con eleganza , con garbo. Vedete come questi nomi di botanica esotica e nostrale si mara- viglino d’ essere classicamente innestati sull’ albero della nostra Poesia : Demi 134 Di queste e di tant’ altre simili vaghezze , 1’ armonia è il mi- Vedi , o mia Fille, in duplice spalliera La Magnolia e la Rosa ... . —= Ha cento stami in sen cento nipoti , Gibele vera delle selve... —= (la Magnolia } Quì solitaria e vedova La melaleuca appare =—= La Salisburia affacciasi Qual vergine modesta , E della patria immemore Le belle chiome innesta AI Tasso umil ... = La straniera Bizzarrica vivace Di bianchi fior s’ abbella == I Rhododendri incurvansi Sul giovinetto stelo == Vedi atteggiarsi la fedel Mimosa Rimpetto al nuovo sol che la innamora. I Leptospermi e le Auricarie liete Anelan d’ altro Zefiro al respiro . . .. Mentre delle Canarie il pin più molle S’° abbarbica amoroso ad altre zolle == Uno è lo stelo , or liscio , ed or velluto, Or verde, or bruno , ed or di spine irsuto. (delle rose } Fatta è la vergin rosa un arboscello Ghe i tronchi abbraccia . .. == La Vanilla da un lato rimira Dalla fronda soave e lanosa, Che aggruppati in concordia amorosa Spiega i fiori sì ricchi d° odor -w Ve’ la Timbra che or ceruli or bianchi Affacciò labiati fioretti == Ve? 1’ Ibisco che imita la rosa, E rivive cangiando color; La viola che a mille si sposa Belle forme , diverse d’odor. = L’ Aquilegia , il Tropeolo che manda Vivi lampi d’elettro e d’amor — Tu, Lachenalia dal bel rossore , Tu, vaga Reseda, erba d’ amore. == Odorosissimi bianchi mughetti , Del vegetabile regno idoletti == Addio graminea bella Statice , Di rosei grappoli Spiréa nudrice — Vedi l’ Elettra e la gentil Mirica Tendersi incontro le ramose braccia . . + Spinge la Kalmia e il Rododendro i molli Virgulti in alto . ... 135 nor pregio. Il ch. A. ha creduto dover colle vecchie imagini mito- logiche rinverdire il sno tema: ma io posso accertarlo in parola d’ onore , che il suo ingegno non ha punto bisogno di mitologia. Dal Polimetro. del cav. Ricci alle Odi d’ Anacreonte tradot- te leggiadrissimamente dal sig. Viale, è spontaneo il passaggio. Rammenteremo anco la bella sua traduzione d’ un’ ode d’ Orazio; se non che nella chiusa ci pare ch egli abbia data una interpreta- zione alquanto diversa da quella ch’ è insieme la più lepida e la più chiara. Anche la Canzonetta a Lilla ha il suo pregio : ma se si eccettuino i versi del sig. Viale , noi non troviamo in que’ due fa- seicoli altro che rime, come filosoficamente le chiamavano nel cinquecento: non poesie. Il Bacio, il Letto, le due Sorelle, il Velo, sonetti di Vinc. Giubega sono rime che sentono di Poesia. L° ode a Pasquale Paoli ha ispirato all’ autore qualche verso poetico. Ma il più poetico elogio che possa farsi del Paoli sta in queste parole dall’ A. recate , che l’uomo illustre scriveva da Londra nell’89. “ Dal momento in cui la patria ha ottenuto la libertà , ogni inquietudine deve cessare : e se il mio soggiorno in Londra desse mai qualche ombra, io mi porterò in un luogo da cui non si udirà più parlare di me. Devo rinunziare a rivedere la mia patria, perchè prevedo che la mia presenza vi cagionerebbe delle vane so gelosie , e darebbe occasione ai malevoli d’ interpretare sinistra- >» mente tutte le mie parole e i miei passi a detrimento della na- »,) zione ,,. K. X. Y. Semifonte conquistata e distrutta dai fiorentini nell’ anno 1202 Poema Eroico in XII Canti. Autore Grac. Mini. Vol. II. Fi- renze 1827. Kedromelergon di Sarvapore Der Vivo. Napoli Tip. Trama- ter 1826. Bettina: Novella di Frrnanpo Varcamonica. Milano Tip. Sil- vestri 1828. I lunghi lavori dell’ ingegno , di qualunque genere sieno , ri- chiamano di diritto , non dico la severità o l’ indulgenza della cri- tica , ma l’attenzione e la riverenza : ‘== quando però questi lunghi lavori abbiano veramente costato una lunga opera allo scrittore. Ma tutte le regole hanno le loro eccezioni: e io non so propria- mente da che rifarmi a parlare del fecondo e ingegnoso autore di Semifonte conquistata e distrutta. Egli medesimo attesta sincera- mente d° avere incominciato il suo poema nel gennaio , e finitolo dust 126 nel luglio dell’ anno stesso: e questa confessione; che a taluno parrà forse un vanto ; a noi pare un'atto di modestia singolare. Si direbbe quasi che 1’ egregio Poeta abbia considerato il suo lavoro come nno di quegl’ incomodi desiderii, de’ quali quanto più pre- sto l’uomo si leva la voglia, tant? è più contento : si direbbe ch'egli abbia voluto dimostrare quanto facil cosa sia ad un Toscano far -de’versi armoniosi senza meditazione , senza lima., senza la poesia de? pensieri. Nessuna contorsione , tranne quelle che talvolta gli comanda la rima tiranna ; nessuna improprietà , tranne quelle che ‘ sfuggono all’estrema fretta; nessuno stento. Per riconoscere quanto ‘naturale talento, e che scorrevole vena richiegga il fare in men «di sette mesi un poema siffatto , basta istituir de’ confronti. Ecco quì appunto per caso il Kedrometergon ; nome che a chi non. sa di greco ; potrebbe suonare qualcosa di magico ‘e d’ infer- nale. Citiamone ‘un saggio : La falda alpestre di region ( sic ) ehe accerchia La testa inospital delle romite Cime del Caucaso; in copia ne sostenta ( sic ) x I germogli ed i frutti : è in Babilonia. Ricco terreno . ... ec. E non c° è mica da dire che 1° Autore del Kedromelergon , sia un romantico ! A Ecco quì anche la Bettina del signor Valcamonica : Apopletico assalto a morte pone La marchesa Dorilla d’ improvviso , Proprietaria della possessione , Ch” ebbe il consorte amato in guerra ucciso. Ed altrove: Rideva insomma la natura intera ; E Betta in lesto cocchio rinserrata Appo due servi di sembianza fera Qual vittim’ iva all’ ara strascinata. Si confrontino questi versi con quelli del signor Mini ; e poi si ar- disca portare 1’ assalto alla sua Semifonte distrutta. Ma la fecondità , la scorrevolezza della versificazione non ba= sta a formare un poeta. Ognun sa che questo pregio abusato può essere un difetto , un pericolo : e che agli stessi grandi ingegni , come ad Ovidio e a Lope de Vega; costò caro 1’ abbandonarsi alla propria abbondanza: Jl signor Mini adunque non ha bisogno di provarci ch’ egli sa fare de’ versi in fretta , a rotta, al precipizio : noi già sappiamo assai bene ch” egli ha dell’ ingegno , e però de- sideriamo che ne usi in modo agli altri più utile; più glorioso a sè stesso. Se , pet esempio , in luogo di fare de’ versi , egli volesse 137 abbassarsi alla noia dell’ umile prosa, e dettar qualche buona storia municipale di qualche terra toscana in istil facile e po- polare, e con buono spirito ; io potrei assicurarlo che la sua storia vivrebbe più a lungo de’ suoi poemi. Ma se l’ istinto poe- tico fatigat Os rabidum, cominci egli intanto dallo seeglier bene i suoi temi. La rovina di Semifonte , terra ormai distrutta sì che non ne rimane vestigio, e conquistata da’fiorentini per ra- gioni e con mezzi ch’ io non oserei nè , come il Poeta fa , lodare, nè difendere, nè dissimulare, la rovina di Semifonte non era nè per l’ importanza , nè per l’ utilità, nè per la popolarità, nè perla giustizia, tema degno della vera epopea. In tutti quanti i generi di poesia, ma specialmente nell’ epico, converrebbe interessare ai fatti, ai sentimenti rappresentati , il popolo in mezzo al quale il Poeta vive, al quale egli non dee mai considerarsi straniero. A chi de’ viventi importa ormai la rovina di Semifonte ? E chi la no- mina omai? Gli stessi antichi storici, a cui tante cose dappoco pa- iono sì importanti , non ne fanno che un cenno. Il Padre Cesari, che dopé sepolta la sua esistenza nelle miniere del trecento, ha presa in sul serio per cosa aurea la meschina contraffazione di Pace da Certaldo , il Padre Cesari ha potuto bene riporre la storia di Semifonte fra i testi di lingua , ma non avrebbe potuto far sì che Semifonte divenisse un soggetto degno di poema e di storia. L’ onnipotenza della gloria e del genio ha i suoi confini. Del restante, questo dell’ attenersi a soggetti veramente na- zionali, è avvedimento importantissimo, e troppo negletto a’ dì nostri ; negletto specialmente da coloro che più gridano di voler essere italiani. Tutto in questo mondo è argomento di Poesia ad un Poeta : ma se nella versificatoja , come il Castelvetro la chia- ma ; l’ utilità è nulla, e il diletto de’ suoni e delle imagini ha- sta, io non veggo perchè tutti quanti i poeti italiani, non debbano rivolgersi a cantare degl’inni in onore di Cnufi e di Ammone, di- vinità dell’Egitto, purchè lo facciano allegramente ; giacchè certa specie d’ uomini italiani è nemicissima della malinconia. Scelto bene il suo tema , giova fecondarlo con la meditazione, con istudii attenti delle menome particolarità che vi possono aver legame ; giacchè dalla minima di quelle può uscir luce talvolta che dia nuovo aspetto a una serie intera di fatti e di sentimenti, — Meditato, composto , limato, mostrato agli amici, rilimato dipoi , resta ancora una cosa da fare. Io voglio sperare che il si- gnor Mini avrà de’ nemici. Ebbene : carpisca con avvedutezza le loro censure , sia docile a quelle ; e allora stampi i suoi versi senza temere le folgori de’Giornalisti. K. X. Y. T. XXXV. Settembre. 18 138 Odi, Sermoni, e Prose di Carsrrano Temipio Gerrerr. Versio- ne di Camizro pe’ Towetti. Trento tip. Monauni 1827-9. Inni sacri di vari autori. Firenze tip. Passigli, Borghi, C. 1829. Nacque Crist. Tem. Gellert in Haynichen, piccola città della . Sassonia , nel 1715, da un buon Pastore , non ricco. Prima in pa- tria, poi in Meissen ricevè i rudimenti del sapere ; e all’età d’ anni quindici sentì svolgersi dentro il germe poetico. Nel 1734 si recò a Lipsia a studiare teologia : v udì le lezioni filosofiche del celebre Hoffmann ; ma il suo cuore lo portava piuttosto ad amare Mosheim. Per angustie di famiglia costretto a tornarsene in patria, quivi si diede all’ eloquenza del pergamo; ma un arrenamento di memoria accadutogli in sul bel principio, lo stolse da quella via ch'egli avrebbe pure percorsa con lode e con frutto. Nel 1739, s’ addossò l educazione di due giovani signori in Lutticlhau, non lontano da Dresda ; di poi tornò a Lipsia, a sorvegliare 1’ educazione d’ un suo nipote : e quivi in un foglio letterario pubblicò i primi saggi di sue poesie , che tutti leggevano con avidità, molti imparavano a mente. Strinse allora amicizia col cel. Gio. Elia Schlegel, col smo Girtner , con Giseke, Klopstok, Smidt , Ebert , Cramer. Nel 1744, fu eletto all’ Università prof. di belle lettere ; e in Lipsia scrisse quelle favole e que’ racconti, dove il gusto della lingua alemanna si sentì riformato. Scrisse quivi alcune commedie , tra le quali alcune pastorali; e un romanzo. Cagionoso com’ era, compose un trattatello , tutto religioso , sui conforti d’ una vita infermiccia ; verso il 1750 , stampò le sue lettere: e lavorava frattanto a quelle Odi e canzoni spirituali, dove il suo cuore apparisce sì bello , sì dolce 1’ influsso della Poesia; quelle odi che del nome di Gellert riempierono la Germania e perfino da una cospicua e potente ,> famiglia di Milano gli attrassero commoventissime assicura- ,; zioni dell’ edificazione che vi avevan prodotta ,,. Come professore egli fu grandemente onorato ed amato; e a Lipsia accorrevano a lui giovani da tutta Germania per ascoltarlo. Nel 1751 egli ebbe la cattedra di filosofia, ritenuta anche la ret- torica ; con grande utilità degli allievi, i quali istruiva non tanto con regole, quanto con l'esame delle antiche bellezze, e con la critica delle composizioni ch’ essi gli venivano assoggettando : ottima delle scuole. Nè le continue sue infermità lo stoglievano dal doppio incarico ; nè punto ne perdeva l’amenità e la dolcezza dell’ indole sua. Religioso profondamente; egli sentiva d’ amare la lode, e lo confessava; soffriva le persecuzioni dell’invidia, e | 139 quelle della noia con tranquilla costanza : tendeva ad educare il cuore de’ giovani j e spesso, traviati li ricondusse alla virtà , li acquetò turbolenti. i Un barone della Slesia , gli assegnò un’ annuo onorario ; che , rifiutato da Gellert, il donatore conferì alla buona madre di lui. Ritirato a Bonau, per fuggire il turbine della guerra de? sette anni, v ebbe ‘presso il ciambellano di Zettwitz, onorevole ospizio: cacciato anche di lì dall’incalzar della guerra, se ne venne ad Fisenberg ; donde, corsa una forte malattia , tornò a Lipsia : stese le sue lezioni di morale, ascoltate con avidità fino da un gran numero di militari , sì che la sua scuola pareva cambiata nell’an- ticamera d’un generale d’armata. I principi R. di Prussia Carlo ed Enrico lo visitarono; ed Enrico gli donò il suo cavallo , quel che l’avea accompagnato alla battaglia di Freyberg. Il gen. Hul- sen, tenne esente da gravosi acquartieramenti Haynicken, la città sua nativa , in ossequio del Professore Gellert. Padri e madri accorrevano a lui per consigli sull’ educazione , e sulla scelta d’ un aio, giacch’egli dava in sua casa lezioni di quella ch’ ora con nome proprio è chiamata pedagogia. Da uno de’ suoi più cari discepoli , il co. Moritz di Briùhl gli fu assegnata , senza che Gel- lert potesse conoscere il nome del benefattore , l’annua pensione di talleri 130 : nè passava anno , che per la posta non gli venissero ricchi regali. Morto il cel. Massow, la corte assegnò a luila pensione ; da quello storico goduta in prima, di talleri 485. Sem- pre che il principe elettore, dopo ristabilita la pace, da Dresda recavasi a Lipsia, Gellert teneva lezione alla presenza di lui, della sua famiglia, ‘e di tutta la corte: e nel 1762 quel saggio principe , che fu poi Federigo Augusto III re di Sassonia , gli donò , in segno di stima , il suo ritratto e un prezioso portafoglio, chiedendogli le sue lezioni di morale, non ancor pubblicate per poterne trarre profitto a: ben vivere. Poco di poi, risapute le sempre crescenti infermità del venerabile uomo , gli mandò in dono un suo cavallo magnificamente bardato. Tentata indarno più volte la cura de’ ba- gni; riveduta a stento la diletta sua patria, tornato a Lipsia infermò gravemente. Il principe elettore gli mandò tosto il più riputato. medico dell’ Università “ cui fu compartito lo speciale 35 incarico di giornalmente riferire con apposito messaggio sopra , l'esito delle mediche consulte e de’ loro effetti. ,, — Ma il male l’ avea già condotto agli estremi ; e fra grandi spasimi , sofferti con grande fermezza d'animo , lo finì. Alto di statura, ma dall’ abitudine del pensiero alquanto 140 incurvato ; scarno in viso, di grave aspetto, di nobili forme ; fronte alta e aperta, occhi neri e vivaci; voce flessibile, ma alquanto cupa e quasi malinconica ; temperamento di natura fervido, ma moderato da’ patimenti e dalla virtù. Rigido osservatore de’ propri doveri : in un giornale facea brevissimo quotidiano registro degli atti più notabili della sua vita. Benefico a’poverelli; degli stu- denti bisognosi tenea nota per rammentarsene in tempo ; facea cercare degl’infermi indigenti. Amico leale , ottimo consigliere , riconoscentissimo agli altrui benefizii , prudente , modesto, sem- plice , di sè poco parlante , abondante lodatore de’ meriti al- trui; tanto potè con la virtù d’ un’ ingegno temperato e soave, perchè le sne parole avean luce ed autorità dagli esempi. Si dimanderà se la fama ottenuta da’ versi di Gellert, sia ‘stata o no meritata. Giova rispondere con un paragone. — Con- frontate le odi di Gellert con alcuni degl’inni contenuti nell’an- nunziato italiano libretto, si conosce ben facilmente da qual parte sia la poesia più spontanea, più ispirata, più calda, Non già che noi vogliam lodare tutti in massa gl’inni neli’ opuscolo italiano raccolti: de’ più notabili, abbiam già avuto occasione di parlare altra volta ; e nel fascicolo di luglio un uomo di cuore e di sen- no ha resa giustizia a quelli sì poetici del sig. dott. Sterbini: se non che ha forse gindicato con troppa severità l’ultimo giorno di Gerusalemme , e la Natività della Vergine. Ma qaello che alla poesia nostra ancor manca; e che gli oltramontani hanno ormai con più o meno d’ efficacia. ma certo con sommo vantaggio della nazione ottenuto , .è la popolarità. Gl’ inni italiani sono odi, meditazioni , monologhi ; non son’inni, non cantici, non preghiere. Lo stile v'è per lu più scelto e no- bile, ma non sempre naturale nè franco ; la lingua v° è poetica, ma troppo poetica. Qui sento gridarmi contro infiniti che taccia- no me ed altri di voler confondere il linguaggio della poesia con quel della prosa. Non il linguaggio , io rispondo ; la lingua. Non si tratta di dare alla poesia l’ andamento, il tuono ; lo stil della prosa ; si tratta di fare in modo che la poesia diventi un po’ più intelligibile: mualla più. Dante con tutte ‘le sue licenze poetiche, non ne usò mai se non di quelle che anche la prosa © la lingua parlata del 38u0 tempo ammetteva; e sarebbe facilissimo dimostrarlo. Il Petrarca, quanto a lingua ; è più intelligibile di molti de’ nostri contemporanei: l’Ariosto è la stessa evidenza. Facciamo anche noi come i classici, nè più nè meno: spieghiamoci chiaro ; facciamo passare la nostra idea netta e viva nell’ animo ; se non dei ru- 1fi stici, almen degli indotti. Con chi temesse, del resto, che la chia- rezza della lingua poetica possa distruggere la poesia , noi non ci fermeremmo a combattere. Vedete questo buon Gellert! «Le Odi e le canzoni sacre fu- »» rono pel di lui cuore affettuoso e divoto i componimenti più s» solenni ed importanti ch’ egli intraprendesse in vita sua. Non » vi si occupava giammai senza esservisi con ogni sollecitudine » predisposto, e senza studiarsi con tutta la serietà dell’ animo so suo , di sperimentare nel proprio interno la verità di que’sen- s»» timenti che vi dovevano essere espressi. Sceglieva a tal fine i s; momenti più lucidi e sereni; e mettea talora tra questi un s»» qualche intervallo di riposo colla mira di provare in sè mede- » simo più fortemente que’ fervorosi affetti . . . A fine di rendere »; più, generale l’ utile di queste poesie , si adattò egli più alla » cognizione e alla forza d’ intendimento comune . .. Faceva uso » di que’ passi della scrittura , che senza richiedere un profon- » do pensare, ad ognuno sono intelligibili, e che lungi dall’in- », trattenere la fantasia, penetrano e toccano immediatamente 3» l’ interno del cuore .... Onde il suo Rabener gli scriveva: , Coloro che venerano la religione, colmeranno con tali poesie s; di rossore la leggerezza di coloro che erroneamente credette- so ro ; che il poetico genio e l’ acume non potessero essere usati s, se non per vani sollazzi . . . Accorse quindi la musica con le », melodie a coronare le fatiche del Gellert , e popolarissima ne 3 divenne la fama e l’ utilità. Un carbonaio venne con un bar- », roccio di legne alla casa di lui a domandare se foss’ egli quel », Gellert i cui libri facevano tanto bene, e ad offrirgli quell’umil ,, tributo della sua gratitudine. Un sergente prussiano deviò a bel- s» la posta dalla strada che lo conduceva alla sua famiglia per » venire a ringraziare il buon Gellert del piacere che gli ave- ss van fatto le sue sacre canzoni ,,. Quest’è gloria vera ; 1’ unica gloria desiderabile dall’ uomo di cuore. Noi non diremo che quest’ odi sien cosa sublime; ma la semplicità stessa vi è singolare bellezza. E specialmente l'VIII, la IX, la XI, la XIII, la. XV, la XVII, la XX, la XXI, la XXIV, la XXV, la XXIX, la XXX, la XXXI, a noi paiono degne della seconda e della terza lettura. Il ch. signor Tonelli le ha tradotte con naturalezza e con evidenza. Vi ha aggiunte delle sagge ed utili note , che dimostrano il suo buon senno : e con questo lavoro s’ è meritata la stima e la ricono- scenza de’ buoni. K. X.Y. VARIETÀ ARCHEOLOGICHE FILOLOGICHE LC. *i Notizia d’ una Iscrizione Araba. ‘Scorsero già molti anni dacchè fu cavato un disegno della iscrizione incisa intorno al lembo della gualdrappa dell’ Ippogrifo di bronzo esistente in Pisa 4 e mandato a varii sapienti Orientalisti d’Europa. Ma siccome quel disegno ‘era stato fatto da non intelligente disegnatore , così non seppero quei sapienti leg- | gervi una parola. Il chiarissimo prof. Lanci, che ne 14 N l una copia, accorgendosi che quale aveanla copiata, l’iscrizione non poteva stare, si fece a correggere il di- segno , e pervenne con questo mezzo a leggerla, com’egli mi mostrò , trovan- dosi in Firenze tre anni sono ; ma si astenne dal pubblicarla , perchè voleva conoscer prima l’ originale ; al quale oggetto portossi fin d’ allora a Pisa per esaminarlo. Dovette però ripartirne col dispiacere di non averlo potuto veder da vicino , per trovarsi il monumento in quel tempo collocato sul tetto della Gat- tedrale di quella città, sovrapposto ad una colonna, nè potendosegli accostare senza pericolo. Finalmente fu 1° Ippogrifo rimosso da tale altura, e trasportato in quel celebre Camposanto , ove tuttora conservasi, e si può da chiunque comodamente osservare. Ivi il prelodato professor Lanci , che .ritornò a bella posta a Pisa, ha col favore dell’ ottimo signor Lasinio lucidata la iscrizione sopra lo stesso Ip- pogrifo , ed ha riconosciute giuste le correzioni che aveva fatte al vecchio di- segno , Ove però non mancavano parole intere ; tralasciate dal disegnatore per avere confusi gli ornamenti colle lettere. Questa iscrizione è Arabo-Cufica del genere della scrittura ornata, che diceasi dagli Arabi T'amurèa , secondo le osservazioni pubblicate dallo stesso Lanci ; talmente che le conviene il proprio nome di carattere Cufico-Tamurèo. Il fac-simile della medesima verrà pubblicato quanto prima da quel dottis- simo romano Archeologo , unitamente ad altri monumenti di tal sorta ; ed al- lora egli manifesterà la sua opinone intorno all’epoca del monumento , al pae- se donde fu trasportato in Pisa, alla forma del favoloso animale, ed anche alle figure di altri animali , incise sopra le spalle , e sulle cosce dello stesso Ippogrifo. I caratteri di questa iscrizione sono bellissimi e chiarissimi ; ed avendomi il professor Lanci, che mi onora di sua amicizia, comunicato cortesemente il contenuto di essa, dirò in anticipazione alle dotte illustrazioni di che egli 1’ adornerà , che la iscrizione suona volgarmente in suo dialetto così ; Bàracat càmelat va = Neàmat Sciàmelat va — Ghèbtat càmelat va — Salàmat dàjemat va — CO: càmelat va = Saàdat va — Omdat le = Sachèbehi Ghe italianamente dice Sia Benedizione perfetta e grazia compiuta ; Beatitudine perfetta e pace perenne ; Salute perfetta e felicità e fermezza A chi lo possiede D. VALERIANI. RIM iu # 1.43 De prisca Aegyptiorum litteratura. Commerntatio prima, quam scripsit Ioannes Gonorrenvs Lunovicus KosecaRTEN ; ec. ec. Cum tabulis I-IV. IX-XIV. et A-I. Vimariae 1828 , in 4.° Il dottissimo Teologo ed Orientalista tedesco autore di questo libro , che molto esercitò il proprio ingegno nell’ archeologia egiziana, dopo aver tenuto dietro alle ricerche fatte sulla famosa iscrizione di Rosetta; prima dal celebre antiquario Barone di Akerblad , e quindi dal chiarissimo francese orientalista , Silvestro de Sacy , e dal dotto e perspicace inglese, Tommaso Young, non meno che a quelle più recenti di Champollion il giovane , e di Seyfarth ; met- tendo a confronto le congetture , ed i ritrovati di tutti questi dotti archeologi, ed unendovi le sue osservazioni, si è messo in istato di pubblicarne colle stampe i risultamenti. Una parte dei quali ha egli riuniti nell’opuscolo che annunzia- mo , e ci farà dono degli altri nella seconda Commentazione. Per dare intanto una rapida e breve notizia del lavoro del sig. Kosegar- ten , ai nostri lettori , dirò che il suo libro , diviso in 4 capitoli, comprende 2 pagine in 4.° di prefazione, e 72 d’illustrazione, con 10 tavole di testo egiziano , distribuito il tutto nel modo: seguente. ) Nelle due pagine di prefazione , rende conto il chiarissimo autore del suo lavoro , e del modo onde si è in quello condotto. Quindi nel primo capitolo , che abbraccia 25 pagine, parla delle note delle lettere encorie, e ve ne riporta ‘una tavola frammezzo , nella quale annovera 40 di dette lettere , la cui signi- ficanza pare esser provata e certa. Ragiona per 26 pagine , che formano il capitolo secondo , delle sigle en- corie ; e vi adduce un gran numero di esempi, coi quali convalidare le. sue opinioni. Frammezzo alle dette pagine però , inserisce 5 tavole, la prima delle quali contiene alcune sigle encorie , paragonate coi geroglifici, la seconda altri vocaboli encorii , scritti per abbreviazione , la terza i segni geroglifici dei mesi , la quarta i jeratici, e la quinta gli encorii , tutti ritrovati dal Cham- pollion il giovane. Passando poscia al capitolo terzo , vi tratta delle note dei numeri encorii, in g pagine. Fra le quali s’ incontrano pure tre tavole, contenenti, la prima i segni geroglifici dei numeri , la seconda i jeratici, e la terza gli encorii , ritrovamenti ancor questi dello stesso instancabile Archeologo francese. Il quarto ed ultimo capitolo finalmente, che comprende 11 pagine, esibisce i titoli greci, acconci a spiegare le scritture encorie occorse per questo libretto. Al che susseguono le tavole , accennate nel frontespizio dell’ opera. E le prime 4 di esse contengono la parte demotica della surriferita inserizione di Ro- setta , coll’ interpretazione del prelodato Young. La tavola segnata N.° IX, contiene la prima alla seconda linea, la no- tata N.° X, la terza alla quarta , e l’indicata col N.° XI, ‘la quarta alla quinta del papiro berlinese 36.° Infine la tavola notata N.° XII , comprende gli esordii dei papiri, berlinesi ancor essi, 37. 'b. 38. a 39. 40. 41. b. 42. a , e 43. a ; mentre l’ indicata col :N.° XIII , esibisce quelli dei papiri 44. b. 45. 46. 47. e 48; e l’ultima segna- ta N.° ‘XIV, quelli del papiro 50, che pare contenere massimamente una serie di nomi proprii ; e del 51. 52. e 53. Del 54 poi mancando il principio , vi si ‘legge il nome di un colchita», tolto dal mezzo del medesimo; e compiesi la 144 tavola coll’ esordio del 55.” papiro , che sembra contenere anch’ esso , special mente, dei nomi proprii. Ecco esposto, il più succintamente che per me si è potuto, quanto si con- tiene nell’ opuscolo del signor Kosegarten ; sul quale non voglio emettere alcun giudizio , finchè egli non abbia dato alla luce la seconda parte del suo dotto , e paziente lavoro. Contentandomi per ora di dire , che il suo libretto debbe essere molto gradito , e bene accolto da tutti gli amatori dell’ archeologia egi- ziana , perchè li mette a portata di fare un numero ragguardevole di confronti, non solamente utili, ma anche indispensabili, in questa materia tuttavia oscu- rissima. D. VaceRIANI. Henricr Arentii Hamager, LL. 00. in Acad. Lugd-Bat. Professoris , ec. Miscellanea phoenicia , sive commentarii de rebus Phoenicum. Acce- dunt quinque tabulae lithograptae. Lugd-B. apud S. et J. Luchtmans, Acad. Typographos , 1828. pag. X et 388 in 4.° Questo eruditissimo volume , dettato in latino , e diviso in sei libri , con- tiene quanto appresso. Ad una lettera dedicatoria al celeberrimo Vescovo di Selandia Federico M unter , uno dei più illustri orientalisti del settentrione di Europa , e che si estende per sei pagine , sussegue il primo libro. Contiene questo l’ interpetrazione , ed illustrazione dei monumenti con puniche iserizio- ni, scoperti pochi anni sono nelle rovine di Cartagine dal dotto sig. colonnello De Humbert , e da lui allora pubblicati colle stampe , e recentemente traspor- tati nel R. Museo di Leida. E questo primo libro ha 37 pagine. Nel secondo poi, che ne ha 57 , leggonsi la spiegazione ed illustrazione di alcune iscrizioni fenicie , in gran parte inedite , che conservansi in varii cimelii europei. Il, terzo libro racchiude le nuove cure dell’egregio illustratore, sulle lapidi JHumbertiane , e su di altre già dall’ autore pubblicate e spiegate, e sulle iscrizioni Ciziensi , ed è di pagine 49. Il libro quarto , che si estende per 28 pagine, porta la spiegazione delle monete fenicie ed asmonèe , e di alcune preziose lapidi, nelle quali vedonsi scolpite lettere fenicie. Nelle 49 pagine che compongono il quinto libro, viene esibita la spiega- zione di alcuni luoghi di Sanconiatone e di altri , e quella dei nomi proprii di uomini e di donne , tanto fenici , che cartaginesi, come pure dei ciprii, rammentati presso gli antichi scrittori. Il sesto ed ultimo libro , assai maggiore degli altri in estensione, \poichè «comprende 92 pagine, abbraccia la spiegazione ed illustrazione di molti no- mi , che occorrono nell’ antica geografia della Fenicia, di Cipro , e dell’Affri- ca , oltre un glossario di alquante voci puniche e ciprie. Dopo di che seguono sei pagine di cose da aggiungersi ai respettivi luo. ghi , due contenenti l’ indice dei luoghi biblici, che vengono in qualche mo- do illustrati nel corso dell’opera, ed altre 28, che comprendono un indice di voci, per la massima parte fenicie , riferite dall’ autore in ebraico, in si- riaco , ed in arabo , e qualche volta anche in greco, colle opportune loro spie- gazioni in latino, Succede finalmente un altro indice latino delle cose memorabili , dettato in 20 pagine, alle quali se ne aggiungono ancora quattro, col titolo di Epi- 145 meto , che presentano, la spiegazione ed illustrazione di quattro* iscrizioni di lucerne sepolcrali, trasmesse all’ autore dal prelodato Munter , quando avea già terminato il suo lavoro, Le tavole sono distribuite nel modo seguente. Contiene la prima le. iscri- zioni cartaginesi in numero di tre , due delle quali assai guaste ,, e. quasi ‘af fatto perdute. Nella seconda sono riportate le iscrizioni Zeugitane , tre di nu- mero anch’ esse , ed assai malmenate. La tavola quarta comprende le due iscrizioni dette maltesi, una che l’Ha- maker chiama egizia, e quattro dette Leptitane ; ed infine la tavola quinta esibisce le iscrizioni Ciziensi, e quelle delle monete fenicie , ebraiche, e si- mili. Alle quali tavole se ne aggiunge ancora una sesta, non indicata nel fron- tespizio dell’ opera , e che comprende otto antichi alfabeti, cioè, cartaginese, zeugitano , maltese, egiziano , leptitano , uffricano , asiatico , ed un altro di poche lettere , tratto dalle lapidi d’ incerta regione. Questo è tutto ciò che si contiene nel dotto lavoro del sig. Hamaker; e tralasciando , per ora , di dar giudizio delle interpetrazioni , e spiegazioni da lui date ai monumenti fenici e punici , che ha messi a disamina, ‘perchè ciò condurrebbe troppo in lungo il mio ragionamento , e non sarebbe più adattato all’ indole del presente giornale , dirò soltanto che l’ eruditissimo autore , si è giovato a tutta sua possa della molta perizia che ha negl’ idiomi , ebraico , si- riaco ed arabo , per appoggiare , e convalidare le sue asserzioni, tanto circa il significato delle parole contenute nelle iscrizioni , quanto circa l’ oggetto ed il fine dei monumenti medesimi ; e che i dotti archeologi gli debbono dar lode , e saper buon grado , per la cura che si è data di riunire in un sol vo- lume quanto aveva sparsamente scritto su tal materia, e di aggiungere al me- desimo , in tavole litografiche , quel maggior numero di monumenti e. d’ iscri- zioni , che la sua posizione gli ha concesso di produrre. D. VALERIANI. Notizia sulle collezioni di antichità greche, egiziane e puniche , acqui- state recentemente dal Museo archeologico dell’ Università di Leida. ( Estratto. dall’Unicversel ). Il Museo dell’ Università di Leida si è l’ anno scorso considerabilmente ar- ricchito coll’ acquisto della bella e ricca collezione ,, formata in Egitto dal si- gnore Anastasy , Console di Svezia, e comprata a Livorno dal governo dei Paesi Bassi, per la somma di 230,000 franchi. Possiede attualmente questo Museo cento quarantacinque rituali funebri egiziani, che provengono per la maggior parte da quella collezione. Ve n’ ha uno in caratteri jeratici di 57 piedi di lunghezza. È fon il più grande che esista, dopo quello del Museo di Turino , che è di 66 piedi . È poi di una bellezza e di una finezza di esecuzione che uguaglia quella del su- perbo papiro, detto reale del Museo Carlo X., senza aver però; la medesima bianchezza. Un’ altro in caratteri geroglifici, e di 40 piedi di lunghezza, contiene delle figure colorite d’ una grandezza , e d’ una espressione straordinaria, com- parativamente ai disegni degli altri papiri conosciuti. La scena della sepoltura è notabile sopra tutto per esservi rappresentata molto minutamente, e con molta verità. Questo papiro si legge da sinistra a dritta. T. NXXV. sertembre. 19 1,46 Ve ne sone altri due di 35 piedi 1’ uno, ed uno di essi contiene inoltre , sul rovescio, dei disegni per cinque piedi di lunghezza. Gli altri hanno ad un bel circa 25,20 , e 15 piedi di lunghezza. La collezione dei papiri di Leida si compone inoltre : I.° di 23 papiri greci, e tre bilingui , 1’ uno dei quali, contenente delle trascrizioni in greco , di parole Demotiche , offre un alfabeto demotico completissimo , e precisissi- mo della scrittura egiziana, quale era in uso nel II.° e III.° secolo dell’ era nostra. Uno di questi papiri contiene un rituale magico egiziano , che dovette servire alle sette gnostiche , e semi-gnostiche di quell’ epoca. Trovasi in oltre in questa collezione un altro rituale magico in greco. Abbiam luogo di sperare che i conservatori di quel bel deposito letterario , non tarderanno a comuni care all’ impaziente curiosità dei dotti questi interessanti avanzi d’ antichità. 2.° Di 9g contratti in lettere demotiche , cinque dei quali colle registra zioni in greco. 3.° Di 12 papiri in caratteri jeratici , varii dei quali paiono essere dei ri- tuali, il cui contenuto si presume che sia istorico , come in quelli di Turino. 4.° Di 24 rituali funebri sulla tela ; di 9 piccoli filalterii , 0 talismani , di una diecina di papiri copti , e di un volume parimente in copto , e rilegato. Il museo di Leida non abonda solamente di papiri ; se egli è inferiore , in monumenti reali , ai Musei di Turino, di Parigi e di Londra, tiene al- meno il primo posto dopo di quelli, in grandi monumenti. Ed è anche più ricco dell’ ultimo. Una cappella monolite di granito rosso con un cartello, alta 7 piedi, venuta dal basso Egitto ; cinque sarcofagi coi loro coperchi, uno dei quali di granito , ed un altro di basalto , sono di una grandezza colossale. Un altare in forma di tavola , con dedica reale, di 3 piedi di altezza, 5 di lun- ghezza , su due e mezzo di larghezza : 140 stele , delle quali una ventina di 5 a 6 piedi di altezza: una camera sepolcrale presso a poco intiera, il cui piano forma un ferro da cavallo colle sue due colonne di 7 piedi di altezza ; 4 pilastri quadrati di 7 a 8 piedi. Una quantità di statue sepolerali, la maggior parte di semplici particolari , di pietra calcarea, due delle quali di grandezza colossale, ed altre di grandezza naturale, possono far fede di questa asserzione. Oltre a ciò , la parte egiziana di questo Museo contiene 35 mummie, molte delle quali con 2 , 3, e 4 casse ; 1500 scarabei, circa a 1100 dei quali con geroglifici 3 120 vasi canopici , la maggior parte d’ alabastro: e non è meno ricca di altri oggetti, tanto funebri, quanto relativi alla vita civile. Questo M useo, formato anticamente dal patriottismo di un ricco magistrato di Amsterdam , che lasciò per legato all’ Università di Leida la sua collezione di statue ed iscrizioni greche e romane, non deve il suo incremento, e si può dire quasi la sua esistenza , che al re attuale Guglielmo I.° Egli si è accre- sciuto delle statue , e delle iscrizioni trovate ad Utica, avanti il viaggio del conte Borgia, 9 scoperte da questo illustre viaggiatore, del quale il governo dei Paesi Bassi ha acquistato i manoscritti, per pubblicarli unitamente a quelli del tenente colonnello Humbert ; quello stesso che ha fornito le sole iscrizioni e bassirilievi punici , trovati sul suolo dell’ antica Cartagine (1). (1) È vero che questo Museo si è accresciuto di varie statue di marmo trovate a Utica ; ma nessuna iscrizione in natura fu trasportata da quel luogo. Il Museo di Leida deve queste statue ul sig. Cavaliere Colonnello Humbert 147 Il territorio di Tunisi e di Tripoli, ed in seguito l’Arcipelago greco hanno pure arricchito il Museo di Leida di una quantità di oggetti funebri e di uten- sili di ogni genere , greci e romani. Altre compre gli hanno procurato il Mu- seo etrusco del Corazzi di Cortona, ricco di superbi bronzi, pubblicati dal Lanzi, e da altri dotti che hanno trattato delle antichità etrusche, e quasi tutte le urne etrusche della famiglia Giorgi di Volterra (2). Credo che non esista collezione così ricca al di là delle Alpi. Infine il governo dei Paesi Bassi ha tratto dall’isola di Giava una collezione di statue Indiane, che può rivaleggiare con quella della Compagnia delle Indie a Londra. Essa contiene 30 a 40 sta- tue , alcune delle quali sono di grandezza naturale , o al di là , e di una gran bellezza. È da desiderare che questi monumenti ammassati gli uni sugli altri in lo- cali provvisorii , siano presto esposti in una maniera convenevole e degna delle grandi vedute che hanno portato quel governo a riunirli. La direzione di tutte queste ricchezze è confidata al signor Reuwens (3), professore di archeologia , già conosciuto vantaggiosamente per alcune stimabili sue opore. Abbiamo tutto il fondamento di sperare che egli comunicherà quanto prima ai dotti una parte degl’ interessanti oggetti, dei quali abbiamo dato un rapido accenno. Siamo assicurati che egli prepara una grande e bell’ opera, nella quale darà dei disegni esattissimi dei papiri egiziani e greci di quel museo. Se ne aspetta con grande impazienza la pubblicazione. che per il primo ne fece conoscere al suo Governo |’ esistenza alla Goletta , ove furono trasportate da Porto Farino , probabilmente l’ antica Utica. Nota del Direttore dell’ Ant. (2) Il medesimo signor Cavaliere Humbert che con più di 4000 meda- glie raccolte in Affrica procurò al Museo dell Università di Leida la sola iscrizione punica in basso rilievo, trovata fino a questo giorno sul suolo probabile della città punica , Zo ha pure arricchito di quello conosciuto sotto il nome di Corazzi , sì ricco in monumenti etruschi ; di differenti altri oggetti della stessa natura raccolti in Toscana ; ed infine della magnifica collezione egiziana di Anastasy comprata a Livorno , e di cui si è parlato qui sopra. Nota del suddetto. (3) Il signor professore Reuwens non è solamente conosciuto per opere stimabili, ma eziandio per la sua attività, e costante zelo per i progressi della scienza archeologica nella sua patria. Egli non risparmia , per questo riguardo , nè tempo , nè fatiche , nè spese. E questo Professore giovane an- cora, dedicatosi intieramente allo studio , consacra nobilmente una parte delle sue sostanze per procurarsi tutte le opere relative alla scienza di cui si occupa con tanto successo. La sua libreria, a questo rispetto , è la più completa dei Paesi Bassi. Sa i Nota del suddetto. 18 Ragguaglio del Gabinetto numismatico della Reale Università di Upsala. Fra gli Istituti di pubblica educazione della moderna Europa , ha sem- pre occupato ed occupa uno dei primi posti l’ Accademia, ovvero Università regia di Upsala, fondata nell’ anno 1475 dall’ amministratore del Regno Sten Sture il seniore, a ciò fare eccitato dall’Arcivescovo Tacob Ulfson Ornefot, il quale di concerto coll’ amministratore inviò a Roma il dotto canonico upsa- liense Ragvald Ingemundson, a fine d’ impetrare dal sommo Pontefice Sisto «quarto il suo consenso a così fatta fondazione. E di fatto si ottenne da questo capo della chiesa, unitamente alla canonizzazione di Santa Caterina nel tempo medesimo domandata, una bolla papale in data dei 28 febbraio 1476, colla quale si accordavano alla desiderata Università tutti gli stessi privilegi già conceduti al celebre Istituto di Bologna. La quale Bolla fu dall’Amministratore, e dal Gon- siglio di Stato, in un sinodo tenuto a Strengnis , nel di a-luglio 1477 omolo- gata, con decreto addizionale , che il nuovo studium privilegiatum:, come lati- namente si appellava, dovesse, rispetto ai privilegi ed all’istituzione , costi- tuirsi perfettamente uguale all’ università di Parigi. E con questo se ne celebrò solennemente la fondazione in Upsala, nel seguente dì 7 di ottobre. I primi pro- fessori della nuova università furono Erico Olai, che morì nel 1484, Mattia Olai, Martino Praal, Iacopo Gislonis, Erico Nicolai, Olavo Nicolai , Olavo Erici Kempe , Maestro Lorenzo , Erico Nicolai Svart, ed Enrico Hedorm, i quali due ultimi furono precettori del Re Gustavo Erikson Vasa. La Biblioteca di questo Istituto è per ventura una delle più importanti , e curiose che adornino la repubblica delle lettere. Essa contenea nell’ anno ulti- mamente scorso , circa quarantamila volumi , impressi o manoscritti. Ma non è tanto il numero dei volumi che la distingue principalmente , quanto la rarità, e la bella conservazione dei codici manoscritti, e delle opere stampate in Isvezia, ed altrove, nel secolo decimo quinto. Dei libri impressi fino all’anno 1796 , esiste un eccellente Catalogo per ordine di alfabeto , e di materie, composto e pubblicato in tre volumi in 4.° dal bibliotecario attuale , il sig. Cavaliere Pietro Fabiano Aurivillius , negli anni 1807 a 1817. Ma dei codici manoscritti si hanno poche o quasi niune notizie, I soli codici orientali ascendevano , 1° an- no passato, a circa cinquecento , parte comprati; e parte ricevuti in dono da Sparfvenfeld , dall’ Arcivescovo Benzelius, dalla Regina Luigia Ulrica, dal professore Bjòrnstàl, dal cappellano Sturtzenbecher, e dal Presidente Celsing. Sparfvenfeld pubblicò nel 1706 in 4.° un Gatalogo di 103 da lui donati, e il dottissimo professore Norberg , morto due anni sono, cominciò nell’ autunno del 1825 a stendere 1’ elenco dei 442 allora esistenti ; il quale elenco sappia- mo essere molto ben fatto , ma pare che siavi finora poca speranza di vederlo pubblicato colle stampe. Però la più bella raccolta posseduta dalla Regia Università di Upsala , è la sua Collezione di medaglie , e monete antiche , e moderne. Essa consiste , nel giorno di oggi, di circa dodicimila esemplari ; divisi in tre distinti gabi- netti, o musei, cioè : 1.° quello di Ehrenpreuss , che contiene monete , e me- daglie svezzesi; 2.° quello di Roseradler , monete , e medaglie estere, e 3.° il Gabinetto di monete greche , e romane. Il Gabinetto di Zhrenpreuss ; con grande spesa e via maggiore dottrina for- mato dal Senatore Conte Carlo Ehrenpreuss , fu da lui, come Gancelliere del- 1/9 } università di Upsala nell’ anno 1751, d’ una maniera generosissima , al puro valore metallico venduto all’ Accademia. Conta presentemente 3600 monete , e medaglie benissimo conservate , ed è tale riguardo il più bello ,, ed il più ricco di quanti esistano entro e fuori la Svezia. Il Gabinetto di Rosenadler , così nominato dal primo fondatore il presi- dente C. A. Rosenadler, che. nell’ anno 1797 donò all’Aecademia una copiosa raccolta di monete mercantili estere , tanto antiche quanto moderne , fu da lui ancora dotato di un picciolo capitale di sei cento tallari , 1° interesse dei quali servir dovea per aumentare quella raccolta. Mediante l’ indefesse cure dell’ ultimo direttore , il professor Gòrtlin, si aumentò di fatto moltissimo questo Balipetto, non solo per donazioni private, ma ben anche per compro fatte a mano a ma- no, dimanierachè consiste in oggi di oltre cinquemila monete , e medaglie di ogni metallo, e grandezza. La magnifica serie moscovitica di medaglie di bron- zo , che ne forma uno dei più cospicui ornamenti , fu regalata da S. E. il Ma- resciallo del Regno , Conte Axel Fersen. Di monete dell’Oriente possiede que- sto Gabinetto più di seicento pezzi , fra i quali 150 cufici, cioè 4o dei Calif- fi, circa 300 dei Samanidi, e 10 di Ortochidi, e di Atabek. Di monete tur- chesche fu donata una bella raccolta dal suddetto cappellano Sturtzenbecher, nativo dell’isola di Gottland , e cugino di mia madre; la quale raccolta fu poi arricchita di molto dai successori di lui, Sprinck e Berggren. Da Marocco, Algeri, Tunisi, e Tripoli havvi pure una serie , ma relativamente poco nu- merosa , regalata dal Console Reftelius , dall’Ammiraglio Rosenstein , ed altri; e diverse monete belle , e rarissime dell’ India, e del Giappone, sono state regalate dal prof. Commendatore Thunberg , poco fa mancato a’ viventi. Il questi ultimi anni poi si sono avute molte monete degli Stati Uniti dell’Ame- rica settentrionale , e delle nuove repubbliche di quel Continente, non che dell’ Impero Brasiliano , per mezzo di viaggiatori da colà tornati in patria, ed anche pella liberalità di alcuni stranieri. Questo Gabinetto è finora l’unico nella Svezia, composto di monete che hanno avuto, ed hanno corso nel commercio; e che si accresce annualmente per nuovi acquisti. Perciocchè il Gabinetto Regio numismatico Svezzese di Stocolma non continua più la sua bella raccolta , s0- spesa fin dall’ epoca della morte di 8. M. la Regina Vedova Luigia Ulrica, nell’ anno 1784. Il Gabinetto Greco-Romano si compone di circa 3400 monete , e medaglie antiche, di ogni metallo , e dimensione. Il principio di questa raccolta fu fatto dalla più volte mentovata Regina Luigia Ulrica, che verso l’anno 1750 vi depositò graziosamente tutti gli esemplari doppi della ricchissima sua propria raccolta. A que- sti si riunirono poco dopo le monete antiche per lo innanzi conservate nel museo di cose rare, e curiose , durante la guerra di trent’ anni dalla città di Augusta regalato al Re Gustavo Adolfo il Grande , e sotto il regno di Garlo undici do- nato alla Biblioteca dell’Università di Upsala. Già si capirà facilmente che una così fatta raccolta debba nell’ alto settentrione aumentarsi a passi molto lenti: ciò nonpertanto vi sono entrate , anche in ultimo luogo, molte ed importanti donazioni , fra le quali occupa pure il primo rango quella del sovente citato Cappellano Sturtzenbecher , pella maggior parte composta di medaglie del Basso Impero. Altri svezzesi viaggiatori hanno pure dall’ Italia e dalla Grecia appor- tato considerevoli aggiunte , come S. E. il sig. Barone Garlo de Wetterstedt , il professore Neckter , il Giamberlano signor Bernardo de Beskow , ed altri. La sezione di questo gabinetto che abbraccia le monete, e medaglie greche, 150 è tuttavia poco importante , e contiene appena due centinaia di pezzi , fra i quali però vi sono alcune bellissime medaglie ateniesi , date in dono dal Segreta- rio di Stato, Cavaliere Erico Bergstedt. Alcune altre della Macedonia , del- l’Egitto , ec. sono più comuni. Due monete di Olbia , e due altre di Panticapea si contano fra le più peregrine del museo. Nel novero dei libri che descrivono le monete , e le medaglie del Gabinetto Accademico di Upsala possono nominarsi : 1.° La descrizione delle monete di Svezia e la storia dei Regi ed altri uomini sommi , tratta dalle medaglie , del Consig. Garlo Rinaldo Berch, stampata a spese dell’ università , 1773. in 4.° a.° Le monete consolari, e di famiglie romane , sono state descritte in una tesi accademica, De Re nummaria , pubblicata nel 1753. in 4. da Evaldo Zieroogel. 3.° Delle Gufiche hanno dato la descrizione il summentovato professore Gòr- tlin , ed il vivente suo successore , il sig. prof. Giovanni Enrico Schròder attuale Prefetto di questo Gabinetto. 4.° Le orientali più moderne sono descritte dal sig. Giona Arvid Wimbom in due disputazioni accademiche de Recentionibus Numis arabicis regia Ac- cademia Upsaliensis , Upsala, 1815, in 4.° 5.° L° anzidetto signor prof. Schroder ha dato poco fa una descrizione dot- tissima delle monete anglosassone. 6.° In un’ opera periodica pubblicata nell’ anno 1780 sotto il titolo di Ma- gazzino di Stocolma, mesi di aprile e di maggio , trovansi pure alcune notizie assai curiose intorno il gabinetto di medaglie e monete antiche di Upsala. J. G. H. 15I BULLETTINO SCIENTIFICO Settembre 1829. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Un gran numero d’osservazioni meteorologiche continuate per. più di dieci anni, impiegati a percorrere quasi tutti i mari, hanno condotto il sig. Préveraud professor di fisica a Autun a riconoscere che sebbene la direzione secondo la quale si effet- tuano i cambiamenti dei venti sia diversa da un emisfero ad un altro, pure è costantemente la stessa in ciascuno di essi. Net nostro emisfero il vento passa dal nord al sud per la via del- l’ est, e ritorna dal sud al nord per la via dell’ovest. Nell’ emi- sfero australe il vento passa dal nord al sud per la via dell’ovest, e ritorna dal sud al nord per la via dell’ est. Segue in vero qualche volta, nell’uno e nell’altro emisfero, che per esempio ad un vento del nord venga subito dietro quello del sud, senza che si sia fatto sentire alcun vento intermedio ;' ma si vede facilmente che questo fatto particolare non deroga punto alla legge generale che si osserva nei cambiamenti ordi- narii. Per altro l’ autore fa osservare che si presentano, ben-. chè molto raramente, dei cambiamenti di venti che sembrano fare eccezione alla legge generale; per esempio, si vede qual- che volta un vento del nord voltare al sud per la via dell’ovest, ed anche ritornare fino all’ est; ma è cosa costante che non si vede mai il vento compiere il giro dell’orizzonte in questa di- rezione retrograda; e di più il vento che ha in tal guisa retro- gradato conserva sempre, qualunque sia la sua direzione, i ca- ratteri distintivi di quel vento spirante il quale ha cominciato la retrogradazione , cosicchè piove ordinariamente col vento di nord- est se la retrogradazione ha avuto luogo dal sud-ovest per il sud e l’est , ed al contrario il tempo sarà ordinariamente asciutto e sereno col vento di sud-ovest, se il vento ha retrogradato dal nord-est per il nord e l’ ovest. Si può trovare una conferma della verità di questi fatti nei giornali di alcuni vascelli. provenienti da paesi diversi ; l’autore assicura che si troveranno conformi a quanto egli espone. Egli crede che i giornali dei vascelli meritino preferenza sopra tutte 152 le altre raccolte meteorologiche , perchè vi si registrano senza eccezione alcuna tutti i cambiamenti di vento che avvengono nel tragitto, mentre le raccolte ordinarie degli osservatorii ter- restri notano soltanto i venti che regnavano alle ore delle os- servazioni, senza far menzione dei venti intermediarii. Per altro egli consiglia a diffidare delle indicazioni dei giornali di vascelli in rada, sapendo bene che i marinari, nel porto, son poco esatti ad osservare le direzioni ed i cambiamenti dei venti. Nella notte del 7 agosto ultimo verso le tre ore della mat- tina un terremoto ha scosso il dipartimento dell’ Alto Reno in Francia. A Colmar sono state sentite due leggiere scosse che si sono succedute coll’ intervallo d’ un minuto secondo. A la Pou- troye ed a Belfort la scossa è stata più forte, ed era accompagna- ta da un fragore sordo simile a quello del tuono chesi fa sen- tire in lontananza. Il terremoto ha prodotto i più grandi effetti nelle case situate sulla montagna. In esse sono stati scom- mossi diversi mobili, e delle persone, che giacevano nel loro letto sono state scosse fortemente. Si è saputo che lo stesso ter- remoto è stato sentito anche a Saint-Die ed a Strasburgo. Si è avuta recentemente notizia d’un terremoto accompa- gnato da particolarità notabili sentito a bordo d’un. vascello inglese che si trovava ancorato nella baia di Callao e fissato con due forti catene di ferro. A sette ore e mezzo una nuvola leggiera passò sopra il bastimento, e subito fu sentito il rumore che in quel paese accompagna i terremoti, e che somiglia un tuono lontano. Fu sentita una scossa violenta , e le persone che erano a bordo paragonarono questo movimento a quello che si prova in un carro non sospeso trascinato rapidamente sopra un pavimento ineguale. Intorno al vascello 1’ acqua fece sentire un sibilo come se vi fosse stato immerso un ferro infuocato , e la sua superficie si cuoprì d’ un immensa quantità di bolle, le quali scoppiando lasciarono esalare l’odore dell’ idrogene solfo- rato. Molti pesci morti comparvero galleggianti sull’ acqua in- torno al vascello , ed il mare che prima era tranquillo e limpi- do, si mostrò torbido ed agitato, ed il bastimento s’ immergeva ed emergeva alternativamente dall’ acqua con ciascuno dei suoi lati per la profondità di circa 14 pollici. Allora fu sentita a terra una scossa violenta , che fece cadere in rovina una parte della città. Nel levarsi 1’ ancora di poppa, fu trovato che la sua ca- tena, la quale riposava sopra un fondo di fango molle , aveva 153 sofferto una specie di fusione per un’ estensione molto grande , e ad una distanza di 25 braccia dal bastimento. Gli anelli; fatti d’ un eccellente ferro cilindrico di circa due pollici di diametro, erano stati in questo luogo come stirati , cosicchè erano lunghi tre o quattro pollici, e grossi soltanto quattro o cinque linee. La loro superficie presentava molte strie o scanalature irrego— lari, nell’interno delle quali si trovavano dei piccoli nodi di ferro che se ne distaccavano facilmente. La catena della seconda an cora non aveva punto sofferto, e nulla di simile era avvenuto ai molti vascelli che si trovavano allora nella rada. Fisica e Chimica. Mentre traforavasi il terreno presso S. Ouen in Francia per formare uno dei così detti pozzi artesiani , la trivella o lo stru- mento impiegato in quell’ operazione è divenuto magnetico al se- gno di sostenere una chiave non piccola , e di attrarre alla distan- za di più d’ un decimetro un pezzo di ferro del peso di 6 chilo- grammi. ( Journ. de pharm. de Paris; Aoùt 1829. ) Il sig. Kupfer, professore a Casan avendo intrapreso diverse osservazioni fisiche sulla montagna del Caucaso , è giunto con gran fatica alla cima d’ uno dei pichi più ‘elevati, 1’ altezza del quale sembrerebbe superiore di mille piedi a quella del Monte Bianco. Egli la stima di 15,400 piedi. È noto che il sig. Gay-Lus- sac in una sua ascensione aerostatica si elevò a 18,000 piedi sopra Parigi. Fra le osservazioni del sig. Kupfer sembrano le più interes- santi quelle che si riferiscono al decrescimento dell’ intensità ma- gnetica a proporzione dell’ altezza. Esse si accordano con quelle del sig. Gay-Lussac. Il sig. Kupfer crede poterne concludere non doversi attribuire la virtù magnetica del globo all’ esistenza d’un nocciolo magnetico centrale. Nel giornale inglese intitolato Quarterly Journal. of science da gennaio a marzo 1829. pag. 131 si riferisce la seguente osser- vazione fatta dal sig. Morgan al. Vesuvio; Il. dì 25\di marzo 1828 l’autore si trasportò sull’ orlo del eratere per osservare nella notte l’eruzione del vuleano , che lanciava, un’ enorme quantità di ce- neri nere . e di densi vapori. Il cratere era pieno di lava infuocata a, bianco, e ricoperta sugli orli da scorie nerastre. Un vento T. XXXV. Settembre. (1:20 154 ni d’ovest violentissimo era spesso accompagnato dalla caduta di molta grandine. Egli osservò che 1’ estremità dei cappelli e dei ve- stimenti delle persone che erano avanti a lui rilucevano d’ una fo- sforescenza verdastra , che egli paragona a quella delle lucciole. Un velo verde di cui si era coperto per difendersi dalla. cenere ; quando era agitato dal vento, presentava come una frangia di scintille. Questa fosforescenza spariva quando gli oggetti erano sottratti all’ urto del vento , e nel basso della montagna non- potè esser prodotta ,. benchè si esponessero gli oggetti stessi, allo stesso vento. ( Ferussac Bullet. des sc. math. phys. et chim. Juillet 1829. p. 53 ). Il sig. Woodbine Parish , console di S. M. Britannica a Bue- nos-Ayres., avendo inviato a-Londra dei saggi di minerali, furono trovati fra essi dei pezzi di ferro nativo, che hanno richiamato la particolare attenzione dei dotti, La loro somiglianza al masso ce- lebre osservato da Pallas in Siberia, riguardato finora come unico nella sua specie, ha fatto considerare con interesse una sostanza analoga trovata, nell’ opposto emisfero. I saggi dei quali si tratta provenivano dalla provincia di Atacama nel Perù, si dicono presi da un mucchio stimato pesare tre quintali, e che si dice trovarsi al principio d’ una vena di ferro solido ; larga tre pollici, situata al piede d’ una montagna. Ivi all’ intorno, alla distanza di tre ‘o quattro leghe , sono sparsi sul piano dei frammenti simili , che nel paese son creduti prodotti da esplosioni della miniera. I saggi dei quali quì si tratta sono stati portati a Buenos» Ayres da un indiano , il quale richiesto di portare anche un. pezzo della vena stessa unita ad un poco della roccia, nella quale si dice trovarsi , ha affermato di non aver potuto farlo per mancanza dei necessarii strumenti. Il dot. Turner ha esaminato il saggio ‘inviato alla Società Reale ed analizzatane una porzione. Questo saggio ‘aveva i carat- teri esterni del ferro meteorico ; il colore del metallo ‘era più biancastro di quello del ferro comune ; era coperto in gran parte d’ un leggiero strato d’ ossido di ferro 5 gl’interstizi che presentava quà e là contenevano della crisolite ; i frammenti puri avevano un peso specifico di 6,687 ; una: porzione battuta e tirata in forma di chiodo aveva quello di 7,488. L° analisi ‘vi. ha dimostrato , sopra 100 partì , ferro 934, nichel 6,618 , cobalto 0,535: - Sembra che questi risultamenti non lascino dubbio intorno al- l'origine del minerale di cui si tratta. Esso differisce da qualunque altro minerale d’ origine terrestre , ed è perfettamente simile , ri- 155 guardato fisicamente e chimicamente , ad altre masse di ferro si- curamente meteoriche. Alcuni anni sono. il prof. Stromeyer ha scoperto la presenza del cobalto in un saggio di ferro meteorico portato dal Capo di Buona Speranza; ed hà annunziato che ricerche diligenti gli hanno fatto riconoscere non solo del nichel, ma anche del cobalto in tutti i saggi di ferro meteorico da lui analizzati. ( 8:54. univ. lu- glio 1829, pag. 214. ) Il dottor Brunner di Berna ha presentato alla Società elvetica delle scienze naturali la seconda parte d’un saggio del suo viaggio all’ Etna, nel quale, oltre a descrivere questa montagna ed i suoi fenomeni vulcanici, entrando in molte altre particolarità , parla specialmente dell’accelerazione del polso e dell’aumentato numero delle sue battute in un tempo dato , allorchè uno sale sulle alte montagne. Rammentando gli esempi più notabili di questi due fenomeni osservati da altri, narra anche ciò che egli ha osservato sopra sè stesso. Sulla riva del mare il di lui polso faceva da 62 a 65 pulsazioni per minuto ; a Nicolosi, che è elevato 3200 piedi sopra il livello del mare , ne faceva 72, alla Casa-Gemellara ; alta piedi 9,300, ne faceva 80, e finalmente 84 sulla cima , che si eleva sul mare 10,152 piedi. ( Zvi pag. 70. ) Il sig. Bonnè ha fatto l’ importante osservazione che 1’ iodio ed il bromo si combinano agevolmente a diverse sostanze alcaline d’ origine vegetabile, e specialmente alle stricnina , alla morfina; alla brucina; formando con esse dei composti da chiamarsi respet- tivamente ioduri e bromuri , nei quali 1’ azione venefica di quelle sostanze è neutralizzata dall’ iodio o dal bromo. in fatti delle dosi di tali composti che contenevano una quantità di stricnina , di morfina , ec. maggiore di quella che basta ad uccidere un animale, non gli hanno cagionato verun danno. Era importante, per applicare utilmente questa cognizione, il verificare se anche nello stomaco si opererebbe una simile combinazione senza che la sostanza ve- nefica esercitasse la sua. azione, iniettando separatamente questa e 1’ antidoto. L’esperienza ha dimostrato di fatto che 1’ azione dan- nosa ed i funesti effetti di quelle sostanze alcaline, e della stricnina stessa, sono impediti tutte le volte che si amministra l’iodiv in tempo, cioè prima che sia assorbita di quelle sostanze una quantità capa- ce di produrre la morte. L’ autore si è anche assicurato che quegli alcali non sono snaturati dall’ iodio e dai suoi analoghi , ma sono soltanto combinati ad essi. In fatti scomposti per mezzo dell’ acido 156 solforico 1’ ioduro:ed: il:cloruro di stricnina, ne è vrisultato il solè- fato di questa base; che ha ucciso prontamente, un cane a cui'è sta- to amministrato. (. Le Globe tom. 7. N.° 66.) Il sig. Weslur avendo. fatto un particolare studio delle pro- prietà dell’ argento, e di varii suoi composti ; ne ‘ha annunziati i risultamenti ; dei quali indicheremo quì i principali. Il cloruro d’ argento colorato dalla luce non:è .;;come credeva- si fin quì, una mescolanza d’ argento ridotto e di cloruro d’ ar- gento inalterato , ma un nnovo composto che contiene meno cloro che il.cloruro ordinario. Però il sig. Weslar , cui si deve quest’os- servazione ; to riguarda come un sottocloruro. Serve d’ appoggio a quest’ opinione il fatto che il cloruro d’ argento colorato: dalla luce non è attaccato dall’ acido nitrico. L’ ammoniaca ed una se- luzione di sal. comune trasformano questo sottocloruro in argento metallico ed in cloruro. Non: si ottiene il sottocloruro .d’ argento privo di cloruro esponendo quest’ ulrimo alla luce. Si può procu- rarselo lasciando dell’ argento metallico in una soluzione di clo- ruro di rame o di ferro. Alla produzione di questo sottocloruro. è dovuta la colorazione in nero dell’ argento che contiene del rame, mediante la . soluzione di sale ammoniaco. Se si versa su dell’ argento una soluzione concentrata di sal comune , il metallo è attaccato dopo un lungo contatto , il li- quido si mostra debolmente alcalino , e dà per evaporazione dei cristalli formati di cloruro di sodio e cloruro d’ argento. Il feno» meno è facile a spiegarsi secondo l’ opinione di Berzelius ; 1’ ar- gento toglie il cloro al sal comune , e il sodio reso libero si ossida. Si sa che la dissoluzione di solfato di ferro discioglie l'argento a caldo, e che questo metallo si precipita per raffreddamento. Il sig. Weslar ha trovato che non si precipita in totalità, e che in conseguenza potrebbe disciogliersi alla temperatura ordinaria nelle soluzioni di solfato di ferro , e tanto più quanto sono più acide. L’ acido solforico allungato non ha azione sull’ argento alla tem- peratura ordinaria. Perchè l’azione si determini, basta aggiugnere una goccia di soluzione di ferro. Per spiegare questi fatti bisogna ammettere che l’ ossigene dell’ aria è trasmesso all’ argento per 1 intermezzo della soluzione di ferro , che il ferro nel momento in cui cede l’ossigene all’ argento , ne riprende dall’aria ambiente. La soluzioni: del cloruro d’ argento nel sal marino non è scom- posta dalla potassa. Si può spiegare questo fatto , che sembra in- verisimile ; perla grande affinità del cloro verso 1’ argento , e del potassio verso 1’ ossigene. Alla stessa affinità è dovuta , senza 157 dubbio , la scomposizione completa del cloruro di sodime di quello di potassio per 1’ ossido d’ argento , osservata dall’ autore. i L’ ossido d’ argento , il quale, come Fischer ha scoperto ; è solubile nell’acqua; neutralizza. gli acidi tanto completamente quanto un alcali, e sembra essere una base più potente. del- l’ammoniaca. Questa non produce veruno intorbamento nella so- luzione di nitrato d’argento; si forma allora un composto che non sì deve riguardare .come un sale a doppia base, ma come una com- binazione di nitrato d’ argento e d’ammoniaca, in cui il nitrato d’argento fa funzione d’ acido. La soluzione dell’ ossalato d’ar- gento nell’ ammoniaca esposta all’ evaporazione spontanea lascia per residuo l’ ossalato d’argento puro. In generale le combina- zioni formate dalle dissoluzioni dei sali d’argento nell’ammoniaca sono di due specie : i sali d’argento solubili ritengono 1’ ammo- niaca alla maniera degli acidi deboli, e non lasciano sprigionare questa base nell’evaporazione ; quanto ai sali d’argento insolubili, l’ ammoniaca non ha azione sopra di essi se non come dissolvente. Essi se ne separano senza scomposizione quando si fa evaporare il liquido: ( Journ. de pharm. de Paris, Aoit 1829.) È noto che il platino , nei pochi punti del globo ove si è fin quì incontrato , si trova unito o mescolato a piccolissime quantità di molti altri metalli, ed in minute particelle. dette grani , pagliette, pepiti, ec. I saggi che se ne trovano. nelle varie collezioni mineralogiche d’Europa sono appena d° una linea nella loro maggior dimensione. Il sig. de Humboldt, nel suo ri- torno dall’ America meridionale , ne donò al gabinetto di Berlino un pezzo del diametro d’un pollice, e del peso di grani 1086. Dopo circa 20 anni il museo di Madrid ne ricevè un pezzo del diametro di 2 pollici e 4 linee, e del peso di grani 11641. Re- centemente nelle miniere Demidoff nei monti Oural n’ è stata trovata una massa del peso di libbre russe 10 $t e che ha più d’un piede di circonferenza. Il suo peso specifico è 16, il co- lore grigio-piombo-chiaro , è compatta ma ripiena di cavità gra- nulose e rivestite d’argilla ferruginosa bruna-rossastra. I piccoli grani delle cavità sono cubi o ottaedri. (Bid. Univ. luglio 1829). Trattando successivamente più volte il cloruro di platino con dell’alcool assoluto, si ottiene finalmente una massa bruna; che si carbonizza facilmente ad.una temperatura più elevata, ma che di- sciolta in una gran quantità d’ alcool somministra un liquido per 158 mezzo del quale si può fare aderire un sottile strato di platino me- tallico al vetro, formandone uno specchio lucidissimo. A. quest’ ef- fetto si bagna il vetro della soluzione alcoolica; procurando che questa vi si distenda sopra uniformemente , e quindi si scalda gra- datamente alla fiamma d’ una lampada a spirito di vino fino ad in- fuocarlo: Lo strato di platino che si revivifica aderisce: così bene al vetro, che diviene impossibile staccarlo. Ma se si ponga questo spec- chio nell’acido idroclorico ‘allungato con acqua; e nel tempo stesso vi s’immerga una lama di zinco, tutto lo strato di platino aderente al vetro si discioglie quasi istantaneamente. Questo e più altri fatti relativi al platino si devono al sig. Dobereiner. ( F'érussac Bullet, des sciences mathém. phys. et chim. Juillet 1829. pag. 73.) Il seguente processo suggerito dal sig. Frick per preparare in grande l’ ossido di cromio sembra preferibile agli altri conosciuti, come più economico. Dopo aver tenuto alquanto infuocata una mescolanza di cromato di ferro polverizzato e di nitrato di potassa , e dopo aver trattato coll’acqua la massa che ne risulta, si fa eva- porare la soluzione ottenuta , che spesso presenta un colore verde cupo; quest’operazione deve esser fatta in un vaso di ferro, e spinta molte avanti. Raftreddato il liquido, si decanta in vasi di vetro; il residuo convenientemente lavato si getta via. La dissoluzione, che è di color giallo, contiene; oltre il cromato di potassa, del nitro non scomposto; e della potassa libera. Si fa bollire in un vaso di ferro, aggiungendovi del solfo puro in sottil polvere, finchè continua a precipitarsi dell’ ossido verde di cromio. Lavato questo precipitato con acqua stillata, si discioglie a caldo nell’acido solforico allunga= to ; si separa dalla soluzione il solfo per lento deposito o per feltra> zione ; quindi si precipita per mezzo del sottocarbonato di soda il puro ossido , si lava, si asciuga, e si calcina. ( Férussac Bullet. des sc. tecnol. Juillet 1829 , pag. 224.) Diverse esperienze intraprese dal sig. Payen ‘per rintracciar la causa delle notabili differenze che frequentemente si osservano nelle bnone qualità del gesso impiegato nell’arte edificatoria, seb- bene proveniente da-una stessa qualità di pietra, ha potuto assicu= rarsi che il difetto o 1’ inferior qualità del gesso dipende ordinaria- mente dal cattivo metodo della cottura o calcinazione, nella quale l’azione del calore impiegato è quasi sempre ineguale e spesso ec- cessiva. Egli ha riconosciuto che ad ottenere un ottimo gesso basta una temperatura di 105 gradi del termometro centigrado , corri- 159 spondenti a 84 di quello di Réaumur, a cui si tenga esposta la pie- tra per circa 6 ore, dopo le quali sì trova ridotta in un gesso eccel- lente. (Ze Globe Tom. 7. num. 77.) : Il sig. Gay-Lussac, partendo dal fatto osservato dal sig. Vau- quelin, che 1’ acido pettico trattato al fuoco colla potassa in un erogiolo forma dell’ossalato di potassa, ha trattato in un modo eguale, prima la materia legnosa, quindi animato dal buon successo di questa prima esperienza , molte altre sostanze vegetabili ; dalle quali tutte ha ottenuti risultamenti analoghi. Così la fibra del co- tone, la segatura di legno, lo zucchero, l’amido, la gomma, gli aci di tartarico, malico , e citrico , e fra le sostanze animali lo zucche- ro di latte e la seta, hanno somministrato dell’ossalato di potassa scaldati convenientemente con quest’alcali. Anche la soda caustica ha prodotto gli effetti stessi; non così i carbonati di potassa e di soda. Queste esperienze hanno dato luogo al sig. Gay-Lussac di fare più altre osservazioni interessanti da lui rese note negli Annal. de chim. et de phys. Aoùt 1829. pag 398. I sigg. Henry figlio e Piisson in una loro memoria sull’ acido chinico e le sue principali combinazioni colle basi salificabili , letta nella pubblica seduta dell’Accademia Reale di medicina di Parigi, e pubblicata nel Giornale di farmacia , agosto 1829, insegnano due processi per estrarre dalla corteccia peruviana l’acido chinico, fan- mo conoscere i principali e più importanti caratteri di questo, ed un gran numero delle sue combinazioni saline. Eglino avevano già riconosciuto che nella china una gran par- te del principio febrifugo o antiperiodico è unito all’acido chinico., e presumendo che questa combinazione dovesse nella terapeutica produrre effetti più vantaggiosi che le combinazioni delle stesse basi alcaline vegetabili (nelle quali consiste quel principio) ad acidi minerali; hanno preparato artificialmente le combinazioni della prima sorte, con due diversi processi, uno dei quali consiste nel combinare direttamente l’acido chinico alla chinina ed alla cin- conina estratte recentemente allo stato d’idrati, il secondo nel for- mar prima i solfati di chinina e di cinconina ; e quindi decomporli per mezzo dei chinati di barite 0 di calce. Per quest’ultimo proces- so.conviene impiegare l’alcool a 32 gradi per isolare il solfato di calce ; o 1’ eccesso di chinato calcare. I due chinati di chinina. e di cinceonina sono solubilissimi in acqua, ed un poco meno nell’alcool. Quello di chinina cristallizza facilmente in aghi, specialmente se vi si aggiungano alcune gocce d’ acido chinico. Quello di cinconina 360 cristallizza molto, meno facilmente; ambedue sono interamente scomposti dall’ azione del calore. Ecco le conclusioni che i sigg. Henry e Plisson tirano dal loro lavoro. La parte attiva della china essendo la chinina e la cinconi- na; specialmente nel loro stato di combinazione naturale coll’acido chinico, è presumibile che amministrando il principio febbrifugo in questo stato medesimo , si debbano ottenere effetti terapeutici mi- gliori che da altre preparazioni. Esse dovrebbero agire con più ef- ficacia che i solfati, gl’ idroclorati , i nitrati, 1.° perchè i.ehinati ‘esistono. nella scorza peruviana ; s.° perchè 1’ acido chinico eserci- ‘tando un’ azione chimica più debole sulla chinina, deve ritenerla più debolmente che gli altri acidi, e presentarla in un grado più ‘elevato di forza naturale; 3.° perchè l’acido chinico saturando me- no la virtù febbrifuga della chinina, che gli acidi minerali, come il dottor Bailly ha riconosciuto per molte esperienze che la morfina Ha più azione allo stato d’acetato che a quello di solfato e d’ idro- «clorato ; 4. infine perchè sembra loro probabile che l’acido chinico possa essere più adattato di qualunque altro a sviluppare 1’ azione medicinale della chinina. ( Journ. de pharm. Aoit 1829. ) Il sig: Pfaff in seguito di varie esperienze sul tannino e l’ aci- do gallico, puri quanto è possibile, ha indicato i seguenti caratteri come atti a distinguerli. Nelle dissoluzioni d’ oro allungate l’ acido gallico produce un color verdastro, che veduto per riflessione sembra bruno, e riduce completamente l’ oro. Il tannino riconduce soltanto l’ oro ad uno -stato di minore ossidazione , o dà al liquido un colore di porpora. L’acido gallico produce appena un color giallastro nella dissoluzio- ne di titano , il tannino ne precipita dei fiocchi di color rosso aran- ciato. Il tannino precipita ‘in bianco le dissoluzioni dell’ emetico ; l’acido gallico vi:cagiona un leggiero intorbamento ; e solo dopo un certo tempo. L’ acido gallico colora in bruno gli alcali puri, cogli ‘alcali carbonati produce in principio un color giallo tendente al bruno ;, ma che presto diviene verde cupo. Il tannino è precipitato dagli alcali puri e carbonati, ed il liquido si colora in bruno senza passare al verde. I sali di morfina, di stricnina, di chinina, edi cin- conina non sono precipitati dall’ acido gallico, ma lo sono dal tan- nino. Nella sua-combinazione cogli alcali il tannino sembra subire un cambiamento di; composizione che lo ravvicina all’ acido gallico. Le schiume del caffè devono la loro proprietà di colorare in verde il bianco d° uovo, sotto 1’ influenza dell’aria, all’acido gallico che contengono , ed il bianco d’ uovo sembra contrariare questa colora- 101 zione per mezzo del carbonato di soda che entra nella sua composi- zione. Il sig. Pfaff non ha trovato acido gallico nelle piante che contengono dell’ emetina e della veratrina. ( vi ) Il sig. Pelletier ha dato notizia d’un nuovo alcali vegetabile ricavato da una scorza portata in Europa da Arica provincia del Perù, come una nuova china , di cui ha qualche apparenza. Il suo sapore amaro è ben diverso da quello della vera china. Essa contie- ne un principio che dà coll’ acido solforico una gelatina, invece d’ un sale cristallizzabile. Quest’ alcaloide contiene un poco d’ azo- to. (Ivi) Il sig. Vogel farmacista a Heinsberg ha rese note le seguenti sue osservazioni intorno all’ azione che 1’ alcool esercita sull’ idro- ferrocianato di potassa o d’ammoniaca. Se si versa una soluzione d’idroferrocianato di potassa o d’am- moniaca nello spirito di vino di tal densità che contenga 41 per 100 d’ alcool assoluto, si forma subito una nuvola rossa, poi un preci pitato. L’ autore credè in principio che il fenomeno dipendesse da un poco di rame contenuto nell’ alcool , e proveniente dai vasi nei quali era stato stillato. Per assicurarsene ridistillò una porzione d’ alcool in una piccola storta di vetro, ma anche il prodotto puro di quest’ operazione presentò gli stessi effetti. Però egli è d’ opinio- ne che 1° alcool tolga l’acqua agl’idroferrocianati, e che l’ossido di ferro sia però messo in libertà. In fatti allungando il liquido spiri- toso con un poco d’acqua , il precipitato sparisce. ( Zvi ) È stata letta alla Società Reale di Londra" il dì 29 gennaio 1829 una memoria del reverendo J. Farguharson paroco d° Al- fred nella contea d’ Aberdeen in Scozia sopra la disposizione de- terminata , l’ avanzamento progressivo , e l’ altezza delle aurore boreali. Dalle sue numerose osservazioni fatte nelle circostanze più favorevoli egli è stato condotto a concludere che l’aurora bo- reale ha sempre una disposizione ed una forma determinata , e che essa segue un andamento invariabile nel suo sviluppo. I getti o fasci di raggi compariscono prima al nord ; a misura che s’inal- zano sull’ orizzonte , prendono la forma d’un albero che si esten- de dall’ est all’ ovest, e che ha la sua cima nel piano del meri- diano magnetico , l'arco, o la volta, essendo perpendicolare a questo piano. Finchè l’.arco è vicino all’ orizzonte , la sua lar- ghezza dal nord al sud è considerabile , ed i getti dei quali è formata compariscono quasi ad angoli retti dalla linea generale T. XXXV. Settembre. 2I 162 dell’ arco , la loro direzione convergendo verso un punto situato ad alcuni gradi al sud dello zenit. A misura che l’ arco si avan- za verso lo zenit, le sue dimensioni laterali diminuiscono , e la direzione dei getti tendendo sempre verso lo stesso punto del cielo, si avvicina di più ad esser parallela a quella dell’ arco. Quando esso ha oltrepassato lo zenit, ed è arrivato al punto di cui si è parlato; un poco al sud, l’ arco non comparisce più se don co- me una stretta zona, larga solo tre o quattro gradi, e i di cui orli sono ben terminati. Nel smo progresso ulteriore verso il sud si allarga di nuovo, e presenta la successione delle stesse fasi in un ordine inverso. L’ autore conclude che i getti hanno indivi- dualmente una posizione presso a poco verticale ; o parallela al- 1’ inclinazione magnetica , che essi formano comefuna frangia sot tile, la quale si stende spesso ad una gran distanza dall’ est al- 1’ ovest perpendicolarmente al meridiano magnetico , e che il mo- vimento apparente .di questa frangia dal nord verso il sud provie- ne dall’ estinzione dei getti situati dal lato del nord , e dalla for- mazione di nuovi getti contigui dal lato sud. L’ autore inferisce dalle osservazioni variabilissime riportate nella sua memoria , in opposizione all’ opinione del sig. Dalton , che la regione occupata dal fenomeno è al di sopra di quella delle nubi, ma confina con essa, e che è almeno superiore a quella in cui il vapore acquoso si condensa per comparire in seguito in forma di nuvola. Egli sti- ma l’ altezza di. questa regione al di sopra della superficie della terra a duemila piedi, e pensa che a quest’altezza si trovi l’ estre- mità inferiore dei getti verticali , e che la loro estremità superiore può essere più elevata di due e tre mila piedi. ( Magaz. philos. Aprile. 1829.) * SCIENZE MEDICHE. Una nuova sostanza, che fa sperare molta utilità nella sua ap- plicazione medica , è stata trovata dai sigg. Caventou e Frangois nella radice della Kainca chiococca racemosa; arbusto del Brasile, della famiglia delle rubiacee. Essi hanno riconosciuto per mezzo di esperienze numerose che il principio estratto da questa radice è to- nico senza essere eccitante , purga dolcemente , e può riporsi fra i minorativi; inoltre è fortemente diuretico. Il suo modo d’ agire sulle vie orinarie è in particolar modo degno d°’ attenzione. Il pri- mo giorno aumenta poco la quantità d’ orina evacuata , ma conti nuandone l’uso, l’effetto aumenta progressivamente di giorno in giorno. Quest’aumento d’azione essendo molto lento , non ne ri- sulta mai un eccitamento eccessivo nelle vie orinarie. L’ estratto 103 della radice di Kainca essendo nel tempo stesso tonico , purgativo , e diuretico, sembra dovere essere singolarmente, utile nei casi d’idropisia , ed in fatti gli autori affermano d’ avere ottenuto i più felici risultati dalla sua applicazione contro questa malattia. Il sig. Brander aveva attribuito le virtù della radice di Kainca all’ emeti- na, che i sigg. Caventou e Frangois affermano non esservi contenu- ta. ( Le Globe. Tom. 7. n. 68.) Era stato osservato che le foglie della Coriaria myrtifolia me- scolate a quelle della sena rendono molto nocivo l’uso di quest’ul- tima, e possono produrre gravi sconcerti. Il sig. Dubuc ha osservato che alcune gocce d’una soluzione di solfato e meglio di acetato di ferro versata nella decozione delle foglie di Coriaria vi sviluppa un color nero intenso , e che questa proprietà può servire a scuo- prire la mescolanza della coriaria colla sena anche nella proporzio- ne di x. Egli attribuisce i suoi dannosi effetti all’ acido gallico che vi suppone, ma che il sig. Serullas non vi ha trovato. Altronde l’acido gallico non suol produrre gl’inconvenienti che si rimprove- rano alla coriaria. Nel supposto dell’esistenza dell’acido gallico in questa pianta, il sig. Laubert suggerisce come un ottimo e ‘facil mezzo di sepa- rarlo da essa , come anche da ogni altra materia vegetabile , 1’ uso dell’ etere, che se lo appropria. ( Journ. de pharm. aoit 1829. ) Il sig. Amussat in una sua memoria letta avanti l'Accademia delle scienze di Parigi ha preso a dimostrare i vantaggi che possono risultare nella pratica chirurgica, per arrestare le emorragie , sosti- tuendo al sistema generalmente praticato, d’allacciare con legature le estremità recise delle arterie e delle vene, quello di torcerle o avvolgerle sopra sè stesse. Dalle molte esperienze che l’autore ha fatto è risultato che torcendo o avvolgendo sopra sè stessa un ar- teria quattro volte , si ha la certezza d’ arrestar sempre l’ emor- ragia senza rottura della membrana interna, la quale per altro si rompe portando a cinque il numero dei giri o avvolgimenti. ( Le Globe. Tom. 7. n. 68. et 72). Il sig. Mussimiliano Rigacci, di cui abbiamo avuto occasione d’ annunziare altri scritti, in una sua recente Lettera ad un ami- co sulle comunicazioni dei vasi linfatici colle vene, dopo avere bre- vemente toccato quella parte della storia dell’ anatomia che ri- guarda le cognizioni progressivamente acquistatesi intorno ai vasi 104, linfatici, accenna come alcuni anni addietro varii anatomici aven- do riprodotto quell’ antica dottrina che attribuiva anche alle vene la facoltà d’assorbire , il dottor Lippi sostenendo la contraria, nella quale questa facoltà è riguardata come esclusivamente apparte- nente ai linfatici , all’oggetto di spiegare varii fenomeni d’assorbi- mento, imprese espressamente a cercare e trovò successivamente fra i due sistemi venoso e linfatico delle comunicazioni costanti ed in molto maggior numero di quelle osservate da altri anatomici prima di lui; i quali ritrovamenti, contrastati da alcuni oppositori, e nel tempo stesso ammessi da uomini di sommo merito , sono stati re- centemente sanzionati e coronati di premio onorevole dall’Acca- demia delle scienze di Parigi. Dei quali ritrovamenti, e della ve- rità della dottrina anatomica appoggiatavi, 1° autore della lettera dichiara essere stato fino di principio intimamente persuaso , e co- me testimone oculare d’ una gran parte dei risultamenti sperimen- tali del dot. Lippi, ed in forza del ragionamento anatomico , che gli sembrava accomodarvisi mirabilmente. Il chirurgo sig. Giuseppe Ricci e 1’ abile artista sig. Antonio Serantoni hanuo pubblicato colle stampe 1.° un catalogo delle di- mostrazioni anatomico-patologiche da modellarsi in cera, che in numero di 28 si propongono d’eseguire in perfetta conformità delle 28 tavole comprese nel Trattato del celebre professore Scarpa ; 2.° altro catalogo delle dimostrazioni anatomico-fisiologiche si- milmente da modellarsi in cera , descrittevi in numero di 3o , sì le une come le altre coll’ indicazione del tempo necessario per la loro esecuzione , e del prezzo, pagabile per metà nell’ atto della consegna. L’abilità degl’ intraprendenti, ed il pregio d’alcuni loro lavori già conosciuti non lascia dubitare del merito di quelli che s' impegnano col pubblico ad eseguire. La singolare attitudine della cera a prendere ogni sorta di forme e di colori nell’ imitazione degli oggetti naturali , ha in- dotto lo stesso sig. Serantoni ad intraprendere l’esecuzione d’nna Pomona Italiana, o a formare una collezione di 160 frutti diversi in 4o distribuzioni, come ha annunziato in un analogo manifesto al pubblico , al quale deve ispirar fiducia nel pregio di questo lavoro , oltre il nome dell’artista., l'approvazione di cui ha ono- rato alcuni primi saggi il celebre sig. conte Giorgio Gallesio. Anche il sig. Luigi Calamai promette con altro manifesto una Carpologia Italiana dimostrativa , ossia collezione scelta dei frutti esculenti e non esculenti è più ragguardevoli per figura , 165 colore, ed utilità, tanto indigeni quanto trapiantati in Italia , con la dimostrazione delle parti loro interne per servire all’istru- zione botanica ; anch’ essa eseguita in cera. Nel bullettino scientifico per il mese d’ aprile di quest’ anno Annunziammo l’ esperienze del sig. Weinhold, il quale, tagliata ad un animale la testa e vuotato il canal vertebrale, e ad un altro animale intero vuotato il cranio, quindi sostituita nel primo caso alla midolla e nell’ altro alla polpa cerebrale un amalgama di mercurio , d’ argento , e di zinco, vide eseguirsi da questi animali diversi movimenti simili a quelli degli animali viventi. Un giornale trancese nel riferire quest’ esperienze sulla fede dell’ Antologia , si duole perchè annunziando noi fatti cotanto singolari non abbiamo indicato la sorgente ove ne abbiamo at- tinto la notizia. La qual doglianza sembrandoci giusta , ed essendo conforme alle insinuazioni d’alcuni nostri amici , sodisfacendo al giusto de- siderio di quel giornale, abbiamo adottato nel tempo stesso il sistema , che d’ora in poi seguiteremo costantemente , d’accen- nare donde sian tratte le notizie che pubblicheremo nel nostro bullettino scientifico. Quel cenno intorno all’ esperienze del sig. Weinhold noi lo avevamo ricavato dal fascic. 38 per il mese di febbraio 1829 del Giornale analitico di medicina, che si stampa in Milano; vi si trova alla pag. 129, e si dice estratto dal Journal des Pro- grès etc. vol. X. pag. 267. In una nota posta in piè della pagina si dice esser quello un articolo comunicato dal collaboratore sig. dott. Beretta. VARIETÀ. La Società medico-filantropica di Parigi ha pregato l’Accade- mia delle scienze di render noto il seguente soggetto che ella pone al concorso per l’ anno 1830. __< 1° Il sistema adottato ai nostri giorni per la prima educa- ,3 zione dei fanciulli dei due sessi, non si oppone egli allo sviluppo » fisico degli apparati organici , e non è egli capace di distruggere ,, anche le costituzioni più forti ? Finalmente, non è egli da attri- 3» buirsi al modo attuale d’ educazione , evidentemente contrario »» alle leggi della natura e dell’ infanzia , la frequenza delle ma- »» lattie di petto e delle affezioni croniche che consumano tante »» giovani vittime ? ,, « 2.° La questione essendo sciolta affermativamente , indicare 166 »» le riforme importanti che i collegi ed altri luoghi d’ educazione ») devono subire , in una parola indicare un sistema d’ educazione s) fisica e morale capace di formare individui fortemente costituiti ,, e cittadini utili. ,, Un premio del valore di mille franchi sarà conferito all’ autore di quella memoria che avrà risoluto interamente la questione, ed inoltre saranno accordate tre medaglie d’ emulazione agli autori che avranno meglio adempiuto le vedute della Società. Le memorie dovranno essere indirizzate , franche di porto ; avanti il dì primo di settembre 1830 al sig. dot. Sat-Beygalliere, Segretario generale della Società , via Notre-Dame-des-victoires ° 10. a Parigi. ( L’ Universel N.° 270, 27. settembre 1829. ) Un regolamento ha dato un esistenza legale al Collegio del Re, stabilito a Londra dai Torys , in opposizione alla nuova uni- versità, che è opera dei Wighs. Secondo questo regolamento il lord cancelliere ed otto altri funzionarii pubblici saranno, in virtù delle loro cariche , governatori perpetui del collegio ; 1’ arcive- scovo di _Cantorbery avrà la qualità di visitatore ; vi saranno in oltre ottò governatori a vita, un tesoriere, 23 membri del consiglio, e tre auditori. Tutti questi funzionari dovranno professare la re- ligione anglicana , ed il preambulo portà\espressamente che il fine della fondazione del collegio è quello di unire l’ istruzione reli- giosa secondo le dottrine del cristianesimo , quali sono insegnate dalla chiesa anglicana , all’ istruzione letteraria' e scientifica. Le soscrizioni volontarie in favore di questo stabilimento ammon- tano in questo momento a! 130,000 lire sterline. Si cominceranno subito i lavori di costruzione. ( Zvi. ) Il sig. Prefetto del dipartimento della Costa d’ oro in Francia ha fondato una scuola di diplomi e carte antiche. Questa istitu- zione locale succederà utilmente a quella dello stesso genere che alcuni anni sono era stata stabilita a Parigi , e che in breve tem- po aveva prodotto risultamenti molto sodisfacienti. La biblioteca del re e gli archivi del regno erano gli stabilimenti più adattati a somministrare ogni genere d’ aiuti e d’incoraggimenti neces- sarii a seguitare con perseveranza e successo degli studi, i quali, checchè se ne dica, non godono in generale del favor pubblico , e non lasciano sperare che incerti avanzamenti. È questa una ra- gione di più per applaudire al magistrato che ha concepito l’ idea f-lice di assicurare al suo dipartimento i vantaggi d’ una simile istituzione , annunziata ai pubblici funzionarii di quel diparti- 167 mento mediante una circolare del lodato prefetto ; che non stiamo quì a riferire , e che contiene il decreto relativo all’organizzazione del nuovo stabilimento. (L’Universel IN.° 269, 26 septembre 1829.) La Società reale di Londra ha preso di concerto col museo bri- tannico delle disposizioni per un cambio vicendevole d’ oggetti scientifici. La Società cede al Museo i saggi doppi dei minerali , ed altri articoli di storia naturale, e riceverà in cambio dalla bi- blioteca pubblica i libri che questa possiede in doppio esemplare, e che mancano in quella della Società. Per questa disposizione il museo britannico accrescerà notabilmente la sua collezione di sto- ria naturale. ( Zvî N.° 270, 27 settembre 1829.) Nell’ isola di Lagosta , situata sulla costa della Dalmazia au- striaca esiste una famiglia del cognome Salieri composta d’ indi- vidui che tutti professano la musica , famiglia già illustrata da un abile compositore. Essa è composta del padre, della madre, di sette figlie e di cinque figli , senza contare i cugini , ed il non- no, il quale è il maestro di cappella. Questa famiglia eseguisce essa sola delle opere e dei concerti o accademie : l’ orchestra è composta unicamente dei cugini (Zvi I.° 269, 26 settembre 1829.) Un altra famiglia di musici meccanici è opera maravigliosa d’ un fratello del meccanico Maelzel inventore del Panharmoni= con, che riunisce tutti li strumenti a vento , ed eseguisce dei pezzi d’orchestra. La famiglia di cui si tratta consiste in 42 automi , che rappresentano altrettanti suonatori di varii strumenti , e che di- sposti in orchestra suonano dei pezzi concertati. Questa collezione si trova ora col suo autore a Boston , ove si mostra al pubblico a prezzo. L’ automa più ammirato d’ ogni altro è quello che suona il violino. ( Zvi. ) G. G. SOCIETÀ SCIENTIFICHE. Procramma della Società italiana delle scienze residente in Modena , ai dotti Italiani. Siccome non furono presentate memorie al concorso aperto dalla società con programma 23 marzo 1826, così riprobae essa gli stessi due problemi, cioè : I. Istituire un ragionato confronto tra le varie teorie sul- l'equilibrio delle volte lasciateci dagli autori più rinomati, e Li 168 0 scegliendo fra queste la più consentanea alla natura del pro- blema, dare un’ utile applicazione della medesima alla pratica , esponendo con ordine e con chiarezza le regole da eseguirsi per la costruzione specialmente dei grandi archi dei ponti sui fiumi, e per quella delle cupole , tanto ovali che circolari, in modo che si combini la robustezza di tali edifizi con 1° eleganza delle forme architettoniche, contemplando anche il caso degli archi obliqui alle sponde del fiume. Estendendo le ricerche sperimentali del conte Giordano Ric- cati intorno ai suoni delle corde solide e delle aeree , e quelle pure del Cladny sulle lamine elastiche , raccogliere un numero di fatti certi bastanti nella loro connessione e nel loro complesso per istabilire una teoria acustica che serva di base alla pratica musica. Le memorie dovranno essere inedite , scritte in lingua italia- na , in carattere chiaro e da una sola mano , e saranno presen- tate al sottoscritto socio e segretario in Modena entro tutto il mese di agosto 1831. Il nome degli autori sarà occulto; ogni Memoria porterà in fronte un motto o sarà accompagnata da un biglietto suggellato contrassegnato al di fuori dal medesimo motto contenente al di dentro in maniera occultissima nome, cognome , patria , domicilio e professione dell’ autore. Il mancare a qualunque delle antecedenti condizioni fa perdere il premio , che per ciaschedun argomento sarà una medaglia d’oro del va- lore di zecchini sessanta, e verrà conseguito da quella memoria che nel respettivo argomento ne sarà giudicata meritevole se- condo il metodo prescritto dallo statuto sociale. Le dissertazioni coronate saranno pubblicate colle stampe ; e gli autori ne avran- no in dono un numero sufficiente di copie. Quelle non premiate si conserveranno originali nell’ archivio dell’ accademia , potendo però gli autori di esse ritirarne a loro spese una copia. Modena 25 agosto 1829. Antonio LomBARDI socio e segretario. Società Medico-Fisica Fiorentina. Adunanza ordinaria del dì 12 Aprile 1829. — Letto ed approvato secondo le forme accademiche il processo verbale della seduta ordinaria antecedente , esibite dal Segretario delle corrispondenze due Istorie mediche rimesse dal dot. Gaetano Galugi di Figline vertente l’ una sopra un artritide, 1° altra sull’uti- lità della vaccinazione a preservarne i soggetti del Vaiolo arabo , e a renderlo assai mite ove per strano caso ne vengano attaccati i già vaccinati , lessi io stesso una lettera a me diretta dal socio conservatore sig. dot. Luigi Bottari con 159 la'quale rimettendoci l’ istoria stampata dal sig. dot. Conti di un cuore umano trovato rotto dietro 1’ autopsia cadaverica , pregava la società volersi degnare di esaminare se detto cuore creder potessesi rotto instantaneamente , 0 per qual- che causa preesistente lentamente preparata come opinò già il Testa dover suc- cedere simili rotture. Sul che avendo preso campo il dot. Betti ci fece osservare come il caso di simili istantanee crepature senza previa alterazione di tessitura delle pareti del cuore non possa oggimai credersi più impossibile nè tanto raro avendone egli stesso osservati tre casi di due dei quali trovansi i pezzi patolo- gici nel nostro museo. Dopo ciò passati alle letture di turno trattenne il pri- mo la Società il sig. Gamberai supplendo al socio sig. Michelacci con una sua istoria di una peritonitide puerperale da lui curata che complicatasi con idro- pericardite e apertura di forame orale portò nell’ ottavo giorno 1’ infelice amma- lata alla tomba. Detta istoria risultante di due parti, offreci nella prima un esempio del come la flogosi possa non ostante i metodi più adattati diffondersi nondimeno alle parti vicine e lontane come seguì nel nostro caso diffusa essendosi al peritoneo , al fegato e ai visceri contenuti nella cavità del torace come indicato già avevano vivente il soggetto gl’insorti sintomi patognomonici di dette affezzioni, e come poi comprovato fu dalla instituita necrosenpia. E nella seconda: espone quelle reflessioni che 1° estensore di lei credè giuste di apporvi relativamente alle cause che dettero ansa allo svolgimento di tanti morbosi fenomeni , corredandole di quelle consimili che sommi pratici precedu- tici avevan fatte in simili circostanze e a noi rilasciate nei preziosi depositi dei loro scritti. Quindi mancata essendo le lettura che a far s’ incombeva al socio dot. Ca- sini fu letta un’ istoria rimessaci dal dot. Francesco Alberti chirurgo condotto a Monterchi vertente sopra una ferita prodotta da un coltello a sinistra della regione epigastrica penetrata prima nella cavità addominale e quindi in quella dello stomaco , quale trovavasi in buona parte protruso dalla ferita medesima. La cura instituita dal precitato sig. Alberti e coronata dall’ esito il più felice fu la seguente. Chiamato egli sei ore dopo la riportata ferita , e visto che lo stomaco protruso e strozzato dalla ferita non potevasi per tal causa riporre in cavità, deciso si era di fare ogni sforzo per rintrodurlo dilatando il bordo pro- fondo della ferita medesima. Nell’ atto però che faceva delle leggere trazioni in basso , vidde con sorpresa sgorgare dallo stomaco medesimo delle sostanze ci- barie miste a del vino e unitamente ad esse gran parte di aria contenuta nella porzione dello stomaco già protrusosi dalla ferita. Questa escita di sostanze so- lido-fluide e di aria (che secondo il relatore non aveva avuto luogo per l’avanti perchè la parte dello stomaco ferita restava appunto-inviluppata dalla strozza- tura che facevano i muscoli feriti, e le altre parti circostanti ) «avendo impic- ciolito estremamente il volume della porzione dello stomaco protruso , inutile rese anzi impedì che fatta fosse l’ideata dilatazione della ferita per rintrodurre il viscere , quale rintroduzione fatta unicamente restava a decidersi qual fosse il mezzo da sciegliersi per mantenere il parallellismo fra la ferita dello stomaco, e quella dei tegumenti, muscoli ec. per non andare incontro all’ effusione nel basso ventre delle materie che escir potevano dallo stomaco , e per ottenere la possibil guarigione dell’ ammalato. Per il che rigettato il metodo della sutara e scelto il compenso (rintrodotto TP, XXXV. Settembre. 22 170 tutto vi rimanente dello stomaco ) di ritenere dentro alla ferita dei muscoli , tegumenti ec. quella porzione solamente di lui che pure era stata ferita, avva- lorando di più l’ azione stringente di dette parti con varie strisce di cerotto adesivo la conseguenza felice ne venne che cicatrizzatosi felicemente nel. corso di giorni lo stomàeo e le altre parti ferite potè il soggetto perfettamente e senza fistola alcuna ristabilirsi, nulla essendo stato impiegato nel tempo della cura che una assoluta dieta nei primi giorni , tre salassi per combatter la flogosi mi- macciante di quando in quando, fomente emollienti, mignatte alla parte , e fi- nalmente qualche clistere nutritivo passati i primi giorni del male. Adunanza ordinaria dei dì 31 Maggio 1829. == Letto ed approvato se- condo le consuete accademiche forme il processo verbale dalla seduta ordinaria antecedente , trattenne gli adunati socii il sig. prof. Magheri con una sua me- moria avente per scopo di viemaggiormente comprovare l’ utilità che spesso ar- recar possono, ed arrecano i vessicanti, nella cura delle paralisi che succedono alle apoplessie come già dottamente avevano detto ed insegnato pratici sommi, checchè modernamente ne sia stato opinato, e scritto in contrario. In prova di detta avanzata sua tesi cominciò dallo stabilire che i moti vo- lontari non escluso talvolta il senso restano aboliti ( nè posson restare diversa- mente secondo lui ) per essere tolta dalle cause morbose l’ integrità 1.° del si- stema cerebrale , 2.° dei nervi conduttori, e propagatori del principio motore a quei dati muscoli, 3.° finalmente quella delle fibre carnose e motrici che compongono questi muscoli medesimi ; quale ultima morbosa affezione delle fibre muscolari consistendo talvolta secondo lui in uno stato di atonìa , di inflacci- dimento 0 di inerzia delle medesime , dependente o da nutrizione impedita o dalla insorta malattia , o da qualsivoglia altra causa , credè potere giustamente inferire anche teoreticamente dovere essere in questa circostanza (tolta o allon- tanata la causa comprimente il cervello, ed i nervi ) utile ed indicata l’appli- cazione dei vessicanti alle parti paralizzate, salvo sempre che non vi sia da temere che 1’ eccitamento indotto dai medesimi, aumentare possa di intensità gli interni centri morbosi. ì Nè a comprovare la sua enunciata massima restrinsesi solamente il nostro socio ad astratti ragionamenti, ma convalidolla con tre istorie di tre decise e gravi emiplegie susseguite ad apoplessie , nelle quali tutte , combattuta la causa comprimente il cervello coi salassi principalmente proporzionati sempre al grado del male ai temperamenti, all’ età , coi purgativi ec. e questa sembrata ed annunziata tolta dal ripristinamento delle funzioni intellettuali, dallo stato dei polsi ec. ec. ricorso all’ applicazione dei vessicanti alla parte paralizzata , pre- sto ebbe il piacere di veder tornato nuovamente il moto in quelle parti che lo avevano totalmente perduto. R. Accademia delle Scienze di Torino . Errata, al N° 103, pag. 187. Lin. 28. sui poggi artesiani, —= leggasi «= sui pozzi artesiani , o poggi trivellati , o pozzi trivellati , 3» 32. liquore antiepelittico È5 liquore antiepilettico 171 Statua a Pierro Lrororno 1. Gran-Duca IX di Toscana . La memoria de’ Principi i quali ben meritarono della uma- nità , è scritta in caratteri, che il tempo non pmò cancellare, nelle opere loro. La immortalità del nome del Gram-Duca Prerro LeopoLpo I. sembra riposare sicura, maestosa, e di sè sola contenta sul prezioso deposito delle sue leggi, sul quale la mano della giu- | stizia ha già scritto « Et visse ai desideri del Popolo, poco: a ‘quel che fece, abbastanza: alla memoria del fatto , per sempre ». Quelle Leggi o penali o civili o amministrative che esse siano , formano un titolo di gloria nazionale toscana: onde gli AuGUSTI suor successori le reputarono il più bel gioiello del loro reale diadema; e loro mercè, gli avventurati abitatori di questo paese. forman pur sempre un popolo unico nella storia, ricco , labo- rioso, tranquillo , ed esempio di social disciplina. | Ma la gratitudine ha doveri più grandi di quelli che l’ammi- razione possa inspirare, e Pisa, la quale in tempo delle miserie pubbliche che angustiavano il suo territorio, eresse a FERDINAN- no I. una Statua come monumento della sua gratitudine ai bene- fizi onde quel buon Principe l’avea ricolma, scorgeva in essa un rimprovero , quasi dimenticati avesse i molti, che, se non più grandi, non certamente meno importanti avea conseguiti da Pre- tro LropoLpo I.; nè potea riflettere senza rammarico che tutto nelle sue campagne attestasse le liberalità del Principe , e nulla o in campagna o in città rammentasse la propria riconoscenza. Questo sentimento di tutti i cuori pisani ha fatto in essi nascere il desiderio di erigere una statua al Gran-Dvca Pietro LropoLpo I., e quel desiderio è cresciuto succesivamente a pro- getto , dopochè gli abbellimenti fatti per opera di zelanti e be- nemeriti cittadini nella Piazza di Santa Caterina della loro Città, parvero spontaneamente indicare il luogo nel quale dovea es- sere la Statua inaugurata a quel GRANDE. Il progetto di una Statua al Granm-Duca Pierro Leopor- no I. non può non essere un progetto toscano, qualunque sia il luogo ov’ella si eriga , e i sottoscritti incaricati di vegliarne la esecuzione , lo annunziano come una impresa alla quale tutti i cuori toscani vorranno applaudire. La Statua sarà costrutta in marmo: di grandezza oltre il naturale: non equestre: atteggiata e decorata come a. pacifico Legislatore si conviene : collocata sopra a gran piedistallo , su i 172 quattro lati del quale saranno in basso-rilievo storiati i fatti re- y putati i più caratteristici del regno e dell’Amministrazione di quel Gran Principe, colla corta leggenda ar Gran-Doca Pier®o | Lrororvo I. quaranTA ANNI DOPO LA suA MORTE. Sarà fatto della Statua un disegno in litografia, il quale servirà di frontispizio a un opuscolo a stampa , in cui verranno | spiegati i bassi-rilievi, e sarà data una descrizione esatta di 1 pippi gli accessorj del monumento; non meno che il novero dei ._momi di tutti quelli, che alla spesa contribuirono. L’ opuscolo sarà a tutti i contribuenti distribuito gratis. ‘Le firme originali di ciascun contribuente in piè delle copie autenticate del presente Manifesto saranno obbligatorie fin dal momento della loro apposizione ; ma non verrà il giorno del pa- | gamento delle somme che esprimono; finchè il loro coacervato non | pareggi la spesa a norma de’ contratti da convenir cogli artefici. Le somme del respettivo contributo saranno pagabili in due rate eguali, l’una entro l’ anno 1830, l’altra nel successivo 1831. L'avviso del pagamento e del luogo ove deve essere effettuato | sarà trasmesso con firma originale del Segretario della Deputa- |_‘zione incaricata di presiedere a quest’ opera. ; Pisa 7. Settembre 1829. I Deputati Conte Cav, Giovan Francesco MastIANI BrunacCI. Cav. Proressor GiovaNnnI CARMIGNANI. Avv. AncioLo MiINnETTI. A. RosseLmni Guatampi Segretario. NECROLOGIA. Francesco Sabatelli. Il giorno diciottesimo d’Agosto mancò di vita in Milano dopo lunga malattia Francesco figlio dell’ insigne pittore Luigi Sabatelli fiorentino , e pittore anch'esso, in età di ventisei anni, già rino- mato. Chiunque abbia veduto 1 Ajace naufrago esposto al pubblico con nobile e patetico pensamento, ora che noi scriviamo, in quest’ Accademia delle belle arti, avrà letto in quella tela rimasta a quel modo senza gli ultimi tocchi , un elogio funebre al povero Francesco assai più efficace delle parole nostre; avrà scorto in quella semplicità nobile d' invenzione, in quella sa- pienza di disegno, in quel succo ed in quella verità di colore, 173 ch’ egli aveva ben compreso in che consistesse le genuina subli- mità delle arti d’ imitazione : ritrarre il concetto dell’ ideale dalla bellezza del vero. E ch'egli del pari fosse franco nel dipignere a fresco sarà evidente a chiunque, malgrado le angustie del loco, avrà potuto osservare, come noi, comodamente la lunetta dell’ Eccellino riverente a S. Antonio , in una delle piccole cap- pelle di S. Croce posta a rimpetto d’un altro fatto dello stesso. Santo, opera fra tutte bellissima di Luigi. Noi non sapremmo mi- surare il dolor presente del padre fuorchè dalla gioia ch’ egli ebbe a provare l’anno scorso veggendo il figlio tanto giovane lottar seco, quasi com'eguale , in quella prova d’arte, e pensando che la lode del figlio era anche sua, ch'egli solo lo avea cresciuto a quell’ altezza di concetto a quella robustezza d’ esecuzione , per le quali cose egli era vicino più al fare spontaneo degli antichi che alle tradizioni delle scuole. Se non che nel giovine Sabatelli era tale ingegno, che pareva di per se potesse bastare alla eccel- lenza, senz'altro aiuto, il che si vidde in alcune composizioni tutte sue, fanciullo di dodici anni; e la misura del bello gli era da natura talmente impressa, ch’ egli avrebbe al certo eguagliato i migliori di questa età nell’ accordo dell’ insieme , come già vin- ceva molti nella bellezza delle parti. Il gran presagio che di se dava Francesco Sabatelli ebbe sin da’ primi anni dal nostro Principe quella saggia protezione di che ambedue si onorarono. Liberare gli ingegni anche dagli impedi- menti della fortuna è ciò che possa la protezione de’ grandi. Ciò intese il Principe, che dato al giovine agio di studiare in Roma e in Venezia, lo esercitava in nobili commissioni, solo buon soc- corso alle arti belle. Così lo incamminava ad alte speranze , che la morte distrusse: chi 1’ avrebbe temuta in quella gagliardia di corpo ? Ma forze caduche non bastano alle esigenze d’ un animo ardente e sensitivo , negli uomini di forte immaginativa padrone indiscreto. Era buono Francesco ; delle sue virtù rimarrà memoria in chi lo conobbe , e ricorderanno l'indole di lui tanto cedente a compassione , che fu visto mentr’era a studio, in quell’ allegra povertà che non si scompagna mai da’ giovani artisti, privarsi spensierato degli arnesi più necessarii all’ arte sua, ch'egli amava tanto , per sovvenire alla miseria soffrente. E gli storici della pit- tura ornando di pietose lodi il nome di Francesco ; lo uniranno a quello di Luigi Sabatelli, cui crescerà stima nella posterità. Il quale percosso da tanto infortunio chiede a Dio, che tra la molta prole che gli rimane sia chi continovi le speranze troncate nel maggior figlio, e aggiugniamo noi , la virtù provetta del padre. G. C. TOSCANA. n OTTIMO COMMENTO DEL- A DIVINA COMMEDIA, testo ine- dito d’ un contemporaneo di DanTE , tato dagli Accademici della Crusca ; pubblicato per le cure di Aressan- o Torni. Pisa 1829 presso Niccolò /APUrro. = Volumi tre in 8.° carta e classici : con tavole in rame. Vol. I i pag. xv e 668 — II di p. 622— II di pag. 771; prezzo franchi 36. FASTI E VICENDE dei popoli italiani dal 1801 al 1815, 0 memorie di nn° uffiziale per servire alla storia mi- litare italiana. Italia 1829. Tomo II. Si vende in Firenze presso V. Batelli. ATLANTE geografico, fisico, sto- rico del Gran-Ducato di Toscana , del Dor. AmTILIO Zuccaeni ORLANDINI. fol.° mass.° Firenze 1828-29 alla Stam- peria Granducale e presso l’ Autore. — Sono pubblicate le carte 1.° del Val Casentinese. 2.° del Val di Sieve. 3. la pianta della Città di Firenze. 4.° il Val d’ Arno superiore. 5.° il Val di Chiana, 6.° la Valle Tiberina. STORIA dell’ Impero russo compi- !ULLETTINO BIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Settembre 1829. lata dal Cav. GomracnonI, con un supplemento che giugne all’ incorona- zione dell’ Imperatore Alessandro I.° Livorno, 1829, G. Masi. Tomo II. I PROMESSI SPOSI, storia mila- nese del secolo XVII scoperta e rifatta da ALEssanpro Manzoni. Firenze 1829 Passigli Borghi e C. nitidissima e leg- giadrissima edizione in miniatura , al prezzo di lire 2 toscane il volume. E pubblicato il 1.° vol. PRIMO RAPPORTO annuale del pio Istituto dei sordo-muti stabilito e mantenuto in Siena da spontanee obla- zioni, e pubblicato giusto ]’ art. IV ed VII delle leggi fondamentali del pio Istituto medesimo. Siena 1829 Pandol- fo Rossi. STORIA della vita e viaggi di Crr- srororo CoLomzo scritta da W AsHIN- cron Irvine americano , trad. dall’in- glese. Firenze 1829 Coen e C. 18.° To- mo 1.° fascicolo 1. prezzo paoli 2. DEI LIVELLI TOSCANI: Me- morie due del Dor. Giuserpe Cosimo VANNI, socio ordinario dell’ I. e R. Accademia Econ. Agr. dei Georgofili ; lette nell’ adunanze di detta I. e R. Accademia dei 1.° febbraio e 3 mag- (*)I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, é non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Il DirerroRE DELL’ AnTOLOGIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’respettivi Autori e Editori di opere italiane , che le inserzioni di annunzi tipografici , nel presente bullettino , non possono averoi luogo che previo l’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero,, 0 di qualunque altro avviso tipografico, mediante il pagamento di soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de? fogli. : î gio 1829. Firenze, 1829, Tip. Bonduc- ciana. 8.° di p. 66. ) IL POVERO ED IL RICCO, Ora- zione detta nella chiesa della pia casa di lavoro di Firenze , nel giorno 3 ot- tobre 1829, dal prof. abate GiusePPE Barsieri. Firenze, 1829, G. Chiari. INTORNO alla fondazione dell’Ac- cademia elementare di belle Arti in Ravenna, lettera del Gonre AL. Car- PI, segretario di detta. Accademia , al. ch. sig. prof. Tommaso MinarpI. Firenze 1829. Tip. Pezzati 8.° BIBLIOTECA portatile del Viag- giatore. Firenze 1829. Passigli Borghi e C. 8,° fascicolo 7.° — dalle pag. 461 alle 522 contiene i canti 13 a 20 del- 1° Orlando furioso. IGONOGRAFIA CONTEMPO- RANEA , ovyero collezione di ritratti dei più celebri personaggi d’ Italia, accompagnata da notizie biografiche, letterarie e cronologiche disegnate da Pierro ErmiINnI ed incise da FRANCESCO Venpramini. In fol.° mass.” Firenze 1829. Tip. Pezzati. Dispensa IV. che contiene il ritratto di S. E. il Cav. Gonre Virrorio FossomeronI, Segre- tario di Stato e Ministro degli affari esteri in Toscana, DESCRIZIONE di altre Medaglie greche del museo del signor CARLO Db’ Orravio Fontana ; di Trieste , in aggiunta alla prima e seconda parte già edite , per Domenico SestInI. Firenze 1829 G. Piatti. 4.° di p. X. e 114 con XXV tavole in rame, REGNO LOMBARDO VENETO. LA VITA DI GESU” CRISTO, e la sua Religione , ragionamento di Aw- ToNIO CesaRI prete veronese. Seconda ed. Milano 1829. G. Silvestri. Vol. V.° I FATTI DEGLI APOSTOLI, ra- gionamento di Anr. Gesari D. O. che seguono alla vita di Gesu’ GrITo, scrit- ta dal medesimo. Seconda ediz. Mila- no 1829 G. Silvestri. Vol. I. Prezzo lire 3. aust. NOVELLE DI ANTONIO CESA- RI , prete dell’Oratorio , edizione ese- 175 guita sulla quarta fatta dall’ Autore , con alcune aggiunte, Milano 1829. G. Silvestri. Vol. unico. OPERE dommatiche , storiche e morali di Monsignor Martini Arcive- scovo di Firenze. Prima ed. milanese. Milano 1829 per G. Silvestri. Vol. IX. Istoria e concordia evangelica spiegata al popolo. Vol. II. DELLA GIURISPRUDENZA DEI GIUDICATI. ad uso di quelli che li pronunciano e di coloro che li citano, di Anronio Ascona. Milano 1829. G. Silvestri. I PRIGIONIERI di Pizzighettone, Romanzo Storico del secolo XVI.°; del- 1’ autore di Sibilla Odaleta, e della Fi- danzata ligure. Milano 1829.A. F. Stel- la e fig. $ volumi in 18,° BIOGRAFIA Universale antica e moderna ec. ec. Venezia 1829. G. B. Missiaglia. Vol. LV (ST=SZ). NUOVE RICERCHE sull’ equili- brio delle volte, dell’ abate Lorenzo MascHERONI professore di filosofia nel collegio Mariano ec. ec. , e corrispon- dente dell’Accademia di Padova, col- I elogio scritto. dal marchese FerDi- NANDO LANDI, e con cinque tavole in rame. Milano 1829. G. Silvestri , vol. unico. 238.” della Biblioteca scelta. REGNO DELLE DUE SICILIE. NUOVA Biblioteca scelta italiana. Napoli 1829 dalla Stamperia France- se. Vol. VII. — Parnaso nuovissimo delle Dame, ovvero versi di alcune viventi poetesse con una lettera del compilatore alle gentili donne italiane. Vol. unico. CENNO DI VIAGGI medici, a Vienna , Parigi e Londra, preceduto da qualche riflessione sulla teoria del con- trostimolo , per Anronino GrEco di Palermo , dottore della facoltà medico- chirurgica di Bologna, diretto all’eru- dito giovane CamiLLo CAVALLA pie- montese , dottore della suddetta facoltà medica. Napoli 1829 St. Francese. 8.° di pag. 124. CAUSE E RAGIONI che fanno classico il poema di DantE, discorso 176 accademico. ;di Lxomnarpo AntoNIO ForLeo. Napoli 1828. Tip. de’Fratelli Criscuolo. i i RAPPORTO de’ primì lavori ana- litici sull’ acqua Ventissa di Penne, eseguiti. sopra luogo da. N. CoveLui. Napoli 1828. Tip. della Minerva. I QUARANTA GIORNI della Cli- nica omiopatica stabilita nello spedale militare di Napoli , sotto la direzione del Gav. Gosimo De Horatiùs; e di una Gommissione : di Medici, esposti con riflessioni del Cav. Pasquare PANVINI medico dello Spedale della Pace, ec. Napoli 1829. T'ip. Trani. 8.° di p. 190. REGNO DI SARDEGNA. METODO compendioso per inse- gnare a leggere; con 107 figure. Ge- nova 1829. J. Gravier. 8.° di p. 80. Prezzo franchi 2, SERBATOI ARTIFIZIALI d° ac- que piovane , per il regolato innaffia- mento delle campagne prive di acque correnti, giuntavi un’ appendice sui pozzi artesiani o saglienti ; del profes- sor Gracinto CARENA , membro e se- gretario della Classe fisico-matematica della Reale Accademia delle Scienze , segretario aggiunto alla R. Società agra- ria di Torino ; corrispondente della I. e R. Accad. dei Georgofili di Firen- ze, ec. ec. Torino 1829. presso Pic 8.° di p. 116. LEZIONI DI FISIOLOGIA di Lorenzo MartinI. Torino 1828. G. Pomba. 8.° Tomo VII.® DELLE SOCIETA” patrizie e po- polari nelle città libere del Piemonte, e specialmente in Chieri, notizie estrat- te dalla storia di Ghieri, dal nobil uo- mo Lurcr GisrARIO , torinese, dottore di leggi, intendente reggente una di- visione nella R. Segreteria di Stato per l’ interno. Torino 1828. St. Alliana. CARTA geometrica, statistica e commerciale, contenente l’altezza delle montagne e vulcani ; i principali fiumi e cateratte della terra ; le distanze, le posizioni geografiche e popolazioni delle primarie città di commercio, ec. ec, In fol. mass. Genova 1829. P. nthe- nier. Prezzo. fr. 3. ( Si vende in Fi- renze presso G. Piatti ) Più volte è stato fatto cenno di varii lavori usciti dalla tipografia del sig. Ant. Ponthenier in Genova. Que- st’ abile artista, .lo stabilimento del quale abbraccia anche la fonderia, la litografia ,-e la libreria , ha testè pub- blicato questa nuova carta Geometro- Statistica ec. Tutte queste nozioni scientifiche e commerciali vi sono rac- colte in una sola pagina di un foglio grande , e scompartito in altrettanti quadri maestrevolmente disposti. — Quante siano le difficoltà della stampa in tal complicazione di lavoro state su- perate dal sig. Ponthenier, che n° è il compilatore ed il tipografo, qualsiasi persona , per poco che sia intrutta nel- l’ arte tipografica, potrà farne ragione. I caratteri sono variati e sempre belli; la carta è ottima ; la stampa nitidis- sima. = Lode sia data al merito. (£- stratto dalla Gazzetta Piemontese N. 111). Estratto di Lettera dell’ Editore. Esauritasì subito la prima edizione mi sono affrettato di pubblicarne una seconda, dalla quale ho fatto sparire alcune mende corse nella precedente. Io adopero come una specie di stereo- tipo , che rimane costantemente com- posto , ad oggetto di poter fare tutti quei cambiamenti che sono richiesti dalle circostanze e dal tempo ; e "pata saranno da me accolti con gratitudine tutti gli avvisi e gli appunti che po- tessero contribuire alla perfezione di un’ opera, della quale posso dire che sono il compilatore; l’ incisore , il fon- ditore , e lo stampatore. Ponthenier. LETTERA di S. E. il sig. Conte Cav. Gran-Groce Gran Francesco Ga- LEANI-NaPIronE DI Cocconato al chia- rissimo sig. WASHINGTON Irvine autore della Storia e della vita e viaggi di Gristoforo/ Golombo. Torino 1829. G. Pic. 8.° CORPUS JURIS CIVILIS quo jus universum Justinianeum comprehendi- tur. Editio tertia Taurinensis. Aug. Taurinorum. 1829. Edid. Heredes Se- bastiani Bottae. Volum. II in 4.° gran- de, conformi all’ed. di Torino del 1782, di pag. 1647 e 1280. Questa nuova ediz. è dovuta alle cure del Notaio Giovanni Galza di To- rino , cui tiene la corrispondenza per le vendite : si trova anche presso i prin> cipali librai di Torino , al prezzo di franchi 45 per le copie in carta ordi- maria, e di fr. 55 per quelle in carta fine. La Gazzetta Piemontese N.° 94, 1828 , si esprime come segue a propo- sito di questa nuova edizione. Il Diritto Romano essendo uno dei fonti della nostra legislazione, era uni- versal desiderio che si facesse una nuo- va edizione del Corpus furis Cioilis , essendo esaurita da parecchi anni l’ul- tima torinese del 1782. Il Notaio Calza sentì la necessità di un Opera, di cni sì giovano così i tironi , che muovono i primi passi nella carriera della Giu- risprudenza, come coloro , che già go- dono una ben meritata rinomanza nel Foro ; i due primi fascicoli già venuti alla luce contengono ec. ec.: bello è il sesto, buona la carta, nitida , e, ciò che più preme ne? libri di questo genere, accuratamente corretta la stam- pa. Nel far plauso al divisamento del- l’ editore noi gli auguriamo quel pieno . smecesso di cui è degna così lodevole impresa. DIZIONARIO teorico pratico del Notariato , ossia elementi della scienza notarile , ove rinvengonsi per ordine alfabetico tutti i vocaboli di tale scien- za, appoggiati alle patrie leggi emanate sul Notariato ed Insinuazioni, i di cui articoli trovansi rapportati sotto i cor- rispondenti vocaboli delle materie, con alcune decisioni de’ supremi Magistrati, e formole a ciaschedun atto relativo ; dedicato all’ ill. sig. cav. dell’ ordine militare de’ Santi Maurizio e Lazzaro, dot. Giuseppe Pettili, procurator ge- nerale di S. M. Compilazione di Gio- vanni CaLza DA GATTINARA, regio Notaio alla Residenza torinese. Torino 1826 St. Brani. Volumi INI in 8.° prez- zo lire 17. 40 it. CATALOGHI delle piante della Ditta agraria e botanica Burdin Mag- giore e C., stabilita a Torino, Mila- no, e Chambéry. Di questi cotaloghi se ne trova un deposito all’ uffizio del Giornale di Commercio che si pubblica in Firenze. Inoltre la ditta suddetta gli spedisce affrancati, col mezzo della posta, a chiunque ne faccia direttamente richie- Sta, — P Si distinguono essi per una quantità considerabile di articoli nuo- vi; per quella non meno grande di ar- TV. XXXV. Settembre. 177 ticoli di ogni genere, tale da far fronte ad ogni maggior richiesta , e per le tante facilitazioni che offrono ai com- pratori. == Ad ogni catalogo va unito un prospetto ragionato sullo stato pre- sente dell’ intrapresa. STATI PONTIFICII. FARMACOPEA UNIVERSALE, ossia prospetto delle Farmacopee di Amsterdam , Anversa , Dublino, Edim- burgo, Ferrara, Ginevra, Londra, Oltemburgo , Wurzburgo , Americana, Austriaca , Batava, Belgica, Danese , Spagnuola , Finlandese ; Francese, An- noverese , Polacca , Portoghese , Prus- siana, Russa, Sarda, Sassona, Sve- dese, e Wurtemburgese ; dei ricettari di Brunswick, dell’ Assia, di Fulda ; della Lippa; e del Palatinato ; delle Farmacopee militari di Danimarca , di Francia , di Prussia, e di Wurzburgo; della Farmacopea dei poveri di Am- burgo ; delli Formolari e Farmacopee d’ Augustin , Bories , Brera, Brugna- telli, Gadet de Gassicourt, Cox, Ellis, Hufeland, Magendie , Piderit , Pierquin, Ratier, Sounders, Sainte Marie , Spielmann , Swediaur, e Wan- Mons. Opera che contiene li caratteri essenziali e la sinonimia di tutte le sostanze citate in queste raccolte , col- 1’ indicazione ad ogni preparazione di quelli che 1° hanno adottata 3 dei di- versi processi raccomandati per eseguir- la ; delle varietà che presenta nelli di- versi formolari ; dei nomi officiali, con i quali è chiamata nei differenti paesi, e delle dosi nelle quali viene ammini- strata; da A. J. L. JourDAN dottore in medicina , cavalier della Legion d’ono- re, membro delle Accademie Reali di medicina di Parigi, delle Scienze di Torino , ec. ec. Prima Traduzione Ita- liana. Volumi due. Estratto del Manifesto d’ Associa- zione. == La stampa sarà indispensabil- mente cominciata nel prossimo Novem- bre, e nel modo seguente : 1. Si pubblicheranno due fascicoli al mese , di cinque fogli ciascuno , e si continuerà sempre la pubblicazione colla medesima regolarità. 2. Il prezzo di ciascun fascicolo sarà di baj. 22 e mezzo , 0 siano 120 cen- tesimi italiani, e si darà gratis la co- perta , la legatura , e la cilindratura. L’ associazione sarà definitivamente 2 29 178 chiusa allo spirar del mese di Luglio, ed il prezzo sarà accresciuto di un quarto per chi volesse sottoscriversi dopo. 3. L? associato sarà obbligato di pa- gar l’ importo alla consegna di ogni fascicolo , e di ricever 1’ opera sino al compimento , la quale all’ incirca sarà di fogli 100 di stampa. La spesa di porto e dazio è a carico del medesimo. 4. La correzione e la carta , i ni- tidi caratteri ed il sesto di bell’ ottavo colla più scrupolosa esattezza accompa- gneranno 1’ opera fino al suo termine. 5. Le associazioni si riceveranno dai principali Librai d’Italia, e dal sot- toseritto Editore sempre con lettera franca , e che ripromette la restituzio- ne del danaro , se l’ edizione ‘non ve- nisse proseguita. E per incoraggir tutti a rinvenire un maggior numero di As- sociati, stabilisce i seguenti premii , che verranno consegnati: «A chi garantirà dodici copie , 0 tanti associati sempre solvibili , la Bo- tanica del Targioni in tre grandi vo- lumi in 8.° figurato, ultima edizione di Firenze. A chi ne procurerà 24 il Codex Medicamentarium Europaeus in vol. 12, recentissima edizione di Milano. A chi ne assicurerà 50 le Diction- naire abrégé des Sciences Médicales di 15 grandi volumi in 8.° ; e per co- pie 100 la Storia naturale del celebre Soa , con aggiunte ed annotazioni di Lacepede in 40 vol. figurati , ulti- ma edizione di Venezia in grande ot- tavo. À ciascuno verranno consegnate le rispettive opere alla metà della pub- blicazione , e purchè in quell’ epoca abbia pagato tutte le copie affidate. Roma al Corso N.° 402 il 1:° Giu- gno 1029. Benigno Scalabrini. ANNALI dell’ Instituto di corri- spondenza archeologica, per l’anno 1829. Roma 1829. A spese dell’Istituto. Tip. Salviucci. 8.° fascic. I e II di p. 128 e 130 con tavole. BULLETTINO degli Annali del- 1° Istituto Archeologico. Roma 1829. Tip. Salviucci. 8.° N.° VIII e IX. ELEMENTI, ossiano Istituzioni ci- vili di Giustiniano imperatore, illustrate e commentate da Pierro VERMIGLIOLI, membro del collegio legale , e profes- sore di dette istituzioni , ed interino di diritto canonico nella pontificia Univer- sità di Perugia. Perugia 1828. Bertelli e Costantini. 8.° volume II° di pag. 272 con una tavola in rame. ESERCITAZIONI dell’ Accademia agraria di Pesaro. Pesaro 1829. An. Nobili. Anno I.° Semestre I.° 8.° di p. XII e 94 con 5 prospetti. Prezzo ba- iocchi 40. STATUTO dell’ Accademia agraria istituita in Pesaro nel glorioso pontifi- cato di Leone XII. restitutore e pro- teggitore dell’industria agraria, e d’ogni maniera d’ utile scienza . Pesaro 1828 Nobìli. 8.° FEDRA, tragedia di Tommaso Zau- LI Sasani. Forlì 1829. Luigi Bordan- dini 8.° ESTROSIA , e caso di quasi totale mancanza di vescica orinaria , lettere del professore Alf. Dom. BrcnARDI, e risposta del prof. Ant. ALESSANDRINI, Bologna , 1829 ; Nobili. LUCAE STULLI Rhagusini opu- sculo duo Medica. Bononiae studiorum 1829, ex typ. Annesii Nobili et Soc. DUCATO DI PARMA. FOGLIO COMMERCIALE ITA- LIANO. Il signor FRANCESCO PASTORI di Parma prega i Negozianti, e i Capi d’ ogni Comune d? Italia a volergli som- ministrare le notizie necessarie a com- pier meglio il suo Foglio Commerciale Italiano , di cui ha già pubblicato il 6 numero , che abbiamo sott’ occhio. Di- videsi esso foglio in tante parti quanti sono i diversi Stati Italiani, sotto ca- dauno de? quali trovansi intestate tutte le principali piazze commerciali, delle quali dà le seguenti notizie : - Gonsolidati - - Cambi - Corso delle monete - - Mercuriali - - Vendite di Commestibili, di merci nei Porti Franchi, nelle Dogane, nei Magazzini de’ Negozianti - - Leggi Commerciali , Doganali - - Tariffe Doganali - - Avvisi di Commercio in generale , 0 del Governo, o della Gamera di Commercio - %- Avvisi particolari de’ Negozianti - - Indirizzi , Ditte nuove - - Cambiamenti di Domicilio - - Nuove intraprese Commerciali - - Fallimenti - - Vendite di Fondi di Commercio - Trasporti di persone, e di merci ; mezzi di più pronti, sicuri ed eco- nomici - - Nuovi arrivi di Merci nei Porti Fran- chi , nelle Dogane, nei Magazzini de’ Negozianti - - Manifatture nuove - Fiere e mercati principali - Assicurazioni Commerciali non che della vita , incendii , ecc. - Miglioramenti di cui è suscettiva l’a- gricoltura del rispettivo paese - - Risultati delle Casse di risparmio - - Debito pubblico ; Gagione , Montare e Vicende - - Decreti di Governo importanti a co- noscersi quantunque non. risguar- danti direttamente il Commercio - - Istituzioni di pubblica Beneficenza - - Popolazione - = Invenzioni, scoperte , o migliora- menti ritrovati da persone de’ ri- spettivi Stati. 179 Questo giornale esce il Martedì d’o- gni settimana in fog., e si paga Lire Italiane 12 per un anno. — Si offre in cambio con qualunque stampa periodica relativa al commercio parziale di qual- siasi piazza, e se ne accetta l’abbona- mento alle direzioni delle Poste. DUCATO DI LUCCA. GUIDA del forestiere per la Città e Contado di Lucca, di Tommaso TrEN- To patrizio lucchese , rifatta dal mar- chese Ant. Mazzarosa, presidente delle Belle Arti. Lucca 1829. Balatresi. Vo- lumetto di p. 224 con 6 tavole in rame. LIBRI IN LINGUA STRANIERA. HISTORY of Greece of GoLpsmitH. Leghorn, 1829, G. Masi. 12.° paoli 6. 180 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOL. TRIGESIMOQUINTO. e MAIO _____ SCIENZE MORALI, POLITICHE ED ECONOMICHE, Dene carceri di penitenza , e particolarmente di quelle di Ginevra e di Losanna. Saggio di filosofia teoretica di Gius. Grones. (XK. X. Y.) ,, Simond. Viaggio in Italia. (F. Forti.) ,, Sulle infermerie degli antichi , e loro differenza dai moderni ospedali, del prof. De Mattheis. (E. Mayer) ,, Almanacco biografico per 1’ anno 1829. POR Orazione di Sebas. Melan , alla Casa Pia di lavoro di Padova. 2959 Ragionamento medico chirurgico di Massimiliano Ri- gacci. (V.) »» Cassa di risparmio in Firenze. (F. Tartini) ,» ” ” B. Rendimento di conti dello Stabilimento di mendicità di Siena. (F. Forti) » Istoria di nn sonnambulismo , del dutt. G. Palloni. ,) ,» Il Discernitore , opera periodica da stamparsi in Roma. (E. Mayer) Introduzione alla filosofia dell’ affetto , di Alfonso Te- sta. (PF. Forti) G. Lettera terza intorno a’Codici del Mar. L. Tempi. (M.) »» Esercitazioni dell’Accad. Agraria di Pesaro. (F. Forti) ,, Concorso aperto alla Società medico-filantropica di Pa- rigi per la prima educazione. (Bull. sc.) »» Collegio del Re stabilito a Londra. Ì, © ” 29 (E. Mayer) A Pag. 47 4 18L GroGRAFIA , STATISTICA E VIAGGI SCIENTIFICI. .. Spedizione scientifica in Egitto. Lettera IX del signor Lenormant. A. Pag. 3 st Ai Lettere del sig. Cham- pollion. B. ,, 100 » DI) CC.» 27 Nuovo viaggio del sig. Sieber. so ip 94 Nuovo viaggio nei mari polari. Statistica di Torino. 3939 Raccolta di viaggi e di memorie pubblicata dalla So- cietà di Geografia a Parigi. (J. G. H.) B. »» Ricerche storiche sulla conquista dei Mongoli in Ame- rica, di J. Ranking. L’impero Russo comparato a’principali stati del Mon- do , ec. per Adriano Balbi. = Quadro Geografico- statistico della Russia, Turchia e Grecia. Saggio di lettere sulla Svizzera, di Tullio Dandolo. (K.X. Eikitigo: 2929 2) 29 ” 23.29 29 Spedizione scientifica nella Morea. Annali di Statistica di Milano ; Reclamo. » _» LertTERATURA, FILOLOGIA, CRITICA LETTERARIA, EC. Della vita e delle opere di Antonio Cesari. Art. II. (Gius. Manuzzi) À. » Atti dell’ I. e R. Accademia della Crusca. (M.) >» 3 Il Paradiso perduto di Milton , trad. da Lazzaro Papi. ,» »_» Arcadia di Iacopo Sanazzaro. == Lettere e rime di _ V. Martelli. Le Isole delle Lagune di Venezia. 39:33, 29 La\vita di Gesù Cristo , ragionamento d’Ant. Cesari. 3), ..» Prime lezioni di Maria Edgeworth, trad. di B. M. Mojon. 2) 2) 33 52 339 2 Saggio di poesie di Pietro Sterbini. (EM) i Alfredo il Grande , tragedia di G. B. Marsuzzi. _,».3) » Opere di Giuseppe Barbieri da Bassano. (R. Lambru- schini ) 33 35 Biografia degli scrittori Perugini ; di G. B. Vermiglioli. AE sad or Scorsa da Verona a Veja, di Pietro Chevalier. sp iiso 184 184 I 23 76 I3I 168 NET | 189 Poesie del Conte Cristoforo Ferri. (K. X. Y.) A. Pag. 157 Poesie italiane di sacro argomento , di P. A. Paravia. ;3 3, Perchè in Roma le donne son più belle degli uomini. 33 34 Istoria della letteratura greca profana di F. Schoell. ,, Edipo Re , tragedia di Silvestro Centofanti. do Be Sopra le illustrazioni de’ papiri greco-egiziani pubbli- cati dal sig. prof. Peyron. Art. III. (Conte F. Sclopis) ,, Operette varie di Ugo Foscolo. (M.) » Intorno agl’ Inni sacri di Alessandro Manzoni , dubbi di Giuseppe Salvagnoli Marchetti. (E. Mayer) Prose scelte del principe Pietro Odescalchi. (K. X.Y.) Il Castello di Binasco, o sia Beatrice Tenda, Can- ti III di P. Marocco. \ Viaggio letterario nella Grecia, del sig. Guys. 2 3» La infelicità de’letterati, di Pierio Valeriano. Il nuovo Segretario italiano. Discorsi letti nell’Accad. delle Belle arti di Bologna ») » Trattato del governo delle famiglie di Ag. Pandolfini. ,, ,, Compendio della Storia Romana di Goldsmith , trad. di F. Villardi. (F. Forti) » Lezione sopra un testo a penna di Pier Segni, col ti- tolo di Chiose sopra Dante. (L. Rigoli) ,, C. Avventure di Clarice Visconti, scritte da P. Mar- rocco. (K. X.Y.) » Congetture intorno al primitivo alfabeto greco , del Marchese C. Lucchesini. (G. B. Zannoni) ,, il Castello di Bodincomago diverso dalia città d’Indu- stria. Lez. di Costanzo Gazzera. to Sul saggio sopra l’ origine unica delle cifre e lettere , per M. D. Paravey , Diss. di G. Bossi. (K.X. Y.} »» Dizionario del dialetto veneziano , di G. Boerio. Le tre descrizioni del terremoto di Ragusa del 1678, vers. di L. Stulli. La poetica d’Orazio , traduz. e lettera discorsiva di G. Marocco. Le Odi di Orazio Flacco, a più facile intelligenza della gioventù. — L’ arte poetica , vers. it. di Torriglioni. De Aqua, Carmen. Opusculo duo medica , di Luca Stulli. da Della. vera\ nobiltà d’ uno sposo. Lezione di G. Livini, pubbl. per nozze. TR Pla DI 32 9) 29 2) 99 29 3) bei 29 be) 29 29 159 160 162 38 44 60 103 107 I1D I17 120 120 } 1833 L’ Ottimo, commento della Divina Commedia , ec. (M.)C. Pag. 122 Poesie di F. e D. Rosa Morando. = Poesie facete del P. Zucconi. (K. X.Y.) ,, Il due Novembre, meditazioni di G. Nicolini. — Pianto paterno di Dam. Bragaldi. ì » La Villa di Camaldoli al Vomero, polimetro del cav. Ricci. — Saggio di poesie di alcuni moderni au- tori Corsi. » » Semifonte , poema di Giacomo Mini. - Kedromeler- gon di Salv. Del Vivo. — Bettina, novella di Ferd. Valcamonica. 9) (99 Odi, Sermoni e Prose di Gellert. Inni sacri di vol- gari autori. > ARCHEOLOGIA. Opere varie d’ Ennio Quirino Visconti. (M.) B. Notizie d’ un’ iscrizione araba. (D. Valeriani) C. De prisca Aegyptorum litteratura. Comment. prima, quam scripsit J. G. L. Kosegarten. SS H. A. Hamaker, Miscellanea phoenicia , etc. coa Museo archeologico dell’ Università di Leida. ( Dal- l’Universel) , Gabinetto numismatico dell’univ. di Upsala. (J. G. H.) ,, Scuola di diplomi e carte antiche in Francia. (bull. sc.) ;, BELLE ARTI. Di una tavola a olio attribuita a Michelangiolo Buo- narroti. (art. comunicato) C. Collezione di progetti d° architettura, ec. (K. X. Y.) »» Intorno alla fondazione dell’Accad. elementare di Belle arti in Ravenna, lettera del conte Al. Cappi. ,) »» Statua a Pietro Leopoldo I, Granduca di Toscana. , SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Bullettino di luglio 1829. A. 5 tI agosto. B. dd S settembre. C. Fisica e chimica. ,, di luglio. A. 5 Dà agosto. B. » 3 settembre. Cc. so 127 733 sîj 195 33 199 ,, 138 100 3o 142 so 143 >> 144 39 149 >> 147 9 166 22 92 », 126 39 129 Ei 37,172 33 149 » IDI 3) 179 ») 156 », TOS 184 Fisica. Bull. sc. Lettera ‘(di Carlo Matteucci sulla so- lare elettricità. B. Pag.150 Fisica vegetabile, bullettino di agosto 1829. miao Storia naturale. — — FETO goa Memoria sul Golfo della Bici » del conte Chabrol. — Osservazioni geognostiche e mineralogiche sopra i monti che circondano il Golfo della Spezia, di G. Guidoni. (E. Repetti) C. SCIENZE MEDICHE. Della clorosi , comm. di Carlo Speranza. PWISRE Riflessioni sul viaggio del dott. Valentin. 3 > Manuale di polizia medica di L. Martini. » B. Errori e danni della medicina di Leroy, di F. Quaglia. ,, ,» Bullettino d’ agosto 1829. * s# di settembre. C. SOCIETÀ SCIENTIFICHE E LETTERARIE. I. e R. Accademia della Crusca. Di I. e R. Accademia de’Georgofili. Ad. ord. del 5 luglio. ,» o agosto. B. R. Ac. delle "Se. di Torino , ad. dal 4 al 28 giugno , e programma A 5 2 al 13 agosto. B. Società Mivieica delle Scienze naturali, sessione al San Bernardo. si _ Programma della Società italiana delle Scienze resi- dente in Modena. (Bull. Sc.) C. Società Medico-Fisica fiorentina; ad. del 12 aprile e 31 maggio 1829. 65 BuLLETTINO BiBLIOGRAFICO. Luglio 1829. A. Agosto. B. Settembre. C NecRoLOGIA. Francesco Sabatelli. : (G. C.) C. Fine del Volume XXXV.° 29 2» 23 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE | FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alta sopra il livello del mare piedi 205. SETTEMBRE 1829. CATIA II RO lee] 'ermon..| — si > = (STE DeL va — | - O w = il met i 5 Ora 5 5 v 3 | S.1'*8!5 Stato del cielo! 3 © S.S Ù Gr pe pd tt —l—————_—_—m—_——_———_É_——_————————11_m—mm_.—P___<.ÈÈ__—_——————_______ e ccucu@u[ | | ì | ia 7 mat. |27. 1t,r 116,2 122 96 [Sc. Le.! Sereno Ventie 1| mezzog. |27. rr,5 I16.4 17,6. iPonen. Sereno Ventie. rrsera |27. 11,6 ‘17,2 ‘15,t 85 iLbib. Nuvolo Ventic. ST ed Sn Si 7 mat. o rn |t7,0 [14,4] 94 | Lib. |Nuv. neb. Calma 2| mezzog. |27. tr,4'|17,3 | 19.6 | 67 Sc. Le.|Nuv. ser. Calma, | 11 sera 127. 11,3 14,9 17,8 9 Lib. Ser. nuv. Calma | 7 mat. hai 11,7 |ir,ò 17,5 13,9 96 iOstro Nuvolo Calma 3| mezzog. (28. 0,3 |12.7 {18.2 | ro | Por Li. Ser. con neb. Veotic, rt sera 128. 0;7 118,1 115,5 | 5} 90 Lib. Sereno Vento 7 mat. a 0,7 {17,8 |13, 5 6 Scir.. !Sereno Ventic. 4| mezzog. 128. 0,% (12,9 18,5 Maestr.|Ser, con neb. Ventie. 11 sera |28. 0,8 /18,2 |15.1 Lib. ‘Sereno Ventic. pa Pe St dn SLITTA SARE] EDS AT I SI 9 ___— _ l'e————@@@"@@—@@@@n&@-@@@———11#.<< | 7 mat. |23. 0,8 118,0 13,7 | i 0,93 !Snir.. Ser. neb. Ventic. 5, meyzog. |28. 1,2 a 18,6 | 62 Po. M. Sereno Ventie | “pe 28. LU cr |15,0 | 92 Lev. Sereno Calma 7 mat. opa € 1,4 i 133. 4 | 95 Lev. Ser. neb. Ventic. 6| mezzog. 128. 1,7 [18,3 |19,0 | 76 P.». M.[Ser. con neb... Ventic. _| ar sera |28. vani 59 18,0 16,3 | 95 Ponen, {Ser. con neb. Calma 7 mat. sg soi 4 i o (ba 97 gig LR gie he e Calma ili mezzog. 1,5 113 5 :20; 1 | Gi Maestr.|Sereno Calma ri sera 08. 1,3 ‘18,6 ‘17,0 | 93 | Lib. Sereno Calma le "e a | ss ermoui vi 9 > |© 2 |a $al'4® iS Ora dio {ALE SF 3| 88 Stato del cielo | DR a DA SAPIRIEASD La E; Sha fe 9| È ‘Di nt-[oincdalii 17,0 | 80 [in Ixet, ser. ‘°° Calma 8 mezzog::28., 1,1:/18,9 [20,7] 65 |. |Po. M. Ser, neb, Ventic. NT sera lat. 28. 1,0 |19,0 18,9! 90 TOstro [Se. puv, Ventic 7 mat, (28.4, by - 19,5 19,0 |.go |. ...\Ostro |Nuv. neb. Calma 9| mezzog.|28. 1,2 |19,8 [20,7 | 84 Maest. }Nuvolo Ventie. rr sera 128. 1,3 |i9,6 [175 | 94 ‘Scir. |Nuvolo Calma | 7 mat. (28. 1,3 19,3 (17,0, 94 (GE Nebbioso Calma To digli Lt ‘28. 1,3 |t9;6 [21 5 62 ‘Greco |Nebbioso Ventic. u sera (27. 11,6 /19,9 |18,0! IAN (Tr. M.iSer. con i neb. Calma | 7 mat. 27. 10,4 119,9 16,8 89° sassi Sc. Le. Le. |Nuvolo Calma tI) mezzog. 27. ri en È :20,:4 | 8a | o,r2[Lev. |Ser. con nav. Vento "| rrsera |27. 1055 9,8 116,9 | 99 Scir. |Ser. con neb. ——Ventic. | 7mat. |27. 11,5 {19,2 pi ‘95 |. |Sc. Le.:Ser. neb. Calma 12} mezzog.|27. 11,6 {19.4 |19:7 | 77 Po. Li.'Ser. neb. Ventic, 11 sera |27. 11,9 [19,2 [16,2] 90 Ostro |Sereno Ventie. | 7inat. lar. 11,5 19,0 |15;5 | gt Sc. Le, |Nuv. ser, . Ventic, 13 mezzog. |27. 11;4 |19;4 |19;0 | 75 Scir. |Nuvolo Calma i Î 1! sera |27. 10,9 |r9,0 |13,9 | 96 |. 0,06,Gr. Le.|Nuvolo Calma 1 7 ‘mat. |27. 9,7 {18,7 116,5. 90 [gatro Nuv. ser. Calma ;14 mezzog.|27. 8,6 |t9,0 [20,0 | 68 !Os. Li. INuvolo” Vento imp. ti sera 27. 8,4 [10,0 {16,1| 9r | o,r2|Lib. |Nuv. ser. - Calma | 7 mat. 27: 10,0 18,5 |16;0 78 Lib. Ser. nuve Ventie. 15 mezzog.|27. ‘115 |19;5 |18,5 | 64 Po. Li.| Nuvoloso Vento | tt sera [28.138 118,5 ij, | 90 10s. Li.|Se. con nuv. Veptic. | 7 mat. 128. ‘24'118,0 .:13;35 | 92 10Os. mg Foe; con neb. Ventic.!R| 16. mezzog. 128, 2,6 118,9 :18,1 | 66 Lib. Ser. con nuv. Ventie, 11 sera |28. 1,8 [18,1 ;16;0 | 83 |Ostro l'Sert nuv. Calma w 7 ‘mat. |a 28. 0,5 17,9 :16,0 | 76 Os. Li. Nuvolo Calma | 17| mezzog.|28. o,r!17,8 | 15)6 89 Maest. |Nuvolo Ventic.|BI tr sera |27. rr;5 17,5 I15,6 88 | 0,06 Po. Li:: Nuvolo Veotic.iB] 7 nat. (27. 11,5 pro 14,8 . |Os. Li. Ser. con nuv. , x» Ventie, 18] mezzog.'27. 11,5 174 18,5 | 68 |. . |Fonen, Nuvolo N Vento rs sera 27. Ibi 17,8 {13,0! 95 Greco \Ser. nuv, Calma Fi 7 mat. 27. trjg 74 16,0 85. Scir, [Seri con neb. Ventic- 19| mezzog.|27. 110 115,8 dpi 64 1Os. Li.|Nuvoloso Vento |B 11 sera 127. 10,8 18,5 17,9 88 Scir. | Temporale Vento |} | | QUI us9ISH | È 0.17 awo15f 043 -2W101A0|q od -09S0 UU Y Le] n = 5 © R Ora Stato del cielo 11019) 0179wo1eg Sc. Le.|Nuvolo Ventic. Po. M.|Nuvolo Ventie. 7 mat. |27. 10,7 18,t 5a 94 | 0,63 fi 20 mezzoz. |27. 11,8 |18,0 9I 1} sera |27. 11,5 18,3 lio 9 | 0,06'l°o. Li. Navolo i) ; "fame Pi 7 mat. |27. 11,0 17,0 17,0 113} 5 98 ‘0. 10 Lain Nuvolo Calma 2I1|mezzog. |27. 10,6 -16,9 14,5 97 {o 14! Lev. |Pioggia Calme 1: sera |27. 10,1 |16,2 114,1 | 93 | 93 | o,t 9,1 [Greco Nuvolo Calma | 7 mat. |27. 9,9 (ok 114,5 | 92! 92 | 0,05 -9,05|Os. Li.|Nuvolo Calma \122|mezzog. |27. 955 (16,2 [18,0 | 65 Sc. Le.' Nuvolo Vevtic. rt sera |27. 10,0 [16,3 14,9 87 0,05 Scir. | Nuv. ser. Ventic. 7 mat. |27 10,5 16,0 14,7 or (Mace (Nuvole Calma f 23/mezzog. |27. t1,2 |16,3 |17,4 | 80 Maest. iNuvolo Ventic» rt sera |28. 0,0 16,2 15,0 ,2 115,0 | 99 | Lev. | Lev. |Ser. nuv. Calma. | 7 mat. (28. 0,9 {16,1 |15,0| 097 ,t |15,0] 97 | |Lev. |Ser. nuv. Celma 24 mezzog. (28. 1,4 |16. 4 17,1] 75 Po. Li.|Ser. con nur. Calma | ri sera (28. 1,9 |16,6 (14,1 | 95° Lib. [Ser. nuv. Ù@ n mat. 128, 1,5 16,1 113,5 | 88 _|Sc. Li. Sereno 4 25'mezzog. (28. 1,55|16,8 !17,3 | ‘79 : Ponen.jSereno:nuv. f | 10 sera 28. 0,9 16,8 119,9 | 85 | 0,40 Lib. |Nuv. ser ______ Venti if 7 mat. |28. 0,9 |16,6 1139: 85 85] {Lib. |Nuvolo Venti 126|mezzog. |28. 0,8 {16,0 [16,2 | 86 Lib. . |Sereno con nuvw i | ri sera |25. 0,9 |15,6 ‘14,1 96. 0,05|Lev. |Ser. nuv. i | 7 mat. |28. 0,9 |15,6 5,6 [10,9 97 Os. Sc.|Ser. neb. ‘127 mezzog. |28. 0,65/15,8 {16,1 si Sc. Le.|Ser. con nuv. rt sera |28. e@,1 [15,5 (11,8 hi 0,05|Ostro |Ser. con nuv. Ventic» Mo mat. (25. 19,0 1150 11,5] 05°). |06 Li|Novolo . ©. Calma | 7 mat. |27. 18,9 [15,0 |11,5 {| 95 Os. Li.|Nuvolo Calma. 18: mezzog. |28. 0,3 |15,3 [14,7 | 85 Po. Li.|Nuv. ser. Calma: bon sera |28. 0,4 |15,0 [12,9 | 86 O:tro {Ser. nuv. Calma: — Scir. {Nuv. neb. Os. Li.| Pioggia I 7 mat. |28. 0,4 {14,9 [11,9 | 95 ‘129 mezzog. |28. 0,6 [15,0 nt si 0,12 i xt sera |28. 0,4 ‘14,5 |12 PI 0,08| Lev. {Pioggia 7 mat. |28. 0,9 t4,4 [11,6 = 1,15}Scir, {Ser. neb. :30 mezzog. |28. 2,5 [14,9 {16,7 | 89 Gr. Le.}Ser. con nuv. 1t sera 28. 2 28. 28 19,1 16,3 3 90 __ [Gr Tr. 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La associazioni si cs ‘In Frenze, dal Direttore è Editore G. P: pa i vin Mirano , per tatto il regno 7 dalla Spedizione delle duasire, LO Lombardo Veneto' $ presso.!’1. e R. Direx. delle Poste., Cin TORINO per totti Li Sl dee: Ermne, il sig dei Croletti, impiegato ale “o GENOVA È. DIO SEE È R: Poste di Torino, - CA Mopena.. RIA NATO Se SG ‘presto Gem. Vincenzi e C.0 \ibr. in Sri Ary ag ai DI | presso il; sig. Dervit direttore delle Poste. Sa, (AGIRE ESE nell'amministraz. gen. delle Poste Pontif. sa - presso. Ambrogio. Piccaluga ; | Strada. S. Liborio-N. 33, ‘in ‘PALERMO ; per tutta Ta Sicilia «© presso il sig. G. Gruis, via Toledo N.* 7. È ‘in AUGUSTA. tai tone DE preso. la Direzione delle Gaztette. cin Spano pero: tatto Ud ui PEA dalla, Spedizione delle Gazzette i > BO? È I. e ‘R. Direzione delle Poste. |‘ presso J. J. Paschoud.: Sg presso Fi Benini Rue de: Tournon. N. 6: + meno Cc. FP. CE N. di Paternoster Row. s RC L Pa Zzo D'A ASSOCIAZIONE da pa arei antici Giauite: Ri ;) E | P ù tip SÌ p° er la Toscana , Lire 36 toscane per. I anno CRT 5 n 1 franco di parta Fa hi Saga Sa per la posta. È; per tolto Regno SA a na x so { fado dr porto. CÀ ‘Lombardo Veneto È +. franchi fi RR NI RI per la po s# de il Regno Sardo i VEST sd piper il Ducato di Parma, — franchi 36. o :* franco alle-frontiere. PL, lE si VE ET \ «i sperla posta. tp orlo Stato Pontificio, - — Lipadi LARE SSR A ... franco di porto; Si ; ; % ap diacky ci perla posta. Eu 3. Eaero, ; : felici 36. i aa > franco Torino. si TORI a VERI. Milano... ‘0 0 franchi 53. RA PR SIR Le EDRE (A [ARA ® perla posta LU intera, collezione dei 8 anni 3 1821- 1828 Ne ma 96, in 32 volami pe: L.295 Vo So. a E 3 IE ae 2) spa © Lezione sopra un î i E Avventure di- Clarice Visconti s ‘scritte. #r 6. Marocdo: (AA - Introduzione a alla filosofia dell’ affetto. > di Alfonso Testa. (E Di ‘una Lire a olio dea a 1 NA - Rivista LEPTERARIA. = Lucchesini ; Primitivo alfabeto greco , sd | Gazzerà Il Castello di Bodircomago diverso dalla città tadcat Ss i È: 9. — tei e Bossi, I e delle citta. e ei i -- ‘note ag 5 pei se _ L arriglini, 5 Lo d Orso: E 2 ST 115. + De DICA Carnien5 p.-1 Im Stulli, - ‘Opuscoli. medici, p: 119° — Livini Lezioni ‘inedite. 3Pso 190: = - L’Ottimo. Commento > della Divina. Comniedia , , p. i2a, = Collezione de? progetti d’ archi>- “tettura “premiati, pi 1260 - Morando « e Zucconi. > Poesie; di 127. = — Al. Cappî; Accademia di Belle artiiù R vena, > Pe 199: ii SALS colini; dldue Novembré ; Pe 131 Bragaldi:, , Pianto paterno ; pi a8x. ; AM Ricci, La Villa di Camaldoli , p. 133. — Saggio ‘di poesie. 2 di «uatori, Corsi; ‘Pi AdS Mini; Del Vivdi: Valcamonica , poes “varie, Pe 195 — Gellert 5 Poesie , trad. Lie D. Tonelli , Pi “Sa =. Inni sacri di varii autori, P #88. k i ceVarietà archeologiche ,. "AE: SO Museo archeologico di i Leyda.- SE Collezione numismatica d'Upsala. © Bullettino ‘scientifico. CR ‘ Statua alla Momoria di P. Lea E dd di "Toscana. i si Necrologia: = Francesco Sabatelio oss sora era 5 Relletono bibliografico. ana I SORIA - Favole.meveoiologithe 0 Se (Di Vaterian) sr ts DEE: rst baci gd" è, tu Pie su p_» “" Pi 5. È LA 4 vr Rd ) o; da 08: x n i I i I n, e Na » be x I Pri ‘ou »} n Ao ei Pi A 4 È x é ". oo