ia i dia È BAR Lele î Ta È Ur ne l i i e : A i " al i de l ® e " , 4 FI *% si "4 a» DA '_* vt + da MPI E o”. Tei ME i E DAL lei : ee: ua lt le i ssi Se Merce nd I e E as î ° = SI e co sa CI AN TOLOGIA i i Ji at. ‘6 I 6) RNA LE. "SCIENZE, LETTERE E ARTI i + 106 Cuore 8 129. id rt Pa # “Anno IX. Vol XXXdW \F TRE N z ta - Al GABINETTO SCIENTIFICO: E LETTERARIO x a ESC: __prG. P. VIEUSSEUX <—— .._. Drrerrors e Ebiroan 3 RT n li ta , TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATL: — VOYAGE PITTORESQUE DE LA di pr Le 3 su e : FIA LT chirecatre. Ci de e paysage. Ka VR Fai Poni dar VOUS pr % ‘prospeetus du ‘un ou= 3 vrage que je publie en ce moment sur la: T oscane. SARE ° Étonné gun pays Qussi remarguable par. les monu- ments des. différents dges dont il'est st riche et les: ‘vues.‘ì pittoresques qui attirent les V. oyageurs dans ses Villes ‘et | i ses Vallces n'ait pas encore été pubhié. avec exractitude en. | un seul corps d'c ouvrage ; je me suîs determiné è offrir. au‘? public une collection de vues desirée depuis long-tems par i les amateurs des Beaus-Arts; les dessins seront ti d' aprés. R nature et lithogrophiés par le sOussIgne. 33 da 3 L'ouerage ci-dessus énoncé aura pour titre VOYAGE" i PITTORESQUE DE LA TOSCANE et sera ‘compose de È douze Livraisons de quatre estampes chacune et d'une I feuille de texte. Si al Le prix de chaque Lioraison papier vélin demi feuille | sera, pour IIM. les souscripteurs, de. . -Pauls toscans 134 Idem ‘sur papier de la Chine., format plus grand . 18 S'il vous plait M. de souscrire au dit vuvrage je vari « serai obligé de ‘me-faire connottre votre adresse Ni ‘que i les cahiers vous ‘soient remis exactement. RISI J'ai l'hunneur de vous saluer. > ALEXANDRE LEBLANG peintre de paysage, ct TAR] chitecture.; via de' Cocchi au coin de la Place. Sainte: Croix | “Ni 248. * ANTOLOGIA OTTOBRE, NOVEMBRE, DICEMBRE 1629. TOMO TRIGESIMOSESTO. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETTORE E EDITORE, TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MUCCCXAIX. x *. ANTOLOGIA N.° 106, Ottobre 1829. —____-SE dB __—_—__- Geschichte des Rimischen Rechts ete. — Storia del Diritto Ro- mano nel medio evo di Federigo Carlo dei Savigny. Heidel- berga , presso Mohr e Zimmer. Vol. I.-IV. 1816-1826. Arr. IV. Vol. IV. pag. xx. e 487. (Ved. Ant. N.° ror, p. 25.) Hi il quarto volume ultimo dei fin quì pubblicati della nostra istoria una prefazione, nella quale si annuncia come ogni resto del- l’opera conterrà la speciale Istoria Letteraria del Romano Diritto dal principio del secolo XII insino alla fine del secolo XV, e che il pre- sente volume IV il quale comprende il secolo XII forma un solo insieme col volume V, ove si ragiona del secolo XIII, perchè identico in quei due secoli fu lo spirito dei glossatori , da cui tanto diverso s’appalesa quello dei giureconsulti del XIV e XV secolo, la storia dei quali trattasi nel VI ed ultimo volume. Si escusa quindi l’au- tore , se le ricerche e le cose narrate nel Volume IV, di natura più presto negativa che positiva; non satisferanno alla massima parte dei lettori; ma in mancanza del positivo si credè egli in dovere di non trascurare il negativo per agevolare la strada e ri- sparmiare degli errori a cui sortisse instituire positive indagini. E perchè dal IV volume in poi l’opera prende colore di storia degli nomini dotti nella nostra scienza, (istoria che da molti ‘profondi giureconsulti i quali pensano che ogni studio debba rag- 4 girarsi intorno le fonti si vorria trascurata, quasichè o estfanea o pericolosa) ragiona quindi il Savigny le tante utilità che a detta scienza derivano dalla istoria degli uomini illustri nel medesima, e perchè una tale istoria serve di fondamento a quella dei dogmi dalla quale nasce il gius positivo, e perchè , rappre- sentando le operative oggi smarrite forze degli andati secoli, in- segna il modo di ricuperarle e usarne, recando il passato a uti- lità del presente. Sol che in comporla vuolsi adoperare discerni- mento : non dovendosi nella immensa congerie dei fatti partico- lari scegliere se non quelli, pe’ quali si rappresenta la vera in- dole e i progressi della scienza in ciaschedun secolo. Il perchè se lo storico può a lungo intertenersi sulla gloriosa età dei glos- satori, tanto di vita e di virtù ripiena quanto reca stupore in riflettendo alla scarsità dei mezzi onde quei forti ingegni pote- rono aiutarsi‘; al contrario dee serbare grandissima misura e scelta nel ragionare dell’ altra età che le trasse dietro, avvegnachè snervata, fiacca e senza gusto. Dopo i quali ragionamenti viene l’A. ad esporre quali sieno le tracce che restano d’ una semola del gius nostro in Ravenna e Bologna avanti Irnerio. (Cap. XXVI) Di una scuola in Ra- venna se ne trova motto nell’opera di S. Pier Damiani (n. 1006 ann. 1072) che s’ intitola De Parentelae gradibus al cap. VIII; onde raccogliesi come in Ravenna fu un collegio di giudici e di avvocati ragguardevoli non meno per la pratica delle leggi che per l’ insegnamento nelle scuole ; le quali ben erano lungi dalla libertà in che poi si constituirono, avvegnachè vi si adoperasse la sferza. Anche Odofredo attesta, come vedemmo , di una sola scuola già stata in Ravenna e poi trasferita a Bologna, e nel- I XI secolo si trova in vari monumenti la generica menzione di maestri e scuolari e di un Domenico Legis Doctor. (1) Quanto a Bologna poi sappiam soltanto dallo stesso Odofredo che certo Pepo o Pepone v’incominciò a leggere in leggi; ma non procac> ciò fama, nè scrisse opere (2) e visse certamente nell’ XI secolo, giacchè lo troviamo presente 1a un giudizio tenuto in Martula nel fiorentino correndo l’anno 1075 3). Fu dunque Irnerio Bolognese (Cap. XXVII) il fondatore (1) Rubei Hist. Rav. ad a. 1055 p. 290 ed. 1590. (2) Gloss. ined. d’Azone (MS. di Bamberga) in Leg. 2. $. 38. ff. de orig. jur. verb. Cujus scriptum nullum extat. = Sic in domino Peppo. Az. — (3) - .. .. in presenzia Nordilli missi Dominae Beatricis .. . . et Iohan- nis Vicecomitis . . . . in judicio cum eis residentibus Guillielmo judice et Pe- pone Legis Dpetore (nel docum. cit. Art. II. p. 21 e nota 40). 5 di quella scuola che nella più gran parte d’ Europa diè alla giurisprudenza quella muova forma la quale in molti de’ suoi ra- mi dura sempre la stessa. Di lui sappiamo da Odofredo che era maestro d’arti liberali in Bologna quando vi furono trasportati 1 libri delle leggi, sopra i quali studiò da sè solo e poi si mise a leggerli anche a conforto della contessa Matilde. (4) È l’Ostiense narra (5) che la parola. asse incontrata da Irnerio nella volgata fornisse a lui l’occasione di riscontrare e studiare i libri del gius nostro. Nelle pubbliche bisogne e nei giudizi s° incontra Irnerio fra gli anni 1113 e 1118, e dal 1116 al 1118 sembra essere statu al servizio di Enrico V, il quale adoperollo quest’ ultim’anno in Roma per un altissimo affare: Le quali bisogne di stato e di cu- ria non potendo Irnerio averle condotte da maestro d’arti o gram- matica , ma dappvichè procacciò fama coll’insegnar leggi; quiudi la origine della Scuola Bolognese viene naturalmente a collocarsi tra il cadere dell’ XI e il principiare del XII secolo. Lasciò al- lora Irnerio la scuola per entrare in Corte dell’ Imperatore, e non si sa se mai tornò da questa a quella, essendochè più di lui non s’abbia ( dal 1118 in poi) sicura contezza. Ignorasi pa- rimente se Irnerio educò scuolari di molta fama, non essendo hen certo se i quattro dottori, dei quali parlasi nel seguente capo , ne udissero la viva voce. (6) Scrisse Irnerio quelle opere memorande onde comincia la moderna letteratura del gius no- stro; delle quali parte ci giunsero intiere, parte in frammenti, e sonu le G/osse e le Autentiche. D’ altre poi ne abbiamo sol- tanto notizia dagli scrittori e monumenti , come di un formula- rio pei Notaj, delle Questioni, e di un Libro delle Azioni. I. Glosse. Sappiamo da molti scrittori che Irnerio fece glosse. Narra l’Abate di Usperga che Irnerio oltre avere partiti e ordi- nati i libri del gius nostro in quella guisa medesima in che Giu- stiniano gli aveva disposti, interpose quà e là varie parole per dichiarazione del testo. Gli altri glossatori poi encomiano la . tanta dialettica di lui e lo appellano Lucerna Juris. Ma il re- care un giudizio delle glosse d’ Irnerio ella è cosa pressochè im- possibile , ignorando noi quante oggi ne possediamo e se la mi- (4) Ab Urspergen. Chronicon pag. 278. ed. Basil. apud. Pernem 1569. f. (5) Hostien Commentar (non le Somma) in Decretal.C. IX de Testamen. (3. 26) verb. in Octo unciis. (6) Ghe Irnerio fosse condiscepolo di S. Lanfranco (an. 1089) che la sua scuola venisse aperta e confermata da Lotario II , che Rogerio e Placentino lo precedessero e che egli studiasse in Costantinopoli o in Roma tutto ciò si di- mostra favoloso dal Savigny. 6 gliore o la peggior parte ne andò perduta. Solo è da dirsi che due specie d’ Irneriane glosse incontransi nei MS. ; interlinea- ri e spiegano le voci con altre voci più chiare; marginali je si addentrano nel senso del testo. Le prime sembrano de’ primi tempi, quando Irnerio incominciando a studiar leggi riteneva le. abitudini del grammatico ; le seconde quando s’ era fatto valente giureconsulto. Non crede il Savigny che Irnerio fosse il primo a scriver glosse , giacchè se ne vedono delle più antiche al Bre- viario, a Giuliano e perfino alle nostre Instituzioni ; comunque peraltro, conosciute o sconosciute che fossero a Irnerio, certo sia che egli condusse le sne con un metodo ed una critica originale all’ intutto. La Sigla d’ Irnerio alle glosse è la G. o la Y. e forse ancora la I. Mal però gli si oppone la W propria a Guglielmo ( Wilhelm ) da Cabriano e la Yr d’ Enrico di Baila; come pur falsa è la fama che a Irnerio ascrive tutte quante le glosse in- terlineari. Delle glosse d° Irnerio adducesi Saggio dal Savigny nell’Appendice II a questo IV volume. II. Autentiche. Nella più parte dei MSS. e in tutte le edizioni del Codice trovasi non picciol numero d’ estratti delle novelle onde viene in qualche guisa modificato il senso delle costituzioni alle quali precedono. Tolgono questi estratti nome di Autentiche le quali il medio evo ascrisse ad Irnerio , ma poi dopo si vollero assegnare a più antichi o più moderni compositori. Fatto però è che il maggior numero delle Autentiche ha per autore Irnerio , come (tralasciando le testimonianze che di alcune in particolare hannosi dagli scrittori ) asseverano del corpo delle medesime Roffredo , Odofredo , il Diplovatazio e Pietro de Unzola tutti ri- feriti dal Savigny. Non che per altro qualcheduna delle Au- tentiche ricevute e glossate dall’ Accursio non sieno posteriore opera d’altri. Così l’Auth. Si quis C. qui potiores etc. è di Al- berico ; nella Auth. Principales C. de jurejur. propt. cal. è una aggiunta di Martino ricevata dall’ Accursio, e in altre molte sonovi aggiunte di Azone. Occorrono eziandio fuori del Canone dell’Accursio parecchie autentiche con sigle di vari autori: ciò non dimeno tutte insieme non aggiungono a quelle scritte da Ir- nerio , la massima parte delle quali si ricevè dall’ Accursio: il perchè giustissima è da dirsi 1’ opinione che reputa Irnerio au- tore delle Autentiche. Prima d’ Irnerio non mai vennero scritte Autentiche : lungi dal vero errando coloro i quali ne ravvisan tracce nel Dictatum de Consiliariis e nelle lettere di Gregorio Magno. Hanno Autentiche non solo i primi nove libri del Co- dice, ma eziandio ( quantunque in picciol numero e non ricevute 7 dall’Accursio ) gli ultimi tre, le Instituzioni e le medesime No- - velle (7). Anche queste Autentiche sembrano al Savigny opera d’ Irnerio proseguita dai posteriori glossatori come la Sigla M ci fa in due luoghi avvertiti di Martino. Naturalissima origine delle Autentiche avvisata dal Savigny è che le prime e le più antiche fossero apposte in margine ai MSS. delle Novelle quasi comodi estratti o sommari delle medesime ; trapassassero quindi in parte nelle Instituzioni e. fossero causa di quell’ istorico legame che corre fra due tanto diversi libri del gius nostro: e finalmente ne crescesse in immenso il numero per unirle al Codice , ove l’affinità loro alle costituzioni le rendea più, giovevoli. Il perchè l’Accursio;, il quale trovolle ai suoi dì variatissime nei MSS. così pel numero come per la forma , credè buono fissar 1° uno e l’al- tra nella glossa; e, rigettate tutte quelle le quali vagavan fuori dei primi nove libri del Codice, scelse e ritenne (salvo poche eccezioni ) soltanto quelle composte da Irnerio. Le Autentiche così fissate dalla glossa formano un determinato tutto (al quale malamente il Conti nella sua edizione interpolò 1° Auth. Glorio- sissimi C. de Div. Rescript. non contenuta in quello e trapas- sata in tutte le posteriori edizioni ) e da quell’ora in poi (men- tre in principio furono semplici glosse ) riguardaronsi come parte integrale del testo; causa, forse, che nei MSS. e in tutte le stam- pe (eccetto l’ Haloandrina e quella di Basilea dell’anno 1541 ) venissero tramezzate al testo medesimo. Ragionata in simil guisa l'origine dalle Autentiche, rilevan- tissima per ben conoscere la storia dei dogmi, rammenta quindi il Savigny come Irnerio scrivesse eziandio: III. Un formulario pei Notai a testimonio dell’ Accursio e di Odofredo che 1’ ebbero tra mano (8) IV. Questioni sparse in collezioni manoscritte e rammen- tate da un documento del XII secolo (9) V. finalmente Delle Azioni come narra l’ anonimo autore di una glossa all’Albero delle Azioni di Giovanni. E dopo avere accennati gli scritti falsamente attri- buiti ad Irnerio, dice che di contemporanei del medesimo dotti nel gius solo ne giunse il nome di Raimondo de Gena Legislator (7) Trovansi autentiche nei MSS. del Volume in Gottinga V. Civilistichen Magazin. Del Volume in Monaco N.° 14 della Collezione di Asburgo. Delle Instituzioni in Vienna j. civ. n. 25. Del Volume in Vienna j. civ. n. 19. Delle lnstituzioni nella Bibl. della Università di Lipsià sotto Roffredo, Fehler p. 226. n. 11. e vedi anche Schrader Prodrom p. 36. 37. 55. (8) Accurs. in L. 14, y 5. C. de SS. Eccles. verb. petitione Qdofred in Auth. Quae res, (9) Sarti P. 2. pag. 214 (A. D. 1262). 8 in un documento del 1127 e di Walfredo rammentato in parecchi documenti infra gli anni 1128 e 1146 col soprannome Magister e Legis Doctor, onde potrebbe arguirsi che leggesse in gius. Nelle glosse egli è sovente nominato in un co’ più celebri glossatori e si riportano varianti del suo MS. in più luoghi del digesto nuovo. Un documento dell’anno 1151 ce lo dà per già morto (10). Da Irnerio passa 1’ A. a discorrere la storia dei quattro dot- tori Bulgaro; Martino; Jacopo ed Ugo (capo XXVII) i quali fiorirono circa la metà del XII secolo ed ebbero comuni le in- gerenze nei più grandi affari del tempo, onde presso gli scrittori spesso si trovano tutti e quattro insiem rammentati. Sogliono riguardarsi come immediati scuolari d’ Irnerio sulla fede di un antico distico attribuito al medesimo e riportato da Ottone Mo- rena (11) il quale confermerebbe quella opinione, se, a mente del Savigny , non fosse da tenersi come interpolato il passo ove si ragiona di loro; egli è però più probabile che fra Irnerio il quale fiorì nel principio del XII secolo e questi quattro dottori rammentati solo nella seconda metà di quel secolo, fossero in Bologna altri professori di gius dal Savigny veduti in quella glossa d’Enrico di Baila (12) ove riportasi una opinione di Martino come contraria a quella degli antichi maestri. 1. Bulgaro chiamato eziandio Borgaro , Burgaro e Bulgarino (da non confondersi con Bulgarino dei Bulgarini giureconsulto del XV secolo ) la Sigla del quale è nelle glosse una % fu di patria bolognese (13). Trapassò in fama come dotto e dottore in leggi tutti i contemporanei e venne soprannuminato Bocca d’oro. Rare volte cita Egli nelle sue glosse , ove occorre menzione del Decreto di Graziano ; notevolissima e per la cronologia e per la separazione che a questi tempi si ravvisa tra i Civilisti ed i Ca- nonisti. Ebbe a scuolari famosi Gio. Bassiano e Alberico. Fu qual- che volta giudice come si vede per una sentenza da lui pronun- ciata nell’anno 1159 (14) ma non Vicario Imperiale come alcuni argomentarono da una falsa interpetrazione della frase curia di (10) Sarti P. I. pag. 28. 29. 48. (11) Bulgarus es areum (sic) Martinus copia legum == Mens legum est Ugo, Iacobus id quod ego. (12) V. l’Append. IV. 29 di questo IV Vol. (13) La pretensione che Bulgaro fosse Pisano nacque da una falsa lezione di Bartolo , il quale discorre di Bandino e non di Bulgaro. V. pag. 71-74. Il cav. Così nel suo elogio di Bulgaro ( Memorie degl’illustri Pisani ) sostiene però acremente questa pretensione municipale. (14) Savioli Vol. I. P. 2 pag. 261. N.° 172. — Sarti P. 1. p. 36. vd 9 Bulgaro che leggesi in ana glossa dell’ Accursio (15). Della no- biltà dei sensi di Bulgaro fa fede la dote profettizia da lui re- stituita al suocero conforme all’ opinione che tenne contro Mar- tino; e l’aver egli consigliato per un riguardo ai costumi di non impossessarsi delle altrui api vaganti, nè del cinghiale colto all’altrui tagliuola quantunque lo credesse legittimamente in giùs fatto. Solo della prima moglie ebbe figli, i quali gli pre- morirono tutti e il giorno dopo che passò a seconde nozze con una vedova fu interrotto dalle risa degli scuolari per la sguaiata combinazione di aver Egli dovuto dichiarare il testo del codice: Rem non novam nec insolitam aggredimur (16). Imbecillì in vec- chiaia e morto , secondo i canonisti, nel 1.° Gennaio 1166 venne tumulato nella Chiesa di S. Procolo di contro a Martino, onde dice il Pastrengo , mostrarglisi antagonista in morte come lo fu in vita (17). Scrisse Bulgaro, che si sappia 1.° G/osse a tutte parti del Corpo Civile, come da molti MSS. ne ricavò il Savigny le prove, e delle quali esibisce un saggio nell’Appendice III a que- sto volume. 2.° Un Commentario al titolo de Regulis Iuris già creduto del Piacentino ma dal Cuiacio restituito al Bulgaro come ora si conferma dal nostro autore , il quale però dimostra essere del Piacentino le aggiunte al Commentario medesimo. Di que- st’ opera nata dalle solite glosse e ridotta quindi a vero Com- (15) Auth. Hoc locum (G. Si secundo nupserit. = Sed secundum consue- tudinem scriptam in curia Bulgari debet habere alimenta. = La curia di Bul- garo era la casa che gli appartenne e poi fu comprata dalla Città per tenervi i giudizj onde si disse Curia. Lo che non avendo inteso il Saliceto in detta Auth. favoleggiò che Bulgaro fu Vicario dell’ Imperatore e tenne Curia in Bologna. (16) Accurs, L. 14. GC. de judic (3. 1.) L’Odofredo dà ivi un’altro colore alla cosa. — Segnori. Hic dnus Jo. et Az. scripserunt quandam glo ssam solatii causa , et dicunt ipsi dum dnus Bulg. quodam mane legeret legem istam et in nocte praecedenti duxisset uxorem , quam ipse pro virgine ac nova acciperet cum a multis contrarium crederetur et exposuisset : Rem non novam nec inso- litam aggredimur : (idest aggressi sumus) scolares pulsabant libros contra eum. (17) Giunto a questo luogo domanda il Savigny come avvenisse che molti legisti dietro l’Accursio e Odofredo in L. 13. C. de SS. Eccles. per esemplifi- care doversi provare per fama la morte di un qualcheduno in lontane regioni alleghino la morte di Bulgaro che pure accadde in patria ? E risponde che av- venisse per essere stata trascurata dai Copiatori la sigla sz (secundum) alla glossa in L. 5 C. Soluto matrimonio = ivi = Dico secundum H. famam solum ad hoe sufficere . . . . aliter quomodo probaretur secundum (deest) Bul. et Jo. mortuum (leg. mortuam) esse ?. . . . Sed R. aperte dicit. = Così l’esempio della morte sì ritrova non essere che l’opinione di Bulgaro e di Giovanni, come si confer- ma per un luogo paralello dello stesso Odofredo nella L. 5 C. Soluto matrim. T. XXXVI. Ottobre. 12 10 mentario hannosi parecchie edizioni ed è il più antico. ordinato scritto a noi giunto dalla scuola dei glossatori, in così degna guisa condotto e dal Bulgaro e dal Piacentino nelle aggiunte da maravigliare chiunque rifletta all’ infanzia della scuola del gius a que’ tempi. 3.° Dei giudizi ed è nelle edizioni il terzo libro dell’opera del Piacentino De varietate Actionum. ‘4.° Glosse al libro dei fendi non giunte insino a noi e rammentate da Alva- rotto (18). Sogliono falsamente attribuirsi a Bulgaro anche le Quistioni oggi restituite a Bandino da Pisa e non è certo se ve- ramente sia suo quel così detto Bulgari fragmentum della Biblio teca Vaticana. All’Ugolino poi si riferisce dal Savigny la Somma alle Pandette che per l’Alidosi s’attribuisce a Bulgaro e nell’ edi- zioni a Giovanni; e la traduzione dei passi in greco nelle Pandette si dimostra , a suo luogo, del Giureconsulto Burgundio. 2. Martino Gosia della nobile famiglia Gosi Bolognese e Ghi- bellina, la cui Sigla è nelle glosse una M, alcune volte Ma o anche M. G; fu denominato Copia legum. Note a tutti sono le controversie ch’ ebbe con Bulgaro onde nacquero sette di Legisti in Bologna e quelli i quali parteggiarono per Martino s’appellar Gosiani; Bulgarini (ed ebbero quasi sempre il disopra ) quelli i quali aderirono a Bulgaro. Dubbia fra i Legisti è la reputazione di Martino: poichè Azone lo rimprovera di giudaizzare sulle pa- role (19) Odofredo di partirsi dalle regole del gius per sostituirne delle capricciose (20). L’ Ostiense al contrario lo encomia a cielo perchè aderiva ella equità canonica contro i rigori del gius civile(21). Degl’ immediati scolari di Martino non s’ ha notizia, avvegnachè s’ignori se il Piacentino , che fu Gosiano , ne udì la viva voce. Non lesse in Padova come alcuni pretendono (22), nè fu ucciso da Azone siccome favoleggiò il Pancirolo contro la cronologia, e già si disse che il Pastrengo lo dà per morto nell’ anno 1166 e tumulato in S. Procolo di contro a Bulgaro. Ebbe Martino un figlio per nome Guglielmo , il quale non fu lettore ma nelle leggi dottissimo e Giudice. Guglielmo poi ebbe tre figli, de’quali Ugolino, famosis - (18) De feud. Proem. Diplovataccius in vita Bulg. scripsit etiam super lib. feudorum. . . . . Credo quod fuerit primum , qui in d. libro scripserit. (19) Azonis lectura in C. de fructib. (20) In Dig. Vet. L. 4. $. 5 De his qui nota. (21) Comment in Decretal G. 9g. X. de Arbitris, (22) Anche il cav. F. M. Colle nella sua recente Istoria scientifico-lette- raria dello studio di Padova Vol. II. pag. 2. nega fede all’ opinione che Mar- tino leggesse in Padova, IT simo legista e cavaliere, fu Podestà d’Ancona (23). Guglielmo pro- nipote di Martino che fu nell’anno 1256 Podestà di Faenza venne cacciato da Bologna in un colla pafte Ghibellina nell’ anno 1274 e la sua casa distrutta. Di Martino si conoscono soltanto Glosse a tutte parti del testo, e il Savigny nota i MSS. ove quelle si giacciono e n° esibisce saggi nell’ Appendice IV di questo volume. Hanno queste glosse, alcune delle quali in forma di elaboratis- sime distinzioni, assai d’ intrinseco pregio; ma sono scritte in pessimo stile e bene spesso coincidono, non a parola, con la glossa di un anonimo dal Savigny creduto Irnerio , onde Mar- tino si noterebbe di plagio; sospetto confermato dal vedersi che una glossa di Martino al Codice tanto corrisponde ad una di- stinzione di Ugo legista suo contemporaneo , quanto non può argomentarsi essere casualmente avvenuto. Oltre le Glosse som- ministrò Martino qualche aggiunta alle Autentiche sparse pel Codice, le Instituzioni e le Novelle, e senza fondamento s’ at- tribuì al medesimo il Commentario de Regulis Juris onde ragio- nammo poc’ anzi. 3. Jacopo ; eziandio soprannominato della Porta Ravennate e da Odofredo appellato Dottore antico per contraddistinguerlo da Iacopo Balduini sno precettore, fu Bolognese. La sua Sigla nelle glosse è Ja, Jac, Je nemmeno di lui sappiamo con cer- tezza se fosse scnolare d’ Irnerio, niuna fede meritando il sur- riferito distico che di lui parla e degli altri tre dottori. Morì agli 11 ottobre dell’anno 1178. Nei documenti spesso è menzione di Giuditta sua vedova ma non ancora dei figli. Di lui narra Uguc- cione che lesse diritto romano al tempo in che Graziano scrisse il Decreto e Alessandro III leggeva Teologia in Bologna (24). Ma questo passo d’ Uguccione e la formula d'appello ivi racchiusa non punto conducono a potere precisar l’ epoca nella quale iacopo incominciò a leggere e Graziano a scrivere il Decreto siccome contro il Sarti opina il Savigny ; il quale, contro lo stesso Sarti, pensa essere genuina e scritta in morte del nostro Iacopo quella lettera tra le raccolte da Pietro Bleserise ed eziandio da Pier delle Vigne , e che il Sarti reputò scritta in morte d’ Iacopo Balduini. Conosconsi di Tacupo glosse assai rinomate a più parti del Testo sparse in vari MSS., un saggio delle quali stà nell’ Appendice V a questo Volume, e molte regole di gius generali; che la lettera (23) Mag. Boncompagni liber de obsidione Anconae a. 1172 peracta : in script. Rer. Italic. T. 6. p. 919-946. i (24) Uguccio in Decret. Gratian. c. 31. 29. 6. 12 J fè, per errore, attribuire ad Irnerio. Vien bene spesso citato dai posteriori legisti nelle collezioni di controversie, non però così sovente come Bulgaro e Martino. 4. Ugo, detto ancura Ugo d’ Alberico dal nome di suo padre, non senza talor l’ aggiunta dalla porta Ravennate , avvegnachè foss’ Egli pur Bolognese e dello stesso quartiere di Jacopo, ha per sigla nelle glosse 7, Ug, e anche Ugo. Morì fra gli an- ni 1166 e 1171, come raccogliesi da due documenti, il primo dei quali ce lo rammenta vivo in quell’ anno, e 1’ altro parla in questo d’ Isabella sua vedova (25). La famiglia d Ugo bandita da Bologna come Ghibellina vi fu poi di bel nuovo ricettata e vi fioriva nel XIV secolo. Lasciò scritte Glosse a tutte parti del gius ‘nostro e distinzioni, le quali cominciavano per la parola Pa- crorum etc. ma vennero poi rifuse da Alberico in una nuova opera ove le ritenne quasi tutte a parola, variando 1’ altre ed aggiungendo in modo che questa crebbe in un volume a detta di Odofredo non minure del testo delle Novelle, o della som- ma del Piacentino al codice, la quale, stampata, forma adesso un giusto volume in foglio. Di questa rinnuovata opera sta nella Biblioteca di Parigi un MS. non completo e interpolato, dal quale estrasse il Savigny (e lo esibisce nell’ Appendice VII ) 1° indice delle vere distinzioni d’° Ugo in quella contenute. A lui pure si assegna , per errore , 1.° la Raccolta di distinzioni esistente in Parigi, 2.° Una Collezione di Quistioni in Metz, opere che am- bedue sono di Ugolino e non di Ugo. Rappresentate in sin quì separatamente quelle cose che in particolare erano da notarsi dei quattro Dottori, viene quindi il Savigny ad esporre quei fatti pei quali congiuntamente splendono nella storia di Federigo I Imperatore : e sono t. La Dieta di Roncaglia. Narra Otto Morena che i quattro Dottori furono invitati dall'Imperatore, affinchè, secondo ragione, giudicassero quali diritti dovessero restituirsi alla sua Corona dalle città che tutti se gli avevano usurpati. Ma rifiutando loro di ad- dossarsi soli quest’ odioso incarico, nominò l’ Imperatore 28 giu- dici (due per città ) i quali in un co’ quattro Dottori redigessero una nota delle regalie da restituirsi all’ Imperatore da ogni città, la quale non avesse potuto esibire una regia concessione di cia- scheduna delle medesime (26). Dalle parole d’ Otto Morena non trasparisce che i quattro Dottori avessero preponderanza sui loro (25) Sarti P. I. pag. 55. mula. (26) Otto Morena ad. A. 1158. Muratori T. 6. p. ror5 et seg. 13 colleghi: sennonchè i rimproveri del giureconsulto Piacentino e il racconto d’ un Cronista (27) portano a crederlo. Ad ogni modo l’ asserzione di quelli storici (28) i quali accagionano il romano diritto e la servilità dei quattro Dottori inverso quello siccome causa della loro sentenza, è dimostrata falsa dal Savigny col fatto che nemmen per gius longobardo non avrebbero potuto pronun- ciarne una diversa ; ove Eglino non avessero avuto un qualche riguardo al possesso in che trovavansi le città di quei dritti, e così risparmiato all’ Imperatore la sconfitta di Legnano. 2. La grazia dell'Imperatore. Possederono tutti e quattro i Dottori, principalmente Bulgaro e Martino, la grazia dell’ Im- peratore ma più ancora Martino che non Bulgaro. Soleva Fede- rigo I cavalcare in mezzo a loro e interrogarli circa controversie di gius, dal che poi nacquero la storia del cavallo donato e l’Authentica Sacramenta puberum. 3. Storia del cavallo donato. Narra lo spurio Otto More- na (29) come cavalcando un dì l'Imperatore fra Bulgaro e Mar- tino domandò loro se Egli si fosse signor del mondo. Bulgaro lo negò ; Martino lo affermò ; onde l’ Imperatore donò il suo cavallo a Martino e Bulgaro ‘ebbe ad esclamare Amisi equum quia dixi aequum, quod non est aequum. Ma l’Accursio al quale consente "Odofredo (30) narra della domanda e della risposta e tace circa il dono del cavallo, da lui memorato in altra occasione quando cioè Enrico VI avendo interrogato (a. 1191) Azone e Lotario sulla questione: a chi spettasse il mero imperio ? Lotario rispose al solo principe del paese , Azone anche alle principali Magistrature: il perchè Lotario 5° ebbe un cavallo e Azone ne restò senza , co- m’egli stesso narra (31). Onde non è da dubitarsi che la storia del cavallo donato è da riferirsi ai secondi e non ai primi soggetti. 4. Authentica Sacrumenta puberum. In un rescritto del Co- dice viene denegato a un minore di potere impugnare un contratto di compra e vendita perchè Egli lo avea raffermato con giuramen- (27) Romualdi Salernitani Chronicon. ap. Muratori T. 7. p. 222. 223. (28) Sismondi T. 2. pag. 102. (29) Ap. Muratori I. c. (30) Accurs. L. 3. C. de Quadr. praeser. ibig. Odofred. (31) Azonis Summa Codicis. Tit. de Jurisdict. (3. 13), «. Plenam ergo vel so plenissimam jurisdictionem soli principi competere dico. . . . sed merum im- »» perium etiam aliis sublimioribus potestatibus competere dico, licet od Roc ami- »» Serim equum , sed non fuit aequum ,,. 14 to (32). Nel silenzio circa le circostanze del caso teneva Bulgaro che la legge procedesse in un contratto valido ipso jure, che si pretendea impugnare mediante la restituzione ; esclusa dal gin- ramento : dicea Martino che questa forza del giuramento sanava anche i contratti nulli. Fu portata la controversia avanti 1 Im- peratore, il quale favorì l’opinione di Martino con la legge nel- lAuth. Sacramenta puberum (33). Ove l'Imperatore facesse questa sua legge è dubbio : sembra peraltro al Savigny meritar fede il Guizzardino che la narra fatta nell’ isola del Reno di Bologna (34) probabilmente nell’ anno 1159, quantunque posteriormente pro- mulgata in un con le leggi cei in Roncaglia. Questa legge accolta nelle Decretali d’Innocenzio INI e di Bonifacio VIII (35) venne, a comodo di causa, da Cino dichiarata favolosa (36): fu vituperatissima dai glossatori , e il Guizzardino e Roffredo nar- rano aver fruttato la debita pena alle famiglia di Martino , il patrimonio della quale fu tutto dissipato da un minorenne per contratti giurati (37). 5. La resa di Bologna. È questo l’ultimo fatto ove insieme si fanno figurare dal Sigonio i quattro Dot 01 ipi quali, corren- do l’anno 1162, avrebbero raddolcito lo sc dell’ Imperatore acceso contro Bidogia mediante una loro eloquentissima orazione. Ma questo fatto credesi dal Savigny favoloso e immaginato dal Sigonio sopra Otto Morena (il quale unicamente narra che nel- l’anno della resa di Bologna ivi fiorivano i quattro Dottori ) onde mettere ‘nella loro bocca un elegante discorso secondo la maniera di Livio. Compiuta così la storia dei quattro Dottori viensi nel Ca- po XXIX a quella di Rogerio e suoi contemporanei. 1. Rogerio ( che ha nelle glosse per Sigla la A e alcune volte è citato per la Sigla Rog. o più di rado col nome di Frogerius) fu scuolare di Bulgaro (38) e che insegnasse leggi si argomenta per (32) L. 1. C. Si advers. vendit (2. 28). (33) G. Si advers. vendit. — II Feudor. 53 $ 3- (34) Gloss. MS. in Auth. Sacram. puber. ap: Savigny V. IV pag. 164 e Nota 152. (35) G. 28 X de Jureiur. (2. 14) A. D. 1206 GC. 2. de Pactis in P. (1. 18 A. D. 1299. (36) Cynus in Cod. Anth. cit. w (37) Guizzardini in cit. Glossa MS. Roffredi Lectura in Cod. L. 1. cit. (MS. Paris 4546 Savigny pag. 164 e 165). (38) Azo. Lectura in C. L. 10 de donat inter vir. et uxor. 15 le glosse ed opere di lui medesimo. Era egli salito nell’ anno 1162 in fama così grande che a lui venne affidata la difesa dei Magnati di Barcellona contro il Nuncio dell’ Imperatore assistito da Bulgaro e n’ ebbe vittoria. Della patria di Rogerio molto è il contrasto fra i dotti. Una erronea lezione di Roffredo Beneventano avvenuta per lo scambio della lettera K con la lettera R fece credere infin d’ antico che Roffredo parlasse di Rogerio come Be- neventano e suo maestro, mentre parlava invece di Carlo (Ka- rolus) de Tocco: e se il Diplovatazzio conobbe quest’errore, cadde peraltro in un più grande facendo più d’ Irnerio antico Rogerio, il quale citò Martino; Bulgaro e Iacopo nelle sue glosse. Il Durante fà Rogerio di Modena . Cino di Piacenza (39). Niuna persona di glossatore diè occasione a tanti errori, quanto lui. Alcuni lo scambiarono o col Rogerio ond’è parola nella storia di Vacario, o col Rogerio di Giraldo Cambrense. I più lo hanno partito in due , l’ uno scrittore di glosse e della Somma; l’altro maestro a Roffredo. Opere di Rogerio: onde abbiamo più esatte notizie che non della vita, sono le G/osse, la Somma al Codice, certe dissertazioncelle. circa le prescrizioni, ed una collezione di controversie. 1. Le Glosse di Rogerio sono tutte contrassegnate della Sigla & e non possono per ventura riferirsi ancora a Rof- fredo , il quale ne scrisse appena una o due e in un diversissimo stile da quello di Rogerio. Spirano una sana critica del testo ed ispecie della Pisana lezione. Narra Odofredo che Rogerio fosse il primo a glossare I’ Inforziato , vale a dire (secondo il Savigny) a lavorarvi con qualch’ estensione e apparato. 2. La Somma al Codice, di che tuttora ci restano due MSS. (40) fu al dire di Odofredo la più antica delle quattro che avevansi a’tempi di lui. Opera ragguardevolissima perchè il primo lavoro sistematico in giurisprudenza onde hannosi ; come saggi, nell’ Appendice IX a questo IV volume il proemio ad alcuni titoli. 3. Delle preseri- zioni opuscoli tre , il primo dei quali espone la teoria delle pre= scrizioni , s’ intitola Compendium sive Summa de diversis prae- scriptionibus e dimostra non poca scienza legale, ma è condotto senz’ alcun’ ordine ; il secondo a dialogo ( Dialogus de praescri- ptionibus ) fra la Giurisprudenza e Rogerio, ove propongonsi controversie , merita gran lode : il terzo finalmente che presenta (39) Durant. spec. Lib. 2. Tit. de petit. et possess., Cyn. in L. 1. C. de ann. except. (40) Tubinga Bibl. Università: f. 2. 80. 86. 87. Firenze Bibl. Medic. Lau- renz. V. Bandini Catal. Vol. 4. p. 53. Cod- X 16 un catalogo delle prescrizioni ( Catalogus prescriptionum ) tanto è più incerto se veramente sia di Rogerio , al quale lo attribuì l’ editor di Magonza, in quanto che non si collega troppo agli altri due scritti. 4. La Collezione delle controversie de’più antichi glossatori / De dissensionibus dominorum (41) ) dal primo editore malamente intitolata: De quorundam veterum Juris Consultorum antinomicis sententiis e della quale si riserba a parlare il Savigny nel volume V in un cogli altri lavori di simil fatta. Questo è quanto sappiamo di vero intorno alle opere condotte da Rogerio, il quale secondo alcuni avrebbe eziandio scritto glosse ai decre- tali; opinione nata da un’errore di A. Agostino (42) che forse scambiò Rogerio col Canonista Rodoico. II. Alberico bolognese (Al, A, Alb.) anch’ egli del quartiere di Porta Ravennate fu contemporaneo di Giovanni ma più pro- vetto (43). Incontrasi nei documenti dall’A. 1165 all’A. 1194, e Odofredo lo fa scuolare di Bulgaro. Tanto fu il favore e il nu- mero che procacciossi degli uditori che dovè leggere nel pa- lazzo del Comune (44). Della sua vita restano tali memorie che non gli fanno onore: poichè sappiamo aver egli partecipato l’opi- nione di Bulgaro circa la dote profettizia e aversi poi ritenuta la dote quando sua moglie morì. Mangiava e beveva tanto vo- lentieri che ubriacato dagli scuolari spagnoli accomodò loro i suoi scritti: e chiamato in giudizio come partecipe della morte di un ragguardevole Bolognese per averla approvata ; si scusò solo di- cendo avere approvata la morte dell’ Uomo perchè suo nemico, ma non già per riconoscere come suo quel fatto e s’ appoggiò sur un testo delle Pandette (45). Scrisse Alberico 1. G/osse ( vedine i saggi nell’ Appendice X ) a varie parti del gius nostro ove citò il Decreto di Graziano e 1’ Estratto delle Novelle di Giuliano. 2. Distinzioni onde ragionammo sopra in un con quelle di Ugo. III. Aldrico o Alderico da non confondersi col testè ram- mentato Alberico, fu lettore; ma non dottore, in Bologna ove s’ incontra in parecchi instrumenti citato Magister Aldericus (46). Ugolino lo rammenta anch’ egli in un con Alberico (47) e così (41) Ed. Haubold. Lipsiae 1821. 8.° (42) Dedic in Antiq. Coll. Decret. (43) Odofred. in L. 2. G. $i contra jus. (44) Odofr- in Dig. Vet. L. 2. de fide instrum. (45) Per questi particolari della vita d’Alberico V. Odofred. in dig. Vet. Lib. 6. ff- de cond. indeb. (MS. Paris 4458). 4 (46) Sarti P. I. pag. 63. (47) Distinetiones MS, Paris 4609. N.° 53. 87 mostra l’ errore di coloro i quali fecero di queste due una sola persona . Pretendesi che egli fosse inglese, ma 1’ aver tanto partecipato ne’ pubblici affari di Bologna lo fa credere cittadino di quella patria. Fu, al dire di Gio. Bassiano e Carlo di Tocco, uomo e lettore di grandissima autorità; non s’ incontrano di lui glosse nei MSS. e perchè se ne citano soltanto le prelezioni, non pare conducesse aleuno scritto , avvegnachè il Commentario delle Novelle attribuitogli dal Diplovatazio sembri doversi col Savigny tenere per le Movae distinctiones d’ Alberico solito ad essere confuso con Aldrico. IV. Guglielmo da Cabriano (ha per sigla la W) discese da una nobile famiglia di Brescia. A lui come ad Alberico racco- mandò Stefano Tornacense (48) un ecclesiastico chiamato Ugo , lo che lo dimostra lettore non men riputato d° Alberico. Si vuole dal Sarti che quel Guglielmo da Cabriano il quale fu Arcive- scovo di Ravenna verso la fine del XII secolo siasi appunto il nostro Guglielmo. Scrisse questi 1.° Glosse , onde sono saggi nel- l Appendice XI, a più parti del gius nostro; 2.° una Somma al Digesto nuovo rammentata dal Pillio (49) e della quale perdem- mo ogni benchè menoma parte. Alcuni gli assegnano come terza opera i Casi al Codice, ma non erano; al dir d’Odofredo, sennon- chè un commento alle leggi; infine una specie di glosse dalle quali non è lecito separarle. Il Sarti lo vuole autore eziandio di Casi alle Instituzioni, ma il Savigny promette dimostrare nel Volume V che debbono riferirsi a Guglielmo figlio dell’ Aceursio. V. Oderico dei Buonconsigli o Malconsigli si rammenta nei documenti or come giudice or come dottore dall’ anno 1166 al- l’anno 1200. Ebbe a scuolare il Pillio che ne adduce le opinioni tolte dalle prelezioni e non dalle opere, perchè di queste non v'è argomento a credere che egli ne scrivesse. Da Rogerio e contemporanei si conduce il Savigny a favel- lare nel Cap. XXX del Piacentino e d° Enrico di Baila. I. Il Piacentino nacque, com’ egli narra; in Piacenza e il non esser conosciuto per altro nome che della patria lo arguisce di piccola nazione. Ha per sigla nelle glosse una P e colla me- desima lettera viene citato dagli scrittori. Ignorasi dove e quali avesse maestri. Molti lo vogliono discepolo di Martino perchè spesso ne seguita le opinioni, ma il Savigny erede più verosi- mile che fosse scuolare di Bulgaro, perchè lo cita fra gli antichi (48) Epist. 24. 25. (49) MS. Paris 4487. T. XXXVI. Ottobre. (8) 18 i glossatori e fece aggiunte a un’ opera di lui. Pare che incomin» ciasse dall’ insegnar leggi in Mantova, ove scrisse il suo libro delle Azioni. Quindi sappiamo da Roffredo e da lui stesso come insegnò a Bologna , d’ onde dovè partirsi per non soccombere ad Enrico di Baila il quale lo assalì di notte per averne burlata una opinione. Passò allora a Monpellieri; ove fondò verosimil- mente la prima scuola di gius civile che fosse in Francia. Dopo lungo soggiorno in Monpellieri ripatriò, ma non erano ancora decorsi due mesi, quando i Signori da Castello lo richiamarono a Bologna, ove con grande invidia lesse per due anni nel quar- tiere dai medesimi abitato. Scorsi due anni si ricondusse a Pia- cenza ove lo seguitò buona mano de’ suoi uditori e altri scuolari, a prece dei quali e de’suoi parenti continuò a leggere per quattro anni. Indi ritornò a Monpellieri, dove morì nell’anno 1192 (50). La prima volta che il Piacentino fu in Monpellieri scrisse una Somma prima al Codice e poi dopo alle Instituzioni. La seconda v' imprese a scrivere la Somma ai tre libri, della quale lavorò ben piccola parte. Nè molto andò che egli non cangiasse la cattedra della scuola con la episcopale, perchè eletto Vescovo , igno- rasi di qual paese , ne venne annullata l’ elezione solo perchè i voti degli elettori erano stati registrati da un notaro laico (51). Scuolari del Piacentino furono Ottone e Carlo dei quali parle- remo a suo luogo. Ebbe un figlio Alberto e un nipote Savino che fu notaio in Bologna. Gli scritti del Piacentino, onde tra- luce una smisurata vanagloria e spregio degli altri, splendono non solo di grande scienza legale, ma eziandio per la non poca cognizione dei classici latini, in ispecie poeti. È un errore che egli tenesse per illegittime le Novelle e che fosse eziandio ca- nonista , quantunque conoscesse bene e citasse il Decreto. Le opere di lui più rilevanti tratte da cattivi MSS. vennero stam- pate senza coguizione o critica da Niccolò Rodio di Kamberga . Se ne conoscono e durano per la più parte 1. le G/osse a tutte parti del gius nostro che, distratto in tanti lavori, scrisse in mi- nor numero degli altri glossatori. 2. L° Opera De varietate Actio- (50) Il sepolcro del Piacentino che stava nella Chiesa dei Carmelitani fu distrutto nella Rivoluzione. Vi si leggeva il seguente epitaffio. Petra Placentini corpus tenet hic tumulatum Sed Petra quae Christus est animam tenet in Paradiso In festo Eulaliae vir nobis tollitur iste Anno milleno ducenteno minus octo. (51) Hostien Summa in Decretal. Tit. de Election (I. 6.) $. qualiter; et in Tit. Ne Clerici (IL ult.) 19 num, della quale s’ hanno parecchie edizioni riferite dal Savigny, tutte mancanti del proemio Cum essem Mantuae esibito nell’Ap- pendice XIII, e che a torto la prolungarono per sei libri, quando il Piacentino ne scrisse i soli primi due e gli altri quattro ven- nergli attribuiti dal Rodio ; unicamente perchè nel MS. traevan dietro e trattavano della materia medesima: ma il terzo, sap- piamo da un MS., essere opera di Bulgaro ivi chiamato Bulga- rino » e tutti poi hanno un particolare proemio ; onde si scorge che ciascheduno di per.sè formava un’insieme. È ragguardevole quest’ opera, del Piacentino come tentativo di trattare il gius ro- ‘mano independentemente dall’ ordine, delle. fonti in una guisa tutta libera e originale. 3. La Somma al Codice, stampata a Magonza (a. 1536) fu dal Piacentino condotta avanti la sua Som- ma alle Instituzioni e dopo l’ Opera de varietate actionum. Ebbe tanta fama che l’ abate di un Monastero inglese la fece copiare fra le altre insigni verso la fine del secolo XII. Il Piacentino lavorò dapprima su que’ titoli da Rogerio non trattati, ma poi rilavorò su tutti di bel nuovo ,, come argomentasi dal quì ve» dersi citata la sua Somma alle Instituzioni che pur condusse posteriormente a quella prima sul Codice: opera pregevolissima e per la tanta conoscenza della materia e per la forza di men- te con che venne trattata , ma per malaventura assai mal- concia dal tempo. Vi si citano degli antichi, Virgilio, Ovidio, Persio, Sedulio e Boezio ; dei glossatori il Bocca d’oro (Bulgaro) e Rogerio; de’ propri scritti la somma alle Instituzioni, il libto delle azioni, l’aggiunta a Bulgaro , e certe altre operette, 4. La Somma alle Instituzioni che si rassomiglia molto pel modo in che venne condotta a quella sul Codice, e vi si citano Virgilio Ovidio e Lucano non che le altre opere dell’ autore. 5. La somma ai tre libri ov'è un proemio nel quale tesse il Piacentino una autobiogra- fia, fu l’ultima opera cui desse mano, giacchè non potè condurla se non al titolo 38 del libro X edivi resta in forma di frammento. Pro- seguì il Pillio, ma non finì nemmen lui , questo lavoro attribuito per errore ad Azone, 6. Le aggiunte al Bulgaro nel Commentario de Regulis Juris, delle quali si ragionò nella vita di Bulgaro, furono scritte in Monpellieri, verisimilmente, avanti le somme. 7. Opere minori da lui stesso citate come le distinzioni ; le somme de Restitutionibus, de Verborum obligationibus , Placuit in leg. Si pacto ; Versi che trattano materie di gius, un discorso de Legibus tenuto in Bologna e finalmente ideò una Summa ai Di- gesti, alla quale non pose mano, o non ce ne giunse, che sap- piasi, nessun frammento. so II. Enrico di Bayla (Sigla Y7) discese da una nobile famiglia Bolognese. Incontrasi negl’ istrumenti col titolo di dottore infin dagli anni 1169, 1170. Odofredo ce lo rappresenta come più prode cavaliere in armi, che non valente dottore in legge (52) ciò nondi- meno non sono rare le sue glosse nei MSS., delle quali è saggio nella Appendice XV. Una glossa anonima cità un libro delle Azioni che pare convenir soltanto ad Enrico di Baila. Nel Capo XXXI si narra la storia di Giovanni Bassiano , Bossiano, o Bosiano soscritto nelle glosse e citato dagli scrittori per la Sigla Jo, Jo. b ; e Job. Fu di patria Cremonese come at- testano Carlo di Tocco suo scuolare e Ponzio. Ebbe a maestio Bulgaro , e discepoli Azone , Carlo di Tocco e Niccola Furioso , il quale ne trascrisse a parola e divulgò tutte le prelezioni: visse a’ tempi del Piacentino e furono nemici. Lesse in Bologna verso la fine del XII secolo e dimorò per qualche tempo a Man- ‘tova dove eziandio scrisse opere. Fu , al dire del Pastrengo, che forse lo confuse con Alderico , scostumato , dedito alla crapula e al giuoco a segno d’ aver perduto più volte i panni ond’ era vestito ed essersi rimasto nudo. Dottore di fama grande e nelle arti peritissimo cercò di ristringere il suo pensiero in meno pa- role che potè , ragione se spesso riesce oscuro. De” suoi scritti s' hanno tuttora 1. G/osse a tutte parti de’ nostri libri giacentisi nei MSS. riferiti dal Savigny, il quale n’esibisce il solito saggio nell’ Appendice XVI. a. Za Somma alle Autentiche per alcuni erroneamente assegnata ad Azone: opera importantissima ; in quantochè condotta sopra una parte del gius nostro di rado presa ad ornare, della quale hannosi MSS. e stampe, ove senza discre- zione tutto s’ attribuisce al Bassiano quantunque sianvi alcune giunte dell’ Accursio ed ivi citisi Azone, il quale fu discepolo del Bassiano. 3. L° Albero delle Azioni di che s'hanno MSS. e stam- pe (53). Non è un proprio e vero libro ma una sommaria indi- cazione , foggiata ad albero, di tutte le azioni con certe brevi introduzioni e glosse marginali per dichiarazione della materia . Le azioni pendono dall albero come trutti e sono rar le preto- rie, 48 le civili. L'esposizione di tutta la teoria è data per via di lettere punteggiate che stanno sopra ciascheduna tabella o. frutto; ognuna delle quali lettere riferendosi ad una delle già esposte specie in che dal Bassiano sono repartite le azioni, viensi così ad avere una definizione di ciascheduna delle medesime. Quest’o- (52) Odofred. in Cod. Leg. 1. de juris et facti Ign. (53) La buona edizione è quella di Venezia 1481 fol. 2I pera ebbe lungamente! grandissima fama e molti Commentatori dal Savigny rammentati. 4: La Somma Quicumque vult cai non danno importanza se non gli errori nel. medio’ evo presi per giudicarla. Tratta di una parte del processo che l'autore aveva in animo di tutto esporre. Odofredo la volle a torto scritta apposta per combattere il Piacentino, e siccomerne parla con dispregio e la chiamò ventosa, alcuni dei moderni scrittori yi quali tutti.la reputarono per 'ùna Somma alle Pandette,.crederono che lo stesso Autore la intitolasse ventosa. Del Bassiano sono pressochè totalmente perdute le Aggiun- te ai Casi o Glosse al Codice di Guglielmo da Cabriano ; le distin- zioni ; le dispute; il commentario al titolo de ‘Regulis Juris ; le prelezioni. alle Pandette ‘e al Codice; la Somma al Codice; alle azioni e al gius feudale. A lui si attribuiscono per errore la stam- pata Somma alle Pandette che è di Ugolino ; \e un Commentario sul gius feudale d’ Auvergne che è del Bessian. Espone il Capo XXXII la vita del Pillio, insino dagli antichi tempi talvolta nominato Pillio Bagarotto per una mala lezionè del Durante, che lo fa confondere col Bagarotto che scrisse ‘del Pro- cesso. Come sigla e nelle citazioni s’‘incontra il nome del Pillio raccorciato in Pi o Py. Nacque in Medicina: contado di Bo- logna e fu discepolo di Oderico , ed è nominato, ma non co- me dottore, in un documento del 1169 in Bologna , dove inco- minciò a leggere di buon’ora. Sennonchè ‘preso tre anni dopo da urgenze pecuniarie si sarebbe condotto a Modena per cento annue marche d’argento , ove i Bolognesi di ciò notiziati non avessero astretto tutti quanti i loro lettori in legge a giurare di non insegnare altrove per due anni la giurisprudenza. Ma i Mo- danesi avendogli rinnuovata 1’ offerta con facoltà di non leggere l’ accettò ; e divenuto cittadino di Modena pare che vi leggesse come appena furono scorsi i due anni. Accaddero questi fatti circa l’anno 1182 poichè un documento modanese di detto anno esibisce il nome del Pillio. L’ ultima notizia certa della sua vita è dell’ anno 1207 quando o come giudice o come testimone ebbe parte in Bologna a un processo che probabilmente riguardò Me- dicina sua patria. Sappiamo che morta Berta sua prima moglie lasciando 1’ unica figlia Margherita ne raccolse il Pillio tutta l’e- redità quando Margherita premorì a lui : onde deducesi che avesse Alberto e Guido suoi figli maschi da un secondo matrimonio ; nell’anno 1272 s'incontra menzione di un Pillio suo nipote. Citò egli ne’ suoi scritti le Leggi Canoniche ma non fu canonista ; praticò nel foro , e nella lite suscitata ai tempi d’Enrico II d° In- ghilterra tra Balduino Arcivescovo di Cantorbery e i Monaci del 22 Chiostro. annesso alla Chiesa arcivescovile patrocinò la causa dei Monaci avanti Papa Urbano III nell’ anno 1187,, mentre Pietro Blesense assistea 1’ Arcivescovo. I suoi scritti, de’ quali tanto, si compiacque , spirano molta dialettica e aggiustatezza , e non di rado, anche nelle glosse, sono foggiati a dialogo fra esso.e la giurisprudenza. Compose 1. G/osse a tutte parti del gius nostro, come ne sono saggi nell’ Appendice XVII. 2. Questioni. 3.,Bro- carde o dispute. Le questioni e le dispute, quantunque cosa.fra loro diversissima , trovansi confuse nelle edizioni. Mirano le di- spute o la Zrocarda, specialmente alla pratica utilità :. rappresen tano .le questioni ‘casi, veri o figurati, nei quali attore e. reo espongono le loro ragioni e poi si dà la sentenza. Le questioni.o sabatine, perchè tenute in sabato , vennero scritte in Bologna; le dispute o .la &rocarda in Modena. Citò nelle questioni (che il Savigny pensa. a noi pervenute per l’.intiero e ordinate come appunto le dispose l’ Autore ) molti degli antichi glossatori , fra i quali maestro Gherardo Novarese non mai rammentato altrove. Serisse ancora in Modena , dietro la Brocarda e poco dopo l’an- no 1192, 4. Una Somma ai.tre libri, a proseguimento di quella incominciata e non finita dal Piacentino , e muove dal Lib. X. Tit..31 (de Municipibus et originariis) e finisce col. Libro. XI Tit. 61 (de fundis patrim. ) onde si restò anche questa incom- pleta. Nelle edizioni s° interpolarono alcuni titoli non suoi: così dopo il Libro XI Tit. 39 vengono quelli dal 31 al 39 che vi sono stati da altri intromessi , e sotto al titolo 61, in cui finisce l’opera del Pillio , traggon senz’ ordine somme a più titoli del X e XI Libro che non gli appartengono. 5. Dell’ordine dei giudizi. Opera assai rilevante non per la scienza ma per la storia della proce- dura, della quale una prefazione mancante nella edizione del Goblers ( Basilere 1543 ) si offre dal Savigny stampata nell’ Ap- pendice XIX. È 1’ opera divisa nei MSS., ma non poi nella edi- zione , in tre parti ; la seconda delle quali incomincia dalla con- testazione della lite ed eccezioni (della edizione pag. 36) la terza dall’ Zuramentum Calumniae. Scorgesi, pel confronto, che il Pillio inserì in questa sua opera, meno poche variazioni, la Somma Quicumque vult di Giovanni e parte d’ una dissertazioncella (54) la quale per essere stata scritta, come ivi dicesi, in Modena e a dialogo , s’ arguisce come un primo tentativo fatto dal Pillio di questa istess’opera, onde presentemente ragionasi. Citò il Pillio come sue opere, delle quali non rimane più traccia. 6. Distin- (54) MS. Paris, 4609. 23 zioni e 7. Scritti intorno il gius feudale; sul quale compose al dire di Baldo e dell’ Alvarotto glosse ed una Somma. 0'noti esistono 0 coincidono colle summentovate le seguenti opere at- tribuite al Pillio civè 1. Le Oppositiones per modum Dialogi (0s- sia la Brocarda) 2. De ordine criminali 3. De confectione ‘et porrectione Libelli (‘principio del libro De Ordine judiciorum ) 4. Pilii Bagarotti Questiones et lectura in Codicem. Più incerta e più confusa di tutte storie de’ glossatori sin quì narrate è quella che imprendesi‘a chiarire nel Capo XXXIII di Cipriano ; la cui sigla è Cy, per quindi scendere a favellare di Galgosio. i I. Nacque Cipriano in Firenze; come dice 1° Accursio suo concittadino , il quale visse non molto dopo , e si raccoglie an- cora da una glossa di Cipriano medesimo e d’ Ugolino. Fu mae- stro a Carlo di Tocco e Roffredo, com’ essi lasciarono scritto . Lesse in Bologna e fiorì verso la fine del XII secolo . Scrisse glosse a tutte parti de’ nostri libri s specialmente al Volume, è ne sono saggi nell’ Appendice XX. Citò il Decreto di Graziano e Novelle non glossate. Giovò alla critica ‘del testo ed estrasse Autentiche agli ultimi tre libri del Codice, ma nulla favorisce l’asserto che vorrebbe ricavarsi dal Villani aver cioè preceduto Cipriano all’ Accursio in raccogliere e ordinare le glosse scritte dai predecessori. Niun?altro lavoro, eccetto Closse , ascrivesi a Cipriano : vuolsi bensì che in un con Galgosio falsificasse le fonti del gius. II. Fu Galgosio di Pavia bandito per avere falsificato Costi= tuzioni Imperiali, come narra l’Accursio in L. 3 ff. de Leg. Corn. de falsis. falsità della quale accagionasi dall’ Ugolino eziandio Cipriano (cui probabilmente fu collega in Bologna) per carità della comune patria non rammentato forse dall’ Accursio. Altri che 1° Ugolino non accusò Cipriano di tanta nequizia , della quale molte ed egregie sono le riprove contro a Galgosio . Una delle costituzioni certamente falsificate da Galgosio è la seguente che fu interpolata al titolo del Codice De Bonis quae liberis. Id. AA. et CC. Inter eos qui de illicita vel. incesta pro= creatione nati sunt , nulla est successio vel hereditatis petitio nisi ab eisdem relietum vel concessum aliquo modo inter se do- ceatur. Non così certo è se egli fosse autore 3 come vuole Alberico da Rosate, anche di quello spurio secondo passo del Codice, ti- tolo de feriis, che trovasi in tutte edizioni (meno la prima Ma- guntiae 1475) e incomincia per le parole Ut in die dominico. Lui 24 pur si predica, al dir di Roffredo , fabbricatore della legge: Si servus dum in fuga est nella Lombarda. Ma il Savigny reputa legittima quella costituzione, sicchè la testimonianza di Roffre- do niente. più fornirebbe che un’ altra prova in genere della mala fama di Galgosio come falsificatore. ù, Tratta Eos XXXIV la storia di Ottone e contemporanei. I. Ottone le glosse del quale spesso occorrono con la sigla Ot nei MSS. Bolognesi ebbe patria Pavìa , maestro il Piacentino, scuolare Carlo di Tocco (55) sicchè visse e fiorì certamente nella seconda metà del XII secolo e fu certamente lettore in Bologna. Nei moderni tempi era andato quasi in totale dimenticanza; av- vegnachè non fosse conosciuto al Diplovatazio e il Panziroli lo partisse in due. Scrisse Ottone 1.° Glosse a varie parti del gius nostro e ne sono saggi nell’ Appendice XXI. 2.° Un libro de or- dine judiciario;, stampato per la prima volta ma non completa- mente in Magonza (an. 1536) e repartito in 28 Capi ove si espo- ne il sistema della procedura ,ì e il primo jviene intitolato: de edendo 1° ultimo de appellationibus. 3.° Distinzioni, quattro delle quali con la sigla Ot occorrono fra le distinzioni di Ugo. II. Lotario (Lot.) Cremonese di nobile e ricca famiglia, fu il primo dei lettori Bolognesi a giurare di non leggere altrove che in Bologna. Contemporanen ed emulo di Azone col quale eb- be nell’ anno 1191 avanti Enrico VI la contesa che gli fruttò il cavallo da altri per errore creduto da Federigo I donato a Mar- tino in preferenza di Bulgaro. Dopo la sua lettura in Bologna passò Vescovo a Vercelli, e quindi Arcivescovo di Pisa. A lui sono indiritte due Decretali, nna delle quali lo taccia di voler toglie- re agli ecclesiastici il foro privilegiato, 1’ altra di affettare, come Arcivescovo Pisano, la signoria di Cagliari in Sardegna apparte- nente alla Chiesa Romana (56). Restano di Lotario poche glosse al digesto vecchio e al Codice e ne sono saggi nell’ Appendi- ce XXII. III. Bandino Pisano cognominato Familiatus per 1’ illustre famiglia alla quale apparteneva prestò giuramento nell’ anno 1198 (55) Pilii glossa in Tit. D. quorum, bonor. MS. Paris 4487 a; pi. respon- det non est haec probatio impossibilis vel dicas impossibilis est ut probetur, vere poterit tantum probare praesuntive secundum Ot. pap. Car. de Tocco in Lombardam II. 4. 4. Otto Papiè cujus auditor extiti per multos annos dixit. Id in Lombard. II. 42. 1. quod Pla. dicebat..... et Otto pap. ejus auditor sequebatur. (56) C. 12. X. de foro compet. G. 17. X. de praeseript. 25 come lettore in Bologna. Incontrasi nei documenti bologuesi de- gli anni 1209, 1207; e 1209 sia come giudice o come testimone. Ivi morì nell’ anno 1218, e resta tuttor memoria del suo epitaf- fio (57). Non rinvenne il Savigny alcuna di lui glossa. L’ Ac- cursio , il Pillio e Odofredo lo citarono ; e dal MS. del digesto vecchio di Bandino si ricavarono varianti come vedesi in un MS. di Bamberga. a Nel Capo XXXV si descrive la vita di Burgundio Pisano. Il quale dovè nascere sul principio del XII secolo, avvegnachè viag- giasse nell’anno 1138. a Costantinopoli e vi assistesse a una di- sputa accaduta fra i preti greci e Anselmo vescovo di Havelber- ga Nuncio di Lotario II Imperatore. Nell'anno 1146 era sempre avvocato ; Giudice del Papa negli anni 1152, 1155, e 1159 e, nell’anno 1155, giudice eziandio della città di Pisa. Andò Am- basciator Pisano correndo 1’ anno 1171 a Costantinopoli , ove per- dè suo figlio Ugolino; e fu presente al concilio Lateranense del- l’anno 1179. Morì vecchissimo nell’ anno 1194 e fu sotterrato nella Chiesa di S. Paolo, ove si legge sempre il seguente suo epitaffio : Decessit senio propria Burgundius urbe : Oltre l’anzidetto Ugolino ebbe figli rammentati nei docu- menti Gaetano, Bandino , e Leone già morto nell’ anno 1186. Non lasciò opere originali, ma ne tradusse dal greco molte di vario genere dal che forse nacque la fama aver egli letto in legge e in altre arti. Tradusse pure in latino, secondo il Savigny, i più brevi luoghi greci (poichè i maggiori erano stati precedentemen+ te , signora quando, tradotti) sparsi per le Pandette come at- testa Odofredo contro Cino (58) il quale dalla sigla Bg. Pis. trasse partito di farne bello il concittadino Bergolino Pistoiese. Se tra- ducesse ancora i passi greci del codice non vi è cosa che lo di- mostri: pretesero aleuni che nelle Novelle adoperasse assai, parte per raddrizzare e compiere l’antica versione , parte per dividerla in nove collazioni: ma questa favola viene smentita persino dallo stesso Burgundio nella sua prefazione ad una Omelia di S. Gio. Crisostomo (59) ove ritiene la traduzione delle Novelle come fatta condurre parola per parola da Giustiniano medesimo. (57) Sarti P. IT. p. 196. 198, Bandinus Tuscus legum splendore coruscus In Pisa natus jacet hoc tumulo tumulatus. (58) Odofred. in Dig. Vetus L. 2. De legibus et L. 60, $. 4. D. Mandati. (59) Burgundionis Praef. hom. Chrysost. in Joannem MS. Paris 1772. T. XXXVI. Ottobre. 4 26 Nel XXXVI ed ultimo capo di questo volume narrasi final- mente la storia di Vacario e suoi contemporanei in Francia e in Inghilterra, poichè segnatamente in Inghilterra insegnò leggi Vacario 3 dal Seldeno ( perchè malamente lesse 1’ anonima crona- ca Normanna) chiamato Rogerio Vacario, e confuso ora con Ro- gerio Abate di Bec, ora con Rogerio glossatore d’ Italia. Per qual guisa poi si trapiantasse dall’ Italia in Inghilterra lo studio del gius romano viene accennato da Giovanni Sarisberiense, il quale ne dà causa alla corte di Tebaldo Arcivescovo di Cantorbery stato in Italia due volte, prima (an 1139) per ottenere il pallio ; quindi a motivo di sue contese con Enrico vescovo di Winchester. Dalle quali contese narra appunto Gervasio Dorobonense che nascessero processi e appelli come non se n’ era giammai veduti, e i libri e i dotti del gius romano , fra i quali Vacario , venissero in In- ghilterra. Dalla vita di lui sappiamo che fu Lombardo e fonda- tore in Oxford d’una scuola del gius nostro: ma Stefano Re vo- lendo sopprimerlo se ne fece consegnare i libri, e proibì a Va-' cario d’ insegnare; ordine che restò in appresso senza efficacia. Alessandro III in una sua Decretale (an. 1164) lo nomina come uno de’ due commissarii in certa causa matrimoniale; e un’ altra Decretale dello stesso Pontefice (an. 11770) sembra denotar lui co- me Canonico in quelle parole Mugistro Vicario essendochè per mala lezione se ne trovi scritto il nome ora Vacario ora Vicario. Dalla Cronaca di Roberto de Monte sappiamo che Vacario a sug- gerimento de’ suoi più poveri scolari compose un’ opera di una guisa tutta sua propria; cioè, un estratto in nove libri dei Dige- sti e del Codice da servire alla decisione di tutte le controversie solite nascere nelle scuole di gius. Della quale opera si trovano sempre quattro MSS. e dura la memoria di altri tre ma s’igno- ra se e dove esistano di presente. Il titolo originale della me- desima pare dovess’esser letto così: Liber ex universo enucleaio jure exceptus et pauperibus presertim destinatus. È, come si disse, partita 1’ opera in nove libri, i quali nell’insieme corri- spondono ai primi nove libri del codice. Ma le Sezioni (denomi- nate zitolî nel proemio , capì nel corpo dell’ opera) non corrono siccome i titoli del Codice, alcuni essendone omessi , ed altri per contrario tolti dalle Pandette o dagli altri libri del Codice. In ciascheduna sezione trovansi alla rinfusa que’ luoghi, sia del « Novellas enim Authenticas Constitutiones quas novis cotidie emergentibus casibus postea assidue graeca lingua praedictus Justinianus composuit de verbo ad verbun de gracco in latino*translatas toto orbi terrarum obediendas direxit. DA nd Codice , delle Pandette o d’ambedue, i quali a senno, dell’ an- tore contenevano l’ essenziale d’ogni particolare teoria e questo è il testo, circondato di glosse, onde o spiegarlo o compierlo , che bene spesso consistono in passi d’ altre fonti del gius non escluse le novelle; più di rado in interpetrazioni o. glosse. nel vero significato della parola. Fu quest’ opera scritta in Inghil- terra circa l’anno 1149 e destinata a tener vece di testo nelle scuole, onde gli scuolari poveri avessero in un sol. libro ciò che con grande spesa avevasi a Bologna in 5 volumi , e il corso delle lezioni fosse più breve. La scuola di Vacario e l’uso della sua opera durò anche dopo lui , e gli scuolari tolsero in Oxford no- me di Pauperistae in ricordanza di quella. Muovono dai suc- cessori del medesimo (60) quelle altre glosse aggiunte in margine dell’opera e nelle quali citansi spesso e Vacario e gli autori della scuola Bolognese, ora pel nome collettivo Bonorienses ora cia- scheduno pel nome proprio da Irnerio e Bulgaro insino al Pia- centino, non che Giovanni e Ugolino certamente posteriori a Va- cario. Ivi si cita anche Roberto , uno probabilmente de’ succes- sori di Vacario. È l’opera di Vacario preziosissima non solo co- me l’ unica traccia di una scuola inglese del romano diritto, ma principalmente per la critica del testo , in ispecie delle Pandet- te, non ancora fissato dalla recensione bolognese, nella quale allora appunto adoperavano i glossatori. Nè meno è da valutar- sene la glossa: onde ricavasi assai materiale per la storia dei do- gmi al XII secolo. Il perchè va esortando il Savigny, non la inutile edizione di tutta l’opera, ma sì d’ estratti de’varii MSS. alla medesima guisa che in parte fece il Wenck nella sua bel- l’ opera intitolata: Magister Vacharius (61). Contemporanei di Vacario de’ quali resta nome, non Dottori nè scrittori del gius nostro, ma tanto delle civili dottrine palesemente imbevuti da non doversi passare sotto silenzio sono : Giovanni Sarisberiense, nato verosimilmente intorno all’ an- no 1120 e morto Vescovo di Chartres nel 1180. Si valse in tutte le sue opere ed in ispecie nel Policratico del gius romano onde ivi adduce moltissimi luoghi con la più grande intelligenza, pre- sentandovi persino un quadro della procedura secondo il diritto (60) Di successori a Vacario si ha conferma anche da un MS, di Praga ove la lezione di lui viene opposta a quella d’ altri GC. iudubitatamente della scuola di Oxford, nella glossa al Lib. 7. Tit. de adq. possess. L. In amittenda « post hanc clausulam sc. sed si animo, statim legit vaca. hane clausulam nam constat , alii legunt secundum seriem legis. (61) Lipsiae 1820, 8.° 28 Giustinianeo che conobhe certamente per la scnola di Oxford, nella quale , com’ egli stesso narra (62) ebbe amico Vacario. Pietro Blesense mato a Blois nella prima metà del XII se- colo e morto Arcidiacono di Londra nel 1200. Fu discepolo di Giovanni Sarisberiense e recossi a Bologna per meglio appren- dervi il gius nostro , del quale usò molte frasi nella ottava delle sue lettere , e nella sesta loda le dispute che se ne tenevano in corte dell’Arcivescovo Cantorberiense , ma che nella lettera 151 mostra di non aver troppo approfondito. E finalmente Silvestro Giraldo o Giraldo Cambrense nato in Inghilterra nell’ anno 1146 , il quale studiò gius romano e ca- nonico in Parigi sotto Matteo Andegavense che lo designò per suo successore , ma non lesse sennonchè il decreto. Cagionò la scuola di Vacario in Inghilterra grandissima ri- valità infra i legisti e gli artisti i quali dolevansi che per le leggi si spregiassero le arti come narrano Merlaco e lo stesso Giraldo. In quei medesimi tempi (ignorasi se per effetto della scuola di Vacario) s° introdusse anche in Irlanda il romano diritto e inco- minciò a sopraffare il diritto locale. In Francia poi d’ una scuola a questi tempi di gius romano altro non si conosce che quel po- co già detto in parlare di Giraldo e della scuola aperta in Mon- pellieri dal Piacentino, dovendosi riguardare come favola nata da.nn fatto insignificante, seppur vero, che Pietro Bailardo (Abe- lardo) fosse dotto eziandio nelle leggi Romane (63). Con le notizie intorno ai glossatori del XII secolo racchiuse in questo quarto volume ha termine quanto sin’ ora venne dal Savigny dato in luce della sua istoria del romano diritto nel me- dio evo (64). E qui mi credo in obbligo di fare una solenne scusa ai nostri lettori. Hanno di fatti alcuni i quali pensano dovere chi nei giornali scrive delle opere de’ valenti scrittori soltanto trat- (62) Policratiens L. 8. C. 22. v. Wenck p. 30. (63) Accurs. in L. 5. G. fin. regund. Odofred. ibid. In lege .ista sicut in- venitur scriptum per Dominum Jo. Sive per Ni. Furiosum qui scripsit post eum fuit deceptus quidam qui magnus philosophus putabatur, et dicitur quod fuit quidam gui vocabatur Magister Petrus Bajardi....- et valde deridebat legistas , et jactabat se quod nulla lex esset in corpore juris quantumeumque esset dif- ficilis in litera, quin in ea poneret et casum et de ea traheret sanum intellectum, Unde una die fuit sibi ostensa a quodam ista lex, et tune ipse dixit: nescio quid velit dicere ista lex : unde derisus fuit. (64) Il presente articolo venne da me scritto nel passato novembre 1828, quando non era stato ancor pubblicato il V volume di questa Istoria che or mi è grato annunziare come venuto in luce ai primi del mese di luglio prossi- mo passato. 29 tenersi a religiosamente esporre il sistema e le Brandi idee filo- sofiche che vi campeggiano per entro ; e rinviare 1 lettori al te- sto delle medesime per conoscerne in tutte le particolarità le ri- cerche filologiche. È quindi assai probabile che ai medesimi possa sembrare aver io mal consigliatamente fatto continuando, a, fa vellare, secondo il Savigny, anche delle vite ed opere dei Glossa- tori: massime poi perchè nelle istorie delle, nostre università, nel- l’ altra del Tiraboschi e più specialmente in quella.che dei chia- rissimi professori Bolognesi scrissero il Sarti e il Fattorini può sempre trovarsi il corpo delle notizie intorno ai famosi legisti del medio evo. Sennonchè ad operare il contrario mi persuadeva il pensiero d’ essere il testo scritto in estranio idioma e non comu- ne ai più ; parlarsi ne’ giornali a molti che senza farne partico- lare studio amano conoscere aleun che di cosiffatte cose : i quali non certo s’ indurrebbero ad instituire le ricerche loro per entro a tante e sì voluminose opere di vario genere. quante, trattano di questa materia. E finalmente non mi era lecito senza nota di pigrizia o trascuraggine dire così alla breve e non mostrar col fatto, come la tanta diligenza del Savigny nell’ attingere a MSS. inediti ed obbliati lo abbia qualificato a presentarci nuove e pe- regrine notizie intorno alla vita e le opere de’ glossatori , senza le quali, eziandio dai nostri filosofi giureconsulti, meno facilmente verrebbesi a capo della sincera istoria dei dogmi e delle opinio- nì in romana giurisprudenza degli andati tempi. Laonde io spe- ro, che della mia fatica troverò grazia presso tutti coloro , alle modeste ‘orecchie de’ quali non è discaro quell’ oraziano : indo- cti. discant , ament meminisse periti. Avv. P. CaprI. Lettere su’costumi e sugli instituti dell'America Settentrio- nale di Ixnus Fenimor-CooPrR. Due son le cose impossibili a celarsi in fatto di pa» tria ; la pronunzia in chi parla, e l’amore in chi ne scrive. Indi nelle Lettere enunciate, comunque fosse piaciuto al- l’Autore di fingerle scritte da un europeo, chi legge scer- ne subito che le scrisse un americano. Ogni argomento pe- riodo e frase olezza tanto di patria carità da non far esi- tare un solo istante a decidere, che nazionale e non stra- 30 niero fu lo scrittore. Nè perciò vuolsi dar biasimo a Coo- per. Molto anzi estimiamo chiunque landa, ed anche un po’ troppo , il paese: proprio, purchè non ereda di meglio Jandarlo appigliandosi al mezzo di vituperare l'altrui, co- me è perpetuo e favorito tenore degli oltramontani con l’Italia nostra. Il patriotismo è l'amor proprio delle /na- zioni, ed è un istinto in ogni nazione. Celebra il Beduino il suo deserto, ed il Tuarico il gran Saharah, come il To- scano salmeggia e benedice la sua terra beata. Non ci paia strano agnogos se Covper vanti forse più del dovere tutto ciò che è dell’America Settentrionale. Ei pare inoltre che queste Lettere fossero composte e pubblicate onde notificare all’ Europa la specie di trionfo, con cui gli Stati Uniti accolsero ed onorarono il generale Lafayette nel 1824. Se mal non ci apponemmo a divinar- ne Jo scopo, esso è nobilissimo. Presso le genti tutti i carri triunfali furono o sono ornati di spoglie opime, di re o capitani prigioni, d’ insanguinati simboli insomma di danni schiavitù e morte ad altri uomini; e perciò spetta- colo quanto caro, al volgo altrettanto doglioso al filosofo ed.al filantropo. Ma quivi bello anche pel filantropo e pel filosofo è :l trofeo di una nazione redenta dal servaggio. Bello è ancora a vedere Ja testimonianza della gratitudine popolare‘ ad un nomo cooperatore al massimo de’ benefici fattibili ad un popolo. Nell’ antica età Washington Fran- klin e Lafayette avrebbero impetrato l’apoteosi, come Te- seo Romolo ed altri; che non altrimenti sanno , e credono essere abbastanza grati gli uomini a’loro eonditori civili , quando il progresso intellettivo non peranco intiepidi cuore e fantasia, se non alzandoli fra’ numi. Ma se lo sviluppo dello spirito umano allorchè i tre liberatori americani com- parvero sulla scena del mondo, non era età poetica a pro- curar loro un’ara, non perciò ne sarà men eterna la me- moria, L’istoria e. la tradizione, vigili custodi de' fatti egregi, non mai oblieranno il più egregio de’ fatti; la re- denzione di un, popolo. In trecento anni l’ America fu due volte un Mondo Nuovo. Colombo con. ardire andacissimo e sovraumano , 31 sforzando l'Oceano a rivelargli i suoi misteri , completò la notizia della creazione con la scoperta di un nuovo mondo fisico. Oggi è essa un Mondo Nuovo” nell'ordine morale. Da mezzo secolo in quà vi si vide una straordi- naria e quasi ;inconcepibile metamorfosi. Ben si leggono invero in ogni pagina dei tempi alte vicende di signoria e sudditanza fra le nazioni; ben vi si scorge il dito di Chi dettava l’ eterna legge della compensazione, facendo per mano dei conquistatori la vendetta delle genti vinte sulle vincitrici ; ben ogni pagina è insanguinata da guerre e battaglie. Ma certo son prime, o almen non giunse a noi la notizia di quelle cui sien seconde s le belle gesta di popoli, che cosparti oltremare dall’ uno all’ altro polo, emersero in meno di dieci lustri dal doppio baratro della Colonia e della schiavitù, al doppio fastigio della libertà e dell’aztocrazia (1). Ciò vedemmo noi nell’età nostra, vera età di portenti. Un nuovo ordine nasce tutt’intero alla meta suprema dell’uman genere. Un Italico, conquas- sò in Eurvpa le caduche reliquie vetustissime ; e tale evento va avvenendo in Oriente, che ridando agli Eu- ropei la chiave d’ Asia, riaprirà la terra madre patria dell’uomo e del sapere primitivo alla civiltà moderna. Sennonchè gli eventi umani son cose naturali e non prodigi; e le Americhe alzandosi ad imperi fecero quel che dovean fare per legge del corso eterno delle genti, ‘Tutte corsero e correranno pe’medesimi stadi. Tutte vanno a guarirsi in un regime semplice e severo , allorchè sen- tonsi infistolite e cangrenate da ordini mortiferi. Nel quale regime , larghissimo di salute , rapidissimamente prosperan- do, e man mano rallentando i freni delle virtù, sbrigliate inoltre le ambizioni con l’ aumento delle ricchezze, vanno poi a rifugiarsi sotto un potente che imbrigli tutti gli al. tri potenti perturbatori ; finchè in ultimo il potere, che ognor avido famelico ed insazievole , radduce con l’intem- peranza sua le cose al punto in cui uopo è incominciar da capo. Imperocchè è natora di taluni reggimenti quella (1) Potenza propria. de d’essere feconda creatrice di dovizie ed opulenze ; come è natura di taluni altri il corrompere e distruggere ogni opu- lenza e dovizia, Indi è nell’ essenza delle cose stesse che i governi i più mutuamente avversi ed inconciliabili, sieno mutuamente causa ed effetto ; gli uni col crear le ric- chezze operatrici d’ozio e corruzione, solo elemento in cui possan vivere gli altri ; e questi, che tutto consumando e distruggendo , fanno nella miseria o riforhire le virtù. ne- cessarie o scoppiar la disperazione a ricostituirsi in quelli. Con ciò gli americani uniti, i quali comunque nella pri- ma adoloscenza loro, vanno intanto rapidissimamente ar- ricchendosi ( come vedremo or ora), stanno avvertiti dagli esempi di tutti i popoli sul fato che può flagellare la loro posterità. Cooper vede negli odierni modi di pensare de’ suoi connazionali il Palladio eterno delle libertà americane, Però cangiano i popoli, al pari degli individui, il loro pen- siero in ragion degli anni o de’ bisogni o degli affetti; ed un dì anche Atene e Roma pensavano come oggi pensano Filadelfia e Baltimora. Assai più che affidarsi al pensare odierno vuolsi provvedere con espedienti idonei perchè sempre così pensino que’popoli. Nè noi sapremmo indagar- ne altro mezzo potente, se non quello che addenta nelle sue radici la soverchia accumulazione delle ricchezze in poche mani , causa di tutti i disastri pubblici presso ogni popolo. Togli la straordinaria opulenza a Pisistrato a Dio- nisio a Pompeo a Cesare a Lorenzo Mediceo, e immanti- nenti, nonchè non essere oppressori, non saranno essì nemmen sospetti alla libertà della loro patria. Fa d’al- tra banda Svizzero Rotschild , e il vedrai subito pria Lan- damano perpetuo , e poi perpetuare nella sua prole 1° au- torità suprema. Le leggi impedienti la straordinaria inequa- lità delle fortune sono i soli aromi valevoli a preservar gli Stati liberi dalla corruzione, e perciò dal dispotismo. Con esse tagliansi i nervi alle ambizioni smisurate e funeste ; poichè con esse non possono esservi nè miserabili pleheacci pronti sempre a vendersi al primo offerente , nè strariechi potenti a comprarli per fautori. Aggiungeremo anzi che le 33 leggi istesse, mentrechè sono barriera insuperabile ad uswi- par la signoria della repubblica , sono anche veicoli uni» versali di virtù republicane, facendo propaginarne le ra- dici in ogni individuo mercè il possesso e de’beni e de’be- nefici che la società piocura a tutti. Le passioni de’tempi fecero, e tuttavia fanno, chiamar «despota un uomo straor- dinario alzato al trono sullo scudo della vittoria. E in- tanto dava egli un codice in cui una perenne levge agraria ad ogni morte di padre, abitua ed educa i cittadini a quell’ eguaglianza in famiglia, che è il vero elemento d’ogni uguaglianza sì civile come politica. In tal modo la legge corregge in ogni generazione il natural talento del. l’uomo; questi accumula; e quella livella. Adunque gli americani debbono seriamente provvedere perchè nella loro sì rigogliusa opulenza non sia essa smisuratamente accu- mulata in pochi. Così facendo eviteranno di incorrere e la sorte di tutte le repubbliche antiche, e il periglio pub- blico in cui è l'Inghilterra sol perchè tutto il suolo del Reame appartiene a sei mila individui , nel mentre ven- tidue milioni di cittadini stanno in aria, Così facendo ac- coppieranno alla prudenza civile la giustizia e l’ umanità mirando all’ agiatezza di cadaun membro dello stato. Così facendo infine realizzeranno quell’ utilità universa, fine su- premo d’ ogni società ed unico antidoto a’ veleni che na- turalmente si ingenerano ne’ corpi sociali. Sul quale gran principio legislativo se v’ ha cosa che ne stupisca , è sol quella di udirne celebrato Bentham come inventore an- che da’ politici italiani, mel mentre è invenzione tntta italiana e non recente. G. B. Vico il professava già da un secolo come primo ed unico cardine d’ ogni dritto istinti- vo o pattuito; di che è evidenza nell’ opera a tale uopo scritta circa 11 solo principio e fine‘del dritto universale (2). Enunciammo forse troppo sentenziosamente la rapi- (2) .-. . est iustitia quantum utilitates dirigit et exaeguat , quae est unum universi juris principium , unusque finis + Vedi il $. XLIHI,° del libro De Universi Juris principio et fine uno. == Neapoli MDCCXX. T. XXXVI, Ottobre. 9 34 dissima prosperità crescente degli Stati Uniti perchè i let- tori, i quali vogliono oggi argomenti e non sentenze, non si appaghino di una semplice enunciazione. Perciò andre- mo dietro le tracce del nostro autore volgendo. lo :isguar- do su’ varii elementi naturali civili e politici di quel Po- tentato. Incominceremo dal primo e cardine elemento d'ogni imperio ; dalla popolazione. La quale mentre che non am- montava quasi a due milioni d’abitatori, allorquando quelle colonie salivano mezzo secolo fa a prender posto fra gli imperii, ammonta oggi a dodici milioni d’ anime. Laonde in cinquanta anni, che anzi in meno sottraendone quelli della guerra non breve per emanciparsi, si sestuplicò quel populo. Prodigioso aumento avvenuto sì per la prolificazio- ne là invigorita dalla pace e dalla libertà, come per le maggiori migrazioni d’individui e famiglie dalla travagliata Europa ad una terra libera e queta. Quì un serio pensiere sorge naturalmente a pertur- bar la mente del contemplatore. L’ uomo fuggire quel suolo natio di cui per istinto non mai è nè mai può es- sere dimentichevole? Ciò intanto non è che un fatto pur troppo innegabile. Noi vedemmo molti redenti dalla cat- tività quando lord Exmouth fiaccò le corna al feroce ti- ranno algerino , rispatriare e ritornarsene in Algieri!!! sol perchè esperimentarono minor quiete e minori mezzi di vita nella propria patria che nella terra della schiavitù! Gli stimoli inoltre all’ europee migrazioni, sien volontarie o sien coatte, son tuttora, e saranno Dio sa per quanto , permanenti nello stato di crise e transizione in cui si con- velle 1’ Europa. Ed ei fora tempo che gli europei reggi- tori aprissero alla fine gli vecchi sull’annua perenne per- dita che la madre patria patisce ne’ migliori capitali che passano oltremare ; in ingegni cioè , in abilità d’ industrie, e nell’ avere che porta seco chiunque migra. Nè è ciò ver- tigine di spirto, bensì calcolo di porre e la propria esi- stenza e il proprio asse in sicuità dall’ arbitrio. Pare in- fatti destino di quella regione transatlantica il popolarsi con coloro che la intolleranza e la persecuzione bandisco- 35 no dalla terra natia; a documentare il quale ‘asserto non fa duopo rammentar la nota istoria delle prime colonie là stabilite. L'America adunque proseguirà per amendue i versi popolatori a popolarsi ; per la prolifica ilibertà cioè , che giovaneggia nella prima gagliardia della fecondità sua, e per le migrazioni. Nè è vano profetare l’ asserire che gli Stati Uniti saranno in men di un secolo popolosi di circa cento. milioni d’ uomini”, se il moltiplico futuro andrà co- me (andò il passato. Al che concorrono. come potentissime idoneità; la fertilità e l’ ampiezza del suolo. Due milioni di miglia quadre sono spazio bastevole a dare albergo a ducento milioni d’abitatori; e la terra vergine non sfrut- tata pel riposo di tanti secoli, è ferace da tanto ‘a pro- durre alimento più che bastevole. pel suddetto. mumero d’uomini. In somma l’Urione, che oggi è popolosa quanto la monarchia prussiana, ha un territorio uguale a’due terzi di quello dell’ Europa. Indi può e deve un giorno avere una popolazione uguale all’ enropea. Fra’ dodici milioni degli abitatori attuali contansi.un milione e centomila schiavi. Questo ceto pare in un po- polo libero ciò che è-l’ assurdo in un teorema di nitore mattematico 5 ed è a dir vero una macchia che quel go- verno deve cancellare dal suo corpo politico. La qual cosa non tarderà ad avvenire per natura istessa di que’politici istituti. Sparta Atene Roma e tutte le ‘antiche repubbliche. erano ‘insordidate dall’ elemento della schiavitù ne’loro or- dini, perchè la libertà antica non altro era che un privi- legio municipico delle famiglie appartenenti alla città. Ma la libertà odierna, sorta costituita e protetta dalle scienze più specolative, monchè messa in pratica dalla religione col domma della perfetta uguaglianza di tutti innanzi al Nume, ha le sue radici nelle idee e ne’ diritti naturali d’ogni uomo. Con ciò la sua teorica non può non trarsi die- tro la pratica universale ; e le republiche americane deb- bono per necessità mondarsi di quella Jordura. Due terzi di quel milione di schiavi sono negri afri- cani o delle Antille. Laonde gli Stati Uniti non hanno nem- men l’ombra di quel timore e periglio, che aver deggiono 36 con ogni ragione le repubbliche del rimanente d'America; nelle quali il numero esorbitante de’negri potrehbe rinnovar l esempio di S. Domingo contro a’ bianchi .. Nell’ Unione questi son deeupli di quelli, e perciò sicurissimi da rivolia e massacro di un colore per man dell’ altro .. Leggiamo inoltre con piacere in Cooper. che la razza nera, la quale nulla non patisce nell'essere traspiantata alle provincie equatoriali dell’ America trovandovi un clima quasi simile al natio in Africa, inferma poi ed isterilisce nelle lati» tudini per lei.sì fredde fra il Missuri e il S, Lorenzo. E in ultimo ne. gode l’ animo veggendo anche là, come ovun: que, condannato l'immenso delitto, di cui per tanti se- coli furono ree 'tutte le nazioni ed innocente la sola Ita- lia : la tratta de’negri ; empia nefarietà , della quale non saprebbe dirsi se maggiore fosse il forfatto sì divino come umano , oppur l’imprevidenza funestissima nel ripopolar quella terra esterminata con gente africana inconciliabile con l’europea. Il testè citato fatto di Haiti è un gran do> cumento del gran periglio che corsero e tuttavia corrono le Americhe centrale e meridionale; ed uopo è dire che quel massacro è non già delitto ma giustizia ne’ negri. Nella vendetta di una schiavitù, qual'è quella che gli uomini a pelle bianca imposero a’ loro fratelli a nera epidermide , i popoli non hanno tribunali. Tornando ora alla popolazione dell’ America federale vi è una considerazione la quale potrebbe far fallire tutti i computi sull’ aumento futuro. La febbre gialla è un con- tagio endemico di quel continente, come la peste di Egitto e quella di Giava il sono dell’ Africa e dell’ Asia. Cooper ne assicura che questo inorbo non è ivi sì feroce e letale come nel Messico , o qual più volte si è mostro in Euro- pa. E ne gode l’animo in wlirlo. Senonchè ameremmo meglio che ne avesse detto se la statistica med:ca della sua patria tenne ben dietrò al morbo istesso; se progredì esso , oppure se retrogradò, e mercè i presi provvedimenti, e mercè la purificazione dell’aria dopo la bonifica o coltura delle terre , e mercè quel naturale attennamento infine d’ogni contagio dopo lo stadio della ferocia sua. Ameremmo 37 inoltre che ne avesse detto se:mai i fisici americani) ben si apponessero ad indagare se la pestilenza in subietto , la quale non inferocisce che sulle coste del mare , si inge- neri sulle navi che fanno la infame eratta de’iiseri negri, oppur provenga dalle naturali condizioni di que' littorali transatlantici; se è oppur nò contagiosa e, comnnicativa col contatto ; nonchè tutti gli altri punti ancor controversi in Europa circa la peste suddetta. :E. vuolsi che il gover- no dell’Unione vi provegga con ogni studio calore ed as siduità, onde iaddarsi ad ‘iestirparne 0 almen menomarne le cause; se ‘un tal flagello è locale de’ lidice non del conti- nente. Gli stati seggono sull’ Oceano e vivono col commer+ cio. Perciò è una grave ragion di stato-l’ attendere a pur» gare di tanta lue i limiti marittimi, ne’\quali gli americani uniti sono e deggiono essere in comunione co» commercianti delle altre nazioni del ylobo. Hob 109 Ciò cadde molto all'uopo per servir di annello i cenno sul commercio di quell’ imperio : Il carico dell'annuale emissione è di un milione e mezzo di tonnellate. Quello dell’ Inghilterra è di due ‘milioni ‘e cinquecentomila. Quì è agevolissima opera l’istituire un confronto 'fra'commercii de’ due potentati; e i confronti son i mezzi più idonei a far pervenire prestissimamente la verità ‘alle’ menti. Il carico inglese è all’americano come 25 1115. Ma-essendo la popo- lazione della potenza brittannica ( comprese le colonie ).(*) più che quintupla. di quella dell’ Unione, ba perciò più del quintuplo maggiore il numero de’produttori di valori e capitali Siisaserziabiti: Perlochè stando te due-nazioni in mezzi produttivi come 60 : 12 ed‘in prodotti come 25:19 è chiaro che la bilancia è in favore degli americani, Di. videndo i sessanta milioni di sudditi inglesi per i due mi lioni e mezzo di tonnellate brittanniche, e i-dodici milioni d’americani uniti pel milione e mezzo di tonnellate ameri- cane, avremo che ad ogni tonnellata di quest’ ultimo con- corrono otto. americani, e che ad ogni iuna di quella vo» glionsi ventiquattro inglesi. Ogni americano adunque pro- duce il.triplo di cadauno inulese, (*) Vedi Ja mota alla fine dell’ articolo. 385 Gli americani inoltre superarono gli inglesi e nel tem- po e ne’ mezzi occorsi per salire a questo grado di produzio- ne e commercio. La vera prosperità dell’ [Inghilterra non incominciò che dalla radicale medela del 1688 . Quella degli Stati Uniti dalla medela ‘assai più radicale di mezzo secolo fa. Laonde i secondi fecero in cinquanta anni quel che la prima ebbe agio di fare in cencinquanta. Tutti sanno oltreaciò che la Gran Brettagna fu debitrice della colossale sua nautica mercantile al cognito, e forse troppo celèbrato; atto di navigazione. Gli Stati Uniti, abbotrendò un ‘espe diente sì egoistico, ne adottarono altro e ben diverso, per» chè largo generoso filantropico, quanto esclusivo gretto m0- nopolisticò era quello della già sua Metropoli. Videro:dun- que e vollero il perfezionamento nonchè la superiorità della loro nautica, sol nella piena e libera gara emulazione e con- correnza con quella delle altre nazioni. Il bel mezzo . pre- scelto corrispose al disegnato fine, perchè quelle cose son più utili per noi che son le più giuste per tutti. I vantaggi «che man mano acquistarono nelle costruzioni navali, nella pratica del mare, nell’economia del noleggio sulle navi proprie, nella nautica insomma, che mentre arricchisce lo stato dà lavoro e pane a tanti cittadini, sono innegabilmente dimostri dalla tavoletta seguente, la quale metterà in evi- _ denza il progressivo aumento del loro commercio nautico. CARICO CENERALE TONNELLATE IMBARCATE DELLE TONNELLATE SOVRA NAVI EsTERE 606,000 252,000 611,000 84,000 70,000 Sarà lieve opera per ognuno lo scorgere che in. trenta anni, mentre-l’annno:carico progredi come 606 : 880, l’au- mento poi del naviglio nazionale fu come 70: 252. Il. po- polo deli’ Unione è insomma quello che oggi possiede in grado più eminente l’ esercizio del genio marittimo, Ristiamo quì un istante col filologo contemplatore delle 39 vicende delle genti. Nella quale contemplazione non si po- trà non convenire nel fatto che il commercio al pari d’ogni altra opera o beneficio dell’ umanità (3) mosse sempre sul Globo dall’ Oriente all’ Occidente nelle fasi de’ varii popoli civili. Primi nautici nell’ istoria a noi pervenuta veggiamo i fenicii ; quindi i greci; in seguito i cartaginesi ; i romani furono i primi ed i soli, che col loro volere e braccio di ferro vollero una nautica bellica sdegnando la mercantile e il commercio , e l’ ebbero per isradicar Cartagine ; il che dimostra la non fatuità del disegno di colui, il quale in modo simile intendeva a debellar la Cartagine moderna. Ciò fu nell’ era antica. Nella nuova l’energia della civiltà rin- comincia il circolo del suo corso pur movendo dall’Oriente, e con essa il commercio e la navigazione. Gli arabi inon- dano tutta la zona nordica d'Africa co’ loro sciami, e con le loro flotte coprono il Mediterraneo. Più tardi gli, ita- lici rivindicano la signoria del mare e la tengonu per tutto il medio evo; lungo tempo in cui non v'era nonchè nave ma nemmen barca , che non appartenesse ad Amalfi o Pisa o Genova o Venezia. Posteriormente , e successivi gli uni agli altri, fiorirono in nautica commerciale i portoghesi gli olandesi gli inglesi. Oggi questi ultimi sono in iscadimento incipiente , essendoghè incomportevole è il prezzo del no- lesgio sovra navi brittanniche per essere troppo alto lo sti- pendio del mariniere inglese ; e gli Americani uniti già pog- giano , se non ancor salirono , al fastigio della marineria. Senonchè vanissima erudizione fora questa memoria senza la meditativa considerazione, che nelle floride epoche dei ‘prefati popoli sincrona , ove più ove men larga invero ma sempre compagna , tu scorgi la libertà all’ opulenza ed alla floridezza ; del pari che tu scorgi poi subito disparire ogni floridezza ed opulenza non appena, pel reo volgere de’tem- pi o pel corso delle cose umane, fu la libertà spenta dal dispotismo. Più non veggonsi nemunen le reliquie de’ Fe- (3) Si rammenti il cortese lettore che adopriamo il linguaggio di G. B. Vico, denominando filologia la scienza che investiga il certo delle cose umane , ed umanità 1 incivilimento delle nazioni: 40 nici al sorgere che fece la potenza del Gran Re in Asia, La Grecia pure quasi sparisce dall’ istoria al comparirvi che fa il conquistatore Macedone. La prepotenza di Roma rase tutta l’opera del commercio cartaginese, dalla \rieca Cipro alla ricchissima Betica, E gli italici del medio evo... Ma lungi anche l’ alito di un gemito vile. L’ istoria è no- ta, e severa giudicatrice non mai indivisa dalla morale , non assolve le sventure meritate con la perdita. delle virtù. Però tornando ai mezzi navali dell’ America federale, dopo. aver parlato della sua nautica mercantile , vuolsi dir qualche parola della militare. Durante la guerra per l’eman- cipazione le navi belliche di quelle colonie che voleano erigersi e si eressero in potentato , non furono se non ba- stimenti ‘cominerciali, armati e messi in corseggio ' per dan- neggiare il commercio inglese. Gli americani insomma fe- cero! ciò che vedemmo fare da’Greci con tanto eroismo, Il quale stato di marineria incipiente o provvisoria continuò anche dopo ja pace, non permettendo l’erario di un impe- rio nuovissimo e povero grandi dispendii per grandi costru- zioni ed armamenti. Ma incominciò quindi a sentirsi il bi- sogno di un naviglio nelle ostilità insorte pria con la re- pubblica francese sul finire del secole decorso, e poi con le reggenze africane verso i principii del corrente. Ciò non pertanto le navi maggiori finallora costrutte non erano che le così dette fregate. Infine la rottura con l'Inghilterra nel 1812 fece più che mai provar la necessità di un’ ar- mata che fosse da tanto a tutelare la navigazione e il com- mercio di uno stato cui è vita il commercio e la naviga- zione. Al quale acuto stimolo arroggi l’altro acutissimo del- l’inerudito genere di guerra marittima, che venne con altri immani delitti a lordare l'età nostra. Imperocchè mentre da un pezzo il progresso de’ lumi e della mutua flantropia fra’ popoli avea sforzato il dritto delle genti quasi a pat- tuire, che le nazioni si facessero mutuamente il maggior bene possibile in pace, ed in guerra il minor possibile male, ecco tutt’ insieme la patria di Newton!!! adotta un tenvre bellico di cui vergognerebbero e fremerebbero 4i pur i più incomposti e ferini secoli selvaggi. Tenore or- rendo, appo cui son quasi virtù gli instituti de'Zaparajoti e de’ Flibustieri! Tenore nefario, di cui se vuolsi la mi- sura, non si ha che porre mente agli sforzi di sofismi abbi- sognati a Walter Scott, non già per assolverlo , bensì per escusarlo (4). Non guerra nautica infatti si vide, ma pi rateria ; e più che pirateria, nefarietà. Poco era la rapina perpetua alle vele più pacifiche e neutrali; vi si aggiun- gea l’atrocità di arderle o colarle a fondo, Poco era la fe- rocia ne’ combattimenti sull’onde fra navi o pari o im- pari in forze ; si correva a sbramarne l’ estremo infellonire su’ lidi trucidando fin i miserabili pescatori, ed ardendo i loro più miserabili abituri. A cotanta nefandigia il ne- fando ingegno costrinse a cooperare pur le scienze benefi- che, inventando maggiori mezzi di incendio e distruzione ne’ razzi congrevesi e ne'brulotti. Per venti anni in somma non altro si vide se non se sul mare l’ esempio de’ galeoni spagnoli rapinati in piena pace , e sulle coste l' altro esem- pio di Copenaghen , anch’ essa in piena pace bombardata ed arsa; nè uopo è ridire come, e per man di chi, Washin- gton cadesse in cenere nel 1814. Quella guerra adunque , ed il genere d’una guerra sì violatrice d’ ogni civiltà e religione, fece che gli Stati Uniti si rivolgessero con calore ad aumentare l’armata, D' allora si vide man mano la stellata bandiera (5) sven- tolare su’ vascelli ed altre navi di fila, costruite in dimen- sioni maggiori e meglio intese di quelle delle costruzioni europee. Oggi fe forze navali americane sommano a qua- ranta vele d’alto bordo, oltre a quelle di minore armatura; e sia effetto delle già dette maggiori misure , sia perchè meglio maneggevoli e veleggiatrici quelle navi , il certo è che a numero pari gli inglesi istessi soccombono ne’com- battimenti. Dalle cose di guerra passiamo intanto a quelle di pa- ce. Delle quali la prima e la più meritevole ad. essere (4) V. Walter Scott — Vita di Napoleone. (5) La bandiera dell’Unione ha tante stelle quanti sono gli Stati Uniti. T. XXXVI. Ottobre. 6 42 contemplata è a parer nostro sempre l’ istruzione. Ed a parer nostro ancora due sono i modi di erudir gli uomini ed incivilirli ; la religione cioè, che è la dottrina del cuore, e la dottrina che è la religione dell'intelletto. Religione e scienza sono una sola cosa. Il divino autore del Vangelo non .d’ altro titolo si onorava , se non di quello di maestro, nè altro ne assumeano i suoi primi fedeli che quello di discepoli ; e la chiesa specificò col vocabolo dottrina (dot- trina cristiana) gli insegnamenti, ossieno i precetti suoi. Il governo degli Stati Uniti è il solo, che lasci lar- go e liberissimo a cadauno l’ insegnamento religioso , perchè è il solo , che non abbia ‘la così detta religione dello Stato, Ed era infatti quasi impossibil cosa che ne avesse una per due potentissime ragioni. Popolate quelle provincie nel gran fervore della riforma, hanno in più o meno ineguale numero genti professatrici ditutte e le tan- te comunioni in cui fu allora scisso il cristianesmo lati- no. Indi Cattolici, Luterani , Calvinisti, Protestanti, An- glicani, Evangelici , Unitarii, Anabattisti, Moravi, Quac- queri. ec. ec. ec. Ma forse più che questa moltiplicità di culti, fu ostacolo al riconoscimento di un culto predomi- nante la periodica elezione de' presidenti della republica ; i quali potendo essere di qualche setta diversa dalla reli- gione dello stato, ove la legge ne avesse adottata una, avreb- bero per necessità dovuto farsi o apostati della propria, o ippocriti nell’altrui. In tanto contrasto di interessi e rischi gravissimi, due erano gli espedienti cui poteva appigliarsi l’ autorità suprema ; o quello cioè di rinnovar l’ esempio di Roma antica col panteismo assoluto , che dava cittadi- nanza romana a tutti i numi della terra ; oppur V’altro di tacersi circa un «objetto sì momentoso , e di lasciar libero ognuno nel santuario sì esteriore del proprio tempio, co- me interiore della propria coscienza. Non v'ua alcerto chi uegar vorrebbe o potrebbe l’ altissima utilità dell’ unità re- ligiosa in un imperio ; poichè allora si evita il massimo de’ flagelli , l'intolleranza, e si ha un convenuto linguag- gio comune negli interessi i più gelosi sacri e venerandi che vi sien fra gli uomini. Ma quando gli accidenti nel- 3 l'origine d’una società civile sono quali furon diet del- l America federale, ossia di dover organizzare in corpo sociale membri di fede diversa, in tal caso la ragion di stato e la prudenza civile comandano o il panteismo, o il silenzio nella legge. Il primo è una pubblica professione d’ indifferenza ; l’altro è un tacito assentimento di tolle- ranza ; e non v’è quì duopo a ridire quanto mai sia pre- feribile nel ministro della legge il silenzio al parlare so- vra cose alle quali non giunge l’azione della legge istessa. Questo mezzo fu prescelto saggiamente negli Stati Uniti. Quivi adunque ognun provvede alla quiete della sua anima, e il magistrato lascia in piena e assoluta libertà chicchessia sul modo di provvedervi, comunque egli voglia adorare Iddio, Così avvenendo vi è una mutua tolleranza fra il governo e i governati. Liberissimi, e non molestati questi sul culto e nella coscienza propria, rispettano la co- scienza e il culto di colui che è al timone di. quello. Il presidente Adams era unitario ; ed a malgrado che appar- tenesse alla comunione la men stimata e la più ristretta in numero di credenti a fronte delle altre, amministrò ciò non ostante con generale rispetto e sodisfazione l’altissimo ufficio suo. Che deriverà da questo pansettismo americano? Niuno può profetarlo perchè il futuro ripiega e addoppia i suoi veli a tutte le più acute previsioni d’uomo. È solamente lecito congetturare ; ed una delle congetture più probabili è quel- la, che fra tante sette mutuamente affratellate dalla società e dalla tolleranza in un medesimo imperio , i punti eter- ni ed essenzialissimi, ne’quali tutti gli uomini sempre più converranno con fede convincimento e penetrazione, sono un Dio Supremo e l'immortalità dell’anima come dogmi , e la morale evangelica per precetto di norma; i tre gran- di principii d'ogni bontà miglioria e perfezione umana. Mezzo di sì alti principii a sì alto fine è l’istruzio- ne, come quella che adegua alle virtù del cuore le virtù della mente, sviluppandole con efficacia -ed influenza re- ciproca. Volgasi adunque uno sguardo all’insegnamento . Dice Cooper che nella sua patria non v'è casa, fosse an- Ti; che quella della più misera famiglia, in cui non sì veg- ga lo scaffale de’ libri. Lo che è certamente grande. testi- monianza di lettura, e perciò di erudimento. A_noi però parrebbe più sicura prova il censo di coloro che sauno leggere, potendo que’ libri in ogni casa essere anche se- gno, che in cadauna famiglia un solo sappia leggere e leg- ga. La esatta notizia statistica insomma del numero degli americani istruiti in lettura e scrittura, si fa desiderare nel- l’opera che abbiamo per le mani. Sappiamo per altro mez- zo, che un tal numero pareggia al quarto della popolazio» ne in alcune di quelle repubblichette. Ed è natura del corso «ordinario delle cose che esso si aumenti ; nè teme» remo di asserire , che nella generazione immediata all’at- tuale ascenderà al medio fra il terzo e la metà. Imperoc- chè tutti que’ fanciulli della quarta parte oggi, istruita in lettura e scrittura, vorranno certamente, allorchè saranno genitori , che tutti i figli loro sappian leggere e scrivere, È questo un fatto costante ovunque. Ove un villico agiato faccia educare uno de’ snoi figliuoli alle dottrine, mentre ehè poi sol impara agli altri l’arte propria, l’ addottrinato non imita l’esempio del padre suo allorchè è padre anche esso, ma fa addottrinare non già un solo, bensì tutti i suoi figli. Se tale e tanto superiore a quella delle provincie eu- ropee le più progredite in erudimento popolare, è l' istra- zione primaria negli Stati Uniti , l’ insegnamento sublime dal canto suo, a detto dell’istesso Cooper, molto indie- treggia appo il grado scientifico dell’ Europa. All’infuori delle teoriche nautiche, nelle quali (dice il nostro autore, e noi gli crediamo ) che i suoi compatriotti sono assai più dotti degli inglesi e de’ fiancesi, tutto il rimanente delle dottrine e scienze , sì esatte e sì esperimentali, vi è tut- tavia giovinetto, Ma il ramo poi in cui sono ancora infanti (e forse farebbero ottimamente a restar sempre tali) è l’eru- dizione classica. Quasi potrebbe dirsi che i due testamenti biblici sono i soli libri dell’ ant:chità ivi cogniti. Pochis- simi sanno che vi tu al mondo un Omero, un Virgilio , un Orazio ; e fosse al ciel piaciuto che così pure lo aves- 45 sero ignorato gli italiani nell’infanzia e adolescenza del risorgimento ; perchè costretti allora. a rinventare intera- mente le arti e le lettere, a quel modo che tutt’intera do- vettero rinventare e ricrear pittara e musica non avendo brano alcuno delle antiche, sarebbero stati affatto moderni nazionali e originalissimi nelle arti. e lettere tutte, quali il furono in musica e pittura, Del quale asserto se vuolsi scorgere evidente il vero e l’importanza, non si ha che a notare, come lo stesso ingegno terribile e potentissimo dell’ Alighieri traviò dalla sua somma vena inventiva alla imitazion ed all’ anacronismo di nomi esseri ed imaginì del tartaro mitologico nell’ Inferno de?’ cristiani. E poichè ne cadde sotto la penna un tal tema incidentale, noteremo come le masse popolari nel concepimento di quelle fanta- sie ed opinioni, che son la materia sulla quale poi Javo- rano preti e pittori, sono intanto assai più inventrici ed originali de’ maggiori artisti. Infatti nelle volgari idee dei popoli cristiani sulla sede de’ cruciati eterni non Cerbero, non Caronte, non Minosse, non Flegetonte, non Dite, non Stige, non Pluto, ec. ec. nulla insomma che rimem- bri l'antico e l'altrui, ma ogni cosa viè nuova e prop:ia. Notisi inoltre come lo stesso Dante è ineguale, e quanto ei giganteggia là ove è dipintore tutto cristiano, a fronte de’ quadri ne’ quali discese ad essere mitologo. Del che lun- ga serie avremmo di comparazioni, se ci obliassimo ad oltraggiare i nostri lettori, nel voler loro ricordare i va- rii luoghi di un libro, che oggi è imparato a mente da tutti. Sol accenneremo a rapido documento del dire, come e quanto la discesa dell’ Angelo (6), e la bolgia di pe- (6) E già venia su per le torbide onde Un fracasso di un suon pien di spavento , Per cui tremavano amendue le sponde ; Non altrimenti fatto che di un vento Impetuoso per gli avversi ardori,, Che fier la selva senza alcun rattento , Li rami schianta abbatte e porta j fiori, Dinanzi polveroso va superbo , E fa fuggir le fiere ed i pastori. Inferno Canto IX. 46 ce (7) ; ele arche roventi, ec. sono non già descrizioni nè pitture , bensì realità ‘viventi appo le imagini improntate dall’ erudizione mitologica. Conchiuderemo adunque che lo stesso Dante cessava d’essere quell’immenso artista che era, non appena chiudea il libro popolare delle genti moderne per istudiare in quello delle antiche; e non temeremo di asserire che immensamente vantaggio in nuova e nazionale originalità avrebbero avuto le arti e le lettere del risorgi- mento, se niun raggio delle greco-latine non trapassava agli ingegni risorgenti per mezzo delle tenebre del medio evo. Forse il risorgere fora stato più lento e più tardo; ma ciò nulla montava. Giovava anzi che le tante bellez- ze dell'ingegno antico ne venissero a notizia sol quando fosse scorsa l’ età della creazione nuova , ossia il periodo della nazionale fantasia moderna. Così avvenendo, sarem- mo tanto più ricchi di invenzioni nostre quanto più po- veri di imitazioni altroi, L’ erudita manìa insomma del Petrarca e de’suoi tempi avria dovuto prenderne non in quel secolo creatore e fecondissimo , bensì nell’ eunuco 17.9 secolo. Così avvenendo, la poesia non avrebbe anfanato fino ad ier l’ altro con nomi del Parnaso o dell’ Olimpo, che ‘nulla non dicevano nè alla mente nè al cuore. Così avvenendo, la favella patria non perdea tutte quelle pos- sibili bellezze e dovizie che perdè sol] perchè, i potenti a più abbellirla nonchè arricchirla, si addarono con furore a saper scrivere in latino o in greco ; e in generale il ri- sorgimento non sarebbe stato nè traviato nè, diremo an- che , isterilito dalla funestissima inconseguenza, che scien- ze dottrine lettere ed arti parlassero, mon già al popolo nel suo idioma, ma solo a pochi eruditi in lingue e cose morte. (7) Io vedea lei, ma non vedeva in essa Fuor che le bolle, che il bollor levava, E gonfiar tutta‘, e risieder compressa. Inferno Canto XXI- E Graffiacan , che gli era più di contra Gli arroncigliò le impogolate chiome, E trassel su, che mi parve una lontra. Inferno idem. 4 Non: dolsansi adunque gli americani d? essere idol tissimi in letteratura classica; ‘Gioiscano; anche \d’esservi pochissimi fra loro:i quali sappiano; che visse un tale Ari- stotele, col di cui frasario delirò la poderosa ragione.risore gente de” moderni popoli fino. al Galilei. E preservili infine Iddio dalla peste intellettuale delle fantasticherie ideologi- che. Sul quale argomento ne condonino i nostri gentili lettori altro breve digredire; e i metafisici, di cui tutt'am- mirando l’acuità dell’ ingegno non sappiam scernere l’utile de’ trovati , vengano in soccorso. del nostro. .corto. intel letto, se esso è tuttavia intenebrato da’dubbii sulla scien- za in subietto ; dubbii che tutti quelli studii de’quali era- vamo potenti, sono stati impotenti a dileguare. Ciò pre- messo potrem parlare con franco ardire. Veruno più di noi non si atterrisce in contemplando l*immenso progresso che lo spirito umano fece. nella in- dagine del Vero e del Certo. Osserva quello della matte- matica da Pitagora a Lagrangia; o dell’astronomia da.Anas- sagora e Ipparco a Galileo e Neuton ; 0 della nautica dalle triremi antiche a’ vascelli odierni, vere città ambulanti sull’ onde con tutti gli ordini le arti e le scienze della ci- viltà attuale ; o dell’ ottica, o della meccanica, o della chimica, o della statistica, o della geografia, o della fi- sica, la quale già pervenne a strappare al cielo il suo ful- mine , come tosto o tardi perverrà a strappare anche alla terra il suo fulmine sotterraneo (8). Osserva inoltre nelle dottrine morali già universalmente nota quell’ Etica , un dì lucida sol nell’ intelletto di Socrate; e popolari ormai quelle teoriche politiche ingerminate , non ne’ privilegi di famiglie e città come le antiche, bensì ne’dritti naturali d’ogni uomo . Osserva insomma lo sviluppo e l’ aumento di tutte le discipline positive, perchè o applicate o appli- cabili a’ vantaggi e degl’ individui e della società. Ma dal fantastico Platone al più. fantastico Cousin che: veggiam noi nella metafisica ontologica e ideologica ?. Una perpe- tua fluttuazione e irrequietezza, un perpetuo salto ‘e ‘tra- (3) Frase di Plinio per indicare la causa del tremuoto. 48 scorrimento da incertitudini in incertitudini , da tenebrie in tenebrie, da astrusità in astrusità , da assurdi in assurdi infine e in una parola. Da due mila e più anni questa scienza, o direm meglio inscienza, va ognora in cerca de’suoi elementi, e non perarco li rinviene. Le sue scoperte 0 in- venzioni non furono che voci vacue; le entelechie d' Ari- stotele per esempio; e le monadi del Leibnizio ; e le cause occasionali del Mallebranche ; e le categorie o quiddità di non so chi; e le forme subiettive o obiettive di Kant; e.i fenomenali ‘oygi di Cousin ; e tanti altri paroloni mutis- simi , che nulla inon dicono nè alla mente nè al cuore. Che ove altri ripugni a menarci buona l’opinione sul- 1’ incertezza e. falsità di teoriche sì tenebrose > Tomysap- piamo chi potrebbe 0 vorrebbe farsi campivne contro alla inutilità loro, Avremmo noi infatti migliori facoltà men- tali ove alfin si trionfasse nel cimento impossibile di sa- pere che cosa è la mente umana? O saremmo più memo- riosi se sapessimo ciò che finora ignoriamo e ignorerem sempre; se cioè la memoria è una percezione prolungata o riprodotta 0 ridesta, o che sappiam noi ? Punto. I nume- ri intellettivi continuerebbero quali sono, come non me- glio si genererebbero. nomini , se alfine si scoprisse l’ ar- cano della generazione .. Ma poco fora l’ inutile se non vi fosse il danno; e il danno è il gelo del dubbio gitta- to nel cuor dell’uomo circa la coscienza de’ suoi sensi più istintivi, e fin. di sè medesmo. Invano è egli conscio a sè stesso del suo libero. arbitrio : invano ha egli 1’ evidenza fisica di un mondo fuori di sè ; invano ha il consolatore istinto di sperar in meglio sia in questa esistenza sia in un’ altra ; la presunta scienza. viene ad avvilirlo a’ suoi propri occhi dicendogli'“ tu che ti credi libero non sei che un’ automata ; o ad atterrirlo col dirgli ‘* tu sei solo fra le cose, e l’ universo di cui ti credi parte non è che un tuo sogno ,, o infine a disperarlo mostrandogli il de- serto del nulla là ove la natura del suo cuore gli fa ve- dere un Eden, e gli ispira a farsi degno di gioirvi. Pur, dica il vero Kant e Berkley, o il dicano Lucrezio e Spi- noza; che mai guadagnerebbe 1 uomo sì individuo e sì 49 sociale, sì fisico e sì morale? In che migliorerebbe esso? Quali nuove utilità o nuovi piaceri acquisterebbe ? O quali eviterebbe antichi dolori, antichi nocumenti ? Ove più fora l'eterno pungolo, l’ eterna molla umana, la speranza? E senza essa, chi più avanzerebbe in quella tendenza alla miglioria ed alla perfezione, che, fatto innegabile nel- l’ istoria di tutti i tempi e di tutti i luoghi , addita essere irresistibile natura e dell’uomo e delle senti? Che se vo- gliansi ammettere taluni terribili misteri, guai ove mente umana che vi pervenisse li rivelasse all’ uman genere. Ella rinnoverebbe la maledizione pel violato divieto circa il po- mo dell'albero del bene e del male ; maledizione, a detto del filosofo ipponese (9), fulminata in sublime allegoria a’ violatori dell’ altissima dottrina di saper non sapere. Che se a questi argomenti apodittici (a priori) sul- 1’ inutilità e sul danno delle elucubrazioni metafisiche vo- gliansi poi aggiugnere quelli desunti da’ fatti , l'evidenza scintillerà sempre più lucida, ove mai più lucida potesse essere. Parleremmo noi de’ mali che ne verrebbero all’arte di Stato 2 Ma la Repubblica di Platone è lì bella e pronta per dirli ; e pare che non per altro fosse trapassata a’ po- steri, se non per avvertire in eterno gli uomini del caos in cui un ideologo dissolverebbe nonchè i governi più forti e meglio ordinati, anche ogni società umana, tostochè quel delirante Greco credè possibile una umana società con le don- ne comuni!! Parleremmo noi della sua inutilità e de’suoi davni a tutti gli altri rami del Vero e del Bello? Ma non da tali fantasticherie zampillarono quelle opere, che dir non sa- presti se più onorano o beneficano l’umanità. Non la stampa verbigrazia ; non la waccina; non la febbrifuga corteccia ; non la circolazione del sangue che gli oltremontani usur- parono al nostro Cesalpini; non la bussola di cui gli esteri sono anche invidiosi al nostro Flavio Gioia; non in som- ma neppur un obolo di quel bilione di ricchezze create e (9) Vedi De Civitate Dei. T. XXXVI. Ottobre. 7 DA 50 prodotte in Europa da pensatori ed operatori tutt’ altro che ideologici (10). O parleremo infine di que’miracoli. d’in- gegni che son la pruova parlante del soffio divino ispirato nell’ uomo 2 Senonchè Colombo ignorava perfino il nome di un tal delirio scientifico; ma non perciò ebbe minor mole di mente a divinare un altro mondo, e d’animo ad impelagarsi nell’Oceano incognito per rinvenirlo. E la igno- ravan pure Pietro il grande e Napoleone , i due che dopo Colombo furono i più forti in mente animo e volontà nel risorgiùento , ossia nell’ incivilimento , moderno. Supponi in ultimo ideologi Omero Dante Ariosto Raffaello Miche- langelo ec. Addio subito l’Iliade, la Divina Commedia , il Furioso, la Trasfigurazione, il Giudizio e il Moisè ec. ec. Che non sapremmo imaginare un contagio il quale più del delirio suddetto impolmonisca il cuore, primo ed unico fonte d’ ogni Bello d’ ogni Vero. I cortesi lettori saranno indulgenti al nostro troppo digredire in grazia dell’ utilità cui il mirammo. Imperoc- chè ne parve debito l’ esporre piena e tutta la nostra idea sulla scienza o înscienza in discorso, vedendone abbagliata la gioventù per quelle allettative seducenti e poetiche che sulle teste imaginose ha ogni cosa la quale abbia dell’oscuro e del misterioso. Però ne riconforta il pensiero che gli spi- riti italiani non mai furono terreni idonei ad allignarvi e propaginarsi tali astruse speculazioni. E infatti ad ec- cezione di Leonardo Bruno , che delirò pur esso con cate- (10) V. Antologia N.° 99. Articolo sull’ Atlante di Adriano Balbi. == Av- vertiamo il lettore che nell’articolo sommammo a 500 mila milioni tutti i ca- pitali europei che possono computarsi argomentandoli dalla rendita. Or siccome .uopo è ancora computarvi un’ infinità d’ altri capitali non solamente improdut- tivi ma che anzi hanno bisogno di ristauri, come per esempio i Tempii, le Chiese, i Conventi , le Strade , i Ponti, le Dighe , i Porti, i Canali, le Reggie , i Pa- lagi o Case municipali , gli Acquedotti, le Fontane, ogni genere di monumenti ed ornamenti pubblici , le Ville; pubbliche , le Università , i Collegi, i luoghi di pii Istituti , le Carceri, le Fortezze , ec. ec. così, dovendo aggiugnere tutti i capitali, occorsi per ergere e mantenere queste cose, alla produzione in gene- rale di tutte le ricchezze europee, non temeremo di sbaglio facendo ammontare ad un bilione ! ossia a dieci volte cento mila milioni, tutta l’europea creazione !! - 5I gorie e quiddità , véranio altro italiano non corse dietro alla metafisica trascendente ; ed è ciò una pruova di più della maggiore solidità e rettitudine razionale delle menti ita- liche. Eccoci ora di ritorno al subietto. La coltura americana, adunque è in ragione inversa dell’ europea ; ossia che mentre qui è massima l'istruzione scientifica e minima la popolare ; là è minima la prima e massima la seconda. Primo edifizio ad ergersi in ogni vil- laggio che si imprenda a fondar di pianta è la scuola ; quindi la chiesa. Ogni parrocchia, comunque incipiente o meschina ella fosse ; lia la sua scuola di leggere scrivere abbaco e catechismo, Ognuno de’ ventitre Stati, o provin- cie della repubblica , 0 direm meglio repubblichetta della Confederazione ; ha poi il suo liceo. E infine 1’ Unione conta sette Università e dodici grandi Collegi. Le dottrine meglio possedute ed applicate son quelle della medicina e della chirurgia. Dice Cooper che ciò av- viene perchè i più de’ giovani medici e chirurgi vengono a perfezionarsi nelle Università e negli Ospedali d’ Europa dopo aver finiti gli studi in America. Dice pure che la giurisprudenza vi è monda e di quel dritto romano, che co- tanto ha travagliato nonchè tuttavia travaglia la moderna società enropea con l’ immenso anacronismo fra le leggi antiche e le cose moderne, e di quel dedalo d’ interpe- trazioni autorità e consuetudini settarie delle curie nell’in- telligenza o applicazione del dritto , che in quasi tutti i Fori d’ Europa volgono giureconsulti e magistrati in veri rabali. Molto amano gli Americani , in ciò non tralignati da- gli Inglesi loro progenitori, le gazzette. Il nostro Autore non sa precisarne il numero ; opina però che esse oltre- passino quello di ottocento, e ne deduce grande argomento in favore dell’ istruzione della sua patria. A noi pare che prendere la maggiore o minor copia de’ diari come assoluto e sicuro indice metrico del vario erudimento popolare , è un principio che patisca, se non qualche errore , almeno qualche eccezione. Le due Austrie , che son le provincie 9 n 52 E i europee nelle quali il popolo è il più istruito in lettura e scrittura, sono intanto le più povere in giornali . Tale altra provincia poi , in cui forse nemmen la vigesima parte degli abitatori sa leggere, ebbe ad ‘un tratto trenta o qua- ranta fogli quotidiani in un momento felice. All’ abbon- danza o nullità della stampa, quotidiana o periodica, con- corrono assai più della lettura popolare altre cause, e tut- :’ altro che popolari. Delle quali non è qui luogo a di- scorrere. Sol diremo che circa la sì celebrata o temuta in- fluenza de’ fogli pubblici (fiera disputa di cui son subietto) nullo è il danno , essendo ‘essi effetto e non causa della pubblica opinione ; e che due soli sono i benefici che pro- ducono ; stimolo cioè a leggere o udire per curiosità di sa- per ciò che si passa altrove, ed abito di retto giudicare col ben conoscere i fatti. Cooper ‘aggiunge che ben diversamente delle gazzette francesi ed inglesi son discretissime le americane nel par- lar del governo e delle persone. La quale discretezza , co- munque laudevolissima , non cessa per altro d’ essere un naturale effetto di quell’ ordine di cose. Non vi è opposi- zione là ove non son minacciate le libertà pubbliche; e quando gli scrittori non sono concitati nè da minacce nè da prepotenze, mal si raccomanderebbero a’ lettori loro irruendo in calunrie e contumelie senza motivo, Ma non avremmo voluto udire da un libero americano che “ bia- »» simevole è l’ uso ( de’ giornali ) di render conto intero », € preciso d° ogni sessione de’ tribunali ,,; e molto più ne spiacquero le frasi ‘° che ciò non ad altro serve se non »» a fornire un alimento alla curiosità del pubblico avida ;;s di scandalo ec. ,,. Ad escusar l’ Autore siam tentati a credere, che egli così parlasse non per conto proprio, bensì fingendo che così dicesse il viaggiatore europeo da cui sup- pone seritte le sue lettere. Sia intanto che vwuolsi; non possiam far che passi senza critica una sì funesta opinio- ne. E siccome è sempre malagevolissima cosa il difendere le cause cattive , così vedi quanto contorto e sofistico è il raziocinio lambiccato per legittimarla “ essere , cioè, 53 ,» cosa crudele il pensare, che la stessa assoluzione dell’in- ,» colpato rammenti al pubblico che fu accusato un’ in- ,, nocente ,,, Noi diremo dal canto nostro che la grande ed unica Egida della rettitudine della giustizia e dell'in- nocenza è sì nel Giurì come nella pubblicità de’ giudizii criminali. Se adunque indispensabile ed immensamente vantaggioso è che la giudicatura avvenga al cospetto del pubblico di quella città in cui-siede il consesso giudiziario, qual male vi è che le gazzette vi facciano in un certo modo quasi presenziale tutta la nazione? Ritornando alla letteratura americana diremo franca- mente il nostro avviso, e valga esso ciò che potrà valere. Il Messico, il Perù, forse anche il Brasile, hanno un immenso fondo di poesie e istorie nazionali, perchè hanno il loro medio evo ; poetico archivio di subietti e tradizioni presso tutti i popoli che hanno antica esistenza e antiche memu- rie. Lì inoltre sono ad ogni passo i movumenti di gene- razioni e gesta decorse, che confusamente rammentando qualche cosa alla popolare tradizione e fantasia , scaldano quella de’poeti, e danno loro ottima somunessa a ricamarvi ogni soprapposta (11). Vedi infatti Omero Virgilio Dante Ariosto Tasso Shackespear quasi non crear nulla , e sol poetare ornando quel che le genti già sapeano o credeano, 1 Messicani e Peruviani adunque hanno gran materia poe- tica e mirabile nelle memorie istoriche o tradizionali circa le età degli Asteki e degli Inca , la floridezza l’ opulenza gli instituti le religioni gli oracoli i culti e i fatti de’loro imperi. Ma tutta nuova nuovissima è l’ Unione ; e sorse adulta ed armata tutt’insieme come Minerva dal capo di Giove. Quando vi giunsero i primi coloni non vi erauo che foreste o deserti, e appena qualche nomada tribù di sel- vaggi. La sua lingua oltreaciò è l’ inglese ; favella che già ebbe il suo bel secolo in Inghilterra , e non pare che possa averne in America un secondo che fosse ferace in lettere (11) Con più color sommesse e soprapposte Non fer mai drappo . ... Dante. Inferno Canto XVII. 54 e poesia. Non è almeno a cognizione nostra che lo stesso popolo ‘abbia avuto due età di gioventù e di imaginazio- ne , indispensabili condizioni per le poesie e le lettere, Il suo medio evo infine è l’ inglese. Bene invero vi furon genti che trassero gran partito poetico dalle memorie degli avi loro , comunque questi avessero altra patria e altro po- tentato ; i Romani verbigrazia da’ Troiani. Senonchè glo- riosa per Roma era l’ origine da Troia ; laddove quella de- gli Stati Uniti rammenta sempre la colonia ; con ciò non nazionalita, non quella boria propria che tutte le nazioni hanno e debbono avere per produrre grandi poesie; non memorie infine nazionalmente care e superbitive. A parer nostro insomma l’unica cosa ‘che potranno avere ed avran- no gli Americani Uniti, sarà ‘un’ ottima istoria dell’eman- cipazione loro; unica impresa nazionale di cui, memori sempre con gloria ed orgoglio , saranno ottimi artisti. Il secreto del!e arti non è più un secreto ; il loro germe è nel cucre e non già nello spirito. Di che larga prova è il fatto costante presso i popoli tutti che i maggiori prodigi d’arte si videro circa i subietti religiosi ; in quelli cioè pe’ quali è maggiore il caldo e la fede del cuore. Dopo essi vengono i gloriosi eventi patrii, perchè sempre e ovun- que l’uomo arde di patria carità men di quel che ei tema o speri ne Numi. Uno sguardo sulle opere d’ingegno ebrai- che greche latine e italiche ; uno sguardo sulle opere di un istesso artista, sulla Trasfigurazione comparata alla Scuola d’Atene per esempio, 0 sul Moisè in confronto del Bacco , volge in assioma evidente il nostro asserto. Del rimanente non ripeteremo con que’facitori di sistemi pera il mondo anzichè il nostro raziocinio ; ed in grazia delle let- tere fucciam voti al che Cooper e Washington Irwing, let- terati oltreatlantici de’ quali la fama e le opere passarono in Europa , sieno i precursori d’ inclita letteratura ame- ricana . D'altra banda avvisiamo che gli Americani hanno tutti i numeri necessari a progredire immensamente nelle disci- pline morali razionali ed esperimentative. La mancanza della loro età di fantasia sarà compensata da lunghissima 55 età d’intelletto. Straordinario inoltre sarà il progresso loro nella vita domestica civile e politica, essendo non già au- dace profezia bensì dimostrata certezza il divinare il futuro dallo stato presente sorto dietr» a sì breve passato, In men di mezzo secolo 1’ Unione realizzò que’ passi immensi fa- voleggiati da Omero pingendo Nettuno, che al quarto in- cesso toccava i termini della terra. E infatti sono appena cinque lustri che la stellata bandiera imprese a comparire sventolando in Europa ; oggi sventola a Canton ed al Giap- pone agli ultimi termini dell’ Asia , sua terra antipoda. Il suo territorio di sole 200 mila miglia quadre quando gemeva colonia, già pareggia a’ due terzi della superficie europea. La sua popolazione si è sestuplicata; e con essa in pari proporzione crebbero l’ agricoltura in quel già selvaggio e selvoso suolo , le arti , le industrie , l’ agiatezza , l’ erudi- mento popolare, e ogni altro beneficio della civiltà, Ma i prodigi maggiori e rapidissimi fur visti in quelle opere che mentre sono effetti dell’ incivilimento ne divengono in- fluentissime cause propagatrici ; le carreggiate cioè ed i ca- nali. Oggi puossi andare in cocchio o in barca dal Canadà alle Floride sul lido del golfo messicano, e dalle Ande all’ Atlantico. Que’fiumi immensi furono dall’ uomo sog- giogati con ponti mirabili , de’ quali il più mirabile e ve- ramente immenso è quello di Columbia sul Susquennah lungo un miglio intero. Non men prodigiosi per entità e pel tempo occorso all’ uopo son» i canali da venti anni in qua scavati o che si van scavando. Quello detto del- 1’ Ovest, per eccellenza denominato il gran Canale , assai superiore al meglio che in tal genere di opere seppesi fare in Europa, non cede in merito in difficoltà superate e in grandezza che al solo gran canale della Cina , il massimo fra tali lavori umani. Due altri, sbuccanti uno dal lago Eriè e dal Champlain l’ altro, congiungonsi là ove il fin- me Mohawsk si marita con l’ Hudson , e formano una quin- tupla accanalatura , la quale da un centro comune inter- seca e benefica molte vaste provincie intersori. Ve ne è un altro che si sta aprendo per congiungere l’Ériè con l’Ohio; 56 e questo poichè sarà compiuto darà navigazione mediter- ranea da Nuova York a Nuova Orleans. È L’ uomo ha invero ogni ragione di superbire allorchè Giove, come dice Omero , non gli dimezza l’ essere, ossia non gli toglie la libertà in pena d’ averne perdute le virtù. Ed in fatti l’omerica sentenza è letteralmente verificata dagli schiavi, i quali non paiono, ma in realtà sono uo- mini mutilati in membra fisiche e facoltà morali appo i liberi. Non alcerto vi fu una seconda creazione umana ; l’uomo è qual fu sempre di nervi carne esangue ; e in- tanto ove sono que’ Tirii e Cartaginesi sì ricchi e formi- dabili in mare? Ove que’ Sanniti e que’ Romani, già più che uomini sulla terra ? Senonchè inestinguibile è il fuoco sacro dal Creatore acceso nella sua creatura migliore. Ove esso appaia spento talvolta, non è già spento ma latente come nel selce , e riscintilla più vivo e candente all’ attri- to, Son cinquanta anni soli che languiano deboli e op- pressi que’coloni transatlantici. Oggi sono sì operosi ener- gici agiati , aggiugneremo anche sì felici. Tanta metamor- fosi non fu se non perchè vollero risorgere e risorsero ; vollero la libertà , e la ebbero. Ma guai a chi la cimenti per velleità/ Ei vuolsi volontà fortissima ed aspri sudori per meritarla. Quanto più giusta e prodiga largitrice della fortuna, altrettanto è di essa più volubile con chi non appena incominci a farsene indegno. A questa Dea severa , ma beneficentissima con i degni d’ ergerle un’ ara, deggiono gli Americani uniti la pro- sperità loro sì rapida in brevissimo passato , e sì speran- zosa nel futuro. Ad essa deggiono la fratellevole concordia interiore non ostante la diversità delle opinioni religiose ; e la pace domestica ; e l’ abbondanza de’ mezzi di vivere, frutto della piena facoltà che ha ognuno d° industriarsi co- me meglio gli aggrada ; e l’ inesistenza degli eserciti per- manenti , che fanno il doppio male, d’essere onerosi a’cit- tadini produttori, mentrechè ne diminuiscono il miglior numero co’ giovani annualmente chiamati alle bandiere ; e l'economia del governo; e l’ amministrazione pubblica 97 infine sì provvida diligente e ben ordinata, A giudicar della quale basterà un picciol cenno di confronto fra il debito americano e l’ europeo. Questo va dappertutio ognor più crescendo comunque già incomportevole (12); nè sapreb- besi neppur dal paligico più antiveggente scorgere dn mezzo di fine ‘o di rimedio che non faccia abbrividire; laddove quello, che nel 1813 era di 120 milioni di dollari ( 700 milioni di lire) è oggi di 50 milioni, e sarà interamente estinto nel 1834. Molto fu seritto pro e contra sul debito pubblico. L’ amministrazione e l’ arte di Stato antica nol conosce- va 5; e ne’ grandi bisogni improvvisi o imprevisti si facea capo sia al pubblico tesoro , a tal’uopo accumulato e cu- stodito ne’ tempii , sia a’ tributi straordinari. Ignoto e inu- sitato era anche ne’ potentati moderni. Ma prima ad intro- durlo fu l'Inghilterra come è noto pel fallimento avvenuto nel 14.9 secolo con la banca Peruzzi ed altri capitalisti fiorentini. L'esempio inglese fu una peste man mano co- municata a tutta Europa; ed oggi , all’ infuori del Gran Ducato Toscano e della Repubblica Sammarinese , non vi è imperio che non sia immensamente indebitato. Però il britannico è quello che eccedè ogni misura :-e ciò che è più terribile a pensare è quella, che io non so se mi dica, impolitica o dilapidazione di cotanto indebitarsi , precisa- mente nel tempo della sua maggiore fortuna, Niuno ignora che 1’ Inghilterra corse straordinariamente la via della flo- ridezza e dell’ opulenza da men di un secolo in qua. Or mentre ogni ragion di stato e d’economia imponeva di pro- fittare di cotanta ricchezza onde ed esonerarsi da’ debiti antichi e porre in serbo un tesoro nazionale , fu visto anzi il contrario, e non ad altro impiegare quel credito, che ba chiunque è oltremodo ricco, se non a sopraccaricarsi di debiti nuovi e immensi. Indi è chiaro nelle menti di tutti l'argomento seguente circa l’ erario britannico, Se cotanta ruina pubblica fu ingenerata ed ingigantita nello (12) V. il Quadro Statistico di Adriano Balbi. Antologia N.° 99. T XXXVI. Ottobre. 8 58, stadio della maggiore pubblica fortuna , come è egli mai possibile di ripararvi quando. non sì larghi sono i favori della cieca divinità? Il. pafiiciigio economico e politico circa il debito pit blico è che a’ grandi bisogni nelle urgenze nazionali con- corrano anche le generazioni future, non essendo giusto che la sola generazione presente sia schiacciata da’tributi , mentrechè è travagliata dalle cause e necessità pubbliche per le quali si ricorre al prestito. Il lettore ‘andrà appli- cando da sè solo un tal principio all’ immenso debito pu- blico europeo , per scorgere se giusto e legittimo fu e il motivo e l’ uso dell’incalcolabile copia di denaro. impre- stato e sciupato. Ma legittimo e santissimo fu sì l’uso co- me il motivo ve’nascenti Stati Uniti. Voleasi un denaro che non si avea per acquistare il possesso di una cosa che ha valore infinito ; voleasi denaro insomma per comperarsi la libertà. Indi era santissima opera e provvidenza che an- che i posteri, i quali godrebbero i maggiori beneficii della libertà suddetta , concorressero a pagarne il prezzo. Non lasceremo l’ America, che tanto piacevolmente percorremmo col libro di Cooper in mano, senza visitar seco lui il Monte Vernon. Quivi è tumulato Washington. Una semplice tomba a volta scavata nel pendio del colle; con picciolo ingresso, e ammonticellata con sovrapposto ter- reno ombreggiato da cedri ; ecco il Mausoleo del gran cit- tadino del gran Liberatore. Là posano le sue ceneri quasi incognite in simbolo della sua modestia del suo magna- nimo disinteresse ; o direm meglio quasi incognite , onde meglio essere tutelari della sua patria, qual fatalmente sempre ignote dovean essere le ossa di Edippo, e di Ro- molo pe’ destini di Atene e di Roma. Ombra veneranda e sacra se mai è che prego o voto mortale trapassi i misteri del sepolero e giunga alle sedi delle grandi anime, posa in pace, e con la terra lieve sia teco il bacio del Siguore. Cooper volle anche esso istituire un confronto fra Washington e Napoleone. Non abbiam bisogno di dire che il suo giudizio comparativo fu per patriottismo lo stesso di quello di tanti altri ancor concitati dalle passioni de’tem- 5 pi. Ma noi diremo che questi due nomi di eterna pini e memoria non punto sono grandezze comparabili, Wasin- gton fece ciò che doveva fare in America, ove debellate le aggressioni inglesi e conchiusa la pace con 1*Inghilter- ra, nulla non avea a temere la nascente repubblica dalle tribù selvagge adiacenti. Napoleone dal canto suo fece an- che egli quel che far doveva essendo in contatto con l’Eu- topa ognora in armi e ognora riassalitrice. Washington fu l’uomo della pace che 1’ America ebbe ed avrebbe avuta chiunque fosse stato il suo magistrato supremo; e Napo- leone fu l’ uomo di una guerra per tre lustri salvatrice della Francia. Senza Washington infine l’ Unione non sa- rebbe perita ; ma senza Napoleone peria la Francia. Washington fu il primo presidente degli Stati Uniti. Oggi tiene un tale maestrato il generale Jackson. Quando si udì sortito questo uome dall’ urna, molti ‘gioirono e molti si afflissero ; questi per timore quelli per desiderio che un presidente militare attentasse alle libertà patrie e le spegnesse. Ma cessi e la gioia degli uni e la tema de- gli altri. Ei pare incredibil cosa come mai l’istoria sia un libro interamente inutile per taluni che boriansi politici sottili ed antiveggenti, I militari che pervengono al timone delle repubbliche non son perigliosi perchè cingono spa- da , capitanarono eserciti, condussero guerre , vinsero bat: taglie , e si invaghirono di quell’imperio assoluto ed uni- tario sì indispensabile alla disciplina bellica. Ove ciò fosse, Roma fora ricaduta in priucipato poco poi all’ espulsione de’ re, essendo che in ogni anno un de’ consoli (e sovente amendue) era eletto fra’ più riputati ed abili uomini di guerra. Negli stremi dello stato anzi davasi autorità am- pia illimitata immensa al dittatore ; e dittatore era sempre il miglior uom di. guerra, I capitani celebri nou son fu- nesti alla libera patria se non quando questa è travagliata e scissa da grandi discordie cittadine. Di che.è larga di- mostratrice l’ istoria d’ ogni repubblica. Or non vi è guerra civile nell’ America Unita. La libertà americana adunque nonchè non temere sarà anzi meglio tutelata da un uomo che cumula alle virtà civili. le militari, prime e le più 60 egregie fra tutte le virtà sociali; che vogliasi o nò , la spada è il primo elemento della società ; senza essa sono nulle le leggi ; e in ogni potentato i Teseo e i Romolo furono anteriori a’ Solone ed a’ Numa. G. P. Voglia il generoso Lettore con la sua solita indulgenza non condannarei leggendo che sommammo a 60 milioni i sudditi inglesi, nel mentre è noto a tutti che la popolazione intera del reame, delle colonie , e delle tribù vassalle o protette dall’ Inghilterra ; ascende a 150 milioni d’ anime. Però cinquanta milioni non pagan tributi , perchè più alleati che dipendenti ; venti altri mi- lionì ne sono anche esenti , atteso Jo stato nomado in cui vivono ; e infine se ne devono anche dedurre venti altri, perchè non tutti gli abitatori delle vastissime colonie, nelle Indie specialmente , fanno per così dire unità col potentato brittanico. Quindi non'erediamo di fallare sommando a 60 milioni i.veri produt- tori inglesi , quelli cioè che vanno computati come cQoperatori alle 2,500,000 tonnellate , che l’ Inghilterra annualmente imbarca ed emette. Tales of the Great S. Bernard. — Racconti fatti sul Gran San Bernardo. 3 Volumi, London, Colburn 1828. L’ autore , che si dice essere il sig. Croly , conosciuto già per varie opere d’immaginazione , scritte con un' elo- quenza energica, ha nel presente libro finto che un crocchio di viaggiatori di diverse nazioni trovandosi rin- chiusi nel convento del Gran San Bernardo da una forte burrasca, alenui di essi si mettano a raccontare la propria storia per passatempo. L'idea benchè certamente non nuo- va non ci dispiace. Il più interessante di questi racconti pei nostri lettori, crediamo esser quello dello Squire, o possidente inglese di provincia , siccome scritto con più naturalezza, trattandosi di un soggetto di cui lo scrittore è bene al fatto. Giova il ripeterlo anche quì , non si può descriver bene se non ciò che ben si conosce da chi scrive: e. quest'assioma così triviale è pur bene spesso posto in obblio anche ai giorni nostri, |. Lo Squire uomo di limitate sostanze, maritato e padre di famiglia, viveva felice e contento in una remota contea dell’ Inghilterra , allorchè una vistosa eredità lasciatagli da 61 un vecchio zio tornato dall’ Indie, viene a cambiare tutto il suo sistema di vita. Le afflizioni di quest’ uomo semplice e dabbene cominciano dal punto in cui ritornato da Londra, ove era andato per appurare l’ eredità, rimette’ il piede nella sua modesta abitazione, ove trova ogni cosa fuor di sesto. Invece della consorte e delle figlie che gli soleano correre incontro pel viale, ogni volta che tornava da qual- che gita, gli si fa dinanzi un servo con livrea e galloni d’ar- gento , il quale gli significa con la dovuta gravità che, ma- dama sta facendo la toletta pel pranzo , e che subito che sarà pronta scenderà nel salotto. A pranzo, quattro fanti che parean presi dalla prima fila di una compagnia di gra- natieri , ed erano stati licenziati dalla famiglia di un duca, stavano là ritti ritti dietro ai padroni, contando i bocconi che questi inghiottivano. Dopo pranzo prediche della mo- glie. Un riccone con dieci mila lire sterline l’anno non può faure a meno di competere di splendore col vicino raffi- natore di zucchero, l’uomo fino ad ora il più opulento del distretto, e i cui pranzi, carruzze e servi avevano mortificato la vanità della moglie del nostro Squire. La figlia si ammala, e il vecchio medico di casa, il dottore del villaggio, non essendo più il caso per una erede, si manda a grandi spese a chiamare il medico del. contado, onde l’altro rimane disgustato, e non si affaccia più alla porta di casa. Amici e parenti in quantità si presentano con congratulazioni, e domandano favori, imprestiti, pro- tezione ; ed ogni rifiuto fa al nuovo ricco un nemico, Tre amici antichi gli restavano, tutti tre vecchi: un rice- vitore delle gabelle,il curiale, il parroco suo suocero. Va a vi- sitare.il primo, e lo trova occupato a leggere un lungo memo- riale. Gli racconta le seccature di tutto il vicinato da che si è sparso voce che era divenuto ricco. ‘* Tant'è si replica. il gabelliere , quest'è l’uso del mondo, affollarsi al ridecy che se gli desse retta, diverrebbe ben presto povero. E «poi voi non «conoscete nessuno di questi se non di vista. {—. E neppur di vista, soggiunge lo Squire. — Tant'è ! se al- meno fossero stati amici antichi, pazienza, — Davvero..che per un vecchiv amico farei il possibile. Ebbene, non oe. 62 corre dunque che leggiate il mio startafaccio ; giacchè stava per pregarvi di mandarlo ai direttori delle dogane. Il posto di ricevitor generale della contea è vacante , e una parola vostra al direttore in capo farà l’affare. ,, — Il nostro ricco restò di sasso. Cercò di persuaderlo che non conosceva al- cuno dei direttori, ma non'riuscì a convincere il gabel- liere che un uomo come egli non potesse ottenere tutto ciò che domandasse. Si separarono freddamente , ed ecco un altro amico perduto. Andando a casa s’imbattè nel curiale, e gli raccontò l'avvenuto. ‘* Che vecchio stolto 1 replicò il legale: alla sua età dovrebbe esser da lungo tempo giub- bilato. Ma l’avarizia è un gran che! E poi voi non siete in rapporto politico con nessuno. ,, |“ Da venti anni che vivo in questo villaggio non ho ‘fatto aderenza con nessun partito. Sono ignoto a tutti, 0 dimenticato da tutti. — Oh questo poi nò , vi sono di quelli che si ricordano ancora quando eravate l’onore della nostra professione a Westminster, ed avreste potuto aspirare ai più alti impieghi , se il vostro stato di salute ,.... ma in. somma molti e molti si rammentan di voi fra i nostri con- fratelli, come di un nomo sincero, leale e sempre pronto a render servigio ai suoi amici ,,—— Qui il nostro buon Squire serrò la mano del curiale con espressione di gratitudine. ‘< E spero che il danaro non mi impietrirà il core, e che i veri amici mi troveranno sempre lo stesso. ,, {l curiale fece una ‘pausa, tossì, raschiò, e poi con voce modesta soggiunse che da lungo tempo pensava di lasciare le ‘ ardue fatiche del suo stato , e che ora sapeva esservi un posto nella gran cancelleria : e perciò voleva domandarvi una parola al gran cancelliere in mio favore. ;; Ma amico, io non lo conosco neppur di vista, replicai. Non siam convenuti ora appunto che io non avevo aderenze politiche ?— Tutto vero, ma un uomo come voi, quondam membro della toga, ed ora venuto a grand’opulenza., ha sempre mezzi di farsi ascoltare dai ministri, ,-- Ogni scusa fa inutile. Lo Squire per sbrigarsene , scrisse una lettera ad una sua conoscenza antica che parlò al cancelliere , da cui ebbe una risposta civile ma evasiva, come ben si aspet- bo, 63 tava; Communicò ‘al curiale il resultato.,'e da quel. pun- to più non si salutarono. Gli restava il curato, suo suocero , più vecchio degli altri due, e che pareva)aver preso radice nella sua parrocchia. Il muovo ricco va a fargli visita un giorno , e gli parla dello strano procedere degli. altri suoi amici. Trovò il vecchio ecclesiastico e .l’ antica moglie seduti alla. porta del. giardino. illuminato in. quel punto dai raggi di un bei sole cadente. Tutto spira- va pace e una modesta felicità in quella famiglia. Il no- stro ricco sentì la dolcezza dell’ora e del luogo. ‘‘ Che più ss desiderabile all’ uomo , esclamò egli , che win’ esistenza ss come la vostra , vecchi felici! Eppure a quest'ora me. ss dlesima migliaia di persone che chiamansi ricche corrono ,3 in cerca di cose vane come il vento, o mortali quanto sil veleno ,,. Vero! figlio mio , replicò il parroco : il desiderio di beni al di là di ciò che è necessario , e di un potere di cui, non possiamo far uso è il grand’ assurdo dell’ umana specie. ,, E continuò a sermonizzare su que’due vicini, il ga- belliere ed il curiale, che sentivano ancora stimoli d’ambizione per le vanità del mondo. Vorrei averli quì in questo luogo, e.mostrar loro il giardino e l’orto ele colline dorate, dal sole, e chieder loro: ma non è forse follia il pensare a. mutar scena all’età avanzata a cuisiete giunti? ,, — E così discor- rendo, e vedendo che si annottava, il nostro Squire si fece condurre il cavallo per ritornarsene. Mentre aveva già, il piede nella staffa: “ Ho un piccolo affare su cui voleva scrivervi, riprese il vecchio parroco ; ma giacchè, siete venuto ve ne parlerò a voce. Ho avuto notizia che il mio superiore stà per morire. Egli come sapete gode di due benefizi ; questo che io amministro come suo coa- diutore da ben molti anni con tenue stipendio, e l’altro in cui risiede. Questo, so che è promesso al secondogenito del proprietario del luogo. Ma l’ altro... in somma ,. caro signore , se voi voleste interessarvi per me, queste son cose che sono sempre a beneplacito dei membri della contea ; e due righe indirizzate da un uomo potente, come voi siete 64 ‘ adesso , mi farebbero rettore della cura di . . . e felice per il resto di mia vita ,,. Quì davvero il nostro rieco non potè tenere le risa. Non sapeva più in che mondo si fosse. Il parroco sembrò alquanto piccato. “ Non dovete mettermi sulla stessa riga di quei due stolti di cui abbiamo parlato ; quelli doman- davano impieghi laici che sono a disposizione del governo, presso cui voi non avete aderenze; io vi domando avan- zamento nella mia professione, e in qualità di vostro pa- rente. I membri della contea che sanno l’ influenza che potete esercitare alle elezioni non vi rifiuteranno un sì piccolo favore. La cosa è fatta, e di là chi sa che non passi arcidiacono, e chi sà poi .., — Forse anche alla sede di Cantorbery, soggiunse il ricco. — O questo poi no, disse il parroco con un sorriso, ma pure ... quando un uomo si fa conoscere . .. è spalleggiato .... ,, Lo Squire gli rappresentò che la cura che ambiva era famosa per i contrabbandieri zingani e i poackers, e il ret- tore attuale, ancora fresc’uomo robusto e coraggioso e munito di più del potere di magistrato , uomo che andava in per- sona a cercarli col fucile in ispalla, non era riescito a met- terli a dovere, e che egli più provetto si metteva ad un impresa che forse eccederebbe le sue forze. ‘‘ Alla fine disse il parroco, io non ho che settan- ta tre anni. L'ultimo superiore sotto cui io serviva visse fino ai settanta cinque, e vi sono esempi di Vescovi che vivono fino ar novanta ,,, — Il tuono sicuro co] quale furono pronunziate queste parole , convinse il nostro ricco che era inutile replicare. Così augurandogli la buona notte, se ne tornò a casa, scrisse a Londra a uno dei membri della contea , e pochi giorni dopo il rettore essendo morto, il vec- chio parreco ottenne la cura ; lasciò la quieta abitazione in cui avea passati cinquant'anni di sua vita, si accinse a ritornare alla nuova parrocchia, e quando il nostro ricco fu a fargli visita lo trovò malato e fuori di sè. Poco dopo morì vittima della propria imprudenza. Lo Squire aveva perduto gli amici e la pace dome- 65 stica. Il fumo della vanità aveva offuscato le menti della moglie e delle figlie; la casa era in confusione: nuovi ad- dobbi: un impertinente paratore di Londra venuto a far da padrone, il povero Squire fu costretto a vedere la sua libre- ria messa sossopra: i servi che non gli davano più retta, la signora che non pensava più che a far la toletta , a far visite e a dar trattamenti + e per ultimo un giorno trovò il paratore che faceva all'amore colla sua figlia minore, e gli proponeva di fuggirsene di casa. Lo Squire ne lo cacciò al momento , licenziò i servi arroganti e partì per Bath. Quì nuovi tormenti, feste, routs, in cui bisogna- va fare a’ pugni nella folla, locande piene di gente delle quattro parti del mondo : e alla fine la moglie si mette in capo di prendere una governaute per insegnare il vero accento francese e le grazie di Parigi alle figlie. Quest’era una emigrata , che si vantava del suo realismo, e di es- sere d’ una gran famiglia; solita ciarlataneria, Il fatto si è che si scopre alfine che era una modista; maritata ad un figurante e separata dal marito. Il figlio dello Squire se ne innamora ; nuova confusione nella famiglia. E tutto ciò per voler vivere alla moda. Ma la parte più curiosa e più interessante per noî è quella dove descrivesi l’ elezione di un membro della Con- tea. E ci pare che dia un’ idea più chiara della maniera con cui questi affari si trattano il più delle volte, che tutte le declamazioni de’giornali. Perciò ne diamo un estrat- to. S' avverta che il tema è satirico; ma riguardato come satirico, vi è un fondo di vero. Un? altro zio che egli non avea mai veduto, muore in un’altra parte d’Inghilterra, senza far testamento, e senza eredi, e lascia al no:tro ricco fortunato il titolo di Baro- netto, e trenta mila lire sterline di rendita. Un membro del parlamento, cacciando e bevendo se ne morì in quel frattem- po. — Ora sì che i possidenti della Contea si mettono in capo di proporre il nostro Creso ner deputato. Un duca che aveva molta influenza in Parlamento, e nel paese, propose il raffinator di zucchero , e gl’ indipendenti si attennero al nostro Squire. Fin allora il duca aveva esercitato pieno po- T. XXXVI. Oottobre. 9 66 tere sull’elezione. Ma però niun favore si otteneva, dai costituenti del suo protetto. Non vi era neppure una com- missione in un reggimento alla Giainmaica, o sotto il clima infausto di Sierra Leone, non vi era un chirurgo di spe- dale di negri, non un impiegato fra’ boschi del Canadà, nè un cadetto nell’ Indie Orientali , che sortisse in quella Contea. Questi favori erano riservati per un’ altra contea do- ve il duca doveva sostenere l’ urto di un partito contra- rio e farsi amici fra i costituenti. Quì tutti erano docili, e perciò il Duca non se ne dava pena, Ma i tempi eran cambiati. Gl’ indipendenti, cioè quelli che volevano partecipare ai vantaggi dell’ influenza mini- steriale, non amavano il Duca perchè questi era troppo avaro delle sue lepri e fagiani, non spendeva nel paese, dava pranzi di rado, non ballava colle signore provinciali; e poi era troppo ricco, Un giorno una deputazione dei possidenti della Con- tea si presenta a far visita al nostro ricco , e lo prega “ a ;, nome del pubblico interesse, dell’independenza del con- ;3 tado, a nome degl’independenti elettori del partito vero bleu ossia nazionale, fino ad ora represso da una fazione insolente ed oligarchica, e rappresentata da per- sone inette, come il fù deputato, di volere presentarsi per candidavo della Contea, ,, Lo Squire in poche. parole si scusò, Ma ciò non concluse. La deputazione fece tanto ehe quando il nostro Squire it di casa, si vide attorniato , congratulato , festeggiato \da tutta la pupoltsione del Bor- go. Il locandiere del grand’ albergo venne in persona a pregarlo di fare il suo quartier generale all’ elezione in sua casa. Tutti i postiglioni colla frusta in mano si of- ‘trono per portare gli amici del nuovo candidato all’elezio- ne. Le modiste fanno cerchio mostrando la loro abilità in far fiocchi e cappi di nastro bleu, distintivo degli elet- tori indipendenti. Le signorine colle loro madri, non andati- do a balli e feste che in tali circostanze , ‘lo circondano, e gli prodigano sorrisi. e smorfie. Finalmente giunto da- vanti alla porta del grand'albergo , eccola deputazione stessa che lo attornia e lo porta di peso nella gran sala 33 67 dove il pranzo era già pronto , e dove, dicevano, avreb- bero campo di discorrere con':comodo e fra amici del gran progetto. Il nostro Squire era socievole di natura, ed ama- va un bicchier di vino in brigata allegra, e da qualche tem- po non trovava riposo in casa propria ; il buon umore di quei bravi provinciali lo tentò ; si sedette dunque a capo di tavola. Discorsi, brindisi, e tutto il tenore solito di tali banchetti : la bottiglia andava in giro : un vero brio, una allegria franca e veramente provinciale; facce gioconde e rubiconde ; in somma il nostro Squire parlò, fu applaudito, e senza saper che si facesse mise il suo nome alla petizione dei sottoscriventi in cui si offriva per candidato. Se ne tornò a casa prima di giorno, alla meglio, e la mat- tina seguente si trovò preso al laccio. I! tempo dell’ elezione giunse , e le cose andarono al solito, I due rivali candidati spesero in feste, trattamenti, beveraggi, trasporti di elettori, alloggi ec., somme vistose, e il numero dei votanti pel nostro Squire andava cre- scendo , Ma questo non è ancora tutto. Adesso viene il segreto dell’influenza nelle elezioni. Non si pagano i voti, è vero, ma si rendono servigi. ‘* Gli affittaioli, i mercanti , i lo- candieri, tutti erano in quel punto all’ ultimo estremo di rovina , vicini ad esser falliti, e tutti s’indirizzavano a me per un imprestito, così per due o tre mesi. In somma ero divenuto il rifugio universale. Le pecore morivano a mi- gliaia di epidemia, i cavalli venivano rubati, le messi era- no andate a male, tutte le piaghe dell’ Egitto parevan ca- dute su la nostra povera Contea. ;, Se l’ elezione dura- va un po’ più a lungo, il caso era disperato. Il nostro Squire fece quanto potè per rappezzare molte di questa calami- tà ; in quindici giorni, migliaia e migliaia di lire furono spese ; la contea viveva alle spalle dello Squire. Final- mente il giorno della nomina venne. Lo Squire è portato in trionfo in una specie di barella sulle 'spalle da? costi- tuenti mezzi ubbriachi , a rischio di rompersi il collo. Ar- rivati alla porta nel ‘grand’ albergo , pranzo in tavola, e nuovi brindisi, nuovi discorsi, quando una folla del par- 68 tito opposto si attruppò dinnanzi la porta dell’ albergo , e.a furia di sassate ruppe tutti i vetri. Le pietre vennero a cadere in mezzo alle caraffe e ai bicchieri. Il nuovo. de- putato si affacciò per fare arringa al popolo, ma una pie- trata lo colpì in fronte, e fu portato a casa mezzo morto, Così terminò lo strepito dell’ elezione. Viene poi il dettaglio della campagna di lui in santo Stefano ; così si chiama la Sala o Cappella dove si adu- nano i comuni, Frattanto due sedicenti militari forestieri a gran mostacchi, parenti della governante erano in pro- cinto di fuggirsene colle figlie. Quì siegue una dissertazione intorno alla influenza dei mostacchi e barbette sulle incli- nazioni delle signorine, Si racconta che a Dresda poco dopo la pace alcuni militari tedeschi avevano la preferenza nei baili, finchè alcuni aiutanti francesi vennero a contrastar loro il primato. Ma essi pure dovettero cedere ad una trup- pa di Russi della guardia barbuti; e per giungere all’ideale del Bello, arrivano dei Cosacchi e Basckiri che parevano fratelli degli orsi, e questi tennero il principato della moda per alcuni giorni. Il disegno delle due figlie va a vuoto , il Parlamento è disciolto, e il nostro Squire se ne va per la via del Jura nelle valli Elvetiche, ed arriva al S. Bernardo. L'altro racconto cue occupa il secondo tomo, cioè la storia di Valachia, the Valachian tale, serve a confer- ma di ciò che dicemmo sul principio di quest’ articolo, L’autore si avventura su di un terreno a lui ignoto, ed in- vece dell’ esperienza e dei fatti, si abbandona agli slan- ci di una immaginazione esaltata da tradizioni di pom- pe e di passioni orientali; esagerate sempre da chi non le ha viste ed esaminate dappresso. Ma vi è di più; i pre- giudizii dell’ autore lo trasportano al di fuori del sentiero del retto giudizio e di una sana ragione. A proposito di Bucharest e di una compagnia teatrale italiana che ivi giunge , ei si compiace a così parlare della nostra nazione : ‘“ Gl’ italiani si trovano sparsi in ogni angolo della terra, ,, sempre però a volo, senza residenza fissa, come le zan- 3» zare; e intenti solo ad estrarre l’ultimo soldo che pos- ,, sono strappare agli indigeni. Hanno una specie di diritto 69 ,, nazionale a sussistere di quanto riesce loro di succhiare ,, dal superfluo delle altre comunità, (Escono ogni an- ,; no (gl’ italiani!) subito che il sole gli sveglia dal loro ,» sonno alpino(!) per godere l'atmosfera di ogni altro ,» clima del mondo, senz’ altro piano di vita se non che ,»» di vivere a carico d’ altri; ben risoluti’ al non far ritor- ;; no al loro vespaio se non carichi e saturati delle sostan- ,; ze altrui. Non sono- fastidiosi nella scelta dei loro. con- » tribuenti , siano questi contadini o) principi dell’impe- ;, ro. Ad ogni professione, mestiere o vocazione. si. adat- ;», tano, In Germania fanno gli astrologhi ; 10 se.ne stan- » no ritti dietro le carrozze dei grandi. In Francia spaz- s» zano cammini , cloache, e scarpe. In Inghilterra van- » no in giro con scimie; organetti, e pulcinelli. In Polo- s, nia rivalizzano cogli Israeliti di usura. [n Russia fanno » di tutto un fascio, e per soprappiù sono tutori e maestri, » il che serve a spiegarci i costumi e la morale della classe » patrizia di quell’Impero. ,; Ora noi domandiamo , non agl'italiani, ma ai fran- cesi, agl’ inglesi, ai tedeschi, a tutti gli animali ragio- nevoli, se è possibile riunire in poche righe più detra- zioni, di dare un colore più lontano dal vero ad un quadro di carattere nazionale. Se avesse parlato di alcuni villaggi presso i laghi Maggiore e di Como, della Valtel- lina e dei Grigioni, o della Savoia, pazienza! Ma degli italiani! Dio buono ! e questo da uno scrittore non igno- rante! Inescusabile! Se vi sono degl’ italiani avventurie- ri che vanno vagabondi per il mondo, vi sono anche dei francesi, dei tedeschi , dei Belgi in quantità che fanno lo stesso, e che vengono anche in Italia. Se vuol parlare dei cantanti, e perchè le altre nazioni li vanno ricercando? E poi s’ ha ella forse a giudicare dai cantanti /' Zralia! L’autore si condanna da sè parlando del sonno alpino: ha confuso i venditori di puppazzi e di marmotte che vanno vagando per le strade di Londra e di Parigi cogli abitanti della bella Penisola. Ma basta così; ne appelliamo a Fi- lippo ..... i A. V. È, RAI C2° j? — È +10 Yo di wo 0 0 SPEDIZIONE scIENTIFICA IN EogrTo. to in8 ti ì : 3 oi ‘Letteredel sig. Cnamporrton dal Gennaio al Marzo. ti , tn El-Melissah ( tra Siene e Ombos.); addì so di Febbraio. Il di otto: si partì da Siene;:'e il di 10, eccoci quì ancora lontani da Ombos. In»nove ore ci si arriva; ma il tramontano spira ‘da-tre giorni: sì forte che il Nilo n° è gonfio come un seno di:mare., e noi vi caroliam sopra a nostr’.agio. Afferrammo a stento quì a Melissah ; che ha una petriera di grès ,,ma di nessuna importanza. Del resto, salute e coraggio / E poi, il corriere arrivatoci ieri in mezzo alle nostre burrasche.; con lettere di Parigi del di 26 di settembre ; del dì.12 e del 25 d’ ottobre , e del 15 di no- vembre, ci ha ravvivati. L’ultima mia è da Ibsambul, i cui be’ monumenti i nostri disegni han finito di ritrarre, a. costo di rifinirei dalla fatica noi stessi. Di là partimmo il dì 15 di gennaio; il 17 di buon’ora si fu appiè della roccia d’Ibrim; la Primis de’ geografi greci; dove son quattro tempietti cavati nel masso. Di questi il secondo è costruzione del principe Nabi , governator della Nubia tra le due cateratte, il quale in una scultura si vede ritto dinanzi al re Meride in trono, con altri uffiziali, a :offrirgli le rendite e i tributi d’oro, d’ argento:, e d’altro, de’ paesi al suo governo soggetti. Così nel terzo si vede un altro principe, Osorsate, presentare al successore di Meride, Amenofi II, i prodotti naturali del paese, tra’ quali de’ leoni, de’cani levrieri , de’ Schacal vivi, come si legge nell’iscrizione, Ja qual nota anche il numero delle bestie uzziliate a S. M. La quarta cappella è dedicata a Sesostri,, Ramsete il Grande, seduto fra le due divinità d’Ibrim, Ermete dalla testa di sparviero, e la Dea Saté ; dedicata, dico, dal governatore Satnui ch’ è un principe etivpe. E. in onore della galanteria etio- pica giova notare , che subito accanto al principe viene sua moglie, innanzi agli altri uffiziali : prova, (e non è 7° l'unica) che la civiltà egizia s’ allontanava dai costumi orientali, e s° avvicinava alla nostra. La sera del dì 17, eravamo a Derri, o Deir, capitale oggidì della Nubia. Si cenò a lume di Inna , sotto ‘le più belle palme che avessimo ancora vedute. Un barabra del paese , vedendomi solo in riva al fiume , venne con buona grazia a tenermi compagnia, offrendomi dell’ acquavite di datteri. Gli domandai s’e’ sapeva il nome del sultano che avea fatto edificare il tempio di Derri, Io non son così vecchio , rispose, da poterlo sapere da me; ma i vecchioni del paese paion tutti convenire nel credere che questo Birbé è stato costrutto trecentomil’ anni innanzi Mao- metto : il loro dubbio però sta in questo , se i costruttori fossero inglesi; francesi, o russi. - Anche questa è dot- trina : e non è della peggio. (1 monumento di Derri è opera di Sesostri. Vi ci fer. mammo tutto il dì 18 a disegnare i bassi rilievi più im- portanti , e a compilare un’ esatta descrizione degli altri. Vi ho trovato una lista de’ figlinoli, maschi e femmine, di Sesostri , disposti secondo l’età. Mi son anche raccer- tato d’un fatto singolare : circa il leone ; che ne’ quadri d’Ibsambul e di Derri vien sempre compagno al re. lo non sapeva se cotesto fosse un simbolo della sua forza , o se veramente Sesostri s° avesse, come Hassan, il capitan Pascià , come il pascià d’ Egitto , un leone addomesticato, suo compagno in battaglia. Nel monumento di Derri , io les-i, sopra il leone che si slancia contro i barbari; queste parole : il Zeone servitore di S. M., che atterra î nemici. Questo tempio è cavato nel masso, dedicato da Se- sostri al Ammon-Ra , il Dio supremo , e a Fré, lo spirito del sole , invocato col nome di Ramsete : non già che Se- sostri rendesse così culto e onore a sè stesso, ma perchè l’ adulazione sacerdotale , ai tanti nomi dell’ iddio Fré, aggiungeva questo di Ramsete ; e molte volte agli Dei e alle Dee dava i lineamenti del re ‘e della regina, fonda- tori del tempio, Ciò si vede in più luoghi : e anche a File, in quella parte del uran tempio d’ Iside ch’ è costrutta da 72 è Tolomeo Filadelfo, dove tutte le Isidi del Santuario. son tanti ritratti d’ Arsinoe ; testa evidentemente greca, La sera del dì 18 , sbarcammo a Amada, e vi si stette sino al mezzogiorno.del venti. Là potei studiare a mio bel- l’agio un tempio del buon tempo vecchio : dico a mio agio, perchè s° era in mezzo al deserto, Le colonne di questo mo- numento son del dorico primitivo, tipo evidente del dorico green : e il singolare si è che solo ne' più antichi de’ mo- numenti egizii si. rincontra quest’ ordine ; a Beni-Hassan , a Amada, a Karnac. Questo d' Amada è di Tutmosi III , cioè Meri: sentitene , se vi piace, la dedica: “ Il Dio Be- ,, nefattore, Signore del mondo, il re (sole stabilitore ,; dell’ universo ); il figlio del re ( Tutmosi ), moderator ;; di giustizia, ha fatte le sue divozioni a suo padre il Dio ,, Fré, Dio de’ due monti celesti , e gli ha innalzato questo ,s tempio di pietra dura : l’ ha fatto al fine d’essere vivi- 5, ficato per sempre. ,, — Morto Meride, la costruzione fu continuata da Amenofi II, compiuta da Tutmosi IV, del quale vi trascrivo una dedica. “ Ecco ciò che dice ,; il Dio Thoth , il signore delle divine parole, agli altri ,; Dei che risiedono in Thyri: Accorrete e contempla- ,, te queste offerte grandi e pure, fatte per la costru- ;; zione del tempio, da Tutmosi a suo padre, il Dio ,. Fré , grande Iddio, manifestatosi nel firmamento ,,. — La scultura di questo tempio , è della bell’ arte egizia ; e però migliore che in Derri, e che in Ibsambul. Il dì venti, dopo mezzogiorno, si lasciò Amada, si scese giù pel Nilo infino a Korosko , villaggio della Nubia, il cui nome mi sarà memorabile per }’ incontro che quivi ci accadde con l’ottimo lord Prudhoe e col Magg. Felix, che su pel Nilo se ne vanno infino a Sennaar, per quindi arrivare nell’ India , attraversando 1’ Abissinia , l’ Arabia, la Persia. La nostra piccola flotta fece alto ; e Jì si passò buona parte della notte a discorrere de’ lavori fatti e da farsi: finalmente ci fu forza dire addio a que’ coraggiosi viaggiatori; nè senza dolore , specia!tmente a causa della stagione che pel loro cammino è ormai troppo avanzata. i 73 Che il cielo ‘conduca a buon porto questi amici intrepidi della scienza ! Il dì 91, si fu a Uadi-Essebua, la valle de’leoni, così chiamata da un viale di stingi che conduce al tempio; opera di Ramsete il Grande , ma di pessimo gusto; già mezzo sepolto nelle sabbie che vi si accalcano da ogni banda. Tutto il dì 22, il vento contrario ci tenne covfit- ti alla riva : verso sera si venne a Meharrak, il cui tem- pio' già s'era veduto anche nel venire all’insù. Il dì 23 allo spuntare del sole, eravamo a Dakkéh, l'antica Pselci : in quel tempio trovai una dedica a Thoth, signore di Pselk , altro nome geroglifico da aggiungersi alla mia carta della Nubia, ch'io potrei stendere intera co’ suoi nomi antichi, in caratteri sacri. Questo monumento di Dakkeh è molto importante per gl’ indizii che porge, utili a far comprendere la natura e gli attributi dell’ Ente divino dagli Egiziani adorato col nome di Thoth (1’ Ermete due volte grande ) : e una serie di bassi rilievi presenta quivi tutte quasi le trasfigurazioni del Dio. Imprima, lo si trova congiunto ad Harahat., il grand’ Ermete Trismegisto , sua forma primitiva ; di cui questo Thoth non è che l’ultima trasformazione, ossia l’incarnazione sulla terra, dopo Amon- Ra, e Muth , incarnato in Osiride e in Iside. Thoth dun- que risale fino a Har-hat, la saggezza divina , lo spirito di Dio, passando per le forme 1.° di Pahitnufi (quegli il cui cuore è buono ) 2.° d’Asihosnofri ( quegli che produce canti armoniosi ) 3.? di Mei, il pensiero o la ragione : e sotto ciascuno di questi nomi, Thoth ha forma e insegne distinte. L’ ho anche trovato col caducéo, ch'è lo scettro solito degli Dei, avvinto di due serpi, con uno scorpione per soprappiù. — Di questo tempio la parte più antica è costrutta e scolpita dal più celebre de’ re etiopi, Erga- mene , che, giusta Diodoro , liberò 1’ Etiopia dal governo teocratico , strozzando tutti i preti etiopi : in Nubia pe- raltro si diportò piamente; e costrusse un tempio. Vicino al tempio di Dakkéh, io ho trovati degli T. XXXVI. Ottobre. 10 4 | avanzi d’ un tempio di Thoth , costrutto da Meride, Questo fatto, con altri molti, dimostra che i Tolomei, e l’Etiope Ergamene, non han fatto che rifabbricare de’ templi lad- cove già ne sorgevano, e dedicarli alle medesime divinità? da che sì conchiude che gli ultimi monumenti egizi non contengono aleuna nuova forma di divinità; e che il sistema religioso di questo popolo era in tutte le sue parti stretta- mente legato e determinato fino a’ menomi particolari. Dakkék è il punto più meridionale dov’io abbia trovato lavori de? Tolomei o de’ Cesari : e son persuasissimo che al di là d’Ibrim, al più, non s'è mai esteso il dominio greco o il romano. Da Dakkék fino a Tebe, i monumenti farao- nici sono ben rari; quelli de’ Tolomei o degl’ Imperatori, frequentissimi ; e quasi tutti incompiuti. Da che deduco che la distruzione de’ templi antichi in cotesto spazio di paese , dev'essere colpa tutta de’ Persiani, i quali, costeg- giata la valle del Nilo infino a Sebua, di lì, per tornare in Etiopia o per rivenirne , avran presa la via del deserto, molto più corta che quella del fiume , il quale, innoltre, con le sue molte cataratte non è via comoda per un eser- cito. E anche oggidì, le carovane , le armate, i viaggia- tori pigliano dal deserto, Il dì 25 s: fu a Ghirsché-hussan, il cui tempio è opera di Ramsete il Grande, consacrato al Dio Fià, divinità imitata dall’Efesto de’ Greci, e dal Vulcano Latino: ed era questi il Dio del villaggio ; da lui chiamato, dimora di Ftà. Ghirschè aveva dunque l’istesso nome sacro di Menfi: e questa specie d’imitazione pomposa era in Nubia non infrequente. Così Derri si soprannominava Eliopoli; e il miserabile paesuccio di Sebua , Amon-ei , ch’ è il nome di Tebe dalle cento porte. Il di 26, si spese in gran parte al tempietto di Dan- dur, del tempo d’ Augusto, non grande e non finito, ma importante perchè tutto pieno dell’incarnazione d’ Osiride sotto umana forma. La sera del dì 25 fu ravvivata da un eco maraviglioso, scoperto per caso di faccia a Dandur, che ripete spiccate e a voce altissima fin undici sillabe. I nostri compagni italiani gl’insegnavano i versi del Tasso: 79 e frattanto venivano di qua e di là tirate delle fucilate , che l’eco ripercoteva come cannonate, come tuoni. Il dì 27, al tempio di Kalabschi : dove ho scoperto una nuova generazione di Dei, la qual rende compiuto il cerchio delle forme d’ Ammone, centro di tutte le essenze divine. Ammon-Ra, 1’ ente supremo e primissimo, padre di sè medesimo , è il marito di sua madre la Dea Muth, ch’ è la parte femminina di lui, racchiusa nella sua pro- pria essenza. Gli altri Dei dell’ Egitto son tutti forme varie e quasi astrazioni di questi due sommi principii: e tali forme seconde , terze, e via discorrendo , fanno una non interrotta catena che scende dal cielo, e si rende, a dir quasi, palpabile, nelle incarnazioni terresti, L'ultima è quella d'Oro, che sotto il nome di Orammone, è l’omega degli Dei: dove Ammone-Oro, lo spirito attivo e generato: re, n’ è l’ Alfa, La mitologia egizia incomincia da una Triade, Ammon-Ra, il maschio ; Muth , la madre ; Knus, il figlinolo; manifestatisi sulla terra in Osiride , Iside, ed Oro: con la differenza che Osiride e Iside son fratelli, Queste cose ho trovato e chiarite e compiute nel tempio: di Kalab- schi , che le iscrizioni, co nome de’geografi greci, chiamano Talmis. i Queste divinità , del resto, s'erano spartito l’ Egitto e la Nubia, se posso dir così, feudalmente. Ogni città aveva il suo: ma Amon-Ra regna dappertutto , e ne*san- tuarii tien la diritta. Non già che questi patroni celesti met- tessero. in rivalità tra loro le diverse città, giacchè, per certa cortesia non insipiente, ciascuna città ammetteva nel tem- pio suo gli Dei adorati dalle città confinanti. A Kalabschi io ho anche notato il colore violetto nei bassi rilievi dipinti; e ho scoperto che questo proveniva dal mordente o mistura applicata alle parti del quadro che avevano a ricevere la doratura. i Il bel monumento di Bet-ualli , ci ha portate via tre giornate e mezzo , dal dì 28, al trentuno: quivi i bassi- rilievi son di buon gusto , e riuppresentano le campagne da Sesostri fatte, come narra Diodoro, in sua gioventù contro gli arabi ; contro de'popolî d’Africa, i Kuschi, (gli Etiopi), 76 e gli Scari, che son forse i moderni Biscari. Uno di questi quadri presenta il re, padre di Sesostri , che con un cenno della mano accoglie il figlinolo vincitore , il quale gli of- fre un principe ine sostenuto da due ‘de’ suoi figli, e l’uno de’due porgentegli una coppa come per dargli vigo- re a sorreggersi : poi tavole coperte di catene d’ oro, poi pelli di pantera, e sacchetti d’oro in polvere, e tronchi d’ ebano, e denti d’elefante , e penne di struzzo , e fasci d’archi e di frecce, e mobili preziosi, e altre cose o di tri- buto o di preda. Poi vengono de’Biscari prigioni, fra’quali una donna portante due bambini sulle spalle, poi gente che mena delle fiere vive, le più singolari delle parti in- terne dell’ Africa , come il leone, delle pantere , lo struz- zo, delle scimmie, la giraffa, benissimo disegnati. Dio- doro Siculo infatti ci narra che Sesostri a’vinti Etiopi impose tributo di denti d’ elefante , e d’ ebano , e d’oro. Le altre sculture son tutte religiose. Amon-Ra, nelle leggende , ripete più volte d’aver donato al figlio diletto, Signore del mondo , sole custode della giustizia, Ramsete, tutti i mari e le terre. Nel santuario, Ramsete è rappre- sentato in atto di succiare il latte delle Dee Anuké ed Iside. E la prima gli dice: ‘‘ io tua madre, signora .d’ Ele- fantina , ti ricevo sulle mie ginocchia , e ti porgo il mio seno perchè tu te ne nutra, o Ramsete ,, — Havvi due quadri, fra gli altri, che mostrano il faraone. vincitore dei popoli del mezzogiorno, e di quelli del settentrione; che così gli Egiziani chiamavano i Siri, gli Assiri , gl’Ioni, ed i Greci, La sera del dì 31, a Kardassi : il primo di febbraio alle due dopo mezzogiorno, a Debudé. Quel giorno stesso, ci affrettammo di arrivare a File, di rivedere l’ Egitto, e di dar l’ultimo addio a cotesta Nubia, che ci aveva con la sua aridità seccati non poco. E poi si anelava all’ Egitto, per mangiare un po'di pane più cristiano degli azimi che ci dispensava il nostro panattiere in capo, degnissimo com- pagno del gnattero arabo , statoci regalato al Cairo come un'euoco classico, Alle nove della sera, si arrivò final. mente a File, ringraziando di cuore le divinità del luogo, 77 Osiride ; Iside, ed Oro, di non essere morti di fame fra le due cataratte, Fino al dì 7 di febbraio si stette nell’ isola santa, per compire i lavori cominciati già nel dicembre. Un giorno si spese. nell’ isoletta di Béghé , presso File , dove la com- missione d’ Egitto indicava un. piccolo edifizio egiziano. Infatti vi trovai delle colonne d’ un tempietto di pessimo gusto : ma dalle iscrizioni compresi ‘esser quella l’isoia di Suém , nome ch’io avea letto ‘sovente ne’ monumenti da Ombo a Dakké. Era questo un de’luoghi più santi del- l’ Egitto; meta di pii pellegrinaggi molto inannzi la san- timonia dell’isola di File, in egizio chiamata Mantak. Nell’ isola di Suem ho raccolto un venti iscrizioni, tutte de’ tempi faraonici, attestanti visite o atti d'adorazione di gran personaggi; tra gli altri, d’ un comandante dell’eser- cito. sotto Mennone , d’ un gran sacerdote d’ Ammone, principe della famiglia di Ramsete, d’un gran sacerdote d’ Anuké, d’ un intendente delle terre d’ Amenofi III signore del mondo, d’ un figliuol di Sesostri. Da File, sbarcati alla riva destra del Nilo, iclvaio a caccia d’iscrizioni per quelle rocce di granito, sul masso tagliato in forma di sedile, di cui parla il dotto. nostro amico sig. Letronne , ritrovammo fra le altre cose la me- moria d’ una vittoria riportata sui Libii da Tutmosi IV, del passaggio del suo successore Amenofi III , il quale tor- nando dalla vittoria degli Etiopi, quivi tenne un’assemblea religiosa. Si tornò finalmente a Siene. E intanto che le nostre robe venivano sui cammelli portate dall’ isola , e che si allestiva la nuova flottiglia egiziana , io n’ andai a rive- dere gli avanzi del tempio di Siene, ch'è dell’età di Nerva, l’unico che porti la leggenda geroglifica di questo Cesare. Ho visitata di nuovo l’isola Elefantina , grande quanto servirebbe per farne un comodo parco d’ un buon parigino: eppure certi cronologisti moderni han voluto farne un regno per collocarvi a bell’ agio l’antica dinastia egiziana degli elefantini. 1 due templi sono stati da poco distrutti per fabbricare una caserma e de’ magazzini a Siene. ? 78 Non avendo più altro a fare sull'antico confine del- 1’ impero romano , si lasciò Siene ed Elefantina, e ci indi- rizzammo verso Ombos;j:ma il vento ha giurato di vietar- cene per lungo tempo l’arrivo. Siamo ‘alle sette della mattina del dì dodici:di febbraio: e nell'atto di scrivere, sento.il Nilo pc di sotto al mio maasch , e dintorno. PS. Bibi Addi in alle pesa ; Eccoci finalmente arrivati . . . Tutto è quì dell’ epiorà greca ; ma l’ architettura del gran tempio bellissima . Cominciato: da Epifane, continuato sotto Filometore ed Evergete II : havvi de’ bassi-rilievi di Sotero II. È consa- crato alle due Triadi , che si dividono infatti il tempio ; spartito per lo lungo in due parti distinte. La prima Triade è Sevek-Ra (la forma. primitiva di Saturno ) con la testa di coccodrillo; Hathor; e il figliuolo Knus-Hòr. La seconda, Arveri:; la Den Tsonenufré, e Pneutho , suo figlio. Son queste le divinità protettrici d’ Ombos ; e il coccodrillo che si vede sulle medaglie del nomo Ombite ; è 1’ animal sacro al principal Dio Fevek-Ra. A Ombos. ancora. Il dì 106. — Alla fine del) mese spero: d’ essere a Tebe. Esulto. già nel pensare che a Tebe riceverò altre lettere di Parigi. Ma perchè sempre corte le vostre lettere ? Potreste rammentarvi ch’io mi trovo mille leghe lontano dalla Francia, e che le serate son lunghe. Sempre fumare, o sempre giocare, ristucca. Un buon fascio di lettere parigine, lunghe come tanti articoli di giornale, sarebbe un ristoro. E posso richiederlo , dopo avervene dato. l’ esempio con questa lunghissima mia , ch'io sigillo acciocchè non si dica che basta toccare la seconda cataratta per:diventare i più seccanti ciarloni del mondo... . Addio, Da Biban-El-Moluch , in Tebe, addì 25 di marzo 1829. Il dì undici, di questo mese, io v'ho scritto due parole di fretta, e datele al sig. Acerbi, console austriaco; il quale partendosi dalla regale città , m'ha promesso di spedirle col primo bastimento in Europa. lo vi diceva , che la mat- 79 tina del dì 8 noi rientrammo lin Tebe in ottimo stato. Le nostre barche ci condussero appiè delle colonne del pa- lagio di Lugsor, dove. noi ci .fermammo a disegnare infino al dì 23. Ci convenne servirci del. maasch,. della dehabié , e delle barchette per nostra dimora , giacchè il magnifico palagio di Lugsor, il più profano di tutti i monumenti egizi, è tutto ostrutto dalle casipole dei fel. lah, che mascherano.e difformano' cotesti be'portici; sen- za parlare della casaccia d’ un brin-basbi, accovacciata , a dir così, sul terrazzo. Questo terrazzo è bucato a forza di picconate , per dar passaggio alle immondizie del bra- vo turco, le quali cascano appunto sopra un santuario su- perbo , scolpito nel regno del figliuol d’ Alessandro. Il dì 23 si passò alla riva sinistra, e mandato il più delle nostre robe a una casa di Kurna , offertaci da un bravo e ottimo uomo, di nome Piccinini, agente in Tebe del sig. D’Anastazy , ci dirigemmo alla valle di Biban-el, Moluk, ove sono le tombe de’Re della XVIII e della XIX dinastia : valle angusta , sassosa, e tutta chiusa da mon- tagne altissime e nude; e però inabitabile nel maggio, nel giugno , e nel luglio. Giovava dunque affcettarci di visi. tarla, ora che il caldo è forte sì, ma pur tolerabile, Noi occupiam quì il più comodo e più magnifico alber- go che si possa godere in Egitto; ospiti del Re. Ram- sete , il IV della XIX dinastia ; ospiti cioè nella sua se- poltura , la seconda che s’ incontri a man ritta, all’ en- trar della. valle. Quest’ ipogeo, ammirabilmente conserva- tosi, è abbastanza arioso e illuminato, per poterlo abi- tare. Noi occupiamo le tre prime sale, lunghe sessantacin- que passi : le pareti, alte da quindici a venti piedi, e il soffitto , son tutte coperte di sculture dipinte, a colori an- cor freschi. Soggiorno veramente regale: se non che le stanze sono obbligate una all'altra. Il suolo è coperto o di stuoie 0 di canne ; i due caua , cioè le due nostre guardie del corpo , co’ domestici , dormono in due padiglioni eretti al di fuor della tomba. Così siamo noi collocati nella valle dei Re, vera casa della morte, dove non trovi nè fil d’erba, nè anima viva, tranne qualche schacal, qualche iena; 80 che la notte passata han divorato, cento passi distante dal nostro palazzo , l’ asino del mio domestico barabra, Mo- hamed , intanto chel’ asinaio faceva ‘allegramente la notte del Rawiadhan nella mostra cucina, posta sog perenni di un re, rovinata. e A Tebe ho ricevute le vostre del dì 20 di Licodia che son le più fresche. Godo di tante buone nuove , e sopra- tutto del buono stato di quel venerabile uomo del sig. Da- cier. Le mie congratulazioni, e i miei rispetti. E oh quanto piacere della commissione archeologica , da $. E. il mini- stro dell’interno affidata al nostro amico Dubois (1). Eran vent'anni che noi andavamo fantasticando tra noi un viag- gio in Egitto ed in Grecia. Ora ci siamo! lo potrò dun- que scrivere da Tebe ad Atene? Quale distanza di spazii , e di cose; e quale armonia! Gli è come un pellegrinaggio generale che la nuova civiltà consacra agli avanzi dell’an- tica: e non sarà sterile , io spero, Mi par di vederlo, il nostro Dubois , tra le colonne del Partenone, o nell’ Alti d’ Olimpia ; e quattrocento , (ch’è il meglio), quattrocento scavatori con lui! Anch’ io ho cominciati i miei scavi a Karnac ; e a Kur- na. Ho raccolte diciotto mummie di varii generi e specie; ma non ne porterò che le più notabili, specialmente le greco-egizie, portanti ‘l’iscrizione ‘greca, e la leggenda demotica e ieratica, Ne ho parecchie di queste : ho anche qualche mummia di fanciullo intatta : cosa ben rara. Tutti i bronzi tratti da’ miei scavi di Karnac, e dalle case del- l’ antica Tebe, a quindici o venti piedi al disotto del li- vello del terreno, sono ossidati, e però affatto inutili, Agli scavi sulla riva orientale ho scelto per direttore il capo degli scavatori del sig. Drovetti, chiamato Temsahk , il coc- (1) Abbiamo già dato notizia (V. Ant. V. XXXIV. A. p. 155. e C. p. 166.) della Spedizione scientifica del governo francese in Grecia , e de’ primi suoi passi. Ora possiamo aggiungere che la relazione delle scoperte fatte e delle col- lezioni incominciate, fu letta nell’Accademia delle scienze, e che i lavori spe- cialmente del colonn. Bory de Saint-Vincent meritarono l’ approvazione e la lode de’ dotti colleghi. 8t codrillo ; uomo che mi pare avveduto, e da fidarsene. Ma i lavori, converrebbe. farli in grande : e. con che mezzi ? Tuttavia nel giugno, luglio, e agosto , ch' io mi stabilirò di piè fermo o a Karnac o a Knurna, si tenterà di fare il possibile. Ho quaranta persone al lavoro. Vedrò se c’ è il prezzo dell’ opera , e se si potrà sostenere la spesa. A Kur- na ho trentasei uomini, che scavano a metà spesa con Rosellini. Gli è certo intanto ch'io debbo lasciare qui le cose appunto che mancano al museo reale; le cose più massicce ; giacchè a trasportarle solo fino ad, Alessandria mi mancherebbero i fondi. Riprendiamo il filo della nostra via, da Ombos, donde è data l’ ultima mia, e donde partiti il dì 27 di febbraio, non si arrivò a Ghebel-Siseleh che sulla sera del dì 18, colpa l’ imperizia del piloto e la pigrizia dei rematori. Co- deste vaste petriere ci diedero da lavorare ben cinque gior- ni, e con frutto, Ambedue le rive del Nilo, che corre rinserrato fra montagne di bellissimo grès, hanno offerto alla perseve- ranza egiziana il teatro delle prodigiose sue. opere : e la mente si perde a pensare l’immensa quantità di pietre che bisognò trarne peraprire quelle loyge arieggate, e que’sca- vi profondi, che a solo percorrerli, stancano. Sulla riva sinistra sono i monumenti maggiori. Venendo dalla parte di Siene ,, prime s’ incontrano tre cappelle scavate nel masso , quasi contigue; tutte e tre de' faraoni ; simili di disegno , di ripartimento, dell’ ornato e interno ed esterno; tutte e tre con in prospetto due co- Jenne imitanti il fior di loto, stroncato. La prima quasi ro- vinata , è d’ Usirei della XVIII dinastia : se ne veggono interi due bassirilievi finissimi ed eleganti. La seconda è del successore. ,' Ramsete II , rappresentato in atto di adorare la Triade Tebana ; quindi in atto d’offrire il vi- no al Dio Phrè, a Ftà signor di giustizia, e al Dio Nilo, che l’iscrizione geroglifica chiama Hapi-muu, padre vivi- ficante degli enti, al quale son dedicate tutte e tre le cap- pelle. Un’ altra iscrizione lo chiama padre degli Dei, lo immedesima .col Nilo celeste, Nenmu, l’acqua primor- T. XXXVI. Ottobre. Il 82 t dliale , il gran Nilo, che Cicerone: fa padre delle ‘principali divinità dell’ Esito; e d’ Ammone istesso ; credenza ch'io trovo confermata ‘in altre iscrizioni non poche. La terza cappella è del figlinol di Ranisete. E la ragione del dedi- carle tutte e tre al Nilo, è ben chiara. Quì, il fiume ristretto fra’ monti , pare che faccia come una seconda entrata nel regno dopo superate ‘le rupi di gr's, come già per fare la prima egli ha scoscese le rocce di granito ond’ è RES. la cateratta, . Più in là delle cappelle si trovano tombe scavate per ricevere due o tre corpi imbalsamati; tutte del tempo dei primi Faraoni della XVIII dinastia : e aleune racchiudono il corpo degl’ispettori delle petriere di Silsili, Il più importante tra i monumenti di Silsili è un edi- fizio cavato nel masso, e cominciato sotto il re Oro della dinastia XVIII. I più antichi de’ bassirilievi rappresentano | questo re, con l’azza guerriera in ispalla, ritto , in atto di ricevere da Ammon-ra l emblema della vita divina, la forza di vincere il settentrione ed il mezzogiorno; Al disotto veggonsi degli Etiopi , altri a terra, altri tendenti le mani a un duce egiziano che nella leggenda rinfaccia loro d’ aver chiuso il cuore alla prudenza, e non avere ascoltato 1’ annunzio che diceva : ecco che il leone s° ap- pressa alla terra d’ Etiopia. — In altri bassirilievi , il vin- citore è portato da’ suoi capitani sopra un ricco seggiolo- ue, e accompagnato da flabelliferi : precedono servitori per isgombrare il cammino : seguono guerrieri co’prigioni ; poi soldati con lo scudo in ispalla, e un trombetta di- , nanzi, La leggenda geroglifica dice : ‘ Ritorna il grazioso Iddio , portato da’ principi de’suoi paesi : egli ha l’ arco nella sua mano , simile all’arco di Mandu , il divino si- gnor dell’ Egitto, Egli è il re direttore de’ vigilanti, che si trae dietro i capi della terra di Kusch, perversa razza: egli è il re , direttore de’ mundi, approvato da'Frè, fi- gliuol del sole e della sua stirpe, servitor d' Ammone, », ORO, il vivificatore. Il nome di lui 5’ è dato a conoscere », nella terra d’ Etiopia; che il re. ha punita: (conforme! le » parole ‘a lui ‘dette da Ammone!, suo padre. ,, bi 83 n «Wii altro bassorilievo rappresenta i prigioni in gran numero, strascinati, e gridanti,, giusta la leggenda;:, © 0 » veridicatore! o re della terra di Kémé (l'Egitto), sole ,ede’Nifaiat (i popoli Libii}, è grande il tuo nome nella ter- ss ra di Kasch (igtioniah, le cui reali insegne tu hai cal- 33 pestate..,, i ; oo «Gli altri bassicilie gi son posteriori , ma non più ic della XIX. dinastia : uno tra gli altri rappresenta Ramsete- Meiamun.in atto/d’adorare il Dio Ftà., e Pasch, sua com- pagna (Bubath) ;. un altro dedicato da Honi, soprantendente agli edifizii. dello stesso Ramsete, intendente di. tutti. i phlivabi reali che sono in Egitto. Parecchie stele , dedicate o dall’ intendenti degli più fizi,, 0, da’ principi venuti nell’ Alto Egitto a celebrare. le panegiri, adunanze solenni di religione , negli anni XXX, XXXIV, XXXVIII, XL, XLIV del regno di Ramsete .il grande, m° hanno indicate delle particolarità singolari sulla famiglia di questo conquistatore : per esempio, ch'egli eb- be due mogli, la prima Nofre-Ari, la sposa della sua gio- ventù, quella che co’fisliuoli si vede ne’monumenti d’Ibsam- bu! della Nubia ; la seconda Isenofré., madre di Batianti, la figlia, prediletta del vecchio re, madre del principe. Scha- hemkemé; ch’ è quegli che presiedeva alle panegiri negli ultim’ anni del regno del padre: e, che probabilmente gli succedette nel trono, pigliando ne’ monumenti il nome di Thmeiothph., possessore del vero , o posseduto dal Vero. Anche questo: possessore del vero, fu un, gran, costruttor d’ edifizii, la più parte distrutti. Da una leggenda raccol- go che la moglie di.lui avea nome Isenofrè., come la ma- dre ;.e il figliuol maggiore, Phtamèn. Da un’altra stela , raccolgo che.da Silsili furon tratte le: pietre per la costru- zione del. palazzo di questo re in Tebe , e per accresci- menti o ristauri da farsi al palagio del padre di lui. Ed è certo che dopo la XIX dinastia , le petriere di Silsili han sempre servito ai monumenti della. Tebaide; e in gran parte anche .a' templi d’ Edfu , e d’Esnè, La mattina del dì :24 di febbraio, eravamo già sotto a’por- tici e e’ colonnati :d’ Edfu, monumento ..de’ Tolomei, ma- 84 guifico, ma che mostra la ‘decadenza dell’ arte, Non più } antica semplicità; ma ornamenti affettati, affoltati sen- z’ avvedimento ; quasi linea di passaggio tra la nobile gra- vità de'monumenti faraonici, e i briccichi del tempio d’Esneh, ch’ è de’ Cesari, La parte più antica del gran tempio d’Edfa è del regno di Filopatore , pui si continua sotto Epifane, sotto Evergete II, Sotero II , sotto Filometore ; e in un cantuccio , ùn tristo e piccino bassorilievo rappresentante 1’ Imp. Claudio che.sta anch'egli adorando gli ‘Dei del tem- pio. Questo magnifico edifizio era consacrato a una triade composta del Dio Har-hat, la scienza e la luce del cie> lo personificate, delle quali il sole nel mondo visibile è quasi l'emblema, d’Hathor, la Venere egizia, e di Harsont-tho , lor figliuolo , Oro, sostegno del niondo , che corrisponde all’ Amore de’ Romani e de’ Greci. I titoli, le qualificazioni , le forme di queste tre divinità , servono ad illustrare ragguardevolmente non poche parti dell’egi- zia teogonia. Ma non è qui luogo a trattarne, Ho fatto anco disegnare una serie di quattordici bassi rilievi dell'interno del pronao, rappresentanti il sorgere del Dio Har-hat, immedesimato col sole ; il suo tramontare , le sue forme simboliche in ciascun’ora del giorno, coi nomi dell’ ore : raccolta importantissima all’intelligenza di que’ pochi miti egizii che risuardano 1’ astronomia. Il secondo edifizio d’ Edfu, detto Typhonium ,, è uno di que’ tempietti chiamati Mammisi , stanza del parto , che si solevano sempre costruire accanto ai gran templi dov'era adorata una Triade: quasi imagine del soggiorno celeste dove la Dea aveva messo in luce la terza persona d’essa Triade, sempre figurata sotto la forma d'un bambino. In- fatti il Mammisi d’Edfu rappresenta l’ infanzia e l’educa- zione d'Har-Sont-Tho, al quale l’adulazione egizia ha as- sociato Evergete II , rappresentato anch” esso come un fan- ciullo, a ‘cui viene parte delle carezze da tutti gli Dei fatte al figliuolo d’ Har-hat. Finiti i lavori d’ Edfu , i nostr’ occhi stanchi di cat- tivi geroglifici e di triste sculture dell’ età de’ Lagidi , si vennero a riposare sulle tombe d’ Elethia, il dì 28 di feb- 85 braio, Quivi, nella notte del dì 1 di marzo, vedemmo ca- dere la pioggia a torrenti, con tuoni e lampi. Potrem dun- que dire anche noi con Erodoto: a’giorni nostri è pio- vuto in Egitto. Il tempio d’ Elithia è stato da pochi mesi tutto di- strutto da' Barbari : ma dai rottami delle leggende ho po- tuto raccogliere che esso era dedicato a Sevek (Saturno), a Swan (Lucina); che parte n’era stato costrutto sotto la regina Amensè , parte sotto Meri figlinolo di lei, e sotto Amenofi Mennone, è Ramsete il Grande; che Amirteo e Acori due degli ultimi re di stirpe egizia, avevano ristau- rate le antiche edificazioni , e ‘costrutte di nuove. Le tombe o ipogei scavati nel monte vicino, sono, la più parte , antichissimi. Del primo i bassi rilievi agricoli, naatici , pescatorii sono stati già pubblicati dalla commis- sione d'Egitto : io ne ho fatti disegnare gl’ inediti, e ri- copiar le leggende, stampate molto scorrette. Il secondo ipogeo , ch’ è d’ un gran sacerdote d’Ilitia, rappresenta molte scene domestiche e villiche : tra le al- tre de’ bovi in atto di battere i covoni del grano ; e al disopra si legge in geroglifici quasi tutti fonetici la can- zone de’ battitori : giacchè nell’antico , come nell’ odierno Egitto , ogni cosa si faceva cantando. Questa canzone, con poche varianti , io l’ ho ritrovata anco in altre tombe ; e dice : ‘ Battete per voi (replicato) — o Buoi — Battete per sì voi (replicato) — Delle moggia per voi — Delle moggia »» pe’ padroni. ,, — La poesia non è classica molto; ma forse 1’ aria l’ avrà ravvivata. E io avrei voluto ritrovarne la mu- sica per mandarla al nostro rispettabile amico il generale De la Salette, acciocchè se ne giovasse nelle sue dotte in- dagini sulla musica antica. La tomba vicina è ancor più importante alla storia. Un certo Ahmosis , capo de’ nocchieri, gran personaggio , in una ‘iscrizione di più di trenta colonne, della quale non riman che una parte, si volge a’ presenti e a’ futuri , e narra la propria storia ; da cui si raccoglie esser questa la tomba d’ un di que’ valorosi, che sotto il re Ahmosis, 186 della XVII dinastia: , ha rconsùmata quasi 1°. A dei . prsperan , e liberato | Egitto. ida’ barbari; ». è. Un’ altra tomba, quasi «distrutta, mha dute a co- noscere quattro generazioni di gran personaggi che han- no governato il paese col.nome'di principi d’ Hithya, du- rante! il (regno de’ cinque primi re della. dinastia XVIII, presso ;a’ quali erano titolati distinti, com’ anco. presso le Regine Alumosis-Atarè , e Ahmosis, mogli.di. Amenotph I, e di Tutmosi I,\e presso Nanofré , sorella di. Meride. Que- sti.personaggi nominati néll’ipogeo, fanno alla tavola d’Abi- do prezioso supplemento e: conferma. Il dì 3 di marzo; arrivammo a Esneh, dui Ibrahim- Bey governatore .della, provincia ,.ci accolse graziosamente, e'ci permise di potere studiare il gran tempio d’Esnè , tutto ingombro di balle di cotone, e tutto stuècato, specialmente al di fuori, dal limo del Nilo. Anche gl’interyalli del pri- m’ ordine delle colonne del pronao ,;furono riturati a forza di poltiglia, sicchè per vedere i bassirilievi «i bisognò spesso e la candela e la scala. Ho raccolto però quanto m’occor- reva e per la mitologia e per la storia. Questo imonumento ch'era! riguardato il più antico del regno , io} ho trovato al contrario essere il più moderno : giacchè i bassirilievi, e i geroglifici segnatamente , son tanto grossolani e affet- tati che mostrano chiaro la decadenza dell’arte. Le iscri- zioni:portano l’ epoca di Claudio , e vengon giù fino a Ge- ta trucidato dal fratel suo Caracalla, che poi fece proseri - vere il nome di lui.da tutto l'impero. E. il comando del tirannò fu docilmente adempiuto anche in fondo alla. Te- baide; giacchè il nome di Geta è quivi dappertutto ammace- cato :con molta cura, non però si ch’ io non abbia potuto leggerlo assai chiaramente. — Adunque il famoso. Zodia- co, di cùi tanto s’è-detto, non è punto più antico di Ca- ratti Non già che più antichi monumenti non fossero in Esnè : io ho trovato sopra una colonna la descrizione delle feste annue. del gran tempio; una tra l'altre, in comme. morazione della dedica del tempio antico, fatta da-Meri. Il 87 qual tempio 'è intitolato’ a rina delle più. grandi fra le di- vinità egizie, a Cnufi, signore del paese d’ Esneh ; spirito creatore dell’ universo , principio vitale delle essenze divine, sostegno di tutti i mondi... A Cnufi vien seconda la Dea Neith; rappresentata sotto :forme. diverse, sotto i nomi di Menhi, Tnebuau', ec. 5 e il fanciullo Kiko, che com- pie la Triade adorata in ‘Esnò, Il dì 23 del mese di hathar, si celebrava la festa della Dea Tnebuau:; il dì 25, della . Dea Menhi; il dì 30, d’Iside, terza forma della medesima divinità. Il dì primo di choiak, panegiri in onore di Kakv, . e altra .in' onore di. Cnufi. Il calendario scolp:to. sopr’ una colonna del pronao, dice : “si espongono tutti i sacri or- namenti : si offrono grani ,. vino, e.altri liquori, bovi, . oche ‘al Dio Cnufi;e alla Dea si offrono collirii e profumi; poi latte a Cnufi 5 un’oca a Menhi, un’oca a Neith, a Osiride un’ oca , un'ora a Knus e ia Thoth; agli Dei Frè, ‘Atmu , Torè, e agli altri che nel tempio s'adorano, un’oca: poi semente; fiori, spighe a Cnufi, sovrano d’Esnè.,,,Se- gue 1’ orazione al Dio. Alla stessa. Triade era dedicato il tempio posto a set- tentrione d’' Esnè , in una bella pianura, già coltivata, ora tutta bronchi, Il dì 6 di marzo noi visitammo, straziati da’ pruni , quelle rovine, di recente devastate, e .ben diverse da quando le lasciò la commissione d’ Egitto. Non ne ri- mane che. una colonna, un'ala di muro, e le fondamenta quasi a terra a terra. Con l’ aiuto delle unghie de’ miei arabi, che valorosamente razzolarono in mezzo .a'sassi e alle spine , ho copiate una diecina d’iscrizioni onomastiche di popoli vinti, scolpite sovra una forma di scudo che. pen- e dal petto al vincitore ; tra’ quali popoli ho letto l’Ar- menia', la Persia, la Tracia, la Macedonia. Ma forse qui si tratta delle vittorie d’un imp. Romano ; giacchè le leg- gende ch'io. ho scoperte non mi danno che i nomi d’Ever- gete I, di Filopatore , di Adriano, d’Antonino, e di Vero. La mattina del dì 7, si fece una escursione più den- tro, terra, per veder le rovine. dell’ antico Taphium,, ;ora ‘l'aud., Restano due, sale o tre d’ un tempietto, abitato dai Fellah , o.da’lor bestiami. Nella sala maggiore i bassirilievi 88 m'hanno indicata la Triade del tempio, Mandà, Ritho, e Harphrè ;$ la triade stessa d’ Hermonthis, capitale del. no- mo di Taphium. .A mezzogiorno, si fu ad Hermonthip, dove io. ho compiuto in poche ore i lavori cominciati già nel novem: bre. V° ho, già detto in altra mia, che la Ritho era Cleo- patra , Cesare il Mandu, e Cesarione l’ Harfrè. Cesare ave- va una particolare inclinazione per rendere compiute le Triadi., specialmente quando trovava delle dee simili a Cleopatra, Eravamo poco lontano da Tebe: grande appetito si sentiva di rivedere quelle grandi rovine , e di gustare dei doni del nostro buon ‘console, sig. Drovetti, che ci aveva mandata colà una barca piena di provvigioni fresche » ma il vento ci tenne tutta la notte in viaggio , e solo la mat- tina dell’8 toccammo la spiaggia di Luqsor. 11 molo è quì tutto corroso dal Nilo; e già le ultime colonne del palagio son quasi lambite dall’acqua. La costruzione fatta per difen- dere l’edifizio dall’impeto del fiume, è di due tempi diver- si; la più antica è di gran mattoni cotti, messi insieme da uncemento durissimo ; e le ruine di questa son di massi larghi quindici a diciotto piedi, lunghi venticinque o tren- « ta , quasi scogli inclinati sul fiume. La costruzione più mo- derna è di grès. Ainenofi Mennone fu che ha costrutto il palagio o piuttosto i palagi di Lugsor, dal Nilo fino alle quat- tordici colonne, alte quarantacinque piedi : e il suo no- me si legge su tutti gli architravi dell’ altre colonne dei cortili e delle sale , in tutto cento e cinque, la maggior parte intere, Le divinità di questa parte di Tebe eran due Triadi. La prima Ammon-Ra , Muth, e Kus; la seconda Ammo- ne generatore , forma Priapica , il Pane degli Egizii; Ta- mon, Ammone femmina, e Karka. Il re, ne’ bassirilievi del palazzo, o presenta loro delle offerte ricchissime, o segue le loro arche portate in processione da’sacerdoti. Ma de’bassi- rilievi, ve n’ha di più importanti ancora, e riguardanti Ame- nofi stesso. Eccovene i principali. Il Dio Thoth, annunzia a Tinauhemva, moglie di*Tatmosi IV, che Ammone genera - 39 tore le concede un figlinolo. — La regina gravida, ècon- dotta da Cnùfi'e‘da Hathor, alla stanza del parto. — Ella mette alla luce Ainenofi : le ancelle sorreggono la giacen- te; de’ yenii divini disotto ‘dal letto alzano verso il fan- ciullo l’ emblema-della vita. — La regina lo allatta. — Il Dio Nilo-dipinto ‘in rosso((la stagione dell’allagamento), presenta alle grandi divinità di Tebe, Amenofi eon Harka, e altri infanti divini. — Amenofi accarezzato da Ammon- Ra. — Educato da Ammon Ra. Le Dee protettrici dell’alto e del basso Egitto, gli offrono corone e Thoth gli appo- ne il nome, cioè il ‘prenome regio, sole signor di giu» stizia e di verità, ch”è quello che sui monumenti lo di- stingue dagli altri Amenofi. Nell’ ultima sala, religiosa nelle rappresentazioni più ch’altro, che sarà stato il santuario o la cappella del re, si vede un secondo santuario inchiuso nel primo, del tempo d’Alessandro il figliuolo del Magno, come dimostra il suo yolto infantile. In un de’ bassi rilievi di colà entro, invece della Dea Thamun, stà la città di Tebe sotto forma di donna, con questa leggenda, “ Ecco ciò che dice Tebe ( Toph), s» la gran reggitrice del mondo: noi abbiam sottoposto al ,» tuo potere tutte le contrade (i Nomi): nuvi t'abbiam do - », nato Kémè (l'Egitto) , terra nutrice. ,, — E Ammone: “ Noi concediamo che gli edifizii da te innalzati sieno dure- »» voli al pari del firmamento.,, La parte settentrionale degli edifizii di Luqsor, seb- bene congiunta da un gran colonnato ai monumenti d’A- menofi , nè distinta , ed è di Sesostri. Ecco perchè gli edifizii non sono tirati alla medesima linea ; difetto evi» dente, ma da non incolparne l'antico architetto. Da questa parte s’ innalzano i due celebri obelischi di granito roseo, sì ben conservati e sì belli : enormi masse di piedi settanta; degni di Sesostri : veri gioielli dell’arte. Io ne posseggo le co - pie esattissime. Ho corretti gli errori delle stampe già fattene , e le ho rese compiute mercè gli scavi da me operati alla base degli obelischi. Ma tutta la faccia orientale dell’obeli- sco a diritta, nè tutta Ja faccia orientale dell'altro a sini- stra, non si potrebbe aver netta senz’atterrare parecchie ca- T. XXXVI. Ottobre. 12 9 succe di terra, e far isloggiare varie famiglie di Fellah, Quanto alle lesgende, ormai si sa che ‘non di arcani re ligiosi , nè filosofici , nè magici, e nemmeno astronomici vi si tratta, come per tanto tempo fu credato, ma solo di dedicare gli edifizii, dinanzi a’quali s* innalzano i due monumenti, L' immensa loro superficie è coperta di scul- ture di buono stile, composte di più centinaia di persone: i soggetti son militari. Quel da sinistra , per esempio, rap» presenta una sanguinosa battaglia , la disfatta de’ nemici, la fuga, la passata d’un fiume, la presa d’ una città, la cattura de’ prigioni. Il testo esplicativo è al disotto ; ma per trarne copia, converrebbe sgombrare mezzo il villag- gio di Lugsor : dal poco che n’ è visibile ho potuto com- prendere che si tratta della campagna da Sesostri fatta nel- 1’ anno V del suo regno, al dì 5 del mese d’ Epifi, An- che sulla parete destra del gran monumento d’ Ibsambul, si tratta d' una battaglia del medesimo mese, ma del dì g. E’ son dunque due fatti diversi della stessa campagna, I ne- mici, (lo si riconosce al vestire), sono Asiatici , Battriani, Medi , Babilonesi. V’è fin nominato il paese di Naharai- na; la Mesopotamia. Degli edifizii di Sesostri alla riva diritta non restano che gli obelischi, le quattro colonne , e il gran cortile tutto colonue all’ intorno, Dappertutto vi si legge il nome di lui: se nun che nell’ ottavo secolo innanzi G. C. parte di quelle moli dovettero forse essere restaurate; onde vi fu posto il nome del capo della XXIV dinastia, il con- quistatore etiope Sabacone , il qual governò per molti an- ni assai mitemente l' Egitto. Le figure dei bassirilievi ri- staurati, sono ardite e muscolose ; non pesanti però come le sculture de’ Tolomei e de’ Cesari, E queste son le sole ch'io del regno di Sabacone abbia trovate in Egitto. In altra, vi parlerò delie tombe regali. Addio. P. S. Addì 2 d’aprile. Oggi parte il corriere pel Cairo, Dal 25 in poi nulla di nuovo. Sempre salute e coraggio. Stasera, gran convito in una delle più belle sale della tomba d’Usirei: pur per dimenticare la seconda cateratta , dove non s’ aveva. a sfamarci che un tozzo di pane. Il con- 1 vito al certo non sarà tanto magnifico quanto la iii ;s ma si farà di tutto per renderlo il più regale che si potrà. Io pensava di offrire a’nostri giovani un piatto nuovo per noi; un pezzo di coccodrillino alla salsa piccante , ammaz- zato ieri , Sul più bello, è ito a male. Un indigestione di meno! Lettera di Terenzio Manrani Deira Rovere al sig. Vievssevx intorno al Manifesto degli Annali Italiani delle scienze ma- tematiche fisiche e naturali (*). Quanta consolazione io mi posi al cuore e che liete speranze concepii del profitto pubblico , leggendo , onorato amico , il vostro Manifesto degli Annali italiani delle scienze matematiche fisiche e naturali. Già per quello m’ era poco durato il rinerescimento della cessazione del Giornale di chimica e fisica di Pavia , il quale per molti anni avea aiutato efficacemente ogni ragione di dottrina e raccomandato assai il nome italiano presso gli stranieri. Ma di più contento m’ era cagione il pensare che questa riparazione si fosse concepita e procurata da’ toscani, cioè da quel popo- lo in cui è il fiore della nostra civiltà. Nelle parole poi di quel Manifesto ammirava un candore nobilissimo e uno .spi- rito ‘veramente nazionale. E cui non dee sembrare bella cosa l’ udire i toscani profferirsi a tale opera non a cagione di sentire molto di sè ma avvedendosi che niuno si brighi di prevenirli: de- siderare che cessi all’ Italia il disdoro di non annoverarvisi gior- nale alcuno, il quale versi per intero sulle matematiche , e sulle fisiche , cioè su quelle facoltà che oggi tengono le più alte parti dello scibile e si collegano a qualunque altra disciplina, e pene- trano e si mescolano a ogni interesse civile : facoltà rinate, può ben dirsi, in Italia, anzi in Toscana nelle scuole del Galilei : chiedere che tutti gli italiani vi cooperino col loro senno migliore, tanto che vi si spieghi splendidamente il sapere della nazione e \ ne sia, come a dire, vina insegna. D'altra parte credersi utile Fiorenza a compilare e metter fuori esso giornale, come città mezzana fra varii stati, provveduta di facili comunicazioni , fre- quente di forestieri. Alle quali ragioni apertissime io fra me ag- giungeva ( forse per natura povera di grammatico ) che in To- (*) Vedi Ant. N.° go. p. I a X Manifesto, e N.° 100. p. V Proemio. 92 scana accrebbero le. scienze gittato via il rozzore del lor parlare moderno e provera ad altti, che opponendo alla lingua parlata la scritta», dicono collo Speroni che di questa non sono. maestri che i let- terati. Ovvero esagerò a sè medesimo una verità molto ovvia, che la lingua letteraria cioè differisce necessariamente dalla parlata, tasti IOI come ciò ch’ è artificiale differisce sempre dal naturale. Nel suo Ragionamento sopra il poema di. Dante egli osserva giustamente, che nessuna lingua può convertirsi in letteraria , se; non perdendo molte qualità popolari, e accogliendone altre, che vanno in essa trasfondendo gli scrittori. Ma è egli vero che ciò avvenga « in guisa, che serbando la sua intrinseca natura essa trasformi tutte le sue ‘sembianze? ,, Il Niccolini, esaminati gli elementi del- l’ umano discorso , è indotto a conchiudere , che per opera degli scrittori‘non può una lingua niente più trasformarsi che formarsi. Gli scrittori, come i meglio parlanti, non fanno quasi altro al dir suo'(e al dir di chiunque fanno ben di rado qualche cosa di più) che sceglierne o combinare con speciale intendimento voci e maniere ; la qual scelta o combinazione , onde le vien sicura- mente nuova bellezza, non è altro che una limitazione, e una limitazione è ben lungi dall’ essere una trasformazione. Che se fra la lingua parlata e la scritta avvi necessaria iden- tità, il fato dell’una , per servirmi qui pure d’ una frase del Niccolini, sarà necessariamente congiunto a quello dell’altra: 0, in ‘altri termini, presso il popolo, a cui la lingua appartiene, sarà quell’ 2so soorazo , che il Foscolo, per isfuggire una grave difficoltà } restrinse alla sola lingua poetica; quel jus et norma sì dello scrivere che del parlare, senza di cui sarebbe nome vano la proprietà del linguaggio. Di questa il. Niceolini ragionò in- cidentemente ma non brevemente, collocandosi fra i retori an- ticlii. e i moderni filosofi , nella prima lezione , di cuni ho toc- cate: alcune generalità. Quindi ne, trattò \ancor più di propo- sito «in altra (stamp: ‘anch’ essa più volte coll’ antecedente e poi ristam. nel 2.° vol. degli Atti) ove pur disse. del necessa- rio ‘mutamento delle lingue. E tornò quindi a parlarne in. una terza, che intitolò della pronunzia , e del cui breve compen- dio , che troviamo negli Atti, giova recare quasi letteralmente gli ultimi periodi. « Esaminate le parti, di che la pronunzia si compone, mostrò ch’essa è impertetta se le parole mon si prof- feriscono con tutte le modificazioni stabilite dall’ uso, presso il popolo che un dato idioma naturalmente favella. Combattè viva- mente le dottrine di quelli, i quali vorrebbono che la pronunzia prendesse norma in Italia non dai Toscani ma dai più. gentili d’ogni' provincia. Rigettata come falsa 1 accusa dataci dal Per- ticari di mozzare in sul principio le parole , dichiarò insostenibile 1° opinion del medesimo che; sanate le profferenze,, tutti. .i .dia- letti d’Italia si mutano in bellissima lingua. Avvertì che le;tron+ che parole di questi dialetti non si riguardano: già come» tali da . 192 chi in essi favella o talvolta pur scrive 5 che molte ‘e tronche e non tronche sono al tutto diverse dalle nostre, e altre, che sono identiche materialmente , assai ne differiscono per le idee che vi sono comprese. Quindi avviene, egli disse, che alcune fuor di Toscana paion belle ‘e sublimi quando per noi sono improprie e triviali, onde poi ì diversi giudizi sulle scritture in cui si ritro- vano. Di tutto ciò egli diede convincenti esempi, e conchiuse che le lingue mon possono nè potranno mai stare ne? soli voca- bolari; che.certe finezze ; le quali sono il meglio di esse, più si sentono di quel che si possano definire ; e che di queste l’uso giornaliero del parlare è il miglior maestro possibile a quelli che scrivono ). La qual ultima sentenza egli avea già proferita e corredata di non lievi prove nella prima lezione , ove trattò del necessario legame delle parole e delle idee. Se lo scrivere, ivi aggiunse , altro non è che un pensatamente parlare, chiunque scrive in una lingua diversa da quella, in cui pensa e favella , è costretto a tradursi, a sacrificare il più delle volte la vivezza o la deli- catezza del pensiero per mancanza di segni che vi corrispondano. Però il Varchi ebbe ragiou di negare, che uno , il quale uon sia nato o educato in una lingua da coloro che vi nacquero « possa da tutte le parti scrivervi dentro perfettamente » se già in tal lingua mon si trovino tanti scrittori che nessuna parte ne sia ri- masta addietro. Nè il Caro, il qual vedea bene se ciò fosse pro- babile, si vergognò di dichiarare che quanto sapea di lingua tutto il riconosceva « ‘dalla pratica di Fiorenza. » L’ Alfieri , ag- giugnendo a simile dichiarazione quell’ osservazion luminosa , che dal tempo, in cui prese a conversare giornalmente col popolo di Firenze « cominciò a pensare in questa doviziossima ed elegante lingua , prima indispensabil base per bene scriverla », fornì per così dire il testo © il compendio a’ più bei ragionamenti del Nic- colini . Ma ‘contro le:conseguenze, a cui questi erano diretti, fa- ceasi,, com’ è;noto, smonar alto un’ autorità , che parea valer sola più ‘d’ogni ragionamento ; 1’ autorità , direbbe il Niccolini, me- désimo', ‘del sacro Dante. Egli era quindi forzato a prenderla se- riamente ‘in esame; il che, datone,,. se. così posso esprimermi , un ‘segno ‘nella prima lezione, adempì nell’ appendice che anche negli Attile va-mnita..Ivi cercò innanzi tutto se Dante fosse stato fedelmente citato; e raffrontando colle;sue vere parole , quali si leggono nel libro della Volgare Eloquenza e altrove; quelle che , interpretativamente. gli si attribuirono dal Monti» e dal Perticari, 1053 trovò che le une spesso non han che fare coll’ altre. Cercò in seguito se Dante , fedelmente citato, fosse stato ben inteso; e guardando a tutto il libro ‘già detto, e contrapponendone vari passi ad altri del Convivio ; vide non potersene in modo alcuno dedur le conseguenze che gli oppositori avrebbero voluto. In quel libro infatti il poeta or si espresse oscuramente ,. or disse dello scrivere in rima o nella lingua del Lazio ciò che poi si volle applicare alla nostra , or favellò per isdegno o per amore di parte (e a questo proposito è ben inutile contrastare alla storia ) , ora forse ingannò sè stesso imaginandosi adempito ciò ch’ era 1’ og- getto d’un generoso desiderio. Il confronto fatto dal Foscolo tra la Commedia e il Convivio in proposito di dottrine politiche dà nuova luce a quello fatto dal Niccolini tra il libro della Volgare Eloquenza e il Convivio medesimo.in proposito di dottrine riguar- danti la lingua. E il Foscolo, benchè avversissimo a quella ch’ei chiama vanità de’Fiorentini di far lingua italiana del dialetto d’una sola città, benchè inclinatissimo a rampognarneli col poeta, pur non si affida a sostenere che questi parlasse d’un volgare illustre, formato da’ dialetti di tutte le città d’Italia, altrimenti che per imaginazione. « Nato, egli dice, ad illudersi sulla prossimità d’ogni evento che desiderava , e desiderando grandemente l'unità della lingua come pegno d’ unità nazionale, vide quello, ch’ ei nomina volgare illustre, e di cui si disputa tuttavia , nascere ed ampliarsi per la perpetua residenza de’ Cesari di Roma , e fra le repubbliche e le tirannidi, tutte confuse in un solo impero. » Come però la sua immaginazione dovea pur cedere talvolta alla co- scienza del fatto, ei confessò nell’ istesso libro. dell’ Eloquenza , che quel volgare, che in ciascuna città apparisce. e in niuna riposa, può ben più in una che in altra apparire; e condotte a definirlo par che il riduca ad un particolare dialetto, districato dalle perplesse costruzioni, delle difettive pronuncie ec. ec. « come Cino da Pistoja e l’amico suo nelle ‘lor canzoni dimo- strano. )) Ma se quel suo volgare illustre fu al tutto ideale, o non fu che il toscano elevato nel suo pensiero a maggior grado di no- biltà , come si distinsero in esso i poeti non toscani , lodati da lui in una delle sue cantiche non che nel libro più volte ricor- dato? A ciò il Niccolini avea già risposto nella prima lezione, dicendo che il linguaggio de’ poeti, e specialmente de’nostri, primi che sol cantarono d’ amore, è linguaggio circoscritto , e tanto più facilmente poterono usarlo e abbellirlo così i non toscani come i toscani , che, oltre la reciproca imitazione , li ajutava 1’ analogia 104 del latino e del provenzale. Aggiugneva però che i now toscani gli diedero assai meno abbellimento che i toscani, come appa- risce confrontando (per tacere di Civillo d’ Alcamo da lui nomi- nato , il quale scrisse in siciliano, e non potrebbe d’altronde aver confronto che nel suo coetaneo Folcacchiero) 1° imperador Federigo, Ugolino da Faenza, Bandino Padovano, e lo stesso Guido Guinicelli col plebeo Guittone. Con che studio questo po- vero Guittone siasi dal Monti e dal Perticari voluto far credere, non che plebeo, infimo fra’ plebei, nessuno l’ ignora. Quindi il Niccolini stimò prezzo dell’ opera il tornare a parlar d’esso:nel- l’appendice, onde porgerne più vera idea. E al Perticari, che per gettarlo più in fondo si afforzò, come il Trissino, d’aleune ter- zine del 26.° del Purgatorio, ne oppose altre del 25.°, onde si fa chiaro come quelle debbano interpretarsi. Che se pur si so- stenga che Guittone è in esse posposto ; così per la lingua , come per den: altro pregio , al Guinicelli, giovi almen ricordare che nell’rt.° del Purgatorio medesimo è detto che al Guinicelli. tolse il vanto della lingua Guido Cavalcanti , il maggior amico di Dante a cui era concittadino. Quanto a Brunetto suo ‘maestro , posto dal Perticari nell’ istesso luogo con Guittone, il Niccolini s° accon- tentò d’avvertire che il Pataffio « pietra dello scandalo » non è suo, ciò che un altro accademico si proponeva di mostrare. Suo peraltro o non suo, poteva aggiugnere, esso è libro da scherno ; e la lingua, che vi si trova adoperata, è più diversa del volgar fiorentino o to- scano, che non è dall’illustre quella di Guittone e degli altri to- scani, che Dante nel libro dell’Eloquenza chiama plebei Che se la lingua di questi, avvertiva l’autore delle tre annotazioni alla maggior opera del Perticari inserite ne’ due primi volumi dell’Ef- femeridi letterarie di Roma, contiene maggior numero di modi proverbiali e municipali , che quella di vari non toscani, non ne consegue nulla contro il volgare toscano. Si fa piuttosto evi- dente , ch’ essa è ‘tutta lingua naturale o di dialetto, mentre quella degli altri è tutta adottiva e di studio ; cosa d’ altronde già provata dal Poliziano in quella sua epistola, ove parla della lingua in cui scrissero Pier delle Vigne e altri Siciliani. I primi prosatori, almeno i.più noti; sembrano ad alcuni faor di questione, come più o men posteriori a’ primi poeti. E veramente Matteo Spinello, il primo; diceva già il Niccolini, 0 uno de’ primi , direbbe oggi , a scrivere in prosa volgare ; è meno ‘antico di quello che il Perticari suppone; come provano ‘alcune cose ‘accennate ne’ suoi Diurnali: D’ altronde: anch’ egli, come Ciullo d’ Alcamo , scrisse nel patrio dialetto , nel pledeo dialetto 105 de’ Pugliesi se stiamo al Perticari, nel purissimo cioè nel più civile se stiamo al Galiani o a chiunque sia l’ autore del dotto libro sul Dialetto Napoletano. Ma appunto dall’avere egli scritto in tale dialetto pare che il Niccolini voglia inferire che nè egli. nè altri fuor di Toscana era allora in grado d’ usar lingua più bella. Nè dopo lui, quando già anche nel dialetto della Tosca- na si erano scritte più prose (e se ne scrissero indubitatamente prima de’ Diurnali) i prosatori non toscani seppero quasi usar altro che il dialetto nativo. Ciò il Niccolini prova colla Cronica del Monaldeschi, scritta dopo quella del Compagni non che dopo quelle de’Malispini, l’una forse anteriore , l’altra contemporanea a’Diur- nali dello Spinello, e colla Vita di Cola di Rienzo scritta dopo le Storie de’ Villani. Del resto, ei domanda , perchè mai se l’Ita- lia ebbe fin da principio un volgare illustre , una lingua comu- ne, per un pezzo quasi i soli Toscani dettarono memorie de’fatti. contemporanei. in questa lingua , mentre gli altri Italiani, e in ispecie i settentrionali, usarono piuttosto la latina? Non è que sta, egli dice, un’ altra prova che la lingua supposta comune era lingua particolare, la quale non si propagò che a grado a grado e per mezzo dello studio fuor del luogo della sua forma- ‘zione ? E già egli ne avea prova diretta nella famosa lettera, che Dante scrisse di Venezia nel 1313 al signor di Ravenna , la- gnandosi d’ esser poco più inteso in quel senato parlando italiano che parlando latino. Al che poteva aggiugaere quel che notò Al- berigo di Rosate, già supposto autore dell’ Ottimo , d’ aver cioè tradotto il Commento del Laneo di ‘toscano, © d’ italiano che vogliam dire, in latino , poichè quest’ idioma era più noto del- l’altro. Le obbiezioni, che volessero trarsi dalla Guerra Trojana di Guido Giudice , dall’ Agricoltura di Pier: Crescenzio o da altri libri di prosa anticamente volgarizzati ; già erano state sciolte dal Salvini ch’ei cita. D’ altre simili, bisognando, può trovarsi la soluzione nelle Lettere del Biamonti intitolate di Pamfilo a Po- lifilo sull’ Apologia del libro della Volgare Eloquenza, special- mente nella terza ove si parla della Rettorica di Fra Guidotto ; e in vari articoli inseriti dal Benci fra i primi dell’ Antologia , specialmente in quello sul Cennini, ove si parla delle Fiorità d’ Armannino. Di quelle , in apparenza più forti, che emergono da qualche leggenda e da qualche cronaca opposte dal Perticari alle toscane, bastano parmi ad indicarci il valore le poche parole con cui si chiude la terza delle annotazioni più:sopra lodate. A queste annotazioni , preziose specialmente per le indagini che racchiudono sulle origini men vicine della nostra lingua , è da T. XXXVI. Oottobre. 14 106 aggiugnersi, quasi complemento alle lezioni del Niccolini, l’ar- ticolo che porta il titolo d’ appendice critica alle note opere del Perticari , steso da un letterato lombardo, non senza i consigli, mi si dice, del Sarchiani e del Niccolini medesimo. Al comparire di tale articolo ( nel 3.° quaderno di questo giornale ) molti che; per le dette lezioni e le due prime annotazioni, già aveano co- minciato a dubitare delle cose, specialmente di fatto , asserite in quell’ opere, s° avvidero che non era da farsi sovr’ esse alcun sicuro fondamento. Anche nel Ragionamento del Foscolo intorno alla D. Commedia è detto e mostrato con qualche esempio , che « le illustrazioni del Perticari alle teorie di Dante circa il vol- gare illustre stanno a gran pericolo per poca diligenza nelle date e troppa fiducia ne’ raccoglitori d’ antiche composizioni. » Ma già nell’ articolo indicato il pericolo , e per queste e per altre cause , appariva troppo più grande. L’ ultima delle tre annotazioni , dot- tissime veramente se non eleganti, e le Lettere del Biamonti, non meno eleganti che dotte; uscite in luce poco dopo, lo ac- crebbero a dismisura. ‘ Malgrado però questi scritti, malgrado gli altri che avrei potuto nominare (del Lampredi, del Lucchesini, del Rosini, ec. ec.) la gran questione della lingua ancor non parve decisa. I principii, che sono base all’ opere del Perticari e del Monti, resi verosimili dalla loro erudizione e dalla loro industria, abbelliti dai tanti fiori del loro discorso ; lusinghevoli per sè stessi alla. maggior parte degl’ Italiani, ebbero sempre e aver doveano caldi sosteni- tori. Fra i quali uno assai ingegnoso , riproducendoli con egual forza che fedeltà, or sono almeno tre anni, in uno. de’ più ce- lebri giornali d’ Italia, parve sfidare chiunque. li stima erronei ad oppor loro saldi ragionamenti. E in verità se i già opposti non bastano ; difficilmente basterebbero altri, che; per quanto ne differissero. nella forma; poco ne differirebbero nella sostanza. La disfida adunque o non era da accettarsi in verun modo, o era da accettarsi soltanto ad onore e quasi dissi fuor. di steccato , rimossa ogn’idea di formale combattimento. Ciò fece il Bencini, accontentandosi di rispondere senza molta insistenza (1. s. nel,3.° vol.degli A.) ad alcune interrogazioni e asserzioni, che nello scritto dell’ anonimo forse gli parvero più speciose. Come mai, dicevasi in esso; avrebbe l’Italia nella sua vecchia e lagrimevole divisione potuto ricevere l’ idioma da una città; a cui mancava egualmente e la preponderanza del sapere e il predominio dell’ armi ? Quanto alla preponderanza del sapere è noto che il Perticari , trovandola prima in Sicilia, grazie alla corte di Federigo, poi in. Bologna per 107 « quel concilio nobilissimo, uso le sue frasi, che detto era uni- versità ) ne argomentò che là si fondasse , costì si perfezionasse il volgare illustre, poi ch’ ebbe lasciata la prima sua sede. Un volgare illustre ,. fondato d'improvviso da alquanti uomini di tutta Italia , che portarono ad una corte i lor dialetti diversi ; poi trasmigrato d’improvviso e perfezionato da momini d’ ogni nazione, che parlavano in quel lor concilio il latino delle scuole; nè rimasto nel popolo; fra cui viveano i secondi, più che si ri- manesse in quello , fra cui viveano i primi, è tal prodigio, che non permette di formarsi alcuna chiara idea di ciò che possa la preponderanza del sapere per la propagazion degl’ idiomi. Però l’ accademico , rispondendo, tacque di questa preponderanza , e solo avvertì , in proposito di quel predominio dell’ armi, onde non la sola Firenze è costretta umiliarsi all’ antica' Roma, che non tanto per esso od altre cause estrinseche , quanto per intrin - seci pregi, può un idioma prevalere agli altri, come già l’attico a quei della Grecia , il castigliano a quei ‘della Spagna, il pie- cardo a quei della Francia. Da che dipendano i pregi intrinseci è questione difficile , e 1’ accademico, non essendone richiesto , si astenne dal toccarla. Ch essi non dipendano originariamente nè da corti nè da concilii nobilissimi è cosa manifesta. Gli Arabi, ancor non erano che nomadi, e già aveano, per quel che sembra, lingua assai ben formata , che poi servì mirabilmente a’ lor pru- gressi letterari tanto rapidi e tanto diversi. Lingua assai ben for- mata sento pur dire che abbiano varie tribù indiane dell’ Ame- rica settentrionale, non destinate sgraziatamente a simili progressi, poichè vicine ad estinguersi, ma che già avranno, m’imagino , fornito qualche pagina da non obliarsi al libro di Denis sulla letteratura de’ selvaggi. Ultimamente il barone Roger, stato go- vernatore al Senegal, pubblicando alcune ricerche sulla lingua de’ Ghiolofi o Ulnfi , asseriva ch’ essa per le sue belle e ‘ingegnose combinazioni riunisce 1’ armonia delle lingue antiche e la pre- cisione delle moderne ; ciò che probabilmente si farà chiaro dalla grammatica della lingua medesima , promessa dal sig. Dard, che già ne diede un piccolo dizionario , credo in aggiunta ad un saggio di Favole Senegaliche. Ma alle cause naturali, che possono far bello un idioma , si unirono ‘in favor del toscano , e del fiorentino in ispecie, anche le istoriche., quelle cioè che nel corrompimento del latino ; già. disugualmente parlato nelle varie parti d’Italia, servirono ; come dice il Salvini ‘ed'‘altri con lui ,;a mantener qui le voci più sincere 0 più intere. Le quali cause, sebben comuni a quasi tutta l’Italia media, esente dall’ invasione saracinesca ‘108 -della meridionale, e dalle lunghe dominazioni gotica e longobar- dica della settentrionale, non ebbero in nessun luogo miglior effetto che quì per la formazione d’ un nuovo idioma , poichè in nessun luogo agirono più liberamente, come osserva l’autore delle annotazioni romane, che altrove si sono citate. Ora ogni idioma originariamente più bello degli altri, che si son formati con esso, deve pure, ove nulla si opponga , andarsi prima degli altri per- ‘fezionando. Ciò che servisse ad accelerare il perfezionamento del parlato in Firenze appena ho d’ uopo d’accennarlo. « Quella città, dice il Foscolo nel suo Ragionamento sopra il Decamerone, si reggeva a democrazia , s° arricchiva per le manifatture e pel traf- fico ( e s’arricchiva di tanto ch’ ebbe da un viaggiatore inglese de’ nostri giorni il nome di Londra del medio evo ) era divisa ‘perpetuamente in parti, che talvolta s’ azzuffavano armate e più spesso a parole nelle assemblee popolari, onde tutti per ambi- zione di magistrature e per interesse di mercatura s’industriavano a farsi parlatori e scrittori. » V° erano pochi, egli prosegue, fin anche. fra gli artigiani, che non credessero le lor famiglie degne della memoria de’ posteri. Scriveano quindi cronichette della lor repubblica, innestandovi le lor faccende domestiche e i ricordi de loro maggiori. E usavano a quest’uopo il patrio dialetto, nel quale è tuttavia da -ammirarsi l’ evidenza della sintassi e la pro- prietà de’ significati. I più colti, applicandogli le regole gramma- ticali latine, lo nobilitavano tanto più facilmente , ch’ esso già pe suoni e per le forme s’ assomigliava più d’ ogn’ altro a quel latino, che era la sola lingua scritta, comune agl’ Italiani di que’ tempi. Nessuna meraviglia pertanto che il fior degl’ Italiani se ne invaghisse ; di che ci fanno fede le stesse invettive di Dante contro i suoi concittadini, che arrogavano , com’ ei s’ esprime, al loro volgare la dignità dell’illustre. Nella qual frenesia, per usar nuovamente le sue frasi, come mai si sarebbero travagliati e i famosi e i plebei, se i più famosi d’Italia non avessero usato come illustre il loro volgare? Nè il Foscolo, benchè ciò contrari un poco le sue opinioni , lo nega assolutamente. Le cose dette, egli scrive, la situazione di Firenze in mezzo all’ Italia (quel predominio , potrebbe aggiugnersi, che già dall’ armi cominciava a passare all’industria , ond’ essa facevasi ricca), il vigore de’suoi ingegni, il numero sempre crescente. de’ suoi scrittori, la gran fama d’alcuni pochi, e de’ tre sommi in ispecie , che si riguar- dano come i padri della nostra letteratura , fecero che « la lin- gua letteraria della nazione fosse innestata nel suo dialetto. » Ma se que’ tre sommi, domandavasi a rincalzo nello scritto "—_- vicini Ing dell’anonimo, nasceano in altra città che Firenze , dovea la lingua prender nome da essa? Alla qual domanda ; non più muova del- l’ antecedente, 1’ accademico rispose ciò ch’ era già stato rispo- sto da altri (dal Salvini sicuramente e credo anche dal Varchi ) che le lingue prendon nome non dalla patria degli scrittori, ma dal popolo che naturalmente le parla e da cui gli scrittori le ri- cevono. Gran cose fecero que’ tre sommi per la nostra; ma que- sto popolo certamente non fece meno di loro. Dante, ho sentito dire più volte al Giordani, inalzò alla lingua un superbo colos- so; Dino Compagni gli preparò il piedistallo. E la metafora è e- gualmente giusta che bella, poi ch’esprime ad un tempo una diffe- renza di specie; una proporzione di merito e una probabile gra- dazion cronologica. Ma questa gradazione, come già si è accen- nato , non comincia nel Compagni; ma la proporzione di merito non è da considerarsi in lui solo. Meravigliai, sovviemmi, una volta di trovare nella sua Diceria a papa Giovanni XXI qual- cuna di quelle frasi, che si notano come singolari nella Divina Commedia. Più meravigliai di trovarne altre simili in libricciuoli d’° uomini molto semplici, come ne? Fioretti -di S. Francesco ; i quali in origine saranno forse d’ un marchigiano, come piace al Perticari, ma in tal caso tradotti o rifatti in Toscana. Cessai di meravigliarmi quando poi ne udii (testimonio indubitato d° an- tico retaggio popolare) sulle bocche di questo volgo e del con- tado in ispecie, come il celebre vignaiolo di Véretz (v. la sua prefazione all’ Erodoto ) passeggiando verso Peretola ne udì del Canzoniere del Petrarca. Del resto qual miniera di bella lingua fosse in Firenze al tempo di Dante, ce lo mostrano le storie di Gio. Villani, cominciate probabilmente quando l’ altro cominciò il suo poema. Di quella, che vi si trovava a’ giorni del Petrarca e del Boccaccio, mi par soverchio il favellare. Se non che nello scritto, che diede motivo al ragionar dell’accademico , par che si attribuisca il gran merito de’ due poeti nel fatto della lingua all’ aver vissuto , l’ uno assai tempo , l’ altro quasi sempre fuori di patria, onde consegue che il molto vivere in essa nuocesse a quello del Boccaccio. Quanto a Dante, sei non scrisse i primi sei o sette capitoli del poema in lingua non solo meno bella ma assai diversa che i rimanenti ; Ja Vita nuova che il Convivio 0 altra opera della virilità, non veggo come 1’ opinione, accennata possa sostenersi. Certo fuor di patria gli si accrebbero per molte cause le forze dell’ ingegno; e ciò non gli fu inutile pel magi- stero che in lui ammiriamo della lingua. Ma questa lingua pro- priamente, sembra domandar 1’ accademico, da chi 1’ ebb” egli ULIA se non dalla ;parria E il pochissimo, che v° introdusse dal di fuori, è forse il meglio di essa? E ove più l’ avesse fatta parte- cipare ad altri idiomi, l’ avrebbe resa più illustre, 1° avrebbe almen serbata intelligibile? Dopo ciò le testimonianze del Boc- caccio e di Dante medesimo , ch'egli non iscrisse in altra lingua che nella nativa, potevano ancora esser opportune a citarsi ma non erano sicuramente necessarie. Riguardo al Petrarca , io mi sarei forse contentato di rispondere con que’versi del Foscolo a Fi- renze: “ e tu i cari parenti e /’ idioma — desti a quel dolce di Calliope lahbro ec. ,,; poichè se 1’ idioma non gli era dato da lei, mal potea sperarlo d’ altronde, quando giusta le frasi d’ una sua epistola che 1’ accademico cita “ esso era ancor sì recente, guastato da molti e coltivato da pochi ,,. Vero è che il Foscolo ne’ Saggi sopra le sue opere cel mostra debitore , più che alla patria o ai cari parenti, ai molti rimatori che già van- tava tutta Italia. Ma e tutti avean pur qualche debito verso la To- scana , e l’idioma , che gli prestarono , non era, direbbe qui il Niccolini, che idioma assai circoscritto. Che s’ egli avesse vissuto co’ suoi concittadini, come si può dir che leggendo visse con que’ rimatori , avrebbe , io credo , trovato idioma per altro che per versi d° amore o poche eroiche canzoni. Non avrebbe forse cominciata l’Affrica in volgare, per poi ricominciarla e finirla in latino, mentre Dante cominciò la Commedia in latino, poi la ri- cominciò e finì in volgare. Avrebbe pur scritte altre prose che latine ; e come al nostro idioma poetico diede una dolcezza che Dante lasciò desiderare, così al prosastico avrebbe forse data una leggiadria di cui il Boccaccio si sarebbe invaghito . Buon per quest’ ultimo , io vo quindi pensando, che dimorò quasi sempre ove il poeta suo amico, dopo l’ espatriazione de’ genitori , non fa che una sola volta di passaggio. Se , aspirando all’ eloquenza; prese qui troppo le maniere de’latini, come l’anonimo e tutti gli rimproverano , altrove probabilmente sarebbe stato costretto a prenderne anche la lingua. Vedendo la copia e la bellezza delle voci da lui usate nella maggiore delle sue opere e in alcune delle minori, l’ anonimo non si affida a sostenere ch’ egli avesse grand” uopo di raccoglierne altre da’ vari idiomi .d’ Italia. Ben dice che, guardando a che norma generale questi si rivolgevano ne’ loro icostrutti , avrebbe schivata quell’ eccessiva imitazion de’ latini , per cui contraffece al genio della lingua comune. Girca alle voci l’ accademico osserva, ch’egli già non avrebbe mai voluto contraddire a sè medesimo , il quale nell’ epistola al priore di S. Apostolo morde, com’ è moto , il siniscalco Acciaioli per aver PIO VIE I 111 gittato via il volgar fiorentino qual cosa da poco, e fatta quella mescolanza in cui Dante qualche volta parve riporre ) illustre. Quanto a’ costrutti può dubitarsi che da’ parlatori o scrittori ( pochi sino allora e non so quanto industriosi ) de’ vari «dialetti ei fosse per trarre miglior norma che da’ toscani. Può dubitarsi che il vero genio della lingua gli si avesse a fare più manifesto altrove che qui, ove fino il traserittore del suo Decamerone, il Mannelli, notava ne’ margini, beffandosi un poco di lui ‘ que- sto, messer Giovanni mio, è constructo in ‘zoccoli ,;; ove già fiorivano e seguitarono ‘per tutto il secolo a ‘fiorire scrittori , al confronto de’ quali anche il suo più grande ammiratore , il Sa'- viati, usa frasi poco dissimili da quella del Mannelli. A tali scrittori, come tutti sanno , si ebbe ricorso, quando, dopo il Galileo specialmente , si volle di nuovo aver riguardo al genio della lingua. E il Boccaccio, pur sempre ammirabile, tanto parve più sicuro modello quanto meno si dilungava da’ più sem- plici fra loro. Anzi, com’egli, per farsi più singolare , usò non di rado voci già anticate o dedotte intemperantemente dal latino come i costrutti, si chiese in certo modo ad essi quando le usò più ingenue e più native. L° anonimo chiama sofista il Sal- viati , per avere con bugiarda prova (frase del Perticari), cioè traducendo in vari dialetti, compreso il volgar fiorentino, un principio di novella del Boccaccio, voluto far credere, che que- sto volgare; come il più simile alla lingua usata dal novellatore, fosse il solo degno delle scritture. A voler essere sincero, diceva il Perticari (sincerissimo; come ognun sa, in tutte le sue ver- sioni ) egli avrebbe dovuto far uso del volgare degli Scherzi co- mici di G. B. Zannoni, e non dell’ altro ch’ è lingua di nobili e letterati così fiorentini che romani. Tacerò qui del volgare degli Scherzi comici , vero scherzo comico anch’ esso, poichè raccolto con ischerzevole intenzione , come gl’ incidenti d’ una: commedia, da persone e occasioni diverse , e ancor più ridicolo sotto la penna dello scrittore che. nella bocca delle Crezie, per 1° impossibilità di trovar segni a tanti suoni assai tenui che lo accostano al vol- gar vero e comune. Dirò solo. del volgare del Salviati, che se ne’ suoi costrutti si trova qualche cosa di non volgare , trovasi pure ne’ costrutti degli altri da lui postigli a confronto ; onde a questo riguardo la parità è perfetta. Riguardo alle voci non è colpa del Salviati se vi ha grandissima disparità , bench” egli nel suo volgar fiorentino ne abbia inserite di quelle che oggi qui, non che i nobili e i letterati, non le userebbe lo Stenterello. Di tutte l’ altre può farsi giudizio col confronto degli altri scritti 112 dell’età del Boccaccio , e specialmente delle Novelle del Sacchetti, ove più che altrove appar manifesto, dice il Foscolo , qual fosse il dialetto allor parlato in Firenze. Che se son vere le condizioni di questa città, ricordate; come vedemmo pocanzi, dal Foscolo medesimo ; se fin d’ allora, come dice il Perticari nel cap. 7 dell’ Apologia ‘ tutta questa città era corte ,,; anzi, per usar la frase del Gravina, ch'egli ciò scrivendo ebbe innanzi, « la corte abitava qui per tutto il popolo e in mezzo la plebe mede- sima 4; qual meraviglia che il suo dialetto sembrasse lingua da nobili e da letterati, avesse il vanto di lingua cortigiana o di volgare illustre ? L’ opinione, che si attribuisce a Dante intorno a questo vol- gare ; e che ha dato motivo a tante dispute, è secondo il Cap- poni (a cui sembra far eco.il Foscolo ) opinione ghibellina. Molti, come si accennò, presero a confutarla; il Capponi, desideroso di trovar termine a quelle. dispute , privilegio sciaguratissimo , com’ ei le chiama; del nostro bel paese; si è dato a. cercare se possa ‘essere in essa qualche specie di vero. Ogni nazione, egli osserva 3 la qual occupi certa estensione di suolo (lez. stam. pri- ma nell’ Antologia, poi ristam. nel 3.° vol. degl’ Atti), ha ne- cessariamente vari dialetti ; fra i quali uno è adottato da tutta la nazione e serve di fondamento alla lingua scritta. Questa dif- ferisce sempre anche da quella che parlano i più gentili, perla scelta ,,per 1’ accuratezza; per altre doti. Ma la parlata prevale a rincontro per maggior vivezza } maggior verità , maggiore effi- cacia. Quindi la scritta; per riescir popolare, ha d’ uopo d’ ac- costarsi molto alla parlata: La parlata; per divenir illustre ; ha d’ uopo d’essere , come la scritta, usata da chiari uomini e nelle grandi occasioni. Ora a ciò furono sempre poco propizii i destini d’ Italia. Era questa, ne’ primi tempi della lingua , divisa in due fazioni, che, sotto il pretesto di nuove contese fra il sacerdozio e l’ impero ; agitavano: la grande e antica lite fra i pochi e i molti; fra la grandezza e la libertà, due cose che nè allora nè poi le era dato di godere unite. La fazione de’ molti o della li- bertà prevalse in generale all’ altra, ch° esercitando sparsamente un impero tumultuoso mai non conseguì vera grandezza. Quindi nelle varie provincie si confermò 1° uso de? particolari dialetti; il dialetto migliore non fu ‘propriamente accettato che nelle scrit- ture , anzi non fu accettato che in parte (così pressapoco si espri- me anche il Biagioli nel Tesoretto della Lingua Toscana ) esclusi cioè i modi più propri e più. calzanti, l’ autorità degli scrit- tori fu incerta come la loro pratica, e però meno atta a man> n 113 tener sincera la lingua , a fatla progredire co’ tempi senza alte- ratne le forme. Se prevaleva la parte de’ pochi o della grandezza, se fosse stata in Italia una città; ove si agitassero le cose che a tutti gl’ Italiani importano egualmente :( alcun che di simile dice anche il Foscolo nel Ragion. sopra la Di Commedia ) il miglior dialetto vi avrebbé dominato di necessità, si sarebbe reso a tutti e in ogni sua parte veramente cospicuo, si sarebbe avuto un vero volgare illustre parlato e scritto da tutta la nazione. Di que- sto volgare fu un qualche principio , in su gli albori delle risorte lettere ., alla corte di.Federigo , il quale “ per l’eccellenza del- l’ ingegno, la potenza dell’ armi e 1’ animo italiano , parea me- glio d’ ogn’ altro Cesare di que’ tempi avvalorar le speranze e scusar l’amore de’Ghibellini. ,, Dopo di lui non ne rimase che il desiderio, bello e nobilissimo per sè stesso , ma pretesto sovente a dispute malaugurate, onde si rinnovarono pur dianzi fra la dotta gente “ quelle passioni municipali che il secolo e la ragione de- gl’ Italiani volevano affatto spente. ,, Se tali dispute sieno per continuare non so. À prenderne augurio da alcuni scritti recenti d’ nomini savi (la lettera del Grassi al Niccolini premessa alla decima edizione del Saggio sui Sinonimi, la prefazione dell’ Ambrosoli alla. ristampa della Pro- posta del Monti, il proemio del Liberatori al Vocabolario uni versale, che si stampa a Napoli, e di cui ricevo in questo punto il primo fascicolo ) potrei presagire ch’ esse, per ora almeno, avranno una tregua. Perchè peraltro a’ nostri giorni si sieno tanto accalorate è difficile spiegarlo , quando i loro più celebri promo- tori, il Monti nella lettera proemiale alla Proposta , e il Perti- cari nell’ ultimo capo del Trattato , e nell’ ultimo parimenti del- l’Apologia , ponendo il dialetto fiorentino a capo di tutti gl’idiomi d’Italia, pareano proporre essi medesimi la conciliazione ; quando il Monti specialmente , per quel gusto sicuro e quell’ istinto di verità ch’ era in lui, preludeva in più luoghi al Foscolo , che lodato Dante perchè nega a tal dialetto il privilegio di dar no- me alla lingua , il biasima di negargli anche quello di poterla arricchire meglio d’ ogn’ altro, giacchè, ogni lingua, che non sia rinfrescata da dialetti popolari, rimanesi produzione men di natura che d’ arte ,. freddissima, magistrale, rettorica, e poco dissimile dalle lingue morte scritte. da’ dotti ; e 1’ esperienza di cinquant’ anni ha provato che i dialetti più geniali alla lingua scritta sono i toscani, e il fiorentino assai più degl’ altri ,,; quando infine uno de’ primi e più acuti sostenitori delle dottrine del Perticari e del Monti (quello che pocanzi il Savigny chia- T. XXXVI. Ottobre. 15 114 " mava principe de’ giureconsulti italiani) , dopo aver vivamente combattuto per essa, conchiudeva: que les Toscans nous disent que leur dialecte est, suns aucune comparaison , le meilleur des dialectes italiens ; qu’il est à désirer que les nouveaux matériaux, dont la langue pourroit avoir besoin , soient naturalisés chez eux, parce que dans leur bouche ils peuvent prendre plus facilement cette forme élégante , qui est nécessaire pour les mettre en har- monie avec le reste; que c’est chez eux qu'il faut étudier cer- taines élégances indéfinissables , propres à chaque langue , et sur- tout à l’italienne ; qu'il seroit absurde et choquant de travailler au Dictionnaire italien sans les secours de quelques véritables savans , qui à l’érudition puissent joindre l’avantage d’avoir parlé depuis l’enfance le dialecte le moins impur et le plus riche de l’Italie; que le got enfin et l’oreille d’un littérateur toscan doi vent étre interrogés pour savoir si telles et telles additions dont l’astronome , le philosophe , l’économistez le Jurisconsulte ont be- soin, ont été jetées dans le véritable moule de notre langue , pour juger si telle dérivation ne vaudroit pas mieux qu'une au- tre, si telle tournure ne s’éloigne pas trop du génie de la lan- gue italienne ; les Toscans ne trouveront pas d’homme raison- nable, qui soutienne le contraire. Ora , poichè molti il sostenevano, era pur forza che alcuni degli accademici o direttamente o indirettamente lor rispondes- sero , assicurando così il cammino a’ colleghi, che proseguivano il tema di cui si disse a principio. Infatti fra le dispute sul nome e i fondamenti della lingua , altri ragionarono del suo miglior uso, altri della sua conservazione, altri d’ altre cose ad essa appar- tenenti. Il Bencini già detto, vedendo che, siccome è il solito degli uomini di non fuggire un difetto che per cadere in un al- tro, molti in fatto di lingua erano dall’ amor eccessivo di novità passati all’ uso indiscreto dell’ antico, parlò contro di questo (1. s. nel 3.° vol. degli A.) onde ridur la cosa a giusto tempera- mento. Un tal uso indiscreto nasce, egli disse, dal non por mente alle naturali condizioni d’ una lingua viva, ch’è di seguire l’an- damento morale e politico del popolo che la favella. Quest’ an- damento progressivo le arreca accrescimenti e cangiamenti con- tinui, i quali però , sebbene inevitabili, non debbono abbando- narsi al caso , di che trattò in una lezione trasmessa all’accademia il corrispondente Colombo. Ei propose con Quintiliano moderatrici dell’ uso 1’ autorità e la ragione. Se l’ uso , il qual suol definirsi una pratica stabilita dal consenso generale, non introducesse nelle lingue che le voci e le maniere a lor necessarie e confacenti, non ne 115 cacciasse che quelle che loro più non si addicono, tutto andrebbe a meraviglia. Ma poi ch’ esso degenera spesso in abuso, intro- duce nelle lingue voci e maniere disadatte , cacciandone le mi- giiori, è pur d’ uopo ricorrere alle due moderatrici già dette; sentenza cui piacque di confermare, benchè in termini un poco differenti, al Del Furia, il qual parlò del salvare le lingue dal loro deperimento. Ch’ esse, come ogn’altra cosa, deperiscano , egli disse, è legge di natura; ma è pur legge di natura che da chi le possede si cerchi di conservarle ; e ciò si fa coll’ ingegno e collo studio , il che torna quasi lo stesso che dire consultando la ragione e l’autorità. Così n pure ;, come ìl Colombo, venne a rendere il debito onore ai più colti scrittori di tutta la nazione, vale a dire ai ragionevoli e agli autorevoli per eccellenza. Se non che la ragione e l’ autorità dei pochi hanno pur d’ uopo d’esser riconosciute dalla ragione e dall’ autorità dei più ; se non che l’ uso, quando è invalso, è esso medesimo la più forte delle ra- gioni e delle autorità; se non che, giusta la frase di Dante, citata dal Monti nel proemio alla prima parte del 2.° volume della Proposta lo latino seguita arte e lo bello volgare se- guita uso ,,; se non che, giusta la frase del Perticari nel Trat- tato , ‘° non già chi scrive insegna le parole ai popoli; ma sì bene i popoli le prestano a chi le scrive ,,; se non che, giusta la sentenza di Cicerone nel primo dell’ Oratore , in dicendo vi- tium vel maximum est a vulguri genere orationis atque a con- suetudine communis sermonis abhorrere. Ora un comun sermone in Italia, checchè se ne dica per desiderio , non può sostenersi che ci sia; v'è, come s’ esprime il Foscolo , una specie di lin- gua itineraria , la qual partecipa più o meno a?’ dialetti di quei che l’ adoperano ; e quando lo Speroni e il Castiglione , scrivendo toscano, dissero di scrivere l’uno padovano, l’altro lombardo, non dissero cosa più imaginaria di chi asserisce parlarsi e scriversi comu- nemente un vero italiano indipendente dal toscano. Che se l’uno viene dall’ altro, se l’ uno non è sostanzialmente che 1’ altro , ebbe gran ragione il Del Furia d’ aggiugnere alle cose già accennate, che, per salvarlo dal deperimento, gioverà sopratutto serbargli un centro in quel popolo che naturalmente lo parla , e da cui la nazione lo prese per farlo suo. Sgraziatamente , come si toccò più sopra , non ne prese che una sola parte , a cui poi fu dato il nome di nòbile e d’ illustre, e d’ un'altra, non meno bella, non men necessaria, appena parve curarsi. Di ciò non so dire se si lagnasse il Niccolini in 116 una lezione che scrisse intorno alla brevità, e di cuni non ab- biamo che il titolo ; ma sembrami assai probabile. La brevità , osservava egli nella prima e più importante delle sue lezioni, non dipende soltanto ; come per alcuni falsamente si crede , dal nu- mero delle parole, ma altresì dal tempo che chi legge od ascolta impiega ad intenderle. Da questa proposizione ei traeva nuovi argomenti in favore di quel suo assioma favorito ‘° che in nes- suna cosa più altamente si manifesta l’ autorità dei più quanto nella linzua, la quale , fondata sulla necessità d’intendersi, può dirsi democratica per eccellenza. ,, Infatti, per conseguir bre vità, egli proseguiva, è d’uopo far uso di frasi elittiche. Or chi ha ii diritto di togliere vina od altra parte ad una frase, prima che l’uso al»bia mostrato ch’essa allungava,la frase medesima senza darle mag- gior chiarezza ? Che se l’energia sta in proporzione di questa, dove se non nell’intelligenza dei più ne troveremo noi la misura ? Sono le frasi elittiche la. parte più delicata se, non sempre il più bel fiore delle proprietà della lingua. Se non. che di simili frasi o « partiti di voti e di modi spiritosissimi, che quasi scorci di pit- tura esprimono accennando ,, e di cui è sì ricco « 1° eccellentis= simo de’ dialetti ,, cioè il toscano , come s’ esprime il Monti nella lettera proemiale alla Proposta , è sommamente povera la lingua che appellasi d’Italia. Lo è quasi egualmente che di facezie e di sali, che d’altronde non han grazia nè forza senza la brevità o i raccorciamenti di frase. Quindi la mancanza di linguaggio co- mico e familiare, prenunciata dal Machiavello nel Dialogo, e atte- stata coll’esperienza di tre secoli dal Botta nel giudizioso libretto des opinions de m. Sismondi sur Alfieri. Il Napione , citato dal Perticari , consigliando i Fiorentini ad usare di preferenza al lor dialetto la lingua comune d’ Italia , ch’ è quanto dire a_ privarsi delle migliori proprietà, par che riguardi tal mancanza come un pregio. Il Monti , per non so quale vivacità o atticismo del- l'ingegno , andò cercando la maniera di supplirvi. E veramen- te, poichè al Cesari, gran laureato della lingua, piacque pur sempre d’ essere d’ altri secoli che del nostro , egli solo, s° io non m’ inganno , mostrò d’ aver trovate molte parti del linguag- gio che oggi converrebbe al dialogo e alla commedia. Sarebbe quindi stato degno di lui, che cominciava così ad adempire i voti del Botta, il confermarne le belle e giuste osservazioni. Ma egli avrebbe temuto di mancare al proprio sistema , di met- tere a pericolo la dottrina del volgare illustre , poichè dovendo pur assegnare alla parte più spiritosa della lingua un centro in 117 mezzo al popolo toscano, come non assegnarlo anche alla più nobile, che nacque e crebbe con essa , nè mai naturalmente se ne separò ?. i Stabilita in questo centro medesimo , erede delle istituzioni e delle intenzioni della vecchia Accademia, che prima diede al- l’Italia un compito Vocabolario, era ben da aspettarsi che la nuova, anche indipendentemente da ogni speciale delegazione , riguarde- rebbe come suo debito la compilazione d’un altro , ossia la quarta riforma , già troppo differita , dal primo. Intorno a tale opera , come ciascuno s’imagina, versarono fin da principio , e poi si moltiplicarono , le lezioni degli accademici, bramosi di renderla quanto più potessero perfetta. Il Sarchiani, quasi a preludio , tre anni prima che l’ Accademia ricevesse il noto invito. del R. Istituto di Milano, prese ad esaminare ( l. s. nel 1.° vol. de- gli A.) quel progetto che il Cesarotti, ampliando alcune idee del Muratori e d’ altri, fece già di due Dizionari , da comporsi in una dieta letteraria. di tutta Italia, sotto la presidenza di quell’ Accademia di qualunque nome che in Firenze prendesse cura della lingua, l’uno delle voci occorrenti all’uso giornaliero , l’ altro generale e comparativo di quelle di tutti i nostri dialetti, al qual uopo bisognerebbero i dizionari particolari antecedente- mente composti de’ dialetti medesimi. Lasciando stare le molte ma non insuperabili difficoltà , che un tal progetto incontrerebbe nell’ esecuzione , l’ accademico si trattenne a mostrarne l’ inuti- lità. Non dissimulò che il confronto delle voci de’ vari dialetti giovar potrebbe a far conoscere le vicende e le trasformazioni d’ uno stesso vocabolo, a paragonar tra loro i segni rappresen- tativi delle medesime idee, ch’ è quanto dire le diverse maniere di sentire e di percepire de’popoli diversi. Ma se la lingua , che importa di conservare , egli disse, è la migliore, 1’ usata dagli scrittori più»colti, 1’ accettata per lingua comune, non sembra che bisogni altro vocabolario che dell’ idioma toscano. Possono , egli avvertì, i dialetti diversi fornir voci o mancanti al toscano, o più calzanti delle sue. Ma per essere introdotte nel Vocabolario della nazione, convien che sieno già adottate dall’uso della na= ziun medesima, ossia dal consenso degli scrittori. Questo consenso a lui sembra assolutamente necessario , cosa che noto come una leggier differenza fra le sue opinioni e quelle d’ altri accademici. « Potrebbe dirsi, egli scrive, che i plebisciti in fatto di lingua lianno un gius consuetudinario, ma non ottengano forza espressa di legge; se alla potestà tribunizia, onde compariscono rivestiti, non si aggiunge la senatoria o consolare degli eruditi che li ap- 118 provino , mossi da ragione o da necessità. » Bench” egli però sia lungi dal proclamare col Salvini padrone sovrano delle lingue il popolo che le parla , crede però con lui che nessuna accademia, nessuna dieta letteraria possa attribuirsi sovr’ esse piena signoria. Quindi biasima 1’ Accademia francese che, contro l’ esempio già dato dalla Crusca , lasciò d’aggiungnere alle voci gli esempi, a scanso per vero dire d’interpretarle contro l’ intendimento degli scrittori, ma dandosi in questo modo aria di legislatrice, quan- d° esser non doveva che registratrice. Conchiuse finalmente; met- tendo il progetto del Cesarotti con quello di B. Del Falco, il quale fin dal secolo decimosesto propose alla Repubblica Veneta la composizione d’ una lingua comune per mezzo d’una dieta o consulta generale de’ dotti Italiani, la quale al dir dell’ accede- mico non avrebbe potuto rappresentare nè la nazione nè il po- polo degli scrittori. i Che se non l’avrebbe potuto una tal dieta, non credo che il potessero tutte le diete particolari , che si radunassero in cia- scuna delle città d’ Italia. Però le quaranta o cinquanta ac- cademie annoverate dal Gigli e rammentate dal Perticari nulla provano contro l’idioma toscano o contro la Crusca, la qual com- pose di esso il suo Vocabolario. Già quelli, che al dire officioso della Critica nella scena terza della pausa prima della Proposta, « spianarono alla Crusca medesima e sgombrarono la strada dai durissimi intoppi, che attraversano ogni umana impresa sul co- minciare )), il De Luna, l’Accarisio, il Montemerlo , 1’ Alunno, scegliendo voci e frasi dai soli autori toscani, aveano mostrato di che idioma si desiderava un vocabolario, ch'è quanto di- re di che idioma si era fatta lingua comune. Il solo Pergami- ni, che, ove si guardi ad una delle due dedicatorie del suo Me- mòriale della lingua , parrebbe aver anch’ egli preceduto la Cru- sca, trasse voci ed esempi da autori non toscani; ma non ebbe per allora compagna se non la Crusca. Se il Politi, come dice la Critica nella Pausa pocanzi citata, preferiva il Memoriale del Pergamini al Vocabolario dell’ Accademia, perchè non fece egli un’ opera somigliante anzichè un dizionario sanese? Il Politi, grande amico del Bargagli, che gli avea dedicato il suo Tura- mino , parlava, com’è noto, per quella vecchia rivalità , che si manifestava sotto forme assai modeste nel Cittadini, e scoppiò quindi aperta e più che sdegnosa nel Gigli. È notabile peraltro, com’egli intitolò il suo Dizionario compendio del Vocabolario della Crusca. Altra prova, benchè lieve e indiretta (e da non tener- sene conto se non in una causa tanto contrastata , ove dagli 119 avversari dell’ Accademia si è tenuto conto d’ ogni minuzia) che anch’ egli pensava essersi quel Vocabolario accettato. dall’ Italia . come tesoro della lingua nazionale. Le ristampe successive del Vocabolario medesimo ; le riforme stesse, che in diversi tempi se ne sono intraprese, ricorrendo a tal uopo o esclusivamente o prin- cipalmente a ‘fonti toscane, provano che la nazione lo ebbe pur sempre per quel che l’ ebbe ‘a principio. Quindi 1’ accusa che 1’ Accademia usasse del diritto del più forte, accusa per sè stessa ridicola, come fu osservato da varii, trattandosi d’ un corpo, che mai non ebbe alcuna forza coattiva nè materiale nè mora- le, cade interamente. Anzi, se come dice il Perticari; « si vuol derivare il diritto dal solo fonte de’ giusti imperi cioè dal con- senso de’ popoli ;, nessun diritto forse è meglio stabilito, di quello che si sarebbe voluto contrastare all’ Accademia. E s’ella non l’usò sempre sapientemente, l’ usò pure mo- destamente , non avendo mai, per favore che vedesse prestarsi al suo Vocabolario Mhchtite quelle parole; con cui lo presentò al pubblico la prima volta “ senza punto di pretensione di stri» gnere alcuno a riceverlo più di quello che gli detterebbe il suo giudizio. ,;} Tale modestia ben potea meritargli qualche indulgen- za, quando pure fosse stato ‘per buona metà ,, quel “ vilissi- mo , schifossissimo , barbarissimo ammasso di lingua scomunica- ta ec. ,, che si dice nella Proposta. Ma poi ch’ esso, con tutte le mende, che gli si possono imputare ; è pur altro; ciascun s’ imagina di qual suono parvero nell’ Accademia le parole della Proposta quando furono pronunciate. Prudentemente però non fu lor risposto che tardi, onde il farlo fosse, quant’ era possi- bile, senza passione. E rispose loro il Rigoli (1. s.. nel 3.° vol. degli A.) mostrando che non tutte le mende imputate. al Voca- bolario nella Proposta son mende vere, ciò ch’era già stato mo- strato in parte dal Niccolini in quelle sue considerazioni, che compiono 1’ appendice alla prima lezione , e in parte da altri in altre scritture non accademiche; notando che anche le mende vere non erano tutte da imputarsi al Vocabolario già detto, ma alcune agli amanuensi , alcune agli stampatori, alcune a chi fece le aggiunte dell’edizion pitteriana, non riconosciuta dall’ Accade- mia, e sulla quale nondimeno l’autore della Proposta sentenziò il lavoro dell’Accademia; avvertendo infine che della bontà delle voci o delle dizioni, che trovansi registrate. non magistralmente ma istoricamente in un Vocabolario, non è da farsi giudizio. dall’uso presente ma da quello de’ tempi in cui erano in fiore. Ridotte così le mende vere e non iscusabili alla lor giusta proporzione col 120 resto del Vocabolario, gli parve di poter dire che in opera di tanta: mole non erano eccessive. Il Bottari, quando si trattò della quarta edizione del Vocabolario già detto, per rincuorare: l’ Ac- cademia , un po’:sgomenta delle mende trovate nell’antecedente, ricordò i due lessici greco e latino: d’ Enrico e di Roberto Ste fano, l’ uno e l’ altro tanto pregiati e tanto pregevoli, e 1’ uno e l’ altro pur tanto imperfetti. Non so dire se alcuno de’ nuovi accademici, trattandosi della quinta, abbia ricordato le progres= sive fatiche dello Scapula,, dell’ Ederico , dell’ Ernesto, del Morell., del Larcher. Qualcuno ricordò quelle del Calepino si grandi miglioramenti del Facciolati , i grandissimi del Forcellini, malgrado i quali oggi il Furlanetto, aiutato specialmente dal Borghesi, pur trova luogo a 5,000 correzioni e 10,000 giunte. Nulla di strano pertanto che il lessico d’ una lingua viva , opera senza termine , come parmi che dicesse il Bartoli citato dal Monti, abbia, malgrado le ultime diligenze usatevi dalla vecchia Acca= demia ; lasciato ancor tanto da fare. E il dotto Raynouard , or sono diec’ anni ( v. il Journal des Savans di quel tempo ) si me- ravigliava, non già che il Monti vi avesse fin dal principio del suo esame ‘trovate tante cose degne di censura, ma che ve ne avesse trovate sì poche. Del resto , se la censura è giusta , cade egualmente e su quelli che procurarono l’ultima edizione, e sui tanti critici benevoli-e non benevoli delle antecedenti; alcun dei quali, come l’ Ottonelli., si esaltano a cielo nella Pausa che già si disse della Proposta. L’ Accademia , siccome apparisce da’prolegomeni , si studiò di profittare de’ lumi di tutti; e se non riuscì a far meglio di quello che fece ; o ‘essi non seppero additargliene il modo ; o il riuscirvi era più che difficile. Dalla quarta edizione in poi molti si diedero a preparare i materiali d’ un nuovo e più perfetto Vocabolario. Indi giunsero e alfine si moltiplicarono quelli , che posero mano a compilarlo; di che Y Accademia, come s° espresse in vari rapporti l’ attual ‘segretario ; si rallegra sommamente ; vedendo così infervorarsi per ogni dove gli studi della lingua e accrescersi gli aiuti all’ officio suo. Non dirò nulla del Cesari e de’ suoi, il Vannetti , il Lom- bardi , lo Zanotti, benemeriti senza dubbio, ma rimproverati generalmente d’essersi tenuti troppo sull’orme della vecchia Ac- cademia. L’Alberti, che andò sovr’ orme diverse , che vien con- trapposto all'Accademia , come il vero maestro della lessicografia italiana , è pur tacciato di «colpe non lievi , d’ aver errato l’ or- dine alfabetico , obliate molte citazioni, tralasciati o falsati molti esempi , recate come nobili molte locuzioni plebee, date molte 121 definizioni inesatte ; ond’oggi la ristampa che si fa del suo lavoro par che richiegga non piccole emendazioni. Il Costa, l’Orioli , il Cardinali e gli altri compilatori del Gran Dizionario pubblicato a Bologna, profittando de’ Dizionari dell’Alberti e del Cesari, de’vari Dizionari particolari già usciti in luce , il marinaresco dello Stra- tico , 1’ agronomico del Gagliardo , il militare del Grassi ch’ ora | aspettiamo arricchito , ec. ec. , non che della Proposta del Monti, ove sono inserite molte osservazioni del Lamberti ; delle Aggiuute del Lamberti medesimo alle Osservazioni del Cinonio ; che or ve- diamo ampliate anche dall’ Ambrosoli; degli Elenchi, m°ima- gino , del Bernardoni e del Gherardmi , e di non so quante altre opere di questo genere, poterono sicuramente giugnere a miglior segno. Anch’ essi però si tennero un po’ distanti dal segnò mi- gliore , come provano e le Annotazioni del Parenti, e le Osser- vazioni del Pezzana, e il Dizionario portatile , che pubblicò da sè solo uno degli stessi compilatori, il Cardinali ; aggiugnendo e correggendo più cose ‘che non erano o non istavano bene nel Grande. Si ebbero intanto altri lavori lessicografici , che malgrado gli antecedenti parean bisognare , e il Dizionario Ortologico del Nesi, e il Nuovo Dizionario del Zanobetti , e la Fraseologia del- Antolini, e l’Ortografia enciclopedica del Bazzarini , e più Di- zionari speciali d’ arti e di scienze. Con questi nuovi aiuti si presentarono quindi compilatori di nuovi Dizionari il Vanzon a Livorno , il Federici e il Carrer a Padova, eredi ,i1due ulti mi, di nuove giunte lasciate dal Cesari. Questi Dizionari non son terminati, ma sono inoltrati ; hanno anch’essi i loro pregi, e hanno al solito le loro mende o non vedute o non potute evi- tare da’ compilatori. Quindi il bisogno d’ altri Dizionari , l'uno, *mi si dice, progettato a Roma, l’altro cominciato a Napo- li da una società filologica, non senza speranza di buon riu- scimento , ma non senza timore di soccombere sotto infinite dif- ficoltà che s'incontrano ad ogni passo in un lavoro a petto del quale , dice ingenuamente 1’? autor del proemio ; usando la frase d’un epigramma dello Scaligero ch’ ei cita , è delizia quello del remo.’ »» L’ Accademia ; come si disse , appena risorta 1’ affrontò ala- cramente , prescrivendosi quelle norme , che la filosofia e la cul- tura de’ nostri tempi richiedeva , di che fa fede il progetto les- sicografico del 1813: Di tal progetto può dirsi un commento la lezione che due anni dopo scrisse lo Zannoni (è stam. nel 1.° vol. degli A.) intorno alle ‘cose da aversi in mira nel lavoro già T. XXXVI. Ottobre. 16 123 detto. Osservò egli primieramente che i Vocabolari hanno un dop- pio scopo, di servir cioè a hen interpretare i libri e di darci norma a parlare e scrivere correttamente. Quindi, egli disse, la necessità di collocare nel nostro , colle voci belle e fiorenti, le antiquate e non belle degli scrittori almeno che diedero fonda- mento alla lingua. Il D’ Ayala, a cui egli prese a rispondere , avea pronunciato contro tali voci sentenza d’ esilio; ma la sua sentenza , che dovea far orrore al Cesari, non trovò mai presso altri vocabolaristi assoluta approvazione . Quanto alle voci sem= plicemente antiquate , e’ parvero dire a sè medesimi, che fra la tenerezza del Cesari e il dispetto del D’ Ayala per esse, vi era sicuramente un giusto mezzo. E i valentuomini il cercarono di fatti; ma io non so dire se anche il trovassero. Quei di Bologna furono accusati d’essersi tenuti troppo al di quà; i Padovani lo sono d’esse- re andati troppo al di là. Nè questa seconda accusa potrà mancare a quei di Napoli, che ci avvisano d’aver in pronto parecchie migliaia di voci, tratte pocanzi da scrittori del trecento o non ancora o pochissimo adoperati , benchè approvati dalla vecchia Accademia. Ben è vero ch’ essi le dicono quasi tutte di bella significazione; il che parrebbe indicare che la più parte, se non sono ben fre- sche, non sieno peraltro antiquate. E molte pur di freschissime potrebbero trovarsene fra esse ; e molte debbono sperarsene da nuovi spogli d’ altri trecentisti, se, come disse 1’ accademico, deve da essi, venir alla lingua nuova ricchezza , e gran difesa a’ Toscani, accusati spesso d’ usar voci, che non essendo nel Vocabolario si credon nuove, e hanno invece a lor favore }’ au= torità di più secoli. Delle vere antiquate fu gridato più volte di far una segregazione dall’altre , una classe a parte, come voleva l’autore della Crusca in sacco, un cimitero extra muros del Vo- cabolario, come sarebbe piaciuto all’autore della Proposta, che citava l’esempio del Forcellini. Ma 1’ autore della Proposta oblia> va che, se in fronte alle vecchie voci raccolte dal Forcellini più non può scriversi il multa renascentur quae jam cecidere, può ancora scriversi in fronte alle nostre; ma nè egli nè l’autore della Crusca in sacco pensavano , che facendo a modo o dell’ uno o dell’ altro, ne veniva fra più inconvenienti questo gravissimo , che agli esteri o ai men periti sarebbe d’uopo sapere anticipata- mente, circa all’uso o al disuso delle voci, quello appunto che deve insegnar loro il Vocabolario. Un cimitero, però, o una classe a parte non istarebbe male, se non m’inganno, per quelle voci, che con troppa indulgenza ho chiamate non belle, le storpia- te, le furbesche , ec. che nè sono nè mai furono della liugua , RE di a 9 og E l'al vele fa " 125 ma alterazioni accidentali di essa. Tali voci hanno in sè qual- che cosa di sì strano , che possono facilmente distinguersi anche dagli esteri e da’ meno periti; e ove formassero sole una classe a parte; l’incomodo del cercarvele riuscirebbe assai lieve. Nemmeno però formando una classe a parte vorrei che fossero troppe. Ba- sterebbero , parmi, quelle, che possono servire in qualche modo alla storia della lingua , e per la celebrità dell’ opere , in cui si trovano , valgon la pena d’ essere interpretate. Se non che degli scrittori del trecento disse l’accademico che tutto o quasi tutto è da raccogliersi. Del qual parere si mostrò anche il-Sarchiani in una lezione che dettò intorno agli scrittori che fanno testo, ed ove propose che le parole intrinsecamente cattive de’più vec- chi si distinguessero con un segno dalle semplicemente anticate o dismesse. Dai meno vecchi e l'uno e 1’ altro consigliarono del pari che; generalmente parlando, non si raccogliesse che il più bel fiore. Nè dovrà temersi che questo fiore sia scarso, ove si cerchi in tutti quelli, che l’ uno nominandone un solo , il famoso tra- duttor dell’ Eneide , 1’ altro nominandone altri, parvero addi- tare. I diversi vocabolaristi che già trassero, e i Napoletani, che dicono di voler trarre voci e maniere anche da’ scrittori non citati ma degni d’esserlo, si trovano in ciò d’accordo con loro anzi con 1’ accademia di cui il primo in ispecie fu l’ interprete. Non le soli voci, però; o le sole maniere che trovansi ne- gli scrittori, sono, egli disse, da registrarsi nel Vocabolario, ma, ad esempio della vecchia Accademia , molte pure che si ascolta- no da un pezzo sulle bocche di questo popolo, e che agli scrit- tori ancor non avvenne d’ adoperare, Fra esse non si troveranno propriamente tutte quelle voci dell’ uso, che l’ Alberti ed altri accettarono ne’ loro vocabolari, e fra le quali i Napoletani in- tendono di far certa ‘scelta; ma è probabile che se ne trovino spesso delle migliori. Quanto all’ altre , che i Napoletani riguar- dano come legittime figlie di madri riconosciute ( accrescitivi o diminutivi ; cioè, di nomi già registrati , verbi de’ quali già si hanno i participii , verbali femminili di cui già sì ha il maschile, v maschili di cui si ha il femminile, ec. ) l'Accademia parimenti, doverido supplire agli scrittori, vorrà stare all’uso di questo populo. L’analogia, come i Napoletani ben veggono, non è scorta sempre sicura; nè la nostra lingua è la sola, a cui si possa dare la taccia ch’ essi le danno di capricciosa e bizzarra, che non consente di compiersi interamente alle famiglie de’ suoi vo- caboli. Ed ove per decidersi ad accettarne alcuni sia da consul- tarsi l’ orecchio, superbo giudice , com’ essi il chiamano con Ci- 124 cerone , crederanno facilmente che sia da consultarsi di preferenza fra quel popolo, di cui bramano quanto sarà loro possibile indicar la pronunzia ; al qual uopo non si affidano che loro bastino i Dizionari del Nesi, del Zanobetti e del Vanzon ; e l’ eccellente trattato che scrisse intorno a’ dittonghi il Casarotti. Fra le parole, proseguì 1’ accademico, delle quali può som- ministrarci buon numero questo popolo ne sono molte che ri- guardano 1’ arti. Simili parole, diss’egli, si raccolgano, potendosi, dai libri ove le diverse arti sono insegnate; ma in mancanza di libri si ricorra agli studi e alle officine, ove si troveranno e pure e convenientissime e la più parte trasmesse da lontane genera- zioni. Registrandole con diligenza , l'Accademia si renderà così benemerita com’oggi il potrebbe ‘a pochi altri riguardi. Poichè per le arti meno liberali. specialmente, dicono i vocabolaristi Napoletani, siamo privi di special Dizionario (e lo imploriamo a mani giunte dalla Toscana ,.che sola può farei un dono tanto desiderato ) ci atterremo «al Dizionario enciclopedico dell’ Alberti, all’ Enciclopedia. domestica. tradotta dal Gherardini , al Diziona- rio di fisica e chimica.applicata alle arti del Pozzi, ed anche alla Piazza universale del Garzoni, cattiva per lo stile, ma pur ricca di parole necessarie a. diverse professioni. Trattandosi d’arti belle, 1° accademico è di parere che si lascin. da ‘parte tutte le voci. ch’ ei chiama arbitrarie, benchè usate. frequente- mente dagli archeologi e dagli artisti ; parere a cui. i lessico- grafi Napoletani mal saprebbero ‘aderire. Quanto alle voci di scienze ; che .1° Accademia sceglierà necessariamente come tutti i vocabolaristi da’ libri degli scienziati, ei consigliò di lasciar da parte le sistematiche e le variabili; consiglio che non è del tutto. contrario alle teorie. de° Napoletani. Anch’ essi infatti veggono, come leggo nel proemio del Liberatori, 1’ impossibilità e inutilità di tener dietro alla versatile. nomenclatura di certe scienze in ispecie, che se già sono adulte non sono ancor giunte alla loro maturità. Pur nel fatto sembrano inclinati a largheggiare,, avvisandoci d’aver già radunato un terzo più di voci riguardanti le scienze che non si trovi ne’ Dizionari universali che più ne abbon- dano. Scelte le parole, così di scienze che d’ arti;;, 1° accademico, vorrebbe che se ne recassero possibilmente in esempio le defini> zioni stesse che ne danno gli autori, così per istudio di brevità, come perchè in fatto d’arti e di scienze l'Accademia ha, bisogno d'aver mallevadori. Avverrà spesso, egli disse, che questi esempi non sieno d’ ottima dicitura, ma nulla osta che in un Vocabo- lario vi sieno esempi di tal fatta, quando si dichiari, lo scopo, SSN Le 125 tutto speciale per cni si recano. Potendosi però migliorare ‘e far toscani. egli aggiungè, non si trascuri, onde metterli d° accordo cogli altri, ne’ quali gli studiosi della lingua dovrebbero sempre trovar. de’ modelli. . Gli antichi. vocabolaristi, ei proseguì ; fecero a principio di ciascuna lettera alfabetica varie e opportune avvertenze sull’in- dole di essa; ma il fatto da loro non basta. Volendo far meglio potranno i nuovi trovar utili norme ne’trattatelli intorno alle let- tere, premessi dal Menagio e dal Ferrari agli Etimologici di no- stra lingua, e in quelli stessi del Vossio, del Lanzi e d’altri, premessi a vari trattati di lingue antiche, essendo osservazion costante ( veggasi il libro del Paravey. su questa materia ) che una medesima chiave basta per tutte le lingue. Spesso, egli avverti , una stessa parola ci apparisce in varie lingue con pic- colissime differenze a, significare la stessa cosa . Più spesso an- cora. ciò avviene in una lingua medesima per la semplice so- stituzione d’ una ad altra lettera di suono molto simile. In tal caso, egli disse, la parola si registri da prima nel Vocabolario come si scrive più comunemente ; notando in fine del suo articolo la variante o le varianti; poi queste si pongano al loro luego senz’ articolo, mandando per esso a quella che può dirsi nor- male. Così, a scanso di superfluità , egli propose chè î superla- tivi, quando non sono .irregolari , si aggiungano ai positivi senza neppur recarli ove li.vorrebbe il rigore dell’ alfabeto ; cusa a cui nè i lessicografi Napoletani, nè gli altri moderni sembrano aver pensato. L’ avanzamento , proseguì egli, che 1° arte del ragionare ha fitto a’ dì nostri, vuole che la nuova Accademia disponga con più criterio ;che l’ antica i paragrafi di molte voci, de’ quali a dir vero è nel suo repertorio gran turbamento. Di questo turba- mento. disse cose assai severe il Monti; nè però disse nulla che per, 1’ Accademia fosse nuovo. Se non che il rimediarvi è un po’ meno, agevole che ;il parlarne ; e le recenti riforme del Vo- cabolario tutte lo comprovano. Quindi i lessicografi Napoletani si confessano diffidenti e titubanti, e saran paghi abbastanza di dar esempio d’° un ordinamento alquanto migliore che gli. anteces- sori. Il far precedere, trattandosi di nomi, il significato proprio al figurato , il prim'tivo al derivato , il sicuro all’ ambiguo, l’an- ticato al. moderno, ‘ec. ec., è cosa che può sperarsi d’ott* nere senza troppa difficoltà. Il riunire in serie. non -interrot- te i diversi significati de’ verbî , secondo .ch’ esprimono diver- samente l’ esistenza dell’ attributo nel soggetto; separare i pro- Lal 126 pri dai figurati, ec. ec. , quando i grammatici ancor ron ‘sono d’ accordo nè sulla distinzione nè sulla denominazione de? verbi medesimi rispetto al loro officio, hic labor , hoc opus. Per riu- scirvi i vocabolaristi Napoletani si atterranno; dicono, quanto sarà loro possibile al grande esempio del Iohnson e ai buoni esempi d’alcuni altri, fra i quali V’Alberti. Non sarà però loro inutile, dichiarano essi medesimi ingenuamente; il Vocabolario della vec- chia Accademia, nel quale, sebben si confondano spesso sotto una medesima rubrica significati differenti, si dichiarano anche spesso in parentesi le lor differenze, e sempre poi si fan mani- feste dagli apposti esempi. I Il discorso de’ nomi e de’ verbi di significato differente con- duce per sè stesso a ragionar di quelli di significato somigliante, vssia de’ sinonimi , intorno a’ quali forse 1° accademico tacque , perchè altri, cioè il Frullani, ne avea , come si disse, parlato poco innanzi. II distinguere nelle somiglianze le differenze an- che miwime., che talor vi si trovano, era cosa da non isperatsi che dopo i recenti progressi dell’analisi del pensiero. Si ‘potea certo anche in passato far molto meglio del Rabbi; e sento dire che il Lampredi giureconsulto vi avesse fin da giovane posto mano . Non si potea. peraltro far così bene, come sull’ esempio d’ alcuni celebri stranieri ci ha poi insegnato a fare il nostro Grassi. Dopo il Saggio di questo filologo, tre Dizionari di sino- nimi, per quel che mi è noto, sono stati composti in Italia, quello del Romani abbastanza conosciuto , quello del Gatti ine- dito, nè forse per ora destinato alla stampa, del quale i voca- bolaristi Napoletani ci dan notizia, e quello del Tommaseo, di cui abbiamo pocanzi avute le primizie nel Nuovo Ricoglitore. Che il terzo debba far dimenticare il primo è facile il preve- derlo. Che anche il secondo gli sia superiore può argomentarsi da qualche paragrafo del Vocabolario di Napoli, ove, come di- cono i compilatori, nè sarà dell’autor medesimo raccolto il fiore. Quello che frattanto sia per far l'Accademia all’ uopo medesimo non so. Questo so bene che potendo essa, collocata com'è nella sede della lingua, trar lume egualmente e dall’uso per accrescer la scienza ; e dalla scienza per dar ragione dell’uso , ha gran van- taggio sopra chiunque non si trova nell’ istessa sua condizione. Se qualcuno fosse inclinato a negarlo., non sarebbe certo nè il Grassi venuto a comporre il suo Saggio in Toscana , nè il Tom- maseo venuto a compirvi il suo Dizionario. Dubito, mi diceva un amico più anni sono, quando fu proposto a. me medesimo fuor di Toscana un simile lavoro , che il filosofo Cicerone , senza j 127 vivere in Roma, avrebbe: fatto nel quinto delle Tusculane quelle delicate distinzioni che fa tra’ sei nomi esprimenti la tristezza dell'animo, Nego che senza i navicellai di non so che villa presso Roma avrebbe trovata la distinzione di que’ due verbi, di cui scrive in una lettera ad Attico, pregandolo d’ avvertirne anche Varrone. il nome di quest’ erudito ; che scrisse delle origini della lin- gua del Lazio, mi-richiama all’ ultima parte della lezione dello Zannoni , ove si parla delle etimologie della nostra. Già il Del Furia, trattandone innanzi a lui exprofesso, avea ricordato come i primi fondamenti del loro studio erano fra noi stati posti dal- l° Alighieri , indi ampliati con diverse vedute dal Bembo , dal Giambullari , dal Varchi, dal Cittadini, dai tre amici e coadiu- tori del Menagio, il Dati, il Redi e il Chimentelli, dal Ferrari emendator dal Menagio, dal Salvini, dal Muratori. Ma sia eccessiva gravezza di tale studio , sia necessaria incertezza de’ suoi risultati, sia disfavore che gli venne pei sogni ridicoli e inevitabili d’ alcuni de’ suvi coltivatori (v. il discorso di Champollion-Figeac premesso al Dizionario etimologico di Roque- fort), sieno queste cause riunite, e più sensibili forse in Italia che altrove, esso non fu continuato con quel fervore che bi- sognava. Quindi sicuramente molti danni alla lingua, sebben non tutti quelli che taluno s’imagina. La mancanza d’ un eti- mologico , dicono i vocabolaristi Napoletani, è cagione che non di rado i nostri lessicografi prestino a’ vocaboli un significato arbitrario; che gli eruditi discordino fra loro sul modo d° iu- terpretarli, e perdano in dispute un tempo a cui potrebbero trovare miglior impiego; che anche gli scrittori più reputati usi- no spesso maniere di dire viziose o inesatte. Se non che , osser- vava già il Niccolini nella sua lezione sulla proprietà del lin- guaggio, se i vocaboli non hanno nè possono avere un significato permanente ; se gli uomini, considerando le cose sotto aspetti diversi, trovano fra esse relazioni sì inaspettate , che spesso gli stessi vocaboli vengono a significare dissimilissimi oggetti ; se nella percezione d’ una cosa più si fermano ad una parte che ad un’ altra , e quella in cui si. fermano trae seco molti acces- sori, che divengono col tempo la parte principale, ond’ è che i vocaboli deviino talvolta oltre ogni credere dal primo significato, è veramente cosa da smarrirsi il cercarlo ne’lor radicali. Però l’an- tore di quella dotta e piccante lettera sull’ erudizione orientale del Frullone , che trovasi nella prima parte del secondo volume della Proposta, considerando, parmi , come fortuita la luce che * 123 dalle etimolugie può venire a’ significati, dice soltanto che sì registrino per debito di riconoscenza. Ad ogni modo se non sem- pre i vocaboli deviano del tutto dal significato ch’ ebbero in prin- cipio, se talvolta le loro origini conducono, come s’esprime l’autore pocanzi citato, alle origini della scienza, se non di rado posso- no servire a correggere abusi volgari, a rivocarli alla ragione e all’ usanza de’ prudenti, come scriveva il Giordani in quella let- tera famosa ci’ è nella seconda parte del primo volume della Proposta , non mi meraviglio che Socrate e Platone le avessero ino molto pregio, godo che i vocabolaristi Napoletani dieno loro tanta importanza quanta è pur necessaria perchè s’affatichinò. a cercare un supplemento all’etimologico di cui si manca, e tanto , più ne godo, che parmi doverne venire all’Accademia nuovo sti- molo ad adempire i voti, che da gran tempo manifestarono i due suoi membri già nominati. Disse infatti lo Zannoni ‘che le siinolbgià del vecchio Voca- bolario doveano tutte richiamarsi ad esame , per confermar le vere, correggere potendo le errate, aggiugnere le mancanti. La fonte . più evpiosa, onde trarre or correzioni or aggiunte, è, pensò egli, la latinità dei bassi tempi, ma non debbono trascurarsi a quest’ uopo le altre lingue, e in ispecie quelle d’Oriente. Il Del Furia , racco- mandando fra l’ altre la lingua araba , ricordava il manoscritto lanrenziano d’ un trattato fra il Soldano d’ Egitto e la Repubblica Fiorentina , ove trovasi , egli diceva, la provenienza d’assai voci di commercio , che il Menagio e il Ferrari s* affaticarono dii trarre dal latino e dal greco. Indi parlando delle lingue moderne, intor- no alle quali il collega non'credette dover impiegare più lungo di- scorso, avvertiva che fra esse non ultima a consultarsi dovrebb'es- ser sovente la lingua nazionale primitiva, quale ancora si ascolta nell’ umili case del '‘volgo e degli agricoltori. Conchiudea »final- mente dando consigli di prudenza ; onde schivare que’ ludibri, in cui, per usar la frase di Quintiliano , erano caduti molti eti- mologisti; e questi consigli erano troppo savi, perchè non fos= ser ripetuti e afforzati con nuove ragioni dal collega. Ambidue gli accademici preludevano così a’ compilatori del Vocabolario di Napoli o piùttosto a quello fra essi, a cui è af- fidata la parte etimologica del Vocabolario medesimo ; l’ideologo Borelli. Volgendo egli da un pezzo ì suoi pensieri alla composi- zione d’ un Etimologico universale , non potè dubitar delle nor- me che seguirebbe nell’ opera affidatagli; e le comunicò in com- pendio a’colleghi, promettendone più larga esposizione: Le printi- pali fra esse (v. il proemio del Vocabolario già detto) mi sembran 129 queste : di non lasciarsi condurre nelle sue ricerche interno all’ori- gine de’ vocaboli da alcuna predilezione per una od altra lingua, ma di seguire la sola scorta sicura degli etimologisti circospetti, l’a- nalogia de’suoni e quella de’ significati, avendo riguardo alle suc- cessive moditicazioni de significati medesimi quando son conferma= te dalla storia e da non equivoci esempi, e avvertendo di non aver per analoghi quelli, ch’ escono dalle relazioni per cui si formano i tropi ; di preferir sempre in parità di condizioni 1’ origine prossima alla remota, l’italiana alla latina, la latina alla greca , ec. , e in parità similmente di condizioni quella, che per suono e per significato più si avvicini al vocabolo, pel quale si ricerca; di non riguardare come scoperta l’ origine d' un vocabolo al solo vederlo derivare da altro della bassa latinità, e però di cer- care onde questo. stesso derivi; di accennar insieme quelle ori- gini, che sembrano egualmente probabili, lasciandone la scelta al giudizio degli studiosi; di dar le origini dubbie quai semplici isofonie , le quali servono se non altro a scoprire gli effetti del- l’onomatopea nella formazione delle lingue , e mostrando le at- finità che si trovano fra varie di queste agevolano lo scoprimento di verità d’ altro genere. Tali norme , seguite abilmente, deb- bono certo condurre a belli e nuovi risultati. Non però chi le propose a sè medesimo confida di poter risalire per esse a tutte le origini de’ vocaboli italiani. Alcune di queste origini ; egli di- ce , appartengono a lingue da più secoli estinte, e di cui non rimangono che incerte vestigie ; altre, sebben appartengano a quelle lingue; che chiamansi dotte , sono ‘impossibili a trovarsi, poichè nè tutti i libri scritti in esse pervennero sino a noi, nè tutte le parole, ond’ esse componevansi, furono ‘adoperate dagli scrittori; altre , per esser verificate o ispirare fiducia richiedereb- bero studi pei quali mancano i mezzi, o discussioni per le quali in un Vocabolario manca lo spazio ; altre finalmente sono difficili a scoprirsi, perchè la pronuncia delle parole che immediatamen- te ne derivano , anche nella‘’culla di queste; ove sarebbe d’uopo cercarle , è oggi molto alterata. Le cure etimologiche del dotto, che qui si cita, si estenderanno (come leggo nel proemio già indicato) e daranno aria di novità al Proprinomio del Ferrari , e all’Adietti- vario cognominale del Muzzi, che forman parte del Vocabolario di Bologna , è il formeranno pure di quel di Napoli. Quanto a quel corredo non etimologico di voci greche o latine , in cui molto si compiacque la vecchia Accademia , non pare che nè egli nè altri de’ suoi colleghi sieno per darsi cure speciali. L’acad. Zannoni, molto commendandolo sulla fine della sua lezione ; offrì copiosi T. XXXVI. Ottobre. 17 130 i esempi di ciò che l'Accademia novella potrebbe fare, onde ren- derlo più ricco e più utile. ‘ Come in questa lezione son toccate le principali cose sol tive alle correzioni e alle aggiunte , di cui il Vocabolario abbi» sogna , ciascun prevede che le lezioni lessicografiche dette in se- guito da altri saranno la maggior parte, come quella che già disse il Del Furia, trattazioni più estese d’ una o d° altra di tali cose. Anzi, poichè le correzioni e le aggiunte più indispensabili riguar- dano le voci d’arti e di scienze, ciascun s’imagina che di queste in particolare fu dagli accademici tenuto discorso. Il Ferroni, fra’pri- mi, dopo aver mostrato in una lezione, a cui diede motivo il contrario parere d’ un defunto corrispondente, il Berti, che nes- sun danno era venuto al Vocabolario dal non esservisi citati esem- pi della Bilancetta del Galileo , e solo un poco dall’ essersi tra- scurate le aggiunte fatte ad essa da’ discepoli del gran filosofo , parlò in altra delle voci che si dissero pocanzi, delle difficoltà che poteano incontrarsi nel raccoglierle, e de’ mezzi di ben riuscirvi. A queste lezioni ei ne fece poi succedere una terza (s. nel 3.° vol. degli A.) intorno a’ vocaboli del censimento , dicendo as- surda la loro mancanza nel repertorio della lingua, quando già questa n’ era sì ricca. Il Targioni, frattanto, parlò in tre succes- sive lezioni (due delle quali stamp. nel 3.° vol. già detto) intor- no alle voci delle scienze fisiche e naturali , argomento già trat- tato dal padre suo nella vecchia Accademia. Disse nella prima, inerendo alle dottrine paterne, che avendo ormai ciascuna di tali scienze il proprio linguaggio , era pur d° nopo accoglierlo nel Vocabolario , benchè si componesse in gran parte di voci tro- vate dagli stranieri. Tornando nella seconda sullo stesso argomento additò fonti toscane, onde poteano derivarsi molte voci opportune alle scienze già dette, ma insistì che i Toscani non volessero far- si la dura legge di non potere all’ uopo ricorrere ad altre fonti. Tornandovi finalmente nella terza, e parlando insieme delle voci delle scienze e di quelle dell’arti meccaniche, passò per così dire a rassegna buon numero delle molte che sono da noi usate , di- stinse quelle che già hanno sembianza toscana e son degnissime del Vocabolario, quelle che non 1’ hanno ma a cui può darsi fa- cilmente , quelle che saria bene scambiar con altre derivate dal greco o dal latino, quelle che possono chiamarsi inutili forestie= rismi. Nella qual lezione, come nella seconda , pare che si sco- stasse un po’meno che nella prima dal collega Nesti, il. qual disse pur egli due lezioni sulle voci di scienze fisiche e naturali , ma in altra sentenza. Vedendo , com’ ei s’ espresse , la scientifica no- 13i menclatura varia , arbitraria, mutabile, opinò nella sua prima lezione ,-ch’ essa formar non possa lingua patria, e quindi ac- cettarsi nel Vocabolario , che in quella sola parte ch’ è accet- tata dal popolo. Avvi, egli disse a questo proposito , per le vo- ci scientifiche una popolarità non. volgare , la qual consiste nel- l’ essere da quelli, che han qualche pratica della materia a cui esse appartengono , applicate comunemente a significare tali o tali cose; e questa popolarità è tanto più necessaria, ch’ è per così dire un pegno della loro permanenza. Il popolo , egli aggiunse nell’ altra lezione, cangia le voci, con cui esprime le cose, assai men di frequente che i dotti, i quali in ciò si lasciano trasportar facilmente dai sistemi dominanti , dalla loro particolar maniera di vedere, da altre cause. Ora se le voci che importa di registrare sono le permanenti, se le sole permanenti sono quelle del popolo , e se in fatto di lingua il solo popolo che faccia autorità è il toscano, poichè la sua lingua è stata adottata per lingua comune , le sole voci scientifiche da registrarsi saranno le accettate da questo po- polo. Fra la qual sentenza e le già accennate del Targioni, di- cea il segretario ne’suoi rapporti, l'Accademia non ha ancor presa veruna decisione, ma ha statuita tal cosa, che riuscirà grata a tutti quelli che bramano vedere ponderatamente corretto e legit- timamente accresciuto il tesoro di nostra lingua. Colle quali pa- role ei forse a!ludeva all’esclusione che già si disse delle voci sistematiche , e all’ inserzione per parentesi delle voci scientifi- che più ricevute, non senza forse qualche chiamata ai dizionari o trattati speciali, ove può trovarsi in esteso la nomenclatura delle scienze diverse. Dicendo più permanenti le voci popolari delle scienze, il Nesti non volle già dirle d’ immutabile significato. Subordinate ai pro- gressi delle scienze medesime, esse hanno secondo i tempi; co- m’ egli s’ esprimeva, significato più o meno esteso. Ora queste variazioni o modificazioni del lor significato , visibili quasi sempre negli esempi che se ne adducono, debbono tutte esser comprese nelle loro definizioni, le quali, checchè ne pensi l’autore della Proposta ; non sarebbero intere, ove a tali esempi non avessero alcun riguardo. Di qui non viene peraltro il bisogno d’ inserirvi molte particolarità , ma piuttosto quello di farle generali quant'è possibile , e in conseguenza molto brevi. E brevissime le racco- mandò pure il Del Furia, quando parlò appositamente (1. s. nel 1.° vol. degli A.) delle qualità che aver debbono le buone defi- nizioni e le scientifiche in specie. Perocchè ; toccato 1’ antico di- fetto di quelle del Vocabolario ; difetto non rimediato abbastanza 132 nè dal Redi nè dagli altri che pur P avrebbero voluto: «l’ esser cioè ora illusorie, or false, or applicabili ad oggetti diversi, ora disordinate , ‘ora. incomplete, come poi è stato ripetuto mille volte ; quasi l’Accademia mai non se ne fosse avveduta, avvertì che se nel definire non erano da impiegarsi meno parole del bi- sogno non erano da impiegarsene di più, mancando. o la generalità o la precisione ove manca la brevità. A questa dote, come poi disse il Nesti, ebbero assai poco riguardo alcuni recenti lessicografi , le cui definizioni o spiegazioni, convenienti forse a’dizionari speciali delle scienze , eccedono ogni misura in uno generale della lingua. Maggior riguardo si propongono di averle quei di Napoli , ai quali sono comuni molte saggie vedute dell’Accademia, da essi verosi= milmente non conosciute , ma la più parte già manifestate da un pezzo ne’ suoi Atti; ciò che non è inutile il ricordare. Dopo essersi trattato più volte, siecome il bisogno richiedeva; delle definizioni scientifiche; era naturale che in un’ Accademia consecrata alla lingua , si tenesse almeno una volta particolar di- scorso delle grammaticali, il che si fece dal Poggi. Nessuna lin gua , diss’ egli, e sia ricca quanto vuolsi, possede a gran pezza un numero di segni , che corrisponda a quel delle idee. Quindi la necessità di far servire un segno medesimo ad idee diverse ; e quindi l’obbligo a'lessicografi di ben definire i diversi significati di ciascon segno. Ma i vocabolari contener non possono che i segni delle idee separate e solitarie. Il mostrare il legame, onde queste si connettono , l’ ordine in cui si dispongono a rappre- sentar le idee riunite ossia il pensiero , è officio della gramma- tica, i cui termini debbono anch’ essi aver luogo ne’ Vocaho- lari. E lo hanno difatti, come ciascun vede, nel mnustio , il cui disegno non potea forse in origine essere più compito. Ma ve lo hanno senza alcun riguardo alle ragioni ideologiche; e ciò, perchè al tempo de’ suoi compilatori, nessuno ancora vi avea avuto riguardo nello studio della grammatica. E qui, dice il segretario, al cui rapporto mi riferisco , il tema avreb- be desiderato che dall’ accademico si facesse una succinta istoria di questo studio. Egli infatti l’ avea scritta, ma per amore di bre- vità la tacque, accontentandosi di accennarne questi corollari : che gli antichi usarono maestrevolmente il linguaggio come stru- mento analitico ignorandone la teoria; che fino da’ primi tempi , in cui la grammatica incominciò a studiarsi, si vide ma; non si esaminò il vincolo che avvi fra essa e la scienza delle idee ; che fu perciò stabilito é poi seguito per lungo volgere: d’ anni un sistema grammaticale . lodevole. ne’ suoi risultati ; ma inesatto 133 assai nelle ‘sue definizioni; che fondatasi alfine la. grammatica sopra la scienza, le definizioni si riformarono , e questa pen dee seguirsi. nella compilazione del nuovo Yocsbalatia Vorrebbe taluno ; diceva il' Del Furia nella sua lezione so- pra le definizioni; che si versasse nel Vocabolario tutta la gram- matica; gli si premettesse cioè un trattato generale della gram- matica medesima ed uno speciale de’ nomi eterocliti e de’ verbi anomali , e poi si corredasse ogni voce d’un trattatello speciale della sua propria sintassi. Un tal voto è stato accolto in parte da’ vocabolaristi più recenti e fra essi dai Napoletani, i quali accennano. di voler aggiugnere all’opera loro, poichè di premettere non sono più in tempo , una nuova grammatica generale d’un lor. collaboratore , non che le tavole di coniugazione del Compagnoni, inserite già nel Dizionario di Bologna , cogli esempi in nota delle uscite anticate , le quali perciò non avran luogo nel corpo stesso dell’ opera già detta. Il Del Furia diceva, e diceva parmi a ra- gione , che bisognerebbe scrivere in fronte ad ogni Vocabolario: non si accosti chi non sa grammatica, siccome in fronte alla scuola di Platone era scritto : non entri chi non sa geometria. Ed io credo che l’opinion sua. sia pur quella degli altri dell’ Accademia, ove ch'io sappia mai non fu pronunziato nulla in contrario. Non però , come già si è veduto per l’ esempio del Poggi, le relazioni fra il Vocabolario e la grammatica furono in essa obliate , nè trascu- rati gli studi grammaticali. Di ciò fa fede anche la lezione, che già molt’ anni addietro disse il Ferroni intorno all’ opera del Ma- strofini sui verbi anomali e mal noti nelle cadenze. Nella qual lezione ei prese propriamente di mira quella parte dell’ opera stessa, ove mostrasi la derivazione delle nostre coniugazioni dalle latine ; intorno a che, dicono i prolegomeni, propose alquanti dubbi e alquante eccezioni. Lodò in generale le altre parti e il bell’ordine di tutte, non che la copia degli esempi , che vi è rac- colta, e ch’ ei disse opportunissima all’ uopo dell’ Accademia , cioè alla compilazione del uuovo Vocabolario. Non di questa sola peraltro avea già detto il Fontani (1. s. nel 1.° vol. degli A.) deve l'Accademia prendersi cura, ove le piaccia provvedere efficacemente alla conservazion della lingua. Additare e attestare il valor con- venuto delle parole, la loro maggiore o minor convenienza colle idee ch’ esprimono , onde salvarle dall’ arbitrio, agevolarne la scelta ec. è cosa sommamente importante. Mostrare di che mado abbiano a collegarsi insieme, avuto riguardo alle leggi generali del pensiero comuni ad ogni lingua , e all’indole particolare di quella a cui appartengono, è cosa che importa anche più, ma nella 134 quale , a giudizio dell’ accademico, nessuno, quand’ ei favella- va , era ancor riuscito. Ei passò infatti a rassegna i nostri gram= matici di maggior grido dal Bembo e ‘dal Fortunio sino al Cor- ticelli, e gli parve ch’ essi co’ loro insegnamenti non mirassero che a stabilire l'impero dell’ abitudine. Altri dopo di quelli mi- rarono sicuramente a stabilire 1’ impero della ragione, ma for- s’egli non li nominò; perchè gli parve , che mancando più o meno di cognizione pratica della lingua, non mirassero egualmente a stabilir l’ impero del gusto. Questo doppio scopo si è proposto a’ nostri giorni il Biagioli, applicando alla lingua patria , di cui ha studiata ogni proprietà ed eleganza , i metodi già applicati ad altre da alcuni grammatici filosofi. Questo il Fontani avrebbe voluto che si proponesse 1° Accademia, non per versar propria mente la grammatica nel Vocabolario , ma per farne quasi un secondo antemurale ‘alla lingua, una fortificazione parallela al Vocabolario medesimo , siccome vediamo aver fatto il Boiste, riguardato oggi come il modello de?’ lessicografi, per la lingua francese. Pregò quindi che si aggiugnesse una deputazione gram- maticale a quelli, che già avean cominciato pell’ uopo del Vo- cabolario ricerche di codici e studio d’ autori , onde ‘poi altre le- zioni, li cui ragguaglio , spero , sarà per me un poco men fati- coso e pe’ lettori indulgenti alquanto più ameno. M. PS. A pagine 105, verso 22 ho citato come sicura la lettera. di Dante a Guido da Polenta, chè il Doni.stampò il primo nelle Prose antiche, e il Biscioni ristampò fra quelle di Dante e del Boccaccio , non rammentandomi che il Bi- scioni stesso , il Tiraboschi e altri la stimarono apocrifa, onde fu posta qual semplice appendice nell’epistolario del poeta , che il Witte di Breslavia stampò a Padova, or sono due anni. Ma all’ uopo di quella citazione basta, parmi, la nota d’Alberigo di Rosate , che si cita più sotto , e in cui non può sospettarsi un’ impostura del Salviati , come nella lettera già detta si sospettò un’ impo- stura del Doni, Il Tiraboschi medesimo infatti la lesse in un manoscritto d’una biblioteca patria qual la lesse il Salviati in uno ch’ era del Pinelli, e la ri- portò nella Storia come l’ altro negli Avvertimenti, == A pagine 109 , ver- so 10 ho mostrato di credere che Dino Compagni ( nato verosimilmente prima di Dante, se nel 1282 già doveva avere 20 in 25 anni, come osserva il Mura- tori, e anche più come opina il Tiraboschi ) mettesse mano alla cronica un po’ prima che l’ altro al poema, non già obliando la data conosciutissima della cronaca stessa, ma sembrandomi poter raccogliere dalla sua breve introduzione e dal principio del primo libro , che qualche cosa egli andasse preparando per essa molto tempo innanzi. Del resto il Giordani , le cui parole da me non ben ricor- date in proposito dei due scrittori son queste : “ Dante è il colosso, Dino Compagni è il piedistallo ,, , disse a favor della tesi per cui io lo citava più ch’ io non intendessi , poichè nel prosatore volle indicare qual fondamento di Veriesiiueditatibuiteta
    sii dtt tte nn 135, lingua trovasse in patria al suo tempo il poeta. == Profitto di quest’ opportunità, per pregare chi avesse letta o volesse leggere nel quaderno antecedente la terza lettera sui Codici Tempiani, di mutare a pagine 71, verso 6 quegli autografi in apografi , onde metter d’ accordo ile cose che in quella lettera son dette sui manoscritti del Varchi. | Histoire des Frangais des divers états, par Amans-ALex1s i Monrerrs Paris 1828. Vol. I, II. 8.° Poichè ai dì nostri vien:sempre crescendo in ogni con- dizione di persone il bisogno di confortar l'animo colla lettura; ragion vuole che in tutte le parti delle umane let- tere si ‘facciano sforzi per ridurre la scienza alla capacità di tutti, talchè ogni età ed ogni sesso abbia libri adatti al suo potere di intendere ed alla sua volontà di applicare. Però se alcuni dipartendosi dall’ usata maniera di esporre la storia, cercano nuovo modo che aggiunga all’ istruzione il diletto, nè convien gridarli corruttori della:ragione del- l’istoria, nè son da predicare come unici modelli all’esem- pio de’ quali tutti gli scrittori si debbano conformare , Si stima anzi più utile opera il ricercare quali cagioni pos- sano avere indotto un uomo di profonda dottrina a com- porre un libro che molto tiene del romanzo e molto del- l’istoria , ma che pure non è nè romanzo nè istoria. Forse l'introduzione di questo medio genere di componimenti, riguardato dai maestri dell’ arte come ‘una corruzione, trae origine dall’ incertezza in che si trova al presente in tutte le sue parti la società. Noi non osiamo asseverarlo. Tutta- via diremo quale crediamo essere il gusto della maggio- ranza de’lettori, ed in che modo il secondarlo ci sembri degno di lode, ; Ascriviamo a buona ventura de’ nostri tempi che l’or- namento dello spirito venga comunemente riposto fra sle fonti del piacere, come altresì che un certo grado di cul- tura sia stimato necessario alle persone civili per saper trat- tare egualmente con tutti senza imbarazzo e senza temer di vergogna. Ma giusto perchè il bisogno di sapere muove principalmente dal bisogno di divertire l’inerzia , e di so- 136 ci disfare l’amor proprio, anzichè dalla ‘necessità di servire ad alcun utile civile, assai più della scienza si ama l’ appa- renza dell'ingegno o del sapere, però si hanno a sdegno gli studi per poco che richiedano tempo e fatica senza al- cun presente diletto. Nè la cosa può andare diversamente quando a solo fine degli studii, la gioventù s1 propone il poter brillare în società. Perocchè è verissimo che se i ra- gionamenti di cose gravi han loco nell’ore destinate al pia- cevole conversare, vi entrano sempre come di contrabban- do; ed abbisognano di una veste piacevole e di una forma leggiera per esser comportati, senza che gli nomini che in- tendon sollazzarsi li rigettino come intrusi . Oltre a che i molti riguardi cui vicendevolmente astringe il. comune de- siderio di non offendere altrui, trattengon sempre la critica ed allontanano per lo più ogni severità di rigorosa discus- sione. Perciò e’ basta aver tanti capitali. da parlamentare di tutto con apparenza d’ingegno, e senza manifesta as- surdità, poco importando il cogliere nel segno quando. si ‘può ottener lode di spirito vivace e gentile. La qual con- dizione del comun conversare lungi dal meritare: biasimo, mostra un raffinamento di civiltà, che darebbe ragione agli uomini de’ nostri tempi di metter superbia, dove all’ ore ‘della piacevolezza , snccedesser quelle dell’utilità,. Ma. per mala ventura le professioni che producono , utile privato sono ai dì nostri sempre divise di troppo dagli alti studii delle. scienze morali, sicchè vi si dà quella attenzione che è necessaria a procacciare i propri vantaggi pecuniarii senza più ; e quanto a quelli che per felice condizione di fortuna o per un contentarsi di poco, che non so se dipenda più da sapienza o da inerzia , non attendono all’ esercizio di alcuna professione ; e’ non vogliono annoiarsi in studii da” quali ritrarre non possono nè utile , perchè non mirano a questo, nè gloria perchè ad acquistarla pel pubblico bene sembrano se non chiuse almeno troppo ardue le vie. Così la maggioranza di quelli che leggono, massime appresso di noi, rispetto alle scienze morali, è ridotta in una sola clas« se , che cercando nella lettura un divertimento anzichè un mezzo di avanzare ad un fine, non ricusa l'istruzione do- 137 ve in forma piacevole si rappresenta ,'ma fugge lo studio come una fatica che rimarrà sempre senza premio, e senza gloria. Se fosse dato agli scrittori mutare questo stato di cose il dovrebbero ; ma da che la condizione presente della società dipende da cause maggiori del potere e del volere degli scrittori, è forza accomodarsi a quello ; e come i pro- duttori delle merci cercano di sodistare alle domande dei consumatori , così i letterati devon compoire de’ libri che vadano a genio al maggior numero de?’ leggitori. Se non che questo accomodarsi al secolo degenererebbe in compia- cenza servile, dove chi scrive non avesse sempre fisso in animo , doversi fare ogni opera per destare bramosia di studii migliori. Di maniera che i romanzi storici, o le storie dettate in forma di romanzo non valessero già a metter ne- gli animi essere ormai snperflua la lezione dell’istorie } ma st bene a solleticarne l’ appetito‘, a facilitarne/la via, ed a preparare quelle disposizioni d’animo che son tanto ne: cessarie a render profittevole lo studio della. storia. Con queste. vedute lodiamo l’opera del Monteil; comeechè cre» diamo fermamente che non sodisfi a tutti i debiti della storia, Ho creduto poi necessaria questa protesta prima dì cominciare a ragionarne, perchè altrimenti potrebbe rima» ner dubbio nell’ animo de’ lettori ch'io volessi condannare quel. genere dicomponimenti ai quali la rammentata opera apre la via: cosa al tutto aliena dai miei principii: che sono di non proscrivere alcun genere a priori, ma sì bene di non riconoscere il dominio esclusivo di alcuno. Difatti sti» mo uffizio della critica letteraria l’ esporre i vantaggi ed i difetti di ciascun genere, perchè i lettori già dotti ab. biano modo di argementare se il libro criticato sia confa- cente alle loro inclinazioni, quelli. che han bisogno di im- parare ne abbiano una guida onde nel leggere non sieno traviati. Adunque 1’ A. ha divisato di esporre la storia francese dal XIV secolo a tutto il XVII1, in forma .di lettere che finge scritte da persona contemporanea agli avvenimenti, Di quest'opera di grandissima fatica sono giunti a noi i soli due volumi che risguardano il secolo XIV, e di\que- T. XXXVI. Ottobre. 18 138 sti soli faremo parola. Se gli altri sieno ancora venuti alla luce nol sapressimo dire ; ma certo devono esser prepara- ti, da che l'A. dice avere spesa in totta l’opera più di 2o anni. Ma vediamo de’ pregi e de’ difetti de’ volumi che abbiamo sott’ occhio. | L’opera si compone di CV lettere scritte (come si fin- ge) da un padre Francescano del XIV. secolo, ad un altro individuo della sua religione. Tutte le lettere sono: senza notazione dell’anno, ma dalle cose che contengono parmi che si possano riferire al principio del regno di Carlo VI e così tra ’l 1380 ed il 1390. L’autore, introducendo un frate del secolo XIV a ra- gionare, si è fatto coscienza di non mettergli in bocca cose che verosimilmente non ‘poteva pensare. Peraltro ha volu- to che il francescano sapesse quanto allora si. poteva co- noscere per la lezione de’ libri, e perla pratica delle cose del mondo ; perciò 8’ incontrano nei suoi discorsi de’tratti di buon senso‘e di carità che oggi farebbero meravigliare, ma ‘allora non erano. nè pur singolari. Se qualche cosa vi è di men che proprio del secolo ne’ discorsi del buon padre, lo ravviso in quella :gran fiducia che dimostra avere nella natural capacità degli uomini per un indefinito perfeziona- mento. Come pure quel lodare i propri tempi sopra i pas- sati, mi sembra sentir più della maniera di pensare nostra; anzichè di quella del Trecento. Ma si deve condonare fa- cilmente all’autore questo leggiero: peccato contro le regole della verosimiglianza , in grazia delle sottili osservazioni ch° escon fuori talvolta dalla penna del frate. Del resto ‘a voler ritrarre la. vita degli uomini di tutte le condizioni nel: secolo XIV, non si poteva sceglier meglio di un reli- gioso per narrarla; da che i religiosi soli aveano modo di trattare famigliarmente con tutti, ed occasione di-cono- scere a fondo le parti più recondite del vivere in tutti gli erdini del popolo. Difatti il nostro cominciando dal chio - stro, e venendo. ne’ castelli de’ gran signori, nella. cor- te, nelle municipalità , negli studii de’ notaii; e de’ cau- sidici, e nelle botteghe degli artetici , ci espone il modo di vivere di tutti per segno che ti pare di conversare con 139 ciascuno di loro , sentire i loro affanni, e goder pe’ loro pia- ceri. Per questa parte l’ opera del Monteil è unica , e ri. marrà lungo tempo senza che vi sia chi la possa eguaglia- re. Poichè i romanzi storici sino ad ora conòsciuti che pure hanno una qualche analogia coll’ opera del Monteil, non contengono un quadro nè così compito nè così particola- rizzato della condizione morale ed economica di tutte le diverse sorta di uomini che compongono una nazione. Ma vi è questo di più da ascriversi a merito del Monteil, che ogni asserzione si appoggia a documenti sinceri del tempo. Molti de’ quali sono cronache, consuetudini ed atti pub- blici già stampati ; ma molti altri se ne rimangono tuttora inediti o nella biblioteca del re o presso l’autore. Così è veramente una maraviglia il vedere un libro ricco di più di tremila citazioni, che lungi dall’ infastidire si propone come esempio di piacevole lettura. A volere colla mente comprendere di qual fatica debba essere stato per l’ au- tore l’accoppiare tanta erudizione a tanta disinvoltura, bi- sognerebbe prenderne sperimento: in altro modo qualun- que valutazione fora sempre minore del vero. Descrivendo il nostro A. la storia di tutte le condi- zioni di uomini nel XIV secolo, senza unirla ad alcuna azione principale, come suol farsi ne’ romanzi storici, ha reso più difficile il sostenere l’interesse. Tuttavia siccome quasi in ogni lettera vi ha qualche fattarello , e per lo più in luogo di descrizioni generali si pongono de’ fatti parti- colari , vien fatto di legger facilmente tutta l’opera con piacere. Ma quella curiosità impaziente che ti sprona a ti- rare a fine un romanzo non la pruovi quasi mai per le let- tere del Frate. Contuttociò se il diletto è meno vivo che ne' romanzi, attesa la mancanza d’ azione e d’ intreccio , il pensare che quanto si legge si appoggia al vero può far preferire di buon animo siffatta lettura a tante altre più piacevoli sul momento, ma che non lasciano in testa cosa che a ricordarla sia frequente occasione di piacere, Se nella parte descrittiva de'costumi l’opera del Mon- teil è più compita de’ romanzi storici sino ad ora conosciu- ti, non per questo potrebbe intitolarsi storia , come che le 1 {o convengà egregiamente il titolo «di opera storica. Difatti sì accorderà di leggieri che mancando la narrazione degli av- venimenti, la sola descrizione dello stato abituale delle diverse classi del popolo non basta a fornire la storia. Pe- rocchè Ja vita pubblica o il momento dell’ azione è parte di storia niente meno importante della vita privata e dello stato abituale di un popolo. Mancarono invero al. loro uf- fizio gli storici che ragionaron soltanto della prima parte, ma non sarebbe per questo men da riprendersi chi sup- ponesse compita una storia che parlasse solo della seconda. E vaglia il vero, come si può tener ragione della pro- sperità e della moralità di un popolo considerandone lo ‘stato abituale senza vederlo eziandio al momento di agi- re? Al momento dell’ azione si misura la forza e l’ esten- zione de’ principi, si conosce la proporzione fra i mezzi, i desideri, e le resistenze. Ma senza conoscer queste cose non si può neppur giudicare qual ragione sia fra i godi- menti ed il soffrire di un popolo, nè qual sia l'influenza delle idee onde è moralmente diretto. So che questa parte di storia è piena di tristizie; ma so eziandio che 1 odio verso le cagioni del male si deve sempre fomentare, se non si vuol che ritornino le antiche calamità o ‘crescan le pre- senti. Ma vi è di più: senza la narrazione degli avvenimenti strepitosi della storia e delle pratiche di governo , sfuggo- no spesso le cagioni dello stato abituale della nazione, e così si perde l’ utilità che traggon dalla storia le discipli- ne politiche. Insomma chi presumesse sapere la :storia di Francia del secolo XIV senza conoscere la storia delle guerre civili ed esterne, delle divisioni della chiesa, delle rovinate finanze , dell’ odio feroce de’ grandi contro i bor- ghesi, della corruzione , degli intrighi e de’ delitti della corte, mal giudicherebbe del secolo, nè potrebbe inten- dere come in tempi in cui erano tanti i mezzi a procac- ciare il bene così lentamente procedesse la nazione , arri. verebbe al secolo XV, è trovando gl’italiani ‘all’apice della civiltà , i francesi avanzati di poco oltre lo stato in che erano al principiar del trecento, rimarrebbe maravigliato, ma dell’ammiraziune dello stolto che non sà il perchè. Pure iù I4I chi leggesse l’opera del Monteil e poi si stimasse sapere assai della storia di Francia rimarrebbe. colla testa così confusa ; però; noi lo ripetiamo, troppo manca perchè il Monteil sodisfaccia a tutti i debiti dello storico. Paragonata poi l’ opera del Monteil alle dissertazioni storiche del Du Cange o del Muratori, quanto le avanza nell’arte di scrivere, altrettanto sta loro al disotto come opera di erudizione, Il che dipende al tutto dal metodo che è piaciuto all’ autore di adottare. Perocchè riducendo il suo discorso alla forma di lettere, e supponendo le let- tere scritte da un contemporaneo , non è potuto scendere a ragionare sui documenti e discuterne criticamente la pruova. Così il lettore spesso rimane incerto, e raccoglie piuttosto delle ragioni di dubitare , e delle indicazioni di documenti preziosi e di libri rari, che delle conclusioni sicure alle quali possa accomodare la sua fede. Vi sono a cagion d’ esempio nell’ opera molte cose relative alli co- muni , ed alla feodalità , così poco ben digerite, che servono a poco più che a dirigere de’ nuovi studi su questi impor- tanti argomenti. Forse è cagione di questo 1’ aver comin- ciato l’ A. a scriver la storia dal secolo XIV, mentre se volevano ben conoscersi le cagioni ed i diversi stati della feodalità e de’ comuni conveniva risalire qualche secolo addietro. Noterò ancora che questo inconveniente dell’aver cominciato da un epoca troppo vicina a noi la storia, si sente in più luoghi, dove si vedono de’risultamenti senza che ne sieno ben chiarite le cagioni. Ma l’ autore che* vo- leva potere scrivere una storia di tutte le condizioni de’fran- cesi, si è trovato costretto a prendere il principio dell’opera da nn secolo in cui abbondassero i documenti. Volendo pure recare in mezzo un qualche brano del- l’opera, riferirò il discorso che il n. A. mette in bocca ad un signore del XIV secolo intorno alla feodalità. Questo discorso è notabile piuttosto come l’espressione dell'opinione dei grandi intorno al reggimento feodale , che come storia ; da che è intervenuto al nome della feodalità quello che suole interven ire sovente ai nomi di istituzioni che durano molti secoli, di servire cioè a denotare cose al tutto diverse , ‘4a ‘comecchè siavi sempre chi pretenda dopo il fatto comporre | una storia ideale. Il nipote (son parole del frate nella lettera 29 ) della signora del castello è amato assaissimo dal commendatore ch’ el trova fornito delle qualità di un ottimo cavaliere. Il che vuol dire che sa valersi della lancia e del suo destriero, con questo di più che non sa nè abbassar gli occhi, nè mentire. Quest’ oggi dopo vespro il commendatore per diletto gli dimostrava lo spi- rito del governo feodale: nipote carissimo (diceva) non v? è egli mai venuto fatto di ammirare quella gran vetrata tonda o sia quella gran rosa che corona la porta maggiore della chie- sa di San Martino a Tours? Non avete voi osservato ch’ essa era composta di altre rose meno grandi, le quali ne contenevano’ delle più piccole composte di vetri di diversi colori? Quella è appunto l’immagine della gran monarchia feodale; suddivisa in monarchie meno grandi o vogliam dire in fendi della corona, nuovamente divisa in altre più piccole monarchie cioè i feudi mediati, i quali contengono innumerevoli piccole monarchie, come a dire , semplici fendi, le semplici signorie, dove si trova il popolo in diverse condizioni ed in diversi stati. Adunque mettetevi in testa il mirabil legamento di quest’or- dine di cose : il popolo , i signori del popolo , i signori de’signori del popolo, i baroni ; i signori de’ baroni, il signore de’ conti, il primo signore o signore sovrano , in una parola il re. Vedete come da questo ordine dipendono quei numerosi legamenti , che uniscon gli uomini fra di loro, che moltiplicano gli scambievoli uffizi di benevolenza e di amicizia, che stabiliscono fra tutti i membri dello stato dal primo sino all’ultimo, dal re sino al più misero servo un continuo commercio di servigi ricevuti e ricam- biati ; poichè se i servi ed i coloni son tenuti a dar parte del grano del vino del bestiame e dell’opere loro al padrone, d’altra parte il padrone è obbligato a difendere i campi le vigne i be- stiami e le persone de’ servi e de’ coloni, a soccorrerli. ne’ loro danni e nelle loro sventure. Parimente se il signore è tenuto a servire colle armi o col consiglio il barone, questi dal canto suo deve difendere il semplice signore dalla malevolenza e dalle usur- pazioni e dalle violenze degli altri signori. Le stesse obbligazioni corrono fra i baroni ed ‘il conte, fra’l conte ed il re, fra’l re ed i conti. È cosa maravigliosa a dirsi, l’effetto necessario di questa gran combinazione politica si è la felicità di ciascuno in parti- colare , e di tutti in generale. Difatti il re essendo proprietario de’ feudi de’ conti ha interesse perchè i contadi sieno ricchi e pro- | | 143 sperosi , i conti hanno lo stesso interesse rispetto alle baronie , i baroni rispetto alle signorie ; i semplici signori rispetto ai servi ed ai coloni, cioè rispetto al popolo. Quanto più il popolo sarà meglio nutrito meglio vestito più ricco ; insomma più felice, tanto maggiori saranno la felicità e le ricchezze del signore, e così va discorrendo per quelli che si trovan più alti nella scala feudale. E chi non vede in questa maravigliosa gerarchia ; che tutti, i capi hanno le mani legate per fare il male o per deteriorare il feudo , laddove le hanno liberissime per fare il bene, per miglio- rare il loro feudo, che in diversi modi appartiene a diversi padroni? Non si sa se quest'ordine di cose sia stato suggerito agli uomini dagli angioli del cielo, ma si può bene asseverare che i demonii 1’ hanno alterato , 1° hanno corrotto ; e continuano ad al- terarlo e corromperlo. Il primo di questi demoni è stato il lusso. Perocchè i crociati invece di riportare d’ Oriente de’pii ricordi ed una devozione più viva, han portato fra noi il desiderio de’godi- menti, massime di quelli che costano molto denaro. E poichè per averli non bastavano i mezzi soliti, han pensato di vendere ai loro sudditi l’affrancamento, col quale sono rimasti liberi da una fe- licità forzata per aver libertà di essere infelici; somma imprudenza tanto per parte de’signori che per parte de’servi. Del resto si ba un bel dire, ma queste cittadinanze e queste comuni comecchè esistano saranno sempre una trista modificazione del sistema, feo- dale. Secondo me quest’innovazione gli ha dato il più terribil colpo ; sono venuti poi i demonii dell’ ambizione e della discordia quando i signori non han più voluto vedere il loro interesse par- ticolare nell’ interesse generale, quando nelle loro divisioni han dato luogo all’ intervento della autorità regia. Da quel momento l’ autorità regia si è sempre fatta maggiore, e per molti rispetti si può dire che. il re di signore superiore che era, al presente è di- venuto signore immediato de’nostri sudditi. Difatti la moneta della sua zecca ha corso nelle nostre signorie ; nei bisogni dello stato si impongono le gravezze indistintamente sui signori e sugli uomini loro: e sotto pretesto di casi riservati a’tribunali regii (cas royauz) i suoi uffiziali spesso e male a proposito chiamano ai loro tribu= nali delle persone che non dovrebbero conoscere la giurisdizione del re. Ma quando ad un edifizio si tolgono i fondamenti deve ca- dere : questa sorte è riserbata alla feodalità. Le rivoluzioni e gli sconvolgimenti si avvicinano ; giovine amico teneteli per pros- simi, non già per trarne un’ utile particolare, ma per preve- derli , per ritardarli ; per unirvi coi legami dell’ amicizia , del 144 cuore , della forza e dell’ ingegno cogli uomini generosi che pren- giu il partito della resistenza. Pare quasi superiore all’ umano intendere questa rapida de- molizione del forte castello della feudalità ; le torri della quale non ha guari alzavano il capo non meno della fortezza che al pre- sente si inalza sulle loro rovine. Credo, desidero, d’ esser inteso. ‘ La cagione del male ( ha seguitato a dire il commendatore dopo alcun momento di silenzio ) deriva dall’ oblio delle leggi elementari dell’ istituto feudale. Però i nostri re le hanno con- culcate apertamente e senza timore secondo il loro talento: Di che recherò qualche esempio. La nobiltà è tenuta a seguire il re in guerra , ma nella sola guerra di difesa. Tuttavia i re fanno marciare adesso i nostri in ogni specie di guerra. Vi sono dei casi ben dichiarati in jure ne’ quali il vassallo può muover guerra al signore ed al re. Ma oggi quando un si- gnore piglia le armi il re lo. fa citare al parlamento, e lo fa dichiarar reo di fellonia e d’ alto tradimento. Una volta nella persona del re si distinguevano diverse per- sone giuridiche , vale a dire il capo dello stato, ed il signore immediato o particolare. Come signore immediato il re prestava omaggio per procuratore al signore superiore. Ma dopo Filippo il Bello i re non voglion prestar più alcuna specie di omaggio; danno invece un indennità in denaro, ed i signori se ne stanno contenti. i Il re non deve aver armata permanente. Quest’è un articolo che la prudenza e la previdenza delle nostre leggi, ha spesso rinnovato. Il perchè nel regno di Gerusalemme, dove la feudalità era ridotta a tal parità che si sarebbe potuta dire : la feudalità riformata , la feudalità classica , il re non può avere più di cento uomini d’ arme in attività , senza essere specialmente autorizzato. Nessun sussidio al re, fuorichè ne’ casi straordinarii; ma da gran tempo; come sapete, i bisugni de’ nostri re son tutti stra0r= dinarii. Vi era proibizione solenne ai plebei di posseder feudi; ma da che si sono trovate tante eccezioni e tante limitazioni alla re- gola , la si può dire quasi abrogata. In mancanza di eredi del signore feudatario il feudo ritorna per legge al signore superiore. Ma questa legge appunto che non è stata violata accresce ogni giorno il demanio regio. La monarchia francese come feudo mascolino non ammette la successione delle femmine. Questa legge rimasta in piena os- 145 servanza fece sì che Filippo di Valois e non Ednardo portasse la corona di Francia, Per l’istesse leggi o consuetudini dei feudi i re non arrivavano alla maggiore età prima de’21 anni; adesso sono maggiori a 14. Il che vorrebbe dir poco se i buoni francesi sapessero accordarsi fra loro. Vedi come sotto Luigi l’Altiero e sotto Filippo il Lungo i nobili di certe provincie accordatisi fra loro ottennero rein- tegrazione de’ loro diritti. Bastò a loro un solo momento, ed oggi si potrebbe fare lo stesso; ma disgraziatamente non vi è nè unità di. sforzi, nè volontà generale, e quello che è peggio non è da credere che vi sia in avvenire. Però convien ch’io ripeta: da gran tempo l'egoismo e l’avidità del denaro signoreggiano gli animi de’ nobili, i quali continuano a vendere la libertà ai servi, e fra poco gli venderanno la giurisdizione che conservano , quindi il diritto di succedere in mancanza di parenti sino al quinto grado , poi i diritti delle opere, delle taglie, della pesca e della caccia , sino ‘a che non sieno ridotti e non aver più cosa da alie- nare ; sì che sembra possibile il caso che prima che il mondo fi- nisca non rimanga ai nobili altro che quello che non potevano vendere , vale a dire le genealogie ec... . Credo che questo lungo squarcio dell’opera possa ba- stare a dare idea della maestria con che l’autore rappresenta il modo di pensare ch'era in credito nel secolo XIV. Do- ve non avessi temuto di occupare troppe carte di questo giornale, avrei tradotto piuttosto la relazione di un pelle- grinaggio pieno di aneddoti piacevoli da sollevar 1’ animo anco delle persone che han meno cara la lettura. Ma se può meritare qualche fede il mio avviso, conforto tutti quelli che bramano studiare la storia a leggere l’opera del Monteil. Perchè oltre il diletto, se non sanno la storia ne ricaveranno un senso più vivo del bisogno di impararla; se la sanno vi troveranno alcune cose che vanamente si cer- cherebbero in altri storici assai ben chiarite, altre che danno materia da pensare. E quanto a me, senza credere che l’ opera annunziata possa proporsi per modello, stimo tuttavia che sia nel novero delle poche opere venute in quest’ ultimi anni di Francia, da acquistarsi utilmente anco per le private librerie. ; Francesco Forti. T. XXXVI. Ottobre. 19 t46 Serie dei testi di lingua italiana, e di altri esemplari del bene scrivere. Opera nuovamente rifatta da B. Gama di Bassano, e divisa in due parti. Parte I: sono descritte le migliori edi- zioni antiche e moderne di tutte le opere citate dagli Acc. della Crusca. Parte II : le migliori edizioni di altre opere op- portune allo studio della lingua, pubblicate dal XV a tutto il secolo XVIII. — Venezia Tip. Alvisopoli 1828. 4 Poche opere si potrebber contare nel loro genere così elabo- rate e compiute , come questa nel suo. Il titolo ne dice già la materia e l’ ordine: ma ciò che dal titolo non si può argomen- tare , si è l’ntilità di questo lavoro ; il quale conferma, come una serie di fatti, per quanto minuti paiano ed aridi, purchè esatta- mente notati e disposti , presenti sempre alla mente di chi bene osservi, qualche conseguenza generale da trarre. Chi leggerà, per esempio , che la prima edizione delle opere dell’Alamanni è 0g- gidì rarissima per la ragione che molte copie ne furon bruciate, perchè l’ editore, al dire del Franco , piangeva in esse la rovina della sua patria, biasmando la tirannide ,'e confortando i suoi cittadini alla libertà ( N. 12); chi leggerà che il Galilei, pel suo dialogo sopra i due sistemi del mondo ; fu , al dire del Nelli il quale riporta una nota letta in un MS. della Magliabechiana, fu fatto abiurare, comparenio il povero uumo con uno straccio di camicia in dosso , che facea compassione ( N. 367 ) ; chi leggerà che l’edizione della Gerusalemme Conquistata, fatta dall’Angelier, è, al dire dello Zeno, rarissima e stimatissima perchè fu condannata e soppressa con decreto del parlamento di Parigi del dè 1 settem- bre 1595, a riguardo principalmente di diciotto versi posti nel Li- bro XX; come, dice il decreto, contenenti sentimenti contrarii al- l’autorità del Re e al bene del regno, e come. infamatorii del defunto Re Arrigo III, e dell’allora regnante Arrigo IV (N. 812); chi legge- rà che l’Aretusa, commedia del Lollio, è dal Fontanini condannata come inonesta, e dal Barotti difesa come onestissima (N. 1263); e che il paterino Vergerio per far prevaricare una Badessa le schierava innanzi le mellonaggini che talvolta si leggono nei Fio- retti, dove che il Cesari lo giudica libro da pregiarsi per la utilità della materia ; chi leggerà queste e simili cose , rav- vicinandole saggiamente , non potrà non dedurne qualche con- clusione importante. Così, a trovare la commedia di Niccolò Bo- naparte., nativo di Samminiato e cittadino di Firenze, ristam- pata nel 1803 ( N. 1093); a trovare nel Ballerino di Fabri- 147 zio del Caroso , tutti i nomi de’ balli che nel secolo XVI corre- vano infranciosati a Parigi, poichè tutti i famosi nell’ arte del ballo erano Italiani, e d’ Italia andavano altrove ( N. 1703); a trovare nell’Amor costante, commedia di Alessandro Piccolomini qualche scena in lingua spagnuola , italianata ; per farla gradire a Carlo V che la vide rappresentare nel 1536 ( N. 1338 ) ; a tro- vare infine nel Collegio Petroniano del Gigli, pubblicato sotto il finto nome di Salvator Tonci, una faceta menzogna che, a varie cose applicata , potrebbe pur diventare un'utile verità , la menzione d’ un Conservatorio per allevare i fanciulli sin dalle fasce nella lingua latita (N. 1935); altre idee, molto sviperiori alle memorie hibliografiche, ci si destano in mente. Quanta Ince possa diffondere nna ben compilata Bibliografia sulla storia delle lettere, non è necessario; cred’io, dimostrarlo. Egli è, per esempio, singolare a notarsi che nelle postille ag- giunte alla traduzione del Faleréo di Pier Segni, fatte per di- mostrare quanto i nostri buoni scrittori si fossero approfittati de- gli antichi maestri greci e latini, si veggon citate la Gerusalem- me e il Torrismondo, nel tempo appunto che infuriavano le ire del Salviati e del Rossi ( N. 350). È singolare a notarsi che il Gozzi tenesse il Bellincione tra i libri suoi prediletti, e ne avesse tutte trascritte di sua mano le rime ( N. 119); che sin da’tempi del Vellutello, gli ammiratori di Dante incominciassero a strapaz= zarsi allegramente ( N. 318); che le tragedie storiche comincias- sero in Italia molto innanzi a Shakespeare (N. 1026 ) ; che Luca Contile ci desse un’ idea delle ‘così dette commedie di sentimen- to (N. 1136); che quasi tutte le tragedie del Giraldi sien tratte da argomenti non antichi ( N. 1223 ); che tra le anacreontiche del Magalotti ve n’ abbia di tolte dalla lingua portoghese , dalla turca , dall’araba (N. 1670); che il Bartolommei in un trattato della dottrina comica dell’ anno 1661, si proponesse di richiamare la commedia al primo suo istituto morale (N. 1314); che pri- ma del Varano il Leonarducci ritornasse alla maniera Dante- sca (N. 1982); che il Zorzi nel 1779 si fosse accinto all’ im- presa di rifondere 1’ Enciclopedia , aiutato dal Lagrange , dal Bor- sieri, dallo Spallanzani, dal Tiraboschi, da Vincenzo Riccati, dal march. Saluzzo, da Gregorio Fontana, uomini quasi tutti nella scienza loro superiori agli enciclopedisti francesi ( N. 2226 ). Come bene dipingono, se non i caratteri del Gravina e del Guidi, alm eno lo spirito della vanità ‘letteraria , i seguenti due aneddoti bibliografici! “ Fu stampato in Roma nel 1692, »» V'Endimione , dramma di A. Guidi, insieme col discorso di Dio- 148 »» ne Cratéo', che gli serviva come d’ Appendice. Si offese il Gra- 3) vina di questa posposizione , che credè procurata a bella posta ») per suo discapito ; onde per soddisfare all’ ambizione , e ri- ,, parare il preteso oltraggio ricevuto, finse esserne stata fatta una 3» nuova edizione oltremonte , mutando nel frontespizio la data 3 di Roma in quella d’ Amsterdam , ‘il romano stampatore No- s, marechio in una certa vedova olandese, ed anteponendo il :; suo discorso al dramma del Guidi ,, (N. 1643). — « Trova- »» vasi il Pontefice Clemente XI a villeggiare in Castel Gandolfo , »» per dove s’ era posto in cammino il Guidi a fine di tributargli - :> in questa sontuosa edizione (delle sei Omelie del Papa esposte »» In versi) uno dei più diletti frutti del suo ingegno : ma mentre , teneva tra mano il libro, e lo svolgeva , v’° ebbe scoperto un 3» fallo di stampa, a dispetto della somma sua diligenza trascor- »» sovi ; e tanto arse di sdegno a quella vista , e tanto commos- », sesi ( al dire del Turroni ) nella più ima parte del cuore, che », giunto a Frascati, fu sovrappreso da apoplessia, la quale po- », che ore di vita gli concedè. ,, ( N. 1645) Il numero stesso delle ristampe o delle traduzioni d’un’opera può dare in compendio un’ idea dello stato della letteratura d’un secolo , o dei bisogni di quella. Giova, per esempio , sapere che molte sono le edizioni nel secolo XV e nel XVI della rappre- sentazione d’ Abramo e d’Isaac (N. 106); che il Pastorfido del Guarini ebbe, durante sua vita , ben trenta ristampe (N. 460 ); che nel cinquecento , sessanta furono le edizioni fatte dell’ Ar- cadia; che molte sono pur quelle’ della commedia del Domeni- chi le due cortigiane (N. 1162); che dall’ anno 1472 al 1500, le edizioni della Divina Commedia son diciannove ; dal 500 al 600, quaranta ; dal 600 al 700, cinque; dal 700 all’ 800 , trentasette; nei primi venticinque anni del nostro secolo, ben più di cin- quanta (N. 309); che in men di vent'anni della nostra gene- razione cinque nuove traduzioni sono uscite di Tacito (N. 2192); e in men di cinquanta , dieci dell’ Eneide di Virgilio (N. 2199). To non parlerò dell’ esattezza che pone il ch. A. nel racco- gliere e nell’ esporre tutte le notizie Bibliografiche che son del suo tema, per soprappiù di diligenza notando sovente anco le illustrazioni, o le dispute , o i trattati di ogni genere a cui dieder luogo alcune opere celebri (n. 172. 336); non omettendo di fare avvertito il lettore d’ alcuni piccoli sbagli dell’Accademia (345); fermandosi anco ad osservare o le omissioni o gli errori. della Biografia di Parigi (415); collocando tra le notizie bibliografiche alcun cenno della ortografia dagli editori adoprata, cosa che ha ‘149 pure la sua importanza, giacchè l’ ortografia senza leggi ferme non indica certamente l’ultima perfezione possibile della lingua (834 , 2056) ; distribuendo alla diligenza , alla dottrina , alla generosità, all’ eleganza di varii editori ed antichi e moderni, le debite lodi. E certo , moltissimi de’ letterati che vivono, debbono del sig. Gamba chiamarsi contenti ; tanto egli si mostra nell’apprezzare i loro lavori non pur conoscente e giusto, ma gentile e pietoso. E moltissimi egli ne ha dovuto nominare , perchè moltissime d’ ogni parte d’Italia sono da vent’ anni in quà le ristampe e le nuove edizioni o di testi di lingua o d’opere che meriterebber l’onore di questo titolo: nè mai con tal senno, con tale dottrina fu esercitato l’ umile uffizio d’Edi- tore de’testi, nè mai tanta importanza fu data alle quisquilie più misere de'secoli andati. Fra gli editori diligenti ed assidui d’opere piacevoli ed utili, va certamente collocato l’autore di questa Bi- bliografia che annunziamo , dal quale, ora ch'egli si trova in mezzo ai tesori della Marciana in qualità di vice-bibliotecario , noi dobbiamo sperare nell’ avvenire qualche prezioso dono di opere inedite , e degne, per la letteraria e storica loro utilità, della luce. Il Poggiali aveva pensato a rallegrare la sua Bibliografia coll’ inserirvi prose o poesie di scrittori celebri non mai pubbli- cate : ma il Nostro, costretto dalla vastità della materia, non potè che al n. 1638 donarci un tratto singolare d’ una lettera del Magliabechi, ch’ egli con altre molte del medesimo possede au- tografa ( N. 1678. ) Le opere sono notate per alfabeto: senonchè 1’ indicazione talvolta è determinata dal titolo dell’ opera, talvolta dal nome dell’Autore, metodo che a noi non pare il più semplice; seb- bene la Crusca ne abbia dato l’esempio. Troviamo! p. e. alla let- tera A. Allegorie sopra le metamorfosi. V. Qvidio. All’art. Ovi- dio, troviamo : metamorfosi colle Allegorie volgarizzate da Gio. di Bonsignori. Non era egli meglio citare alla lettera B , Bonsi- gnori Gio. Metamorfosi ec. Similmente alla lettera Z, leggiamo l’ art. Zibaldone Andreini, invece di leggerlo alla lettera A, do- ve non trovi nè anco il richiamo che rimanda alla Z; richia- mo che non è neppure nell’ indice generale. Il ch. A. ha fatto così, io ne son certo, per attenersi alla Crusca; alla quale il suo, libro è come un amminicolo ; ma non tra forse inconveniente fornire. 1’ esempio del come si dovrebbero in un nuovo dizionario citare le opere da cui si traggon gli esempi; cioè incominciando sempre dal nome dell’ autore o del Traduttore , non mai dal ti- tolo dell’opera, se non quando l’opera fosse anonima. Così. in- vece di Ammaesitramenti degli antichi, meglio sarebbe citare: 150 B. S. Cone. Bartolommeo da $.:Concordio; che n'è il. traduttore: invece di Tes. Br.; Tesoro di Brunetto; Lat. Tes. ( Latini, te- soro), e simili : serbando il titolo dell’ opera per quelle citazio- ni dov’ è necessario; come Nov. Ant. ( Novelle Antiche); Vit. SS. PP. ( Vite dei santi Padri ) ec. i La seconda parte è una serie, l’abbiam già detto, d’Au- tori; i quali potrebbero fornire al Dizionario della lingua voca- boli e modi degni dell’ uso. E son più gli autori che il sig. Gam- ba propone alla Crusca, di quelli che la Crusca ha finora anno- verati fra’ testi. “ Ma ogni volta (le son parole d’ un Aceade- 3 mico; dall'A, N. citate, n. 945.) ogni volta che il carattere s, della scrittura; e le antiche voci e maniere ce lo mostrano »» factura del buon secolo , ciò basta per istabilire la sua auto- », rità. 5: E ciò che il Fiaechi dice del trecento, si può senza tema d’ errare, con più di ragione estendere ad ognuno de’se- coli susseguenti, purchè le voci e le maniere dell’ A. sieno già passate nell’ uso, o degne d° entrarvi. E ciò che 1’ Aldobrandi , editore d’una quasi sconosciuta traduzione di Cesare, dicea , può reputarsi come esprimente il modello della vera eleganza: “ In »» questo lavoro, non parole nuove nè recondite , mon sentenze »» perverse; non vocaboli inusitati nè finti troverai, ma parole »> piane e lucide, sentenze composte e ordinate, e finalmente s, norme di dire da molti consumatissimi uomini usate. ,, Nè già proponendo un libro come atto a furnir voci e modi accet- tabili, il sig. Gamba intende di raccomandar tutto quanto lo stile, come degno d’imitazione e di lode (n. 957). Se questo s intendesse, ben pochi tra gli scrittori italiani sarebbero lali da fornire materia al vocabolario della lingua; pochi, io dico, di quegli stessi che la Crusca ha citati: chè bene a ragione il n. A. trovava alquanto esagerate le lodi da molti concesse allo stile del Bartoli, dove non piccoli sono i pregi; ma certo non da tacersi i difetti (n..1512). E se il Monti ed altri avessero voluto fare quest’avvertenza, si sarebber forse risparmiata tant ira contro gli Aceademiti che tanti libri inettissimi citarono come testi. Il fine de’ primi compilatori del dizionario (men nobile per Vetà nostra, ma sufficientemente filosofico per la loro) era di dar tutta intera ai non toscani l'intelligenza e della lingua parlata e della scritta in Toscana da ben cinque secoli ; e quindi di raccogliere voci e modi, buone e tristi, da tutti quei libri che potessero offrirne di nuove. Che se, per esempio, mon ispogliarono il Caro , il quale, al dire del Perticari , offre tanti modi pellegrini e tanti fiori di stile insieme raccolti , che nella sua favella parlerebbero le muse, se venisse VOR O VR TE Vr SI PES e / 191 Zoro ‘il talento di favellare italiano; se non ispogliarono il Caro, forse il fecero perchè di tutte le eleganze del Caro, siccome de- rivate dalle eleganze toscane , si poteva trovare l’ intelligenza e l’analogia negli scritti toscani. E già ognuno sa , che non tanto di modi di dire manca il vocabolario, quanto de’ vocaholi proprii delle scienze, delle arti, degli usi del vivere. Chè, sebbene io stimi il dizionario proprio delle scienze e delle arti non doversi confondere con quel della lingua comune, pure io credo che a que- sto sien propria e necessaria ricchezza tutti que’vocaboli che a’più son già cogniti, e nel comune discorso , senza bisogno di dichia- razione s’adoprano. Onde gravissima perdita io chiamerei lo smar- iimento di que’ diecimila vocaboli spettanti tutti a’ mestieri mec- canici , che avea raccolti il Norchiati, al dire del Doni (N. 1311). E a buon diritto si duole il sig. Gamba insieme col ch. ab. Van- nucci , che di qualche antico volgarizzamento della Bibbia non si sia approfittato per trarne tutti qne’ modi che la religione ha ormai accomunati nell’ uso della lingua , e che nel dizionario ancor mancano (N. 149). Alcune altre proposte noi non sapremmo egualmente lodare nell’opera del sig. Gamba; e sono le proposte di libri che nè per l’importanza della materia, nè pel pregio dello stile meritano attento esame ; come sarebbe la traduzione d’ Anacreonte del francese Regnier ( N. 1483), e simili. Certo , e i buoni libri e i cattivi debbono essere interrogati , specialmeate in materia di ar- ti e di scienze , e delle consuetudini della vita civile, per vedere se ad una lingua il cui fondo è per soverchia fecondità parte troppo fiorito e parte quasi nudo, si possa acquistare maggior determi nazione ne” significati , unità negli usi, e abbondanza nella espres- sione delle più minute suddivisioni d’ uno stesso concetto : ma io non saprei, a dir vero, che fare de’libri scritti nella lingua co- munale da autori mediocri, che trattano non di materie riposte, ma di comunali argomenti. E così, quando il sig. Gamba consiglia a inserir nella Crusca arrugare , invece d’ increspare ( N. 1411), si potrebbe duman- dargli se egli desideri che alla lingua viva o alla morta appartenga una voce la quale è già inutile finchè vivono corrugare , e incre- spare. Questa moltiplicazione di voci ch” esprimono per 1° appunto la medesima idea, e che, anche quando potrebbero esprimerne. una diversa, dagli scrittori malaccorti, che per l’ordinario si tengono pei più fioriti e facondi., vengon confuse e usurpate nello stessissimo senso , questa moltiplicazione , io dico , è una delle piaghe più notabili, non della lingua soltanto ma della lettera r52 tura italiana: perchè allora si credono i più di bene scrivere quando adoperano invece della parola comunemente usata , una insolita, o l’usitata collegano in insolito modo: donde l’affettazione del tuono, e l’inefficacia dello stile , e l’impopolarità del linguaggio , e gli equivoci delle idee. Il libro del sig. Gamba a noi pare tant’ utile e tanto lode- vole, che noi ci fermiam volentieri a notarne i leggieri difetti , i quali egli in una nuova edizione potrà togliere ben facilmente. Il suo lavoro finisce col secolo XVIII ; sebbene alcuni scrittori vi si trovino del XiX. E già, chi si mettesse a fare lo spoglio di que’ tanti che il sig. Gamba annovera , avrebbe per ora da faticare abbastanza. KX.Y. RIVISTA LETTERARIA. Descrizione di altre medaglie greche del Museo del sig. Carro d’Orravio Fowrawa di Trieste, in aggiunta alla prima, e seconda parte già edite per Domenico Sxesrimi. Parte terza. Firenze presso Guglielmo Piatti 1829. Un vol. iù 4.° di pag. X, e 114, con 25 Tav. in rame. Contiene questo volume , dopo il frontespizio, una lettera dedicatoria al regnante Sommo Pontefice Pio VIII, ed una breve introduzione , cui sussegue la descrizione delle medaglie, disposte per provincie. A questa descrizione poi succede un indice geo- grafico delle medaglie stesse, tanto della terza parte , quanto delle due precedenti. E questo per ordine alfabetico delle città, alle quali appartengono , coll’ indicazione delle tavole che le con- tengono incise. Ed infine viene terminata la stampa del volume, con un altro indice dei re, e dei principi, descritti nelle tre parti di quest’ opera. Pubblicando il possessore di questo Museo, in Firenze nel 1818, la serie delle consolari, rese informato il lettore del come si accese in lui talmente l’amore per la Numismatica, che avendo già fatti molti acquisti di medaglie greche , alcune delle quali inedite , e di non ovvia erudizione , si determinò a darne in luce una prima parte accompagnata da sei tavole incise in rame ; il che ebbe effetto, a vantaggio degli studiosi , nel 1822. Andandosi però continuamente accrescendo il già ricco Mu- (153 seo di questo stimabilissimo amatore, giudicò egli convenevol cosa , di fare ristampare nel 1827 una seconda parte del mede- simo , adorna di dodici tavole in rame., e. non poco istruttiva ancor essa. Ma siccome nuovi acquisti resero ognora più cospicmno il Mu- seo Fontana, così dopo il periodo di due anni, si rese necessario di dare alla luce questa terza parte. Nella descrizione di essa pertanto, si vedranno segnate di un asterisco tutte.le medaglie di nuovo acquisto, evi si troveranno riportate le descrizioni della prima , e della seconda parte, per mostrare .il corso geografico:numismatico di molte città, descritte nelle tre parti. Il ch. autore si è limitato , in ciò fare, alla semplice descri- zione delle medesime, senza darsi carico delle piccole «spiegazioni e note., alle quali potrà il lettore ricorrere all’ occasione:, come avverte ‘egli ‘stesso nella ‘sua introduzione. Ove ne.istruisce pure, che.i ‘disegni delle medaglie già pubblicate in avariti , \essendo stati fatti sulle impronte, e sui gessi, non poterono ottenere dal- l’incisione, tutta quell’ aria di originalità:che richiedesi. E per- ciò non si è ‘mancato, nel pubblicare la terza parte di dare una migliore rappresentanza alle stesse incisioni, avendo fatte ritoc- care ‘tutte le+tavole già incise. Ne avverte eziandio , il signor Sestini, nella citata ‘introdu- zione, che mediante ‘un nuovo esame fatto dal possessore di que- ste medaglie , essendosi egli‘accorto della poca esattezza dei gessi e nel complesso delle ‘città ‘descritte nell’ indice :delle medesime, ha indotto l’autore a fare, in questa terza parte, varie correzioni, ed aggiunte di medaglie tralasciate nelle opere precedenti. E finalmente conchiude che essendo sovraggiunta alla bella collezione del signor Fontana., una nuova medaglia dei Tessali , coniata in onore di Agrippona ; è stata fatta incidere, e si vede nella Tav. VII , fig. 19, portante nel diritto EIRHNH. £E- BAZTH. OEZZAAON. e nel rovescio: £TRATHIOI. AA- OYXOY. E così il dottissimo Nestore dei numismatici viventi, sempre infaticabile nei suoi studii ; continua collo stesso fervore.,. anche nell’ età avanzata in cui si trova; a. produrre opere utili agli amatori , ed agli studiosi della nobilissima scienza , che egli ha sì grandemente illustrata, ed arricchita di tante nuove scoperte. D. Varertani. . T. XXXVI. Ottobre. 20 154 Parafrasi del Salmo « Coeli enarranit gloriam Dei, e dei sette penitenziali — Napoli, Tipografia nella pietà dei Turchi 1828. Si compone questo libricciuolo di pagine 51 in piccolo 8.°, ‘tre delle quali comprendono una bene intesa prefazioncella, colla quale si fa ragione del come , e quando quei sette salmi fossero dalla chiesa chiamati penitenziali, e vi si parla puranco di tutti quelli che li volsero in versi, o italiani, o latini. E le rima nenti contengono il testo latino della Volgata, e la parafrasi poe- tica dei salmi enunciati nel: titolo trascritto quì sopra. L’ autore di questa parafrasi è un illustre magistrato napo- letano ; che sostenne con molto decoro luminose cariche nella sua patria e in Sicilia. Avendo però egli per modestia celato il sno nome sotto il velo dell’ anonimo , noi ci facciamo un sacro dovere di lasciarvelo, benchè ci sarebbe stato gratissimo di no- minarlo.. Ci contenteremo pertanto di dire che questo lavoro è eseguito con. sì bel garbo, e sì squisito gusto di lingua, e di poesia , che farà sicuramente desiderare a chi lo legge ; che vo- glia l’ egregio autore impiegar le medesime cure su tutta la sal- modia davidica. E finalmente perchè chi leggerà questo brewissimo articolo vada persuaso che la lode che noi diamo all’ autore . di questa parafrasi è giusta, riporteremo quì per saggio la prima sestina del Coelî enarrant, che è la seguente : La gloria del Signor narràno i cieli, E annunzian l’ opra di sua man le stelle ; . Ogni giorno di lui par che disveli Al nuovo dì le meraviglie belle ; » E alla notte che vien quella che parte AA Indica il fabbro ; il magistero, e 1’ arte. E tutto’ il resto del salmo è dello stesso sapore: come pieni di patetica unzione sono pure tutti i bei versi che compongono la parafrasi dei sette penitenziali. Vv, D. VALERIANI. x Guida del Forestiere per la città e contado di Lucca. — Lucca presso ‘Tacopo Balatresi 1829. Entrando affatto. nuovi in ‘una città, .è ben naturale che vivo agiti il desiderio di conoscere e intendere quanto cade sotto gli occhi : e se appunto allora si fa innanzi un cortese che con intelligenza ed amore mette al fatto di quanto vi è di più rag- 155 guardevole e importante , chi non gliene sarà tenuto come di un dono il più caro ? Io son lieto, o lettore , di annunziarti con si- curezza ;} che visitando Lucca ;. avrai già pronta una di queste rare persone, o per dir meglio, ne avrai un equivalente nella Guida annunziata. In questa è facile lo scorgere l’ affettuosa bra- ma dell’ autore di servire all’ istruzione, all’ interesse, al como- do del forestiere, che sul principio vi trova un cenno sulla sto= ria politica , una idea di quello che è stata Lucca nelle scienze e lettere, nelle belle arti e nei mestieri, una notizia delle mo- nete, pesi, misure, alberghi ec. Dopo questi cenni preliminari viene introdotto al giro della città, e qui pure come in ogni al- tra città italiana, potrà osservare le memorie ed i monumenti che restano a testimoni della possanza e della gloria; quì pure | vedrà che se la rabbia del tempo e degli uomini si è ostinata al distruggere, il genio italiano non si è stancato a creare ed è ri> masto colla vittoria ; vedrà come sì piccolo stato non sia punto rimasto addietro in tutti quei miglioramenti e vantaggi che la presente civiltà ha portato alla istruzione , alla industria, a tutti i bisogni dell’ umanità. Son certo che molte delle cose che vedrà ed. udirà, lo faranno maravigliato e contento; ma se al= cuna gli destasse sdegnose o dolenti memorie, lasci la città, e là in quelle walli fertili e ridenti, in quei colli coperti di ulivi; in quelle magnificenze e delizie di Marlia e Collodi e di altre ville famose , ai Bagni, a Viareggio sarà condotto dal nostro au- tore, e certo il suo animo tornerà gaio e sereno come quel cielo e quella natura. Della utilità di questa Guida non è da parlare, poichè ad ognuno ne era manifesta la necessità; non è però inutile a dirsi esser compilata ‘con molta, ma non superflua erudizione, e di- sposta e ordinata con molto giudizio; la maniera di descrivere è facile, disinvolta e non di rado pittoresca : ma questi intrinseci pregi si aggiungono per renderla più adorna e più cara la pianta di Luèca, e cinque vedutine dei luoghi più belli e ragguarde- voli della città e dei contorni molto ben disegnate ed incise. Dopo quanto si è esposto credo che ognuno vorrà con noi ringraziare e il sig. Tommaso Trenta, che primo scrisse questa Guida ; e il sig. Antonio Mazzarosa , già noto non meno per dot- trina che per gentilezza, che l’ha migliorata e corretta. Sarà stato dolcissimo ad essi volgere i propri studi ad. illustrazione e decoro della patria, ed a noi sarà molto caro se la loro per venga quanto merita, apprezzata e ricercata. L. RSS n 156 Poliantea. di Niccora. Monti pittore Pistoiese. — Lucea , dalla Ducale Misco Bertini. 1829. Gomidiîimilo come l’Italia privata di molte cose che un tempo la fecero potente e gloriosa, rimanga pur sempre in lode ed onore per le arti belle, che forza di tempo e di fortuna non valse a spiantare da questo cielo, io spesso formo desiderii. per il, loro incremento , e vo pensando che a renderle più venerate e più utili sarebbe necessario che i giovani non attendessero solo all’ esercizio delia mano, ma volgessero anche la mente all’acqui- sto di quelle cognizioni che sono indispensabili a conecpire con verità ed energia i loro soggetti. Non già che ognuno potesse o dovesse divenire un miracolo di scienza, come Leonardo.; ma che almeno apprendesse a parlare con intelligenza e giudizio dell’ arte- che professa, conoscesse le vicende e le costumanze se non di molti popoli, almeno della sua nazione, nè fosse to- talmente nuovo nella. cognizione dei principii e delle opinioni che dominano le menti del suo secolo, onde se non altro trarne profitto per l'esercizio dell’arte sua. Ad appoggio del mio senti- mento potrei citar molti che l’intesero allo stesso modo ; ma sic- come pare che la cosa non sia gran fatto contrastata in teoria , così. mi rimarrò. dall’ insistervi aspettando che venga avvalorata dalla pratica generale , e dirò intanto poche parole del sig. Monti, che si è dimostrato della enunciata opinione col fatto, stampando la sua Poliantea , ossia raccolta di molte cose. Era forse suo me- glio raccoglierne meno , e piuttosto che far fascio di ogni erba”, disporre alla pubblica vista pochi fiori, che facesser lodate le cure dell’ intelligente cultore. Ma a lui è piaciuto darci un viag- gio. nel Nord, considerazioni sulla salute, l’ onore, la virtù } lettere, massime per ben vivere , e rime , e a me piace lasciare a chi, ne avrà maggior voglia la cura di lodare o biasimare la maggior. parte di questi scritti, e. citare. solamente le lettere tanto, più volentieri im quarto che faranno conoscere. che il sig. Monti riflette sull’ arte da uomo che non giura sulla parola dei maestri .,, ma esamina e giudica secondo i principii della. ragione e. del. proprio. sentimento. La prima. di esse è diretta al sig. Francesco Nenci, cui espo- ne ì suoi pensamenti sul:disegno ; il colore e 1’ espressione. Ed ì suoi principii si accordano perfettamente, con quelli della nuo- va scuola letteraria , di quella cioè che vuol dure per prima ed 157 unica norma alle arti e alle lettere la natura ed il vero, e vuol ritirarle da una superstiziosa imitazione , o per dir meglio schia- vità, che opprime ogni vigore d’ ingegno. Citeremo le proprie parole del Monti; e non sieno esse ricevute con superbo disprez- zo da quelli a cui appartengono, sì considerate, onde non perde- re quel profitto che può derivarne. ‘ Quello dunque , egli dice , ,s che vuol far vero; veda il vero e lasci andare il falso. Chi ,s ha dato norma agli antîchi? il vero e il genio. Dunque al 3, vero ed al genio solo si ricorra. Se ciò si ammette, che biso- s, gno vi è dell’ antico ? Se 1’ antico è stato un tempo moderno ss e bello, perchè oggi non vi potrà essere un moderno bello sì senza essere antico ® Per questo sono pienamente di avviso es- » sere: errore , ed errore grande quello di far fare lunga caro- so vana sullo studio dell’ antico , e sulle statue a quei giovani, s; ai quali si vuole insegnare con buoni principii il disegno, e s» prova di questa verità ne sieno i tempi nostri ,,. E così se- gue a ragionare sul colore e l’ espressione: nè si smentisce par- lindo della scultura nella seconda lettera al sig. Lorenzo Bar- tolini , della quale pure mi sia permesso citare la seguente con- siderazione. ‘ Perchè se la pittura ha per scopo l’imitazione del » vero, e che quel quadro dov’ è più verità è il più bello, nella ». scultura (fondata pure sullo stesso principio) non deve es- » ser più in pregio quella statua , che più si assomiglia al vero »» anche non bello, di quella , che di belle forme antiche è dis- ,. simile dal vero? Tu, sul di cui sistema tutti li scultori si »» dovrebbero. modellare, tenendo in gran pregio l’antico,, fai »» questo servo del vero e non padrone, siccome tanti dei no- s, stri hanno fatto, e tuttora fanno ,,.. Il fin quì citato credo basti a far conoscere le idee del libero pensatore; onde potremo rimandare il voglioso di più saperne alle lettere stesse, avvisan- dolo che ve n’è anche un altra sull’ architettura al sig. Gius. Martelli. Noi lasceremo «agli artisti dar giudizio sulle opinioni del sig. Monti, al quale rivolgendo le ultime parole in modo amichevole e non da severo censore , diremo, che siccome egli biasima i letterati che ragionano intorno alle arti senza eserci- tarle, così alcuno potrebbe a lui dar carico di scrivere intorno a varii soggetti assai stranieri al pittore, e non piuttosto pro- cacciarsi credito, e lode meditando solo e scrivendo dell’ arte sua, che offre pure un campo bello e fecondo. L. ia id 2A 158 Alcune rime di Franco Saccuerri a buona lettura ridotte. Ve- nezia Tip. Alvisopoli 1829. (Per nozze) Sonetti inediti di M. Crwo pa Pisrora. Pistoia 1829. (Per nozze) Stampare per nozze delle poesie del trecento; parrà forse agli uomini del secolo vigesimo una grande stranezza. Ma que- sti uomini non sapranno che il tanto parlare de’ classici aveva tanto annoiata la gente dal leggerli, che, dopo una lunga e do- cile ammirazione, a moltissimi la loro lettura è cominciata a riu- scire una piacevole novità. Così, quando noi usciam dalle scuole, usciamo pieni la memoria e le orecchie delle frasi di Virgilio e d’ Orazio; e poi per conoscere chi sia Orazio e Virgilio ci con- vien leggerli da capo a fondo, come cose non mai più sentite. Ecco quello che d° ordinario s’ impara nelle umanità e nelle ret- toriche che ci rubano e ci contristano cinque begli anni della più preziosa età della vita. Delle rime del Sacchetti , con 1’ usata diligenza pubblicate dal ch. sig. Gamba ; è prima la frottola : le ricoglitrici di fiori , nella quale noi non avremmo amato, a dir vero, che 1'Ed. divi- desse le parti, e facesse parlare ora una fanciulla , ora due. Que- ste distinzioni erano dal Poeta sottintese ; e ad ometterne la ma- teriale indicazione, la Poesia ne acquistava più grazia. Bastava, ad avvisarne il lettore, la solita striscia —. Tanto più che, al mode tenuto dall’Ed., la frottola viene ad esser composta di quinarii , di ottonarii, e d’ altri versi ancora che non son versi: mentre, nell’ intenzione del Poeta ella non doveva contare , cred’ io., che, endecasillubi e settenarii. Io leggerei dunque tutto in un verso: Eccolo , eccol — Che è — È fiordaliso = E poi: Vaghe! Amo- rose! = Oimè che il prun mi punge. — E poi: Ve’, ve’, ch'è quel che salta? — Un grillo, un grillo. -— Invece di raperon- zoli, leggerei : Ramponzoli cogliete. — Eh non .son essi. Quindi tutto intero: Vien quà, vien quà per funghi un miccolino. Oh dov’ è ? oh dov’ è ? In quel cespuglio. = In luogo de’versi: Ognun qui picchia — Tocca e ritocca — Mentre che ’l1 buscio cresce == Una gran serpe n’ esce ; — a me parrebbe .e più ele- gante e più vivo: Tocca, picchia, ritocca «= Mentre che il buscio cresce - Ed una serpe n’ esce ,;. — Finalmente al verso che non ha misura: Ecco che una gran piova viene, io sosti- tuirei il settenario della lezione rigettata: « Una gran piova viene ». CI 159 Ecco insomma in queste ricoglitrici di fiori, una Poesia tutta verità! Cessa ella per questo d’essere poesia ? Ma non havvi ar- gomento che valga a disingannare coloro che credono unica fonte di Poesia il falso; e perchè non ogni espressione del vero è poeti- ca , perciò gridano che poesia e verità sono nemiche tra loro. Non ogni terra produce fiori: ma è egli forse perciò che la terra non è atta a produrre che spine? Dopo le due graziose Ballate , le Montanine , ed il Pruno, vengono le due Canzoni sulle fogge degli uomini e delle dorine fiorentine , canzoni importanti meno alla Pvesia che alla storia , ma opportunamente ristampate in un anno in cui corre la moda delle maniche all’ imbecille Maniche e manicon tanti e diversi Veggio 3 che appena contarneli posso 3 Non è corpo sì grosso Che non entrasse ove l’ un braccio. posa. E lo stesso Sacchetti in un passo delle sue novelle , che il sig. Gamba riporta: « Le maniche: loro, sacconi piuttosto si potrebbero chiamare. Qual più trista , e più dannosa, e più disutile foggia fu mai? » i I due sonetti creduti di Cino, son tratti da un esemplare del- 1° edizione del Pilli, in fronte al quale l’Alferuoli li aveva tra- scritti con altri due che il cav. Ciampì ha inseriti nella edizion sua delle rime del Pistoiese poeta. E que’due, il Ciampi li avrà forse omessi, non perchè gli potessero ‘essere sfuggiti di vista , giacch’ erano nel medesimo libro, ma ‘perchè li avrà trovati non degni del nome di Cino. Il secondo infatti è cosa posteriore, se- condo me , al cinquecento , e lontanissima dall’ antico candore. Ad ogni modo conveniva notare che al primo verso mancano due sillabe , e scrivere etate e onestate per poterle rimare con am- mirate. Quanto al primo , che comincia: $° io avessi pensato che sì caro — Mi fosse costo il soddisfar me stesso, anche questo io lo giudicherei piuttosto che originale di Cino, una rimem- branza di quel del Petrarca : :$° io avessi pensato che sù care — Fosser le voci de’ sospir mie’ in rima. La frase. nel Petrarca è originale e spontanea, perchè dettata dalla circostanza: non così nel sonetto che si vuole di Cino. K. X, Y. 160 Sioria dell’ Impero Russo, compilata dal cav. Compacwnoni. Con un supplimento che giunge sino all’ incoronazione dell’ Imp. Alessandro 1. «= T. 1a HI, Livorno Tip. Masi 1829. Non si poteva in momento più opportuno ripubblicare il lavoro dell’ infaticabile cav. Compagnoni. In una compendiosa compilazione non è ida esigere l'esattezza e la ricchezza di quelle minute notizie che sole danno anima e colore ‘ai fatti, ma che nella storia della Russia specialmente o mancano o sono incartis- sime.Questo compendio, tuttavia, giungerà opportunissimo a diffun- dere delle cognizioni che pochi posseggono , .a risvegliar l’amore di altre più particolareggiate e più solide, a interessare infine tutti co- loro che pensano sull’andamento delle cose umane, interessarli, di- co, alle sorti d’ un impero la cui superficie è l’ottava parte della superficie terrestre del globo. La descrizione p. e. dell’invasione di Oleg, fino a Costantinopoli, merita ora più che mai d’ esser letta. « Egli fa costruire 2000 barche tra grandi e piccole ; e lasciato 3» Igor in Kiow, le riempie di soldati... e dopo maravigliosi s» sforzi di fatiche e di costanza, passa le molte cateratte del » Boristene per cui movea, e giunge colla sua flotta alla foce 3» di quel fiume, prendendo terra a un’ isola ch’ è tra la punta »» d’ Oczakowo e quella di Kilburn. Ivi acconcia le sue barche : »» lo stesso fa giunto alle foci del Danubio: e trovata alla im- » boccatura del Bosforo una barriera di grosse e raddoppiate ca- » tene , egli fa tirare a terra i suoi legni, e vi adatta delle ruote ;; per trasportarli oltre: finalmente arriva sotto le mura della capi- :s tale dell’impero greco. Non è possibile dire gli orrori che i suoi », Russi commettono: ‘essi levano .o:distruggono quanto cade sotto 33 le loro mani ... Era allora imperatore Leone detto.il filosofo. > Egli non ebbe altro scampo contro quel flagello che venendo 3; a patti icon Oleg ; e i patti furono di pagare una certa quan- 3; tità di monete di argento a ciaschedun soldato ; di dare il 3; vitto giornaliero per sei mesi ai mercatanti russi che venissero :, a trafficare nell’impero , di esimerli da ogni gabella: e ritor- 3; nando questi in Russia, l’imperator greco si obbligò pur an- », che non solo a somministrar loro le provwisioni occorrenti , »» ma ogni altro soccorso. Oleg, non contento di questo , volle », ancora alcune contribuzioni particolari in favore di alcune delle », sue città governate da’ suoi favoriti. Leone giurò quest’ accordo » sulla croce; e i Russi lo giurarono sulle loro spade, invocando A Ù 101 », il Dio del fulmine e delle gregge. — Oleg e i suoi uftiziali 5 primari , partendo di Costantinopoli ; appesero «alle porte di 3) quella città i loro:scudi: e giunti a Kiovia col bottino ; l’esito »» dell’ impresa fu riguardato come l’ effetto di una cagione so- > prannaturale. Oleg venne tenuto per mago ;, = Ma Igor suc- cessore d° Oleg , tentata la medesima impresa, ne torna con or- ribile strage, sconfitto. -- Ne’tempi seguenti, Sviatoslaw, invasa contro a’patti la Bulgaria, risponde al. messo dell’imperatore, che sarebbe ito a Costantinopoli per dargli da sè la risposta. “ La guer- »; ra s’accende :. il russo; volendo prevenire i Greci, messo insie- s;>, me un formidabile esercito, che alcuni storici fanno salire a »» 300 mila uomini ; entra nella Tracia ,,; e ponendo tutto a ferro e a fuoco, va \ad accamparsi dinanzi ad Adrianopoli. Ma questa volta, dopo una serie di perdite e di sconfitte, il Russo fu co- stretto a domandare la pace. Uno de’metodi da rendere dilettevole insieme e proficua, e da meglio scolpire nella memoria de’giovani la storia del tempo. passa- to, sarebbe , cred’io, questo di congiungerla ai fatti che abbiam sotto gli occhi, di cercare nel passato le ragioni od i germi del presente ; di aprir l’ adito alle induzioni modeste , a’ confronti sempre utili e sempre fecondi di verità. Egli è perciò ch’io non assentirei, a coloro che vogliono dalla storia greca e dalla romana, piuttosto che dalla patria, incominciate le letture storiche negli anni più teneri. La ragione ch’ essi ‘ ne ‘adducono, è peggiore della massima stessa: dicon costoro che gli uomini antichi erano più virtuosi e più grandi degli uomini moderni, e quando dicono uomini , inténdon anche de’ popoli. Ma quand’ anche ciò fosse, (e ognun sa quanto questa opinione senta della pedantesca am- mirazione concessa non solo al genio ma anche ai principii mo- rali de’ classici antichi), quand’ anche ciò fosse ,. resterebbe a provare , come una grandezza affatto aliena da’nostri costumi ; e però inintelligibile a’ teneri giovanetti, e inapplicabile ; possa esser valevole a formar.1’ ingegno ed .il ciore. Tornando alla storia de’ Russi , noteremo che lo stile n°è chiaro , disinvolto ,'e corretto ., tranne qualche leggiera inesat- tezza, o qualche francesismo che la fa parere una traduzione soverchiamente fedele ; come: siamo tentati a credere — tw non puoi fare miglior cosa quanto che sposarlo — Incominciò per — e quel colpo di strepito , che somiglia un po’ troppo 1a un coup d’ éclat. Ko Rot: T. XXXVI. Ottobre. 21 162 \ Lettera sopra il Sermone Poetico , al ch. sig. G. Zuccara Prof. di Letteratura classica e d’ Estetica nell'Unio. di Pavia. Mi- lano Tip. Silvestri 1829. Il giuoco del Lotto. Versi di E. M. — Lugano Tip. Ruggia 1829. In questa lettera the può chiamarsi un sermone sopra il sermone ; ‘il passo più importante a noi pare quello dove il ch. Avonimo dimostra la necessità di spogliare la miorale poetica di quell’ acrimonia insolente , di quel rabbioso prurito , la cui ispi+ razione pare a taluni così necessaria alla satira , come alla poesia credon altri necessarie le divinità mitologiche. Quasichè la morale; giovasse insegharla in un modo immorale j quasichè con un vizio, e il più miserabile di tutti , la maldicenza velenosa , si potesse- ro gastigar gli altri vizi; quasichè la freddezza di una decla- mazione. continua non sia una: delle più prosaiche cose del mondo. “ Veder non so, perchè il sermonatore o il satirico esset sì debba èrgoglioso , e dicasi pure non coi fortunati ma colla » fortuna ; e usar contumelie; dicasi pure non cogli ambiziosi ,y ma coll’ ambizione ; e sentir acrimonia, dicasi colle turpi ;3 passioni e mon coi turpemente colpevoli. L’ acrimonia, le ,; contumelie , 1° orgoglio in se vili essendo, non veggo per- ;; chè si ricerchino come ragioni moventi ad un’opera virtuosa , » e non diciamo per ora ad un’ opera che vorrebbe trar altri dal :; vizio. »» Questo consiglio giunge miolt’ opportuno oggidi che non solo nelle satire e nei sermoni , ma in tutte quante le opere letterarie, da taluni s’affetta l’austerità di certo sdegno che mal copre o l'impotenza della rabbia, o la vacuità dell’ affetto. Que!lo che l'A. della lettera dice de’ sermoni di Ipp. Pinde- monti, e della urbanità che dovrebbe anche nelle facezie non dimenticare il poeta , ci parve giustissimo. Ma questa lettera prende ‘a quando a quando la forma di dialogo tra 'un ospite e un padre Giona , ed altri che si possono vedere nel libro. L'ospite dice : “ In quella guisa che molti dettari opere lunghe per non 3 saperne dettar di brevi, io ne detto di ‘brevi per non saper »; dettarne di lunghe. ,; E i punti che quest’ospite tratta, suno tra gli altri: « i corvi bianchi, o sia quanto sia comune il senso comune. = I tappeti, ossia degli uomini da un lato cari e avve- nenti ; brutti dall’ altro e spiacevoli. — Nuova imagine del ga- lantuomo , la quale abbraccia gran numero di persone più del- antico. — Gli organetti a cilindro , ossia di coloro che intuo- nano sempre gli stessi discorsi. - La còte, ossia di quelli che »* 163 ad altro non giovano , che ad esercitare gli uomini nella pizienza — La casa bassa; ossia del modo di salvarsi dal famo degli al- trui cammini. = I Filostrati, o sia di quelli che hanno sempre in bocca fiera materia di ragionare . .. 3» Questo tratto ha del sale : ma la lettera intera è di pagine 76. E se non a tutti è dato il mostrarsi faceti, a pochissimi è lecito esser prolissi. Or che legame, si dirà, può ell’ avere una lettera sul ser- mone , coi versi sul giuoco del lotto? Ecco quale : — Un bravo imitatore della stizza di Giovenale, o de’ concetti di Persio , o della moralità d’ Orazio Flacco , avrebbe facilmente ‘trovato nel gioco del lotto o di che poeticamente arrabbiarsi, o di che con laconica prolissità sentenziare » © di che ridere. Il libro de’ sogni, la scienza comparativa de’sogni che par fatta apposta per com- provare quel principio che tutto si riduce-a numeri , la solennità dell’ estrazione , le serie speranze, e i ridicoli timori a’ quali il lotto dà pascolo e vita , si sarebbero ad una mente leggera pre- sentati come eccellente argomento di sorridere alle spalle di questa che dicesi. civiltà , perfettibilità, senso comune , e che so io? Il signor E. M. vi ha in quella vece trovato soggetto di serie con- siderazioni morali, di una bella prefazione al lettore, di una poesia. popolare piena di movimento 3 a cui elogio basta dire ch’ ell’ è piaciuta a persone che sanno del lotto e non sanno di poesia. Non già ch’ essa debba giungere discara a’letterati di professione : chè ; tranne qualche negligenza o riempitura, ( utili forse ad ottenere quel fine che il poeta filantropo s’era proposto ) c’è da lodarvi una rara spontaneità ed evidenza. i Speriamo che le grida de saggi e de’ buoni, che s’alzano da tutte le parti d’ Europa, otterranno udienza. Ma per renderle ancora più efficaci, gioverebbe, cred’ io s dimostrare ( cosa certis- sima ), che l’utile che da simile imposta volontaria viene al pubblico erario, è un vero danno ; perchè ahituando il povero alla dissipazione , oltre all’ aggravare la miseria, e al rendere di quando in quando necessarii i soccorsi del governo ) scema quelle produzioni , e quelle consumazioni; dalle quali il governo trae un profitto e maggiore; e più durevole ; e più fecondo. Ro 164 si ; Scelta di lettere familiari degli autori più celebri, con note ed accenti che indicano la pronunzia ; già compilata da Lzo- warpo Narpimr per uso delle scuole d’Italia. Nona edizione. Milano Tip. Silvestri 1899. Chi fa una scelta , s’ intende che scelga. Il modo di sce- gliere è cosa facilissima , quando si vada d’accordo nelle cose da scegliere. E questo è il punto , al quale lo sceglitore istesso suol pensar meno che ad altro. Chi vorrà scegliere d’un autore tutto il bello, si troverà molto imbrogliato, perchè converrà che cominci dalla definizione del Bello: ma chi in quella vece si mettesse in capo di volere scegliere , ( parlando p. e. di lette- re ) le più morali, o le più istruttive, o le più eleganti, o le più facete, o le più urbane , o le più frivole (giacchè anche la frivolezza può essere presso certi lettori ottima. raccomanda- zione d’ un libro ), quegli se n’ andrà per la più piana, e ot- terrà meglio il suo scopo: imperciocchè tutti quelli che stam- pano si suppone che stampino con uno scopo. Il Sig. Nardini, non so quale scopo si sia proposto : poichè in tutti i casi im- maginabili, non veggo qual luogo potevano ottenere nella sua raccolta le lettere della Zappi, dello Scarselli , del Ghedini, del Biorci, del Tolomei, di Bern. Tasso, quelle, dico, che de’ci- tati autori egli ha scelte; non veggo perchè quattro lettere sole del Caro meritassero l’ onor della scelta, e tante dell’Algarotti, e tantissime , e apocrife , del Ganganelli. Io non consiglierei, poi, i forestieri a fidarsi molto alle notizie che in nota gli si offrono intorno all’ anno della nascita o della morte di tale o tal altro Autore , e a, non voler credere per cosa del mondo, che in Ita- lia 0 in altra parte del mondo si pronunzii dispùta per disputa. Ma il libro è alla nona edizione: e ciò vuol dire che i miei consigli son tardi. a Non già che molte di queste lettere, e di molte. molti tratti, non si lascino leggere con piacere. Io sfido a fare una scelta, e una scelta di lettere tutte cattive. Per esempio , la lettera dell’Algarotti dove parla di Pisa, e dopo numerati i gran nomi che onorarono cotesta università , il Galilei , il Gastelli , il Borelli , il Bellini, il Noris, il Mercuriale, il Marchetti, il Grandi, soggiunge: Quello che vi ha ancora di buono quì (ancora per anco, altrimenti sarebbe una facezia), e torna 3, moltissimo al forestiero, è che tutti i lettori sono tra di loro »» amici, 0 almeno mostrano di esser/o. Si visitano tra loro, con- % . 165 ,) vengono insieme ; non si mettono lun 1 altro in cielo, come s» i dottori di Bologna e molto meno si mettono in fondo, co- ,; me i Prof. di Padova; si comportano con gran civiltà. La so- ,, litudine Patavina dà forse a quei Prof. quel non so che di fe- ,, roce ch’ è in loro... In Toscana i forestieri si fermano , al- ss lettati dalla lingua, da’ monumenti che vi ha lasciati la ma- »» gnificenza dei Medici , dalla eleganza del paese, e servono ,» non poco ad accrescere la pulitezza che regna in Firenze ed s, in Pisa, a dare una buona piega al modo di pensar de’ To- », scani ,, - ) E così, quanto ardito parrebbe a taluni in bocca d’un vivo, tanto più opportuno a citarsi è il giudizio dell’Algarotti sul Tasso. “ Quanto alla poesia di Omero e del Tasso , ci corre più »» divario assai tra l’ una e l’ altra, che non ne corre tra le ma- ss niere del Tiziano e del Solimene... Il Tasso, posto anche ss pari l’ingegno; si doveva rimanere moltissimo al di sotto 33 d° Omero , per la ragion de’tempi, e della lingua in cui scri- ;; Veva , e per essergli convennto falsificare in parte la storia 3» delle crociate , rappresentandole come le avrebbero dovuto es- » sere, piuttosto che come le furono in effetto . . . ,» E non fa forse piacere il sentire un gran poeta , il Meta- stasio , lamentarsi che le questioni poetiche siano rese tenebrose più dalla erudita inesperienza de’ dotti, che dalla ingiuria de- gli anni? e sciogliere la gran questione del vero storico con que- ste mirabili parole :. . . ‘ intendendo per altro che il favoleggia- mento non alterasse punto l’istorica verità. E come fareste voi, mi direte, ad accozzar la favola e la verità ? Mi varrei dell’in- venzione NELLA CORNICE, e della verità NEL QUADRO ,,: e poi, dato un cattivo abbozzo d'una composizione drammatica , conchiudere confessando quel ch'è il difetto innegabile delle sue: ‘ che il quadro è miseramente soffocato dai fogliami della cor- 3) Nice ,», E il povero Frugoni, che impegnato a fare un’orazione sulle bell’ arti, scrive all’ Algarotti perchè gliene mandi un’abbozzo ? e gli domanda che libri sarebbero da provvedere per l'educazione dell’ Infante ? E il buon Parini che, vecchio com’ è, si perde in galanterie con una contessa ? E il Ganganelli, o chi parla per lui, che ci dipinge il popolo Veneziano che ha sin paura del- l’.ombra propria; e si gode la maggior tranquillità? E il Ma- galotti )\che fa la lezione a un non Toscano sulla bellezza di que’ che ‘certuni chiamano municipalismi, perchè non li cono- scono? E Apostolo Zeno che... ma questo non lo vo’ dire : mi a. » 1606 a) basti l’inviare i lettori alla p. 253. — E il Machiavelli infine, che declama contro .il principio della neutralità, — non son cose co- teste che fanno piacere ? questa ’ Kt 0 Elogio del conte Ars. Apamo pi Nerprere, letto da Ferpi- nano Marsrri , il dì 27 Marzo 1829. == Parma, Bodoni. Elegante edizione : elegante discorso. — Ma io debbo ag- giungere d’ avervi trovato qualche punto ammirativo ,. qualche luogo comune. Ora, i punti ammirativi , e i luoghi comuni non dicono nulla in lode della persona che si vuole esaltare. L’istin- to del Pubblico potrebbe anzi trovarvi qualcosa di molto dissi- mile da un elogio. Io intendo bene che l’ elogio è il più difficil genere d’ eloquenza che possa essere al mondo; e che l’Oratore che si è posto. nella necessità di provarvisi, dee sudarvi non po- co. Ma la difficoltà dell’ uffizio non ne distrugge i doveri. Io per me troverei un mezzo d’ eludere le difficoltà : cambiare il titolo, abolirlo per sempre. È egli forse necessario scrivere degli elogi pe morti? Le loro azioni non son forse .1’ ottimo degli elogi , l’ ottima delle condanne ? Ebbene narriamo le loro azioni. Nar- riamole tutte: tutte almeno le note , e il giudizio dell’uomo ne riescirà intero e compito . Io qui non farò che raccogliere dall’Orazione del Sig. Mae stri i fatti che del nobile sno personaggio egli narra , ometten- do i commenti ch’ egli vi fa ,5e quelli che potrei farvi io stesso. Il co. di Neipperg Wirtemberghese , di nobile stirpe, ebbe, il padre ambasciatore, l’ avo maresciallo di fama ,.studiò nelle ac- pi ica di Stuttgard e di Strasburgo: di anni 18, combattendo a un posto avanzato nella Fiandra , perdè 1’ occhio destro. Nel 96, di vent’anni militò nelle alpi alla volta di Lombardia; ebbe parte, come capitano , ne’ fieri conflitti del Tirolo , e non senza suecesso, Combattè al Mincio , alla Trebbia, a Marengo: trattò con Massena per isciogliere una quistione insorta circa a’ con- fini, e con esito. “ Aveasi procacciato i successivi gradi di mag- »» giore e di colonnello, quando fu deputato a guardare le fron- , tiere della Gallizia, sendo rotta la guerra tra Francesi e Prussi, ss l Austria neutrale. Nominato General maggiore, guerreggiava ,, in Polonia sotto gli ordini dell’ Arcid. Ferdinando, presso cui ,» tcueva la persona di ajutante generale dell’ esercito ... . », Nell’ 8r0 , fu degl’ inviati a Parigi per cambiare. i prigionieri ss di guerra : . . . spese i dne ani appresso a Stokolma con titolo ” 167 » d’ ambasciatore: e condusse affari gravissimi con soddisfazione ,; non che del suo monarca, ma dello Svezzese , il quale in ,, pruova di stima lo volle nominato Gran-Croce dell’ordine della Spada. Quindi il bisogno della guerra lo chiamò agli accam- pamenti della Boemia ... Un esercito grosso di 35000 nomini campeggiava uelle vicinanze di Zittaw. La battaglia, di cui facevano parte le legioni del gen. Poniatowski e del duca di Belluno, muove per alla volta di Gabel. Il Gen. Lefevre De- snouettes, e il ‘polacco Ulminski erano alle due ali co” loro fanti e cavalli. Stava di contro una sola divisione tedesca. Neip- perg ne dirigeva accortamente le mosse in guisa da celare lo scarso numero , e tener fronte a forze superiori cotanto. Anco- ra, ei sostenne diversi conflitti con vantaggio , fra’ quali me- rita ricordazione quello di Richtersdorfs , posto importante, sa con pertinace sforzo per lui conquistato. Perlochè fu aggregato all’ordine di S. Girolamo delle Russie ... Nel corso di tutta »» la guerra dell’ 813, gareggiando co’ più valenti, diè prove 3» luminose di avvedutezza e di coraggio in diversi fatti, sicchè », ottenne il grado di Ten. Maresciallo in sul campo di batta- >» glia, non che il titolo di Comm. dell’Ord. di M. Teresa ,,. Nel 1814 è inviato a Napoli ‘per conchiudere alleanza tra l’Austria e Murat: ritorna a Villafranca, dove aveva il coman- do dell’ antiguardo dell’ esercito in Italia : nel 16 d’Aprile del- nno stesso, conviene col Vicerè della resa di Mantova: passa quindi al congresso di Vienna: indi doveva recarsi a Torino in qualità dì ministro plenipotenziario ; ma fu spedito contro Gio- acchino. Il dì 20 di Maggio dell’ 815 conchiuse il patto della resa di Napoli, v’entrò, e la resse con autorità di governatore: quando i nuovi movimenti di Francia lo trassero ad occupare i dipar- timenti del Gard, dell’ Ardèche, dell’ Hérault, e tenervi il co- mando. A Nimes acquetò una sedizione già prossima , e con saggia tolleranza diede sicurezza ai protestanti oltraggiati. Per le quali cose lA. dell’elogio lo DRS al cavaliere ‘senza nti e senza macchia. 1 I fatti che seguono , 1’ Italia li conosce assai bene. UK. X. Y. 2) 23 . 168 » | Lettera di S. E. il Sig. Co. e Cav. Gran Fasnc. Gargani Na- _prone, Gl Ch. Sig. Wiasincrow Irrine, Autore della Storia della vita e de’viaggi di Caisrororo CoLowso. = Torino 1829. presso Gius. Pic. Il dotto A. di questa lettera aveva già fin dal 1808 con buone ragioni provato , esser Cristoforo Colombo della famiglia dei Signori del Castello di Cuccaro ,. epperò Piemontese. La ve- rità della cosa è confermata da giudiziale sentenza, e da un ri- tratto del Colombo il qual si conserva in Siviglia nella sala del- l'Archivio dell’Indie, con sotto l’ iscrizione: de illustre familia de los senores del Castillo de Cucaro. La sospetta ed alterata opera della Storia del Colombo , che porta il nome del figlio di lui Ferdinando , non fa forza , dice il ch. A., contro autorità, sì potenti. Epperò in questa urbanissima lettera egli si. volge al riputate autore della nuova storia del grand’ italiano , pregan- dolo di prendere in esame questi argomenti, da lui, a quel che pare », ignorati. Le questioni sul luogo ove nacque e donde deriva un uomo illustre per fama d’ingegno o di virtù, sono oziose disputazioni se altro fine non hanno che un misero vanto municipale : ma se, come quì , le anima il semplice amore del vero ; sono impor tanti quanto la verità stessa. Se a questo modo gl’ eruditi non pensassero ad accertare i fatti, noi ondeggeremmo in un mar di dubbiezze ; nessuna tradizione sarebbe sicura, nessun fatto av- verato ; la storia non sarebbe più scienza. Ù Un’altra circostanza nota in passando il ch. A.: ed è che il Colombo “ ebbe istituzione puerile, propria di persona civilmente »» educata , e partì dalla casa paterna, non fuggi , giovanetto 33 di quindici anni circa, dal Monferrato alla Riviera di Geno- :, va, indirizzato a parenti, ed amici ,,. Pare quasi che l’opinione volgare , non contenta delle sventure e de’ mali che troppo per- seguitano e umiliano la grandezza degli nomini singolari ; si pi» gli cura .di rabbassarli quant’ è in lei, e renderli, s’ è pos- sibile, più vili degli nomini più abbietti. Così gli accidenti più comuni e più semplici si contorcono a biasimo con interpre- tazioni maligne ; così fino le sventure diventano un titolo di dispregio . La posterità stessa riceve sovente in retaggio i ca- lunniosi giudizi della viltà contemporanea; e nello sconoscere gli uomini grandi o nel tortamente giudicarli, è sovente più crudele dei tiranni, più insultante de’ grandi, più accanita de- 100 gl’ invidi. A rendere sacro un gran nome, non vale la morte, non il genio , non la sventura. E si giudica dalla bassezza del- l'animo proprio, tale di cui è impossibile che il tuo cuore avvi- lito possa abbracciare le intenzioni, possa indovinare wu pensiero. K. X. Y. Fasti e vicende dei, popoli italiani dal 1801 al 1815, O memorie di un Urriziare per servire alla storia militare italiana. To- mo II.° Italia 1829. (*) a « Ogni minuzia può divenire un prezioso elemento. storico, »» soprattutto per noi che manchiamo affatto di una storia mili- s» tare. È la minuzia bene spesso agli sguardi dell’accorto, la », radice , 1’ anello degli eventi. ,, Così saviamente l’ autore. Il quale non ha certamente intrapreso di comporre una storia; ma di raccogliere tutte le memorie necessarie ed utili a beue comporre una storia. Non sarebbe dunque giusto esigere dall’ A. più di quel ch'egli promette : la veracità, l’esattezza, la imparzialità; ecco i pregi che in questo lavoro si possono ricercare , e che visi tro- vano ,. non disgiunti da quel diletto che viene dalla esatta co- gnizione di belle imprese e di grandi vicende. Il ch. Anonimo ci ha donato un libro veramente italiano ; e le notizie da lui rac- colte, comunque ordinate ed, esposte , giungono sempre utili a sapere , ed a rammentarsi. Non già che l’ A. abbia potuto raccogliere tutte le notizie che avrebbe desiderato. « Per quanto egli siasi adoperato a sti- s» molare gli amici della gloria nazionale a sovvenirlo in questa s compilazione coi loro lumi, pure i soccorsi non furono in pro- »» porzione del bisogno. ,, Questo lamento egli pubblica, a pro- posito delle imprese marittime degl’Italiani, da Napoleone istesso lodate (p. 19); e lo ripete, toccando della Sicilia , della Sarde- gna , e della Corsica ‘ non avendo potuto procaceiarsi dei mate- »3 riali bastantemente chiari per tessere il racconto di alcuni fat- 39 ti militari, che concernono queste isole, nella difesa delle »» loro coste , sia contro le potenze barbaresche , come contro ai >» comuni nemici. ,, (p. 54,61). Altrove, di questo silenzio egli dà la colpa alla soverchia modestia dei militari italiani , a’ quali egli si è rivolto per informazioni e per lume (p. 157): ma in que- (*) Vedi Ant. vol. XXXIV. A. pag. 129. T. XXXVI. Ottobre. | 22 170 sta modestia sarà lecito sospettare ch’ entri anco un po’ di pi- grizia. E così, ragionando dell’ assedio di Civitella del Tronto, £ Questo, dice, come molti altri fatti, che non ho potuto in- », teramente schiarire , non sono da me che accennati. Lascio co- »» sì a qualcun altro mio commilitone il campo per correggermi; »» e gli offro un eccitamento ad occuparsi di una completa storia »» militare italiana , la quale possa precisamente descrivere tutte » le gesta militari degli Italiani. ,, (p. 358) Questo desiderio ci giova ripetere : ed esprimerne un altro men difficile a soddisfar- si ; che di ciascuna parte d’ Italia , i militari e i magistrati che in que’ fatti ebber parte, espongano sommariamente la storia bellica e la civile, in chiare e semplici memorie , accompagnate dai più importanti tra gli storici documeati. Ognun vede quanto difficile fosse 1’ impresa del nostro Au- tore, e deve tanto più render lode alla sua diligenza, alla sua buona ‘fede. < È ben difficile il rintracciare in mezzo alle nù- ,, merose legioni francesi di quell’ epoca , i pochi Italiani, che ,> Oltre ai nazionali reggimenti , si trovavano disseminati nei di- ») versi corpi. Questa ricerca diventa anche meno agevole, in quan- to che il valore di alcuni individui appartenenti ad un’estera nazione, rimaneva come sepolto o dall’ amor proprio, o dalle vedute particolari dei compagni e dei capi, o dal merito ef- fettivo , che in quelle armate esistevano. Rendevasi , per così dire , impossibile ad un Italiano, nella numerosa folla dei Francesi che lo circondava , sollevarsi al disopra di tante sta- ») ture gigantesche. Debbonsi dunque tanto più raccogliere e va- 53 lutare que’fatti gloriosi, che, ma!grado i soverchi ostacoli, po- ss terono emergere e farsi luce. ,, (p. 134). E questo pensiero im- portante è con più forza ancora espresso più sotto. ‘ Questi bre- 3 vi cenni ch’ io porgo sulla condotta della campagna del 1805 », in Allemagna , non sono diretti che a porgermi un’ occasione >» di fare emergere , salire in mostra, e per così dire sfollare 3» dalle masse francesi quelle poche migliaia d’ Italiani sparsi » per entro alle medesime, condannati da una disgraziata sorte 3) a non esser nè visti nè uditi, per quanto facessero onde s> illustrare il proprio nome, e quello della loro patria . Parte- cipi ai perigli, agli stenti, alle fatiche , diritto avevan essi » pure a gloriosa rinomanza. Additando io dunque le principali ;; Cose , i maggiori avvenimenti di quella guerra , spero di per- venire a render palese che non i soli francesi, ma eziaudio degli italiani ebbero parte ai prodigi di valore in essa com- ,) messi, e che la fortuna soleva in allora coronare del succes- 2) LEI 29 29 191 sy so. Italiano altresì il capo di tutte quelle legioni, se di tratto in tratto io mi permetto di additarne le felici ispirazioni, da cui Francia tanta gloria traeva, non formo un episodio inu- tile alle memorie militari italiane. ;, Il glorioso fatto de’ soldati italiani sulle coste della Marti nica (p- 43); lo Spartano coraggio delle. due giovavette Teresa ed Onorata Bordi che sole salvano un forte dallo sbarco nemico (p. 50); la testimonianza d’ onore resa da un grande conoscitore degli uomini all'italiana lealtà, nella quale s’ egli avesse saputo fidarsi, sarebbe stato forse o meno colpevole o meno infelice (p. 138); i fatti della insurrezione Calabrese ; modello alla spa- gnuola (p. 282) ; l’onorevole resistenza del forte di Capri (p. 301), e quella ancor più onorevole della comune di Mjauri (p. 354), sono memorie all’ Italia gloriose. E tra que’ tanti Italiani prodi- ghi del sangue per una causa già troppo lontana dall’ essere nazionale, noi rincontriamo degli nomini per coltura d’ ingegno pregevoli , a’ quali la guerra fu mezzo d’incivilimento , fu edu- cazione della mente e d:ll’ animo. Ma queste idee di conforto , non valgono che a rendere più doloroso il pensiero della riuscita infelicissima di sforzi sì lunghi e sì generosi. A. veder risarcito in Genova all’ingresso del muovo conquistatore, quel palazzo, ove i Genovesi avevano ricevuto due secoli innanzi Carlo V, e Filippo II (p. 26); a vedere esempi sì replicati ‘ di quell’ antica irremovibile manìa , che spinge gli », uomini a distruggersi scambievolmente per dei motivi che la s> massima parte di loro appena conoscono (p. 146); a vedere su questo suolo italiano combattere per un vano fantasma , mista agli infelici italiani “ quella brava nazione , che adottò +; egualmente che noi nella sua condotta in qualunque servizio so la divisa di onore e fedeltà ,, (p. 175); e sentire. nel campo di Bologna pronunziate da Eugenio quelle quasi derisorie paro- le: io voglio che noi possiamo tutti ben presto provare. al- »» l'Europa , che il regno d’ Italia, ambizioso di prendere il suo: »» posto nel ruolo delle nazioni, mon avrà mai bisogno di s; chiamare il soccorso degli stranieri per difendere i suoi .foco- s» lari, le sue instituzioni, e la sua indipendenza., se mai ve- »» nissero ‘ad essere minacciate ,, (p. 219); e sentire gli evviva che dopo il blocco accolgono in Venezia. la. bandiera. francese ( p- 225) ; e quindi vedere. parte d’Italia animarsi alla som- DI mossa pur per una vana speranza (p. 227), e la sommossa acque- tarsi, e i più ricchi tra i giustiziati scampare mercè gli uffici mercenarii di una ballerina ( p. 230); e veder Napoleone. ti- ipa mido che di questa agitazione sia fatto ne’ giornali pur cenno (p. 232); e sentirlo con la sicurezza della vittoria esclamare da Vienna : la dinastia di Napoli ha finito di regnare (p. 234); e assistere col n. A. alle vergognose discussioni dove si trattava dagl’ inglesi ingannatori 1’ abbandono d’ un regno eccitato alla guerra (p. 241) ;.e vedere uno straniero, il Principe d’Hassia, co- stretto poi a Gaeta sparare contro gl’ inglesi alleati (p.241); e mirar nella Calabria soldati italiani combattere per la Francia contro cittadini italiani (p. 258); e i cittadini sollevati dall’amore di patria placarsi con l’ oro (p. 264); e quivi stesso, nelle Ca- labrie; passare il re Giuseppe onorato e applaudito (p. 288); e. Na- poli resa un feudo della Francia, e i beni dello stato destinati ai grandi dell’ impero francese (p. 288.) ; e l’ incoronazione del re Giuseppe festeggiata da illuminazioni , da spari, e da sonetti (p- 296) ; e il popolo intanto aggravato da estorsioni violente (p. 304); e misti ai cittadini giustamente ribellati i briganti e gli omicidi; e da questi resa la. causa della patria sì infame, che gli amici della patria eran costretti a combattere per la Fran- cia (p::324) ; chi può senza rammarico e senza rossore contemplare un sì tristo spettacolo ? Ma la luce del genio illumina a quando a quando questo campo di sventure e di sangue. I disegni bellici di Napoleone , semplici e sublimi, profondi e luminosi, lontanissimi e di pronta efficacia , vengono di tratto in tratto a ringrandire la scena. Ciò non toglie che il savio autore non renda giustizia al valore , alla destrezza , alla saviezza delle operazioni nemiche , dov’ esse di lode sien degne. Prosegua egli 1’ utile opera sua. La gratitudine de’ buoni Italiani lo compenserà della lunga fatica ; e gli storici avvenire lui citeranno de’primi fra coloro che ruppero finalmente un silen- zio sì lungo, a cui mon mancano forti non so s'io dica ragioni o pretesti. K. X.Y. Le Eroidi. d’ Ovrpro tradotte in terza rima da Acamico Fio- renTInO. Firenze, Magheri 1829 in 18.° Diviso, verso il fine della gioventù , fra il culto d’ Omero e quello d? Amore, il poeta di Sulmona dettava le Eroidi con- temporaneamente all’ultime elegie amatorie, e si preparava forse a quel genere di comporre , di cuni diede un saggio colla Medea. Avvi in esse di fatti un non so che di passionato e di tragico , 173 a cni non parmi che il Pompei avesse maggior riguardo che il vecchio e celebre traduttor Fiorentino , e per cui il nuovo ha usato nella sua versione tragico stile. E come per molti in Ita- lia chi dice stil tragico dice stile alfieriano, egli s’ è facilmente appigliato a questo, compiacendosi forse della novità della cosa nè sgomentandosi del proprio ardimento. Poichè non potea non vedere quanto ei venisse a rendersi più difficile quell’inerenza al testo, di cui, secondo la sua prefazione, ei s° era fatta una leg- ge suprema. E veramente se , abile qual si mostra , riescì quasi sempre a serbare le voci e le figure, non che le imagini e i sen- timenti, non.riuscì del pari a serbar la mollezza e lo splendore, la facilità e 1’ armonia , ch'egli ammirava in quel testo. Quindi il bisogno di molti cangiamenti, piccola parte de’quali, distrat- to da più severe occupazioni, egli ha potuto aggiugnere alla sua versione $ che non si estende per ora oltre le sette prime Eroidi. È assai probabile, che, ov’essa venga continuata , assuma in ogni parte forme novelle, quai può. dargliele uno scrittore che, in alcuni versi d’intitolazione ad Ovidio, non solo giudicò assa be- ne, ma seppe assai felicemente ispirarsi del genio di questo poeta. M. 1) } rari ] — Meropo compendiario per insegnar leggere, con 207 figure. Ge nova, Gravina 1829 in 8.° Di questo libretto, annunziato nel Bullettino Bibliografico dell’ antecedente quaderno, era nostro pensiero di dire due parole nella presente Rivista, per raccomandarlo , se non al- tro, all’esame di chi fa studi intorno alla prima educazione. Or sentiamo con gran piacere che .l’ esame è già stato fatto da uno de’ saggi compilatori del Giornale Agrario, e ha dato mate- ria \ad un interessante articolo, il quale avrà luogo in uno dei successivi quaderni dell’ Antologia. M. BULLETTINO SCIENTIFICO nd » Ottobre 1829. ! SCIENZE NATURALI . Meteorologia. Diversi osservatori hanno tentato di calcolare, o piuttosto congetturare. 1’ altezza alla quale si produce il bel fenomeno delle aurore boreali. Recentemente il sig. Dalton ha trattato questo soggetto in una memoria da lui letta avanti la Società reale ‘di Londra. Ricordando egli quell’aurora boreale che fu veduta da più punti della Scozia e dell’Inghilterra il dì 29 marzo 1826 dalle ore 8 alle ro della sera, e che presentò una grande regolarità ed uno splen- dore sorprendente , sottopone ad nna discussione scrupolosa tutte le notizie che ha potuto procurarsi sopra questa brillante meteo- ra. Dall’insieme delle osservazioni risulta che 1’ arco luminoso fu presso a poco stazionario nella prima ora dopo la sua appa- rizione , e che in seguito provò un movimento di più gradi verso il sud. Il fenomeno fu osservato contemporaneamente a Edim- burgo , Leith, Kelso, Jedberg e Hawick in Scozia; a Carlisle, Peurith , Keswick, Cockermouth , e Whitehaven nel Cumber- land; a Kendal ed a Kirkby-Stephen nel Westmoreland; a Lancaster, Preston , Warington e Manchester nel Lancashire ; e a Duncaster nell’ Yorkshire. In tutti questi luoghi parve che la sommità dell’ arco fosse sul meridiano magnetico , e partendo dalle sue altezze angolari determinate a Whitehaven ed a Wa- rington (due punti situati presso a poco sotto lo stesso meri- diano magnetico, e distanti fra Joro 83 miglia ) il sig. Dalton conclude che 1’ altezza assoluta della meteora dalla superficie della terra era presso a pochissimo di 100 miglia. In quest’ articolo il sig. Dalton riferisce ancora 1.° delle 0s- servazioni e dei calcoli di Cavendish sopra un aurora boreale del 1790 ; di cui quest’ ultimo porrebbe l’ altezza assoluta fra 52 e 70 miglia ; 2.° delle osservazioni e dei calcoli del sig. Cro- sthwaite e del sig. Dalton stesso sopra un aurora del 17983 , che ne stabilirebbero 1’ altezza a 32 miglia; 3.° trenta osservazioni di Bergman sopra aurore boreali d’ epoche diverse, le altezze delle quali sarebbero fra 130 miglia e 1000 miglia ed anche più; 175 4.° delle osservazioni d’ un aurora boreale del 17 ottobre 1819 , 1’ altezza della quale sarebbe di roo miglia. i Da tutto ciò il sig. Dalton conclude che le aurore borali le quali formano un arco brillante e completo sembrano alte dalla superficie della terra circa 100 miglia. Gli estensori della prima sezione delì Bullettino universale del sig. Barone di Férussac, dalla quale ( N.° 8, agosto 1829) abbiamo estratto quanto sopra , soggiungono: “ il nome del sig. Dalton è sicuramente una delle autorità più rispettabili in questa materia. Per questo appunto ci sembra imiportante l’osservar quì 1.° che le osservazioni simultanee fatte nel 1821 e nel 1829 dal tenente Hood e dal sig. Richardson a Basquian-Hils ed a Cum- berland-House, sopra molte aurore boreali, danno a questa me- teora un’ altezza assoluta di sole 7 o 8 miglia, e che questi ri- sultamenti son confermati da diverse osservazioni del capitan Fran- klin; 2.° che se le altezze angolari le quali servono di base alla conclusione del sig. Dalton fossero nel tempo stesso affatto pre- cise e simultanee, bisognerebbe senza dubbio attribuire all’ at- mosfera maggiore altezza di quella che le viene ordinariamen- te attribuita; poichè sembra certo , soprattutto per le espe- rienze di Davy, che per niuna causa la luce può nascere nel vuoto , e sembra egualmente certo , per le osservazioni di Wol- laston, che l’atmosfera ha veramente un limite. Perciò , a meno che la luce delle aurore boreali sia una materia ponderabile ana- loga ad una cometa, bisogna necessariamente che essa sia pro- dotta nell’ atmosfera. ;, Fisica e Chimica. Ml cavaliere Aldini avendo fatto a Ginevra, come preceden- temente aveva fatto quì in Firenze, pubblico esperimento del- l'efficacia degli apparati da lui proposti per preservare dalla dan- nosa azione delle fiamme ‘quelli che danno opera all’ estinzione degl’incendii , la Biblioteca Universale ha descritto nel fascicolo per il decorso agosto pag. 313 questi esperimenti ed i risultati ottenutine. Sappiamo dai giornali francesi avere egli dato un sag- gio dei mezzi stessi anche a Parigi. Dovendo esser fatto all’ Accademia dei Georgofili un rap- porto intorno ‘ai consimili esperimenti che lo stesso cav. Aldini aveva, come si è detto, eseguiti in Firenze, noi abbiamo finquì differito il parlarne ai nostri lettori, nell’ intenzione di far loro conoscere un tal-rapporto, nel quale sarà ragionato intorno al- 176 1’ effetto utile verisimilmente sperabile dall’applicazione dei mez- zi proposti dal cav. Aldini - ì Il sig. Herschel ha fatto diverse osservazioni sui colori di diverse fiamme , e sugli spettri che esse. producono analizzan- dole per mezzo del prisma. Ecco le principali fra queste osser- vazioni. La fiamma del cianogene, osservata a traverso d’ un prisma , forma uno spettro diviso in una maniera particolarissi- ma in diverse parti, alle quali servono di limite diverse strisce oscure; che dividono con molta uniformità l’estensione dello spet- tro ; anche le parti luminose presentano tutte presso a poco la stessa intensità di splendore. La fiamma dei così detti Fuochi rossi, dei quali si fa uso nelle decorazioni teatrali, e che si producono per mezzo del nitrato di stronziana , presenta due diverse tinte rosse brillanti. Lo spettro che essa forma per mezzo del prisma presenta alquan- te interruzioni o soluzioni di continuità ; ma la circostanza più notabile è la formazione d’ una linea brillantissima di color tur- chino vivo , ed assolutamente distinta da tutto il resto. La fiam- ma del potassio che brucia nel vapore di iodio dà anch'essa uno spettro d’una forma singolarissima. La luce che dà il gambero ma- rino , il quale si avvicini allo stato di putrefazione ; è di color verdeturchiniccio. Analizzata per mezzo del prisma, essa dà uno spettro , la di cui intensità luminosa è troppo debole per poter distinguere qualche differenza di colore fra il mezzo e le estremità. ( Férussuc , sc. fis. e mat. agosto 1829. pag. 122. ) Intorno ad alcune proprietà delle impressioni prodotte dalla luce sull’ organo della visione, il sig. Plateau ha fatto un lavoro commendabile per la moltitudine e la precisione dell’esperienze, da cui in due sezioni distinte deduce le seguenti conclusioni. Prima sezione. 1.° Qualunque sensazione richiede un tempo apprezzabile per formarsi completamente , e per disparire com- pletamente; 2. Le sensazioni non dispariscono istantaneamente , ma diminuiscono: gradualmente d'intensità ; 3.° Quando una sen- sazione sî cancella va decrescendo con tanto minore rapidità, quan- to è più vicino il suo fine ; 4.9 I diversi colori illuminati dalla semplice luce del giorno procurano delle sensazioni, le quali dif- feriscono pochissimo quanto alla loro durata totale. Sotto que- sto rapporto sembra che i diversi colori debbano esser disposti secondo il seguente ordine, cominciando da quello che produce la sensazione più durevole: bianco , giallo, rosso; turchino ; (77 5 La durata totale, computata dall’istante in cui la sensazione ha acquistato tutta la sua intensità fino a quello in cui non è quasi più sensibile , è presso a poco di o”’,34 termine medio ; fi- nalmente i colori anche quanto all’ intensità della sensazione che producono ; si presentano secondo lo stesso ordine indicato di sopra, cioè : bianco , giallo, rosso , turchino , cominciando da quello che produce l’ impressione più forte. Seconda sezione. Gli angoli visuali sotto i quali lo speri- mentatore cessò di distinguere i quattro diversi colori indicati furono i seguenti: All’ ombra Al sole Biamon(@PE ac pl ca ioran pi dato a big aio alito regia dp rvgiioman 80 Bossa sit A pie fab Sit eggianipor ic goa” Bumnelino» vitizio sì adria i saprt' sita nta 68 Così gli angoli osservati al sole sono presso a poco i due terzi degli angoli corrispondenti osservati all’ ombra ; 2.° Quando le sensazioni di due colori diversi si succedono alternativamente sulla retina con una celerità insufficiente a produrre una sensa- zione unica , si manifestano generalmente dei vivi tuoni di co- lore , diversi dai due colori impiegati, ed anche dalla loro me- scolanza ; si può produrre un bel color bianco impiegando sol- tando il giallo ed il turchino; 3.° Quando due sensazioni si suc- cedono alternativamente con tal rapidità che basti a non farne apparire che un solo., questo non presenta sempre lo stesso co- lore che la mescolanza materiale dei due colori impiegati: così combinando in certe proporzioni l'impressione del giallo con quella del turchino cupo, si produce un colore interamente gri- gio , senza il minimo tuono di verde; 4.° Le sensazioni di certi colori ( ad eccezione forse del solo giallo) non agiscono nella loro combinazione, con altre sensazioni in ragione dell’intensità di questi colori; il massimo grado della loro influenza risiede in una certa tinta pallida, al di quà ed al di là della quale que- st’influenza diminuisce. ( Zvì } pag. 123.) TAR . i n Un seguito d’ osservazioni comparative intorno all’ elettricità che si eccita per il fregamento di panni di diversi colori, ha condotto il sig. Muret de Bore a riconoscere che la virtù elet- trica aumenta coll’ elevazione della temperatura; in fatti un panno di color turchino chiaro , il quale nel mese di gennaio asciugato al sole in un tempo secchissimio , tion aveva dato.ve- T. XXXVI. Ottobre. 23 178 run segno d’ elettricità, comunque fregato ripetutamente, ha lanciato dopo un fregamento leggiero delle scintille molto lun ghe quando nei mesi di febbraio e di marzo è stato esposto ad un sole alquanto più caldo. Allora i segni dell’elettricità sono stati notabilissimi sopra dei panni neri, sopra dei panni rossi, e sopra dei panni di color turchino intensissimo. Ma un fatto che, secondo l’ autore, prova decisivamente l’ analogia della luce coll’elettricità, è questo , che la metà d°' una pezza rossa (tinta coila cocciniglia ) essendo asciugata all’ aria aperta , dava delle scintille, mentre l’ altra metà asciugata lo stesso giorno in una stufa oscura a corrente d’ aria calda, non ne ha data alcuna . (Férussac ; scienze tecnol. agosto 1829. pag. 336. ) Le seguenti esperienze fatte. dal sig. Ritchie; rettore del- l'Accademia di Tain, provano che la facoltà conduttrice rispetto all’ elettricità può essere modificata nei corpi , specialmente per l’ azione del calorico. 1.° L’elettricità ordinaria dei conduttori può passare a tra- verso, delle palle di vetro sottilissime softiate ail’ estremità d’ un tubo termometrico. 2,° e 3.° Una boccia di Leida non può esser caricata nel vuoto, ma può esser caricata più fortemente nell’ aria com- pressa. | 4.° All estremità d’ una barra di ferro scaldata al ‘rosso bianco, le scintille son piccole e continue come nell’ aria ra- retatta. 5.0 La stessa carica elettrica passa un più grande intervallo fra due corpi scaldati a rosso, che fra i medesimi corpi freddi. 6.° La facoltà conduttrice della fiamma è dovuta principal- mente alla rarefazione dell’ aria. 7.° e 8.° Il ferro scaldato a rosso è miglior conduttore che il ferro freddo; ciò s’ intende dell’ elettricità della macchina ; o dell’ elettricità che ha una gran tensione. 9.° Una calamita a ferro di cavallo toccando con ciascuno dei suoi poli ciascuna delle estremità di due barre di ferro pa- rallele, se si riscaldino le altre due estremità delle barre, esse agiscono tanto. più, fortemente sull’ago calamitato, posto fra loro, quanto la loro temperatura è più alta. (Férussac, sc. fis. e matem. agosto 1829. pag. 124.) A. provare l’ inefficacia dei parafulmini , il sig. Leslie ; dopo avere stabilito come uu principio, che 1° elettricità non è mai 170 trasmessa ad un corpo lontano in una maniera percettibile se non per mezzo d’ una corrente d’aria, ragiona come appresso. « Quando” due masse d’aria che hanno una diversa tempe- ratura , e sono egualmente saturate d’acqua, si mescolano fra di loro; una quantità di vapore fino allora disciolto nell’ aria, si separa da essa , e riprende lo stato acquoso. Per questo cambia- mento la massa acquista dell’ elettricità, e la repulsione che essa esercita tende a disperdere i piccoli globuli d’acqua sospesi nel- l’atmosfera, o piuttosto a farli discendere lentamente in ‘modo che la loro ‘superficie incontri una resistenza eguale alla loro gravitazione. Se la nuvola così formata si avvicina alla terra , tenderà a trasmetterle la sua elettricità , e giunta a conveniente vicinanza la trasmetterà effettivamente e rapidamente mediante una scarica. Senza di questa , o prima di questa , disperdendosi dalla nuvola tempestosa lentamente edin ogni direzione, è evi- dente che l’ elettricità debba essere pochissimo intensa presso la superficie della terra. In fatti 1° elettrometro in mezzo ad una tempesta dà meno indizio d’ elettricità che posto alla distanza d’ alcuni piedi dal. conduttore primitivo della macchina. Però l’ effetto d’ un parafulmine sopra una nuvola tempestosa deve essere minore di quello d’ una punta distante alcuni piedi da una macchina elettrica. Per. prevenire la scarica o il fulmine, bisognerebbe che tutta 1’ aria compresa fra la nuvola tempestosa e la terra fosse successivamente, portata a contatto colla punta del parafulmine ; ma siccome a quest’ aria succedono costante- mente altre parti d’aria elettrizzate dalla nuvola , 1’ effetto del parafulmine sarà simile a quello che risulterebbe togliendo una gocciola. dall’ Oceano. Mentre nun può provarsi che i paraful- mini abbiano prodotto degli utili risultamenti, si possono citare molte circostanze come prove del contrario. Quasi tutti i basti- menti armati di parafulmini sono stati più o meno fulminati. ,, « Non seguiremo ulteriormente il sig. Leslie in tali ragiona- menti , i quali siamo persuasi che i fisici riguarderanno piuttosto come ingegnosi che come solidi e concludenti. ;, (Ivi. pag. 130.) Fu già da noi dato un cenno dei tentativi fatti da alcuni chimici per produrre artificialmente il diamante per la scompo- sizione d’ alcuni composti contenenti il principio carbonoso, fra i quali era stato principalmente impiegato il carburo di solfo. Il sig. Becquerel applicando a questo genere d’ esperienze un processo ingegnoso , dopo avere ottenuto dalla scomposizione del carburo di solfo il puro carbonio in forma di piccole lamine 180 d’ aspetto metallico, ha prodotto delle combinazioni nuove. ed ottenuto allo, stato cristallino delle sostanze che non ,avevano mai presentato questa forma. Il suo. processo consiste nelli impiego di forze elettriche de- bolissime ma continue, quali son quelle che si sviluppano nelle azioni elettro-chimiche dei liquidi sopra i metalli e d? alcuni li- quidi sopra altri liquidi. In due diverse. maniere. il sig. Becque- rel dispone il, suo apparato. Talvolta esso consiste in. un tubo ricurvo in forma di U, in fondo al quale pone dell’ amianto. o cella sabbia fine o dell’ argilla, per impedire o rendere estre- mamente lenta la mescolanza dei liquidi diversi posti mei due lati del; tubo, e riuniti per mezzo d’ un arco metallico omoge- neo. Altre volte impiega un tubo diritto chinso ad una.delle.sue estremità ., in fondo al quale pone un ossido o della polvere di carbone, empiendolo in seguito d’ un liquido conduttore; nel quale immerge una lama metallica, che traversando il liquido viene a toccar l’ ossido 0 il carbone. Sì nell’ uno come nell’ altro apparato si produce una cor- rente elettrica, che nel primo caso proviene. dalla reazione dei due liquidi diversi a traverso dell’ amianto o della sabbia che li separano , e nel secondo caso dall’ azione diversa del liquido sul- l’ossido e sulla lama metallica che sono in contatto. Checchè sia della causa da cui la corrente è prodotta ; in- torno a che il sig. Becquerel produce degli argomenti che non staremo a riferire, fatto è che la corrente esiste, ed ecco alcuni dei singolari effetti che ne risultano. Se in uno dei lati del tubo ricurvo si versa una dissoluzione di solfato o di nitrato di rame, e nell’ altro una d’idroclorato di soda, riunendo i due liquidi per mezzo di una lama di rame, si ottiene ( bensì dopo un tem- po molto lungo) dei cristalli d’ un doppio cloruro di rame e di sodio , che vengono a depositarsi sull’ estremità della lama. di rame immersa nella soluzione alcalina, mentre l’altra estremità di que- sta stessa lama si ricuopre a poco a poco di rame; la prima delle due estremità è in stato positivo , l’ altra negativo. Cambiando successivamente i liquidi e la lama metallica , si ottengono nuovi prodotti. Con questo mezzo il sig. Becquerel ha arricchito la chi- mica di varii nuovi composti , quali sono dei doppi cloruri, dei doppi ioduri, dei doppi solfuri, dei quali ha descritto. diligen- temente la forma cristallina , nel tempo stesso. che ne ha fatto conoscere la composizione chimica. Col secondo apparato egli è arrivato, ad. ottenere degli ossidi metallici cristallizzati. Per esempio, per ottenere dei cristalli di 181 protossido di rame, si mette in fondo al tubo del protossido di rame , e si empie d’ una dissoluzione di rame saturata , poi vi s' immerge una lama di rame che tocca anche il deutossido, e si chiude il tubo ermeticamente. Dopo circa dieci giorni si ve- dono sulla lama di rame dei piccoli cristalli cubici che hanno la lucentezza metallica , e che per 1’ analisi si riconoscono essere di protossido di rame. Operando ‘in modo eguale, il sig. Becquerel è giunto a formare dei cristalli d’ ossido di piombo, d’ ossido di zinco, ec. Del secondo apparato si serve pure il sig. B. per scomporre il carburo di solfo. Posto questo in fondo al tubo , vi versa so- pra della dissoluzione di nitrato di rame di peso specifico mi- nore, quindi introduce nel tubo una lama di rame, che s'im- merge in ambedue i liquidi. Questa disposizione rappresenta una pila; il cloruro di solfo è scomposto, come anche una parte del nitrato di rame; ne risultano dei cristalli di. protossido, di rame che si depositano sulla lama, e si deposita del carbone sulle pareti del tubo in lame sottilissime d’ aspetto metallico. (Bibl. Univ. agosto 1829 pag. 313. ) Un fisico ha impreso a provare per mezzo dell’ esperienza , anche alle persone che ignorano le matematiche , che i suoni dipendono dal numero di vibrazioni eseguite. in nn tempo dato, ed a stabilir così in una maniera esatta le nozioni degl’ inter- valli musicali. A. quest’ effetto egli prende dei fili d’ ottone d’ una lun- ghezza molto grande, come per esempio di, venti o trenta piedi, li stende in una lunga sala , ed osserva il numero di vibrazioni che fa il filo in un minuto secondo , poi ravvicinai sostegni in modo da ridurre la distanza -ed in conseguenza anche la lun- ghezza dei fili alla metà, al terzo, al quarto di quella che aveva il filo allorchè fu fatto vibrare la prima volta; egli conta similmente le vibrazioni, e ne trova il numero doppio, triplo; quadruplo ec., e generalmente inverso della maggiore o minor lunghezza del filo (restando costanti la tensione e. la grossezza di questo.) Fino a questo punto niun. suono è prodotto ; ma diminuendo sempre la lunghezza del filo, egli ottiene un suono, e riducendo questa lunghezza a metà, ne ottiene l’ ottava, come ottiene i suoni in- termedii dando alle corde metalliche delle lunghezze che la teoria aveva: fatto conoscere , e che egli deduce dalla sola esperienza. { Ferussac ; sc. tecn. agosto 1829 pag. 342.) 182 Il dot. Thomson ha trovato un nuovo gas infiammabile , il quale sembra composto in volumi come appresso: 1 3 Vapor di carbone: split vg: 1. vol 1 Id condensati in un sol volume Mps. ife che dà una densità di 3,9814. 1.1 Cloro i 29 Questo gas si ottiene mescolando ® oncia misura d’ acido nitrico del commercio , 1 2 d’ acido idroclorico, e 1 d’ acido pi- rossalico, e scaldando sopra una lampada a spirito di vino fin- chè il liquido cominci a fare effervescenza ed a colorarsi in ros- so ; allora si ritira la lampada e s’° immerge il tubo nel bagno a mercurio ; il gas esce a torrenti per cinque o sei minuti. Dal- l’ indicata quantità di materie se ne possono ottenere almeno 200 pollici cubici; esso agisce sul mercurio mediante il cloro che contiene. Le principali sue proprietà sono le seguenti : è traspa- rente e senza colore e presenta le proprietà fisiche dell’aria ; il suo odore è eccessivamente piccante e spiacevole , ed agisce for- temente sugli occhi e sulle membrane del naso, eccita le la- crime e molto dolore agli occhi , brucia con fiamma bianco-tar- chiniccia viva, l’acqua 1’ assorbe rapidamente; cinque volumi di gas sono assorbiti da un volume d’acqua , la quale acquista un odor forte ed un sapor piccante, senza arrossare la lacca- muffa. Un volume d’olio di terebintina assorbe trenta volumi di questo gas prendendo un color verde chiaro ; nè gli acidi nè gli alcali lo assorbono; allorchè si mescola all’ aria si formano dei vapori rossi, ed il volume della mescolanza diminuisce. Facendo astrazione dal cloro, questo gas contiene per un volume una proporzione d’ idrogene carbonato , il gas oleofaciente ne contie- ne due , i liquidi oleaginosi esaminati dal sig. Faraday ma sco- perti da Dalton ne contengono tre, l’etere solforico, fatta astra- zione dall'acqua , ne contiene quattro , e il vapor di nafta sei. (Férussac , sc. fis. agosto 1829 pag. 152.) Il sig. Dumas ha dro per mezzo d’ esperienze le proporzioni d’aria atmosferica e di gas infiammabile ricavato dalla scomposizione dell’ olio necessarie a produrre la detonazio- ne. Il gas sul quale ha operato conteneva 18 per 100 di gas o vapori capaci d’ essere assorbiti in pochi minuti, dall’ acido sol- forico concentrato; 100 parti di questo gas ne esigevano 270 d’os- sigene per la loro completa combustione, e ne producevano 174 d’ acido carbonico. La combustione è stata sempre effettuata nel- l’ eudiometro del Volta, per mezzo d’ una forte scintilla elet- 183 trica eccitata da una boccia di Leida. In alcuni casi la. prima scintilla non produceva che l’ infiammazione; ma siccome era importante assicurarsi dell’ effetto d’ una serie di scintille equi- valente alla presenza d’ un corpo infiammato nella mescolanza , l’autore usava le precauzioni convenienti. I seguenti sono i ri- sultamenti da esso ottenuti. Gas impiegato Aria i Io raid non infiammazione I— — — 4, 6,e7, detonaz. fiamma fuliginosa I—-—_—-8 detonaz. fiamma fuliginosa I — — — 9 detonaz, forte senza fumo I — — — 10 e II. detonazione massima I — 12 detonazione meno forte I—- — — 13 detonazione anche minore I-— —.17 detonazione debole Lite peo detonazione più debole uses 20 detona debolmente alla seconda scintilla. IT — — 2I non detona nemmeno con tre V scintille, ma dopo un gran numero finisce con detonare debolmente. Da questi risultati ottenuti in inverno ad una temperatura di 4 a 5 gradi R. risulta che in tali circostanze la detonazione ha luogo in mescolanze formate da proporzioni comprese fra que- sti limiti, cioè: da 1 parte di gas per 8 d’aria fino a 1 di gas per 20 d’aria. In estate questi limiti sarebbero più distanti. ('é- russac s sc. tecn. agosto 1829 pag. 312.) Diversi chimici, hanno fissato a temperature diverse la fu- sione del fosforo. Secondo Pelletier si fonde a 79, e secondo Thom- son a 85 R. Îl sig. Gio. Davy ha trovato che il fosforo si fonde a circa g0; a 88 è fragile, e facilissimo a ridursi in polvere. Raffreddato lentissimamente in una soluzione di potassa è rima- sto liquido a 57; toccandolo allora col termometro, si è solidifi- cato istantaneamente. (Férussac , sc. fis. agosto 1829. p. 147.) È stato osservato recentemente che la potassa caustica; men- tre si discioglie nell’ acqua , lascia sprigionare un poco di gas ossigene. La soda non produce lo stesso effetto, il quale sem- bra dipendere da un poco di deutossido di. potassio formatosi nella calcinazione , e che per il contatto dell’ acqua si riduce a protossido, abbandonando una porzione d’ossigene. (Zvi pag. 148.) bi - Non vi sarà alenn chimico operatore il qua'e non abbia os- servato che trattanilo il perossido di manganese coll’ acido sol- forico concentrato , sia per ottenere del gas ossigene , sia per al- tro oggetto , si rende ordinariamente sensibile un poco di cloro messo in libertà. Era naturale il presumere che esso provenisse dalla scomposizione d’ un poco d’acido idroclorico contenuto nel- 1’ acido solforico del commercio , che lo debba al cloruro di so- dio da cui non è esente il nitrato di potassa che si unisce al solfo nel processo per cui si fabbrica 1’ acido solforico. Ma il sig. Mac-Culloc avendo ammesso l’esistenza del cloro nell’ ossido di manganese nativo , il sig. Kane ha dimostrato che 1’ acido sol- forico della stessa qualità di quello impiegato dal sig. Mac-Culloc conteneva effettivamente dell’ acido idroclorico , giacchè satura tolo prima col carbonato di potassa puro ; quindi versatovi del nitrato d’ argento , ha ottenuto del cloruro di questo metallo. Lo stesso sir. Mac-Culloc avendo affermato che nella pre- parazione del così detto camaleonte minerale viene assorbito del- 1’ azoto , e si forma del nitrato di manganese , il sig. Kane cal- cinò dell’ossido di manganese con della potassa in un tubo pieno di gas azoto , ed assottigliato e piegato in modo da poter rac- cogliere il gas che si sprigionasse. In fatti in vece. d’ assorbi- mento , vi fu sviluppo di gas, il quale egli riconobbe essere dell’ ossigene. ( Zvi pag. 163. ) Il carbonato d’ammoniaca esposto all’aria esala , come è no- to , odore ammoniacale ; dopo qualche tempo quest'odore cessa, ed il sale rimanente è neutro e senza odore, ma è volatile, e si dissipa gradualmente nell'aria. Il sig. Giovanni Davy pose del carbonato d’ ammoniaca in una boccia ben turata ; dopo più set- timane non era diminuito sensibilmente di volume , ma si erano formate due diverse specie di cristalli sulle pareti della boccia che erano voltate verso il muro; la forma degli uni era d° aghi, quella degli altri d’ottaedri .co!le sommità troncate. Il sig. Davy li riguarda però come due combinazioni distinte. ( Férussae , sc. fis. agosto 1829. p. 149 ). Lo stesso sig. Davy suggerisce 1’ uso del nitrato d’ argento per scuoprire nell’ acqua le più piccole quantità di materie orga- 155 niche , vegetabili o animali. Il nitrato d’ argento disciolto nel- l’acqua pura non è alterato per l’azione dei raggi solari ; ma se si trova nell’ acqua la minima quantità di materia organica si osserva un alterazione nel ‘colore. Se esistono nell’ acqua de gl’idroclorati , bisogna aver l’attenzione di lasciar precipitar com- pletamente il cloruro d’ argento nell’ oscurità , ed esporre sol- tanto il liquido decantato all’ azione della luce ( Zvi pag. 147.) Il sig. Cowerbe esponendo per un certo tempo dell’albumi- nia d’ uovo ad una temperatura di circa otto gradi sotto zero, ne ha separato una sostanza particolare, di struttura cellulosa, che divien secca e friabile. I principali suoi caratteri chimici so- no i seguenti: È insolubile nell'acqua; l’azione della quale, aiu- tata da quella del calorico, la gonfia formando una specie di mu- cillaggine. Immersa alla temperatura ordinaria nell’acido solforico concentrato, non fa che gonfiarsi leggermente, ma per un riscal- damento anche leggiero si carbonizza, esalando un odove aromatico piacevole. La mescolanza è insolubile nell’acqua, la quale si uni- sce al solo acido, separandosene il carbone , che si precipita, 0 riman sospeso nel liquido. ‘ L’acido nitrico ha sopra questa sostanza una debolissima azione a freddo ; a caldo la discioglie con sprigionamento di gas nitroso , come avviene di molte altre sustanze. L’ acilo idroclorico concentrato e caldo sembra che la di- sciolga senza alterarla ; anche la potassa pura la discioglie ; ag- giugnendo un acido alla soluzione per saturar 1° alcali, essa di- viene un poco torbida, senza che se ne separi precipitato. Calci- nata fortemente, o sola, o col deutossido di rame, in un tubo di vetro, non dà il minimo indizio di contenere azoto. Esposta sola all’ azione del calorico , si rammollisce prima di carbonizzarsi, ed esala odore di pane bruciato. Nè l’alcool , nè l’ etere solforico; nè l’ acido acetico hanno azione sopra di essa. Il sig. Couerbe aveva dato a questa nuova sostanza il nome di albuminina, ma una commissione della società di farmacia incaricata d’ esaminare il di lui lavoro, dopo aver confermati i risultamenti annunziati dall’ autore, lo ha invitato a cambiar questo nome, sostituendogliene uno più razionale , mentre quello proposto tend:rebbe a farla confondere col bianco dell’ uovo, o coll’ albumina dei chimici, i caratteri fisici e chimici della quale sono affatto diversi da quelli della sostanza di cui parliamo, e che il suo discnopritore , docile al consiglio, ha poi chiamato Oonino. T. XXXVI. Ottobre. 24 Paleontografia. Sulla sponda sinistra dell’ Irravadi un poco -a Settentrione dalla città di Wetmascet sono state trovate varie ossa dal Sig. I. Crawfurd, le quali esaminate dal Sig. Clift, si è trovato con- tenere i resti di alcune specie non per anco conosciute. Di que- ste ossa 150 frammenti appartengono al genere mastodonte, fralle quali, fatto un particolare esame in quanto alla forma dei molari, in confronto delle specie di questo genere conosciute, il sig. Clift ha trovato che due diverse sono quelle dalle quali provengono queste ossa, ed ambedue finora ignote. Una di queste egli ha de- numinata a denti larghi, e \° altra elefant:ide. La prima, oltre l’essere caratterizzata dalla larghezza dei molari, lo è pure dal maggior numero de’ tubercoli , e dall’ esser essi più fitti ; e i lo- ro interstizi meno profondi, che nel mastodonte gigantesco. La seconda ha i tubercoli dei molari e le punte coniche ancor più fitte e numerose, e la struttura, eccettone lo smalto, è quasi la medesima che nei denti elefantini: e questa specie | sebbene un poco più piccola della precedente, ambedue però gareggiano in statura co’ più grandi elefanti viventi. Oltre a questi fram- menti, 10 ve ne sono di rinoceronte , due della specie, piccola d’ ippopotamo , uno di maiale, e 20 fra bove, cervo , e gazzel- la ; 50 fra gaviale ed alligatore ; 20 di emide, e 10 di trionice, e della emide i pezzi indicano che essa doveva essere larga vari piedi. Riguardo a queste ossa ci sembra osservabile, che non vi si sieno trovate spoglie di elefante, mentre vi si sono trovate di ani- mali . i quali in Europa trovansi riuniti nei medesimi terreni col- l’elefante. Queste ossa si sono riscontrate durissime , e compene- trate di ferro idrato: non però agatizzate, come in alcuni gior- nali è stato pubblicato. Le colline , ov’ erano contenute, sono arenacee con letti di ghiaia e colla lignite, senza però che vi sieno conchiglie di alcuna sorta. ll Sig. Pentland nel piccolo stato di Cooch-Bear verso il fiu- me Bramahpootra ha trovato una specie di Antracoterio ch’ egli propone di chiamare Silistrense; una piccola specie di ruminan- te appartenente al genere Moschus ; una specie di pachidermo, più piccola di qualunque conosciuta ; ed un carnivoro del genere Viverra. Sul fiume bianco il Sig. Kay ha trovato una mascella di Mastodonte. 2 Un dente di elefaute è stato trovato a Beaverdam nella Pen- 187 silvania, a 600 piedi di altezza sopra il lago Erié, ed nn altro sulla sponda orientale del Maryland, che dicesi essere assai si- mile nella struttura a quelli della specie africana : mentre che a Middletown n° è stato trovato uno più simile a quei dell’ a- siatica. Parimente negli scavi del canale di Delaware e di Hud- son si sono trovate varie ossa del Mastodonte gigantesco. Alla N. Jersey in una marna sono state scavate alcune ossa di Me- gaterio. A Sharon nel Conneticut, ed a Cheshire sono state tro- vate delle ossa di una specie che si annunzia col nome di Mam- mouth , e che probabilmente sarà il Mastodonte. Nella collezione di Monaco il Sig. Wagher ha riconosciuto delle ossa di Megalonyx adulto, portatevi dalla commissione scientifica del Brasile, le quali perfettamente si assomigliano a quelle che ha pubblicate il Sig. Cuvier. Del Megaterio si sono trovate varie ossa nella N. Georgia, ed il Sig Croper, il quale le ha esaminate e descritte, crede di non dovere ammettere lo scambio fralle due estremità anteriori dalla destra alla sinistra che il Sig. Cuvier ha supposto essere nello scheletro di Madrid; il quale scambio , se pur vero non fosse, verrebbe a stabilire una legge nuova in questa specie, sulle posizioni degli articoli anteriori, Nella Virginia sono state trovate alcune ossa di rosmaro, consistenti nella porzione palatale e massillare del cranio, con- tenente otto molari. Nella Europa poi abbondanti pure sono i ritrovamenti di queste antiche reliquie di animali. In una massa di rena e di ciottoli presso Alfort, è stato trovato un molare di elefante, ed una zanna di questo animale è pure stata trovata a Cliftonhall; riguardo alla quale viene osservato, che il solo vestigio di ossa di elefante trovato nella Scozia era finora una zanna stata sca- vata nel 1817 a Kilmaurs. Dei denti fossili di tapiro gigantesco sono stati scavati presso Alan unitamente ad un molare di rinoceronte, e dal Sig. G. Cuvier presentati alla R. Accademia. — Una mascella di Antracoterio grande trovata nei gres terzia- rj, i quali alternano co’ calcar), colle marne e colle argille della Limagua nel Puy-de-Dome , più completa di alcun altra per l’avanti osservata , e che è stata accuratamente descritta dai Sigg. Croizet e Jobert, ci pone in grado di meglio conoscere la dentatura di questo animale , mentre il Sig. Cuvier non aveva potuto descrivere e delineare se non porzioni incompletissime di questo osso del grande Antracoterio. Gli autori hanno aggiunto 106 alla descrizione ed.alla figura di questa, | mascella un panigorni circostanziato delle sue misure. i I Sig. Marcel De Serres , Dubreil e Jean Jean nel dare un ragguaglio delle caverne di Lunel-Viel nell’ Herault, hanno cre- duto di trovare tre diverse specie di iene fossili, la prima delle quali già conosciuta dal Sig. Cuvier, e da esso riguardata come simile alla iena vivente , è stata da essi chiamata Ryaena spelaea: ed hanno chiamato Ayaena prisca quella specie, pur fossile, la quale ha più analogia colla iena a strisce. Una terza specie, che è paruta loro avere dei caratteri comuni fralle due sopraccenna- te, l’ hanno denominata hyaena intermedia. Il Sig. Laizer ha reso conto di vari ossi fossili fratturati , e rotolati che egli ha trovato a 60 metri di profondità nel pepe- rino vulcanico e nel calcario lacustre dell’ Alvergna , che riposa immediatamente sul granito. Unitamente a queste ossa nel cal- cario medesimo ha trovato varie nova fossili di uccelli, analoghe per la forma a quelle dei nostri uccelli domestici , e lunghe dai 5 agli 8 centimetri. Nel Valdarno superiore si continuano a trovare ossa di ip- popotamo e di ruminanti , e fra gli altri è stato scavato un bel- lissimo cranio di una specie nuova di cervo fossile con lunghe e numerose diramazioni di corna. Mineralogia. Dal Sig. Kobell è stato esaminato un minerale dell’ isola di Disko, e precisamente di Kudlisat, che ha mo!ta analogia col mesotipo, che è men duro del feldspato, e più dello spato fluore, che al cannello fondesi in smalto bianco : che ha un lu- stro perlato, ed è composto di silice 55,64 ; calce 26,59; acqua 17, lo che può esprimersi colla formola C£4 £ 2Aq. Il Sig. Ko- bell riguardandolo come differente dai minerali conosciuti, e da collocarsi presso alla Vollastonite , lo ha chiamato Okerite, de- dicandolo al celebre Oken. Parimente simile al mesotipo idrato è la Radiolite, la di cui composizione è di silice 41,880 ; allumina 23,700 ; soda 14,069; potassa 1,012; acqua 10.000; ossido di ferro 0,910 ; calce car- bonata 2,500 ; matrice 5,500 } secondo l’ analisi fattane dal Si- gnore Hinefeld. Da una serie di analisi di diverse varietà di diallaggio il Sig. Koehler ha trovato che la composizione del diallaggio me- talloide di Salzburgo ; della Basta all’ Harz, e di Toseana può 180 riguardarsi come identica: mentre il diallaggio cristallizzato dello stesso luogo all’ Harz , la bronzite di Stempel presso Marbourg , e quella di Ultentahl nel Tirolo diversificano dalle prenunciate per la preponderanza della magnesia sulla calce . e si rassomi- gliano fra loro. Inoltre paragonando le analisi della bronzite e dell’ ipersteno , egli vi trova tanta analogia, da credere che que- sti due minerali costituiscano una sola e medesima specie. Al contrario nel medesimo confronto del diallaggio coll’ antofillite , trova che questo minerale differisce moltissimo dal DIREI e che piuttosto si avvicina all’ anfibolo. Il Sig. Wachtmeister ha di nuovo analizzato la Falunite, su cui già Hisiager aveva fatto un simile lavoro, ma con molta per- dita. Questa nuova analisi fatta sopra tre varietà, vale a dire una non cristallizzata , e due cristallizzate , la prima di Eric- Matts contenuta in uno schisto cloritoso , grigio-bruna ; o nera , di un lustro cereo ; la seconda di Fahlun nel pozzo di Terra Nova, la quale era in cristalli prismatici in una galena ; la terza della cava Luisa pure di Fahlum in cristalli imperfetti nel quarzo. Le prime due di queste varietà coincidono nei resultati analitici, i quali sono re- M ducibili alla medesima formula mg K(S2+ 3468 + Aq DI) LI f La terza varietà , sebbene contenga un eccesso di base; ri- guardo al primo termine della formula, è credibile che questo provenga da qualche principio accidentale. Il Sig. Heidinger ha preso in esame le qualità della Davina, la quale secondo 1’ analisi fattane dai Sigg. Monticelli e Covelli essendo composta di un atomo di bisilicato di calce e di 5 atomi di silicato di allumina, e di 2 atomi di acqua, ed inoltre aven- do la proprietà di far gelatina nell’ac. nitrico , e di spumare al fuoco del cannello , il sopraddetto Sig. Heidinger crede che essa debba avere il suo posto fralle zeoliti nel genere Kouphane-spath del sistema di Mohs. Lo stesso mineralogista propone .di cambiare il nome della Heidingerite in quello di Berthierite al minerale di Antimonio discoperto dal Sig. Berthier, a fine di evitare il doppio impiego di quel nome , essendo già stato adoperato per il gesso aloideo diatomo dal Dott. Turner. La Vauquelinite dallo stesso Sig. Heidinger è stata trovata 190 in nu minerale di Pontgibaud nel Puy-de-Dome, venduto a Nye rigi in un lotto. | SocIETÀ SCIENTIFICHE. Società Medico-Fisica Fiorentina. Adunanza ordinaria del dì 14 Giugno 1829. — Letto ed.approvato il pru- cesso verbale della precedente seduta ordinaria secondo le consuete forme acca- demiche trattenne la Società il sig. dot. Namias con una sua memoria aggirantesi sopra la più comune fra le impetigini che si osservano in questa nostra città, vale a dire sull’ erpete. Nel che cominciando dal fare osservare come fra le varie specie di detta malattia Ja forforacea, la squammosa , la pustolosa e la crostosa , quelle sono che più comunemente solgonsi quì sviluppare , passò a notiziarci che il bagno solfureo unito all’ uso interno dell’ acido nitrico cominciando dalla dose di 10 fino a 4o gocce è stato il metodo curativo che a preferenza di ogni altro gli ha mi- rabilmente e stabilmente corrisposto. E qui confessando di averne per molto tempo usato empiricamente scese a dire come desideroso di vedere se intender poteva co- n'e, e perchè gli avesse più di ogni altro corrisposto, considerando con i sommi pra- tici 1’ influenza e la relazione somma che i visceri , e specialmente i grossi vasi sanguigni hanno colla pelle, e collo sviluppo delle impetigini credè dietro l’esame dei fatti da lui osservati che lo stato flogistico appunto degli ultimi cioè dei vasi sanguigni esser potesse la causa di dette erpeti o una concausa almeno e credè perciò potere intendere allora come nel suo metodo giovando l’ acido ni- tico a distruggere la flogosi arteriosa, e il bagno solfureo la cutanea potesse per- ciò esser ad ogni altro superiore , e come finalmente potesse e si dovesse aiutare talora coll’ uso di una o più flebotomie. Fu quindi partecipata alla Società una seconda lettera del sig. Bellini sul- l’ estirpazione parziale dell’utero , nella quale l’Autore qualificava di precipitati gl’ obbietti dal dot. Del Greco avanzati sulla priorità , che 1’ Autore s° attri- buiva di quest’ operazione nella prima sua lettera, essendochè quest’ultimo aveva inteso di dire d’ essere stato il primo a praticare tant’ alto un’estirpazione spe- ciale dell’ utero con felice successo soltanto ; la quale condizione se non era espressa nella sua prima lettera ciò avvenne a suo dire per mero errore del copista. Al che il dott. Del Greco verbalmente rispose , che ammettendo pur anco la svista dell’emmanuense , o la restrizione mentale dell’ autore , non si poteva accordare al sig. Bellini il vanto della priorità neppure colla condizione del felice successo , perchè 1° Osiander , e il Dupuytren avevano già da molti anni eseguita la recisione parziale della matrice , e tra le molte vittime pure conta- rono qualche guarigione , e perchè poi, il che più monta, già il defunto Sie» lold aveva ottenuto il ristabilimento completo d’una donna, cui estirpò l’utero intiero canceroso , e in sito; e il dott. Sauter aveva parimente riportato un felice successo coll’ estirpazione totale dell’ utero eseguita fino dal 1822 (1). Adunanza ordinaria del dì 1.° luglio. == Liesse in questa adunanza ordi- naria il dott. Del Greco alcune riflessioni pratiche sul caso assai raro di corpo (1) V. Die ganzigle Extirpation des corcinomatisen Gotarmutter ec. son P. Ioh. Nep. Sauter. Constanz bei W. Wallis 1822. 19! fibroso nato dal mavrilema della seconda branca del 5.° paio, e simulante un polipo delle narici, la di cui osservazione aveva nell’ anno decorso formato il soggetto d’una prima lettura , di cui fu promesso il transunto.; che ora ne diamo. Un fabbro di 25 anni aveva sullo spuntare del 1817 notato oltre l’ imbarazzo val passaggio dell’aria dalla narice sinistra, ed i comuni sintomi d’un polipo nel naso, una tumefazione indolente alla guancia parimente sinistra, che poco dopo scomparse ; ma solo nel giugno fu operato col metodo della torsione , e dello strappamento dal dott. Del Greco allora giovine di medicheria nello spe- dale di Pisa. Si piegarono varie tanaglie , ma lo strappamento non ebbe luogo a causa della gran tenacità di quella massa fluttuante nella narice. Assoggettato di nuovo nell’ agosto all’ istesso processo operatorio dal medesimo dott. Del Greco , andarono del pari frustrati i tentativi dello strappamento intrapresi anco dallo stesso sig. prof. Menici allora chirurgo di turno. Pareva al malato, che in quelle trazioni gli fosse portata via la gota, e l’ orecchio sinistre. Due ore dopo il qual cimento comparve una tumefazione alla gota corrispondente, che fu giudicata irritativa, e si dissipò all’ indomani insiem col dolore, Un terzo tentativo collo stesso metodo messo in opera nel settembre dell’istess’ anno dal celebre prof. Vaccà non sortì miglior successo dei due primi, che anzi 6 giorni dopo. soccombeva l' infermo in mezzo ai sintomi di frenite suscitata dall’ opera- zione , e che il trattamento antiflogistico non valse a combattere. Colla ne- crossia si rinvenne la causa della morte nell’infiammazione , e suppurazione dis- seminata alla base del cranio. In quanto al tumore fibroso del naso ecco ciò , che notavasi. Escita appena dal cranio per il suo foro rotondo la seconda branca del 5.° paio de’ nervi ingrossava tosto in una massa fibrosa , suddivisa in 5 lobi, 2 grandi come un nocciolo ordinario di pesca, e 3 più piccoli ( uno de’ quali penetreva nell’ orbita, per la fessura sfenomascellare ). e situata nella fossa tem- porale profonda fra l’ arco zigomatico , l’ osso zigomatico,, 1’ ala esterna dello sfenoide , e la faccia posteriore dell’ osso mascellar, superiore. Questa massa ar- rivava sopra gl’ ultimi denti molari elevata però al di sopra di questi. Restrin- gendosi quindi quella massa per imboccare nel foro sfeno-palatino, che dilatato come un dito minimo formava un collo sul tumore , si spandeva di nuovo in una massa pendula nella narice , che ne simulava il polipo. Questi corpi fibrosi non erano immedesimati in verun sito coi nervi emananti dalla seconda branca del 5.° ma prendevano manifesta origine dal suo nevrilema, e ne seguivano il corso dei rami. Riflettendo pertanto il dott. Del Greco alle pericolose lacerazioni della seconda branca del 5.° che sarebbero necessariamente occorse nello strap- pamento, se in questo caso il foro sfeno-palatino mon ‘avesse frapposto un osta- colo insormontabile a quella porzione di corpo fibroso ; che gli retrostava , pre- scrisse per la cura di simili produzioni morbose il metodo della torsione , e dello strappamento. E ricercando il mezzo di discriminarle dai veri polipi, seb- bene ciò gli sembri impossibile, ove non apparisca tumore alcuno alla fossa temporale , all’ orbita, e dietro la mascella siti tutti, in cui sogliono arrivar serpeggiando le espansioni di questi corpi fibrosi, pure inculcava doversi isti- tuire più accurate indagini per eliminarne il sospetto in un periodo più avan- zato del male, al che potrebbe giungersi a suo parere tenendo maggior conto dei segni commemorativi, e perlustrando col dito esploratore i suaccennati in- cavi. Che se non riuscisse di chiarire in tal modo la natura , e la provenienza del male ; ei vorrebbe , che non s’ insistesse almeno nell’istesso metodo opera- torio della torsione , quando la resistenza del polipo fibroso , o vero, o falso fosse invincibile dille tanaglie ;; ma anzi mettendo da banda dopo le prove di 192 saggio quel metodo , vorrebbe sostituirvi la recisione colla-legatura ; o col ta- glio, o la cauterizzazione come palliativi soltanto. Perlochè consigliava mon doversi mai un pratico valere esclusivamente d’ un solo processo Operatori» sia pure il più semplice , o più spedito, ma ritenere e riservare all’uopo' tutti quei metodi , che dall’ origine dell’ arte fino ai nostri giorni furono inventati per adattarli alle svariate foggie dei casi. n Cassa DI Risparmio. Lettera al Dinerrors dell’ Antologia. Compito il primo trimestre dopo la istituzione in questa città della Cassa di Risparmio , sono state fedelmente adempite le pro- messe annunziate già nel manifesto dei 23 del decorso aprile. Infatti, ha avuto luogo una generale liquidazione dei erediti dei ricorrenti alla Cassa per depositi è per frutti, onde aggiunger questi a quelli e render fruttifero per 1’ avvenire 1’ intiero cu- mulo: e dai ragionieri della detta amministrazione è stato dentro il periodo di tempo ad essi assegvato , esibito il prospetto delle operazioni state fatte da lugiio a tutto settembre. - Io ve ne avcennerò brevemente le risultanze. — A fiori ni 58855,55 ascendono le somme raccolte ; a fi. 1019,48 le resti tuzioni. I frutti anne sulle prime e aggiunti ora al capitale sou stati calcolati nella somma di fi. 234,58; e i frutti stati restituiti nel corso del trimestre insieme coi depositi reclamati dai respet= tivi proprietari ascendono a fi. 1,48. La Cassa ha impiegati fi. 64487,76: nè dee far specie se la somma data a frutto dalla nostra amministrazione supera l’altra statale confidata dai depositanti; poichè è da rammentarsi esser stata fatta dai socii una dote di fi. 6000 e aver il consiglio di amministrazione richiesto un deposito di fi. 2000 per mallevadoria del cassiere: con porzione del quale è stato supplito alle spese di prima montatura , determinate peraltro in una somma assai modica. Mentre la Cassa di Risparmio ha formato un debito per fratti di fi. 234,58; ha a suo credito avvantaggiata per il titolo mede- simo la maggior somma di fi. 442,22: valutando per ora soltanto a ragione del 5 per cento gli utili sulle 50 azioni della Banca di Sconto. Quest’eccesso di rendita, allorchè sarà ben conosciuto dopo che la Banca di Sconto avrà pubblicato il suo bilancio ; si troverà bastante non solo a far fronte alle spese d’ amministra- ———@@m6@mtOSsERVAZIONI METEOROLOGICHE °ATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE | ; Alto sopra il livello del mare picdi 205. OTTOBRE 1829. Stato del cielo 01} 2WUO18Y] 013901019] 031} -2U101AN]q od -09s0w12UY 7imat. |28. 2,8 l5,a 150 94 {Gr. Le.|Ser. ragn. Ventic \1|mezzog. |28. 3,1 !16,0 |20,3! 70 Sc. Le.'Ser. con neb. Ventic rrsera |28. 33 16,9 ‘16,1! 95 | Greco Ventic» o 7 mat. |28. 3,3 [16,8 [14,5 | 96 Greco |Nuv. neb. Calma 2 mezzog. |28. 3,4 |17,2 [20,1] 72 Greco |Ser. neb. Calma Ù Iu'sera 28. 3,4 |17,8 |16,9 | 95 Lib. |Ser. neb. V entic. ; 7 mat. |28. 3,0 |17,7 |15,0 95° — |Scir, |Ser. neb. Calma 13] mezzog. |28. 2,4 [18,2 |19,4 | 88 |. Maest. ‘Sereno Ventic, ULI sera |28. 1,5 118,5 117,9] 94 Lib. Nuvolo Ventic | 7 mat. (28. 0,4 {18,5 [16,1] 92 Os. Li.! 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UGUST S LL PIRATA presso Ja. Direzione delle Gazzette, i NN} "et tutto L pero STORTO tallà Spedizione dellé Gazzette ; io SA TE - Preso Li Ie R. Direzione delle Poste. aa gii È SE “presso J..J. Paschoud. NE Gea: di LR % presso J, Reniougrd Rue de Tournon' N. 6‘ RIE Coi * pal C. TÀ Molini N41 PATRIA Row. IL PhEZZO D ASSOCIAZIONE da AE sito: REI fratico'di porta — Sto } per la posta SI =; ‘ franco di “porto SLI i pet la posta ERE franco alle frontiere i È wi SO u{ per la' posta i tato: o Ponti, = sci e franco di porto i ta os TRAI ia DORIA posta” E, e NEO) ‘ranno Torino Ho SHE ‘0 Milano i; A fata Parigi per la posta”. £ (o i, = gli 52 x Li L'intera -dotlebiole dei & anni, sé 1828. No ma a 96, in a loi broché — uasi esaurita) non si può r ‘rilasciare. ameno; dé #3 il o st, 279: Gli anni 1825-26-27 28 separati-in ciascunanno i 00 È AR 1981 fascicolo veto, quando. sia la dispomibilo. IA si si 3% " | cONTEN NUTEA NEL PRESENTE QUA DER = st ea È Stomia. del Diritto romano nel medio. evo Di di Federico. Carlo È vigny. Art. IVO tai 3 DR . Lettere ‘su’ costumi: é pae instituti dell'America sertontionala | S di Fen. Cooper santa È | % ; de SE 6 Racconto fatto sul Gran. San. Iorio aan © Di . Spedizione scientif. in Nono, Aa, del se ea a i) tela tin: ‘fisiche È titoli 3 Atti dell'I e R. Accademia della Crusca, Contini). Storia de’ Francesi., del-sig: Moutoil. 2 ur Tg È Serie di testi di lingua italiana; 3 opera: sfata da B. dub AK.X.Y.};, Rivisra LETTERARIA. = Sestiit, Medaglie greche yi pi 152. «in “Para= frasi de’ salmi ; -p- 154. — Guida di Lucca, pi 154 N. Monti ;: * = Poliantea 5 ; P: 196. F. Sacchetti , s Alcune.rime ; Cino da Pistoia, Sonetti, p., 198. — Compagnoni, Storia. dell’ Impero Russo, p..160.. — Zuccala, Lettera sul Sermone poetico 3 E. M.;; I gimoco del Lot- ‘to, p- 162. — Nardini , Scelta di lettere EE sipr164. — Mae 2 striy Elogio del Co. di Neipperg 3 pe 166. Galeani Napione ; Let- tera'a Wasington Irvivg; 3-pi 108. + Fasti e-vicende dei popoli Ita= liani; p. 169. — Agamico Fiorentino, , Le Eroidi d’ Ovidio sradete te, pi 172. Metodo per Eni a - leggere x Pi dat ero E Bullettino: scientifico Sal Cassa ‘di risparinio. - È ; Necrologia. . — G. Raddi.” Sana i Avv. L. -Collini. a ) # “ ‘ Bullettino bibliografico. > + È ua ‘© Tavole meteorologiche. Pù i Si È "| | ——=—oquftne ii DI LUIGI "LIGA Via RR AR Ù Pi AM ; 4 9y LOR SR SL tea 5 a Sa 3 at SUGAR FRS TECTI È SI L ANTOLOGIA sì pubblic ca ogni mese; per fasciolo 1 non minore di ro a LE SPre fascicoli compongono un volume, ed ogni ina è 2: seen NAV uit dice generale « delle materie: san LE, ne a ISEE A cen ie sa Le associazioni si PISTE, o Firenze, dal Direttore Editore e. P. Pant TE “n Micano , pertatto il regno. To Spedizione delle Gazzette, dai (È Lombardo Veneto. pressò 2° 7, e R: Direz. delle Poste. > -_- vos in ‘TORINO E° per totti i Stati Sardi, presso il sig. data Croletti, impiegato so Ha GENOVA S “R. Poste. di ‘Torino. | n MODENA: TA s. È :S e) Con. Vincenzi e Cio. libr. 0, in Pinna 073 ©: presso il sig. Dervié direttore delle Poste. È LS ; jo ROMA; per: tutto lo stato Furini ilisig. Pietro Capobianchi; impiegato © 4 E nell'ammiwistraz. gen. delle Poste- Pontif.. È n NAPOLI, Sa presso Ambrogio Ficcabira, Strada S, Liborio N. 33.- .y in PALERMO, per tutta Ja Siciba STE ;.. presso il sig. Carlo Beuf. à SE nAUGUSTA |. SR presso la Direzione delle Gazzette. na VIENNA, pe tatto î° ‘impero Austriaco ; dalla Spedizione. delle Gazzette 3. x presso PI: e R. Direzione delle Poste. fs (TREN AI 1 presso J..J. Paschoud.: in PARIGI Seetiaà pressd J. Renouard Rue de Tournon N: 6.‘ o È Lombino sà C. F. Molini N. 4i Paternoster Row. vai (AL PhEZZO D’ ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamento.. i - Da: 3 d ; SS ni figo di Foa Per la Toscana ’ Lire 36 toscane per 1 arno. t°> PES, 3 perla posta: . I per tutto il Regno 7 | Di VEL Ra - franco di porto |Lombar, do VW. n franchi 36. IRE 3 perla. posta. e il Regno Sardo de Ei ; (per il Ducato di Parma, — franchi 36. franco alle frontiere. be PARISE «perla posta i ‘) per lo Stato Pontificio — scudi 8. | franco dì porto 4 a perla posta. perl’ Estero, —franchi 36. : vite p | franso:Tonino A ko CAN o Milano > - C4 o Fatohi da. | franco Parigi | È es RES < per Ja posta | 1 ‘“L’intera collezione dei g anni, 1821-1829 N° 1a r08,i0:36 volumi broché © È ua esaurita) non si pùò rilasciare a meno di Li 300. sa - Gli‘anni 1825 26.27-28-29 separati in ciascun anno. >}. | 1) i Un fascicolo sciolto, “usalo sia disponibile, de ug a PF ai Ò L'A, A MIRI 204] # PORGE e af” < da hi DIO) GIUSIBIPIP RADIDI Sa cal "ia Sta Mate 777, Àrenge dg < luglio 1110 Mo PO ANI CH, 50: < SAVA 1929 ANTOLOGIA 7. Novembre e Dicembre 1829. N.° 107-108. — ——_— ==> —_—r Storia dell’ economia pubblica in Italia di Giuseppe Pec- GHIO , preceduta da una introduzione ec. Lugano 1829, presso Ruggia e C. Non crediamo debba giungere affatto nuovo ai lettori dell’ Antologia il nome ‘del conte Pecchio, da chedi tutte le opere di lui o si son dati de’lurighi estratti, o si è fatto più volte onvrevol menzione. Nè avressimo potuto vedere senza tenerezza un illustre italiano, già da sette anni lon- tano dalla patria, andar peregrinando in Francia, in Spa- gna, in Portogallo, ed in Grecia ed in Inghilterra , osser- var gli usi, le costamanze e le passioni de’popoli visitati, far tesoro dei fatti conosciuti, r.iffrontare i fatti coi fatti, le teorie colle teorie e coi fatti, senza perder mai di vista l’ utile che poteva ricavar l’Italia dandole a conoscere i frutti delle sue meditazioni. Sono molti invero de’ nostri che al pari del Pecchio conducon la vita in stranii paesi, ma non so se altri abbia conservato un eguale amore per l’Italia e ne dia più spesso indubitabili pruove. Per que- sta, ragione mi son sempre letto con somma avidità gli opu- 2 scoli del Pecchio, e tutti mi son sembrati degni di un’at- tenta considerazione ; ma al comparire della Storia della quale il presente articolo si ‘intitola, mene godè l’ animo ben altrimenti, da che peusai .che per cotesta . opera la fama del Pecchio dovesse farsi ogni giorno maggiore. Ed infatti sia che si riguardi alla materia, sia chie si ponga mente al metodo o all'importanza delle dottrine , l’opera che annunziamo è una delle più utili che da qualche tem- po sieno venute alla luce in Italia, e delle poche che pos- sano mantenere in credito le nostre lettere appo le nazio- ni straniere. Dei pregii di quest’ opera vorrei che fossero soli giudici i lettori ; il che spero mi verrà fatto di ottenere trascrivendo qui alcuni dei notabili luoghi. Ma prima con- viene premettere alcuna avvertenza, perchè quel beneme- rito cittadino che ha fatta la strada alle fatiche del Pec. chio non rimanga frodato della debita lode. Sino dall’anno 1802, quando in Italia risorgeva l’amore per lo studio delle cose italiane , il Baron ‘Custodi dette opera a raccogliere in ben 50 volumi quanto era stato scritto dai nostri in fatto di economia pubblica dalla fi- ne del XVI secolo sino al principio del XIX. Questo bel monumento di gloria nazionale richiamò l’ attenzione de- gli stranieri e degli italiani a far giustizia ai nostri scrit- tori. Fra gli stranieri G. B. Say nell’introduzione al suo classico trattato di economia politica disse brevemente quanto gli italiani sentissero innanzi nelle cose di pubblica economia ; fra i nostri Melchiorre Gioia pose ogni studio nel metter in amore la lettura degli economisti italiani, Talchè in processo di tempo si cominciò a disputare del. 1’ anteriorità de’nostri, e quasi accusare di plagio gli stra. nieri, In questa disputa sono state varie le sentenze; e chi vada ricercando i quaderni del giornale di Pisa e degli Annali di statistica di Milano degli anni 1827 e 1828, può vedere come.sia stata trattata. Il Pecchio per.quanto pare ignaro delle controversie dei giornali italiani, così si espri- me intorno alla quistione di anteriorità, x La scoperta di questa scienza è un altro vello d’oro. Abbia- mo già veduto che il merito dell’ anteriorità apparterrebbe senza 3 alenn contrasto ad Antonio Serra. Vedremo in seguito che. in Ortes molti pretendono vedere il precursore de’principj di Adamo Smith. Se la pretensione degl’ italiani vuol limitarsi alla casuale anteriorità di tempo, credo che non vi sia ingiustizia. in ciò. Antonio Serra sarebbe il primo fondatore della. scienza ; il Ban- dini sarebbe il precursore della setta degli economisti francesi ; e l’Ortes il precursore della libertà di commercio di Adamo Smith. Ma nè gl’ italiani possono pretendere di più, nè gli stranieri pos- sono essere ‘offesi da un’ anteriorità accidentale , che non toglie ai loro autori il merito della scoperta. Poichè se ella è incontra- stabile l’anteriorità di tempo in favore di questi autori , è pure fuor d’ ogni dubbio che gli stranieri non furono punto guidati da essi nelle loro scoperte. Si è già veduto che il libro di An- tonio Serra rimase ignorato sin quasi a’ nostri giorni. Il discorso del Bandini, sebbene scritto nel 1737, non fu stampato sino al 1775, cioè, dopo ch’ erano comparse le opere del dottor Que- snay , e d’ altri economisti francesi. E le opere di Ortes, quan- tunque pubblicate prima di quella di Smith, la conoscenza di esse , come si vedrà, pare che fosse circoscritta a pochi de’suoi amici, non che fosse diffusa presso gli stranieri. Ciò mostra che il germe delle scienze non è il dono esclusivo d’ un popolo ; ma esiste presso tutti. Fortunatamente esse non suono come certi prodotti della terra che non sono indigeni che di un suolo ; e non allignano in terre straniere che per adozione. I Chinesi sco- persero molte scienze e molte arti , che poscia molte altre nazio- ni scopersero da sè senza il loro aiuto. E molte volte le scoperte sono più figlie del caso, che dell'ingegno e del sapere di una nazione. L’ invenzione della stampa fu ritrovata dai tedeschi in un tempo, che la Germania era in lumi ed ingegni di gran lunga ‘inferiore all’ Italia. Così l’ invenzione della polvere fu. ri- trovata da un frate, mentre avrebbe dovuto essere stata ri- trovata da quaiche soldato svizzero o spagnuolo. Non dico que- sto per menomare la gloria de’ miei concittadini ; quand’ anche fosse solo dono di fortuna, la gloria è sempre preziosa; ma per avvertirli che non dobbiamo contentarci di un mero suo- no , e pascerci troppo di fumo. Bello è il pensare che un Gioia d’ Amalfi ( se pur è vero!) fu l’ inventore della bussola ; che Cristoforo Colombo ha scoperto 1’ America. Ma non è umiliante poi il riflettere che gli italiani non possedano un' palmo di terra nel mondo da loro scoperto , e che alcuni governi italiani pa- ghino ancora tributo agli algerini? Sia pure che la forza del vapore fu la scoperta di un italiano di due secoli fa ;. ma chi la rese;utile alla sua nazione è nun inglese. L’ Inghilterra\ ha dieci mila macchine a vapore, mentre l’ Italia prima inventrice di questa nuova forza non ne ha forse alcuna. (p. 71-73). Del resto non crediate che il Pecchio voglia adulare gli inglesi : sentite come in altro luogo discorre : ‘* Ha forse ss bisogno Ja patria di Smith , di Stewart, di Malthus e di »» Riccardo di usurpare l’ onore della priorità ? Il togliere ss d'altronde all'Italia il solo conforto che le rimane , la » gloria de’propri grandi uomini, è un’ usurpazione simile » al furto che si commette negli incendii e ne’saccheggi.,; Il Pecchio si è proposto uno scopo ben più utile che di alimentare la vanità nazionale colla sua storia dell’eco- nomia pubblica in Italia. Perocchè considerando esso che il pubblico non ha nè molto tempo nè molta voglia di leggere, che nella condizione presente delle lettere è neces- sario ridurre in breve quanto più si può ciò che deve servire per generale istruzione, ha divisato di offrire in un solo vo. lume di 307 pagine il sugo di ben 50 volumi, Nè si cre- da per altro ch'esso ti offra delle semplici analisi di ope- re , perocchè oltre ‘all’ esposizione delle teorie degli econo: misti italiani, ricorda i fatti più importanti che si trova- no nei loro libri, parla della vita degli scrittori, del sue- cesso dell’ opere , dei bisogni sociali che mossero gli uo- mini da bene a scrivere i libri, ed espone l'influenza di quest'ultimi sull’ avanzamento economico della nazione italiana, Per qnesto bel lavoro la collezione del Custodi gli è stata di sommo giovamento, ed io volentieri trascrivo ciò che il Pecchio ne dice, perchè mi pare che torni in lode di ambedue questi benemeriti economisti italiani. « Non è pure superfluo (sun parole del Pecchio ) sì, ch'io avverta di quanto sia debitore al Baron Custodi » come editore della raccolta, massime nelle notizie bio- ss grafiche degli autori. Io che per molti anni ebbi la for- ;, tuna d’apprezzare d' avvicino la profonda sua dottrina, s. ben io sapeva che non poteva seguire uva guida più ss illuminata e più sicura.,, Il principio della scienza in Italia pare debba asse- gnarsi al secolo XVII, ed il suo massimo fiorire al XVIII. i 5 Benchè se si volesse risalire alle orizini prime sarebbe forse da parlare e del Machiavelli e del Boteru ; e delle statisti- che venete , e della cura che pongono i nostri storici anche del secolo XIV nel notare i fatti che han relazione colla ‘condizione economica degli stati e delle nazioni. Ma altra cosa è la cognizione pratica degli affari, ed altro la scien- za, Questa suol seguitare la prima, e si giova de’ fatti e forse anco delle riflessioni degli uomini versati negli af- fari; ma per questo non sono da confonlere poche osserva- zioni sparse qua e lù e suggerite dal senso comune colle trattazioni scientifiche. Fatta questa dichiarazione, bene sta che la stotia cominci col XVII secolo, Gaspero Scaruffi e Bernardino Davanzati aveano già scritto delle monete ne- gli uluimi anni del XVI secolo, Ma Le opere di Scaruffi e di Davanzati (sono parole del Pec- chio) non furono che i crepuscoli d’una scienza , che doveva avere la sùa aurora in una parte dell'Italia, dov'era già apparsa quella della filosofia moderna. Il regno di Napoli, che nella letteratura e nelle belle arti non ha contribuito alla gloria d’ Italia quanto alcune altre parti della penisola , per una specie di compenso è stato il primo e il più fecondo in opere di filosofia ;'e d’una filosofia ardita ed originale. Qual ne siasi la cagione, o il cielo, o gli eventi, ola situazione di questa regione segregata oggidi dalle altre ove le scienze sono coltivate, fatto si è ch’ essa ha prodotto sempre delle menti forti, indipendenti e originali. Il Settentrione del- l’Italia vanta molti filosofi fra i suoi scrittori; ma per la vi- cinanza della Francia sembra che abbiano seguita quella senola straniera. Napoli invece separata dopo la barbarie della Grecia dai gran centri del sapere , non ha così vicino il pericolo e la seduzione dell’ imitazione. Forse l’ originalità inglese in tutti i rami di letteratura procede dalla stessa cansa, cioè , dal suo isu-, lamento. Fu in Napoli difatti che nel 1508 nacque Bernardo Telesio che ravvivò in Italia la filosofia di Parmenide, e fu il primo forse in Europa a sollevare lo stendardo della ribellione contro l’autorità d’Aristotile, o per meglio dire , contro il gergo metafisico de’ suoi commentatori , a ristaurare le scienze fisiche, a sostituire lo studio de’ fatti a quello delle parole. Persegui- tato , ‘morì di dispiacere ‘nel 1588. Giordano Bruno pure na- politano tentò un’ essenziale riforma nella filogofia. Disputò ‘in 6. Parigi contro. Aristotile , che fu il tiranno legittimo per più se coli delle scnole. Egli che aveva già incorsa l’ira dei domeni- cani, e di Calvino in Ginevra , si attirò anche quella dei, pro- fesori accademici. Caduto in potere dell’ inquisizione di Roma 5 fu condannato nel 1600 alle fiamme per aver disertato la chiesa, e fattosi seguace di Lutero in Germania. Tommaso Campanella , seguace di Telesio , riformatore anch’ esso della filosofia , ne- mico d’ Aristotile, nacque nel 1568 in Calabria. Accusato an- ch’ egli d’ ateismo , perchè volle sostituire Ja filosofia delle cose a quella delle parole, e sosteneva che i sénsi devon ‘essere la guida della ragione , perseguitato , dopo essere stato torturato e carcerato per venti sette anni, esule ed errante nel resto della sua vita per l’ Europa, morì infelice in un convento. di domenicani in Parigi. Nacque pure sotto questo cielo il filo- sofo Giambattista Porta, che scrisse un trattato sulla fiso- nomia, e fu il primo a gettare le basi dell’ ingegnoso sistema di Lavater. Un secolo dopo nello stesso roguo di Napoli fiorì Giambattista Vico , il più originale e il più temerario dei filo- logi, che simile agli astronomi che descrivono il corso dei pianeti dal principio del mondo sino alla fine, tentò d’ indovinare la storia dei tempi anteriori alle tradizioni scritte ; e osò predire il corso avvenire delle nazioni. Alla metà del secolo scorso fiorì nello stesso regno Genovesi, padre della filosofia moderna in Italia , e della scienza economica ; e sul finire del secolo Filan= gieri, molto più noto agli stranieri di tutti i suoi predecessori ; non ingustamente, perchè fu anche di tutti loro il più eloquente, ed il più utile alla società. Questo stesso regno adunque, ch’ ebbe la gloria di. dar il natale a tanti illustri filosofi , ebbe pure la fortuna di produrre il fondatore della scienza economica. Questi è Antonio Serra . (p. 57-59). Due altri scrittori di economia pubblica abbiamo nel XVII secolo , Giovan Donato Turbolo napoletano, Gemi- ninano Montanati modenese che scrissero delle monete , tema che ricorre spesso presso gli scrittori Italiani, Il XVIII secolo va superbo pei nomi di Bandini, Galiani , Neri-Ba- dia, Carli, Genovesi, Beccaria, Verri, Filangieri, Pal- mieri, oltre molti altri de’ quali si dà accurato conto nel- l’opera del nostro A. Senza intrigarmi nell’esame critico di quest” opera, riferirò due capitoli generali che mi sembran meritare maggiore attenzione. Essi sono e il miglior sag- 7 gio ed il migliore elogio che si possa dare dell’opera. Il pai è intitolato carattere degli scrittori italiani, il secon» do s'intitola confronto fra BE scrittori italiani e gli scrit- tori. inglesi. Carattere degli scrittori Italiani. Eccomi giunto al fine dell’ impresa che mi sono ‘assunto , di ridurre sotto picciolo volume la diffusa materia di ben ses- santa volumi. Io non so se fedelmente ne abbia estratto tutta la sostanza, ma mi lusingo di aver ommesse poche cose d’ impor- tanza. Questa massa di scritti non contiene al certo tutto oro. Avvi una gran porzione, anzi la maggior porzione di lega. Per usare un paragone tratto dalla scienza stessa , dirò che la mag- gior parte di queste opere è simile alla moneta di biglione , la cui sostanza è rame misto a poco argento. Nondimeno tutte in- sieme mostrano la fecondità dell’ ingegno italiano, quando gli è concessa la:facoltà di spiegare il suo volo. Quando la storia fu in pregio in Italia, ed aveva fatti italiani da narrare, non v’è quasi città in Italia che non abbia avuto uno o più storici. Il mumero d° essi oltrepassa i trecento. Quando le indagini sull’an- tichità , sulla letteratura , e sulla filosofia degli antichi vennero animate nel secolo decimoquinto, 1’ Italia ebbe ‘una folla di fi- lologi e commentatori eruditi. Il secolo dopo quando le belle arti e le belle lettere corteggiavano ed erano corteggiate dai prin- cipi e dai papi , innumerevoli furono i pittori , gli architetti , i poeti. Il secolo decimo settimo fu sterile perchè la tirannia re- ligiosa e politica d’ accordo incepparono il pensiere. Nondimeno anche in questo secolo fra i tormenti dell’ inquisizione I’ Italia produsse Galileo , e più tardi Redi e Cocchi. Si taccia comune- mente l’ Italia di poca fecondità in filosofia. Dalla fertilità negli altri rami del sapere si può piuttosto arguire che 1’ Italia sarebbe stata non seconda ad alcun’ altra nazione, se il suo genio non fosse stato compresso. Infatti si vede nel secolo posteriore che questa taccia di sterilità in filosotia data all'Italia era ingiusta. * Nel secolo decimo ottavo appena qualche grado di tolleranza si accordò , che i pensatori sorsero in folla. In questa bella penisola l’uomo non fu mai meno fertile del suolo. Coltivato lussureggia in copia di frutti, negletto produce tuttavia quà e-là qualche frutto e qualche fiore. 8 La rapida revista che feci degli economisti italiani offre molte osservazioni. . Primieramente si può faut come o gli stati d° Italia i più male amministrati , come il regno di Napoli e lo stato di Milano, ch’ erano stati per quasi due secoli devastati non meno dalle contribuzioni che dalle pessime leggi del ramo austriaco di Spa- gna, hanno prodotto il più gran numero di autori distinti. Dove vi son malattie vi sono più medici , dove si fanno più guerre vi sono più generali, dove vi sono più leggi, vi sono più av- vocati. 2,° La differenza tra gli scrittori Napoletani e quei del- l’ alta Italia è tale ch’ è impossibile il non farne due sette di- stinte, Non dispiaccia ad alcuni questa divisione oltre le tante politiche, e territoriali che già separano, sminuzzano, infievoliscono la nostra Italia. I letterati, i dotti e gli artisti, quantunque disgiunti da fiumi, monti e governi , costituiscono fra loro una repubblica federativa. Possono essere di genio diverso ; ma tutti cospirano ; tutti vogliono lo stesso fine , il bello, e l’ utile. Le differenze che vi. sono in loro non. servono che a procacciare alla gran patria comune il piacere , il vanto della. varietà. Le tante scuole diverse di pittura in Italia, mentre introdussero una piacevole varietà negli stili, accrebbero la meraviglia degli stranieri per la fecondità del genio. italiano. D’ altronde non si possono nascondere le differenze marcate dalla natura. In Ispa> gna il poeta Andaluzzo è sempre più gonfio nelle sue immagini degli altri poeti spaghuoli. Nella gran Brettagna lo Scozzese si distingue per la profondità nelle scienze , 1’ Irlandese per l’elo- quenza bollente, l’ Inglese per la solidità di giudizio , e gran» diloquenza. + Negli economisti lombardi si scorge più precisione ; più rapidità , più esperienza , ma poca originalità, tranne in Ortes .ch’ è originale ‘sino alla stravaganza. Pare che seguano le orme degli scrittori francesi che hanno dominato e dominano tuttora nel.settentrione dell’ Italia a preferenza d’ altri scrittori stranieri. Se si eccettua il Genovese che fu sempre amico d’av- venture e di straordinarie imprese, la massa degli abitanti del settentrione d’Italia non si abbandonò mai in preda a sogni* brillanti e a idee :rromanzesche. Essi mirarono sempre al reale, piuttosto che al visionario. Questo carattere un po’ freddo e sen- sato, traspare sempre dalle loro opere. i Nei Napoletani si ravvisa diffusione , prolissità, sovrabbuti- e 9 danza. Il Lombardo è un fiume che.corre fra le sue sponde ; il Napoletano è un torrente che straripa , inonda i vicini campi, finchè ‘1’ occhio più non scerne il suo corso. Ma in comipenso i Napoletani hanno un carattere nazionale, più indipendenza’, e originalità. 1 Lombardi sono proclivi. a sasa libri francesi; i Napoletani a citare libri spagnuoli 3 e soprattutto inglesi. 3.° Se si confronteranno i primi scrittori cogli ultimi, per esempio il Broggia con Verri, si troverà che i primi scrittori in generale furono più diffusi degli ultimi. Ne’primordii della scien za gli autori erano prolissi per necessità. Le idee che annuuzia- vano erano nuove per sè e pel pubblico;. conveniva spiegarle , commentarle , difenderle ad ogni passo. Per rendere meno vio- lento 1’ urto delle verità nuove , è d’ uopo sostenerle. con :esem- pi ; e farle venerabili con citazioni e nomi autorevoli. Fatta più adulta la scienza, adotta idee più complessive., più astratte, non ha più d’ uopo d’idee elementari, di definizioni ; di transi- zioni. Diventa laconica e ardita, disdegma la protezione, e il so- stegno dell’ autorità altrui, confida e s’avanza culle proprie forze. 4.° Il sig. Ganilh osserva che nella quistione quale sia il ‘travaglio più produttivo “ quasi ogni scrittore ha considerato il travaglio ch’ è. preferito nella sua patria , come il.meglio ‘pro- duttivo ;,. Perciò gli scrittori inglesi danno per la maggior parte la preferenza alle manifatture ed al commercio, che da secoli sono prediletti in Inghilterra. All’ incontro in Francia dove l’agri- coltura ha quasi sempre predominato ; gli scrittori hanno dato ad essa la preminenza sul commercio , e sulle manifatture. La setta dei fisiocrati nacque in Francia. In Italia le opinioni furono ‘anch’ esse divise; e secondo che gli serittori appartenevano a provincie interne o a; provincie marittime , sono più o meno favorevoli all’ agricoltara., o. al commercio. Così i due toscani Paoletti e Bandini , i lombardi Beccaria e Corniani favoreggiano più l’agricoltura. Galiani invece ; Palmieri , Genovesi ( napoleta- ni ) raccomandano più spesso il commercio esterno, come pure Zanon e Algarotti veneziani raccomandano l’ industria. 5.° Essi però in compenso non si lasciarono vincere: dagli esempj del loro secolo. Invece di desumere le loro teorie dalle istituzioni ed usi esistenti j le derivarono da generali ed alti principj.. Quindi nè la religione valse a difendere agli occhi loro il celibato, i conventi, le mani morte; nè la nobiltà i feudi, i fidecommessi o l’ indolenza ; nè gli uomini togati la confusione delle leggi, o la lungaggine delle procedure. Zecche , T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 2 10 commercio de’grani , finanze , tutto apparì véo etutto era infatti difettoso. 6: È an vanto listeniest dell’ Italia l’.avere avuto fra. gli economisti tante persone di nobili natali, e tanti economisti fra i pubblici impiegati. Confronto tra glì Scrittori Italiani e gli Scrittori Inglesi. La differenza tra gli economisti italiani e .i francesi è così piccola che non importa un accurato confronto. Queste due na- zioni nella lingua , nella letteratura, nel gusto si accostano fra Joro. La nazione inglese al contrario per lingua; per gusto , per letteratura , ed anche negli scritti d’ economia . pubblica è affatto distinta. Questa è la ragione per cni circoscrivo il con fronto tra italiani e inglesi, quantunque potrei aggiungere che l’alta riputazione di cui gl’inglesì godono anche in questa scienza richiede questa preferenza. Uno de’ caratteri più distintivi tra gli economisti di queste due nazioni è la definizione che ne danno e la maniera con cui la trattano. Per.gli inglesi è una scienza isolata ; è la scienza d’ arricchire le nazioni, e questo è l’ oggetto esclusivo delle loro ricerche. Per lo contrario gl’ italiani la riguardano come una scienza complessiva , come la scienza dell’ amministratore , e la trattano in tutte le sue relazioni colla. morale ; colla. felicità pubblica. Gl’ inglesi sempre fautori della division del travaglio, pare che abbiano applicato questa massima anche a questa scienza , avendola staccata da ogni altra. Così il primo de? loro scrittori , e certamente finora il primo di-tutti, Adam Smith intitolò la sua opera : Della Ricchezza delle Nazioni . Da ciò masce che l’inglese solo intento allo scopo della ricchezza , approva la grande proprietà , e i filecommissi quasi sempre* suoi compagni , perchè danno una rendita netta maggiore ; senza badare ai tanti tristi effetti morali © politici che ne procedono. Esalta la popo- lazione manifattvice perchè aumenta le ricchezze. d’ un paese, senza troppo curarsi del deterivramento della salute; e del ‘vio gore della popolazione , la quale a lungo andare:si ammollisce, e si effemina col lavoro assiduo del telajo. Promuove 1’ uso delle macchine , perchè producono in abbondanza con minore spesa , senza badare che aumentando troppo rapidamente la produzione, cagionano dei subitanei fatali rigurgiti nel commercio, e privano TI di quando in quando di.travaglio molte migliaja di lavoranti. Non vede nell’ operaio che una macchina produttrice ; lo con- danna ad una esuberante fatica:; lò ifnprigiona nei suffocanti filatoj di cotone; lo seppellisce nelle. miniere di carbone, di stagno » di ferro. E se raccomanda di pascerlo bene , pare che non: sia per altro che per trarre da lui un maggiore prodotto . Filantropìa simile a quella del vetturale, che pasce bene il suo cavallo: perchè tiri di più» L’ inglese vorrebbe convertire tutti gli agricoltori in operai, e lavorar le-terre con macchine se fosse’ possibile 3 non pensando che sostituisce’ una popolazione scarna; pallida ; debole , ad' una vigorosa y membruta ; e di più lunga vita. + + . + + Non regna in questo metodo di trattare la scienza troppo spirito , troppo calcolo mercantile ? Non guida egli a con- seguenze funeste sia per la morale sia' per la- felicità: generale , se la prudenza del legislatore nom lo tempera e’ corregge? Il' solo” oggetto poi della società è la ricchezza ? Quand’anche ciò fosse); riflettasi che la ricchezza non si suddivide fra le classi che la- vorano ; la minima parte: rimane’ per loro , se non quanto basta' al loro nutrimento e a rimettere le loro forze. Tutto il rima- nente si accumula in poche mani. La scienza trattata così nòn' è più che un’aritmetica politica. Ristretta a- questo solo scopo’ somiglia a un insensibile macchiavellismo .. Questa scienza già per sè un poco arida , ridotta a. mera aritmetica, sembra che ina- ridisca troppo il cuore “ e aumenti quell’ egoismo e-quello spirito di calcolo ch’ è anche troppo! esteso in Europa , ed è subentrato’ a que’ sentimenti cavallereschi e generosi: che ricevono l impulso dal cuore je non dal computo e dalbilancio del Dare ed Avere’ ,, (come rifletteva Carli ). Un altro svantaggio di questo metodo’ si è che’riesce troppo’ disadorno ; e privo di quegli allettamenti' e- dii quell’ amenità e: varietà che rende popolari le scienze. Questa mia riflessione non percuote nè Hume nè Smith, i. quali seppero condire di grazia e di storiche e morali osservazioni: le loro dottrine. Intendo par- lare de’ loro successori e di alcuni viventi scrittori , che hanno’ fatto di questa. scienza uno scheletro , e si è'in manolaro cori- vertita in una monotoria e secca’ osteologia. Per cui'gli uomini! di lettere e di' buon gusto‘ rifuggono da quest’ arido studio,’ e° la lasciano in preda a scrittori seriza colorito'e senza‘ immagina- zione: Confrontisi'il'libro del sig. Totrens sul‘ commercio: de’grani coi dialoghi di Galiani sullo stesso’ soggetto ;‘si‘confrontinò gli elementi d’ economia politica del sig. Mill colle meditazioni di Pietro Vert, e sì vedrà quanto la sciériza’ acquisti’ ad’ essere 12 maneggiata con spirito e filosofia. Il sig. Say medesimo che vuole che l’economia pubblica non esca dai confini prefissi dagl’inglesi, ha però saputo vestire di piacevolezza le verità. Nondimeno non si può negare che con questo metodo gl’in- glesi hanno spinto le loro indagini forse più lontano di tutti; gli altri, e si sono avvicinati di più alla dimostrazione mate- matica. Avendo rinunziato a tutti gli ornamenti , a disgressioni, ‘ad ogni accessorio , non distraggono mai l’ attenzione, non in tralciano mai una quistione , e i loro argomenti si succedono come le cifre nell’ aritmetica. Con questo sistema hanno dato anche al linguaggio della scienza maggior esattezza. Hanno ritro- vato e fatto uso costante d’idee più complesse come - Produzio- ne — Consumo = Capitale = Capitale fisso — Capitale circolante — Circolazione — Concorrenza — Credito = Passività — Attività — Imposte dirette e indirette — Servigii produttivi ec. ec. Con questo nuovo vocabolario (quasi sconosciuto agli Italiani del se- colo passato ) gli inglesi ‘hanno progredito senza curarsi della noja e della fatica de’ lettori. La lingua esatta è il principale strumento per l’ incremento d’ una scienza. Condillac disse che con chiare e precise definizioni si potrebbe ottenere nelle scienze morali la stessa evidenza che si ha nelle matematiche. Gl’inglesi pare che mirino a questo fine , e quantunque non l’ abbiano ancora raggiunto , alcuni di loro, come il sig. Mae Culloch, si avventurò di dire che l’economia pubblica è una scienza esatta quanto la matematica. Il sig. Malthus si contentò , per confu- tazione di questa troppo precoce asserzione , di citare la discor- danza di molte definizioni tra gli scrittori della sua nazione, e_ la contesa continua che ancor pende tra loro su molti punti (1). Così pure a forza di usare ed abusare d’ idee troppo. generali e complesse , qualche volta gl’ inglesi moderni sono caduti nel- l’oscurità, e in un gergo inintelligibile. Chi capisce sempre Ric- cardo? Basti il dire che vi fu necessità di stabilire dei professori, per commentarlo e spiegare i suoi oracoli. Cosicchè a guisa dei sacerdoti egiziani che , raccomandando la religione , la rendevano sempre più occulta co’ geroglifici,, alcuni di loro , mentre si af- fannano per rendere popolare questa scienza, la rendono mi- steriosa ed occulta con una nomenclatura talvolta, e talvolta con una fraseologia intelligibile, Intieramente opposto è lo stile degli uomini di stato presso questa nazione. I discorsi del mini- stro Peel sulla materia astrusa della carta di circolazione, sono (1) On the definitions of the Political Economists. 1827. Malthus. 13 chiari quanto profondi ; quei del sig. Huskisson e del sig. Ro- binson (‘ora lord Goderich ) sono profondi quanto chiari ed elo- quenti. Che differenza tra questi discorsi intesi da tutti, e le geroglifiche pagine di Riccardo , intese solo dagl’iniziati ne’ suoi misterj ? "i Il metodo seguito dagl’ italiani è affatto differente dall’ in- glese , perchè essi trattano la scienza sotto tutti i suoi rapporti. Essi cercano non solo la ricchezza, ma anche il bene stare del maggior numero possibile. Questo secondo oggetto è per loro tanto importante come il primo. Ogni principio, ogni legge è discussa sotto molti punti di vista, e giudicata dalle sue con- seguenze. Si tratta della quistione del commercio de’grani ?_ Essi risalgono sino all’origine del diritto di proprietà , e poi finiscono coll’ esame se la politica permette che la sussistenza d’ una po- polazione abbia a dipendere dalle importazioni straniere, che per molti accidenti possono d’improvviso essere arrestate. Parlasi della grande coltura ? Essi esaminano l'influenza delle primoge- niture sui costumi pubblici, e sulla concordia delle famiglie. Si discute sul maggior prodotto delle terre ? Essi preferiscono a quello che spopola le campagne arricchendo di più la popolazio- ne; quello che meno ricchezze produce, ma suddivide le terre fra molti proprietarj , e alimenta una popolazione, robusta, più atta alla guerra , costumata , e tranquilla. Per 1’ economista ita- liano è la scienza più complicatà , siccome quella che deve con- ciliare la giustizia , il buon costume, il ben essere della popo- lazione , non che la potenza e ricchezza dello stato. . ... . .. . + « + «è + « Perciò le quistioni sono per l’ economista italiano involute , e d’ una soluzione difficile. Perciò la scienza in Italia cadde in mano de?’ più istrutti filosofi e de’ più colti scrittori. Gli scrittori più i!lustri che vanti il secolo decimo ottavo in Italia , come Genovesi, Verri, Beccaria, Filangieri, Mengotti , ec. ec. furono economisti. Non solo ; ma siccome per gl’ italiani è una scienza legislativa piuttosto che un arte di banco o di magazzino , così la nobiltà, sebbene schiva d’ogni cosa che puz- zasse di commercio , non isdegnò di applicarsi a questa scienza, e di coltivarla quasi direi esclusivamente , se pongo mente al gran numero de’nobili che si annoverano fra’nostri più eminenti. scrittori. (2). Gl’ italiani sempre amanti del bello e dell’ elegante sparsero 4 (2) Briganti, Palmieri, Caracciolo, il conte d’ Arco , Filangieri, Verri, Beccaria, Carli, Vasco ec. ec, * I 4 N” fiori ed ornamenti anche in questa scienza: Galiani vi ha sparso tutto il sale di Molière ; Mengotti tutto lo spirito di Montesquieu. Se molti di loro awessero saputo contenersi in. certi limiti, le loro opere sarebbero state più lette, e quindi più utili. Ma peccarono di sovrabbondanza e di superfluità. Alcuni sono ri- montati sino' alla creazione del mondo per parlare di monete, altri hanno accatastato erudizione ad erudizione, citando Ebrei, Persi, ed Assiri, Greci e Romani, Salomone, Platone , Cicero- ne, Bacone. Altri declamano come predicatori dal pulpito. Con questo difetto le opere crescono di volume, la verità si annega in un mare di parole, il linguaggio rimane vago e indefinito , e la deficienza nelle idee generali e nelle definizioni protrae e lascia oscure le questioni. di Fra i due estremi , quello della prolissità italiana e quello dell’ aridità inglese, non vi sarebbe un metodo medio che riu- nisse la concisione all’eleganza? A me pare, leggendo Necker ,. Ganilh , Say , Sismondi, che i francesi lo abbiano ritrovato. Per non defraudare della lode meritata i miei compatriotti, devo dire che Beccaria e Verri lo hanno felicemente messo in pratica prima di loro. L’ altro carattere distintivo tra gli scrittori inglesi ed ita- liani è quasi una conseguenza del primo, e consiste nei mezzi' diversi di ottenere la quantità della produzione. La produzione è l’oggetto delle ricerche tantu degli uni che degli altri, ma gl’in- glesi ne hanno fatto un scopo più diretto che gl’italiani. Quindi impiegano mezzi diversi per ottenerlo, e direi anche che 1’ ot- tengono con ragguardevoli saerificii. Ad esso sacrificano il vigore e la salute della popolazione ( come senz’ avvedersene fanno quelli che vorrebbero trasformare tutta 1’ Inghilterra in una fu- cina:).,. la quiete e l’ordine pubblico , creando una popolazione immensa su diversi punti della: superficie dello stato , pronta ad ammutinarsi al menomo'discontento , e soggetta sovente a sof- frir la fame ,;o a divenir minacciosa per le inevitabili. vicende di commercio che producono delle repentine cessazioni di. lavoro. Nessuna nazione conosce e pratica meglio dell’inglese il prin- cipio del' bisogno , come un mezzo ; 1.° Di rendere l’ uomo at- tivo. 2.° Di accrescere la produzione del mondo intiero; 3.° D’in- civilire e dirozzare gl’ individui e le nazioni. Gli antichi avevano per massima; che la virtù consiste nei pochi bisogni, e quindi i legislatori e i filosofi d’ accordo procuravano di ridurre l’uomo al minor numero di‘ bisogni possibile. L* ignoranza: stessa) fu riguardata per molti secoli come uno stato d’ innocenza’, di fu- 15 tura beatitudine ye perciò la coltura dello spirito. era piuttosto sfuggita che animata. Questa filosofia discese giù sino ai tempi moderni , e gli economisti stessi «del continente non osarono af- fatto rinunziare a questa antica teoria della virtù. Alcuni di loro temono gli effetti del lusso; ‘altri vantano la minuta divisione «delle terre, perchè mantiene un maggior mumero di robusti e costumati cittadini ; ‘altri raccomandano la sobrietà ,. la sempli- cità, l’ astinenza da molti comodi alle basse classi, onde con- servare la virtù; ed ‘alcuni per timore della corruzione te mono la troppa luce , e troppe cognizioni mel popolo minuto. Questo sistema che può essere compatibile colla virtù, e fors’an- che colla felicità degli individui, mon è il più atto a fomentare la produzione , a far progredire la civiltà , e ;a rendere potente (e ricca una nazione ne’ nostri tempi, Per lo contrario gl’ inglesi non .vedono altra via di satana attivi, istrutti, e più virtuosi i popoli che quella de’ bisogni. Il bisogno è lo stimolo , e la sola causa della produzione , come la curiosità (ch'è pur essa un bisogno) è la creatrice delle scienze. L’ uomo libero non lavora nè per istinto nè per divertimento , ma per soddisfare ai bisogni, e lavora più o meno secondo che questi.sono più o meno. Il selvaggio non esercita la sua attività che in quanto serve a pascerlo , e ad alloggiarlo meschinamente. Lo Spagnuolo , il Portoghese , il Lazzarone di Napoli, gli Ame- ricani spagnuoli odiano il travaglio perchè non li conduce alla soddisfazione di bisogni che non hanno. L’ inglese invece ., che a poco a poco si è fatto un bisogno di avere una casetta pulita con mobili decenti, d’ essere sempre ben calzato , di nutrirsi di cibi \sustanziosi , di prendere due volte il giorno il tè , di vestire di panno , . .. sente un pungolo continuo che lo anima al la- voro per non rimaner privo di certi comodi che sono divenuti per lui necessità della vita. Se 1° inglese rinunziasse ad alcune delle sue attuali abitudini, diminuirebbe in proporzione il nu- mero delle sue ore di travaglio. Cinquanpt’ anni fa, quando i suoi bisogni erano minori , la sua vita più semplice, ossia più dura , lavorava anche meno. Per la ragion contraria , se lo spa- gnuolo contraesse alcuni nuovi bisogni, diminuirebbe le sue ore di ozio per soddistarli. Questo è infatti il modo con cui gl’in- glesi eccitano all’ attività le nazioni selvagge , 0 i popoli indo- lenti. Essi portano tra i selvaggi polvere da fucile, coltelli , ed altre bagattelle, e quelli ammazzano più animali selvaggi. per pagare icon pelli. Coi merletti di Nottingham , colle calze di cotone hanno stimolato gli americani spagnuoli a coltivare più 16 ‘cocciniglia , più cacao , a tagliare più legni da. tintura. Gl’inglesi adunque si servono della consumazione per accrescere la pro- duzione. Hanno reso fonte di ricchezza ciò ch’ era per gli an- ‘tichi fonte di povertà. Parimenti invece di mutrir timore per 1’ istruzione popolare, essi la considerano e l’adoprano come un mezzo di scemare i vizj e i delitti, e di rendere la moltitudine più ragionevole, più docile, più trattabile. L’ esperienza ha confermato la loro ‘teoria. Il popolo inglese in ragione della sua istruzione è dive- ‘nuto più temperante nell’ uso de’ liquori, più ospitale verso gli stranieri , più tollerante verso i suoi compatriotti d’ opinioni ‘di- ‘verse in religione ed in politica , meno riottoso ‘e turbolento. Per ciò i loro scrittori anzichè declamare contro i comodi, e il mag- gior consumo delle classi lavoratrici, ne tessono encomj . . . Questi due differenti sistemi hanno anche differenti. conse- guenze. Quello degl’ italiani che ha per base la moderazione, la ‘tranquillità , la salute’ più che il comodo, la robustezza più che ‘l’ istruzione , tende all’ immobilità , o tutt'al più a un lento mo- vimento verso la perfezione. Quello degl’inglesi è animato da un moto perpetuo e crescente che spinge rapidamente la società al- l’ultimo stadio della civiltà ! Le opere di economia pubblica in Inghilterra sono come frutti naturali del suolo. In mezzo all’ esempio vivo del commercio con tutto il mondo, in mezzo a dibattimenti parlamentarii sulle cose pubbliche, a tanti giornali, a tante private libere discussioni , è naturale che la scienza dovesse alla fine non solo fiorire, ma essere perfezionata più che altrove. Un governo libero è una continua scuola dell’uomo di stato. L'Inghilterra stessa non for- ma che una gran casa di commercio. Tutte le altre scienze aveva- no già progredito in quest’isola. La libertà che mette l’equilibrio ‘in tutto ben presto portò questa scienza a livello delle altre. Smith è forse giunto allo stesso grado di altezza nella sua scien- za, come nella metafisica e nell’ astronomia erano giunti digià Locke e Newton. In Italia all’ incontro i libri di questa scienza sono come i frutti cresciuti nelle stufe, a dispetto di un’aspra atmosfera. Gl’ Inglesi parlano più estesamente e con maggior profon- dità della carta di circolazione , del credito pubblico, della di- vision del travaglio , delle colonie, perchè la loro patria loro fornisce ampia esperienza su tutti questi argomenti. Gl’ italiani parlarono poco , o appena toccarono questi punti , perchè o loro ui ignoti, o estranei ‘alla loro patria. In compenso essi ebbero il vanto di essere i soli che abbiano parlato con profondità dei porti franchi, dell’estimo delle terre , dei Monti di Pietà, degl’ isti tuti di pubblica beneficenza , delle monete, e delle zecche. Gl’ inglesi, se si eccettuano Smith che parla molto della Francia, e David Hume che parla di tutto il mondo antico e moderno , quasi mai escono nelle loro riflessioni fuori della loro isola. Separati dal globo non si occupano che della loro patria. Per quella specie di egoismo dell’ uomo libero che concentra tutti ‘i sentimenti nella sua patria , per quella superbia propria di quasi tutti gl’ isolani, non gettano neppure gli occhi sulle altre na- zioni. O ignorano o fingono d’ ignorare l’esistenza degli scrittori stranieri , e quasi mai li citano. Altieri a giusta ragione della loro libertà, lieti della prosperità della Joro patria, credono per avventura inutile di mendicare consigli da autori nati in altre regioni. Ben diversa è la condizione degli scrittori italiani . < . ... Mirano con invidia alcune nazioni del Nort prospere e potenti. La loro stima, il loro amore cerca degli oggetti fuori d’ Italia , e stendono la mano a chiunque voglia emendare le magagne della loro patria. Quindi citano e celebrano gli autori stranieri, esal- tano le istituzioni e le leggi delle altre nazioni ; talvolta anche troppo ; perchè propongono esempj non adatti all’ Italia. Siccome la libertà è la miglior legislatrice de’ popoli, così gli economisti in Inghilterra non furono di tanta utilità quanto lo furono in Italia e presso altre nazioni. Non v’è legge, non v'è determinazione legislativa, non v° è riforma in Inghilterra che si possa ascrivere all’ opera di qualche economista. L’opera di Locke sulle monete fu posteriore alla riforma delle monete stesse ; ne fu piuttosto 1° apologia che la proposta. Le massime liberali che il governo inglese da pochi anni segue nel commer- cio cogli esteri sono piuttosto misure imposte dalla necessità , dal cambiamento de’ tempi , e delle relazioni colle estere nazio- ni, che un omaggio reso ai ragionamenti di Smith. . ... . - +. + «+ + + Non voglio già per questo dire che i libri degli «economisti inglesi non abbiano prodotto alcun bene. Tutto ciò che tende a distruggere i pregiudizj , ad illuminare il pubblico, a far pensare, a concretare le idee sparse di una nazione, è sem- pre vantaggioso , quantunque non se ne veda palpabilmente , e all’istante l’effetto. Con tutto ciò essi non giovarono alla loro patria tanto diretiamente quanto gli economisti italiani giovarono alle loro. SI XXXVI. Novembre e Dicembre. 3 18 Quand’ anche gl’italiani dovessero cedere agli stranieri la palma nell’ anteriorità delle scoperte , nella profondità , nell’ universa- lità, rimarrebbe loro il più grande, quello di essere stati utili alla loro patria. Questa gloria non è in collisione colla gelosia delle altre nazioni; è un bene indiviso , di cui possono godere in pace. Vediamo adunque in un breve riassunto quali sono i miglioramenti , qual’ è il bene reale , innegabile ch’ essi produs- sero ai diversi stati sotto cui scrissero. Tutti quei che coltivano 1’ economia pubblica non possono ricusare la loro attenzione. La gloria che ne ritorna agli scrittori italiani riverbera sulla scienza. Dopo aver riferiti questi due capitoli vorrei pur po- ter toccare qualche cosa delle riflessioni finali, e della bella introduzione ; ma sarà sempre meglio che i lettori vada- no a leggere queste cose nell’ opera del conte Pecchio. Sic- chè terminerò colle parole che servon di conclusione al- lid opera sua. Or più non mi rimane che a desiderare che i popoli e i go- verni d°’ Italia riconoscano il debito di gratitudine che hanno verso questa specie di scrittori. I primi perchè mercè loro gioiscono di maggiore libertà, sicurezza ed abbondanza di cose ; i secondi perchè rinunziando a un feroce e rapace dispotismo acquistarono maggiore potenza. Quanto poi agli stranieri, bramo che da que- sto mio epitome possano almeno conoscere, se non altro , il no- me di molti scrittori che hanno tanto giovato alla patria. F. FortI. L' Oriente. Lettere del Barone T. RenovarD DE Bus- SIERRE ; scritte nel 1827 e nel 1828. T. Il. Parigi. Abbiamo a narratore un testimone oculare , assennato e sincero : possiamo dunque con fiducia ascoltarlo ; e con fiducia offrire aì nostri lettori uno schizzo d’alcuna tra le sue varie e vivaci pitture, 19 Repubblica di Cracovia. — Terapia. = Il Bosforo. — Contrade di Costantinopoli. Direttosi verso Costantinopoli per la strada d’ Odessa, dopo trovate nella libera città di Cracovia , e , mercè la sua libertà, più fiorente della circostante provincia,, tro- vate, dico, le tombe di Sobieski, di Poniatowshi, di Ko- sciusko, passata tutta la Gallizia , giunge il nostro Viag- giatore al confine russo, terribile per la più tirannica do- gana che sia sulla terra, In Kameniek, città della. Podo- lia, egli viene a colloquio con un generale russo, il qual s' accinge ‘a provargli che il soldato russo ‘deve di necessità servire per anni ventiquattro: perchè , diceva costui, un militare non può tornar servo j e non essendo più servo , come farebbe esuli a vivere? { Seguitando la sua strada , e’ s'incontra in un signore russo , il quale lo invita al suo castello, splendidamente ornato, sì che quel lusso faceva con la barbarie de’ servi un doloroso contrasto. E in Russia frequente la raffina- tezza della civiltà lì presso alla più sozza barbarie! — Ma già la selva de’ molini a vento che gli si presenta da ib tan annunzia Odessa; la bella e nuovissima Odessa. Volga con lui a Terapia : deliziosa contrada; e vero paradiso terrestre, se degna delle bellezze della natura fosse la cura dell’arte. Voluttilosa natura , ineffabilmen- te bella! La varietà delle tinte accresce vaghezza al qua- dro : l’aria par più leggera; i contorni vi si disegnano con precisione ammirabile, netti, spiccati. Quelle case di Terapia che da lontauo ti paion sì belle, non son che baracche di legno, con finestre moltissime, senza solidità He ng e l’ una all'altra addossate: dipinte di rosso o di grigio, secondo che le abita un turco od un raya. Le fontane frequentissime, e costrutte con gusto, di mar- mo bianco, con ornamenti di varii colori , e con iscrizio- ni tratte dal Corano, a lettere d’oro. Vi stanno appese delle tazze di latta, da servire a chi passa. Ma in mezzo al riso della natura , s'alza più schifoso or quà or là lo spettacolo 20 della barbarie. Il passeggiero trova sul suo cammino ani- mali putrefatti; e. sopr’ essi de’ cani magri, schifosi che se ne contendon gli avanzi. Attraversando il Bosforo , le cui rive amenissime ver- deggiano di platani antichi e di cipressi , e biancheggiano di funerali monumenti, le cui acque solcate da mille navi e navicelli, e animate da’ varii movimenti degli uccelli acquatici che vi scendono a nuvole, presentano una scena di vita incessante , passa il nostro Viaggiatore dappres- so alla torre de’ giannizzeri, dal cui promontorio i Goti e i Crociati tragittarono d’ Europa in Asia, donde Dario stette a vedere il passaggio del suo esercito immenso. Punto di vista unico! ‘ A. destra, dice l’A., il palazzo di state del Gran-Signore, che par quasi un aereo edifizio incantato; a manca, Scutari in tutta la sua magnificenza; più lungi nel mezzo d’un seno, la terra di Leandro ; dietro a quella, parecchie isole, il mare di Marmora, la costa della Bi- tinia, il monte Olimpo con l’eterne sue nevi. In fondo al inba s la punta del Serraglio; e dallato, Costanti- nopoli ,,. i Passato per mezzo una mobile’ città di più centinaia di navi mercantili di tutte le nazioni del mondo, egli sbar- ca, ‘La mia guida mi avvertì di guardarmi da’ cani , e di non toccare persona fra via : avviso inutile; chè un fo- restiere nuovo del Levante ne’ primi giorni trema della pe- ste anche troppo ; ma poi passeggia Costantinopoli franco come farebbe a Parigi ,, — Strade pessime ; case di le- gno, e sì male costrutte, che un forte ‘vento potrebbe at- terrarle. Queste viuzze sì mal selciate , îsì strette che tre o quattro persone in più luoghi non ci passerebbono, son pure animatissime quanto quelle d’ altra capitale d’Euro- pa. Chi non ha veduta una città asiatica, non può immagi- narselo. Quel vestire sì vario, quegli abiti sì magnifici ; il giallo de’ turchi, il rosso de’ cristiani, l’azzurro degli ebrei ; il turbante quadro de’ ricchi, il cono scarlatto de’ cuochi del gran-Signore, lo strano berretto de’bostangi , il Kaipak tondo degli armeni, il piccolo turbante ebreo, i va- rii colori cupi che veste la gioventù ; il roseo, il giallo, il 21 verde prescelti dagli attempati; que’cani selvaggi e senza pa- drone che popolano le contrade, sozzi , simili a volpi od a lupi, abitanti. di determinati quartieri, sicchè non se ne possono allontanare senza vedersi mover la guerra dai cani tutti del ‘vicinato ; ‘quelle piazze che a quan- do a quando si trovano, ombreggiate di grand’ alberi ; que’ marciapiedi sì alti, con in mezzo il fossatello pe’cava- lieri e per le carrozze; quelle carrozze tutte chiuse, lun- ghe, strette, di legno leggero di mille colori , dove le don- ne montano con la scala , e vi si stivano e vi si acquat- tao in modo singolarissimo; quel movimento continuo, è uno spettacolo nuovo da non potersi dipingere. Da per tutto botteghe : Jà un venditore di sorbetti o di pasticci, all’om- bra d’ un platano; qua un lapidario, che vende anelli straordinari e pietre incise, e con le gambe incrocicchiate sul suo tavolo , lavora fumando; più giù, un mercante di pipe, un calderaio, un rigattiere, un venditore di scialli, di pesci, d’ aranci, un giardiniere mezzo nudo, portante in ispalla un legno arcuato a’ cui capi pendono due pa- nieri di erbaggi. Tu senti un grido di lamento : gli è un facchino cencioso che porta allo spedale un infelice ap- pestato : intanto che tu ti ritiri da un lato, una fila d’asini carichi di legname da fabbricare sopraggiunge a ingom- brare la strada, e minaccia di gettarti in un fosso. Dap- pertutto mendicanti laceri, ciechi, lebbrosi, in mezzo ad uomini di singolare bellezza, di nobile portamento , superbamente vestiti. Delle donne non vedi che’ gli oc- chi, d’un nero bellissimo : il corpo è rinvolto in abiti così larghi da non se ne potere indovinare le forme. Bazar, — Moschee. = Onestà Turca: — Civiltà di Kalil pascià. — Pietà Turca. — Concubine di S. A. == Nicchia per le teste, == Il cordone. n I bazar sono tra le più notabili cose della città, I turchi, con tutta la loro lealtà, serbano all’ ultimo la ro- ba migliore ; e stancano i compratori con offrir loro prima quant’'hanno di men buono. — Il bazar delle stoffe e degli 5 22 abiti è il più pericoloso di tutti, perchè pieno di roba stata già di persone appestate. ‘ Eppure tutti accorrono a comprare: e accorsi anch'io. per vedere. A ogni passo io te- meva di dar dentro o in un'turco o in un cane. ,,— Quindi entrarono nel bazar delle spezierie , il più sano di tutti, quello dove la peste non ha mai fatto strage ; poi a quello delle stoffe preziose e de’ricami, dove si vendono specchi, pianelle, sacchetti da tabacco , ricamati con gusto a ra- beschi d’ oro e d’ argento. Là bi molti Arabi, rafatiti d’ ogni razza, Nelle moschee lo straniero non ha l’accesso: sul da- vanti è una corte quadrata, con alberi, e ana fonte per le abluzioni ; a’ quattro lati i minaretti; nel fondo l’ edi- fizio principale con cupola. I minaretti, costruzione singo- larissima , son torri svelte come schiette colonne, ben al- te, con in cima una 0 più gallerie, coperte da tetti a forma conica: vi salgono gl’ imani tre volte al giorno per chiamare alla preghiera i credenti. Il nostro autore, nel prendere un sorbetto , ebbe oc- casione d’ ammirare la delicatezza del :venditore tureo, che corse per rendergli due parà , piccola moneta, che mol. tiplicata per quaranta, equivale a una piastra, — otto soldi di Francia. E quest’ onestà , soggiung’egli , è ordinaria in Turchia : e la pena del furto è gravissima. Per la prima volta gli si ordina di non lo far più ; per la seconda, cento bastonate ; la terza, impiccati. Il vecchio Serraglio dov’ abita il seraskiere, è buon soggiorno per gli stranieri , dopo 1’ eccidio de’ giannizzeri, Molti francesi vi sono assoldati per istruire le truppe alla disciplina europea. Il nostro autore vide quivi i murizionieri far l’esercizio , vestiti di abiti verdi, con brache azzurre, lar- ghe infino al ginocchio , e giù più serrate, con berretti tondi, molt’alti, di color celeste con galloni gialli. Tutti i reggimenti hanno un colore lor proprio, Un tristo piffero e pochi tamburi sonavano la marsigliese e il ga-irà. Invi- tato. da Kalil, pascià a due code, aiutante del seraschiere, il n. a. entra nel palazzo; dove , rimandate le guardie, Kalil fece molte interrogazioni sui costumi, sugli usi, e 23 spezialinente sulla milizia delle varie. potenze d’ Europa, con una curiosità docile ed ingegnosa. In mezzo a. que- ste discussioni, avendo l’ A. mostrato di preferire il ve- stito orientale all’ Europeo, Kalil fa portare il suo gran- d’ uniforme rosso, ricamato ad oro con gusto, per mostrar- glielo ; lo prova indosso ad un italiano compagno dell’au- tore; sghignazzando a più potere, come farebbe un ridente d’ Europa. “ Vidi, così l’a., vidi nell’uscire una piccola tomba nel bel mezzo della corte, che sovente impedisce gli esercizii militari ; trovata quivi per caso, quando fu spianata la piazza. Ma toccarla non s’osò: tanto rispetto delle tombe è ne’ turchi. In questa corte stessa perirono trucidati mi- gliaia di giannizzeri , e i lor cadaveri gettati nel mare : e un’ oscura pietra sepolcrale è rispettata religiosamente dai barbari autori di tante stragi ! ) Da una signora che potè entrare nell’ harem con una delle ambasciatrici di Francia, il n. a. ha raccolte le se- guenti notizie. Le concubine del gran-Signore , chiamate odalische ,, vivono in comune in grandi stanze, sorvegliate dalle cadun, le quali son sorvegliate anch’ esse da un’ ispettrice generale, chiamata cadun hiaia. Lavoran d’ ago; danzano, cantano : vestono splendidissimo e senza rispar- mio ; calzoni di seta larghissimi, veste con lunghe mani. che, caffettano che assetta di rilievo alla vita, cinto leg- gero di casimir sopra a’ fianchi , testa coperta di veli, o di piccoli turbanti schiacciati con bel ricamo : capelli ondeg- gianti, Le più belle sono addette alla regina-madre, che ha molta autorità nel serraglio; e tra coteste il sultano sce- glie le sue favorite. Le concubine che gli danno un figlio, diventan cadine ; passano ad abitare da sè , entrano dal Sultano a loro piacere : non così le madri di femmina, .La porta che mette al primo cortile del serraglio, ha delle nicchie, dove si veggono d’ ordinario esposti sacchi d’orecchie o di teste. In questo cortile è la zecca , il di- vano del visir ,, l’ arsenale d’armi antiche : nel secondo, le seuderie , le cucine del Sultano. La porta detta della sa- 24 lute, mette alla sala del trono , a’ giardini , alla biblio- teca, all’ harem, a’ bagni, al tesoro. Non v’entrano Franchi. Disturbato dalle sassate d’ alcuni ragazzacci turchi, il n. Viaggiatore lascia il grande acquedotto; e lungo le mura del serraglio , passsa dinanzi alla famosa Porta da: cui si denomina l’ impero , oltre alla quale sono i vasti edifizii del gran-visir, dove un’ infinità d’impiegati stanno spacciando gli affari interoi e gli esteri dell’ impero. A questa Porta i grandi ricevono l’ annunzio della loro di- sgrazia. Quando il Sultano vuole disfarsene, e’ si mette nel suo Kiosk di faccia, e ordina ‘a’ satelliti di stringere il fa- tal cordone. Cimitero. == Torre di Galata. — Tombe degli Armeni. Da Galata, emporio di merci europee, passa l'A. al cimitero ‘vicino. 1 cimiteri de’ Turchi son posti o lungo una strada , o in vetta ad un colle ; e paiono giardini di tigli, di platani, di cipressi. Questo di Galata è il meno riguardevole:; ve ne ha parecchi altri. La legge vieta di di- sturbare le ceneri de’ credenti : un cimitero dunque non può mai più essere destinato ad altr’ uso. Son queste le passeggiate predilette de’ pii mussulmani. Le tombe sono coperte di terra , un po’ rialzate, per non le calcare in passando: altre non hanno che una pietra col nome ; altre, due zoccoli di pietra, ovali, alle due estremità : quelle di persone distinte. portano sullo zoccolo piantato dalla parte del capo un turbante di marmo, la cui forma indica la condizione del morto. Gli zoccoli de’ sepoleri di donna, fi- niscono in punta, Havvene de’ scolpiti con arte, a incavo o in rilievo , che rappresentano o fiori o rabeschi : havyene dipinti o derati. I turchi hanno l’arte di dipingere la pietra a colori vivi, e durevoli . Bello è il disordine di queste tombe sparse alla rinfusa tra ’l folto degli alberi : imagine di soave melanconia. Gli ‘epitaffi portano il nome , la con- dizione , il dì della morte : taluno ha de’ versi: esprimenti le miserie di questa vita e le gioie della vita avvenire. Tutti 25 i cadaveri sono adagiati col viso rivolto alla Mecca , dove Maometto verrà nel dì del giudizio a convocarli. I turchi credono che appena sepolto il corpo, vengano Mukir e Ne- kir, angeli neri, 1’ uno armato di martello , l altro d’ ar- pione, e facciano render conto all’anima d’ogni suo atto; poi dieno luogo agli angeli bianchi , perpetui custodi alla tomba. Se il conto non torna, Nekir con una martellata caccia il morto a più tese sotterra — “Intanto che noi era- vamo al cimitero , sopraggiunge portata da sei mussulma- ni, una bara di legno bianco, coperta di drappo, con sopra un turbante ; e dietrole quanti turchi s' erano ab- battuti fra via : tale è l’ uso. Bisbigliavano una preghie- ra: videro posare la bara nella fossa , e coprirla di terca : e sì partirono — Noi vedevamo accanto alle tombe, de’gruppi d’nomini sedere in conversazione, e fuinare ; altri lì presso inginocchioni pregando ,,. Salito alla torre di Galata, uno de’ più bei punti di vista che sieno nel mondo , il nostro Viaggiatore si’ vede al di sotto Galata e Pera spiegarsi fra mezzo a’ lunghi viali de’ cimiteri j a manca , il Bosforo fino alla torre de’ Gian- nizzeri, co’ suoi monti, le selve ,' i villaggi ridentî , le valli beate; dinanzi, Scutari, il mar di Marmora con le sue isole, la costa d’Asia in mezzo a un cupo azzurro , e al disopra le nevose vette dell’ Olimpo ; a destra , 1’ imbocca- tura del Bosforo nel mare di Marmora, il porto di Costan- tinopoli cogl’ innumerabili suoi bastimenti, erlato da piante antichissime ; di dietro, una parte della città co’ suvi fitti edifizii, con le magnifiche moschee , e la valle delle do/ci acque, dond’ esce un fiume che sbocca nel porto. Ritornando da Galata per sei o sette colline ignude, senza pure ombra d’ albero , il nostro viaggiatore ripensa a ciò che potrebbero divenir questi Inoghi se l’arte mettesse a profitto i doni larghissimi della natura. Passa dal villaggio di S. Demetrio, dove s1 son ritirate parecchie famiglie fanariote, e si danno (dice l’A. ma sulla fede de’turchi) ad una vergo- gnosa mollezza. Quivi presso è la caserma dell’infanteria d’ar: tiglieri, copia delle Tuileries , portata da Ibrahim Effendi; T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 4 26 onde dapprincipio i turchi mormotavano che si volessero imitare i soggiorni d' un infedele , ma ora se ne gloriano, come se questa imitazione meschina fosse molto al disopra dell’ originale di Francia. Nel.cimitero vicino son tutte le tombe degli Armeni, a modo di piccoli altari; e. coloro che perirono di morte violenta , sono rappresentati sulla tomba nell’ atto d’ essere o decapitati o impiccati, Questa che altrove sarebbe infamia, è quì segno. onorevole che. il defunto ha avuta parte ne’ pubblici affari. Ritratto di Mahmud. == Dervisci che.girano in tondo. Tl n, a. vide il Sultano, nell’atto che questi andava alla solita sua preghiera. Era vestito d’ un caffettano co- lor di viola , semplicissimo : senz’altro ornamento .che un pennino di be’ diamanti. Bella figura ; pallido ; barba. fol- ta, d’un nero lucente ; nerissimi gli occhi, ma spirano un non so che di freddo e di ributtante; l’intero della fisio- nomia maestoso. Mezzana statura ; grassoccio. Il suo navi- cello è dipinto di bianco , con fregi azzurri e d’oro, magni- fici, con punta dorata: v’entra seco, tra. gli altri, il Kislar-Agà , capo dell’harem , creatura di molta autorità negli affari ; spaventosissima creatura! L'equipaggio, le guardie , tutto, magnifico. — Entrato il Sultano nella pie- cola moschea , (molti de’ credenti stavano al di fuori a pre. gare .sopra tappeti ‘distesi per terra), unimano cantava di tempo in tempo dall’ alto «del minaretto , e al suono, di quella voce malinconica, la folla si alzava, si prostrava,, toccava con la fronte il suolo con sommo raccoglimento, con gran dignità; da far vergogna a’ cristiani. — Riguardan- do per le porte aperte al di dentro della moschea , il n. a. non vide altro ornamento che alcune stuoie distese; e sulle, mura, tavole con sopra iscrizioni del Corano. Mezz’ora durò la preghiera. Di là passa il Viaggiatore a vedere una funzione di der- visci giranti (tourneurs). Questa si celebra in uoa sala, a cui presso è un cimitero, dov’ è sepolto il co. di Bonne- val, che lasciata la Francia , messosi al servigio dell’Au- sd stria, per dissensioni avute col celebre Eugenio di Savoia; rinnegò la sua religione, divenne p ] ià a tre code col nome d’Achmiet ; e sebbene abbia resi alla Porta de’grandi servigi, non ne acquistò mai la stima. — Ammesso il n, A. alla sala de’dervisci; con molta altra gente, si acquattarono tutti so- pra stuoie assai nette che coprono il pavimento, e videro i dervisci entrare a piè nudi , con berretti di castoro gri» gio in capo, con lunghi manti di vario colore . Entrati tutti, e posatisi ciaséeuno a una ‘colonna della sala , il lor capo recita a voce monotona, delle lunghe preghiere : e frattanto , ‘tutti immobili come statue. Poi una voce no- fia, stridula , balzellante canta un cert’inno,, e a certi puoti i dervisci dar tutti della fronte in terra ; segue una musica strumentale, singolarissima, non senza ar- monia, ma par ch’esca da strumenti a fiato , rotti, è quasi fossero senza voce. Un tamburino batte il tempo : e allora i dervisci s’ alzano , e girano intorno a lento passo, facendo due inchini al posto dove sta il loro capo, e uno alla porta. Così per un quarto d’ ora : quindi la voce dei dervisci della galleria ( chè altri sono in galleria ed altri in sala) s’ unisce a quella degli strumenti ; la musica s’af- fretta e rinforza con un crescendo continuo. Tutti quei della sala, tranne il capo e due altri, lasciano cadere il manto, e restano in un abito bianco, larghissimo, a grandi pieghe , legato a’fianchi, e un soprabito corto con mani- che lunghe. Stese le braccia, cominciano a girare in ton- ‘do, dapprima adagio, poi con lestezza incredibile ; facendo gonfiare il lor abito a forma di ruota. Eran molti, e in angusto spazio ; pur non si toccavano mai. In questo dup- pio movimento di progressione e di rotazione, il corpo ri- mane immobile, come macchina spinta da una forza ester- na : la testa alta, e un po’ indietro » il tutto con destrezza e con grazia. ‘I° superiore sta sempre al suo posto 5 un di loro ; che ha ritenuto addosso il manto, gira lentamente tutt’ intorno della sala : la masica di quando in quando resta, e allora si ferman tutti , si inginocchiano «con le mani incrocicchiate sul petto ; poi tornano a giraré in ton- do. La scena durò per due ore ; e finì con alenne preghiere è 28 dette a mezza voce. Il raccoglimento de’ dervisci,, le Inn= ghe lor barbe, la grazia de’ movimenti, toglieva alla fun- zione gran parte del suo ridicolo. Altri li credono persone contemplative , altri li tenguno per ciarlatani. Nella gente adunata io osservai più curiosità che rispetto. — I dervisci urlanti , che tenevano le loro adunanze a Costantinopoli, e che potevano assomigliarsi a’ ciarlatani d’lndia , sono stati soppressi, Uscito di lì, passando dal palazzo di Dalmabatsche, il nostro viaggiatore fu sorpreso dalla pioggia :. e perchè presso a’ luoghi dov’ abita il Gran-Signore è vietato spie- gare un "metodo » gli fu forza ongalfiagii per infino al- Je ossa. | Bagni turchi — Barbieri — Estasi de’ mangiatori d° oppio — Ospedali - Scuole = Biblioteche — Cappelle — Kan. Il giorno seguente e’ va al bagno. Costume antico; ritenuto da’Tnrchi, che fecero costruire molti bagni nuovi. Oggidì ve n’ha 150. Gli uomini vi vanno per tempo ; poi sole le donne. Quest’ adunanza d’ uomini, quasi nudi, e che nell’ atto di farsi insaponare e profumare , discorrono insieme con gravità , mi parve una singolarissima cosa. E qui ho conosciuto quanto doni alle forme l’abito turco, Uomini che, ignudi, mi pareano non aver nulla di sin- golare, vestiti mi eran comparsi sì belli e sì maestosi. Questi bagni son molto salubri ; ma nocciono alla bellezza delle donne , che vi passano le giornate intere a cantare, ballare, ciarlare , prendere de’ rinfreschi. I ricchi hanno i lor bagni privati, costrutti con lusso , bene intuonacati , e riscaldati per via di tubi che girano da ogni banda. Di là. passa il Viaggiatore in una bottega di barbiere, che con molta destrezza rade la testa .con un, rasoio quasi due volte più lungo, e largo quanto i nostri,, sottile, e d’ottima tempra. Rasa la testa, il barbiere monda le unghie, ripulisce le orecchie ; fa scricchiolare le dita, lava il capo, lo asciuga, porta la pipa.e il caffè, Ma prima della pipa presenta uno specchio tondo con manico molto elegante, “ 29 contornato di ricami d’oro, o di perle, o simili fregi. Ì barbieri, anco in Turchia, hanno il monopolio delle ciance, e delle storiette piacevoli. Le moschee di Costantinopoli o sono antiche chiese cristiane, o sono imitazioni meschine di S. Soha, con di più i minaretti. Si distinguono le moschee imperiali dalle ordinarie : le prime non sono che nelle grandi città , e la capitale ne ha. quindici', molto belle. Le altre, fondate dai visiri o da’ pascià, saranno 250. — Havvi poi le mes- diidi , cappelle pubbliche, — Le moschee quasi tutte pos- seggon de’ beni , altri venenti dalla divisione delle terre conquistate , divisione fatta tra il principe, le moschee , _e l’esercito ; altre da sostituzioriît, o da beni di chi morì senza erede, . ‘ Vicino alla moschea Solimania, è una bottega om- breggiata da pochi alberi, con davanti un largo divano : quivi io vidi adunarsi uomini pallidi , con occhi incavati, col passo mal fermo , a pigliare le pillole d’oppio che gli venivano presentate con un bicchier d’ acqua. Di lì a po- co, li vidi animarsi , gestire, fare visacci; poi cadere in un estasi di contentezza e di gioia. E così si partirono. Tale , dicono, è l’effetto dell'oppio; ma chi ne fa uso non passa i quarant’ anni. Il gusto però ne viene scemando. E l’oppio, non men che il tabacco, è interdetto al sultano. ,, Presso alle moschee sorgono edifizii di pubblica utilità, ospedali , collegi , biblioteche , cappelle sepolcrali pe’ prin- cipi. Tre moschee hanno ospedali pe’ pazzi maschi; e due per le femmine. Ma gli stabilimenti delle moschee non sono aperti che a’ Turchi, e dietro un permesso del Sul- tano ; havvene degli altri anco per gl’ infedeli. 1 mussul- mani riguardano la pazzia come una grazia del cielo , e i pazzi come persone sante, sciolte da’ vincoli della terra ; però li trattano con gran riverenza. Gli ammalati poi son trattati umanamente , ma non si dà medicine, Ogni ospe- dale ne contiene dugento o 250, |’. Le scuole pubbliche sono state fondate tutte da’sultani insieme con le attigue moschee, per insegnarvi lingue orientali , letteratura, arte poetica, giurisprudenza ( ado- 30 pro vocaboli scelti ) : il governo stipendia i maestri. Nori si può essere nè legale nè prete senz’ aver fatto i suoi studi. La Solimania ha le scuole migliori. Havvi poi le. scuole più basse pe’ poveri ; dove s’ insegna la religione, gli elementi della ‘lingua turca, e leggere e scrivere. Vi abitano e vi son mantenuti i più bisognosi fino ad un certo numero, — Nelle biblioteche il n. A. non è potuto penetrare; ma v'è, dice, persone che vi fan delle indagini. Se ne contano tredici; quella del serraglio è la prima : havve- ne poi di private, forse ricchissime. I Turchi vi permetton l’accesso ; ma vedere i libri non lasciano per timore che vi si faccia qualche scoperta da mettere a terra l'impero. Le cappelle sepolcrali de’ sultani, per loro e per la loro famiglia, sono sale con molte finestre : e i cata- falchi di principi hanno dalla parte del capo un tur- bante , Molte lampane v? ardon sospese. C’ è i suoi sagre- stani: e dieci o dodici vecchi vi vengono ogni mattina a pregare. I Kan di Costantinopoli sono grandi edifizi quadra-. ti, dove si alloggiano. per. piccolissima spesa i viaggia tori che non hanno nè parenti nè amici. Quello vicino al vecchio serraglio , è il più bello. Colazione turca — Greci pazzi — Festa del Kurbam Beiram. Volendo il nostro Viaggiatore fare una gita all’ isole del mare di Marmora , andò di buon mattino alla can- celleria turca nel quartiere di Galata, per cercarvi un tesckéré, passaporto. Sale la scala, e in un’anticamera lastricata di marmo , ma molto sudicia , trova accovaccio- late quindici o venti persone intorno a un torido di stagno posato sopra uno sgabello , intinger le dita in un piatto di pesci, Gli effendi della cancelleria facevano anch’ essi nell’ altra stanza la lor colazione , accovacciolati al mede- simo modo, Lavatisi con sapone in una catinella , si fecero portare de’ polli, che un di loro trinciò con le mani assai destramente: senza forchette, nè piattelli, nè cucchiai, nè coltelli, tutti posero le mani nel piatto di mezzo , e i dl presero un pezzo. Poi venne un agnello: ciascuno ne strap- pò da sè una parte con maestria. chirurgica , badando di non toccare la parte attaccata dal vicino. Venne infine un pasticcio , e fu mangiato alla medesima guisa. Rilevatisi , si posarono sul divano : si fecero portare de’ cetriuoli crudi per rinfrescarsi la bocca ; il caffe , le pipe : finalmente degli schiavi posarono loro sulle ginocchia i registri. “ In un fogliolino simile alle nostre carte da gioco fu scritto in un baleno il mio passaporto. ,, Entrato nella moschea di Scutari , ( 1’ antica Crisopoli, città che sorge a forma d’ anfiteatro lungo l’imboccatura del Bosforo) è” vi trova un tempio semplicissimo, sostenuto da colonne, co’ passi del Corano incisi sopra tavolette di legno, con un elevato pulpito di forma quadrata. Le scale che mettono a’ minaretti, sono strette e rozze : ma egli non ha potuto impetrar di salirvi. Le isole de’Principi, sono montagne elevate che spun- ‘ tano quasi a perpendicolo dall’accue; quasi per intero aride e sassose: quella di Prinkipo ha moltissimi monasteri greci. Un di questi, di S. Niccolò, serve di caserma agli scolari della banda militare, che il n. Viaggiatore ha sentita. Quin- dici o venti clarinetti screpolati, altrettanti flauti e vboé, tutti stonati e stonanti, poi timballi, e tamburi, da as- sordare il tuono, e che per buona sorte coprivano quella diabolica sinfonia. Eppure que’bravi sonatori parevano esta- tici della loro maestria : soffiavano e picchiavano a più non posso: e gli si facevan sentire mezza lega lontano. In un povero convento di que:t?isola si rifugiano i Greci privati dell’ uso della ragione o poveri, ‘ Io v’ho trovato un vecchio della famiglia Ipsilanti; e accanto a lui una giovine greca di singolare bellezza, vittima d’un amore infelice ,, — Queste isole non sono abitate che da monaci, da pescatori, e da qualche famiglia di Pera, che visi ritira quando la peste comincia a desolar la città; e vivono insieme in buona concordia e franca allegria. Lungo sarebbe riferire ciò che il nostro. Viaggiatore rac- conta della bellezza di quella incantata natura, e de’sin- ‘golati costumi d’ un popolo, che può fornirci in. parte 3a l’idea di quel ch'era l’ Europa più secoli innanzi. Ci fermeremo alla festa del Kurbam-Beiramj; a veder la quale l'A. si porta all’ Atmeidan con due servitori turchi » che tengono le veci de’ giamnizzeri per difendere il forestiero dagl’ insulti della plebe. Allo spuntar del sole , il Sultano usci del palazzo: lo precedevano gli agà del serraglio con un turbante bianco altissimo, vestiti di bianco, sopra be' cavalli, guarniti d’arnesi dorati: De’ valletti a piedi venivan dietro; poi i cuochi del Sultano, mal vestiti, con abiti rossi, e in capo de’berrettini stretti , a ‘cono, al- tissimi. Lo stesso abito avevano i bostangi , i giardinieri ; senuonchè il berretto più informe. Seguito a’ cuochi e a’ giardinieri, i ministri, con caffettani color d’ amaranto guarniti di fodere preziose. Tra questi era il reis-effendi, il ministro degli affari esteri, uomo di fresca età. Costoro eran tutti a cavallo; poi veniva una turba di domestici , con cavalli a mano , riccamente bardati. Quindi i pascià a tre code, col loro turbante a cono, guarnito di larga striscia d’oro , col caffettano di raso verde, con la pelliccia di martora. Primo il capitan:pascià, come il minore di grado ; poi l’antico seraskiere , Hussein-Pascià, il distruttor de’ giannizzeri ; il seraskiere attuale, vecchio con barba bianca, principale autore delle riforme recenti dell’armata: quindi, in mezzo a una folla d’ uffiziali, di domestici, di cavalli a mano, il gran-visir, vestito di raso bianco. Una gran moltitudine di paggi , e la guardia del Sultano in abito di seta verde, con ricchi ricami in oro, con elmi dorati e gran pennacchi verdi e bianchi, sul gusto, dice- si, delle guardie imperiali del basso impero, ‘precedeva sua Altezza , sedente sopra un bel cavallo coperto di pietre preziose, semplicemente vestito , e circondato da schiavi e da cavalli, sulle cui selle spiendevano scudi d’ oro la- vorato, con gemme. Ultimi venivano i portaturbanti, e i portatori di sgabelli d’oro e d’argento. — La seconda parte del corteggio incominciava dal protospatario in'abito di mammelucco , con un altro protospatario dietro; infe- riore di grado, Poi il Kislar agà, al quale gli assistenti facevano un inchino profondo come al Sultano : poi il se- 33 condo degli eunuchi neri con turbante da pascià a tre code, e con altri due eunuchi , vestiti di raso verde con fodera bruna ; poi gli eunuchì bianchi, vestiti di seta color d’ama- ranto; in ultimo servi, cavalli, uffiziali inferiori, e giar- dinieri., e cuochi. A questa processione, la più pomposa di Costantinopoli, assistevano spettatrici sole cinquanta o ses- santa persone, Debbo notare però che la magnificenza, tanto ‘decantata, del lusso orientale, è quì mera fantasia; giacchè, «in mezzo a molta ricchezza d’ ornamenti e bellezza di ca- valli, oltre al mancare un, bell’ intero, si notano disar- monie, dlisgustose. Aliato ad un bello stallone arabo voi ve- dete strascinarsi un ronzino slombato ; allato ad un gran signore, un servo con abiti rattoppati ; allato ad. una ric- chissima bardatura, una briglia di cuvio, una gualdrappa a brandelli. Garattere Turco == Costumi «== Coltura == Armeni == Ebrei. Il sangue Turco è bellissimo : quelle membra, non istrozzate da vestiti incomodi, si sviluppano nel lor pieno vigore. Occhi neri ed ardenti , neri capelli, be’denti ; color bruno come gli Spagnuoli, lineamenti grandi ed armonici, fisionomia maschia e fiera ; ingegno pronto, immaginazione, memoria. Voluttuoso , divoto , cerimonioso, posato ; impru- dente però, e pronto a gettare in un giorno quant’ha guada- gnato; capace di generosità, collerico, vendicativo; pieghevo- le all’adulazione , accessibile alla lusinga. La religione ed il clima s unirono a formare il carattere mussulmano, un misto di ardenza e di fredda apatia. Il disdegno loro verso ogni cosa straniera , utile finchè si trattava di fondare l’ impero, oggidì è suggel di barbarie. I soldati, oziosi , insorgevano ad ogni tratto contro l’ interno potere; onde diventò poi necessaria la catastrofe che ognun sa. «Quì la nobiltà della stirpe è nulla: tutto lo splen- dore viene dalla confidenza che ne’suoi sudditi ripone il Sultano, il quale è considerato come unica fonte di di- gnità e di ricchezza, e naturale erede de' ricchi, E spes- so egli affrettò il godimento de’ suoi diritti col mezzo co- T. XXXVI. Novembre e Dicembre 5 34 modissimo del cordone. — Tutto arbitrario , tutto incerto. qual maraviglia che questo stato di cose , e di più la'cre- denza nel Fstalisnto; riuscissero a rendere ît Turco; inerte, noncurante dell’ avvenire ; tatto dato ai piaceri fuggevoli del presente. Quindi quello stato d’ immobilità in tutti co- loro che non hanno occupazioni pressanti, 11 più della gior- nata in un caffè, taciturni, intesi a centellare la lor diletta bevanda , a fumare le lor pipe, senz’ occuparsi di nulla, senza voler pur pensare a nulla, stanno passando e ripas- sando i chicchi d’una specie di corona d’ambra, o di noccioli d’ oliva , o d’ aloè , che tengon sempre fra mani. « Mi ha fatto ira più volte ripassare da un luogo ch”io ‘avea visitato tre o quattr’ ore prima, e trovarvi le stesse figure, lì dure dure come ‘ve le aveva lasciate. A noi la loro flem- ma fa ira; e a loro la nostra instabilità move riso. Quel girare qua e là che noi facciam senza scopo, pare ad essi pazzia : costoro , dicono , sciupan il tempo ; noi ne godia- mo ogni sorso. — Questo stesso però serve a smentire l’ opi- nione che noi, confondendo il governo co’ privati , ci fac- ciamo de’ Turchi, come di gente truce e spietata. Sono è vero, (la pittura che quì ne fa il n. A., è alquanto abbellita, ma in parte vera) sono portati al furore e alla vendetta; ma de’costumi son dolci e tranquilli; sentono con forza le idee del giusto e dell’ingiusto: e n'è prova la bontà con cui trattano i loro schiavi. I difetti poi sono compensati da virtà troppo rare fra uomini più civili.La parola tengono sa- cra; violarla per.essi è delitto: l’ospitalità è religione antichis. sima.I mali sono dal Turco sofferti con rara costanza: Non è vero , a quel ch'io posso dirne , ch’ essi amino poco i lor figliuoli; e Je donne specialmente tanto più avrebbero a esserne tenere, che ad essi debbono l’amor del marito, e il conto in che son tenute nella famiglia. Fino alla pubertà, i figlinoli non lascian Je madri:i ricchi sovente sono affidati ad eunuchi, i poveri vanno alla scuola. Le donne vivono a se; si visitano fra loro, e le visite duran anco più giorni. Nell’ entrare lasciano le ‘loro pianelle alla porta dell’ ha- rem ; nè il padrone di casa vi potrebbe por piede senza violare l’ ospitalità e la decenza. 35 1 mobili delle case sono tappeti , divani, e cuscini; non tavolini, non seggiole, La splendidezza è tutta ne’ ve- stiti, e nell’ argenterie lavorate. Molti servi, e cavalli, e bardature preziose , e gemme, e arme di lusso. Gli appar- tamenti dov’ entra il forestiero, son semplicissimi ; quelli dell’ harem, a quanto si dice, > nigi — 1 Turchi son sobri; mangiano meno degli Europei, e più semplice: carne, uccelli arrosto o lessi , pesce, riso, Tre pasti al giorno. Amano molto il caffè ed i confetti, e li preparano con gran diligeuza. La bassa gente. mangia il più nelle cucine pubbliche :: i ricchi l’ hanno da se, e invitano quanti sopraggiungano prima che sia cominciato il mangiare. — L'arco e il gerid sono gli esercizii. usitati » frecciatori mirabili, cavallerizzi valenti; +maneggian la sciabola con una destrezza lor propria. Giocano a scacchi , al trictrac, e al mangala. 1 Turchi amano la scienza , ma non ne cercan ’acqui- sto, sebbene d’ apprensiva sien facili. I sultani studia- no il Corano , gli autori arabi , persiani , e turchi. Amano la poesia : di scoperte scientifiche, nessuna idea. Più in là di Maometto, non sanno la loro storia. D’ architettura non sono affatto digiuni; di pittura; di scultura , nulla ; non prospettiva, non disegno, non chiaroscuro. 1 loro rabeschi però sono dipinti e scolpiti con raro gusto. Hanno colori che durano vivissimi anco alle intemperie dell’ aria. 1 lavori di mano li lasciano alle nazioni lor suddite : pure son abili a lavorare in legno, in metallo ; e in varii mestieri riescono ad eccellenza. I gioiellieri, i lavoratori in filigrana, i ricamatori, gli armaiuoli, i fab- bricatori di marrocchino , e di colori diversi , i barbieri, i crivellatori di grano, erercitano le arti loro con singo- lare destrezza. Le sete e le tappezzerie son famose. In Turchia, e specialmente in Costantinopoli, gli Ar- meni sono i più ricchi : si danno al commercio , viaggiano, compongono il più delle caravane, ed hanno quasi tutto il traffico della Persia e dell’Indie, Ma timidi come sono, non s'avventurano a ‘viaggi di mare. Gli Ebrei fanno ogni sorta di mestiere ; artigiani, viaggiatori , negozianti, usurai; 36 son gli agenti generali del Levante; hanno parte necessaria in tutti quanti gli affari. Avviliti nelle case altrui, sfog- gian lusso nella propria : fuori, vigliaechi; vani e magnifici in casa. Si conosce quanto sien facili a violare la data fede, eppure non si sa fare senz’essi. Tutte queste varie razze conservano costumi, lingua, maniere , abiti propri. Brussa = Tribù Nomade — Il Gerid — Smirne. » Lasciata Costantinopoli, e indirizzatosi verso Brussa, il nostro Viaggiatore rincontra il cortegzio di un pascià esi» liato, che se n’ andava con le sue donne , co’ servi, è co’ cavalli. i A Brussa, postosi a disegnare, una folla di curiosi lo accerchia, non già per dargli noia, anzi collocandosi in maniera da fargli ombra. Finito il disegno, ne fecero le gran meraviglie, e gli dimandarono s' e’ potesse vedere altresì tutto quello che si opera dentro delle case e de’luo- ghi da lui disegnati. Nel castello di Brussa, è un gran giardino , di pro- prietà della sorella di Mahmud. Lì presso è sepolto il sultano Orcano con ventidue delle sue mogli e figliuoli ; e si racconta ch’ e’vi viene tutti i venerdì a sonare il tamburo e a far la preghiera. NT: pa Brussa ha 80,000 anime: fabbrica la seta indigena , ch’ è la più stimata dell’ Oriente: e i disegni delle stoffe son ricchi e leggeri. Salito al monte Olimpo , a una certa altezza il n. A. ritrova alcuni Ebrei spagnuoli, discesi da quelli che, scaccia- ti tre secoli fa, vennero a stabilirsi in Bitinia.— Quivi passa la state una tribù nomade di Turcomanni, detta de’Yurek, viventi in capanne coperte di schiavine, dove non si può star che seduti. E’ son maomettani; ma pagano il testatico, come i raia. Le donne non vanno velate. Gente. pacifica e buona , che il n. A. fece maravigliar co’ suoi guanti , e fece esultare di gioia , donandoglieli. Continua egli il suo viaggio verso i Dardanelli: dove tro- va un convento di Dervisci, soppresso da Mahmud.— Presso 37 a Tenedo , gli si offre da ammirare l’ esercizio del gerid , da noi rammentato più ‘sopra ; graziossimo esercizio che pare inconciliabile con la flemma de’ Turchi. De* giovani a cavallo , correndo in Jarghi giri con tale rapidità che . l’occhio può appena seguirli , armati del gerid , bastone diritto , leggero, puntato , lungo quattro o cinque piedi, ritti sulle staffe, inclinati sul dinanzi, se lo lanciano 1’ un contro l’ altro ; e già pare inevitabile il colpo , quando l’inseguito o ferma di botto il corso precipitoso del cavallo , o lo svia con mirabile agilità : ma il bastone che sta già per infiggersi colla punta nel suolo, è raggiunto dal cavaliere che l’aveva lanciato, e che lo afferra pel pomo. Un'ora stette il Viaggiatore ad ammirare la leggiadra de- strezza di questo singolare esercizio. A Tenedo , egli alloggia in casa dell’ agente conso- lare inglese, d'origine levantino; la cui figlia nell’ età d’anni dodici e un mese, era già maritata, ed incinta, — A Smirne egli trova il romoroso movimento di Costantinopoli, ma un aspetto di città europea, più che in altra città del Levante. — Smirne commercia principalmente con l’Inghil- terra e con l’ America; ma è decaduta dî molto. Della greca sua magnificenza , neppur vestigio ; non le vie larghe or- nate di begli archi, non il tempio di Marte, la bibliote- ca , il ginnasio, il circo, il teatro. Ricevato cortesissima- mente dall'ammiraglio de Rigny, il nostro autore, intanto che si presenti occasione di partir per l'Egitto, si dà a visitare i luoghi vicini.» Scio. == Tine = Miconi == Delo «== Ta550, == Paro, == Greta, Sciv, quella città già sì ricca anni sono, non è che rottami. Le ruine del tempo spirano soave tristezza ; quelle della guerra e della ‘vendetta, dispetto ed orro- re. Gli sciotti erano i più timidi e i più effemminati tra’ greci: dapprima, come ognun sa, rifiutarono di \asso- ciarsi all’ insurrezione de’ lor confratelli; ma poi tentati da alcuni bastimenti di Samo, assaltano la cittadella, e neci- dono la guarnigione: sopraggiungono i Turchi; i Samii 38 vilmente fuggono; due giorni dura la strage : l’isola tutta è un deserto. I pochi avanzati si riunirono. sulle. rovine della lor patria; ma miseri e desolati.. Valli deliziose, col- line coperte di vigne, d’ aranci , di mori, di quercie : donne leggiadrissime, ma goffamente vestite; con gon-. nelluece corte, che non offendono però la decenza , per- ché le donne in tutto l’ Arcipelago soglion portare i cal- zoni. I lentischi dell’ isola fanno una resina, che si vende caro., e che le donne in Oriente mastican di continuo per conservarsi un buon fiato. Di questo mastice il Sultano ne vuole un tributo : prima che a lui sia soddisfatto, non se ne può vendere nn° oncia. Si fa per tutto l’ Oriente com- mercio della cera, del vino, delle frutte, e particolarmente delle arance e de’ fichi di Scio : la seta n’ era molto sti- mata: le donne ne facevano de’ricami ; e sedute alla porta delle lor case , li ‘offrivano agli stranieri , parlando a cia- scheduno la lingua sua propria. — JI sito, consacrato ad Omero , che si patto di Smirne s è per la sua bellezza ben degno del poeta pittore. Tine , isola dell’ Arcipelago , commercia di seta ; la- voro delle sue donne, più belle ancora che quelle di Scio. — L’ isola di Miconi, abbonda ancora, come anticamente , di pernici e di quaglie. — Delo , la più ricca già dell’Ar- cipelago , ora è misera e ignuda : havvi de’ rottami d'an- tico, 0 adoprati in edifizii nuovi, o guasti dal mare. — Nasso , la più grande delle Cicladi, e la più ricca, conta molte famiglie genovesi, veneziane , francesi , spagnuole, stabilitevisi dal tempo delle crociate , e che conservano un non so che di colto e polito costume. A Nasso , i gesuiti avevano fondato un collegio. Governano 1’ isola magistrati , eletti dal popolo : i turchi ne son sovrani , ma non v' abitano. Valli irrigue , fruttifere : boschetti di. mori e .d’ olivi; gregge ed armenti. Il vino eccellente, ram- menta ancora che Nasso era un dì sacra a Bacco. I marmi di Paro non si cavan più. Vi si trovano dap- pertutto antichi bellissimi; come a Milo. Nel bel porto di Naussa , i russi si erano annidati al tempo della lor guerra con la Porta nel secolo scorso ; e gli Albanesi, ausiliarii 39 de’ russi tràttarono i Parii con tal'cradeltà da far loro de- siderare la tirannide mussulmana; In molte di quest’isole , il n. a. non ‘trova le naturali bellezze, tanto dagli antichi vantate. Ci sia lecito però' l’av- vertire ch’egli non le ha visitate che idi fuga, e con l’animo forse un po’prevenuto contro i poveri greci. Se ciò non fosse, egli avrebbe trovato nell’Arcipelago materia a lettere più amene ancora che quelle date da Costantinopoli; vavrebbéè tato ‘i germi di civiltà che si vengono nella Grecia svol- gendo , ma ch’ egli, in una scorsa sì rapida, non ha po- tuto osservare, ; — Dopo avere additato, sulle isole Kammene , una bella relazione dell’ ultimo loro accrescimento prodotto da eru- zione vulcanica , relazione che l’ A. n. riporta in nota ; salteremo tutte le altre isole dell’ Arcipelago, per raggiun- gerlo a Creta, che, dopo la Sicilia, è la più grande isola che abbia il Mediterraneo, Terra fertile; popolazione ope- rosa. Posta, com’ell’ è, presso all'Europa , all’ Asia, ed al- l’Affrica, potrebb’essere il centro d’un ricco commercio. — La lebbra qui regna ancora. — Sono notabili in Candia que’ giardini dove l' arte non fa che aiutar la natura , é na- scondersi perchè questa apparisca più bella. La coltura della vigna, del cotone , del moro » Oggidì è un pb” ne- gletta. 11 miele rammenta la favola della cuna di Giove- La lana è il migliore commercio. “3 Aia Garattere greco. == Costumi. Prima di ‘approdare all'Egitto , il n. a, rivolge uno sguardo alla Grecia; e la giudica. Ma per conoscere con qual occhio e’la consideri s basterà citare il periodo ov’es gli si fa a giudicare la. Grecia antica» « En dépounil: s» lant l’histoire grecque du prestige dont l’embellissent à 3» nos yeux de grands traits de courage, des actions ‘héroi- », ques , et un hbeau développement des arts favorisé par >. un heureux climat, les annales de cette contrée famense, »» trop vantée peut-étre, ne nous montrent plus que de 40 33 faibles républiques, divisées par des haines et des jalnu- 3, Sies sans cesse renajissantes ; souvent. une ingratitude 3; Monstrueuse \envers ceux qui avaient le mieux mérité de »» la patrie ; des lésislations dans les quelles l'homme est » sacrifié au citoyen; une perfidie qui avait passé en pro- ss verbe parmi les autres nations ; en un mot, un caractère », moral peu estimable, ,, Ciò premesso, ecco com’ egli giu- dica la Grecia moderna, Nazione versatile , accorta, mentitrice, avida del gua- dagno, amante della novità, della lode; millantatrice + fru- gale , attiva , amica della pace domestica. Divisi da auti- patie locali, da gelosie reciproche , da piccoli odi e ran- cori : intoleranti , crudeli. Imaginazione viva, facondia energica, accompagnata da gesti vivacissimi : proverbii , novelle , metafore ardite * quasi tutti i discorsi conchiusi con un giuramento , per la santa vergine , pei propri oc- chi, per la testa, per l’ anima , pel capo de’ congiunti e de’ figli. Facili a giurare, esigono altresì gli velial giura- menti; e non ci credono. Superstizioni poi, non credibili, Nell’ atto che una donna partorisce , è regola aprire tutto quant’ è chiuso a chiave nella casa: nato il bambino, si accendono delle lampane, gli si dà il nome delle per- sone che son giunte ad età bene avanzata , gli si lega- no attorno de'fili rossi, per guardarlo da disgrazie ; al tu degli spicchi: d’ aglio o de’ talismani, per difenderlo dal mal occhio. Una parola, uno sguardo sono stimati fatali ; per istornarne l’influenza gli si sputa nel viso. Se una das na di parto, nell’ uscire del letto, tocca terra prima d’aver posato il piede sopra uwna spranga di ferro, malattie in casa, e disgrazie. Gli amuleti s° usano anche per le greg- gi, come a’ tempi di Teocrito. Fede a’ sogni, cieca: non poche vecchie vivono dell’interpetrarli. I più allegri sono di pessimo augurio. Il culto , tutto estrinseco , e gretto. Preti e assistenti alle cerimonie, ciarlano tra loro, .rido- no; facendo con tutta sbadataggine gran genuflessioni e gran segni di croce, con un canto monotono, rapido, e tutto nel naso, Preti quasi tutti ignoranti; e sudici : ep- di pure hanno per ispose le più giovani e le più belle. Molto rispetto alle persone sacre ; digiuni moltissimi. Caverne , monti, fontane , foreste, luoghi sacri tuttora, Le case greche somigliano molto alle antiche; e i turchi tengono auch’essi la medesima forma. Una gran sala nel mezzo ; dall’un lato gli uomini, dali’altro le donne. La sera — accendono la lor Jampana, e passano il tempo a ricamare, rac- contandosi delle novelle (paramythia), come le greche anti- chissime. Il modo di scaldarsi in Oriente col porre sotto la ta- vola il fuoco, somiglia all’uso dell’antico treppiede: quindi i frequenti incendii. Tra le donne ha luogo, come in antico, la nutrice, giacchè poche delle benestanti in Grecia allattano, per non appassire la lor bellezza. La nutrice.è la confidente, l'amica, la consigliera di casa. Amano molto di profumare i vestiti:ma vestono disavvenente, Il velo è di antichissimo uso: le turche se ne coprono anco la faccia ; le greche no. Il cin- to, indizio di verginità, che lo sposo scioglieva di sua ma- no nel dì delle nozze, era d’uso anco a’ tempi nostri tra le famiglie del Fanar. Le donne s° imbellettano , e si tin- ; gono in nero le ciglia per far risaltare più gli occhi, Gran- d’uso di fiori; grand’amore del ballo. Si conservan tu:tora balli di antichissima origine: L'uso di non presentarsi a persona rispettabile con le mani scoperte , di versare del vino alla fine del desinare o d’ una cerimonia funebre , ‘a modo di libazione , sono avanzi, d’ antico . La sposa è chiamata anche oggidì ninfa. Il divorzio è permesso, ma ra- rissimo ; e solo nelle città di commercio, } matrimonii so- no stretti dall'amore più che dall’interesse ; esemplare la pietà filiale.— D’arti nessun vestigio, dove pure son sì fre- quenti e sì perfetti i modelli, Ecco in breve il ritratto che fa il n. a. de’ Greci: ri- tratto al certo non abbellito ; e infedele, oserei dire, per la stessa sua material fedeltà. Tutto ciò ch’ egli dice, è vero j ma egli non dice tutto il vero; omette il più im- portante , il bene cioè, che que’mali stessi o nascondono, o fors'anco valsero a conservare. Alcune lettere del Globo, sebbene un po’ parziali pe’ Greci, sono importanti tutta- T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 6 42 via in quanto dicono quello che I° A. n. tace ; e in quanto nella Grecia rigenerata ricercano la vergine impronta del carattere Slavo, (1) A. Z. (1) Questa ricerca nuova e importante ha il suo lato vero; ma richiede più seria disamina. Le migrazioni epirotiche non infusero nel sangue greco un germe slavo novello, ma rinnovellarono quel germe slavo antichissimo, che sotto il clima più mite della Grecia , apparì sì diverso dalla tracia sua origine. I Greci, al mio credere, erano slavi prima d'essere greci, e la forza no- vella che ‘venne al loro carattere dalla nuova immissione del sangue slavo , è dovuta alla differenza dei costumi che la famiglia epirotica allontanavano dalla degenerazione del basso 1mpero ; e al clima , mezzano tra l’ orientale mollezza e la nordica rigidità. Del resto basta rammentare che dall’Epiro venivano quei Pelasgi, i quali costrussero il gran muro d’Atene, di cui Gallimaco ed altri. è Saggio Storico critico della Commedia Italiana , del prof. F. SaLrr coll epigrafe oraziana: Haec placuit semper, decies repetita placebit. — Parigi presso Baudry, 1829. | Per quanto tutti gl’ italiani che , o per elezione o per forza fuggendo 1° inclemen:a della fortuna cercarono altro cielo più benigno rifugiandosi in Francia o in Inghilterra , abbiano posto e pongano ogni cura in onorare la patria loro con produrre opere d’ ingegno; a me pare che il prof. Salfi non solo non sia secondo a verun’ altro suo concitta- dino nel sostenere il decoro della nostra letteratura; ma che, non tenendosi contento ad ottenere questo fine co’pro- pri lavori letterari, procuri eziandio di rendersi benemerito a noì tutti, adoperandosi a far conoscere i lavori de’ no- stri letterati, a proteggere e raccomandare a’ suoi ospiti cortesi , il nome italiano, a difenderlo contro chi lo cre- desse degno ‘di vilipendio, o per lo meno di traseuranza. Ed io giurerei che egli, caldo come è per le cose italia: ne, si dorrà talvolta , o almeno sentirà. rammarico, che i suoi concittadini, non quanto desidera ed aspetta , gli dieno occasione di ‘parlare di opere nostre, delle quali ame- rebbe di diffondere in Francia la notizia. Che se così fosse come io m’ immagino , i nostri letterati forse mal si potreb- 43 bero seusare di sconoscente negligenza , perchè non corri- spondenti al sno affetto , a’ suoi desideri. Se dunque raro soggetto se gli porge di parlare di ciò che di presente fac- ciamo , per tenere in ‘onore la nostra letteratura abbraccia qualunque occasione se gli presenti. Così, supplì alla sto- ria della letteratura italiana lasciata incompleta dal ch. Gin- guené; così all’ eseguirsi in Parigi un’ edizione delle opere comiche dell’ avv. Nota, non appagato di alcun cenno che diede sulla commedia italiana nel tom. 36 pag. 664, della Rivista enciclopedica, nel render ‘conto delle comme: die del Nota; dando ora maggiore estensione a quel te- ma, volle con questo saggio storico della commedia italiana far conoscere quale sia stata la commedia in Italia, e non essere stata quale la suppongono alcuni forestieri che si ar- rogano il diritto di screditare ciò che essi ignorano , o che, se hanno studiato a conoscerlo , se lo rappresentano secon- do una eerta loro maniera di credere, e con lo spirito non affatto libero da antiche prevenzioni. viti I primi saggi drammatici che comparvero in Italia fra il secolo XIV, e XV furono quei così detti misteri, pro- duzioni mostruose che, come dice l’A., giovano solo a mostrarci da quali bassi principj abbiano avuta origine le arti più nobili. Sulla fine del secolo XV il Collenuccio e il conte Boiardo diedero le prime tracce della commedia in Italia ; il primo traducendo |’ Anfitrione di Plauto , il secondo voltando in azione scenica il Timone misantropo , soggetto tratto da un dialogo di Luciano. Li Al principio del secolo XVI Bernardo Accolti, detto Unico Aretino, scrisse la sua Virginia, sceneggiando la no- vella del certaldese Gi/lezta di Narbona ;s e Antonio Ricchi produsse sulla scena i suoi Tre Tiranni; le quali due comme- die furono poste in dimenticanza al comparire di quelle dell’Ariosto, di Bernardo Dovizi, e del Machiavello, i quali si possono considerare come i soli primi autori della comme- dia italiana. Niun’altra nazione poteva offrire in quel tempo cosa da stare a paragone colle commedie di quei primi; dei quali molti altri ingegni italiani seguirono l’esempio. Fra questi Gio. Maria Cecchi, Agnolo Firenzola, Francesco d’Am- 44 bra, tutti tre fiorentini; i quali, a sentimento del ch. Sa/f, ebbero una qualità quasi propria del loro paese; cioè una finezza, una certa grazia di dialogare che essi attingevano nella ricchezza e nella varietà de’ loro idiotismi e de’ loro proverbi. :E talmente si segnalarono in questa parte , che molti pensarono che degl’italiani dialetti, al solo fioren- tino fosse dato di scrivere commedie felicemente. Ma A4n- nibal Caro , sebbene nato nell’ Istria, seppe nei suoi Strac- cioni non solo emulare di quelli il gusto e l'eleganza, ma disputar loro anco il pregio della condotta. Pietro Aretino scrisse pure commedie , ma licenziose e mordaci. Non manca d’ originalità ; è frizzante e rapido nel dialogo; ma talvolta irregolare nella condotta, e i suoi motti peccano di bassezza e di licenza. Il Do/ce pare che prendesse a seguir l’ esempio :dell’Aretino. Licenzioso quanto il suo modello, non manca però d’ ingegno ; e il ch. Salfi, trova fra le altre ingegnosa la commedia inti- tolata il Marito, imitazione felice dell’ Anfitrione di Plauto, appropriandola però a’ costumi del secolo e della nazione. Seguirono bene altra strada, e’ furono più modesti, ma men giocosi , il Grazini e il Varchi: ma la modestia appunto parve freddezza , e fu creduto che il pregio del genere comico risultasse da una eccessiva libertà. Gio. Bat- tista Porta scrisse pure commedie, che ei faceva rappre- sentare da una conversazione di dilettanti: e il suo ge- nio caratteristico ed inventivo , dice il N. A., consiste principalmente nel dare all’ intreccio un filo sì naturale e sì semplice, che non ‘sai quasi come sia riuscito a farne risultare combinazioni e accidenti aggradevoli e inaspet- tati... il suo stile non ha. l'eleganza di quello dei fio- rentini, ma è ordinariamente appropriato e scorrevole, nè manca di naturalezza e di verità ( pag. 25, 26. ). E giac- chè l’ autore è stato cortese di tanto merito allo stile co- mico e discorsivo de’ fiorentini, ne sembra che avrebbe potuto rammentare anco Gio. Batista Gelli, il quale per naturalezza , vivacità e schietta scorrevolezza di dialogo e di stile ci sembra a niun altro secondo: qualità che s’in- contrano non solo nelle sue commedie , ma ancora nelle 45 altre sue opere scritte in dialogo , e segnatamente ne’suoi Capricci del Bottaio, Fino a quest’ epoca trova l’A. nelle commedie italia- ne condotta e orditura regolare, imitazione de’buoni esempi greci e latini; eccettuate però le due commedie dell’.Ac- colti e del Ricchi, la Virginia e i tre Tiranni. Con que- ste. i loro autori, abbandonate le buone regole degli an- tichi maestri, e introducendo certe forme da essi abor- rite, o che al meno non avevano usate, tentarono in- trodurre nel teatro comico una novità, e quel genere che oggi dicesi romantico. E se le loro intenzioni , e special- mente del Ricchi, non sortirono fin d’allora l’ effetto de- siderato, posteriormente sulla fine del XVI, e sul princi- pio del secolo XVII, la commedia italiana cangiò affatto maniera : e ciò avvenne a cagione degli applausi che ot- tennero le commedie spagnuole rappresentate sopra alcuni teatri italiani: e fin d’ allora si viddero commedie scritte alla spagnuola, le quali continuarono a esser prodotte nel secolo XVIII; ma fra quelle alcune rappresentanze di Raffaello Borghini, e dello Sforza d' Oddi ottennero mi- glior fortuna. Ma fra le commedie di quel nuovo genere merita es- ser citata quella che ha per titolo wl’ Inerighi d'Amore stampata sotto il nome di orquato Tasso. Non si potreb- be, dice il ch. Sa/ff, immaginare un dramma più stra- namente complicato , più bizzarro, più romanzesco. Per lo che, con molti altri, crede che non possa esserne autore chi scrisse la Gerusalemme , l’ Aminta e il Torrismondo. O se pure voglia credersi opera del Tasso, peusa il N. A. ch’ei la scrivesse come una ingegnosa parodia del roman- ticismo introdottosi ‘nel teatro italiano. Gl’intrighi vi so- no prodigiosamente accumulati: riconoscimenti, travesti- menti, avventure, accidenti tutti strani e miracolosi. Ci s'incontrano , prosegue l’ A, qua e là tratti di genio co- mico ; e quello che pare da prima stranissimo, prende so- vente il carattere della più ingegnosa originalità , se si supponga non essere altro questo dramma che una parodia del sistema spagnolo. 46 i A porre ‘in discredito il qual sistema pare che adope- rasse Scipione Errico colle sue Rivolte di Parnaso pubbli. cate ne’ primi anni del secolo XVII; commedia che seb- ben priva d’intreccio e di forza comica ebbe per unico scopo di gettar del ridicolo sull’invalso sistema. Ma ciò non servì a portar rimedio al male: ed anuoiati gli udi- tori dalla regolarità e monotonia della: condotta delle sce- niche rappreseutanze, ammirarono e vollero opni ‘eccesso di libertà; mon chiedendo il migliore, ma ciò che non era già stato fatto, Nel decorso di questo stesso secolo si vide una nuo- va specie di commedia, o piuttosto una novità di arte co- mica : e furono le commedie recitate all'improvviso dai commedianti., tenendo dietro a un semplice disegno, che dicevasi scenario , perchè altro non conteneva che il sog- getto di ‘ciascuna scena. Ma queste commedie mostrarono non tanto l'inclinazione degli italiani pel teatro comico, quanto l’ ingegno pronto e vivace degli attori: e se l’arte del commediante vi guadagnò , dice l’ Autore, fu a sca- pito dell’arte del poeta; perchè le irregolarità introdotte nel teatro dovettero favorire questa sorte di drammatiche improvvisazioni. Poco oltre la metà di questo sedili; il teatro francese ebbe il Moliere padre e maestro della buona commedia; e al principio del secolo XVIII il sanese Girolamo Gigli, elegante scrittore , e ingegno bizzarrissimo , diede saggio all’ Italia dell’ alto grado cui era salita la commedia in "Francia, mostrandone alcuni modelli col suo Giudice im- pazzito , col Don Pilone, e con la sorellina di Don Pilo- ne : nella prima delle quali fece una libera traduzione de’ Plaideurs del Racine ; nella seconda rifuse il Tartufo del Moliere; e rappresentò nella terza alcune stravaganze della propria moglie e il carat tere di un direttore di quella, Successivamente l’Ameta e il Cirillo napoletani, e il Fagiuoli fiorentino dipinsero con vivacità e verità i co- stumi de’tempi e del loro paese. A questi successero altri scrittori di commedie: fra le quali quelle del Maffei e del Buonafede essendo scritte in versi, 1 A. prende oc- i 47 casione «li notare alcuna co:a circa la versificazione comi- ca italiana, Intorno al qual tema , sebbene l’ Ariosto nelle sue commedie abbia preferito il verso alla prosa , e facessero pure lo stesso in alcune loro comiche produzioni il Ma: chiavello ; il Dolce, il Parabosco ed altri. più moderni; servendosi alcuni del verso sciolto piano o sdrucciolo, al- tri di versi di misura diversa, di martelliani ec.; pure egli è d’avviso che la prosa italiana possa riuscire ele- gante, armoniosa, ed espressiva a tal segno da non far de- siderare una versificazione . Su di che noteremo che la versificazione usata nelle loro commedie da’ sopra citati non aggiunge certamente nè eleganza nè armonia al di- scorso; che la sola misura non formando versificazione; ma abbisognandovi sovente una non naturale ma artificiosa collocazione e disposizione di parole, e qualche traccia di linguaggio poetico e figurato, come pure l’uso di espres- sioni e di frasi forse non sempre proprie, e l’ esclusione di altre non capaci di collocarsi nel verso, il discorso de- ve di necessità. riuscir povero di naturalezza, di spontanea espressione, e specialmente di quella prontezza così. pro- pria del dialogo familiare. Per convincersi. di ciò basterà, che chiunque scriva un saggio di dialogo comico familiare, o prenda una scena già scritta in prosa con tutta la pro- prietà, naturalezza, e spontaneità, e si provi a tradurla in versì colle stesse parole, e vedrà il bisogno di rinunziare a molte frasi e parole proprie, alla collocazione naturale delle parole, e di fare sparire ogni traccia di discorso familiare. Da quel tentativo risulterà la convinzione che Ja prosa è preferibile al verso nella Commedia italiana. Proseguendo l’A. ad esaminare i progressi di questa , neta il tentativo fatto dal marchese Liveri napoletano , per dare alla commedia un nuovo grado di verità e. di movimento teatrale. ‘ Vivamente appassionato, (egli dice). per l-arte di rappresentare , rivolse a questa più special. mente le sue continue osservazioni; immaginò quindi una commedia , o piuttosto tali quadri comici, che offrivano all’ arte rappresentativa l’ occasione di meglio spiegarsi, e 48 | far pompa delle sue illusioni... .. La scena divenne per lui vperosa e più crei" attori; e per non esporla a continue mutazioni , secondo che avrebbe richiesto la va- rietà degl’ incidenti, i quali succedevansi ed incrociavan- si, fu divisa in più luoghi separati e distinti, ove le di- verse persone avessero potuto verisimilmente incontrarsi, interloquire, e trattare delle loro faccende, Questo meto- do, che da una parte gli fe sentire il vantaggio di un in- treccio complicato e romanzesco, gli fece. dall'altra im- maginare ed eseguire alcuni quadri maravigliosi in questo genere , pieni di verità e di vita ; sicchè più non credevi essere in teatro, ma in un mondo animato e reale, Si vedevano a un tempo diversi gruppi di persone, occupate ciascuna esclusivamente de’suoi negozi particolari... Il vero è, che questo scrittore esagerò talvolta il suo siste- ma, che poteva contribuire all’effetto e alla verisimiglian- za dell’azione .... così l'abuso d’una cotale inven- zione fe negligere anco l’uso che potea farsene ,,» Mentre da’ soli dilettanti recitavansi le buone com- medie , i commedianti di professione non ardivano esporle sulle scene ; e pel desiderio di lucro e di applausi procu- ravano servir al gusto dell’ uditorio, in gran parte compo- sto di persone men culte. Così l’ udienza guastò gli atto- ri, ed ebbe colpa in parte della corruttela della buona commedia. Pure il Aiccoboni , dite d’ una compagnia comica, fece saggio di ricondurre il teatro alla buona commedia, ed avventurò, fra gli altri tentativi , la recita — della Scolastica dell’Ariosto. Ma ella fu ricevuta con tut- t’altro che con applauso dal popolo veneziano, che forse aspettavasi veder comparire Orlando a folleggiare per amore di Angelica, a incatenare incantatori, a combat- tere giganti, ec.; cose tutte per le quali solamente era notissitno a quella popolazione il nome di messer Lodovico. Ma era già nato il riformatore del nostro teatro, il restau- ratore della nostra commedia ; al quale, dice l’A. , la na- tura aveva compartito tutti i mezzi necessari per dare alla commedia italiana la perfezione che le mancava. Era nato il Goldoni, a cui lo Schlegel ha il torto di negare ric- 49 chezza d’inveuzione, di attribuire il difetto di aver di- pinti costumi che non escono mai dalla sfera delle gior- naliere consuetudini: e di fare ogni sforzo per disgustarci di ciò che piace, e che piacque sempre e universalmente, Ma non mancò per questo chi cospirasse vontro i pro- gressi che andava facendo la buona commedia L’Ab. Pie- tro Chiari tentò di sostenere gli antichi traviamenti: e il Gozzi colle sue così dette Fade sedusse e, dirò co- sì, ammaliò i gondolieri veneziani con magiche stravagan- ze. Ma l illusione ebbe breve vita, che non linitoiziola a prolungare l’ingeguo e la fama di questi due pue:i ; e il Goldoni ottenne il primato sulle .scene italiane , dalle quali furono proscritte e le Fiabe del Gozzi, e le. com- medie dell’ Ab. Chiari. Quasi per riposo dalle meditazioni eroiche nello scri- vere le sue tragedie , non isdegnò il tragico italiano di esercitarsi negli: ultimi anni nello seriver commedie : ma l'unico pregio loro forse consiste nell’appartenere all’ A/feri. Seguirono la buona seuola l’ Albergati, il Federici, il de Rossi, il Sografi , \1 Giraud, il Marchisio, il Genoino, e segnatamente in ultimo luogo l’ av. Nota. Il profess. Salfi, scrivendo singolarmente pei francesi nell’ occasione di una nuova edizione che facevasi a Parigi delle comedie di quest’ ultimo, era ‘ben ragionevole che nutasse alcune circostanze riguardanti la vita , l’ indole e l'ingegno di questo poeta italiano, e la via che corse prima di giungere a dare all'Italia un numero d’applau- ditissime produzioni teatrali, da noi ben conosciute: e con ciò pone fine al suo Saggio storico critico della commedia italiana. Pubblicato che ebbe il profess. Salfi questo saggio, un breve articolo della Rivista enciclopedica rendendone conto attribuì, allo essere divisa l’Italia in piccoli stati, e al- l'essere la versificazione italiana poco idonea al dialogo comico , la superiorità dei francesi sugl’italiani nella poe- sia drammatica; e trovò ingiusta la sentenza che il per- sonaggio di fra Timoteo nella Mandragora del Machiavello T. XXXVI. Novembre e Dicembre. v) 50 fosse più comico che il personaggio del Tartufo ; e che il Goldoni prevalga allo stesso Moliere nel numero delle buo-. ne commedie. Manifesta quindi il desiderio, che a noi sem- bra lodevolissimo , che, divenute oggimai, e divenendo sempre più strette le relazioni fra i popoli, ‘sarebbe uti- lissimo che sparissero le loro gelosie letterarie onde dare alla letteratura europea una utile e nuova direzione. Ciò diede occasione ad una lettera che il prof. Sa/fi pose in appendice al suo Saggio. Egli conviene che la di- visione dell’Italia in piccoli stati , operata e favorita dal forestiero, 1’ ha resa debole ed impotente a segno da farla sparire dalla linea delle nazioni europee (p. 121.): ma non conviene che questa divisione influisca sull’arte e l’in- gegno d’un poeta, che ritrae il ridicolo prima ancora che il pubblico Jo abbia avvertito ; nè che il genio poetico si sviluppi in ragione della numerosa popolazione in mezzo alla quale si trova il Poeta : in riprova di che pone a conf:onto. Atene , che ebbe moltissimi poeti comici, con Roma che ne ebbe pochissimi. Asgiunge ancora che la sola Firenze nel secolo XVI ebbe moltissimi scrittori di com- medie , là dove Parigi più popolosa tanto di eisa ne scar- seggiò: e che è d’avviso che, fosse pur nato in qualsivo- glia altro luogo il Moliere, sarebbe riuscito sempre ciò che per arte e per natura riuscì a Parigi. Egli si contenta poi di citare la Fiera del Buonarroti per mostrare quanto la no- s:ra lingua anco versificata si presti al discorso e al dia- Jogo semplice e familiare: a mostrare la qual cosa fu ap- posta scritta dal suo autore. Se poi scrisse che il personaggio di fra Timoteo gli sembra più comico e più speciale di quello del Tartufo , non intende per questo di giudicare sla Mandragora del Machiavello migliore del Tartufo del Moliere: e se anco fra la copiosa raccolta delle Commedie Goldoniane non se ne troverà forse una paragonabile alle ottime del poeta francese, non sarà però meno vero che di buone e di plausibili commedie niun poeta ne abbia mai scritte tante quante il Goldoni. Termina quindi la sua lettera col giustificarsi dal rim- 5I provero che implicitamente gli sembra venir a Ini fatto dall'A, dell’ articolo , espresso nel desiderio di vedere sparire le antiche gelosie letterarie fra i popoli inciviliti , le cui re- lazioni hanno tendenza a ristringersi ogni giorno più: nel qual desiderio convenendo pienamente il profess. Salfi, è d’avviso che il rispetto che questi popoli si devono, non si vuole che degeneri in vna specie di superstizione e d’ idolatria letteraria per tutto ciò che è forestiero. Nè avendo inteso di paragonare la conimedia italiana con quelle delle altre nazioni europee, ha solv tentato nel suo Sag- gio di farla conoscere, perchè altri, se piaccia , istituisca i necessari confronti: protestandosi grato e alle lodi e alle critiche compartitegli , ed aggiungendo questa prova di urbanità alle tante altre finora ricevute in Francia, alla cui ombra ospitale ha sperato ottenere almeno l' ultimo riposo della sua vita. Essendo divise oggi le opinioni sulla letteratura euro- pea , era ben naturale che facendo l’istoria della commedia italiana il prof. Sa/fi toccasse almeno incidentemente il tema del romanticismo nella poesia drammatica. E lo fece, pren- dlendone eccasione ora dalle lodi che Jo Schegel comparte alla Zirginia dell’.Aecolti, ch'ei cita come il primo ed unico tentativo del romanticismo teatrale in Italia; ora dal cat. tivo gusto invalso un tempo per le commedie spagnole ; ora da ciò che lo scrittore tedescu dice del nostro Goldo. ni ; ec. Pure ci sembra giudice di discreta severità : poi- chè se trovasi manifesto rigore nelle sue sentenze contro ogni strana licenza , lascia altresì intravedere una tal quale indulgenza per una certa moderata libertà. Del che i so- stenitori delle due opposte opinioni pare che debbano aver- gli buon grado. Dopo aver letta questa erudita e giudiziosa scrittura , abbiamo pensato fra noi che mentre si pubblicano tante e tante raccolte di opere minori di vari autori, fa maravi- glia che niuno abbia immaginato di pubblicarne una col titolo di Teatro antico italiano , componendolo di comme- die del secolo XVI, come altrettanti documenti della bella età del nostro teatro, e come saggio de’ nostri poeti comi- 52 ci, in un tempo che le altre nazioni non ne contavano un gran numero, E forse si potrebbe aver riguardo spe- cialmente a quelle commedie scritte da autori autorevoli in faito di lingua, Così i nomi del Dovizi, del Mackiavel- lo, del Cecchi, del Firenzuola, d»ll’Ambra, del Gelli, del Lasca, del Varchi, di Gio. Batta. dell'Ottonaio, di Lo - renzino de’ Medici, del Salviati potrebbero dar materia ad una completa collezione dei poeti comici fiorentini del se- colo XVI, non trascurando gli scrittori citati dalla Cru- sca, come il Caro, il Tasso, l’Ariosto. E quando. vi si vo. lesse aggiungere un appendice dei migliori fra gli altri lialiani, potrebbe darvisi luovo a quelle del Dolce, di Gjo, Batta. della Porta, dei Domenichi , di Pietro Aretino, del Ricchi, del Borghini. E chi sa che nella stessa guisa che siam debitori dello. svolgimento dell’ ingegno comico del Goldoni alla lettura fatta da lui ancor giovinetto per dieci volte di seguito della Mandragora del Machiavello . non poresse forse questa raccolta essere utile a chi tentar vo- lesse a’ dì nostri di scriver commedie , studiando su quelle antiche la vivacità, la finezza e la grazia nel dialogare, e prendendole a norma di purità di stile, e di lingua; qualità nelle quali, secondo il prof. Salfi, si segnalarono talmente que’ fiorentini , che molti pensarono esser proprie del paese; e che degl’ italiani dialetti fosse dato di scri- vere commedie felicemente al solo dialetto fiorentino. E certu è che in quelle vi si trova tutta, o quasi tutta la lingua parlata de’ nostri giorni; la quale parecchi .sonò d’avviso ché dovesse far parte del nostro vocabolario. In proposito di che un giudizioso scrittore non toscano seri- ve “« che la lingua italiana dei particolari dialetti non dee profittare se non quando sia certo che nella Toscana manchi la frase o il vocabolo equivalente. E questo caso è- più raro che altri, non bet: conoscente della lingua par- lata toscana, non pensi. Ma per evitare gli equivoci, per troncare le questioni, una cosa, una sola cosa è ireces- saria che i toscani facciano : di dare a cunoscere agl’ ita- liani la lingua ch'e’ parlano tutta quanta è. Aflora alle beffe e agli odi succederebbe un docile affetto, una reve- die cir 53 renza non scevsa di meraviglia. Ma sino a tanto che si contende. a parole, i più arditi i più faceti, in fine i più, che sono. gl’ italiani tutti , avranno rn la ragione, € l'avranno sempre a lor danno ,,. Un'altro pensiero ha svegliato in noi la lettura del Saggio del profess. Salfi. Abbiam notato che ne’ primi anni del secolo scorso il Riccobuoni capo d'una compagnia co- mica, confortato dal marchese Maffei, esperimentò di far rappresentare Za Scolastica dell'Ariosto ; e ci sembra che ron considerasse che era esperimento pericoloso il dare questa rappresentanza ad un pubblico, giacchè era ragio- nevole il dubitare che i gondolieri veneziani avrebbero accolta con soddisfazione una commedia scritta due secoli prima. Siffatto tentativo pare che avrebbe dovuto farsi al cospetto di un ristretto e scelto uditorio , prevenuto esser questo un semplice tentativo, E con tale intenzione da una società filodrammatica, che dodici o quindici anni fa erasi formata in Firenze, si pensò di rappresentare l’Edipo re di Sofocle tradotto dal ch. Bellotti ; e ne fu dipinta la decorazione della scena, e scritta la musica de’cori, e fatta la distribuzione delle parti, e qualche prova. Ma per lo scioglimento di quella società di dilettanti non ebbe luo- go altrimenti questa rappresentanza. Abbiamo al presente in Firenze altra società filo-drammatica , la quale pare destinata a far saggio di nuove produzioni teatrali, eser. citandosi nella recitazione, Non oseremo asserirlo, ma for- se non‘potrebbe dispiacere ai colti membri che la com- pongeno il veder riprodurre sulle scene quelle fra le an- tiche commedie, non libere nè licenziose, o se tali in qual. che parte con leggere mutazioni rese convenienti agli at- tuali politi costumi e alla decenza che a- buon diritto si esige nel teatro. E diremo ancor più. Sarebbe forse spet- tacolo mal gradito la rappresentanza di alcuna delle com- medie antiche tradotte dal greco o dal latino, a fine di dare una idea di quel che fosse il teatro comico presso «quelle. nazioni? e collo stesso fine spiacerebbe forse un saggio de’teatri inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli? Credia- mo di no: ma, torniamo a Lipetarto, solo quando seelto e ri- 54 stretto fosse il numero degli spettatori, al cospetto de’quali si rappresentassero, Il. giudizio de’ quali potrebbe determi- nare quali di esse produzioni comiche. potessero «con spe- ranza di successo e di applauso offrirsi in una pubblica recitazione. Ma starà alla saviezza di quei membri che com- pongono la .società filodrammatica fiorentina di valutare ciò che valgano questi nostri dubitativi pensieri, sa P è O. Secondo viaggio del capitano CrarreRrTON nell’ Affrica interiore. . Noi parlammo altrove del primo viaggio di Clapper- ton (1); e i nostri gentili lettori rammenteranno alcerto come egli, pervenendo per la via del Burnù a Sakkatù A metropoli dell’imperio de’ Fellani o Fellati , intavolò un trattato di corrispondenze amichevoli, e commerciali fral’In- ghilterra e quel potentato africano. Vi si pattuiva che il governo inglese invierebbe consoli medici e mercanzie nelle città di Funda e di Raka verso le coste di Guinea, ove Bel- lo, Sultano di quel reame, farebbe trovare i suoi pleni- potenziari onde accogliervi o proteggervi sì gli inviati co- me i commercianti ed altri sudditi brittannici. Erano inol- tre questi preliminari confermati nella lettera che il prin. cipe fellatese scriveva a Gio:gio IV, e ricapitata al re dall’ istesso viaggiatore nel suo rimpatriamento, Tutto ciò parve al gabinetto della, Gran Brettagna ottima occasione ad aprir nuove vie al commercio inglese nell’Affrica inte- riore , tostochè quivi trovavasi un Regolo , il quale assai superiore in.potenza e coltura agli altri Regoli affricani, proponeva. egli stesso ì nuovi traffichi, e premetteasi pro- tettore de’ trafficanti. Indi fu deliberato di rimandar lo stesso Clapperton a-Sakkatà per la volta del Benin ; ed ecco il motivo del secondo viaggio ; «di cui quì daremo il (1) V Antologia N. 76. 55 sunto. Gli si dava tutto il bisognevole per sempre più fa- voreggiarsi con donativi l’ animo. del Sultano, nonchè quello degli altri principi africani, per gli stati de’ quali doveva passare via facendo al suo destino; e gli si ag- giungean ‘ per compagni viaggiatori i due chirurgi Dikson e Morrisson, come ancota Pearce. ufficiale di marina. La nave che li portava nel golfo del Benin, facendo vela da Portsmouth addì 27 agosto 1825, arrivava alle co- ste di Guinea verso il finir di novembre. Dikson , fosse per britannica stravaganza oppure ‘per ‘altra: causa malagevolis- sima ad ‘essere indovinata o supposta, volle sbarcare in Iuidah e viaggiar solo pel Dahomey ; nè di lui non si seppe più nulla dopo qualche notizia poco posteriore alla sua separazione, come già dicemmo in altro luogo del no- stro Giornale (2. Quanto agli altri viaggiatori, scesero essi a terra prendendo porto a Badagiy; donde in compagnia di Houtson, negoziante inglese da gran tempo stabilito in quelle coste che risolvea di accompagnaîli fino a Katan- ga capitale dell’ Yurriba, mossero alla volta di Sakkatà addì 7 dicembre. o Innanzi d’intraprendere l'epilogo del viaggio vuolsi premettere, che Clapperton nel giungere in que’ mari d’Afri- ca andava domandando in tutti i punti del littorale ove mai fossero Raka e Funda , indicate da Bello come luo- ghi d’ incontro co’ suoi messaggeri. Ma non men del nome di questo principe erano ignoti agli africani e agli euro- pei là stabiliti, quelli delle due ‘città suddette; L'indicazione di città là non esistenti fu in Bello finzione o ignoranza dell’ esatta geografia? Vi è ogni probabilità che ne fosse causa la seconda. Vi è in quelle provincie d'Africa una Funda; ma nonchè non essere porto, è molto mediterra- nea come vedremo in proseguo; e nulla osta a supporre che il monarca de’Fellati la credesse marittima. Quanto . a Raka, i più de Geografi son convenuti nell’ opinione che ella sia Iuidah ove sbarcò Dikson, come si argomenta dal nome che le danno quelli delle carovane, da’ quali (2). V. Antologia N. 93. 56 ne ndia forse la notizia il testè detto monarca. Bello dun- que non mentìa così promettendo a Clapperton e scriven- do a Giorgio IV. Probabilmente ancora egli persistea nella buona intenziove di mandare i suoi delegati incontro agli Inglesi ; ma potè esserne distolto dalla guerra con alcuni principi suoi tributari e con lo Sceikko del Burnù; guerra di cui ci oceorrerà far menzione , e che forse non gl per- mise di pensare alla sua promessa. Comunque f»sse que- sta inattesa mancanza, essa sconcertava molto il piano del nostro viaggiatore; senonchè era per lui certa e precisa Ja graduazione geografica di Sakkatù , avendola egli stesso ben determinata nel suo primo viaggio. Con ciò aveva una guida non fallace a dirigervisi e rinvenirla trapas- sando le interne provincie affricane da quel lato. Ciò me- ditato e risoluto , si partiva. Eccoci ora a quell’ esplorazione , la quale abben- chè non abbia sciolto il più importante, e diremo an- che il più misterioso de’ problemi geografici dell’ Afri- ca, ossia ove metta foce l’antico Niger oggi Quorra o Kuarra, pure è riuscito con pruove assai positive, per- chè di fatto, a cangiar tutte le idee che generalmente aveansi circa que’ luoghi e popoli affricani, Generalmente si credeva quelle regioni abitate da tribù incondite nomadi ed agresti, tanto più feroci ed inospitali con gli Europei, quanto che in continua guerra e rapina fra loro stesse. Ed intanto noi vedremo il nostro esploratore passar da bor- gate in borgate, da città in città, da reami in reami, più o men popolosi, più o men costituiti in un certo tal quale ordine civile. Il vedremo nonchè non patire la menoma molestia da quegli abitatori, già presunti sì ferini , aver- ne anzi cordiale ospitalità ed assistenza. Il suo bagaglio vettureggiato ognor da’ naturali del paese, e che il segula sempre ad una giornata di distanza, gli perveniva sempre intatto ogni qual volta soffermavasi per attenderlo, onde prenderne i donativi destinati a’ Regoli o capi delle pro- vincie- Nel giungere inoltre ad ogni città usciagli incon- tro con guardia d’ onore ‘il capo o Regolo. Infine fra quelle genti finor credute sì selvagge, noi vedremo feste:di ballo, die > 97 manifatture di ferro di filo di cotone ,. arti seultorie ; e rappresentazioni teatrali drammatiche o pantomimiche. Badagry; donde incominciava il ‘viaggio per terra , è la capitale di un piccolo stato vassallo del Reame di Da- homey. A poche giornate da essa andando a borea si en- tra nell’Iurriba. Il cammino che teneano i nostri viaggia- tori trapassava frequenti villaggi e città nonchè terreni, alcunî coltivati a grano ignami o durab ; altri incolti nei quali pascolava bestiame grosso e minuto ; i più poi co- verti di macchie o boschi. Il paese inoltre è bastantemente popoloso, e il parea davvantaggio pel gran movimento in- dustrievole che v'è fra quelle genti a' vari mercati che quà e là sempre tengonsi nelle città ne’ villaggi. Chi andava, chi venia, chi lavorava ji campi, chi guidava greggi o armenti. La quale moltitudine correva quindi da’ poderi. ad. affollarsi e far ale alla strada per curiosità di veder.gli Europei, E non paghi sol di vederli, quegli africani stendevan le mania toccarne il corpo , e poi se ne toccavan le proprie membra, per superstiziosa idea. di comunicarsi così facendo la fortuna e la. benedizione dei bianchi. Le madri sopratutto facean con gran divozione e fervore queste pratiche su’ loro bambini. e figliuoli ‘6 Noi non avevamo a dolerci d’ altro, dice Clapperton, se non dell’ importunità che ci davano quelle buone genti sol per mostrarci il buon cuore loro, e sodisfare alla cu- , riosità di vederci, Ognuno per altro era urbano e corte- se; gli uomini ci salutavano cavandosi il berretto ; le donne ci si inginocchiavano innanzi ; ne’ mercati si in- 72.. 9) terrompeva ogni contrattazione e negozio ; e ognuno la- ‘sciava il suo fardello di mercanzie là ove lo avea po- » sato. per accorrere al luogo in cui dovevamo passare dieci det; Non minor ospitale accoglienza si ricevea da’ magi- strati. delle città. Che anzi in Diannah, una delle precipue dell’ Yurriba, il. governadore (là detto Cabocir., e nome che fa rimembrare il commercio portoghese in quelle con- trade ) dava ‘agli Europei una festa di ballo, '‘ Il Cabocir, T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 8 58 dice Clapperton , seguito da una specie di paggio , che ,, portava il lembo del suo lungo manto, incominciando ,» a carolare, e quindi prendendo per mano me ed Houtson, » ci facea fhultlate all’ affricana. Noi conformandoci alle », sue lezioni, ci disimpegnammo alla meglio in quella danza per noi sì nuova; ed egli non capea ne’suoi pan> ni per la contentezza di cui gioiva nel mostrare a’bian- chi la sua abilità a ballare nonchè a dirigere il ballo. La provincia di Diannah è assai industriosa in tele» rie di filo o cotone, Non vi è casa che non abbia il suo telaio; ed oltre alle tessitrici veggonsi poi altre donne, quale alla rocca e quale all’ arcolaio, onde filare o dipa- nar cotone o filo. Hanno anche molto talento i Diannahe- si agli ornamenti di scoltura. I telai, le porte degli usci o delle finestre, le tavole, le panche s le travi, i cem- bali, i tamburi, tutto ciò insomma che sia o masserizia @ arnese o strumento di legno, è tntto intagliato a figure di scimie o serpenti o stelle o alberi o uomini ec. ec. I no- stri sensati lettori non cureranno al certo di voler sapere qual mai fosse il merito scultorio di que’ bassi rilievi; ma sì contenteranno di ravvisarli quai prova di que’ germi degli archetipi di Fidia e Michelangelo, che la natura avendo messi nelle teste di tutti gli uomini, li pose an- che in quelle degli yurribani. Fra’ festeggiamenti che ricevevansi a Diannah avven- ne un aneddoto alquanto burlevole. In una delle ricrea- zioni che il Cabocir dava agli Europei, ecco che fra la musica e le danze ‘esce la tazza del convito ; eterno sim- bolo d’ ospitalità presso tntti i popoli di tutti i tempi e luoghi , e passando di mano in mano fa il.giro per ca- daun convitato. Alla sua forma ravvisarono bentosto i no- stri viaggiatori come, nonchè non essere un vaso da bere, ne era anzi uno destinato a ricevere ciò che l’ uomo rende per altre vie ‘di quel che ha bevuto; ed Houtson riconobbe che era ùuna masserizia della sua stanza da letto in Bada- gry, là forse o rubata o venduta. La quale ricognizione non era certamente circostanza che adescasse a libare. Ciò non pertanto fu duopo fare buon stemacu, onde non vio- »9 33 59 lare il generale rito delle genti in pruova dell’ ospitale amistà, e si bevve, uo Così ben accolti ed onorificati si internavano sempre più nell’Iurriba; ma la contentezza di un accoglimento sì inatteso. in un paese riputato sì feroce, fu contristata da evento doloroso. Pearce e Morrison infermati da febbre di mal aria presa pernottando in un luogo paludoso, e sempre più peggiorando , morirono contemporaneamente il primo in Engwa e il secondo in Ciow, borghetti poco distanti fra loro, Clapperton, Lander suo. cameriere, ed Houtson, dopochè ebbero tumulati i loro compagni, prose- guiano il viaggio. Si era fin allora percorso un suolo leggiermente ineguale in colline e vallette. Però fra Trudey e Cio- cio, due villaggi molto popolati e industriosi, man mano si entrava in una regione assai montuosa ,; fin- chè si incominciò a. sormontare una catena di montagne granitiche, alte nelle loro cime quasi tre mila piedi sul livello marino. La quale regione montagnosa, là detta del Kongo, mentre è larga pressochè un grado e mezzo, ossia 80 miglia , corre nella direzione dell’ ONO all’ESE; e dalle. sommità di monti si scorgeva estendersi fino a perdita di vista sì verso levante come verso ponente, s0g- giacendo sempre ove più ove meno all’ottavo parallelo bo- reale. Che il lettore rammenti questi cenni quì schizzati alla sfuggita, essendochè ne saranno necessari come lem- mi a confortare talune nostre opinioni su' problemi anco- ra irresoluti circa i afigrafia e idrografia dell’ Africa in- teriore. Dice Clapperton che questa regione alpina è non men popolosa delle provincie basse dell’Yurriba; e che essa è per così dire il mulino ove macinansi tutte le farine ne- cessarie agli abitatori sì de’ monti come de’ paesi a borea o a mezzogiorno de’ monti istessi. Nè in altro consistono que’ mulini se non in donne che con ciottoli in mano e sovra pietre levigate schiacciano grano granone durah ec. ec. Innanzi di proseguire il sunto che andiam facendo , ne pare non inutile un cenno sul modo onde gli Europei 6, ; là viaggiando , eran provvisti di tutto il bisognevole. in vitto e alloggio a chiunque viaggia. In Europa in Ame- rica e in molte parti d’Asia, il denaro è la chiave che apre ogni albergo, e procura ogni vettovaglia. Ma in quelle terre d’Africa, comunque i negozi e le contratta» zioni si facciano valutando le mercanzie a cauris, pure questa moneta è ‘più ideale che effettiva , e non ad altro serve se non a' cifra d’ agguaglio fra le cose che traffican- si. Così per esempio convenendosi nel contratto di una capra per cento cauris, non si riceve questa somma che in un pezzo di tela o di drappo o di panno che ne valga altrettanto. I soli carovaneggiatori conoscono e posseggono qualche piastra di Spagna, perchè ne han bisogno e sulle coste del Mediterraneo ed in quelle della Guinea. Là ove dunque giungevano i nostri viaggiatori, dopo la presen, tazione al Cabocir, il regalavano con qualche cosa di ma- nifattura europea; qualche braccio , verbigrazia, di panno o di stoffa , nastri, o un moschetto, o una sciabla ; ed alle sue donne qualche collana, 0 smaniglia o monili , 0 awella, o orecchini d’orpello. Ciò fatto , si era sicuro del- l’alloggio e del vitto, Il governadore li facea accompagnare ad una casa disposta a riceverli, ove trovavano carne fre- sca' di polli castrati o majali, latte, butirro, vin di pal- ma , legna pel fuoco, utensili da cucina, e foraggi pe’ca- valli. Così leggiamo nell’antichissimo de’ libri, che il servo mandato da Abramo a Batuele, incontrando Rebecca presso al fonte fuori della città, e donandole armille con altri ‘ornamenti muliebri, ne avea 1’ offerta di stanza e pane per lui , stalla e strami pe’ suoi camelli in casa del Pa- dre, senza che. la giovinetta sapesse d’ esser quella che verrebbe richiesta sposa per Isacco. Le genti tutte si ras- somigliano ne’loro modi e costumi quando sono nell’istesse età del corso sociale; e gli odierni Iurribani sono nell’istesso stadio di società in cui erano le tribù mesopotamiche ai tempi del progenitore d° Israello, : Dopo 70 in 80 miglia di camino fra montagne più o men aspre ed alte, si discendea man mano nella valle dell’ antico Niger oggi detto Kuarra. Non è già che, subito 6r dopo que' monti si trovi quel fiume; ma così dicendo ado- prammo la frase topografica per disegnare tutto il pendio delle acque, che vanno a mettervi foce. E sempre innanzi procedendo , nonchè passando per provincie anche popo- lose e coltivate , si giungea ad Eyeo o Katunga capitale dell’ Yorriba, Accolti fuori della città da un drappello di soldati a cavallo mandati loro incontro, erano condotti al monarca che li ‘attendeva co’ suoi uffiziali ed altri perso- naggi nel vestibolo della sua abitazione. Dopo le saluta- . zioni, gli erano presentati i regali per parte del Re d’In- ghilterra. Gli ombrelli di seta lo incantarono; il clima urentissimo gli facea sentir prezioso la, ‘ciò che è sì co- mune e costa pochi soldi in Europa. Non men incantato fu dal dono di un bastone con pomo d’ oro ; probabil- mente falso; e questo bastone divenne per così dire , il suo scettro, ognor tenendolo in mano nelle grandi: fun- zioni e cerimonie durante tutta la dimora che fece Clap» perton in Katunga. Questo soggiorno in Katunga fu più lungo di quel che Clapperton avea disegnato. Ma il Re trovava ognor nuovi pretesti a fargli differir la partenza. Era però dili- gentissimo a compensare il rifiuto ed il ritardo con ogni genere di ricreazione all’ Europeo. Un giorno erano uscite a cavallo ; un altro a mostrargli i suoi giardini ; un terzo a fargli vedere tutte le sue donne o mogli , circa le quali diceva egli istesso che non sapeane il numero preciso, ma che se tutie si fossero prese per la mano ed estese in una sola fila, avrebbero occupato una lunghezza uguale alla distanza da Eyeo a Diannah, ossia di 80 in go leghe. Fra” divertimenti non mancarono gli spettacoli teatrali; e il viaggiatore me lasciò descritto il più singolare nel suo itenerario. ie Luogo della scena era una parte del giardino conti- guo alla Reggia; il parco adiacente servia d’ anfiteatro per gli spettatori, Il Principe con la sua famiglia e gli Inglesi erano sovra un terrazzo della casa reale. Per pri- mo atto si ebbero danze d’ uomini e donne entro sacchi di tela, Nel secondo si rappresentò la caccia e la presa 62 del Boa. Un africano abilissimo a strisciarsi celeremente per terra, con una maschera simile alla testa del serpen- te, ed entro un sacco lunghissimo di tela dipinta come la pelle di que’formidabili rettili, fingeva il drago da combattersi. L'eroe destinato .a combatterlo esce in isce» na ;, e con mille giravolie or fugge or provoca il mostro; il quale anche esso ora insegue ed or si arresta, sempre aprendo la sna.bueca e torcendo.la sua coda ; finchè dopo qualche tempo di questo armeggiare si finge vinto ed uc- ciso, L'ultimo atto in fine avea per subietto l’apparizione del diavolo, Tutti gli attori ritirandosi chi quà chi là scom- pariscono; un solo sacco resta per terra; man mano. si vede esso muoversi e agitarvisi qualcuno che vi è dentro; e quindi a poco a poco incomincia a uscirne una figura umana, ma deforme, magrissima talchè parea che avesse te sole ossa, tutta intirizzita dal freddo , e bianca come un Europeo. Che gli Europei non ne meraviglino. Noi bian- chi imaginiamo e pingiamo il Demonio col colore de’ne- gri ; è giusta e natural legge di taglione che i negri imaginino e pingano il loro spirito delle tenebre col no- stro colorito. Negli intermezzi vi furon cori cantati dai mimi e ripetuti ne’ loro ritornelli dagli spettatori, Il Reame dell’ Iurriba è compreso fra’latitudinari 7.° e 10' boreali, e fra’ longitudinari 13.8. e 6.9 orientali a quello di Greenvich. Esso ha il Benin al S. E.,il Funda all’ E., il Niffè al N. E., L’ Aussa al N., il Dahomey e il Diabù all’O. Katunga sua capitale, popolosa di più di 30 mila anime, soggiace all’intersezione del parallello 8.° 5g' col meridiano 6.° 12”, Il governo è un feodalismo dispo- tico ; la religione è quella di un solo Dio adorato ne’Fe- tisci. Gli Iurribani sono i negri i più ben fatti della per- sona; puossi anche aggiungere che sono i più. civili ed umani fra quelle genti. Amano molto le donne e tigli lo- ro; sono molto industrievoli, e generalmente hanno assai natural talento alle arti scultorie, Il suolo infine del Joro paese è oltremodo fertile in grano, biade, ignami, durah, gura, frutta, cotone, indaco, gomme ec. ec. Katunga è punto di perpetuo passaggio delle carovane dal Burnu o 63 dall’ Aussa al Benin al Dahomey all’ Acanty., e viceversa. Da Katunga si mosse infine il 6 marzo alla. volta di Kiama , città numierosa anche essa di circa 30 mila anime, e residenza di un Regolo vassallo -del sovrano di Burgù. Nella provincia Kiamese, e propriamente in Uatua, altra città di 18 in 20 mila abitanti, Clappeiton invaghia di sè una vedova africana , nominata Zuma, molto ricca, ma di grassezza sì mostruosa che ei la paragona ad una botte ambulante. La quale vedova non7gli diè requie e nel suo soggiorno in Uatua e in prosieguo tenendogli dietro, come or ora vedremo, sempre importunandolo ed insistendo per- chè la sposasse, Si giungea poi a Bussa capitale di ‘un altra provincia anche essa tributaria del Burgù. Quivi è il Niger o Kuar- ra. La cità è sovra un'isola ‘che là fanno i rami di quel fiume. Il Principe di Bussa era un bel giovine di 25 anni; la sua Middaki , ossia moglie favorita, era pur essa una giovine e bella donna. Dopo i consueti regali di drappi di seta e ornamenti donneschi, che molto piacquero alla principessa , e dopo chieste le necessarie raccomandazioni a’ Regoli circonvicini onde continuare il suo viaggio, toc- cava Clapperton un subietto oltremodo più serio e delicato. Presso Bussa era perito l’audace Mungo Park col suo non men audace compagno Martin. Clapperton era stato informato da’ principi fino allora visitati, che venti anni innanzi un battello , sul quale trovavansi due bianchi, e che navigava scendendo il fiume, erasi incagliato fra ta- luni scogli ; che i navigatori avean fatto ogni sforzo, ben- chè inutilmente, per rimetterlo a galla; che gli Africani non avevano osato aggredirlo finchè là rimase ; ma che essendo sopravvenuta una piena, ed avendo la corrente rovesciato il navicello , avean cercato gli imbarcati di sal- varsi a muoto; che allora perirono tutti, parte sommersi e parte saettati ; e infine che libri nonchè altre cose ap- partenenti a que’ bianchi erano caduti in potere del Sul- tano di Bussa. ., Con queste notizie aveva Clapperton fondata speran- za di ricuperare l’itinerario di Mungo Park, onde rendere 64 alla geografia un segnalato servigio, e. perciò avea ginsti motivi di farne parola al Principe. Ma si conturbava ol- tremodo questi all’ udirne movere il discorso ; e scusavasi col dire che ,essendo egli ancora in fasce quando avvenne quel disastro, non ne sapea nulla; che quanto a' libri aveva udito d'essere stati venduti ad un Arabo di una carovana ec. ec. Così rispondeva però sempre mal volen. tieri e ognor cercando di rivolgere il discorso ad altra ma- teria. Proibiva inoltre al viaggiatore di andare, a vedere il luogo in cui era avvenuto il naufragio; e sopratutto gli vietava assolutamente di prendere altri ragguagli da’vec- chi di Bussa, i quali perchè testimoni del fatto potean dargli, notizie più sicure e. particolari. Dal quale proce- dere e da’quali divieti argomentaya Clapperton, che quel Regolo così dicesse e agisse, onde schivare. d’ essser. sin- dacabile della morte che il padre avea probabilmente pio- curata a Park ed a Martin. + L'occhio degli Europei vide finalmente quel Niger sì ANITA nell’ antica geografia e sì misterioso inella nuova, Il fiume si ramifica in tre braccia intorno a Bussa, il minore de’ quali è ampio 300 piedi, Ma quando tutti.e tre son riuniti in un medesimo alveo, è largo ua quarto di.miglio, Corre quasi tre miglia all'ora, e il suo corso è lì dal N. O. al S. E. Clapperton obliava o di misurare, o forse di registrare nel suo itinerario, l’altezza del pelo d’acqua del fiume suddetto sul livello del mare ; e il let- tore vedrà nelle considerazioni geografiche sull’Africa in- teriore, con cui chiuderemo quest’articolo, le conseguenze di un tal oblio. Si partia da Bussa movendo alla volta di Kano, cit- tà, come altrove dicemmo (3), intermedia fra Sakkatù e Kuwka , rispettive capitali dell’Aussa e del Burnù. Il nostro viaggiatore traghettando gli altri rami del Niger, o Kuar- ra, vide che questo fiume fa una precipitosa cascata fra scogli presso ad un villaggio di Cambriez, tribù di Suda- nesì , ossien negri, che abita sulla sponda settentrionale. (3) V. Antologia N. 76. 65 Iidi argomentò che anche ove Mango Park avesse evitato il sno naufragio al di sopra di Bussa, non avrebbe potuto evi- tarlo in modo alcuno nella cascata testè detta. Era dun- que fra’ decreti del destino che quell’ arditissimo esplora- tore -perisse naufrago. Così viaggiavasi felicemente allorchè dopo pochi giorni dalla partenza, Clapperton , il quale precedea sempre di una. giornata: ‘al suo bagaglio, iudia che questo era stato soffermato e messo in sequestro da una Dunna potente, Chi era mai questa Amazone o ;Regina? .Era quell’istes- sa Zuma, la quale invaghita dell’ Inglese, avea con le sue genti trattenuto la di lui salmeria ‘sperando di rat- tenerlo e costringerlo a sposarla. Nè paga di ciò, cumu- lando. anzi l'ambizione all’amore, sperava che 1’ Euro- peo l’ aiutasse a scacciar il regolo o governatore. d’ Uaua per impossessarsene. Onde uscir da. questo garbuglio fu duopo che Clapperton ricorresse allo stesso personaggio contro. cui si cospirava, per liberarsi dalle importunità dell’Africana , e riavere le sue robe. H Burgù, che quivi trapassavasi, è un reame diviso in molte reggenze vassalle, fra le quali le più considera. bili son le quattro di Bussa Kiama Niki e Uaua. Il go- verno vi è lo stesso che nell'’Iurriba; ossia una monarchia feodale. Narra il viaggiatore che, quivi pure come nel- l’Iurriba , vi sono atroci cerimonie allorchè muore il mo- marca ; che cioè ne’ snoi funerali deggiono morire le per- sone da lui più, predilette e fra le sue donne e fra’ suoi cortigiani. I Burguesi hanno in. generale malissima ripu- tazione presso i confinanti popoli africani, che li tengono per insigni perfidi e ladroni, Ciò non ostante narra Clap- perton; che nulla non fu rubato nè a lui nè alle sua gente; che più volte andò solo a caccia ne’ boschi senza mai averne nè minaccia nè insulto nè offesa; e che perciò li crede nonchè pessimi » i migliori anzi di quegli Africani che così li calunniano. Il loro territorio deve molto abbon- dare in miniere di gi pi essendochè veg ;sonsi da pertutto fucine e fabbri. Post T. XXXVI. Novembre e Movida 9 66 i I governadori delle città , che son detti Cabocir nel- ‘’’Iurriba, son denominati Taia nel Burgù. Da ciò potre)- besi forse dedurre fin ove si estendessero e le esplorazioni e i traffichi e probabilmente anche i dominii de’Portoghesi in quelle regioni nel XIV e XV secolo, ‘essendo visibil» mente ed innegablimente portoghese non già africano, il vocabolo Cabocir. Andando oltre perveniasi a Tabra, citta popolosa di 18 in 20 mila anime nel Niffè. In questa provincia si ve dean più gravi i guasti delle scorrerie e della guerra frai Fellati e i Burnuesi ; guerra di cui Clapperton avea udito la nuova fin dall’Inrriba. Là gli riuscia di far ricapitare sue lettere al sultano Bello, e d’averne amichevole rie sposta. Tabra, e Kulfa altra città niffese , sono due luo- ghi di gran passaggio delle carovane dall’ Africa setten- trionale alla meridionale. è Da Badagry a Tabra sono caffiri quegli africani; ossia non sono islamiti : appena quà a là trovasi qualcheduno, per lo più viaggiatore , che professi la religione maomet- tana. Ma da Tabra in poi, il maggior numero è di mussul- mani; sol qualche tribù errante fra boschi segue il culto de’ Fetisci, Nel Niffe inoltre incominciano a distinguersi i dialetti dell’ idioma arabo. Finalmente viaggiando ognor verso il punto da lui disegnato, e rinvenendo sempre città o terre più o men popolose, una delle quali per istranissimo azzardo nominasi Roma , giungea ORI addì 20 luglio a Kano. alt ‘Quivi giunto albergava nell’istessa casa in cui fu al- bergato nel suo primo viaggio, ed al pari ospitalmente accolto. Dopo i debiti uffizii al governadore e dopo qual. che giorno di dimora per riposo , riponeasi ‘in camino'òn- de visitare il Sultano Bello, che col suo esercito campeg- giava presso Cunia capitale del Guber. Quì per intelli- genza del resto di questo sunto preveniamo i lettori che il viaggiatore seco portando i donativi destinati a Bello, la- sciava col suo cameriere Lander in Kano quelli : riservati per Elkanemi Sceikko del Burnù. i L’ accoglieva il Sultano Fellatese con 1’ istessa cor- 67 diale amicizia con cui l’ aveva accolto dne anni innanzi. Molte notizie gli domandava e dell’ Inghilterra e dell’Eu- 1opa. Molto gli. parlava e della. guerra in cui era, e de’ mo- tivi d’ essa nelle ribellioni de’ regoli suoi vassalli istigati dal Principe *burnuese, e dell’ assalto che intendeva a dare a Cunia; guerra e .cose tutte , delle quali essendo * Clapperton testimonio, e dando non pochi ragguagli nel suo itinerario, noi quì brevemente toccheremo per sommi capi, più ad oggetto di andar facendo qualche confronto istorico, che per la materia in sè stessa. Coloro i quali ben addentrarono l’oechio della mente nella natura de’ tempi sì eroici come feodali (che eroi e feudatarii suonan lo stesso ), sanno quanto nell’ età sud- dette , potenti gli ottimati assai più de’sovrani, eran essi nonchè ubbidienti mobilissimi anzi all’ inubbedienza. Indi le tante sedizioni de’ magnati, mossi o da ambizioni pro- prie , o da istigazioni. d’ altri monarchi. Sanno inoltre che levavansi allora. gli eserciti chiamando i baroni co’ loro servi o, vassalli; e sanno altresì qual. mai eserciti dovevan essere ed. erano queste torme, così raunate e com poste di capitani e soldati senza forti. ordini di disciplina nè di tattica. Sanno in fine che questi baroni .0 eroi, così incoe- renti ed indisciplinabili, abbandonavano sovente il principe al menomo motivo o capriccio. Così senza addurre in pruo- va i documenti poetici d’ Ercole che lascia gli. argonauti, o d’Achille che a malgrado l'autorità del Re.de’ Re e nun vuol più combattere e minaccia di ritornarsene in Grecia, o in ultimo degli eroi dell’Ariosto e del Tasso (documenti verissimi delle cose se non delle persone ) noi leggiamo nell’istoria che Boemondo, abbenchè collegato col suo fratello Ruggiero nell’impresa contro Amalfi e Napoli, il lascia intanto, e sen va co’suoi guerrieri alla prima crociata, Con eserciti di tale natura l'osservatore scorge neces- sario e indispensabile il tenore di quelle guerre. Non tat- tica e non disciplina; indi non ordini non ubbidienza non provvisioni; e. perciò scorrerie devastazioni rapine incendii massacri ;' nonche guerreggiar spicciolatamente ; non unì- formità finalmente d’ armi d’ armatura d’ ordinanze e di 68 modi bellici. Questo caos di cose sovente orrendo, che leg- gendolo nell’istoria siam tante volte tentati a crederlo esi- stente, non.già nella realtà, bensì nella scaldata fantasia dell’ isturiografo, non era intanto che pur troppo vero e reale in que’ tempi incomposti. Era anzi tanto reale e vero che fora un assurdo l’ipotesi che ei diversamente fosse, _ Era un effetto immediato ed immancabile di quel grado ” sociale, Clapperton il verificava con pruove di fatto rinvenen- dolo negli ordini civili e militari di quegli africani, che sono attualmente nell’istesso stato di società in cui erano i nostri atavi ne’remoti tempi feodali, e i progenitori delle genti greco-latine nell’ età eroiche. Egli: vedeva riunirsi intorno a Bello torme e drappelli di guerrieri condotti da’ regoli suoi vassalli o tributarir o sudditi. 1 quali guer- rieri seguivano i capi loro in disordine e confusione; chi a piedi, chi montato sovra cavalli o camelli o anche s0- mieri è perfino sovra bovi. Bizzarramente armati con'archi o strali o fionde o lance , pochissimi con qualche vecchio archibugio per lo più privo di bacchetta e anche del sel- ce, con più bizzarra armatura di corazze‘e cosciali di cuojo; molti aventi per arme difensiva un doppio mantello talmente imbottito, che il nostro viaggiatore li denomina cavalieri materazzati , e mantello sì pesante che l’ uomo era inabile a montare. da sè solo a cavallo. Un perpetuo baccano e tumulto oltraciò nel campo ; continue scorrerie a far vettovaglie, e non men. continue risse, per lo più sanguinose fra individui e individui ,. o fra compagnie e compagnie nel dividersi le prede. Parea insomma; edera più assai un popolaccio in ‘rivoluzione e in armi che un esercito. In quell’esercito e guerreggiare. wedeva inoltre tutti quei costumi ed usi delle genti primitive, con tanta esattezza e fedeltà dipinti in Omero, e ne’ libri bibblici, che narra- no .le gesta ebraiche nell’ età eroica d’Israello!., ‘ossia, dal- l’Esodo a Salomone. +Quà era qualche. guerriero. ardito ; che salendo. sopra un, colle 0 albero più \propinquo alla città o all’arcampamento inimico, |’ oltraggiava con ine | 69 giurie ad alta voce. Là un campione più audace 3fidava a singolar tenzone il più prode della parte avversa. Altrove dà combattenti feroci , i.quali al riconoscersi nel più cal- do ‘della mischia. figli di padri che eran stati o amici, o consorti in qualche avventura; sospendere i colpi mor- tali, darsi la mano in segno d’amistà , farsi mutui doni o cambi d'armi, e cadauno rivolgersi a combattere con al-. tri. In ultimo leggiamo e nella Bibbia e in: Omero le eroine seguire i guerrieri e pugnare anche esse : le leggia- mo nell’ Eneide nel Furioso nel Goffredo; e comunque non vuolsi credere alla realtà di Camilla Bradamante e Clorinda, non perciò Virgilio Ariosto e Tasso eran men veri e fedeli dipintori di usi e fatti verissimi sotto quei nomi da loro poetati. Ed anche ciò vide Clapperton fra le schiere di quegli africani. Era Pentesilea o Clorinda o Bradamante o Camilla africana. accorsa in aiuto di Bello, una donna dello Zamfra ; la quale mentre gagliardamente combatteva ne’ combattimenti, era poi dotta in medicar le ferite, e le andava medicando di notte ; come finge Torquato che Erminia pria volesse fare nell’ uscir not: turna da Gerusalemme, e quindi facea trovando Tancredi semivivo. Tutti questi confronti son larghe pruove che l'uomo è sempre lo stesso in ogni tempo e luogo; che le genti, quando sono ne’corrispondenti periodi del’ loro corso sociale, si rassomigliano ne’fatti istorici loro e sem- brano imitarsi mentrechè sono assolutamente originali in pensieri ed opere; che i popoli comunque composti in società, e qualunque sieno le loro religioni favelle e leggi, hanno tutti il loro medio evo , il loro secolo eroico, la loro età di cavalleria ; e infine che*i poeti e specialmente gli insigni; sono i più fedeli istorici. delle cose ‘e usanze umane abbenchè vestite di finte figure e persone, Ora tor- niamo al viaggio in subietto. I Le Laonde così riuniasi componeasi e campeggiava l’eser- cito fellatese. Però la guerra non ebbe esito lieto. Fu dato 1’ assalto a Cunia, ma invano. Avvenne oltreaciò che nella notte immediata: al giorno della fallita espugnazione:; la legione degli Zamfresi., invasa da alto terror panico alla 70 nuova, falsa o vera, di sortita degli assediati, si rovesciava in gran disordine sul rimanente del campo, e con la pau- ra vi comunicava lo scompiglio. Erano i fanti pesti e schiacciati. dai cavalli ;. sì abbandonavano ‘armi vittua- glie macchine e salmerie; molti i. morti uccisi da’ propri compatriotti 0 dagli alleati per isbaglio. fra le tenebre, Clapperton non salvò sè stesso e il suo ‘bagaglio se non peîchè trovavasi ne’quartieri del Sultano. Da quel punto di notturna costernazione non altro si vide che fuga e shandare di truppe. Bello , raggomitolandone poche reli- quie , era costretto a polliocaliene fino a Sakkatù- Con lui Vi giungeva anche il nostro viaggiatore. Là dimorando assai più di ciò che disegnava, ed im- pedito a partire pel Burnù dalla' guerra che ardea fra’due stati, ebbe agio ed occasione a raccogliere le notizie circa il popolo de'Fellati, che è ora il predominante nel Sou- dan, ossia nel paese de’ Negri. A’nostri lettori non sgradi- ranno brevi cenni sull’ istoria di quella gente. I Fellati Fellani o Fulahi, così detti secondo le variè pronunzie dell’idioma de’ Negri, eran tribù arabe cosparse in quelle provincie interior forse fin dallo sbocco del- 1’ araba nazione in Africa, e vivendo vita pastorale non- che migratoria co’ loro bestiami per. le selve, come i Be- duini fanno nel deserto. Abborcriti dagli aborigeni africani per differenza di religione, essendo essi islamiti mentre che questi son caffiri; più abborriti probabilmente per l’esi- stenza rapinatrice , che pare essere insita ed istintiva nella natura degli arabi, tostochè dall’età memorate dalla bib- bia fino ad oggi, li veggiam sempre più o men ladroni, erano in perpetua ostilità co’ popoli di sangue . affricano. Inferiori iutanto a questi sia di numero sia in quella forza sociale ehe le genti costituite in domicilio fisso hanno sem - pre maggiore delle tribù vaganti, eransi riparati nelle parti più montuose erme e selvane di quelle regioni, onde i luoghi inaccessibili supplissero alla loro inferiorità. Gosì vivendo agresti, in climi, più freddi, ognor frastravagli e privazioni, agguerriti inoltre dalle continue offese ‘0 difese fra genti inimiche , rimase:o sparpagliati fino agli ultimi 71 anni del secolo ultimo , temprandosi però sempre più ga- gliardi in quelle virtù selvagge, sì sviluppate robuste e vive presso. ogni. popolo che alberghi isolato ed abborrito fra popoli nemici ;. la forza fisica cioè : la fede nella pro: pria religione; e lo sdegno sì nazionale come. religioso contro genti loro nemiche e persecutrici per diversità di culto di nazione e di viver sociale. Un popolo così preparato è quello che ha le maggiori attitudini a gesta grandi e strepitose. Ad esso.non vuolsi per incominciarle e farsi formidabile, se non che compa» risca. un uomo d’ingegno, il quale sappia infiammarlo con l’entusiasmo ,. riunirlo in più solida società, e inca+ minarlo. nella carriera de’ conquisti. E. quest’ uomo deve per natura delle cose presto 0 tardi comparirvi,, essendo natural conseguenza che fra siffatta gente si alzi qual- che anima energica e, generosa che senta alte ispirazioni. Del quale ‘asserto larga di documenti è l’ istoria con Mvi-è fra gli Ebrei (4), Maometto fra gli Arabi, Teseo fra’primitivi Ateniesi, e Romolo fra’primi Romani, Esso comparve perciò anche fra’ Fellati ; era un tale Danfodio, ossia Fodio il sapiente. he Presso i selvaggi e i barbari un sapiente è sempre profeta; perchè ignari essi del modo onde possa acquistarsi -la scienza, non sanno altrimenti. vederla, che come dono di Dio a qualche sua prediletta creatura. È inoltre agevole esaltare; col. sentimento religioso i fervidi cervelli de’ bar- bari, meridionali, e sopratutto delle tribù di seme arabo, gente sovra ogni altra esaltatissima di cuore e fantasia, È infine facilissima impresa quella di riunire tribù di ugual fede.e lingua, che disseminate patiscono ingiurie guerre e proserizione da, popoli d’ altra lingua e di altra fede. Che poi questo riunito popolo , così agreste esaltato di mente e condotto da un uomo di ingegno, vinca e trionfi di quelli che guerreggiando il vinceano quando era. debole perchè sparpagliato, ciò non va dimostro essendo evidente da sè stesso. Ed ecco l’opera di Danfodio. Riuvendo le (4) Nel senso come fatto .istorico. Lai | tribù fellate del Futa» Tora. Futa Bonda e Futa Diella, sbucava da quelle montagne e inondava l’Aussa, a sè chia- mando e rinforzandosi con le altre tribù: disseminate pel Soudan. Nell’Aussa era costituito il nuovo imperio, e fon- data Sakkatù per Metropoli. basali ‘Ciò. avvenne , come già dicemmo ;'verso il finire del secolo decorso. Ma nell*anno‘1802 Danfodio, pari a Mao- metto che patia d’ epilessia, impazzava. I quali eventi, invece d’ essere fenomeni straordinarii , sono casi ordina: rii e naturali in uomini che abbiano intelletti gagliardi fervidi e impetuosi , particolarmente in que’ climi ardenti. Nè questa pazzia ntoceva punto agli interessi del nascente principato. Giovava anzi; poichè a quel modo che le con- vulsioni ‘epilettiche di Maometto eran tenute per colloquii del profeta con 1’ Arcangelo da’ suoî settari, così pure l’ alienazione mentale di Danfodio era da’Fellati opinata qual’ estasi del loro principe con Allah. E crebbe a tal segno la fama della sua santità , che quando gli si radea la testa secondo l’ uso arabo , il popolo correva a divider- sene le rasure de’capelli, Siae tenerli e indossarli a guisa di amuleti. Danfodio morì nel 1316. Gli succedeva il suo figlio Bello attuale Sultano de’Fellati. Però insorgevano le più belle province conquistate dal padre, come il Guber per esempio , lo Zamfra , lo Zegzeg e il Cachinah ec. ec : al. tre comunque non fatte suddite, quali l’luri e il Cob- bi ec. ee. niutarono le insorgenti. Senonchè Bello , principe d’ insegno energico e bellicoso non ‘men del suo genitore, riconquistò non solo le rubelli, ma ampliava i suoi dominii con altri conquisti. La guerra di cui Clapperton fu testi- monio , faceasi anche per ribellioni nel stato di Kano fomentate' e mosse da Elkanemi ‘Sceikko lel Burnù. Con le notizie istoriche' di questo nuovo popolo rwndd anche il nostro viaggiatore raccogliendo quelle sugli istituti gli ordini le forze le rendite i maestrati, del pari che sulle altre cose morali e civili del nuovo potentato. E quì duolne di dover essere critici alquanto severi dell’osservatore, Cer- tamente noi non vorremmo che Clapperton celebrasse per- 73 fetto tutto ciò, che là scorgea; certamente doveva egli no: tare tutto ciò che è o diverso 6 opposto ‘agli usi e modi europei ne’rispettivi rami pubblici. Ma stupire o scandalez- zarsi di non veder là fare come si fa in Inghilterra, equi- vale al credere che la Gran Brettagna era due mila anni indietro in man de’ Pitti quale è oggi. Vuolsi rammentare che quella nuova nazione negra uscì , pochi lustri fa dal vi- vere incondito in tribù erranti; che essa è nella sua infanzia sociale ; e che perciò infantili vi debbono essere tutti gli efletti e i benefizi della società. Non ne pare giusto inol- tre accusare d’irreligione una gente, so] perchè recitando la corona con mille inclinazioni di corpo o moti di braccia nelle Moschee , non pratica gli esercizi di pietà al modo europeo. E così dicendo , dicemmo la ragion vera di tutti i falsi, giudizii de’ viaggiatori. Imperocchè in essi avviene precisamente quel che non dovrebbe avvenire; ossia che mentre viaggiando e vedendo altri usi e costumi , doxreb:- bero avere assai minori pregiudizi sia patrj sia municipici, son quelli intanto che li serton più forti, Indi subito un paragone con quello che nel ramo rispettivo si fa nella propria patria, e non men tosto una sentenziosa condanna non sovra altro fondata che sulla diversità del fare. Del che noi italiani andiam facendo le mille pruove mercè i mille libelli che pubblicano gli oltremontani. I quali men- tre ignorano la lingua , e non conversano se non co’ soli servitori di piazza o ciceroni di chiesa, ammessi alle sole grandi conversazioni , oggi per gallicismo dette società , ove non veggono che o altri forestieri, o i men na- zionali d’ ogni popolo, sentenziano in massa sulla na- zione, senza che intanto abbian visitato e conosciuto il tenore domestico di una sola famiglia, e veggono dapper- tutto ciò che essi portano nel loro animo già pregiudicato quì arrivando. A documento di tutto, ciò leggi Stendal, e vedrai giudicati venti milioni d’ uomini da quel che ei vide, o forse anche mal vide, in qualche conversazione di Milano o di Roma. Leggi Courrier, e vedrai ogni famiglia che l’albergava esser dipinta rotta a que’ peccati e delitti, T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 10 74 de’ quali era destino che ei fosse vittima nella propria, quasi in pena d’aver cotanto calunniato le altrui. Ma l’incomprensibile, e diremo anche incomportabile, è il veder poi i cultori delle scienze severe non di altro far capitale e documento nel parlar dell’ Italia, se non de’li- bri suddetti. Così per esempio vedi Maltebrun citar in appoggio de’suoi asserti chi mai? . . il viaggio di Simond !!! l’opera precisamente di quello , che non vergognando nè arrossendo di dire, che egli in quanto a lui non ri- starebbe punto dall’ imbiancare il Giudizio di Michelan- gelo! !!! deve essere da tutti riputato 1’ Omar delle ar- ti. Meglio avrebbe fatto il sedicente economista a venire ad imparare , che in materia di buoni ordinamenti eco- nomici l’ Italia è col fatto un secolo innanzi di tutte le altre nazioni. In tutta Italia infatti è già gran tempo, che il prezzo del pane è fissato dalla libera concorrenza e non già dal magistrato, come è oltramonti; che l’annona pubblica non è come altrove ne’ granai del comune, bensì ne’ pubblici e liberi mercati. Però fine a queste incresce- voli confutazioni. Noi potrem sempre dire : bastò 1’ Italia essa sola a sé stessa per conquistar pria con la mano e poi col senno tutto I’ Orbe cognito; ma vi volle tutta l’ unione e forze dell’ Orbe intero per disarmarla onde non temerne ; e ciò solo dimostra l’immensa superiorità an- tropologica degli italiani sovra tutte le altre nazioni. L'ar- gomento è un fatto cui non si risponde nè sì può rispon- dere ; e il mondo si volge tuttavia indietro tremando per vedere se mai v’ è ancora la formidabile Roma (5). Di queste cose occupandosi là dimorava Clapperton, allorchè vide inattesamente presentarglisi in Sakkatù il suo cameriere Lander, da lui lasciato con parte del ba- gaglio in Kano, Non sapea comprendere che mai si fosse; ma tosto gli fu chiaro il tutto. Bello che era in guerra con Elkanemy , pervenendo a sapere che fra’doni destinati (5) . + . Che ancor teme . . . E trema il mondo, quando si rimembra' Del tempo andato , e indietro si rivolve. 5 a questo Sceikko v'eran anche archibugi e sui im- pedia che queste armi e munizioni giungessero al suo ne- mito. AI quale uopo avea disposto che la salmeria di Clapperton fosse trasportata nella sua capitale per allon- “tanarla da’ confini del Burnù, Ingiungeva inoltre al viag- giatore che era libero e il farebbe accompagnare nonchè proteggere per ogni via {per cui gli piacesse di ritornare in Europa; sia per la già fatta, o per l’altra del gran deserto , o infine per quella di Tombuctù : e che gli vie- tava sol d’andare alla volta del Burnù, Quì anche leggiamo nell’ itinerario del viaggiatore molti lamenti e sfoghi di bile contro al talento sospettoso e diffidente di quel principe sudanese; contro alla sua prepotenza e violazione del dritto delle genti ec. ec. E vuolsi escusarlo perchè inasprito d’ animo al vedersi soffer- mato nelle esplorazioni geografiche da lui disegnate. Bello però non altro facea se non quell’ istesso che si fa sempre in tempo di guerra anche fra gli europei potentati i più civili ; e specialmente in genere d’armi che vadano, sia chiunque le mandi, all’inimico. Que’ moschetti riservati per, Elkanemi , comunque sì pochi , son però terribilissimi in Africa, ove il maggior numero de’ guerrieri è per man- canza di schioppi , armato sol con archi o fionde o lance, Indi era alta ragion di stato il sequestrarli ; nè fu punto violato il dritto delle genti inteso anche nel senso più largo e generoso. Chi per esempio avrebbe potuto rampo- gnarne la Francia nell’ ultima magna guerra, se essa avesse sequestrata qualche spedizione degli infernali razzi con- grevesi per l’Inghilterra, anche ove fatta da una potenza con cui fosse stata in piena pace? Quest’ ordine di Bello venendo a far contrattempo af- fligentissimo per Clapperton, gli aggravava la lenta iufer- mità onde era già da un pezzo cagionevole in un ;clima sì insalubre. Inferociva ovunque la mortale disenteria; e addì 13 ‘aprile 1828 .spirava l’infermo nelle braccia del suo fedele Lander ,*che il tamulò a Diungarie , borghetto cinque miglia distante da Sakkatu. Ed ecco un'altra vit- tima aggiunta alle tante immolate dalla’ ferocia sia del. 76 l’aere sia degli abitatori africani, alla passione geografica degli europei circa l’ Africa interiore. Clapperton era scoz- zese; messo a bordo di una nave di guerra fin dalla sna fanciullezza di 13 anni, servì la patria sua con zelo e distinzione durante tutta l’ultima guerra ; e salì al grado:dî” capitano. Quindi fatta la pace, imprese con non minor ze lo a servire alla geografia con due viaggi perigliosissimi in Africa, Alto‘ed atleta della persona, bello d’aspetto, d’umor gioviale assai più di quel che sogliono esser i malinconici inglesi, peria nel mezzo della vita nel suo 38° anno. Lander desolato per la morte del suo padrone, ot- tenea non senza gravi difficoltà da Bello di ritornare in Iughilterra per Ja stessa via di Badagry fatta nel. venire, Prescegliea però un cammino trecento miglia più all’Orien: te di quello già percorso pell’ Iurriba e il Burgù. Tornava infatti a Kano, e di là si volgeva a mezzogiorno per. una direzione intermedia fra il Diacoba e il Funda. Il.quale cammino era ottimamente intrapreso per osservare alla di- stanza di 300 miglia più a Levante e il corso del Kuarra o Niger, e la direzione delle montagne granitiche sormon- tate nell'andare fra Ciocio e Ciaki, onde potere, e con la certezza di fatto, chiarire il mistero della foce di un tal fiume, o almeno indovinarla con maggiori gradi di probabi- lità. Giunto presso a Dunrora, a 240 miglia al sud di Kano, vedea in lontananza la gran città di Diacoba , e udia da un tale Mohamed, arabo sua scorta, che lungi mezzo miglio dalla città suddetta correva il Ciari, e che questo fiume scaturiente dal jaco Ciad sboceava nel Niger per metter foce con questo ultimo nel golfo di Guinea. Quì vi è alcerto errore; e dobbian: credere che avvenisse o per ignoranza geo- grafica in Mohamed, o per poca intelligenza di Lander nella lingua arabica. Imperocchè fu dimostro col fatto da-Denham nel suo primo viaggio (6), che il Ciari, nonchè non sboe- care dal laco Ciad , vi versa avzi le sue acque in sette o otto ‘bocche ; e Bello aggiungeva , come anche disegnava nella sua carta geografica , che un tal fiume non altro era (6) V. Antologia N, 76. 77 se non la continuazione del. Niger o Kuarra. Non è im- probabile in somma che Lander'intendesse tutto l'opposto di quello che gli si dicea ; ossia che il Ciari invece uscire dal Ciad ed entrare nel Niger, ricevea anzi il Niger nel uo letto per condurlo nello Ciad. Così opinando si spiega più facilmente la navigazione e il commercio in battelli che l’arabo gli dicea esservi fra il Jaco e il fiume già più volte mentovati. Tutte queste incertitudini geografiche sarebbero dile- guate o assai diminuite ove Lander avesse potuto prose- guire la prescelta via. La direzione del fiume e della ca- tena de’ monti a cinque meridiani più orientali di quello sotto al quale eran stati osservati andando , avrebbe forse risoluto il problema finora sì misterioso, Senonchè giunto a Dunrora fu costretto a ribatter strada perchè il gover- nadore così volle , fingendo o realmente avendo tale ordine - dal suo principe. Onde è che.rifacea la via già fatta, fino a Gottop; quivi ne deviava alquanto a manca tra- passando lo Zegzeg fino a Mekami, donde tornava a Ek- kebi, luogo già da lui passato nell’ andare a Dunrora ; e infine volgeasi. verso Zaria , ove riprendea per non più la- sciarla la stessa via fatta con Clapperton due anni innanzi, fino a Badagiy. Fra’ mille casi di miserie disagi e perigli di questo andare e ritorno di Lander, noi presceglieremo i dae più singolari. per narrarli. In Uaua, presso a Bussa, il Regolo non volle permettergli di partire se prima non forbisse e raccomodasse alcuni vecchi e rugginosi archibugi. Quindi ciò fatto, esigea che il bianco gli desse amuleti magici tali a di-armar chiunque volesse fargli guerra. Invano si escu: savavil povero europeo , giurando di non possedere nè es- servi una tale arte; l’ignorante e superstizioso africano non gli prestava fede. Che perciò fù duopo ricorrere al- l’impostura onde uscir da impaccio. Prese dunque Lander sei pezzi di carta, in cadaun de’ quali scrisse una strofa di inglesi canzeni popolari, e li diede al principe racco- mandandogli di portarli sempre indosso. Di che era pago quel credulo , e il lasciava partire. Ma assai più sinistra 78 avventura correva in Badagry. Tre portoghesi, colà incet- tatori di schiavi per mandarli al Brasile , il denunziuvano al Regolo badagrese come spia dell’ Inghilterra , aggiun- gendo , che ove il lasciasse partire il vedrebbe ritornare con un esercito ; e che perciò meglio era farlo morire ec. ecd . Naturalmente sospettosi e diffidenti gli africani, il dive- niano sempre più vedendo tre bianchi accusare uno del- l’istesso loro colore. Indi eccolo subito imprigionato ed incriminato, Fortunatemente per lui sono in vigore i giu- dizi di Dio nelle cause criminali di tutti i popoli barbari. Alta testimonianza del senso comune di tutte le genti circa la gravità de’ gindizi capitali , tostochè vi fanno in- tervenire sempre Colui, che è o il solo il quale può punir di morte la sua creatura , 0 il solo che possa ben cono- scere se innocente 0 reo è l’accusato. Tutte le nazioni inci- vili infatti ebbero ed hanno questa giudicatura divina (7); e se nel medio evo giudicavano gli europei con le pruove dell’armi o del ferro rovente o dell’ acqua bollente, giudicano oggi que’ barbari d’ Africa con la pruova del veleno. Laonde ecco il povero Lander condannato a be- verlo ; e nella cappella del Fetiscio , al'a presenza del re de’sacerdoti degli ottimati badagresi , nonchè di moltissimi spettatori gli si porgeva il fatal nappo con la formola di ri- to: Se quì venisti con cattivo disegno , ne morrai; se poi nò, bevi pure, perchè non ti avverrà alcun male. ,, Era troppo arduo il cimento, perchè sicura la morte sia che be- vesse sia che nò. Una felice ispirazi»ne il salvò. Coraggio- samente tracannava quella bevanda che ei dice amara ed acrissima; poi subito correva a prendere un potente eme- tico in dose abbondante. Il vomito immediato fu la salvez- za sua, Visto non morto, fu dichiarato non solo innocente ma bensì protetto dal Fetiscio , e il sospetto degli africani si cangiò in aflabilità e protezione. Si imbarcava alla fine per l'Inghilterra riportando l’ itinerario altre carte e un. cronometro di Clapperton, ca (7) V. I saggi politici di Mario Pagano , e 1° Antologia N. 73. Articolo Viaggio di ‘Gamba. 79 Dopo un sunto fatto ad appagar le curiosità de’nostri gentili lettori vnolsi dar loro un cenno su’ vantaggi che Ja geografia ebbe dal viaggio che fu da noi epilogato. Chi confronti le due Carte d'Africa proiettate una da Sanson verso il 1690 , e l’altra da d'Anville verso il 1740, vedrà al primo sguardo una somma differenza fra esse. In questa non ravviserà che delineato il solo contorno del con- tinente africano, ossieno le sole coste; tutta la parte interiore è in bianco; laddove in quella veggonsi notati e i vari reami, e i monti e i fiumi ed anche i laghi Dibbie e Ciad, che crederebbonsi sol noti da pochi anni. Onde mai tanta di- versità # Egli è perchè per la mancanza di notizie positive d’ Anville, avvisando che in materia di scienze non do- vesse esservi cosa che non fosse più che certa, amò meglio lasciar incompleta la sua Carta, che riempirla cu» que’ geo- grafici elementi tutti congetturali con che Sanson avea ripiena la sua. Ne’ quali differenti metodi, mentre pon va se non laudato Danville per la sua scientifica auste- rità, non vuolsi poi privar Sanson della debita laude per l’ esattezza e fedeltà con cui andò raccogliendo le sve notizie sulle interiori provincie africane , tostochè le veg- giamo verificate da’viaggiatori che quindi vi si internarono, Non vi si scorge sbaglio che sol nella graduazione astro. nomica. Ma di ciò non punto può essere accagionato il geografo. i . 1 Oggi , grazie a’ generosi sforzi degli. europei, è ben altro, Oggi la superficie d’ Africa non è nè vuota come nella Carta Danvilliana, nè congettaralmente. ripiena come nella Sansonese. Moltissimi luoghi anzi vi sono geo- graficamente certi quanto la geografia dell’ Europa interna. Scientificamente graduata e cognita è oggi e la valle del Nilo fino a Dinga , e quella del Kuranko fino alla Suli- mania , e Ja zona interiore da Tripoli al lago Ciad , dal lago Ciad a Sakkatù, e da Sakkanù a Badagry nelle co- ste di Guinea. Il ‘torpo dunque di ‘questo coritinente, già riputato sì impervio per cagion. de’ deserti e della fe- rità si del clima come degli abitatori, fu permeato. Da trenta anni vi si addentrano gli esploratori, comunque 80 quasi niuno più non ne esca, Questo breve passato ‘è di ottimo augurio per l'avvenire; che alle .ardue imprese ardui e perigliosi sono i soli primi passi. In men di cin- quanta altri anni adunque Ja geografia \conterà fra’ suoi esatti dominii tutte le interiori province africane. 3 Ella aonterebbe anche oggi come suo: certo dominio la provincia: tombuctuese e il primo stadio del corso del Niger, senza Ja funestissima sorte del Maggiore Laing e il dubbio o 1’ incertezza sul viaggio di Caillé. Fatto è che finora non comparvero al pubblico Je esplorazioni scienti- fiche del primo da Tripoli ad Ensala pel gran deserto fra le tribù de? Tuarichi, e da Ensala a Tombactà ; itinerario, che se vero è il detto di molti diarii, trovasi capitato in mano di Rousseau già console francese a Tripoli, e da quivi congedato per non voler restituire le carte suddette. Quanto poi a Caillé,. anche ove non sia dubbio, come pur troppo ine ha apparenza', il suo. sì celebrato arrivo a Tombuctù , il suo viaggio non può essere che sterilissimo alla scienza ; perchè fatto senza istrumenti scientifici ; e perciò senza prendere graduazioni astronomiche de’ luoghi percorsi. La sua relazione, che non ancora, e non sappiam perchè , non fu data al pubblico, sarà tutt'al più poco su- periore in merito geografico a quella che ne fanno i mauri delle ‘carovane circa una città e regione sì misteriosa. Però il maggior mistero geografico dell’Africa, quello che anche oggi riman coverto d’addoppiati veli, qual già era ai tempi di Strabone Plinio e Tolomeo, è ove abbian scolo le acque della centrale valle africana ; ossia ove metta foce il sì antico Niger ora Kuarra. Clapperton in questo se- condo viaggio riman fedele all’ opinione di cui si era con- vinto ‘nel primo ; cioè che un tal fiume sbocchi nel golfo del Benin, non ostante che Bello, il più dotto fra gli attuali dotti arabi o mauri, e gli affermasse ‘che an- dava a versar le sue acque nel Ciad, e ne delineasse il corso nella sua carta geografica (8). D’ altra banda molti geografi parteggiano nell’ opinione che quel fiume abbia (8) V. Antologia N. 76. 8I la foce nel lago testè detto, Altri infine intercessori a con- ciliare i due opposti pareri , salirono all’ ipotesi d’ essere il Niger biforcato in due rami, un de’ quali vada al lago, e l’altro al mare. Sono ‘otmai più di trenta anni che caldamente discu- tesi una tale quistione in subietto. Non pochi viaggiatori audaci vollero deciderla con la notizia de’ fatti, i soli che valgano nelle scienze esperimentali , nel cui novero è la geografia. Indi Mungo Park intraprese il suo secondo viag- gio ;- nel quale tutto il tempo e gli ‘stenti e i pericoli oc- corsi dall’ atlantico fino a Bussa ove perì naufrago, furono preziosi capitali perduti: perchè a nostro avviso il nodo di un problema , finora sì insolubile, non è già nè nel primo , nè nel medio stadio del Nîiger, ma bensì là ove incomincia il suo stadio ultimo. Non men operose e.de’ geografi e de’ viaggiatori furono le accademie geografiche. La società africana di Londra e quella di geografia in Parigi inanimirono e incitarono con premii l’ audacia di nuovi esploratori. Però. a parer nostro molto traviava dal buon seritiero la seconda promettendo ricompense a chi verificasse le scaturigini delle acque sì della Senegambia come del Niger più volte ripetuto, ed a chi dal Sennegal pervenisse a Tombuctù. Come testè dicemmo ‘la chiave a risolvere il gran mistero è molto lun- gi e assai più all’ Oriente delle montagne dalle quali sgor- gan forse in comune fiumi di sì diversa foce, Certamente dal groppo montagnoso delta Svizzera colano le acque, che irrigando quindi molte provincie dell’ Europa, vanno poi a metter foce chi nel mare del Nord, chi nel] Tirreno, chi nell’ Adriatico e chi nell’ Eusino, Ma anche ben sa- pendo tutta la più minuta topografia elvetica, chi mai potrebbe sol da questa argomentare che l’Inn collo scari- carsi nel Danubio va al Mar Nero, e l’Adige all’Adriatico, e il Rodano al Mediterraneo, e il Reno nel mar d’ Olanda ? A saperlo nopo è conoscere anche tutti gli altri accidenti del terreno e de’monti, che forman le valli in cui hanno il loro alveo i suddetti fiimi. La catena dell'Alpe e delle T. XXXVI. Novembre e Dicembre. II 82 alire montagne che spiccansi dal montuoso groppo dell’El- vezia., è sol quella che, poi determina il corso nonchè la foce diversa di tante acque comungue scaturienti da co- mune sorgente. Il sì oscuro adunque problema ti deil’ Afcicà centrale è indivisibile ed inseparabile dall’oregrafico sistema di quella regione. Sol con l' aiuto della vera notizia di questo si può riso!ver quello. [Innanzi di applicar queste premesse alle idee nostre sulla tanto quistionata e quistionevole foce del Niger, cic- verà anche anteporre pochi altri lemmi sugli elementi pre- cipui della topografia, i quali saranno molto all’uopo per confortar l’ ipotesi che ne sembra la più ragioziergle o la men addentellata all’ erroneità, + ln generale i grandi capi o promontori non altro sono che gli ultimi termini di catene di montagne. Nè altra dimostrazione vuolsi di ciò dare al lettore intelligente , se non l’invito di volgere uno sguardo sovra una carta geo- grafica qualunque, Lo invitiamo inoltre ad una pari pruova d’ un altro asserto; ed è quello che, generalmente parlando, i grandi fiumi corron sempre paralleli alle grandi serie de’ monti. Mira infatti così correre appo alle Ande il Mis- sissipì ed il Rio della Plata nelle Americhe; il Danubio e il Rodano appo le Alpi; 1’ Ebreo e la Garonna appovi Pi- renei ; il Pò appo l'Appennino superiore ec. ec, in Europa. E infine mira lo stesso in Asia nel Volga che corre paral. lelo pria all’ Uràl e poi al Cancaso ; nell’ Eufrate che così pur corre appo il prolungamento del Caucaso suddetto; e del Gange appo l’Imalaia ; di quasi tutti i fiumi insomma della Cina e della Tartaria ‘cinese appo i monti Iablonoi. Ciò premesso diremo che ove mai fosse lecito di ac- certare cose appartenenti alle scienze esperimentali con di. mostrazioni di raziocinii e non di fatti , il sistema ore- grafico, e quindi idrografico dell’Africa; non dovrebbe nè potrebbe più essere un mistero, Anche nelle dottrine espe- rimentative i fatti non altro fanno sovente se nun verifi- care le previsioni degli argomenti. Così verbigrazia Newton asserì per calcolo, senza uscire dal suo cabinetto , quella . 83 schiacciatura del globo terraqueo ne’.poli', verifitata poi dagli astionomi francesi mandati in Lapponia e sulle Ande. L’ Africa ‘è una terra di figura trilaterale, ‘i cui tre angoli più sporgenti sono nel Capo Verde a ponente, in quella di Buona Speranza a ‘mezzogiorno , e nell’ altro detto Guardafui a levante. Si può perciò dedurre quasi con rigore e nitore matematico , che i tre sudetti capi sono gli estremi di tre ordini ‘di montagne , le quali partendo’ da un groppo comune formano l’ossatura primaria di quel continente, Si può insomma’ ‘asserire che la costituzione montuosa dell’Africa sia la stessa di' quella della Sicilia ; terra anche essa triangolare , e in cui il montagnoso dorso fra Castrogiovanni e Calata Scibetta è il tronco de’ tre ra- mi di monti che vanno a’ tre capi Zancle Pachino e Li- libeo, La quale induzione non rimane ne'limiti di nudo argomento , ma è confortata dall’esperienza. È antichissima affermazione de’ popoli africani ‘di tutte le età a noi co- gnite, l’esistenza de’ così detti monti della luna , che dal: l’oceidente all’Oriente vanno dal Capo Verde al Guadarfui; e la testimonianza eterna delle genti è se non più, almeno quanto la certezza fisica, in favore della verità di ciò che si afferma. Tutti i geografi greci e latini inoltre: non mai dubitarono della realtà di que’ monti ‘in quella latitadine. Nè discordi da essi furono gli arabi, grandi cultori di «geografia «darante il tempo della barbarie europea } perchè scienza indispensabilissima al vasto loro dominio dall’Indo alla Spagna. E seguaci sì degli arabi come de’ greci o la- tivi furono tutti i primi geografi del risorgimento. Nelle antiche carte d’Africa infatti, e specialmente in quella di Sanson, vedesi delineata quella serie di motitagne dal Capo Guardafui al Verde 5" ciò clie più dimostra la sagacità di questo geografo , vedesi quale ella ‘mopo è che sia se re- ‘almente v' e, alquanto cuneava cioè verso il lato boreale dell’ Africa. Finora non siamo che ad africane opinioni popolari e notizie de’ carovaneggiatori riferite e adottate da’geografi. Ma vengono a cumularvisi le testimonianze degli europei , 8i e.d’ europei là viaggiatori unicamente per la geografia con tutti i lumi egli strumenti, che questa dottrina seppe acquistare per ampliarsi. e ‘salire alla certezza. scientifica, Quella serie di monti che forse , o senza forse, è la pro- minenza formante i due acquapendenti dell’Africa mediana all’Atlantico ed alla valle del Niger, fu vista e verificata in quattro punti molto fra, loro intervallati; da, Laing cioè in Sulimania (9); da Mollien nel Futa Diallon (10); da Denahm presso Masfeia (11); e infine da Clapperton nel viaggio onde è quì parola, E sì Clapperton come Laing affermano che vedeasi prolungar la fila di que’ monti. fin- chè l’ orizzonte permetteva a’raggi visuali.di vederli. Quelle montagne adunque formano anche là, qual le alpi in Eu- 10pa e le Ande in America ec. er. una continuata prominen- za di suolo, una perenne catena insomma, In un tale stato di cose (che per argomento d’ indu- zione dal costante fatto della natura in tutti gli altri monti, può affermarsi verissimo e certissimo) il fiume Niger, il quale scorre borealmente a’monti istessi, nor può in modo alcuno metter foce nel golfo del Benin, che è loro a mez- zogiorno. Ciò ripugna, ad un altro non men costante fatto della natura in tutte le regioni. Tutte le acque vanno dalla terra al. mare sempre dal lato istesso del fianco delle mon- tagne d’onde fluiscono, In tutt'America i fiumi, che hanno scaturigini nell’acquapendente orientale delle Ande, vanno all’Atlantico, ed al Pacifico quelli che sgorgano nell’ oc-, cidentale. Lo stesso è in Asia dove |’ Oceano indico riceve le acque meridionalmente scaturienti dall’ immensa mon- tuosa sua schiena, e il mar gelato raccoglie quelle che ne scorrono a settentrione. E il pari è in Europa : il Danubio e_il Reno hanno foce in latitudini più nordiche di quelle dell’Alpi, come il Pò e l’Adige, l'hanno in una più meridia- na. ]l solo Rodano sbocca meridianamente ad esse mentre ne sorge nel fianco settentrivnale , senza. però che ciò 0 (9) V. Antologia N. 75. (10) V. Antologia N. 74. (n) V. Antologia N. 77 85 faccia eccezione o violi la regola universale nella costitu- zione oregrafica ed idrografica del globo. Egli è sol perchè le Alpi suddette dalla Svizzera archeggiano per la. Savoia, donde poi vanno sempre più. archeggiando, volgendosi e trasmutandosi in appennini, Il Rodano non le traversa ma gita intorno alla loro curva esteriore, e:va a sboccare nel past detto golfo di Lione. Indi a supporre senza assurdo topografico che il Niger o Kuarra metta foce nel mare del Benin, uopo è per forza ammettere una delle due ipotesi seguenti ; 1.9 0 che cioè cessi e finisca quella serie di montagne viste e travalicate da Clapperton, 2.8 o che esse sien tagliate da una valle, profonda almeno di duemila piedi inferiori alle loro cime, per dare un varco a quel fiume. Non perderemo il tempo a confutar la. seconda, bastando a distruggerla 1’ inesi- stenza del supposto caso in tutte le serie de monti; non è ‘infatti a cognizione d’ uomo che le Ande o le Alpi o i Pirenei , o gli appennini, o i Dofrini, o i Krapaki, o gli Ural, o tutte le file de’monti asiatici, così apransi in qualche parte per dar. passaggio a qualche fiume. Quanto poi alla prima , oltrechè Clapperton suddetto. vedea prolungatsi quelle montagne dette del Kongo verso l’ ESE fin dove il suo occhio potea giungere , vi è di più che quasi sotto , l’istesso parallelo, ma nove in dieci meridiani più a Levante, Denahm scorgea catena di montagne. E i fatti e gli ar- gomenti dunque son tutti non già per la cessazione , bensì pel continuamento delle montagne; le quali, secondo i più sani principii della dottrina da noi anteposti, deggiono con- tinuatamente concatenarsi dal Capo Verde al Capo Guar- dafui. ‘In questa, per altri congettura e per noi fisica verità finchè l’ esperimento non la dimostri falsa, ove è o, può essere la misteriosa foce del Niger? La risposta è lì bella e pronta ; nel Caspio dell’ Africa, ossia nel. gran lago Ciad, E nello Ciad ne asseriva e disegnava lo sbocco il più istruito fra’ moderni africani ; il Sultano Bello dotto non sol nelle lettere della sua nazione, cioè nelle arabiche, 86 ma ancora in molte greche discipline ; talchè avea sempre in mano i libri d’ Euclide volti in arabo. Avvertimmo a’ nostri lettori che Cla pperton obliò o di misurare o almen di registrare nel suo itinerario ]’ al- tezza del pelo d’acqua del. ‘Niger presso a Bus:a, ove il traghettava. Ove ei l’avesse ‘o'fatto o registrato, e la sa- pessimo superiore alla superficie dello Ciad , che dal dot- tore Oudney (12) fu misurata di 1200 piedi più alta del livello marino , avremmo un documento di più all'opinione nostra sullo bcblò di quel fiume. Altri potrebbe obiettarne come mai fora possibile com: binare lo Giad ne’ limiti che gli sappiamo con l'immenso volume d’acqua che da tanti secoli vi versa ‘il Niger con altri fiumi. Alla quale obiezione risponderemmo, che ‘oltre al nun essere stata esplorata tutta la periferia: di quel mare mediterraneo ; e perciò alla possibilità che esso estendasi molto più di ciò che parve verso il Kanem , udia anche Denabm dagli indigeni esservi un altro lago, prossimo e pro- miscuo allo Ciad mercè un canale, nella provincia del Fittrè a Levante del Kanem e del Baghermì. A ciò aggiugneremmo che anche il Caspio, a malgrado di non aver scolo visibile e di ricevere molti fiumi, non pare che abbia mutato ampiezza da 25 secoli a questa parte. L’ evaporazione , nello Ciad specialmente sotto quel clima sì torrido, risolve e dilegua ogni difficoltà, Nè rifuggiremmo all’idea ancora di scoli sotterranei. L'acqua è un elemento immensamente fel trante. E noto che il Rodano va ‘per più miglia sotterraneo presso a Ginevra ; e così puie va il Tanagro nella provin- cia detta il Principato citeriore nel regno di Napoli. Nel- l’istesso reame inoltre, dal Fucino colano sotterraneamente l’Aterno che si marita alla Pescara, e varii rivoli che ver- sano quindi nel Liri ; come pure dal Tago accolto nel bacino in cima del Mafese sgorgano interiormente il Biferno verso l’Adriatico e le acque di Piedimonte, le quali poi vanno col Volturno nel'Tirreno. E non potrebbe forse lo' Ciad avere (12) V. Antol. N. 76. 87 uguali scoli sotterranei? La matura non è come l’uomo , cui è vietato di estendere le sue opere oltre talune imprete- ribili dimensioni. Essa ha forze tali a fare in grande nel cnor d’ Africa ciò che in picciolo fa in Europa ne’luoghi da noi testè accennati, Le scaturigini del Nilo son tuttavia non men incognite e misteriose della foce del Niger. Chi sarà da tanto ad asserire .esser impossibil cosa che lo Ciad ricevendo il Niger, sia pure il gran fonte da cui sgorghi il Nilo a cielo aperto o sotto terra? L'unica condizione che farebbe assurda questa ipotesi fora sol quella di non es- servi altezza sufficiente sulla:superficie del mare ; ma 1200 piedi di elevazione sul livello di questo , son sufficienti ad un corso fluviale anche di 2400 miglia. Conchiudiamo adunque. Il solo esperimento, la sola cognizion di fatto può dimostrarci fallabili nelle nostre idee, Però è per tutte le ragioni fra’possibili che la cognizion di fatto e l'esperimento venga a verificarle; ed anche forse a provare reale ciò che fu creduto favoloso in molti geografi antichi ; il camino, sotterrano cioè del Nilo de’negri al Nilo degli egiziani, GP. P. S. Era il nostro articolo quasi sotto il torchio allorchè il Direttore dell’ Antologia ci avvertì, che nel N.° d’ottobre della Rivista, Enciclopedica (giunto in Firenze ieri 25 novembre) v'era un artieolo sull’ istesso argomento del gran problema geografico d’ Africa da noi quì discusso. Ciò udendo , non ad altro atten- demmo che a sospendere la stampa del nostro, ed a leggere quello del signor Chanvet, onde vedere se mai vi fosse qualche nuova notizia geografica, che ne obligasse a farci ricredere o modificar de opinioni da noi emesse. Il leggemmo insomma con avidità ed attenzione. Però dando i debiti elogi all’ erudizione ed all’acume dell’ autore, nulla vi imparammo di nuovo circa i-fatti , ossia nuove scoperte; e vedemmo riprodotta una opinione già anni in- nanzi data dal siguor Jomard. Ipotesi per ipotesi dunque , noi rimaniamo riella nostra , finchè i viaggiatori non la dimostrino falsa. La crediamo anzi prossima alla certezza più di qualun- que altra, non per affezione d’autore , bensì per la sua semplicità appo la contorta complicazione di quella del prelaudato signor Chauvet, come potrà vedersi ne’ brevi cenni che quì daremo. 88 Suppone egli adunque che fra il 5° e il 10° parallelo boreale d’ Africa corrano due catene di montagne; quella cioè del Kongo, che andando sempre verso oriente , volgesi poi a borea sotto. il meridiano 30.” orientale per formare la. semi-valle sinistra del Nilo in Egitto ; e l’altra de’ monti della Luna , detti anche Ca- marroens o al-Kumhr , la quale dal golfo del Benin và a termi. nare nel Capo Guardafui. Da questo sistema oregrafico passa poi a spiegare l’ idrografico nel modo seguente. Secondo i detti degli africani e le congetture de’ viaggiatori , dice egli, debbono esservi due grandi laghi in quelle regioni africane ; uno fra’ monti del Kongo e il golfo di Guinea , detto Bahr-Sudan ; e 1’ altro fra le montagne istesse e quelle della Luna , detto Lago di Caudi. Il primo è'‘al mezzogiorno di Funda nell’ intersezione del 7.° parallelo col 5.° meridiano; ed il se- condo in quella del suddetto latitudinare col longitudinare 15.9; nel primo mette foce il Kuarra o Quorra , e quindi ne esce per andare col Rio Formoso al Mare del Benin; ma dal secondo sgorga- no quattro grandi fiumi; il Nil Abid cioè, o Nilo de’Negri, che va nel precitato Bahr Sudan ; il'secondo , ossia il Ciari, che corre a versarsi nello Ciad ; il terzo, o Bahr-Abiad , ossia Nilo bian- co, che va in Egitto ; e il quarto , di cui non dice il nome, che va poi a sboccar nell’ atlantico meridionalmente al seno o capo Camarroens . In questa maniera, conchiude egli, si concilia- no e le opinioni de’geografi e i racconti degli Africani ; par- ticolarmente in ciò che concerne e il corso del Nilo de’ Negri, da molti affermato verso Occidente , e quel che 1° Arabo diceva a Lander ; circa il fiume cioè che esce dallo Ciad e si unisce al Kuarra, monchè circa la navigazione che i naturali fanno dal testè detto lago al fiume menzionato , o viceversa. Noi conveniamo che il Kuarra possa formare il Bahr Sudan presso Funda ed anche altri laghi, a quel modo che forma il Dibbie presso Tombuctù , ove porta il nome di Dialiba. Ciò nol contendiamo ; ma non potremo mai convenire, finchè la notizia di fatto non venga a imporci silenzio , che esso vada a metter foce nel golfo del Benin. Vi sono , come già dicemmo nel testo del nostro articolo , le montagne del Kongo ; le quali dovrebbero finire , o almen aprire una profonda valle per dar passaggio ad un tal fiume , e far così ammettere la foce Kuarrese nel mare del Be- nin. Che quelle montagne non cessino ma continuino verso Le- vante , è un fatto dimostro ; e lo stesso signor Chauvet nol nega. Quanto poi alla valle che vorrebbesi per lo scolo del fiume anzi- detto, non veggendo noi un simile fatto geografico in niuna al- P 89 tra serie di monti e in veruno altro’ fiume» del globo , continue- remo a non ammetterla in Africa , e la gia le finchè i viag- giatori non 1° sccentino. ® La stessa ragione ci fa ripugnare ad ammettere tutto ciò che il signor Chauvet suppone circa i fiumi sgorganti dal lago Caudi ; il Ciari cioè , che anche esso dovrebbe trapassare per una'seconda valle simile negli ulteriori monti del Kongo , onde versarsi nello Ciad ; e 1’ altro fiume. , seiza nome, il quale per metter foce nell’ atlantico deve di necessità trovare un varco 0 interrottura ne’ monti della Luna. È un precetto in ogni dotrrina quello di non «moltiplicar enti contingenti senza necessità. Ma l’ipotesi che combattiamo ne moltiplica non solo de’non necessari, ma: bensì fondasi tutta sovra enti quasi impossibili. E tali son quelli che le catene de’mon- ti primarj interrompansi tutt’ insieme con valli profondissime per dare il passo a’ fiumi. Un tal fatto non ancer si vide in tutta la ‘geografia a noi nota; indi non ci»si potrà tacciare d’ irragione- volezza negandolo nell’ ancora. ignota geografia d’ Africa ; e il negheremo finchè la scienza nol verifichi cogli innegabili docu- menti dell’ esperienza: (*) Li \ * Da (*) bai signor Graàberg de Hemso., dottissimo sì in geografia come» in altre scienze , al cui giudizio volemmo, sottomettere. la nostra opinione innanzi di darla al pubblico , ci oppose che il Gange, scaturendo da’monti di Turkhende, deve per passare da Scrinagar nell’ Indostan , trovar necessariamente un varco o gola nell’ Imalaia ; e che perciò questo fatto si opporrebbe al principio ‘ge- nerale da noi presunto circa } inesistenza di monti primari ;'i quali ‘idie- no passaggio a fiumi scaturienti in uno de’ loro pendi, ( acquapendenti ) perchè poi corrano nelle valli del pendio opposto. La quale obiezione sa- rebbe di gravissimo momento ,.se fosse fondata sovra un fatto già verificato dalla geografia, Però ella è ancora ne’ limiti delle congetture : e 1’ occhio geo- - grafico non peranco determinò con scientifica certezza il primo stadio di quel s' P P re de’ fiumi asiatici; e soprattutto le sue vere scaturigini. Il tempo forse, 0 senza forse , scoprirà che i due grandi fiumi Gange e Brumaputer, i quali cor- rono paralleli alla catena .dell’.Imalaia uno al. S. 0. (e l’altro al N. E., per poi riunirsi in un lettg o foce,comune là ove l’Imalaia suddetto ui sca- turiscono, ne’due pendii opposti di questa immensa montagna. Quanto alle ca- teratte infine che, ha il Gange nello stadio primo: del:suo corso ; esse nulla non ostano al nostro” principio. Le cascate non provengono se non da’ rami secon- dari, che i grandi monti spiccano ne’ loro fianchi ; rami i quali riunendosi 0 avvicinandosi fra loro, interrompono la continuazione del piano inclinato delle valli ; e perciò obbligano i fiumi a precipitarsi negli scaglioni fra le valli men- T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 12 90 \ (Ci raffermiamo adunque..ognor più nell’ ipotesi nostra , la quale. oltre ad aero concorde con tutti i principii certi di. geo grafia e p'opornpfia ,» è poi semplicissima. Invece di due serie di monti , a sì poca, distanza paralleli. fra loro (fatto anche esso «pochissimo. ‘verosimile, perchè in niuna altra parte del mondo. non veggiamo due grandi catene »di montagne primarie prossime e parallele ,) noi ne supponiamo» una; dal Capo Verde, cioè al «Guardafui. In questa serie , e probabilmente fra? meridiani 5. e 10.° deve, ipeservi il groppo montuoso da cui si spicca | altro ramo di montagne che corre fino al Capo di Buona Spelanza: Forse anche al N. spiccasene un ? altro; che probabilmente forma la se- ct sinistra daN , ela divide dal bacino in cui è Jo Ciad. nesto lago pago l'altezza sua di 1200 ‘piedi superiori al li- di o marino , avere uno sbocco o sgorgo s :o nella valle del Nilo ; e così Gpinande si, spiegan ‘tneglio- de annue e grandi inon- dazioni dell’ Egitto, attesochè Denahm ‘vide i grandi. straripa» menti e poi ristringimenti delle‘acque del lago suddetto. Non è fra gli impossibili che lo Ciad si aprisse col peso delle sue ac un varco alla valle precitata } a quel modo che fece l’Eusino Sia do i due Bosfori. Chese poi vogliasi negare: il passaggio scoperto . e supporre il sotterraneo 3 memorato da molti geografi antichi , l’ altezza istessa del suddetto lago può spiegare la feltrazione delle sue acque , e con ciò le scaturigini. del Nilo Tutti i i in- fine, là visti dagli Europei, il Dialiba, il Kuarra, l’Teu, il Giari, ec. corrono chi più chi meno verso Levante. A Levante è dunqne il «gran pendio di quella immensa, valle; ; e finchè V esperimento nol dimostri crederemo impossibile ho vi sia un fiume il quale corra a ponente. | G. P. è Lilo © 1 tovate. Le cateratte. del Gange dunque non sono argomento nè che esso tra- versi l° Imalaia , nè che le montagne ‘primarie. sien traversate da’ fiumi. Le ca- teratte sono accidenti topografici delle valli 3'imà' non mai del corpo delle mon- tagne 3 e sovrattutto delle primarie. Ovunque veggasi una cascata, è evidenza fisica che l’acqua scende da una regione superiore. Indi vedendosi in qualche monte , ed anche supponendo: questo altissimo, uopo. è per forza che ‘a lui so- vrasti un monte più alto 3 e per conseguenza:è allora non già di in bensì di secondo ordine; gf A DI y “i ss + Duna LerreraTuRA Etkorra: (*) "LI ppt : PROSA hi Io intravcedo l’aurora d'un Letteratura sh Europea : nessuno fra i popoli potrà dirla propria ; tutti avranno contribuite— ‘a fondarla. sai ‘ TI GorrHE. è Ù f* ” I. Le parole de’ sommi., quando. più: riescono oscure , più covano il germe d’ una, profonda ed utile verità. Il Genio passa rapido attraverso le razze viventi, e s’ interna ne’ misteri del l’ universo; ma ad.esso un solo sguardo. discopre alte cose : le leggi che regolauo la vita delle nazioni si rivelano all’ uomi entro cui vive questo istinto sublime: il passato ,. e il croci deli, interpretano l’un l’altro nella sua, mente ; ed egli ne trae so- vente. cil futuro , perchè il, genio è profeta. Ma poichè un forte se. ‘, una intensa predilezione delle idee concette , e il ri concentrarsi fatto abitudine , non gli.consentono di por mente alla misura dell’ altrui intelletto , ei s’° esprime con segni brevi ed energici , e in una foggia singolare ed ardita; onde ha taccia d’ oscuro e di strano da chi non guarda per maliguità , o non vede per impotenza. È fu schernita sovente col nome di sogno la idea d’ un uomo, che precorrea d’ alcun secolo ai destini del- ’.uman genere , finchè il tempo , che rode le cieche venerazioni e le invidie, non ebbe posto il suggello de’fatti alla verità. Ben, più di cento anni, le baie erudite , e la inerzia degli animi dan- narono Vico all’ obblio ; ed ora, molti libri commentano i prin- cipii di Scienza Nuova , molte teoriche sono sviluppo d’ alcuna ig 4. s' (*) A tutti.i nostri lettori giungerà , speriamo , gratissimo il presente ar- ticolo, qualunque sieno le loro letterarie opinioni : lavoro. fun giovane di sin- golare ingegno , esso spira dGhili sensi Pi e veramente italiani. — Cogliamo. del resto , quest’ occasione ‘per ripetere ciò. che già dichiarammo più volte ; es- sere 1° Antologia ‘un Giornale destinato a "Ei conoscere 1’ attuale stato della società e della letteratura in Italia, e però dovere ammettere l’ espressione , purchè urbana, di tutte quelle opinioni che hanno nella nazione o nella lettera- tura un certo numero, di rappresentanti o seguaci, Nè i classicisti pertanto nè i romantici s i quali veggono nell’Antologia sostenute a vicenda o, combattute le loro opinioni debbono dolersi di un metodo che prova la nostra imparzialità , e con la discussione delle ragioni contrarie agevola ed assicura il trionfo del vero. Nota del Dir. dell’ Ant. 9. idea , ch’ egli seminava oscuramentée al solito ne’ suoi og Nel secolo XVI s° irridea, come assurdo , il voto che alcuno espri- meva contro il mercato de’ negri , e Sepulveda decretava nelle Spagne , colle autorità d’ Aristotile , giusta e necessaria cosa essere la schiavitù d’ una razza d’ uomini; ed ora l’ ‘empio mer- cato è abolito , e l’ esecrazione dei popoli persegue i trafficatòri di sangue. Le relazioni fra gli uomini e le cose si moltiplicano incessantemente : chi può tutte indovinarle ? La civiltà , dove la forza o.le divisioni nol vietano , procede colle leggi del moto uniformemente accelerato : chi può dirle: tu arresterai là i i tuoi prabressf là è il termine del tuo cammino ? H. La necessità d’ un mutamento nella Letteratura de’po-' poli è cosa ormai troppo evidente , perchè vi s'abbiano a spen- der parole. Le vicende , le istituzioni , le nuove credenze , i mu- tati costumi , e le passioni diversamente temprate, hanno creato il bisogno d’ una nuova letteratura , ch’ esprima la, situazione ed i voti del moderno incivilimento. Nè questo è hisoiò del secolo. XIX soltanto ; bensì incominciò a risentirsi dacchè si diradava la tenebra dell’ evo medio ; se non che , dove ne’ secoli adilietro era mente dei pochi, e ndo Sn dalla. ignoranza o dalla tirannide , s° esprime ora con più potenza di raziocinio , e con- cordia di voti. Per tutta Europa pare che ‘un soffio di pussretta vita avvivi gl’ intelletti‘e gli sproni a vie non tentate finora: per tutta Europa ferve uno spirito, un desiderio d’ innovazioni letterarie , che accusa la sterilità delle norme antiche , e la in- sufficienza degli antichi modelli. Poichè dunque nè molestia di circostanze , nè intolleranza di pregiudizio può fare chel voto de’popoli rimanga inesaudito per sempre , la Letteratura invocata. sorgerà : quando, e quale , chi può dirlo senza presumere Pi Se 1’ universale bisogno ; e 1° ardito ufficio d’ alcuni bastasséro n° fondare una Letteratura , 1° epoca non parrebbe lontana. » molte , e gravissime condizioni si richiedono al suo pieno s i- luppo ; e l’ evento affrettato dai desiderii , pende incerto tra le nubi dell’ avvenire. E incerte tuttavia sono le” POR, ond’ essa vestirà i suoi concetti , dacchè quanto fino ad @ra s'è fatto è sù più forse tentativo , che frutto di giudizio fermo, € pensat fors° anche non potranno determinarsi giammai, perchè ‘glie. gegni potenti davvero , anzichè da’ canoni d’.arte., desumo- no le forme dalle viscere del soggetto: Intanto , giova investi- gare quanto ha riguardo ai progressi , 0 allo stato attuale del- 1° incivilimento : giova riflettere su quanto deve comprefdersi in un quadro compinto dei bisogni s delle relazioni, dei voti, e 93 degli affetti de’ popoli nel secolo. XIX. Ricerche di simil genere , quantunque appaiano inconcludenti a chi le contempla isolate , non riusciranno inutili mai. Uningegno sovranamente filosofico , annodandole tutte ad un centro , compierà presto o tardi il la- voro : quindi si desumeranno le basi d’ una Letteratura , che formerà forse la gloria del vigesimo secolo. III. Uno dei caratteri fondamentali di questa Letteratura è indicato , a mio credere , nelle parole di Goethe, che stanno in capo allo scritto. Parmi ch’ esse racchiudano un alto senso , un risultato di ‘profonde conafambioni sull’opera tacita e progressiva de’ secoli : parmi ch’ esse stabiliscano una differenza essenziale fra le antiche lettere e le moderne. E so , che a moltij il vo- cabolo di Letteratura Europea suona distruzione d’ ogni spirito nazionale , d’ogni carattere individuale de’popoli; ad altri, stra- nezza, sogno utopistico. I primi confondono la indipendenza d’una nazione col suo isolamento intellettuale = ed è errore di mente; i secondi disperano degli nomini e delle cose — ed è difetto di cuore. À me non superbisce tanto nell’anima la vanità cittadina, da farmi avverso alla idea d’ una Letteratura che stringesse in una col santo vincolo del pensiero tutte le umane. tribù; nè m'ar- ride tanto la nuda realtà della vita, ch’ io possa rinunziare a tutto cià che può comparire sorriso. d’ im mapare zione , anzichè figlio del freddo intelletto. E il cuore abbandonato a’ suoi moti senz’ aiuto diraziocinio non guida sempre alla verità ; ; ma nè il nudo calcolo della mente , dove il cuore non lo fecondi. Il pre- sagio di dpathé non è illusione: foss’anche tale, è illusione su- blime e le sublimi illusioni, concitando non foss’ altro tutte le poter Datini , non han’ forse dritto a sivendianali i tre quarti d grandi imprese , che dispensano la immortalità sulla terra ? Però, Ricu considerazioni intorno a questo argomento non riu- ‘sciranno inntili, È spero, nella presente. condizione delle menti, ai lettori dell’Antologia ; dove tali riuscissero, ‘non s’incolpi il su- bietto , bensì lo scrittore. Scrivo come il cuore mi detta : il cuo- re CA è buono ; e caldissimo , ma che illude sovente: circa le eni forze. i #7 Parsi A chi percorre rapidamente con l’ occhio le vicende d istoriche della Letteratura ne ° diversi popoli che compongono dla razza umana 338) "affacciano differenze tali. di metodi, di con- ‘cetti, e di stile, iche paiono a prima vista costituire ‘un’ indole | propria, una tendenza particolare e diversa al. genio delle na- zioni, come se Natura imponendo. alla singolare ambizione limiti di montagne e. di fiumi, avesse pure a ciascuna d’ esse asse- 94 gnato i confini dell’ intelletto. — D’ onde queste diversità ? Le cause dalle quali hanno origine son esse immutabili, e perciò ne staranno eterne le conseguenze ? o, soggette a successive mo- dificazioni , possono complicarsì , logorarsi , confondersi ? — Da questa ricerca deriva‘, come ognun vede, se possa o nò aver vita mai una Letteratura Europea. : Quando le lettere , traviate dalle pretensioni accademiche , immiserite tra le freddure d’Arcadia , corrotte dalle protezioni , neppur la memoria serbavano dell’ antica dignità ‘e del primo ufficio ,.i letterati, avvezzi a considerar l’ arte loro più come lusinga all’orecchio dei pochi potenti , che come ministero utile alle moltitudini , non guardavano alla sostanza delle cose, ma alle forme ;'non alla importanza dell’idee , ma a’vezzi dell’espres- sione”: dpi, se più loro propria o de’tempi, non. so bene ; forse dell’una cosa e dell’altra egualmente. E poichè ad essi non era dato' il creare , ‘si gettarono ‘a riandare le glorie dei secoli che più non erano ; e nacquero commentari, vite, Storie di Let- teratura. Ma il segreto vincolo che connette l’ indole e i pro- Luni delle lettere colle vicende del viver civile e politico , non s’” avvertiva da’ claustrali , biliotecari , e letterati di corte, che ponean mano a que’ libri: però ne uscivano memorie d’ snattidibi più che storie delle vicende intellettuali de’ popoli ;' opere dil cladizione portentosa , ma quasi mai rischiarata da filosofico tue me ; congerie di nomi e di cognizioni , ma fredde e sterili come. le lapide dei cimiteri , Intanto , le differenze che si ravvisano nello ‘sviluppo intell'etetità d’ ogni nazione , @ i caratteri ‘parti colari che: contrassegnano le diverse letterature , si presentarono agli. occhi loro come fatti esclusivi d’un gusto primitivo ed uni- versale. La ‘soluzione del problema non potea rinvenirsi che colla scorta’ della Storia e della Filosofia; e poichè nè 1’ ingegno nè i tempi concedevano ‘ad esse l’ addentrarsi in questi liberi studi , divagarono in cerca d’ una causa. unica ed immitabile. Affasci- nati dalle apparenze , sedotti’ dalle autorità id antichi , è dai sistemi di serittori politici , che attribuivano ‘a’ popoli capacità d'indipendenza, o necessità di servaggio secondo i gradi di supposta attitudine ; promunziarono: aver prefisso là Natura' notme' certe agli ingegni , corrispondenti'alla posizione topografica 5 ‘e il cli. ma essere primo e supremo moderatore del Gusto. Quindi ine dole delle letterature essenzialmente diversa ; quindi la immu- tabilità: di ciascuna d’ esse ; opinioni funestissime , come quelle | che incepparono sempre e Aillbiatrono sovente il Genio, che pur sentiva fremersi dentro sublime la facoltà creatrice. — Elo & 95 spirito che incita a migliori destini la specie, commosse final- mente le menti : il sentimento d’ indipendenza successe al fan- tasma dell’.autorità: si concesse eguaglianza di diritti , e attitu- dine ad esercitarli agli nomini di tutte le zone ; ma non.si volle ad.essi concedere fratellanza di.commozioni e d’ idee. Si corres- sero le leggi d’uno stato con esempli.e norme desunte dalle leggi d’ un altro : si studiarono le abitudini e le costumanze di tutti i popoli : molte opinioni caddero nell’ obblio , molti. pregiudizi sfumarono ; ma questo dell’ assoluta influenza del ;clima sul ge- nio delle lbtigraltatà rimase, e si perpetuò nelle voci «della me- diocrità naturalmente inerte, nei delirii d’una cieca vanità na- zionale, nella eterna genia dei pedanti; e noi lo udiamo suonar tuttora sul labbro di molti, come anatema irrevocabile a chiun- que procaccia allargare la sfera del Gusto ; e ad ogni tentativo per schiudere nuovi sentieri agli.ingegni, ad ‘ogni esortazione che chiama gl’ italiani allo studio dei capolavori;stranieri., s° op- pongono le deliziose frasi classico suolo, bel cielo d'Italia : parole che. possono facilmente illudere chi in fatto d’ amor patrio stà pet a parole. V. Ma i fatti ci ostano : i fatti, che soli in mezzo all’ urto delle opinioni s costituiscono nna ragione suprema ; un’ autorità prepotente , cui nè arguzia di retore nè pertinacia di sistema può; «vincere: E s°.io apro le storie delle letterature, esse mi tano un alternarsi di gloria e decadimento; e influenze | reciproche , e trasfusioni d’una in altra , e instabilità perpetua dip ‘or nazionale , or corrotto ; ora servo. Nessun popolo | ebbe mai Letteratura desunta così dalle proprie viscere , che non vi si mischiassero a principio colle tradizioni, e più tardi colle ‘conquiste, alcuni frammenti stranieri: nessun. popolo ebbe gusto così radicato e potente, che non mutasse coi secoli, perchè il gusto eretto da taluni ad astrazione immutabile è risultato d’ educa- zione (1), e rappresenta il grado che un popolo tiene nella civiltà. Così la Letteratura Italiana. ebbe ne’ suoi principii la impronta del. Gusto che gli ‘arabi aveano comunicato al mezzodì dell’Eu- ropa : fu platonica, mistica , e tendente all) idealismo in un se- colo., inchinò al materialismo in un altro i severa e nazionale im. un tempo, suonò parole d’indipendenza , e di magnanimo sde- gno: imitatrice servile in un altro., fu inetta.e lasciva , trastullo ") fi. ampio , e come la unione di tutte le istituzioni civili , politiche, e ligiose , che inceppano o affratellano le nazioni ne’ loro progressi, * 96 a’ fiacchi'; adulazione ai potenti: e il cielo italico diffondeva ’ incanto dell’ eterno sorriso nell’anima dei trovatori, come in quella di Guinicelli ; all’ epoca; di Dante , come a quella delle cicalate. — Così la Spagna, che per cinquecento anni pompeg- giò d’ i immagini e figure ‘orientali , stette gran ‘tempo incomin- ciando da Giovanni II nella imitazione italiana , tra lo studio di Dante promosso dal Villena e Santillana; e dal Mena, e il Pe- trarchismo invalso più tardi per opera di Garcilasso e 'Béscano; e il Sole, che illuminava la Spagna sotto Carlo V era lo' stesso che splendeva sulle torri dell’ Alhambra quando la dominazione de’ moti aveva seggio in Granata. — Il clima dell’ Inghilterra è cupo , freddo , piovoso : non sorriso di primavera , non lusso au- tunnale: intanto, da questo'suolo , e di mezzo alle nebbie scozzesi sorsero i canti che più ridondano di potenza descrittiva , e non v'ha terra che presenti negli ultimi trent’anni poeti, i quali, co- me Burns, Crabbe, Wordsworth , ed altri, abbiano indovinato il linguaggio della solitudine, abbiano trasfusa ne’ loro versi l’anima della natura. — S’attribuiva al clima ardente degli orien- tali la impronta di sublime metaforico , che distingue le loro produzioni ; e la stessa impronta si manifestò nelle poesie pub- blicate da Macpherson , e nelle Scandinave , che Mallet diede a luce raccolte. — S’attribuiva al clima freddo l’indole profon- damente meditativa, la tendenza alle astrazioni degli europei del nord ; e lo studio ch’or si pone nell’ investigare ‘le cose asiati- che; rivela un simile spirito contemplativo , un idealismo nelle credenze , e. nei sistemi religiosi d’ Oriente, specialmente del- 1’ India. L’ albero della scienza mise ‘radici quando nel caldis- simo Egitto, quando ne’ ghiacci d’Islanda , colla stessa indipen- denza dal clima ; per cui fioriva nell’ Attica , mentre ‘8’ esiliava dalla vicina Beozia. E le somiglianze che -inpotcaidonià nume>- rose tra i libri biblici, Omero, ed Ossian, tra le canzoni na- zionali scozzesi , e le Corse ? E i punti di riavvicinamento ," che sono tra le poesie d’amore italiane , persiane , ed arabe? E il genio affatto diverso , che spira nelle antiche lettere greche ; e ne’ canti moderni intuonati da’ Klefti, cume pegno di vendetta e di libertà ? — Abbiamo scelto a caso gli esempi; ma le sin- golarità che la storia delle diverse letterature presenta, son troppe, perchè il clima possa riuscirne mai itterpetrazione valevole. VI. Quali sono dunque le cause che presiedono all’andamen- to delle lettere presso ogni gente? D’ onde dovremo noi ripetere queste apparenti singolarità? — Principio fisso : chi cerca spie- gazione agli elementi , ai caratteri, e al progresso d’ una Let- 9? teratura altrove che nella storia della nazione , va dietro ‘a fan- tasmi. Tutto è successivo e connesso nella vita dei popoli, co- me nella vita degli individui. La Letteratura, dove emerge libera e spontanea dal pensiero comune , rappresenta lo stato morale ; dov’ è compra o inceppata ; lo stato politico. Essa è , come dice Shakespeare ; lo speethio dei tempi. Però lo studio dei tempi è 1’ unico che possa romper le tenebre che spesso s° avvolgono in- torno a’ fatti delle lettere: lo studio delle istituzioni può solo svelare le origini del gusto particolare che si manifesta nei popoli. E le diverse istituzioni , sotto l’influsso d’ uno stesso cielo creavano una letteratura in Atene, e non la concedevano a Spar- ta : le istituzioni produssero il genio allegorico degli orientali, perchè la verità non poteva mostrarsi ad essi impunemente , se non ravvolta in un velo emblematico : le istituzioni semplici ed uniformi ; vestirono sempre di schiettezza , d’ innocenza , e d’ utilità la letteratura svizzera , benchè l’inegualissimo clima trabalzi in un giro di sole il viaggiatore dag'i ardori del Sene- gal tra’ ghiacci deilo Spitzberg. — L'amore è forse l’unico af- fetto sul quale poca o niuna influenza s’ eserciti dalle istitu- zioni, perchè solleva chi lo sente davvero al di sopra d’ ogni calcolo umano ; e lo trasporta in un mondo dove non sono che due viventi: quindi l’ espressione di questo affetto riesce in certo modo unica , ed universale; e quindi i canti d’ amore ita- liani , persiani, ed arabi paiono talora ispirati da uno stesso ge- nio sotto un medesimo cielo : ma, poi che il vincolo delle istitu- zioni è onnipotente, vediamo fra noi il sentimento puro e san- tissimo dei secoli XIII e XIV, tramutato più tardi dall’ alito della tirannide in affettazione di concettista, o lascivia di sa- tiro , perchè amore non alligna in anima schiava. — Le differen- ze che si ravvisano tra la letteratura del Nord e quella del Mezzodì, paiono fondamentali, e prefisse eternamente dalla na- tura : 1’ intelligenza profonda, e l’ analisi del bello sembrano riserbate agli uomini del Settentrione, come il vivo sentimento del bello sembra ingenito ne’ popoli meridionali: una impronta più ferma d’ originalità è stampata nelle opere che ci vengono del nord, e una tendenza all’ ideale ed alle astrazioni vi si appalesa perpetuamente. Ma, oltrechè il tempo va scemando ogni dì più queste disparità, parmi pure che le vicende e le istituzioni abbiano a rivendicarne gran parte. Le. comunicazioni dell’ Oriente col Nord furon poche e brevi; e le circostanze , che non presentarono mai così dappresso a que’ popoli una let- T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 13 98 teratura antica; di proporzione e forme perfette ; concessero ad essi , benchè più tardi , il crearne una più originale .da’ patrii elementi. La Riforma, concitando le menti alle disquisizioni sot- tili, inducendo la necessità di gravi e. pazienti studi., generò negli abitanti del Nord quella inclinazione a considerare gli aspetti molteplici delle cose , e quello spirito. di meditazione , che versò lungo tempo intorno a controversie religiose , e si pro- pagò in appresso a’ soggetti letterarii, e dell’ arti belle. E tanta potenza di riflessione dovea produrre nobili effetti: ma le isti- tuzioni politiche, vietandone l’ applicazione ai grandi interessi nazionali ; e alla realtà delle cose , gl’ ingegni -riconcentrati in sè stessi si spassionarono coi sistemi e colle astrazioni: mon po- tendo aggirarsi utilmente nella sfera degli oggetti positivi!, vo= larono ad nn’ altra sfera, travidero. oggetti e relazioni ideali, e idoleggiarono le proprie immaginazioni. Ne usciva una lettera= tura bizzarra di forme, e nelle apparenze, sregolata, ma vasta e profonda nell’intima sostanza ; ne usciva una poesia psicologica, e tutta , com’ essi dicono ; subiettiva ; rivolta più. all’ avvenire, che interprete del ‘presente , errante sui confini d’ un mondo ignoto , melanconica , e commovente come una speranza indeter- minata. — L’Inghilterra, al contrario, è forse il paese dove più si tributa un culto al positivo : le istituzioni v° aprono un largo campo alla mente , e nessuno degli elementi. che compongono la prosperità nazionale è conteso ai lavori dell’ intelletto. Lavine dustria , il commercio, e l’agricoltura , tre basi sulle ‘quali pog- gia I’ edifizio della inglese grandezza ; inchinano gli animi alla contemplazione della realtà ; e poichè l’attuale momento ha me- ritamentè prezzo dinanzi a loro , essi non sentono sì vivamente il bisogno di lanciarsi nei vortici dell'avvenire ; però la lette ratura inglese è generalmente parlando , tutta positiva ; storica, e di fatti ; la poesia, descrittiva, e di sensazioni. Rinvigorita dalle antiche memorie , lieta d’una quasi. illimitata libertà di pensiero ; essa retrocede sovente nel passato, poi ritorna al pre- sente. L’ esclusivo affetto ‘di patria , che fa tesoro degli oggetti locali; e la passione universalmente diffusa dell’ agricoltura, generano la potenza descrittiva : ed essa invola alla. natura i segreti, che ad altre genti il cielo concede spontaneo. — Così le istituzioni creano i caratteri di ciascuna: letteratura : così le differenze che separano 1’ una dall’ altra ; sono naturali risultati delle circostanze civili e politiche , che svegliano; addormen- tano ; promovono , o costringono gl’ intelletti. Ed io accenno ra- pidamente , come lo spazio e l’ ingegno concedono , cose che n i 90 ‘vorrebbero più largo sviluppo ; ma dove le ricerche storico-let- terarie seguano nella intrapresa, direzione , vedremo emergere ognor più la verità di quel detto; che le leggi, e la letteratura d’un popolo camminano sempre su due linee parallele. — E a noi italiani , le istituzioni or feroci or corrotte, talora impo- tenti, sovente tiranniche, giammai consentanee al voto comune, procacciarono una poesia vaga d’ armoniche forme , splendida di colorito e d'immagini, ma. quasi sempre frivola, molle , muta alla mente ; e la nostra letteratura ora erudita , ora accademica, ora cortigianesca , fu dotta , elegante , dilettevole ; utile , e na- zionale non mai , == se togli scrittori d’istorie, alcuni filosofi , e pochi geni poetici, che sorvolano a’ secoli. — Intanto, noi ci stringiamo con pertinacia degna di miglior causa a un Palladio che non valse a salvarci dalla rovina: noi gridiamo impoten- temente amor patrio a chi tenta restituirci l’ antica attività della mente. O. italiani ! stà bene difendere 1’ onor nazionale , e le antiche glorie ; ma l’.onor nazionale è riposto più assai nel to- glier le colpe , che nel millantare le doti; e le antiche. glorie si tutelano colle nuove. I padri nostri. molto hanno fatto ; ma finchè non sapremo persuaderci che il tempo , sviluppando nuovi diritti. accumula sempre nuovi doveri, finchè starem paghi ad ab- bracciar que’ sepolcri, l’ Italia, prima una volta fra le nazioni , rimarrà pure addietro; perchè nè cielo nè sole assicurano le palme dello intelletto. VII. Non v’ ha dunque una causa immutabile, eterna, che ponga invincibili differenze d’ indole; di passioni , e di desiderii tra popolo e popolo: non v'ha legge costituita dalla natura, che ‘assegni prepotentemente un gusto particolare, una individuale ca- ratteristica a ciascuna delle famiglie, nelle quali è divisa l’ umana schiatta.Le leggi, figlie quasi sempre dellasingolare volontà anzichè del comune suffragio, imprimono sole una varia direzione alle po- tenze morali; e riviluppangi diversamente i i semi di perfezionamento, che fermentano occulti in ‘ogni nazione. L’un popolo s’innoltra ra- pido nelle vie della civiltà. progressiva , l’ altro rimane addietro, o. travia. Quindi varie le. costumanze,, derivazione per lo più delle leggi; varie le credenze, e le popolari opinioni. E intanto dalle ineguaglianze sorgono le superbie e le invidie, e agli uni la.coscienza della propria civiltà pone facilmente il sorriso di scherno sul labbro , agli altri la ferocia della ignoranza aguzza il ferro nel pugno. Quindi gii odi, e le guerre; dalle quali i vin- citori imparano a sprezzare la scienza. de'vinti, e. questi a ven- 14 dicarsi, collo sdegnare d’ accomunar co’ primi i tesori dell’intel- 100 letto. E la civiltà nondimeno s’allarga, e diffondendo i suoi raggi sui popoli; che ne andavano privi, tende a ravvicinar gli uni agli altri: ma. ogni passo fatto da un lato sembra quasi usur- o pazione all’ orgoglio di chi fu primo, come ogni consiglio dal- 1’ altro assume. aspetto d’ intolleranza agli occhi di chi sente il vigore de’ suoi principii; e molti pregiudizi già minati dal tempo si difendono ‘acremente per soverchio timore di cedere, e molti ottimi esempi si rifiutano per sospetto di giogo. Così hanno vita, e si perpetuano le pretensioni d’un gusto letterario che desu- me i suoi privilegi dal clima; così le nazioni, educate dalle sciagure a diffidare dello straniero, s’ avvezzano a scorgere un ol- traggio a’ loro diritti in ogni tentativo di riavvicinamento , e ri- fiutano la cittadinanza al genio, perchè nato sotto un divers grado di latitudine. dl. Le istituzioni e le vicende politiche , diverse ne »’ diversi paesi, hanno dunque, io ripeto, prodotto le differenze che. sceve- rano una letteratura dall’ altra ; e poi che le istituzioni de? po- poli son pur varie oggidì di tempra , e di basi ; le disparità nel gusto letterario parrebbero, inevitabili tuttavia; ma una consi- derazione fondata sni fatti 6° apre al dubbio. — Finchè l’ in- civilimento d’ un popolo è ne’ suoi principii, o di poco oltre, i suoi progressi sono affidati a pochi uomini, ne’ quali si congiun- gono senno e vigore; e le moltitudini ignare , ed inerti, stanno paghe a risentirne i taciti beneficii. La letteratura limitata a po- chi, non afforzata dal pensiero comune, ritrae lo stato positivo e materiale delle società , più che non s’inviscera nella morale tendenza ; pinge più che non crea ; segue i progressi dell’ inci- vilimento, e ne esprime i gradi, più che nol precede, sviluppan- done i germi. Allora le istituzioni formano l’ unica potenza do- minatrice ; allora esse stampano nelle lettere quelle particolari caratteristiche, quella impronta locale, di cui s° è detto finora. — Ma quando la civiltà 8°è già di tanto innoltrata da far ri- guardare come antica l’ età del suo primo apparire, la forza delle istituzioni non è più nè assoluta nè cieca. I progressi dell’ e- sperienza , e la istruzione più universalmente diffusa, logorando molti pregiudizi, e molte incaute venerazioni , accrescono il nu- mero di coloro che vogliono vedere , e giudicare da sè; e dalla concordia delle osservazioni e de’ giudizi s’ innalza a poco a poco sulle rovine dell’ autorità la potenza della pubblica opinio- ne. Per essa la civiltà acquista un moto più rapido e franco: per essa è contrabbilanciato l’effetto delle istituzioni. Lenta e prudente nel formarsi , forte di mezzi infiniti, pura nelle iu- TOI tenzioni, appoggiata sul tempo e sulla giustizia , essa può ve- nir frenata , irrisa , compressa , distrutta non mai; e diventa presto o tardi l’ arbitra delle cose . ; In questo bin della so- cietà ; l' ufficio della letteratura anch'esso si muta; e dove pri- ama esprimeva, e. seguiva, precede , e indovina ; gli scrittori esplora: bisogni de’ popoli » discendono a Ne: a il cuore Pi NE s ene rivelano il voto segretò, purificato da quanto acquista di basso nelle relazioni umane. Costituiti ad interpreti del comune pensiero ,. essi antivedono ed aiutano le gravi mu- tazioni sociali, ond’è che talora paion creare gli avvenimenti , mentre non fanno che maturarli, e abbattere a poco a poco gli ostacoli. — Però , se lo stato delle menti presenta fin d° ora ca- ratteri uniformi in tutte le nazioni: ‘d’Europa , se non può revo- carsi in dubbio una tendenza della civiltà a ravvicinarle ognor più , se l’opinione va struggendo le antipatie nazionali, se fi- nalmente i popoli invocano un vincolo comune a tutti, una fra- tellanza che nacque con essi; poco monta che il capriccio o l’ interesse dei pochi , e leggi diverse s° ostinino a disgiungerli: il fine della letteratura rimane determinato ; essa deve impadro- nirsi di questa tendenza, dirigerla, perfezionarla, perchè l’opera dei secoli non può retrocedere. Le istituzioni limitate alla su- perficie sociale, non inviscerate negli elementi dell’ umana feli- cità , contrarie all’ opinione regina del mondo, rimarranno come anumalie nei progressi dell' incivilimento , finchè il tempo e la forza delle cose non torranno ad esse gli avanzi d’una languida vita . d VIII. Ora, siam noi veramente nel secolo XIX , sottoposti all’influsso di tali cause che ci spronino per vie non diverse ad una medesima meta’? siam noi collocati in una situazione morale siffatta, che l’espressione abbia a riuscirne unica per tutta Europa? — Un quadro succinto della europea civiltà potrà forse guidarci a questa conseguenza. ‘Un lungo periodo ; contrassegnato da noi col nome di tempo eroico s ci addita in oscure allegorie , in tradizioni incertissime, i primi passi co’ quali s’avviava la specie al viver sociale. Flut- tuanti tra la ferocia dell’ isolamento onde uscivano, e le nuo- ve relazioni, gli uomini vivevano a congreghe , aveano capi, aveano elementi di seligione » ma incivilimento non v°era. La forza fisica predominava a’que’ tempi: per essa, o pel caso si sceglievano i capi, e la fortuna li manteneva o struggea. La gran lotta tra ‘il bene ed il male, tra i germi dello sviluppo intellettuale, e i moti d’ una natura fisica, cieca , disordinata , 102 si manifestava nelle leggi consentite dai più, ma irragionevoli spesso ; negli usi schietti, ma rozzi; nelle guerre inàguantonie concepite ; e crudelmente condotte; e fu simboleggiata da que? che vennero dopo in Oro e Tifone ; Ormuzd e Arimane , Giove e i Titani. Intanto i primi slanci dello spirito verso un più bello avvenire si pingevano in alcune espressioni liriche, im poche canzoni guerresche: ma letteratura propriamente detta non esi- steva . Pure da’ primi poeti che ci rappresentarono quel perio- do, e, dalle storiche analogie può trarsi , che i «principii delle nazioni sono gli stessi per tutte, e che lo spirito umano. sotto climi diversi presenta uno spettacolo pressochè uguale, dovun- que contende colla prima: barbarie ; perchè la mancanza e. il sommo grado d’ incivilimenito in. questo si toccano, che non concedono a’popoli evidenza di carattere individuale: Quindi ve- diamo poche. e medesime idee farsi fondamento a tutte le an- tichissime mitologie; quindi le somiglianze che intercedono ‘tra le prime forme usate mel comporre da genti diverse; e gli afo- rismi , e i distici de’ poeti gnomici nella. Grecia ; \e i proverbi mitrici degli indiani. i IX. La lotta cessò. — Gli elementi del mondo sociale #’ac- cozzarono: i popoli ebbero città, leggi, religioni, e costumi, ma ineguali, e seguenti l’ indole particolare e le passioni dei pochi mortali che il Genio o l’ avvedutezza ergeva a legislatori. Al- lora iucominciò ad alterarsi la impronta unica e primitiva che la natura avea stampata sul volto a’ suoi figli ; e le umane tribù assunsero colle istituzioni diverse diversa fisonomia. I semi della civiltà intellettuale passarono d’Asia in Europa: îma isteriliti iu alenni luoghi da leggi tiranniche, o dalle gelosie d’una casta, trabalzati in altri da guerre continue e invasioni , non ebbero campo a sviluppo. Però la Grecia, collocata per molte isole nella direzione marittima del mondo asiatico, isolata dal mare, o ricinta dalle montagne, sicura dalle irruzioni straniere, nudrice d'una schiatta d’ uomini libera e vigorosa, potè raccoglierli cotesti semi, potè fecondarli, e dalle sue rupi s'innalzò maestoso l’albero che doveva più tardi ombreggiar co’suoi rami l’intera Europa. — La Grecia ci rappresenta l’ epoca prima dell’ umano incivilimento: E la letteratura che n’è l’interprete,, sorse con esso ;; ma tutta greca e locale, come ad essa imponevano situazione, cielo, e co- scienza di superiorità. La Grecia infatti, favorita da saggie ed energiche istituzioni, toccò rapidamente una meta che noi dob- biamo ancora per molte parti invidiare. Intanto più essa saliva in alto, più s'allontanava dagli altri popoli. Isolata nella sua carrie- 102 ra , come un oasi nel deserto, essa guardava coll’ occhio del di- sprezzo sulle giacenti nazioni europee ; e le scherniva colla deno- minazione di barbare. D’altronde, il primo periodo della civiltà non può mai essere periodo di diffusione, perchè l’editizio prima si ras- soda e si perfeziona, poscia s’'estende ; ela Grecia, costretta sovente a tutelare col sangue la propria indipendenza , si limitava a co- gliere i frutti de’ progressi morali, nè poteva allargarne la sfera, tranne alcune colonie, che trapiantavano i germi dell’ incivili- mento nella Sicilia, o sulle spiaggie di questa Italia, nel cui se- no dormivano i destini d’ un ‘mondo.:—!.L’ amor di patria fu il carattere di quell’età: 1’ amor di patria esclusivo, concentrato hel cerchio di mura dove il greco avea salutaca col primo va- gito la luce, annesso in tal guisa al cielo , alla natura fisica, al suolo , all’acque ed ai sassi, che l’uomo nato fuor di quel cer- chio d’oggetti era riputato non d’altro degno che di vivere schia- vo: La letteratura dovea riflettere questa potente individualità : linguaggio , forme , ornamenti ; sostanze; e scopo , tutto in. essa fu greco, unicamente greco . Il poeta, beato d’ una patria in- vidiata dagli uomini, non ebbe incitamenti a crearsi una. sfe- ra più vasta; non fu l’uomo spirato dalla natura a. rive- lare ai mortali la verità universale, fu un greco .che. volle eternare i trionfi. patrii, o educare col canto i giovani petti ala venerazione delle leggi e delle religioni degli avi. Guardò. la terra ch’ egli calcava, e ne trasse la sostanza: guardò il cielo che gli sorrideva d’ intorno, e ne. derivò i colori e le forme. Quindi rare ne’ suoi canti le idee generali profonde, rari i con- cetti assolutamente ‘morali; ei tratti descrittivi d’ un’ affetto comune a tutti gli umani. La corda dell’ umanità non vibrava sulla sua cetra. X. Il mondo morale, come il mondo fisico, tende perpe- tuamente all’ equilibrio nelle sue parti. Una nazione la cui esi- stenza proce a separata ne’ suoi destini dall’ altra, \e la cui ci- viltà non si appoggi sopra basi più larghe che non sono i pro- pri confini, non può vivere eterna, perchè la. somma inegua- glianza tra un popolo e. gli altri induce uno stato permanente di guerra tra il diritto e la forza, tra i progressi morali del primo , e la inerte rozzezza degli ultimi; guerra che non ha fi- ne, se il popolo incivilito non versa all’ intorno i benefizi delle sue istituzioni, o non cade. E la Grecia cadde. — Un colosso giganteggiava già in occidente ; quando le interne .divisioni., gli ordini civili corrotti, e le filosofiche sette cominciavano ad.affie-. volire la greca putenza. Roma, che ci rappresenta. il principio 104 della forza in azione, sorse: e sopra un illimitato affetto di pa- tria, uno spirito eminentemente guerriero., e una politica in- fame, fondò un trono il cui apice fu il Campidoglio!, e la base comprese tutto il mezzodì dell’ Europa. La Grecia non poteva reggersi sola a fianco del mondo Romano. Essa cadde; e colla perdita dell’ indipendenza il fiore del genio greco appassì, ma i frutti rimasero. Le nazioni vivono e muoiono come gl individui; ma la civiltà non muore giammai: e riguadagnava allora in esten= sione ciò che perdeva in altezza e splendore. Simile al vaso in- franto da cui si spande in molte direzioni il liquore ; il greco sapere, cacciato dal centro, si diffuse all’intorno: i prodigi delle arti furono sparsi dalla rapacità de’ vincitori per tutta Italia; e le greche dottrine intorno alla filosofia, alle lettere, e alla poli» tica ebbero dovunque -propagatori nei molti che 1’ ira del ser- vaggio , la forza , o la viltà traeva fuor della patria. L’ Oriente si confuse coll’ Occidente ; e ‘lo scettro ferreo di Roma curvò sotto un medesimo: giogo popolazioni diverse y le quali, sotto- messe alla stessa influenza ‘e’ alle stesse sorti ;: ne risentirono simili effetti , e si riavvicinarono i ‘ebbero almeno: conformità di sciagure , di condizione ; e di voti. Le differenze delle religioni cominciarono anch’ esse a logorarsi; molte presentavano già s0- miglianze importanti ne’principii fondamentali, ed erano quelle che limitate alla coscienza, servivano alla politica ,:ma non la dominavano : 1’ altre, che creavano nelle Gallie ed altrove una potenza teocratica , e riunivano ne’ loro ministri il sacerdozio ed il principato ; furono perseguitate , o spente da’ Romani col ferro. Intanto } mentre le moltitudini s’ andavano involontaria- mente preparando ad una credenza uniforme, la. moltiplicità delle sette filosofiche, tutte in alcuni punti diverse , simili in altri, gettava negli uomini che per acume d'’ intelletto si stac- cavan dal volgo , i semi di quell’ ecclettismo , destinato ad es sere uno dei caratteri del mondo europeo. — E 1° espressione di questa comune tendenza, di questo progresso de’ popoli me- ridionali sarebbe stata consegnata alla letteratura di quel pe- riodo , se le discordie civili, uno sfrenato desio di conquista; una perpetua vicenda di pericoli, e guerre dapprima, e una sospet- tosa tirannide, un giogo militare dappoi, non avessero vietato agli intelletti romani una letteratura libera e nazionale. La di- guità dei modi ; la lingua quasi perfetta; lo spirito intrapren- dente' ed attivo pareano doverla promuovere ; ma il tempo; per così dire, mancò ad essi per crearla dagli elementi dell’ epoca : e quando il riposo parve concederlo, l’oppressione contese agl’in- 1059 gegni d’inviscerarsi nei bisogni e nei voti de’ popoli che for- mavano il vasto impero. Però la letteratura non potende riuscir popolare , si gettò nelle vie della imitazione servile; forme, mi- tologia , precetti, sovente argomenti ; tutto, fuorchè la lingua, tolse da’Greci ; e ne ottenne più dote di semplicità , che di va- rietà drammatica , più bellezza d’ espressione, che profondità di sentimenti. Straniera, isolata , essa brillò d’ una luce non sna ; come una pianta trapiantata in estranio clima, che dopo il pri- mo lusso de’ fiori s’arresta , nè produce i frutti, essa fu am- mirata, non utile; e imbastardì prestamente. La protezione d’alcuni principi parve inalzarla ; ma fu l’ abbraccio d’ Ercole , che sollevò Anteo dalla terra per affogarlo; e il lampo fu su- blime , ma breve. Alcuni genii solitari toccarono il cielo:; ma il soffio che li animava s’esalò colla grande anima di Tacito. — Pure, paragonando la letteratura latina alla greca, tu senti che la sfera della poesia s’è, benchè di poco; ampliata. I sistemi re- ligiosi vi s’accostano maggiormente all’unità : alcune passioni vi sono talora rappresentate sotto un aspetto più morale che fisi- co. L’ amore dipinto da Virgilio , ti 8° affaccia come voto prepo- tente dell’anima, più che come sensazione; e quella tinta di me- lanconia ; ond’ egli sparge i suoi versi, sembra figlia di una me- ditazione sugli umani destini. La corda insomma del cuore è tocca più spesso ; e tu senti che un passo s’ è mosso verso la ri- velazione dell’uomo interno. E il primo saggio di questa sublime ri- velazione fu dato dal Cristianesimo.— Già da buon tempo la massa delie idee s’accresceva; dalle poche e semplici, si procedeva alle complesse, alle universali, alle astratte. Le relazioni si moltipli- cavano ; e gli uomini apprendevano a conoscersi, e ad amarsi. L’ incivilimento faceva emergere ognor più l’aspetto morale della esistenza ; e s’ indovinava, che tutti i viventi avevano dalla pro- pria natura alcuni diritti santi ed inviolabili, indipendenti dalla nascita e dalle circostanze locali: il ministero dell’uomo, insom- ma , si presentiva. Intanto le religioni fino allora esistenti, create ne’primi albori della civiltà, non bastavano al crescente sviluppo. Figlie per lo più del terrore, o d’ un’astuta politica , simboleggianti effetti materiali, bizzarre ed oscure ne?riti, esse parlavano a’ sensi un linguaggio, che toglieva forma dai diversi climi, come quelle che generalmente contemplavano i soli bi= sogni fisici. Era necessaria una religione che favellando agli uo- mini da una sfera più elevata , riempisse il vnoto e corrispon- desse alla novella tendenza delle potenze morali. Quindi, men- tre lo scetticismo ; la incredulità, il disprezzo , che -Spirano T. XXXVI. Novembre e Dicembre, 14 106 dagli scritti dell’ epoca , struggevano le vecchie credenze , gl’ingegni che meditavano; intravvedeano una idea predominan- te, un concetto unico attraverso le varie forme. Così gli ani- mi si preparavano ad una grande rivoluzione. — E il Cristiane- simo venne. Interprete del voto segreto de’ popoli, espressione dei misteri dell'anima, il Cristianesimo, considerato nella sua so- stanza, chiuse il secondo periodo-della civiltà, promulgandone i vasti risultati in pochi sublimi principii. Contemplò dall’alto gli uomini, non come le istituzioni o le circostanze li travisavano , ma giusta la loro primitiva natura: quindi gli apparvero tutti fratelli; e a tutti indirizzò la parola che suona pace ed affet- to, a tutti inviò il grido d’ eguaglianza morale. Fratellanza, ed amore : sta scritto sullo stendardo che il Cristianesimo piantò in mezzo alle umane: tribù. L’abolizione della schiavità segnalò il suo primo apparire, e diè principio ad un’ era nella quale tutte le nazioni dovevano successivamente stringersi ad esso per avviarsi concordi sulla via d’un perfezionamento indefinito. Rat- temprando l’esclusivo amor della patria, gittò le basi d’una uni- versale giustizia; e creò quell’ ardore d' insegnamento , quella predicazione del vero, quello spirito proselitico, che acquistarono più tardi tanti difensori alla causa santa della umanità e del diritto. i XI. Ma una metà d’Europa rimaneva straniera al movimento de’ popoli meridionali. Le razze del Nord vaganti per le loro fo= reste, senza leggi certe, idoleggianti la forza, erano al buio d’ogni progresso. Il voto della civiltà era pronunziato nel mezzo- dì ; ma. le forze, quasi fossero esaurite nel trionfo religioso otte- nuto, mancavano all’ esecuzione. Che se al sentimento de’proprii diritti era allora pari il vigore nel rivendicarli, una eterna bar- riera forse si frapponeva tra i fati dell’ una parte. d’ Europa e dell’altra, perchè la distanza riusciva tale da non potersi superare giammai. Ma la curiosità e l’ inquietudine, compagne indivise degli umani, vegliavano a provvedervi. Le tribù del Settentrione, istigate dal bisogno di nuove cose, e dalla brama di terre mi- gliori, uscirono a torme da’ loro confini, e si precipitarono sulle contrade meridionali. La lotta che avea dianzi posto a contatto 1’ Oriente coll’ Occidente , si rinnovellò tra il Nord e il mezzodì; ma rovinosa è perchè le disparità erano maggiori ne’ popoli che la formavano. E il mezzodì doveva soccombere. Il'Cristianesimo avea gittati semi di grandi benefizi tra gli uomini; ma poichè le credenze del paganesimo s’erano pure inviscerate nelle abitu- dini, nelle opinioni, e nei costumi, un mutamento totale nella 107 religione non potea farsi senza strascinare con sè uno ‘sconcerto nell’edifizio sociale, uno squilibrio nelle forze delle nazioni. Però. le prime materiali conseguenze apparvero funeste allo statù: era il torrente che feconda le terre lontane, ma sommerge il luogo d’ onde sbhoccò. Roma si trovò destituita delle antiche cre- denze che avevan guidato alla vittoria i suoi prodi, e incapace di valersi delle nuove ; dacchè le antiche erano rami d’un tronco putrido , e le nuove non avean messo ancora radici ne’cuori. Gli animi erano dimezzati dalla servitù , corrotti dal lusso, immise- riti dalle sette che pullulavano infinite dalle spente religioni. Le dispute puerili, le sottigliezze, e le arguzie teologiche diven- nero il loro pascolo : ed essi intanto deridevano gl’invasori sic- come barbari: ma i barbari erano almeno virilmente guerrieri , mentr’ essi non possedevano nè la energia della civiltà, nè la forza della barbarie. Però 1° impero, logorato nell’ intimo nervo, non potè resistere alle irruzioni , che si succedevano come i fiotti del mare. Il colosso rovinò. L'orde Gotiche , Unniche , Visigo- tiche, Vandaliche , allagarono a vicenda l’ Italia, le Gallie, le Spagne. Lingua , istituzioni, costumi, tutto s’ annientò dinanzi al torrente devastatore : cento razze diverse 8’ urtarono , si tra- volsero , si confusero : cento diversi elementi di civiltà e di bar- barie s’agitarono insieme ; l’universo morale presentò la immagine del caos: il sole della civiltà parve spento, e il mondo europeo ricaduto per sempre nel buio. Ma non era per sempre. —- Gli elementi della vita e del moto fermentavano tacitamente ; e la civiltà , in apparenza di- strutta, lavorava ad equilibrarsi. Combattuta e scemata nel mez- zodì , si preparava insensibilmente al Nord, e vendicavasi dei feroci che la conculcavano , temperandone 1’ indole selvaggia e i rozzi costumi. Mentre gli uomini del Settentrione , accumu- Jando su’ vinti le superstizioni, e la ignoranza della barbarie, ricacciavano l’ intelletto nella sfera fisica , e angusta, da cui s° era dianzi partita , moltissimi reduci alle terre patrie, e molti romani provinciali tratti schiavi con essi, vi seminavano le abi- tudini e le credenze meridionali; e il Cristianesimo, abbracciato già dagli invasori ne’ conquistati paesi, irraggiò ben tosto le spiaggie britanniche, e congiunse in un solo vincolo religioso i popoli dell'Elba, del Baltico, della Vistola. Mentre i monumenti delle lettere e delle scienze nell’ impero si struggevano , o si condannavano a’ chiostri, un avanzo della coltura meridionale s’ infondeva ne’ ghiacci del Nord ; e dopo la traduzione mesogo- tica del Vangelo compiuta da Ulfila , apparivano ovunque dal- 118 ; l’ Alpi fino al mar glaciale poemi, cronache , ed inni. Quindi ebbe principio un periodo che non fu tutto di barbarie; nè tutto d’ incivilimento; ma in cui gli elementi dell’ uno, e del- l’altra rimasero commisti, e in un certo equilibrio : periodo , che a noi posteri appare tutto tenebre e vitupero, perchè l’in- telletto dannato all’ inerzia non lasciò frutti, mentre tali escirono dalla barbarie , de’ quali 1’ acerbo ancor dura. — Figlio delle germaniche consuetudini, nato dalla necessità di conservare le fatte conquiste , il sistema feudale sorse , e fu nei principi istitu- zione militare, poi fatto legge civile, degenerò in una insolente aristoerazia , che invase l’ Europa intera. L’anarchia fu eretta a sistema , la prepotenza a governo. La servitù della gleba mise sullo stesso rango l’ uomo e il giumento. Dai mille castelli , che la paura del delitto innalzò , piombò sulle avvilite moltitudini la tiranni.le de’signori, a sformare, a manomettere l’ opera della creazione. — L’ Italia nondimeno , benchè lacerata, ebbe pure nel danno cumune destini men rei. Ed eran rovine ; ma su quelle rovine errava ancora l’ ombra d’ una gigantesca potenza, e la maestà delle antiche memorie le faceva sublimi, e un raggio de’ tempi che più non erano rompeva il buio che le fasciava. Il genio che ispira grandi cose ai mortali, non poteva esiliarsi da una terra dove l’ eco delle romane vittorie e delle greche dote trine viveva ; e le delizie del suolo e della natura, allettando sempre nuovi conquistatori sull’orme de’primi, tenean viva sotto 1’ urto vario de? casi quella scintilla d’ingegao, che una lunga uniforme oppressione avrebbe forse estinta. D'altronde, i longobardi aveano fondato in Italia un regno, singolare esempio a que’tempi, che conteneva i germi del governo rappresentativo: aveano creato un sistema di leggi, che meritò un elogio da Montesquieu. I lon- gobardi caddero anch'essi sotto la forza di Carlo Magno; ma gli ef- fetti della lor dominazione durarono, e tutte queste cagioni davano agli italiani una energia di carattere , una quantità d’ elementi di risorgimento , che doveano più tardi formare la preminenza italiana. Però , trovando nel seguente periodo l’ Italia alla testa del grande movimento europeo , noi lo attribuiremo all’ influsso di queste cause , non già del clima; come attribuiremo la impronta singolare e le bellezze eminenti delle poesie spagnuole e porto- ghesi al lungo soggiorno che fecero in quella penisola gli arabi, popolo generoso , dotato di vivacissimo genio, e d’immaginazione altamente poetica. — Del resto , troppe catene costringevano per ugni dove 1’ umano spirito , perchè potesse levarsi a sublimi con- cetti. Tranne alcune rapsodie popolari, e poche imitazioni di lla f 199 cose latine, non fù letteratura in Europa. Carlomagno ed AI- fredo tentarono sorti migliori: ma i loro sforzi non valsero contro l’assurdo sistema feudale ; e î pochi vantaggi ottenuti svanirono con essi. L'unico indizio d’un intelletto tendente alla civiltà, si mostrò nella istituzione della cavalleria. Un raggio di generoso valore traspare nel suo primitivo concetto. Il sentimento della indipendenza personale: — dacchè la pubblica libertà neppure s’indovinava — fu l’anima della cavalleria : e il culto d’amore , ch’essa tributò alla bellezza, contaminata fino allora dall’ alito impuro della sozza procacità signorile, fu il primo patto che il valore strinse colla compassione , il primo altare eretto dalla forza alla vilipesa innocenza. Ma la cavalleria era un fiore nato in un campo di triboli , e bentosto degenerò. La classe sacerdo- tale, che ne paventava gli effetti, tentò assumerne la direzione, e vi riuscì. D’istituzione civile fatta istituzione religiosa , essa de- generò in fanatismo , intolleranza , ferocia. — Tale fu il terzo periodo della civiltà. E si chiude nell’ XI secolo colla prima Crociata , impresa che presenta nel più ampio sviluppo, e nel grado massimo di potenza , tutti gli elementi onde lo spirito su- perstizioso , aristocratico , cavalleresco ebbe predominio in Europa. Alla voce d’ un’ Eremita, 1’ Occidente intero si levò in armi, e si roveseiò sull’ Oriente. XII. Ma dallo stesso avvenimento che sembra attestare il vigore d’una istituzione , l’occulta legge che incatena l’umane cose , trae sovente la sua rovina: le forze nemiche ai progressi dell’ incivilimento avean toccato 1’ estremo, e non potevano or- mai che discendere. Due secoli durarono le crociate ; e due se- coli di movimento e tumulto ruppero il sonno all’ Europa. La potenza dei sigori, costretti dalle difficoltà delle spedizioni a vender le terre, e guerreggianti in lontani paesi, s’affievolì. Le co- municazioni s’accrebbero tra’popoli. Molte delle genti diverse che moveano a Terra Santa, si raunavano nell’ Italia : nell’ Italia, dove la fiamma dell’ incivilimento non s’ era spenta giammai, dove Crescenzio avea già tentata l’ unione ; dove il commercio , e la indipendenza di Venezia, Genova, e Pisa si stendevano già sull’ Adriatico , e sul mare Mediterraneo. Proseguivano d’ Italia a Costantinopoli, dove ancora splendeva, benchè fioco , un lume di scienze e di lettere : soggiornavano gran tempo in Oriente , e stringevano nuove relazioni cogli Arabi, traendone modi , libri, e scoperte ; finchè, ritornando alle patrie terre, vi seminavano tendenze e costumi poco mén che uniformi. Questi frutti raccolse Europa da un’impresa a tutt'altro fine diretta: nè certo Piero Ere- 110 mita, levando il grido di guerra agli infedeli!, indovinava che la sua parola dovesse esser seme e principio della universale risurrezione. Ma il momento era giunto; — L’intelletto si riscosse, e sentì le catene ond’era ricinto : una commozione elettrica parve trascorrere quanto terreno abitato è tra il Polo e il Me- diterraneo ; e la grand’ opera incominciò. Allora si manifestava in Europa lo spirito di libertà , anima e vita del moderno in civilimento , più vasto e sublime del sentimento d’ indipendenza; ch'è il carattere dell’ antichità, perchè ha base sulla umana natura , mentre il secondo riposava sulla cittadinanza. Allora , tra l’intelletto e la forza, tra le leggi del moto e la inerzia, tra la tendenza al meglio , e gli ostacoli che s’ attraversano, s’ accendeva una guerra che uno spazio d’ otto secoli non ha potuto peranco finire. Tutti i popoli aveano corse le stesse sorti di servaggio e d’ avvilimento : tutti i popoli insorsero a rivendicare i proprii diritti. L’ Italia diede il segnale colla eter- namente memoranda lega lombarda ; e tutte le sne città andarono a gara nel conquistarsi privilegi, istituzioni migliori. Le. città di Francia e di Spagna seguirono 1’ esempio. Nella Germania , i cittadini si vincolarono a tutelare coll’ armi le loro libertà con- tro gli abusi degl’ imperatori e de’ grandi. Sul Reno una con- federazione fu stretta , nella quale sessanta città si congiunsero. Lungo il mare Settentrionale e sulle rive del Baltico , la lega Anseatica sorse, e schiuse i suoi porti al traffico dell’ Italia. Poco tempo innanzi, la Magna Carta avea gettate le basi d’un governo regolare nella Inghilterra : poco tempo dopo, l’arco di Tell dava il segnale d’ indipendenza alla Svizzera; e sulle vette d’ Uri, Schwitz, e Underwald sventolava il vessillo della libertà. — In- tanto, col risorgere politico delle nazioni, 1’ intetrotto sviluppo intellettuale ricominciò. E i primi tentativi poetici ebbero a un dipresso gli stessi caratteri ovunque. Gli arabi aveano comuni- cato all’ Europa il loro gusto , la loro fecondità descrittiva, la loro tendenza al mistico , all’ aereo; e questa tendenza era aiu- tata dalle opinioni platoniche trasfuse nel Cristianesimo. Le in- vasioni dei normanni, popolo vago oltremodo d’ avventure , aveano ravvivati gli elementi cavallereschi. Frutto di queste cause, la Gaia Scienza si diffuse per ogni dove vivace, amorosa ; come se un cantico universale di gioia si schiudesse a salutare l’aurora d’una novella vita. Trapiantata dai Normanni nella Sicilia e nella Inghilterra, essa divenne patrimonio comune ; e i canti ca- vallereschi, e d’ amore, che ne uscirono, parvero sgorgati da una stessa sorgente. Al nord come al mezzodì, sulle cetre dei ri trovatori come sull’ arpe dei Minstrels, e dei Minnesinger , essa brillò degli stessi colori, vestì forme presso che uguali, assunse doti e vizi quasi uniformi. Uno spirito cavalleresco, una inclinazione al mirabile, una tinta d’idealismo, uno stile immaginoso , fertile di comparazioni e di concetti, tali furono i caratteri di quella letteratura , che nata da circostanze, da voti, da memorie co- muni , apparve stampata d’ nn’ unica improuta sotto i climi più diversi. Quindi la italica poesia si mostrava allora più spirituale e meditativa che non fu poi; mentre la germanica procedeva senza astrazioni, e fantasie indeterminate , come quella che imi- tatrice delle lettere meridionali, cresciuta dalle idee che i te- deschi acquistavano nelle frequenti scese in Italia, non aveva ancora subìto 1’ urto potente della Riforma. — Ma gl’ingegni italiani, promossi dalle cagioni più sopra accennate , spiccarono bentosto tal volo, onde si lasciarono addietro l’Europa. L’ onni- potenza della natura e del genio si trasfuse in un uomo : e que- st'uomo fu Dante. — L’amore, quel sentimento che sta fra il cielo e la terra, svelò i suoi misteri a Petrarca. — Boccaccio promosse coll’ esempio la prosa italiana : 1’ altre nazioni seguiron da lungi; e imitarono ; ma nulla di ciò che l’intelletto scopriva e il caso additava in Italia, andava perduto per esse. La invenzione della carta avea moltiplicato i manoscritti ; e il commercio apriva sempre nuove comunicazioni. — E mentre s’ operava in tal guisa un mutamento nelle leggi, nell’ esercizio della giustizia , e nella condizione politica delle nazioni , molti intelletti insofferenti di giogo, moveano guerra accanita ad un altro nemico della civiltà, tanto più potente, quanto in esso si congiungevano forza ed astuzia. i Trascorse il quarto periodo della civiltà in una lotta fe- conda di pericoli e glorie, contro le cause molteplici che contendono a’popoli felicità ; lotta, nella quale ‘s’alternavano vit- torie e sconfitte, vantaggi e guai, senza che l’evento potesse accertarsi. Dall’ un lato erano forze, unione, mezzi, e furore : dall’ altro coraggio , costanza; e virtù. Mancava un mezzo di | comunicazione rapido , universale, invincibile, che recasse da un polo all’ altro il pensiero del genio , la parola della verità : che rivelasse a’ popoli la loro potenza , ponendo alla luce del- l’ infamia le arti e le frodi, onde l’ iniquità li avea fino allora aggirati: che predicando il comune desiderio , e la natura comune, struggesse le gare , i dissidii, le differenze , onde il vario successo, e il talento di chi reggeva , li facea stranieri o nemici. E fu trovato. — La fortuna, il genio, e la pazienza s’ unirono. La «12 stampa fu scoperta; e le divisioni furono vinte , le differenze appianate; e i milioni si strinsero d’ un vincolo indissolubile ; e gli sforzi isolati si rannodarono , si congiunsero , si moltiplicarono. Le scienze e le arti levarono un volo più franco. Nessuna utile scoperta fu fatta da un uomo, che in breve tempo non venisse adottata da tutta Europa : nessuna via fu dischiusa in una terra all’ intelletto, che non s’ aprisse anche in altre. Intanto. il rinnovellamento delle forze morali, che derivò dalla invenzione della stampa, doveva versarsi dapprima nelle cose di religione , come quelle che in gran parte son base alle civili e alle politiche. La Riforma tentata in molte parti d’Europa, mise ferme radici nel Nord, fallì nell’ altre. La Germania diede l'esempio , e fu seguìta dalla Svezia, dalla Danimarca, da una metà della Svizzera, da’ Paesi Bassi, e dall’ Inghilterra. Primo risultato importante della operosità di quattro secoli , conclusione del quarto periodo europeo , la Riforma parve creare una diffe- renza insuperabile tra il Nord ed il mezzodì; ma noi, riguar- dando Ja cosa dal lato letterario , troviamo che la civiltà non ha per questo arrestati gl’ irresistibili suoi progressi. XIII. Lo sviluppo intellettuale nel mezzodì era già salito ad un punto elevato : il Nord era rimasto necessariamente ad- dietro; mala Riforma comunicò un moto più veloce agli ingegni. Uno studio più universale delle antiche lingue, e quindi delle antiche dottrine; una maggiore indipendenza nelle opinioni, un ardore nei tentativi, una instancabilità nelle ricerche, uno spi- rito di meditazione e d’° esame, una tendenza al grave, al pro- fondo , furono i risultati della Riforma per ciò che concerne i lavori dell’ intelletto; e si manifestarono , dove più dove meno, secondochè furono più o meno acremente combattuti. Nel Nord, dove la Riforma ebbe seggio , gli effetti si fecero sentir più po- tenti; e combinati con altre cagioni, stamparono nelle lettere Germaniche , Svedesi, Danesi, che allora ebbero gagliardo in- cremento , que’ caratteri singolari de’ quali s'è detto più sopra. Nel mezzodì , le persecuzioni e le protezioni principesche soffo- carono o corruppero gl’ingegni ; e gli scrittori condannati a im- miserire tra le inezie, rivolsero tutte le potenze dell’ animo a conseguire eccellenza di forme e venustà di linguaggio; onde uscirono i secoli troppo forse venerati di Carlo V, di Leon X, di Lodovico XIV ; o si gettarono nelle stranezze dei concetti , e nel gonfio dell’ espressione , come i Gongoristi in Ispagna , Du- bartas nella Francia, Marini in Italia. I.pochi che non servivano a speranze 0 a timori , eran costretti ad avvolgere i loro pensieri La 6) nel velo dell’ allegoria , o d’una filosofia che li rendeva oscuri e bizzarri al più dei lettori. Quindi la importanza e la maestà delle lettere parve scaduta nel mezzodì , mentre aumentava nel Nord: quindi differenze più apparenti che intrinseche fra il gusto meridionale e quello del Settentrione , differenze che il tempo e gli avvenimenti distruggeranno. Ma il riavvicinamento essenziale che logorava le vecchie antipatie nazionali, sempre più si compieva. La intolleranza cac- ciò dai paesi meridionali una moltitudine le cui opinioni in- chinavano alla Riforma; ed ebbero asilo nel Nord. Ivi, poichè il pensiero della patria non abbandona mai l’esule, introdussero gli antichi costumi e le native abitudini: ivi raddolcirono le angosce d’ una vita raminga colle lodi delle perdute contrade, e strinsero cogli stranieri un laccio d’ amore santificato dalla scia- gura. Stretti dalla necessità , e ispirati dalla riconoscenza, ten- tarono ogni via per farsi utili a’ nuovi concittadini; e mille ge- neri d’ industria, mille perfezionamenti nelle arti accrebbero gli elementi della prosperità , e le occasioni dei contratti fra i po- poli. E il commercio si diffondeva sopra basi più vaste , o si ri- partiva più equabilmente fra le nazioni. La stampa intanto mol- tiplicava i suoi mezzi, e recava dall’ un termine all’altro d’Eu- ropa i trovati di Galileo , le idee di Tommaso Moro, e i quadri storici di Machiavelli. Grozio insegnava la necessità d’un diritto pubblico, universale ; Descartes aboliva l’autorità. Una folla di scrittori si lanciava sull’orme loro, e tutti parlavano all'Europa: tutti parevano aver tolto ‘ad impresa quelle memorande parole, che Bacone avea proferite: « La conoscenza di tutte le cose » buone a sapersi non sarà mai l’ opera d’ un sol uomo, d’ una ‘» sola nazione ; d’ una sola età : il tesoro della mniversa » scienza non può conseguirsi che dalla concordia di tutte » le umane facoltà ». Così la lotta tra il vero e l’ errore, che lo spirito di libertà avea suscitata nell’ epoca precedente, si perpetuò sotto mille forme in questo quinto periodo , ed eb- be vario successo nelle varie parti d’ Europa. Mentre il ge- nio creatore di Pietro aggiungeva la Russia ai popoli iucivi- liti, mentre i Paesi Bassi suggellavano col sangue la propria in- dipendenza , mentre l’ Inghilterra s’ inalzava sulla triplice base della libertà religiosa, civile, e politica, la Spagna perdeva glo- ria , ricchezza , energia sotto la verga d’ una oppressione non so se più stolta od iniqua; la Polonia smembrata spariva dal novero delle nazioni ; e 1’ Italia, che aveva dato civiltà , sa- pienza , ed esempli a un mondo avviluppato nella barbarie , T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 15 } 114 f I Italia, dove ogni provincia è benedetta dal sole e dalla na- tura , ogni città racchiude tanti i lavori del genio , ogni zolla copre l’ossa d’ un prode; — 1’ Stalia straziata dalle guerre cit- tadine e’ forestiere , travolta nel fango daì propri figli, perdeva unione , esistenza politica , coraggio, e virtù ; tutto , fuorchè le grandi memorie , e la speranza. Ma la speranza non è forse pe- gno di risurrezione , dato da Dio ai giacenti ? Io trascorro su’ tempi a noi più vicini, come i limiti ch’ io mi sono imposti , ed altre cagioni mi persuadono ; ma chiunque non vede quanto cammino s'è fatto , e quanta forza hanno acqui- stato le basi d’un accordo tra’ popoli, quegli ha le tenebre nell’ intelletto , 0 1’ ira che accieca , nel cuore. Gli ultimi qua- ranta anni, attraverso una uguale vicenda di pericoli , di scia - gure, di rivolgimenti hanno condotto gli nomini a tale, ch» ormai non possono procedere che‘ uniti. L° entusiasmo e la con- cordia di principii li congiunsero dapprima. L’ apparizione d’ un gigante, che stese un braccio sul Nord, mentre aggravava l’ altro sul mezzodì ;, minacciò di soffocare la teudenza Europea ; ma la civiltà cammina per una spirale, e non retrocede mai che nel le apparenze. Battuto dalla unione de’principi Je più da quel- la de’ popoli , il colosso precipitò ; ma intanto i due terzi d’ Eu- ropa aveano vissuto dieci anni sotto l'impero di circostanze , leggi, e governi uniformi: intanto le differenze che separa- vano le nazioni s’ erano logorate sotto l’ attrito comune, i varii casi dell’ armi, e le frequenti invasioni: intanto , gli uo- mini del nord usciti nuovamente da’ loro burroni., avevano appressate le labbra alla coppa della civiltà meridionale — e mentre i principi strignevano patti e trattati, i popoli giu- ravano sull’ altare della libertà un'altra a!leanza inviolabile , eterna. — Essi gettarono uno sguardo ne’ secoli addietro : le na- zioni s’erano divorate a vicenda : fiumi di sangue avean bagnata la terra, madre comune ; perchè ? — risalirono alle cagioni ; un pregiudizio , un capriccio , una sola parola apparvero quasi sem- pre le fonti di liti sì miserande. E gli effetti? — Essi aveano consumate le proprie forze; aveano servito, senza saperlo, ai sogni dell’ ambizione , o alle trame di chi volea dominarli se- curo. Guardarono nell’avvenire ; esciamarono : perchè ci odiam- mo ? che ci fruttò finora 1’ odiarci ? Non abbiam noi sortito co- mune origine, comuni bisogni, comuni facoltà ? Non splende a noi tutti sulla fronte un segno, che ci dice fratelli ? La na- tura non mise a tutti un voto nell’ anima, che ci chiama ad alti destini ? Amiamoci : i viventi son nati all'amore. Uniamoci ; Jo 115 noi saremo più forti. — E nn grido unanime notò d’ infamia il commercio de’ negri ; e appena una voce d’ indipendenza suonò nella Grecia , s’ affollarono i difensori a migliaia, come ad una santa crociata; e un ardore , una concordia mirabile. s° appale- sarono negli studi e nei progressi intellettmali di tutta Europa. V° hanno differenze ancora tra’ popoli; ma lievi più che altri non pensa: v’ hanno nazioni alle quali rifulse più tardi la luce dell’ incivilimento ; ma valendosi dei tesori accumulati altrove dal tempo ; esse saliranno rapidamente colla energia della gio- veutù al rango occupato dall’ altre — V° hanno contrade, do- ve le pessime istituzioni vietano i beneficii voluti dai tempi; ma gli ostacoli svaniranno quando che sia, perchè il tribunale della opinione ha pronunziato , e la coscienza del genere umano farà traboccar le bilance. XIV. Esiste dunque in Europa una concordia di bisogni , e di desideri, un comune pensiero , un’ anima universale , che avvia le nazioni per sentieri conformi ad una medesima meta. Dunque la letteratara — quando non voglia condannarsi alle inezie — dovrà inviscerarsi in questa tendenza , anatre ;g Qiu> tarla , dirigerla = dovrà farsi Europea. XV. El’ impulso è dato. — Le produzioni letterarie dei varii popoli non presentano già più quell’impronta parziale, quel gusto esclusivo , per cui non potevano ottenere la cittadinanza presso le straniere nazioni , se non guaste , o come dicono , raf- fazzonate. — Le passioni son fatte più spirituali: le idee d’ un erdine universale più spesso ricorronv: una sfera immensamente più vasta s'è dischiusa all’ intelligenza. Pochi sommi hanno tanto operato. — A Byron la indipendenza delle opinioni, la profon= dità del pensiero ,. il cuore sensibilissimo, e l’anima gigante avrebbero dato di offrire il modello del poeta Europeo, se le calunnie , la invidia , e il non aver trovato mai tra gli umani un eco a’ suoi voti, non lo, avessero gettato nella solitudine della disperazione ; ond’ egli pinse più sovente sè stesso , che non fu interprete della umanità : ma pure, poi che nell’anima dei grandi si ripercote pur sempre una immagine dell’ universa na- tura, egli colse non sola una volta l’ alloro de’ secoli e delle gen- ti, e le sue ispirazioni commossero altamente 1° Europa intera. — Vigore di filosofiche meditazioni, e rapidità inconcepibile di fantasia , ed estensione di viste , fanno di Goethe 1’ intelletto s0- vrano dell’ epoca», benchè Ja lotta tra il bene ed il male, sim- boleggiata nelle sue creazioni, assuma un aspetto più ideologico , ed appartenente al passato , che non reale , ed applicabile al pre- 116 È sente periodo . — E il nostro Monti avrebbe potuto sedersi terzo fra questi due , se la profondità delle idee , e la costanza dell’ani- ino fossero in lui state pari alla potenza dell’ espressione , e alla vivacità delle immagini. Ma tutti e tre questi. sommi s’ ispirarono ai capolavori delle nazioni , tutti afferrarono il Bello dovunque spleudeva , tutti trasfusero ne’ loro versi 1° armonia universale. E gli effetti ne uscirono immensi. Lo studio delle lingue e delle lettere straniere s’ è intrapreso con indicibile ardore. I giornali lo aiutano; e le riviste, consecrate unicamente all’ esame delle cose torestiere abbondano in Francia e nell’ Inghilterra . I viaggi e le traduzioni si vanno moltiplicando ; e omai nessuna voce gene- rosa può sorgere in una parte così remota di Europa , che non ne palpiti l anima in petto a milioni. L’ edifizio che Ja pedanteria aveva innalzato sulle opinioni, e sulle mitologie degli antichi , è caduto per sempre } ma una gioventù fervida di'speranze e di vita s’ è lanciata attraverso le rovine in traccia d’ uno scopo più importante , e sublime. E la espressione di questo voto traspare dalla Neva all'Ebro negli scritti dei molti a’ quali è vietato il lin- | guaggio dell’ anima , mentre splende di tutta luce nei carmi di Delavigne , nelle melodie di Tommaso Moore, in alcune cuse drammatiche di Martinez de le Rosa, e negli scritti di Niccolini ; come il bisogno d’ un culto più puro , e d’ amore, s° anmunzia ne’ versi di Manzoni, di Lamartine, di Wordsworth , id a schlager, e d’altri. — Fin nella Sia , nazione caduta in fondo , il gusto particolare a quel popolo va perdendosi dinanzi ad un gusto più universale ; e le composizioni poetiche di Me- lendez, d’Arriaza, e di Quintana ne fanno fede. Fin nella Russia $ nazione escita noveliamente dalla barbarie, traspare da’ poemi di Kozlou , di Pozharsky ; di Puchkine la tendenza Europea. XVI. Perchè dunque la intollerante malignità e la medio- crità inoperosa s’ ostinano in Italia a contristare gl’ ingegni che tentano farsi interpreti d’ un voto Europeo ? E perchè ci suona all’orecchio una mortale rampogna , ehe ci accusa di vender la patria? — La patria! Oh se a tutti coloro che movono la in- sulsa accusa , ardesse in petto inestinguibile , immensa la fiamma Italica che ci consuma , forse noi non saremmo fatti, ‘com’ ora. siamo, lodatori oziosi d’ antiche glorie che non sappiamo emu- lare; forse il nostro nome non suonerebbe oggetto. | scherno 0 di sterile compassione sulla cetra dello straniero; — No ; non vogliamo gettare in fondo la Italia; non vogliamo inservilire il Genio che spirò le grazie a Canova, e i concenti immortali a Rossini. Vogliamo aprirgli un volo più libero, e franco. tinfiam- LI SIRO CITTA TAO 117 marlo alla contemplazione degli altrui progressi ; e delle mostre sciagure ; avviarlo per sentieri intentati ad un fine magnanimo ’ ed utile. Pa gran tempo 1’ Italia ha perduta 1’ indole antica ; da gran tempo essa è priva di vera letteratura; e ne gemia- mo , scrivendolo ; ma quando una cosa non è, perchè vivere ed operare come se fosse? Ah! le adulazioni non daranno sa- lute mai alla patria: — e noi non saremo già meno ab- bietti, perchè avremo la parola dell’orgoglio sul labbro. Pe- rò, badate! Voi abbandonate la realità , per correre dietro ad un’ ombra che non è più. L’ animo vostro sarà retto; ma la esperienza di molti secoli stà contro di voi: la storia particolare delle nazioni sta per finire, la storia Europea per incominciare; e all’ Italia non è concesso lo starsi isolata in mezzo al moto co- mune. All’ Italia è forza ritemprar il suo gusto ; e non può farlo, che meditando sulla essenza del Bello; nè può raggiungere que- sta essenza, che paragonando le forme molteplici da esso assunte, e i diversi effetti da esso prodotti sull’ intelletto : all’ Italia è forza crearsi una nuova letteratura , che rappresenti.in tutte le sue applicazioni il principio unico, universale, ed armonico, onde l’ umana famiglia può ravvicinarsi ognor più all’ equilibrio dei diritti e de’doveri, delle facoltà, e dei bisogni ; e a fondarla riesce inevitabile lo studio d’ ogni letteratura straniera , non per imitar l’una o l’altra, ma per emularle tutte, per trarne i varii modi co’ quali la,natura si rivela a’ suoi sfigli, per impararvi quante sono le: vig del cuore, quante le sorgenti delle passioni , quanti gli accordi dell’ anima , come la mano del musico er- rante sulle corde d’ un’ arpa, tenta ne’suoi preludii diversi toni , passeggia per varie modulazioni , finchè afferra la più potente ad esprimere l’effetto segreto che gli s’ agita dentro. —E a noi pure il nome di patria suona magico e venerato , e il sorriso del cielo d’Italia ci spande un’ arcana delizia nel petto , e ci sono sante le memorie degli avi; — maladetto chi le rinnega! — Ma dovremo perciò ciare quanto sorge di bello e di subli- me oltre i nostri confini ? La parola della verità dovrà cadere in- vano per noi, perchè fu trovata sott’ altro cielo , e da stranieri intelletti ? — Nò : noi deporremo ogni pregiudizio nazionale ; e diremo ai sommi scrittori di tutti i popoli e di tutte le età: venite ; noi vi saluteremo fratelli : noi vi daremo riconoscenza , ed amore, perchè voi avete giovato all’ universo, 11 vostro genio varcò gli argini che la fisica natura impose alle. umane tribù. La vostra filantropia riempì il fosso che la gelosia, l’ offesa, ‘e l’odio che ne consegue , scavarono trai figli d’ nna stessa 118 À terra. Voi avete sentito per tutti : il vostro cuore ha battuto per le sciagure degli uomini meridionali , come di quelli del nord ; nessun clima poteva essere così freddo che valesse a intorpidirvi nel petto l’ardore per la umanità: nessun clima poteva essere così ardente, che potesse insinuarvi la inerzia della voluttà nelle vene. La costanza della virtù, e la energia della libertà furono vostre; per esse l’ anima vi fu monda dalle piccole gare, dal- l'egoismo , dalle passioncelle meschine : voi diveniste cittadini del globo. Però , noi vi salutiamo fratelli: venite! anche noi abbiamo grandi : anche a noi lo spirito di libertà e d’ amore spirò grandi cose. Noi col!ocheremo le vostre immagini accanto ai simulacri degli avi; noi v’ adoreremo con essi, perchè voi aveste comune il raggio della divina potenza. — Queste sono e saranno sempre le nostre parole : amore ardente dalla verità uni- versale , che è quanto a dire, amore costante ed operoso della comune dignità e della pace : questo noi crediamo essere l’api- ce di civiltà a cui possano giungere le nazioni. = E se il voto abbia a riuscire vantaggioso o funesto all’Italia, il tempo lo mo- strerà: il tempo, che dopo tre secoli fece uscire di bocca ad uno straniero la discolpa del nostro Machiavelli; il tempo; che rivela negli effetti il valore delle cagioni. XVII. Intanto, quali saranno le forme di questa letteratura Europea ? quali sono i consigli ; le norme , i principii, che de- vono dirigere gl’ ingegni vogliosi di toccar questa meta? — Nol so: dove la misura del merito stà nell’effetto ottenuto, il con- siglio non deve scompagnarsi mai dalla esecuzione. I precetti af- fogano il Genio; e quanto d’utile può farsi in tal genere , si ridurrà sempre ad infiammare , a purificare, a commovere l’ani- ma potentemente, e lasciarla poi levarsi a libero volo. Però , ignoro per quali e quante vie possa giugnersi a questo intel- lettuale rinnovellamento; ma so, che i fenomeni della natura morale, e dell’uomo interno devono formare oramai il campo dove s’aggiri la letteratura, campo in cui la natura fisica, e l’ uomo esterno avranno luogo, come simbolo e rappresenta zione dei primi. So , che l’uomo sociale in azione , ossia lo svi luppo delle sue potenze ordinate ad un fine; deve costituirne l'oggetto — che questo sviluppo dipende dall’ eccitamento e dalla tendenza di poche passioni, universalmente, ma variamente sentite == che perciò, uffizio della letteratura sarà mantenerle, e dirigerle al fine. So, che l'intelletto, e l’ entusiasmo non pus- sono oramai camminar separati = che il segreto del mondo non può iudovinarsi, se non da chi riunisce al sommo grado queste | 119 due facoltà = e che il vero scrittore enropeo sarà un filosofo , ma colla lira del poeta tra mani. So che 1° ordine universale, e la forza interna, onde son vita e moto, si manifestano in ogni oggetto , come il sole si riflette intero in ogni goccia di rugiada — che il tipo del Bello è unico dappertutto e dappertutto com- move , ma che gli elementi ne sono diffusi per tutta quanta na- tura, e nel cuore di tutti gli umani , dove giacciono soffocati, o travestiti bizzarramente dagli interessi, da’ vizii , dalle abitu- dini materiali. E so, che il mezzo più potente a cogliere il Bello è una osservazione costante e sagace della schietta Natu- ra; la via più corta per riprodurlo efficacemente , è uno studio profondo psicologico-storico dei viventi; il t*mpio più atto ad ot- tenere le rivelazioni della verità, è un’ anima pura, ingenua , fervida, ed instancabile. -- Questi pochi principii parmi do- versi raccomandare agli scrittori ; il genio farà il rimanente a suo senno. XVIII. Giovani, che ne a giovare col vero a’vostri fratelli! - Un ministero importante v’è affidato dalla umanità. Un tem- po la patria consegnava al poeta il volume delle leggi e dell: religioni dei padri, dicendogli : tu veglierai perchè questo depo- ‘ sito rimanga intatto nel cuore de’concittadini 3 i tuoi voti non sa- ranno sacri che al cerchio di mura dov'io t'ho collocato. — Ma ora voi avete un mondo a teatro di vostra gloria; voi dovete parlare ad un mondo : ogni suono della vostra cetra è patrimonio dell’umana stirpe ; nè potete toccare una corda , che l'eco non si propaghi fino all’ultimo limite dell'Oceano. V° ha uno spirito d'amore, che | favella a tutti gli abitanti di questa Europa, ma confusamente, e con vigore ineguale. Gli errori di molti secoli hanno logorata la impronta comune ; ma la poesia fu data dal cielo , come vo- ce che può ricongiungere i fratelli dispersi. Voi dovet» eccitare e diffondere per ogni dove questo spirito d’ amore ; dovete ab- battere le barriere che ancora s’ oppongono alla concordia: do- vete cantare le universali passioni , le verità eterne. Perciò stu- diate i volumi di\tutte le nazioni: chi non ha veduto che una sola letteratura, non conosce che una pagina del libro dove si contengono i misteri del Genio. Strignetevi in una tacita comu- nione con tutti coloro che gemono oppressi dalle stesse scia- gure, che sorridono alle stesse gioie , che aspirano al me:lesimo fine. Che monta se il sole manda i suoi raggi attraverso un velo di nubi, o li dardeggia per 1’ azzurro dell’ aria? Tutti gli uo- mini hanno un cuore che batte più concitato al ‘sospiro della bellezza : tutti gli uvmini hanno una lagrima , un éonforto pel 120 grido della sventura; e dov'è colui che non sente rinnovarsi l’anima in petto alla parola della libertà? -- Ispiratevi a que- ste sorgenti ; la vostra poesia sarà la voce dell’ universo. Una palma immortale sorge al termine della carriera che vi s’ apre dinanzi ; i popoli andranno devotamente a posarla sulla tomba dell’ uomo che la còrrà primo , e l’Eternità scri- verà sopra il marmo : Qui dorme il Poeta della Natura , il Be- nefattore dell’ umanità. Un IrALIANO. Commedie di Arserto Nora. Delle commedie di questo nostro connazionale egli è singolare il dover dire, sebbene non sia men vero , che sieno esse state sottoposte a più minuta analisi ne’ paesi forestieri che non si è mai fatto in Italia ; essendosi più volte osservato , che ne’ giornali della nostra penisola o si «diede lode trascendente o biasimo indebito ali’antore: il che si potrebbe riguardare come argomento di cieco entu- siasmo negli uni, o di personal nimistà negli altri. E di certo , egli è ben più facile, anche ad un mediocre inge- gno , il dire in poche righe che una cosa sia ottima, me- diocre o cattiva , senza darne altro motivo che il proprio parere , di quel che non sia lo stabilire un giudicio, de- dotto da un retto sentire dell’ opera , e dal conoscimento di tutte le circostanze fra le quali si trovò obbligato l’Au- tore. Il perchè noi che stimiam debito nostro l’imparzia- lità, abbiam parlato sin qui senza esitazione , e de’ pregi e de’ difetti delle opere del Nota. Così faremo in questo ultimo articolo, fiancheggiati dall’ opinione di varii altri che ne han preceduti in quest’ esame, e persuasi che dove troviamo il buono, nessuno possa a ragione redarguirci ; dove ritragghiamo il difetto , non ne abbia a dolersi l’Au- tore, per cui debb”’ essere sufficiente soddisfazione il vedere la quantità delle edizioni, che si van facendo e in Italia e fuori delle sue commedie originali e tradotte , il che è certo argomento della favorevole generale opinione. 121 Noi troviamo nel Foreign quarterly review del mese di febbrajo 1824 nun solo un esame rigoroso e fedele, ma eziandio intere scene tradotte in inglese di alcune delle commedie del Nota, e singolarmente una scrupolosa ana- lisi della Donna ambiziosa, commedia veramente caratteri- stica de’ tempi moderni, e che appunto è la prima nel 5.° vol. dell’ edizione fiorentina. Le pazzie di Laura, donna di bassa nazione, e che trovasi ‘arbitra e padrona delle molte ricchezze del marito , il cieco amore di questo e la sua stolta condiscendenza sono posti in un vivacissimo punto di vista. Contrastano bene con questi due primi soggetti la modestia di Silvia, figlia del primo letto di Eustachio, siccome pure l’amore onesto e disinteressato di Riccardo*di lei amante, e la fedel servitù sua' verso il priu- cipale, il qual per colpa della moglie è incamminato a una totale rovina e nel patrimonio e nella reputazione. JI signor Nota ha espresso con gran verità gli errori e le deviazioni dell’ intelletto quando è accecato dalle pas- sioni. Fra le altre molte belle parti della sua commedia, è originale e di sommo effetto la scena 3.° dell’ atto 6.° allorquando Laura intenta ad abbellirsi ad una nuova to- letta per far più brillante comparsa alla conversazione, dopo aver fatto allontanare dalla casa e madre e sorel- le affinchè non si presentino vestite miseramente nelle sontuose sale del suo palazzo in occasione di aspettate splendide nozze , sente con colpevole indifferenza dallo stolido marito il come e il dove le ha fatte condurre, e tutta calda nel procurar nuove grazie all’ acconcia- tura, e stimolare la sua cameriera all’ opera, appe- na bada a’ narrati rimproveri e alle repulse con che quelle infelici par che chiedessero al Cielo‘ soddisfazione degli oltraggiati doveri della natura. Ben preparato e natu- ralissimo riesce poi il pentimento di Laura, allorquando riconosce che a lei sola attribuir si debbono le perdite vi- stose del marito , le malleverie , i prestiti ed ogni aliro di- sordine , ed abbandonata dalla folla degli accorrenti, ve- nuto meno il maritaggio progettato per Silvia col figlio di T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 16 129 un nobile personaggio , si vede gli uscieri andare e venire per casa, ed è vicina ad essere spogliata di tutto, e di più non le si concede di riveder la madre e d’implorarne il perdono. Opportunamente in tali circostanze, sconosciuto sino all’ ultimo atto, si scuopre Carlo, il fratello di Laura che , partito coscritto di casa, diede tali prove di valore e di capacità nelle molte giornate e nei perigli della guerra, che si vide innalzato al grado di generale, ed è giunto in tempo di far ravvedere la traviata sorella , riparare al mal fatto e riconciliarla con la madre e la famiglia sua. Non crediamo doverci maggiormente diffondere in al- tri particolari sopra un argomento così noto ; e ne ricorda che questa stessa commedia, recitata l’anno scorso nel Teatro Goldoni ottenne nuovi vivissimi applausi. La parte di Laura fu con la massima verità rappresentata dalla si- gnora Carlotta Internari ; quella di Eustachio dall’inimita- bile sig. Vestri ; finalmente il personaggio del generale fu con molta dignità sostenuto dal signor Palladini.” Molte scene bellissime si trovano pure nella comme. dia l’Atrabiliare. Alcuni giornali accusarono l’Autore d’ave- re tolto questo carattere dal Burbero benefico dell’ immor- tale Goldoni, e di aver creato una commedia romanze- sca. Noi però, senza assolvere l’ Autore dalla taccia di avere posto in azione un avvenimento che sente al- quanto del romanzo, bencuè nulla si ravvisi fuori del ‘verosimile negli accidenti che lo compongono , crediamo essere diversità tra il Burbero benefico e ) Atrabiliare . Il Burbero del Goldoni è uomo così tagliato dalla natu- ‘ra, che ha il cuor buono bensì, ma un procedere du- ro, e che dopo di aver dato sfogo agl’ impeti del suo temperamento cede alla pietà, ma in un modo tutto par- ticolare, e senza mostrarsi commosso; pronto in ogni pri- mo incontro di tornare agli stessi atti di collera, che sono per così dire il suo elemento ; carattere tutto proprio della vera commedia. L’ Atrabiliare del Nota, per lo contrario, è un tenero marito, un amoroso padre, amico dolce, uomo socievole. La mala condotta d’una figlia , per cui in certa guisa macchiato ne viene l’ onore della famiglia, , 123 gli fa abbandonar Londra. Ritirato in una terra lontana , ricorda Dormer, con incessante dolore, una moglie morta di affanni per le colpe della figliuola , e fugge il conver- sare con' altrui, contento d’un solo amico, e sente più acerba e più intollerabile la sua condizione quando ve- de disprezzata e avvilita sua figlia nelle pagine d’ un giornale, turbato e impedito il maritaggio della tenera Sofia sua secondogenita col virtuvso e appassionato Carlo. Da questa breve esposizione ciascuno può far ragione del- l’accennata differenza tra l'uno e l’altro de’ due protago- nisti. Il commoversi di Geronte nella commedia del Goldo- ni non è il commoversi di Dormer in quella del Nota. Gli sfoghi di questo , il suo pianto, il rammarico , e il gridare co’ suoi famigliari , è tutto effetto del dolure a cui il misero padre è in preda da tanti anni; ma i dispiaceri di Geronte sono lievissimi in fin del conto , quando a ri- parare alle prodigalità de’ signori Dalancourt di lui nipoti basta una porzione delle ricche sue facoltà, Aggiustate tutte queste faccende, Geronte sarà sempre brusco, collerico, in- trattabile: laddove Dormer, cessate le cagioni che l’ af- fliggono , dee tornare quale era in prima tenero, affettuoso e tranquillo. Fu ben detto nelle notizie che precedono questa Commedia , che meglio avrebbe per avventura cor- risposto all’ argomento il titolo di misantropo. Ed infatti , più assai che del Burbero del Goldoni, troviamo che*l’Atra- biliare sia un imitazione del Misantropo di Molière, La Pace domestica è un. fedele ritratto dell’ interno d’una famiglia, ed insegna a' mariti, alle mogli, a tutti di guardarsi dagli altrui cattivi suggerimenti, e di caeciar lungi da sè quelle persone irrequiete, che s’introducono nelle case per intorbidarne l’ ordine e Ja tranquillità., e procacciar diffidenze, rancori e sospetti, come intervie- ne ad Adolfo e Marianna per le perverse insinuazioni di Luigia, — Ci asteniamo dal fare una particolar descri- zione di questa bella’ e regolare commedia, rimandan- do i lettori all’ accurato ‘esame’ che ne venne fatto da un anonimo veneziano , e che si vede per intero inse- rito nello stesso volume 5.° Il dotto e sagace critico , po- 124 neudo a confronto la Pace domestica del Nota con la Buo- na famiglia del Goldoni, dimostra con evidenti ragioni che in riguardo all’interesse drammatico, agli accidenti della favola ed a’ caratteri, il moderno scrittore supera in que- sta commedia l’immortale suo maestro. La Zùsinghiera, prima delle. commedie contenute nel 6.° volume, è così conosciuta , e se n’ è detto tan- to ora in bene ora in male da’ varj giornalisti, che cre- diamo inutile affatto il darne l'argomento; tanto più che diffusamente ne tenne ragionamento il conte Gio, Pa- radisi in una sua dissertazione , che fu impressa nel to- mo 14 della Bibl. Ital. La signora Carlotta Marchionni, prima attrice nella Comp. Drammatica di S. M. il re di Sardegna non ha chi la superi in tal difficile parte cui ella rappresenta e sostiene con nobiltà, brio e gentilezza di modi , senza di che non è dubbio che la Lusinghiera potrebbe degenerare in una civetta da trivio, contro l’in- tendimento dell’Autore , il quale, secondo ne avvisa lo stesso Paradisi , ha conseguito il nobil fine morale con colorire tutte le azioni di Donna Giulia di tinte mo- leste per qualunque conosca e pregi la lealtà e la buona fede ; mentre per rispetto al buon costume e alla decenza ha voluto ch’ essa fosse una donna non vinco- lata ma libera, maliziosa e finissima nel tenere a bada molti amanti per trascegliere poi uno sposo , ma il tutto senz’ ombra di licenza o di venalità, per cui a mille tratti si scosta e dalla Wedova scaltra e dalla Zocan- diera. Ciò non pertanto, e malgrado di quanto ne ave- va scritto il lodato critico, si pensò da taluni che D. Giu- lia fosse appunto da collocarsi fia le civette del basso ce- to, e si diè carico al Nota d’aver fatta la sua protago- nista nobile ed educata. Ed affinchè egli si pigliasse una buona lezione del come si debbano rappresentare i modi della così detta a/ta società , s° avvisò un signor Piemon- tese di scrivere una commedia che intitolò. Prevenzione e Civetteria; ciò fu nel 1825. Grande era la pubblica espettazione per vedere nn sì fatto modello della no- bil commedia da contrapporre alla Lusiughiera già prepa- Ì 125 rata a sostenere l’ umiliazione di tanto confronto. Ma per disgrazia dell'Autore venne meno la generale fiducia ; e la commedia, che fa inintelligibile nel primo atto, insoffri- bile negli altri, e in tutti senz’alcun principio di co- mico intendimento , cadde come corpo morto cade e senza speranza di risorgimento. Si ebbe così una novella prova come siano distanti fra loro il censurare e lo scrivere, il trovar difetto e il far meglio, il presumere e l’ operare. La commedia i Litiganti è pur buona commedia. Il carattere del conte Polidio e quello della contessa Geltru- de sono bene delineati e mantenuti gli stessi dal princi- pio sino al fine. Naturali, vivaci e di un bellissimo effetto sono la scena 7.* dell’ atto 9.° quando i litiganti e i loro procuratori stanno raunati per un progetto di aggiusta- mento che non ha poi effetto; siccome pure le scene 2.° 3.°* e 4.* dell'atto 3.° dove ciascuno de’ due opponenti , pretendendo d’ avere un diritto esclusivo di passaggio per ‘una certa sala, vi si ferma l’uno a dispetto dell’ altro e detta nuove allegazioni , cioè la contessa a un sig. Arri- ghetto amante: della nipote di lei, il conte Polidio a Gia- cinto figliuol suo ; e dalle parole dettate ne nascono i più graziosi equivoci e le più belle impertinenze del mondo. Pare che questa scena sia stata imitata dal Giraud nella sua commedia: il Figlio del sig. ‘Padre. Malgrado di que- sti pregi parziali sembra alla lettura ed anche alla rappre- sentazione che i nuovi amori di Giacinto e della Baronessa Amalia, per cui si termina a lieto evento la favola, siano alquanto freddi e privi di quell’interesse che accalora l’ani- mo dello spettatore, pel qual difetto viene meno in alcune parti e specialmente nello scioglimento il merito della com- posizione. Termina il volume co’ Dilettanti comici, commedia che si è veduta in Firenze più volte, e che rappresenta al vivo le gare de’ filodrammatici ; e con la commediola dell’ Amor timido, dedicata dall’ A. all’ amico suo il V. M. Gian Carlo Dinegro genovese (1). Composizione regolare d, Il Marchese di Negro cultore studiosissimo della poesia e delle lettere 126 ove campeggiano alcuni caratteri bene delineati, e fra que- sti un signoy Argellini , giovane nobile , prosuntuoso , il quale si avvisa potersi senza. studio, riflessione e fatica acquistare il nome d’uomo d’ingegno , amabile! ed utile a’ suoi simili: del qual carattere ciascun sa quanti sieno e in Italia e fuori i viventi modelli. Saremo alquanto più diffusi nel far ragione delle tre inedite commedie, contenute nel 7.9 vol. con cui si chiude la presente edizione. Viene in piimo luogo la Fiera, com- media in 5 atti che donata dall’A. alla R. direzione dei Teatri, fu recitata le,prime volte in Torino dalla R, Com- paguia drammatica. nell’estate del 1826 (2). Eccone il soggetto. i Il giovane Conte Aurelio, caldo amatore della bella e virtuosa Emilia, ne.ottiene la mano ed il cuore che gli ve- nivano contrastati da un pericoloso rivale , il cav. Flor doro. Ma siccome dalla privazione si genera il desiderio , e dal possesso ,s' infievolisce o si spegne ; così il troppo amore dell’appassionata consorte , e forse le nascenti di lei gelosie hanno dopo alcuni mesi intiepidito il cuore di Aurelio e poi raffreddato per modo, che la prima uniforme corrispondenza d’ affetto si trasforma per lui in ‘una rin- crescevole monotonia. A dodici miglia della Capitale è un villaggio dov’ egli possiede nn vecchio castello , quasi di- sabitato; senonchè vi fa dimora per favore del conte un dottor Lorenzo , medico di contado, ma momo sagace e dabbene. La fiera imminente, che vi si tiene per tre giorni, promette al conte un gradevole passatempo; e per non an- darvi colla consorte, coglie il pretesto di doversi condurre a visitare altri poderi. Appena giunto s'imbatte in una ma- è l’amico de’ letterati e degli scienziati, e gli accoglie sempre con affettuosa premura. Così s° accoppia bene la nobiltà de’ natali con la nobiltà dell’animo e dell’ intelletto. (2) La. Nobile Direzione; contraccambiando il dono con ingegnosa genti- lezza, presentò l'Autore d’una scatola d’oro smaltata, avente un’ iscrizione , e di più un bel medaglione, ove con maestrevole miniatura viene effigiata Talia che incide i nomi di Goldoni e di Nota. — Salfi Saggio storico critico sul Teat, Ital. Parigi 1829: 127 dama Doralisa , moglie del notajo Zoccolino , i quali abi- tano un casale poco distante dal villaggio. Vederla ed in- capricciarsene è 1’ affar d’ un momento : l’ esser bene ac- colto viene di per sè ; il marito è un ghiotto mangione, la moglie una civetta ambiziosa, e si aggiunge una loro ragazzina di 8 anni arrogante e male educata. Il dottor Lo- renzo vorrebbe dare al conte un qualche avvertimento; ma egli è un cantare a’sordi. Intanto, mentre da sei giorni così folleggia Aurelio, la povera Emilia accusa il tardo di lui ritorno, e fa cento castelli în aria : agitata, incerta, gelosa si appiglia finalmente al partito di far attaccare a mezza notte i cavalli e di recarsi in compagnia di una fida cameriera a scoprir terreno. Giunta al podere si abbiglia alla contadinesca, con le vesti della fattoressa , ed eccola arrivata il primo dì della fiera al castello. Ora ben si può imaginare in quale imbarazzo si trovi il dottor Lorenzo a cui la contessa si è fatta conoscere, e come mal sappia rispon- dere alle mille domande di lei. Ma già arrivano festosi e scendono dal cocchio il conte, Doralisa ; il marito e la Ro- sina loro figlia. Emilia non vuol essere veduta, e si na- sconde nelle camere del dottore, il quale ad ogni buora fine le chiude. Al venire della gioiosa brigata, cresce tanto più l’impiccio del buon Lorenzo, in quanto che libera e ad alta voce si fa la conversazione, ed è intesa dalla po- vera Emilia. Madama Doralisa vuole ad ogni patto che Aurelio scriva di nuovo al Delegato della Provincia per- chè nomini suo marito segretario del villaggio: ma non es- sendovi in quella sala nè calamaio nè carta, il conte ri- masto solo col dottore va per entrare nelle camere di que- sto, e le trova serrate. Il rifiuto che fa il D. Lorenzo di aprire desta nel conte un sospetto veramente comico, non potendo egli imaginare qual sia la persona che stà là en- tro e non vuol essere veduta. "Torna in buon punto ma- dama Doralisa, che vuol andar sulla fiera e seco condurre Aurelio : e Lorenzo apre le stanze. Emilia che ha tutto inteso, siccome donna di spirito e prudente, avvisa che non già colle lacrime nè con ischiamazzi, ma piuttosto colla disinvoltura e una sagace dissimulazione potrà dare 120 na buona lezione al vacillante ma non ancor caduto con- sorte e richiamarlo al dovere, Quel cavaliere Floridoro, che aspirava alla sua meno, fu da lei veduto a caso sulla fiera allorchè ella venne al castello. Emilia commette a Loren- zo di fargli tenere un biglietto: esita il dottore; ma poi fidando nella virtù della dama lo accetta. L'atto 3.9 è sul luogo stesso della fiera. Viene la con- tessa con Floridoro, e si lascia dir la buona ventura da una zingana : scoperto il modo con cui questa furba avea mostrato di conoscre alcuni de’ suoi casi, delibera di va- lersene per far trasecolare il consorte, e così le vien fatto, Dopo il Zuccolino e la ragazza sopraggiungono Doralisa, il conte e Lorenzo. Madama compra un cappellino e una veste e il conte paga. Zuccolino vi fa, come ognun vede, la brutta figura. La zingana dice la ventura a tutti e non risparmia molte verità al conte ; quando viene ratto e af- fannato il cameriere di questo annunziandogli a bassa voce l’ improvviso arrivo della contessa. Aurelio si disimpegna con qualche pretesto dalla brigata, di cui commette la cura . al dottot Lorenzo, e va precipitoso al suo castello. La brigatella se ne va a vedere lo spettacolo della fantasma- goria e così termina l’atto. Emilia vestita da dama , e ferma nel suo divisamen- to, è disposta a far buona accoglienza al marito ed agli ospiti. Un fattorino del mercante arreca il cappellino e l'abito destinato a Doralisa, e il consegna invece alla con- tessa (scena stupenda massime quando vi ha parte la sig. Marchionni ) in presenza del conte; di cui, quanto sia l’ imbarazzo, ciascuno sel può immaginare. Sopraggiungono Doralisa e gli altri : e madama resta attonita nel vedere che il cappellino comprato per lei gi trova in capo alla contessa ! Emilia tutta gioiosa e disinvolta ringrazia il con- sorte de’ regali di fiera, e approva il gusto di lui nella scelta del cappellino e cell’ abito, Il Conte peraltro me- raviglia grandemente nel vedere sua moglie così gentile con gli ospiti, e singolarmente con Doralisa questo ina- spettato contegno incomincia a turbarlo, e già già pensa a disfarsi della compagnia per penetrare il mistero, Que- \ 129 sto momento ‘tanto desiderato è vicino, ma quando viene, il cuore del povero conte si trova agitato da cose affatto nuove, tanto è destra la contessa nel fargli credere ch’ ella vede con ‘indifferenza la capricciosa di lui incostanza , e gli dà ad intendere d’ avere ella stessa scelto Floridoro a suo cavalier servente. Allora crescono a dismisura le ge- lose smanie del Conte, e scema ad un tratto l'affetto con che cominciava a riguardar Doralisa: bizzarrie inconce- pibili del cuore umano di cui mille esempi si veggono alla giornata, e qui espresse al vero dall’A. S'avvede Emi- lia del buon effetto dell’ apprestata pozione e ne rinforza la dose col dichiararsi ch’ ella passerà la jseguente notte in una villa poco lontana, in casa del Delegato , ov’è grau- de invito di ballo, è che Je sarà compagno il cav. Flori. doro. A quest’ annunzio Aurelio rallenta il freno al represso suo sdegno, e pigliando il tuono di marito e di padrone prorompe in amari rimproveri contro la sposa. Li ribatte essa da prima con forza e con decoro : e già scenderebbe a una patetica gravità; ma tornando con drammatica tran- sizione di grande effetto\a° modi ed allo stile della galan- teria, si ride della sua intempestiva morale e della sua collera: soggiunge che ognun de’ due dee fare quel che più gli torni a grado, e lascia il marito, non si saprebbe dire se più stupito o furente. + Tenera e preparata con tutte le necessarie giustifica- zioni ; ma più per la rinata scambievole fiducia , si è la pace che fanno i due sposi nell’ atto 5.° Giuste sono le mortificazioni cui soggiaciono e Doralisa e Zuccolino e la petulante loro figlia. Floridoro viene spogliato del carattere equivoco di cui si era vestito per secondare il retto fine di un’onesta moglie e per riconciliare i due sposi, E na- turale si è l'amicizia che Aurelio stringe con esso alla no- tizia che egli sta per isposare la sorella del Delegato, Tutta la commedia per l’ argomento, per la condotta, per la sana morale filosofia, per la rapidità e la forza del dia- logo si dee riputare degna di quel favore con cui fu accolta anche dai Fiorentini che l’ ascoltarono più sere | © T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 17 3° 230 al teatro del Cocomero nel passato Autunno 1828. E ci fa meraviglia d’ aver letto nel citato Saggio storico cri. tico del Salfi, e stampato quest'anno in Parigi, che al- cuni malevoli od ignoranti abbiano fatto spargere che la Fiera fosse commedia licenziosa e immorale. Noi non sap- piamo se taluni di questi siasi alle volte creduto ritratto in alcuno de’ personaggi della favola, ma sì ripetiamo an- che questa volta, che quando il vizio è dipinto in moro da disgustarne altrui; e quavdo i colpevoli sono giusta- mente coperti di ridicolo e di disprezzo , la morale della commedia ha ottenuto il suo scopo. Tale è la Fiera comé abbiam dimostrato ; e se vi fu commedia morale al mondo ella è cotesta. L’Oppressore e l’Oppresso , siccome ne dice l’Autore nella sua dedicatoria. all’ illustre signor Niccolini , dee riguardarsi come il primo saggio da lui fatto nel diffi- cile arringo -. epperciò non sarebbe opportuno il giudi- carla severamente. Un primogenito che vuol, privare il cadetto di tutte le facoltà , anche materne ; le. persecu- zioni che gli muove abusando del potere della sua carica; l'odio che nutre verso di lui per. avere sposata una gio; vane | di bassi natali , e a cui aggiunge fomite la vana e prepotente. marchesa Claudia moglie del primogenito, seb- bene sieno avvenimenti che possono qualche .volta aver luogo nella vita sociale, ne pare che sieno spinti eltre il verosimile della scena, dovendo un Autore dipingere quello che accade più spesso : chè talora il vero reale non è ve- rosimile. Oltre ciò., comincia l’azione con quel tuono fa- migliare che deve esser proprio della commedia , e quindi passa con una transizione dolorosa al troppo patetico, pro- prio de’ drammi tedeschi , trattandosi niente meno che di una accusa di delitto di stato promossa dall’ un fratello contro l’altro, comechè tutto venga in-chiaro alla fine con l’opera e gli ufficii del sig. Filiberto , e di un lord Widlon, e mediante la sagacità e la giustizia del Governatore. In questa stessa commedia, e malgrado de’ suoi difetti, si co- nosce bastevolmente l’attitudine dell'A. ne’ suoi verdissi- mi anni, di che fanno fede e la scena del giuoco nell’at- 131 to 2:8, condotta con molto artifizio, e alcune dell’ at to 3,5, e finalmente tutto 1’ atto 5. Ne rimane a parlare per ultimo della /Vovella sposa. ‘Questa commedia , siccome ne dice in un’accurata analisi uno degli estensori della Gazzetta Piemontese (3), è un'ottima lezione pei genitori, i quali imparano a non dar opera soltanto agli ufficii della loro sfera, a non tra- scurare affatto il governo della famiglia, e a non affidare tuttà la cura e la vigilanza della prole a persone che non sappiano o, nou possano, anche colle migliori intenzioni, servitle di scorta, e premunirla contro le prime e sempre forti impressioni del cuore; è lezione per le zitelle fatte caute nel custodire gli affetti e non rivolgerli inconside- rate ad un’oggetto, al cui possedimento gravissimi osta- coli si frappongano ; Jezione è infine per chiunque vuole ammogliarsi, e godere la coniugale felicità , base della quale è la maturata scelta d’una compagna , che non ab- ‘bia il cuore fortemente preoccupato. — Elisa ama per la prima volta , ed ama A/fredo colla forza d’un primo amo- re. Orba della madre , affidata da suo padre, immerso ne- gli affari commerciali , alla guardia d’ una zia, la fa depo- sitaria essa sola del suo segreto. Ma il genitore di Alfredo ne ha promesso la mano ad un’altra, e gli ordina di par- tir ‘subito da Milano, e recarsi a Livorno per farla sua spo- sa. Promette .4/fredo ad Elisa di serbarsi costante, e di tutto tentare presso suo padre per rompere il nodo abbor- rito, Egli parte, ed Elisa gli scrive lettere sopra lettere, le quali rimangono senza risposta. Intanto 7ebaldo, che da qualche tempo aspirava al possesso d’ Elisa, rinnova al padre di lei le vive sue istanze, e ne ottiene Ja promessa di dargliela in consorte. Povera Elisa! Sl tempo stringe, Tebaldo è impaziente, il padre comanda , Alfredo conserva il silenzio, e la zia lo interpreta come una certa prova ch’ egli non ha potuto diventar libero , ed anzi al partito si appiglia di far credere ad Elisa d’aver ricevuto da una swa amica di Livorno la sicura notizia che A/fredo è am- (3) Il sig. Avvoc. G. L. Raby nel N. 56 anno 1827. 132 mogliato., Questa nuova è per lei un colpo di fulmine ! Quanti contrarii affetti non se le innalzano. tumultuanti nel cuore 1 Ella ora accusa Alfredo or lo difende; l’amore e il dispetto esercitano sopra di lei un tirannico impero , ma finalmente il secondo trionfa, ed eccola sposa a Tebal- do. — Elisa è saggia, e s’acconcia del nuovo suo stato. Grata allo sviscerato amor di Zedaldo, vi corrisponde quanto più il può ; ma la tristezza che la travaglia in segreto, anche in pubblico si appalesa, e il sospettoso 7’eba/do col suo impetuoso carattere cresce il suo tormento. Povera Elisa! Ella non ancor conosce la sua maggiore sventura! Una lettera d’A/fredo giunge anche troppo presto a por- tarla al colmo. Il fedele, il tenero .4/fredo le scrive che sciolto è il trattato colla disamata donzella , che il geni- tore gli concede di unirsi a quella ch’ egli adora , e che fra pochi giorni sarà in Milano a giurarle un’ eterna fede. Qual rimanesse Elisa a sì fatta notizia, facile è l’imma- ginarlo... Ma la sua virtù non l’ abbandona. Ella copre col velo di un’alterata salute la crudele situazione del la- cerato suo cuore ; e tanto fa presso Tebaldo , che lo per- suade a condurla a Trieste, così per giovarsi del viaggia- re, come per conoscere il sig. Remigio, zio del suo con- sorte, stabilito colà. Ecco pertanto già scorsi cinquanta giorni da che Elisa è divenuta moglie a Tebaldo , trenta de’ quali all’ incirca sonv trascorsi in Trieste : fin qui l’an- tefatto. — Al momento in cui comincia l’azione, Elisa ha già ispirato una vantaggiosa idea di sè allo zio, il quale di null’ altro si lagna che di non vederla mai lieta. Le procura egli, per rallegrarla, la frequente compagnia della signora Bettina, sua parente, e della signora Vittorina, giovane vedova di un negoziante suo amico ; Elisa sembra avere maggior simpatia per questa che non per quella, ma non le confida tuttavia la sua pena segreta. Giunge. frat- tanto in. Trieste Fidenzio giovane vagheggino , parente di Tebaldo, e viene ad alloggiare in casa di Remigio. Le sue maniere sciolte anzichenò non piacciono punto a Teda/do, il quale dà sempre più a conoscere quanto il suo cuore sia facile ad accendersi di gelosia, Intanto la melanconia 133 d’ Elisa non cessa ; e il consorte ne la rampogna acremen- te. S’ intromette l’ottimo sig. Remigio, e tutto fa per ren- dere l’ una più lieta e l'altro più ragionevole. L’ orizzonte a poco a poco comincia a rischiararsi, quando tutto ad un tratto più di prima s' imbruna. Remigio riceve una let- ‘tera dal padre d’ Elisa che, informato dalla zia, lo mette a parte della prima fiamma della figliuola , gli annunzia l’ imminente arrivo d'Alfredo in Trieste, e lo prega d'im- pedirgli ad ogni modo di presentarsi agli «posi. Vana pre- cauzione! Alfredo arriva a Trieste, e va ad alloggiare dalla signora Vittorina sua sorella, ch’ ei non sa essere l’amica di Elisa. La prima sua cura è di trovar modo di vedere l’amata, ed a malgrado della previdenza di Remi- gio , gli riesce di vederla nel suv proprio appartamento. Come ciò avvenga, è lungo a dire; basti il notare che ogni evento , così in questa come in varie altre situazioni, di cui tralasciamo i particolari per amore di brevità , è ben preparato e naturale. Alfredo non osservato dal con- sorte, dallo zio, da Fideuzio ch’erano presenti , ha ve- duto Elisa un momento, ed ella lui. Un grido le sfugge, egli sparisce, e gli astanti si affrettano di soccorrerla. T'e- baldo si turba, e la misera Elisa, che si regge a stento, giunge tuttavia a palliare 1’ interno suo affanno per modo, che lo rasserena e il rinfranca. Così cessasse Alfredo di corgiurare , per eccesso «d’ amore a danno di lei! Ma egli non vuol partire senza rivederla , vuol parlarle per l’ulti- ma volta, e rimproverarle la fede data e tradita: Ottiene l’imprudente giovane il periglioso intento, e mentre Elisa, armata di tutta la sua virtù, lo scongiura a non più tur- bare la sua domestica pace e a partire , giuuge improv- viso Tebaldo , che, chiarito del fatto, ai trasporti si ab- bandona di un cieco geloso furore. Le proteste d’ Elisa ed i consigli di Remigio non fanno che confermarlo nel suo proposito. Egli ha fermo di separarsi da Elisa, e di riman- darla a suo padre. Tutto ella tenta onde rimuoverlo dal suo pensiero, ma invano: Remigio allora si fa suo aperto e caldo difensore, e le promette di accompagnarla egli stesso a Milano , e di giustificarla agli occhi del genitore: 134 ma Elisa, ripigliato il coraggio dell’innocenza , ricusa di separarsi volontaria dal suo consorte, e di partire senza di lui, Fidenzio intanto, che avea indotto Alfredo a ritor- nare a Livorno, giunge opportuno ad annunziare ch’ egli già salpò a quella volta, e l'appassionato Tebaldo vinto dall'amore, dalla pietà, dalla ragione, restituisce ad Élisa la sua fiducia, l’accoglie fra le sue braccia, e tutto le ridona il maritale suo affetto. — La ‘protasi , l’intrec- cio , la condotta , lo scioglimento , i caratteri variati e ben sostenuti ,. le situazioni forti e commoventi di questa pro- duzione teatrale , tutto insomma concorre a farla annove- ra:e fra le muigliui di questo genere che possegga il Tea- tro Italiano. i Nel che noi consentiamo volentieri col dotto estensore della Gazzetta Piemontese e con altri giornalisti che così avvisarono; ma non possiamo a meno di far riflettere che lo scioglimento della commedia ne lascia angosciato lo spet- tatore e il lettore. Gli è vero che la virtù trionfa, che torna la pace nel cuore degli sposi... ma del povero Al- fredo, che parte disperato, di nessuna colpa reo, che sarà mai? Questo è difetto dello stesso argomento, ed. era ine- vitabile, ma egli è pure difetto quando il sig. Nota volle che la sua fosse commedia ; non bastando, come sagace- mente accenna il lodato estensore, che Fidenzio sia un pert- sonaggio comico; massime che nel nodo e nello sciogli - mento si fa armonizzare coll’azione di cui piglia anch'esso il colorito. E. ‘ 135 . La découverte des Sources du Mississipi et de la Riviere San- glante. Description du cours entier du Mississipi qui n'était connu que partiellement ; et d’une grande partie de la Ri- vière Sanglante; ainsi que du cours entier de l’Ohio. Apergus historiques des endroits les plus intéressans qu'on y rencon- tre. Observations critico-philosophiques sur les moeurs, la reli- gion , les superstitions , les costumes , les armes , les chasses, la guerre, la paix, le dénombrement , l’origine, etc. etc. eto. de plusieurs nations indiennes. Paralièle de ces peuples avec ceux de l’antiquité, du moyen dge et du moderne. Coup d’oeil sur les compagnies Nord-Quest et de la baie de Hudson, ainsi que sur la colonie Selkirk. Preuves évidentes que le Mis- sissipî est la première rivière du monde. Par J. C. Betrrant,, membre de plusieurs academies. Nuova Orleans, 1824 in 8.° di pagine 327. A Pilgrimage in Europe, and America; leading to the disco- very of the sources of the Mississipi , and Bloody River; with a description of the whole of the course of the former, . and of the Ohio, By J. A. Beirrani ; esq. formerly judge «n of a Royal Court in the AE4K inodgra of Italy. Londra, 1828 due volumi in 8.° di pag. LXXVI, ; 472, e 545, con fronte- spizio , carta geografica , e tre tavole incise in rame. ou. à DI Et mea’, si quid loquar audiendum ; vocis accedet bona pars. HoraT. à Li Ponta Nel momento che l’italiano Giov. Batista Belzoni di Padova, dopo di avere già fatta ricca 1’ Europa di preziose scoperte nel- l’alto Egitto, (1) tentava ogni via, ed ogni mezzo onde peue- trare, per la via dell’ occidente, nelle misteriose , e fatali re- gioni innaffiate dal così detto Nilo dei Neri, un altro valoroso . figlio d’Italia, il signor Giacomo Costantino Beltrami, nativo di Bergamo, ma stanziato, e possedente nella delegazione di (1) Il suo viaggio pubblicato prima in inglese, fu poco stante tradotto in francese dal sig. Depping , e stampato in Parigi; 1822 due volumi in 8. td Si sa che la città di Padova, in segno di onoranza e di gratitudine, avea già fatto coniare una superba medaglia, nei tre metalli, rappresentante nel diritto due sta- tue con teste di lione, da Belzoni donate a quella sua patria, e colla leggenda: Ob donum Patria grata A. MDGCCXIX e nel rovescio : Yo: Bapt. Belzoni , patavino. qui Cephrenis pyramidem Apidisq. Theb. sepulcerum primus aperzit, et Urbem Berenicis Nubiae et Libyae Mon. impavide deterit. 136 Macerata , affrontava, nell’ alta America settentrionale, ogui sorta ‘di pericoli, e di disagi , per discoprire le vere sorgenti del Mississipi , da Imi reputato il più grande fiume del globo ter- ‘racqueo. E non può l’ estensore del presente articolo , parzialis- simo sempre di qualunque cosa, che in gloria possa ridondare del nome , e dei fasti letterarii della bella ed a lui carissima Ita- lia , resistere al piacere di confessare quì pubblicamente di avere égli letto con giubilo , quattro anni or sono, nel quaderno 53 dell’ Antologia 1’ annunzio dell’ opera francese del. sig. Beltrami “poc’ anzi pubblicato, sotto il titolo quì sopra distesamente co- piato. Nella quale opera gli parve di vedere insorto un nuovo successore, ed emulo di Marco Polo, dei fratelli Zeni, di Oderigo. da Pordenone, di Giovanni Verazzani , di Pietro della Valle, di Gemello Carreri (2)., e di tanti altri intrepidi , benemeriti ita- liani, che adoperarono per estendere i limiti della geografia. Già nell’articolo testè citato dell’Antologia si diede una suc- cinta idea delle prime undici lettere dal signor Beltrami indiritte ad una dama italiana (3), e pubblicate in lingua francese, pro- babilmente per far più universalmente note le importanti sue scoperte ; che se in idioma italiano fossero quelle lettere uscite alla pubblica luce. Fatto sta, e dal titolo particolarizzato già sù conosce che contengono esse una folla di cose nuove; cu- riose, ed anche instruttive. L’ autore si appalesa quivi come un uomo che all’amore della scienza unisce quello della verità , ed al ‘difficile talento di bene osservare , quello non meno difficile , ma più brillante, di bene descrivere. È vero bensì che talor sì lascia un poco trasportare sulle ale d’ una fervida immagina- zione; ma generalmente parlando, non si può ricusare alle sue considerazioni il merito del buon senso, e di molta , e profonda cognizione tanto del cuore umano, quanto delle cose seguite nei tempi passati. (2) Il gesuita messicano Clavigero , nella sua Storia antica del Messico , dettata italianamente e poi tradotta in inglese, tedesco, francese , ec. ed il sig. barone di Humboldt nell’ egregio suo Essai sur le Mexique , hanno pie- namente giustificato Gemello Carreri dell’ imputazione a lui data per lungo tempo , di avere, nel suo Giro del mondo ; pubblicato imposture, e menzogne , spezialmente dal compilatore delle così dette Lettres édifiantes et curieuses. Fatto stà, che l’opera di questo celebre viaggiatore italiano possiede quel co- lorito locale , che costituisce 1° incanto delle relazioni scritte da uomini anche i meno istruiti, e che non possono venir date se non se da persone, le quali abbiano avuto il vantaggio di vedere, coi proprii occhi, le cose che raccontano. (3) La signora contessa Geronima Compagnoni , di Macerata. 137 Era però naturale cosa, che la bella. soite del viaggiatore italiano di rintracciare, e descrivere. una posizione geografica di cotanta. importanza , risvegliar dovesse l’ invidia, e Ja gelosia di molti americani, i queli sotto gli auspicii anche del goyerno loro, non erano riusciti a farne altrettanto. E più di tutti do- vea ingelosirsene il maggiore , era, colonnello sig. Stefano Long, alla cui spedizione unitosi il signor Beltrami , rimontò con esso il fiume di san Pietro , fin presso le sne sorgenti, da doye sce- sero insieme fino a Pembina. Imperciocchè pare indubitato ; che questo ufiziale, accompagnato da un astronomo, un mineralista, un medico, un zoologo , un disegnatore , un istoriografo , due interpreti, e vent’ otto miliziani comandati da un sargente , non lasciossi mai sfuggire l’ opportunità da travagliare il povero ita- liano , che dovette perciò stimarsi avventurato di poterlo abban- donare , e proseguir solo il suo pellegrinaggio. Perlaqualcosa , se nella sua relazione data alle stampe il colonnello Long, per organo del suo istoriografo il sig. Keating , (4) accusa il sig. Bel- trami di avere pubblicato favole, e false relazioni, non fian- cheggia questa sua imputazione se non se colla sola sua propria parola, 0 con quella del suo amanuense; con loro buona pace .ardiremo di credere meno al loro nò , che al bel sì del rispet- tabilissimo nostro viaggiatore, quando non fosse per altro che per la semplice ragione , che i detti del vero galantuomo, dai più. riconosciuto per tale, non senza forti motivi si rivocano in dubbio , e che da quante persone di ogni Yango , sesso , ed upi- rione abbiamo sentito ragionare del, sig. Beltrami, non ci è mai stata detta una sola parola capace di destare neppur l’ombra d’una dubitazione della di lui veracità , e della illibata sna onoratezza. Ciò nondimeno pare che le imputazioni dategli dai sigg. Long, e Keating, avessero trovato in Francia qualche credito, dappoichè (4) V. Major Long’s Second Expedition ; or , Narrative of an erpedition to the source of S. Peter's river, lake Winnepeek, lake of the Woods, ete. Relazione di. una spedizione fatta alla sorgente del fiume di san Pietro , al lago Vinnipic, a quello dei boschi, ec. Eseguita per ordine del signor Colhoun ; segretario di stato per la guerra, soito il comando del maggiore Long, e de- scritta dietro le annotazioni dei sigg. Long, Say, Reatiag , e Golhoun, da Guglielmo Keating , aggiunto alla spedizione in qualità di geologo, e di sto- riografo. Due volumi in 8.° con carta geografica e molti rami incisi sui disegni del sig. Seymour. Filadelfia , 1824. Si legge ora nei giornali francesi, che que- sta relazione è stata tradotta dal sig. Giraud , e che fra poco possa esser pub- blicata colle stampe. V. Bulletin de la Société de Géographie tome onzième , N 73. Mai 1829 p. 269. I. XXXVI. Novembre e Dicembre. 18 358 nel Bulletin delle scienze geografiche del signor barone di Férus- sac) pel mese di marzd ‘1825 , e nella Revue encyclopédique del febbraio 1826, si sono letti articoli molto severi, nei quali se af- fatto non si mettevano in dubbio le scoperte del nostro pellegri- no, si presentavano almeno sotto una luce molto equivoca. Ma già nell’ ultimo di cotesti giornali si ricantò pocostante il ghiri- bizzo , in vista d’ una lettera risentita dal sig. Beltrami scritta ai compilatori , e da loro inserita nel quaderno di novembre del me- desimo anno. In questa lettera egli risponde con fatti, e deduzioni evidenti a tutte le taccie che gli si erano potute appiccare ; ed in- timamente persuaso di avere, combattendo con mille difficoltà fi- siche, morali, e politiche, oltrepassato trionfalmente i limiti , innanzi ai quali parecchie imprese erano tornate indietro, prote- sta e prova , che se l’ immaginazione ha colorito qualche volta i suoi racconti , con abbellirne lo stile , è stato unicamente per torre in prestito qualche comparazione creduta utile, onde levare dalle sue descrizioni ciò che altrimenti sarebbe riuscito insipido , e stuc- chevole. L’ avere egli d’ altronde osato , senz” accattare nè soscrit- tori, nè mecenati, comporre e pubblicare il suo libro sul teatro stesso della sua impresa , ed al cospetto di giudici competenti, ri- gorosi , e fors’ anche preoccupati , ma certamente inesorabili, co- stituisce una prova grande , incontrastabile d’ una franchezza , di un disinteresse , e d’ una certa nobile indipendenza, che rare volte s’ incontrano nei viaggiatori moderni. E se con tutto questo 8° in- contrasse nella sua relazione qualche cosa meno veridica ! ripete- remo quello che già si disse nell’Antologia, che ciò procederà non da error volontario , ma da quei soliti abbagli cui è soggetto a prendere qualunque straniero, che scorre per breve tempo un pae- se lontano , e poco v punto conosciuto , avendo a combattere con ogni sorta di difficoltà , e di disagi. Frattanto ci duole di non poterci combinare con lui quando alla fine di questa sua lettera suppone , che se la scoperta delle sorgenti del Mississipi fosse stata fatta da un francese, o da un in- glese, il primo annunzio ne avrebbe echeggiato per le cento hoc- che della fama, da ogni angolo del globo; ma che stimasi ora poca cosa per essere fatta da un nomo appartenente ad un popolo infe- lice, privato del diritto di chiamarsi nazione ( dénationalisé ), e che, secondo lui , non ha neppure la libertà di deplorare il suo destino. Disgraziatamente l’autore inasprito, a quel che pare, da persecuzioni e da sventure, è sovente ito un poco troppo lungi nell’esporre le sue opinioni intorno lo stato presente dell’ Italia, Checchesia di queste sue opinioni , delle quali non è della nostra 139 sfera il portare giudizio , egl: diviene ingiusto verso le altre na- zioni allorquando asserisce , che dalle medesime non si renda , sempre ed ovunque , il dovuto omaggio ai meriti degli italiani, allorchè con rilevanti scoperte concorrano nell’ampliare il dominio delle scienze veramente utili. Non diremo quì nulla dei tempi passati, quando l’Italia fu maestra veneranda , e solenne. delle colte nazioni; ma chi di noi non ha letto, in questi ultimi anni, con esultanza e gratitudine, gli elogii. da scrittori oltramontani francesi, inglesi, tedeschi, ed altri, dati alla intrepidezza del padovano Belzoni , ed alle importantissime scoperte da lui fatte sulle rive del Nilo ? Gli stessi giornali letterarii americani degli Stati Uniti, e nominatamente il MNorth- American Review nell’anno scorso, hanno pur risonato di alti e meritati elogii tessuti ad onore dei. nostri Botta, e Compagnoni , per le opere, in cui eglino svolsero la storia dell’ antica, e moderna America. Che se altri italiani moderni non hanno meritato simili, o maggiori encomii , la colpa non è già degli oltramontani, ma dei figli d’Italia medesi- mi, che poco v nulla sembran curarsi di certi rami dell’ umano sapere. n Già si ‘capisce, che a meno.di. riferire l’itinerario di un viaggiatore , è cosa impossibile di far 1’ analisi della sua re- lazione. Tuttavolta ci limiteremo quì a dire, che partito nel- l’antunno; 1821 dalle. vicinanze di Sforza-Costa, presso. Mace- rata , la prima lettera del sig. (Beltrami è data da Livorno, la seconda da Marsiglia; la terza da Tolosa, e la quarta da Parigi. Passato quindi per Istrasborgo, e Carlsruhe a Franco- forte, dove scrive la quinta, si reca a visitare il campo di Waterloo, e si ferma in Londra, dove sono scritte le tre se- guenti lettere. La nona, ed ultima del primo volume è data da Liverpool, nel punto che l’ autore stava per imbarcarsi, a 3 novembre 1822, pel nuovo continente; ove senza verun pub- blico aiuto, od incoraggiamento , per solo proprio impulso, e ciò anche senza aver nel principio formato alcun determinato progetto di rintracciare le sorgenti del gran fiume, fece nello spazio di nove mesi un. giro di tremila e più leghe, ora in una barca. da ‘vapore, ora a piedi, ora a cavallo, ed ora in canoe leggerissime , fabbricate ‘dai selvaggi. Questa edizione inglese è preceduta da una eloquente e dotta dedica al bel Sesso, e da una, breve prefazione, nella quale., difendendosi con. vigore, e. per nostro avviso trionfal- mente, contro le poco decenti critiche di qualche! zoilo ameri- 10 ) cano ; fa frequenti ed altissimi voli d’ immaginazione: verso la patria, di cui mostrasi, per dire il vero, molto amante, ma che senza avvtedersene ; vilifica dipingendola agli occhi degli stranieri con colori troppo melaneonici, e non di rado esagerati. Concor- riarmo però giulivi nelle altissime lodi che pronunzia del governo toscano ; che si occupa unicamente a combinare le proprie ge- nerose inclinazioni col bene essere dei sudditi, acciocchè fra essi ed il Sovrano, iu ogni parte del sistema sociale , tutto spiri ar- monia ; tranquillità ; e confidenza reciproca. Durante il suo pellegrinaggio per le regioni dell’Europa, si diverte sovente il nostro autore a motteggiare gli antiquarii, che senza dubbio troveranno molto a ridire ad alcune idee affatto nuove da lui esterrate in fatto di archeologia e di storia antica. È singolarissima fra le altre, la sua vpinione di collocare le ro- vine dell’ antica città di Luni , nelle immediate vicinanze del- l'odierna Spezia ; all’ occidente della Magra; laddove tutti gli scritttori antichi e moderni, le anticaglie e le iscrizioni disco perte, ed i maestosi avanzi tuttora esistenti dell’anfiteatro, e de- gli acquedotti, concorrono nel dimostrare, ché quella metropoli fosse situata sul'’od'erna riva sinistra, e verso le foci del fiume (5). (5) Concedirmo non pertanto che il sig. Beltrami non è il solo che, sulle tracce di Pomponio Mela, e di Strabone, voglia collocare: le rovine di Luni all’occidente della Magra. Anche il sig. conte di Chabrol,de Volvie , nella bel- lissima sua statistica dell’ antico dipartimento di Montenotte , è della medesi- ma opinione , già ventilata ma non chiarita da Cluverio, da Blaeuw e da al- tri. Ma Plinio, Tolommeo e Silio Italico erano di differente avviso , e chia- mavano Luni città dell’ Etiuria , pef essere situata di quà dalla Magra, anti- chissimo termine pei Liguri mohtari; e marittimi. © E veramente ,3 scrive Ip- polito Landinelli sarzanese , nella suna. origine e disfacimento di Luni; opera preziosa , manoscritta del secolo decimosettimo , che, abbiamo sotto. gli oc- chi « non comporta la natura dei luoghi onde passa oggidi la Magra, ch’ ella ,» SCorresse tra Luni e Pisa È perciocchè da chi ha veduto , ed esaminato ogni 3, cosa , si conosce in effetto che mentre Luni era in piedi , il mare si avvici- ;; nava tanto alle mura della città, che giugneva ‘a toccarle 3 ma ora pel riem- i, pimento del fiume, e inondazione di alire acque’, il'mare si è ritirato per ss lo spazio di un miglio, e mezzo, talmentechè sonosi fatte molte paludi , ss dalle quali fu corrotto 1’ aere , e la città distrutta, ed abbandonata affatto, .,, Quando poi il signor Beltrami piglia a gabbo lo scrittore moderno che in una Storia della Spedizione dei Normanni racconta 1’ eccidio di Luni per mano di quei famosi corsali, conviene che se la pigli a gibbo ancora con Guglielmo di Jumieges; Alberto Krantz, Paolo Emilio: Veronese ; Pandolfo: Gollenuccio , Paolo Etolio , Roberto Guagnin|, Tommaso Walsinghem , e tutti gli annaMisti IÀI ‘Non sappiamo in quale stato si trovino oggidì cotesti avanzi; ma l’ estensore di quest’ articolo essendo stato personalmente sul luo- go negli anni 1794 e 1800 crede pregio dell’opera di consegnare in questo luogo la seguente memoria di quello che allora gli fu dato di osservare.. r.° L’ anfiteatro di struttura romana, era simile al Coliseo di Roma ; e si crede fabbricato dugento anni prima della nostra cera. È desso situato al greco di Luni, poco distante dalle mura della città : la sua figura era elittica, ed i lati della spianata interna debbono essere stati , il maggiore di trecento palmi , ed il minore di dugento. La circonferenza interna presenta cento ar- chivolte , che formano altrettante stanze , quattro delle quali hanno dovuto essere destinate al serraglio delle fiere, e le re- stanti per comodo degli spettatori. Ai quattro lati del teatro vi sono quattro vomitorii, che servirono già di entrata nel recinto. Questo recinto è formato da due grossi muri concentrici, se- parati fra loro da un intervallo di venti palmi, e riuniti per mezzo di un volto arcato, sovra il quale si scorgono in qualche parte i gradini, che giravano intorno 1’ intera circonferenza. Tutto il fabbricato è di pura pietre squadrate. Il recinto dell’anfiteatro in alcune parti si eleva dal suolo trenta palmi, e la sua capacità è di sei mila spettatori. 2.° Un Torrione per 1° acquedotto , elevato dal suolo qua- ranta palmi circa , del diametro di quarant’otto, e di figura ci- lindrica , con vani laterali, che discendono perpendicolarmente. Sopra questo si scorgeva un’ apertura ripiena di terra, ed un ca- nale, o tubo di marmo perpendicolare del diametro d'un'palmo, ove sembra che vi dovesse passare 1° acqua. La struttura di que- sto torrione è analoga a quella dell’ anfiteatro, ed è pur’esso di pietre squadrate. ) 3.° Dalla tramontana al levante della città di Luni si os- ‘servano aticora lunghi tratti di grossi muri, alcuni dei quali sem- brano destinati per 1) acquedotto della città. Poco distante da coteste mura s’ incontra un altro torrione diroccato per due ter- zi; ed elevato dal suolo fino a 12 palmi. Esso è formato di rot- tami, e di pietre lavorate, state destinate in altri lavori antichi. settentrionali che riferirono i medesimi fatti. Chi vuol’ essere creduto non deye così di leggero smentire gli altri. Un giorno il sig. Beltrami disse ad una persona che gli raccontava un fatto poco credibile : “ eredo ciò che mi dite » perchè 3, mi assicurate d’ averlo veduto : ma se io stesco con questi miei occhi lo ve- 33 dlessi, non lo crederei ,, T. II. p. 163. 142 Alla distanza di trenta palmi da questo totriene, verso l’o- stro, si ritrovavano le vestigia di un picciolo. tempio. circolare , con nicchia di marmo, e residui d’ urne, di sepolcri, di statue, di colonne , e piedestalli di marmo. 4 Si sa che la maggior parte dei palazzi, e delle case della mo> derna Sarzana sono fabbricate di pietre antichissime, tolte;dalle rovine di Luni, moltissime delle quali erano. coperte , d’ iscri- zioni senza dubbio di grande pregio. Parlando di Genova, e dell’ Instituto dei sordo-muti quivi fundato, e diretto dal celebre ora defunto Padre Ottavio Assa- rotti, ci rincresce di vedere il nome di lui travisato da un au- tore italiano ; il signor Beltrami lo nomina Azzotti. In quello poi che racconta di alcuni individui compromessi nella, rivolu- zione del Piemonte , e naufragati nella spiaggia di Monaco, sap piamo di certa ed indubitabile scienza, e possiamo francamente assicurare, ch’ egli è stato malissimamente informato... 4, Il quadro che presenta della ripresa di Tolone, non in no- vembre, ma nel dicembre dell’ anno 1793, è pittoresco , talvolta sublime, e sempre verissimo , di che 1’ autore di questo articolo può , come testimonio oculare , fare piena , ed indubitata fede; conciosiachè fu quella una scena che non gli uscirà. giammai } dalla memoria. Così dovrà pur lungamente ricordarsi il sig. Bel- trami di avere, in Avignone, non sappiamo per quale necessità, alloggiato nell’identica stanza; e dormito nel medesimo letto, ove poco tempo avanti fu trucidato il maresciallo Brune. Ognuno ha la sua maniera di sentire, e di pensare; ma noi non avremmo avuto il coraggio di raccontare un tale fatto , spezialmente scri- vendo ad una gentildonna italiana. Un'altra idea curiosissima del sig. Beltrami si è quella di derivare da Germanico Cesare il nome della Germania. Già Stra- hone , trovando molta conformità fra i Galli, ed i Germani, cre- dette che il mome di questi significar dovesse , ch'erano fratelli dei Galli. Ma l’opinion generale, e più verosimile è quella che deduce quel nome da Ger-man, che in lingua teotisca significa uomo di guerra. Pressochè cinque secoli prima. che fosse nato Germanico si erano già da Erodoto nominati i Germani fra le di- verse tribù della Persia, e Dionisio di Carace, contemporaneo di Augusto, ne parlò come di un popolo dimorante verso le rive del Ponto Eusino; onde non è facile di capire come Tacito abbia po- tuto credere , che fossero stati i Galli i primi a dare un così fatto nome a quei loro vicini. D'altronde Leibnizio ha provato , che si debbano considerare come uno ; ed il medesimo nome, in idiomi 143 o dialetti diversi, quei di Hermioni, di Hermunduri , e di Her- mani , o Germani. Scendendo poi a fatti storici più moderni, stentiamo a cre- dere, che il nostro autore trovi molti partigiani allorchè autore- volmente sostiene, che nelle battaglie della Beresina, di Smolen- co, è della Moscva , 1’ irresoluzione di Napoleone fu sola causa che gli eserciti russi non rimanessero quivi completamente anni- chilati. Confessiamo ingenuamente, che non intendiamo che cosa abbia voluto dire. Le Lettere scritte da Londra presentano un quadro perfet- tissimo della vita sociale degli odierni inglesi, il migliore, per av- ventura, che ci sia mai sortito di leggere, principalmente in lin- gua inglese. Di fatto è impossibile di esporre con un più alto grado di buon senso s di penetrazione , disinvoltura , e cogni- zione profonda del, cuore umano, lo stato attuale di quella gran- de , singolare, ed industriosa nazione, a cominciar dalle più elevate sfere della società, fino agli infimi ridotti della così detta plebe. Quella’ grande verità singolarmente, che il vero gentiluo- mo inglese è forse meno aristocratico dentro le domestiche mura, che democratico in cospetto del pubblico, viene dimostrata da vera mano maestra. Laonde non esitiamo punto di raccomanda re, quanto per noi si può, lo studio di queste lettere a tutti coloro che desiderano di avere una cognizione esattissima del ca- rattere , dei costumi, delle consuetudini, e della maniera di vi- vere degli inglesi nel proprio loro paese. Partito da Liverpool nei piimi dì di novembre 1822, passò l’ autore tre mesi e mezzo fra tutti gli orrori immaginabili d’una navigazione disgraziata, prima di approdare in Filadelfia. La de- scrizione di questo viaggio ;, che forma la decima sua lettera, è una delle parti più brillanti, e pittoresche del suo libro. La let- tera che siegue è scritta da Pittsburg nella Pensilvania, sul fin - me Ohio, ove giunse passando per Baltimora, e Washington, e da dove partì nel di primo d’Aprile 1823 in una barca da va- pore , per discendere alle foci dell’ anzidetto fiume nel Mississi- pi. Da questo luogo è scritta la sua duodecima lettera, che con- tiene un’ eccellente descrizione del paese, e degli abitanti sì bar- bari, che inciviliti delle due rive dell’ Ohio, e più spezialmente dei due stati d’ Indiana, e di Kentncki. Nella quale descrizione; siccome in molti altri luoghi , si leggono parecchie verità molto severe intorno la ragione di stato del gabinetto britannico, le quali provano a chiare note tino a quale grado è spinta in Inghil- 144 o terra la libertà della stampa, anche in un autore non nazionale: (6) L’ intenzione del signor Beltrami era quella di scendere a dirittura il Mississipi fino alla Nuova Orleans, per recarsi quindi al Messico. Ma non trovando un convenevole imbarco, ed essendo invece giunto nel luogo della sua dimora una barca da vapore che doveva rimontare il fiume fino a San Luigi , si risolse in un tratto ad accompagnare il generale Clarke, ed il maggiore Ta- gliaware, che si trovavano fra i passeggieri, e gli raccontavano ‘ meraviglie di quelle poco note contrade. E qui è doye egli in- comincia a chiamare il Mississipi Regina dei fiumi, iperbole che più tardi spinge fino a credere, ed a volere dimostrare, che quel fiume sia realmente il più grande di tutto il globo terracqueo. Speriamo pertanto , ch’ ei ci permetterà di differiremn poco dalla sua opinione , e di esporne in poche parole i stri motivi. In primo luogo non è il Mississipi il ramo principale della gran finmara dell’America settentrionale, stante chesil Missuri , che riceve le acque del Mississipi poco al di sopra della città di San Luigi, conta mille miglia di corso di più del ramo che si deno- mina Mississipi; nome che nulladimeno, dai salvaggi indigeni, e nel linguaggio algonchino, pronunziato Mescia-Sipi, vuol dire padre o principe dei fiumi, e che dai geografi si è quindi este- so, dal ramo creduto principale , a tutto il rimanente della fiu- mara fino alle sue foci nel golfo del Messico; quantunque dalle sorgenti del Mississipi fino al mare si contino, anche con tutti i meandri «el fiume , sole 3200 miglia, laddove il Missnri dalle sue fonti oltrepassa le 4200, — In secondo luogo non è costante neppure , che il Missuri sia il più grande fiume del globo, men- trechè l’Apnrimac, da noi detto finme delle Amazzoni, nell’Ame- rica meridionale , il Nilo in Affrica , l’Angara , il Jangtsekiang, il Hoang-ho, e 1’Obi nell’Asia , lo superano tutti di molto in lunghezza , ed alcuni anche nel volume dell’ acqua. Ove poi si consideri ciò che da molti geografi si appella il domizio dei fin- mi, ossia il tratto di paese compreso fra le sommità dei monti (6) Tanto queste verità un poco severe , quanto il contenuto delle lettere scritte da Londra , hanno però svegliata la bile di alcuni giornali inglesi, fra i quali il Foreign and continental Review, del secondo trimestre 1828, scaglia invettive tremende contro il nostro pellegrino , nel tempo medesimo che gli dà ogni ragione nella contesa insorta fra lui ed il celebre sir. De Chateaubriand, rispetto all’ anteriorità di alcuni passi, che s'incontrano letteralmente conformi nei rispettivi loro libri sul'’A nerica. 235 che racchiudono le sorgenti del fiume principale, e quelle di tutti i suoi tributarj; il Missuri dovrà cedere ancora la palma all’ Apurimac, al Paraguai o fiume dell’ Argento (la Plata ); e forse ancora al. Nilo , allorchè ne conosceremo le vere sorgenti , finqui nascoste nelle misteriose viscere dell’Affrica. Sotto quest’ul- timo aspetto lo stesso fiume Ohio, dalle sorgenti della Monon- gahela , ed ancor più l’Arkansas, di cui le sorgenti sono a 2173 miglia dalle sue foci, potrebbero disputar la palma al Mississipi, considerato come ramo del fiume principale , dalle sorgenti ora scoperte fino alla sua congiunzione col Missuri. Bisogna credere, | che vi sia un’errore di stampa, dove il Sig. Beltrami dice, (vol. II. p- 127 ) nella lettera susseguente, scritta dal forte Sant’'Anto- nio sul confluente del fiume di San Pietro nel Mississipi , che si trovava allora distante ventidue mila miglia dalle bocche del fiu- me. Anche valuttettdo tutte le sinuosità di quello, non si potranno mai contare più di duemila miglia dal forte suddetto fino al mare. Trattenendosi 1’ autore a San Luigi, ebbe campo di osservare alcuni degli avanzi di antichità, che si trovano in quelle vicinanze. Fra i tumuli o poggi sepolcrali, ne vide parecchi di forma rettango- lare, che gli parvero rassomiglianti al partenone, ed alla basilica di Pesto ; ed altri circolari, simili agli antichi delubri del sole 5 ed altri finalmente fatti a foggia di piramidi, o dei sarcofagi degli egi- zii, dei greci, e dei romani. Uno di essi parvegli meritare una speziale menzione. Di trecento piedi di circonferenza alla base, si erge fino a sessanta piedi di altezza , e la sua sommità è una spianata rettangolare , larga soltanto di cinque piedi, e lunga quarantacinque. Un vallo, o riparo di forma triangolare; e di sette in otto piedi d’ altezza , abbraccia l’intero lato orientale della base. Il nostro autore trova, che tutto ciò rassomiglia mol- tissimo agli altari, che i persiani consacravano al loro dio Mi. tra, non che alla grande ara dei giuochi olimpici, e ad altre che s’ incontravano nell’ antica Elide. A bordo del batello da vapore che conducea il nostro pelle- grino , trovavasi imbarcato il capo di una tribù dei Sauchisij no- minato Grand’Aquila s dal quale si ottennero molte notizie in- torno la sua nazione , che oggidì può appena rassegnare quattro- mila ottocento individui ;, viventi in tende o loggie movevoli, che cuoprono di stuoia, o di pelli di animali. Sette miglia dalla foce d’un fiume detto della Febbre, fu visi- tata una miniera di piombo , nella quale questo metallo si trova disseminato, in pezzi più o meno grossi, sulla superficie del suolo. Le roccie adiacenti esibiscono una massa quasi continua di piombo, T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 19 146 di cui la materia non depurata produce dal 75 all’ottanta per cen- to. Presso questo luogo fu ammazzato un .crotalo, ovvero serpente da sonagli, che aveva nel ventre cenquaranta piccioli , molti dei quali ne racchiudevano altri ancora più piccioli, ma compiuta- mente organizzati. Già sapevamo, che i crotali sono vivipari, e fecondissimi ; ma se il siano a tale segno , è quistione da lasciar de- cidere ai naturalisti, ed agli erpetologhi di professione. i La nazione indigena quindi visitata fu quella dei Vinebe- ghi , che si reputa fra le più barbare, e feroci di tutti quei contorni , e si crede originaria del Messico, così come la, na- zione dei Siussi. I primi francesi che discoprirono i Vinebeghi diedero loro il nome di Puants, o fetenti, dalla puzza ch’esa- lavano i loro corpi. Un’altra nazione quivi incontrata di pas- saggio, fu quella dei Meromeni, dai francesi detti de la folle avoine, perchè faceano. nella state raccolta pell’inverno della specie di avena così nominata in francese Pi e che nasce in ab- bondanza verso il norte di quella regione. A 45 gradi di latitudine cominciano le terre abitate dai Siussi, nazione la più numerosa, e la più potente di tutta l’ America settentrionale. Traspiantata colà da qualche altra parte del globo, essa è nel suo paese attuale, per rispetto agli aborigeni, ciò che i greci erano altrevolte nell’ Asia , i ro- mani nella Grecia , i goti nella Scandinavia e nell’Italia, e. ciò che gli inglesi sono al dì d’uggi nelle indie orientali. I Siussi dividonsi in sei bande o popolazioni, cioè, 1.° i Ma- devacan-Tuani, o popoli del lago Spirito ;. governato da Vabi- scihuova , 0 sia la Foglia, che può considerarsi. come il primo Capo di tutta la nazione dei Siussi. 2.° i Vacapetoani, o popolo della foglia; 3.° i Vapecotei, o popolo della foglia strappata ; 4.° i Sisistoani, o Sussistoni; 5.° i Jancivani, o Janctoni, e 6.0 i Titovani, o Titoni. La prima di queste bande è suddivisa in sette tribù, tre delle quali vivono verso il Mississipi , cioè quelle del Prato dalle Ale, o Meminoi, forte di 400 anime, del Gange , o Gremignei, di 200, della palude, o Ciacantanga , di 500 , e quattro verso il fiume San Pietro, cioè quelle della Gran- de entrata, o Vascansca-atà, di 400, del Vecchio villaggio ; 0 sia Otoetonni, pure di 400, del Prato dei francesi, o Teavatpa , di 500, e della Caccia clamorosa dalle febbri, o Vujacaoti, che ha sole 150 anime. La seconda banda forma una sola tmbù, sempre errante, e vagabonda , ma che per lo più s’aggira intorno le cascatelle di San Pietro; essa conta circa mille individui. La terza forma eziandio una sola tribù , anch’ essa errante, ma che 137 spesso s’ incontra sul fiume del Cannone, e conta mille cinque- cento individui ; (7) la quarta si suddivide in due tribù, che vanno vagando intorno le rive del fiume della Terra turchina ; in nu- mero di 3000 anime. La quinta è composta di otto tribù , tutte vaganti verso le sorgenti del fiume San Pietro, intorno il fiume Sanguigno , e quello detto de’ Siussi , nelle regioni che separano tutti questi fiumi dal Missuri, ec. La prima di codeste tribù , che è forte di circa 1800 anime , ha per capo un uomo celebre nei fasti della selvaggia rape cioè Vanatà , o il Tuffatore, presentemente quasi sovrano dei Janctoni ; e che disputa il pri- mato a Vubiscihuova , 1° Ulisse dei Siussi. Se pel suo valore e le memorabili sue gesta , il primo ha la più grande influenza mi- litare nelle cose di tutta nazione , il secondo non è meno pos- sente per la sna astuzia, e la sua profonda politica. Le altre sette tribù formano insieme una popolszione di 7100-anime. La sesta banda , cioè quella dei Titoni; gira vagando, in due tri- bù molto potenti, verso il Missw.1, ed è forte per lo meno di vent’ ottomila, individui. Cosie/Ziè tutta la nazione dei Siussi si compone di circa quaranta f.aque mila anime. Dobbiamo peraltro far osservare, che qui havvi una diffe- renza fra le due edizir i. Nella francese la somma totale è di 44,950 e così stà p < registrata nell’ inglese; ma il prodotto delle somme parzi .1 non fa in quest’ultima se non che sole 42,600, forse perchè ne' testo pare che siansi dallo stampatore saltate le tribù quinta € sesta dei Janctoni, che probabilmente formano una popolazione riunita di due mila trecento cinquanta anime. E già una di queste, cioè la quinta, vedesi nell’ edizione fran- cese figurare per mille individui. Porterà il pregio sicuramente il ricordare a questo propo- sito, che quasi nello stesso momento che il nostro autore stava pubblicando , alla nuova Orleans, 1’ edizione francese del suo libro, uscì dalle stampe di Londra un’ altra opera molto inte- ressante del sig. J. Buchanan , intorno la storia, i costumi , e le.usanze degli Indiani dell’ America settentrionale. (8) Nella quale opera si annotano partitamente , e con molta dottrina , i nomi delle diverse nazioni indigene , il sito geografico dei loro paesi ; ed il numero dei loro uomini atti a portare le armi. Pre - scindendo qui dai popoli non visitati dal viaggiatore italiano , x (7) L’ edizione inglese ne mette soli 150. (8) V. Sketches of the history , munuers , and customs of the north-ame- rican Indians ; by J. Buckaman , in 8.° di pp. 371. Londra 1824.* 138 noteremo solamente ; che .1’ autore inglese, dividendo i siussi in sole due tribù ; cioè quelle delle foreste , e delle pianure , dà loro diecimila cinque cento combattenti, i quali, colla giunta del terzo pei vecchii, fanno 14000 , che moltiplicati per sei. fa- rebbono pei siussi una popolazione di 84,000 anime ; in luogo delle 49.000 circa date loro dal ‘sig. Beltrami. Il viaggiatore Ze- bulon Montgomery Pike li computava, nell’annor806 , solamente a 21625 individui disseminati in 3 villaggi, e 1270 campi volanti. I guerrieri erano , secondo lui, 3835, muniti di 1265 armi da fuoco, ed aveano per. comandante generale il medesimo Vabascia; oi sia la Foglia, dal sig. Beltrami nominato Vabiscihuova. Secondo il sig. Buchanan tutta la popolazione degli indigeni di quel con- tinente ascende a circa 470 mila individui, uomini, donne e fanciulli tutti compresi; ed il missionario Heckenwelder , \del- l’ età di ottantotto anni. che gli somministrò le numerazioni suddette , l’ assicurò ch’ è quasi impossibile di ottenere dati per- fettamente fedeli del novero di queile popolazioni , attesochè gli stranieri non pervengono mai infino al corpo , o centro di una tribù : non ne vedono se non che la vanguardia. Gli Assiniboini, popo!o selvaggio affatto , che scorre le va- stissime pianure fra le sorgenti settentrionali del Missuri , e la baia di Hudson, e che si conosce ancora sotto il nome di popoli delle. pianure , debbonsi pure considerare come siussi; mentre- chè apparisce avere essi formato anticamente con quelli una sola, e medesima nazione. Una grande nazione venuta dal Messico si stabilì , due secoli or sono, sulla falda orientale dei, monti , che separano le sorgenti del fiume Colombia , da quelle del Missuri , ed il nuovo Mes- sico dai confini occidentali degli Stati Uniti. Questi invasori chia- mavansi Duacotas. Fra le cause più frequenti della decadenza , e rovina degli imperi, vantano il primato l’amore, e la vendetta. La bella Ozola- paida , moglie di Vinahoa-appà , fa rapita da Ohatam-pà, che uccise il marito e due fratelli di lei, venuti. successivamente a raddomandarla. Ed ecco tosto la nazione intera divisa in due fazioni, che divennero poco stante nemici acerrimi. Quella del ra- pitore si denominò Assiriboinà , e quella degli offesi Siovaè, onde nacquero in pochissimo tempo le due nazioni di assiniboini , € di siussi, che fino al di d’oggi non cessano di fare fra di loro una guerra accanita, ed incessabile. Il sig. Beltrami suppone, che gli assiniboini siano forti di circa venticinquemila anime , la quinta parte di cui, crede atta a combattere i nemici. All’ incontro il 149 sig. Buchanan dà loro solamente mille cinquecento guerrieri, che secondo i suoi computi danno sole dodici mila anime di popo- lazione. Il governo dei siussi è quello di una repubblica confederata, ogni tribù essendo indipendente dalle altre. Ciò non pertanto si riuniscono spesse fiate in assemblee generali, ogni volta che ciò si rende necessario per gli interessi dell’ intera nazione. Alla quale assemblea manda ogni tribù il suo deputato; nella foresta o viene fatto il parlamento. Il nostro autore erede, e non senza molta ragione , che quat- tro sole lingue madri si riconoscano nell’ America settentrionale , cioè l’ algonchina nel settentrione, la cerocchese al. mezzodì, I’ irocchese all’oriente , ed il narduicchese , o narcotano all’ oc- cidente: I siussi parlano quest’ ultima , che sendo interamente distinta dalle altre, pare dimostrare sempre più; che eglino siano di origine messicana. Prima di partire da Sant’ Antonio ebbe 1’ autore la sorte di abbattersi. in una banda numerosa, di Cipevaisi , composta di molte. tribù , che veniano , con una flotta di canoe ;. per rendere omaggio al Governo degli Stati Uniti. I ragguagli da lui dati in- torno questa formidabile nazione., sono importanti quanto pere- grini. Appariscono dessi i veri aborigeni del paese ove sono atinal- mente disseminati ; il linguaggio che parlano è pretto algonchine. Una porzione di essi popola il Canadà inglese , al mezzodì degli eschimossi ; il rimanente occupa le pianure intorno 1° alto Missis- sipi. Anticamente però sembra, che possedessero tutte le regioni ora occupate dai siussi, dagli assiniboini, e da altre nazioni usurpatrici. Sono in continua guerra coi siussi , ed il nostro pel- legrino stava preparato ad assistere ;, in rispettosa distanza, ad una delle loro battaglie ; ma nell’ istante che era, per incomincia- re , riuscì agli agenti degli Stati Uniti di pacificare i due, esereiti nemici. Le donne cipevaise sono generalmente più belle, più trattabili delle siusse ; portano piccole croci, ed altri ornamenti sospesi alle cartilagini delle narici. Nei conflitti coi siussi. gareg- giano esse cogli uomini in valore, e fierezza. Nella decima sesta lettera , pure scritta dal forte di san Pie- tro, negli ultimi giorni di giugno , si descrivono i balli guerrieri , gli oracoli , la musica , 1’ arte sanatoria, e le altre scienze ed arti degli indigeni , non che i sagrifizii pubblici, e privati, ed altri riti religiosi ; ciò che conduce l’autore ad investigare l’ origine primitiva di quelli selvaggi. E godiamo di ritrovarci quì comple- tamente della sua opinione, cioè, che que” figli della natura trag- 150 gono la loro origine dall’ Asia, opinione già da noi sviluppata nel quaderno 104 dell’ Antologia. ‘ Di fatto ,, dic’ egli , © l’ana- s» logia esistente fra essi, e le nazioni dell’ Asia superiore appari- 3) sce evidente. Il ChicciManitù , o divinità dei cipevaisi, il Zan »o go-Vacun de narduichesi o siussi , il Grande Spirito di tutti s) quegli indigeni americani, è senza dubbio il Sole, adorato s» pure da guebri , tubetani, indiani, cinesi, e giapponesi. La 3) facilità di passare dall’ Asia in America, o per lo stretto di »» Bering , o per le isole del grande Oceano , rende il fatto ancora »» più verisimile. Ma ciò che può essere considerato come una 3; prova affatto conclusiva , si è la scoperta fatta ultimamente di », scheletri di mammuti o mastodonti , negli Stati Uniti del Ken- s> tucki e del Missuri , non che in altre parti di quel continente , > del tutto simili a quelli che già eransi ritrovati nella Siberia , » e nelle parti orientali dell’ Asia. Alcuni saccentoni credettero s» già, che quelle ossa fossero avanzi di elefante venuti dall’Affri- ca 5 ma ognuno vede quanto una così fatta idea sia ridicola. ,, Se non che il nostro viaggiatore, forzato poco stante da una tradizione riferitagli da qualche capo di quelli indigeni, ricade nel suo solito scetticismo , e conchiude, che non se ne può sa- pere nulla di positivo. “ Allorquando ,, gli dissero quel selvaggi, “ il mondo fu sommerso in un tremendo diluvio, il loro conti- s, nente fu solo risparmiato ; e mentre una schiatta perversa restò 3, interamente annichilata , essi videro alzarsi ogni giorno il sole 3) dal seno delle acque, in cui quella schiatta trovavasi sprofon- data.) Eskibugekogé , o Bocca larga , capo dei cipevaisi che giun- sero al forte San Pietro , avea già asserito che i suoi nazionali erano stati in guerra coi siussi per più di tremila lune; la quale asserzione si accordava con ciò che si era saputo anche da Va- biscihoua , capo dei siussi. Il nostro autore vorrebbe far coinci- dere questo periodo di tempo coll’ epoca della conquista del Mes- sico fatta dagli spagnuoli ; ma le tremila lune non possono risa - lire oltre i primi anni del regno di Filippo secondo , cinquanta anni almeno dopo quella conquista. Ciononostante è probabilis- simo, che i siussi , ed i dacotas, fuggendo innanzi le immanità de’ castigliani, abbiano allora invaso il paese dei cipevaisi, pren- dendone stabile possesso , mentrechè questi aborigeni ; trucidati o spiuti fuori dell’ antica loro stanza , dovettero giurare odio , ed eterna vendetta contro gli aggressori. Altra prova dal sig. Bel- trami addotta per dimostrare che le regioni attualmente abitate dai siussi, dagli assiniboini, e da altri selvaggi , al pari di loro 151 emigrati dal Messico, appartenessero anticamente ai cipevaisi, è quella , che le montagne, le quali separano quelle regioni dal nuovo Messico , chiamavansi già Monti cipevaisi, e si chiame» rebbono così anche oggidì ; ‘* se ,, dice il nostro autore, quelle 3; illustrissime spedizioni , che porrebbono a soqquadro il mondo, »» purchè di loro si parli, non avessero sbattezzate coteste giogaie, s,per dar loro il nome dozzinale di Rocky mountains, o monti 3» di rupi e di roccie ,y Tutti cotesti indigeni dividono 1’ anno solare in dodici lune, alla guisa degli antichi greci, e degli arabi. L’ anno dei siussi comincia dall’ equinozio vernale come quello dei primitivi romani, e quello dei cipevaisi dal solstizio estivo come quello dei greci ai tempi dei giuochi olimpici. Crediamo di fare cosa non discara ai nostri leggitori di riferire quì la lista dei nomi di quei mesi, tanto nella lingua dei siussi, quanto in quella dei cipevaisi , che abbiam già detto essere molto differenti 1’ una dall’ altra. Mesi dei. Siussi. Marzo. — Vistuocià-0uì, = Mese dell’ oftalmia. La relazione francese pone Visthaociasia-onì. Aprile. — Mograoandi-oui. - Mese della cacciagione. Maggio. — Mograocandà.-ouì. — Mese dei nidi d’uccelli. Giugno. — Voiusticiascià-0uì. — Mese delle fragole. Luglio, -— Ciampaseià-oui. — Mese delle ciliegie. Agosto. — Zantancachiocu-oui. — Mese dei buffali. L’edizio- ne francese ha Tantanca- chiocu-onì. Settembre. — Vasipì-ouì. — Mese della biada salvatica. Ottobre, — Scivostapi-vui. — Secondo mese della biada sal- vatica. Novembre. — Tachiuca-0uì). = Mese del capriuolo. Dicembre. — Abesciatachiuscà-0ui. == Mese del capriolo che getta le corna. L'edizione francese lo chiama Ahescia- kionsca-onì. I Gennaio. — Onvicari-00i. = Mese della bravura. Febbraio. — Oviciatà-0ui. — Mese dei galli selvaggi. Mesi dei Cipevaisi Giugno, — Hodheimin-quisis ; luna delle fragole. Luglio. — Mikin-quisis ; luna dell’ uva turchina (vaccinium vitis idea). i è. 152 Agosto. — Watebaquìi-quisis 5 luna delle foglie gialle. Settembre. — Znaguì-quisis; luna delle foglie che cadono. Ottobre. — Bima-hamo-quisis ; luna della caccia di passo: ‘Novembre: — Kuskadiriò-quisis; luna della neve. Dicembre. — Muanitù-quisis; luna del piccolo spirito. Gennaio. = Chicci-Manitù-quisis ; luna del grande spirito. Febbraio. — Vame-binni-quisis ; luna dell’aquila che arriva. Marzo. — Onabannì-quisis ; luna della neve indurita. Aprile. — Pakaodaquimi-quisis ; luna delle scarpe a rete per camminar sulla neve. Maggio. — Wabigon-quisis; luna dei fiori. Questi popoli non hanno veruna idea della settimana , nè di nomi dati ai giorni di essa. Computano le giornate pel numero dei sonni, come gli annui per quello degli inverni, e dividono il giorno in metà, e quarti, misurando il corso del sole dal sno alzarsi fino al tramontare. E sebbene digiuni completamente della geografia come di qualunque altra scienza esatta, hanno un me- todo di segnare , per mezzo di geroglifici , sulla corteccia di certi alberi papiriferi , tutti i paesi da loro conosciuti. Viaggiando di notte tempo la stella polare è la loro guida , sì come di giorno il sole ; ma senza questi astri hanno ancora il talento di distinguere sempre il vero giacimento dei punti cardinali , eziandio nel fondo delle più cupe foreste , ed in mezzo alle immense loro pianure. Ed ecco in che consiste questo loro segreto. Le punte delle foglie del- l’ erba inclinano ovunque, e sempre verso il meriggio , e 1’ erba stessa è sempre meno verde dalla parte del norte; ciò che forma la loro guida nelle pianure. La sommità degli alberi inclina pari- mente verso l’ostro, edi muschi e licheni, che rivestono sovente i loro tronchi, stanno sempre dalla parte della tramontana , mentre i rami sono più folti e più fronzuti dalla parte opposta; e questo fenomeno costante della natura diviene per quegli uomini vaga- bondi la loro bussola nei boschi, e nelle foreste. ; La lettera seguente è scritta dal lago Za Crosse o Travers , presso le sorgenti del fiume di San Pietro ; posizione geografica” che il nostro viaggiatore italiano è stato il primo ad introdurre nella geografia descrittiva. Attese le molte , e gravi difficoltà che, stando a San Pietro, facevano ostacolo alla continuazione del suo viaggio verso il norte, stava egli colà pure sul punto di ritornare in dietro, quando vi capitò il summentovato maggiore ; ora co- lonnello Long ; incaricato d° una impresa militare, ma pacifera , e scientifica, verso i confini boreali del vasto impero degli Stati Uniti. Chiesta ed ottenuta la permissione di accompagnare questa + 153 impresa , partì con essa, nei primi dì di luglio, facendo il viaggio parte per terra, e parte in canoe sul fiume di San Pietro, che dai siussi viene nominato Vatpà-menisothé. Cammin facendo si osservarono geroglifici incisi sur un albero, i quali significavano essere colà passata una banda di sussitoni, capitanati dal loro regolo , notando il numero degli uomini e delle donne, donde ve- nivano , dove andavano; dove aveano fatto la caccia ec. — Poco dopo si descrivono i sudatorii o stufe di quei selvaggi, indi una terribile tempesta , e finalmente la squisita civiltà del signor mag- giore Long, verso il suo compagno di viaggio italiano. Presso la congiunzione del fiume chiamato della Terra turchina con quello di San Pietro s’incontrò una prateria unica nel suo genere , ed un vero paradiso terrestre. Si sa che il padre Hennepin terminò quivi il suo viaggio, e che nessuno successore di lui era poi ito più oltre. Tutto cotesto tratto di paese presenta le più pittoresche vedute, alcune delle quali fan tornare alla memoria le incantate rive del Tevere, e dell’ Arno. Il fiume del Medicamento giallo , Pepeotaziziapi-Vatpà ,che dalla parte del ponente si getta in quello di San Pietro, si denomina così da una radica , della quale l’empirismo ,e la credulità hanno fatto una panacea mistica , spi- rituale , e corporale. Le fuci di questo fiume nel San Pietro sono a cent’ottanta miglia dal forte di Sant’ Antonio. A venti miglia più innanzi si tragitta il Ya/pd-Danitpà, o fiume dei Castori , che altrevolte abbondava di questi animali, e che scorre verso l’ occi- dente. Poco lungi dalla sua imboccatura giace il lago Médé-Jatàan o lago che parla; bacino ristretto di sedici miglia di lunghezza , formato, dalla corrente del fiume San Pietro. Fra questo lago, e le foci del fiume del medicamento. giallo vi sono alcune picciole ca- scate moito rapide, che interrompono la navigazione , ed obbli- gano i passeggieri a trasportare per terra i loro battelli, per lo spazio di un miglio.Dopo di avere quindi passato varii fiumi, ch’en- trano a destra ed a sinistra nel San Pietro, si giugne al lago della Gran rocca, Hiakuia-ju-Médé, formato pure dal San Pietro, e più lungo, e largo del precedente. Tre miglia più in sù si traghetta guadando il fiume, che quivi non è più se non se un piceiolo fosso; là si fermano le canoe , per iscaricare le mercanzie , che si traspor- tano quindi fino al lago Travers, per mezzo di una prateria di sei miglia. Presso quest’ ultimo lago non s’incontrò altra abitazione che una sola capanna; ciononpertanto è questo uno stabilimento formato da alcuni scozzesi trafugati dalle compagnie inglesi del nord-oveste, e della baia di Hudson. Di quale stabilimento il principale interpetre del maggiore Long era uno degli associati. T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 20 A 1594 Questi specolatori , mettendosi naturalmente in opposizione cogli interessi della Compagnia americana del sud-oveste ;sarebbono; anche prima di cominciare le loro operazioni, caduti sotto il peso della gelosia, e dei potenti intrighi di quella; ma hanno avuto il talento di associarsi con varii americani , che prestano loro. il nome , ed hanno dato allo stabilimento sociale il nome di Columbian American Company. Quindi è che hanno ottenuto dal reggente degli Indiani, spezie di delegato degli Stati Uniti presso quei selvaggi, lettere patenti , che conferiscono loro la necessaria au- torità di trafficare. Ma è probabile, che dovranno pur finalmente capitolare coll’ anzidetta compagnia del sud-oveste 0 mettersi almeno sotto la sua protezione. Il sito è veramente \vantaggiosis- simo pel commercio delle pelliccerie, perciocchè gli specolatori trovansi in mezzo alle bande più attive dei siussi , e possono spingere il loro traffico fin sulle sponde del Missuri, e della Co- lumbia,, purche i russi che aguale si suno impossessati delle foci di quest’ultimo fiume, vogliano ciò permettere. L’ America non finirà così tosto d’ avere a temere gli usurpamenti dell’am- bizione europea. Le sorgenti del fiume di San Pietro scaturiscono a venti miglia dal lago Travers, dalla parte del nord-oveste. Sarebbe stato interessante d’irle a riconoscere, anche per determinarne la latitudine , e la longitudine; i nostri viaggiatori sarebbono stati i primi a vederle : ma il piano della impresa , e la genti- lezza del maggiore Long non comportavano un così utile, quan- tunque breve traviamento. Si sa però ch’elleno sorgono dal piede di una serie di colline ; che gli indigeni chiamano Colli delle praterie , perciocchè attra- versano ; dal norte al sud , quei vastissimi prati, che si esten= dono fra il Missuri , ed il san Pietro, dai monti della Grande Aquila fino alle sorgenti del fiume della Terra turchina. Fu im- possibile di determinarne , anche per approssimazione , la posi- tura geografica , il maggiore Long , che pur la conoscea ; aven- dola tenuta rigorosamente segreta. Avea probabilmente, in ciò facendo , le sue ragioni , che il nostro italiano non si curò d’ inve- stigare. Contuttociò suppone , che possano trovarsi a 47 gradi di latitudifie , e sotto 20.° 30.° di longitudine , all’ occidente di Washington. La distanza del forte Sant’ Antonio è, per via di terra , di 230 miglia , nella direzione di tramontana maestro; ma pei meandri del fiume oltrepasserà le 4oo miglia. Questo: lago, e le sorgenti del San Pietro giacciono in cima di elevatissime pia= nure ; le quali separano le acque che scorrono verso il mezzodì ‘, 155 da quelle che scendono verso. il settentrione. Ed effettivamente le acque del lago Travers? |, e quelle del San Pietro passano vicine le une alle altre in linee di cammino totalmente opposte; perchè quelle del primo vanno a: perdersi , mediante il rio dei Siussi , ed il fiume delle Code di lontra, nel fiume Sanguigno , e conseguen- temente nella baia di Hudson', e quelle del. secondo nel golfo del Messico , mediante il così detto padre dei fiumi. Il lago Travers è dnnque situato in uno dei punti più elevati dell’ America settentrionale , e' non è formato da nessun’ acqua corrente tributaria. bincoraato per ogni parte da praterie , e pia- nure senza fine , ‘non si può! neppire conghietturare da dove'trag- Ba' le sue acque ; fenomeno tanto più mirabile, inquantechè' non vi s’ incontri neppur l’ ombra d’un cratere di volcano ‘estinto , d'altronde reso improbabile dalla poca profondità del lago. (9) La sua lunghezza ; dal ‘sud al niord-este è di circa quindici miglia , meritre a sole due si ristrigne la maggiore sua larghezza. Due iso- lette , sovente ‘abitate dai selvaggi, lo adornano piacevolmente , e le sne sponde variate di boschi s edi prati, ne rendono l'aspetto sommamente. ameno. ! La decim’ ottava lettera porta la data della Colonia di Lord Selkirk ; sul fiume Sanguigno. Partendo dal lago Traversa; #° in- contrarono stormi di buffali ; cui fu data Ja caccia, mentre i no- stri ‘viaggiatori trovavansi ‘scarsamente provveduti di vettovaglie. Gli'stessi indigeni diedero quivi al sig. Beltrami il vanto di audace, e destrissimo cacciatore.’ La denominazione di fiume Rosso data al finme Sanguigno , deriva; secondo ‘lui , non dal colore dellè sue arene; siccome pre seidoni molti geografi ,, ma ‘dal‘sangue che le'‘continie guerre fra'i cipevaisi ed i sinssi ‘hanno ‘versato in quelle ‘acque j} e che troppo sovente le hanno tinte di rosso. Di fatto i siussi le chiama- no Maniscia Vatpà, ed'i cipevaisi Sahaguiegnei-Sipi ; che. l’ uno e l'altro voglion dire fiume Sanguigno }. o lordato di sangue. Il lago che sulle carte si denomina Lago Rosso , deve per la medesi- mia ragione chiamarsi lago Sanguigno. (9) La precipitazione ‘dei vapori atmosferici , lo scioglimento dei ghiacci , e delle nevi, la feltrazione;delle acque. pluviali ; ed il sollevamento delle esa- lazioni sotterranee ; che concorrono .ad.un paro nella formazione delle sorgenti e;dei laghi non prodotti da correnti visibili , bastano ‘da per se a spiegare que- sto fenomeno , senza ricorrere, alla teoria dei volcani estinti. D’ altronde si su che Je peri, elevate del globo attraggono le nubi , le nebbie, ed ogni spezie di vapori » i quali a cagione del ‘freddo più'grande , vi sì formano in maggiore af- fluenza ‘elie nelle ‘regioni più basse. ! 156, Pembina , nell’ edizione ‘inglese del nostro “antore nominato Pembenar ,..ma che gli indigeni appellano Wettacia-Vatpà , dal nome di un fiume che. vi entra dalla sponda sinistra nel fiume Sanguigno , eta una volta il centro di una; colonia famosa per le frodi, i delitti, e le atrocità quivi. commesse, La quale colonia si estendeva sulle due sponde del. fiume anzidetto ; a cominciare dalla sua unione consquello degli. Assiniboini , fino al luogo duve questi fiumi riuniti versano le loro acque dentro il lago di Vi- nipeg ; che poi le scarica , dugeuto miglia più da basso, nella baia di Hudson. Si leggono nella relazione del sig. Beltrami do- cumenti, sopramodo, curiosi intorno la formazione. ed i progressi di questa;colonia , cui si era dato.il nome di Selkirk, come pure della compagnia nominata del, nord-oveste, la quale ; fin dalla prima sua ‘origine ‘avea, obbligato ogni canadese nel.suo servigio a ,sposare, una donna indigena ,. (sperando così di attaccarli per sempre a quelle foreste , ed allevare una. razza ubbidiente di esploratori, e di schiavi. Questa razza è quella che oggidì chia- masi Bois-brulé,. ossia dal. legno arso;, a cagione della. sua carnagione più oscura di quella degli aborigeni. Questi meticci semibarbari.,,che ricevono una certa educazione, sapendo quasi tutti leggere, e scrivere, sono-in ‘oggi., dopo la distruzione della colonia di, Selkirk., i soli. abitanti di Pembina ; e delle sue di- pendenze , che appartengono. agli Stati Uniti, dacchè il maggiore Long ne prese formalmente il possesso nel mese di agosto del 1823. Anche qui fu impossibile di sapere da quest’ ufiziale la positura geografica, del, luogo. A. norma, però dei ‘trattati fra 1’ Inghilterra e. gli Stati Uniti, la latitiidine non può. oltrepassare i cinquanta gradi; esla, distanza dal lago Travers è di ‘circa 260 miglia. Ma diamoci, fretta per giugnere col nostro autore dove i suoi, e diciamo. pure i nostri. ‘voti .lo hanno da un gran pezzo prece, duto. La sua decima nona lettera è scritta presso le sorgenti da lui per diritto di primo scuopritore nominate fonti (Giuliane del Mississipà , a di 31 agosto dell’anno anzidetto. In mezzo al deserto , senz’ altro riparo. che, il. firmamento ed un ramoruto e frondoso acero , sul confine di due pezzi di terra i più interessanti del globo , luogo. da lui. con tanto ardore cercato, e finalmente rinvenuto, ove prima di lui nessun’ uomo incivilito avea mai posto ‘“l’ piede ; ‘tutti i suòi ‘pensieri erano colla vivida sua immaginazione rivolti all’ amata Italia , ed alla rimembranza d’ un’ amica impareggiabile , statagli da immatura morte rapita ; ed in quell’ istante , da lui estimato il più deli- zioso della sua vita , pose al fonte.da lui scoperto il prezioso , 157 e venerato nome della Contessa Giulia, dell’illustre prosapia fio- rentina dei Medici, consorte del fu Girolamo conte Spada pa- trizio romano , maceratese ; e ternano. Ma prima»di giugnere a questa nobile meta dei suoi aneliti, e dei suoi sudori: «ebbe ‘a’ !vincere, con isforzi quasi incredibili , una série di difficoltà , che avrebbono snervato ogni altro vian- dante. Perocchè trovati due cipavaisi, i quali, avendo perduto un compagno trucidato dai Ianctoni!; andavano precisamente al lago Sanguigno per eccitare i loro parenti, e la loro nazione a pigliarne vendetta; lasciò indietro Pembina ; il sno cavallo, ed il, maggiore Long ; che quivi fu abbandonato ancora dal suo in- terprete, e da un figlio del colonnello Snelling ; giovine ‘merite- vole di ogni più distinto elogio. In luogo del :cavallo che vendè, il. signor Beltrami prese a nolo una mula , ed alcuni cani per portare le bagaglie ; ma questi ultimi furono di poca utilità nei pantani , e nelle boscaglie. Dopo cinque giorni di arduo cammi- nare, per lo più a piedi, arrivò al fiume del Ladro , dai siussi detto Vatman-Vatpà , e dai cipevaisi Povisci=Sipi , presso le foci del. quale nel fiume Sanguigno; i due conduttori ritrovarono la loro canoa, lasciatavi, poco tempo innanzi. Era; stato detto al.si- gnor Beltrami , che troverebbe colà nuovi conduttori:;.ma il luogo s% incontrò deserto e disabitato. La guida, padrone della mula, sendo con essa ritornata a Pembina , il viaggio fu continuato in compagnia dei due cipevaisi; che furon poco. dopo debitori della vita al loro compagno, mentre assaltati all’ improvviso, da una banda, di siussi , egli; fu da questi raffigurato per averlo essi già veduto, e conosciuto altrove, sotto il nome di Tonca-vasci- ciohonsca:, o sia il grande comandante d’un paese lontano. Pas- sato questo pericolo entrarono i nostri viandanti nella canoa, ove il signor Beltrami dovette, lavorare col remo, in luogo di uno dei selvaggi rimasto ferito, nel braccio sinistro. Nel giorno, seguente il fiume girando molto, verso, il) norte, rendeva la via per acqua troppo lunga, onde i due indigeni non vollero camminare più avanti, e, proposero al loro compagno di abbandonare la canoa, le vettovaglie le munizioni, ec. Ma egli, considerato essere il fiume la via migliore e più sicura, pigliò partito reciso di procedere solo sul fiume, ove colla canoa potea pure condurre: seco le vettovaglie , il suo fucile, la sciabola,,.e le munizioni ; laddove seguitando quei malnati selvaggi, si met- terebbe a pericoli evidenti, sprovveduto del necessario, entro boschi foltissimi, ripieni di laghi e di pantani , in, assoluta balia _ di due uomini, che a dispetto del convenuto e dei. benefizi avuti, 158 eran determinati d° abbandonarlo in mezzo a' quel deserto. Imper- laqualcosa , comandò loro issofatto di andarsene senza di lui ve s° imbarcò solo nella canoa. Ma siccome: colui che ‘poco ‘pratico era dell’ arte di spiugere questa col remo contro il:ratto del fiume, invece di avanzare; andava spesso indietro , e gli sforzi fatti per vincere. gli ostacoli, faceano cappeggiare la canoa. Come. l’acqua era poco profonda , vi saltò dentro fin sopra la cintura’, e rior- dinando la canoa la.tirò sulla spiaggia per assicurare le bagaglie inzuppate di acqua. Dove poi non poteva più:avanzare col mezzo del remo , si pose a camminare nell’ acqua traendosi: dietro lai canoa., mediante una striscia di cuoio di buffalo legata alla prua! «« Era naturale ,, dic’ egli, ‘ di credere , che dovessi, éòsì »3 facendo, essere stracchissimo ; eppure non lo fui beiichè meno 5; mamente. Vi lascio. però giudicare della varietà , e dell’imipor= 3; tanza delle idee che rapidamente si paravano dinanzi alla mia ss mente , nell'atto che tirandomi ‘così dietro la mia ‘tana , ‘per sì mezzo di una coreggia sull’ omero’, -e portando! nella mario! il 3, remo per servirmi di appoggio, chinava la testa, conversava 3, coi pesci che mi guizzavano fra i piedi , e costeggiava lelcon- 5, tinue sinubsità del fiume”, a fin di scandagliarne il fondo, per 3) andare innanzi senza pericoli ,). ail Tutto in molle fu costretto finalmente di mettere a terra la canoa per asciugarsi. Accendere il fuoco gli era impossibile, dap- poichè i cipevaisi aveangli tolto il battifuoco, e che indarnò si affaticò di riuscirvi col fucile. Dovette perciò passare la ‘notte bagnato com’ era; ma il peggio si fu che le sue vettovaglie co- minciarono a sti farei . A malgrado di tante miserie proseguì sul fiume il suo tra- vaglioso pellegrinaggio ; ed appoco appoco si ‘andiò perfezionando nel condurre a forza di remi la sua canoa. Sentionchè al''hingo andare questa fatica sorpassò le sue forze , e dovette far ritorno a quella meno penosa del tirare , nei luoghi dove il fondo o le secche rendeano ciò praticabile. Se minacciava la pioggia procurò di coprire le vettovaglie coll’ ombrello aperto , e Sppranbii a nel fondo della canoa. Dopo tre giorni, e mezzo di così duro tradito ; si abbattè sul fiume in due canoe d’ indigeni, che lo accolsero da' figli in- genui della madre natura , ed acconsentirono' a dargli una ‘guida fino al lago Sanguigno. Un vecchio entrò tosto nella canoa ; ed impugnatone il timone, partirono insieme, e giunsero a 20 di agosto, sulla riva occidentale del lago , ove si ritrovarono i ‘due traditori cipevaisi, dai quali era il nostro pellegrino stato così 159 inumanamente» abbandonato ; anzichè di dar loro un solenne ra- buffo , mostrò di avere tutto dimenticato, e comprò da loro la canoa per servirsene durante la meditata discesa pel Mississipì, e portarla quindi con seco, se fosse stato possibile, fino al suo campestre asilo. della Romagna ; ma il fato non tardò a decidere la cosa, altrimenti. Credeva di trovare sul lago un Bois-brulé, per cui avea seco portata da Pembina una commendatizia ; ma egli risialea dodici miglia più al sud. Contuttochè povero , e di un indole poco degna di lode; accolse umanissimamente il suo raccomandato. La descrizione circostanziata del lago Sanguigno è un altro regalo dal nostro italiano fatto alla geografia, mercecchè gli agenti della Compagnia di Hudson hanno interamente disfigurata quella porzione della carta di America. Formato da due bacini separati per uno stretto; in mezzo del quale giace una piccola isola, ha circa centrenta miglia di giro; e la sua distanza da Pembina , per terra ; è di circa censessAnta miglia, ma pei meandri ed i gomiti del fiume si aggirerà intorno a trecento. Nei contorni immediati del lago s’ incontrano otto altri più o meno piccioli , i quali comunicano fra di loro , e sboccano me- diante il fiume della Ghiaja, Kahasinilague-Sipi , che ne versa le acque dentro il lago Sanguigno , per la parte del libeccio. Que- sti laghi non avendo infino allora verun nome proprio ; il sig. Beltrami pose loro quelli di Alessandro, Lavinio, Averardo , Federica , Adela, Maddalena, Virginia , ed Eleonora , in memo- ria ed onore di tre figli , e cinque figlie tuttora viventi della. pre- lodata defunta Contessa Spada dei Medici. La purità , e la limpi- dezza di coteste acque fu da lui riguardata come vera immagine delle menti di questi suoi innocenti, e cari amici ; e la stessa con- giunzione di quei laghetti gli rammemorava 1’ amor filiale e fratel- levole che univa così teneramente i cuori di tutti quei nobili, ed amatissimi orfanetti. Il fiume Sanguigno entra nel lago per due rami dalla parte del mezzodì , e n° esce verso il nord-oveste.. Fra mezzo di quei due rami s' incontra pure un piccolo lago, senza rio che v’ entri, e senza escita. Il quale lago dal sig. Beltrami fu denominato lago Averno del mondo nuovo. Salendo per queste acque era egli ac- compagnato dall’ anzi detto Bois-brulé , e da un altro indigeno, capo d’ una tribù di cipevaisi. ‘ | Si chiama in America Portaggio un luogo, oye per una lingna di terra gli indigeni passano da un fiume, 0 lago , ad un aitro , portando seco , sugli omeri, le canoe , le salmerie,. e :160 tutti i loro suppellettili. Nel passare dal lago Sanguigno alle sor- genti del fiume del medesimo nome , si preferisce di portar così le barche per terra; ed.a traverso del lago Averno; in fino al luogo dove quei due bracci si'ricongiungono , e formano ciò che chia- masi il fiume del Grar Portaggio, che attraversa ancora due altri laghetti detti del riso salvatico, ed esce più in su da uno più grande detto Puposki-vica-kany-agen , o sia termine delle terre che tremano. “ Etimologia ;, dice 1’ autore , esattissima , imper= 3» ciocchè tutta quella regione debb’ essere considerata come gal- »» leggiante sopra le acque. Il piede vi si profonda nella terra co- »» perta di erbe che preme camminando ; ma questa ripiglia, il suo s> livello immediatamente. » A sei miglia di questo lago verso il sud si discoprirono finalmente , a dì 28 d’ agosto ; le sorgenti del fiume Sanguigno ; che sgorgano dal suolo nel centro:di un piccolo prato , il picciolo bacino nel quale zampillano essendo per ogni dove attorniato di giunchi. Un breve portaggio conduce quindi ad una spianata , od alto ripiano ; in cima del quale trovasi. un. gra zioso lago , dalle rive del quale si gode d’ una veduta estesissima sulle immense pianure dei contorni. “.Quivi, prosegue il sig. Beltrami, riposando sotto un acero 5 ombrifero ; nel luogo probabilmente il più elevato di tutto il ,y continente americano ; si osserva un fenomeno forse unico nella ss natura ; e che deve riempiere l’ anima di stupore , nell’ atto »» che la rapisce in un estasi pressochè celeste. Girando lo sguar- 3, do.; siscorgono le acque colare ; dalla parte settentrionale, s, verso l’ Oceano glaciale ‘artico, da quella del levante verso »» Vl Atlantico, da quella dell’ ostro verso il golfo del. Messico ; e s» da quella del ponente verso il Grande Oceano. ,; « Un estesa spianata corona questa sublime eminenza ; erea- »» ta diremmo quasi, per servire di specola , o vedetta ; e, cosa 3» mirabile ! nel centro di questa spianata s’ innalza; come per s» incantesimo , uno spazioso lago. ,, « Di che modo si.è formato questa adunanza di acque? P Da dove trae ella la sua origine ? Così fatte: questioni non possono 5, essere sciolte, se non se dal Grande Architetto dell’ Univer- 33.0. (10) Cotesto lago non ha nessuna escita visibile ; e non esi 23 (10) L'esistenza d’immensi nappi d’acqua sotterranea a diverse profondità, ed in quasi tutte le regioni del globo , fu.già maestrevolmente chiarita dal De- lametterie nella sua teoria della terra, e dal Malte-Brun nel suo ristretto della Geografia univérsale. Oltredichè i così detti pozzi artesiani , di cui tanto si è parlato e scritto , potrebbero spiegare 1’ origine ; e la formazione del lago 161 stono nè vicino ad esso, nè alla distanza di più centinaia di leghe , alcuna traccia di volcani. Niente di meno le acque sgorgano bollendo nel centro del lago. Tutte le mie corde di scandaglio non bastarono a trovarne il fondo , per la qual cosa bisogna credere, che sorgano da qualche abisso, le cavità delle quali penetrino fin deutro le viscere della terra , e la natura loro limpidissima è quasi una prova , che sono state purificate feltrando attraverso lunghi giri, e ravvolgimenti sotterranei. Di modo chè il tempo può avere fatto scomparire le vestigia esterne e superficiali di un volcano , ed il bacino del lago es- serne ciononstante l’ effetto ed il cratere. Ma dove vanno a gettarsi quelle acque ? Osserviamo ,,. « Avete vedute , al norte di questo lago , le sorgenti del fiume Sanguigno. Sono elleno situate precisamente appiè della collina, e feltrano in linea diretta dalla sponda settentrionale del lago, un poco a destra del centro, scendendo verso il setten- », trione. Dalla parte vpposta , verso il mezzodì , ed egualmente »» appiede deli anzidetta collina , altre sorgenti formano sorgen- »» do un picciolo bacino di circa ottanta piedi di circonferenza , 3» le di cui acque feltrano nella medesima guisa dal lago, verso la sua estremità fra )’ ostro ed il ponente ; e sono queste LE 3) VERE, E GENUINE SORGENTI DEL MISSISSIPI, infin ad ora inte- »» ramente sconosciute. (11) i Giulia. Arche 1’ Italia non manca di così fatti fenomeni ; tutti sanno che nel modenese si trova dappertutto a sessanta tre piedi di profondità, uno strato di argilla di cinque piedi, e al di sotto di esso 1’ acqua che sgorga con una forza stupenda. E naturale » che queste acque , ove incontrino un’ apeîtura per isboc- care , riempiano la spezie d’ imbuto da quell’ apertura formato , prima che si spandano al di fuori, Così fatti laghi si trovano assai comunemente sulle cime delle più elevate montagne ; sul Monte Rotondo in Corsica havyvene uno all’al- tezza di 9,294 piedi sul livello del mediterraneo, (11) Alcuni stitici hanno trovato poco credibile lo sgorgo simultaneo , per via di feltrazione od altro , dei due fiumi descritti dal nostro viaggiatore. Ma non sì ricordano che eziandio nell’ Europa due dei più grandi fiumi, il Reno ed il Rodano, scaturiscono , a meno d’ un miglio 1’ un dall’ altro, nel monte della Forca, una delle vette del San Gottardo » sui confini della stessa nostra Italia. Quel ripiano altissimo rinchiude più di trenta laghi, la maggior parte senza influenza, e senza sboccamento visibile. E nelle loro vicinanze sorgono pure l’Aar, il Reuss, ed il Ticino, i quali due ultimi scaturiscono appunto da lati opposti del medesimo lago a pochi passi distante dalle fonti del Rodano, talchè invece di due abbiamo quì tre fiumi rispettabili che nati fonse dallo stes- so serbatoio di acque recano in direzioni opposte i loro tributi al mare del nor- T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 21 162 Il lago ha tre miglia di circonferenza, e la sua forma è quella d’ un cuore. Era perciò naturale che lo scuopritore gli ponesse il nome di una sua cordiale e costante amica , alla quale, per quanto fosse defunta, il cnore di lui era inviolatamente avvinto, e di cui per servirci dell’ espressione dell’ illustre contessa di Albany che le dava titolo di figlia , Za vita fù un corso immu- tabile di morale in azione, e la morte una calamità per tutti coloro che ebbero la ventura di conoscerla (12). Il lago ricevette perciò il nome di Lago Giulia, e le sorgenti dei due opposti finmi, quelli di Fonti giuliane del fiume Sanguigno , e Fonti giuliane del Misissipi. Seduto così accanto di quel lago , e di quelle sorgenti, pa- reva al nostro italiano di essere circondato dalle ombre di Mar- co Polo, dei fratelli Zeni, di Cristoforo Colombo, e dei fioren= tini Vespucci e Verazzani , che rallegravansi gli uni cogli altri della sorte di uno dei loro compatriotti, di avere valorosamente seguite le loro pedate , e ridotti alla memoria del mondo i ser- vigi inestimabili da essi renduti colle proprie loro scoperte , coi loro talenti, colle Ioro imprese, e colle loro virtù. Non essendo egli versato nella scienza degli astri, nè avendo seco alcuno istrumento per così fatte osservazioni , il nostro au- tore non potè determinare la precisa latitudine e longitudine del lago , e delle sorgenti. Pare ciononpertanto che possiamo, fino a migliori ragguagli, fissare quella a 48 gradi e 45 minuti, e que- sta in 18° 30’ all’ occidente del meridiano di Washington, ses- santa. miglia al mezzodì del lago Rosso, o Sanguigno. Da questo luogo si apparecchiò il Sig. Beltrami a discendere te , al mediterraneo ed all’adriatico. Così pure sono vicinissime nelle sommità del Tirolo le fonti dell’acque che cadono pel fiume Inn nel Danubio, e pell’Adi- ge nel golfo di Venezia. Anche le sorgenti stesse del Danubio nella Selva nera, quelle segnatamente di Furtvangen , sì trovano vicinissime , e quasi in mezzo a quelle dell’ Elzach , e del Fallbach, che girando uno al nort, e 1° altro al sud-oveste vanno a versare le loro acque nel Reno. E il nostro Arno non sorge egli ancora nel Monte Falterona a pochissima distanza dal primo filo d’ acqua del Montone ? (12) Leggansi i Componimenti in prosa ed in versi dei Catenati recitati nella straordinaria adunanza dei 18 agosto 1820 ad onorare la memoria del- P illustre accademica contessa Giulia Spada dei Medici, Dama della Croce Stellata , Macerata , 1820 in 4.° e soprattutto la dedica del sig. Beltrami alla contessa d’Albany , nata principessa di Stolberg-Gedern , è l’ elogio recitato dal sig. canonico Carlo Hercolani principe dell’Accademia. 163 i Mississipi, fino alle sue foci nell’ oceano. La sna ventesima lettera è quindi scritta a 20 settembre dal lago Sandy, 0 sab- bioso. A tre miglia sud delle sorgenti giuliane le acque del Mis- sissipi formano già il lago della Tartaruga, che infino ad ora non fu mai visitato nè da viaggiatore, nè da’ missionarii, nè da geografi o fabbricanti di carte geografiche. La descrizione datane dal nostro pellegrino è perciò un nuovo regalo di lui alla geo- grafia. Uscendo da questo lago , il fiume si dirige al levante , e forma nel suo corso parecchi laghi, più o meno estesi, ad al- cuni dei. quali il signor Beltrami ebbe ancora la contentezza di porre i nomi di altri suoi nobili amici italiani. Il primo, nota- bilmente bellino, fu chiamato Lago Geronima, in onore della dama cui vanno indiritte le lettere; ad un altro; poco distante, fu dato il nome di Monteleone, in memoria d’un principe dell’il- lustre casa Pignatelli da poi mancato ai viventi. (13) Dopo un gomito considerevole il fiume ritorna verso il sud-ove- ste, dove ripiglia la linea retta del sno corso, ricevendo sulla riva destra il rio dell’Airone, Scisaqua-Sipi, che il nostro autore s’indusse ad ascendere , per consiglio del selvaggio suo compa- gno. E ben dovette chiamarsene giulivo, perciocchè in quella piccola gita gli fu sortito di scoprire due nuovi laghi, al primo dei quali, di squisita bellezza e deliziosa situazione, pose il no- me di Torrigiani, per un tributo di ossequio , e di gratitudine verso un virtuoso nostro patrizio fiorentino (14), ed al secondo, separato dal primo per un portaggio di quattro miglia, e che co- munica col lago della Tartaruga, quello di Antonelli, in onore d’ un dotto cavaliere milanese (15), che spesso colla sua pre- senza decora le nostre più nobili conversazioni. Poco mancò per altro che quivi i nostri viandanti non per- dessero la vita durante una terribile tempesta che schiantò quelle foreste, e sconvolse in poche ore la faccia della natura. In vi- cinanza del lago Torrigiani, ed alle foci d’ un ruscello che vi entra, si osservò una quantità prodigiosa di castori, dei quali il nostro autore racconta cose curiosissime , riferitegli dalla sua guida selvaggia, le quali tutte meritano 1’ attenzione profonda dei naturalisti, che non debbono averne idea. La descrizione (13) D. Diego Pignatelli duca di Monteleone , Terranuova e Castelvetrano in Sicilia , marchese del Vasto nel Messico, ec. (14) Il sig. marchese Pietro Torrigiani. (15) Il generale conte Antonio Antonelli 104 segnatamente delle loro gnerre, delle loro battaglie, e della pu- nizione data agli individui, che scorrono predando territorii alie- ni, con recidere loro la coda, ci è parsa curiosa quanto nuo- vissima. « Dal fimme dell’Airone fino al lago del Cedro Rosso , il ss Mississipi non riceve alcnn finme tributario, ma si può dire ss che scorre continuamente in mezzo alle acque; mentrechè 3» le sue rive sono dappertutto sommerse e tremolanti benchè » variate di prati e di boscaglie. L’ alveo è sempre molto pro- » fondo , e la corrente dolce ed uniforme. Attraversa , o for- ,s ma successivamente quattro laghi superbi, il più grande dei so quali gira sette. miglia, ed il più picciolo quattro. Io li ho ,s nominati laghi della Provvidenza, a cagione dei campi di ,; riso salvatico dalla Provvidenza quivi formati; e che fanno >) comparire quella contrada un’altra terra di promissione. Dopo ss di avere passato lo stretto dell’ ultimo di questi laghi, il »» padre dei fiumi entra in quello del Cedro Rosso, precisa ,; mente sul mezzo del lido settentrionale, e ne esce verso il ,; lato manco dalla parte dell’ Est-nord-este, nel fondo di una baja formata da una lingua di terra, che sporge dentro il lago , nella direzione del Sud-sud-oveste ;,. « Alla destra dell’ entrata nel lago discoprimmo per. acei- dente un eco meraviglioso. Era la notte, ed i miei compagni avendo gridato ad alta voce per conoscere dove stanziava il campo volante degli indigeni, le loro grida furono ripetute in- numerevoli volte, gradatamente diminuendo di fòrza, e per- dendosi infine insensibilmente come in remotissima distanza ,y « Questo lago era l’ultimo termine di tutte le scoperte fatte in questa regione avanti la mia. Nessun viandante , nessuno esploratore nè europeo, nè americano, ha mai oltrepassato questo punto ; ed è quivi che furono dal signor Schooleraft fissate, nel 1819, le sorgenti del Mississipi. Era egli istorio- » grafo della spedizione del Governatore Cass, e ribattezzò , in ,, onore di lui , il lag» col nome di Cassina ,,. Questi signori poi credettero , che le vere sorgenti del gran fiume fossero nel pic- colo lago di Doe , o della Damma, cinquanta miglia al ponente di quello del Cedro Rosso. Anche di quest’ ultimo ci viene dal signor Beltrami esibita una minuta ed accurata descrizione, che sovviene utilmente ai difetti di quelle dei suoi predecessori. La distanza di questo lago dalle sorgenti giuliane, è di circa cento miglia calcolando le sinuosità , ed i gomiti del fiume. 2? 99 Pv; 25 29 29 53 29 29 23 29 165 Il rimanente della navigazione del Mississipi essendo già co- nosciuta dai geografi, ci limiteremo a dare un’ idea più concisa della calata del nostro pellegrino. Esposto a mille pericoli, disa- gi, e privazioni, che spesso stettero inciampo al suo procedi mento , fece ancora molte scoperte importanti, segnatamente nel territorio compreso fra i laghi di Vinnipee, della Sanguisuga, e di Sandy. Vicino al secondo di essi trovò stabilito un oracolo, mi- rabilmente somigliante a' quello di Delfi , ma in luogo della Pi- tonissa siedea sul tripode perforato un sacerdote , che inspirato dai vapori dell’acqua bollente , ripiena di erbe aromatiche, get- tava in presenza del signor Beltrami, grida e voci indemoniate, che nessuno degli astanti poteva comprendere. Si sa che il fu signor Zebulon Montgomery Pike collocò, nel 1805, in questo lago della Sanguisuga , le sorgenti del Mississi> pi (16). Nell’ articolo qui sopra citato del Bulletin des sciences géographiques del sig. barone di Férussac, questo fatto è rap- portato dall’autore di esso , il sig. console Warden. Reca però sorpresa grandissima il vedere da lui confuso questo lago con quello di Travers, dal quale esce il fiume dei Siussi , tributario primo del fiume delle Code di lontra , e poi del fiume Sangui- gno. Ma quello che reca vero stupore si è , che il signor War- den non dica neppure una sillaba nè delle sorgenti giuliane dal viaggiatore italiano scoperte, nè di alcuna parte del Mississipi al norde del lago della Sanguisuga. Noi professiamo troppa ve- nerazione pei talenti, e per l’ onoratezza del signor Warden. per attribuire a lui personalmente cotesta omissione , che visibil mente pare procedere dallo stampatore, il quale fra i versi 32 e 33 della pagina 168 del terzo volume di quel Bul/ettin pel- l’anno 1825, deve avere lasciato di mezzo uno o più paragrafi del suo originale, dove quelle scoperte trovavansi certamente ana- lizzate. Poco distante dal lago del Cedro Rosso toccò al signor Bel- trami di essere testimonio oculare d’ una scena di orrore , € di macello, durante la quale la sua vita stette in imminente peri- (16) V. Exploratory Travels through the western territories of North- America: comprising a voyage from S. Louis on the Mississipi , to the source of that river, and a Jvurney through the interio? of Louisiana, and the north-reastern provinces of New-Spain. Performed in the Years 1805, 1806, 1807; by order of the Government of the United States. By *Zebulon Montgo- mery Pike; Londra, 1821 in 4.° 166 colo. La sna intrepidità, e prontezza di spirito poterono sole sal- varlo. Una stampa incisa in rame, che accompagna il frontispi- zio dell’ edizione inglese , lo rappresenta in piedi, vestito ed ar- mato, in mezzo a quella scena di strage, e di orrore. Il suo com- | pagno Bois brulé sendo quivi stato ferito , ei tu costretto di la- sciarlo tornare a casa, sua. Continuò quindi la discesa del fiume in compagnia con Pokesko-nonepe, o tempo nuvoloso, uno dei capi di quei cipevaisi cognominati predatori , il quale lo accom- pagnò fino al lago Sabbioso , da dove il gran finme scorre per 150 miglia .0. S. O. fino a quello dei Pini, e quindi S. S. 0. no- vanta miglia fino al fiume delle Penne di corvo. Di là si dirige al mezzodì per cento ‘miglia fino alla Gran Roccia, e poi al sud- est per altre 150 fino al finme di Rook, ossia della Cornacchia : dopo di che, scorre finalmente per altre sessanta nella direzione dell’ est-sud-este fino al forte di San Pietro. Di maniera che que- sto forte giace precisamente novecento cinquanta miglia dalle sor- genti giuliane , e cinquecento cinquanta dal lago Sabbioso. Da un itinerario già per l’ innanzi dato dal sig. Beltrami, si sapeva esservi da San Pietro a San Luigi altre 925 miglia. Indi siegue che dalle sorgenti fino alla sua congiunzione col Missuri, il corso del padre dei fiumi non oltrepassa 1975 miglia, che unite alle 1800 da San Luigi al golfo del Messico, formano un totale di. miglia 3775. Sotto la cascata della Gran Roccia fu dal nostro antore po- sto ad una isola rotonda in mezzo al fiume, il nome d’isola del Sole, perchè riduceva alla memoria gli antichi templi e boschetti dei druidi. Più di sotto s’ incontrò un arcipelago , 0 gruppo di molte isole, dopo una serie di cascate più o meno rapide, che poi più a basso diventano vere cateratte, le quali però non im- pediscono gli indigeni di passarle colle loro canoe. Il paese d’in- torno esibisce puuti di veduta deliziosissimi , e fra le altre cose vi fu veduto un orso arrampicato sur una quercia. Più in su avea già posto ad un altra isola ridentissima il nome di Citerea. Qui la vista del tetto di una casa avvertì l’autore che s’av- vicinava a luoghi d’incivilimento. Ma prima di entrarvi getta in- dietro uno sguardo d'interesse, e di gratitudine verso la bella e tenera Voascita che , sulle rive del lago della Sanguisuga, com- passionando la nudità di lui, aveagli regalato vari capi di vesti- mento , e soprattutto un paio di mocassini o scarpe, e calzoni lunghi , fatti di pelle di Orignale, od alce americano , quadru- pedo bellissimo, e molto raro. Era quella ragazza figlia del sum- 167 mentovato principe Tempo nuvoloso, ed oltre a quei regali da lei fatti al nostro pellegrino, gli avea in circostanze molto eritiche, salvata due volte la vita, prevenendolo in tempo delle trame dai selvaggi ordite per trucidarlo. Ritornato a salvamento al forte di San Pietro, vi ritrovò il rispettabile signor Tagliaware , e 1’ eccellente sua famiglia , che lo accolsero graziosamente , e concorsero con lui nel riprovare la condotta illiberale, e poco civile del maggiore Long', contutto- chè il sig. Beltrami confessi di essergli grato per avere egli, colle disgustose sue maniere , resa più ferma la risoluzione presa di separarsi da lui, onde ire solo alla scoperta delle sorgenti del Re dei fiumi ; ed è “ principalmente a lui ,, conchiude, che », sono debitore dell’esito avventuroso della mia impresa , sicco- » me gli americani sono tenuti a lui per la gelosia che quella 3) buona fortuna ha destata in essi ,, Questa vigesima prima lettera del nostro autore porta la data del dì 24 ottobre dalla città di San Carlo sul Missuri. Dal forte di san Pietro era sua intenzione di recarsi per la via dei disertita quello del Consiglio Bluff sovra il Missuri ; ma la stagione troppo avvanzata , e la guerra che desolava quelle re- gioni , ne lo dissuasero. Dopo di avere visitati e descritti î tumuli delle praterie di san Carlo, calò dunque sul Mississipi in un bastimento. coperto , di quelli che colà chiamansi Keel-boats , o barche da chiglia , fino alla Nuova Orleans , da dove scrisse la ventesima seconda ed ultima sua lettera , in data del dì 13 di di- cembre. Il viaggio fu felicissimo, se n’ eccettniamo la perdita che 1’ autore fece della sua canoa imbarcata sul bastimento ; la quale per la poca cura avutane dal discortese capitano , fu ridotta in pezzi a poche miglia da San Luigi , pell’ urto che diede il basti- mento arrenandosi sur una secca. ‘ Come poss’ io astenermi ,, esclama il povero pellegrino , ‘ dal rimpiagnere 1’ amatissimo ,; mio picciolo schifo, che mi avea trasportato a salvamento fram- mezzo a mille frangenti , e per uno spazio di oltre due mila mi- glia! Avevamo sopportato insieme tante vicende della fortu- na ;=ci avevamo portato |’ un l’ altro scambievolmente ; — era da supporre che nodrissimo entrambi speranze reciproche di rammentare in età provetta le intricate , e difficili contrade da noi attraversate , i travagli sostenuti, ed i pericoli costan- temente sprezzati. Ma ohimè! un solo istante distrugge le nostre illusioni, ed ha ridotto al nulla l’ oggetto del mio sin- cero attaccamento ,,. Come un tributo di dolore , e di ricono- 2) 168 scenza compose e dedicò quindi al paliscalmo perduto il seguente epitafio. Quod petis infandum , dilecta Liburnica, fatum ! Vesuvioque procul Stabia (17) dira tibi est. Vidisti jam tanta ubicumque pericula victrix ; Teque triumphantem caedit iniqua manus , Indomitas sprevisti mecum , saevasque cutervas ; Sed solus repetam , Te pereunie ; Lares. Nunc eris in superis’ index Mortulibus alter : Exultant fletu sidera cuncta meo. Arrivato finalmente alla Nuova Orleans dà una descrizione accurata di questa città, piena di fatti ed aneddotti non meno curiosi che importanti .per l’ etnografia. Termina poi la sua rela- zione col ricapitolare tutti i suoi argomenti onde provare , che il Mississipi è il primo fiume del Mondo. L° Amazzone ,, con- chiude egli, ed il fiume de la Plata possono forse vincere il », Mississipi nel volume delle loro acque; ma per ogni altro >, riguardo meno importanti , non possono stare a paragone con ,) esso ; e ciò che gli assicura una effettiva superiorità si è che ,; per tutta l’estensione del suo dominio , l’uomo può respirare ,» l aria della libertà, e l’ industria non vi si abbatte nè in s) Ceppi, nè in restrizioni. ,, Dalla Nuova Orleans l’autore si recò a visitare il Messico , dove sappiamo pure che fece importanti scoperte etnografiche , e letterarie , delle quali si aspetta con viva impazienza la pub- licazione. Sentiamo , che attualmente ei si ritrovi a Parigi, ove stà preparando una nuova edizione francese del pellegrinaggio , che abbiamo finito di notomizzare. JE Godi (17) Fu nella sua Zidurnica , 0 picciolo schifo, e nelle vicinanze di Stabia nel golfo di Napoli , che Plinio perdette la vita per le lave del Vesuvio, du- rante l’ eruzione dell’ anno 79 sotto 1° imperio di Tito. [Nota dell’.Autore. Ci permetteremo di osservare che non fu precisamente dentro la liburnica, ma sul lido , e nell’ atto che stava per imbarcarsi in quella , che il celebre na- turalista pagò colla wita la sna ardente curiosità. 164 DELLA POPOLARITÀ DEGLI ÀUTORI. Vi sono autori ‘che si riproducono. così evidentemente nelle loro opere, che per questo solo acquistano un’im- mensa popolarità. Se l’ epoca in cui nascono, e la ten- denza generale delle menti ha qualche cosa di corrispon- dente alla tempra originaria del loro spirito, può dirsi ve- ramente che essi sian fatti pel lorn secolo , e il loro se- colo per essi. Di questa classe sono Alfieri e Byron. Sup- ponendo che il primo fosse vissuto quando gl’ Italiani non aveano ancor cominciato a sentir nausea del potere arbi- trario, ed il secondo quando ancora gli uomini non cerca- vano diletto nelle emozioni perturbatrici dell'animo, forse la loro. voce non avrebbe parlato alle genti , e il mondo avrebbe ignorato il loro nome. O forse sarebbe loro av- venuto come a Dante, che non fù mai lodato quanto ai giorni nostri, cinque secoli dalla data del suo poema, ora che siamo più che mai preparati a quella intolleranza di giogo, che è argomento delle sue ‘declamazioni , e causa della sua fierezza. ‘hi Cutesti autori, indipendentemente dall’ingegno, di cui imprimon l’orma nelle loro produzioni , signoreggiano colla singolarità. Sia che si assoggettino alle forme che al- tri stabilirono, sia che non le’ curino , l’effetto ch’ essi ottengono non tanto deriva dalle facoltà in cui più somi- gliano al comune degli uomini, quanto da ciò onde ne diversificano. Non è il buon pre portato all’ ultimo suo grado di perfezione, non è l’armonia, e il giusto equili- brio tra i pensieri e gli affetti, ma anzi è il predominio d’ un sentimento ‘potente, che lascia nell'ombra tutti gli altri, ed ove crescesse d’ esaltazione oltrepasserebbe il li- mite, o nella violenza dell’impeto perderebbe la forza, Com'’esso è, e nella misura da cui è circoscritto, piace e_ trasporta, perchè trova in noi il germe d’un sentimento analogo , o almeno la capacità di provarlo, Di qui l’illu- sione che creano certi esseri straordinarii, e la conformità T. XXXVI Novembre e Dicembre. — 22 170 che ci sembra riconoscere fra le loro idee e le nostre, seb- ben queste, lasciate a se medesime, non sarebbero suscet- tibili di pervenire a quell’altezza ed a quell’esagerazione, Guardate la tristezza insormontabile di Byron, guardate l’iraconda indipendenza d’Alfieri. Se anche dotati dello stesso ingegno non avessero quel sentimento caratteristico che li rende originali, e soverchia tutti gli altri, come una passione soverchia i minori affetti, non così ci assuefareb- bero alla loro natura, nè potrebbero identificarei coi loro concepimenti. Un sentimento esclusivo in un ingegno po- tente ha una forza capace d’impor silenzio alla ragione degli uomini; ed è perciò che sebbene l'apparire di certi autori giovi alle nazioni ed ai secoli in certe particolari circostanze, il vero nel suo aspetto più assoluto non con- corda colle conseguenze morali, che emergono dalle loro opere. Chi non ammira le tragedie dell’Astigiano? Ma chi vorrà inculcare come ‘principio Ja. preminenza delle pas- sioni feroci ‘nella condotta della vita, e credere che alle società moderne possano applicarsi, come norma regolatrice, le massime della libertà romana, riboccanti d’ egoismo na- zionale, e d'orgoglio individuale? Chi non è compreso d’en tusiasmo alla sublime poesia del cantore di Childe Harold ? Ma niuno chiamerà bella una filosofia , che conduce alla disperazione , niuno augurerebbe ai suoi simili una sensi. bilità quasi morbosa, che s’adira contro i menomi svantaggi della nostra natura, e negli ordini sociali, come nelle ma- raviglie del creato , s'ingegna di trovare argomenti onde vilipenderla ed'avvilirla. È dunque la popolarità premio soltanto di chi nasce in un secolo piuttosto che in un altro, di chi impone all’ universale la legge del suo individuo, di chi ci trae in una sfera, ove la mente non gode nella moderazione dei pensieri, ma sibbene si scalda d’un calore, che non le è omogeneo ? No certamente : v’ è una popolarità, che po- trebbe essere invidiata dagli angioli, e questa è di coloro, che non se medesimi, .ma la natura cui appartengono ri- produssero sincera e intemerata nelle opere. onde hanno fama immortale, Delle influenze contemporanee non rico- 171 nosci in quelle traccia visibile, non puoi trarne un siste. ma d’idee , che supponga di conseguenza un sistema con- trario, L'impero ch’ essi. esercitano è l’ uso d’ un’ intelli- genza superiore , che tempera anche i colori dell’immagi- nazione , che regola anche l’impeto, dell’ affetto. Il prin- cipio elementare del loro genio è uno squisito buon senso, che si aiuta. a dovere di tutte le facoltà dell'anima, onde gli uomini vi ravvisano, come dentro a specchio, l’imma- gine del.loro intelletto nel suo tipo di bellezza ideale. Ec- co Shakespeare Molière, l’Ariosto e Walter Scott. Ab- biano conosciuto 0 ignorato le teorie d’una scuola, abbia- no adottate certe forme o se ne siano emancipati, sia la superficie delle opere loro adombrata di qualche macchia, o sparsa di qualche neo, non importa: essi parlano un linguaggio, a cui la voce segreta .d’oyni vivente sembra naturalmente far eco. Quando ingegni di codesta sorte han- no stabilito una simpatia inestinguibile fra, essi , e quanti sono capaci d’ammirarli, la cagione di ciò dev’esser tutta nella loro stessa potenza, nè cosa accidentale può meno- marla od accrescerla, Per questo la venerazione e l’amore degl’ inglesi per Shakespear è stato egzale in tutt’ ì pe- riodi della loro letteratura, e le, altre. nazioni cessarono di parlare più dei suoi difetti che del suo genio tostochè bene e familiarinmente lo conobbero. Chi lo direbbe? un poeta, che gran parte d’ Europa civilizzata si ostinò lungo tempo a chiamar barbaro, da un ulterior progresso di ci- .vilizzazione , e da più estesi rapporti intellettuali fra, po- polo e popolo , è stato proclamato unanimemente interpe- tre, della natura. Altri spieghi il fenomeno, lodandone il sistema romantico, a cui il secolo sembra più propenso ; noi nò, che cerchiamo nella popolarità degli autori il se- greto dell'anima loro. A Shakespear è avvenuto come a Colei, che formata dal cielo adorna di tutte doti, si è conciliata un amore senza fine nella famiglia ov’ ebbe i natali. Esce nel mondo gua:data, ma non veduta, osser- vata, eppure mal nota, onde ognuno la. giudica, e niuno può giudicarla. Una. irregolarità nelle fattezze , una biz- zarria nei movimenti sono tema di censura generale, fin- re i chè s’ incontra un uomo capace di sentite, per rara pre- rogativa, quanto v'è di bello in quella creatura, il quale se le avvicina, e se ne innamora. Nella consuetudine .in cui vive seco scopre quanta profonda cagione avesse l’af- fetto da lei inspirato fra i domestici lari, quanto fossero senza conseguenza le eccezioni proposte dal volgo super- ficiale. Egli è rispetto a Lei ciò che l’ umanità intera ri- spetto a Shakespear. Ella ha tratto nella sua orbita V’ani- ma di quell’individuo, come Shakespear ha fatto suo il sentimento più universale degli uomini. In questo il gran drammatico inglese somiglia al maggior comico di Francia, al cantore immortale d’ Orlando , all’ illustre romanziere di Scozia. Noi ci accendiamo per essi d’un entusiasmo che non è mai cieco, noi ci accompagnamo a loro con un di- letto che ci sembra preesistente , sebbene addormentato, entro di noi. Anche se ci trasportano nelle regioni del so- prannaturale , e trascorrono i limiti del possibile, eonser- vano una maravigliosa analogia colla nostra maniera d’ap- prendere , ed in mezzo a tanta novità d’ idee non provia- mo cosa sia repugnanza. Escluso Molière , gli autori che nominammo hanno sfidato in tanti e diversi modi i ca- noni della critica, che la critica li avrebbe annientati, se essa fosse sempre l’ espressione del voto pubblico. Ma que- sto non ha linguaggio comune con alcuna regola preor- dinata quando trova in un libro il miglior alimento a cui aspirano i suoi desiderii, alimento così confacente all’ani- ma nostra, come il nettare al palato degli Dei. Parlo ora di Voltaire. Non credo che la sua popola- rità avesse un principio così elevato come quelle , di cui ho tenuto discorso. In lui non vedo profondità di passio- ne, nè potenza d’immaginazione. Nel suo secolo esercitò un’influenza straordinaria, forse senza pari nella storia delle lettere ; ma cent’ anni prima gli uomini eran troppo ser- vi delle idee stabilite, e non avrebbero-ben ricevuto quel- l’ impressione ch'egli era atto a produrre; men di cent’an- ni dopo la morale pubblica , o almeno il sentimento di essa, pervenuto a nuovo stadio , avrebbe protestato ( e pro- testa!) energicamente contro le frivolezze ; le impudici- mirati aiiincva n _— r’._ _————— 173 zie, le contraddizioni diffuse nei suoi scritti, Come autore ei non declinò gran fatto dalle orme segnate dai suoi pre- decessori di Francia, e così lusingò l’ amor proprio d'una nazione , che ove biasima , e ove loda si fa seguace molta parte d’ Europa ; come filosofo si dichiarò campione ‘del- I’ eguaglianza sociale , e difese ‘a spada tratta i diritti che la natura ci concede, e la ragione ci conferma, onde in- teressò alle sue opinioni ogni sorte di genti. Passeggiò con sicurezza di gusto i campi della eritica, e ove non disse bene disse piacevolmente. Diede veste di tutta disinvol- tura ad una quantità di massime , che 'chiamavansi ardite, ed estinse negli uomini quella molesta timidezza, con cui si avvicinavano a certe indagini , ove le dottrine eran con- venute , e le decisioni imposte senz’ appello. L° umanità gli è debitrice di molto, quantunque egli abbia più agito sulle piccole passioni che sui forti sentimenti del nostro essere. Lo trovi inarrivabile nel. genere satirico e nel fa- ceto , ma nella lirica, che è la poesia delle-anime più sen- sibili, e delle menti più fervide , è rimasto men che me- . dioere. Appena la posterità è per lui cominciata , e già si dice ch’ egli è sovente fatuo ‘dove lo si vorrebbe grave , che egli è declamatorio dove sarebbero necessarie le ispi- razioni del cuore. Le nazioni hanno avuto tragici più su- blimi e più patetici , storici più sagaci e imparziali, mo- ralisti più veri e più puri; ma niuno , applicandosi in- sieme a tanti diversi generi, potè mostrare in tutti altret- tanto grado di valore. Perciò egli rappresenta nel suo in- dividuo un aggregazione di molti nomini d’ingegno; anzichè l’uomo di genio animato dalla scintilla. divina. Se egli fosse stato tale non si vedrebbe in lui ‘prevalere sopra tutto la propensione al ridicolo‘, e non avrebbe così spesso trat- tato la natura umana sotto l'aspetto d’ironia e di scherno, L’uomo di genio penetra troppo addentro nei misteri della nostra esistenza per non conoscere quanto ella sia cosa seria, In un secolo di maggior riflessione, e di’ maggior esperienza , la popolarità di Voltaire non sarebbe giunta a quell’ altezza a cui la spinsero i snoi contemporanei , 0 almeno le circostanze. generali ‘avrebbero comunicato al suo spirito qualche cosa di più dignitoso e di più grande, Egli fu incensato come un idolo, e in tutti tempi sarà ammirato, Ma l’ umanità non lo rignarda come una delle sue più nobili emanazioni , e non lo pone fra gli eccelsi, il cui intelletto sovrasta le creature. Ho pensato talvolta che il popolo, ossia gli uomini presi nella loro totalità , abbiano un gusto più squisito , una delicatezza di discernimento superiore a, quella dei loro maestri , poichè sopra cento autori celebri , appena ve n° ha uno di popolare , e si sà bene che la popolarità è 1’ espressione del voto generale , laddove la celebrità par che dipenda dall’opinione dei critici , consentita dalle per- sone colte ed istruite. Ma a dirla giusta non v'è rapporto fra le origini dell’ una e dell’ altra, e mentre la prima, a cagion d’ esempio , si fonda tutta sul sentimento, an- teriore ad ogni teoria e ad ogni arte , la seconda include fra i suoi principii l'osservanza dei precetti, e la defe- renza, ai modelli. Inoltre ciò che deve essere argomento d’ammirazione, e forma parte della gloria di certi antori, impedisce in qualche caso che il popolo si addomestichi abbastanza con essi. Uno dei pregi più portentosi di Dante, è l’aver poetato quando la lingua era in fasce , ed appunto perciò la Divina commedia sarà sempre più celebre . che popolare. Ma Dante non soffrirà diminuzione di fama, e nell’ elevata morale , che anima da cima a fondo il poe- ma sacro, i savi d'ogni secolo riconosceranno un’ ingegno sublime. ;L° avvenire del Petrarca non sarà forse eguale. II merito d° aver resa più flessibile , più chiara , e più mu. sicale la linsua ,.1’ eleganza ,. e } armonia dei suoi versi , l’ affetto che pur non vi manca, già non valgono a. riscat- tarne la monotonia, e a mantenergli quel numero di let- tori, che starebbe in proporzione colle lodi, comunque giu- ste, tributategli dalla critica. A misura poi che le lettere diverranno maggiormente l’ espressione della società , (che non sempre lo furono, checchè altri ne abbia detto) e cor-. risponderanno ai bisogni dell’ intelletto , e alle affezioni dlel cuore umano , l'egoismo che domina per entro quei versi non sarà eccitamento all’universal simpatia. o par- . 179 lo per ver dire , non per odo d' altrui nè per disprezzo ; e mi giovi questa protesta anche se concludo con troppo ardire parlando degli autori della classica antichità, Quanto essi furono popolari ai loro tempi non v’ è chi possa de- terminarlo. Forse è più facile sostenere che nelle società di Grecia e di Roma l’elemento letterario non era giunto a possedere quell’influenza che ha ottenuto , e otterrà vieppiù sempre fra le nazioni moderne , e quindi che i rapporti fra gli autori ed il popolo non fossero così in- timi e familiari come sono al presente. (1) Ne verrebbe di conseguenza che la loro fama non ha mai oltrepassato quei limiti, che ho definito col nome di celebrità ; ma in ogni ipotesi è indubitato che presso di noi. non possono aspirare a maggior sorte , qualunque siano le condizioni che ci aspettano , e le circostanze di cui subiremo l’ im- pero. Il linguaggio che essi parlano non è più .l’ espres- sione viva del pensiero umano ; esso non è che un mo: numento. Ciò forma qualche differenza anche pei dotti, sebbene essi non sel confessino ; per l’universale poi è tutto. E questo è così vero che gli stessi sommi , i quali, come dicemmo , hanno fondamento di popolarità nel pro- fondo del nostro animo , e sono fatti per conservarla in perpetuo ,/Ja perderehbero tutta, se una gran vicenda na- turale o politica facesse perire la nazione , presso cui la loro lingua fu parlata. S. UzietLI. ()A cìò potrebbe obbiettarsi il Teatro fra i Greci, ma noi abbiamo voluto proporre un° opinione , anzichè discuterla. Inoltre , il Teatro, i giuo- chi Olimpici , e altri fatti della Storia dei Greci danno idea d’un gran nume- ro d’ uditori e di spettatori, ma non già della popolarità largamente diffusa tra i moderni per conseguenza della stampa. 176 ADUNANZA SOLENNE DELL'ACCADEMIA DELLA CRUSCA. ‘Le molte cose , di che il segretario dovè favellare in questa pubblica adunanza (1) ne lo costrinsero a dividere il suo ragio- namento in due parti, e per ciò egli l’aperse colla prima ren> dendo conto dei lavori fatti in quest’ anno, e tessendo l’elogio dell’ accademico residente Ottaviano Targioni Tozzetti. Prese gra- tissimo principio da Dante , di un comento inedito del quale avea dato rischiaramenti in una lezione 1° accademico Rigoli; ma poi- chè questa vide la luce nel nostro giornale (2) è opera superflua il trattenersi nel darne ragguaglio- Da un altro de’ tre gran padri di nostra favella trasse il tema l’accademico Nesti, prendendo a ribattere le imputazioni che vennero, e vengon fatte al Decame- ron del Boccaccio. Esposte ad una ad una le aspre censure, a coloro che negano eloquenza e stile al centonovelle oppose le parlate di Ghismonda;, di Tito ; e di Mon.) , e notò il brio della narrazione , il modo pittoresco, onde sono espressi i caratteri , ‘e il colorito grandioso dato ai grandi subietti. Quanto al non tro- varvisi nulla di nuovo rispetto alla lingua rispose che non dee badarsi alla sola novità della parola, ma sì a quella dell’ uso. Finalmente disse non doversi ascrivere al Decamerone, come al- cuni pretendono , la decadenza della lingua, ma piuttosto al cattivo innesto dell’ antico col moderno, al maggior uso del la- tino, e alla natural condizione d’ ogni disciplina , che giunta al suo colmo uopo è che declini. Non al Certaldese , egli aggiunse, è da imputarsi il vuoto delle prose de”suoi imitatori servili, ma sì al difetto d’ idee che in lor si trovava, difetto che la magni- ficenza de’ periodi non bastava a supplire. Tale specie d’ imita- tori sono la peste delle lettere, cosicchè è importantissimo oggetto il formarsi idea chiara della imitazione. Contribuì a questo il collega Niccolini mostrando che le di- spute fra i classicisti, e i romantici nascono dal confonder che fanno ambedue l’ imitazione poetica con la copia. Provò che in ogni imitazione è una parte di finzione, e che le arti hanno dei limiti, e delle leggi fondate sopra una relazione ad un dato or- dine di cose. Non è perciò negato al poeta l’uso del verisimile, e dell’ universale , nè un’ azione storica sempre sì offre con un (1) Essa ebbe luogo il dì 9 settembre. (2) Vol. XXXV. A. p. 35. TT accordo di circostanze necessarie all’ effetto, che pur dee pro- durre. Peraltro è difficile il conoscere i limiti d’ un’arte che non ha modello materiale , ma forse possiamo indagarli nella natura del nostro intelletto. Questo non riceve due simultanee impres- sioni in un solo istante; l’unità d’impressione è una legge non meno della mente che del cuore, e il connettere è un’ es- senziale proprietà dell’ umana ragione. Male però , disse 1’ ac- cademico, per alcuno si confonde l’ unità dello spirito con V’uni- tà matematica; quindi parlò a lungo. delle tre unità drammati- che e concluse , che non bisogna nè troppo abusare, nè trop- po diffidare dell’ attenzione, e della immaginazione degli spet- tatori. Shakespeare nelle migliori sue ‘tragedie serba le regole di unità di sentimento , e di azione , e signoreggiando l’ animo con una forte impressione ci porta, senza che ce ne avvediamo , a traverso lo spazio , ed il tempo. Prendendo poi i fatti senza an- nodarli con un grande interessamento 8° imitano le forme, e non già la sostanza del tragico inglese. Sarebbe in vero un bell’imi- tarlo componerido tragedie accomodate alla nostra nazione , ai nostri tempi; ma per desio delle cose oltramontane non si dee perder di vista il carattere della nostra letteratura , la quale pro- fitti sì delle utili novità, ma non cessi dall’essere italiana, affin- chè ad altre sventure quella pur non si aggiùnga della servitù dell’ ingegno. Ma di sua bella gloria , riprese il segretario, non andrà priva la patria letteratura, perchè i molti studii sui grandi esem- plari fanno sperare che non lungamente durerà il traviamento , come non durò quello, per cui scadde il nostro gentile idioma; e quì accennando una tale vicenda si fe’ strada a parlare de’va- ri spogli fatti dagli accademici per l’ incremento del Vocabolario e a render conto delle lezioni, che furon dette sopra alcuni testi, e sopra i codici, che gli contengono. Ragionò difatti il collega Nesti in altra sua prosa degli atti apostolici traslatati da F. Dom. Cavalca, ed appianò la via per una nuova impressione di quelli. Enumerò le varie edizioni, e parlò del merito de’ codici , de’ quali gli editori si valsero. Esa- minò e corresse tutti gli esempi citati nel vocabolario ; rispetto a’ quali gran confusione era venuta per i diversi fonti, da cui eran tratti; e indotto dalla somiglianza de’ modi del pio tradut- tore , allo stesso Cavalca attribuì gli opuscoli di S. Gio. Criso- stomo pubblicati dal Rigoli, ed altri volgarizzamenti che si. rin- vengono in. un ‘codice Palatino. Anco l’ accademico Bencini fa- T. XXXVI. Novembre e Disembre. 23 178 vellò di un testo del trecento , de’ Fioretti cioè di S. Francesco dati in luce dal P. Cesari; il quale troppo francamente asserì che gli esempi, che vi si raccontano sono degni di tutta la fede, mostrando il collega da quali sorgenti bevesse il compilatore de’ fioretti medesimi, e come empiesse di favole manifestissime i suoi scritti. Accuratissima nondimeno è l’ edizione del Cesari, e per essa potè acerescer di voci sconosciute il suo vocabolario. L’ accademico Tassi da un codice, ch’ egli possiede , trasse tema per una sua lezione , che divise in due parti, nella prima noverando le varie rime di ottimi scrittori che quello contiene mostrò quali siano edite, quali nò , e nella seconda confrontò col suo codice le già pubblicate , e ne offrì utili varianti. Fra’com- ponimenti inediti più pregevoli deesi porre un sonetto di Lorenzo il Magnifico, ed un altro sonetto , e dune canzoni dell’ Ariosto. Di un trattato aritmetico del secolo XIV opera di Paolo. Drago- mari soprannominato Paolo geometra , o dell’ abbaco prese a par- lare l’ accademico Gelli. Diè in prima notizie pertinenti alla vita, e sulle traccie del P. Ximenes mostrò che il geometra , e il del- l’abbaco non sono due diversi personaggi, come per alcuno fu creduto , ma un solo, e medesimo antore. Riportando poi il som- mario posto a capo del trattato in un Codice riccardiano fe’ cono- scere tutto il proredimento dell’ opera, ei progressi che fin da quel tempo si eran fatti nell’ aritmetica, e chinse con ragionare della pura lingua; in che è scritta , e de’ vantaggi, che da essa può trarne il dizionario. Finalmente il segretario diè ragguaglio della lezione, con cui avea intertenuto i colleghi 1’ accademico Targioni. A materia scientifica essa apparteneva, e precisamente s’ aggirava sopra un codice cuutenente l’istoria delle pietre scritta nel 1597 dal P. Agostino del Riccio. Si favella in essa delle gioie e pietre preziose, celle pietre dure, e tenere che servono a _ varii usi; si dà notizia de’ luoghi, d’ onde si cavano , e di quelli, ne’ quali sono stati posti in opera , col modo di lavorarle , e com- metterle, ed incollarle. Il Targioni inoltre espose i nomi delle pietre adoperati dal Del Riccio colla mira di fare opera utile al Vocabolario , quindi confrontò il trattato del Del Riccio, con quello pubblicato dall’ avv. Fausto Corsi in Roma l’anno ante- cedente , correggendo sovente il primo, e aggiungendo molto del suo ; del che il segretario diè prova col riferire ciò che avea detto il Targioni rispetto al porfido. Questa fu 1’ ultima lezione del col- lega , poichè il 6 di maggio compì la sua carriera mortale , e il segretario perciò passò, a rammentare agli accademici i molti di lui meriti. 179 In questo giornale fu pagato a quest’ uomo sì benemerito delle scienze tributo di lode (3), e perciò non riferiremo quello che il segretario disse rispetto alle circostanze della sua vita , e alla carriera onorevole degli impieghi da lui percorsa ; solo ac- cenneremo le osservazioni , e i riflessi, co’ quali diè risalto al- 1’ elogio , che egli faceva del dotto collega. Non può , (così in- cominciava ) gloriarsi di rinomato genitore chi inerte si giaccia all’ ombra de’ lauri paterni , che anzi quanto più s? affatichi in darsene plauso , tanto più fa altrui manifesto il suo disonore ; Ottaviano però potè vantarsi figlio di Giovanni, perchè ampli ficate propagò le dottrine , che aveva egli ricevuto minori. L’in- clinazione alle scienze si fe’ tosto palese nel giovane studente o scelto da natura per quelli studii, in che essa si rivela ai sa- gaci, o spinto forse da’domestici esempi. Fattosi ricco di scientifi- che cognizioni successe al padre come professor di botanica , di agricoltura, e di materia medica, e di ognuna di queste man- dò in luce opere coronate dalla universale approvazione. Le sue lezioni d’ agricoltura difatti non consistono da una semplice, e ben ordinata collezione’ delle straniere dottrine , ma trascelto quello che era più utile, e più ‘adattato al proprio paese, lo arricchì di osservazioni del proprio ingegno , e di proprie espe- rienze, che faceano Sicuri i precetti dell’ 'appludito suo corso , il quale la teorica non menò chie la parte pratica abbracciava. Anco nella hotanica fu egli scorta non fallace , e benchè in ele- menti , può dirsi completa la istruzione che egli porgea a’ di- scepoli non meno che a’ semplici leggitori. La breve storia dei progressi della scienza , la descrizione de’ caratteri generali , e. speciali delle piante , i loro usi, 1’ esatta nomenclatura coi cor- rispondenti stranieri francesi, ed inglesi; son tutti pregi che adornano il suo libro esposto ancora colla maggior chiarezza , e abbellito da tavole da lui stesso diligentemente disegnate. La medesima diligenza ; e lo stesso sapere trovasi nel trattato di materia medica ; ove è assai da applaudire non tanto’ per la molta perizia della istoria naturale , e dell’ arte medica , ma eziandio per la copiosa , e sceltissima erudizione che’ v'è sparsa. Queste opere furono da lui scritte’ per adempire all’ ufficio suo di professore di quelle scienze , ma egli a queste sole non rimase contento‘) chè arricchì di sue utilissime memorie’ gli atti di tutte le scientifiche , e letterarie accademie alle quali ap- partenne, come ne fan fede quella dei Georgofili, quella :de’Qua» (3) Ved. Vol. XXXIV. C. p. 175. 1°0 ranta d'Italia, e la nostra della Crusca, ma troppo in largo trar- rebbe individuare tutto ciò che egli spinto dall’amore delle scien- tifiche discipline scrisse, per promuoverle , ed illustrarle. Non può tacersi però del suo dizionario de’ nomi delle piante sì atto a toglierla confusione , che la pluralità di essi avea ingenerata. Fu questo sì avidamente cercato che il dotto ‘autore. si vide tosto costrettoa darne una nuova ristampa, cui gli piacque adornare di un’appendice contenente brevi descrizioni, edi nomi di molte specie, e varietà di.agrumi, e di frutta dati dal celebre Micheli. Di questo illustre scienziato ‘aveva’ il padre, d’ Ottaviano acqui- stato i manoscritti , e l’erbario , ed altri obietti naturali , a’quali aggiugnendone molti da se. procacciati ne’ famosi suoi, viaggi venne.a formare un cospicuo museo , dal nostro accademico ere- ditato, e da esso non solo gelosamente custodito , ma anco no- tabilmente, accresciuto, ed illustrato. Avea egli a, tal uopo la disposizione , e la dottrina , ma anco pronta ed industre la mano per disegnarne gli oggetti, per costruire le macchine , per pre- parare , e riempir gli animali. .Sì copiosa collezione dovea inyi- tarlo a ben conoscere 1’ indole, e l’ azion yicendevole delle pic- cole parti, di che sno i corpi composti; ed egli difatti si fece sì valente nella chimica , che molti bramarono d’ esserne da lui istruiti. Con tanto impegno prestossi; benchè non incaricato, ai desideri di molti giovani, che la sua casa divenne scuola sì di concittadini, sì di stranieri frequentissima allorchè nella patria non era di questa. scienza pubblico insegnamento. Tante occupa- zioni non l’ impedirono dall’ esercitare. altresì la medicina , nella quale apprestando semplici.rimedii, e più coadiuvando la natura riuscì a restituire a non pochi quella salute , che indarno si spera dalle ‘cure sistematiche da lui saggiamente abborrite. Non tacque finalmente il segretario dell’ indole di lui, che fu retta, e mitissima, con cui, e coll’esteso suo sapere giovò assai a’ molti suoi allievi. Trattennesi egli sulle doti che debbono ritrovarsi in. profittevole insegnatore, e mostrò che tutte avean sede nell’ ottimo Targioni, iu ispecie 1° affetto verso i discepoli, i.quali lo. ricambiarono d’ altrettanto amore. Aggiunse esser egli stato largo d’ opera, e di consiglio a tutti quelli che davano spe- ranza. di loro stessi, e non aver egli conosciuta quella bassa in- vidia; di cui è contaminata la storia delle discipline più nobili. Chiuse, affermandolo. amatore del vero, e l’ oggetto dell’ amore di tutti, così che-morendo pose in doglia la patria, essendo per- venuto a quella fama , che mai non cercò, ma che può dirsi intera, perchè da sapienza originata , e da probità. »81 L’ influenza del Boccaccio sopra le letteratura , e 1’ eloquenza italiana fu il tema della lezione di Francesco' Poggi; .al quale l ordine del ruolo diè 1’ obbligo di pubblicamente favellare. In- fluenza cioè nel promuovere , e nell’ estendere il sapere, nell’ ac- crescer di pregi il linguaggio, e nell’introdur 1’ armonia nella prosa. Rispetto al. primo ei vi riuscì col divulgar la divina com- media ; e coll’ inculcare con ogni impegno la lettura di quel tesoro di tutto il sapere del tempo. Ed affinchè più accetta fosse la co- piosa dottrina, e perchè gli uomini più la gustassero ne scrisse la vita a togliere le sinistre impressioni contro il. poeta. venuto in odio pel parteggiar de’ cittadini. Dettò in appresso il comento , ove si unì al poeta nel deplorare i traviamenti delle passioni, e nel promuovere la morale, senza di cui invan si spera elevatezza d’ ingegno, e sublimità d’ eloquenza; sparse poi in quello util copia d’ ogni maniera d’ erudizione. Anco negli scritti minori, e giovanili si ravvisa sovente ta cura d’ammaestrare. Il Decamerone però fu l’opera che maggiormente influì sulla nostra letteratura, e sulla nostra eloquenza. Lo scopo vero difatti dell’ insigne lavoro è quello di dar piena cognizione dell’ nomo d’ ogni stato , e d’ ogni condizione, fondamento dell’arte del dire, e d’insegnare per esempi a rappresentare i caratteri e ad eccitar gli affetti del cuore. Estese inoltre il Boccaccio il sapere procacciando gran copia di classici e greci e latini, nel di cui acquisto non badò nè a spesa , nè a viaggi , e perciò si ridusse in misera fortuna. Poco avrebber giovato i greci esemplari, quando se ne fosse ignorata la lingua , ma ei trasse in Toscana con pressanti inviti il greco Leonzio , che interpretò ai Fiorentini i poemi d’ Omero, e così il Boccaccio fu prima cagione che fiorissero in Italia le lettere greche. E perchè gli studiosi non fossero impediti nella lettura de’ classici scrivea il Boccaccio de’ fiumi, e de’ monti, e la genealogia dichiarava degli Dei, penetrando nelle verità ascose sotto il velo de’ miti. Finalmente consacrava alla morale, e alla storia le ultime scin- tille del suo genio dettando l’ opera degli illustri infelici, e delle donne famose, e così terminando la vita colla gloria di avere sommamente accresciuto il nobile patrimonio delle cognizioni. Mail Boccaccio influì pure sul linguaggio con abbellirlo di vaghe forme, e con ingentilirlo di modi eleganti. Non è il novero solo delle parole che ingrandisce la lingua, ma sì 1’ uso di esse in più evidenti, e in più graziose combinazioni, come fa il pittor de’ colori. Il vincolo della sostanza sensibile , e spirituale influisce sul linguaggio, come v’influisce il clima > e l’indole degli nomini, e particolarmente contribniscono al di lui perfe- 182 zionamento: gl’ ingegni eccellenti nella cuna delle lettere d’ una nazione , perchè ha sua parte nello stile la memoria, che applica ne’ casi simiglianti i modi gustati ne’ sommi scrittori. Dante, è il Petrarca arriechirono specialmente il linguaggio poetico, e il Baccaccio assai giovò quello della prosa. Nel Decamerone difatti egli diè esempio d’ ogni sorta di stile, ei pregi tutti vi sparse che formano la bella dettatura. Dovè perciò svegliar bel desio d’ emu- lazione , e la Toscana sollecita dovè trarne profitto , come ne fan : fede gli scrittori contemporanei, e i posteri più lodati; che il confessarono candidamente , e tutti altresì in futuro ne caveranno utilità , se sapranno con savio discernimento imitarlo. Il Boccaccio finalmente introlusse nella prosa 1’ armonia, cui poco erasi innanzi al Boccaccio avvertito: e gran servigio ei rese all’ eloquenza , perocchè stretto legame è fra’ suoni, e l’im- press'eni dell’ animo. Allettato però dalla magniloquenza de’latini, e non badando a bastanza alla diversa indole del loro linguaggio ; e del proprio , applicò intero alla figlia il pregio della madre; non- dimeno fu cagione che più all’ armonia della prosa si attendesse. Avuto dunque riguardo all’iufluenza del Boccaccio sulla nostra letteratura ; ed eloquenza, sembrò al collega indizio d’ani- mo poco grato la scortese censura che fassi al. Boccaccio da varie parti d’Italia, e deplorando 1’ abuso della critica, che avvilisce indiscretamente gli antichi, invitò i giovani ad esaminar da loro stessi le opere degli scrittori ; ed inculcò di rispettare, e di stu® diare gli antichi, e i moderni , e di convertire in proprio pro- fitto il bello degli uni , e degli altri per rendersi atti a sostenere la gloria immortale degli avi. Questa lezione fu commendata per la solidità del ragiona- mento», per la copia della dottrina, e per la purezza e venustà della lingua. Riprese quindi il segretario, e disse la seconda parte del suo ragionamento , che conteneva gli elogi de’ tre accademici cor- rispondenti, che aveano morendo posta in lutto Italia tutta del Pindemonte cioè , del Cesari, e del Monti. Di tutti e tre è stato lungamente discorso in questo giornale (4), però al molto che egli disse non terremo dietro rigorosamente , ma riporteremo piut- tosto quello che fece maggiore impressione sullo spirito dei colti uditori, sebbene tutto piacerebbe ripetere , perchè tutto fu ugual- mente applaudito. Di molti beni ad Ippolito Pindemonte furon (4) Ved. Vol. XXXII. A. p. 163. — di Ipp. Pind., Vol. XXXII. C. 154. = di Ant. Cesari Vol. XXXIV. C. p. 65, e Vol. XXXV. A. pi 16. 183 larghe natura, e fortuna , perciò furon solleciti i frutti del suo poetico ingegno , ne’ quali spiegò i moti del cuore, e i pensa- menti della mente dentro i confini del giusto , e dell’ onesto giammai da lui travalicati ; i quali confini pose natura, è rin- calzò santa legge , non già ad incatenar gli atti, e il pensiero , ma sì a farne stabile, ed intera la prosperità pubblica, e la privata. A _saziar sempre più la sua viva brama di sapere rivolse l’animo alle terre straniere. Ottien solo tale intento quel viag- giatore che abbia ben conosciuto la propria nazione, e sia do- tato di aggiustatezza di mente per non lodar tutti gli usi stra- nieri, e per non adottarli tutti. Perciò il Pindemonte prima cercò tutta Italia , e della sua saviezza diè prova nel suo sermone sui viaggi, il primo per avventura tra gli altri di lui, sebbene in tutti si ammiri ugualmente e grazia , ed eleganza di stile , e gentilezza d’idee, e urbanità di sali: pregi che derivano da un’ anima placida, e soavemente ingegnosa , lo che più ancora apparisce nelle sue Prose, e poesie campestri, e nell’ Epistole in versi. Il segretario afforzò suo detto esponendo i dolci, e retti pensieri, e le vaghe, e tranquille immagini che in quei cumpo- nimenti avea lette, così che egli fu d’ avviso che si potesse de- nominare il poeta del cuore, poichè egli assai il commuove , e fa sì che il lettore più piaccia a se stesso. Altra prova di ciò noi abbiamo nell’ Arminio , tragedia no- bilissima , nella quale parve al segretario sì felice il maneggio, e il contrasto degli affetti, che fu tentato a chiamare il poeta l’ Euripide della tragedia italiana. A convalidare la sua asser- zione prese il segretario a dar sulle traccie di Tacito il carattere d’ Arminio, e concluse potersi far di lui senza offender la sto- ria un re che la patria ama, ed i suoi, e la via al trono non vuole aprirsi col sangue del popolo. Quindi sviluppò i varii caratteri de’ personaggi della tragedia, e tutta la economia del- 1° invenzione , mostrando poscia come il poeta perviene allo scio- glimento con mezzi naturali, e sempre crescenti. Tutta la tra- gedia dichiarò scritta in castigatissima lingua, e con quel dia- logo immaginoso sì conveniente ad uomini vigorosi, e d’ animo forte, e di rigidi costumi, quali sono quegli che agiscon nel dramma. I cori ancora son pieni di affetto, e di bella morale, lodevole il prologo, e conditi di dottrina, e di discernimento i tre discursi, che accompagnan l’ Arminio , ai quali i più con- “sentiranno , tranne poche opinioni, che forse da tutti non ver- ranno approvate. Sogliono gli scrittori ad aiutar lo stile , ed il gusto darsi 184 a tradur pezzi d’ autori classici, di quelli in ispecie , che più, senton prossimi alla propria natura: perciò il Pindemonte si diè a voltar in isciolti 1 Odissea , che quasi sempre procede umile e tutta natura nella narrazione di viaggi, d’ amori , e di dome- stici fatti. In ciò il Pindemonte superò non che aggiugnesse la favorevole espettazione fondata sulla di lui indole , sul valore poetico , e sulla perizia d’ ambedue le lingue , i di cui colori ravvicinò per quanto è possibile senza mai tradire il carattere del grande originale. Il di lui ingegno si parve nobile , e pronto altresì ne’ dodici elogi di letterati italiani. In essi difatti stile vi trovi netto, elegante , dignitoso , e privo affatto , in sua facon= dia, di quella pompa , onde lo scrittor trae biasimo , e in dif- fidenza è posto il lettore. Belle sono le comparazioni, opportuna, e non troppa la erudizione , e la storia degli encomiati non si scompagna dalla universale delle lettere , e delle scienze per ma- nifestar come e quanto essi progredir le facessero. Nè fu osta- colo al Pindemonte la varietà di lor discipline, chè dotato di quell’ ingegno , che i latini chiamaron versatile, se tutte non le possedè ( che impossibile è tutte possederle ) si fe d’ ognuna un retto criterio , e ne ragionò tanto sensatamente , che parve tutto il Maffei nel di lui elogio , e tutto scienziato in quei del Targa , del Torelli, e di G. B. da san Martino. Trattennesi il segretario sn quelli dello Spolverini, e del Gozzi mostrando co- me l’ encomiatore applaude all’ artificio difficile dell’ ultimo nel trattar di morale , e rispetto all’ altro riportando e dottamente comentando la saggia opinion d’Ippolito sulla natura del poema didascalico , in che s° era quegli distinto. Avanzan questi due elogi tutti gli altri per esser più adorni di pregi , a’ quali è da aggiugner la religione che ivi traluce, come in ogni altro suo scritto , sana e purissima, per cui il Pindemonte è da dirsi vero sapiente. Perciò dovè esser principio d° eternal godimento la di lui morte, affrettata per avventura dalla perdita de’ due lu- minari d’ Italia, de’ quali poscia passò a tesser l’encomio il se- gretario. Antonio Cesari, sortito dalla benigna natura chiaro intel- letto, vivace ingegno, e gentile indole, innamorò presto delle umane lettere; nè pei sacri studii, cui diè opera assidua; se ne staccò , anzi ne divenne più fervido amatore. Ebbe dai dotti, in che s’ avvenne ne’ suoi verdi anni, amichevol conforto nell’ in- trapresa carriera ; e' gli ricambiò di caldissimo affetto. Tra questi è da noverarsi Clementino Vannetti , di cui scrisse , ragionando 185 de’di lui studii, dell’ animo, e della religione; rispetto al secon- do tentata è la pazienza de’ leggitori per la narrazione di troppo minuti particolari. Laudonne altri in latino, della qual lingua era il Cesari peritissimo , come si pare da’ volgarizzamenti ch’ei fece. Quello delle Odi d’Orazio ebbe plauso da molti, alla sen- tenza de’ quali il segretario avrebbe accomodato volentieri il suo animo , se il pudore de’ minori ingegni sentisse danno nelle cose disputabili dal non esser d’accordo co’maggiori. Data dunque in ciò libertà senza biasimo convenne dell’intelligenza del testo, ma non gli parve opera di pienissima lode. Ragionando poi sag- giamente delle versioni, e mostrando che Orazio è tale poeta, che difficilmente si presta alla traduzione, disse che fu il pe- noso lavoro del Cesari fatica felicemente durata in non pochi luoghi, in altri poi gli riuscì di stemperarne la gagliardia, ed ap- parve poeta d’industria , come lo fu anco nelle rime originali di severo argomento, e non già caldo di quel sacro , ed arcano fuoco , che natura sola, e raramente dispensa, Ma lode maggiore si procacciò il Cesari con le opere di sciolta orazione , in tutte le quali, (per la più parte di tema sacro ) vi si scorge possesso grande di dottrina, vivacità di rac- conti, opportunità di morale sempre dedotta con verità ,. e con ingegno, e ovunque in ampissima copia procede la dettatura. In queste opere poi , e nelle altre di vario argomento apparisce il Cesari peritissimo di nostra favella; di ciò son prova il dialogo delle Grazie, e quelli che le bellezze riguardano della Divina Commedia. In essi difatti v° ha prinzo luogo la materia della lin- gua, ma vi si dichiarano eziandio le bellezze de’ concetti, delle invenzioni, e de” sentimenti talora in due, o poche più parole : usanza dei sommi maestri , che il bello, il qual sempre colpi- sce in un tratto , altrui pure in un tratto rilevano, e fan ma- nifesto. In altri lavori poi destava anche in altrui l’amore della nostra favella ; lo destava con ristampe accurate di ottimi scritti del trecento, e più con quella del Vocabolario della Crusca, cui pose grandissima copia d’ aggiunte, le quali debbono farne inchinevoli a perdonanza sulle omissioni, e sugli errori, di che venne rimproverato , particolarmente se si rifletta che doppio è il fine de’ dizionari, di giovare cioè a chi scrive, e di soccorrer chi legge. In esso vocabolario seguì le orme dell’Accademia, cui aderì anco nell’opinione intorno ai dialetti Italiani, come si ri- cava anco dalla dissertazione sullo stato presente della lingua italiana. Il Toscano difatti, egli dice, per sua gentilezza si spar- T. XXXVI. Novembre e Dicembre; 24 186 se per tutta Italia, ed in questo dettarono i buoni scrittori. La proprietà, il natio splendore è in tutti quelli che serisser nel trecento , e ‘i migliori del decimo sesto ebber fama di più bei dicitori quanto più ritrassero dai trecentisti. Può accrescersi però la lingua delle parole, che mancano assolutamente, ma giammai senza vero bisogno ; allora spetta solo a coloro che ne hanno il puro senso , prima a chi la succhiò col latte , e poi a chi per lungo studio ne prese pratica. Non commendò dunque il Cesari il so!o trecento, poichè difese il volgare del Davanzati, e quello de’ comici fiorentini, che dell’ attico molto ritragge, e lo adottò nella version di Terenzio. In questa non sempre le maniere s’ac+ conciano all’originale , che meglio lo renderebbero quelle della lingua parlata. Non volle egli aver cura di questa, e perciò il profondo studio non salvollo da errore nell’ uso maestro sovrano delle favelle. Di qui in tutte le sue opere , oltre a certo: studio smanioso ‘di «apparir dotto in lingua, incontri voci'e maniere an- ticate, triviali, e proprie più dello stile scherzevole, che del grave, e severo. Coll’ esempio adunque mostrò non esser vero ciò ch’ei ‘asseriva nella prefazione del Vocabolario, cioè che dalle penne de’ Toscani scorrer. possano più facilmente i bassi modi , e gl’ idiotismi, perchè usi a sentirli risuonar nella bocca della plebe. Laonde se egli peritissimo vi cadde , e non vi ca- diamo noi, nostra è dunque la lingna, e il resto d’Italia l’ado- pera sol per istudio. I falli accennati rilevava il segretario con suo: dispiacimento , giacchè racchiudendo la sua lode in un detto chiamollo ingegnoso, erudito, eloquente, infaticabile, e di somma utilità alla nostra lingua , al cui studio infiammò non solo i gio- vani, ma ‘anco gl’ ingegni i più privilegiati, fra’quali il celebre Monti; che nelie sue prolusioni ito a d'sfreno quanto a lingua, più servò regola in que'le che scrisse dappoi; e così il segreta rio si fe’ strada a ‘chiuder suo ragionamento colle lodi del fa- muso poeta. Incominciò dall’actennar la sua carriera negli studii. Apparso il Monti inetto a poetare in latino fu condannato a studii inferiori, lo che nom gli ‘abbattè I’ animo , ma anzi gli crebbe l’ardimen- to: La meditazione profonda della divina Eneide tutto l’occupò, donde trasse poi tersa frase, e vena ricchissima nelle poesie la- tine., e il primo slancio delle volgari , in cui spuntò germe si rigoglioso , che in versi ruppesi d°’ estro improvviso. Ma chiun- que in questi riesca eccellente fama sol può acquistarsi, che pia- cque al segretario assomigliare all’essenza di fiore , che sparsa , l’ aria impregna in un subito di sue sottilissime particelle. odo- En Cat ria, Sin 187 rose, e poco di poi si dilegua, e si sperde. Perciò il savio ‘mae- stro richiamava il giovane Monti dalla ‘dannosa facilità dei versi repentini alla meditazione, e alla lima degli scrittori. L’avver- timento passò in massima del docile allievo, e per essa potè co+ gliere sceltissimi allori dell’ età sua con opere insigni. Di tutte queste disse il segretario non aver tempo di favellare, ma sì de’ pregi generali promise d’intrattenersi. Ammirò in prima gran= demente quello splendore, quell’armonia ;$ quella limpidezza , quella rapidità, quella vita, che sono le doti perpetue delle poesie del. Monti, per le quali aperse una nuova via con non scarsa sua gloria. La vita è tutta. dono della natura ; gli altri pregi sono dell’arte, che egli formossi specialmente da Mantovano, e sugli altri, di cui superbiva Roma, e ne’ quali fe’ il Monti studio pertinace. Nè questi gli giovaron sol per lo stile , ma sì ancora per le cose; usando quel solo modo di sussidio che i più recenti posson trar da chi gli precedette con procacciar che i passi di loro entrino spontanei nelle muove scritture. Il Monti difatti o imiti, o quasi traduca i luoghi degli antichi, riducegli sempre a parer suoi; lo stesso si dica rispetto agli ornamenti che trae dai poeti nostri , e dagli estranei. Dà poi su= stanza ai suoi versi cogli alti sensi della Bibbia, colla storia, coll’ esperienza , colla filosofia in ogni sua diramazione, come se ne ha splendido esempio. nel Prometeo. Lodò in appresso il segretario la felicità, con cui il Monti poetò in ogni me- tro, ed in ogni genere d’ argomenti , mostrando che ovunque si raccomanda per fecondità d’ idee, per bollor di mente, e per‘ lirico genio; che dir si potrebbe la sua corda dominante. Que sti pregi rifulgono maravigliosamente nelle terze rime, in ispe- cie in quelle che cantan la morte d’ Ugo Bassville.. Non si dirà , che per quelle. parve riviver nel Monti 1’ Alighieri, nè ch’ ei ne fosse scrupolosissimo imitatore; ma piuttosto si vedrà in Dante il padre di non numerosa famiglia, e nel Monti il figlio; che più ritrae di paterne sembianze , che gli altri fratelli. Ornato egli di tanta forza poetica tentò il coturno in va- rie tragedie, fra le quali. il segretario nominò specialmente l’ Aristodemo che è rimaso al teatro, lode massima di simil genere. di componimento , poichè ciò avviene sempre quando i pregi sapravanzano i difetti. Non va esente da questi l’Ari- stodemo , ma allorchè in una tragedia è vigor di passione, effetto teatrale, copia di cose, e armonia di verso, ogni cri- tica con sue ragioni cade di causa, poichè lo spettatore più sente; che mediti, o se lo fa, poco cura i difetti, e tosto 188 e volentieri torna all’ ammirazione del genio , che seppe crear tante bellezze. Tributate le giuste lodi ai tanti versi del Monti , prote- stò il segretario di aver sempre inteso di separar dai temi la trattazione di essi; chè non pochi di quelli degni son di ripren- sione, ma tal biasimo non dee fare obliare i pregi poetici; come le nude Veneri di Tiziano non ci ritraggono dall’ ammirare il bell’artificio , con cui le condusse. Piega però ad alcuna indul- genza verso il Monti la forza delle vicende de’ tempi, e l’im- peto del suo carattere , il quale se diè origine a molte bel- lezze de’ suoi versi, produsse ancora difetti d’orditura, e di discernimento. Del resto egli stesso in età più provetta condannò i più riprensibili argomenti, e si dimostrò d’animo meglio disposto; e più tranquillo. Ne è prova l’asilo de’Braschi, da cui ebbe comin- ciamento anco la Feroniade , la quale, se venga alla luce, mo- strerà il poeta degno dell’epico serto. Ne incominciò la carriera col volgarizzamento dell’ Iliade , ma sebbene fosse salutata con plausi di vittoria olimpica ; non sembra che ponga il Monti nel primo seggio de’ traduttori , siccome le creazioni originali lui fan principe de’ poeti moderni. Tacendo di alcune voci, o maniere poco corrispondenti al decoro poetico, e del languore d° alcuni versi, è duopo convenire che non vi si vede ‘il colore omerico, ed apparisce lavoro di luce riflessa. Non così del volgarizzamento delle satire di Persio , che ben fu detto non imitazione, ma emulazione dell’antica poesia. Le note poi son da pregiare sì per le cose, che pel calore, che è il grande elemento come delle poesie , così delle altre prose del Monti. Fra queste è prima la proposta , nella quale col suo Perticari si fa sostenitore della lingua universale , ma tal proposizione ebbe convincente confu- tazione sì da nostri, che da esteri. In essa inoltre condannò i falli del Vocabolario, ma l'Accademia stessa gli avea già confessati; molti egli ne corresse, peraltro le osservazioni de’dotti mostrarono, che non pochi falsamente corresse; armò la lingua di saette licam- bee, e ruppe in motti illiberali contro la vecchia, e moderna Accademia, ma essa scrisse le ingiurie in sull’arena, e già i venti le rapiron seco , e le dispersero ; scrive però essa indelebilmente tutto quello che si trova di vero nella Proposta aggiugnendolo ai materiali da lei in gran copia adunati, lieta che la futura edizione del Vocabolario possa adornarsi delle fatiche di un uomo che tanta gloria ha recato all’ Italia. Quanti di cosiffatti , esclamò quindi il segretario, n° hai tu perduti nel volger di pochi anni Italia mia! e’ come invitò a RE SA COAT E 189 piangere sulle tombe dei grandi estinti, così confortò a non te- mere di povertà , considerando che la patria fu in ogni tempo, ed è dilettissima a sapienza. Rammmentando poscia le glorie degli avi, e sostenendo che tuttor ne'moderni si mantengono ; disse turbarsi. alquanto l’ animo in vedere il reo governo che fa di se il colosso dell’italico sapere per la discordia. Cessino, sog- giunse, sì vergognosi scandali, cessi lo smodato amore del muni- cipio, e i cultori ottimi delle scienze , delle arti, e delle lettere formin collegio, che abbia nome da Italia. Sia la critica giusta, ed urbana ; ma se questa sventuratamente si converta in mali- gna persecutrice , non lascino i buoni l’ intrapresa carriera chè il pubblico è delle opere d’ ingegno imparzialissimo giudice. L’ approvazione generale bene spesso dimostrata con sordo fremito di lode dalla sceltissima udienza si sciolse in vivissimi applausi al terminar del ragionamento, che tutti trovarono com- mendabilissimo per dirittura , e imparzialità di giudizi, caldo per tratti vivaci d’ingegno , elegante per bella dettatura , e somma- mente dignitoso per l'Accademia. ‘ presa Società FILODRAMMATICA DI FIRENZE. Che ha fatto in un anno questa Società pel suo scopo letterario? — che ha fatto per ciò che riguarda la recita- ‘zion teatrale ? Dopo quello che già si accennò di essa (nel n. 95 di questo giornale ) nessun s’aspetta d’ adire che siasi precipitata verso le novità. Essa mostrò sin da principio, e ha seguitato a mostrare in seguito una ritenutezza de- gna del più vecchio corpo accademico. Una commedia , una. farsa e un dramma tradotto, ecco le sole cose no- ve, non però composte secondo un sistema d’innovazio- ne , ch’essa ha finora posto in iscena. La commedia è quella tanto desiderata del Nota, colla quale si sarebbero , come già si disse , inaugurati volen- tieri nel settembre dell’anno scorso gli esperimenti della Società nascente. Fu invece rappresentata nell’ aprile di ‘questo , e lo fu due volte di seguito , la seconda con mag- gior applauso che la prima. Ciò indica, s' io non m’in- 190 ganno , ch’ essa ha de’ pregi intrinseci, ai quali 1’ esame è ancor più favorevole che la novità. Il titolo di Matrigna non corrisponde furse esattamente al principale carattere in essa dipinto. Meglio , a parer mio, gli corrisponderebbe quello di Co/lerica, datole, come so di certo, a principio. Un talcarattere è propriamente quello d'una donna, che nelle sue ire frequenti inquieta i figli non suoi , come inquieterebbe i suoi propri, come inquieta quasi tutte le persone che hanno relazioni con lei. Quel poco di matrignal talento, che vi si trova mescolato , è facile subordinarlo alla passion della collera, senza della quale, se intendo bene .l’.intenzion ‘dell’ autore, non dovrebbe apparire. Determinato così con maggior precisione il carattere, non rimarrebbe più dub- bio sulla scelta del titolo. E, quanto a precisione, gli altri due più importanti caratteri della commedia , quelli cioè del marito ‘e del fratello della prima moglie di que- sto., gli sono preferibili. La debulezza e la fermezza di due uomini egualmente buoni, che hanno un medesimo fine, ma l’uno de’ quali senza l’ altro mai non saprebbe conseguirlo , sono in essi assai ben contrapposte. Ma il carattere della donna, come più complicato , è più degno d'osservazione, Oltre quel poco di matrignal talento, che dissi pocanzi , vi si trova pur mescolato un. poco di ci- vetteria , effetto probabilmente del bisogno d' ottenere qualche approvazione e qualche sorriso ove, grazie a tante ile, più non apparisce che il timore o la trisiezza. Que- sto poco di civetteria fa la donna, senza ch’ ella il sap- pia, rivale della figlia non sua , obbliga l'amante di que- sta.(un giovane medico ) a singolari cautele, e gli dà nel tempo stesso i mezzi di cooperare al fine che il marito de- sidera, e il cognato del marito va preparando. Il carat- tere dell’ amante è il quarto fra i più notabili della com- media per la parte che ha nell’ azione, Ma i caratteri su- balternì de’ figli , della: direttrice d’ un collegio, del mae- stro, del balio, della cameriera non sono senza pre- gi; e alcuni servono molto bene ;a rallegrar. la .com- media, Essa è fin, verso la fine , cioè fino al quint’ arto inoltrato , un quadro di famiglia molto semplice e. molto Igr. vero. Il’ ‘canigiamento , ché la termina, è sembrato un po' troppo teatrale , cioè troppo improvviso e prodotto da cause ‘non gravi abbastanza. Come | autore, prima di produrla alla luce del pubblico , sia colla stampa sia so- vra un pubblico teatro, vorrà forse farvi de’cangiamenti, io mi sono quì astenuto dal darve il sunto , che riescirà più puovo un’ altra volta, e che d’ altronde non è necessario perchè ‘credasi che in essa pure si vede la mano ‘del maestro. - Al quadro semplice ‘e vero della commedia si aggiun- se poco tempo dopo: (nel ‘maggio ) un quadretto ‘fantasti- co ma non falso, una farsa del Berti in due atti , inti- tolata la Lettura d'una Tragedia. ll nuovo poeta fanatico in essa rappresentato ha fatto molto ridere ; gli altri per- sonaggi , la pupilla , il suo amante, gli amici di questo, la governante ec. sono, qual più, qual meno , sembrati anch’ ‘essi molto piacevoli. Taluno ha creduto di trovar nella farsa la satira del romanticismo: io non vi ho tro- vato che una beffa della scimunitaggine. Levate da essa le superflnità (e l autore pensa di farlo, ridlucendola ad na sol atto , ond’ è che -per ora ometto d°’ analizzarla ) ; pre- paratone ‘meglio lo scioglimento , onde stia almeno fra’ li-° miti del verosimile burlesco ; ritoccatone il dialogo , che vorrei così rapido , com’ è generalmente quello della Ma- trigna , e insieme così proprio , come ‘può renderlo chi è quì nato e quì scrive, la farsa riuscirà, non ne dubito , uno scherzo graditissimo. Dopo la Matrigna del Nota si bramava , e da taluno anche si sperava, di poter mettere in iscena il suo Tasso, altra composizione inedita , di cui aveva in Firenze fatto lettura agli amici. Si pensò quindi che sarebbe secondo lo scopo della Società il far precedere , per ragion di con- fronto , i tre Zassi più vecchi, del Goldoni, del Goéthe e del Duval , il secondo de’ quali già da un pezzo tradot- to, e il terzo preso allora a tradursi da un giovane Di- lettante. Mancando in seguito la speranza d’ aver così pre- sto «il nuovo Tasso italiano, .trovandosi inservibile. la traduzione deli Tasso tedesco ,. e già avendosi in. pronto "1 92 il francese . tradotto con molta cura, si aderì volentieri a chi propose d' esporre frattanto questo solo ad un esperi- mento. Pochi de’soci possono dire se ne fosse degno o non degno , essendo già cominciata , quando si rappresentò , la stagione deila villeggiatura. Molti, udendo che fu da- gli spe atori altamente disapprovato , lo credono senz’al- tro. una gran scioccheria. Alcuni anche s’ imaginano in esso una composizione di gusto romantico , il che vuol dire secondo loro di gusto pazzo. Noi ne daremo . quì l’analisi qual pressapoco fu data subito dopo la prima re- cita (v. Rivista Encielopedica , dicembre 1826 ) da un celebre sostenitore della scuola che dicesi classica; indi aggiugneremo qualche osservazione. Il Tasso è alla. corte di Ferrara, innamorato della sorella d’Alfonso , anch’ essa, senza quasi avvedersene, in- namorata di lui, — Eleonora (atto primo) ha sentito par- lare di nun so quali protette del poeta, che abitano una casetta di campagna al di là d’ un boschetto. Punta da curiosità e da gelosia va una mattina di buon’ ora a pas- seggiare con una dama sua confidente in quel boschetto, ove spera di fare qualche scoperta. Le si presenta una fanciulletta, di nome Fiorella, che interrogata le narra aver. un giorno il poeta salvato la vita alla sua povera madre , vedova d’ un militare morto in battaglia , e quin- di prestati sempre a lei e alla figlia i più delicati soccorsi. Fra poco sopraggiunge il poeta, solito cercare nel boschetto le ispirazioni dell’ ingegno. Quindi un colloquio fra lui e la principessa, il colloquio dell’ amor. misterioso, Ei le re- cita le famose ottave, in cui l’ha ritratta sotto il nome di Sofronia. Ella riconoscente si trae di dito un anello, che il poeta riceve con trasporto,, imprimendo baci sulla mano della donatrice. Un cortigiano malevolo , il principe di Belmonte,, che ha seguito i passi d’ ambidue ,, è te- stimonio invisibile della scena , e.giura di trarne parti» to. — Di ritorno alla corte (atto secondo ) ei narra al go» vernatore, buon uomo, quel che ha veduto, e affettando di scherzarne , lo induce a dirlo ad Alfonso. Ma questi, già informatone dalla sorella, non si mostra punto contento 193 d’ udirlo da altri. Frattanto gli giunge un messaggio del duca di Mantova , con lettere per la sorella , da lui chie- stagli in isposa. Ei commette al Tasso di presentargliele ed esortarla a non valersi della promessa già fattale di lasciarla arbitra della sua mano. Il Tasso vorrebbe scu- sarseue ma non gli riesce. La principessa , nell’ ascol- tarlo, si lascia quasi sfuggire il segreto del proprio cuo- re. Incerta del partito che deve prendere , prega il poe- ta di venirla a vedere nelle sue stanze particolari, con- ducendo seco. Fiorella, a cui ella pure ha promesso fa- vore. — Vedendosi ormai vicini ad una separazione ( atto terzo ) il poeta e la principessa sono estremamente com- mossi, Rammemorano i primi momenti in cui si sono co- nosciuti, la nuova esistenza che allora cominciò per es- si, ec. L'uno parla con più impeto, l’altra con più ri- servatezza. Ma questa alfine è vinta dall’ affanno, e il segreto del cuore si fa manifesto. Mentre il Tasso si ab- bandona alla gioia , ecco entrar d’ improvviso Belmonte. Accusato , com' ei dice , di parole offensive per la princi- pessa, viene a scolparsi. La principessa irritata del modo poco rispettoso con cui s' è introdotto , e de’ sarcasmi che lancia contro il poeta , si ritira con Fiorella, dicendo al secondo d’ aspettarla , e facendo intendere all’ altro che esca. Egli invece si trattiene , e provoca in diversi modi il poeta, che più non potendo soffrire mette mano alla spada. In questo punto entra il Governatore, che, allegan- do gli statuti di corte, gliela chiede e gl’intima l’arresto. Il poeta è men che docile; ma Eleonora si presenta , ed ottien da lui facilmente che ceda, aspettando intanto il ri- torno d’Alfonso. — Il Tasso imprigionato ( atto quarto ‘è in preda a’ più tristi presentimenti. Rammenta. essergli stato predetto nella sua prima giovinezza, che non esci» rebbe d'una carcere che per entrar nel sepolcro. Ei passa quindi in una seconda stanza (giacchè la sua carcere ne ha più d’una) onde scrivere ad Eleonora. Fiorella , che ha voluto esser imprigionata con lui, si diverte frattanto nella prima a ripetere il cominciamento del suo puema. T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 25 194 Appena ha proferiti alcuni versi , ode il. carceriere pro- nunciar entrando i due seguenti. Egli viene ad annunciar la visita di due ‘sighore , alle quali, così per affetto che anch’egli porta al poeta, come per altri motivi non sa ne- gare l'ingresso, Fiorella riconosce con sorpresa nell’ una la principessa, nell’altra la dama sua amica . La princi. pessa teme che il Tasso abbia dato sinistra interpretazione al suo consiglio di cedere al Goyernatore. Vien quindi a rassicurarlo e a dirgli ch’ella, anzichè alle nozze col du- ca di Mantova , si dispone a passare in un religioso ritiro, il Tasso non mette più limiti all’ espression del dolore e della passione ; ed ella alfine gli giura la sua fede, e pro- inette di seguirlo ovunque gli piaccia di condurla. Odesi intanto la voce del Governatore , ond’ ella si ritira nella stanza più riposta ove sono l’amica sua e Fiorella. Il Go- vernatore, che da persone adunate alla porta della carcere, e indettate da Belmonte, il qual sopravviene , ha udito nov so che della visita della principessa, vuol entrarvi, per poter, com’ ei dice , attestare il contrario. Ma il Tasso gli si oppone, e, poichè vuol usare la forza, lo minaccia del suo pugnale. In quest’ istante entra Alfonso , ode di che si tratta, loda il Tasso per quel che ha fatto ,, mostra a Belmonte d’ essere mal contento di lui, ta uscir seco il Governatore , chiama la sorella non men sgraziata (sue parole ) che imprudente, e rimandatala alle sue. stanze avvisa il poeta che si prepari a partir per Roma., ove gli son destinati insigni onori. — Eleonora (atto quinto) seduta nella sala , ove fra poco , per volere d’Alfonso, dovranno sti- pularsi le sue nozze col duca di Mantova, del quale è giunto un rappresentante, parla alla dama sua amica della promessa fatta al Tasso. Alfonso , nel sopravvenire, l’intende, e la costringe, minacciandola del più gran sdegno contro il poeta, a scrivergli , com’ ei le detta, d’allontanarsi: al più tosto. Quest’ ordine d’Eleonora, presentato al poeta , (lo turba a segno , che si teme della sua ragione e della sua vita. Eleonora , malgrado. le cautele dell’ amica , sa ciò da Fio- rella, e n'è desolatissima, Quand’ecco apparir quasi larva il poeta medesimo. Ei non riconosce Eleonora, mon rico- x 199 nosce a prima giunta alcuno. Il sno aspetto , le sue parole movono a pietà fin l’ animo, irritato d’ Alfonso. Frattanto sono introdotti gl’ inviati, che debbono presentargli la co- rona, di cui sarà cinto in Campidoglio. All’ udir parlare di corona ei si ravviva un istante, pensando nel suo de- lirio che sia tale da avvicinarlo al. grado d’ Eleonora . Vedutala , grida dolorosamente : non è che d’ alloro! pur cingetemela , che Alfonso potrà forse rimanerne in- gannato. Ma un sudor freddo già gli scorre le mem- bra; guarda e alfin riconosce Eleonora ;. chiede di strin- gerne la destra; e pronunciando il suo nome vien meno fra le braccia d’ uno degl’ inviati di Roma. Dramma più romanzesco , più contrario al titolo di storico datogli dall’ autore, non è facile imaginarlo. Ciò che sappiamo degli amori del Tasso vi è interamente tra- visato, Eleonora così riservata, così melanconica vi fa la fisura di una folle. Gli anacronismi , le inverosimiglianze, vi sono accumulate, come in un dramma storico non è da sopportarsi. Pure il dramma non è senza verità , non è senza no- tabili bellezze. Il carattere del Tasso vi è sicuramente rap- presentato qual noi amiamo figurarcelo. L’usanza de’tempi, gl’inviti lusinghieri, ec. hanno condotto il poeta alla corte. Ma egli vi si trova solitario , come in paese non suo; e da ciò trae maggior forza la sua passione. ‘° Un.solo cuore, un solo cuore, egli dice, or non rammenio dove, trovai qui capace d’intendermi , affatto simile al mio, ec, ,, Tal so- miglianza agguaglia a’suoi occhi ogni disuguaglianza che altri potessero vedere fia lui ed Eleonora, ‘ Or bene, ei le dice nella prigione , datemi la vostra mano... po- netela su questo cuore... non temete d’avvilirvi,.. è nobile anch’ esso. ,, Quindi ei mon.si stima nè può sti- marsi inferiore ad alcuno de’cortigiani, fastosi de’loro titoli o della lor ricchezza. Fa veramente pietà 1’ udirlo nella commedia; in cui lo ha posto il Goldoni, allorchè Don Gherardo gli dice con ingenua insolenza : ‘ una mentita a me, vi corre un bel divario ,,, rispondere umilmente : « perdonate il trasporto , lo so, fui temerario , ec. ,, Nel 196 dramma di Duval ei tiene il linguaggio che conviene alla sua dignità ; e basti ricordar qu la scena in cui sfida Bel- monte , egregia imitazione d’altra del dramma di Goéthe, ch'io non dubito di chiamare primo fra i ritrattisti del nostro poeta. L’illustre alemanno volle, com’è noto, far contra- stare nel suo dramima l'indipendenza d’un grande ingegno colle abitudini ‘servili degli ambiziosi di corte. Duval fece altrettanto, e con intenzione, s' io non m’inganno, più drammatica della sua. Qualche cosa di simile avrebbe per avventura voluto fare anche il Goldoni, ‘* Libero a tutti io parlo se so d’aver ragione, dice nella sua commedia il poeta, “ non porterei rispetto in tal caso al padrone. ,, Se non che avendo un padrone , dichiarandosi all’ altrni servigio , egli più non può aspirare al vanto dell’ indipendenza. ‘ Io quì non son nalla, ei dice presso Duval; però non son lo schiavo di nessuno ,,; e a queste parole è conforme la sna condotta. Quindi se la condotta d’ Eleonora a sno riguardo è falsa storicamente, non è inverisimile poeticamente. Con - vengo volentieri coll’autore d’ un eccellente articolo inse- rito nel Globo sul principio del 1827, che la storia del Tasso e d’ Eleonora poteva somministrare a Duval bellezze poetiche troppo superiori a quelle del romanzo in cui l’ha travolta. Convengo che Duval nel presentarci la sua Eleo- nora fu assai meno delicato o assai meno avveduto di Goethe, Nondimeno ei fu delicato e avveduto abbastanza , quando le pose a fianco un Tasso, qual Goéthe medesimo già l’aveva ideato. Tra gli altri caratteri, che ci si presentano nel suo dramma, si distingue certamente quello d’Alfonso, non con- formissimo forse in ogni particolare a ciò che dice la storia, ma pur modello di politica e di convenienza non punto romanzesca. Il carattere di Belmonte non è senza pregio, è almeno più degno d’ esser contrapposto a quello del Tasso che il carattere di Don Gherardo del Goldoni ; è più italiano, se non più originale o più vero, che quello dell’ Antonio di Goéthe. Si può disputare se il carattere 197 del Governatore , di cui (per rispetto forse a chi, rappre- sentandosi il Carmagnola , rise del Torello e del Pergola ) si tacque sulle scene della Filodrammatica il cognome di Pazzini, dovesse darsi ad un vecchio militare. Ma esso è riuscito così più singolare e più ameno , e contiene d° al- tronde qualche cosa di lusinghiero per la professione del- l’armi, che in tutti i tempi fu professione di franchezza e di lealtà. Il carattere di Fiorella fu da chi scrisse l’ ar- ticolo del Globo tacciato di falsa ingenuità. E la taccia, per vero dire, non è del tutto ingiusta, Nella traduzione però , ove tanti discorsi si sono abbreviati, tante espres- sioni rese più esatte e più naturali , questo ‘carattere qual- che cosa ha guadagnato, e parmi bene che valga quello d’una cameriera innamoracchiata, la qual dice al Tasso le gentilezze ( crepa , schiatta, ec. ) co lesgonsi nella com- media del Goldoni. Ove Fiorella riesce più amabile è certamente nel boschetto. Ivi aggiunge , se così posso esprimermi, un°ar- monia di più all’ altre di cui la natura sembra voler ral- legrare l’animo candido del poeta. E nel boschetto sta- rebbe pur benissimo Eleonora , se ve 1’ avesse condotta il caso o una dolce malinconia ; ciò che sarebbe più con- forme alla storia. Nondimeno il colloquio , ch'ella vi ha col poeta, è una delle più belle scene che possano. im- maginarsi. Le altre degne d’ esser citate , oltre la bellissi- ma' che già si disse della disfida, sono quelle in cui il poe- ta è pregato da Alfonso di presentare alla principessa la lettera del duca di Mantova ed esortarla ad accoglierne i voti, quella in cui eseguisce la penosa commissione , e quella sì patetica e sì viva che può chiamarsi della di- chiarazione. Non però mancano bellezze in altre scene an- che mal ideate o male introdotte. Al che se aggiungasi certa gradazione e accrescimento continuo d’ interesse , certa vernice non meno varif che risplendente , di cui Duval meglio d’ ogn’ altro, per testimonianza dell' autore stesso dell’ articolo del Gloho, sa ricoprire un disegno drammatico, non fa meraviglia 1’ applauso, con cui il 198 suo dramma fu accolto in Parigi, e di cui è parlato nella Rivista Enciclopedica. Ben può far meraviglia la tanta disapprovazione con cui fu ricevuto in Firenze, quantunque, come si accennò, mi- gliorato dalla traduzione. La sera della sua rappresentanza, il teatro della Filodrammatica ‘0 era pieno di romantici, nimicissimi del dramma romanzesco , massime quando ci è dato sotto il titolo di storico ; o lo era almeno d’ uomini di rigido gusto, che mai non applaudirouo ad alcuno di tanti drammi originali e tradotti, a fronte de’ quali il nostro e per invenzione e per stile potrebbe dirsi incolpa- bile. Ove si rigetti quest’ ipotesi, bisognerà accettare le spiegazioni , che i raccoglitori d’ aneddoti hanno offerte , e ch'io non accenneiò, poichè la Filodrammatica ama dimenticarle, Così potesse dimenticare il nuovo timore , che l’ esito infelice del dramma sembra averle ispirato per ogni espe- rimento di produzioni un po’insolite! Simili esperimenti non possone farsi senza qualche rischio , e pel bene dell’ arte bisogna saperlo incontrare. È raro peraltro che un podi corag- gio non vinca le contrarietà. La prima rappresentanza fatta pocanzi a ,Parigi dell’ Otello di Shakespeare , tradotto da De Vigny, fu tempestosissima. La seconda fu tranquillissi- ma , e forse gustata da molti di quelli che si credettero obbligati in coscienza a disturbare la prima. Così avven- ne quì l’anno scorso al teatro Goldoni , quando si rap- presentò il Carmagnola del Manzoni. Così probabilmente sarebbe avvenuto quest’anno, se si fosse rappresentato l’A- delchi o qualche cosa de’ tragici esteri, che sono andati per altre vie che quelle dell’ Alfieri. A spiegare la tran- quillità della seconda rappresentanza dell’ Otello, qual- che giornale ha detto che ne furuno stralciate pru- dentemente molte cose che offendevano il gusto e rallen- tavan di troppo l’azione, Simili stralci si fanno da un pezzo anche in Inghilterra , e tanto più eran necessarii in Fran- cia, volendo piacere alla moltitudine. In un teatro speri- mentale , come quello della nostra Filodrammatica , do- Ic vrebbero essere men necessarii; ma pure non Pg di- sapprovarli. L’ anno scorso io proposi anzi che si. rappre- sentassero atti e scene separate, a cui potesse accomodarsi a prima giunta il gusto di tutti. Quest’idea, aggradita da al- cuni, fu molto disappruvata da altri. Pur veggo che un’idea simile è stata quest’ anno felicemente eseguita a Vienna pel giorno onomastico di Goéthe , in cui si sono rappre- sentate molte scene del suo Fausto. A Weimar il dì seguen- te è stato rappresentato il Fausto medesimo ridotto alle sue parti più importanti da Tieck, non senza l’ approvazione dell’illustre autore. Simili riduzioni potrebbero tanto più opportcnamente adottarsi pel teatro della Filodrammatica , se alcuni atti o scene separate ne avessero destato il deside- rio. Quelli, ch'io vorrei che ne fossero eternamente esclusi, sono certi adattamenti ( mutazioni, sostituzioni , ec. ) quali un inglese, di cui non rammento il nome , se li è permessi riguardo alle composizioni di Shakespeare. Tali ‘adattamenti poi mi parrebbero un vero sacrilegio, trat- tandosi di greche tragedie. Poichè , sebbene io pure. sia dell’ opinione di Martinez de la Rosa , che, dando ultima» mente in spagnolo 1’ Edipo di Sofocle, ha detto, che nes- suna greca tragedia può esser posta tal quale sul teatro moderno ; credo che il possa e il debba sopra un teatro sperimentale, non più moderno propiamente che antico, ove ; a giudicare dello stato presente dell’ arte, importa di contemplarla nella sua bellezza primitiva. Ma la Società Filodrammatica , pur troppo, è ancor lungi del poter dare quegli esperimenti , che a principio si era proposti, non limitati, cioè, nè da epoche, nè da abitudini ordinati in modo che ne risultino de’ corsi annui di letteratura teatrale. Appena si cominciava a con- cepirne qualche speranza, le sono, e senza sua colpa, man- cati parecchi attori, che a tal uopo le eran necessari. Questa parte della sua storia d’ un anno è sì spiacevole a ricordarsi, ch'iv non l’avrei quì toccata , se non vi fossi stato costretto dalla necessità. In essa è la principal giusti- ficazione del non aver mai posto in iscena l’Adelchi in qual- 200 che modo promesso, anzi di non aver rappresentato che una sola tragedia , il Saul dell’ Alfieri, In questa rappresentanza figurarono sicuramente de’buo- ni attori. Chi sostenne la parte del protagonista fu nobile, bastantemente animato, e ne’ momenti più difficili toccò più d’una. volta il segno dell’ imitazione propostasi. Chi sostenne la parte di David , sebben oggi più adattato a quella del protagonista (l’ha sostenuta difatti assai bene in altro teatro particolare) giustificò abbastanza la propria scelta. Chi sostenne la parte di Gionata, sebben forse più adattato a parti più severe, diede anch'egli assai buon saggio di se. Chi sostenne la parte d'’Achimelech , sebben non se ne mostrasse molto investito, lasciò introvedere un’ abilità , che potrebbe riuscir non comune. Quella donna gentile, finalmente, che sostenne la parte di Micol, diede prova di moltissimo sentimento, A questi attori, volendosi rappresentare nuove tragedie, potevano aggiungersene alcuni altri di molta speranza, e tra essi un colto giovane, che già ‘aveva sostenuto la. parte di David non meno bene, che il suo men giovane antagonista sostenesse nella medesima oc- casione quella del Saul. Cionondimeno , tutto considerato , la Società pensò di doversi per qualche tempo limitare alle rappresentanze comiche , alle quali non ne frammise che una sola di genere medio, quella del dramma già detto. La disapprovazione, con cui questo fu ricevuto , ri- cadde sui poveri attori , che ne furono veramente scorag- giati. Appena la donna gentile, che già si disse, e che nella parte d’ Eleonora diede prova novella di quel merito che la distingue, ebbe qualche. segno speciale di gradi- mento. Il colto giovane, che pur si disse , e che sostenne la parte del Tasso, da lui, a dir vero, cangiata un poco in quella d’un Werter, ebbe piuttosto segni di malevolenza. Quindi alcune scene, che alle prove {dico ciò francamente poichè ne ho più testimonii) gli erano riuscite assai bene, alla recita gli riuscirono infelicemente. Una però gli riuscì fe- licissima, e fu quella della disfida, nella quale chi sostenne la parte di Belmonte meritava al par di lui d’essere applau- 201 dita. Ma era deciso che nè essi, nè chi sostenne la parte del Governatore, sebben con molta piacevolezza , nè quel- la fanciulla bravissima che sostenne la parte di Fiorella, avessero nulla di ciò che meritavano , o scemassero meno- mamente il malcontento degli spettatori, che coglievano ogni occasione di manifestarlo, Quindi fu gran prodigio che il quint' atto, pericolosissimo anche per attori consumati e incoraggiati, riuscisse come riuscì , ed ottenesse in hine alcani applausi. Questi invece furono vivi e molti al rappresentarsi di comiche produzioni. Ma furon pur molti i progressi, che i Dilettanti Filodrammatici fecero i in tal genere di rappre- sentanze ; giudice un’insignemaestra dell’arte, che assi- stendo ad una di esse compiacquesi di notarli. Io non dirò quì i nomi e le doti rispettive di ciascuno di que’ Dilet. tanti, officio che da qualche tempo sembra essersi assunto il Giornale di Commercio. Dirò soltanto dell’ impressione lasciata da alcuni di essi, onde si argomenti quello che può sperarne la Società. La donna gentile , che già lodai, apparve a tutti gentilissima nella parte di Donna Flori- da del Cavalier di Spirito, e sarebbe anche apparsa più vivace se la sua voce avesse potuto bastare all’ ampiezza. del teatro Alfieri, ove la Società ha dati alcuni spettacoli estivi. Quella vivacissima, che sostenne le parti della Matrigna, della Bejart nel Molière, ec. ec., parve mirabile, specialmente pel contrapposto , nelle due parti di Placida nella Pupilla, e di Donna Petronilla nella Sposa Sagace. Quell’ingenua graziosa, che si distinse nella parte d’Isabella nel Molière, di Caterina nella Pupilla e in altre, parve giunta molto innanzi in quella di Sposa Sagace, Quella, che nelle parti di Lisetta e compagne è un modello invidiabile di na- turalezza e spontaneità, in quella di Foresta del Molière accennò di voler pur riuscire nn modello di destrezza e di spirito. Quegli, che nella replica dell’Apatista sostenne con garbo e intelligenza non comune la parte di Don Paolino, nella rappresentanza della Pupilla quella di Don Ferrante,ec. manifestò, sostenendo quella di Germeil nell’Ora di matri- T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 26 202 monio, la sua speciale attitudine per fe parti che diconsi brillanti. Chi nella Pupilla già detta sostenne le parti di Pamfilo parve nato veramente per le parti leggiere e di brio. Chi nel Progettista sostenne quella di Valerio po- trebbe, al rinforzarsi della sua voce, sembrar fatto per le parti più affettuose. Chi nel Molière sostenne quella di Conte Lasca mostrò vena comica indubitabile. Chi nel Molière medesimo sostenne quella di Leandro mostrò lo stesso fuoco e la stessa franchezza , che già aveva mostrata altra volta nel medico Olandese sostenendo quella del Mar- chese di Croccante. Chi nella Matrigna sostenne la parte di Venanzio diede prova di lungo esercizio anzi di possesso vero dell’arte. Chi nella Scozzese sostenne sì bene la parte di Friport; nella Lettura d’ una tragedia quella di poeta fanatico, ec. ec., toccò spesso la perfezione nel Don Poli- carpio della Sposa Sagace. Chi sostenne or le parti del- l’ Apatista , or del Mokière, or dell’ Avaro nella farsa di questo nome, or di Quaglia nella Pupilla, or di Saint-Ange nell’Ora di matrimonio, mostrò in esse una pieghevolezza e una capacità , di cui non è a temersi che l’ abuso. Voglia egli, consultando sempre le sue più particolari disposizioni, cercando sempre il vero ( nulla di meno e nulla di più che il vero ) meritar sempre la lode che sentii dargli da un uomo di gusto squisito al vederlo sostenere la parte del- l’ Avaro : vi va drento , non vi gira intorno! Gli altri attori, generalmente parlando , secondarono abbastanza bene i primi, onde a lor pure è dovuto il buon esito delle diverse rappresentanze. Più cose, nol dissimu- liamo , ci furon lasciate desiderare or dagli uni or dagli altri anche di que’ primi, e specialmente un maggiore ac- cordo e un dialogar più simile a quello del mondo reale. Intanto non è piccol vanto per essi l’avere per ben quattro volte in questi ultimi mesi, colla rappresentanza cioè del Molière, della Pupilla , della Sposa Sagace , e dell’ Ora di matrimonio, potuto sostenere un glorioso confronto con due delle più celebri compagnie d’ Italia, Non debbo tacere che al buon esito delle rappresen- tanze già dette contribuirono sempre la molta decenza , e 205 spesso pure la buona osservanza del costume nella deco- razione e negli abiti. Sgraziatamente la sera, in cui la Società fece a quest’ uopo maggior spesa , la rappresentanza rinscì infelicissima. Quella sera però, se la decorazione meritava applauso , gli abiti non la meritavano ugualmente, poichè mancavan d’ accordo. La sera della Pupilla e del Molière la scelta degli abiti fu lodatissima ; e piace no- tarlo, poichè ciò non accade spessv in nessun teatro. I fo- gli di Francia notavano anch’essi come cosa rara la buona scelta degli abiti fatta a Parigi per la rappresentanza del Tartuffo il 15 gennajo, natalizio del principe della moder- na commedia. E poichè di nuovo mi accade parlare del dì natalizio d’uno de’ gran maestri dell’ arte , festeggiato colla rappre- sentanza d’uno de’ suoi più insigni lavori, mi sia lecito esprimere qui il desiderio che la Società Filodrammatica adotti l’ uso di simili feste. Esse potrebbero servirle d’ap- plaudita occasione per quegli esperimenti , a cui credesse men preparato il gusto del pubblico. Potrebbero almeno servirle per ora a promovere l’ emulazione degli italiani viventi, e a prepararle di lontano il piacere d’ inalzare essa pure qualche imagine onorata , come hanno fatto di recente all’autore dell’Aristodemo i Filodrammatici di Mi- lano, degni a troppi riguardi della sua attenzione, Dissi l’anno scorso come ad alcune delle prime rap- presentanze della Società accrebbe ornamento un corpo di Filarmonici unito alla Società medesima. A legarsi più specialmente con esso, la Società aggiunse alle sue note deputazioni una quarta, composta de’principali fra que’Fi- larmonici. Esso nondimeno , dopo qualche tempo , se ne divise, e alle sonate d’ Haendel e d’ Haydn successe , come cosa di regalo , negli intermezzi delle sue rappresentanze il walser colla frusta. Io sono ben contento di questo wal- ser, che mette in singolar movimento i più graziosi capi femminini. Ma anche le sonate, ch'esegniva il corpo de Fi- larmonici mi erano molto care, come pegno specialmente di ciò che potrebbe fare in futuro. La mancanza d’un tal corpo sarà più che mai dispiacevole se la Società , dopo 20 | un second’ anno di preparazione , potrà finalmente diri. gersi verso il doppio suo scopo scenico e letterario. I nuovi acquisti ch’ ella va facendo d’ abili Dilettanti; i nuovi esercizi accademici cominciati sin dal principio di novembre ; giusta la promessa fattane nel rendimento di conti pubblicato in settembre, sembrano dargliene nuova speranza. Questi esercizi, dovuti finora all’impegno di pochi Dilettanti, hanno già prodotto qualche buon frutto ; e meri- tano d’essere incoraggiati. Il far ciò appartiene esclusivamen- te ai membri componenti la Società, Al pubblico si appar- terrebbe d’incoraggire la Società medesima, giacchè torne- rebbe a gran profitto dell’arte, cioè a grande accrescimento del piacere di tutti, s’ essa mai giugnesse allo scopo pro- postosi. Essa intanto non dimentichi (mi giova ripeterlo anche quest'anno) il motto familiare ma sapiente, che leg- gesi nell’ emblema degli Arrischiati sopra le porte del teatio da essa prescelto pe’ suni ordinari esperimenti. M. Iustrazione d’una Stele Greca del R. Museo Egizio di Torino, di Amepro Pryrow Socio della R. Accademia delle Scienze ec. Torino 1829 in 4.°, inserita nel volume xxx1v non ancora pub- blicato delle Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. La Stele, che il ch. autore prende ad i'lustrare è divi- sa in tre parti. La prima rappresenta quinci Amone , che riceve un’obblazione da un personaggio, il quale probabilmente è Ce- sarione ; e quindi il Dio Mandu, a cui una offerta è pur fatta da una donna, che può essere Cleopatra. Fra questi due com- partimenti sta intermedia una leggenda geroglifica, che per es- sere piena di vani titoli nulla giova alla storia. La seconda parte ci offre in dodici linee una iscrizione demotica rovinata per mu- do , che neppure una sola parola non si pnò più raccapezzare. Essa affatto corrispondeva all’ iscrizione greca di linee 32, che è contenuta nella terza parte della Stele ; ma la rotta pietra , e le onte del tempo non permettono più di leggere intera la greca scrittura sfregiata da frequenti lacune al principio , al fine , alla 205 metà d’ ogni linea. Tuttavia volendune dare una traduzione , in cui con probabili conghietture sieno riuniti gli interrotti incisi, il senso viene ad essere il seguente : « Regnando Cleopatra Dea Filopatore, e Tolomeo, detto »,» anche Cesare, Dio Filopatore Filometore , nell’ anno N. addì 3» N. del mese Artemesio , e N. del mese Famenot, i sacerdoti 3» di Diospoli la grande ministri del Dio massimo Amonrasonter , » gli Anziani, e gli altri tutti così decretarono. Siccome Calli- 3, maco cugino del re, prefetto e sopraintendente delle entrate » di Peri-Tebe, ginnasiarco , e capitano di cavalleria sì per lo s» innanzi, e sì nelle ora scorse difficili e varie circostanze della ») Città seppe e nelle cose concernenti a’ massimi e patrii dei, », ed in quelle ragguardanti il popolo tutto governarla in modo, »» che le fece godere felicità , e segnatamente ad essa provvide », nel tempo della carestia. Tmperocchè mentre tutti smarritisi »» d’ animo quasi invocavano la morte, egli implorando il soc- 3» corso del massimo Dio Amonrasonter, e solo con animo gene- 3) Toso sopportando tutto il peso di tanta sciagura splendè come 3) lucido astro, e come un buon Genio , e consecrò la sua vita », a pro degli abitanti di Peri-Tebe , e salvando tutti colle lor > donne e colla prole trasse il Nomo dalle avverse tempeste a >» tranquilli porti. Ma prima e massima sua lode si è, che si »» prese religiosa e civile cura di quanto apparteneva al culto degli 3, Dei, siccome già fatto aveva il padre del padre di Callimaco cu- »» gino del re, e suo Epistolografo , e santamente restituì le feste so dei borghi, e le Panegirie. Per le quali cose tutte colla Buona »» fortuna decretarono , che Callimaco venga salutato Salvatore » della città ; tal suo titolo sia nel giorno suo natalizio procla- >) mato negli insigni luoghi del tempio del massimo Dio Amòn- », rasonter ; i sacerdoti gli facciano costrurre una statua di dura > pietra ; il giorno natalizio sia Eponimo ; ed in esso si sacrifichi » agli Dei patrii, e si portino corone ; questo decreto sia in- »; scritto sopra una Stele di pietra con caratteri Greci e Demo- 3, tici, e venga collocato nel basamento dello stesso tempio, af- », finchè eterna sia la memoria della sua heneficenza ,,. Tal è il volgarizzamento delle greche frasi, che 1’ autore potè leggere nella guasta Stele. Questo è il primo monumento , che ci insegni i soprannomi dell’ ultima Cleopatra, e del suo figlio Cesarione. Filopatore la prima si nominava riconoscente al padre , da cui ricevette il re- gno ; il secondo dicevasi Filopatore Filometore ., ed il figlio di Cesare aveva ben donde essere grato alla madre sposa infedele, 206 e regina omicida dei mariti. Una lacuna ci invidiò la data del- l’anno; ma siccome il figlio già regnava colla madre , però questa iscrizione non può essere anteriore all’ anno 12 0 13 di Cleo- patra , che era il 3, od il 4 di Cesarione. Per la stessa lacuna mancano le date del mese Macedone Artemisio, e dell’ Egiziano Famenot, che allora si riscontravano ; se queste. fossero a noi. pervenute, si sarebbe potuta definive la celebre controversia del-. l’anno Macedone , paragonando questo passo cronologico con quello della lapide di Rosetta, duve dice addì 4 del mese di Sandico, ossia addì 18 Mechir. Il Dio invocato è detto Amonrasonter già noto da un Papiro del Grey. Tal vocabolo riscontrato colle sigle Demotiche , che lo rappresentano , viene a notare Amon Sole creatore degli Dei; vale a dire sco radice presso che antiquata Cofta dinoia generare, produrre, creare; e ter, che in Cofto significherebbe ogni tutto, valeva nell’ antico Egiziano Dio. Affine gli è il nome proprio Petemnesto ; giacchè questo appellativo d’ uomo sta. scritto in Demotico colle sigle pet, amn, sco, to, che si spiegano il di- voto di Amone creatore del mondo. Così conosciamo due. titoli del massimo Dio , 1’ uno Amorrasonter Dio patrono di Tebe , a cui era sacro 1l principal tempio di quella città, era addetto il primario collegio di Sacerdoti, erano indiritte preci da tutti gli egiziani; l’ altro Amonsoto , ossia Amone creatore del mondo , titolo che gli doveva pur essere familiare, giacchè serviva come parte componente nomi appellativi. Per essere questi due titoli volgari massimamente in Tebe ciascuno di leggieri conghiettura, che tratto tratto leggere si dovevano sulle varie Stele suppliche- voli, od onorarie , poste nel tempio d’ Amone di quella metro- poli; eppure nè sulle Stele, nè sui Papiri, nè su altri monu- menti di Tebe non si troverebbero mai questi due nomi d’Amo- ne,.se uno ciecamente ‘seguisse il sistema geroglifico del ch. Champollion. In molte leggende vide egli tali segni, che ebbe a leggere Amon ra neb nenute, Amon neb to, e spiegò Amon $0- leil Seigneur des Dieur , Amon Seigneur du monde ; ma infatti niuna ragione filologica , niun fatto egli non addusse mai , che dimostrasse doversi il carattere T interpretare neb, ossia si gnore , il solo contesto lo guidò ad assegnargli tal significato. Dovechè se noi condotti dall’ analogia della corrispondente sigla Demotica , e dalla sua figura a modo di utero, che in egiziano si dice sco, prendiamo questo geroglifico per la radice sco, che vale generare , creare , noi avremo ad ogni tratto su moltissimi monumenti di Tebe i due nomi Amonrasonter , ed Amonsoto , e 207 cesserà l’assurdo , che in Tebe sacra al Dio massimo Amonrasonter non esista una lapide sola, in cui tal titolo si legga. Inoltre il Cham- pollion rettamente ravvisò i caratteri simbolici, che segnano gli Dei, ma lesse col vocabolo Cofto nenute che significa appunto gli Dei. Bensì il dialetto Cofto dee essere affine alla lingua egiziana dei tempi de’ Tolomei, ed anche de’ Faraoni; ma fralle muta- zioni prodotte dalle varie circostanze fa d’ uopo collocare come non ultima quella cagionata dalla introduzione della religione cristiana. Questa siccome abolì la scrittura geroglifica e ieratica, perchè piena di simboli e figure suggerite dall’ idolatria , così dee eziandio avere antiquati parecchi vocaboli, la cni forza eti- mologica svelava un origine di superstizione. Tanto accadde alla voce fer, che il Peyron fu il primo ad interpretarla Dio. Essa suol notare ogni, tutto; un’ aura di Spinozismo riprovato dalla Cristiana Chiesa si associava a questo nome di Dio, e fu anti- quato , quindi i cristiani meglio amarono di chiamarlo mute. Tralascio altre notizie archeologiche sparse per entro a que- sta illustrazione per parlare di alcune conseguenze, che dall’os- servazione sin quì riferita si possono dedurre. L’emendazione dal Peyron proposta ci dee fare avvertiti, che se le basi del sistema del dotto francese sono certe , si può tuttavia dubitare di alcuni parti- colari stati dal medesimo dichiarati per via di sole conghietture. Il monumento di Rosetta , siccome trilingue, è il solo , che ci possa con certezza spiegare i varii caratteri geroglifici , epperò fa d’ uopo raffrontarne il testo colla greca versione. E siccome manca il principio, e le ultime linee sono le sole, che sieno giunte a noi intere, dall’ estremo carattere dell’ ultima linea do- vrà il filologo cominciarne la interpretazione, persuaso, ‘che quegli ultimi segni concordano colle ultime frasi della greca iscrizione. Così risalendo, e giovandosi dei caratteri figurativi, facili a riconoscersi, sparsi quà e là, come di punti fissi, ri- stringerà fra un certo numero di segni le corrispondenti idee della greca traduzione. Divisa per tal modo l’ iscrizione gerogli- fica in vari membri, piglierà partitamente ad esaminare i carat- teri di ciascun membro ; e la loro dichiarazione otterrà il grado di certezza , ovvero di maggiore o di minore probabilità, secon- dochè il medesimo segno ricorrendo più o meno sovente, la d:ta spiegazione più o meno soddisfa ai vari luoghi paralleli ; ovvero non trovandosi che una sola volta in tutto il testo geroglifico , la sua interpretazione è necessariamente richiesta dal contesto certissimo ; fuori di questi casi la spiegazione d’ un carattere è appena una semplice conghiettura. Farà ancora d’ uopo di gio- 208 varsi d Orapolline , di altri scrittori antichi, e dei rari monu- menti bilingui di poche linee sinora scoperti, per tacere d’altre avvertenze. Chi pubblichi una tal analisi dell’ iscrizione di Ro- setta, dà un sistema geroglifico evidentemente fondato sul fatto, che facilmente si raccomanderà all’ approvazione dei critici, per- chè tosto vi scorgeranno quanto di certo, di più o meno proba- bile , e di congetturale in esso si contenga. Ma noi stiamo an- cora aspettando un tal lavoro. Bensì il Seyffarth si argomentò di far 1’ analisi della parte Demotica, supponendo, che i varii segni fossero fonetici, e corrispondessero all’alfabeto dei dialetti Semitici, onde egli ridusse tal iscrizione ad una serie di voca- boli, che disse essere puri e pretti egiziani, epperò affini alla lingua Cofta. Tuttavia siccome chiunque sia mezzanamente dotto nel Cofto sovente non trova, che quei vocaboli abbiano affinità alcuna nè colle radici, né colle forme grammaticali, nè coll’in- dole della lingua Cofta, perciò questa, a parer mio , è la più vittoriosa confutazione del sistema del dotto tedesco. Egli tra- duce , dirò così, i segni demotici nelle varie lettere dell’alfabeto Semitico , raccozzando queste lettere forma vocaboli, afferma che ciascun vocabolo è egiziano ed assai sovente Cofto ; ma per lo più la voce da lui detta Cofta non lo è, e quella chiamata egiziana non mostra alcuna affinità coll’ indole ben nota del Cofto, dunque egli sbagliò. Dalle cose sinora discorse fassi chiaro, che chiunque voglia indentrarsi ne’ misteri delle scritture egiziane dee aver piena conoscenza della lingua Cofta. Imperocchè sebbene la lingua egiziana col progresso del tempo abbia sofferte mutazioni, tut- tavia le origini primitive, le radici , 1’ indole della grammatica, ed anche il vezzo proprio delle sue forme non si è potuto tal- mente cangiare, che niuna affinità più passi tra l’Egiziano ed il Cofto. Massimamente perchè le invasioni straniere nè furono fre- quenti , nè di vincitori, che parlassero lingue simili all’ egiziana, e perchè ancora quel popolo ritenentissimo degli antichi instituti a mala pena si tramescolava cogli estranei, onde variarsi. Il dialetto ebraico di certi antichissimi frammenti registrati nel Genesi è egli difforme da quello usato da Malachia ? E pongasi pure dopo i tem- pi dei Seleucidi e dei Romani degenerato nel Caldeo di Onkelos , forse che questo abbondevolmente non basta per interpretare i pri- mi capi del Genesi, o la parlata di Lamech alle sue mogli ? E per arrecare un recente esempio, il C. Castiglioni nella sua Ulphilae Got- hica versio Epistolae D. Pauli ad Corinthios Secundae cun mirabi- erudizione e critica illustrò la lingua gotica col confronto delle PI affini voci conservatesi nei varii dialetti del Settentrione; mo- strando così quanto i dialetti dei secoli posteriori conferiscano ad illustrare l’ antica lingua madre. E per non dipartirsi dalla lingna egiziana posso accertare , che le voci cavallo , fratello, vino luna, ala , dardo, vacca, nome, latte, che si leggono nei testi geroglifici sono scritte come appunto nel Cofto. La religione bensì produsse cangiamenti, il che. fu più sopra accennato dal Peyron, ma non dobbiamo pertanto disperare affatto , siccome fa il Klaproth , di nulla più poter raccapezzare della lingua sa- cra egiziana. Un uomo purificato dall’ acqua è senza dubbio il carattere simbolico d’ un sacerdote, ed ueed purificato passivo di uaab purificare conservossi aricora nel Cofto come titolo dei sacerdoti cristiani; tal vocabolo , che offriva una giusta idea, e non già idolatrica , del sacerdozio fu conservato 5, ma furono ri- pudiati quegli altri che notavano i vari gradi sacerdotali, epperò questi rimarranno veri enimmi. Se pertanto il Cofto è necessario per intendere le scritture egiziane, dobbiamo saper grado al Pey- ron, il quale in questa illustrazione ci annunzia , ch’ egli sta compilando un ricco lessico Cofto dei tre dialetti, in cui ogni voce è richiamata alla prima sua radice, e le primitive origini reggono al variar dei tempi. Tal lavoro ingràtissimo , e serio, per avventura non si riscontra colla qualità della letteratura , che in oggi si professa amena ; facile , e soave; ma fondamento d’ ogni letteratura fu e sarà sempre un. copioso lessico ed una aceurata grammatica. * » Wien°s erste aufgehobene tirkische Belagerung etc. Il primo assedio di Vienna tolto da’ Turchi ; del Cavalier Giv- seppe DE Haumer. 8.° Pest, 1829, presso Adolfo Hartlebent. Vienna fu, come tutti sanno , assediata due volte da’ Tur- chi ; nel 1599, cioè , da Solimano II° in persona, e nel 1683 da Mustafà Visire di Maometto IV.° Tutti sanno eziandio che an- dò a vuoto l’ impresa ottomana e nell’ una e nell’ altra. Or in memoria d’amendue questi grandi eventi e scampati perigli suol celebrarsi in quella metropoli una solennità secolare . Nel 1783 fu festeggiata la prima centenaria del secondo assedio ; ed allusi- vamente all’ occasione vi fu un tale signor Gottofredo Uhlich , T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 27 210 Sacerdote delle scuole pie e professor d’ istoria nel Collegio di Lovanio , il quale scrisse la narrazione d’amendue gli assedi. Il dì 14 d’ ottobre PP poi vide la terza commemorazione fe- stiva di quello patito nel 1529 ; ed il celebre orientalista signor de Hammer volle, anche occasionalmente a siffatto anniversario , scrivere 1’ opuscolo enunciato. Dice egli che fu indotto a scriverlo essendochè il lavoro di Uhlich , rig compilato con ogni studio e diligenza ; è però incompleto pe’ molti documenti e nazionali ed esteri che mancavano all’autore , documenti ago negli archivi imperiali o avuti da quelli di Costantinopoli ne’ 40 anni posteriori. E noi gli crediamo con pienissima persuasione. L'età nostra: supplisce alla sua sterilità in creazioni ed invenzioni con 1)’ andar infati» cabilmente spigolarido tutte le infime minuzie istoriche o critiche de? sì creatori ed inventivi tempi precorsi. Oltraciò aveva il sig. de Hammer, assai più che non potesse avere il prof. Uhlich; ampissima mole di notizie raccolte per iscrivere la sua Istoria dell’ Impero Ottomano ; opera che ora si va volgendo nel nostro bell’ idioma dal signor Romanini in Venezia (1) ; e di cui speriamo che l’An- tologia parlerà , per bocca di un nostro collaboratore studiosis- simo del tema if discorsò. È stile d’ogni autore che egli commendi l'argomento del- l’opera sua, ‘ondè cattivargli la benevolenza e 1’ attenzione di chi legge. Scrittori ed oratori sono in ciò uniformi ; il loro esor dio quasi non è che l’ elogio sia della bellezza sia della impor- tanza del subietto. E pare che un tale artifizio sia istintivo nell’ uomo , tostochè vedesi, ove più ove meno ma sempre, ado- prato , da’ più sublimi poeti epici , che non entrano in materia senza pria magnificar l’azione , fino alle vecchiarelle del villaggio quando narrano i conti di spettri e di streghe tanto cari co- munque sì pa ‘a’ fanciulli. Il sig. de Hammer, istorico anche esso, doveva fare, orlafatti fece, come tutti gli altri storici. Dice egli che de’due turcheschi assedi il secondo è pressochè un nulla a petto del primo. Quì in- comincia la mostra critica; con la quale; nonchè offendere , av- visiamo anzi di onorar l’ autore , tenendo noi per verissimo quel detto del Gran Federico (2), che quest’ arte è una lima solo pel ferro buono. Rispettiamo inoltre le opinioni di chiunque; e (1) Si pubblica pei torchi dell’Antonelli. hi (2) La lime de la critique né s'attache qu'aux bons owvrages. Réflexions sur Charles XII. 211 molto più quelle di un nomo dotto come il signor, de Hammer: ma conserviamo le nostre, finchè le altrui non ne ;disingannino. Il sig. de Hammer dunque dà al Solimano assediator di Vienna nell’anno 1529,.il titolo di I.° Ma nella enumerazione degli, impe- ratori ottomani era; esso vl II.° di tal nome ; poichè; il primo Solimano, si trova essere il successore di Baiuzette il fulmine nel 1402. Ciò però non molto , anzi nulla , monta; e probabil- mente, così l’ enumerò incominciando .i titoli numerali de’ Sultani dalla presa di Costantinopoli. Tornando ora al suo asserto circa l’ assai. maggior momento del primo assedio sul secondo, nol documenta con argomenti dedotti dalle. condizioni de’ tempi e de’ potentati, ossia con le ra- gioni delle cose ,, bensì. con lo strepitoso suono di taluni nomi e personaggi di quell’ età. Solimano , dice.egli, il grande, il potente , il pomposo , il legislatore, il secondo Salomone, il mag- giore imperante non solo fra gli Osmanici, ma ancora fra’ suoi coetanet Carlo V.°., Francesco I.°, Enrico VIII, Leone X.", Ismail di Persia, Gritti Doge di Venezia ; maggiore in potenza magnanimità carattere prudenza civile valore ed altre virtù mi- litari, venne alla.testa del suo esercito ec. ec. Noi'conveniamo col nostro autore circa la superiorità morale politica e. guerriera di quel Sultano sovra tutti i predetti personaggi. Ma oltrechè non voleasi grande sforzo, di ingegno e d’ animo. per. esser loro superiore ; avvisiamo che nella critica istorica su’ grandi eventi, vnolsi poco badare alle persone ; e molto alle cose. Gli nomini passano , non altro lasciando di loro che un vacuo suono alle maledizioni o laudi de’ posteri. Ma le cose , ossien le opere , re- stano , e son quasi eterne , ne’ loro buoni o tristi effetti almeno se. non in loro stesse. Indi sulla: sentenza del nostro autore di- remo che amendue quegli assedi ne paiono fotmidabilmente mo- mentosi , stantechè sì nell’ uno come nell’ altro.; ove Vienna fosse caduta, tutte le provincie del Danubio superiore avrebbero al pari patito il ferro il fuoco e il giogo mortalissimo de’ mus- sulmani. Inoltreremo anche più addentro lo sguardo critico. su’ due eventi. E non temerem di dire che il gran pericolo corso nel 1683 ne pare più formidabile di quello nel 1529. Nel 1683 1° Europa | era estenuata ed esangue dalla lunga ferocissima guerra de’trenta | anni, cui quasi immediatamente successero ed unironsi ad este- nuarla più travagliosamente le prime guerre di Luigi XIV. Ma nel 1529 l’ Europa era nella piena gagliardia del risorgimento. V° era oltraciò maggior ferocia e fede indegnosa ne? popoli della 212 cristianità contro ‘alle genti islamitiche ; fede e sdegno che esalta gli uomini e li fa eroi contro ad inimici di religione diversa. In- fatti quaranta anni innanzi , nel 1480 cioè , i Napoletani, ab- benchè sì ‘tiranneggiati da Ferrante , espugnarono ua e ripresero. Otranto dalle mani de’ Turchi. Vero è che nel 17.° secolo v’eran forse Più capitani insigni di ciò che ve ne fossero nel 16.° ; es- sendochè la feroce e lunga lotta de’3o anni per le libertà germa- niche‘, ed aveva formati molti egregi uomini di guerra , ed avea ‘cominciato a sviluppare i buoni principii dell’ arte bellica in grande. Pur ciò poco rileva , e il bellum bellare docet ‘è assioma quanto l’altro di simil conio. La guerra avrebbe prodotto i Duci; dî che è larga pruova la Francia nelle sue tremende mutazioni ultime quando chiese capitani a’ suoi gregari, e da’gregari ebbe tanti esimii capitani. Oseremo ancora internar divantaggio lo sguardo scrutatore. Senza dubbio Vienna fu in quell’ anno un gran baluardo ; contro il quale si franse 1 impeto de | torrente esterminatore ; ed ove fosse caduta sarebbersi oltremodo estesi que’ massacri ed eccidi che eran le tracce della ferità turca dalla Vallachia all’Austria. Ma non perciò o iniamo come il ‘nostro autore , che con Vienna sarebbe perita la cristianità ossia la nuova civiltà. Stimiamo anzi che il gran periglio a quella espugnazione, avrebbe potuto unire in comune tutti i potentati europei ad un ultima ed uti- lissima crociata. Non ci dissimuliamo che gli Ottomani erano allora nel fiore della giovinezza e gagliardia loro. Ma. quando Europa intera vuole, non v’ è forza che vaglia contro essa. I Barbari eterni (3) foran stati forse rincacciati tre. secoli prima nel loro natio e naturale oriente ; al quale immenso vantaggio sarebbesi probabilmente cumulato 1’ altro di evitar due somme calamità europee: La riunione di tutti gli Europei contro un grave periglio e min ferino inimico comune, avrebbe forse 0 spenti o intiepiditi i fieri scismi sì larghi di sangue di discordie e di de- litti; niuno negando che i più fieri inimici si riconciliano e col- legano quando son minacciati amendue da potente inimico. E con siffatto probabile beneficio sarebbesi al certo ‘ottenuto il. bene immenso ; che il proiettativo impulso e sdegno de’ popoli contro Costantinopoli avrebbe o stornato o tolto Carlo V.° dall’ esizia- lissima sua opera di non mai aver requie finchè non spegnesse ogni ultima reliquia di istituti generosi. i (3) Così diciamo perchè i Turchi sono stati due volte in contatto con la civiltà { con 1’ Araba e con 1’ Europea ) senza mai incivilirsi. 213 Diciamo infine tutto il vero anche a rischio d’ esser troppo acerbi o andaci. Quale mai stima potevano i maomettani avere de’ principi e popoli cristiani all’ udirsi chiamati in alleanza pria da tutta la cristianità contro Venezia; e quindi da Francesco I.® contro l’ Imperatore ? I Turchi vedeansi accarezzati dagli Europei; vedean questi sì discordi scissi e in guerra chiamarli in aiuto contro a’ loro fratelli in Cristo. Indi dispregio delle azioni, poco conto delle forze, e perciò certezza di trionfo in tali anarchie europee. L’istoria, severa giudicatrice, non può nè dee tacerlo. Se Vienna peria, e con essa veniva a perire, come dice il siga de Ham- mer, tutta la cristianità, la colpa non era del fato ma bensì degli uomini , e non già de’ popoli sivvero de’ principi. Ciò non av- venne comurique tutto si facesse perchè avvenisse ; e se ‘due volte Vienna fu salva da terribilissimo stremo ; non deve un tanto beneficio nè a sè stessa, nè a suoi, sivvero ad un Bavaro e ad un Polacco. K Il nostro istorico dunque descrive con ogni particolarità tutte le gesta di quell’impresa dalla mossa di Solimano da Costanti nopoli il maggio 1529 fino al 14 ottobre dell’ istesso anno; giorno in cui gli Ottomani sciolsero l'assedio dopo il fallito assalto ultimo e ferocissimo , riprendendo la via della loro capitale. Con par- ticolarità non minori descrive benanche il giubilo le feste le lu- minarie ‘e le solennità religiose che celebraronsi.il 15 ottobre in gioia e rendimento di grazie per lo scampato esizio e per la ritirata di un nemico sì periglioso. Al cui proposito moi diremo che le due secolari festività viennesi sono anniversari trionfali non già de’ Cesari Ferdinando I° e Leopoldo I.°, bensì di Fi- lippo il Palatino e del Sobieski. ‘|. Seguono al racconto istorico trenta documenti italiani ale- manni e turchi; da’quali ricavò il diligente e indefesso autore tutte!le. notizie correlative sì all’ assedio comei all’ incursione ed alla ritirata degli Ottomani. A. provar la. quale infaticabile di- ligenza basterà dire che il sig. de Hammer pose anche fra’ docu- menti suddetti il disegno del suggello di Ibraim Gran Visir e Seraschiere di Solimano II.° . Dopo aver resa la debita giustizia alla sostanza vorremmo anche poterla rendere'alla forma. Ma non siamo tanto esperti in tedesco da opinarci giudici competenti dello stile del nostro autore. Non vogliamo d’altronde imitar gli oltramontani, i quali sentenziano a scranna anche in fatto di lingua sulle cose italia- ne! Sol diremo (e ciò che diremo: sarà sfavorevole. più a noi forse che ad altrui) che mentre leggiamo intendevolmente 'Wie- 214 land Gothe Schiller Meissner ec. ec. sentimmo nel. leggere l’opu- scolo del sig. de Hammer quell’istesso bisogno di studio e costruzio ne sentito sulle opere di Nìebuhr e di Hoerder. Indi nonchè mo destia” è dovere di astenerci da ogni mingis e da ogni critica. 19 Pa * > vii DA Ucber einige byzantinische ete. Di alcuni bizantini Compendii di gius del IX e X secolo. Dissertazione di Carto Wirre pran fessor di leggi in Breslavia. Bonn presso Thormann pag. 75,,8.° I tanti greco-bizantini gfrtopendii del Diritto, dei prot; al- cuni vennero stampati verso .la metà del.XVi secolo .principal- mente per cura del Liwenklau , perderono quasi.ogni; conside- razione posciachè i Basilici vennero alla conoscenza dei culti Le- gisti: e a torto ; poichè ‘in que’Compendii.e non già nei Basilici e Scolii per imperiale autorità condotti, potea formarsi una giu» sta idea della capacità dei Bizantini Giureconsulti. Ma negli ul- timi tempi.i cultori della civile giurisprudenza e segnatamente i celebri Reitz, Zepernick, Haubold , Biener, ed Heimbach, massime per avere (laddove mancavano i. Basilici ) una orien=. tale testimonianza della vera o più piena lezione delle collezioni giustinianee; si voltarono di nuovo a detti compendii e special mente a quelli pubblicati per comando degl’ imperatori Basilioe Leone. Sennonchè i varii Mss. dove si giacciono,:tanto fra loro: sono diversi nel titolo, nelle prefazioni, nel numero .e nel con- tenuto dei paragrafi che ‘di due de’ medesimi compendii quello che il Reitz, l Haubold:e il Biener tennero ‘per ‘opere di Basi lio , dal Zepernick; dal Pohl e dall’ Heimbach venne giudicato di Leone; e l’altro, che i primi stimavan’opera di Leone, gli ul+ timi lo ascrissero a Basilio. Alla opinione di questi ultimi essen- dosi accostato il sig. Witte în quel suo opuscolo ‘intorno aloti- tolo De div. Reg. jur. Ant. ( Leg. 86 p. 13) del quale già ren- demmo conto nell’Antologia n.° 75 ne venne un commercio epi- stolare tra esso e il sig. prof. Biener di Berlino, nel quale cia- scheduno difese ‘la propria opinione circa 1° autore di que’ due compendii; e mon rimase persuaso , secondo il solito, dalle ra- gioni dell’ altro: onde l’unico buon frutto di tal commereio fu che venisse nell’ animo del sig. prof. Witte di ‘comunicare al pubblico per mezzo’ di una dissertazione non solo le ragioni della 219 sua opinione quanto all’ autore de’ due compendii;, ma eziandio altri suoi ‘particolari pensieri intorno alla storia e contenuto dei medesimi; non:che di un terzo compendio da molti citato e co- nosciuto , ma da nissuno»mai accuratamente descritto. | Tre dunque sono i compendii di gins dei quali il nostro professore tratta nella sua dissertazione. Il primo è quello per la più parte pubblicato dal Leunclavio nel suo Jus Graeco Ro- manum ( Edit. Freher. Francof. 1596) T. I. pag. 79-130. Il secondo è l’ altro di cui parlarono il Mai (Catalogo della Bi- bliot. Uffenbachiana pag. 5a1) il Masurio (presso Puttmann Mem. Mascov. pag 87 et seg. ) e il Reitzio (nella edizione. del- 1’ Armenopulo in Meermanns Thes. T. VIII pag. X.) Il terzo è quello parimenti inedito che da tutti viene assegnato a Basilio nell’ ultimo anno del suo regno. Al ptimo' poi dà nome di Eclo- ga ; all’;altro di Prochiron, al terzo di Epanagoge ( non senza in ciò .seguitare il titolo della più parte dei Mss. opportunamente citati) ond’evitare ogni confusione in ragionar dei medesimi. As- sai ne duole che l’indole del nostro giornale non ci permetta esten- derci a dare minuto conto delle tante cose discorse dal prof. Wit- te, le quali potrebbero tornare unicamente in prò di quei pochi che si dilettano nella istoria letteraria*della greco-romana giuri- sprudenza. Pure a questi pochi vogliam dire in brevi parole co- me con quella semplicità che è ottima garante del vero, l’Ecloga, giusta l’ inscrizione di un Mss. del Sambuco riferito dal Leun- clario ( T. II. pag. 73) si conferma pubblicata nel mese di Mar- zo dell’anno 876 , quando Basilio , Costantino e Leone insiem governavano l’impero d’Oriente. L’Epanugoge poi, dietro i nomi imperiali dell’inscrizione Basilio, Leone ed Alessandro (1), si ri- pone fra gli anni 879 e 886, ne’ quali congiuntamente regna- rono i tre Augusti. E finalmente il Prochiron , negata fede per la sua intima inconvenienza e improbabilità all’ inscrizione che assegnandolo agl’ imperatori Leone e Costantino verrebbe a col- locarlo fra gli anni gro e 912, si reputa verosimilmente uscito (1) L’ Iscrizione che all’ Epanagoge trovasi in due Mss. della Vaticana è la seguente: JIpolpuoy Tijs ETavaywyis TOÙ vopov civ Oed cuPave otÉpov, Utd BaoiAetov xuù Aéo.Tos, nai 'AA:b4vdpou, tv Tavrayàduy, na cipyvorosiv Pactdéwy : cod. 181 in Zannetti Biblioth. graeca p. 104, e n.° 55 6. 223 apud Asse- manni p. 576. 216 in Ince intorno all’ anno gro , poco dopo pubblicati i Basilici. Il giovamento che la scienza può ricavare dai tre compendii è, meno per l’istoria letteraria, assai piccolo. Sennonchè per la isto- ria dei Dogmi è 1’ Ecloga rilevantissima come fonte onde si de- riva la conoscenza del dritto stabilito dalla consuetudine e dalle novelle oggi perdute costituzioni promulgate fra gl’ imperatori Giustiniano e Basilio. Per la critica poi de’ libri di Giustiniano. sono tutti i detti tre compendii, e massime l’Epanagoge, a dop- pio riguardo importantissimi; e per rettificare le bene spesso er- roneamente impresse greche versioni, e per talvolta riempirle. Diremo infine che il sig. prof. Witte , pubblicando per la pri- ma volta l’ ampolloso Proemio dell’ Epanagoge, e per la prima volta dando un minuto conto delle cose che si racchiudono nella medesima e in parecchi altri Mss. inediti si è renduto beneme- ritissimo d’ ogmi cultore della. greco-romana giurisprudenza. Avv. P. CAPEI. OSSERVAZIONI | METEOROLOGICHE \FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205. . «NOVEMBRE 1829. — e VENEZIANA Ì = Termom..| > = > È 0 fr ICE | 3| Ora 3 Seed Bela z 4 Stato del cielo È a MRI TE dor Joh 84] d Jug ton O I Men |: | 7 mat. |27. 9,5 | 98 | 8,8| 90 IScir. |Nuvolo Cal a ij 1|mezzog. |27. 99 I 10,0 10,9 | 70 Os. Sc.'Ser. nuv. Venti c gi ‘(t'*sera [27. It,I I 9,3 6,0 | 55 IScir. . Sereno Ventic, 7 mat. |28. 0,9 {| 8,9 | 3,1 | 97 ero gereno Ventic. | 2! mezzog. {28. 1,6{ 9,0 | 8,1| 47 . Li.|gereno Calma ri sera |28. 2,0 1 8, 4,8 | 72 è. gereno Ventic. | 7 mat. |28. 2,4 | 8,0 | 2,5 89° |Scir. |Sereno Ventic. | 3| mezzog. [28. 3,6 | 8,0 | 7,7 | 75 Scir. |Ser. con calig. . Calma | {xt sera [28. 3,6 1 8,0 : 6,2 | 94 Os. Sc. Navolo Veutic. ì | 7 mat. (28. 3;5/8,0 | 5,0] 92 | Sc. Le.|Ser. neb. Calma | 4| mezzog. |28. 3;6 | 8,4 {10,7 | 77 Ponen. |Ser. nuv. Ventic. ir sera |28. 36 8,5 | go | 93 Lib. ‘Nuv. neb. Ventic. 7 mat. 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Zi] Bh, Sc. Le.! Nuvolo Ventic- Il sera |27. 4,0 10,0 Lev. {|Nuvolo Vento eine e i n mat. |27. 5,2 | 10,9 | 97 | 0,15: 'Seir i Navolo Calma 25|mezzog. lar. ‘ 5,9 9;) | 96 i 0,39 Soir, ‘Pioggia Calma 1» sera 27. 11,6 | 6,8: L08 20 ' 0,03 Scir, Nuvolo Calma 7 mat. |28. 0,5 cu {Scir. |Nuv, ser. Calma f,26|mezzog. |28. 1,0 Scir. |Nuv. veb. Calma 11 sera |28. 1,1 a pe 9 Ù, Scir. |Ser. neb. Ventie. 7 mat. |28. 1,1 76 c Scir. |Nuvolo Ventie. 27 mezzog. |28. 1,2 | 7,9 |9 9,9 Sc. Le.(Nuvolo Ventic ‘rt sera |28. 0,9 | 9,0 e Scir: |Nuvolo Calma 951 IScin [Nuvolo Calma 7 mat. |27. 11,1 5 6 | 0,15|Po Li.| Pioggia Calma |28 mezzog. |27. 10,2 | & ; 5 | 0,35|0Os. Sc.|Piovoso Ventic. 11 sera |27. 10,3 9 0,85 Ostro |Covolo Calma | 7 mat. |27. 8,2 708. Ostro |Nuvoto Calma '29 mezzog. [27. ”i : 97 | 0,05|Ostro |Piovoso Calma 1t sera (27. 96 i DICO 7 Tram. |Nuvolo Vento 7 mat. |27. € Li di 95 | 0,06| Tram. Pioggia Vento 30 mezzog. |27. € 87 | 0,02 Tr. Gr. Nuvolo Ventic. { It sera |27. € Tram. : Navolo Vento » rapiti resta iaia — SIATE SR Poi ANTOLOGIA ,.__—_r—=__—_=«“*000===—__—_- Dicembre 1829. N.° 408. rt" ——_____ RIVISTA LETTERARIA. Vocazorario Universare peLLA Lincua Irarrana. Napoli, Tra- mater, e C. 1829 , volume p.° fascicolo p.° in 4.° stragrande. Fia il primo e il secondo fascicolo (non ancor pervenutoci ma già pubblicato ) di questo nuovo Vocabolario, la società com- pilatrice ha mandato fuori un annunzio, in cui sono compen- diate le cose dette nella prefazione al Vocabolario medesimo , onde mostrare in che si distingue da tutti gli altri. Ciò stesso vo- lendo noi mostrare a’ nostri lettori, i quali, dopo il programma di tale opera inserito nel Bullettino Bibliografico del n.° 104 del nostro giornale , e alcuni cenni dati intorno ad essa nel n.° 105 in un secondo articolo sugli Atti dell’ Accademia della Crusca, debbon essere desiderosi di nuovi ragguagli, recherem quì i prin- cipali paragrafi di quell’ annunzio. « Benchè non sia scarso il numero de’ Dizionari generali della lingua italiana, e la Crusca sola abbia ottenuto già dieci edizioni; pure nessuno vorrà negare , che , differendo ognun 2 d’ essi dagli altri, manchi quel solo , il quale i pregi di tutti in se restringa ed acchiuda. A ciò pertauto mirarono i Compilatori Napoletani. Il requisito fondamentale del loro Lessico s’ è ap- punto di riunire in uno quanto si trova in quelli dell’ Alberti , del Cesari, del Costa, del Cardinali, del Bazzarini, del Nesi, del Vanzon, dello Zanobetti, del Federici e del Carrer; quanto. raccolsero già ovvero notarono il Bergantini, il Cinonio , il Muzzi, . il Bernardoni, il Monti, il Parenti, il Pezzana , l’Ambrosoli. Se non che , sembrando a parecchi esser da ogni esotica pianta adug- giata quella che nel toscano terreno educarono gli Accademici della Crusca , fu a questo eziandio provveduto. Prendendo i Com- pilatori a base del lavoro la Crusca del Pitteri , che pose a luogo le giunte della ristampa di Napoli, gli articoli tolti da essa non portano segno veruno , mentre agli altri è accodata la sigla del- l’autore da cui furono cavati. E se alcuna cosa in quelli fu aggiunta o cangiata , la chiusero entro parentesi ; talchè sol tra- sandandu siffatte addizioni, si riavrebbe pressapoco la settima impression della Crusca. Dicemmo pressapoco , poichè gli sbagli manifesti, che in quella il Monti o altri avvertì , furun corretti, molti esempi di errata lezione emendati , e le significanze diverse di una stessa voce in altro ordine disposte. Quindi è che il tra- slato quì non usurpa il luogo del proprio natural significato ; nè va ne’ verbi misto e confuso ;l sentimento attivo ed il neutro assoluto ed il neutro passivo ; ma da uno di questi sensi all’ al- tro si passa ; dal semplice al metaforico , dalle cose meramente di lingua alle cose di scienza, e stanvo riuniti e distinti i modi proverbiali. « Di varia indole poi sono le giunte alla Crusca che in que- © quelle che vi fece I’ Alberti così nel Dizionario Italiano-Francese come nell’ Enci- clopedico 5 2.° quelle che nell’impression di Verona radunò il Cesari, e sien pure voci disusate e rugginose , quantunque le st'undecima sua edizione si troveranno: T. trascurassero in buon dato gli editori Bolognesi e Padovani; 3.9 quelle di che alla loro industria siamo obbligati; 4.° quelle che si leggono nell’ Ortografia di Venezia , ancorchè vocaboli d’uso o di regola nè avvalorati da alcuna citazione ; 5.° quelle. che nella Proposta del Monti e nell’ Appendice alla Proposta si leg- gono ; 6.° quelle che dall’ insigne libro del Cinonio sulle Par- ticelle son tratte ; 7.° quelle che 1 Ortografia del Facciolati , i due Dizionari di Livorno , l'Ortologico del Nesi, il Portatile del Cardinali somministrano ; 8.° quelle che da’ nostri inediti spogli sono acquistate ora per la prima volta al tesoro delle favella , 3 classiche voci o locuzioni che sommano a più di tremila ; 9-° quelle estratte da autori non del trecento ma citati dall’ Accademia, specialmente il Salvini; 10.0 i nomi propri , co’loro accrescitivi, diminutivi, vezzeggiativi e peggiorativi , la denominazione latina, l'origine e il significato loro ; 11.° i nomi storici e mitologici , seguiti da brevissime dichiarazioni ; 12.° i nomi geografici colle varianti e un cenno dichiarativo; 13.° i vocaboli tecnici, che traggono origine dal greco, de’ quali compilò il Bonavilla il suo Dizionario Etimologico ; 14.9 i vocaboli delle scienze , delle arti e de’ mestieri, pescati ne’ dizionari, fin quì pubblicati in Italia, di questo o di quel ramo dello scibile , e colia maggior esattezza possibile definiti. Quindi il Lessico nostro verrà a contenere un doppio numero d’ articoli; che non gli altri vocabolari italiani anche più copiosi. « L° adorneranno inoltre cinque novelli attributi : 1.° una grammatica , giusta le norme della filosofia applicata al linguaggio, perchè sia come chiave dell’ accolto tesoro, e però la. daremo quale appendice colle tavole di conjugazione del Mastrofini se- condo la riduzione del Compagnoni ; 2.° l’ortologia adatta ad ogni parola registrata, la qual verrà ripetuta, acciò prima la retta ortografia , indi la buona pronunzia se ne conosca ; 3.° la com- pitazione , giacchè dovendo ripeter la parola, si è voluto par- tirla in sillabe , il che ognun vede quanto alla cognizion dedit- tonghi torni opportuno; 4.° 1’ etimologie, cioè le radici delle paro- le, rintracciate senza spirito di sistema , ma seguitando le ana- logie de’ suoni e de’ sensi, negl’ idiomi de’ popoli che in diversi tempi ebbero stanza in Italia , o cogl’ Italiani frequenza di re- lazioni; 5.° finalmente la sinonimia divisa in due parti, l’ una per le voci simili, che variano semplicemente nella desinenza e nell’ uso ortografico o poetico ; 1’ altra per quelle che mentiscono simiglianza, e vogliono con fine accorgimento essere differenziate. « Laonde ogni voce di questo Vocabolario avrà un corredo che invano altrove si cercherebbe. Lo studioso, che il consulti, saprà in un attimo come debbasi quella voce scrivere , come compitare e profferire ; saprà a qual parte della grammatica si appartenga; ovvero a quale arte o scienza , e qual pregio ella tenga nella favella , cioè se registrata o no nel Vocabolario Fio- rentino , se avvalorata dall’ autorità degli scrittori e di quali, o se d’ uso unicamente e di regola , anticata o neologica , poetica o bassa, idiotismo , grecismo , gallicismo e via discorrendo , in- dicandosi pure il vocabolo che convenga sostituire al troppo vieto o corrotto ; saprà qual sia d’ ogni termine la definizione , qua! A l'etimologia, quali equivalenti si abbia, quali sinonimi, o che tali rassembrano ; saprà la voce greca e latina che gli risponde; saprà in qual modo venne adoperato e quanti e quali significati riceve. Egli troverà in un solo ordine alfabetico ordinati eziandio i nomi propri, mitologici, geografici e le tecniche parole di cui si accennò. Finalmente , dietro 1’ ordinamento ideologico , serbato nella distribuzione de’significati, ei potrà seguire in certa guisa, e per quanto in sì oscure materie si concede , la storia genealo- gica delle italiane parole. » Profittiamo di quest’ occasione per correggere un errore del secondo articolo intorno agli Atti dell’ Accademia della Crusca , più sopra citato, ove, lodate le cure egualmente sagge che nuove de’ Vocabolaristi Napoletani per le etimologie , sembra prenun- ciarsi che poco sarà da loro curato il corredo non etimologico delle voci greche e latine. L’ errore è provenuto da osservazioni parziali fatte intorno ad alcuni articoli del primo fascicolo della loro opera, senza pensare a ciò che avvertesi nella prefazione , che dando essi anche le origini, e derivandosi spesso dalle lin- gue della Grecia e del Lazio alla nostra non solo radici, ma vocaboli interi interi, debbono aver cura di schivare le ripe- tizioni. M. Lepidezze di Spiriti Bizzarri ec. raccolte da Carro Dari. Fi- renze, Magheri 1829 in 8.° Un quarto, mezzo quarto di secolo ‘‘ di quante cose ci ra- pisce il fiore! ,. — Di molte lepidezze sicuramente come di molte bellezze, fra le quali, com’indica qualche vocabolario, esiste non lontana relazione. — Lepidezze d’ un fior immanche- vole , come l’ asinus evolavit ad superos d’ uno scolare nominato dal Dati, se ne contano poche. Vedete quindi se può esserne piena la raccolta, che amici e conoscenti fornirono al Dati, or è più d’ un secolo e mezzo. Varie di quelle, che si leggono in essa, hanno pur fatto da un pezzo il giro d’ Italia, e in più luoghi n’è rimasta tradi- zione, come di cose ivi udite in bocca de’loro autori. Nè ciò è improbabile d’ alcune , p. e. di quelle de’ predicatori, che sono la parte più curiosa della raccolta. D’ altre i primi uditori forse non furono quanti già si vantavano. Ma una piccola menzogna le rendea più piacevoli agli uditori che si credeano secondi. Ond’è che , per iscusarla , non ricorderò da che piccole cose i piccoli 5 abitatori di questo pianeta. non grande sieno destinati a trar vanità. Amando l’ aneddoto storico, o per sè stesso, o come pittura de’ costumi , il fiore delle lepidezze ‘raccolte dal Dati parrà un po’ meno scarso. Ciascuno argomenti quel che a lui può parerne dall’ aneddoto seguente. “ Madama Cristina voleva armare un bertone per mandarlo in corso, ma come donna di pietà ci ave- va scrupolo, e faceva studiare a’ teologi s’ ella con buona co- scienza lo poteva tenere. Il granduca Ferdinando suo consorte , vedendo andare alle stanze di madama certi teologi , rivolto ad un ministro confidentissimo disse, che la sna moglie faceva stu- diare s’ella poteva tenere un bertone con buona coscienza ; e a lui non diceya cosa veruna ,,. Rechiamone un altro, ove non sono parole di doppio si- gnificato , poichè la lepidezza è tutta di fatto. Giovanni da San Giovanni avea promesso al padre Caccini (persecutor famoso del Galileo) di fargli una carità d’invenzione , e ne prese la caparra, ma non la facea. Ricorse il padre al granduca, e Gio- vanni ne fu avvertito , e dicono che allora la finisse in questa forma ; cioè tre asini, un nero, un bigio, e un nero e bianco, che si grattavano l’ un l’altro ;,. La cosa è raccontata con poca diversità anche dal Baldinucci , il quale aggiugne che ne ven- ne , in proposito di certe carità , quel proverbio : “ ella sarà la carità di Giovanni da San Giovamni ,,. In proposito de’ predicatori, le cui lepidezze l:scierò star tutte nel libro, è sembrato saporitissimo ad alcuni miei amici questo racconto. “ Correva l’evangelio della Maddalena. Sopra il medesimo due predicatori, che predicavano in Firenze 1’ an- no 1673, presero due assunti contrari; uno , che si dovesse be- neficare largamente gli ecclesiastici; uno, che no, se non per la necessità , esagerando gagliardamente che tutti i mali della cristianità procedessero dall’ eccessive ricchezze della Chiesa. Fu raccontato: ciò al sig. Forzoni, il quale subito disse d’ indovi- narsi chi erano stati: cioè il pad. Santini gesuita d’ Or S. Mi- chele per il sì, e il pad. Pesaro cappuccino di S. Lorenzo per il no, ed era verissimo ,,. Qualch’ altro racconto è sembrato di certa importanza per la biografia dell’ autore , p. e. questo, ove si nomina una delle due sue figlie, dimenticate , dice 1’ editore, non solo nel suo elogio scritto del Fontani, ma anche nell’ albero genealogico di sua casa. ‘“ La Clarice mia figliuola (il racconto è pur buono per gli educatori e gl’ideologi), quando era bambina di quattr’an- 6 ni, non restava capace di non avere di tutte le cose come la sorella maggiore, e perciò ne fu ripresa dalla madre con dirle, che alla minore non toccavano tutte le cose. A questo parve ch’ ella si quietasse, nè pretendesse di vantaggio; ma stata ‘un poco sopra di se disse: signora madre » quest'altra volta, voi avete a far prima ‘me ,,. Altrove l’ autore ci mette innanzi un suo zio, di nome Mi- chele , canonico di S. Maria del Fiore, e uomo degno d’ esser conosciuto , poichè molto degno del nipote. Egli “ era solito dire che si trovavano più santi che uomini da bene , ec. ,, Andò un giorno una donnicina alla sagrestia del Duomo a chiedere di certo suo collega, e per distinguerlo da un altro dello stesso casato disse: “ vorrei quel santo ,,. Il buon Michele soggiunse: “ e’non c'è, perch’ egli è ito a resuscitare un morto, e tornerà adesso adesso ,,. Questa fu la cagione, dice il nipote, che tra quel santo e mio zio non fu mai ottima corrispondenza ; ‘ ma l’esito dichiarò chi di loro fosse più galantuomo ,,. Le quali ultime parole, allusive a cosa che 1’ editore ac- cenna , e il Lami, da lui citato, racconta distesamente, sono , per la lor moderazione , una delle prove migliori; che. la ra colta non di rado ci porge del senno e della bontà del Dati. Du po ciò che diede soggetto aila parte tragica del racconto del La- ami, e, un secolo innanzi, ad una celebre pittura del Subtermans oggi posseduta dal marchese Gino Capponiì, il Dati, ne son certo, si sarehbe astenuto da parole più gravi anche in altro libro che di lepidezze. Finirò con una ‘che oggi si direbbe di gusto francese, e an- ch’essa appartenente alla storia . Donna Olimpia Panfili, gran vergogna del pontificato d’Innocenzio X, dopo essere stata , 0 per finti o per veri disgusti col papa , alquanti mesi a S. Mar- tino, ritornò a Roma in favore, e subito cominciarono a fioccare i presenti. Fra’ primi fu un gran bacino d’argento pieno di rose d ogni mese. Lo gradì, come era solita, donna Olimpia, e do- mandò che fiori eran quelli in quella stagione sì fredda ?_ Fulle risposto: rose d’ogni mese. Ed ella soggiunge: e pure sono molti mesi che io non ho veduti di questi fiori ,y° Del pregio forse principale della raccolta non ho bisogno di dir nulla, poichè già è sottinteso. E il benemerito. editore (D. Moreni , il qual la trasse dall’archivio di casa Bellini delle Stelle ) va notando gli accrescimenti ch’ essa può somministrare al tesoro della lingua, e plaudendo lietamente ai nuovi saggi che offre della vaghezza di questa. î E a me è grato aggiugnere come talvolta le sue note ne sono un nuuvo saggio pur esse. Veggasi p. e. sutto la voce scaccia- pensieri, usata dal Dati, non che dal Magalotti nelle Lettere, e dal Bellini nella Bucchereide , ma non per anco raccolta nel te- soro già detto: è lo scacciapensieri uno strumento da fanciul- li, che si suona applicandolo fra le Jabbra, e percuotendo la linguetta o grilletto, che molleggiando rende suono ,,. Veggasi pure sotto il verbo calettare , mancante anch’ esso a quel teso- ro, e leggerassi: ‘ 1° adoperano i legnajoli, e vuol dire: com- mettere il legname a dente o altrimenti, sicchè tutti i pezzi , che separati, siccome al caso nostro (trattasi de’ pezzi d’un pi- nocchiato ) sono fuor di squadra , riuniti insieme tornino bene e sieno al pari ee. ec. ,,. Ur come simili cose e più belle s’ascol- tano qui ad ogni momento nelle bocche del popolo più minuto, è pur ferza aver gran fede nella lingua di questo popolo, e pre- gare che gl’illustri ve n’ abbiano altrettanta, al che potrà in- coraggirli il nuovo libro del Dati. pg M._ Lettere. del conte Domrnico Morosini e dell’ ab. Francesco Cavxcerrieri intorno ad alcune cifre dell’ Accademia de Lincei. Venezia , Picotti 1829 in 8.° Difficilmente i nostri lettori si rammenteranno d’ un artico- letto del n.° 48 dell’Antologia, nel quale, a proposito delle Me- morie del cav. Errante raccolte dal Cancellieri, annunciavasi co- me già preparata per la stampa la storia dell’Accademia de’ Lincei del Cancellieri medesimo. Potrebbero però averne serbata qual- che memoria in grazia d’una lettera bellissima, che.gli servì di comento o d’appendice , scritta da un collaboratore del Giornale Arcadico , e inserita nel n.° 54 di questo nostro. La lettera cor- reggeva un errore dell’articoletto medesimo riguardo all’ effigie del fondatore di quell’Accademia, il principe Federigo Cesi, scol- pita dalla Benincampi a spese del duca don Pietro Odescalchi, e da noi supposta nel Panteon a cui era destinata. Lasciava però credere che la Storia o raccolta di documenti per la Storia del- l'Accademia si pubblicherebbe fra non molto, giusta il prospetto datone qualche tempo innanzi nel tomo 19 dell’Arcadico già detto. Mai opera o compilazione alcuna del benemerito Cancellieri fu tanto desiderata come questa. Avevamo intorno all’Accademia de’ Lincei (fondata com» ognun sa nel 1603, e restaurata due 8 volte, nel 1741 e nel 1793) la notizia di Jano Planco ossia G. B. Bianchi, il commentario del duca don Baldassarre Ode- scalchi padre di don Pietro, poche altre memorie. Il Cancel- lieri ci prometteva non pochi documenti inediti, e fra essi buon numero di lettere del Cesi e d’altri sapienti suoi contemporanei, onde stavamo tutti in grandissima aspettazione. Ciò peraltro che ci rendeva. più ansiosi era la spiegazione annunciataci di 105 cifre contenute in 30. lettere d’ altrettanti membri dell’Accademia. Il Cancellieri, avute in mano queste lettere, e chiesto indarno il significato delle lor cifre a quanti dotti gli stavano intorno , avea pensato di rivolgersi a quelli dell’ estere nazioni, disperando forse che una spiegazione cre- duta impossibile in Roma potesse venirgli da altro luogo d’Italia. Quando alcuni amici, fra’ quali il conte Cicognara, gli dissero trovarsi in Venezia chi probabilmente gliela darebbe, e gli nomi- narono il conte Morosini. Questi infatti, appena ebbe sott’ occhio le cifre, per quella perizia ch’ è in lui piuttosto prodigiosa che ra- ra, comprese ciò che valevano, le ridusse ad alfabeto, e tradusse quindi felicissimamente le lettere in cui si contengono , meno po- chi passi che non erano stati bene trascritti. Il Cancellieri nell’ec- cesso della meraviglia e della gioja paragonò questo fatto ‘alla sco- perta di Colombo , mandò al conte le lettere autografe per averne interpretazione compita , e avutala ne fu tanto più lieto, che vide esser fatta incontrastabile 1’ innocenza del Cesi e de’ suoi acca- demici. Son noti i sospetti, onde per l’uso delle cifre che si dice- vano , essi furono gravati. Uno scrittore assai stimabile , il conte Litta ( nel 7.° fascicolo delle Famiglie illustri dove parla del no- stro Cesi) chiama tali cifre una giovanile imprudenza. È poi ch’esse poteano generare importuni sospetti, io certo non le chia- merò prudentissime. Resta peraltro a sapersi quanto sarebbero state più prudenti le parole aperte. Le usò aperte l’amico del Cesi, l’altra gloria sovrana de? Lincei, il Galileo; e il mondo sa abbastan- za, benchè non sappia ancora interamente , ciò che questa fran- chezza gli costò. Le avrebbe assai volentieri, non ne dubito , usate aperte anche il Cesi; ma gl’insegnavano ad andar cauto le persecuzioni paterne contro l’ Eckio suo maestro , e chi sa quan- t’ altre turpitudini o stolidezze feroci che noi ora ignoriamo. Non è da stupire dice il Morosini medesimo che “ per sot- trarsi agl’invidiosi , ai maligni, ed anche allo zelo inopportuno di gente di buona fede ,, il Cesi e i suoi accademici abbiano fatto uso 9 di cifre. Certo se fossimo in quell'età, ei soggiunge ingeuuameu- te, © ci avrei pensato molto ,, prima di dare al Cancellieri la spie- gazione da lui richiesta. Avrebbe il Cancellieri, dopo i primi trasporti di gioja e di me- raviglia ch’ essa gli cagionò, desiderato che il Morosini gliene mostrasse il fondamento; che gli dicesse come potea provarsi che il suo alfabeto era quello de’ Lincei. Ma il Morosini rispose che a provarlo bastava il fatto stesso della spiegazione delle lettere, chia- ra , coerente al loro “coppe al loro contesto , insomma tale da non potersi imaginare la più sodisfacente; che un alfabeto, essenilo cosa di mera convenzione e quindi affatto arbitraria, era inutile cer- carne ragione fuorchè nell’ arbitrio degl’ inventori ; che tutt’ al più , trattandosi d’ uomini dotti come i Lincei, potea dirsi ch’era- no stati naturalmente portati a comporlo di segni relativi a’ loro studi prediletti (gli astronomici in ispecie ) anzichè di segni in- significanti. Al che il Cancellieri aquetatosi facilmente, più noti pensò che a rendere al Morosini il debito onore nell’ vpera che dovea contenere la sua spiegazione. Impedito peraltro dalla mancanza di mezzi indugiò tanto a pubblicare quest’ opera, che prima di farlo fu sorpreso dalla morte. E per l’istessa mancanza sembra pure che vadano indugiando gli eredi , a cui il pubblicarla starebbe tanto più a cuore, che sarebbe per essi l’adempimento d’una venerata volontà. Frattanto, per non defraudare più a lungo il mondo letterario d’una scoperta preziosa, e il Morosini dell’onore che con essa ha meritato, un amico di que- st’ uomo dotto, E. Cicogna ; ha pubblicato e dedicato con lettera erudita al marchese Trivulzio il carteggio fra il Morosini medesi- mo e il Cancellieri , non dissimulando che avrebbe volentieri pub- blicate insieme più lettere de’Lincei , se al Morosini non fosse pia- ciuto riserbarne il piacere agli eredi del Cancellieri. Noi, facendo plauso a questa giusta delicatezza, facciam pure de’ voti perchè gli eredi più non ci ritardino quel che da loro si aspetta. Parrà strano veramente che nella città, a cui è gloria ciò che forma il soggetto dell’opera inedita del Cancellieri; che in quel ceto specialmente, a cui il Cesi; l’eroe di quest’opera, fu di tanto onore, non si trovino almeno alcuni pochi, a cui non incresca la spesa del pubblicarla. Ad ogni modo gli eredi del Cancellieri non si perdano d’ animo : propongano una soscrizione alle diverse accademie, la proporgano anche solo alle diete annuali degli scienziati dell’El- vezia e dell’Alemagna, e vedranno se l’ amico e l’ emulo del Galileo , il precursor di Linneo, l’uomo che, fondando la prima T. XXXVI. Novembre e Dicembre a 10 accademia scientifica, pensava alla propagazione delle scienze è alla fratellanza de’ lor cultori in tutta Europa , abbia in essa degli ammiratori riconoscenti; se la storia della sua accademia sia argomento che in ogni terra europea si riguardi come nazio- nale. Alla soscrizione, ch’ io credo egualmente sicura che ono- revole, verranno in seguito , “peo » gli onori ormai troppo ri- tardati del: Panteon. M. Girormare Aerario Toscano. = Versi di Gruseppe BARBIERI. Al buon riuscimento d’ogni impresa importa innanzi tutto che sia fatta in luogo e tempo opportuno; e l'opportunità del luogo e del tempo non mancò sicuramente al Giornale Agrario Toscano. Importa altresì che sia condotta molto abilmente ; e di quanta abilità sien forniti i compilatori di sì utile Giornale, dopo le prove che ne hanno date pel corso di tre anni, è ormai so- verchio il favellare. Importa da ultimo che in quelli che debbono condurla sia grande la concordia degli animi e delle intenzioni; e questa ne’ principali de’ compilatori già detti non poteva essere maggiore. Sono ormai conosciute da tutti le lor sedute quasi men- suali nella villa or dell’ uno or dell’ altro di essi, per rivedere insieme i materiali di ciascun fascicolo , intendersi sulla prepa- razione del successivo , consigliarsi , illuminarsi. A tali sedute assistono non di rado uomini rispettabili di varie parti d’Italia, amici se non sempre esperti dell’arte agraria, e sopratutto bra- mosi de’ progressi morali della nazione. Ciò avvenne ultimamente al prof. Barbieri di Padova, poeta ad un tempo, moralista ed agro- nomo , in una villa del marchese Ridolfi, il qual si compiacque non poco di mostrargli quelle sue Colmate, soggetto di sette ar- ticoli interessantissimi nel Giornale di cui si parla. Il prof. Bar- bieri, di ritorno dalla villa, dettò intorno ad esse questi versi eleganti e toccanti, che 1° Antologia, non facile accoglitrice di cose poetiche , si fa un pregio di pubblicare , qual corona al Giornale già detto, e documento onorevole per la storia attuale della Toscana. XK. 10. 20. 25. so. 35. 40. Le Colmate di. Meleto Giuseppe BARBIERI a RarrAELE LawBrUSscHINI. Ber fu lieto quel giorno , e nel pensiero Mi risorge sovente , in che la via Prendemmo di Meleto. E di quel suolo Taccio 1’ ubere vena, e di quel cieio Il benigno riguardo : chè ogni dove Questa parte d’ Italia emmi un Eliso. E taccio la di Cosmo in volto seritta , E delle braccia , a noi rincontro , aperta Ospital cortesia 3 chè 1’ alme doti Dello ingegno e del cor di un tanto amico Giusta la Patria de’ suoi fregi onora. Ma d’ ingrato silenzio ah! no non sia Che per me la novella arte si copra , Ond’ egli appiana , come più dirotti In burron si profondano , que’ poggi , Ghe d’ ammassato limo un dì cresciuti Fanno cerchio e teatro alla sua Villa. Nudi prima, diserti, e di punte aspri, Crollavano sconvolti ; or mollemente Scendono in piani paralleli ; e dove Carpiano a stento un filo d’ erba, errando , Le proterve caprette, or aggiogati Menan l’ aratro i bovi , e la corrente Riga di elette piante si riveste ; L° utile giunto in bell’ accordo al dolce. Perchè 1° acque , onde tanta era in quei poggi La vorace rapina, omai divise In piccoletti rivoli con tardo Passo volgenti , e nel piegar del verso Da pescaiuoli rattenute , il suolo Radono vè più gonfia , e vè più manca Adeguano per via ; nel lungo giro Non pur innocue , ma benigne al campo. Mirabil magistero ! E noi presente La bell’ arte vedemmo , onde si frana L’ un giogo e l’ altro, e si tramuta in piano. Quando scroscia la pioggia , in loco eccelso Si raccolgono 1’ acque a mo? di vasta Gonca o di lago. Indi. per doccia , tolto Il frapposto ritegno, a pien torrente Si conducono giù per lo chinato Del monte , ove da prima un cupo solco La sperta man del guidatore apriva. II 50. 55. 60. 75. 80. (1) Ecco le belle iscrizioni, che l’animo veramente generoso del cav. mar- chese Ridolfi poneva in Meteto al, benemerito autore delle sue colmate mon- tane. L’ una latina, e composta dal. ch. sig. cav. ab. Zannoni, è nella cappella della villa dove riposano 1’ ossa del Testa Ferrata, Coll’ altra , uscita dalla pen- na e dal cuore del migliore dei padroni ; chiamava il Ridolfi dal nome di 7’e- sta Ferrata un nuovo (podere creato col nuovo metodo delle: colmate di Monte Elle rodendo interno , e fianchi e spalle Ne scassano ; il terreno a strosci a falde Rotolon si precipita ; ringorga L’ onda , e cresce il burrone , e ricrescendo Con la foga e il fragor d’ una procella, Mena l’ erto sul pian , dove lo accoglie Ferma una sponda, che vuol esser proda Ai filar delle viti e degli ulivi. Nè perchè quegli andar di costa in costa , Siccome è stil de’ ricorrenti poggi , Sbiechino a quando a quando , e il suol diverso Quà in angolo risalti, e là rientri, Non perciò gli acquidocci, e non i tagli Escon del filo orizzontal; ma vedi Or ne’ seni, or ne’ dossi acconciamente Far gomito le prode. In cotal guisa Docile al giusto fren, che lo governa, Il declive mollissimo discende In ripiani ordinati, e si congiugne Con la valle giacente , ove dell’ acque Il soperchio s’ aduna in ampio letto , Che dell’accolta mota e quinci e quindi Porge tributo a ricolmarne i solchi. Or tanta e sì bell’ opra osò primiero , Ghi il crederebbe ? , rusticano ingegno , A cui tutt’ arte fu Natura. Ed egli Tal premio n’ ebbe , che il suo nome a specchio D’ operosa virtude in marmo scrisse , E del nome d° amico e di maestro , Non senza pianto , al suo passar, chiamollo. Gosimo , a Lui signor, Ahi perchè mai (1) Sì chiaro esempio non è cote ai molti, Raffaele, cultor di quelle piagge , Che il tuo Figline abbracciano ? Di quelle Che gli estivi acquazzon corrono a rotta Per lo dilungo arate , e d° ogni parte Scoscendono e dirupano ? Cotanto Può ne’ tardi nepoti il far degli Avi! Nè perciò men la ruinosa pioggia Volve lè glebe e le speranze in Arno. fra balze le più scocese. 13 A. L. O. AUGUSTINO - ANTONII - FILIO - TESTAEFERRATAE SODALI - ACADEMIAE - GEORGOPHILORUM - QUI INGENIO - [UNICE - ADIUTUS - PRAERUPTOS - AGRI MELETIANI - COLLES - PLUVIALIUM - IMPETU AQUARUM - CULTUI - RELUCTANTES - HIS - CON- VERSIS - LENIORIQUE - SERPENTIUM . RIVULORUM LAPSU - DEDUCTIS - AMOENISSIMOS - REDDIDIT - ET UBERRIMOS - QUO - BENIGNISSIMO > INVENTO ELSAE - VALLIS - UNIVERSA - RECREATA - EST - VIXIT - ANNOS - LXXVIII - D. XXII - IN - DEUM PIUS - OMNIBUS - CARUS - DECESSIT - PRIDIE - KALEND IUN-ANN - MDCCCXXII - ANNUNTIATA - DAINELLIA FILIA - SUA - AMANTISSIMA - SCRIPTA - HEREDE MARCH - COSMAS - RIDOLFIUS - EQUES - IOSEPHIANUS MELETI - HERUS - CONDITORIUM. - IN - GENTILI SACELLO - ET- TITULUM - MEMOR : GRATUS - DEDIT VILLICO - SIBI - FRUCTUOSISSIMO - SUMMAEQUE ABSTINENTIAE - ET - ANIMI - ERGA - AGRICOLAS PATERNI - CUIUS - UT - LAUDES - NON - SILEBIT POSTERITAS - SIC - ET - VIRTUTUM : CLARISSIMARUM UTINAM - HAURIAT - EXEMPLA. SSL ALLA MEMORIA DEL FATTORE AGOSTINO TESTA- FERRATA, CHE SEPPE CANGIARE IN QUESTI CAMPI AMENISSIMI UN SUOLO DIRUPATO , IL PROPRIETARIO COSIMO RIDOLFI, PIANGENDO L’ ESTINTO AMICO E MAESTRO , DEDICO’ QUESTO NUOVO PODERE L’ANNO 1827. Saggio d’ Iucoro Sretrini intorno all’ origine e al progresso de’ costumi, volg. da Lopovico VareRrIANI, quarta edizione col testo. Siena , Porri 1829 in 8,° Lo Stellini, come ci avverte il traduttore del Saggio, nella sua lunga e assai conosciuta prefazione , pensò di dover trat- tare le cose morali come Newton trattò le fisiche. E incominciò col libro già detto, preludendo alla sna Etica, insigne fra quante opere del medesimo genere l’Italia possegga. Quel libro fu pa- ragongto dall’Algarotti alla Dissertazione di Cartesio sul metodo. 14 Ma fu, come l’Etica, assai poco letto , per varie ragioni già in dicate da vari, fra le quali non è ultima la volontaria o invo- lontaria oscurità con cui è scritto. A procacciargli nuovi lettori è diretta la quarta edizione del suo volgarizzamento (sola rico- nosciuta dal traduttore) e verrà fra poco molto opportuno un articolo , che un giovane professore, studiosissimo dello Stellini, ha promesso all’Antologia. ! M. Parnaso nuovissimo delle Dame, ovvero versi di alcune viventi Poetesse, con una lettera del compilatore alle gentili donne italiane. — Napoli, Dalla stamperia francese, 18ag. In un tempo anche non molto disposto ad accogliere volen- tieri i versi, è pur sempre una buona raccomandazione per essi il dire, che una donna li. scrisse. Quelle, che con un sorriso e uno sguardo alleviano le tristezze della vita , e che portano in ogni atto, in ogni parola la dolcezza e la grazia , non pos- sono incontrarsi a un critico austero; ed anzi il pensiero di ognuno si volge con affezione a quella gentile cui piacque quasi chiamarci alla confidenza delle afflizioni, e delle gioie, delle cure più, segrete e più care dell’ anima sua. E se muovono gli accenti della compassione e del conforto alla virtù sventurata , all’ oppressa innocenza; se spargono una lagrima sul sepolcro della vergine, che non sostenne l’ abbandono del suo primo amato; se imprecando ai feroci, che disertarono la terra della gloria e della sventura , sciolgono un inno ai figli della Grecia; chi non sarà costretto a ringraziare quelle amabili e ingegnose creature, che procurarono sì deliziosi istanti al. nostro cuore ? che aggiungendo alla corona del prode un fiore di celestiale bel- lezza, destarono in ogni anima quei desiderii, quelle speranze , che son cagione a virtuose e magnanime azioni? Degno ufficio di esse , rendere gli uomini più felici e migliori, non già colle ambiziose dottrine e i superbi rimproveri, ma con quel soave linguaggio che spira da un cuore, che sente tutto 1’ incanto della natura ed un vero entusiasmo per le domestiche e cittadine virtù. Parlino questo linguaggio le nostre giovani muse , e sarà poesia , mon vuota e noiosa , ma commuovente , efficace; non la poesia che canta religioni, favole, avvenimenti di popoli, che non son più, ma quella che dipinge glorie e. sventure che son nostre, speranze e timori:che sono a tutti comuni. Questa è la poesia che più loro conviene, e a questa si volgeranno, senza 15 dubbio ; perocchè non possono, anche volendo ,. rimanere stra- niere al pubblico spirito, a quel movimento di opinioni e d’idee , che risvegliato dalle grandi e terribili lezioni della. nostra età, travolge omai nel suo corso anche i più tardi. E mi affidano della verità delle mie parole alcuni canti, che, non è molto, amabili giovinette fecero risuonare sulla Senna, e me ne affi- dano ancora le più di quelle, i di cui versi formano il volume annunziato quì sopra. Il parlare lungamente di esse quanto ci sarebbe gradito , potrebbe altrettanto riuscir vano, giacchè quasi tutte cognite e celebrate , hanno ottenuto inni magnifici e degni di così care di- vinità. Chi potrebbe infatti aggiunger parola di lode alla sig. Costanza Monti per i suoi due canti , Dell’ origine della rosa dopochè il padre suo ne scrisse quello splendido elogio nella Pro- posta ? Io non potrei che esprimere un desiderio natomi alla let- tura di questi canti; qual’è d’ intendere narrati altri casi che quelli di una vergine cacciatrice ‘memica di amorosi diletti , dell’ ira di Venere, di Fauno, dei cinghiali con una poesia sì splendida e vaga; perchè, io debbo confessarlo ingenuamente, il ‘mio cuore non prende parte a quelle. vicende, che umai per noi sanno troppo d’inverisimile se non di ridicolo. Forse alcuno po- trebbe rispondere che la colpa sarà del mio cuore, e me ne dor- rebbe sinceramente; ma io ho pur pianto per Ermengarda , Il degonda e Giselda; e come mai questa Rodia che la Monti fa bella e sventurata quant’ esse non mi desta i medesimi affetti? La cagione di questa differenza lasciamola trovare ad altri, e pas- siamo alla Vordoni , che segue una via tutta diversa , non solita frequentarsi da piede femminile , la via della satira, d’ una sa- tira già s'intende graziosa e gentile che prende il nome di ser- mone, sempre però formidabile in bocca di un’ amabile donna, che si protesta di non sentire l’amore, e che può quindi im- parzialmente osservare i difetti di noi altri uomini, che siamo molto facili a far cadere ogni velo dinanzi a due begli occhi. Ma anche della spiritosa Vordoni bisognerà che mi taccia; fu- ron dette le tante e sì belle cose di lei dalla Biblioteca italiana e dall’Antologia quando nel 1824 furon pubblicati i suoi versi, che non volendo ripeterle , il miglior partito è di rimandare i lettori a quegli articoli. Vogliamo solo dire all’ editore di questo Parnaso , che dandoci scelti i versi della sig. Vordoni, ci sem- brava. meglio lasciare i capitoli e i mattaccini per favorirei di tutti i sermoni e della Visione. Seguono alcune poesie della sig. Diodata Saluzzo, già da 16 molti anni famosa, e fra esse ci piace citare La battaglia di Ve- rona del 5 aprile 1799 , poemetto pieno di affetto e be vita, in che rammentando i giorni, nei quali : Giacean servi alla frode al tradimento Gl’ Itali tutti, e quando Elmo stranier copriva i crin disciolti De’ piangenti fra rabbia e fra disdegno Itali prodi incontro Italia volti. sentiva il dolore di tutte le anime generose, esclamando : Pera chi speme ha nella dubbia fede E patria merca co’ nemici sui , Ed è trai ferri, eppur servir non crede; Pera la gente dipartita in dui Che in nullo amor per la paterna riva Ne vende e nome e gloria a’ sogni altrui. " Questi bei tratti di patrio entusiasmo rivelano nella sig. Diodata Saluzzo un energico e profondo sentire, come lo rive- lano ugualmente nella sig. Caterina Franceschi Ferrucci i suoi tre inni che adornano questo volume. Il dire che questi si vol-. gono , al sole , all’armonia , alla morte basta a svelare dove in- clini il genio della brava giovinetta. Ed è naturale immaginarla con uno sguardo di melanconico entusiasmo rivolta al primo rag- gio di luce che avviva il paradiso d° Italia, salutarlo cogli ac- centi dell’ amore ‘e della meraviglia nel suo primo inno al sole, a cui porge infine il più caro e potente dei suoi desiderii, escla- mando : Deh 1 avviva Italia di cara letizia, deg » È Onde conforti il suo nome , che giace È Ancor pe’ colpi dell’ altrui nequizia ; Quì dolee fior di cortesia, di pace Quì di virtute il regno , e quì beata Renda la gente del saver la face, E poichè tutta di bellezza ornata, Questa contrada reddirà gentile, « Felice l’ alma che in lei fia creata! ,, Che giunto al fin questo aspro tempo vile , Fia chiara Italia di luce novella, E a te, grand’astro, raggerà simile D’ ogni altra-terra più leggiadra e bella. I versi citati con molti altri che s1 potrebbero aggiungere, mi pare mostrino bastantemente lo spirito e lo.stile delle poe- sie della sig. Ferrucci, meritevole per ogni riguardo di quella lode bellissima che gli dava il sig. Salvator Betti in una lettera inserita già nel Giornale Arcadico e quì riportata, dicendo: “ gio- RI vinetta veramente mirabile! nella quale non so qual cosa debba aversi maggiore, se il candore dei costumi, o la profonda dot- trina, o l’ alto animo, o il maschio amore di patria ;,- «. Chiude questo volumetto una novella inedita (Carlo di Mon- tebello ) della sig. Giuseppa Guacci napolitana , che secondo le parole dell’editore , è molto giovine, e fa il suo primo esperi- mento in tal genere. Del che ci faceva assai accorti una certa disuguaglianza nello stile, un po’di confusione negli avvenimenti sbozzati nel concetto e nell’esecnzione , ma non sviluppati e di- pinti, certi difetti insomma, che più son propri della giovinez= za , e di chi si mette per una strada novella. E noi diciamo que- sto con tutta franchezza , perchè questa giovane dà sì liete spe- ranze, che sarebbe una vera colpa adularla. La sua anima è passionata ed ardente come il sole della sua patria; e di qual tempra sieno i suoi spiriti lo mostra fino dai suoi primi versi, che invocano 1’ aiuto del primo e più magnanimo dei poeti ita liani, lo mostra con quel desiderio di vivere in quei tempi Quando non era ancor l’Italia doma, E popol era generoso e forte Questo gregge, che or popolo si noma. Ed ella li ritragga quei tempi, ai quali aspira il suo cuore; ma pensi che se furon tempi di delitti e di sangue, se i castelli risuonarono dei gemiti delle oppresse donzelle e del feroce gri- do della vendetta , vi furono pure anime generose e cortesi, e se quà s’ alzava un tiranno , là sorgeva ad oppugnarlo un po- polo libero. Quindi l’anima della giovane non tanto si avvolga fra iniquità ed orrori che destan ribrezzo ; vi è un affanno, vi è un amore d’ un aspetto non così truce e spaventoso , ed essa può immaginarlo e dipingerlo. Pur troppo vi sarà stato un feroce come il suo Carlo , che per vendetta uccide il fratello dell’amata Isabella , per gelosia questa stessa trafigge ; wi sarà stato un fra- tello come il suo Lodovico (che essa fa nno dei tredici sosteni- tori dell’ onore italiano a Barletta) più avido della sua vendetta, che desideroso della felicità di sua sorella. Ma se sempre si de- von narrare le iniquità di questa razza mortale, si potrà poi credere alla umana virtù, che se fosse anche un’ illusione, sa- rebbe sempre più bella della realtà! Segua intanto la sig. Guacci ad ispirarsi di quella poesia , che sta racchiusa nelle antiche memorie della nostra patria, scriva a quel modo che il suo cuore le detta, e son certo che niente le detterà ‘ che non sia generoso e gentile. Noi infine ci T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 3* 18 rallegriamo di questo suo primo saggio, che ha associato il sno nome alla cara ed onorata compagnia delle illustri fin quì ricor- date, e dell’ altre i di cui versi sarebbe stato gradito veder quì ristampati per render più compiuta questa splendida corona , che adorna il gentil sesso italiano. de L. Rime dell’ avv. Carro Browxpi. Firenze Magheri 1829. Queste rime sono una prova, fra mille, della.singolare attitu» dine al verseggiare, che portano da natura i Toscani. E già, ba. sta passeggiare le vie di Firenze per sentire de’versi non solo giusti di misura, ma di numero armonici, per osservare con piacere come. que’ versi stessi che scappano falliti o per la necessità della rima o per l’orrore che que’ poveri ignari delle astuzie letterarie por- tano ai riempitivi, come, dico, que’versi stessi l’orecchio volgare senta il bisogno di costringerli a qualche modo alla giusta misura, o stiracchiandone la. pronunzia , o affrettandola, e sempre po- sando ai debiti luoghi l’ accento. Io posso affermare d’ aver co- nosciuto persona, alla quale la poesia scritta era in odio perchè priva, al sno parere, di naturalezza e d’evidenza, che non cono- sceva la misura de’ versi, e che pur ne faceva e fin ne sognava di giusti e d’ armonici. — Quest’attitudine del resto traspare an- co dalla Poesia scritta toscana di tutti i secoli. Dai versi di Guittone , di Cino , del Petrarca, del Poliziano, fino a quelli del Malmantile, tu riconosci una spontaneità , una franchez- za, una numerosità , una varietà , ed una grazia non imitabile. Il tuono dell’ Alfieri, del Gozzi, del Parini, del Foscolo, del. Manzoni stesso, non si può, cred’io, immaginare nemmeno, in un autore toscano. Se in altre parti d’ Italia l’energia non è troppo studiata, se non è punto affettata, certo l’armonia stessa ha un non so che di pensato, d’ artificiale; e vi si sente l’ ispirazione dell’ idea) molto più che l’istinto poetico. Venendo ai versi dell’ avv. Biondi, si vede chiaro che il ch. A. non ha considerato la poesia come un’arte difficile , come. una missione, ma come un passatempo aggradevole, come uno sfogo dell’ingegno, che non avrà forse trovato fra le Pandette e le Novelle tutto quanto il suo pascolo. Il signor Biondi non è di quelli che giudicano di poesia senza farne, e che. cre- dono dir cose nuove ripetendo le vecchissime un po’ più pedan- tescamente del solito: egli non s°impaccia di teorie, scrive per tra- stullo ; e stampa così... per trastullo. Il primo pensiero che gli sei ni % 19 ‘viene alla mente, per lui è il più poetico; il verso più spon- taneo è ;l più bello. Ebbene: fra questi versi gettati così sulla carta senza pretensione , non sarebbe cosa facile ritrovarne di stentati o di duri. I pensieri saranno comuni, lo stile sover- chiamente scorretto , ma il verso è di vena. Non già che man- chi all’Avvocato il potere di fare assai meglio. Cel prova , per esempio , la similitudine ch’ egli trova fra 1’ uomo che non co- nosce i propri affetti e si studia di nasconderli altrui, e quella maschera che si copre dinnanzi e porta il cartellino col proprio nome di dietro : cel prova quel tocco contro i maldicenti , che condannano negli altri i lor difetti ; e quell’ altro tocco contro certe donne moderne che vincono al confronto le eroine ; e la sentenza : che, dove è solo amor vinto e schernito, trionfa sem- pre a vanitade unito ; e il ritratto di Despina, donzella suggia e veramente umana j e della vecchiezza che omai non serba de- coro, e della gioventù languida e da poco ; e dell’ uomo più in- stabile della fortuna. Il sig. Avvocato del resto è, in fatto di lettere, eclettico. Egli vi tradurrà dal francese ana canzonetta amorosa di Florian: Loin de toi, ma Felicie; e dal latino un’orazione d’ Urba- no VII: Ante oculos tuos, Domine. Poi-vi tradurrà in buoni versi latini un sonetto anti-Turcico d’ Antonio Ottobonij poi un sonetto mitologico del Cassiani; poi un sonetto sacro del Filicaia. Egli vi farà e delle sestine, e dei sonetti a rime obbligate ; poi parlerà e di Venere e della Vergine; burlerà gli altri, e piangerà sui falli suoi propri; citerà Catullo e la Cantica, Daniele e Ari- stotele , Ovidio e San Giovanni, Marziale e Davidde. I suoi varii affetti per altro paiono, cosa ban rara e bene stimabile, tutti sinceri: e nelle parole sue si conosce l’uomo di cuore. È posta in fine una buona traduzione elegiaca del Salmo L, lavoro! del sig. ab. Casamarte; il qual Salmo, non so perchè, è intitolato il Regio miserere. — Forse per dinotare che Davidde era un Re. K. X. Y. tre Volgarizzamento del libro di Rurz, testo del buon secolo della lingua. Lucca Tip. Benedini e Rocchi 1829. In questo novello dono che ci porge il ch. ab. Vannucci, i lettori amanti delle cose del trecento, ritroveranno la semplicità e l’ evidenza di quegli scrittori innocenti ; ritroveranno materia ad utili considerazioni nel confronto del volgarizzamento che ora si pubblica con quello che si legge nella rara edizione della n tao Bibbia del 1471, osservando come or 1’ uno or l’ altro contenga alcune piccole varietà da prescegliersi, ma come la lezione più accettabile venga quasi sempre dal codice dell’ ab. Vannucci. Sebbene io non creda che a’ giovanetti debbasi far cominciare lo studio della lingua con la lettura de’ vecchi; pur tengo che a certa età , una lettura ben diretta delle cose più scelte del trecento , potrebbe giovar sommamente a formare e lo stile ed il gusto ed il senno; a far loro sentire quel che manca alla lingua moderna , e quali di queste, mancanze siano riparabili , e come. Ma se il libro di Ruth si mettesse in mano alla gioventù , con- verrebbe a dirittura ridurre la lezione conforme al concetto del testo; chè una paroluccia saggiamente variata non è offesa tale da corrompere l’ antica purezza. Il volgarizzamento del 1471, sospetta il ch. ed. che sia opera del Cavalca, giacchè la versione degli Atti degli Apostoli a questo x attribuita è conforme del tutto alla versione che nella detta edi- zione si legge. “ Vero è, soggiunge, che non d’un solo autore , », ma di molti, chi ben la esamini, si mostra esser lavuro. ,, Ad ogni modo , può alla storia della lingua giovar questo libro, e l’ edizione variante che il ch. Lucchese ne porge , segnatamente con le osservazioni erudite ed esatte di che l’arriechisce. E così fece nei tre volgarizzamenti del libro di Cato, de’ quali 1’ An- tologia ha già fatto cenno: un de’ quali volgarizzamenti egli reca a verso la metà del secolo XIII. Con che sarebbe dimostrato che non in Sicilia fiorisse prima che in Toscana la lingua ; cosa già chiarita abbastanza dal fatto: chè dopo Federigo e Manfredi , quella tanto vantata preminenza svanì tutt’ a un tratto . Certo non è da credere che la lingua da Dante scritta e da Cino e da Guittone nelle sue rime, potesse , trapiantata , fiorir d’ im- provviso , e durare per tanti secoli nell’invidiabile sua bellezza, intantochè la vera madre di quelle eleganze , dopo qualch” anno di gloria, dovea vedersi abbassata alla condizione d’ un de?’ più strani dialetti e de’ più lontani dalla lingua scritta che in Italia si contino. Poche citazioni non bastano a distruggere un argo- mento sì forte. E al dizionario della lingua viva, e a quello della morta , la presente edizione fornisce parecchie giunte. Non già che il va- lente ed. non assottigli sovente di troppo, e non vegga un’aggiunta da farsi laddove non è: ma ciò non ostante , io dico che il suo metodo d’ arricchire il vocabolario a me pare degnissimo d’ imi- tazione. Giova offrirne un’idea. Non sole le voci e le frasi nuove il sig. ab. Vannucci ha la cura di registrare, ma se un verbo “% # 2I od un nome si trova congiunto ad una nuova particella, se d'una frase o voce gli esempi antichi mancano ; o son tutti poetici , 0 non sono esattissimamente nel medesimo senso in che l’usa l’autor suo, egli trova da farvi una giunta. Quest’e il vero modo di tutte notare le ricchezze della lingua , di darne il codice intero. Un nuovo accoppiamento di frase , una nuova gradazione di signifi- cato ; servono, ognun lo vede, ad esprimere una nuova idea. Così , delle frasi più comuni nell’ uso; offrire un solo esempio moderno, o un solo antico , è difetto. — Per fare di simili ag- giunte, conviene, come l’ ed. n., di frase in frase, di parola in parola, esaminare un libro intero col dizionario alla mano. La fatica è dura, ma necessaria , se si vuol possedere un dizionario sufficientemente compiuto. Chi tira a notare le sole cose più sin- golari , corre rischio di notar le più strane, di arricchire al più la lingua morta , e poco. giovare all’ uso e allo studio della viva. La diligenza, ripeto, del n. ed. è talvolta eccessiva : e quelle sue aggiunte sarebber forse più utili se distinte in due indici, l’uno delle voci dell’ uso , 1’ altro di quelle che son buone soltanto alla storia della lingua. — E tra le voci e le frasi dell’ uso , io ne trovo in questo volgarizzamento di quelle che la Crusca non ha, e che l’ed. non nota; come — Dovunque col futuro II.2; — Padre della famiglia ; — Iddio Signore II. 12; — Umiliato per abbassato da sventura I. ar; — Essere del parentado II. 1; — Essere coll af fisso II. 6. Guetta sì è quella Moabite. Dante : I mi sonun ec; — Del per indicare porzione d’ una cosa II. 7. Pregò che potesse ricogliere delle spighe; — Rimanere assoluto Il. 7 Ricogliere delle spighe della biada che vi rimanessero ; — Mi, elegantissima edizione d’ affetto : II. 8. Odi, figliuola, non m’ andare a cogliere le spighe in altro campo ; — Non seguito dal verbo con affisso , ama l’ affisso tra se e il verbo : non ti partire dI. 8. — Il quale nel principio ‘del periodo, al modo latino: alla quale disse Noe- mi. Il 22;— e altre simili in quantità, che non si notano perchè son vive; e che appunto perciò si dovrebbero con più cura notare. Ke Il compendio della storia Romana di Fravro Evrropro Trad. da Givs. Pacwniwr. Parma Tip: Ducale 1828. “ Ordine e chiarezza nella sposizione de’ fatti; semplicità » nella dicitura, per la quale lo stile riesce forse meno infetto s» de’ vizii del secolo; privazione di tutto quel maraviglioso che , 3 siccome in tutte le antiche storie, così nella romana, scema 7 [N 22 :» la fede anche al vero ; il più antico scrittore inoltre; dal quale » abbiasi, comechè in brevissimo sunto , tutta per seguito la. ro- ») mana istoria, dal primo nascere di Roma fino al sno' decadi- » mento ,, — Eurropio certamente è migliore «della sua fama ;: e hen fece il sig. Pagnini a tradurlo, a correggerne gli errori, a supplirne le omissioni : ma da ciò non segue, ch’Eutropio sia libro da porsi in mano a’fanciulli. Osserva egregiamente il ch. Trad. , che in una educazione compiuta non soli gli autori del secol d*oro debbono esser fatti conoscere e intendere : giacchè, chi spiega solo Virgilio e Cicerone, non intenderà bene tutto Giovenale nè Tacito; e gli stessi difetti de’grandi scrittori de’ secoli men felici , meritano studio ed esame. Quegli ammiratori, sì ardenti insieme e sì freddi, che gridano ad ogni tratto oro e classici, classici e oro, ignorano verisimilmente o fingono d’ ignorare che negli scrittori del secol d’oro s1 possono csservare delle frasi riprovevoli, e delle felicissime in quelli del secol di ferro. Ma non è perciò a conchiudere che lo studio del latino si debba cominciare da Eutropio e da’pari suoi. Havvi nella semplicità e nella proprietà degli ‘autori del tempo d’ Augusto una ragionevolezza sì profonda, una filosofia sì vera, che merita d’essere proposta ad esempio. Se i nostri precettori nol fanno ; se si contentano di gridare che i classici sono classici, e di commentarli goffamente e di farli tradurre e martoriare imi> tando , non è già per questo che sia tutta in tutti pedanteria la venerazione che a tali scrittori è dovuta. I pedanti, che altro de’ classici non sapranno imitare che le parole, e stoltamente ap- plicandole , i pedanti in cui : ‘altro di classico non riconosci se non la lima; e ve Ja riconosci sì che ti par di sentirne lo stridore, non sa- pranno mai nè intendere nè far intendere in che sia riposto il hello vero di Virgilio e di Cicerone. Ma ciò non toglie, io ripeto, che nel- l’apprendere il latino non giovi da questi prender le mosse piutto- sto che da scritti men puri. Se poi parliamo delle notizie storiche , un compendio il quale ha bisogno di tanti supplementi, qual è questo d’Eutropio, non oserei dire che a’ principianti possa essere molto giovevole‘a imparar la storia di Roma. Ma gli uomini maturi lo leggeranno con utilità e con piacere , framezzato così com’ esso è, dalle saggie note del ch. traduttore; e stupiranno un poco che Eutropio scrivesse per ordine di Va- lente imperatore , la cui mansuetudine , o tranquillità , com’egli la chiama (ch’è però più filosofico di maestà) non conosceva punto la storia di Roma , e non arrossiva di confessarlo : stupiranno in sentire Eutropio paragonare 1’ antica dittatura alla dignità impe- riale di sua tranquillità l’ imperator Valente ; (I. 12); stupi- 23 ranno nel vederlo (quantunque nemico del maraviglioso ) .citar come, vera la favo!a del corvo che combattè per Valerio contro quello sciagurato Francese (JI 6): loderanno Eutropio dell’aver taciuta quell’ altra favola di Polibio , che i romani, sull’esempio d’ una nave de’cartaginesi, predata, ne costrussero censessanta in meno di sessanta giorni; di che si vegga la saggia nota che il ch. Trad. v’ appone (II. 20 ). E così quella dove si accenna che Ammibale,; se non corse diritto contro Roma, dovea , saggiv co- m' era, averne le sue ragioni (III. .14); e quella dove dice che solo per esercitar le milizie , non per altra ragione , i romani in- vasero la Dalmazia (IV. 9); e che un pretesto , e non altro, fu quello preso per distruggere all’ ultimo la già doma Carta- gine (IV. 10); e che solo per la smania di trionfare, Ap. Claudio Pulero mosse ad inquietare i Salassi (IV. 14); e che le ingiu- stizie , e le scostumatezze, e le turbolenze che infamano gli ul- timi anni dell’ Africano , rendono sospetta la cagion di sua mor- te ( VI. 20); e che Gn. Domizio abusò anch’ esso della fede data, pur per l’ansietà di trionfare (IV. 2a) ; e che intenzione de’Cimbri non era invader l’Italia, ma cercarsi a’suoi confini un’asilo (IV. 27); son degnissime di menzione e di lode. Lo stesso dicasi di quelle che sonò al L. V. C. 9; VI. C. 7 12 19 20, VII. ar, IX. 28. — La traduzione è accurata: ma forse il sig. Paguini ha voluto imitarvi la maniera d’ Eutropio , giacchè le note mi paiono d’ uno stile più colto. Manca soprattutto la concisione, mecessarissima a chi traduce scrittore latino. pe, Quanto all’ autorità storica del Nostro, egli può aver veduto molti di quegli storici che noi più non abbiamo. Ma non ne cita che un solo ; una sola volta: ed è Fabio Pittore. Confron-. tando però le notizie di lui con quelle degli altri che ci riman- gono, si potrebbe scoprire quali a lui solo si debbano, e se queste sien tutte vere ed esatte. Ma converrebbe a tal fine intrapreudere un lavoro simile a quello che l’ Heeren fece sopra Plutarco e Giustino. K. X. Y. Giornale delle lezioni pubbliche, pronunciate nelle scuole, ac- cademie , collegi, e società di lettere, di scienze , d’industria, della Francia; dato in luce da una società ... sotto la direzione di Prospero Cuaras, a Parigi. Parma, presso F. Pastori 1829. “ Non ci pare , così nel suo avviso l’ egregio editore , non >, ci pare dover tacere come ci stia fortemente nel desiderio di 24. » poter dare ‘alle stampe anche le lezioni pubbliche d’ Inghil- ,, terra, di Germania, e sopratutto d’Italia. Quanta utilità non ,» recherebb'egli tale complesso dell’ istruzione pubblica dell’En- ,3 topa colta! Quanta fama non s’aggiungerebbe ai dotti ingegni! 3) Nutriamo buone speranze di facilmente riuscire nel nostro in- ;, tento; se di buon grado si presteranno i professori all’ invito ,; che lor facciamo fin d’ ora , perchè ci mandino di quando in ;» quando le lor prelezioni ; e se non ci falliscano le pratiche >) già usate da noi verso non pochi d’ essi , che ci sono cortesi ss di corrispondenza e d’aiuti. ,, Noi raccomandiamo calda- mente e a’ professori delle Università d° Italia 1’ onorevole voto del sig. Pastori , e a tutti i colti Italiani quest’ utile impresa. Tutte già le imprese di quell’ uomo benemerito ci paiono degne di raccomandazione e di lode. Il suo gabinetto letterario ; la sua bibliografia italiana, della quale s’è parlato con lode altra volta ; il suo foglio commerciale che mancava all’ Italia, € che, col sussidio di buone e generali corrispondenze , farà del bene non poco ; il suo Eclettico , dov’ egli si propone di raccogliere quanto dell’ Italia dicono gli stranieri, e quanto di meglio i ip Italia si scrive; soprattutto poi questo giornale delle pubbliche lezioni. Così noi vediamo in Milano un sol uomo raccogliere la direzione di cinque giornali diversi, alcuni de’ quali importanti e molt’ utili, gli annali di medicina , di farmacia , di tecnologia, di statistica i e l’ Eco. Non citiamo esempi più prossimi: ma è singolare a notarsi come in Italia que’ pochi perfezionamenti che si vengon tentando, sieno quasi tutti merito d’individui , non di società ; com’ anzi, per poter annunziare con molta probabilità , una serie o di triste riuscite, o di vani sforzi, o di discordie , ch’ è peggio ; ridicole e vergognose , basti che la buona inten- zione di qualche uomo saggio si volga ad una società già formata, o pensi a crearla. — E poi ci si parla delle maraviglie che vien facendo la rigenerazione italiana ! Noi non sappiamo del resto se sia per tornar meglio al sig. Pa- stori il tradurre tal quale il giornale del sig. Chalas, o piuttosto lo scegliere dalle lezioni de’ professori più valenti, Jussieu , Say, Villemain , Daunou , Guizot , Bory-de S. Vincent, Dupin, Cou- sin , Gay-Lussac , Geoffroy S. Hilaire, lo scegliere ; dico, que’tratti che possano venire più dilettevoli insieme e più proficui a’ let- tori italiani. Non tutto ciò che conviene alla Francia , convie- ne a noi: e in Italia si richieggono , ora considerazioni meno astratte, ora ipotesi più fondate; nozioni o più positive o più ele- mentari. Villemain , per esempio , per noi avrebbe delle buo- 25 ne vedute, ma non delle idee intere ; Guizot , delle osservazio- ni e de’ giudizii sani, fecondi, non un metodo , non uno spirito veramente imitabile . Che dirò di Cousin ? A cui, se Omero de’ filosofi fu chiamato Platone , potrebbe darsi il titolo di filosofo lirico. Quì non è luogo a trattare di proposito delle sue lezioni: ma mi sia lecito notare in passando che , qualunque. sia il suo Sistema, se sistema è, non può certo far de’ proseliti ; che la straordinarietà delle sue espressioni non deve condurci a de- trarre al molto suo ingegno, alla molta facondia; che dal tuono, non conviene, come taluni fanno , giudicare una filosofia, giacchè , come ben dice James Makintosh , anche in sillogismi si possono inchiudere degli spropositi, e la freddezza può essere leggera ed inetta quanto l’ entusiasmo, colla differenza ch’ ell’è innoltre pedantesca e noiosa ; che gli affetti non nocciono mai alle idee, se non quando le idee sieno false; che i rigeneratori o i propa- gatori della filosofia metafisica naturale e politica, Platone, Bacone, Cartesio ,, Galileo, Vico, Beccaria, eran tutt’ altro che anime gelide e istupidite dalla sapienza ; che quantunque l’ eclettismo non sia che una parola piuttosto che un sistema, una parola ell’ atto pratico vuota di senso, pure tra le idee di Cousin ve Pa di rette , se non, espresse, almeno adombrate; ma che per giudicarle, bisogna intenderle , bisogna conoscere dond’ egli le abbia tratte, giacchè sue non sono; e bisogna iufine persuadersi che la filosofia di Condillac, a cui Lavoisier dice di dover molto appunto come il Galileo dice di dover. molto all’ Ariosto, non è che un'ipotesi anch’ essa , e soverchiamente modesta. Kok. La coscienza. Dissertazione. del Prof. Pierro Burrura. Zara. Tipografia Battara 1829. La coscienza è dal ch. Prof. considerata non solo nel senso morale , ma nel psicologico ancora. I fatti dalla coscienza osser- vati sono non, meno evidenti, e più certi dei fatti convscinti per mezzo de’ sensi. Si può dubitare con più ragionevolezza della esistenza de’ corpi , che non della esistenza di una intelligenza attiva e libera dentro a noi stessi. Se per dimostrare una verità tanto semplice, son divenute a’ dì nostri necessarie delle opere intere, ciò conferma il detto savissimo del nostro Professore : < che l’assoggettare la facoltà di conoscere a quella di sentire 3» è lo stesso che far dipendere le scienze più elevate dalle scuole T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 4* 26 x elementari, ed il calcolo differenziale e integrale dall’ aritme= » tica. ,3 Certo ; la sensibilità è necessario mezzo all’ intelli- genza. Ma il canale che porta l’umore, nessuno afferma che sia la causà dei giochi mirabili della vegetazione. E di questa mi- seria, alla quale si trova condannata la scienza, di tornar sempre da capo , mercè le fedelmente ripetute obbiezioni di coloro che si tengono scienziati profondi, pare che volesse burlarsi 1° au- tore di un bell’ articolo inserito nel num. XI della Revue Fran- gaise , dove con idee elementari e quali si convengono alle in- genue obbiezioni di M. Broussais, ma insieme con socra- tica ironia, sostiene la causa d’uno spiritualismo saggio ed irreprensibile. E già il nostro Autore, col titolo stesso dato al suo libro dimostra d’ essere affatto lontano dallo scetticismo. dogma- tico della scuola di Kant , il quale/, assoggettando la coscienza stessa a leggi inflessibili, viene a stender la mano ai materia listi, e per vie più distorte e più lunghe riesce alla medesima metà. Queste parole serviranno , io spero, a riconciliare con Kant certi filosofi di nuovo genere a’ quali basta sentir parlare | di spirito, d’ ispirazione , per sospettarvi sotto l’ odiato mistici- smo ; ma se qualche caritatevole persona li illumini, e faccia 1 cotiostere che queste frasi alquanto mistiche non fanno punto con- traddizione alle loro idee ‘predilette , s'acquetano docilmente , e ammirano 1’ ingegno del nuovo Profeta. Gente, che crederebbe anche l’ificredibile , se fosse insegnato da ‘un uomo avveduto a evitare certe frasi, e a ripetere con affettazione cert’ altre. Una delle considerazioni importanti (giacchè tutte non è quì . nostro proposito d° accennarle ) , pae nello scritto del prof. Buttura troviamo su questo argomento, è tratta dall’ uso e dalla natura delle idee e delle nozioni pare , che non si possono ,) concretare per formar dei composti, quando non sieno in- ,» variabilmente determinate senza ricorrere alla sensazione. ;, Quella prima specie d’ astrazione che consiste nel detrarre dal- l'oggetto una sua qualità o circostanza } e considerarla staccata dal tutto ;, quale ci si è nella sensazione offerto , e farla soggetto a ‘confronti, a combinazioni, 1a giudizii nuovi; questa prima specie d’astrazione , senza la quale è impossibile il collegare due idee, e il dedurne un sì o un nò, basta a dimostrare ‘che la sensazione qual è presentata alla mente , non è che la materia bruta ed inerte , proposta al lavoro dell’ intelligenza operante. Questa: idea stessa. è dall A. egregiamente svolta, ed applicata così: 4 Non può dunque concepirsi 1’ attività della mente uma- ;s na, quando non abbiasi del linguaggio 1° indispensabile -soc- 27 », corso; e poichè le forze tutte dell’ intelletto umano, e le con- so dizioni che da queste derivano , versano nella combinazione 3» delle idee semplici per formar de’ composti che sieno para- gonabili tra loro, cosicchè ne risultino dei nuovi composti , e nel decomporre i primi coll’ unirvi i segni opportuni; veg- giamo che le forze tutte dell’ intelletto, nel calcolo delle idee »» $' aggirano , e che i linguaggi sor tanti metodi di calcolare. ,, (p. 12.) Quante e quanto feconde considerazioni non frutterebbe ad un pensatore questa idea del riguardare i linguaggi come l’ aritmetica della ragione! Quanta luce alla ideologia e alla fi- lologia non ne verrebbe, e alle scienze più pratiche ! Tutto , nello scibile umano , è indissolubilmente legato ; e non può altri che uno spirito leggero astrarre da’ principii per ‘applicarsi alle ultime conseguenze , e quelle credere unicamente rpali , perchè 29 più palpabili. Dopo accennato come. mercè del linguaggio ratifichiamo e. accresciamo le idee (p. 13.); come il linguaggio scritto ci. rende capaci di raziocinii più complicati (p. 15); dopo raccomandata unione de’ medici e de’fisici.agl’ ideologici e a’ psicologici studii È 18), LA. tocca gl’ inconvenienti del principio d’ analogia so= verchiamente abusato (p. 19): giacchè l’errore del sensualismo so- miglia molto a quel de’ bambini che chiamano tutte le. cose ap- Troppo distinguere è parentemente simili col medesimo nome. un male; ma tutto confondere è peggio. Altri pensieri fecondi, altri giudizii rettissimi potremmo recare , tratti da questo discorso : ma basta , cred’ io , il già no- tato a commendazione dell’ opera ,, e a lode del ch. Autore. PERA Mezzi da impiegarsi per accrescere i prodotti della. Dalmazia. Dissertazione del prof. D. Pierro Burruza. Zara Tip. Demar- che 1827. Gli studi teorici serbano con le pratiche indagini un vincolo sacro. Nelle osservazioni dell’ economista , del ‘moralista , del fi- sico, un po’ di filosofia, si chiamass’ anche filosofia metafisi- ca, nome da certi profondi pensatori, abborrito , non nuoce. Platone e Aristotele, Cartesio e Leibnizio , erano anch’ essi, _ a quel che pare, imbevuti di questo pregiudizio deplorabile : sic - chè il prof. Buttura può consolarsi , che si trova almeno in ot- tima compagnia. Egli non è della schiera di que’ sapienti, che quando la filosofia non è più a modo loro, mandano , come fan- 28 ciulli stizziti , il ginoco a monte ; e dichiarano oscuro tutto ciò che non intendono , inutile quello che lor non accomoda. Dopo discorso con tanto sapere di cose filosofiche, il prof. Buttura di- scende alle economiche , e dimostra bene che le astrazioni non guastano la testa se non se alla gente distratta. I Dalmati specialmente gli debbono saper grado de’ suoi sa- pienti consigli. Quest’ operetta potrebbe star molto bene daccanto alle belle relazioni che il benemerito Dandolo , sulla fine di cia- scun de’ tre anni che governò la Dalmazia, indirizzava a Bo- naparte sullo stato della provincia, e sui miglioramenti da'lui \ ottenuti, o tentati , o desiderati; relazioni ch'io amerei ve- der pubblicate e come documento istorico, e come avviso sa- lutare a’ sudditi ed a’ governi, e come modello d’ una statistica uffiziale, tutta candida e schietta, tutta fervente dell’ amure del bene. Dalla dissertazione annunziata io trarrò quì alcune delle notizie più singolari, sì per rendere onore alle intenzioni generose del valente Italiano, e sì per invogliare taluno o dei nazionali o degli esteri a tentare in grande una almeno di quelle riforme, che all’ intraprenditore recherebbero e lucro grandissi mo, e gloria vera. i v La superficie della Dalmazia , comprese le isole, abbraccia 4,131,600 campi padovani ; de’ quali 650,000 coltivati , il resto o palude , od alpe , o tristo pascolo ; o bosco di pochi sterpi. Più della metà della terra coltivata , è serbata alla sola seminagio- ne : il terreno prevalente è il calcare. L’aria, tranne alcuni po- chi luoghi, salubre. Ignota la coltivazione de’ gelsi , sebbene que’ pochi che vi nascono a caso, crescano bellissimi di per sè; sebbene i bachi che alcune famiglie nutriscono per trastullo , dieno molta seta, e più solida che quella d’Italia e di Francia ; sebbene anch’ espo- sti all’intemperie dell’ aria, mettano buon frutto senza l’arte dell’uomo. Il gelso sarebbe a questa provincia, grande rendita e certa; e salverebbe il povero dalla fame , che negli anni tri- sti lo coglie nei mesi di marzo e d’ aprile. Le case morlzcche ( parliamo della Dalmazia montana ), so- no capanne in cui l’aria e l’acqua entrano da ogni banda , e che per camino hanno un buco nel mezzo del tetto: là vivono uomini e bestie. Gli animali , mal nutriti e mal governati , sono mal atti al lavoro, danno tristi parti, e pelli e carni non buo- ne. Eppure la natura favorisce oltre ogni credere il governo delle greggi, giacchè, così trasandati come sono, sopra 260,000 abi- tanti, vi si contano due millioni di animali. * 29 I frutti e l’erbe sono di un sapore squisito. Nondimenb, fin l’aglio e la cipolla si fa venire dall’estero. Il morlacco manca d’indu- stria e non conosce le arti necessarie alla vita, o piuttosto non vuole conoscerle. Il suo carro è una massa pesante di legno senza ferro, con ruote ineguali poligone, dove spesso le anteriori son le più gran+ di quattro bovi ci bisognano a strascinarlo; e se ha qualche centi naio di libbre di carico, sei, otto; anche dieci. Le zappe han: no i manichi cortissimi; onde il lavoratore dee starsene in una posizione faticosa ed incomoda, e consumare il quadruplo della forza. Non sa preparare il concime: non difendere dal morso delle bestie i crescenti virgulti. Sdegna le nuove piantagioni , e talvolta per invidia o per altro, svelle o sciupa quelle del più industrioso vicino. A’ giorni del raccolto , nel dì onomastico del capo di famiglia, ne’matrimonii, nelle feste pe’ morti, si man- giano il vitto dell’ anno ; e nella primavera discendono a men- dicare. Queste miserie però vengono di giorno in giorno sceman- do ne’ paesi men lontani dal mare : e scemerebbero ben più fa- cilmente se si desse orecchio ai sapienti consigli dell’ ottimo professore. | Alla dissertazione segue un carme del ch. sig. cons. Giaxich, sulle lodi di Sebenico, dove sono enumerate le produzioni più preziose, le singolarità naturali, e gli nomini celebri di questa patria dello Schiavone, del Rota, del Veranzio, che può van- tarsi d’ aver data l’ origine alla famiglia del celebre Marco Polo. Di questo Carme , se cel concedessero i confini al presente arti- colo prefissi noi potremmo citare de’ versi che onorano il loda- tore. K.sXi\. Della Patria di S. Girolamo. Risposta di D. Gro. Caror Dal- matino all’ Opuscolo del Can. D. Pierro Srawcovic® Istriano. Roma 1828 Bourliè. Erasmo di Rotterdam, toccando. di coloro che vorrebbero S. Girolamo nato nell’Istria : questa sollecitudine , dice , que- »» st affetto a me pare non degno d’uomo di senno , non degno >» d’ uom cristiano. Chiunque entrerà bene nello spirito di Giro- o lamo , chiunque saprà degnamente imitarne la vita, quegli »» sarà vero concittadino di lui, foss’ anche nato nella lontana so Inghilterra ,, (1). Noi non intendiamo che questa dura sen- tenza si possa applicare. al signor Can. Capor; la cui risposta (1) Vit. S. Hyer. ùi _30 tende non solo a rimettere il vero nel debito luogo, cura sempre lodevole , quand’ anco si tratti di menome cose ; ma ci fornisce più. certe idee degli antichi confini della Pannonia e della. Dal= mazia, e può forse condurci a qualche importante scoperta , quando si dia mano agli scavi da lui proposti nel luogo dell’an- tica Stridone. Egli è vero che quel luogo al presente è in potere de’ Turchi; ma questo; speriamo, non sarà più, tra poco , un ostacolo alle indagini desiderate. Ciò che il pubblico ha certamente diritto di richiedere dagli autori di simili indagini, si è la maggior possibile brevità , giacchè si tratta di ben tenne soggetto ; e l’ assenza d’ ogni animosità , d’ogni boria nazionale, per usare la frase solenne del Vico. Nel caso nostro la. cosa era tanto più necessaria, che il vantarsi d’aver data a un nomo insigne l’ vrigine è ad un paese ben picciolo pregio . Anche la Scizia può vantare Anacarsi. S’ aggiunga che il Santo stesso , che oscuramente accenna la patria sua, de’ costumi e della cultura di lei parla con so- verchia chiarezza. In mea enim patria, rusticitatis vernacula, Deus venter est , et in diem vivitur: et sanctior est ille qui ditior est (3). Vale a dire: nella mia patria , rustico paese , non s'adora che il ventre; si vive alla spensierata; e il più ricco è il più santo. Si noti la forza del rusticitatis vernacula , ch? è debolmente tradotto da rustico paese , giacchè vernaculus , vale proprio d’ un luogo, natio di quello (3): sicchè viene a dire che la patria sua non solo è paese rustico ; ma è appunto la patria della medesima rusticità (4): elogio non molto lusinghiero , se ci si pensa. ben bene. Questa cosa giovava notare , e notar chia- ramente: acciocchè non si desse soverchia importanza ad una questione, donde 1° onore della Dalmazia non può ritrarre gran lustro. Questo confessato , egli è dovere di giustizia riguardare la cosa dal lato opposto, e mostrare come la rusticità della patria di S. Girolamo non era forse tanta, quanta quelle parole sem- brano dinotare. Il ch. A. ha già toccato dell’ educazione accu- rata ch’ebbe il Santo da’ suoi, ha rammentate le ville ch’e’pos- sedevano vicino a Stridone ; e ne ha dedotto che la sua proba- (2) Ep. ad Chrom. (3) Plin : Vites peculiares atque vernaculae Italiae. Cic. Crimen dome- sticum et vernaculum. Ed altri nel Forcellini. (4) Perciò leggerei con alcuni commentatori: rusticitas vernacula. Il senso è più netto, 31 bilmente non sarà stata in que’ Inoghi la sola famiglia agiata , | posseditrice di ville. Ora l’ agiatezza conduce con sè più o men di coltura. Quelle stesse parole che attestano la voracità e l’ava- rizia degli Stridonesi , ne attestano insieme la ricchezza ed il lusso. Tali indizii, egli è vero, non provano la coltura de- gl’ ingegni ; e il vedere che Girolamo, ancor fanciullo, è mandato a Roma, potrebbe dimostrare mancanza di educatori ne’ luoghi vicini. Ma questo stesso bisogno da’ suoi genitori sentito di man- darlo ad educare nel centro della civiltà di quel tempo, indica, al parer mio, una nazione non rustica affatto. Erasmo ed altri credono che Girolamo fosse battezzato in Roma ; vale a dire lo suppongono mandato in Roma bambino. Ma il testo sul quale s’appoggiano, non parla di battesimo; tocca in generale della veste di elezione , se ben lo rammento. D’ al- tronde un passo , riportato anche dal n. A., ci dipinge Girolamo fanciulletto strappato dal sero dell’ ava, e mandato a scuola di forza. Ora non è probabile che in Roma lo accompagnasse l’in- tera famiglia. Non ne abbiamo argomenti per crederlo ; abbiamo anzi indizii chiarissimi per tenere il contrario. E poichè siamo all’ educazione di Roma , noteremo in pas- sando un picciolo sbaglio del dotto autore, il qual dice essere stati a Girolamo maestri Vittorino e Donato : ma il passo ch’egli cita a mostrarlo , non riguarda che il solo Donato ; e in altri luoghi parlando di Vittorino, il Santo ne biasima lo stile e le opere, come Erasmo osservò ; cosa che non avrebbe verisimilmente fatto, se Vittorino gli fosse stato maestro. Altro argomento d’ una certa coltura nella Dalmazia d’allora, potrebbero essere que’ monasteri che nelle isole di lei sorgevano, e de’ quali ‘parla il Santo in due luoghi delle opere sue, ch’ io raminento bene, ma ch’ora non saprei con sicurezza citare. Egli è vero che in un di que’luoghi il Santo dice cotesti monasteri essere mantenuti a spese di privata persona : ed è vero altresì che i monaci d’ allora non isceglievano i luoghi più frequentati e più colti a loro soggiorno ; pure se mi si volesse concedere che i monasteri possono indicare a que’ tempi una quelche civiltà, io ne saprei grado alla generosità del lettore. Un terzo argomento, che prova insieme e la Dalmazia non essere stata allora sì rustica, e S. Girolamo probabilmente esser Dalmata , abbiamo nel passo di lui, che sfuggì all’erudita e in- gegnosa diligenza del chiar. Autore. Dice nell’ Apologia con- tro Rufino che gl’improperii da Rufino lanciatigli, a lui di- morante in Betlemme , de Italia et urbe Roma atque Dalmatia 32 scripta venerunt. Come mai da un paese barbaro, da un paese sì lontano , dovevano venire al Santo le nuove delle ingiurie vo- mitategli contro dal suo nemico , se in quella barbarie non fosse stato un qualche barlume di civiltà; se Girolamo non avesse avuto in que’ luoghi e parenti ed amici ? L’ accennare in questo luogo la Dalmazia, parrebbe in tutt’altra ipotesi così strano , che, bene considerato , questo passo mi pare il più forte di tutti a recidere il nodo. Che S. Girolamo non sia Istriano, il n. A. evidentemente cel mostra. Che questi abbia bene interpretate le parole : oppido Stridonis , quod a Gothis eversum, Dalmatis. quondam Punno- niisque confinium fuit, vale a dire che il guondam si debba at- tribuire al confine , non al rovesciamento della città , cel dimo- stra e la storia, giacchè i Goti non potevano molto tempo in- nanzi a Teodosio venire ad invadere quella parte d’ impero ; e la ragione della lingua , giacchè il guondam non è posto innanzi ad eversum , ma dopo Dalmatis; e 1’ autorità di Erasmo, il qual dice : din tum a Gothis omnia populantibus eversum. Tanto è lungi che le ruine del luogo Erasmo le riporti a’ tempi lontani , ch’ anzi le dichiara avvenute poco innanzi che S. Girolamo scri- vesse quel cenno. E quì giova recare un bel passo d’ autore contemporaneo , il qual serve a mostrare, come i confini della Dalmazia in quel tempo si spingessero più là ch’altri non crede, e occupassero parte di quella che taluno potrebbe reputare Pannonia. Obsidione solutus , dice Claudiano, Pannonius , potorque Savi (5). Il Savo adunque non entrava al quarto secolo nella Pannonia. Non si può dunque più temere che S. Girolamo venga ai Dalmati da’Pan- noni rapito: e cel comprova meglio quel passo del Santo: citato anche dal n. A.: quidquid inter Alpes et Pirenaeum est . .. . Quadus, Vandalus , Sarmata, Halani , Gipedes , Heruli, Saxo- nes, Burgundiones , Alemani , et (o lugenda respublica! ) hostes Pannonii vastarunt (6). Si potrebbe , egli è vero, intendere che lo scrittore con quella esclamazione voglia mostrar quasi l’orrore del vedere anco i Pannoni fra’nemici del nome Romano; ma ad ogni modo, se egli si fosse creduto Pannone ; l’ avrebbe detto più chiaro. Di più; quel riporsi che egli fa sempre fra’ latini, quel chiamar. nostra la lingua d’Italia, indica, parmi, un’ origine (5) Laud. Stilich. La 2 v (6) Altri legge o lugenda res! e suppone publica intruso. 33 non barbara, quale sarebbe certamente quella del sangue Pan- nonio (7). Nell’ Apologia contro Rufino si legge: unde me putabam bene mereri de Lutinis meis, inde in culpam veni, — È poi: editwonem, quam diligentissime emendatum , ante annos plurimos meae linguae hominibus dedi. Ed altrove più volte (8). Queste cose ci piacque aggiungere ai molti e forti argc- menti dal sig. Capor accumulati in favore della sua causa con rara sottigliezza d’ingegno. Un argomento, e de’ più forti in tal quistione , io aggiungerò : tratto dall’ indole di questo Santo ; indole affettuosa insieme ed acre, sdegnosa e franca; so- vente brusca ; come attestano tuttii suoi scritti, e segnatamente le dispute con Sant’ Agostino. Tale appunto è il carattere illirico: onde un giornale francese paragonando gli Slavi a’Germani, nota che un sang plus chaud , plus vif, plus léger coule dans leurs veines (9). Se a ciò s’ aggiungano i due motti che la tradizione intorno alla sua origine illirica ci ha conservati, 1’ argomento acquisterà più valore. Una questione mi resta da proporre ; e con questa conchiudo. Le ville che il padre di Girolamo possedeva a Stridone , 1° edu- cazione che questi ebbe in Roma, lo dimostrano di sangue non vile : ora Girolamo, riportando la taccia appostagli da Giovanni Gerosolimitano , d’essere diventato di servo‘chierico (10), non la smentisce , ma si ferma a recare in propria discolpa altri simili esempi. Questa contraddizione io non veggo come conciliarla ; quando non si suppovesse che il padre di lui , sorto improvvi- samente da basso stato, potè fornirgli un’ educazione invidiabile a’ricchi stessi. Un passo di Plinio il qual dice: Liburniae finis et initium Dulmatiae Scardona (11), fece credere a torto che Stridone e Scar- dona non fossero che una cosa. Ma questo errore popolare è dot- tamente smentito dagli argomenti del ch. A, il quale dimo- stra, lo Stridone disputato non poter essere che nella Dalmazia montana. Ri ws (7) Stat. L. I. Silv. 4, Pannoniusque ferox. (8) Pref. în Neemiam ; e più volte Adv. Rufin. (9) Globe. (10) Ad Theoph. (11) III. 22. ‘è T XXXVI. Novembre e Dicembre. 5* 34 Eneide di Virgilio, Traduz. di Evrrosina Massoni. Lucca Tip. Bertini 1839. Lottare con un poeta qual. è Virgilio, gareggiare con un traduttore qual è Annibal Caro, a moltissimi parrà incauta gara, disperato certame. Che da tal prova l’egregia tradutcrice sia riu- scita non rade volte con felicità e con onore, quest’è che noi ci accingiamo a mostrare ; scegliendo al nostr’ uopo que’passi dove, oltre al conoscere i pregi dell’ annunziato lavoro, ci venga il destro di fare sopra la poesia di Virgilio alcune brevi conside- razioni, che dovrebbero essere ovvie e soverchie, ma pur troppo non sono. Con Virgilio comincia, nella poesia classica , 1° uso di quegli epiteti potenti, fecondi , gravidi di pensiero e d’ affetto, che alla verginale freschezza della Musa greca erano sconosciuto orna- mento. Uno di tali epiteti, che pure a prima vista pare nulla più che comune, è quello del verso: Necdum etiam causae irarum, sae- vique dolores Exciderant animo. Quel saevi non sarebbe già fedel- mente tradotto da crudeli , giacchè esprime non il molto dolore , ma il dolore dispettoso, stizzoso, il rancore molesto dell’ira. Annibal Caro traduce : Ripetendone i semi e le cagioni — Se ne sentia nel cor profondamente 3...... dove 1° infedeltà è la minor colpa , lan- guida è l’ espressione, scolorito e quasi svanito il concetto. La Nostra a!l’ incontro : “ Nè ancora = L’indomit’ira, e dell’acerbo duolo — 1l senso acuto le cadea dall’ alma ,, L’ anima incomparabile di Virgilio , per cui lo scetticismo del secolo non potea essere che .il dispregio de’ volgari pregiudizii , e di quelle strane idee di imperfezione e di depravazione negli Dei punitori delle colpe dell’uomo , 1’ anima di Virgilio era es- senzialmente religiosa : e ciò che dona al suo poema un non so che d’arcano , di sacro, ciò che salva il suo eroe dal ridicolo , è la religione. Quindi nell’ aprirsi del poema sentiamo , la sua missione essere di recare gli Dei nel Lazio ; quindi quel verso sovrano: Ilium in Italiam portans, victosque Penates. Il Garo traduce : “ E d°’ Ilio le reliquie, anzi Ilio tutto - Seco v’ ad- duce, e i suoi vinti Penati ,,. — Quell’ anzi, tanto antipatico alla poesia di Virgilio; quelle religuie, che fanno in brani l’idea intera ed unica d’ Ilio ; que’ suoi Penati , che toglie alla missione religiosa d’ Enea quant’ ell’ha di comune, d’ universale , di di- sinteressato , son difetti, a mio parere, evidenti. — Meglio la traduttrice novella: “ E nell’ Esperia i vinti — Penati adduce, 35 ed Ilio. ,, — L’adduce ripetuto dal Caro, non rende, a dir vero , il portans latino: ma 1’ Ilio posposto pare a me una bel- lezza aggiunta a Virgilio, e degna di lui. Uno de’ pregi di quest’ ingegno adorabile , è il pregio della modestia, del pudore, dell’ affetto ; io vo’ dire la parsimonia. Le sue bellezze son tutte raccolte ; paion fiori socchiusi, paiono rivoli d’ onda purissima che si perde tranquilla tra’ fiori. E la parsi- monia, ch’è il caratterre della soavità, è insieme indizio di forza. Ast illam ter fluctus ibidem — Torquet agens circum, et rapidus vorat aequore vorter. Dante l’ha imitato così: “ Chè dalla nuova terra un turbo nacque, —- Che percosse del legno il primo canto. — Tre volte il fè girar con tutte l’acque; — Alla quarta levar la poppa in suso, -- E la prora ire in giù,come altrui piacque; — Infin che il mar fu sopra noi richiuso. ,, — L’ imitazione di Dante è più fedele al testo , che non la traduzione del Caro : « E lei girò sì che il suo giro stesso == Le si fè sotto e vortice e vorago , — Da cui rapita, vacillante, e china, — Quasi stanco palèo tre volte volta, — Calossi gorgogliando, e s’affondò. — Sarebbe ingiusto negare a questi versi la facilità ; 1° eviden- za, e qualche toeco maestro. Ma i due primi son troppo inge- gnosi, spiegano fisicamente il vortice, e non lo dipingono : la similitudine del palèo impiccolisce l’idea : gorgogliando, in tanta sventura, è una piccolezza anch’ esso ; che raffredda il calore dell’ impressione totale = Ascoltiamo Virgilio: “ Ma l’onda; - Tre volte intorno a se la nave avvolta, —- Con un rapido vortice l’ inghiotte ,,. — RI a dir vero; non è la parola propria; ma tutto il resto è traduzione insieme e poesia. Uno de’ sid del genio di Virgilio , si è quello d’ infondere nella natura fisica l’affettuoso, il profondo , l’ universale , il. pa- tetico della natura morale. Molti poeti potranno forse dipingere una tempesta come Virgilio ; nessuno collocar con tant’ arte ; con tant’ effetto una circostanza comunissima , che compisce il qua- dro allargandolo. Apparent rari nantes in gurgite vasto, «= Che il Caro traduce in modo non degno di lui: ‘ Già per 1’ ondoso mar disperse e rare — Le navi e i naviganti si vedevano ,;. E la ch. concittadina del traduttore di Pindaro e del traduttore di Milton : Rari nel vasto pelago natanti == Si veggono Apiro tar naufraghi corpi ,,. Non ci fermiamo alle censure : e il lettore, speriamo,;ce ne vorrà saper grado. Noi non troviam che lodi da offrire a un’ ottima madre di famiglia, che îl culto del Bello sa conciliare cel “culto de’ propri doveri, e smentisce quell’ opinione pur troppo fondata 3ri sui fatti, che nella scelta di una donna letterata fa; temere un non so che di terribile , di fatale alla pace d’ un uomo. Rida i Biografia degli scrittori Pèrugini per G. B. Vermicriori. Fa- scic. III. Perugia Tip. Baduel 1829. Più lodevole ancora degli altri troviamo questo terzo fascicolo per la sobrietà e l’importanza delle notizie. pel senno con cui sono dettati aleuni articoli segnatamente. Sebbene due soli nomi di fuma italiana vi si notino, il Lancellotti ed il Maturanzio , molti però ne potrei numerare degnissimi di memoria ; e specialmen- te fra’ giureconsulti , de’ quali Perugia per molti secoli abbon- dò quant’altra città delle più chiare d’Italia. E sarebbe bel soggetto ad un’ opera laboriosa e importante , il cercare quanto alla italiana civiltà e agl’ incrementi della scienza sieno giovate in Italia le opere, e le lezioni, e le mediazioni , e i responsi di que’ tanti uomini di legge, che tanti ottemiero da’ nostri padri e premii ed onori, e che le università , le repubb'iche, i principi s’invidiavano, si rubavano; si conquistavano gli nni a dispetto degli altri, come oggidì si farebbe d’un ballerino o d’un buffo cantante. A queste indagini non pare diretta , per quanto io posso rac- cogliere, nè anco negli ultimi suoi volumi, la storia sì dotta e sì utilmente minuziosa del ch. Savigny. Eppure, assai più che la storia, a dir così , materiale del diritto, gioverebbe , pare a me, la storia dell’inflnenza di quello sulle altre parti del sapere, e sul movimento delle pubbliche cose. Ma oggidì che Ja giuri- sprudenza si vuol convertire in iscienza di erudizione piuttostochè di raziocinio , (2) io non so se i lavori analitici di questo genere ch'io propongo ; possano trovare operatori abbastanza avveduti ed esperti. Ritornando al sig. prof. Vermiglioli, bene a ragione egli si lagna che tanti de’ suoi Perugini ‘degnissimi di trovar luogo nella Biografia Universale, ne rimangano ancora sbanditi. Que'la se- gnatamente del Lancellotti; è omissione quasi inescusabile. E dopo ciò, toi non ci maravigliamo , che ne sieno omessi i quattro Er- colani di Perugia, e Spirito Lazzarini, se in quella biografia si cercano invano altri uomini dello stesso nome, e ben più noti all’ Italia: Ercolani Giuseppe ; e Domenico Lazzarini. 5) . (1) Riceviamo il quarto faseicolo*, col qualit P@perà del benemerito pro- fessore ‘è compiuta. 37 Comprende nella sua biografia il n. A. anche i Perugini vi- venti : e in questo. fascicolo noi notiam con piacere. i norai di Arrigo Giamboni ) già prof. di filosofia e di matematica in Ma- cerata , il quale dopo i suoi viaggi negli Stati Uniti ed im Fran- cia, professò filosofia a Spoleto, quindi matematica a Perugia , e pubblicò gli elementi di Matematica , ch’ ebbero finora tre edi- zioni, due in Roma, una in Napoli. — Cesare Massari, prof. di Notomia , di Fisiologia , di Notomia pittorica ; presidente del- I Accademia medico-chirurgica, autore. di parecchie memorie stampate; e d’ opere di maggior lena, inedite ancora. — Luigi Mattioli, prof. d’eloquenza e di lingua greca , poi di storia \ec- clesiastica. = Michele Mattioli, prof. di filosofia , e già d’ elo- quenza. — Antonio Mezzanotte”, il ch. traduttore di Pindaro. Anche lo stile in questo fascicolo ci parve un po’ meno ne- gletto ; e così la correzione tipografica. Ma ci badi il ch. À., specialmente ne’ passi latini, dove l’ equivoco è facile ; e dove oggidì più che mai sì comincia a sentire il bisogno di non ac- crescere gli errori che può pigliare il lettore con quelli che ha presi il tipografo. P. e.; p. 43 i//ustratus per illustratas; p. 79 sedere per sedens; p. 96 cuniculo per curriculo; equum per aequum; p 102 potest per putet; p. 117 configendam per confligendam ; p. 118 e 139 interpraetatus per interpretaturus ; p. 143 orbs per urbs; p. 76 amictantur per admittantur. — In questa pagina stessa è una hella lettera da Marsilio Ficino scritta al Mansueti, e tratta da un codice della Laurenziana, dove condanna la so- verchia prontezza con .cui si vincolava agli ordini monastici , in un momento di fervore passeggero , la docile gioventù. Quo- niam vero pollicitus est hereditaria illius bona illis largiri, avari hom'nes eum citius quam decuit inretire volentes , melancolicum adolescentem religiosam vestem subito induerunt. Similiter quotidie imprudentes et pravi religionum gubernatores delinquunt. Tam malum est delictum hujusmodi , quam bona Religio. Mea quidem interest , cum sim sacerdos Petri sectator, religiosorum errata tibi significare ... Quod si Brachmanes Pythagoricique in di- sciplinam suam humanam neminem nisi biennio exraminatum pro- batumque admittelant , cur ad divinam disciplinam tam temere quilibet admittantur ? Ob hoc ipsum religio multis contemptui ; et cum quilibet absque delectu excipiantur, ingens in religione numerus est hominum partim iniquorum, partim ignavorum, atque dementium (2). K. X. Y. (2) Vedi ‘a questo propnasito 1° articolo del dotto Carmignani, nel Giornale di Pisa, fascicolo di settembre e d’ ottobre. 38 Rime del Prrrarcay secondo la lezione del prof. Marsanp, con giunta corretta ed accresciuta, ed altri supplementi, per cura d’Anserro Srcca. Padova Tip. della Minerva 1829. Rime di Nrccorò x Jacoro Trerorr Veneziuni poeti del seco- “lo XVI. Venezia Tip. Picotti 1829. Il ravvicinamento di queste due nel loro genere accuratissime; edizioni ci richiama alla mente il singolare destin» della nostra poesia. Nata popolare, cresciuta con Cino , in Dante adulta , dal Petrarca condotta.a una delicatezza di stile e di numero , che non si saprebbe mai ammirare abbastanza , dopo avere per quasi un secolo ondeggiato tra una inesplicabile vacuità di pensiero , e ; po- chissimi eccettuati, una strana goffaggine e di lingua e di stile, essa ritorna sulle orme del Petrarca ai ripetere quegli accenti soavi,; senza energia , senza espressione sincera di affetto, ma con una grazia , uu. artificio poco men che ammirabili. Dopo mezzo secolo quasi di Petrarchismo ; verso la metà del cinquecento sopraggiunge una maniera non più forte nè più feconda d’idee, ma più av- ventata, meno eletta , men pura ; quasi via di passaggio ai delirii del secento : dopo il secento , ritorna il Petrarchismo, ma più languido ancora; non-più così delicato; e quasi men popolare: infinattanto che lo studio di Dante sottentra a rigenerare la poesia di uno spirito più efficace. Se non che, ell’era una imitazione an che cotest’ ultima; e. il vero e progressivo rinnovamento del l’arte può affermarsi dovuto alla maniera pensata e raccolta del Parini, al tuono schietto e franco del Monti, alla versificazione spedita e veramente Toscana del Niccolini, alla semplice e vera poesia del Manzoni. Ma una delle epoche al mio credere più sin- golari , è la subita degenerazione del Petrarchismo in sulla metà del secolo XVI. E lo comprovano le rime di questi due Tiepoli. Il primo elegante, forbito, versificatore artificioso , quant? altri forse de’ suoi più lodati contemporanei. È ben vero che in tutte queste canzoni e sonetti, l’unico pensiero che tale possa chiamarsi è forse il seguente: Che le forme celesti (dell’animo ) ch’ ora i’ scorgo Col mortal suo bel vel fanno un concento — Ch° empiell cor di dolcezza a chi le mira. ,, Ma nè un pensiero simile nè un verso solo di così delicata dolcezza v° è da trovare nelle poesie d’ Jacopo , il quale scrisse verso il 1570, a cui 1’ Aretino nel 1549 consigliava di fare, di scrivere: imperciocchè il miglior maestro s» che sia, è il fare: .. sicchè facendo farete faccende sì fatte che ss niente vi resterà da farci. ,, Ma il Tiepolo non ha ubbidito al 39 consiglio dell’ Aretino: fece pochissimo, e male. Non idee, nou affetti ; imagini vecchie e sparute , stile floscio e ruvido. in- sieme , lingua impropria, poesia da. umavista. L’ab. Rubbi ha potuto bene inserire il Nereo di questo Tiepolo nel suo Parnaso; ma e’ rimarrà nondimeno affondato per sempre. Il ch. signor Em. Cicogna , a cui dobbiamo le belle biografie di questi due Vene- ziani poeti, non ‘avrebb’ egli provveduto meglio alla nostra istru- zione dandoci la relazione di Niccolò intorno la sua ambasceria a Carlo V ,la qual relazione giace inedita nella Marciana ? Vengo al diligente lavoro del sig. A. Sicca, editore tipografo egregio, dall’ Ateneo di Brescia meritamente onorato d’ una medaglia , sul cui rovescio stanno le quattro effigie del Buonvici- no , del Gallo , del Bonfadio, del Tartaglia. Alle rime del Petrarca il ch. Ed. ha apposta la giunta di quelle che sono a lui attribuite o da qualche critico, o da qualche codice ; delle nuove ne ha tratte dalla Trivulziana , le già note ha nuovamente corrette. E certo in questa giunta si notano composizioni che portano, al mio parere, evidente la maniera Petrarchesca , e sono quelle che cominciano : Nel cor pien ... Nova bellezza... Anima dove sei? .... Quella che’l giovenil ... . Poi ch’ al futtor.... Quando, donna. ... Vostra beltà.... Poichè la nave. ... Conte Ricciardo..... Quando amor... Antonio... Più volte il dì... Se Febo... Quando talor . ., Tal cavalier... Alcune piccole correzioni io vorrei proporre al sig. Sicca. In vece di Fauno, Giano", io porrei Féuno, Giano (p. 339): invece di. Diomede, Achille, Diomede e Achille. Filopomene — Filope- mene ec. (p. 390). Il secondo Vol. contiene il Rimario del Petrarca per versi interi; quello di Dante, dell’ Ariosto, e del Berni per semplici desinenze . Questi rimarii danno luogo a certe osservazioni singolari. Nel Pe- trarca , p. e. non trovi rime in abbo, in abbi, in acca , in acce , in acci , in acco , in affi, in aja, in ajo, come in Dante: ma le rime più nervose insieme e più morbide , come Acque, Acqui, Adre, Agge; Aghi, Aglia, Agna, Alda, Alde, Aldi, Aldo, Alli, son più frequenti nel Petrarca che in Dante. Il Petrarca ha più spesso la cura di non accoppiare le rime. cho finiscono con la medesima lettera : — e simili delicatezze, la cui osservazione può tornar più proficua di molte regole. K..jXyX. 40 n Storia della città e della diocesi di Como. Esposta in X libri dal prof. Cesare Canto’. Fasc. ‘I. Como Tip. Ostinelli. 1829. Non facciamo per ora che annunziare quest'opera, a fine di lodarne l’idea , e di eccitare i dutti d’ altre italiane città ad imi- tarne l’ esempio. “ Ricorsi, così l'A. nella sua prefazione, ri- ,, corsi. alle fonti, meditai gli storici ;. esaminai singolarmente ,, i sincroni; osservai, paragonai le cose ed i fatti, chiesi il pa- ,, rere di chi sapeva , visitai le terre : sto alla sentenza del Ro- ,, velli, ove mi par la migliore ; ove no; espongo la»mia ., — E più sotto : “ Non femmo mai stima che empiessero il dover loro s» quegli fra gli storici che stettero contenti al dirci le guerre, s» gli womini scannati, quali sottomesse città, quanta gloria », acquistata nell’armi dal re, dal capitano, senza curare quanto 33 fossero felici i popoli, quanto ai godimenti ed alle speranze del »» cittadino giovasse la gloria dei capi. E perciò investigando gli sto- »; rici, sorprendendo quasi le notizie sfuggite ai cronisti, guardando ,; con un'unità di pensiero i rimasti documenti, ci venimmo forman- ,» do delle varie epoche un’ idea cha esponiamo in parti distinte: ,»,@ dopo narrati i casi che corsero in quel periodo, diciamo del »; governo , ove pure delle leggi ,. delle armi , dei tributi, della > popolazione; poi della religione. indi della moralità e delle eo- 33 stumanze : sieguono le opere pubbliche, e i monumenti d'arte ,; di ciascuna età : ci fermiamo infine a venerar la memoria di ,» coloro che alla patria assicurarono libertà, gloria, pace ...,, Dall’ ingegno del giovine autore , dall’ idea ch’ egli s’è fatta de- gli ufizi di uno storico , giova aspettare una storia municipale , degnissima di lettura. E il primo fascicolo già conferma le no- stre speranze. Non curi egli le ceasure de’ suoi avversarii , se non per raddoppiare all’ impresa lo zelo e la diligenza. K. X. Y. Tavole Logaritmiche del sig. GArDINER. Quarta Edizione Ita- liana pubblicata per opera e cura di Giovanni IncHIRAMI delle Scuole Pie ec. Firenze, 1829. Stamperia Calasanziana. È stata recentemente pubblicata la quarta edizione italiana delle tavole dei logaritmi di Gardiner. Il prof. d’ astronomia dell’ osservatorio Ximeniano P. Gio. Inghirami ha ‘procurata la suddetta pubblicazione, invigilandone egli medesimo l’ esecu- zione stata fatta nella stamperia Calasanziana. 41 Abbiamo tutto. il diritto di supporre che la nuova edizione non sia inferiore alle precedenti nella correzione : pregio per. il quale principalmente sono esse venute in brevissimo tempo a mancare. Ecco le variazioni indotte nella nuova ristampa. È stata sop- pressa la tavola dei logaritmi iperbolici perchè di uso assai raro, e perchè ad essa può facilmente supplirsi con. semplicissimo ar- tifizio di calcolo, per cui si convertono gli uni negli altri i loga- ritmi iperbolici e gli ordinari. Egualmente è stata soppressa la tavola dei valori numerici. delle funzioni. trigonometriche, riguar- data come estranea ad. un corpo di tavole logaritmiche. ‘ All’ opposto sono state. masgiormente. estese quelle parti delle tavole trigonometriche che contengono i logaritmi dei co- seni o cotangenti dei primi quattro gradi, o dei senie tangenti degli ultimi quattro, ed è stata portata fino. al logaritmo del N.° ror4i la tavola dei logaritmi dei numeri primi con 20 cifre decimali. Nella preliminare spiegazione si trovano importanti aggiun- te, tendenti tutte a vie meglio far comprendere i precetti re- lativi all’ uso pratico dei logaritmi, e corredate da molti esempi scelti in modo che presentino i casi riguardati come più imba- razzanti. I suddetti preliminari sono inoltre corredati di una rac- colta di formule , al calcolo delle quali sono applicabili i loga- ritmi, o che con essi han relazione, In somma è da affermarsi che i pregi della nuova edizione Galasanziana delle tavole loga= ritmiche del sig. Gardiner sotto molti rapporti superano quelli già universalmente riconosciuti nelle precedenti edizioni. 183 Della utilità di un canale navigabile da Ferrara all’ Adriatico; Lettera di G. R. all’ amico Camirro conte LapercHni di Fa- enza , nel dè delle sue nozze con la egregia donzella Barzara Acworerti di Ferrara Ferrara, Gaetano Bresciani 1829 in 8.° Servire la sua patria non è, come credono molti, un do- vere chimerico , ma bensì un dovere assoluto, e positivo ; e l’amore patrio è un fuoco sacro intimamente unito alla conser- vazione degli imperi. È però cosa singolare, che in nessuna lin- gua europea moderna vi abbia, pell’ uomo che esercita questa virtù, un nome tratto da radice indigena ; tutte, ove pur l’ab- .T XXXVI. Novembre e Dicembre. 6% 42 biano , derivandolo dal nome latino di patria. Nella stessa fa- vella italiana, il nome di patriotto non è nè di buon conio, nè di ottimo significato , che pur dovrebbe essere quello di amico sviscerato del suo paese , delle leggi, e della libertà , il quale antepune il bene pubblico all’ interesse suo personale , e per cui le case sono tutto, e le persone niente. Di così fatti uo- mini si crede, che in Italia non sia troppo grande il nume> ro; almeno sentesi ciò ripetere dagli oltramontani, e più che di ogni altra città ci è sovente sortito di udire , anche dentro la stessa Ferrara, che appunto la patria dei duchi d’ Este , del Bentivoglio, del Savonarola , de’ due Strozzi , di Fulvio Testi, e di altri uomini sommi , alberghi attualmente gli uomini i me- no teneri della patria di tutta la penisola , segnatamente per rispetto a ciò che può essere di utilità alla loro provincia , e rendere minori quei danni che le procacciano una troppo visi- bile decadenza. i Ma che la cosa non è così, il prova esuberantemente 1’ o- puscolo che abbiamo sotto gli occhi, e di cui l’autore troppo modesto ha voluto darci soltanto le lettera iniziali del suo nome, mentre da vero amante della patria, e delle cose che a lei pos- sano essere utili fervido anelante , ha fatto vedere , in un’occa- sione dove altri ingegni usualmente si esalano in meschini epi- talamii, che l’utile del suo paese , e dei suoi concittadini fu ed è sempre unica meta , e norma inalterabile alle sue azioni, ‘ai suoi studii, ed ai suoi desiderii. Che la necessità di non far sentire alla loro città il maggior danno, che debba recarle la creazione di un portofranco a Ve- nezia, abbia potuto indurre i ferraresi a considerare un cunsi- mile benefizio per essi, come il non plus ultra del sovrano pa- trocinio , è cosa facile ad immaginarsi; ma noi siamo perfetta- mente d’ accordo col sig. G. R. che lo scavo, e lo stabilimento di un canale navigabile, prendendo le acque del Pò, che lambe le mura di Ferrara, e sbocca nel mare Adriatico , procurerebbe una via molto più perenne , e sovrattutto più facile di comuni- cazioni al commercio, ed all’ agricoltura. La quale concezione , in sommo grado cittadinesca, viene dal nostro autore posta nella più alta evidenza, mediante una massa di fatti, e di raziocinii, ed un corredo di eruditissime citazioni, soprattutto ragionando dei vantaggi che all’ agricoltura apporterebbe un così fatto sta- bilimento , in un paese dove già produsse benefizii incalcolabili il taglio del territorio con nuove strade bellissime , comode, ed ogni giorno più assolidate. E speriamo con esso lui, che abbia 43 luogo ancora; e quanto più presto possibile, 1° innalzamento da lui vivamente desiderato, d’ un ponte di ferro sul Reno. Ma sovra ogni altra cosa speriamo , che possa il suo scritto infondere nel cuore dei suoi concittadini una porzione almeno dell’ ener- gia, e della ottima volontà di luni; e che sia il governo, ossiv- vero i medesimi cittadini, non pongano dimora nell’ eseguire lo scavo del canale già dal ferrarese ingegnere Gozzi progettato , ed ora dal nostro autore con fatti ed argomenti calzanti esposto, e comprovato 1.° nella possibilità dell’ esecuzione, e 2.° nella sua utilità; soprattutto se, come egli. con molta ragione pensa , potrà rendersi cotesto canale atto , al paro di quello di Lombar- dia , alle irrigazioni del territorio. In una parola , il sig. G. R. porta opinione , e noi siamo interamente con lui,, che 1’ esecu- zione del progetto da buone ragioni convalidata , da fatti inne- gabili sostenuta, dal voto dei maestri dell’ arte approvata , tro- vato avrebbe già un valido appoggio nel cuor magnanimo del Sovrano Pontefice, se nei cittadini ferraresi al patriottismo, ed ai lumi si unisse pur anco quell’ energia, cotanto valevole a far penetrare il vero nell’ animo altrui, e fonte della riuscita d’ogni progetto. La quale energia siamo intimamente persuasi che Negli italici cuor non è ancor spenta. J..G., H. Drr riverti roscani.— Memorie due del Dot. Giuseppe Cosimo Vanni Socio ordinario dell’ Imp. e R. Accademia economico- agraria dei Georgofili , lette nell’ adunanze di detta I. R. Ac- cademia del 1 febbraio e 3 maggio 1829. - Firenze nella Ti- pografia Bonducciana 1829. 8.° p. 66. . ]l fare giusti estratti dei libri è sempre una cosa difficile ; e ciò è molto più vero, allorchè si tratti di lavori pieni d’ idee presentate sotto punti luminosi; e con economia di parole. Que- sto pregio anno i due ragionamenti accademici che annunziamo ; i quali , essendo per se stessi brevissimi, non si. potrebbero al- trimenti compendiare , che togliendo loro qualche cosa di essen- ziale. Perciò ci limiteremo a darne soltanto, diremo quasi, l’ar- gomento , coll’ oggetto di far vedere a chi vuol ben conoscere la materia trattata l’ importanza di ricorrere alla lettura del- 1’ originale. La nostra Toscana ha un grandissimo numero di beni livel- lari; nella massima parte di dominio diretto di corpi morali, A& i quali livelli*, di varia natura fra loro ; possono ridursi a tre elas- si principali, che sono: 1.° livelli antichi; 2.° livelli di mano morta ; 3.° livelli secondo i moderni regolamenti. Due questioni si presentano: 1.° qual’ è l’origine tra noi di questo special modo di proprietà? 2.° quale è la sua influenza nel ben essere dell’ agricoltura , e nella pubblica economia, quando si consideri non solamente nel suo stato attuale , ma in quello eziandio a cui potrebbe esser condotto per mezzo di una saggia riforma ? Queste due questioni formano il soggetto sepa- rato di ciascuna delle due memorie accademiche. Dopo qualche osservazione istorica sui livelli dei quali parla perla prima vo!ta il codice di Giustiniano , YA. ne assegna l’in- troduzione fra noi dai tempi dell’ invasione dei barbari, i quali pel loro diritto di vittoria impossessaronsi di tutte le terre dei vinti, lasciando a questi la facoltà di lavorarle contro una pre-. stazione cersuale , dal che 1’ adagio fendale : niuna terra è sen- za signore. Il censo in progresso di tempo per raffinamento di massimamente perchè, nascondendo 1’ origine , la novazione ve- niva a dare in qualunque evento apparenza di proprietà privata a quelle esazioni, in tempi nei quali un’opposizione armata con- tro le usurpazioni feudali era sorta per lo spirito di libertà che aveva creato e ingrandiva le repubbliche d’ Italia. E l’ inven- zione , come più feconda di guadagno , piacque tanto, che al- cuni baroni si dettero a scorrere ‘i paesi colle loro masnade , portando seco .un notaro , coi quali soccorsi stipulavano poi a forza dei contratti di livello coi proprietarii dei territori. da loro invasi ; dal che la provvisione della repubblica di Bologna del 29 maggio 1304. la quale decretò in questi casi la pena di mor- te, e contro i baroni, e contro i notari. Molti feudatarii poi, pieni delle idee del tempo , lasciavano per rimedio dell'anima i loro beni alle chiese , fra i quali eran compresi i livelli: e questi davano luogo allora alle recognizioni che si facevano secondo le regole indicate dal codice di Giusti- niano : altri livelli passarono nelle repubbliche per conquista , e quindi nei luoghi pii che queste fondavano : il più gran nu- . mero poi dei livelli ecclesiastici provenne dalle accomandigie , o simulazioni di allivellazione stipulate alla Chiesa, ed inventate, o per esimersi dalle vessazioni dei feudatari vicini, o per godere dell’ esenzione dalle tasse pubbliche ; e adottate anco da alcuni dei feudatarii medesimi per far rispettare i loro beni dalle re- pubbliche vincitrici. Tutti questi dettero luogo poi alle rin- do, $ 45 nuovazioni , riconduzioni , ed altro; come se fossero stati veri livelli. Ciò quanto all’istoria dei livelli antichi. Il Granduca Lroporpo colla sua celebre legge del 1769 ri- guardante le manimorte, dettò importantissime disposizioni a favore dei livellarii di quei corpi morali ; fra le altre l’obbligo di rial- livellar sempre ad ogni ritorno di beni; la pertinenza dichiarata al livellario dei miglioramenti dal dì della legge; e la facoltà a questi di disporre del livello senza il consenso del padron di- retto. Così introdusse una nuova classe numerosa di livelli aventi queste modificazioni. Posteriormente ordinando a tutte le ammi- nistrazioni pubbliche, e corporazioni non comprese in quella leg- ge , di allivellare i loro beni, e ciò con un nuovo sistema più favorevole ai livellarii, creò una terza specie, cioè i livelli se- condo i nuovi regolamenti. Le leggi francesi, attivate in Toscana per la riunione, abo- lirono le sostituzioni che avean ravvisate nei livelli non dissi- mili dalle fidecommissarie, non che i diritti casuali, conservando so- lamente al padron diretto l’esazione della rendita, ch’ era anco sottoposta a perdersi da lui per ogni mistura feudale che nel li- vello s’° incontrasse. Queste leggi furono tutte abolite alla restau- razione del 1814, e la Toscana ritornò al sistema antecedente. I livelli antichi, derivati dal feudalismo, non poteano pro- durre che quei mali desolanti che cagionò il feudalismo mede- simo, e dei quali il nostro A. fa un’energica pittura. Immeusi vantaggi all’ opposto recarono all’ agricoltura le disposizioni le- gislative che introdussero le altre due specie di livelli ; ma il bene vero può attendersi da una più completa riforma, o piut- tosto da una continuazione della riforma Leopoldina, che 1A. mostra potersi attualmente effettuare senza scossa d’interessi pri- vati. L’A. la propone per conclusione della sua seconda memo- ria. Ecco adunque, dic’egli in poche parole, quali sono i mi- glioramenti , di cui pare che siano suscettibili i livelli toscani. « I.° Ridurre tutti i livelli di qualunque specie a una sola, a quelli di mano morta , dichiarando che non si devon mai cal- colare a favore del padron diretto i miglioramenti e nemmeno quelli anteriori al 1769. « II.° Applicare alle sostituzioni contenute nei contratti di li- wello le leggi sulle sostituzioni fidecommissarie , dichiarando al- tresà che i beni ora goduti a titolo di livello passeranno libera- mente ai successori del possessore attuale. « III.° Abolire tutti i diritti casuali meno quello della reco- grizione in dominum da farsi soltanto a ogni passaggio senza ‘46 alcuna formalità di contratto s'e con un tenue diritto fisso, per esempio di una lira , da pagarsi al padron diretto. « IV.° Facilitare i mezzi dell’ affrancazione dei livelli. « In questo semplicissimo sistema, tutti i livelli si ridurrebbero a rendite perpetue esigibili. di anno in anno. I livellari risenti- rebbero il vantaggio di non essere sottoposti altro che al paga- mento dell’ annua rendita; la durata della loro proprietà non dipenderebbe più dagli eventi; calcolerebbero essi con precisione le loro risorse ; potrebbero a loro volontà disporre dei fondi, ri- servato al padron diretto soltanto il diritto di esigere la rendita medesima; e colla facilità dell’ affrancazione avrebbero il mezzo di liberare totalmente , e anche dall’ onere della rendita , i loro beni. E quanto ai padroni diretti, essi sopporterebbero , è vero, il danno della perdita de’ diritti casuali, e alcuni anche la per- dita della speranza di una remota riammensazione ; ma questo piccolo danno , 0 piuttosto perdita di lucri incerti ed eventuali, non meriterebbe di essere. presa in considerazione di fronte al bene che ne emanerebbe , e sarebbe poi in gran parte compen- sata dal vantaggio che risentirebbero gli stessi [padroni diretti dalla semplicità e uniformità dell’ amministrazione a cui ridar- rebbero le rendite; dal liberarsi in perpetuo dalla tutela dei le- ‘ gali, e dalla vessazione di continove liti; e finalmente dalla fa- cilità con cui potrebbero disporre dei capitali delle rendite istesse. In questo sistema il capitale delle rendite potrebbe essere rap- presentato da tante cartelle , nelle quali fosse scritto il nome del creditore , quello del debitore , e il fondo aggravato della ren- dita. In piè di queste cartelle si potrebbero notare i passaggi che facesse il fondo in altri possessori. E i padroni diretti, di- ventati meri creditori delle rendite, potrebbero anche per mezzo di semplici note da prendersi in piede delle cartelle, vendere , impegnare e in qualunque modo disporre delle rendite, senza bisogno di contratto o di assistenza di giureconsulti, come , quando la Toscana aveva debito pubblico , si faceva rapporto ai luoghi di monte. E così non solamente si renderebbe alla libertà e all’ indefinita disponibilità, una gran massa di beni stabili at- tua!mente posseduti dai livellari, ma si mobilizzerebbero inoltre le rendite istesse , e si renderebbe commerciabile all’infinito una gran massa di capitali : lo che contribuirebbe senza dubbio al- l’ aumento della prosperità nazionale ,,. Noi non possiamo che applaudire alle vedute dell’A. le qua- li, se venissero adottate, semplicizzerebbero notabilmente una delle più intricate parti della nostra giurisprudenza ; il che non 47 potrebbe aver luogo senza produrre, anco per questo solo , un accrescimento di ben pubblico. G. Giusti. Saggio di un trattato teorico-pratico sul sistema livellare se- condo la legislazione e giurisprudenza toscana, dell’ avvocato Grroramo Pocer. Firenze, 1829. Tip. Bonducciana, 8.° To- mo I.° Era già sotto il torchio l’articolo riguardante le due Me- morie accademiche del dott. Vanni sui livelli toscani, quando è uscito alla luce il primo volume che annunciamo di un’ opera destinata a trattare con estensione l’ argomento medesimo. Esso è parto di un giovane autore che forma fin d’orà una delle mi- gliori speranze del foro toscano. Il primo volume pubblicato con- tiene unicamente la parte storica, e l'A. promette che sarà sus- seguito da un secondo contenente la parte giurisprudenziale , e da un terzo contenente la parte razionale. L’Antologia non omet- terà di rendere a suo tempo un adequato conto di questo im- portante lavoro. G. Giusti. Delle Pitture a fresco operate dal cav. Prerro Benvenuti ‘nel R. Palazzo dei Pitti. Dichiarazione di MeLcHioR MISSIRINI, Pisa presso Niccolò Capurro 1829. Già furon date le debite lodi in questo giornale (1) ai due valenti Pittori Benvenuti e Sabatelli per gli affreschi dei quali adornarono due sale del R. Palazzo; e furono anche brevemente dichiarati i soggetti di quei dipinti, Ma questo non farà sì che non sia ricevuta con molto gradimento la nuova. illustrazione delle Pitture del Benvenuti quì sopra annunziata, e non sia at> tesa , con desiderio l’altra, che su quelle del Sabatelli ci pro- mette lo stesso sig. Missirini. Il suo gentile ingegno e la molta erudizione ci sono cogniti per altre sue opere, e niun artista potrebbe senza ingiustizia lagnarsi, che i concetti della pro> pria mente espressi col linguaggio delle figure siano interpetrati e descritti da chi già illustrò le opere di Camuccini, di Thordval- sen , e di Canova. Ed infatti il sig. Missirini pone tanto studio ed amore in (1) V. Ant. N.° 73 genn. 1827. 48 queste sue dichiarazioni, che se non abbellisce le idee dell’ ar- tefice, certo non le sfigura giammai , e gli presta anzi quegli eruditi e. morali intendimenti, che dovrebbero passare per la mente di coloro , cui fu concesso tanto potere d’ ingegno da tras- fondere negli animi di tutta una nazione i séntimenti che più loro aggrada , ciò che dato non è nè agli istorici nè ai poeti in- tesi e _letti da pochi. Quindi però tanto maggiore l’ obbligo ne- gli artisti di operare quello che più vale a correggere ed av- ‘ valorare gli animi dei loro concittadini, a migliorare le sorti degli uomini ritraendoli dalla viltà e dai servili timori ad un onesto: e generoso sentire. con quegli esempi che la storia ed il cuore dettano ai gentili e magnanimi. Ed anche il nostro Missivini si, manifesta di una tale opinio- ne, cercando di trovate un morale intendimento in ognuna di quelle favole Erculee dipinte dal sig. Benvenuti, quasi che te- messe., .così, non facendo ;i che, qualcuno uscisse a dirgli , che neppure la bravura di.un,tanto,;pittore è capace a interessarci a simili vanità di fuvole senza. significato per noi ; e che omai sa- rebbe tempo di cessare la ripetizione di avvenimenti che o veri o falsi formavano la poetica storia di altri popoli e di altri tempi, ma che più non parlano alle nostre fantasie , ai nostri cuori do- minati e commossi da altri affetti e da altri uomini, che ebbero con noi comuni la patria , la religione , le sventure e la gloria. Ma interpetrate come sapienti allegorie , cessa ogni cagion di rimprovero , tanto più che trovandosi in luogo non visibile al co- mune degli uomini , possono bene intendersi ed ammirarsi dalle scelte persone che avranno, il desiderio | di visitare, quei dipinti. Che se fossero in pubblico luogo ; la cosa. andrebbe altrimenti : quell’ Ercole ; progenie :idi numi, sarebbe troppo gran cosa per noi piccoli mortali per. poter! destare un sentimento di emula- zione ; onde. ognuno lo gnarderebbe e passerebbe senza ritenerne durevol memoria , © ritrarne un util pensiero. Non era infatti un Ercole che facea palpitare per la brama di gloria il cuor di Temistocle ; ma era Milziade che stava là nel' Pecile in atto di animare i Greci a combattere per la libertà della patria nei campi di Maratona. L. 49 Storia dell’ arte, dimostrata coi monumenti , ec. da G. B. L. G. Srrovx D'Acincourr. Prato , 1829. Fratelli Giachetti. Noi godiamo al vedere in varie parti d’Italia intraprendersi con coraggio e felicemeute condursi a fine imprese tipografiche di lunga lena e di non lieve importanza ai progressi della civiltà e del sapere: in Milano la Biblioteca storica, la Biblioteca Agra- ria, i Manuali di scienze e d’arti, la Biblioteca scelta del Silve- stri, le opere tutte di E. Q. Visconti, la Collana degli storici greci, la Biblioteca medica, parecchie raccolte di Classici, la labo- riosa opera delle Famiglie illustri italiane: in Torino la collezione de’Classici latini, e la Biblioteca popolare del Pomba; in Venezia la Biografia universale; in Udine la raccolta degli scrittori Friulani; in Lucca la raccolta de’documenti storici di quell’antica republica; in Livorno una serie di storici italiani; in Firenze la descrizione della I. e R. Galleria ; e gli antichi poeti latini tutti in un solo volume: e in Bologna, e in Padova, e in Napoli, e in Livorno, nuove e labo- riose ristampe del Dizionario italiano. Fra queste utili ed onorevoli imprese merita luogo distinto l’edizione della storia del sig. d’Agin- court, con cura esemplare e con nobile amore operata dai $Si- gnori Giachetti di Prato. Noi ne annunziamo agli amici delle arti il pieno compimento: son sei volumi in ottavo, di 5000 pa- gine quasi; con LXXIII tavole attenenti alla parte dell’Architet- tura, XXVIII alla scultura, e alla pittura CCIV. L’ edizione è di lusso, e il prezzo n’è tuttavia moderato : moderato il prezzo , ripetiamo, e l’edizione bellissima. Se i signori italiani pensassero a quella tale Biblioteca di cui nor parlavamo nel N. 105 p. 126, questo sarebbe un libro per loro. Se non per loro , sarà per gli amici dell’arte: i quali potranno desiderare in quell’opera più calore, più abbondanza talvolta, talvolta vedute più ampie, ma ne riconosceranno insieme la molta importanza. Gli è uno stra- miero che parla dell’ arti nostre: e anche Winchelmann era stra- niero. E ciò prova che per avere del gusto e del senno, non è necessario e non basta esser nato sotto il clima degli aranci e degli ulivi. Ka. We T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 77 50 Il Narciso. Favola in Musica di Orravio Rinuccini, tratta da un mss. Barberiniano, e pubblicata per la prima volta da Lvicr Marzia Rezzi prof. nell’ Univ. di Roma, e Bibliot. della Barberiniana. Roma Tip. Poggioli 1829. Chi vuol sentire la vera dolcezza musicale della lingua ita- liana, legga questo Marciso. Non vi cerchi nè intreccio, nè af- fetti , nè idee, che sarebbe un anacronismo : vi cerchi quella delicatezza di frase e di numero, che nel Metastasio stesso desi- derava (e non a tutto torto ) il cavalierino, come lo chiama Ugo Foscolo , il Cavalierino Vannetti. Il dramma è tutto quanto rimato ; ond’ è che alla p. rt parmi si debba leggere deltade per rimar con etade. E questa rima continua aiuterebbe, cred’iv, una importante innovazione nel recitativo, il qual potrebbesi rendere da un velenità, maestro meno monotono e meno insignifi- cante : giacchè quella tanta importanza data alle ariette a sca- pito del restante, non credo sia difetto essenziale alla natura dell’ arte. Havvi anco in questo Narciso un metro, che nella musica moderna riuscì di bellissimo effetto , come prova il gra- zioso coro di Morlacchi nel Tebaldo ; “ Bella stella mattutina — È Isolina ;,, — Così quella quasi continua presenza del coro dal Rinuccini procurata , aiuterebbe a tempo e luogo, grande- mente e le ispirazioni musicali, e l’ effetto dello spettacolo. In quelle cavatine inevitabili, il più delle volte io non veggo che un soliloquio o un a parte sistematico, destinato a far brillare la voce della cantante : ma che la vanità de’virtuosi si possa conciliare con l’originalità , ne fa prova quel delizioso coro che accompagna l’en- trata in iscena di Semiramide, e ci prepara, è vero, a vedere una Semiramide tutta diversa dalla Babilonese, ma ci dispone insie- me lo spirito a una tristezza soave e profonda. Anche certi me- tri lirici dal Rinuccini adottati, dove la strofa ha numero di versi dispari, potrebbero servire a rompere la soverchia eguaglian- za de’ pezzi concertati, e rivolgere da un altro lato la fantasia del maestro. Noi sentiamo con gran piacere che le parole di Jouy abbiano in nuova maniera ispirato il nostro Rossini: e te- niamo per fermo, che nuovi ardimenti della Poesia fruttereb - bero all’ Italia nuove melodie, e sempre più profonde e più va- rie. Felice Romani ci ha già fornito l’esempio di libretti compo- sti con rara facilità, non disgiunta da certa evidenza e decoro. Ma io tenderei un po’più alto co’miei desiderii. lo vorrei una mu- sica di Rossini sulle parole di G. Borghi. Havvi un Principe in 5I Italia che potrebbe offrire alla nazione ed all’arte questo ese m- plare spettacolo. K. X. Y. La Galleria del Mondo. Almanacco per l’anno 1830. Anno V. Presso Stella e figli. Il linguaggio de’ fiori. Dedicato al bel sesso dall’ Autore della botanica de’ fiori. Anno I. Almanacco del 1830. -- Presso Lorenzo Sonzogno, editore libraio. Milano è la capitale degli almanacchi eleganti: e se le opere di peso promettono a’librai Milanesi lucro incertissimo , il com- mercio degli Almanacchi , in compenso, fiorisce. Non per rapire a Milano questa piccola palma fruttifera, ma per divulgare col mezzo di simili libercoli popolari qualche utile verità , noi vor- rremmo che gli stampatori e gli autori di Firenze, di Roma, di Napoli, di Torino, di Venezia, pensassero ad emulare, a superare l’ industria de’ librai milanesi. Il guadagno 4’ un buon Alma- nacco , elegantemente legato, è una: delle più certe speculazioni che possa contare il commercio librario in Italia. Ecco intanto due Almanacchi di Milano, pieni di qualcos’ altro che di allu- sioni scipite, di sali insulsi , e di fradicie galanterie : la Ga/le- ria del Mondo, e il lingr'aggio de’fiori. Fra questi due titoli sì disparati , il padre Bussieres avrebbe trovato un’ analogia; egli che pensava a insegnare la storia col simbolico linguaggio de’ fiori , e raffigurava nel Tulipano la veste di Giuseppe ebreo, e nel girasole l’ impero di Costantino. Questo singolare sistema. ha però il suo lato importante. Congiungere nell’ educazione e negli usi della vita le idee più lontane, agevolandone la conoscenza e la, memosia con piacevoli ravvicinamenti, sarebbe opera sapien- tissima. Ora sento che in Francia si propone d’ insegnare la sto- ria nell’ Aritmetica, e desidero che questo metodo si trasporti anco fia noi. Così l'industria francese incomincia a rendere storici non solo i romanzi, ma anco i tappeti: talchè d’ ora, innanzi per indicare un di que’ pochi romanzi storici dove la storia non sia malmenata, si potrà dire, storico come un tappeto. E a questo stesso pensava in parte lA. dell’Almanacco il linguaggio dei fiori, quando raccomandava alle signore italiane di rendere sim- bolici e allusivi i loro ricami, : loro ornamenti. E’poteva pren- dere per epigrafe il verso di mad. Valmore : Sowvent dans une fieur l’ Amour a son secret. Il soggetto poteva essere più gaia- mente trattato; ma l’Almanacco qual’è , è tuttavia de’ migliori. 5: La Galleria del mondo è un estratto del Costume antico e moderno. Le sono notizie storiche , utili a chi non ne sa punto, sebbene imperfette. Ma che direbbero i politici a sentire che un Turco ,Tchapan-Oglu , è il sovrano della Galizia ? = L’errore di stampa è un po’ singolare. Ko NT. Tragedie d’ Evripipe tradotte da Felice Berrorri. Milano , Stella 1829 in 8.° Il traduttore applaudito delle tragedie d’Eschilo e di Sofo- cle ha pure impreso ad arricchire la nostra letteratura della ver- sione di quelle d’ Euripide , cominciando coll’fppolito, 1’ Alcesti, l'Andromaca, le Supplicanti e l’Ifigenia in Aulide. Qualche gior- male ha già parlato di tal versione con molta lode; sappiamo da lettere d’amici che molto bene se ne dice in ogni parte d’ Ita- lia da quelli che sono più in grado di giudicarne ; e anche seti- za questa testimonianza già potevamo esserne sicuri. Appena ci sarà possibile pagheremo nui pure il nostro debito per così no- bile fatica. M. Alla Carità inno del conte cav. Forcuino Scuizzi. Milano, Truffi 1829 in fo” Quest’ inno ‘(di bella edizione non destinata alla vendita) è stato pubblicato pel giorno 12 decembre anniversario della na- scita di Maria Luisa di Parma, a cui è intitolato. L° intenzion dell’ antore nel comporlo si fa manifesta da queste parole della dedicatoria alla principessa: sofferite che in questo giorno di spontanea letizia pei fortunati Parmensi mi faccia interprete di quella parte del vostro popolo, che nell’oscurità de’tuguri inal- za fervide preci per la conservazione della beneficentissima loro più madre che sovrana, ec. ,. Molti provvedimenti da lei dati a favore di tal parte del popolo (fondazioni di nuovi istituti , miglioramenti de’ vecchi, ec. ec. ) le hanno veramente meri- tato special gratitudine. Essi, appena fa d’uopo accennarlo , sono celebrati nell’inno, il qual abbonda d’ immagini e d’ af- fetto. E più a lungo che nell’inno lo sono pure in un cenno statistico, il qual lo precede, e va unito a quelli sulla pub- blica beneficenza nel regno Lombardoveneto, premessi dall’autore alla sna versione del Visitator del Povero di Degerando. Questo 53 nuovo cenno, pieno ad un tempo d’umani sentimenti e di saggie vedute economiche , può anch’ esso dirsi un inno all’ illuminata carità; M. Brevi considerazioni mediche sopra Torino. Cenni medici statistici della città e provincia di Asti, del me- dico Giuserre Maria De Roranpis di Castell’ Alfieri. Due opuscoli in 8.° Torino 1828. Dalla stamperia Alliana. ‘ Potrebbe parere indiscretezza 1’ arrestarsi a delle conside- razioni sullo stile dell'Autore, a cui amiamo di conservare in- tatta la pubblica gratitudine dovutagli per avere contribuito con delle relazioni di statistica medica , ad esempio della so- cietà medica di Livorno , al progresso della civiltà italiana. Nell’opuscolo che riguarda Torino si premettono delle no- tizie topografiche su quella città ,la cui popolazione si deduce essere stata nel 1813 di 65548 abitanti; e alla fine del 1827 di 117987; frai quali 57840 maschi. In quell’anno ne morirono cir- ca 3992, e ne nacquero circa 3599. Le morti improvvise (ta- vola 2.*) accadute dal primo gennaio a tutto il 31 ottobre 1828 furono di 25 maschi, e di 8 femmine per apoplessia; 12 ma- schi e una femmina per casi fortuiti; 6 maschi per suicidio ; 2 maschi e due femmine per ferite. — Seguono delle osser- vazioni, sui cibi, bevande, abitudini, mode, ec., quindi succede il novero degli spedali e di altri pubblici stabili- menti. Lo spedale maggiore di San Giovan Battista (tavola N.° 4) contenente 4og letti fissi, che possono duplicarsi oc- correndo , offri nel 1827 questo movimento : di 4147 entrati, ne uscirono 3527, e ne morirono 487. In questo stesso spedale dal primo aprile 1827, fino a tutto marzo 1828, di 640 individui entrati nella sala medica, ne morirono 39; e Io nella sala chirurgica di 290 entrati. Gli esposti nello spedale di maternità, nel 1827, furono 1049, dei quali ne morirono 325 nello spe- dale, e 270 alla campagna: e le partorienti ricevute fra donne e fanciulli furono 463; le nutrici dentro l’ ospizio 24; e 3425 quelle sparse nelle provincie a carico dello stabilimento. Nell’al- tro opuscolo, l’A. espone in una classificazione sistematica i pro- dotti dei tre regni della natura, indigeni della provincia di Asti, omettendo però di denéminare le specie col nome scientifico. E dopo avere anche quì parlato dei pubblici stabilimenti passa a considerazioni generali di salute pubblica. Egli ammette alcune 54 tavole necrologiche esprimenti il numero dei morti per una se- rie di anni dieci, dal 1818 al 1827 inclusive , la cui media è N.° 19,7 sopra una popolazione di 8000 abitanti. Merita riflessio- ne, che la pellagra fece morire la metà dei malati. Il Signor De-Rolandis non la crede co ntagiosa; anzi egli stesso se l’è ino- culata. 4 V. Prolusione all’ apertura degli studi nel Ginnasio di Forlì per l’anno 1828, recitata nella cattedrale il giorno 5 novembre 1828 da Dario Barsaccrani-Feprti pubblico professore di chimica medica nella detta città ec. ec. Faenza, per Pietro Conti 1828. Il nome di Giovan Battista Morgagni rammenta uno di quei rari ingegni, che a qualunque parte degli studii si applichino acquistano celebrità. Letterato ; astronomo , medico si distinse in particolar modo nelle investigazioni anatomiche, e si acquistò il nome di principe degli anatomici del suo secolo. Le controversie con Bianchi e con Manget gli furono di stimolo a molti lavori anatomici, e nelle polemiche con essi lungamente sostenute, trionfò pienamente , riportando l’ approvazione ed. il voto dei più insigni maestri. L’anatomia pato'ogica, cui fece, fare progressi sì grandi, non andò scompagnata nello studio che egli ne fece dal- l’ esame dei fenomeni morbosi; e quindi la medicina fu arricchita dei più importanti fatti che possiede. Le lettere di Morgagni ,.e il suo trattato intorno alle sedi e cause delle malattie investigate per mezzo dell’ anutomia, non possono senza grave rimprovero essere ignorate dai medici. Nacque in Forlì nel 1682 : fu discepolo e amico di Valsalva , cui successe in Parma alla cattedra; ebbe pure amicizia con Malpighi; e ottenne onorevoli distinzioni dai «pontefici Clemen- te XII, Benedetto XIV, e Clemente XIII. Il consiglio della città di Forlì gli fece erigere un busto di marmo; e coniare una medaglia; mentre. era ancora vivente, nell’anno 1760. Morgagni morì il dì 6 settembre 1771, di anni 89, mesi 6, e giorni 11; esempio di modestia e di religione. Non poteva scegliersi migliore argomento di questo per una prolusione all’ apertura degli studii nella patria di/un uomo ovun- que rinomato. E il signor Barbacciani, scrivendone 1’ elogio in buono stile, ha reso conto delle più minute particolarità della sua vita. V. 55 I quaranta giorni della clinica omiopatica di Napoli. Ivi dalla Tipografia Trani 1829 in 8.° di pag. 187. Con questo titolo , il medico cav. Pasquale Panvini inventore di una sedia letteraria per prevenire le malattie degli studiosi, offre al pubblico un rendiconto della nuova clinica omiopatica, istituita in Napoli il 13 aprile di quest’ anno sotto la direzione del sig. De-Horatiis ; e di una commissione cui egli apparteneva. Premesse tutte quelle notizie che hanno rapporto agl’ insegna- menti di Hanhemann, sui quali 1’ esperienze furono scrupolosa- mente stabilite , consacra un articolo alla preparazione dei me- dicamenti a norma dell’ Hanhemann, a dosi infinitesemali , base terapeutica di quel sistema. È tale l’ attenuazione che si propon- gono di dare alle tinture , e alle polveri i neoterici , che 1° A. calcola (pag. 22 e seg. ) che la 29. attenuazione , che non è l’ultima , equivarebbe ad una gocciola di tintura. che fosse stata sciolta in un trilione di globi terraquei pieni di alcool. Fra le malattie che furono ricevute, alcune abbandonate a sè stesse guarirono in uno spazio di tempo non minore di quelle trattate cogli ato mi omiopatici ; altre , non escluse quelle di do- minio chirurgico, (ulcera depascente con fimosi , ulcera con para- fimosi ) di grave entità , progredirono ad un esito infausto, come quelle abbandonate a nessuna medicatura. Le riflessioni che il sig. cav. fa succedere a ciascuna istoria di malattia, e quelle sull’intiero sistema di Hanhemann , ci sembrano piene di sagacità e di buon senso. Ci fa inoltre sapere , che la commissione rimise al ministro dell'interno un rapporto firmato il 20 maggio da tutti i membri, ove si concludeva sui dimostrati positivi svantaggi della medicina omio.- patica per tutte quelle malattie che hanno bisogno dell’arte, e sul- la nullità per quelle che la natura cura da sè. Ci dà anche notizia ( pag. 159 , e 160 ) che questo metodo ebbe in Berlino ed in Vien- na lagrimevoli risultati. V. 56 BULLETTINO SCIENTIFICO Novembre e Dicembre 1329. SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Nel Vol. III parte prima delle Memorie della Società astronomica di Londra si trova una memoria del sig. I. F. W. Herschel sopra 295 nuove stelle doppie e triple, nella quale a pag. 50 si legge quanto appresso. ‘ Non posso omettere di far menzione, benchè si riferisca ad un ramo differente della scienza (importantissimo però per gli astronomi) d’un fenomeno meteorologico che spesso mi si è presentato, ma non mai in un modo così sorprendente come nella notte del dì 19 apri- le 1827. In quella notte il cielo si era mantenuto perfettamente se- reno, senza il più leggiero soffio di vento , ed era caduta una rugiada così abbondante , da rendersi sensibile nel telescopio fino circa alle ore due e mezza della mattina. Io doveva prendere il passaggio della 25.* d’Ercole come stella regolatrice, la quale passava a ore 16,21” del cronometro. A ore 16, 8” una stella del Piazzi passò e fu osservata; dopo di che io continuai a percorrere il cielo, mantenendosi questo ben chiaro. Circa 5’ avanti l’atteso passaggio della 25.* d’Ercole mi accorsi d’ un oscura striscia di nuvoli all’ oriente, che si avanzavano rapidamente. Un momento avanti il passaggio Arturo era completamente invisibile : e nell’atto di puntare la stella di cui io osservava il pas- saggio, il limite del nuvolo era su di essa, e da quell’ istante in meno di tre minuti si estese fino all’orizzonte dalla parte di occidente, ricuoprendo ogni stella d’ un denso uniforme strato. In tutto questo tempo la calma dell’ atmosfera non fu punto turbata. La minima ra- pidità che possa attribuirsi alla propagazione del nuvolo è in questo caso di 300 miglia all’ora, nella direzione del moto del sole, ed è evidente che ne fu causa l’esser giunta la regione dell’ atmosfera dove il nuvolo si formò esattamente ad una determinata temperatu- ra, sia per effetto del raggiamento , sia per una diminuzione della pressione atmosferica, che avesse luogo successivamente lungo l’in- tera zona del cielo, come se seguitasse il punto di questo opposto al sole. (Nota) “ Il calore sprigionato o assorbito dall’ aumento o diminu- zione della pressione nelle oscillazioni barometriche è un elemento che i meteorologisti non sono stati nell’ abitudine di tenere in gran conto. Quando però si considera che esso affetta l’intera massa del- l'atmosfera, e che ha il (suo pieno effetto in regioni che esso non può abbandonare, o esser supplito da altro processo che da quello 97 ss dlel raggiamento , quale effetto è probabilmente molto più grande di »» quel che apparisca in \esperienze fatte in contatto di masse di materie »; conduttrici , si ha ragione di credere che esso abbia una sensibile ed », anche una considerabil parte nella produzione di varii fenomeni me- 3; teorologici. La connessione della comparsa delle nuvole e della pioggia colla discesa del barometro, e quella del bel tempo e del cielo se- Nei 23 ;; reno col suo inalzamento , non è certamente imaginaria , nè spiegabile ,»» con altro principio. Mi dispiace di non aver preso nota dell’ altezza 35 del barometro nel tempo dell’ osservazione sopra riportata. ,, N. B. Il luogo ove il sig. Herschel fa le sue osservazioni è Sloughe presso Windsor. Nel mese di maggio decorso fu osservato lo sprigionamento d’ una quantità considerabile di gas infiammabile sulle rive d’un fiume che scorre presso la città di Bodlay in Scozia. Essendo stato acceso per caso, il gas seguitò a bruciare per circa cinque settimane, ed il terreno di natura argillosa prese in tutto il tratto soggetto alla combustione l’ap- parenza del matton pesto. La fiamma era gialla e brillante , e rassomi- gliava perfettamente quella del gas impiegato ad illuminare. Questo fluido elastico è senza odore, e non ditferisce in apparenza dall’ aria atmosferica. Non contiene la minima quantità d’ acido carbo- nico, e non è che una mescolanza di 12,5 d’aria atmosferica ; e di 87,9 di gas idrogene carbonato perfettamente puro. F Fisica e Chimica. Fino dal 1827 il sig. Brocvr avendo fatto alquante osservazioni mi- croscopiche sopra le particelle contenute nel polline delle piante e sul- l’esistenza nei corpi organici ed inorganici d’ alcune molecole moventisi, e che egli chiama molecole attive, pubblicò lo scorso anno una memoria relativa, alla quale ha fatto ora un supplemento, in cui comincia da rilevare premurosamente l’errore di varii autori, i quali gli hanno attri- buito d’ avere affermato che le molecole attive sono animate.. Il modo in cui l’autore si era espresso nella prima memoria po- , tendo far supporre in lui l’ opinione che le molecole attive siano iden- tiche da qualunque specie di materia provengano , egli ha cura di di- chiarare non esser: mai stato questo il suo concetto, e sebbene egli fosse già inclinato a credere che le molecole di qualunque specie di materia fossero simili fraloro quanto alla grandezza ed alla figura, sem- bra ora pensare diversamente. i Mentre nelle sue prime esperienze qualche difetto di manipolazione non gli aveva lasciato riconoscere molecole attive in alcune sostanze, come nel solfo, nella resina, e nella cera, ve le ha poi ricorosciute in. seguito. È Ecco i fatti che già annunziati nella prima memoria il sig. Brown T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 8* 58 lia veduto confermati dalle ulteriori sue osservazioni. Le parti estre- mamente sottili di materie solide organiche e inorganiche, sospese, nel- l’acqua pura o in qualche altro liquido, presentano dei movimenti dei quali l’autore dichiara di non potersi render ragione, e che per la loro irregolarità ed apparente indipendenza hanno un rapporto evidentissimo coi movimenti meno rapidi dei più semplici animaletti infusorii. Le più piccole particelle che egli abbia osservato , ed alle quali ha dato il nome di particelle attive , sembrano presso a poco sferiche, del diametro di 31:53 0 di 56455 di pollice. Le: altre particelle di dimensioni varia- bili e molto più considerabili, e di forme talvolta simili tal’ altra dif- ferentissime , presentano anch’esse dei movimenti analoghi nelle stesse circostanze. Passate in rivista le varie cause alle quali è stato da alcuni. fisici attribuito il movimento di queste particelle, e specialmente le correnti supposte nella goccia del liquido , l’ agitazione intestina che si suppone accompagnarle , l’evaporazione, le attrazioni e ripulsioni che alcuni ammettono fra quelle particelle, l’instabilità del loro equilibrio nel li- quido in cui sono immerse, la loro azione igrometrica o capillare, ed in alcuni casi lo sprigionamento di qualche gas o d’alcune bolle d’aria; l’autore riguardando come dubbia l’esistenza d’ alcune di queste cause, e riputandole tutte insufficienti alla spiegazione del fenomeno , si limita a dimostrarlo con una ingegnosa esperienza riguardo a quella che po- trebbe sembrare la più verisimile. Quest’esperienza consiste nel ridurre a dimensioni microscopiche la goccia d’acqua contenente le particelle , ed a difenderla dall’ evaporazione con immergerla in un liquido traspa- rente, di minor gravità specifica, cui non possa mescolarsi. Tale è l’olio di mandorle. Mescolando a quest’ olio una piccolissima quantità d’ acqua nella quale esistano delle particelle, ed agitando i due liquidi insieme, si formano subito delle gocce d’acqua di varie dimensioni da 4 fino a 333 di pollice di diametro. Le minori fra queste gocce contengono un piccol numero di particelle, £ talvolta se ne osservano di quelle che ne contengono una sola. Queste gocce , che esposte all’ aria si dissipe- rebbero in un momento , possono così conservarsì più d’ un ora. Il mo- vimento delle particelle continua in esse colla stessa attività , sebbene sia molto diminuita o anche interamente annullata l’azione delle prin-_ cipali cause alle quali quel movimento sì attribuiva , cioè 1’ evaporazione, e l’attrazione e ripulsione scambievole delle particelle. Se nelle gocce ricoperte d’olio continua il movimento delle parti- celle, cessano affatto quelle correnti dal centro alla circonferenza, che prima appena percettibili, poi meno lente, e finalmente rapidissime, si osservano costantemente nelle gocce esposte all’ aria, e sconcertano o assorbono completamente il movimento proprio delle particelle. Bensì affinchè queste correnti cessino, bisogna che le gocce non siano sferiche, ma alquanto appianate per il contatto o |’ avvicinamento del porta- oggetti del microscopio. Non seguiremo il sig. Brown nella discussione relativa all’ origina- Ù . di) lità ed all’anteriorità delle sue osservazioni comparativamente a quelle d’ altri autori. ( Bibl. Univ. ). Il sig. Ewart è d’opinione che l’ago magnetico prenda o tenda a prendere la direzione nord e sud soltanto perchè ordinariamente è so- speso in una posizione che si avvicina all’orizzontale , e nella quale non può mostrare la sua vera tendenza. Egli si appoggia all’esperienza seguente. Si adatti una piccola verga d’acciaio ad un pezzetto di legno, ed a traverso di questo ad angolo retto se ne inserisca un altro più sot- tile, il quale abbia alle sue estremità due perni delicatissimi, sui quali sospeso il sistema, o l’insieme, resti equilibrato in posizione orizzon- tale, bensì agilissimo a muoversi per ogni piccolo sbilancio. Così disposte le cose, se si magnetizzi la verga d’acciaio in modo da formare il polo sud all’ estremità libera, questo polo sud si eleverà verso il zenith, ed in conseguenza il polo nord si abbasserà verso il centro della terra. Allora se, restando tutto nello stesso stato, si rove- scino soltanto i poli della verga d’acciaio , passandovi sopra una cala- mita in una direzione opposta, si produrrà un effetto contrario al primo, cioè l’ estremità libera della verga divenendo polo nord si abbasserà verso il centro della terra, l’altra si eleverà. Alcuni fenomeni osservati impiegando il compasso solare, ed altri strumenti, hanno indotto il sig. Ewart a pensare che la luce ed il ca- lore del sole esercitino molta influenza sull’ ago magnetico, che il polo snd sembra attirato dal sole e dagli altri corpi celesti, che l'intensità magnetica sembra più eguale presso l’equatore, e che a cagione del- l'influenza di queste diverse cause la determinazione dell’ intensità ma- gnetica per mezzo delle vibrazioni dell’ago non è esatta (Férussac, sc. mathém. phys. septembre 1829 pag. 244). Il diverso stato chimico dei corpi rendendoli più o meno atti ad acquistare ed a conservare il magnetismo , alcuni tisici hanno congettu- rato che reciprocamente la forza magnetica possa modificare le affinità chimiche. Altri hanno creduto riconoscere qualche influenza del ma- gnetismo nella cristallizzazione dei metalli e dei sali. Sebbene in gene- rale non abbiano potuto operare la scomposizione dell’ acqua per mezzo del magnetismo, pure alcuni hanno creduto d’osservare una diversa at- titudine ad ossidarsi nei.due poli d’una calamita , o nelle sue armature. Vi è stato qualche fisico cui è sembrato che l’azione magnetica alteri i colori d’ alcune tinture vegetabili. Ciascuna di queste asserzioni emesse da alcuni fisici essendo stata contradetta da altri, il prof. Erdmann, bramoso di verificarle, ha in- trapreso numerose e diligenti ricerche, eseguite con apparati magnetici molto potenti; le quali lo hanno condotto a concludere negativamente intorno a ciascuno di quei supposti. Se qualche volta egli ha ottenuto ì risultamenti annunziati da altri fisici, essi non sono stati costanti, 60 e però egli crede doversi quelli attribuire all’influenza di varie cause che gli hanno indotti. in errore (Bibl. Univ. ottobre 1829 pag. 96). Si trovano in natura sotto la forma di cristalli regolari, talvolta anche di gran volume, delle sostanze che non si era fin quì potuto. far cristallizzare artificialmente nei laboratorii di chimica. Sono tali alcuni solfuri metallici, come per esempio quelli. d’argento e di ferro, certi seleniuri, ec. Non si sapeva neppure imaginare il modo della formazione” naturale di tali cristalli, quando il sig. Becquerel continuando le sue ri- cerche intorno alle azioni che le forze elettriche a piccola tensione esercitano nelle composizioni e scomposizioni chimiche, è giunto ad imi- tar la natura colla produzione artificiale di qualche simile cristallizza- zione, e specialmente di quella del solfuro d’argento. L’ingegnoso apparato da lui impiegato consiste in due sottili tubi di vetro aperti di qua e di là, ed inseriti uno accanto all’altro in un tubo più grande chiuso in una estremità. Introdotta nei due piccoli tubi fino ad un terzo della loro altezza dell’argilla finissima e legger- mente bagnata d’un liquido conduttore dell’ elettricità , e ponendo in comunicazione l’interno d’essi tubi con mettere un poco d’un liquido similmente conduttore nel tubo maggiore in cui sono contenuti, versa nei piccoli tubi dei liquidi appropriati, e diversi secondo il prodotto che egli vuole ottenere, e fa immergere nel liquido dei due tubi le estremità d’una lama metallica piegata in arco. Stabilito così il circuito, si manifestano effetti elettrici, i quali, sebbene molto deboli, sono suf- ficienti a produrre diversi composti. Così versando in uno dei. piccoli tubi una dissoluzione saturata di nitrato d’argento, e nell’altro una dissoluzione egualmente saturata d’idrosolfato di potassa, e ponendo in comunicazione questi due liquidi con immergervi le due estremità d’una lama d’argento piegata in arco, l'estremità immersa nel nitrato d’ar- gento non tarda a scompor questo liquido, che forma il polo negativo, ed a cuoprirsi d’argento metallico, mentre all’ altra estremità immersa nell’ idrosolfato di potassa; e che rappresenta.il polo positivo, si forma dell’acqua, e del solfuro d’argento, che si combina con del solfaro di potassio, prodotto per la scomposizione dell’idrosolfato, formando un doppio solfuro. Un poco d° acido nitrico rimasto nel primo tubo traspor- tandosi verso il polo positivo con una lentezza estrema, e dopo che il trasporto dell’ ossigene è interamente operato, e venendo a contatto del doppio solfuro, si scompone ed isola il solfuro d’argento, che si deposita sulla lama metallica in piccolissimi cristalli ottaedri regolari, simili a quelli del solfuro naturale. Anche più simile al naturale è il solfuro di rame ottenuto per lo stesso processo, che modificato oppor- tunamente è servito al sig. Becquerel a formare più altri composti. (Uni versel IN.° 320 e 321). Diversi chimici facendo arrivare dal gas ammoniaco a contatto del 01 ferro e d’ altri metalli fortemente riscaldati, hanno veduto questi pro- var notabili alterazioni, e specialmente divenir fragili con niuno 0 pic- colissimo aumento di peso. Il sig. Despretz aveva già da.qualche tempo riconosciuto che in questi casi la densità dei metalli diminuiva notabi- lissimamente. Però s’inclinava ad attribuire i cambiamenti. fisici soprav- venuti ai metalli in quelle esperienze, e specialmente la fragilità, alla cambiata disposizione relativa delle loro particelle. Nuove e, più diligenti esperienze avendo dimostrato che mentre i metalli provano per,l’ azione del gas ammoniaco alla temperatura dell’ infuocamento .le indicate alte- razioni, ricevono un sensibile aumento di peso, si è attribuito questo all'unione del metallo con qualche sostanza. Quelle sulle quali erano ca- dute le congetture dei chimici erano l’ossigene, il carbonio , l’ ammo- niaca, o alcuno dei suoi compohenti. Il suddetto sig. Despretz per mezzo d’ingegnosi esperimenti ha recentemente provato in un modo molto s0- disfaciente che 1’ aumento di peso e le modificazioni sopravvenute, ai me- talli esposti all’azione del gas ammoniaco alla temperatura dell’ infuo- camento sono dovuti alla combinazione d’un poco d’azoto. (Annali di chimica e di fisica, ottobre 1829 pag. 122). I sigg. Macaire e Marcet ; tentando: di operare la combinazione del . fosforo all’azotò , mon potutasi ottenere finora, sono stati condotti ad al- cuni risultamenti importanti. | Avendo fatto passare a traverso dell’ ammoniaca liquida del gas idro- gene perfosforato,, molto di questo è stato assorbito con notabile eleva- mento di temperatura ; depositandosi frattanto del fosforo, fuso in minute gocce. In una di tali. esperienze vi è stata, detonazione , ed. il liquido è stato gettato fuori. del vaso, senza che gli sperimentatori ne abbiano po- tuto riconoscere la causa. In diverse campane, che contenevano del, gas idrogene paefarforato secco sopra il. mercurio , hanno intodotto del gas ammoniaco egualmente disseccato , del sottocarbonato d’ ammoniaca,;, e dell’ ammoniaca liquida, ma non si è formato verun nuovo prodotto. Preparato del protocloruro di fosforo , icon. far passare; del ‘fosforo in vapore sopra del deutocloruro di mercurio scaldato ‘al rosso; hanno saturato questo liquido con del gas. ammoniaco secco ; presumendo? che l’idrogene dell’ ammoniaca, unendosi al. cloro del cloruro, permettesse all’ azoto divenuto libero d’unirsi al. fosforo. Appena 1} ammoniaca agì sul cloruro , si produssero densi fumi bianchi, e tutto ill liquido.sì con- vertì in una materia polverulenta dello stesso colore, che aveva un!forte odore d’acido idroclorico ; e che arrossava la carta tinta colla laccamuffa (tournesol). Esposta all’aria., ne emanavano dei fumi di gas acido» idro- clorico ,, e si cuopriva qua e là di punti rossastri, effetto il quale. è più. pronto al sole che. all’ ombra. Mettendo questa sostanza nell’acqua; se ne sprigionano lentamente delle bolle.d’un gas che ha odore distinto d’ idrogene fosforato. Esposta all’aria, tramanda un odore simile a:quello 62 del fosfuro di calce. Questi fatti sembrano annunziare un fosfuro analogo ai solfuri alcalini, ed affatto diverso dalle combinazioni dell’azoto ordi- nariamente così formidabili. Dopo aver riconosciuto che la polvere indicata conteneva dell’idro- clorato e forse una piccola quantità di fosfato d’ammoniaca, i sigg. Macai- re e Marcet hanno separato questi sali facendo bollire la materia nell’acqua stillata. È rimasta una piccola quantità d’un residuo insolubile, che for- mava presso a poco 1 della massa totale, che hanno raccolto sopra un feltro, e seccato. Era una polvere giallastra, che sealdata non provava veruna azione fin presso al calor rosso. Allora detonò , 0 piuttosto scop- piettò , spandendo della luce, fenomeno che hanno osservato egualmente trattando nello stesso modo il fosfuro di calce. Restava un residuo sa- lino che si gonfiava, e la più gran parte del quale si dissipava ad un forte calor rosso' lasciando un piccolo avanzo vetroso, che hanno ricono- sciuto per acido fosforico ; dal che concludono che dopo l'esplosione la polvere ‘sì è ‘convertita in fosfato d’ ammoniaca. Dà questi fatti, e specialmente dallo sprigionamento del gas idro- gene fosforato per il contatto ‘lella materia giallastra coll’ acqua, e dalla maniera in cui si comporta al fuoco , sembra risultare non potere ella esserè che ‘‘ùna combinazione di fosforo e d’ ammoniaca , o un fosfuro d’ammoniaca, combinazione non conosciuta prima d’ora. (Bibl. Univ. ot- tobre 1829 p. 33). Il sig. Regimbeau aveva da lungo tempo osservato che quando si mescola ad un looch bianco del mercurio dolce , il liquido prende a poco a poco un color grigiastro } e'lascia depositare una ‘polvere nera. Un looch nel quale non si siano impiegate’ mandorle amare non produce lo stesso effetto, ma acquista la proprietà di produrlo se vi si versino al- cune gocce d’ acido idrocianico; Lo stesso avviene versando 1’ acido idro- cianico in un acqua gommata ‘che tenga in sospensione del mercurio dolce. Per altro un looch. contenente le mandorle ‘amare, e capace di scomporre il mercurio dolce ,. perde questa proprietà in poche ore re- stando esposto all’ aria in un. vaso aperto, probabilmente per la vola- tilizzazione dell’ acido idrocianico. Sembra che 1’ idrogene dell’ acido idrocianico si porti sul cloro del protocloruro di mercurio formando dell’ acido idroclorico , e che una parte del mercurio unendosi al cianogene formi un cianuro , precipitan= dosi il‘resto del mercurio. in stato d’ estrema divisione, Il sig. Gay professore aggiunto ‘alla scuola di farmacia di Montpel- lier aveva: osservato tun fatto analogo in alcuni biscotti nei quali en- trava del;mercurio dolce e delle mandorle dolci; alle quali aggiugnendo o non aggiugnendo delle mandorle amare , accadeva 0 non accadeva la scomposizione del mercurio dolce; annunziata da una notabile colora- zione. în. grigio. Lo stesso sig. Gay .versando direttamente dell’ acido idrocianico sul protocloruro di mercurio, ha veduto separarsene il me- = 63 tallo sotto forma di globetti brillantissimi discernibili con una lente, (Giornale di farmacia di Parigi ottobre 1829 p. 522). Nel preparare il cloruro d’ azoto il sig. Merck di Darmstadt avendo veduto la mescolanza colorarsi in bruno, ed essendosi assicurato che l’ idroclorato d’ ammoniaca impiegato non conteneva ferro, intraprese per indagare la causa del fenomeno delle ricerche, per le quali ritrovò in quel sale una quantità notabile di bromo. Ciò rende probabile che il color giallastro che ha spesso l’ acido idroclorico del commercio di- penda da un poco di bromo, specialmente quando nella fabbricazione di quell’ acido è stata impiegata per economia dell’ acqua madre di. sa- line, in vece di sal comune. (Ivi pag. 580). L’uso d’ una certa qualità di sal marino avendo prodotto nel can- tone d’ Esternay nel dipartimento della Marna in Francia una malattia epidemica consistente in una infiammazione, sotto diverse forme, del si- stema cutaneo e degli organi addominali, 1’ analisi di quel sale fatta dal sig. SeruZlas gli ha fatto riconoscere in esso l’esistenza dell’ ioduro di potassio nella proporzione presso a poco di 11 per 1oo. (Ivi p. 613). L’ etere idriodico essendo fra le preparazioni dell’ iodio una di quelle che possono più utilmente amministrarsi in medicina, lo stesso sig. Seru//as lia fatto conoscere negli Annali di chimica e di fisica di Parigi, ottobre 1829 p. 119 il seguente processo, con cui si può agevolmente ottenerlo. S’in- troduce in una piccola storta per la sua tubulatura 4o grani d’ iodio, e 100 grani d’ alcool a 38 gradi del pesaliquori, quindi vi si getta a piccoli frammenti ed agitando la storta 2 4 grani di fosforo. Si continua a far dolcemente bollire la mescolanza finchè vi è liquido da distillare : allora cessando di amministrare il calore si aggiugne da 25 a 3o grani d’ alcool per continuare la distillazione finchè resti del liquido. Versando dell’ acqua nel prodotto della distillazione, se ne separa nell’ istante l’ etere, il quale va al fondo; si lava al solito con acqua, poi si ridi- stilla sopra del cloruro di calcio in frammenti, per privarlo d’ un poco d’ acqua che vi si è unita. È stata annunziata una curiosa scoperta fatta dal sig. Herschell, cioè che il nitrato d’ argento , il quale fa sulla lingua e sul palato un impressione bruciante e caustica, e l’ iposolfato di soda, che è di sa- pore molto amaro, mescolati insieme formano una sostanza di sapore dolcissimo. (Férussac sc. math. et phys. septembre 1829 p. 281). Il sig. Desfosses ha suggerito il seguente economico processo per pre- parare l’ acido tartarico. Saturato 1’ eccesso d’ acido del cremor di tar- taro per mezzo del. carbonato di calce, egli lava il tartarato di calce formatosi, e conserva le acque di lavazione. Scomposto il tartarato di 64 calce per mezzo dell’acido solforico, e lavato sufficientemente il solfato di calce depositatosi; per separarne tutto l’ acido tartarico , fa bollire col solfato di calce le acque di lavazione, le quali contengono il tar- tarato neutro di potassa. Si forma allora del solfato di potassa , che re- sta in soluzione , e del nuovo tartarato di calce, che, separato dal li- quido , lavato, e quindi scomposto per mezzo dell’ acido solforico , dà una nuova quantità d’ acido tartarico. (Giornale di farm. ottobre 1829 pag. 613). Il sig. Runge di Breslavia, analizzando quel cardo che Linneo ha chiamato Dipsacus fullonum, e diverse specie di scabiose, ha scoperto in questi diversi vegetabili un nuovo acido, che ha la singolar proprietà di formare coll’ ammoniaca un composto giallo , il quale per il contatto dell’ aria prende un colore turchino-verdastro. Per estrarre questo nuovo acido il sig. Runge tratta coll’ alcool la radice secca della Scabiosa succisa, che ne contiene più delle altre dipsa- cee, ed aggiugne alla tintura alcoolica dell’ etere solforico, che ne fa precipitare in copia dei fiocchi d’ una sostanza particolare, la quale di- sciolta nell’ acqua, e trattata coll’ acetato di piombo, dà un nuovo pre- cipitato. Quest’ ultimo lavato e liberato dal piombo per mezzo dell’acido idrosolforico, e dall’ acido acetico per mezzo dell’evaporazione , sommi- nistra una massa giallastra fragile, che arrossa la carta tinta colla lac- ca-muffa (tournesol), neutralizza l’ammoniaca , e sì colora all’ aria come si è detto. La combinazione ammoniacale gialla non cambia di colore se sia difesa dal contatto dell’ aria. Al contrario se si ponga sotto una campana piena di gas ossigene, prende un color verde assorbendo una porzione del gas. Se il liquido divenuto verde si tenga in digestione con un poco di potassa e d’ amalgama di zinco , si scolora come fa l’in- daco , poi riprende come questo il suo colore per il contatto dell’aria. Il sig. Runge ha dato a questo nuovo acido il nome di g/aucico, distin- guendo cogli epiteti di colorato ed incoloro le due diverse forme sotto le quali si presenta; egli si è assicurato che l’ acido colorato contiene maggior dose d’ ossigene dell’ incoloro, e deve ad esso la sua colora- zione. Per ulteriori ricerche ha trovato 1’ acido glaucico in piante di famiglie diverse. Non ne ha trovato nelle rubiacee ; bensì in 45 specie di quest’ ultima famiglia ha trovato un altro principio particolare , che ha la proprietà di colorarsi in turchino quando si scalda coll’ acido idro- clorico allungato d’ acqua, e che promette di far conoscere in seguito. (Universel N. 341). Il sig. Graham ha riconosciuto che 1’ alcool assoluto , o affatto privo d’ acqua, discioglie alla temperatura di 12.° R. alquanti sali, i quali per raffreddamento si separano dalla soluzione cristallizzandosi e rite- nendo una quantità molto notabile d’ «cool di cristallizzazione. Egli ri- guarda questi composti come analoghi agl’ idrati, e dà ad essi il nome di alcoolati. (Férussac sc. math. phys. septembre 1829 p. 287). 65 Il sig. Soubeiran, avendo esaminato i semi di diverse piante della famiglia delle euforbiacee , e principalmente dell’ Tatropha curcas, detti pinocchi d’India , dell’Iatropha multifida, dell’Euphorbia lathyris, dei Ri- | cini , e del Croton tiglium , ha concluso 1.° che i semi dell’ enphorbia latyris, del ricino , dell’ jatropha curcas , e dell’ jatropha multifida deb- bono le loro proprietà ad una materia .di natura resinosa ; 2.° che la resina abbonda nei semi d’euforbio, le due jatropha ne contengono meno , e tutte due presso a poco le stesse proporzioni; 3.° chele ra- dici contengono piccolissima quantità di materia resinosa; quelle col- tivate in America ne sono più ricche di quelle coltivate in Francia ; 4.° che la resina non è il solo principio purgativo dell’olio di ricino ; vi si trova inoltre, anche nei ricini recenti, una certa quantità di quegli acidi che i chimici riguardano come prodotti della saponificazio- ne, la proporzione dei quali aumenta a misura che l’olio invecchia, o è scaldato, i quali acidi contribuiscono senza dubbio, almeno quanto la materia resinosa, agli effetti purgativi dell’olio ; 5.° che i semi del cro- ton tiglium contengono un olio simile a quello delle euforbiacee perla resina che esso tiene in dissoluzione , ma che ne differisce essenzialmen- te per la presenza d’ un olio etereo ed acidificabile, i di cui effetti sul- l’ economia animale son comparabili a quelli dei veleni più energici (Gior. di farm. Ottobre 1829 p. 501). Analizzando la scorza della Quercus falcata , detta dai francesi querce di Spagna, e che è molto comune negli Stati-Uniti , il sig. Scattergood ha creduto scuoprirvi una sostanza particolare , alla quale ha dato un nome desunto da quello della quercia, e che per esser messo in armonia coi nomi di tante altre sostanze vegetabili particolari ci sembrerebbe dover esser modificato in quello di quercina, quando i chimici confermassero questa scoperta , del che è da dubitare , sospettando il sig. Robiquet che la supposta nuova sostanza non sia altra cosa che solfato di calce. (Ivi pag. 550). Esaminando la scorza del Salix incana e del Salir vitellina , il signor Buchner di Monaco ne ha ricavato una sostanza nuova di natura alca- lina, cui ha dato il nome di Salicina. Sembra che a questa sostanza ‘debba attribuirsi la virtù febbrifuga che è stata riconosciuta in diverse specie di salci. (Ivi pag. 559). I sigg. Pelletier e Coriol analizzando una scorza pervenuta in Francia dal porto d’Areca, ed originaria d’Arequipa, provincia del Perù, ove una tale scorza si mescola fraudolentemente alla china , hanno trovato in essa una nuova base salificabile di natura alcalina, che per alcune pro- prietà si assomiglia alla cinconina , ma per molte altre si distingue da essa. È insolubile nell’ acqua; e però apparisce insipida ponendola nella bocca, ma trattenendovela fa provare una sensazione calda ed acerba. -T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 9° 66 Disciolta in un acido prende un sapore amarissimo. Disciolta in alcool bollente si cristallizza per raffreddamento in aghi setosi simili a quelli del solfato di chinina. La soluzione in acqua bollente , in vece di dar cri- stalli, sì rappiglia raffreddandosi in una massa gelatinosa bianca-lattea tremolante, e prende un aspetto corneo per il disseccamento. L’ etere discioglie'la pura materia alcalina , non i cristalli del suo solfato. L’ acido nitrico concentrato , disciogliendola , le fa prendere un color verde inten- sissimo ; questo è più debole se l'acido sia un poco allungato ; se poi sia allungatissimo la discioglie senza colorazione. Questa base ha piccolissima capacità di saturazione , e la maggior parte delle sue combinazioni saline danno segni d’'acidità. Questa sostanza, di cui gli autori promettono di far conoscere più minutamente le proprietà chimiche e mediche, è composta d’idrogene, ossigene , carbonio , ed azoto ; bensì contiene di quest’ ultimo minor quan- tità che qualunque altra delle sostanze alcaline vegetabili ; essa non è ve- nefica. (Ivi Novembre pag: 565.) Un altra sostanza pure leggermente alcalina è stata trovata nell’ ana- lisi dell’ Hyssopus officinalis dal sig. Herberger farmacista a Strasburgo , che le ha dato il nome d°’ Issopina. (Ivi pag. 585.) È frequente il caso che dei sughi vegetabili e dei liquidi contenenti in soluzione materie dolci o zuccherine divengano mucillagginosi e visco- sì. Anche il vino subisce talvolta questo modo d’ alterazione, che alcuni chimici hanno chiamato fermentazione viscosa. Studiando questo genere di fenomeni, il sig. Desfosses, farmacista a Besangon, ha trovato che il lie- vito di birra ed il glutine sono le sostanze le quali, ancorchè impiegate in quantità piccolissima , determinano più facilmente è più prontamente quest’alterazione. Egli ha fatto bollire nell'acqua del lievito di birra, pri- ma purificato con ripetute lavazioni nell’ acqua fredda, e, filtrata la solu- zione, se n'è servito per disciogliere dello zucchero puro. L’ apparato pneumatico a mercurio ed altri mezzi appropriati gli hanno dimostrato che, sebbene la fermentazione viscosa sembri farsi tacitamente, ella è vera- mente accompagnata da produzione d’ una sostanza aeriforme , che è un mescuglio di gas idrogene e di gas acido carbonico. L’ acqua nella quale si sia fatto bollire il glutine gode della proprietà stessa. Questa specie di fermentazione dura ordinariamente circa dodici giorni. Una temperatura di 20 a 25 gradi R. la rende più pronta e più completa. Il contatto dell’aria vi è indifferente ( Ivi pag. 602. ) Scienze MEDICHE. L’ Accademia delle scienze di Parigi ha ricevuto comunica- zione dal sig. dott: Legrand delle osservazioni da lui fatte intorno i; ad una malattia scrofolosa , che èistata guarita colle preparazioni d’oro. (II Globo N.° 81, 10 ottobre 1829). Alla stessa Accademia è stata presentata dal sig. Foureaw di Beauregard una di lui memoria intorno alla febbre gialla, nella quale egli stabilisce che questa malattia è di natura emorragica. Secondo esso bisogna considerarla come uno scorbuto acutissimo, e la ratania è il più afficace rimedio che possa impiegarsi contro di essa. Questa opinione , secondo il sig: di Beauregard è stata confermata dalle sperienze di diversi medici francesi; che: hanno fatto prova della Ratania alla Vera Croce ; e ne hanno ottenuti risultamenti molto utili. ( Zvî ). Similmente all’ Accademia delle ‘scienze il sig. Lisfrano ha letto una sua memoria sopra dei cancri superficiali che si crede - vano profondi, e delle osservazioni sopra: i casi nei quali i ma- lati sono stati preservati dall’ amputazione d’ organi importanti. Egli ha dichiarato che l’oggetto della sua comunicazione era quello di provare che la medicina operatoria potrà im avvenire. conser- vare in totalità o in parte degli organi dei quali 1’ arte ha fin quì prescritto l’intera sottrazione. I progressi recenti dell’ anatomia patologica hanno fatto co- noscere che le malattie cancerose non invadono nel medesimo tempo tutti i tessuti degli organi che investono; così per esem- pio nei cancri dello stomaco la malattia è limitata talvolta alla membrana muscolesa , tal’ altra allo strato cellulare che l’unisce alla membrana muccosa, ed anche quando tutte queste membrane sono, malate, un attenta dissecazione permette di distinguere quella fra esse da cui la malattia ha cominciato. Questa succes- sione progressiva nel corso del cancro aveva da lungo tempo ri- chiamato 1’ attenzione del sig. Lisfrane sopra dei malati morti nello spedale a lui raccomandato per cancri inveterati nel petto. Un esame attento lo. aveva convinto :che la malattia era stata arrestata per degli anni dalla pleura , conservata intatta in mezzo allo sconcerto che la circondava. Egli aveva ripetuto le stesse 0s- servazioni sopra molti cadaveri di donne avanzate in età , intre delle quali, morte di carcinomi molto antichi all’ ombelico ; egli aveva osservato che il peritoneo opponeva nell’ addome lo stesso ostacolo che la pleura all’ invasione del cancro. Egli aveva os- servato la cosa stessa in diversi casi nei quali le parti attaccate dal cancro erano: vicine ai corpi cavernosi. Meditando sopra. que- sti diversi fatti, egli.concepì la! possibilità di far tornare a profitto 68 della chirurgia i dati somministratigli dall’ anatomia patologica. Osservando che nel maggior mumero di casi il cancro era limitato ad un tessuto, giudicò che spesso si potrebbe , in vece di sacri ficare 1’ organo intero , contentarsi d’ estirpare la parte veramente malata. L° esperienza comprovò ben presto la giustezza delle di Ini vedute, e diverse operazioni così condotte furono coronate da pieno successo. Le due prime osservazioni riferite del sig. Lisfrane riguar- dano due individui ai quali il di lui nuovo metodo risparmiò una mutilazione , che è quasi sempre mortale. La terza concerne a un .cancro sulla lingua , la quale era per due terzi dura, tumefatta , ed ulcerata, sicchè diversi fra i più distinti chirurghi di Parigi ne avevano consigliata l’ estir- pazione per i due terzi. Ma il sig. Lisfrane separò con un Bistu- rì le parti sane dalle malate, abbracciò queste ultime con una legatura che fu serrata per mezzo del tourniquet costrittore di Mayor. Non sopravvenne verun sinistro accidente ; la costrizione fu progressivamente accresciuta per sei giorni ; la porzione legata si mortificò , divenne nera , e cadde. Allora fu veduta , non senza sorpresa, la lingua conservata in tutta la sua larghezza ed in tutta la sua lunghezza, meno due linee circa della sua punta. Era malata la sola superficie , essa sola fu sacrificata ; le parti più profonde rimasero , e si cicatrizzarono sotto l’ influenza degli emollienti e dei risolutivi ; soltanto una piccola ulcerazione sem- plice resistè per qualche tempo , quindi cedè alle cauterizzazioni fatte col nitrato d’ argento. Il soggetto che soggiacque a quest’ operazione era un giovane avvocato , e tale fu il risultamento del nuovo metodo di cura, che egli potè riprendere l’esetcizio della sua professione ; soltanto la parola era, immediatamente dopo la guarigione ; un poco meno pronta che avanti la malattia ; è per altro probabile che 1’ eser- cizio e l’abitudine faranno il resto. Secondo i principii general- mente ammessi nell’arte , egli avrebbe dovuto fare il sacrifizio , altronde pericoloso, dei due terzi della sua lingua. } Dalle cose esposte nella sua memoria il sig. Lisfrane tira le seguenti conclusioni : 1.° Che qualunque siano i guasti che fanno nei tessuti or- ganici le affezioni cancerose, la natura tende ad oppor loro dei confini che ne limitano gli effetti ; 2.° Che le ricerche d’ anatomia patologica avendogli sommi- nistrato dei dati probabili sulla natura di questi limiti , egli con- cepì la speranza di conservare gli organi che erano investiti 69 dalle affezioni cancerose, limitandosi ad estirpare soltanto i tes- suti attaccati dalla malattia ; 3.° Che quest'idea nata dai progressi dell’ anatomia patolo- gica è stata coronata da un pieno successo in alquanti casi che l’autore si propone di far conoscere , ed alcuni de” quali sono analoghi a quello sopra indicato , mentre gli altri riguardano il cancro dell’ intestino retto ; 5.° Che se il fine della chirurgia è di conservare e non di distruggere, egli è un dirigersi a questo fine il conservare degli organi che gli antichi precetti prescrivevano di sagrificare . (Il Globo N.° 81. 10 ottobre 1829). Il sig. Lugol, medico dello spedale di S. Luigi in Parigi, autore d’ una memoria interessante sulla cura delle malattie scro- folose per mezzo dell’iodio, ha adottato e suggerito come la:più conveniente forma sotto la quale 1’ iodio possa amministrarsi la sua dissoluzione nell’acqua stillata a cui sia aggiunto un poco di sal camune , che facilitando la dissoluzione, la rende, se- condo esso , più digeribile. Egli impiega tre soluzioni diverse una dall’ altra per la quantità di iodio , e conseguentemente per la loro energia , sotto i nomi di acqua iodata di N.° 1, 2, 3, delle quali compone le prima con sal comune grani 12, tintura di iodio grani 18, acqua stillata once 16. Quella di N.° 2 è com- posta di sal comune grani 12, tintura di iodio grani 24, acqua once 16. Finalmente quella di N.° 3 contiene sal comune grani 12, tintura di iodio grani 36 , acqua stillata once 16. Compone poi la tintura di iodio sciogliendo a freddo una dramma di iodio in once 4 e dramme 3 d’ alcool rettificato. i Per l’uso esterno il sig. Lugol impiega una soluzione iodata ed una pomata iodurata , di ciascuna delle quali compone tre varietà come appresso. Soluzione iodata di N.° 1, tintura di iodio una dramma , acqua stillata once 16; di N.° 2, tintura dramm. 11, acqua once 16; di N.° 3, tintura dramm. 2, acqua stillata once 16. Pomata iodurata N.° 1, sugna recente libbre 2 , ioduro di potassio once 4 , iodio dramme 4; di N.° 2, sugna libbre 2, io- duro di potassio once 5, iodio dramme 4 e denari 2; N.° 3, sugna libbre 2, ioduro di potassio once 5 , iodio dramme 5. e denari 1. 70 Lettera del sig. Pariset al sig. Labarraque membro del consiglio dî salubrità. Tripoli di Siria 28 giugno 1829. Mio buon amico. Voi non avete dimenticato che la nostra missione ha due oggetti : il primo di ricercare le cause della peste , il secondo di verificare l’ef- fetto-dei cloruri sulle materie infette di miasmi pestilenziali. Per il primo oggetto noi ci eramo portati in Egitto ; contrada che consi- deriamo sempre come il focolare originario della peste. Le nostre congetture intorno a ciò, sono state confermate dall’ esame delle località , e ci lusinghiamo che al nostro ritorno in ‘Francia non resterà più dubbio su questo punto es- senziale, Per il secondo oggetto bisognava che la fortuna ci facesse incontrar la pe- ste ; noi l’aspettavamo in Egitto, essa era in Siria. Siamo partiti per la Siria, e dopo dei giri inevitabili , e la lunghezza dei quali e’ inquietava , siamo ar- rivati a Tripoli il 30 maggio nella mattina. Il giorno dopo 31 eramo stabiliti nella casa del Consolato di Francia. Là abbiamo fatto premura per acquistare sei vestimenti, cioè sei camicie e sei paia di calzoni, in cui fossero morti allora allora altrettanti appestati. Questi. vestimenti , alcuni dei quali'erano di seta, gli altri di cotone, sono stati comprati, il dì 2 giugno, e depositati il 3. nel piccolo giardino del Consolato. Il dì 4 si è verificato lo stato di questi vestimenti ; essi erano imbrattati di mar- cia, ed esalavano un odore insopportabile. Una donna, la quale pure era appestata, gl’ immerse in parte nell’acqua semplice per liberarli da un certo eccesso d’immondezza. Ciò si faceva accanto ad una dissoluzione fatta con tre libbre di. cloruri messa dal sig. Darcet in cinquanta libbre d’acqua. I vestimenti passarono, dall’ acqua nella dissoluzione; e restarono. in questa per sedici ore. La mattina del dì 5 i sigg. Darcet e Guilhou li estrassero dalla dissoluzio- ne , li torsero., li misero al sole; le macchie della marcia erano un poco in- debolite , ma erano ancora mani festissime. A mezzo giorno i vestimenti erano bene asciutti; ciascun di noi (i sigg. Dumont, Guilhou, Lagasquie, Darcet, Bose , ed io ) prese i due pezzi che li componevano , e se li applicò sulla pelle a nudo e senza;intermedio. Non si è lasciato questo bel vestiario che il giorno appresso, 6, ,,dopo averlo portato 18 ore ; niuno di noi ha sofferto verun danno, e dopo ventidue giorni la nostra salute si mantiene la stessa. Voi vedete le conseguenze che da ciò derivano. Egli è evidente che si possiede un mezzo 1.° di disinfettare a poché spese ed in poco tempo degli oggetti e delle mer- canzie, senza danneggiarle minimamente. ; 2.° di ridurre un epidemia a sè stessa, e d’impedire che ne produca una seconda, e una terza, come si osserva quì, uma, quarta ed. una; quinta ,, come si è, veduto altrove, e ciò col distruggere per mezzo di lavazioni fatte coll’acqua; in cui sono disciolti i cloruri , il veleno lasciato. dalla prima , e che perpetua il, male. Nè ciò deve intendersi soltanto delle varie specie di peste, ma anche dei vaiuoli, delle rosolìe , dei tifi, ed anche delle febbri gialle, perchè io morirò colla convinzione che queste febbri sono contagiose in Europa, ed in qualunque altro paese. Associando questo mezzo così semplice ad una miglior polizia sulle sepolture in Egitto, ed anche nelle altre parti dell’impero ottomanno ( perchè quì le sepolture sono in uno stato CI deplorabile ) egli è chiaro come il giorno che la peste è annientata per sempre sul globo. Dopo il dì rt di giugno noi abbiamo veduto e toccato molti malati, nè ab- biamo contratto la peste ; però crediamo che, grazie a Dio, ce ne abbiano pre- servato i cloruri. Abbiamo in testa molti disegni, ma ci sarà egli permesso d’ eseguirli ? Le scatole di medicamenti che dobbiamo al sig. Debellayme hanno fatto maraviglia dovunque , ma specialmente nell’ alto Egitto. Noi davamo consiglio, medicamenti, danaro , il tutto in nome del re di Francia, e gli arabi erano maravigliati. Abdallah-Pascià , che governa la Siria occidentale, ci scrive che la peste è attualmente a Acri. Egli ci prega di mandargli dei cloruri. Molti gran per- sonaggi turchi ce ne hanno domandato a Tripoli. Pazienza: il bene si fa len- tamente , è vero, ma si fa; il male solo si fa presto. Buon giorno , caro amico , vi scrivo in fretta, non ho un minuto di tempo. Oh quanto mi sarebbe grato il sapere schiettamente il giudizio della giunta di Gibilterra intorno al carattere della febbre gialla. Tutto vostro E. PARISET. Grocraria E ViaGci SCIENTIFICI. Viaggi del sig. Pentland. Nella Biblioteca Universale (Settembre 1829 pag. 17) sì trova un estratto del ragguaglio che il celebrè sig. Alessandro De Humboldt ha pubblicato dei lavori geografici e geognostici del sig. Pentland nel Perù meridionale. Questo giovane naturalista d’un merito distinto, allievo del sig. Cu- vier per la zoologia e l'anatomia comparata, si era anche esercitato nelle ricerche geognostiche nel mezzogiorno della Francia ed in Italia, e sì preparava ad una spedizione scientifica all’ Indie orientali, quando fu destinato ad unirsi all’ambasciata inglese al Perù. Presentendo quali importanti risultamenti potevano derivare da questa missione, il sig. De Humboldt pregò il ministro inglese Canning d’inviare il sig. Pentland munito di strumenti sulla pianura elevata ed incognita di Titicaca. Poco dopo il suo arrivo a Lima il sig. Pentland avendo avuto dal suo governo l’ordine d’ esplorare le provincie dell'alto Perù, egli si portò per Arequipa a Puno , traversando la catena occidentale delle Ande. Per- corse le provincie di Lampa e di Puno, e le rive del celebre lago di Ti- ticaca , la di cui superficie si estende per più di seimila miglia inglesi , ed è in conseguenza 26 volte maggiore del lago di Ginevra. Visitò le isole di Titicaca e di Coota coperte dalle rovine d’ edifizi che attestano l’antica civilizzazione dei Peruviani; vide gli avanzi più recenti ma an- che più sorprendenti di Tia Huanaxo ; passò alcune settimane nella ricca città di La-Paz , quindi per Oruro e per la valle di Desaquadero si portò 72 a Potosì , Tupisa , e Tarija ; dopo di che tornò verso il nord a Chuquisaca , sede del governo di Bolivia. Dopo aver soggiornato due mesi a Chuqui- saca, ed aver percorse le provincie di Chayantes, Yauriparaes ec. andò a Chocabamba, e di là passando la cordigliera orientale in vicinanza di Pa- ria, tornò nella provincia Pacajès ed a La-Paz. Egli desiderava anche per- correre i distretti di Apolabamba e di Larecaja, ma avendo ricevuto dal governo inglese l’ordine di tornare in Europa, passò di nuovo la branca ovest delle Ande fra La-Paz e Tacua, lasciò’ il Perù nel maggio 1827, e passò a Rio Janeiro. Mediante un gran numero di osservazioni barometriche fatte a Lima ed a Callao, il sig. Pentland ha determinato la variazione diurna ed oraria del barometro in quelle due stazioni. L’ altezza media del mercurio a Callao è di 761 millimetri, a Lima di 740,52; dal che si deduce 1’ ele- vazione di questa città di tese 79,75 sopra il mar del sud. Avendo misu- rato trigonometricamente diversi pichi, ne ha trovato l’ altezza superiore di più centinaia di tese a quella del Chimborazo, considerato fin quì come la sommità più elevata del nuovo continente. La gran catena delle Ande peruviane si divide fra il 14 e il 20 di lat. sud in due branche longitudinali separate fra loro da una gran valle, o piuttosto pianura elevata di 2033 tese sopra il mare, e nella cui estre- mità nord è compreso il lago di Titicaca. Le rive e le isole di questo lago erano la sede dell’antica civilizzazione del Perù, ed il punto cen- trale dell’impero degl’ Incas. La catena occidentale separa il detto lago e la valle del Desaquadero dalle coste del mar del sud, e presenta molti vulcani ancora in attività. La sua costituzione geognostica è essenzial- mente vulcanica, mentre la catena orientale è interamente formata di montagne secondarie e di transizione. La catena orientale separa il piano elevato o la valle in cui è com- preso il lago di Titicaca dagl’immensi piani di Chiquitos e di Moxos. Molti torrenti che si versano nel Rio Beni portano della sabbia aurifera. La grande quantità che ne depositava uno di essì aveva fatto dare alla piccola valle di Tipiani nel distretto di Larecaia il nome divenuto così celebre di Dorado, o El Dorado. Dal 14:° al 17.° grado di lat. questa catena arriva quasi senza interruzione al limite inferiore delle nevi per- petue. Diverse delle sue sommità sorpassano le più elevate che si sia fin quì tentato di misurare nelle Cordigliere. Quelle dell’ J/limani e del Sorata, coperte di nevi eterne, superano tutti i pichi giganteschi della Colombia, il Chimborazo, Antisana, ed il Cayambè. L’Illimani, situato nella provincia boliviana di La-Paz a 20 leghe est-sud-est dalla città di questo nome, forma l’estremità sud della catena delle Ande. Egli è fra r6,° 35 e' 16,° 39 lat. sud, e fra 67° e 68° long. ovest da Greenwich. Dei quattro pichi nei quali ‘e divisa la sua sommità il più settentrionale misurato dal sig. Pentland ‘è stato trovato di 3783,3 tese sopra il livello del mare, 0:1876,5 sopra il piano ove è posta la città di La-Paz. Un altro pico più al sud è sembrato all’osservatore più 73 elevato d’ altre. 39 tese. Il ‘punto più elevato a cui egli sia giunto sul- I’Illimani, di cui gli fu impossibile arrivare alla cima per il cattivo tem- po, fu dù 2971 tese. Quanto. alla costituzione i5sogmestina dell’ Illimani, esso è composto di rocce secondarie, di schisti di transizione, e di schisto micaceo in strati attraversati da molti filoni quarzosi contenenti piriti aurifere ed oro nativo. Alcuni di questi filoni, benchè situati ad un altezza di 2658 tese, sono stati scavati dagli antichi peruviani molto avanti l’arrivo dei coloni europei. . Nella regione nord della catena orientale delle Cordigliere s quasi Pi mezzo alla porzione della sua cresta che è coperta di nevi eterne , sorge il monte Sorata a 15,° 30 lat. sud, che appartiene come l’Illimani alla provincia boliviana di La-Paz, e situato all’est del villaggio di So- rata; che è il più notabile del distretto di Larecaia. La sua altezza è di tese 3940,61. / La sommità più elevata che presenti la catena occidentale delle Ande è un cono o cupola di trachite che s’inalza maestosamente sopra la valle di Chuquibamba al nord d’Arequipa; questa montagna è alta tese 3440,2. la sua forma e la sua struttura geognostica sono affatto analoghe a quelle del Cayainbè. All’est ed al nord-ovest della città d’Arequipa si trova la valle dello stesso nome circondata da montagne coperte di nevi eterne, in mezzo alle quali come pico centrale è il celebre vulcano d’Arequipa alto oltre a tese 2814. Più al sud, fra i paralleli d’Arica e del Rio de Loa si trovano diversi coni cla molto elevati. Ml vulcano di Gualatieri nella provincia boliviana di Carangas s’inal- za sopra. un piano di gres rosso che contiene molto minerale di rame. Il cono che giugne all’altezza delle nevi perpetue ha una forma molto regolare e quasi geometrica. Troncato in cima vi fa supporre un cratere vasto e profondo. N’escono sempre vapori e fumi, e secondo i vicini abitanti talvolta delle fiamme. Il Lahama presenta due sommità coniche, egualmente regolari che quella. di Gualatieri, e similmente trachitiche. Fra il parallello di Sahama e quello di Tacora sorgono anche diver- se altre montagne vulcaniche, alcune delle quali giungono all’altezza di tese 3125. Il villaggio di Tacora, posto. a 2232,2 tese, è il gruppo d’abitazioni più elevato che sia sulla terra. Al nord-ovest di Tacora si vede il Nevado di Chipicani, sulla cima del quale sì è aperto un cra- tere dalla parte dell’est. Poco più lungi un monticello meno elevato presenta gli avanzi d’un vulcano estinto. I? sig. Pentland rileva come un fatto. geognostico molto notabile che in niuna parte delle regioni vulcaniche della catena delle Ande che egli ha percorsa, sia al Perù, sia al Chilì si trova basalto o pirossene , le, masse, d’ origine vulcanica trovandovisi .costituite d’ agglomerazioni trachitiche , e di,trachiti mescolate di grani di quarzo. I |pechstein tra- TO XXXVI.. Novembre e Dicembre. 10* 14 chitici , le ossidiane e gli altri prodotti vulcanici vetrificati vi son ra- rissimi. Il sig. Petland cita come un tratto caratteristico della fisica costitu- zione degli antichi abitanti di questa parte dell’America meridionale, la loro tendenza ad elevarsi sulle parti più alte della catena delle Ande, e l’attitudine che avevano ad eseguire delle escavazioni in quelle re- gioni. La parte nord-ovest del Cerro di Desucelga, che è sul pendio nord dell’Illimani, benchè tagliata quasi a picco è piena di piccole esca- vazioni, donde i peruviani hanno cavato grandi quantità di terra auri- fera molto prima della conquista degli spagnoli. Sî trovano diverse di queste escavazioni all’ altezza di tese 2593. Lo stesso è in altre parti dèll’alto Perù. Le più alte abitazioni degli uomini fra il 14.° e il 18.° grado di la- titudine sud sono al di sopra di tese 2423. Si trovano dei piccoli vil- laggi e delle case di posta fino all’altezza di 2251. Le piante fanerogame trovate dal sig. Pentland alla più grande al- tezza appartengono alle graminacee ed alle composte. Sui fianchi del- l’Illimani arrivano a tese 2423 e su quelli del Cerro di Potosì a 2456. I terreni coltivati si elevano fino”a 2189. La segale, la patata, il gran turco , i fagiuoli , ed anche il nostro grano crescono abbondantemente sulle rive e sulle isole del lago di Titicaca all’altezza di 1995. Nuovi Ragguagli intorno al prof. Ranpr. Spedizione Francese- Toscana in Egitto. Annunziamo il felice ritorno da Alessandria de’ dotti Francesi, e de’ nostri Toscani, dopo un viaggio che , fra gli altri beni, è giovato a meglio stringere i vincoli e sociali e scientifici , che legano 1’ Italia alla Francia. Speriamo che il sig. Champollion sia approdato a Tolone ormai co’ suoi ; il sig. Rosellini è già a Livorno co’Toscani compagni : + tran- ne l’uomo dabbene, di eni piangiamo la perdita! ( V. Antol. N.° 106). Già non prima il presente' fascicolo avrà veduto la luce, che il ch. Ro- sellini avrà compiuta la quarantina , e si troverà fra le braccia de’ suoi, che l’ aspettano. Noi seguiteremo ad offrire l’ estratto delle lettere nelle quali stanno annunziati i lavori e le scoperte della spedizione. Ma speriamo che il ritorno del ch. professore ci porrà al possesso di particolarità più mi- nute e più preziose. Certo , per quel che riguarda l’ archeologia, con- verrà, a pieno lume, aspettare l’ opera de’ viaggiatori stessi : e, o che intendano di dar un lavoro comune, oche ciascuno dalla parte sua pensi ad ordinare e illustrare le fatte scoperte , grande, speriamo ne verrà il vantaggio alla scienza. Noi non possiamo però tacere il desiderio , che quanto a’ Javori della spedizione toscana, e’sieno in questo stesso paese, e nella nostra lingua pubblicati. = Ma a prender parte all’ opera ono- revole, mancherà V.ottimo Raddi, non ultimo certamente di quelli le cui laboriose indagini e in questo e in altri viaggi, sono. giovate ‘alla 75 scienza. E quale sarà la mano amica, a cui venga affidata una cura sì ‘delicata, un lavoro: dove la menoma reticenza, la imenoma negligenza potrà essere e facilmente notata e condannata altamente ?_ Speriamo poter tra breve offrire esatte notizie di tutto quel che dobbiamo all’il- lustre defunto. Intanto ci gode l’animo di potere , per grazioso dono d’un de’ suoi più degni amici che volle farne la spesa, ornare l’Antologia del ritratto di quest'uomo, a cui nessun’anima retta può negare un pensiero di dolore e d’ affetto. — Innoltre , come appendice all’ articolo necrolo- gico già citato, offriam quì le notizie comunicateci dalla gentilezza del dotto prof. cavaliere G. Savi, notizie che ogni lettore amico dell’ onore d’ Italia, scorrerà con piacere. » + «+ Dal primitivo suo oscuro stato, al pari del sommo botanico Pier An- tonio Micheli, secondando il genioisuo naturale colla perseveranza nello studio e nelle fatiche, seppe gloriosamente emergere , ed acquistarsi presto la stima di tutti quelli che del suo valore eran capaci di giudicare. Tali, fra i molti, furono il dott. Ottaviano Targioni-Tozzetti prof. di Botanica, il cav. Gio. Fabbroni direttore del Museo di Storia naturale , ed il dott. Attilio Zuccagni prefetto dello stesso Museo , de’quali gli ultimi due lo vollero impiegato in quello stabilimento, ov? ebbe occasione d’estendere le sue cognizioni in tutte le parti delle, scienze della natura. Erborizatore indefesso, visitò a piedi, palmo a palmo; più della motà della Toscana , ritraendone ubertosa raccolta di piante, che somministrarono copiosi materiali ai suoi studi, e servirono a farlo conoscere all’estero. Estesissime furono le collezioni di piante, semi, ed animali d’ ogni sorta che portò dal Bra- sile ; ove soli sei mesi si trattenne; e la lasinga d’arriechir la patria di nuove produzioni esotiche , gli fece accettare con sommo giubbilo l'invito d’ nirsi in qualità di naturalista alla spedizione che in ricerca d’ oggetti d’ antiquaria, sotto la protezione del nostro benamato Sovrano , nel luglio 1828 partì per l’ Egitto. Golà , mentre pieno di zelo e di coraggio adempiva in modo utile ed onorevole l’oggetto della sua missione, fu sorpreso da maligna e ribelle dissenteria, cui resistè quanto è dato alle forze umane di resistere ai mali, nè acconsentì a la- sciarsi trasportare in Italia, se non quando sentì consumarsi le forze , che ridotte all’estremo grado in vicinanza di Rodi , morì in quell’ Isola accrescendo così la non piccola serie de’ martiri per la storia naturale. Fu il Raddi in relazione con tutti i botanici suoi contemporanei, e poche son l’ opere di questi nelle quali non sia decorosamente citato. Il Padre Lieandro da Sacramento, professore di botanica a Rio Janeiro } onorò il nome di lui con un genere detto Raddia o Raddifia formato con una pianta Ippoerateacea, generò adottato anche nel Prodromo del prof. Decandolle, il quale ha distinte due speeie col nome triviale Raddiana , e sono una Lasiandra ed una Passiflora, dal nostto Raddi trovate nel Brasile. Molte memorie da esso scritte abbiamo stampate. negli atti dell’ accademia di Siena, nelle memorie della Società Italiana di cuì era uno de’Quaranta, negli opuscoli scientifici di Bologna, nel Giornale di Pisa, nell’An- tologia di Firenze, ec. È degno d° esservazione un’ altro tratto di somiglianza che trovossi fra lui e il sommo Micheli, ed è la predilezione per le Crittogame. ‘Egli fu di tali piante avido ricercatore , e conoscitore profondo, come bene lo fan conosce- re ciò che stampò, 1.° Sulle specie nuove di funghi ritrovate ne’ contorni’ di Fi- renze, e non registrate nella 13% edizione del sistema di Linneo (1807); 2° Sulle specie nuove e rare di piante crittogame ritrovate ne’contorni di Firehze (1808 Pb 3.° L’ Iungermannografia etrusca (1818); 4.° Le crittogame Brasiliane (1822): 6 og Ri: centocinquantadne specie di felci , fralle quali molte delle nuove, comprese nell’ opera intitolata Plantarum Brasiliensium nova genera, et species nocae , vel minus cognitae (1825), e della quale, a danno della scienza ; il solo primo tomo fu pubblicato. Non può aver luogo in questa breve notizia un’ analisi dell’opere del Raddi, da cui rendasi palese quanto si rese utile alla botanica. Converrà contentarci di accennare che oltre le molte e molte specie nuove da lui fatte conoscere , stabilì anche non pochi generi nuovi, quali per esempio sono i seguenti: Fossombronia , Corsinia, Frullania, Bellincinia , Pabronia, Pellia, Reboulia, Antoiria, Olfersia, Rumhora, Bertolonia , Leandra , Matthisonia, Macroceratides ; Schnella ec. Molte cose nuove, e molti materiali atti a illustrare delle oscurità bota- niche , per quanto è a nostra notizia , giacciono ancora nell’ Erbario del Raddi, ed abbiamo ragione di sperare , che a vantaggio della' scienza tutto sarà pub- blicato, e che sarà anche reso conto fedelmente di tutte le produzioni naturali raccolte in Egitto, delle quali a momenti si attende I’ arrivo a Livorno. + tialie: Gita sui rionti Himalaya. ; Il dott. Gérard, il cui fratello ha con felice ardimento ‘percorse co- teste montagne , ha visitato di poco la valle di Sulei; e in questo luogo circondato dalle più somme alture che sieno nel globo, e ch’ è il più elevato della terra che porti abitanti, ha fatte delle osservazioni nota- bili. Lo scopo principale del viaggio era l’ introduzione dell’innesto yac- cino nel Tibet: ma questo gli andò ‘fallito per i pregiudizi d’un raja. Da esatte esperienze barometriche egli raccoglie che un villaggio dov’egli soggiornò, sovrasta di 14,700 piedi al livello del mare. Eppure, nel mese d’ottobre, il termometro segnava appena sul mattino 8.° 33’ sotto lo zero : il sole nella giornata mandava un calore incomodo; e i laghi e i fiumi che diacciavano nella ‘notte, a due ore dopo mezzogiorno eran tutti sgelati. Mediante 1’ irrigazione artificiale, e pel calore del sole, si rac- coglie all’altezza di 14,900 piedi segale in buon dato: e più alto ancora cioè fino a 17,000 piedi potrebbe, al dire del dot. Gérard, elevarsi la coltura:con frutto. Le capre che quivi crescono, son le più belle che dia il paese; e son di quelle il cui pelo serve agli scialli. — All’altezza di piedi 15,500, il viaggiatore trovò di molte conchiglie fossili, poco lungi dalle rocce calcari, sopra strati di granito e di schisto polverizzati: ed erano datteri di mare, univalvi, e forme cilindriche lunghe; singo- larissime. Al N. E. della frontiera di Kunauor, vicino a un ponte di pietra, il Dot. pervenne all’ altezza di più di 20,000 piedi, e non era ancora alla regione delle nevi perpetue. Un’ora dopo mezzogiorno, il termome- tro faceva 2.° 18° sotto lo zero, e il barometro 361 millimetri, ossia 13 p.; 4 lin., del barometro vecchio. All’ombra, l’aria tirava frizzante; al sole, il calore era incomodo. Indicibilmente sublime e terribile la ve- duta! E’credeva di poter gettar l’occhio sul territorio chinese, ma non ne scorse che la frontiera alta e ignuda, di rocce ripide, orlate di neve, Lui Eppure ciascuna dellè sommità aveva un angolo d’ altezza di. qualche mi- nuto ; e quelle poste in notabilissima distanza, di un mezzo grado: ciò indica 21,000 piedi d’ altezza almeno. Arrivano nondimeno anche colassù gli esattori del governo chinese. Il sig. Gérard vi trovò parecchi mandarini che andavano riscotendo le tasse; e perchè nessuno potesse sfuggire, eran posti agguati a tutti i va- lichi delle montagne. Un di costoro, che pareva deputato alla guardia del viaggiatore , gli fece molte carezze, gli regalò una specie di Medusa petrificata, delle rive del lago di Mansauaor, e convennero di trovarsi l’anno prossimo a cotesto celebre luogo di pubblica riverenza. Lassù, in que’paesi sì lungamente inaccessi ai dotti d’Europa , il sig. Gérard in- contrò il più intrepido de’filologi, che possa vantare la scienza, Cosma di Koros: il quale, partito nel 1819 dalla Transilvania, passò la Valla- chia, la Bulgaria, la Romania, approdò all’ Egitto; e dalla Siria, per la via di Bagdad, entrò in Persia. Dimorato parecchi mesi a Teheran, tirò verso il centro dell’ Asia, attraversando il Corasan, il Bokhara, il Cabul, il Cascimir, il Ladak, dove fu nel 1822. Si stabilì quindi a Kunauor, nel Tibet, nel monastero di Karan, e lì se ne vive co’ frati di Lama. Il prezzo di tanto patimento, è l'acquisto della lingua tibetana, e 1’ esame delle biblioteche di que’ monasteri. Sotto un lama assai dotto, e’ fece di grandi progressi; e avea compilato, è già un’anno, una grammatica e un dizionario di quella lingua, ove prima crebbe , a quel che si dice, la razza umana. Trovò quivi una enciclopedia di scienze e d’arti, in XLIV volumi: la parte medica ne ha cinque da sè. Un’infinito numero di do- cumenti stampati, che giacciono negli archivi monastici, promettono di grandi scoperte storiche e geografiche. Sapevamò già che la litografia fiorisce da tempo immemorabile nella principale città del Tibet, e che quest'arte è servita a rappresentare in LX tavole, l’anatomia delle parti varie del corpo umano. E°pare,che le scienze e le lettere, espulse dalla tirannia della casta bramanica, lasciarono le pianure dell’ Indostan, per rifugiarsi nelle rigide montagne del Tibet, dove le opere loro giacquero finora sepolte, e incognite alla. superba civiltà dell’ Europa. Spedizione al polo Antartico. Il Manhileer , piccolo bastimento inglese, che nella state scorsa vi- sitò le terre australi, agli ultimi di luglio diede fondo al capo ‘di Buona Speranza. — Due mesi dimorò la spedizione alla terra degli Stati, l’au- strale estremità del mondo nuovo: e in cotesti luoghi, nuovi ancora alla scienza , fece non poche esperienze fisiche, e investigazioni di storia naturale. L’isola degli Stati, è tutta montagne ripide, 2000, piedi alte, vestite fino in vetta di piante verdeggianti, altre piccole, altre grandis- sime. Alle falde, è padule. — Il freddo che si dava alle regioni antarti- che, pare esagerato di troppo. La temperatura media è bassa sì, ma co- stante; e in 24 ore non varia di quattro o cinque gradi del term. di Farenheit. Non fa gran caldo la state, ma nè gran freddo il verno: bensì 78 bufere e procelle. Buffi di vento quasi perpetuo , e’ pioggia ogni giorno. Il barometro riman basso; debole il magnetismo, rari i fenomeni elet- trici: i venti tirano da ponente. Il verno dura meno che nell’ America settentrionale: al novembre, che quivi è il maggio, la vegetazione è nel suo fiore; e di neve, anco alle falde pochissima. = Molte semente rac- colsero da trapiantarsi in Inghilterra; e fra le altre quella d’un derderis con foglie grandi, le cui coccole somigliano parte al ribes, parte all’uva; un sedano ben grande, e che resiste alle intemperie; un giunco con fiori grandi, eccellente per panieri e fiscelle; un arbuto simile al mirto ; una fraehlia, arboscello con fiori pendenti a pigna, bellissimi; un legno color verderame, ottimo da colorire. «+ Anche la zoologia ha le sne prede. Sparando una foca, vi si trovò una vena stragrande , diciassette pollici grossa. nà Poi visitaròno l’isola o terraferma scoperta tre anni fa, e nomina- ta Shetland meridionale : e lontano dalle coste un 24 leghe videro dei monti altissimi. Tanta AL delle spiagge, che non fu possibile determinare la vastità del paese. Giunti a un capo al 63.° 45.’ di lati- tudine , e 60.° di longitudine occidentale, la spedizione ne prese possesso in nome dell’Inghilterra. E quivi sì trovarono circondati da ghiaceiaje nuotanti, tre, 0 400 piedi alte, lunghe ben più di mille: sì rifugiarono nel porto dell’isola della Deception, projezione vulcanica, tutta ceneri, rocce, e nevi, e ghiacci; senza fil di verdura. Vivono in questo luogo ci’ è de’ più desolati della terra, miriadi di penguini, e in più luoghi si trova di questi uccelli tutto coperto il terreno per lo spazio di due miglia o tre. Non avendo che pascere , divorano i loro compagni. De? due oceani polari. La spedizione al polo artico è giunta a salvamento al 67.° grado di latitudine settentrionale. La barca a vapore resse aì più périgliosi mari del globo: ina nell’afferrare in un luogo dello Spitzberg, fit scapezzato da un colpo di vento l’albero maestro : e fortuna, che, in una regione dove non v’è da trovare tanto legno da farne una mazza, rincontrarono un bastimento inglese , che circondato da’ ghiacci , era stato da’ marinai abbandonato , dal quale trassero e l'albero , e le provigioni, e legname per la barca a vapore da servire nel viaggio al polo. I ghiacci del polo antartico si sono in quest’ anno straordinariamente disciolti agli ultimi di aprile : due bastimenti inglesi rincontrarono cento leghe lontano dal capo di Buona speranza; de’grossissimi pezzi di ghiaccio galleggianti. Il Farqukarson, legno della compagnia dell’Indie, al 39.° 13.’ di latitudine ; e 48.° 46.’ di longitudine, vide due montagne di chiaccio , alte 150 piedi, con due miglia di ciretito ; screpolate da’ fianchi; la cmni superficie quà Dbrillava come vediam fare allo zuechero raffinato, e là figurava una roccia.calcare ; 0 l'aspetto di nn greppo ben alto. AlVin- torno stavano scanni di ghiaccio , quasi frammenti della mortagna, che ripercuotevano il fiotto spumante. sf 79 Scienze MatEMALICHE. Radici primitive de’ numeri primi, Il signor Cauchy , eccelso matematico francese, ha annun- ziato all’ Accademia delle Scienze di Parigi, nella seduta del dì 9 Novembre 1829, d’aver trovato il mezzo per determinare le radici primitive de’ numeri primi , riserhbando a miglior tempo il far conoscere il-suo metodo. A me sono occorse da alcuni mesi due soluzioni, differentissime tra loro, di questo problema , e pensavo di pubblicarle nel mio secondo volume di Mémoires de Mathématique et de Physique; ma vra l’ annunzio del signor Cauchy mi sforza ad accennare alquanto delle mie indagini in- torno a questo argomento , a fine di non essere prevenuto nella pubblicazione da quel sommo geometra. Per altro, la natura di questo giornale non comportando calcoli prolissi, mi si fa neces- sario mostrare per via d’ esempio il mio metodo in un caso spe- ciale, e dare a luogo più conveniente la dimostrazione uni- versale. Bastandomi adesso 1’ indicare un esempio di calcolo il quale, allorchè io manifesterò intera la mia dimostrazione , si collocherà da per se ne’ particolari di quella. Essendo proposto di trovare le radici primitive del numero 7, si cerchino le radici comuni alle due congruenze x +1 0 (mod. 7), x5— x* —22+1 20 (mod. 7), e s’ avrà la congruenza x-6 = o (mod. 7); quindi col dividere x* + 1, per 2 = 6, s’ otterrà 2° 41 LC = 6 = °=rt+120 (mod. 7), ed il fattore r-3, massimo comun divisore tra le due congruenze 3 = +1 = 0 (mod. 7), (cr +2) — (c+2)+1 =0 (mod. 7), indicherà il 3 essere radice primitiva del 7 ; un’altra radice pri- mitiva dello stesso numero sarà 35 = 5 (mod. 7); e i numeri 3, 5, saranno le radici primitive cercate. 80 Il metodo del quale ora ho esposto un’ applicazione , non solamente serve alla ricerca diretta delle radici primitive , pro- blema tentato invano da molti geometri, ma conduce del pari alia risoluzione delle congruenze di tutti i gradi. Firenze 26 Novembre 1829. G. Lisri. SOCIETÀ SCIENTIFICHE E LETPERARIE. I. e R. Accademia dei Georgofili. Adunanza solenne del 4 ottobre. — Questa pubblica solenne adu- nanza annuale che suol precedere le ferie autunnali non potè aver luogo che nella prima domenica del p. p. ottobre. In assenza di S. E. il sig. Consigliere di Stato marchese cav. Paolo Garzoni-Venturi Presidente dell’Accademia fece le sue veci il sig. mar- chese cav. Cosimo Ridolfi, il quale aprì e presedè la seduta. Cominciò il Segretario degli atti col consueto rapporto degli studi accademici durante 1’ anno ‘decorso ; esordiandolo con un epilogo di quel - più sostanziale e fruttuoso ‘che il corpo accademico, o gli individui a suo intuito operarono; dal 1827 al 1828 inclusive , a favore della pub- blica economia, e dell’ agraria. Quindi il Deputato sig. dott. Filippo Gallizioli lesse il rapporto della Deputazione giudicante le memorie concorse al premio , relativamente al programma pubblicato nell’ adunanza solenne de’ 16 settembre 1827, ed il cui quesito era concepito nei termini qui appresso : ‘“ Determinare con l’ appoggio de’ fatti se l'innesto induca qualche >» modificazione nella pianta innestata, e reciprocamente se questa eserciti 3» qualche influenza sugli organi del nesto, e ciò tanto nel caso di piante 3» 0 dî nesti che appartengono alla stessa specie, quanto di quelli che ap- 3» partengono a specie diverse, ma congeneri, 0 a specie di genere diverso. ‘ L’ Accademia desidera che daile conclusioni teoriche se ne deducano >» dei precetti utili per la pratica ,,. i Tre furono le memorie che pervennero in tempo debito alla Società e con le condizioni prescritte dalle costituzioni accademiche. La prima aveva per epigrafe: Gl’ingegni speculatori trovano di belle cose e nuove ec. DAVANZATI. Li A mutatumque insita mala Ferre pyrum, et prunis lapidosa rubescere corna. Vinciuio. Esaminati attentamente i suddetti tre scritti fu dalla Deputazio- ne avvertito che gli autori di ciascheduno di essi, o si diffondeva- no in preliminari enfatici, o in cose chej inutilmente ne accrescevano 8I il\volume , 0 che non stavano a rigore con i dati del quesito , mentre trascuravasi di soddisfare alle ricerche più essenziali; ovvero introdu- cevansi delle dottrine erronee, e non all’ uopo per spiegare fenomeni e funzioni spettanti alla fisica vegetale. In vista delle quali cose , con la ragione della scienza e con l’ av- valoramento dei fatti somministrati dalla pratica agraria, fu dal rela- tore dimostrato l’ imparzialità del voto emanato dalla Deputazione, la quale giudicò che nessuna delle tre memorie, non ostante alcuni pregi che l’adornassero , meritava il guiderdone assegnato. Il relatore medesimo fece poi, dietro accurata analisi, menzione onorevole di altra memoria del dottore Yames Mease data de Filadelfia 20 maggio 1829, per modo che, se questo eccellente lavoro fosse giunto in tempo opportuno e con le formalità prescritte dalle leggi accade- miche, avrebbe probabilmente ottenuta la palma, sì per la dovizia di fatti importantissimi e singolari di cui era corredato, sì per aver corri- sposto direttamente e senza divagarsi a tutto quello che si esigeva dal programma. Terminata la relazione esternante il giudizio accademico, il vice- Presidente sig. marchese Ridolfi consegnò tosto alle fiamme le schede sigillate, e che includere dovevano i nomi dei respettivi concorrenti. Dopo ciò il Segretario degli atti aprì il concorso per l’ anno 1831 coll’ annunziare il pro;ramma qui appresso (1): “ L’I. e R. Accademia dei Georgofili accorderà un premio di zec- chini venticinque a chi risolverà per il Concorso dell’anno 1831 il seguente quesito. 33 Determinare quale possa essere il miglior sistema per la coltura dei boschi in Toscana avuto riguardo, non tanto al maggior prodotto che potrebbe ricavarsene per il legname da costruzione, quanto per quello 3 necessario ai diversi usi e bisogni dell’ agricoltura e della domestica eco- 3, nomia. Non si perda poi di vista il determinare se d’ alcuni boschi, e 3» di quali, il suolo possa servire ad altre utili culture senza danno delle 33 piante arboree ,,. -£ Le memorie dovranno essere trasmesse al Segretario delle Corri- 3; spondenze dentro il mese di luglio del 1831 con un’epigrafe , la quale »» verrà ripetuta sopra un biglietto sigillato contenente il nome, cogno- ,; me e domicilio del concorrente, e che dovrà essere rimesso unita- 3) mente a ciascuna memoria ,,. Firenze dalla Residenza Accademica il 4 ottobre 1829. Quindi lo stesso Segretario disimpegnò altra parte del suo incarico col fare il debito elogio de’ tre Accademici ordinari defunti nel cor- rente anno, cioè del conte cav. Girolamo de’Bardi, del prof. Francesco (:) Il Concorso al premio accademico di zecchini venticinque per l’anno 1830 fu aperto nell’adunanza solenne del 21 settembre 1828, vedasi Antologia Vol. XXXI. G. p. 170. T. XXAVI. Novembre e Dicembre, 11 3: Focacci e del, prof. e direttore dell’ orto agrario Ottaviano Targioni- Tozzetti. Diede poscia compimento all’ adunanza il rapporto delle osserva- zioni meteorologiche e delle esperienze fatte nell’orto georgico dal di- rettore interino prof. Antonio Targioni-Tozzetti. Accademia dei Fisiocritici di Siena. Nell’adunanza generale che quest’Accademia tenne il 26 settembre. ultimo, il prof. Grottanelli segretario per la classe delle scienze fisiche recitò un rapporto , nel quale, oltre a darsi notizia delle memorie lette nelle adunanze ordinarie nel corso dell’ anno accademico allora spirante, erano posti in evidenza i notabili progressi fatti dall'Accademia nei po- chi ultimi anni verso il suo scopo, cioè la coltura e l’ avanzamento delle scienze fisiche. L’ acquisto e la successiva regolar classazione della collezione mi- neralogica del fu prof. Bartalini, il riordinamento e 1’ ampliazione per opera del professore Mazzi della quasi dispersa collezione di conchiglie del Soldani, la creazione d’un gabinetto zoologico specialmente per l'esempio e per l’impulso a ciò dato dal prof. Ricca, sono alcuni dei fatti citati dal segretario. Il quale passando a parlare delle memorie accademiche , diede prima contezza di quella in cui il sig. avvocato Pas- seri presentò alcune importanti osservazioni sullo stato della Maremma senese dai tempi di LroroLpo I. aì nostri, soggetto che in questo mo- mento ispira il più grande interesse; poi d’un altra in cui il sig. dott. Antolini trattò dottamente di quella che i medici hanno chiamata tosse ferina, indagandone le cause, esponendone le condizioni patologiche , e proponendo il più opportuno metodo curativo. D’una terza memoria il segretario indicò soltanto 1’ autore, che è il sig. dot. Salvadore Gabbrielli, ed il tema, cioè l’Amaurosi, giacchè | presentata dall’ autore per concorrere al premio d’incoraggimento , do- vevano intorno ad essa pronunziar giudizio i censori. Come interessan- | tissima qualificò il segretario la relazione che il sig. Policarpo Bandini lesse dell’ analisi da sè fatta del Lichen islandicus , dalla quale risulta- va che la sostanza nutritiva di questo vegetabile è fecola, o amido, capace come le altre fecole di convertirsi in zucchero , di colorarsi per mezzo dell’iodio in violetto o turchino, e per una più gran dose in bruno; il quale ultimo colore non presentano le altre fecole, dalle quali per questo carattere può distinguersi quella del lichene ; che per una lunga ebollizione nell’ acqua questa fecola si converte nell’ amidi- na del Saussure, e che si può farla entrare nella cioccolata più util- inente che l’osmazoma. Il prof. Giuli accompagnando con analoghe ri- Hlessioni la presentazione d’ alcuni denti molari di cavallo di straordi- naria grandezza, da lui trovati nelle escursioni fatte presso Roselle , concludeva l’esistenza in tempi remoti d’una specie equina oggi per- duta, cui darebbe volentieri il nome di Equus gigas. 83 Il prof. Mazzi in nn sno rapporto intorno ad una memoria inviata lo scorso anno all’Accademia dal sig. Giulio Papi di Pitigliano sulla ma- niera di cacciare gl’ insetti, lodando alcune utili modificazioni introdotte dal sig. Papi nei varii arnesi impiegati in quella caccia, ne fece cono- scere altre delle quali egli stesso era inventore, e che sembrano anche più pregevoli; dopo di che presentò e descrisse un piccolo e semplicis- . simo strumento geodesico di sua invenzione , che può supplire al livello; al grafometro , ed al teodolito. R. Accademia delle Scienze di Torino. La Classe delle Scienze morali , storiche e filologiche , il dì 21 novembre ripigliò il corso ordinario delle sue tornate pel nuovo anno accademico ; in quella prima adunanza furono letti i seguenti lavori: 1.° Uno squarcio del terzo libro di una storia inedita d’ Italia, il quale tratta dei GCarlovingi, del Conte Cesare Balbo. 2.° Dichiarazione di una inedita iscrizione sulci- tana in Sardegna, del prof. C. Gazzera. — Secondo le consuetudini accade- miche, la Classe in quella prima tornata confermò a pieni voti nelle funzioni di direttore della Glasse per un altro triennio il Conte Galeano Napione di Cocconato. La Classe suddetta, s’° adunò nuovamente il dì 3 dicembre, ed udì la lettura dei seguenti lavori : 1.° Secondo frammento del libro terzo della sto- ria dell’Italia ; prima e seconda discesa di Carlo Magno in ltalia 4 del conte Ce- sare Balbo. == 2.° Ricerche intorno alla vera situazione della città di Rizia in Sardegna, del prof. C. Gazzera. In quell’adunanza venne letta la lettera del pri- mo seg. di Stato degli affari interni, colla quale annunzia all’Accademia che S. M. si è degnata di approvar la nomina fatta dalla Classe , nella sua tornata del 19 novembre , del cav. Alberto della Marmora a socio nazionale non residente della medesima. Il dì 22 detto , la Classe fisico-matematica dal canto suo confermò a plu- ralità di voti, nella funzione di direttore di essa Classe, il prof. Giovanni An- tonio Giobert, Nella stessa adunanza furono fatte le seguenti relazioni a nome di altrettante giunte : 1° avcocato Colla , sopra l’ Erbario Sardo, donato all’Accade- mia dal professor Moris. == Il professor Bidone , sopra le note trasmesse dal Barone d’Hombras Firmas, sur les funestes effets des pluies du mois de mai 1829 dans le département du Gard. = Il cav. Plana, intorno a una nuova nota tra- smessa dal sig. Antonio Maréchal di Parigi, contenente certe sue particolari opinioni relative all’ astronomia pratica. — Il conte Provana, sopra un nuovo modo di stereotipi, proposto da un tipografo francese , con domanda di privile- gio. — Il prof. Carena, intorno a varii modi di fare la carta marrocchinata , che un” artefice chiese di adoperare con privilegio esclusivo. Nell’ Adunanza del 13 dicembre , il cav. Avogadro deputato col marchese Lascaris , lesse un rapporto intorno ad una particolare costruzione di cammi- ni, colla quale un artefice pensa che verrà tolto dagli appartamenti l in- comodo del fumo. == Il prof. Lavinia , collega nella deputazione col prof. Mi- « helotti , fece rapporto intorno al progetto del Dott. Robbio, di intrapren- dere la fabbricazione del cloruro di ossido di calce. == Il prof. Giobert di detta classe, lesse quindi alcune osservazioni geologiche , intorno ai volcani dell’ America. > £ N VA In questa stessa adunanza la. classe ebbe dall'Avv. Colla comunicazione di una lettera serittagli da Valparaiso nel Chilì, dall’accademico dott. Carlo Ballero , che l’amore della botanica trasse in quelle remote parti dell’ Ame- rica meridionale. Nella seduta del 17 dicembre (Classe delle scienze morali) furono letti i seguenti lavori: 1:° Continuazione alla storia della legislazione della Savoia e del Piemonte . Leggi canoniche nei secoli XII e XIII, del conte Fed. Sclopis. = 2.° Nota intorno ad un sarcofago antico, sul quale son figurati tina? an » e le nove Muse, del prof. Costanzo Gazzera. n Ù Società italiana delle Scienze residente in Modena. La Società ha nominato suo socio attuale il Dott. Giuseppe Bianchi modanese , professore d”astronomia, in vece del socio defunto Otta- viano Targioni Tozzetti; al socio straniero Davy, parimente defunto , è stato sostituito il chimico francese sig. T'hénard. . Società di Naturalisii in Heidelberga (*). Vi è una società germanica che a somiglianza della società elvetica tiene in ciasenn anno una riunione ora in una ora in un’ altra delle città di Germania. In quest’ annò il luogo della riunione è stato Eidelberga, ove da più mesi si facevano i pre- parativi necessarii a ricevere i dotti della Germania e dei paesi vicini. Gli abitanti mostravano di prendervi il più grande inte- resse, e gli amministratori del museo prestarono di buon grado il loro locale per le sedute. Quest’ assemblea , che è stata 1’ ottava dopo l’ istituzione della società , è stata un poco meno numerosa di quella tenuta a Berlino lo scorso anno, ma anche, in certo modo , più scelta, ed avanti il giorno fissato per l’ apertura si erano veduti arrivare da tutte le università della Germania e delle principali città d’ Europa i dotti più celebri. Il sig. consiglier privato Tiedmann, che era stato scelto per IR (*) Queste notizie sulla grande adunanza di Herdelberga togliamo dal gior- nale francese 1’ Universel: ma più particolareggiato ragguaglio desideriamo e aspettiamo dal nostro stimabile amico” e ch. concittadino, il sig. prof. dott. P. Bet- ti; il quale nel suo viaggio scientifico non ha guari fatto. per la Germania ebbe l’occasione d’intervenire a quelle memorabili sessioni. Gi gode 1° animo intanto al pensare ch’anco la scienza italiana abbia avuto un suo rappresentante in quel consesso di dotti; e a sentire dal medesimo sig. dott. Betti, con che cordiale gen- tilezza egli venne accolto da’suoi colleghi chiarissimi d’oltramonte. Nota del Dir. dell’ Ant. 85 presidente , aprì solennemente la prima seduta il dì 18 di set- tembre con un discorso intorno ai progressi delle scienze natu- rali e mediche, nelle quali dopo aver mostrato il punto a cui sono oggi pervenute, esamina l’ influenza che debbono avere sul ben’ essere della società. Il sig. Gmelin vicepresidente , ha letto in seguito il nome dei membri presenti , ed il sig. consiglier privato Wendt ha co- municato una memoria sugli effetti ed i pericoli dell’ arsenico. Il sig. prof. Treviranus di Breslavia ha terminato la prima seduta con far conoscere le esperienze del dottor Goeppert; re- lative agli effetti del freddo sui vegetabil:. \ Prima che l’adunanza si sciogliesse ,, è stato proceduto alla formazione delle diverse sezioni per la mineralogia e geognosia , per la fisica e la chimica, per la botaniea, per la zoologia, per l’ anatomia e la fisiologia. Nelle altre cinque sedute che seguitarono la prima i dotti seguenti lessero o mostrarono all’ assemblea gli scritti e gli oggetti che appresso. Il prof. Vogel di Monaco espose le sue esperienze sulla ger- minazione delle piante in. diverse sostanze minerali, come gli ossidi metallici ed i sali. Il sig. Leonhard parlò dei muri vetri- ficati che si trovano in Scozia nelle roviue d’ alcuni vecchi ca- stelli, e che egli paragonò alle vetrificazioni naturali che si trovano in vicinanza d’ antichi vulcani. Il dott. Kopp parlò d’una specie particolare d’ asma, secondo esso non ancora descritta , ed il prof. Heyne di Berlino della circolazione del succhio nei vegetabili. Il conte di Sternberg mostrò dei trilobiti trovati nelle rocce di transizione in Boemia, il prof. Joeger parlò degli avanzi fos- sili d’ animali vertebrati dissottertati nel Wurtemberg , e il signor Hermann de Meger fece vedere varii disegni tli fossili simili. Quanto alla sezione di fisica e di chimica , il sig. Ruhge lesse una notizia intorno all'impiego dell’ idrato d’ ossido di rame per la sua azione contro gli acidi vegetabili, il prof. Koenitz delle va- riazioni del barometro, e del rapporto che esiste fra esse e quelle dell’ago calamitato , il prof. Wiukler lesse una memoria sull’ef= fetto reciproco dell’iodio e del vapore dell’ olio di terebintina , una ne lesse il prof. Osann sui fenoraeni della fosforescenza re- centemente osservati , quindi un’ altra il sig. Brandes , la quale conteneva i risultati delle sue osservazioni barometriche e ter- mometriche fatte d’ ora in ora nell’ anno 1827. Della sezione di botanica fu sentito il prof. Dietrich sulle 86 conserve; di quella di zoologia € «l’anatomia, ‘il sig. Oken face ve- dere delle prove delle tavole della grande opera di Wagler sugli amfibii. Il barone di Férussac comunicò degli estratti di lettere del naturalista francese d’ Orbigny che viaggia nell'America me- ridionale. Il prof. Coddingtoa di Camb=i/lge mostrò un apparato con cui può centralizzarsi la luce per le ricerche cristallografiche. Il dott. Ruppel parlò intorno ai fossili trovati nel calcare di So- lenchofen ; il dott. Agrassis , Svizzero, mostrò un ‘microscopio aplanatico di nuova costrazione. I prof. Ronx fece uma serie d’ esperienze sulla teoria dei colori, il sig. Albert di Francfort mostrò un apparato rotatorio per il termomagnetismo. Il dott. Schimper trattò del frutto delle piante asperifoliate e labiate . Il prof. Bierbach della struttura dei vegetabili relativamente alla loro composizione chimica ; il prof. Bischoff della germinazione dei muschi ; il dott. Braun della posizione relativa delle diver-e parti che compongono il fiore delle piante, ed il prof. Sehmhler dei camb amenti di temperatura nei vegetabili. I sigg: Meshirmer, Escho!z e Treviranus pi.rlarono di nuove specie di coleotteri , di molluschi , e di diversi oggetti d’ anatomia. Il sig. Harless trattò dell’ impiego dell’ arsenico in medicina ; ‘il sig: Hermann d’un caso notab le di croup ; il sig. Wendt d’ alcuni casi di diabetes mel- litus e d’ angina pettorale; il prof. d’ Outrepont d’ una causa poco conosciuta della sterilità , ed il prof. Textor mostrò un per- fezionamento da sè aggiunto allo strumento del dott: Civiale pet riturar la pietra nella vescica. Il prof.. Walchnes lessè' una me- moria sulle montagne primitive e di transizione della Foresta nera, una il sig. Bischoff su due nuove specie di muschi , il brissocarpus e l’oxymitra , una del prof. Fohman sulla formazione delle glandule , ed una del dott. Fricke sulle sue esperienze re- lative alla cura della rogna, ed alla guarigione della sifilitide senza mercurio. Il prof. Lichtenstein mostrò dei tessuti di Satwr- nia carpini. Il prof. de Fremerg un gesso formato sul cranio del Bos primigenius , ed il prof. Broun una modificazione particolare del. porfido d’ Eidelberga. Alla fine della sesta ed ultima seduta fu data cognizione d’una lettera di Goethe , nella quale questo Nestore della lette- ratura tedesca esprime l’ interesse che prende alla riunione dei maturalisti tedeschi, e fu risoluto d’inviare una deputazione alle autorità della città d’ Eidelberg per ringraziarle dell’accoglienza che i dotti vi avevano trovata, e di far coniare.una medaglia in memoria della riunione di quest’ anno. si Accademia Reale di Berlino. La classe di fisica dell’ Accademia reale di Berlino mette al concorso dell’anno 1831 la questione seguente : L° entemologia è senza contradizione quella fra le diverse branche della‘ zoologia che ha eccitato maggiormente l’ interesse degli amanti”delle cose na- turali e dei dotti, e fra questi ultimi si distinguono degli osservatori del più eminente talento. Questa riunione di sforzi era più necessaria quì che in qua- lunque altro luogo atteso il numero prodigioso delle specie diverse che si trova anche presso a poco raddoppiato dalla metamorfosi quasi totale che la maggior parte subiscono , e che produce non solo delle forme affatto diverse, ma so- prattutto, ad aumento di difficoltà , una completa differenza nelle località d’abi- tazione e nel genere di vita. Si concepisce facilmente che la metamorfosi degl’ insetti , che è senza con- tradizione l’ oggetto più importante dell’entemologia , sia ciononostante il meno conosciuto. Le farfalle son quasi i soli insetti le cui forme anteriori siano suf- ficientemente determinate ;3 fra i coleotteri se ne trovano alcuni le larve dei quali sono state ben riconosciute ma in picrol numero , ed anche recentemente due entemologisti cogniti hanno descritto e figurato la larva d’ un Drilus come un verme intestinale d’ un testaceo terrestre. Per tutti gli altri ordini 1’ incer- tezza va sempre crescendo, soprattutto per i dipteri, alcune larve dei quali prese anticamente per vermi, passano anche oggi sotto questa denominazione , e la maggior parte» dei quali ci è assolutamente incognita. Per contribuire a dissipare un incertezza così disgustosa , la classe di fisica propone la seguente questione : i Segnare , per le larce d’ insetti, degli ordini e delle famiglie naturali talmente caratterizzate che si possa, dai. caratteri della larva riconoscere , se non il genere, almeno la famiglia dell’ insetto perfetto. La classe desidera che questa nomenclatura delle laroe particolarizzata per i Dirrera di Lin- neo, AnvLiaTA di Fabricio sia applicata ai generi meno conosciuti sotto que- sto rapporto, Le descrizioni delle larve che non si trovano ancora figurate devono essere accompagnate da una delineazione esatta , e da esemplari conservati nello spi- rito di vino. Delle particolarità anatomiche e fisiologiche saranno accolte col più grande interesse , senza essere tuttavia condizioni del concorso. Il dì 31 marzo r831 è il termine di rigore per la trasmissione delle memos rie ; il premio è di 50 ducati. ( L’Universel IN. 288. 15 ottobre 1829. ) Società Reale delle Scienze di Gottinga. La classe matematica della società reale delle scienze di Gottinga propone per soggetto d’un premio da conferirsi nel 1831 il seguente quesito : ‘ Non si è ancora trovato in astronomia pratica un metodo per de- ,» terminare l’ intensità della luce dei corpi celesti; ed i mezzi tin qui ‘35 proposti non sono punto soddisfacenti. Siccome sarebbe di grande uti- 88 »» lità sotto più rapporti il potere apprezzare facilmente ed in un modo »» esatto i diversi gradi della luce che tramandano le stelle, ed i cambia- 3» menti che questa luce presenta , la società reale domanda nuove ricer- 33 Che relative , capaci di perfezionare gli apparati fotometrici coi quali si >» possono atei ed apprezzare facilmente e sicuramente le diverse », intensità di luce delle stelle fisse. ,, Il premio è una medaglia d’ oro del valore di 50 ducati , e sarà decre- tato nel mese di novembre 1831. Le memorie dovranno esser trasmesse al segretariato della società avanti il mese di settembre. Società d’ emulazione, d’agricoltura, scienze ed arti del dipartimento dell’ Ain in Francia. Lt ri N f Farina Questa Società mette a concorso i seguenti soggetti di premi : “ 1.° Indicare i mezzi che d’ accordo coll’ equità e colle leggi ngn ,s mentali possono contribuire a diminuire il numero dei figli esposti , 3» proporre un modo d’impiegarli utilmente , in specie per il loro Li >» nire , e che presenti, se è possibile, qualche indennizzazione allo stato. Sa a società lascia ai concorrenti tutta la latitudine : essa cerca per que- »; Sta gran questione morale e politica, se non uno scioglimento completo, ,» almeno delle vedute giuste , abili, applicabili alla nostra posizione , ed >» in armonia coi nostri costumi. ,, } | Il concorso sarà chiuso il 1 maggio 1830. Il primo premio sarà di 600 franchi ; il secondo una medaglia d’argento della maggior grandezza. “ 2,° Indicare la preparazione d’ una bevanda fermentata , salubre, ;) economica , grata al gusto , facile a farsi in tutte le stagioni, | della quale ,, 1 principii costituenti si trovino facilmente , che possa conservarsi per ,> più mesi, e che non costi più che cinque centesimi il litro. ,, Il concorso sarà chiuso il 1 luglio 1830; una commissione della società ripeterà , nel resto dell’anno , le esperienze indicate, ed i premi, uno di 4oo franchi, l’altro d’ una medaglia d’argento, saranno decretati il 30 gen- naio 1831. 3.° Le mignatte o sanguisughe , cominciano a diventare rare in Fran- cia; già siamo costretti a farne venire con molta spesa di fuori, e questo mezzo di guarigione cesserà ben presto d’essere a portata di tutti. Frat- tanto l’ analogia , ed alcuni saggi autorizzano a pensare che si possa alle- varne artificialmente. Il moltiplicarle potrebbe essere utile , e converreb- be particolarmente ai paesi umidi o paludosi; in conseguenza la società ‘apre su questo soggetto un concorso nei seguenti termini: | “ Indicare un processo per moltiplicare le sanguisughe , il quale sia ,; insieme facile , economico, e produttivo. I processi indicati dovranno ,» essere applicabili in grande , ed essere già stati eseguiti con successo s0- >, pra più migliaia di sanguisughe ,,. i Alle memorie saranno uniti i certificati delle autorità che autentiche- ranno i risultamenti dei processi indicati. I concorrenti potranno riservar- _ si la proprietà dei loro processi, ma la società ha intenzione di ripetere ‘9 nell’anno 1831, quelli che le sembreranno i migliori. Il termine del con- corso è fissato al 1 gennaio 1831 , ed i premi saranno conferiti il 6 gennaio 1832. Il primo sarà di 400 franchi, il secondo di 200, ed il terzo con- sisterà in una medaglia d’argento della maggior grandezza. VARIETÀ SCIENTIFICO-LETTERARIE, Riaprimento dell’università di Torino. 3 Novembre 1829. | La cura d’inaugurare gli studi dell’ entrante anno scolastico venne, secondo il solito, commessa al ch. sig. avvocato Carlo Boucheron pro- fessore di lettere greche e latine, I ristretti confini di un semplice an- nunzio non comportano che per noi sì esamini in tutti i suoi particolari la dotta ed elegante prolusione detta da lui; ed appena ci consentono di toccarne così di volo i sommi capi. Dopo aver lamentato che per legge ine- vitabile tutte le umane cose , appena toccato l’apice della loro grandezza , declinano , l’esimio oratore stabili in principio che i buoni studi sono il migliore ornamento delle città e delle nazioni; come quelli che fanno te- stimonianza del grado di civiltà al quale esse sono pervenute. É per non lasciar senza prova questa seconda parte della sua proposizione, riandò con rapido cenno le vicende delle letterature greca e latina , dimostrando: ch’esse fiorirono sintanto che i savi reggimenti , i severi costumi e le ma- schie virtù furono in onore presso quei due popoli, e che corrompendosi questi anche la luce di quella venne meno e languì. Dovendo quindi più particolarmente discorrere le condizioni delle lettere italiane, segnò i ca- ratteri del loro risorgimento, e giunto all’aureo secolo di Leone X noi sia- mo d’ avviso non essersi mai ad esso tessuta più splendida corona di quella intrecciata da lui ; perocchè abbracciando il pensiero dell’abate Barthele- my che un erudita peregrinazione in Italia ai tempi di quel solenne favo- reggiatore de’letterati riuscirebbe istruttiva e dilettevole al pari di quella di Anacarsi nella Grecia , l’oratore non si contentò di svolgere e di nar- rare le nostre glorie italiane, ma, per dir così, con vivezza drammatica le idoleggiò, ricordando i nomi e ilavori dei più insigni fra gli storici, filo- sofi , poeti ed artisti; in guisa che se commentar si volesse quella parte dell’orazione , sì avrebbero in essa insieme raccolti i tratti principali della storia letteraria d’Italia, e sicuri giudizi intorno al valore di quei sommi che di tanto contribuirono a renderla immortale. Osservando. poscia come gli studi fiorissero in Italia ad.onta che allora le contrade di essa fossero più che mai, per la calata di Carlo VIII re di Francia e per le guerre del- l’imperatore Carlo V, guaste e diserte dagli eserciti stranieri, fece una ter- ribile pittura di quelle luttuose vicende, e mostrossi non meno capace di rappresentar con tratti fieri e rissentiti le belliche tempeste, di quello che poc’ anzi mostrato si fosse esperto nel descrivere la beatitudine de’pacifici studi. Assegnò le cagioni per le quali anche in mezzo allo strepito delle armi si serbasse magnanima e generosa l’ indole della letteratura italiana, T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 12* 90 e tra le prime annoverò la fierezza di quegl’ingegni , che patir non pote- vano d’imbrattare i modi e la lingua nativa di modi e parole peregrine , e più di tutto l’ indefesso e pertinace studio che facevano dell’ antichità, per cui, considerata la scarsezza di libri, più lucro hanno dato a’lor tempi que’ primi eruditi , di quello che s’ abbiano fatto i lor successori. Nissuno avrebbe potuto spiegar l’utilità di quegli studi con maggior efficacia che il nostro oratore , il quale per l’ assidua lettura e meditazione de? classici greci e latini , s° è tanto addimesticato colle loro bellezze; ed apprezzan- dole sa in qual conto tener si debba la filologia degli antichi italiani che le ha fatte volgari in tutta 1’ Europa , essendo parimente , com’ egli accon- ciamente notò , dovuta ai filologici studi di Musuro e del Ticino la propa-. gazione delle dottrine di Platone e perciò i progressi della filosofia ; che tanto presso gli antichi quanto presso i moderni costantemente s* indirizza all’ investigazione e sposizione d’alcune verità , intorno alle quali troppo rileva alla cultura ed all’ onore dell’ umana generazione che nou abbian fine le disputazioni degli ingegni preclari. Laonde fu giusto e ragionevole il compianto di lui sul discredito nel quale è caduto lo studio dell’ anti- chità, e sul vedere le lettere greche e latine soverchiate in Italia dagl’idio- mi, e dalle invenzioni d’ oltremonti. Ad un tale scapito egli ascrisse la de- clinazione delle buone lettere presso di noi, alla quale , pretende, contri- buire eziandio l’arroganza di taluni, i quali presumono di poter meglio riuscire originali, ogni volta , che sì facciano a comporre senza il corredo della necessaria serudizione ; e senza aver meditato sui pregi degli esem- plarì che hanno già superato l’invidia degli anni. Provò esser folle una tal presunzione , la dote dell’ originalità consistere spezialmente nel saper di- sporre ciò che s’ è imparato, e possederla meglio chi è più a dovizia for- nito di classiche cognizioni. Per tal modo. nel breve giro d’un orazione il sig. Boucheron dimostrò pomposamente qual nobile patrimonio sieno state per l’Italia le scienze e le. lettere, quali sieno alcune delle cause del loro dicadimento , e additò i rimedi che usar si vorrebbero per resti- tuirla all’ antico splendore. Raccogliendo finalmente il discorso soggiunse doversi considerare quasi un invito ed un eccitamento ai buoni studi; l’at- to col quale il Re si è degnato di eleggere a capo della riforma dell’ Uni- versità ; S. E. il sig. primo presidente Gloria , il quale essendo , dopo una luminosa ed onorata carriera , stato tirato ai gradi più sublimi della magi- stratura , ha fatto manifesto quanto innanzi egli senta nella giurispruden- za , la metafisica e le origini della quale ben saper non si possono se non se.da chi è profondamente versato nella cognizione dell’antichità. L. S. D. I. 4J Esposizione de’ prodotti dell’ industria Piemontese (*). , | Torino , 15 di novembre 1829. Egli è abbastanza noto a tutti coloro, che si prendono qualche pen- siero de’ progressi dell’ ingegno umano a pro degli uomini, come il dare un’ aperto stimolo all’ utile industria, avviandone i vari rami verso lo scopo del comun bene, sia divenuto necessità nello stato presente dell’inci- vilimento europeo. A questo fine si rivolsero le cure dell’ Augusto Sovra- no, che ci governa, il quale ordinando sì aprisse una pubblica esposizione de’prodotti dell’industria ne’ suoi reali dominj (da ripetersi poscia ogni tre anni) sapeva che così sarebbesi dato manifesta pruova del bene che si ha, e procacciato ‘sicuro mezzo di giungere al meglio che si può sperare. — Ri- spose l’esito alle intenzioni del Principe ed alla espettazione di tutti co- loro, cui era noto racchiudersi in queste contrade i più abbondevoli ele- menti di una certa e permanente ricchezza, e farsene uso opportunissimo da moltissimi nostri negozianti ed artefici intelligenti , operosi, e dlabbene. La Camera d’agricoltura e di commercio di Torino s’adoperò con ogni ef- ficacia nel preparare e nel dirigere questa esposizione, accompagnata dai concordi applausi del pubblico e dalle speranze di tutti i buoni. Si vide quindi con quanta felicità in questi anni di pace molte industrie si fossero in Piemonte e negli altri stati del Re sollecitamente eccitate, delle quali ne’tempi meno prossimi o non era segno od almeno troppo tenue esercizio. Per appigliarmi alle parti più sostanziali delle nostre produzioni dirò, che l’arte della seta e quella della lana fecero maravigliosi progressi, e per esse si apre al Piemonte un campo vastissimo di relazioni commerciali , purchè alla qualità dei prodotti si accoppino i mezzi di agevolarne lo spac- cio. = I lavori della seta sono antichi tra noi, dove da molti secoli si fece opera per la produzione di questa materia prima; ma non si ha da tacere che con tanto maggior riguardo deesì attendere alla conservazione di tale ricchezza del nostro territorio, quanto più si và allargando di giorno in giorno in essa la concorrenza di altri popoli. Sarebbe vera illusione il credere che l’ utile presente continuise non si cerca di ampliare la pro- duzione. Generale è il moto dell’industria europea, assoluti sono i prin- cipii dietro i quali essa fiorisce; non resta più in conseguenza che di acconciarsi con quello senza prevenzioni e senza timori. Degnissimi di commendazione sono pertanto gli sforzi con che alcuni dei nostri più distinti artefici giunsero al punto di fabbricar tessuti che gareggiano colla bellezza non contrastata di quei di Francia, e di provvederne oltre all’in- terno del paese molti stati d’Italia ed alcune parti di Levante. Rispetto all’arte della lana si vuol notare, che essa da pochi anni fu posta e col- (*) Estratto di lettera d’ un nostro corrispondente, sull’ esattazza del quale possiamo far conto. Nota dell’Ed. dell’ Ant. 92 tivata in certo grado tra noi, ed ora rimnnera col miglior successo le fa- tiche di alcuni benemeriti nostri paesani. I nostri panni reggono al pa- ragone con quelli d’ Inghilterra e di Francia, mentre i prezzi ne sono ridotti a quella diseretezza, che fa scadere ogni vantaggio per l’ intro- duzione di eguali prodotti stranieri. Siffatte manifatture s’accresceranno in proporzione della facilità con che verranno a capo di provvédersi di materie prime, e sin d’ora ci piace il vedere impiegarsi in esse buon numero di lavoratori, e mettersi ad un tempo in pratica senza fasto e senza risparmio le più accreditate recenti invenzioni meccaniche. Insigni migliorie si appalesarono nelle preparazioni de’cuoi indigeni, de’quali si fa considerevole esportazione in altri paesi. Finalmente gran- deygiò la nostra industria nella fattura di prodotti di chimica applica- bile alle arti, cioè di solfati di rame, d’allumina e di magnesia, d’acidi solforici e nitrici, onde il Piemonte, che non sono molti anni traeva dall’ estero gran parte di questi prodotti, ora provvede intieramente a sè stesso e ne esporta non piccola quantità. Le fabbriche di cristalli, di porcellane e maioliche, di ‘ferraccie la- vorate ed altrettali di principal uso alla vita avanzano a gran passi per alfrancarci da ogni soggezione alle industrie straniere. Nei lavorii più tenui e negli oggetti di lusso si sono fatti eziandio mirabili progressi, e nulla arresterà il corso delle arti nostre più utili, se la diligenza di chi produce e il buon volere di chi consuma si gicveranno a vicenda, e serviranno allo scopo di migliorar colla loro condizione privata quella dell’universale. To debbo essere brevissimo, epperciò diventerò arido; mi convien quindi pretermettere la descrizione delle molte macchine presentate alla esposizione, le quali per la massima parte di provata utilità, attestano il felice andamento de’nostri studi meccanici, ed i moltissimi oggetti di belle arti, che, senza concorrere ai premi aggiunsero splendore alla esposizione, e mantengono viva la tiducia, che gl’ ingegni piemontesi, sviati per gravi casi e per istudi severi da queste leggiadre arti, di sem- piice ma nobilissimo ornamento, si acquistino in esse pure una lode non dissimile da quegli altri pregi, pe’ quali essi hanno il vanto tra i vari popoli della penisola. L’approvazione data dal Sovrano a questo saggio della nazionale in- dustria fu distintissima, e munificentissima, poichè oltre all’essersi fatti rappresentare i più ragguardevoli de’ prodotti esposti, ed all’averne sin- golarmente apprezzata l’ utilità, ‘moltissimi ne fece comprare per uso della reale famiglia. E non diversamente operò il serenissimo Principe di Carignano, il quale onorando colla sua presenza le sale della esposizione, e conversando colle savie persone; che la diressero, dimostrò aperta- mente quanto bene conoscesse le arti più utili allo stato, quanto le amasse, e quanto le proteggesse. Il giorno quattro di novembre, onomastico del Re N. S., fu depu- tato per la distribuzione de’ premi a quegli artefici che il giudicio della Camera di,commercio aveva dichiarato degni dei primi onori. Sua Mae- 03 stà delegò specialmente a presiedere a questa solennità il suo gran Ciam- berlano S. E. il sig. Marchese Alfieri di Sostegno, il quale disse in tale occorrenza un breve, elegante ed opportunissimo discorso, in cui toc- cando de’ modi con che il Re Carlo Emanuele III non solo gloriosamente aveva regnato in vita, ma colle sue leggi, co’ suoi stabilimenti, e coll” esem- pio di presente ancora gran parte ci governa dimostrò come sotto i succes- sori di lui, e singolarmente dell’ Augusto Nipote oggi regnante , maravi- gliosi progressi avesse fatto ancora la prosperità dello stato che all’ epoca | accennata credevasi arrivata al colmo; come /a croce di Genova signora del mare accoppiata alla croce di Savoia sulla bandiera, che gloriosamente domina le alpi, nuova sorte e nuova gloria ai nuovi regni prometta. E co- me, regnando Carlo Felice a nuovi bisogni, ad altre circostanze con altre leggi, con ‘nuovi stabilimenti siasi provveduto. Rammentò lE. S. che il commercio per diventar prospero vuol essere sicuro nelle sue transazioni, libero nell’ andamento suo; securo e libero es- sersi fatto; infinite e magnifiche opere essersi compite per agevolare colla circolazione l’industria, e finalmente perchè la capitale fosse più degna del regno fatto più grande, all’ antica Torino essersi una città novella mi- rabilmente aggiunta. Soggiunse egli dipoi che mentre queste cose sì eseguivano nell’inter- no un trattato opportunamente conchiuso riapriva alle navi genovesi i mari del Levante, ed una gloriosa impresa faceva la nostra bandiera rispettata sul mare da quei barbari, che nulla rispettano se non la forza; ed accennati molti altri irrefragabili documenti della munificenza reale, lodò in par- ticolar modo le cure di tutti coloro che nelle arti più utili corrisposero così largamente alle saggie mire del Sovrano con un intenso amore del bene che è virtù prima tra le virtù civili. Invenzioni e nuovità. Fra le diverse forme di refrigeranti che sono state proposte ed eseguite per applicarsi agli apparati distillatorii, in vece del comune serpentino , onde operare la condensazione dei vapori, ci sembra molto ingegnoso e. pregevole quello che è stato imaginato e messo in uso dal sig. Beniamino Toslin, e che si costruisce come appresso. Si saldano insieme diverse foglie di metallo, per esempio di rame, in modo da farne una foglia alquanto lunga rettangolare ; si piega questa nel mezzo, e facendo centro la linea di riunione delle due fo- glie che risultano da questa piegatura, si avvolgono intorno a loro stesse in for- ma spirale in guisa che in tutto l’ andamento delle volute le due superficie delle due foglie restino distanti una dall’altra d’ una quantità uniforme, sic- chè ne risultino due cavità di. forma spirale , adiacenti fra loro e divise da una sottil parete metallica. Si comprende bene che per rendere queste due capacità finite e non comunicanti, convien riunire fra loro mediante opportuna salda- tura le estremità delle due foglie e quindi la linea di riunione alla parete esterna della doppia voluta, ed applicare con tutta esattezza superiormen- te ed inferiormente i fondi necessari a chiudere le due capacità , ciascuna delle quali ha un ingresso superiore ed.un egresso inferiore. Montato l’ apparato | 04 distillatorio , si fa che il vapore prodotto»s’insinui in una delle due capa- cità , mentre l’ altra è ripiena d’ acqua, che. si mantien fredda mediante, il rinnuovamento e la circolazione. Tale è 1’ effetto condensatore o refrigerante di quest’apparato, che in dimensioni corrispondenti alla capacità d’un piede cu- bico condensa in liquido e raffredda più di 4 e mezzo litri di spirito per mi- nuto. ( Férussac sc. tecn. agosto 1829 paz. 329. ) ù I navigatori affermano che nei viaggi di lungo corso l’acqua prova talvolta dei notabilissimi ed utili cambiamenti nelle sue proprietà, poichè divenuta grada- . tamente torbida , fetida e spiacevole ‘al gusto , perde poi tutte queste cattive qualità , diviene limpida , ‘senza odore , e migliore che al momento dell’ imbar- ‘cazione; ed aggiungono che quando la corruzione è stata portata ‘all’ ultimo grado, la. purificazione è completa, ‘e si mantiene per qualunque lungo viaggio, mentre al contrario quando l’ alterazione è stata poco manifesta , 1° acqua non divien mai perfettamente buona, e riman soggetta a guastarsi, di nuovo arri- vando in regioni calde, Sebbene si possa supporre in questi asserti qualche esagerazione , pure bi- sogna concedere che vi è molto di vero. Il sig. Bostock , incaricato d’esaminar le acque che servono alla consumazione della città di Londra , ha avuto luogo d’ osservare questa purificazione spontanea nel suo laboratorio. Egli ne ha se- guitato i’ andamento e le conseguenze , e ne ha dato una spiegazione molto so- disfacente. L” alterazione dell’ acqua portata nei bastimenti è dovuta alla scom- posizione dille materie organiche che si trovano in tutti i fiumi. Quando que- ste materie sono in quantità sufficiente, le parti solubili , specialmente d’ ori- gine animale;'agiscono' come fermento, provocano una fermentazione per cui tutto ciò che vi era d’ organico è distrutto, si sprigionano dei gas, nè restano che le materie saline che in: parte! {si precipitano. Al contrario quando l’ acqua è meno impura; la scomposizione è lenta, incompleta, e la fermentazione può rinnuovarsi quando sia favorita da un elevazione di temperatura ; ( Le, Globe N. 33 17 octobre 1829.) Un farmacista stabilito nei contorni di Narbona , studiando i mezzi d° in- trodurre dell’ economia e dei perfezionamenti nell’ arte di conciare le pelli, ha trovato molto utile sotto l’uno e 1’ altro di questi rapporti il sostituire alla scorza. di quercia, generalmente impiegata, le vinacce , cioè i raspi, le bucce , ed i semi dell’ uva, dalla quale si è estratto il mosto o il vino. Dopo aver fatto subire alle pelli le ordinarie operazioni preparatorie , le dispone nei mortai a strati alterni colle vinacce , dalle quali ha prima estratto lo spirito mediante la distillazione. Egli afferma che 45 giorni gli bastano per terminare l’ operazione, nella quale trova il vantaggio 1.° d* impiegare molto mieno tempo ; 2.° d’economizzare la spesa notabile della scorza sostituendole una sostanza comune ed abbondante nel paese , che non costa niente , e che è gettata via ; 3.° di procurare al cuoio un odor dolce e piacevole appena sensi bile , mentre quello preparato colla scorza 0 la gallonea ha un odor forte, spia- cevole, ‘e qualche volta infetto ; 4.° di somministrare un cuoio la di cui durata l autore asserisce esser doppia di quella d’un simil cuoio preparato coi processi e colle materie ordinarie. ( Férussac sc. tecn. agosto 1829 pag. 306. ) A diminuire l’ attrito e facilitare il movimento delle diverse parti delle macchine si sono sempre impiegati i grassi e gli olii , ed esclusivamente questi 9° ultimi nelle macchine più delicate, quali sono gli orologi. Ma le alterazioni alle-quali col tempo questi olii vanno soggetti., hanno fatto ricercare con par- ticolare studio e diligenza dei mezzi di purificarli, sicchè divengano inaltera- bili ed incapaci di congelarsi per il freddo , e diversi processi erano stati rac- comandati per cperare una tale purificazione. La dolcezza o morbidezza somma che presenta al tatto la piombaggine o carburo di ferro aveva da molto tempo consigliato ad unirla aî'grassi per un- gerne i mozzi delle ruote d’ ogni genere di vetture , e quest’ uso, era stato per esperienza trovato utilissimo. Si è poi riconosciuto che anche la sola piombag- gine serve ottimamente all’oggetto , allontanando nel tempo stesso gl’ inconve- nienti ai quali sono soggetti gli olii. i Il sig. Hebert abile orologiaro ne fa da non pochi anni e con molto van- taggio uso esclusivo. Egli dopo aver polverizzato' sottilmente’ la piòmbaggine , e quindi purificata e raffinata col: semplice processo della lavazione e. decanta- zione per separarla da qualunque. minimo frammento, arenoso e ridurla tenuissi- ma , l’ applica con un pennello di pelo di cammello, o in polvere , 0 moscolata ad una o due gocce d’ alcool puro. Essa aderisce prontamente alla superficie d’ un perno d’ acciaio, non meno che al foro nel quale il'perno gira, cosicchè le superficie che fregano una contro 1’ altra non sono più un metallo sopra me- tallo, ma piombaggine sopra piombaggine. Per la loro azione reéiproca queste superficie acquistano prontamente una levigatezza ;e lucidezza , la. quale non cede che a quella del diamante,, cosicchè il ritardo al. moto derivante dal fre- gamento si riduce quasi a nulla, egualmente che la consumazione delle parti fregate. Un orologio astronomico fatto dal sig. Hebert, e del quale i perni , i fori, ed i denti della ruota di scappamento erano stati quattordici ‘anni avanti rivestiti di fina piombaggine sopra le superficie di fregamento, smontato ediesa- minato da-una commissione della ‘società delle arti di Londra, ‘ha mostrato le superficie coperte di piumbaggine intere e perfettamente, pulite , ed osservate con una lente che produceva un ingrandimento molto considerabile s non si è potute scuoprire nè nei perni, nè nei fori il più leggiero grado di consuma- zione. ( Bibl. Univ. agosto 1829). Per fissare soprai drappi di seta o sopra‘i veli dei colori che devono avere una ‘lucidezza la quale non si può dar loro se non per mezzo d’ una vernice qualunque, si.è impiegata finquì la dissoluzione di, caoutchoue 0 gomma ela stica, nell’ essenza di terebintina. Così si eseguiscono i mazzi o ghirlande di fiori ed altri ornati che si osservano sugli abiti da ballo. Per altro questo processo ha degl’ inconvenienti ; giacchè niun abito così dipinto può esser messo in uso, se non dopo tre settimane o un mese, tempo necessario all’ asciugamento della vernice; oltrechè quei tessuti conservano in odore di terebintina; il. pgazie non è dissipato che per una molto lunga esposizione all’ aria. Per ovviare a quest’ inconvenienti il sig. Dumas ha indicato un mezzo che è riuscito perfettamente » e che consiste nel disciogliere del glutine nell’aceto, quanto questo ne può disciogliere , nel dare a questa ‘dissoluzione la liquidità conveniente , e nel servirsene per stemperare i ‘colori, che in seguito si possono applicare su qualunque drappo ,' ove si asciugano prontamente, prestandosi! poi? a qualunque * piegamento senza scrostarsi. (. Merussac «sc. tecnol. agosta 1829! pag. 300. ) CE. Gr NECROLOGIA. Giuseppe Salcagnoli Marchetti. niugedn "» Più circostanze hanno resa assai compassionevole la morte di questo giovane ingegnoso. Nato nella villa paterna di Cor- niola presso Empoli il dì 8 settembre 1799, educatosi a vari stadi prima in Empoli pui in Firenze sino al 1820, uscito di To- scana per cause a ]Jui penose verso la fine del 1821, passati gli anni successivi in privati impieghi, non però alieni da’ cari stn- di;. a Rimini.ed indi a Roma, appena tornato ad Empoli nel settembre di ‘quest'anno ; per abbracciarvi i suoi, fu sorpreso. da febbri violente, che si volsero in tisi, e il dì 16 decembre tolto ‘a’ viventi. Quasi a presagio di sua fine immatura , il dì 15 novembre gli premorì in Empoli stesso lo zio paterno (monsignor Gio., Marchetti) presso; cuni era vissuto altrove più anni; e il 19 decembre nella propria casa anche il padre ( Cosimo Salvagnoli Marchetti) infermatosi e quindi più da lui noî veduto fin dal prin- cipio del mese antecedente. Del secondo l’infelice giovane, in ciò solo meno infelice ,, non seppe la morte, ma forse l’odorò di lon- tano : dell’ altro la seppe e se ne accorò grandemente. Si aggiun- se a più affliggerlo l’incerta salute d’ altri della famiglia, e fra essi d’ uno 'de’fratelli ( Vincenzio ) giovane di molte lettere, con cui sì consolava talvolta parlando di ciò, che dopo la virtà gli era più caro, le lettere stesse. Molte cose egli avea scritte ma non pubblicate , riguardandole probabilmente quai semplici eser- cizi. Fra le pubblicate ebbero lode una versione poetica de’Salmi, un’altra di ‘non so che egloghe virgiliane, la qual si lesse in una raccolta ove pur se ne leggevano del Pindemonte e dell’Arci, alcune poesie originali }' parecchi articoli dell’Arcadico, special- mente quello sul Lucano del Cassi, a cui è da aggiugnersi, co- me;piena anch’ essa di nobili sentimenti, la lettera finora ano- nima. sul! busto del Cesi inserita anni sono nell’Antologia. Ul- timo scritto da lui dato in luce, e soggetto d’ ancor recenti nè punto blarde censure, fu quello sugl’inni del Manzoni. To tre- mava, lo confesso, al pensiero che queste censure potessero, nello stato in cui egli trovavasi, pervenire al suo orecchio. Non è qui il. luogo. di dire fino.a qual segno ei ne avesse provocato l’ acu- leo.: Innamorato delle forme classiche, siccome quegli che dal- l’adolescenza fu sempre co’ latini e co’greci, e co’nostri che me- glio li imitarono , ove gli parve trovar meno di queste forme, gli 27 parve trovar meno di poesia. Così trattandosi di teorie (veggasi la maggior parte de’suoi articoli dell’Arcadico ) ove gli parve di trovar discrepanza da’ principii de’ classici, gli parve di trovare opposizione assoluta a’ principii del gusto. Fors'anche vedendo le nuove teorie letterarie collegarsi negli scritti di taluno colle idee più antisociali o più antifilosofiche, ne paventò per la civiltà dell’ Italia. Egli amava grandemente questa nostra patria comu- ne, come tutti quelli che il conobbero ne fanno fede. E pare che si disponesse a provare l’amor suo con altro che con piccoli scritti di critica o di polemica. Ei meditava, dicesi; un’ opera storica; e forse per consecrarvisi avea rifiutata la soprintendenza agli studi nel seminario di S. Marino , offertagli dal celebre Borghesi a nome de’ magistrati di quella repubblica. Grandissimo dovette essere il dolor suo al vedersi rompere dalla morte immi- nente il più caro de’suoi disegni. Pure il sostenne da forte, fece quel resto di bene, che ancor poteva; confortando i suoi, le- gando memorie e soccorsi , dando altre prove di sua virtù, e chiuse gli occhi tranquillamente come la sua giornata fosse cum- pita. Non meno ammirato che compianto fu spontaneamente ac- compagnato da molti al suo ultimo asilo, il quale è.in Corniola presso quello del padre. M. Enrico. Brambilla. Enrico Brambilla dottore in matematica e primo allievo astro- nomo dell’I. e R. Osservatorio di Brera in Milano, è mancato ai vivi il giorno 13 ottobre 1828 in età d’ anni 36. Nato ad Oreno presso Vimercate nella provincia di Milano, mostrò assai per tem- po dell’ inclinazione allo studio delle matematiche, e specialmente a quello della geometria degli antichi, per la quale non tardò molto ad avere una particolare predilezione. Mentre frequenta- va la scuola di matematica nel Liceo di Milano, si distinse fra tutti i suoi compagni nell’arte di risolvere i problemi coll’ uso della sintesi. Passò quindi a studiare il calcolo sublime all’Uni- versità di Pavia sotto l’ esimio professore Vincenzo Brunacci; e dopo di avere ottenuta la laurea fu nominato nel 1814 alunno presso il suddetto Osservatorio Astronomico. Da quell’ epoca in avanti fu chiamato per nomina sovrana ad occupare successiva- mente i posti di terzo , secondo e primo allievo astronomo dello stesso Osservatorio. Ivi sotto la direzione e 1’ esempio dei sigg. Oriani , Cesaris, e Carlini già da 14 anni dava prove di essere T. XXXVI. Novembre e Dicembre. 13* 98 buon osservatore , ed al tempv stesso esatto ed infaticabile cal- colatore de’ fenomeni celesti. Difatti le Effemeridi astronomiche di Milano per gli anni 1821, 22, 23, 29 ed in parte anche quelle per gli anni 1817, 18, 19, 20, 25, 26, 27 furono da lui calcolate ; si può dire adunque che egli ha contribuito a conservare a que- st’opera periodica la buona riputazione di cui meritamente gode presso i dotti nazionali e stranieri. Il Brambilla aveva inoltre fatto degli studi seri sulle proprietà delle diverse lingue che co- nosceva, ed all’occasione ne parlava con molto buon senso e criterio, sebbene egli fosse troppo riservato per presentare al pubblico alcun lavoro di questo genere: la naturale di lni ti- midezza gli faceva perdere il vantaggio dell’ apparenza : 1° abi- tudine del calcolo lo rendeva qualche volta astratto ; ma quan- do un oggetto arrivava a colpire la di lui immaginazione ei se ne mostrava vivamente compreso. Era egli d’ indole assai ingenua , pio , religioso, di bnon cuore, senza affettazione , e perciò amato e stimato da’suoi superiori e compagni. Egli aveva ultimate da pochi giorni e date alla stampa le calcolazioni delle Effemeridi astronomiche per il corrente anno 1829 ; e si disponeva a fare il giro de’ nostri laghi per sollevarsi un poco dalla fatica sostenuta negli scorsi mesi. Tutti i buoni compiangeranno con noi la di lui perdita che ha immerso nel dolore i suoi parenti, mentre «l'amicizia gli debbe e gli consacra il tributo di un pianto inde- lebile. P. Le Giuseppe Mangili. Nato a Caprino nel Bergamasco l’anno 1767, morì nel no- vembre del 1829. Di diciannov’ anni era già maestro ; ma lasciò la cattedra per dedicarsi in Pavia alle scienze naturali: quindi fece parecchi viaggi scientifici nel mezzodì dell’Italia, e pro- ficui alla scienza. Fu amico a Mascagni ; collaboratore, quanto { alla parte anatomica , di Fel. Fontana. Morto nel 1799 Spal- lanzani , il Mangili proposto da Scarpa , fu eletto a succedergli: e gli successe con lode, e con utile degli studiosi. Riordinò il museo di storia naturale , e l’ arricchì di 7000 oggetti, parte de’quali suo dono. Gli studii del prof. sui mammiferi soggetti a letargia periodica, ebbero 1’ assenso de’ dotti d’ Europa; e ag- giunsero un ramo alla scienza. Determinò l’azione deprimente e controstimolante del veleno della vipera, e ne trovò nell’ammo- niaca un antidoto, I più importanti de’ suoi scritti riguardano le scoperte zoonomiche. Ax Zi 99 BUTLLETTINO BDIBLIOGRAFICO Annesso all’ Antologia (*). Novembre e Dicembre 1829. TOSCANA. STORIA DELL’ARTE , dimostrata coi monumenti , dalla sua-decadenza nel IV secolo fino al suo risorgimento nel XVI.° di G. B. L. C. Seroux »’ Acincourt. Prima traduzione ita- liana. Prato , 1829 , pei fratelli Gia- chetti. 8.° Volume VI.° ed ultimo di p. 551, e di più i respettivi indici delle materie di tutta l’ opera , e di- spense 29 e 30 delle tavole. VECCHIO E NUOVO TESTA- MENTO , secondo la volgata, tra- dotto in lingua italiana, e con an- notazioni dichiarato da monsignor An- Tonio MartINI arcivescovo di Firenze. Prato , 1829 , pei fratelli Giachetti. 8.° Tom, IX, X e XI. (I Maccabei, Giobbe, e\i Salmi.) Dispense 17 a 22. SAGGIO DI UN TRATTATO teorico pratico sul sistema livellare, secondo la legislazione e giurispru- denza toscana , dell’ avvocato GrroLa- mo Pocci. Firenze , 1829 , tip. Bon- ducciana, 8.° Tomo I.° di pag. 486. FISIOLOGIA DELL’ UOMO di N. P. ApELON ; trad. e accresciuta di an- notazioni dal dot. G. B. Tuaon.* T. V.° | Firenze, 1829, 8° presso Luigi Pezzati. 31029, Ò p 6 GALLERIA OMERIGA, o rac- colta di monumenti antichi esibiti dal cav. FraAncEsco InGHIRAMI per servire allo studio dell’ Iliade e dell’Odissea. Firenze, 1829 , Poligrafia fiesolana. 8.° Sono pubblicati i fascicoli 32 e 33. SCELTA BIBLIOTECA DI STO. RICI ITALIANI in 50 volumi circa, in 18.° a una lira il volume dedica- ta alla colta gioventù italiana. Manifesto. — Perchè a voi, egregj giovani, della nostra Penisola lietissi- me speranze , sarà principalmente utile l’ impresa a cui mi accingo e altret- tanto grata a quelli di cui formate la più tenera compiacenza, il favor vo- stro invoco, necessario alle scopo che mi prefiggo. Ormail’ epoca è giunta, in cui un nuovo gusto negli ottimi studii' strappò di mano lo scettro alla mitologia , creatrice di sognati prodi- giosi avvenimenti , per sostituire valle favole la verità, agli Eroi di tempi remotissimi, e di terre straniere, quelli di età a noi più vicine , e del patrio suolo lustro e splendore ; a ge- (*) I giudizi letterari, dati anticipatamente sulle opere annunziate nel presente bullettino , non devono attribuirsi ai redattori dell’ Antologia. Essi vengono somministrati da’sigg. librai e editori delle opere stesse, e non bisogna confonderli con gli articoli che si trovano sparsi nell’ Antologia medesima, sia- no come estratti o analisi, siano come annunzi di opere. Il Direttore DELL’ AnTOLOcIA rammenta a’ sigg. Librai, ed a’ respettivi Autori e Editori di opere italiane , che le inserzioni di annunzi tipografici, nel presente bullettino , non possono averci luogo che previo l’ invio di una copia dell’ opera medesima ; e trattandosi di manifesti da inserirsi per in- tiero, o di qualunque altro avviso tipografico , mediante il pagamento di ;3 soldi due per ogni riga del medesimo bullettino. Riguardo poi all’ inserzione di manifesti staccati da cucirsi e dispen- sarsi coll’ Antologia , essa potrà aver luogo per il prezzo da convenirsi se- condo il numero de? fogli. 100 sta esagerate , e incredibili dei tempi incerti e favolosi, quelle di cui le più sicure storie fanno irrefragabile fede. Questo studio è giustamente divenuto la dominante passione del secolo, e tutti anelano di attingere da questo limpido fonte ogni nobile argomento di fervidi voli, di eleganti rime, di utili ammaestramenti , e di nobile im- pulso al patrio eroismo. Nessuno dubitò giammai che la storia presenti un libro universale , da cui tutti di ogni classe , condizione ed ingegno, traggono gli opportuni pre- cetti. onde. formasi. la prudenza del cittadino privato , la saviezza dell’uo- mo pubblico, 1’ arte del guerriero , la politica del diplomatico , la mode- razione nella- sapienza stessa, @ la temperanza nella filosofia. Di questi prineipii risuonarono sempre le scuo- le, i dotti licei, le accademie ; pieni ne sono i libri, piena la repubblica let- teraria; ma non sempre essi furono abbastanza fecondi di luminosi pro- gressi, nè per anco il diverrebbero, se le migliori storie non potessero es- sere la facile proprietà di tutti gli amatori. Egli è tempo che questo li- bro universale, che un codice, stori- co, se mi si permette .l’ espressione, esista: una riunione cioè delle storie più veridiche, e più giudiziose ;. 2p- punto come già un’immensa suppel- lettile di leggi qua e là.sparse > fu in un solo aureo codice raccolta. L° Italia vanta certamente una ge- rarchia di storici, clie luminosa splen- de, e sfavilla, e dall’ estere nazioni piuttosto la propria ripercossa luce talvolta riceve, che non raggi stranieri e nuovi a sè stessa: vanto non 1M- giusto ,. dacchè anco 1’ America ebbe dal nostro suolo , dall’ inclito BorTA, la storia più veridica ed elegante della propria felice emancipazione. Ma il procurarsi quei tesori tutti ,. di cul in questo genere l’Italia, come ne- gli altri, abbonda, non è sempre n potere de’ più. Molte storie , anche tra le più ricercate ; sono divenute il retaggio di pochi più facoltosi, rari essendone gli esemplari , 1° edizioni non rinnovate, o riuscite di grandissimo costo. Non saprei quindi offrire più utile compenso che quello d’una coLLEZIONE pI sroricr IraLiani, nella quale nes- suna mnutilazione s’ incontri, ma fedel- mente ogni storia. sia "dalle migliori edizioni ritratta, e quelle abbiano prima la preferenza che sono più dif- ficili ad aversi o per la loro rarità, o pel loro esorbitante prezzo. Condizioni dell’ associazione. Dividerò la mia scELTA BIBLIOTECA DI STORICI ITALIANI in più serie. Ogni serie sarà composta di 50 volumi eir- ca. Nella prima serie si comprende- ranno gli autori notati nell’elenco qui appresso. Avverrà forse che il chiaris- simo Borra appaghi ben presto i voti del pubblico, dando alla luce la de- siderata continuazione del Guicciar- pINI, ed in questo caso farà parte della prima serie, immediatamente dopo la Storia di questo scrittore , tralasciando invece una delle ultime segnate nello stesso elenco , ma che farà poi parte della seconda serie. L’ edizione sarà in 18° nella carta e carattere del manifesto , e si rilasce- rà ai Signori Associati al tenuissimo prezzo di lire una fiorentina (84 cen- tesimi di lira italiana ) il volume di pagine circa 200 a 228. I volumi si succederanno di 15 in 15 giorni, dopo la pubblicazione del primo. La fedeltà con cui ho adempiuto ai miei impegni col pubblico nelle mie associazioni , tanto nel condurle al termine. prefisso , quanto nella non mai alterata nitidezza delle. mie edi- zioni, mi lusinga del di lui patroci- nio a questa mia nuova, intrapresa. La firma dei Signori Associati non sarà obbligatoria che per questa prima serie, nella quale si comprenderanno Secni, BeRrNARDO, STORIE FIO- RENTINE. È VinLani, Giovanni, MarTEO, E FiLIFPo. ; » MaLaspinA., RicorpaNoO, STORIE FIORENTINE. A BENTIVOGLIO, GUERRE DI FIANDRA. GurccIrARDINI, STORIA D’ITALIA. BorrA, sroRIA D’ AMERICA. GIAMBULLARI STORIA. D’EuroPA. DAVILA , STORTA DELLE GUERRE CI- viLi DI FRANCIA. Livorno 16 novembre 1829. GLauco Mast COLLECTIO LATINORUM SCRI- PTORVM CVM_ NOTIS. F/orentiae, 1829 , typ. Borghi et soc. Manifesto. == La nuova tipografia Borghi e compagni , all’ insegna dei quattro Classici Italiani , si SRO, sta di soddisfare al voto generale dei letterati e degli studenti , pubblicando co’ suoi. torchi la serie dei latini scrit- tori. Bella carta cilindrata co’metodi di Francìa, bei caratteri, diligentis- sima correzione , ‘nitidezza costante , rapidità d’esecuzione , ottima’ scelta di testi e di note , raccomanderanno particolarmente questa utilissima im- presa. Il sesto , in 18°, renderà co- modissimo ciascun volume, nel tempo medesimo che , restandone fissata l’as- sociazione al prezzo di 7 soldi tosea- ni per ogni foglio di stampa di pag. 36, dovrà unirsi ai rammentati vantaggi la tenuità della spesa. Per questo modo 1’ Apprendista potrà va- lersi alla fine di buoni esemplari, nè carà più costretto o a combattere con le perpetue scorrezioni, o ad affati- carsi la vista sopra quei difettosissi- mi, de’ quali han dovuto finora ser- virsi le scuole d’ Italia. ‘Lettere che, attesa l’ altezza del prezzo , non sia in istato di procu- rarsi la splendidissima edizione dei latini del Pomba, potrà facilmente arricchirsi di questa nostra , che sa- rà ; presso a poco, modellata sul- l’ esempio di quella. Di ciò è prova il Sallustio che abbiamo sotto i tor- chi, e di cui qhi diamo un. saggio. Sceglieremo per materia dei primi vo- lumi le opere degli autori che chia- miamo s.olastici; e queste o potran- no acquistarsi a fascicoli di sette in otto fogli di stampa, 0 tomo per tomo , siccome più vogliano i com- ‘mittenti. = Sicuri, come siamo , che i buoni studii formino ancora il pa- ‘trimonio della nostra classica terra, non possiamo non riprometterci pel no- stro tentativo un favore pienissimo ed efficace. Le commissioni si ricerono in Fi- renze al negozio Passigli Borghi e Compagni presso il Canto de’ Pazzi , e da’ distributori del Manifesto, SERMONI di MetrcHior Missiri- n1, Livorno , 1829, tip. Pozzolini. 8.° di p. rsa. ELEMENTI GRAMMATICALI ragionati di lingua italiana; di Gra- como ‘RosrER , professore delle lingue italiana , inglese, e tedesca in Firenze, da lui estratti dalle sue osservazioni «grammaticali stampate nell’ anno scor- so , .con varie aggiunte importanti , che serviranno di supplemento alle me- : desime ; opera in cuì si procura di fissar le regole finora incerte e va- ‘cillanti, fondate sull’ uso generale dei ‘classici antichi e moderni, e sul pa- rer dei primi letterati d’Italia : essa T. XXXVI. Dicembre. L’ uomo di | IO)I è necessaria per intendere gli scrit- tori antichi e moderni, è per parlare e scrivere correttamente ec. Dedicata alle scuole italiane. Firenze, 1827, stamperia Luigi Pezzati. 8.° p. 136. Prezzo paoli 53. Vedi Antologia. Vol. XXV, c. 115, e XXXI, c. 159.) BIBLIOTECA PORTATILE del viaggiatore. Firenze 1829 , Passigli Borghi ec. Fascicolo IX.° 8.° di p. 64. Gontiene i canti 30 a 4o del- l’ Orlando Furioso. NUOVE SPERIENZE sulle perì cosse dell’ acqua contro i solidi; e dell’ acqua contro l’acqua. - DeLLA LEGGE di resistenza di un solido. in moto alla percossa dell’ acqua. Opu- scoli due di Geminiano PoLetTI , P. professore di matematica applicata nel- VI. R. Università di Pisa. Pisa, 1829, presso N. Capurro , 4. di p. 56 e 10 con tavole. STORIA di Crisrororo Coromeo , scritta da WasHineron -Irvine, ame- ricano trad. dall’ inglese. Firenze, 1829, Coen ec. T. I.° fas. 3. e T. II. Fas. 1." NECROLOGIA di Giuseppe Mis- sIRINI. professore architetto , perito geometra ed ingegnere. Ai figli suoi. Di MeLcHIor MissirIini. Firenze, 1829 , L. Pezzati 8.° OPERE volgari di Grovanni Boc- caccIO corrette su i testi a penna. Firenze , 1829, per 1g. Moutier. 8.° Vol. VI.° Frammerta . Vol. unico con ritratto. Prezzo per gli associati franchi 6.15. MUSEO ETRUSCO CHIUSINO. 4.° Firenze , 1829, Stamperia Gran- Ducale; È pubblicato il primo fasci- colo che contiene tavole XII in ramo; premessoci un ragionamento del sig. Domenico VALERIANI sulla lingua etru- sca. Prezzo d’ associazione franchi 6. Le associazioni si ricevono allo stabilimento del Giornale di Commer- cio; e nelle altre città presso i distri- butori del manifesto. STORIA antica e romana di CarLo RoLLIN , prima edizione italia- na corredata delle ‘Baservazioni e degli schiarimenti storici del sig. LErRONNE, membro dell’ istituto, ec. Firenze, 1829, Gius. Galletti. 8.° Tomi XV, XVI, XVII, e XVIII. 14* 102 REGNO LOMBARDO VENETO. CORSO completo di lingua fran- cese ad uso degli italiani, ovvero grammatica francese 3 in cui riunitasi a pratica. alla teorica, raccolti si so- no tutti i mezzi più atti ad agevo- lare lo studio della detta lingua, se- gnatamente degli esercizi sulla pro» muncia; un esposizione completa di tutti i verbi irregolari francesi, colla conjugazione intiera. dei primitivi; una raccolta. molto più abbondante di frasi famigliari e di temi francesi, in cui per comodo dei principianti , si sono distinte non solo le e mute ma anche le consonanti che nel colto parlare famigliare non si proferiscono. Terza edizione, ad ogni riguardo mi- gliorata , e corretta dall’ autore SaL- varore TorrerTI professore di lingua francese. Milano , 1829 , G. Silvestri. 8.° di p. 560. Prezzo I. 4 it. LEZIONI MORALI ai giovanetti, tratte dalla storia di Gruserpe TAa- VERNA , rettore del collegio Lalatta di Parma, e membro dell’ Ateneo di Brescia; colla giunta di due altri suoi scritti sulla storia e sugli Edilli. Milano , 1829, G. Silvestri. 12.° di p. 200. L. 2, austr. ALMANACCHI per l’ anno 1830 pubblicati da Giovanni Silvestri in Milano. 1." L’ impostura smascherata. 2.° I proverbi del buon contadino. 3." L’ aguzza ingegno , o raccolta di sciarrade } logogrifi, e indovinelli coll’ indice delle loro spiegazioni. 4.° Ogni giorno un fatto storico. 5.° Servo a tutti e sono per chi mi vuole , o sia il massaro del curato di campagna. LETTERA del cav. prof. ScARPA al sig. conte MecrEnsI, direttore del- la pinacoteca Curale in Bergamo , so- pra un ritratto reputato di mano. di Raffaello. Milano , 1829 , Stam. Imp. con tavole in rame. BIBLIOTECA DI EDUCAZIONE. Milano , 1829 , presso l’ editore Lo- renzo Sonzocno. Volume 62. Flovilegio di lettere ita- liane : poesie stelte. — 63, 64. Il gala- “ teo. di MeLcHiorre Giosa. — 65, 66. Manuale di chimica dilettevole di Acum. —- 67. Manuale di fisica di- lettevole di JuriA FONTENELLE. IL LINGUAGGIO DE’ FIORI dedicato al bel sesso dall’ autore della botanica ‘dei fiori. Milano , 1829, Lo- renzo Sonzogno. Almanacco pel 1830. Anno I. AVVENTURE e osservazioni di Fr- LIPPO PananTI sopra la costa di, Bar- beria : quarta edizione con carte geo- grafiche e rami coloriti+. Milano 1829, L. Sonzogno. Vol. due, 125; 126 della Raccolta di Viaggi. BIBLIOTECA PORTATILE la- tina , italiana e francese. Milano, 1829; per Antonio Fontana. Classe italiana. — Storia della letteratura italiana di GiroLamo TirasoscHi. Tomi 24; 25.» 26 - Varie opere di BernarDo Da- vanzati fiorentino. Volume unico. QUALCHE ORA di lettura pia- cevole , o sia fior di novelle storiche, inedite o rare, originali o imitate, di Fr. P. Prima ed. italiana. Milano , 1829 s Antonio Fontana. Volumi ll in 8° 17it n, LETTERE di M. T. GicekonE disposte secondo 1’ ordine de’ tempi. Traduzione di Ant. Cesari, P. O. con note. Milano , 1829 , A. F. Stella e f. 8.° Vol. VII.® di p. 660. LA SVIZZERA considerata nelle sue vaghezze pittoresche , nella stox ria, nelle leggi e nei costumi. Lettere di TurLio Danpono. Milano , 1829 A. F. Stella e f. - Viaggio perla Svizzera occidentale. Vol. II.° il Gan- tone di Vaud. (da Bex a Coppet). ANTICHITA romantiche d’Italia. Milano, 1829 , A. F. Stella e f.8-° Epoca ‘seconda. Della condizione eco- nomica , morale e politica degli ita- liani ne’ tempi municipali. Sulle fe- ste, e sull’ origine , stati e deeadenze de’ municipi italiani nel medio evo. Saggi due di DerENDENTE SaccnI. di pag. 230. Prezzo l. 3 austr. STORIA della città e diocesi di Como , esposta in dieci libri dal pro- fessore Cesare Cantù. Dedicata al- l’ inclita. congregazione municipale di Como. Como , 1829 , tip. C. A. Osti- nelli. 12.° Sono pubblicati i due pri- mi libri in due fascicoli. Prezzo d’ogni fuscicolo 1, 1:20 it. BIOGRAFIA UNIVERSALE an- tica e moderna , ossia storia per al- fabeto della yita pubblica e privata di. tutte le persone ec. Opera affatto nuova compilata in francese da una so- cietà di dotti, ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e correzioni. Venezia, 1829, presso G, B- Missiaglia. 8.°. Volume LVII. -di p. 460. (TE-TO). DELLE ACQUE semitermali di S. Pellegrino, saggio di G. Lurci Carrara., dottore in medicina ec. seconda edizione , accresciuta di una lettera del prof. G. Franck ,) e del trattato sulla medesima del protofisico G. Pasra, mon che di una lettera dell’ autore su tutte le altre acque del Bergamasco. Milano, 1829, Fr. Sonzogno , q. G. B. 8.° di p. 143. 1. ESPOSIZIONE topografica del viaggio israelitico nel. deserto , giusti- ficata con analoghe. illustrazioni geo- grafiche critiche morali, del prete An- .cELO CaenoLA , canonico della catte- drale di Lodi, dedicata a sua Emi- menza reverendissima il sig. CARDINA- 1E ZurLa vicario di S. S. Pio VIII ec. Lodi , 1829, tip. Orcesi. 8.° di p. XI, e 231. con tavole due topogra- fiche incise in rame. Prezzo l- 5 aust. ARMINIO , tragedia di IrPoLiTo Pinpemonte. Nona edizione, alla quale, si aggiungono due discorsi ri- sguardanti 1.° la recitazione scenica , ed una riforma del teatro, 2.° Armi ‘nio e la poesia tragica; Milano, 1829, G. Silvestri. Vol. wiico lire 2 austr. NOVELLE MORALI e racconti «storici d’ istruzione de’ fanciulli , di Giuserre Taverna rettore del colle- gio Lalatta. di Parma, e membro dell’ Ateneo di Brescia 3. ora per la prima. volta unite insieme. Milano , .1829, G. Sàivestri. Vol. unico l. 2, 30. austr. PRINCIPI ELEMENTARI della lingua italiana ad uso della gioventù esposte da Giuseppe JakTLISCH prof. di lingua todesca e di stile, all’ IL e R. Accademia di Nautica in Trieste. Milano, 1829 ;, G. Silvestri, L. 3 au- striache. 103 VIAGGIO al Messico, alla nuova Granata ed al Perù, ossia saggio po- litico sul regno »della Nuova Spagna, del sig. ALEssanDRO DE Humsorpr vol- garizzamento adorno della gran carta geografica della Nuova Spagna. Mi- lano 1829, F. Sonzogno. Tom. VII ed ultimo , 124.° della Raccolra dei Viaggi. FILOSOFIA DELLA STATISTI- CA esposta da MeLcHior Giora, colle notizie storiche sulla vita e sulle opere dell’ autore. Milano, 1829, presso gl editori degli Annali Universali delle scienze e dell’industria.8.° T.IL° fasc. I.” BIBLIOTECA storica di tutte le nazioni, già pubblicata da N. Bertoni, e continuata da A, Fontana di Mi- lano. Vol: 86 della collezione + La istoria di Troso PompeIo, compen- diata da Grusrino. Vol. unico. = Vol. 87, dell’ istoria delle guerre ci- vili di Francia diArrICo CareRINO Da- viLAa. Vol. I. Vol. 88. la storia di Ammiano MarceLLINo , trad. di F. + Amprosoti. Vol. I. — Vol. 89. I fatti di Atuessanpro IL GRANDE, opera di Quinto Curzio trad. da FeLice Gio- vaNNI. Vol. unico. GENIO del cristianesimo, ovvero bellezze della religion cristiana , del sig. visconte di CHATEAUBRIAND , nuova versione italiana sulla sesta edizione di Parigi, di Lurcr Toccacni Brescia- no. Milano, 1829, A. Fontana. Vol. IV ed ultimo. PROPOSTA di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca, opera del cav. Vincenzo Monm. Mi- lano , 1829, A. Fontana. Vol. II. P. II e Vol. III, P. I. COLLEZIONE DI MANUALI, componenti un Enciclopedia di scienze lettere. ed arti. Milano per Antonio Fontana. 12.° Manuale di medicina legale. di Lorenzo MartInI. Vol. unico pr.l. 3.88. Manuale di geo- grafia fisica del dot. Pretro LicnsatHEL. Vol. unico. Prezzo 1. 3, it. Manuale di farmacia teoretica pratica di C. SouserRAaN ; con tavole, volta dal fancese col consenso dell’ autore , ed accresciuta di giunte e note per cura di G. B. SEMBENINI farmacista, V. I. 4 EMILIO , o sia del governo della 104 vita, opera di Lokenzo Mannini. Vol. unico lir. it. Cj OPERE varie italiane e francesi d’Ennio Quirino Visconit. Milano ‘presso A. F. Stella e figli, 1829, fa- scicolo 8. in 8.° fig. REGNO DI SARDEGNA. DISCORSO intorno alla fertilità del Piemonte, scritto dal conte Pro- spero Baugo in agosto del 1803, letto all’ accademia il 16 di gennaio del 1804, stampato nel volume accade- mico XXIV, l’anno 1829. Torino, 1829; 4.° di p. 48. SAGGI di aritmetica politica e di pubblica economica, letti dal contejPro- spero BaLgo alla reale accademia delle scienze. Torino, 1929 , 4.° di p. 94. L’ ARRIGCHITO AMBIZIOSO , commedia in cinque atti e im versi di Giurio CGLeLPI. Torino , 1829, Chirio e Mina. DUCATO DI MODENA. MEMORIE STORICHE d'’ illustri scrittori e di uomini insigni dell’an- tica e moderna Lunigiana, per l’ abate EmanveLLe GerINI da Fivizzano, s0- cio corrispondente di accademie di- verse , in otto libri disposte. Massa, 1829 , Luigi Frediani. 8.° Vol. I.° p. XXXIII e 330. Prezzo l. 5 it. STATO PONTIFICIO. SUL PROGETTO di colonizzare I’ agro romano e di rendere abbon- dante la moneta nello Stato della eGhiesa , osservazioni del conte Monar- po LeorarDI: di Recanati. Recanati, 1829, G. Moricci. 8.° di p. 24. OPUSCOLO inedito di BERNARDINO BaLp1; e versi del conte TERENZIO Mamiani peLLA Rovere. Pesaro, 1829, presso Annesio Mobili. 8.°. di p. 36. BULLETTINO degli annali dell’I- stituto di corrispondenza archeologica. Roma; 1829, N.° 10, Ir, e 12, per i mesi di ottobre, movembre e dicembre, REGNO DELLE DUE SICILIE. MEMORIE ‘intorno al cav. Mr- raBELLO E ALacona. Palermo, 1829, presso Lorenzo Dati 8.° pag. 48 con ritratto. LEZIONI logico grammaticali di ‘ Giuseppe. Sanseverino de’ sigg. di MarceLLINARE storiografo del S. M. O. Gerosolomitano:, socio dell’aceade- mia delle scienze e delle belle }et- tere di Napoli, e della real società accademica delle scienze di Parigi. Na- poli, 1829, presso Marotta e Vans pandoch. 12.° di p. 168. OPUSCOLI diversi di F. M. Avet- LINO segretarro generale della società reale borbonica , segretario perpetuo dell’ accademia pontaniana , professore della reale università , accademico er- colanese , corrispondente della società reale di Berlino , e di altre accade- mie. 8.° Napoli , 18296 , da Tramater. Tomo I. con una tavola in rame. NUOVO trattato del matrimonio , secondo le disposizioni del codice per lo regno delle Due Sicilie , esposto in forma di commentario al capitolo IMI del titolo II, ed ai titoli VY e VI del lib. I del codice. Parte prima. Del- l’ avv. ALseRTO Riccosene. Palermo, 1829 , Eredi Graffeo. 8.° Volume IÉ fascicolo I.° di p. 150. AVVISO INTERESSANTISSIMO. Continuazione della Storia d’Ita- lia dal fine di quella del Guicciar- dini sino al 1789 da Carto Borta. Pregiatissimo Signore , Gontinuando ad informare V. S. del progresso, che va facendo l’ope- ra intrapresa dal sig. CarLo Borta, ho l'onore di prevenirla , che questo autore avendo terminato il manoscritto del settimo volume l’ ha fatto depor- re nelle mie mani, ove sarà mia cu- ra di custodirlo coi manoscritti pre- cedenti fino a che il totale compi- mento dell’ opera permetta di ese- guirne la stampa. La prego di credermi colla più di- stinta stima. D. V.S. Tolone, ( Dip. del Varo) 16 nov. 1829. L’ Osseq. e Dev. servo, G- T. Lirrarpi. INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME TRIGESIMOSESTO. =" —= ISBD SCIENZE MORALI; POLITICHE ED ECONOMICHE. Storia del Diritto romano nel medio evo , del Savigny. Art. IV. (P. Capei) A. Pag. 3 Lettere su’ costumi e sugl’ instituti dell'America setten- trionale , di J. F. Cooper. (G. P.) 3 » 29 Lettera intorno al Manifesto degli Annali italiani delle scienze naturali, di (Ter. Mamiani) ,, 33 9% Storia de’ Francesi, del sig. Du Monteil. (. Forti) s)_ » 135 Storia dell’ Impero russo compilata dal cav. Compa- gnoni. (KX: Y.] >) .39 100 Fasti e vicende dei popoli italiani dal 1801 al 1815. 33 3» 3» 169 Cassa di risparmio. Lettera al Direttor dell’Antologia. (F. Tartini) ,) >, 192 Storia dell’ economia pubblica in Italia, di Giuseppe Pecchio. (F. Forti) B. ,, 1 D’ una letteratura Europea. (Un Italiano) ,} » 9 Della popolarità degli Autori. (S. Uzielli) ,, > 169 Il primo assedio di Vienna da’Turchi; del Baron De Hammer. (G. P.) 33 3» 209 Compendio di Gius del IX e X secolo, di Carlo Witte. (P.Capei) ;) >, 211 Giornale delle lezioni pubbliche della Francia, ec. (RD Sp do 9568 La Coscienza, Dissert. del P. Buttura. PR) Mezzi da impiegarsi per accrescere i prodotti della Dalmazia , del P. Buttura. pura 397 Della utilità di un canale navigabile da Ferrara all’A- driatico. (FFECTH) 5 >» @ Dei livelli toscani. M emoria di G. C. Vanni. (G. Giusti) ,, » 43 Saggio di un trattato sul sistema livellare, di Giro- lamo Poggi. >» » 47 Esposizione de’ prodotti dell’ Industria Piemontese. 33 GI 106 GrocRAFIA , STATISTICA È VIAGGI SCIENTIFICI. Spedizione scientifica in Egitto. Lett. del sig. Cham- pollion. (Traduz.) A. Pag. 70 » Nuovi ragguagli sul prof. Raddi. (Bull.) G. ,, 74 L’ Oriente. Lettera del Baron De Bussiere. (AS) Bi Secondo viaggio del cap. Clapperton nell’ Affrica in- teriore. (G. P.) > » 54 Viaggio del sig. Beltrami alla sorgente del Mississipi. (J. G. H.) ,) > 135 Viaggio del sig. Pentland. (Bullettino) G. ,, 71 Gita sui monti Himalaia. >» » 3 76 Spedizione al polo antartico. 33939 » 77 Dei due oceani polari. 3» » 78 LETTERATURA, FILOLOGIA, CRITICA LETTERARIA , EC. Racconti fatti sul gran S. Bernardo. (A. V.) A. 3,60 Atti dell’I. e R. Accademia della Crusca. Art. II. (IE) i 97 Serie dei testi di lingua italiana, opera rifatta dal Gamba. (K: X-Y)SG Parafrasi del salmo — Coeli enarrant gloriam Dei, ec. (D. Valeriani) hat Guida del forestiero per la città e contado di Lucca.(L./ 3 » » Poliantea di Niccola Monti pittore pistoiese. anioni sad Alcune rime di Franco Sacchetti. — Sonetti inediti di Cino da Pistoia. (le: Art 198 Lettera sopra il sermone poetico. — Il giuoco del lotto, versi di E. M. PIGEVIRZIF AR 11 Scelta di lettere familiari, compilata da Leonardo Nar- dini. Ba ao Pea 0 Elogio del conte Ad. Neipperg , di Ferd. Maestri. 3, 33,3 166 Lettera del conte Napione , al sig. Washington Irving intorno Cr. Colombo. MR Le eroidi d’ Ovidio, tradotte in terza rima da Agamico fiorentino. MR E > Metodo compendiario per insegnar leggere, in 207 fi- gure. (M.) 5D7 129; 173 Saggio storico critico della commedia italiana, del prof. Salfi. (0.) B. >> 42 Commedie di Alberto Nota. (E }iica ao 107 Adunanza solenne dell’Accad. della Crusca. *****) B. Pag, 176 Società Filodrammatica di Firenze. (M.) 3» 33 189 Vocabolario universale della lingua italiana a Napoli. ,, .. 3» 1 Lepidezze di spiriti bizzarri raccolte da Carlo Dati. ;) 33 >> 4 Lettera del conte Morosini all’ ab. Cancellieri intorno alle cifre dei Lincei. RIN TRO; Giornale Agrario Toscano. Versi di Giuseppe Barbieri. (X.) 33 » TO Saggio di Iacopo Stellini intorno ai costumi, volg. di Lod. Valeriani. (DI) > >» 13 Parnaso nuovissimo delle Dame a Napoli. dissidi Rime dell’ avv. Carlo Biondi. (E Tal 0112071: 2$ Volg. del libro di Ruth, testo del buon secolo. 39 393 3 19 Storia romana di Flavio Eutropio, volg. del Pagnini. ,, » > 21 Della patria di S. Girolamo. Risp. del Capor allo Stan- covich. s» >» 5 29 Eneide di Virgilio , trad. di Eufrosina Massoni. mio 94 Biografia degli scrittori perugini del sig. Vermiglioli. ;) 33 3» 36 Rime del Petrarca , secondo la lezione del prof. Mar- sand. — Rime di Niccolò e Iacopo Tiepoli. PRRECRORE ANA: Storia della città e della diocesi di Como, di Cesare Cantù. 3». » 40 Delle pitture a fresco del cav. Benvenuti. Dich. di M, Missirini. (L) ss no 47 Storia dell’ arte, dimostrata coi monumenti, ec. di d’Agincourt. Ed. Giachetti. (K. X.Y.) 3 49 Il Narciso, favola in musica, di Ottavio Rinuccini. ,) 3 3» 90 Almanacchi milanesi. 39 33 39 DI Tragedie d’Euripide , trad. da F. Bellotti. (M.}) 33 >» da Alla Carità, inno del conte Folchino Schizzi. DO 4 GTO Riaprimento dell’ Università di Torino. arts 9 89 ARCHEOLOGIA. Descrizione delle medaglie greche del museo Fontana , per D. Sestini. (D. Valeriani) A. ,,152 Illustrazione d’° una Stele greca del R. Museo Egizio di Torino, di Amedeo Peyron. (**) B.. .,, 204 SCIENZE NATURALI. Meteorologia. Bullettino di ottobre 1829. A. 33.17 99 » novembre e dicembre. C. ,, 956 108 ‘Fisica e chimica. Bullettino di ottobre 1829. A. nov, e dic. C. Palcontelirafia Bull. di ottobre 1829. A. Mineralogia. Bull. di ottobre 1829. na SCIENZE MEDICHE. Opuscoli medici di G. M. Derolandis. (V.) G. Apertura del Ginnasio di Forlì, prolusione di Barbac- ciani-Fedeli. La gi I 4o giorni della clinica omiopatica a Napoli. sape Bullettino scientifico per i mesi di novembre e dicem- bre 1829. (G. G.) » SCIENZE MATEMATICHE. Tavole logaritmiche del sig. Gardiner: quarta edizione per cura di Giovanni Inghirami. (T.) G. Radici primitive de’ numeri primi. (G. Libri) ,» SocIETÀ SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’Georgofili. Ad. solenne. C. Società medico-fisica fiorentina, 14 giugno e 1.° luglio. A. Accademia de?’ Fisiocritici di Siena. C. Accademia delle scienze di Torino. tà Società italiana-delle scienze in Modena. Da Riunioni dei naturalisti ad Eidelberga. i % Accademia reale di Berlino in Gottinga. ;” Società d’ emulazione del Dipart. dell’Ain in Francia. ,» NeECROLOGIA. Giuseppe Raddi. (G. Libri) A. Avv. Lorenzo Collini. Va Giuseppe Salvagnoli Mo chettio (M.) G. Enrico Brambilla. (P. L.) »» Giuseppe Mangili. (A. 2.) 5 BuLLETTINO BiBLIOGRAFICO. Ottobre 1829. A. Novembre e dicembre 1829. C. Fine del Volume XXXVI, e dell'Anno IX. bb) 29 25 OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. DICEMBRE 1829. de E Ora Stato del cielo -dU01AN]q onowos1eg ord -0950019U Y x 1 i Lev. [Sereno Ventic 1| mezzog. |27. 11,9 i Tr. Gr. Sereno Ventic. 11 sera |28. 0,3 | Ostro Ser. con neb. Ventic. 7 mat. |28. 0,3 ) Scir. |Nuvi ser. Ventic. Sc. Le.|Nuvolo Ventic Tram. |Nuvolo 0,;02|Gr. Tr. Nuvolo mezzog. |27. 5) Gr. Tr. Navolo 11 sera ; 3 A 7 Tram. Nuvolo 7 mat. |27. 10,9 Le Tram. 'Nuvolo 4| mezzog. 127. 11,7 Tram. |Nuv. ser. rr sera [28. t,1 5 È Lev. ‘Sereno 7 mat. ; Tram, :Sereno 5] mezzog. |28. Gr, Tr, Sereno II sera a 3 |, Sn Gr. Tr. Sereno 7 mat. (28. Tram, | Navolo 6 mezzog. Tram. | Nuvolo 1° sera a ) Tram. | Nuvolo rotto Vento Gr. Tr.; Nuvolo neb. Vento Gr. Tr.|Nuv. ser. Vento Gr. Tr.|Nuvolo Vento imp. 7] mezzog. II sera (°°) MA 90 >, Terinom ug » > 4 © 7 | RCN Vea ll o Ora 5 4 3 3 2 8 Stato del cielo E (1) © ! 3 A) = mu | A 8 j È. 7 4 E 88 mi | i i 7 mat. |28. 2,1] 3,3 {3,7|85 | “ |Tram.|Nuvolo. » Vento imp.i 8! mezzog.|28. 2,i | 3,7 | 5,0| 73 Gr. Tr.|Nuvolo Vento |j | II sera |28. 2,4 3,6 | 40 | 80 Tram, {Nuv. ser. Vento imp: 7 mat. {28. 2,1 | 3,2 | 30| 683 Tram. Ser. nuv. Vento |B g| mezzog.|28. 2,1 | 3,7 | 5,0 | 53 | Tram. | Ser, nuv. Vento |É rrsera ‘28. 1,9 | 3,6 | 3,1 | 67 Greco. Ser. neb. Ventic.!W i 7 mat. 1,6 | 3,4 | 3,0! 82 |Greco {Nuvolo Ventic. mezzog. 153 1,5 | 3,7 4,3 | > "Trai: Navolo Ventic È tr sera |28. 1,6 | 3, 3,2 :f0,09! Tram. |Piovoso Ventic. Ta pa; |28. 2,0 | 3,3 | 2,9 “ \/0;02| Sc, Le.|Ser.neb. Ventic:] mezzog. ape 2,8 | 3,8 | 6,1] 85 Sc. Le |Ser. con nuv, Ventic.ifi "| tt sera lì 11sera 128. 4,2 | 4; | 4,3 | 96 Sc. Le.|Ser. neb. Ventic | Vymat. |: 7mat. |28. 4,6} 4,3 | 1,9] 96 |Sc. Le. Sereno Calma |fl 12| mezzog.|23. 52 | 4,2 | 4.9 | 92 Se. Le.'Nuv. ser. Calma |f si sera |28. 5,3 | 4,3 | 4,g| 62 Gr. Le.'Nuv. ser. Ventic. Ì mei 7 mat. }28. 5,3 4,2 3,2 | 93 < |Scir. ‘Ser. con neb. ’ Ventic. jr3 mezzog. |28. 5,2 | 44! 6,2| 74 ‘Sc. Le. Sereno . Ventic|ff | «ar sera |28. 5,2 __| tt sera |28. 5,2 | 4,6 | 4,0 | 75 ‘Greco Sereno Ventic.]{l 7 mat. |28. “| 7 mat. |28. 4,9] 41 4;t | 3,0 | 82 ‘Greco [Sereno Ventic:i] 14} mezzog.|28. 4,4 | 4,6 { 6,1 | 68 Tram. !Sereno Vento |il ri sera 128. 4,0 { 44 | 48/81 Tram, INovolo Vento | 7 mat. 28. 3,01 44 | 4,0 95 | o, ,04; Tram. |Pioggia Vento Il 15, mezzog.|28. 2,1 | 4,5 o | 97 | 0,14! !Tram. Pioggia Vento Jll{ | _| 13 sera | 11 sera |28. 0,9 | 4,0 | 3,1] 98 | 0,553 Gr. Tr. Pioggia Vento | | {7 mat. | 7 mat. ori 181 3,8 3,9] 92 | 0,32/Greco [|Nuv. ser. Calma | 16: mezzog.|a7. 11,5 | 4,: | 6,0 | 88 Gr. Tr.|Nuv. ser. Vento |l{ Ii sera |27 11,5 4,1 5,5 | 93 Greco INuvolo Venticil] 7 mat. |27. 10,4 | 41 46| 97 [Greco |Nuvolo Calma |f{ ;17; mezzog.|27. 11,2 i 4,5! 5,3 96 | 0,09 Lev. Pioggia Calma |f{i | | 11 sera ap. ti | 45 | 42! 97 | 0.20 Lev. ‘Nuvolo Ventici| \ 7 mat. |27. 19,0 4,2 [ 46 | 97 | 0,24;Lev. |Nuvolo Calma Il 18 mezzog. 27. 9,7 4.7 6,1 | 96 | 0,0g'Po. M. -[Pioggia Ventie, i Ii sera (27. 10,0 48 3,81 96 Scir. j|Ser, nuv, Vest il 7 mat. |27. 9,6; 4,3 e 97 L'1issnno iNuvolo Calma 19| mezzog.i27. 9,3 , 491 4,5! 96 0,33 Tram, Pioggia Calma | 1» sera [27. go 5.2 | 459° 97 | 0,03| Tram. Nuvolo | Calma jIL _i-sshli--hebil-sso-me sms’ «ci "cs ==. © — É ae t ""Teriio, cli. mu hot | S FOLD re Ora È tn dr edi aa pl =D 3.3 Stato del cielo A S| Sepe È fu 1° CRA 0 CHA AA: —_—h_i——————————————— | | 7 mot. |a7. dp 97 | 0.67 Macst |Pioggia Calma 20 mezzog. |27. $ $ 6; 96 | 0,06 Pouen.|Pioggia ..,, Galma |a 11:sera |27. 90 ‘Ostro Nuy, set. d Calina ‘ | 7 mat. [ay. sg o | 85 | — |Os. Li.|Nuvolo Vento 21|mezzog. |27. 6,0 | 76 Ostro |Nuvolo Ventie. ; | insera |27. ti d# 3,9 | 80 |Lev. |Sereno Ventie. 7 mat. [27. 11,1 4,0 | 2,81 85 l'Tram. | Ser. neb. Ventic {22|mezzog. |27. 11,3 | 4,0 | 4,3| 74 ‘Tr. Gr.|Ser. neb; Ventie 1t sera |27. 19,2 | 3,9 | 3,38 | 87 ‘Tr. Gr.| Nuvolo Calma 7 mat. |27. 9,3 3,8 359 96 [0,12 Tram. Pioggia Vento {23|mezzog. |27. 17,8 | 3,8 | 3,9 97 | 0,82 Greco |Pioggia Vento , I 11 sera |27. 8,7 si [03,9 | 93 | 0,63 Greco |Nuvolo Calma. | 7 mat. |27. 9,4 | 3,6 | 1,9| 96 Gr. Le. Nebbia folta :Ventic, :24|mezzog. |27. 9,3 | 3.8 | 3,5 | 96 Gr. Le. Piovoso Calma i | 11 sera |27. 9,0 | 3,4 | 3,0 | 96 Lib. |Nuvolo Calma, Î mn mat. CVA 8,0 3,2 | 3,0 | 92 — !Greco Nudo Ventic.{} Pa mezzog. |27. 6,9 | 3,3 Î 45,3 | 80 !Tram. | Nuvolo Vento i 11 sera ‘27. 6,3 | 2,9 | 2,0 | 99 | 0,35 Os. Li. Nuvolo Calma | 7 mat. j27. 64 | 2,72 85 | “ ['Tram, |Sereno Ventic. ;26|mezzog. |27. 6,6 | 2,8 | 3,5! 80; Tram. |Sereno Vento 11 sera |27. 6,7 | 2,7! 2,0 | 82 | Gr. Le.|Sereno Ventic. 7 mat. |27. 27. 6,8 | 2,2/ 1,8| 81 Tram. |Soreno Vento 27|mezzog. |27. 243 2,5) 3,1| 82 Tr. Gr.{Scr. ragn. Vento | rt sera |27. 7,3 | 1,6 | 0,6] 75 Tram, |Nuvolo Vento | {7 mat.|27. 7,4 | 0,8 |-1,6| 75 Greco |Nuv. ser Vento 28 mezzog. |27. 7,7 | 0,8 |=0,2| 72 ‘Tr. Gr.|Se. con nuv. Vento forte Ii sera |27. 7,9 | 0,2 | 0,1| 75 Tr. Gr.|Sereno Vento j | 7 mat. |27. 0.3 0, -0,3 | 95 Gr. Tr.{Neve Ventie: 29. mezzog. |37. 9,6 | 0,7 [+0,7 86 Tram. |Neve Vento : 1t sera |27. 98 |! 0,4 |-1,5 |-80 | o,o1]Srir. Sereno Calma | 7 mat. |27. 10,5 | 0,0 |-3,0 | 93 Scir. !Ser. neb. Vento 3o|mezzog. |27. 10,7 | o,1 {-1,0| 92 Sc. Le.lSer. neh: Calma 3t sera |27. 11,8 | 0,0 | 0,0} gi Tram. [Ser. neb. Calma 7 mat. |28. 1,0 ‘0,0 050 | 85 Tram. |Sereno Vento forte | 31 mezzog. 28. 1,8 | 0,1 |F0,8 | 70 Tram. | Sereno Vento | ' sv sera |28. 2,0 | 0,0 |-0,1 | 59 Tram. ISereno __Vento PROSPETTO METEOROLOGICO DELL'ANNO 1829. CPI 5NE CEE CV i 1 Barometro |Termom.jIgrometr. = ; N n : 4 Mesi medio ‘| medio | medio {#5 » o ì ‘In: “! mensuale |mensuale |mensuale È ‘Sereni | Piovosi { Tramontano | Tramontano , {fl Libeccio | Libeccio . Libeccio | Libeccio Libeccio | Os. Lib. | Levante Scirocéeoò Tramontano Barom. massimo 28. 5, 3. il 1a Dicembre Termom. mass. 26° ,8 il 16 Laglio | a mezza notte. a 3ore 1f2. minimo 27. 1,4 il 5 Gennajo minimo—3,6 il 30 Dicembref. Novemb. | 28. o,1 Dicembre] 27. 11,8. er a mezzo giorno a 8 di mattina Medio di tutto l’anno 27. 11,6 medio di tutto l’anno 11,2 Totale dei giorni piovosi r11; ‘dei sereni 158; della pioggia 32,58. PROSPETTO DEI PRINCIPALI RESULTAMENTI METEOROLOGICI | OTTENUTI NEL DECORSO NOVENNIO. i Ù Barom, | Fer. Barometro Termometro È : Barometro Termonée Anpnif Altezza | Alt.H Altezza Alt. Epoca Epooa media {med mas. pol. i. & Pi 1821f28 0,52/12,9 1822/28 1,2 {12,9 1823/27 11,8 |12,2# 1824528 0,2 {11,9 1525f28 0.6 {1,9 ‘826128 0,3 {11,6 {|:827{27 11,9 {11,6 fjt828]128 0,5 [12,0 182927 11,6 |11,2 Diff. mas delle altezze {delle alt. Differ. mass. della pioggia dei gior.{dei gioi Ba h ‘ i ; rometriche { Termom piovosi | sereni r——— __—__—_—_—— 309 101 173 29,2 102 200 28,0 121 185 29,6 103 164 27,1 4o 189 27,4 130 109 ti 126 tai 29,0 o) 167 304 DI 153 i a <{: h nia, 2900 | LG o Ù ” Hosoggtara Le rifai Lat Lot ta via RP (RR IR SIT Matto von a O2a00 Giurato, a’ t l i si gi SE SCESE puts di; Pt | dog i pa tal n i SSR du | Y fi N au de De: Le) sbpatseo | Jap que: SI ppi HA LIL) si UTO n CAI i tigre suli Mid! ATICRLI Ù DA It veti id Vi Das 063, £ But bgudidte) Cor nol: depp ERI ULTURIA tn 141 (it repo Pupe ee Md di [gd Bear poni da! 1a*] gie du el cad w* uf reo TR, A pin ti #6: or gni 4 di Maisto di ni STI ud Hi 4 F TUSIN RE N08 | pi DI ° aftrric iii " iene cottresim ai rano» ' dinsgrt + 15180 sissi ati adobe 4 pig ig (obf.40Î4 fab srt iayv ore ri IL, È di s: > N D TC E DELLE Marene i] i | CONTENUTE NEL PRESENTE © uan. — NOVEMBRE. - Doria. ell ormoni SET în Italia, di Giuseppe Pecchio; /F. Fortè} Pag. 1 Oriente: Lettere del Batone. De: Bussiere, scritte nel 1827-28. (4. Z.),; 18 faggio: ‘storico critico dellà commedia italiana, del prof. Salfi. . ‘/0.),, 4a le n ondo' viaggio del capitano Clapperton nell Affrica interiore. (G. P.};; 54. D Paina letteratura europea. © Nea Heli tano) ,, gr Pommedie di ‘Alberto Nota. © (E.) ,, 120 iaggio di J. C. Beltrami alle: sorgenti del Missisipi (I. G. H.} 135 lella. ‘popolarità degli. autori. i SL Uzielli) 13 169 dunanza solenne dell’Accademia della Crusca. RI RIS ra 176 Icietà: filodrammaàtica di Firenze. © i I E) st lustrazione di-una Stele era del R. Museo Fia di Torino: di — “Aniedeo- ‘Peyron.; SL SRD 04 Ssedio o di Vienna. È na (I Red PRE di Carlo Witte. i ice Capei) ;; 211 Sani DICEMBRE, è Ila uni ital; .3ed. in Napoli di 1. Carlo Dati. Lepidezze di spiriti bizzarri p- 4. — Morosini. i Lettere all’ab. Cancellieri. Antorno alle cifre dell’Acc. dei:Lincei p. vas —. — Giornale Agrario Toscano. [Versi di G. Barbieri p. 10. — Stelline. È intorno. all’ Pigro e al prograto de costumi pi 13, — Par-: Vre ITA, LETTERARIA. = ca Vocabolario univ. de > i ino mv delle Dealer] ‘pei tori Volgarizzamento del libro-di Ruta pio 19. Pagnini, trad, < . glioli. ‘Biografia 'aegte ‘triti ‘ano 1; = Carlo "Biondi. Ai Ad della. storia. UsIAnA sa "nl P 22. — cd ‘delle dezioni del Petrarca . pi 38. frigpali: Rime pi 138. —_ Canti Storia di 7 de p. Jo, = Gardiner e Inghirami. Tavole logaritmiche pid G. R. Canale navigabile < da Ferrara all' Adriatico. pigri. 0 Vanni. Dei. livelli ‘toscani p (4B— E, Poggi. "Trattato teorico ‘pratico ‘sul sistema. livellare p. 47. — Missirini . ‘Pitture a fresco.” « del-cav. Benvenuti *p-:47- ‘=; -Dagineourt. Storia dell’arte. p: 49. — ' « Rinuccini, 1 Narciso ;. ‘favola p. 50. — Almanacchi milanesi p- 51. “+ Folchino Schizzi. Tnno alla Carità: p. 5a. — D. Rolandi. peo b Decio di statistica ‘medica . D 53 Barbaociuni Fedeli. Prolusione pae — recitatà al Ginnasio. di Fori, P 54 - - I #. cere dela cliniva omio; *patiba) a Napoli ® She: Dici GTA PLS | RuLLETTINO: SOTENTIFICO; a pi ceh: _ a ‘e Chimica pis . Scienze mediche Pr 66. — Geografia e Viaggi ‘Scientifici, Viagi io! del sig. Pentland p. quae Spedizione. francostoscana . iti ‘Egitto: Nuovi sagguagli sul profess. Raddi p. 74.6. ritratto. Gita!sù monti ‘ ‘Himalaia p. 76. — Spedizione al polo antartico Pi Tila Dei , due cesati polari. p. 79, — Scienze matematiche +. ‘Radici: primitive “.de’ numeri primi (G. Libri) pi 79. — “Società ‘scientifiche. lettes, ‘ratie p. Bo. — Varietà. Riaprimento' dell’ Università. di Torino p_89. ii Esposizione dei prodotti dell’ industria TIRA, Pi ig fini Si \ venzioni e muovità p. MI SETA geo na è Netrologia; Giuseppe: a Marchetti. a “i S DR E Enrico Brambilla, ; SERE; Giuseppe e RANE, " 1 Si rinmuova premurosamente r ‘invit in ritardo’ di SR ‘saldare la loro (PROSS ‘del’ guai Sala As ct d pr Tania it sente ea. DIO o o; » î io ESRSTR si È DI,