MA È bo. dI Ale ud ac a: (MITAC MIRIVICS pueti (Ob . . 5 c è. S (7. x » h > 4 Li ANTOLOGIA GIORNALE DI ScIENzE, LETTERE E ARTI resi 7 OZ) REZOA TRS % dì no Lu : ie xi } e la.a del 2.° Decennio | Aprile ASSI. 0 Pbblicato dl di «6 Gigno. Lalla | FIRENZE | ) AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO «or G. P. VIEUSSEUX DrirEtTtoRE E Epitore i_—_——t—r—r—rt—r- TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI,. .. ? rg TRIS: L ANTOLOGIA si pubblica ogni mese per fascicoli non minore di fogli 10. Tre fascicoli compor gono un volume; ed ogni volume è accoupagnato da un indice generale delle materie. Le associazioni si prendono In FIRENZE, dal Direttore Editore G. P. Vieussenz. in MILANO, per tatto il regno { dalla Spedizione delle Gazzette, cio N È Lombardo Veneto € presso:/'7. e R. Direz. delle Poste. : ìn TORINO j per tutti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, impiegato ‘hielle : 0 GENOVA R. Poste di Toriuo. . in MODENA. presso Gem. Vincenzi e C.0 libr... in PARMA presso il sig. Derviè direttore delle Poste. in ROMA, per tatto lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato x nell'amministraz. gen. delle Poste Pontif. | in BoLocnA, presso il sig. Direttore delle Poste. Ne in Pesaro, presso Annesio Nobili. È: in NAPOLI, ; presso. Ambrogio Piccaluga , Strada S. Liborio N. 33. È in PALERMO , per tutta la Sicilia. presso il sig. Carlo Beuf.. in AUGUSTA presso la Direzione delle Gazzette. in VIENNA, per tutto l'impero Austriaco; dalla Spedizione delle Gazzette, © °_— presso 1’ Z. e (R. Direzione delle Poste. — in GINEVRA presso J. J. Paschoud. in PARIGI presso 7. Renouard Rue de Tournon N. È iv LONDRA presso C.-F. Molini N. 41 Paternoster Row. di Hai rane Ot n Ù7 UA di tei Hu para: LAS) FaN, Va” LLÉ vs ANIA, I: ina pi p” Lari ns \ ANTOLOGIA N. 424. DELLA COLLEZIONE. nr OJ 20 RICER PAST 5 Dee) N: e DEL SECONDO DECENNIO Aprile 1351, Nuovissima Guida dei viaggiatori in Italia , arricchita di carte geografiche portatili, delle piante topografiche delle città principali ; non che dei regolamenti e distanze in poste ; l’in- dicazione de’ nuovi stradali , de’ migliori alberghi, e delle tariffe delle monete in corso , ec. ec. per cura di V. L. Mi- lano , 1830 , presso Epimaco e Pasquale Artaria , editore. Un volume in 8.° di p. cxxv e 490 (*) S. il fortunato straniero, scendendo dalle Alpi a godere del cielo e del suolo e delle memorie d’ Italia, ( a goderne con quel superbo disprezzo con cui si fa uso d’un arnese comprato, del quale si ami la bellezza e il pregio intrinseco non si cerchi :(*) Raccomandiamo ai viaggiatori nazionali ed esteri questa guida ; che per esattezza di notizie e per saggezza di esposizione ci par la. migliore di quante sieno finora uscite in Italia. — Il piacere con cui quà e là la seorremmo ci ridestò nella mente alcuni pensieri che senza pretensione e quali ce li detta 1° affetto’, sottoponiamò al giudizio del cortese lettore. Ma il non parlar noi dell’ annunziata Guida più a lungo , avvertiamo che non sia riputato una prova di disistima : .ch* anzi , ci giova ripeterlo, la proponiamo come la più lodevole che da noi si conosca. 4 nè curi) porta con se già formato il giudizio sopra una nazione icuì meriti stessi concorrono a renderla sospetta e mal nota; e se dopo avervi lungamente abitato , se ne parte con idee ancor più false e più volgari che quelle di prima , non è maraviglia. Ma che tanti tra gl’ Italiani medesimi , passando d’ una in altra contrada di questa comune lor patria , la giudichino quasi come farebbe un estraneo ; che più insensibili anzi si mostri- no alle glorie fraterne di quel che sia lo straniero , avido cercatore d’ogni specie di bellezza e di godimento ;} che con- giunta al disprezzo superbo portino ne’loro viaggi o ne’ loro soggiorni la misera boria municipale , e quella gretta invidia alla quale un nome ancora più basso si converrebbe se nome più basso di questo inventar si potesse; che non dimostrino con segno al- cuno d’intendere quanto i doveri di cittadino d’ un’ intera na- zione siano più gravi ed augusti degli ufizi di cittadino d’ una provincia o d' un frammento di regno ; che nulla facciano insom- ma per conoscere , quant’è in loro , e far conoscere i veri pregi, ì veri difetti , i costumi di quelle parti d’ Italia che son quasi ignote a se stesse , e per togliere que’ pregiudizi d’ irragionevole gelosia che moltiplicano e rendono insanabili i mali d’un popolo, quest’ è che non si può ripensare senza dolore profondo. A chiunque sia caduto di ascoltare con quali sentimenti giudichi la Toscana un viaggiatore lombardo o un Toscano la Lombar- dia ; come fin nelle materiali bellezze pretenda a tutto costo ed in tutto dare al proprio paese la preferenza ; come le impressioni più vive e più durevoli gli vengano non dalle parti più nobili e più gentili del carattere e del costume pubblico, ma dalle più difettose, non parrà certamente esagerato il nostro lamento. Voler quì de- lineare in un quadro le conformità e le differenze de’ costumi italiani, e istituire tra provincia e provincia le comparazioni opportune , e analizzare que’ tanti elementi che costituiscono un sì gran tutto, sarebbe e presuntuosa e pericolosa ed impossibile impresa. Tentare un confronto fra le vicine nazioni e la nostra, e conchiudere con le solite adulazioni del senno italiano ; sa- rebbe vanto sì intempestivo da parere ben più che ridicolo. Pa- ragonare lo stato nostro presente col passato , e trovare in tutto un miglioramento, uu perfezionamento evidente, quest’ è che noi non oseremmo, pensando quanto alcuni estrinseci indizi di civiltà differiscano dall’essenza di quest’ ultimo risultato del benessere vero d’un popolo, ch’è sempre effetto dell’accresciuta forza morale : e la forza morale, non che crescere, da molto tempo in quà pare a noi gran'emente scemata. Quello che intorno ad un sì delicatu 5 argomento noi crediam poter fare senza pericolo d’allusioni querule o di adulazioni viete o di gare superbe, si è ricercar nel pas- sato il germe e le cause del presente stato e del costume italia- no , costume nella varietà così uno e nell’uniformità così vario. Non si spaventi il lettore se il nostro ‘discorso risale în sulle prime tropp’alto : esso ritornerà sempre dopo brevi deviazioni al positivo e al presente, a cui involontarii si rivolgono e ricadono quasi a centro tutti i nostri pensieri. I. Italia, Enotria, Esperia, Ausonia, quanti nomi per questo ch’ ora noi riguardiamo come un popolo solo! Cotesta varietà de’ nomi suppone di necessità varie razze, varie nazio- ni (1): e la varietà delle razze ognun sa quanto forte distenda la sua influenza fin nella posterità più lontana. Il nome d° Italia non s’ accomunò alla penisola intera se non quando una sola dominazione l’ abbracciò tutta: e chiunque , lasciati da un canto i prestigi della gloria rormana, considera quanto costasse all’ Italia questa violenta unità, viene facilmente ad accorgersi che il nome comune non rappresentò mai vera comunità d°’ interessi , e che la patria nostra fu sempre più grande divisa che unita. Tristo pensiero, ma che giova richiamare alla mente. Il pas- sato, ognun sa, nulla prova per l'avvenire: altrimenti la storia sarebbe un profeta infallibile: ma giova sempre conoscerlo questo misterioso passato , non foss’ altro per poter soffocare i germi di male che in lui si racchiudono, e che dal presente son resi fe- condi. i II. La divisione dell’ Italia in tanti e popoli e governi di nome e d’indole sì diversa , che non può in chiunque conosca un poco la storia destar maraviglia , serve insieme a spiegare un fatto molto più doloroso : ed è che il nome d’ Italiano ormai fatto comune dall’ uso, che in tempi più antichi aveva acquistata una latitudine ben conveniente ai limiti imposti e dalla lingua e dal- 1° indole degli abitanti (2), viene ora da molte parti d’ Italia spon- taneamente rifiutato ; sicchè non solo il Tirolo (3) e il. Friuli e l’Istria; ma altre isole ancora ed altre provincie che più propriamente all’ Italia appartengono, sogliono parlar dell’ Italia come di un paese diverso dal proprio. Non par egli d’ essere an- cora a’ tempi anteriori alla dominazione di Roma , quando cote- sto titolo spettava in proprio alle sole meridionali provincie ? E non si direbbe che in quest’ uso volgare si nasconde non tanto un’ inesattezza geografica quanto una tradizione primitiva, un (1) Ved. le note in fondo all’ art. 6 sentimento appoggiato a qualcosa di vero ,. l’ indizio, insomma d’ un? opinione radicata e d’ un fatto ? III. Io sono così fortemente persuaso della grande influenza delle razze originarie sul costume, de’ popoli, che non dubiterei d’ affermare che molte conseguenze morali e politiche si potreb- bero trarre dalla conoscenza certa delle origini prime delle genti italiane. Le notizie dal Niebuhr accumulate sulle migrazioni ; le sedi , i dominii degli antichi Pelasghi con più di pazienza che d’ ordine e più con ispiritò sistematico che con ispirito di.siste- ma (4); non rischiarano gran fatto una questione sì buja. Se. in mezzo a tali tenebre non è vietato il portare l’ incerto e pallido lume delle congetture, io oserei rimetterne una in campo; già da altri sott’altre forme sostenuta, e che non è del mio assunto nè delle mie forze svolgere e confermare, ma che da altre mani potrà forse ricevere e sicurezza e splendore. A _me basta quì l’ accennarla dicendo; che questi Pelasghi i quali in tanta parte dell’Europa col- ta appariscono e numerosi e potenti, le cui migrazioni soprattutto sono notabili nelle confuse storie de’tempi ‘antichissimi, questi Pelasghi potrebhero , anzichè un popolo:solo nel tempo medesimo errante; per tante terre, per tanti mari, e in tante regioni fiorente, essere un nome simbolico .di tutti i popoli migratori. che giun- gendo in terre o meno civili o men forti, vi portavano,la potenza del braccio o dell’ oro o del senno (5). IV. Checchè sia di ciò, la natura medesima delle cose e fi- siche e morali c’invita a credere che tra gli abitanti delle re- gioni elevate e quelli che dal mare arrivando .si. stabilirono sulle coste, dovevano di necessità annodarsi relazioni o di com- merci. o.di alleanze o di, guerre ; sempre però rimanendo, evi». dente. ed, efficace la diversità delle. razze, e dei costumi, e quindi spessissimo ‘de’ governi. Se l’Italia siasi incominciata ad abitare o dalla parte delle coste , cioè dai popoli migrati per via. di mare , 0 dalla parte de’ colli , cioè da’ popoli migrati per la via delle Alpi (giacche la favola degli :autoctoni non me- rita d’ essere confutata ); è questione in cui. gli. studi geo- logici, ‘ben .diretti., potrebbero recare grandissima luce. Ad ogni modo dovette seguire che gli abitatori delle alture per il suver- chio della ;popolazione costretti a scendere al. piano e:ad asciu- gare le, sottoposte paludi ; e gli. abitatori. delle rive dalla forza di nuovi, popoli, migranti costretti a.difendersi e a ripararsi in luoghi meno accessibili, venissero gradatamente a contatto. V. Un'altra ricerca che potrebbe sulle origini italiche portar qualche luce , si è 1’ indagare quali popoli ( d’ogni età;, vd’ ogni 7 parte del mondo) vevuti dalla banda del mare si sieno condotti al abitare il continente, e per quali gradi sieno passati ‘innanzi di abbandonare le antiche abitudini ; quali altri , abitatori del con- tinente, si sieno a poco a poco ravvicinati alla marina , e datisi almeno in parte alla vita marinaresca e al commercio. Sarebbe importante il raccogliere tutte le sparse notizie che intorno a questo tema la storia e le tradizioni presentano , a fine di poter quindi per legge d’analogia inferire se i primi abitanti delle coste d’ Italia sieno probabilmente stati di razza diversa dagli abitanti delle altare e de’piani. La storia, così superficialmente cousiderata, ‘presenta moltissime ambiguità. Quegli Etruschi, per esempio, a cui tanto deve il commercio antico, noi li troviamo col nome d’Eu- ganei abitare la Venezia, i cui colli d’origine vulcanica erano un tempo battuti dal mare (6) ; troviamo che il piano della moderna Firenze era tutto inondato dall’ acque. Dovunque s° incontrano Etruschi, dappertutto si trovano grandi lavori eseguiti per dis- seccar le paludi: del qual benefizio apportato alla civiltà pare che infino a’giorni nostri si sia conservato in Toscana l’ istinto : e lo dicono le Chiane; e-tra poco lo dirà la Maremma. Così sappiamo (7) che per ricolmare il pantanoso suolo di Adria , nun lontano dal Pò, gli Etruschi stessi vi fecero scorrere le acque melmose del fiume. Queste circostanze ci lasciano incerti se un popolo sì sollecito delle comunicazioni marittime; che solo per bisogno di salubrità e per cangiamento di fisiche circostanze si dedica alle bonifica- zioni continentali, sia veramente, come il. Niebuhr pensa , di Retica origine. Alla quale indagine potrebbe giovare il confronto delle somiglianze fisiologiche ; idea felice del siguor Edwards, che saggiamente applicata, riuscirebbe al certo feconda (8). La questio- . ne del resto si complica sempre più quando pensiamo che non solo le coste del Piceno erano abitate da popoli di razza liburnica (9), ma che in altre parti d’Italia cotesti Liburni ricompariscono a scompigliare del tutto le nostre idee. VI. Dall’ un lato noi troviamo sul Tevere i Siculi, dall’altro i Reti sull’ Arno; e nel Piceno i Liburni: prendendo queste emigrazioni quali le tradizioni le fanno o quali i dotti le conget- turano ; senza nulla affermare di certo, non si può non vedere però che gli scontri dei nuovi migratori co’più antichi abitanti do- vevano dare origine a lotte più o meno lunghe, più o meno accanite. Se non che la grande differenza che corre tra gli scon- tri delle società non adulte e quelli di nazioni formate già, vale a dire fornite di credenze e di consuetudini ferme (o barbare o civili che sieno) la differenza, io dico, stà in ciò, che 8 le prime si compenetrano a poco a poco , ovvero si dividono trau- quillamente il possesso del medesimo suolo ; dove nell’ altre la guerra è inestinguibile, e la vicinanza è cagione d’ eterne discor- die. Nella semi-barbarie de’ secoli ferrei noi vediamo le due op- poste parti d' Italia , la Sicilia e il Piemonte, occupate da’ Sa- racini, e i Saracini a mezzo il cammino rincontrarsi con gli Unni. Quella invasione fu breve : ma altre più lunghe e più vergognose ci provano che due popoli. già formati non possono convivere insieme sia a titolo di dominio sia di protezione, senza man- tenere continua l’ uno con l’ altro o la diffidenza o l’ odio. o il disprezzo, e sovente tutti e tre questi penosi e a lungo andare funestissimi sentimenti. VII. Molto più evidente pare ai più l’ influenza delle emi- grazioni greche sul carattere italico: ma qui pure le oscurità più s’ accumulano quanto più attentamente si guardi. Quello ch’ è certissimo si è la sapiente e benefica provvidenza delle greche repubbliche , che alle loro colonie non che scemare i diritti della indipendenza ( più preziosi sovente che quelli della libertà ) s°a- doprarono quasi sempre per agevolarne il sicuro esercizio. Così nelle stesse miserie del greco impero noi vediamo sotto l’ ombra sua crescere tranquille e potenti le repubbliche d° Amalfi, di Napoli, di Gaeta , e porgere a tutta Italia un esempio che certo non rimase infecondo nè di virtù nè di gloria. Pare insomma che questa nazione prediletta dalla natura, e infelice per eccesso delle rare sue doti, anche degenerata, anche oppressa, sia sem- pre stata dal cielo destinata a farsi alle genti maestra di libertà. Degradata sotto il ferreo giogo de’ suoi Cesari , essa però non può a meno di lasciar quasi per un involontario istinto sorgere in Italia quella pianta felice che nel suo proprio suolo era spenta. Curvata per tanti secoli sotto il giogo ottomanno , essa tinge nel proprio sangue una bandiera novella sotto cui son forzati ad arruolarsi i suoi stessi nemici; e non potendo più esser ca- gione , diventa occasione maravigliosa d’ un nuovo movimento nell’ europea civiltà. VIII. Una delle difficoltà che s’ incontrano nel percorrere le primitive antichità italiche e nel paragonarle alle greche , viene alla mente dal riconoscere evidentissimo e nella maniera e nella mitologia delle arti etrusche il genio e l'indole greca, e dal ve- dervi insieme una maniera ed alcune immagini ed allusioni che elleniche non si posson certo chiamare. Gli eruditi quì si dividono , come ognun sa, in due diversissime scuole: l' una che dà tutto all’ Italia, 1’ altra che tutto qussi le toglie : pochi 9 de’ più prudenti rimangon perplessi , e lasciano incerto il fet- tore. Se invece d’ accumulare , come il Niebuhr fa , citazioni e autorità d'ogni genere senza distingnerne convenientemente i varii gradi di credibilità, i dotti vorranno dedicarsi più di proposito a quelle indagini cronologiche e di storica. analogia , che in tanto bujo presentano un qualche raggio di luce, si giungerà forse col tempo a dedurre. qualche idea se non più certa, almeno più chiara. Ma quello che al Niebuhr istesso pare notabilissimo in questo soggetto , si è la finitezza , la perfezione di disegno , a cui l’ arte toscana, sebbene noncurante della ve- nustà e della grazia , potè salire ; e la evidentissima rassomiglianza de’ toscani disegni antichi con le opere del novello. risorgimento. E quì pure una nuova analogia ci si offre a notare. Da Corinto, secondo la popolare tradizione vengono in Tarquinia con Dema- rato i due greci pittori a portarvi l’ arte de” vasi (10); da Costan- tinopoli tornano i primi nostri artisti nell’ era novella con idee dell’ arte più gentili e più franche; da’ greci monumenti al suo tempo scoperti in Roma deduce Raffaello nuova perfezione a quel tipo di bellezza che gli sedea nella mente. Tutto ciò nulla to- glie all’ originalità del genio italiano ; anzi rende più sensibile e più ammirabile , in mezzo alle tante quasi fraterne conformità, quella differenza che dal greco genio lo distingue , e lo rende men venusto, men agile, meno immaginoso, men sereno talvolta , ma quasi sempre più grave, più profondo, più affettuoso , de- gno d’ una civiltà più matura (11). Conformità, ho detto, quasi fraterne : e la lingua, non fus- s’altro, lo prova. Io non rammenterò che ne’dintorni di Loeri tro- vasi tuttodì una popolazione parlante a quel che pare il greco pretto (12); che presso alle montagne della Brianza havvi un mon- te chiamato Olimpo , dove i vestiti stessi rammentano i greci costumi (13): ma ripeterò ciò che nota saggiamente il Niebubr: “ che nel latino e nel greco si trovino le stesse parole destinate ad esprimere casa, campo, aratro , vino , olio , latte , bovi, porci, pecore , poma, e tutti insomma gli oggetti spettanti all’agricola e pacifica vita, cotesto non può certamente essere effetto di caso ,,. Gli oggetti al contrario di guerra o di caccia son tutti nelle due lingue diversi. Un fatto simile rincontriamo nella più recente barbarie ; quando gli oppressori adottando la nostra favella , c’im- posero della loro i vocaboli guerreschi, e intedescarono questa parte di lingua, come le invasioni più recenti vennero ad infran- cesarla , e a segnar così nel carattere nazionale un marchio di T. II. Aprile 2 1O dolorosa memoria. Se non che inen vergognoso era in un tempo di dissoluzione sociale adattarsi al linguaggio del vincitore, che non in un tempo di sociale restaurazione ritenere volontariamente e senza alcuna necessità i vocaboli e i modi d’ un invasore clie non seppe ritener la sua preda. Anche questa del linguaggio è influenza di cui solo in Italia rinvenir si potrebbero così strani esèmpi. I nomi di Gal- lia Cisalpina e di Lombardia sono monumenti di straordinarie sventure ; giacchè d’ ordinario il nome del popolo invasore si scambia con quello del popolo oppresso , e le razze spagnuole diventano americane , non foss’ altro di nome (14). X. Dalle cose accennate si conferma 1’ incredibile e indefinita suddivisione e varietà delle razze abitanti le italiane contrade , e si viene a dedurre una conseguenza che la ragione istessa , senza la trista conferma de’ fatti, dimostrerebbe evidente : che unità politica in tale nazione diventa impossibile se una violenta e lunghissima scossa non venga a ravvicinarne gli elementi, a confonderli, e a trarre dalla universal collisione un tutto novello. In due soli momenti un’ ombra di nazionale unità si fece ve- dere all’ Italia: ma dla storia dell’ impero romano e la storia dei quattordici primi anni del secol nostro , dice assai che co- stasse all’ Italia questa forzata ed eterogenea’ composizione po- litica. Nè, di unità disputando, intendiamo noi di parlarne cou altro diritto se non con quello dello storico che dal lontano pas- sato trae conseguenze rispetto al lontano avvenire. Con questa intenzione, alienissima da ogni spirito di parte e da ogni senti- mento sospetto, affermiamo che in una nazione così stranamente suddivisa com’ è questa nostra, una sola unità si può concepire naturalmente possibile: 1’ unità federativa; quella che sempre più o men visibile più o meno efficace fu messa in atto ne’più bei giorni della felicità e della gloria italiana. Una federazione era quella delle etrusche città : per via di federazioni poterono 1 popoli italici resistere alla prepotente ambizione di Roma; e se più forti fossero stati i lor vincoli, per l’Italia forse volgerebbero tutt’ altri destini: una specie di federazione era quella per cui la romana repubblica approfittava de’ suoi troppo incauti alleati a fine di vincere i più ostinati vale a dire i più indipendenti dei suoi nemici; e quando alle amichevoli alleanze successe la sog- gezione forzata , Roma stessa dovette cadere vittima non deplo- rabile della propria grandezza. Così se in luogo degli odii stol- tissimi e delle irragionevoli ire e delle pertide rivalità si fossero le italiane repubbliche del medio evo in nodo federativo sta- II bilmente congiunte contro la straniera tirannide, quali effetti ne sarebber seguiti, assai cel dice la lega lombarda. Altre sortì similmente avrebbe corse la Grecia se il pensiero della lega ‘achaica fosse qualche secolo prima sorto in mente a un uomo di forte volere: giacchè quale tremenda e rispettabile unità possa risultare da popoli e quasi direi da nazioni diverse , lealmente confederate , la Svizzera , 1’ Olanda, gli Stati Uniti sel sanno. Ma tali specie di governo non sono conciliabili che tra popoli virtuosi e non degradati : e soli i progressi della civiltà possono farne generalmente sentire gl’ infiniti vantaggi. Su quest’ idea giova insistere un poco. XI. Lo stato delle società primitive è grandemente favorevole allo sviluppo delle facoltà individuali. La forza della mano, della parola, del senno sono i tre grandi agenti ch’ entrano a domi- nare la società non ancora adulta, e si assoggettano le volontà, le menti, le braccia dei più. Laddove la fertilità del terreno e la naturale svegliatezza degl’ ingegni impedisce le, troppo com- plicate e servili aggregazioni, ivi si debbono di necessità moltiplicare i centri sociali, e sotto questi centri primarii altri centri venirsi costituendo, dove la forza individuale tende sempre ad usurpare i diritti altrui , ad invadere terreni , poteri, sostanze, amicizie, commerci. Ora non v’ ha cosa alle grandi e potenti as- sociazioni più funesta , di questa individualità che vuol farsi cen- tro di tutto, e che invece di girare nell’ orbita propria intorno ad un punto comune, nel rompere gli ordini altrui e nel di- sturbare gli altrui regolari movimenti rinviene la propria puni- zione e rovina. Le complicate unioni da cui risulta la concordia e l’energia delle piccole masse, richieggono una grande annegazione di forze: conviene saper rinunziare all’esercizio arbitrario di certi di- ritti per assicurarsene lo stabile e proficuo possesso; e ciò tanto nelle relazioni da uomo a uomo quanto da popolo a popolo. Di questa necessità il dispotismo suole dall’ un lato abusare inculcando l’an- negazione di tutti insieme i diritti, e lasciandone appena quel tanto che basti a compiere certi doveri utili a chi comanda: della imprescrittibilità dei diritti abusa dall’ altro lato o 1’ ambizione o l’imprudenza di certi declamatori per ricondurre la società allo stato d° infanzia in cui lo sviluppo illimitato delle forze indivi duali è l’ unico scopo d’ ogni. desiderio e d’ ogni atto. Da questo illimitato ed imprudente sviluppo proviene inevitabilmente l’in- grandimento d’ una potenza unica prevalente , la quale assoggec- tandosi le altre tutte, conduce alla schiavità del braccio e del- l’anima. In questo misero stato ridotte le mazioni abbisognano 12 d’una virtù o religiosa o civile la quale risusciti, per così dire , 1’ individualità smarrita per 1’ abuso delle proprie sue forze , e che per la medesima causa tornerà di muovo a smarrirsi quando non rinunzi a que? diritti che non si possono porre in co- mune se non se temperati e raccolti in tranquilla armonia. Quelle nazioui pertanto che peccano per abuso di forza intellettuale e morale , quelle son le men atte a comporsi in forti federa- zioni , ad accorgersi di non poter bastare a se stesse. Tale fu la Grecia ne’ suoi tempi più belli: tale ne’ due o tre secoli della libertà più fiorenti , 1’ Italia. E questa annegazione della parte , se così posso dire, sovrabbondante della propria forza, sola la virtù può insegnarla e ridurla ad effetto. Quindi la verità che abbiamo più sopra indicata: essere impossibile il governo federativo in una nazione corrotta. XII. E° pare del resto ch’ anco in siffatte federazioni 1’ omo- geneità delle razze conservi una certa influenza. Confederati ed oriundi da un ceppo comune erano i Marsi, i Marrucini, i Ve- stini, i Peligni: di razze omogenee quasi tutte erano i collegati Lombardi. Ma che la varietà delle razze non sia nemica d’ ogni vin- colo federale, lo provano , oltre agli esempi recenti, quelle etrusche città che , se alle tradizioni crediamo e ad altri indizi , vantavano origine grandemente diversa. Tarquinia, al dir di Giu- stino , occupata da’ Tessali , Perugia dagli Achei, Chiusi da Te- lemaco , al dir di Servio; Pisa da’ Pelasghi, secondo Dionigi ; saranno , se così piace, notizie da riporsi nella mitologia della storia ; ma indicano almeno una varietà grande di razze ; che pur non rese impossibile il vincolo delle politiche confraternità. XIII. Un effetto bensì della detta varietà , che può dirsi indi- struttibile , si è la varietà di nazionali costumi, che nel lungo corso di secoli si mantiene in modo ammirabile. La storia antica ci dipiuge i Sanniti, i Marsi, i Peligni bellicosi e devoti alla libertà ; timidi i Picentini , i Sabini giusti e pii , saccheggiatori i Lucani ; i Sabelli tutti, ei Marsi segnatamente, professori d’au- spizii e d incanti. Chi bene esaminasse oggidi le popolazioni no- minate , vi troverebbe forse i germi almeno del carattere antico: fatto è che dagli Abruzzi vengono ancora e in Roma ed in Na- poli gl’incantatori ed i ciarlatani. Certo, se noi badassimo non ad altro che alle circostanze politiche od alle geografiche divisioni , non potremmo indovinare la ragione di alcune evidentissime differenze di carattere e di co- stumi tra popoli confinanti. Perchè si distingue egli tanto il ro- 13 mano dal romagnuolo , il veneziano dal veneto ? Perchè. tra lo- digiani e cremaschi , tra roveretani e trentini, tra vicentini e padovani, varietà così notabili, antipatie così forti ? Perchè in uno stesso territorio , e talvolta nella stessa città, gli abitanti dell’ un borgo hanno abitudini e fisionomia. e pronunzia lor propria? Fatti così singolari e così \poco osservati non si spiegano nè con la linea di latitudine nè con la qualità del governo. XIV. Anche le influenze politiche servono però ad accre- scere, a modificare, talvolta ad elidere le influenze delle stirpi, segnatamente in ciò che spetta a’ costumi. La forza che viene dalla concordia , e che la concordia suppone ; l’eleganza virile e magnifica che viene da un’ associazione operosa tendente a fini di reciproca utilità, dovevano infondere nell’arti degli antichi etru- schi quel genio non curante dei molli ornamenti ma che cerca il bello nel grande. — Mi si opporrà forse che questo è il natu- ral carattere dell’ ingegno toscano , il quale , ricco d'una innata grazia ed eleganza che si trasfonde nel suo linguaggio del pari che nelle fisionomie (16), par che aspiri come ad apice del suo sviluppo, alla forza. E questo fatto io concederò volentieri: ag- giungerò di più, che nè forza vera s’ottiene senza eleganza, nè vera eleganza senza forza , appunto come senza la bellezza de’ fiori non s' ha la dolcezza del frutto, e senza la sanità delle membra morboso diventa più che gentile e il pallore e il rossore del viso. Aggiungerò ancora un’ osservazione ovvia affatto, ma degna d’essere meditata: che la proprietà dominante degli alti ingegni toscani, è la forza. Da un dialetto sì morbido, da un clima sì dolce, parrebbe che e le arti della mano e quelle della parola dovessero pigliar qualità di aggraziata e quasi molle leg- giadria. Nè la grazia vi manca, ma esce involontaria quasi e non meditata, come da ramo robusto spuntano i gai colori del fiore. A giudicare dalle apparenze , si direbbe che il Tasso , l’Ariosto , il Savioli, il Vittorelli, Raffaello, Albano, e Appiani e Canova dove- vano esser nati toscani: ma toscani sono all’incontro Dante Ali ghieri, Arnolfo di Lapo, Filippo Brunelleschi, Nicolò Machiavelli, Marsilio Ficino, Bartolommeo di San Marco, Michelangelo Buo- narroti, Galileo Galilei. E fin ne’ recentissimi tempi questa ten- lenza invincibile all’energia si venne manifestando dapprima in modo difettoso nelle liriche del Fantoni e nelle satire dell’Elci : poi, in modo più degno, nello stile tragico del Niccolini e nelle opere del Sabatelli, del Pampaloni e del Costoli. Convien dire infatti che tra l’ eleganza e la forza corra un’armonia secreta e necessaria, se il poeta che amò la forza fino alla durezza sentì, sv per SPIRE, prepotente il bisogno d’ assumere quasi a stru- mento di quella la toscana eleganza. Nè forse andrebbe errato dal vero chi sospettasse che questo continuo aspirare ad un pregio più alto della semplice grazia del dire è una delle ca- gioni per cui le toscane eleganze vengono negli scritti toscani curate sì poco; e profanate assai spesso e violate dagli scrittori inesperti , i quali, violandole appunto, credono di arrivare alla forza e alla dignità. — Ma tutte queste cose concesse , riman vero nondimeno che e nel linguaggio dell’ arti e nel civile co- stume, le istituzioni civili possono assai più che le origini antiche. Con la qual norma noi potremmo condurci a spiegare appunto molte discordanze che tra il presente e il passato s’ osservano deplorabilissime , se questo delle cose politiche non fosse troppo odioso e troppo inutilmente pericoloso argomento. Ma un solo esempio noi addurremo ; e sarà un’ apparente eccezione al fatto da noi osservato : io dico, la maniera dolcissima del Petrarca e del Poliziano. Che così molli , come dagl’ italiani versi apparisce, non fossero quelle due anime predilette dalla natura, lo provano e le altre opere loro e la canzone all’ Italia. Ma 1 uomo che scrisse la storia della congiura de’Pazzi, e 1° uomo che meritò dal Boccaccio rimproveri così amari per la sua cortigianesca con- discendenza (17), qual maraviglia se, annegando spontanei parte dell’ innata energia , altri accenti non seppero trovare che di morbida gentilezza ; e potendo discorrere fiumi sonanti , susur- rarono dilettosi ruscelli ? i XV. Siccome nella rimota antichità così nel secondo risor- gimento le politiche glorie infusero nel carattere e nell’ arti to- scane quella tanta efficacia che le rese sì potenti sull’ italica civiltà. Chi volesse attentamente indagare le antiche memorie, troverebbe che in tempi quando tutte le italiane provincie lan- guivano oppresse o da antichi o da novelli invasori , la Toscana fra tutte si stette se non immune , certo assai meno infelice. Basta rammentare il nome della contessa Matilde: le cui dona- zioni sebbene troppo forse spiacessero al Ghibellino sdegnoso, non poterono tanto in lui ch’egli non consacrasse alla riverenza de’po- steri il nome di questa rara donna ponendola quasi mediatrice tra il pentimento e la grazia, tra la terra ed il cielo (18). E l’unità che a’snoi amplissimi stati veniva dal governo di lei, non dev’ella esser giovata alla formazione e alla diffusione di quel soave lin- guaggio che forse è destinato ad essere nuovamente europeo e a conquistare all’ umanità nuove terre nel regno interminabile del pensiero? In luogo di cercare con ostile ansietà fram- 15 menti di notizie mutilate e di poesie ricorrette, per concedere alla corte d’ un imperatore tedesco il vanto d’ aver creata la lingua d°’ Italia, si pensi che molto innanzi del regno di questo tedesco, Guido il duca di Toscana era in Italia tal personaggio da essere assunto al talamo dell’ ambiziosa Marozia, la domi- natrice di Roma; ch’ egli potè insieme con essa nel bel mezzo di Roma chiudere un Papa prigione ; e che Ugo il duca di Pro- venza, era a Guido, duca di Toscana, fratello; fratello a Lamberto duca di Spoleti, fratello ad Ermenegilda marchesa d° Ivrea, figlio di quella Berta che nata da Lotario, dopo essere stata moglie ‘al duca di Provenza; fu moglie al duca di Toscana Adalberto. Que- ste sole.circostanze ci spiegano più di mille citazioni le cause della tanta affinità de’toscani modi co’provenzali; ammessa però come causa primaria la naturale affinità delle lingue. XVI. Quanto le vicende politiche possano sul costume, la Magna Grecia anch’essa cel mostra, che ritemprata da tante sven- ture , poco, a quel che sembra, ritiene dell’ antica mollezza. E meglio ancora la misera Lombardia ; dove misti all’oppresso po- polo italiano , gl’ invasori anch’ eglino oppressi. dal pesante te- desco, s’affratellano alla difesa de’comuni diritti, e diventano per lazione de’ secoli un popol solo: se non che forse la diversità dei tipi fisionomici ancor li distingue (19). Così la. tradizione (simbolo sempre di verità ) per testimonianza di Tucidide ripor- tava che sulle rive della Sicilia i vinti troiani insieme co’ greci della Focide , umiliati dalla sventura , si costituirono in citta- dinanza comune. --- E similmente; se noi sape-simo alcuna cosa di più preciso intorno a’ governi dell’antica Venezia, troveremmo che ad essi in gran parte conviene attribuire. quella. mollezza ineredibile con cui nell’ atto che tutti i popoli italici alla ro- mana usurpazione resistono; coteste provincie di per sè s’assogget- tano alla protezione dell’ aquila senza pace. < Nella guerra cisal- 3; pina, dice il Niebuhr. di loro , e’ si trovano sudditi di Roma, 3; senza conoscerne il. come ,,. Così ne’ tempi moderni al- aprire d’ un altra guerra cisalpina ; e d’ altri Galli guidati da un italiano , la veneta indipendenza si dilegua ; e ne ignora il come ella stessa. Una bella mattina Venezia si desta dal me- ridiano suo sonno , e trova. sulla piazza di San Marco sdraiati sotto all’a!bero della libertà gli sguaiati che ridono dell’inquisizione e de’ piombi, e del suo muto dolore e della sua tranquilla paura. Così sott’ altre forme *si rinnovellano nella vita de’popoli le stesse vicende ; e vicende sempre nuove sotto le medesime forme: così la sventura di certe terre par ch’ abbia un nun so che di ne- 190) cessario e d’ inesauribile come la fecondità della lor serena ver- zura: eppur di fatale non havvi nel mondo se non quella pro- vida necessità che alla colpa trae dietro le pena. XVII. Cotesto singolare rinnovellamento di casi, cotesto non casuale riscontro di circostanze , che s’avvera siccome nella vita degl’ individui così in quella de’ popoli, diede a taluni ragione di credere che una certa legge presiedesse ai civili e politici mo- . vimenti , e li mutasse o riconducesse se non con monotona sim- metria certo con un ordine e con un fine evidente. È questa una delle idee più feconde nel libro del Vico: e tutti coloro che me- ditarono un poco sull’ andamento delle umane storie, ad essa rie- scono per vie diverse. Siccome in tutte le grandi e generali idee così in questa, egli è facile lasciarsi sedurre dalla sua bellezza per volerne ottenere più ch’essa offrir non ci possa; egli è facile lusingarsi di assoggettarvi de’fatti che sott’essa non cadono; egli è facile insomma pretendere di voler ricondurre 1’ immensa e svariatissima verità nelle angustie degli umani sistemi. E si noti che il non volere ammettere nell’andamento della storia al- cun principio . alcuna legge dominatrice , e lasciarsi etrascinare od illudere dalla varietà delle estrinseche circostanze, da’ pre- stigii della tentazione presente, e dalla luce de’ fatti minuti sempre incerta e cangiante, è vizio sistematico del pari che il voler tutto ridurre a principii , e co’ principii non solo spiegare i fatti, ma tiranneggiarli e sperare di vincerli. Ne’brevi cenni che ancor ci restano a fare sul nostro argo- mento , noi ci limiteremo alle semplici osservazioni del passato , lasciando che ciascun da se ne deduca le conseguenze che più legittime gli parranno. Considerando le parti d’ Italia che nell’ Europa moderna tennero un posto e sorsero ad efficace grandezza , troviamo la città di Venezia , la città di Genova, gran parte della To- scana ; Roma, quando i Pontefici difendevano con l'autorità loro l’Italia se non dalle incursioni almen dall’ estremo furore ne- mico ; la Lombardia nel momento della gran lega ; il Piemonte in tempi a noi più vicini. Se quì non nominiamo nè la casa di Svevia (20) nè lo Scaligero nè Uguccione , egli è perchè non cre- diamo che questi uomini ; nella sfera loro potenti , abbiano diret- tamente cooperato alla gran causa della civilta, ch'è la vera, l’unica gloria d’ un popolo. Nell’ Europa antica troviamo «i questa gloria attiva parte- cipi, la Toscana ancora , la Magna Grecia , e Roma. XVIII. Da ciò putrebbe taluno conchiudere che l’Italia mo- HZ derna è più che 1’ antica benemerita dell’ Europea civiltà; e di quì potrebbe dedurre. motivo a lontane speranze. Noi, lasciando le speranze da un canto, osserveremo che 1° Etruria antica , per quauto noi ne sappiamo, pochi vanti, dar si potrebbe sulla To- scana del secolo decimoterzo e del decimoquarto. La magnificenza de? primi monumenti è compensata se non -dalla grandezza. dalla venustà de’ moderni :' le antiche superstizioni, nessuno vorrà contrapporle a una religione abusata talvolta, ma non però meno pura e meno civile. Quanto alla potenza politica , certo in un fatto l’ antica Etruria all’ erede del suo nome sovrasta di molto ; nella sapienza delle civili federazioni e nella concordia fraterna : ma se tanto poterono le toscane città rivali, ne- miche , contaminate dagli odii, e per eccesso di forza con- dotte alla debolezza d’invocare ad ogni tratto l’invasione stra- niera, di quanto non avrebbero avanzato gli esempi de’ loro antenati se tali elementi di virtù si fossero potuti conden- sare in virtù vera , e dar luogo a quella ch’ è il simbolo della grandezza vera d’un popolo: nna, pace onorata? Se. poi la Magna Grecia e l’ Etruria fossero 1’ unica vita dell’antico com- mercio, come fu nel medio evo Genova , Pisa, Venezia, sarà lecito almen dubitare. Chi lesse la bella dissertazione dell’ illu- stre Mengotti, sa che pensare del commercio di Roma; e, vede chiaramente che alla prepotente e provecatrice romana gran- dezza sono dovute in gran parte le sventure d’Italia. Pen- siero insieme terribile e consolante. Roma, fatta centro alla civiltà della terra , non seppe crescere di potenza senz’ attrarre con sempre più forza sopra di se la barbarica ingorda vendetta : e alle moderne italiane repubbliche nate dalla sventura , e con- servanti ancora il callo doloroso dell’ antichissima schiavitù , spettava ad esse il liberare l’Italia da que barbari che la già li- bera Roma vi aveva attirati. Questo splendido uffizio,.sola la Lom- bardia seppe degnamente compirlo : gli odii fraterni fecero quasi sempre agl’italiani onorare un liberatore nel proprio tiranno , un alleato nel proprio nemico. XIX. Giova del resto ripensare attentamente sulla misera sorte quasi sempre destinata a que’ piccoli punti politici che si costituiscono centri di civiltà in troppo vaste circonferenze a di- spetto degli uomini e delle cose. Cura di tali governi è d’ordi- nario ridurre tutta in quel piccolo centro la forza e la vita in- tellettuale e civile , non lasciando altr’ azione al di fuori che la dispotica e la militare. Il destino di Babilonia, della Persia, e di T. Il. Aprile. 3 18 Roma assai ci dice il destino che minaccia queste centralizza- zioni violente : e se le conquiste di Sesostri , d’ Alessandro e di Carlomagno non si fossero con la loro morte smembrate ; e sciolte da quella catena che le teneva avvinte al carro d’un principe fortunato , assai più triste sorti avrebbero probabilmente oppressa e la Grecia e l’Egitto e la parte occidentale d'Europa. Il troppo vasto impero di Costantinopoli , come cadesse a brano a brano sotto la scimitarra ottomanna, come la barbarie trionfatrice pri- ma de’ Russi e poi de’ Mussulmani venisse minacciosa ad ac- camparsi sotto le mura di Costantinopoli, troppo inegual cen- tro a circonferenza sì vasta, ‘chi può pensarlo senza un affet- to di compassione insieme e di gioia; di gioia dico, in vedere ch’an- che il dispotismo ha i suoi limiti ; di compassione , al. conoscere che e al dispotismo e alla tirannide possono sopravvivere le sventure d’un popolo degradato. Fatta centro di un nuovo impero vastis- simo, Costantinopoli vede di nuovo e più volte sotto le sue mura sventolare il vessillo nemico, e deve o al caso o alla vo- lontà del vincitore un avanzo di vita: ma questo medesimo vin- citore impacciato anch’ egli dalla propria grandezza , vede la sua vanguardia rivoltarglisi contro , e farsi forte d’un affetto, e vincer con esso i cannoni e le spade, e conquistare l’ ammi- razione del mondo. Ell’è una legge di natura cotesta, che rompe ogni aggregazione violenta, e fa svanire ogni forza che al di là di certi limiti vogliasi dilatare. La baionetta francese confic- cata sui ghiacci del Dnieper, attrae sulle rive della Senna 1a lancia cosacca. Parigi non potev’ essere il centro di tutta 1’ Eu- ropea civiltà; come nè Milano poteva un giorno aggirarsi quasi satellite intorno al lontanissimo trono d’un barbaro chiamato Fe- derigo Barbarossa. Alla Francia son più peso che onore le ame- ricane colonie : all’ Inghilterra le sue, liberate, giovan più che non suddite: nulla dirò della Spagna , la cui recente infelice spedizione ben prova quel ch’ ella può in avvenire aspettarsi dal rigido sostenimento de? suoi titoli antichi ; titoli ormai negati col fatto da tutte le potenze europee. XX. L’ eccesso dunque della forza è principio certissimo di debolezza: le soprapposizioni di dominii non costituiscono la po- litica coesione: e quando un sovrano è ridotto a mantenere le sue possessioni lontane con la violenza dell’ armi, con quan- t° ha di più basso la politica del sospetto, allora si può ben dire che il suo regno è finito. Quel poco che ancor gli rimane d°’ influenza ;, egli ne abuserà per sempre più inde- bolire le prossime e vitali sue forze , per aggravarsi di nuo- 19 vi pesi d’nmiliazione e. d° infamia; ma la vasta sfera do- v' egli aspirava di collocarsi, gli sarà d’ ogni parte mozzata, ri- stretta , certo con sua vergogna, se non con vantaggio de’popoli da lui liberati. Ed in questo le sventure dell’Italia posson forse essere più d’\una .volta giovate alla. civiltà dell’ Europa e alla libertà de’ popoli più lontani; che sui campi di lei, quasi in san- guinosa arena si vennero a decidere le sorti del genere umano. Una sola volta, nella guerra persiana, potè la Grecia porgere al mondo non pure un nobile esempio, ma un immortal benefizio. L’ Italia, incominciando dalle primitive, ed oscure. migrazioni de’Pelasghi, e scendendo alle invasioni più note de’Galli e de’Gim- bri, fu quasi lo scoglio a cui vennero a rompersi le onde minacciose de’ lidi lontanissimi : ese il più delle volte fu essa medesima la vittima ‘espiatrice dell’ ire, con la propria sventura contribuì forse, al bene ‘dell’ umanità. più che non altri con la gloria de’trionfi. I suoi tanti invasori, venuti a lotta di morte su que- sto ambito terreno, ne furono a migliaia inghiottiti: i frutteti di cui speravano assaporar la dolcezza, non servirono che a difen- dere le ossa loro d’ombra ospitale; e questo suolo fu impinguato non dai loro sudori, ma. dai loro cadaveri , per. allettare con la \sua nuova amenità nuovi invasori a, combattervi ed a morire. Così la.bellezza tiranneggiata si vendica collo spossare le forze del brutale amatore : così l’Italia costretta a, porgere allo stra- niero inesorabile il tributo de’ propri. dolori , n’ottenne spesso suo malgrado un tributo di sangue. XXI. Senza riandare tutte le grandi sventure di cui I Ita- lia fu occasione allo straniero e vittima sovente ella stessa , ac cenneremo qualcuna delle più memorabili. È opinione agli oltramontani accettissima ‘questa d’ imma- ginare che la civiltà europea avrebbe corsi. assai migliori destini se. Cartagine non fosse stata la vinta: .e io conosco stranieri in- signi che passando;da’luoghi ‘illustrati dalle vittorie d’Annibale, esultavano (ancora .al pensiero della romana arroganza umiliata e compressa. Un non so che d’antichissimo odio nazionale a, questa opinione si mescola, ela rende acre come una passione, cieca poco meno d’ un pregiudizio. Così noi vediamo che un genio prepo7 tente giunse con! l’ eccesso delle ingiuste ambizioni. a, spegnere in petto de’ suoi. nemici quell’'ammirazione religiosa; che, al genio anche malefico è sempre dovuta: e abbiamo sentito pre- ferire ad un Bonaparte un lord Wellington; ch'è un po’ più, per dir vero , che il preferire Cartagine a Roma. Ma poichè ci venne.rammentato questo confronto, non nuovo, tra l'Inghilterra 20 e Cartagine; nòi risponderemo con esso all’opinione suddetta : e osserveremo che Cartagine vincitrice avrebbe fatto dell’ Italia e del ‘resto d’ Europa (se pure era mai cosa possibile che Carta- gine divenisse al par di Roma centro \a sì grandi conquiste ) n’avrebbe fatto quel ch’ ora fa 1° Inghilterra ‘dell’ Indie ,, del- I’ isole otite} e quel che farebbe di gran parte d’ America se non fossero sorte in tempo ( protette dalla Francia che allora conosceva i propri interessi ) le emancipate americane colonie. Adunque, non che ‘considerare come una sventura europt: le sconfitte d’ Annibale , io credo che le sue vittorie, coronate da finale successo, sarebbero riuscite funeste e a' popoli d’allora e alla posterità più lontana ; e che la falsa ed usurpatrice poli- tica di Roma doveva assai meno impedire i progressi della. ci- viltà. E ciò per varie ragioni: — perchè la forza ; talvolta bru- tale, dell’ armi romane era meno da temere della commerciale astuzia e del freddo egoismo dell’ africana rivale : — perchè 1a comunicazioni dal commercio agevolate (20) in tutti i punti del punico impero avrebbero! reso più pesante il'giogo e più dif-- ficili tutte quelle rivoluzioni dal cui trambusto. doveva dopo molti secoli uscire ùn mondo novello :>-= perchè la geografica posizione di Cartagine non avrebbe potuto invogliare i barbari delle lontane contrade a rovesciarsi sopr’ essa e così preparare quel grande ravvicinamento di costumi; di razze e di lingue al quale 1’ erà moderna: deve la dolorosa smna origine. Strana verità, ma che merita d’essere meditata! Quelle! che ‘noi consideriamo come lé' più gravi sciagure d°’ Italia furono | per 1’ europea civiltà memorabili benefizi. Chi sa di quantisecoli si sarebb’essa ritardata se ciascuna nazione: rinchiusa nei ‘propri limiti ‘ avesse dallo sviluppo delle proprie forze aspettato un essere più degno dell’ umanità ? Chi sa quante inutili. guerre fraterne tra vicini e vicini ‘si sarebbero consumate con immensa spesa e d’ onore e di sargue prima che un pensiero di fraternità universale sorgesse in mente ad uomini sì divisi da mari e da monti, e da abitudini e da interessi e da passioni veementi ? Un ‘punto era necessario, in cui quest’ acque straripando venissero a confondersi insieme, e lasciar quasi torbida posatura nel fondo i pregiudizi dell’odio e dell’ amore smodato. Da questo gran cozzo ‘di forze contrarie doveva nascere il primo vincolo o per dir meglio la prima possi- bilità d’una grande alleanza .; e l'estremo abuso della forza do- veva insegnarne l’ uso più proficuo ‘e più saggio. Questo. punto di comune contatto fu, grazie alla suà malaugurata bellezza. e agli antichi torti della sua:invaditrice ambizione , 1 Italia: Quì 2i vennero i barbari a congresso da tante regioni diverse ; quì, com- battendosi per la prima volta , si conobbero ; e dal loro abboc- camento di morte sorsero in Europa e lirigue e letterature ed arti novelle: la religione distese gl’ influssi della sua potente , sebbene non rispettata unità ; la politica fu la più tarda a par- tecipare del comune rinnovellamento , perchè la politica è Vul- timo e più penoso risultato de’cambiamenti d’un popolo, e sempre conviene che si mutino gli animi fin dal fondo prima che cangino d’una dramma i sistemi diplomatici o legislativi, o pur le for- me di governo ‘estrinseche e meramente ‘apparenti. Ma certo, se un cambiamento era sperabile ; non ‘potea venire che da queste fusioni più o meno passeggiere, più o men violente dell'una nazione con'l’ altra. E (per recarne un esempio recente) que’Po- lacchi che sotto il francese vessillo vengono a versare il loro san- gue in Italia; que Russi che passeggian 1’ Italia per vederla e fug- gire ; que’ Cosacchi e quegli Scozzesi che montano la guardia a Parigi ; que’ Francesi che riempiono del lor nome 1’ Italia ‘e la Grecia , la Russia e la Spagna, la Germania e 1’ Egitto, la Dal- mazia ed Algeri; quegli Austriaci alle ‘cui grida risponde 1’ eco di Waterloo e di Fontainebleau , di Milano e di Napoli ; que- gl’ Inglesi che accorrono a proteggere 1’ Italia , il Portogallo , la Spagna; que’Greci che profughi a migliaia, trovano anche.in Îtalia un asilo; e lo trovano da un romano pontefice , cotesto movi- mento continuo di uomini e di nazioni e di principii che aspi- rano ad uscire da’ propri confini } e o per buone ragioni o per malvage a traboccar da ogni banda; non è egli un indizio elo- quente di quell’ impulso che la mano di Dio impresse nella so- cietà, preparandola per la via delle sue proprie follie ad una ‘insperata e ‘riforma e grandezza? Non è egli un fatto che le tante sventure che inondano da quarant'anni 1° Europa, non che irritare gli odii e invelenire gli orgogli , disposero sempre più i popoli tutti ad amarsi, a rispettarsi, a compatire alle fraterne disgrazie, a gioire della fraterna libertà ? — I popoli, ho detto : de’ governi non parlo. È XXII. A questo uffizio pertanto di ravvicinare le umane fa- miglie e iniziarle a un più degno avvenire, fu troppe volte, per sua ‘sventura e per bene dell'umanità. destinata 1’ Italia. Ho rammentata Cartagine : e se non fosse alquanto alieno dal mio assunto , potrei rammentare la: non men terribile guerra Mitri- datica , guerra mossa ai destini d’ Europa da. nna. tirannide as- sai più brutale e malvagia che la romana non fosse; guerra dal- l’ armi italiane definita ; e dal genio d’ un uomo a; cui la. po- 22 sterità, sempre adulatrice de’fortunati successi , non par che vo- glia concedere quella gloria che i suoi vizi e le sue debolezze possono appannare bensì, non estinguere. Io parlo dell’infelice Pompeo , le cui memorabili imprese tutte si possono dir con- sacrate al principio della giustizia e della civiltà , dove quelle di Cesare (dalla guerra Gallica incominciando , assai men giusta ch’ egli non la faccia parere ) tutte portano il carattere di pro- vocazione ambiziosa e tirannica. I veri e grandi pericoli della repubblica , fu il genio di Pompeo che li vinse : Cesare, appro- fittò del favorevole istante per vincere e Pompeo e la repubblica: simile in ciò a Napoleone, che le eroiche vittorie da gran ca- pitani in nome della rivoluzione riportate , pose quasi sgabello alla sua dittatura. Dittatori ambedue; ambedue schiavi di un’am- bizione infinita; ambedue mirabili e per debolezze e per forze dominatrici d’un secolo ; ambedue non men valorosi che accorti, non meno' simulatori che arditi; ambedue narratori avveduti ed inimitabili delle proprie geste ; ambedue colpevoli dell’aver sacri- ficato a una fronda d’alloro la pace del mondo ; ambedue bene- meriti d’ aver con le lorò ingiustizie , aperto il varco ad una serie d’ avvenimenti da cui più.o men tardi dovea sorgere un ordine di cose novello, inaspettato , incredibile. Italiani ambedue. XXIII. Sui campi d’Italia fu più volte disputato dei de- stini del mondo: Canne lo dica, e Marengo. = Ma l’Italia il più delle volte fu posta quasi prezzo al vincitore;; come la favola dice di Deianira. I.suoi cambiamenti non furono che no- vità di dolori: e il dolore più pungente fu sempre per lei la vergogna d’una speranza delusa. Ma ad ogni modo, non è egli questo un' singolare destino che fece di lei quasi il nodo delle grandi questioni politiche, definite finora con le catene, col laccio, e col ferro? E da un terreno consacrato da tanto sangue non escirà alcuna voce di rimprovero o di consiglio agli oppressori avve- nire? Oh se da queste zolle feconde alzassero il capo que’milioni d’ infelici che, per l’Italia morirono, questo esercito di spettri tuonerebbe contro gli spietati invasori un grido terribile come il rimorso ; se il rimorso fosse terribile, ad altri che al malvagio infelice. XXIV. Ma sarann’ elleno sempre necessarie coteste: violente fusioni. o.ravvicinamenti de’ popoli per agevolare: progressi del- 1’ umanità PE la pianta sacra della civiltà dovrà sempre essere innaffiata di sangue? «= No : speriamo. Sorge ormai una nuova potenza a stringere con vincoli fortissimi i popoli.più lontani, a dirigere tutti i movimenti dell’ umanità, quasi d’ un sol uomo , 23 a un gran fine; a rompere le vergognose barriere che innalzava tra gente e gente un amore gemello dell’ odio , un interesse ne- mico di se medesimo: la potenza, io vo’dir , del pensiero. Quello che nella gioventù del mondo operarono le tradizioni trasmesse di famiglia in famiglia , e quindi di nazione in nazione, deve nella sua non lontana virilità operare la stampa. Le tradizioni, deposito venerabile di religione, di scienza, di politica, di poesia; sacro fuoco di cui l’ antichissima civiltà ( più splendida che noi non pensiamo ) non fu che scintilla, le tradizioni governarono il mondo, furono l’ eco della Provvidenza celeste, il raggio illu- minatore delle tenebre umane. E se, innauzi che le ultime loro reliquie svaniscano dalla memoria de’ popoli , una scienza meno orgogliosa e più filosoficamente amica del bello vorrà racco- glierne i dispersi frammenti, noi troveremo tuttavia da ammirarvi un carattere di sapienza , d’universalità, di armonia veramente divino. Ma l’ epoca delle tradizioni in gran parte d’ Europa è fi- nita: di quì a un secolo e forse più presto succederà l’ era della scienza scritta , e resa popolare veramente, cioè sentita da tutti necessaria come il pane quotidiano. Se quest’ era novella sia o no più desiderabile dell’ antica , ell’è questione difficile a sciogliersi, e forse vana; perchè il cangiamento di cui par- liamo è inevitabile ormai. Allora nella comunità del pensiero si aggregheranno tutti i popoli della terra, non ignari de’ propri interessi e de’ propri destini: allora la verità non avrà bisogno d’essere portata sulla punta delle baionette da un esercito di vitti- me mandate al macello, a quel modo che i semi d’alcune piante s’attaccano al vello delle gregge pascenti, e così vengono trasporta- te in paschi lontani; ma volerà libera e spedita a guisa di quel- l’aure fecondatrici che superano ogni frapposto intervallo per ri- posarsi sul fiore che non sa fruttificare senz’ esse. Abbiamo dunque nell’ istoria delle peregrinazioni della ci- viltà tre stadii diversi: quello delle tradizioni, paci fico e teocra- tico : quello delle fusioni e degli attriti violenti, da’quali si for- mano nuovi composti di abitudini, e s’ accendono nuove idee ; stadio della monarchia tiraunica, dell’aristocrazia oligarchica, della democrazia brutale: quello infine della stampa, stadio delle grandi federazioni costituzionali , monarchiche , democratiche , stadio di tranquille conquiste, operate non dalla forza ma dalla verità, non con l’arme da taglio e da fuoco , ma con un arme ben più ta- gliente e infiammata, con la parola. Chiunque si sforza di far re- trocedere i popoli da questo terzo stadio verso cui già s’ incam - minano con più o men libero passo ; non fa che rispingerli nel 24 RA stadio di dolore, di rovina e d’ infamia. Chiunque vuol tarpare il volo alle idee non fa che acerescer la, foga delle palle nemiche: chiunque paventa l’ invasione d’un principio non può che aspettare l’invasione d'un esercito. Non resta che a scegliere fra un cruento ed un incruento sacrifizio, fra Ja gloria di vincere l:sciando operare la verità, e Ja vergogna d° esser vinti. contra- stando al movimento delle idee e degli affetti, ormai legittimo perchè insuperabile. Nè vale opporre che il pensiero promulgato per via delle stampe diffonde insieme col nutrimento il veleno, insieme con la vita la morte: questa medesima accusa potea già moversi contro le tradizioni, che l’ ignoranza o la malizia al- terava, travisava, falsava a capriccio. Quì almeno siam certi che la verità sarà ormai fedelmente trasmessa : quanto all’ errore, non è questo un male che l’annichilamento della stampa potrebbe tor via. Con cotesto ragionamento converrebbe arrestare il be- nefico volo de’ venti perchè trasportano talvolta con se aliti rei e pestilenti ; arrestare le pioggie fecondatrici perchè se ne in- grossano i torrenti e talvolta ne straripano i tiumi. Pensate alle dighe: e non maledite i benefizi del cielo. Già non li potreste impedire. In questa terza epoca l’Italia, speriamo, rappresenterà una parte più degna di lei sulla scena del moudo : ma questa ter- z’ epoca è per lei forse più che per altri lontana. Allora non più passiva sarà la sua influenza sui progressi dell’ incivilimento europeo: allora ella troverà ben miglior modo di vincere i violenti che quello di soffrirne gli assalti e d’ ingoiarne i cadaveri : allora potrà con altra voce che con quella delle proprie sventure ammaestrare le genti. XXV. E non è già che sin ne’ tempi più miseri essa non abbia promulgate delle utili lezioni, offerti de’ nobili esempi, e presa una parte attiva ai sociali progressi. Noi non ripeteremo que’ vanti boriosi che lei dicono maestra del mondo in tutto, lei predicano prima tuttavia tra le nazioni per sapienza e per senno. Non si confonda il potere con l’essere; il desiderio, la memoria, la speranza col fatto. Troppo deplorabilmente ‘ contrastano con lo stato nostro queste misere ostentazioni. Ma non sarà egli lecito all’ Italia il rammentare che in mezzo alle tenebre della comune barbarie a lei venne affidata la fiaccola del romano diritto, a lei il deposito dei monumenti dell’ antico sapere , a lei il fuoco sacro delle arti ? Che fu un tempo e non breve quando i suoi ponte- fici sedettero arbitri dei destini del mondo , e sostennero la cau- sa dell’ umanità e dell’ incivilimento coutro quella dell’ igno- 25 ranza madre e alleata della tirannide? Che italiani furono i più grandi e più originali settatori dell’ antica filosofia , quelli che tramandarono a’ lor nipoti una scienza ispida sì ma più rispet- tabile che i moderni non pensino ? Che i primi passi della ri- generata filosofia furon dati in Italia; e ch’ella non seppe e non saprà mai abbassarsi nè al fango di quel materialismo che da taluni le si vorrebbe imporre com’ unica scienza , nè a quelle vanità malamente dette trascendentali che non appagano nemmeno l'immaginazione e non fanvo che soffocare ogni affetto? Che italiani sono que’grandi navigatori al cui genio la civiltà deve un mondo, un mondo il quale ora porge un esempio di civiltà più difficile d’ ogni gloria ? Che italiani sono i rigeneratori delle scienze fi- siche , alla cui Ince tanto deve quella parte di società che sen- 2° esse sarebbe tuttavia barbara e schiava P Che mentre in altre parti d’ Europa si predicavano nel secolo XVIII dottrine d° em- pietà e di dissolutezza , e si tentavano teorie di tirannide inau- dita e di sangue, 1’ Italia aveva già messi in atto alcuni dei più importanti e più innocui di que’privcipii ;} e avea dato un esem- pio con più facilità e con più forza ch’ altri non offriva il pre- cetto P Che la rivoluzione di Francia non sarebbe forse riuscita che un cumulo di rovine e di delitti, un inutile sforzo di dot- trinarii inesperti, se un italiano non veniva a porre un ‘argine a quel torrente di sangue , a portare su quegli elementi confusi l'ordine della creazione, a far dono alla Francia di due tesori ammirabili : un codice : e quella sete d’ordine legale (22), che un Borbone credè non poter sodisfare altrimenti che con dare la Carta ? Chiunque affermasse che Napoleone non recò co’ suoi disordini stessi altro che sventure alla Francia, sarebbe per lo meno un ingrato : e il 1831 non è il miglior tempo, a dir vero, per detrarre alla gloria dell’ Imperatore de’francesi. Egli almeno seppe render la Francia rispettabile a’suoi nemici e cara a que- gli stessi che si vedevano da un Italiano all’ antica rivale pos- posti. Non però noi lo ripudiamo , com’altri fece; non però ci è men grato il ripetere che lo stato dana nazione la qual può produrre ancora nomini tali, non è disperato. Quand’anco l’En- ropa e la civiltà null’altro dovessero all’ Italia , I Italia ha dato loro Napoleone : non basta ? K. X. Y. T. II. Aprile. 4 Annotazioni all’Articolo precedente. (1) Nazione e nel latino e nell’antico italiano significava stirpe nel senso più proprio. po (2) Dante : ‘° A_ Pola, presso del Quarnaro Che Italia chiude, e i suoi termini bagna”,,. (3) Il Roveretano Vannetti sosteneva a spada tratta d’ essere italiano e non tirolese : e al fiorentino sig. Morrocchesi scriveva che il Tirolo comincia laddove sì comincia a vedere: “ Di manzi e carrettieri immenso stuolo, Le case aguzze, e tonde le persone. (4) Con ciò non intendo di punto detrarre al merito grandissimo di quest’ opera : intendo solo di dire ( cosa già confessata recentemente da un dotto amico del Niebuhr ) che la prima parte riguardante gli antichissimi popoli italici non presenta nessuna idea, chiara , quale certo sarebhe potuta risultare dal rivvicinamento de’passi con tanta dottrina raecolti dal valente tedesco. Nella filologia del pari che nella filosofia tedesca a noi par di vedere degli uo- mini che dopo essersi penosamente condotti per mille minuzie e sottigliezze, spiccano improvvisamente un volo, e dal positivo sbalzano al trascemlent ile senza cercar di approfittare della ricchezza con tante cure raccolta. Meno minuziosi nelle ricerche particolari, meno arditi nelle teorie e nelle ipotesi ge nerali li vorrebbe la scienza: ma ciò non toglie il grande merito intrinseco delle opere loro. ì (5) Altri traggono Pelasgo da pelagios, quasi, venute dal mare. Potrebbe anche venire da [2 AQW, % enuGui , accedo, che comprenderebbe ogni sorta di avvenimento o ravvicinamento di popoli. Si noti innoltre che TEÀ 4 SO rrÉ Asus era una specie di colomba je si unisca quest'idea con l’altra della colom- ba dodonea , che ognun sa essere stata pelasga. Checche sia dell’ origine , accennerò quì alla rinfusa alcuni degli argo- menti che militano per la congettura, secondo la quale Pelasgo sarebbe nome ge- nerico di più popoli migratori. I. Da Stefano di Bisanzio sappiamo che gli schiavi degl’Italioti erano chiamati Pelasgi. Che il nome di una grande nazione si desse ad una moltitudine di servi, non so se sia cosa molto verisimile. E si noti che, secon- d’altre testimonianze, de’seroi Pelasghi fabbricarono le mura d’Atene.II. Erodoto distingue i Pelasghi dagli Elleni, come si distinguono i nuovi coloni dai vecchi. Questa testimonianza autorevolissima non distrugge l’ipotesi nostra. III. Dionigi d’Alicarnasso ci narra che le antiche tradizioni dipingevano i Pelasyhi come per- seguitati dal cielo, e condannati ad errare incessantemente. Tutti i popoli infatti che la storia ci mostra costretti ad abbandonare le sedi patrie e a cercare altro asilv, lo fanno sospinti dall'ira de’ Numi. Questa credenza si allatta tanto all’ opinione che fa de’Pelasghi un popolo solo quanto a quella che fa del lor nome il simbolo di tutti 1 popoli erranti. IV. Eforo infatti pare ch’ abbia loro negato il titolo di nazione , e li credesse una truppa di briganti dî varie nazioni, raccolta iu Arcadia , e che da se s’ impose questo nome di Pelasghi : congettura strana , ma sotto cui può nassondersi una verità non inutile ad indagare. V. Quello che noi diciamo più sorto nel testo, della distinzione dei popoli arrivati per la via del mare e dei popoli che scendono dall’ alture , 8° applica al caso nostro , poi- chè leggiamo in Erodoto che gli Elleni occupavano le settentrionali montagne, 27 i Pelasghi avevano quella che ora dicesi Grecia : vale a dire che erano appro- dati alle rive dell’ Ellade. Che poi non sia verisimile che i Pelasghi abitanti dell’ Ellade sieno i medesimi sempre che altrove si rammentano , mi pare che sia dimostrato dal vederli stabiliti in Tessaglia, e di là, al dir di Strabone, di- scesi in Italia. VI. Egli è singolare a notarsi che 1’ origine dei Pelasghi secondo le vecchie tradizioni si connette ai figli di Licaone, e i figli di Licaone, alla grande tradizion del diluvio : questa idea, combinata all’ altra che nei Pe- lasghi vedeva una razza punita dal cielo , ha una conformità non dispregevole con le tradizioni bibliche della razza di Cham. VII. Tucidide distingue gli El- leni dai Pelasghi,, e questi chiama barbari: intanto che Erodoto attesta che i Pelasghi cominciarono già ben presto ad essere considerati come Greci; e che gli Arcadi infatti, di Pelasghi che erano, diventarono Elleni. Questa contradi- zione par che possa mostrare la possibilità che Pelasghi non fosse il nome d’ un popolo solo. VII. Pelusgico tutti fanno 1’ oracolo di Dodona; e quando si ram- mentano le tradizioni che congiungono quest’ oracolo a quello di Tebe nelia terra di Chus, si viene ad intendere perchè uomini erranti da sì lontane contrade, fossero chiamati Pelasgi. VIII. L’ autorità che in Grecia acquistò il detto ora- colo , gli altri fatti che provano la trasfusione delle idee religiose dall’ Egitto nell’ Ellade , si conciliano bene con la circostanza che una era la religione e degl’ Elleni e dei Pelasghi , da che si conchiude non già che gli Egizi fossero i Pelasghi de’Greci, ima che anco i coloni Egizi fossero una specie di Pelasghi; IX. Eschilo dà ai Pelasghi tutta quanta la Macedonia: e ciò dimostra non tanto che una nazione medesima fossero i Pelasghi di Macedonia e quelli di Gere, quanto che nella Macedonia si posò a non so qual epoca un popolo prima errante; una di quelle molte colonie che passavano di quella contrada per iscendere a regioni più miti e più fertili. Ad ogni modo il fare un popolo stesso abitante della Macedonia e della costa d’ Ionia , non so se sia congettura plausibile a chi pensa la grande divisione di famiglie e di razze viventi l’ una a contatto dell’ altra nel mondo antico , e cercanti sempre nelle loro migrazioni un clima diverso il men possi- bile dal clima natio, IX. I Pelasghi approdati in Etruria ci si mostrano tutti rimasti sulla costa , e non occupanti che una sola città nell’interno del paese, Gortona. Questo fatto si concilia con la distinzione da noi posta nel testo dei popoli approdati e degli abitanti le alture : non conferma però punto il sospetto che dalle coste d’ Etruria all’ Ellesponto si estendessero al tempo d’ Erodoto sparsi quà e là i rampolli d’ una sola nazione cognominata Pelasga. L’ argo- mento addotto da Erodoto della conformità tra la lingua de’Cortonesi nulla prova in favore della unicità di questa immensa nazione pelasga. XII. La comunità del nome } ecco l’unico argomento che in favore della detta unicità si possa recare : e non è necessario aver letto il Vico per accorgersi che questa ragione varrebbe ugualmente per fare un solo personaggio di tutti quelli che furon chiamati col nome d’ Ercole, di Giove, di Bacco. XIII. Il racconto di Mirsilo da Lesbo ri- portato da Dionigi ; che i,Tirreni, persegnitati dall'ira degli Dei ( torna sempre la medesima circostanza) dal lungo loro errare quà e là furono chiamati Pelargi ( cicogne ), non merita d’ essere disprezzato in una questione sì invo- luta,, non come autorità , ma come indizio della tradizione, che certo non sarà stata creata dal nulla; tanto più che in altri libri, al dir di Strabone, si dava, al nome di Pelasghi la medesima origine. Il Niebuhr quì pone una distinzione singolare : e dice che la detta etimologia 3° applicava sempre al nome di Pela- sghi Tirreni, non ai più antichi Pelasghi così chiamati da Pelasgo s re 0 padre 28 loro. Ma lasciando da parte l’ inconveniente dell’ accettare per buona ed auten- tica 1’ etimologia d’ un popolo tratta dal nome d’ un uomo, come per lo più le favole sogliono ; altri potrebbe rispondere al Niebuhr: voi dunque distinguete Pelasghi da Pelasghi , gli antichi dai moderni, gl’indigeni dai Tirreni : non ve- dete voi a quali conseguenze la vostra distinzione vi possa condurre ? XIV. Que- st’ uomo dottissimo rigetta francamente le autorità che non fanno per lui, e quelle che gli giocano bene, fossero anche dappoco, colloca in bella luca: difetto innocente assai volte; ma non: men nocivo allo scoprimento del vero. Pausania e Strabone dice che nell’ Acarnania s’erano in tempo bene antico fatti vedere de’ Pelasghi Siculi; questa tradizione , certamente difficile a spiegare , favo- risce piuttosto che altra ipotesi quella che fa de’ Pelasghi un nome simbolico ; e non è lecito, parmi , rigettarla con la sentenza : certamente questi Siculi non venivano di sì lontano. Che iruporta ciò ? Da qualunque parte venissero, resta sempre a spiegare come sia potuta formarsi la tradizione de’ Pelasghi Siculi. XIV. Quando il Niebuhr congettura che i Liburni erano un popolo Pelasgico, che fa egli senz’ avvedersene, se non che confondere il nome di un popolo con un nome generico , e comprovare la possibilità che molto più lo facessero i volghi antichi, certo men dotti e men circospetti di lui? Tanto più dunque a lui sconveniva l’ estendere le denominazioni antiche , e volerci far passare per Pelasghi questi che tali non vengono da alcun autose attestati. XVI. E l’egre- gio uomo non si contraddice egli stesso quando nella medesima pagina afferina che i Pelasghi formarono delle nazioni, e che formavano un popolo solo ? (p. 74) Ma lasciando anche la contradizione che può essere di mere parole , è egli pos- sibile immaginare un popolo solo che forma tanti gran corpi sociali, e che quantunque dal Niebuhr ci si dipinga glorioso , potente; pure dalle tradizioni viene indicato come ridotto a lavorore sotto la verga servile le mura d’Atene? XVII. Son tanti gli autori che in tante varie maniere ci parlano de’ Pelasghi, che, se vera fosse questa gramle potenza, se ne sarebbe conservata una più viva memoria: e in qualcuna di quelle testimonianze noi potremmo riconoscere i Pelasghi in altro stato che erranti e perseguitati dallo sdegno celeste. {6) Non trovo questa cireostanza accennata dal Niebuhr. (7) Plinio III. 20. (3) Antol. ser. I- fase. (9) Plinio III. 18 19. Il singolare si è che il Niebuhr, innanzi di affermare con Plinio che da’Liburui era abitato il Piceno, afferma con Silio Italico ch’esso era posseduto da’ Pelasghi , interpretando le parole di quello scrittore ut fumu docet , con queste : la tradizione diceva. V. T.I pag. 70 71: — Veramente, a considerare certe singolari citazioni ed interpretazioni dell’ erudito tedesco , vien voglia talvolta di dubitare che la critica in lui non andasse sempre di pari passo con l’ erudizione e con la pazienza. Per esempio, a proposito di Rkea, che altri vuole essere 1’ addiettivo rea cambiato in nome proprio ; voi trovate che il Niebuhr vi cita sul serio la rea femmina , frase familiare ul Boccaccio $ come se quest’ uso della lingua italiana potesse confermare la con- gettura ( del resto non inverisimile ) che riguarda il nome di Rhea. (10) Una maniera indigena pone il Niebnhr in Italia, ed una recatavi dalla Grecia. Questa idea probabilissima non toglie l'oscurità, ma serve però a rischia- rarla. (11) Gosì nelle arti della parola. Cicerone formato sopra Demostene , sarà più verboso, più abbondante di artifizi da avvocato; ma è insiense più spleu- 29 dido , più efficace sugli animi di una gran moltitudine non educata alle ultime finezze del Bello. Tibullo sarà meno ardito, ima è più affettuoso, più spirituale di quanti Greci erotici noi conosciamo, , Virgilio, sebbene degradato dal Niebuhr in modo (p. 217 ) bene strano , non lascia con tutte le sue imitazioni, d’essere originale , per quella vena d’ affetto ch’ è tutta sua, per quello spirito di ci- viltà che lo innalza sopra l’ antichità tutta quanta ; e che non consiste ( come il Niebuhr afferma ) nell’ eleganza e nella precisione de’ particolari, ma è l’a- nima della poesia, è il carattere del poeta. Se noi parliamo di facoltà inventrice, e chi potrà dire al Niebuhr quante imitazioni rinchiuda il poema d’Omero ? Noi potremmo dirgli bensì che se nell’invenzione consistesse l'originalità di Dante e dell’Ariosto, converrebbe di loro portar quel giudizio singolare che il Niebuhr portò di Virgilio. Tutto è lecito ad un erùdito tedesco quando si tratta di glorie italiane: ma dire che il proposito di bruciare l’Eneide , e così rinunziare ad una riputazione usurpata, è quello che rende degno di stima Virgilio, non parmi permesso a nessun domo che intenda per approssimazione il senso delle parole che scrive. (12) Nieb. I. 89 sulla fede d’ un dotto Napoletano. (13) To riporto questa singolarità attestatami da persona degnissima di RA (14) E idea ingegnosissima del Niebuhr che molti nomi ch’ ora si credono di persona, fossero nomi veri di popolo. Così in T'urnus egli riconosce T'yrrhe- nus. Checchè sia dell’ applicazione del principio generale , che a noi par vero, notiamo che in modo se non simile , certo analogo , molti cognomi’, il cui uso ci venne dalla seconda barbarie, erano distintivi indicanti o la nazione o il paese natio : come Franco , Franchi, Franchini, Francesi, Francesini , Fran- ciosi, Franchetti, Francucci ; Lucchesini , Pisani, Fiorentini, Veneziani , Piranesi ec. (15) Un passo citato dal Niebuhr, fa i Teutoni abitatori di Pisa. Il Niebuhr vi ‘trova sbaglio : nè io vurrò certo ‘difendere quella lezione: ma noterò come una singolarità degna d’ attenzione questa : che alcuni nomi di siti o di cose ; usitati nel pistoiese e nel lucchese. sono illirico pretto. (16) Son poche le fisionomie fiorentine che conservino quella pienezza de- licata la quale si osserva ne’ monumenti e ne? lavori dell’ arti. Donde proceda il moderno prosciugamento che toglie del pari e la forza e la grazia, noi non istaremo a cercare: ma fuor di Firenze si veggono ancora i modelli e del tipo fiorentino e degli altri tipi toscani , forti del par che gentili. (17) In questa.e nelle seguenti enumerazioni , 0, non fo paragone ‘alcuno tra ingegno ed ingegno: intendo solo di far avvertire la qualità della maniera poetica. (18) Purg. XXXIII. (19) Di questa diversità anche il ny Edwards s’accorse ; sebbene non a tutti parrà. soddisfacente la spiegazione ch’ e’ n° offre. Non è questione da decidersi così facilmente. (20) L’opposizione dal vento di Soave, (Par. III) fatta al dominio temporale de’Papi, non era che un calcolo d’ambizione ingorda, piuttosto che amore d’in- dipendenza politica ; e i fatti lo provano. Questa razza germanica che per do- minare in Italia sentiva il bisogno de’ soldati Saracini, non so quanto potesse giovare la civiltà vera e la gloria del regno. (21) È egli necessario. avvertire ‘che non ogni:specie di commercio ‘è utile all’ incivilimento. de’ popoli, e alla! loro libertà ? 30 (22) Alcuni scrittori francesi sostengono che la rivoluzione avrebbe, senza l’intermezzo dell’Impero, ‘potuto adagiarsi in tranquilla e onorata libertà. Tutte le apparenze provano ; a dir vero ; il contrario: e Napoleone non avrebbe mai acquistato il titolo d’ imperatore:, se la Francia avesse potuto far senza di lui. -Sia prudenza © sia debolezza, io non cerco: la Francia lo volle; se così piac#, la Francia lo sofferse : ciò basta per conchiudere ch’ essa per quel momento non. avea miglior partito da scegliere nè miglior sorte da desiderare o da esi- gere. In due modi il regno di Nupoleone è giovato alla libertà della Francia ; col. dimostrarle. che . un impero. assoluto , sebbene glorioso , era divenu- to ‘ormai estranio a’ suoi costumi e. incompatibile co’ suoi bisogni ; verità che , quantunque confermata dall’ esperienza , ha tuttavia i suoi oppositori 5 or pensa , se fosse un principio teoretico ! In questo senso s’ intenda che. il dispotismo, Napoleonico accrebbe la sete dell’ ordine legale , e la destò in chi forse non ne avrebbe sentito. così forte lo stimolo. In questo senso può dirsi che il regno de’ Borboni sia giovato alla Francia non meno, col maturare a poco a poco al governo costituzionale un popolo che 1° educazione aveva nu- trito d’ idee falsissime iritorno alla libertà e all’ uguaglianza civile. = L'altro vantaggio da Napoleone recato alla libertà della Francia è tutto materiale , se così posso dire 3 e consiste nell’ aver posto tra i delirii repubblicani e un’epoca di più vera libertà quell’ intervallo che fosse sufficiente almeno in parte a cal- mare le passioni irritate. Le quali verranno sempre più racquetandosi s ma non si comporranno alla necessaria quiete se non allora che tutti gli uomini della rivoluzione e del secolo XVIII avran dato luogo ad una generazione che saprà essere veramente contemporanea al suo secolo. Lettera del Prof. Ferp. Horrmann ul sig. EwanveLe RepErTI sopra alcune osservazioni geologiche fatte nei vulcani spenti del Lazio, al Gran-Sasso d’Italia, nei contorni di Napoli, e sull’ Etna in Sicilia. Dopo, esternati i miei cordiali ringraziamenti delle dimostra- zioni non dubbie di vostra amicizia e cordialità a mio riguardo mi permetterete, mio caro Emanuele, che io vi crasmetta alcuni cenni delle osservazioni fatte in'questo mio viaggio geologico nei contorni di Roma, al Gran Sasso d’Italia, al Vesuvio e all’ Etna , quali vi prego volere accogliere con la vostra consueta benevolenza e. singolare bontà. Allorchè vi serissi l’ ultima volta da Roma era occupato a perlustrare i coutorni di quella gran- diosa e' magnifica Capitale; che mi ha lasciato un impressione così viva e profonda da non poter calcolare. ‘ Allorchè poi contemplava quei monti e colline vulcaniche di un epoca anteriore alla storia umana presi tale diletto , che esso mi resterà sempre caro alla memoria: Furono principalmente i contorni di Albano oggetto della mia singolare attenzione o | 31 come quelli che mi. sembrarono sopra tutti gli altri. di essa provincia meritevoli di essere con maggiore studio ed esattezza contemplati. Già aveva potuto persuadermi che le rocce circo- stanti ai laghi di Bolsena, di Vico e di Bracciano , egualmente che sui monti trachitici della Tolfa si mostravano evidentemente di formazione vulcanica , non ostante che essi diano indizio ba= stantemente persuasivo di non avere bruciato tutti nello stesso tempo e nella guisa che bruciano tuttora il Vesnvio, 1° Etna e tanti altri vulcani ardevti , dispersi nella superficie attnale del nostro globo. Giammai, almeno , mi fu dato di poter scnoprire in alcuno dei luoghi soprannominati i vestigi di un antico cra- tere, o la formazione di una qualche collina di eruzione deci- samente caretteristica e normale ; giacchè anche le lave che in- contransi in quei contorni sono differenti nei loro caratteri esterni da quelle vomitate dalle bocche dei vulcani che restano ancora in attività nelle circostanze attuali. Sempre nel circuito di quei laghi ho ripetutamente osser- vato la stessa alternativa di tufi vulcanici bene stratificati e di qualità alquanto differenti fra loro, con alcuni strati quasi re- golari di lave basaltiche, traversati bene spesso da filoni della stessa sostanza , e che talvolta alternando con sottili strati di sco- rie, di pomici e di veri conglomerati mescolati di ciottoli di are- narie , di calcaree , e di altre rocce aliene dall’origine pirogenica; le quali rocce tutte , eccettuate solamente le lave, non possono essere state formate giammai sul luogo stesso, dove ora si trovano, per mezzo di un azione vulcanica , e tutti concordemente confer- mano che esse furono trasportate ed alterate dalle acque univer- sali del mare. Della quale verità non solamente si può giudicare guardando la grande estensione che occupano le dette rocce, ma ancora osservando le tracce evidentemente marine che talvolta s'incontrano racchiuse nelle loro masse. Pertanto ne conseguita che le sopraccennate lave basaltiche debbono essere state eruttate nel tempo stesso che si formavano quei tufi e quei conglomerati. Avve- gnachè anche dalla loro parte esteriore priva di scorie e di rugosità, come pure dalla loro forma regolare appianata o compressa , quasi che fossero banchi depositati dalle acque, si vede bene essere state esse furmate sotto la pressione immensa del mare che cuo- priva allora quella contrada, Sono dunque tutti questi vulcani spenti, come la maggior parte dei monti ignivomi dell’ Italia, veri ed indubitati modelli di vulcani sottomarini. Che se dopo la loro formazione si elevarono sopra il livello delle acque, e se prorompendo per mezzo di una forza violenta , formarono simili 32 cerchi, mai dopo tale azione ultima della loro formazione hanno dato alla luce una eruzione ripetuta. Tale però non è il caso dei Monti Albani. Avvicinandosi dalla parte di Roma ad Albano, o meglio an- cora alle rovine dell’ antico Tusculo, al di sopra di Frascati subito si scorge anche dalla forma esterna di questi monti la molta diversità che passa da quelli dei contorni di Bolsena, di Ron- ciglione e di Bracciano. Nè riesce difficile osservare che, quasi nel centro di questa dirò quasi isola montmosa per ogni dove circondata dalle vaste pianure della Provincia di Campagna , invece del solito lago si trova la più elevata montagna , la cui cima detta il Monte Cavo trovasi 2900 piedi sopra il livello del mare. Malgrado però tale differenza considerevole giova osservare che nella periferia esterna di questi monti anticamente si formò un gran cerchio anfitea- trale, ancora adesso così bene conservato che si può agevolmente riconoscere la sua originale e regolare figura. Frascati , le rovine del Tusculo, Grotta Ferrata e Marino da un lato, e dall’ altra parte Monte Porzio, Monte Compatri e Rocca Priora, con alcuni altri paesetti, sono tutti situati o alle falde o sull’orlo di una specie di baluardo continuo, che partecipa della forma di un anello o piut- tosto di una cintura quasi simmetrica e circolare. Il punto più prominente del qual cerchio forma il dorso elevato del Monte Ar- temisio, vicino a Nemi verso levante, punto che si alza probabil- mente fino a 2000 piedi sopra l’attuale livello del mare. E non solamente nella figura del suo ambito si mostra que- st’ anello perfettamente simmetrico, ma la stessa cosa può dirsi o si vede della formazione delle sue falde generalmente più ripide verso il lato interno dei monti, le quali altronde presentano un docile declive dalla parte esterna che guarda la circostante campagna. Questo fenomeno rimarchevole mi fornì facile spie- gazione , allorchè comtemplando la sua interna struttura, vi- di che tutta la descritta cintura era formata uniformemente di strati alternanti di tufo vulcanico, e di lava basaltica di poca grossezza, ma frequenti volte ripetuti. Il tufo in que- ste località dominante appartiene, come sapete, alla così ben nota specie di conglomerato che si distingue sotto il. nome di peperino , e che per la freschezza delle sue parti costitnen- ti, pel colore bigio , come per la durezza del suo cemento dif- ferisce sensibilmente da altro tufo vulcanico cotanto ovvio nei contorni di Roma. Esso rinchiude nel suo impasto numerosissimi frantumi di pietra calcarea granulare, candida , probabilmente 33 dolomitica ed alterata dal fuoco: ed inoltre, sebbene più di rado, ciottoli di formazione primitiva feldspatica, i quali abbondano principalmente di vestigi di hauyna, d’ idocrase j di coccolite ec. La lava basaltica merita giustamente questo nume , concios- siachè pare nn vero basalto , se in pezzi staccati la si vede. Essa nelle sue fessure e nelle piccole cavità presenta frequenti cri- stalli di mnefelina, mescolati con cubi bruni di melilite , e più di rado s’ incontra ancora fra loro la così chiamata Gismondina, che probabilmente non è altro che una varietà dell’ Rermotome. La stratificazione del peperino è distiutissima, ed ancora le luve conservano nella loro giacitura coi strati del tufo il più stretto parallelismo. Tutti sono inclinati d’ una maniera eccentrica , vale a dire, che tutti scendono sotto angoli di 15 a 20 gradi cirea verso la parte esteriore de’monti, mentre si alzano uniformemente verso l’ interno. La falda pertanto che spetta alla parete interna e centrale dell’anello descritto si vede formata di parti troucate degli strati suddetti, la quale, secondo 1’ espressione tedesca alottata dal celebre nostro Werner, si chiamerebbe una falda non concordante. Queste osservazioni adunque ci insegnano chela parte ester- na dei monti di Albano in nulla differisee , per rispetto alla sua indole geognostica , dalla formazione di tanti altri monti vulca- nici dispersi nella pianura tra l’ Apenuino ed il mare Tirreno. Quindi è che anch’ essa dev'essere di origine sotto-marina , stata elevata una volta sforzatamente dall’ antico suo ricovero per stabilirsi in forma di una cintura eom stratificazione eccen- trica. Ma al presentarsi di nn tal fenomeno è impossibile di non richiamarsi alla memoria le importanti idee del nostro insigne geologo Leopoldo de Buch sopra la formazione de’monti vulcanici, state consegnate principalmente nella di lui opera classica Sopra le Isole Canarie , ed in alcune giustamente rinomate Memorie , da esso lette nella R. Accademia di Berlino. il quale valente osservatore con la solita sua acutezza d’ingegno ci mostra, che l’esistenza di un vero vulcano permanente (non si tratta di una semplice eruzione ) non può darsi senza la formazione di due parti successivamente sviluppate ed essenzialmente diverse. Che una è prodotta mediante lo sfiancamento della super- ficie indurita dal suolo , accompagnata necessariamente dall’ele- vazione circolare dei strati già orizzontali all’ intorno dell’aper- tura, dove si andò formando il cammino principale del nuovo T. Il. Aprile 5 3 Pi 1° altra al contrario derivata dall’eruzione successiva delle materie vulcaniche , più o meno lungamente continuata. Col primo di simili atti si forma intorno all’ imboccatura un più o meno vasto anfiteatro , con la stratificazione necessaria- mente eccentrica delle pareti, ed è questa la forma caratteri- stica dei vulcani nel primo loro stadio, che i Spagnuoli col nome espressivo della Caldera distinguono , e che il sig. de Buch più conformemente coll’ oggetto della scienza Cratere di solleva- mento appellava. Molti sono i vulcani del globo che restano co- stantemente tranquilli dopu aver prodotto il loro cratere di sol- levamento, e nel quale stato perseverano oziosi, senza essere mai pervenuti al secondo loro studio, quello cioè della forma- zione di un cono di materie eruttate . e di un Cratere di eru- zioni sulla cima del medesimo. Ne è da dubitare che tutti i vul- cani soprannominati dell’Italia non sieuo appunto nella condi- zione testè accennata, cioè dell’imperfetto loro sviluppamento , e che i laghi di Bolsena, di Bracciano, ec. cuoprino tutta l’area in- terna di un'vero Cratere di sollevamento. Lo stesso deve dirsi della formazione di quella bella e ben distinta cintura che costituisce la periferia dei monti Albanici. Ma nell’interno di quest’ultima si vede già elevata una gran massa di monti, ciò che mi dava grande sospetto , essersi formata essa dai prodotti delle antiche eruzioni, accumulati colà nel centro della cintura di una vera Caldera. Così me lo provarono anche le osservazioni mlteriori. Non può esservi mai dubbio che l’interna parete di essi monti nun sia composta di sostanze di tutt’ altra natura, e di- verse da quelle che formano la loro esterna faccia. Avvegnachè invece di quei tufi bene stratificati che coronano le suddette prominenze , niente altro si vede dentro il loro anello che un im- menso cumulo di scorie fresche e scabre, di ceneri, e di aspri /a- pilli, gli uni sopra gli altri ammassati, sciolti e senza cemento. Le grandi tagliate che si osservano principalmente nella vicinanza della così bene situata Madonna del tufo offrono un idea assai chiara di questo principale materiale del nocciolo dei monti Al- banici. Framezzo alle materie sciolte , o assai leggermente legate , si scorgono molte volte prominenti masse di una /ava porosa e scabra più fresca, ed anche di composizione differente da quelle tante volte da me osservate nell’ esterna sopramenzionata cintura. Quantunque la di lei pasta sia essa pure basaltica, trovasi però carica di belli cristalli di Zeucite, che io non vidi mai nell’in- terno dell’ altra. Tali cristalli si possono vedere meglio che al- trove nella più bella corrente di simile lava , scendendo verso 35 la parte di ponente di detti monti, e sopra la quale è fabbri- cato in parte il grazioso paese di Rocca di Papa. Ma non è solamente la composizione interna di questi monti, che ci mostra essere dessi prodotti da antiche eruzioni, ed emersi dalle acque marine , ma eziandio ne convince la struttura della loro forma esterna , dalla quale possiamo facilmente dedurre nuovi argoment: in favore della ipotesi già accennata. Arrivando dalla parte di Rocca di Papa, e volendo salire sulla cima del Monte Cavo , subito dupo di avere lasciato quel castello ; e prima di arrivare all’ ultima base del monte, si giunge in una piccola ma assai bene distinta pianura ) chiamata dai vi- cini abitatori, Campi d’ Annibale. Trovansi questi situati 2000 piedi sopra il livello del mare, ed hanno una forma circolare uu poco elittica. Quasi per ogni dove sono quei campi fasciati da una, catena circolare di monti poco alti, dei quali la prominenza più elevata costituisce il già nominato Monte Cavo, che sta circa 900 piedi al di sopra di detta pianura. La cima la più prossima, relativamente alla suna altezza, sta dirimpetto allo stesso Monte Cavo e chiamasi il Monte Argido. Framezzo a questi due ver- tici si trova wna gran foce o apertura che interrompe la cintura di que’ campi, nella quale foce giace il paese di Rocca di Papa, e per dove una volta dovè sortire la bella corrente di /uva leu- citica, di cui già ho parlato. Tutte queste circostanze adunque conducevano a confermarmi nell’ idea, che mi si offrì al primo aspetto di quelle località ;, cioè, che nei campi di Annibale si osserva il vero cratere di eruzione dei monti Albanici , sì rego- larmente formati, che ci offrono anche in. tale rapporto un bel- lissimo'e perfetto modello dello sviluppamento dei vulcani, re- centemente scoperto, a forma delle leggi della natura. Non mi sarebbe malagevole di confermare più questa: oltre già troppo estesa esposizione, mediante molti dettagli da me avvertiti, ed anche pel disegno di un profilo geognostico , che io feci sulla faccia del luogo e.che posseggo con le relative osservazioni baro- metriche ;'ma io temo idi avere a stancare (di troppo la vostra cortese attenzione, onde mi affretto di condurvi con la mente in altri siti da me visitati nel tratto di questo mio viaggio mel- 1° Italia meridionale. . i Lasciai Roma il giorno 13 del mese di luglio p. p. , e indiriz- zandomi per Tivoli salii nella valle deliziosa del Teverone sino a Subiaco. Dopo avere visitato i rinomati contorni di Palestrina e di Olevano mi rivolsi ad Arsoli e scesi per la lunga e mo- notona vallata del Turano , per quindi arrivare nella fertile e 36 rideute pianura di Rieti. Era mia intenzione di penetrare nelia provincia dell’ AZruzzo ulteriore pel famoso passaggio di Antro- docco , e soddisfattissimo di questa escursione, meno copiosi e ricompensaute per l’ entità delle osservazioni geologiche , che per la magnificenza e bellezza di quei luughi montuosi, du non si potere visitare in tempo più convenevole , come è quello della calda stagione tanto incomoda a Ruma ; e nei paesi della bassa pianura. Passate le gole di Antrodocco arrivai il dì 29 di luglio nel- l’ alto piarro dell'Aquila , dove mi trattenni fino al dì 8 di agosto. Giace questa pianura in una elevazione di circa 2500 piedi sopra il livello del mare , quasi da ogni parte a guisa d’ immenso teatro circondata dai più alti monti dell’ Apennino. La catena più im- ponente si estende nella direzione di levante dell’ Aquila, e porta sul suo dorso la cima alpestre del Gran Sasso d’Italia, ossia Monte Corno , che si alza secondo lè misure del comune amico sig. Prof. Schow fino all’altezza di 9000 piedi parigini sopra il mare. Un tale maestoso aspetto ne stimolava vivamente a vi sitare quella giogana più da vicino, e mi v? indirizzai li 31 di lu- glio. Lasciando per via l’ ultima casa dove insieme col mio com- pagno fummo accolti ospitalmente dai Frati Francescani di As- sergio, cominciammo a salire la catena principale di questi ca- pomonti d’ Italia. Dopo sei ore di cammino mediocremente faticoso eravamo arrivati al livello di una grande pianura , elevata 5200 piedi sopra il mare ; è là ci fermammo in una piccola capanna di pastori, dove passammo una notte serena bellissima. Eravamo certamente disposti a salire più in alto, intanto che il rima- nente del giorno noi lo consumammo con una gita assai piace - vole nella vicina così detta cima della Marchesa, 7100 ‘piedi elevata sopra il livello del mare , e situata appunto dirimpetto al Gran Sasso , verso il lato Sud-Est. La veduta che ci si offriva da quella sommità, era sì sorpren - dente e grandiosa che mi riesce impossibile delinearla di una ma- niera degna e bastantemente vivace. Una grande estensione del ma- re Adriatico, tutta la provincia di Teramo coi contorni di Ascoli, che parevano distesi sotto i nostri piedi, un grandioso anfiteatro di montagne , dalla Sibilla fino al monte Vellino permetteva ai nostri sguardi incantati una rivista quasi generale della parte media della bella penisola, e di tutto |’ Apennino centrale e sue primarie diramazioni. Spaventevole veramente e minaccioso era da quel lato 1’ aspetto della vicina pir.mide del Gran Sassò 37 d’Italia, che con un dirupato precipizio al suo fianco di levante si sprofonda quasi perpendicolarmente e senza interruzioni per un altezza di 6000 piedi almeno. Mai mi ricordo di avere ve- duto nel corso della mia vita un fenomeno cotauto sorprendente e maraviglioso ; e che nella vasta catena delle Alpi si trovi una prospettiva , un quadro paragonabile a questo io ne dubito. Noi trovammo a quest’ altezza di 7100 piedi nella roccia calcarea alcuni vestigj di corpi pietrefatti marini, trai quali di> stintissimi erano alcuni ammoniti, e liscie conchiglie che ave- vano l’ apparenza di ostriche. Soddisfatti da tal scena e da'la presenza di antiche reliquie dell’ uceano scendemmo alla nostra capanna. Il tentativo di salire il giorno appresso sull’ ultima cima del Monte Corno non potè aver luogo perchè disgraziatamente il mio barometro al di sopra del vertice della Marchesa si mo- strava inapplicabile. Riconoscendo pertanto l’ inutilità di quella faticosa gita, tanto più che il tempo cominciava a conturbarsi, ci risolvemmo di visitare altri posti meno rischiosi di quella mon- tagna sino a che la sera del terzo giorno ci trovammo . nuova- mente al convento di Assergio. Le osservazioni da noi fatte in questi monti, quanto alla geologia; furono di poca 0 niuna impor- tanza , perchè tutte consistono uniformemente della stessa for- mazione monotona di un calcare compatto , di colore grigio chiaro, che porta raramente alcune vestigia di corpi marini bene carat- terizzati, piccoli. cristalli di piriti, ed alcuni strati di marva alquanto, arenosa e, micacea.; strati che molto più sviluppati s° incontrano in, altre parti dell’ Appennino , spettanti in gens- rale a una formazione secondaria , che probabilmente riempie lo spazio che dal red marl degl’ Inglesi si estende fino al green- sand ; del quale mai ho potuto scuoprire traccia per tutta l’e- stensione della catena degli Apenuini stati da me finora visitati. Più interessanti senza dubbio e più numerosi sono i feno- meni che si offrono colà ‘all’ attenzione del botanico, stantechè noi potemmo osservare le altezze dei termini della vegetazione di alcune. piante caratteristiche. Il principio della vegetazione veramente alpina , lo trovammo ii prossimità della nostra ca- panna , all’ elevatezza di 5400 piedi; sebbene avevamo già in- contrato la. prima pianta della Saxifraga Aizoon alle mura di- roccate della chiesina di S. «Egidiò ; al livello di 5060 piedi. La più dominante delle piante alpestri era la bella Dryas octopetala, ma oltre di questa erano principalmente abbondanti , e ben fio- rite in quel momento la Gentiana ucaulis, e lutea , la Campa - nula graminifolia , \Aretia vitaliana, la Drypis spinosa , la 38 bella Potentilla apennina col fiore roseo, la Silena acaulis, la Sa- rifraga caesia, muscoide, e oppositifolia, V Anemone alpina, \A- strantia minor , ed il graziosissimo Semper vioum Aracnoideum con tante altre. Figuratevi, mio caro Repetti, che piacere e de- lizia fa quella di raccogliere per la prima volta queste bellezze della flora apenninica con le mie proprie mani ! Accompagnato dal mio amatissimo compagno il sig. Escher della Linth di Zurigo tornai il giorno 4 di agosto nella città dell’ Aquila. Continuando la via ci voltammo alla direzione di Napoli non già per la strada maestra; ma | deviando verso po- nente passammo per la pianura elevata di Rocca di Mezzo , che è a un altezza di 4ooo0 piedi sopra il livello del mare , e il giorno appresso scendemmo verso Celano ed. Avezzano alle sponde del gran lago alpino di Fucino , il cui bacino si trova all’ elevatezza di 2000 piedi sopra il mare. Noi ci fermammo un, giorno nel grazioso paese di Avezzano ad oggetto specialmente di visitare il maraviglioso emissario eseguito ai tempi dell’ Imperatore Clan- dio ; e che adesso sta nuovamente riaprendosi. Noi incontrammo nella roccia calcarea, che forma le pareti di esso emissario, ab- bondanti vestigie del rimarchevole pietrefatto ; che si''conosce sotto il nome d’Hippurite, già da me pochi giorni innanzi osser- vato nei contorni di Subiaco ; e probabilmente della stessa for- mazione geognostica , che incontrasi insieme coi Radioliti e Num- muliti nelle vicinanze di Trieste. Partiti da Avezzano la strada era assai dilettevole; concioesiachè essa guidavaci per la valle superiore del Garigliano; ossia Liri, da Capristello fino a Sora dove entrammo nella Terra di Lavoro. Tutti i monti ‘che pas- sammo in questa traversa erano per la maggior parte composti della stessa. roccia calcarea ; alternante molte volte: con''una pie- tra arenaria, perfettamente .simile al macigno di Toscana, ed accompagnata dagli stessi vestigj di corpi vegetabili che s’ incon - trano anche.in abbondanza e bene sviluppati nella valle del T'e- verone vicino al Subiaco , nella. valle del Turarzo e principalmente vicino ad Antrodocco , dove veggonsi meglio distinti che' altrove. Dopo avere visitato le belle cascate del Garigliano ‘al paese d’ Isola vicino. a Sora, noi partimmo per la strada maestra di San Germano , e di là andando poi molto in fretta; per Capua e Caserta noi. giungemmo il 18 di Agosto alla desiderata. Napoli. Raccontarvi distesamente , mio caro amico; tutto ciò che vidi di bello e di interessante nei contorni di questa capitale sarebbe lo stesso che scrivere un Iliade dopo Omero. Basta dirvi che an- che noi abbiamo visitato il Vesuvio; che ci siamo trattenuti 39 molto nei contorni incantati di Pozzuoli, e che abbiamo dimo- rato parecchi giorni nell’Zso/a d'Ischia per salire due volte sulla montagna dell’Epomeo. AI Vesuvio fummo una volta così for- tunati d’ incontrare nell’ abisso del suo cratere una lava recen- tissima di due giorni che ancora correva, nel tempo che alla sua superficie già si poteva camminare, sebbene non senza pe- ricolo. Malgrado un calore quasi insopportabile io profittai di tale occasione per misurare la profondità del cratere , allora vuoto dopo la grande evacuazione sofferta nell’ ultima sua vioientissima esplosione del 1822. Trovai pertanto che il livello dell’ area sua interna a quell’epoca stava 600,6 piedi sotto il punto più elevato del suo orlo, chiamato Punta di S. Paolo ; ed osservai che l’al- tezza barometrica di quest’ ultima compariva di 3699 piedi pa- rigini sopra il livello del mare, entre l’ altezza della base del- l’ultimo suo cono trovasi 2260 piedi, e la casa del romito al- l’ elevatezza di 1945 piedi. La stagione frattanto molto avanzata ci esortava ad affrettare la nostra partenza per la Sicilia, ed io fui così fortunato di ag- giungere alla nostra compagnia un terzo bravissimo collega, vella persona del giovane e carissimo mio concittadino ed amieo, il dott. Philippi di Berlino. — Giunti a Messina il giorno 21 di settembre, noi cominciammo là i nostri lavori rallegrati da feli- cissimi auguri che ci si offrivano nei contorni di Messina, per le molte cose naturali meritevoli di attenzione e che ci riempierono il cuore di speranza per l’ avvenire. La roccia ivi dominante non era già l’ aspettato Granito , ma piuttosto una formazione distintissima di Gneis, in cui si vedono assai bene espressi filoni di granito diramati , e formati nella stessa maniera di quelli che cotanto evidentemente e in dimensioni veramente sorprendenti osservato aveva insieme con voi nell’ antecedente aprile a Porto Longone nell’ Isola del- l’ Elba. Laonde risulta prova certa ed indubitabile per queste nostre osservazioni, che per tutta la penisola d’Italia non vi sia un Granito, che appellare si possa primitivo ; poichè il Granito di Messina non è altro che una cuntinuazione di quello della Ca- labria; e tuttociò che si può dire del primo è egualmente appli cabile al secondo. Partimmo da Messina li 28 settembre prendendo la bella e nuova strada di Catania; e le ben conservate tagliate che essa offre ci anno dato occasione di fare lunghessa alcune interessanti osservazioni geologiche. Ci fermamino alla Marina di Pagliosi , 40 per salire di là alla cima del monte Scuderi , forse il più alto della Sicilia dopo |’ Etna. come quello che si alza fino a 4000 piedi. Noi lo vedemmo composto di Gneiss, che racchiude sulla cima uno strato potente di Ca/carea. Ma assai più rimarchevole fu di osservare che questo Greiss è chiaramente appoggiato o sovrapposto a strati poco inclinati di una formazione di Schisto argilloso (Thon schiefer) evidentemente di trausizione; avve- gnachè questi racchiude grandi strati di una vera Grauwacke molto sviluppata, principalmente nei contorni di Capogrosso. Mi ricordo di avere altra volta osservato in Germania nei monti del Fichtelgebirge per una grande estensione, rapporti geognostici molto simili a questo. In ogni modo sarà sempre utile di avere scoperto un altro distintissimo esempio della giacitura di una for- mazione potente del Gnreiss al di sopra di una formazione del Thonschiefer di un epoca più recente della primitiva. Immediatamente al di sopra del Thonschiefer, ed in stra- tificazione, come a me parve, concordante, trovasi la gran ca- tena di monti calcarei di Taormina , stata sempre finora , ed anche recentemente dal sig. Daubeny (Sketch of the Geology of Sicily ) allegata come un bell’esempio del calcare di transizione, ossia intermediario. Noi frattanto fummo così fortunati d incon- trare in questo calcare alcuni fossili molto bene caratterizzati, tra i quali principalmente erano distinti i Belemniti,le Ammoniti e le Terebratule, e frequentissimi frammenti del guscio del- l’Inoceromo , così vistosi per la loro fibrosa struttura. Ne con- segue dunque di una maniera soddisfacente , che la classifica- zione finora adottata del caicare di Taormina non può essere giusta. Conciossiachè Ammonti , e Terebratule se sono straordinari nel terreno iutermediario , giammai si osservano in esso, come sapete, tracce di un Belennite o di un Inoceramo, le quali vestigia appartengono al terreno secondario recente dell’ epoca della formazione jurassica , o della creta col Greensand. A qualsivoglia adunque di queste due formazioni si debba ascri- vere la suddetta roccia calcarea di Taormina , essa anche peri suoi caratteri esteriori mi sembra più probabile che possa essere associata al terreno jurassico ; comecchè gl’Inocerami , sia nella mia patria che nell Inghilterra, distinguono precipuamente la creta ed il green-sand. Passato Taormina si entrò subito nel dominio dell’Etna , del quale ammirammo prima da lungi il suo grandioso e dilettevole aspetto. Fu allora che ci ricordammo tante volte del giudizioso paragone stabilito da! celebre Spallinzani, tra questa montagna 4i ed il Vesuvio, quando egli chiamava quest’ ultimo un vulcano di gabinetto , conciossiachè 1’ Etna non solamente si alza ad un elevatezza quasi tre volte dell’altro maggiore , ma cuopre ezian- dio coi suoi prodotti l’ estensione di oltre 18 ‘miglia quadrate geografiche (circa 290 miglia quadrate italiane), mentre il Vesuvio non spande le sue produzioni che in uno spazio di un solo miglio geografico, ossia di 16 miglia quadre italiane. Arrivati in Catania, li 7 ottobre, era scopo nostro principale d° indagare quella maravigliosa montagna palmo a'palmo, e di conoscere meglio che per noi si poteva tutti i suoi fenomeni. Perlochè noi 1’ abbiamo girata e investisata, dove era. pos- sibile, da ogni parte, e ci siamo trattenuti quasi unicamente in questa occupazione cotanto dilettevole fino alla metà di di- cembre. Siamo saliti la prima volta alla sua cima iligiorno 17 ot- tobre, ed abbiamo ripetuto la stessa operazione due altre volte, li 18 dello stesso mese, e li 11 di novembre. La mia misura ba- rometrica con la corrispondenza di Don Mario Gemellaro a Ni- colosi stabilisce l’altezza di questa cima a 10219 piedi parigini sopra il livello del mare. Noi eravamo favoriti da un tempo bel- lissimo per questa nostra gita, e fu principalmente per questo che ci riescì di fare alcune scoperte colà forse di non mediocre in- teressamento. La osservazione geologica la più importante che al- lora ebbe luogo fu l’investigazione di una gran vallata anfiteatrale, situata sulla pendice orientale della montagna , ordinariamente chiamata la Valle del Bove. Essa è poco o punto visitata dai viaggiatori naturalisti, perchè resta molto lontana da tutti i luo- ghi abitati, e la strada che vi conduce è asprissima. Fummo costretti pertanto, onde meglio studiarla, di stare colassù tre notti al bivacco e di farci portare dal più vicino paese di Zuffa il necessario vitto, non eccettuata l’ acqua. Figuratevi, mio caro amico ; l’ aspetto imponente di un gran cerchio di quasi quattro miglia di diametro , rinchiuso quasi per ogni dove da ripide rupi di 2000 , ed alcune anche di 3000 piedi di altezza, presso che verticalmente tagliate e franate, e voi avrete davanti il quadro che ci si offerse nell’interno di questa magnifica vallata , il di cui fondo si trova all’ elevatezza almeno di 4500 piedi sopra il mare. Avvicinandomi intanto a queste immense pareti, trovai con sorpresa che esse non erano composte nella solita maniera di tutti gli altri dirupi dell’ Etra. Invece delle lave moderne , delle scorie e ceneri, cadute nei tempi sturici, potei confermarmi che tutte quelle balze appartengono, come già aveva annunciato il sagacissimo osservatore Don Carlo Gemellaro , al sistema ira- TRA Aprile. 6 4a chitico. E quasi tutte quelle. masse di un trachite assai bene pronunziato trovansi disposte in forma di grandi strati , medio- cremente regolari, alternanti con banchi numerosi di scorie della stessa ‘natura feldspatica , e traversati da moltissimi filoni, la maggior parte verticali, formati della stessa roccia ed assai gra- ziosamente divisi in prismi orizzontalmente disposti, come ordi- naramente suole accadere nei filoni basaltici tante volte osser- vati. Ma anche la giacitura , o piuttosto l’ inclinazione di questi strati presenta un fenomeno rimarchevole , conciossiachè trovansi tutti assai regolarmente situati con l'inclinazione talvolta sotto un ango'o mòlto forte, perfettamente eccentrica. Noi abbiamo pertanto in questa valle un nuovo e assai ben distinto modello di una così detta Caldera, vale a dire, dell’interno di un cratere di sollevamento , e dubito! (che. il sig. De Buck, abbia scoperto all’ Isole Canarie un esempio più brillante. Nel desiderio di darvi una giusta idea della situazione di questa senza dubbio interéssantissima parte dell'Etna, e dei suoi rapporti con l’insieme della montagna ; io vi unisco quì annesso un piccolo. abbozzo di: essa; che forse sarà bastante allo scopo , e vi prego inoltre di permettermi di aggiungere per la spiega- zione del. medesimo alcunivragguagli. Questo schizzo della montagna (vedasi la tavola) è pre- so dalla parte di levante; in vicinanza del mare, e del gra- zioso paese delle Giarre; che vi si presenta neli’ innanzi con la strada che conduce da Messina a Catania, e la. parte. colorita in roseo significa l’ estensione del terreno trachitico.. Voi potete con gli occhi penetrare nell’ interno dell’anfiteatro*trachitico per mezzo di una gran lacuna nelle sue pareti, e facilmente osser vare il suo fondo nero coperto di aspre lave, sopra cui stava la r:ostra stazione di bivacco all’altezza di 4761 piedi. Nella superficie degli. orli che servono di fregio a quest’anfiteatro, io vi faccio 0s- servare: principalmente il bellissimo monte Zoccolaro (N.° 5) se- condo le nostre misure alto; 5486 piedi ; la Montagnuola (N.° 6) alta 8225 piedi; il Ciglione della Valle del Bove che sta giusto sul limite della vegetazione: ( vicino il segno r ) nell’elevatezza di 86283 piedi, e finalmente là cima delia Valle del Bove (presso il segno r r) che si alza a 8808 piedi supra il mare. Sembra cosa maravigliosa e veramente straordinaria, che il sommo cono dell’ Etna non siasi aperto in mezzo a questo cratere di solle- vamento , ma che stia al contrario al suo orlo superiore del Ci- glione e nel tempo stesso così vicino alle sue pareti. Laonde sa- rà senza dubbio difficile assai spiegare sufficientemente questo 43 caso fuori di regola: ne io tampoco tento di avanzare alcuna idea , che sarebbe affatto ipotetica ,, e. priva di fondamento ba- stantemente provato. Credo bensì che questa pure sia una delle particolarità più interessanti della nostra ben gradita montagna. Dopo questa relazione non posso più parlarvi degli oggetti da me osservati durante tali interessanti gite; quindi non vi discorro più dei dasalti visitati; non delle /ave antiche e moderne , e delle numerose osservazioni fatte relativamente alla geografia botanica dell’ Etna, nelle quali sono stato cotanto bene coadiuvato dal- l’amico mio sig. Philippi, che con ottimo successo si occupa della botanica. Basta dirvi che, non solamente ho ristretto le in= vestigazioni all’ area propriamente occupata dall’ Etna, ma che mi occupo a studiare anche le sne adiacenze , avendo già in- trapreso il progetto di una carta geognostica la più possibilmente esatta di tutta la parte orientale deila Sicilia, che a suo tempo mi farò un piacere di sottomettere ai vostri giudiziosi sguardi. Ma quando fia che lasceremo quest’ isola interessantissima , adesso non potrei ancora divisaryelo. Durante la cattiva stagione ho per quasi due mesi dimo- rato in questa bella e illuminata città di Catania, della quale vi potrei scrivere un elogio lunghissimo. Io sono stato accolto quà con una benevolenza e gentilezza inesprimibili, precipuamente poi dalla parte degli ornatissimi socii della rispettabile Acca- demia Gicenia, che mi hanno onorato coll’ ascrivermi nella loro illustre società . ... Domani noi partiremo per Siracusa, e per la ricchissima contrada della Val di Noto, di dove si pensa di ritornare dopo otto settimane... Permettetemi vi prego che io possa continuare talvolta con queste mie notizie, e sarò ‘soddisfattissi- mo di avere quanto più presto possibile da voi un amichevole risposta. Mi chiamo ec. PS. Dopo avere sigillato la presente la riapro pet farvi sa- pere che questa sera inaspettatamente 1 Etna ha'dato un segno di qualche nuovo incendio. Al sommo suo cratere si vede adesso un rossore di fiamma molt’ intenso, ed un denso nuvolo di fumo nero che sviluppasi dalla cima. Finora non pare altro che una piccola eruzione nell’ interno del suo cratere, ma se si mostre- ranno come spero in avvenire fenomeni più importanti mi af- fretterò, darvene notizia subito. Sono ec. i Catania li 19 febbraio 1831. FrpERICO HorrMann. 44 Canti del conte Gracomo Lroparpr. Firenze, Piatti, 1831 in 16." Ahi dal dolor comincia e nasce l’ italo canto , dice il giovane poeta , rimembrando i due grandi (canto 3.°) onde prima l’ Ita- lia ebbe nome di poetica ; e tutti i suoi canti; dettati alla loro scuola o sotto la loro ispirazione , sono anch’ essi di dolore. E il dolor primo , qual già il provarono que?’ grandi ; ;è per la patria ( canto 1.° all’ Italia ) sì bella e sì sventurata ; sì fa- mosa e sì derelitta, O patria mia, vedo le mura e gli archi E le colonne e i simulacri e 1’ erme Torri de gli avi nostri, Ma la gloria non vedo, Non vedo il lauro e ’1 ferro ond’ eran carchi I nostri padri. antichi. Or fatta inerme Nuda la fronte e nudo il petto mostri. Oimè quante ferite , Ghe lividor , che sangue: oh qual ti veggio Formosissima donna. Io chiedo al cielo E al mondo: dite , dite ; Ghi la ridusse a tale ? ec. ec. Vorrebbe il poeta trastondere in altri ciò che prova in sè stesso, e ringraziando chi si prende cura d°’ onorare i passati (canto 2.° sopra il monumento di Dante che si preparava in Fi- renze ) prega che questa cura non cessi, onde si desti, in prò della patria, muova virtù ne’ presenti : Amor d’ Italia o cari Amor di questa misera vi sproni ; Ver cui pietade è morta In ogni petto omai , per ciò che amari Giorni dopo il seren dati n° ha il cielo. Spirti v’° aggiunga e vostra opra coroni Misericordia , o figli, E duolo e sdegno di cotanto affanno Onde bagna costei le guance e ’1 velo , ec. Nè, come vuol l’ amore, per cui il dolor suo è sì grande, blandisce colei che compiange , ma fa pungenti i conforti onde le sieno più salutari: Volgiti indietro e guarda, o patria mia, Quella schiera infinita d’ immortali , E piangi e di te stessa ti disdegna ; Ghe se non piangi ogni speranza è stolta : Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti , E ti punga una volta Pensier degli avi nostri e de’ nipoti. 45 Gran fiducia egli pone nel pensiero degli avi, che pur in- segnano di pensare a’ nipoti. Quindi, rallegrandosi di veder dis- sepolti per opera di famoso e fortunato discopritore molti monu- menti dell’antica letteratura (canto 3.° ad Angelo Mai quand’eb- be trovato i libri di Cicerone della Repubblica), di questo modo si esprime : Certo senza de’ numi alto consiglio Non è ch’ ove più lento E grave è ’l nostro disperato oblio $ A percoter ne riede ogni momento Novo grido de’ padri. Ancora è pio Dunque a l’ Italia il cielo ; anco si cura Di noi qualche immortale : Ch? essendo questa o nessun’ altra poi L’ ora da ripor mano a la virtude Rugginosa de 1’ itala natura, Veggiam che tanto e tale È il clamor de sepolti, e che gli etoi Dimenticati il suol quasi dischiude A ricercer s’ a questa età sì tarda Anco ti giovi , o patria, esser codarda. Come però la fiducia non è sì propria del dolore e dell’amo- re, che più nol sia il sentimento contrario , ei si volge d’ im- provviso a que” risorti , quasi implorandone una parola che lo rinfranchi: Di noi serbate , o gloriosi, ancora Qualche speranza ? in tutto Non siam periti ? A voi certo il futuro Ignoranza non copre : io son distrutto Ed annullato dal dolor, chè scuro M° è I° avvenire , e tutto quanto io scerno È tal che sogno e fola Fa parer la speranza, In questo stato di dubbiezza penosa par scritto uno de’più sublimi suoi canti (il 4.° nelle nozze della sorella Paolina) ov’è fra l’ altre questa strofa ,. che già da molti è ripetuta : Donne, da voi non poco La patria aspetta , e non in danno e scorno De l’ umana progenie al dolce raggio De le pupille vostre il ferro e ’l foco Domar fu dato. A senno vostro il saggio E °’1 forte adopra e pensa ; e quanto il giorno Col divo carro accerchia , a voi s’ inchina. Ragion di nostra etate i To chieggo a voi. La santa Fiamma di gioventù dunque isi spegne Per vostra mano ? attenuata’ e franta 0 Du Per voi nostra natura ? e le assonnate Menti, e le voglie indegne , E di nervi e di polpe Scemo il valor natio son vostre colpe ? Troppo potrebbe in pro della patria 1’ amabilità e la bellez- za, fa intendere il poeta in questo canto , ove divenisse eccita- mento alle azioni più degne. Molto pur potrebbero, egli dice nel seguente (a un Vincitor nel pallone), gli stessi passatempi, ove, rigettati i più frivoli, si scegliessero i più generosi : Vano dirai quel che disserra e scote De la virtù nativa Le riposte faville ? e che del fioco Spirto vital ne gli egri petti avviva Il caduco fervor ? Le meste rote Da poi che Febo instiga, altro che gioco Son le cure mortali ? ed è men vano De la menzogna il vero ? A noi di lieti Inganni e di felici ombre soccorse Natura istessa ; e là dove l’ insano Costume a i forti errori esca non porge ; Ne gli ozi infermi e nudi Mutò la gente i gloriosi studi. E questo desiderio de? lieti inganni , delle felici ombre ; mo- strasi spesso ne’ canti del poeta ; che, mai non obliando la pa- tria, si volge nel suo dolore a tutta la terra. Mostrasi partico- larmente nel 7.° così grazioso (alla Primavera o delle Favole an- tiche) preceduto da un altro fortissimo e angosciosissimo (Bruto minore) a cui sembra prepararci l’ ultima strofe di quello stesso che celebra il Vincitore d’ un gimoco : A la patria infelice, o buon garzone, Sopravviver ti doglia. Ghiaro per lei stato saresti allora Che del serto fulgea dich’ ella è spoglia, Nostra colpa e fatal. Passò stagione , Chè nullo di tal madre oggi s’ onora : Ma per te stesso al polo ergi la mente. Nostra vita a che val ? solo a spregiarla ; Beata allor che ne” perigli avvolta , Se stessa oblia , nè delle putri e lente Ore il danno misura e ’l flutto ascolta ; Beata allor che il piede Spinto al varco leteo , più grata riede. L’ ultima notte, e le note parole di chi là ne” campi farsa- lici sdegnò di sopravvivere alla patria ormai spenta, sono il sog- getto dell’ altro canto del poeta. Da quelle parole, come già da pochissime di Simonide introdotto nel primo cauto; ei deriva più 47 strofe , nelle quali è mirabile come il pensiero moderno s’incontri con quello dell’ antichità. Alcune esprimono la lotta interna del- I’ uomo , a cui gli avvenimenti fanno abborrir quella vita, che la natura gli comanda d’aver cara. Altre son di lamento alla natura medesima , la cui calma , fra lo scompiglio di tali avvenimenti , gli sembra indifferenza crudele. Quest’ultime, sebbene anch’esse desolanti, hanno pure qualche cosa di tenero , che corrisponde egualmente e all’indole del poeta e al carattere di quello nella cui bocca son poste: E tu del mar cui nostro sangue irriga Candida luna, sorgi , E l’ inquieta notte e la funesta A l’ausonio valor compagna esplori. Cognati petti il vincitor calpesta, Fremono i poggi, da le somme vette Roma antica ruina; Tu sì plaeida sei ? Tu la nascente Lavinia prole , e gli anni Lieti vedesti, e i memorandi allori ; E tu su l’alpe l’immutato raggio Pavida verserai quando ne’ danni Del servo italo nome , Sotto barbaro piede Rintronerà quella solinga sede. Ecco tra nudi sassi o in verde ramo E la fera e 1’ augello , Del consueto oblio gravido il petto , L° alta ruina ignora e le mutate Sorti del mondo : e come prima il tetto Rosseggerà del villanello industre Al mattutino canto Quel desterà le valli, e per le balze Quella 1° inferma plebe Agiterà de le minori belve. Oh casi! oh gener frale ! abbietta parte Siam de le cose : e non le tinte glebe , Non gli ululati spechi Turbò nostra sciaura, Nè scolorò le stelle umana cura. Go’ quali ultimi versi concorda in qualche modo la fine del settimo canto già detto, benchè questa fine sembri a prima giunta dover riuscire men malinconica : Tu le cure infelici e i fati indegni Tu de’ mortali ascolta , Vaga natura , e la favilla antica Rendi a lo spirto mio ; se tu pur vivi, E se de’ nostri affanni Cosa veruna in ciel ; se ne l’ aprica Terra s’ alberga o ne l’ equoreo seno, Pietosa no , ma spettatrice almeno. Al qual dubbio . poetico il giovane autore oppone pur tal- volta non so qual poetica fede. Sì che la natura vive , par ch’ ei dica risolutamente a sè medesimo , ad onta del dolore onde quel dubbio ebbe origine. Vive, e la trova benigna (canto 8.° a’ Patriarchi o de’ principii dell’ uman genere ) ogni generazion di mortali che da lei non si scosta: Tal fra le vaste californie selve Nasce beata prole , a cui non sugge Pallida cura il petto , a cui le membra Fera tabe non doma , e vitto il bosco, Nidi l’ intima rupe , onde ministra L’ irrigua valle , inopinato il giorno De l’ atra morte incombe. Oh contra il nostro Scelerato ardimento inermi regni De la saggia matura , ec. Nella nostra civiltà, par ch’egli voglia dire altra volta , infelicissimo specialmente chiunque ha più alto l’ intelletto, più caldo e più delicato il cuore. Il 9.° canto (/° ultimo canto di Saffo), nuova e poeticissima allegoria sotto nomi non nuovi, rae- chiude implicitamente un tal pensiero , come può argomentarsi dall’ ultima strofe : Morremo, Il velo indegno a terra sparto , Rifuggirà l’ignudo animo a Dite , E ?’1 tristo fallo emenderà del cieco Dispensator de’ casi. E tu cui lungo Amore indarno , e lunga fede, e vano D’ implacato desio furor mi strinse , Vivi felice , se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor 1’ avara ampolla Di Giove indi che ’1 sogno e i lieti inganni Perir di fanciullezza. Ogni più caro Giorno di nostra età primo s’ invola. Sottentra il morbo , e la vecchiezza e |’ ombra De la gelida morte. Ecco di tante Sperate palme e dilettosi errori, Il tartaro m° avanza ; e ’l prode ingegno Han la tenaria Diva, E l’atra notte e la silente riva. E qui già ci si apre, benchè il canto sia posto in bocca altrui, una terza fonte di dolore , che poi scorre assai larga ne’ canti che seguono. E già dagli altri dolori ciascuno argo- menta la forza di questo dolor novello , che pur nasce dal 49 più dolce degli affetti. E lo argomenta pure da tante care par- ticolarità , da tanti gentili pensieri di cui ‘è pieno il 1o.° canto (del primo amore), che si direbbe dell’amor ideale, se troppo non vi si trovasse di vero. Così argomentasi la forza e la profon- dità di quest’ affetto , vedendo come il dolore , che sol ne rimase al poeta, sia da lui preferito ad ogni gioia: + 7 Solo il mio cor piaceami , e.col mio core , In un perenne ragionar sepolto , A la guardia seder del mio dolore. E l’ occhio a terra chino o in se raccolto , Di riscontrarsi fuggitivo e vago Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto : Chè la illibata , la candida imago Contaminar temea sculta nel seno , Come per soffio tersa onda di lago , ec. ec. Da questo stato dell’ animo il poeta non esce di tempo in tempo che per immergersi in pensieri senza confine (canto 11.° l’ Infinito) ; che per ascoltare i silenzi della notte o vagheggiare la mesta luce che la rischiara (canto 13.0 alla Luna) ; che per pensare, come nel canto che si frammette a questi due (/a Sera del giorno festivo), alla caduta de’ grandi popoli , e all’oblio che a grado a grado si estende su tutte le cose :. Ecco è fuggito Il dì festivo , ed al festivo giorno Volgar succede, e si travolge il tempo Ogni umano accidente. Or dove è ’1 suono Di que? popoli antichi ? or dov’ è il grido De’ nostri avi famosi , e ’1 grande impero Di quella Roma , e l’ armi e ?1 fragorio Ghe n° andò per la terra e l’ oceano ? Futto è pace e silenzio , e tutto posa Il mondo , e più di lor non si favella, ee. Talvolta un sogno funesto e pietoso (canto 14.° il Sogno) viene a straziarlo insieme e consolarlo. Dopo il qual sogno, ei sembra più che mai vago di vivere con sè stesso (canto 15.* la Vita solitaria ) , e riandando il passato , e confrontandogli il pre- sente, cerca nella commozione stessa che questo confronto gli ca- giona il solo sollievo che convenga al suo dolore: Amore , amore assai lungi volasti Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno Anzi rovente. Con sua fredda mano Lo strinse la scianra , e in ghiaccio è volto Nel fior de gli anni. Mîsovviene il'tempo Che mi scendesti in seno, Era quel dolce E irrevocabil tempo , allor che's” apre T. HI. Aprile. vi 50 AI guardo giovenil questa infelice Scena del mondo, e gli sorride in vista Di paradiso. Al garzonello il core Di vergine speranza e di desio Balza nel petto ; e già s’ accinge a 1’ opra Di questa vita come a danza o gioco Il misero mortal. Ma non sì tosto Amor di te m’ accorsi ,. e ’l viver mio Fortuna avea già rotto , ed a questi occhi Non altro convenia che ’l1 pianger sempre. Pur se talvolta per le piagge apriche Su la tacita aurora o quando al sole Brillano i tetti e i poggi e le campagne, Scontro di vaga donzelletta il viso ; O qualor ne la placida quiete D’ estiva notte , il vagabondo passo Di rincontro a le ville soffermando , L’ erma torre contemplo , e di fanciulla Che a l’ opre di sua man la notte aggiunge. Odo sonar ne le romite stanze L° arguto canto ; a palpitar si move Questo mio cor di sasso , ec. ec. Quindi i vaghi fantasmi di cui è composto il 16.° canto (alla sua Donna), alla donna ch’ei si finge, e in cui spera ma indatno risuscitare quella che ha perduta. Nè a questi soli fantasmi ; nè a questa sola speranza ormai gli è d° uopo rinunciare. Nel pro- gredir della vita , che per tutti gli sembra ozio penoso, sempre mal impiegato per la nostra, spesso troppo ben impiegato contro 1’ altrui felicità ( canto 17.° a Carlo Pepoli) quanto ancor gli era caro già gli vien meno: To tutti De la prima stagione i dolci inganni Mancar già sento e dileguar da gli occhi Le dilettose imagini che tanto Amai, che sempre infino a l’ ora estrema Mi fieno , a ricordar,, bramate e piante. Or quando il tutto irrigidito e freddo Questo petto sarà , nè de gli aprichi Campi il sereno e solitario riso , Nè de gli augelli mattutini il canto Di primavera , nè per colli e piagge Sotto limpido ciel tacita luna Commoverammi il cor; quando mi, fia Ogni beltade odi natura o d° arte Fatta inanime e muta; ogni alto senso,, Ogni tenero affetto , ignoto e strano ; Del mio solo conforto allor mendico , A gli studi men dolci , in ch° io riponga 51 L°’ ingrato avanzo de la ferrea vita Eleggerò , ec. Talvolta ei vorrebbe sforzarsi di credere ancora a qualche ‘grata illusione (canto 18.° 72 Risorgimento ); ma il suo sforzo è vano. Talvolta lo assale una dolce rimembranza (canto 19.° a. Silvia ) in cui pensa trovare qualche lenimento al dolore : Silvia, sovvienti ancora Quel tempo de la tua vita mortale; Quando beltà splendea Ne gli occhi tuoi ridenti e fuggitivi E tu lieta e pensosa il limitare Di gioventù salivi ? Ma la dolce rimembranza tosto anch’ essa, e inevitabil- mente , gli si volge in amara: Che pensieri soavi Che speranza , che voti o Silvia mia! Quale allor ci apparia La vita umana e il fato! Quando sovviemmi di cotanta speme Un affetto mi preme Acerbo e sconsolato , E tornami a doler di mia sventura. O natura , o natura , Perchè non rendi poi Quel che prometti allor ? perchè di tanto Inganni i figli tuoi ? Da questo punto, ad ogni modo, ei più non vive che di ri- cordanze. E da esse è intitolato il canto che segue , il più lungo fra i sei nuovi che qui si aggiungono agli altri non nuovi ma vs scelti ed emendati. Mesto e svavissimo è il principio di questo canto, e sembra pur annunciare qualche tregua al dolore : Vaghe stelle de 1° Orsa io non credea Tornare ancor per uso a contemplarvi Sul paterno giardino scintillanti , E ragionar con voi da le fenestre Di questo albergo ove abitai fanciullo , E de le gioie mie vidi la fe. \ Quante imagini un tempo e quante fole Creommi nel pensier l’ aspetto vostro E de le luci a voi compagne! allora Che , tacito , seduto in verde zolla, De la sera io solea passar gran parte Mirando il cielo ed ascoltando il canto De la rana rimota a la campagna! E la lucciola errava appo le siepi E in su l’aiuole, susurrando al vento I viali odorati, ed i cipressi Là ne la selva ; e sotto al patrio tetto Sonavan voci alterne , e le tranquille Opre de’ servi. E che pensieri immensi, Che dolci sogni mi spirò la vista Di quel lontano mar, quei monti azzurri, Che di qua scopro , e che varcare un giorno Io mì pensava, arcani mondi, arcane Felicità fingendo al viver mio! ec. Chi crederebbe che 1° autore di simili versi dovesse incon- trar de’ malevoli , e , divenuto per essi aspro a forza, fare im- provvisamente e fuor del suo costume aspro il suo canto ?_ L’a- sprezza per altro non dura a lungo, e col tornar delle ricordan- ze , che parevan fuggire , i versi tornan mesti e soavi: Chi rimembrar vi può senza sospiri O primo tempo giovanile , o giorni Vezzosi , inenarrabili ; allor quando Al rapito mortal primieramente Sorridon le donzelle ; e a gara intorno Ogni cosa sorride ; invidia tace Non desta ancora , ovver benigna ; e quasi ( Inusitata meraviglia ! ) il mondo La destra soccorrevole gli porge , Scusa gli errori suoi ,. festeggia il nuovo Suo venir ne la vita, ed inchinando Mostra che per signor l’ accolga e chiami ? Fugaci giorni ! a somigliar d’ un lampo, ec. ec. Se non che, privo anche de’conforti della memoria, ei sem- bra sentirsi più che mai oppresso da quel doloroso mistero clie ha nome vita. Quindi il canto 21.° (canto notturno d’un Pastore vagante dell’ Asia) così profondo pel concetto come originale per la forma, e di cui nulla trascrivo, poichè nulla, staccato dal ri- manente , potrebbe darne idea. Due idilli gentili ( il canto 22.° Za Quiete dopo la tempesta, e il canto 23.° il Sabato del villaggio ) quasi farebbero credere ad una calma improvvisa nell’ animo del poeta. Ma la calma non è che appareute. La chiusa del primo anzi mostra che il poeta è ormai giunto all’ ultimo periodo del dolore : O natura cortese Son questi i doni tuoi, Questi i diletti sono Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena E diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano ; il duolo Spontaneo sorge : e di piacer , quel tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d’ affanno , è gran guadagno, Umana - 53 Prole degna di pianto | assai felice Se respirar ti lice si 0° aleun dolor, beata Se te d’ ogni dolor morte risana. La chiusa dell’ altro, per essere meno amara , non è meno dolorosa, e ciò che non dice colle parole dice collo stesso silenzio: Garzoncello scherzoso Cotesta età fiorita È come un giorno d’ allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Che precorre a la festa di tua vita. Godi , fanciullo mio ; stato soave, x Stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo”; ma la tua festa Ch? anco tardi a venir non ti sia grave, Disputar col poeta delle ragioni di tanto. dolore sarebbe non meno duro che inutile. Se qualcuno ha per sè medesimo bastanti ragioni di contentezza , lui avventurato! Lasci da parte i canti del poeta, che potrebbero benchè lievemente turbargliela., e de’ quali propriamente ei non saprebbe dar giudizio , poichè per sua fortuna non sarebbe in grado d’ intenderli. Chi per sua sven- tura lo è, può forse trovare in essi qualche sollievo , giacchè il dolore , vestito di bella e armoniosa espressione , par che riesca men doloroso. E che l’espressione ; ond’ è vestito in questi canti , sia ve- ramente bellissima, non c’ è bisogno di mostrarlo a chi intende poesia. Altri però noterà, piacendogli, com’essa unisca perpetua- mente la gastigatezza all’ardimento; come di magnifica e solenne, anzi spesso avvolta in certo mistero, qual è a principio, essa vada a grado a grado rendendosi più semplice ; più chiara, più pate- tica. Altri potrà anche paragonarla a quella d’ altri poeti del dolore, che presso tutte le nazioni son oggi i primi e forse gli unici poeti , e dalle differenze o dalle somiglianze trarre os- servazioni o di gusto o d’altro genere, secondo ch’ei si sente più inclinato o alla critica letteraria o alla filosofia. Ciascuno intanto, dopo aver letti i canti del nostro poeta n non potrà rileggere senza gran commozione nella lettera agli Amici loro premessa : “ sia dedicato a voi questo libro , dove io cercava , come si cerca spesso colla poesia, di consecrare il mio dolore , e col quale al presente ( nè posso già dirlo senza lacrime) prendo comiato dalle lettere e dagli studi ,,. Questo solo fatto, di cui forse la lettera non accenna che le cagioni men recondite e imeno profonde, giustifica anche troppo il poeta del dolore. M. 54 Saggio di un Trattato Teorico-pratico sul sistema livellare, se- condo la legislaziore , e Giurisprudenza Toscana. Dell’ Avvo- cato. Gruoramo Pocci, Tom. I. Firenze, nella Tipografia Bonducciana 1829. ( V. fasc. preced. pag. 57). Arr. II. Nell’ articolo precedente condussi la esposizione analitica del Trattato del sig. Avvocato Poggi sino alla fine del secondo pe- riodo storico-legale delle rivoluzioni enfiteutiche. Lo egregio Au- tore poteva arrestarsi a questo termine, se avesse scritto per la generalità della Italia, in molte parti della quale si conservano le leggi , e consnetudini tali quali regolavano la enfiteusi , come contratto misto di gius feudale ed ecclesiastico, nella età dei Decretalisti, e degli scolastici in giurisprudenza romana. Ma egli si referisce , con specialità , in questo Saggio teorico-pratico, alla legislazione toscana, la quale nella enfiteusi contemplò meno il contratto civile, che la politica istituzione. E in questo concetto, il savio legislatore che la posterità ha inscritto tra i prodigj del trono, mettendo in armonia la macchina livellare con le altre parti dell’ organismo economico, compose un sistema, da cui resultasse il legittimo svincolamento , e il libero ed utile com- mercio della proprietà fondiaria. E poichè l’ Autore di questo piano sistematico si fu PrerRo LeopoLpo , ( raro dono del cielo negli annali monarchici ), ra- gion volea , che il prospetto della relativa legislazione Leopoldiana disegnato fosse da maestra m.no , onde si ravvisassero , nel quadro ben ragionato, lo spirito di unità nel sistema, e poi, la con- cordia, e la efficacia dei mezzi diretti alla unità del fine. Simi- gliante lavoro fu già tentato da me in ogni parte delle riforme legislative operate in Toscana dall’ Avo gloriosissimo del sommo nostro inperatore. Io aveva in animo di presentare alla Storia dei regi, e dei popoli 1L secoL pi Prerro LeoPoLpo, onde si conoscesse , che questo secolo , se fu meno brillante, e meno celebrato, che quelli di Pericle, di Augusto, dei Medici , e di Luigi XIV, fu sostanzialmente più utile alla umanità ; più con- forme allo spirito sociale , e più glorioso al Principato; in cui potea dirsi , senza officiosità cortigiana , che la filosofia era riu- scita a mettere in vera alleanza la legittima libertà di tutti col sovrano potere di un solo. Ma dubitando io, che le forze inferme del mio intelletto mal corrispondessero al vigore della volontà , 59 e all’ altezza del subietto , ton ebbi ancora lo ardimento di farne giudice la pubblica opinione ; ed ha perciò ragione il sig. Poggi nell’ asserire, che il quadro delle riforme Leopoldine non è stato fin quà delineato da alcuno, benchè interessi l onore , e la gloria nazionale della Italia tutta, e specialmente della no- stra Toscana ( pag. 149 ). Avendo io sentito vivamente questo rimprovero , vincerò , forse, nel tramontare della mia vita , la resistenza della paura , onde non manchi un’ omaggio , qualun- que egli siasi, offerto al nome di quel Grawpe, il quale, vi- vente fra noi, recusò una statua in testimone della pubblica ri- conoscenza ; ma poi, quaranta anni dopo la di lui morte, la non caduca memoria do’ suoi benefizj risvegliò ; nel grato animo nazionale , la nobile idea di eseguire quel monumento , che la virtù di Prerro LeopoLpo volea meritare ; senza avvilir'o col so- spetto , che gli venisse dedicato , come agli imperatori romani, dal timore , o dalla speranza. Proseguendo a rendere conto analitico dell’ Opera in ‘esame, debbo laudare sempre più la saviezza del metodo applicato dall’Au- tore alla composizione del quadro dimostrativo della estensione di quelle riforme Leolpoldiane, che furono dirette a restituire alla proprietà fondiaria la quasi integrità dei naturali diritti, relativamente al di lei soggetto materiale ; la legittima dibertà nello esercizio di questi diritti, e la massima disponibilità , 6 commerciabilità di quelli inerenti alla proprietà, tanto rispetto al di lei soggetto materiale, quanto ai prodotti naturali, e in- dustriali del soggetto medesimo. Da questa giudiziosa divisione dei subietti nasce chiarezza nel quadro dimostrativo , e connessione delle parti che lo compongono con la unità del principio diret- tore delle riforme , e della causa finale delle medesime. Mercè tale armonia legislativa resultane quel sistema ragionato in po- litica economia, il quale ebbe per principio generale il massimo | rispetto alla proprietà, e per unico fine la utilità dei più ; ogni qual volta non era dato di conseguire il bene di tutti. Dal qual principio legislativo, e dal fine a cui mirava la riforma economica di Pietro Leopoldo , ne consegne logicamente, che non potea essere conceduta dalla legge la piena ed illimitata emancipazione ‘della proprietà nello esercizio del suoi naturali di ritti, senza una falsa applicazione del principio, e senza rischio di declinare dal fine, e autorizzare il male sotto la specie del bene. Con questa dottrina, se non vado errato nella interpetra- zione , concorda 1° Autore, allorchè dice “ il diritto di pro- prietà fondiuria può essere modificato ; e limitato dalla ne- 56 cessità : ( pag. 152 ) imperocchè tutto ciò che viene dimostrato utile universalmente, 0 al maggior numero, impone al legi- slatore la necessità di. prescriverlo , e di proteggerlo alla pari di ogni altra regola di. giustizia. Allora si verifica il caso di quella necessità , che per modo. di eccezione, è implicita nella regola generale , che insegna di estendere la libertà civile, e industriale fino al punto; in cui lo eccesso. diverrebbe vizioso più che il difetto della medesima. Allora. conciliasi .parti- colarmente il principio di ragione con la sua causa finale ; stan- techè la libertà legale delle azioni diviene un mezzo efficacissi- simo a conseguire il fine suciale ; ed è così combinata la libertà legittima in diritto con la sicurezza di non essere abusata nel fatto. La quale conciliazione , del principio col fine suddetto, fu proclamata dalla stessa legge del 5 Agosto 1780 con le seguenti parole riferite dallo Autore ( pag. 154 ) estendendo, per quanto era compatibile colla pubblica amministrazione , i diritti della proprietà del suolo ; le quali frasi significavano, che all’ ammi- nistrazione pubblica è inerente la obbligazione d' impedire , che lo esercizio dei diritti della proprietà privata arrechino danno allo interesse generale ,, ch’ è sotto la tutela della pubblica am- ministrazione : non è ; dunque , compatibile con questo dovere la estensione dei diritti di proprietà fino al segno di rendere oziosa o inefficace la tutela della pnbblica amministrazione. E lo stesso sig. Poggi, benchè sembri invaghito della libertà indefinita nello esercizio dei diritti connaturali alla proprietà, considerata in astrat- to, non può negare, nello stato sociale, la esistenza d’alcuni casi in cui lo intervento. dell’ Autorità. amministrativa è reclamato imperiosamente dalla pubblica sicurezza, e da una utilità vera- mente preponderante ; ( pag: 157 ) dimodochè concordata , in ra- gione politica , la massima, che ammette la legittimità dello in- tervento della autorità amministrativa . nello esercizio dei diritti di proprietà , rimarrebbe soltanto pendente la questiene di fatto; vale a dire , se l’ applicazione di questo intervento ad alcuni casi particolari, fosse reclamato dalla utilità. ; E a questa condizione io , di buon grado , assoggetto lo in- tervento del potere governativo , non solo per regola di ragione, ma per lo esempio stesso di Pietro Leopoldo , il quale , nelle sue riforme economiche, non renunziò mai al diritto di esaminare, se la, proprietà ne’ suoi particolari rapporti alla. pubblica ammi- nistrazione ; dovea lasciarsi iutiera, o modificata dalla legge. Egli non\insegnò col suo esempio, come suppone il nostro Au- O% tore; che Za volontà del. proprietario merita di essere. ri- spettata ; anche nei suoi capricci; (pag. 157 ) poichè la ir- ragionevolezza manifesta negli atti volontari è malattia dello spirito, a cui sarebbe crudeltà rifiutare ajuto .,. consiglio, © rimedio preservativo da .quelli che ha la cura suprema del popolo. Ed i capricci, altro non essendo che moti di. fantasia , senza guida della ragione, e azioni determinate da quei mo- ti, senza ;considerarne le conseguenze; e potendo queste. azioni nuocere , qualche volta , al, pubblico interesse, non debbono ri- manere fuori del dominio della legge , la quale è tutela, e ga- ranzia dell’ utile comune. Dal qual principio politico emanarono le leggi civili, le quali considerando i prodighi viziosi, come infermi di spirito , gli assoggettarono alla tutela de’ magistrati , onde impedire , che i loro capricci divenissero perniciosi alla mo- rale privata, e alla pubblica economia. ll rispetto alla volontà de’ proprietari non prevalse al rispetto dovuto all’ interesse gene- rale; ed un cattivo amministratore fu equiparato a un cattivo cittadino ; poichè l’ abuso della proprietà particolare , dannifica più, o meno, il patrimonio nazionale. Pietro Leopoldo non la- sciò neppure libero al capriccio dei proprietarj la disponibilità di alcuni oggetti , che per loro natura, non hanno influenza sulla proprietà nazionale. Ed in vero ; lo Editto del 5 Agosto 1780 (pag. 155) salvò alla R. Galleria di Firenze ,‘la prelazione per lo acquisto facol- titivo di ogni oggetto di antichità, o di belle arti, che scoperto si fosse , per qualunque causa , nei così detti Tesori , o nascon- digli di cose preziose , ivi depositate dalla paura, o dalla avari- zia , o sepolte da qualche ruina, e poi dimenticato , per fortuiti accidenti, o abbandonate dalla incuria , o dalla impotenza di ricondurle alla luce. Simigliante limitazione alla libera commer- ciabilità degli oggetti materiali del dominio privato , ebbe per causa finale il solo favore delle belle arti, e lo incremento di quel Musèo nazionale , che onora cotanto la toscana civiltà , e a cui la pubblica amministrazione non dovea negare un privile- gio benchè limitativo dei naturali diritti del dominio , se amava di conciliare lo interesse comune col rispetto legittimo alla pro- prietà fondiaria. Se il solo favore delle belle arti autorizzò la restrizione della libera commerciabilità dei beni privati, con mag- gioranza di ragione sarà permesso alla legge di modificare i diritti di proprietà , in grazia di una causa più rilevante. Ed infatti; per combinare il rispetto alla proprietà con lo iuteresse pubblico, ordinò il Gran-Duca Pietro Leopoldo varj T. II. Aprile 8 58 regolamenti adattati allo stato agrario della maremma Senese ; ( pag. 161 e segg. ) e dai quali resultava ; che un savio Legisla- tore non sacrifica alla devozione a un sistema le speciali con- dizioni di un paese ; che meritava eccezione salutare, e a cui sarebbe stata funesta l’ applicazione della massima, che la vo- lontà del proprietario per essere guidata non ha bisogno, che delle lezioni, e dei consigli della esperienza. ( pag. 157 ). Considerava Leopoldo, relativamente alla Maremma Senese, che affidando ai consigli, e alle lezioni della esperienza altrui la polizia rurale in quella provincia, averebbe ritardata la di lei bonificazione fino a che la esperienza , col sentimento dei mali, non avesse istruito i proprietarj ; e in questo periodo il continuo conflitto tra la pastorizia , e l’ agricoltura averebbe causato impedimento alla ampliazione della regolata coltura, che fu lo scopo del tentato prosciugamento della Maremma ; e perciò costrinse la volontà dei proprietarj alle chiusure dei loro campi , onde il pa- scolo dei bestiami cessasse di essere un diritto comune ( p. 163). Se lo economista , per superstizione sistematica, odiato avesse le chiusure coatte , e rispettata la proprietà finv ne’suoi capricci, la provincia maremmana sarebbesi mantenuta simile alle terre dei Tartari nomadi, ove i soli armenti sono i padroni del suolo ; o le continue accuse del danno dato , e dei turbati possessi, averebbero inasprito gli umori del popolo, abituandolo alle con- tese, e deviandolo dalle faccende dei campi, per condurlo a ru- moreggiare nei tribunali. Costante Leopoldo nella massima di accordare il rispetto alla proprietà privata col rispetto dovuto allo stato , ed interesse sociale , fece sovente menzione di questo suo concetto nelle parti proemiali delle leggi stesse , che svincolavano la privata proprietà. Allorchè restringeva il numero, e la estensione delle Bandite, e dei Riservi alle caccie privilegiate, che offendevano, sì gravemente ; la proprietà fondiaria , e l'agricoltura , dichia- rava Egli di restituire ai suoi sudditi, in questa materia , l’4s0 della loro naturale libertà, per quanto era conciliabile con le regole di una bene ordinata società. ( pag. 167 ). E per conciliare la libertà naturale con le regole di una beue ordinata società , limitava, nella parte dispositiva della Legge , a certi tempi, e a certi luoghi, V uso della caccia ; ( pag. Id. ) ; di modo che la causa pubblica, qualunque fosse , dirimpetto al naturale dritto privato meritava sempre la prelazione del rispetto, in massima, e in fatto, anco in una Legge moderativa dei privilegj usurpati dalla pubblica autorità sulle proprietà particolari. , 59 Prego l’ornatissimo sig. Avvocato Poggi a non do'ersi di questi rilievi sul fatto, e diretti a provare che dalla politica di Leopoldo non fu mai adottata la massima di restituire, al domi- nio privato la piena , e illimitata integrità dei naturali diritti , con esentarli da ogni polizia , vincolo , o restrizione legale. La estensione della libertà fu sempre diretta, e proporzionata alla utilità, 0 vera , o presunta ; conciosiacosachè non fu mai giudi- cato nel gabinetto di quel filosofo Legislatore, che la libertà fosse necessariamente , e per intrinseca virtù , la causa del bene comune ; ma fu riputata , soltanto , il mezzo più naturale, e più efficace a conseguire il bene , o 1’ utile, specialmente contem- plato dalla Legge. Ma poichè l’ umano capriccio , o.il personale interesse, anco mal calcolato , se fossero liberi intieramente , nocerebbero spesso ai singoli, e allo universale , la prudenza del Toscano Legislatore non omise di prefinire alla libertà i limiti della ragione , sapendo Egli bene , che la virtù istessa ha i suoi naturali confini, e che il giusto mezzo tra la libertà , e la sfre- natezza ; è la via segnata dalla pratica alla scienza delle Leggi. Io mi sono arrestato lungamente su questo punto fonda- mentale di economia politica , perchè mi è sembrato , che l’Au- tore ; in diversi luoghi dell’ Opera , abbia inteso ad imprimere, alla legislazione Leopoldiana , il carattere di un liberalismo così scrupoloso da ron far mai violenza alla volontà del proprietario, e a rispettarla ancora ne’ suoi capricci, la qual volontà, per es- sere guidata non ha bisogno che delle lezioni, e dei consigli dell’esperienza (pag. 157 ): Questa cieca fiducia nella volontà del proprietario \sembra fondata da molti rispettabili Scrittori, sulla presunzione , che la rettitudine dello intelletto sia neces- sariamente l’ accessorio morale del fisico dominio. immobiliare ; e da questa presunzione pare , che derivino. 1’ altra , che tutti gli atti di padronanza , attesa la presunta rettitudine intellet- tuale, siano operativi del vantaggio particolare del proprietario, e mon mai lesivi dello interesse sociale. Oltre il vizio logico di simigliante . modo di argomentare, deducendo presunzione da presunzione , la esperienza comune , e quotidiana smentisce le due fantastiche presunzioni sopra enunciate. La proprietà di ogni specie è generalmente , il dono del caso, e non della virtù ; e i proprietàrj nei loro calcoli , e capricci, ,sono egoisti, e non fi- lantropi, per istinto naturale. Meno poche eccezioni; questa è le storia dell’ nomo. Quindi ne risulta la divergenza degli inte- ressi parziali dallo interesse pubblico , e la necessità di una forza esterna , la quale comprime , e spinga verso il centro sociale la 60 i elastica natura dell’ uomo. Questa forza è la legge, quando è viva nelle mani del potere esecutivo: l uso di questa forza può essere bene . o male applicato dal potere legislativo ; ma questo vizio di eccesso , o difetto nella applicazione non è imputabile alla natura della forza, ma solamente all’ uso fattone nella specialità dei casi. Renunziare a questa forza, perchè fu talora male applicata , varrebbe io stesso che introdurre 1’ anarchia per rimedio ‘al dispotismo. Pietro Leopoldo non renunziò mai a questa forza, o per comprimere , o per impellere la umana volontà ; e solamente corresse il mal’ uso fattone dai suoi predecessori; e 1° adoperò con saviezza , tutte le volte, in cui giudicava , che la somma, e riunione degli interessi di tutti, o della grande pluralità dei proprietarj dello stato, esigesse 1’ intervento della mano sovrana alla megliore direzione della volontà particolare. 11 quale inter- vento è ammesso anco dal nostro Autore , subitochè in massima generale , consente, che l'autorità amministrativa ha il diritto di esigere la rigorosa osservanza di regolamenti di polizia ( p. 173): Questo è il carattere proprio , e distintivo della legislazione eco- nomica di Leopoldo in cui fra le virtù personali , brillò , supe- riormente a tutte, la moderazione. Libertà conceduta a ciascun proprietario , quando è utile a tutti, o alla grande maggioranza dei cittadini : restrizioni ; o vincoli, allorchè nella piena libertà di certe azioni, è previsto quasi imminente il pericolo dello abuso pernicioso allo universale, e, talora, al proprietario medesimo. Que- sta è la specie di libertà, che resulta dall’analisi del Codice econo- mico di Leopoldo, e che io ho sempre chiamata Zegittima, perchè modificata dalla legge. E stantechè , in materia sì difficile nelle giuste sue applicazioni, la pratica degli affari vale più che la teorìa , la scola dell’ esperienza fu maestra al Toscano Legisla - tore , il quale , sovente variò le sue disposizioni, a seconda dei lumi acquistati negli esperimenti. Mercè questi lumi , una libertà illimitata nel principio del governo Leopoldiano , fu posterior- mente temperata da leggi correttorie ; e non vergognossi quel Filosofo Regio di confessare coi fatti , che da molti anni di go- verno avea imparato , più , che dalla scola teoretica , la scienza della legislazione. Non parmi , adunque , che il nostro Autore abbia bene interpetrato , dalla lettera stessa delle leggi da lui riferite , lo spirito del Toscano Legislatore , relativamente al rispetto dovuto alla proprietà, ponendo Egli in tesi generale, che questo ri- spetto estendere si debbe fino a tollerare; senza eccezioni , i 61 capricci deì proprietatj. Incontrando io questa tesi alla testa del prospetto delle leggi Leopoldiane in politica economia , ho dubi- tato, che 1’ Autore avesse il concetto di manifestare, con questa massima ; lò spirito del gabinetto Leopoldiano , derivandolo dal- 1’ analisi delle leggi, che andava ad esporre nel ragionato suo quadro. Il qual dubbio mi ha impegnato a far meglio conoscere la politica, che diresse Leopoldo nelle riforme economiche, onde non venga citato ad esempio, e sostegno di un sistema, che i dot- trinarj vezzeggiano , perchè seduce il core, e lo spirito , e gli uomini di Stato, meglio istruiti dalla pratica degli affari, non gli affidano ciecamente la tutela, e la garanzia del pubblico interesse. Dalla mia franchezza nello. espurre i sentimenti con- trarj a quelli del sig. Poggi , specialmente in politica economia, argomenteranno Egli ed il pubblico , che le mie lodi, ove hanno luogo , non peccano di parzialità. E di lode degnissima io reputo la esposizione dei motivi spe- ciali di alcune leggi abolitive dei vincoli , che impedivano, o li- mitavano la utile attività , e la industria dei cittadini nell’ uso nello incremento , e nella commerciabilità dei beni stabili , e dei loro prodotti. Con savio divisamento fa Egli precedere la enu- merazione: dei regolamenti, e la dimostrazione dei danni da quelli derivati al relativo sistema economico , anteriormente alle riforme Leopoldiane, di cui espone particolarmente le cause , le disposizioni, e gli effetti. La principalissima tra quelle riforme si fu la graduale abo- lizione del sistema annonario ereditato, alla pari di tutta la mo- derna Europa ; dall’ antica politica romana ; la, quale per con- servare alla plebe inerte, e superba, una reliquia della sua pri- mitiva sovranità , divideva con essa i tributi delle derrate che le provincie pagarono al pubblico erario. Quindi le distribuzioni gratuite dei viveri, o il vilissimo prezzo tassato a quelli nelle vendite che si facevano dalla annona. Ritenuto il concetto, che quei tributi in natura si riputassero quasi proprietà popolari, e comuni, amministrate dai governanti, ne conseguiva , che le diminuzioni nelle quote dei reparti, o gli aumenti nei prezzi delle vendite doveano qualificarsi dalla plebe per usurpazioni parziali delle, sue proprietà. Allora!la irritazione svegliava le. se- dizioni, e reclamavasi con la forza; ciò che credevasi essere giu- stizia denegata ai legittimi proprietari. E i governanti, più astuti, studiavano a conciliarsi maggiore popolarità con più larghe asse- gnazioni alle, persone dei tributi annonari, 0 col minimo prezzo dei commestibili, senza curare i danni economici, che resulta- 62 vano dallo abituare il popolo della capitale a vivere, per dirit- to, a spese delle provincie. La quale pretensione, benchè alterata nelle forme ; trapassò in sostanza , alle popolazioni di tutti i paesi , che direttamente, o indirettamente ereditarono quello spirito popolare ; ed i governi più avidi del potere , che amici del bene dello Stato , si appli- carono eschisivamente a consolidare il potere col favore della plebe ; e a questo oggetto fomentarono quella pretensione con leggi, e regolamenti copiati nel gius di Roma , o modificati , 0 inventati secondo le circostanze dei paesi, e dei luoghi, ma tutti diretti a degradare con violenza, o con artifizio , i prezzi naturali dei viveri , e a mantenere nella nuova Europa la eco- nomia politica della Europa romana. In questo stato di moralità, e di legislazione trovò Leo- poldo il suo popolo, e specialmente Firenze, a cui la città di Romolo, o diede i primi suoi fondatori , o ne aumentò i cittadini, con stabilirvi colonie, e naturalizzarvi, con esse, le idee po- lit:iche, e popolari della patria-madre. Le quali idee, rispetto all’ annona, dovettero estendersi e consolidarsi negli spiriti fiorentini, dopochè la indipendenza politica trasformò la loro città in nazione , e la messe in rango onorevole tra le repubbliche d’Italia. In tutte le varie forme, che prese il governo fiorentino, i popolani vi esercitarono sempre un potere diretto, o indiretto; imperocchè , o sedevano esclusivamente nella prima magistratura, o aiutavano i grandi a risedervi. Nel primo caso, la plebe ac- comodava ' le ‘leggi a suo benefizio; e nel secondo, i grandi la favorivano , o per gratitudine, o per timore. E poichè il com- mercio delle arti, esclusa l’ agraria, costituiva il patrimonio na- zionale , doveano essere numerosissimi gli artieri , i capi di fab= brica, e i capitalisti associati alla mercatura fiorentina. Lo in- teresse del commercio abbracciava , dunque , la grande maggio- ranza , per non dire lo universale della città; e allo interesse del commercio giovava quel sistema annonario ; che piaceva co- tanto ‘alla plebe ; attesochè , il bisogno di sostenere al di fuori il credito ;} e lo smercio delle manifatture, obbligava questa città di mercanti , e artigiani a vivere frugalmente , ‘onde vendere; a buon ‘mercato; i prodotti delle arti. E perchè il vivere frugale costasse il meno possibile ; era politica di quel governo di for- zare , con modi diretti, o indiretti , i prezzi delle sussistenze a scendere all’ infimo grado nella scala mercantile. Per il quale re- gime economico abituavasi il popolo di Firenze, come quello di Roma, ma per impulsi e fini diversi, ad esigere dalla pubblica 63 amministrazione la forzata abbondanza, e il vilissimo prezzo dei suoi alimenti. Questo spirito nazionale von cambiò carattere nel principato ; il quale, anzi, lo secondava per vivere più sicuro in trono col farsi provveditore liberale degli alimenti di un po- polo , che temeva morire di fame , senza la tutela , e 1 magaz- zini del governo. Ma queste funzioni amministrative, mentrechè da una parte disastravano la finanza , e l’ agricoltura, aumen- tavano dall’ altra parte , le carestie di fatto, e di opinione, le inquietudini morali e le. fisiche infermità distruttive della popolazione, e moltiplicavano le gravezze su i beni, e sulle per- sone, onde supplire potesse il governo , alle provviste dei vi- veri, che l’ agricoltura interna, nel suo necessario decadimento, rendeasi sempre più insufficiente a somministrare. In questa difficile posizione della Toscana, consultava , il gran-duca il suo ministero, onde conoscere, se da cause fi- siche, o morali derivassero i principali disastri, che abitualmente affliggevano un popolo attivo e industrioso , situato sotto un cielo benigno, e sopra un terreno, che , una volta, faceva parte del dipartimento annonario di Roma. La vecchia opinione di al- cuni fisici, altronde rispettabili , attribuiva alla geografica espo- sizione, e struttura materiale del paese la frequenza delle ca- restie , che leggevano nella storia. Essi dimenticavano , che la Toscana fu provincia annonaria, fino dal secolo di Angusto , e che una simile qualificazione non averebbe meritata , se per na- tura invincibile della sua meteorologia, fosse stata sempre l’agri- coltura incompatibile con le vicende dell’ atmosfera. Parimente non avvertirono ai flagelli politici, che per impeto di armi ci- vili, e straniere, cacciavano l’ agricoltura e la popolazione dai luoghi corsi, saccheggiati , e incendiati più volte in un’anno. Finalmente non consideravano , che i regolamenti legali, benchè diretti a procurare l’ abbondanza, ne sterilivano le sorgenti, stantechè la vita dell’agricoltura angustiata da vincoli numerosi, e troppo stretti, perdeva il vigore dell’ anima, e cadeva in asfis- sìa. A questi riflessi aderendo i ministri politici, consigliavano lo svincolamento della proprietà rurale , e la legittima disponi bilità delle sue produzioni , assicurando il Grandnca , che nella pace pubblica dello interno , e sotto una amministrazione pro- tettrice della industria , l’ agricoltura ampliata , e prosperante , avrebbe smentita la teoria dei fisici, e prevenuto, con l’ ab- bondanza dei suoi prodotti , i disastri delle frequenti carestie. Leopoldo non ondeggiò nella sua deliberazione : fu il primo 64 in Europa a dettar leggi di libertà, mentre tutte le nazioni ge- mevano nell’autica servitù commerciale. Il coraggio nella im- presa novissima pareggiò la forza dello spirito nel gran conce- pimento , e seppe sostenerla con fermezza , di fronte alle resi- stenze delle abitudini popolari, dei pregiudizi invecchiati nei dot- trinarii, delle autorità decadenti nei magistrati, e degli abusi, che, per modo di privilegio, usurpato aveva il monopolio. Le con- seguenze pronte , ed universali del nuovo sistema economico si f:cero sentire direttamente alla proprieta rurale, ed all’ agricol- tura; e da queste rifletterono sul commercio, interno; ed ester- no, sulla popolazione , sullo stato pecuniario del paese, sulle manifatture di necessità, di comodo , e di lusso, e sulla pace pubblica, che è sempre il prezioso resultato della megliorata condizione dei cittadini che vivono d’ industria manuale. È questa la, epoca da cui si parte la gloriosa era Leopoldiana nella storia delle arti, e dello incivilimento della Toscana. Ma chi lo crederebbe senza documenti legali? Questa feli- cissima rivoluzione nella nostra statistica svegliò non ‘pochi op- positori. Nel processo dei tempi si profittò di alcuni eventi di- sastrosi all’ ordine pubblico , per insinuare diffidenze con- tro il sistema annonario , e non si temè di acccusarlo di com- plicità nei mali, evidentemente prodotti da cause affatto stra- niere , ed accidentali. Nel confltto delle opinioni, la forza dei governi fu vittoriosa ; e la esperienza consolidando il sistema di Leopoldo , convertì la massima politica, che avealo creato, in sentimento nazionale. Ma siami leci'o , soltanto , di annotare al detto fin quì, che la stessa esperienza , dopo il mutamento generale avvenuto nel sistema agrario , e commerciale del colto mondo, a me pare, che abbia motivato qualche dubbio rilevante intorno alla utilità della sempre libera intro.luzione delle derrate straniere; che questo dubbio sia meritevole di seria, e imparziale discussione ; che la proprietà rurale ; e l’ agricoltura siano eminentemente interessate ad invocare , su questa parte del sistema, un profondo esame ; che questo dubbio, senza diffidare della massima in genere, tende alla perfezione del sistema ; poiche le buone leggi econo- miche di ogni paese, essendo relative alle di lui circostanze in- terne , ed esterne, debbono variare disposizioni a seconda di quelle circostanze, se vuolsi conservarle in armonia con esse, alla pari di ogni altra legge dotata di bontà relativa ; che ritenendo ferme , mentre il mondo si move ; alcune disposizioni di. circo- 65 stanza, rimarrebbero queste arretrate nella carriera dello incivi- limento’, e in falsa posizione, relativamente agli oggetti, ai quali si riferiscono. E alle lezioni della esperienza imparò Leopoldo medesimo a diffidare di qualunque regola generale , che pretenda alla infal- libilità, ed escluda imperiosamente ogni eccezione. Eccone la prova . Nel fervore degli svincolamenti a henefizio della proprietà fondiaria, non furono dimenticate le leggi restrittive dell’ uso dei boschi, specialmente montani; e giudicandole in conflitto manifesto con la massima generale del rispetto dovuto alla pro- prietà riputata allora quasi simile a cosa sacra, e perciò invio- labile da qualunque autorità, ordinò Leopoldo con la prima legge del 20 gennaio 1776 e con le altre susseguenti , compresa quella, più larga di tutte, del 24 ottobre 1780, la quasi in- tiera abolizione del nostro codice delle foreste, il quale compo- neasi delle varie leggi pubblicate in Toscana , a tutela dei bo- schi, principiando da quella promulgata nel 1559, dal Gran Duca Cosimo I. Il nostro autore, fedele al sno principio della libertà illi- mitata nel godimento delle proprietà , impiega alcune pagine a censurare i regolamenti medicei, ed a far plauso alle franchigie concedute da Leopoldo ai possessori dei baschi (pag. 175 e seg.). Ma egli, sia con sua pace, ha omesso di referire l’ultima legge di quel principe , relativa a questa muteria, con la data del 4 gennaio 1790. È prezzo dell’opera di supplire questa omissione, onde si conosca quanto la esperienza di un vigilante governo aveva illuminato il Gran Duca; il quale, nelle sue prime leggi abolitive dei vincoli medicei, proclamava , che tutte le leggi, ed i regolamenti di questa specie non producevano altri effetti , che quelli di ledere i diritti della proprietà , d’ impedire l’industria, e l’attività dei possessori, che conoscono meglio di qualunque altro il loro vero interesse, e vantaggio (p. 180). Ma nel 4 gennaio 1790, il principe meglio informato del diboscamento , che va sempre crescendo, (son parole della !egge) nelle montagne alte del gran- ducato, e premendogli la conservazione delle macchie y e la loro riproduzione , a scanso di quei maggiori mali, che ne potrebbero derivare ‘nel tratto successivo, ec. venne nella determinazione di abrogare in parte la legge di amortizzazione , autorizzando i mo- naci Camaldolensi, Certosini, Cassinensi, Valombrosani , e Ser- viti ad acquistare in compra, enfiteusi perpetua , 0 permuta , qualunque porzione dell’appennino , dentro il miglio di distanza T. II, Aprile. 9 66 dalla cima; e ciò col solo fine di restaurare quelle selve , e della loro più sollecita , e meglio intesa riproduzione. È implicita , se non espressa, in questa legge, una dichiara- zione, la quale stabilisce in fatto; r.° che la fiducia nella industria, e attività dei possessori , che conoscono meglio di qualunque altro il loro vero interesse, e vantaggio , non era stata ben collocata dalla previdenza sovrana ; imperocchè , invece , che il loro vero interesse, e vantaggio , consigliati gli avesse alla conservazione delle macchie, e alla loro riproduzione , era S. A. R. informata del diboscamento, che andava sempre crescendo nelle montagne alte del gran-ducato ; il quale diboscamento , sempre crescente, significava la distruzione operata dalla scure , senza nuove pian- tazioni per industria , e vantaggio dei proprietari. 2.° Che questi diboscamenti , o distruzioni di boschi , erano generali ed ecces- sive nelle montagne alte del gran-ducato. 3.° Che la conserva- zione delle macchie , e la loro riproduzione , interessava tutto lo stato, stantechè il legislatore , a scanso di quei maggiori mali, che ne potrebbero derivare nel tratto successivo , interveniva, con le sue provvidenze , a prevenire quei maggiori mali. 4.° Che i mali dei diboscamenti erano considerati di tanta gravità, da ri- chiamare , non solo lo intervento del governo, ma da obbligarlo, pur anco, a derogare parzialmente alla quasi inviolabile legge delle mani-morte , per cercare più industria , e attività nei mo- naci, che nei possessori privati, i quali non aveano corrisposto alla fiducia della legge, benchè si trattasse del loro vero inte- resse , e vantaggio. E da questi resultati pareami essere manifesto che la espe- rienza di un decennio aveva dimostrato al toscano legislatore, che lo editto del 24 ottobre 1780 , il quale introdusse fra noi il regime della piena libertà nell’ uso, e godimento dei boschi , (pag. 181) non avea, nel fatto, corrisposto alla regola gene- rale, che predica di assicurare lo interesse pubblico sotto la ga- ranzia dello interesse privato ; imperocchè spesse volte, il privato ivteresse, o non è ben conosciuto dai proprietarii , 0 malgrado la evidenza del meglior partito , sono essi forzati dallo imperio delle domestiche circostanze a celere alla urgenza del momento, e a mettere il loro interesse privato in conflitto con la pubblica utilità. Ma questa impegnosa discussione mi condurrebbe al di là del confine prescritto a un’ articolo di giornale, in cui lo estratto dell’ opera esaminata ammerte solamente rapide osservazioni. E se io ho peccato , in questa parte, contro il dovere impostomi 07 dalla natura della presente mia funzione , compenserò lo eccesso del dire , di cui fossi colpevole, con la brevità dei cenni sulle moltissime cose, che ancora richiamerebbero , in questo trattato ricchissimo di teorie, e di fatti, la mia particolare attenzione. Tali sono le leggi restitutorie della libera commerciabilità dei beni fondi, e quelle -dirette a prevenire l’accumulazione , e lo stagnamento delle proprietà immobiliarie, e specialmente nel rapporto a quelle di alcuni ceti privilegiati, tanto ecclesiastici , che secolari. Nella storia filosofica di questa preziosissima parte della legislazione Leopoldiana ha sviluppato il sig. Poggi tutta la forza del suo criterio, e la estensione della sna scienza teorico- pratica in questa materia politico-legale. Il diritto libero di acqui- stare ricchezze mobili, e stabili, avea cumulato un patrimonio al clero così esorbitante, che lo stesso Gran-Duca Ferdinando I, stato già cardinale della S. Sede, pronosticava che senza una barriera legale, tutto il territorio toscano sarebbesi occupato dalle mani-morte (Galluzzi storia del granducato. Lib. V. cap. 13). Il desiderio di Ferdinando I fu pienamente compito dalle due leggi del 1 febbraio 1751, e 2 Marzo 1769. E questa seconda prov- videnza di Leopoldo, più che quella dell’ Augusto suo genitore, riparò ancora ai mali dello stagnamento dei beni pertinenti alle mani-morte , e alla reversibilità di quelli, che erano , per titoli diversi, trasferiti nel possesso dei laici; salvo il dominio diretto alle mani-morte. Mercè queste esemplari costituzioni, cessò il pretesto alla critica indiscreta di accusare il clero cattolico di abuso del suo potere spirituale, a profitto della sua vita mon- dana ; cessò il pericolo di vedere trasformato il patrimonio na- zionale in patrimonio ecclesiastico , e messo fuori del commercio, come cosa religiosa ; cessarono , finalmenge, le querele dell’agri- coltura , la quale , generalmente , vedeasi derelitta dalla indu- stria , difficilmente associabile con gl’ interessi , e i regolamenti di quei santi istituti, che più doveano vccuparsi dei beni del cielo, che dei possedimenti terreni. i Nè bastava al favore dell’agricoltura, e del commercio, im- pedire lo incremento del patrimonio ecclesiastico, e svincolare il già esistente dalle leggi d’ inalienabilità, le quali, savissime in diritto, erano divenute perniciose nelle conseguenze di fatto, se la- sciavasi indisponibile dai possidenti di ogni condizione quella gran massa di beni fondi , che costituiva il sistema fidecommissario , a sostegno di alcune famiglie, e a rovina della morale, e della economia civile. La filosofia ha oramai illustrato ampiamente questa parte oscura e viluppata della legislazione europea, e 68 me ha rivelato i vizi di affinità con quella dei feudi , indicando in esse le due piaghe della società, che ne rodono la vita fisica, e morale. Ove la voce della civilizzazione è penetrata, ed intesa, sono già spente queste due istituzioni contro natura , e sola- mente rimangono vive nei paesi, dove il goticismo è ancora do- minante , e dove il culto superstizioso alle genealogie sacrifica agli idoli del B/asone le affezioni natur.li, gl’ impulsi della ra- gione , e i doveri di uomo , e di cittadino. La legge del 15 marzo 1749 restrinse, e regolò la parte po- litica del sistema fewilale in Toscana; e Leopoldo ne abolì tutti i vizi politici, civili, economici , e morali, conservando soltanto al baronaggio la vanità dei titoli, e delle onorificenze innocue al gius pubblico; e allo equilibrio civile. Parimente la legge del 22 giugno 1747, la quale nella condizione dei tempi; fu esordio nunziatore di un periodo gloriosissimo , limitava la fa- coltà di fideicommettere e la durata delle sostituzioni ; ma la- sciava aperto lo arringo alle battaglie della giurisprudenza ; e le nostre biblioteche forensi attestario quanto il cavillo del'a in- terpetrazione eluse la mente del legislatore ; il quale , oltre gli altri oggetti, erasi proposto di menomare gli oscuri ravvolgimenti nel laberinto dei fidecommissi , che per onorarlo ; chiamavasi la metafisica della curia. Non era compatibile con la energica , e franca politica di Leopoldo un sistema di mezze misure , che modificava i mali , e ne lasciava intatta, e sempre germinante la radice. Il suo motuproprio del 14 marzo 1782 ; ordinava il proscioglimento in- tiero dei fidecommissi dividui, subitochè una porzione ne fosse rimasta libera nell’ultimo grado di successione prefinita dalla legge. Ma questo espediente non compiva il voto di mobilizzare, agli effetti commerciali , tutti i beni immobili dello stato , e ad abolire 1° odioso privilegio conceduto alla nobiltà dalla citata legge del 1747 ; in virtù del quale rendeasi, per lunghissimo tempo , inalienabile il dominio delle terre nelle famiglie dei mag- giori possidenti, ed esentandole dal sistema ipotecario , toglieva un sostegno al credito privato, e diveniva complice quella legge delle frauili commesse dai privilegiati a danno dei creditori di buona fede. Nel 23 febbraio 1789 un’ editto definitivo proibì universalmente la fondazione dei filecommissi, e sotto alcune modificazioni, prosciolse le sostituzioni ordinate nelle fondazioni antecedenti. Ecco il primo e glorioso esempio offerto a modello alla europea legislatura , onde combinare col rispetto ai diritti privati la pubblica causa; e seppellire così sotto le rovine del 69 feudalismo il mostro a cento teste. che fraternizzava con quello generato nel caos della barbarie. Al più esteso splendore della gloria di Pietro Leopoldo , come legislatore toscano, mancò sol- tanto, dopv questa legge , veramente filosofica , 1’ ordinamento in uno, o più codici, di tutte le sue grandi, ed utilissime idve di riforma civile, onde fossero stabiliti, con chiarezza , e pre- cisione , i diritti, e i doveri reciproci dei cittadini, e i modi semplici, e brevi di èsercitare giuridicamente le azioni legali. È vero » che i materiali di simiglianti codici sono di origine , e di uso italiano, come osserva il sig. Poggi (pag. 438); ma re- stando essi senza ordine, e qua, e là dispersi, mon possono aspirare al vanto di una ragionata, e nazionale legislazione. La costruzione di questo edificio bene architettato con quei mate- riali, e con gli altri, che somministrare dovea la scienza del se- colo , fu anco esso il benefico pensiero del grand’ uomo; ma i tempi non secondarono la intenzione del principe, e il voto della nazione. Dopo la ragionata esposizione delle leggi Leopoldiane, che facilitano la piena intelligenza, e manifestano lo spirito vero del sistema livellare toscano, prosegue il sig. Poggi la storia del terzo, e quarto periodo delle vicende enfiteutiche, vude servire all’oggetto principale del suo trattato, a comodo della pratica giurisprudenza, la quale, nell’ ordine nuovo della materia , fu spesso traviata dalle antiche idee, o stette ondeggiante tra le regole del gius privato , e quelle di una creazione, più politica, che strettamente civile. Se io mi proponessi di particolarizzale il vasto comp'esso dei capitoli quinto , e sesto, che danno com- pimento al tomo primo del trattato politico-legale del sig. Poggi, dovrei quasi ricopiarli, non trovandovi soprabbondanza , e strin- gendo di troppo l’ analisi, darei nozioni oscure, o incomplete di ciò, che splende chiarissimo, e intiero nel testo. Mi limito , pertanto , ad invitare gli amatori della filosofica giurisprudenza alla lettura ponderata di questi due capitoli , ove il sistema li- vellare Leopoldiano è considerato astrattamente nella sua crea- zione , e organizzazione , nel suo movimento pratico, e nella sua piena attività ; e successivamente lo storico giureconsulto descri- vendo le vicende del sistema dopo il regno del suo fondatore, c' informa dettagliatamente delle modificazioni, e alterazioni da esso patite, sotto lo impero della legislazione francese , e dopo la epoca della restaurazione al trono della Toscana dell’austriaca dinastia fino all’anno 1829. Le modificazioni arrecate al sistema livellare, dopo 1’ an- (0) no Da 3 e riferite col solito metodo di chiarezza , e precisione dal diligente nostro scrittore potrebbero formare subietto di po- ‘lemica , se, oramai, non fossero consacrate da leggi positive. Considerando la enfiteusi, di che sì tratta , come semplice con- tratto , e indipendente da ogni politica relazione, meritano plauso le nuove garanzie ordinate per interesse dei publici stabilimenti, nella loro qualità di padroni diretti dei beni conceduti, con prima investitura, o ricondotti a livello. Ma contemplando la enfiteusi toscana nella sua speciale natura di istituzione politico- economica, che tende a dividere le grandi proprietà, a molti- plicare i piccoli possidenti, ad affezionare i cittadini allo stato col vincolo della proprietà, a favorire l’agricoltura col promovere la industria , e fornirle i materiali per esercitare la sua attività, oserei dubitare, se il rigore di cui è circondato il contratto , possa impedire, o menomare gli effetti della politica istituzione. Ma dopochè il legislatore ha deliberato , la presunzione della saviezza emana dalla sua deliberazione , e il silenzio della fidu- ‘cia è la prova , che quella presunzione è divenuta un senti- mento. Non altro mi rimane in questa mia funzione, se non che a manifestare al sig. avvocato Poggi, il pubblico desiderio, che la sua laboriosa , ed utile impresa cammini sollecita per i due stadii, che debbe ancora percorrere , onde il saggio teorico-pra- tico della legislazione livellare, dopo avere renduto il debiro omaggio al suo glorioso Creatore , sia proficuo alla giurispru- denza toscana, e con i lumi della scienza economica, manifesti le relazioni politiche di tutto il sistema, le quali sono più sentite, che conosciute dal popolo, che ne gode i benefizi. Avv. ALDoBRANDO PAOLINI. Histoire de Federic le-Grand, par Camicie Pacaner. 2 Volumes, Paris 1830. Verso il finire del secolo 17.° 1’ Europa ; udendo forse ap- pena la nuova di un piccolo elettore germanico promosso alla di- gnità regia, nonchè non prevedere , non aveva alcerto neppure il lampo del pensiero , che sol cinquanta anni più tardi sarebbe ella tutta in guerra , e malavventurosamente , contro al nepote del re novello. La possibilità dell’ evento era oltre al tiro d’ ogni umano pronostico. Ciò intanto avvenne ; e Federico II fu l’ope- - ZI ratore di questo fatto inopinato ed inopinabile. Indi ben a ra- ragione il suo nome fulge fra’personaggi chiarissimi dell’ istoria , ossia della rinomanza eterna, i Nella quale memoria indelebile primeggiano i capitani stra- ordinari, e sovratutto quelli che , incliti per virtà guerriere , seppero coordinare egregie gesta belliche al bene ed all’avanza- mento della patria loro. Fra questi eroi va noverato il secondo Fe- derico; e non sapremmo vedere chi mai potesse negargli sì me- ritato onore. Imperocchè , per mano sua la Prussia, già debole provincia confinata fra l’ Odera e la Sprea, sali a primario stato europeo , a malgrado di tutta Europa intenta a debellarla. Laonde un principe, che esordia movendo da sì tenui elementi, e sapea far riuscire a lieto fine cotanta opera arduissima , si ascrisse egli stesso nel breve ruolo di que’ sommi, che non paventano di cimentare le imprese più terribili con mezzi minuti , e vi trion- fano ; di que’ sommi come Colombo , verb.grazia , il quale, non temendo il formidabile cimento di sfidare sovra fragile caravella l’ ignoto Oceano a rilevargli i suoi misteri, vi si impelaga , il trapassa , il ritrapassa , e ritorna carico di un altro mondo. Noi adunque , andremo toccando per sommi capi i fasti di Federico , ora che il sig. Paganel volle scriverne la vita. Vorremo inoltre dimostrare in lui il precursore di Napoleone nell’ arte immensa della grande guerra; in quell’ arte, che comunque eterna fin da quando vi sono uomini sulla terra | è però di tale e tanta arduità, che nel.’istoria leggonsi i duci insigni non men rari d’ogni altro insigne negli studi delle Muse o di Minerva. Alessandro , Annibale , Cesare , Bonaparte sono infatti personaggi non men rari di Omero , di Dante e dell’Ariosto, o di Fidia , di Michelangelo , di Apelle , di Raffaello , o di Galileo , di Le- binizio , di Neuton, ec. ec. Dal quale Vero di fatto svolgesi co- me assioma l’altro Vero morale, che per eccellere in guerra vuolsi dono di ingegno divino non minor di quello, che è in- dispensabile all’eccelsitudine nelle arti e nelle scienze. Federico ebbe dal cielo un tal dono, e perciò vorremmo contemplarlo nelle gesta sue. Così facendo , se ie forze ne saranno da tanto ad attrarre le menti de’nostri valentissimi lettori nella contem- plazione di questo uomo celeberrimo , avremo conseguito il mi- glior fine - che conseguir si possa nell’ uffizio critico sul libro enunciato. La menuma vibrazione di simpatia per un personag- gio istoricamente contemplabile , vale più di tutta l’arte critica. Non mai vi fu uomo o principe famigerato , di cui si scri- vesse e in vita e dopo morte, più di quel che si scrisse di Federico. 72 Fatto dalle sue strepitose vittorie, egli arbitro quasi dell'Europa, e il suo esercito scuola di tutti gli eserciti europei, diè larghissimo argomento alle penne di moltissimi scrittori. Senonchè i più di que- sti, impotenti a farsi insensibili alle varie ma universe passioni , accese ne’ contemporanei dalle sue gesta portentose , il furono anche alla giusta misura sia delle laudi sia del biasimo. Mille: orgogli, e politici e militari, eran stati fiaccati da questo debel- latore di tanti superbi. Onde è che l’ impotenza alla vendetta con le opere, si sfogò in quella con parole. Altri poi, vergo- gnando di confessarsi vinti da un uomo , si appigliarono , come gli eroi omerici , all’ espediente di dirsi vinti da un nume. In cotesta varietà d’ affetti fra l’ apoteosi e l’anatema , non va detto che l'ammirazione trascorse ad entusiasmo, e la critica ad odio e livore. Avrò io evitato questi due scogli ? domanda Paganel a se medesimo ; e si risponde ei stesso, il pubblico deciderà. Perlochè vuolsi attendere che il pubblico parere decida, non essendo lecito rifiutare al nostro autore il giudizio legale e venerevole, cui si è ri- messo inappellabilmente. Noi che facciam parte, comecchè infima, di questi pubblici giudici, potremo adunque dire il parer nostro; e diremo, che ne parve non immune dal tributo solito a pagarsi da’ biografi ; da quello cioè d’ essere più panegiristi che istorici. I soli mondi da questa pecca furono Plutarco e Cornelio Nepote. Ove anzi si voglia esser critico alcun poco severo , avrassi il se- condo non immacolato dalla colpa in discorso nella vita di Tito Pomponio Attico ; uomo, non solo non illustre per gesta militari o politiche, ma inertissimo ancora nella più travagliosa età , nella grande catastrofe di Roma. Ed è un mistero in qual mai modo un personaggio, così freddo ed impassibile al gran periglio della patria sua, meritasse amicizia e stima di cittadini caldi e passionati come Cicerone e Bruto. Non minor mistero è come mai l’Alighieri, sì iroso contro a’ neghittosi, nol vedesse fra n°000. L'anime triste di coloro Che visser senza infamia e senza lodo. Però torniamo a Federico. Adunque Paganel scrisse la vita di questo principe , tuttora onorato dall’ Europa col titolo di Grande , e dalla Germania con quello di Urico (Der Einzige). Nel quale compito, se ne parve che sentisse di panegirismo, nonchè non fargliene rimprovero , lo estimamo anzi nelle sue nobili simpatie per un grand’uomo , cui non sono mai mal spese le laudi. Sol avremmo voluto che egli , traendo miglior partito dal suo elegante e lucidissimo stile, 73 fosse meno apparso panegirista , ed avesse atteggiato il. perso- maggio in modo a farsi da se stesso con le sue opere l’elogio suo. In tutte le arti il bello del subietto deve risultare dall’opera, e non già esser detto dall’ autore. La parte più erudita e ben condotta del libro in esame è, a parer nostro , la introduzione premessa alla vita; introduzione in cui lo scrittore discorre in succinto quasi tutta l’ istoria ger- manica , dalla caduta dell’imperio romano in occidente , ossia dall’ inondamento de’ barbari, fino a Federico il primo re di «Prussia. Ognuno intende che prevalgono in questo sunto le no- tizie e le mire alla casa brandeburghese. Prendendo la mossa da Tassillone (1), riputato il ceppo degli Huhenzollern, segue siffatto filo per non ismarrirsi nel labirinto di una istoria sì complicata, qual’ è quella del complicatissimo corpo germanico , e sì tenebrosa, quale è quella di tutto il medio evo. E non lo frauleremo alcerto della meritata giustizia di dire che seppe mettere in buon risalto , comunque in rapidissimi cenni, tutte le vicissitudini e le progressioni di questa famiglia; però non potremo convenir seco lui in alcune idee circa i Barbari. Così per esempio, opiuiamo che la prima mossa delle genti barbare debba indietreggiarsi di quattro in cinque secoli al 5. in cui pare che avvenisse. Mezzo secolo infatti pria che suonasse l’ era volgare, vediamo i Cimbri irrompere in Italia , Ariovisto in Francia, e Cesare dover arginare dal Lemano al Giura il varco alla migrazione degli Elvezi. Indi leggiamo granili moti di tribù agresti sul Reno e sul Danubio sotto Trajano Adriano e Diocleziano. I primi sintomi adunque di quella irrequietezza o necessità del gerere umano a mutar domicilio in massa, si ma- mifestarono molto tempo innanzi al conquasso, che dicesi discesa de’ barbari. E dicemmo del genere umano attesochè non è istorico chi non vede per tutta la terra questo straordinario fenomeno morale ; negli Unni che mossero fin da’ remoti angoli della Cina ; ne’ Vandali , sbucati anche essi dal cuore dell’Asia ; negli Sciti, già comparsi fin da’ tempi della repubblica romana ; negli Ara- bi, che inondarono dall’Indo alla Spagna , e negli Seandinavi 0 (1) Era coetaneo di Carlo Magno. Alcuni genealogisti il vogliono del san- gue di Vitikindo ; altri della famiglia italiana de’ Colonna. Federico II, troppo filosofo per non dover far altro se non ridere di sì frivole vanità, dice nelle Memorie di Brandeburgo « eh che! tutti gli uomini non sono essi di una stirpe egualmente antica, T. I. Aprile 10 4 sl: infine. Così pure crediamo , che non punto nazioni germaniche fossero questi agresti e feroci ospiti diluviati sull’im- perio occidentale, bensì tutte genti lanciate a sciami dall’ Asia sull'Europa. Ed a questa qualunque opinione ne è aureo docu- mento la notizia , che Arcadio e poi Leone mandarono , benchè troppo tardi, un esercito alle Pile o Porte del Caucaso, per chiu- derle ad ulteriori torme asiatiche. Degli Sciti inoltre è noto che pur d’ Asia venissero ; su’ quali siam di avviso che Sciti, Geti e Goti, mentre non erano se non un solo e medesimo popolo , furon creduti di differente nazione sol per la differenza di suono con cui o le varie tribù mal pronunziavano il nome loro ; o i Greci ed i Latini mal udivano v mal sapevano ripeterlo. Preci- samente là infatti veggiamo comparire e movere Goti e Geti ove sì l’ istoria e geografia greca menziona gli Skitî, come la geo- grafia e istoria latina mentova gli Sciti. Che la Scandinavia d’ altronde non fosse nè potesse essere la tanto vociferata va- gina gentium, lo ha invittamente dimostro quel valentuomo del cavalier Gràberg (2) ; nel che consente anche il sig. Paganel. E lo stesso dee dirsi della Germania , comunque ciò dispiaccia agli autori alemanni, i quali si boriano natii della gente restauratrice del mondo antico con l’illuvie di popoli, che portarono giovenile popolazione e giovanili ordini nell’ invecchiata società e civiltà romana. Il gran privilegio di ringiovinire o restaurare il genere umano , fu da’ disegni imperscrutabili della Providenza dato al- l'Asia, e non alla Germania, come pretende l’Ancillon ; ed Hoer- der non ha altra ragione fuorchè l’ amor patrio, per esclamare con entus:asmo : T'antae molis erat Germanam condere gentem (3). Non è alcerto improbabile nè impossibile che varie tribù germa- niche , così compresse compulsate o espulse dall’ asiatiche cater- ve sputriatrici , fossero anche esse astrette a migrare a nuovi do- micili; ma ciò non fa che il gran torrente delle nazioni non sboc- casse dall’ Asia, e molto meno che esse fossero aborigene della Germania. Non vuolsi altro infatti se non aprire la Germania di Tacito (supremo libro che andrebbe messo in prefazione d ogni istoria d’ Allermagna ) per convincersi, che i moderni Germani son per lo più là ove erano i loro atavi Germani antichi. Ciò bastando intanto dell’Introduzione, passeremu ora al su- bietto dell’opera. Ed eccoci a Federico II‘; al maggior uomo del (2) V. la Scandinavie vengee ec. (3) V. Ideen zur Geschichte der Menscheit , ossia Idee sull’ istoria del- VP umanità. Epigrafe del Tomo 6.° dell’Edizione di Vienna nel 1813. 79 secolo ultimo ; a quello che sarebbe tuttora gigante, se non fosse venuto a menomarlo un altro gigante , concepito dalla natura nello sforzo di tutte le sue terribili forze a formidabilissimi moti di Francia. Però non ostante del magno Italico, il quale eccedè tutte le umane misure , il Prussiano non cessò perciò di essere quel che realmente fu , il precursore cioè di Napoleone. Il che sarà più efficacemente detto da brevi cenni sulla sua vita e sulle sue gesta. La singolarità più notevole, e quasi inconcepibile in lui, è che un uomo sì bellicoso e sì inventivo in novità guerriere quando fu re, mostrava talento alieno ed avversissimo ad ogni studio o esercizio bellico mentre era principe ereditario. Invece di trattar le arti palladee, non ispendeva il tempo che a coltivar le Muse. Indi gli sdegni del padre ; ed uopo è dire che non mai vi fu un padre più aspro e brutale di Guglielmo I.° Il principe comprava libri; il re li bruciava. Il principe sollazzavasi a suo- nare il flauto ; il re lo spezzava, o gittava al fuoco. Il principe amava una bella giovinetta cittadina ; il re' la facea frusta re dal boia per tutte le vie di Berlino. Il principe, infine, volle sottrarsi con la fuga a tante incomportabili acerbità; e il re decidea irremissibilmente di giustiziarlo come disertore. Nè le lacrime della regina , nè quelle di tutta la famiglia reale , nulla non poterono sul cuore marmoreo di quel genitore. La Prussia e l’Alemagna intera erano in fremito e costernazione per questa im- manità , che il noto carattere severissimo e violento di Guglielmo faceva certa a tutti. Onde infrenare questo barbaro padre da enor- mità cotanta, non vi volle meno di una solenne protestazio- ne dell’ imperatore, che la sola Dieta imperiale era autorità competente a disporre della vita di un principe membro dell’Im- perio. Il giovine Federico salvò la testa, però alla crudele con- dizione , che la morte gli fosse commutata nella atroce pena d’es- ser presenziale alla decapitazione di Katt, sno amico e complice nella mal tentata fuga. Il erudo Guglielmo il fece trarre per forza da’ suoi soldati a’ cancelli della finestra del carcere in cui era chiuso. Invano il principe invocava con alti gridi e gemiti la pietà paterna in commiserazione di quell’ infeliee. Il misero Katt era condotto sul palco ; e il non men misero Federico gli porse la mano in segno suptemo di amistà , e svenne. La quale scuola di acerbezze molto influì ed a ben predisporlo a que’rab- buffi di fortuna che poscia patì sul trono, e ad essere fra tutti i re assoluti il re men abusivo del regio potere. Nel 1740 moria alfine il rigidissimo e zotichissimo Gu- 76 glielmo. Poco poi morì anche 1’ imperatore Carlo VI.® L' Europa prese le armi contro alla costui figlia Maria Teresa, per negarle il beneficio della prammatica sanzione, ossia l’eredità al paterno trono imperiale. Federico , di fresco asceso al soglio, vedendo in quella guerra il momento idoneo ad alzar la Prussia a potentato pri- mario, propose all’ ultima Haupsburghese o d’ esser: seco lei con tutto il suo esercito , purchè gli ceda la Slesia, o di unirlo a quelli degli inimici in caso di rifiuto. La magnanima Augusta ripulsò altieramente l’offerta di patti sì prepotenti, e volle cor- rere tutta la sorte delle armi. Ma due grandi battaglie vinte dal Prussiano a Molwitz ed a Czaslaun, la costrinsero quindi a ce- dere per la pace ciò che avea rifiutato per alleanza di guerra. Il giovine eroe, coronato dell’alloro guerriero e del pacifico ulivo, ritorna ne’suoi stati da lui ingranditi con l’acquisto delle ricche e popolose Slesie. Intanto , a malgrado della pacificazione fra il re e l’ impe- ratrice fermata in Breslavia, non perciò cessava la guerra fra l’imperio e gli altri reami. Che anzi inferocia sempre più con i soccorsi in armi e denaro, che 1’ Inghilterra dava a Maria Teresa , onde opporsi alla Francia , la quale sosteneva il Bavaro pretendente al trono imperiale. Ciò facea che Luigi XV. non si perdonasse veruna spesa o fatica perchè Federico si. alleasse seco lui. Gli deputava a tale uopo il Voltaire , certo essendo di meglio riuscire nel suo disegno mediante un messaggero mol- to caro al monarca brandeburghese. Il negoziatore infatti fu felicissimo nell’ intento del sovrano francese appo il prussiano ; ed ecco questi di bel nuovo in campo , esordendo le ostilità con 1’ invasione della Boemia e la presa di Praga. Di là passa in Isle- sia; e quivi paga la lettera di cambio tirata su di lui a Fonte- noi (4), con la bella giornata vinta a Hohenfrieden. Non molto dopo coglie un altro alloro a Soor, ove nell’ istesso giorno fa pria vinto e poi vincitore ; come Napoleone a Marengo. E infine i suvi trionfi a Naumburg ed a Kelsseldorf accelerarono la pace di Dresda , la quale gli confermò i conquisti ottenuti in quella di Breslavia. Questa pace di Dresda fra la Prussia e 1’ imperio, era co- mune col così detto trattato d’Aquisgrana a tutte le potenze bel- lingeranti. Essa durò dieci anni, e fu utilissima alla monarchia prussiana perchè ella s’ invigorisse da tanto a poter quindi reg- (4) Sua frase nella lettera scritta al re di Fraucia per complirlo della vit- toria riportata a Fontenoi , e notiziarlo della sua a Hohenfrieden, (ari gere al fiero assalto della guerra de’ sette anni. Un re volgare ed imprevidente,, sarebbesi messo a poltrire ne’beati ozi sugli allori. Non così però Federico , il cui ingegno era troppo auti- veggente per non poter mai esser certo che tostameute si rinun- cia al pensiero ed alla speranze di ricuperar due belle e ricche provincie. Onde è che addavasi con ogni studio e diligenza a preparare esercito ed erario in que’ due lustri di respiro ; molto bene apponendosi al vero, che presto o tardi le Slesie sarebbero nuovo pomo di nuova discordia , e non men bene. provvedendo ad aver tesoro ed armi per sostener la carica di ogni guerra fu- tura. Il trattato aquisgranese , anniversario secolare della. pace di Vesfalia, aveva infaiti più coverto che spento il fuoco della guerra. Non ostante gli accordi, covavano più irosi i mali umori de gabinetti. Doleasi lo Spagnuolo di essersi disposto del Ducato Parmegiano senza che ei fosse nemmen consultato. L° Inghilterra teneva in serbo la limitazione definitiva del Canadà, come congiun- tura ottima a risvaginar la spada non appena sentisse d’aver ripreso lena. La Polonia accorgevasi già travagliata da torbidi, interiori in lei macchinati dalla Russia, la quale non mirava inoltre che ora ad insospettire Ja Svezia, ed ora a minacciare la Turchia. L’Au- stria non sapeva obliare la perdita delle Slesie , come la Francia non sapea placarsi nell’ offeso orgoglio di. essersi esausta con otto anni di guerra, senza nulla guadagnar nella pace. E tinfine la Prussia vegliava continuamente intenta a. poter iscorgere ove mai andrebbero a scoppiare questi segreti ma visibili livori ,, onde non esserne colta all’ improvviso se scoppiassero contro di lei. In tale essere stavano le predisposizioni europee a novello in- cendio, allorchè alcune macchinazioni politiche ne accelerarpno lo scoppio, e riposero 1’ Europa in fiamme. L’ Austria, avendo sempre in cuore le Slesie , ingraziavasi con la Russia. destrissi- mamente compatendo alle ire di Elisabetta offesa dai frizzi del motteggioso Federico , e l’ alleava a’suoi disegni. Nè di ciò paga , pervenia anche ad attutire le gelosie fra la Francia e } imperio, gelosie trisecolari fin dall’ età di Luigi XII e Massimiliano I, riuscendo facilmente a farsela alleata visti i preludi bellici fra le corti di Parigi e di Londra. A questa triplice alleanza. fra Luigi XV e le due imperatrici, accedevano tutti i principi minori della Germania , nonchè la. Svezia. Fra tante trame , nere perfide malvage., fulgeva intanto una bellissima. virtù, me qualche. volta fulge la gemma nel fango lanciato dall’Eri- 78 treo in tempesta. Il giovinetto Giuseppe II.° ardia rimproverare alla madre ]’ orrido forfatto di una congiura contro un principe confidente nella santità della fede giurata. Eroico ardire e rim- provero generoso , che vanno salmeggiati dall’ istorico ( cui quasi sempre non vengono sotto al bulino se non brutture e delitti ) onde il lettore si riconcilii con 1’ uomo e non disperi della virtù umana. Lo scopo di un sì formidabile ed universo apparecchio ostile non poteva alcerto lungamente nè essere un mistero ; nè isfug+ gire all’ occhio vigile e. veggentissimo di Federico. Il quale, certo che sul suo capo penzolavano cotante armi, pronto inoltre da un pezzo alla guerra , risolveva di prevenire i suoi nemici , non men certo essendo sì di ben esordire ove esordisca con vittorie, come di essere vittorioso ove piombi col nervo del suo esercito sugli eserciti avversi non ancora riuniti. Laonde, dopo di avere con dignitosa alterezza scritto al monarca inglese indi- sposto a sovvenirlo, perchè non commettesse la viltà di abbando- narlo in sì grave stremo; invade la Sassonia in tre colonne sa- pientissimamente coordinate ; coglie all’ improvviso Dresda; e fa prigione tutta l’oste sassonica nella forra di Pirna, dopo di aver battuto e fugato il maresciallo austriaco Brown, che accorreva dalla Boemia per salvare i Sassoni da quel disastro. Questo esordio , questo colpo maestro, è degno di Cesare e di Napoleone. {n men di un mese ha egli distrutto un inimico; dirotto un altro, e fatti suoi magazzino ed erario altrui, molto ben forniti e pre- parati contro se medesimo. A questo primo colpo, sì inaspettatamente e terrribilmente vibrato , 1° Europa , la ‘quale già da più tempo macchinava guerra al Prussiano , finge di veder'con orrore violata la pace , e chiede alla Dieta dell’ imperio , che il violatore della quiete pubblica sia bandito come decaduto da’ dritti di principe e imperiale ed eu- ropeo. Senonchè , vano essendo ogni più fulminante manifesto politico , ove non sia attuato dal cannone, movevansi numerossimi eserciti d’ ogni intorno ; francesi e germanici verso 1’Elba ; au - striaci dal Danubio; e russi alla volta dell’ Odera. In cotanto diluvio d’ armi il re vide, che ove ei vibrasse un’ altro gran colpo a tempo e luogo su’ secondi, spezzerebbe tutte le fila e della guerra e della lega in quella stagione. Indi rapidissima- mente correndo a Praga , sconfigge Brown pria che il potesse soccorrere Daun. La perdita austriaca fu di gravissimo mo- mento ; la. maggiore e pressochè la sola che patissero i Prusé PI siani, era nella morte di Schwerin, duce che egli solo valea diecimila soldati (5). Sconfitto Brown, anche esso mortalmente ferito , non si ri- stava Federico di lanciarsi celeremente addosso a Daun. E rag- giuntolo presso Kollin, non intermetteva d’ attaccarvi battaglia , comecchè con forze appena eguali alla metà delle inimiche. Non- dimeno , l’ arte avrebbe supplito al numero , se la disubbidienza di un ufficiale non avesse mandato a vuoto il disegno di un sapientissimo ordine bellico. Il re muoveva in colonna il suo esercito divisando ad aggirare e circoncingere l’ ala destra del= l’austriaco. E già avevala aggirata e circoncinta, allorchè un tale Manstein, il quale venia col suo reggimento nel mezzo della colonna, nonchè proseguire a marciare , tenendo sempre dietro alla schiera anteriore, come gli era comandato, soffermossi a scaramucciare inutilmente contro alcuni moschettieri inimici , che alla spicciolata il molestavan di fianco. Indi avvenne che nel corpo dell’ ordinanza prussiana aprissi un largo intervallo indifeso , pel quale entrando con veemente carica la cavalleria avversaria, ruppe i Prussiani in grande sbaraglio, facendone molta strage. Questo accidente , non previsto perchè riputato impossibile ; diè la vittoria a Daun. E che il solo caso gli la desse è dimostro dal non saper egli nullamente seguirla in tutte le immancabili e visibilissime conseguenze. Imperucchè sol volgendo la sua fronte coll’ inoltrar la manca, finia di prendere o di distruggere le reliquie dell’inimico , serrandole fra se e 1° Elba. Federico dopo averle salvate, scriveva ad un amico: la fortuna mi volta le spalle, perchè essa è donna , ed io non sono un galante zerbino ; giocondezza di frase, la quale fa evidente la sua serenità di spirito nell’ alcerto non gaia sera di una battaglia perduta , e mentre ei scorgea che la sorte se gli accipigliava fieramente ovunque. Infatti al disastro da lui patito a Kollin, seguirono imme- diatamente quelli patiti dal suo generale Lewald a Iagendorf contro i Russi , e dal suo fratello ; il principe Guglielmo , a Leipa ed a Zittau contro gli Austriaci. Le quali sventure sembravano essere i preludi dell’ ultima scena di quella tragedia. Intorno intorno infatti affoltavansi nuovi eserciti inimici , e penetra- vano nel cuore della Prussia. Sbarcavano gli Svedesi in Pomerania; gli Austriaci invadeano la Slesia, donde Haddik correva con (5) Frase della Bibbia a laude di Davide, ed adoprata da Federico nelle sue istorie per celebrare questo suo generale. 80 una mano di cavalleggieri ungheresi fino a Berlino , costringendo la famiglia reale a fuggirue per rifuggire a Magdeborgo ; i Russi, inoltre, intendevano a passar 1’ Odera ; e infine i Francesi en- travano in Sassonia. Era seco loro l’ esercito de’ Circoli , detto l’esercito esecutore , perchè a lui comessa l’ esecuzione del gran decreto delta Dieta imperiale contro al re ; quello cioè che l’im- perio non più riconosceva Federico come mouarca di uno stato germanico. Federico vide tutto il gran pericolo, e parve nol vedesse se non per giganteggiar sempre più d’ ingegno e d’ animo. Conti- nuamente intento a studiar tutti i casi possibili della guerra per volgerli in suo prò, ricreava con le Muse lo spirito lasso da sollecitudini sì travaglianti. E fu allora che , scrivendo al Vol- taire , poetò quell’ ode maschia e stoica la quale termina con la strofa. Pour moi , menacé du naufrage, Je dois, en affrontant l’orage, Penser , vivre et mourir en Roi, Munito oltreacciò di veleno, come Mitridate e Napoleone (6), per salvarsi nelle braccia della morte dalle ultime ire della for- tuna, attendeva imperturbato e impavido il momento supremo. Perlochè avea l’ intelletto assai più lucido e sano de’ capitani inimici, già ebbri dalla certezza della vittoria, e potea quindi meglio scorgere ogni loro fallo per valersene a suo profitto. In co- siffatta attitudine non gli sfuggì quello degli eserciti di Francia e de’Circoli, capitanati da Soubise , e più degli altri audacemente incalzanti. Laonde move alla volta loro e li incontra a Roshac, ove si pose a campo. Osava il capitano francese andar facendo il tatti- co al cospetto del maestro dell’ arte tattica , e mirava ad ag- girare la manca del prussiano ; ma pagò assai caro il fio della sua presunzione. Ad un colpo di cannone, ecco cader tutte insieme le tende de’ federichiani. Voltaire, il quale più che sovente disse errori, come sempre avviene a chiunque vuol parlar di tutto, e specialmente di cose alle quali non sà nulla intendere , scrisse che a quel cader di tende , i Francesi si disanimarono ravvisando i Prussiani loro maestri. Tronfio anzi Soubise , \non capeva in se per l’ orgoglio di un trionfo già sicuro ; e vaneggiando che così in fretta 1’ avversario levasse il campo a precipitosa ritirata, acce- lerava l’impreso movimento delle sue schiere ; onde il re non (6) V. Fain-Manuscrit de l’an 1814. dI gli sfuggisse dalle mani. Senonchè questi invece di indietreggiare, lanciasi al contrario impetuosissimamente sul fianco dell’ordinanza nemica, fulminandovi ferite, morte, spavento , costernazione , scompiglio e fuga precipitosissima. In pochi minuti disparvero i due eserciti, parte feriti, parte morti , parte prigioni, e sper- perato il resto dalla rotta e dall’ indisciplina. Immense vittua- glie , immenso bagaglio, immense artiglierie coronarono i mag- nifici trofei di questa bella giornata. Il valore del Principe Enrico contribuì molto alla vittoria ; e Federico non mancò di rendere merito alla gloria del fratello sì in poesia con varie Odi a lui dedicate, come con onorevolissima menzione nelle sue istorie. Salvo il reame dal lato della Sassonia, correva il vincitore in Islesia per ristabilivvi la fortuna delle sue armi, non poco ma- lindate mentre. egli trionfava a Rosbac. Bewern, che vi coman- dava le genti prussiane , non avea potuto contro alla superiorità delle nemiche impedire che queste prendessero le fortezze di Breslavia e di Schweidnitz. Adunque così accorrendo il re, tro- vavasi presso Lissa a fronte dell’ esercito austriaco capitanato dal principe Carlo. Quivi ancora fu duopo che egli supplisse con la tattica e gli stratagemmi all’inferiorità delle forze. Abilmente simulando di volere assalire l’inimica ala destra affinchè il suo av - versario la rinforzasse a spese della sinistra, piomba improvvisa- mente addosso a questa, e la distrugge ; e con essa distrugge sì il corpo di battaglia come quello di riserbo. Più di 40 mila au- striaci caddero morti feriti o prigioni. Breslavia e Lignitz ricad- dero in potere de’ Prussiani , i quali raccolsero inoltre moltissime salmerie e macchine dall’ austriaco lasciate in queste due roc- che. Le vittoria , in ultimo , anticipando le sospensioni guerriere della vernata, concedea maggior tempo a ripigliar la lena neces- raria dopo una stagione sì pugnace, che fu la più bella e glo- riosa dell’ eroe della guerra de’ sette anni. Con non minore energia e ferocia si riprendeano le armi nella primavera del 1758, non ostante che la scelta di Chatam al timone del governo inglese , ed una disperante malattia dell’ imperatrice Elisabetta , paressero voler migliorare le sorti prussiane. Il re , il quale aveva esordito le ostilità della nuova stagione col porre assedio ad Olmutz, frontiera fra Slesia e Moravia, passava in Boemia col grosso delle sue armi, onde attirare altrove l’inimico, perchè non' molestasse l’espugnazione della testè detta rocca, ed onde vivere più abbondevolmente in una provincia altrui non sì consunta dalle vicende della guerra. Questo passaggio da!la Slesia T.II. Aprile. II 82 in Boemia, eseguito per le strette di monti asprissimi , e portato a lieto fine a malgrado degli ostacoli e de’luoghi e degli inimici, merìtò l’ elogio di Napoleone circa il disegno nonchè 1’ esegui> mento (7) Laonde noi non oseremo nulla aggiugnere. Ma era egli appena uscito da quelle forre , che ode la Marca-brandeburghese corsa , manomessa e devastata da Fermor capitano dell’ esercito russo. Perlochè movea con ogni celerità verso l’Oder; e raggiunti i Moscoviti presso Zondorf ( voce che in lingua germanica suona villaggio di ira) verificò un tal nome sbramando la sua con terribi : le vendetta della barbarie inimica, la quale non paga di saccheggi e incendi, trucidava indistintamente tutti gli abitatori. di qua- lunque età, sesso e condizione. Non gli fu duopo esser abile con- tro un avversario quanto ferino altrettanto ignorante ; più assai dell’ ingegno, vi volle forza e ferocità; e ripetendo i suoi predi- letti ordinamenti de’ grandi colpi alle ali, uccidea nella destra venti e più mila Russi. In questa battaglia fu egli generale e soldato, attesochè oltre al compito del comando, dovè anche pugnare con la persona non perdonandosi verun periglio. Molti uffiziali, aiutanti, paggi ed altri del suo seguito gli morirono al fianco. Nè vuolsi tacere che fu egregiamente secondato dalla va- lentia delle sue genti, come è dimostrato dal numero con cui pugnò e vinse. Con 30 mila prussiani non temè di attaccar bat- taglia , nè diffidò di vincerla contro 60 mila Russi. In questo mentre Daun, che non sapea darsi pace d’essergli il re sfuggito dalle forre della Boemia , erasi volto a riunirsi con l’esercito di Soubise ; raccozzato alla meglio dopo la rotta pa- tita a Rosbac, disegnando di dare addosso al principe Enrico, rimasto con poche forze in Sassonia allorchè Federico debellava Fermor sull’ Odera. Però andava vano anche questo disegno, di- vinato subito dal re , il quale accorreva in soccorso del fratello, e il salvava da mal punto. Deluso eziandio in ciò l'austriaco, volgevasi ad Hoch-Kirken, posta importantissima per togliere al Prussiano l’uso delle strade che gli davan libera mano con la Slesia. Il monarca divinando ancora questa intenzione, accele- ravasi ad antivenirlo in quel passo di sì gran rilievo, Nondimeno vinto di soli pochi minuti in celerità , trovava già occupato un colle di molto momento come sito bellico. Quì la fortuna cominciò a riacerbarsi seco lui. Costretto dall’ ora tarda a porsi a campo in luogo non sicuro , forse anco fatto ; più del dovere, audace dall’ esperienza di un avversario , che non avea mai osato essere (7) V. Memoires de S, Helene ec. Volume 5. ] 83 il primo ad assalirlo , previde ma spregiò il rischio di colà ac- camparsi. Se Daun non ci assalisce merita il laccio , gli diceva Keit uno de’ suoi generali. Daur (rispondeva egli) dovrebbe cer- tamente assalirci, ma forse nol farà, paventando men del laccio, che di noi. E questa speranza gli fu funestissima. All’ alba vegnente infatti (15 ottobre 1758) ecco Daun impetuosissimamente in tre colonne. L’ impeto , la sorpresa e la superiorità numerale rompono in gran rovina i Prussiani , che perdono tende salmerie ed artiglierie in quella prima per- cossa. Li riordina alquanto il re ,- riconducendoli alla battaglia ; e quivi senza cannone contro un inimico, che oltre al proprio ha anche quello preso nell’assalto del campo, patisce orrenda strage. Keith e Brunswich cadon morti; Anhalt e molti altri generali son feriti; ferito è pure esso il re; ottomila de’suoi giacciono o spenti o vulnerati sul suolo. Se il resto dell’ esercito salvossi , ei fu sol perchè Federico era da tanto a salvarlo mentre Dauu non era tale a saper seguire la vittoria col distruggerlo. Rin- graziamolo diceva il vinto, d’averci fatto uscire dallo scacchiero ; la partita non è perduta; e noi andremo a liberar Neiss. Queste parole, che si crederebbero come dette in delirio dopo una giornata sì ruinosa , furono profetiche. Daun giurava che Federico attendesse ancora a fuggire, o tutt’ al più a ri- pigliar lena, allorchè con istupore lo udì corso in Islesia, ove liberava e rinfrescava Neis. Vi accorre anche egli; però inutil- mente , stantechè quell’instancabile invitto correa per altra via a soccorrere Dresda di nuovo minacciata dalle armi francesi e de’cir- coli. L'austriaco imbizzarrito di vedersi sempre deludere, rien- trava a svernare in Boemia. La guerra di quell’ anno era feli- cemente chiusa con l’ espulsione degli Svedesi dalla Pomerania. Senonchè questa conclusione, comunque anzi avventurosa che nò, pareva intanto sol procrastinare la catastrofe prussiana per farla più terribile. I potentati inimici riparavano agevol- mente le loro perdite con nuove armi genti e. monete. Ma non così il poteva la Prussia, provincia già povera, e sempre più impoverita dalla guerra. Ella avea vuoto l’erario; l’esercito sfiorito de migliori guerrieri, ed orfano de? migliori: generali; la gioventù troppo menomata da tante leve, per non essere potente a reclu- tarlo con. nuovi soldati ; l’ agricoltura, troppo derelitta o nabis- sata dal trambustio di tante invasioni battaglie e devastamenti, perchè non più fosse valevole a fornire le necessarie vittuaglie ; la Prussia insomma null’ altro avea per non soccombere che un gran principe. La quale unica ancora di speranza parve ce- / 84 dere ‘anche essa alla percossa de’ tanti flutti, che minacciavano naufragio alla nave dello stato, allorchè a’ mali pubblici camu- laronsi per debellare 1’ animo del re i dolori domestici. Gli mo- riano in. quell’ inverno la madre , il suo fratello Guglielmo , e l’amatissima delle sue sorelle, la Margravia di Bareuth. Fe- derico quantunque stoico per talento e studio, sentì acerbissi- mamente i colpi di queste morti. Ognor solo, tacito, mesto e sparuto nella sua tenda , non di altro parea pascersi che del forte cordoglio delle anime fortissime. A noi piace di contem- plarlo in cosiffatta amaritudine dell’anima sua , perchè ne piace di contemplare non men l’eroe nell’ uomo , che l’uomo nel- l’ eroe. Con sì tristi auspicii si riapria la guerra del 1759 che fu tristissima. I Prussiani son battuti a Bergen da Broglie successo a Soubise , e da’Moscoviti a Zullicau. Il principe Enrico , inoltre , incalzato da forze superiori , dovette abbandonar Francoforte ri- parandosi dietro l’Elba. D’ altra banda Haddik, spiccandosi dal- l’ esercito austriaco che aveva inondato la Slesia, riminacciava Berlino , mentre Soltikoff con go mila austro-russi portavasi in- nanzi sull’ Odera. In cosiffatto stremo il re corre contro Haddik, e lo batte a Gubben; quindi si invia alla volta di Soltikoff e lo incontra a Kunesdorf. Quivi si travagliò quella tremenda bat- taglia, in cui la sorte fece con la morte di Putkammer, e con le ferite di Seidlitz e Wurtemberg, generali prussiani, andare a vuoto ‘i più sublimi concetti dell’ arte escogitati da Federico a conseguir la vittoria. Ferito anche egli, e disperato di vedersi cotanto irosa la fortuna , si lanciò nel più caldo della mischia per incontrar la morte. Là , scorgendosi illeso fra la grandine che esterminava i suoi, gridava non vi è dunque una palla per me? I Prussiani persero tutto il cannone con ventimila fra morti feriti o prigioni. Nè gli Austro-Russi non vinsero a men caro prezzo. Scriveva Soltikoff alla sua imperatrice. Ho vinto, è vero; ma se vincessi un’ altra battaglia come questa , dovrei venire io stesso, e solo, ed e piedi, a darne la notizia alla M. V. A questi disastri succedono disastri più fieri. Il Generale prussiano’ Schmettau , che difendeva Dresda, la cede all’ ini- mico, lasciando il corpo del principe Enrico circuito e perduto , perchè senza alcun punto di passaggio sull’ Elba in suo potere. Nè altrimenti potè salvarsi questo principe , poco inferiore in merito guerrriero al re, se non audacissimamente passando per la Lusazia fra l’ ordinanza frontiera e la secondaria di Daun, onde ricongiungersi al fratello. Indi a poco Fink; altro gene- 85 rale prussiano , è forzato dal testè detto Daun a darsi prigione con 18 battaglioni e 36 squadroni nella stretta di Maxen in :Boe- mia. E infine Dierek cadde anche esso in prigionia, con tutte le sue genti a Meissen. L’anno 1759 fu quello de’ massimi infor- tuni di Federico. Vuolsi però dire anche quello in cui rifulse egli di maggior forza e costanza d’animo, non mai misvenendo a tante avversità, abbenchè non mai confortato dal menomo sorriso di fortuna ; come negli altri anni di quella guerra ferocissima. L’ inverno venne a sospendere cotante ferocie, o forse ad incrudelirle ne’ pensieri e disegni alla vegnente stagione. Si aprì infatti la guerra con nuovo infortunio prussiano toccato a Fouquet , fatto prigione con tutti i suoi a; Landshut. E già parea suonata l’ultima ora di Federico. Imperocchè, andando egli dalla Sassonia alla Slesia per soccorrere Breslavia , era talmente cir- concinto ed incalzato , che nelle sue istorie non seppe meglio dipingerci la sua terribile situazione se non dicendo, gli eserciti inimici non parevano che un solo esercito, di cui comandasse Daun l’antiguardo , il re il corpo di battaglia, e Lascy la re- troguardia (8). Così andando, trovossi a Lignitz intorniato da un cerchio più stretto e numeroso mercè l’ arrivo di. Laudon e di Beck con molti rinforzi austriaci. Un poeta il comparerebbe ad Ajace combattente contro ai decreti del destino , ed alla volontà de’'Numi che lo minacciavano co’fulmini. Ma vegliava su di lui il genio tutelare del suo trascendente ingegno. Sereno di mente, nonostante l’ imminenza dell’ ultima ruina, e con ciò visivo d’ogni menomo accidente con cui potesse camparla , scorse nel preciso computo dello spazio e del tempo la possibilità di rac- ciuffare il crine alla fortuna col segreto della vittoria, di cui era abilissimo possessore; ossia con la maestria di vibrare il mag- gior numero delle forze contro al punto ove mirava il gran colpo. Laonde , destramente movendo nel massimo silenzio , piomba con tutte le sue armi sulle genti di Laudon ; e le batte , le disperde , le annichila. Accorrono Beck, Lascy e Daun ;. però troppo tardi. L’eroe è uscito da quell’artiglio di morte. Breslavia è salva ; salvo è l’esercito, e un raggio di speranza rilucicca per la Prussia costernata. Conscio allora , al par di Cesare, che in guerra nulla non si è fatto finchè rimane qualche cosa da farsi, volgesi contro Czerni- ceff, il quale si era imprudentemente diviso da Soltikoff col passar l’Odera. E lo avrebbe distrutto, se il terrore non avesse (8) V. Histoire de la guerre des sept ans. 80 desto nel russo il felice istinto di ripassarla subito per riunirsi al sno Capo. Dilà vede che Daun rientrando in Sassonia , donde spiccava una terza scorreria contro a Berlino, erasi accampato a Torgau col dorso all’ Elba. Adunque vi accorre anelante a non lasciarvi intentate le mille probabilità di. vittoria completa in un campo sì mal scelto dall’inimico , tostochè poteva essere rove- sciato e sommerso in quel fiume. Giuntovi, e convocati i suoi generali, dice loro, vi 40 riuniti non a consiglio, bensì a significar- vi l’ordine che domani si darà battaglia. Se vinceremo, tutto l’esercito dell’avversario sarà preso o annegato nell’ Elba; ma se perderemo, morremo tutti, ed io il primo. Questa guerra mi in- fastidisce; essa deve fastidire anche voi; e noi la finiremo doma- ni ec. Con sì disperate ma sublimi parole preparava gli ‘animi de’ suoi a quell’orrenda giornata , che fu travagliata addì 3 set- tembre 1760, e che porta il nome memorabile di Battaglia di Torgau. Non mai, dice lo stesso re nelle sue storie , vi fu una giornata campale, in cui al par di questa fosse maggiore sù il numero come l’uso delle artiglierie , e perciò la strage. Più di due- mila cannoni fulminavano terribilmente continua morte e di- struzione. E Federico e Daun furono amendue feriti. Il campo, lordo di sangue di cadaveri ,-di membra sparte e d’ ogni altra orridezza delle fiere battaglie , rimase ai Prussiani; i quali, ri- presa la Sassonia , svernarono a Lipsia. Fu questa l’ultima grande battaglia di quella guerra. Impe- rocchè il re, fatto da cotante perdite impotente al guerreggiare offensivo , si appigliava al difensivo col campeggiar fabieggiando per entro alle trincee di Bunselvitz. E quivi pure tosto o tardi doveva egli alla fine soccombere , allorquando la morte di Elisa- betta , sostituendo sul trono della Russia ad un’inimicissima im- peratrice un imperatore amicissimo (Pietro III), cangiò faccia a’di lui casi dandogli alleuto quell’ istesso esercito'russo finor nemi- co. Nè perchè questo amico Czar fosse poco poi deposto e morto dalla Semiramide moderna, non perciò gli si rinfierì la ventura della guerra. Che anzi la pace non tardò molto ad ‘essere conve- nuta e fermata (1763). Così finì la guerra de’sette anni: guerra iniqua atroce lunga mortalissima ; guerra che direbbesi fatta a solo fine di immolare un milione d’uomini, tostochè nè la Prussia per- se , nè i potentati inimici acquistarono neppure un villaggio di più o di meno del territorio che l’una e gli altri aveano pria d’ inco- minciarla ! Grande, comunque sempre inutile lezione ‘ai troppo buoni popoli! E perchè più appaia la tristizia de’ destini della misera umanità , o la costei longanimitade ; non vuolsi tacere , 87 che cotanto flagello immolava cotante vittime solo a placare il muliebre orgoglio di due imperatrici e di una vile cortigiana (la Pompadour) offese e inviperite da’frizzi di un principe mot- teggioso ! L'impresa di Troja fu una guerra sacra appo questa de’ sette anni. Là almeno era o giusta o scusabile la fiera ven- detta dell’ ospitalità violata e del più acre oltraggio che possa farsi al cuor dell’uomo. Quì , qualche sale comico vibrato a tre donne potentissime , insanguinò con orrenda tragedia l’ Europa tutta ! Federico non attese nel resto della sua vita se non a curare e guarire le profonde immense piaghe fatte da sì terribili travagli al suo reame. E, non men dotto nelle arti di guerra che in quelle di pace, rivificovvi per così dire popolazione, agricoltura, industria, arti e commercio ; rivificovvi tutti questi elementi indispensabili all’esistenza ed al ben essere d’ogni stato, pressochè distrutti in Prussia da tanti anni di fierissime vicende. Ristoravasi da cosiffatte gravi cure corteggiando le Muse , scrivendo le sue gesta, non- chè carteggiando co’ più dotti Europei. Due sole volte riprese le armi; pel primo sbrano cioè della Polonia nel 1772, sbrano in cui fecesi complice del maggior delitto de’ tempi moderni , e per la pretesa permutazione della Baviera col Brabante nel 1778; nella quale avventura comparve un secondo Gustavo Adolfo, ossia il campione dell’equilibrio e della indipendenza germanica contro alla prepotenza austriaca. Moriva egli nel 1786 dopo 74 anni di vita e 46 di regno. Regno e vita di grande gloria e di grande virtù, l unave l’altra provate alla cote delle grandi sventure. Vita e regno di immensa scuola per tutti, e perciò altamente meritevole della meditazione di ognuno. Il lettore ha certamente udito fin qui lo stile più dell’elogio che dell’istoria critica. Indi potrà parergli strano d’ aver. noi esordito l’articolo, notando come neo dell’ opera in esame quello d°’ essersi l’autore mostro men istorico che biografo in iscriverla. Tuttavia ne vorrà concedere, che lice in un breve articolo di giornale un dire non sempre lecito in un libro voluminoso. Avrà anche scorto l’ instituto professato da chi qui scrive, per non sentir disdicevole in un veterano fante l’ammiranza di un gran capitano. La guerra. comunque per lo più nefaria , ha intanto il suo bello al pari di tutte le altre arti. Ove così non fosse, attirerebbe ella l’universa ed eterna maraviglia delle genti a prò di alcuni esimii guerrieri? Noi d’ altra banda non possediamo nè l’ altezza di un La Mothe , cui era piccolo Omero , nè la supe- riorità di Simond e di altri esteri in poter essere i Clazomeni con 88 sottigliezze , concettini ; lezie, zurli, antitesi ed altri stomache- voli baje, oggi dette spirito, al cospetto de’portenti di Michelan- giolo e di Raffaello ! Non vergognamo adunque di confessare che; non avendo il gusto squisitissimo di questi bacalari d’un giudizio sì fino e peregrino, ci piace tutto ciò che fa piacere al maggior nu mero, tutto ciò che piacque a’ più in tutti i tempi. Per lo che, e ne derida pure chi voglia, non arrossiremo di sciorre la bocca a sacco in celebrar questo principe bellicoso , che seppe così ben combattere difendere e salvarla patria sua dall’ ira congiurata di tutta Europa. E siccome siam certi che il miglior Panegirico di un illustre; è sempre la verità dell’istoria, come quella che me- glio mette in bel risalto di luce tutta la vera entità del personag- gio storiato , così non ci riterremo di provar Federico alla cote critica, ancorchè debba ella andar quà e là notando colpe o. dargli venia; che il fallo, oltre ad essere carattere indelebile della natura umana , è la vera tessera a più sublimare un Eroe col dimostrarlo uomo , onde questi non apparisca men portentoso coll’essere creduto un angelo. Noi già lo dicemmo il Precursore di Napoleone nell’arte della grande guerra ; arte la quale, dopo il grado eminente cui fu alzata nell’ antichità da Alessandro, da Aunibale, da Scipione, da Pirro e da Cesare , era quindi scomparsa fra le tenebre del medio evo, e non risorta nel risorgimento di tutte le arti moderne, comunque continue fossero le occasioni a farla risalire al suo fastigio. Fulse è vero di frequenti bei raggi nelle mani di Gu- stavo Adolfo, di Condè , di Turenna, e sovra ogni altro in quelle degli Italiani Raimondo Montecuccoli ed Eugenio Cari- gnano; ma questi fulgori non erano che lampi d' inspirazione sia nel preparamento sia nel caldo di una battaglia. In tutto il resto ; la guerra non era affidata se non al valore ed alle forze materiali. Federico fu il primo capitano moderno , il quale su- bordinandola a’ concetti dell’ ingegno, seppe mettere in calcolo tutti i di lei elementi, darle la certezza di una scienza mista, fondarla su’ suoi veri principii, e costruirla con metodo. Il metodo e i principj sono, questi la materia, e quello la forma d’ogni dottrina. La dottrina bellica si compone oggi di due parti assai distinte e diverse. Non alla prima mossa degli eserciti si perviene allo scon- tro loro su campi di battaglia. Adunque il capitano cerca di perve- nirvi sia con superiorità di forze, sia con vantaggio di luogo, sia con anteriorità di tempo, sia con tutti e tre questi elementi infine, favorevoli a se, ed avversi all’inimico. Questa parte dicesi 39 strategia. L° altra poi del movimento, dell’uzione , dell’assalto , della difesa e d’ ogni altra opera sul campo di battaglia , ha il nome di Tattica. I lettori anche meno iniziati agli studi marzia- li, possono ben comprendere quanto la prima avanzi la seconda in disegni , casi e combinamenti escogitabili o previsibili dall’in- gegno ; per giungersi superiore in forze luogo e tempo sul punto, in cui le armi debbono agitare e decidere le sorti delle giornate campali. Federico fu maestro ed inventore scientifico d’amendite , co- munque più della seconda che' della prima. In istrategia era ser- bato a Napoleone il merito di portarla alla sua massima perfezione, e di verificarla applicandola ad un teatro di guerra vastissimo. Ciò non ‘ostante la valentia del prussiano in idearla e metterla ad esperimento nello spazio fra l’Elba e ’ Qdera, fu il modello ori- ginale di quelle gesta immense con le quali poi l’Italico stupefece il mondo. Napoleone è stato appo Federico ciò che furono Bru- nellesco e Michelangiolo in audacia e magnitudine, alzando al cie- lo sovra colonne quel S. Giovanni e quel Panteon, che gli ar- chitetti antichi avean posato in terra. Ma siccome men mai si ammira il Panteon e S. Giovanni appo il Tempio massimo e il Duomo fiorentino, così pure le gesta federi- chiane non vanno meno ammirate appo le napoleoniche. La guerra de’sette anni è tutta strategica , eccetto il solo anno 1761 passato riel campo di Bundolwitz. Quell’esordio con l’invasione della Sasso- nia e il gran colpo di Pirna; quella celerità in volare con tanto com- puto di spazio e tempo dall’Odera all’Elba e viceversa; quella mae- stria a saper coordinare la mossa delle armi in modo ad aver la su- periorità numerale ne’colpi disegnati; quell’abilità a non farsi mai nè stringere nè schiacciare dal cerchio ognora incalzante d’innume- revoli nemici, sapendo spezzarlo là ove il vedea più debole ec. ec. tutte queste prestantissime azioni e gesta sono degne di Napo- leone e di Cesare. Ed oltre a ciò, se l’esito và computato per qualche cosa nel giudizio circa il merito delle opere, non picciol merito, e tutto strategico, è quello di esser riuscito a non soccom- bere all’ assalto di tutta Europa per sei anni interi. Infine i grandi principi bellici della base del triangolo e delle Linee d'ope- razione , oggi portati all'evidenza dell’assioma sì dall’esperimento dell’ultima magna guerra , come dalla teorica, sono anche sue invenzioni ed applicazioni. Però la tattica odierna, cui lo stesso Napoleone nulla non stimò doversi aggiugnere o togliere, è inventiva tutta sua. Un lampo bale- T. II. Aprile. 12 90 natogli nello studio sulle ordinanze della falange macedonica e del battaglione di Epaminonda, gli suggerì 1° idea delle masse e degli spiegamenti, Le quali forme , facendo più maneggevoli e celeri le parti dell’esercito sul campo ,, produssero que’prodigj di batta: glie, che fulminando colpi fierissimi sull’ inimico, lo stordivano al veder mezzi nuovi ed insoliti senza saper comprenderli nè divi» vinarli,. A ben intendere l’efficace terribilità de’quali ordini basterà notare, che tutte le battaglie da lui perdute il furono, o per trascu+ ranza in eseguirli, come avvenne a Kollin per colpa di Manstein, o da impossibilità ad attuarli sia per le morti sia, per le ferite de’ suoi luogotenenti, come successe a Kunerdorf. Fu egli ancora quello che ridusse a fila di tre soli momini la spessezza delle schiere; le quali essendo fino allora di sei, di otto e fin di dieci, da- vano assai, maggiore massa di distruzione alle artiglierie , nonchè impossibilitavano la metà o i due terzi delle forze ad ogni azione sia offensiva sia difensiva. Questa solida doppiezza dell’ordinanza antica era creduta indispensabile per la resistenza alla percossa, e specialmente della ‘cavalleria: Federico vide e dimostrò che le leggi fisiche dell’ urto , della quantità di, moto e della forza di inerzia , sì vere ne’ corpi inanimati , non si verificano negli ani- mati, quali sono uomini e cavalli. Oggi è dimostro, che un sem- plice fantaccino rompe e ribatte 1’ impeto feriosissimo di un ca- valiere, mercè la sensibilità del cavallo di questo alla punta della baionetta o al fumo del fucile di quello. Persuaso adunque da queste verità, che il suo ingegno gli rivelava , assottiglia- va il corpo del battaglione, unità elementare della milizia odierna, come la coorte l’ era nella romana e la falange nella macedonica., Così facendo, mentre evitava. il danno di maggiore strage sotto al fuoco del cannone, utilizzava. in fronte più ampia quella metà o que’ due terzi di combattenti, che ordinati dietro le tre prime serie, le sole abili a. far fuoco, là rimanevano inerti ed inutili. Ed in ultimo inventava egli l’or- dine obliquo ; ordine nuovo sublime momentoso ; perchè il solo idoneo a que’ concetti dell’ ingegno circa l’impiego computato, e coordinato di molte forze belliche contro al punto decisivo che; forma la dinamica vera della guerra ; ordine terribile insomma, di cui lo stesso Jomini (comunque il nostro dire possa sem- brare soverchia audacia o presunzione così parlando del prin- cipe de’ tattici viventi ) non vide o mal vide tutta ;l’ entità, tostochè il disse il migliore al solo assalto , sol per, l’ idoneità cui si presta a ben sostenere la legione assalitrice con. altre legioni. No; l° ordine obliquo è il validissimo alla percossa, per gI quell’istessa ragione per cui 1’ ariete 0 il cuneo son più formi- dabilmente percussenti de’ corpi, che avendo altra forma sono perciò impotenti a prendere uguale quantità di moto per comu- nicarlo nella percussione. Quelle squadre ‘inoltre, da Tomini dette sol buone a sorreggere la squadra che assalta, nonchè non essere semplicemente tali, sono anzi del genere di quelle forze da’fisici dette cospiranti, e che cotanto invigoriscono l’ impulso. Nel che ci appelliamo alla sentenza di ogni ufficiale il quale bene intenda all’ arte sua. Nelle tante e quasi continue guerre dal medio evo al XVIII.® secolo, non altrimenti davansi le battaglie che in ordine paral- lelo. La quale ordinanza era ribelle ad ogni concepimento inge- gnoso sulla combinazione e coordinazione delle forze belliche, stante la natura sua non propria ad altro che all’ urto tutto materiale, come quello di due corpi inanimati. E chi il crede- rebbe? Napoleone! diè in codesto ordine la tremenda battaglia della Moscova, comunque diversamente paia a taluni saccen- ti in veggendo Murat Ney e Davoust più operosi e felici de- gli altri contro alla sinistra russa. Ma ciò non cale; e vuolsi porre mente che 1’ aggressione fu uguale e contemporanea lun- ghessa tutta la fronte, dall’ estrema manca alla dritta estrema, senza un gran colpo ; peculiarmente caricato e scagliato, sia con- tro al centro , sia contro l’una o l’altra ala. Ecco un’innegabile parallelismo. Onde è che quella giornata fu non men larga di strage, che sterile d’ ogni vantaggio. Chi saprà spiegare un tal fatto inconcepibile in questo immenso capitano? Fosse ella mai vera quella febbre fatale della notte fra il 6 e 7 settembre 1812, di cui parla Segur ? È noto che la febbre del leone è terribilis- sima; e sol essa fora da tanto a menomare l’incomprensibilità in quistione. L° istoria, non ancora chiarì questo mistero. Dal suo canto Federico ordì e travagliò tutte le sue mirabili battaglie nell’ ordine da lui inventato , cioè nell’obliguo. Egli preferì sempre , come scopo a’ colpi così caricati e vibrati , le ali al centro. L° assalto a questo va ognora impericolosito di gravi rischi, ove non sia vibrato con molta celerità e molte for- ze, potendosi l’assalitore trovar fra’ fuochi convergenti delle due parti disgiunte della linea frontiera e della secondaria. Ma quello alle ali è assai ‘men pericolante, abbenchè non sia sì fecondo di importanti conseguenze. Napoleone, più audace di Federico, pre- pose quasi sempre il centro alle ali come scopo a’ suoi assalti. Così esordì a Montenotte , lanciandosi sovra Argenteau interposto fra Colli e Beaulien. Così vinse a Marengo con la carica di Kel- 92 lermann, la quale tagliò e fè prigioniero Zach con tutta la destra austriaca. Così trionfò ad Austerlitz, sfondando il centro russo sul Prazzen, e prendendo tutta la costui manca. Così in ultimo finì, quando laniciatosi fra Wellington e Blicher, sconfisse pria questi a Lignì e poi ne fu sconfitto a Waterloo (9). Federico fu , al par di Cesare storiografo di se stesso ; e più di Cesare, critico di se medesimo come Capitano. Parlando della battaglia di Molwitz, in cui, facendo le sue prime armi , fuggì in un momento di dirotta riparata dal suo luogotenente Sche- wrin , disse: Molwitz fu la mia lezione. Così pure narrando quella di Kollin, non tacque d’ essere stato e troppo audace ad avven- turarsi fra 1’ inimico e l’ Elba, e troppo temerario ad attaccar battaglia con un inimico superiore in forze doppie delle sue. E lo stesso dicasi in istoriare molti altri fatti , ne’ quali non credè di potersi perdonare i proprj falli. A grave colpa gli si potrebbe anche accagionare il grave disastro patito in Maxen, staccando troppo lungi Fink perchè ei non potesse portarsi nè a soccor- rerlo nè a salvarlo. Acuendo un poco più l’ analisi critica , tro- verrebbesi forse ancora, che qualche volta, non pensò, o non volle seguire audacemente la vittoria , come avria potuto e dovuto dopo le felici giornate. Sennonchè, l’arte è tanto difficile quanto è facile la critica; e non tutti possono arrogarsi il diritto , che si è arrogato il Botta in censurar Napoleone come Capitano !! Noi dunque ci taceremo, e celebreremo la Guerra de’sette anni come degna dello studio d’ ogni uomo di guerra. E ne sia provi 1° esempio di Napoleone istesso ; il quale , comunque fosse da tanto a dispensarsene , lasciò però nel suo bel comento sulla guerra suddetta (10) un documento del profondo studio fatto sulle gesta belliche di Federico. Questo Monarca, non pago della gloria guerriera , sentì anche ambizione di quella di legislatore. Le leggi prussiane, barbaro miscuglio di dritto romano e germanico , con mille con- tradittorie consuetudini di università e di curie, tuttora in vigore (9) Scrivendo noi esame critico , non potremo tacere che il vero vincitore di Waterloo fu Bliicher. Wellington avea fatto tutto ciò che è possibile a farsi per perdere una battaglia ; e l’avrebbe perduta con immenso sangue nella foresta di Soigne, innanzi alla quale avea commesso il fallo gravissimo di riceverla, senza l’arrivo de’Prussiani alle spalle dell’esercito francese. Il merito della fiera resi- stenza sul monte S. Giovanni è tutto della bravnra de” soldati inglesi , che così facendo , ripararono l’ errore enorme del Gapitano loro, certi di non aver più scampo se piegassero. (10) V. le Memoires di S. Elena, | 93 in Germania, erano più all'uopo ad iniquitire la giustizia che a ben distribuirla. Federico volle il suo Codice ; ma fosse fallo suo oppur, di Coccejo, che era il suo Triboniano , l’opera non riuseì degna di un tanto Principe, ed egli stesso affrettossi ad abroga rla dopochè 1° ebbe messa ad esperimento. Un, re vo!gare avria vergognato di così confessare il proprio errore ; un re filosofo nò, anzi ponea sua gloria a non tacerlo. Meno malavventuroso ebbe . 1’ esito nella riforma del processo sì civile come penale. Ordinò , circa il primo, che il giudizio d’ogni lite non potesse oltrepassar la durata di un anno, onde le curie edi curiali non divorassero le sostanze di chi ha bisogno del magistrato per avere il suo. Purgò poi il secondo delle verghe e di altri tormenti bar- barici, che la ferina inquisizione del medio evo erasi permessa contro testimonj ed accusati. Come legislatore adunque, Federico capitò a sorte tutta opposta a quella di Napoleone. Questi riuscì ad un buon Codice civile, in cui falli quello. Il primo , al con- trario , fu più filantropo del secondo nella giustizia penale (le leggi criminali di Napoleone sono anzi aspre che nò ) ed in vo- lere un formolario giudirico di liti, che non fosse sì fiscale consuntivo ed eterno, qual’è il napoleonico. Alzando egli la Prussia al grado di potentato primario , e vigoreggiandola con ottimi instituti militari, pose nella bilancia dell’ equilibrio europeo un contropeso all’ ognor prepotente pre- ponderare dell’ imperio austriaco. Indi 1’ Europa gli è debitrice di gratitudine. Ma d’altra banda può dolersene d’ aver contri- buito alla distruzione dell’europeo baluardo contro al colosso del nord , facendosi complice del primo sbrano della Polonia prelu- dio del costei posteriore annichilimento ; di questo delitto che Napoleone disse il misfatto maggiore de’ secoli moderni , e che noi diremo il maggiore di tutti i secoli; di questo delitto im- menso , di cui facciam voti che il cielo compia la vendetta su’ colpevoli , ripetendo col Dante Giusto giudicio dalle stelle caggia Soora lor sangue , e sia nuovo ed aperto. (*) La scuola più efficace è sempre quella dell’ avversità ; e I’ unica perchè i principi abborriscano d’ esser tiranni, è che essi i primi patiscano le tirannie de’ padri loro , mentre sono ancora sudditi. Dalla quale scuola Federico ebbe crudissime lezioni , come già dicemmo. Laonde ognor memore della tirannica asprezza (*) Purgatorio. Canto VI. 04 ì paterna; fn molto umano. Di che dava pruova ‘massima durante la guerra; de’sette anni in un orrido fatto, che vmolsi incolpare a’ generali inimici per’ poterne escolpare inimiche persone ‘più auguste. Due sicarj togliéansi il nefandissimo incarico di ra+ pire il re, e di ucciderlo ove nol potessero menar via. Sco- perti sorpresi e chiariti rei nel campo prussiano, eran condan- nati alla ‘pena capitale. Federico li salvava', facendoli fuggire dalla prigione , e fingendo di punire ‘1’ uffiziale che era statò negligente a ben custodirli. Due volte però fi più che severo ; l’ una con un capitano per disciplina militare ; 1’ altra con un finanziere non ben dimostro concussionario. Ma quella che di» remo anzi sevizia che severità, è la prigionia di 4o anni del sì famigerato Trenk. Non è delitto e nemmen peccato, bensì imprudenza 1° amare ed essere amato da una Principessa sorella di Re. Non vi è legge nè umana nè divina da cuni si commini sì aspra pena.ad un balordo ed inconsiderato zerbino. Mal dunque si appose Paganel a volere anche in ciò giustificar Federico. Questo Principe ha tali e tanti titoli all’ elogio ed alla ammira - zione che non abbisogna di essere imbellito là pure ove è difettoso. Cupido d° ogni genere di gloria ; agognò anche a quella delle lettere. Mal presentendo forse la sua vocazione, incominciò con- futando il Principe dal Macchiavelli, di cui quindi seguì fedel- mente i precetti, allorchè ; al pari di questo sommo Italiano ; conobbe, che ogni altro obligo si dilegua ‘scomparisce ed annullasi innanzi al dovere di far poderosa e indipendente la patria. Cultore di tutte le muse sì austere come amene ; fu prosatore e fu poeta, scrisse istoria, e scrisse Odi; un poema didascalico sull’arte della guerra, nonchè capitoli morali filosofici satirici ec. Le quali opere , abbenchè ingemmate quà e là di pensieri profondi maschi sublimi , di bellezze insomma degne de’ migliori ingegni antichi e moderni , avranno intanto difficilmente un posto nella Biblioteca della posterità. Ove ciò avvenga, Federico non dovrà che accusar se medesimo d’essersi franudato della gloria letteraria di Senofonte e di Cesare , sol perchè volle scrivere in lingua al- trui, e non nella propria nella materna nella natia, la sola potente a dare originalità eccellente anche a’ pensieri eccellenti ed originali. Egli adunque scrivendo in francese e non in tede- sco , fece che non avrà l’onore d’ essere annoverato nè nella let- teratura tedesca, nè nella francese. Nella prima , perchè non autore nazionale ; e nella seconda, perchè per quanto avesse ben scritto , non mai però potè scrivere e scrisse con la naturalezza e purità di un nazionale autore. 95 Federico neglesse l’idioma alemanno, allora incoltissimo; cre- dendolo impotente di quelle grazie venustadi e ricchezze, che quin- di. questa lingua, germogliò produsse e fiorì sotto le mani. di Wieland, di Goete, di Schiller, di Muller, di Meisner, di Klop- stock; di Jacobi» di Gesner e degli altri egregj scrittori, i quali diedero alla Germania il suo bel secolo negli ultimi trenta anni del; secolo ‘ultimo. E se dobbiamo dire, tutto il nostro. pensiero diremo, che la negligenza o forse anco il dispregio di questo Prin- cipe per la lingua germanica , svegliò quel. nazionale spirito, di opposizione; che fece sorgere tanti»letterati germanici. Non è in- fatti. nè nuovo, nè raro esempio quello di popoli, i quali fanno precisamente ciò:che i principio non sperano. o non voglion, fatto. Ma.;a malgrado di, questo schimbescio di raziocinio, in cui tra- viò Federico ; come, era andato .a sbieco il. Petrarca promettendosi immortalità scrivendo ;in-latino , fu però egli. un gran promotore dell’ erudimento scientifico nel suo reame. Fondò. 1° Accademia di Berlino chiamandovi i più riputati dotti dell’ altre nazioni; e seguendo il metodo tracciato dal Leibnizio. Fondò anche collegi civili e militari nelle: città più cospicne della Prussia. Institaì inoltre la scuola. elementare pel popolo in vgni villaggio ; e in- fine;;diede asilo a’, Gesuiti, utilizzandoli a maestri. ne’ Seminarj . de? suoi sudditi cattolici. La memoria di quanto avea patito sotto un. padre intollerante di un figlio amico délle Muse, il fece sem- pre. protettore e delle! vittime d’ ogni intolleranza , e di chiunque potesse insegnar le discipline. u : A1 merito della straordinaria sua virtù guerriera e de’benefizj fatti alla sua patria, cumulò egli quello 'd’essere un vero filosofo; un vero savio; ;E: così diciamo ; non perchè pensasse audacemente o:in un modo (più «che in un altro sovra materie gravissime; nè perchè fosse vin commercio epistolare ed. amicizia intima:co’ mag» giori dotti dell’ età sua;! ma bensì, ‘perchè seppe governare e condurre in porto fra terribilissime tempeste la. nave dello,stato; perchè seppe invigorire ; illustrare e, far. felice il,suo reame dopo averlo, salvo...Che .lo stato è per noi.la vera cote della vera, fi- losofia ,. ossia.della sapienza vera. Nella politica teorica può ‘ogau- no presumere come, Alfonso X , quando boriavasi che | avrebbe, meglio saputo; ordinar l’ universo astronomico, o. delirar . come Platone una \repubblica perfetta con le donne comuni! civè senza le nozze, primo, cardinale e indispensabile. elemento socievole d’ogni, società civile. La quiete del gabinetto .in cui si fanta= sticano sì bei sogni e l’ amor proprio del sognatore , ne suggel- lano l’effettività, Però, altro è scriverli sulla piana, liscia e in- 96 sensibile carta, e ben altro è applicarli sulla pelle sensibilissima e schizzinosa degli uomini. La politica non è scienza apodittica (a priori), ma esperimentale. Essa non ha principii eterni come la fisica , ma è mobile e varia come vario e mobile è lo stato morale delle genti. Il furto occulto poteva essere virtù civilein Isparta ; mentre era ed è ovunque il più vile de’ delitti. La pa- tria potestà, sì sterminata ne’ tempi severi di Roma, era una delle pubbliche virtù ‘più sostenitrici di quella repubblica. Oggi fora un'publico cancro per ogni stato. Lo stesso errore ,\ed an- che il più insano, può essere e fu sovente indispensabilissimo elemento politico. Togli al Campidoglio la venerata supertizione delle ossa di Quirino , e cade tutta la mole tutta 1’ opera pro- digiosa: del popolo re. Indij Romolo, che ne era il conditore va detto un filosofo o sapiente immenso appo Platone, che 'avria mandato sossopra la città regina mentre questa era nella sua gioventù più sana valida e florida. Ed ove il lettore. voglia lu- cida tutta la nostra idea sull’ argomento ‘in subietto, ponga ei mente agli sbalzi de’ filosofi enciclopedisti. da ogni via di senno edi senso comune , allorquando pervenuti: a legislatori nella ri- voluzione francese , vollero attuarvi gli impossibili, 0 meglio di- remo gli assurdi delle astrazioni. Sognando conseguibile quella perfezione assoluta che è la maggior riemica della bontà in ogni vpera , computarono gli uomini come cifre , e li composero: come inaterie inanimate. Non vuolsi dire in quale baratro di orrori precipitò la Francia. Tutto ciò avvenne sol perchè fondavasi l’arte dello Stato 0 la prudenza civile sulla metafisica; e. non già sulla. scienza certa de’ fatti umani. Laonde, comunque consci della nullità della ‘voce nostra; non cesseremo.intanto di, calda= mente raccomandare a’giovani.lo studio delle politiche dottrine sull’istoria; come faceva il nostro immenso Macchiavelli, e non punto ne’delirii astrusi dell’ ideologia. Però torniamo a Federico. Federico adunque fu un vero filosofo non perc hè scettico, stoico e dottissimo in tutto ciò che si fosse scritto in filosofia, ma perchè sapiente ad ordinare fra’suoi popoli quanto era comporte- vole'al' grado intellettivo morale e civile loro, sapientemente aste- nendosi da tutto quello, che nonchè non confarsi ad esseri di carne sangue € ‘nervi, non confarebbesi neppure ad intelligenze ‘incor- poree. Invano Voltaire Dalembert Condorcet ed altri lo incitavano, con tutte le seducenti tentazioni delle laudiì e delle promesse d’altra gloria assai più inelita , ad attuare alcune chimere pre- stigiosissime. Egli fu saldo în ciò che vide di potere o non poter fave } mettendo la sua saviezza alla ‘pruova massima di non ine- 97 briarsi a quegli incitamenti ammaliati da cotante adulazioni. E il buono effetto seguì alla buona opera. La Prussia ; comecchè sì vulnerata esangue e agonizzante per le ferite mortali di lunga e ferocissima guerra, risanò e fiorì sotto la di lui medela. In pochi anni parve una provincia gaudente di secoli di pace. Nuove strade, nuovi canali; nuove industrie, nuove manifatture, nuovo commercio, nuovi borghi e nuove città comparvero sotto la mano di questo Cadmo istorico. Vero è che non fu mondo di molti nei in economia civile. Così, verbigrazia, mandò a male alcune compagnie di com- mercio e quelle di assicurazioni marittime, sol per volerle troppo proteggere. Così pure, non seppe evitar lo scoglio del monopolio , in incoraggendo troppo con privilegi i primi ad in - trodurre talune manifatture. De’quali falii può essere escusato , se non assoluto, dalla considerazione che erano gli errori del tem- po, non peranco essendo allora popolano; come è oggi; il Vero, che la sola protezione, e la fecondissima, che i governi possan dare alle industrie ed a tutti gli altri benefici del commercio, è la libertà e la sicurezza. E non taceremo in ultimo la maggiore macchia che ombreggi fra il fulgore della sua gloria, 1’ altera- zione cioè del valore nella moneta nazionale; macchia contro cui gridan del pari e la morale e tutte le dottrine d'economia pub- blica , oggi specialmente che divenne popolare 1° altro. Vero d’es- ser utile sol ciò che è giusto. Noi non discuteremo se possa escu- sarlo, se non assolverlo, la terribilissima straordinarietà de’casi, che il sospinsero a siffatto mancamento:; bensi ripeteremo le parole con le quali se ne è egli stesso confessato e condannato nelle sue istorie. “ Faccia e voglia il cielo, dice , che i futuri 33 sovrani della Prussia, non mai sieno costretti ad appigliarsi a »» que’ rimedi violentissimi e funestissimi, cui fu forza che si ap- 5» pigliasse Federico Il, per sostenere il reame contro al livore » dell’ Europa ec. ec. ,, Ciò ripetuto, non vediamo chi possa stare in contegno di giudice severissimo sulla di lui memoria. Nelle sue maniere per lo più belle, affabili ed urbane, la gentilezza avrebbe desiderato minore proclività al frizzare. I re son quelli, i quali più di tutti non deggiono mai dire nulla di dispiacevole a nessuno. Non vuolsi intanto tacere che abusandone cu’ potenti , e con coloro i quali volevan seco lui rivaleggiar in destrezza di spirito, come avvenia sovente al Voltaire, non mai se ne permettea co’miseri. Così pure , la virtù domestica avria in lui voluto un migliore marito , quale alcerto il meritava la bella e T. II. Aprile. 13 98 virtuosa Carlotta di Brunswich. Senonchè la tirannia del padre , che il volle sposo immediatamente dopo alla barbarica fusti- gazione della giovinetta sua amante, fece che la testè detta prin- cipessa fosse , non ostante i snoi vezzi, ognora impotente a muo- vere tenerezza in uno stoico irritato, e restasse per tutta la sua vita come ella era pria delle nozze. Nella quale inconcepibilità di caso non saprebbesi dire se debba più stupefare 1° indelebile reminiscenza della barbarie paterna . o la vendetta di questa contro una sposa innocente , o infine l’ insensibilità marmorea di un consorte coabitante con una moglie modello di virtù, di grazie e di venustà. Non va però omesso che il re , salvo i favori del letto, era diligentissimo perchè la regina avesse tutti gli onori e riguardi e rispetti ed atti d’ossequio sì nell’ interno della re- gia come nelle cerimonie pubbliche; era anzi egli il primo ad onorarla con ogni distinzione e diligenza. Noi tenemmo opera a delinear questo grande uomo quale egli fu realmente, notando i suoi pregi e non tacendo le sua ombre. Le quali, comecchè non lievi, son però velate, se non terse, da altissime gesta e virtù che andemmo toccando per sommi capi. E quì le sommeremo a conclusione dicendo. “ Federico pugnò ss undici anni per la sua patria , generosissimamente non perdo- ,» nandosi veruno studio , verun sudvre , verun travaglio, verun »» pericolo, non solo per salvarla dall'ira congiurata di tutta s> Europa , ma benanche equilibrandola con cadauno de’maggiori » potentati europei. ,, Ora, che chi si senta meno riprendevole in pecche personali , e più meritorio in opere di patria carità , scagli contro di lui il primo sasso. G. P. Lettera quinta intorno a’ Codici del marchese Lurci Tempi. Non v’ è codice sicuramente , il qual meriti d’ esser seguito alla cieca; e non v’ è codice probabilmente , il qual nou vaglia la pena d’ essere consultato. Le prove di ciò a voi molto pratico forse più non bisognano. A me non pratico egualmente giova pur quella d’ uno de’ codici tempiavi men riguardevoli , che con- tiene le due storie di Salustio , volgarizzate dal raccoglitore e volgarizzator famoso degli Ammaestramenti. I codici riguardevoli di questo volgarizzamento delle due 99 storie, per vero dire , non sono molti. Il citato da’ compilatori del Vocabolario e ancor serbato nella Riccardiana ; quello della libreria Rinuccini oggi smarrito , ma già trascritto , per ciò che il Mehus ne disse al Cioni, ond’ esser pubblicato in Bologna , sembran più celebri che riguardevoli. Se il Salviati, che gli ebbe fra mano, gli avesse trovati meno scorretti, avrebbe forse tro- vato la lingua del volgarizzamento assai più bella. Fra i tanti altri codici, che queste librerie ne posseggono, al nostro Cioni, come sapete, parve ragguardevolissimo il lauren- ziano , già gaddiano , della metà del secolo decimoquarto , a nor- ma del quale principalmente ci diede la sua edizion prima, la fiorentina cioè del 1790. Dopo di questo , lodatogli molto anche dal Mehus , egli non ne trovò alcuno più riguardevole d’ un lanrenziano più antico, cioè del principio del secolo già detto , e se ne giovò abilmente a correggere la lezione dell’ altro ; seb- bene in generale più corretta. Quand? egli siudiava intorno a questi codici non erano an- cora , per quel che sembra , nella Laurenziana i due del priu- cipio del secolo decimoquinto, de’ quali un bravissimo giovane, che avrete qui conosciuto, ha fatto grand’ uso per la seconda edizione ; quella di Napoli del 1827. Anch’ essi veramente ( e ve n’ avvedrete al confronto delle due edizioni ) posson dirsi assai riguardevoli. Dubito però, se il Cioni, abbattendosi in essi, avrebbe voluto preferirli in tutto ai due, ch’ ebbe tante ragioni di preferire agli altri da lui conosciuti. Però non saprei dolermi quanto uno de’nostri amici, che il Silvestri di Milano, dandoci nel 28 la terza edizione, ch’ ei credette seconda, abbia dovuto seguir la prima ; ch’ ei credette unica. Alcune varianti , tratte dai due codici laurenziani meno antichi, sono preziose anzi necessarie. Il confronto del volgariz- zamento col testo; già cominciato dal Salvini, come provano le sue postille al codice che già usarono i compilatori del Vocabo- lario , poi fatto per intero dal Cioni, e rifatto con nuova dili- genza dall’editor napoletano, le rendeva desiderabili. Altre sono da aggiungersi ( ciò che il nostro Manuzzi ha cominciato a fare ) ai nuovi modi e vocaboli, che il Cioni già raccolse dal volgariz- zamento, e il Cesari accolse nel suo Vocabolario ampliato. Tutte o quasi tutte infine son da mettersi in nota o da registrarsi in elenco; ciò che spero abbia fatto chi ci diede pocanzi in Milano la quarta edizione da me non veduta. Non però tutte, parmi , son da sostituirsi alle vecchie , talora egualmente belle , talora meno belle ma forse più genuine. Io non dubito menomamente 100 della fedeltà di chi ha raccolto per 1’ editor napoletano le varianti de’ due nuovi codici. Dubito non poco della fedeltà di chi tra- sportò in questi codici il volgarizzamento da altri più antichi. Alcune varianti parrebbero genuine , se il volgarizzamento fos- se almeno del tempo che il Salviati, non conoscendone l’autore , avea supposto. Ma il Cioni; scoprendone l’ autore , grazie ad un ricordo del codice da lui seguito , mostrò che il volgarizzamento è anteriore di mezzo secolo. Dice quel ricordo, il qual ora si legge in fronte al proemio nelle varie edizioni , che il volgariz- zamento fu fatto da Bartolommeo di S. Concordio a petizione del Nero Cambi di Firenze. Ora il Nero Cambi, manritta di Geri degli Spini ( pel quale furon volgarizzati gli Ammaestra- menti ), dopo essere stato suo agente politico insieme e finan- ziero presso Bonifazio VIII, ebbe con lui e con Corso Donati la signoria di Firenze nell’ aprile del 1302 , quando furono cac- ciati i Cerchi e tutta la parte bianca. Nulla di più probabile , pensa il Cioni, che verso quel tempo appunto ei chiedesse il volgarizzamento delle due storie , 1 una delle quali in \ispecie avea tanta relazione colle cose che qui allora avvenivano. Checchè sia di ciò, la lingua del volgarizzamento è la lingaa del tempo di Dante , non di quello del Boccaccio. E, se il Salviati non avesse trovata sì bella la lingua negli Ammaestramenti, potrebbe sospettarsi che, solo per essere un po’ diversa da quella che usa il suo Boccaccio ; gli fosse sem- brata men bella la lingua di questo volgarizzamento. Ma già dissi come di ciò forse han molta colpa i codici ch' egli vi- de. Un altro po’ di colpa l’ hanno i latinismi , troppo contrarj ( osserva il Puoti nella nuova vita di Bartolommeo premessa al- 1’ edizion napoletana) a quel pretto fiorentinismo ch’ ei professava, e ond’ è ch’ei disse il volgarizzamento affogato nella pedanteria. Questi latinismi , intanto, poteano essi pure essergli indizio di molta antichità. E forse per essi in ispecie il volgarizzamento fu già attribuito , come intendo oggi per la prima volta , al mae- stro di Dante. Ciò mi fa sapere il buon Manuzzi, tornato po- canzi di Ruma con bei tesori di lingua raccolti in quelle Biblio - teche, l’Albero della Croce secondo un codice della Chigiana , il qual conferma quasi tutte le correzioni fatte dal Zanotti col riscontro del latino ; più cose inedite di Feo Belcari tratte da un codice della Vallicelliana , ec. ec., che presto pubblicherà. Nell Chigiana ei si avvenne pure in un codice non meno bello che antico ( anteriore senza dubbio al 400 ) del nostro volgarizzamento; e nel risgnardo al frontespizio vi trovò scritto di mauo d’ Ales- JOI sandro VII , come il Fea gli accertò , un breve ricordo, che dice potersi credere il volgarizzamento attribuito a ser Brunetto. Or non poche delle varianti de’ due codici seguiti dall’ editor napoletano , anzichè farci pensare a ser Brunetto o a’ suoi con- temporanei, ci fan pensare piuttosto al Belcari nominato dianzi o a quelli che di poco il precedettero. Che se i due codici son veramente del principio del secolo decimoquinto , il tempiano , di cui non vi dirò che due parole , è più moderno quasi di mezzo secolo. Lo è almeno nella sua se- conda metà , il Catilinario che qui vien dopo ed è d’ altra mano che il Giugurtino, e dicesi finito di copiare il primo novembre 1450. Il Giugurtino, ch’ è di 95 pagine non numerate e seguite da 5 bianche, parrebbe, alla forma de’ caratteri, a’ tratteggi di vario colore che adornano le grandi iniziali , ec. ec. , copiato con certa cura. Ma se lo è con maggior cura che il Catilinario , il quale ha 45 pagine di carattere assai men buono , con tratteggi più semplici e di solo color rosso ; ec. , non lo è con maggiore perizia. E nondimeno tutto il codice ( piccol foglio cartaceo , appartenuto per successione a varii del casato de’ Benci ) costò, giusta un ricordo che vi si legge, fiorini 4 e lire 10 al primo compratore , il qual poi lo fece rilegare d’ assi e cuojo pagorazzo ( noto queste particolarità per divertirvi ) chè prima non stava così. A Io avrei voluto aver gli occhi di qualcuno di que’ Benci per leggervi più a lungo che non ho fatto. Vi ho però letto abba- stanza per convincermi di quello ch'io vi diceva a principio, che non v? ha codice , forse , il qual non vaglia la pena d'’ essere consultato. Più correzioni, infatti, proposte dal Cioni col riscontro del latino , lo schifasse per esempio ( aspernabatur ) invece dello schivasse nel primo del Catilinario ; lo sconsigliatamente nel vigesimonono del Catilinario medesimo ( incorsulte ) invece del somigliantemente ; == più varianti adottate, anch'esse col riscontro del latino, dall’ editor di Napoli, per esempio il non si potea attutare nè mancare invece dell’ alterare nè mancare ( mal cor- rispondente al neque prius sedari etc. ) nel primo del Giugurtino, si trovan nel codice , di cui vi parlo , benchè scorrettissimo. Or vengo ad un codice de’ più corretti, e non solo de’ più corretti ma de’ più eleganti, e non solo de’ più eleganti, ma de’ più rari, anzi da me fin quasi a jeri stimato unico in sua specie. Anch’ esso contiene il volgarizzamento d° opera latina clas- sicissima , le Tusculane da voi tanto ammirate, fatto nell’ aureo secolo di nostra lingua, non so dirvi da chi, ma certo da scrit- 102 tore poco men valente di quello che volgarizzò le storie di Sa- lustio. E questo volgarizzamento fu pure, come l’altro delle due storie , citato da’ compilatori del Vocabolario , or non ram- mento bene su che codice, ma parmi di casa Ubaldini. Prima però che fosse citato fu pubblicato, benchè con qualche travi- samento; nè alcuno per più secoli seppe sospettar nella stampa il volgarizzamento citato o nel citato quel della stampa. Alfine, quando il sospetto nacque, il codice che ho detto già era smar- rito , nè altro potè rinvenirsene da fare un confronto. Se non che poi quando mi venne innanzi il tempiano , ch’ io dovea. creder unico . ad altri ne venne innanzi uno barberiniano (habent sua fata libelli ); e i confronti fatti mercè di essi posson servirsi di prova reciproca. Il solo volgarizzamento che si avesse in istampa prima di quello del Napione era, già lo sapete, quello che ne pubblicò in Venezia Fausto da Longiano nel 1544 presso il Valgrisio. Fausto, pubblicandolo, per far piacere ; com’ ei s’esprime, ad un signore spagnuolo, il dichiarò (nella sua dedicatoria al Palla- vicino marchese di Cortemaggiore) opera d’ un gentiluomo fio- rentino qua e là ritoccata. Ma il Paitoni nella sua Biblioteca de’ Traduttori , o mettesse fuori un’ opinion nuova, o ne fripro- ducesse una già vecchia , lo attribuì per intero a lui medesimo. Ora il Napione , ragionando di ciò col Priocca suo amico nella lettera proemiale al suo nuovo volgarizzamento , sì mostrò molto perplesso. Fausto , egli pensò; ove stiamo al ritratto che ce ne fa il Tiraboschi, era uomo da dar piuttosto per sua l’opera al- trui che per altrui la propria. Quel ch’ egli valesse in opera di traduzioni m’ è ignoto ; ma, se stiamo alle parole del Muzio , egli non s’intendea di volgare più che di latino, e però vedete. voi s’ era uomo da tradurre le Tusculane. E il Muzio, i cui giudizii in generale non son forse più giusti che benevoli, certo non giudicò male di Fausto. Pur Fau- sto, che non temeva quel che potesse dirsi di lui, tradusse le Familiari dell’autor delle Tusculane, e, dedicandole ad un Farne- se arcivescovo di Napoli, promise fra cento cose di dar tradotte tutte l’ altr’ opere dell’ autor medesimo. Di qui forse l’ opinion del Paitoni o d’ altri, che per avventura la manifestarono assai prima di lui. Opinion troppo assurda , però , e da non potersi concepire dopo aver veduto alcun poco di quel grande assassinio delle Familiari, e poi guardato al volgarizzamento delle Tu- sculane. Il Napione , non avendo veduto di Fausto che la dedicatoria 103 già detta di questo volgarizzamento , avvertì che la lingua del- l'uno gli pareva un po’ diversa da quella dell’altro , grazie spe- cialmente a certi arcaismi , a certi modi proprii soltanto a quei buoni barbogi che si chiaman gli autori del buon secolo. Colla quale avvertenza , se non si mostrò quel finissimo intelligente, che da alcuni venne reputato ; si mostrò pure assai più intelli - gente di Fausto, il quale non dubitò d' attribuire il volgarizza- mento ad un contemporaneo anzi ad un vivente , a cui fece scusa d’ averglielo così un po’ racconcio e dato al pubblico. Avventuroso però quest’ errore di Fausto! Chi sa da qual altro assassinio esso ha salvato il povero volgarizzamento ? Al qua- le, sia lode al vero, è pur rimasto nella st\mpa assai più che uon bastasse dell’ antiche sembianze per far pensare al Napione, e quindi bramar d’accertarsi, che fosse una cosa medesima col vol- garizzamento citato. Ma io, scriveva egli al Priocca (da una sua villa presso Torino ) ho avuto troppa faccenda a procurarmi il volgarizzamento in istampa, perchè speri, senza far viaggi, di veder l’ altro. Un antico volgarizzamento manoscritto, mi av- visa il Vernazza , era una volta nella privata libreria del duca nostro Carlo III di Savoja. Ma chi sa oggi ov’ è ito, o s’ era, com’i» suppongo , conforme al citato! In Firenze, però, o in uno'o in altro codice, questo non dovrebb’ essere impossibile a ritrovarsi , e qualche erudito potrebbe farne confronto con quello ch’ è a stampa. Ed ecco il Priocca , il qual stava in Toscana, udito il de- siderio dell’ amico , metter qui in moto altri amici suoi, il Puc- cini , il Poggiali , ec., per veder se il citato si ritrovasse. Ma il citato era allora scomparso dagli occhi di tutti, di che il Priocca si dolse non poco al Napione nella risposta che segue la proemiale già detta al nuovo volgarizzamento. Venticinqu’anni dopo , alfine, ecco il citato presentarmisi in uno de’ più bei codici tempiani; piccol foglio in pergamena di 180 carte (una delle quali sgraziatamente strappata e tre bianche), scritto ; parmi , intorio alla metà del secolo decimoquinto , in carattere mitidissimo , colle grandi iniziali miniate , ove l’oro ancor lam- peggia e i colori son rugiadosi. Leggerlo in sì bel codice era piacevole non che facile; confrontarlo collo stampato era’: as- sai naturale. Ma io quasi non avea d’ uopo di confronto , per esser certo di ciò che al Napione già parve probabile. Ben lo avea per esserlo ; che le mutazioni fatte nella stampa non fos- sero , come Fausto asserì, che di clausolette e paroluccie. Ad accertarne gli altri non sono però il primo , qual io mi cre- 104 deva di dover essere; e n’ho compenso nel piacere di non trovarmi solo. Il buon Manuzzi, venuto a vedermi in ottobre prima di partire per Roma, vide il mio confronto e ne seppe i risultati. Giunto a Roma, e pensando annunciarli come una novità al bibliotecario della Barberiniana suo amico, udì che i medesimi risultati egli aveva avuto pur dianzi da simile con- fronto , grazie ad un bel codice cartaceo di quella libreria ; contemporaneo al tempiano , benchè un po’ men conservato. Quindi , tornando , mi portò una Notizia intorno a quel codice, inserita dall’ amico suo in uno degli ultimi quaderni dell’Ar- cadico , e corredata d’ aleuni saggi del volgarizzamento secondo il codice medesimo coi riscontri della stampa. Dopo ciò il recarvi altri saggi secondo il tempiano , perchè vediate se il volgarizzamento in istampa sia veramente , salve poche differenze, lo stesso che il citato, parmi più che super- fluo. Perchè giudichiate se questo volgarizzamento , la cui stam- pa d’ altronde è assai rara, meriti d’esser riprodotto a norma de’ due codici , forse non è superfluo del tutto. Quel che vagliano in generale i volgarizzamenti del trecen- to , il Giordani l’ ha detto troppo bene; e voi, lo so, vi te- nete col Giordani. Il Napione, con cui tiensi qualch’ altro , non solo nega loro, come ad opere di grandi ignoranti, quella precision ch' è impossibile senza una perfetta intelligenza del testo, ma nega pure ogni regolatezza , ogni leggiadria. Quindi il volgarizzamento pubblicato da Fausto sia pure, egli dice, il volgarizzamento di quel secolo che chiamasi d’oro : esso non mi ha punto sgomentato dall’ imprenderne un nuovo. E il Prioc- ca. siccome potete aspettarvi, gli fa gran plauso, e aggiugne che quel volgarizzamento non meritava pure d’ esser ricordato; che , dopo il nuovo specialmente , deve starsi più che mai se- polto in quelle vecchie raccolte a cui il Bettinelli dava nome di cimiteri , ec. ec. Or prima che la sentenza sembri senza appello, ci sia lecito 1’ esaminare un poco quanto sia fondata. Il bibliotecario barberiniano non è , co’ saggi del volgarizza- mento secondo il suo codice, uscito dal proemio ; io co’miei, che saranno anche più brevi, non uscirò da’ primi capitoli del primo libro. In uno di essi ( nel secondo ) 1’ autor delle Tuscu- lane, Marco , qual ivi si chiama, vuol provare al suo interlo- cutore , sia egli Attico , sia altri della scuola d’ Epicuro, ch’ ei si contradice chiamando miseri quelli che più non vivono. Ei gli ha chiesto scherzando se li chiami tali per timore del Cer- bero , per orror del Cocito , ec ec. E l’ interlocutore ha risposto 105 che si ride del Cerbero e del Cocito ; che sa benissimo che i morti non son più nulla, e che appunto perchè non sono più nulla li chiama miseri. Jam mallem Cerberum metueres etc. etc., dice allora il buon Marco, e il dialogo seguita fra il lepido e il serio e si fa sempre più stringente. Eccolo nel volgarizzamento secondo il codice tempiano , ch’ è inutile ch’ io qui confronti colla stampa : « M. Io al presente vorrei piuttosto che tu temessi Cerbe- ro , che tu dicessi queste cose così inconsideratamente. A. Or che ci è ? M. Colui, il quale tu nieghi essere , quel medesimo affermi. Or dove la sottigliezza tua ? Imperocchè tu di’ esser mi- sero colui il quale tu affermi niente essere. A. Io non sono di così poco intelletto che questo io dica. M. Or che di’ tu adun- que ?_A. Dico che misero è ( acciò che tu m’ intenda) Marco Crasso , il quale per la morte lasciò la potenzia e ricchezza sua; misero è Gneo Pompeo , il quale è privato di tanta degnità e di tanta gloria ; e finalmente tutti coloro sono miseri, i quali di tanta luce mavcano. M. Tu ti rivolgi a quello medesimo. E’ con- viene che eg'ino sieno se essi sono miseri. Ma tu poco innanzi negavi che coloro fussino i quali erano morti. Se adunque eg'ino non sono, essi niente possono essere , e così essi non sono miseri. A. To non dico forse ancora il parere mio. Imperocchè cotesto non essere, essendo tu già stato, stimo essere molto misero. M. Or che cosa è più misera che in tutto non essere mai stato? E così coloro, i quali ancora non sono nati, sono già miseri per- chè essi non sono. E noi medesimi, se noi dopo la morte ab- biamo a essere miseri, innanzi che noi nascessimo miseri fum- mo. Ma io non mi rieordo che innanzi che io naseessi io fussi misero : se tu se’ di migliore memoria, voglio che mi faccia sa- pere quello che di te tu ti ricordi. A. Tu motteggi in modo, come se io dicessi che coloro sono miseri i quali non sono na- ti, e non miseri coloro i quali sono morti. M. Adunque tu di° che eglino sono. A. Anzi perchè eglino non seno, concio- siacosachè eglino furono , li chiamo miseri. M. Or non vedi tu che tu parli cose le quali si ripugnano? ec. ec. ,; Quanto di ciceroniano , non ostanti una o due frasi men precise , -trovisi in queste passo, non ho bisogno di dirlo a voi. In altri passi il pensiero dell’ originale è più volte mal in- terpretato , la sintassi è impacciata ec., il ehe forse mai ‘non accade nel volgarizzamento moderno. Pur 1’ indole dell’ origi- nale, s’'io non m’inganno, è in essi troppo meglio serbata che T. Il. Aprile 14 106 in questo. < Le parole e ’1 modo volgare non rispondono in tutto alla lettera, scrivea nel suo proemio l’ antico volgarizzator di Sallustio; anzi conviene ispesse fiate d’ una parola per lettera dirne più in volgare, e non saranno però così proprie ;,. Pur come nel trecento si usavano parole e maniere proprissime , ve veniva a’ volgarizzamenti , come all’ altre scritture di quel tempo, e brevità e leggiadria oggi insolita. L’ oro , se così posso esprimermi , ci era allora dato in oro, non in altro metallo di maggior volume e di minor valore , come ne? volgarizzamenti moderni. Il metallo del nuovo volgarizzamento delle Tusculane sarà ; se vogliamo, argento puro , ma tien troppo luogo in pa- ragone dell’ oro dell’ antico , e non ha pur una delle sue scin- tille. Ne’passi specialmente di stretto dialogo, come il corrispon- dente al recatovi qui sopra; ciò riesce evidentissimo. Ne'passi, ove il dialogo s’ accosta all’ oratoria , ciò parrà forse meno evi- dente, ma per me lo è del pari. Anche di questa specie di dialogo , qual ci si presenta nel volgarizzamento antico , ec- covi un saggio tratto da quel capitolo eloquentissimo (il quarto del libro già detto ) ove parlasi dell’ immortalità secondo la sen- tenza di Platone, ch’ è pur quella dell’ autor delle Tuscnlane. « Che stimiamo noi che pensassino questi tanti e sì grandi nomini morti per la repubblica? Che col medesimo fine ter- minasse il nome loro che la vita ? Nessuno mai senza grande speranza d’ immortalità si offerrebbe per la patria alla morte. Fu lecito a Temistocle essere ozioso , fue lecito a Epaminonda , fue lecito , acciocchè io non ricerchi le cose antiche e forestie- re, a me. Ma io non so come nelle menti s’ accosta (7nhaeret) quasi un certo augurio de’ secoli futuri. E questo ne’ grandis- simi ed altissimi animi, e massimamente (qui manca il volgare dell’eristit) e facilissimamente apparisce. La qual cosa tolta , chi sarebbe tanto stolto che nelle fatiche e ne’ pericoli sempre vi- vesse ? ,, Già vi sarete avveduto che nel trascrivere tengo , per ri- spetto all’ ortografia , quella strada di mezzo che il nostro Ben- ci, ne’ suoi discorsi proemiali al Malispini e al Compagni , disapprova fortemente , ma ch’ egli stesso nel testo di quegli storici è pur costretto il più delle volte a tenere. L’ ortografia del codice , da cui trascrivo , è ad un dipresso quella che ve- dete ne’ volgarizzamenti di ser Brunetto stampati in Lione nel 1568 con note del Corbinelli , il qual volle darceli quai li trovò in un antico manoscritto mandatogli da nn Pusterla di Man- tova. Quindi penso che il codice sia copia esatta d’altro molto 107 anteriore , se, non forse in certe desinenze delle prime persone plurali dell’ indicativo de’ verbi, che veggo usate verso il cin- quecento e più innanzi (come nelle Nuzze di Cosimo descritte dal Giambullari e stam. dal Giunta ) e dubito che il fossero nel trecento. Volendo render leggibile quel che trascrivo , e serbargli pure quant’ è possibile l’antica sembianza ; ho dovuto tener la via che vedete. Che se non vi sembrasse la buona, ormai non ne avrete altro disagio che per un altro breve passo (del quinto capi- tolo ) necessario a mostrare ; quanto 1’ antico volgarizzamento abbia pur d’ armonia e di magnificenza ciceroniana. Il più gran piacere d’ esseri, come noi, intelligenti (leggesi anteriormente al passo che son per trascrivervi ) sarà senza dubbio , poichè fian sciolti dal carcere corporeo , la libera contemplazione del ve- ro ; e il piacere sarà grandissimo specialmente per coloro ‘ i quali, allora ancora quando, queste terre abitanti, erano d’ o- scurità circonfusi , nientedimeno per sottigliezza di mente co- gnoscere desideravano ,,. Or leggete questo poco di resto, e ditemi se non ha di che far meravigliare anche il nostro Giordani. « Imperocchè se coloro stimano alcuna cosa conseguire (ali quid assequi se putant)i quali hanno veduto 1’ entrata del mare di Ponto, e questi stretti pe’ quali passò quella nave, nominata Argo, perchè gli argivi uomini eletti in quella portati addo- mandavano. ( petebant ) la pelle del montone dell’ oro } ovvero coloro i quali videro i fervidi stretti del mare Oceano, dove la rapida onda l’ Africa dall’ Europa divide (Europam Lybiam- que rapax ubi dividit unda); che risguardo finalmente (quod tan- dem spectaculum) stimiamo noi dovere essere , quando lecito ci sarà tutta la terra insieme vedere, e di lei riguardare sì il sito e la figura e la circumferenzia, sì le regioni abitabili, e per contrario quelle le quali per la forza del caldo o del freddo mancano d’ ogni colto , ec. ec. ,, Io non so quello che l’ Alfieri avrà detto al primo venirgli innanzi l’ antico volgarizzamento delle storie di Salustio , pub- blicato qui mentr’ egli era in Francia. Ma le sue opinioni sulla lingua del trecento son note abbastanza. E il suo stesso vol- garizzamento ; fatto nel 1775 , rifatto fra 1’ 85 e ilg1, poi qui rifatto di nnovo nel 93, può riguardarsi come la più gran loe di quell’ antico. Il volgarizzamento novello delle Tusculane, fatto dal Napione, spiega com’ egli per |’ antico non sentisse che di- sprezzo. Ma conviene ch’ io tronchi questo discorso; per far luogo 108 a due altre parole intorno ad un terzo codice contenente un. terzo volgarizzamento , se non d’opera classica , pur classico esso stesso, poichè fatto anch’ esso nel buon secolo e citato dai compilatori del Vocabolario. È il meno antico de’ tre anti- chi volgarizzamenti toscani della Guerra Trojana di Guido Giu- dice, la qual fu volgarizzata innanzi a tutti da Binduccio dello Scelto di Siena sopra una versione o parafrasi francese, poi da Giovanni Bellebuoni di Pistoia sopra il testo latino , poi sul testo medesimo da Filippo Ceffi di Firenze, che forse ebbe innanzi agli occhi il volgarizzamento del Bellebuoni. Più codici si conoscono di questi tre volgarizzamenti e del terzo in ispecie , per tacer d’altri in veneziano puro , in vene- ziano italianizzato ec.. de’ quali tutti diede bastante notizia il no- stro Benci in un’appendice alla sua Lettera al Biondi (v. il N.° 54 dell’Antologia) intorno alle Dicerie e all’altre cose del Ceffi. I due volgarizzamenti più antichi sono tuttavia inediti; il terzo, stimato migliore, fu impresso due volte , la prima in Venezia nel 1481 da Antonio d’ Alessandria della Paglia, la seconda in Napoli dagli Accademici della Fucina nel 1665, a norma d’un codice pala- tino di Firenze , di cui non ho saputo trovar traccia. Quegli Accademici (e dopo di loro anche il Fontanini, il qual poi si ricredette ) non dubitarono «’ attribuirlo a Guido stesso, cui fecer così uno de’ primi a scrivere in prosa volgare , come lo fun a dire in rima. Nè s’avvidero , osserva il Benci, della contradizione in cui cadevano, recando ad un tempo una no- ta, ove il volgarizzatore si dichiara contemporaneo di Gio. Vil- lani. Il Benvoglienti nelle sue Osservazioni sulla lingua , che trovansi nella raccolta del Frediani; avendo forse in qualche codice letto il solo cognome del volgarizzator vero, e credu- tolo nome, volle che fosse Ceffo Venturi. Ma il Bandini trovò in un codice mutilo laurenziano , e notò quindi nel suo Ca- talogo , che il volgarizzator vero è quello che già dissi. E trovò pure , benchè poi nel Catalogo, come il Benci ha osservato, sbagliasse una cifra , che il volgarizzamento fu fatto nel 1324; ciò che si conferma da un codice mutilo magliabechiano che ho veduto. A quanto il Benci ha già detto de’ codici di questo vol- garizzamento non mi resta da aggiugnere se non la notizia da- taci pocanzi dal Gamba d’ un bel codice del secolo decimoquinto, posseduto dal baron Rossetti di Trieste, e la particolarità di due codici magliabechiani assai posteriori , l’ uno de’ quali, giusta un ricordo postovi dal dotto bibliotecario Follini, varia non i i 109 poco; e non nelle parole soltanto, dalla lezion comune, Valtro ha una piccola giunta fattavi da un Antonio Mancini nel 1445. Con questi due codici può mettersi il tempiano , piccol foglio cartaceo di 96 carte non numerate ; ossia di 165 pagiue a doppia colonna e il resto bianche, senza titolo d’ opera , seuza titolo di capitoli, scritto, parmi, verso la metà del secolo de- cimoquinto , difficilissimo a leggersi, poco importante forse a riscontrarsi per migliorar la lezione della stampa, ma impor- tantissimo per altri riguardi. Poichè anch’ esso , nella sua se- conda metà, varia non poco , benchè meno del magliabechiano che già si disse, dalla lezione degli altri; ed ha in fine una giunta , troppo più antica e più notabile di quella dell’ altro codice magliabechiano già indicato. Essa infatti comprende in 14 pagine tutta la storia d’ Enea , scritta; come Dante s’ esprime- rebbe , ed ivi pur dicesi con più parole , pensando all’ alto ef- fetto ch’ uscir dovea di lui; è similissima per locuzioni, sia essa originale, sia tradotta , al volgarizzamento del Ceffi, e però degna d’ accompagnarlo nella nuova edizione che ne prepara il nostro segretario della Crusca. La qual edizione, assai desiderata per la rarità delle due altre, mi si rende ancor più desiderabile per quello che ho veduto de’ codici. L’ edizion principe ; oltre all’essere assai poco corretta , apparisce spesso al confronto una specie d’ abbrevia- zione , e fa sospettare che chi la fece, trovando ne” codici molte difficoltà, non tanto cercasse di vincerle come d’evitarle. L’edi- zion seconda non restringe il dettato , ma poco il migliora , co- me quella ch’è futta sopra un sol codice, quando la critica più sagace avrebbe pur avuto d’ uopo di molti. Fra i molti intanto il nostro segretario , o chi con lui pensò dapprima ad una terza edizione (quegli che ci diede nel 16 le Rime di Guitton d’ A- rezzo ) ne prescelse uno riécardiano del secolo decimoquarto inol - trato, col perpetuo riscontro d’un altro pur riccardiano un poco anteriore. E questi codici son veramente i più belli, come sono i più antichi, che qui si abbiano del volgarizzamento del Ceffi. Non però sono tali, parmi, che dispensino dal riscontro d’ altri, benchè non degni in generale d’ esser seguiti. Anche in essi, per dirvene una, m’è avvenuto di trovare quel famoso adorna- mento di silenzio , traduzione inintelligibile d’ un bizzarrissimo testo ( sopita taciturnitate), che forse fu tradutto addormentamento di silenzio o addormentato silenzio. Nessun codice , ch'io sappia, conferma alcuna di queste due lezioni che la critica potrebbe proporre. Pure il tempiano , sopprimerdo 1’ articolo innanzi a 1]0 silenzio; non ripugna ‘affatto alla seconda , sicchè quasi mi na- scerebbe speranza, che potesse pure esser utile per altro che per la giunta , che sopra vi ho lodata. Non debbo chiuder la lettera senza dirvi d’ un’ altra giunta più piccola , estranea affatto al volgarizzamento del Ceffi, e per sè stessa di pochissima importanza , ma per un ricordo che la precede anch’ essa buona a ricordarsi. La giunta consiste nel primo di que’ venti sermoni attribuiti a' S. Agostino , volgariz- zati anch’essi in tempi buoni della lingua , stampati qui due volte sulla fine del secolo decimoquinto , poi una terza per cura del Manni nel 1731, e alfin ristampati in Bologna nel 1818 in una raccolta d’ opere del medesimo genere. Secondo una frase del Catalogo del Gamba (ultima edizione) par che si dubiti ancora se il volgarizzatore sia veramente Agostino da Scarperia, Secondo il ricordo ch’ io accennava, e che sebbene di mano dif- ferente (come il sermone già detto) da quella del volgarizza- mento del Ceffi, pur sembra molto antico , ciò dovrebbe ormai porsi fuori di dubbio. Tutte queste notizie , lo veggo, non vaglion. per vostra sodisfazione quelle ch'io potrei darvi del buon andamento della scuola di geometria per gli artigiani, che il nostro marchese Tempi ha istituita, e della quale ha ragione di compiacersi più che de’ suoi codici. Pur anch’ esse debbono gradirvi come spe- cie di legami fra la nostra antica civiltà e la nuova , che molto perderebbe perdendosi le antiche memorie, o disprezzandosi quelle relative agli studi della lingua ; de’ quali nessuna civiltà può far senza. M. RIVISTA LETTERARIA. Trattato della sfera armillare del Can. Gius. BrancHI , con rame. Fi- renze. Batelli e Figli 1831. Prezzo L. 1. 50. Libro elementare affatto. Ma 1’ A. ebbe la cura d’ aggiungervi al- cuni principii dovuti alle più recenti scoperte, principii non contenuti ne’ libri elementari che noi conosciamo. Questo di rinnovare simili trat- tatelli secondo gl’ incrementi che vien facendo la scienza, è necessa- rissimo uffizio: giachè le più alte scoperte novelle sebben paiano affatto estranee alle idee preliminari e più semplici, pure vi portano sempre una nuova luce , e debbono esser poste con quelle in un’ evi- III dente armonia. Egli è perciò tanto difficile il compilare un trattato elementare sia di scienza o sia d’ arte. Il libretto che annunziamo procede per interrogazioni e risposte ; metodo che, servilmente applicato, è dannosissimo allo sviluppo delle giovanili intelligenze, ma che può nelle mani d’un maestro saggio riuscir fecondissimo. Io dico che se quelle risposte si conficcano nella memoria de’ fanciulli tali quali sono nel libro; non v’ ha mezzo più potente per istupidire e isterilire quelle povere menti: ma se l’ inse- gnamento istesso è dal maestro diretto per via d’ interrogazioni so- cratiche , in modo che l’ ingegno crescente si provi di trovare, per quanto è possibile, da sè la soluzione delle ‘difficoltà mano mano sem- pre più complicate che l’interrogatore gli vien presentando, i vantaggi dell’ analisi si congiungono a quei della sintesi; 1’ istruzione diventa quasi originale , s’° immedesima coll’ intelletto che la riceve credendo di rinvenirla ; ed è ottenuto il principale scopo d’ogni educazione non bestiale, che è quello d’ abituar la mente a pensare da sè. X. Manuale di fisica dilettevole , ossia gli esperimenti e le ricreazioni più curiose della fisica, raccolte da E. Julia FonTENELLE, volto in ita- liano da Prerro SpAp4 , dall’ ultima edizione parigina , con note. Milano. Edit. Lorenzo Sonzogno. Pag. 208 in 16.° con tavola. Ital. Lire 2. 50. Raccomandiamo quest’ utile ed ameno libretto non tanto ai dotti di fisica quanto a coloro che vogliono con diletto e però con frutto maggiore iniziare alle dottrine fisiche i giovanetti. Il nome dell’ au- tore è ben noto. Egli diede all’ opera sua ordine più. sistematico e più analitico che non abbia fatto 1’ inglese signor Accum nel: Mannale di chimica dilettevole ; libro del resto utile anch’esso pel fine che abbia- mo accennato d’ istruire la gioventù con diletto; e che è compreso al- tresì nella collezione ‘del sig. Lorenzo Sonzogno. Lo stile della tradu- zione, sebbene non sia de’ più negletti, potrebb’ essere più purgato e più chiaro. In ciò, come nell’ordine ‘analitico delle idee ; gioverebbe che molti dei dotti italiani prendessero a modello le lezioni di ‘chimica del nostro Gazzeri. Ma tornando ‘al metodo d’ insegnare a modo di' trastullo certe ve- rità a’ giovanetti, noi crediamo che per questo mezzo si verrebbero a risparmiar loro molt’ anni di fatica e di noia, o che almeno potreb- bero essere più fruttuosamente occupati. Le. esperienze nel'citato .li- bretto proposte dal sig. Julia Fontenelle son tutte amene ed atte\in- sieme a movere la curiosità de’ fanciulli. Questa, dagli effetti veduti risalendo peri naturale impulso alle cause scientifiche, verrebbe ad'im- possessarsi d’ una serie di fatti e di spiegazioni, alle quali, per me- ritare il nome di scienza, non mancherà che generalizzarle è ‘ordinarle con metodo più severo. A questo modo non solo la fisica e la chimica 1I2 ma le scienze naturali tutte, e parecchie dell’arti belle, si potrebbe- ro egregiamente insegnare in quell’ età che suol essere tutta mortifi- cata. dai triboli grammaticali. L’ allievo che avesse per qualch’ ora atteso a studi meno piacevoli, verrebbe alle esperienze fisiche:, agli esercizii di disegno , di musica, di ginnastica come a un sollievo, a una festa. La storia istessa non potrebb’ ella forse vestire forme più piacevoli, entrar come parte essenziale dell’ educazione , e disporre il giovanetto all’ amore della patria, della virtù, della religione, a tutti quei sentimenti de’ quali è fecondo il passato ; ch’altro non è se non una sovente dolorosa iniziazione ad un arcano avvenire? Ma prima che nella educazione queste riforme si facciano , io veggo necessario che il mondo quasi sì rinnovelli , sa il cielo per quante prove durissime! Quello che dovrebb’essere causa del bene, noi siamo condannati a non lo sperare che com’ ultimo effetto. Sfortunati i popoli che son giunti a questa terribile necessità. X. Elogio di Paolo Bongioanni. Prof. d’ Ostetricia nell’ Univ. di Pavia. Milano. Presso gli edit. degli Annali universali delle scienze e del- l’ industria. Pag. 31 in 8.° Elogio del dott. Luigi Caccialupi. Dr G. Curarpa. Pavia. Tip. Bizzoni pag. 15 in 4.° P. Bongioanni, nato in Romagnano, villa del Novarese, l’anno 1777, educato dapprima nel collegio di Varallo , studiò chirurgia in Torino; a vent’ anni divenne, ripetitore di notomia, nell’ università ; modesto com’ era, accettò la condotta di Cannobio altra villa del Novarese, ove dimorò. due anni , liberale al. povero delle pazienti sue cure. Messosi agli stipendii militari del regno d’ Italia, dapprima nello spedal mili- tare di S, Ambrogio a Milano fu chirurgo maggiore; e , creato a Pavia dottore anco in medicina, trovò in Milano e per la dottrina e per la modesta | bontà \apprezzatori non pochi. Eletto ,dal_ principe. Euge- nio. chirurgo maggiore titolare. del reggimento Principe reale de’ cac- ciatori a cavallo, ed aggiunto alla clinica chirurgica militare di Mi- lano; di li a poco inviato in Mantova dal ministro di guerra primo uffiziale di sanità presso lo stato maggior della piazza. , poi capo chi- rurgo e, prof. di clinica chirurgica nel grande spedal militare d’Anco- na, quivi stette cinqu’ anni tino al cessare del regno italico; quivi chiamato di frequente dai cittadini a consulto; si dedicò all’ ostetri- cia specialmente con felice successo. Onorevolmente accomiatato col mutar delle cose , tornò a Milano, e v’ esercitò la medicina privata, e più di tutto l’ ostetricia con lode, Concorse nel 1817 alla cattedra di questa scienza nell’ univ. di Pavia, e dopo due anni V ottenne. Questa scienza fin allora non molto coltivata in Italia, non aveva nè cattedra nè altri istituti: e i pochi ‘ostetrici nostri erano ‘allievi delle scuole straniere. Il Bongiovanni, primo professore d’ ostetricia in Pavia ,.ne . 113 pubblicò un corso pregiato ch” ebbe in capo a tre anni l’onore della seconda edizione: poi pose mano a più grand’ opera, da cui le pra- tiche della scienza ricevettero alcuni miglioramenti. Fu insegnatore avveduto , ed ebbe allievi valenti: fu destro operatore, e medico dot- to : lento alle operazioni rischiose, ma franco in esse per la molta pe- rizia della scienza anatomica , alla quale il suo animo sensibile gli vietò di congiungere le notizie che traggonsi dalla notomia comparata. Non fu valente scrittore (e lo prova 1’ elogio del Bertrandi) , ma chiaro : diede parecchi articoli al bel giornale del dottore Omodei. Critico ri- spettoso , uomo amico dello studio, buono di cuore, ne’ modi faceto, degno marito, P. Bongioanni finì nel 1827, il cinquantesimo di sua vita, con rassegnazione cristiana. Ecco tutte le notizie che intorno al Bongioanni ci dà il dott. Chiappa. Se, lasciate le inutili amplificazioni , le lodi dei defunti si volessero restringere ad una oa poche pagine, meglio si servirebbe e alla verità ed alla gloria de’ lodati, i cui pregi, schiettamente esposti, sarebbero più credibili. Finisca una volta, per pietà, il contagio delle orazioni funebri! Luigi Caccialupi pavese , figlio di Giuseppe Domenico medico sti- mato, nato nel 1755 morto nel 1820, autore fra le altre dell’opera in- titolata : De halituum, vaporum , suffituumque in morbis respirationis or- gana obsidentibus usu ac praestantia: valente medico e buon cittadino, scolaro del Borsieri, amico del Tissot e di Frank, delle lettere e del- l arti amatore, membro del collegio de’ fisici, poi del direttorio me- dico, poi professore, poi direttore della facoltà medica nell’ univer- sità, poi medico di delegazione nella provincia pavese, è onorato dal ch, dott. Chiappa d’ un elogio, nel qual si dice che le lodi date agli estinti “ mentrechè inanimano ognuno a seguitare le altrui virtù, con- 3» fortano eziandio ciascun savio sulla speranza di conseguire eguali », encomi, dopochè morte abbia steso un velo sul viver proprio ,,. Le quali parole servono anco a dare un’ idea dello stile del ch. autore. X. Storia naturale di G. L. Lecrehc Co. pi Burron , classificata giusta il sistema di C. Linneo pa R. R. Casret, e proseguita da altri ch. scrittori. Edizione completa con rami. Firenze Batelli e Figli, 1830- 1831. Prezzo cent. 60 per volumetto. Giacchè 1’ Italia manca d’ un’ opera che si possa contrapporre a quella di Buffon, giova almeno che la possegga tradotta : e giova che libri tali corrano per le mani degl’ italiani lettori, adornati da buone incisioni, quali suol darle la calcografia del Batelli. In fronte a questa edizione si ritrova con piacere il bel discorso da Buffon recitato ìl giorno del suo ricevimento alP Accademia francese ; discorso che tra i molti di questo genere è certo de’ più notabili, e può T. Il. Aprile. 15 114 dagli scrittori novizi essere con grande utilità meditato. — “ Lo stile, 3; dic’ egli, non è altro che l’ ordine e il movimeuto che l’A. dà a’ pro- , pri pensieri : i quali se sono strettamente mniti e legati, lo stile di- ;, vien forte , conciso ; se lentamente si succedono, nè stanno attac- ,; cati insieme che con l’ aiuto di parolucce eleganti , lo stile sarà dif- ,, fuso , languido , strascicante. . .. La forza del talento collocherà le ;; idee generali e le particolari nel lor vero aspetto; la finezza del di- ,; scernimento distinguerà i pensieri sterili dalle idee feconde ; la sa- ;) gacità acquistata col lungo uso di scrivere farà presentire l’ effetto ,3 che sull’altrui spirito verranno a produrre le operazioni del proprio. Sia ,) angusto l’ argomento o sia complicato , egli è raro che si possa con ;, uno sguardo abbracciarlo , e sfondarlo tutto in un solo e primo atto , della mente; anzi è raro che dopo molte riflessioni se ne colgano >; tutti i moltiplici aspetti. Converrà dunque usare intorno a ciò un »» lungo studio , unico mezzo di rassodare , d’ estendere , di elevare i ; propri pensieri: i quali più saran sodi e forti, e più sarà facile ,) esprimerli con efficacia... Senza un tal metodo , il più valente scrit- , tore travia, la penna scorre senza freno, gettando a caso frasi irre- ,; golari e figure abbozzate- Siano pur vivi i colori, varie le bellezze »» parziali; ma se il tutto riesce o inelegante o confuso , non avremo ;, un lavoro degno di lode ; s’° ammirerà il talento dell’ autore , ma si ,; sospetterà sempre che il genio gli manchi... Ecco perchè coloro, ,) che s’ abbandonano al primo fuoco dell’ immaginazione, pigliano un 3; tuono che poi non possono sostenere; ecco perchè quelli che temon > di perdere alcuni concettuzzi staccati e brillanti , non corrono mai ,; di vena; ecco perchè tante sono le opere che paion cucite di colori ,, raccapezzati quà e là , poche le ispirate e di getto ,,. Queste ed altre simili osservazioni, per cui rimandiamo all’ eccel- lente discorso del grande Accademico, valgono un intero trattato. x. Congiura de’ Pazzi, descritta in latino da Mess. A. Por1iziano, e vol- garizzata da G. I. M. col testo a fronte , aggiuntovi la vita del Po- liziano , ed una breve prefazione del Traduttore, e le note di Giovanni Adimari dei March. Bomba , tolte dall’ edizione fatta dal medesimo in Napoli nell’ anno 1769. Livorno , Masi , 1830. pag. 86. La breve storia del Poliziano è tutta un panegirico a’ Medici, una maledizione a’ Salviati ed a’ Pazzi. Chi perde ha sempre il torto: e i Salviati e i Pazzi non ebbero solo il torto della sconfitta. Ognun sa del resto quanto sia diflicil cosa giudicare imprese siffatte. Disse l’Al- fieri esser più facile consumare una congiura che tragediarla: e la sua tragedia quasi quasi lo prova ; piena di forza, ma rappresentante tutt’altri uomini e tutt’altri costumi che i fiorentini. Io direi però che poco meno difficile d’ una tragedia è la storia d’ una congiura per chiunque non ne fu testimone vicinissimo, e parte. Riscontrate e bi- 1315 lanciate le relazioni delle due parti contrarie , si verrebbe forse per approssimazione a coglier nel vero (1). Chi cerca nella maniera del Poliziano l’ingenuità e la gravità d’al- cuni tra gli storici antichi, il forte senno d’ alcuni di que’ fiorentini illustri che lo seguiron di poco, non rimarrà soddisfatto. Chi vi cerca un’eleganza imitativa non disgiunta da molta grazia , avrà di che com- piacersi. La traduzione è pregevole, sebbene lasci desiderare talvolta un po’ più di brevità e d°’ esattezza (2). Molte opere storiche ed oratorie e poetiche, assai più importanti di questa che annunziamo, conta l’Italia, scritte in più o meno elegante latino; che gioverebbe o per intero o in patte almeno tradurre , per dimostrare che le ricchezze della nostra letteratura non sono tutte se- condo il giusto valore apprezzate. K. X. Y. Il primo libro del trattato delle perfette proporzioni di tutte le cose che imitare e ritrarre si possono con l’arte del disegno , di Vincenzo DANTI Perugino, all’ IU ed Eccell. Sig. Cosimo pe’ MepIcI Duca di Fio- renza e di Siena , edizione seconda dopo la rarissima del Giunti , del 1567. Perugia, Tipografia Baduel ; Bartelli librajo pag. 96. Nel riandare certi vecchi libri che oggidì si ristampano , io sem- pre più mi confermo nell’opinione che molto più proficuo agli editori, più utile ai lettori, e all’ Italia più onorevole sarebbe il raccogliere da tali libri la parte più bella e più degna di vita , lasciando il resto nelle vecchie: edizioni, da consultarsi, a conforto de’ bibliografi, a istruzione de’dotti. Vincenzio Danti, allievo di Michelangiolo, avea posto mano ad una grand’ opera d’ arte , della quale o non compì o a noi non giunse che il primo libro, de’ quindici che dovean essere in tutto. Ora il dotto sig. Prof. Vermiglioli ci ridona questo libro, ristam- pato con l’ ortogratia medesima della edizione Giuntina. Non sarebbe forse stato cosa biasimevole il migliorarla. E non avrebbe forse com- (1) Il Marchese Adimari cita una narrazione della congiura de’ Pazzi, la quale trovavasi allora nella Biblioteca della Badia di Firenze ; e che nelle po- steriori vicende si sarà forse smarrita. (2) P. G. Nam id in primis memorabile facinus tempestate mea accidit, parumque abfuit quin florentinam omnem rempub. penitus everteret. ;, — « Imperciocchè questo è uno de? più memorabili fatti che a” miei tempi occor- ressero , e poco mancò che non rovinasse Fiorenza , e tutta la repubblica. ;; «e Nonnumquam vero et alveolum tesserarium aut quod aliud irato offerretur , temere in prossimum quemque jaculabatur: saepe et ad ipsum alveolum, furiosi instar, frontem allidebat. ,, + Alcuna volta, accecato dall’ ira, dava il bos- solo in faccia a chiunque gli si facesse innanzi ; e spesso ancora, come pazzo, menava il capo sul tavoliere. 116 messo un sacrilegio chi da questo frammento raccogliendo le osserva- zioni che contiene , filosofiche e feconde , ne avesse tralasciate le inn- tili e le notissime. Il ch. sig. Gamba propone il libro del Danti tra quelli da cui si potrebbero trarre pregevoli aggiunte di voci e di modi al dizionario italiano. E certo lo stile non manca di quella gravità ch’ è il pregio principale de’ buoni scrittori non'toscani ; manca però di disinvoltura , di ricchezza, e di grazia: e non regge certo al paragone dei libri d’arte toscani (1). Ho detto che contiene parecchie osservazioni feconde e filosofiche: diamo la seguente per saggio : (2) ‘ Dal fine dipende la bellezza... 3, Cionciosiacosa che quella mano è soprammodo bella , che fa perfettu- 3» mente il suo uffizio .... La qual cosa si può di tuttè le altre mem- »» bra e parti dell’uomo con verità affermare. Ed in universale ancora 33 belli conosciamo esser coloro che non sono per troppa grassezza inn- »; tili, nè per troppa magrezza disseccati, deboli e fiacchi. Imperocchè »» la giusta pienezza è cagione delle ragionevoli operazioni che ser- vono come ministre all’intelletto. Tutte le membra , dico , dalle quali s» è composto il corpo umano, sono fatte al servizio dei sensi esteriori 3, @ interiori, e i sensi esteriori al servizio degl’ interiori , e gl’interiori », al servizio dell’ intendere. Onde tutte le volte che le membra faranno > le operazioni loro perfettamente , elle saranno ottimamente perfe- », zionate , ed attissime all’ ufizio e servigio che deono fare. Perciocchè 3» la proporzione non è altro che la perfezione d’ un composto di cose 3; nell’ attezza che se le conviene per conseguire il suo fine. E di quì 3 viene che nelle membra più atte a conseguire il loro fine si vede 3, manifestamente risplendere la bellezza. Però che nell’ attezza loro s; consiste la proporzione, che è , secondo che a me pare, causa effi- ,, ciente della bellezza corporale. ,, Questa relazione della bontà con la bellezza , sì che dove l’ una è perfetta 1’ altra ancora vi si trovi necessariamente accoppiata, è un principio che applicato a tutte le cose della natura e dell’ arte , del corpo e dello spirito , dell’ uomo e della società, ne acquista e riflette sopr’esse luce grandissima. E così racco- gliendo dal libro del Danti le poche osservazioni degne veramente d’ un profondo ingegno (3), si verrebbe a formarne un libretto di dieci pa- gine o poco più , dilettevole ed utile. K. AF (5) Alcune frasi nondimeno se ne posson raccogliere: come, nel passo ci- tato più sotto: in universale, (frase che ha un solo esempio, e non chiaro, del Davanzati ); pienezza di forme; di viso; tutte le volte che ( che ha un solo esempio di Dante, antiquato, perchè porta tutte volte ) ec. (2) Cap. V. (3) Dalle pag. 32 37 46 52 54 63 73 35 93. 117 I fanciulli. Novellette di P. BrancHarp. Tradotte da Gius. Porta Ispettore provinc. delle scuole elementari di Como. Ostinelli p. 120. “ La nostra lingua, ben dice l’ egregio traduttore, se per la pro» pria dolcezza piegasi mirabilmente allo stile delle novelle e d’altr’opere popolari , pure ne ha pochissime che possano , come queste di P. Blan- chard , accomodarsi alla prima età: e quindi è costretta ricorrere le più volte a traduzionì per farle conoscere ciò che nell’ altre lingue fu stampato di meglio in questo genere ,,. Troppo è vero che noi manchiamo di libri da darsi in mano a’ fanciulli, e che possano coll’ allettamento delle liete imagini e degli affetti gentili educare il loro cuore a sentimenti soavi e costanti , la fantasia a idee serene, e lontane il più possibile dalle malinconie del solitario egoismo e dalla tristezza delle cupe superstizioni, la mente infine a pensieri retti e fecondi, che, piccoli da principio, si vengano da sè svolgendo cogli anni a formare del discepolo e del figlio l’ uomo ed il cittadino. L’ educazione domestica, dovunque è possibile , è la sola vera; e ormai che nell’ educazione e în tutti gli affari della vita i libri prendono gran parte, giova possedere de’ libri adatti all’ intel- ligenza di tutti, e donne ed artieri e campagnuoli e fanciulli. Però fece ottimamente il sig. Porta a tradurre queste novellette , dove la semplicità e la familiarità non parranno soverchie a chi pensa al fine di libri tali; e i più saggi troveranno da lodarne parecchie , dettate con raro accorgimento e con senno. Lo stile del traduttore nou sa di francese punto; e, tranne qualche frase ricercata o antiquata nelle prime novelle, tutto il resto dimostra nel sig. Porta un intelligente amatore di quella lingua che s’ avvicina alla parlata senza però per- dere la conveniente dignità ed eleganza. Noi lo consigliamo a volere di quando in quando con altro simil presente rallegrare i fanciulli, i padri di famiglia, e tutti gli amici della vera civiltà. K. X. Y. Prediche del B. F. Grorpano da Rivarro dette in Firenze dal 1303 al 1306 ed ora per la prima volta pubblicate. Firenze, Magheri 1831 in 4° — il primo volume già in vendita, l’ altro sotto il torchio. Da quel codice magliabechiano del secolo decimoquarto, che, seb- bene assai scorretto e un po’ guasto , fornì già al benemerito Moreni ottime varianti per le Prediche di F. Giordano sulla Genesi tempo fa pubblicate, il Moreni medesimo ha ora tratto l’intero testo d’altre 69 di vario argomento , alcune delle quali peraltro si trovan pure in altri codici da lui tenuti a confronto. Esse piaceranno forse dieci tanti più che quelle sulla Genesi, non per la lingua propriamente, che e nell’une e nell’ altre è aurea del pari, ma per l’ uso che della lingua vi è fatto 118 da chì raccolse pur esse dalla bocca dell’oratore, e le trovò sicuramente men difficili a-scrivere o. per dir. meglio a compendiare. Gran bella scoperta, in vero, sarebbe quella delle prediche ori- ginali :d’ un oratore, che. pur ne’compendii, fatti con mano più amorevole forse che perita , ci apparisce sì valoroso. Chi sa però s’ egli curossi 0 ebbe agio di scriverne per disteso alcuna, obbligato, come par ch’ ei fosse, a dirne ad ogni istante? Da due soli codici in-> fatti, l’ uno anch'esso magliabechiano , 1’ altro pucciano , dice il Mo- reni nella sua prefazione a quelle ch’or s’ annunciano , potrebbero trarsene centoventi e più altre , compendiate , m’imagino, come le molte dateci: dal Moreni medesimo e innanzi a lui dal Manni, e pro- babilmentetrascelte fra le moltissime che ne disse 1’ oratore. Non poche diligenze ha usate il Moreni intorno al)’ ultime ch’egli ci ha date, e delle quali gli studiosi della lingua brameran qualche saggio. Poichè però «il codice; da cui le ha tratte, non meritava troppo la sua fede , vorrei iche più spesso, invece del codice , egli avesse se- guito il proprio giudizio. Nella predica 19, per esempio, la qual è forse delle più abbreviate, poichè lo scrittore la chiude dicendo “° più altre cose ho lasciato di scrivere , ch’ ella fu predica molto pur isto- riale ec. ,, avvi fra Paltre una pitturetta di Giovanni nel deserto, ch’io recherei qui assai volentieri, poichè mi par delle bellissime del tre- cento. Ma un luogo per me dubbio nel mezzo, e due sicuramente er- rati, l’ uno sul priucipio ; l’ altro sulla fine, mi vietano questo pia- cere. Nella predica 32 avvi tra gli altri un passo d’ una semplicità e familiarità piena d’eleganza, il qual comincia: ‘ Verrà una femmina e porrà in sull’ altare una gugliata di refe e tre fave ec. ,, e ch’io pur recherei com’ una di quelle cose che non dà che il'trecento. Ma un luogo, in cui m’incontro poco dopo il principio , e che mi riesce anch’ esso assai dubbio ; ciò ‘pur m’ impedisce. Recherò invece dalla predica medesima questa non so s’io dica suonata antica di salterio o devota tig , ove pure è, o mi pare, un erroruzzo ma assai facile a correggersi. ‘ ‘ Ogni cosa hai da Dio, ed è suo ogni ‘cosa:, ec. E però non ci potemo gloriare di neeute, perocchè tutto è di: Dio. E però santo Joanni vangelista nell’Apocalissi vide que- gli signori (seniori, probabilmente, onde poi signori, detto anche a’ giovani degni d’onori senili) che stavan dinanzi all’Agnello ucciso , ed aveano le cetere eci-dolei stromenti, e faceano dolce suono all’ Agnello , e dopo ciò.si traevan. le corone di capo, e ingihocchiavansi e gittavanle a’piedi dell’ Agnello. Chi sono quegli vecchi? che significano , se non i santi uomini: di; Dio ?*Quali sono li stormenti dolci ? le sante opere ed i buoni desiderii, ela, vita povera ‘ed amorosa degli nomini santi , che sonò stromenti. ‘agli orecchi di Dio di soavitade. Quali sono le corone ? le vittorie loro ; le battaglie ve le ‘teritazionithe"vintono ; chè cf ‘ogni. vittoria hanno le corone 3 queste corone: tutté: le potete + ‘a’ ‘piè del- l’ Agnello, a dimostrare ec. Così dee fare il santo uomo quando fa al- i 119 cun bene, e dire a Dio: messere, questo è tutto tuo, di tua larghez- za , di tua clemenzia , da me non ci ha avuto ‘altro che storpio e ve- leno, ec. L’ Agnello ucciso quello che sia non fa uopo dire ; vedetelo dipinto , ec. ec. ,, La lingua , è stato detto cento volte , seguendo nel suo progresso i progressi del pensiero, se qualche cosa ha perduto della sua gra- zia primitiva, molto ha pur acquistato d’ordine e di precisione, Ed 0g- gi, il veggo, se fra noi si avesse ad esprimere quel concetto: “ le sante opere ed i buoni desideri ec. ,, si saprebbe porre assai bene il di so4- vitade dopo stromenti , ed evitar l’ impaccio che viene al costrutto da una men logica collocazione. Ove però si guardi, non a qualche caso speciale, ma al maggior numero de’ casi , appena può dirsi che la lingua del principio del trecento, la lingua stessa scritta con meno cura; come quella dell’ abbreviatore di F. Giordano , sia meno ordi- nata e meno precisa di quella degli odierni scrittori più accurati. E a renderla precisa, mancando l’arte, giovava la natural pro- prietà, onde pur le veniva non poco di quella grazia che in essa ‘am- miriamo. La qual grazia, sorridentissima anche nella lingua delle pre- diche. di cui ‘si parla; veniva pur in parte da certo calor sincero d’af- fetto, che poi in ogni cosa andò mancando. Quella ‘f vita povera ed amorosa degli uomini santi ec. ,, nel passo pocanzi allegato è una di quelle frasi, parmi, che attestano il sentire d’ un’ epoca, e possono quasi chiamarsi storiche. Storico per altri rispetti diremo tutto questo passo della predica 25 (detta il dì di San Jacopo del 1305) e ch’ io quindi prescelgo , benchè meno elegante di tant’ altri , correggendo qui pure alcune piccole cose. ‘° A trovare chi è quegli ch’ha più beni, questo è un grande pe- lago, ec. Egli è molte volte ch’ e’ Cardinali (@’ giorni, in cui ciò fu scritto , nulla di più grande e di più ambito che la dignità cardinalizia) si vorrebbero trovare guidatori di pecore e non Cardinali. E disse qui Frate Giordano : un’ otta andando io per cammino (con un compagno) trovammo un ribaldo ignudo dalla cintola in su (v. nelle note del Benci al Malispini i significati successivi della parola ribaldo); ed andava can- tando; e quando volea bere andava a bere colà ; e così (forse e costi) mangiava e bevea, ed andavasi così. Dissi al compagno: vedi tu co- stui che pare così ? egli hae parecchie gemme preziose , le quali non 1’ ha il Cardinale di Roma (verosimilmente il Cardinal da Prato) e , se egli ne potesse aver pur una , sì ne darebbe centomila lire , ed halla costui e non egli. Domandò : quali son esse ? Disse ( Dissi ) l’una ssi è la sicurtà, chè mangia e bee sicuro e non teme di veleno; questa è una gemma che, se la potesse avere il Cardinale , molto avere ne darebbe, ec. L’ altra gemma si è che questi non ha neuno nemico, nè chi gli voglia male; mia fe non ha questo il Cardinale, anzi hae molti nimici , talvolta è inodiato; se questa gemma potesse avere il Cardi- nale , molt’oro ne darebbe. E come egli hae queste due che t’ ho con- tate (questo periodetto è un po’più sotto, ma lo pongo qui come in naturale 120 suo luogo) così gliene conto anche parecchie. Vedi dunque , questi, che ti pare così dispetto , quante gemme hae , e quanti doni e quante grazie , e come sono belle e care e nobili e buone , le quali non ha il Cardinale: vagliono più che tutta la dignità sua. Sicchè vedi che pur ne’ beni del mondo è uno abisso a cercare ed a vedere chi n ha più ec. ,, Il Cardinal da Prato, quando la predica fù detta (se veramente fn detta l’ anno che indica la sua rubrica ) non era più a Firenze. E nondimeno il passo , che n’ ho recato , ei è saggio bastante della li- bertà con cui F. Giordano predicava. Il suo abbreviatore , notando or ad uno or ad altro proposito ‘° e Frate Giordano ci si riscaldò suso ec. ,, ne fa intendere ch’ ei predicava pure con molto impeto. Di questo però ne’ compendii quasi nulla è rimasto. Molto invece è rimasto della dia- lettica incalzante dell’ oratore j e potrei recarne esempio notabilissimo, buona parte della predica 20, ove commentasi l’infirma mundi elegit, e si paragona lo stabilimento del cristianesimo a quello del maomettismo. Piacemi intanto averlo notato, poichè non saprei forse indicarne altro, che mostri sì bene come la forza dialettica possa unirsi alla grazia, Ma di questa, bisogna pur dirlo, pochissimi hanno il sentimento. Molti anzi ne provan nausea , e incontrandola la cambierebbero volen- tieri con qualsiasi sgarbatezza o improprietà. Così ha fatto un postillatore (non fiorentino, per vero dire, nè toscano) del codice onde le predi- che son tratte. E alcune delle sue postille, recate nella prefazione alle prediche medesime, potrebbero servirci, ed han pur servito all’editore, di testo opportuno ad opportunissime osservazioni. Ad altre forse gli serviran di testo le varianti ch’ei recherà in fine del tomo secondo , ove si troveran pure tre tavole , 1’ una di voci che son nelle prediche e mancan nel Vocabolario, l’altra di voci che non mancan nel Vocabo- lario ma nelle prediche hanno altro significato , la terza finalmente di voci, cui nel Vocabolario bisognerebbe antico esempio, e le prediche lo somministrano. Anche di questa fatica gli uomini , fatti per apprez- zarla , gli saranno riconoscenti. M. Lettera al Direttore dell’ Antologia. La prego d’avere la compiacenza di far avvertire nel prossimo nu- mero del suo Giornale , che nel fascicolo di marzo alla pag. 123 ( in fine ) dove si riportano le mie parole letteralmente prese dal testo del mio Viaggio in Polonia , invece della Estense ( biblioteca ) debbe dire dell’archivio Estense, ed in luogo di que’bibliotecarii debbe sostituirsi quegli archivisti. Ho intanto l’ onore di confermarmi con tutto il rispetto di Lei Firenze 13 Giugno 1831. Suo ec. SepastiANO Ciampi. TL, i n n ZI Ss = dla 12I Altra lettera al Direttore dell’ Antologia. In una Raccolta d’ inni sacri di vari autori , stampatasi in Firenze l’ anno 1829 da Passigli, Borghi e C. s’inserirono que’ miei due inni alla Vergine, che si leggono tra’ miei Versi ( Venezia, Orlandellì, 1825); furono riprodotti pur in Venezia l’ anno 1828, con la traduzione in versi latini fattane dal Ch. sig. prof. Ab. Svegliato ; ma lo stampator fiorentino , in luogo di pubblicar que’ due Inni col nome di me che ne son l’autore, gli stampò con quello del traduttor latino sig. Ab. Svegliato ; del qual errore non tardò a farlo accorto | Antologia ( Lu- glio, 1829, p. r60 in nota); ma inutilmente , poichè a Firenze me- desima sì ristampò quella Raccolta d’Inni Sacri, e si perseverò tutta- via nell’errore. Affinchè adunque esso non si abbia a perpetuare , la prego a farlo conoscere nel suo riputato Giornale , mentre mi protesto con vera stima Venezia a’ 25 Maggio 1831 Suo ec. Pier-ALEssanDRO PARAVIA. VARIETÀ. BrovcHam ed altri personaggi illustri d’ Inghilterra. Ora che la grande riforma tentata in una delle più forti e mature nazioni del mondo sta per mettere a prova e l’energia degli nomini e quella delle cose , certo i nostri lettori ameranno di conoscere quali sieno le menti, quali i caratteri che l’hanno potuta in mezzo a sì vee- menti contrasti ridurre all’ atto. Le notizie che noi togliamo dalla Rivista Britannica (Gennaio 1831) , riguardanti i membri del presente ministero , meritano bene una qualche attenzione e un qualche pensiero. Lorp Grey primo lord del tesoro (titolo che si dà al capo supremo , direttore e moderator del consiglio, superiore a quello dì presidente che non è tale se non per la forma; titolo che parrà singolare, ma che dimo- stra la tendenza invincibile di quel Governo), Lord Grey, fedele imitato- re di Pitt nella dignità della facondia e de’modi, in quella tranquilla e quasi sdegnosa gravità che gl’Inglesìi hanno da natura ed affettano vo- lentieri , ritiene, come gl’imitatori avveduti fanno , le apparenze del suo grande modello. Ma il genio non s’imita: Lord Grey ha la facon- dia di Pitt, non n’ha l’eloquenza. La sua potenza oratoria consiste in quella buona fede sì rara, in quella lealtà schietta ‘e placida e di- gnitosa , che impone rispetto. Ogni parola da lui pronunziata è auto- revole perchè vi si sente la franchezza d’ un’integrità sempre uguale T. HI. Aprile. i 16 122 a se stessa. Voce monotona, ma possente; altero contegno ma di pro- ba alterezza , non d’ alterigia insolente : nulla di servile o di leggero ne’ pensieri o negli atti. Avvi degli oratori più ingegnosi : di più ri- spettati, nessuno. Fin da’prim’ anni, quand’osò lottare con Pitt, po- tentissimo allora , ritenne immutabili i suoi principii. Dalla costanza sì ritempra .e si addoppia la forza all’iugegno. Loro HoLLann Cancelliere di Lancastro ( questa contea ha con- servato un cancelliere da sè, a cui però il suo titolo non dà altro diritto che questo d’ entrar nel Consiglio ) lord Holland , nipote di Fox, e imitatore di lui, come Lord Grey di Pitt ; ritiene dello zio qualche debole traccia; non l’ardire de’ forti lineamenti e delle franche maniere tanto potenti in quel grande tribuno del popolo, ma l’inornata. fa- condia iche vien dal cuore e che piomba sul cuore ; ma quell’ impe- to che è quasi impedimento a se stesso ; e lo forza ad allentare il dis- corso , come oppresso dalla foga dell’ affetto; ma quella spontaneità grandiosa che ispira la verità vivamente sentita ; e ( dote. negli ora- tori sovrana ) il buon senso. Lord Holland è Fox raggentilito , vale a dire appannato, annacquato, ma tuttavia potente , tuttavia popolare. IL MarcHese Lanpspowne Presidente del Consiglio, fin dal prin- cipio del secolo eccitò del suo ingegno grandi speranze, che poi non fu- rono ( dice il giornale inglese ) avverate. Scelto per capo dai wigh , volle usare moderazione coi tory ; e la sua popolarità fu perduta. Quindi una facondia verbosa e topica, che volendo conciliare i due estremi , l’aristocrazia ed il liberalismo, li irrita ambedue. Quindi nel suo dire un non so che d’ indeterminato, d’oscuro. Il fine è schietto , le frasi ambigue : l’ animo nobile, disinteressato ; 1’ autorità debole e fiacca. Lorn Goperica. Segretario delle Colonie , membro. già del mini- stero di Wellington, nella nuova sua posizione si trova a miglior agio e come uom probo e com’ uomo d’ ingegno. Innanzi che il titolo di Pari venisse a fregiarlo, era conosciuto col nome di Robinson-Prospe- rità, perchè questa voce ne’suoi discorsi gli usciva assai frequente di bocca. Alla buona, semplice; il contrapposto della gravità di lord Grey: alla camera egli non declama , discorre : senza nerbo, senz’ arte ; come un bravo fattore ; insomma rappresentante fedelissimo di John Bull. Sa di molti fatti, ha idee rette , esatti principii; ma quella troppa sem- plicità gl’ impedisce d’essere, cioè di parere, uom: di stato. Lorp DurHam , genero di lord Grey , Lord del Sigillo privato del re, elegaute, piacevole , colto; ha molti pregi con un solo difetto , la mediocrità, Così lo dipinge il Montly Magazine. Lorp MeLBoRNE, Segretario dell’ interno ; uomo di raro ingegno, ma distratto fin dalla gioventù in varii studi o nella frivola società, non pensò a fecondare con intensa applicazione que’pregi che avevano. meritate le lodi di Fox. Tutta un tratto, sospinto dalle circostanze si mostrò e uomo di stato e oratore de’ primi. L’occasione fa l’uomo. Lorp AvckLann Presidente del Commercio, parente di Brougham, 123 e da lui portato al ministero, uno de’ fondatori dell’ università di Londra , da Brougham diretta con principii , com'è da credere, libe- rali ; lord Auckland, come oratore e come ministro non si diede a co- noscere ancora. Il Duca pr Ricamonn, direttor generale delle poste, già membro del ministero di Wellington , sebbene in politica avversario a lord Grey , ebbe un posto e la confidenza d’ uomini del contrario par- tito. Tanto nobile è in lui l'integrità del carattere ; tanto imparziale in lord Grey la politica. Raro e forse unico esempio , che fa singo- lare contrasto con la pretesa unità che nel suo ministero volle a imi- tazione di M. Villele infondere il sig. Casimiro Perier. Unità aristote- lica veramente! Lorp Brouozam, nominato a un tratto e lord e cancellier d’ In- ghilterra ( giacchè , essendo il lord cancelliere presidente insieme della Camera dei Pari, quella dignità a un Pari solo è concessa ), Lord Brougham , il primo oratore dell’ epoca nostra, come ministro rimane ancora a conoscersì ; come membro della Camera de’ Comuni ha ormai superati i titoli della fama , e può senz’ orgoglio ambire la gloria. Mo- dello di pazienza invincibile, di calda perseveranza: sapiente distribu- tore del tempo ; avvocato, deputato, autore instancabile. Faccia brutta, ma viva, tipo del dotto operante ; che dell’ intelligenza fa un’ arme, un potere. Sguardo irrequieto ; gote rugose; fronte larga, quadrata , prominente, non alta ma vasta ; naso lungo , schiacciato alla cima , e che nell’ ardore della meditazione si dilata per fremito quasi convul- sivo ; lungo il labbro superiore ; la bocca a angolo acuto, quasi sempre chiusa ; pallore costante ; sopracciglio folto , sporgente , minaccioso ; fisionomia tutta vita ; ma, come d’uomo cresciuto fra le lotte giuri- dìche e legislative , senza un lineamento di mansuetudine e di te- nerezza. Tale fu sempre veduto alla camera de’ Comuni, alla Camera de’Pari, nel consiglio privato , a tutti i tribunali di Londra , ne’ club. princi- cipali d'Inghilterra, nelle commissioni d’ informazione , dovunque s’ aprisse un campo a?’ trionfi della parola. Egli sempre il primo ad ar- rivare , paziente ad attendere la sua volta, dopo spesa tutta la gior- nata nell’improvvisare le sue aringhe e nell’ ascoltare le altrui, ri- tornare a nuovi studi nel silenzio del gabinetto , senza lasciar che poch’ ore al riposo ed al sonno. ‘Amante appassionato di quella pro- fessione a cui deve la propria grandezza , sebbene 1’ astuzia o la pe- danteria d’ un leguleio sofistico od intrigante sia giunta sovente ad eludere la sna logica ed eloquenza , e a trionfare d’ un Brougham. Ma il suo vero posto è alla Camera de’ Comuni. Unico, senza rivali; primo motore di quello spirito liberale ch'è tanto lontano da ogni stolta smania d’innovazione indefinita; e per ingegno e per autorità d’eloquenza primo fra tutti i senatori della prima assemblea deliberante d’Europa. In capo al banco dell’ opposizione, accanto all’ oratore della Camera, vestito alla buona , con un vecchio soprabito nero , col cappello ab- 124 bassato su quella fronte sporgente e quadra, la testa inchinata ; le braccia inerocicchiate sul petto , sedeva Brougham il rappresentante del borgo di Winchelsea: al suo levarsi , voi avreste veduto il bollore della più veemente discussione acchetato in un tratto ; ed egli placi- do , severo, come chi è conscio della propria dignità e de’ propri do- veri, in mezzo all’ universale silenzio incominciare con la maschia energia che conviene all’ uomo di Stato, con lenta pronunzia , con semplicità rara, con accento un po’ strano ma netto e scolpito. Non esitazioni nè inciampi; sempre diritto al suo scopo , sempre contenuto nella voce, specialmente al principio; non mai s’ affanna per accrescere impeto all’ orazione, e aspetta e prepara il momento di fulminar l’ avversario. Fin dalle prime parole è sua cura conciliarsì l’ atten- zione con la chiarezza dell’ assunto, con 1’ evidenza dell’ ordine. An- che quando freddamente ragiona , dicitore-nervoso e potente : ma ben presto nella dialettica s’ infonde 1’ affetto ; cresce la piena del dire ; all’ oratore energico e grave succede un genio terribile , inesorabile. I Curran , i Pitt, gli Sheridan, i Canning, i Plunkett , più non sono ; egli è l’unico dominatore. L’ oratorio furor che | investe lo porta talvolta oltre i limiti del decoro : ma gli è un eccesso di forza che scuote ed infiamma. L’arme sua più aftilata è il sarcasmo; nè. altri de’ moderni la trattò mai con più d’ arte , con più di franchezza. E tale egli era nel foro, quando la robusta e posata gravità della sua parola comandava la persuasione , quando le più fredde partico- larità prendevano in sua mano e luce e calore; quando , narratore e dicitore compito , ne’suoi commentarii, nelle sue osservazioni, nelle sue esclamazioni passionate, egli mostrava come ben possedesse la parte morale e filosofica della professione, e quella sagacità, profon- da conoscitrice degl’ uomini , ignota all’ erudito e a legista ; e quella dialettica sì serrata , congiunta in modo mirabile a tanta veemenza d’ affetto. Armato dell’ autorità che dona l’ ingegno, non che venir supplicante al giury, gl’ insegnava, gl’imponeva l’ adempimento de’suoi civili doveri : imperioso nell’ impeto , saggio nella passione , terribile nella chiarezza. Più grande è l’ argomento, più il suo genio s’ innalza. -— Una sola parte d’ eloquenza gli manca : il patetico. Nulla che si diriga alla tenerezza , alla pietà , al cuore insomma. Ma s’ egli fulmina la tiran- nide , la vil cupidigia , l’ ignoranza presuntuosa ; il pregiudizio capar- bio ; se predica i benefizi del sapere, e il santo amor della patria e della libertà; oh allora egli parla dal cuore profondo ; semplice com’è sempre il. sublime, sublime com’ è sempre la coscienza delle anime forti. All’ università di Glasgow, al Consiglio dell’ Università di Londra, alla. società fondata per la propazazione delle utili conoscenze , all’isti- tuzione degli artigiani ( Meckanic’s institute ) Brougham dimostrò come l’ eloquenza possa rendersi interprete di nuove idee , e terribile al dispotismo. A’ molti suoi studi egli deve la vastità del sapere in raro mo- 135 do congiunta a una precisione invidiabile : varie sono le sue cogni- zioni, non frivole : a tutto egli ha pensato, che spetta al bene degli uomini , di tutto egli ha voluto assaggiare un’ idea. Altri sapranno di più : ma nessuno sa meglio porre a profitto il proprio sapere , e com- binarne in maniere variissime gli elementi : nessuno sì fortemente ac- coppia lo studio del cuore umano allo studio de’ libri. A considerare i suoi tanti discorsi composti sopra materie sì diverse, sì minute , sì difficili, pare impossibile come un uomo solo occupato d’ una professione laboriosa , abbia non dico misurato un sì gran campo ma pure percorso di volo. Nè superficiali o declamatorii sono cotesti di- scorsi , ma analisi ragionate, lunghe dissertazioni e profonde , bril- lanti di luce feconda e intrinseca, non riflessa e languente. Quand’anco vi mancasse ogni merito d’arte, d’eloquenza, di logica , di applicazioni preziose , e’ sarebbe pure un bel servigio reso alla civiltà questo in- sieme d’ utili documenti. Prova di potenza d’ ingegno è fra gli altri il discorso detto nel 1828 sulla riforma delle leggi inglesi ; nel quale dopo avere per lo spazio di sei ore intertenuta la camera d’ un sì grande argomento , ed esami- nata fin nelle ultime molle la gran macchina della inglese societa con esattezza, con ordine, con senno mirabile, dopo sì nobil prova di paziente diligenza; e’ s’ innalza nelle regioni dell’ eloquenza vera , e conchiude ; ‘ Avrò io favorevoli all’ impresa i ministri? Li avrò contrarii ? » Nol so. Ma alla Camera io mi rivolgo con aspettazione piena di fi- », ducia, a lei che saprà sorvegliare e dirigere gli andamenti del mi- 3) Mistero , e non negherà d’ ajutarmi . Se troppo in là mi tras- so porta il mio zelo, spetta a lei rattenermi; se troppo rapido è il >) mio corso , spetta a lei moderarlo. Ma certo essa m’ assisterà leal- 3» mente e con fervore nella più grande e benefica impresa ch’ esser »» possa da legislatore tentata. L’ aringo ci si apre dinanzi : la viastà »» segnata , ed è gloriosa. Percorretela! Fate scendere il nome vostro >> sulla corrente delle generazioni avvenire; chè lo potete: e a voi , si prepara una celebrità più pura , più efficace che non quanta ne so abbian raccolta tutti coloro che in questo luogo vi precedettero. Voi »3 vedeste il più grande guerriero del secolo, il conquistatore d’Italia, 3, il terrore del settentrione , il trionfatore della Germania, voi lo ve- s» deste apprezzar meno le incredibili sue vittorie che questo trionfo 3, che voi potete ora qui riportare. Un capriccio della fortuna spezzò 3» Sull’alta sua fronte il diadema ; ed egli sfidando quasi le ire di quella », regina dei re, la disprezzava esclamando : ‘ Io passerò alla posterità 3» con alla mano il mio codice ,,. ‘ Voi che sul campo di battaglia lo vinceste , sappiate nell’ arti »» della pace emularlo. Guerriero ,, e’ vi cesse; vi ceda legislatore. La »» gloria di cui brillò l’ Inghilterra , Giorgio iV reggente, è un nulla 3 allo splendore più benefico del qual voi potete incoronarlo regnante. »3 Fate di lui un Giustiniano de’ tempi mostri : e se qualche vil cor- r20 » tigiano gettò questo titolo a’ piè de’nostri Enrici e de’ nostri Edoardi, ,: fate che ogni uomo dabbene lo tributi al Principe che ci governa. ,, Ecco le grandi conquiste , ecco le geste immortali che rendono de- ,; siderabile un trono. Yo trovai, diceva Augusto , una Roma di mat- ,; toni, e l’ ho lasciata di marmo ; e ai benefizi del vecchio i contem- 5» poranei perdonarono i delitti della sua giovanile perfidia. Ma quanto ») più magnifico onore per un principe il poter dire : la legge del mio ; popolo era dispendiosa e venale; io 1’ ho lasciata economica , disin- » teressata : ell’ era il patrimonio del ricco, ed è divenuta il retaggio 3, del povero: innanzi a me, lettera morta; per me, parola vivente: ») e d’incompleta e d’ oscura , fatta onnipossente, universale , benefica, 3, come la luce del giorno : non più spada a due tagli, non più stru- ,) mento di tirannia , ma scudo all’ innocente , ma sostegno alla vir- 3; tuosa indigenza. Opera mirabile! Dono sublime legato alla posterità! »» Quanto più ne vengo meditando gli effetti, e più mi persuado che 3» col richiamare a questo soggetto la vostra attenzione , con lo 3) stimolarvi a quest’ impresa io fo più per la mia fama che non ») se accettassi tutti gli onori del regno. ,, 33 Sì : questo grave e glorioso uffizio io lo preferisco ad un mini- 3» stero , lo preferisco a quelle cariche la cui potenza ed autorità non 3, sarebbe che un peso per me, il cui salario non è lo scopo de’ miei 3» desideri. Confuso piuttosto con gli altri cittadini, io amo far delle > mie fatiche |’ istrumento della mia autorità e la fonte della mia sus- 3; sistenza. Nè il potere è di cotest’ alte funzioni conseguenza neces- »» saria : io son vissuto già un mezzo secolo , e so che la forza mate- > riale è troppo spesso inefficace , impotente. Il potere ch’ io reputo 3; maggiore d’ogni altro, egli è di servire i miei concittadini in questa ,, assemblea , di prender parte ai lor lavori, di confondere i miei 3, coi loro interessi , di consacrar loro e la mia vita, e l’ intelligenza, ,, € la parola, e gli anni, e il pensiero. Questo potere nessun governo »> può darlo , nessuno me lo potrà togliere mai. ,, Con una perorazione sì calda finisce quel sì laborioso discorso. Immaginate queste nobili e franche parole pronunziate con l’ energia della persuasione intima, con l’inimitabile forza della verità ; immagi- nate qual eco doveva eccitare in-ogni anima non abietta un tal grido mandato dal profondo dell’intelligenza, una professione politica sì in- genua , sì sdegnosa , sì maschia. Brougham nondimeno è ministro = Ma il ministero di Brougham è il contrapposto di quelli contro i quali la sua eloquenza tuonò: ma l’uffizio di gran cancelliere è bene in armonia con gli studi e col ca- rattere dell’ intera sua vita. In tali circostanze sarebbe stato in lui con- tradilizione e piccolezza non già l’ accettar questo titolo ma il rigettarlo. Le sue perorazioni del resto son quasi tutte modello di questa eloquenza non enfatica, non verbosa ma positiva e forte di fatti , che sola conviene a una Camera. Grande studio e’vi pone : e il suo stile da ultimo diventa conciso, vivo, demostenico ; non sorpassa le intel- 127 ligenze ordinarie, ma pur si solleva ai più alti pensieri. Immagini poetiche assai più rade che in Canuing; ma, tuono più austero e più ardente, qual s’ addice a oratore politico. L’immaginazione di Brou- gham è tutta occupata e quasi assorta nel reale e nel positivo. Nel 1826, già membro del Parlamento, egli concorreva all’ elezio- ne del Westomoreland , pur per rinforzare l'opposizione d’ un voto di più. In quel cantone amenissimo ; e tutto agricola, tutto alieno dalle parti politiche, Brougham si presenta a scuotere l’apatia soverchia ‘d’uo- minì ignari e non curanti de’ lor civili interessi. Al suo venire le fa- zioni si destano , sorgono le ambizioni; e que’ buoni campagnuoli avvezzi a sempre votare secondo il piacer del Governo, cominciano ‘a maravigliarsi dell’ ereditaria loro semplicità. La cittadetta d’Appleby è il campo alla lotta novella : la folla adunatasi nelle mura non cape, e s’ accampa dintorno : le case riboccano d’ospiti , di visitatori ; fa- miglie contro famiglie ;. plebe contro nobiltà , borghesi con borghesi s’infiammano d’ emulazioni sconosciute finora ; il Governo raddoppia i suoi sforzi. L’ insopportabile calor della state ; la moltitudine. di bria- coni che giorno e notte gavazza nel vino , le grida, le zuffe, le vio- lenze ; le dissolutezze cangiano a un tratto l’aspetto d’ una città già sì tranquilla e sì buona..= GCotesto si strano spettacolo è egli la colpa dell’ ambizione di. Brougham ? No: quel sistema d’ elezioni che Brou- gham ministro tende oggidi ad abolire, i costumi singolari dell’ Inghil- terra, le arti, corruttrici d’ un’ aristocrazia che crede tutto poter col danaro; queste cagioni s’incolpino , e non l’ eloquenza o lo zelo di Brougham. che. tenta di conquistare alla causa dei popolari diritti una provincia ed un voto. Nove giorni lottò con perseveranza indo- mabile: circondato da un volgo insultatore ; ritto sulla ringhiera , sotto un cielo infiammato , fra le grida e gli urli di scherno, e’risponde alle torsolate e ad altri argomenti siffatti con l’impeto d’ una sempre crescente eloquenza , e comanda a tali. avversarii |’ attenzione e il silenzio. Gli schiamazzi, compressi da quella voce potente, a quando a quando s’ acchetano , poi ricomincian più tieri. Il terzo giorno, il tu- multo fu tale, che Brougham sopraffatto un momento si tacque. Uno de’pochi suoi partigiani ( che portavano tutti in capo coccarda azzur- ra ) , seguitate, seguitate , gli grida = si rispose Brougham, quando cotesto carbonajo briaco resterà di mugghiare (1).=E tutti sì tacquero. (1) A «chi conosce i costumi inglesi, questa uscita non parrà strana, e non parrà affatto barbara a chi conòsce l' eloquenza de’ Greci. Brougham, giova notarlo , è grande ammiratore di Demostene , e preferisce quella parsi- monia potente alla ciceroniana abbondanza d’ assai, specialmente perchè crede - quel genere d’eloquenza serrato e severo molto più conveniente ai costumi d’un popolo maturo e allo stato presente dell’europea civiltà. L’Edinbourg Revievo contiene dello stesso Brougham un eccellente articolo sopra questo argomento, degnissimo d’ esser letto. La Rev. Britannique del febbraio lo dà tradotto. 128 Brougham fu vinto; ma non avvilito però. Venne l’ultimo giorno a tenere il suo discorso d’addio (farewel-speches ) innanzi a coloro che 1’ avevano rigettato e deposto. I due membri eletti ringraziarono l’ assemblea } e furono salutati dal popolo con qual- ch’applauso . Sorge Brougham con sembianza crucciosa; e venti- mila uomini pendono dalla sua bocca rispettosi e sommessì , ven- timila uomini che poc’ anzi l’avevano ricoperto d’ oltraggi : egli con le braccia incrocicchiate sul petto, guardando con occhio sde- gnoso la folla ondeggiante : ‘ Son io, grida, son io qui venuto ,; per mio proprio interesse ? Ho io mendicato da voi un posto alla ,;s camera? No : superflui mi sono i vostri suffragi : io sono già mem- 3» bro del Parlamento. Disinteressati eran dunque i miei passi. E che ;; ho io qui raccolto altro che oltraggi? Per vostro bene io son venuto 3, a sollecitarvi; a vostro servigio son volte le mie parole ; per la vo- ,» stra libertà io vi pregava che non la voleste ripudiare vilmente ; ,, la vostra Contea ho io tentato di togliere al disonore , il vostro obbrobrio ho tentato di tergere: ho fatto il dover mio. ,, E per lo spa- zio di dieci minuti continuando sempre su questo tuono amaro, e sem- pre ascoltato dalla turba, conchiude: ‘ A vostro dispetto io vo’ rico- ,; minciare la lotta : per la libertà si combatte , per voi. Io la sosterrò 3 questa lotta fin che avrò vita, e due volte la rinnoverò, e dieci, e sem- ,» pre ;;- Il giorno dopo su tutte le muraglie e le porte della città si vedevano scritte queste ultime parole per mano di coloro stessi che per venale odio l’aveano insultato. E dopo qualch’anno non più dalla debole contea di Westomoreland ma dalla potente Contea di Yorck Brougham fun acclamato deputato; e quindi salse ministro. In quest’ultima lotta dimostrò l’usata costanza. Ben sette volte inun giorno e in luoghi diversi gli convenne aringare , e cominciare le sue gite dalle sette della mattina e alle dieci della sera finirle, e colla spada della parola spezzare la potenza dell’oro, dell’ autorità, dell’ alitudine antica , gli sforzi di competitori terribili e del Governo accanito. E li vinse. Brougham è ormai nome storico; come avvocato , come giurecon- sulto , come tribuno popolare , com’ uomo di stato egli è parte nobi- lissima della gloria della sua patria. S’accheteranno i partiti, il fuoco delle risse politiche cadrà spento, quelle migliaia d’ uomini il cui cuore palpitava più rapido al soffio della sua vitale eloquenza giaceranno insensibili nel sepolcro ; tante sollecitudìini, tante veglie, tante passioni periranno nell’ abisso del tempo: ma gli avanzi della sua parola saranno con venerazione raccolti ; e vi si riconoscerà il forte impulso da lei dato alle facoltà intellettuali e morali degli uo- mini del suo secolo , e la sorgente di quelle idee beneficamente libe- rali di cui viene ad ogni giorno crescendo la piena : e i nostri figli e i figli de’ nostri figli benediranno il suo nome. Inesorabile sempre al dispotismo e all’ ignoranza , sempre fratello e protettore del sapere e della virtù, senza pedanteria, senz’ orgoglio, Brougham resterà mira- 129 hile esempio a tutti gli vomini generosi e alla gioventù ardente del desiderio d’ una solida gloria. Lorp ALrnoree, Ministro delle Finanze ( cancelliere dello scac- chiere ) , grand’ amico dell’ economia ;, non eloquente ma schietto. E appunto la nota di lui integrità rende autorevoli le sue parole. Sheridan, celebre per l’ immoralità non meno che per | ingegno , non potè con- quistare un sol voto : Lord Althorpe deve tutto a’ morali suoì pregi. E questi gli fecero lecito di difendere ‘in pien parlamento il vessillo tricolore , assalito dal duca di Wellington , e dichiarare la necessità d’ una riforma non timida e parziale ma piena ed ardita. Togliere il diritto d’ elezione a’ borghi che contano men di 10,000 anime , darlo a tutte le città che passano i 30,000 ; proibire la venalità degli elet- tori , e il passeggiero diritto d’ eleggere ; darlo ai dottori di medicina e di legge , ai graduati d’ università; eran queste le idee principali del Lord che lodiamo : idee che la proposta riforma , se avrà luogo come si spera , potrà perfezionare e modificare , togliendo le tante difficoltà che 1’ esecuzione inevitabilmente presenta. Lorp PaLmerston ministro degli affari esteri, al dire del giornalista inglese, è uomo di società; dotato di coltura e d’ ingegno ; grave di- citore, ma senza verità, senza spontaneità, senza vita d’affetto. Egli declama, non parla; e , come il sig. Peel, par che reciti la lezione a mente. L’ eloquenza non è l’ arte di porgere ma d’ esprimere , non di piacere con la grazia de’gesti ma di muovere e co’gesti e co’suoni , non una scuola ma un sentimento , non una modulazione ma un grido dell’ anima. Se il declamatore si mostra, cessa ogn’ illusione; il so- | spetto di menzogna sottentra: i movimenti iracondi e patetici fanno sorridere, e non resta che |’ imagine d’ un ciarlatanismo impotente. La sulute e la vita degli stati non dee pendere da un bel gioco di parole o di suoni, ma da‘ragioni vere , semplicemente e fortemente espresse. Six CarLo Grant , presidente del comitato che sopraintende la com- pagnia dell’ Indie, vale a dire ministro dell’ India inglese , energico pensatore , ma debole all’ azione ; per troppa altezza di concetto fallisce I lo scopo; e porta all’ ideale gli affari di questo povero mondo. Pron- i tezza richiede la vita politica: e al sig. Grant questa manca. La vee- menza del suo dire non lascia impressione veruna: recita a scosse , mangia le parole, pronunzia appena. Abituato alla meditazione , egli omette quelle idee intermedie che sono il punto di comunicazione fra il noto e l’ ignoto, fra gli spiriti singolari e il comune degli uomini: però par bizzarro ed oscuro. Sir James GraHam, primo lord dell’ ammiragliato , cioè ministra della marina, utile amico, nemico da temersi , ma non mai capo di partito , non uomo di prima sfera. Il buon senso d’un uomo di stato in lui è congiunto all’affettazione d’un Dandy; una cert’ aria di pre- sunzione spiacevole , a molte coguizioni: abile ma non originale ; facile parlatore ma non eloquente; disprezzato da’ giudici severi, da’ più leggeri ammirato, T. Ji. Aprile. 17 130 I nomi che seguono non fan parte del Gabinetto, ma non lasciano d’ avere sulle deliberazioni del governo non poca influenza. Sir James MakintosHn, commissario degli affari dell’ Indie , il più dotto e il più filosofo di tutti i membri del parlamento; spirito bene- volo , tolerante, ma incerto, e critico troppo. Ne’ suoi discorsi è di- battuto con senno il pro e il contro , la verità ed il sofisma vi tro- vano un interprete esatto; ma questa imparzialità in materie politiche è incomoda, specialmente per coloro che amano le sentenze assolute e gli eccessi. Nelle questioni filosofiche e critiche giova sentire anche le ragioni contrarie al proprio argomento, giova pesarne il valore, e darne a conoscere la gravità: chi in siffatte materie cerca un sì o un nò assoluto e senza eccezioni, non conosce che sia verità, ed è fatto per ripetere le opinioni altrui senza intenderle. Ma in fatto di pra- tica conviene abbracciare un partito: sia questo, se così piace, un par- tito di mezzo ( frase da qualche mese divenuta ridicola, ,ma che non cessa d’ esprimere una verità salutare ) , qualunque e? sia, convien di- fenderlo , inculcarlo con forza. Malcintosh dunque, disputatore erudito e sagace ,, non ha, com’ uomo di stato, l’ autorità che sarebbe dovuta a’ rari suoi pregi. i Lorp Ionn RusseLL, pagator generale dell’ armata , discendente da potentissima famiglia, antica partigiana de’ Whig , è il vivo modello dei pregi e de’ difetti dell’ inglese aristocrazia , altera, grave , fred- damevte cortese , sdegnosa del volgo , nemica del nome francese; fer- ma nel credere ch’ essa sola è il sostegno della libertà e della patria. Il ritratto che ne fa il giornalista inglese è evidentemente caricato in peggio: l’autore della proposizione che diede luogo allo scioglimento della Camera , meritava d’ esser dipinto con un po’ più d’ affetto. Lord Russell, dice il Montly Magazine , è un uomo senz’ originalità , senza grandi vedute , autore mediocre , e che tende alla lode ed al bene, perchè rispetta ed onora la.sua nobiltà. Felici le nazioni se gli uomini mediocri fossero capaci di tanto! 1l sig. Winn , segretario della guerra, (di cui nulla intende, co- me Sir J. Graham è lord dell’ ammiragliato perchè non ha mai navi- gato) era ben collocato come ministro della Compagnia dell’ Indie, sua prima carica. Più antiquario che politico , dotto delle vecchie erudizio- nì parlamentarie , scrupoloso osservator delle formule. Gli amici di lui vorrebbero elevarlo alla presidenza della Camera; ma la sua voce stroz- zata e falsa gli toglie quell’autorità e lo priva di quelle speranze che forse, con polmoni più forti , egli avrebbe potuto ambire. Dalla co- struzione della laringe può dipendere l’ umana grandezza. Il sig. PowLET THomPsoN , vice-presidente del comitato di commer- cio, ministro della marina ; economista novello ; non profondo , a quel che pare ; ma che per aver sostenuta un’ ovvia verità; fu eletto mem- bro del parlamento, e poi portato al posto ove siede. Il sig. RoseRTO GRANT, giudice avvocato-generale, uomo disinteres- sato , generoso difensore della toleranza e dell’ umanità , riclamò per 131 gl’ Israeliti il godimento di tutti i diritti civili. Al pari di suo fratel- lo Sir Carlo Grant , dotato di poca energia ; ma di migliori apparenze; e però più volentieri ascoltato, sebbene amante di que’ luoghi comuni di morale e di poesia che in un’ assemblea politica non fanno forza. Sir Tommaso DenHAW, regio procuratore (attorney-general), avvocato senza macchia , nato per la sua professione ; sagace , circospetto , fa- condo , cortese , franco ; sempre integro e leale. Difensore della prin- ‘ cipessa di Galles, dopo accumulati in favor suo tutti gli argomenti plausibili , egli non potè tenersi che non conchiudesse con le parole di G. C. all’ adultera: Va’, e non peccare. A. Z. Regolamento d’ Istituzione proposto al Comunale Consiglio dall’ Accade- mia Provinciale di Belle Arti di Ravenna; lettera del Conte Ares- sanpro Capri Segretario della suddetta Accademia al Direttore del- V Antologia. Non credo ; ottimo signor Vieusseux , che vi sarà dispiacevole, se in questa lettera io vi parlerò del regolamento, che questa Accade- mia Provinciale di Belle arti ha proposto al comunale consiglio rispetto a’giovani nati, o domiciliati in Ravenna, i quali domandano un sus- sidio per andare a quella principal scuola d’Italia , a cui da natura, e dai già fatti progressi si sentono più persuasi, onde studiare all’ ec- cellenza delle arti; anzi mi avviso, che a voi direttore dell’ Antolo- gia , la quale con tanta lode della mia patria fece maggiormente pa- lese la istituzione della nostra Accademia, piacerà di vedere per effetto come sì cerchi , che riesca ad utilità. Il signor professore Ignazio Sarti Direttore , come sapete, della medesima , il quale per aggiugnere que- sto fine non perdonò mai nè a sollecitudini, nè a pensieri, si diede a cercare la cagione, per cui i giovani, che dai loro comuni sono man- dati fuori a perfezionarsi negli studi delle Belle Arti, non di rado tor- mino con pochissimo , o meno che mezzano valore, 0, quel che è peg- gio ancora, con gusto corrotto, e senza discrezione di giudizio ; nè guari stette a riconoscerlo nella mancanza di quella direzione , e sor- veglianza , di cui i giovani hanno una lunga necessità. Dar le spese ai giovani, acciocchè dalle loro mura escano a studio, e poco o niente cer- carne dappoi, non basta certo per averli valorosi ; ed acciocchè la be- neficenza sia posta a buon frutto , conveniva, che si pensasse a un va- lido modo , per cui tale beneficenza, alla quale il comune di Ravenna «non mancò mai, fosse profittevole alla bisognosa gioventù, e rendesse de’valent’uomini alla patria. Îl signor professore Sarti ci pensò , e quan- do gli parve di averlo rinvenuto volle meco conferirne , e poichè nelle medesime idee per lo appunto ci ritrovammo, allora, e fu nel passato in- verno ; le ponemmo in carte stringendole ne’termini di un regolamento ; la cui sostanza ; signor Vieusseux , è la seguente. Ai giovani ; che stu- | diano l’ architettura, la pittura , la scultura, e l’incisione il comune di 132 Ravenna accorda delle somme di danajo non più a titolo di sussidio , ma con intendimento più nobile a titolo di commissioni. Afinchè un giovine però possa ottenerle è d’uopo , che al comune ne faccia peti- zione, che gli presenti i lavori suoi, e un certificato de’pubblici mae- stri alla scuola dei quali è cresciuto, che que’lavori sono opera delle sue mani, e che dà sicure speranze di riuscire valente. Nè ciò è ancor tutto: deve egli due volte almeno aver conseguito l’onore di un distinto premio in un’ Accademia di Belle Arti, e dare con felicità un’esperi- mento di invenzione innanzi a questa accademia. Due sono le commis- sioni,che il giovine può ottenere, e due gli anni, in che ciascuna commis- sione dee compiersi ; nè potrà il giovine ottenere la seconda, se a giudizio dell’Accademia nostra non avrà con lode soddisfatto alla prima. Consiste la prima nel copiare , la seconda nello inventare. Rispetto alla prima , dovrà l’architetto misurare un Monumento, o un’Edificio classico , e condurne in disegno grande, e ombrato la pianta, e lo spaccato e il prospetto, e le loro particolarità; il pittore dovrà dipingere in tela e ‘ ad olio una copia grande come l’originale di un quadro classico ; dovrà lo scultore formare in plastica la copia di una statua, o di un gruppo classico , e l’incisore fare un ritaglio di una stampa classica. Gli origi- nali da copiarsi vengono statuiti dal Consiglio dell’Accademia. Rispetto alla seconda , commissione avrà |’ architetto a inventare , ed eseguire in disegno grande e ombrato pianta , e spaccato e prospetto , e i loro particolari in conformità di un tema dato da questo Consiglio Accade- mico ; il pittore avrà a dipingere in tela e ad olio un quadro istorico di sua invenzione, nel quale paiano non meno di cinque figure, e sia di una grandezza determinata ; avrà lo scultore a scolpire in marmo una statua di sua invenzione , e di una data grandezza ; e finalmente l’incisore pure in una data grandezza avrà a fare il disegno, e la incisio- ne di un quadro classico scelto dal Consiglio Accademico ; per tal modo è sembrato, che i giovani, comechè lontani , siano da questa Accade- mia di belle arti diretti ne’loro studi. In quanto poi alla sorveglianza specialmente rivolta ad assicurare il comune, che i giovani s’adoperano nell’affidatagli commissione , si pensò, che ogni giovane dovesse di qua- drimestre in quadrimestre meritare, e ritirare dall’ Accademia di belle arti, che è nella città caposcuola, ove egli lavora, un certificato , che determini i progressi del suo lavoro; e che solo dietro la speilizione al comune di questo certificato , e dei certificati di buona e morale con- dotta, il comune manderebbe al giovine la quota, che quadrimestral- mente gli compete. Trascorso l’ assegnato tempo , che é come dire fi- niti gli anni delle commissioni, i giovani dovranno, ripatriare colle opere loro compiute, e ( circa la prima commissione ) in quanto alla fedeltà della copia, munite del giudizio dell’ Accademia di Belle Arti, che loro di quadrimestre in quadrimestre rilasciò i certificati, e do- vranno presentarle al comune. Dal comune poi saranno. mandate al- l'Accademia , che è di proprietà comunale , e nell’ Accademia reste- ranno sempre esposte alla veduta , e sotto vi si leggerà 1’ anno della ì 133 commissione , il nome de’ loro autori , e il nome di chi era in quel- l’anno gonfaloniere. Per tale continua esposizione si è estimato di potere vieppiù accendere spiriti di emulazione nei giovani , ai quali in processo di tempo si verranno dando altre commissioni , svegliare onorati desideri negli studenti dell’ Accademia, che quelle opere di continuo s° avranno dinanzi , e nutrire alla patria speranza. E l’ Ac- cademia Ravennate a poco a poco verrà acquistando dalle copie di ce- lebrati originali una raccolta, che un giorno terrà del nuovo , procac- cierà modo agli alunni di allargarsi nelle idee, e nelle cognizioni , € coloro, che fra qualche anno 1’ Accademia visiteranno, e vi troveran- no la raccolta incominciata, forse commossi nel cuore dalla contentezza, che seguita l’avvisar delle utili cose ed onorate, la diranno nobile ornamento della città , e al Comune daran lode di sagace nelle sue beneficenze. E per non lasciare, signor Vieusseux, di dire alcuna ragione intorno alle due commissioni , 1’ una del copiare , l’altra dello inven- tare , che sono la base del nostro regolamento , dirò , che noi credia- mo , che la prima abbia ad essere scala alla seconda , giacchè per in- ventare, e quindi comporre colla bontà desiderabile , bisogna con si- curi e stupendi esercizi aver nudrita la mente e l’animo in tilosotiche, elette , e affettuose imagini, avere acquistato aggiustatezza , e fertilità di pensieri, e aver reso a’ pensieri docile la mano ; e a ciò nulla sarà più sufficiente di una esatta, e sentita copia di un’ opera classica , nella quale il Giovine sarà necessitato di meditare ad una ad una le bellezze , e le diflicoltà tutte sì d’ invenzione , che di composizione , e di disegno , di vederne le più secrete ragioni, di vederne i rapporti, di vedere da che principalmente le bellezze risultino , e come , e con quali mezzi le difficoltà furono tentate, e vinte , e finalmente le une superando , le altre ritrarre. Propriamente io non so per quale consi- glio da qualche tempo i giovani, universalmente parlando , disdegnino di copiare, e piuttosto digiuni di gravi studi si diano alla invenzione mettendosi all’ accatto di commissioni, che poi non trovano, o se le trovano si disonorano. E non manca chi affermi ( sebbene pare impos- sibile ) che dal solo considerare i Classici si può ottenere la necessaria istruzione , e che il copiarli è un di più, e che chi copia si, fa servile. Se il solo considerare i Classici possa per un giovine valere quanto il copiarli, anche senza le cose dette , pel giudicio vostro vel vedete; e in quanto alla servilità, non vi potrebbe incorrere che colui , il qual s’ ostinasse in molte e continuate copie; ma i nostri giovani non hanno a fare, che una sola copia, e una copia di un’opera classica scelta dal bel mezzo della scuola, alla quale eglino più sono disposti. In questi termini il copiare non solo è senza pericolo , ma con grande utilità ; e la direzione , e la sorveglianza, in che i giovani si vogliono tenere, non parrà un costringimento soverchio dei loro ingegni, nè un met- terli per una via troppo lunga, e stucchevole. E in antico i giovani artisti non si acconciayano eglino per discepoli, o per ajuti nelle officine de’ grandi maestri, e non vi rimanevano sinchè erano espertissimi nel- 134 l’arte, o anche dopo ? La morte rende Raffaello al cielo, donde ci era venuto , e allo sparir di quel divino e Giulio Romano, e Giovanni da Udine, e Polidoro da Caravaggio , e Pierin del Vaga, e il Ramenghi, ed altri , che sin lì erano stati semplici discepoli , o ajuti di lui , escono dalla sua officina, e tosto il mondo li saluta maestri. Questa è la so- stanza del prefato Regolamento , che fu dal signor Professor Sarti, e da me presentato al Consiglio Accademico, ed essendo paruto al Con- siglio, che tornerebbe in molto vantaggio degli studiosi giovani, e de- coro della città , ordinò , chie si trasmettesse al Comune, il che fu fatto. Il signor Gonfaloniere Presidente dell’ Accademia , e che ora è il signor Conte Giovanni Lovatelli delle Belle Arti amatore, e cultore, lo accolse col piacere medesimo , che vantaggioso e decoroso estimato lo avea nell’ accademica Addunanza, e con ogni maniera di buoni uf- fici avendolo messo innanzi al Comunale Consiglio; e colle ragioni raccomandatoglielo , il Consiglio Comunale sentitane tutta 1’ utilità, lo ebbe di subito approvato ; e già, sono pochi giorni , è di quà partito alla volta di Roma un giovine colla commissione di copiare un quadro di Raffaello. L’ Accademia lo ha raccomandato con lettere alla Emi- nenza Reverendissima del signor Cardinale Camerlengo , lo ha racco- mandato al signer cavaliere Vincenzo Camuccini Ispettore delle pit- ture pubbliche dello Stato , al signor cavaliere Antonio d’ Este diret- tore de’ musei del Vaticano , e alla insigne Accademia di S. Luca , e noi siamo lieti di vedere favorito d’ assai il nostro divisamento. Ma io mi accorgo , gentilissimo signor Vieusseux , di avere abusato la vostra sofferenza dilungandomi alquanto; di grazia per l’ amore delle Belle Arti , e per la vostra gentilezza perdonatemi. Ravenna 4 Novembre 1830. (*) Ritratto di Beatrice Portinari scoperto dal sig. Ab. M. MissirinI. Di Beatrice Portinari , 1’ amata e l’ ispiratrice di Dante, fu sin ad ora sconosciuta l’ immagine. Il desiderio degli amici del Bello ci si promette che verrà soddisfatto. Il ch. M. Missirini ha ritrovata una tavola portante un’ immagine che da tutte le circostanze raccolte dalle Rime e dalla Vita nuova apparisce esser quella della teologia personi- ficata nel sacro Poema. L’ egregio scopritore ; fatte trarre le stampe del dipinto, vi aggiungerà un commentario nel quale sarà dimostrato 1’ as- sunto : e noi con piacere ne coglieremo occasione per ritornare sopra (*) La presente utile partecipazione , per la quale siamo tenutissimi all’E- gregio sig. Conte Cappi, sarebbe già comparsa nell’Antologia, se ci fosse per- venuta regolarmente; ma per una particolare combinazione non l'abbiamo avuta in nostro potere che nel decorso mese di maggio. (Nota del Diret. dell’Ant.) 135 tale argomento. Pubblichiamo frattanto il documento seguente sotto- scritto dai più illustri professori dell’ arte che onorano questa città. Firenze 1 Febbraio 1831. Attestiamo noi sottoscritti qualmente il ritratto di Beatrice di Folco Portinari amata da Dante Alighieri, dipinto in una tavoletta, e at- tualmente posseduto dal signor Melchior Missirini, è un monumento singolare per rappresentare un’ immagine fin ora sconosciuta: è anche stimabile pel merito dell’ arte : ed è antico; credendo noi che possa appartenere al quattrocento. Pietro Benvenuti. = Giuseppe Bezzuoli. — Stefano Ricci. - Luigi Scotti. — Giorgio Berti. — Antonio Marini. = Francesco Pozzi. = Tommaso Gazzarrini. = Gaspero Mar- tellini. — Nicola Monti. = Domenico del Podestà. = Domenico Bicoli. Sopra un, dipinto a olio di Vincenzo da S. Gimignano, Lettera di CLemente Santi da Montalcino al suo pregiatissimo amico sig. Av- vocato Pierro CAPEI. Eccellente pittore fù dal Vasari reputato Vincenzo da S. Gimi- gnano , e per la sua diligenza nel dipingere, e per la morbidezza del colorito , e per il grato aspetto delle tigure da lui delineate ; nè mi- nore elogio tributogli l’ abate Lanzi, ponendolo fra i migliori imita- tori del grande Urbinate ; ma e l’uno' e l’altro dì questi accuratissimi istorici non ci fanno parola aleuna d’ opere ad olio condotte dal no- stro Sangimignanese , e solo, ci descrivono dei freschi nella massima parte deperiti. Epperò, pregiatissimo amico, io credo che amante qual siete delle arti belle , grata vi riuscirà per certo la descrizione d’ una stupenda tavola esistente in questa Chiesa, della SS. Vergine del Soccorso » la quale ;, se fu ingiuriata dal tempo , torna adesso al pristino splendore mercè le cure degli attuali operai , e per l’accuratissimo restauro fat- tone dall’ egregio giovine pittore sig. Domenico Monti. Amene e variate campagne formano il campo del quadro; monti sorvolati da purissimo aere l’indietro ; la pianura è sparta di apriche collinette , l’Elsa tortuosa e placida le vien lambendo : Turrito paese posto sopra alla più amena di queste colline fa stfarzosa pompa delle sue fabbriche, ed è facile a ravvisarlo per la desiderata patria del nostro Vincenzo : ruderi , fratte , casolari e agricoltori alle loro opere dedicati tengono ogni resto di questa vaga prospettiva » dinanzi alla quale appare una cassa marmorea. Intorno a questa , ricca di copiosissime e candide rose , ci si ap- presentano tre figure atteggiate nel più intenso fervore di religioso ri- 136 spetto. S. Sebastiano è quello che si stà alla destra genuflesso e se- minudo , avente in mano il segno del martirio. Bellissimo ne è il to- race , rotonde e «li morbida carne le braccia , ogni altra parte è cuo- perta da un pallio di croceo colore, che ripiegandosi in sul ginocchio mostra la fodera di roseo colore delicatissimo. Ci ha dall’ altra S Rocco yenuflesso anch’ egli ed in abito di pellegrino ;} raccomanda a nero bordone la destra, e mentre sembra poco men che oppresso e per la stanchezza del lungo viaggio e pel cruciato di bubbonica piaga della quale fa lurida mostra , pure il dolore di Lui è già in gran parte alle- viato perchè Egli è giunto all’ adorazione di quel marmo , che fu se- polero alla Madre del Salvatore. — In mezzo a questì due , ed in for- ma di vaghissimo giovine , di verde e succinta veste ricinto , tu vedi S. Tommaso. Ha gli occhi devotamente rivolti a Lei che piena di gloria nel puro etere a tutti lero sovrasta. Il sacro cinto penile dalle sue mani, ed egli pietosamente lo mostra ai compagni in aria di uomo © pentito dell’ antico suo dubbiare. Il bello della natura in S. Tommaso, il vero stato dell’ abbatti- mento rappresentò Vincenzo nel volto del S. Rocco , in cui raffigurò se stesso ; ma ogni suo dolore è, come dissi, dalla beata visione am- molcito , ed il raggio celeste che riverbera dalla Vergine nei volti del Martire , e dell’ Apostolo ambedue li dipinge di quel sereno , che sol- tanto abbella chi si spogliò d’ogni affetto mondano. Ma eccoci alla parte più sublime del dipinto. Sopra dorato scanno di ellettica forma , e da graffiti cherubini attorniato , siede la nostra Donna. Una corona di Serafini dalle ale di porpora la circondano , ed uno di essì le pone in testa il serto ricco per zaffiri, e rubini; il tutto fra le nuvole che stanno sul dorso e sulle alî di altri tre di questa beata schiera. Sei Angioletti di bionda inanellata chioma, e belli quanto il bello del Paradiso ; librati su’ variopinte ali e trasportati da estasi celeste, ai lati della Vergine trionfalmente in due corì divisi alternano sw varj istrumenti musicali armoniosi concerti alla Sposa dei Cantici. Altri due, conserte le mani al seno, gioiscono. all’ aspetto della compagna del Paracleto Amore , che di candida ed aurata veste coperta tale nel volto sereno e. modesto rassembra , quale appunto esser dovè nei momenti primi, che sciolta dal frale mortale o con esso agli eterni godimenti assunta delle dolcezze beate venne a fruire con quella umiltà , che tanto la fè piacere al divino Spirito quando essa questa terrena sede abitava. Quale accordo di colori , quali forme , quale esattezza di disegno non si ammirano in questo raro è superbo dipinto! Nulla quì ci ha da desiderare; per modo che nel S. Gimignanese credi veder trasfuso il genio del suo amico e compagno |’ impareggiabile Raffaello. Forse fu questa |’ ultima opera confacente al pristino vivace in- gegno di lui, che la portava al termine nell’ anno 1527, quando il suo melanconico umore ogni di acerescevasi per la ingrata lontananza dalla sede delle arti belle che vide lacerata, ed in preda al furor mi- 137 litare nel sacco borbonico , e per la dura separazione da tanti suoi diletti compagni. Fuggiva Egli da Roma cercano ospitale asilo sn questo Colle, ove all’ opere sue prossimo danno minaceiava 1’ ira spa- gnola (1). Nuovo non era per lui questo soggiorno , e grato dovè riu- scirgli oltre modo il rivedervi i parti del suo giovanile ingegno. Intino dal 15r0 aveva Egli dipinto nella Chiesa dei Padri France- scani due Cappellette , rappresentando in una la Nascita e lo Sposalizio della Beata Vergine, varì Santi , e varie vedute cittadinesche e cam- pestri; nell’ altra la caduta di Simon Mago , an Domine quo vadis , e altri fatti toccanti la vita del: Principe degli Apostoli , Santi, ed Evan- gelisti. Nè avea lasciato di ricordarvi la sua giovanile età con questa iscrizione: Vinceentius Juvenis Sangimignanensis mè pinrit A. D. MDX. Quantunque già malconci e guasti da impudente ritocco , grato ne sa- rebbe aver tuttora conservato questi dipinti all’ osservazione del cnu- rioso , se gli agrumi ed il legname non avessero compiuta la devasta- trice opera dei falsi devoti. E tale in questa nostra Patria fu bene spesso la sorte di tanti altri capo lavori d’ arte o perduti o prossimi a perdersi. Facciamo adunque voti che l’ amore di questi monumenti tramandatici dai Padri nostri , venga ogui di crescendo , e ricordiamo che l’ arti sorelle giunsero al- lora a tal punto, cui sarebbe glorioso di ritornare, impossibile il tra- passarlo. State sano e credetemi di vero cuore Il Vostro affezionatissimo Amico CLEMENTE SANTI. (1) Il quadro quì deseritto era stato collocato in un’ Oratorio dedicato a S. Rocco. Le batterie di Don Garzia da Toledo nell’ assedio di Montalcino del 1553 distrussero il tempietto , ed il quadro fu trasportato ove è di presente. - T. 11. Aprile. 18 138 Bullettino Huentikeo- Letterario APRILE 18531. Screnze NaTtuURALI Fisica e Chimica. L’antimonio e lo stagno sì rassomigliano tanto per le proprietà loro , che fin quì non si son potuti separare imo dall’ altro se non im- perfettamente. I reagenti che precipitano lo stagno o lo disciolgono , operano li stessi effetti sull’ antimonio. Il sig. Chaudet ha dato un pro- cesso col quale si può per mezzo dell’ acido idroclorico separare l’an- timonio dallo stagno cui si trovi unito ; ma per ottener |’ antimonio puro bisogna che la lega contenga almeno venti volte più stagno che antimonio, condizione che porta seco grandi difficoltà d’ esecuzione. Il sig. Gay-Lussac ha fatto ora conoscere un altro processo , che da lungo tempo egli aveva praticato con successo , e nel quale l’anti- monio è separato dallo stagno e precipitato per mezzo d’ altro stagno. Sì discioglie nell’acido idroclorico la lega dei due metalli , ed alla soluzione si aggiungono successivamente piccole quantità d’ acido ni- trico. Se in questa soluzione d’ antimonio e di stagno , che contiene un eccesso d’ acido idroclorico , s' immerga una lama di stagno, questa non tarda a cuoprirsi d’ antimonio in polvere nera. Operando a freddo la precipitazione non sarebbe completa , o almeno esigerebbe molto tempo , ma mediante un piccolo alzamento di temperatura , ottenuto coll’ applicazione del vapore , presto divien completa, purchè si abbia Vl’ attenzione di mantenere nel liquido un eccesso d’ acido. Bisogna poi lavare perfettamente l’antimonio , ed asciugarlo per mezzo d’ un ba- gno-maria d’ acqua bollente. Se si trattasse di operare sopra una dis- soluzione dei due metalli già fatta , si dovrebbe da una porzione di questa precipitare per mezzo dello zinco i due metalli, per couclu- derne il peso comune, poi da un altra porzione precipitare per mezzo dello stagno il solo antimonio , per concludere il peso relativo di cia- scuno dei due metalli. ( Ann. de Chim. et de Phys. fevr. 1831, p. 222). Mentre la chimica sapeva da lungo tempo far prendere a molte delle sue produzioni artiliciali le stesse forme regolari e cristalline delle equivalenti produzioni naturali , incontrava una difficoltà quasi invincibile imprendendo ad imitar la natura nel far cristallizzare gli 139 ossidi metallici. Il sig. Becquerel era giunto ad ottenere alcuni risul- tati di questo genere per mezzo dell’ elettricità a piccola tensione. Ora poi il sig. De Haldat è giunto ad imitare le cristallizzazioni di ferro dell’ Isola dell’ Elba e di Framont, con un processo che egli stesso dichiara non esser nuovo , ma essere quello stesso per mezzo del quale sì opera nei corsi di chimica la scomposizione dell’acqua. Che se tutti quelli che hanno fatta quest’ esperienza non si sono accorti della for- mazione di quel prodotto, ne è stata cagione la forma del ferro da essi impiegato , che è ordinariamente la tornitura di questo metallo, la quale impastandosi d’ ossido , e spezzandosi facilissimamente allorchè si estrae dal tubo di ferro, non è atta a mostrare le forme cristalline che necessariamente vi si sviluppano. Che se in vece della tornitura s’ impieghino , come fa 1’ autore, dei fili di ferro dolce del diametro di due o tre millimetri, prima appianati sotto il martello,poi riuniti in un fascetto per mezzo di legature fatte alle due estremità e nel mezzo, sopra queste lame si scorgono i cristalli d’ ossido di ferro formativisi , i quali sono tanto più sviluppati , quanto più è stata prolungata l’ope- zione , 0 il passaggio del vapor d’ acqua a traverso il fascetto delle lame di ferro. L’ autore ne ha ottenuti di due ed anche di tre milli- metri. Questi cristalli, che sono lucidissimi, veduti col microscopio somigliano perfettamente quelli dell’ Isola dell’ Elba e di Framont. Ge- neralmente sono dei romboedri che si cuoprono gli uni gli altri , come si osserva in certi gruppi di ferro oligisto dei due paesi indicati, hanno la stessa lucidezza , presentano li stessi colori, e rassomigliano ad essi quanto possono rassomigliare a quelli della natura i prodotti dell’arte. Sostituendo al ferro lo zinco , e moderando opportunamente la temperatura, per la molto maggior fusibilità di questo metallo , 1’ au- tore ne ha ottenuto l’ ossido in due diversi stati, cioè una parte in globuli amorfi , 1’ altra in lame coperte di cristalli di color di miele , quasi trasparenti , di forma romboidale. Egli pensa che le numerose e variate cristallizzazioni di ferro che si trovano presso gli spiragli dei vulcani , e che si raccolgono in abbon- danza ai contorni di Clermont, e particolarmente al Puy-de-Dòme , alle cave di Volvic , ed altrove, possano formarsi in un modo analo- go. (Ann. de Chim. et de Phys. Janv. 1831, pag. 70). Il sig. Gay-Lussac ha fatto conoscere alcuni fenomeni e caratteri singolari che presenta il cianoferruro di piombo esposto all’ azione del calore. Si produce da primo del gas azoto mescolato di cianogene , e dell’ idrocianato d’ ammoniaca. La materia benchè sia soltanto infuo- cata a rosso e non esali più niente, diviene ad un tratto incandescente, e lascia sprigionare quasi istantaneamente una gran quantità d’ azoto. Il residuo, raffreddato senza il contatto dell’ aria, è nero, ha la pro- prietà piroforica , cioè di accendersi spontaneamente ad alcuni gradi al di sopra della temperatura ordinaria, e dà molta ammoniaca essendo esposto ad un aria umida ; ne produce anche molta incontrando il va- 140 por d’ acqua al calor rosso. Dopo l’ infiammazione spontanea della materia nera , rimane una combinazione di due proporzioni d’ ossido di piombo e d’una d’ ossido di ferro fusibilissimo di color bruno aranciato. La forte incandescenza che si manifesta nella calcinazione del cianoferruro di piombo è certamente un indizio d’ una nuova com- binazione molto intima formatasi, ma che non è-fin quì conosciuta. ( Ivi pag. 79). I successi che hanno ottenuti diversi medici, e specialmente i sigg. Cottereau e Verdet de l’Ile dall’ amministrazione dell’ioduro di piombo, tanto in forma di pomata applicata all’ esterno nella cura di varii in- gorghi e d’ affezioni scrofolose, quanto anche in piccole dosi per uso interno, invitando i chimici a prepararlo, si è offerta ad alcuni di essi l'occasione d’ osservare alcuni fenomeni che presenta la sua prepara- zione, ed alcune particolarità e differenze della sua composizione. Primieramente il sig. Caventon ha riconoscinto che 1’ ioduro di piombo è alcun poco solubile nell’ acqua, sebbene i chimici general- mente avessero affermato l’ opposto , e che s1 cristallizza in piccole pa- gliette brillanti micacee d’ un superbo color giallo dorato. Il sig. Henry figlio poi, preparando l’ ioduro di piombo per la via umida e per doppia scomposizione , versando a poco a poco una solu- zione d’ idriodato di potassa in un altra soluzione d’ acetato di piom- bo, la osservato che arriva un momento in cui il precipitato presenta dei caratteri fisici diversi da quelli delle prime porzioni. Mentre que- ste sono polverulente e d’un color giallo appannato, all’opposto quando l’ operazione si avvicina al suo fine, e che non rimane nel liquido se non pochissimo idriodato di potassa , il precipitato che si forma è cri- stallizzato in piccole lame dorate che nuotano in ogni parte del li- quido , formando delle onde brillanti maravigliose a vedersi , e para- gonabili all’ oro musivo. Quest’ ioduro raccolto sopra un feltro e dis- seccato conserva tutta la sua lucidezza , ma per la triturazione ripi- glia 1’ aspetto polverulento ed appannato del precipitato primo. Desiderando di scuoprire la causa dalla quale dipende la forma- zione del secondo precipitato brillante , il sig. Henry prese ad esami- nare i liquidi, ed avendo congetturato che un leggero grado d’ acidità da essi manifestato, e la piccola quantità d’ idriodato di potassa con- tenutovi fossero le condizioni opportune a produrre quel precipitato , pose in essere artificialmente le condizioni stesse, sciogliendo una pic- cola quantità d’ idriodato di potassa in una quantità d’ acqua propor- zionatamente grande , aggiunse alcune gocce d’ acido acetico , quindi un poco di soluzione d’ acetato di piombo , e subito vide formarsi il prodotto cercato. Siccome era possibile che l’effetto dipendesse soltanto dall’ essere le soluzioni allungatissime , fece alcuni nuovi saggi senza aggiunta d’ acido, ma il risultato fu diverso. Di più, aggiugnendo al- cune gocce d’ acido acetico al liquido nel quale si agita 1’ ioduro pol- verulento , questo prende istantaneamente |’ aspetto brillante e cri- “SA ei Sr A Lod I4I stallizzato. Se la quantità dell’ acido aggiunto è notabile, 1’ ioduro vi si discioglie, e sparisce completamente ; un poco d’ ammoniaca o di potassa lo fanno ricomparire. Se si versi un eccesso d’ acetato di piombo nelle ultime acque madri , cioè in un liquido che contiene una piccolissima quantità di ioduro di potassio, e si lasci il tutto in quiete , si trova il giorno dopo un deposito abbondante formato di lamine più o meno grandi, di co- lore leggermente giallo , e che presentano dei punti brillanti. Avendo analizzati comparativamente questi tre precipitati , il sig. Henry ha riconosciuto che quello cristallizzato è un ioduro di piombo neutro formato da due atomi di iodio ed un atomo di piombo, prefe- ribile, secondo esso , egli altri due per gli usi medici. (Journ. de pharm. mai 1331 , pag. 266). Il sig. Gaultier de Claubry volendo verificare se l’ acido iponitrico o nitroso si combini con diversi acidi e specialmente coll’ acido iodico, come aveva affermato il sig. Berzelius , mise dell’ acido iponitrico pu- rissimo e perfettamente asciutto in contatto con dell’ acido iodico. Dopo più giorni di contatto, solo una parte dell’ acido iodico sembrava essersi fusa , ma la più gran parte conservava i suoì caratteri primitivi. Essendo stato aperto più volte il vaso che conteneva i due acidi , l’ apparenza dell’ acido iodico cominciò a variare ; si vedeva alla su- perficie una materia nera, brillante, e continuando di tempo in tempo a rinnovar l’ atmosfera, cominciò a scorgersi distintamente dell’ iodio , ed il liquido sparse dei vapori bianchi assai densi nell’ aria , lo che indicava essersi formato molto acido nitrico , ed esser rimasto libero l’ iodio ; ma quest’ azione non aveva avuto luogo se non col favore dell’ acqua tenuta in soluzione nell’ aria. Se si facciano cadere alcune gocce d’ acqua sull’ acido iodico prima di versarvi sopra l’ acido iponitrico , o aggiugnendo |’ acqua alla me- scolanza dei due acidi , essi reagiscono molto prontamente uno sull’al- tro ; comparisce dell’ iodio cristallizzato in belle lame , e dei vapori densissimi d’ acido nitrico fumante si spargono sturando il vaso: se sì è impiegato l’ acido iponitrico in eccesso, l’ acido iodico sparisce com- pletamente , e l’ acido nitrico riman mescolato coll’ eccesso dell’ acido iponitrico , nel quale nuota 1’ iodio cristallizzato. Se 1’ acido iodico è in eccesso , l’ acido iponitrico può essere completamente scomposto. Nel vaso restano appena alcuni vapori ratilanti. L’ acido iponitrico non può dunque combinarsi all’ acido iodico , e quest’ ultimo ha la proprietà di cedere tutto il suo ossigene all’acido iponitrico , che sì trasforma in acido nitrico ; ma siccome quest’ acido non può esistere senz’ acqua , la presenza di questa è indispensabile per dar luogo all’ azione reciproca dei due acidi. ( Ann. de Chim. et de Phys. Fevr. 1831 pag. 221 ). Più volte era stato osservato che 1’ acido solforico può esercitare 149 qualche azione chimica sopra alcune specie di vetri. Recentemente il sig. Bonastre ;, in nome del sig. Leproust farmacista, ne ha mostrato all’ Accademia delle scienze di Parigi un nuovo esempio , presentan- dole due bottiglie corrose dall’ acido solforico allungato, che doveva servire per dei bagni artificiali. Si scorgeva in quelle bottiglie la silice isolata , allo stato micaceo e polverulento. (Ivi p. 278). Si sa che l’ ammoniaca può formare tre distinte combinazioni , 0 tre sali diversi, unendosi a diverse proporzioni d’ acido carbonico. {l primo di questi è detto dai chimici carbonato neutro , o semplicemente carbonato d’ ammoniaca, ed è composto d’ una proporzione d’ammo- niaca e d’ una d’ acido carbonico ; il secondo è chiamato bicarbonato d’ ammoniaca , e risulta dalla combinazione d’ una proporzione d’ am- moniaca, di due proporzioni d’ acido carbonico , e d’ una proporzione d’acqua ; finalmente il terzo, detto sesquicarbonato d’ ammoniaca, è composto d’ una proporzione d’ ammoniaca , d’una proporzione e mezza d’ acido carbonico , e d’ una mezza proporzione d’ acqua. Quest’ ultimo sale è ordinariamente indicato colla falsa denomi- nazione di sottocarbonato d’ ammoniaca , mentre in sostanza contiene un eccesso d’ acido , e sì prepara scaldando una mescolanza d? idro- clorato d’ ammoniaca e di carbonato di calce neutro. Sebbene per il baratto della base e dell’ acido che ha luogo fra questi due sali neutri sembrerebbe doversi formare un carbonato d’ ammoniaca egualmente neutro , pure sì forma di fatto un sale con eccesso d’ acido , lo che porta necessariamente a concludere che una porzione della base se n’ è separata. Il sig. Dulong spiega questo fenomeno supponendo che si scom- ponga più carbonato di calce che idroclorato d’ ammoniaca, con che gli sembra spiegarsi l’ acidità del carbonato d’ammoniaca che si subli- ma, ma egli è obbligato ad ammettere nel tempo stesso che il residuo che resta nel vaso distillatorio contenga un eccesso di calce , o libera, o combinata al cloruro di calcio, costituendo un cloruro d’ ossido. In diverso modo spiegano il fenomeno stesso i signori Henry e Gui- bourt, secondo i quali la doppia scomposizione dei due sali , cioè del- l’ idroclorato d’ammoniaca e del carbonato di calce, si farebbe per un semplice cambio delle basi e degli acidi , restando nella storta del sem- plice cloruro di calcio, ma si sprigionerebbe una porzione d’ ammo- niaca , che lascerebbe un eccesso d’ acido nel prodotto. In questa discordanza d’ opinioni , il sig. Figuier , farmacista a Montpellier , ha intrapreso delle ricerche dirette a rischiarare questo soggetto , e per esse ha potuto riconoscere la vera causa del fenomeno indicato. Essa consiste nella formazione d’ una certa quantità d’acqua mediante la scomposizione dei due sali. Quest’ acqua bagna il carbonato d’ ammoniaca che si produce , e ritiene in soluzione la maggior parte del gas ammoniaco che si sprigiona. La reazione si stabilisce fra tre proporzioni d’ idroclorato d’ammoniaca e tre proporzioni di carbonato I I Len I tina 143 di calce ; ne risultano due proporzioni di sesquicarbonato d’ ammonia- ca, una proporzione d’ ammoniaca , e due proporzioni d’acqua. Il car- bonato di calce e l’idroclorato d’ ammoniaca, ambedue allo stato neutro , si scompongono , e somministrano del cloruro di calcio egualmente neutro, che rimane nel vaso distillatorio. Gli altri prodotti sono dell’ acido carbonico e dell’ ammoniaca nelle proporzioni conve- nienti per neutralizzarsi, cioè per formare un sale che corrisponda ai carbonati neutri alcalini, e che decomporrebbe i sali di calce senza eflervescenza ; nel tempo stesso si separa del vapor d’ acqua che pro- viene dalla combinazione dell’ ossigene della calce coll’ idrogene del- 1’ acido idroclorico; ma questi tre corpi non possono combinarsi nelle proporzioni nelle quali si trovano. Di fatti si sa che il solo metodo possibile per ottenere direttamente il carbonato d’ ammoniaca neutro consiste nel fare arrivare nello stesso tempo in un vaso bene asciutto il gas ammoniaco e l’acido carbonico allo stato di secchezza completa; e che la presenza dell’acqua determinerebbe inevitabilmente la forma- zione del sesquicarbonato d’ ammoniaca, e la separazione d’ una parte del gas alcalino ; e questo è precisamente ciò che segue nell’operazione indicata , nella quale si trovano riuniti contemporaneamente i tre cor- pi, ammoniaca , acido carbonico, e acqua. Si può dunque concludere che nella formazione del carbonato d’ ammoniaca per la doppia scomposizione del carbonato di calce e del sale ammoniaco , se il prodotto è con eccesso. d’ acido, non è perchè sì separi una parte di calce, ma perchè si separa al contrario una por- zione d’ammoniaca , e che questo modo di scomposizione è determinato dalla causa ancora sconosciuta che impedisce il gas ammoniaco e l'acido carbonico di unirsi in un composto neutro quando s’ incontrano in presenza dell’ acqua. (Journ. de pharm. mai 1831 , pag. 237). Era noto che l’ acido ossalico esposto all’ azione del ‘calore si. vo- latilizza in parte, e che il resto si scompone, risolvendosi*:in una me- scolanza d’ acido: carbonico e d’ un gas infiammabile che non era stato bene esaminato. Per ben riconoscere la natura di questo, il sig. Gay- Lussac ha messo dei cristalli purissimi di quest’ acido in una storta di vetro , che ha esposta ad un calore graduato. Alla temperatura di 78 gradi R. l’acido era in piena fusione , a 88 si è sprigionato col va- pore d’ acqua un fluido elastico , il volume del quale si è accresciuto progressivamente , a misura che si elevava la temperatura dell’ acido per la perdita della sua acqua di cristallizzazione: da 96 a 104 lo spri- gionamento del gas era estremamente rapido , ed ha continuato finchè l’ acido ossalico sia stato completamente decomposto , ma con delle variazioni di temperatura che non sono state esattamente determinate. L’acido ossalico essendo riguardato come uno dei più stabili fra gli acidi vegetabili, non si sarebbe preveduto che si scomponesse così facii- mente ad una mediocre temperatura, e sebbene si sapesse che l’acido solfo- rico concentrato coll’aiuto d’un moderato calore lo scompone in volumi 144 eguali d’ acido carbonico e d’ ossido di carbonio, ciò era facilmente spiegato per la grande affinità dell’ acido solforico verso 1’ scqua , per cuì carbonizza e distrugge un gran numero di sostanze organiche. I fluidi elastici che il sig. Gay Lussac ha ottenuti dalla scompo- sizione dell’ acido ossalico erano presso a poco una mescolanza di 6 parti di gas acido carbonico , e di 5 d’ ossido di carbonio. Questa pro- porzione ha variato poco nel corso dell’ operazione , bensì verso la fine l acido carbonico era in proporzione un poco maggiore. Impiegando l’ acido solforico, la scomposizione dell’ acido ossalico comincia alla stessa temperatura che quando era solo, ma una diffe- renza sostanziale è questa, che coll’acido solforico sì ottiene una me- scolanza a volumi eguali di gas acido carbonico e di gas ossido di car- bonio , mentre l’ acido ossalico solo dà li stessi gas nella proporzione di 6 a 5. Questa differenza portando 1’ autore a presumere che nella scom- posizione dell’ acido ossalico per la sola azione del calore si formasse qualche altro prodotto , delle esperienze espressamente intraprese gli mostrarono che l’ acqua abbandonata dall’ acido ossalico era acida, conteneva dell’ acido formico, che in principio sembra in piccola quan- tità per essere associato a molta acqua, ma che si ottiene sempre più concentrato verso il fine dell’ operazione , e quando l’ acido ossalico è disseccato, ha un odore penetrantissimo ed un sapore molto pungente. Considerando la proporzione ottenuta di 6 volumi d’ acido carbo- nico per 5 volumi d’ ossido di carbonio ; e supponendo che il volume mancante di quest’ ultimo gas è concorso coll’ acqua a produr 1’ acido formico, si riconosce che per 11 proporzioni d’ acido ossalico se ne produce una d’ acido formico. Non vi è alcun dubbio che 1’ idrogene è stato somministrato all’ acido formico dall’ acqua e non dall’ acido ossalico, perchè l'acido carbonico e l’ossido di carbonio avrebbero do- vuto prodursi a volumi eguali. È questa una conseguenza necessaria della natura dell’ acido , ben conosciuta attualmente per Ì’ esperienze dei sigg. Dulong e Dobereiner. E da avvertirsi che se sì applichi alla scomposizione dell’ acido ossalico un calore moderato e non troppo forte , tutto 1’ acido ossalico è seomposto senza che se ne volatilizzi porzione alcuna. Da queste osservazioni il sig. Gay-Lussac conclude esser necessario non più separare l’acido ossalico dalle altre due combinazioni del car- bonio coll’ ossigene , cioè 1’ acido earbonico e l’ ossido di carbonio ; però egli pensa che l’ acido ossalico potrebbe esser riposto fra quegli acidi nei quali il radicale entra per due equivalenti, ed in tal caso il nome che gli converrebbe sarebbe quello di acido ipocarbonico, per analogia cogli acidi iposolforico ; iposolforoso , ec. ( vi pag. 218). 145 Esame dei fenomeni presentati. dall’ azione del calore sull’ acetato neutro di piombo, e dei prodotti che si svolgono. Di Carro M arTEvCCI. In mezzo ai numerosi fatti che tutto giorno presentansi nello stu- dio delle scienze fisico-chimiche, quelli meritano di essere. più profon- damente studiati che da vicino, si legano colle teorie. Uno di questi fatti è quello che mi è avvenuto di osservare per la prima volta sull’acetato di piombo esposto all’ azione del calore. Consiste questo nelle diverse fusioni e condensazioni che prova questo sale passando per diversi punti di riscaldamento sino a quello della decomposizione. vi Prendasi infatti dell’ acetato neutro di piombo (p bA+6Aq) ; e leggermente si scaldi in uno capsula di vetro con una lampada ad alcool. Comincia subito ai +- 46° R. a fondersi; la massa liquida bolle, e seguita così sin sopra ai + 80°R, alla quale temperatura si condensa in una massa bianchissima. Per tale prima fusione e condensazione dell’acqua sola si svolge. Esaminato infatti l’ acetato rimasto , |’ ho sempre trovato composto alla guisa dell’ acetato anidro (Pb 7°). Se si prosegua allora a riscaldare, poco sopra della temperatura alla quale l’-acetato s’ è preso in massa solida , prova questi una seconda fusione, ed ai 224"R. è completamente liquido. Bolle così per qualche tempo, e dopo aver preso un colore brunastro, si consolida di nuovo ad un tratto alla temperatura di + 525° R. (*). Dell’acido acetico per la mag- gior parte, alcune traccie di spirito-piro-acetico si producono. La so- stanza consolidata è di un colore bianco sporco , e non presenta alcuna cristallizzazione. Esaminatene le proprietà e fissatane la composizione, mi sono assicurato che questo nuovo prodotto altro non era che l’ace- tato tribasico (p° TU . Questi fenomeni, che certo potrebbero estendersi ad un maggiore numero di combinazioni, come ho di gia potuto assicurarmene, mostrano abbastanza chiaramente che v’ hanno sempre certe proporzioni negli elementi che le compongono, nelle quali l’azione chimica si esercita col massimo effetto; e queste proporzioni sono quelle appunto che vengono fissate dalle leggi della dottrina atomistica. Alcune condizioni (*) Queste temperature sono state fissate servendosi del termometro già usato da Dulong e Petit nelle loro esperienze sul Calore. Io poneva l’ acetato di piombo in un vetro d° orologio che faceva pescare in un bagno d’olio caldo. Nel bagno stesso trovasi pure un tubo di vetro terminato assai stretto e pieno di mercurio. Così tenendo conto del mercurio sortito’ nelle diverse epoche , no e corrispondenti temperature. ( Re- meme cherches sur la mesure des Températures par MM. Dulong et Petit ). T. IU, Aprile. 19 potei colla formula t°= 140 però sono necessarie alla produzione di questi fenomeni ; e talì sono la fusibilità delle combinazioni, la volatilità di uno degli elementi, e infine la esistenza ‘delle stesse combinazioni in proporzioni diverse. Dopo di avere così esaminati i fenomeni che presenta per l’azione del calore 1’ acetato neutro di piombo , mi resta ora ad esaminare i prodotti che se ne svolgono. Da principio per la prima fusione la sola acqua sì ottiene. Poscia oltre li # 80° R. epoca in cui di nuovo comin- cia a fondersi, dell’acido acetico nella maggior parte, con alcune trac- cie di spirito-piro-acetico si producono; e non è che dal punto' della seconda condensazione sino alla completa scomposizione del sale che del solo spirito-piro-acetico si sviluppa. Dell’ acido carbonico, in molta quantità vi sì svolge insieme. È sopra quel primo prodotto, di cui la composizione e le proprietà sono mal conosciute , che ogni mio esame si è diretto particolarmente. È inutile che io ne descriva le proprietà fisiche ; queste sono già state con esattezza esposte in una memoria di Chenevix (*). Non parlerò pure del metodo di preparazione; dirò solo che è necessario neutralizzare la piccola quantità d’ acido acetico che iusieme vi si sviluppa, e che conviene distillarlo più volte , e ad un calore ben lento sul cloruro di calcio, per ottenerlo affatto privo d’ acqua straniera alla sua composizione. Onde averne una maggior quantità , io mi sono servito dell’ acetato di calce, o di barite, che ho calcinati in una piccola storta di porcellana comunicante con un pal- lone ove raccoglievasi. Mi serbo ora unicamente a darne l’analisi , e ad esaminare alcuni nuovi fatti che tendono a stabilire il suo vero modo di composizione. Fatto passare questo liquido in vapore sull’ ossido di rame riscal- dato al rosso nascente , e tenuto conto dell’ acido carbonico e dell’ a- cqua prodotta, ne ho determinata la composizione , che può rappre- sentarsi prendendo la media di diverse esperienze per 6, 4039 di Idrogene 59, 8600 di Carbonio 33, 7301 di Ossigene 100. Dopo di avere in questo modo fissate le proporzioni degli elementi che compongono questo liquido, egli è agevole di vedere che una tale composizione può rappresentarsi da 3 volumi di idrogene , 5 vol. di carbonio , ed 1 vol. d’ ossigene. Moltiplicando ora per 4 questa composizione dello spirito-piro-ace- tico, ella diviene 04 C2° Id.!12 e può rapprssentarsi da 1 vol. d’ acido acetico . . ...... = 08 C8 Id.6 da 1 vol. di vapor d’ acqua. ......=0 Id.2 e da 4 vol. di bicarburo d’ idrogene-. .. = (13 Id.4 04 C21 [d,12, (*) Annales de Chimie et de Physique Vol. LXIX. P. S. 147 Un tale modo di composizione, che ricever potrebbe conferma dalla conoscenza della densità del suo vapore , è però abbastanza mostrato dai seguenti fatti. i Abbandonato:a se questo corpo anche in vasi chiusi non tarda che alcuni giorni a decomporsi. Io 1’ ho visto più volte esposto all’ aria, in pochi minuti farsi acido e lattiginoso. In questi casi sempre il .li- quido si fa acido, ed è l’acido acetico che si produce , e una sostanza d’ apparenza oleosa se ne separa. A contatto della calce della potassa della soda, massime a caldo; sì scompone ; la sostanza apparentemente oleosa si mostra , e si fanno ace- tati di queste diverse basi. L’ azione poi del cloro sopra, questo liquido è la più marcata. Se si mettano a contatto del cloro gasoso raccolto in una boccia comune 0,g%1; 0,gr2 di spirito-piro-acetico vedesi il mi- scuglio farsi tosto lattiginoso. Abbandonato poi alla luce diffusa ed anche ‘alla oscurità; non sono scorse 12 ore che già il liquido è affatto limpido ; e che uno strato di una sostanza verdastra vi galleggia sopra. Il gas che trovasi nella boccia è in gran parte cangiato in acido idro- clorico. Il liquido: pure! è estremamente acido , e l’ odore. ne è assai piccante. Lo strato oleoso si fa quasi solido coll’ aggiunta dell’ acqua fredda ; così 1’ ho più facilmente separato dal liquido. L’ho più volte lavato , sinchè le acque lavanti non più precipitassero col nitrato «d’ argento. Questa sostanza così separata è insolubile nell’acqua; scio gliesi invece assai bene nell’ alcool. L’ odore ne è estremamente aro- matico ; esposta all’ aria prende dopo alcuni giorni un bel color verde. Da principio io credetti che una tale sostanza non fosse che una delle combinazioni di cloro e di idruro di carbonio scoperte. da Faraday ; ma presto mì assicurai che ciò non era. Bruciata infatti in un tubo di vetro e raccoltine i prodotti, questi non hanno in alcun modo precipitato col nitrato d’argento. Benchè adunque la poca quantità di materia m’ abbia impedito di fissarne la composizione , io credo poter concludere dalla sua insolubilità nell’ a- cqua., dalla sua solubilità nell’ alcool, dal suo odore, dalla facoltà di fondersi ec. , non essere questo prodotto che una combinazione di idrogene e di carbonio analoga alla naftalina, all’olio dolce di vino ec. Mi restava poscia ad analizzare il liquido da cui la sostanza oleosa erasi separata. Cominciai dal neutralizzarlo colla potassa , e fatto po- scia evaporare ottenni un deposito salino, che facilmente riconobbi non essere che un miscuglio di idroclorato e di acetato di potassa. L’ azione del cloro adunque su questo liquido mi sembra una evidente conferma del supposto modo di composizione. Farò infine qui, notare che prendendo una, più grande quantità di spirito-piro-acetico colla stessa di cloro, non più uno strato liquido oleoso sì produce, ma bensì una sostanza cristallizzata in aghi finissimi. Questa però riscal- data si converte nella sostanza oleosa su esaminata. Per ultimo l’ azione del potassio sullo spirito-piro-acetico merita 148 bene di essere qui notata. Se si ponga in un tubo una piccola quan- tità di potassio, e sopra vi si versi dello spirito-piro-acetico, l’azione la più viva ba tosto luogo ; molto calore si sviluppa, ed il liquido si ‘ fa denso e di nn color giallo bruno. Dopo pochi istanti una sostanza oleosa sollevasi a grosse bolle , e viene a galleggiare sul liquido. Que- sta sostanza di un bel colore verde , e di un odore analogo a quello della menta , è certamente identica con quella dal cloro separata. Il liquido da cui questa sostanza oleosa separasi contiene dell’ acetato di potassa. Sembrami adunque dopo l’esame dei fatti in questa memoria contenuti poter concludere ; 1.° che 1’ acetato neutro di piombo ed alcuni altri sali , fusi dall’ azione del calore , sono capaci di prendere malgrado questa , lo stato solido ad alcune epoche , corrispondenti ai punti di composizione determinati dalle leggi atomistiche ; 2.° che per la scomposizione di questo acetato svolgesi un liquido, che potrebbesi più giustamente chiamare efere-piro-acetico di quel che spirito-piro-ace- tico , la cui composizione può rappresentarsi per quella di un acetato idrato, di idruro di carbonio. ( Id.6 C4 03 Id.2 0 -4Id. G3 ). ( Stato Romano ) Forlì 1 Maggio 1831. Lo stesso sig. Carlo Matteucci in una sua lettera scritta al prof. Gazzeri sotto di 23 Maggio 1831 soggiugne che anche il quadrossalato di potassa , esposto come l’ acetato di piombo all’ azione del calore , gli ha presentato i fenomeni stessi che quest’ ultimo sale , fondendosi, entrando in ebollizione , quindi consolidandosi, e convertendosi in biossalato di potassa. T VARIETA”. Nella Biblioteca Universale di Ginevra, marzo 1831, a pag. 3ro, si trova la seguente Lettera che il sig. PescHIER; dottore in medicina ed in chirurgia ha indirizzato agli estensori della Biblioteca Universale sul- l’ impiego del cotone cardato per la medicatura delle piaghe. Non vi è pregiudizio talmente privo di fondamento che non si per- petui e non acquisti ogni giorno maggior consistenza, nè ve n’è alcuno di così piccola importanza che il distruggerlo non possa produrre le più fe- lici e le più grandi conseguenze. Io imprendo a combattere uno di que- sti ultimi: mi reputo fortunato potendo farlo in un’ momento veramente opportuno , vale a dire quando la verità sostituita all’ errore precederà il momento in cui, essa, a certi riguardi avrebbe potuto ‘costare assai. Il pregiudizio che io pretendo distruggere è quello di credere che il cotone irrita le piaghe. Ciò è falso, assolutamente falso , e facendolo conoscere mentre dura la pace attuale , st può cambiare completamente il sistema d’ approvvisionamento degli spedali fissi ed ambulanti per il tem- 149 po di guerra , per il caso che gli avvenimenti la preparino ; sostituire il cotone cardato alle fila , e delle pezze di tela di cotone , nuova , di qualunque forma e grandezza , a dei pezzi di tela di lino e di canapa attualmente ‘così rara , e così cara, non sarà un mediocre vantaggro , al vil prezzo in cui si trova ora il cotone. Io non sono il primo inventore di questa preziosa scoperta ; voi non ignorate che essa è dovuta al caso, e che ciò avvenne in America. Un fanciullo era stato gravemente bruciato dal fuoco; la prima persona che si avvicinò ad esso lo pose sopra un monte di cotone da cardare, an- dando frattanto a cercar soccorso. Qual fu la sua sorpresa allorchè; tor- nando sul posto, vide ‘che un sonno profondo era succeduto alle strida commoventi che poco prima gettava quel fanciullo infelice! Benchè le bru- ciature fossero state profonde , esse guarirono sotto il cotone che niuno ardi rimuovere di sopra le piaghe. Questo fatto degno d’ attenzione non è stato perduto perl’ arte medica ; l’ applicazione del cotone cardato sulle bruciatare si è propagata col più universale successo, e soprattutto nei casi più disperati, allorchè la pelle ed anche le carni erano state ab- brustolite ; si è veduto il cotone permettere la caduta delle escare e la suppurazione, senza troppo dolore , e preservando la vita del malato , che ordinariamente corre tanto pericolo in casi simili . Questi fatti son conosciuti ; io non li cito quì se non come parte obbligata della storia dell’ introduzione del cotone nella cura delle pia- ghe. La scorsa estate , agli esercizit del campo di Bière , io ho potuto fare una felice applicazione d’ un mezzo così semplice , sopra due arti- glieri che avevano avuto le mani ed il volto avvampati , con distacco dell’ epidermide, per la deflagrazione subitanea d’ un cartoccio di polvere che introducevano in un cannone. Siccome io aveva avuto la ‘precat- zione di provvedermi di cotone cardato , pensando che addetto alla di- visione d’ artiglieria io avrei delle bruciature da medicare , cuoprit con esso tutte le parti offese dal fuoco. Questo metodo ha avuto un esito così felice , che , sebbene questi militari abbiano avuto le mani e. più ancora la faccia stranamente gonfiate , colle palpebre tumefatte e le narici ostruite, nulladimeno sono guariti così perfettamente , che non si scorge sopra di essi traccia alcuna di quell’accidente: Ma lasciamo l’utilità del cotone nelle bruciature come un fatto accertato. Precisamente nella stessa epoca io sono stato chiamato a medicare in una stessa famiglia cinque individui malati di tifo , che in tutti è per- venuto al più alto grado di gravità, e del quale niuno di essi è perito. Ma uno di questi; giovane di dodici anni, è stato vittima d’escare enormi in estensione ed in profondità , situate su tutti quei punti del corpo\che erano stati obbligati a soffrire una pressione , o soltanto un contatto per- manente; quella del sacro aveva almeno sei pollici di diametro, quelle dei trocanteri ne avevano acquistato, una cinque, l’ altra quattro ; ve ne erano di quasi due pollici a ciascun ginocchio, e delle più piccole at piedi. Non è necessario dire che il malato era ridotto all’ ultimo grado d’ema- ciazione; ma debbo aggiugnere che i. dolori erano talmente acuti che il 150 giovane gridava continuamente giorno e notte , e che io ho dovuto lottare un momento col priprietario della casa, il quale voleva farne uscire il malato perché i suoi gridi continui da più d’un mese facevano fuggire gli altri abitanti. Dopo avere impiegati in vano i mezzi prescritti per tali casi , io pensai al cotone cardato, e ne feci applicare un guancialetto alquanto alto sopra ciascuna piaga ; la notte immediatamente seguente il malato dormi , essendosi calmati i dolori come per incanto ; io ho: fatto continuare quest’ applicazione, e adesso tutte quelle escare, che hanno cominciato nel mese di settembre decorso, son ridotte allo stato di pic- colissime piaghe semplici; il malato ha riacquistato delle forze , nonostante un enorme suppurazione , e passeggerebbe se non glie lo impedisse una forte contrazione d’ambedue le gambe. Le sole precauzioni che sono state osservate in questa. cura importante sono le seguenti, che io riguardo come indispensabili per la buona riu- scita. INon.si cambiavano i guancialetti di cotone se non quando la quan- tità della. suppurazione incomodava il malato e staccava il cotone quasi in totalità ; ma nella medicatura st aveva molta attenzione a tagliare con buone cesoie e non mai strappare i filamenti di cotone che aderivano al contorno della piaga. Una riuscita così inaspettata non mi ha più permesso di dubitare che qualunque specie di piaga 0 d’ ulcera non potesse essere ‘utilmente \medi- cata col cotone cardato, asciutto e. senza alcuna aggiunta. L’ occasione di farne uso non ha tardato a presentarsi. Uninfelice afflitto da un enor- me carcinoma della faccia è medicato in questo momento nella stessa ma- niera , senza che gli si faccia provare il minimo dolore ; la malattia es- sendo di sua natura incurabile , io non ho avuto la pretensione di gua- rirla.per questo mezzo , bensì. ne ho;resa sopportabile la medicatura. In tuttii casi. di, piaga 0 semplice o complicata , d’ apertura d’ar- teria ( del pugno , dei diti), ho applicato il cotone cardato , ed il suc- cesso è stato il più pronto > il più dolce , ed il più completo. Uno dei miei confratelli ne ha fatto accidentalmente la stessa esperienza , in una piaga della testa complicata d’ emorragia. Il pregiudizio riguarda. il co- tone come pericoloso specialmente per gli occhi : io ho medicato un uomo la faccia. del quale era stata fortemente contusa per una caduta sopra delle pietre, un angolo delle quali aveva fatto una piaga lacerata con introduzione di. fango alla guancia ed alla palpebra inferiore. Io. non mi sono servito che di. cotone cardato , sotto il quale tutte le piaghe sono prontamente e perfettamente guarite. Finalmente io l’ impiego con un successo non meno felice sopra delle ulceri scrofolose ,. delle quali è nota l ostinazione e la resistenza alla guarigione. To non cito questi fatti se non per dimostrare che il. cotone può es- sere applicato indistintamente a tutti i casi di piaghe e d’ ulceri ,e che in vece d’essere ; come si qualifica ingiustamente , velenoso , cioè ir- ritante , presenta al contrario la materia più dolce e più utile per le medicature. Ma, lo ripeto ; egli è indispensabile per la riuscita non fare 151 che medicature rare , e non cercar mai di tirare a strappare i filamenti che aderiscono alla piaga » poiche facendolo si verrebbe' ad accrescerne o l’ estensione o la gravità ; le cesoie maneggiate con leggerezza devono separare dai filamenti che aderiscono la massa che si. stacca \da. sè stessa. To sono il primo ‘a riconocere che vi è pochissimo merito scientifico nell’ aver sostituito il cotone alle fila } ma io ‘credo di prestare un ser- vizio molto segnalato agl’ infelici malati di piaghe, ai loro parenti , ed in particolar modo a tutte le amministrazioni degli spedali civili e mili- turi dei paesi civilizzati, avvertendoli che non hanno più a darsi pena per procurarsi la filaccia , materia che non è sempre di facile conserva- zione , che facilmente s° infetta di miasmi , e di cui non si può , senza un certo pericolo , fare ammassi considerevoli , 1 quali sono più o meno costosi. Il cotone cardato si trova dovunque , è d’ un valore piccolissi- mo ; il ricco , l’uomo comodo non ricuserà mai di comprarne per il po- vero che ne avrà bisogno , e li spedali potranno sempre provvedersene al momento del bisogno colla più grande facilità. Si deve dire lo stesso della tela di cotone ; essa è a bassissimo prezzo , anche la più bella e la più fine ; altronde essa ha precisamente il grado di docilità che richiedono le fasce e le compresse ; essa oc- cuperà nelle casse degli spedali ambulanti molto meno di posto che lu tela di lino o di canapa ; si troverà dovunque in abbondanza , e non vi è alcun servizio di sanità militare , che , ponendo in un carro una pezza di tela di cotone, non sia sicuro di provvedere a tutti i bisogni d’una campagna. Gradite , ec. Ginevra 16. febbraio 1831. C. G. Peschier. Il dot. Giuseppe Giuli, pubblico professore di storia naturale nel- l’ Università di Siena, ha recentemente pubblicato in Siena stessa per le stampe del Rossi una sua lettera al prof. Gazzeri , colla quale gli accompagna un catalogo di minerali da lui trovati in Toscana in un suo viaggio mineralogico che per servire alla tecnologia toscana ha eseguito per commissione speciale di S. A. I. e R. il Granduca. Le specie di minerali e le rocce indicate in questo catalogo sono quelle che , per quanto il prof. Giuli abbia potuto saperne , non sono state trovate o riconosciute da altri naturalisti in quelle stesse località nelle quali egli le ha rinvenute , sebbene si sappia che, molte di esse almeno , esistono in altre parti della Toscana. L° autore ha distinto il continente toscano in 27 sezioni, 25 delle quali si riferiscono a 25 vallate , e le altre due a due monti isolati , nel modo che appresso : 1. Valle tiberina; 2. Valli transappennine ; 3. Valle di Serchio; 4. Valle di Seravezza ; 5. Valle di Magra ; 6. Val d’ Arno casentinese; 7. Val di Chiana ; 8. Val d’Arno di sopra; 9. Val di Sieve; 10. Val di Greve; 11. Val di Bisenzio e d’Ombrone ; 12. Val 152 d’ Elsa ; 13. Val di Nievole; 14. Val d’ Era ; 15. Val d’ Arno inferio- : re ; 16. Val di Cecina ;' 17. Val di Cornia ; 18. Val di Pecora; 19. Val di Mersa; 20: Val d’Arbia.e Ombrone; ar. Val d’Orcia; 22. Val d’Om- brone inferiore ; 23. Val d’ Albegna e Osa ; 24. Montamiata ; 25. Val di Fiora ; 26. Val di Paglia ; 27. Monte Argentale. Quanto alle isole toscane , l’ autore le ha riunite e distinte come appresso : 1. Giannutri e Formiche ; 2. Giglio ; 3. Monte Cristo:; 4. El. È ba, Palmaiola, e Gerboli; 5. Pianosa e Gorgona. ) Questo catalogo ; che comprende circa 300 minerali, deve. essere, ì accolto con interesse non solo dagli amatori della storia naturale, ma, 4 anche da tutti quelli che sono nel caso d’impiegare nelle diverse arti e manifatture alcuni dei varii prodotti del regno minerale. GEOGRAFIA E VIAGGI SCIENTIFICI. Sulla scoperta dell’ imboccatura del Niger, o Nilo de’ Negri. Lettera al DrrrrToRE dell’ Antologia. Non v’incresca, mio buon Vieusseux, che la mia penna sia quella che ai lettori dell’Antologia rechi, per mezzo vostro, la prima novella d’ una delle più strepitose scoperte fatte nella moderna geografia. Ma bene sta, che io, siccome colui che in parecchi luoghi del prezioso vostro Giornale, ebbi già campo di esternare la mia opinione intorno il corso, e lo sbocco del fiume Niger, dapprima detto Gioliba, ed ora Cuarra o Quorra, e che appunto perciò venni ad amichevole tenzone con uno dei più dotti, e più amabili vostri collaboratori, sia pure il primo ad annunziare non tanto la soluzione di quel grande problema, da più di trent'anni fra i più dotti geografi caldamente discusso, ma di un’al- tra scoperta ancora, che contemporaneamente viene a raffermare altra mia opinione , ugualmente controversa coll’ anzidetto ingegnoso vostro collaboratore. Sarà pertanto curioso il vedere , che nel documento medesimo dove ho incontrato il ragguaglio della scoperta dai due fratelli Lander or ora fatta dell’imboccatura del Quorra pel Rio Nun, presso il Capo Formoso , fra i due golfi di Benin e di Biafra in sulla costa del Cala- bar, onde si è verificata un’ opinione che io portava ferma da più di vent'anni, mì è sortito di abbattermi ancora in due prove irrefraga- bili dell’ altra mia opinione , che il prelodato vostro collaboratore, si- gnor G. P. non istette in forse di pronunziare dubbia, non probabile, e quasi impossibile. Voglio parlare dell’ esistenza di parecchi rami del fiume Indo, che si aprono per forza un varco per mezzo di altrettante sorre , 0 gole negli altissimi monti dell’ Imalaia. All’ingegnosa e stri- gnente lettera , che a siffatto proposito |’ onorevolissimo mio avver- sario in quel tempo vi scrisse, e che voi inseriste nel N.° r1o dell’An- tologia , non si poteva , colle cognizioni locali che allora si possede- 155 vano , fare risposta di sorta aleuna. Ma dice un proverbio comunissimo: ‘‘ col tempo e colla pazienza si maturan le sorbe ,, ed io mì stava aspettando tranquillamente che nuove scoperte venissero a decidere la tenzone. Ciononpertanto ripeterò ancora in questo luogo , chel’ opi- nione del signor G. P. era, ed è sommamente plausibile, e con molta lucidità ed acutezza d’ingegno esposta ; ma che quivi ; come altrove, non havvi , nelle cose create , alcuna regola senza la sua eccezione. Per maggiore chiarezza mi permetterete di fare in pochi detti l’epi- logo dei punti controversi. Le due opinioni mie opposte a quelle del signor G. P. erano, l’uza di massima generale in orografia, e potamo- grafia , e l’altra di applicazione speziale agli africani monti di Kong , ed al fiume Quorra o Niger. Io sosteneva, nella prima, l’esistenza di monti primarii, che dian passaggio a fiumi scaturienti su uno dei loro fianchi, perchè poi cor- rano nelle valli del fianco opposto ; e conseguentemente, che le acque fiumali vadano qualche volta dalla terra al mare da un lato opposto della catena di monti d’ onde scaturiscono. Nella seconda credeva, ed ho sempre creduto, che i monti di Kong o non erano concatenati con quelli dell’ Africa centrale , 0s'iu- curvavano verso il sud, e verso il golfo di Guinea per dar passo al Quorra , onde versasse le sue acque o nel fondo di quel golfo , o più al mezzodi nel mare del Congo , nè più nè meno di quel che fa nel- l’Asia 1’ Imalaia rispetto al Brumaputer, ed al Sindo , e che in Europa fanno le Alpi elvetiche e pennine a riguardo del Rodano, il quale nonpertanto è costretto , sedici miglia sotto Ginevra, presso l’ Ecluse, a sprofondarsi sotto un enorme masso di quelle alpi, onde aprirsi per forza un passaggio attraverso alcune sotterranee caverne , che fanno dare a quel luogo il nome di Perdita del Rodano. Voi avete già osservato , mio caro Vieusseux ; che l'una, e l’al- tra di queste mie opinioni vengono con nuovi fatti irrefragabilmente comprovate , nell’ ultimo quaderno pel mese di maggio di quest’ anno delle Mouvelles Annales des Voyages et des Sciences géographiques, che :.sî pubblicano in Parigi dai Sigg. Eyries, Larenaudière , e Klaproth. In primo luogo si leggono quivi due articoli estratti dall’ Asiatic journal che si pubblica in Calcutta, dal primo dei quali apparisce , che il francese sig. Gérard, attraversando nel mese di agosto dell’ anno passato , gli alti piani di Ruptsciù e di Rotang nell’ Imalaia , a più di 11,000 piedi inglesi sovra il livello del mare, riconobbe, ed esami- nò , come aveano già fatto prima di lui i signori Moorcroft, Hodgson ed un fratello del medesimo signor Gerard , le due gole per le quali il Setledge (1’ antico Hesudrus ) ed il Beiah (l’ antico Hyphasis ) si aprono , venendo dalla valle opposta detta Spifi , un varco per passare al mezzogiorno di cotesta immensa giogaia di monti primordiali. I due fiumi di Ciandra-bega o fiume della Luna > e Surudge-bega, fiume del Sole, che col loro confluente formano il Beial, nascono appunto , nei KH II. Aprile. 20 154 va mouti di Paralasa , da un lago situato a 10,200 piedi inglesi di eleva- zione sovra l’ oceano. Da un altro passo del medesimo articolo s’infe- risce , che il Ciunab, o Cenab (1’ antico Acesines) si apre anch’esso un varco per un’ altra sorra , o passaggio angusto dei medesimi monti dell’Imalaia. Nel secondo articolo il signor Victor Jacquemont, in due lettere scritte da quella medesima regione, cioè l’ una , dei g settembre 1830 da Larî nel paese di Ladak, e V’ altra del 23 ottobre da Sim/ah nel- l’Imalaia indiano , dice , ch’ entrato nella giogaia di quei monti per la valle di Dheira , e visitate le sorgenti del Giemna, e del Gange, rimontò quindi più verso l’ occidente il Setledge , camminando per le falde dei monti, che dominano e riserrano le sponde e l’ alveo di questo fiume , passò al settentrione dell’ Imalaia per cotesto incavo o taglio (échancrure naturelle ) attraverso del monte, nel paese di Kanaor , tributario degli inglesi , e di là dentro i confini dell’impero cinese. Lo stesso villaggio di SimZah, da dove scrisse 1’ ultima sua let- tera , è situato sulla sponda dello Spit: , presso le sue foci nel Setle- dge , a 12,140 piedi inglesi sovra il livello del mare. Ritornando poi da colà nell’ India per una delle gole della catena meridionale, od india- na , trovò che la loro elevazione era comunemente dai 15 ai 16 mila piedi, cioè di tremila inferiore al. livello medio degli stretti , o passi angusti fra i pichi delle montagne , che cuoprono il Thibet, e la Tataria. Non è dunque più dentro i limiti delle conghietture il passaggio di quei due o tre rami dell’ Indo attraverso l’ Imalaia , cioè del Set- ledge, del Beiah , e del Cenab; e non lo è certamente nè pure quello del ramo principale detto Leh, che da più secoli si sa che nasce al settentrione dell’ Imaus o Caucaso dell’India, l Hindu-Kosh e VImalaia dei nostri dì, nelle vicinanze appunto dei laghi di Ravar, e di Manas- surovar , presso il quale ultimo scaturisce ‘verso il levante , e parimente al nord della cresta del: monte, il Sanpu o Bramaputer, e poco di- stante al mezzodì , o sia sul fianco opposto , il Pudda , o Gange. Si direbbe quì, che se nell’attuale confiturazione della superficie del no- stro globo, dopo Vultimo Grande cataclismo , alcun luogo terrestre po- tesse identificarsi col sito del paradiso di Adamo , e d’Eva , niuno vi sarebbe più conveniente del distretto di Manassarovar, tenuto sacro non solo da tutti i popoli di quella elevata regione,,ma sì bene da tutti coloro che sieguono le antichissime dottrine di Brama, di Sciamman e del Gran Lama. I quattro fiumi che vi nascono quasi da un medesimo immenso serbatoio di acque, cioè l’Indo, il Setledge, il Brumaputer ed il Gange, sono sempre fra le più rispettabili acque correnti del globo terracqueo. Checchenesia, la costituzione fisica di cotesta parte del globo offre in- finiti fenomeni d’ una temperatura, e d’ una rarefazione dell’aria quasi incredibili in Europa, ove non sì hanno finoggi se non idee od affatto erronee, 0 molto confuse della natura e degli effetti dell’ atmosfera e della meteorologia del così detto Altipiano della Tataria, da molti cre- } 159 duto la culla del genere umano, e dove il signor Gerard trovò , nel villaggio di Darfscia, al nord del Paralasa, che il termometro di Réan- mur all'ombra, segnava quasi 24 gradi nei primi dì di settembre, in poca distanza dalle creste de’ monti , coperte di eterna neve , della quale il limite è colà fra i 19 edi 20 mila piedi sul livello del- 1’ oceano. Ma torniamo al Niger , ed ai monti del Kong, che nella parte dove vennero varcati da Clapperton e dai fratelli Lander non hanno nep- pure 2500 piedi di elevazione; laonde pare che non meritino nè meno il nome di primarii. Ed eccovi, mio ottimo amico, una lettera pubbli- cata nei giornali inglesi, e tradotta in francese nel quaderno medesimo anzidetto degli Annali di Statistica , la quale mette fuori di ogni dub- bio, che il famoso Niger ha pur trovato un varco, o girando intorno ad un gomito di cotesta catena, o precipitandosi, come vicino a Bussa, attraverso uno stretto angusto, e profondo della medesima. A bordo dell’Athol , vascello di S. M. nella rada di Biafra, a 2 febbraio 1831. € M° approfitto della partenza d’ un bastimento che va in Inghil- terra, per annunziarvi in fretta, che il gran problema geografico riguardo l’ imboccatura del Niger è finalmente sciolto ,,. “ I due fratelli Lander giunti a Iouri , vi s’imbarcarono in snl Niger, quivi denominato Kouarra, e calando per quel finme in una so barca, arrivarono finalmente nella baja di Biafra. Il braccio del fiume del quale seguitarono il corso , è quello chiamato Rio Nur, »» 0 fiume di Brassé; ed è il primo che s’incontri al levante del pro- montorio Formoso. Nel loro viaggio i due fratelli furono assaliti e fatti prigioni dagli Hibbui, popolo feroce, che occupa le rive del fiume. Ma il re di Brassé , che trovavasi in quel paese per la tratta degli schiavi, li fece rimettere in libertà, donando sei schiavi 3, in cambio di ciascheduno di essi. Nel conflitto ch’ebbe luogo fra 3» loro, e quei selvaggi, uno dei fratelli perdette il suo gior- 3» nale ,,. “ Durante il loro soggiorno a Iouri acquistarono un libro di pre- »» ghiere già appartenente ad Anderson, cognato e compagno di viaggio 3» cli Mungo Park. Rimasero poscia quasi un mese nell’isola di Fer- 3 dinando Po, da dove s’imbarcarono , dieci giorni fa, sopra un legno 3» mercantile inglese per condursi a Rio Taneiro, d’ onde si restitui- 3, ranno in Inghilterra. Questo giro che debbono fare mi fa sperare , 3, che questa mia lettera possa pervenirvi prima del loro ritorno e »» che potrete essere il primo ad annunziare al pubblico cotesta im- 3» portantissima scoperta. ‘“ Non mi ricordo di alcun altro fatto , che meriti di esservi co- 3» municato ; ma quand’anche il volessi, non avrei il tempo di farlo, 156 s; giacchè il battello col quale spedisco questa lettera alla nave che ,; parte , sta per mettersi al largo ,,. (Sottoscritto) Alessandro FisneR, chirurgo di bordo. Ecco dunque verificata del tutto l’ingegnosa, e finoggi molto con- trastata ipotesi del celebre geografo tedesco Reichard , che trent’ami or sono, suppose, e dimostrò quasi, che le provincie di Owari e Calbari nella Guinea formassero un delta di questo Nilo occidentale dell’Africa. Uno dei più saldi suoi argomenti era quello che niuna elevata catena di monti esistesse fra i così detti monti della Luna ed il golfo della Guinea. Epperò io avea, nel 1817, dopo Jetta la relazione del Mauro Sedi Hhamed come pubblicata dal capitano Riley, cominciato a cre- dere , che quel famoso fiume andasse a sboccare per lo Zaire nel mar del Congo, e la spedizione dello sventurato maggiore Tuckey non con- tribu punto a farmi ricredere. D'altronde saprete probabilmente, che fin dall’ anno 1820 il signor Macqueen editore del corriere di Glasgo- via, sottomise al governo di S. M. Britannica una sua memoria, cor- redata d’ una grande carta dell’ Africa nella quale avea disegnato il corso intero del Niger, facendolo appunto metter foce sotto la costa di Calabar, e nel seno di Biafra. Attendete a star sano, e di me ricordevole. A 16 di giugno 1831 di Borgo la Croce. Iacopo GragerG DE Hemsò. PS. Debbo farvi osservare, ch’ egli è abusivamente, e non per altro che per seguire la moda, che io do qui al Quorra il nome di Niger o Nilo dei Negri, giacchè questo nome dovrà propriamente darsi al Jeov o qualche altro gran finme de’regni di Afnu, di Haussa, e di Bornù , già conosciuto fino dai tempi di Erodoto che ne parlò assai distintamente. Probabilmente vi avrà qualche diritto ancora il Ciari o Sciari. NECROLOGIA. ; Giovanni Molina. Giovanni Molina , nato il 24 giugno 1740 al Chili presso Talca da nobile e agiata famiglia , restò orfano del padre nell’età di sei anni. Avendo egli fin da allora dato indizii di facile intelletto e di una propensione in specie verso le naturali conoscenze, fu dalla ma- + dre mandato , per porre le fondamenta ai suoi studi, nelle scuole primarie della Concezione. Trapassate quelle al compier del sedicesimo anno , si recò nel collegio de’gesuiti a sant’ Jago capitale del Chili. 157 Quivi fece per due anni il suo noviziato , e professò la prima volta secondochè volevano le leggi di quel religioso istituto. Passò indi a Bocalemo , terra in poca distanza da s. Jago, in altro collegio di ge- suiti per istudiare umanità. La vicinanza del mare, e una ben fornita biblioteca ‘attinente al collegio , furono opportunissime a mutrigli l’ amore delle scienze naturali, e a porgere a lui materia di più estesa dottrina. Tornato a sant’ Jago per dare compimento al corso degli stu- di, prescritto dall’ ordine suo , fu egli tenuto degno, quantunque giovine «di venti anni, dell’ incarico di bibliotecario al collegio, stante la conoscenza, procacciatasi in gran parte da se, delle lingue italiana, greca , latina, francese , e spagnuola. Il gergo della scuola , decorato in quei tempi del nome di filosofia, cui doveva mettere studio , non piacque al suo ingegno avvezzo all’osservazione e ai confronti delle cose. Rivolse pergiò l’animo all’ esame de’ pensamenti degli antichi , poi a quelli de’ moderni : gustò Cartesio e Newton , e diè loro la pre- ferenza nella scoperta della verità. Antepose , come più probabile , la dottrina d’ Eulero intorno la diffusione della luce. Avvenuta la soppressione de’ gesuiti in tutti gli stati della Spagna, il Molina con gli altri padri della società s’ imbarcò nel febbraio del 1767, e trasportato venne al luogo di sua destinazione nella città d’ Imola, assegnata a domicilio dei gesuiti chilesi. Quivi soggiornò per più di quattro anni: e in tale frattempo fu consacrato sacerdote. Nel 1774 si recò a Bologna per aver quì alla fine una stabile di- mora. Quì visse di fatto , fino all’ estremo suo giorno, e questa ma- dre degli studi ha potuto essergli degnamente una seconda e cara pa- tria pel corso di ben undici lustri. Un compendio della storia geografica , naturale , e civile del Chili, uscito in luce per le stampe dell’editore della gazzetta di Bologna nel 1776 , senza nome d’autore , parve buon segnale delle due opere pubblicate in appresso dal Molina sul medesimo argomento, l’una risguardante la naturale istoria del Chili, e l’altra la civile. ( Bol. 1781. un vol. in 8. ; 1787 un vol. in 8.). Il Compendio , seb- bene anonimo , può tuttavia dirsi di lui con la maggior probabilità. Fu il desiderio di trovare un’ occupazione che il mosse a donarsi intieramente all’istruzione della gioventù. Per più di quarant’ anni tenne privata scuola , con assenso del governo , a’ giovanetti bolognesi, che 1’ ebbero poi sempre in conto e di maestro e di padre. La grati- tudine e la stima di loro , fatti adulti , gli valsero particolarmente per istampare di nuovo , nel r#ro , la storia naturale del Chili , am- pliata di molte osservazioni ; e per conseguire un annuo assegnamento, non che il titolo di membro pensionario dell’ istituto italiano. La morte .d’un suo pronipote, che avvenne al Chili nel 1815, il rese di pien diritto padrone di una ricca eredità , della quale di- spose col fondare una pubblica biblioteca nella città di Talca. Sino dal 1825 il Molina diede ‘segni della sua decrepitezza. Negli anni dopo ei soggiacque a due malattie ben gravi, dalle quali scampò 158 per le cure dell’ottimo amico suo l’egregio dottor Pistorini. Ma le forze del suo corpo divennero così scarse da non poter reggersi in su’ piedi. Alla fine nell’ agosto del 1829 una lenta febbre lo prese , e il 12 settembre alle otto della sera 1’ estremo scemamento di forze gli tolse la vita. In quegli ultimi istanti la religione a lui porse celesti consolazioni. Così è morto l’ uomo probo e dottissimo , accompagnato dall’ acerbo dolore de’ suoi cari discepoli, e dal pianto unanime di tutti i buoni. (Estr. dal Giorn. Arcadico , ottobre 1830). Redl: Gian Giacomo Trivulzio. Il dì 29 dello scorso marzo compiè in Milano la non Iunga sua carriera mortale il marchese Gian Giacomo Trivulzio, che ve 1° avea incominciata il 21 luglio del 1774. Serbò egli sempre modi lodevolis- simi. Sortito buon ingegno dalla natura , nei verdi anni così applicò allo studio, che se ne fece necessità per tutta la vita. I classici delle due dotte lingue greca e latina , ed i nostri v’ ebber la parte princi- pale. Viaggiò in Italia e fuori, e tornò sempre in patria più ricco in dottrina e più affinato nell’intelletto. Ebbe familiarità e carteggio con presso che tutti i dotti del suo tempo; e fu ad essì larghissimo d’ogni aiuto che vedesse atto a render più fruttuose al pubblico le loro il- lustri fatiche. La copiosa sua collezione di codici e monumenti d’arte, nei quali, a bella emulazione dei suoi maggiori, profuso avea rag- guardevoli somme , era un tesoro a tutti'aperto ; siccome mostrano non pochi scritti mandati dei nostri giorni alla pubblica luce delle stampe. Ne mandé alcuno egli stesso, unite alle cure proprie que Ile d’altrui: al che fu consigliato non da povertà di mente, ma sì da troppo modesto dif- fidar di sue forze : esempio da farne gran caso in uom dovizioso, espo- sto più ch’altri all’ avide insidie dei turpi adulatori, e nei tempi nostri, in che signoreggiano ampiamente la presunzione e l’orgoglio. Del resto quanto il marchese Trivulzio per ingegno valesse, è testimo- niato in ispecial modo dalla suna bellissima edizione del Convito di Dante , rispetto alla quale scrive il ch. sig. Maggi (1), chiamato in s0- cietà del lavoro insieme col celebre Monti, che il Trivulzio portava in esso tanta perspicacia d’ intelligenza che di primo lancio gli faceva pe- netrare i luoghi più difficili ; e che è a lui dovuta gran parte delle più belle e più felici emendazioni del testo. Se gli bastava la vita, dato pur avrebbe con pari accuratezza le rime di quel grandissimo poeta: al che avea già adunati d’ assai materiali. Servano questi cenni intorno al Trivulzio, chè le latine iscrizioni dettate dall’ egregio archeologo sig. dottore Giovanni Labus (2) nella occasione de’suoi sontuosi funerali ; (1) Necrologia del march. G. G. Trivulzio , p. 10. (2) Si è più volte parlato di questo dott’ uomo. nell’Antologia. Non vo- 159 detto, e danno dei quali non le quali noi quì riportiamo, meglio dicono il da noi anche contezza degli altri pregi dell’ illustre defunto , abbiamo fatto parola. Ad Alexandriani templi vestibulum. Ioanni * Iacobo Georgii © T'heodori * fil © T'rivultio * March ‘ genere * ab * avis © et © maioribus * clarissimo equiti * cor * ferr * viro * pietate * religione © ingeniù © laude * conspicuo qui beneficentia * comitate * doctrina * integritudine praestans bonarum * artium * fautor © munificus scriptor © elegans * ipse litteratorum * praeconia © promeritus placidissimo * exitu * requievit © in * domino uxor * filius © gnatae © soror maerentes supremis © Officiis © pacem * uevi * beati adprecantur © Ad tribunal feretri. I. Institutionem * fastigio * suo © parem * nactus nobiliores * disciplinas © gnaviter * hausit generis © praestaniiam acumine * ingenti © studio * pietatis cumulavit * Il. Connubio * matronae * lectissimae * auctus totum © inclitae * prolis * dilectioni animum * iunxrit religione * integritate © beneficentia in * eremplum * enituit * gliamo ora traseurar di dire ch’ egli ha preso a scrivere alcune lettere archeo- logiche dirette al giovine antiquario veronese sig. Giangirolamo Orti. Nella prima , che già è a luce, ha con l’ usata sua maestria , dottrina ed evidenza rilevato alcuni errori in che è caduto il sig. Orti nella interpretazione di tre antiche epigrafi latine, 100 III. z Restitutores * politioris © humanitatis * reveritus scripta © eorum © sollerter © collecta ad * italici © nominis * celebritatem vel * suis © vel * amicorum * eruditis © observationibus nitide * publicavit - IV. Europae * urbes © plurimas * peragratus fautor * artium * optimarum doctrina * eloquio * moribus * magnificentia observantiam * procerum * et * doctorum promeruit * Ad Sarcophagum. 1 REA Omni * monumentorum * penu * delectatus Signis * numis * tabulis © voluminibus * erquisitis domesticas * aedes * intruxit eaque * non * tam * sibi * quam * civibus * hospitibus * advenis parata * esse * voluit * Il. Aerumnosos * candido * pectore * miseratus effusa * pecunia calamitates * eorum * infortunidque lenire * in * omni * vitu non * destitit * JI. Morbo * acerbissimo * sensim * confectus molestiam * eius patientia * maxima * pertulit hilaris © tamquam © in * patriam ex * hac * vita * migravit * 10 IV. Salve * Tacobe * optime * desideratissime BOw salve * 0 * caelo * recepte virtutes *. merita * honores © laudemque * tuam nulla * certe © apud © nos vetustas * delebit * G. B. Zannoni. Luigi Rolando. Il di 20 d’aprile finì di vivere il celebre prof. Rolando, medico e anatomista ben noto all’ Europa. Nato in Torino, fin da’prim’anni si mostrava sollecito di raccoglier piante ed insetti, e conoscere la na- tura. Laureato in medicina, visse amico e compagno del valente z00- logo il Bonelli; e del valente medico il Rubinetti; poi chiamato dalla corte in Sassari , a professore di medicina pratica in quella università, nel passar di Livorno , la febbre gialla ve lo trattenne; e. quivi co- nobbe il Mascagni. Quivi pubblicò la memoria sulla forza della vita: poi in Sardegna dopo osservazioni moltissime, diede il saggio sulla struttura del cervello. Tornato in patria, ebbe la cattedra di anatomia: molti- plicò le osservazioni sulla struttura del cervello , e sulla forza della vita; pubblicò il suo trattato ad uso de’ giovani, e parecchie memorie negli atti accademici; sulla generazione, sull’ organogenesia , sulla struttura e le funzioni del sistema nervoso. Nel 1825 viaggiò l’Inghil- terra e la Francia, ed ebbe dai dotti onorata accoglienza: nella pri- mavera dell’ anno scorso, incaricato di provvedere all’università parec- clie preparazioni anatomiche , si condusse a Firenze: donde tornato , il suo male cominciò ad aggravare. Nel gennaio s’allettò: nel febbraio chiese spontanei gli ultimi soccorsi della religione : e dopo un lungo penare, sostenuto con serenità veramente pia, senza poter ingollare nè cibo nè un sorso d’acqua, conscio sempre del suo male, e preve- dendo quasi appuntino l’ ora del transito , religiosamente finì nel- l’anno cinquantottesimo di sua età. Alla casa dell’ammalato concorre- vano ansiosi della sua salute i principali della città e del regno , e mandava il re stesso a risaperne novelle. Tanta dottrina congiunta a tale modestia , piacevolezza , lealtà meritavano un tanto affetto. Queste notizie togliamo dalla affettuosa necrologia che ne stese il ch. sig. prof. Martini , degno suo scolare ed amico. Questo valent’uo- mo in una delle sue pubbliche lezioni pagò al buon Rolando nelle se- guenti parole un novello tributo di riconoscenza e d’ affetto. “ Io lessi e rilessi più volte 1’ Iliade: ammirai quel dire: Assapo- rar la voluttà del pianto: ma non aveva ancora sentito per propria esperienza sì grande verità. Era destino che io la sentissi quando la T. II. Aprile. 21 109 mia età fosse giunta in sul pendio. Pel corso di tre lustri io aveva provato quanto sia il prezzo di una leale amicizia. Io aveva appena incominciato il difficile arringo dell’ insegnamento nel Reale Collegio delle Provincie : ed il Professore RoLanpo , ricondottosi in Patria dal- l’ isola di Sardegna, aveva già raccolte non poche ghirlande d’alloro, ed altre ne andava aggiungendo. Io lui bramava maestro : ed ei volle essermi amico. Egli dilucidar le mie dubbiezze: egli additarmi nuovi sentieri : egli incoraggiarmi , confortarmi, con indulgentissimi plausi rinfiammarmi. Ed ora? Ora mi guardo d’ attorno : e veggomi diserto. Sovente la mia immaginazione m° illude : lungo il giorno leggo le sue scritture, e lo ascolto: nel silenzio della notte il veggo propio che mi dirizza gli occhi e le parole : questo incantesimo cessa, sento forte stringermi il cuore, verso lagrime. Eppur nella mia mestizia confesso che, io provo un inusato diletto. Gran parte ha forse l’ averlo veduto per ben tre mesì invitto a’tormenti , ed infine sorridente alla morte. Travagliato da una gastro-enteritide, che da più anni fu anzi insidiosa che tormentosa, ma infine erasi fatta martoriante, non aveva più al- cuna posa. Egli giudicò ìl primo, che vi fosse un vizio organico al piloro. Non soffrir cibo, sebben tenuissim»: sovente non tollerar nem- manco l’acqua : veglia continua: immobilità quasi assoluta del tronco: arsnra cocente alle gambe: i piedi or insensitivi ed ora impazienti d’ogni toccare: a quando a quando un recere di materie nerastre e tenaci come di pece. Egli sin dal principio sentì vicino il suo fine . ma non si udì mai dalla bocca di lui una parola che sentisse del de- siderio di prolungare la vita. Anzi a me , cui volle essere tanto più liberale quanto meno gli rimanea di tempo per mostrarmi quanta fosse la sua benevolenza , esternò il desiderio che io gli stessi sempre dappresso : meco ragionava della sua morte, nè più nè meno che se avesse discusso qualche argomento di nostra disciplina. Provando ad intervalli una difficoltà nel favellare, suppliva cogli sguatdi e coi ge- sti. Egli guardarmi benigno : egli sorridermi : egli stringermi la mano: egli, quando alcun poco men dilungava, richiamarmi, e con un ami- chevole agitar della mano risalutarmi. Qual istante per me fu quello, in che strinsi una mano già compresa dal gelo della morte, e tastando il polso, il sentii mancar sotto le mie dita! Qual istante fu quello in che vidi lui imprimere con pallide labbra un bacio sul Segno di Reden- zione, nè muoverle più! Oh morte degna anzi d’invidia che di com- pianto! ,, 17. 103 Al Sig. Prof. Garrano Cioni a Pisa. Firenze 29 Maggio 1831. Se mai sul lieto aprirsi della vita ci avvien di perdere un amico, il qual vi entrava in nostra compagnia , noi ci sentiamo sorpresi, minac- ciati, sgomenti. Se assai più tardi ci avvien di perdere un amico en- tratovi di recente » un amico in cui ci parea di rivivere con quelle speranze che ormai il tempo ci ha tolte — noi ci sentiamo annientati. Io vi ho udito più volte parlare delle speranze che ridonava a voi pure il nostro Livio Pezzella. Anche voi nell’ età de’ più bei so- gni avete vagheggiato un avvenire di verità e di giustizia, che poi avete dubitato se sia pe’ mortali. Verità e giustizia era per così dire l’ impresa del buon Livio , in cui perciò vi sembrava talvolta. d’ aver un pegno di quell’ avvenire. — Ma il buon Livio dall’ alba dell’ altro jerì già appartiene al passato. Egli non aveva ancor compiti i vent'anni, poi ch’ era nato li 6 ottobre del 1811 in Arezzo , ove l’egregio sno padre ( Luigi Pezzella di Portoferrajo ) ch’ora è quì Auditore di Rota, e a cui sarà di tanto conforto il conoscervi , era allora Vicepresidente della Prima Istanza. L’impresa del caro giovine farà meraviglia a chi non conosce di lui che i pochi suoi anni. Chi conobbe lui medesimo e dagli anni snoi primi non ne prova che ammirazione, ‘ La natura non avea mentito , mi dice suo padre, ornandogli il mento di folta barba a quindic’ anni, e facendo trasparir sul sno capo i segni della canizie. ,, Il senno , che alla canizie non è sempre compagno ; la bontà squisita , che sempre non è compagna al senno , si manifestarono in lui assai prima , e promisero a chi ’l] conobbe un grande amico della giustizia e della verità. Gli atti e le parole della sua puerizia , che in questi momenti si vanno ricordando; il suo primo carteggio , ch’ or duole di non aver serbato, ma che pur s’indovina da quel poco che avanza del posteriore; uno scritto particolarmente , di cui pur duole che non resti che la me- inoria , ma il cui solo concetto vi parrà. ben singolare ,. fan creder vera, una promessa tanto. precoce. Il buon Livio passava forse di poco i diec’ anni, quando studia- va gli elementi delle lettere in Borgosansepolero , ‘ove . il, padre suo era Vicario Regio. L” amor della verità gli rendea cari sopra gli altri i libri di storia ne’ quali pensava di trovarla. Ma se in que’ libri era la verità, non era sicuramente , nè gli parea che fosse ; il tipo della giustizia. Quindi si componeva in mente e dettava al maggior fratello ( Felice ) una sua storia ideale, mirabile, mi accerta suo padre, a cui posso credere ., per ordine e per varietà , e soggetto. in famiglia d’ama- bili dispute, onde vie più appariva il senno e la bontà del piccolo autore. 104 Come ei s’applicasse in seguito a’ vari elementi delle scienze, cui ebbe in Lucca , ove suo padre , allor Vicario in Pescia, era stato Pro- curator Imperiale, già vel pensate. Come e con che animo sì adden- trasse costì nelle scienze legali in ispecie , we siete testimonio voi me- desimo che, fattovi compagno d’università a vostro figlio , vi faceste del buon ‘Livio il miglior de’ compagni. Altri testimoni ben carì ne son gli scritti che di lui ci riman- gono : sull’ industria degli animali e quindi sulla questione del- l’ istinto, — sull’ opera dei delitti e delle pene del Beccaria, — sul principio della naturale eguaglianza relativamente alla legislazion pe- nale, = sullo studio del diritto civile romano, = su quello della storia considerata particolarmente come fondamento delle scienze mo- rali. Alcuni di questi scritti debbon esservi noti, poichè composti per una privata accademia, di cni foste costì il promotore, e il bucn Livio, per scelta de’ suoi giovani compagni, il presidente. Nell’ultimo di essì in ispecie parve anche al nostro Forti molta ricchezza d’ idee , molta larghezza di vedute. In tutti è lucidezza , semplicità, maturità, e sotto parole temperatissime amor ben vivo della verità e della giu- stizia. Chè le parole del buon Livio, e scritte , e proferite, eran tutte co» me l’espression del suo volto. Ciascuno ammirava in essa una gravità piena di dolcezza. Ma quanto sentimento = forse quanta passione — sotto quella gravità ! E tanto sentimento probabilmente , più che altra causa qualun- que , rendeva il degno giovane sì circospetto. Egli forse temeva di non essere — 0 talvolta d’ esser troppo compreso. E vivenilo in disparte cer- cava il suo sollievo ne’cari studi delle lettere, de’ quali, grazie alla cognizione dì varie lingne , ormai gli erano ignote poche parti, e ai quali consecrava sì volentieri ciò ch’altri avrebbe dato ai divertimenti o agli ornamenti. Talvolta fra scelti amici, de’ quali il fratello era il primo , diceva o dettava (chè dello scrivere fu sempre poco paziente ) versi improv- visi massime ‘intorno ‘a’ grandi avvenimenti contemporanei. Versi facili, mi sì dice, e spesso penetranti come lo sguardo di que’ neri suoi occhi , — versi che, conservati, attesterebbero anch'essi il suo amore della verità e della giustizia. Non ne avanza , e per caso, se non un dialogo tra 1’ odioso carceriere di Longwood e il sublime prigioniero , cui, di- lettante com’ era della tragica recitazione, rappresentò egli medesimo, recitandosi quel’ dialogo. I versi erano il suo sollievo specialmente nelle vacanze, in una delle quali, essendo “egli venuto a star quì col fratello, mi strinsì d’ ami- cizia con lui. Quel che allora scopersi de’ vari suoi studi e dell’ affetto che li dirigeva mi fece desiderar vivamente il giugno del 30, quand’egli, presa la sua laurea , verrebbe fra noi a più lunga dimora. E meco il desiderarono pur altri, e fra essì Vamico nostro che dirige l’Antologia, e già si prometteva in lui uno de’ più utili cooperatori. 105 Il nuovo laureato venne , ma non per dimorar a lungo con noi. Le forze del suo corpo, quantunque non debole , mal corrispondevano all’ attività del sno spirito. Straordinarie fatiche , sostenute, mi si di- ce , per giovare altrui , gliele avean non poco diminnite. Guai se sn praggiugnevan pene morali, che pur doveano essergli frequenti ! E il sopraggiunse appunto quella che fra tutte era la meno aspettata. Egli avea perduto qualch’anno innanzi la più cara delle madri (Maria Luisa De Matre gentildonna di Portoferrajo ); nè mai avea saputo consolarsene. Poco dopo il mese della laurea gli fu tolta in Grosseto, ove suo padre era Vicario ; la maggior sorella ( Pergentina ) modello di grazia e di virtù; e questa perdita dopo l’ altra, che parve allor rinnovarglisi , fu per lui micidiale. Ei s’ accorse ben presto che il sno polmone , già forse un po’ leso, ne aveva gravemente sofferto ; in settembre n’ebbe segni non equivoci; in gennajo si pose a letto e più non sorse. i ‘‘ Perchè doveva io essere il suo medico! mi dicea l’ altro jeri il bravo Contrucci colle lagrime agli occhi: mai questa mia peno- sa professione non mi è sembrata più penosa. ,, Perchè |’ abbiamo noi conosciuto! mi dicono altri amici, a cui il perderlo è stato troppo grave. Di Felice, — del padre, che qui giunto in febbrajo, mai quasi non sì è staccato dal suo fianco = non ho cuor di parlarvi. Il buon Livio par quasi che non soffrisse che dell’ altrui dolore. Egli ha in- contrata la morte veramente con alto animo, + quasi dissi con nn sorriso, 4 con quel sorriso che stava sempre sulle sue labbra , e non ne sparve se non quando si chiusero alla parola, che sino all’ultimo fu di giustizia e di verità. Uno de’ suoi più: intrinseci ( Scipione Piattoli ) era venuto poco innanzi di Pisa, quasi a recargli 1’ estremo addio de’ suoi giovani compagni. Ed egli ed altri amici stimabili gli hanno pur prestati gli oftici estremi. Due jeri notte = notte piovigginosa e quasi da prima- vera piangente — ne hanno accompagnate le spoglie a Querceto , ove or riposano nella cappella di casa Coppi, a cui il ron ignara mali si appropria così letteralmente. Uno di essi ( Pietro Thuard ) rappresen- tava i suoi giovani amici. Un altro , a cui la commozione quasi imn- pedisce di terminar questa lettera , rappresentava voi medesimo e gli altri suoi amici non giovani. Possa la commozione de’giovani , che leggeranno queste parole , o saliranno a Querceto a. visitar. quelle spoglie , esser utile alla patria ch’ egli avrebbe onorata ! Il vostro M. 166 \ BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL ANTOLOGIA Aprile 1831. PER L’ACGCADEMIA di Passione tenuta in Brindisi la mattina del lu- nedì santo 13 aprile 1829 nella chiesa de’padri Teresiani, sotto la presidenza dell’ arcivescovo D. Pietro Consiglieri. Capricci poetici di GrAMBATTISTA DE Tomasi di Gallipoli, socio di varie adunanze letterarie d’ Italia. Napoli, 1831, Marotta e Vanspandoch, in 8.° OGGETTI, vantaggi .e, piaceri delle scienza . Discorso di EnRICcO BroucHAm, che servì d’;introduzione alla libreria delle cognizioni utili, pubblicato per cura dello stesso. Prima versione italiana di 1831, Gius. Pomba, 12.” di p. 104. Questo volume serve di giusto saggio del sesto e della carta di tutta la Li- breria universale. NUOVO DIZIONARIO. Storico , ovvero Biografia classica universale , nella quale sono registrati per ordine alfabetico i nomi degli uomini celebri F. P. Torino, ; d’ ogni nazione dal principio del mon. ‘« do in sino a noi, e si narrano in compendio i fatti principali della loro vita. Compilazione di una società; di dotti francesi, pubblicata nel 1831. Prima versione italiana con aggiunte. Torino , 1831, G. Pomba. 8.° Volu- me I.° Disp. I.*(W. il manifesto an- nesso al presente fascicolo). DELLA GUERRA di Fiandra, descritta dal cardinale BenTIvOGLIO. Livorno , 1831, Glauco Masi. Volu- me IV." (Fa parte della Scelta Biblio- teca di Storici italiani). DELLA COLONIA dei Genovesi in Galata.Libri sei di Lopovico Sautr. Torino , 1831 , per Cassone, Mar- zorati e Vercellotti ; in 8.° Tomi II di p. xx, 374 e 268. PEREGRINAZIONI nella Ligu- ria e nel Piemonte , o lettere scritte di là dal dott. D..... 1 ri al dott. N....i . ++ +0, Codo- gno , 1830. Luigi Cairo, Si vende iu Firenze presso L. Veroli e C. ul prez- zo di paoli 4 e mezzo. FAMIGLIE celebri italiane , del conte Lirta. Milano, 1831. Tip. del dott. Giulio Ferrari , in f.° Fascico- lo XIX. ( Dal Verme ai Verona ). Contiene 4 tavole del testo , il mo- numento di Jacopo dal Verme , e la carta geografica dei feudi Vermensi nelle langhe trampadane. ATTI dell’Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania. Catania, 1830. G. Pappalardo , 4.° Tom. IV. di p. 195. NOTIZIA di alcuni nuovi diplomi imperiali di congedo militare e ricer- che intorno ‘al consolato di Tiberiò Cateo Frontone ; del prof. Costanzo GaAzzeRA,, socio e segretario della R. Accademia delle Scienze. Torino, 1831, St. Reale, in'4:° dip. 46 ; con tav. DIALOGHINI, o Conversazioni per isviluppare il primo intendimento de’fanciulli e aiutarli massime all’ in- telligenza del catechismo, composti da un individuo delle scuole Pie. Mila- lano ; 1831. G. Silvestri ; un vol. I PRINCIPALI FATTI della sto- ria santa descritti da Mose ; recata al- l’ uso religioso e letterario de’ giovi- vinetti da un’ individuo delle scuole Pie. Milano , 1831. G. Silvestri , un volumetto. PREDICHE quaresimali dell’Ab. Icnazio VENINI di Como, ascritto alla compagnia di Gesù. Milano , 1831 , G. Silvestri. Volumi II in 12.° ( 273 e 274 della Biblioteca Scelta). Prezzo lire 6. austr. Un altro volume conte- nente i PanecIRICI, lire 2. 64. , DEL COMMERCIO dei popoli neutrali in tempo dì guerra. Trattato di G. A. LamprepI , prof. in diritto pubbl. univ. nell” Università di Pisa. Milano , 1831. G. Silvestri. Vol uni- co, 276. della Bibliotcca scelta, lire 3 it, ILLUSTRAZIONI di un antica lapide romana ricordante l’Anfiteatro di Lucca, di Giovanni Orti nobil veronese , membro attuale dell’ Acca- demia d’agricoltura, commercio e arti di Verona. Verona , 1831. Tip. del Gabinetto letterario. RICERCHE bibliografiche sulle edizioni ferraresi del secolo XV, Fer- rara , 1831. G. Bresciani, 4.° di p. 115. ESTRATTO delle memorie scien- tifiche , lette nelle ordinarie adunan- ze dell’Accademia medico-chirurgica di Ferrara, durante il corso degli an- ni 1827-29. Ferrara , 1831. G. Batt. Bresciani ; 8.° FALCO DELLA RUPE , o la guerra di Musso. Racconto storico di Giamsatisra Bazzoni, autore del Gastello di Trezzo. Firenze, 1830. G. Veroli e C. Volumi IL; 5.0 e 6.° della Collezione di romanzi storici italiani. MANUALE del Vignaiolo toscano , del can. proposto I. MaLENOTTI. Col- le 1831, Pacini e figlio, vol. di p. 226. Firenze alla disp. del Giorn. di Com. paoli 3. MANUALE del cultor di Pianto- naie del can. proposto I. MaLenorTTI. Colle, 1831, Pacini e figlio vol. di p. 224. Firenze, alla disp. del Giorn. di Comm. paoli 3. LEZIONE di Vincenzo FoLLIini, sopra due edizioni del secolo XV.®, l’una creduta delle Gentonovelle anti- che, l’altra del Decamerone del Boc- caccio , nella quale si dimostra essere ambedue una sola edizione del Deca- merone. Detta nell’ Accademia della Grusca nell’ adunanza del di 11 mag- gio 1830. Firenze , 1831, Tip. all’In- segna di Dante, pag. 32. CATALOGUE de la Bibliothèque de S. E. le comte Dr BoutourtIn. Florence , 1831, in fort vol. 8.%; ti- té a 200 exemplaires. ATLANTE geografico, fisico e 167 storico della Toscana, del dottore ATTILIO Zuccacni-OrLanDInI. Firen- ze , 1831, St. Granducale. Tavola XV ( Valle della Cecina, e Valle Mi- nori ad essa adiacente ). MUSEO della reale Accademia di Mantova. Mantova, 1831, presso gli editori Carlo d’Arca e fratelli Ne- gretti. Fascicoli VI.° e VII° di un foglio di testo, e 4 tavole ciascuno. DIZIONARIO DELLE SCIENZE naturali, nel quale si tratta metodi- camente dei differenti esseri della na- tura, considerati, o in loro stessi, secondo lo stato attuale delle nostre cognizioni , o relativamente all’utilità che ne può risultare per la medicina , 1’ agricoltura , il commercio e le arti. Accompagnato da una biografia de’più celebri naturalisti. Opera utile a’ me- dici, agli agricoltori , ai mercanti, agli artisti., ai manifattori , e a tutti coloro che desiderano conoscere le produzioni della natura , i loro carat-. teri generici e specifici , il suo luogo natale , le loro proprietà ed usi. Re- datto da vari professori del giardino del Re e delle principali scuole di Pa- rigi. Prima traduzione dal francese con aggiunte e correzioni. Firenze, 1830-31. V. Batelli e figli , 8.‘ Distribuzione VII: di fogli 6 di testo , e tav. 8. SAGGIO filosofico di giurispruden- za, col confronto della leyge romana e della vigente legislazione , ove si espongano i principii delle stesse leggi colle questioni più importanti su!l’in- terpretazione di esse ; si sviluppano le cause che han dato luogo ‘alle tante va- riazioni tra l’antica e moderna legisla- zione , coll’ aggiunzione delle comuni teorie de’ giureconsulti ricevute nel foro. Distribuito in 4 libri da Annr- BaLE Giorpano. Mapoli , 1830. Tip. Palma. Tomi II in 8.° di pag. 308 e 328. ETRUSCO Museo Chiusino, dai suoi possessori illustrati, con aggiunte di alcuni ragionamenti del prof. Dow. VALERIANI, e con brevi esposizioni del cav. Fr. Incuirami. Firenze, 1831, Poligrafia Fiesolana , in 4." fase. V.* GORSO elementare di fortificazione ad uso delle scuole militari. Compilato dal prof. SaBART, versione italiana con aggiunte del tenente F. Bronpi-Pk- RELLI, incaricato della direzione degli 108 studi de’ RR. Cadetti d° Artiglieria in : Toscana, Licorno, 1831, G. Sardi. To- mi III. (Fa parte della Raccolta d'e- pere militari). CORSO DI MATTEMATICHE ad uso delle scuole militari, compilato dui professori di mattematiche ALLAI- zx, BilLy, Puissant, Boupror. Tra- duzion del tenente FErpinanDO BronDI PereLLI, incaricato della direzione de- gli RR. Gadetti d’Artiglieria di Tosca- na , 1831. Giulio Sardi, 8.° Tomi II e IV. — Annesso al quarto volume si trova: Istruzione sulla balistica del sig. Poumonr, e modo pratico di va- lutazione dellè resistenze dell’ aria pel calcolo del tempo impiegato da proietti a percorrere la trategia. (Fan parte del- la Raccolta d’ opere militari). COLLEZIONE dei progetti d° ar- chitettura premiati nei grandi concorsi trienvali dall’I. e R. Accademia di Belle Arti in Firenze , pubblicati per cura degli architetti Pierro PasseRI, CammiLro Lari, LeopoLno Pasqui, ed incisi dall’architetto AnceLo Ciap- PIARDI. Viene distribuita per dispense conte- nenti ciascuna tre tavole in rame e pub- blicata una dispensa ogni tre mesi. Le dispense componenti tutta l’opera non saranno nè meno di 18 nè più di 21. Il prezzo di ciascuna è di lire 4. 10. toscane ; pari a franchi 3. 78 di Fran cià . Ogni progetto verrà correlato di una descrizione e di annotazioni : avrà il programma. dell’ accademia ed il nome del concorrente. Tutto questo verrà stampato in car- ta e sesto eguale alle Tavole e verrà ai sigg. associati rilasci ato gratis uni- tamente al frontespizio e ad un ragio- namento istorico del sig. Niccolini. Le spese di porto e gabella sono a carico dell’ associato. Si prendono le associazioni in Fi- renze presso Ricordi e Comp. Niccolò Pagni fig. e comp. al Gabinetto scien- tifico e letterario del Sig. G. P. Vieus- seux e nelle altre città dai principali librai. E già pubblicata la settima di- spensa. LETTERE scientifiche appartenen- ti alla corrispondenza del dottore Lia- renzo Luisi Linussio di Tolmezzo , ina perio tt IAA con varii illustri dotti italiani e stra- nieri. Venezia 1831, Tip. Alcisopo- li 8.° di p. 56. Lisreria di Antonio FONTANA in Mirano GOLLECGTIO Selecta SS. Ecclesiae Patrum. — Patres Apostolici. Due vo- lumi in 8.° grande L. 7. TERTULLIANUS 2 vol. 8,° L. 7. LICHTENTHAL. Manuale di a- stronomia 1 vol. 12.° L. 3. 50. BERTOLOTTI. Descrizione della Villa sommariva sul lago di Como con rame ; un vol. 12.° L. 1. LA VERGINE UNA. Poema In- glese di B. Spenser trad. di G. B. Martelli in. 8. rima 1 vol. 8.° carta velina L. 4. MONTI. Proposta di correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Gru- sca 8.° volumi XII. L. 24. 50. LEBAUD. Manuale del Veterina- rio un vol. 12.° L. 4. MONTI. Poesie con note. Un vol. 8.° grande con tavole a doppie colonne, carta velina, legato alla bodoniana L. 6. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ESTERO. DELL’ ORIGINE delle confede- razioni libere conchiuse dal medio evo in pui. Storia scritta dal dottor Febe- RIGO KorLum. Prima traduzione italia- na dal tedesco. Basilea , 1830, Gu- glielmo Hass. Vol. I. 12. di p. 292. NAPOLEONE a S. Elena, ovvero estratto de’ memoriali de’ sigg. Las Gases e O’meaRA , volgarizzati con note originali che servono di confuta- zione alla storia di Napoleone scritta da Walter-Scott. Lugano, 1831, Ruggia e C. T. VII. L'EUROPA nel medio evo , fatta italiana su I’ 1nglese di ArrIGo Hat- Lam , per M. Leoni. Lugano , 1831. Ruggia e C. Vol. IMI e IV. ISTORIA della Svizzera pel popolo Svizzero , di En. ZscHorx, prima ver- sione italiana , eseguita sulla seconda edizione tedesca dell’ originale. Luga- no, 1850, G, Ruggia e C. Tomo II.” ed ultimo. |_—’OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello delmare piedi 205. APRILE: 1831. Î | leo, Termorm.| = "o > Sd di Bi Da — “5 ° mapei. O dl belt ia 3 - a Ri EA i E 3 Stato del cielo © o © © o o 9 di DI fi 01 gl RSA li E; ° © (o) i O DECErESE 7 mat. |27. 11,4| 11,51 11,0 i Greco [Nuvolo neb. Ventie. 1| mezzog»]27. 16,4 | 1146} 11 181 83 Libec. 'Piovoso Ventic. ri sera |27. 11,1 | 11,5: 10, 8! ir l‘0,01 Tram. 'Nuvolo Vento 7 mat. |27. 11,2 | 11,2| 10,9| 79 Tram. |Nuvolo ser. Calma è] mezzog. |27. 11;3 | 1:,9|] 14,8] 55 Tram, |Nuvolo ser. Vento | rrsera |27. 11;4 | 12,0] 10,0] 70 Tram. | Sereno nuv. Vento | 7 nat... 27. 11,4" 11:98] 8,0 188} Levan. :Sereno Ventic. ) mezzog. |27. 11,1 | 12;2| 15,0] 52 Tram. | Nuvoloso Ventic. | rt sera |27. 10,7 1 13,0: 10,8] 92 | 0,04|Lcvan. {Nuvolo Calma | 7 mat. [27. 9,6 | 129] 97] 95 Sc. Le. |Nuvolo ser. Calma | mezzog. 12 8,8 | 12,9] 13,9] 64 Sc. Le. | Nuvoloso Calma |irsera [27. 8,6] 12,7] 9:9| 89 | 0,18|Ponen. {Nuvolo Calma 7 mat. |27. 8,3 | 11,5] 8,9) 92 Maestr. | Nebbia Calma | mezzog. |27. $,3 | 12,3) 13,7| 70 Libec. {Sereno nuv. Ventic, rr sera |29. 8,9 | 12,7] 10,8; 93 Libec. |Nuvolo Calma 7 mat. {27. 9,1 | 12,5) 9,5| 92 Libec. |Sereno nuv. Calma i mezzog. |27. 91 12,5] 14,3] 63 Maestr, | Nuvolo rotto Ventic. | 17 sera |27. 1955. 13,2| 11,0] 92 Sciroc, |Nuvolo ser. Calma 7 mat. |27. 9,9 | 13,0! 10,6] 82 Sciroc. Sereno con n. Ventic. | mezzog. {27. 10,1 | 13,4| 13,9] 69 | Levant, | Nuvolo Ventic. (vr sera |27. 1n,1 ! 13,5! 10,4] 95 | 0,12|Tram. Sereno nuv. Ventie. E E Q È Coni ‘e la, 3 Ora | £ x =: 3 3 ia in ii a) Ra Ce 7 mat. |27:/11,7.| 13,0] 10,2]: 92 8| mezzog.|27- 11,8 | 13,31 14,9| 69 _l ri sera 128. 0,2 (193,7| 12,2] go. p mat, |a8. osa | 13] 158] ga 9| mezzog.: 0,9 | 13,6] .15;2| .64 tI sera ki 0,9 | 13,8| 12,0] 93 | 7 mat. |28. 0,9 | 9a ro) mezzog.'28. 0,7 13,2! 68 | ti sera |28. 4,0 | 14,1] 12,5] 93 si 7 mat. 8. 1,1 | 13,9] 10,5| 91 ri mezzog. 28. 1,3 | 14,1] 16,0| 55 i rasera 28. 1,6 ! 14,3) 13,3 _i tssera 28. 1,6 ! 14,3] 13,3] 72] —|lram. [Ser. con nu 7mat. |25. 1,2 | 14,0| 13,5| 71 12| mezzog.|28.. 0,9 | 14,5| 17,0] 52 11 sera |28. 0,9 | 15,3] 14;2 68 7 mat. {28. 0,8 | 14,5 13,5 n 13 mezzog. |28. 0,1 | 15,51 17,1| 49 __! ui sera |27. 11,9 | 16, 16 5 | 13,8] 68 7 mat. |27. 11:9 “| 7 inat. |27. 11.9 | 16,0] 12,5] 32 1/4| mezzog. a 11,6 | 16,2 17,8 52 si sera |27. 11,3. 3 | 16,8 13,0 81 | 7 mat. |27. 10,7 | 16,2| 12,0 85° 15. mezzog.|27. 10,0 | 16,3| 16,0] 62 pe | ri sera |27. 9,6 | 16,5) 13,0) 88 7 mat. | 7 mat. |27. (9,3 | 16,0, 12,6! 92 161 mezzog.|27. 8,8 | 16,0) 14,9| 62 ri sera |27. 9,7 | 15,3! 10,9] 68 E 7 mat. |27. 96 14,5; 8,5) to 17| mezzog.|27. 9,5 | 14,5| 13,1] 60 rr sera |27. 9,0 | 14,0] 10,8] 90 7 mat. |27. 8,3 | 13,8 11,8| 73 :8| mezzog.|2 73 | 14,0] 15,0] 61 rr sera (27. 7,5 | 14,5/ 12,9! 82 7 mat. |27. 8,0 | 14;0| 71,8) 80 19) mezzog. (27. su 14,1 14,01 50 \ sera ‘27. 14,0 t 9 ibec. {Sereno lermom. 9 78 vid V 017} a w014 a, MC. -09s0waU “cage Lev. < Libec. Os. Li. Tram. Libec. o,0t Sciroc. |Ostro Libec. | Libec. Os. Li. Ostro Tram. Tram. Ponen. Greco Sciroc. Sc. Le. Libec. Sciroc. Libec. Libec* Sciroc. P. Lbi, Libec. Libec. 'Cram. Sciroc, U 0,03 Sciroc. Greco. Sc. Levan. 0,02|Sciroc. oi Libec. ‘con M. Mae. T. Le. Stato del cielo | Nùvolo! Sèr. || | Nuvoloso Nuvyolo , Ser. con neb. Navolo Nuvolo Nuvolo Nuvolo Nuvolo neb. Nuvolo Ser. con nuv. "| 7mat. (28. 1,2 | 14,00 135/71 | |Tram. {|Serenoi Ser. con nnv. Ser. con nuv. Sereno Ser. con nuv. Ser. con nuv. Sereno neb. Ser con nuv.. [Sereno Nuvoloso Ser. c. neb. Nuvolo neb. Nuvolo Sereno Nuvolo ser, Na volo Nuvolo Nuvolo ser. Nnvolo Nuvolo Nuv. rotto Ser. con nuv, pre Ser. con nuvy. 'Caluia | Calma | Calma ì Calma | | Ser.icon nuv. r.. Ventic.i | Calma Calina Calma. Calma Calm: | Calma Ventie, Calma. Ventic.. Calma. Calma Calma: Calma Calma: Ventici Ventic. 4 Ventic. Ventic. Ventic Calmai Ventic. Ventic. Ventic. Galma Ventic. Calma Vento Ventic. 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[27 8,5 E Lerimosm. 0u197U] 13,9 139 12,7| 12,0 Di 12,5! 12,0 12,5 12,4 12,5 L] 2,9) 12,1 12,3 12,7 —_ | LL _|___|—_———_ 12,1 12;4| 12,0! 12,8 12,8 12,7 12,9 12,8 12 o | 12,6) 10, I 135 > 2, ni 12,3 12,3 1a 1 13,0 0179w1018] 9,5 82 10,5) 81 7,8 2 8,0 10,1 5 ì 10,8 82 14,95] 69 10,1 6 9,2 "95 1 o 26 10,0| 95 13,2 10,1 92 - 8,9] 91 15,5 44 88 92 79 10,0, 95 10,5] 95 11,8 93 ‘6a 9 10,8| 88 94 16 95 12,0| 13,5 15,0 — 93 90 95 mi PA 335] 3.8 Stato del cielo 8 i o Ò ' Ù Sciroc. | Navolo neb. Calma 0,09|Sciroc. | Piovoso Ventic. Ostro |Nuvolo ter. Ventic. 0,52 Lebec. Pioggia Ventic. 0,02|Ostro |Nuvolo Calma (ignoti |Nuvolo ser. Calma 0,08! Os. Li, | Nuvoloso Ventic. 0,68 Libec. |Pioggia Venvtic. 0,32 Sciroc. | Neb. nuv. Calina Os. Sc. [Ragnato Ventic. 0,41 Ostro |Nuvolo Calma Ostro Sereno Ventic. 0,05'Os. Li. | Nuvolo Vento 0,26|Sciroc. |Sereno Ventic. Sciroc. | Nuvolo Ventic. Sciroc. | Nuvoloso Ventic. Libec. |Sereno neb. Calma Os. Li. |Sereno Calma Tram. |Nuvoloso Ventic. 0,02|Greco |Nuvolo ser. Calma Gr. T. |Nuvolo ser. Calma Po. M. | Nuvoloso Ventic. 0,50|Sc.*Le. | Nuvolo Calma Sc. Le. |Ser. nuv. Calma 0,13|Libec. {Pioggia Calina 0,05| Sciroc. {Ser nuv. Calma Sciroc. [Ser. nuv. Calma 0,14|Sc. Le. | Pioggia Ventic 0,47] Ostro |Nuvolo Calma Sciroc. : Nuvolo Venite. 0,01|Sc. Le. I Nuvolo Vento ___ [Seiroc. Ser nuv. Calma LL TROGAAFIA -E LIBRERIA DI GIUSEPPE POMBA. nur rinisiereieri LIBRERIA UNITARSALLE D’ OPERE DI PROVATA GENERALE ISTRUZIONE. 00000 ELENCO DELLE OPERE CHE SARANNO COMPRESE NB} PRIMI 25 VOLUMI. A norma di quanto promisi nel Programma di associazione per la suddetta Libreria, ho pub- blicato or ora il volumetto che servir dee di giusto Saggio di tutta la Raccolta rispetto al sesto ed alla carta, e che tiene pur luogo d’ introdu- zione alla Raccolta stessa. Questo volume non fu pubblicato prima perchè si dovette aspettare il momento di poter distribuire con esso il pre- sente Elenco che da tutti giustamente volevasi conoscere. Ora dunque porgo il titolo di cia- scun’ opera che verrà compresa nella prima Serie — della Raccolta , ed aggiungo a ciascun titolo un Me cenno sul Se e sull’ impor tanza di “ognuna, non che sui motivi che m’indussero ad 2 inserirla nella. mia Libreria. Differisco quindi la pubblicazione del primo tomo dell’ opera, finchè sia da tutti ‘conosciuto questo Elenco, sicchè determinare si. possa il numero degli asso- Ciati, poichè molte persone vogliose di sottoscri- versi non attendevano appunto che 1’ Elenco delle Opere per consegnare la loro firma. Paego adunque ognuno, DO vorrà onorare quest” im- presa, di farmelo sollecitamente conoscere , ac- ciocche, dovendo fra un mese circa pate il primo tomo della Libreria; possa stamparne quel numero di copie, che corrisponda agli associati, non essendo io mai per ristamparlo, ove per associati posteriori me ne mancassero copie. ABBOZZO DI STORIA GENERALE, opera del tutto nuova, di F. T. Es; riusciranno pro- babilmeribie i ita sii Un libro che brevemente discorra la Storia generale è di tale necessità in una Libreria del genere di questa mia, che ho giudi- cato opportuna cosa il doverlo collocare in testa alla medesima, per- chè serva come di chiave o di guida allo studio di tante opere che. qui saranno comprese. Non pochi sono î Compendii di Storia universale finor conosciuti tanto in originale italiano, quanto tradotti da altre lingue; ma difficile assai è il rinvenirne uno che tutti i pregi in sè racchiuda dei quali i dotti hanno trovata ricca questa nuova opera; Ed in fatti se il compendio è assai breve, egli ha ben poco merito letterario, perch’ e’ si risolve in un’arida cronologia che ben poco allettamento presenta nella lettura ; s’ egli è poi troppo diffuso, non può far parte di una Libreria, formandone una esso solo. L’illustre Autore di questo ha saputo col racchiudere la generale storia antica e moderna in un ristretto quadro, senza trasandare neppure un fatto di qualche importanza, condire l’opera di tale amenità da invogliare anche i più schivi alla lettura. Il libro era tuttora ignoto all’Italia; e mi persuado di far cosa grata a moltissimi col procacciarne loro nria buona versione. 3 GEOGRAFIA MATEMATICA, ossia della figura e dimensioni della Terra, e delle situazioni dei punti principali che sono su d’essa ; opera di Gio. LLovypE. GEOGRAFIA FISICA, ovvero della fattezza na- turale e politica e delle dimensioni della su- perficie della Terra; opera del prefato LLoypE; e tutte due unite riusciranno di un vol. z La cognizione della Storia ben poco gioverebbe se Mi dis- giunta da quella essenziale della geografia fisica e matematica che esattamente ti pone innanzi la configurazione del globo, discorre dei varii clima, delle produzioni naturali; t’istruisce dei fenomeni che qua e là si scorgono, e ti. somministra in somma tante e tante nozioni tutte necessarie all’applicazione della Storia; quindi è che credetti dover porre questi due Trattati immediatamente dopo quello della Storia, essendo tutti e tre fatti col medesimv intendimento e diretti al medesimo scopo. STORIA compendiata dell’ ITALIANA LETTE- -RATURA, di Francesco SALFI, antico Prof." in varie Università d’ Italia ; riescirà di vol. 2 Dopo fatto lo studio Geografico-Storico nasce naturalmente la brama d’ instruirsi nella Storia letteraria ; ma questa dèe per ora limitarsi alla patria letteratura, chè troppo vasto campo sarebbe il quadro di tutte, nè all’indole di questa Raccolta adattato. In questo ramo adunque vi sono cpere, tanto originali quanto tradotte, piene di sana critica, giudiziose, ricche di belle notizie, e in una parola pregevolissime, ma tulte però di vasta mole; nè di succosi compendii altro per av- ventura non si conosce che quello del Marri, il quale comecchè iodevolmente eseguito, non è tuttavia'in giusta proporzione cogli altri Trattati quì annoverati. Io porto quindi speranza di avere trovato nell'opera sopradescritta quanto meglio può quadrare all’ uopo. Essa è opera nuovissima, ma benchè poco nota ancora in Italia, non biso- gnevole di elogi, perchè scritta da un illustre Italiano, il cui nome è un sicuro pegno dell’ eccellenza dell’opera stessa ; i lettori ne faranno fede. NAPIONE. Dell’uso e de’ pregi della Lingua Maobhana,: Saranno ili ne LU vol: 2 L' Opera dell’illustre Piemontese, di cui si piange la recente per- dita, cade qui appunto in acconcio come alta a servire di corollario 4 alla suddetta.Storia letteraria italiana, la quale se in qualche parte si desiderasse per avventura più estesa, viene in tal modo supplita da questa, che l'origine, gli avanzamenti, l’uso e le bellezze tutte dis- piega della nostra ricchissima favella. Inutile sarebbe lo estendersi în elogi di quest'opera celebre già in tutta Italia; basterà quindi accennare che questa edizione porta alcuni miglioramenti ed alcune preziose aggiunte fatte dall’ Autore stesso negli ultimi tempi del viver suo; e non ancora inserti in verun’ altra edizione. CONSEGUIMENTO DEL SAPERE, ovvero Aned- doti di persone che nel conseguimento del sapere hanno lottato contro grandi ostacoli 2 Questo egregio Trattatello Storico sembra propriamente diretto ad incoraggiare la gioventù nella perseveranza dello studio, Egli è ime possibile diffatti, dopo la lettura di questo libro , di non sentirsi po- tentemente mosso a cercar ogni via onde giugnere alla vera e soda istruzione, e pronto ad un tempo a superare qualunque inciampo che frapporre vi. sì potesse., VITA DI CRISTOFORO COLOMBO, di Wan- sineTon Hirvinc, compendiata da esso stesso dalla sua grand’opera, per far parte della Libreria Famigliare di Murray. . . . vol. 1 L’ Americano Hirving scrisse ur opera importantissima all’ Ttalia che annovera fra suoi figli l’immortale Cotomso; questa Storia fu trovata di tanti pregi fornita, che venne immediatamente tradotta ed in più luoghi stampata; senonchè da moltissimi desideravasi che, ristretta in minor mole, senza che nulla di essenziale non fosse tolto, potesse più facilmente correre per le mani di tutti. Questo desiderio nato, non solu in Italia, ma in altre parti ancora, suggerì all’ Autore ‘di farne egli stesso il compendio, prima che altri non venisse forse a guastare l’opera sua. E chi meglio di lui poteva fare un tal Javoro ? Esso riuscì quale aspettarsi doveva: e fu applaudito dovunque, ed io sommamente mi compiaccio di essere ìl primo a farne dono all’ Italia. LA VITA DI NAPOLEONE compendiata. da quella di Warter-ScotT, lavoro fatto dal Ge- nero di Wacrter-Scott, che fu apprezzatissimo in Inghilterra, per cui se ne vendettero in 2 mesi 50 mila esemplari circa. Saranno vol. 5 È noto ormai a tutti che ques opera di Warren Scort, accolta sul principio con singolar favore perchè con ansietà era attesa, fu poi 5 giudicata ‘oltre a soverchiamente prolissa, difettosa pure ‘in qualche parte e non del: tnito imparziale; essa era quindi ancor più della suddett’opera d’ Hirvino bisognosa di essere ritocca e ridotta a più ristretti limiti; un tale ‘assunto fu»preso e tanto lodevolmente con- dotto a termine dal genero dell’ illustre Autore, che fu da tutti in Inghilterra colmo di applausi; e l’opera sua divenne per così dire popolare: Non è quindi da temere ch’ egual incontro non ottenga essa in Italia, SENOFONTE. Detti memorabili di SOCRATE, CCAGOLLL dall'CHACOMELLE "è 00 2 è, 899 È Secondo l'intenzione ch'io ‘aveva di comprendere nei primi 25 volumi qualche opera classica di morale filosofia, non saprei quale meglio convenir potesse di questa che, sia per dolcezza di elocuzione, sia per gli aurei precetti che racchiude, è da reputarsi qual cosa pre- ziosa. La bellezza e semplicità dello stile, che si ammirano in Se- NoFONTE , si scorgono conservate nell’incomparabile traduzione del Giacometti, la juale non appena tratta dal lungo obblio ove mano- scritta era giaciuta, venne replicaiamente-risian:pata, e in vero non sarebbe mai soverchiamente riprodotta. BOEZIO. Della Consolazione della Filosofia, opera tradotta da BenebETTO VARCHI. . » 1 x Altra ‘eccellente opera di filosofia morale, la quale non è stata letta finora, quanto il dovrebbe. Essa è giustamente reputata la mi- gliore di quelle che rimangono dell’infelice Boezio. E la versione ch’io riproduco è di tal merito, che da’ letterati suol essere anche più ricercata dell’ opera stessa originale. L’ Autore fiorì negli ultimi tempi della fingua latina, in que’ tempi cioè ne’ quali non conviene cercare modelli di aurea latinità. Il Traduttore invece visse in quel secolo illustrato da tanti Scrittori che adoperarono: ad ingentilire la lingua del trecento, e ad arricchirla, e fra'quali egli è annoverato de’ primi. STORIA DI SCOZIA, di Water Scott, opera nuovissima di questo celebre Autore, pubbli- Fata dp:lcirca Gumesi) i Wa rien ica In Inghilterra basta annunziare un nuovo lavoro di WarteR Scort per procacciarne immediatamente lo spaccio di migliaia di copie. Una buona versione italiana fatta sull’ originale di codesto nuovo lavoro non ha da trovare fra noi, ove l’ Autore ha tonti ammiratori, se non uguale, almeno un proporzionato successo ? La Sturia di Scozia , per 6 le rivoluzioni a cui quel paese soggiacque, non è fra le meno: im- portanti; ed ognun sa come si scrive la Storia da quel sommo Lette- rato. Non è quindi da supporre che in veruna parte possa un’ opera sua tediare il lettore, il quale anzi dalla prima pagina sentesi tratto a giugnere avidamente al fine, ISTORIA DI GIL-BLAS DI SANTILLANO, nuo- va e pregevolissima versione . .......» 3 In questa prima serie di 25 volumi voglio che trovisi pure (a com- pimento della promessa da me fatta nel Manifesto di associazione ) un’opera di amena letteratura, un Romanzo. Egli è già lungo tempo che il titolo di Romanzo più non desta ribrezzo o timore nelle persone costumate, ed.i padgi di famiglia ed i precettori eziandio più non paventano di commettere in mano alla gioventù molte di siffatte com- posizioni, dalle quali anzi bene spesso si ricavano ottimi insegnamenti di morale e di vivere sociale ; e tali insegnamenti sogliono col mezzo. del diletto meglio produrre i lor salutari effetti di qualunque metodico 2 precettivo trattato. Fra le opere di tal genere primeggia, non v’ ha dubbio, quella del fransese Lesace, la quale come non sia ancora stata inserta in qualche raccolta economica delle tante che fra noi si vanno pubblicando, non sì può comprendere, mentre ne vediamo uscire moltissime di minor conto. L’ Italia possede fortunatamente di. que- sl’opera pregevolissima un’ ottima versione nella quale la più seru- polosa fedeltà vedesi mirabilmente congiunta alla frase del tutto ita- liana, il che oggigiorno diflicilmente si ottiene. Di tale eccellente versione, io quindi mi gioverò ad arricchire la mia Collana.* BUONAFEDE. Delle Conquiste celebri. +» 1 Io non saprei come meglio far conoscere i pregi di quest'opera, che col ripertarne qui l’assennato giudizio fattone dall’ Uconi nella sua celebre Storia della Letteratura Italiana del secolo XVIII. Ecco Je sue parole : n In questo Trattato la buona filosofia, la erudizione, w la rettitudine della mente e del cuore, e la valida eloquenza e Je u magnificenze e le grazie del dire congiurano amicamente a debellare nun sanguinoso nemico dell’ umonità, il mostro della Conquisti. w L’ Autore fermò i diritti della natura, dell’ umanità e della giustizia u in argomento corrotto dalla forza, dall’adulazione e dalla paura. n * Ove per Ta mole o troppo scarsa o troppo ampia non sî potesse in questa prima Serie accludere quest’ opera, i signori Associuti possono essere certi che un? altra dello stesso genove me verrà per ora’ sostituita; non meno cli. questa importante e pregevole. PALMIERI. Della Vita Civile... ... +». 1 Il Trattato della Vita Civile di M. Patmerr è libro di tal valore che le norme da lui esposte quattro secoli addietro a formare l’ ottimo cittadino si sono costantemente trovate confacenti ad ogni tempo; se non che il modo col quale è disposto (a guisa di narrazione in dia- logo) e le molte discussioni aristoteliche per entro sparse ne rende- vano poco dilettevole la lettura. Ora mercè delle cure del signur BarroLommeo Gamsa trovasi quest’ opera non solamente a miglior lezione ridotta, ma in modo tale riordinata da potersi leggere con frutto da qualsiasi persona. Tolte vi sono le cose che a molti potevano riuscire noiose; e tutto è rimasto il bello della dicitura, ed il buono delle massime. PORZIO, Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli, e MASCARDI, la Congiura de’ Fieschi, aaa Pi rx ago Queste due opere discorrono due gran fatti della Storia ‘d’Italia; tanto per l’importanza loro, come per l.. fedeltà e l’ evidenza delia narrazione esse furono e sono ricercate e lette contimiamente. La prima è opera classica; l’altra è una delle più belle produzioni lette- rarie del XVII secolo; e tanto maggiormente lodevole ch’ esente va da puri difetti dei cuali sogliono abboggare DUI tutte le scritture di que’ tempi. Dopo di aver parlato delle Opere, qualche parola mi rimane a dire intorno al prezzo stabi lito ad ogni volume, sebbene ne sia già stata data ragione nel Programma di associazione. A chi potesse parere troppo alto il valore di Il. 1. 50 per un tomo di 300 pag. in bel sesto e stampato sopra buona carta e con bei caratteri, converrà far riflettere che in quest’ impresa, alla spesa di stampa e carta, si aggiugne quella non lieve della traduzione, dappoichè la maggior parte delle Opere sono qui per la prima volta e per mia cura fatte recare dalle lingue originali in italiano; e con tutto ciò questi volumi costerauno la 8 metà e talvolta anche meno di quelli di qualun- que altra simile edizione per la quale non sia anche stata occorsa la suddetta spesa. Io non posso qui farne a prova molti confronti pel motivo che moltissime di queste Opere non furono ancora stampate da altri in Italia; però una ve n'ha nei primi 25 volumi della quale mi posso valere a conferma di quanto ho detto. L'Opera del.Conte Napione sull’uso e sui pregi della lingua italidna fa pubblicata dal Silvestri in Milano in due vo- lumi di forma perfettamente eguale a quella della mia Libreria; essa costa sei lire, e la mia che in nulla le dovrà cedere, ed anzi sarà in carattere più grosso e più chiaro e pure in due volumi di- visa , in ragione di Il. 1. 50 ognuno, non varrà pertanto che lire tre. Da ciò potrà chiunque, ar- gomentare sul vantaggio che si offre al pubblico per le altre Opere che compor dovranno la Li- breria.. Si permette la stampa di questo Elenco. CORSI DI BISNASCO per la G, Cancelleria STORICO OVVERO BIOGRAFIA CLASSICA UNIVERSALE NELLA QUALE SONO REGISTRATI PER ORDINE ALFABETICO I NOMI DEGLI UOMINI CELEBRI D’ OGNI NAZIONE DAL PRINCIPIO DEL MONDO INFINO AÀ NOI, E SI NARRANO IN COMPENDIO I FATTI PRINCIPALI DELLA LOR VITA. COMPILAZIONE È: EN VaggS UNA SOCIETA’ DI DOTTI FRANCESI PUBBLICATA NEL 1830 PRIMA VERSIONE ITALIANA CON AGGIUNTE PROGRAMMA TORINO PRESSO GIUSEPPE POMBA 1831 Ù 4 L esempio dato da alcun tempo in qua da varii Tipografi dell’ Italia, e principalmente del Piemonte, fra i quali credo di dovermi annoverare, di pubbli- care per mezzo dei loro torchi quelle opere che cia- scheduno di essi ha reputato essere le migliori in ogni genere a prezzi di gran lunga minori di quelli che per esse si pagavano in addietro, è stato da molti altri immediatamente seguìto. Nè soltanto edizioni economiche di picciola mole o forma si stamparono, delle quali nel breve corso di due anni io solo ho pubblicato e smerciato più di un milione di volumi, ©) e due altri milioni circa se ne pubblicarono in Torino da altri Tipografi, (®) ma anche opere di più ragguar- devole mole, (8) (1) Della sola Biblioteca popolare (prima serie); divisa in 100 volumi, si stamparono dieci mila esemplari. \ (2) Della Biblioteca storica, geografica e di amena letteratura che si pub- blica dalla vedova Ghiringhello, pure in cento volumi, quattro mila esem- lari. i È Della Raccolta di Viaggi (Stamperia di Andrea Alliana), nello stesso numero di volumi, tre mila esemplari. Della Biblioteca teatrale che si stampa da Chirio e Mina nel medesimo numero di volumi, due mila esemplari. Della Bibliothèque francaise, nello stesso numero di volumi ( dai fratelli Reycends ), due mila esemplari. Della Biblioteca piacevole ed istruttiva , ossia Raccolta di buoni Romanzi (dalla Stamperia Cassone), nello stesso numero di volumi, mille esemplari. Della Biblioteca economica di opere di Religione, divisa in centoventi fascicoli in 12.° (da Marzorati e Vercellotti), tre mila esemplari. Della vita di Napoleone, di Walter Scott, in 28 vol., e di molte altre opere di quattro o più volumi (da Vaccarino), più migliaia di copie. Tutte queste opere sono in piccolo sesto, ed a 50 cent. il volume. (3) Senza fare qui un lungo Catalogo delle nuuve cospicue imprese, basterà accennare L’opera del Dott. Giulio Ferrario intitolata: Il Costume antico e mo- derno di tutti i popoli , in forma di 8.° (dalla Tipografia Fontana ), edizione di tre mila esemplari interamente esaurita, dopo quelle di Milano e di Firenze, La Storia universale del conte di Segur, co’ suoi continuatori, intra- presa da Chiara e Comp., non che le Difese criminali del Marocco, e quelle del Magnani, eseguite nella stessa tipografia. 4 E così in altre città d’Italia si continua indefessa- mente da’ Tipografi a lavorare; e tutte le imprese d’ opere proposte a modico prezzo trovano moltissimi acquisitori, (!) i i Fra tutte queste tipografiche imprese è da notarsi la quantità di edizioni che nello stesso tempo si fanno della Bibbia colla versione del Martini, ) non che le (1) Ognun sa quale esito ottennero le tante imprese dell’ operosissimo Antonelli non che quelle del Tasso, entrambi tipografi di Venezia. Fra le loro edizioni economiche, non nomineremo che le seguenti : Il Dizionario geografico statistico commerciale, in 8,°, di cui sono già usciti 52 fascicoli. Il Dizionario compendiato delle scienze mediche, in 17 tomi divisi in 34 volumi in 8.° testè terminato, I Viaggi di Anacarsi, di Anterore, di Ciro e di Policleto , pregevolis- sime opere tradotte dal francese, e adorne di bei rami, che insieme for- mano più di 20 volumiin 12.9 La Collana economico-portatile di opere italiane e straniere antiche e moderne, di cui sono già usciti parecchi volumetti in 48.° Il nuovo Dizionario universale tecnologico o dì arti e mestieri, e della economia industriale e commerciale, di cui è ora uscito il primo fascicolo in 8.° Un nuovo Dizionario classico di medicina ora annunziato. La Storia del Cristianesimo di Berrault Bercastel, in bell’ edizione in 8.9 con rami, Altra edizione della stessa opera che si pubblica dal Tasso in forma di 12.° grande al tenue prezzo di Il. 1. 30 il vol, La Sacra Bibbia colla versione di Monsignor Martini in 40 vol. in 412.° pure con rami. / 7 Altra edizione della stessa Bibbia fatta dal Tasso, che si pubblica a fa- scicoletti in 18.° del prezzo di cent. 50 caduno, Una bell’edizione economica del Gran Dizionario di Alberti italiano e francese. i Gli Annali d’Italia del Maratori continuati sino a’ giorni nostri, in 48 volumetti in 12.° Le Opere di Giambatt. Roberti in 18 volumetti in 18.° Il Dizionario classico di Storia naturale con rami miniati. Edizione in 8.9 L’ Atlante storico-geografico-cronologico di Lesage. Il Dizionario enciclopedico della Teologia, della Storia della Chiesa, de’ Concilii, Eresie, Ordini religiosi, ecc. di Bergier. Il Dizionario delle droghe semplici e composte , di Chevalier. Il Dizionario storico di Feller, di cui è uscito il primo fascicolo, e del quale si fa pur cenno in questo Programma. Tutte È suddette opere o sono in corso di stampa od appena terminate da due soli Tipografi di una città d’Italia i quali hanno pure pubblicate varie altre opere di minor conto che per brevità qui non si accennano. Da ciò può ognuno argomentare sulla quantità di libri che ora in Italia si vanno stampando. (2) La Sacra Bibbia volgarizzata con note da Monsignor Martini fu non è molto terminata da stamparsi, senza il testo, dal Silvestri in Milano in 42 vol. in 12.° — Col testolatino ed in forma di 8.9 fu già da me pubblicata, non sono molti anni; un’altra se ne fece pure a Venezia in 8.0 ed un’altra in Prato, tulte in brevissimo tempo esaurite. Ora se ne stanno facendo quattro 5 Raccolte di opere di religione, tutte favorevolmente accolte dal pubblico ; la qual cosa, nel mostrare chia- ramente non essere soltanto desiderata la lettura di libri dilettevoli, ma anche di quelli di sana morale e veracemente giovevoli, prova altresì che ora assai più che per l’addietro vengono apprezzati e ricer- cati tali libri santi e di morale istruzione. E valga questo fatto a rispondere a coloro che accusar vo- gliono i nostri tempi di corruzione e d’immoralità , dicendo che soli libri frivoli o perniciosi si leggono. () Lo spaccio favorevole ed abbondante di tutte le opere pubblicate a modico prezzo attesta la verità di quanto io esposi nel Manifesto per la mia Biblio- teca popolare, cioè che la diminuzione della ven- dita dei libri, che da qualche tempo si osservava, dipendeva in gran parte dal caro prezzo a cui eransi fatti salire; per la qual cosa trattenevansi i compra- tori dal soddisfare il proprio desiderio, e gli editori stampavano in minor numero le copie, e perciò erano astretti ad aumentarne il prezzo, essendo a tutti noto che stampandone meno copie, costano i libri di più; e sempre così diminuendo, si venne al punto che di altre edizioni pure col testo. Alle due venete accennate nella nota n.° 4 aggiungasi Ja. magnifica edizione ‘che se ne fa in Prato dai fratelli Giacchetti (già benemeriti del pubblico per varie edizioni di lusso di altre opere, parti- colarmente spettanti alle-Belle Arti ) in 8.° com rami egregiamente incisi, e quella che sì eseguisce in Voghera , più modesta ma partmenti in 8.° Aggiun- gasi pure la rinomata Bibbia così detta di Vence con nuove originali Disserta- zioni, che sì pubblica dallo Stella in Milano, e si avranno nove edizioni della Bibbia smaltite in Italia nel breve giro di pochi anni. (4) Se tutte le edizioni della Sacra Bibbia, non che le Raccolte di opere di Religione e di Morale qui sopra citate non bastassero a confermare quanto qui si asserisce, ‘altre Collezioni e Biblioteche dello stesso genere si potreb- bero nominare le quali si vanno tuttavia stampando in alcune città d' Italia; ma il fatto che quì credo di dover notare è la prova più convincente e lumi- nosa che ora più che per l’addietro si amano le opere di vera e soda dot- trina. Nell’anno 1769-1776 si stampbd'in Torino la Sacra Bibbia colla ver- sione di Monsignor Martini in 23 vol. in 8.°, nè vi erano allora altre edizioni di quel libro in commercio; eppure vi abbisognarono non pochi anni ad ismaltire l’intera edizione, mentre adesso tante replicate e copiosissime ristampe del libro stesso non sono ancora suflicienti ad adempirne le ricerche ! 6 parecchie opere utilissime non se ne stampavano che 500 copie, e di molte si trascurava la riproduzione per tema di non trovare acquisitori. Era dunque tempo che si cercasse riparo ad un tal male e si richiamasse la tipografia italiana al prisco suo vigore; la cosa si fece, e se ne vedono gli effetti : appena i libri furono ridotti a minor prezzo, si tro- varono in folla i compratori. Proseguendo io nel non mai abbandonato sistema di rendermi utile al pubblico nell’ esercizio dell’ arte mia, il che tutti debbono fare, dopo di aver termi- nati i promessi cento volumi della mia Biblioteca po- polare, ho pubblicato il Manifesto della Libreria uni- versale, per la quale ho di già trovato un ragguar- devole numero di soscrittori, e ad essa ho già posto mano. Ma avendo frattanto riflettuto che fra tanti libri che si vanno pubblicando , alcun tipografo non ha pensato finora ad un Dizionario istorico che riu- scisse economico per il metodo della compilazione e per quello della stampa, ho deciso di rivolgermi an- che a questa rilevante ed utilissima impresa, e col presente Manifesto annunzio il disegno dell’ opera e le condizioni dell’ associazione, e spero che con tale pubblicazione, e senza incagliare le operazioni dei miei colleghi, il che pur da tutti dovrebbesi aver in mira, farò cosa grata e giovevole al pubblico, e procaccerò onore a’ miei torchi. Tutti sanno essere l’Istoria la prima maestra del vivere, perchè dagli avvenimenti trascorsi si trag- gono i più sicuri precetti, onde regolare la nostra vita; e l’Istoria non solamente ci pone sott’ occhio le cose passate, ma ci instruisce delle opere dei sommi uomini che in tutti i tempi fiorirono, e le azioni di quelli servono ai posteri di esempio e di guida, E 7 per queste ragioni le vite dei sommi ci vennero più diffasamente descritte che non si leggono nelle isto- rie. Ma siccome non tutti avevan il tempo di atten- dere alla lettura delle separate e alcuna fiata troppo prolisse narrazioni delle vite dei grandi uomini, e d'altra parte era generale il bisogno di averne me- movie, si pensò al modo di appagare tale bisogno, economizzando anche il tempo dei lettori , e si com- pilarono le Collezioni biografiche, prendendo norma dall’insigne opera del Moreri, e così si pervenne alla facilità di poter, mercé dell'ordine alfabetico , tro- vare in qualunque momento, la vita, o per lo meno i precipui fatti della vita de’ grandi uomini, e satis- fare alle brame degli studiosi a’ quali soventi volte accade di dover richiamarsi alla' mente un’ epoca, un fatto, una circostanza che facilmente rinvengono.nei Dizionarii biografici, mentre a stento ne farebbero le ricerche in Istorie d’ altro genere. Le Biografie alfabetiche che da parecchi anni vi- dero la luce in Francia, furono accolte col più grande favore. Se ne fecero traduzioni in lingua italiana, ed ora appunto si è terminata la Biografia universale intrapresa in Venezia dal Missiaglia. Ma siccome di molte altre cose, addiviene anche dei libri, che, conosciutone il bisogno, non solo si dà opera alla stampa, ma vedutone l’ incontro, se ne vorrebbe ritrarre un partito ed un lucro oltre al dovere, così avvenne delle Biografiche Coliezioni. Dopo il signor Ladvocat che pubblicò il suo Dizio- nario istorico prima in 7 volumi, a dir vero, troppo ristretto, presero altri ad ampliarlo ; ma vistosi l'esito favorevole di tal genere di opere, ch'è veramente utilissimo, sorsero altri autori ed editori, che per ricavarne maggior profitto impinguarono talmente 8 tali dizionarii, che in breve diventarono opere di un immenso numero di volumi, così che la Biografia citata di Venezia non ha meno di sessanta grossi vo- lumi in 8.° del prezzo di lire 6 caduno, il che fa un totale di lire 360. Ma per ingrossare l’opera cotanto, e per mera speculazione, non solo vi sì registrarono nomi ignoti al mondo ed immeritevoli d'ogni fama, od appena alcun poco ricordati nei ristretti confini dei luoghi dove vissero, ma gli altri articoli si este- sero e si ampliarono tanto, ch’ e’ diventarono altret- tante lunghe e prolisse vite, sicchè nuovamente si cadde nel primiero e già rammentato inconveniente. E con questo metodo riprovevole, oltre al far salire tali opere ad un sommo prezzo, attesa la loro volu- minosità non più di facile acquisto per le persone meno agiate (alla qual cosa debbesi sempre badare allorchè si tratta di libri di vera utilità), si rendet- tero anche meno pregevoli per la parte letteraria, e ne risultò, per così dire, un informe lavoro che l’ap- provazione delle persone dotte ed assennate ottener non poteva. Ma gli stessi Francesi, che furono i primi ad avve- dersi di questo gran male, vollero anche apportarvi un pronto ed efficace rimedio, ed una nuova Società di dotti di quella nazione imprese a compilare una vera Biografia, nella quale tutti si trovano registrati i nomi degli uomini celebri, e dettarono la loro opera in istile piano, conciso, chiaro, non trasan- dando nulla del necessario, e sceverando tutto ciò ch'era inutile della vita di ognuno, e per questa ragione la intitolarono : Brocrawia cLAssica , la stampa della quale è stata, non è molto, terminata in Parigi, in 12 volumi in 8.° grande; e nella medesima gli Autori fecero grand’uso di abbreviazioni, e di un 9 carattere anche di troppo minuto, onde renderla meno che si potesse voluminosa, e farne così una di quelle edizioni che i Francesi chiamano compatte. Quest è l’opera che io ho divisato di pubblicare in lingua italiana; essa oltre ai pregi già indicati ha quello, che può riguardarsi come il principale, del- l’imparzialità, pregio che pur troppo incontrasi di rado in opere di questo genere come ci accade ap- punto di osservare nell’opera di Feller, la cui versio- ne s'imprende ora a stampare a Venezia. Alla tradu- zione ch'io fo espressamente eseguire di quest’ opera verranno aggiunti ed inseriti a luogo quei nomi di celebri Italiani che dai compilatori francesi fossero stati dimenticati, la qual cosa, comechè sommamente necessaria, viene sovente promessa dagli editori, ma di rado eseguita. Farò uso di un carattere alquanto meno minuto di quello dell'edizione di Parigi, senza però aumen- tarne il prezzo; anzi il prezzo che viene da me sta- bilito, considerata l'ampiezza della pagina e la quan- tità di materia contenutavi, e confrontato col solito prezzo di simili opere o d'altro genere, è facile scorgere quanto sia mite. Dividerò anch'io l'edizione in 12 volumi che si potranno legare in sei, facendo di due in due pro- seguire la paginazione, perch’è desiderio generale che le opere di questo genere abbiano il minor nu- mero di volumi che sia possibile. Ognuno dei sei vo- lumi sarà diviso in dieci od al più dodici fascicoli. Il Saggio migliore ch'io posso dare di quest’ opera, oltre sl 4 pagine che aggiungo alla fine del presente Manifesto, egli è il primo ho che ho di già pubblicato, e che si trova pure presso tutti i distri- butori del Manifesto medesimo. 10 Aspetterò a pubblicare il seguito almeno due mesi dopo della data di questo, per dar tempo che l’opera sia conosciuta, e per raccogliere le soscrizioni , onde sapere il numero delle copie corrispondente a quello degli associati, non volendo stamparne che pochissi- me oltre a quel numero. Non aggiugnerò cosa alcuna intorno al merito, all’ utilità e direi anche alla necessità di quest’ opera, giacchè ella si fa conoscere da sè medesima, e pas- serò ad estendere le condizioni inviolabili dell’ asso- ciazione, rimanendo colla fiducia che questa mia nuova impresa non verrà accolta meno favorevol- mente delle altre mie precedenti. Torino, 1.° aprile 1831. Giuseppe PomBA. CONDIZIONI DELL’ ASSOCIAZIONE. Tutta l'Opera verrà divisa, come si è detto, in 12 volumi in 8.° da potersi legare in sei. Ogui volume sarà distribuito in 10 od al più 12 fascicoli di pagive 96 di stampa, onde tutta l’opera sarà composta di 60 fascicoli almeno e non più di 72. Carta e caratteri saranno simili alle 4 pagine qui unite ed al fascicolo 1.° già pubblicato ; i caratteri verranno rinnovati in breve. Il prezzo di ogni fascicolo è di. +... +. +. . + Il. 1. 25(*) Si pubblicherà un fascicolo ogni 15 giorni ed anche uno per settimana se sarà possibile. Le associazioni si ricevono da tutti i Librai distributori del presente Manifesto, non che presso tutti i AR. Uffici di posta di questi R. Stati, col quale mezzo gli Associati, mediante la spesa di soli cent. 10 di più per ogni fascicolo, riceveranno l’ opera franca a corso di posta. (*) Giova qui di far osservare la tenuità di questo prezzo paragonato coi soliti prezzi di altre opere di egual genere, le quali pubblicate pure in fascicoli eguali a questi non co- stano mai meno di ll. 4,75, nre turca niriervtii Se ne permette la stampa : CORSI DI BOSNASCO per la G, Cancelleria, ABA le campagne della Svizzera orientale sotto gli ordini di Massena. Abbiamo di lui varie buone carte geografiche ed alcune opere di economia politica. Fra le descrizioni da esso date delle sue invenzioni tipografiche abbiamo quella di un nuovo torchio da stamperia inventato a Basileanel 1772, Basil. 1790; Nuova, distribuzione degli spazj e dei quadrati, con tavole spiegative, ib.1772. AAS (Gvonigrmo ), figlio del prece- dente tipografo ed intagliatore, ha pubblicato una carta della linea di neu- tralità della Francia e della Prussia, 4795; due carte rappresentanti la marcia delle truppe francesi, condotte da Moreau contro la Baviera, e la loro ritirata nel 1796, giusta i disegni del generale Rey- nier ; le Carte dell’ Italia, della Sviz- zera e del cantone di Basilea. ABA , altrimenti Owon, re d’Un- gheria, fu eletto nel 1041 a vece di Pietro detto l’ alemanno, scacciato dai sudditi che lo accusavano di tirannia. Questo esempio non ispaventò Aba, il quale seguendo le vestigia del suo pre- decessore, fu trucidato da’ suci soldati nel 1044, nella guerra da esso intra- presa contro l’ Imperatore Enrico III, in seguito alla quale Pietro l’ alemanno risalì sul suo trono. ABA, mago fu messo a morle per comando del Califo Mervan per avere perseguitato i cristiani. ABACUCCO , l’ottavo dei Profeti minori. Non sono note la sua patria nè l'età in cui visse. Viene generalmente collocato nei primi tempi del regno di Gioachimo. Egli è certamente quegli che recò cibo a Daniele rinchiuso nella fossa dei lioni. Non rimane d’Abacucco che una sola profezia: in essa egli de- scrive ì disordini di Gerusalemme, pre- dice la rovina di Babilonia ed implora la divinità per la liberazione degli Ebrei. ABACUCCO , santo , martirizzato sotto l’imperio di Claudio. ABACA KHAN, VIII imperatore mon- gollo della stirpe di Gengiscan ( Dijen- guyz-Khan ), figliuolo di Holakou Khan, a cui succedette nell’anno 563 dell’egira, 1265 di G. C. Al principio del suo regno Barkah Khan re di Bo- khara tentò d’invadere la Persia dalla parte del Caucaso , ma fu sconfitto da Techmont, fratello di Abaca Khan. Ma Barkah , ragunato un esercito più poderoso assaltò di bel nuovo l’Adzer- ABA baidian. Abaca Khan avea provveduto alla difesa, ma nel momento in cui le schiere doveano azzuffarsi, Barkah morì, e le sue truppe si ritirarono. Nel i269 Abaca Khan sconfisse presso Herat Boran - Oghlan e ricouquistò il Coras- san che quegli avea invaso e ne affidò il governo ad uno de” suoi fratelli. Dopo avere allontanati i nemici e provve- duto per l’interno reggimento dello stato egli divisava di soggiogare la Siria e l'Egitto, già conquistati da suo pa- dre e che sì eranosottratti dal suo do- minio. Vi spedì nel 1280 il suo fra- tello Mankou - Zymour con numeroso esercito ; ma il principe fu sconfitto da Calaoun sultano d’Egitto e costretto a riparare a Bagdad, dove morì. Abaca Khan si recò tosto in quella città per ordinare una nuova spedizione che vo- leva capitanare in persona, ma i tor- bidi insorti ne’ suoì stati lo indussero a tornare in Hamadan. Si sospettava ch’ egli proteggesse la religione cri- stiana. Dopo aver assistito ad una reli- giosa funzione in una loro chiesa, in Hamadan, andò nel giorno seguente ad una festa alla quale un grande di Persia lo aveva invitato, e quivi, colto da improvvisa malattia, morì nell’anno 680 dell’egira, 1282 di G. C. si sospetto che il suo primo ministro l'avesse fatto avvelenare, ABACCO (Antonio), architetto ed intagliatore, nato e morto in Roma nel sec. xvi, alunno dell’ Architetto Antonio di San Gallo (V. questo nome); egli ha intagliato le tavole d’un’ opera pubblicata da questi intorno all’ archi. tettura, ABAD I (Monawwmen Ben Ismart, Arour Cacim Ben), primo re moro di Siviglia, della dinastia degli Abaditi, egli aggiunse al suo regno quello di Cordova, del quale fece perire il so- vrano. Morì nel 1041 (433 dell’egira). ABAD III (Mozawmwen AL MoraHnmen IL ALLAH Ben), succedette a suo padre Amrou sul trono di Siviglia, nel 1068 (464 dell'Egira). Egli fece la guerra felicemente contro i Cristiani; ma avendo conchiusa la pace con Alfonso VI, re di Castiglia, ed avendogli data in matrimonio la sua figlia Zaida, gli altri re mauritani si collegarono contro di lui; e Youcouf-Tachefyn, sultano di Marocco, capo della lega, dopo aver prima vinto Alfonso VI, assalì Siviglia, :9I ABA prese Aba prigioniero e lo inviò ia Africa, dove morì di miseria. Riman- gono di lui alcune poesie, nelle quali rammenta la passata grandezza e pro- pone se stesso come un esempio della volubilità della sorte. , ABADI (Eew AL), autore di unlibro intorno alla punizione riservata ai pec- catori nel Corano. ABAFFI, o APAFFI (MicueLe ), no- bile di Transilvania, venne eletto prin- cipe degli stati di quel paese, sotto la protezione del Gran Signore: Dopo che i Turchi ebbero levato l'assedio di Vienna, Abaffi abbandonò la loro parte e conchiuse coll'imperatore Leopoldo I (nel 41687) un trattato per cui gli sì conservavano gli slessi vantaggi che aveva ottenuti dalla Porta. Morì nel 4690. Il suo figlio Michele II, che ebbe il celebre Tekeli per competitore , era stato da prima riconosciuto a successore di suo padre dalla corte di Vienna; ma egli dovette rinunziare alla sovra- nità, e morì a Vienna nel 41713. ABAGA, Kan dei Tartari, ricuperò i suoi stati nel 1280 coll’aiuto dei Turchi, e fu nemico formidabile dei Crociati. ABAGATA ,'eunuco del re Assuero. ABAI (Hovsserx ), autore di un libro col quale cerca di far concordare insie- me ì var) commentatori del Corano, ABAILARD o ABELARDO (Pierro), nato presso Nantes nel 4079. Appas- sionato per lo studio, sino dall’infan- zia, poesia, eluquenza, lingue antiche, a tutto egli attendeva; coltivò partico- larmente ia filosofia scolastica , che in quei tempi era la scienza prediletta. Ben presto ne seppe quanto i suoi mae- stri di Bretagna, e venne a cercarne altri in Parigi. Prima discepolo di Champeanx, arcidiacono di Nostra Donna, aprì pochi anni dopo una scuola di rettorica e di teologia dove convenivano più di 3,000 ascoltatori d’ogni età e d’ogni nazione, molti de’ quali si rendettero famosi. In quel tempo la giovane Eloisa, nepote di Fulberto, canonico di Parigi, sì faceva distinguere per talento, cognizioni e beltà, Sotto pretesto di far proseguire Jo studio ad Eloisa, Abelardo prese stanza in casa di Fulberto, e ben presto i loro amori non furuno più un mistero. Avvertito il Canonico dalla voce pubblica, separò i due amanti; 12 ABA ma era troppo tardi, Abelardo rapì Eloisa e la condusse in Bretagna, dove ella diede la vita ad un figlio che morì ben presto. Avendu falto segretamente a Fulberto la proposta di sposarla, que- sti accondiscese e non tenne la cosa celata; ma Eloisa più ardente per la supposta gloria di Abelardo, che non per il proprio onore, giurò non essere vero il loro maritaggio. Fulberto sde- gnato , più non cessò di maltrattare la nepote; ed avendola il marito inviata nel monastero d’Argenteuil, Fulberto credette ch’egli la volesse far monaca, e più non pensò che a vendicarsi. Alcuni facinorosi da esso appostati, entrarono di notte nella camera di Abelardo, e lo mutilarono, I tribunali ecclesiastico e civile presero informazioni dell’ atten- tato. Fulberto fu spogliato de’ suoi be- nefizj , e due dei colpevoli soggiacquero alla pena del taglione. Eloisa prese il velo nel monastero d' Argenteuil ed il di lei marito andò a nascondersi nella Abbadia di S. Dionigi, dove si fece monaco. Nel 1122, due professori di Reims avendo denunziato al concilio di Soissons la sua opera della Trinità, come eretica, egli fu costretto a darla alle fiamme e di ritirarsi a Nogent-sur- Seine, dove fece fabbricare a sue spese un oratorio che nominò il Paracleto. Nominato abate di S. Gildas di Buys, nella *liocesi di Vannes, invitò la sven- turata Elvisa e le sue monache ad abi- tare il Paracleto, dove i due conjugi ‘ si rividero per la prima volta, dopo undici anni di separazione. Avendo voluto rifurmare la sua Abbadia, i suoi monaci tentarono di ayvelenarlo. Espo- sto in tal guisa al loro furore, era an- che tormentato dal suo amore che lo insegniva persino ai piedi dell’ altare. Nel 1140, S. Bernardo denunziò le sue scritture e la sua dottrina al concilio di Sens; lo fece condannare dal Papa, ed ottenne perfino di farlo carcerare. Abelardo pubblicò la sua apologia e part alla volta di Roma. Mentre egli passava da Cluny, Pietro il venerabile cercò di riconciliarlo co’ suoi nemici; quivi egli vide 5. Bernardo e quivi questi due grandì uomini sì giurarono un'amicizia che durò sino alla morte. Egli fu inviato al priorato di S. Mar- cello, presso Chàlons sulla‘(Sonna, dove morì nel 1142. La sua spoglia mortale e quella d’ Eloisa furono trasportate a ABA Parigi e sono ora deposte nel gran Ci- miterio a levante, detto del P. Ja Chaise (V. la Chaise). Le lettere d’Abelardo ‘e. d’ Eloisa sono state tradotte in varie lingue. L'inglese Rawlinson ne ba data una buona edizione, Londra, 4748, Oxford, 1728, in 8.° Uno scrittore di spirito, Remondo Descours, pubblicò nel 1691 una versione libera in fran- cese della Zezera la più affettuosa di Eloisa ad Abelardo ; questo lavoro ebbe un gran successo e fu ben presto seguito d'una risposta d’Abelardo ad Eloisa, e di varie altre lettere de’due amanti. D. Gervasio, abate della Trappa, pub- blicò nel 1723 uria traduzione fedele, ma alquanto parafrasata delle varie let- tere-d’ Eloisa e di Abelardo, accompa- gnata dal testo latino; questa tradu- zione è stata ‘ritoccata rel 4782 dal librajo Bastien, e ristampata da Four- nier nel 1796. Dobbiamo al celebre Pope una Eroide in versi inglesi imi- tante la famosa lettera d’ Eloisa ad Abe- lardo, che venne più volte tradotta in francese ed in latino. La migliore tra- duzione italiana è quella del Metrà. Il librajo Cailleau raccolse, verso il 1770, le Epistole e lettere amorose di Eloisa e d’ Abelardo, in prosa ed in versi , 2 vol. in 18, ristampati più volte. Si trovano gravi sbagli negli avvisi di | quel librajo; egli confonde il poeta Malherbe, morto nel 1628, con un grammatico dello stesso nome, che vi- .vea nel 1725; ed attribuisce al celebre Bussy- Rabutin alcune versioni libere delle lettere d’ Eloisa, che sono di Re- mond Descours. Mancava alla Francia una traduzione della lunga lettera, che si può chiamare la confessione d’ Abe- lardo, nella quale egli racconta tutte le sventure della sua vita; l’ab. Turlot ce la diede nel 1822, nel volume inti- tolato: Abelardo ed Eloisa, con un \saggio comparativo del sec. x11 col secolo presente. Il traduttore discopre lo sbaglio di Cailleau in proposito di Malherbe, ma egli riproduce ancora le supposie tra- duzioni di Bussy - Rabutin. L'antica Eloisa,. manoscritto recentemente rin- venuto di lettere inedite d’ Abelardo e d'Eloisa, trad, dall’ ab. di Longchamps, arigi, Dentu, 1823, 2 vol. in 8°, non che un’ opera supposta, immeritevole i fede al pari delle lettere di Ninon enclos al marchese di Sevigné, delle ABA 13 lettere della Pompadour, e di quelle di Clemente XIV, ABAKA, Kan dei Tartari Mogolli , della stirpe dei Genghis, regoava in Persia verso la fine del sec. xi. Egli salvò i suoi stati dall’invasione dei Tartari settentrionali, e morì nel 1282 ( 680 dell’egira). ABAKUM, eccles. Russo, capo d’una congregazione in Mosca, fu trucidato in una sollevazione contro il Patriarca, nel 1684. ABLANZIO (Lrowe), Greco che aiutò Zemisceo nell’uccisiòne dell’imperatore Niceforo, ABALPHAT, matematico nato in Ispaan nel secolo xvi. Ad esso andiamo debitori dei tre ultimi libri di Apollo- mio di Perga intorno alle sezioni coni- che, che si erano smarriti, e che egli riprodusse in una versione araba, che venne poi tradotta in latino. V. Abra- mo Echellensis. ABANCOUR (C. X.I. FranqueviLLE D'). ministro deila guerra sotto Luigi XVI, non ne esercitò gli uffizj che per il corso di sei settimane, essendo stato accusato il 10 d’ agosto 1792, ed inviato dinanzi I’ alta corte d’'Orleans, poi trasferito a Versaglia, dove insieme colle altre vittime indicate al furore del pupolo , fu trucidato il 9 del set- tembre seguente. Egli era nepote del celebre controllore generale delle fi- nanze signor di Calonne. ABANCOURT (G. Freror D’), aiu- tante generale negli eserciti di Fran- cia, morto a Monaco nel 1804, avea viaggiato nel Levante. Egli ha lasciato alcune memorie intorno alla Turchia, che sì conservano in Parigi al ministero della guerra. ABANTIDA, tiranno di Sicione, nel 3.° sec. prima di G. C., usurpò la po- testà sovrana dopo d’aver ucciso Cli- nia, padre del celebre Arato , e primo magistrato eletto del popolo. Non andò guari che morì assassinato anch’ esso. ABARCA - BOLEA -Y - PORTUGAL (D. GeroL.), signore Aragonese che vivea al principio del sec. xvi. Egli com- pose un’ Istoria del Regno d’ Arragona, rimasta manoscritta, e della quale lo storico Zurita ha molto profittato. ABARCA-BOLEA-Y-CASTRO, della famiglia medesima, fu ministro di Carlo V, e di Filippo Il Nel 41578 si stampa- 14 ABA rono sotto il suo nome aleine poesié assai mediocri, e gli viene attribuita una Istoria della grandezza e delle ma- raviglie delle provincie del Levante. ABARCA, re d’ Arragona e di Na- varra, fece felicemente la guerra ai Saraceni. Egli morì in battaglia contro i Castigliani, nel 926. ABARO, cittadino di Numanzia, presentb un memoriale a Scipione l’ a- fricano, in favore de’ suoi paesani. ABAS, capo Latino, che diede aiuto ad Enea contro di Turno. ABAS, indovino, in onore del quale gli Spartani innalzarono una statua nel tempio d’Apollo, per i servigi che aveva renduti a Lisandro. ABAS, sofista, che Suida reputa au- tore di alenni commentarj istorici e di trattati di rettorica. ABASCANTUS, medico nato a Lione nel 2.° secolo. Egli è citato da Galeno , il quale vanta il di lui antidoto contro la morsicatura dei serpenti. Si crede aver egli scritto in greco alcune opere che non sono giunte sino a noi. ABASSA, uffiziale turco che fu stran- golato nel 1634, d'ordine del sultano Mustafà, perchè ayea dovuto soccom- bere in un'impresa contro i Polacchi. ABASSARUS, uffiziale incaricato da Ciro di rifabbricare il tempio di Geru- salemme. ABASSON , impostore che si faceva credere nepote d’ Abbas il grande. Per qualche tempo ingannò la Francia ed il Gran Signore, ma questi lo fece arrestare e mettere a morte. ABATI, nome d’una famiglia fio- rentina, poco nota nell’istoria, alla quale Dante ha dato qualche celebrità onendola nel suo Inferno. ABATI, prete e poeta di Carpi. Non rimangono di lui che quattro sonetti , stampati in Venezia nel 1557. ABATI ( Antonio, Nicora E Pierro), pittori di Modena nel sec. xvr. Essi lavorarono nella galleria di Firenze ed in varj altri luoghi, come pure in Francia nel palazzo di Fontainebleau. ABATI (Axrovio), poeta di Gubbio, morto a Sinigaglia nel 1667. Egli go- deva la grazia dell'arciduca Leopoldo, e lasciò tre collezioni di poesie varie ed un componimento lirico intitolato : il Consiglio degli Dei, in occasione della pace dei Pirenei e degli sponsali di Luigi XIV con Anna d’Austria, ABA ABATUCCI, nel principio della rivo! luzione, in Francia vi furono due ge nerali di questo nome, La vita del primo, nato in Corsica e morto nel 1795, non è punto importante; ma il secondo, Carlo Abatucci, figlio del precedente , ha acquistato celebrità. Educato alla scuola militare di Metz, ne è sortito nel 1790 per entrare sotto- tenente nel 2.° reg. d'artiglieria. Dopo tre anni passò nell’ artiglieria a cavallo, che allora fu ordinata, e fu capitano aiutante di campo del generale Piche- grù, nel 41794. Nominato poco dopo aiutante generale all'esercito d' Olanda, in meno di un anna diventò generale di brigata. Proseguì a segnalarsi nel 4796, diventò generale di divisione e fu incaricato della difesa d’ Uninga, dove rimase ucciso nella notte del 2 dicembre, in età di 26 anni. Nel 1804, il generale Moreau gli fece in- nalzare un monumento sul luogo stesso dove era gloriosamente morto. ABAUNZA (Pierro), scrittore Spa- gnuolo, nato a Siviglia nel sec. xvi. Egli ha composto intorno alle decretali una dissertazione che si trova nel /Vovus thesaurus iuris civilis et canonici di Ge- rardo Meerman. Esiste nella biblioteca di Siviglia un suo commentario ma- nuscritto di alcuni libri di Marziale. Morì nel 1649. ABAUZIT (Firmino), nato in Usez nel 1679, fu bibliotecario della città di Geneva. Dopo aver felicemente ter- ‘minati gli studi, viaggiò nell’ Alema- gna, nell’Olanda e nell’ Inghilterra, conobbe i più ragguardevoli scienziati; come Bayle e Newton ed acquistò la loro stima e la loro amicizia. Ritornato a Geneva visse ritirato, e si rendette esperto in tutti i rami dell’ umano sa- pere : egli carteggiava cogli uomini i più celebri che da lui chiedevano con- siglio nelle più astruse questioni. Que- sto dotto modesto non ha dettato che brevi squarci, la maggior parte dei quali vennero pubblicati soltanto dopo la sua morte. G. G. Rousseau, nella Nuova Eloisa, ha fatto di Abauzit uni pomposo elogio. Egli morì a Geneva nel 1767, d'anni 87. Le sue opere sono state raccolte in 2 vol. in 8. nel 1773. ABAZA , successivamente bassà di Erzerum, della Bosnia e di Van, verso la metà del secolo. xvir, col pretesto della morte violenta del sultano Otto DIZIONARIO UROGRAPIGO RISTIGO STORILI DELLA TOSCANA CONTENENTE LA DESCRIZIONE ED I CENNI DELLE CITTA‘, TERRE, CASTELLI, VICI, BADIE, PIEVI, ISOLE, MONTI E FIUMI PRINCIPALI OPERA DI BUANUELE REPETTI —©-- Ai Toscani Xinatori DELLE COSE. PATRIE. Pi dare a conoscere l’importanza e gli usi varj a cui l’annunziata Opera pnò servire, basterà esporre l’assunto e lo scopo; € notare che questo Dizionario «deve essere quasi un necessario supplemento, un testo da consultarsi per tutte quelle notizie di cui possono abbisognare coloro che possiedono o che vogliono acquistare ra Gran Carta GrocrazicA DELLA Toscana, pubblicata dal chiarissimo P. Inghtrani, l’altra del Sig. Segato, che sta per uscire alla luce sullo stesso modello, ridotta a.un quarto, e colla direzione del medesimo P. Inghirami ; e l’ArtAnte Grocnarico Srorico del Sig. Dott. Zuecagni Orlandini. Le indicazioni offerte da tali pregevolissimi lavori richiedevano un Repertorio di notizie topografiche, fisiche, storiche più compiuto; e a tale impresa patria pose mano Emanuele Repetti incoraggito dal benigno Sovrano Reseritto del 58 di Marzo del corrente anno, con cui gli si concede per un intero decennio l'esclusivo privilegio di potere pubblicare il detto suo Dizionario, senza che alcun altro possa intraprenderne la ristampa. In esso sì conterranno — T.° I nomi antichi e moderni delle Città, Terre, Castelli, Borghi e Vici che tuttora sussistono in Toscana, compresovi il Ducato di Lucca e la Val di Magra, inclusive di quelli dei quali non si conservano che le ruine e le storiche memorie. Sarà accennato di ciascuno, oltre la sua origine, sia Etrusca, sia Romana, o sia del Medio-Evo, la posizione Geografica, la Diocesi, la Valle, e la Comunità in cui è compreso; le principali vicende, e gli uomini più illustri che di là derivarono. Il. La descrizione delle Provincie, e loro territorio antico e moderno, le più importanti notizie riguardanti l’agricoltura, la popolazione, il commercio e le arti. HI. I nomi e il corso dei Fiumi maggiori o più»segnalati nella storia, la qualità del terreno lungo le Valli che percorrono, € i cambiamenti seguiti nella loro direzione, dalla sorgente in sino alla foce. IV.° I nomi, situazione e altezza dei Monti più singolari, dei Promontorj, dei Capi, e Isole del Mare ‘Toscano, loro estensione, natura delle rocce dominanti, e le particolarità più memorabili, relative alla storia maturale, ed alla geografia. V.° Tutti i laghi e paludi, loro ubicazione, e respettiva estensione, .con de vicende idrauliche che possono avere subito nei secoli più recenti. VI.° Situazione, e sunto storico delle più celebri Badie di Contado. VII.® Nome e situazione dî tutte le Pievi; e luoghi di Campagna i di cui vocaboli rammentano la derivazione di un Castello o Badia, accennando le Valli in cuì si trovano, le Diocesi e Comunità dalle quali attualmente dipendono. VIII.® Nome e corso delle antiche Strade Romane, e delle Regie Postali che attraversano la Toscana, e loro poste o mansioni. Precederà al Dizionario un Introduzione sulla Topografia fisica e storica della Toscana dal tempo della sua soggezione ai Romani fino ai dì nostri; e gli seguirà in forma di Appendice un sunto storico gencalogico delle principali Famiglie magnatizie che vi dominarono dopo la discesa in Italia di Ottone il Grande sino allo stabilimento delle Repubbliche. A compiere sì fatto lavoro non contento l’autore di consultare le principali Opere che indirettamente o direttamente vi possono appartenere risalì alle fonti più genuine, e negli antichi autori, e nelle inedite pergamene, di cui è sopra ogni altro ricco il R. Archivio Diplomatico di Firenze, andò rintracciarido quelle sparse notizie, perchè venìssero insieine unite ed ordinate ad arricchire il patrimonio della Scienza. Dall’annunzio stesso dell’Opera risulta pertanto ch’essa può fornire notizie o necessarie, o utili e comode, 1.° a chiunque ama conoscere concisamente lo stato fisico e storico di questa nostra patria comune; 2.° alli Studiosi che si occupano o di Geografia, o di Storia naturale; 3.° agli Eruditi curîosi delle antichità di un Paese o delle sue singolarità storiche; 4.° ai, Corpi Amministrativi che hanno continuo bisogno di facilmente trovare la situazione di un dato luogo, della Comunità nella quale è compreso, e le sue circostanze fisiche e geografiche ; 5.° agli Ecclesrastici a cui spesso cade di dover riscontrare a qual Diocesi appartenga un Villaggio, una Pieve, una Badia ; 6.° alle cospicue Famiglie Toscane, che in quest’Opera troveranno l'origine; la discendenza, le vicende, i dominj dei loro chiari Antenati. L’Opera avrà tre Volumi nella forma, nella carta, e nel carattere del saggio che qui si presenta. Tosto che sarà raccolto ‘un numero sufficiente di Firme, si pubblicherà ogni bimestre un Fascicolo di circa cinque fogli, ed ogni sei Fascicoli formeranno un Volume, al prezzo di un quinto di Fiorino, ossia 7 paolo (moneta Toscana) per ogni foglio di pagine seilici. A Vi sarà un piecolo numero di copie in carta distinta di doppio costo, per chi lo indicherà nella retroscritta cartella. Le Associazioni si riceveranno in Firenze presso l'Autore, dietro la R. Cappella di S. Lorenzo n.° 4843; al Gabinetto Letterario del Sig. Vieusseux da S. Trinita ; al Negozio dei Signori Pagni, Bardi e Comp. da $. Maria Maggiore; e per l'Estero dai principali Libraj. FIRENZE, li 21 Maggio 1831. —c. 0 DA! TORCHI DI ATTILIO TOFANI i AIR ARNACCIO, RIO ARNONICO 0 di Poz- zare. Rivus Rinonicue. Gran Fosso o Ca- nale attualmente divenuto inutile, già destinate @ riparare la pianura fra Pisa e Livorno dalle alluvioni dell’Arno, di cui riceveva una porzione fra le Fornacette e Cascina, donde dirigevasi pel Palude di Stagno alla bocca di Calabrone. Scavato 0 munito di torri dai Pisani nel 1176, servi un tempo a riparare quelle campagne dalle scorrerie del nemico ; sebbene altri diano a questo gran fosso un origine più anti- ca, col supporlo uno dei tre rami, nei quali l'Arno, secondo Strabone, si suddivi- deva prima di giungere a Pisa, (Vedasi l’Art. Arno). CAMARZO, Casrars. Campus Martii. Villa suburbana di Firenze sulla riva si- nistra dell’Arno fuori di Porta S. Niccolò. Si crede l’origine primitiva di Firenze ed il luogo di Mercato dei Fiesolani. La sua ubicazione, taciuta dal Malespini e dal Villani, trovasi con precisione indicata nelle pergamene di S. Miniato al Monte, ora nel R.Archivio Diplomatico di Firenze. DONATO (S.) in POGGIO, già in Poct. $. Donatus in Poci. Borgo e Pieve ma- trice di sei Parrocchie nei poggi occiden- tali della Val di Pesa; Comunità di Bar- berino di Val d’Elsa, Diocesi di Firenze, da cui è distante 14 miglia ital. E? situato ne’gr. 43° 32,5 di latit., gr. 28° 52/,9 di long. — La memoria più antica di questo luogo, che risale all’anno 1020, conservasi nell'Archivio della Chiesa fiorentina. Fu in Zoco Poci, territorio fiorentino, dove il marchese di Toscana Bonifazio emanò un Placito, li 12 Agosto del 1038. Gli Imperatori Svevi cedettero una parte di diritto sul borgo di Poci ai Conti Guidi. — E luogo segnalato nella Storia patria per il trattato di Pace fra Firenze e Siena ivi conchiuso nel 1176, e pel tradimento di quel milite da S.DonaTo In Poci che neli1202 consegnando ai Fiorentini una Torre li rese padroni della nemica Semifonte.— Vi sì tiene per tre giorni Fiera di Bestiami e Merci,dopo la terza Domen. di Settemb.— Il suo territorio abbonda di boscaglie e di viti. Ha una popolaz.di circa 700 abitanti. GELLO pi Camasone, Gellum o Agel- Zum. Vico nei monti della Pania che divamavsi nella Valle e Comunità di Ca- majore, Diocesi di Lucca. E' situato nel BA gr. 27° 58/4 di dong., e nel 43° 5747 di lat,—Paesetti di questo nome assai fre- quenti in Toscana manifestano chiara- mente la loro romana origine, siccome è tale quella della vicina Terra di Camajo- re, Campus major. Nel Secolo VIII Gello aveva la propria Pieve di S. Martino, con- vertita poscia dai Signori di Montemagno di Versilia, in un Monastero di Donne che fu dichiarato nel 1148 soggetto alla S. Sede da Eugenio III Pontefice di quella stessa prosapia dei Paganelli, poi Guinigi. — La Chiesa esiste tuttora sulla strada che da quella foce porta a Lucca. LAGO, o Sracno ni Porta. Lacus de Porta Beltrami. Lago palustre, situato nel gr. 43° 597,5 di lat., e 27° 49,8 di long. della periferia di un miglio e 3, nel Litto- rale di Pietrasanta, tre miglia al S-E. di Massa di Carrara. E° alimentato da sor- genti che pullulano alla pendice meridio- nale della Pania, 1. d. SALTo DELLA CERVIA, dal torrente che scende da Montignoso e da un ramo del fiume di Seravezza. — Non viè ricordo della sua esistenza ante- riore al Secolo XIII. Fu regalia dei Nobili di Corvaja, concesso in seguito dalla Repub- blica di Lucca a PeroTTO pEGLI STREGHI, per , cui lo Sracno denominossi di PeRoTTO : sino a che, nel 1513, passò col territorio : di Pietrasanta sotto il dominio di Firenze. — L’escavazione fatta ivi recentemente di un termine marmoreo con le sigle /£ AR col n.° CXIIX, e il riscontrarsi sotto quella cuora il selciato di una strada, bastano a giudicare che le dune, e i rinterramenti lungo la spiaggia, hanno potuto far sorgere uno stagno dove esistevano campi, e regie vie. (V. Alpe Apuana e Via Aurelia). MONTE LATTAJA. Mons et Castrum de Lattaria. Castelluccio di cui restano le vestigia sul vertice di un Monte dello stesso nome, nel grado 28° 45‘ di long., € 42° 57‘ di latit. nella Comunità di Rocca- strada, Diocesi di Grosseto, da cui è distan- te 12 miglia. La prima menzione della Corte di Lattaja sì trova nei Registri Va- ticani del SecoloVIII. Vi risiedeva nel 973 il Conte Ridolfo, figlio di Gherardo Conte del Palazzo, ignoto al Muratori, e da cui devivarono i Conti della Gherardesca, gli Aldobrandeschi, ed i Conti Alberti (Ved. l'Appendice). — Il Castello di LartAJA pussò nel dominio Sanese l’anno 1293. Mi associo i0 sottoscritto al DIZIONARIO GE OGRAFICO, sISÌcO, STORICO DELLA TOSCANA di EvanueLe. Rerprti, pet del © Manifesto del 21 Maggio r831. ; } ” i NUMERO FIRMA, TITOLO e DOMICILIO DEI SIGG. ASSOCIATI delle COPIE NB. La Cartella con le Iirme sarà rinviata all'Autore a Firenze. TL PREZZO D’ ASSOCIAZIONE ila pagarsi anticipatamente. a' do ana» L Lire 36. toscane per tanno i n ape nl 2 Franco di. porto sia ct: per la posta tiri franco di porta ‘per la posta. Iranep'allefentiticre per la posta franco di porto a 0 MifesDee. ale La RA per ia posta È per. Bologna e intta la Romegna ; a franchi 36, franco alle frontiere P per l'Estero ai franchi 36. 3 i franco Torluo 25% a o Milana @ tra nchi 52. franco Pari per la pesta ; ok intera collezione dei'10 anni, 1921- 1830 Ne ° 1a 120, in 4o volumi broché asi esaurita). non si può. rilasciare a meno di i L. 300 Gli anni separati dal 1821 al 1829 ; ‘quando esistano, ciascuno. ,, 24 L'Anno 190, 3 i 35:83 Paoli 5 INDICE DELLE MATERIE a DE CONTENUTE Si NEL PRESENTE QUADERNO. —_— origine Nuovissima Guida dei viaggiatori in Italia. g Lettera sopra alcune osservazioni geologiche fa tte nei vulcani spenti del Lazio, al Gran Sasso d’ Italia, nei contorni di Napoli e nell’ Etna ta (Prof. Hoffman). ; 00) sistema livellare ; dell’ Avv. in Sicilia (con tavola). Canti del conte Giacomo Leopardi. Saggio di. un trattato tsorico-pratico del Poggi. Art. tI. Storia di Federico il Grande , di Ga Paganel. Lettera quinta intorno a'Colici del March. L. Tempi. i (IM) RivisrA LETTERARIA: = Bianchi. Trattato della sfera armillare', p. 110. oa — Spada. Manuale di fisica dilettevole , p., III. = Chiappa. Elogio . di Paolo Bongioanni; e Luigi Caccialupi., p. 112. = Batelli. Nuova (A. A. Paolini) : (K. X. Y.) Pag: (3 È » SI) edizione della Storia naturale di Buffon , p. 113. -— Versione della È Congiura de’ Pazzi del Poliziano , p: 114. — Vincenzo Danti. Il primo. libro del trattato delle perfette proporzioni ; p. 115, = Blanchard... I fanciulli, novellette, p. 117. — F. Giordano da Rivalto. Predi- che, p. 117. — Seh. Ciampi. Lettera. al Direttor dell’Antologia ;, a p. 120. — A. Paravia. Lettera al Direttor dell’Antologia ; p. 121. Varierà’. — Brougham ed altri Personaggi illustri: d’ Inghilterra. (4. r) Regolamento proposto al consiglio dell’Accademia delle Belle Arti di Ravenna , Lettera del (Conte A. Cappi) Ritratto di Beatrice scoperto dall’Ab. M. Missirini... 3 Sopra un dipinto a olio di Vincenzo da S. Gemiguano. (Cles. Santi). Al BuLLETTINO SCIENTIFICO-LETTERARIO. — Fisica e chimica ; Varietà, ec. Scoperta dell’ imboccatura del Niger. (Cav. Graberg) Nrcrorocia. = Giovanni Molina. (Giorn. Arcadico) Gian Giacomo Trivulzio. (Cav, G. B. Zannoni) Luigi Rolando. Kyidz TI Livio Pezzella. 7% (M.) Bullettino bibliografico. lavole. meteorologiche. ANTOLOGIA GIORNALE _DI SCIENZE, LETTERE E ARTI a H Da del 2.° Decennio Maggio 4851 albi sl di €12 e po È FIRENZE BO AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO » pi G. P. VIEUSSEUX .. Drrerrors e Eprrora —s TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. 9 x i i: ? x i % do NPA e GE L ANTOLOGIA sì pubblica ogni mese per fascicoli non minore di fogli 10. Tre fascicoli. compongono un volume, ed ogni volume è accompagnato da un indice generale delle materie. i Ò Le associazioni si prendono In FIRENZE; dal Direttore Editore G. P. Vieusseur. i in MILANO, per tatto il regno { dalla Spedizione delle Gazzette, Lombardo Veneto $ presso /° 1. e R. Direz. delle Poste. in TORINO i per tatti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, impiegato nelle o GENOVA R. Poste di Torino. - in MODENA presso Gem. Vincenzi e C.0 libr. in PARMA | presso il sig. Derviè difettore delle Poste: È in ROMA, per tutto lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato | Ù; nell’amministraz. gen. delle Poste Pontif. presso il sig. Direttore delle Poste. in BoLoGNA, presso Annesio Nobili. in PesARO, în NAPOLI, in PALERMO , per tutta la Sicilia ‘ in AUGUSTA in VIENNA; per tatto 1° presso Ambrogio Piccaluga , Strada S. Liborio N. 33 i presso il sig. Carlo Beuf.. presso la Direzione delle Gazzette. Impero Austriaco , dalla Spedizione delle Gazzette ! presso VI. e R. Direzione «delle Poste presso J. J. Paschoud. ip GINEVRA in PARIGI | presso J. Renouard Rue de Tournon N. 6 in LONDRA presso C. F. presina N. 41 Paternoster Ro STORIA DELLA POLONIA SERITTA DAL DOTTORE BERNARDO ZAYDLER POLACCO. Un nazione a cui l’ Europea civiltà è debitrice d’ im- mortali benefizi, ed altri glie ne dovrà forse ancora; una nazione le cui glorie furono e sono l’ interesse dell’uma- nità; le cui sventure furon sempre onorate dal com- pianto e dall’ammirazione d’ogni anima generosa; una ‘mazione che per tanti vincoli e di naturale simpatia e di letterarie e politiche comunicazioni è affratellata all’ Ita- lia, merita bene d’ essere meglio che non è conosciuta nelle sue origini, ne’ suoi fasti memorabili, ne’ suoi singolari costumi. A chiurque sa (e chi ignora? ) che una storia Polacca mancava alla nostra e ad altre letterature, giun- gerà certamente gradito Pannunzie dell’opera che pei nostri torchi si vien pubblicando; opera scritta da un egregio Polacco, già noto per altri letterarii lavori, e che a questo da ben molti anni consacra le più diligenti sue cure. Un’ opera originale sulla Polonia, e non uma com- pilazione indigesta; un’ opera scritta da un nazionale valente col calor d’un affetto illuminato dal senno; un’o- pera di circostanza, ma da molto tempo meditata e matu- rata, si raccomanda da sè ad ogni colto lettore. Noi, solleciti di aggiungere le nostre alle diliyenze del ch. Autore, possiamo dal canto nostro promettere che l’ edizione sarà fornita di carte geografiche e crono: grafiche nuovamente delineate con esattezza, di princi: pali fatti storici, di ritratti degli uomini illustri che ono- rarono la Polonia e l’ umanità, di vedute, di costumi na- zionali, che dieno a conoscere davvicino questo popolo sì degno di studio e d’amore: promettiamo insomma, tutt'insieme con una storia della Polonia, un supple- mento prezioso e necessario, e che noi soli potevamo dare alla grand’ Opera del Costume Anrico e Mopenvo. Aggiungere che la bellezza delle incisioni colorite non ismentirà le lodi dalla nostra Calcografia meritate con altri lavori difficili, e tra gli altri co” rami accompa- gnanti il Diziovario peLLe Screnze NaruRrALI} sono rac comandazioni non necessarie trattandosi di un libro tale, ma che contribuiranno a confermare l'utilità del dono che noi prepariamo all’ Italia. PATTI DI ASSOCIAZIONE. L’Opera sarà in due volumi in 8.° con caratterì fusi espressamente, simili al presente manifesto, e in ottima carta velina. Sarà pubblicata in 12. fascicoli come si pratica nella pubblicazione del Costume Antico e Moderna. SZ: ZIA Il prezzo sarà ragguagliato a centesimi 25. per ogni foglio di 16. pagine. Tutta l’opera sarà ornata di circa 70. o 80. in. cisioni parte in $.° di foglio e parte assai più grandi, parte colorate e altre senza colorire non lo richie dendo il soggetto; il prezzo per gli associati resta fis» sato a 50. cent. di franco per ogni stampa incisa, e Vi. stesso prezzo avranno quelle che meriteranno di esser eolorite. Ogni mese ne sortirà un fascicolo, e tutti gli asso- ciati al Costume Antico e Moderno tanto all’ edizione di questa tipografia come quelli che sono associati all’ e- dizione Milanese o Torinese avranno il primo Fasci. colo in DONO. N. B. Chi si associa dovrà ritornare alla Tipogra fia degli Editori l’acclusa modula munita della propria firma, Firenze 13 Giugna 1831. Gui Eprroni V. BATELLI £ FIGLI. ° « cò = o ° n ° n DI D i Ru ANNUNZIO TIPOGRAFICO. OSSERVAZIONI SEMI-SERIE SULL’ INGHILTERRA. ° Lugano 1831. Coi tipi di G. Ruccra e C. Un vol. in 12.° = lir. 2. 50 ital. 2 i Due generi di letteratura, i Romanzi ed i Viaggi, se mon mancavano del tutto all’ Italia, mostravasi però in essi di gran lunga dalle altre nazioni superata. Pei primi ha già dato segno da qualche anno di voler emulare o raggiugnere gli stranieri; pei serondi noi siamo lieti di poter annunziare un’opera che accrescerà il piccol numero dei nostri scrittori di questo genere. Le abitudini sedenta- rie degl’ Italiani, ed altre molte circostanze li tengono fissi al loro paese, nè possono gran fatto o non sono curiosi di studiare gli altri popoli. Ma in questi nltimi.anni. molte persone distinte uscirono pure dalla loro patria e si posero in grado di occuparsi dei costumi, del governo e della lit- teratura straniera ; e a ciò noi dobbiamo di già le Lettere sulla Svizzera — Di varie Società ed instituzioni di Benefi- cenza in Londra, e diverse opere dell’ Autore delle pre- senti Osservazioni. Egli è già noto per le sue relazioni sul Portogallo, la Spagna, l'Inghilterra e la Grecia, come osservatore profondo ed esatto dei paesi da lui visitati, e che aggiugne a. ciò la facilità di uno stile brillante, fiorito, e ricco, direi quasi, delle tinte e dei colori della ‘pittura. Le sue co- gnizioni di economia politica ve. di. legislazione rendono più autorevoli li suoi giudizj sulle istituzioni, e sull’ indu- stria degli altri popoliz ed il suo amore per l’Italia gli fa tosto vedere ciò che vi sarebbe per moi da imitare e da apprendere. L’ opera che noi annunziamo non è il frutto di pochi mesi d’ osservazione. Il lungo soggior- no dell’autore in Inghilterra, le relazioni e le amici» zie che vi ha trovate, la cognizione della lingua del paese lo hanno messo a portata di penetrare lo spirito dei co- stumi, delle istituzioni, deli’ industria e delle sette reli- -giose inglesi, e questi sono appunto gli argomenti di cui si occupa |’ autore, che in un libro sull’Inghilterra non debbonsi cercare le descrizioni di paesaggi o di belle ve- dute come si farebbe in uno sulla Svizzera; o di edificj, di musei e di gallerie, come ne van pieni tutti quelli sul- l’Italia. Qui gli abitanti interessano più che il paese, le forme del governo, e i prodotti dell’ industria e del com- mercio, più delle creazioni dell’arte, delle antiche ruine. Ecco l’ indice de capitoli principali. Arrivo in Londra. Prima impressione — Case di Londra — Giardini del tè — I Marinai — Partito dell’ op» posizione nella Camera dei Comuni L'Inghilterra rifugio degli oppressi — Strade —Il Tempo — Mercati inglesi — Le giovani inglesi — Festa campestre — Seduta delle Corti semestrali in primavera — Unitarii — Metodi- sti, Gridatori e Saltatori — Anabattisti che si chiamano Battisti — Quaccheri— Ritiro, ossia Ospedale de? pazzi vi» cino a York.— i Noi siamo .certi che la presente opera avrà l’ esito e la fortuna che ottennero tutte le produzioni del nostro au» tore, e che utile del pari riuscirà all’ Italia, al cui vantaggio sono sempre dirette le sue mire ed i suoi scritti. Lugano il 20 aprile 1831. Gli Editori Gius. Lucca EG, Opere di recente pubblicazione ed in numero presso la stessa Tipografia Ruggia e C. dî Lugano. (Li prezzi sono in meneta italiana) L’Europa nel Medio Evo di Arrigo Hallam, versione dall inglese di Michele Leoni. Saranno 5 vol. in 8.°, a cent. 18 al foglio. — Pubblicati li volumi i,2e3,lir. 11. 22. (il 4 sto sotto il torchio) ; Napoleone a Sant’ Elena, ovvero Estratto de’? Memo. riali dei signori Las-Cases ed O” Meara, volgarizzati con note originali del traduttore, che servono di confutazione alla Vita di Napoleone scritta da VV alter-Scott.— Saranno ro vol. in 12.° in carta velina, a lire 3 ital. al vol —Li si- gnori associati avranno in dono l'ultimo volume, il ritratto di Napoleone e le carte analoghe. — Pubblicati li vol. 1 al 6. (il 7 sta sotto il torchio) Storia della Svizzera di Enrico Zschokke. Prima vere sione italiana; 2 volumi in 12.°%; in carta comune lir. 3; in carta fina lir. 4; in carta velina, lire 6. Ristretto della Storia della Letteratura italiana di Fran- cesco Salfi, con note, 2 vol. in 16.°, lir. 4. Compendio Storico degli Avvenimenti di Parigi del 28, n grosso vol. in i6?, dira: ‘taliano testimonio ocen!- © Trattato del Merito e delle Ricompense di Melchiorre Gioja, edizione scrupolosamente eseguita sull’originale, 2 vol. in 4°, lir. 15. si x " Manzoni. Tragedie e Poesie varie colle Prose analoghe, ed una nuova Trefazione del barone Camillo Ugoni, in 16.° e: A I Promessi Sposi, 3 vol. in 16.°, elegante edizio- ne, carta fina e caratteri nuovi, lir. 6 Storia l Ifalia dal 1789 al 1814, di Carlo Botta, 12 vol. in 25° con rami, lir. 18. Dell’ *ritazione e della pazzia rapporto al fisico ed al morale, pera del sig. Broussais; 2 vol. in 8° lir, 6, 75. Stor firentine di Bernardo Segni, 4 vol. in 18.°, con ritratte carta velina, edizione economica, lir. 4. LMedicina senza Medico, o Manuale di Sanità di Au- ' din-Piviere, 2 vol. in 8.9, lir. 5. 50. ‘va civile, politica e militare di Napoleone Bonaparte, un! in 32.0) lin. 2, x ... Elementi di Economia politica; di. Giacomo Mill, tra- dotti dell’ inglese, con note del traduttore, un vol. in 8.9, liv. 2.99.$ ta cartà velma lin 8, i tà Intorno la Pena di marte;:—-Lettera di. un amico , in 8.°, cent. 30. | Manuale: di! Filosofia di A. Matthce, traduzione dal tedesco, con un saggio della nuova filosofa francese del sig. V. Cousin, un yolk:inord.t, biro ibid titanio, i Pecchio. Storia dell’ Economia Pubblica «in italia; 0$- , sia Epilogo Critico degli economisti italiani, preccim@ di un’ introduzione, in 8.°, lir. 4. "nt a —. Vita di Ugo Foscolo, un vol. in 12.° lir. 2. 505 . in carta velina lir. 3. 25. \ yIl Dissoluto geloso, commedia di caraltere in cinque ‘atti, dell’ avv. Antonio Zanolini, con osservazioni ec., in 10 e x 15/3, lion: Ì Antommarchi. Ultimi momenti di Napoleone, 2 vol. in | 3239, liv. 6. i La Villetta 0 il Campo Santo di Parma.; Cantica, ino 8.°, cent. So. |. Oda al Danaro, in 8.°, cent. 40. Di varie Società ed Instituzioni. di Beneficenza in Lon- dea; in 12.°, lin. 3. (L'autore sta compilando sul Inogo respnda.na»traro. Della natura delle cose, nuovo vol garizzamento di M. L., prima edizione in 18.°, lir. 4 Re Le Satire ‘(di D. G. Giovenale tradotte in versi sciolti rivedute, corrette e rischiarate con note da Teodoro Vued cio; -2:da edizione, 2 vol in 18.°, lin: 6. ì ud Il Pianto d' Italia. — Il nome di Patria. Psosie di E. M | in 8.9, cent. 80. ce. Il Giuoco del Lotto. Versi di E. M. in 8.°, cen h5a Î . | Vita di Napoleone Bonaparte, scritta, da Walter-Sc pr i ai) 20 vol. in 19.°, lire 30: per sole lin. 20. Radcliffe. Le visioni del castello de’ Pirenei, $ voli in | 12.9, con figure in rame, lir. uo — "0 II Nourjahad; Romanzo rradotto dall’ inglese 6 p; | Mirri; x La edi 50. ; Bisio i Robin-Hood, simile dallo stesso, in 12.°, cent. ), Storia di Napoleone di L. Gallois, 2. vol. in 13ilir_ 6,0 Commentarj di Napoleone, 8 vol. in 19.%; primayyb. | blicazione, lir. 24. a Ì —— Gli stessi, 2.da pubblicazione con molte agun. te, lir. 28. 7 ANTOLOGIA N 4123. DELLA COLLEZIONE. N°° 3. DEL SECONDO DECENNIO SMaggio 1851, Broucuam. — Rirorme Lrerstarive IN IncHrrrERRA. — Progetto di un sistema più economico nellu trattativa e decisione delle cause di piccol merito (*). torna 12 Gennaio 1830. = {1 mare continuava ad imper- versare. Già da due giorni erano per tal cagione interrotte le comunicazioni con Calais. La mattina verso le nove ore andai alla bocca del porto, e mi vi trattenni per qualche tempo, non seuza interesse, a contemplar la furia spaventosa ed inesplica- bile dello sconvolto elemento, cagione che nemmen per quel giorno potea tentarsi il tragitto : ed in vero spettatore io in quel momento dell’uscita dal porto d’alcune barche riconobbi che sareb- be stata imprudenza l’ arrischiarsi. Bisognava dunque prendersela in pace , e rivolgersi al solo compenso che resta in tai casì, quello di trovar modo di passare il tempo meno male. — Il vento era gagliardo, e di quando in quando cadea della neve. Unico rifugio contro la noia mi si presentava un gabinetto di (*) Vedasi la lettera dell’Autore al Direttore dell’Antologia nel fascicolo di Gennaio di quest'anno a pag. 27. 2 lettura ove erano v.ri giornali. L' ultimo che mi cedle fra mano tu il Morning Herald, nel quale due articoli sopratutto mi colpirono. I primo conteneva la giuridica verificazione dei cru:leli trattamenti praticati da un cordaio sopra dei fanciulli d’ambov i. sessi che stavano con esso per garzoni (1); l’altro era la propo - sizione di M. Brougham membro del Parlamento sulla necessità di provvedere alla diminuzione del dispendio nelle cause di pic- col merito. Cominciando circa alle quittro a farsi notte, mi avviava verso |’ alberg : , ed ordinato nella mia stanza un buon fuoco , e la cena , mentre mi stava confortindo alla fiamma crepitante e vivace del carbon di terra, e fisso su quelle fiamm-lle, le cose lette mi si andavano aggirando per la mente : — Poss:bile , di- ceva fra me, che presso un popolo ch» ogni rafiiuamento di ci- viltà a sì alto grado ha condotto , presso un popolo ove gli ani- mali sono così umanamente trattati, debbansi u.lire , e ripetu- tamente , tali orrori ? E niun parente. niun vicino frapponevasi tra il carnefice e la sua vittima! Quelli infelici eran dunque abbandonati nell’universo ?_—- Ta quanti, quanti infelici di simil sorte, continuava fra me, non affliggono con lo spettacolo della pù disperata miseria , nelle città principali dell’ Inghilterra , un viaggiatore come il Toscano non «avvezzo a simil vista! -— Ma è forse lor colpaf mi ha ripetuto spesso qualche Inglese. Se sia colpa loro , o d’ altri, non so; so che la natura freme, il cuore si stringe a quella vista, e l° animo è contristato leggendo gior- nalmente il ragguaglio delle conseguenze orribili di quello stato, e gli atti atroci di disperazione cui conduce. Un senso di grave mestizia e di amarezza inesplicabile invade 1’ animo di chi, ac- cinto a tanta miseria , vede poi passar sulla stessa via |’ equi- paggio brillante , su cui è prodigato tutto ciò che il lusso e l’opu- lenza la più fastosa sa inventar, può produrre. — Questa spro- porzione di fortune , mi si dice, è nell’ orline delle cose; è nel- l'attuale posizione della società necessaria. = Sia pure. Ma quel- 1 essere che soffre, sul cui volto , in questo paese forse più che altrove, 1 impressione del patimento morale accompagna quella (1) La scarsezza e la mala qualità del cibu, la nudità, e 1’ impedito egresso dall’ officina anche. per compiere ai doveri religiosi, erano un nulla in confronto della barbarie dei trattamenti cui eran giornalmente esposti quelli infelici. Le cicatrici profonde; le piaghe antiche e recenti; lo stato d’ ema- ciazione che gli conduceva lentemente al sepolcro ; la stupidezza e 1 abbru- timento cui eran ridotti, accusavano le continue lbattiture, 1’ eccesso della iutica ; e la crudele ed avida oppressione di quel carnefice. 3 del fisico patimento , è pur della specie stessa, è furmato an- ch’ esso della stessa carne , è egualmente sensibile. E se que- st’ ordine è, come yvuolsi, necessario, inevitabile, non può ne- garsi però che la repartizione che fa la sorte dei beni, e dei mali, è qui più che altrove smisuratamente sproporzionata , s0- verchiante , ed ingiusta. | Deviando a poco a poco da queste triste idee, volgevansi i miei pensieri all’ altro articolo da me letto, e si diramavano tosto in due serie, una relativa alla persona , l’altra riguardante la mo- zione di cui parlava il giornale. Io aveva veduto M. Brongham, difensore rinomato, interve- nire nelle corti di giustizia alla trattativa del'e cause più gravi. Jo l’ aveva iuteso nelle discussioni parlamentarie, e mi era sem- brato uno dei pochi ragionatori profondi, e veramente eloquenti, che abbia la Camera dei Comuni, se quel genere d’eloquenza con- siste nell’esporre con ch'arezza, ordine, e precisione , pensieri im- portanti , e propri del soggetto di cui si tratta. Mi rammentava infine del giorno nel quale distribuendosi in quest'anno i premi agli scolari più diligenti dell’ Università di Londra, al suo com- parire nella sula ove la distribuzione facevasi.,, unanimi spon- tanei applausi degli scolari e degli spettatori lo accolsero , eil interuppero per un istante la ceremonia. Sino a quel giorno io aveva riguardato Brougham come uno di quelli nomini che s’in- contrano non di rado nei governi rappresentativi (ove le capacità non s’ improvvisano, e gente nuova alle amministrazioni non s'impone a tutto rischio e pericolo degli amministrati) che col loro solo talento, e con la reputazione che gli acquistarono le loro personali qualità si aprono (la via ai posti più eminenti e lumivosi dell’ ordine sociale (2). Da quel giorno però cominciava a considerarlo come uno di quelli esseri rari che rivolgono ad un nobile e degno scopo il credito e l’ influenza di cui godono , (il che poi è men comune che non si pensa ) e che mostrano unite alle doti della mente quelle ‘dell’ animo , anche più pre- ziose , e disgraziatamente più rare. Mi si preseutavano in quel punto alla memoria le tre gran- di istituzioni delle quali può dirsi avere egli fatto dono all’In- ghilterra. La prima e più maravigliosa, per l’immensa somma che era necessario di riunive sulla filucia del successo ispirata ‘ai particolari che dovevano contribuirvi, è 1’ Università di Londra, (2) Il recente inalzamento di M. Brougham:al ministero . ha verificato ciò che io considerava allora come possibile dietro infiniti,precedenti esempi. 4 che , ad onta di tutte le difficoltà che egli ha dovuto superare , ha oggi un locale grandioso e magnifico, eretto dai fondamenti, è provvista di valenti professori, ed è frequentata da numeroso concorso di studenti. Ma questa grande impresa , che svela qual fiducia inspiri un tal uomo , e quali sieno le risorse che offre quel sorpren- dente paese , non mi si presentava però come quella che supe- riormente ad ogni altra, e più chiaramente , manifesta l’ illu- minato di lui zelo per la gloria ed il ben essere del suo paese. Con sentimento di compiacenza, e con la quasi certezza di non ingannarmi , io mi dava a credere d’ aver raggiunto l’insieme del vasto piano, e del nohile concetto, che nella di lui mente collocava questa istituzione come parte del piano stesso comparativamente meno importante, e , per i suoi resultati , di gran lunga meno in- fluente delle altre due.I progressi dello spirito umano nella carriera brillante delle Scienze e delle Lettere non doveano, nel mio modo di vedere, comparirgli il solo e più degno scopo dei suoi sforzi. La missione di chi è oggi in situazione di poter far del bene ad una nazione, non è quella solamente di aumentare i godi- ‘menti di un piccol numero d’ uomini che la fortuna ha più o meno favoriti dei suoi doni, ma quella bensì più importante e più sublime di render migliore la massa del popolo, e soprat- tutto di elevarne i sentimenti ed il carattere, esposto pur troppo a tante e così frequenti occasioni di avvilimento e di degrada- zione. Ed a questo scopo appunto era diretto l’Istituto degli operai sotto nome di Mechanick”s Institute, destinato a fornire ad essi le cognizioni più necessarie e più utili al loro stato ; come v'era pur diretta l’altra istituzione che porta il nome di Società per la diffusione delle utili cognizioni, avente per oggetto la pubblicazione di opere utili, che per la tenuità del loro costo sieno alla portata anche della classe men facoltosa della popo- lazione (3). Passando da queste reminiscenze, e da questi pensieri sulla persona , al soggetto dell’ articolo da me letto nel giornale, le mie idee si arrestavano da prima sul modo col quale si dispone in questo paese una riforma nella legislazione. Il preparare una legge non fa parte quì degli Arcana Imperii. È cosa di cui si parla giornalmente per tutto e con tutti, e in specie poi tra le persone che si occupano di (3) Di questa società è già stata fatta menzione nell’Antologia, e ne sarà forse trattato più estesamente in altra occasione. IA [gd uu pubblica amministrazione , tra quelle al di cui ceto interessa più direttamente la riforma o il provvedimento che si vuol pren- dere , e in specie tra i legali, se si tratti di riforme nelle leggi civili. Queste discussioni accademiche , e le opinioni diverse che ne sono il resuùltato, giungono spesso alle orecchie dei perso- naggi più influenti, e si emettono talvolta in loro presenza, nelle frequenti occasioni nelle quali trovansi, cov utile reciproco , a contatto con uomini notabili per ingegno e per cognizioni teo- riche o pratiche. Queste discussioni dan luogo talvolta a qual- che scritto che non si sdegna percorrere; anzi bene spesso tan- t' oltre si spiuge il desiderio di tar bene, che si eccitano i sog- getti noti per meriti nella sfera di cui si tratta , a dire il loro sentimento , ed in specie s° interrogano quelli che conoscono i sistemi di qualche altro paese, e ben anche gli stranieri stessi. Nella mia dimora in Londra parlando un giorno di riforme legislative con un Italiano mio amico, stato legale, ei mi disse che in quel momento si trattava d’ introdurre in Inghilterra una spe- cie di sistema ipotecario, e mi mostrava un libretto di poche pa- gine col titolo di — Outline of a plan of a general register. — (Prime linee d’un piano di registro generale) nel quale davasi un idea del progetto (4). Soggiunse l’ amico che stava appunto riu- nendo alcuni pensieri su quel soggetto, e mi domandò quali variazioni erano state fatte in Toscana al sistema ipotecario Francese , e quali disposizioni di quella legge aveano dai tri- bunali ricevute interpretazioni importauti. Nel presentarmi poi uno di quei libretti m’ invitava a porre in carta ciò che avrei potuto dirgli su tal proposito , cosicchè se avessi allora avuto agio di occuparmene, chi sa che il ragguaglio di ciò che in To- scana si è fatto, e qualche cenno di quel più che forse si sta preparando per render quel sistema completo , e corrispondente al bisogno ed allo scopo che si è avuto in mira nello stabilirlo , non avesse avuto l’onore d'esser letto da qualche alto personag- gio , e che forse lo stesso sig. Peel non si fosse degnato di gettarvi su gli occhi? A dir vero l’esempio di M. Brougham mi avrebbe awnmato, specialmente facendomi conoscere ch'io mi trovava in un paese ove la professione d’Avvocato, alla quale mi glorio d’essere ascritto, non era, come altrove, in cattiva vista; dove coloro che continuamente meditano nel silenzio del loro ‘gabinetto, ed in (4) Questo progetto è stato poi formalmente presentato alla Camera dei Go- muni nel dì 16 Dicembre del decorso anno dal sig. M. R. Campbell, che per l’ adozione del medesimo fece la conveniente mozione. 6 pubblico ed in privato nel conflitto delle opinioni propongono e di- scutono le questioni più importanti di Giurisprudenza , non son creduti i meno atti a dar su quelle materie qualche utile consiglio; in un passe dove mentre si pone ogni studio nel facilitare e nel fa- vorire tutto ciò che pnò dare al commercio ed alla industria un più pronto ed un più esteso sviluppo , per il che quel Regno può dirsi unico nel mondo, si crede anche che la Nazione non possa veramente goder di questi vantaggi, e dirsi felice, se non è con- vinta che le leggi che regolano i diritti ed i doveri dei citta:lini son le più convenienti al suo stato di civilizzazione , ai suoi bi- sugni, ai suoi voti, e che il modo di farle eseguire , e d’am- ministrar la giustizia è il migliore possibile. Da queste generali considerazioni scendendo al contenuto del- l’ articoio che avea letto’ nel giornale , io lo andava combinando con ciò che avea formato altra volta soggetto delle mie medita- zioni nell’ osservare altrove alcuni di quelli inconvenienti mede- simi su i quali il sig. Brongham richiamava |’ attenzione della Camera , e dai quali prendeva motivo di proporre in modo ve- ramente vratorio la sua mozione (9). “ Se qualcuno, ei diceva, narrasse esservi un paese nel quale », una persona per recuperare un credito di 6. o 7. lire sterline », dee cominciar da spenderne sessanta, o settanta, col rischio di »» gettar, come suol dirsi, i buvni dietro ai cattivi, si direbbe ») tusto che, comunque d°’ altri vantaggi e benefizi goda un tal », paese , nun è certo fortunato nel suo sistema di legislazione. ») Ma se si aggiungesse che oltre allo spendere 60, o 70 lire -, devonsi incontrar grandi difficoltà, inquietudini e molestie infinite, intraprender viaggi da un luogo a un altro , e soffrir rinvii da uno ad un altro tribunale prima di potere ottener giustizia , allora il nostro desiderio di vivere in quel paese diminuirebbe d’assai. E se di più si aggiuugesse, chè dopo essere state spese dal creditore 60 , 0 70 lire sterline per ri- cuperarne 6, o 7, potesse in quel paese il debitore tenere ciò che ha, fuori della portata del creditore medesimo, tal- chè questo non potesse ottenere la totalità del suo credito , (5) Il sig. Brugham avendo sviluppato più estesamente i fatti e le ragioni sulle quali fondava la dimostrazione degli inconvenienti dell’attual sistema, e il modo di rimediarvi, nella successiva seduta della Camera dei Comuni del dì 29 aprile 1850, abbiamo creduto per la più completa esposizione del soggetto del quale si tratta di dover riordinare ed ampliar ciò che segue sul discorso da esso in tale occasione pronunziato. Z: ,» bisognerebbe confessar che la sorte di quel creditore non ,» sarebbe certo invidiabile. E se in anmento di tutto ciò nel caso in cni il creditore potesse ricuperare il suo credito, e il debitore fosse solvente, e disposto a pagare , in quel paese il primo ricuperasse è vero le sue 6. 0 7 lire, ma non potesse ot- tenere rimborso della totalità delle 60, o 70 che avesse spese, per quanto fosse stata proferita sentenza a lui favorevole, e dovesse contentarsi di riceverne una ventina di meno, così che alla fin dei conti si trovasse aver sacrificato il smo cre- dito, ed averci rimesse del proprio 13 o 14 lire, oltre l’essersi esposto ad una infinità di noie, e di travagli; se un caso tal sy venisse raccontato, mon verrebbe egli fatto naturalmente di »» esclamare : È egli possibile che vi sia oggi un tal paese? — E ammesso che vi fosse, si converrebbe tosto chie deve essere in un barbaro stato; che deve essere abitato da una povera », nazione , perchè nessun popolo commerciale , avente interessi estesi ed importanti, potrebbe tollerare un tale andamento di cose. Eppure il paese, dove ciò si verifica , esiste; e questo ») CE) » paese è l’Inghilterra .,. Il sig. Brougham per farsi strada a snlarifoar le varie asser- zioni sopra riferite venia narrando aver egli verificato che nel corso di cinque anni, dal 1822 al 1827 , le cause introdotte in tutti i tribunali di Westminster-hall ammontavano a 79,300, ed il numero di quelle proseguite ascendeva a poco più di 7000, ed era perciò di una per ogni undici. Avea pure verificato, risalendo dal 1827 per due anni e mezzo in dietro , che in quel periodo il numero degli Affidavit (6) per somme superiori alle dieci lire sterline, erano stati oltre a 63,000 ; che 29,800 per somma tra le 10 e le zo lire sterline (7); 34,000 per somme tra le 20 e le 5o lire sterline, e 14,000 per somme tra le 50 e le roo lire ster- line ; così che delle 93 c00 ve ne erano 64,000 per somme non eccedenti le 50 lire sterline, e 73,000 per somme non eccedenti lire 100 sterline, comprese le 64 c00 sopra indicate. Cinque sesti aslunque delle liti di tutto il paese per recupero di denaro erano relative a questioni di un valore inferiore alla detta somma di lire 100 sterline. (6) L’ affidapit è l'atto col quale jil creditore dichiara il titolo del suo credito nel domandarne il rimborso in giudizio. (7) Per una somma minore di dieci lire sterline non si dà ciò che nel lin- guaggio legale inglese dicesi Common bail , che è la cauzione de Judicio sistì , non essendovi luogo all’ arresto personale , nè all’ atto sopra indicato. 8 Posti questi dati il sig. Brougham passava alla verificazione delle spese che la procedura aveva occasionate , al che fare va- levasi del rapporto di una Commissione stata nominata per l’og- getto stesso, e da quel rapporto sceglieva il caso più semplice , quello civè in cui nessuna dilazione era stata accordata, nes- suno incidente si era elevato , e nel quale le spese erano state calcolate nel modo più ristretto. Eppure queste spese ascende- vano a lire 100 sterline, e M. Brougham credeva esser nel sistema vegliante il costo più ristretto , ed assolutamente indispensa- bile in simil caso. Doveasi aggiungere a ciò quella porzione di spese non refettibili , ma che sono legalmente dovute al procu- ratore ; articolo generalmente di notabile entità per il clieute. A provarlo tale ei produceva quattro conti usciti dallo studio di rispettabili procuratori. Il primo era di 400 lire sterline. Le spese refettibili ascendevano a 200, così che il cliente che aveva otte- nuto sentenza favorevole dovea rimetterci di suo 200 lire sterline. Il secondo era un conto nel quale le spese non refettibili non erano che di un terzo, cioè lire 70 sopra 210. Il terzo era rela- tivo ad una causa che non avea incontrata opposizione per parte dell’ avversario (e che noi chiamiamo contumaciale) ed in questo le spese non refettibili non ammontavano che a un quarto della totalità ; eran cioè 15 lire sopra 60. Il credito di cui si trattava era di 50 lire sterline, cosicchè il vincitore, non ostante la contumacia dell’avversario, si trovava perdente di lire 15 ster- line; che se questo avversario fosse stato un uomo ricco e di carattere litigioso avrebbe potuto condurlo facilmente a ricevere un conto di lire 150, di cui 100 sole refettibili, così che in que- sto caso il vincitore vi avrebbe rimesso tutto il suo credito, più per un anno e mezzo , o due anni, le cure , gl’ imbarazzi, le inquietudini, le vessazioni, e le ansietà che accompagnano una lite , col rischio poi di perderla e di rimetterci altre lire 100 sterline invece di ricuperare le 5o. Quale è la conseguenza di tuttociò ?_ ( diceva 1’ oratore ). Questa solamente , che chiunque è al fatto di un tale anda- mento di cose, se avrà senno, perderà piuttosto le 3v, 0 le 50 lire sterline che fare una causa (3). Per 1’ istesso motivo chiun- (8) Questo inconveniente, che esiste nella pratica di quasi tutti i tribunali d’ Europa, sembra a noi poter esser riparato senza gran difficoltà. La distinzione delle funzioni in necessarie, utili e voluttuose , ci sembra metafisica ed ingiusta, Le funzioni e spese che sono state fatte nella trattativa di una causa , 0 erano veramente utili, o non lo erano. Se eran utili devon esser tutte refettibili. Se 9 que nelle proprie azioni c ilcolerà l’ interesse pecuniario, penserà lungamente se gli convenga d’ opporsi ad una ingiusta domanda di tenue somma , ancorchè fosse possessore di una ricevuta in carta bollata, conoscendo esser forse meglio acquietarsi, e ade- rire a quella domanda ingiusta, che esporsi alle inquietudini ed al dispendio di una lite, con Ja certezza di rimetterci sempre qualche cosa del proprio vincendo, e di rimetterci anche più perdendo. Ho inteso talvolta emetter da qualcuno l’opinione che quel- l'inconveniente come la lancia d’ Achille ferisce e sana , por- tando seco un gran vantaggio , anzi il rimedio, in molti casi, del male stesso, poichè il timore d’esporsi alle conseguenze sopra notate serve mirabilmente a diminuire il numero delle liti, che ‘certo non sono un bene nella società. Si diminniranno nol niego le liti così, ma questo rimedio somiglia mo'to a quello del ta- glio del dito per far cessare il dolore della suppurazione del fu- runcolo. Colui che ha provato ciò che gli è costato il ricupero di una piccola somma, non litiga più, lo sò, ma per non esservi sforzato chiude il denaro nello scrigno, o divien così difficile , che pochi saran quelli che potran seco trattare. Così la bassa classe del popolo , che vive talvolta, e che sempre profitta. più non lo erano, non devono entrare nella tassazione del conto che il cliente è obbligato di pagare al suo difensore. Le spese di mero lusso si ridurrehbero allora all’ aver voluto due difensori invece di uno; all’aver richiesta la firma di quattro o cinque avvocati oltre quella dell’ estensore della memoria , e queste mon dovrebbero essere refetibili, perchè capriceiose. Ma per tutte le altre do- ‘vrebbe esser di regola, come è di giustizia, che chi ha intentata e sostenuta una lite ingiusta debba soffrirne le conseguenze e rifunderne il dispendio occasionato all’ avversario, non per metà, o per un terzo, ma per la totalità. Resta il caso della impossibilità di ottener rimborso dal succumbente , per non essere, come suole spesso accadere, i suoi assegnamenti di facile apprensione; e anche a questo inconveniente qualche rimedio potrebbe trovarsi. L° attore non pos- sidente dovrebbe esser costretto a dar cauzione , o a far deposito per le spese della lite. Nel caso di miserabilità, il parere di tre Avvocati, eletti dal Gonsi- glio di disciplina, dovrebbe decider prima del buon gius, col ricorso al Consiglio stesso in caso di loro ingiusta negativa. Resterebbe il caso d’ inopia del reo convenuto, ma l’ attore facoltoso, prima di litigar contro chi non ha mezzi, ci penserebbe, e non avrebbe, poi dritto di lagnarsi se perdesse le spese. La facoltà accordata al giudice di condannare nelle spese anche stragiudiciali nel caso di temerità della lite, oltre il lasciar troppo all’ arbitrio, il che non è un bene, è di difficile determinazione , in specie in una. giurisprudenza inter pretativa d’una. legislazione che ha quindici o venti secoli , ed è d’altronde stata dalla pratica dimostrata provvedimento insufficiente. Quello da noi accen- nato se non toglie in tutti i casi l'inconveniente , vi ripara in molti. T. 11. Jlaggio. 2 IO della correntezza e della buona fede di chi ha mezzi, manca della risorsa che può far valere l’ opera sua, e l’inazione di questa classe diviene in uao Stato il più fatale di tutti i mali, come ne fa fede a chiunque vi ponga mente la situazione attuale della stessa Inghilterra. Taccio di più elevate considerazioni ; del malcontento cioè, e della disaffezione dei cittadinì per un governo sotto del quale son costretti, o a riununziare ad otte- ner giustizia, o d’esporsi alle conseguenze sopra accennate ; e taccio pure della più elevata di tali considerazioni, quella cioè che fece considerare sempre come il primo e più sacro dovere d’ un Sovrano la pronta, retta, ed efficace amministrazione della giustizia , il che comprende l’obbligo d’invigilare con attenta sollecitudine che le leggi sien secondo i tempi, e secondo i co- stumi modificate: (9) perchè , oltre che il progressivo sviluppo dello spirito umano, e le nuove combinazioni sociali , nuovi re- golamenti richiedono, anche nelle cose che non hanno in- trinsecamente variato, ciò che era buono in un secolo , sot- to l’ influenza di certe abitudini , dee riconoscersi insufficiente , e forse pericoloso in ur altro secolo , sotto 1° influenza d’ altro modo di vivere e d’agire. Nell’indicar come necessarie , nel secol nostro, maggiori, più pronte, e più facili repressioni alle ingiuste domande ed alle ingiuste negative, si dirà forse che fo la critica di questo secolo, e che lo riconosco peggior dei pas- sati. No. La mia opinione è ben diversa. Ogni vicenda di tempo e di costumi porta seco a parer mio vantaggi e danni, e seb- bene nelle condizioni di questo secolo il bene a mio parere su- peri il male, nel profittar del primo la prudenza insegna a cer- car d’evitare il secondo, per mezzo di opportune e saggie varia- zioni, modificazioni , ed aggiunte alle leggi. E di questa opinione fu appunto l’ autor della mozione , alla quale dopo questa forse troppo lunga digressione ritorno. Dopo aver dato le debite lodi alla Commissione che prima di lui si era di questo oggetto occupata, ei segnalava tra i migliori di lei suggerimenti quello di diminuire più che sia possibile (9) Leggesi in una notizia sopra Giorgio IV inserita nel Times del Giu- gno 1830 in elogio alla mem oria del defunto Monarca, che sotto il suo regno fu- ron gettate le basi di vaste riforme legislative, e che fu tentato di render la giustizia accessibile ai bisogni del povero. Ciò si diceva allorchè 1’ adulazione tace , cioè allorchè la tomba racchiudeva ormai le spoglie del Re ; si diceva in un paese ove la libertà della stampa lascia aperto il campo alla manifestazione delle opinioni ; e si diceva infine non risparmiando il biasimo per ciò che di non lodevole offriva la condotta ed il carattere del Monarca defunto. 1SI nella procedura gli atti, e le prove in scritto , che sono le più costose ( riforma che trova poco da esercitarsi in Inghilterra ove quasi tutto si tratta oralmente) e l’altro di fare per quanto sia pos- sibile che il corso delle cause non si arresti e che non si suc- cedano le dilazioni, cagione di moltiplicazione d’atti e di spese. Passava quindi l’oratore ad indicare quella tra le canse del male che a lui sembrava più grave, e che ravvisava nella distanza alla quale le parti litiganti son tratte per adire il tribunale che dee giudicarle. Londra è stata fin quì il centro, anzi il grande emporio dell’amministrazione della giustizia di tutto il regno. Da questo centro comincia ogni procedura, ed a questo ritorna. Le Assise stesse che due volte 1° anno tengonsi nelle Provincie, e che de- cidono in prima istanza, son composte di giudici della Metropoli, i quali seco portano le procedure che fan sorgere la loro giuri- sdizione , e seco traggono i legali che le trattano (10). L’oratore vedea derivar da questo sistema due mali; l’in- dugio necessitato dall’uttendere la riunione semestrale delle As- sise, e il dispendio di un viaggio, spesso non breve, per recarsi alla città della provincia ove esse tengonsi, onde consultare i le- gali; più la spesa d’ un agente che solleciti 1’ affare , e del tra- sporto dei testimoni che debbono essere interrogati , i quali tal- volta vi rimangono finchè durano le Assise. Il rimedio a questi inconvenienti ei lo trovava nel ritorno ad una istituzione stata altra volta in uso nel regno; quella delle corti di Contea ; istituzione che perdesi nel buio dell’an- tichità , e che certo era in uso al tempo della dominazione dei Sassoni. Dopo alcune dotte indagini, 1’ oratore passava a dimostrare il vantaggio di tale istituzione per l’ amministrazione della giu- stizia a poca spesa , e si valeva dell’esempio di un paese vicino, la Scozia , ove tali corti sono tuttora. in uso. L’ applicazione della legge (giacchè | come, dicemmo, la decisione del fatto è anche nelle cause civili rilasciata al Giury ) vi era fatta da un giudice sedentario , 2 discretamente, ma sufficientemente sti- pendiato. Il resultato di questo sistema era che nel triennio com- (10) I giudici Inglesi possono riparare al gran numero delle contestazioni che portansi in tal modo avanti di loro, perchè la questione di fatto essendo decisa dal Giury, non resta al giudice che 1’ applicazione della legge, e perchè fissato in tal modo il fatto, essa divien facile a chi ha lunga pratica, attesa l’unità invariabile della giurisprudenza. 12 piùuto al 1823, 22,000 cause circa di un valore superiore a lire 5 sterline erano staté trattate in quelle corti, mentre nello stesso spazio sole 7,000, sulle 80,000 iniziate, erano state discusse in In- ghilterra, che ha una popolazione sei volte maggiore. Di quelle 22,000 Cause, 12,000 erano state spedite in contumacia, e 10,000 in contradittorio. Dalle decisioni delle dette corti vi era appello alle Assise, o Sessioni, ma il numero degli appelli era piccolo , potendosi ragguagliare ad una causa sopra ogni 117, e d’una so- pra ogni 53 di quelle trattate in contradittorio , dal che potea concludersi che gli appelli si limitavano ai soli casi d’impor- tanza , nei quali, o questioni legali d’ alta indagine erano sorte, o un interesse notabile aveva tentato la parte soccombente ad esperimentare in un altra istanza le proprie ragioni. Qual era il motivo di questa enorme differenza tra l’Inghil- terra e la Scozia, differenza che mostra quanto quest’ ultima fosse contenta del suo sistema ? Facile era a parer dell’ ora- tore il riconoscerlo tenendo dietro ai seguenti fatti da esso raccolti. Nelle corti di Scozia la spesa di una causa del. merito di 12 lire sterline, decisa in contumacia. era di soli 1o scellini ( mezza lira sterlina). In una causa del valore di lire 29 o 30 sterline la spesa era di scellini 15. Per quelle del valore di lire 100 ammontava a scellini 20 (una lira sterlina ). Nelle cause discusse e decise in contradittorio , se il valore non ec- cedeva le 12 lire sterline, la spesa era di 5 lire sterline, sulle quali il. vincitore avrebbe persi soli 5 scellini. Se non superava le 50 lire , la spesa era maggiore, ma il vincitore non avrebbe perso più di scellini 10. Se la somma giungeva a lire roo ster- line, la perdita non avrebbe ecceduto i 20 scellini sopra le li- re 13 sterline , cui avrebber potuto ammontar le spese nella totalità. Invidiabile pareva all’ oratore un tale stato di cose, poichè un litigante poteva ricuperare 100 lire sterline anticipando li- re 13 di spese, delle quali potea perderne una sola , mentre in Inghilterra avrebbe dovuto metterne fuori 160 , perdendone per lo meno 50 , cioè la metà del suo credito. L’oratore passava quindi ad esaminare l’ opinione che pre- valeva presso molti, che per le cause di valore superiore alle roo lire sterline dovesse destinarsi un giudice dotto e rispettabile , m% che per le cause del valore di 5, o 6 lire sterline un giu- dice di tal qualità non fosse necessario, e potesse essere un commissionato di una corte superiore, qualificato o no, pagato 13 o gratuito. Nulla , ei soggiungeva, può esservi di più ingiusto, di più irragionevole che questa specie di distinzione. I 40 scel- lini sono cosa importante per quello che si presenta a richie- derli ; ei crede d’essere stato soverchiato , danneggiato ; crede che sia intollerabile il sottoporsi ad una ingiustizia usatagli da un più ricco e più potente di lui, e ricorre al tribunale, non per- chè ei non possa forse fare a meno di 4o scellini, ma perchè è risoluto di ottener ragione, e di non soffrire un torto. Un tal uo- mo , deluso nella sua espettativa, parte scontento come quello che ha litigato per migliaia, ed ha ragione di partir mal con- tento, perchè l’ irritazione del torto ricevuto non può essere acquietata che dalla certezza d’ avere ottenuto ciò che egli aveva cercato , cioè giustizia dal suo giudice. L’ oratore era per- ciò d’ opinione che uno o due comercianti , che non sanno nulla di legge, possono forse, come è attualmente il sistema in Inghil- terra , decider cause del valore di 50 scellini, e talvolta di lire 5 sterline, perchè è meglio ottener giustizia incompleta che non avere a chi ricorrere, ma che tali tribunali non doveano mol- tiplicarsi, nè avere maggior giurisdizione. Suo parere era che in ciascuna Contea vi fosse un giudice, da scegliersi fra gli avvocati di qualche reputazione, che decidesse inappellabilmente le cause di un valore inferiore a ro lire ster- line (circa lire 300 toscane). Questo giudice, esaminate Je parti, darebbe la sua sentenza autorizzandu l'opportuna esecuzione , 0 darebbe quell’ ordine quanto al tempo , e alle rate del paga- mento che le circostanze del caso potrebbero richiedere (11). (11) L’ istituzione di un giudice che nelle cause di dare e avere di tenue summa, di quella incirca sopra indicata, sentite le parti in persona pubblicamente , e sentiti pure pubblicamente i testimoni , se il caso lo richie- desse, o veduto il titolo del credito, senza scritture e altre dispendiose for- malità , proferisse la sua sentenza, di cui si tenesse registro per darne copia senza spesa alle parti, onde potessero pure senza spesa farla eseguire, sarebbe certo un benefizio per Ja classe meno facoltosa in ogni paese. Questione potrebbe esser se questa sentenza dovesse essere inappellabile; e meritevole di seria considerazione sarebbe pure la forma da stabilirsi per quei giudizi , dovendosi conciliare la più gran semplicità possibile nell’ andamento della procedura , colla maggior possibile garanzia e tutela dei ‘diritti delle parti, e dei mezzi che potrebbero servir loro a farli valere , giacchè è nostra opinione che, se in questi giudizi popolari tuttociò che è solennità e forma esterna può senza danno Omettersi , non può restringersi nè la latitudine delle prove , nè la reiterazione delle discussioni, dalle quali può solo ‘ottenersi la cognizione del vero , e con- seguirsi la retta amministrazione della giustizia. Possono quindi a parer nostro sostituirsi le orali allegazioni delle ragioni, alle scritte; gl’interrogatori all'udienza 14 Questo giudice deciderebbe nello stesso modo in prima istanza le cause di un valore superiore alle lire 10. sterline, e dalle sue sentenze vi sarebbe appello o alla corte di Westminster-hall in Londra, o alle Assise della provincia, che ne sono una emana- zione, cosicchè lasciando all’ appellante la scelta non si ver- rebbe ad alterare 1° unità della giurisprudenza e della interpe- trazione della legge, che secondo M. Brougham in ogni Stato ben ordinato deon fluire in una medesima direzione, ed in una dire- zione sola, nulla essendovi a suo giudizio di più difettoso in questa parte di pubblica ammiuistrazione, che uua diversa giu- tanto delle parti che dei testimoni , alle posizioni ed agli interrogatori privati, ma non potrebbe nè ristringersi di troppo il tempo necessario per la riunione delle prove dopo la contestazione della lite, nè ammettersi prove semipiene o imperfette, come quelle della voce pubblica, o di un testimone unico, nè potrebhe portarsi meno scrupolo nella valutazione delle medesime, nè impedirsi 1’ ap- pello o il ricorso a nuova udienza ; poichè ognuna di queste concessioni potrebbe condurre al resultato di sanzionare una ingiustizia. Ad eyitar ciò sembra, a noi che potesse più di tutto contribuire la pubblicità la più illimitata della deduzione delle ragioni e delle prove, e la discussione delle medesime. Perciò dovrebbero esser proscritte le informazioni private. I Giurati , prima dell’ aper- tura dei dibattimenti, giurano di non aver comunicazione ‘con aleuno finchè non abbiano concordata la loro deliberazione; e un magistrato francese ( M. Le Comte Procurator Regio presso il Tribunale di Prima Istanza di Parigi) diceva pochi mesi sono su tal proposito in un discorso proferito in una solenne occa- sione Ce n° est pas assez que les juges soyent justes , il faut que le public 33 ait la convietion qu’ ils le sont, et qu’ils le seront toujours, quelles que 3 soyent les questions qui leur seront soumises, et les personnes qui se pre- », senteront devant eux ,,. Niun dubbio che alla pubblicità, che è il miglior mezzo di conseguir questo scopo , può aggiungersi il fare uscire il giudice da quella immobilità , e da quel silenzio misterioso, di cui in molti paesi si avvol- ge ; lasciando sempre incerto il pubblico se abbia 0 nò inteso ciò che si è detto, se fosse colla mente a ciò che si faceva e diceva, o fosse col pensiero forse a gran distanza dalia sedia che occupava all’ udienza. La pubblicità di queste informazioni avrebbe un doppio vantaggio ; sarebbe garante della pacata at- tenzione del giudice alla difesa che talvolta nelle informazioni private viene an. gustiata dall’ impazienza ch’ ei sà mal reprimere , e che il difensore o la parte non può impunemente non curare, e renderebbe parchi i difensori nello svi- luppo, qualche volta forse eccessivo, delle ragioni dei clienti. La pratica Inglese potrebbe su tal proposito. offrire utili modelli ed esempi, ed invogliare forse del ritorno ad un antico nostro sistema, quello cioè della posizione della causa da farsi pubblicamente dal giudice col fissare il dubbio, e col provocar per parte dei difensori utili schiarimenti., Concludiamo quindi che se una qualche ponderazione potrebbe richiedersi per ben regolare una istituzione come quella proposta da M. Brougham, il ridurla sotto buone regole non sarebbe a parer nostro impossibile, e sarebbe poi certamente in ogni paese utilissimo. , 15 risprudenza nelle varie provincie, o nei vari tribunali di un paese sottoposto a una medesima legge (12). A provveder poi ed a riparare al dispendio maggiore cui l’ozione lasciata all’ appellante potrebbe trarre 1’ appellato , M. Brougham suggeriva una condanna dell’appellante stesso suc- combente, nel duplo, o nel triplo delle spese, nel caso di scelta del tribunale più lontano (13). Passava in seguito l’ oratore a parlar del Giury , ein questa parte dichiarava di non essere interamente d’ accordo col celebre Bentham, al quale però rendeva largo tributo di lodi. In tutti i casi nei quali vi è conflitto di depositi di testimoni, o contradizione tra i documenti e le orali deposizioni, i vantaggi di questa im- ‘portantissima istituzione erano a parer suo evidenti, perchè lad- dove l’ esistenza di un fatto dovea decidersi sopra contradittorie tesvimonianze, niun modo vi era, a suo giudizio, migliore di quello di riunire un numero d’ uomini di abitudini differenti, e di di- versa maniera di sentire e di pensare, che dopo un'attenta in- vestigazione fosser chiamati a decidere di quel fatto. Egli però non avrebbe ammessa la decisione a pluralità , ma avrebbe de- siderata l’ unanimità, e ciò appunto per ottenere dal Giury quella attenta investigazione che è condizione indi-pensabile a tale specie di giudizi. L’ utilità del Giury era quindi da lui ri- conosciuta nei casi nei quali trattavasi di stabilire il quautita- tivo di danni, in tutte le cause di fatto , come di usurpazione o o di danno dato, d’ingiuria nella persona o nei beni, di se- duzione, di spoglio , d’ invasione , o di attacco contro la pro- prietà , non meno che in materia di dare e avere. In alcri casi non ammetteva questa necessità, e segnalava la difficoltà , (12) Questo difetto d’organizzazione giudiciaria esiste in varii luoghi. In Francia si è cercato di rimediarvi non tanto colla istituzione della Corte di Cassazione , alla quale il Pubblico Ministero ricorre per interesse della legge , quanto col ricorso al Consiglio di Stato per una interpretazione autentica in caso di ripetuta discrepanza d’ opinione tra la Corte di Cassazione e le Corti d’Appello. Se anche più facile si rendesse nei casi indicati 1’ ottenere una dichiarazione o una nuova disposizione di legge , ciò non sarebbe a parer no- stro che bene. (13) Questo compenso, a noi, a dir vero, non piace, giacchè crediamo che si debba lasciare la minore incertezza possibile nella giurisdizione dei diversi tribunali ; che si debba quanto più si può troncar la via alle questioni estra- nee al merito della causa ; e che debba finalmente evitarsi la dispiacenza cui suol dar luogo la multa come misura fiscale. A noi d’ altronde pare che il prov- vedimento indicato alla nota num. 8 potrebbe in ogni caso essere repressione sufficiente. 16 ma non l’impossibilità, di stabilire con precisione i casi nei quali mon fosse necessario l’ intervento del Giury (14). Passava in seguito l’oratore a fissare il luogo ove dovea ri- sedere questo giudice, e il tempo delle sue sedute, che opinava duversi tenere una volta al mese per dieci mesi dell’anno. Scen- dendo a parlar della paga da darglisi, la proponeva in lire 1500 sterline ( lire 45000 della nostra moneta ), e prevenendo l’obie- zione che da taluno potea farsi, che il quantitativo di questo salario fosse troppo elevato , ei rispondeva che per conseguire il fine propostosi, e per avere una persona di dottrina e di espe- rienza, che dedicasse a quell’ ufizio tutto il suo tempo, non po- teva ciò conseguirsi senza una adeguata ricompensa. Per dimostrar poi che non dovea aversi riguardo alla spesa, per concedere al popolo uno dei maggiori vantaggi che un go- verno possa procurare ad una nazione , quello cioè di una am- ministrazione di giustizia efficace , pronta, e a poca spesa, ei citava 1’ esempio della Francia, e narrava alla Camera che in quel paese vi erano 3 in 4000 Giudici di Pace , sparsi su tutta la superficie del regno , che costavano annualmente allo Stato lire 121,000 sterline (circa 3,630,000 di nostra moneta ). V’erano nei diversi circondari , 3, in 4oo tribunali di prima Istanza con 1600 , o 1700 giudici , che costavano 125,000 lire sterline l’anno (circa, 3,750,000 lire toscane). Vi erano poi le Corti di Ap- pello che costavano 70,000 lire sterline (circa 2,100,000 lire to- scane ). E finalmente vi era la corte di Cassazione che costava lire 25,000 ( circa 750,000 lire toscane), alle quali somme se si aggiungeva la spesa dell’ amministrazione della giustizia crimi- minale, si sarebbe avuto un totale di lire 525.000 sterline (cir- ca 15,750,00 lire toscane) somma esorbitante, ma che la Francia volentieri accordava ; poichè serviva a uno dei più imperiosi bi- sogni del popolo, e gli procurava i vantaggi d’una retta, pronta, e conveniente amministrazione della giustizia. Era poi sua opinione che il benefizio da risentirsi dal popolo per l'istituzione di questi Gindici sarebbe stato maggiore quando ad essi si fosse data facoltà di agire anche come arbitri, il che (14) Il Giury non potendosi occupare che del fatto, nelle cause ove il fatto è costante, il Giury non ha che vedere. Pure perchè non fosse nell’arbitrio del giudice di privare una delle parti dei vantaggi di una così provida istitu- zione , dovrebbe (e anche il sig. Brougham lo ammetteva) esser permesso sempre a una delle parti il domandare l’ intervento del Giury per stabilire quelle circostanze di fatto che potessero dalla parte stessa credersi influenti nella deci- sione dell’articolo di diritto. Hi avrebbe in molti casi terminata uva lite nascente cou gran ri- sparmio di tempo e di spese ad ambe le parti. Era pure d’ opinione che potesse al giudice stesso aggiun- gersi l’ ufficio della conciliazione , aftidato in Francia ai Giudici di pace. E scendendo a considerare in se stessa l'istituzione di un tal ministero ei dichiarava parergli questo uno de’ più bene- fici, nulla essendovi a suo parere di più capace di calmare l’esa- sperazione degli spiriti, e 1’ esaltazione delle parti, talvolta forse fomentata da qualche cattivo consigliere, quanto il parere di un uomo rispettabile e disinteressato , che facesse conoscere alle parti medesime il rischio ed il dispendio cui si andavano ad esporre impegnandosi in una lite. Che se in Francia lo scopo prefissosi in quella istituzione era venuto interamente a mau- care, (rarissimi essendo in quel paese , secondochè ne attesta M. Levasseur, i casi di conciliazione ) e se ciò era pure avve- nuto in Olanda e nei Paesi Bassi, dove nella fusione dei nuovi codici che erano per pubblicarsi , si era risoluto di eliminarla, ciò era dipeso dall’ aver di questo esperimento fatto un dovere alle parti, le quali non potevano presentarsi in giudizio senza un processo verbale di non conciliazione , il che 1’ aveva reso un atto puramevte di forma. Ma in Svezia, e più ancora in Da- mimarca ed in Svizzera, almeno nel paese di Vaud e di Ginevra, dove l’ adire l’ufizio di conciliazione era facoltativo, questa isti- tuzione aveva avuto i più sodisfacenti resultati. Infatti nel Can- ton di Ginevra, nel triennio dal 1824 al 1827 inclusive, tra un terzo e un quarto dalle cause introdotte, era stato ulti- mato, v col ritiro della domanda, o con la conciliazione. Incerto come egli era se questa sua proposizione incontrar potesse l’approvazione della Camera, egli però era certo che qua- lunque fosse il nome che dar si volesse alla riforma , la riforma stessa era indispensabile , del che lo assicuravano i continovi cla- mori , e le giornaliare doglianze del popolo , che avea diritto d’ ottener giustizia, che la chiedeva altamente , che ritirava la sua fiducia al governo perchè non l’otteneva , e che non sarebbe mai stato contento finchè non 1’ avesse conseguita. Quindi ei credeva che coloro che avesser rigettato il mezzo da esso accen- nato, erano in dovere d’ indicarne un altro, e coneludeva col dichiarare che ei sapeva benissimo esser l’assunto di chi propone qualche riforma, arduo, e spinoso ; esser la sorte d’un tal uomo quella di aver pochi e deboli cooperatori, molti e vigorosi nemici. Ei sapeva che da alenni sarebbe stato accusato come temerario e pericoloso innovatore, come inimico delle antiche istituzioni, T. IL. Maggio. 3 18 come detrattore dei venerandi ordini del paese , e come suvver- titore delle leggi della patria; ma che persuaso della giustizia dei reclami della popolazione , e tranquillo nella purità delle sue intenzioni , che eran quelle di combatter senza riguardo alcuno gli abusi ovunque gli ravvisasse , ei non avrebbe curato nè le maligne insinuazioni, e le detrazioni segrete , nè le vociferazioni pubbliche , e gli attacchi palesi, poichè era certo che la verità dovea presto o tardi trionfare ; è poichè la carriera nella quale egli entrava era già stata battuta da altri, che aveam» ‘lasciato dopo di se i loro esempi ed i loro successi, egli con calma, ma con fermezza gli avrebbe in essa seguitati, ed avrebbe tenuti sempre innanzi agli occhi quegli esempi per imitarli, e quegli applausi per incoraggirlo. I particolari ai quali scendeva 1’ oratore Inglese in questa discussione potrebbero forse a taluno sembrar troppo minuti, e poco interessanti. A noi però non così, giacche crediamo non esservi minuzia che sia disprezzabile quando può condurre al miglioramento della sorte della più numerosa classe della società, e quando può richiamar coloro dai quali dipende questo miglio- ramerto a fare a se stessi con religione , e con calma la que- stione che francamente dirigeva alla Camera dei Comuni nel prin- cipio del suo discorso l’ oratore di cui abbiam riferito i pensieri: — Non si potrebbe egli migliorare il nostro sistema? — T. TonELLI. INTORNO A'PRINCIP\I DELL'ARTE BETIMOLOGICA, per servire al Vo- cabolario universale italiano. Discorso di P. BorreLLi. Dispen- sato col VII. fascicolo. Napoli, 1831. Tramater e C. Dire che la parola è specchio delle cose, simbolo delle idee , ritratto de’ costumi , egli è un dire che la scienza delle parole è indissolubilmente congiunta con lo studio della filoso- fia e della storia , con tutte le parti dello scibile umano. Se dun- que il Turgot affermò (1) che la cognizione filosofica delle lingue è nua scienza vastissima , una ricca miniera di nuove e impor- tanti verità ; se parve al Leibnizio (2) che le lingue sono i più autichi monumenti de’ popoli ; se Locke e Reid con altri filosofi (1) Eneycl. v. art. Etym. 2) Nouv. Ess. sur l’ entend. hum. 19 alla inesattezza del linguaggio attribuirono gran parte degli errori e delle oscurità metafisiche; se i più celebri pensatori e scrittori, Platone, e gli stoici tutti (3), e Aristotele e Cicerone e San Tommaso e il Vico e Gian Giacomo e il Condillac e il Tracy tanta importanza diedero alle gramma- ticali e filologiche indagini (4), convien dire che tra le pa- role e le cose non trovassero quella singolare ripugnanza che vi pose a’giorni nostri qualche linguista gretto e qual- che barbaro filosofante. Un moto felicissimo di Diderot egli è questo: che il dizionario della lingua è quasi un’ enciclo- pedia compendiata (5): e fin dal secento insegnava l’ Alste- dio che in fatto d’ educazione sarebbe riuscito artifizio felicis- simo questo di riportar sempre i giovani ingegni dallo studio de’ segni allo studio delle cose significate (6); consiglio sem- plicissimo ed ovvio, ma quanto difficile a porsi in opera; il fatto dolorosamente cel mostra. Egli è però che il ch. Sig. Pasquale Borrelli alla cui dot- trina fu da’ vocabolaristi di Napoli affidata la parte delle etimologie , credette conveniente premettere al secondo vo- lume del detto vocabolario un discorso dove dimostrare la certezza e l’ utilità della scienza etimologica: cose a chi ben pensa evidenti, ma poste in dubbio da molti, e certo dai più negate col fatto. Alle ingegnose osservazioni dell’egre- gio filosofo accumulate per dimostrare l’ utilità e la bellezza della scienza, noi rimandiamo di buon grado il lettore (7): e non facciam quì che soggiungere alcuni cenni intorno a certi particolari usi e fini a cui lo studio delle etimologie si potrebbe rivolgere, per avverare in parte almeno il detto profondo d’ un enciclopedista leggero: che la scienza etimo- logica ha relazioni con tutte quante le scienze (8). | (3) Cic. off. I. (4) Nomino molti uomini distinti, senza far paragone del loro ingegno, e molto meno delle loro dottrine. (5) V. art. Encycl. (6) Syst. Mnemon. II. 27. (7) Veggasi segnatamente il G. IV. VI. VIII. della P. II. (3) Ch. de Jaucourt. Quindi è che i primi diz. erano intitolati , summa, catholicon ec. 3* 20 D’ alcuni usi speciali dello studio etimologico. I, Il Vico in un suo libretto meritamente pregiato ,, del- l’antichissima sapienza degl’ Italiani, pare che ad un po- polo solo voglia restringere quella lode che in ‘maggiore o minor grado è comune a. tutti i popoli della terra; quella bellezza che non è merito , d’ una scienza attinta dalla me- ditazione e da’ libri, ma figlia di una tradizione misteriosa come la divinità, e d’un mirabile istinto. 1 Quella. filosofia sublime che il Vico riconosceva nella lingua degli antichi latini, in tutte assolutamente le lingue, bene studiate, si ammira. Sublime è quel Numenr (9) che porta in se quasi il germe della gran pittura omerica (10), e dell’oraziano cuncta supercilio movertis (ir): ma non è egli sublime del pari l’ istina degl’ illirici che così chiamano la verità, com- pendiando quasi l’ ego sum qui sum della Genesi (12)? Bel- lo è il pietas de’ latini che accomunato a Dio, a’ genitori ed agli infelici , c'insegna a. venerare, ne’ genitori e negl’in- felici un non so che di divino; ma bellissimo è il pravizia degl’illirici che vale insieme e verità e rettitudine, come se vero e buono fosse. da questi popoli. considerato come un’ essenza sola (13). Sine moré è acconcia frase posta per senza legge, senza freno, come se i costumi d’un popolo saggio fossero la miglior delle leggi: mir, che per gl’illi- rici. è pace, ha evidente analogia con. miriti, misurare , quasi per indicare. che senza misura, senza giustizia di- stributiva non è vera pace. Da rezo (14), facio, trassero forse res i latini; ma gl’italiani trasser. cosa da causa, come se vera essenza non v’ abbia fuor di ciò ch’è cau- sa, sostanza. E se filosofica è la radice di cogitare (15), e (9) Vico ant. It. sap. (10) Il. I. (11) Hor. od. III. 1. (12) Istina da iest, è. (13) Anche pe’ lat. verus avea doppio senso. V. Se. Nuova. (14) Scrivo le voci greche o d’ altre lingue con lettere nostre per ren- derne a tutti visibile la conformità. (15) Cogito da cogo , cogo da co-ago. - Non ben qualifica il Forcel- lini per traslato il passo di Virg. quid cogitet. . .. Auster. — Si noti la con- formità etimologica tra cogito e intelligo. E il pensare e |’ intendere era pei Latini raccogliere. 2I par che indichi il pensiero consistere in un ravvicinamento d'idee: ancor. più filosofica è quella di &keorevo (osservo), la qual pare accenni che l’osservazione sola può dare origine «a vere e solide teorie. II. Il Reid, in un bel capitolo della maggiore sua ope- ra, generalizzando ed elevando senza saperlo il concetto del Vico, viene a mostrare come la conformità di tutte quan- te le lingue nell’ esprimere certe idee, certi atti della men- te, certe relazioni delle cose possa diventare una prova potentissima della verità degli oggetti in modo diverso in- sieme e conforme significati (16). Noi , lasciando da un canto la metafisica, osserveremo che quand’anco alla co- gnizione delle dottrine antiche l’ etimologia nulla servisse, gioverebbe grandemeute a fissare nell’ avvenire quella par- te di linguaggio scientifico e tecnologico nella quale l’ uso del popolo non ha diretta influenza. I nuovi oggetti o sco- perti o inventati nelle scienze fisiche e nelle arti meccani- che , sono per lo più denominati da uomini ignari affatto d’ogni principio d’ analogia, e rozzi della propria non che d’altre lingue. Quindi que’ tanti termini e frasi sì strane, sì varie, sì inutilmente moltiplicate o allungate: quindi un linguaggio involuto che rende difficile la scienza stessa. ll genio d’un Lavoisier e degl’ illustri suoi compagni fu ne- cessario a regolare il dizionario chimico, ormai divenuto l’unico modello d’un bel linguaggio scientifico : per dare unità e fermezza a quello della botanica non bastò tutto il genio e l'autorità d’un Linneo. Or pensate se la lin- gua di tante arti, di tante scienze necessarie alla vita e alla. civiltà, dee continuare ad essere tuttavia malmenata dal capriccio d’ uomini inesperti dell’ etimologiche norme, non curanti dell’ uso migliore, e malamente innamorati delle bellezze , al resto -d’ Italia ignorate, del proprio dialetto. Conciliare appunto le norme etimologiche con le forme del- l uso migliore, per creare. una lingua scientifica e regola re insieme, e il più popolare che mai si possa, questa sa- (16) Ess. snr les fone. de 1’ ent. hum. Ess. I. c. 5. 22 rebbe opera benefica d'un genio potente : giacchè 1’ uso solo ci condurrebbe a irregolarità non Jlodevoli, la. sola analogia ci trascinerebbe a innovazioni sì strane da ‘rendere neces- saria la rifusione dell’intero linguaggio. E queste innova- zioni non solo impediscono la rapida propagazione del ve- ro, ma lasciano sospettare nello scienziato più ciarlataneria che profondità di dottrina. Così, mentre un san Tommaso si contenta della lingua scientifica trasmessagli da’suoi pre- decessori, un Raimondo Lullo si crede in bisogno e in di- ritto di creare causietas, similitudineitas, relativieitas, per- sonieitas , e simili mostri (17): così mentre un Reid e un Galluppi e un Rosmini non isdegnano di parlare ai filosofi la lingua degli altri uomini, Kant e Fichte e molti altri tedeschi nella novità de’ vocaboli ripongano in. non piccola parte la novità degli spacciati sistemi. III. Il Sig. Borrelli ha ingegnosamente provato che nelle stesse religiose credenze una miglior cognizione di quelle voci solenni che le rinchiudono e a dir così le compendiano,; gioverebbe ad evitar molti equivoci e molte dispute, a ri- schiarare le idee e quindi per necessità a riscaldare gli af- fetti. IV. Fu detto che le lingue son tanti muri di separazione innalzati fra popolo e popolo. Un mezzo non dispregevole di superar tali ostacoli è appunto quello studio che mostra le più o men prossime cognazioni delle lingue, che insegna l’ori- gine loro comune, e l’analogia delle idee che con suoni diversi vengono espresse; che per mezzo di queste indagi- ni facilita l’ apprendimento delle lingue tutte, appunto per- chè sofferma l’attenzione sopra quello che in esse è di comune; mezzo , come ognun sa , potente ad ajutar la memoria e ad or- dinare le cognizioni acquistate. Così , agevolando ai fanciulli uno studio divenuto ormai necessario, si viene ad agevolare le comunicazioni tra popolo e popolo ; si viene insieme ad evitare , (17) Lulli Ars. magna. 23 come si può meglio, il pericolo dell’ imbarbarire la propria nel- l’atto d’ apprendere le lingue altrui ; giacchè la scienza etimo- logica insegnando le differenze e le conformità degl’idiomi, ad- dita insieme quello che di essi s° abbia a fuggire per conservare intera l’ indole dell’ idioma proprio, e quello in che lo scrivente © il parlante si possa all’ uso straniero senza rischio di barbari- smi accostare, Norma preziosissima ed unica; seuza la quale ei traduttori e gli scrittori tutti cadrebbero facilmente o nel pu- rismo pedantesco o nella esotica licenza , perchè ignari di quello che dagli altri linguaggi si possa o debba attingere seuza danno del proprio. Così molti puristi condannano come francesismi, frasi prette italiane ; el altri vorrebbero nell’ italiano riversare i più inutili gallicismi : e la questione durerà eterua se non si scioglie col por mente all’ indole analogica di ciascuna delle due lingue. Ora l’ analogia , legge in tutte le cose umane rispettabilis- sima , ha, quanto a lingue , nella scienza etimologica una delle sue più autorevoli sanzioni. V. Quanto la detta scienza possa giovare alla storia ; il si- gnor Borrelli 1’ ba bene accennato; ed altri l’ hanno già provato almeno in parte col fatto. Coloro che l’ italiana mitologia e quindi la religione e le tradizioni vogliono tutte greche , sarebbero molto impacciati a spiegare tutte le varietà di nomi e di titoli che tra le divinità dell’ uno e dell’ altro popolo si rincontrano. Co - loro che creduno potere spiegare la greca mitologia senza l’ajuto delle tradizioni orientali e settentrionali, delle egizie special- mente e delle tessaliche, troverebbero nelle etimologie molti argomenti non facili a sciogliersi. E se indagini tali non ci pos- sono condurre a certezza, servono almeno a raccomandarci la sapienza del dubbio , che in materie storiche specialmente cade frequentissima a praticarsi. Leibnizio osservò p. e. che molti nomi di popoli non sono che aggiunti delle morali o fisiche loro qualità : ora noi troviamo che S/2vi corrispoude in il- lirico a gloriosi, ed Eneti in greco a /odati (20). Da questa sola coincidenza conchiudere che gli Eneti fossero d’ illirica origine , sarebbe mancanza e di critica e di criterio : ma se all’ etimolo- gico indizio si congiungessero altre circostanze un po’ più degno del nome e del credito di prove istoriche ? Il Belial degli Orientali noi lo rincontriamo nel Belai degli (20) Jornand. 1. 9g. — Meritano d’ essere consultate alcune interpretazioni che da a certi nomi geografici rammentati da’ classici il P. Appendini. Non tutte le sue congetture sun certe, Ina ve n'ha d’ingeguosissime e d’ evidenti. 24 illirici che così chiamano il diavolo: e leggendo in Festo che orcus un tempo pronunziavasi uragus, vi riconosciamo il urag, altro nome illirico del demonio. Così noi troviamo che il Tohw e il Bohu erano nomi venerati da’ Fenici (21); e troviamo in- sieme che queste son le forme delle due prime lettere dell’alfa- beto glagolitico (22), e valgono ego qui sum, la sublime defi- nizione di Dio. = Troviamo che alcuni vocaboli Frigi sono dalla lingua slava ritenuti nel medesimo senso (23); che il Dio Vito degl’ illirici, corrisponde etimo!ugicamente al theos (24) de’Greci, e al Dominus videt di Mosè : troviamo nel tonchinese una me- desima voce esprimere l’ umano concubito , e il cielo e la terra, quasi per allusione al greco mito che nel concubito di Giove € di Giunone figurava appunto le fisiche relazioni della terra col cielo (25): casuali convenienze, se poche e accidentali; ma che , moltiplicate e coincidenti con le opinioni e coi costumi , diven- tano degne di considerazione più seria. E di questa coincidenza delle radici etimologiche con lo stato morale d’ un popolo, non recherò che un esempio. Corre tutta- via fra gl’ illirici un proverbio che suona : “ Chi non si vendica, non si santifica ,,: e in quella lingua è una medesima radice con copula diversa, che vale e santificazione e vendetta. Questa radice svetiti richiama alla mente il Dio Vito ch’ era il Dio ap- punto della vendetta (26); il Dio Vito che l’Edda colloca, e non veggo perchè , fra’centauri. Ecco dunque un proverbio indican- te il costume barbarico di popoli a cui la vendetta è dovere , che appendono al di fuori delle loro capanne la camicia san- guinosa dell’ ucciso fratello per segno che non vivranno tran- quilli finchè non l’ abbiano vendicato : ed ecco un’etimologia che viene ad illustrare il proverbio ; a mostrar la vendetta armata da una sanzione divina. Cosa che non dee far maraviglia a chi vede la massima medesima filosoficamente sostenuta da som- mi uomini pagani ; e nel secolo decimoterzo vendetta fatto da- gl’ Italiani sinonimo a pena e a giustizia (27). VI. Che all’ educazione letteraria , che all’ arte del formare (21) Euseb. 1. 2. (22) Grubissich Alfab. Glagol. (23) P. e. Xelcia, olera ; illir. reglia. (24) Theo, video. (25) Lucrez, Virg. (26) Worm. Litter. Runic. (27) Equivoco venuto dal mal inteso senso biblico di vindicta. - 209 e del perfezionare lo stile possa lo studio etimologico giovare, è per se manifesto. Quelle difettose espressioni che sfuggono anco a’ colti scrittori e a’ parlatori eleganti ( uso utile , tenere tena- cemente, seco lui) a molti la conoscenza dell’ etimologia insegne- rebbe a scansarle; insegnerebbe che alcune voci dai puristi ful- minate, son proprie e degne dell’ uso (28): e questa conoscenza, indicando i vocaboli che meglio si maritano insieme, e dal cui ravvicinamento risultano più convenienti , più varie, più pia- cevoli; più forti idee , donerebbe allo stile maggior decoro, vi- vacità, gentilezza , energia. La cosa parrà dubbia a molti, ma non a coloro che vorranno attentamente osservare come l’ ele- ganza e la forza dei sommi scrittori italiani , latini, e greci ri- sieda non solo nella più ovvia ed estrinseca significazione de’vo- caboli, ma nelle stesse loro radici e nei suoni primordiali di cui si compongono; come la preminenza del toscano sugli altri dia- letti abbia per principal cagione questa proprietà di attenersi più di tutti non a’ suoni ma a’ sensi delle due lingue madri. Senza una tale avvertenza le più delicate bellezze de’ classici sfuggiranno allo studio anche, d’ uomini del resto ingegnosi ; e certe esprèssioni non solo gustare non si potranno ma nemmeno comprendere pienamente. Senza una tale avvertenza parrebbe improprio p. e. il modo virgiliano : Quum freta, quum terras omnes , tot inhospita saxa Sideraque emensae ferimur (29) : dove il tempo è preso come misura dello spazio, e le due idee si trovano con proprietà filosofica ravvicinate. Senza una tale av- vertenza inintelligibili rimangono i versi : Indi la valle. .. è 000. coperse Di nebbia, e il ciel di sopra fece intento, Sì che il pregno aere in acqua si converse (30): dove par che il poeta profetasse la chimica trasformazione del- 1’ acqua. Intento qui non vale nè denso come vuole il Venturi, A . . SOT . . nè disposto come commenta il Torelli, ma viene dal latino in- (28) Per esempio : armistizio , che non è tutt’ uno con tregua, ed ha l’analogia di solstizio. Progetto, che è la traduzione etimologica di problema. Problema da ballo; progetto da jacio. — Per esempio: gli oiseaur clameurs di Buffon ec. (29) L. V. (30) Purg. V. T. HI. Maggio. 4 26 tendo, ed in senso simile è usato da Lucano, in un passo quì avuto in mira da Dante , e che allo stesso Forcellini è sfuggito. Interrogato Cujacio donde avess’egli attinta quella tanta dot- trina del romano diritto , additò il Calepino (31), per indicare che nella proprietà de’ vocaboli risiede talvolta la scienza delle cose ; e che le idee chiare dettano le chiare definizioni ; e le chiare definizioni portano innanzi la scienza. Ed è osservazione già vecchia dell’Alstedio, che dalla parentela de’ vocaboli non s'è tratta quella utilità nell’ educazione e letteraria e scientifica , che pur trarre se ne poteva. VII. Uno de’molti risultati e piacevoli e singolari dello studio etimologico sarebbe il rincontrare nelle varie lingue certe frasi e vo- ci tradotte con frasi e voci che dicono etimologicamente lo stesso. Diversi sono i suoni, diversa l’origine de’vocaboli , eppure il con- cetto è il medesimo; e dimostra come i due popoli passassero per la medesima serie d’ idee associate per giungere a creare due frasi che apparentemente non portano analogia veruna. Citerò qual- ch’esempio tolto dalle note all’Eunapio recentemente tradotto (32). Parenti per genitori è latinismo usitato fra noi, e risponde al greco pateres (33) — epidounai per crescere conviene a capello col nostro dar su, dare innanzi (34) — akra paidia è tradotto alla lettera da alta educazione - paton anthropon aleeinon (35) è nel Petrarchesco : e gli occhi porto per fuggir intenti Ove vestigio uman l’ arena stampi — peiras geosamenos ha il senso dell’ as- saggiare Dantesco per isperimentare (36) Porphirioo cleos eis Plo- tinon anepheren, si tradurrebbe con esattezza mirabile da recare, nel senso che Dante dà a questa voce: Voi che vivete, ogni cagion recate Pur suso al cielo (37) — S° osservi finalmente con- formità singolare: il greco revein ha senso e di accennare cogli occhi e d’ inclinare ; i latini ritengono nel verbo nuo il primo di detti sensi; gl’italiani ritengono nel verbo inclinare il secondo; i francesi pigliano dall’ una lingua il suono , dall’ altra il senso, e formano clin d’oeil che corrisponde benissimo al greco nevein. Coteste saranno coincidenze casuali , se così piace ; ma ripetute (31) P. Besnier Pref. alle Orig. Frane. del Menag. (32) Milano Collana degli stor. (33) Eunap. V. Porphyr. (34) Usato dal Soderini. (35) Hom. Il. (36) Purg. II. (37) Purg. XVI. gr. PE I SESTO 27 le dieci, le cento , le mille volte, in una , in due, in dieci lin- gue , non danno forse materia a pensare e sulle vicende stori- chè delle ‘umane stirpi e sui, processi ideologici delle menti umane ? < Stretto dalla vastità dell’ argomento, accennerò ; solamente la corrispondenza delle particelle greche , latine , itàliane, illi- riche, modificanti in sì varii modi l’idea espressa da un nome, da un verbo (38); accennerò, per esemplificazione più variata , la corrispondenza dell’illirico gliuditi che vale e amare e baciare, con osculari che ha tutti e due questi sensi; di remus e di, bosco che in greco ha il senso stesso di remo ( pascere ) ; (di togliere in senso di soffrire, che Nonio comprova con antichissimo esem- pio di scrittore latino ; di @ides per inferno ch’è etimologicamente tradotto da dujo, come il tonchinese ampha (inferno) viene dalla ‘radice am. che significa oscuro (39). VIII. Anche lo studio de’ varij dialetti o delle lingue sorelle, etimologicamenté considerato , presenta mille singolarità degne d’ essere raccolte e classificate e ridotte a principii. Quale educazione, quale dottrina è che insegna alla don- niccimola , al «villanello toscano pronunziare moglie , giorno , condotto con: 1.0 chiuso (40), come s’ egli le sapesse derivate da mulier, diurnus, conductus'; e voglia, corno, cotto con i’0 aperto, come s° egli ne conoscesse la vera: radice ?. Quale erudi- zione consiglia all’abitatore delle montagne di Pistoja pronunziare ora con suono sì largo e sonoro come i dotti pronunziano l’hora la- tino? È ella la semplice forza della tradizione e dell’uso che può per secoli e secoli conservare intatta un’ inflessione di voce e un accento ; ovvero è la fisica costituzione degli organi vocali che que- sta e non altra pronunziazione richiede , comanda ? 1X. Nè la pronunzia soltanto ma e le voci e le frasi anti- ‘chissime il popolo non corrotto da una civilizzazione spuria con- serva intatte per corso immemorabile d’ anni, intanto che le colte città e gli scrittori gentili ne smarriscono la memoria. LI Nimmo per nessuno è voce tuttora vivente in quel di Pistoja e in quel di Lucca ; el/o per lui nel Valdarno ; e degnare col quarto caso, eleganza che parrebbe tutta propria della lingua poetica ; (38) L° Illirica in quesso è forse la lingua più ricca , non eccettuata la greca. (39) Rhodes, diet Annamiticum. V. la n. 45. (40) Vive ancora in alcuni dialetti toscani la desinenza poetica ridutto, con- dutto. 28 e alluciare tanto affine all’antichissimo Zucitiosus (41); e motti e proverbi latini e greci (42): cosa mirabile a ripensare. X. Talvolta 1’ uso popolare è più etimologico dell’ uso adot- tato dalla lingua de’ colti scrittori; e gl idiotismi plebei son più propri delle illustri eleganze. Il poetico è ch’ è vivo tuttavia nel lucchese, è più prossimo all’ udi del dove nostro : ‘e ‘ fragnere s’ accosta all’ agnimi più di frangere; e fusse al fuisset ; e roe usato ancora nei dintorni di Parigi a rex più di roi ; e amave nel lionese, ad amabam più d’aimais (43) , e acouter ad auscultare più d’ ecouter (44). Talvolta 1’ uno de’ dialetti o 1’ una delle lingue affini man- tiene in modo singolare le tracce etimologiche dalle altre lingue e dagli altri dialetti smarrite : e il veneto piova ( ch'era pure un giorno toscano , e sarà forse ancora in qualche provincia), meglio corrisponde a pluvia; e anema ad anemos , e zelosia a zelotypia, e fio ad iios, che ancor meglio vien reso dal portoghese Zizo. Questa lingua ponendo cosa per cosa ; conserva un elemento di causa, che l’ italiano e il francese ha, perduto (45): come il paraula spagnuolo prova che il nostro parola vien da parabola, e che pa- rabola e Verbo ( riscontro singolare ) son diventati sinonimi. XII..Il medesimo dicasi delle voci. che un dialetto o una lingua sorella. ritiene e che 1’ altre smarriscono. Da #hia i toscani fanno zia s da-amita i veneti fanno amia: il veneto. macca-fame nou ha corrispondenti, ch'io sappia, in toscano; ma l’ha nel fran- cese abat-faim : e il greco dlepo dà l'inglese allepsy, cecità ; e abstrusus dà 1’ inglese absirus per nascosto , ch’ è il senso pro- prio della voce Jatina ; della quale agl’ italiani non riman che il traslato. XIII. I cambiamenti del resto che seguono nella generale pronunzia d’ una lingua non sono e non pussouo essere se non rarissime volte mero effetto di caso o di popolare capriccio: falsa (42) V. Fulgenzio. (42 Abbajare alla luna, latrare nubila, di Stazio. == Onos pros lyran; asi- nus ad lyram; e nel Pistojese: l’asino che arpeggia. Non pochi proverbi toscani che la Crusca non cita , stanno registrati nel Cod. 1209 della Riccard. p. 153. (43) Revue frane. VW. 1X. art. 1. (44) Nodier Examen crit. des Dictionnaires de la lang. fr. (45) Gioverà forse avvertire che le altre lingue che nel resto di questo artirolo io vengo citando non sono a me note se non quanto si può acquistarne una leggerissima idea ne’ dizionarii o ne’ trattati de’ dotti. Io le cito non' per far pompa d’ erudizione ma per ‘confermare i fatti osservati con la varietà conveniente d’ esempi. Questa protesta vale , come oguuùno può credere , anco per la n. 39. 29 idea, accreditata per poco da due valent” nomini ch’ or più non sono ; quasichè fosse destino della misera plebe essere sempre ed in tutto sacrificata all’ aulica prepotenza. Dei detti cambiamenti due ragioni principali si possono addurre. La prima , che alcune delle credute innovazioni son usi antichissimi, e anteriori alle origini della lingua italiana , quale ora 1’ abbiamo. Non è ne- cessario indagare per che gradazioni passasse il mihi de’ latini fino a cangiarsi nell’ italiano @ me: me per mihi sappiamo da Festo essere stato latino pretto. Non è necessario creare le scale per cui da merere si scese a meritare, se meritare, al dir di Festo, è frequentativo del vecchio Catone. Che lunga scala nun avrebbe innalzata il Menagio per salire da anello ad annulus (46), se” annellus non avessimo in Cicerone? E quì si noti singolarità che agli storici delle origini de’ po- poli può dar non pvco a pensare. Alla lingua degli Umbri e de To- scani antichi sappiamo che mancava l’ 0, a cui d’ ordinario so- stituivano 1’ 2 (47). Questo vezzo dagli umbri e dai toscani pare adesso passato ai siculi: come si spiega la cosa? XIV. La seconda ragione de’ cambiamenti indotti nella ma- teria de’vocaboli sì che la forma etimologica ne rimanga alte- «rata, è più notabile ancora : io parlo del senso dell'eufonia; nelle orecchie popolari delicatissimo. Egli è questo senso che di cras- sus fa grasso, di levis lieve , grongo di ‘congro : egli è questo che nelle bocche del volgo suona grolia per gloria, ghiova per gleba, stiacciata per schiacciata; nè tra le une e le altre varietà diffe- renza si può stabilire altra che questa: che 1’ uso della lingua seritta ha adottati certi idiotismi , certi ne ha rifiutati. La dis- tinzione pertanto da alcuni valentuomini posta tra l’ aulico ed il plebeo come qua!cosa di essenziale e d’ intrinseco , non regge alla. prova de’ fatti.. Tanto è idiotismo guastare per vastare, e debole per debile, quanto gralima per lagrima, e mobole per mobile: se non che l’uno è dell’ uso comune, 1’ altro rimase nelle boc- che del popolo. La sorte che toccò a gabbia che viene da cavea, po+ tea toccare a Zoce che viene da vox: son guasti de!la plebe am- bedue; se non.che il primo durò sino a noi, 1” altro rimase negli scritti de’ trecevtisti più illustri, per dimostrare che ci ha in ogni lingua una parte abbandonata agli arbitrii dell’ uso ; che l’ arbitrio non vien però mai dalla. plebe, nelle stesse sue stor= piature costante, e ubbidientissima quasi sempre alle leggi del- (46) Avrebbe ‘fatto : annulus, annululus, annulellus, annellus. (47) Prise. I. 30 l’eufonia; che di tali spostature le più fortunate sono dai grammatici avvenire riposte nel numero delle figure , e da’ pu= risti onorate come cortigiane eleganze. In tutte le umane cose la preminenza aristocratica o tirannica si riduce ad una origi- naria uguaglianza : che non può per altro durare , e vien tur- bata dal concorso ‘di mille segrete ragioni ; le quali, complicate insieme , si confondono in modo che prendono agli occhi de’meno veggenti apparenza di caso. XV. Ma nulla è casuale nel mondo: e se qui spazio e tempo ci rimanesse , noi potremmo additare ‘alcune tra le norme e le ragioni secondo le quali le dette trasformazioni si compiouo , ed altre vivono lungamente , altre cadono; ben presto in disuso. Siaci lecito accennarne una almeno: ed è l’ attenzione che in tali varietà pone il popolo ad evitare gli equivoci. Pensare e pe- sare son certamente il medesimo verbo :. or. perchè questa du- plice forma ? Per distingùer due cose che troppo si confondono nel fatto; il pensiero dal peso, e un pensatore da un uomo: pe- sante. Così si distingue riclamo da richiamo, luglio da giulio , goccia da gotta, cancro da granchio, che son le stesse parole , ma con due forme diverse. secondo la. diversità del significato; l’ una più etimologica , 1° altra provvidamente guasta dalla popo- lare ignoranza. XVI. Questa d’ evitare gli equivoci ( che nell’ uso di tutte le lingue s’ osserva , e lo prova nella francese p. e. cor e corne, proces e procédé , échelle e escalier, propriété e propreté , des- sein e dessin) è avvertenza specialmente nel parlare toscano maravi- gliosa. Ed. è però che delletto addiettivo non: è dell’ uso , ac- ciocchè non. si confondesse con quel. brutto sostantivo. che grazie al cielo nun è più di moda se non se nelle cose morali: egli è. perciò che fra i tanti derivati d’ agnello. voi non. trovate agrellotto, che non è una . specie d’ agnello ma una specie di minestra. Io non amerei dunque si seguisse l’esem- pio de’ benemeriti editori della Crusca di Padova , i quali col titolo di voce di regola notano molti dei derivati possibili d’un vocabolo radicale: giacchè non tutte siffatte filiazioni son logiche e. naturali; e nel crearle e nel giudicarle assai più che il gusto degli scriventi vale l’inesauribile fecondità e la delicatezza ma- ravigliosa de’ popoli bene parlanti. Cicerone, iscrittore illustre, se mai ven’ebbe, era anch’ egli di questo parere : e. ognuno 'ram- menta quel suo pavimentula che il Forcellini potea registrare. XVII. Le norme, se non le ragioni , dietro a cui le accennate trasformazioni di vocaboli da lingua a lingua o da dialetto a tette na | 31 dialetto , si fanno , furono notate alla meglio dal Menagio (48) e dal Vossio (49). Moltissime però se ne trovano omesse: e ne accennerò quì taluna per saggio. L’I eliso: a’ per 4i, de’ per dei, ma’per mai, vivo tuttora in Toscana — Cul mutato in cch: baculus , bacchio 3 oculus , occhio — B in bb: d’ habens, abbiente; A’ abacus, abbaco = Arius in ere: abacarius , abbachiere; apothicarius, botteghiere — B in j: habeo, ant. 4j0 = baubor , abl'ajo == Ct in tt: doctus, abiectus ec., dotto ec. — Ct in z: abiectio, abbiezione Abilis in evole: abominabilis, abominevole — € in cc: facies, faccia. — B in v: — bibo , bevo: ed altri infiniti, e notissimi, ma non però men degni d’ essere classificati. XVIII. Il più singolare si è che di simili trasmutamenti di lettere tutte le lingue ci offrono analogie tali da dimostrar chiara- mente come il creduto capriccio volgare è soggetto a leggi universali e costanti della natura. Se da abbatissa noi facciamo badessa, i latini da oinotomia fecero pure vindemia; se da vestro noi facciam vostro, da versum facevano versum gli antichi latini , 0 viceversa se così piace; se da vide noi facciam vedi, da sibe facevan sibi i latini (50), e viam da veham (51); e li in e di frequente trasmutavano i greci stessi (52); e l’ fin 2 i macedoni, siccome tuttora i di- scendenti da una razza medesima, i popoli slavi che Bil/ipe pro- nunziano per Filippo. Quest’ ovvia osservazione noi qui poniamo per trarne una conseguenza men ovvia: ed è che la suddivisione delle lingue , e quindi delle nazioni, de’ popoli, de’ governi è un’ invincibile necessità , che si può ben filosoficamente e filolo- gicamente e religiosamente spiegare, ma non potrà nè per vio- lenza di tirannidi vincersi, nè per merito di filantropiche inten- zioni distruggersi mai. XIX. Ed uno appunto dei mezzi di trarre qualche illazione storica non dispregevole dalle etimologiche osservazioni, si è di por mente non solo alle conformità di radici e di suoni ma alle differenze altresì. Quando in una lingua , in un dialetto io rin- vengo forme grammaticali ed ortoepiche , eterogenee alla lingua , al dialetto stesso, io ne posso conchiudere l’influenza d’ un qualche estraneo elemento , il contatto cioè ch’ ebbe quel tal (48) Orig. Franc. — Ital. (49) Etymol. (50) Quintil, (51) Varr. (52) Plat. Grat. 32 popolo con una razza diversa. Se nel dialetto veneto , per esem- pio, che parlano i luoghi marittimi della Dalmazia, io trovo alcune voci dove il c è pronunziato al modo toscano , non al veneto (53); io posso dedurre che la toscana civiltà ebbe un tempo in quelle spiagge una qualche influenza ; e la mia illazione sarà confer- mata dai documenti storici i quali mi dicono che toscani mae- stri nel trecento insegnavano colà la grammatica, vale a dire le lettere amene. XX. Che le plebi più rozze conservino nelle loro deviazioni stesse alcune regole certe e ferme, lo prova 1 ubbidienza di tutte le umane favelle al grande principio d’analogia , ch'è una delle più nobili guide dell’ umana ragione. A questo principio servono le anomalie stesse : e se la plebe toscana pronunzia a modo degli antichi poeti sue, giue, ene, mene , ciò prova l’or= rore che ha questa lingua armoniosissima a’ tronchi, i quali in- fatti nella lingna marlre sono, come ognun sa, tanto rari. Se alcuni dialetti toscani pongono viengo e tienete per vengo e tenete , lo fanno perche l’ analogia della terza persona viene e tiene par che loro lo imponga. Ma senza cercare altri esempi particolari, quella concorde costanza con cui tutti i parlanti una lingua, alla medesima formola grammaticale, alla medesima de- sinenza annettono sempre la medesima idea , nè mai scambiano l’una con l’altra, non è egli un fatto che quanto più si ri- pensa , tanto men semplice apparisce, e tanto più degno di me- ditazione e di maraviglia ? XXI. Questo in particolare delle desinenze è argomento non bene considerato finora. Gioverebbe cercare se i principii etimo- logici ad esse altresì si potessero in qualche caso applicare. Il Niebubr dalla varietà delle desinenze s’ ingegna di dedurre la varietà delle razze (54) , congettura in tanta scarsezza di memorie e di documenti poco men che gratuita; ma che non lascia perciò d’avere il suo fondamento di verità. Se infat- ti si giungesse a provare che alcune di queste desinenze non sono un’ appendice arbitrariamente appiccicata al corpo del vocabolo , ma rinchiudono un senso lor proprio, signi- ficano insumma un’idea, si potrebbe senza temerità fare il- lazione dai casi noti agl’ignoti, e sostenere che tutte quante le desinenze de’ nomi e de’ verbi erano in origine interi vocaboli apposti a modificare l’ idea principale dalla prima parte del vo- (53) Fondaccio , ciuco , boccia nel senso Lucchese di palla. (54) T. I 35 caholo espressa. Ora noi vediamo nella lingua nostra vil futuro dell’indicativo portare per desinenza una forma del verbo! avere : e chi dubitasse che amerò non sia tutt'uno che amare-ho, badi all’antico amar abbo ; al siciliano amar-aggio, dove la natura del verbo avere è evidente ad ogni ‘occhio. Così la. latina desi- nenza in abilis non è forse che l’addiettivo Aabilis (55) congiunto ad un altro addiettivo per indicare la possibilità di quell’atto. Così la greca desinenza in osin e, non è forse che il pronome 05, e, posposto alla voce. E noi potremmo se ne avessimo il tempo, moltiplicare gli esempi. XXII. La congettura tanto più diventa probabile, inquan- tochè nell’antico uso delle lingue; due sole pare che fossero le declinazioni ‘de’ nomi, e una la coniugazione de’ verbi. In- fatti un uomo dotto e ingegnoso mi faceva acutamente osservare che molti de’ nomi latini si riducono, per quelle così dette auo- malie che assai volte son gli usi più antichi ei più ragionevoli, si riducono ad una delle due declinazioni prime : e il Pad. Ap- pendini (56) osserva anch’ egli che mnica pare essere stata un tempo la coniuzazione de’ nomi illirici , in 4. Certo è che una fabbrica così mirabilmente analitica com’è la costruzione grammaticale delle lingue, costruzione tanto uni- forme nella sua varietà, non solo non paò essere opera del caso, ma vince di gran lunga ile forze del filosofico razio- cinio. XXIII. Una delle indagini che intorno a questo argomento rimangono a farsi, riguarda appunto l’origine di quelle sì varie e sì espressive desinenze di cui s’ arricchisce la lingua nostra, e si rende atta a dipingere in una sola voce tante gradazio- ni d’idee che in francese e in altre lingue moderne e nel latino ancora ne richieggono due , e ancur non sono cosi felice- mente significate e dipinte. Le più di dette desineuze proven- gono evidentemente dalla lingua madre; e tali sono abbia, accia, uco, ace, acqui, ada, adre, ago, aggio, aglio, ec.; che con piccole modificazioni sono le stesse. desinenze latine. Similmente i peg- giorativi in accio, vengono dalla desinenza dell’addiettivo aceus, che per onomatopea nella nostra lingua acquistarono un senso di spregio; senso che il suono loro pareva indicare. Così 1’ ad- diettivo inus che diminuitivo non è nel latino, diede assai più (55) Habilis infatti soffriva anco l’infinito. V. Forc. (56) Diss. premessa al diz. dello Stulli. T. Il. Maggio. 5) 34 probabilmente che il tedesco ein origine a quella gentile desinen- za italiana che con .la tenuità stessa del suuno indica picco- lezza. Così 1’ italiano » dispregiativo aglia. indicante. quantità d’oggetti notabile, nasce dal plurale neutro dei nomi desineuti in ale , che poi ne’ secoli barbari si trasformò in femminino per nna di quelle metamorfosi che si possono studiar con profitto. Ma le desinenze in etto, in otto, e altre poche, gioverebbe cer- care donde discendano , e se il solo istinto onomatopeico le abbia potute creare. XXIV. Nella prosodia innoltre, e nell’ortografia delle lingue, noi vediamo conservarsi la forza delle etimologie , sì che senza la cognizione di queste, e le regole ortografiche e le prosodiche non riusciranno mai a quella filosofica precisione ed . universa lità che la scienza e il buon gusto richieggono. Quand’io so l’ori- gine del lat. machina, so insieme perchè la prima delle tre sil- labe sia lunga , intanto che mackhaera Vl ha breve ; quand’io so quella di malum (pomo); intendo perchè lo si debba pronunziare diversamente dall’ altro malum ch’ è men dolce di pomo e la cui scienza stava nascosta in un pomo (57). Se alliQbire va scritto con b raddoppiata; egli è perchè viene da Zividus che ha lunga la prima sillaba ; e una vocale lunga assai spesso ha forza, come oguun sa, di raddoppiare la consonante che segue. Così si spiega perchè 1’ italiano allevare venga da a/levo non da alebam ;. per- chè ammiccare venga da adnicto piuttosto che da mio (53), che non avrebbe avuta potenza di dare al suo derivato quelle con- sonanti così raddoppiate. XXV. Come nell’ ortografia finalmente possano le notizie etimologiche concorrere a portar la precisione e costanza desi- derata , ho avuto luogo d’ accennarlo altra volta. E certo a tutti dovrebbe parere assurdità quel dividere la parola in modo che all’un capo del verso seguente si trovino due con- sonanti impronunziabili in quell’ accoppiamento : come co-ngiu- nzione , pe-rlustrare, i-nventare. Seguendo all’incontro l’indi- cazione fornita dall’ etimologia, si viene ad appagare e l’occhio e la ragione. Similmente , nel raddoppiare o nel lasciare scempie le con- sonanti; dovunque si possa servire insieme all’ uso e all’ etimo- (57) Machina da mechane , malum da melon ; coll’ eta ambedue. (58) Lo eomprova anche il nichten tedesco , tanto analogo all’adnictare. 35 logia ; giova il farlo: e scrivere abietto , abondare ; giacchè così vuole anche 1° uso della miglior pronunzia toscana. XXVI. La qual pronunzia è più di tutte ortografica, perchè etimologica più di tutte. E singolari sono in questo genere gli equivoci a cui conduce quella degli altri dialetti. Il veneziano, p. e. fa aceto per accetto, (59) nono per nonno ; colo per collo. E se alla pronunzia ortografica avesse badato il dotto sig. Bor- relli, avrebbe forse dubitato se spillare venga da pile (porta), come se, dic’egli, spillare una botte sia aprire una porta-al li+ quore. perch’ esca. XXVII. L’ influenza appunto che la. toscana. pronunzia! esercitò sulla italiana ortografia, sempre meglio comprova quanto debba alla: Toscana la lingua comune d’Italia. Perchè della frase a Dio ti raccomando , abbreviata in a Dio, si fec’ egli addio, quel sostantivo sì bello e sì necessario alla lingua del ; cuore ? Perchè molti monosillabi e 1° ultima sillaba delle voci. accentate dai Toscani si pronunziano con tal forza che la consonante con. cui la seguente parola incomincia, suona come raddoppiata: e così si fecero laddove , appresso, accosto , e tant'altri; che poi così ridotti in una sola voce, figliarono anch’essi e verbi e nomi da lor derivati; \e vennero ‘ad. arricchire e ad abbellire la lingua. | 1 XXVIII. Di queste o eleganze ‘0 figure grammaticali 0 gemme filologiche o feccie plebee che si voglian chiamare; mol- tissime dal toscano passarono nell’ italiano comune ; è noi quì le potremmo. accennare se già non temessimo che questa istessa parsimonia al più dei lettori debba parere lunghezza soverchia. E sugli usi varii delle etimologie abbiam creduto di dover in- sistere tanto, non già perchè l’ utilità della scienza ‘possa in astratto venir posta in dubbio da un'uomo di senno, ma perchè le applicazioni varie delle cose . più utili sogliono d’ ordinario sfuggire alle menti dei più. A veder come procedono gli affa- ri di' questo ‘povero mondo intellettuale e civile, si direbbe che un uomo, un arnese , una scienza non possono e non deb- bono essere destinati che ad un sol uso: massima. che nessuno sosterrebbe in teoria , ma che troppo è seguita nel fatto. Di quì, parlando degli studi intellettuali, viene quella incredibile steri- lità e magrezza di tante scienze per sè bellissime e fecondissime. Inconveniente additato già da Bacone, laddove dice: “ Sunt et (59) V. Boeria Diz. Ven. Nella pronunzia però questo @ceto ha un po’ più di forza. 36 »», SUA8 scientiis columnae quasi futales, quum ad, ulterius pe- »» netrandum homines nec desiderio nec spe excitentar.= Philoso+ »» phiaet.stientiae, maturales. statuarum moré adornantur et ce- 35 Jebrantur , sedinon promoventur (60) ,;. «AXIX. Indicherò, per esempio, alcuni de’ nuovi lavori av cui.la scienza etimologica riguardata ne’ suoi. varii aspetti, po- trebbe dar luogo. Primo. Considerare. i vocaboli come indizii delle opinioni metafisiche; religiose ; morali, e delle cognizioni fisiche de’varii popoli; e con tale avvertenza confrontare le varie lingue tra loro::Questo:sulo assunto darebbe luogo a molte opere, e ‘tutte importantiv Secbrido.» Considerare le etimologie come deposito di tradi- zioni storiche. e di fatti antichissimi; e dedurne qualche con- seguenza lalmeno probabile sulle: migrazioni e sulle comunica+ zioni de’popoli. Ciò fu: tentato; e da' molti. Uno.scrittor francese! paragona ringegnosamente cotesti avanzi dell’ antichità agli strati di suole che sono al. geologo iuterpreti del. passato. Lar) . Terzo. Con questa avvertenza raccogliere‘ motti; i proverbi. de’diversi!dialetti, e coufrontarli tra loro. Tale lavoro. fu in. pic cola paliteliè affatto meccanicamente eseguito da qualche italiano: i dotti lodano la receute edizione del sig. Crapelet (61). On com- prend. d cambien de recherches piquantes et instructives peut don- ner, liew»cette phrastologie populaire qui n'a certainement jamais éie destituée de motifs vrais:ow faux , et dont les origines bien. expliquéesformeraient le commentaire anecdotique le plus ‘inté= ressànt set le. plus, naif de l’histoire intellectuelle d’une na- tion (62). Quarto. Indicare come l’ alterazione delle idee e de’costumi porti seco l’alterazione delle, proprietà etimologiche ; analogiche, eufoniche della lingua. Presa a considerare la sola parte della fi- losofia teorica , 1’ abuso cioè che fecero della lingua i metafisici, darebbe un trattato (63). (60) N. Org. (61) Proverbes.et dictons populaires . .. aux XIII e XIV siècle. (62) Nodier. Ayt. nel Temps. 2 Juin. Gioverà forse notare che nel cod 2427 della Riceard. stanno con molto acume ed erudizione registrate le origini di tutti i nomi di strade, piazze , vicoli, ec. della città di Firenze. Basta per- correre cotesto codice per avvedersi delle tante memorie storiche e politiche e morali che talvolta si nascondono nel nome d’ un chiassuolo, d’ un ponte. (63) « Il volere alterare il, valore delle parole, fu l’arte di molti antichi e moderni sofisti. ,, Rosm. Op. Fil. IL p. 507. 37 Quinto. Additar le norme con cui determinare, sempliticare, render costante la lingua segnatamente di certe scienze naturali edi cert’ arti meccaniche, ch’ è 0. confusa o povera 0. al più degl’ italiani mal nota. Sesta. Infondere rella scienza grammaticale i principii della etimologica in modo che l’arte di scoprire e di. congetturare le origini delle voci, diventi per gli studiosi un bisogno, un. tra- stullo, una specie d° istinto. Settimo. Render. possibile. col mezzo de’ canoni. etimologi- ci ben applicati lo studio simultaneo di più lingue affini. La grammatica, italiano-latina del sig. canon. Bellisomi è un ten- tativo degno. d’ essere imitato e. applicato ancor più largamente. Ottavo. Prendere per norma e.l’ etimologia e 1’ analogia e l’autorità e l’uso, a fine di determinare. in due dizionari distinti i neologismi e gli arcaismi degni di vita; e gl’indegni. Di ciò diedero qualche saggio i sigg. Bernardoni, Gherardini:\e Mo- schini; ma senza approfittare delle norme etimologiche. ; Nono. Notare le influenze che la lingua parlata da un po- polo, da una città ., da una corte, ebbe sulla lingua scritta d’ una nazione 0 d'un secolo. È questo ùn de’quesiti del noto programma dell’ Accademia della Crusca. Decimo. Notare le influenze che i grandi scrittori nazionali o stranieri esercitarono sull’uso delle lingue viventi. Il sig. No- dier desiderava veder compilato un catalogo (64) di tutti i modi originali posti in corso dagli ingegni più forti di, tutti i tempi edi tutte le lingue: e il recente dizionario dei signori Noel e Charpentier, per ciò che spetta al francese, potrà soddisfare in par- te a quel desiderio (65). Uudecimo. Dimostrare come tanto le eleganze proprie de’gran- di scrittori quanto le comuni del. popolo quasi sempre rispettino mirabilmente la ragione etimologica e l’ analogia. Duodecimo. Cercare quelle singolari e maravigliose corrispon- denze che nelle lingue diverse si osservano tra frase e frase; sì che l’,una senz’essere 1’ etimologia dell’altra, è dall’ altra etimo- logicamente tradotta. Di questo lavoro non conosco altro, saggio che. alcuni confronti di Gio. Budeo tra. il francese ed .il greco (66). (64) Dict. des Onomatopées. (65) Dict. des archaismes, des néologismes, des expressions nouvelles et inusitées. (66) Comm. ling, gr. 38 Decimoterzo. Applicare le norme etimologiche al. metodo della buona pronunzia e della ortografia : servigio che riuscirebbe molt’ utile a molti de’ non-toscani , i quali nella materna lingua non hanno a ciò regola certa nè guida veruna. Decimoquarto. Confrontare tra loro le varietà de’ dialetti o delle lingue sorelle , e intagare al possibile il perchè certuni conservarono' meglio ‘certe etimologie , altri cert° altre. Anche le notizie fisiologiche a questa indagine potrebber giovare. Decimoquinto. Determinare le regole dell’ eufonia: bellissimo studio , e quasi nuovo. Nella grammatichetta greca che serve alle scuole del regno lombardo veneto se n’ ha un piccol saggio. Decimosesto. Studiare nell’ uso segnatamente toscano l’ arte di creare da (un nome; da un verbo, i composti derivati senza far forza all’ indole della lingua. Decimosettimo. Dare più compiute le tavole dei trasmuta- menti di lettere a cui vanno, d’ una in altra lingua ‘passando , soggetti i vocaboli. Decimottavo. Dimostrare come tali analogie in tutte quante le lingue sieno le medesime a un dipresso ; e ‘perchè. Decimonono. Studiare un po’ meglio le origini. delle de- sinenze; parte d’ etimologia intatta ancora, per quel ch*io ne so. Vigesime. Rendere più ‘filosofico lo studio della quantità ; e trarne qualche risultato generale sull’ armonia del linguaggio, e sulla genesi delle lingue. Vigesimoprimo. Approfittare degli studii etimologici , per’ comporre ‘( come il sig. Nodier di recente raccomandava (67) ) un dizionario ‘ontologico , compilato per ordine di radici, ad imi- tazione ‘di quel dello” Stefano} ma icon metodo e scopo più filo- sofico: dizionario del quale gli usi e i vantaggi si estenderebbero ben più che alla semplice filologia. i Vigesimosecon do. Stabilire un po’ meglio i diritti che sulla lingua possiede la ragione etimologica , 1’ analogica ;. 1’ eufonica, l’ autorità, e l’uso ; e subordinarli tutti all’ uso in modo che nulla sia perduto della forza loro; sì che l’uso sia guida e non vincolo ,: maestro e non tiranno ; sia nelle cose “della filologia quello ch’ è un re costituzionale nelle cose politiche. Ed appunto la collisione, o apparente o reale che sia , tra la ragione etimologica e gli altri elementi accennati, dà luogo a certi abusi che di questo studio utilissimo, come d’ogni ottima (67) Temps, 23 Juin. 39 cosa, può fare il filosofo sistematico, l’erudito cavilloso; lo serit- tore di gusto non sano. Abusi e pericoli dello studio etimologico. I. Come l’idea di bilancia applicata all’ umana volontà che rimane tra due opposti motivi sospesa e quasi in bilico, come questa idea , dico , fosse da certuni abusata fino a sostenere che un asino posto fra due barche di fieno ugualmente distanti , non potendo decidere per veruna delle due , morrebbe a. dirittura di fame , ( proposizione versificata dal nostro Dante (68) e derisa meritamente da Voltaire) fu già molto bene accennato dal Reid (69). — Altri vorrebbe fondarsi sull’ etimologia per prova- re che tutte le idee ci vengono da’ sensi, perchè tutte le ope- razioni della mente in tutte le lingue sono espresse da vocaboli tratti dal mondo fisico. Ma se si pensa che l’ aver tutti i popoli annesse appunto a siffatti vocaboli due idee affatto diverse , l'una riguardante il mondo de’ corpi e l’altra. quel degli spiriti, di- mostra al contrario 1’ impossibilità di confondere i detti due mondi , e di ridurre ad’ identità una relazione d’ analogia , s’° im- parerà ben presto a distinguere nel detto argomento due parti ; luna vera ed evidente , l’altra per lo meno assai dubbia, e certo funestissima nelle sue conseguenze : si vedrà cioè che i sensi sono occasione alle idee, ma nun le elaborano nè le di- geriscono : giacchè se tutti i popoli della terra, a un vocabolo esprimente oggetto corporeo dovendo annettere un’ idea spirituale, tennero però sempre 1’ una dall’ altra distinta , ell’ è cosa molto più mirabile e più concludente che non se alle due idee differenti due differenti vocaboli fossero stati assegnati. Potremmo insistere ancora sugli esempi : ma ci basta ave- re accennato che non tutti gli argomenti etimologic) in ma- teria d’ideologia son prove accettabili; e che lo studio delle ori- gini può rischiarare piuttosto la storia della filosofia che aiutarne i progressi. II. Anco l’erudizione può facilmente delle etimologiche indu- zioni abusare. Che Bacco sia lo stesso che il Bog degli illirici (Dio), e che Iacco, altra forma della medesima voce, (dalla nota trasforma- zione del è in j) abbia un origine diversa ma illirica anch'essa, cioè jacho (forte); questa e molt’ altre congetture del dotto P. (68) Par. IV. (69) L. c- 12. 10) PRO 3 , e del suo predecessore il Grubissich, non vinceranuo forse i dubbi degli ellenisti, gente d’ ordinario non molto ar- rendevole. Lo spinger tropp’oltre le congetture storiche fondate sull’ etimologia , può condurre talvolta più là che la critira non comporti. Il trovar la radice medo in un nome di principe antico, non basta per conchiudere che questo princip=a fosse di razza il- lirico, perchè medo in illirico vuol dir miele ; e che così si chia- masse perch’era dolce come un favo di miele. Quando le etimo- logie concordano co’ documenti storici o con le tradizioni, e le une con le altre s’ illustrano, allora se ne può la critica sto- rica servire con utilità somma e con lode. TII. Nè sempre infallibili riuscirebbero le indagini che da questi indizi può trarre il moralista circa i costumi d’un popolo. Se non prima del passato secolo suonò in Francia la bella pa- rola dienfaisance, non è però che questa rara virtù fosse ad un popolo sì stimabile ignota prima d’allora, nè che il secolo XVIII sia stato il secolo della beneficenza. Se superbe pei francesi è sostantivo antiquato, non è già che nomini superbi non conosca la Francia ; e il disuso di quella voce troppo è compensato dal senso soverchiamente benigno ch’ essi annettono ad un altro vo- cabolo esprimente difetto non meno ignobile , orgueil. Se nel dialetto veneziano abbondano le affettuuse espressioni, cor mio, zoggia mia, mie raise, mio tesoro, vissere mie , da ciò non segne che il popolo veneziano , certamente amabile e buono, sia il più gentile e il più affettuoso d’ Europa. IV. E così nello stile. Sebbene , ordinariamente parlando, la proprietà e l'eleganza rispettino i diritti delle etimologie , e perciò appunto sien helle ; sebbene in tutti i casi all’ arte dello scrivere giovi grandemente la cognizione delle origini almeno più prossime; il pretendere però di ridurre all’ esattezza eti- mologica tutta intera la lingua, sarebbe lo stesso che volerla rifare di pianta. Ero anch'io un tempo difensore acerrimo di questa pretensione che nulla concedendo all’ uso, vorrebbe considerar la lingua come una materia da sempre fondere e rifondere a talento di alcuni scrittori amici della proprietà e dell’ artificiata elesanza: ma un’ esperienza meno immatura , una considerazione più attenta degli usi a’ quali l’arte dello scrivere e il dono della favella son destinati, e sopratutto le dis- cussioni avute intorno a ciò con un uomo la cuni conoscenza è il bene di tutta una vita, temperarono in me quell’ assoluta credenza. Io vidi che se all’ etimologia si badasse , modo impro- prio sarebbe il dir col Parini: giovin signore, e il chiamare I abassa voce, e altri tali a migliaia ; che converrebbe co’ francesi far femminini metodo e dialetto; converrebbe insomma, come quel valent’ uomo mi faceva avvertire, d’ etimologia in etimologia risalire a una primitiva origine ignota, e da quella prender norma a giudicare la proprietà de’ vocaboli. Così per es. quando 1’ e- gregio sig. Borrelli vieta d’usare la frase abbondar della fiamma perchè l’onda e il fuoco non istanno d’accordo, noi non vorremo negargli la verità della sua osservazione in’ questo caso par- ticolare; ma avvertiremo nondimeno che il verso di Stazio: ecundant diviso vertice ffammae non è punto barbaro; e che molte locuzioni citar si potrebbero nelle quali si trovano in- sieme unite in modo non iseonvenevole l’idea dell’onda e l’idea della fiamma, ed altre simili idee contrapposte (70). E ciò sia det- to non già per infermare l’osservazione generale ; ma per pre- venirne 1’ abuso e 1’ eccesso. V. Similmente il rimettere nel commercio letterario vocaboli disnsati, come gli amatori delle eleganze etimologiché fanno , è licenza che convien temperare. La peregrinità soverchia, il enrato di Meudon insegnava a fuggirla come fa il navigante gli scogli. E non è assurda idea quella di Platone che la sanzione de’ voca- boli voleva fosse al legislatore commessa , quasichè tra gli usi morali e civili, e l’uso filologico corresse certa relazione secreta. Tdea, ripeto, non assurda nel motivo che la ispirò ; ma non però meno strana, e degna veramente della repubblica di Platone (71). VI. Anco la distinzione delle voci sinonime vorrebbe il. si> gnor Borrelli che all’etimologia specialmente si conformasse : ed intatti egli è raro che alle distinzioni stabilite dall’autorità, dalla ragione e dall’ uso , l'etimologia direttamente s’ opponga. Ma prenderla a norma principale, io lo credo talvolta impossibile, € quasi sempre noioso. Dico noioso, perchè le deviazioni, almeno apparenti , dell’ uso son tali e tante che per dichiararle , per conciliarle , per prescinderne, converrebbe entrare in discussioni e distinzioni e particolarità che oscurerebbero non che rischia- rare le idee: e le eccezioni riuscirebbero quasi sempre più nu- merose della regola generale. Dico impossibile ; perchè qual dif- ferenza ci porge ella l’ etimologia tra allegria ed allegrezza , tra alterezza e alterigia, tra altero e superbo? Quand’ io avrò (70) Cheval ferré d’argent , è de’ Francesi, ed è del Villani. L’ etimologia lo condanna ; ma l’ uso lo soffre , lo vuole. (71) Grat. ed. Ficin. 1592 T. IL p. 18. T. II Maggio. 6 » 42 detto che a/fero viene da altus e superho da super; avrò io dita la ragione per la quale altere il più delle volte è men di super- bo? Adunque l’ etimologia , come conferma dell’uso, è una guida eccellente, ma non come norma principale e come fondamento a distinzioni, che più brevemente esposte saranno, e più riusci- ranno evidenti. VII. Nell’ortografia finalmente il pretendere di tutto assogget- tare alle analogie etimologiche sarebbe tentare una rivoluzione inutile per lo meno. Noi sappiamo che Augusto voleva ridurre la parola scritta più conforme che non era alla parola pronunzia- ta (72); e ciò prova per lo meno che la vera pronunzia latina è perduta per noi. Le mutazioni che vollero tentar nel francese dapprima Maygret, poi Voltaire, e di recente il sig. Marle, ten- derebbero al contrario a privare 1’ ortografia de’ vestigi etimo- logici, per reudere la scrittura più piana e più facile ad impa- rarsi. Gl’ italiani in questo caso non sono. e due sole cose man- cano alla Joro ortogratia per meritare un tal nome. Primieramente che le inutili e incomode varietà sien tolte di mezzo, e si sappia una volta quali parole vadano scritte con doppia consonante e quali no; quali con dittongo o senza, quali con accento alla fine: poi , che nua specie di accenti sia, come in Francia, stabilita per convenzione , co’ quali indicare se largo o stretto sia l’o e le che fa parte d'un vocabolo , se dolce od aspra la zeta. Adot- tato questo modo uniforme di pronunziare , e 1’ influenza forse d:»’municipali dialetti scemerebbe col tempo, e una lingua veramen- te comune a poco a poco si verrebbe formando. Questo pensiero al quale un valente amico mio dà, e non, a torto, importanza, fu messo in parte ad esecuzione nel pregevole e laborioso voca- bolario di Napoli (73): ma gioverebbe che i libri d’ educazione elementare, toscani specialmente , fossero con questa aecentua- zione stampati. VIII. Intorno alle ristampe di scritti antichi sorse già questione se debba ritenersi l'antica maniera o tutto ridurre alla moderna ortografia: e i più decisero che le mutazioni ortgrafiche quando cadono sopra cose accidentali sieno al gusto moderno permesse , ma non già quando riguardano la forma stessa del vocabolo e il vezzo dello scrittore. La massima è buona in se stessa, ma 7, (72) Svet. 86. (73) Io non loderei però che , a cagione d’ esempio, la voce capnosfrante fosse divisa così cap-no-sfrante. Qui la divisione voluta dall’ etimologia si po- trebbe osservare. 43 non è sempre messa in pratica fedelmente : e rimane ancora a vedere se il porre senza per sanza, fu per fue, me per mene , sieno variazioni non essenziali, e lecite all’ editore moderno. To nol credv: giacchè siccome nessuno oserebbe sostituire in un verso di Dante 1’ una all’ altra delle dette maniere, per la stessa ragione non parmi lo si possa fare in un periodo del Villani o di Dino Compagni: giacchè quegli arcaismi o idiotismi, se così piace chiamarli , oltre all’ essere sovente assai più etimo- logici, servono spesse volte alla dolcezza del numero, a cui :l gusto antico ubbidiva più che il moderno non faccia , e non im- magini pure. Ma tempo è ormai di venire all’ultima parte del nostro dis- corso :. e converrà compendiurla alla meglio, giacchè troppo è lo spazio dalle due prime occupato. Criterii e metodi dello studio etimologico. 1. Il Besnier dapprima nella prefazione alle Origini del Me- nagio, quindi il Turgot ne trattarono con molto senno : alcune osservazioni ingegnose aggiunge alle loro il sig. Borrelli (74): e saggiamente avverte che nessuna di esse può porsi per regola generale, ma che l’una con l’altra si modificano, si spieganv, si confermano. Se non che talvolta 1’ amore della sua scienza lo prende : onde a taluna di dette regole o al loro complesso egli il ch. A. concede una forza ed una certezza che potrebb’ essere un po’ disputata. Non è da dire con S. Agostino che questo studio sia come un’interpetrazione de’ sogni (75) : ma nemmeno da sostenere ch’esso abbia tutta la certezza che alle scienze fisiche e morali dona il principio di causalità saggiamente ap- plicato. Quando, dice il sig. Borrelli, tre consonanti si trovano essere le medesime nella voce supposta radicale e nella derivata, la probabilità per una radice diversa è di 1 a 4080 ; se le con- sonanti son quattro, è d’1 a 57,120. Ciò posto, io potrò sostenere con la probabilità di 57,126 contr’ uno che fecondo vien da facundus perchè la identità delle vocali non è da calcolarsi, e perchè le quattro consonanti in entrambi i vocaboli sono le stesse. Così potrò dire che intridere venga da intrudere , e via discorrendo. La regola dunque, come regola , è troppo generale; come esservazione , ha iu moltissimi casi la sua verità. (74) Si vegga specialmente P. I, Sez. II. C. XII e XVII. (75) Dial. c. 5. di II. La migliore di tutte le regole, in questo come in vgni altr’ uso, è il buon senso: il miglior degli aiuti, è la cognizione delle antichità della lingua. Quand’ io trovo il latino domare molte e molte volte tradotto dai trecentisti in «donare , io non ho più bisogno di cercare al vocabolo un’etimologia celtica (76); ma veggo che siccome da domna si fece donna, così da domare, ado- nare. Quando so che aggratare dicevano gli antichi per aggra- dire (77); io ne*ctonchiudo che l’ aggratigliare del Boccaccio è una corruzione scherzevolmente fatta d’una voce già comune al suo tempo (78). L’ ortografia antica, e ì dialetti sono indizii che molto gio- vano in fatto d’ etimologia. Che abbigliare venga da %abditus lo prova il francese habillement (179): che giuggiola venga da zizzi- phos lo prova il Lucchese zizzola. IV. Giova distinguere le vere radici dai vocaboli affini nelle lingue sorelle. L’ anti de’ Caraibi è affine all’ aut de’latini (80); il Celtico a0ur ad aurum (81); il Persiano rouchnai al Francese rougeur ; il Persiano zeneche all’ Illirico zeniza (donnicciuola) ; il Sanscrito mata all’ illirico mati e al latino mater; il copto sceri (figlia) all’ illirico chier (82), 1’ arabo anaca (prominenza) al no- stro anca (83) ; il Giorgiano 4era ad ver; l’Olandese tabbaar (vestito) a tabarro ; l’ antico sassone sunz a sin illirico (figlio); lo spagnuolo desmayar all’antico nostro smagare , il tedesco breschen (rompere) al francese briser , e al nostro briciola , brec- cia; lo Svedese stiern a stella; mingrelet a mingherlino : ma è egli certo però che sien queste le vere radici de’ detti vocaboli , o non piuttosto sien tutti derivati da una radice più antica e co- mune ? V. Talvolta la conformità de’ suoni è ingannevole affatto. (76) Ilsig. Borrelli lo trae ingeg nosamente da a part. neg., e dun, eminenza; quasi contrario di ammontare. (77) Inf. XI. ; (78) Il sig. Borrelli lo deduce da grata o gratiglia , interpretando aggra- tigliare il core per imprigionarlo. (79) Il sig. B. deriva abbigliare da s° habiller bien. (80) Breton. Dict. Car, (81) Le Brigant. Prospectus ec. (82) Galuso, Rudimenta ec. (83) Delle etimologie Arabe si sta con la nota sua dottrina occupando per l’ace. della Grusca il ch. Cav. Gràberg de Hemso : e noi che abbiamo dalla sna gentilezza ottenuto di vedere un saggio del suo lavoro e di approfittarne , go- diamo di comnnicarne al pubblico la notizia. 45 Adesso viene non dal germanico ietzo , ma da ad ipsum, sottin- teso momentum o simile, come issa (per era) viene da ipsa, sot- tinteso hora. = Ambascia io lo deriverei piuttosto da anzia (54) che da abachzen , struggersi in sospiri = dulima da bulicare piut- tosto che dall’ ebraico du-leon , populus ingruens (85) = ab- boccarsi per assalirsi, da bocca (come avvisaglia per combatti- mento, da viso ) anzichè dall’illirico ditte o doi, combattimento: e così discorrendo. E se la Crusca del Cesari nota Diavle per Dia- volo , crediamo noi che dagl’ Illirici (che così appunto declinano cotesto nome nel vocativo ) venisse a quel buon trecentista co- testo diabolico” Diarvle ? VI. Havvi de’ casi, e non pochi, ne’quali è tuttavia dubbia affatto l’origine vera. Se cura venga da kouran, tondere (86); se noia dall’arabo raa (nel futuro noa), esser molesto, o da nausea (87); se annegare da neco o da pnigo,o dall’arabo nacaa che in quarta forma fa ancai; se ardire dal lat. ardiscere o dal tedesco hard o dall’ illirico sarditi; se andare da antao o da anteire, come vuole il sig. Borrelli, o da altro; se arte da arceo o da arete, chi potrà giudicarlo? In tali casi è inevitabile all’etimologista il proporre due o più congetture ; sebbene questa ambiguità, come avverte il sig. Jorrelli, frequente che fosse ; riuscirebbe un troppo comodo scetticismo. VII. Ma il mezzo comodo insieme e necessario di evitar le censure e di tenersi sempre nel vero , pare a me che sia que- sto: Omettere quella troppo assoluta particella da , e sostituirvi 1’ epiteto affine. Più sono i casi delle etimologie incerte, che delle certe , evidenti, ed incontrastabili: ma quello ch’ è certo sem- pre , si è la materiale conformità di due voci. Quando dunque l’ etimologista afferma la detta affinità senza asseverare che l’una dall’ altra derivi, con più di prudenza egli ottiene ugualmente ‘1’ intento , e si salva dagli scherni de’leggieri e dalle critiche degl’ increduli. VIII. La pratica molte volte , e sopratutto un po’ di bnona fortuna, in tale studio è la guida migliore. Chi direbbe che grorsì (84) Ferrari. (85) Bulima esprime più il fermento del popolo radunato che l’ impeto dell’ accorrere. (86) Schultens. Or. ling. Hebr. (87) IVoja nell’ antico Italiano valeva e danno e nausea vera. Bocc. « Be- vitore grande era , sì che talvolta gli facea noja. ,, 40 vien da serexr (88), eau da acqua (89), métier da ministerium , espieglerie dal titolo d’un libro (90), ancoi da Hodie , e sentiero da semita (91)? IX. Gli organi vocali inevitabilmente trasformano i voca- boli in modo da farli parere tutt altro. Certo è che 1’ illirico voda è in origine affine all’ idor de’ greci (92), e che i vari dia- Jetti lo vennero così diversificando. Certo è che un abitante d’ Otaiti non potea pronunziare il nome di Lougainville altro che Putaveri (93), e quelli delle isole Radach nel mar del sud scoperte dal capitano Kotzebue trasformavano il nome di lui in Totabu (94). Basta dare un’ occhiata al dizionario agiologico delio Chatelain per vedere come passando per varii dialetti e per varie inflessioni del medesimo dialetto , un nome istesso possa trasformarsi del tutto. X. Un dizionario della lingua dovrebbe, a parer mio, con- tentarsi di dar delle voci la radice più prossima: ad accendere non candeo ma 1° accendere latino ; ad ospite, hospes non 1’ illirico gost; ad accento, accentus non cantus ; a zagaglia lo spagnuolo azagata , a galoppure per correre l’ olandese galoopen (95). Le radici ultime poi, e più prolonde, spetta ad un dizionario unî- camente etimologico indagarle, accompagnandole co’ necessarii commeati. Ai quali se il ch. sig. Borrelli avesse trovato campo , certo avrebbe potuto di molte sue congetture dimostrar la cer- tezza, od almeno la probabilità. Ma quand’ anche si voglia concedere che in alcune egli abbia troppo dato ai rapporti (88) Senex , senior, segnore, signore , gnore. (89) Aqua, aigua, nell’ antico italiano : ridotto l’ ai in e, egua ; tolta la g, eua, eau. (90) Histoire d’Ulenspiegel, eroe di cui si vantavano molte di quelle prodezze , da’ Francesi chiamati espiegleries. (91) Da semita , 1’ antico francese sente , ch’ io trovo in una vecchia tra- duzione di Dante. (92) Da idor, aspirato, i macedoni fecero vador , i traci vada, gli slavi moderni voda. Appendini. (93) Boug. Voyage autour du monde. (94) Rev. Britann. (95) Di queste radici più prossime io vorrei che il Dizionario abbondasse. P. e. ad affrangere 1 affrangere di Stazio, ad aggelare l’aggelo di Lucano , ad agginocchiare V’adgeniculari di Tertulliano , a adempitore l’adimpletor di S. Agostino , ad aggiungitore l’adjunctor di Cicerone , e così discorrendo. - 47 d'una lontana analogia , (96) ch’ altre ne abbia omesse delle quali non sarebbe impossibile dire alcuna cosa di vero. (97) converrà sempre conchiudere che molte e molte egli le ha fe- licemente indovinate , e dire di lui quello che il buon Menagio con certa singolare fiducia affermava di se agli accademici della Crusca (98). “ Incontreranno in questa mia opera alcune cose dotte , erudite e recondite : anzi son sicuro che ne troveranno assaissime ,, Uno poi de’ principali meriti di questo lavoro si è d’aver combattuto e con le ragioni e co? fatti quel vecchio pre-. giudizio che tutta la scienza etimologica vorrebbe ristretta nelle greche e nelle latine radici. Ki a (96) P. e. Alari non dagli Dei Zzri ma da ala, perchè facenti quasi ala ai due lati del camino — Bruciare ha più analogia con l’illirico vruchi, caldo, che con perussi. Aleppe è spiegato da Pietro di Dante in senso simile all’ ego sum alpha et omega ec. ec. (97) Avvallare per inghiottire da a valle per giù ( Dante Inf. XX ) — An- cona da anchon. Alessandria della Paglia, da Alessandro Papa ec. A gara, asuzzetto , alamaro , amarrare , anfanare, aurico, azzannare, azzeruolo, voci che il dotto. Sig. Graberg trae tutte dall’ arabo. (93) Pref. alle Or g. Ital. Cours de Littérature Frangaise fa M. Virremarn. Paris, Pichon et Didier 1830 in 8.” Spesso ne’corsi antecedenti, e in ispecie nell’ultimo ove son mag- giori le digressioni, l’autore, interrompendosi, rivolse il pensiero alle origini della letteratura di cui riandava le vicende, e in grazia di essa anche alle origini dell’altre che le sono più affini. Il timo- re di qualche difficoltà, il desiderio forse d’un’utilità più immedia- ta, furon causa che a principio ei le lasciasse in disparte, e scen- desse improvviso ove pur saremmo stati impazienti di vederlo alfin pervenire. Se non ch'egli, senza dubbio, ne provò in seguito rincre- scimento, e pensò di dover pur tornare una volta là donde l'aver preso le mosse glisarebbe stato sì opportuno. E vi è tornato difatti nel nuovo suo corso, ch’ io non so dire se sia riuscito a tutti il più dilettevole, ma che a tutti, io penso , debb’ esser sembrato il più dotto , il più compito, il più regolare. Il cominciamento di esso, come la necessità richiedeva; è storico insieme e grammaticale. La letteratura della Franciay le altre lette- 46 rature dell'Europa che suol chiamarsi latina, mai non sarebbero na- te, se prima non fosser nate le lingue che lor servirono di strumento. Quando nacquero queste lingue, come si formarono, quai somiglian- ze , quai relazioni ebbero a principio tra loro ? Ecco il tema; che a voler parlare, come l’autor nostro, della francese letteratura al con- tronto delle più affini . dovea naturalmente presentarglisi pel pri- mo, e che non in Francia soltanto può sembrar degno d’attenzione. Ovunque si estese il poter de’ Romani (ciò a tutti è notis- simo) si estese pure e dominò la loro lingua. Il volle la. poli- tica più ancora che la superbia de’ conquistatori ; il volle pure il bisogno e non vi ripugnò sempre il piacere de’ conquistati. Quin- di fin dal secolo di Scipione e d’Augusto scrittori latini ‘ eccel- lenti d’ogni parte d’ Italia. Quindi in seguito tant’ altri sì ri- guardevoli e della Gallia e della Spagna, a cui possono ag- giugnersi le provincie settentrionali dell’Affrica. Nella Britan- nia, testimonio Tacito , lunga ripugnanza per la lingua de’conqui- statori come pel loro potere. Alfine grande emulazione della loro eloquenza , grazie specialmente all’ esempio della Gallia, a cui Giovenale dà il titolo di faconda. Giovenale medesimo , Pli- nio, Svetonio. Marziale , parlano de’ letterari cioè latini eserci- zio di Tolosa, di Vienna, di Poitiers, di Bordeaux, di Lione spe- cialmente. Parigi non era allora che un borgo or diacciato or fan- goso, ove al dir di Giuliano, che 1’ abitò qualche tempo, non parlavasi che un linguaggio simile al crocidar de’ corvi, il cel- tico antico. Un altro gran potere, un poter trasformatore del mondo so- ciale, fece per la lingua, che già tanto si era estesa , forse ancor più de’conquistatori. Ove infatti non penetrarono, o non penetra- rono abbastanza le loro leggi, i lor costumi , la loro cultura, civè nelle classi infime de’ popoli, penetrarono le predicazioni e i riti del cristianesimo a cui quella lingua serviva. Quindi scompar- vero a grado a grado o si restrinsero in pochissimi i linguag- gi particolari de’ popoli diversi, e quella lingua fu loro quasi universalmente sostituita. S. Agostino, volendo un giorno ram- mentare a’ suoi uditori d’ Ippona quel vecchio proverbio cartagi- nese « se la peste ti chiede una moneta, dagliene due perchè se ne vada tosto », ve lo ricorderò in latino, disse loro, poichè in punico non tutti l’ intendereste. Ma la lingua de’ Romani, estendendosi , andò ad un tempo e inevitabilmente alterandosi; ciò che pur sarebbe avvenuto, benchè d’altro modo , anche senza questa sua propagazione. Essa , come le greca , era lingua assai difficile per quegli 49 stessi che la parlavano naturalmente. Ciò potrebbe argomentarsi, ove la lingua medesima fosse men conosciuta , dai tanti trattati composti intorno ad essa pur ne’ tempi migliori, e di cui Var- rone ci dà notizia; dallo studio che vi poneano i più grand’uo- mini, come Cesare, il qual scrisse dell’analogia delle parole, Pli- nio il naturalista; il qual scrisse delle locuzioni dubbie , ec. ec. Nè ultima delle difficoltà par che fosse quella della sua orto- grafia , che i grammatici in generale avrebber voluta conforme alle regole etimologiche ; molti uomini d’ingegno ; e fra essi Au- sgusto ; volean che fosse un’imagine fedele della pronunzia. La ‘qual diversità di pareri ci spiega in parte la diversità con cui sono scritte le medesime parole ne’ latini monumenti» d’ un’ epoca medesima , come può vedersi in alcune delle iscrizioni raccolte dal Grutero. A ciò si aggiunga, come osserva G. Schlegel, la tendenza con- tinua d’ogni lingua un po’complicata o sintetica, qual era quel- la de’ Romani, a divenire analitica. Questa tendenza, com’ e- gli dice, è affatto indipendente da ogni cansa esterna, di conqui- ste, di mescolamento di popoli ec.; è un naturale effetto de’progressi intellettuali d’un popolo qualunque. Per essa, com’ei dimostra, la lingua di varii popoli, che mai non furono nè conquistati nè con- quistatori , il sanscritto , per esempio, che mai non uscì dalla pe- nisola indiana, nè mai in quella penisola ricevette in se stesso e'ementi eterogenei, cangiarono interamente di natura. Per essa ne avrebbe pur cangiato col tempo la lingua de' Romani; e forse il cangiamento era già cominciato al tempo d’Augnsto. Sappia- mo in fatti da Svetonio che quest’ imperadore studiava grande- mente la semplicità de’ costrutti , e sacrificava talvolta ad una maggior chiarezza (onde pur dipendeva l’esecuzion più pronta de’ suoi voleri) una maggiore eleganza. Alcuni Italiani, il Bembo, p. e. , il Cittadini, qualch’al- tro, dice l’autore, hanno preteso che la difficile, le sintetica lingua de’ Romani fosse la lingua de’dotti , de’patrizii ec.; che il popolo avesse una sua lingua percibbiditol una lingua volgare o rustica , una specie di lingua italiana. È questo , però , egli ag- giunge, un paradosso insostenibile , e già 5 Muratori ne ha fatto giustizia . Ora io debbo qui avvertire che non il Bembo propriamente (nel primo delle Prose) ma piuttosto il Castelvetro ( nelle Giun- te) si fece a sostenere tal paradosso benchè con qualche modi- ficazione. Il Bembo, dopo averlo proposto per bocca d’ Ercole T. HI. Maggio. 7 50 Strozza, lo rigettò francamente per bocca di Giuliano de’ Medici, dicendo, che mai non vi fu lingua vera, cioè atta a scriversi, la qual anche, non si scrivesse; che però se una lingua volgare fos- se stata tra’ Romani , diversa veramente da quella che chiamia- mo lutina , se ne avrebbero monumenti ec. Sembra intanto, per ciò che ne fa intendere egli medesimo , che se il paradosso a lui non piaceva , piacesse ad altri dotti nomini del tempo suo. E già innanzi a quel tempo era piaciuto a Leonardo Aretino (beu- chè il Valla lo neghi) e a Poggio Bracciolini, al primo de’ quali rispose il vecchio Filelfo in una sua lettera allo Sforza , al se- condo l’Alciati in uno de’suoi libri a cui dato il tito di Prae- termissorum. L’autore osserva ingegnosamente che se una volgar lingua, una lingua diversa dalla civile, avesse esistito presso i Romani, Cicerone che ci parla delle sue conversazioni coi contadini per di- scoprir se inclinavano a Cesare o a Pompeo ; Cicerone sì studioso d’ogui particolarità della lingua, che ne fucea ricerca anche fra’na- vicellai, l'avrebbe notata. Ora da quei vecchi oppositori di Leo- nardo e di Poggio era gia stato risposto anche più direttamente. Era già stato citato Cicerone medesimo , che chiama la lingua forense o degli oratori liugua popolare ; che parla delle fischia- te del volgo se gli attori sbagliavano la misura de versi , unde ar- gomentasi che la lingua de’ versi fosse pur la lingua del volgo ec. Era stato citato Quintiliano, il qual raccumandava che si sce- gliessero a’ bambini nutrici che parlassero bene, che parlassero una lingua ch’essi poi non dovessero disimparare ec. 3 Del che il Castelvetro tenendo, a quel che sembra , poco conto , volle pure che fin da’ migliori tempi della lingua de’Ro- mani vi fosse una lingua similissima alla nostra, se non ne’ mudi e quelle ch’ ei chiama passioni delle voci, almen nel corpo delle voci medesime. La qual lingua , egli dice , passò poi dal volgo alla corte, e prevalse alla più nobile, quando salirono al trono di Roma ed occuparono le romane magistrature uvmini d’ origine barbarica, ai quali piuttosto la volgare che la nobil lingua fu facile 1’ apprendere, ec. AI Bembo intanto rispose, noù esser vero che ogni lingua atta a scriversi sia stata scritta, nè dover quindi far meraviglia che della lingua volgare de’Romani non si abbiano monumeuti; che i monumenti però potrebber es- sere esistiti e mon essersi conservati ; e che in mancanza di mo- numenti se ne hanno pur de’ vestigi , negli scritti d° Apulejo , per esempio, ne’libri di Palladio intorno alle cose rustiche ec. ec. JI Cittadini , principal sostenitore fra noi del paradosso at- SI tribivito al Beinbo , risalendo ( nell’ Origine della volgar lingua) all'origine della lingua de’ Romani, e seguendone via via le vi- cende, si confidò di provare che questa lingua veramente fin da principio fu doppia; che i vestigi della lingua meno bnona , della lingua volgare , sono e più antichi e più copiosi e più evi- denti che il Castelvetro non pensasse ; ec. Ma propriamente cei non provò altro se non che , mentre dai più colti de’ Romani usavasi una lingua pura e corretta, dagli altri nsavasi una lingua mista , com’egli dice, una lingua più o meno impura, più o meno scorretta, la quale alfine , e per varie cause, riuscì molto simile alla nostra. Com?’ egli però avesse provato ciò che s’era proposto , il para- dosso di cui si parla fu riprodotto più volte, e sempre a un dipresso colle medesime prove, da altri che vennero dopo, dal Fontanini, se ben mi ricordo , dal Quadrio , ec. Alfin venne il Muratori , il qual riandando con quella dottrina ch’ era in lui (nelle Anti- chità Italiane , diss. 32, e seg.) la storia della lingua de’ Ro- mani, mostrò , parmi , troppo chiaramente che questa lingua fu pur sempre una, ma qui e quà diversamente usata, diversamente commista a chi sa quanti idiomi, e chi sa quanti dialetti, ita- lici e non italici , ai quali, è vero, prevalse; ma cui non potè mai cacciar di nido interamente , e pei quali. non meno che per altre. cause , dopu un corso di secoli si trovò alfin trasformata nella nostra e in altre lingue volgari che da lei a ragione di- consi nate. Già in Roma stessa, al tempo de’suoi uomini più eloquenti, la lingua, grazie specialmente al gran concorso de?” forestieri , dicea. Cicerone lagnandosene e bramando pur trovarvi qualche ri- medio, era più che alterata. Or che sarà stato altrove , in' casa de’ forestieri medesimi? Ma il dì che Cesare fece il passo fatale, il dì che , per aver ligio il senato, creò senatori a un tratto cento de’ Galli , che l’avean. seguìto contro la patria, Cicerone dovè tremar vera- mente per la lingua come per la libertà. Chi sa qual presagio doloroso è in que’ versi di Virgilio , il qual finge che Giunone, cedendo al fato, che vuol i Trojani nel Lazio, preghi Giove a concederle che almen la lingua del Lazio si serbi intatta? Ma nè Giove nè fato potea serbarla intatta sotto i Tiberii, i Neroni, i Commodi ec. , fra tante proscrizioni di cittadini, tanta irruzione d'ogni più vil feccia di forestieri , tanta prostrazione degli ani- mi, tanta dimenticanza delle cose. proprie; tanta affettazione 52 delle altrui ; ec. ec. , a cui si aggiunse infine anche la traslazion. dell'impero. Indarno Costantino, come già Catone al consesso de’Greci, perorò nella lingua de’ Romani al concilio de’ vescovi quasi tutti greci in Nicea. Nè la Jingua da lui usata era quella usata già da Catone; nè, qualunque pur si fosse, ei potea più ser- barle l'antico onore, dopo averlo tolto alla città che n’ era la sede. Non so dire se Apulejo vivesse, come il Bayle vorrebbe , sotto gli Antonini, cioè più d’un secolo e mezzo innanzi Co- stantino. La lingna de’ Romani nelle bocche romane par che a’ suoi giorni fosse ancora abbastanza propria. Ma pare altresì che , lungi da Roma specialmente, i Romani stessi, costretti da necessità , già l’andasser rendendo improprissima. Quorsum du- cis vacuum asellum? chiede con arroganza un legionario ad un ortolano. che conduce il trasformato Apulejo. Come 1’ ortolano uulla intende, nulla risponde. Il legionario adirato ricorre al ba- stone, che per se medesimo non dà intelligenza. Indi vedendo di non far frutto, ubi ducis, replica, asinum illum? E grazie a questi sgraziati cangiamenti, e fra essi ad un solecismo , la sua domanda è intesa. } I predicatori del cristianesimo non eran quelli sicuramente che più si curassero o potessero curarsi di proprietà. Quindi i re- tori pagani accusavano il cristianesimo d’aver recato alla lingua non piccol guasto. E Arnobio rispondeva sdegnosamente che il cristianesimo era nato per cangiar la lingua come tutto il re- stante. S. Agostino medesimo , gran studioso di Cicerone e ‘di Virgilio, si vanta in qualche occasione d’aver usato locuzioni barbariche per meglio farsi intendere dal popolo. In altra’ 0e- casione però si lasna degli storpi che il popolo introduceva nelle preci sacre , fuor delle quali fra qualche tempo, lungi da Roma almeuo , più quasi non si udì lingua che potesse dirsi latina. Ad affrettarne il gran guasto sopraggiunsero , verso il quinto secolo e ne’ seguenti , i barbari invasori che tutti sanno. Par che costoro ; prendendo ove giugnevano il luogo de Romani , spegnendo anzi in gran parte le generazioni di quelli che i Romani avean lasciati vivere, dovessero farvi dominare le lingue proprie. Ma avvenne loro a un dipresso e doveva avvenire come a’ Tar- tari nella Cina. Essi, checchè si pensi di taluna delle loro lin- gue, della lingua vigorosa dell’ Islanda repubblicana , della lin- gua in cui l’esule Ovidio non isdegnò di poetare ec. , certo non 53 recavano seco lingue migliori di quella che ne’ paesi da loro oc- cupati usavano. almeno i più abili. Essi non recavan. seco nè maggior civiltà nè culto novello. E adottando , come fecero , l’ altrui culto, 1’ altrui civiltà, furono pur costretti ad adottar la lingua che serviva all’ uno e all’altra. Quindi latine le let- tere scritte a nome di Teudorico ; latine le lettere della cancel- leria di Clodoveo; latino il codice de’ Longobardi, ec. ec. La lingua d’alcune di queste scritture non era pei loro tempi lingua spregevole. Ma essa era la lingua di quegli abili che gl’ invasori impiegavano. Infatti le lettere a nome di Teodorico seriveansi da Cassiodoro , le lettere della cancelleria di Clodoveo scriveansi da altri uvumini letterati, romani la più parte , come quelle che a lui mandava papa Anastasio. Gli abili intanto si an- davano facendo sempre più rari, e la lingua sempre più si de- formava. Poco dalle lor lingue, per vero dire , v° introducevano i barbari : alcune parole di guerra , alcuni nomi di magistratu- re ec. , come può vedersi nel Glossario del Ducange. Assai più v° introducevano dagli idiomi e dai dialetti diversi, che, ces- sato il dominio de'Romani, uscirono per così dire da’lor nascon- digli; i nativi de’ paesi che i barbari aveano occupati. I barbari però ne accrescevano anch’ essi la confusione e gli storpi, pren- dendo indistintamente e dalla lingua più nuova e dalla più anti- ca, anche dalla poetica di cui incontravan gli avanzi, pa- role varie, quelle in ispecie che più si confacevano a’lor costumi barbarici, e usandole contro ogni legge di antica grammatica. Le cose intanto procedettero sì oltre, che non solo negli atti ci- vili (v. per questi anche solo Je Iscrizioni del Doni) ma pur negli atti del culto , lontano da Roma almeno , la lingua non avea più forma. Quindi i battesimi magonzesi în nomine de Patria et Filia et Spiritua Sancta, che il papa Zaccaria ebbe d'uopo di dichiarar validi ; quindi tant’ altre eleganze di questo genere , che oggi si ricordano per lepidezza. Più presso a Roma, già sede della lingua e poi del culto che la consecrò , la deformazion della lin- gua fu naturalmente men rapida e più temperata, e quindi più temperata e meno rapida la sua trasformazione. Così può spiegarsi, dice l'autore; come in Italia sia più dif- ficile che altrove il trovar antichi monumenti di vera lingua vol- gare. Il Muratori, egli aggiunge, non dubita che questa lingua fosse ivi usata al pari della latina molto innanzi al tempo di Carlomagno ; ma indarno , com’ ei confessa, ne cercò i monu- menti. I più antichi difatti, che gli riuscì di trovare, sono que’due 54 notissimi dell’ archivio della cattedrale di Lucca , una carta di donazione fatta nell’ ottavo secolo , e un’ altra forse contem-, poranea , come la giudicò anche il Mabillon , la qual contiene ricette per tingere i mosaici e le pelli, e scrivere coll’oro liquido; caste ove, oltre alcune parole volgari, già vedesi fatto qual- che uso degli articoli. Altri però , dopo il Muratori, han pur trovato carte de’duel secoli antecedenti , che posson mettersi colla prima delle due ri- cordate pocanzi. E già il Lipsio , riferendo, come poi il Menagio e altri dotti; i principii di nostra lingua a’tempi di Giustiniano , ne avea dato in prova lo strumento d’ uno Stefano tutore e d’ nn Graziano suo pupillo, fatto sotto quell’ imperadore e con- servato nella biblioteca real di Parigi. E il Muratori stesso avea notato il torna, torna, fratre d’ un soldato dell’esercito di Mau- rizio , altro documento veramente curioso. de’ tempi già detti, scritto in lettere greche dai greci cronografi Teofane e Teofilatto. Quindi pare che nel secolo di Carlomagno, e molto più nel seguente , la volgar lingna dovesse essere più, che usata. E il Napoli Signorelli ne reca infatti ( nella Storia della Letteratura Napoletana ) un documento dell’ 882, la lettera di Martino papa al saracino, Al Haran per la redenzione d’ alcuni schiavi. Jl qual documento è invero notabilissimo anche per ciò che mo- stra, come la lingua nel mezzogiorno dell’ Italia, avendo ricevuto in se stessa elementi orientali, cioè greci ed arabici, si fosse an- data diversamente formando che dove ricevette. principalmente elementi settentrionali. Il Muratori non vide nè questo nè altro monumento contemporaneo d’eguale importanza. Quindi fu co- stretto argomentare l’uso della volgar lingua nel secolo nono da monumenti d’ altro genere , come il noto epitaffio del quinto Gre- gorio : Usus francisca, vulgari et voce latina Edocuit populos eloquio triplici ec. È egli vero, intanto, che la lingua volgare della Francia , siccome afferma il Raynouard e il nostro autore par credere, si for- masse assai prima della nostra, e si usasse quindi comunemente fin dal settimo secolo ? Fra le monarchie barbariche e 1’ imperio latino-romano , ha detto recentemente il Chateaubriand ne’ suoi Studi Storici, vi fu un imperio romano-barbarico, il quale durò un secolo circa innanzi alla deposizione d’Augustolo. Quindi spie- gasi, egli aggiunge , come all’ epoca della fondazione di quelle monarchie nulla parve cangiato , nulla parve nuovo, se non le maggiori sciagure. Non so dire s’ egli riferisca a quel secolo. anche 55 il gran cangiamento delle liugue. Ma il caugiamento, se fin d’al- lora avvenne, come par verisimile , non fu probabilmente più grande in Francia che altrove. Il dotto Fauriel, come ci fa sapere il Chateaubriand mede- simo, ha trovato e mostrerà fra poco nella formazione della lin- gua volgare della Francia i vestigi di tre più antiche lingue ancor oggi parlate, l’una in Iscozia, l’ altra nel paese di Galles e nella Bassa Brettagna, la terza fra i Baschi. E i nostri dotti parimenti già hanno mostrato nella formazion della nostra i ve- stigi d’altre lingue antichissime, quella degli Etruschi , per esem- pio , e quella degli Osci, la qual si parlava, e nella quale si re- citavan commedie in Roma anche a’ giorni di Strabone. Quindi neppur. da' vestigi di più antiche lingue può trarsi argomento che la lingua volgare della Francia siasi formata più anticamente della nostra. Rimane contro l’ anteriorità o contemporaneità della forma- zion della nostra il più grande e più radicato dominio della lingua de’ Romani in Italia. Pur se in Francia la nuova lingua si formò assai prima, se quindi nel settimo secolo vi fu comunemente usata , come mai, un secolo dopo ; il magno Carlo, nel suo gran zelo d’ incivilimento, non fece stendere per essa una sintassi come fece per la lingua teotisca ? Basta egli, per provare che quella nuova lingua era veramente formata, ciò che dice Eginardo, che Carlo aggiunse nell’ uso volgare i nomi de’ mesi dell’ anuo, prendendoli dall’ altra lingua, ch’ era colla latina la lingua della sua corte ? Il più vecchio monumento d’ altronde che si conosca della nuova lingua della Francia è il doppio giuramento pronunziato in Strasburgo dell’842 da Ludovico il Germanico e dalle milizie di Carlo il Calvo suo fratello. Esso è anteriore di 40 anni, è vero, alla lettera di papa Martino. Ma è anche in lingui troppo meno formata che la lingua di quella lettera. Però, supposti monu- menti auteriori , chi sa dire se starebbero al confronto di quelli parimente anteriori, in cui appariscono, come abbiamo veduto , i prineipii della lingua nostra ?_ Chi sa pur dire se starebbero al confivuto del più vecchio monumento di lingua spagnuola , cioè di parole spagnuole miste alle iatine barbariche , l’editto d’un re moro fatto nel 734 per assicurare a’cristiani la libertà del loro culto ; monumento a tanti riguardi così singolare ? Quel monumento dell’842 , pubblicato già dal Fochet ( Ori- giui della lingua e della poesia francese ) nel 1581, fu poi ri- prodotto più volte e ultimamente dal Rayuouard nelle Ricerche 56 sulla formazione della lingua romanza e dal Perticari nell’Apo- logia di Dante. Il Raynonard , trovando la lingua in cui è scritto molto simile alla provenzale , ne ha inferito che la provenzale fosse comune a principio così al settentrione come al mezzo- giorno della Francia. E trovando pure non dissimile dalla pro- venzale una lingua di parte della Spagna e la nostra, ne ha pur inferito che la provenzale sia per così dire una lingua di trau- sizione , come fra la latina e la francese, così fra la latina e 1’ altre che si sono accennate. Quanto alla prima induzione, non par che i Francesi, a cui spetta il giudicarne , vadan tutti d’ accordo. E il nostro autore anch’ egli la riguarda esitando; e non senz’ arte , ove dovrebbe parlar di essa , ‘parla invece dei grandi obblighi che si hanno al Raynouard per aver scoperti non solo tanti bei monumeuti-delle lingua provenzale, ma gli elementi fino a lui quasi ignoti della lingua medesima. Quanto all’ altra induzione essa ha trovato , per ciò special- mente che si riferisce alla lingua nostra , un caldissimo appro- vatore nel Perticari, a cui è pur sembrato bello il *darci una lezione tutta propria del monumento già detto, sicchè quasi appa- risse scritto nella nostra lingua el secolo decimoterzo. Fino al Raynouard e al Perticari si era disputato in Italia e fuori, quanto la nostra lingua avesse accolto in se stessa di parole o di modi provenzali ; e ciascun sa le sentenze del Giambullari, del Ca- stelvetro , del Tassoni, del Menagio, ec. Dovrà ora disputarsi se essa veramente sia nata dalla provenzale ? Ho sentito biasimar una volta , come cosa che dà per con- sentito ciò ch’ è in questione , il primo di que” problemi proposti e riproposti dalla Crusca e non ancor risoluti: “ Come ed in quel tempo avvenisse che la lingua latina altera udosi desse vita alle favelle italiana, provenzale e francese ? ,, Dopo gli studi del Muratori e d’altri su queste materie parea veramente che la co- mune figliazione delle tre lingue o almeno dell’ italiana e della provenzale non fosse più dubbia. Le industrie del Perticari ag- giunte agli studii del Raynouward possono , lo veggo ; aver fatto nascere qualche dubbio novello. Ma pusson pur giovare a dissi- parlo le Annotazioni all’ Apologia di Dante (v. il primo volume dell’ Effemeridi Letterarie di Roma ) ove , oltre la lingua del giuramento già detto, è pur esaminata quella della lapide famosa di Costacciaro, della Vita di Sordello ec., che parean avvalorare la deduzione tratta dal giuramento. I due fatti del monaco di Fulda e dell’ antagonista del mo- 97 naco di S. Gallo, recati dal Raynouard e ripetuti dal Perticari, sono dall’ autor nostro, come da quello delle Annotazioni, ri- dotti al loro giusto valore. E già chiunque gli abbia letti, anche solo nell’Apologia di Dante, avrà avvertito , che il monaco di Fulda potè , come italiano , intendere, facilmente il malato spa- gnolo, per l’affinità delle lor lingue volgari, tanto maggiore quan- t' eran più vicine all’ origin comune , sia che quest’origine fosse una lingua intermedia o romanza, sia che fosse la latina ; — che l’ antagonista del monaco di S. Gallo non dice propriamente che si trovasse impacciato a scrivere secondo grammatica ; cioè latino, perchè abituato a parlar lingua romanza, ma perchè abituato a parlar lingua volgare, ch’ ei chiama prossima alla latina. Ma lasciando stare de’ fatti che. nulla. provano, lasciando pur di cercare de’ monumenti che forse ci maneano,, vediamo, dice l’autore , qual indizio ci diano della. propria origine le lingue stesse che voglionsi derivate dalla provenzale. Se queste lingue sono , come son di fatti , e l’ italiana specialmente , ancor. più simili alla Jatina che non è la provenzale , îpuò coneludersene ch'esse ne son derivate direttamente; poichè altrimenti avrebbero dovuto far viaggio retrogrado, ciò ch'era impossibile. D'altronde come mai la lingua provenzale. sarebb’ essa divenuta 1’ origine dell’ altre ? Che una lingua scritta , una lingua letteraria , sia adottata in paesi diversi , è facile a. concepirsi. Che lo sia una lingua, non per anco scritta , soltanto parlata , non si conce- pisce egualmente. Penserem noi che più lingue romanze si sien formate d’ un modo medesimo dalla decomposizione della latina ? L’uniformità , come osserva lo Shlegel, richiede metodo, scienza; e la decom- posizion di cui parlasi non ci attesta che ignoranza e barbarie. Si dirà forse che in un certo tempo, in un certo stato sociale , una medesima tendenza dello spirito umano, potè far che più lingue , che si andavan formando , riescissero fra loro somi- glianti ? D’ una somiglianza generale non è da negarsi, e. il Raynonard nella Grammatica comparativa delle lingue del mez- zogiorno lo dimostra abbastanza ; d’ altra non è da parlarsi. Alle varie lingue del mezzogiorno , alle lingue uscite dalla latina , ecco ciò che potè esser comune. A principio .mescola- mento di parole latine con antiche parole indigene, con nuove parole barbariche , a cui si diedero latine desinenze. Queste de- sinenze , in seguito , più non sapendosi variare , divennero un impaccio e si soppressero. S° introdussero invece delle particelle ; degli affissi , degli articoli, de’ verbi ausiliari. Di questi verbi, T. II. Maggio. 8 98 che sono la più gran novità delle lingue moderne , vuolsi da al- cuni trovar esempii nella latina. Da altri si vuol pur trovare vell’ idioma degli Sciti, in cui Ovidio y°che 1’ avea appreso nel suo esilio , trovava affinità col greco , e i moderni, non men che nel greco; la trovano pure col sanscritto. Checchè sia di ciò Ì le nuove lingue . un po’ mutuandu da altre, un po’ procedendo per logica naturale, per quella logica , può dirsi, ch'è pur co- mune alla lingua de’ fanciulli , si andaron formando fino a certo grado in modo somigliante. Una logica più sottile diede luogo necessariamente a molte particolarità, come quella sì notabile della lingua provenzale (ma non notata da alcuno prima che dal Rayuouard) di metter 1’ s nel singolare, al caso retto .e toglierla agli obliqui ; come cento altre. La logica, assottigliandosi , non fece che rendersi più pie ghevole alle occorrenze diverse di questa o di quella lingua. E le occorrenze di ciascuna lingua furon diverse , perchè diversi ne furono gli elementi , diverso il luogo , diverse le circostanze della sua origine. La lingua provenzale, come già sì accennò, era molto si- mile a quella d’ una parte della Spagna, a quella cioè della Ca- talogna ; che ancor si parla nelle Baleari. Questa somiglianza ; però ; di cui la geografia e la storia ci additan le cause, non esclude le differenze. E le differenze dovettero sicuramente esser troppo maggiori delle somiglianze fra la provenzale e le altre due lingue della Spagna ; quella della Castiglia , la vera lingua spa- gnuola primitiva , e quella della Gallizia comune anche al Por- togalio. Già si è notato come dopo l’ italiana la lingua, ‘che chia- miamo spagnuola , sia quella che più si accosti alla latina. Al- trettanto può dirsi della lingua che chiamiamo portoghese ; al- trertanto può supporsi di quella della Catalogna in confronto della provenzale. A nessuna parte della Spagna , durante il do- minio de’ Romani , mancò il gusto della buona latinità , di che abbiamo curiose testimonianze in Marziale e in altri scrittori. Il dominio barbarico fu colà men oppressivo che altrove ; e con- tro ‘il dominio barbarico stette il poter religioso sì in pro della latinità che in pro della legislazione , come ci prova anche il solo Forum dudicum emanato da un concilio di Toledo sulla fine del settimo secolo. Questo potere supra tutto salvò la latinità sotto il domivio degli Arabi, la cui lingua fu. per prenderne il. luogo nel secolo seguente e impedir la formazione di lingue novelle. Essa però duvè contribuire in parte non piccola a questa formazione , i 59 alla quale contribuirono pure gli antichi idiomi del paese, il celtibero , il cantabrico , ec., e più idiomi esteri, di cui parla Liutprando scrittor del decimo secolo, e fra essi l'ebraico. Or ciascun vede se con tanti elementi diversi alcuna delle lingue della Spagna potesse riuscire interamente simile alla provenzale. Quando alcuna delle lingue nate dalla latina, sia in Italia, sia Francia, sia in Ispagna, avesse formazione completa, e quindi fisonomia sua propria, non è facile o piattosto è impos- sibile a determinarsi. Ben può congetturarsi dai primi monumenti poetici di ciascuna qual di loro |’ avesse prima dell’ altre. Noi non abbiamo monumenti poetici della lingua nostra fino alla nota iscrizione della cattedral di Ferrara, alla cantilena si- ciliana di Ciullo, alla canzone di Folcacchiero , cioè (se , come si dubita , quell’inscrizione fu posta assai dopo la sua data ) sino al declinar del secolo duodecimo. Gli Spagnuoli, ove si lasci a parte un frammento quasi indicifrabile anche al Ray- nouard , e che potrebb’ essere del secolo undecimo, non ne hanno pur essi che del duodecimo , cioè sino al poema d°’ Ales. sandro , pieno di provenzalismi, che non trovansi in quel fram- mento. l Francesi hanno un poema del secolo nono, il famoso poema sopra Boezio , la cui memoria par che fosse in tutta Europa assai popolare. E poco posteriore a quel poema ne hanno un altro in lingua assai più formata, la Nobil Lezione, ove già apparisce uno spirito d’indipendenza , un principio di lotta col potere che ancor serbava l’uso del latino , il genio moderno insomma , a cui bi- sognavano le lingne moderne , e che vedremo apparir sì distinto nelle poesie de’ Trovatori , ed anche in quelle de’ Troverri , ove la lingua del settentrione della Francia, la romanza wallona , la vera lingua francese primitiva , si distingue troppo da lla del mezzogiorno , dalla romanza provenzale. La doppia lingua de’ Trovatori e de’ Troverri ebbe, grazie alla conquista de’ Normanni , un momentaneo non so s° io dica domicilio o dominio in Inghilterra. Ma nè essa nè altra lingua romanza o romana volgare vi ebbe nascita, e appena lasciò ve- stigi nella lingua del paese, l’ antica lingua teotisca, la lin- gua de’ Brettoni , mista alla danese, alla sassone ec., che du- rante la conquista sempre le tenne fronte, e quindi ne andò più che mai separata. La lingua particolare de’ Trovatori servì sicn- ramente a polire quella della Catalogna , e si mescolò pure in Portogallo ( che dopo la cacciata de’ Mori da tutta la Spagna divenne regno sotto un principe francese) a quella della Galli- zia. Se e quanto si mescolasse a quella dell’Italia , dalla cui parte 60 settentrionale uscirono poeti che si aggiunsero alla gaja schiera de’ Trovatori, è detto in cento libri. Tutte queste particolarità, come dice 1’ autore , saranno sembrate un po’ inamene , un po’ faticose. Pur ci era forza pas- sar fra esse, per poi giugnere ad argomento più ameno, ‘a sto- ria più dilettevole. Così que’ cavalieri cantati da’ primi tra mo- derni poeti (i Trovatori e i Troverri ) passavano per luoghi aspri e selvaggi; per poi giugnere ove loro si aprivano palazzi incantati , giardini deliziosi, un mondo ridente e affatto nuovo. M. Notizie sul Sistema del diritto penale , del Professore Huse di Warsavia, precedute da alcune idee generali intorno alla detta scienza. Nei secoli remoti la scienza del diritto penale fu coltivata praticamente, ed era una combinazione delle leggi Romane e Canoniche colle varie istituzioni locali. Avea per iscopo il mi- glior mantenimento possibile della pubblica sicurezza, e per gua- rentigia un sistema di pene per lo più severe, poichè si tene- va a que’ tempi la più severa essere la più efficace. Il movi- mento filosofico universalmente manifestato in Europa nel se- colo decorso, produsse anche in questa scienza una salutare ri- forma. Montesquieu insegnò che le leggi per essere giuste ed efficaci dovessero corrispondere allo stato individuale d’un po- polo , cioè alla sua religione , all’indole del suo governo, alla sua posizione sociale ed alla sua intellettuale coltura. Ma non tardò molto a manifestarsi l’insufficienza di tali prin- cipii: e la scienza si volse ad indagare non più i rapporti me- diati della legge colla relativa condizione d’ un corpo sociale , ma i diritti assoluti, eterni, immediati , che le leggi della na- tura concedono all’ uomo. A ciò tendeva nelle sue investigazio- ni il padre dei criminalisti , Beccaria. Trovare la base della pena nell’ essenziale suo scopo, trovare l’ origine del diritto di punire e la proporzione naturale che esiste fra la pena e ‘1 delitto era questa la sua tesi, questi i resultamenti delle sue filantropiche indagini. L’Italia fu la prima a sentirne i benefici effetti: l’azione del giudice applicante la pena venne quindi innanzi circoserit- ta nei limiti della legge preesistente; e le pene così dette 6I straordinarie disparvero. Di qui partito 1’ impulso si diffuse con rapidità tra i popoli oltramontani. Brissot di Warville , Servin e Valazè dimostrarono 1’ urgente bisogno d’ applicaie il sistema penale alle mutate condizioni dei tempi col sottometterlo alla potenza vie più crescente delle meditazioni filosofiche. I dotti della Germania, meno solleciti d’ utilizzare i loro prodotti intel- lettuali, si limitavano ad indagare la parte; se così posso dire, ideologica del diritto. Così lo stesso seme germogliato in Italia ; sviluppato in Francia, diede differenti frutti in Germania. Dalla ricerca della base e dello scopo del diritto penale nella via meramente ‘speculativa resultarono due diverse teorie : l'immediata e la mediata. L’ una pose per base della pena il mantenimento dell’ armonia delle azioni legali nello stato socia- le, l’altra il mantenimento della pubblica sicurezza. La diver- sità delle tesi produsse conseguenze diverse. Il Kant e l’ Hegel, seguaci della teoria immediata , voglio- no che la pena sia una retribuzione, vale a dire che dalla società sia applicato al malvagio lo stesso male ch'egli operò o tentò d’ operare contro essa. I seguaci della teoria mediata pretendono essere la pena una necessità di guarentire i diritti dalla società posseduti. Quest'ultima opinione fu nel suo sviluppo variamen- te interpetrata. Il celebre criminalista bavarese Fenerbach dice, che la pena più efficace è quella che può in maggior grado ecci- tare abborrimento del premeditato delitto, e che però dev’ es- sere in ogni caso forte abbastanza per rintuzzarne lo stimolo. Il Grolmann è di parere che la pena non deve mirare solo ad ec- citare orror pel delitto, ma a prevenire ancora quello che po- tesse essere realmente commesso. Altri in fine opinano dovere la pena moralmente correggere il trasgressore ; ed altri non do- verlo solo correggere, ma offrire per tutta la società un salu- tevole esempio. Il resultato delle differenti opinioni nella scienza del dirit- to penale forma in Europa due capitali sistemi. Il sistema adot- tato dai dotti tedeschi consiste nelle investigazioni. filosofiche sull’ indole e sull'oggetto della pena; e il sistema che si professa in Francia, in Inghilterra e in Italia riguarda la politica del diritto penale, cioè il modo d°’ applicare 1’ astratte idee della scienza alla vita attiva. In questo rispetto si distinguono in Ita- liai Professori Carmignani e Romagnosi : in Inghilterra Bentham, in Parigi Dupin , e in parte l’italiano Rossi in Ginevra. Così con- templata la scienza, la teoria rimarrebbe divisa dalla pratica : e questa separazione, sebbene abbia il suo scientifico vantaggio, non (i è però tale da soddisfarci, e addita anzi 1 urgenza d’un sistema finale atto a tenere l’ alleanza delle idee meramente speculative con quelle di pratica utilità. Il Professore Hube nella sua opera: Fondamenti generali del diritto criminale, (Warsavia 1830) procura di sciogliere questo problema. Egli è del parere che le varie prelodate teorie possano ridursi ad una sola fondamentale , e quindi applicarsi al principio sociale : rispettate sempre le varietà. richieste da? hi- sogni dei tempi. Oltre alle considerazioni filosofiche, egli si vale di storiche investigazioni , confrontando lo stato legale di varii popoli e tempi. Sembra che a nessun autore sia caduto finora in mente sì felice idea; e perciò non vi è opera (se se ne eccet- tuino moderni scritti parziali sul diritto Romano, Germanico , ed Inglese ) che tratti di proposito un tal soggetto. Osservando i lavori delle primarie nazioni europee, devesi convenire, che anche in questo proposito ‘primeggia 1’ Italia. I Glossatori italiani sono i padri della Giurisprudenza europea. La loro dottrina consisteva nelle interpetrazioni dei codici Giusti- niani. Alberto Gandini, autore del Trattato de maleficiîs, fu il primo fra i criminalisti : additò la via ad Angelo de’ Gambilio- nibus de Aretrio , a Giovanni Pietro de’Ferrariis, a Ippohto de Marsilliis , ed a Giulio Claro. Torniamo all’opera dell’illustre polacco. Essa è divisa in tre parti. La prima tratta della genesi di due grandi serie d° idee com- prese nei due vocaboli: delitto e pena ; la seconda analizza se- paratamente gli elementi componenti ciascuno di loro; la terza esamina la questione dell’ applicazione della pena al delitto. Ogni parte è contemplata (nel senso delle dottrine premesse ) sotto tre aspetti: considerazioni filosofiche sull’ idea cardinale, esposizione storica del suo sviluppo, e sua analisi dogmatico-cri- tica secondo le principali leggi criminali positive. La nazionale posizione del nostro autore lo condusse ad esaminare con più accuratezza le leggi austriache , le prussiane e le francesi in confronto con le polacche (1). Per dare un’ idea del merito di questo libro ne esporremo alcune tra le principali dottrine. La diversità dei sistemi di giurisprudenza criminale risulta indubitatamente dalla diversità delle premesse poste per base (:) Il Regno di Polonia (adoperiamo questo vocabolo nel senso che gli hanno dato i trattati delle potenze Europee) possiede un proprio codice penale accet- tato dalla dieta del 1818, e sanzionato dal re. 63 dei ragionamenti; e però esisteranno necessariamente tanti siste- mi quanti sono i differenti modi di riguardare la medesima tesi. Se taluno deduce i suoi ragionamenti dalle concezioni ipote- tiche , egli deve pervenire a risultati diversi, che chi conside ra la pena in riguardo alla pubblica sicurezza , o chi pone il mo- rale perfezionamento come il primario suo scopo. I seguaci delle astrazioni legali cioè quelli che vogliono applicati alla società ve- dute rigorosamente legali, sono d'opinione che la pena debba con- sistere nella riparazione della legge violata dal commesso delitto, ossia nell’allontanamento di ciò che la infrange, per poter rista- bilire nella società la bilancia legale fra i rapporti di diritto , sanciti. I seguaci delle idee di sicurezza pubblica pretenduno che lo scopo della pena non sia la riparazione della violata legge , ma una guarentigia tanto contro il male consumato, quanto contro al pericolo minacciante. Finalmente gli amici del terzo sistema non ammettono nè la pena nè la restituzione della vio- lata legge, nè la sicurezza pubblica , ma la correzione morale del malvagio, ponendo come per iscopo della società il perfezio- namento morale degli uomi. Ì Il prof. Hube tiene che ciascuno dei tre sistemi indicati è parziale e non soddisfacente, considerato da sè, ma tutti in- sieme accumulati otfrono i materiali d’ un sistema definitivo ; lo- devole. Infatti se analizziamo gli elementi componenti la vita sociale , vedremo che i tre premessi canoni sono tutti fondati supra qualcosa di positivo nel governo delle società e degli stati. Le astrazioni legali sono indubitatamente il remoto principio dei vincoli sociali; poichè ( nello stato legale della società ) tutto consiste nel co nservare 1’ armonia fra le azioni esterne degl’in- dividui. Se dunque quest’ armonia vien turbata da un atto il- legale , egli è d'interesse della società (nel senso delle astrazioni legali) d’aunullare il commesso atto , per ripristinare la turbata armonia. Ma la società, costituita che sia una volta sopra questa base di esistenza; procede più oltre ne’suoi fini ed uffizi. L'annul- lamento del male accaduto nou basta più, giacchè a fine che sia si- curo il ben essere, è necessario d’assicurarsi e contro il pericolo vecorso e contro il danno futuro possibile. Ed ecco il sistema della conservazione della pubblica sicurezza. Conservare la sicurezza pubblica è lo scopo d’ogni società costituita, d’ ogni governo. Ma per assicurarla, ci vogliono pene contro il colpevole trasgressore. L’azione della pena sarà dunque diretta a spaventare, a reprimer lo stimolo che porterebbe a trasgredire la legge. Ma questo ancora non basta. Ogui istituzione che gareutisce la sicurezza pubblica 64 mira insieme ad nn fine più nobile , al perfezionamento morale degli enti; poichè tale è in ultima analisi la tendenza d’ ogni individuo ragionevole, d'ogni corpo morale. Quindi resulterà l’ul- timo scopu «della pena , la correzione morale del reo. Stabilita. 1’ idea filosofica del delitto e della pena , il prof. Hube si rivolge alla storica origine della medesima, e dimostra magistralmente essere l’ordine della sua formazione, nel primo come nel secondo caso , il medesimo. Nella remota antichità lo scopo della pena consisteva nel restituire 1’ armonia legale alla società compromessa dal de- litto ; in tempi posteriori consisteva nella conservazione della sieurezza pubblica sia coliv spaventare , sia col prevenire; e dal cristianesimo in poi essa consiste nella tendenza al per- fezionamento morale. Ecco le proprie parole dell’ autore su ic sto proposito : p. 87. “ Se con maggiore accuratezza noi riflettiamo al progresso dei legali concepimenti., troviamo che i popoli orientali , rigoro- samente considerando, mancano di vere basi legali, indipendenti da estranee influenze. Il principio legale vi è per lo più diretto da idee e da principii religiosi. Nella Grecia si manifestò primie- ramente la tendenza allo sceveramento del sistema legale, ma unicamente in riguardo di considerazioni politiche. Roma sola era pervenuta nel suo incivilimento ad una indipendenza im- mediata legale. E questo sistema si andava perfezionando indi- pendente da qualunque esterna influenza. Ciononostante anche quivi i detti concepimenti non erano considerati come già costi- tuiti immobilmente dalla natyra, ma piuttosto come costituenti una convenzionale armonia. Onde ogni delitto diveniva neces- sariamente una infrazione dello stesso stato legale. Bisognava dunque fare in modo che si ripristinasse lo stato legale sconcer- tato, per consolidarlo , ancorchè incerto , fragile e quasi nascente. A ciò contribuiva la pena col suo carattere di retribuzione ossia di vendetta. La sua vera indole consisteva nel bilanciare con un male applicato il male operato, cioè nel restituive la forza pri- mitiva alla violata legge a fine di riorganizzare e consolidare lo stato legale. Quindi ogni pena è considerata nell’ antichità come un mezzo di riformare la corrotta e degradata società. per ri- cuperare i violati legali rapporti. « La moderna Europa ha altre idee , altri bisogni. Se prima bisognava essere cittadino per arrivare all’ uso di certi diritti, 0 bisognava acquistare certi diritti per divenir cittadino ; al con- trario i popoli europei emancipati dal dominio romano; vi giun= 65 gevano immediatamente pur col possesso di certi diritti naturali. Ora dunque non vi è più tendenza alla formazione dello stato legale ( soggetto di lotte continue nella Grecia ed in Roma) ma verso la guarentigia di ciò che ognun già possiede , in una pa- rola, verso uno stato di sicurezza capace di guarentire il godi- mento di ciò che immediatamente in proprio ci appartiene. Qui dunque la pena prende un diverso carattere: è piuttosto un mez- zo d’ assicurare ad ognuno l’uso dei diritti ch’ egli ha : e di semplice retribuzione che era nella sua origine , essa diviene una guarentigia della pubblica sicurezza ,,. Da queste premesse passa l’ autor nostro all’ analisi delle legislazioni polacche, nate, in virtù de’ noti avvenimenti politici, dalle legislazioni tedesca e francese. Per giungere al chiaro intendimento dei vincoli intrinseci che stringono le tre legislazioni, giova considerare, essere l’Eu- rvpa abitata da tre grandi razze: la romana, la germana, la slava. I popoli appartenenti alla prima ereditarono da lei oltre il linguaggio, la loro forma legislativa, ed un fondo d’ idee dalle quali spira la classica antichità. I popoli della razza ger- manica , liberi d’ ogni romana influenza , progredivano nel loro sviluppo secondo idee proprie , originali. Onde avvenne fra le due razze quella differenza nel considerare il diritto penale, che tut- tora sussiste. 1 primi considerano nella pena una vendetta cioè un mezzo d’ annichilare il male commesso , per restituire l’ ar- monia legale preesistente; gli ultimi l’aborrimento della colpa, cioè la necessità di mantenere la pubblica sicurezza (2). Quanto ai popoli della razza slava ; essi poterono profittare (siccome più mo:lerni nella civiltà) dei progressi delle altre. L’andamento sto- rico-legislativo della nazione polacca, già 1° Ercole dei popoli slavi, ci prova questa verità non meno che il vigente codice cri- minale , il quale considera la pena in tutti gli aspetti da noi testè riguardati; cioè come mezzo efficace a restituire il violato ordine legale, atto a guarentire la sicurezza pubblica, ed inno]- tre a migliorare lo spirito del trasgressore. La forma unica uni- versale d’incivilimento a cui tendono visibilmente le nazioni (2) Iodocus Damhouder, celebre Giureconsulto del secolo decimo sesto , così parla dell’ indole e dello scopo della pena : castigare noxam oportet, non . ob praeteritum delictum, quum id corrigi nequeat, sed ne iterum licentius eccet ; tum ne ipsius exemplo caeteri quoque peccent liberius. ( Praxis rerum 3 P P quoque p criminalium. Antverpiae 1601 p. 516.). T. II. Maggio. 9 66 : europee , farà sparire un dì ; noi lo crediamo , anche gli ultimi avanzi delle differenze che si veggono ancora. Già il codice fran- cese , con l’ introduzione di pene correzionali , approfittò delle idee filantropiche dalla scienza inculcate. E dal canto loro la Ger- mania e l’Inghilterra organizzando carceri di penitenza, riconob- bero nella pena uno scopo morale (3). Tale è lo spirito di dotta e profonda critica che anima l’o- pera del Professor Polacco. Si scorgono dappertutto considerazioni rette e piene d’originalità. La terza parte per esempio , tratta di un oggetto di somma importanza nella scienza del diritto penale. Fin’ ora nessun autore aveva indagato la vera ragione della di- vision dei delitti, e ’l rapporto intrinseco che esiste fra il de- litto e la pena corrispondente. Tale questione era sempre l’ e- nimma, e lo scoglio di tutte le teorie. E beuchè ognuno con- venga essere la pena , se proporzionata al delitto , giusta, e se sproporzionata , ingiusta, nessuno ancora aveva calcolata è de- terminata questa proporzione , criterio della giustizia. Il professore polacco esamina primieramente la base della divi- sione dei delitti, e osserva che alcuni codici criminali, come il polacco e ’1 francese , li dividono in crimini , in delitti propria- mente tali, ed in contravvenzioni di polizia; altri, come il prussiano , non ammettono questa divisione. Ma i primi, finora privi del soccorso della scienza, non possono, anche ammet- tendola, non mancare nelle conseguenze. Il nostro autore con- sidera le tre qualità di delitti secondo la quantità del rispetti- vo loro male, e li definisce così. I crimini annullano quei di- ritti nella società i quali non possono essere più restituiti nè mediatamente nè immediatamente. I delitti propriamente tali , infrangono diritti che possono essere riparati. E le contravven- zioni di polizia non annullano nè infrangono diritto alcuno, ma indeboliscono soltanto i mezzi atti ad assicurare 1’ esercizio d’ un diritto. Ammettendo dunque il principio dell’egualità fra la pena e il delitto ; ed ammettendo la prelodata divisione dei delitti, non sarà più difficile di trovarne le corrispondenti pene. Tuttavia la pena non potrà essere eguale al delitto fisicamente, poichè in quel caso ella sarebbe un taglione, ed una tale retri- (3) Il governo polacco per mettere ad esecuzione ‘l’idea dominante nel codice penale del 1818, s’ occupa assiduamente nel migliorare lo stato finora infelicissimo delle carceri. Il Professore conte Skarbek noto all’ Europa per le sue opere politico-economiche scritte nelle due lingue la polacca e la france- se, è nominato capo di questa amministrazione. 607 buzione non è più conciliabile nè collo stato del nostro iucivili- mento, nè colla ‘moralità dell’ ordine legale; ora non potendo essere eguale fisicamente , dev’ essere legalmente. Adunque sic- come i crimini annullano i diritti, che non possono ‘più ‘essere riparati , perciò la corrispondente pena naturale sarebbe la pri- vazione assoluta dei diritti immediati nella persona del reo:. Siccome i delitti propriamente tali infrangono quei diritti che possono essere riparati; perciò traggono seco per pena la pri- vazione nel trasgressore di diritti che possono essere riacquistati. Siccome le contravvenzioni di polizia indeboliscono soltanto i mezzi atti ad assicurare l’ esercizio d' un diritto e non il dirit- to stesso , perciò la corrispondente pena consiste nel privare il trasgressore di questi medesimi mezzi, Resulterà dunque come pena naturale pei crimini, la deten- zione perpetua (quantunque certe considerazioni politiche attri- ‘buiscano loro sovente la pena di morte ). Per delitti propriamen- te tali resulterà la pena di detenzione temporanea. E per con- travvenzioni di polizia pene pecunarie , o in loro mancanza de- tenzioni limitate ad un modico tempo. Così considerato il sirtema delle pene , riescirebbe più sem - plice , poichè 1’ unica sua base sarebbe la detenzione. E la de- tenzione in fatti corrisponde a tutti i fini della pena: essa è un mezzo di restituire l’ armonia violata escludendo per sempre il malvagio dal seno della società ; è un mezzo di prevenire futu- ri pericoli col mal che minaccia; finalmente contribuisce, con una buona organizzazione delle prigioni , alla morale correzione del reo. Concluderemo , che i ragionamenti filosofici sull indole del delitto e della pena possono ottimamente conciliarsi colle cure della filintropia; che quindi è erronea la supposizione dei dotti tedeschi i quali pretendono che gli sforzi dei pubblicisti inglesi, italiani e francesi non appartengono al dominio della filosofia legale; che anzi se i detti ragionamenti filosofici rimarranno in- dipendenti dall’ influenza del vario stato sociale dei popoli, essi non presenteranno altro che verità ipotetiche impraticabili, non saranno che esercitazioni d’ ingegno , infeconde di bene. Presentando alla. patria del Beccaria un breve sunto d’una delle più interessanti opere. straniere nella scienza del. diritto penale, godo sommamente di poter rendere questo debole omag- gio alla dottrina di un mio compatriota e collega di studii. Al- lievo già, e ura Professore della Regia Università di Warsavia, il g* 68 Signor Hube appartiene alla nuova generazione della Polonia, al'a generazione che percorre a gran passo quell’intervallo che tante e sì deplorabili sventure han no posto fra lei e 1° Europa. Speriamo che questa disgraziata nazione conosciuta sì poco progredirà con l’ altre sorelle, senza più separarsi, nella via del vero e del- l’ utile, DorT. BermARDO ZAYDLER. Discorso del prof. Pad. Groranwi Incniranmi intorno alla geo- grafia della Toscana. Carta Geometrica della Toscana ricavata dal vero nella propor- zione di 1a 200,000 e dedicata a S. A. I. e R. LEOPOLDO II. Granduca di Toscana, dal Pad. Gio. Incurrami: delle Scuole Pie. Firenze 1829. Atlante geografico fisico-storico della Toscana, del dott. Arrizio Zuccacni-OrLanDINI. Carta geometrica della Toscana ridotta ed incisa dal sig. Grro- ramo Secaro. Firenze 1821. Dizionario geografico fisico-storico della Toscana , del sig. Em. Reperti. (Manifesto). Ebbe 1’ Antologia ne’ primi anni del sue corso occasione di dolersi più volte dell’ indifferenza con cui per Italia tutta ed anche in Toscana venivano accolte le notizie dei sempre più importanti progressi della scienza geografica. E dolevasi inoltre 1’ Antologia , che que’ pochi i quali s’ interessavano alla scienza geografica, anzichè della geografia patria si dilettassero di quella d’ altre men prossime regioni. Ma in mezzo a tale indifferenza noi possedevamo un vero geografo, un vero dotto che lavorando a vicenda e nel silenzio del suo gabinetto e sul terreno, mettendo 69 a profitto în modo mirabile tutti i soccorsi della scienza di cui egli è padrone; sciegliendo sempre i migliori e più sicuri mezzi per ben riuscire, instancabile nella fatica e nelle moltiplicate riprove dei suoi lavori, assistito e incoraggiato dall’ I. e R. Go - verno, pensava ad innalzare alla Geografia un monumento de- gno del secolo: e la speranza d’ averlo per guida nei tentativi avvenire, non poco contribuì a sostenere il coraggio di que’po- chissimi amatori della scienza che in quel tempo esistevano fra noi. Tutti indovinano che noi intendiamo parlare del nostro ce- lebre astronomo , il P. Gio. Inghirami delle Scuole Pie, il quale da più anni lavorava alla Carta del Granducato, più volte ac- cennata da noi, e ch’ ora con piacere annunziam pubblicata. E perchè i metodi, le intenzioni, i successi , i fini tutti d’ uomini tali fanno parte anch’ essi della storia della scienza , e son ger- mi che, fecondati, possono accelerarne i progressi, però le pre- ziose notizie sul suo lavoro da lui medesimo adunati nella me- moria che quì pubblichiamo e che dobbiamo alla sua gentilezza, da tutti gli amici delle patrie glorie saranno accolte con lieta riconoscenza. Onorato dall’ illustre vostro Consesso della nobile commissione di darvi ampio e minuto conto dello stato attuale della toscana Coro- grafia, e proporvi ciò che a senso non tanto mio, quanto dei beneme- riti membri componenti la sezione geografica della nostra società, tut- tora resterebbe da farsi per render fra noi completo questo sì im- portante ramo di scienza, adempio al decoroso mio incarico, ponendo sotto i vostri occhi l’ attuale mio rapporto. Le precisa ed espressa indole del vostro argomento e del fine che avete avuto nel confidarmelo , non esigendo che un’ esatta e fedele pittura delle cose quali adesso sono e non quali in altri tempi già fu- rono , e vedendo quindi superfluo qualunque apparato d’ erudizione , che direttamente non si riporti a quanto costituisce la vera ed attuale nostra geografica suppellettile , o non abbia in qualche modo contri- buito a crearla ad arricchirla, io non mi divagherò nel racconto di quei pochi e sempre inefficaci tentativi , che precedentemente all’epo- ca în cui siamo , fatti vennero dai nostri maggiori , per supplire al vuoto in cui si trovavano, e dar qualche ombra di sussistenza fra noi a questo importante ramo di nazionale statistica. Sprovveduti di qualunque potente appoggio, mancanti quasi affatto dei meccanici mezzi dell’ arte, e ignari ancora di quelle regole e di quei migliori e più certi principii, che il comune progredimento di tutte le scienze ha fatti immaginare dappoi , non poterono quegli uomini, d’ altronde sì 70 benemeriti e insigni, tramandarci. cha abozzi di carte e di de- scrizioni non solo ammezzate ed informi, ma erronee e sfigurate in maniera , che niun profitto, niun materiale avrebbe.potuto mai trar- sene , per la compilazione della vera Mappa toscana. L° epoca fortu- nata dei primi regolari passi mossi verso questa difficile meta, non ri- monta che poco al di là dell’ultimo decorso decennio , allorchè per la prima volta tutti si riunirono i mezzi necessarii al buon’ esito di que- sto assunto grandioso : profonda e stabil pace, pubblica opulenza, vo- lontà sovrana , legge del Catasto , copia di eletti ed opportuni stru- menti. E siccome non piccola parte attiva ebbi io medesimo nella grande intrapresa, ed anzi a me toccò in sorte di aprirne il primo l’in- gresso , tracciarne le vie, somministrarne le basi; così l’ esposizione che son per farvi, nella parte almeno che riguarda 1’ operato fin qui, sì aggirerà quasi tutta sui miei proprii lavori.e sui mezzi e metodi da me praticati per giungere a costruire la Carta geometrica della Tosca- na. Da questa narrativa voi potrete venire in chiaro del genere e del valore di questa produzione ; giustamente apprezzerete il grado di fi- ducia che può da voi meritare ; e converrete di ciò che tuttora neces- sario sarebbe di aggiungerle per darle un completo perfezionamento. La Carta geometrica della Toscana , che mercè del Sovrano favore è oggimai pressochè condotta al suo termine, ebbe assai piccoli esordj. Nell’anno 1813, quando la Toscana era tuttora dominata dalla potenza Francese , l'Osservatorio delle Scuole Pie di questa Città fu dal magi- strato municipale arricchito di due superbi circoli moltiplicatori, ope- re rare ed egregie del sempre celebre Reichenbach; 1’ uno di 18 pol- lici,, puramente astronomico e fisso, l’altro di soli 8 pollici, portatile e che nel tempo stesso servir poteva alle osservazioni d’ altezza ed alle azimuttali. Il primo ebbe tosto i suoi usi, e venne impiegato con frutto alle osservazioni dei solstizj, delle altezze meridiane dei pianeti, e delle refrazioni locali. Ma come l’ altro giaceva inoperoso presso di me, con vivissimo dispiacere non tanto mio che dell’egregio costruttore, mi cadde fortunatamente in pensiero di estendere ai contorni di Fi- renze una piccola triangolazione , che il Barone di Zach aveva qualche anno prima eseguita nell'interno della città. E furono così felici que- sti primi miei tentativi e da questi rimasi si fortemente persuaso, che con l’ opera di uno strumento sì bello potessero tentarsi cose molto maggiori, che fatto animoso, e dilatate in proporzione le mie vedute, chiesi ed ottenni dall’Augusto Ferpinanpo III, di sempre felice rimem- lranza, il permesso di spingere da Firenze fino a Pistoia le mie trigo- nometriche operazioni; col semplice oggetto per allora di fissare la po- sizione geografica di quella città e dei luoghi più insigni fra quei moltissimi, che popolano la vasta ed amenissima pianura intercetta. La descrizione minuta di queste mie prime fatiche, e dei felici resul- tumenti a cui mi condussero, venne pubblicata dall’I. e R. Accademia Pi- stoiese, che concesse qualche suffragio non tanto alla qualità del lavoro, ZI quanto allo scritto col quale lo accompagnai. Il mio coraggio fattosi al- lora più forte, sollevai a più eminente scopo le mire, 'e mi determinai per ultimo a domandare la facoltà non solo , ma i mezzi’ ancora di tutta perlustrare è coprire con triangoli la Toscana, al che piena- mente assenti ‘la sovrana’ munificenza. Profittando' quindi ‘interpo- latamente di quei tempi , dei quali potevo più liberamente disporre , e in cui la'mia’presenza in Firenze era meno richiesta dagli altri pub- ‘blici e privati miei impegnî , prolungai in varie direzioni le reti già ‘ordite ; seguendo: l’ invito delle opportunità che mi si presentavano , più che il giro di un piano premeditato; il quale non pensai neppure a formare ; ‘perchè nelle mie circostanze , ‘e nell’ intenzione di non abusar di troppo della sovrana bontà , non mi sarebbe stato’ possibile di perfettamente seguirlo. Ben presto non poche città e molti celebri luoghi della Toscana furono così da me ridotti ‘alla loro vera geogra- fica posizione , ed in una memoria sulle longitudini e latitudini delle eittà di Volterra, Samminiato e Fiesole , che poco dopo venne da ‘me data in luce , ebbi il contento di poter mostrare ai miei connazionali il felice andamento di un’ operazione , che per la prima volta si ese- guiva fra noi. Fin quì per altro non avevo ancor volto il pensiero alla misura di una base , e in tutti i miei precedenti lavori mì ero ristretto a far uso di quella, che il Baron di Zach aveva adoperata nella sua triango- lazione di Firenze. E per verità qualunque fosse la piccolezza di que- sta base, che non st estendeva che a soli 830 metri, ben” è chiaro che poteva supporsi più che sufficiente al mio scopo , finchè non al- tro intendevo che di puramente determinare la geografica posizione di punti compresì ‘in una superficie st poco estesa, qual’ è quella della Foscana ; talchè supponendo nella base anche un errore di un deci- metro, non ne poteva provenire nei punti stessi i più remoti dal centro che il semplice spostamento di im secondo e mezzo in latitudine e di un solo secondo in longitudine ; differenza ben tollerabile e di cui la maggior. parte delle carte stesse le più ricevute non possono supporsi esenti. Ora l’ ammissione di un errore di un decimetro era affatto gra- tuita , e ben difficile a concedersi in una misura eseguita da un così celebre operatore ; ed io ‘che non sono potuto entrar giammai nella massima , che il dare ad una base maggior lunghezza porti ad una certezza maggiore dei risultamenti finali , non avrei neppure avuta dif- ficoltà di prevalerini di questa medesima base , della cui bontà avevo infallibili e ben verificati riscontri, anche per oggetti più delicati dì quello che potesse essere il mio. Ma siccome un’ opinione qual’ era questa, affatto contraria alla già ricevuta da tutti , poteva presso molti farmi non poco torto , e diminuir la fiducia riguardo alla bontà e precisione dei risultamenti da me fin allora ottenuti, mi convenne perciò indagare qualche altra prova di fatto , che servisse nel tempo stesso e a dispensarmi dal tedio e dai dispendii di una nuova misura, 72 e a comprovare la legittimità della mia opinione , e quindi la bontà delle mie finali determinazioni. Ben a, proposito,.mi sì offerivano per questo Roadie) mio ogget- to le operazioni trigonometriche che, gli ingegneri, francesi. fino dal 1788, avevano, eseguite nell’ Isola di Corsica, ‘estese di, poi dai signori Puissant. e: Moynet, sino all’ Elba nel 1803., é pubblicate dal signor. Puissant nel, 1809. Pieno d’ ogni fiducia nel, merito, ri- conosciuto di quei geometri ,, avevo ogni ragione di aspettarmi che qualora mi. fossi studiato di ricongiunger le loro con.le mie reti ,.e appoggiare due almeno dei miei vertici su due Joro punti trigonome- trici , la reciproca distanza di questi punti avrebbe potuto servirmi in luogo di base ,, e, dispensarmi dal dovere espressamente misurarne una nuova. Con questa mira e animato dalla più) lieta e più fondata lusinga nella bontà, del mio piano , sollecitai la mia gita in quella sì celebre Isola; ma qual fosse l’ esito sfortunato di quella spedizione , quanto mi. trovassi deluso . nelle concepite speranze; e con qual sorpresa. trovassi quelle metriche operazioni dissonantissime dalle mie , sarà inutile che quia voi lo ripeta, troppo avendone io a suo tempo parlato, troppo essendosene ragionato in varii rinomati giornali, e troppo essendo note le contese che sostener dovei in difesa delle mie operazioni contro lo stesso ch. Puissant, che , come ben facil- mente doveva prevedersi , se ne fece acerrimo impugnatore (*). Dirò solo che quantunque persuaso io fossi e affatto certo della bontà dei miei risultamenti, mi risolvei per due volte a riassumer di nuovo e con diverso giro quelle mie faticose operazioni , e altrettante volte mi trovai concorde con me medesimo , e in egual modo lontano dai risultamenti francesi. Dirò che avendo prodotta una ragionata apolo- gia (**), nella quale tutti ad uno ad uno ponevo in veduta gli elementi dei miei triangoli, indicavo con cura le mie stazioni, numeravo i segnali a bella posta in luoghi opportuni inalzati, e producevo fin anclie iu favor mio le operazioni metriche del Catasto , la cui consonanza coi miei risultamenti era già cominciata a farsi palese ; si replicò in ma- niera da far quasi credere che neppure fosse stato letto. o almeno ben’ inteso il mio scritto ; si asserì con incredibile oltraggio del. vero che tutto all’ opposto di quanto io aveva narrato ed esposto , tenevo il costume di non eriger segnali ; si suppose gratuitamente che i miei angoli, e quegli più degli altri che, precisamente e con maggior cura avevo più e più volte verificati , potessero esser dubbiosi non dirò di qualche secondo , ma di oltre un minuto primo, e in fine ta- citamente sì presagi che il mio lavoro non avrebbe potuto sostenere il confronto delle operazioni del Catasto (***). Modi di tal natura; fu- (*) Connoissance des Temps an. 1822 e 1824. (**) Correspondance Astronomique du Baron de Zach. V. S. (***) Connaissance des temps , 1827. 73 rono da me corrisposti con un assoluto silenzio; contento di avere avuta per altra via piene e decise assicurazioni che se in Francia si voleva ad ogni costo lacerare la mia triangolazione , in Inghilterra , in Alemagna ed in Italia si pensava concordemente in favor mio. Frattanto mancatomi qualunqne appoggio per parte delle opera- zioni Francesi, cercai se mi fosse stato possibile di supplirvi, assumendo per base l’arco intercetto fra due punti trigonometrici di nota posi- zione astronomica. L’ Ellissoide Terrestre all’altezza almeno delle no- stre latitudini , si suppone in oggi sì ben determinato , che dati due luoghi le cui longitudini e latititudini sieno con sicurezza assegnate, si può con ogni facilità e precisione dedurne la distanza effettiva sul glo- bo. All’ epoca di cui parlo due punti potevano passare come assai bene stabiliti in Toscana : cioè il mio osservatorio di Firenze e quel lo di Pisa. I Francesi avevano per verità determinati e fissati altri punti marittimi, sui quali però cader poteano le stesse eccezioni, che sul totale delle loro triangolazioni. Nella Conoscenza dei tempi appariva ed apparisce tuttora come determinata geudeticamente la po- sizione di Siena, ma ignoto ne era l’ autore, come del pari il tempo e il metodo col quale vi si era pervenuti. Si aveva pure di Siena un’ os- servazione di Cassini, eseguita però con quella leggera cura che in operazioni di questo genere può aspettarsi da chi , come il Cassini, osservava viaggiando e non viaggiava per osservare. Si teneva pure per nota la posizione del Fanale di Livorno, ma rimaneva dubbioso se dovesse credersi opera del celebre Slop; o di qualche estraneo Na- vigatore ; e nel primo caso restava da sapersi come Slop mancante affatto di ogni sufficiente mezzo avesse potuto condursi in quella de- terminazione ; e nel secondo è troppo noto qual piccol grado di confidenza si meritino operazioni di tal natura eseguite da persone di mare. Ma riguardo a Firenze ed a Pisa il caso era ben differente. Quanto a Firenze non contando la determinazione del Cassini che vi osservò l’ altezza del polo ad un quadrante mobile, e 1’ ecclisse di un satellite di Giove ; non quella di Ximenes che ne fissò la latitudine col metodo medesimo del Cassini, vi osservò più ecclissi del sole e il passaggio di Venere sul disco solare nel 1761, basti dire che la la- titudine era stata pochi anni avanti rettificata dal celebre Barone di Zach con quei potenti mezzi medesimi, con cui aveva precedente mente riformate e corrette quelle di Padova, e di Bologna; e la longitudine proveniva in primo luogo da due ecclissi della spiga della vergine che per espressa commissione di la Lande vi osservò il Chiarissimo Astronomo Cav. Ciccolini, ed in oltre da circa venti oc- cultazioni di stelle diverse , che nel corso di varii anni àveva osser- vate io medesimo , e che il celebre Triesnecker si era presa la pena di calcolare. Quanto a Pisa nessun dubbio poteva cadere sulla latitudine, perchè era pure dovuta ab Barone di Zach ; è sebbene non ne fosse T. IU. Maggio. 10 74 egualmente certa la longitudine, comecchè determinata dallo Slop piut- tosto col mezzo fallace degli ecclissi del sole e dei satelliti, che con l’ altro più sicuro delle occultazioni delle fisse, mi sarebbe stato age- vole di spogliarla d’ogni sospetto col mezzo dei segnalt a polvere, per i quali assai agevolmente si prestavano i monti adiacenti a quella città , visibilissimi dal mio Osservatorio. Frattanto siccome già potevo contare sulle latitudini di questi due luoghi , e perciò sulla distanza dei due paralleli e sul valore li- neare dell’ arco di Meridiano intercetto , tentai di assoggettar le mie operazioni ad un confronto con quest’arco , la cui lunghezza, sebbene non molto grande, era però sufficiente e proporzionata ai miei fini. Tanto più che andavo meco considerando come le due latitudini es- sendo state osservate con egual metodo, da un medesimo occhio , ad uno stesso strumento, e in epoche presso che eguali, quando pure po- tesse moversi qualche dubbio sul loro valore assoluto, questo non poteva in alcun modo portarsi sul valore della lor differenza. Ma ad onta di tutto ciò mi trovai di bel nuovo deluso nella mia precon- cetta speranza. La differenza trigononometrica delle due latitudini apparve scostarsi di circa 8” d’ arco dalla differenza astronomica , di modo che la latitudine di Pisa conclusa per mezzo dei miei triangoli proveniva circa otto secondi maggiore di quella assegnata da Zach. Se ciò mi sorprendesse , potete ben figurarvelo. Ne mi giovò tornar di nuovo sopra i miei passi, ripetere per diverse vie |’ incatenamento dei due Osservatorj, di nuovo verficare e in più guise l’orientamento dei miei triangoli. I miei risultamenti furon sempre conformi, e l’ine- splicabile discrepanza si mantenne , ad onta di tutte le diligenze fatte per giungere ad eliminarla. Il Barone di Zach a cui resi subito conto di questa singolarissima anomalia , lungi dal tenere il contegno dei topografi Parigini, e dal sostenere le proprie determinazioni a intero carico delle mie, si affa- ticò all’ opposto a calmare l’ affanno che dimostravo, prendendo sopra di se tutto il torto , e cercando di persuadermi che i metodi Astrono- mici fin quì praticati non dovevano credersi esenti dal dubbio di un errore di due o tre secondi ; e che supposti appunto tre secondi d’ errore in un senso nella sua latitudine Fiorentina , e circa altret- tanti in senso opposto nella Pisana si veniva prossimamente a formare quel tutto , di cui si differiva nei nostri risultamenti. Queste ragioni che con più forza vennero sostenute dall’ astronomo di Gotha Barone di Lindenau , e che sembravano di più favorite dall’ineguaglianza che costantemente si ritrovava nelle osservazioni jemali ed estive dell’ obli- quità dell’Eclittica, non per questo finirono d’ acquietarmi : e poichè verso appunto quel tempo gl’ ingegueri geografici di Milano avevano spinta la loro triangolazione fino alle due città di Firenze e di Pisa , chiesi ed ottenni dall’ I. Governo di Vienna che comunicata mi fosse copia del loro operato , per vedere se anche dal canto loro sussisteva la medesima anomalia. E con mia sorpresa trovai che non solo quelle 75 operazioni , benchè condotte da mani delle mie molto più esercitate , e con mezzi sommamente maggiori , davano fra i paralleli delle due città la stessa precisa distaiza da me ritrovata , e perciò differente dei soliti otto secondi da quanto proveniva dalle immediate osserva- zioni celesti, ma che di più le longitudini e latitudini dell’ uno e dell’altro luogo concluse per la via trigonometrica da quelle di Milano, differivano quelle di 31”, queste di 23°’ da ciò che fino ad ora si era ottenuto coi metodi puramente astronomici. Questo incidente, nuovo del tutto nei fasti della scienza nostra, e che io il primo ebbi la sorte di rilevare , giustificò pienamente non solo la bontà delle mie operazioni, ma anche la difficoltà da me mo- strata a supporre che dovessero credersi difettose le operazioni del Barone di Zach. Gli astronomi d’Italia e di Germania fortemen- te scossì e penetrati da un fatto che aveva dell’ incredibile , posero ad un nuovo e più profondo esame tutte le reti trigonometriche, col mezzo delle quali si potevano allora unire Vienna, Milano e Firenze ; e trovarono che eguali anomalie avevano luogo o si deducesse la po- sizione di Firenze da quella di Milano e di Vienna, o quella di Milano dalle due di Vienna e di Firenze. Gli astronomi Milanesi si occuparono, ma sempre in vano ad indagar l’origine di questo inconcepibile sconcerto: in- trapresero nuovi viaggi e nuove fatiche , istituirono nuove osservazioni astronomiche in diversi punti intermedii,il tutto senza successo; nè altro partito rimase allora che di sostituire provvisoriamente qualche ipotesi che servisse di scorta ad indagini posteriori dirette a discoprir le vere ra- gioni dell’ inesplicabile discrepanza. Frattanto fino da quando avevo trovate sì notabilmente differenti fra loro le latitudini astronomica e trigonometrica dell’ Osservatorio di Pisa, abbandonata ogni speranza di potere per questo lato ottener la base che ricercavo , e vinta dalla necessità ogni mia ripugnanza, mi determinai ad intraprendere sul terreno un effettiva misura. Il locale da me a tal uopo prescelto fu la vasta pianura che giace fra i ponti di Stagno presso Livorno e la chiesa di S. Piero in Grado, e per quanto non avessi allora visitata tutta come dappoi la Toscana, non avrei certamente potuto sciegliere un più adattato locale. Il metodo che fu da me adottato in questa misura, il tempo che v’impiegai, gli ostacoli che incontrai, il modo col quale giunsi a superargli , tutto fu da me minutamente esposto, e narrato, e pubblicato in una memoria col titolo di Base frisonometrica della Toscana misurata nell’ autunno del 1817. La linea sulla quale questa base si estende , appoggiata con uno degli estremi all’ angolo maestrale del Palazzo di Stagno, e con l’ altro al centro della torre di s. Piero in Grado giunse a tese Fran- così 4488,96.Il mio primo pensiero, appena dato termine a quest’incomo- da operazione fu di farne il riscontro con la piccola base fiorentina , al che giunsi assai facilmente col mezzo di tre diverse reti, che stac- candosi da tre differenti fila delle reti già ordite, venivano tutte a riu- nirsi sulla linea che aveva servito di base. Ora il medio valore della lunghezza di questa linea risultò di tese 4488,76 , onde la differenza non fu che di soli due decimi di tesa fra la misura triangolare e l’ef- fettiva. Ma oltre le due basi, che sì bene si verificavano l’una con P’altra, ben presto un nuovo ed anche meglio fondato riscontro ne autenticò in modo inconcusso e solenne 1’ effettiva bontà. Ho già detto come gli ingegneri milanesi avevano portata la triangolazione fino in Tosca- na. L’ epoca in cui questo accadde fu appunto verso quel tempo me- desimo in cui io stava misurando la base, talchè il chiarissimo Brioschi ed io ci trovammo quasi contemporaneamente insieme in questa città di ritorno dalle nostre fatiche. Animati ambedue dalla stessa ben na- turale premura di vedere quale accordo regnasse fra le nostre opera- zioni, ricercammo un lato che ci fosse comune , e lo trovammo nella visuale che unisce il centro del campanile di s. Piero in Grado con la punta del fanale di Livorno. Il Brioschi avendo dovuto consegnare il protocollo originale delle sue osservazioni all’ Ufizio topografico mili- tare di Milano, non potè nè riconoscere , nè comunicarmi il valore metrico di quel lato, che molto tempo dopo , quando era già passato ad occupare la carica di astronomo nel reale Osservatorio di Napoli, ed io aveva già pubblicato lo scritto sulla mia base. Or dal confronto risultò che sopra un lato di 8037 tese noi differivamo di 9 decimi di tesa , per quanto la valutazione del Brioschi provenisse da una base estremamente lontana, misurata nel 1748 presso le sponde del Ticino. Anzi siccome questa base è stata ultimamente sottoposta a nuove ve- rificazioni, in virtà delle quali fu ritrovato che peccava in eccesso di uno su diecimila, così diminuendo in proporzione il valore dal Brio- schi attribuito al suo lato, la differenza si riduce a _, circa di tesa, di cui il risultamento del Brioschi eccederebbe sul mio. E qui torna in acconcio l’osservare, che tenendo come più esatte le operazioni del sig. Brio- schi, la base da me misurata , e molto più la base fiorentina di Zach, do- vrebbero supporsi alcun poco minori del vero: frattanto apparvero sommamente maggiori confrontate colle operazioni francesi dell'Elba; il che dà una nuova ed assai convincente ragione, che in quella clamorosa contesa il torto non fosse in modo alcuno dal canto mio. Frattanto sie- come la consonanza fra i miei risultamenti e quelli della triangolazione lombarda era al di là di quanto io poteva desiderare per i miei fini, eredei per ciò di non darmi ulterior pensiero di assoggettare ad altre verificazioni la mia base. Ma nel tempo appunto in cui mi stava occupando della misura avvenne in Toscana un nuovo e felice ordin di cose, per cui mi trovai di aver assai bene, utilmente, ed in tempo impiegate le mie precedenti fatiche. Una beneficentissima legge Sovrana ordinò la compilazione di un nuovo generale Catasto, che principiato sotto il regime francese , era stato sospeso nel breve periodo intermedio. Questa circostanza ve- nuta per me sì opportuna fece sì, che immensamente estendessi le idee; ”» e se fino a quell’epoca mi ero limitato all’oggetto di assegnare la po- 77 sizione geografica dei principali luoghi del Granducato, in quel punto vidi per la prima volta la possibilità di giungere fino a costruire una carta geometrica. Al che tanto più facilmente e sicuramente sperai di poter pervenire, quanto che la Sovrana Clemenza ebbe la degnazione di ascrivermi nel ruolo dei membri che diriger dovevano questa ope- razione per ogni lato sì interessante. Col vasto corredo di materiali, che meco portavo; agevol cosa mi riescì d’indurre i miei illustri ed il- luminati Colleghi a convenire sul piano, che nelle circostanze mie, e per le mie nuove vedute mi sembrò il più opportuno. A tenore di questo piano io mi assumevo l’impegno di regolare la mia triangola- zione in maniera che in ciascun territorio comunitativo cadessero al- meno due o tre punti trigonometrici, la cui distanza relativa servir potesse di base alla triangolazione secondaria , che per ogni comune doveva successivamente eseguirsi dagli Ingegneri Ispettori della misura. E questa triangolazione secondaria fatta in modo che due o tre punti cadessero dentro il perimetro di ciascuna delle mappe matrici, doveva servire nel tempo stesso a bene e convenevolmente stabilirne l’orien- tamento , e a portare sulle medesime verificazioni tanto più certe, quanto che indipendenti affatto dagli errori inevitabili di un lungo e continuato canneggiamento. Con questo mezzo tutte le innumerabili parti di un’ operazione così suddivisa vennero ad essere strettamente collegate in maniera , che gli errori di fatto non potevano mai spa- ziare tra vasti limiti; l’uno non potè mai influire sull’altro , e com- pensandosi tra di loro non ebber campo di poter comparire nella car- ta, nè di viziarne in alcun modo la tessitura. In questo sistema ci scostammo dalle leggi del Catasto francese, le quali, prescrivevano per ogni comune base, meridiana , e triangolazione sempre isolate, e indipendenti affatto da quelle delle comuni circonvicine. Ma non si tardò anche in Francia a conoscere che questo metodo portava all’im- possibilità di trar partito delle operazioni metriche del Catasto per la costruzione di una carta: per il che derogando all’antico disposto, venne solennemente ordinato che si proseguissero le operazioni nel modo appunto , che noi molto tempo prima si era già cominciato a praticare. La triangolazione secondaria degli Ispettori oltre a verificare i la- vori metrici dei Geometri, ha servito a riunirne insieme le mappe, e quindi formare in conveniente proporzione la carta topografica del ter- ritorio di ciascuna comune. Col sistema medesimo queste carte comunali riunite mediante la mia triangolazione primaria, e tradotte in una pro- porzione comune han fatta nascere la Carta generale di tutto lo Stato. Quest’ultima operazione , risultamento generale di tutte le precedenti, è stata condotta senza alcun appoggio o richiamo della triangolazione se- condaria, ma col solo mezzo dei miei punti trigonometrici comecchè me- glio provati e più sicuri. Da questi punti, che in tutti ascendono a 767 si diramano più di 7515 visuali, tutte di lunghezza e di posizione nota, e sempre due e tre ed anche più volte verificata : molte delle quali 78 estendendosì oltre le quaranta, einquanta ed anche le sessanta miglia toscane , hanno mirabilmente contribuito a collegare insieme in un mo- do irrefragabile le parti più fra loro disgiunte di tutto il lavoro. Dalla combinazione di quest’immenso numero di visuali ne sono provenuti ol- tre 2505 triangoli, tra ì quali se ne contano 157 aventi gli angoli osser- vati ai tre vertici, con essersene trovata quasi sempre la somma diffe- rente di soli due o tre secondi dal valore di due angoli retti ; il che oltre a comprovar la bontà delle osservazioni spettanti a questi trian- goli, dà luogo a supporne una eguale anche nei rimanenti. Le mappe parziali delle comuni, comecchè relative a territorj di piccola estensione, sono state costruite senza alcun riguardo alla sfericità della Terra. Ma nella carta generale si è dovuto necessariamente tener conto di quest’elemento. E tra tutti i generi di proiezione che vengono a tal proposito suggeriti, considerata la piccola superticie del Granduca- to, ho creduto dover presciegliere quella di Flamsteed , modificata pe- rò in maniera che non solo la parte interna, ma quella ancora che più si accosta al margine della carta, conservasse quanto fosse possibile la sua naturale tigura. Questa proiezione così ridotta si accosta ad uno sviluppo conico; ed i paralleli che nella proiezione originaria di Flamsteed sarebbero rettilinei, nella proiezione adottata risultano circolari, aventi tutti un centro comune verso cui convengono i meri- diani, e che trovasi circa a 17 tese e mezzo di distanza dal parallelo medio. In tutti i calcoli relativi alla proiezione dei punti trigometrici ho avuto anche riguardo alla sferoidità del globo, adottando per il rap- porto dei due assi quello di 309 : 310. Il meridiano medio della carta, che serve anche come uno de- gli assi delle coordinate dei punti proiettati è di 28° 29’ 30”, supposto di ao quello dell’osservatorio di Parigi, e di 26° 51° 0” l’altro dell’osserva- torio di Milano. Quanto alle altre asse delle coordinate , essendone , per natura della proiezione prescelta, del tutto arbitraria la posizione , si è fatto cadere sulla tangente del parallelo di 43°. Rapporto poi al necessario punto di origine o intersezione degli assi, era ben naturale che io ne stabilissi la posizione riferendola al centro della Cupola del mio osservatorio , d’ onde l’operazione ebbe principio, e dal quale come appunto da centro si è per ogni parte diramata. Non crederò di dover muovere alcun dubbio sulla latitudine di questo punto , determi- nata, siccome ho già detto, dal celebre Barone di Zach con 192 osservazio- ni del passaggio inferiore e superiore della polare. Assai minor fiducia io poneva sulla longitudine , benchè conclusa con tutto quel rigore che può oggigiorno ottenersi dall’Astronomia , restando sempre difficile il determinare con pieno rigore quest’elemento , sempre che non si abbia altro appoggio che quello delle osservazioni celesti. Per tal motivo con- cepiiil pensiero di stabilirlo per altra via, per quella cioè dei segnali a polvere ; e ben sapendo che il Monte Orientale o Cimone, giacente nei limitrofi Stati di Modena presso al confine toscano è visibile da Milano, come da noi, insinuai al celebre Astronomo Carlini di profittare di cda questa si opportuna località per meglio riconoscere coll’ anzidetto mezzo l’angolo dei due meridiani. Avidamente accettato dal sig. Carlini il progetto, e da esso lui comunicato al governo militare di Milano, questi assunse sopra di sè l’incarico dell’accensione, che venne eseguita dai suoì Ingegneri con ogni diligenza e bravura. Ma disgraziatamente lo stato dell’atmosfera si oppose al buon successo del tentativo, per quanto ogni precauzione si fosse presa onde prevenirne e vincerne tutti gli osta- coli. Eguale infruttuoso successo ebbe pure un secondo tentativo, che due anni dopo a mio proprio carico rinnovai. Ma l’oggetto che si voleva era troppo interessante , perchè dovesse da noi non abbandonarsi, ad onta dell’inutilità delle due prime prove. Il sistema dei segnali così in- fruttuosamente tentato sul nostro monte Cimone , era stato in quei tem- pi praticato con ogni successo nell’alta Lombardia, e si erano con que- sto mezzo collegati insieme punti di tal distanza fra loro, da non sem- brar possibile che altrettanto non potesse ottenersi rapporto a Firenze e Milano. Si studiò , si scuoprì la causa che avea resi vani i due primi nostri sforzi , e corrette conseguentemente le pratiche che aveamo adot- tate , si pervenne in un terzo assalto a trionfare d’ogni difficoltà , ed ottenere il tanto bramato collegamento. Questa felice operazione ebbe lnogo nell’agosto del 1825. La cura di effettuarne la parte materiale venne quest’ultima volta affidata agli Ingegneri del corpo del Genio di S. A. R. il Serenissimo Duca di Modena, che si accollò generosamente ogni relativo dispendio. Di 36 segnali che in tre notti consecutive ven- nero dati, e che tutti riuscirono visibili non tanto da noi, quanto da Modena e da Bologna, 23 ne furono veduti da Milano. E poichè aveva- mo avuta l’avvertenza di regolare il nostro tempo sulle medesime stelle, onde esimerci dall’influenza di qualunque errore possibile nella loro posizione assoluta, ne risultò la più sicura e meglio fondata cognizione delle differenze delle due longitudini. Con ciò trovammo, che posta come ormai bastantemente verificata la longitudine del celebratissimo ed at- tivissimo osservatorio di Milano , doveva scemarsi di 30 secondi d’arco quella che fino a quel punto si era accordata al mio osservatorio di Fi- renze , che per tal via risultò di 28' 55° o”. Confrontata questa con l’altra, che proveniva dalle operazioni trigonometriche, si ebbe la soldi- sfazione d’incontrare un assai maggiore accordo e vedere se non tolto del tutto, almeno diminuito in qualche parte il dissenso che prima appariva. Fissata così la posizione astronomica del mio Osservatorio, primo e principale fra tutti i miei punti trigonometrici, e col mezzo di osserva- zioni regolari fatte sulle amplitudini ortive ed occidentali del sole, verificato sempre più l’orientamento dei primi triangoli , le posizioni astronomiche di tutti gli altri punti ne risultarono con ogni sponta- neità. Così la Toscana che fin qui poteva dirsi quasi che affatto stranie- ra alla geografia, e che alla metà dello scorso secolo non somministrò al celebre Delille altri lumi per farne l’analisi, che quelle dei vecchi itinerari Romani, e di qualche abbozzata osservazione del Cassini, con- 80 ta più di 750 punti rigorosamente determinati di posizione ; numero che quando si voglia può sommamente estendersi , qualor si profitti delle triangolazioni secondarie , diramate siccome ho detto dalla primaria. Ma le mie determinazioni non si sono ristrette dentro il perimetro del Gran-Ducato. Con la speranza che possa un giorno realizzarsi il su- perbo progetto di una carta generale di tutta la nostra penisola, che serva di proseguimento alla gran carta di Francia, mi sono studiato di esten- dermi anche oltre i confini, per quanto mi era permesso dai miei mezzi e dai politici riguardi. Non poche stazioni ho fatte nei limitrofi stati Ponti- ficio, Modenese, Parmigiano, Sardo e Lucchese, essendo giunto fino a spin- ger le mie visuali alla remotissima città di Ferrara. In tale occasione ho potuto procurarmi delle nuove e numerose verificazioni , confrontando i miei risultamenti con quelli delle operazioni trigonometriche prece- dentemente eseguite negli Stati a noi confinanti, e principalmente con quella celebratissima di Boscovich, che in più luoghi ho trovata lode- volissima , in altri difettosa non poco ; conformemente appunto a quan- to porta una perinanente tradizione di varj accidenti occorsi a quel dot- tissimo operatore. Questo stesso special mio pensiero di oltrepassare con le mie reti il perimetro del Gran-Ducato mi è stato intanto gìiovevolissimo per descri- ver nella carta con sufficiente rigore quelle parti degli esteri territorj» che s’insenano negli angoli rientranti dall’irregolarissimo nostro confine, e da questo si estendono fino al margine estremo del quadro. Odiosissima cosa a vedersi sarebbe stata il lasciare affatto nudo e spogliato uno spa- zio sì vasto ; e dall’altro canto io provava un’invincibile ripugnanza a riempirlo con materiali di fonte incerta o semplicemente dimostrativi, che male per verità si convenivano ad una carta , in cui pregio dell’ope- ra era che tutto fosse geometrico e rigoroso. Profittando perciò delle nu- merose relazioni che nel corso delle mie fatiche aveva contratte con mol- ti ragguardevoli personaggi , e principalmente con quelli che appartene- vano ai differenti corpi degli Ingegneri, mi sono affacciato ai medesimi, onde aver da loro col consenso dei loro respettivi Governi, le mappe che mi abbisognavano ; ed ho avuta la pienissima soddisfazione d’incontrare un’ampia condiscendenza tanto negli Ingegneri che nei Governi, che mi hanno a gara somministrato ogni più opportuno documento; mostrando un interesse quasi altrettanto vivo che il mio, per il decoroso e completo risultamento di tutto il lavoro. E in tale occasione ho di nuovo avuto il contento di riconoscere il più mirabile accordo fra ciascuna parte con- genere di lavoro, sì nostro che estero ; essendosi mirabilmente trovati coincidenti non tanto i perimetri in tutta la loro estensione , quanto le imboccature delle strade, fiumi, fossi, e canali, e la posizione relativa dei punti da me osservati e determinati, e che mi hanno mirabilmente giovato per collegare , orientare e ben collocare tante mappe fra loro se- parate e disciolte. Dal solo Ducato Lucchese non ho ancora potuto ot- tenere documenti in tutto soddisfacenti: ma sono in sì gran numero i punti trigonometrici che in una gita espressamente fatta colà nel decorso DI Ottobre vi ho stabiliti, e sono del pari sì numerosi quelli che per via parimente trigonometrica vi stabilì il chiarissimo Brioschi , allorchè que- gli Stati erano provvisoriamente retti dall’Imperial Governo Austriaco, che con questi e con molte mappe assai giuste, sebbene dimostrative, che ho avuta la sorte di trovare in quegli archivj da me visitati, spero di poter formare una mappa se non in tutto rigorosa, almeno di una suffi- ciente esattezza; da non sfigurare affatto quando sarò per situarla nella mia Carta. Si aggiunga esservi fondata speranza che possa quel governo de terminarsi esso pure per la formazione del Catasto : aver esso interpel- lato me intorno all’articolo della triangolazione : aver io a tal uopo pro- posta persona abilissima ;, che da me diligentemente istruita sulla faccia stessa dei luoghi, seconderà interamente il mio piano e proseguirà con fedeltà le mie reti : tutto ciò mi pone nella fiducia, che qualora la com- pilazione di quel Catasto abbia sollecitamente luogo , il territoro Luc- chese sarà rappresentato nella mia carta egualmente e forse anche me- glio degli altri territorj stranieri. Il solo articolo importantissimo, di cui da tanto tempo desiderava di corredar la mia carta, e che non poteva venirmi somministrato dalle ope- razioni metriche del catasto, nè dalle mie , era un’esatta descrizione del fondo del mare che bagna per un tratto sì lungo le coste del Granducato. Si sa come questo tratto del Mediterraneo è per ogni dove ripieno di canali, di bassi fondi, di secche e di scogli, che rende la navigazione pericolosissima al pari di quella d’ogni altro più popolato arcipelago. E più volte avevo fatta supplice istanza perchè dalla giovane ufizialità del- la nostra marina , anche per propria istruzione e studio venisse esamina- to e sperimentato questo inegualissimo fondo , e le fosse dato l’ incarico di costruire un portulano corrispondente ai bisogni di un littorale sì va- rioforme. Ma la gentile cortesia del nostro socio corrispondente Eduardo Smyth ha corrisposto in altra guisa ai miei desideri, con avermi comuni- cate le belle carte marine da esso lui recentemente costruite, nelle quali tutto abbondevolmente si ha quanto all’uopo mio bisognava. In conse- guenza di questo prezioso dono, non solo il Continente toscano e le adia- centi sue isole si troveranno fedelmente rappresentate nella gran carta, ma anche tutti gli alti e bassi fondi del mare, gli scogli a fior d’acqua, le correnti , i canali, le secche, le rade , e infine gli scali, gli ancoraggi, le spiagge arenose e le scogliere , il tutto contrassegnato con le note carat- teristiche, a seconda delle convenzioni più comunemente accettate. Fin qui tutte le operazioni descritte atte non erano che a sommini- strare la nuda configurazione della pianta del nostro suolo ridotta al co- mun livello del mare. E a questo punto terminava nei tempi addietro l’oggetto che si supponeva appartenere ad una carta geografica qualunque. Ma oggigiorno che l’arte sempre più perfezionata e crescente ha indicati plausibili mezzi per denotare con adeguati segni convenzionali anche le diverse accidentalità del terreno , io non dovevo trascurare di procurar- mi anche la cognizione dell’ altezza dei nostri monti e delle nostre colline, e i mezzi di bene, nettamente e veracemente rappresentarne T. HI Maggio. LI 82 tutte le più piccole diramazioni. Quanto a quest’ultimo articolo consi- derai che qualora avessi usata bastevole diligenza in riportare nella car- .ta non solo i principali fiumi e torrenti, ma ancora i più piccoli rii, fossi e canali, le semplici direzioni di quest’acque , il loro più o meno grande serpeggiamento, la disposizione respettiva delle loro sorgenti avrebbero somministrate indicazioni chiarissime del vero e naturale an- damento di ciascuna criniera di poggi, della ripidità o della dolce in- clinazione dei loro tianchi , del giro e della protrazione delle loro basi, talmente che con questo solo soccorso poteva sempre l’ artista regolare in maniera lo spartito dell’ombre , da esprimere con ogni verità le più minute ineguaglianze del suolo. Ma quanto alla maggiore o minore ele- vazione dei monti era indispensabile riconoscerla par via di operazioni e di ricerche immediate. Assai mi duolse di non aver potuto fin da prin- cipio occuparmi di questo ramo importante della nostra geologia , talchè neppure di tuttii miei punti trigonometrici sono in grado di conoscere l'elevazione. In una memoria che lessi all'Accademia Labronica di Livor- no , e che venne pubblicata nell’Antologia (*) resi conto della dura ne- cessità che mi aveva costretto a questa involontaria omissione , alla qua- le ho in seguito procurato di riparare quanto potevo , aggiungendo alle già fatte allora , osservazioni novelle; talchè oltre i punti dei quali al- lora conoscer feci 1’ altezza su livello del mare, altri molti ne ho mi- surati dipoi ; ascendendo in tutti fino a 400, mumero che se non può dirsi bastevole per una completa altimetria della Toscana, è per altro più che sufficiente per ciò che abbisogna alla carta , la quale anche per questa parte non lascerà molto da desiderare. Quanto riguarda il metodo da me tenuto in queste misure , le numerose verificazioni che mi han- no assicurato della loro esattezza , e la bella e rara sorte che in quel. la circostanza mi si presentò di istituire un immediato confronto fra i livelli dell'Adriatico e del Mediterraneo , son cose tutte già da me dichiarate nella precitata memoria, che con varie importanti aggiunte, sarei in grado di nuovamente riprodurre , qialora me ne fossero ami- chevolmente somministrati è mezzi opportuni. Tale è frattauto lo stato al quale coi mezzi e metodi sopra indi- cati ho condotta la mia Carta Toscana: e tale può altresì dirsi essere il punto a cui fino a quest’oggi è pervenuto il materiale della tosca- na geografia. Spetta adesso al vostro illustre corpo , allo zelo dei membri da voi espressamente a ciò destinati , il progredire ad aggiun- gere a quel poco che è fatto, quel moltissimo più che tuttora resta da farsi. Già un ben ideato saggio di una vasta intrapresa relativa alla compilazione di un Atlante Geografico-Fisico-Storico delle diverse gran valli della Toscana è stato sottoposto agli occhi vostri, ed ha meritato gli elogi della commissione che avete creata per giudicarne. Ma sebbene vastissima sia l’estensione del piano nel quale il dottis- simo Autore, e insigne Collega nostro, si propone spaziare, non man- (*) Tom. V. p. 452. 83 cano altri interessanti argomenti da esercitare l’operosa attività degli altri consocii. Anzi quell’opera stessa, appunto perchè immensamente estesa nel suo soggetto , non potendoci presentare che in compendio molti , importantissimi articoli bisognosi di un più diffuso sviluppa- mento risveglierà l’idea di non pochi titoli, suscettibili e degni di es- ser trattati con espansione maggiore. E se molto potrà aggiungersi a quelle dotte fatiche, assai più ciò accaderà delle mie , capaci di un estensione illimitata e di lavori dei quali quanto ho già fatto non può riguardarsi che come il semplice abbozzo. La mia carta costruita nella ristretta proporzione dell’ uno a dugentomila , non deve considerarsi che come oggetto di puro comodo ed ornamento civile ; ma se voglia elevarsi al rango di oggetto scien- tifico , dovrebbe per lo meno ridursi alla proporzione dell’ 1 al ven- tottomila , corrispondente a quella che il gran Cassini stabilì per la Francia, ed è poi stata adottata presso molti utizi geografici dell’Euro- pa. Ben è vero che per questa riduzione non altro occorrerebbe che la semplice materialità dell’opera , tutti potendosi estrarre dagli ar- chivi del Catasto e dai protocolli delle mie osservazioni , i documenti necessarii per costruirla. Ma anche per gli usi puramente civili vantaggiosissima riuscirebbe la produzione di una carta in dimensione non tanto grande quanto quella del Cassini, ma almeno dupla dell’altra, ossia nel rapporto dal- I’ 1 al 100 mila, e che per maggior comodo potrebbe ridursi in for- ma d’Atlante portatile diviso in 96 faccie o rettangoli. Anzi siccome io stesso ho. già non solo tentato , ma anche eseguito in gran parte questo lavero, sono perciò in grado di asserire come la proporzione che progetto , è bastevole a far sì che non solo le città e i borghi e in generale tutti i fabbricati riuniti, posson venir per tal via rap- presentati nella loro totalità, ed anche con la configurazione dei loro perimetri, ma di più tutte quante le case isolate campestri potreb- bero avervi il loro luogo, senza nocumento alcuno della chiarezza, e con effetto non dispiacente per l’occhio, come da voi stessi potete ben rilevare dai saggi che mi fo un dovere di presentarvi. Or di qua- le utilità riescirebbe in tutti quegli infiniti casi, nei quali o l’uomo di stato , o l’uomo di spada, o i] civile ingegnere , o infine il viandante e il Geologo abbisogna di aver sott'occhio un quadro minuto ed esat- to della vera faccia dei luoghi, è facile a voi tutti il comprenderlo. È però vero che un lavoro di tal natura rimarrebbe senz’oggetto pro- porzionato alla fatica che si richiederebbe per ultimarlo, qualora non potesse sperarsi di vederlo in luce per via d’incisione , o anche se si voglia litograficamente , impresa che la vostra società potrebbe addos- sarsi senza molto suo aggravio, e forse anche con suo vantaggio e profitto. A questa carta di dimensione maggiore potrebbero tener dietro altre di proporzione minore, che presentassero le divisioni del Gran- ‘ducato sia nelle sue Diocesi , sia nei suoi Vicariati, Cancellerie, giuri- 84 sdizionì militari, amministrazioni comunitative , direzioni di posta: produzioni tutte alle quali per certo mancar non potrebbe l’univer- sale aggradimento. Nè meno poi gradevole riescirebbe , quando possibil fosse di effettuarla , una carta che presentasse la nostra Toscana divi- sa a seconda delle più sensibili varietà del dialetto e della pronun- zia, purchè corredata d’analoghe illustrazioni e avvertimenti , dai quali specialmente apparisse il motivo per cui troviamo talvolta uniformità di modi e di voci in luoghi tra loro separatissimi, e marcatissima dis- sonanza in altri assolutamente limitrofi. Infine anche una completa raccolta. delle piante geometriche delle città tutte e delle principali terre e borgate del Granducato, sarebbe opera desideratissima, nè po- trebbe non ottener plauso e favore. Il saggio d’altimetria che ho prodotto noa è che l’iniziativa di quanto il bisogno richiederebbe a questo riguardo. Un paese tanto scabroso ed ineguale quanto il nostro , presenta ben altro numero di punti di cui necessario sarebbe di conoscere l'elevazione ; ed io scor- rendo con l’occhio sulle varie cime dei monti che coronavano le mie diverse stazioni, troppo bene ho dovuto conoscere, che quanto nell’an- gustia di tempo in cui mi trovavo andavasi da me come di fuga ope- rando, era un nulla in faccia a ciò che rimaneva tuttavia da operarsi. Conforta per altro il pensare che il poco già stato fatto in questo pro- posito , agevola immensamente ciò che resta tuttora a fare. Poichè es- sendo i punti e locali di cui ho determinato l’elevazione sparsi per ogni dove in tutta la superficie del Granducato, coloro che accinger si vorranno alla ricerca di qualche ignota altezza, non dovranno che istituirne il confronto con alcuna delle mie che sia a quella più pros- sima ; confronto che attesa appunto questa supposta vicinanza non ri- chiederà che una sola operazione; nei più dei casi potrà eseguirsi con un solo barometro , e quando se ne esigano due il paragone delle re- spettive , indicazioni anche una sola volta istituito, condurrà a risul. tamenti molto più certi e più veri di quello che potessero aversi da una lunga serie di osservazioni combinate, fatte in luoghi molto fra loro disgiunti ; essendo pur troppo noto quanto in quest’ ultimo caso la teoria barometrica si trovi soggetta in pratica a fortissime eccezioni , dipendenti per lo più dalla poca probabilità, che le circostanze atmos- feriche in tanta distanza sieno quanto bisognerebbe eguali ed iden- tiche , e che il coefficiente di rapporto non debba per le differenti lo- cali accidentalità soffrire delle notabili variazioni. Ma qualora all’ar- dente spirito della Società vostra fatto venisse d’infiammare a questa bella intrapresa un competente numero di corrispondenti provinciali , a me piacerebbe che venisse incaricata espressamente una particolare Commissione, la quale se ne assumesse la direzione : e soprattutto che seguitando la giustissima idea di La Place , non si permettesse agli os- servatori di operare con istrumenti di dubbia qualità e di dissimile costruzione, ma venissero loro somministrati barometri e termometri estratti da una stessa fabbrica, costruiti sugli stessi principii, di una 85 stessa materia, di uniforme dimensione, e riempiti di mercurio tratto da una stessa miniera, e purificato con mezzi eguali e da una mede- sima mano; non essendovi alcun dubbio che molte delle discrepanze le quali si osservano nei risultamenti barometrici, nascono appunto dalla diversa qualità dei mezzi impiegati nell’operazione. Ma non sono le sole cime dei monti, di cui è urgente conoscer l’altezza ; giova anche aver notizia dell’inclinazione dei loro schienali, della cavità delle loro convalli, delle curve degli alvei dei fiumi e dei torrenti, come pure del numero e copia ed elevazione delle loro sorgenti , il che tutto di qual lume sarebbe per le operazioni e co- struzioni idrauliche, a quanti utilissimi progetti potrebbe dar facilmen- te luogo, voi tutti assai bene lo concepite. Giova inoltre la compila- zione di un esatto stradario, ove si abbiano non solo le direzioni, le misure, le qualità el’ oggetto delle diverse vie, ma anche il minuto conto delle esposizioni, del loro pendio; sia per proporne l’addolcimento, ove trop- po aspre in alcun luogo si trovino , sia per rettificare le linee ove si vedano senza necessità serpeggianti , sia per variarne l’ andamento nei tronchi, o per troppo lungo tratto solitarii, o troppo esposti al furioso imperversare dei venti, o soggetti ad esser lungamente ed altamente ingombrati dalle nevi, o fondati infine sopra incerto e mal sicuro terreno, sia infine per render palese di alcune la superfluità , d’altre l’assoluta importanza. Nè da trascurarsi anche sarebbe la determinazione della linea delle nevi, che ad una data temperatura si mantengono sulle nostre montagne. Bella altresì sarebbe l’indagine dell’altra linea fino alla quale vegetano le nostre piante il faggio, il castagno, l’abete, e in ispecial modo l’olivo, che forma una parte tanto considerabile delle territoriali nostre ricchezze. Ho già detto come per le diligenti cure dell’operosa marina in- glese si possiede oggimai una sufficiente descrizione del fondo del no- stro mare: ma è noto quanto questo medesimo fondo sia soggetto ad alterarsi, non tanto per effetto delle tempeste, quanto per la sua qua- lità in parte renacea in parte argillosa ; come pure per ragione della moltiplicità delle torbe introdotte in mare dai fiumi, e delle nota- bili correnti che hanno luogo nei diversi canali del nostro arcipelago. Converrebbe dunque non perder di vista un ramo geografico sì inte- ressante , nè fermarsi in alcun modo a quel punto, ove lo han condot- to gli inglesi. La descrizione stessa di quelle correnti, della loro di- rezione e delle loro forze , la misura dell’alta e bassa marea, la qua- lità e forza dei venti maggiormente dominanti, la protrazione successi- va delle nostre piagge, ed anche un plantario dei porti, delle cale e degli ancoraggi , sarebbero altrettanti temi degni d’ occupare con vantaggio le cure dei nostri socj geografi, e tanto maggiormente quan- to che non si trova che altri fin qui se ne sia convenientemente occupato. Avete poc’anzi udito come con inesplicabile maraviglia, le latitu- dini e longitudini trigonometriche non hanno presentato un sufficiente 86 accordo con le astronomiche. 0 questo inesplicabil fenomeno derivi da una potente azione dei monti o degli strati interni sulle livelle e sui fili a piombo, maggiore di quanto si è fino ad ora creduto, o nasca da una forte irregolarità di superficie in questa parte dell’Ellissoide ter- restre , 0 da altra causa ignota qualunque, sarebbe questo un argomen- to che meriterebbe un più serio esame ; e che venissero a bella posta istituite o col pendolo o con osservazioni celesti,o consegnali di corrispon- denza, numerosi confronti in più luoghi tra loro convenientemente sepa- rati, gli uni dei quali si supponessero esser più degli altri meno affetti dalle cause supposte. Nè in tal congiuntura dovrebbe omettersi un altro im- portantissimo tentativo, il cui esito, quando fosse felice, non potrebbe non riuscir gratissimo agli Astronomi tutti ed ai Geografi, quello cioè di determinare colle accensioni delle polveri l’angolo dei meridiani di Firenze e di Roma. Vero è che qui mancherebbe l’opportunità di una cima visibile dall’un luogo insieme e dall’altro. Ma siccome il lampo di una quantità di polvere incendiata si propaga istantaneamente per ogni senso all’intorno e per conseguenza anche in alto, così non sa- rebbe , impossibile l’ottener l’ intento , qualora si presciegliesse per le accensioni la sommità del monte Amiata, visibile dalle alture più prossime sì all’una che all’altra città, e di cui conoscendosi assai bene la posizione e l’orientamento rapporto ai due meridiani, agevol cosa sa- rebbe l’indirizzare verso il medesimo l’attenzione al momento convenuto dell’esplosione dei segnali. Se poi vorrà agirsi con maggiore e più as- soluta sicurezza, potremo piuttosto assumer per luogo dei segnali la sommità di Cetona, anche più accessibile dell’altra dell’ Amiata, e stabilire gli osservatori di corrispondenza l’uno al nostro Monte Se- nario, l’altro al Monte Cavo presso del Lago Albano; dopo di che ri- dotte le osservazioni fatte dall’uno e dall’altro di questi due Santuarii al centro delle due Specole fiorentina e romana, si concluderebbe con molta facilità il richiesto angolo dei meridiani. Gli articoli fin quì rammentati somministreranno un assai vasto campo all’ esercizio della vostra attività e dei vostri talenti, special- mente se si considera che ciascuno dei medesimi forma come una se- parata sorgente, dalla quale spontaneamente verranno come a derivarsi molti e molti altri rami interessantissimi di ricerche, atte a sempre più completare il corredo della moderna Topografia Toscana. Dato a questo il debito compimento , dovremo rivolgerci alla Topografia dell’ antica Etruria , che coi maggiori lumi di cui siamo oggi al possesso , potremo assai più facilmente rischiarare, di quello che nol potessero con le loro dotte analisi il Dempstero, il Seutter, il Delisle ed altri molti che di questo interessante soggetto si sono prima d’ora occupati. Gl’itinerarii sì rinomati degli antichi romani verranno per opera vostra meglio com- binati ed intesi. Si assegneranno posizioni più giuste a quei luoghi celebri, di cui le vestigia, scomparse affatto dal terreno,non rimangono che nei nomi che ce ne ha lasciati la storia. Verranno ritrovate e in- dicate le vere tracce delle magnifiche vie consolari, che attraver- 87 savano un tempo le nostre contrade ; resteranno meglio determinate le stazioni militari, i luoghi delle celebri battaglie, quelli per cui qua penetrarono gli eserciti rivali del nome e della potenza romana. Fis- serete i confini territoriali dei municipi, delle anticlle colonie: e delle anche più antiche Lucomonìe. Ritroverete infine l’ etimologie dei vo- caboli e delle denominazioni locali fino a noi pervenute. Assegnerete inoltre gli alvei per cui una volta scorrevano i principali fra i nostri fiumi, 1’ ampiezza delle vecchie foreste e dei paduli che in numero assai maggiore d’ adesso coprivano le Toscane pianure. Non saranno per verità del tutto nuove queste ricerche , ma aiutati voi dalla mag- gior cognizione che oggi aver possiamo delle varie località, potrete age- volmente rettificare ed estendere quanto su questo proposito fu detto e scritto avanti di voi. Nè meno utilmente potrà occuparvi la Topografia nostra nei secoli del medio evo: e grato riescirà senza dubbio il lavoro di chiunque di voi si accingerà a produrre delle analoghe carte rappresentanti i do- minii o di quei potenti Dinasti che per tanto tempo signoreggiarono le nostre campagne, o di quelle città che scosso il giogo imperiale si eressero in libere repubbliche, o di quelle coalizioni per cui potè qualche tempo mantenersi in equilibrio , ed aver qualche forma di po- tenza la nostra nazione. Il numero di fortilizi che vediamo o torreg- giare sulle più eminenti colline , o signoreggiare le angustie delle valli, e gli sbocchi delle antiche strade; 1’ epoca e l’oggetto della lor co- struzione; se eretti fossero semplicemente a difesa dei Conti, e per luoghi di detenzione e di deposito delle fatte prede, o con la mira altresì che servissero di vedette e di mezzi di comunicazione, d’onde per via di convenuti segnali potessero celermente diffondersi le più importanti novelle: ampia materia di studio e di erudizione esser può tutto questo a chi voglia esercitarvi il proprio ingegno, e compir l’opera sì bene incominciata dal nostro Targioni. Di pari e forse mag- gior pregio saranno le ricerche sulle antiche giurisdizioni ecclesiastiche sia delle diogesi, sia delle abbazie e delle pievi : nè meno gioverà rac- coglier notizie sul numero, località e splendore dei santuarii più ri- nomati, e sugli accidenti che diedero origine alle loro fondazioni. In- torno a che per quanto siasi abbondevolmente trattato in opere sparse, e da autori di varie età, pure si vedrà ben volentieri riunito il tutto in un corpo solo, molto più se le materie saran discusse con la scorta di tutti quei lumi, che la maggior cognizione delle regole ermeneutiche può oggi giorno somministrare. Esaurite tutte queste ricerche e quelle molte più che dalle me- desime potranno venir motivate, pregio dell’ vpera sarà, il compilare un abbondante dizionario nel quale sia reso ampio conto di quanto può interessare la posizione geografica, la popolazione, la storia, le pro- duzioni, i rapporti commerciali , gli usi, le abitudini di ciascun paese; munito se si vuole di carte che ne rappresentino i territorii. Un lavoro di tal natura che riunirebbe come in epilogo le principali indagini 88 nostre , risulterebbe senza dubbio accettissimo si ai toscani che agli esteri, e sarebbe ciò che di più giovevole potrebbesi forse attendere dai nostri studii. Soltanto sarebbe da desiderarsi che, tanto in questa quanto in tutte lé altre opere nostre , brillar si facesse una schietta originalità, e che in luogo di imitatori servili di ciò che altrove non sempre utilmente, nè sempre rettamente vediamo tentarsi, si apparisse, quali i nostri maggiori già furono, maestri e promotori del vero, sodo e concludente sapere. Una maniera sì vasta e sì filosofica di considerare la scienza, un avvedimento sì felice per cui gl’ incrementi della scienza vengono di pari passo ad ottenersi col perfezionamento de’ me- todi ( perfezionamento che per se stesso equivale alla massima delle scoperte ) , quale impressione facesse nell’ assemblea, come ne incoraggisse e le speranze e lo zelo , il lettore sel pensi. I saggi consigli e i lavori esemplari del P. Inghirami frutti- ficarono infatti ; e le speranze si vennero , in parte , felicemente adempiendo. La carta della quale abbiam letta la storia (storia che n’ è insieme la guarentigia , il commento e l’ elogio ) diretta dal P. Inghirami coadiuvato da’ suoi valenti alunni , diligentemente disegnata, e con esattezza e con grandissima nitidezza incisa (3) ; quindi tirata con tutte le possibili cure dal ben noto calcografo L. Bardi, è già in vendita, e il pubblico ha da sè potuto ap- prezzare la bellezza di questo esemplare lavoro, e giudicarlo qual è, uno dei più belli venuti alla luce in Europa dal principio del secolo in poi. Ci gode l’animo in pensare che tale lavoro è stato compiuto in Italia (4). Nell’aprile del 1822 l'impulso dunque era dato : e già il P. In- (3) Hanno lavorato al disegno originale della Carta il P. Pompilio Tan- zini delle Scuole Pie, professore di filosofia e matematiche e astronomo aggiunto dell’Osservatorio Ximeniano; i sigg. Givacchino Callai e Pellegrino Papini aspi- ranti nel corpo degli ingegneri dei ponti e strade, e il sig. Ferdinando Mingaz- zini d’Imola. Ha eseguita l’ incisione in contorno sotto gli occhi dell’ autore il sig. Gio- condo Regazzoni di Lugano ; quella dell’ ombre e dei caratteri il sig. Stanislao Stucchi di Milano. Hanno prestata l’ opera loro nella triangolazione i sigg. Cosimo del Nacca, Giuseppe Pedralli , e ingegnere Leopoldo Pasqui. (4) Prima di passare all’ ombreggiatura delle montagne , fu per ordine di S. A. I. e R. tirato un certo numero di copie ad uso de’ pubblici dicasteri : giac- chè ognuno intende quanto per facilitare le indagini dell’ amministratore , giovi che nella Carta lo scritto risalti più nitido , e non si trovi velato se non da’ con- torni delle divisioni territoriali ed amministrative , e dalla linea de’fiumi. 69 ghirami ci annunziava con lode l’impresa del ch. sig. Zuccagni Or- landini, secondo la quale la Toscana ci si dovea presentare nelle sue divisioni naturali di grandi vallate ; impresa della qual poi l Antologia ha riparlato a suo tempo, come di cosa utile ed imi- tabile dagli altri paesi d’Italia (5). L’opera si è più rapidamente avanzata che non isperassero coloro stessi ai quali è nota la dot- trina , l’attività dell’ Autore, i suoi viaggi continui, le sue molte e sicure corrispondenze. Tredici tavole già sono uscite delle venti ‘promesse , e sono le seguenti : Tav. II. ‘Valle Traspennina. V. Val d’ Arno Casentinese. VI. Val di Chiana. VII. Val d’arno superiore. VIII. Val di Sieve. IX. Val d’Arno fiorentino superiore. X. Città di Firenze. XI. Val dell’ Ombrone e del Bisenzio. XII. Val di Nievole. XIII. Val d’ Elsa. XIV... Val d’Era, pianura pisana e livornese. XV. Val della Cecina, e valle Minore adiacente. XIX. Valle Tiberina. Colla fine pertanto del 1832 noi possiamo sperar finito quest’ importante lavoro, a cui sarà dovuto in buona par» te (inestimabile benefizio) 1’ amore novello con cui le. cose patrie si vengano. già in Toscana studiando ; e lo prova il bel numero di circa 700 associati nella sola Toscana raccolti. L’ A- tlante del sig. Zuccagni non è certamente perfetto, perch’ è cosa umana, perchè vasta e nuova era la via da percorrere: ma è tale da sodisfare per ora assai bene i bisogni economici ed usuali della popolazione, e da diffondere il desiderio di co- gnizioni più solide ancora; ch’è forse uno de’ più buoni effetti che un’ opera possa produrre. Trattandosi poi . dell’ ap- plicazione particolare delle scienze geografiche allo stato econo- mico di un paese, ognun sa le imperfezioni inevitabili d’ un primo lavoro; e quelle che necessariamente provengono dal variar che fanno alla giornata le divisioni amministrative , le differenti giurisdizioni, lo stato della popolazione, dell’industria, del commercio, e tutti insomma cosiffatti elementi. L'Autore del resto promette un’uppendice di tutte le correzioni che gli verranno suggerite dalla propria esperienza , e dagli avvertimenti amiche- {5) Vol. XXXIII. A. p. 157. — Vol. XXXVII: A. pi 65. T. Il. Maggio. 12 90 voli, e dai reclami fondati. Ma giova intanto rispondere per lui ad un rimprovero che gli fu fatto , cioè che alle sne carte man- cavano i gradi di latitudine e di longitudine: mancano perchè sarebbero stati inutili sopra suddivisioni sì piccole del territo- rio; e tanto più inutili, che la carta generale della Toscana, la qual-sarà data da ultimo, mostrerà con graduazione precisa la relativa situazione delle varie vallate che sono in essa comprese. Nè alla Carta del P. Inghirami e all’ Atlante del Sig. Zuc- cagni si limitano i sussidii ottenuti alla scienza in Toscana. Fi- renze ha la fortuna di possedere altro valente geometra, disegna- tore e tutt’insieme incisore abilissimo di carte geografiche , noto pe’ suoi viaggi nell’ alto Egitto e nella Nubia, al qual dobbiamo l’applaudita carta dell’interno dell’Africa (6). Il sig. Segato d’intel - ligenza col P. Inghirami e sotto la sua direzione fece la riduzio- ne della gran carta toscana (7). “ Questa carta nella proporzione al vero di 1. a 400 mila 3) è una riduzione di quella che 1’ Egregio Astronomo G. Inghi- >» rami delle Scuole Pie ha recentemente pubblicata col titolo »» di Carta Geometrica della Toscana nella Veraziona dira 3) 200 mila. »» La riduzione è stata eseguita con''un eccellente Panto- »» grafo ; sotto gli occhi e sull’originale medesimo dell’ Autore, »» e con l’ appoggio di quasi tutti i di lui punti Trigonometri- 3» ci, che si è avuta cura di collocare con diligenza al respet- 3, tivo loro luogo prima di dar mano al lavoro... >> Il valore di Popolazione è assegnata a ciascuna località 3, dietro le resultanze di autentici documenti. I Capi luogo di 3» Comunità sono distinti con carattere particolare; quelli. Su- »» burbani alle Città di Siena e Pistoja cadono per la Prima sulle »> località di Monistero e Valli, e per la Seconda sulle altre di 3» Satornana , Val di Bure , Piuvica , e S. Pantaleo. Le Stazioni so Postali sono quelle in Fica attività. Le Dogane di frontie- >» ui sono considerate di 1.* Classe quelle con Doganiere , e di 33 2-* quelle con sole Guardie di finanza , in seguito di precise indicazioni. La linea dei Posti armati lungo il Littorale. ed »» Isoleè stabilita dietro delle accurate osservazioni } di 1,° Classe »» sono i posti che difendono un Porto , di 2.* queili che pro- », teggouo uno Scalo, di 3.* quelli che osservano le Spiaggie. I ;3 luoghi di Fusione el altre lavorazioni di Ferro , e Rame sono (6) Vedi Antologia Vol. XXXII. G. 140. (7) Vedi Antologia Vol. XXXIX. A. 173. Bull. bibl. gI »» fissati dopo esatte ricerche. Le località, e le classazioni dei »» Bagni e d’Acque, come pure della maggior parte dei Minerali »» sono contrassegnate colle indicazioni del Professor G. Giulj. », Le Strade sono tracciate nelle qualità , e colle modificazioni 3) più recenti originalmente verificate. ,, Con queste parole il sig. Segato annunziava il suo lavoro nel luglio del 1830. E il lavoro è ormai quasi compiuto, e vedrà tra poco la luce. Noi che l’ abbiam veduto possiamo promettere in esso un vero gioiello geografico, ed affermare che questa, con l’altra che ne fu il tipo nulla lasciano da invidiare i più be?’ lavori geografici d’ oltremonte. In fatto di carte altro dunque non resta a desiderare se non se quella della quale il P. Inghirami parlava, una carta cioè nel rapporto di uno a 80,000: per ottenere la quale non altro mancherebbe se non che un conveniente numero di soscrit- tori ; i quali tra non molto forse si rinverranno anche tra noi, se vero è che la possibilità di tali imprese sia la misura dell’ a- more nel quale è tenuta la scienza. Nell’Atlante del sig. Zuccagni soltanto le principali e somma- rie notizie topografiche, fisiche e storiche potevano aver luogo: era dunque necessaria un’opera più direttamente a ciò destinata nella quale , come il P. Inghirami consigliava, fossero le dette notizie meglio svolte e disposte per ordine alfabetico, ordine che riesce comodissimo in tutte le scienze e nella geografia specialmente. Il sig. Zuccagni supplirà in parte colla promessa appendice. Ma ecco frattanto che il Sig. Emanuele Repetti, valente no- stro collaboratore, e ben conosciuto in Toscana e fuori, ci promette un Dizionario geografico fisico storico della Tosca- na: ardua intrapresa del cui felice esito però ci danno ben liete speranze, l’ erudizione diligente del Sig. Repetti, il suo spirito indagatore, e quella sua attività che si sente quasi raddop- piare le forze in ragione dell’urgenza e della difficoltà del lavoro. Il manifesto solo cui brevi saggi che lo accompagnano, ma che dimostrano come l’Autore tenda ad abbracciare nel suo disegno e la parte geografica e la parte storica, e come nella seconda sia in caso d’ arricchir la scienza di molte aggiunte e rettifica- zioni, preziose specialmente se si riguardano nel loro comples- so ; il manifesto solo, io diceva , dev'essere bastante impulso ad ogni colto toscano anzi ad ogni italiano che ami conoscere que- sta patria comune , per sottoscrivere ad opera sì bene ideata. « Questo dizionario , dice il sig. Repetti, dev’ essere quasi », un necessario supplemento . un testo da consultarsi per tutte 92 »» quelle notizie di cui possono abbisognare coloro che posse- 3: dono o che vogliono acquistare la gran carta geografica della »» Toscana, pubblicata del ch. P. Inghirami ; 1’ altra del signor »» Segato, che sta per uscire alla luce sullo stesso modello, ridotta ,> ad un quarto, e con la direzione del medesimo Pad. Inghira- »» mi; e I’Atlante geografico storico del sig. dottore Zuccagni- o Orlandini ,,. E queste parole ripetiamo tanto più volentieri, che amici come siamo noi tanto all’ autor dell’ Atlante quanto. all’ autore del Dizionario annunziato, crediamo poter affermare che l’una e l’altra impresa non che nuocersi per rivalità, come a taluno parrebbe, si giovano anzi a vicenda: giacchè gli associati all’Atlante, an- che dopo l’appendice delle rettificazioni , sentiranno desiderio di più particolari ragguagli in un Dizionario ; e chi avrà il Dizio- nario non potrà far senza 1’ Atlante per l’ ispezione sinottica delle varie divisioni del territorio toscano. Egli è ben vero che se ambedue questi benemeriti autori avessero fin dal principio congiuute le loro forze per vicendevolmente ajutarsi e nell’ uno e nell’altro lavoro, e avessero inoltre chiamata a se la coope- razione d’altri dotti toscani, ambedue le imprese sarebbero riu- scite all’ ultimo più perfette: ma chi conosce le incredibili dif- ficoltà che in Italia specialmente a tali associazioni s’oppongono, non che condannarli, vorrà al contrario ammirare il loro esem- plare coraggio , e rimeritarli ambedue di efficace riconoscenza. Molto s'è fatto in dieci anni: e non andrà molto ancora, (lo speriamo ad onore della Toscana e a bene de’ suoi abitanti ) che tutti i voti del benemerito P. Inghirami saranno felicemente compiuti. G.P. V. Del Covsrnismo o sia della scuola filosofica del prof. Cousin. Introduzione. I. Una rivista imparziale di tutti i sistemi filosofici potrebbe facilmente condurre ad una specie meno irragionevole di scettici- smo , che non applicasse il dubbio alle umane bisogne, ma ben alle speculazioni scientifiche ; for’ anche fu abbracciato siffatto scetticismo da gran parte di quelli che dediti alquanto alla scienza dell’ uomo, non ebbero poi copia d’ ozio o d’ intelletto sufficiente a ponderarne tutti i particolari. Siffatta indifferenza è gravissimo male. Allorchè una scienza .non propagò i suoi più generali prin- cipii nella comune degli uomini, le aberrazioni individuali di- vengono senza frenu, e la travolgono d’ abisso in abisso. Quando all’ opposto la scienza gettò profonde radici nel volgo , la coscien- za popolare rettifica quasi per istinto gli errori. singolari. La mo- rale ottenne siffatta garanzia, e traversò i secoli immune dai gravi errori. La politica fu sempre il patrimonio dei pochi, e tanto falso si rinviene nelle politiche teorie, che quasi si vorrebbe negar loro il nome augusto di scienza. II. Se tale fu la sorte della politica , che pur sì presso domina gl’ interessi dell’ uomo , che dir della metafisica ? Le sue relazioni con gl’interessi materiali son tanto remote , che sforzo d’ ingegno abbisogna per sentirle. Quindi è che all’indifferenza non si limita- rono i sensi popolari intorno alla metafisica, scesero quasi al disprez - zo , specialmente nella nostra Italia. Nella nostra Italia, ove pure ebber cuna novella tutte le filosofiche discipline , ove sorge tratto tratto qualche ingegno potente a indicar loro qualche strada più retta e sicura! Qual italiano non sorride nel dir d’ alcuno ch’ egli è un metafisico , nel tacciar d’astrazione una teoria ? Il linguaggio è l’espressione fedele dei sentimenti universali, perchè dall’ uni- sale riceve il suggello. III. Non per questo potea perder mai valore la metafisica agli occhi del savio: la scienza che spiega l’ origine, e descrive le leggi del pensiero, appare primaria a chiunque non ignora, che il pensiero è la forma palese della umanità. Quindi in ogni secolo molti sommi applicarono tutto l’ intelletto alla metafisica .. . Ma come avvenne che tutti i loro sforzi non valsero a sollevarla al grado di perfezione al quale aveva diritto ? IV. AJl’ albeggiare della umanità era l’esperienza sola guida 44 ai giudizii, ed il metodo esperimentale dominava solo il mon- do intellettuale ; ma tostochè l’ accumularsi delle tradizioni diè cominciamento alle scienze, l’esperienza non potea solo sod- disfare ai nuovi bisogni del pensiero, e l'analogia fu chiamata a soccorso. Allora qualcuno dei fatti scoperti dall’ esperienza fu con- vertito in legge, la legge venne applicata a nuovi fatti che l’ esperienza non poteva spiegare , e si diè principio al metodo speculativo. Questa breve storia ci mostra che i due metodi non sono che i due stadii del processo intellettuale, e che 1° uso di uno solo di essi non potrebbe neppur concépirsi: la sola esperienza non darebbe sino alla fine dei secoli che fatti individui, senza poterne trarre una legge applicabile, e la specie umana al par dei bruti sarebbe incapace di ogni progresso generale; la sola speculazione è forse ancor meno concepibile , se non si concepi-. sce come sogno. Sopra cosa potrebbe la mente speculare , se l’e- sperienza non le avesse assegnato dei fatti? V. Ma sebbene i due metodi non possano concepirsi asso-. lutamente isolati, può facilmente concepirsi come il ragionatore può troppo consultar l’ esperienza , privandosi di gran parte dei vantaggi resultanti da una sana speculazione ordinatrice ; e può. all’ opposto abbandonarsi troppo ad una speculazione basata so- pra scarso numero di fatti, e porsi al rischio di creare una teo- ria inapplicabile. Questa differenza di pura quantità può giun- ger tant’oltre, che i due estremi potrebbero sembrare non già due cifre della medesima serie di quantità , ma due quantità ; d’ indole assolutamente diversa. Pur troppo questo fenomeno avvenne , e pur troppo il lin- guaggio filosofico ne fa piena fede. Il metodo esperimentale, sotto nome di analisi, vien segnato come il nemico inconciliabile dello speculativo. chiamato sintesi, ed i seguaci dei due metodi pro- fondono inutilmente l’ ingegno in provar la superiorità del re- spettivo metodo! Speriamo che alfine il progresso dei lumi ri- condurrà gli uni e gli altri alla necessaria tolleranza. VI. Questa fatale scissura fra i due metodi nacque in quel di, nel quale il complicarsi dei bisogni, e in conseguenza delle inchieste, al di là di quello che la poca esperienza accumulata; e la prudente analogia potean soddisfare , spinse lè menti a rin- tracciare più remote analogie : e siccome per legge umana i‘bi- sogni sempre precedono i mezzi ; nulla potea frenare questa ten- denza alle audaci speculazioni : sicchè alfine 1’ abitudine di pro- ——- 95 cedere speculativamente generò lo spirito di sistema, e quasi spense ogni speranza di progresso durevole. VII. E tolta affatto l’ avrebbe , se il lento accumularsi della tradizione esperimentale non avesse sovente rovesciato i più so- lidi sistemi, e non avesse destato qualche dubbio sul valore delle audaci speculazioni; ma molti secoli passarono in questa lotta fra il sistema ed il metodo, prima che il metodo ricomiu- ciasse ad occupare il suo posto di guida dell’ intelletto, ed a ri- prendere le caratteristiche che ne lo rendevan degno: fu d’uopo che la somma dei fatti fisici rinvenuti al cadere del 16° secolo, bastasse a comporre una scienza senza ricorrere a lontane analogie e smodate speculazioni ; allora perla prima volta fu con caratteri precisi se- gnata l’ indole vera del sano metodo; perchè potè ricevere ina completa applicazione. È vero che servendo tuttora alla distin- zione assoluta fra i due metodi, volle chiamarsi esperimentale il metodo rinvenuto; il nome non cambiò la cosa: fu quel meto- do il medio termine fra i due estremi, quel termine che la na- tura del nostro processo intellettuale ci segnava per guida: fu detto esperimentale ; perchè l’elemento positivo in esso: con- tenuto supera lo speculativo e lo precede, come si riscontra nel- l'ordine reale della umanità. VIII. Le scienze fisiche furono le prime, ma non le sole, ad applicare il sano metodo : le morali seguirono a breve distan - za le loro traccie; prodigioso frutto ne colsero le prime, può aucor dubitarsi qual frutto ne cogliessero le seconde. Eppure le scienze morali si occupan dell’ uomo, e le leggi dell’uomo agente e pensante hanno più interpreti della muta materia. A spiegare lo strano fenomeno basterà capitale osservazione. Ogni processo scentifico consiste in raccoglier fatti ; dedurre leggi, applicarle: questo insegna il metodo, ma più oltre ab- bandona : può la mente dedurre dai fatti leggi incomplete della natura, e creare applicandole un falso sistema. È dunque ne- cessario che la mente trovi una guida per ben ordinare gli ele- menti che il metodo gl’ insegna a raccogliere : questa guida non può essere che la legge dominatrice unica dell’ ordine di cose che vuol convertirsi in scienza. Conosciuta siffatta legge , facilmente si scuopre ogni legge secondaria, si assegna la propria spiega= zione ad ogvi fenomeno ; su quella legge si inalza tutto 1’ edifizio della scienza , con quella legge si misura la bontà di ogui subal- terna teoria. Per soddisfare a tanto incarico un solo requisito ab- bisogna ; l'applicabilità universale. 96 Questa legge , che ogni autor di sistema crede aver rinve- nuta , io chiamo criterio di vero, perchè infatti diviene la. mi- sura fondamentale di ogni vero scientifico. A rinyenirla fa ‘d’uopo consacrare ogni sforzo , ed è indispensabile l’ uso del vero me- todo ,, ma non può il vero metodo supplirne il difetto : senza di essa il metodo potrà raccogliere mille veri parziali, ordinarli in qualche modo ; assegnare molte ingegnose spiegazioni ai feno- meni, ma non potrà creare una scienza perchè non. potrà dare al complesso quella unità quella vita che solo resulta dalla scoperta del vero intrinseco rapporto fra le specialitài, della legge gene- rale da me sopra lodata, del criterio di vero. Mentre all’opposto , rinvenuta una volta Ja legge , non può toglierle valore il metodo più assurdo di applicazione: ogni er- rore sarà proprio dell’ autore , ogni vero sarà frutto del eriterio. Altro migliore ingegno con la scorta di miglior metodo edificherà con miglior successo sul medesimo fondamento. IX. I fatti, che forman soggetto. delle scienze fisiche , si presentano d’ ordinario con caratteri evidenti, si ripetono. con tanta eguaglianza, che l’ attento osservatore facilmente ne scuo- pre la legge regolatrice ; ma i fenomeni dell’ intelletto sono sem- pre sì diversi ne’ diversi individui , che dico ? nelle diverse età, nelle diverse circostanze del.medesimo individuo, che quasi im- possibile si rende il. precisarne la legge ; i pregiudizii e le pas- sioni accrescono le naturali difficoltà , sino al punto che grande è il novero di coloro che disperano di rinvenire il criterio delle scienze. morali. Dovremo noi per questo abbandonarci.;a sì vergognosa di- sperazione ? il Ciel ne-guardi.-Tre secoli fa l’istessa condanna fu pronunziata dai savii contro le scienze fisiche , ed in appello fu revocata con riparazione onorevole ; speriamo che il tempo arrecherà alle morali il medesimo benefizio. Frattanto in luogo di cedere a vili sentimenti, pugnamo. da forti, e; poichè me- glio non ci è dato per ora, indaghiamo le cause del male che ci affligge. tt: X. Consultando attentamente la storia delle scienze fisiche, chiaramente si scorge che il savio non chiese alla natura ,, altro che quello, che la natura poteva dirgli. Scorgendo che l’uomo non sente e non conosce che i rapporti delle cose con lui , me- diati o immediati, vidde che sarebbe stato stoltezza 1’ indagare gl’ intrinseci rapporti delle cose fra loro , e con, Ja loro causa primitiva : quindi abbandonò completamente ogni ricerca di si- mil fatto. Fissato in tal guisa uno scopo preciso e possibile , la - —— _m_6T6Tm6m _——— € try "eun 97 natura rettamente consultata soddisfece:volenterosa alle inchieste, e.svelò gran parte delle leggi che reggono i suoi rapporti me- diati o immediati con l’ uomo : fra le mani dei grandi ciascuna di queste leggi divenne il criterio di una scienza :/l’ attrazione; e repulsione , la gravitazione , l'elasticità, affinità ‘ec. ec. sod- disfecero a tutte le ragionevoli domande. dell’ astronomo, del meccanico, del fisico ec. ma guai per essi se un solo istante scordavano che tutte quelle leggi non rappresentano che l’ or- dine apparente delle relazioni delle cose con noi! XI. Il filosofo morale ammirò i progressi che in grazia della moderazione facevano le scienze fisiche, ma, o non credè quella moderazione degna del subietto de’ suoi studii, o fors’ anche non gli fu possibile distinguere cosa ci'è dato conoscere delle nostre leggi intellettuali; comunque ciò sia, fu suo scopo costante l'invenzione di una legge o criterio, che segnasse le cause e rapporti intrinseci e sostanziali dell'anima nostra. Questo scopo non poteva ottenersi, quindi non fu possibile rinvenire il desi- dlerato criterio, quindi rimase la scienza senza criterio primitivo universale, quindi non potè mui giungere al suo complemento; e se qualche parte di essa ottenne. grandi sviluppi; obbligo n’ebbe a qualche criterio parziale, ma di poco potea giovare al progresso generale , perchè mancava il nesso fondamentale fra le varie parti della scienza. Invano il sano metodo accorreva in soccorso del filosofo traviato : peggiore forse del male diveniva il rimedio, peschè la severità del metodo non dava luogo a qualcuna di quelle felici illusioni, che sovente conciliarono la coscienza del pensatore e il sistema. Così per non dir d’ altro il rigore del metodo condusse il sensualista al materialismo di Mirabeau, e allo scetticismo di Hume. XII. Mi sembra aver finora abbastanza provato che l’imper- fezione delle scienze morali nasce dalla mancanza di criterio, e che il criterio. mancò , perchè si volle che il criterio spiegasse un ordine di cose, che all’ momo non è dato conoscere. Evidente conclusione scende da queste premesse. Il criterio delle scienze morali deve, come quello che rese giganti le scienze fisiche, esser desunto dall'ordine scibile, nè deve essere destinato a spiegare altri fenomeni oltre quelli dell’ ordine scibile. Or qual criterio avrà questi caratteri? Forse non sarà dato all’ uomo il rinvenirlo per molto tempo ancora, ma basti frattanto averne precisata l’ indole quanto fa d’ uopo a riconoscerlo quando sarà scoperto , e a rigettare i diversi criteri inadeguati al bisogno. T. HI. Maggio 13 98 XIII. Fissati questi canoni ognun prevede , che scopo prin- cipale di chi studia filosofia esser deve l’ indagine del criterio , e che mio scopo nel render conto del sistema di Cousin sarà di spiegare la vera indole ed effetti del criterio da essu prescelto. Io spiegherò tutte le sue dottrine per il loro rapporto con il criterio ; ne dedurrò tutte le conseguenze che il criterio mi co+ stringe a dedurne, e frattanto richiamerò al confronto il criterio del sensualismo con tutte le conseguenze. XIV. Mi limitai a comparare il cousinismo al solo sensua- lismo perchè il sensnalismo era il sistema dominante in gran parte d’ Europa ; e specialmente in Francia al sorgere del cousinismo , perchè contro il sensualismo quasi esclusivamente si mostra Cuu- sin voglioso di guerra , perchè finalmente il cousinismo e il sen- sualismo compendiano quasi tutti i sistemi metafisici nei criterii respettivi. Non tema il lettore di rinvenire nel mio lavoro le aride spine di una discussione metafisica : fedele al piano da me ‘ab- bracciato nel render conto del sistema di Herder, io mi limiterò ad esporre le idee di Cousin con qualche spiegazione , ma non ne discuterò 1’ indole e la tendenza che nel solo rapporto col criterio scelto dall’ A. II. Parte. Esposizione del sistema. XV. Allorchè 1’ uomo , maturato dalle mille relazioni che lo educarono , chiede la prima volta il perchè di sua credenza, la mente gli accenna un rapporto tanto immediato , che si ri- solve in un vero perchè sì. Questo stato dell’ infanzia della spe- cie e dell’ individuo non appaga le menti di ordine superiore , le quali si pougono sollecite in traccia di questo perchè pel va- sto mare degli esseri. L’ indole dei tempi, dei luoghi, degl’in- dividui dette a molti fatti l’ apparenza di un perchè o vogliam dire criterio universale, e sopra ciascuno di questi fatti fu edi- ficato un sistema, sistema analogo alle circostanze che gli die- dero nascimento : ma il tempo variò quelle circostanze, e, re- cando a morte il sistema che ne derivava, condusse sulla scena con altre circostanze altro criterio ed altro sistema. XVI. Innumerabili criterii si contrastarono il dominio della scienza , finchè il metodo sano esperimentale non diffuse in Eu- 1opa la sua luce ( $. 7 ). L’ indole indagatrice di quel metodo lo spinge di fatto in fatto alla ricerca della ‘prova della prova , della causa della causa fin dove il limite della potenza intellet- 99 tuale il consente: la sua semplice applicazione dovea «distrug- gere tutti i criterii che non presentavano grandi caratteri di uni- versalità , finchè alfine due soli ne rimanean sulla scena a con- trastarsi il, primato. Ogni genere di dimostrazione concorre a provare due modi ‘di esistenza nell’ uomo, determinati da due serie di rapporti , il senso e l'intelletto: ma quando si scende all’ indagine del nesso fra queste due forme umane ; della loro azione reciproca, ogni distinzione apparente svanisce, e sembrano fondersi in una. Suda il filosofo a separarle di nuovo, ma suda invano , finchè alfine scende nella persuasione, che infatti non vi ha che una sola forma originale umana, e che 1’ altra non è che una ma- nifestazione , una modificazione di quella. Fatto il primo passo, diveniva necessario di prendere a criterio universale la forma che si credeva originale e sola sostanziale ; quindi le leggi del- 1’ altra forma doveano con quel criterio esser misurate; quindi se qualche fatto le rendeva ribelli, la forza dovea ricondurle all’ obbedienza , o doveano perire. Mentre tutti i nostri filosofi si trovaron d’ accordo in asse- gnare ad una sola delle due forme umane il primato , si divisero in due partiti nella scelta. Il senso e 1’ intelletto divenner cri- ‘terio di due sette , che dopo aver tentato invano una concilia- zione , divennero acerrime nemiche. Il calor della disputa, la eccellenza del metodo, che di rado concede la inconseguenza, non tardò a svelare un fatto di prim’ ordine: malgrado le mille relazioni che si scorgono fra le due forme dell’ indivisibile esi- stenza umana , non è dato spiegare le leggi dell'una per le leggi dell’ altra. Siffatta scoperta dovea condurre i partiti a cercare un terzo criterio che dominasse entrambi le forme ; forse questo cri- terio fu cercato e non fu rinvenuto, fors’ anche non potea rin- venirsi : comunque ciò sia, i due partiti preferirono la via più spedita di negare l’ ordige di cose che rimaneva per essi ine- splicabile. Di là quel cumulo spaventoso di aberrazioni, che il mate- rialismo rendeva sozze e brutte togliendo fede a quell’ ordine superiore , che è sola tutela e spiegazione del terreno; che l’ i- dealismo rendeva ridicole e stolte negando le fisiche verità , che pur sono le più sentite dall’ uomo ; e così distogliendolo dal sno fine. Aberrazioni che scemando venerazione alle teorie filosofiche gettarono non pochi frai sommi nei campi senza limite dello scetticismo. XVII. In mezzo a tanta guerra largo promettitore di! pace (TOO si offre Cousin: profondo stndio delle antiche dottrine e dei nuovi bisogni, anima nobile adequata al peso di una mission filosofica, eloquenza non comune, forza logica straordinaria davano a quel sapiente guarentigie di buon esito. Ma 1 ottenne di fatti? Applicarmi esclusivamente a risolvere questo problema sarebbe al certo prezzo dell’ opera : ma le lunghe discussioni metafisiche , e |’ incertezza del giudizio inseparabile da' siffatte ricerche, mi disanimarono dal tentarlo. D° altronde pensai che la fedele esecuzione del mio piano mi conduceva indirettamente al medesimo scopo, perchè 1° analisi del criterio cousiniano ne deve mostrare i difetti. XVIIT. Consin scandagliò accuratamente la storia della filo- sofia. Ei stupì vedendo che qualunque sistema ottenne fede in una qualche maniera di civiltà, fede sempre egualmente esclu- siva intollerante. Osservando che dei mille sistemi due non po- tea rinvenirne che non si escludessero reciprocamente in modo inconciliabile, dubitò per un momento se tutti fossero egual- mente filsi, e se dovea sentenziarsi l’ nomo incapace di vero. Ma la nobile anima sua lo salvò dalla turpe e dolorosa conse- guenza ; calcolando che 1° uomo abbisogna della cognizione del vero per vivere e godere , lo riconobbe sostanzialmente amico del vero e nemico del falso, vidde ch’ei ricusava fede a quanto non era in qualche modo provato da relazioni realmente senti- te, e ne concluse che ogni principio ammesso da una società di uomini deve contenere un elemento di vero, o in altri termini deve appoggiarsi a qualche relazione reale, altrimenti la fede concessagli rimarrebbe effetto senza causa. XX. Ma donde il falso che venne a viziare quest’ elemento di vero? Il pensiero dell’uomo educato, da estrinseche circostanze prende da queste suggello. Leggi generali reggono il mondo no- stro , leggi speciali lo mettono in contatto immediato con noi: le ideee che in noi vengono dalla osservazione delle leggi geue- rali son fonti di vero assoluto , in quanto all’ uomo è concesso ; dalle leggi speciali noi prendiamo canoni parziali, che , veri nella prima loro applicazione, diveugono falsi ove di troppo |’ appli- cazione si estenda. È dunque sorgente esrlusiva di falso il va- lore indebito concesso ai veri parziali. Il correttivo di questo vizio disordinatore di qualunque sistema sarà lo sceverare i. veri generali dai parziali , assegnando a ciascuno adequata sfera di applicazione ; e sarà stuwrlio del riformatore filosofo il raccogliere ‘da tutti i sistemi i veri generali per comporne un nuovo siste- ma che domini tutte le specialità. Tale è lo scopo che si pre- 101 figge Cousin: nulla può darsi di più onorevole per 1° uomo, nulla fu detto mai di più moderato e più vero. È questo il program- ma di un ecclectismo che promette finalmente riposo alla filosofia. XX. Il canone mniversale di cui si pone in cerca Cousin, sarà quel criterio di vero, che divenuto una volta lucido e netto sarà infallibile garante contro l’errore. Se l'esecuzione corrispose al progetto , ne potrà giudicare il Îè tore. XXI. Abbenchè lo scopo di Cousin sia infatti la ricerca di un criterio, non mi venne fatto in tutti i suoi lavori di rinve- nir quella parola, è verun’ altra che la equivalesse. Dirò di più: posso argomentare che Consin non pensò alla cosa. In molti luo- hi e specialmente nella sua: Zrniroduction aux fragmens phi- Dica , ei consacra lunghe pagine ad esporre la potenza del metodo , e non potei trattenere una esclamazion di sorpresa nel- l’ accorgermi , che al metodo ei voleva assegnare le caratteristi che , ch’ io partitamente più sopra assegnava al metodo ed al criterio ($. 8 C. 11.°). Credo inutile accennar qui particolari ragioni di mia sorpresa, e volentieri rimando il lettore a quanto io là diceva, e son per dire nel corso di questo lavoro. Solo mi si conceda citare un fatto. L’ attento lettore che seguendo la catena delle dimostrazioni di Berkeley e di Spinosa giunse stupefatto all’ idealismo , e al panteismo ,. inutilmente la risale per rinvenire la causa delle assurde conseguenze: un metodo ammirabile presiede alla de- duzione : non vi ha di erroneo che il primitivo criterio, ed il seme di errore contenuto in quello , impercettibile in principio, accresciuto per via dalla precisione del metodo , simile alla va- langa delle alpi occupa tutte le estreme conseguenze. XXII. Prima di seguire Cousin nella ricerca di un criterio universale assernamone le due principali caratteristiche. 1.° Ei deve risiedere in un ordine di cose che abbracci tutto il creato intelligibile all’ uomo, altrimenti vi sarebbero dei fatti che non potrebbero per esso spiegarsi; 2.° deve essere razionalmente an- teriore ad ogui speculazione ed esperienza, poichè ne deve es- ser la guida. XXIII. Ci sia di studio 1’ esaminare come due sette rivali crederono rinvenire queste carattaristiche in due criteri che si distruggono reciprocamente. Non.vi ha dubbio che la maggior parte, e la più apparen- te, delle >perazioni intellettuali , visibilmente deriva dall’ azione degli oggetti esterni sui sensi: non vi ha dubbio altresì, che mal ci è dato , fors’ anche non si può concepire, che 1’ nomo 102 possa moralmente esistere in terra , o almeno esser conscio a sè stesso , senza il sussidio dei sensi. Queste verità che il fatto prova incontrastabili traggono appoggio ancora dal retto ragio- namento : l’ uomo, non conosce che i rapporti fra sè e le cose esterne , il suo intelletto non può esser modificato che da que- sti rapporti; quindi supponendo che tali relazioni non esistano, resterà un intelletto senza modificazione, una pura assoluta ca- pacità , che mai può aver coscienza di sè. Colpito qualche filosofo da questi riflessi credè vedere nel- l’ attestato dei sensi ogui guarentigia di vero ; e lo scelse per criterio universale. Errava in questo primo passo, perchè dava la causa occasionale e modificatrice come la forma sostanziale della nostra esistenza ; perchè poneva affatto in non cale un altro ordine di fenomeni, che, sebbene secondi nell’ ordine cro- nologico materiale di nostra esistenza , sono infatti i primi nel- l'ordine razionale ; perchè scordava che quanto è impossibile concepire esistenza umana intera senza i fisici rapporti , altret- tanto è impossibile il concepire i fisici rapporti senza un ordine intellettuale preesistente in potenza; errava io dico, ma commesso quel primo errore necessarie scaturivan le conseguenze: 1’ ope- rato dei sensi non essendo che una legge di relazione , non può dar idea che di una delle forme dell’ intelletto, e precisamente di quella che resulta dalla relazione coi corpi, ma tace sulle altre che sebbene si sviluppino in occasione di siffatta relazione, ne sono però iutrinsecamente indipendenti ; e stantechè le leggi di queste forme non poteano esser scoperte sotto la scorta dei sensi, il rigore del metodo costrinse il sensualista a rigettarne l’ esistenza ; cosicchè alfine ei ridusse 1’ uomo ad una sola ed alla più ignobil metà di sua vita. XXIV. Questi vizii del criterio sensualista non sfuggirono all’ ingegno di Cousin. Si accorse che non poteasi arrecarvi ri- medio che per mezzo di una più matura considerazione dell’or- dine intellettuale; quindi a quest’ ordine rivolse unicamente le indagini. Fino dal primo passo ei scuoprì che l’ ordine sensibile pre- cede materialmente l’ intellettuale, ma razionalmente è questo il primo ; ($. 23) perchè l’ azione dell’ ordine sensibile sull’in- telletto non può produrre altro che pure modificazioni nella ma- nifestazione delle sue leggi, ma non potrebbe crearle. Ei si trovò d’ accordo in ciò con tutte le sette che non vedono nelle idee che nn modo dell’ anima. Posti questi due fatti, ei ne concluse che l’ intelletto è il teatro su cui si svolgono tutte le nostre re- 103 lazioni | e dove in conseguenza deve rinvenirsi la legge gene- rale che le governa. Questa legge deve essere espressa da qual- che fatto, e questo fatto deve essere il criterio universale di vero desiderato. Trai fenomeni deli’ intelletto avvene uno , che sebbene ul- timo in tempo, è condizione indeclinabile d'intelligenza , per- chè serve di veicolo fra le sensazioni e ‘il pensiero, voglio dir la coscienza. La coscienza è la vera forma della nostra esisten= za ; del me intellettuale che neppur si può concepire senza la catena d’ idee, che tutta riposa sulla coscienza; compendia il mondo intelligibile e lo contiene , perchè nulla esiste per l’uomo sinchè la coscienza ne tace ; precede razionalmente tutto 1’ or- dine intellettuale, come l’ ordine intellettuale precede il sensi- bile: se potenzialmente non preesistesse la coscienza, come la ‘sensazione potrebbe convertirsi in pensiero ? Tutti i criterii pos- sibili son contenuti nella coscienza , perchè tutti consistono in fatti attestati dalla ‘coscienza . ... Siffatto raziocinio condusse Cousin a ricevere la coscienza come il criterio cercato. XXV. Veri sono i fatti narrati, ed io ne concludo, che larghissima parte deve assegnarsi alla coscienza nella formazione di un sisteina filosofico; ma non vorrei dargliela esclusiva, perchè altri fatti mi si affacciano alla mente non considerati da Cousin e niente men veri. Siccome 1’ applicabilità alle umane bisogna è il requisito in- declinabile di un criterio di vero, io cercai come e quanto fosse applicabile il criterio della coscienza. Mi accorsi che la coscienza ‘dell’ individuo è sempre determinata da circostanze parziali, € che in luogo di render conto esatto delle leggi generali della natura umana , si limita a narrarci le modificazioni che per mere contingenze svibiscono nelle applicazioni individuali ; sentii per- ciò che dai fatti svelati dalla coscienza individuale poteva a stento delinearsi il carattere di un epoca, di un popolo; ma che poco potea trarsene per non dire niente, all’ oggetto di co- noscere le leggi generali della nostra specie. Non è dunque io dissi la coscienza dell’ individuo che si prefigge a criterio Cousin, e credei che avesse in mira la co- scienza della specie umana. E sarebbe questa al certo miglior criterio di vero; ma come consultarla direttamente? Non può consultarsi che nelle sue manifestazioni, voglio dire nei fatti, ed allora fa d’ uopo di altro criterio per dirigere nella ‘spinosa indagine; di un criterio che valga ad analizzare la storia , del criterio infine della Scienza Nuova. Questo criterio dominerà , 104 spiegandolo , l'attestato della coscienza universale, che in tal guisa rimarrà il principale trai fatti cui venga: applicato lil cri- terio, ma on potrà esser presa a criterio essa stessa. Allorchè Vico assegnava all’ umavità le tre leggi cardinali, ne scuopriva lè traccie nei fatti che sono la manifestazione della coscienza nviversale ; ma per. convertire questi fatti in leggi, avea biso- gno di un criterio el questo ei trovò nella degnità : quello chie sempre fu non poteva non essere, nè, essere altrimenti, ed in conseguenza quello che tutti credono non può non esser vero. . Che se il filosofo si porrà in traccia dei dettami della co- scienza senza la guida ‘di -un criterio preordinato, credo che la vita non gli basterà a rinvenirne le leggi, nell’ oceano. di fatti che le sue ricerche gli svolgeranno davanti; ma quando gli sortisse di farlo , io credo che ancora molto gli rimarrebbe a sudare per convertire quelle leggi in leggi geverali e primitive della specie umana. Per la coscienza non'è quel che non è nella memoria ; quindi nella coscienza tn non puoi rinvenire i fatti che nell’ infanzia decisero del tuo modo di essere, nè il filosofo può rinvenire nella coscienza universale le leggi primitive della umanità , perchè i fatti che formano la prima applicazione di quelle leggi, e dai quali soltanto può. conoscersi 1’ esistenza , nonchè 1° indole di quelle leggi, non sono nel dominio della coscienza , perchè non sono nel dominio della, memoria. Così la coscienza assegna alla vista il primato che l’ esperienza assegna al tatto. Il tatto fu maestio alla vista in tempo di cui l’ intel- letto non serba memoria. XXVI. Niente sospettava Cousin di tutto questo. Ben lungi dall’ invocare un criterio che regolasse la sua analisi della co- scienza , ei si prefisse palesemente di fissare con la sola scorta di. quella, tutte le leggi generali della umanità, riserbandosi poi a cercarne la riprova nei fatti del mondo reale. L° analisi o metodo esperimentale il più rigoroso lo guidarono nella ricerca dei fenomeni della coscienza; non ben comprendo se egli ana- lizzò la coscienza individuale, o 1’ universale , ossivvero iuna pura ‘astratrazione 3 so ben però che appena ne ebbe concepite le leggi la speculazione più audace dominò completamente il suo siste- ma, quindi il suo sistema non conterrà che il vero contenuto nel criterio ordinatorez e prevedo fin d’ora che parziale esseudo il criterio; parziale sarà riconosciuto il sistema. Tanto più ‘parziale che non spero possibile che Cousin possa distinguere 1’ attestato della sua coscienza individua da quello della universale, l’azione positiva immediata della coscienza 105 deve sempre vincere nell’ individuo lo sforzo di un astrazione x se l’ astrazione non riposa per qualche lato sopra un- rapporto realmente sentito. Le usanze dei popoli, per quanto assurde ed immorali esse siano, ricevon sempre sanzione dalla pubblica e privata coscienza; perchè la coscienza è sempre informata , non da bisogni e leggi universali, ma da bisogni e leggi contingenti, e delle generalità non rende conto, se non inquanto son con- tenute nelle specialità. Infatti ogni maniera di civiltà condannò sempre ogni altra, e non addusse altro argomento , che 1’ atte- stato del buon senso naturale , o voglian dir coscienza. XXVII. A salvare il cousinismo dalle conseguenze di un cri- terio parziale, non varrà la prefissa riprova esperimentale : sarà dessa una riprova : avrà. per criterio il criterio che diresse la formazion del sistema ; quindi non può neppur concepirsi come potrebbe rimediare ai mali prodotti da quel criterio medesimo, perchè la sola via per ottener quest’ intento sarebbe 1’ inven- zione di un nuovo criterio. Nè maggiormente io spero nella potenza del metodo. Il più sano metodo applicato alla coscienza , senza il soccorso di crite- rio anteriore, non farà trovare nella coscienza che quel che essa palesa; e se essa non palesa che leggi parziali, la loro appli- cazione universale , benchè diretta dal metodo più perfetto , non può produrre che errori, o per dir meglio veri parziali. Se mi si concede un paragone, l’ eccellenza dello strumento potrà ve- lare alcun poco , ma non cambiare i vizii della materia. XXVIII. Vi è nell’ anima umana un numero di fatti che sempre verificandosi, se ne possono chiamare le leggi. I sensi e la coscienza tendono per vie diverse a precisarne l’ indole, I sensi ce li espongono come conseguenza e sviluppi della loro azione primitiva; quando poi ne segnano i caratteri reali perfettamente coincidono con gl’ insegnamenti della coscienza. Ma non ci con- soli questa concordia apparente frai due criterii rivali. Se il sen- sualista vuol dedurre le conseguenze psicologiche dei fatti rin- venuti ; se lo spiritualista vuole indagarne le cause e 1’ origine, la differenza fra loro diviene rapidamente incalcolabile. Il criterio dei sensi non può conoscere, e in conseguenza uega le leggi intrinseche sostanziali dell’ intelletto , perchè non può scorger nell’ anima che modi determinati dall’ azione degli oggetti esterni; la coscienza che dell’ alba della ‘ragione non serba memoria , non può conoscere e nega la causa fisica deter- minante quelle leggi, e le dichiara indipendenti dal raziocinio, non meno che dall’ azione dei sensi, anzi dominatrici di questi T. Il. Maggio. 14 100 e quello, e derivate da una causa anteriore e superiore a tutto l’ ordine sensibile. XXIX. Non può reprimersi un senso di maraviglia in vedere tanta varietà fra gli effetti di due criterii che a prima vista sem- brano generarsi a vicenda. Il seusualismo dopo brevi ragiona- menti dà bella ed esatta dimostrazione della coscienza ; e la co- scienza in contraccambio pone suggello all’ attestato dei sensi. Cresce ancora la meraviglia in pensare che i sensi e la coscienza sono infatti le guide dell’ uomo agente e pensante. Ma forse a dissiparla basteranno pochi riflessi. È. Il fatto primitivo che una scienza riceve a criterio è per ef- fetto di sua natura tenuto per indimostrabile : come fonte unica di dimostrazione segue le leggi sue proprie: verun altro fatto può seco concorrere all’ opera scientifica ; altrimenti cesserebbe di essere esso il solo criterio. Come i fatti umani presentano leggi diverse secondo il punto ‘di vista sotto cui si considerano, secondo i rapporti che si concedono loro con altri fatti; così i sensi ci danno dimostrazione di una coscienza, ma di una co- scienza tutta materiale quanto il criterio dimostratore, e niente atta a spiegare l’ ordine intellettuale , perchè i rapporti di que- st’ ordine con i sensi formano uno, ma not il solo subietto della sua azione. Quindi il sensualista è costretto a rigettare 1’ atte- stato della coscienza ogni volta che non concorda con l’attestato dei sensi. Così p. e. invano la coscienza reclamerà 1’ indipen- denza dell’ anima con tutte le sue conseguenze , il sensnalismo non può ammetterla sotto pena di morte. Ed in fatti è gran tempo che il sensualismo fedele al suo ‘criterio , piuttosto che scendere a concessioni così contradittorie al suo sistema , si pre- cipitò negli abissi del materialismo. Dall’ altro lato la coscienza presa per criterio universale, riconoscerà l’esistenza dell’ordine fisico, riconoscerà i sensi come il veicolo dei nostri rapporti con esso, ma sempre subordinata- mente alle proprie leggi. Quindi allorchè vi sarà contradizione fra queste e iseusi, i sensi non otterranno fede veruna; quindi qualunque spiegazione dei fenomeni umani desunta unicamente dai sensi sarà ricnsata ; finchè alfine la inflessibilità del criterio rendendo impossibile al filosofo della coscienza la spiegazione nell’ ordine fisico , lo spiugerà suo malgrado nei campi senza confine dell’ idealismo e del misticismo (v. $. 29 ). Si concluda da questo che solo per quantità può valutarsi le bontà dei diversi criteri: per quantità di fatti considerati nel formarli, per quantità di conseguenze che si voglion dedurre. 107 La coscienza del sensualismo pecca per difetto , la coscienza dello spiritualismo per eccesso. XXX. Io sopra notai (v. $. 8 ) quale influenza l’ indole del criterio esercita sopra la scelta del metodo : qual differenza passi fra 1’ analisi e la sintesi, l’esperienza e la speculazione ($. 7 ). Ora mi occorre richiamare al lettore quei miei riflessi, nel fare applicazione al metodo scelto da Cousin. I fatti principali della coscienza, che il cousinismo deve convertire in leggi universali, spontanei quasi si presentano al pensiero : non incombe indagarne l’ origine , la causa, la storia: basta conoscerne l’ esistenza tale quale la coscienza svela. Lieve lievissima è dunque per riuscire la parte dell’ analisi nella for- mazione del cousinismo. Fissate le leggi generali ne incomincia l'applicazione: e quanto più scarsa fu l’analisi, quanto meno fu consultata l’esperienza nel fissar quelle leggi, tanto più estesa sarà la sin- tesi tanto più audace sarà la speculazione nell’ applicarle , per- chè quanto è minore il numero dei fatti che generano la teoria, tanto sarà maggiore quello dei fatti cui deve essere applicata. fo trovo per ciò, conseguenza necessaria del suo criterio , che Cousin proclami la speculazione regina della filosofia e condanni l’esperienza a fornir materiali di applicazione alle scoperte teorie. Ma mi sorprende e mi duole che , non pensando che solo per quantità differiscono fra loro i due metodi (v. $. 5), Cou- sin consacri lunghe pagine a dimostrare l’ antagonismo assoluto fra loro, (1. IV del 1828 p. 9-17) a proclamare il primato della speculazione, e a far la satira dell’ esperimentalismo ! Da quanti errori sarebbe salva la filosofia se bene inteso fosse il principio che solo per quantità si misura il bene e .il male! L’ uomo nov conosce che relazioni ; la natura intrinseca delle cose non esiste per lui perchè non può cunoscerla ; i più grandi sforzi d’ ingegno non possono condurlo , che alla scoperta di relazioni ignote dietro l° analogia delle note; ma può errare, anzi non può errare se non che nel seguire troppo incautamente e con troppa fiducia la scorta dell’ analogia. Se il metodo avesse la forza che gli assegna Cousin, chiu- derei fin d° ora il libro, perchè nulla potrei sperare dal metodo ch’ e’ scielse; ma sapendo che egli obbedirà alla natura delle cose, ed all’ impulso del secolo, son certo ch’ ei consulterà l’esperienza quanto più gli conceda il criterio, e che il suo si- stema figlio legittimo del criterio e non del metodo ne conterrà 108 tutto il vero e tutto il falso, ed avrà nonlieve dose di appli- cabilità. XXXI. Determinato in tal guisa con quel più di precisione che potei il metodo ed il criterio di Cousin, passo adesso a svi- luppare il sistema che ne deriva. Preordinando la coscienza come criterio universale , ogni ri- cerca sopra l’origine dei fenomeni intellettuali nei rapporti ester- ni dell’ uomo dovea necessariamente cessare. Più sopra io no- tava che la coscienza non rende conto che in quanto la memoria conserva ; che il primo nascere e svilupparsi dell’intelletto sfugge completamente alla memoria; e che non potendosi altrove che in quell’ epoca ricercar le cause e l’ origine delle leggi del pen- siero, la coscienza era nell’ assoluta impossibilità di accingersi a siffatta ricerca (v?$. 4). Quindi è che la coscienza presen- tandoci soltanto il nostro stato attuale, deve nell’ anima ‘istessa cercar le cause prime dei suoi fenomeni; e queste cause si pre- senteranno sotto la forma di leggi inerenti alla natura dell’ani- ma e modificatrici di ogni sviluppo. Sarà in tal guisa non de- cisa , ma posta fuor di lite l’influenza dei sensi sopra l’intelletto. Ecco dunque Cousin fino dai primi suoi passi costituito nel più assoluto antagonismo di fronte al sensualismo, malgrado la sua eclettica professione di fede. XXXII. Stabilito che soltanto nell’ anima umana deve cer- carsi la causa creatrice e modulatrice dei suoi fenomeni, 1’ A. procedendo con rigoroso metodo analitico esperimentale, passa a cercare quali sono le idee primitive, che mal si prestano a re- ciproco influsso , e quelle accetta come leggi dell’ intelletto. Il suo criterio lo costringe a dar siffatti caratteri a tutte le idee , delle quali 1’ origine non può dalla coscienza conoscersi , e ad ammettere, che sostanziali all'anima , coesistenti con essa, indipendenti da ogni esterno influsso son quelle idee; che ge- nerano ogni altra applicandosi alle sensazioni, le quali non po- trebbero formar per sè stesse soggetto idoneo di pensiero, ma ne divengono causa occasionale servendo di materia di applicazione alle idee prime. Così la sensazione di due individui nulla direbbe al mio spirito, se non preesistesse l’ idea di parità o disparità , la quale applicata dà alla sensazione un esistenza intellettuale (1. III p. 7-11). XXXIII. Ecco in tal guisa riprodotto con nuovo nome, ma con i medesimi caratteri, il sistema delle idee innate. Nè dee recar maraviglia. Allorchè Cartesio prendeva il pensiero per base net 109 o criterio di ragionamento veniva a prender la coscienza che ne rende conto. Quindi siccome identico si rinviene il criterio di Cartesio e di Cousin, identici dovean riuscire i resultati, per- chè non sarebbe possibile dedurre altre conseguenze da quelle premesse , come la storia di tutti i sistemi idealisti lo prova. XXXIV. Il sistema delle idee innate ebbe in tutti i tempi numerosi partigiani frai pensatori, e forse fu sempre la filosofia del volgo. Il primo uso della riflessione è consultar la coscienza, che in tal guisa diviene il criterio universale degli uomini: qual meraviglia dunque che una filosofia figlia di quel criterio ottenga fede pressochè universale ? Il sensualismo per combattere i suoi insegnamenti deve ri- correre alla severa faticosa esperienza, é però lenti e mai certi saranno i suoi successi felici. A nostra istruzione sarà bello il vedere come il sensualismo genera quelle idee che l’ idealismo fa coesistenti all’ anima. L’ uomo ha relazione coi corpi esterni per mezzo della sen- sazione : questa agisce sull’ anima in forza dell’ organismo , e indipendentemente dalla natura intrinseca dei corpi. Dunque I’ uomo non può scorger nei corpi che le proprie relazioni, os- sia che le modificazioni arrecate dai corpi al suo modo di esi- stere. Questi rapporti possono subire leggi, che scoperte dalla riflessione si convertono in astrazioni e quindi. in giudizi di abi tudine. Il processo generatore di queste idee astratte si vela nella notte dell’ infanzia, e così le idee possono sembrare dietro ‘l’ attestato della coscienza congenite con l’ anima. Precisamente come l’ esperienza mostrò figli segreti della volontà molti moti del nostro corpo che si presentano come puramente meccanici. Questa soluzione di un delicatissimo frai problemi nulla la- scerebbe a desiderare se ne spiegasse l’ origine di un ordine di astrazioni che mal si conducono a riconoscere i sensi per fonte. Ma non dimentichiamo che il sensualismo di Condillac, come io pievi di Cousin, non contiene che un mezzo vero, perchè i respettivi criterii non sono applicabili che ad uno solo dei modi di essere dell’ uomo. XXXV. Primaria conseguenza del sistema delle idee innate fu per Cousin il non riconoscere come vero soggetto di pensiero che le sole idee , e considerar le cose come sola occasion di pen- siero. ‘ La pensée ne se comprend qu’avec ellemème, comme au fond, elle ne comprend jamais qu’elleméème (1. I p. 25) ,, e più sotto : “ et n’allez pas croire que les idées representent quel- I10 que chose , et que c'est par leur ressemblance .....que nous leur prétons créance. Les idées, on l’a démontré , ne represen- tent rien, absoiument rien qu’elles mémes. Il implique que l’in- visibile réprésente quelque chose ,,. U A conseguenze presso a poco identiche in sostanza , sebben varie nelle forme , scesero tutte le sette filosofiche ; e come so- pra notai, scese ancora il sensualismo ; ma i resultati finali son ben diversi, secondo i diversi criterii da cui derivarono. Il sensualismo ponendo che non può l’ uomo conoscere che relazioni delle cose con lui , altro non fece che. eliminare dalla filosofia tutte le oziose indagini sulla natura delle cose. Il suo criterio positivo riconducendolo di continuo a consultare l’espe- rienza , tolse ogni veleno a quella teoria. Ma lo spiritualismo all’ opposto , spinto irresistibilmente alla speculazione dal suo criterio , rese dolorosamente fecondo il prin- cipio, che l’ uomo non conosce che idee, e, perdendosi in un mondo puramente intellettuale, degenerò in idealismo puro , e in misticismo. Tanto i diversi criterii modifican 1’ effetto d’iden- tici principii ! XXXVI, Passando a rassegna le idee, molte ne rinveniva Cousin che indipendenti fra loro si mostravano coesistenti e di egual valore. A dar forma scientifica al suo sistema gli fu dun- que necessario ricercar qualche elemento comune a tutte, che tutte le compendiasse e le partisse in classi. Il criterio di questa ricerca essendo la coscienza , l’elemento comune da rintracciarsi deve nascere dalla intrinseca natura del- l’anima, perchè la coscienza ci presenta le idee non come mo- dificazioni , ma come forme sostanziali dell’ anima ; quindi l’ele- mento deve esser indipendente da ogni contingenza, perchè la coscienza ci presenta le idee prime come applicabili variamente, ma non come modificabili; deve vantare la stessa origine la stessa causa dell’ anima. XXXVII. Esaminando attentamente i processi attuali del nostro intelletto e le idee che ne resultano, è facil cosa , e forse utilissima alla scienza , il considerarle sotto doppio punto di vista. Qualunque ne sia la origine e la causa non vi ha dubbio che molte idee si presentano come invariabili indecomponibili , aventi sè stesse per tipo. Il sensualismo le chiama astrazioni estreme , e vede la causa di quelle loro caratteristiche nella loro generazione. Raccogliendo quanto vi è di simile negli individui, destinate a rappresentar questo simile indipendentemente dalle III contingenze , divengono invariabili indecomponibili quanto i ca- ratteri generali che rappresentano, ed essendo una pura crea- ‘zione della mente non possono riferirsi a tipo veruno. Scoperte le idee fisse invariabili si vede che tutte le altre variabilissime, quanto 1’ ordine di cose in cui viviamo ; non pre- sentan senso al nostro intelletto ; che in quanto contengono al- cuna delle idee invariabili, e divengono soggetto di applicazione delle medesime. Così tu non puoi cencepir l’ effetto senza preor- dinar l’ idea generale di causa, di accidente senza l’ idea di s0- stanza. © Ma appena si sono in tal guisa classate le idee, 1’ analisi stessa che operò la classazione ci mostra che le une non possono star senza le altre ; che qualunque sia stato il loro rapporto al- l’alba della ragione, non possono concepirsi disgiunte nel loro stato attuale: che 1’ applicazione è necessaria alle idee generali per aver vita, quanto il subirla lo è alle particolari per aver senso ; dunque l’ analisi conclude che la simultaneità è talegge di relazione frai due ordini d’idee nel loro modo attuale di essere. Così 1’ analisi decompone le idee e quindi le classa,, mentre la coscienza approva e riceve il resultato dell’ analisi. Fu dunque indifferente giungere a questo resultato per l’una o l’ altra strada ?_ Si esamini. Il sensualismo , e qualche altra scuola con esso, che ricusa la coscienza come criterio primo , fissarono la massima che dalle particolari nacquero per astrazione le idee generali; che dun- que non hanno queste altro garante di vero che l’ esattezza del processo decomponente onde nacquero ; che dunque ogni vero risiede nelle idee particolari. Il criterio dei sensi , i quali non danno che idee particolari, dovea dettar queste conclusioni. ‘ Ma il filosofo della coscienza il quale non potea col suo criterio salir tant’ oltre, arrastandosi al fatto attuale della esi- stenza dei due ordini d’ idee e del loro rapporto , fu costretto a farne una legge della esistenza dell’ anima , una sua qualità essenziale, come i sensi lo son per il corpo; e fatta una volta tal concessione venne necessariamente a riporre ogni vero nelle idee generali, perchè la coscienza le dà come misura unica di vero, come interpreti delle idee particolari; quindi le idee ge- nerali sebben simultanee nell’ ordine reale , sono anteriori alle particolari nell’ intellettuale, stanno quelle a questa come la causa all’ effetto; quindi le idee generali non possono subire modificazione veruna ec. 112 Ecco messa l’ ultima pietra del sistema cousiniano: ogni ul- teriore teoria facile scorrerà da questa premessa. Potrebbe forse gradir taluno ch'io qui dicessi cosa vi ha di comune fra questo e i celebri sistemi antichi che sopra l’ esi- stenza assoluta delle idee si appeggiarono: lunga troppo , e forse tediosa riuscirebbe l’ impresa , e poi non vorrei mi conducesse a conseguenze dannose al n. A. mostrando che nulla di nuovo vi ha nel suo sistema , fuorchè la pretensione di darci per ec- clettismo il più esclusivo di tutti i sistemi. Si conceda però ad un italiano l’ asserire che tutto il siste- ma sopra esposto è contenuto in questi terzetti ( Div. Com. Par. canto ultimo). Nel suo profondo vidi ch? s’ interna (in Dio ) Legato con amore in un volume Ciò che per l’ universo si squaderna ; Sustanzia ed accidente e lor costume, Tutti conflati insieme per tal modo Che ciò ch’ io dico è un semplice lume, Procedo (ad esporre gli sviluppi che il cousinismo dà alle pre- messe teorie. GiruLiano Ricci. (Sarà continuato). x 117 Derca Carcocraria ossia L’ ARTE D'INcIDERN. Ragionamenti di Givserre Loncui. Milano 1830 , Stamperia Reale. Volume Primo. EpisroLa al Chiarissimo Ab. Mercurorte Missirini. Stavami io considerando la condizione dei tempi e degli artisti, la frequente pretensione del merito di alcuni, il suc- cesso effimero d’ altri, e concludeva con evidenza che in ogni età la parità delle circostanze produce pur sempre li medesimi effetti, poichè il mal genio in ogni secolo prese di mira piutto- sto gli ingegni elevati ; o se emersero per la sola ragione che nelle tenebre non può ascondersi il raggio di luce, nun di meno videro spesso elevarsi dattorno a loro la sconciamente protetta mediocrità fattasi baldanzosa pel bizzarro sorriso della fortuna. Ciò che veggiamo accadere tuttogiorno d’intorno a noi in mezzo a tanta corruzione , era per lo appunto lo stesso che ac- cadeva nel secolo d’Augusto, come ci avvisa nella prefazione del terzo libro dell’ opera sua magistrale Vitruvio Pollione , il quale riferendo il voto di Socrate non avrebbe voluto che il cuore de- gli uomini fosse celato ; ma bensì aperto e palese per toccare con mano “ le virtù e i vizj degli animi non solamente . poichè così >», i principii delle discipline soggette alla considerazione degli s» occhi da meno incerti giudizii sarebbero comprovati, e dai »» dotti e dai sapienti si aggiungerebbe loro egregia e stabile »» autorità.*,, E ben anche in quella età accadeva il bisogno di querelarsi , che pur troppo essendo da natura iu tal maniera costituite le cose e stando sotto i petti degli nomini ottene- 15% 118 brati i talenti, mal potevasi gindicare dell’ essenza de’ reconditi principi delle arti : e anche a' tempi di Vitruvio accadeva ciò ch’ egli riferisce essere stato in epoche dalla sua più remote, che « gli artefici stessi ancor che sembrino promettere molta pru- s» denza, se non sieno assai ricchi , o non abbiano rinomanza s) per la vetustà delle loro officine o della grazia della forense »» eloquenza non sieno dotati, non possono acquistare tanta au- sy torità dall’ industria de’ loro studi da poter ottenere fede di ») quanto essi professano di sapere. ,, Della qual cosa il nostro classico allega copiosissimi esempli in una serie di artefici saliti in gran rinomanza , impiegati , protetti, fortunati, applauditi ; ed enumera in pari tempo mol- ti altri cui non arrisero eguali circostanze , quantunque pei loro talenti meritarono pari o maggior fortuna. E termina questa elegantissima e filosofica prefazione conclu- dendo: < non essere da maravigliarsi se per la ignoranza dell’ ar- s» te oscure si rimangono le virtù. Ma ben v’ è ragione di sde- »» gnarsi, quando in grazia del brandir de’ conviti dalla verità ss del giudizio si passa alla fallacia dell’ adulazione ; onde se » ,» come bramava Socrate , i sensi, le opinioni e le scienze dalle so discipline accresciute chiare fossero e tralucenti , non varreb - 3» be nè favor nè ambizioni , ma soltanto a coloro che dietro studi s) veraci e sicuri giungessero all’ apice della scienza , si dareb- »» bero spontaneamente da fare i lavori. Poichè dunque quelle sy cose non sono come noi crediamo che avrebbero dovuto essere, s, în vista chiare e palesi, e poichè considero , che ai dotti pre- », valgono in favore gl’ indotti, giudicando non doversi gareg- »» giar d° ambizione cogl’ ignoranti , mi farò invece a dimostrare », con questi precetti la virtù della scienza da me professata. ,, Vi ho qui trascritta , carissimo Ab. Missirini , la versione di questi brani dello scrittor latino come li dettava nella sua pur- gatissima versione il Professor Viviani , che sta facendo di pub- blica ragione un profondo ed intenso lavoro intorno a questo clas- sico , ricco di tanta copia d’ illustrazioni , di aggiunte ; di note eruditissime, onde gli studiosi dell’ arte trovino in questa grand’ opera tutto ciò che pnò avervi relazione ; e. tra i pareri diversi dei commentatori e degli interpreti de’ luoghi controversi od oscuri, possano essere in caso di scegliere a ragion veduta ciò che più sembra consentaneo alla filosofia , alle pratiche , al gusto il più purgaro e severo della buona architettura. E questi difetti inseparabili dall’ umana condizione che ir- ritavano Vitruvio , molto più presero radice col. riprodursi le 119 medesime circostanze ; ‘e taluni a quali spettavano a buon dritto il premio e l’ onore, o a cui dovevansi pel merito loro confidare la esecuzione delle più grandi opere, 0 il pubblico insegnamento , furono posposti agl’ indotti ed agl’ ignoranti, così che talvolta si vide con nefanda invasione dell’ordine la virtù oppressa ed il vizio in trionfo. La qual sventura sovente procede quando si presentano programmi di opere pubbliche a concorso, o quando si, apre adito all’ arroganza di presentarsi a competenza della modestia e della scienza per essere favorita. È ben rado che“ il ban- ,» dir dei conviti, il favore dei grandi , la presunzione del sa- » pere , le basse adulazioni ; ,, gl’ intrighi, le cabale non prenda- no parte in simili giudizii, e che col danno universale non si paghino così vilmente secreti e privati servigi. Tai cose volgendo in pensiero mi giunse alle mani il primo volume della Calcografia , ossia L’ arte d’ incidere in rame di Giuseppe Longhi, della quale l’ autore mi leggeva alcuni brani negli ultimi anni della sua vita ; e per vero dire questo cele- bratissimo artista non può minimamente ascriversi nel numero di quegli infelici cui non arrise il favore degli astri, anzi fu scortato dalla prospera fortuna pel corso d’ una vita felice , tra il plauso de’ suoi contemporanei, e le distinzioni più meritate, del che meglio possono far fede le memorie biografiche che in fine a questo volume trovansi raccolte per cura di Francesco Longhena. E ben poteva ritardarmi la lettura di questo libro la gita che io meditava di fare a Padova, se dalla salute non fosse stato impedito. In questi giorni in cui correvano secolari festi- vità dirette ad onorare il Protettore di quella città, è accaduta l’ apertura d’ un singolarissimo edificio, che io ; senza temere di trascendere in troppa lode , sarei prontissimo a dimostrare essere uno dei più bene immaginati , de’ più elegantemente costrutti e de’ più perfettamente eseguiti che vanti 1’ Europa moderna. Carissimo Missirini non fate troppe meraviglie , temendo que- ste mie definizioni ampollose , poichè accuratissimi tipi ed esatte descrizioni vi faranno un giorno conoscere questa verità , quan- d’ anche voi non vi moveste, siccome il comun voto dei vostri amici v’invita, a queste nostre parti. E perchè la cosa fosse più singolare, questo edificio sorse pel coraggio e la intraprendenza incomparabile di un povero caffettiere , a tutte e sole sue spese. L’ ingegnere Giuseppe Jappelli architetto e filosofo profon- dissimo, non ottenne quasi mai occasioni che pareggiassero la 120 forza de'suoi mezzi per elevarsi sulla comune degli uomini della sua sfera. Molte grandi opportunità si offersero di lampo alla sua vasta immaginazione, e alla varietà delle sue cognizioni ; ma, senza che io quì ne indaghi le circostanze che furono mol- tiplici, quantunque coincidenti la più parte colle più basse pas- sioni umane , vero è che gli fu sempre impedito di poter finora condurre ad effetto quei vasti, nuovi e ben meditati progetti che presentò con infinita dottrina per una pubblica Università, per le pubbliche carceri, per un pubblico edificio destinato a spettacoli diurni nel più vasto recinto di Padova, per un pub- blico cimitero, occasioni grandiose che presero argomento a una copia di nuovi concetti , rimasti finora nel portafoglio dell’ au- tore, ove tienli compresi la pur sempre operosa gelosia di me- stiere , e la non prospera fortuna. Meno che la fabbrica dei pubblici macelli, che trasporta la mente di chi l’ osserva ai tempi di Mnesicle , e pochi altri edi- ficj di minor mole , egli fu astretto a dar pascolo alla fertilità del suo ingegno in qualche piccola interna decorazione , e in diversi giardini, ove con sagacità meravigliosa togliendo la mo- notonia della circoscritta pianura, parve introdurre le spontanee varietà dell’ amena natura , senza che vi apparisse quel misera- bile stento con cui veggiam sì sovente, per opera d° inesperti e poveri ingegni, accumulare con puerili conati l’un sopra l’ altro senza ordine o motivo le valli, i monti, ilaghi e le selve non solo, ma i sotterranei , le grotte , la luce, le tenebre, rinno- vellando piuttosto 1’ aspetto informe del Caos raccolto in una scatola, che la multiforme e deliziosa veduta del paesaggio. Il parco di Savonara dei Conti Vigod’argere, e un palmo di terra in Padova abbellito di bizzarri ed eleganti edifici, e di amena verdura per li signori Treves, danno a conoscere di quali immense risorse sarebbe questo fertile ingegno capace, se avesse posto mano con libere voglie e con mezzi possenti ai regii parchi di Monza e di Caserta. Ma tornando all’ edificio del caffettier padovano, di cui non vi descriverò le minute parti e il difficile assunto , sarà sempre da meravigliarsi come con pochi mezzi Antonio Pedrocchi osasse tal cosa imprendere ; che più splendida non poteva concepirsi dalla stessa opulenza. Nè lo sgomentarono gli ostacoli della tenne fortuna , nè l’ aver altra volta voluto secondare questo suo di- visamento per opera d’ un imperito architetto , che in mal co- strutto ed inservibile edificio gli aveva di già tutto assorbito il censo paterno. Io vi assicuro che avrà maggior diritto all’ am- 12I mirazione dei posteri il Pedrocchi pel suo nobilissino, ricelrissimo ed elegante edificiv che non ne ebbero i Faraoni Egiziani pei loro obilischi e le loro piramidi, che colla immensità dei mezzi scema il prodigio delle imprese colossali. Ma sarà sempre mera- viglioso che un caffettier padovano accumu'i giornalmente il pic- colo guadagno della sua bottega per consegnarlo al più grande architetto , ed ottenga in pochi anni tale edificio che sortendo da quello ognuno crederebbe dover poi trovare le strade e le ma- gnificenze di Parigi o di Londra ; e per tutto difetto di questa impresa l'invidia stessa non sa notare che la non cousonanza di tanto splendore colla monotona sobrietà di ogni altra cosa esie- riore che la circonda. i Sarà quiudi assai utile per l’arte e degno dell’ ammirazione universale, il conoscere cun accuratissimi tipi la soluzione del problema architettonico di questo caffè eretto in un trapezio ir- regolarissimo, in luogo angusto, e serbando persino ‘a diminuzione di spesa alcuni de’muri, col sottoporli in nuove direzioni al tetto sorretto con dedaleo artificio senza demolirlo; ed escavando le parti sotterranee ad una fabbrica eretta già in parte, e prati- cando per essa i meati onde l’aria, l’acqua e la luce possano per ogni dove liberamente condursi pei comodi , la sicurezza, e lu splendore delle odierne illuminazioni. Sarà ben da notarsi la purità e 1’ eleganza delle trabeazioni in ognuno degli ordini introdotti alla decorazion delle loggie, delle sale. superiori e dei luoghi terreni. Difficilmente incontrausi in moderni edificii precisione altrettanta nelle opere di scalpello, nei stucchi, nelle dorature , negl’ intagli, nei pavimenti , nel mobiliare medesimo . poichè tutto corrisponde e collima ad uno scopo , e la comodità non è mai sacrificata all’ eleganza delle forme, ma l’ una serve all’ altra con mirabile accordo. E ben parve a questa impresa sorridere anche la propizia fortuna, qua- lora negli scavi operati affine di poter praticar dovunque e sot- terranei e ghiacciere , trovaronsi antichi massi di marmi pre- ziosi , e singolarmente di pavonazzetto , da cui fur segate le ta- vole non solo che ammobiliano quell’ ampio locale, ma ben an- che le lastre di cui tutta s’ intonacò |’ esedra di dove i dispen- satori della bottega diramano il servizio dei rinfreschi per le sale diverse, detta comunemente il banco. Li più minuti particolari non isfuggiranno al diligente os- servatore , che sarà grato alla previdente avvedutezza dell’ ar- chitetto di quel Jonico tanto gentile nelle sue volute dorate , T. HI Maggio. 16 122 e che per il rientrar delle basi toglie ogni inciampo ai passi de- gli affollati nei giorni di un concorso straordinario , servendo non meno all’ eleganza che all’ uso, come dettano appunto al saggio architetto i veri canoni dell’ arte sua. E benediranno la sagacità dell’ artefice tutti coloro che nelle estive sere goder volendo della frescura; troveranno negli ampli peristilii elegante ricovero e sicuro, senza bisogno di tende, o artificiali ripari soggetti all’agi- tarsi del vento, o all’umido di pioggie improvvise. Parve finalmente aver colta occasione l’ architetto da piccolo motivo per dare conto di se in una maniera grandiosa ed evidente, provando ad ognuno, che quando si sappia fundatamente un arte o una scienza, può emergere il genio dell’ artefice tanto dali’ ar- chitettare una regia, come un piccolo edificio privato , essendo sempre vero a marcio dispetto della vilissima invidia che si .co- nosce “ ab ungue leonem. ,, Per le quali cose tornando donde, mi sono io dipartito, mi par di conoscere che Antonio Pedrocchi senz’ aver mai saputo chi fosse Vitruvio, guidato dalla rettitudine del solo pensiero, abbia capito come. si debba da chi ha sano giudizio conoscere , che « l° ambizione e il favore non debbono mai essere prevalenti, e »» che soltanto a coloro che dietro studj veraci e sicuri giungono s, all’ apice della scienza debbono darsi spontaneamente da fare 33 è lavori. ;, E il Pedrocchi figurerà tra i posteri come un saggio il quale non permise © che ai dotti prevalessero gl’indotti , giu- s, dicando non doversi gareggiar d’ ambizione cogl’ ignoranti. ., Dite quel che volete, mio caro Missirini, ma la cosa è così, e non altrimenti, e bisogna abbassare il capo dinanzi la verità. Il caffè di Padova è una magia, e non doveva sorgere che nel paese di Pietro d’ Abano per opera di uno de’ suoi discendenti. Da questi divagamenti tornando a rendervi conto di Giuseppe Longhi, cade molto in acconcio il considerare come non tutti poi crescono gli artisti sotto infelici e mal augurate costellazioni, men - tre nato di buoni ed agiati parenti, allevato da eccellenti, istitu- tori ; fu prima educato a tutti gli studj che alimentano e svilup- pano l’ ingegno ; e manifestando più tardi la tendenza e l’ amore per le arti del disegno ; sostenne intrepidamente una lotta colla paterna autorità che il voleva destinare alle cure del foro, ma la sua inclinazione la vinse su tutti gli ostacoli, e potè alfine tutto abbandonarsi al disegno e all’ intaglio, e vide l’Italia e Roma, e consultò i primi maestri di quella età, e visse coi luminari dei suoi tempi stretto di vincolo di amicizia ; e con molto studio, ac - coppiò le migliori pratiche alle più sane teorie , come dimostrano 123 le sue incisioni e gli scritti che lasciò sui precetti dell’ arte sua , intorno a’ quali non potè sentire l'opinione nuiversale , poicl:è questo primo volume di cui parlo , benchè stampato lui vivente, non fu fatto di pubblica ragione che dopo l’ immatura sua morte. Risente quest'opera tutte le caratteristiche del suo autore , e tutta quell abbondanza di notizie e di teorie delle quali era fornita la sua facoltà intellettuale , esposte nel modo con cui soleva egli favellar nella scuola e agli amici dell’ arte sua. E se per avventura poetico troppo potesse sembrare a talu- no, o alquanto intralciato il modo di esporre le varie materie in quest’ opera trattate, giova il conoscere aver egli del pari coltivate le muse , e per metodo costante aver egli sempre nu- drite le sue esposizioni con una specie di ridondanza , senza ri- nunciare alla copia delle idee che si affollavauo al suo pensie- re. Oltre di che, oratore alcune volte nei consessi accademici e nelle sedute del R. Istituto , avea egli appunto in guisa decla- matoria molti capi già estesi, che trovansi inseriti a guisa di ragionamenti o di note in quest’ opera teorica e pratica. Vuol questo dirsi a spiegare il perchè alcuna volta l’autore si è crea- to un obbietto per la vaghezza di risolverlo , schierando a con- vincimento copiose riflessioni ed erudizioni, delle quali la più parte dei lettori sono ordinariamente forniti; alle quali obbie- zioni risponde lo stesso titolo dell’opera definito da lui mede- simo colla indicazione di Rugionamenti letti nelle adunanze dell’ Istituto. Premette 1’ autore una introduzione ove sono indicati li no- mi di tutti gli autori che trattarono precedentemente questa materia; e non approvando il loro diffondersi sulle notizie bio- grafiche minute e insignificanti di tanti intagliatori, e sulle tante particolarità relative alle quistioni che egli sentenzia come futili e rancide intorno all’origine della stampa, giudica che la maggior parte di questi letterati estranei allu professione ab- biano parlato di calcografia in quella guisa medesima che avreb- bono parlato di nautica senza conoscere il mare. Del solo Abra- mo Bosse perlustra il trattato, ma versando questi sull’ acqua- forte , piuttosto che sul bulino, non ne tiene gran conto, giacchè di questo genere pittoresco e brillante sembra l’autore fare assai minor stima che dell’intaglio magistrale e difficile operato co’ ferri. concludendo dell’ inutilità d’ogni sforzo per cui stranamente (il Bosse ) volle far sentire l’ acqua-forte a si- mulare il bulino con molto più grave fatica, e con esito assai inferiore. 124 E dopo aver dati aleuni cenni intorno a parecchi altri serit - tori, come Cochin, Vertue, Bassan , Strutt, Bartsel, Joubert, e aver riguardato come dannosa piuttosto che utile la sidero- grafia, ossia la invenzione di Perkins, ci attendevamo che del più dotto degli scrittori in questa materia fosse pur fatta qual- che menzione ; e quand’ anche avesse ignorato. |’ eruditissimo e dotto lavoro del Signor Singer, avesse. almeno parlato con qualche onore della magnifica opera e profondissima del Signor Ottly, della quale dimenticanza non vorremmo occasionare lo scrittore se l’avesse conoscinta. Qualunque fosse l'opinione dell’ autore, un opera di oltre 850 pagine in 4.” piena di notizie storiche, che illustra i secoli più oscuri dell’istoria di quest’ arte, che da sedici anni fu fatta di pubblica ragione, e che la comune degl’ intelligenti reputa pel lavoro più dis:into che si conosca, doveva esser nota al nostro scrittore. L’opera è appunto divisa in ragionamenti separati, nei quali accumulando le molte sue idee e le profonde sue dottrine e le pratiche sue nozioni. il Longhi lascia ad ogni tratto tra- vedere attraverso le teorie una quantità di pratiche indicazioni , che troncate il più spesso , si propone di riassumere estesamente nel secondo volume, che tutto pareva voler consecrare alle esercitazioni meccaniche dell’arte. Il suo primo ragionamento è un panegirico oratorio sulla preferenza che debbesi imparzialmente accordare agli studi dell’ arte , comparati fra loro , scherzando sul motto del Lanzi che chiamava questo secolo, per la copia delle incisioni, Se- colo di rame, e che ben con più acuto motteggio potea chia- mare secolo di carta. Si diffonde sul prezzo che mantengono pur sempre le opere di pennello, supponendo che potesse ob- biettarsi che le stampe diminuiscono la preziosità dei dipinti; e conclude essere grandiosissimo il valore attribuito a questi ultimi malgrado la copia delle incisioni. Discute sulle denomi-. nazioni di traduzione , copia , e riproduzioni , trovando che alle stampe convenga il primo vocabolo . come ognuno facilmente. comprende da se medesimo. Dalle qiali quistioni di parole trae lo scrittore argomento di dissertare oratoriamente , siccome, per convalidare il suo assunto di questo primo ragionamento. con- secrato all’ eccellenza dell’Arte, estendlesi anche sul comprovare che alla traduzione di un opera disegnata o dipinta col mezzo dell’ intaglio va sempre unita una tal quale originalità nello stile. nel modo dei tagli, nell’ intersecazione , grossezza e di- 125 stanza del tratteggio, e la desume. vie. maggiormente poichè l’arte della incisione vanta anch’ essa delle copie tratte da’ suoi lavori. Dalle quali cose passa a giustificare il meccanismo del- l’arte, nella supposizione che potesse essergli opposto mon es- sere naturale la imitazione degli oggetti coperti da vari falan- gi di linee , nè vedersi la natura attraverso una rete , nè se- minata di punti; le quali cose tutte non sono se non abbie- zioni supposte per dar luogo alle diffuse esposizioni e giustifica- zioni sul merito d’ un arte: la quale prima dissertazione finisce per assolvere l’arte dell’intaglio dalla pur anche supposta taccia di mancamento d’ invenzione: e conclude esser questa minor sorella della pittura legata a minuziosa parte meccanica, in- feriore al dipinto per la stretta somiglianza col vero, ma per l'utilità che ne deriva e per la «liffisoltà dell’ artifizio superiore. Dal quale primo ragionamento passa a un secondo sulla ut'lità della Calcografia, non difficile a provarsi accomunandola colla tipografia per l'incremento delle cognizioni, assegnanilole l'ufficio di tradurre e moltiplicare le somme produz:oni delle altre arti ad istruzione e diletto universale, e riconoscendola il mezzo più sicuro per eternare le fisonomie e le gesta degli nomini il- lustri. Sui quali argomenti la facondia del Longhi trovò un cam- po ubertoso ; se non per espor cose nuove , certamente a pro- durre argomenti di facile convincimento. E chi non sa difatti come questa compagna e coadjutrice della Tipografia nell’ infio- rarla ed abbellirla serve all'evidenza degli oggetti visibili , e giova a tutte le scienze ed alle arti non solo meccaniche, ma anche liberali ; e che per la mancanza della calcografia uon giun- sero a noi le composizioni d’Apelle ; come a più lontani posteri potremmo far giungere noi quelle di Rafaello. E si conosce ben facilmente come con questo mezzo possono più agevolmente isti- tuirsi confronti nel vario stile dvlle composizioni pittoriche , fa- cile essendo il comparar fra loro le stampe ravvicinate nel modo che certamente non può ottenersi fra le opere di pennello; e li capi d’opera di Tiziano , di Sanzio, di Correggio, di Leonardo possono raffrontarsi per cura dei sommi calcografi , essendo im- possibile di concentrare in una sala i capolavori che stanno alle Gallerie di Roma , di Firenze , di Milano , di Parma, di Dresda : e così diffondendosi sul vantaggio della multiplicità delle prove, potendosi ripetere le migliaia di volte una stampa (per quanto ne sia fiazile e.tenue la materia ) sempre rimane la durata pe- renne di ciò che gli nomini non possono distruzgere, più fa- cile essendo l’abbattere un fierissimo toro, che schiacciare tut- 126 to un formicajo. Dimostrate 1 quali cose, pone l’ autore l’arte sua fra’ più distinti rami di commercio , e per questo la riguar- da anche degna dell’amor della patria e delle cure de’magistrati. Un po’ più addentro nella materia s’ innoltra l'Autore nel terzo ragionamento che riguarda l’origine dell’ Intaglio , ben giu- stamente da lui riconosciuta oltre ogni memoria storica nella ca- li ine dei tempi , e socia dei primi prodotti dell’umano ingegno. Le patere , 0 per dir meglio, gli specchi , le armature e gli utensili qualunque disotterrati della più alta antichità. ci fecero sempre fede che il bulino solcava la superficie dei varj metalli con fe- lice ardi:nento presso tutti i popoli ov’era successo qualche di- rozzamento nelle arti meccaniche, e dove il culto od il lusso impiegavano la mano industre dell’ uomo per abbellire tutto ciò che agli usi, e a costumi diversi venne consecrato in ogni tempo. E più concretamente osservando l'Autore la storia del- l’arte , abbandona di slancio queste prime ricerche, e rapida- mente getta il suo sguardo, non sulle prime incisioni, ma sulle prime stampe dalle quali debbe veramente aver principio la stn- ria Calcografica. E riferendo quindi le opinioni di tutti gli autori come Lanzi, Vasari, Zami da un canto, ed Hubner e Heine - cke dall’ altro, trova difficilissima la soluzione della questione intorno al primato dell’ impressione che si è contesa finora fra la Germania e l’Italia. Ma puichè egli stesso asserisce che gl’I- taliani aftribuiscon quest’ invenzione al Finiguerra orefice Fio- rentino , e î Tedeschi al loro Martino Schoen orefice anch’ egli e pittore , sembra veramente che se non vi sono altri argomen- ti, la questione sia decisa con molta evidenza da se medesima. Mentre volendosi anche supporre che Maso Finiguerra nato a Firenze nel 1415 non avesse impresso in carta, in zolfo, 0 qua- lunque altra materia i suoi nielli prima del 1452, in cui si ri- conosce di accordo universale 1’ impressione della Pace del S. Gio- vanni di Firenze, è ben facile il dedurre che Martino Schoen nato nel 1440 non verrà a contrastare all’ orefice Fiorentino nel- l’età di soli 12 anni il primato della calcografia ; alle quali os- servazioni è facile di aggiungere ciò che riferisce Benvenuto Cellini in proposito degli orefici e niellatori , tra’quali con molti elogi si diffonde intorno al Buon Martino, chè così denominossi in Italia il valente incisore di Augusta , e lo pone convenientemen- te tra i discepoli del Finiguerra avendo in gioventù dimorato a Firenze , ed ivi apprese l’arte di niellare o di maneggiare mae- strevolmente il bulino. Della quale invenzione , saggiamente conclude poi il Lon- 127 ghi, non può farsi gran merito anche che v° abbia un evidente diritto ; poichè è mestiere l’attribnirla al caso, e qui espone li varj modi che possono averla prodotta sia in. carta, come iu zolfo , giacchè fra i cimelici preziosi che si conservano, si enu- merano tante impressioni sull’ una che sull’altra materia. Dai quali racconti passa l’Autore..a trattare. dei progressi dell’Arte nell’epoca prima, prendendo un secolo circa dal 1440 al 1550, al quale viene attribuita la» massima originalità , che non trovasi altrettanto nell’ epoca seconda ;;e meno ancor nella terza. E qui con tutta la intelligenza più magistrale prende ad esame il meccanismo de primi intagliatori, e fra questi si duole singolarmente del contorno segnato con solchi troppo profondi , e contro ciò che presenta la natura, la quale non segna con- torno sui corpi; ma demarca soltanto il confine dell'uno d' incon- tro all’altro con dolcezza di tale. passasgio , che strettamente non può dirsi coniorno. La qual delicata conformazione di 0g- getti nel loro distacco | uno dall’ altro con insensibil passaggio, ed anzi eliminando interamente ciò che si dice linea o segno, venne operata nell’ epoca posteriore da Maestri dell’ arie, fatti sicuri. del maneggio de’ ferri, e signoreggiando le più aspre difficoltà. Ma per vero dire più d’una osservazione può. farsi intorno a questa obbiezione, in apparenza giustissima, per cui si dimo- stra l’arte dell’ intaglio per così dire inceppata. ne’ primi suoi tentativi ; ed accordando all’ autore come fosse mal. confacente all’ imitazione del vero la quasi intera privazione delle mezze tinte , e come riescisse monotona e viziosa l'eguaglianza di tutti i lumi, che lasciati indistintamente col hianco assoluto della carta riescivano dello stesso valore , ci è forza pur osservare qualche cosa di relativo a quelle prime opere, che, non pussia- mo non annoverare fra le preziose ;, non tanto per la loro rari- tà, quanto per il loro merito intrinseco. Primieramente presso che tutte le opere dei primi intaglia- tori erano invenzioni tolte dal loro ingegno, e non imitazioni di quadri, i quali dovessero rappresentarsi con tutta la modifi- cazione della luce e delle umbre che apparisce nelle pitture dei maestri contemporanei. Ed anche in quel tempo le opere. ese- guite a fresco, a tempera, e le prime all’ olio, se si fossero volute rendere di pubblica ragione coll’ intaglio non ipresenta- vano per certo le dolci gradazioni di tinta delle opere, posterio - ri. E poichè si teneva più conto della invenzione e della! 'compo- sizione che di qualunque altra prerogativa dell'arte, così anche 128 per questo erano con più sicurezza espresse dalla vigorìa dei contorni. Oltre di che qualora li primi maestri imprimevano le loro iuvenzioni 0 quelle dei loro contemporanei , questi per la più parte erano tratte da disegni non colorati, e per conseguenza non già le tinte locali, ma la sola demarcazione del contorno era quella che circoserivendo l'oggetto faceva fede non.dubbia del fare nei singolari autori, e non distinguendosi per anche la va- rietà delle scuole per la varietà dei colori, come accade in ap- presso , era allora l’arte dell’intaglio un mezzo di pittura. mo- nvcramafica. i Il quale stato di queste arti dell’imitazione durò per un lungo periodo di tempo con molta non solo, ma ben anche plausibile ragio1e, poichè nell’epoca del Pollajuolo, del Mante- gua, del Perugino, dei Bellini e sopra tutto di Rafaello e di Giulio Romano, il pregio primo delle loro opere era quello ap- punto del contorno e della composizione , alla qual cosa. parti- colarmente intesero Marc'Antonio Raimondi e la sua scuola. E asgiungasi pur anche che la maggior parte degl’intagli fu trat- ta non dai quadri, nè da disegni tratti dalle pitture, ma da disegni originali di opere non dipinte, o da quelle prime inven- zioni che servirono di motivo ai dipinti. Per rendere al vero le qua- li invenzioni e disezni , ove primo ed integral pregio era il magi- stero del contorno ferino e ‘caratteristico degli autori, era bi- sogno di penetrarsene profondamente, e sentirlo nell’ anima sol. cando con energia quelle lamine dalle quali non è sparito pur anche , quando ben siasi dileguato per le moltiplici stampe ogni intermedio tratteggio del chiaroscuro. Per certo rimane assai più di caratteristico del fare di Raffaello in una benchè logora stampa di Marc’ Antonio, che in qualunque moderna incisione; e scongiuro tutti i più va- lenti maestri dell’ arte moderna a convenire di buona fede che ponendosi davanti uno schizzo del Sanzio, come serviva al Rai- mondi per intagliare una lamina, eglino sarebbero trepidanti ed incerti di trarre una stampa meritevole di altrettanto suffragio di quelle che per noi sono tanto pregiate. Convengo pienamente , il ripeto , ed hollo altre vole in si- mile argomento esposto senza riserva, che l’arte ha fatti immensi passi nel suo meccanismo artificioso, nella finezza, nel chiaro- scuro , nei passaggi dolcissimi, nella trasparenza, nel morbido , nel vellutato ; ed accordo che un raso, un merletto , una capi- gliatura, un armatura, un paesaggio non fu mai inciso nel cin- TIE 129 quecento , nè potrà mai intagliarsi a vincere il merito delle vpere di Edelinck, di Drevet, di Ville, di Balechou, di Woollete di tanti altri; ma è d' uopo accordare che è altrettanto vero non poter at- tendersi dai moderni incisori una stampa atta a disputare non solo il merito ad una delle più belle carte di Marc’Antonio pel sa- pore e la giustezza del contornare; ma neppure por la vera espressione nessun moderno intaglio supera le più perfette ope- re del Mautegna: quantunque l’autore di questi ragionamenti in- tenda a provare che le figure incise da questo Padovano mae- stro sieno più dure e più circoscritte che i suoi dipinti. Intorno alla qual cosa è d’ uvpo 1’ aggiungere che appunto il Mantegna ciò si propose espressamente , se durezza può mai dirsi un con- contorno dottamente e profondamente sentito; e le più rare e più pregiate stampe di questo autore, quelle che ci conservano più nitidi e più vergini i tratti della sua mano, sono quelle appunto ch’ ei pubblicava per gli amatori, e per gl’intelligenti prima di caricarle di tagli e di chiaroscuro , coi quali si avve- deva egli medesimo di scemare altrettanto la purità e l’ener- gia del contorno, quanto forse vi aggiungeva di effetto. Basti per tutte mettere a confronto la sua stampa a puro contorno del. Redentore messo nel sepolcro , colla medesima posterior- mente da lui stesso ricoperta di chiaroscuro, e si vedrà nella seconda scemare di gran lunga la preziosità della prima. Ma certamente questo giudizio vuol darsi da conoscitori che ab- hiano un intimo sentimento del bello, e pei quali il fasci no del meccanismo non acquisti alcun diritto colle sue le- ziosità. Fattasi questa osservazione sulla massima da noi stabilita coll’ appoggio di salde ragioni, troviamo poi giudiziosissime le relazioni stabilite dall’ autore tra li varj intagliatori delle epo- che che si van succedendo. Comincia difatti con Finignerra e discende a Martino Schoen, Mantegna, Alberto Durero, e Mare'Antonio; indi rende conto di Luca d’Olanda, di Giorgio Pentz coi quali termina li maestri dell’ epoca prima. Singolare però mi parve oltremodo, lo confesso, un mo- tivo che allegasi dall’autore intorno alla preferenza che molti pur danno alle antiche stampe in confronto delle moderne, il qual motivo osserva egli derivare da//’ esser questi di vi- sta o molto presbita o molto miope, giacchè gli stessi miopi non potendo di là da un palmo, o poco più del loro occhio ben distinguere gli oggetti, se non attraverso di lenti conca- T. II Maggio. 17 130 ve, le quali: compensino la convessità eccedente delle loro pu= pille , riducono per tal mezzo la vista loro allo stato di quella dei presbiti, e sogliono vedere sì le vicine che le lon- tane cose decise e circoscritte; ed altri all’ opposto non abba- stanza miopi, mè abbastanza presbiti, inelinano dipingendo a raddolcire e sfumare i contorni d’ogni cosa, perchè ogni cosa che vicinissima non sia appare loro in natura men cir- coscritta che non è. Gridano i primi contro qualunque benchè leg= gera sfumatura di contorno, che i pittori pongono nei loro quadri , tacciandoli di snervati e di bambacciosi ; gridano i secondi contro qualunque anche necessaria precisione di essi contorni , tacciandoli di durezza e di crudezza, nel che s’ine gannano entrambi. Ma ben anche in questo caso a me sembra di non dover liconoscere una fisica disposizione più per acume d’ingegno ad- dotta che per buone ragioni, ove sieno evidenti li motivi che strascinano il suffragio universale degli amatori intorno alle im- pressioni che cagionano le opere dell’arte nei tempi diversi; e chiaro sembra abbastanza che la illusione la quale risulta dalla rotondità , dalla morbidezza, dall’impastato, che la severità dell’accordo e dell’ armonia generale, che la finezza e 1’ anda mento dei tratti a seconda delle fibre muscolose , o delle forme dei corpi, che l’intersecazion delle linee esprimenti con mul- tiformi artificj la varietà dei tessuti, o il movimento delle pie- ghe , che la leggerezza di una chioma svolazzando , quando bru- na, quando bionda, e quando bianca persino, e questa otte- nendosi con soli tratti del bulino girato magistrevolmente su di una lamina, e tuttavia impresso con neri segni su d’ un foglio pur sempre bianco , in fine la varietà di colore apparente nelle stoffe senza che mai si adoperi colore dall’ intagliatore, tutto questo cumulo di difficoltà superate per opera degli intagliatori moderni con sì meraviglioso successo, produsse un vero trionfo del lenocinio e dell’ industria ; così che l’opera della insistente pazienza la vinse in. certo qual modo sui solchi del genio degl’ intagliatori della prima epoca, relegati, non so con quanta giustizia ma con molta realtà, ai soli portafogli di pochi ama- tori, La qual cosa non solo in questo ramo dell’ arti si mani- festò col succedere dell’ età, sempre vaga del meraviglioso e delle difficoltà superate , che veggiamo in pari tempo e nell’ e- poca delle più finite e più sorprendenti opere d’ intaglio , sner- vata ogni altra produzione dell’arte , preferirsi la difficoltà nelle manierate opere degh scultori del seicento in Italia ed in Fran- 131 cia, e farsi più caso dei trafori, del levigato, del contorno del Bencini ; che della semplicità del Ghiberti, e della fierezza del Buonarotti ; e similmente salite in fama le opere del Rigaud, gli smalti del Petitot, i dipinti di Carlo Dolce, di Sassoferrato, di Benefiale , a fronte del tono magistrale di Tiziano, di Ra- faello, di Giulio Romano e di Pussino. E quantunque sia pur mestieri 1’ accordare un visibile incremento ai mezzi meccanici dell’arte dell’ intaglio, non è men vero però che questi furono contemporanei al raffreddamento del genio in questi studi, e che successero nel tempo di quella decadenza la quale per la storia dell’ arte è d’ uopo ‘convenire essere accaduta per la vo- glia di nuovi perfezionamenti , e per voler ricercare un ottimo al di là dell’ umana potenza, non contenti del buono. ®. Che se il raso intagliato da Ville, le carni e i capelli di Edelinek, le roccie e le frondi di Woollet , i ritratti di Masson e di Nanteuil, e tante altre produzioni veramente ammirabili di questa e dell’ epoca susseguente meritano un luogo veramen- te distinto fra le opere dell’insegno, bisogna pur convenire che debbesi questo risultamento felice piuttosto alla insistente per- sistenza dei mezzi meccanici , e all’ indomabilità della pazienza, di quello che alla solida forza del genio ; nè percerto, torno a ripeterlo asseverantemente, ‘alcuno dei mentovati ‘intagliatori avrebbe potuto trarre da un disegno di Rafaello alcuna delle stampe per le quali salirono in fama il Raimondi e gli altri della sua scuola , e pur cercando di trarla, mediante li molti perfezionamenti nelle meccaniche dell’ arte 1’ avrebbero rivestita di molti pregi bensì, ma privata nondimeno d’ infinite bellezze, provenienti dalla fierezza o dalla soavità di contorni pronunziati e sentiti con vera e profonda dottrina. E poichè il merito principale della scuola di Rafaello appunto consiste nelle spe- ciali prerogative della composizione , del disegno e dell’ espres- sione, non sono punto d’ avviso che dagli intagliatori moderni venendo rilevate le altre prerogative di questo autore , che nella bilancia pittorica son pur secondarie , ne possano rendere e far passare alla posterità 1’ indole e il carattere vero, come seppe- ro farlo gl’intagliatori del cinquecento. Che qualora pur debba attendersi il più completo risultato da un intaglio moderno che sia tolto da qualche opera del Sanzio, sembra di preferenza po- tersi accordare ai ritratti, di quello che alle opere ove la com- posizione e l’espressione devono tenere il primo luogo. Nè certamente li principj prospettici e le teorie sviluppate con molta dottrina dall’ antore sui passaggi dalla luce alle om- 132 bre per giustificare la necessità di fondere incidendo e raddol- cire a grand’ arte i contorni valgono a distruggere quanto si è esposto. Anche nelle arti snol blandirsi 1’ illusione de’ sensi, e questi blandimenti sono pur sempre inseparabili dalla nostra condizione, non potendosi quasi mai dall’ universale rinunciare a quel solletico che viene dall’ illusione; e nei giudizj umaui è molto più facile che estorcano il favore dei più le bolle di sapone , i rasi, i velluti, l’acciajo , le chiome intagliate con finissimo magistero, e che piaccia piuttosto il morbido di un braccio, o d’un fianco impastato e sfumato con sorprendente artificio , di quello che un gruppo della strage degl’ innocenti, o un nudo della stampa degli arrampicatori. E ben veggiamo an- dar quasi del pari, tanto è il prestigio della illusione, una vergine di Rafaello, con un idropica di Gerardone, e il più bello e pittoresco paese di Salvator Rosa, o di Claudio, di- sputar quasi il merito e il prezzo di un quadretto d’ Orizzonte, o di un mazzo di fiori di Van Housem. Limitazione di quegli «ggetti sui quali ognuno è convinto di poter giudicar con fondamento, estorce evidentemente e ra- gionevolmente i nostri suffragi. E chi non sente in se stesso la facoltà e il diritto di conoscere se un fiore , un riccio, un merletto , una stoffa, un armatura, un tappeto , sono natural- mente imitati? Chi non capisce se la carnagione è trasparente, se la morbidezza è imitata con illusione plausibile ?_ Noi, veg- giamo sì spesso il contentamento di questi giudizj sulla fisono- mia dei riguardanti che loro non può negarsi il diritto di una ben pronunziata sentenza. Ma non così universale può mai es- sere il consentimento sulla giustezza di un contorno, sull’ ac- cozzamento di varie figure, sulla severità «della distribuzione , e sulla proprietà di tutte le movenze e di tutte le espressioni. Oltre di che tutte le umane produzioni dell’ imitazione , tanto letterarie che dipendenti dalle regole del disegno, irreparabilmen- te vanno soggetti a questi giudizi inseparabili da quell’ascenden- te che ottiene su tutto la moda, il lusso, il gusto non severo dei grandi, l’amore di novità e quell’ ammirazione che siamo sì spesso trascinati a tmbutare alle difficoltà superate. Percorre l’autore sul merito e lo stile di alcuni artisti del- l'epoca seconda come Cornelio Cort, Agostino Caracci, Enrico Golzio, Martino Rota, Nicola da Brugn, Francesco Villamena; Egidio Sadeler, Giacomo Callot , Claudio Mellan, Cornelio Bloe- mart, Stefano Della Bella, Sebastiano le Clere , intorno ai quali ultimi intagliatori specialmente da sensatissimo giudizio relati- 133 vo alle. eminenti loro qualità, siccome anclie ai loro difetti. E poichè nel secondo stadio dell’arte egli ci fa conoscere il passaggio della calcografia dalla severità del quasi solo contorio a.un metodo in cui abbandonossi questa ingrata linea, o almeno fu indicata con. massima leggerezza . tenendosi in maggior conto le mezze tinte e i. riflessi, con moto più ardito e più fermo del trattegio, e indicando, colla prospettiva aerea le distanze degli 0s- getti, se.non col necessario abbassamento dei lumi almeno colla diminuzione delle ombre , e rappresentando ben finito un disegno monocromato colla dolcezza e l'armonia di cui può essere suscet- tivo. Passa poi l’ autore alla terza epoca che giunge fino ai no- stri giorni, ove l’ abilità calcografica venne spinta oltre il con- fine dei semplici lavori monocromati, e non solo intese a pre- seutare il chiaro scuro, e in certo qual modo il colore, ma so- stiene egli ben anche non aver perduto il contorno, sebbene a noi sembra il più spesso che la rigida e severa fedeltà di questo, se non tradita , venisse attenuata dalla molta evidenza delle al- tre prerogative. Quindi non solo il bulino , ma la punta e l’acquaforte ven- nero. mutuamente sussidiandosi in quei prodigiosi lavori; dei quali abbiamo più, sopra di già narrati gli effetti comparandoli a quelli dell’ epoca prima. E a vero dire lo stesso autore nel rilevare. i pregi dell’ arte sua in quest'epoca con. quel candore ch’ era proprio del suo carattere morale, eccellente e sincero, per quanto avesse egli magnificati i successi calcografici, non manca di rilevarli nel vero senso di una straboechevole , paziente e minuziosa imita- zione del vero , qualora discende egli pure a rimarcare fra pregi de’ suoi contemporanei il poter distinguere per opera dell’intaglio le bionde dalle nere chiome, e dalla sola tinia. nera emergere senza durezza suddivisa in bianchi fili o la naturale canizie 0 l’ impolverata parrucca diplomatica. Mirabili lavori, ma che s’av- vicinano un, poco alla porosità della cute imitata da Denner, e alle piume delle ‘pernici e al pelo dei conigli con tanta fran- chezza dipinto da Venix. £ ciò con tale perseveranza di vera- mente improba fatica , che non si potrebbe spiegare altrimenti che nella moltiplicità delle copie che un rame può somministrare, giacchè nessuno calcografo , se l’ opera sua rimanesse unica, po- trebbe spingere tant’ oltre l’ attenzione e la pazienza a rischio di non trovare a rame ultimato condegno guiderdone. E con- viene l’autore essere. per lo meno l’arte sua giunta all’ e- 134 stremo ‘dei rischi, che questo stato di perfezione meccanica senza grave pericolo di cadere in leziosità non è concesso di ten- tarlo maggiore. Dopo la quale riflessione piena di accorgimento e di saviezza compiange già quelli che hanno trapassata la linea coll’ abuso dell’ ingegno ne’ soli mezzi dell’ arte) e dimenticando sciauratamente il fine, ne fecero dell’ arte stessa un mestiere di manuale abilità, dandosi esclusivamente al maneggio fermo , fluido ed equabile del bulino , e abbandonando la parte ‘più im- portante , anzi indispensabile per l’ incisore‘, intelligenza delle forme e delle proporzioni. Così fu denigrata e ‘inceppata l’arte e per que’ mezzi me- desimi che adoperati all’ uopo e con giudiziosa sobrietà dovevano sollevarla alla maggior perfezione : in tal'‘imodo 10 stésso autore si esprime, e ‘conclude con'saviezza degna di vin'sommo maestro, che la semplicità per quanto gretta ‘ella sia', piace assai più che il male appropriato pomposo artifizio; e con'giudizioso confronto ragiona delle stampe moderne veramente belle , ch’ egli ‘indica nel passare in rivista li nomi dei più celebri intagliatori ,' attri- buendo a queste il pregio dei beù contorni proprio dell'epoca prima ; quello del -chiaroscuro proprio della seconda, ‘ed hanno di più le tinte locali e le attrattive ‘seducentissime del meravi- glioso artificio con cui si esprime in certo modo il colorito, tutto proprio della terza. Le quali cose di buon grado all’ egregio scrittore vorranno accordarsi, meno la puta severità dei contorni, che abbiam dimostrato abbastanza essere di molto attenuata dal raffinato esercizio d’ ingegnose meccaniche, impiegato per dar risalto alle seducenti prerogative delle due epoche successive. Vostermann , Bolsvvert, Paolo Ponzio figurano in questa terza classe d’ intagliatori, come ‘allievi della scuola. di' Ru- bens. autori nati ed allevati per dar risalto alle non castigate bellezze di quell’ autore, il cui carattere impressero con tanto magistero nelle loro lamine. Rembrandt viene quindi preso ad esame, e non senza ammirare le immense prerogative della leg- giera .e spiritosa sua punta , viene da espertu giudice spogliato di quel fascino con cui l’ avidità degli amatori divinizza non sempre con giustizia imparziale le opere sue. Wissher, Poilly; Nanteuil, Pitan , Masson, Audrau ; Roullet, Edelinck, Cherau, Drevet, Schmidt, Balechou., Wille , Strange, Earlom; Bartolozzi ; Vol- pato , Ficquet , Schmutzer , Woolet , Porporati, Scharp , Bervic, Muller , sono tutti passati in rivista indicando li rispettivi capo- lavori di questi artisti , e la loro varia indole, e la proporziona- 135 lità con cui si resero più o men celebrati nell’ esercizio delle. di- verse prerogative che costituiscono il carattere principale di que- st’ arte nell’ epoca. in cni vissero. Non mancherà chi avrebbe forse voluto , per la speciale af- fezione che ciascuno professa a qualche singola produzione di altri maestri, che fosse più esteso il numero degli intagliatori presi ad esame. Ma volle il Longhi far conto dei soli capo-scuola, e non parlare dei viventi per molti delicati rispetti ; e per con- seguenza se di questi tacque di molti altri incidentemente parlò nell’ opportunità di trattare di ciascuno dei maestri più accredi- tati delle varie scuole. Dopo la quale esposizione , accedendo 1’ autore al desiderio di alcuni suoi amici, ha formato un elenco di stampe dedotte da quanto in proposito dei varii intagliatori ha preventivamente esposto nel suo ragionamento, a ciascuna apponendo anche un prezzo , giusta le sue cognizioni e le sue pratiche. Non intende egli assolutamente di farsi carico della rarità , sola, o condizionata a varie combinazioni conosciutissime da molti amatori ; la scelta viene fatta non già in seguito di celebrità ac- cidentali, ma la deduce secondo la vera bellezza in ciascuna delle epoche dell’ arte , eliminando ogni riguardo estrinseco , e quindi le stesse basi, unite a qualche cognizione di fatto , ser- vono a dettarne anche li prezzi appostivi. Ed in tale circostanza l’ autore ricorda tutte le ribalderie che sono commesse per ve- nalità e per sordida speculazione in proposito della celebrità che fu estorta a favore di tante calcografiche produzioni. Venne di- fatti a dismisura rincarito il prezzo delle stampe dalle gare degli amatori per strapparsele di mano reciprocamente , aumentandone talvolta la rarità non meritata. E fra tutte le nefandità note in questo proposito , non ommette di riferir quella della moglie di Rembrandt che tenne ascoso il marito per un certo tempo, vestì a lutto, e il finse morto, onde ammassare buon peculio colla vendita delle di lui stampe. Altri ne finse tenuissimo il numero delle impressioni onde salisse altamente il prezzo di quelle poste in commercio , altri diede a credere per ragioni politiche o mo- rali di aver distrutte le lamine che non eran che ascose, o che la pubblica autorità ne avesse impedita e sospesa la pubblica- zione ; altri con turpe venalità corruppe la fede della storia quotidiana nei sedotti giornali, facendo salire alle stelle ciò che meritava la obblivion degli abissi; altri con artificiosi e pazienti ritagli risuscitarono perdute memorie calcografiche con varianti di tratti, o di scritti, onde renderle peregrine all’ occhio de- 136 gli avidi di rarità. Ed altri aggiungerem noi, a dì nostri, pro- mettendo un numero determinato e contrasegnato di stampe di prima impressione avanti gli stemmi, le dediche, gli scritti, ne imprimono un triplo numero che vendonsi a doppio prezzo ed a triplo con abuso dalla pubblica fede, e facendo di un arte nobile ed onesta un basso mestiere da barattiere. Procedesi quindi all’esame delle tante difficoltà inseparabili dall’ esercizio di quest’ arte , che ne deriva per certo più sgo- mento che allettamento in chi si dispone per coltivarla. Nè forse ha torto l’autore, poichè a vero dire è ben scarso il numero de’ suoi cultori felici a fronte dei molti che vi si accingono ; e veggiamo non pochi abbandonarla; dopo di averla per alcun tempo esperimentata. La qual difficoltà, cui il Longhi consacra un ragionamento , riguarda però la sola arte del bulino, ben diverso e più facile essendo senza confronto l’ esercizio degli altri mezzi di spedita ed agevole esecuzione. Trova egli con molta ragione, ritrosa la mano, la materia, e gli strumenti. Vuolsi a ciò vista acuta , polso fermo, robusto temperamento ed illimitata pazienza. La mano in qualunque altro esercizio delineando muove regolarmente da manca a destra, ed è me- stiere adattarla a un movimento totalmente inverso quando tratta il bulino. Il rame è una sostanza metallica di varia nè sem- pre equabile resistenza, non dolce sempre a trattarsi , o lucido che abbaglia con importuno splendore , o macchiato ed opaco, e triste di tinta quando la traspirazion della mano, singolarmente in estate ne ha ossidata la superficie. Il bulino di rigido acciaio e valida tempra tende la sua struttura a solchi rettilinei, e ad ogni istante lascia in questi spezzata l'estrema punta, e co- stringe all’ esercizio della pazienza per nuovamente aguzzarlo , e per se stesso indocile, e mal destro; spaventa la mano che non ha fatto di lui un lungo e perseverante esercizio. Proce- dono quindi le difficoltà della punta e quelle della preparazione all’ acquaforte, indi la dispusizione dei tratti colle simmetrie volute dall’ arte secondo 1’ andamento e le forme delle membra e dei vestimenti. Superate finalmente molte di queste difficoltà il giovine ha già sudato per l’ arte e crede compiuta l’opera sua; ha imi- tato il disegno, ne vede una prova, ma trovasi ancora dopo molte fatiche in altomare ben lunge dal porto, poichè il tor- chio e la carta gli hanno svelati i difetti d’ armonia che im- mensi si celavano nella non ben conosciuta profondità dei solchi, e per conseguenza non potendosi ben cancellare li tratti come 137 si farebbe di un disegno, è d’ uopo ripassare , rinvigorire , ac- cordare , aggiunger tagli a tagli, e non avvilirsi nell’ intermi- nabile pelago di tante difficolta. E dopo una serie d’ impres- sioni, di prove , e di tentativi, e di studii ne vengono anche te-difficoltà dell’ inchiostro, della carta e del torchio, cosichè non può negarsi una immensa serie di ostacoli, da superare le quali difficoltà non incontra il pittore , col quale istituendosi un confronto e notandosi ciò che è di comune all’ una e al- l’altra di queste arti, e ciò che rispettivamente è riserbato a ciascuna , conforta gli allievi acciò non si sgomentino all’aspetto di tante larve, di cui non ebbero paura nè Edelink, nè Dre- vet, nè tutti gli altri maestri esaminati nell’ antecedente 1i- vista. Un susseguente ragionamento è destinato a comprovare la necessità del disegno , indispensabile come ognuno può hen supporre, tosto che vogliasi rappresentare col mezzo dell’ in- taglio l’effetto di un quadro o di un disegno altramente che con un pantografo. E certamente la conoscenza delle forme e delle proporzioni diventa indispensabile per non confonder le bellezze colle deformità , poichè la lindura del bulino, l’ap- pariscenza del taglio ostentando (come dice ingenuamente 1’ au- tore ) certa qual pretensione di gradire, e tutta a sè chiamando l’ attenzione dell’ osservatore , rende più munifeste e sentite le bellezze egualmente che le deformità; così che ogni scorrezione quando sia eseguita con poca pretensione di esecuzione troverà qualche indulgenza, come ne riscuotono infinita le opere dei pittori trattate all’ acquaforte , le quali non hanno il più spesso altro scopo che quello di dar conto del loro concepimento col- l’ invenzione affidata a pochi tratti pittoreschi e negletti. E rac- comandando agli allievi nelle scuole dell’ intaglio lo studio del disegno, vuol sempre riferirsi a tutte le parti che ne costitui- scono la vera essenza , meno quella dell'invenzione , acciò non si ravvivi il fuoco della loro immaginazione , e non arrivi pro- babilmente ad invadere i diritti riserbati al gelo della pazienza. Lo scopo dell’ incisore non è più ai tempi nostri quello di pro- durre i parti della propria fantasia, ma bensì quello abbastanza difficile, anzi non mai abbastanza consegnito , di tradurre fe- delmente le bellezze ammirabili sparse nelle opere dei classici pittori. Questo è pur troppe un fatto verissimo , e ci conviene malgrado l ammirazione per tante opere d’ intaglio, compian- gere per una parte il destino della calcografia che quasi con- T. HI Maggio. 18 138 dannasi al servigio di umile ancella delle altre arti, toglien- dole il merito delle invenzioni. È vero che può essere passaggero il piacere della sorpresa al primo aspetto di una composizione segnata senza lindura, ma con molta energia. Non è sempre però necessario che que- sti, denominati abbozzi, vengano sottoposti alla fredda giu- stezza del calcolo per le proporzioni, la prospettiva , il chia- roscuro , l’ equidistanza dei tagli, la pastosità della esecuzione, la trasparenza e il finito dei maestri dell’ ultima epoca, che ben anche da pochi segni, da immediati contorni, da qualche tratto espressivo, da una bella distribuzione, da una invenzione, e da un ordinanza felice emerger possono bellezze tali che a mi- nor prezzo prevalgano ai lenocivii della nitida esecuzione. Forse la voglia delle incisioni finite tolse quasi per intero, e rese rare e difficili quelle da noi sopra indicate , e quasi può dirsi è perduto un genere che ha tanto diritto alla nostra ammira- zione; e non possiamo lusingarci che più risorga , qualora gli alunni di quest arte sono educati a disegnare copiando, senza comporre, e astretti a raffrenare l’ ingegno comprimendolo troppo colla severità dell’ esercizio meccanico. Non intende difatti il Longhi a proscrivere interamente le composizioni dagli studi de’ giovani, ma ne insinua un 7imode- rato esercizio, ben conoscendo le opposizioni che potrebbero farsi alla troppa rigidezza della prima proposizione ; e soltanto si dilungò su quest’ argomento per guarentire i giovani dalla feb- bre diffusa in Italia e fuori, per cui si contano a profluvio inventori, e pochi esecutori a dovere. Giustifica con buoni motivi le piccole dimensioni nelle quali consiglia i disegni tratti dalle grandi opere de’ Pittori, e rac- comanda oltre la dilisenza dei contorni anche quella del chia- roscuro , come strettamente inerente alla forma che ci presen-. tano i corpi stessi, e particolarmente in un arte che spesso coi mezzi del rilievo apparente deve supplire alla mancanza del colore per ottenere con una sola tinta l’ effetto equivalente alla magia del colorito, di cni la calcografia è sempre priva a meno cli non divenir puerile. E sopratutto si raccomanda l’autore che nella formazion dei disegni non sieno tolte in iscambio le alterazioni difettose del tempo sulle tele o sulle tavole dipinte , colla forza del chiaroscuro , prendendo gli an- nerimenti del colore per ombre gagliarde , che ciò produrrebbe, e abbiam veduto produr spesse volte un assoluta mancanza 239 di armonia e di giustezza nelle copie e nelle stampe. La qual precauzione però esige molta profondità di cognizione nell'arte. Siccome anche molto giudiziose sono le osservazioni relative all’ emendare i difetti che scorgonsi in alcune opere pittori- che, che ogni umana produzione non ne va esente. Ma la presunzione degli artisti che copiarono le opere de’ gran maestri, li trasse sovente per questa orgogliosa manìa a sfigurare ciò che per lievi aberazioni sovente imprime un certo tal qual ca- rattere alle opere di ciascun maestro. E se venisser di fatti rese argentine e raddolcite con trasparenza le ombre di Cor- reggio e di Schedone, come si veggono quelle di Paolo Ve- ronese e di Guido, sarebbe altrettanto alterare la natura del - l’ artista intitato , quanto se venisse contornata un opera tolta da Pordenone o dai Bassani colla severa castigatezza di Ra- faello. Li saggi avvertimenti del Longhi ci ricordano la im- pertinenza dei restauratori de’ quadri antichi che ho sentito con inesprimibile sfrontatezza discutere sulla convenienza di trasportare una gamba, un braccio , aggiungere , levare , mo- dificare le opere classiche dei gran maestri per migliorarle , quasi che non fossero caratteristiche anche molte delle loro mende , non fossero legate colla storia persino dell’ arte e del- 1’ indole delle varie scuole ; tracotanza arrivata a un grado estremo, poichè la massima parte di costoro dopo aver impa- rato a lavare, a foderare una tela, a rassettare un intonaco screpolato sovra una tavola, a ristuccare alcune fessure, e a trat- tare con diligenza la inferma e oltraggiata superficie di tante opere preziose (che molte volte anche scorticarono spietatamente) non credono di aver dato saggio bastevole della loro abilità , se penetrando nel santuari» di cui sono appena gli accoliti, non mettono la mitra sacerdotale; e non raddirizzano (a loro credere ) le storpiature e i difetti dei nostri maestri. E in questo proposito lo scrittore assegna il confine a cui convien circo- scrivere la facoltà dell’ emende , qualora fossero indispensabili , come in uno scritto uno sfuggito e accidentale error di gram- matica o di sintassi. Nè in questo ragionamento ommettonsi le riflessioni tutte che saggiamente conducono a una bella, gustosa , e diligente maniera di predisporre mediante il disegno. le bellezze dell’ in- taglio, ma tratta ben anche di quei tanti rischi che corrono gl’ ingegni ardenti per la gagliardia con cui spingonsi al vizio del troppo piuttosto i grandi che i mediocri talenti. 140 Trattasi nell’ ultimo ragionamento di questo primo volume del bello, ed è singolare il modo per cni lo scrittore, anche mediante una sua tavola dimostrativa, intende d’ indagare la natura ne’ suoi difetti e nelle estreme caricature , proponendosi di trovare la bellezza nel punto medio. Direbbesi essere questo piuttosto un giuoco che nna dimostrazione , e più propria allo scioglimento delle proposizioni di Lavater che un metode sicuro per discernere, classificare, defiwire 1’ archetipa bellezza nella più bella delle opere della natura. Ricercasi dall'autore nel percorrere le opere umane il vario modo cun cui da ciascuno parve riconoscersi il vero bello per diverse vie, sempre trovandolo proteiforme, e notando che Giotto, Perugino, Michelangelo parevano esprimerlo in modo diverso da quel che lo esprimevano Rafaelle, Correggio ; Tiziano, vor - rebbe indurre da questo una assoluta diversità nel concepirne l’ essenza; ma poichè dal sentire all’esprimere ciò che uno sente, corre un divario grandissimo , non è poi sempre la potenza del concepimerito che move del pari colla forza dei modi dell’ese- guire, che incerte e assai varie esser deggiono le conseguenze. La Venere di Prasitele era ugualmente bella per Nicola Pisano, come per Michelangelo e per Canova: il sentire di tutti era eguale, ma il modo di eseguire e di esprimere indipendente dalle sensazioni, e tutto relativo al meccanico progresso dell’arte, doveva riescire ben diverso. Se ne ha una prova evidente ap- punto della imitazione di questa statua che io ho indicata nelle fisure che sostengono il pergamo nel Duomo di Pisa, scolpita nel XIII secolo, quando appena le arti muovevano a nuova vita; si conoscerà chiaramente che l’ antico scultore Pisano, incapace di esprimere le grazie , che pur sentiva , nella sua Venere pren- deva a modello ciò che esser doveva pur anche oggetto degli studii e dell’ ammirazion di Canova tanti secoli dopu, poichè ad ambedue era egualmente visibile la bellezza di quell’antica stata; ma noudimeno la potenza esecutrice dell’ antico Pisano non era pari alla forza del suo intendimento , poichè non eragli dato ancora di poter eseguire con altrettanta giustezza di quella con cui giudicava. Nè mai potrà dirsi che la misura del bello fosse per lui quella ch’ eragli dato di produrre, ma bensì quella sensatissima di un fino discernimento che non era in accordo an- cora col meccanismo del suo scarpello. E converrà lasciare però questo argomento , che condarrebbe a troppo ample e profonde ricerche; e lascieremo che quegli il quale assumerà di dar conto 141 della Calofilia, trattata dal Venanzio.con tanto candore e filoso - fica meditazione , diverta più opportunamente gli: amatori di queste ricerche. Noi troviamo nella esposizione di quest'ultimo ragionamento una non piccola serie di ottimi canoni dell’arte, e una quan- tità di nozioni sane e giustissime. Ma forse avrò io bisoguo di qualche indulgenza se non saprei coll’ autore , nè colle sue ta- belle convenire, là dove espone che in un’ estesa quantità d’in- dividui adulti, esaminando gli estremi ‘opposti difetti de’ loro nasi, ci si presenierà in egual cop'a il naso aquilino , cioè colla canna gibbuta e colla punta adunca, ed il naso rincagnato, cioè colla cunna incavata e colla punta rimontante , dal qual esame inferisce 1’ autore che in una serie di copiosi nasì , alcuni vi- ziosi per eccesso ed altri per difetto, debba nel mezzo trovarsi il naso perfetto, civè il naso retto, il naso greco. E spiega che appunto in tal modo procede la natura assegnando il difetto al- l'età fanciullesca , 1’ eccesso alla senile, conchiudendo essere il bello nell’ età media , sebbene a parer nostro sia pur visibi'e e sensibile in tutte le età. La qual cosa wuol.egli applicare a le diverse parti del corpo umano: ma siccome abbiam più sopra ac- cennato, ci sembra questa forma di giudicare assai propria per determinare piuttosto le tracce dell’età , in egual modo che ve- desi pel numero di giri accresciuto alle corna dei cervi e dei ri- noceronti ; od anche la veggiamo ‘applicabile al ca:attere , e al- l’ indole fisico-mvrale degli individui, come la intesero i fisio- nomisti. Il modulo misuratore della bellezza esistè forse visibile in molti oggetti, e sarà pur anche là dove l’ occhio umano non giunse a scuoprirlo: Vo'esse il cielo che potessimo indicare uno strumento di più per le officine degli artiti., e sarei ben felice di attribuire all’ottimo e valentissimo calcografo Longhi la felice scoperta di un Calometro. Dal fin qui espresso, sebbene in ciascuno dei, ragionamenti sia un cumulo di preziose notizie ; ottime ad allevare i giovani nella scuola delle arti, ed atte ad erudirli bastantemente intorno la storia e i progressi della ‘calcografia ,, pure apparisce chiara- mente che dobbiamo attenderci nel secondo volume la. parte più preziosa dell’opera, e i pratici insegnamenti nitidamente esposti da un artista che ha nudrito di eccellente istruzione un numero considerabile d’iutagliatori , che ebbero il vanto di disputare il primato allo stesso maestro, del che con tanta ingenuità e can- dore egli si compiaceva. Possino essere così ben ordinate le ma- terie per questa più integral parte dell’ opera, a segno che gli r4a editori non abbisognino di straniero soccorso per offrirla al pub- blico, rischio a cui vanno sovente soggette le opere postume de- gli autori. Ho voluto predisporre per quanto da me si poteva alcuni amici miei a gustare questo lavoro del Longhi, dando a voi, caro Missirini, sì passionato amatore delle arti, un saggio dell’opera in questi preliminari ; convinto che altri assai meglio di me po- trà analizzare la parte seconda, in cui tutti i precetti e gli arcani dell’ arte saranno sviluppati. Attendo con grande impazienza dalle vostre cure, e dal- l’ elegante vostra esposizione il commentario che mi avete pro- messo intorno un effigie di Beatrice di Folco Portinari da voi scoperta, preziosissima per tutti gli ammiratori del Divino Poeta, effigie che finora non videsi se non tra i sogni di fertili imma- ginazioni; ma la cui verità , per quanto mi sarà cara, non sce- merà però mai in me il godimento di quel busto veramente di- vino che a me di questa donna scolpì il sommo Canova , rattem- prando colla delizia di questo possedimento una delle più amare vicende della mia vita. LeoPoLpo CicocnaARA. ——_-- S. Remo, 23 Luglio 1831. Preg. Sig. Direttore. Per corrispondere nel miglior modo che per me si possa , alle gentili richieste di V. S. pregiatissima, io le mando il sunto di una mia memoria ancora imperfetta intorno al tremoto da cui furono in maggio scorso desolati varii luoghi della Provincia da me amministrata , e che per le continue scosse comecchè leggieri, tiene tuttavia in grande ansietà queste popolazioni. Ella ben vede, sig. Direttore, che in un lavoro di tanta importanza mi conviene accertar bene i fatti, e sceverare i fe- nomeni veramente accaduti da quelle favole ed apparizioni cui suole inventare l’ ignoranza o immaginare la fantasia de’ paurosi. To la prego di accettare quel pochissimo di che la posso ora servire, e di credermi quale le sono con sincerissimo animo Serv. ed Amico ALsertTo Nora. 143 Descrizione del terremoto avvenuto nella Provincia di San Remo addì a6 Maggio e giorni successivi dell’ anno 1831. Giovedì a dì 26 maggio ed alle ore 11. 25’. del mattino, pre- ceduta da un gran fragore sotterraneo, come se più carra si strascinassero ad un tempo gravati di Jamine ferree, si sentì in San Remo una forte scossa di tremuoto con percussioni verticali a cui succedette una prolungata ondulazione: durò il tutto se- condo l’avviso de’ più attenti 14/7. — Traballarono ad occhi veg- genti i campanili , le case e gli edifizi più sodi: mentre un denso nebbione, forse di polverìo, si sollevava dalla terra sopra i tetti. Quanto alla sua direzione, il sig. Gio. Batista Giordano , maestro di nautica, il quale registra da molti anni tutte le variazioni atmosferiche , mi assicurò ch’era quella stessa del meridiano ma- guetico , ossia NNO. SSE. e da lui osservata parimente nelle scosse degli anni 1807 e 1818. Ma su questo particolare , ed al- tresì intorno alla durata dello scunotimento, discordano affatto tra loro le relazioni che mi sono pervenute da’ punti della Provincia ove fè maggiore impeto la meteora. - Gravi furono i guasti cui produsse in San Remo quel primo squasso. Pochi fabbricati ri- masero illesi. Diroccarono fumaioli in gran copia ed altre opere sovrapposte a’ tetti. Caddero alcune vòlte e soffitti, e fu mestieri l’ abbattere varie case antiche o malamente costrutte che minac- ciavano imminente rovina. Restarono malconcie da spaccature e da fendimenti fra le altre molte case, il palazzo de’ Tribunali di proprietà de’ sigg. Marchesi Borea , e quello abitato dalla stessa famiglia , di cui si dovè prestamente atterrare una parte di tetto e di terrazzo ed un gran cornicione che si era violentemente staccato dal muro. Ebbero danni non lievi il Monastero della Nunziata, quello della Visitazione, la chiesa di S. Stefano ; l’al- tra di N. S. degli Angeli, il convento de’ PP. Cappuccini, e fi- nalmente il santuario dell’ Assunta detto la Madonna della Costa situato sovra un ameno poggio fuor di città , nel quale oltre alle molte rotture l’ estremo cupolino fu tutto sconnesso ed anzi divelto nel suo cerchio inferiore. = Intorno alle ore nove della sera stessa si risenti una nuova leggerissima on- dulazione: replicò una più sensibile alle dieci e mezzo della durata di 2’: finalmente un’ altra alle ore 11. 39'. Nel mattino del dì 27 si fecero pur sentire due piccolissime scosse. Furono tranquille la sera e la successiva notte. — E comechè ad ogni ora pervenissero da altre parti della Provincia, e specialmente 144 da Taggia, Castellaro e Bussana notizie di più lagrimevoli casi; cominciavano pur nondimeno a rimettersi gli animi dal concé- puto terrore; quando d’ improvviso alle ore 12 e tre quarti «del mattino a dì 28 una breve ma veemente e fragorosa scossa che si assomigliava ad una forte scarica d° artiglieria (1) invase di novello spavento il petto di questi abitanti. E poichè cresceva. la voce e il timore che da maggiori disastri fossero bersagliate varie moutagnose popolazioni a levante della città , deliberai di trasferirmi io stesso a visitare que’ luoghi. Di già da me spedito a tale uopo trovavasi in Taggia il sig. Luigi Clerico, ingegnere. applicato a’ servigi di questa Provincia. E richiesti a compagni i signori dott. Andrea Carli, sindaco di S. Remo; e chimico far- macista Panizzi, ci dirizzammo lo stesso dì 28, tre quarti d’ora» dopo la fiera scossa alla volta di Castellaro passando pel borgo detto L’ Arma e per Taggia. Presso all’ entrata di L’ Arma sulla strada corriera ci si pararon dinnanzi gli ammucchiati rottami d’ una vecchia casa del sig. Marchese Dongo di Genova , stata atterrata dalla scossa del 26: entro il Borgo molte fenditure qua e là sulle pareti .delle abitazioni. Il nuovo crollo dello stesso dì 28 poco prima del nostro arrivo fè altresì spaccare alcune volte. I terrazzani s’ erano attendati parte alla marina parte alla campagna. = Uscendo di là e pigliata la spaziosa via entro terra che conduce a Taggia , vedemmo malconcia , sconnessa negli an- goli e per altre molte spaccature fatta quasi inabitabile, la casa di campagna d’ un sig. Pietro Curli detta /a Morena rilevata sur un poggetto a sinistra. In Taggia era compassionevole l’aspetto delle cose: conciossiachè nella parte antica chiamata il Castello, molte case erano state distrutte; altre eran cadenti, nessuna senza gravi danni. Vi perì sepolta il dì 26 sotto le rovine della sua casuccia una Rosa Baccini, donna attempata; e fu prodigio an- zichè ventura che ne fossero tratti illesi due fanciulli suoi ni-: poti. Di sotto alle precipitate vòlte d’ un’ altra abitazione venne pur'selvata un’Angelica Anfossi. E se l’ orrendu caso fusse av- venuto di notte quante vittime e a centinaia! rifugge l’. animo al pensarvi. Nella parte nuova della città spaventosi parimente ravvisa- vansi i guasti. La strada di San Dalmazzo non presentava da’due lati che rotture, sfendimenti, muri rovinaticci, altri fuori di piombo ; ferree spranghe e catene spezzate. Per tutto puutelli, (1) Sentita quella detonazione mi venne al pensiero il detto di Plinio : Naeque aliud est in terra tremor quam in nube tonitruum. | | I | 145 coritrafforti , sostegni. —- Entro la chiesa collegiata si vedeva spaccato un arco maestro quasi sopra l’ altar maggiore ; dimodo- chè si è dovuta sbarrare la parte sottostante ed impedirne l’in- gresso. Si, narra da alcuni maestri che lavorando il dì 26 attorno agli stucchi e rilievi di detta chiesa, videro al momento della scossa aprirsi con terribile schianto e ricongiungersi in un atti- mo sul;loro capo la vòlta. - Gravi danni, toccarono al Moni- stero di Santa Caterina e ad altri sacri edifici , siccome pure alla casa del Comune, al quartiere de’ Carabinieri Reali, all’o- spedale e ad altre abitazioni che il noverarli tutti nun avrebbe fine. Basti che da 70 e più sono le case inabitabili: di tredici più pericolanti si dovette ordinare il. pronto atterramento. Niuna ve n’ha che non porti l’ impronta del terribile flagello. = Erasi pur rovinata dal primo crollo una parte del ponte sulla fiumara Taggia, altrimenti detta Argentina, per cui si va all’ opposto colle di Castellaro. Sovra uno degli archi schiantati era un fan- ciullo il quale cadde con esso 1’ arco, e non n’ ebbe che legge- rissima offesa. Sovra un’ altro arco isolato si trovava il sig. par- roco di Oneglia ed un canonico: entrambi scamparono, illesi per gran ventura. Era la città deserta d’ abitanti: i più agiati ripa- ravano ne’ loro giardini: i poveri erravano per gli oliveti e nei campi. = Valicato il fiume ‘a guado , atteso la rottura del ponte, ci conducemmo all’ altra riva e salimmo a Castellaro: e. qui ogni descrizione vien meno al confronto del vero. Le case di- strutte ed agguagliate al suolo erano in numero di 52 , altre 49 minacciavano imminente caduta. La chiesa parrocchiale situata in una piazzuola sulla maggiore eminenza del luogo ebbe quat- tro forti spranghe spezzate: una di esse fu spinta dall’ impeto fuori del muro ov’ era conficcata. Rotta vedevasi la facciata d’ alto in basso , fessurate e malconce le altre pareti. Una vo- luta d’immenso, peso, spiccatasi dalla sommità dell’ attiguo cam- panile s° era rovesciata sul tetto della chiesa e ne aveva sfon- data la vòlta. Simili guasti ne presentava la vicina chiesa del. l’ Assunta di cui fu interamente atterrata la sacristia. Parimente un oratorio più discosto detto di Lampadosa ebbe e spranghe spezzate e muri spaccati ed altri gravissimi danni. Schiantate erano le case canonicali; pericolose per le rotture o gli sfendi- menti le abitazioni di proprietà del sig. Preposito Siffredi , quelle del sig. Anselmi sindaco, del sig. Arnaldi segretario del comune, ed una de’ signori marchesi Gentile di Genova. Sul piano della parrocchia , come altresì sul declive del colle verso ponente ve- T. il Maggio. . 19 146 deasi in più luoghi dove aperta di fenditure; dove scerepolata la terra: e si fu appunto in quella parte che la: meteora fece più orribile strage : qua e là ripari murati e di sostegno sirerano schiantati e giù precipitati nella valle. Nelle case non ‘ancora demolite si vedeano porte ed imposte svincolate da’cardivi, svelte inferrate; loggie e tetti slogati, muri sconnessi e pendenti a’quali facevano spaventoso puntello i già caduti : per ogni dove am- massi di pietre, di mattoni, ingombri di rottami e calcina. — Cinque persone erano rimaste sepolte ; sedici altre più o meno gravemente ferite o percosse, e la gente misera priva di tetto e di pane era costretta d’° andare limosinando in altri paesi. Era quivi il dì 96 maggio avvenuto un caso veramente la- grimevole e degno d’ essere ricordato. Una Maria Antonia Vi- valdi puerpera di due giorni aveva richiesta una sua amica per nome Caterina Anselmo, che volesse venire per poco a sovve- nire di latte il suo parto. Accorse questa al pietoso ufficio la- sciando nella propria casa una sua bambina di due mesi e mezzo; quando rovinata dal primo squasso la volta della stanza ov’erano le due infelici madri, entrambe le schiacciò unitamente a Do- menico Ferrari suocero della Vivaldi; e il bambino a cui aveva fatto di sè stessa riparo la misera Anselmo fu tratto salvo di sotto alle rovine, ed alla presenza dello atterrito popolo battez- zato in sulla piazza dal parroco. Nello stesso istante s’ era pur conquassata la casa dell’ Anselmo; e volle la Provvidenza che sola resistesse al crollo e restasse illesa la camera appunto ov’era la bambina. In Pompeiana luogo attiguo a Castellaro molti e gravi si noverano pure i danvi del dì 26. Vi rovinarono intera- mente parecchie case : in altre caddero v si spaccarono muri, volte e soffitti: tutte qual più qual meno portano i segni del fiero crollo. Nella chiesa maggiore si spezzarono due sbarre di ferro : ed oltre a varie fessure sovra cinque archi , fu ricono- sciuta una pericolosa fevditura nella vòlta della nave di mezzo. Nell’ oratorio si ruppe una spranga ; e si veggono varie fendi- ture nelle pareti. — Diroccarono nel villaggio di Terzorio due case: altre otto restarono gravemente offese da sfendimenti : ri- sentirono qualche danno la parrocchiale , 1’ oratorio , una cap- pella pubblica , ‘e singolarmente la torre del luogo. Le altre abi- tazioni tutte si veggono più o meno screpolate. Due persone fn- rono ferite nel capo da caduti rottami. — Ne’ villaggi di Riva Savuto Stefano e San Lorenzo situati 1’ un dopo 1° altro presso al mare sulla strada di Genova, come anche su per la costa su- periore ne’luoghi di Cipressa e di Costarainera, benchè forte siasi 147 risentito lo scuotimento ne. furovo assai men tristi gli effetti. Tuttavolta e nelle chiese e nelle case dove più dove meno si fecero sfenditure e screpolamenti: caddero pure qua e là entro l’ abitato e fuori muri di cinta, altri di sostegno, ed eziandio alcuni tetti. In Riva si dovè abbattere una casa , altre sostenere con puntelli. In Badalucco posto al N. di Taggia poche abita- zioni rimasero affatto illese da qualche guastameuto : lo stesso dicasi, di Carcana. — Ben maggiore e non guari dissimile da quello di Castellaro fu il disastro in Bussana, terricciuola a po- nente di Taggia sur una collina che riguarda il mare; e dove mi condussi io stesso il di 8 giugno. Le case ivi attterrate dal primo crollamento sono in numero di 24 ; di altre 4g tutte peri- colanti. dovetti ordinare la demolizione. Diroccò una cappella campestre. La chiesa parrocchiale rilevò rotture e sfendimenti sulle pareti presso la volta. La casa del sig. Antonio Natta So- leri sindaco della terra fun così spaccata e malconcia nel tetto e nelle vòlte e ne’ muri che si è fatta inabitabile. In molte ai- tre e di agiate e di povere persone intervenne lo stesso. = Al momento di quella scossa trovavansi due donue a discorrere in una camera : rovinò sovr esse schiantata la vòlta, e per ven- tura non le schiacciò: per altro una di esse per nome Angelà Maria Calvino ebbe rotta una gamba ed altre gravi lesioni. Meno sensibili furono le scosse ne’ paesi a ponente di San Remo. Se non si eccettui la città di Ventimiglia, nella quale fu offesa da sfenditure la casa del comune , la cattedrale, il pa- lazzo vescovile , il quartiere de’ Carabinieri e 1’ ospedale. Nel luogo alto di Perinaldo molte case furono screpolate, dirocca- rono alcune scale. A Castelfranco situato pure sopra un’ altura furono guaste da fenditure la chiesa parrocchiale e quella di Santa Caterina, come altresì moltissime abitazioni poste nella direzione di tramontana a levante. - Un maestro che stava la- vorando il dì 26 nella prima di dette chiese affermò, che all’istan- te della fiera scossa aveva veduto torcersi e divincolarsi le spran- ghe ossia chiavi maestre come se fossero state piccole verghe, e balzare nel tempo stesso all’ altezza di 4. o 5 piedi il soprac- cielo dell’ altar maggiore. ‘ Appena pervenuta al Governo la prima notizia di questa calamità, S. M. il Re degnò di largire della sua cassa partico- lare una ragguardevole somma di denaro, ordinando che fosse immediatamente distribuita in ragguaglio di povertà e di detri- mento alle famiglie de’ feriti e alle altre più bisognose di pronto soccorso. == Ed intanto verificato più particolarmente il montare 148 de’ danni cui rilevarono tutte le persone povere o disagiate, le LL. EE. il Ministro dell’ interno e quel di finanze (2) procura- rono dalla Sovrana paterna Munificenza un muovo e largo sus- sidio in sollievo di quelle: di più fu provveduto con altre som- me affinchè sieno riparate quelle chiese o sacri o pii edificii stati più gravemente colpiti dalla meteora, i quali fossero per avven- tura manchevoli di mezzi onde sovvenire alla spesa. I fenomeni che precedettero ed accompagnarono la spaven- tosa meteora sono a un di presso quali furono osservati ‘in ogni tempo dagl’ indagatori delle cose naturali. Le piogge autunnali del 1830 furono piuttosto scarse che abbondanti. Nel successivo inverno regnò nna desolante siccità. Sul finire d’ aprile cominciarono le piogge e continuarono sino oltre la metà di maggio senza tuoni e senza lampi. D’ allora in poi andò soggetta l’ atmosfera a mille variazioni con subiti pas- saggi anche in un giorno medesimo dal caldo al freddo, dal sereno all’umido. La mattina del 26 maggio piovicicò prima del- 1° alba. Si diradarono al sol nascente le nubi e furono spinte da una corrente aerea d’ 00S. al NNE. dove rimasero circoscritte per molti giorni nella parte appunto che sovrasta alla valle di Taggia. Al momento della prima scossa segnava il barom. p- 28. 05 il term. R. esterno + 16. 8 ; l’ interno + 17. 5. Da quel giorno sino a tutto il giugno fu sempre ingombre il sole da un fitto nebbione e non mancarono le nubi allungate di Plinio ( Plin. lib. 2) che avevano per lo più la loro direzione declinante verso il S. Il mare che era realmente in calma e sol veniva lievemente agitato nella direzione d’ ESE. all’ ONO. da uno spesso ondeg- giamento , si ritrasse un momento prima del crollo dall’ ordina- ria sua sponda, e i bastimenti ch’ erano sulla spiaggia e quelli che veleggiavano lungo la costa provarono un grand’ urto e tale ch’ era paruto a’ marinai avesse la chiglia battuto sul fondo. — La mattina del dì precedente e dello stesso giorno 26 tanto nelle vicinanze di San Remo, quanto in altri luoghi più distanti, fu sentito un rombo sotterraneo così forte e replicato che molte persone fuggirono qua e là spaventate. — Similmente le acque de’ pozzi e delle fonti s'erano intorbidite , e quasi tutte acqui- starono una più alta temperatura. Al momento poi della forte scossa del dì 26 e di quella del 28 si videro incurvarsi gli al- beri più robusti, mossi da un’ incognita forza ; fenomeno così ben descritto da Baglivi nella sua storia del tremuoto di Roma (2) I sigg. Cav. Falquet e March. Gaggi. 149 del 1703. Un altro fenomeno ‘importante convien ricordare. Alle ore cinque pomeridiane del dì 9 giugno, nel lago detto di San Benedetto entro la finmara di Taggia, fu veduto sollevarsi dalla superficie di due metri quadrati una colonna d’ acqua dell’ al- tezza di 2 metri, la quale dopo avere percorso con moto vorti- coso e rapido lo spazio di circa 60 metri verso il NE., si sciolse in un denso globo di fumo senza che il lago medesimo fosse ‘ nel resto minimamente agitato. Mi accertò pure il sig. cav. Lom- bardi sindaco della città di Taggia che lo stesso fenomeno erasi veduto il dì 26 maggio più all'insù della stessa fiumara. Volendo taluni render ragione di questo sommovimento eb- bero ricorso ad un supposto volcano, di cui pretendevano essere il cratere sulla cima di Montenero, monte che s° innalza a 587 metri sopra il livello del mare, a 6 miglia all'O. di S. Remo. E abbenchè consti da un rapporto fatto all’ Accademia di Parigi nel 1755 in dicembre, all’ epoca del terremoto di Lisbona, che un’ esplosione volcanica (3) v° uccidesse una Maddalena Rossi di Vallebona, pure si può francamente affermare che l’ idea d’ un volcano in questo moute è una mera favola, siccome fu ultima- mente, e sulla mia officiale richiesta, riconosciuto dal sig. Can- dido Baldracco, ingegnere delle miniere del circondario. di Ge- nova, e ne’ tempi addietro oltre ad altri molti dal sig. cav. Carlo Amoretti, come può vedersi in una sua lettera di Osservazioni di eletirometria animale, stampata in Verona nel 1814, ed inserita nel Tom. XVII delle Memorie della Società Italiana delle Scienze. (3) Pare dovesse essere piuttosto un’ esplosione elettrica ascendente. In que’ tempi la teoria dell’ elettricismo non era ancor ben conosciuta. e “TOO RIVISTA LETTRRARIA: Catalogue de la Biblioteque de Son Ex. M. Le Comte D. Bovrourirn. Florence 1831 in 8.° Il Conte Boutourlin ; com’è noto a molti, e la prefazione del Ca- talogo ci ricorda, è stato uno de? bibliofili più periti e più coraggiosi. Rimasto privo , per l’ incendio di Mosca, d’ una delle più belle librerie che si conoscessero, e che gli costava trent’ anni di ricerche , se ne compose quì una seconda ancor più riguardevole, come può vedersi confrontandone il catalogo a quel della prima stampato in Parigi nel 1805. 150 Nel nuovo catalogo infatti troviam registrati 244 manoscritti fra i quali alenni molto antichi, alcuni superbamente miniati, e qualche autografo ; 964 edizioni del secolo decimoquinto,, fra le quali alcune o iguote o rarissime ; 419 aldine , fra le quali non poche o per uno o per altro riguardo veramente particolari ; 377 bodoniane , cioè quante all’ incirca ne uscirono dalla più illustre fra le moderne tipografie; 1868 di classici italiani , e fra esse quasi tutte le più autorevoli o le più famose ; poi sotto varii titoli di scienze , di lettere , d’arti, le più belle e spesso le più splendide d’ un gran numero di libri ì più riputati, ‘ le quali coll’ altre sommano ( salvo errore ) a 7926 , tutte ben con- servate , molte anche intonse , con gran margine , spesso elegantemente legate , ec. Il catalogo (stampato all’ insegna di Dante con molta cura e a soli 200 esemplari ) può annoverarsi anch’ esso fra le. belle e rare edizioni. Esso, come dice il suo abilissimo compilatore (Ste- fano Audin ), non è in quell’ ordine che sarebbe da preferirsi per una biblioteca universale ; ma i bibliofili ne avvertiran subito la ragione, quella cioè di dar risalto alle particolari collezioni della libreria che vi è descritta. A compilarlo han servito non poco varie note lasciate dall’ illustre formatore di questa libreria , alla memoria del quale i Figli lo consacrano. Esse attestano la sua bibliografica erudizione, che al dir del compilatore , statogli assai famigliare , fu piuttosto prodi- giosa che rara. E all’ erudizione s’ aggiugnevano in lui altri ornamenti dello spirito , di che ci è testimonio fra gli altri qualche suo scritto che nel catalogo è registrato. Singolar sua lode fu quella magnanimità, per cui la sua libreria aprivasi facilmente agli studiosi d’ogni nazione, e quasi ogni specie di studi avea da lui incoraggimento , ond’ è che non a’ Figli soltanto la sua memoria è assai cara. M. Saggi poetici di FrLice Bisazza. Messina, Fiumaro 1831 in 16.° Negli scrittori , fatti adulti da lungo tempo alla scuola de’ classici, lo zelo di questa scuola può talvolta sembrar zelo della propria repu- tazione. In uno scrittor, come il nostro , non ancor legato ad alcuna scuola , e a cui il seguir la nuova parrebbe promettere più pronto ap- planso , esso è sicuramente zelo disinteressato, e quindi tanto più no- tabile. Lo zelo del giovane scrittore si mostra particolarmente in uno de’ suoi saggi poetici, che ha per titolo il Settentrione. Negli altri più propriamente si mostra lo studio, ch’ egli ha posto ne? classici , studio utilissimo ad addomesticarci gli stessi scrittori settentrionali, come vedesi in alcuni passi dell’ Abele del Gesner da lui tradotti. Se mai, anche oltre la felice età , in cui si amano i versi, come sì amano i suoni, come. si aman le danze , come si amano tutte le a- mabili cose , ei seguiterà a compor versi , vorrà forse essere per pu- 151 rezza di gusto ancor più simile a’ classici; per importanza e novità di concetti non inferiore ad alcuno de’ contemporanei. M. Di Arno Manvceir f. di Paoro, n. d’Arpo scritti due rarissimi. Vene- zia , Picotti 1831 in 8." Il primo de’ due scritti. è una Relazione; fatta. al duca di Sora, delle qualità di Jacomo Crettone , dottissimo scozzese , che venuto a Venezia nel 1581, non avendo egli ancora vent’ anni, vi destò gran- dissima ammirazione ; e , passato quindi a Mantova,;alla corte di Gu- glielmo Gonzaga, vi fu una. notte del 1583 vilissimamente ucciso da Vincenzio figlio del duca, non si sa bene per qual causa. L’altro è una Lettera scritta. di Bologna nel 1576 al duca, d* Urbino nella icui corte par che Aldo bramasse impiegarsi , essendo, com’egli dice, andato a Bologna “ per esser più libero di se stesso e donarsi a:chi gli pa- reva.:,, La Relazione fu stampata una volta colla data di Venezia appresso Aldo 1581. Ma il suo nuovo editore , Emanuele Cicogna , dubita se la stampa che dicesi l’Aldo, sconosciuta anche al Renouard, e mostratagli per la, prima volta. dal marchese Trivulzio ; sia, veramente aldina, anzi se sia del secolo decimosesto- Non sembra, però dubitare che la, Rela- zione sia d’Aldo, poichè concorda perfettamente con ciò ch’ ei dice del Critone in altri suoi scritti e che può vedersi trasfuso nel Museo Istorico dell’ Imperiali. La Lettera è d’Aldo indubitatamente , e fu donata al- l’editore da un colto. amico , Marco Procacci di Pesaro , il qual la trasse dall’ autografo esistente nell’ Oliveriana. Sulla fine di questa Lettera Aldo narra d’ aver quasi. terminato di stampare la sua Vita di Cosimo primo , ch'io tempo fa dissi non più ristampata, quando dovea pur ricordarmi che lo fu in Pisa per quella raccolta, che serve di supplemento all’altra de’Classici già fatta in Mi> lano. La Vita di Cosimo stampata e ristampata debb’ essere \oggimai abbastanza conosciuta. Il Marchese Trivulzio diede notizia al Cicogna d’un’ opera d’ Aldo quasi sconosciuta, una Storia latina inedita della casa Pio di Carpi, l’autografo della qual. toria, già posseduto da lord Guilford, passò , non ha guari, nelle mani del Payne librajo di Lon- dra. L'amico Procacci diede pur notizia al Cicogna d’ una Descrizione d’Italia, altra opera che Aldo avea cominciata, e per la quale si eran fatte da ragguardevoli nomini , ch’ ei nomina, varie ricerche , siccome consta da’ libri de? Consigli di Pesaro, agosto 1780. Queste notizie brama il Cicogna che si aggiungano a ciò ch’ ei dice della famiglia degli Aldi nel terzo volume ‘delle Iscrizioni Veneziane l’anno scorso pubblicato. Esse leggonsi nella sua prefazione ‘ai due scritti rarissimi, stampati per nozze, non so dire se di un amico bi- bliofilo ,. ma liete certo a tutti i bibliofili ; ‘grazie specialmente alla 153 ristampa della Relazione, ch’è un facsimile dell’edizion prima o aldina o non aldina che voglia chiamarsi. M. Della vitae del comporre di BeneDpErro \M arcELLO narrazione di FRAN- cesco Carri. Venezia, Picotti 1830 in 8.° Dalla storia che il Caffi sì era posto a scrivere della musica presso i Veneziani, .e di cui già ci diede. saggio colle vite del Musin e del Lotti; egli ha ora tratto ( ma a 50 esemplari soltanto, per nozze d’un amico ) anche questa narrazione intorno alla vita e ‘al comporre di B. Marcello, appellato ‘a’suoi giorni il principe della musica. Ciò che di- cesì per entro ad essa , in proposito specialmente dell’ opera massima del Marcello , i Salmî famosi, può esser utile; parmi } se non a’prin- cipi della musica ‘odierna’ che ) come principi ; sì ‘crederanno troppo sicuri del fatto loro , almeno a quelli che ‘aspirano a principato novello. Ciò che vi si dice della condotta del Marcello medesimo verso il Lotti già detto ; la Bordoni, il Zorzi , ec. servirà a mostrare vie più qual stretta taluni abbian' fra loro la bellezza ‘dell’ ingegno ‘e la bontà ‘del cuore. A chi ‘pensa che l’ ingegno sia pur buono ‘a molte cose , a chì predica il principato dell’ ingegno come salvezza futura al mondo, piacerà pure una narrazione , che mostra il principe della musica se- dere assai decorosamente fra î principi della patria. M. Notice | biographique sur le»chevalier Jacques GrAgERGC de Hemsò consul emerite de S. M. Spedoise gr par L. J. E. G. Florence, Pezzati 183n 72 16.0 La carriera letteraria del cav. Graberg 3 incominciata, or sono appunto ‘trent’ anni, appartiene quasi tutta all’ Italia. Se la prima sua opera, il Giornale dell’ Assedio di Genova, è stampata ‘in’ Svezia , è però scritta in Italia, come ciascuno argomerita dal suo titolo. La se- conda,;, cioè gli Annali di Geografia e Statistica ; non solo è stampata in Italia, ma è pur scritta nélla lingua di questa. Ed è per noi tanto più dégna di menzione ; ch’essa, fra le scritte in questa lingua , è for- se la prima ; ove sipresentino idee semplici e precise della statistica ; ed è pur la. prima, ove spiegandosi la nuova division della terra in sei. parti ; ‘siasi cangiata; nel mappamondo la. posizion rispettiva dei due emisferi , il nostro:cioè siasi posto a manca prima dell’ altro, e quindi 1° altro a sinistra, ciò che; sett’ anni dopo fu poi fatto da tutti i geografi francesi. Stampata in Italia e scritta nella lingua d’ Italia è pur la seconda fra le principali sue opere , il Saggio storico sopra gli Scaldi, ove trovansi molte cose peregrine , e per noi, quando comparve , affatto nuove, sul genio, sui ‘costumi ec. di que’poeti della Scandinavia , 153 dalla quale 1’ autore vorrebbe che 1° Europa civile avesse preso quello che chiamasi spirito di cavalleria. Ciò non si crederà da chi suppone la Scandinavia ancor barbara nel medio evo , ciò ch’ egli in quel Saggio combatte ; o da chi crede -usciti dalla Scandinavia i devastatori del romano impero , ciò ch’ egli combatte nella terza delle maggiori sue opere , la Scandinavia vendicata , opera scritta in francese e stampata in Francia. Le altre sue opere sono quasi tutte nella lingua dell’Italia, alle cui accademie quasi tutte , compresa l’ italianissima, cioè quella della Crusca , l’ autore è ascritto. Il catalogo ragionato di tutte queste opere compie la Notizia biografica , in fronte alla quale è un’ epigrafe greca e un’ altra latina , sicchè la credereste scritta da qualche dotto d’ antica data, presidente forse a qualcuna di quelle accademie. Lo è invece da persona di data freschissima, sul cui labbro vezzoso suonan peraltro tante lingue , quante ordinariamente non ne suonano su quello de’ dotti. Ma rispettiamo la modestia della vergine, e non siamo si arditi di sollevarne il velo. M. Etrusco Museo Chiusino , dai suoi possessori pubblicato con aggiunta di alcuni ragionamenti del pr. Dom. VALERIANI, e con brevi esposizioni del cav. Francesco IncHirami. Fascicolo V. Poligrafia fiesotana 1831. Abbiamo altre volte annunziata con le debite lodi questa pregevole impresa. Non abbisognano del resto di lodi i chiari nomi che l’ornano. Il quinto fascicolo , oltre alle tavole che ormai giungono al numero di sessanta, contiene un ragionamento del sig. prof. Valeriani intorno agli Etruschi, dove si confuta il Miller, e di più si sostiene che 1’ Etrusca civiltà non è meramente un rampollo e quasi un rigagnolo della greca. Il sig. cav. Inghirami riscontra nella tavola VII. una delle non poche relazioni che sono evidenti a scorgere tra i simboli egiziani e gli etruschi. Questo de’simboli è, come ognun sa, il prediletto sistema del ch. ar- cheologo: sistema pericoloso, ma certamente vero almeno in parte , e che (sia detto con la debita riverenza), contemperato con principii più veri e più semplici , andrebbe immune da ogni censura. Bello è il vasetto della tav. 51 , illustrato così dal dotto autore dei monumenti etruschi : “ A chi ha buon gusto per i lavori di metallo, ben gradevole sarà il conoscere la forma singolare e del tutto nuova, non men che bella , di questo vasetto di bronzo, disegnato nella grandezza medesima dell’originale. Apparentemente dovea contenere de’ liquidi; e perciò l’intelligente artefice operò per modo che tutto vi corrispon- desse l’ ornato. Ecco là un uccello acquatico sopra una pianta qua- drifoglia palustre, il che serve di pomo al coperchio: ecco là una conchiglia palustre che serve di borchia al manico : ecco là in fine i »o lunghi mavichi formati in guisa di colli d’uccelli acquatici, come dal »» becco loro , nel quale han termine , si ravvisa. ,, Questa eleganza di T. 11. Afaggio 20 23 33 ” 23 154 belle allusioni è dall’arti moderne quasi affatto smarrita : della poesia dell’arte languidi rimangono e leggeri vestigi. Anche quì , il positivo ci comprime; e’ impiccolisce , ci assorbe : e in un secolo in cui tanto sì parla d’ideale , l'ideale vero s’indovina appena da pochissimi eletti. Ve- dete le esposizioni italiane e straniere. Se sopra cent’ opere d’arte trovate un'idea poetica e nuova, siete ben fortunato. V’è più poesia di pensiero nella Speranza del Nenci (1); che in un intera galleria di quadri mo- derni. Intorno questo Museo chiusino 1’ ultimo fascicolo della Biblioteca italiana contiene un articolo del ch. sig. prof. Romagnosi, pieno di utili consigli e di vasti progetti. Gli eruditi potranno disputare intorno a questa o a quella particolare dottrina, ma tutti dovranno sentir la bellezza e la fecondità d’ alcune idee generali. X. Guida per la Città di Firenze e suoi contorni, nuova edizione corretta ed accresciuta. Firenze presso Giuseppe Formigli 1830. Quanto più spesso nasce il bisogno di ristampare la guida di una città per aggiungervi le nuove cose che vi sorgono, tanto più è meglio perchè questo è un indizio, che l’amore dell’ utile e del bello non dorme nel petto dei cittadini, e che non è miseria e ignoranza ove s’inalzano nuove fabbriche, si aprono nuove strade , sì ammirano nuove statue e dipinti. La dove si asside una barbara tirannia i monumenti dei padri cadono insieme colla gloria dei figli ; ma fra una gente di civiltà e cortesia, nella Patria di Dante e di Michelangelo tutto si abbella e si adorna, talchè al rivisitarla dopo qualche tempo il viaggiatore ne rimane amabilmente sorpreso ; e può bene sperare , se qualche cosa ancora l’ offende , se qualche cosa an- cora desidera , che vedrà tolta ben presto ogni bruttura , e stabiliti i comodi e gli abbellimenti che il vantaggio e buon gusto richiedono. Del che si può acquistare una prova leggendo anche in questa guida ciò che è stato fatto e si va facendo sulla piazza della Cattedrale , al Palazzo del Granduca , nella Cappella dei Principi ec. nè rimar-, ranno indietro altri voti ed altri bisogni, ed alle scuole di mutuo in- segnamento , di geometria e meccanica per gli artefici , altre scuole succederanno adattate a sviluppare l’industria e il commercio e a pro- pagare le utili cognizioni sociali. La vaghissima Firenze non solo dee accompagnare , ma ancora avanzare nella via della civiltà gli altri po- poli, se non vuol decadere da quella gloria , che più non bastano a mantenere le memorie del passato , se non sono ravvivate dai fatti presenti. L. (1) Dipinto a fresco nel palazzo Chigi di Siena. V. Antologia Vol. XXXIX B. 129. 155 Lettere familiari di Grusepre BarETTI a’ suoi tre fratelli FiLrppo , GiovannI e AMEDrO, coll’aggiunta delle lettere istruttive ec. Quinta Edizione. Volumi II. Milano presso l’edit. Lorenzo Sonzogno, 1830. “ Chi piglia diletto nello informarsi de’ costumi de’ popoli e nel filosofare sulle loro varie virtù e sui loro vari vizi, e gode sottil- mente indagarne le sorgenti , il progresso e gli effetti , troverà quì :, pascolo abbondante alla sua curiosità . . .. Il teologo , il moralista ,» e il metafisico non avranno da lagnarsi di uon avere avuta in que- ;; ste lettere la parte loro. Il geografo , il botanico , il filologo , il lin- » gnista , l’ antiquario , il critico, il poeta, l’improvvisatore e sino 3; il musico, tutti troveranno in queste lettere di che mettersi talora ;3 la mente in moto. ,, Via su dunque , aggiungerò io alle citate pa- role del primo Editore , affrettiamoci a leggere le lettere del sig. Ba- retti, giacchè non si offrirà così spesso la buona ventura di trovare una mezza enciclopedia in 47 lettere familiari. Temo però con ragione che molti non si lascino prendere a sì magnifiche promesse, e dicano fra se vediamo un po’ se son ciarle di mercante. Anch'io fratelli, sono con voi, e vi dirò che dopo aver letto , ho fatto la mia tara, ed ho ridotto a due i molti vanti enumerati quì sopra, cioè a buone rifles- sioni morali , ed a molto vive ed eleganti descrizioni di luoghi ed av- venimenti , che naturalmente non possono mancare in un viaggio. Così potrete qui acquistare un idea del famoso terremoto di Lisbona, e di Ma- fra, e di Cintra, della caccia dei tori, della corte portoghese, e di molti altri paesetti che percorre il nostro autore ; apprenderete ancora come si viva poco bene per non dir male affatto in quei paesi del Portogallo e della Spagna, e vi uscirà la voglia di visitarli, se mai vi fosse saltata in capo , udendo il povero Baretti lamentarsi ad ogni tratto di mille in- comodi e disgusti, e più specialmente. di quelle scomunicate osterie , ove sì trova appena un pagliaccio da gettarvisi sù , e qualche boccone di pessima roba per levarsi la fame. Certo che ci vuole un viaggiatore intrepido , e di molta pazienza ; ma il nostro non la vagheggiava gran cosa , quantunque sia da tutti raccomandata , e spesso additata anche dai più umani, come una consolazione e un rimedio nella miseria e nel dolore. Io però compatisco il nostro Baretti , se nel suo viaggio non stava sempre tranquillo ed allegro , perchè in quale cuore non sì desterebbe ira e pietà nel mirare i più bei paesi dell’ Europa che il sole rallegra e vivifica e adorna di ricchezza e delizia , vederli deserti ed incolti, quasi fossero le arene dell’ Affrica ? Osservare i rari abi- tanti immersì nell’ inerzia e nell’ ignoranza, nella supertizione e nella schiavitù, e pensare quali furono , quali imprese maravigliose tenta- rono, quanto valore dispiegarono, quanta gloria , quanto potere acqui- starono in tutte le parti del mondo? Il Baretti vedeva tali cose nel 1760 ; i viaggiatori che lo seguirono non ne videro delle migliori , se non in qualche raro intervallo, che fu luce per pochi e non fu per l’uni- 150 versale che un lampo , che fece apparire più fitte le tenebre. A che possa giovar l’ istruzione , presentemente la conoscerà ognuno che legga in uno degli ultimi fascicoli della Rivista di Parigi i regolamenti per le Università del regno, dove son proibiti gli antichi autori latini, perchè possono guastare le bnone idee ; e permessa solo la Volgata e il Breviario ; e per i tempi del Baretti lo conoscerà al saggio che egli ce ne porge nella lettera 30.*% : consiste questo nel seguente dialogo estratto da un libro composto per servire d’ introduzione alla rettorica, e che quei poveri figliuoli eran costretti a ripetere a memoria , sotto pena, mancando , di spietatissime battiture. D. Don Giuseppe primo di chi è figlio ? R. Del re Don Giovauni quinto e della regina donna Maria An- na d’ Austria. . In che anno nacque ? . Nel 1714. . In che dì ? . A’ sei dì giugno. . Quando e da chi fu battezzato? A” 29 dì agosto nell’anno stesso dal cardinale di Cagna ec. quì seguita a dimandare sul matrimonio , sui mezzani del ma- trimonio , sull’ arrivo della sposa e cose simili riguardanti il re Don RO FPIOHSIO Giuseppe primo. Questo è lo studio che noi diremmo di umanità : ed è veramente consentaneo ai luoghi ed ai tempi, perchè forse chi lo prescriveva credeva e voleva far credere che l’ umanità tutta fosse racchiusa nella sua genealogia. Non ci sarebbe stato discaro incontrare in queste lettere qualche altro saggio dei costumi e dell’ istruzione dei popoli visitati , onde i giovanetti che le leggono vedute da una parte quelle goffe e barbare istituzioni , dall’ altra lo stato di miseria e d’ abjezione di un popolo, accogliessero profondamente nei loro animi quella gran verità non per tutti luminosa del pari, che dalla buona educazione dipende la fe- licità degl’individui e delle nazioni. In queste lettere voleva il sig. Baretti narrare un suo viaggetto da Londra fino a Torino passando per il Portogallo, la Spagna ec. ma egli ci lascia colla sua descrizione nell’ incammninarsi verso Toledo. Seguono a queste altre lettere col titolo d’ istruttive , ove parla degli studi di un giovane e della lingua italiana. Ed eccoci alle de- clamazioni contro la Crusca e il suo Dizionario , contro le pretensioni della Toscana al primato della lingua ec. quistioni che nel 1760 po- tevano avere qualche novità, ma che ora se non sono decrepite , vecchie son divenute di certo nel rapido movimento delle opinioni. L’ autore della frusta si fa qui ben riconoscere, e spesso ne accocca di quelle da levare la pelle. Noi amiamo e lodiamo |’ energia e l’in- dipendenza del suo ingegno , ma non sappiamo approvare quella fu- ria di villanie e di parole da trivio che ad un tratto gli escono dalla penna , e pensiamo anzi che andrebbe evitato di presentarle in una 157 Biblioteca di Educazione , perchè qualcuno non credesse che fosse un bel vezzo da imitarsi questa vergogna , che offusca li scritti di qual- cuno dei letterati italiani. Non sia per questo negata lode e incoraggiamento all’editore Son- zogno per questa sua Biblioteca , di cui queste lettere formano i voy lumi 77 e 78. Egli tenta di propagare e di rendere popolari le utili cognizioni , e questo suo desiderio merita la nostra riconoscenza. Li Bullettino Senti co--Letterario MAGGIO 1851. , Scienze NATURALI Cenni sopra le variazioni a cui vanno soggette le farfalle del gruppo Melitaca. L’ ordine degl’ Insetti Lepidotteri , in cui la natura si è dilettata di versare a piene mani tutto il lusso dei più vistosi colori è altresì uno dei più normali che vanti ne’suoi dominj la Scienza della Zoologia. Simile in questo rispetto alla Classe degli Uccelli sem- bra additarci, che la comun madre abbia voluto modellare quasi so- pra un medesimo tipo gli esseri prediletti che ha rivestiti di qualun- que specie di piume. Ciò non ha impedito i moderni Zoologi dal sud- dividere e sminuzzare la massa dei Lepidotteri in gruppi d’ogui de- nominazione, dei quali non è questo il luogo di discutere o fissare il valore. Accingendomi a tener discorso del gruppo Melitaea, che è uno dei più subalterni, non m’impegnerò a torgli o a concedergli la digni- tà di genere, nè starò a ripeterne i ben noti caratteri, contentando- mi di prenderlo così com’esso è stabilito, ed avvertendo solo , che per quanto a me sembri secondaria la sua importanza, ad altri è pia- ciuto ripartirlo pertino in generi proprj. Entra la Melitaea nella se- zione del Papilio di Linneo detta da quel Dottore della Scienza Nym phales, e ricevuta dai moderni come famiglia delle [ymphalidae; alla quale appartengono i gruppi Europei Limeritis, Nymphalis, Chara- xes, Apatura, Euplaea (ossia Danais), Vanessa, Libithaea, Satyrus ( Hipparchia dei Tedeschi) e oltre il gruppo Melitaea di cui stiamo parlando , l'Argynnis che gli è strettamente affine, e che si perde quasi insensibilmente ‘in ‘esso per mezzo di specie intermedie. La Patria delle Melitaee può dirsi propriamente l’ Enropa, ben- chè non esclusivamente : ne abbondano le regioni settentrionali più delle meridionali, anzi in queste esse stanziano per solito alla. mon- tagna. Le specie di tal gruppo sono tanto. simili. fra di loro e. tanto soggette a strane variazioni accidentali , che riesce oltremodo difficile lo stabilire quali sieno i tipi specifici a cui appartiene ciascuna. In fatti, per dar qualche esempio, i nomi specifici Cinzia, Cynthia ; Ma- 158 turna, sono stati attribuiti a molte specie diverse, e quel che è peg- gio a specie in realtà molto affini, che si sono prese una per l’ altra barattandone i nomi. Quindi difficoltà somma, e direi quasi impossi- bilità d’intendersi fra gli Entomologi. Andrebbe errato chi credesse che le variazioni di questi esseri polimorfi costituissero altrettante razze o sub-specie , perchè invece esse sono meramente individuali. Ecco come avviene , che quegli autori che si sono indotti a darne fuori aleuna come specie distinta possono accennare appena la com- parsa di qualche individuo , veduto come un fenomeno, seppure più d’ uno ne hanno mai incontrato. Allorchè le macchie o le linee reti- colate non fanno altro che diventare più e meno fitte, più o men numerose, non è già difficile di ricondurne le aberrazioni al lor tipo: il male stà quando questi segni si obliterano , oppure invadono tutto lo spazio, quando prendono forme nuove regolari e definite, quando assumono un numero diverso apparentemente determinato. Allora può rimanervi ingannato l’occhio più esperto. Per distruggere con fonda- mento le specie non buone che si debbono a siffatte accidentalità conviene ripassare le collezioni più ricche, ed esaminare accurata- mente tutte le serie di mutazioni a cui soggiacciono tali farfalle. Fra tutte queste niuna ve n’ha forse che varj al pari della Melitaea Atha- lia, niuna i di cui diversi aspetti abbiano fornito occasione di mag- gior numero di specie nominali, niuna a cui sia stato tolto più spes- so il. vero nome per applicarlo altrove. = Basti notare che la vera Athalia è quella stessa farfalla, che Fabricio chiamò Maturna, pren- dendola in cambio per la Maturna di Linneo; mentre l’Athalia del Fabricio è la Trivia degli autori: e l’Athalia di Hubner ( Athalia mi- nor, Esp.) è la Parthenie. Quest’ ultima è una farfalla in realtà, di- stinta, ma che pure somiglia ad alcune varietà dell’ Afhalia assai più che queste ultime non si somigliano fra di loro. La nostra Athalia in somma è l’Athalia di Borkhausen, di Ochsenheimer, di Godart, d’ Esper e di Boisduval, ed ha per sinonimo la Mazturna di Fabricius e di Hubner, non già di Linneo. Alle spese di quest’ Athalia sono state stabilite, fra le altre, l’Aphaea di Hubner e la Pyronia dello stesso Au- tore ( risuscitata ora dal Signor Stephens nelle sue Illustrazioni de- gl’Insetti. Britannici ) ambedue già riconosciute per nominali dal Boisduval: tale è pure quella che sotto il nome di Melitaea Cymothoe fu descritta ed effigiata dal Signor Professor Bertoloni figlio, negli An- nali di Storia Naturale di Bologna al Fascicolo V. Il lodato autore ebbe cura di mettere a confronto la sua nuova farfalla con la Py- ronia,. ch’ egli seguitava a credere specie buona e distinta. Un accu- rato esame della Tav. 281 di Herbst ( Iconographia del genere Papi- lio), in cui giudiziosamente sono state figurate molte varietà di que- sta specie polimorfa, convincerà chiunque della verità di quel che as- serisco , giacchè s’ incontra appunto che le figure 5 e 6 rappresentano quella stessa forma della M. Athalia che ha fornito al Signor Berto- loni la sua Cymothoe. Allorchè due anni sono ammirai la preziosa 159 raccolta di farfalle Italiane del benemerito Professore di Bologna, da lui mi fu gentilmente mostrato l'individuo che s’ accingeva a descri- vere , e che a prima vista parve anche a me d’una specie distinta. Consultati però con comodo i miei libri, e le mie raccolte dovetti cambiar d’ opinione. Avrei voluto esortare il Signor Bertoloni a de- sistere dalla pubblicazione della farfalla in questione come specie nuova; ma la di lui memoria a quell'ora era già pubblicata. Un’altra Melitaea di straordinaria apparenza mi è pur venuta sot- t’ occhio recentemente. Esiste nella raccolta del celebre Zoologo Inglese Dottor Leach, il quale la trovò in compagnia della M. Phoebe nei monti di Subiaco, vicino a S. Scolastica, al principio di Luglio. A prima vista questa sembrerà al certo specie nuova e fortemente caratterizzata : ma un attento esame deve convincere poi ch’ essa è una Melitaea Phoebe ( per altri Cinzia o Corythalia ed a queste noi vorremmo aggiungere anche l’Etherie di Hubner tav. 177.) AFFETTA DI MELANISMO. — Quin- tunque veggansi effigiate in più luoghi moltissime varietà delle spe- cie di questo gruppo, quella di cui qui si parla offre se non erro per la prima, l’esempio d’un melanismo naturale nelle IMelitaeae affatto analogo a quello che si suole procurare artifizialmente col cambiare il cibo delle larve di alcune fralle nostre più belle farfalle notturne. Le macchie che presenta questa Melitaea darebbero materia ad una lunga descrizione, ma vi si può supplire con due parole, bastando ri- levare che in essa il nero ha invaso tutte quelle parti del di sotto delle ali inferiori , che dovrebbero essere giallastre variegate di punti e lineole nere , cosicchè risaltano tanto maggiormente le due fascie fulve che formano il carattere più costante della Phoebe. Già da varj anni mi aveva dato nell’occhio un simile scherzo dovuto del pari al melanismo in una farfalla della bella raccolta d’ in- setti indigeni messa insieme con tanta cura dall’ indefesso Signor Rolli di Roma, raccolta che speriamo vedere illustrata in breve dallo stesso possessore. La me/arina del Signor Rolli , che forse appar- tiene piuttosto alla Melitaea didyma, può dirsi anche più singolare di quella del Dottor Leach, perchè in essa le fascie nere sono più morate e meglio definite; dal che risulta un insieme di maggior semplicità. Per parlare del gruppo Melitaea in generale, dirò che undici sono per me le specie Europee ben conosciute finora, non tenendo conto delle loro varietà innumerevoli, molte delle quali si possono vedere nella ricca collezione dell’Archiginnasio Romano, che però non tutte m’ è riuscito di poter ridurre ai veri loro tipi. Nei contorni di Roma la più comune è la Phoebe; ne veggo gran copia nel mio stesso giardino ove si sviluppa all’Aprile, e ne- gli anni più arretrati come il presente soltanto al maggio: an- che la Cinzia e la didyma si trovano nell’ interno della Città. La Trivia (?) la Dyctinna, \'Athalia e la Parthenie, come pure la Lucina (ch'è rarissima) s'incontrano solo nei vicini colli subapennini. La Maturna , la Cynthia e Artemis, così comuni 160 in altre contrade d’ Europa , non nascono ch’io mi sappia in Italia. Ve ne sarebbe una dodicesima specie la M. Arduinna, che dicesi propria della Russia meridionale, ma essa non è neppure ben auten- ticata. Nell’America Settentrionale non ho mai rinvenuto nessuna specie di vera Melitaea; tutte le farfalle che vi si accostano da un lato appartengono piuttosto al vicino gruppo Argynnis , con macchie argentine o anche senza ; altre che non cadono nel gruppo Argynnis differiscono pure dalle Melitaea , e formano piuttosto un gruppetto che merita di venir isolato. A proposito delle farfalle dell'America Settentrionale mi cade in acconcio di dichiarare , che dopo il più minuto esame ho potuto as- sicurarmi , che la Vanessa Atalanta e la Vanessa Cardui della mento- vata regione sono perfettamente identiche con le specie Europee. Non così della pretesa Vanessa C. album d’America la quale a’miei occhi presenta alcune diversità che, quantunque tenui, mi sembrano sufficien- ti per istabilire altra specie cuì assegnerò il nome di Vanessa C. argen- teum. Bisognerà poi badare di non confondere questo C. argenteum col C. aureum delle stesse contrade, ( come neppure la V. Cardui con l’ affine V. Huntera). Anche quella specie che in America è tenuta per la Colias Hyale mi sembra distinta dalla nostra; io ne ho trovate negli Stati Uniti tre specie gialle affini. Mi astengo dal pubblicare cosa alcuna sopra le mie farfalle Americane che potrebbero presenta- re qualche curiosità, perchè verosimilmente andrei ad incontrarmi con ciò che stan pubblicando i Signori Leconte e Boisduval nella loro bella e lodata opera sui Lepidotteri degli Stati Uniti. CarLo Luciano BONAPARTE. GEOGRAFIA, Lettera al Direttore dell’ Antologia. Aspetto , mio caro Vieusseux , che esca alla Luce il Viaggio dei Fratelli Lander lunghesso il Niger, per rispondere al nostro ottimo e valentissimo Cavalier Gràberg (1). Ormai la controversia geografica fra noi circa il corso di questo fiume, si è ridotta alla sua più sem- plice espressione. Imperocchè due sono i casi possibili; 1.° o il Niger taglia con una gola, con una stretta, con una forra la catena delle montagne dell’Africa interiore, catena parte cognita e parte presunta da tutti i Geografi: 2.° o le montagne del Congo non formano con- catenata serie con quelle della Luna, ma appartenendo ad un altra famiglia di monti, finiscono nel meridiano del capo Formoso. Nel pri- mo caso, la Geografia sì arricchirà di un fatto nuovo , unico e aggiun- gerò , mirabile. Nel secondo , il Niger scorrerà naturalmente intorno all’ ultima propaggine de’ monti conghesi , come il Bramapunter fa in- torno all’ ultima radice orientale dell’Imalaja. Nel primo, avrà vinto (1) V. Antolog. 2.” Decennio, N. 4. pag. 152. 101 il Signor Gràberg, e sarò io medesimo quello che , andando a rende- re l’armi a suoi piedi, gli cingerò con le mie proprie mani il lauro della vittoria. Nel secondo, avrò vinto io. Indi non giova nè vuolsi perdere il tempo a sofisticare per via d’ipotesi ; or chie son prossimi a sapersi i fatti certi. Risponderò anche allora alla consimile controversia di Geogratia teorica, insorta in occasione di quella circa il corso e la foce del predetto fiume africano; se cioè un fiume che scaturisce da uno dei pendj di una catena di montagne, possa andare a scorrere nelle valli sottostanti al pendio opposto, tagliando la catena delle montagne istesse. Ne’ sistemi oregrafici e potamografici d’ Europa e d’America, che son pienamente cogniti dalla scienza , un tale fatto non vi è. Lo stesso mio avversario consente a questa regola generale de’monti e fiumi finora più cogniti; ma soggiungendo, che ogni regola ha la sua ec- cezione , crede di averla trovata nel Setledge , nel Bejah ec. che egli stando al detto di taluni de’viaggiatori, afferma tagliare il corpo immenso dell’immensa catena imalajese. Non alterto metterò in dubbio l’opposto- mi canone logico ; nondimeno oserò dire che la 5. la 32. la 47: d’Euclide non hanno nè possono avere eccezione. E così dico, perchè la legge potamo-ore-grafica da me sostenuta è, per leggi fisiche sulla discesa de’ gravi lungo i piani inclinati , equivalente in verità alle citate pro- posizioni del Geometra Alessandrino. Ha poi il mio dottissimo maestro, il Signor Cavalier Gràberg, ben riflettuto all’arme terribile che egli istesso diemmi in mano? Al Bejah cioè che scaturisce da un lago? Supporre questo lago nel fianco pendente dell’Imalaja opposto a quello in cui il detto fiume va a correre dopo di avere, come si presume, tagliato il corpo di quell’ esterminata montagna, equivale a parer mio a chi sostenesse, che il Rodano e il Reno, i quali scaturiscono; da’la- ghi di Ginevra e di Costanza, raccolti nelle valli settentrionali delle Alpi, potrebbero , tagliando la massa dell’ Alpe , venire a correre in quelle dell'Adige o del Pò , che sotto stanno al meridionalé pen- dio alpino. Dobbiamo dunque, mi dirà il mio avversario, crede- re impostori i viaggiatori Girard, Moorcroff , Hodgson ‘ec. ec. i quali, essendo stati su’ luoghi del punto controverso; ne’ affermano che realmente il Setledge il Bejah ec. ec. tagliano l’Imalaja?® Non alcerto. Ma soggiugnerò che chi vede uscire l’ Isera dalla forra per cui . passa dalla Savoja in Francia, o il Rodano dalla stretta di Martigny ‘prima di entrare nel Lemano, giurerebbe che questi due fiumi taglia- no ivi la catena delle Alpi. Essi intanto non passano che fra le rav- vicinate estremità di ramificazioni alpine. La catena è molto più in- dietro là ove tutti la sanno. Ad un consimile inganno si va soggetto da chi vede uscire la Pescara nella strettissima gola di Popoli a fian- co della Majella, o il Calore fra il Taburno e la montagna di Cerreto. Ei giureria che i due citati fiumi tagliano l’Appennino. E intanto giureria in buona fede il falso , perchè la catena appenninica è as- T. il. Muggio. 2I 102 sai più indietro là ove essi hanno le primitive scaturigini o vene. Lo stesso dunque dirò circa il. quistionato corso. de’ fiumi Imalajesi. Quando la topografia conoscerà l’Imalaja, come conosce l’alpe e 1° ap- pennino ,. si. troverà che la natura fu ovunque uniforme nelle sue leggi potamo-ore-grafiche. Senonchè mi avveggo che, fui prolisso più di quel che avrei voluto e dovuto essere. Laonde, a riparlarne quan- do ho promesso., G. P. Versione tedesca della Storia pittorica dell’Italia. Geschichte der Malerei in Italien etc. (Storia pittorica dell’ Italia di L. Lanzi, tradotta in tedesco e pubblicata colle note di G. G. DI Quanpr da ApoLro WasweR.) Volume I. Lipsia; 1830. LXVI. e 614 pag. 8.° gr. L’opera di quest’ egregio Italiano è fin dalla sua pubblicazio- ne stata conosciuta e molto apprezzata in Germania, dove l’ arte pit- torica ha sempre trovati fervidi amatori e trattatisti valenti. Una traduzione arricchita dalle scoperte che le indagini posteriori al la- voro di Lanzi hanno fornite, e corretta dagli errori, doveva dunque ottenere sicuramente l’applauso di tutti e particolarmente di colo- ro, ai. quali 1’ inesperienza dell’ idioma non permetteva di leggere l’ originale. Questo lavoro è ora stato impreso da due scrittori, di cui I’ uno (il sig. Wagner) è conoscitore profondo dell’ italiana favella, mentrechè il sig. Quandt ha mostrato in alcune opere pregevoti le sue cognizioni in materia di belle arti (1). Il primo ci ha premes- sa una prefazione storica, nella quale tenendosi generalmente sul- le traccie del sig. di Rumohr (la cui opera è già stata rammenta- ta da noi altrove ) fa un quadro luminoso della pittura dal suo ri- sorgimento fino ai nostri tempi, benchè non scevro d’ asserzioni ardite , che difficilmente potrebber difendersi tutte. È da deplorarsi pertanto che il sig. Wagner si perda in idee sì spesso proprie a una nuova scuola di filosoti, e seriva in uno stile tanto ricercato che non rade volte si capisce a stento dai suoi compatriotti stessi. Il signor sulle idee di Lanzi nelle cose dell’ arte ,,; dalla quale togliamo le considerazioni seguenti , la- (13 Quandt ha aggiunta poi una dissertazione sciando che i lettori ne giudichino secondo il gusto loro. “ Lanzi considerava le pitture come oggetti memorabili, la cui collezione e specificazione gli pareva cosa importante ; e avrebbe certo descritti collo stesso interesse, ma anche colla stessa freddezza, mine- rali, conchiglie o altre rarità, se fosse stato conservatore d’un museo fisico. Egli pare uno di quegli uomini che trovano il loro più gran (1) L’ ultima sua pubblicazione sono le « Lettere scritte in Italia sui mi- steri del bello e dell’ arte ,, ( Gera, 1830), piene di ragionamenti giudiziosi. 103 piacere nel raccogliere chicchessia e comunque. » Questa disposizione dell’ autore produce tanto i difetti quanto i meriti dell’ opera sua. { difetti sono, che trattò in egual’'modo le cose più opposte, e che non ‘ponderò sufficientemente ‘il valore delle parole. Ma se la for- tuna vuole che un tal uomo, il ‘quale si diletta ‘solamente’ nell” ac- cumulare ed esaminare ,' si abbatta in un soggetto veramente degno d’ attenzione } come fu il caso del nostro Lanzi, ne’ esce un lavoro molto completo , speciale ed utile. Tal e senza dubbio l’opera ‘di Lan- zi, che perciò merita la gran riputazione di cui gode' e il favore con cui è stata ricevuta. Anzi la sua storia pittorica non ‘sarebbe forse la- vorata con tanta diligenza e ‘solidità, se autore, al par del Vasari, fosse stato più caldamente interessato nei soggetti dell’ arte : ‘perchè le cose particolari ‘1’ avrebbero forse attratto e frastorbato dalle ricer- che storiche. Ma egli ‘considerò ‘l’arte’ piuttosto ‘da letterato; e così appunto deve essere considerata e adoprata l’opera sua. Il lettore non deve în nessun modo entrare nella sua maniera di vedere nelle cose dell’arte o aspettare spiegazioni della parte intima e spirituale della pit- tura ,,. Le Note aggiunte dal»sig.. Quandt 3 servono ad accrescere l’ uti- lità dell’opera, notificando o cambiamenti o scoperte nuove o man- canze che si trovano nell’originale ec. Il. loro ‘numero potrebbe es- sere stato aumentato di molto a vantaggio del lettore. Poche volte si 'sewoprono' inesattezze ; come ‘quella'dove ‘dice ‘che ‘il ‘ritratto di Dante ‘in S. Maria: ‘del Fiore fosse dipinto da Giotto , mentre ‘questo lo dipinse nel ‘palazzo del podestà è ‘similmente 1 asserZione che il ‘rino- mato; quadro del ‘Bronzino “il Limbo',} (nella scuola ‘toscana della Galleria) sia ‘ora ‘coperto ‘d’ una ‘cortina nella chiesa di ‘8! Croce; e dove: erede morto‘il‘cav. Pietro Benvenuti. Le annotazioni di Wagner sono di minor numero ed importanza. La ‘traduzione stéssa'è uni’ fe- dele'ed'anzi elegante riproduzione dell’ originale, ma con ‘pochi cam- biamenti quanto ‘all’ uso ‘di alcune espressioni estetiche , il cui signi- ficato" è ‘stato ‘meglio stabilito dappoi: ‘Il primo ‘volume contiene le scuole fioréntina','saniese ‘romana € napolitana , e corrisponde ‘ai pri- mi'due delle posteriori edizioni dell” originale. ‘Aggiungiamo ‘a ‘uiesta notizia, ‘che ‘un lavoro più importante an- cora è stato intrapreso; ed è la traduzione delle Vite del Vasari, che si pubblicherà con ‘note éd' aggiunte a'Stuttgarda. Se verrà eseguita con diligenza ed abilità, come e? è luogo' d’ aspettare, quest’ opera potrà riuscire di grandissima utilità, è speriamo che perverrà ad un termine felice. i ALFR. ReuMONT. agrari pope Ai Sicc. AssoGiati. i d Quest’ anno per Ta prima volta, dopo dieci e più che l’Antologia si pubblica, ì nostri Associati hanno qualche ragione di lagnarsi' dei suoi ritardi. Ma essi intenileranno che i ritardi non "dipendeno sem- pre da cause volontarie} e vorranno scusarli. 104 Il preseute fascicolo ; oltre all’ esser molto ritardato, esce anche senza il corredo del solito Bullettino Scientifico. Mai mostri Associati anche a. questo rignardo , ci saranno indulgenti, pensando come l’An- tologia deve, talvolta preferire alla regolarità certa opportunità. A .ca- gioni di questa,, il Rapporto p. e. dell’ egregio, Sig. Intendente , Nota, sul terremoto della. provincia, di Sanremo nella Riviera (di Genova,, voleva nel presente fascicolo .il luogo che, si sarebbe, potuto. dare, ad altre notizie. | Per riguadagnare, un po’ di iaeiini potrehb’ essere pene alcuni dei seguenti fascicoli uscissero non solo meno) pieni degli antecedenti, ma minori; dei dieci fogli. Ove ciò avvenga i nostri, Associati me. avran compenso, pel. doppio fascicolo Novembre-Dicembre ; ove il debito no, stro de” 190 fogli promessi per tutto .l’ anno sarà, saldato egualmente; e vorremmo, pur che lo fosse un altro debito nom materiale ma a sal- darsi un poco più difficile. appia ha & In Dir. dell’Ant.* 11909 NPIR OI pui svi i i CavALIER GiroLamo Sonecra. iS Se confortare di pianto la tici di pi estinto, è quello rivendicar dall’oblio , caro imai, sempre ed apprezzabile ufficio, fu, uni-; versalmente, ritenuto, viemaggiormente l’affetto si appaga e il pensiere, quando la memoria si fa rivivere dei trapassati che in, lor vita, posti in mezzo agli tampii circoli, della società rifulsero, d’una luce; che/iin se stessi non, solamente raccolsero, ma, che diffusero;; e. propagarono ad. altri, Alla lor mancanza \interroghiamo il jcuore che gradatamente ci trae jad.,enumerare i,pregi che. li caretterizzarono; e, che lamentan-. do sclamiamo essere, scarsamente riproducibili. Il ben, pubblico, ci. si schiera innanzi gli occhi, e da questa speculazione, in noi. consegue un sensibile vuoto che più ci rende importante ed.amaza.la privazio- ne di essi che per le filantropiche mire che nudrirono,, per gli. utili studii che coltivarono, per i travagli che sostennero, la. situazione cotanto abbellirono de’loro simili. Di così belli e reali principii, e delle Apdoioni pile ne iaia» integra può, farsi 1° applicazione nella persona, del Cavalier. Girolamo Scaccia non ha guari mancato al mondo sociale, scientifico , e lettera- rio. Nato Egli nel, 1778 in Città della Pieve da famiglia agiata e, che costantemente si distinse per civili, e rette, abitudini, indefesso si applicò ai nojevoli ed insieme vantaggiosi rudimenti degli studii ele- mentari in quel Collegio delle Scuole, Pie; e quantunque, negli anni in cui il Genio all’apparato. vario, d’ indeterminate bellezze ,; tenta di sottrarsi con libero sforzo dall’aridità de’precetti, Egli mostrossi volenteroso , diligente, e caldo coltivatore delle scienze esatte. E 165 dell’ arringo iche andò a percorrere diè, prestamente. saggio. Perocchè nella fresca età di diciotto anni fece pubblico sperimento in patria delle sue cognizioni in mattematica ,;in meccanica, ed, idraulica. E dipoi con! accorto divisamento trasferitosi, in Roma ivi si, applicò per qualche, anno. alla giurisprudenza; ma tralasciate quelle instituzioni per naturale avversione , novellamente, e con più ardore intraprese gli studi di mattematica, di meccanica, d’ idraulica, a’ quali unì l’ ar- chitettura comechè preconcepisse dovere in. esse ascendere al grado del- l’eccellenza. Ed in fatti fin da giovinetto assai: crebbe sotto la direzio- nedelcelebre Gioacchino Pessuti laicui memoria onora tanto quella ca- pitale , il quale delle sue.rapide progressioni sommamente compiacendo- sì ; il tenne sempre anzichè per discepolo; quale amico, e qual figlio. Fin da quei momenti meritò la considerazione del. Pontificio Governo. Intrapresa da, Pio VI. l’opera del rasciugamento delle Paludi Pontine, fa nel 1809 dichiarato geometra in quelle terre., e stanziato in Ter- racina ; si, congiunse .in;matrimonio: con Anna Maria Astolfi figlia, del direttore, di quei lavori idraulici; in. cui dolci,y e soavi modi, e belle virtù comparivano in altissimo grado. Volgendosi il suocero. alla. ca- dente età } e più non reputandosi, sufficiente ad. adempiere. in. tutt’ i rapporti l'ampio suo incarico, impetrò da Pio. VII. un Coadiutore. E fu nel 1809 nominato a tale Girolamo Scaccia, poichè quel Sovrano Pontefice non riconosceva per quell’officio alcuno più atto di lui, Al- lora fu che, le sue profonde cognizioni in idraulica eminentemente ap- paryero ;,ed in specie quando giunto a morte Gaetano Astolfi rimase solo alla direzione di questa vasta bonificazione .che meritò la sorpresa e gli elogi dei dotti, el j:cui dettagli. manifestaronsi oltremonte , ed universalmente. nelle opere dello scienzato Prony. Avvenuti i. politici cambiamenti, poichè. fama di dui non taceva; così fu confermato nel posto che antecedente occupava; dappoichè otteneva mel 1813, con de- creto, di, Napoleone: dei 29 Dicembre, di essere ammesso come ingegue- re ordinario nel Corpo imperiale de’ ponti, e foreste , quindi di es- sere, alzato al grado d’Ingegnere in icapo' di seconda Classe. pel servi- zio dalle. Paludi Pontine, ed infine con distinzione singolare di essere ammesso fra i membri della Commissione !dei pubblici lavori. Tornò sul, Campidoglio il.Pontefice,, e nuovi compensi attendevano i suoi meriti» Perciocchè fu eletto direttore generale. dei lavori iraulici dello Stato, Romano: :e ipdi!ispettore membro del consiglio d’ arte: E. quando s'istitui un muovo, metodo per regolare. gli studii della gioventù. ini- ziata alle mattematiche , all’ architettura , all’idraulica , al'suo solerte e sperimentato ingegno fu affidata la nobil cura di dirigerla, in cui ebbe a compagni l’illustre professore Giuseppe Venturoli , e Raffaello Stern esso pure di grata , ed onorevole ricordanza. Segnato nel 1815 a pieni suffragii tra i membri di merito nell’albo dell’ insigne Acca- demia di S. Luca , in cui ebbe a gloria di essere creato presidonte nel 1825, per lui in seguito successe una serie di nuovi onori, che re- putò cosa ordinaria come una bella considera il novero degli amanti 166 che le si offrono spontanei. L'Accademia d’ archeologia il volle tra i suoì dappoichè rilevò la dottrina , e le bellezze di un suo scritto sulla via Appia; quella dei Lincei , la Pontificia delle belle arti in Bolo- gna, l’Agraria di Pesaro , e quella Imp. e Reale delle belle arti di Vienna come loro socio l’acclamaron concordi. Nè finiron quivi gli omaggi prestati al suo valore. Altri più grandi, e più lusinghieri se- gnalarono la sua vita, allorquando la munificenza dell’Altezza Imp. e Reale di LeoPoLno II. Granduca di Toscana , ‘per la cui eccelsa prote- zione accordata alle lettere , ed alle scienze, iì prestanti ingegni san d’esser tali , gli conferì nel 1826 la decorazione dell’ ordine del me- rito sotto il titolo di S. Giuseppe in ricompensa dell’interessamento } e della parte ch’egli prese nelle trattative tra la S. Sede, e la To- scana risguardanti la divisione del Terrìtorio di Cospaja ; ed allorquan- do con più particolar dimostrazione gli fece dono d’ una Tabacchiera d’oro guernita di brillanti in attestato di Sovrano gradimento pel di lui intervento ne’ due concordati conchiusi tra la Toscana similmente ed il Pontificio Governo, per l'apertura della via (Cassia, e di quella per Urbania al mare Adriatico. tI cialaa Letterato, filosofo, savio discernitore, e giudice'del bello nelle produzioni dell’ arte , seppe intrecciare l’ alloro con 1’ olivo Cecropio. Cittadino probo , e di retta coscienza; unì le qualità sociali a quelle d’uomo altamente religioso , dedicando le sue fatiche ‘a prò del pub-' blico , e privato vantaggio, beneficando i miseri, sollevando’ gli op- pressi. Affettuoso' marito seppe rendere dolce la ‘situazione della’ sua! compagna che il prevenne nella morte. Buon padre, tutte le sue cl- re diffuse nella educazione della sua unica figlia che ‘concedè in ‘ma-' trimonio all’ Ingegnere Matteo Livoni giovine di generoso animo, for- nito di molte e varie cognizioni nell’'arte. E quest'uomo dopo aver' vissuto così bella vita, quantunque'tra le cure affettuosamente prodi- gategli dalla figlia , e dal genero ; quantunque costante nei sentimen- ti di pietà , di questi sempre pascendosi nei devoti libri, rinnovando di continuo le auguste pratiche di Religiong; quantunque disposto alla pazienza, alla rassegnazione, ed a prestate al Creatore in olocausto le.sué angoscie , e i lungi dolori; con violenza tratto in preda al va- neggiamento accelerava la sua fine. ... . . . Se non che ‘in quel mo- mento l’Angelo suo tutelare gli chiuse gli occhi che. cercavan morendo il sole; e Dio ricovrandolo sotto l’amplissime ali della ‘sua misericor- dia gli accordò com’ è nostra ferma speranza , un aureola nel beato soggiorno dei giusti. Lopovico Luzi. 107 Conte GiroLamo pi Vero. Mio caro Vieusseux. To non credo che all’ uomo stia bene volere gli altri uomini con- sapevoli de’suoi privati dolori , e nemmeno credo gli torni conto. Il mondo ha già tanti pubblici guai che a quelli del cuore non trovi compassione, ed il raccontargli sembra inetta mollezza o superbia. E poi gli uomini non credono al dolore, se tu non lo manifesti e non lo consoli a modo loro. Per me., divalgandolo ne disperdo le dolcezze: solamente l’amo quando lo rinchiudo in me stesso , o in petto de’po- chi (e quanto son pochi!) che l’intendano. Con voi m’è caro discorrere quanta perdita abbiam fatto nel conte Girolamo di Velo morto in Vicenza sua patria il 12 di febbraio. Per- dita sentita e da molti , anche quì in Firenze, dove per frequenti di- more egli era famigliarissimo , e tutti che lo conobbero lo amarono. Lo amarono per la sua gran bontà e rettitudine d’ animo e di giudi- zio, per quella dolcezza che gli era scolpita in viso, e per la mo- destia ond’egli velava i pregi dell’ ingegno e del sapere. Di me non vo’dire quanto io lo amassi; vennti al mondo quasi insieme , insieme vissuti i begli anni della giovinezza , compagni per molti viaggi, e durati più anni, e concordì sempre , in un conversar continovo, onde le amicizie deboli si rompono e le forti si ristringono, io doveva amarlo e piangerlo come un fratello. Ma il mondo noa si cura s’io piango, nè io mi curo di dirlo al mondo. Perciò benchè fosse debito onorare pub- blicamente la sua memoria , io volea tacermi, temendo in parlar di lui dir troppo di me, e tradire i segreti del dolore. E poi parevami tradire anche la volontà sua, e quel suo proposito di vivere oscuro quanto ei potesse, conformando sapientemente la vita sua al consiglio de’ tempi. Sennonchè in morendo egli ha lasciato ne’ modi ond’egli ha disposto d’un ricchissimo patrimonio, documento tale di sue virtù , ch’ esse ad un tratto sono divenute esempio pubblico. Ciascun uomo ha nella morte il suo momento solenne; allora la vita si raffaccia tutta intera alla vista altrui, sorge per esporsi al giudizio degli uomini, e risplende: anche il nome di chi visse sente un barlume d’immortalità, poi ricade nel torrente del tempo che passa. Il nome del buon Velo ha meritato di non cadervi intero. De’ suoi libri e de’ quadri egli ha fatto dono alla sua città , nè a ciò s’ è ristato, che ha inteso ad ornarla anche più splendidamente e a pagar per essa un antico debito. Manca in Vicenza un monumento ad Andrea Palladio , per le cui maravigliose architetture è quella città bellissima fra le terre italiche. Cento mila lire sulla eredità del conte di Velo sono da lui destinate a quest’ uopo, e più se le centomila non bastino alla dignità del monumento. Poi altre trentamila saranno spese per aprire .a Vicenza una nuova porta e ornarla sopra un disegno ri- 168 masto di Ottone Calderari, il Canova dell’ architettura , che nel se- colo passato fu quanto alla purezza dello stile e alla venustà delle forme , come un secondo Palladio e restaurò 1’ arte. Edifizio di me- diocre bellezza parrebbe brutto in Vicenza è sfigurerebbe quella gen- til città; ma i vicentini universalmente serbano la finezza di quel gusto che in loro infusero per le cose architettoniche il Palladio lo Scamozzi e il Calderari, e l’esecuzione di quelle opere spero non dis- dica al nobile intendimento di chi le ordinò. Il tempietto al Palladio dev'essere incrostato de’ marmi che il Velo trasse da Roma, e son piccola parte d’uno scavo fortunatissimo da lui stesso fatto con fatica e spesa grande nelle terme di Antonino Cara- calla. Ma ciò che lo scavo produsse di più bello e notabile, il Velo non l’ebbe e Roma neppur lo gode. Dico il pavimento d’ una gran tribuna semicircolare , di mosaico quasi intatto in colori , e che rap- presenta ne’ suoi spartimenti |’ elfigie e le insegne di mimi , di gla- diatori; e di giuocolieri. Ora il bel pavimento è stato ricoperto di molta terra, e quando miglior provvidenza non lo tolga presto all’oblio, le fatiche del Velo anderan perdute , e quel mosaico, degnissimo d’or- nare una delle sale del museo vaticano , aspetterà col tempo un al- tro scopritore. Ogni volta ch’io veggo sparir da Roma o nascondersi qualche bella cosa antica , parmi Roma lasci spegner una parte della sua vita. L’amore delle arti e delle antichità tardi fu sentito dal nostro amico. Egli ultimamente vi si era volto con ardore proprio di chi cerca cosa degna e possibile dove occupar l’ animo. Disegnava anche un viaggio in Grecia e in Egitto, pel qual fine intanto s’ andava fortifi- - cando di buoni studi; e pareva a lui, pareva a noi tutti dovesse ba- stare a quel viaggio l’età di trentotto anni di poco passati, e la sa- nità che pareva prospera e salda. Ed io che teneva dietro con amore a’ progressi di quella vita la quale era fatta ad ogni alta cosa , tutto m’ aspettava fuorchè il dolore della sua morte. Ora dirò del suo testamento la parte più notabile. Ha nome la casata di Velo da un vecchio castello adesso ingentilito a villa ma- gnifica in seno a que’ monti che chiudono Italia al settentrione di Vi- cenza. Intorno a quella villa prati freschissimi , gran dovizia d’acque ora distese in be’laghi , ora sciolte in cascate, castagni di età e di mole incredibile. In faccia al palazzo una lunga valle leggermente in- clinata torce, poi si perde impedita da’massi sporgenti. E que’ massi di lì sorgono in montagne altissime , le alpi nella più tremenda loro maestà, d’un bel color di granito, di forma mirabili, che da ogni parte chiudono la scena, in' cima smerlate quasi muri di fortezza, e tanto più care a vedersi che là non ti sembrano valicabili. In fondo alla valle alcune torri mezzo diroccate serbano il nome dall’avere re- sistito all’imperator Massimiliano che scendeva in Italia l’anno 1508, e respintolo, guardate da’ villani stessi del luogo piene, scrive il Guic- ciardini , d’incredibile affezione verso i Veneziani , signori benigui a chi non temevano. 169 Intorno a questa nobile dimora de’conti di Velo, hanno stanza più dimessa alcune famiglie del ceppo e del nome stesso ; padroni di poca terra e da loro stessi coltivata, avvezzi in antico .a ubbidire a’ conti come a signori , a riverirgli da lontano come i patrizi della loro schiatta; ed anche a provargli , diceva il nostro buon Girolamo, vicini spesso litigiosi e molesti a quei loro poveri consorti. E tra que- sti appunto egli si ha cercato gli eredi. Morto senza moglie , e senza discendenti che in alcun modo gli appartenessero , egli ha onorato la sorella dell’ intero usufrutto del suo patrimonio, aggiugnendovi ricchi doni, ed ha poi voluto ch’eredi fossero i quattro più giovini che alla sua morte si trovassero del suo casato , tra quelle famiglie alpigiane. Intanto abbiano educazione pari alla fortuna che gli aspetta , e per- ch’ egli si accorgeva che al popolo che ora sorge la più necessaria pro- fessione sarà. quella delle armi, ha ordinato che i meno adulti sieno posti in qualche collegio militare di terra o marina. A questo modo egli che in se non avrebbe potuto aver nulla mai dello spirito feudale, neppure se i tempi il comportassero, ha ridotto quella si- gnoria di casa Velo alle condizioni che unicamente si convengono alla presente ed alla futura civiltà, il che a me sembra onorare il suo nome veramente e da saggio ; e grande sostenitore com’ egli era della divisione dei possessi, ha dato alla sua provincia quattro più famiglie agiate, le quali con necessaria e più facile attenzione mantengano ot- timamente la cultura delle molte e varie sue terre alle quali egli sinchè visse attendeva con amore e studio grande. Imperocchè delle cose economiche egli fu intendentissimo , e a- mava singolarmente l’agricoltura , affetto degli animi tranquilli o degli stanchi e d’ogni altra fantasia ricreduti; vedeva in essa il più saldo fondamento della ricchezza e delle virtù pubbliche ; e per opera di lui doveva risorgere con grande utilità della sua provincia 1’ Accade- mia Agraria Vicentina , per la quale egli aveva offerto onde fosse campo agli esperimenti , un suo bel fondo di coltura esemplare , ora per queilo ch’ io sento, da lui raccomandato a un suo congiuntissimo d’ animo e di sangue. Giudicò sanamente la politica, avendo pratica mirabile delle cose istoriche e statistiche che in lui cresceva sempre per assidue letture e molto meditarvi. E questa Italia egli conosceva ottimamente a ciò ministrandogli il cuore e l’ingegno pari sussidi; libero egualmente dagli inganni della indolenza o della disperazione , e da quegli d’un orgoglio presuntuoso. Pronto e aggraziato nel discorrere, franco ne’giu- dizi, bastava conversando a’più gravi argomenti: dalle opere sì asten- ne , ma in ciò ch’ei mostrò in morendo è scolpita la immagine dì tutto il suo animo e de’ suoi pensieri. Qual core egli avesse per gli amici suoi, molti lo sappiamo , io più degli altri. Quale verso la sorella di lui degnissima , sola rimasta di sua famiglia , e in vita si conobbe, e in ultimo con tal segno che rese il suo fine anche più pietoso. Essendo ella inferma gravemente , T. II Maggio. 29 T79 stava il fratello in casa di lei per assisterla continuo, e quivi raggiunto dal morbo fatale, non volle egli uscit di quella casa ; e vi morì ; tanta carità scambievole , e dolori tanto grandi , una sola ca- mera divideva. Mi parvero le virtù del conte di Velo degne d’essere lodate a chi non lo conobbe; ed io spero non si dica, mio caro Vieusseux; che vi abbia ingannato l’ amicizia verso lui o verso me, se voi consentirete a riporre questa notizia nel vostro giornale inteso a raccogliere ogni bell’ esempio per l’ Italia, e ogni buono insegnamento. Varramista 18 maggio 1831. Gino CaPPoNI. 173 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL'ANTOLOGIA Maggio 1831. NUOVO Dizionario de’ Sinonimi della lingua italiana, di Niccorò Tom- masko. Firenze , 1831 , pei torchi di Luigi Pezzati. Disp. 3.4 e 4.* (GA-CU) (DA-DU). SAGGIO di una distribuzione me- todica degli animali vertebrati, di GaR- Lo Luciano BonarartE Principe di Musignano , accademico Linceo , ec. Roma, 1831. Antonio Boulzale, p. 78. LE OPERE di Burron nuovamente ordinate ed arricchite della sua vita e di un ragguaglio dei progressi della storia naturale dal 1750 in poi, del conte Lacepene. Edizione completa. Roma, 1831, a spese di Benigno Sca- labrini. (Manifesto di associazione). DIZIONARIO compendiato delle Scienze naturali , seguìto da biografie dei più celebri naturalisti, redatto da vari professori del Giardino del Re e delle principali scuole di Parigi. Trad. dal francese con giunte , e adorna di tavole litografiche. Roma, 1830. Be- nigno Scalabrini. Volumi 30. (Mani- festo di associazione). SULLA pretesa attitudine del po- liteismo a preferenza del culto ebreo e cristiano ad inciyilirei popoli e a ren- dere le belle arti fiorenti. Riflessioni critiche di Antonio De Luca , in ri- sposta ad un nuovo Saggio di un Ano- nimo sul Genio del Cristianesimo del sig. De Chateaubriand , inserito nella Rivista Enciclopedica di Parigi. Tomo XXXIX. Luglio 1828. Roma, 1830. Tip. Salvini ; 8.° di p. 105. ISTORIA del concilio di Trento , scritta dal Cardinale Srorza-PaLLAVvI- cINO , separata nuovamente dalle parti contenziose e ridotte a più breva forma. Milano, 1831. Giovanni Silvestri. Volume I.° prezzo L. 3 it. Ì i DIALOGHI nelle due lingue ita- liana e tedesca per uso delle persone che viaggiano , tolti dalle opere di madama De GenLIS, e del professor FitipP1 antore delle due grammatiche italiana e tedesca , delle Lettere com- merciali ec Milano, 1831. Giovanni Silvestri , prezzo L. 2. 61 it. LE SERVITU?” prediali sanzionate dal codice Napoleone , ridotto in casi pratici, è con annotazioni desunie dalle leggi romane e da classici autori. Opera divisa in 5 libri già pubblicata dall’Avv. Lurcr Piccori di Brescia l’anno 1808, corredata di nuovi rami e di note addizionali per far conoscere le concordanze colle leggi romane , e con le vigenti toscane; da L. GueRrARDESCA architetto. Pisa, 1831. Ranieri Prosperi , 8.° Fascie. I.° con 27 tavole ; prezzo paoli 4. AUGUSTINI OLMI in regio San- tae Mariae Novae nosocomio clinici primarii collegi medici Florentini nec non Academiae Patavinae artium , li- terarum, scientiarumque socii Clinices observationes. Florentiae , 1824. Ex Granducale typografia , 8.° di p. x e 134 — 1827 p. Ive 184. — 1831. p- vi e 128. Q. HORATII FLACCI. De arte poetica , librum cum notis Joannis Ba- ptistae Viclicti Antonius Can. Gior- pano bibliothecarius regiae Bibliothe- ca Borbonicae nunc primum edidit. Editio secunda cum notis a Italica versione Petro Metastasii. IVeapoli, 1829. Ex regia typografia , 8.° ELOGIO storico del conte Grusep- pe AnceLo SaLruzzo di Menutiglio , scritto da Giuseppe Grassi. Torino , 1831. Giuseppe Marietti, 8.° VOCABOLARIO universale della 74 lingua italiana. Napoli , 1831. Dai torchi del Tramater , in 4.0 Vol. IT.° fascicolo 8.°% e g.° (GAPOA—COMPU- GNERE). DELLA Guerra di Fiandra , de- scritta dal Cardinal BentIvoeLIo. Li- vorno , 1831. Glauco Masi. Vol. V.° ( fa parte della Scelta Biblioteca di storici italiani). COMENTARII della Rivoluzion Francese , dalla morte di Luigi XVI, fino al ristabilimento de’ Borboni sul trono di Francia , scritti da Lazzaro Papi. Lucca , 1831. Tip. Giusti , 8.° Tomo VI. ed ultimo. STORIA contemporanea della Gre- cia , dal 1821 fino alla fondazione del nuovo stato. Prima versione italiana di S. S. Milano, 1831, presso PUf- ficio dell’Indicatore lombardo. Volu- metti II in 18." i IL GIORNO delle nozze. Scene di nn’ Anonimo italiano (1812). Mi- lano s 1831, per |’ editore dell’ Indi- catore lombardo , 8.° di p. 113. DEGLI Statuti novaresi, commen- tario dell’ Avvocato Giacomo Giova- NETTI, assessore aggiunto del tribu- nale di prefettura , e consigliere della città di Novara. Torino , 1830. Tip. Chirio e Mina, in 8.° di p. xvin e 122. LA STORIA Romana di Tiro Li- vio col supplemento del FreINsEMIO , tradotta dal cav. Luici Mazir. Tori- no , 1831. Tip. Fodratti , 8-° Volu- me I." di p. xx € 122. Pr. L. 1. 25 it. ALERAME ossia l’origine dei Ma- las pina. Leggenda in ottava rima, di Domenico Serarino Pucci. Massa , 1831. St. Frediani , p. 42. BIOGRAFIA UNIVERSALE an- tica e moderna , ossia storia per alfa- beto della vita. pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere , azioni , talenti, virtù e delit- ti. Opera affatto nuova ‘compilata in Francia da una società di dotti , ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte. e correzioni. Venezia , 1831. G. B. Missiaglia , 8.° Vol. 63.° (WA-WI). ALCUNE lettere descrittive di Giuserre BrancueTTI. Treviso, 1829. Francesco Andreola. ( Estratto dal Giornale sulle scienze e lettere delle provincie venete). DELLO SCRITTORE italiano , discorsi di Giuseppe BIANCHETTI. Tre. viso , :829. Tip. Andreola (Tratti del Giornale sulle scienze e lettere delle provincie Venete). DELLE Iscrizioni veneziane , rac- colte ed illustrete da EmanUEL Gico- GNA cittadino veneto. Venezia , 1830. G. Picotti, in 4.°. Fascicolo 9. primo del volume III.° prez. L. 3 10 it. EROTICHE di GrmoLamo Luci FarTORINI, precedute da un saggio sul romanticismo. Chiogga, 1831. G. Molinari p. 784. L. 3 20 astr. DI ALDO MANNUCCI F. di Paolo N. di Aldo, scritti due raris- simi., Venezia, 1831. G. Picotti, in 8.° p. 21. LETTERA del dottor Giovanni Lasus ad EmanUELE GCicocna intorno ad un’ iscrizione antica Scoperta Ve- nezia nel mese di agosto. Venezia, 1830. G. Picotti, p. 18 in 4.° con tavole, DELLA vita e del comporre di BeneDErTo MaRrcELLO patrizio veneto, sovrannominato Prin cipe della musica. Narrazione di Francesco Carri vene- ziano. Stampata a Venezia dal Picotti nel 1830 , in soli 50 esemplari. LE EROGAME di Admeto e di Alceste nelle pitture del Vaso plastico del pubblico gabinetto archeologico di Perugia, descritte dal prof. Gio. Bart. VermiGLIOLI , e pubblicate nelle fau- stissime nozze del sig. mar. Gherardo Bracceschi conla signora contessa Ama- lia Menegini. Perugia , 1831. F. Ba- duel, in 4.° p. 31 con tavole. OPERE di G. G. WincKkELMANN. Prima edizione italiana. Prato , 1830. Fr. Giachetti. Testo in 8.° carta de’ classici. Tomo II.‘ di p. 1056 e di- spensa 17 18 19 20 e 21 delle tavole in folio; prezzo di ogni dispensa L. 10, it. (Il Tomo II. va unito alla dispen- sa 12,% VECCHIO E NUOVO TESTA- MENTO secondo la Volgata, tradotto in lingua italiana e con annotazioni dichiarate di Monsignor Antonio Mar- TINI Arcivescovo di Firenze. Pruto , 1830. Fratelli Giachetti, in 8.0 To- mo XIX e XX. Dispensa 37 38 39 e 40 con tavole. Contengono N. 37 cinque profeti minori, con 5 tavole L. 7 12 it. N. 38 quattro profeti minori con 4 tavole L. 6 62 it. N. 39. Il Gauto dei Cantici, con 1 tavola L. 3 34. N. 4o. Indice generale del vecchio testamento L. 2 4o. SULLE orazioni sacre dell’ ab. Giuseppe Barbieri, Sonetti di AnpreA CirrapeLLa. Padova, 1831. T'ip. della Minerva 8. OPERE diverse di Francesco Gam- ginI astigiano. Italia, 1831, in 8.° volu e I.° Delle leggi frumentarie in Italia. — Osservazioni italiche sopra l’arringa di un avvocato inglese.— Os- servazione sopra alcune massime di le- gislazione penale. MUSEO della Reale Accademia di Mantova. Mantoca , 1831, presso gli editori Carlo d’Arco e Fratelli Ne- gretti , fascicolo VIII.® ANNALI universali di statistica , economia pubblica , storia, viaggi e Commenti. Milano , 1831 , presso la Società degli Annali Universali del- le scienze e dell’ industria. Volume XXVII fascicolo di Maggio e Giu- gno 1830. ANNALI universali di agricoltura, industria ed arti ed economia. Mila- no > 1831. Società degli Annali Unio. delle scienze e dell’ industria. Volu- me XII." fasc. di maggio giugno 1830. PROSPETTO Sinottico Gramma- ticale della Lingua Francese diviso in 16 tavole ad uso degli italiani, da Acosrino Le RanpDu professore di Lin- gua Francese e Inglese. Firenze (coi torchi del Passigli, Borghi e C.) a spese dell’ Autore 1831 in f,° p.” IL REGNO ANIMALE o Raccolta delle Migliori Opere Zoologiche ec. con tavole incise da Antonio LocateL- Lre miniate. Milano, 1831, presso Son- zogno e presso l’Incisore in f.° — Sono usciti il Fascicolo 2.° degli Uc- celli , e il Fascicolo 2.° dei Pesci. 175 ETRUSCO MUSEO CHIUSINO dai suoi possessori pubblicato con ag- giunta di alcuni ragionamenti del Prof. Domenico VaLeRrIANI} con brevi espo- sizioni del Cav. Francesco IncHIRAMI; ed infine con la interpetràzione di tut- te le iscrizioni etrasche contenute nel- l’opera del Prof. Gio. Barisra VER- MIGLIOLI. Aoviso Degli Editori. — Sarebbe inutile il fare l’ elogio d’ un’ Opera resa gia celebre sopra i tre sopraccen- nati rispettabili nomi, e peri repli- cati Elogj, che d’essa hanno fatti l Antologia nel Fascicolo del Gennaro, ed in quello del Decembre 1830; il Bullettino ciell’ Istituto di corrispon- denza archeologica nei N. II. b Feb- brajo 1830. e IV. Aprile 1830.; la Biblioteca di Milano, ed altri Gior- nali. Coerentemente pertanto ai nostri Manifesti del 20. Novembre 1829. e 30. Giugno 1830. ci ristringeremo a ripetere , che l’ Opera, di cui sono stati già pubblicati cinque Fascicoli, comprenderà una scelta de’ più inte- ressanti ed inediti monumenti trovati nelle adi:cenze dell’ Etrusca città di Chiusi ; avrà 220. rami di monumenti, e 25. fogli circa di testo, da potersi distribuire in due volumi in 4. gran- de, eseguita in carta velina papalo- na , offerta ai Sigg. acquirenti per as- sociazione con i seguenti patti e con- dizioni. Sarà distribuita in 18. Fascicoli , composti ognuno di essi di 12. tavole di monumenai , ed un foglio di testo, da distribuirsi dî bimestre in bimestre , al prezzo di sei frauchi per Fascicolo da pagarsi nell’ atto stesso del rice- vimento, Le spese di Poste, Dazj, Porto ec. sono a carico de’ Sigg. Committenti. Verrà dato in fine l’ elenco de’ no- mi e titoli de’ Sigg. Associati, ed in- tanto se ne pubblicherà uno ne’ pros- simi Fascicoli sopra le copertine dei medesimi. Le: Associazioni in Firenze, dove esiste un deposito generale dell’ Ope- ra presso il Sig. Angelo Luchermi , si ricevono allo stabilimente dove si distribuisce il Giornale di Commercio, e dai Signori Vieusseux, Molini, Piat- ti, e Jacopo Balarresi; in Siena dal Sig. Onorato Porri ; in Pisa dal Sig. Niccolò Gapurro; in Livorno dai Sigg. Bertani, Antonelli e compagni ; in Prato da’ Sigg. Fratelli Giachetti ; in Lucca dal Sig. Balatresi editore del 176 Giornale privilegiato Lucchese 3 in Roma dal Sig. Pietro Gapobianchi , e Filippo Lustrini; in Milano da’Sigg. Antonio e Fortunato Stella, e Gio- vanni Silvestri ; in Genova dal Sig. Francesco Bertanelli impiegato nelle Regie Poste ; e finalmente dai dispen- satori del presente manifesto. Chiusi 1. Luglio 1831. LIBRI ITALIANI STAMPATI Au.’ Estero. STORIA di un’allacciatura del. 1° arteria Iliaca esterna, eseguita con esito felice dal cav. dottor DomENICO BerroLozzi , letta nell’ adunanza dei filergiti dell’ Ateneo Forlivese il 27 dicembre 1830. Marsiglia, 1831. Tip. Milit. diretta da Giulio: Barile 8.° di p. 34 RISTRETTO della storia della let- teratura italiana di FrANcESco SALFI già professore in molte università d’Ita- lia. Lugano , 1831. Ruggia e C. Tomo IL. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare piedi 205. MAGGIO 1831. Co) Termom po mo > © Zunolog ql) | plat ©°| Ora SILE gi eee Stato del cielo 5 5 o o.) c9° È fa 1 3 s S & s o) 9f di] £9 |a | 7 mat. |27. 10,4 | 13,0] 12,3! 92 se Di Nuvolo Calma I|mezzog. |27. 10,2 | 13,3 16,5| 80 10 +! Nuvolo Calma Ii sera |27. 9,4 | 14,0] 19,0! So Lar Nuvolo Calma 7 mat. |27. 10,7 | 14,1{ 14,3| 92 Ostro |Sereno neb. Calma (2| mezzog. |27. 11,4 | 14,5| 17,7| 72 Po. Li,|Nebbioso Vento ri sera |28. 0,3 | 15,8| 15,0] 90 Libec. |Sereno nuv. ‘Calma 7 niat. |28. 0,9 | 15,5) 13,0] 95 |Os. Li. |\Nuvolo neb. Calma 3| mezzog. |28. 0,6 | 16,0] 17,9] 72 Tram. |Nuvolo neb. Calma 11 sera |28. 0,7 | 16,01 15,1] 95 | 0,01|P. Lib. | Piovoso Calma | 7 mat. {28. 0,6 | 15,8] 13,9] 94 | 0,08/Levan. |Piovoso Calma 4| mezzog. 28. 0,6 | 15,9] 17,0] 86 { 0,01[Po. Li. |Nuvolo Vento [rr sera [28. 0,1 | 15,6 143 3 94 0,92 Libec. |Nuvolo Calma È ” mat. |28. 0,5. 15,2 13,5 ol Ostro iNayolo rotto. Calma 5| mezzog. |{28. 0,4 | 15,4! 16,0 P. Lib. |Ser. con nuv. Vento 11 sera |28. 0,1 | 15,3] 150187 || Ostro |Nuvolo Ventic. 7 mat. :28. 0,0 | 15,0] 13,5 n 5168] |P. Lib. ?. Lib.]Sereno nuv. Vento 6° mezzog.|28. 0,7 | 11,8 14,0 5g P. Lib.|Ser. nuv. Vento gagliar. “| 1 sera (28. 2,0 | 14,6] 9;9| 89 Os. Sc. |Ser. con. nuv. Ventic. 7 mat. |28. 2,0 | 14;j0i 9,3) 9° Sciroc. : Sereno con neb. Ventic. 7| mezzog. |28. 2,0 | 14,0) 15,6] 58 P. Lib. {Nuvoloso Ventic. ri sera |28. 2,3 ! 14,3' ro,a|] 89 ! Ostro Sereno Ventic. | [e°) Lermon ui mu > o 3 SVEN | Laos S Ora 5 0 3 2 5 GE Stato del cielo A 3 3|/S|2 3| (6 3) LEE det È _————_- ---&&&&&&ÈP#F#È#È#È——" = x cl Tre fascicoli compongono un volume, ed ogni vollme è accompagnato da ‘uni LI indice generale delle materie. Le associazioni si prendono TEA IR In Firenze, dal Direttore Editore G. P. Vieusseuzi © i ZAN i in MILANO; per tutto il regno } dalla Spedizione delle Gazzette, ; Îà "Lombardo Veneto $ presso l’/. ‘e R. Direz. delle Poste... in TORINO i per tutti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, impiegato nellel o GENOVA oR. Poste di ‘Torino.. in MODENA presso Gem, Vi incenzi e C.9 libri in PARMA. i i presso il sig. Derviè direttore delle Poster] in ROMA, per tatto lo stato Pontificio, presso il sig. Pietro Capobianchi, impiegato! nell’amministraz. gen. delle Poste Pontif. in Wan) Po © presso il sig. Direttore delle Poste; in PesARo ; Liù dr i i presso Annesio Nobili! in NAPOLI; presso Di PA Strada S. Liborio N. 33. in PALERMO , per tutta la Sicilia presso il sig. Carlo Beufal in AUGUSTA i i presso la Direzione delle Gazzette.i in VIENNA, per tutto: l’ Impero Austriaco, dalla Spedizione delle Gazzette ;ì presso 1’ 7. e R. Direzione delle Poste. in GINEVRA _ presso J. J. Paschoud. i i in PARIGI |. presso J. Renoward Rue de Tournon N. 6 iv LONDRA presso C. F. Molini N. 41 Paternoster Row” ANTOLOGIA N. 426. DELLA COLLEZIONE. — TRS N° 6 ° e DEL SECONDO DECENNIO Giugno 1851. (RNA ____ Della colonia dei Genovesi in Galata, Libri VI di Lopov. SauLI. T. I. p. 374. T. II. p. 273. Torino. Cassano e C. 1831. iP dell’argomento , critica prudente nel raccogliere i fatti e avveduta. nel giudicarli, nell’ esporli chiarezza e ordine ed ingenuità, questi pregi che ben di rado s’ incontrano in uno storico uniti, a noi par di vederli nell’opera che con piacere an- nunziamo come onorevole ai Genovesi e all’ Italia. Se il parer nostro sia fondato sul vero, dalle cose che qui soggiungeremo il lettore potrà giudicarlo. I. Non è già nn frammento di storia municipale che il Signor Sauli sotto quel modesto titolo ci presenta ; è una serie di fat- ti, de’ quali gran parte ebbero influenza diretta sull'andamento dell’ universale civiltà e sui destini del mondo. E Genova e Pisa e Venezia ye la Savòja e la Sicilia e la Spagna, e Costantino poli e l’isole dell’ Egeo e parte ancora dell’Asia ; e Italiani e Catalani e Greci e Tartari ed Ottomanni ; e trattati di commer- cio e di guerra , e navali e terrestri battaglie , ed assedi ed as- salti ed omicidii e rapine, e democratiche follie e_tirannesche 2 viltà, e bontà di principi e virtù ancor più belle di popoli , ed atti di gentile eroismo e d’ avara perfidia, e cambi di merci e di matrimoni e di tradimenti, e glorie immortali e non dimen- ticabili vituperi la storia del Sig. Sauli comprende: e per bella necessità impostale dall’ ordine de’ fatti ci trasporta agevolmente in tanta varietà di regioni e di costumi e di rimembranze e d’ affetti. Nel più ragguardevole tra i sohborghi di Costantinopoli, e: sulle sponde del Bosforo Tracio si vedono tuttora splendide reliquie degli edifizi ivi fondati dai Genovesi. Contemplandole da vicino io non po- teva trattenermi dal maravigliare , come la fama dei consigli, e del- l’ infinito valore impiegato per ottenere radicata signorìa in quelle parti, fosse giunta sì scarsa e così tronca fino a noi. Tra le gloriose memorie degli abitatori dell’ antica repubblica di Genova, sovr’ogn’ altra risplendono di più chiara luce le loro geste in Oriente. Sono in ispecial modo , sì dai propri storici, che dagli stranieri lodate quelle che riflettono ai conquisti nella Siria, e di al- cune isole dell’Arcipelago. Ma poche sono le notizie , e le testimo- nianze che ci rimangono , intorno ai modi tenuti da quella repubbli- ca, per aver commercio e pratica , e per farsi potente in Costanti- nopoli. Vero è bene che nell’opere fatte in arme nella Palestina i Geno- vesi ebbero altri popoli a compagni e ad ammiratori , e ch’ esse furo- no di quella natura che maggiormente alletta gli scrittori a divolgarle e a descriverle minutamente. Laddove i maneggi e le diligenze usate in Costantinopoli per essere di qualità segreta, e principalmente ri- volte a procacciar vantaggio e favore al proprio commercio , danno ed esclusione a quello dei concorrenti , volevano essere coperte di qual- che velo. Nè quindi favvi chi si accingesse a celebrarle partitamente. Invaghito della novità dell'argomento pigliai a raccogliere insie- me quel poco ch'è sparso negli storici, e nei documenti contempora- nei sull’ origine delle leghe che i Genovesi conchiusero coll’ Impero Greco , e intorno alla fondazione ed agli incrementi della colonia di Galata. E quantunque colle nozioni procacciate io non presuma d'’ il. lustrar pienamente questa parte della Ligure istoria, negletta persin da coloro che per istituto parevano invitati a 'trattarla di proposito , pure non giudicai essere fuor di stagione pubblicare ‘il frutto, qua- lunque si fosse de’ miei studi, dopo che, sottò favorevoli auspici, Ellesponto e 1° Eusino sono di bel nuovo frequentati da quel popo lo stesso, che in altre età vi si rendeva e celebre , e dovizioso (1). ‘Egli è uno spettacolo che ad anime italiane non può non ispirare affetti vivissimi questo delle italiane nazioni che; rige- (1) T.I p. 1-2. 3 nerate a libertà, trovano angusti alla propria energia i con- tini posti da” mari e da’ monti, ed occupano delle. arti loro e de’ loro commerci , della lor prodezza e della loro potenza tanta parte di mondo. 1 Veneziani , dice il dottisimo Carli, i Pisani, yi Genovesi, gli Amalfitani ed i Fiorentini erano padroni del ,; commercio di tutto il mondo cognito, e rendevano all’ Italia ,s tributaria tutta 1’ Europa. ,; (2) Nè l’ Europa soltanto ma molte e molte regioni dell'Asia, e il Malabar e il Coromandel. e il Pegù ; e forse per lo stretto di Malacca (sospetta quel va- lent’ uomo ) passavano all’isole Filippine. Poi, quando le sorti d’ Italia cominciano a volgere del tutto infauste , quando lo straniero comincia non chiamato e non provocato a passeggiare le terre di lei e a seminarle d’odii e di diffidenze insanabili e di vili delitti; sorge allora, quasi a compenso delle umiliazioni presenti e avvenire, sorge un italiano il cui pensiero è crea- tore d’ un mondo ; e questo mondo novello egli lo dona all’ iu- grato straniero.; e dopo aver supplicato per donarlo, ne riceve in cambio (non insolita ricompensa alle italiane virtù) una catena. Noi siamo trascorsi d'un salto dalla prima all’ ultima pa- gina di questa storia, perchè negli estremi del bene e del male piace al pensiero veder compendiate quasi tutte le vicende inter- medie, e sì prova un misto sublime d’ esaltazione e di abbatti- mento nel contemplare quasi d’un solo sguardo Cesare nelle Gallie, Enrico Dandolo in Costantinopoli, Cristoforo Colombo in America , e Napoleone Buonaparte in Egitto. Ma ripigliando la nostra via, noteremo che alla navigazio- ne e al commercio sono come causa o come effetto associate non poche, delle più memorabili rivoluzioni che, la storia, presenta. La civiltà della Grecia e dell’Italia (se non qual era.in\origine , almeno quale influì sui destini della civiltà universale) è frut- to in gran parte :d’orientali' colonie: una, colonia commercia- le è Cartagine ;-quella Cartagine che ‘con’ la’ propria sconfitta dovette porre in necessità la romana grandezza di lanciarsi sul mare, e comprerdere nel suo giro inimenso conquiste certo non ambite dapprima; e nemmeno pensate: tutto debbono''alla na- vigazione e al commercio le moderne repubbliche: quasi tutto gli deve e la Spagna e 1° Olanda e la Svezia e 1’ Inghilterra e l’A- merica : e'isenza 1’ azione benefica del ‘commercio, ‘morte sareb- bero ad ogni perfezionamento tante parti di umanità nelle quali x è sì debole ed affannosa la respirazione della vita civile (3). (2) Delle zecche d’It. (3) Se invece di distinguere il commercio in quel d’importazione e d’espor- 4 A proposito di Genova questa verità è degnamente conferma- ta dalle parole dell’ ottimo nostro autore. Ma la gloria di quegli esempi di valore , d’ industria e di fede non è per avventura la sola , di cui il comune di Genova debba aver ob- bligo al suo commercio. Là dove questo è in fiore , più stringente che in qualsivoglia altro luogo sì fa sentire il bisogno d’aver magistrati che lo guidino, e prescrivano modo e misura ‘all’operare , più frequen- te si mostra la necessità di «disputare e di definire con, prestezza. le quistioni sulle ragioni e sugli averi. Laonde il commercio può benis- simo essere stato il motivo, per cui Genova, prima ch’ogni altro co- mune d’Italia , pensasse a fare. un corpo di leggi, e che col volgere degli anni attendesse con sollecita cura a riformare e migliorare i suoi statuti, commettendo eziandio |’ impegno di corregerlìi e d° ordinarli ad alcunì pubblici professori chiamati dallo studio di Bologna , e dalle scuole d’Arezzo all’ alta carica di podestà. Anzi è da osservarsi.che , dopo 1’ acquisto di Galata , i giovani di Genova si conducevano in maggior numero che per lo innanzi all’ università di Bologna : ed ‘è facile supporre che si ponessero colà allo studio della giurisprudenza, non solamente per fornirsi della sottigliezza è della dottrina necessa: ria a potersi governar con miaor pericolo nei negoziati che antivede- vano dover quindi ‘essere più frequenti coi Greci, ma eziandio per farsi capaci a disimpeguare l’ oftizio dei magistrati fuori della città, che , dopo un tale acquisto; avevano a diventare di maggiore impor- tanza (4). E siccome il commercio, giovava allo sviluppo delle forze in= tellettuali e civili, così le sviluppate forze civili giovavano a vicenda il commercio. In Venezia il reggimento aveva forma più stabile, ma l’autorità pubblica èra ristretta a piccola quantità di persone. All’incontro in Genova il''governo piegava sempre all’ ordinè ‘popolare ; il vivere era più tempestoso; ma siccome in mezzo alle civili discordie gli animi sì fanno più gagliardi e più feroci, ed allorquando ‘tutti possono nudrir la speranza di salire ai sublimi onori, la virtù di, ciascheduno s’ affi- na, così il paese era meglio fornito di animosi e sperti marinai, € più abbondevole di arrischiati capitani di guerra (5). Da un foglio del 1201 contenente le commissioni date. dai tazione , si fosse distinto in commercio fatto col mezzo e) per conto di ;navi.e d’ individui della nazione , e in commercio fatto co’ mezzi e per conto degli esteri , la questione sulla bilancia commerciale si sarebbe, parmi, semplificata di molto. (4) T. II p. 8-10. (5) T.I p. 328-329. 5) consoli di Genova al loro ambasciatore a Costantiuopoli (6) si rileva a quale potenza marittima fosse pervenuta la repubblica fin d’allora (7). E innanzi ancora il Signor Sauli congettura , e a ragione , »» che nella sostanza le discipline che guidavano gli ordini dei così ,» detti depositi o porti franchi fossero già noti a quegli anti- sa chi, (8). Certo è che poco dopo la metà del secolo decimoterzo era già nella Tauride fondata la celebre colonia di Caffa , della quale gioverà sentire la narrazione dello storico nostro. La quale crebbe poscia in potenza con siffatta prestezza, che avanti il fine del secolo deci moterzo il console Paolino Doria , il qua- le la governava, fu in grado di mandar soccorsi al signor di Tripoli, minacciato dai Saraceni,e nei primi anni del secolo susseguente , poco poi che cessato avevano le guerre da noi descritte dei Catalani, il papa Giovanni XXII le diede titolo di città , l’ eresse in vescovado, e la predicò fiorita di popolo e di ricchezze. Assegnar si dee per avventu- ra a quel tempo istesso la fondazione delle colonie di Cerco e di Ta- mano, poste sulla diritta e sulla sinistra sponda del Bosforo Cimme- rio, per le quali i Genovesi si erano renduti , per dir così, padroni della navigazione delle paludi Meotide e della Tana. ‘Le colonie di Soldaia e di Cembalò vennero molto dopo in loro podestà; tuttavia, anche prima d’essere possessori del territorio dov'erano collocate , essi vi trafticavano molto frequenti. Governandosi con temperanza e con saviezza; acquistarono nome di uomini giustissimi, per maniera che i Tartari, viventi nel contado della Taurica, commettevano ad essi la definizione dei propri litigi. Goll’andare del tempo quel costu- me diventò così universale e costante , che in Caffa fu eretto , con autorità pubblica, una; maniera di tribunale, deputato espressamente a render ragione ai Tartari. Ed in tal guisa questi avevano il. domi- nio eminente della terra , e s’ assoggettavano nel tempo stesso alla giurisdizione degli ospiti loro. Tanto è vero , che la fama di giustizia, e la fiducia ch’indi ne deriva, giova moltissimo a rendere i popoli manosi, e a darti il mezzo di governarli a tuo senno. Per tali vie fu facile ai Genovesi il recarsi in mano la maggior parte dei commerci della Taurica.' Ben si''può dire che' fossero ‘quasi soli ad acquistar le biade ed il sale, di cui quella contrada è abbon- devolissima; non che a trasportar poscia simili grasce coi loro legni mei paesi che ne difettavano. Non, avevano quasi alcun competitore nella compra degli armellini e delle altre!pellicce , di cui i Russi ivi (6) Documento VI. T. II p. 195. (7) T.I p. 26-27. (8) T. I p. 24. 6 venivano cercando lo spaccio o i baratti col vino, coll’olio, e coi pannì di lana, che i Genovesi portavano, e colle tele di seta e di cotone che comperavano dai Turchi. Grandi erano i profitti di siffatti traffichi, ma era assai maggiore il guadagno fatto sul trasporto in Eu- ropa delle preziose morcatanzie dell’Asia , vegnenti nella Taurica , co- me già da noi sì è detto , per la via del mar Caspio, del Volga, e del Tanai. I commerci dei Genovesi, nella parte meridionale del mar nero, erano parimente assai profittevoli, e ricercavano l’impiego d’un gran- dissimo numero di navigli. Avevano ricchissimi emporì in Sinope e in Trebisonda. Di là s’ aprivano facil adito alle province interne dell’Asia, dove godevano ugualmente molti favori. Abbiam toccato di sopra come fossero congiunti per trattato coi re d’Armenia. I re della Giorgia gli ammettevano nei loro stati. Presso i cani dei Tartari signori della Persia erano venuti in tanta grazia , che non solamente era loro fat- to copia di partecipare alle franchigie, di cui quei principi largheggia- vano verso tutti i cristiani, ma non di rado venivano adoperati come abili negoziatori nei più rilevanti servigi. Biscarello da Gisulfo, cit- tadino Genovese , fu per ben due volte spedito ambasciatore in Eu- ropa : la prima dal cane Argon a papa Niccolò IV, e ad Eduardo I re d’ Inghilterra, e poscia da Cazano re di Persia ai principi ed alle repubbliche d° Occidente (9). Convien dire che nelle commerciali e politiche negoziazioni la Genovese repubblica, e la Veneta ancora si diportassero d’or- dinario con lodevole e destrezza e prudenza ed equità, se nel corso di quasi cinque secoli ebbero ( specialmente la. Genovese ) a rinnovare sì onorevoli e sì proficue convenzioni con 1’ impero così detto romano. Di che citerò per esempio fra tanti il trat- tato conchiuso nel 1352 con l’Imperatore Cantacuzeno, e pubblicato dal nostro ch. autere (10). Il qual trattato chi vo- lesse confrontarlo con altro conchiuso nel 1488 fra /° illustrissimo Signore Soldano e la eccellentissima repubblica di Firenze ; (11) troverebbe che la molto maggior precisione di quest’ ultimo nello specificare i casi dubbi e nel fermare minutamente ogni patto con le sue eccezioni, è prova non solo di maggiore esperienza presa nelle cose del commercio , ma ancora di maggior diffidenza. Chè per quanto d’amore si porti a certi popoli e a cert’ epoche di civiltà più matura, convien poi sempre confessare che la lealtà e la fran chezza son doti troppo distinte dalla esperimentata prudenza e (9) T. I p. 219-222. (10) Docum. XI. T. II p. 216. (11) Riccardiana Cod. 767. È Y dal raffinamento dell’ intellettuale coltura. Io non oserei decidere invero se fosse un’ irragionevole predilezione quella di Martino re d’Aragona che nel 1401 esclude dal commercio de’ suoi por- ti i Lombardi, i Fiorentini, i Lucchesi, e lascia libero Vac- cesso ai .Genovesi, ai Veneti ed ai Pisani (12) Ma a portar qualche luce in sì complicato argomento non bastano nè conget- ture nè documenti staccati: converrebbe considerare nel suo tutto la storia del commercio europeo ; arduo lavoro, che non so se la recente opera del Sig. D'epping lasci ancora intentato. Come separare, a cagion d’ esempio ; le offese dai Pisani fatte ai fon- dachi genovesi in Costantinopoli e il trattato di Manuele col comune di Genova stretto nel 1175, dall’altro dello stesso Ema- nuele che nel 1175 richiama i Pisavi, prima da Costantinopoli espulsi, a patto di rendere loro il mal tolto, e di pagare 500 bi- santi all’ anno pei corso d’ anni quindici al comune di Pisa ? (13) Questa notizia ci fa sospettare o che i torti de’ Pisani non fossero sì grandi, o che imperiose circostanze stringessero Manuele a condi- zioni sì forti: ci mette insomma sulla via d’altre molte e indagini e congetture, e ci dimostra che storia compiuta del commercio d’un popolo solo, d’ una sola colonia, non si può possedere senz’abbrac- ciare la storia generale del commercio al tempo del qual si prende a trattare. Ma questo circolo vizioso non si rompe, come ognun vede, se non col cominciare , ad imitazione del Signor Sauli, dai fatti particolari, che mano mano conducono alle ge- neralità più amene o più ardue, più semplici o più complicate. Tra i fatti che più chiaramente attestano la grandezza ge- novese e la decadenza dell’ impero, son da uotare e le non poche famiglie liguri imparentate, coi Paleologi, e quella estrema speranza che il vinto e il vincitore il qual presente la propria rovina ripongono troppo spesso nelle coniugali alleanze. Notabile sopra tutto è il gran dramma dei Catalani in Oriente , che op- portunamentexinnestato dal sig. Sauli alla storia della colonia di Galata, le accresce importanza (14): dramma che, trattato non nelle angustie prosaiche dello spazio e del tempo, ma alla larga maniera d’ Eschilo e di Shakspeare , dipingerebbe in modo im- pareggiabile i due genii dell’ Oriente e dell’ Occidente che nel- l'atto stesso di tendersi la mano amica, si sfidano a morte. Questa parte segnatamente del lavoro che noi percorriamo merita (12) Capmany. (13) Masi. (14) V. sull’ opera del Moncada un art. nel Globe; T. VI, pag. 356. o Ò d’ esser letta ; dove tra le relazioni diverse del Moncada e degli storici greci l’egregio A. sa cogliere il più probabile. con impar- zialità sapiente (15). E non è già che nei fatti della colonia di Galata entrino cacciati a forza tanti altri avvenimenti memorabili , appartenenti alla storia universale dell’ Europa e dell’ Asia. Tutto in questa narrazione è legato con arte; sicchè, quando voi cominciate a dolervi che l’autore prenda le cose da troppo lontano , ed esca dal circoscritto suo tema per amore di digressioni importanti , ed eccolo ritornare inaspettato al proposito suo, sì che le cose premesse voi dovete confessarle necessarie quasi tutte alla piena intelligenza di ciò che sta per seguire. Di tale avvedimento dell’ autore io recherò un solo esempio; ed è la descrizione dell’ ulti- ma sorte infelicissima di quel deplorabile impero. Era ginnto poc’ anzi a Costantinopoli Giovanni Giustiniani Longo, che dne anni prima aveva retto l’uffizio di podestà in Caffa. Veniva da Genova con due navi, e con eletto drappello di giovani arditi. L’ Imperatore 1° accolse con infinite dimostrazioni d’ affetto, lo costi- tuì principe dell’ isola di Lenno , e con lui divise il comando. Non è a dire con quanta sollecitudine tutti due vegliassero insieme per di- minuire e per riparare i danni che facevano gli avversari. Le arti- glierte Turchesche fulminavano con furia non interrotta, se non che governate da uomini male esperti mettevano piuttosto ispavento collo scoppio, che non danneggiassero coi tiri. Maometto non la perdonava a spesa, a sagrificio di qualsivoglia maniera; costruiva torri di legno d’altezza iguale ai muri, riempiva i fossi di salciccioni, e persino de cor- pi ancor vivi di que’ suoi soldati ch’ei teneva meno atti a far buona prova in giornata giusta. I giorni erano tutti occupati nel battagliare, e durante la notte gli assediati scavavano di bel nuovo i fossi , rifa- cevano i muri dove erano rovinati dal percuotere delle artiglierie , li restauravano dov’ erano fessi. Gli assediatori non intralasciavano 1’ uso delle mine , e progredivano assai in queste loro ‘opere sotterranee ; ma furono respinti e costretti ad abbandonare le mine; segnatamente mercè delle cure e della perizia, d’ un ingegnere tedesco, che in pro dei Greci si adoperava. Lo zelo e l’instancabile faticare dell’ imperatore , di Giustiniani , dei pochi Greci e degl’Italiani, che militavano sotto gli ordini loro , giovavano a respingere l’ assalto delle armi nemiche, e destavano ma- raviglia nell'animo stesso di Maometto, il quale esclamava che , se trentamila profeti gliel avessero detto, non avrebbe mai creduto d’ in- contrare resistenza sì franca; ma non erano di verun utile per far cessa- re la carestia, e per riparare al difetto delle vettovaglie. Per questo ri- (15) Si vegga segnatamente il passo da p. 140 a 144: e da 352 a 355. 9 spetto le condizioni di Costantinopoli erano lagrimevoli sopra ogni fede; e tra poco gli abitanti si sarebbero senza fallo condotti alla di- sperazione , se non fosse giunto opportunamente il soccorso. Venne questo, quasi un prodigio del cielo, ancora per un istante benigno. Quattro navi Genovesi ed una nave Greca s’erano , nelle isole del- 1’ Arcipelago , caricate dl fromento per Costantinopoli. Il vento di set- tentrione le aveva per lungo spazio di tempo trattenute in Scio. Sof- fiando quindi un austro propizio giunsero in vista di Costantinopoli. Gli abitanti, scorgendo quasi impossibile a superarsi gli ostacoli posti nel #6 in intervallo di acqua che li divideva tuttavia dalle navi, erano pieni di paura di non potersi giovare di quell’ aiuto. E difatto sul principio dell’ assedio i Greci avevano chiuso la bocca del porto con lunga catena di ferro stesa dalla sponda della città sino all’opposta riva di Galata. Nella parte interiore il porto era poi anche difeso da tre navi Liguri, da una nave Spagnuola , e da tre navi dell’isola di Candia, oltre alcune galeazze mercantili di Venezia. Nella parte este- riore stavano le duecento navi Turche , colle quali faceva di mestiero venire alle mani, e per lo meno sbaragliarle per entrare nel porto. A Maometto , che s’era già invano affaticato per far rompere la catena, l’ arrivo di quelle cinque navi pareva occasione opportuna; e per es- sere in grado di prevalersi del momento favorevole ordinò alle sue navi che , levate le ancore, si attelassero in ordine di battaglia , ap- piccassero tosto la zuffa coi sopravvegnenti legni Genovesi; e siccome egli era probabile che per dar loro un mezzo di scampo quei di dentro sciorrebbero per poco la catena, così gl’inseguissero da vicino , ed entrassero seco loro nel porto. Il naviglio Turchesco obbediva pron- tamente. Nè al vedersi contro uno stuolo di navi quaranta volte più numeroso di loro, i capitani delle navi cristiane diedero segno di ti- more alcuno, od ebbero il pensiero di salvarsi colla fuga o di arren- dersi : ma accettata la sfida, e governando con destrezza uguale al valore , non solamente non rimasero superati, ma trionfando di quel- l’ infinita schiera di navi nemiche , le dispersero, uccidendo meglio di dodicimila uomini. Nel qual conflitto , come in tanti altri, si fece manifesto che combattendo coi Turchi, la ferma volontà di non esser vinto ti dà quasi sempre sicura vittoria sovr’essi. Ufiziali , soldati, ma- rinai, tutti fecero a maraviglia il loro dovere ; ma sopr’ogn’ altro si fece chiara la prodezza di Maurizio Cattaneo, di Domenico da Novara, e di Battista da Felizzano detto il Ballanera. Dal punto che s’era dato principio al menar delle mani Maometto aveva lasciato per poco le schiere che assaltavano la città dalla parte di terra , e s’ era condotto sulla sponda del Bosforo. Ivi divincolan- dosi da forsennato , eccitava i suoi coi gesti e colla voce a far buona prova , e come se credesse di poter volgere colla persona in favor suo la fortuna, si lanciò col destriero nel mare. Ma. visto infine. andar perduto ogni suo eccitamento , e sbaragliato il naviglio, strappavasi T. Il Giugno. 2 IO per rabbia la barba, e cieco di furore comandò gli fosse trascinato in- nanzi l’ ammiraglio , e fattolo distendere boccone a’ suoi piedi , lo percosse con una verga d’oro sin tanto che il suo braccio fu stanco ; e da chi ne conosceva la fierezza fu stimato pietà che , dopo la rice- vuta sconfitta , lo lasciasse pur semivivo (16). ....... Allora i sacerdoti Turchi si diedero a discorrere per le file del- 1’ esercito, e a confortare i soldati a gareggiare in valore e in pron- tezza d’ animo e di corpo, allettandoli colla certezza di ricca preda d’oro, di gemme, di bellissime schiave per quelli che sopravviyrebbe- ro, e colla prospettiva dell’ ineffabile dolcezza che avrebbero nell’ al- tra vita coloro cui toccherebbe in sorte di cadere combattendo contro agl’ infedeli. Quindi era nel campo un andare, un venire, un urtarsi d’ uomini e di carri, un forbir d’armi, un apparecchiare di macchi- ne murali, che l’aere ne era a molta distanza intronato. La notte s’ accendevano in ogni banda e lumi e fuochi in tanta copia, che gli opposti colli di Galata e di Scutari apparivano come se fosse stato dì chiaro ; e sembrava che tutto il campo fosse in incendio. Al susurro, al chiarore succedeva poi un cupo silenzio interrotto soltanto tratto tratto dalle grida , colle quali le immense schiere dei Turchi implo- ravano nella sonante loro favella l'assistenza di Dio; poichè Maomet- to aveva voluto che con digiuni e con religiosa pompa i soldati si preparassero a quel giorno solenne. La stessa cosa a un dipresso facevasi in Costantinopoli. Ma ben diversa. era la disposizione degli animi, diverso il tenore delle pre- ghiere. Sicuro della vittoria, Maometto pregava quasi volesse far com- plice Iddio della più iniqua oppressione usata ad un nemico che in nulla l'aveva offeso. Costantino implorava come un insigne favore del cielo , che in quell’ ultimo istante non gli lasciasse venir meno l’ usa- ta virtù, e gli fosse almen dato di perire in modo non indegno della maestà Imperatoria. I voti dell’uno e dell’ altro principe dovevano essere compiti tra poco. Condottisi in mezzo al piccolo drappello di Greci, di Veneziani , e di Genovesi che gli erano rimasti fedeli, e che secolui si affaticavano a difesa della città, Costantino li confor- tò a rimaner saldi; e voltosi segnatamente ai Genovesi disse loro : Onoratissimi fratelli, guerrieri di gran cuore e d’animo invitto, que- st’ infelice città non fu di me solo, ma fu patria vostra eziandio ; giacchè in più d’ un incontro le recaste soccorso , e la salvaste dal diventar preda dei forestieri : ora è tempo opportuno di mostrarvi in favore di essa, magnanimi, forti ed amici della fede di Cristo. Quindi deposti nelle mani degli ascoltatori la corona e lo scettro, dichiarò di non volerli riprendere se non se quando per le opere sue ei ne sarebbe stato da loro riconosciuto meritevole. Mondatosi poscia dalle macchie del peccato , e santificatosi col pane ‘eucaristico’, dispo- se i suoi alla difesa delle mura. Quasi tutte le porte e i punti più (16) T. II p. 153 a 157. JI pericolosi erano confidati ‘alla guardia di capitani Latini, tra i quali sei erano Genovesi , di cui la storia ha conservato il nome : cioè Mau- rizio Cattaneo , Giovanni del Carretto, Paolo Bocchiardi, Giovanni de Fornari, Francesco de’ Salvatichi, Leonardo de Langasco, e Lodisio Gattilusio. Fece ognuno le parti sue con esimia virtù; e 1’ alto lor valore fu tale, che, vedendo grandissimo pericolo soprastare a’ suoi sen- za che facessero frutto alcuno , Maometto stava già per far suonare a raccolta, e comandare la ritirata. Costantinopoli sarebbe stata salva chi sa per quanti anni ancora! Ma in mezzo a quei terribili scontri il Giustiniani fu colpito nel pugno destro da una palla di piombo scagliata dal campo Turchesco. Il dolore vuol essere stato troppo vivo, poichè lo costrinse a ritirarsi nella pugna, quantunque Costantino, colle lagrime in sugli occhi , e chiamandolo col nome di fratello, lo scongiurasse a non isfiduciare così tutto l’esercito. Ma egli, risposto che stesse fermo , e che appena medicato della ferita tornerebbe. alla zuffa , parti, e si condusse in Galata , dove , oppresso dal dolore che un solo istante di debolezza gli avesse tolto il premio e la lode della passata virtù , finì miseramente di vivere. Subito dopo la partenza del Giustiniani i soldati italiani comin- ciarono a vacillare. Le navi Genovesi, ch’erano in porto, impedivano bensì tuttavia che le Turche non si accostassero alle mura; ma gli ot- tomani, accortisi dove il sito era rimasto più debole , a quello rivol- sero i loro sforzi maggiori , per modo che fattisi padroni!di una torre e di una porta, a guisa di straripato torrente invasero la città. Non volle Costantino sopravvivere alla caduta dell’ Impero. Por- tandosi da leone vegliava alla difesa della porta di San Romano. Ivi cessò di combattere e di vivere nello stesso momento. Il fine di lui è degno di onore e di lode eterna. Per lo innanzi aveva avuto pochi esempi , ebbe in appresso pochi imitatori. E s’ egli è vero , come vo- gliono i savi, che non si debba disperare dell’ esito di quelle cause , per cui cadde qualche vittima illustre , l’ onorata morte di Costantino può essere pegno di risorgimento pei Greci ; purchè , abbracciando la virtù in luogo dei vizi, che per lungo giro d’ anni furono necessario corredo della servitù, sappiano ora colla saviezza e colla costanza con- validare 1’ opera dell’ imperterrito loro coraggio (17). Quando si pensa a ciò ch’ avrebbe potuto per la civiltà un forte impero e giusto , fondato in tal centro qual è Costantinopo- li, non si può non ripetere il detto d’Enea Silvio che predicando troppo tardi ai principi della Germania una novella crociata, affer- mava non essersi mai in verun tempo fatta perdita più grave di questa (18). Ma il dirlo a’principi tedeschi era un predicare a gen- (17) Iv. p. 165 a 170. (18) Il discorso è nel cod. 346 della Riccard., e nelle lett. di En. Silvio. N. 831. 12 te ben dura, agli antenati di coloro che troppe volte nel corso de’ secoli dovevano cooperare ai disegni del vincitor di Bisanzio. E già la stagione delle crociate era passata del tutto ; e non era più il tempo che un Federico Barbarossa dopo essersi bruttate le mani nel sangue italiano, in espiazione de’suoi vani ed ignominiosi delitti andava in Oriente a morire per quel Cristo i cui dettami in Occidente egli avea conculcati. Ben più lontani e più efficaci rimedi erano necessari a salvare dalla barbarie ottomanna tanta parte è sì bella di mondo: e questi rimedii l'italiano valore li avrebbe potuti apprestare se nelle negoziazioni avvedute e nelle colonie poterti e nelle onorate alleanze e’si fosse proposto un fine più nobile del municipale interesse e delle commerciali franchigie. Ma cotesto era sforzo impossibile a°tempi., e non dato all’umana natura , che procede per gradi, e a passo lentissimo si strascina nel sentiero del meglio , addolorata ed ansante. Scosso alla fine per lungo divincolarsi il ferreo giogo de’bar- bari, all’uomo non parve vero di sentire la propria individualità e di goderne con giovanile intemperanza ed ebbrezza. Quindi, non che conosciuta la necessità delle grandi associazioni, non che sen- tito quel vero sì semplice e sì difficile a praticarsi, che nell’ inte- resse de’più risiede il solo vero interesse de’ pochi e dell’uno ; ma fino i vincoli di municipio, fin quelli di famiglia spezzati con bal- danzosa licenza, eppur non priva di eroismo e di poesia: quindi le sanguinose guerre civili, e le fazioni ripullulanti, e gli odii dome- stici, e le nobilitate vendette , e tutti gli errori e le sventure dell’ individuo pieno ed ebbro di sè. In tale stato non è mari- viglia se ad ogni tratto veniva ad avverarsi il lamento dell’Ali- ghieri : a e ade Lr aLtYoosì rode Di quei che un muro ed una fossa serra (19); se il sangue versato sui lidi d’Italia s’ alzava quasi vapore di guerra a piover vendetta nelle lontane spiagge d’Orieute; se la re- ligiosa gesta della prima crociata incominciava da un atto di tiran- nide iniqua , l’espugnazione di Zara; se le intervenzioni del po- tere italiano ne’ regni stranieri. non erano d° ordinario da altro dettate che da miseri fini di municipale gelosia, di commerciale in- teresse, quasi per giustificare in parte le intervenzioni deplorabili che pe’secoli avvenire dovea nei destini d’Italia più volte rinnovar lo straniero ; se infine i cittadini d’una stessa repubblica, di- (19) Purg. VI. 13 stinti col nome di Guelfi, per far danno al contrario partito , congiuravano con lo straniero a rovina della nazionale colonia. Questo fatto deplorabile ci conferma due verità degne d’ esse- re meditate: l’una che il commercio, sebbene nutrito e nutritore . di libertà, pur col volgere del tempo necessariamente conduce le disuguaglianze delle condiziuni sociali, e prepara un’aristocrazia rovinosa e nemica al popolo, se non sia con ordini sapienti con- trappesata : l’ altrà che il partito della libertà popolare , quello che in Italia avea nome di guelfo, era di sua natura generator di discordie e dissolutore d’ ogni associazione politica , perchè tutte tendente allo sviluppo illimitato delle forze e de’caratteri indi- viduali. Da ciò non segue che ;l Ghibellinismo superbo , invo- catore instancabile della intervenzione straniera , fosse più nobile ne’ suoi fini: ma forse non errerebbe chi lo giudicasse meno no- cevole negli effetti. A costituirsi in libero statu il guelfismo fu necessario in sul primo; e forse senz’ esso e senza i pontetìci le italiane repubbliche non sarebbero : ma stabilita una volta la libertà , ogn influenza ecclesiastica nelle cose civili diventava un, abuso , una corruzione e della religiosa e della politica in- dipendenza. Questa è verità dimostrata dal fatto: i mali all'in- contro che dal ghibellinismo sarebbero potuti discendere (io parlo di quel ghibellinismo che alcuni saggi concepivano nel XIV se- colo, e di cui fu modello e vittima 1’ Enrico lodato da Dante, non di quello che alcuni incauti possono sognare nel secolo XIX), non si potrebbe calcolarli se nou per via di probabili congetture. Della forza individuale che ne’suoi movimenti assorbe la forza intera dello stato e ne tiene le veci, cadde più volte al n. A. di toccar nel suo libro: e laddove rammenta le spedizioni navali e guerresche fatte in nome ed a titolo de’ privati (20); e laddove narra i soccorsi offerti da’ privati alla repubblica, tali che dimostravano in uua o in poche famiglie ristretta la virtù di perdere o di salvare la patria (21); e laddove espone le cose av- venute in seguito dell’occupazione di Scio fatta da un cittadino genovese (22); e laddove rammenta il costume della repubblica di pigliar ne’ bisogni danaro ad imprestito da’ privati , cedendo loro parte delle ragioni o giurisdizioni del comune per via d’un contratto ch’aveva il nome di compera (23). Una repubblica (20) T. I p. 246. (21) P. 284. (22) P. 315. (23) T. II p. 28. 14 in tal modo costituita era, come ognun vede, mna macchina spinta da privati interessi ed affetti. senza alcun durevole im- pulso, senz’ alcun fermo scopo. Quindi nella storia del n. A. sì frequente lo spettacolo di quelle ingiuste prevocazioni, di quelle soperchianti vendette, che segnatamente tra veneti e ge- novesi riaccendevano ad ogni tratto l’invidie e l’ire: e tanto più facilmente, come il sig. Sauli afferma, inquantochè < la 3» pace fra due nazioni marittime è assai più tenera e fragile »» che non fra i popoli di terra: chè in questi la voce del con- 3» dottiero che obbedisce agli ordini dei reggitori dello stato, frena l’impeto dei soldati anche quando sono più pronti a trascorrere, laddove i capitani e patroni di nave, soliti a usare assoluto impero sopra le ciurme, credendo di dipendere sola- mente dal cielo e dalla propria industria, non si rimangono dall’assalire un altro navigatore se lo incontrano scompagnato e se sperano che l’assalto possa rimanere occulto per sem- ;» pre 3° Quindi un genovese impiccato da’ Veneziani a Cor- fu (24); quindi saccheggiati da’ veneti i magazzini de’ genovesi in Tolemaide (25); quindi la imprudente provocazione e la ver- gognosa sconfitta de’ veneziani là sotto Laiazzo (26); quindi Ga- lata vilmente disfatta da Malebranca (27); quindi l’ altra. ver- gognosa sconfitta de’ Veneziani nell’acque di Curzola (28); quindi la barbarica crudeltà di Belletto Giustiniani sotto le mura di Co- stantinopoli (29) ; quindi ( maggior d’ogni danno) 1’ abitudine della crudeltà e del tradimento , e spenta fin l’idea di quella educazione politica che con dolce ed onorata esperienza insegna a cercare e trovar nell’altrui il proprio bene e decoro. Che se nelle lotte sostenute contro la declinante potenza del lacero impero; l’ anima d’un italiano insuperbisce . della sempre trionfante energia del valor genovese (30), se riconosce nella' tanta influenza de’ cittadini d’ Italia sulle cose d’ Oriente una vendetta quasi che la forza delle cose prendeva dell’impru- dente disegno di Costantino a cui mal riuscì di rapire un giorno all’ Italia il primato della potenza e la maestà dell'impero; se bb) 53 bb) (24) T. Ip. 48. (25) P. 55. (26) P. 105. (27) P. 110. (28) P. 118. (29) P. 128 (30) V. segnatamente T. I p. 300 310. 15 gioisce al vedere que’ greci che non seppero «difendere e liberare l’Italia già sua, venir poi sì spesso da un pugno d’ Italiani so- stenuti valorosamente e difesi; non può nell'atto medesimo non contristarsi al contemplare 1’ abuso che di sì maravigliosa furza facevano que’ prodi a proprio danno e ad, altrui (31), e non compiangere con senso di simpatia quasi contemporanea “ la » fatal condizione di quel cadente impero , che non potea fare 33 a meno degli aiuti forestieri e non sapeva poi compor- 3; tarne gli effetti ,,. (32). E frutto insieme e radice di quelle lotte gloriose e funeste si era lo stato interno dell inquieta città , la quale, come scriveva Papa Pio secondo a Paolo Fregoso arcivescovo e duca di Genova: super omnes itulos novitate gaudens, semper nutat, semper in motu est. nec ullum diu rectorem ducemve patitur (33). Di cotesta soggezione spontanea de genovesi alla ecclesiastica potestà il sa- piente pontefice con esemplare imparzialità all'arcivescovo stesso seriveva: Si potest idem homo et ducis et archiepiscopi personam gerere, sanguinis modo absit effusio, nescimus. . . +. . Puternam et omni clementia plenam esse pontificium administrationem opor- tet : multa in saeculari principe ferunt homines, quae abhorrent in ecclesiastico. Eppure , del non s’ affidare al governo assoluto d°un solo, avevano i genovesi un consiglio eloquente nella ob- brobriosa tirannide di Filippo Visconti, dalla quale liberati scri- vevano : Mon actiones . non sermo , vix ipsae cogitationes ar- bitrii nostri fuerunt (34). Ma la politica quasi costante di tutte le italiane repubbliche era politica di gelosia e di sospetto, e però madre o vittima d’intestina o di straniera tiranmde. Quindi si temeva de’ proprii non che degli estranei: quindi all’ ammi- raglio dell’ armata genovese si dava come salutare consiglio : « Tutti quelli che in quest’ armata sono soldati, tanto migliori 3 @ più fedeli gli arete quanto più gli scosterete da Genova e > dalle nostre terre ,, (39). E proseguendo a scorrere questa me- desima commissione, si trova confermata quella verità dolorosa : (31) V. p. es. T. II p. 34 58. (32) T. I p. 20. (33) Riccard. Cod. 105. Lettera scritta nel febbraio del 1462. Non è tra le stampate di Pio II. (34) Iv. Cod. 924. Lettera del 27 dicembre 1436. (35) Cod. 270, Commissione che i genovesi feciono all’ ammiraglio , e ca- pitano , e loro armata. An. 1432. 16 che unico scopo di tanta prudenza, unico premio di tauti sacri- fizi, unico vanto di sì raro valore era agl’italiani troppo spesso il municipale interesse : al quale se del resto avessero riguardato «ou occhio più veggente, non avrebbero così a lungo tergiversato tra la causa dell’impero e quella del barbaro Saraceno che un tempo avea saccheggiata con audacia memorabil» la loro cit- tà (36); avrebbero forse salvato dallo sterminio e la stirpe de’ Pa- leologi e la lor diletta colonia; avrebbero forse col tempo pro- pagata nell'Asia quella civiltà che 1’ Europa deve in gran parte all’Italia , quella civiltà che dopo esilio sì lungo tanti ostacoli incontra oggidì nelle asiatiche e nelle africane contrade. Ma una politica sì leale e sì previdente era virtù , ripe- tiamo , non possibile a que’ tempi d’inesperta ed avdimentosa fierezza ; e stolto sarebbe richiedere la mite dolcezza del frutto alle non ancor tiepid’aure d’aprile. Maravigliamoci piuttosto che in tanta e sì spesso irritata licenza, in tanta imperizia di quelle grandi verità le quali sola la punta della spada par che possa scolpire in fronte all’umanità sciagurata, l'italiano valore sia le tante volte fiorito in atti di precoce ed equità e gentilezza. È sia lode a que’ genovesi che abborrirono dal rinfrescare nel corpo della infelice Bisanzio le piaghe di quel Crocefisso che an- davano a vendicare contro la men feroce barbarie ottomanna (37). fia lode a loro, che, “ mentre, per aver franchigie e signorie > in quelle parti, Venezia disfece un antico imperio , e sulle », rovine di esso pensò fondarne un altro poco appropriato ai »» luoghi e poco stabile ; eglino i genovesi, guidati dal medesimo 3» «lesiderio , lo condussero ad effetto , procurando invece che la ,, signoria venisse restituita ai principi antichi ,, (33). Onore alla repubblica che con sottomissioni e con gastighi frenava l’ ardire della colonia novella contro il già declinante impero e con- tro la rivale dell’Adria (39), E una memoria almeno a quel Benedetto Zaccaria che fatto compagno di Giovanni di Procida alla corte del poutefice e del re d'Aragona, “ fu uno da princi- »» pali strumenti a compire l’opera d' insigne prudenza, per via »> della quale il Paleologo fece perdere parte degli stati a Carlo s> d’ Angiò che d’ogni dominio lo voleva spogliare , (40). Come (36) Machiavelli II. (37) T. I p. 35. (38) Iv. p. 65. (39) Iv. p. gr e 238. (40) Iv. p. 92. 17 non lodare quell’ atto di leale onestà , rara sempre e massi- » mamente in que’ tempi, dico il rifiuto dato da’ genovesi agli ambasciatori dei Candioti ribelli alla repubblica veneziana, di riceverli sotto la propria giurisdizione ; vincendo per. tal modo la tentazione (che doveva essere grandissima ad una città tutta mercantile , le cuì corrispondenze erano al di là dell’ arcipe- » lago) di fare acquisto d’ un’ isola maravigliosamente situata » peravvalorarle (41),,. Son eglino forse frequenti gli esempi d’una politica disinteressata e leale, che, dovunque se ne incontri un vestigio , non s’ abbiano a venerare con lieto e candido affetto ? E le vicine nazioni che tanto si compiacciono nel ripetere quelle insensate calunnie dell’ italiana perfidia , hann’ elleno forse al- trettanti esempi di lealtà da contrapporre alla storia delle sven- turate razze d’Italia? Non è necessario ricorrere a’ secoli an- dati : leggiamo la pagina che ci stà sotto gli occhi; e, nella sven- tura, censoliamoci col pensiero di non essere tra tutti i popoli della terra nè i più perfidi nè i più detestati. i Ognun vede pertanto che il libro dell’ egregio Torinese non è sterile d’ utili lezioni nè di nobili affetti. Chè non nella gran- dezza o straordinarietà delle imprese risiede il diletto e l’utilità della storia, ma nelle conseguenze che dalle sue narrazioni si vengono naturalmente e quasi irrecusabilmente a dedurre, con- seguenze che si risolvono spontanee in desiderii e in affetti. Dalle narrazioni del sig. cav. Sauli esce primieramente spontanea que- sta lezione , dalla quale egli medesimo prende saggiamente le mosse. 29 Lo specchio della gloria, e dei tesori colà acquistati dagli avi deggiono servir di sprone ai nipoti per imitarli. Dopo le mutazioni so- praggiunte , disavveduto sarebbe chi sognar volesse nuovi dominiî sulle riviere di quei mari. Ma la navigazione ne è aperta; e se i tempi, che la provvidenza prepara, vorranno essere, alle nazioni viventi sulle sponde del Mediterraneo , di tanto benigni, che parte dei commerci dell’ Asia ripigli le antiche vie, per troppo lunghi anni abbandonate, si conoscerà quanto essa sia per riuscir profittevole. Ond’ è , che ado- perandoci nel confortare i nostri ad esercitarla, noi intendiamo di promuovere i loro vantaggi. E siccome la virtù non perisee là dove è in fiore la navigazione, che avvezzando gli uomini a patir disagi , e a portar quotidiani pericoli rende i corpi induriti, e fa gli animi osti- nati, così un simile eccitamento può aprire, ed agevolare eziandio la strada a più liete e più fondate speranze per l’Italia intiera, la (41) T. Il p. 52. T. dI. Giugno. 3 18 quale a tornare nel grado sublime, che dalla natura le venne asse- . gnato, sembra che trascurar non debba di porre ogni sua sollecitu- dine nelle cose di mare (42). Poi, molti d»’ savi regolamenti che governavano la genovese colonia, meditati oggidì in tanta luce di scienza e di pratica, in tanta ostentazione e certezza di politica infallibità, appari- scono tuttavia degni non solo di lode ma d’ imitazione ancora. Le commessioni poi intorno al modo col quale il podestà sì do- veva governare , si deliberavano dal consiglio dei governatori del co- mune di Genova, i quali avendo quella deliberazione in conto di cosa importantissima, non si recavano a prenderla , senza esser venuti prima a ragionamento con uomini probi, sapienti, e pratici dei negozi di Levante , ed aver raccolto da essi le opportune notizie. Chè quei buoni padri, per essere giunti ai primi gradi della repubblica, non si credevano d’avere acquistato la cognizione di tutte le cose, nè sdegnavano i consigli degli uomini di tali materie intendenti ; per un verso assai meno gelosi d’ogni personale puntiglio , che non dell’ utile universale , nè per l’ altro smemorati a segno da voler commettere bi- sogna di tanto rilievo all’imperizia dei subalterni (43)... ... Il gùidar questi dazi e queste gabelle , e ìîl dividerne i proventi, era oficio di due magistrati, detti massari, ossia ragionieri. Essi erano una cosa diversa dai consiglieri, poichè questi venivano eletti da ventiquattro borghesi di Galata, e quelli dal comune istesso, non al- trimenti che i podestà ed i consoli tanto di Galata , quanto delle altre colonie. Sedevano col podestà e cogli altri consiglieri ogni volta , che sì trattava di prendere qualche partito sugli affari rilevanti del paese. Incaricati poi spezialmente della sopra intendenza del pubblico patri- monio , di cui erano custodi ed esattori, i massari erano obbligati a tenere esposto a pubblica ed aperta notizia di tutti i cittadini lo spec- chio dell’ entrata e della spesa, acciocchè delle somme e partite ri- maste a scontarsi, potessero aver piena scienza coloro ch’ essere ne dovevano partecipi, senza che al podestà o a qualunque siasi magi- strato fosse lecito frapporre alcun ostacolo alla loro libera esazione. Savissimo provvedimento era questo , e maravigliosamente acconcio a mantener viva la fede pubblica, di cui negli stati mercantili non si può fare a meno, e che congiunto all’ usanza di lasciar soltanto per un tempo determinato le medesime persone nei magistrati, giovava moltissimo a frenar le male lingue, ed a rendere inutile la spesa d’una turba di scrivani, e quell’ immensa congerie di scritturazioni di riscontro ;, l’ uso delle quali inventato in appresso , vien tenuto in conto di velo officioso ad avvolgere coloro che maneggiano le pubbli- (42) T. I p. 2-3. (43) T. II. p. 13-14. 19 che sostanze , e tuttavia non fa che la loro farna resti immacolata nel- l’ opinione dell’ universale. Tali erano , per quanto s’ è potuto da noi raccogliere, gli ordi- namenti coi quali il comune governava le cose di Galata. Non sembra che ai maestrati di questa colonia fosse, come a quelli di Caffa, conce- duta la facoltà di cambiar di statuti , sotto l’ obbligo però di far ap- provare e ratificar dal comune le variazioni introdotte. Ma la sapienza governatrice di Genova , conoscendo che le migliori leggi son quelle che sono più adatte ai correnti bisogni, non dismetteva il pensiero di variarle a seconda delle vicende. E siccome voleva adoperarvisi con circospezione di riguardi, e con maturità di esame , così stanziò che ogni anno verso quella stagione , in cui le conserve delle navi mercantili e del comune tornavano da Levante, si facesse elezione di sei cittadini nobili e popolani, i quali, dopo aver preso notizia, sia per la relazione dei reduci , sia per le lettere venute da quelle parti della condizione delle colonie , facessero alle commissioni del podestà e degli altri oficiali, quei mutamenti che stimerebbero necessari ed opportuni. A cosiffatto consiglio dovevano probabilmente anche rivol- gersi gli ambasciatori, ossia depntati spediti alle colonie d’ oltre mare, ogni qual volta antivedevano il bisogno di soccorso , o scorgevano la necessità di introdur qualche novità nei loro statuti. Ma siccome egli era carattere proprio degli ordinamenti di Genova di distinguere 1 magistrati che partecipavano alla formazione delle leggi, da quelli , ai quali era commesso di vegliarne l’ esecuzione , così stimiamo che questo consiglio fosse disgiunto dall’altro magistrato istituto in Ge- nova , sotto il nome d’ ufizio della Gazaria. Al quale ufizio il podestà di Galata era obbligato di rendere, nel termine di quindici giorni dopo il suo ritorno , un conto minuto di tutte le liti da lui giudi- cate , e degli emolumenti da lui riscossi durante il tempo del suo reg- gimento. Molte altre erano le incumbenze affidate a questo. magi- SUBG0O) MII dt IURIS LIO Le LIT RIEORE ARIE . +. Doveva sentenziar piuttosto secondo il consiglio e l’arbitrio d’uo- mini probi, che non secondo le strette regole del gius civile; quindi era vietato che al suo cospetto fossero ammessi i causidici, e gli av- vocati a disputare. Ed appunto perchè era esteso 1’ esercizio della sua autorità , e perchè teneva ragione sommaria , il comune aveva prov- veduto che l’ uffizio di Gazaria fosse composto d’ otto persone , i cui nomi fossero estratti ogni sei mesi da un’ urna di trentadue cittadini che sì rinnovava ogni anno. Questa savia avvertenza impediva ezian- dio che troppo lunga dimora in quel magistrato non desse motivo a prevaricazioni, 0 a perverse intelligenze tra i giudici , i litiganti e gl’ impiegati, di cui l’ uffizio doveva sindacar la condotta, e metteva un più gran numero di cittadini in grado di conoscere le bisogne delle colonie, ch’ erano le principali e le più rilevanti sorgenti del bene della repubblica (44). (44) Iv. p. 29-33. 20 I fatti importanti e per civile utilità e per istorica bellezza, che riguardano la colonia di Galata , dovette il ch. A. racco- glierli con penosa cura parte dagli storici greci, parte da’geno- vesi; ma gli uni e gli altri narratori o inesatti o parziali o aridi affatto: di che nella prefazione egli discorre con molta sag- gezza (45). E anche il Sismondi si lamentava (46) come mai di avvenimenti a Genova sì memorabili, e da cui pendeva il suo destino avvenire, sì poca cura si prendano gli storici di lei, quasi ignoranti della importanza di quella colonia, e dell’ utile im- menso che trarne poteva e la repubblica e la civiltà. Noi quì dobbiamo all’ autor nostro una lode ben rara, e che sola ba- sterebbe a far degno di lettura il suo libro: ed è la critica accorta nel discutere le testimonianze diverse o contrarie, e nel trarne la più probabile verità. Di che potremmo recare non pochi esempi se non credessimo più opportuno rimandare il lettore all’ opera stessa (47). E quando diciamo critica, intendiamo una dote dif- ficile e rarissima , molto più del buon senso, frutto dell’ espe- rienza fatta sui libri, sulle cose e sugli uomini. Per giudicare in fatti a quale di due divergenti testimonianze giovi piegare l’ assenso, non basta per erudite indagini conoscere 1’ autorità degli storici e il loro carattere e le circostanze in cui scris- sero e quelle in cui seguirono i fatti ; conviene aver medi- tato sul corso ordinario de’ morali e politici movimenti ; con- viene essersi abituati a sciogliere il più complicato e il più difficile de’problemi: = Date le tali circostanze, quali effetti, secondo le leggi comuni dell’ universo morale e sociale, ne po- tevano conseguire? = E per isciogliere un tale problema, egli è necessario spogliarsi degli affetti e de’ pregiudizi e talvolta della filosofia contemporanea ; trasportarsi in un mondo non per altri indizi a noi cognito se non per que” pochi forniti da quegli stessi cronisti che trattasi di giudicare ; lasciar da banda ogni spirito di sistema, ogni predilezione soverchia per un uomo ed un popolo; diffidare delle antiche testimonianze , e soprattutto di se: con- dizioni tutte difficili , alle quali molti istorici eleganti e famosi par ch’ abbiam appena una qualche volta pensato , per dimen- ticarsene nella pagina stessa. E queste condizioni l’A. nostro ben molte e molte volte con raro senno le adempie: non però (45) T. I p. 1x-xx. (46) T. X p. 69. (47) T. I p. 125 130 162 178 183 257 260 273 286 305 309 357. T. Il p. 10 38 73 80 84. 2I che la sua parzialità non si dimostri talvolta. per que’ genovesi ch’ egli ama. Nei tempi, in cui la vita mia era più operosa, ebbi occasione di visitare le reliquie di quella colonia, e fui commosso al pensiero della gloria e della somma utilità che il comune di Genova aveva do- vuto ritrarne. Mi toccò nel tempo stesso di trattare con non pochi capitani della marineria mercantile delle costiere di Genova, e dall’ amore del vero sono condotto a dichiarare che, rispetto al valore, alla diligenza ed alla probità, di niuna generazione di uomini mi sono mai tanto con- tentato quanto di essi; solleciti nell’ eseguimento dei loro mandati che per lo più sono amplissimi; fedeli nel rendere le ragioni ai com- mettenti , anche per la consegna di certi capì preziosi , pei quali, a cagione delle cautele delle leggi dei diversi paesi dove si conducono a trafficare, non potrebbero venir chiamati in giudizio ; franchi nei pe- ricoli che si portano navigaudo sì per l’ inclemenza del cielo , e sì an- che per l’incontro di navi nemiche; non perdonando a vigilanza , e a fatica per uscirne fuori; forniti alcuni di sufficiente istruzione di cui in altri tien luogo una maniera d’abito e, dirò quasi, d’istinto ; sobrii nel vivere; amorevoli verso i marinari operosi e quieti; severi verso i pigri ed i riottosi, usando col mezzo della giustizia di mantenersi le ciurme obbedienti, ond’ è che dalla. virtù. di questi formare io mi poteva l’idea di quella dei loro maggiori (48). E della sua parzialità per la gloria de’genovesi ci è prova quel passo laddove parlando delle lotte tra Martino IV. ed Androni- co (49); e’ non ha il coraggio di compiangere almeno la condi- zione d’ una colonia costretta a dover sempre per mire di com- merciale interesse tergiversare e schermirsi or dagli amici or dai nemici dell’impero, e or a questo arridere ed ora a quello ; condizione che sì negli individui e sì ne’ popoli è con- tinno pericolo di avvilimento , certo indizio di debolezza, presagio infallibile di più o men vergognosa rovina. Così ragionando delle deplorabili civili battaglie venete e genovesi , le tante scuse in- gegnosamente accumulate a scolparle , sebbene fondate in parte sul vero , non so se giungeranno a. lavare le macchie di tanto sangue fraterno con prodigalità sì crudele versato (50). Un'altra macchia dalla quale il Cav. Sauli s’ ingegna di tergere il nome genovese, è la vecchia accusa che li fa coadiu- tori al passaggio degli Ottomanni in Europa. Eppure l’accusa vien (48) T. I p. vin-rx. (49) Iv. p. 95. (50) P. 121-123. 29 confermata almeno in parte dall'ambigua risposta dei Genovesi ch’ è in una lettera scritta ad Alfonso il Magnanimo, nemico loro. della quale recheremo un passo a mudo d’ appendice, tanto più volentieri che lo stile e della proposta e della risposta non è sfornito d’nna non comune a que’tempi ma a'nostri ben rara ele- ganza (51). Questo documento dimostra e che non alle circostanze di cui parlava il Cav. Sauli si riferisce l’accusa (52); e che que- sta era molto più antica dello storico del Basso Impero: non di- legua però tutti i dubbi, che quì lo spazio mi manca di scio- gliere e fino d’ esporre con la necessaria chiarezza. Non saprei spiegare del resto perchè 1’ egregio autore che con sì nobile amore difende la gloria di quella sfortunata re- pubblica, voglia levarle in parte la lode della esemplare co- stanza con cui nel XIII secolo provocata ingiustamente da’ Ve- neti, si ritenne dal venire al sangue : levargliela, dico, con quelle parole : “ aspettava forse il benetizio del tempo ed occasione si- », cura per vendicarsi (53). ;, Questa congettura ( probabile , se così piace, ma non confermata da storico documento ), 1’ unica forse di tutta l’ opera che contraddica a quello spirito di benevo- lenza ch’ è tanto stimabile nel nostro autore noi non l’ avremmo qui riportata se non fosse per avere occasione di notare in passando quanto sia dolorosa in alcuni storici moderni quell’af- fettazione continua di riguardar le cose dal lato più tristo , di aggravar con sospetti e con fantastiche congetture la già troppo deplorabile umana malizia e viltà; di ridurre e gli uomini e le cose più diverse tutte ad un livello inesorabile o di fatalità o di reità o d’ impotenza. Se due storici insigni, Tacito e il Macchia- velli, tennero questa ingratissima via, seppero anco di quando in quando ‘abbandonarla per deporre qualche ghirlanda sulla tomba d’ un grand’ nomo 0 sulla culla d’un popolo grande. Ma se i tempi crudeli ispirarono a Tacito e al Macchiavelli quel genio severo che fa. della storia una. satira. mordace, gioverà forse. per rettorico vezzo e quasi per trastullo imitarli ?. Io nol credo. Il delitto, e quella ch'è la conseguenza di molte reità naturate, la viltà, non meritano certamente. indulgenza; ma infelice colui che può riguardarli senza compassione e senza ram- marico! Infelice colui che tutte le forze dell’anima consuma nel- (51) Stanno nel cod. 671 della Riccard., e nell’ ediz. romana della sto- ria del Bracelli. (52) T. II p. 45. V. Hammer all’an. 357. (53) T. I p. 48. 23 l abborrimento del male , e non serba un pensiero, non un palpito per la virtù! Della molta rettitudine però che il ch. autore dimostra nella critica morale de’ fatti ( parte essenzialissima e poco «avvertita della critica storica) noi potremmo citare ben molti esempi ad ec- cezioni ben poche (54). E le poche eccezioni son colpa; (se la parola non è troppo ardita ) son colpa quasi tutte del gentile amore che il cav. Sauli pose agli eroi del suo storico dramma : quasi tutte consistono nell’aver taciuto un rimprovero, nell’avere attenuata la gravità d’ un trascorso. Que.t’ è la ragione per cui l’ egregio autore non trova quasi parole di sdezno contro quel Cantacuzeno che dona la propria figlia ad un Turco, e si com- piace nel descrivere l’ imperial pompa del'e barbariche nozze (55). .. Mi resta a far qualche cenno della fedeltà ed esattezza istorica di questo lavoro. E coll’ aver già notato che nè | impar- zialità qui manca nè la diligenza nè il senno, s'è già detto ab- bastanza. Alcuni potrebbero forse desiderare più circostanziate certe narrazioni , e più ricche di que’ particolari che sono ajuto alla memoria, sono alimento all’ immaginazione , e alla dottrina son materia d’ utili induzioni ; que’ particolari i quali già inco- minciamo ad accorgerci essere utili non meno all’ erudito che al filosofo , allo statistîvo non men che al poeta. La battaglia per esempio de’ Genovesi co’ Veneti e coi Catalani, avviluppata bat- taglia, e sparta come la tempesta marina , è da Matteo Villani descritta con colori ch’ egli non avrà certamente tratti dalla sua fantasia (56). Così nel patto stretto fra Manuele e il comune di Genova nel 1155 era promesso oltre 600 iperperi alla repubblica e sessanta all’ arcivescovo, un pallio d’ oro all’ arcivescovo stesso e alla repubblica due (57). La circostanza è minutissima , ma ri- sveglia molti pensieri sullo stato d’ una società libera dominata da tali opinioni e costumi; nè parmi che la narrazione acquisti punto più di dignità o di agilità, sostituendovi la frase generica : ulcuni pallii d’oro per onoranza (58). Il Caffaro inoltre sogviunge una condizione dal documento taciuta. ma che si potea forse ac- cennare in una nota, perchè non è verisimile ch’ egli ve l'abbia (54) Giterò per iserupolo, e per guarentigia della sincerità delle ledi, alcune poche eccezioni , indicando la pagina. T. I 62 120. T. II pi 3. (55) Gibbon T. XII p. 324 ed. it. (56) II. G. 60. (57) T. II p. 18r. (53) T. I p. 19. 24 aggiunta di suo : che il così detto commercio ossiano i diritti , a quel che pare , dell’ importazione delle mercì seemassero , se non erro , dal dieci al venticinque per cento (59). Le circostanze soprattutto riguardanti il commercio cì pa- jono in opera tale importanti. Il Fanucci rammenta certe me- morie conservate nella Libreria Bero in Genova (60); ma che son già forse smarrite: e da queste e da scritti simili si può, con gran fatica, è vero, ma non senza utilità trarre lume alla storia del commercio e di tutte le mmane cose. I libri più sterili possono a ciò somministrare notizie preziose: e lo prova quel capitolo del Pe- golotti che il savio autore trascrisse fra’documenti , capitolo le cui cifre valgono forse più di qualche amena descrizione rettorica (61). Tutti coloro che s° occupano anco di storia generale, potrebbero, parmi, a simili memorie attingere con più riverenza e più spesso ; giacchè sotto una cifra aritmetica si nasconde talvolta un assioma politico, un sillogismo filosofico, una sentenza morale, una poetica fantasia : basta sapernela trarre , e sotto l’ ale della ine- ditazione e dell’ affetto , covandola, fecondarla. Quest’ avvertenza, ripeto, è da raccomandare a quanti s’oc- cupano non solo di storie commerciali , ma e di politiche ancora, giacchè 1’ una cosa con l’ altra si stringono, come ognun sa, per vincoli più o men secreti; nè l’ una senza l’ altra ben si spiega o s' illustra. Io trovo , per esempio, nella Riccardiana un libretto intitolato : “ Libro di tutti i costumi, cambi, monete, pesi, »» misure; ed usanze di lettere di cambi , e termine di dette let- tere, che ne’ paesi si costuma, o in diverse terre (62). ,, uno scritto tale quand’ anco nessuna notizia ci desse di vero fuor che il sno titolo, con questo solo c’insegnerebbe che un libro simile sarebbe al muderno commercio , non ch’ utile, ne- cessario. In un altro codice della medesima biblioteca è una nota dei noli di Porto Pisano per tutta la Catalogna , dalla qual si rileva che dalla Toscana si portavano circa la fine del trecento o il principio del 400 : “ ariento e oro , oro filato , veli di Peru- »» gia, veli di Bologna; spade (la cassa di lame 50 pagava 4 fiorini » di nolo), armadnre , carta bianca, pelliccerie , panni di San ») Martino , panni fiorentini ,, panni lucchesini , vetriuolo , zol- (59) L. VI. (60) T. I 89. (61) T. II p. 230. (62) God. 2958 2) 3; fo, gomma, acciajo , arazzi di seta, drappi d’oro broccati , » drappi ricamati , e drappi baldacchini, drappi di seta chermisi, » allume , salnitro, zucchero d'ogni sorta, guadi, malvagìe , ,, moscadello , olio laurino., olio comune , cotoni sodi , e filati , »; zafferano, grano ed ogni biala, libri da studianti , e altri ge- » neri ‘,,: che i noli di Catalogna per Acqua Morta, e Marsilia, versavano in “ zuccheri, grana , sete, zafferano , zibibbo , pel- , liccerie, e simili ,.: che i Noli di Valenza , Barcellona, e tutta Catalogna per porto Pisano, ‘ consistevano in seta, panni s: perpignani , catelaneschi , pelliccerie di ogni ragione , allude ;3 cioè pelli bianche , lana lavata e sucida , pettini, grana , riso, ,- cera, penna di struzzolo ,, : che iufine d’ Acqua morta e di Marsilia per Porto Pisano si noleggiavano ° panni, tele di 3» Borgogna, canovacci , verderame, mandorle, pece , mele , filo »; di Borgogna , masserizie (23). ,, To non dubito che il dotto A. nostro non abbia fatte anche per simili notizie rissnardanti l'essenza d’ una storia commerciale, le debite indagini : e n’ho guarentigia nei quattordici documenti inediti ch’esli ci dona , tratti o dall’ archivio di corte o da li- brerie di privati. Ma un tale vantaggio che la sorte a lui tolse, uno storico del commercio toscano lo possederebbe , cre’ io, in grado invidiabile : e desidero che questa ricchezza appunto in- vogli qualcuno dei tanti nobili ingegni di cui la Toscana, se- gnatamente in materia di pubblica economia e di giurisprudenza, si onora. E qui una inevitabile associazione d’idee mi pone sulla penna i nomi de’valentissimi Carmignani, Paolini, Giusti , Poggi, Lapi, Forti, Tonelli, Marzuechi, Capei, Salvagnoli , e del Dott. Vanni che ne suoi cenni sul commercio della seta in Toscana (64), paragonando |’ antico stato al presente, prorompe ‘in questo voto animoso » Il nostro commercio della seta non »; potrà dirsi che sia giunto a quell’apice a cui dovrebbe giun- +, gere fintanto che nun si veggono case di fiorentini stabilite 5, alla Nuova-York , a Rio Gianeiro , al Cairo , a Costantino- , poli per ivi smerciare i drappi delle fabbriche di Fi.enze : e co- sy sì 1 nostri fabbricanti, invece di essere insufficienti alle ri- ss chieste degli esteri, abbiano fuori di Toscana dei depositi di o drappi, che ivi aspettino i richiedenti. ,, (63) God. 896. —— La Riccardiana possiede molte relazioni importanti d’ambasciatori sulla corte di Costantinopoli già divenuta ottomana: possiede un antico itinerario .in Oriente, (Cod. 2468) degno d’ essere dicifrato. (64) Atti dell’ Accad. de’ Georgof, Vol. IX p. 19. T. HI Giugno. 4 26 Il certo si è che dai lavori storici la statistica con le sue prosaiche cifre, con le sne minute induzioni, con la sua inele- gante aridità è inseparabile ormai: perchè la storia vuol fatti; e i fatti grandi, magnifici, strepitosi non si spiegano nè si verificano nè s'intendono senza i fatti minuti ed oscuri e ap- parentemente inutili e nulli. Nè cotesti fatti minuti son restii ad ogni ferma elegante ed ornata; nè son sempre da relegar nelle note o nelle appendici; che sarebbe come porre i fon- damenti dell’ elegante edifizio dalla parte di dietro e lasciar cadente il dinanzi, od accendere un lume e posarlo in un canto. Così facevano un tempo taluni; e così il Masi nel suo discorso sulla navigazione e sul commercio della repubblica pisana con retrogrado volo scorreva sicuro fra le immense voragini del pas- sato, e di questo passo andava di voragine in voragine decla- mando sino alla fine; cacciava poi senza commento e solitarii là nelle note de’ belli ed utili documenti. Così non fa il sig. Sauli che i documenti quasi sempre trasfonde nel testo, e da par suo li commenta. E così avess’ egli voluto col suo esempio combattere quel pregiudizio che rende la storia incompiuta per non derogare alla dignità, come la chiamano , di lei; e per fuggire l’ ar- idità e la freddezza, arida appunto la rendono e fredda. Se il cappuccio della toga senatoria , detta scaramangio , della quale l’imperatore Andronico vestì per segno d’ onore il cata- lano Berengario d’' Entenza , veniva dai figliuoli di lui e dai ca- marotti delle galee adoprato per attinger acqua, a modo di sec- chia, quest’ uso dello scaramangio imperiale non meritava egli d’ essere a dirittura rammentato nel testo piuttosto che in una nota ? (65). E se la principessa Sofia, figliuola del marchese di Monferrato, per davanti pareva una quaresima e per di dietro una pasqua, sarebb’egli stato illecito a questo motto del Ducas concedere un luogo più onorato, giacchè l’autore chiarissimo vo- leva rallegrarne i lettori! (66) La dignità della storia , quale la concepirono Erodoto , Senofonte , Plutarco , Cesare, Livio, e Dino e il Villani ed il Macchiavelli , non consiste, parmi, nel relegare alle note le particolarità più vive de’ fatti e le più singolari. Noi vediamo in Erodoto , il padre della storia profana , in Senofonte s l’ Ape Attica, dato luogo alle favole stesse, non come a fatti credibili ma come a notabili vestigia o di tra- (65) T. I p. 164. (66) T. II p. 107. at dizione antica o di popolare credenza: troviamo nell’ uno le meraviglie d° Arione ; nell’ altro 1’ antro di Marsia e la fontana di Mida. Erodoto e Senofonte ci trasportano dalla luce sangui- ncsa delle battaglie fin ne’secreti domestici, per dipingerci l’ orto di Ciro, e la coniugale vanità di Candaule. Quelle circo- stanze preziose sui riti d’ espiazione, sul modo di consacrare al un Dio un’ intera città, tirando una corda dal tempio alle mura, ed altre infinite , a quanti de’ moderni non sarebbero parse iu- degne della storica magniloquenza ?_ E quelle notizie statistiche sui doni da Creso mandati al tempio di Delfo, sulle naturali produzioni dei luoghi da Senofonte percorsi, fin sul prezzo del pane e sul corrispondente valore delle monete, non son cose da mette- re raccapriccivin uno storico letterato? E quella poetica pennellata sul color delle vesti del greco esercito, sulla fragranza che spira dal solitario deserto d’ Arabia, valgon forse la pompa d'una seu- tenza politica o la filosofia d’ un’ interpretazione maligna? (67). Queste parole non vengono già al sig. Sauli, che in tanti luoghi dimostra sapientemente d’amare e di tenere in pregio siffatte pre- ziose minuzie (68): vanno a que tanti scrittori che sotto pretesto di conservare la storica dignità, rubano al lettore parte del- l’ istruzione dovutagli , e circoncidono e mutilano la verità, come se la verità fosse nemica irreconciliabile nen solo della poesia ma persin della prosa (69). Conchiudiamo col ringraziare sinceramente l’ egregio Tori- nese del suo bel dono , e coll’ augurargli molti imitatori e se- guaci in sì larga e sì nobile via K. X. Y. (67) V. Her. le prime pagine: Xen. le prime pag. Le note d’ una sto- ria dovrebbero essere riserbate alle citazioni e alle discussioni di critica , le quali intorbiderebbero il limpido corso della narrazione. (68) T. I p. 336 nota. (69) Scritto già quest’ articolo , e già stampato , leggo nel Giornale delle Provincie Venete un bel discorso del sig. G. Bianchetti, dove inculca anch’ egli la necessità di rendere più filosofica e più e fficacemente utile la storia co sot- trarla al giogo di quella gravità che ne spegne la vita. Se prima avessi avuta notizia di quelle ingegnose considerazioni , ne avrei con piacere citata qualcuna. Arrowso ai Genovesi. Tlud autem nos admirari satis non possumus, quomodo pericula Turcoru nominare vos non pudeat , quippe qui probe scire debeatis quo de genere uu 20 christianorum sint qui prius illos ex Asia in Europam onerariis navibus, pretio et singulari avaritia adducti , devexerint ; qui, et ubique terrarum '‘conatus omnes regum ducumque christianorum pro posse subverterint s subjectantque Mahumetanis quotidie, arma, tela, tormenta, commeatum contra jus fasque sub- ministrando. Rursus et haec nosse debetis , qui nunc pro Turco contra Christum perpetuo fere conjurantes , expeditionem nostram , quantum in ipsis est , impe- dire conentur. Nam, per immortalem Deum , quid aliud est pacem inter nos hoc tempore initam frangere , quam Turcorum caussam agere, quam Ghri- stianorum omnium exitium optare ?...... In vos igitur conatus nostri, velut in Turcos in Italia exortos, convertantur oportebit: nec prius ab incepto destituri sumus quam vos, Christo ipso bene adiuvante , supplices Deo vero reddamus. Nec minus, Christo duce , et in Turcos asiaticos expeditionem quam semel su- scepimus , vobis invitis, exseculuri sumus... Risposta dei Genovesi al ALronso. ....Sed jam ad pericula Turcorum veniendum est, quorum nos caussam agere praedicas. Nec pudet christianissimum populum cujus tu beneficio imperas, ita- licos turcos appellare. Namque , ut omittamus quantas quamque praeclaras res Genuensis populus in Palestina gesserit, quum vi et armis Hierosolimita- num regnum Christo restitutum est , quantas deinde quamque magnificas res quum partim tueri et postrewio amissum recuperare oportuit ; ut praetereamus et derenne bellum quod pro defensione orientalium christianorum adversus Bayssitam hujus Machometi proavum suscepit et strenuissime administravit Dertusa , certe nobilis civitas ; multa egregia oppida in ripa Iberi fluminis po- sita classibus nostris expugnata, caesis Infidelibus , vero cultui colla submi- serunt. Atque in regnis tuis nondum pietatis nostrae vestigia deleta sunt. Nam quod in nos referre conatur Sublimitas tua, primum Turcorum ex Asia in Europam transitum , apud doctos hujus historiae ridiculum est. Liquet enim, quum duo Graecorum principes de imperio contenderent, alterum Constantino- poli ejectum , ad Turcorum opem confugisse ; pactaque mercede , Callipolim arcemque ejus, conventorum pignus, Turco tradidisse ; atque ita multa eorum millia ex Bithinia in Thraciam fuisse trajecta. Sed mavult, scimus , Exelsitas tua, de ea expeditione quam in Turcos moliri tamdiu praedicasti, sermonem haberi. Quo circa non nos fugit, jam prope triennio circumacto pollicitam essa sublimitatem tuam classes exercitusque quibus eorum ferociae occurreres: per- facile, id ita fore, nobis persnasum est. Nam quis est Christianorum regum quem, propter vicinitatem , ea magis pericula movere debuerint. CGlassem ab Hydrunte mane solventem , excipiunt vespere littora Turcorum clamoribus re- sonantia.... Nos interim certa spe tuae classis confirmati , singulis annis na- ves, viros, arma , triticum Christianis orientalibus suppeditare ; utque forti animo calamitates suas ferrent , litteris ac legationibus exhortari ; brevi affu- turas npes opulentissimi regis quae Turcos trans Caucasum trepidos fugent. Sed lenta fuit adeo haec toties jactata expeditio: quod nisi nos non una sed pluribus classibus diserimini eorum subvenissemus, Turcorum fauces non effugissent. Circumspiciat omnia nunc prudentia tua, ac judicet uter nostrum Turcis fa- veat: mosne , per quos multae insulae , multi adhuc populi christiani colunt (sic); an is qui, tot flor.ntibus regnis subnixus, collecto auro quod ad multas 25) expeditiones satis esset, eos saevissimis hostibus prodit, pro quorum salute col- lectum est. N. B. La lettera d’ Alfonso è scritta da Antonio Panormita autore del- l Ermafrodito , e ammirator del Magnanimo : la lettera de’genovesi è scritta dal segretario della repubblica I. Bracelli. L’ editore romano attribuisce al Bracelli e la proposta e la risposta. A questo modo sarebbe l’uomo stesso che dopo aver trattata (in tuono non troppo diplomatico) la repubblica Genovesa da meretrice , avrebbe dette in nome della repubblica tante cose acerbe ad Al- fonso. Tale assurdità è corretta dal citato codice Riccardiano , che. nomina gli autori delle due lettere, e ne riporta innoltre una terza in nome della repubbli ca scritta da Gottardo Stella sarzanese. Saggio filosofico di Giurisprudenza col confronto delle Leggi Ro- mane e della vigente Legislazione , ove si espongono i prin- cipj delle stesse Leggi, colle quistioni più importanti sulla interpetrazione di esse ; si sviluppano le cause che han dato luo- go alle tante variazioni tra l’antica e moderna Legislazione, coll’ aggiunzione delle comuni teorie dei Giureconsulti ricevute nel foro ; distribuito in quattro libri, di Annizare Giorpano. Napoli; dalla Tipografia Palma, 1830 Tomi 2. Il titolo, che sta scritto in fronte del libro che noi annun- ziamo , ce ne fece intraprendere con avidità la lettura. Ci fu persuaso dal titolo , che l’ autore fosse convinto della necessità di richiamare la trattazione della civile Giurisprudenza nel suo legittimo campo; di nutrirla colla tilosofia razionale , colla Sto- ria, colla Economia Politica, e col naturale e pubblico diritto; di mostrare infine come il Gius Civile è una parte interessantissi- ma della Scienza sociale , colla quale deve aver comune lo scopo di pareggiare fra i privati le utilità mediante l’ inviolato eserci- zio della comune libertà. Se la filosofia, nel senso suo più univer- sale, è la cognizione delle cose per le loro cagioni assegnabili, un saggio filosofico di Giurisprudenza, dicemmo, ci indicherà le cagioni, per le quali si sviluppò quel complesso di principj e di regole , onde si compone il Diritto Civile. Noi ci aspettavamo di assistere al progresso della civiltà in relazione alla Giurispru- denza dalla fondazione di Roma fino ai tempi nostri. A questa nostra aspettativa dava ragione il titolo dell’ opera; e la neces- sità di ridurre a scienza il Diritto civile , il quale da molti tut- tora è riguardato come un ammasso di regole senza spirito di moto e di vita, quando all’ opposto rappresenta la umanità che . 30 procede nel suo sviluppo ; onde ha un carattere nella Repubblica che è diverso da quello che veste sotto 1’ Impero , e col risor- gere delle genti dalla ritornata barbarie politica piegandosi a nuovi bisogni si aumenta e si perfeziona. Noi credevamo di tro- ware nel libro del sig. Giordano messe a profitto le più moderne disquisizioni dei filosofi su i diversi rami della scienza sociale , e le accurate indagini degli Istorici più recenti su i destini del Diritto romano. La mente nostra già s’immaginava di vedere ap- plicate al Diritto civile le fatiche di Gioja e di Romagnosi, di Hugo, di Haubold, di Savigny, e di Niebubr. Perchè noi abbiamo sempre creduto, che nella immensa quantità dei libri che abbiamo da leggere, e pei quali la umana vita è troppo breve, ogni nuovo lavoro che si diffonde nel pubblico deve essere a livello del se- colo , e contenere nel suo genere i progressi, che al ramo di scienza trattato fecero fare fino a quel tempo i precedenti scrit- tori. Chi negherà di fatto , che volendo oggi pubblicare un libro sul Diritto civile, è delitto ignorare i lavori della scuola Istorica di Germania , e tutti quei capitali principj di Diritto pubblico, e di Politica economia , onde sono derivate , o da derivarsi le norme al regime degli interessi privati ? Havvi tuttora, pur troppo è vero , una plebe di così detti Giureconsulti, i quali ignorando la filosofia intima del Diritto , e beati del dolce non far niente, credono esser bene insegnato il Diritto civile, ove alle magre istituzioni di Giustiniano si aggiunga la scienza delle antichità romane attinta dall’ Eineccio, niente curando neppure se dal- l’ Eineccio in poi lo studio della Istoria esterna del Diritto ro- mano ebbe a valersi di notevoli incrementi. Ma questa turba ignava , che ogni giorno più va scemando di numero , speriamo che al fine sarà tutta convertita; e noi intanto lodiamo il sig. Giordano , perchè col titolo dato alla sua opera mostra di essersi voluto separare dalla compagnia de’ pigri, e di avere intese le belle parole del Vico quando disse: Jurisprudentia omnis ratio- ne et auctoritate nira est: atque ex iis condita jura factis ac- comodare profitetur: ratio naturae necessitate, auctoritas juben- tium voluntate constat: philosophia necessarias rerum causas vex- stigat ; historia voluntatis est testis. ltaque Jurisprudentia universa coalescit ex partibus tribus , philosophia , historia , et quadam propria arte juris ad facta accomodandi (1). Che se noi le intenzioni lodammo del sìg. Giordano prima di intraprendere la lettura del suo libro , confessiamo sincera- (1) De universi juris uno principio et-fine uno. 3I mente che la lettura di esso non sodisfece alla nostra aspetta- tiva, perchè in esse non trovammo nè principj filosofici e di- rigenti, nè cognizione esatta di storia, nè buone definizioni. Vogliamo darne brevemente Ja prova. | Egli è certo, che tre cose nel Diritto civile sono special- mente osservabili e nella loro determinazione più astruse, cioè 1.-° lo stato civile delle persone, 2.° il diritto fondamentale delle proprietà specialmente stabili, e 3.° 1’ ordine delle successioni a causa di morte. Queste tre cose costituiscono propriamente la metafisica del Diritto civile. Quanto ai contratti gli uomini si equilibrano naturalmente per il conflitto degli interessi scambie- voli, e la legge della comune uguaglianza fa indovinare le pra- tiche contrattuali presso i popoli tutti della terra. Ora considerate quelle tre cose , troviamo noi nel libro del sig. Giordano , che siasi servito al bisogno della scienza ? Noi non troviamo stabilito quali siano le competenze dell’ uomo , quali le di lui proprietà, onde manca il vero criterio per determinare quale debba essere per diritto lo stato civile delle persone. Noi non troviamo sul diritto fondamentale della proprietà reale posto il principio, che esso diritto è fondato sul bisogno e sulla industria, e che al- l’uomo non viene concesso dalla società , ma dalla forza sociale gli è soltanto garantito. Noi non troviamo infine sull’ ordine delle successioni a causa di morte stabilito ed applicato il principio proclamato dalla romana sapienza “ testamenti factio non privati sed publici juris est ,, e che la trasmissione dei beni da un morto ad un vivo viene operata per autorità pubblica o propria o dele- gata ; propria, quando la legge stabilisce l'ordine delle sncces- sioni , delegata, quando dà forza di legge alle disposizioni dei testatori. E questi principj, come quelli che presso i Giurecon- sulti filosofi sono oggi riconosciuti per veri, dovevano in un Sag- gio filosofico di giurisprudenza essere annunziati ; o almeno do- vevano confutarsi , e ad essi sostituirsi quelli che si fossero cre- duti più veri. E qui non taceremo ;, che non ci fece poca me- raviglia il sentire detto dal sig. Giordano, che Ze sostituzioni fi- decommissarie possono riguardarsi come indispensabili nel governo monarchico , la di cui natura richiede che vi sia fra il monarca ed il popolo una classe di persone destinata a mantenere tra essi ? equilibrio, e far che il soglio abbia un più rifulgente splendore. Noi pensiamo, che il soglio non possa rifulger mai di tanto splen- dore , di quanto lo possono far ricco le benedizioni e 1’ amore dei popoli governati, e che un Principe , ove sodisfaccia ai biso- gni del suo popolo con una saggia legislazione, con una prov- 32 vida amministrazione , può essere amato ‘e obbedito, senza che il popolo gli si tenga in soggezione dalla potenza dei nòbili. Che se questa volesse proporcisi come mezzo a frenare il potere del monarca , noi diremmo che non colle sostituzioni fedecommissa- rie , e così col sacrifizio della naturale giustizia , e della libera circolazione dei beni , ma con instituzioni più intrinseche al di- ritto fondamentale della sovranità debbono gli abusi del potere essere prevenuti e impediti. Queste ed altre mancanze nel libro del sig. Giordano giustificano la nostra proposizione sul difetto di principj filosofici e dirigenti. Nè riusciremo meno a provare ‘in detto libro il difetto di esatte cognizioni di storia. Prendasi infatti il titolo 3.° del Lib. T. destinato dall’ autore a narrare la origine del Diritto romano. Ba- sti dire, che essa origine è compresa in tre pagine e mezza ; che il Vico e il Niebuhr non vi sono nominati nè conosciuti ; e sarà inteso da tutti qual merito abbia i! detto titolo. A volere render conto della origine del Diritto romano è d’ uopo segnalare le cause morali e politiche ond’ ebbe sviluppo. La moderazione nei contrasti fra le due potenze dei patrizj e dei plebei, e il con- tinuo progresso nello incivilimento ‘di Roma non condannata a rimanere in fasce da una rigida costituzione, furono ; al dire del sapientissimo Romagnosi; i due precipui motori, che erea- rono quella ragione civile e pubblica, alla quale |’ Europa deve la sua preminenza sulle altre nazioni tutte della terra. Nulla di tutto questo noi troviamo accennato nel libro del Giordano, e manca perciò il mezzo di sapere la causa della origine del Diritto romano, come avevamo diritto di pretend:re da un Sag- gio filosofico. E parlaudo della istoria del Diritto romano , noi troviamo ripetuta come cosa non contrastata da alcuno la pretesa spedizione di una ambasceria in Grecia per trarne le leggi delle XI tavole ; lo che mostra o ignoranza o disprezzo della opinione di coloro, i quali tengono essere le dette leggi una medesimi cosa cogli usi, colle consuetudini , e colle leggi antecedenti di Roma. Che se il silenzio nell’autor nostro provenisse da igno- ranza , sarebbe veramente imperdonabile in un concittadino del Vico ; se venisse da disprezzo , gli faremmo avvertito , che è un debito sacrosanto per lo scrittore il venerare quei sommi , che ci precedettero nella scienza che trattiamo , e che la opinione di un Vico seguita da tanti celebri scrittori ha diritto ad essere presa in esame , e con validi argomenti confutata , quando non voglia accettarsi. Noi non ci estenderemo a notare tutte quante le inesattezze che in fatto di critica istorica riscontransi nel libro 33 del sig. Giordano. Noteremo bensì un altro grave abbaglio re- lativo ai destini del Diritto romano dopo la caduta dell’ Impero occilentale ; poichè egli ripete la favola che il Divitto romano fosse perduto ad un tratto per la invasione dei Barbari, e che nel secolo XII ad un tratto , siccome per miracolo, resuscitasse. Questo vero paradosso morale e politico , rifiutato dalla civile filosofia, la quale insegna , che in natura nulla si fa di salto , ma tutto succede per gradi, è stato così pienamente smentito dal ce'ebre Savigny nella sua Zstoria' del Diritto romano nel medio evo , che sarebbe oggi vera cecità l’ impugnare la perpetua durata del Diritto romano da quando cadde l’ Impero occiden- tale fino al XII secolo. Sì, quei savii dettami ‘dei romani sa- pienti si associarono nel medio evo al fior più eletto del cristia- nesimo, e salvarono da un lacrimevole naufragio la Europea ci - viltà. Il nostro autore però dimostra di non conoscere neppure il nome del Savigny. Un libro elementare, che voglia rendersi utile alla gioventù la quale consacrasi allo studio delle leggi, come ebbe intenzione il sig. Giordano, deve contenere complete ed esatte definizioni di tutti gli enti morali, e di tutte le più importanti parole della Giurisprudenza. Senza queste definizioni la utilità dell’ insegna- mento è frustrata, e alla scienza sottentra la confusione. Come ha servito il sig. Giordano a questo irrecusabile dovere ? A noi pare , che anche qui non vada il nostro autore esente da rim- provero. Incominciando dal primo titolo della giustizia, e del Diritto, noi non troviamo nè la genesi della idea di giustizia , nè quella della idea di Diritto; la giustizia è soltanto conside- rata nel senso di virtù particolare, come la considerò Ulpiano, ma non già nel senso universale di conformità ad una norma, e nel senso della norma stessa. Il Diritto non si considera nel triplice aspetto di legge , di scienza , e di facoltà di operare. Non si dà una esatta e completa definizione della legge positiva. Si ripete con Ulpiano che la Giurisprudenza è “ Divinarum huma- narumque rerum notiltia, just jatque injusti scientia ,, senza in- dicare cosa vi ha in questa definizione di proprio soltanto della Giurisprudenza romana. Si ripete con Ulpiano, che il Diritto di natura è “ quod nutura omnia animalia docuit ,, confondendo le leggi animali o l’istinto colla legge di natura propria del- l’uomo, essere ragionevole intelligente e libero. Non si è avuta cura di ricercare come progredisse presso i romani la idea di Gius , e come dalla nozione del loro stretto Guus civile passa- T. Il. Giugno. 5 34 rono ad avere la cognizione di un Gius naturale detto Jus gen- tium , finchè Ulpiano credè dover risalire ad una definizione del Diritto di natura non compresa nell’ Jus gentium , che molte cose autorizzava , come per esempio la servitù , che non parvero del Dritto naturale ad Ulpiano , il quale diceva »‘ yure natu- rali omnes homines liberi nascuntur ;} omnes appellarentur homi- nes. 5, Lo stato delle persone trovasi definito dal nostro autore « quell’ attributo dell’uomo, di cui se ne fa uso in diversi dritti ,, e così discorrendo. Vero è però, che quando si esce dalle nozioni universali del gius costituendo , e le definizioni del gius costituito si attingovo dal Diritto romano , e dai Legislatori francesi, allora le definizioni divengono nel libro del nostro autore più esatte e più vere. Dalle cose premesse può dedursi , che il libro dal Giordano considerato come un saggio filosofico di giurisprudenza civile non ha un gran merito. È libro però da commendarsi se si consideri come compilazione della parte positiva del Diritto romano, e della legislazione vigente nel Regno napoletano ; e in questo aspetto riguardato il lavoro può riuscire utile alla pratica forense. Chè, quad’ anco non fosse riuscito il Giordano a fare almeno in questa parte un lavoro perfetto , loderemmo pur sempre il pen- siero di ridurre in forma di elementi non solo il Diritto romano, del quale una gran parte è scienza morta , ma ancora la legi- slazione vigente presso il proprio paese. È la vivente società, sono i bisogni di lei, che dobbiamo aver sempre dinanzi agli occhi. Nel Diritto romano troviamo, non vi ha dubbio , delle norme atte a servire all’ incivilimento , e segnatamente al per- fezionamento economico; ma la odierna civiltà è uno sviluppo di molte istituzioni che i romani non conobbero , e che perciò non poterono regolare. J contratti di assicurazione, le lettere di cambio , la pubblicità delle ipoteche, il sistema notificativo dei possessi, sono parti massime del diritto civile proprio della ci- viltà moderna rinata da elementi in gran parte differenti dalla civiltà antica. È dunque inopportuno il perdersi tanto nello stu- dio. della parte morta del Diritto romano, e trascurare le più iuteressanti notizie delle leggi , onde si regola la vivente socie- tà. Abbenchè dunque non abbiamo potuto per amore del vero encomiare la esecuzione del lavoro del nostro autore nella parte filosofica , lodiamv sinceramente la esecuzione del lavoro per il lato del positivo, nel quale però non troviamo in tutto cunve- niente la distribuzione delle materie. Noi siamo d’ accordo col- l'Autore, che non debba seguirsi pienamente. l’ordine tracciato 35 nelle istitnzioni «di Giustiniano ,, perchè il compilatore di esse non aveva certamente il diritto di comandare alla logica, e se trasse dal Diritto romano gli elementi per servire all’ insegna- mento, non, potè chiudere la. via a chi si sarebb» accinto in seguito a farne una compilazione migliore. La riverenza pel Di- ritto romano non dee degenerare nella sommissione dello schia- vo, nè dee toglierci la facoltà di pensare. Ma, quando trovia- mo , che il nostro Autore parla nel IV. libro dei contratti, quali interrompe per parlare delle azioni, e quindi ritorna ai contratti parlando della fidejussione e della transazione; che parla poi delle prove, poi della estinzione delle obbligazioni , indi delle obbligazioni che nascono dai quasi contratti, dai delitti, e dai quasi delitti, e poi del contratto di matrimonio, noi non sap- piamo ravvisare alcuna logica derivazione in questa disposizione di parti. Chiudesi dal nostro autore il. suo lavoro col titolo unico del Digesto contenente le regole dell’ antico diritto, quali da lui sono state disposte in ordine alfabetico. La quale fatica ci pare da reputarsi poco utile e poco lodevole. E primieramente avver- tiamo , che nel tit. de regulis juris non trovansi.che scarsi ger- mi bisognosi di essere dischiusi e suppliti coi principii di ragio- ne., i quali non possono nascere che dalla adéquata cogvizione delle idee. fondamentali che reggono tutta quanta la dottrina della giurisprudenza. Senza questi principii, di ragione quelle regole del diritto si ripetono più per autorità, che non per un chiaro concetto e per una filosofica dimostrazione. Secondaria- mente ci pare , che volendo prendere il titolo de regulis juris per soggetto d’ insegnamento’, sia. necessario il dare una dispo- sizione , un ordine logico alle dette regole , che nel digesto sono poste alla rinfusa e senza alcun legame ; altrimenti non .s’ inse- gnerà una scienza ; la quale non esiste senza un sistema di idee, ma .si daranno dei frammenti staccati ,\ di poca o niuna utilità per gli apprendenti. Prima di por fine a queste osservazioni , che 1’ amore della scienza ci ha dettate sul libro del sig. Giordano , ci piace an- dar contro ad una obiezione che potrebbe farcisi da taluno, a cui le nostre idee sembrassero convenienti per un esteso trattato, ma soverchie per un libro di elementi. A. costui risponda per noi il Romagnosi: « La differenza fra un compendio, ed un 3) trattato non consiste nel mutilare 1’ aspetto del corpo intiero 3 della dottrina, ma bensì nell’ esporlo in una maniera più o 3; meno amplificata, e con vedute più»0 meno generali o spe- 36 ») ciali. Tutto intiero il ritratto ; sia in grande, sia in piccolo , » esporre si deve , sotto pena; altrimenti praticando, di pro- > durre un aborto mutilato ed imperfetto, e di niuna utili- 3, tà (2) ,,. A fare intiero il ritratto del diritto civile è neces- sario che questo sia nutrito colla filosofia razionale , colla storia, colli politica economia, col naturale e pubblico diritto ; è ne- cessario che si mostri come esso è una parte interessantissima della scienza sociale. Anche lv scrittore o insegnatore di elementi dee dunque , benchè in modo ristretto , di tutti questi succorsi avvalersi. Che se taluno dicesse non essersi fatto sempre cusì , noi diremmo che egli ha ragione; ma il mal fatto non può es- ser norma a ciò che dee farsi , e in mezzo a tanta luce di ci- viltà che d’ ogni intorno ci irradia , e la retta via ci dimostra , non può rimanersi nella torta strada che il cieco e lo stupido , o quei che perverso di cuore conginra nell’ empio, ma vano , proposito di far retrocedere il mondo. CxrLso MaARzuCCHI,. (2) Bibl. Italiana ,, Gennaio 1831. Reflections on the decline of science in England ec. Riflessioni sulla decadenza delle scienze in Inghilterra, e sopra alcune cause della medesima: per Carro Bazzace Professore di ma- tematiche all’ Università di Cambridge, membro di diverse Accademie, in 8.° Londra 1830. Dovendosi render conto nell’ Antologia dell’ opera del chia- rissimo Babbagr, che pel nome dell’autore e l’importanza dell’ar - gomento ha avuto molti lettori in Francia, in Inghilterra, e per i giornali è assai nota in Italia (V. Antologia straniera di To- rino); abbiamo creduto fur cosa grata ai lettori riproducendo per intiero l’ articolo inserito dal Romagnosi negli Annali di stati - stica di Milano. Tanta è la fama che giustamente gode il Ro- magnosi in Italia, e tanta la venerazione in che si tiene il suo nome dai coltivatori delle morali discipline, che ci confidiamo dover riuscire graditissimo a molti questo fascico'o del giornale sol perchè contizne cosa del Romagnosi. Giudicheranno poi i lettori se il chiarissimo Romagnosi la- sciandosi trasportare da alcun lodevole sentimento non abbia con spirito sistematico offeso talvolta il vero, e non dia alcuna falsa idea sullo stato morale ed intellettuale dell’ Inghilterra. Questo i o 37 giudizio pei lettori potrà essere agevolato ‘dall’ articolo del ce- lebre Biot sull’ identico argomento , (Journal des Savans. Gen- naio 1831.) dove la questione si considera meno parzialmente, e si tratta senza alcuno di quei vieti pregiudizi liberali che fanno trascender talvolta i confini del vero agli uomini cresciuti sotto le antiche monarchie , e però soliti a valutare molto î favori e la benignità del governo. F. Forti. “ Vecchia e notoria è la distinzione delle Scienze in contem- plative ed in operative. Una suddivisione poi delle scienze ape- rative è parimente nota , perocchè si distinguono le meccaniche , le morali e le miste. Di questi tre rami il meccanico è il più coltivato in Inghilterra , e le sue produzioni sono maravigliose ; ma quanto agli altri rami il sig. Babbage ci dice essere rinasti stazionarj in Inghilterra. ‘* Tutte quelle scienze che riposano sull’osservazione e che esigono lunghi ed astratti studj, riman- gono senza progressi, e però dir si deve trovarsi in uno stato di decadimento. ,» 1, Volendone indagare le cagioni , l’autore accenna .in primo luogo la mancanza di un piano ragionato di scientifica educa- zione : in secondo luogo la mancanza di incoraggimenti nazio- nali prestati da uomini distinti; fivalmente alla nociva influen- za della celebre Società di Londra male ordinata e male. con - dotta, benchè da principio fosse stata fondata per estendere e secondare i progressi del sapere. so In prova di tutto questo l’Autore riferisce che nelle Uni- versità Inglesi le scienze sono poco o niente insegnate: che nè concorsi, nè esami intervengono a stimolare gli allievi e ad ob- bligarli a dar prove di sapere : l'insegnamento , quando ve ne ha, si limita a vaghi dettami , e generali nozioni date da un professore senza dimostrazioni e senza sperimenti. s. Passando agli incoraggimenti nazionali, l’autore osserva che nell’ Inghilterra, onde potersi consacrare a dutte ricerche. abbiso- gna l'indipendenza di fortuna , attesochè agli stndj di questo genere, non vanno annessi nè impieghi lucrativi , nè posti ono, revoli. Gli studiosi che entrano con ardore nella strada del sa- pere; ne sono ben tosto distornati dal bisogno di crearsi. unu stato‘ ed un avvenire lucroso. Rimane quindi una classe di ama- tori ricchi, i quali ambiseono di associare il luro nome a qual- che stabilimento di pubblica utilità; ma la riputezione di dotti vien da loro procacciata col denaro. 30 » E qui l’autore passa al terzo capo riguardante l'influenza della celebre società scientifica di Londra. Non senza sorpresa (ei dice ) si saprà che per farsi nominar membro della Società Reale si esigono 50 lire sterline ( 1250 franchi): gli uomini del più gran merito esimere non si possono dal pagare questa som- ma. Per la qual cosa è avvenuta un’ estrema facilità ad ammet- tere membri, i quali non hanno altro merito che la loro ric chezza, talchè il numero di questi membri sta in una enorme proporzione. Da ciò n'è avvenuto che sì per un motivo che per l’altro il titolo accademico di membro del'a Società reale di Londra è decaduto nella stima comune in proporzione dell’abu- so suddetto. x, 1l Presidente ed i segretarj, invece di essere nominati in assemblee regolate, sono concertati nei crocchj particolari, e ciò senza riguardo al merito loro reale. --- Qui possiamo soggiunge- re una recente notizia dell'elezione del nuovo Presidente avve- nuta dopo la pubblicazione dell’ opera del sig. Babbage. La parte dotta degli accademici concorreva a portare alla Presidenza. il sig. Herschell, ma ella dovette succombere contra l’ intrigo e la pluralità degli altri membri signorili , ed un Duca di alto bordo fu nominato a Presidente. Ci mancava un ultimo. ed. inusitato passo come questo, onde la Società reale di Londra da uo di scienze fosse convertita in uò corpo di decorazioni. »; Il consiglio dirigente la Società di Londra (prosegue v Au- tore ) viene eletto dal Presidente e non dipende che da lui. I registri della Società sono mal tenuti e talvolta falsificati; i core rispondenti fanno poche comunicazioni o figurano sulla lista coi loro titoli di lord o di duchi : in breve tutto tende a produrre la rapida decadenza di una fondazione deviata dal suo scopo vero e primitivo. s> Il sig. Babbage allega parecchi fatti in appoggio delle sue asserzioni. Le osservazioni fatte nella specola di Greenwich; e pub- blicate a spese del governo col più gran lusso, furono trovate in una bottega di Thames-Street, nella quale venivano rivendute a peso di carta per farne cartone di Bristol. Sembra che. uno dei membri del Consiglio incaricato di questo deposito avesse divisato di trarne profitto: Un altro inconveniente molto più grave risultante dalla negligenza degli studj matematici, viene avvisato dal sig. Babbage colle seguenti. parole. “ Il governo sco- ;; prù poco tempo fa che i termini dietro ai quali egli pagava ; le annualità, erano inesatti, e quindi nuove tavole furono ,» redate per ordine del parlamento. Nello stesso tempo fu pro- 39 ss vato che le false tavo'e avevano cagionato al paese una per- 53 dita di due o tre milioni di lire sterline. Da lungo tempo era 3; noto che parecchj errori esistevano nel regolamento di questi », conti, ma il governo fu l’ultimo ad essere informato. Se la 3, metà degli interessi della metà di questa somma fosse stata ; giudiziosamente applicata ad incoraggiare gli studj matematici, ss si avrebbe impedito che simili errori si rinnovassero giammai ,, . »» Questa notizia su libro del sig. Babbage, ci vien fornita dalla signora Belloc, inglese, già nota per tanti articoli letterari. Osservazioni. o Il fatto qui riferito non è di quelli, la cui fede stia presso l’ espositore, ma un fatto pubblico e notorio , il quale verificare si può mediante un catalogo bibliografico. Ora questo fatto iu un paese illustre per pensatori e dotti in ogni genere a fronte della libertà della stampa, merita a nostro avviso di essere ben meditato. 3, La libertà di pubblicare i proprj pensieri, non agisce pro- priamente in via di impulso proprio e produftivo; ma in via soltanto di non opposizione ( propter remotionem obstaculi). La libertà nel suo universale significato, altro non è che l'esenzione da ostacoli nell’ esercizio di una forza. Affinchè questa forza sia eccitata, affinchè spieghi la sua energia , affinchè produca un ‘ effetto qualunque si esige una potenza intrinsecamente stimolata e dove fa d’uopo ajutata , locchè non si fa solo in via negativa col togliere ostacoli esterni, ma altresì col porre una potenza e coll’ eccitarla intrinsecamente. Perchè una palla esiste sopra un piano libero o un pendolo in una sfera libera , forsechè per questo solo si muoveranno ? No certamente. Richiedesi un impul- so che loro dia movimento e direzione. La libertà dunque di pub - blicare i pensieri potrà bensì essere una condizione , unde emmet- tere e comunicare la scienza concepita; ma giammai la causa originaria per concepirla. »» Accordo poter esistere cause fattizie inceppanti il pensiero: e queste (prescindendo dall’ ignoranza e dalle affezioni comuni) consistere possono in certe credenze, le quali ascrivono a delit- to il pensare in una certa guisa 0 il non credere a certe opi- nioni. Ma allora non si tratta più di libertà esteriore ma di li- bertà interiore ; allora non si tratta più di facoltà sociale ma di coscienza morale. Ora in un paese dove coesistono tante cre- denze ; e dove nel ceto illuminato non possiamo per regola ge- 4o nerale fignrare coscienze vincolate, non si potrebbe porre nem- meno come ipotesi che 1’ accusato decadimento delle scienze in Inghilterra derivi da siffatte coscienze vincolate. »» Che cosa dunque resta ? Se non predominano coscienze che temano di pensare su qualunque argomento: se non militano divieti autorevoli a pubblicare le proprie opinioni scentifiche, si deve dunque indagare qualche altra cagione dell’accusato deca- dimento. Forsechè l’incivilimento fu arrestato da qualche po- litico rivolgimento ? Non mai. Anzi tuttodì si proclamano pro- gressi; e a dir vero nelle me.caniche utili, essi sono meravi- gliosi. Forsecchè da alcuu tempo in qua, la tempra serutatrice e posata dei cervelli inglesi , va alterandosi . o va perdendo la capacità di sollevarsi al di sopra della sfera materiale ? Conver- rebbe figurare una rivoluzione fisica di suolo , di clima, od una maligna influenza credibile per gli ‘astrologi, ma non pei filo- sofi. Dacchè dunque derivar può questo decadimento ? Ecco un problema importantissimo di civile filosofia. Ecco un quesito di statistica magistrale. Ecco un argomento che può svelare la uni- tà attiva che presiede alla vita civile degli Stati i più amati dal cielo. Molte cose dire dovrei su di questo argomento; ma rispettando i confini di un articolo letterario, mi contenterò di accennare i dati che mi sembrano i più prossimi alla questione, rimettendo le più alte indagini a quanto già scrissi sulla supre- ma economia dell’ umano sapere. ,» Più volte ho detto che dagli interessi materiali di un po- polo bene ordinati sorgono gli interessi morali. Fra questi mo- rali interessi il posto il più eminente viene occupato dall’ amor del!o studio , e dalla cordialità. Il primo riguarda l’ intelligen- ‘za, ed il secondo riguarda gli affetti. La connessione fra queste due parti è intima e indissolubile, talchè un antico sapiente pronunziò che in animam malevolam non intrabit sapientia. Il bisogno di coltivare la scienza non può in generale agire se non dopo soddisfatto quello della sussistenza, come quello della cor- dialità verso degli altri non si può sviluppare se non dopo aver provveduto alle esigenze individuali. La earità ordinata comin- cia da se stessi, dice un antico proverbio. Un nomu agitato da una procella di mare sopraffatto dallo spavento di naufragare nun può essere agitato dalla compassione verso i suoi simili che gri- dano al pericolo. Tanto per sentire a pro di altrui, quanto per pensare alle scienze è necessario che le urgenze personali siano appagate, onde la mente ed il cuore possano rendere il loro culto alla sapienza ed alla carità verso i loro simili. n” 41 3 Quell’ aurea mediocrità di fortune indipendenti , la quale si trova lontana del pari dai vizj e dalle durezze dell’opulenza , e dai delitti e dalle afflizioni dell’ indigenza, forma la. posizione migliore tanto per la cordialità che per la meditazione. Quando questa posizinne sia comune a molti, voi avete i cultori ed esti- matori , i quali agiscono e reagiscono a viceuda, a pro de’ buo- ni studj. Allora alle delizie del'o spirito si aggiungono anche quelle della convivenza. La stima reciproca fa sorgere una vera repubb ica letteraria, nella quale se. non ostano ceppi comau- dati, ognuno coltivar può con lode il ramo a lui prediletto, Al- lora le ralunanze letterarie in seno di un popolo, sorgono a guisa di templi, nei quali al sapere vien reso un culto rego- lare, i dotti vengono stimati come gli interpreti del sapere e sacerdoti delle Muse. 3» Ma questa comune posizione si può forse ottenere in una nazione , nella quale il potere economico sia dissestato? Laddo- dove |’ emulazione prediale e signvrile smodatamente primeggia, è forse possibile figurare un ampio ceto indipendente e venerato di sapienti, il quale possa gareggiare colle fortune agrarie, pe- cuniarie e decorate, specialmente. quando ad ogni momento fanno sentire il loro preduminio? Tu potrai riscontrare qua e là peusatori solitar ; ma non mai unioni di dotti, dai quali emani- no quei solenni dettati e quegli autorevoli sindacati, ai quali ogni ceto chini riverente la fronte. Rammentate la cessata ve- neta Repubblita, ed anche la Genovese, esaminate la moderna Inghilterra, e rispondete. — Se una visibile prepotenza non usurpa i diritti e gli omazgi dovuti alla dottrina ; se una cla- morosa guerra non espelle i dotti dal santuario delle scienze, e non chiude loro la strada di salire su i pergami per parlare al popolo ; sottentra certamente una sorda e costante co:pirazivne, la quale con invisibili catene circonda e tien legata l’ opinione volgare e guadagna coll’oro e coi favori partigiani e lodatori. Se la peste dasse pensioni e favori ( disse un celebre inglese ) la pest: avrebbe ‘autori e panegiristi. ss Rari sono gli uomini che per mera e disinteressata curiosità; o per un amor puro dei loro simili si vogliano almeno dapprin- cipio applicare a le scieuze specialmente severe ed utili. Posto iv «isparte l’ amor del guadagno, un sommo stimolante fu sem- pre la mira di farsi onore. Animali della gloria appellò Cicero- ne gli scrittori di ogvi gene:e. Ma che cosa suppone la mira di ‘acquistar. gloria? Fo:serchè in seno di selvaggi o in mezzo ad T. II. Giugno 6 42 un consorzio che sprezza i dotti lavori si possono aspettare ono- revoli suffragi? Or bene l’assorbente predominio signorile di- storna gagliardamente in Inghilterra questi suffragi, non dico presso una moltitudine incurvata sul terreno o sull’officina , ma bensì presso il ceto il più educato, al quale egli detta l’o- pinione ; e ciò egli pratica con tanto più di solerzia quanto più aspira di concentrare in se stesso tutta la considerazione popo- lare. Questo predominio non professa di sprezzar la dottrina e di vantar l’ignoranza, come avvenne un tempo presso di una certa nazione, ma vmol rivaleggiare col vero sapere e si sforza di comprar panegiristi, e di screditare tutti i nuovi tentativi del genio, e soprattutto le utili teorie contrarie a suoi interes- si. Questo procedimento non è forse infinitamente più funesto di qualunque censura? Non giunge forse a soffocar il sapere fin nella sua culla ? Questo predominio lungamente protratto, que- sta influenza incessantemente operativa da che deriva ? Fuorchè dall’economica posizione fondamentale della nazione. » Noi abbiamo altrove dimostrato colla scorta della storia che l’ industria ed il commercio nell’ Inghilterra furono innesti pro - curati col potere politico , e che ivi artificialmente vengono ali- mentati anche col contrasto stesso della sua posizione. Lo stesso dir si può de’ suoi stabilimenti scientifici e letterarj. Essi rasso- migliar si possono a que’ giardini di piante esotiche che vengono importate e conservate a forza di serre , di stufe e di letti caldi e le produzioni dei quali sono rare, dispendiose e stentate. lo sono ben lontano dall’ accusare la capacità naturale degli inge- gni inglesi, ne’ quali riconosco grande solidità e vigore , io parlo solamente dei loro stabilimenti scientifici e letterari, nei quali in oggi predomina nna incuranza scandalosa accusata bene spes- so da venerandi scrittori della loro stessa nazione. Tanto le virtù quando i vizj hanno le loro cagioni. Or bene chiamate a confronto l’ Italia moderna nel disastroso periodo dell’ ispanico predominio. Che cosa vi dicono le sue tante e tante sucietà let- terarie disegnate con sì bizzarre denominazioni e che dall'attuale generazione vengono ricordate con derisione ?. Ecco un terreno abbandonato , il quale colla folla stessa de’ suoi prodotti inutili vi palesa la sua naturale fecondità. Qui gli elementi produttori stanno fra di loro nelle proporzioni d’ una forza produttiva. Qui non manca fuorchè la'mavo dell’ agricoltore per ‘volgere questa forza ad una proficua vegetazione. ;;3 Ma d’onde credete ‘voi che sia derivata questa vitale pro- porzione di elementi? Leggete la storia dei secoli antecedenti , È 43 e ne troverete il perchè. Se poi ne volete vedere gli effetti nella coltura intellettuale leggete la storia della italiana letteratura dal XII secolo in avanti, e voi in ogni ramo di coltura ne rileverete le prove. Un solo esempio citato nella Rivista di Edimburgo basti per ora “ Nel XV secolo dieci mila fanciulli apprendevano »» nella sola Firenze a leggere nelle scuole; mille e duecento s) imparavano l’ aritmetica , e seicento avevano un’ educazione »» letteraria ,,. Tutto derivava dalla etessa posizione. Questa posizione è radicale: questa posizione è indelebile , perchè ope- rata gradualmente dalla spinta invincibile del tempo, ossia da quella forza vitale insita nello stesso temperamento della equa convivenza di genti stabilmeute fissate sopra un territorio fe - condo e sotto un cielo benigno. Per la qual cosa voi vedete che l’amor per la dottrina non fu mai in Italia perduto; che mai il merito letterario fu eclissato dal lustro dell’opulenza ; e meno poi comprato a prezzo d’oro come in Inghilterra. Qui almeno agli alti ingegni non vien contrapposta la barriera di un positivo ostinato a rigettare qualunque razionale teoria come nell’ Inghilterra. Qui alla peggio accusar potrete molta trascuranza nel meditare , ma non prevenzioni tenaci a rigettare qualunque dettame non con- forme al genio degli vttimati. s» Confrontate se vi piace. perfino gli usi dlei due paesi e voi toccherete col dito le cause occulte predominanti. Un’etichetta chinese in ogni minimo movimento privato , estesa persino nel picchiare ad una porta, un’ emulazione di preminenze in tutte le graduazioni dei ceti ed in tutte le diramazioni delle profes- sioni, un orrore a confondersi col minuto popolo, ed una stu- pida idolatria di questo verso i predominanti ec. ec. che cosa vi manifestano? Qual è 1’ effetto morale primo che derivare ne deb- be? Il bisogno incessante di emulare di grado in grado i supe- riori, bisogno violento e non mai soddisfatto e però assorbente d'ogni cordialità , e di ogni spirituale elevazione. Voi mi cite- rete stabilimenti caritatevoli nell’ Inghilterra di vario genere che taluni proposero d’ imitare. Ma di grazia potete voi assicurare derivar essi da quella santa commozione di carità, o da quel possente stimolo di compassione che onora le ingenue, rozze , libere popo'azioni? Non è forse noto che in generale siffatte be- neficenze in Inghilterra derivano ora dal fasto per mostrare opu- lenza , ora dalla mira di cattivare suffragi per salire nelle pub- bliche cariche , ed ora- per allontanare in parte le. minaccie di un’ affamata moltitudine che assedia e strepita da ogni lato? La lega fra l'ambizione e l’ avarizia è indissolubile perchè in un di dissestato o:dinamento sociale l’una non può stare senza dell’al- tra. Le effusioni sincere della filantropia nel corso comune e ge- nerale sarebbero in siffatto paese altrettan'i morali paradossi e controsensi ripugnanti collo stato reale delle cose. 3» Il ciel mi guardi che io sia per attribuire all’ indole natu- rale e propria degli Inglesi questi moli di sentire e di operare. Io son d' avviso che qualunque altro popolo de'la mizlior indole posto nelle stesse circostanze agirebbe quasi ne'la stessa guisa. Io ho voluto invece far avvertire i fenomeni che suno conna- turali ad un temperamento economico dissestato. Essi tutti si veggono derivare spontaneamente da una stessa cagione, e si prevede pur troppo duver nascere, moltiplicarsi, trasformarsi e complicarsi come avviene nell’ Inghilterra. Que!l’isola presenta allo statista lo specchiv vivente delle conseguenze tutte di un temperamento svcia'e sproporzionato. Importantissime lezioni di civile filosofia ritrarre si possono unde avvalorare con fatti ve- rificati sotto gli occhi nostri le teorie dell’arte sociale, e produr- re negli uomini di stato quel sicuro convincimento ch’ è neces- sario onde non avventurare una nazione a pericolosi sperimenti. Le sanzioni del disordine sono indispensabili per raccomandare i benefizj de'l' ordine e soprattutto per escludere la presunzione di poter operare il bene con mezzi diversi da quelli che son, sug- geriti dalla buona teoria. Niun mezzo, niuna guarentigia mig'io- re esiste contro le temerarie innovazioni ed a favore del'a sta- bilità quanto lo studio di un o:dinamento fondamentale econo- mico diverso da quello dimostrato da necessarj principj. Il c'est egal è frase proscritta dal +odice eterno dell’ ordine naturale. Venite all’ esperienza e ve ne conviucerete. », La magnificenza ne! disegno ed il risparmio dell’esecuzione formano al dire di Fontevelle i pregi dell’ordine fisico. Nell’o:- dine morale e politico implorato dalla natura si verificano le medesime condizioni. Qual tela immeusa presenta il triplice per- fezioramento degli umani consrzj segnato col nome di incivili- mento! Eppure egli viene operato con una sola e medesima leg= ge; in un solo e individuo ordinamento ; cogli stessi metodi , cogli stessi passi e con una sola e medesima economia. E par- lando specialmente dell’umano sapere uoi troviamo che |’ intel- lettuale va strettamente congiunto coll economico col politico e sorge dalle stesse radici, procede coi medesimi mezzi , va sog- getto alle stesse vicende ed esize le stesse condizioni. Ponete un buon orlinamento economico nel quale si verifichi la libera e le- gittima concorrenza, e voi vedrete spuntare e grandeggiare a 45 guisa di rami sorgenti da un solo tronco di qua la moralità la operosità e la cordialità, di là le scienze ,' le lettere e le arti tutte; di quà la dignità e la potenza ; di là l'onore e la glo- ria. Lumi nella mente, bontà nel cuore , potenza negli atti si effettuano spontanei, uniti, connessi, inilissolubili ; talchè non occorrono nè protezioni, nè ingerenze, nè stimoli fattizj. 3 Volgare errore e scusa alla ignavia si è abbisognare gli scienziati di accattare protezioni magnatizie. Fate che la divina economia presegga all’ ordinamento delle genti civili, e voi ve- drete le scienze e le arti non implorare fuorchè sicurezza nel loro esercizio e fiducia nella loro aspettativa. Ciò che dicesi del- l’ industria materiale applicar si deve anche all’ industria intel- lettuale, e però alla dimanda delle protezioni fa d’uopo rispon- dere distinguendo un popolo dotato di un temperamento nor- male da un popolo di temperamento dissestato od infermo. Quanto al primo la pretesa protezione è inutile ed anche nociva. Quanto al secondo può essere utile come quela di Francesco primo e di Luigi XIV in Francia. sì Ma quanto all’ Inghilterra non sapremmo colle attuali cir- costanze accennare mezzo alcuno onile rattenere la decadenza e comunicare un moto ascendente. Havvi qualche cosa di più forte in Inghilterra che si oppone e che nè Francesco primo nè Luigi XIV non incontrarono ; e questo è la iuflu:nza compat- ta, estesa e prepotente della quale ho parlato di sopra. Essa non può essere tolta fuorchè col togliere le prepot*nti cagivni che la formarono e la mantengono. Ai bisogni materiali si prov- vederà sempre come si potrà. Ma parlando degli intellettuali, es- si oltre una certa sfera non nascono che a forza di raffinata educazione e nell’ alto direm così della civile convivenza e col fiore della salute sociale interna e del libero esterna commercio. Potranno è vero alcuni benemeriti cittadini tentare qualche sfor- -zo per far rifiorire l’alta istruzione ; come per esempio fu re- centemente praticato in Londra fondando un’altra università : ma quale esito e quale durata ripromettere ci potremo? A buon conto |’ emulazione dei Torys sorge a contrapporne un’altra in senso contrario Questa gara potrebbe riuscir utile se esistesse un fondo vitale per sostenerla e se assicurar si potessero le aspettative degli studiosi. Ma con un pubblico preoccupato e padroneggiato dall’ ascendente prevalente contrario possiamo noi forse riprometterci felici e stab.li risultamenti ? Ecco ciò che la- scio ai lettori di decidere. Romacnost. 40 «< Se il titolo di quest'opera non presentasse che la semplice espressione di un’ opinione individuale , noi avremmo potuto di- spensarci dal. farne l’analisi: ma in questa medesima opinione convengono molti fra i più illustri sapienti della Gran. Bretta- gna, come Davy, Brewster, Herschell , i quali da qualche tempo l’ hanno pubblicamente manifestata nei loro scritti, di modo che il fenomeno morale oggetto del libro del sig. Babbage si annun- zia con tutta l’ autorità dei loro nomi. Inoltre il sig. Babbage è egli stesso un filosofo di un merito incontrastabile, e , ciò che è di un gran peso nella questione che tratta, è desso un uo- mo, il quale tutti coloro che hanno avuto secolui la minima relazione conoscono d’ animo retto e sinceramente dedito alle scienze. . Tutte queste cons:derazioni adunque si riuniscono per impegnarci ad esaminar seriamente il fatto intellettuale, ch’egli ci addita, e soprattutto a discutere con diligenza le cause, che ne assegna, affinchè, se sono reali, se ne possano preservare le nostre instituzioni scientifiche. « Ma in primo luogo è d’ uopo intender bene che la deca- denza, della quale lagnasi il sig. Babbage, riguarda specialmente la scienza pura, astratta, teorica, sciolta da ogni applicazione presente. La chiesa, il foro, la marina , le manifatture gli sem- brano offrire sufficienti vantaggi tanto per conservare il gusto , e le ricerche d’ erudizione, d’ istoria, di legislazione , di giari- sprudenza , quanto per propagare le applicazioni ordinarie della astronomia , deila fisica, della chimica, della meccanica ; niente però gli sembra eccitare gli spiriti a seguire le scienze per loro medesime e soprattutto a coltivare l’analisi matematica, principio universale dei loro progressi verso lo stato di dottrina fissa. In una parola, a parere del sig. Babbage ; il corpo materiale della scienza esiste, ma nulla v° ha che risvegli il genio astratto delle ricer- che filosofiche, il quale ne è l’ anima: la di lui influenza vitale sembra affatto disconosciuta non meno dagli instituti , che dal governo. ” “ Osservate, egli dice, il giovine che esce dalle scuole pub- bliche di prima classe: egli non arreca alle grandi università alcuna tintura delle scienze fisiche e matematiche. Queste uni- versità medesime destinate nella loro origine a formar soggetti per la carriera ecclesiastica son ben lontane dall’ aver seguito nel loro insegnamento i rapidi passi delle teorie moderne ,e dal- l’ averlo sollevato alla loro altezza. Una volta che il giovine è uscito dalla università, nessuna carriera sociale gli offre inte- resse a coltivare le scienze con profondità; in conseguenza a 47 promuoverle. Perciò di rado avviene che. ne’ pubblici impieghi s’ incontrino persone che le conuscano e che le stimino , e che abbiano in pregio coloro che ad esse si dedicano: e da ciò na- sce ancora per. necessaria reazione una assoluta mancanza d'in- coraggiamento a tali persone dalla parte del. governo; il quale lascia alle scienze, come ad ogni altra. professione sociale , la cura di sostenersi da sè medesime. Quindi il sig. Babbage nun pena a dimostrare che questo principio d’ amministrazione com- merciale applicato ai lavori astratti della scienza debbe \inces- santemente operare a distruggerli: e con tanto maggiore effica- ciaquanto più sono astratti; che è quanto dire più specialmente utili al perfezionamento dello spirito umano. Imperocchè , per non recare che due semplici esempii, come mai Newton ancora povero avrebbe pubblicato il libro dei Principi, che forse tre o quattro sole persone in tutta Europa potevano capire , se la Società reale di Londra non ne avesse fatto le spese? E come Laplace avrebb’ egli potuto solamente comporre la. Meccanica celeste; che, per la sua epoca, non era men difficile a leggersi, se, per vivere, avesse dovuto affidarsi al prodotto di quest’ o- pera? Non si scorgono a siffatte domande che due risposte: la prima è che la società non ha che a riposarsi unicamente sui ricchi per avere dei Newton, o dei Laplace; la seconda è che ella può farne di meno senza inconveniente. « Il giudizio pronunziato qui dal sig. Babbage sopra la poca premura che le grandi università si prendono per 1’ alta cultura delle. scienze sembrerà senza dubbio assai grave , venendu esso da un professore di Cambridge, che copre in quella università la stessa cattedra di Newtun. Se il fatto che attesta è così reale .come egli suppone, desso è tanto più da deplorarsi in, quanto che le due grandi università di Cambridge , e di Oxford. sono dotate di ricchezze immense e di benefizi considerevoli ,, la di- Ì stribuzione dei quali nobilmente liberale basterebbe: per incorag- giare , per ricompensare degnamente i grandi ingegni, e pur an- che ogni merito scientifico o letterario. Il.sig. Babbage riconosce, egli è vero, che l’organizzazione interna di questi stabilimenti ‘comincia a piegarsi ai progressi delle idee. moderne; e che da quindici anni il sistema degli studi yi è notabilmente megliorato. An fatti questo era tutto quello che potea dire il. professor di Cambridge. Ma in queste antiche instituzioni non vi sarebbero oggigiorno altre relazioni da stabilirsi tra i professori e gli sco- lari; una porta più larga da aprirsi al talento privo di beni di fortuna; nou resterebbe soprattutto da riconoscersi la. chiarezza 48 del merito personale, come il solo titolo d’ ammissione agli im- pisghi, e alle dignità, iudipendentemente da qualunque. pro- tezione ?. Son queste le condizioni della vita intellettuale per le alte instituzioni scientifiche: e quando il lorv splenilore si spenge si può esser quasi certi che desse non vi sono più adempite. » A queste verità sullo stato delle due grandi università d'In- gliilterra è stata data multo severamente maggiure estensione in un estratto dell’ opera del sig. Babbage, che è comparso uel Quaterly Review; e che tutto indnce a credere esser parto della penna del sig. Brewster. Il sig. Babbage si era ristretto a fare osservare che questi stabilimenti hanno preso poca parte alle grandi scoperte dell’epoca presente. e del tempo che la precede: il critico spinge questa osservazione molto più avanti , e racco- gliendo tutti i nomi più riputati nelle scienze che vanti oggidì l'Inghilterra ( Brewster eccettuato ) dimostra che niuno, 0 quasi niuno appartiene alle università dei tre regni. Il ragguaglio ch'ei dà degli altri impieghi scientifici , e del modo col quale si con- feriscono , non ‘è meno spiacente. Dopo aver letto questa rac= colta di fatti; i quali sembrano anche troppo accertati , si com- prende bene come un vomo il quale è presentemente! nel primo ord.ne degli scienziati inglesi pei suoi lavori ; non meno che pel suo carattere, ‘come il sig. Herschell, ha potuto imprimer le linee, che il sig. Babbage riporta ::* In Inghilterra tutte le serie 3) di scoperte che si fanno sul continente non sono più studiate; ,; e non vi sono neppur conosciute col loro nome. Sarebbe inu- ;; tile il voler dissimulare questa dolorosa verità : noi retroce- ;) diamo rapidamente. Da lungo tempo abbiamo abbandonato le ,» redini delle matematiche ; e abbiam lasciato un arringo senza ,; speranza. In chimica la nostra condizione’ non è punto mi- ss gliore: e per quante altre parti delle cognizioni scientifiche ., non potremmo noi fare simili confessioni ? ,, In vero queste lagnanze del sig. Herschell sono assai notabili. Speriamo che la loro austera franchezza , appoggiata dal consenso generale degli scenziati inglesi, possa utteniere , nella distribuzione delle ric- chezze delle università , quelle modificazioni che il progresso del tempo ha rese necessarie, e che pel bene delle scienze ricondur- ranno le università medesime a quel grado sublime , sul quale hanno esse tanti mezzi per sostenersi. Il sig. Babbage volendo offrire una prova sensibile e pur troppo vera del sistema politico il quale abbandona interamente l’avanzamento delle scienze alle scienze medesime , cita |’ esem- pio di Dalton : e in virità non poteva trovarne uno più nobile. 49 Jl sig. Dalton è senza controversia uno dei due o tre primi chi mici d’ Europa. La teoria delle proporzioni definite , onde egli ha arricchito la sua scienza è una scoperta , Ja di cui astrazione ravvicina la chimica ad una scienza matematica , più di quello che non potea sperarsi nello stato di complicazione nascente , nel quale essa è tuttora. Tutti i chimici, e tutti i fisici d’Eu- ropa e d’ America esprimono adesso i risultamenti delle loro operazioni sotto questa forma , la quale ne rende immediate la comparazione e la verificazione. Ebbene ? Dalton vive a Man. chester del provento di alcune lezioni private di matematiche, che egli dà come darebbe un maestro volgare , e al medesimo prezzo. Nessun favore del governo , nessun impiego , nessuna pensione gratuita, rende alle scienze l’ ore di un grande in- gegno irreparabilmente perdute in una fatica miserabile. Il sig. Ivory il primo geometra della Inghilterra, dopo aver lungamente e oscuramente professato la sua scienza in una scuola militare, vive di una meschina pensione , che i suoi lunghi e penosi ser- vigi gli hanno alfine impetrata. Altri non meno celebri , quali Joung ; Brewster, Herschell, non hanno mai richiamato uno sguardo. Durante qualche tempo, dal 1817 al 1828, parve che il governo prendesse cura di riunire presso 1’ ammiragliato un certo numero di scienziati ragguardevoli tratti d’Oxford, di Cam- bridge, e dalla Società reale, ai quali confidò la pubblica- zione dell’ Almanacco Nautico. Joung fu allora di quel numero, Ma questa instituzione, che era stata chiamata 1° Ufizio delle longitudini, non potè conservarsi, perchè non offriva alcun in- teresse di partito, e dava alla protezione politica poca occasio- ne d’esercitarsi : di maniera che, tanto dopo che avanti la di lei esistenza, gli uomini che abbiamo citati hanno vissuto e vivono del penoso sacrifizio ch’ essi fanno del loro tempo alle grandi intraprese librarie. Questi fatti son dolorosi certamente , e mo- strano che in Europa più non sono nè i Colbert , nè i Luigi XIV. Ma se ingegni tanto singolari sono sì fattamente dimenticati , non si dee forse incolparne principalmente coloro i quali avvi- cinando il potere, e pretendendo al titolo di uomini istruiti, ed anche di sapienti, non hanno inalzato la voce a favore del merito sconosciuto ? Può supporsi che un tal richiamo, esente da qualunque scopo politico, non fosse per essere ascoltato ? E lo sarebbe srato indubitatamente se la Inghilterra avesse avuto un Monge, o un Laplace. 3) Ciò mi conduce a parlare di una singolare osservazione del T. II. Giugno 7 90 sig. Babbage sopra gl’ incorasgiamenti dati alle scienze negli al- tri paesi d’ Europa , e del carattere anco più singolare col quale egli ne calcola l’ efficacia relativa. Comincia dall’ esibire una li- sta di nove persone dedite alle scienze , che son state, o sono, presidenti del senato , ministri, ciamberlani, ambasciatori (già il primo di questi titoli è inesatto ) e ravvisa in ciò una grande prova di stima per le loro scoperte, non meno che un potente motivo di emulazione letteraria ai loro colleghi. Più oltre egli novera tutti i membri dell’ istituto di Francia che son decorati della legion d’ onore, dai semplici cavalieri, fino ai più grandi titolati; e fa osservare che fra questi si contano due duchi, un marchese , quattro conti, due visconti, e quattordici ba- roni; mentre che nella Società reale di Londra fra i membri che cooperano ai volumi delle Transazioni colle loro memorie , egli non trova che un pari, cinque baronetti , e tre cavalieri. Que- sta enumerazione comparativa delle dignità è stata riprodotta colla. medesima importanza nella analisi del Quaterly Review. Ora il vedere una mente così astratta come il sig. Babbage por- tata ad ammettere i titoli onorifici come l’espressione conveniente dei gradi intellettuali è certamente un effetto morale molto no- tabile di quella distinzione di gradi sì fortemente pronunziata, e sì continuamente sentita in Inghilterra. Non vi ha dubbio che queste distinzioni non abbiano potuto essere, non sien state spesso accordate al merito , il quale ha dovuto mostrarsi rico- noscente alla intenzione. Ma la buona volontà non stabilisce il diritto. Il più bel privilegio degli scenziati non meno che dei letterati, ciò che costituisce essenzialmente la loro indipendenza, è l’ esser debitori del loro grado al giudizio de’ loro eguali sparsi per tutta la superficie del mondo civilizzato , tribunale sovra- namente illuminato, giusto, e benevolo: di questo debbono esser loro preziose le distinzioni, alle quali debbon essi aspirare co- me a giudizio irrepugnabile delle loro fatiche. Noi dunque non pensiamo col sig. Babbage che le scienze fossero per guadagnare assai in Inghilterra, se vi fosse stabilito, come egli propone , un ordine del merito, che fusse ad esse singolarmente consa- crato: perchè, o la Società reale conferirebbe quest’ ordine , ed essa fa l’ equivalente colle sue medaglie ; o l’ ordine verrebbe distribuito dai ministri, e allora non proverebbe matematica- inente nulla. Sarebbe dunque in ogni caso almeno inutile. »» Gl’ immensi progressi che le scienze hanno fatto in Francia da 4o anni in quà ci sembra che sien derivati da due cause af- fatto differenti da quelle indicate dal sig. Babbage: cause po- SI tenti, delle quali una sussiste ancora, e l’altra ha cessato d’ope- rare da molto tempo. ss La causa, che sussiste è la pubblicità del nostro insegnamento sublime, e l'indipendenza assoluta dalle retribuzioni pecuniarie degli uditori, nella quale esso si trova. La sua pubblicità si of- ire a tutti gl’intelletti che sono in stato di parteciparvi. Gli emolumenti, che gli vengono assegnati dalla munificenza del paese , lasciano ai professori la facoltà di consultar solamente i bisogni delle Scienze nella elevata direzione ch’eglino danno alle loro lezioni. Le scuole del Collegio di Francia , del Giardino delle piante , della Biblioteca Reale restan così affatto indipendenti dal molto numero degli uditori; e per la maggior parte di essi il molto numero, se vi fosse attirato, proverebbe che lo scopo della loro instituzione non fosse ottenuto. Non è così in Inghilterra , neppure negli istituti i più recenti, e fondati per motivi affatto liberali. Osservate, per esempio , 1’ Università di Londra. Gli edifizi che sono ad essa consacrati sono magnifici ; il sistema degli studj vi è concepito colle vedute le più sublimi ; le lezioni sono affidate a professori abilissimi ; gli uditori son numerosi. Ma gli emolumenti de’ professori si fondano, almeno in gran parte , sulle retribuzioni degli scolari: fa d’uopo dunque piacere ad essi, e mettersi al livello del maggior numero per attirarveli. Questa cosa va bene pei corsi elementari; ma quanto ai cor- si sublimi, li rende impossibili. Converrebbe che il professo- re avesse una forza d’ animo sovrannaturale per andar contro insieme e alla sua popolarità , e al suo interesse. Così l’espe- rienza dimostra che gli uomini anche i più pregiati, nelle scuole troppo numerose, abbassano naturalmente il vigore del loro in- telletto sino al punto che la moltitudine possa intenderli. Questa mancanza generale delle scuole sublimi accessibili ad un piccolis- simo numero , e dedicate soltanto alle cime astratte della scienza, forma in Inghilterra un vuoto, una specie di precipizio , che arresta nel loro cammino quelle menti, delle quali le scienze potriano esser nobilmente coltivate. 39 La seconda causa, che, a parer nostro, ha, vivamente ec- citato in Francia il movimento delle scienze, è lo stato politico e morale degli animi al tempo del loro rinascimento nel 1794. s Una rivoluzione non meno insensata che atroce avea distrut- to in Francia le Università, le Accademie, e tutti gli stabili- menti d’ Istruzione: ma poichè fu calmato. il terrore ond’ essa avea ripieno la Francia alcuni uomini devoti alle scienze , e che non avean mai cessato di amarle teneramente , Monge , Berthol- 59 H let, Fourcroy, Guyton intrapresero i rialzare i loro templi ; e il fecero con tal grandiosità di disegni che può, se si voglia, chiamarsi gigantesca, ma che di fatto era mirabilmente conce- pita per produrre un grande eccitamento negli animi. Una scuola normale è stabilita , alla quale saranno inviati studenti da tutte le parti della Francia: i professori saranno di bel principio Lagrange, e Laplace ; i quali, senza la rivoluzione , mai non si sarebbero uditi esporre le loro idee in pubblico: indi Berthol- let, Haiy, e Monge medesimo , il cui zelo era bastante ad in- fiammare tutte le menti. In quei singolari comizii delle scienze, l’arringo filosofico era aperto in certi giorni determinati; e tali scolari, quale un Fourrier, vi proponevano i loro dubbj ad uo- mini ; il genio de’ quali non avea fino allora parlato che:all’Eu- ropa. Nel medesimo tempo Monge, l’ instancabile Monge ; creava una scuola politennica numerosa ; libera ; la quale animata dalla sua presenza , mossa dal suo impulso riceveva con indicibile en- tusiasmo le lezioni che le eran date sopra tutte le parti delle Scienze fisiche, matematiche e militari, da lui medesimo e da tutti i più grandi filosofi che possedesse allora la Francia. Finalmente a tutte queste instituzioni creatrici dava compi- mento un sistema generale di scuole pubbliche, libere, di- stribuite in tutti i dipartimenti; nelle quali professori dipen- denti soltanto dai propri ‘doveri diffondevano intorno.a loro tutte le cognizioni utili alla generalità della popolazione. Questi posti, poco ricompensati, non mancavano tuttavia di quella estima- zione personale, che sempre accompagna una condizione indi- pendente : essi eran dunque onorifici ; e questo sentimento con- giunto alla piena libertà, della. quale godevano, ispirava ai professori l’ ambizione di distinguersi con utili fatiche d’inse- gnamento o di ricerche nella carriera , che avevano intrapresa. Quindi è che in pochi anni si sono veduti uscire da quelle scuole tutti i migliori libri elementari, che possediamo oggigiorno , ed ai quali è dovuto il rinnovellamento della istruzione scientifica. Ecco, secondo noi, le vere cause che in Francia hanno ravvi- vato le scienze dopo le burrasche del 1793, e che hanno coope- rato ad innalzarle al punto ove ancora si trovano, assai più che non han potuto farlo le insegne d’ onore ; i ducati , i marchesati , e l’ ambascerie. so Per altro le scuole centrali di dipartimento non sussistono più in Francia: il potere le ha infrante come ‘istrumenti troppo at tivi del perfezionamento intellettuale. Per motivi presso a poco eguali la scuola politennica ha ricevuta una direzione meno 53 elevata, e men generale. Questi due colpi vibrati al sistema pro- gressivo hanno già in Francia notabilmente rallentato lo, studio delle matematiche sublimi; che non vi esiste quasi più , se non che in alcune cattedre del Collegio di Francia; di modo che, se pur non soccorrano pronti rimedj, di quì a poco tempo i sa- pienti Inglesi potranno cessare di dire, che hanno abbandonato un arringo senza speranza. Queste scuole centrali, vero bisogno della Francia , non potrebbero dunque oggi rinascere , e rendendo alla classe media della Società il sistema di istruzione ordinaria che più universalmente le conviene ; riaprire insieme ai giovani professori la carriera di libertà, che risveglierebbe la loro emu- lazione ? Imperocchè la libertà, e la separazione ajutano a svi- lupparsi il vero talento. Così accade , per esempio, in Inghilterra, ove malgrado l’abbandono , nel quale il Governo lascia gli scien- ziati; e forse per causa di questo istesso abbandono, il caso, che li disperge per tutta la superficie del regno , imprime nelle loro ricerche scientifiche un carattere di originalità solitaria , e indi- . pendente, che di rado s'incontra a questo segno nelle produ- zioni delle compagnie scientifiche, e che non è fra’ loro meriti il men rilevante. Non mirasi certo altrove emergere a un tratto ; dall’ oscurità un dottor Jenner colla scoperta della vaccina, un dottor Wals col suo trattato della rugiada , Dalton colla teoria delle proporzioni definite, e Watt colla teoria e la. costruzione perfetta della macchina a vapore tutta in ordine per esser posta in movimento. 3» Dopo gl’ impieghi a stipendio stabiliti dal governo, le scienze possono ancora ricevere dalle Sucietà letterarie. un eccitamento potente. In Inghilterra la Società reale di Londra è al primo grado di queste istituzioni, e per lungo tempo è sembrato che essa bastasse. Ma l’ estensione data oggidì a tutte le branche delle scienze, e l’ affezione particolare che ognuna di queste branche risveglia in coloro che la coltivano , portarono da qual - che anno in quà la formazione di wn gran numero di associazioni libere, ciascuna delle quali è dedicata ad un oggetto unico, e si sostengono , del pari che la Società reale, co’ soli sussidj dei loro membri. Il sig. Babbage discute successivamente le condizioni di queste diverse società , e il loro grado di utilità relativa: per altro io debbo dire, non senza rinereseimento , che egli tratta la Società reale con estrema amarezza: Le di lui accuse contro le influenze che la dirigono , e vi distribuiscono : gl’ impieghi , e le ricompense, son gravi al maggior segno. Io :mi' guarderò dal ‘riportarle quì , riflettendo ch’ egli è anche troppo che sieno pùh- 54 blicate nel suo libro. Son senza dubbio deplorabili le dissensioni intestine dei corpi letterarj; e coloro che sono obbligati a pren- dervi parte, o solamente ad esserne testimonj, possono ben qual- che volta esserne indignati. Ma qual bene si procura alle scienze col pubblicarle ? Nessuno certamente. Quel più che si può acqui- stare è di soddisfare 1’ amor proprio della mediocrità ignorante, la quale si compiace veggendo gli uomini, che non può egua- gliare, ridotti dalle passioni alla sua bassezza. Or questo è un genere ben tristo di successo, e non è punto confaciente ad un carattere elevato , come ttadlo del sig. Babbage. Noi dunque ci limiteremo qui a compiangere questo traviamento della di lui gentilezza, e per il bene delle scienze ci augureremo che presto ei faccia del suo talento un miglior uso che di porgere armi ai loro nemici. »» Del rimanente egli può oggi da se medesimo ponderare il fatale esempio che ha dato. Un altre membro della Società reale, il cav. South, fregiato di questo titolo, come crediamo , per le opere di Astronomia alle quali nobilmente consacra una ricca fortuna, ha egli pure pubblicato una invettiva contro la Società reale: ma questa volta la veemenza s’ inoltra sino alle accuse le più odiose e discende alle ingiurie personali le più abbiette. Congratuliamoci con noi stessi che in Francia nelle vivissime dispute, che con troppa frequenza si destano fra uomini ragguar- devoli, si rispetta almeno scambievolmente l’onore; e se la cri- tica è viva, ingiusta, violenta , almeno essa non attacca se non le idee , e non si avvilisce con accuse di tal fatta , che dovreb- bero terminarsi nei tribunali. Bio. Del Cous:nismo o sia della scuola filosofica del prof. Cousin. Art. II ed Ultima. XXXVIII. Fissato che ogni fenomeno intellettuale può ri- dursi ad una delle due classi d’idee generali e particolari, in- variabili e variabili, scende 1’ Autore a cercare un carattere comune a tutte , che tutte le rappresenti compendiandole. Fino dal piimo passo di sua ricerca ei vede che l’ unità è carat- 55 tere delle idee generali indecomponibili , invariabili, perchè iden- tici sono i caratteri dell’ unità ; vede all’ opposto che la molti- plicità è il carattere delle idee particolari perchè la moltiplicità suppone variabilità e contingenza ; caratteristiche di quell’ordine d’ idee. In tal guisa incomincio a sentire l’ effetto dei diversi criterii, benchè identiche fossero le teorie che dianzi ne nascevano. Il sensualismo vede l’unità nelle idee prime o d’ individuo , perchè une indivisibili si presentarono ai sensi quelle idee , prima che la ragione insegnasse a decomporle; vede all’ opposto la molti- plicità nelle idee generali, perchè resultarono dall’ aggregato d’ idee individuali. La differenza è facile a spiegarsi: ciascun criterio dà per idee une quelle, che prime , e base delle altre gli si presentano nell’ ordine cronologico della nostra storia; e sopra viddemo che ai sensi si affacciano prima le idee d’individuo , e alla coscienza le generalità. ( Avverto che spesso io mi valgo del termine ge- neralità, parlando delle idee di Cousin: ma in tali casi non può darsi alla parola il senso datogli dal sensualismo : ed è re- sultato ultimo delle idee particolari. La mancanza di altra parola mi costringe a valermene ). XXXIX. Le idee generali di Cousin dimostrate dalla coscien- za non hanno sulla terra tipo veruno, e solo riscontrano ap- plicazioni più o meno esatte; ma, dovendo esse pure aver, co- me ogni altra cosa, una causa ed una origine, fa d’uopo cer- carla nell’ Ente, dal quale emanò l’anima, e che libero da ogni contingenza possa concepir quelle idee in tutta la lor purità. Che se quest’ Ente non fosse , e non fosse a queste condizioni , rimarrebbe inesplicabile , anzi inconcepibile l’ esistenza delle idee generali, come l’ effetto senza la causa. (1. 5). Ma siccome non possono le idee generali concepirsi separate e indipendenti dalle particolari, come sopra notai, così quella simultaneità che si svela nella vita umana forma l’esistenza della divinità, dà senso alla creazione, che altro non è che il continuo sviluppo delle idee divine nell’ ordine reale... ... Ecco una sublime dimostrazione dell’ esistenza di Dio : ecco dato alla religione la base desiderata ; ecco trovato il fondamento della morale , ed assicurato per questo lato il trionfo dello spi- ritualismo sopra il sensualismo, che mal potendo dall’ ordine terreno a cui si appoggia salire a questo celeste , si trova inabile a stabilire i principii che a questo si affidano. XL. Scoperto finalmente il tipo e l'origine delle idee gene- 56 nerali ; fissata la loro azione sull’ intelletto , nasce importantissi- ma conseguenza : anime degli nomini scendono sulla terra con i medesimi mezai di scienza, vale a dire con le medesime idee, quindi ogni varietà fra loro nasce dal modo con cui appliche- ranno quei mezzi alle contingenze per farne tesoro d’idee par. ticolari: Nascono dunque gli uomini tutti eguali , e le circostanze esterne producono, sole ogni varietà. ... Ma questo è il sistema di Elvezio? sì certo, se tolgasi la differenza del criterio ordinatore: Elvezio giunse a quella teoria; perchè vide come fonte esclusiva d’idee i sensi, che sono eguali. in tutti gli uomini; e Cousin, perchè vide come modulo d’idee particolari altre idee generali, che inerenti all’ essenza dell’ani- ma, indipendenti da ogni contingenza, non potean neppur con- cepirsi disuguali nei diversi individui ; quindi mentre il primo passo che farà Elvezio lo condurrà al materialismo, il primo passo di Cousin lo sublimerà nell’ idealismo o misticismo. Ci serva que- st’ esempio di scuola a valutare l’importanza dei criterii, anche allorchè identiche ne sembrano le conseguenze! XLI. Dopo aver dimostrato la proposizione , che gli nomini nascono tutti eguali, scende Cousin a spiegare l’ origine delle ineguaglianze , che enormi si riscontran fra loro , e facilissima spiegazione gli offre il suo sistema. Avea prima provato , che ogni nostra idea, di cui ci rende conto la coscienza, resulta dall’ applicazione delle idee generali. alle particolari, e così veniva a rappresentare .il rapporto fra esse, non già tale quale lo costituisce la vera natura delle cose, ma tale quale ce lo mostra la riflessione. Ora la riflessione è in- fluenzata da tutto ciò che agisce sull’ uomo , e può perciò essere distolta dalla retta considerazione dei rapporti. Ma siccome due cose egualmente vere si presentano per generare i suoi giudizii, voglio dire le idee generali, e le cose umane, essa non può errare che nel fissare il rapporto fra loro. La sola causa concepibile del suo errore non può esser dun- que , che il concedere troppa parte ad uno dei due ordini che concorrono a formar i giudizi, l’ uno e il moltiplice, le idee generali, ed i fatti umani. Da un lato l’ uomo assorbito nelle generalità può cadere in vane speculazioni , e fantasticando un ordine superiore , trascurare il presente; dall’ altro viuto dalle contingenze può abbandonare ogn’indagine speculativa atta a ordinare intellettualmente il mondo dei fatti, e contentarsi di individue cognizioni. Chi può dir quanti gradi posson percorrersi fra questi estremi ? 97 A qualunque però si arresti l’ uomo , il suo errore consisterà sempre nell’aver misto un che di falso al vero, nell’aver dato ec- cessiva estensione ad una verità. XLII. Ecco finalmente il luogo in cui Cousin si mostra alcun poco eclettico in teoria : estendendo alle epoche, ai popoli quel si- stema sull’ origine dell’ errore ; risolve soddisfacentemente il più grande di tuttii problemi, che gran parte dei filosofi tagliavano o trascuravano iu luogo di risolverlo. Malgrado 1’ enorme differenza fra le idee religiose politiche scientifiche dei diversi popoli, la storia ci prova che ciascuno. possedè un ordine civile atto non solo a procurargli non lieve grado di terrena felicità, ma per di più meritevole agli occhi suoi di decisa preferenza sopra ogni altro , che realmente reg- gesse un’altra società. In guisa che i cittadini, mentre invoca- vano e cercavano con la mente un ordine migliore ; in fatto poi ritornavano sempre all’ esistente , alquanto modificato. La maggior parte dei filosofi trassero da questo fenomeno la conseguenza , che tutto fu errore nella specie umana , perchè del fenomeno non considerarono che la contradizione fra quei diversi ordini d’idee, e nulla contarono le analogie nelle forme generali e negli effetti; ma Cousin e con lui altri assegnando il debito valore alle contradizioni, ed alle analogie, aborrirono la superba sentenza, e vennero nel consolante pensiero, che dal misto del vero col falso in varie proporzioni resultino le umane follie. Fra le spiegazioni che vennero dai varii ‘pensatori date di questa loro onorevol teoria primeggia al certo quella dell’Autore. Se si voglia prescindere dai resultati che dalla massima farà ecaturire il criterio cousiniano, è forza concedere che in questo primo. stadio delle ricerche sull’ uomo associato , chiarissima luce può spandere la prelodata spiegazione. Nell’ ultima. parte di questo lavoro mi riserbo a dire ‘di quei resultati: frattanto esporrò le basi che assegna Cousin alla storia , partendosi dalle sue teorie. XLIII. Nell’ alba della civiltà, allorchè poco e male cono- sceva l’ uomo i suoi rapporti sensibili, dovea immenso essere il regno delle generalità , perchè immenso esser dovea quello dell’ immaginazione , che di generalità specialmente si pasce. Ed infatti e Vico ed Herder fecero di questo principio una delle basi del loro sistema politico e religioso. Questo vero. fra le mani di Cousin avrebbe prodotto i frutti’ migliori grazie alla forza T. II. Giugno 58 mentale e saper dell’'Autore., ma la cattiva, scelta «del criterio li distrusse nei fiori. Prestabilito che le ilee generali non sono i resultati, ma i modnli delle particolari; che le prime preesistono alle partico- lari nel mondo intellettuale , coesistono nel reale, che costitui- scono legge di esistenza dell’ anima ; nasce la conseguenza che tanto maggiore sarà la forza loro quanto più languide e oscure saranno le idee particolari, fino al punto che la loro forza può quasi isolatamente , è indipendentemente da ogni applicazione , farsi sentire, e diricere le mosse intellettuali dell’ uomo, ed operare così una vera e propria ispirazione. A esprimere questo gran fenomeno.fu consacrata dall’Autore la parola di apercezione spontanea della ragione. Questa apercezione è in certa guisa la madre della civiltà , come la spontaneità che occulta regge ora la nostra mente, ne è la tutrice. Ed ecco già 1’ Autore. condotto dal suo criterio più in là che non pensava: nell’ esordio del suo sistema non erano le ilee generali che merc qualificazioni dell’ anima , e non viveano che in quanto erano applicate alle cose terrene : ora acquistano un grado d’ indipendenza di azione , come fu loro concessa piena indipendenza di origine. .. Un passo ancora e siamo all'idealismo puro. XLIV. Non si creda che in queste parole io m° intenda di condannare completamente questa teoria della spontaneità : essa contiene larga dote di vero, ed il falso le fu imposto dal cri- terio vnde Cousin la deriva. Sopra esposi come il sensualismo spiega per mezzo dei giu- dizii di abitudine l’ origine e la potenza delle idee generali: la spontaneità del'a ragione altro non è che l’ azione ormai dive- nuta segreta di queste idee, e costituisce, secondo il sensuali- smo » l’ultimo anello della gran catena di atti intellettuali , che dalla sensazione si partono € sono spiegati. Ma-qualunque sia la spiegazione data da qualsivoglia si- stema, è sempre vero che la spontaneità si manifesta prepo- tente nell’ uomo individuo ed associato, e grandissima parte re- clama nelle umane faccende. L’amor di patria , il punto di ono+ re , la lealtà, e tal altra generosa passione che formò la carat- teristica di un seculo o di un popolo, cos’ altro può dirsi che un idea generale derivata dai primitivi rapporti d’ infanzia , e così infusa nel modo intellettuale di esistere, che ne diviene condizione indeclinabile., e veste nei suoi effetti tutti i caratteri d’ irresistibile spontaneità ? 59 Considerato adunque nei suoi effetti, questo fenomeno è al certo nno dei più importanti che presenti la storia dell’ uomo: dall’ esame degli effetti gioverà risalire all’ indagine delle cause: ma guai a chi sbaglierà il criterio di questa. ricerca! Quando Cousin fondò la spontaneità ‘sopra l’azione indi- pendente della ragione, preparò la via al misticismo. XLV. Dopo avere speculativamente tracciate in tal guisa le prime vie della civiltà, prevede Cousin nelle sue speculazioni, che il suo progresso seguirà una legge conforme all’ indole della sua ansa ; legge che la dividerà in tre epoche distinte. Sopra notai con V’A., che dalle proporzioni, in cui concorrevano alla direzione deg! intelletti, i due ordini. d’ idee, 1’ uno cioè ed il moltiplice , nascevano tutte le umane! varietà , e per conseguenza tutti gli errori. Richiamata questa premessa! s’ intende facilmente la partizione della storia in tre epoche: regno dell’ unità ,;della moltiplicità ;, dell’ esatto rapporto fra loro. ‘x. Jl regno dell'unità deve precedere, perchè la debolezza dell’ intelletto è, come si disse , altamente, favorevole all’ in- flnenza delle idee. generali , ‘alla, manifestazione della, sponta- neità. Saran suoi caratteri la fissità, perchè fissi sono i principii che'lo reggono ; la durata perchè la fissità ne è madre legittima; le considerazioni di ordine superiore. e la negligenza dei parti- colari , perchè l’;Uno non ammette che le prime, ed esclude i secondi: In quell? epoca nulla saran gl’ individui, molto le na- zioni, e tutto le idee. 1 1112..Il regno: della :moltiplicità comincia allorchè 1’ individuo sentì la sua forza ,.(e scosse il giogo che 1’ unità gl’ imponeva : quello avvenne allorchè la civiltà non -fu tanta da provvedere avtutte le umane necessità ; sebbene lo: fosse per, far sentire a ciascuno 1 suoi diritti. Nella lotta. che :sorse. frai bisogni e i diritti nulla: rimase. di. fisso. per. riunire il consensi; e quindi gl individui ottennero la forza morale che dianzi competeva agli. ordini. E: ciò. ben si comprende: è condizione di forza sociale il rappresentare i bisogni e. le idee. del tempo :.in. un tempo di guerra universale fra tutti. gli elementi. sociali, non può rinvenirsi all'istante un ordine che contenga tante!transa- zioni: da soddisfare alle'esigenze universali ; l’individuo può solo goder*tanto privilegio, e quindi a lui per diritto: e: per neces» sità si compete la forza: 3. Ma in':queste:lotte si sviluppano gli elementi civili, l’e- sperienza dà loro forma ,'e a poco a poco la società coglie ‘il vero rapporto fra 1 uno e il moltiplice, fra le idee generali e parti- 60 colari, e giunge alfine al massimo grado di prbteniieaninis- sagli. | XLVI. Larga dote di vero contiene rziteoiia ‘storia ideale della civiltà umana, ed è facile rinvenire nella reale una serie di fatti che la confermino. Ma non meno facile riesce il rinvenirne al- tra serie che la contradica. Male inseparabile da tutte le storie ideali! È 1’ uomo un esser essenzialmente: variabile nel suò ‘modv di azione} quanto variabili. possono essere le sue relazioni col mondo in cui vive: è! possibil dunque scuoprire alcune delle sue leggi generali, ma guai a chi cerca.scuoprirle senza la scorta di severa esperienza! guai a chi sedotto da apparenti analogie con- cede alle Jeggi scoperte: maggior forza che non concesse loro l esperienza! Vico. peccò: di quest’ ultimo errore ; Cousin pecca del primo'; l’ uno e l’ altro subiscon pena adeguata ; 5 molto falso adombrò la bellezza dei loro sistemi. sq Non vi ha dubbio’ che molta influenza sugli ordini sociali esercitano le proporzioni in'eni contorsero:1’ uno e il moltiplice, le generalità e le specialità nel formarli ; ma concesso ‘esser que - sta l’unica causa immediata dei:fenomini-sociali , poco o nulla profitta la storia di questa scoperta‘, se mon. si unisce l’ esper rienza a mostrarci quali ause deciserò di! quelle proporzioni. Poco interessa al giurito la conoscenza | delle leggi meccanichè che diressero il ‘colpo omicida , ma' chiede soltanto: delle circo stanze miorali che furon causa ‘dei moti fisici. vienna a quelle leggi. .99) } invi ‘Che ‘in medio consistit virtus è tritorassioma:; quindi alla di rinovo ne dice Cousin' segnando la. via deltrivoraniilià fra gli estremi; è vero che ‘onorevolmente per lui spiega mille. fe- nomeni politici; ma-infine ‘il suo sistema» poco 0 nulla ne, dice sopra‘le cause originali di» questi fenomeni, sopra le cause)che possono’ essere modificate dai legislatori; e»che per questo .in> teressa conoscere. > < crol. ai to19unsI3 XLVII. Cercando applicare alla storia: chia il sistema; cou- siniano , io trovo al certo molte volte verificata :-la successione delle tre epoche sopra segnate:; ma veggo. altresì alternarsi molte di quelle successioni, e quindi non posso ; ammettere la, parti- zione in tre epoche della storia dell’uomo’; cioè : il predominio dell’ infinito.in Oriente; del finito.in Grecia e, Roma; del. rap- porto nell’ Europa moderna ; epoche , le.quali.| generate l’ una dall’ altra hanno‘ esaisto tutte le grandi .fasi della civiltà, sicchè non resta all’ Europa che, giungere al massimo grado ‘ di. perfe- zionamento, per la. via-che percorre: Non è mio scopo scendere 61 nella storia, e comparare ai fatti gli sviluppi di questa teoria : basti ripetere quel ch'io sopra accennai. La trina successione d’ idee si verificò sovente sulla scena del mondo , ma senza violentar la storia non può adottarsi, l’unica successione di Cousin. XLVIII. L’ ordine d’ idee dominatore della civiltà ne domi- na tutti gli elementi, perchè tutti riconoscono le facoltà del- l’uomo per origine , e le facoltà dell’ uomo sono dirette esclusi- vamente dalle idee. Quindi ogni epoca forma un tutto cousenta- neo a sè stesso, atto a soddisfare ai bisogni dell’ uomo che la creò: se non avesse tali condizioni non sarebbe sorta quell’epoca, e molto. meno potrebbe aver vita. L'uomo che crea a sua im- magine il mondo civile , lo distrugge appena non presenta più la sua immagine. Questa teoria riproduce con più apparato filosofico, e scien- tifiche premesse il famoso assioma o degnità di Vico ‘ le cose 35 fuori del loro ordine naturale riè si adagiano nè vi durano ,,. Il criterio della. \coscienza condusse il primo (a quel vero cui giunse il secondo guidato dalla sola esperienza. Malgrado il' diverso criterid!; entrambi i filosofi ne trag- gono le medesime conseguenze: entrambi veggono che. le rivo- luzioni. si guidano ma non si impediscono : che la forza delle cose umane. vince tutte le parziali resistenze; concordano .in fine sopra [mille massime di ‘civil. prudenza; che sono adesso nella bocca: di,tutti; perchè la storia attuale ce ne\dà lumi- noso, l’ esempio, ima che la mente di Vico doveva. .disotterrare fra ruderi dell’ antichità. Sia lode. al.secolo che pose ‘in bocca, del Olga siffatte mas- simé , dando. per (fine alla filosofia..1’ applicabilità! (Sia lode al filosofo che! intese i bisogni delisuo tempo e. vi obbedì! E tanto più. gli sia :lode, in quando chè il. suo criterio; e le prime conseguenze [che ne traeva-nulla promettano di applicabile alle umane bisogne... Da questo fatto io: prendo: coraggio sull’ avve- nire della Ifilosofia : \essa cominciò a:sedere intorno! ai seggi dei signori del mondo; tempo verrà «in cui sarà dato ‘Mogo:a lei sola. XLIX..Nel seno della civiltà;; che. un ordine d’ idee for- mò; si sviluppano a poco a: poco i germi dell’ ordine diverso; i nuovi bisogni sono a vicenda causa ed effetto di questo svilup- pos tanto che alfine il vecchio.e nuovo: ordine d’ idee si mostrano in campo eguali in forze; allor: sorge la. guerra ; eguerra fero- ce.; guerra di \esterminio,, perchè 1’ uomo più volentieri rinunzia alla: vita, chie cambiarne i modi. La guerra sarebbe eterna: se \ 62 fossero pari le forze : ma il tempo la deciderà a favor dell’ or- dine nuovo , abbenchè i materiali successi stiano per il vecchio. La sorte della civiltà è fuori del dominio del caso. È dunque la guerra lo stato di transizione della civiltà dal buono che fu al meglio che sarà ; dico al meglio perchè la ten - denza della civiltà è di assidersi in mezzo agli estremi dell’in- finito , e del finito, dell'uno e del moltiplice, frai quali suli si rinviene perfezione. È dunque la guerra un male necessario quanto è necessario il progresso della civiltà ; anzi'è un bene quanto è un bene il nuovo ordine che genera. Si pianga dun- que il male parzial della guerra, ma si goda dei resultati finali che sempre favoriscono 1° incremento della civi'tà , perchè la gnerra introduce sempre un ordine migliore e più adattato d’idee. Questi principii di Cousin contengono al certo ‘immensi veri se vengono applicati alle guerre civili, e a molte straniere; ma volendo con l’ autore estenderli a tutte le guerre straniere , si cadrebbe in assurdi fatali. Chiedo a Cousin qual bene fu re- cato alla civiltà dell’ Affrica settentrionale dalle: successive con- quiste dei Romani, degli Arabi, e dei Turchi? Quale alla Gre. cia, quale alla Giudea, dalle invasioni delle aquile e della, mezza luna ? (Rispondere \a queste inchieste ‘non è possibile ‘a chi consulta e non sogna la storia. E come dunque «poterono scendere dalla penna di un tanto uomo siffatti assurdi? Lo spiri- to di sistema fondato sopra incompleto criterio non ci dà spiegazio- ne soddisfacente. Cousin faceva più sopra solenne dichiarazione; ch’ egli avrebbe indagato lè leggi generali dell’ uomo individuo ed associato nella sua mente. sotto la scorta della coscienza; e sarebbe poi sceso nei campi della storia per trovarne»la confer- ma e l’ applicazione. Il. criterio incompleto della coscienza dettò leggi incomplete ; e mal grado i più forti reclami, la storia. fu costretta' a. riceverle come completissime. Se la storia avesse avuto ‘il diritto di riformarle , la coscienza non sarebbe stata più nè il solo: nè il primitivo criterio del cousinismo. L. Per la causa medesima. per cui il nuovo ordine d’ idee trionfa, suli’ antico, l’ individuo ‘che meglio concepì ‘il nuovo ordine d’ idee sarà il dominatore; 1’ eroe , il rappresentante del nuovo ‘ordine civile, che su quello si appoggia. Da quì due con- seguenze. RI: | | 1. Fa d’uopo studiare i.caratteri di un’epoca negli uomini che figurarono in essa,sulla scena , abbenchè sottoposti alla no4 stra misura sembrino tutt'altro che grandi. Fu condizione di loro grandezza il raccogliere e rappresentare lo spirito del loro tem- 63 po, e soddisfarne i bisogni; caddero tosto che lo spirito e.i bi- sogni cambiarono , perchè 1 individuo, che è sempre uno, non può cambiar come i popoli in cni le generazioni si succedono. 2. Quindi nelle fasi degli ordini intellettuali e civili, coi quali i grandi si trovano in rapporto , fa d' uopo cercare le cause di lor buona e mala fortuna. La sorte potea modificare il modo e il tempo del sorgere e del cadere, ma non potea togliere nè l'uno nè l’ altro. LI. Mentre forse non vi è pensatore che nel 1830 ponga in dubbio quanto Cousin diceva sopra i ravvolgimenti civili , non così: facile sarà rinvenire chi voglia ammettere senza limitazione la sua teoria sui grandi uomini. E certo la mia mente, quanilo dall’influsso dell’ ordine d’ idee sopra una società scendé"al suo influsso sopra l’ individuo, non ne sente più con tanta forza l'estensione. Ma non essendo mio scopo il qui discuter la de- licata questione, bastino a persuaderci che molto vero contiene il detto di Cousin , due soli ma luminosi esempii: Pompeo rap- presentò l’aristocrazia romana , e cadde con essa , mentre Cesare sorgeva con la democrazia ; Napoleone sorse con una Rivoluzion Francese, e cadde con essa (1). i Quando parlerò dell’ influenza probabile del cousinismo so- pra le scienze e la civiltà, allor dirò purole sull’ effetto che il criterio della coscienza deve produrre nell’ applicazione delle esposte teorie. LII. Mi occupai sin quì nell’esporre l'influsso dell’ idee sulla civiltà. Ma non dissi parola della scjeuza che rende conto e delle idee e del loro influsso, scienza che ricevette il nome meritato di filosofia. Il suo scopo è sublime : domiciliata nella regione delle idee si alza da un lato alla contemplazione di Dio in cui scorge il tipo delle idee su cui va speculando ; scende dall’ altro. nella creazione ove ammira le leggi che reggono lo sviluppo e l’appli- cazione delle idee. Resulta dunque la filosofia dalla riflessione dell’uomo sopra i fenomeni dell’ intelletto : sarà dunque perfetta quanto più nu- (1) I più, seguendo le proteste dello stesso Napoleone, negano che egli rappresentasse la Rivoluzione del 1789. Deve concedersi che un sì gran despota mon potea reppresentarla sotto il suo aspetto politico , ma potea ben rappresen- tarla sotto ]’ aspetto sociale. Infatti 1’ opinione volgare, che in cose di tal fatta non falla mai, dichiara Napoleone rappresentante della Rivoluzion Francese. 64 merosi saranno i fenomeni considerati, quanto più robusta sarà la riflessione. Quindi nascono due cardinali conseguenze. 1. Essendo la spontaneità il primo carattere come la prima causa della civiltà , ed essendo la riflessione l’ ultimo suo ri- sultato , la filosofia deve coronare l’opera della civiltà. 2. E siccome la filosofia rende conto delle idee quali la ri- flessione le presenta, deve necessariamente presentare tutti i modi di vedere veri e falsi di un’ epoca. Quindi ciascun sistema filosofico presenta in un quadro il transunto della storia dei varii secoli, dei varii popoli, in quanto che ci spiega l’ indole delle idee che gli detter carattere. Quindi non può trovarsi in esso ciò che non era nella civiltà da cui sorse e che esprime ; anzi de- vono in esso trovarsi compendiati tutti i caratteri della civiltà. Quindi invece di occuparci a segnare con amara critica gli er- rori dei filosofi , occupiamoci a studiare anche negli errori la storia vera dei loro tempi: istoria che poco ed erroneo senso presenta ‘studiandola soltanto nei fatti. Dopo avere esausto questo principalissimo punto di vista delle sette filosofiche , allora si scende a considerarle sotto il secondario loro rapporto , quello. cioè di verità, di conformità al tipo eterno delle idee, e si veda di quanto e perchè distarono dal rapporto medio fra 1’ uno e il moltiplice. Sollevata in tal guisa la filosofia al grado sublime d’ inter- petre della civiltà, diverrà madre feconda di gravi insegnamen- ti, tutti applicabili all’ ordine reale , perchè la filosofia ne di- viene l’ espressione. LIII. Quindi la filosofia sarà il complemento della civiltà , come la riflessione costituisce il complemento della ragione; ma perchè esprime tutta la civiltà completandola , la esprime con le sue caratteristiche, con i suoi veri, con i suoi falsi; cambia col cambiarsi di essa : e subisce tutte le leggi che ne determinano le fasi. La principale di queste leggi è il successivo predominio dei tre ordini d’idee, uno, moltiplice , e rapporto; e si trova che nella filosofia si verifica questa successione come nella umanità. Classando le sette filosofiche per il loro criterio io sopra no- tai che a due principali potean tutte ridursi; il sensualismo e lo spiritualismo, fondati sull’ attestato dei sensi il primo , della coscienza il secondo. Cousin che mai parlò di criterio, ed invece onorò il metodo di molte delle caratteristiche del criterio, come sopra osservai, non potea fondare una classazione di sette sopra il principio accennato ; siccome però la classazione non è fon- 65 data sopra una speculazione, ma sopra l’esperienza, sembrò in- negabile anche a Cousin. Egli ne fece tesoro ,. ed applicandovi il suo special criterio del predominio delle idee dell’uno e del moltiplice , vidde nello spiritualismo il dominio dell’ uno; nel sensualismo quello del moltiplice. Non vi ha dubbio che l’ indole dello spiritualismo molto, ac- cline alle astrazioni, alle considerazioni d’ ordine superiore, non sveli un’ influenza decisa delle idee generali sopra la formazione delle sue teorie, una tendenza fortissima a prescindere dalle contingenze, che è quanto dire dai fatti del mondo delle cose. Non vi ha dubbio altresì che il sensualismo, riconducendoci di continuo in questo mondo delle cose , fa studio esclusivo delle contingenze , e genera astrazioni non per farne soggetto imme- diato di esame ma per dar ordine ai suoi pensamenti. Quindi è forza ammettere in tutta la sua pienezza il sistema di Cousin che vede nel sensualismo la filosofia del moltiplice , nello spiritualismo la filosofia dell’ uno. LIV. Ottenuta questa concessione ei fa un altro passo. Ci disse che la filosofia è l’espressione della civiltà e ne subisce le fasi. Or siccome la civiltà è divisa in epoche dal predominio suc- cessivo dei tre ordini d’ idee, uno, moltiplice e rapporto, la fi losofia deve subire la stessa divisione. Dunque la prima epoca filosofica , ossia orientale sarà spiritualista; la seconda ossia greca e romana sensualista; la terza ossia la nostra eclettica. LV. Mirabile ordine di deduzioni ci condusse a queste con- seguenze ; ma dovremo noi perciò ammetterle ?_ Conviene alta- mente diffidare di tutti i sistemi generati a priori, o per dir più chiaro sulla base di pure speculazioni. Il criterio proposto al si- stema può sembrare a prima giunta incovtrastabile, perchè le sue prime conseguenze sono rette, e mal si vedono le più re- mote ; ottenuto l’ assenso della mente, il criterio ne diviene il tiranno in vece di continuare ad esserne lo strumento, ed im- pone , piuttosto che scuoprire le teorie. Così il criterio cousiniano , vero sotto molti punti di vista, si presenta come vero universalmente al suo inventore : quindi egli trascura d’ indagare se mai vi fosse altro criterio anteriore , del quale il suo prescelto non fosse che una conseguenza ; e quindi si espone al rischio di prendere per conseguenza del suo criterio molti veri, che essendo conseguenza di un criterio an- teriore , sorgevano paralleli al vero da lui fissato a criterio. Ma Cousin non potea salire a tali indagini perchè il suo T. II Giugno. 9 66 criterio della coscienza le respinge. La coscienza ci mostra come | fatto primitivo l’ azione dominatrice e indipendente delle idee ; come dunque il filosofo , che la prese a scorta , potrebbe vol gere pure un pensiero ad indagare la causa e l’origine delle idee e della loro azione ? La coscienza non gli fornisce i mezzi, e non concede luogo ad altro criterio. Così , applicando al caso nostro, è innegabile l’influenza delle idee sulla civiltà; è innegabile che dal predominio della generalità e delle specialità prende quella carattere; ma da tutto questo non viene necessariamente che sia questa influenza la causa prima delle modificazioni della umanità. È possibile invece che non sia questa che una delle forme con cui agisce una causa anteriore , la più ampia forse di tutte le forme, ma infine non l’unica ; ammessa questa ipotesi cadono di per sè tutte queste cousiniane speculazioni. Ammessa questa ipotesi allor facilmente si spiegheranno molti fatti che sembrano contradittorii nel sistema Cousiniano. Così noi vediamo sorgere dal cristianesimo , religione essen- zialmente speculativa, e predominata quasi esclusivamente dal- l’ idea dell’ uno , un ordine di civiltà fondata sull’idea del mol- tiplice ; mentre il gentilismo , religione dominata dalla molti- plicità , generava ordini civili dominati dall’ unità in Oriente e in Roma imperatoria. Il Platonismo mistico dominò il mondo pensante per gran porzione dell’ epoca da Cousin assegnata al sensualismo. È dun- que necessario che 1’ A. sacrifichi una delle sne teorie : 0 quella del snecessivo dominio delle tre idee o quella dell’ espressione della civiltà contenuta nella filosofia. Credo che nessuno fuor che Cousin esiterà nella scelta : la seconda è dimostrata dai fatti, la prima speculazione : i fatti non han bisogno di raziocinio per essere ammessi, e le speculazioni non sono ammissibili che in quanto son dimostrate dai fatti. LVI. Quì termina la seconda parte del mio lavoro: esposi le idee di Cousin principalmente in rapporto al criterio onde sca- tnriscono, e così mi posi sulla strada per rinvenire gli errori e la loro causa : l’ estendermi di più mi condurrebbe al di là della meta prefissa : scendo dunque alla terza parte , vale a dire al- 1’ influenza probabile del criterio cousiniano sopra gli elementi della civiltà comparata con l'influenza del sensnalismo. Opera siffatta richiederebbe anni e volumi se volesse darsegli esten- sione adequata all'importanza: ma io mi restringerò all’ esposi- 07 zione dei sommi capi, onde pormi in grado di dare un giudizio sopra il valore comparativo del cousinismo e del sensualismo , misurato sul valore dei respettivi criterii. X SE TerzA PARTE. Influenza del Criterio Cousiniano. LVII. Il più interessante fra tutti i problemi di umanità è per certo l’influenza delle idee speculative sopra la civiltà , ed è forse il meno considerato. È volgar credenza che 1’ uomo non è mai guidato dai principii speculativi , perchè il principio spe- culativo non può mai sostener lotta con l’ interesse materiale : molto di vero al certo dev’ essere in una credenza pressochè universale : numerosi fatti coincidono a confermarla. Ma non per questo essa ottiene intero il mio assenso. Al pari della citata massima si tiene per indubitata l’ altra che i pregiudizii dominano despoticamente la specie umana , e mille altri fatti si citano a convalidarla. Quanto la prima, è vera questa seconda , perchè entrambi riposano sopra lo stesso cri- terio il consenso dell’ universale , e 1’ esperienza. Ma sì l’una che l’ altra non sono che due termini della soluzione cercata al problema sopra indicato. Allorchè un’ idea speculativa si presenta ad una mente già ingombra da mille altre, qualunque siasi la sua verità, qualun- que siasi il grado di assenso che la ragione le voglia conce- dere , essa non potrà ottenere forza direttiva che in quanto tro- verà sostegno nelle idee preesistenti , perchè la forza delle idee come quella delle aggregazioni umane si misura per l’ estensione ed intensità delle associazioni. Se dunque 1’ idea speculativa nuovamente presentata potrà affratellarsi con le già esistenti, acquisterà forza in ragione di questa fratellanza : se non avrà questo vantaggio, a nulla , o presso che a nulla si ridurrà la la sua forza. Ma dal giorno che un’ idea speculativa s’ introdusse in un anima , in difetto di alleati esistenti essa tende a crearne : get- tando qualche nuova ombra negli antichi modi di vedere, qualche muovo colore nei nuovi, a poco a poco giunge ad ottenere quel posto che la natura intrinseca del rapporto da essa espresso le assegna, ed arriva impercettibilmente ad esercitare tutto il potere che quella natura consente. 68 D’ordinario durante questo lungo processo i caratteri ori- ginali dell’ idea si cancellano : essa perde l’ apparenza specula- tiva, e vestendo i nuovi caratteri , che la maniera di essere del- l’ individuo le impone, acquista un’ apparenza concreta contin- gente, finchè alfine il pensiero la confonda cou le sue applica- zioni : e la memoria non serba più traccia del come e quando giunse ; e del come era ed operò nei primordii. Allora l’ intelletto non può render conto del motivo che decide le sue modificazioni, e l’osservatore superficial: crede che perciò motivo non esista. Volendo consacrare un nome a questo fenomeno vi fu applicato quello di pregiudizio , perchè finfatti la sua caratteristica apparente principale è un giudizio pronun- ziato innanzi, o senza la cognizione della legge. Ma il pensatore, che con siffatte osservazioni s’internò nella mente per osservare la generazione delle sne forme, facilmente scuopre nel pregiudizio l’azione segreta, continuata per impulso, di un’ idea speculativa dominatrice, di un ordine d’idee concrete; vedendo che spesso si determinano alcune idee diametralmente opposte a ‘quella primitiva speculazione , giunge a convincersi , che sebbene l’azione di un’ idea scordata continui per impulso sopra le idee che già la subirono, non può estendersi per se stessa alle sopravenienti. Così non prova sorpresa che la massima evan- gelica di universale umanità ama il prossimo tuo come te stesso di- venisse un precetto di amor correligionario nei secoli d’ignoranza, in guisa che alfine il solo cristiano fu tenuto come uomo, e che il sublime insegnamento riprendesse la sua vera intelligenza ; al- lorchè il risorgere della civiltà ne richiamò l'idea speculativa mo- dulatrice. Dietro queste premesse io credo aver diritto di fondere in uno i due assiomi “ Ze idee speculative poco pesano sopra l’uma- nità attiva ,, mentre “ i pregiudizi tutta la reggono ,, togliendo a ciascuno quell’ eccesso di applicazione che gli rende falsi ; e fisserò il principio che le idee speculative sono le arbitre della umanità perchè con lento processo divengono le dominatrici del pensiero. Fissato questo canone , io penso aver dritto di creder som- ma l’ influenza delle teorie filosofiche sopra la civiltà , e di esa- minare quali leggi abbia subito o sia per subire l’influenza delle due più grandi , il sensualismo e lo spiritualismo. Per esser breve io non parlerò che dell’ azione loro sopra la metafisica , la morale , la politica. 69 Di quest’azivne snl metodo molte volte feci parola nel corso del mio lavoro, e credo inutile il ripeter qualche cosa su tal pro- posito. 1. Effetti dei due criterii sopra la Metafisica. LVIII. La scienza che più di ogni altra risentì l’ effetto del criterio sensualista fu a buon dritto la metafisica; a spiegar la quale era stato inventato e primamente applicato. Quì fa d’ nopo distinguere due principali effetti di quel criterio. Le teorie che immediatamente ne derivava il sensualista ; l'impulso che la scien- za in generale ne ha ricevuto. . LIX. 1. Ammettendo per solo canone di vero l'attestato dei sensi; con mirabile magistero «di deduzioni si spiegarono i feno- meni intellettuali , ma vestirono un’ apparenza materiale ; a poco a poco persero l’ origine loro indipendeute, e riconobbero i sensi per cause; finalmente la confusiune frai due ordini umani giunse a tanto che quasi divenne essenziale al sensualismo 1’ ammet- tere per sulo principio universale ‘a materia. I deplorabili assurdi che deturparon la scienza furon le conseguenze immediate di queste premesse, sinchè alfine non cominciava il pensatore a chiedere donde avea tratto il sensualista il diritto d’ imporre alla specie umana il senso come solo criterio. LX. 2. Allor cominciò ad invalere la riforma già tentata in Scozia e Germania, e cominciò al tempo stesso a sentirsi l’utile vero del criterio sensualista. Era quella la prima volta che un corso di generazioni, ed un accordo di popoli svolgeva un cri- terio metafisico fino alle ultime sue conseguenze, e ne svelava il bene e il male. Da tanta indagine scuoprivasi evidentemente, che un sol fatto dedottu dal senso come una sola delle due grandi serie che compongono la vita umana, non bastava a spiegar tutto, e nell’ oceano della scienza si vidde per la prima volta una sirti segnalata. E mentre si apprendeva ad evitar quello scoglio, la se- verità delle sensualistiche deduzioni costringeva ad esser non meno severi i novateri, e la scienza acquistava il pregio infinito di esser più chiara e precisa, onde vi hanno men luogo le il- lusioni o più facilmente si svelano. Omesse le finali conseguenze ontologiche del sensualismo, la generazione delle mentali operazioni di Condillac mi sembra la wera ; ed è mia ferma credenza che , quando il sensualismo ab- battuto cesserà di esser soggetto d’invidia allo spirito di parte , simarrà quella e nelle scuole e nei gabinetti come la più per- 70 fetta istoria del pensiero. Rifl tta il lettore che tutta la nomen- clatura metafisica del nostro secolo è figlia della scolastica, ab- benchè il solo nome di scolastica faccia fremer le ossa del mo- derno filosofo. Nè meraviglia. Criterio della scolastica erano prin- cipii, che non poteano alterarsi, perchè lo spirito di sistema e più la religione il vietava ; quindi allo sviluppo di quei principii più che alla ricerca del vero inteser le menti , quindi straordi- nario raffinamento di dialettica , e intine incalcolabile precisione e sottigliezza di nomenclatura. E quì giovi il riflettere che ogni ordine di cose umane, per corrotto che sia. pur produr deve ne- cessariamente un bene conforme alla sua natura; il quale poi trasfuso in un nuovo ordin di cose ne accresce l’ attitudine al buono. Il cousinismo non ci ha dato per anco un completo trattato . di metafisica , quindi poco può dirsi sull’ effetto ch’ei sia per produr sulla scienza. Brevemente può dirsi ch’ei cambiò le basi dell’ origine delle idee, cambiando il criterio dei sensi in quello della coscienza, assegnando alle idee un’ esistenza indipendente dalle contingenze, e vedendo nelle operazioni intellettuali una sola applicazione alle sensazioni delle idee preesistenti nell’ anima. In tal guisa saranno eliminate tutte le indagini sopra la. generazione prima delle operazioni mentali che tanta luce span- dono sopra i loro rapporti. Ma io vado troppo oltre mancando di dati positivi e completi. Cesso col dire che non troppo bene auguro alla metafisica dall’ uso del criterio cousiniano. 2. Sulla Morale. LXI. Condizione prima di ogni viver civile richiamò mat sempre la morale i pensamenti di tuttii filosofi; e pochi fra loro vi furono , e quei pochi rimasero senza seguaci , che non dassero utilissimi precetti in bell’ordine esposti. In ciò specialmente l’an- tichità si distingue , ed è forse questo il solo ramo delle scienze morali in cvi resta veramente superiore ai tempi moderni. E grave meraviglia ne ispira sì fatto fenomeno ove si ponga mente alla purità che dal cristianesimo come da vera sua fonte scatu- risce, ed alla corruttela che sembra talvolta congenita al poli- teismo. Nè sembrami poterne scorger la causa altrove che nel diverso criterio onde gli antichi e moderni moralisti si valgono. {n Grecia e nel Lazio ad eresia si teneva la sola indagine della base legale delle virtù : il prepotente unanime attestato delle umane coscienze non meno che l’ assoluta necessità della ZI virtù a sostenere il sociale edifizio , tenean luogo in quei secoli di ogni dimostrazione e servivan di criterio ai precetti; quindi nelle più stolte esagerazioni del greco rigorista traspare sempre il fine vero dell’ uomo sulla terra , la soddisfazione della pro- pria coscienza , e la felicità dei consorti di vita. Fra noi si tiene quasi a pochezza d’animo e di menti ra- gionar di moyale, senza dedurne i precetti da cause più positive e men vaghe, che non quelle di che gli antichi si appagavano; e buon per noi che una religione attissima ad imperare sulle menti e sui cuori offriva ai più dei pensatori , e alla totalità di quei che sentono, sanzione adequata alle esigenze della morale; che invano se gli cerca una base terrena. Quindi allorchè il cri- terio del sensualismo rodeva le fondamenta di ogni religione, conducendo insensibilmente al materialismo e all’ ateismo , sov- vertiva ogni sana morale: invano tentava sostituire ingegnose speculazioni sopra 1’ utile universale , invano deduceva da que- sto criterio i più savii precetti; rimaneva sempre un’ inchiesta cui mancava risposta, -— È vero che l’utile universale resulta dalla virtù ; ma talvolta produce questa il danno privato , e forza di raziocino non vale a persuadere il contrario a chi non pone il rimorso frai mali perchè nol sente ; or chi potrà costringere ogni cittadino a preferire l’ universale al proprio ben essere ? LXII. Mi permetta qui il lettore una breve forse utile di- gressione : non manca fra i moderni chi creda possibile un retto e morale viver civile in un popolo d’ Atei, e ne trae la prova dalla rispettabile virtù di molti che d’ Atei portano il nome. I sostenitori di sì perigliosa dottrina scordarono la forza irresisti- bile di un principio che si cela agli occhi volgari, intendo dire i giudizii di abitudine. Poche sono le circostanze di nostra vita in cui qualche giudizio di abitudine non regga le nostre azioni ed ancor più i nostri pensieri, senza che pure il sospettiamo : quindi qual meraviglia che una prima educazione civile religiosa lasci impressioni indelebili e conservi per segreto impulso la di- rezione suprema di un’ anima forte e ben nata P A senso mio la meraviglia sarebbe se ciò non fosse, riflettendo che principii speculativi novellamente adottati mal possono lottare contro giu- dizii di abitudine, o vogliam dir pregiudizii che da quasi conge- nite speculazioni traggono l’ origine. Ma che sarebbe se una nuova gerierazione non ricevesse quelle salutari indelebili isti- tuzioni da maestri imbevuti da veri principii speculativi? È que- sto il modo di esporre il problema , e a questo soluzione ade- quata si chiede. 72 LXIHI. Tale è il danno incalcolabile che il criterio del sen- sualismo arreca alla morale; e dal perfezionamento del metodo in fuvri non conosco che un sol bene da esso prodotto: ei con- duce a considerare l’ utile universale come scopo della morale, e sotto questo punto di vista fraternizza coi precetti più puri del cristianesimo. Ed è certo a quest’ alleanza fra la religione e la filosofia che si deve la nota d’ infamia che s’ impresse inde- lebile sulla morale Gesuitica. Nel secolo eminentemente indaga- tore in cui lottava il vangelo col gesuita giunse opportuno l’ap- poggio del filosofo e decise della vittoria. Siam dunque grati al sensualismo per aver dato alla morale una scorta sicura , e facilmente da tutti sentita come quella che agli umani bisogni ne appella, e facilmente si riduce a formule precise, ma non scordiamo che altrove è d’ uopo cercar la san- zione . LXIV. Il cousinismo fu preservato in grazia del suo criterio dagli errori fatali del sensualismo. La coscienza, formata sotto l’ influsso delle istituzioni civili e religiose, ne contiene i ger= mi, e svelta a criterio ne assegna le cause in un ordine supe- riore, perchè non può rinvenirle nell’ inferiore. In tal guisa il cousinismo non potrebbe volendo scendere ad indagare la san- zione e l’indole della morale altrove che in Dio, del quale l’esistenza edi rapporti con noi sono immediate necessarie con- seguenze del suo sistema. È questo il massimo benefizio che potesse arrecare una setta nello stato attuale della civiltà. Lo svilupo della scienza sociale non consente errori nell’ applicazione delle teorie morali, se un falso criterio non gli genera; quindi allontanare il rischio della preordinazione di un falso criterio , eliminando ogni ricerca s0- pra l’indo'e e l’ origine della sanzione morale, è porre la mo- rale in una regione inaccessibile all’ errore. Fa d’ uopo però temere di un altro scoglio. La coscienza cì detta sempre i nostri doveri indipendentemente dall’ effetto che dovranno produrre ; ce li mostra quasi aventi esistenza isolata , e sanzione in sè stessi. Questa forma di presentare le nostre obbligazioni può generar grandi beni, ma nel tempo stesso al- lontanando dall’ adempimento dei nostri doveri le considerazioni sui loro rapporti con la società, facilmente conduce ad una qual- che specie di misticismo. Facilmente si può prendere per fine del- l’ uomo uno dei mezzi che la Provvidenza gli dette per ottenere il vero suo fine, voglio dire un ordine di azioni. Saper domare le proprie passioni è grandissimo mezzo di felicità , ma non è il 73 fine della ‘specie umana : Jo stoico nun pensò così ye-lwsud setta la più grande la più bella fra tutte le sette; rirnase quasi senza utilità civile , perchè quasi completamente inapplicabile agli or- dini sociali. Il cousinismo è ancor fanciullo, e nulla può dirsi di preciso sopra la direzione che il suo criterio darà alle appli- ‘cazioni delle sue teorie ; ‘solo :può formarsi una ipotesi. 3. Sulla ‘Politica. LXV. Quindi è che in politica, ove la legge è sanzione a sè stessa, immensi vantaggi condusse il sensualismo ; assegnandole a criterio l’ utile universale. I sensi che costituiscono il sulo criterio del sensualismo non ci svelano che bisogni; quindi dai bisogni è costreito il sensua- lismo ‘a desumere i diritti. Viddemo le conseguenze fatali che tal processo arreca alla morale ; ora ci è forza convenire che al- trettanto bene produce alla politica. Dai bisogni créata:e man tennta , a soddisfare i bisogni è intesa la società civile: quindi sarà la soddisfazion dei bisogni fonte invariabile di ogni buon ordine politico. Idea che per la penna de’ seusualisti ricevette veste scientifica sotto nome di pubblica utilità. Fissato in tal guisa un criterio alla scienza caddero come inutili tutte le dispute sopra le' astrazioni del diritto politico. E sebbene nei più bei giorni del sensnalismo avesser di nuovo vita in. bocca del ginevrino le teorie di Sidney ; pure non maricavano allora isommi che; indicavano ciò che dopo Romaguosi mostrava con |’ analisi più severa, che una pura speculazione non potea reggere la specie umana. LXVI. Il cousinismo fedele al suo criterio e al suo sistema non vede nelle fasi. politiche che il contrasto e il. successivo trionfo dei tre ordini d’ idee , l’infinito, il finito e il rapporto. Questo modo di considerare gli eventi sociali. contiene al certo molto vero , perchè infine è innegabile che l’ intelligenza è la sola arbitra del mondo ‘umano; e forza non vi ha nè può con- cépirsi che non si appoggi sopra l’ intelligenza. Ma sorgente ine- sausta di falso io ravviso nella legge che il cousinismo assegna al suo sviluppo. Preordinare alla civiltà una, strada non -asse- gnata dalla esperienza, ma indicata da una teoria, deve neces- sariamente condurre a travisare i fatti per salvare il sistema, a immaginare icause/noniesisteuti. in. natura, ad ‘assegnare al fu- turo leggi che non ‘potranno verificarsi: Siffatti inconvenienti non possono ‘adesso ‘sentirsi; ‘perchè il cousinismo è tuttora fanciullo. T. II Giugno. 10 74 La:coscienza degl’.individui. e dei popoli contiene tuttii germi dell’ ordine civile , sotto:1’ influsso. del quale si formò; quindi se. vien consultata rettamente, assegna con precisa esat- tezza le leggi che il reggono; la coscienza del secolo XIX non potea quindi condurre in errore Cousin quando, egli con quella scorta segnava la storia politica. del, nostro tempo. Ma quando poi si tratterà di segnare le cause degli ordini attuali, i loro rapporti intrinseci con la natura umana, le loro conseguenze probabili, in una parola quando si tratterà d’ insegnare ai le- gislatori la grand’ arte di dirigere al bene le forze!) dell’ intelli- genza., a cosa varranno tutte le teorie speculative ; tutte le par- ziali cognizioni della coscienza? Cosa varrà il sapere in genere che nel medio termine fra l’ infinito e il. finito sta il migliore ordine politico, se non si conosce quali ordini. rappresentino questo medio. termine ? La. coscienza francese del 1828 dice .a Cousin che la carta del 1814 è.1’ ordine cercato ; ma 1’ Ameri cano , ma lo Svizzero, ma il Francese del 1830 saran d’accordo col nostro. filosofo ? Credo che il sin quì detto basti a provare che la sola ana- lisi e dei fitti sociali, e dei bisogni dell’ uomo ,. in una paròla, che il solo criterio di Vico , e della maggior parte dei moderni politici, può condurre a qualche applicabil teoria politica. Dovrei dire adesso dell’ influsso dei due criterii sopra i varii rami del sapere umano : ma , oltrechè lo scendere in tanti par- ticolari. mi menerebbe tropp’oltre , è da notarsi che sopra l’ in- flusso del cousinismo ; bambino ancora , non potrei che fabbricar delle ipotesi. Si conceda peraltro ad un italiano di male augu- rare della letteratura cousiniana , leggendo il giudizio di Alfieri e di Metastasio cuntenuto nella lezione IT. an. II p. 17. Dopo aver detto che il XVIII secolo fu prosaico nella sua letteratura , perchè fn secolo: di movimento: e la poesia. vuol la' quiete, aggiunge: en ) :«.L’ Italie a deùx hommes de talent qui ne demandent pas mieux ‘que d’étre des. poétes 3 mais ni.l’ an avec sa helle har- monie sans pensées viriles;; ni l’ autre avec.son énergie convul> sive ‘et manièrée ‘in’ arrivent à la vraie poesie. ;, Sentenza: di morte della:nostra letteratura , degna compagna delle ‘altre: sentenze: pronunziate nella stessa lezione a. carico nostro. | priv Malasciamo questi particolari che deturpano il cousinismo, e'tanto muovono la imia’ bile italiana; clie quasi scenderei ad.av- vilire la mia penna con recriminazioni. Ma il ciel me ne guardi! 79 Son ‘pago che Cousin ; leggendo queste pagine son: pago che si penta di aver sacrificato allo spirito del più esclusivo di tutti i sistemi ; le più care glorie di una. gran nazione. LXVIII. Ecco terminato il mio lavoro perchè adempiuto mi sembra il mio scopo ; esposi l’ indole del criterio cousiniano ; ne svolsi'le conseguenze ; esaminando tutto il sistema ; comparai il eritèrio ed il ‘sistema cousiniano col.criterio ed il sistema sensua- listico ; mivastenni in quanto potevo dal dar giudizio sul merito delle teorie, ma notando gli errori principali non potea a. men di scendere nella conclusione: che di tutti i sistemi certamente il meno eclettico è questo cousiniano ; che pur di (eclettico si arroga il titolo;;;e ‘che lo attende la. sorte di tutti. i sistemi e ordini umani esclusivi: egli passerà con le contingenze che gli dettero vita, legando alla posterità molti veri parziali. GiuLiano Ricci. Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania. T. IV. Catania 1830 in 4. di pag. 193 dai Tipi di Giuseppe Pap- ‘. palardo. Relazioni accademiche per gli a anni quinto e sesto dell’ Accademia Gioenia, lette, una dal Segretario generale Professor SaLva- tore Scuperi nella seduta de’ 28 maggio 1829, e l’altra nel- . la tornata del dì 13 Maggio 1830 da Domenico Oxsini Socio attivo e segretario alla sezione di storia naturale ec. I, Costante nei suoi proponimenti la Società Gioenia, dac- chè; ebbe vita, ha regolarmente pubblicato uno più 0 meno volu- minoso Tomo dei suoi Atti, dove le più importanti memorie re- lative allo studio della. natura, e specialmente del patrio suolo, si racchiudono. Quello, che oggi, sebbene un poco tardi, annunciamo, verte sui lavori dell’ anno IV della sua fondazione , vale a dire , dal maggio dell’ anno 1827 a tutto aprile 1828. Esso al pari dei pre- cedenti è diviso in due semestri; cui. precede il catalogo dei soci stati eletti in quell’anno, ed un Rapporto accademico sugli studi dell’ anno III, letto nella seduta del dì 17 maggio age dal Dott. Antonio di Giacomo segretario generale. | La prima memoria relativa ad un asfissia iper. colpo di ful- ini spetta al socio corrispondente Dott. Rocco Pugliese di Scor- dia; dove si!dimostra il rimedio che in casi simili riesce più 76 efficace. per: richiamare alla vita.coloro che in apparenza indicavano di averla periluta. Si tratta dliruna donna attempata colpita, stramazzata e resa priva idi sensi dal folgore, soccorsa. dal sig. Pugliese, che' trovolla due ore dopo nello stesso grailo di asfissia, mediante non! già quelle forti scosse e tramenii , coi quali aleuni idioti della con= trada avevano già tentato ., a detta loro ; di far .recere alla don na colpita la. materia del fulmine; nè tampoco: riavutala. per mezzo: dell’ insufflazione dell’ aria ai polmoni; ma sivvero per opera. dell’ ammoniaca liquida ( alcali volatile )|(reiteratamente applicata!able! narici dell’ assiderata. li Riandando 1’ Autore -della memoria sulla «questione già da gran tempo insorta ‘tra i medico-fisici , se la causa cioè dell'asfis- sia pel contatto del fulmine derivi da soffocazione; o sottrazione di aria ai polmoni, o piuttosto da forte e subitanea commozione del sistema nervoso , per cui restar possa sospeso e talvolta istan- taneamente distrutto il prificipio vitale , egli si decide per que- st’ ultima opinione, dopo aver visto il caso anzidetto , e sentito molte fiatè accaduto , che fra varj individui visitati dal fulmine, sebbene raccolti insieme ‘in’ una stauza, solo era caduto tra- mortito que!lo fra essi che restò tocco dalla materia fulminea; talchè per l’ offesa recata‘ al sistema nervoso fu suspeso 0 auche cessò nel restante. del sistema corporeo quel principio onde’ la vita si SEO Dalla storia infatti di cui si parla risulta ‘che l’inferma, ritor- nata in se dopo ripetuti soccorsi, non di altro si lagnò se non del doloroso torpore alle braccia tocche dal folgore elettrico , il qual dolore si mantenne costante insieme con l'inerzia di quelle membra ‘offese , siccome ; al dire di Virgilio, par che avvenisse all’ invalido Anchise scampato dall’eccidiv della patria sugli omeri del ‘pietoso figlio; e ciò in pena di avere manifestato i suoi amori con la usi figlia di Giuve sj «& ....«Ex quo me Divum pater , atque hominum rex, A Fulminis afflavit ventis, et contigit igne. La secotda memoria è una continuazione della Storia critica delle eruzioni ;dell’ Etna stata letta in due sedute (26 luglio e 18 ‘agosto 1827 ) dal socio attivo Can. Giuseppe Alessi segretario alla Sezione di fisica di quella stessa Accademia: Nel dar conto del volume terzo degli Atti medesimi si fece cenno della prima parte di essa storia critica. delle eruzioni Etnee, che, cominciando dai tempi eroici e favolosi l'Autore tentò 77 svolgere dalle. tenebre, e da quel misterioso velo della mitolo- gia in cui trovasi involta,; quando cioè la fantasia poetica dvi primi popoli. culti personificava in Tifone lo spaventevole feno- meno d’ immensi turbini di nero e bianco vapore misti a fiamme, a.baleni, a infuocati sassi, che con ortibile:fragore da l’abissu sca- gliavansi sino alle nubi minacciando il cielo } mentre torrenti di liquefatti macigni, che seppellivano perpetuamente la natura. vi> vente, erano, dipinti in.quello stesso gigante soffocato nel. profon- do baratro della gran, montaguia ;, donde itutta Sicilia scuote sem- pre irrequieto e minaccioso. All’epoca di Tifoue succedeva l’altra delle personificazioni mi- ste.alla favola, ora simboleggiando il.favco dell’Etna nell'imagine di Plutone che rapisce là figlia di Cerere, onde questa per rintrac- ciarla accevideva furibonda le faci nel Mongibello ; ora nella figura dei Ciclopi che Bacco armava coi fulmini dell'Etna ; ed ora final- mente nell’ Ercole '.che sorpreso dalle fiamme di quel vulcano soffermasi a metà del cammino. Dopo queste prime età il linguaggio mitologico cede luogo alla storia, cominciando l’A. da quei Siculi che abbandonaruno le falde dell’Etna e.le ardenti spiagge orientali della Sicilia. Dell'eruzione accaduta all’ età dei Fratelli Pii siciliani non lasciano dubbio le medaglie e. monumenti marmorei. Varie dallo stesso Autore si s0- spettano accaduteai tempi di Falaride., di Pitagora, di Empedo- cle y sebbene di esse non sianvi rimaste prove palesi, come le ab- biamo di quelle due seguite dopo la discesa iu Sicilia. delle gre- che colonie, tramandate sino 4!noi da Tucidide, da Cedreno e dai, marmi, Arundelliani. Le quali eruzioni debbuno distinguersi, da altre posteriormente avvenute: ai tempi di Artaserse, e del pri- mo Dionisio; rammentate entrambe da Diodoro. Così il’ incendio chè , al riferire di: Diogene ‘Laezio:, di Ateneo e di. altri ; andò colà a contemplare Platone (vin ciò più fortunato di Plinio al Ve- suvio ) x e. uno indicato. all’ età di Orfeo Crotoniate, e. quello che: Saffo accenna’, ed i molti descritti da ‘Aristotele sembrarono al sig Cau. Alessi confermati a dovizia im quei tanti vetusti cra- teri ; che l’A. stesso contemplava mentre recavasi a visitare la parte orientaledell’Etna sino al sno fastigio. Venendo alla seconda parte, soggetto della presente memoria, nella ‘quale si rintracciano le‘ eruzioni accadute durante il ro- mano dominio nell’ Isola di Sicilia y l'Autore con più sicura scorta va rifrugando ‘i ‘vari incendj in quello stadio di tempo: sull’ Etna comparsi, i quali, dall’ anno di Roma 614 sino alla fine del secolo quinto dell’ Era volgare ; non òltrepassando il numero di ventisei 78 danno motivo al sig. Alessi di concludere, che l’illastre Borelli in- certo favellava quando disse che ottanta. 0 anche cento’ ‘eruzioni all’ età dell’ Impero Romano dagli Scrittori si annoverarono : ‘sic- come al parere suo assai.maggiori di quanto si disse da altri sareli- bero quelle! anticamente accadute , le quali secondo 1’ avviso del ch. Gioeni ravvisare si dovrebbero nelle diverse e moltiplici lave colà disperse e accatastate: Avvegnachè più di 160 varietà di cor- renti laviche nella sola superficie dell'Etna;e quasi'tutte di epoca incerta ; dal prelodato ‘sig. Canonico si contavano. La terza memoria , che porta per titolo Cenno sulla vegeta- tazione ‘di alcune \piante a varia altezza del 'couo dell’ Etna , fu letta dal socio ‘attivo Carlo: Geméllario segretario alla Sezione di Storia. naturale, nella! seduta de’ 15 settembre 1827. Dell’ utilità di simili ricerche, mercè. cui provasi con i fatti desunti dalla storia naturale quasi altrettanto vero di quello che il matematico può assicurare con. le regole del calcolo, ne fu dato un primo solenne esempio dall'illustre: Humboldt in quella sua opera classica della Distribuzione. geografica delle piante secondo la tem- peratura del cielo e l'altezza dei monti, opera che suggerì al nostro» Autore l’idea di applicare: consimili indagini sull'Etna. E fu ‘a lui tanto: più facile il riescirvi, in quanto che sino dal giugno 1819 assistito aveva il ch. sig. Schow circa allo stabilire l’altezza ba- rometrica non solamente di! Catania, ma di vari punti di quella montagna:, e in quanto che maggiormente si agevolava il cammino a lui che conosceva la media temperatura mercè le precedenti. 0s- servazioni meteorologiche fattedal sig. Mario Gemellaro fratello dell’autore! presso quasi al giogo dell’Etna, nella ;casa propria po+ sta.a 9200 piedi parigini. (mentre il vertice della montagna è a 10484 piedi sopra il livello deli mare); e dal risultato, di. 24, anni con-. tinui di osservazioni eseguite tre volte il giorno nel villaggio di Ni- colosi , situato. a:2128 piedi di elevatezza. Verò è. che .l’Autore fin quì ha limitato le sue. osservazioni sulla:distribuzione relativa dei; vegetabili nell’Etna.a poche piante, le quali. vide però costantemente vegetare e abbonire a un’ e.e- vatezza maggiore dal lato di oriente e di mezzo giorno ; che ner gli opposti fianchi. Ecco .in breve il. risultamento, che egli ne trasse. Ilvtriticum spie 5 pianta: graminacea che generalmente si coltiva sin: Sicilia ,;;e che un di era. il cereale. più comune ai. popoli ‘d’Italia, prospera. sui fianchi meridionali ‘ed orientali dell’ Etna. sino a 1600 piedi sopra il livello del mare, mentre nella plaga occidentale!, eccetto che nei contorni di Palermo ; e 79 di Francavilla , non si semina nè vegeta DARE se non sotto i mille piedi. Così il cactus opuntia dal lato più temperato cresce sino a 3200 (piedi quando dalla. parte dell’ ovest e del nord-trovasi non più in alto dei 2100 piedi. L’ ulivo, gli aranci ed i limoni abitano a uno stesso li- vello nella montagna dell’ Etna (in ciò ben diversa dagli altri luoghi d’ Italia e di Provenza): essi ivi come nelle contrade di Sarro ad orierite fruttificano sino a 3000 piedi, mentre l’A. ci lascia nel desiderio di conoscere i limiti di queste stesse piante nelle altre tre direzioni. La vite e il fico ( ficus carica ) si coltivano dalla parte di ponente come da quella di tramontana sino a 3ooo piedi , quando al'contrario dal. lato orientale vegetano. e. producono sino quasi a 4o00 piedi di elevatezza sopra il mare. Il castagno ( castanea vesca ) dal lato volto ad occaso non s' innalza più di 3600 piedi, altronde si vede rigoglioso sopra i colli di Zafarana, e di S. Giacomo all’ altezza di 5itoo. piedi. E la segale (secale cereale ) è statà portata non solamente a quest’ istesso livello a Cassone, a S. Giacomo, a Timpa delle Can- nelle, ma ancora sino a circa 5500 piedi a Serrapizzuta Calva- rina, volta verso non so qual direzione. La quercia ( Quercus robur, Q. ilex ) cede il luogo al faggio (fagus sylvatica )., al pino ( pynus sylvestris) ed alla betula e alba ) a 5300 piedi, nelle parti occidentali; mentre nel più favorevole lato il’ faggio va simo a 5450 piedi (1), il pino a 6200; e la betula trovasi sino a 6100 piedi sopra il dorso del monte Avoltojo. Altronde ‘nella valle del Trifoglietto e nella Cerrita la quercia . giunge a 6600, la betula a 6700, il pino a 6820 piedi. Il ginepro (juriperus comunis ) comincia colà dai 5400 piedi in su, valeadire dal punto dove principia la regione scoperta , e si estende fino a 7500 piedi; non dovendosi al parere dell’ Au- tore riguardare come nel suo vero posto quello che cresce negli alvei dei torrenti, e nei hoschi contigui ov’è stato trasportato dalle alluvioni. Ivi infatti, egli soggiunge, la sua vegetazione non è perfetta, come nou lo è quella della quercia che trovasi allignata (1) In Toscana p. e.,,e segnatamente nella montagna di Pistoja tanto meno meridionale dell’ Etna , il faggio prospera generalmente sul, vertice! di quell’Ap- pennino. a un’eguale,, se non a maggiore, elevatezza di quella indicata dal sig. Gemellaro per la. regione Etnea. 80 sotto l’altezza di 1800 piedi. (2) Là ove termina ‘il. ginepro comiu- cia il tanaceto (tanacetum vulgare ) e |’ astragalo ( astragalus aetnensis), i quali prosperano sino a 7943 piedi. A questi subentra presso all’argine del Lago di Timpa 1’ Anthemis montana ; la quale gradatamente comincia a diradare e cessa affatto nel piano sresso del Lago a 8600 piedi; nè risalendo più innanzi altro rimane fra l’orrore di quei campi bruciati e coperti di scorie se ‘ non che l'umile Senecio Chrisanthemifolius; pianta che si perde affatto con ogni sorta di vita vegetativa all’ altezza di 8850 piedi. Col sussidio di queste e di altre simili osservazioni seguitè pel corso di molti anni, l'Autore ha potuto corredare il suo dotto lavoro di un prospetto topografico, nel quale compariscono a colpo d'occhio non solamente i vari. punti ‘sin dove vegetano e pro- sperano le nominate piante, ma ancora vi si trovario marcati i limiti di altri suffrutici che crescono sull’ Etna a due, a tre, ed anche a cinquemila piedi, suffrutici che in altri climi non furono trovati se non a poca distanza dal livello del mare, mentre, come si è fatto poco sopra osservare ( nota 1), il pino . la quercia, il figgio ed altri alberi alpini non corrispondono nell' Etna al pa rallelismo della linea isotermica dell’Appennino di Pistoja e mol. to meno a quella del Cimone di Modena; monti che sono in una latitudine circa sei gradi più settentrionale dell’ Etna. Tale rimarchevole divario fu pure avvertito dall’illustre Ge- mellaro nel confrontare con la sua carta le osservazioni conse- gnate da Humboldt nella prelolata Opera, per ciò che spetta spe- cialmente al pino, alla quercia ec., piante che nei monti Pirenei, tanto più settentrionali dell’ Etna, trovansi ad una elevatezza maggiore di quella segnataci dal sig. Gemellaro per quest’ ul- tima montagna (3). Ciò somministrar deve ai fisici Gioèni un (2) Se il dotto sig. Gemellaro avesse visitato la Valle della Sieve e Je no- stre maremme, dove il ginepro e la quercia vegetano ad una prodigiosa altezza e grossezza, probabilmente egli avrebbe modificato queste due proposizioni , ovvero attribuito una tale anomalia a qualche altra causa fisica del suolo o del- l’ atmosfera, (3) I fisici troveranno senza ;dubbio nuove ed importanti. osservazioni .su questo rapporto, nella, memoria, stata letta dal, ch. De Humboldt, li 18, Apri- le 1831 alla R. Accademia delle scienze di Parigi, vertente precipuamente sulla climatologia , sul magnetismo terrestre e sulla geografia vulcanica. Nella quale occasione sembra che 1” autoré abbia ‘esposto con più sviluppo di quello che fece nella precitata sua ‘opera le cause pertarbatrici dei diversi ordini y le quali ‘nella ‘distribuzione del calore ‘sul globo' possono. avere ‘influito ‘sulle inflessioni, e modificato il non parallelismo delle linee isotermiche. 8I argomento di nuove indagini ad oggetto di rintracciare, se la ve- getazione delle sopra indicate piante erbacee, le quali sull’ Etna crescono, siccome apparisce, ad altezze superiori ad altri climi di consimile temperatura , debbasi ripetere dal calore raggiante che emana da quel suolo lavico e intensamente pregno di calorico, come quello che mevtre rendesi favorevole a piante di corta durata, potrebbe essere contrario ad altre perenni , a quelle di alto fu- sto , le quali hanno duopo di profondo e non massivo terreno per barbicare le lero radici, ricevere nutrimento adeguato alla mole , e forza da resistere al soffio impetuoso dei venti; o sep- pure l’ aridità naturale a quel suolo , l’esalazioni e il riverbero di cotali bocche vulcaniche siano tutt’ insieme , o isolatamente, altrettanti impedimenti alla formazione delle selve sui gioghi ele- vati dell’ Etna. Le memorie spettanti al secondo semestre sono sette di nu- mero. I. Relazione di alcune specie minerali recentemente osservate nelle rocce dei vulcani estinti della Val di Noto , detta dal Pro- fessor Carmelo Maravigna nella tornata del 18 novembre 1827. Bello quanto importante argomento si è questo , che per via diretta cammina alla meta dalla Società dei dotti di Ca- tania proposta a legge, come un punto che mira a dilatare la sfera delle cognizioni di Storia naturale patria. Il Prof. Maravi- gna sino dall’ esordio fa cuore ai suoi colleghi coll’ avvisarli di aver egli per mano un più esteso lavoro, cui medita intitolare Saggio di Orittognosia Etnea e dei vulcani estinti della. Valle di Noto, e intanto va facendo parte alla Società, di cui è membro operoso , di alcun frammento di quella sua fatica, nel porgere ad essa alcuni rarissimi minerali, quasi altrettanti squisiti frutti stati da quell’accademico la prima volta raccolti nella Valle di Noto; e fra i quali si contano : 1. L’ Analcime che Dolomieu vide il primo nei scogli dei Ciclopi, appellata da esso Zeolite dura , e ritrovata in seguito dal Fontana nella sua forma primitiva in quella stessa località dove la varietà tripuntata è , se non l’ unica , la dominante. Pertanto fra le modificazioni di questo minerale le varietà del cubo-ottaedro , e del trapezzoedro mancanti ai Ciclopi scoperte furono dal prof. Maravigna in Val di Noto e precisamente presso Pelagonia per entro una roccia basaltica insieme con la seguente specie. 2. Nefelina, trovata la prima volta da Lametherie nella T. Il Giugno. II 82 montagna di Somma, per cui la disse Sommite, quindi dal N. A. nei Campi Flegrei della Sicilia nella sua forma primitiva, o sola o unita all’ Analcime nella C. Carbonata globuliforme. 3. Sodalite. Questo mi nerale che fu scoperto nella roccia vul- canica di Pelagonia , da alcuni caratteri si prese per sodalite, se non che più diligenti indagini istituite dal ch. Covelli lo fe- cero designare per una specie nuova , che Maravignite in onore dello scopritore volle Covelli appellare. 4. Retinite. Quarta specie trovata in Valdinoto dal sig. Ma- ravigna, dalla di cui operosità si ha luogo di aspettare messe assai più copiosa. Alle quali ricerchè devono potentemente spronarlo le stesse parole del troppo presto mancato Covelli che se, l’Etna 3, non ha mostrato ancora quella ricca serie di prodotti che dà 3» il Vesuvio, ciò dipende perchè non è stato ancora diligeute- ») mente osservato ,,. II. Segue la memoria iutitolata, Cenno sulla natura intima dei morbi, o sulla loro essenza, del socio dot. Carmelo igangieno, letta nella seduta del 20 dicembre 1827. Il pubblico ha sempre atteso dai medici la guarigione di tutti i mali, e se ne credeva quasi in diritto stando alla defiui- zione che essi diedero all’ arte loro , chiamandola arte di coro- scere e di curare le malattie, e più generalmente l’arte di gua- rirle, mentre era necessaria l’aggiunta, di guarirle quando si può. Ma che al desiderato intento possa condursi quel medico che ad ogni nuovo sistema rivolge la mente e la pratica , il dot. Recu- pero è lungi da crederlo. È uno spettacolo bizzarro insieme e doloroso vedere i medici raggirarsi, quasi che fossero trasci- nati da un vortice, per un tempo più o meno lungo intorno alla teoria dominante, la quale presto o tardi è distrutta da quella che segue. Tutto è moda per essi, dottrina, frasario, medicinali; nè si accorgono che vedendo il più delle volte le cose da un solo lato altro non fanno se non cangiare successi- vamente di opinione ; ed uno scrittore, il quale declama contro, p- es. , Galeno , sarebbe stato il suo più furioso partigiano tre secoli fa. Quindi dopo aver percorso le vicende delle più celebri teo- rie di non lunga data , l’ A. viene a discorrere di quella che tanto si mena in trionfo ai giorni nostri, sull’ infiammazione . Egli, citando ad esempio casi d’ indole senza dubbio inflam- matoria che cedettero a rimedii tutt’ altro che deprimenti, si crede in diritto di potere concludere, che il vocabolo infiam- mazione è un abuso di parola , la quale conserva tutti gl’ in- 83 convenienti di nna di quelle espressioni astratte che può modi- ficarsi secondo la nostra maniera di .sentire. La via più sicura e il metodo più semplice col quale i me- dici, dice il sig. Recupero , possono giovare all’ umanità che ad essi ricorre per necessità , sarebbe di esperimentare l’ effetto di muove sostanze medicinali tanto sole quanto combinate con altri farmaci, prima nello stato normale dell’ uomo , poi nello stato morboso; di tenere quindi un esatto registro dei loro effetti più costanti sopra i sistemi ed organi diversi; di formare insomma tavole di clinica, tavole di materia medica , e lasciar fare il re- sto al genio. Per modo che l’arte medica la si potrebbe quasi paragonare alle scuole di pittura, ognuna delle quali cercando imitare la natura giunge al suo intento ma con stile e maniera sua propria. III. Colpo d’ occhio sulle produzioni vegetabili dell'Etna , e sulla necessità di un esatto catalogo , memoria del prof. Ferdi- nando Cosentini letta nell’ adunanza del 24 gennaio 1828. Da questo scritto si concepisce che il sig. Cosentini conti- nua con assiduità ad occuparsi della Flora Etnea , lavoro che non sarà mai superfluo alla scienza, ad onta delle opere di Cu- pani, Bivona, Tineo, Prasi, e Rafinesque, nelle quali produ- zioni, e segnatamente nella Cioris Aetnensis di quest’ultimo, non poche inesattezze riscontrate furono. Egli fece manifesta la sua importanza nei pochi cenni che ivi leggonsi sulle molte piante indigene di quel suolo vulcanico , meritevoli di una particolare descrizione per la natura e varietà dei loro caratteri, sebbene spettanti a specie che si vedono crescere anche in altre regioni. IV. e V. Queste due memorie consistono nella Descrizione tanto iterna che esterna di ur feto bicefalo settemestre , nato in Malta sino dal dicembre del 1822, del socio corrispondente dot. Luigi Grabagna, letta nella tornata de’ 24 gennaio 1828, e nella Relazione di un feto anoftalmo ;, cioè senza il bulbo degli occhi e senza i nervi corrispondenti , detta dal Segretario Carlo Gemellaro nella seduta de 28 febbraio 1828. VI. Degli agenti della circolazione nelle ultime estremità arteriose , e dello stato dei vasi nelle parti infiammate , memo- ria del socio corrispondente dot. Giuseppe de Pasta di Troina letta nella tornata de’ 30 marzo 1828. Sebbene empirica nel nascere suo, e tale per lunga età si mantenesse l’arte di Esculapio, contuttociò il saggio Ippocrate, giovundosi delle tabelle che sospendevansi sulle mura di Coo e di Epidauro ove a registrare si andavano i casi e i rimedi per i quali 34 tale o cotale altro malato era stato guarito , seppe egli eol suo genio sì fattamente esaminare questi e quelli, confrontarli , tra- scerli, e sottoporli a nuova e più rigorosa prova, che potè d’allora in poi l’arte stessa avanzarsi con meno incerto passo; e più sa- rebbesi innoltrata verso la quasi inaccessibile meta, se essa ri- tardata non veniva troppo spesso dalla smania di teorizzare. Av= vegnachè la medesima, al pari di molte altre scienze, abbia ri» tratto vantaggio dagli insegnamenti inculcati da Bacone, e quin- di progredito mercè di un ben regolato ragionare , col darsi scambievolmente la mano con le altre branche dell’ umano sa- pere ; così il sig. De Pasta è intimamente convinto che la Pato- logia speciale abbisogni dell’ opera della scienza della vita , sia essa nello stato sano e normale, sia nello stato di alterazione morbosa. Ed è per questa duplice via che egli tentò indagare quali per avventura potessero essere gli agenti che sostengono , dirigono e modificano la circolazione del sangue nelle parti estre- me delle arterie , e quale sia lo stato dei vasi nelle parti in- fiammate, onde scuoprire se fora possibile la vera teoria della sinora troppo vaga infiammazione. L’A., dopo una buona serie di osservazioni e di cliniche esperienze ivi registrate, si crede autorizzato a non convenire nei pensamenti dell’ illustre Broussais rispetto a non dovere ammet- tere, come questi vorrebbe , l’ infiammazione di natura costan- temente identica, ma sivvero di doppia indole e carattere, to- nica, cioè , e atonica. VII. La memoria Sopra il confine marittimo dell’Etna , del socio Carlo Gemellaro compisce il volume. Questo dotto e la- borioso Accademico Gioenio , sino da quando espose il Quadro per più utilmente trattare della topografia fisica dell’ Etna e suoi contorni, dimostrato aveva la necessità di assegnare a quella contrada i giusti confini, sia fluviatili , sia terrestri che ma-= rittimi. Serve opportunamente allo scopo di questi ultimi il lavoro sopraenunciato, nel quale trattasi di una porzione im- portantissima del littorale Etneo, di luoghi che rammentano avventure della più remota antichità: gli scogli, voglio dire, dei Ciclopi, e la spiaggia di Galatea presso Aci; luoghi che non sono meno importanti dal lato della storia naturale, siccome quelli dove il geologo sig. Gemellaro riconvbbe tre qualità di terreni: il così detto terziario marino, quello di alluvione ed il vul- canico. Trovò egli la prima qualità allo scoperto nelle colline della Trezza, e di Aci Castello come anche nell'angolo dello scaro dell’ Oguina. Il terreno di alluvione s° incontra nella piana 85 di Mascali, e poscia al Sud di Catania, da Villarascosa sino alla foce del Simeto. La terza qualità (il vulcanico) può sud- dividersi in dasaltico , in vulcanico antico , e in vulcanico mo- derno. Scorgesi il terreno basaltico frapposto al terziario nelle col- line della Trezza e d’ Aci Castello, e anche negli scogli de’Ci- clopi. Il vulcanico antico nel littorale d’ Aci, e quello moderno in tutti gli altri punti della contigua costa. Quindi l'Autore per- correndo sino alla foce del finme Onobola (oggi detto Calta- biano) descrive topicamente e geognosticamente la detta spiaggia, corredando il suo lavoro di notizie importanti la storia civile e nautica di quella porzione di Sicilia. N.° II. Le due Relazioni Accademiche per l’ anno quinto e sesto dell’ Istituto Gioenio danno conto delle memorie dette in quella società scientifica dal giugno 1828 sino al maggio del 1830. Nella prima, che fu letta dal Segretario generale prof. Sa/- vatore Scuderi alla seduta ordinaria da’ 28 maggio 1829, si parla della Continuazione della storia critica delle eruzioni del- l’Etna del prof. canonico Alessi, per la quale V’A.tentò di riempire il vuoto , rapporto alle convulsioni dell’ Etna, che dal secolo quinto al duodecimo quasi rimaneva, rintracciato avendo du- rante quell’ intervallo non meno di tredici eruzioni, ad onta che i scrittori di due o di tre sole di esse avessero tramandato sino a noi la rimembranza. Altra memoria del sig. Carmelo Maravigna è relativa alle specie minerali spettanti alla famiglia delle antraciti, la quale fa parte della sua opera o collezione di Materiali per servire alla formazione della mineralogia Etnea. La lezione del dott. Carlo Gemellaro sull’ isola vulcanica di Pantelleria fu redatta sulle osservazioni mineralogiche e sui saggi di rocce raccolti colà dal Conte Beffa di Mantova e pre- sentati all’ Accademia. Da essa risulta che 1’ isola predetta è di formazione trachitica, che dà indizio di essere stata formata in due epoche diverse , prima dal lato di mezzodì , posterior- mente dal lato di settentrione. Giudiziose riflessioni dell’ Au- tore ne conseguono circa l’origine delle pietre focaie ; essendochè la silice va depositandosi in stato gelatinoso dalle acque del ru- scello Gadis lungo le sue sponde nell’ isola di Pantelleria, sic- come avvertito aveva il ch. Berthier che in egual guisa opera- vano le acque minerali di Montdor nell’Alvernia. Per la qual cosa il sig. Gemellaro pone fuor di dubbio che le acque ter- 86 mali o minerali possono generalmente per mezzo di un carbo- nato alcalino mettere in perfetta soluzione la silice , e deposi- tarla in forma di calcedonia, di opale e di selce piromaca ; esistendo altresì un bagno caldo in Pantelleria, dove la silice sublimata dai vapori di quello si rappiglia in forma stalattitica nelle pareti di una grotta, siccome vide il Baron De Buck le con- crezioni stalattitiche silicee sulle pareti del cratere vulcanico del- 1° Isola di Lancelotte, nelle Canarie, identiche alle concrezioni depositate dai getti dell’ acqua bollente dell’ Islanda, e forse a quelle che incrostano in forma tubercolare alcune cavità delle lave porose dell’Isole di Francia e di Bourbon e alle fioriti nelle trachiti friabili o peperini all’ occidente del Monte Amiata (4). Sulle tracce de) prof. Iamson il testè lodato dot. Gemellaro ha preso eziandio a tracciare in altra sua memoria i lineamenti esteriori delle montagne da esso lui visitate in varie parti di Europa donde il perspicace geologo può trarre indizio quali siano i diversi materiali che costituiscono la interna struttura della tale o tale altra montagna della Sicilia. E di parecchie specie di minerali o già note o novellamente scoperte nell’ Isola del fuoco tenne pure discorso il socio Can. Alessi in altra sua memoria Sugli ossidi di silicio e sui varii si- licati. Nè al solo obbietto scientifico egli mirava con ciò, ma ad altro ancora di più immediata applicazione , ed utilità: a ri- chiamare cioè 1’ attenzione degli artisti sui diversi usi e lavori che dalla calcedonia, calce , legno fossile semi-agatizzato , aga- te, diaspri, quarzi piromachi e altre simili sostanze possono trarsi. Nè andò lungi da cotal massima il socio dot. Prospero Ric- cioti in alcuni suoi Cenni sulla relativa influenza delle terre della Piana di Catania nella vegetazione delle piante cereali. Ma un bell’esempio della fruttificazione delle piante che alli- gnano in fondo del mare fu recato dal socio prof. Ferdinando Cosentino nella Zostera Oceanica, trovata da lui fra le produ- zioni dell’ antico Porto di Ulisse, e descritta in un apposita memoria. (4) Circa la soluzione naturale della silice e sua comparsa gelatinosa anche in mezzo alle rocce calcaree ed a temperature ordinarie, fu recato un bell'esempio la prima volta in Firenze (all'Accademia dei Georgofili dal Socio Emanuele Repetti sino dal dicembre 1824. (Vedasi la Continuazione degli Atti dei Geor- gofili T. VIl pag. 185. = Antologia Vol. XVI. — Annales de Chimie et de Physique Janvier 1828). 87 Il socio corrispondente dot. Luigi Gravagna di Malta riportò in una sua memoria i risultamenti dell’ esame fatto colà , nel 1821, da un Comitato medico sopra due individui uno di anni 3o , l’altro di anni 60, nei quali la natura aberrò sulla con- formazione delle loro parti genitali , sicchè furono costantemente tenuti per donne, quando appartenere dovevano al sesso maschile. Il socio dot. Alfio Bonanno fece argomento di una lezione sulle virtù del pepe nero , e uso farmaceutico delle sue prepa- razioni presso i moderni medici. 11 socio corrispondente dot. Hodking di Londra diè contezza all’ Accademia dello stato di alterazione , in cui egli trovò le valvole dell’ aorta in coloro che perdettero la vita per tale ma-. lattia, che retrocessione delle valvole verso il ventricolo potreb- be appellarsi; e per cui il sangue invece di progredire dal ven- tricolo per la direzione dell’aorta è costretto a rifluire. Il collaboratore dot. Reina riferi in una sua memoria la storia di uno steatoma del peso di libbre 4 3, generatosi tra la vagina e l’ intestino retto di una donna di anni 3o , maritata. Novello argomento di ricerche medico-chirurgiche propose lo stesso Reina, unitamente all’ altro collaboratore dot. Aradas circa un aneurisma dell’ arco dell’ aorta ; ch” essi, dopo descritti tutti i fenomeni che l’ accompagnavano , caratterizzarono spu- rio , abbenchè nell’origine sua fosse stato vero. L’ altra Relazione Accademica dell’ anno. sesto fa letta nella tornata del dì 13 maggio 1830 dal socio attivo Domenico Orsini faciente funzione di Segretario generale della Società Gioenia. Fra le memorie spettami alla storia naturale havvene una del socio can. Alessi, sulla Continuazione della storia critica delle eruzioni dell'Etna seguite dal principio del XIII sino alla metà del XV secolo. Nuovi materiali con ‘altra memoria ha fornito il prof. Ma- ravigna per servire alla Compilazione della Orittognosia Etnea , dove appigliandosi egli come nella precedente alla classificazione del sig. Beudant, di quattro generi della famiglia dei Solforiti , imprese a trattare, cioè, dello zolfo, dei solfuri, dei solfu- rossidi, e-dei solfati. Niuno aveva ancora considerato di una maniera diretta l’in- fluenza dell’ acqua marina sulla distruzione progressiva di. al- cune rocce pirogeniche. Ciò servì di tema ad una memoria, colla quale il sig. Carlo Gemellaro specialmente imprese a di- 88 mostrare gli effetti chimici dell’ acqua marina sulle masse di lave nel littorale dell’ antico Porto d’ Ulisse. Si fa pure menzione di un altra memoria del prelodato so- cio Alessi sopra il Succino da esso scoperto sotto la corteccia e tra le fibre del libro di una lignite mineralizzata nel terri- torio di Castrogiovanni. In quanto spetta alle scienze fisiche, l’ attivo socio dot. Carlo Gemellaro fece pubblico un suo Saggio sopra il clima di Catania abozzato dietro un decennio di osservazioni meteorologi- che. Il collaboratore G. A. Galvagna trattò di una vera Bron- chite parziale prodotta da una spiga di vena addentrata nella via della respirazione, cui tien dietro altra memoria del medesimo sopra una Cistide prodotta dall’ introduzione di un pezzetto di alloro in vescica ; finchè il rapporto si chiude coll’ annunzio di una Dissertazione del cav. Carlo Assalini , sul miglior modo di compire i parti in caso di viziato bacino. E. R. Legons de Littérature francaise par M. VisLemarn. Continuazione. Verso i tempi di Gregorio settimo, di Roberto Guiscardo , di Guglielmo il conquistatore , 1° Europa latina già non era più quella che fu a’ tempi di Carlomagno. Il genio delle nuove let- terature, a cni doveano servir di strumento le nuove lingue , già ora sorto, e si manifestava principalmente nella gaia scienza o letteratura provenzale. E innanzi ad esso era pur risorto il genio o a meglio dire lo studio dell’ antica letteratura, ma ri- maneva come fior solitario ;} come luce di luoghi riposti e divisi da tutti gli altri. Oggi tale studio è immedesimato alla comun civiltà, è fonte comune da cui le letterature moderne derivano ricchezza e or- namento. Allora era cosa a parte, quasi non usciva dalla soli- tudine de’ chiostri, non avea che fare se non indirettamente e da lungi colla vita del mondo, colla gaia scienza onde si ricrea- vano i castelli e le corti. Nella solitudine de’ chiostri, unico luogo forse, ove, fin verso i tempi già detti, in molte parti d’ Europa almeno, uno studio qualunque fosse possibile, studiavansi principalmente i libri sacri. Taluno però vi studiava pure altri libri , e facea quasi rivivere (o 33 in sè stesso gli antichi dotti e gli antichi filosofi che n’ erano gli autori. i Vedete sulla fine del decimo secolo un solitario d’ Aurillac e di Bobbio, il celebre Gerberto, accusato di magia e divenuto papa. Ei studiava libri greci e latini quanti più non ne abbia- «mo ;, ne studiava di lettere, di metafisica ; di matematica , onde poi fabbricava per diporto orologi, sfere ec. , che cambiava con altri libri. Ei somigliava ben più agli antichi, da cui que’ libri erano composti, di quello che alcuno de’ suoi contemporanei , specialmente non solitarii , somigliasse a lui. Ove studiavansi libri latini s° imparava pure a scriver nella lingua di tai libri meglio che innanzi non si facesse. Nel secolo settimo i dotti stessi, Gregorio di Tours, p. e., scriveva in un. latino rozzo , scorretto , semibarbarico. Verso la metà del- l’ undecimo un solitario d’ Hirschfeld , Lamberto d’Affchensbur- go » scrivea la sua cronaca, di cui è sì celebre la parte che ri- guarda le cose a lui contemporanee. in un latino fin troppo elegante perchè servisse di vero specchio a queste cose. In quel torno una monasa di Gandersheim , Horswite, scrivea in un la- tino terenziano de’ drammi sacri, 1’ uno de’ quali, la Conversion di Galieno (ove ammirasi fra altre cose la verità storica del ca- rattere di Giuliano) par che fosse rappresentato nella solitudine stessa in cui fu scritto. In mezzo alle cose pubbliche, sotto la penna o sotto l’ispi- razione d’uomini nati a dominarle, il latino, già ripulito nella solitudine , si fece energico , originale, potente. Leggete l’ epi- stole di Guglielmo il conquistatore ; sieno esse scritte da lui medesimo , sieno in qualche modo tradotte da Lanfranco ; leg- gete quella, p. e., in cui rispondendo a Gregorio settimo gli promette il tributo e gli nega l’ omaggio. Gregorio abborriva la pagana antichità , ne avea, dicesi, fatti ardere più monumenti. Pur nelle sue epistole, anche in quelle che scriveva alle don- ne, a Beatrice, p. e. , o a Matilde, avvi qualche cosa che ri- corda l’ antica eloquenza. Dalle stesse cancellerie di Magonza e di Bamberga, nella gran lite del sacerdozio e dell’ impero , lite a cui si mescolava pur quella de’ veri o non veri diritti degl’ imperadori sopra 1’I- talia , uscirono latine scritture , non solo chiare , precise , strin- genti , ma anch'esse eloquenti. Le altre scritture latine non pur dell’undecimo ma anche del duodecimo secolo , se ne eccettui i sermoni di S. Bernardo, che talvolta,-predicò pur in volgare, o T. Il. Giugno. )2 90 l’epistole d’Eloisa e d’ Abelardo , che pur talvolta , dicesi, ver- seggiò volgarmente , sono quasi senza vita. Sebbene, al tempo in cui farono scritti que’sermoni e quel- l’ epistole , le lingue volgari, e la provenzale in ispecie, fossero già cresciute , il latino, come si vede, seguitava ad esser lingua di comun uso. Si direbb’ anzi che fosse la sola » Ove si prendes- sero alla lettera alcune parole del raccoglitor de’sermoni , il qual chiamava latinità quella che ora direbbesi cristianità. L’ uso co- mune delle lingue volgari deve peraltro aver preceduto la predi- cazione delle Crociate, predicazion cumune a’ vassalli ignoranti e a’ signori spesso più ignoranti di loro, e che può supporsi fatta quasi dappertutto in volgare. Nel mezzogiorno della Francia almeno già erano precedute non poche composizioni , se non della volgare eloquenza , cet- tamente della volgar poesia. Ivi, come ognun sa dolcezza di clima; pace men che altrove interrotta, mitezza di governi , cavalleresca eleganza , singolar contrasto insomma col duro vi- vere d° un’ età ancor ferrea j ivi perciò composizioni poetiche anteriori a quelle , onde comincian le nuove letterature dell’al- tre parti dell’ Europa latina. Mentre il settentrione della Francia era contristato da stra- niere incursioni , da interne violenze; ec., nel mezzogiorno ‘si a!ternavano lietamente le cacce, le feste, i tornei, le corti d° amore ; ove teneansi quelle dispute galanti e sottili, che il Laharpe , sbagliando un po’ l’ epoca, parve voler rinnovare , quando nel suo corso di letteratura all'Ateneo di Parigi esaminò dottamente se Orosmane fosse più infelice ‘credendo Zaira infe- dele o sapendola fedele dopo averla uccisa. I giudizii di queste corti, raccolti poi da un grave magistrato sotto il titolo di Ar- resta Amorum , erano dati in latino. Quelli, a cuni presedette la contessa di Jeziers, assistita da ottanta dame del paese, dicesi pure che il fossero nel miglior latino che allor si udisse nelle scuole. Ma le dispute , per piacere alle dame, è assai probabile che fossero in volgare , come le composizioni poetiche e 1” altre cose che poi si aggiunsero de’ Trovatori. Un trovatore, un poeta del mezzogiorno della Francia , era spesso un gentiluomo che avea un buon castello e de’ vassalli, come il famoso Bertramo del Bornio che diede al re giovane (altri legge al re Giovanni) i ma’ conforti. Talvolta pure era un prin- cipe sovrano , come il più antico fra’Trovatori di ‘cui ci riman- gano composizioni, Gugliélmo conte di Poitiers e duca d’Aqui- tania , già cavaliere un po’ scortese, indi intrepido crociato e DI alfin monaco. Talvolta pure cera pn vass:llo oscuro ; il figlio di qualche servitor del castello ,, come quel Bernardo che dal signor suo, a cui molto piacque, ebbe il cognome di Ventadorno, poi, perchè piacque troppo alla contessa ; fu da lui scacciato , indi passò alla corte d’ Eleonora di Guienna , sposa allora del duca di Normandia , e già di Luigi il giovane , che trovandola un po’ leggiera la ripudiò ; bravissima donna , peraltro , che sapea leggere giusta le lodi del trovatore, il qual non potendo seguirla in Inghilterra, poichè il duca vi si oppose, andò alla corte di Raimondo di Tolosa e alfine anch’ egli si fece monaco. Il trovatore talvolta anduva solo e cantava egli medesimo i versi che avea composti. Più spesso era seguito da uno o due giullari che li cantavano in vece sua, recitavan frammezzo sto- rie di cavalleria, composizione pur esse di qualche trovatore , ed anche per maggior varietà faceano de’ giuochi. Quanto il tro- vatore era avuto in pregio, altrettanto i giullari erano spregiati. Ma un giullare che fosse anch’ egli fornito di poetico ingegno , che sapesse piacere alle bellezze più celebri, trovava un duca o un conte che il facea cavaliere , e fatto cavaliere diveniva trovatore. S’ ei però commetteva alcuno di que” falli , che, fra i tanti allor perdonati ai trovatori specialmeute, non solean per- donarsi , perdeva il suo grado. Nelle Vite de’ Trovatori, scritte in provenzale, e più facili ad intendersi che i loro versi, vedesi un Gaucelmo Faidito , che, avendo perduto ai dadi tutto il suo, più non fu accolto ne’ castelli e nelle corti che come giullare, Il viver de’ Trovatori era troppo uniforme nella sua felice gajezza , perchè le lor composizioni poetiche avesser molta va- rietà. Queste composizioni, delle quali il solo Saint-Palaye formò 25 volumi in foglio, e il Raynonard, che ce ne ha data una scelta , avrebbe potuto formarne più altri, se tutte ci rimanessero , sarebbero senza numero. Ma un maggior numero non le farebbe certamente comparire più varie. Esse quasi non eran tali che nella forma esteriore , artifiziosissima oltre ogni credere, e tale, come osserva G. Schlegel , che le rende pres- sochè intraducibili. Esse eran fatte per 1’ orecchio piuttosto che pel pensiero. Quindi, benchè appellate romanze, posson dirsi 1’ opposto-di quelle de’ romantici specialmente alemanni , il cui tipo è nella poesia del basso impero , nata sotto la doppia in- fluenza del cristianesimo e del platonismo. Vaganti, distratti, per lo più senz’uso di scrittura, i Tro- vatori, generalmente parlando , non composero che cose brevi , canzoni , pianti, tenzoni , conti , serventesi , ec. ec.; di che il 92 Barbieri , primo storico della volgar poesia, e più altri da un pezzo ci avean data sufficiente notizia , e dopo le dotte fatiche del Raynouard ce 1’ ha data il Galvani così compita. Il Ray- nouard, per vero dire , cita fra le loro composizioni due poemi cavallereschi ; il Fauriel, dicesi, ne ha scoperti alcuni altri. Ma, oltrecchè in paragone dell’ altre composizioni sono assai pochi , resta a vedersi quanto sieno estesi e quanto ricchi d’in- venzione. Indarno frattanto si son cercate composizioni dram- matiche di Trovatori. E vi ha gran ragione, pensa l’autore , di creder favola quella del loro storico , il monaco dell’Isole d’Oro, il qual narra che uno d’essi pose in dramma i fieri casi di Gio- vanna di Napoli di mano in mano che avvenivano. Nelle lor piccole e poco varie composizioni quanto alme- no i Trovatori furono originali? Pochi di loro sicuramente , e solo da ultimo, quando lo studio dell’ antica letteratura co- minciò a rientrare nel mondo, ebbero qualche conoscenza di scrittori greci e latini. Si cita quasi come prodigio Arnaldo Da- niello , il quale, prima di comporre versi d’ amore e prose di romanzi, avea scritto in latino. Alcuni suoi versi, che han per titolo le Visioni del Paganesimo , sono composti alla scuola de- gli scrittori già detti. Nelle composizioni degli altri al più in- contrate di tempo in tempo il nome di taluno di quegli serit- tori o qualche loro pensiero. Se la poesia de’ Trovatori deriva , come il Muratori e altri dotti opinano, da quella de’ Greci e de’ Latini, certo non po- teva occultar meglio questa sua derivazione. A certi suoi ardi- menti, a certe sue forme , a certo suo andamento libero e leg- giero, si crederebbe piuttosto derivare da quella degli Arabi, di cui infarti il Ginguenè , il Sismondi ec. la dicono una perpe- tua imitazione. La poesia degli Arabi, osserva l’ autore, ove non penetrò per mezzo del Corano o delle cose poetiche dettate sotto la sua influenza ; penetrò sicuramente per mezzo della Bibbia e delle preghiere cristiane tratte da essa. Voi avete nell’ une come nel- 1’ altra il poema d’ un Arabo , tradotto fin dal quarto secolo in stile veramente orientale; avete salmi, cantici ec., similissimi ad esso per colorito , onde vi fa meno meraviglia la somiglianza della Bibbia e del Corano. Shakespeare, Milton, i più celebri poeti alemanni, han, componendo , provati gli effetti della poe- sia ch’ è nella Bibbia e nelle preghiere. Come nel medio evo non SI avrebbero provati i Trovatori? assai probabile però ch’ essi pur conoscessero la poesia de- vii DA gli Arabi meno antica. Dall’ epoca d’Aaron-al-Raschild e di sno figlio Al-Mamoun, dalla fine cioè del nono seco'o e dal princi- pio del decimo, gli Arabi, quei della Spagna in ispecie , troppo più inciviliti dell’ altre genti, cominciarono a divenir fra esse oggetto d’ ammirazione. Più d’ un cavaliere cristiano , anche d’ altre parti che della Spagna , ov’ erano stabiliti fin dal prin- cipio del secolo ottavo , andava a visitar le loro corti. Più di un dotto andava a visitare le loro università. Gerberto, di cui già si disse, fra il suo soggiorno d° Anrillac e di Bobbio , stette tre anni in Toledo a studiare sotto di loro. Quindi un curioso racconto intorno ad esso nello Specchio Istoriale di Vin- cenzio di Beauvais, racconto che fa pensare alle Mille ed Una Notti, e mostra come il gusto dell’ arabiche finzioni fosse dif- fuso in Europa. Il gusto di queste finzioni e di tutta la letteratura degli Arabi fece e in Ispagna e fuori studiar da molti la loro lingua. In Ispagna questa lingua divenne , si può dire, lingua lette- raria, come prova anche il solo catalogo che 1’ Yriarte ha com- pilato de° manoscritti arabici dell’ Escuriale già presentati ai ca- lifi di Cordova e di Granata. Essa anzi divenne lingua poco men che comune, poichè intesa e gustata dal volgo medesimo. Il Mariana infatti riferisce che nell’ undecimo secolo , all’ assedio di Calcanassor, un povero pescatore cantava alternativamente in arabo e in volgare un compianto sulla sorte di quella sven- turata città. Nella Francia meridionale, in Provenza specialmen- te , ch’ ebbe più cose comuni c.lla Catalogna e per sessant'anni anche il governo, par che dovesse avvenire ciò che avvenne in tutta la Spagna. La letteratura degli Arabi (parlo sempre della meno antica) non può lodarsi nè di grandezza nè di forza. La loro eloquenza in ispecie, checchè ne pensi chi fra loro ha voluto trovar de’De- mosteni, era senza vita, poi ch’ era senza libertà. Ma la loro poesia non era senza splendore. Sopratutto era graziosa, armo- nica , artifiziosa , fatta per piacere ai Provenzali come agli Spa- gnuoli. Anch’ essa , come quella de’ Trovatori , consisteva partico- larmente in picco'e composizioni. Forse innanzi al Corano essa vestì sovente la forma epica , di che parrebbero far testimonianza î sette poemi sospesi alla Mecca. L'autore d’ uno di essi, il guerriero Antar, dà il nome ad una lunga composizione dell’un- decimo secolo , mista di versi e di prose. Ma essa par formata di versi e di prose tradizionali , e quindi può riguardarsi come 04 appartenente anch’ essa all’ epoca di que’ poemi. Nell’epoca pa- steriore noi abbiamo , gazelle in gran numero , che corrispon- dono , come il lor nome indica abbastanza ; alle canzoni d’amo- re ; abbiamo dialoghi che corrispondono in qualche modo alle tenzoni ; abbiam racconti maravigliosi che pur somigliano ad altri de’ Trovatori,, ec. ec. Quasi tutte queste composizioni degli Arabi sono rimate, come sono pur quelle de’ Trovatori , il che non prova. peraltro, come a taluno piacerebbe, che i Trovatori abbian preso la ri- ma dagli Arabi. La rima sicuramente è molto antica. Un rabbino, che insegnava l’ ebraico al Voltaire, gliela mostrava nelle poe- sie degli Ebrei. Noi pur la troviamo talvolta, ma accidentale, in quelle de’ Latini del gran secolo. La troviamo poi pensata e regolare in quelle d’ altri de’ bassi tempi e nelle ecclesiastiche specialmente , a cui dava tanta forza, come ben intese il Goé- the, facendo d'una di esse, in un dramma famoso , stromento di terrore per una giovane donna. Se non la rima, però, pos- sono i Trovatori aver preso dagli Arabi qualcuno degli artifizi da loro usati nel collocarla , come probabilmente ne presero altri per moltiplicare e variare gli effetti dell’ armonia. a notarsi intanto, come cosa onde si fa evidente non es- sere la poesia de’ Trovatori nata da quella degli Arabi, che i versi degli uni non han che fare con quelli degli altri. I versi degli uni son composti secondo il sistema armonico propriamente detto , e quelli degli altri secondo il sistema che dicesi metrico. L’ Andres, che il nostro autore crede più discorde che non è dal Ginguenè e dal Sismondi , asserì ( nella sua Origine d’ ogni Letteratura ) che l’ uno e l’ altro sistema fu agli Arabi egual- mente familiare. Ma 1° Arteaga ( nelle Rivoluzioni del Teatro Musicale) glielo negò. Il Tiraboschi intanto (nella prefazione all’ Origine della Poesia Rimata del Barbieri) si fece sostenitore dell’ Andres, e in seguito più altri, fra’ quali il Del Furia (in un Saggio di Poesia Arabica inserito nel 1.° vol. degli Opuscoli Scientifici e Letterari che qui si raccoglievano or sono più di vent’ anni ) mostrarono di aderirgli. Pur l’ Arteaga in una sua risposta al Tiraboschi (nella Dissertazione , cioè , intorno all’in- fluenza degli Arabi sulla moderna poesia) riducendo al loro giu- sto valore aleune parole d’Alvaro Cordovese , spiegandone altre mal interpretate del Casiri, valendosi dell’autorità d’alcuni scrit- tori arabi inseriti e comentati dal Guadagnoli nelle Istituzioni di lingua arabica, giovandosi pure delle osservazioni dell’ As- semani nel suo Saggio sulla letteratura degli Arabi, di quelle 95 del Le Clerc nel suo Trattato di poesia arabica , ec. , avea, par» mi; ‘dimostrato assai chiaramente che l’ asserzione dell’ Andres mancava di fondamento. Come la poesia de’ Trovatori, checchè all’ Andres ne sia sembrato , differisce da quella degli Arabi per la versificazione, così , giudice l’Andres medesimo , ne differisce per le idee. Pur si direbbe talvolta che un genio, un’ imaginazione comune ani- mal’ una e l’altra. H genio, per esempio , che manifestasi nella descrizione del palazzo d’Al-Mansour califo di Cordova ; quello di cui ci è indizio 1’ allegoria d’ un cadì ad altro califo , pronto ad usurparsi il campo d’ una vedova per ingrandire i propri giar- dini ; quello stesso che si compiace d’esseri misteriosi, e ci si addita come particolare all’Arabia in alcune arabiche composi- zioni , s’incontran pure in quelle de’Trovatori. Nè chi dubitasse dell’ ultimo avrebbe a far altro che leggere il pianto di Bertra- mo del Bornio per la morte del principe Enrico da lui spinto contro il padre ; di che Dante, il gran giustiziere del suo seco- lo, dice 1’ autore , lo punisce con allegorico supplizio. Bertramo , il cui nome ci riconduce alla storia de? Trovatori, è, per buon tratto almeno, quegli nelle cui composizioni parti- colarmente piace di studiare la loro poesia. Egli per l’ inge- gno non differisce forse dai molti che fra essi hanno qualche celebrità ; ma ne differisce assaissimo per l’indole e per le vicende. Quindi anche nelle sue composizioni qualche cosa d’assai diverso e di più curioso che in quelle degli altri. Com? altri cantano gli amori , le feste , i tornei; ec. , egli canta il piacer della guerra. E il canta qual uomo ‘che ama la guerra sopra ogni cosa, che non sa perdonare a chi non 1° ama al par di lui. Leggete , p. e., in uno de’suoi canti, i suoi sar- casmi contro Riccardo Cuor di Leone, ch° egli addita col sopra- nome di Sì e No, allusivo alle esitazioni di quel guerriero po- litico, il qual bilancia talvolta il piacer della guerra co’pericoli. Un grande ardor bellicoso , misto alla ferocia de’ tempi feu- dali, si mostra particolarmente nel suo canto contro il fratel- lo che gli disputa il castel d’ Altoforte e quanto possede nel Limosino , terra che per lui, non ostanti gli scherzi del Ra- belais e del Molière, ha comune la gloria ; dice il nostro antore, colla poetica Provenza. Ma l’ ardor bellicoso di Bertramo non era così l’effetto del- l’ indole sua che nol fosse ancor più della sua’ condizione. Fra i tanti potenti , che si dividevano allora e in modo bizzarrissi- mo la Francia , un piccol feudatario com’ egli non potea forse 96 sottrarsi alla loro oppressione che mettendoli in guerra fra loro. Quindi egli spinse varii signori ad un!tempo. contro Riccardo ancor duca d’Anjou; spinse lui e gli altri fratelli l’ un contro l’altro ; spinse, come già si accennò, Enrico il più giovane di essi contro il re d’ Inghilterra e duca di Normandia suo padre; spinse Riccardo già detto ,,e divenuto re d’ Inghilterra , contro Filippo Augusto di Francia ; e tutti li spinse col linguaggio che solo poteva servire alla sua passione, col linguaggio che forse gli era più naturale , il poetico. Le guerre eccitate per mezzo di esso talvolta riuscivano se- condo i disegni del guerriero trovatore ; talvolta , o per contra- rietà della sorte, o per defezione d’alleati, o per altra causa, non riuscivano. Quindi altri canti a vendicarsi della sorte, a punir la defezione , ad eccitar nuove guerre. In quel'a contro Riccardo il guerriero trovatore perde il suo castello, di cui altri è posto al governo. Un nuovo canto, ove trovi ad un tempo rozzezza e finezza , imprecazione e dileggio , costringe in certo modo Riccardo alla restituzione. | Nella guerra d’ Eririco contro il padre , morto il giovine prin- cipe , il guerriero trovatore perde una seconda volta il suo ca- stello , e con esso la libertà. Seitu dunque , gli dice il re alla cui presenza è condotto, quel Bertramo che si vanta di tanto ingegno?. Ah! risponde Bertramo , io potea vantarmene quando vostro figlio vivea; or l’ ho perduto con lui. Ben te lo credo, replica il re piangendo : egli ti amava tante! Vanne: per amor sno ti ridono il tuo castello, la tua libertà, e voglio che sii ristorato d’° ogni tuo danno, Finchè visse il buon re, e fu per poco ; Bertramo non fece altro canto di guerra. Appena Riccardo, l’ irrequieto ; il roman- zesco Riccardo , fu sul trono d'Inghilterra . si udì il canto che lo spinse contro il vicino più potente. Ma già si preparava altra e ben più grande occasione; di canti guerrieri. Un’ impresa ; che ricorda le antiche guerre del- l'Europa contro l’ Asia, un'impresa a cui accorsero tutti gli uomini più ardenti dell’ Europa feudale, e per cui Riccardo partì uno de’ primi, un’impresa , in cui si concentrarono per così dire tutte le grandi passioni del medio evo , non potea la- sciar muti i Trovatori. Quest’ impresa , diversamente giudicata in secoli diversi, era ormai divenuta una necessità, Lo zelo religioso, 1’ entusiasmo cavalleresco ne furono la causa più immediata ma non la prin- cipale. Molto meno lo furono gl’ interessi commerciali additati 97 dal Robertson ; il bisogno, notato da altri, d’ impiegar al di fuori una forza che al di dentro era divenuta divoratrice , ec. ec. Una causa più antica , dice l' autore, una causa più generale , ma forse meno evidente e quindi meno osservata, fu pur quella che potè più di tutte, o piuttosto che sola le fece anch’ esse potenti. P Già da cinque secoli due principii nemici, un principio di nuova barbarie e un principio di nuova civiltà, il maomettismo e il cristianesimo , si stavano a fronte. Indarno il maomettismo avea vestite talvolta le sembianze della civiltà, le aveva anzi vestite più splendide che il cristianesimo non avesse ancor fatto. Esso consecrava il dispotismo che ritarda la civiltà o la spegne, procedeva fra le violenze ed il sangue, faceva abborrire i suoi seguaci (v. la storia di Guglielmo di Tiro ) non solo come in- fedeli ma altresì come barbari. Partitosi dal fondo dell’ Arabia esso aveva in poco tempo invasa la Persia, la Siria, l Egitto, parte dell’ Impero Greco, tutta 1’ Affrica già incivilita da’ Romani, la Calabria , la Sicilia, la Spagna , si era arrestato è vero dinanzi a Carlo Martello nel primo ingresso della Francia, ma pur minacciava sempre tutta l'Europa. A respingerlo, a salvare la società quale il cristianesimo l’avea fatra , era ormai necessario uno sforzo grande e concorde; ed ecco gli uomini d'Europa lanciarsi in folla alle Crociate. Essi ubbidivano a quella legge di conservazione che obbliga spesso , come osserva il Montesquieu, a far guerra a chi per anco non l’ ha dichiarata. Non tutti sicuramente sentivano l’ impero di questa legge allo stesso modo. I più, forse, non lo sentivano che assai confusamente. Quelli, che guidavano i più, ne aveano senza dubbio un sentimento distinto. Molti anni innanzi alle Crociate, i papi, non ostante il loro abborrimento per lo scisma, tremavano del pericolo che correva la scismatica Costantinopoli ; guardavano con ispavento l’ invasione della Sicilia così per la religione come per la civiltà. Nell’ epistola di Gregorio settimo all’ imperadore Arrigo sulle cose d’Oriente, alla sollecitudine re- ligiosa si mescola certamente un pensiero politico. Nelle celebri allocuzioni d’ Urbano terzo al concilio di Clermont si mescola ancor più. Guardando allo scopo sociale dell’impresa, di cui si favella, amerebbesi paragonarla più particolarmente alla seconda delle due antiche guerre contro l’Asia, alla guerra, cioè, de’ Greci contro i Persiani. Guardando ad alcuni suoi accidenti , al me- scolamento di tanti popoli, al concorso di tanti eroi in un me- T. II Giugno. 13 98 desimo luogo , alle loro gare , alle lor vicende, ec. ec., si para- gonerebbe volentieri a quella che forma il soggetto dell’ Iliade, Peccato che a questa nuova guerra iliica sia mancato un epico contemporaneo ! Quando il Tasso , tre secoli dopo, prese a celebrirla, potè, poichè il suo ingegno era splendidissimo, far ciò con grande splendore ; nol potè cou egual verità. Questa voi la trovate piuttosto nelle piccole composizioni che la nuova guerra ispirò a’ Trovatori , pochissimi de’ quali per altro v’interven- nero , ond’ è che appena si trovano composizioni fatte in mezzo ad essa. Uno di que’ pochissimi fu Guglielmo conte di Poitiers e duca d'Aquitania, di cui già si disse. Falli non lievi, tra i quali il ratto della viscontessa di Chatellerault , le minacce al vescovo di Poitiers ec., si contan quasi per lievissimi, volevan essere da lui espiati; nè , secondo le idee de’ suoi tempi, ei poteva espiarli meglio che partendo co’ crociati. Abbiamo il canto della sua partenza, che si cita fra le sue composizioni più commoventi. Altro suo canto da accompagnarsi con questo non l’ abbiamo. Bertramo del Bornio, il più bellicoso de’ Trovatori, b:nchè avesse pur egli bisogno d’ espiazione, non partì. Fece però un canto , misto d’accusa e di dileggio, contro la propria e l’ al- trui inazione , canto che a molti sicuramente avrà servito d’ec- citamento. Simili canti pur fecero altri de’ Trovatori, toccando talvolta con egual severità che verità le cause che rendean lenti quelli che pareano dover essere i più pronti. Fra questi canti nulla forse di più vivo, che l’apostrofe d’un trovatore al mar- chese di Monferrato, di cui nessuno allora avrebbe potuto pre- sagire che sarebbe un giorno re di Tessalonica. Così la voce de’ Trovatori , spesso discorde da quella del sacerdozio ( molti canti lo attestano ) si accordava ad essa nell’ eccitare ad un’ impresa che da tutti riguardavasi come sa- cera. Quindi fa meraviglia, dice l’autore, che il grand’ epico di quest’ impresa non abbia, accanto a chi la predicava, e in mez- zo agli eroi che la fecero gloriosa , posto alcun trovatore. Se non che il grand’ epico, direbbe forse il dotto Fauriel , che nelle sue lezioni di quest’ anno (v. il Temps 1.° Agosto ) ha trattato pur egli della poesia de’ Trovatori, non deve punto esserne accagionato. Pensa infatti il dotto uomo, che lo zelo de’ Trovatori per le Crociate non sia anteriore alla terza. Ei cita un canto relativo alla seconda, ardito comento, com’ei s’esprime, di quel passo d’un’epistola di S. Bernardo al pontefice Eugenio: « i villaggi e i castelli sono deserti ; appena fra sette donne ri- 99 mane un momo; per tutto si veggon vedove i cui mariti son vivi ec. ,, In questo canto, ei prosegue , il poeta fa che una donna assisa presso una fonte pianga la sua forzata vedovanza, e si Jagni a Gesù, che, lasciando il suo sepolcro in mano agl’ infedeli. ne sia cagione. Singolar canto veramente, egli dice, che mostra come poco piacesse ai Trovatori un’impresa , che or- mui avea posto fine alla gaia lor vita, ec. ec. Ne” canti stessi, relativi alla terza crociata , egli aggiunge, ne’ canti che più si accordano alla voce del sacerdozio , avvi pure non piccola discordanza. Poichè alle idee religiose, ben nuove ne' canti de’ Trovatori , son mescolate le idee galauti e cavalle- resche ; il pensier della gloria del mondo, ch’essi cercan di con- ciliare con quel della gloria celeste; il pensier delle dame e degli amori, cui cercan di conciliare con quel della fede e del santo sepolcro. In questi canti, come dice l’ autore, ne’pochissimi special- mente che furon composti a piè del sepolcro, avvi qualche cosa di più orientale che mai non fosse stato nella poesia a cui essi appartengono. Anche ne’ pochissimi però voi sentite pur sempre i suoni della gaia scienza , voi trovate il pensier delle dame e degii amori, che solo il più delle volte condusse in Oriente i Trovatori. Goffredo Rudello, p. e., che il monaco dell’Isole d’Oro ci rap - presenta come il più famoso fra essi, vi andò per cercar 'a contessa di Tripoli, di cui, al vederne il ritratto, si era incredibil- mente invaghito. Anch’egli compose un canto di partenza, ma canto amatorio , canto di gaja scienza senz’ alcuna mistura. Nè d'altro genere forse ne avrebbe composti, ove non fosse giunto in Oriente moribondo, per spirare sotto gli occhi della pietosa contessa, che il consolò della sua presenza e del suo anello , indi 1’ onorò di nobile sepoltura e prese il velo. Taluno de’ Trovatori , occupato sempre del pensiero che tutti li dominava , non andò in Oriente, che per intuonarvi to- sto il canto del ritorno. Così fece il trovatore Peyrolsio ; lungo tempo favorito del delfino d’ Alvernia, indi esiliato per alcuni versi alla contessa di Mercoeur, e crociato per disperazione. Re- duce ei compose un dialogo assai grazioso tra se e l'Amore , che cerca di persuaderlo (e il persuaderlo era facile ) a lasciar per sempre le Crociate , di cui erano ormai stanchi e i piccoli si- @uori e i gran re. Avvi però un canto del Peyrolsio medesimo contro Filippo Augusto , che fu uno de’ primi a partirne , canto singolarissimo 100 fra gli altri de’ Trovatori, che tutti, amando poco quel re , o come men prode d’ altri, o come minaccioso all’ indipendenza del lor paese , Io punirono d’ amari sarcasmi. Fra i più prodi e costanti non è da obliarsi Riccardo già sopra mentovato , Riccardo grande avventuriere e grand’ uomo , Riccardo che visse quasi sempre lungi da’ suoi stati, eppur vi lasciò memorie profonde, Riccardo cresciuto fra i Trovatori nel suo ducato d’Anjou, accompagnato da’ Trovatori al trono d° In- ghilterra, trovatore egli stesso, e non immemore dell’ arte de’ Trovatori alla sacra impresa. i Partitone senz’ esercito, senza scudiero, ma non senza gloria, che cento prodigi d’ intrepidezza e di valore gli hanno acquistata, ei sbarca sulle coste della Dalmazia, nè teme di traversare solo gli stati d’ uno de’ suoi più gran nimici, Leopoldo d’ Austria. Nella Stiria è preso , imprigionato, venduto all’ imperator Arrigo, che il tien pur egli, e lungamente, prigione. Un suo fedele , se crediamo ad un celebre racconto, il trovator Blondello , va da un pezzo in traccia di lui, che tutti san ritornato e nessuno rivede. Ei si ferma al piè d’ ogni rocca , ove sospetta che il signor suo sia ritenuto , ed ivi canta la sua ansietà e il suo dolore. Un giorno alfine , mentr’ egli, cantando , sospende un istante le me- lanconiche sue note , ode uscire dal fondo d°’ alta torre una voce che risponde a quel canto. È la voce del signor suo, la voce di Riccardo , che neppur nella cattività si è scordato dell’ arte de’ Trovatori. E uno de’ canti della sua captività , canto di lamento con- tro i vassalli e gli amici che lo abbandonano e il re di Francia che gli invade gli stati, ancor ci rimane. Mal interpretato dal Millot , che nella sna Storia de’ Trovatori ne confuse spesso il testo provenzale coll’ antica versione in lingua wallona, ma poi reso chiaro dal Raynouard che ne restituì il testo primitivo, esso è per noi singolar monumento così di storia come di poesia. E singolari monumenti di storia posson dirsi quasi tutte le composizioni de’ Trovatori, che non si annoverano fra le amo- rose. Nelle composizioni guerriere voi trovate lo spirito guerriero dell’ epoca a cui appartengono, come nol trovate mai nelle cro- nache. Nelle composizioni satiriche voi trovate gli odi, gli sdegni, l’insofferenza , direi quasi lo spirito anarchico dell’ epoca me- desima, a cui i cronisti hanno dato una specie di color clau- strale, e gli storici successivi non so qual colore monarchico egual- mente falso. Certo la poesia de’ Trovatori era fatta particolarmente per IOI esprimere i sentimenti delicati del cuore. Divenuta satirica essa talvolta quasi più non vi sembra poesia. La sua nuova asprezza , la sua nuova rozzezza vi fa quasi desiderare quella sua unifor- mità primitiva, sì dolce p. e. ne’ versi della contessa di Die , sì graziosa in quelli della maggior parte de Trovatori. Ma ove l’asprezza o la rozzezza è maggiore , talvolta è pur maggiore la storica importanza. Nulla di più aspro o di più rozzo che il canto di Sordello in morte dell’ illustre guerriero e trovatore Blacas. Esso ricorda i più aspri canti popolari della Grecia moderna ; racchiude qualche imagine degna veramente de’ Klefti della montagna. Ma quando si volge con tanto ardire ai più possenti monarchi, all’ imperador di Lamagna, ai re di Francia , di Castiglia , d’ Aragona , che i cronisti e gli storici ne mostrano circondati dalla devozione de’ vassalli o dello splendore delle corti , e contro cui non credereste potente che la sola po- tenza de’ pontefici , voi lo trovate assai più notabile d’ogni più leggiadra composizione. Esso ci rivela nella poesia de’ Trovatori una nuova potenza che affrontava quella de’ monarchi, facendosi interprete del pen- siero o delle passioni della moltitudine. Altri canti ci mostrano come si alzasse contro la potenza stessa che sovrastava a’ mo- narchi, e iv cui talvolta la moltitudine ebbe una protettrice. La poesia de’ Trovatori peraltro non si fece sì ardita, che quando la protettrice divenne persecutrice. Prima fu talvolta men riverente, lanciò per così dire qualche dardo leggiero contro ciò che pur a molti spiaceva ne’ ministri d’ una potenza da tutti venerata. Quando una guerra d’esterminio, fatta in nome di que- sta potenza , ridusse tanti cuori alla disperazione , la poesia de’° Trovatori non ebbe più ritegno. Trattasi, è facile intenderlo, della guerra troppo cele- bre contro gli Albigesi. Questa setta, i cui principii sono in qualche modo racchiusi nella Nobil Lezione altre volte men- tovata , fu detta da taluno il protestantismo del medio evo. Nata , ma sott’altro nome, nell’Asia minore , perseguitata sotto i greci imperadori , fatta libera sotto il giogo de’ Musulmani, introdottasi al loro seguito in Ispagna , passò alfine a varie parti della Francia, dall’una dalle quali prese il nome, e si estese par- ticolarmente in Provenza, cui arricchì, facendosi ricca essa me- desima, colla sua industria. Ivi ebbe giorni tranquilli fin verso la fine del secolo duo- decimo. Il terzo Innocenzio ; salito al trono di Gregorio settimo del quale compì i disegni , la vide da lungi e non volle tolle- 102 rarla. Egli era fermo , severo , inesorabile; i più gran monarchi d’Europa ne aveauno fatta esperienza. Non però ei volgeva allora in pensiero una guerra d’ esterminio. Avvenimenti imprevvisti la condussero, ed egli, dicesi, ne pianse. Due cardinali sono da lui spediti nelle parti di Francia, ove la setta degli Albigesi ha sede, perchè la disciolgano e faccian punire chi vi persiste. Signori e prelati ubbidiscono con zelo alle loro intimazioni. L’ arcivescovo di Narbona, i vescovi di Tolosa e di Viviers, sembrano un po’ tiepidi e sono deposti. Raimondo conte di Tolosa si mostra esitante, è ammonito , gli è posto at fianco, perchè lo stimoli, il famoso Folchetto di Marsiglia , già tro- vatore e avventurier passionato , poi monaco niente men passio- nato e alfin vescovo della città di Raimondo, e poichè questi ancor non si risolve. si pensa a costringerlo. Egli era in guerra con vari signori di Provenza e di Lingua- docca e alcuni de’ suoi vassalli. Uno de’ legati si presenta qual mediatore, a patto che tutti si uniscano contro gli Albigesi. Rai- mondo ricusa, è da lui scomunicato , fulminato dalle lettere d’Innocenzio, scomunicato una seconda volta , trattato di vile e di spergiuro dal legato, che grazie alla propria inviolabilità se ne parte sicuro. Se non che in riva al Rodano è raggiunto im- provvisamente da un gentiluomo del conte, che di ciò non sa nulla, e dopo alcune parole d’insulto è ucciso. Chi può ridir oggi l’ orrore che dovea destare in que’tempi un tal delitto ? il poter della voce del pontefice che dall’ alto del suo trono ne chiede vendetta ? Già mille e mille armati accorrono d’ogni parte contro gli Albi- gesi per eseguirla. Fra essi è Simone di Monforte, il sanguinoso eroe di questa crociata anticristiana , Eude terzo di Borgogna , altri gran vassalli di Filippo Augusto , arcivescovi, vescovi, monaci senza numero. Beziers è presa d’ assalto ; le orribili e famose pa- ro'e: uccideteli tutti ; Iddio discernerà i suoi ., son proferite. Carcassona , Tolosa, corrono la medesima sorte di Beziers; Rai- mondo è in fuga , il terribile Monforte trionfa. Fra questi atroci avvenimenti la poesia de’ Trovatori non è più che un grido contro la potenza che li comanda, contro co- loro che li compiono in suo nome e ne approfittano. Non è più che un grido di desolazione , il qual si prolunga anche dopo che gli avvenimenti sono compiti, che il Monforte è ucciso , che Raimondo è tornato a Tolosa. Questa poesia si riduce ormai tutta all’eterno ritornello d’un canto famoso di Guglielmo di Figueras, capo d’ una nuova ge- 103 nerazione di Trovatori desolati e plebei , succeduti a’ gai e gen- tili, che già son la più parte o spenti o dispersi. Vorrebbero tal- volta i nuovi Trovatori (come nel dialogo d’ uno di essi con un pastore ) tornar a’ dolci suoni , alle grate immagini della gaja scienza ; ma la lor anima non dà che suoni d’ ira o di dolore, che imagini di sangue. Solo alcuni di essi, ad allontanar il sospetto d’ appartenere ad una setta, proscritta , e a liberar la patria dai furenti che l’ han desolata, cercan di risvegliare, imi- tando gli antecessori , 1’ ardore delle Crociate. La poesia de’ Trovatori intanto avea ormai fatto il giro d'’Eu- ropa. Con Roberto Guiscardo ed altri conquistatori era penetrata nell’ Italia meridionale ; avea quasi posto nuova sede in quella del settentrione ove più Trovatori eran nati, e fin presso al centro ove ne rimangono monumenti, che il Barbieri e il Tiraboschi ci hanno fatto conoscere. Così 1’ avea posta nella parte più oc- cidentale della Spagna, cioè nel Portogallo , di che abbiamo ina- spettato documento alcune ‘antiche canzoni trovate a Coimbra e pubblicate a Parigi dallo Stuart, il diplomatico celebre , che portò anni sono la costituzione dal Brasile a Lisbona. Con Gu glielmo il conquistatore , seguito poi da Riccardo , essa penetrò pure in Inghilterra , ove per altro le fu, come vedremo , rivale più fortunata la poesia particolare al settentrione della Fran- cia, la poesia de’ Troverri, M. RIVISTA LETTERARTA, Degli Statuti Novaresi. Commentario dell’avvocato Gracomo G1ovanETTI Torino 1831. Quest’ opera contiene diverse notizie sulla giurisprudenza del Pie- monte che crediamo utile compendiare. Dopo il 1814 essendo abolite le leggi francesi , e richiamate in vi- _ gore quelle che esistevano prima del 1800, nacque dubbio se si intendes- sero ripristinati anche gli statuti. Per l’opinione negativa stava non solo il fatto dell’abolizione operata colla pubblicazione del Codice Francese nel 1800, ma anche lo spirito della giurisprudenza che avea seguitato la. pubblicazione delle costituzioni del 1770. Dacchè dopo quel tempo eran state frequentissime le deroghe alle disposizioni statutarie, e tutto annun- ziava l'intenzione di ridurre a poco a poco i popoli del Piemonte ad una sola legislazione. Ma la curia si determinò perl’ opinione favore- 104 vole al risorgimento degli statuti. La quale pare che fosse legalmente parlando l’ opinione più probabile. Alla creazione poi de’ tribunali di Prefettura “ tenne dietro il regio biglietto del 17 Febbraio 1826 che »; attribuendo ai medesimi anche le cognizioni delle cause sull’ in- > telligenza degli statuti ci fornì una dichiarazione legislativa sulla 3» loro esistenza ,,. Un dotto pratico contò nel Piemonte sino a 55 sta- tuti diversi, il nostro autore crede che passino i settanta. Forse com- putando quelli delle piccole terre, che sovente sono ripetizione degli statuti delle città principali, trascenderanno anche ad un maggior numero. È da notare peraltro che a Nizza ed a Chambery non si parla più di statuti, e che a Genova si è conservato il Codice Napoleone. La città di Novarra con sua deliberazione dell’ 11 Maggio 1827 umiliò una supplica al trono per l’ abolizione degli statuti. E non ha guari correva voce per l’Italia che il nuovo re volesse dare ai suoi popoli una legislazione uniforme adottando i codici francesi. Oltre l’ imbarazzo della moltiplicità degli statuti, havvi 1’ altro di determinare il territorio a cui si estende la loro autorità. Son da vedersi a questo proposito le dotte osservazioni dell’ Autore per circoscrivere il territorio dello statuto novarese. Vi sono a cagion d’e- sempio nel novarese delle terre che anco di presente usano gli statuti di Milano. Gli statuti non sono applicabili ogni qual volta si incontrino in contradizione colle leggi regie. Il determinare con precisione i casi della deroga offre sovente non piccole difficoltà. Da che non basta por mente alla sola lettera della legge ma è duopo considerarne lo spi- rito e la forza morale. Poichè la legge è capace di interpretazione estensiva , laddove lo statuto deve intendersi limitato sempre alla sola forza delle parole. E siccome è condizione richiesta dalle leggi che mantengono in vigore gli statuti, che essì sieno in attuale osservanza, nasce ìl dubbio se basti allegare lo statuto rilasciando alla parte contraria l’ obbligo di pruovare che sia caduto in dissuetudine, o se pure chi si vuole fon- dare nello statuto abbia eziandio 1’ obbligo di provarne 1’ osservanza. Razionalmente parrebbe che la prima opinione fosse più giusta, ma buonissime ragioni dipendenti dalla storia degli statuti determinarono la giurisprudenza del senato di Torino ad esigere dall’ attore oltre la pruova dell’esistenza dello statuto quella dell’ osservanza. Quanto al- l’esistenza dello statuto, benchè manchino in alcuni archivi gli origi- nali autentici, pure basta produrre l’ estratto del libro antico che nel- l’ archivio è stato tenuto da lungo tempo come libro degli statuti. Per l’ osservanza e’ vi vogliono quasi le stesse diligenze che a pruovare una consuetudine. Se non che dimostrata l’osservanza in genere di una rubrica statutaria si presume eziandio l’ osservanza di tutte le partico- lari disposizioni comprese sotto la stessa rubrica, Ma dall’osservanza di una rubrica non si può argomentare l’ osservanza delle altre, dimo- strando l’esperienza che non tutte le rubriche di che si, compone il li- 100 bro degli statuti hanno avuto la stessa sorte. Alcuni credono che la giurisprudenza del senato sia variata, e di presente si richieda la pruova della dissuetudine da chi si oppone allo statuto. L’Autore dissente for- temente da questa opinione. Novara fu delle città più distinte della Lega Lombarda ed anche nei tempi moderni è stata teatro di importanti avvenimenti. Il nostro autore crede che gli statuti novaresì precedessero di qualche anno la compilazione di quelli di Milano. Sotto i Duchi di Milano Novara con- servò i suoi statuti. La sola mutazione importante che vi si facesse ai tempi di Francesco Sforza riguardava la composizione del Consiglio generale. ‘“ Io penso dice 1’ Autore che la riordinazione degli statuti 3, nostri non venisse operata da quel fortunato ed accorto capitano »» ( Francesco Sforza ) se non se per cangiare il regime municipale il 33 quale era stato del tutto popolare anche ai tempì de’ Vistonti ; e 33 ridurlo a meno di sessanta buoni uomini, nobili cittadini della città, »; scelti dai suoi commissari ed amovibili ogni anno a suo piacimento ; >» onde poi derivarono i nostri decurioni, i quali dopo di avere nel 5, 1608 essi medesimi fermato di non ammettere nel loro corpo se »» non chi avesse fatto le prove di nobiltà o fosse discendente dai de- 3, curioni, pervennero non senza grave contrasto degli altri cittadini a rendere la loro carica vitalizia, e quindi a far valere la consuetudine di surrogare ai trapassati i figli o altri più prossimi parentì del de- funto. Perciò gli statuti esistenti non sono che quelli vigenti in- nanzi la dedizione allo Sforza, da quanto riguarda il Consiglio ge- », nerale in fuori. ,, Carlo Emanuele II tolse il privilegio ‘de’ nobili e ammise alla rappresentanza comunitativa anche i cittadini. Gli sta- 23 DI 23 tuti di Novara furono stampati l’anno 1583. Lo spirito agnatizio domina fortemente in questi statuti. L’ agna- zione anteposta alla cognazione , i maschi alle femmine nelle sncces- sioni degli ascendenti, i fratelli ed i cugini alle sorelle nelle succes- sioni dei fratelli, alcuni agnati anteposti alla madre nella successione ai beni aviti pervenuti nei figli, la figlia privata di parte dei suoi di- ritti nella successione paterna nel concorso di certi collaterali agnati, la donna maritata all’estero eselusa assolutamente dalla successione, i limiti rigorosi apposti alle liberalità del marito inverso la moglie per atto di ultima volontà, la testamentazione delle madri ridotta quasi a niente nel caso dell’esistenza dei figli, o nipoti ; ecco le cose più notevoli dello statuto successorio ,. d’ altronde imbrogliatissimo e ca- pace d’innumerevoli dispute legali. Per altro è da notare che nei casi stessi in. cui il favore dell’agnazione fa escludere le femmine sempre si concede loro qualche compensazione. Laonde lo statuto di Novara, che nel suo insieme è durissimo rispetto alle donne, in alcuni casi par- ticolari riesce assai più umano della nostra legge del 18 Agosto 1814. ‘ Se domandiamo poi , dice 1’ Autore , agli interpetri la ragione 3) di tali disposizioni ci viene ad increscere sommamente di aver ciò T. JI. Giugno sputi 106 fatto. Tanta è l’immoralità delle ragioni che si adducono. Dicono ( V. Plotus Cons. 17 ) apertamente non essersi fatto simile statuto ( parla qui di quello contro le mogli) tanto in favore degli eredi della famiglia e dell’agnazione quanto in odio delle mogli. . . . ral- legrarsi la moglie per la morte del marito e così presumersi di ma- rito provetto e moglie giovane .... accadere comunemente che il marito sia vecchio la moglie giovine ..... regolarmente le donne esser cattive sebbene ve ne abbian pur delle buone ..... doversi por mente alla causa dello statuto che proibisce al marito di lasciare alla moglie ....la causa dello statuto essere stata le male e triste femmine che sobillano i mariti e poi godono della loro morte .... guai se il marito non potesse scusarsi col divieto dello statuto , empirebbero la casa ed il talamo di borbottamenti , querele e conte- se... non consentirebbero ai congiunti ed amici di vedere il ma» rito infermo .... La mente e la penna si stancano di volgarizzare i vituperii che senza pietà furono accumulati in questo argomento. Non bastò dipingere la donna subdola , avara , capricciosa; fu chia- mata via del male e della morte, discepola del serpente, consigliera ed arme del diavolo, e peggio. Conviene che fossero bene profon- damente corrotti i nostri antenati a farsi un’ idea così nera delle fem- mine, le quali, disse ottimamente Alfieri, è ognor colpa nostra se sono alquanto tristarelle. Ma se i nostri antenati compajono corrotti, e’ sono eziandio debolissimi di animo e in tanta villania non li fece trascorrere l’avversione al bel sesso, ma la sola paura pel suo ascen- dente. Per darne pruova io non imiterò chi trasse dal fango del trivio il più sucido proverbio per significare quanto possa una fem- mina. Basterà ricordare con quanta serietà ci viene dal Ploto inse- gnato che lo statuto fu fatto in odio delle donne, come quelle che con blandimenti , adulazioni e persuasioni acciecano e fanno aposta- 3, tare i sapienti. ,, Le costituzioni regie del 1770 sono parimente animate dal voto agnatizio , ed in alcuni casi lo estendono a conseguenze più forti di quelle contemplate dallo statuto. È notabile per altro che i maschi or- dinati in sacris, come quelli che non valgono a mantener le famiglie, non posson pretendere ad escludere le femmine dalla successione ed appro- priarsene la parte. Difatti , cessando nel caso la ragione della legge esclusiva, è giusto che si torni alle disposizioni di diritto comune. Il nostro autore, molto esperto delle cose del Foro ed illuminato dai prin- cipj di buona filosofia , giustamente declama contro le leggi che sotto pretesto di favorire l’agnazione offendono la giustizia. Bellissime son pure le osservazioni con che si fa a parlare del retratto gentilizio , nelle quali disvela le innumerevoli frodi a cui dà luogo questo diritto. Il quale ai termini dello statuto competerebbe agli agnati ed ai cognati, ma dalle costituzioni regie vien ridotto ai soli agnati. L’ autore, dopo avere egregiamente commentato lo statuto nelle parti delle quali dura l’osservanza, conchiude per I’ abolizione degli _tesb> nti sciita 107 statuti. L’ opera ci pare che debba essere di grandissima utilità forense e all’ estero varrà assai a dar buona testimonianza della sapienza e gravità con che il senato di Torino decide le quistioni legali. I primi capitoli ci sembrano poter esser utili anche ai forensi Toscani, mas- sime quello in cui si ragiona degli statutì realî, personali, e misti. e che è ricco di belle decisioni. Per compier poi la storia d’Italia sa- rebbe desiderabile che escissero molte opere come quella del nostro autore , ‘dettate colla stessa erudizione , e colla stessa chiarezza, F. Forti. Opere diverse di Francesco Gamzini Astigiano. Vol. I. Italia 1831. Questo volume contiene tre opuscoli, dei quali ecco il titolo : Delle Leggi fromentarie. = Osservazioni italiche sopra l’arringa di un avvocato inglese. = Osservazioni sopra alcune massime di legislazione penale. Il primo opuscolo vide la luce nel 1819. Espone filosoficamente la storia dei sistemi proibitivi, fortemente declama contro le leggi di an- nona e gli uftizi dell’ abbondanza, e de’vincoli che impongono alle pro- prietà i fideicommissi e le commende. Ed a ragione si scaglia contro la legge emptorem Cod. de locat. et conduct. Invoca una legge che renda libero il commercio frumentario in tutti gli stati d’Italia, come lo è fra i diversi stati che di presente compongono la confederazione elve- tica. Cita i tempi della dominazione francese come utile esperienza del proposto consiglio. E nel modo che desidera la libera esportazione, così non crede che le leggi contro l’ importazione potessero riuscir utili alla pubblica economia in quegli anni di abbondanza in cui il prezzo dei grani erasi ridotto vilissimo. Alcune parole del celebre Brougham contro i testimoni italiani nel processo della regina d’Inghilterra, dettero occasione al secondo opuscolo ; nel quale si vendica la nazione italiana dall’ accusa di per- fidia che il Brougham avea rivolta contro di lei, e molte cose sì di- cono ad umiliazione degli Inglesi. Noi non dissimuliamo il dispiacere che ci fanno questi ricambii di male parole, e quanto a senso nostro valgono poco al bene dell’ Italia queste difese avvocatesche onde si alimenta la vanità nazionale, e si dà conforto all’inerzia. Assai più ci dispiacciono alcune parole ingiuriose ed ingiuste, che si leggono in questo opuscolo rispetto agli ebrei e che ne pajon veramente disdicevoli all’umanità e cultura del secol nostro. Contuttociò questo stesso scritto appassionato dà a conoscere che 1’ autore è uomo ‘di merito, caldo d’ amore di patria, e assai conosce le cose d’ Inghilterra. Il terzo opuscolo sulla Legislazione Criminale, che molte cose ra- gionevolmente critica del codice penale di Francia, per la liberalità de’ principj merita molta attenzione. L’autore crede di assoluta ne- cessità il pubblico costituto del reo, ed il confronto del medesimo coi testimoni , alla presenza del giudice e del pubblico. Crede impos- 108 sibile la sicurezza del ritrovamento del vero nella sola procedura scritta. Disapprova altamente il sistema della prova legale , e 1° esperimento del carcere pel reo e pei testimoni. Quanto alle pene trova immorali la fustigazione, ed il bollo, ed anco la berlina. Le pene pecuniarie gli pajon cattivissimo modo di punire. Desiderebbe che ovunque si sta- bilissero delle case penitenziarie., dove i rei imparassero dei mestieri, e sì educassero a vivere secondo una regola. La chiarezza. l’ ordine e la saviezza delle massime rendono le opere del Gambini molto raccomandabili ai lettori. F. Forti. Notizie di alcuni nuovi Diplomi Imperiali di congedo militare , e ricer- che intorno al consolato di Tiberio Catio Frontone, del Prof. Cosraw- zo GazzerA , Socio e Segretario della R. Accademia delle Scienze. Torino dalla Stamperia Reale 1831 pag. 46 con Tav. in 4.° \ Ricorderanno ì nostri lettori che più volte ne piacque rendere le dovute lodi al dotto prof. Costanzo Gazzera , e segnatamente quando, all’ occasione di un nuovo rinvenuto decreto di patronato e clientela della colonia Giulia Augusta Usellis , trattò benissimo la materia dei patronati e delle clientele che furono durante il Romano Imperio , e con savio accorgimento riunì in calce del suo libretto tutti que’ con- simili decreti che gli eran cogniti, acciocchè gl’ indagatori di questa parte importantissima delle romane antichità non avessero da perder tempo in ricercarli pe’varii volumi in che per lo avanti stavano disse- minati (v. Antologia, Luglio 1830 pag. 125). Ragion vuole pertanto che gli stessi elogi siengli rinnovati adesso; perchè in darci notizia di due diplomi imperiali di congedo militare , uno dei quali di Antonino Pio, inedito e comunicatogli dal Labus, e 1’ altro di Nerva testè recato avanti alla R. Accademia di Torino dal suo collega cav. Baille, non solo egli discorse del suggetto con la solita dottrina, ma eziandio per com- piere le serie di siffatti diplomi che nell’anno 1817 pubblicò il Ver- nazza nel volume XXIII degli Atti della R. Accademia di Torino, die- de in calce del suo volume quegli altri sette diplomi, dei quali non ha parola nella dissertazione del Vernazza, sì perchè due non furono allora noti ‘al medesimo e gli altri cinque vennero in luce posterior- mente all’ anno 1817. I diplomi imperiali di congedo militare , come avverte il Gazzera, aveano per iscopo di accordare il gius del connubio, o vogliam dire le nozze secondo il gius dei Quiriti , con donne di genti straniere. a tutti que’veterani, i quali dopo avere ben servito per venticinque o più stipendi venivano onoratamente congedati dalla milizia. Se tra que- sti ve ne avea degli stranieri accordavasi per quei diplomi la romana cittadinanza ad essi e ai posteri loro. Il privilegio poi valeva per una sola moglie, o per quella che allora avessero in matrimonio o per la prima da prendersi. Affini a questi diplomi di congedo militare , ma non 109 mai da scambiarsi coi medesimi, erano quegli altri diplomi pei quali gl’ Imperatori, volendo ricompensare il valore o la fedeltà di alcuni corpi della milizia, accordavan loro nello stesso modo il connubio con donne quantunque peregrine e la patria potestà sui figli che indi na- scessero. La ragion poi della differenza che passa tra queste due spe- cie di diplomi è manifestissima.‘ Imperciocchè in questi (nei primi) non sì dichiaravano che i nomi di que’ soli soldati veterani delle legioni, delle coorti, delle ale e delle flotte, i quali, dopo aver raggiuuto il numero degli stipendi indicati nel diploma ed essere stati licenziati dal servizio militare con onesto congedo , venivano graziati del diritto di città, di quello del connubio e della legittimazione della prole. In quelli (nei secondi ) all’ incontro si registravano i nomi di tutti 1 mi- liti di uno o più corpi militari ai quali tutti era conceduto non già 1’ onorata demissione , il che non sarebbe. stato privilegio ma disso- luzione dell’ intiero corpo, ma il solo diritto di connubio e la legit- timazione della prole ,, (pag. 16 e 17). Intende facilmente ognuno che questi diplomi , così della prima come della seconda specie , sono più ch’ altro pregevoli pe’ lumi che indi vengono alla istoria de’connubi dei Romani. Di ghe non toccando il Gazzera , sia per lasciare intatta al giureconsulto (1) la sua messe, o perchè magre stimi le notizie che in proposito possono ricavarsi da- gl’ imperiali diplomi, posciachè tornarono in luce le instituzioni di Gaio (2), per due sole utilità vengono dal medesimo raccomandati : primo, per ischiarir che fanno la serie de’consoli e tutta quanta la fa- stografia (pag. 4): secondo, perchè aprono ‘° la via ad un genere di sto- ria, non ancor forse tentato della milizia romana, per quanto princi- palmente si appartiene agli ausiliari soci e confederati ,, (pag. 12). In quanto alla serie dei consoli e rispetto alla fastografia il diplo- ma di militar congedo d’Antonino Pio offre adesso per la prima volta il consolato di Calpurnio Agricola e Tiberio Claudio Giuliano, che il Gazzera per alcune sue buone ragioni è consigliato a riporre nell’anno 145 dell’ era nostra (pag. 8 e 9). Il primo dei due consoli sarebbe poi quello stesso Calpurnio Agricola che, secondo Capitolino, venne spedito Legato in Brettagna nei primi giorni dell’imperio di M. Aurelio e Lu- cio Vero. E Tiberio Claudio Giuliano, quel Claudio Giuliano , cui col (1) Cf. Platzmann Suris Romani testimonia de militum honesta missione quae in tabulis aeneis supersunt etc. cum T'ab. Lips. 1818. 4.° (2) Ecco le brevi sue parole Lib. 1. $. 56. <“° Habent autem in ‘potestate liberos cives Romani si cives romanas uxores duxerint vel etiam latinas pere- grinasve, cum quibus conubium habeant: cum enim id efficiat , ut liberi patris condicionem sequantur, evenit ut non (solum) cives Romani fiant sed in pote- state patris sint. 6. 57. Unde et veteranis quibusdam concedi solet principali- bus constitutionibus conubium cum his Latinis peregrinisve 3 quas primas post missionem uxores duxerint, et qui ex eo matrimonio nascuntury et cives romani et in potestate parentum fiunt ,,. 1:0 soprannome di Naucelio sono indiritte due lettere che si hanno nelle opere di Cornelio Frontone , e di lui sembrano predicare due iscrizio- nì, l’ una riferita nel Giornale Arcadico (Apr. 184 pag. 81), l’al- tra presso il Rainesio (Class. II., VII.), ed ambedue riprodotte dal Gazzera. ll diploma poi di Nerva Pont. Max. Trib. pot. Consul secund. pater patriae dato ante diem sextum idus octobris è da riporsi, secondo il nostro A. ‘““ in quei pochi mesi, che, a cominciare dalla morte di Domiziano accaduta il di 13 di settembre dell’ anno 96 dell’ era vol- gare, si stendono al primo di gennaio dell’anno seguente 97, nel qual giorno Nerva assunse il terzo consolato , cioè il dì ro di ottobre di quell’ anno stesso , ventinove giorni dopo la sua proclamazione all’im- perio. (pag. 23) Come poi la lamina del Baille presenta i frammenti de? nomi dei consoli così: Ta» Catio © © *** tone © alpurn**** co cos fidatamente legge il Gazzera , il nome del primo console, Tiberio Ca- “ quel Catio Frontone parecchie volte menzionato nelle lettere di Plinio, del quale ci fu da ‘Dione conser- tio Frontone , e ravvisa in lui vato un detto pieno di coraggio e di saviezza (3), ed il cui nome fu cagione di una antica nè ancora terminata questione trai fastografi ,, ( pag. 25) e ad esso restituisce poscia il Libro De Acie Homerica che da Eliano era appunto ascritto ad un Frontone (pag. 30). L'altro con- sole poi sarebbe secondo lui (confortato a ciò credere dallo stesso eru- ditissimo Labus) “ quel Ca/purnio Flacco , al quale Divus Hadrianus differendam accusationem adulterii rescripsit. Difatto (gli soggiunse il Labus) chi di 35 o 4o anni era console surrogato nell’ ottobre 849 (U C) poteva benissimo essere senatore e in vita venti o trent’ anhi dopo. Se questa fortunata congettura ha punto di verità , che dicerto ne ha moltissima , i due consoli surrogati del diploma di Nerva vor- ranno essere senza meno Tiberio Catio Frontone, e Marco Calpurnio Flacco ,, (pag. 34). Tanto rispetto alla fastografia. Riguardo poi ‘alla storia della R. milizia, per quanto principalmente s’ appartiene agli ausiliari ec. e di cui pe’ vecchi diplomi conoscevansi 110 coorti, 40 ale di ausiliarj e i nomi di trenta e più diversi popoli ,, il nuovo diploma di Antoninò accresce il numero delle coorti già note. e ne arricchisce di alcuni no- mi onorifici, dei quali col succedere degli anni esse furono insignite. Così alla coorte I. Hispana già nota pel diploma di Trajano sono ag- giunti i titoli di Flavia Ulpia Ausiliaria: la I. INerviorum rammentata in quello dell’anno 106 doventa I. Augusta Nerviorum di certo ob vir- tutem etc. la II. Hispana Scutatorum si legge ora per la prima volta, seppur n’ è sicura la lezione ,, (pag. 12, 13). Il diploma poi di Nerva indiritto alle due coorti di cavalieri e fanti di presidio in Sardegna (3) Malum' quidem esse imperatorem habere, sub quo nemini liceat quic- quam facere ; sed multo pejus esse quum omnia liceat omnibus. Hist. Lib. 68. pag. 1118. IJI ce le dà chiamate: prima gemina Cursorum et Sardorum , e secunda ge- mina Ligurum et Cursorum , dove nei Cursorum non si dee (secondo il nostro A.) vedere fanti Corsi, sì perchè Cursorum per Corsorum non si trova mai detto nelle antiche iscrizioni, sì perchè errore della V per la O non: potè cadere in tavole così importanti e diligentemente scritte come queste di onorato congedo : onde in essì vede egli quegli equites cursores, che andavano benissimo congiunti alle coorti quan- tunque principalmente composte di fanti. Molte altre belle ed erudite cose hannosi in questa dissertazione del Gazzera. Ma l’ indole dei tempi e del nostro Giornale ci forzano di rimandare al suo libro que’ pochi de’ nostri lettori che più parti- colarmente amino lo studio delle romane antichità. Avv. P. Capel. Romeo e Giulietta Tragedia di G. Shakespeare tradotta da Gaetano Barbieri Professore di Matematiche; Milano per Pasquale Truffi 1831. in 12.° La disputa tanto agitata fra i Classici e i Romantici sembra non essere stata risoluta in Italia, se mal non ci avvisiamo , pel solo difetto di esempj tali da contrapporsi alle opere della vecchia scuola ; particolarmente in drammatica , nella quale pigliando il po- polo più viva parte che in altro genere di Poesia, può contribui- re ad un più pronto e sincero giudizio. Ora il pubblicare in vir- tù di buone traduzioni componimenti fatti famosi nei teatri stranieri, riuscirà di somma utilità a inappellabilmente terminare la lite: e certo da che il Cav. Maffei diè in luce la Maria Stuarda , vestita di nobile poesia Italiana, non andò guari che molti nemici alle novelle dottrine sì ammansirono, mentre la maggior parte senti necessità di una mo- derata riforma ; e l’Antonio Foscarini del celebre Niccolini parve ac- cennato come la giusta misura da tenersi da coloro che volessero in- durre novità sulla scena. Nè minor frutto raccoglieremo dalle versioni di Shakespeare alle quali si è accinto il Professore G. Barbieri che da quelie dello Schil- ler se ne traesse per opera del Maffei, se all’ egregio Professore non verrà meno nella lunga e laboriosa impresa: quello zelo che ha posto nel Dramma di Romeo e Giulietta testè da lui recato in Italiano. È questo lavoro condotto con diligenza e maestria ; nè qui vuolsi tener conto delle vinte difficoltà che emergono dall’ intelligenza ma- teriale del testo, che di ciò ne faremo motto più innanzi, ma sì di quelle che occorrono nel seguire coraggiosamente un autore che sprez- zando, o, per meglio dire, ignorando le regole, schiudesi un sentiero per ogni lato ove gli talenta, un autore che ti sì affaccia in ogni aspetto quasi. Proteo novello , che nel suo fantastico delirio crea enti e chimere di un mondo sconosciuto , un autore che alla più delicata tenerezza accoppia, dirò così, lo spavento della disperazione. In fatti 112 l’egregio traduttore seconda volentieri i moti e le fantasie del suo originale, ora procedendo dignitoso nell’incesso tragico, ora dilettan- dosi degli scherzi della commedia, ora teneramente lamentandosi nel metro dell’ elegia e della pastorale , nè di rado atticizzando tutto brio coi motteggi della satira. Di tale flessibilità d’ingegno sono prove la Scena II dell’ atto II ove gli infelici amanti in sì soave e ‘lamentevo- le stile ragionano, e là dove la nutrice condisce i loquaci racconti di tanta festività, e dove parole gravi di dottrina, di melliflua per- suasiva, di religioso zelo scorrono dalla bocca di Fra Lorenzo, e più particolmente nel V. Atto al punto che i miseri sposi per sì fatali vi- cende sono condotti a misera morte. Di tutti questi luoghi per noi citati vorremmo esporne un saggio, ma in grazia della brevità ce ne asterremo. Gioverebbe anche riferire tutta la descrizione della fata Mag che è una delle più belle fantasie di Shakespeare per dimostrare che la sola perizia in far versi tragici a chi vuole tradurre quest’ au- tore non è l’unico necessario requisito. E quanto costì il temperare quelli spiritosi concetti, sì graditi nel XVII secolo, al nostro sì ripugnanti , e il render tollerabili gli scherzi e gli equivoci di una lingua straniera, alterati dai tempi e dai mutati costumi , chi a simil fatica non si sia cimentato, difficil- mente il potra intendere: ma quello, di che un traduttore dee meglio consolarsi o gloriarsi, è il vanto di aver serbato al suo autore la pro- pria fisionomia ; ed anco per questo lato la versione del prof. Barbieri merita lode , perchè non poco dall’ indole dell’ originale ci è sembrato ritrarre. Ma poichè il favellare solamente di ciò che ne piace e diletta po- trebbe per avventura essere tassato di amichevole parzialità , o farci credere poco oculati lettori, ci sia concesso esporre candidamen- te certi leggieri difetti che crediamo ravvisare nel lavoro del Profes- sore Barbieri. E certo a parer nostro usò egli con poca proprietà al. cuni vocaboli , e tali altri accettò che meglio era lasciare agli s@ruccioli pedanteschi del Sannazzaro ; e a quando a quando n’ è rincresciuto vederci comparire innanzi lunghe circonlocuzioni che forse alcuna volta non era difficile di evitare. Avremmo anche desiderato maggior vigoria di stile in alcune di quelle situazioni che sì terribili signo- reggiano la scena Shakespeariana, avvisando noi eziandio mancare talora il traduttore di concisione e non adoperare modi a sufficienza espressivi ed elittici che tanto giovano a formare le grandi impressioni, modi di cui Dante fu sì gran maestro , e che di applicare alle circo- stanze sarebbe stato ottimo pensiero e da non isfuggire a colui che si costituisce interpetre di sì sublime poeta, quale è meritamente reputato il tragico inglese. Nè già intendiamo con ciò di consigliare chi fa versi tragici a cingere vecchie armature ed impugnare stocchi e targhe ruggi- nose per comparire più formidabile : e per lasciare il parlar. figurato , diremo che non vale cercare a bello studio forme strane e bizzarre di dire , o sforzate inversioni o parole obsolete , e simili garbugli , nei . 115 quali difetti cadde il sig. Leoni di Parma traducendo esso autore. Ma poichè ci è avvenuto di ricordare il sig. Leoni, crediamo poter assì- curare che quella sua traduzione è assai poco fida all’originale , come taluno a suo tempo avvertì, e come meglio ce ne siamo convinti con- frontandola adesso coll’originale , tantochè si potrebbe credere cal- catà su quella del Le Tourneur, il quale a differenza del Gnizot e del Barbieri non si diè gran briga di sviscerare la ragion poetica del suo au- tore, ma spesso ne slorò appena la bellezza, ne aggravò senza accor- gersene 0 poco avvedutamente ne adombrò i difetti, mutilandolo perfino crudelmente. E questo spacciarsi dalle difficoltà giova assai a chi poco cura di lambiccarsi il cervello sopra i chiosatori , i dizionarii e le cro- nache; ma così non sì soddisfa ai lettorì i quali, studiosi di conoscere un autore, trovansi delusi, nè altro poi sì veggono comparire innanzi che l’ombra di lui o quella di un mostro come il Deifobo Virgiliano. Però di simil negligenza non può esser addebitato il sig. Barbieri. Fido al suo originale, non lo ha certamente manomesso; anzi in tutta quella sua fatica adoprò buon giudizio, studio e coscienza, come dalle apposite annotazioni, o meglio da un severo esame dell’intera versione facilmente si rileva. L. C. Sulla sostanza nutritiva che contengono le ossa; sul modo d’estrarla col sussidio del vapore e d’ usarne a vantaggio dei poveri ; memoria, del Conte Forc®ino Scuizzi. Milano per Gaspare Truffi 1830. Sebbene il libretto, del quale abbiamo annunziato il titolo, non sia che una compilazione di quanto intorno al soggetto dissero ed opera- rono i sigg. D’Arcet e Puymaurin e che divulgarono oltremonte tutti i giornali; pure l’ Italia dee saper bwon grado al filantropo illuminato che cercò di diffondere nel suo idioma delle osservazioni , dei precetti e dei resultamenti degni di seria attenzione e meritevoli di esser ri- dotti alla pratica nel grandissimo numero di stabilimenti dì carità che onorano la nostra penisola. A questo scopo tende la seconda parte del lavoro del sig. Schizzi, mentre la prima contiene 1)’ istoria di ciò che altrove si fece e le regole che si dettarono per utilità generale. Ci è veramente grato ìl sapere che nello spedale maggiore della città di Mi- lano si stanno attualmente facendo grandi esperienze coll’ apparecchio del signor D’Arcet. Siamo ora ansiosi di conoscerne le resultanze , le quali son tanto più interessanti a propalarsi in quanto che, preparati gli animi dal libro di cui ragioniamo, i fatti (se favorevoli come non vi ha luogo a dubitarne) terminerebbero di convincere, e si darebbe mano dovunque a. porre in pratica i bei ritrovati della scienza a prò dell’ umanità. Questo sarebbe il premio lusinghiero dovuto alle solle- citudini del sig. Schizzi, il vedere mercè le sue cure adottare una pra- tica la quale senza di esse forse sarebbe sfuggita alla generale atten- T. Il. Giugno 15 114 zione. Non possiamo però dispensarci dal citare come degno d’ aver parte alla benemerenza medesima il sig. cav. Aldini che in molti in- coutri trattenne sull’ istesso soggetto le Accademie Italiane, e ciò che più importa v’ interessò la curiosità illuminata dei governi , di quelli cioè ai quali è direttamente soggetta la tutela degli stabilimenti cari- tatevoli che più di tutti ritroverebbero avvantaggiamento dall’ estra- zione dei principii alimentari contenuti nelle ossa. C. R. Sull’ unità del soggetto del quadro della Trasfigurazione di Raffaello. Roma, Giuseppe Broccadoro 1830. Le buone arti non trovarono mai sì pronta, e sì efficace prote- zione quanto in Roma fin dai primi tempi della chiesa. Il magno Grego- rio le basiliche restaurò : Leone il grande rinnovò Roma saccheggiata da Genserico. I sommi pontefici difesero gli avanzi della latina maestà, e in mezzo alle grandi prische ruine un’ altra Roma, non meno su- blime dell’antica, edificarono. Gregorio XII; Pio. V, Urbano VIII, Giulio II, Leone X, Sisto V, e per accennare a cose passate sotto î nostri occhi; Pio VII di santa e gloriosa ricordanza, lasciarono monu- menti d’ arte degni de’ più munifici e magnificenti imperatori. Questo ‘spirito costante di favore verso l’ arti del.genio,. di cui, salve pochissime eccezioni, fu sempre investita la santa sede, si comunicò anche al sacro collegio. Porporati dottissimi giovarono in ogni tempo alle belle arti colla loro influenza, colla luce de’ loro studi , colle opere che fecero condurre, colla raccolta di Musei splendidissimi, e con tutti i mezzi!, che offrivano ad essi l’eminenza del grado, lo ingegno, e la fortuna. Perciò nella storia dell’ arti sono commendati i nomi di tanti illustri cardinali, e fra’ gli ultimi il Borgia , e l’ Albani. L’ eminentissimo sig. cardinale Placido Zurla Vicario di. nostro Signore segue questi esempi generosi. Ei non si attiene soltanto a pro- piziare l’arti buone coll’ autorità , colla parola , coll’ allogazione di vari lavori a strenui artisti; ma intende anche ad. illustrare del suo senno l’ opere classiche de’ più reputati maestri. All’ inclita romana accademia d’ archeologia ha egli testè fatto dono d’ una sua dissertazione , in che toglie a ragionare l’unità del sog- getto del famoso quadro di Raffaello della Trasfigurazione. Procede bellamente al.suo argomento ricordando alcune memorie importanti del dipintore: poscia allegate sopra la sua questione le sentenze de’ signori d’Agincourt, e Quatremère , viene dimostrando niuno de’ medesimi aver colto il vero punto dell’ unità del soggetto nella, detta pittura, come quelli che non avvertirono avere il quadro suo fondamento nella narrazione evangelica. Questa egli stabilisce col raffronto de’ tre evangelisti Luca, Marco, e Matteo , e dal racconto loro deduce essere stata mente del Salvatore nel fatto della Trasfigurazione , di volere far certo con segni visibili 115 della sua divinità Pietro, che lo avea riconosciuto Figlio di Dio. Per conseguenza anche Raffaello , avendo veduto la divina intenzione , non solo ‘nella parte superiore del quadro figurò il celeste splendore di Gesù trasfigurato , ma indusse pure a piè del monte , nella scena del- l’ossesso accaduta in quel tempo; una circostanza in cui il divino mae- stro con un nuovo portento in. faccia al mondo la sua deità con- fermasse. Per tal modo, conclude il rispettabile espositore, il cielo, la terra, e lo inferno resero omaggio all’ uomo Dio. MeLcHIOR MissiRINI. Il Diritto Privato Naturale di Francesco Nozire De ZEILLER. Milano , 1830. n. ed. Fra i sogni filosofici, che lusingarono la specie umana, il patto sociale è certo il più lusinghìero. Prendendo vita nelle massime su- blimi dell’ eguaglianza cristiana , raccogliendo forza dai mali di un cadente ordine feudale , che avea per base l’ineguaglianza , sorse su- premo regolatore delle due grandi rivoluzioni , che nel 17 e 18 se- ‘ colo cambiarono radicalmente il vivere civile di tanta parte d’ Eu- ropa. Ma appena quelle rivoluzioni furono compite , l’idea loro domi- natrice si trovò inadeguata ai nuovi bisogni di un più perfetto or- dine sociale, e cadde, o s’alterò. Cadde per dar luogo ne’paesi liberi alia più applicabile teoria della pubblica utilità, o necessità. Si alterò nei monarchici venendo impiegato a sanzionare , e spiegare un ordine di cose contradittorio, o per lo meno non analogo al fondo suo pri- mitivo. Secondo le teorie del patto sociale , il consenso degli uomini è il fondamento del diritto politico. Ora siccome tutti gli uomini non possono sempre esprimere il loro consenso, si avrà per consenso il loro silenzio ; e perchè 1’ uomo può rinunziare come ed a favore di chi gli piace dei suoi diritti naturali, fà d’uopo concedere ancora ch’ei possa rinunziarvi tacitamente a favore di un solo uomo , o di una sola classe di uomini. Non erano al certo queste le conseguenze che traevano Sidney e Rousseau dalla idea loro favorita, ma pure ne sono necessarie deduzioni rigorosamente logiche. Con sì fatte deduzioni giungeva Grozio a provare, che in fatto , ed in diritto, vi sono monarchie patrimoniali , nelle quali il potere è creato a solo vantaggio di chi lo possiede. ‘Del patto sociale in guisa analoga interpretato fa tesoro Zeil- ler nel citato libretto, e brevemente discorrendo delle sue appli- cazioni al diritto politico , scende rapidamente ad applicarlo al diritto privato. Fedele al ragionamento Ginevrino , ei cerca nell’ipotesi dello stato insociale il fondamento del diritto privato , sebbene, quasi come pro- 110 testa involontaria, ei ponga, che in fatto non può verificarsi questo stato insociale., e che il vero stato di natura è la società come, quella che offre all’ uomo i mezzi di sviluppare i doni sublimi dell’intelligen- za, attributi! naturali , e sostanziali dell’ esser suo. Il consenso diviene per Zeiller Ja. causa morale del diritto. Quindi lotta continua fra 1’ arguzia dialettica , ed il buon senso, per trovare la base morale di molti diritti, che a prima giunta possono sembrare introdotti contro il consenso di chi non ne” partecipa il benefizio , specialmente la proprietà. Quindi strane. contorsioni di ragionamento per costringere la teoria del patto sociale a sanzionare disposti di leg- ge positiva, che 1’ assoluta politica necessità ed il buon senso richie- dono : come a ragione d’ esempio il diritto di respingere l’azione sulla mia proprietà di un chiunque, abbenchè pretenda egli giustificare l’assoluta necessità in cui si trova, per vivere, di violare il mio diritto. Sforzo d’ ingegno sovrano non può mai giungere a dimostrare } che possa presumersi minimamente il libero assenso del moribondo per fame alla proprietà , che 1’ uccide. Infatti l’ A. dotato di mente superiore scorge confusamente il vizio del suo criterio , e sussidiariamente invoca ilj più applicabile criterio della politica necessità. Nessuno vantaggio per altro coglie il suo si- stema da questo eterogeneo soccorso , ed il difetto di retta applica bilità all’umane bisogne ne resta sempre il vizio caratteristico. La partizione in due capi nasce dall’indole del sistema sviluppato : nella prima si espongono le basi del diritto astrattamente dalla società ; nella seconda si espongono le modificazioni che portano nella appli- cazione dei principii astratti le contingenze sociali. Questo metodo ri- gorosamente sintetico ; combinato con una non meno rigorosa dedu- zione logica, rende questo libro sommamente proprio alla istruzione elementare delle giovani menti, che d’ ordinario sono da tanto da afferrare esattamente le conseguenze , non però da creare i principii. Ed infatti tale è lo scopo dell’autore ; ma nel tempo stesso ne rende fatale il primo errore, commesso nella scelta del criterio , perchè non offre mezzo. di rimediarvi. Sarebbe prezzo dell’ opera il porre a confronto le soluzioni quasi spontanee , che offre il criterio della politica. necessità o utilità , con quelle che stiracchiate si estorcono dal patto sociale ; ma il dir poco sopra tanto argomento è forse un male , il dir molto esige più spazio che non è opportuno consacrarne al lavoro di Zeiller. Chi sia bramoso di fare il confronto non mancherà di opere che gli siano di scorta , ove la volontà non gli manchi. Avv. Giuiano Ricci. 117 Il Decamerone di messer Giovanni Boccaccio , aggiuntevi le due no- velle di Romeo e Giulietta di L. Da Porro e M. BanpeLLo. Firenze, Passigli; Borghi e C. 1831 in 8.° piccolo fig.° La musa dolcissima del Boccaccio ( frase dolcissima del Salvini ch'è dolce ripetere ) meritava dal nostro secolo anche 1’ omaggio di questa gentile edizione. Io vo immaginandomi il piacer de’ bibliofili nel col- locarla accanto alla bella edizione; che talun dice bislunga, e talun dice a vacchetta , del nostro Molini; oppur fra le dne edizionette in dodicesimo del Molini stesso; oppur fra quella sì leggiadra del Rovillio e l’ altra ancor più leggiadra dell’ Elzeviro, colla quale per la sua ni- tidezza ha particolar somiglianza. Non l’ adorna , fra le sue vignette, quella graziosa Valle delle Donne che fa sì vago il frontespizio delle tre del Molini. Pur le. sue vignette son tutte disegnate dalla mano stessa che disegnò quella valle, la mano del Nenci, cui piacque or- narne il frontispizio d’ emblema felicissimo , il Novellatore scrivente fra un Satiro e un Amorino che gli sussurrano all’ orecchio. Tutte que- ste particolarità ‘bastavano a far la gentile edizione singolare anche dall’ altre a cui più somiglia. Per maggior singolarità vi si sono aggiunte le due celebri novelle di Romeo e Giulietta, più lontane, è vero , che altre de’ nostri vecchi novellatori da quelle del loro principe , ove si guardi soltanto alla lingua e allo stile; più vicine forse ove si guardi particolarmente al patetico. Pateticissima è pur la vignetta che le ador- na, laddove le sei che adornan quelle del gran Novellatore sono di genere più o men gajo. Esse trovansi pure di contro a’ frontespizii de’sei volumetti d’ un’ edizioncina in 32.°, fatta contemporaneamente a quella che qui si annuncia, e colla stampa medesima che ha servito per essa, ch’ è a doppia colonna. Però i sei volumetti , tanto simili ad essa @ tanto più piccoli , si direbbero volentieri sei vaghi bottoni di vaghissimo fiore. M. Trarro Tragico IrALiANO ( volume secondo della Biblioteca del Viag- giatore ). Firenze , Passigli, Borghi e C. 1830-31 in 8.° fig. Indarno quel Maffei, che aprì in Italia la via per cui son corsì ì tragici di maggior rinomanza , mostrò tenere sì gran conto degli ante- cessori, andati, benchè un po’ freddamente, per le vie de’ Greci. Nes- suno ardirebbe oggi , stampando un Teatro Tragico , inserirvi alcuna delle loro tragedie. Non lo ardirebbe stampandolo per una biblioteca di studiosi, come quel volume di Tragedie Classiche, onde il Passigli e i Compagni cominciarono la lor bella carriera tipografica. Molto meno lo ardirebbe, qualunque fosse l’opinion sua intorno alla lingua , alla verseggiatura ec. di que’ vecchi tragici , stampandolo per una biblio- teca di viaggiatori. Però in questo , che si annunzia ; non v’ è trage- r18 dia, ben vel pensate , anteriore alia Merope del Maffei. La quale, benchè prima di tempo , non viì occupa se non il secondo posto, come in una gran casa madama madre , entrate che vi sieno una o più spose belle ed altere. E questi due epiteti convengono a meraviglia alle tra- gedie dell’Altieri, dalle quali per un pezzo tutte l’ altre preser la legge. E quelle, che non la presero del tutto, ebbero qualche difficoltà a farsi riconoscere per legittime e degne di star con loro. Imaginate quel. che avvenne da ultimo a cert’ altre che vi si ribellarono. Se non che an- che queste ribelli piacquero pure a molti. Altre nè ribelli nè del tutto obbedienti erano già state trovate assai seducenti. Non v’ era dunque ragion d’escluderle dal Teatro Tragico ora stampato. V’ era anzi ragione di dar loro onesto accompagnamento , poichè se, fra le tante che l’Italia ne conta , son esse particolarmente pregiate, non lo sono unicamente. Conveniva adunque fra le tante sceglierne alcune, che il giudizio pub- blico sembrava additare, e aggiugnerle alle già dette , il che si è pur fatto. Così il Teatro Tragico «Italiano della Biblioteca del Viaggiatore offre veramente nelle sue 775 o 780 pagine il meglio di questo teatro , e un saggio di ciò che si avvicina al meglio , saggio che sarebbe com- pito se non sì fossero obliate le tragedie del Conti. Il meglio è distinto qua e là da superbe vignette ( una rappresentante ‘una scena del Fi- lippo , un’ altra del Galeotto Manfredi, un’ altra dell’Adelchi ; un’altra dell’ Antonio Foscarini ec. ) disegnate dal Nenci. Tutto è stampato con quella perfezione che trovasi, più ancora che nella prima , nella se- conda metà del primo volume della Biblioteca del Viaggiatore , il vo- lume che dicesi de’ Quattro Poeti. La Biblioteca, seguitando in questa forma, andrà sicuramente a’posteri come un bel monumento dell’ arte. M. Guerra di Fiandra descritta dal Cardinal BentIvoeLIo. Livorno, Masi 1831 tomi 6 (isei secondi della Scelta Biblioteca di Storici Italiani ) in 12.° È stata ripetuta più volte la sentenza del Gravina , che il Benti- voglio, mirabile per l’artifizio, non lo è egualmente per la profondità. E la sentenza può sembrar giustissima, ove si paragoni il Bentivoglio a due specialmente degli storici che il precedettero e ad uno de’ suoi contemporanei. Paragonato agli altri non so com’ egli, se mai non fosse per certa sua parzialità, non debba ottener intera la lode, che quella sentenza gli concede in parte. A meritarla intera difat- ti non gli mancò nè acutezza d’ ingegno, nè pratica delle cose pubbliche , nè conoscenza particolare di quelle delle quali scrisse , e fra le quali egli medesimo fu avvolto. La parzialità pel potere che si serviva di lui; e dal quale egli aspettava grandezza, gli dettò spesso delle riflessioni che non sono giustificate dalle cose, ma non gli tolse la chiara veduta delle cose stesse e delle loro cause. Al bell’artifizio, da lui usato nell’ esporle , corrisponde, come ognun sa, la bellezza della Ti 9 dicitura , e a questa corrisponde l’ accuratezza della nuova edizione , veramente degna di speciale riguardo. M. Alerame ossia l’Origine dei Malaspina leggenda in ottava rima di Dom. Ser. Pucci. Massa, Frediani 1831 in 8.° Si può egli veramente risuscitare il passato ? L’ età delle leggende era quella de’ nostri avi. E noi amiamo le leggende degli avi per quella loro naturale semplicità , per quel loro vezzo primitivo di lingua sì in- genua insieme e sì poetica. Queste cose gli odierni possen forse imitarle , ma non ascondere l'imitazione. Però le loro leggende non posson essere vere leggende , e quel che non è ciò che si vorrebbe che fosse , non può produrre l’ effetto che se ne spera. Meglio dunque per gli odierni il far novelle poetiche o piccole epopee. Ma farle da’poeti veramente, il cui officio è tanto diverso da quello degli storici. Che alla storia, traendone soggetti poetici, si abbia maggior rispetto che non si aveva dianzi ; mi par molto ragionevole , poichè all’intento poetico può es- sere molto utile. Che se ne abbia tanto da sacrificarle spesso 1’ inven- zione e il vero linguaggio poetico, non mi par ragionevole, poichè non mi par utile a nulla. E l’ autor d’ A/erame è probabilmente di questo parere, poichè, scrivendo una leggenda, vi ha posto più invenzione e più linguaggio poetico di quel che altri a’ nostri giorni non abbia fatto in composizioni che ne richiedevano assai più. Ma s’ egli si sente poeta, prenda franco la grande strada poetica, e non tema di servir meno ad uno scopo morale o patriottico , di poter meno sull’ animo de’ molti , quanto piacerà più al gusto scelto de’ pochi. S’ egli poi sente un’ in- clinazion particolare per la storia , si consacri ad. essa decisamente , cerchi le forme che le posson essere più convenienti; e lascì a chi può compiacersene quelle che le tolgon d’ essere vera storia, nè perciò la cangiano in vera poesia. M. Ir Recno Animare o Raccolta delle migliori Opere Zoologiche ec. con tavole incise da Antonio Locatelli e miniate. Milano presso! Sonzogno e l’Incisore 1831 in f.° = Fascicoli 4.° e 5.° Bramiamo di tener raccomandata al pubblico un’impresa non meno utile che magnifica , la quale avrebbe d’uopo di molti incoraggimenti, e , pio: quel che ci è noto , ne ha finor. ricevuti pochissimi. Già si è detto altru volta dell’ eccellenza della prime opere scelte per la rac- colta, a cui si dà il titolo di Regno Animale ; delle diligenze della traduzione per adattarle all’ uopo dell’Italia, ed empirne , occorrendo, le più piccole. lacune; del merito. delle tavole che le accompagnanò, e che son reramente la parte vitale dell’ opere medesime. I dire nuovi fascicoli usciti in luce (il secondo de’ Colibri, Uccelli Mosca ec. 120 dei sigg. Audebert e Veillot , e il secondo. de’ Pesci de’ sigg. Cuvier e Valenciennes ) giustificano pur essi tutte le nostre lodi. Sei tavole ao- compagnano l’uno, e sei pure accompagnano l’ altro. Non può vedersi nulla di più bello delle seconde specialmente; e non par da temersi ( ciò serva a rincuorar gli editori ) ch’esse abbiano altra sorte. che quella eh’ è destinata alle cose più belle. M. | Prospetto sinottico grammaticale della Lingua Francese diviso in 16 ta- vole ad uso degli Italiani da Acosrino Le Ranpu. Firenze ( Pas- sigli, Borghi e C. ) a spese dell'Autore 1831 in f.° Cominciar veramente da’ principi, cioè a dire dai fatti o dalle idee più semplici, proceder con vero ordine, cioè a dire grado a grado., senza omissioni , senza interruzioni, senza anticipazioni inop- portune, d’idee ; trovare una forma semplice ; precisa, sensibile, che agevoli la trasmissione e la riproduzione delle idee medesime secondo l’ ordine che sì è stabilito., non è , anche dopo tanti studii ideologici e grammaticali, piccolo assunto nell’ insegnamento d’ una lingua qua- lunque. Riconosciuti i veri principii, stabilito l’ordine vero. (. ciò che ri- chiede penetrazione , lucidezza e costanza di mente non, comune ) ri- mangono , quanto alla scelta della, forma, non poche difficoltà. La forma, che può sembrare servir meglio al suo scopo, è quella che real- mente vi serve meglio? La forma (per dirlo in altri termini ), che più favorisce la memoria; è pur quella che più favorisce 1’ intelligenza ? I rapidi progressi, che fa. fare a questa 1’ insegnamento reciproco, son dovuti principalmente al riguardo che in tale insegnamento suole aversi all’ omogeneità o affinità delle idee. Nessun dubbio quindi che la forma più favorevole all’intelligenza sarà, in ‘ogni specie d’insegna- mento , quella che rappresenterà meglio tal affinità. I rudimenti ver- bali o scritti possono indicare tal affinità ma non rappresentarla. Se il rappresentarla veramente è possibile , non lo è che per mezzo di prospetti o tavole elementari. Ma queste tavole sono di diverse specie. Vi sono tavole particolari e veramente analitiche ; vi sono tavole ge- nerali o sinottiche. Quali serviran meglio all’ intento ? Le tavole particolari permettono di dividere le idee di fatto dalle idee dedotte , le idee dovute alla sola attenzicne dalle idee dovute alla riflessione. 1l vantaggio di questa divisione , se credia- mo all’ autore del. Metodo; per. 1’ insegnamento delle lingue ( + G Ordinaire ) è incalcolabile. Quindi egli nel suo Metodo, che verabente val la pena d’ essere studiato , iadoperò. quella specie ‘di tavole che la permettono. Se non che è pur vero che la divisione, di cui si parla , è tutta artificiale; che, se ogni essere pensante comincia dalle idee di fatto , passa assai presto alle idee dedotte ; che infine 1’ attenzione e la riflessione si dividono continuamente la sua intelligenza. Quindi 12I l’altra specie di.tavole, adottata dall’autore del Prospetto grammaticale della lingua francese, ha pur essa la sua ragion filosofica , e può essere utilmente adoperata cogli adulti in ispecie. V? è qualche cosa nelle sue tavole che forse andrebbe corretta. Le definizioni, che servon d’introduzione ,, e che non so dire quanto sian necessarie, nè sono tutte precise abbastanza , nè tutte propriamente introducono al Prospetto. Il titolo dato alla prima parte , che tratta degli elementi della parola ; quello dato alla seconda, che tratta degli elementi del discorso, non corrispondon bene alla materia trattata. La divisione dell’ultima parte, che tratta della costruzion grammaticale , è presa a rovescio , manca almeno di quel rigore analitico il qual tro- vasi in altre. Ma simili mende son compensate da troppi pregi, che ì pratici valuteranno facilmente, e pei quali non dubito che il nuovo Prospetto (in cui debbo pur lodare assai l’esecuzion tipografica) non diventi presto un libro assai ricercato. M. Viaggio per diverse parti d’Italia, Francia, Svizzera Inghilterra e Germania. 4. Volumi Napoli 1828. L’Autore di questo Viaggio volle modestamente rimanersi anoni- mo. Noi, che lo conosciamo, gli diremo che potea ben mettere il suo nome in fronte del suo libro, senza scapito, anzi con vantaggio sì dell’uno come dell’altro. Onde veggasi sincero il nostro esordio incominceremo con la cri- tica, che è una laude anche essa , atteso che la lima vuole il ferro fino, e non perde il tempo a forbir le scorie. Laonde , ne pare che l’opera migliorava in pregio se non era scritta in forma di diario, e se ristriugevasi da quattro volumi in due soli. Ne’ libri vanno or- mai omesse le minuzie note a tutti; che Roma, verbigrazia , è la ca- pitale dello stato pontificio; che il Pontefice è il capo visibile della Chie- sa, che è eletto da’ Cardinali ec. ec. Vanno omesse inoltre le. minuzie inutili a sapersi da chicchessia ; come per esempio, ove si-venda a Pa- rigi la carta bollata , e la.difficoltà di trovarne la bottega ec. ec. A chi legge un Viaggio infine, è indifferente cosa il sapere o l’ignorare se il viaggiatore veglia o dorme in vettura mentre viaggia, e quanto spese per la colazione al tale albergo , o pel pranzo e letto al tale al- tro. Ove a questi nei si aggiunga qualche frequente gallicismo di pa- role e di locuzioni, si sarà forse troppo severo, ma alcerto non in- giusto. Ed in ciò il signor T. . . ne legittima a questa severità. Egli era ed è da tanto a mostrarsi purgato scrittore italiano. Ma queste venialissime incurie hanno larga compeasazione di no- tizie utili e di utilissime materie , che il nostro Autore andò con occhio diligente e conoscitore osservando nelle provincie europee da lui visitate. V'è chi dubita se tutte ; ed egualmente bene , po- T. lU. Giugno. 16 122 tevano osservarsi le cose viste in un viaggio di sei mesi soli; tem- po breve a ben vedere e notare tutto ciò , che va ben veduto e notato in Italia, in Francia, in Inghilterra , in Germania, e nella Svizzera. Volendo essere giusti con tutti diremo, che il dubbio non è irragionevole, e che certamente il signor T. .. sarebbe stato osser- vatore assai migliore, se invece di sei mesì impiegava due anni alla sua scientifica peregrinazione. Senonchè aggiugneremo , che egli non viaggiava per istudiare il carattere e l'indole de’ popoli. Su que- sto arduo compito è concesso a’soli Viaggiatori oltremontani la mae- stria e l'abilità di poter sentenziare sugli Italiani, rapidamente corren- do l’Italia , ignorando la lingna nostra, e non altri udendo, senza nemmen pienamente intenderlo , che qualche sciocco servidor di piaz- za, 0 qualche più sciocco ciceron di chiesa; gente che ovunque fa professione di dir male de’nazionali , per meglio ingraziarsi co’ fore- stieri ed aver buona mancia. Non così il nostro viaggiatore. Egli non viaggiò per andar facendo dovizie di ciance e latrati volgari come gli esteri fanno con noi; bensì col laudevole desiderio di erudirsi osservando le università , i corsi pubblici e privati, i cabinetti fisici, le grandi ‘ officine delle industrie , le macchine, gli arsenali, î musei; ogni instituto insomma di utili scienze dottrine ed arti. E in questo ramo, specialmente nella parte che concerne la Botanica e le scienze natu- rali, il signor. T. . . era, come suol dirsi, nell’ elemento proprio. A ciò arroggi gli ajuti e le agevolazioni che avea da professori e dotti locali, a lui coguiti sia per anteriore carteggio scientifico, sia per le commendatizie che portava seco o procuravasi passando da luogo in luogo ; e non più sarà ostacolo alla fiducia nell’ esattezza delle sue osservazioni la brevità del tempo impiegato al viaggio. Noi il lauderemo oltreaciò di un pregio maggiore ; di mon aver cioè nè preso a modello, nè renduto pan per focaccia agli esteri, che ne regalano annualmente una dozzina di libelli infamatorii col nome di Viaggi in Italia. Questi gentili viaggiatori quando deliberano di venirci a vedere , si preparano anteriormente un taccuino ben provvi- sto di pugnali, di veleni, di assassini, di cicisbei, e di altre simili ur- banità , per quindi collocarle a tempo e luogo, e sceneggiarle come avventure incorse nel viaggio. Sappiamo una dama inglese la quale negava d’ essere stata in Italia. Di che, stupendo una persona che ve l’avea veduta, e chiedendole il motivo di siffatta bugiuzza , che volete rispose ella ; mon posso dire d’essere stata in Italia , perchè non mi av- venne d’ incontrarmi in ladri di strada pubblica e d’esserne svaligiata. Evviva. Non così il nostro Autore. A _Douvres perse ombrello, bastone e sacco di notte. Più che probabilmente gli furono rubati questi ar- nesi da’ facchini. Egli intanto, nè il sospetta , nè se ne duole ; anzi , rammentandosi degli Italiani perpetuo bersaglio delle ingiurie de’ viag- giatori oltremontani , dice che a miglior consiglio si appiglierebbero gli individui de’ vari popoli, se ne impetrassero a vicenda indulgenza e com- patimento. Così pure passando la foresta di Runny presso Londra, e 125 chiesta la ragione per cuì il postiglione avesse messo a briglia sciolta i cavalli, udia che quella selva era spesso infestata da’ladri, senza null’ altro aggiugnervi di comento. Un viaggiatore estero in Italia non avrebbe mancato di mettere a profitto la notizia, foggiandovi subito l’assalto, le archibugiate, lo svaligiamento, e i vetturini uccisi. Il lettore intenderà che i vetturini debbono morire; perché, se morisse il. viaggiatore, chi narrerebbe poi la scena tragica nel Libro del viaggio? Seguiremo alcun poco questi confronti , stante che non essendovi perfezione in veruna opera umana;i soli paragoni fanno conoscere il grado di merito delle. cose migliori. Un viaggiatore estero in Italia del genere de’ Simond, de’Blount e consorti, o de’corrispondenti del London magazine , dell’ Edimbourg Rewiew , de’ Souvenirs d’ Italie nella Rivista Britannica , fa con la provvisione delle, sovradette gentilezze , buona provvisione ancora di sublime dispregio. All’ autore de’ Souvenirs in fatti, facean male e movevan generosa indignazione pure que’poveri vecchi di Roma e di Napoli, che campano scrivendo in piazza lettere per chi non sa seri- vere. Blount poi si infiamma di tutto il santo zelo di un puritano ve- dendo un paganesmo nella processione della Vergine in Messina. Non così il nostro viaggiatore. Egli dice le cose che vide, senza quasi mai censurarle. Se anzi dobbiamo dire il vero, lauda ed ammira tutto un po’ troppo. L’estero , che vien fra noi, si gonfia sovratutto di somma inten- denza, di gusto finissimo. . in che ? In quello in cui dovrebbe essere più modesto; in belle arti insomma. Non pochi infatti non vergognarono perfin di fare i clazomenii co’portenti di Michelangelo e di Raffaello nella Sistina e nelle sale del Vaticano! Non così il nostro viaggiatore, mentrechè nel subietto in discorso , aveva tanto appicco viaggiando oltremonti. E siccome avendo viaggiato un poco anche noi, ne av- venne di vedere porte e finestre più larghe che alte , colonne messe al rovescio, ossia con la parte del fusto più stretto in giù, e simili eleganze architettoniche , teatri che sembrano magazzini di fieno a scaffali, musica che ha consonanze opposte alle nostre, ed altre pe- regrine rarità di tal fatta, così ammiriamo semprepiù la bontà del signor T. . in non permettersi veruna osservazione sia acerba sù co- stumi o sia critica sul gusto degli oltremontani. Un Italiano vede certamente al di là delle Alpi, molte usanze e consuetudini troppo avverse alle consuetudini ed usanze della sua pa- tria. Forse ei ne ride internamente ; ma non alcerto perde il tempo e il buon umore a sdegnarsene. Il borioso Gentleman intanto, e l’au- tore de’ Souvenirs , ec. se vede qualche povera donnicciuola che .rat- toppa la sua gonna con pezze d’altro colore, innanzi la porta della sua casuccia, o qualche povera madre, che netta il capo al suo bambi- no in un modo diverso da quello, con cui son pettinate le dame delle grandi città , grida subito vergogna! degradazione! depravazione ! Me- roy glio però farebbe egli a rammentarsi di qual paese è nativo, ed a riflettere, che la sua altissima dignità non è scandalezzata in Italia da donzelle le quali fuggono co’loro amanti per andare ‘a farsi congiungere in matrimonio da un affumicato magnano della Scozia; o da ricevute, che bisogna farsi fare in ogni bottega, anche ove si compri uno spillo solo, per non tornarlo a pagare ; o da processi di adulterj, che si compongono a prezzo di denaro al cospetto del pubblico ne’ tribu- nali; o infine da mariti , che escono ne’mercati pubblici con una, mitra di corna in capo, e conducendo la moglie con una corda al collo’, per venderla al maggiore offerente . La violazione della fede conjugale è un cancro eterno nei popoli costitniti in società, da’ tempi antichissimi di Madama Putifàr , fino a’ giorni nostri. In Italia , 1’ oltraggiato onor maritale o è dissimnlato col silenzio nelle capitali o vendicato col pugnale nelle terre provin- ciali. In Inghilterra si redime 1’ onore e lavasi 1’ infame macchia col- l’ oro. Tl tristissimo vizio è comune alle due nazioni. Ma ; ove è più infame e vile il rimedio ?_ Diremo poi agli esteri, che in rignardo a questa turpitudine , molte donne d’ oltremonti , dalla famosissima Emma Liona in quà, non mostraronsi e non mostransi spose edificatrici alle spose italiane , nel soggiorno loro in Italia. Però queste sono specialità riprovevoli, che tutti i popoli hanno. Cadauno ha la sua , e noi pure abbiamo più o men le nostre. Indi non vuolsi mai da esse giudicare della moralità o immoralità di uva nazione. Volgiamoci ad alcuni elementi statistici, che confrontati fra loro, pos- soù meglio e con maggior certezza far ‘conoscere il rispettivo grado morale de’ costumi , oggetto snl quale l’Italia è il caprone emissario dell’ Enropa. La statistica’ è il ramo migliore ed indispensabile della prudenza civile, perchè dottrina di fatti e non di delirj ideologici ; la statistica ‘è il vero indice metrico sì de’ beni come de’mali d’ ogni stato) e perciò anche delle virtù non che de’ vizi ‘de’ suoi. abitatori. Le' capitali ‘sono sempre le membra più corrotte degli stati. Prendiamo adunque in ‘esempio le tre. maggiori capitali europee , Londra cioè , Parigi e Napoli, e confrontiamole nel sintoma massimo della corruzione de’ costumi e dell’ imperfezione civile, ossia nell’an- nuo numero da’frovatelli, o fanciulli esposti. Niuno alcerto non vorià contenderci il principio di considerar questo vizio sociale come il fatto più indicativo dell’ immoralità popolare e della viziosità degli instituti pubblici , cumulando esso in se gli indizi tutti dell’ impudi- cizia, della miseria nonchè degli altri contagj all’onestà muliebre, e sovrattutto della soffocata o snaturata maternità in immolare ad una vita, dall’opinione pubblica proscritta con indelebile nome d’infamia, l’innocente frutto sia della seduzione dell’ amore , sia de’ legittimi amplessi conjugali. Confrontando insomma Londra Parigi e Napoli ne’ tre elementi statistici della popolazione ; dell’ annue nascite e degli annui fanciulli esposti, avremo CIITA' POPOLAZIONE NASCITA ESPOSTI | Sì tric di SAI Londra I, 200, 000 44, 900 20, 000 Parigi 800, 000 29, 800 IO, 000 Napoli 4oo, 000 15, 000 2, 000 | x Laonde avremo che mentre in popolazione Napoli è a Londra come 1a 3, è in annui trovatelli come 1 a ro. E con Parigi, in popolazione come 1 a 2, ed in trovatelli comè 1 a 5. Comparando poi questi ultimi con le annue nascite, avremo che annualmente buttansi negli ospizij all’ uopo , in Londra quasi la metà, in Parigi più del terzo, ed in Napoli meno del settimo de’nati. Ecco l’indice metrico esatto e pre- ciso (1), della rispettiva corruzione delle città più corrotte di In- ghilterra di Francia e d’ Italia. Qualunque sia la parte di queste in- nocenti vittime che voglia togliersi alla sregolatezza , per incolparla alla difficoltà d’ allevare e nutrir fanciulli, difticoltà assai maggiori in Parigi e Londra che in Napoli ,, molto però resta 1a testimonianza di maggiore scostumatezza, e resta tutta intera quella della violazione de’ più sacri doveri materni. E gli esteri osano parlare sulla. depra- vazione de’costumi italiani! Non noi. alcerto li diremo puri ; molto anzi gemiamo in vederli tutt’ altro che tali. Ma quasi saremmo ten- tati a dirli esemplari dopo i testè fatti calcoli e confronti. Tornando-ora all’ Opera del signor T. . con cui forse fummo più «del dovere severi, diremo che il ‘suo libro; ridotto a dimensioni ta- scabili, sarebbe pel viaggiatore), ‘il quale ad oggetto di erudirsi, ama di visitar l’Italia, la Svizzera, la Francia, l’ Inghilterra e la Germania , un’ottima' guida leggendovi tutte le cose ed. instituzioni buone a vedersi, senza che la lettura lo indisponga con ingiuriosi 0 ridicoli pregiudizi internazionali. Ed in genere di libri detti ora Viag- gi, il suddetto merito è il massimo di cui sien essi capaci. Il signor T. : è probabilmente il solo Autore che sapesse scrivere un Viaggio come dovrebbe essere , e non quale finoggi fu in man degli esteri. E ne piace di conchiudere con le stesse, già riferite parole .del nostro autore ; ‘che cioè , tutti gli Europei , invece di credersi gli uni più buoni degli altri , e specialmente, invece di andar notando. vizi e mali in altri ;' per boriarsi a spese altrui, meglio assai farebbero di mutuamente compatirsi ed ammendarsi ne? difetti sien comuni, sien particolari a' cadauno ; che tutti ne abbiamo ; e gli oltramontani s’iu- gannano a partito se credonsi migliori di noi. G. P. (1) Le notizie di questi elementi e rayguagli son prese da’ lavori’ statistici di Carlo Dupin noti'a tutti, dal Tableau statistique de Londres, e dall’ Ope- ra del Galanti intitolata Napoli e contorni. 120 Budlettino Suentiico- Letterario GIUGNO 1831. Scienze NATURALI Fisica e Chimica. Da un seguito d’esperienze intraprese intorno alla compressione dei fluidi ‘il prof. Oersted ha ottenuto i risultati seguenti: 1.° H grado di compressibilità dei fluidi è., fino alla pressione di 70 atmosfere , proporzionale alla pressione ;;2.° Una compressione di 48 atmosfere non sviluppa nell’acqua.alcun grado sensibile di calore ; 3.° La compres- sibilità del mercurio è per ogni atmosfera , pochissimo al di sopra d’ un millionesimo del suo volume ; la compressibilità dell’ etere sol- forico è tripla di quella deli’ alcool, dupla. di quella del solfato di carbonio , ed una volta e mezza di quella dell’ acqua; 5.° L’ acqua che contiene in soluzione dei sali è meno compressibile che 1’ acqua pura. Alla temperatura del gelo 1’ acqua pura è più compressibile per un decimo circa che a ro gradi R.; a temperature. più elevate la sua compressibilità divien minore , bensì in una proporzione meno consi- derabile che fra o e 10; 6.° La compressione del ‘vetro è piccolissima , minore assai di quella del mercurio. (Bibl. Univ. Avril 1831 pag. 441.) Si può ottenere del gas azoto puro col seguente processo del sig. Emmett. Si fonde in un crogiuolo del nitrato d’ ammoniaca, e vi s’im- merge un pezzo. di zinco , che vi si discioglie immediatamente ; come farebbe in un acido fortissimo , e si sprigiona una gran quantità di gas azoto e di gas ammoniaco. Facendo passare questo mescuglio aeri- forme a traverso dell’ acqna , ed agitandolo a contatto di essa, l’ am- moniaca e, disciolta , e resta il gas azoto puro. Nel far questa opera- zione. bisogna. immergere gradatamente lo zinco nel nitrato fuso; senza questa precauzione , si correrebbe rischio di produrre un esplo- sione. Lo zinco deve essere attaccato ad un filo di ferro che passi a traverso d’ un turacciolo di sughero ‘che chiuda la tubulatura della stor- ta. Così può farsi arrivare gradatamente a contatto del nitrato fuso la porzione di zinco che si vuole. (Ivi. ) Se si ricuopra la superficie d’ un cilindro di fosforo con della pol- vere di carbone animale , o con del nero di fumo , il fosforo 8’ infiam- ma immediatamente. (/vi.) 127 L’uso del perossido di manganese divenuto in oggi così comune , specialmente per la preparazione del cloro e del cloruro di calce , de- —— Dee ve far riguardare come utile ed importante il seguente semplice pro- cesso suggerito dal sig. Turner per conoscere il valore d’ un minerale di manganese , o la quantità di cloro che per mezzo di esso si può ottenere. Si pesano dieci grani del minerale , si polverizza e s° introduce in una piccola storta il cui collo è piegato; si empie fino a metà d’a- cido idroclorico concentrato; si adatta l’ estremità del collo della storta sotto l'apertura d’un tubo di vetro lungo 16 pollici largo $ di pollice pieno d’ acqua e capovoltato in una piccola bacinella contenente del- l’acqua. Si scalda la storta finchè tutto il cloro sia passato nel tubo , che si agita acciò il gas sia assorbito in totalità. Questa soluzione di cloro è introdotta in una boccia turata della capacità di sei o otto once , in seguito si aggiunge gradatamente a questa soluzione un altra soluzione di solfato di ferro verde che contenga cento grani di questo sale in una pinta d’ acqua. Si misura esattamente per mezzo d’un tubo graduato quanto bi- sogna di quest’ ultima soluzione per distruggere l’ odore del cloro, e da questa quantità si conclude la bontà del manganese. Bisogna fare attenzione che si manifestano nella soluzione del cloro due odori, uno dei quali è quello del cloro , 1’ altro un odore aromatico che non produce irritazione alcuna sugli organi. Al primo soltanto bisogna fare attenzione dovendo esso solo esser distrutto dalia soluzione di solfato di ferro. Bisogna ripetere 1’ espe- rienza due o. tre volte prima di riguardare il risultato come esatto ; bisogna ancora , quando si sa presso a poco la quantità di ferro che bisogna per distruggere l’ odore , mescolare in una seconda esperienza questa quantità tutta in una volta colla soluzione del cloro , per as- sicurarsì che una parte del cloro non sia sfuggita nel fare il saggio. Il sig. de Bussy è arrivato ad ottenere il magnesio allo stato me- tallico mediante l’azione del potassio sopra il cloruro di magnesio. Egli prepara questo cloruro facendo passare una corrente di cloro a traverso d’ una mescolanza di magnesia e di carbone tenuta infuocata. Si può anche ottenerlo facendo evaporare un liquido che contenga in soluzione dell’ idroclorato d’ ammoniaca a cui sia aggiunto un egual peso di magnesia , scaldando in un.vaso di platino il residuo dissec- cato, fintantochè. 1’ idroclorato d’ammoniaca sia interamente scacciato, e che la massa sia fusa. Ciò che rimane è il cloruro di magnesio , il quale quando è raffreddato, ha la forma di piccoli cristalli bianchi , trasparenti, e fogliacei. Per portare allo stato metallico il magnesio contenuto nel cloruro si mettono dieci o venti globuli di potassio in fondo a un tubo di vetro di tre o quattro linee di diametro. Posto sopra il potassio il clo- 128 ruro, sì scalda questo per mezzo dei carboni ardenti fino al punto che cominei a fondersi ; allora s’inclina leggermente il tubo in modo che il potassio possa discendere a traverso del cloruro , il quale si riduce in magnesio metallico cun sviluppo di luce. Trattando con acqua la massa raffreddata, si trova in fondo al vaso una gran quantità di glo- buli metallici che si possono facilmente raccogliere, che hanno un color bianco simile a quello dell’ argento , presentano la lucentezza metallica, e sono durissimi, benchè malleabili; l’acqua calda o fredda non ha azione sopra di essi. Mescolati con del cloruro di potassio, e scaldati in un crogiuolo si fondono in una sola massa, e la tempera- tura necessaria a fonderlìi sembra esser poco diversa da quella a cnì sì fonde l’argento. Il magnesio metallico può esser disciolto dall’ aci- do acetico allungato, egualmente che dagli acidi solforico e nitrico. Queste dissoluzioni sono accompagnate da sprigionamento «li gas idro- gene e da vapori solforosi 0 nitrosi. Non sì trova in queste soluzioni ‘aleun altro ossido oltre la magnesia. Il magnesio scaldato nell’aria atmosferica o nel gas ossigene, brucia con una luce brillantissima, ed il vaso nel quale si è fatta la combustione si trova ricoperto di ma- gnesia; nel luogo ove era il metallo si trova un piccolo punto nero che sembra provenire da un poco di silicio che non ha potuto esserne separato per l'ebollizione negli acidi. Facendo fondere insieme del solfo e del magnesio non sembra che vi sia combinazione. La solu- zione del metallo nell’acido solforico lascia depositare per evaporazione dei eristàlli di solfato di magnesia ( Bibl. Unio. Avril. 1831, p. 442). Il sig. Sérullas occupandosi in varie ricerche intorno all’ acido perclorico , ha trovato che esso può servire come reagente per ricono- scere e separare la potassa dalla soda. Il processo è fondato sopra que- sta circostanza che il perclorato di potassa è molto meno solubile di quello di soda, giacchè 60 parti d’ acqua a gradi 12 R. non disciol- gono che una parte di sale di potassa , mentre quello di soda è deli- quescente, si discioglie in ogni proporzione nell’ acqua, ed è disciolto anche dall'alcool benchè rettificatissimo e privo d’acqua. Basta dunque versare nella dissoluzione dei due alcali dell’ acido perclorico in modo da saturar la potassa, e quindi aggiugnere dell’alcool rettificato , il quale precipita tutto il sale di potassa , e ritiene la soda;, o allo stato di soda caustica o allo stato di perclorato (Journ. de pharm. juin 1831, pag. 337). Si devono al sig. Séru/las le seguenti notizie intorno alla trasfor- mazione del clorato di potassa in ossiclorato o perclorato della base stessa per mezzo dell’ azione del calore, ed un nuovo processo per ottenere l’ acido ossiclorico 0 perclorico. Scaldando in un crogiuolo il clorato di potassa , esso entra in fu- sione, quindi in ebollizione , e comincia allora a sprigionarsi del gas i 129 ossigene. Se il calore applicato sia discreto , segue che dopo un certo tempo d’ebollizione , lo sprigionamento del gas cessa, ove non si ac- eresca la temperatura. Se allora si sospenda l’ operazione, si disciolga il sale, e si feltri a caldo la dissoluzione molto allungata ; si avrà per raffreddamento una gran quantità d’ossiclorato in piccoli cristalli bril- lanti ; 40 grammi di clorato ne hanno dato grammi 17 e mezzo. Il conte Stadion aveva annunziato ed altri hanno ripetuto dopo di lui che l’ossiclorato di potassa comincia a scomporsi ad una tem- peratura di 160 R. Il sig. Sérullas si è assicurato che non basta a scomporlo nemmeno la temperatura a cui bolle il mercurio, e che vi sì richiede quella di 320 gradi. Ottenendosi facilmente l’ossiclorato o perclorato per mezzo del- l’azione del calore, si può con esso preparare l’acido ossiclorico. 0 perclorico del quale contiene due terzi. Per ottenerlo , si fa bollire il perclorato di potassa con dell’ acido idrofluorico siliciato , 0 fluosilico; sì evapora una gran parte del liquido, sicchè per raffreddamento se ne precipiti in copia il fluosilicato di potassa in stato gelatinoso ; Sì pone sopra un feltro , si fa evaporare di nuovo il liquido feltrato ; si lascia raffreddare, si torna'a feltrarlo, si concentra în un vaso eva- poratorio, poi sì fa distillare in una piccola storta. Per precipitare la piccola quantità di fluosilicato di potassa e di perclorato che potrebbe trovarsi nell’ acido perclorico , basta versarvi dell’ alcool concentrato; feltrare, allungare con acqua, e fare evapo- rare (Le temps IN." 583). Le tele verniciate impenetrabili dall’ acqua mentre sono utilissime in molti usi presentano l’inconveniente d’un odore molto spiacevole. Il signor Cheoallier ha recentemente annunziato d’esser giunto a di- struggere quel cattivo odore per mezzo del. gas cloro, rendendo così quelle tele atte a servire a molti usi dai quali venivano escluse (Zvî). Il signor Remi, medico a Chatillon; ha fatto conoscere i risultati d’ alcune sue esperienze intorno al cloruro di calce impiegato. come mezzo di prevenire lo sviluppo del vaiolo. Nel corso dell’ autunno ultimo il signor Remi vaccinò una ses- santina di ragazzi, e nèi cinque sesti circa di essi non vi fu sviluppo di vera eruzione vaccinale ; ma formazione d’una crosta diversa d’a- spetto. ma di natura egualmente contagiosa. Essendo sopraggiunto il vaiolo, ad alcuni, individui, che avevano presentato lo sviluppo di questa falsa vaccina, il signor Remi. ha vaccinato gli altri. nella pri- mavera di quest'anno; le pustole questa volta hanno presentato il loro sviluppo regolare. Riflettendo sul fatto 1’ autore. ha imaginato che, il non successo delle sue vaccinazioni. d’ autunno fosse dovu- to. all’ influenza del cloruro di calce. che egli portava abitualmente addosso ,, ed ha creduto che questa sostanza potrebbe opporsi allo T.1I Giugno, 17 130 sviluppo del veleno vaioloso come a quello del veleno vaccinoso. Es- sendosi manifestata un epidemia nel cantone in cuì egli esercita, ha fatto l’esperienza sopra 12 individui, i soli in tutta la. popolazione d’un villaggio che, secondo le sue idee , fossero suscettibili di rice- vere il contagio. Ciascuno di essi prese due volte la settimana una 0 due gocce di cloruro di calce stemprato in un bicchier d’ acqua "zuc- cherata. Erano nel tempo stesso lavati con una soluzione di questo cloruro. : Due di essi provarono alla fine della prima settimana una leggiera eruzione simile a ciò che si chiama falsa vaccina, eruzione che fu accompagnata da un poco di febbre; gli altri. non provarono assolutamente niente fino al fine dell’ epidemia. In un altro villaggio ì due terzi degl’individui erano stati vacci- nati, 0 avevanò avuto il vaiolo. Alcuni lo avevano al principio .del- l’ esperienza. Quindici. persone restavano ancora suscettibili del conta- gio ; dieci furono sottoposte alle precauzioni indicate , e conservarono la loro salute per tutta la durata dell’ epidemia; degli altri cinque, due furono attaccati dal vaiolo. ( Le temps ). Nel precedente bullettino riferimmo le. osservazioni. del signor Caventou sulla solubilità: dell’ ioduro di piombo; e! sulle. belle. pro- prietà di questo composto. Ora il signor Polidoro Bou//ay ha fatto inserire nel Giornale di farmacia di Parigi una nota nella quale re- clama’ a suo favore }’ anteriorità di tali osservazioni:; riferendo' il se- guente passo d’una sua memoria sugli ioduri doppi , pubblicata negli Annali di Chimica e di Fisica per il 1827. ‘“L’ioduro giallo di piom- :} bo, precipitato dal protonitrato di piombo per’ mezzo dell’ioduro ;, di potassio è un poco solubile nell’ acqua a caldo. Per raffredda- ,, mento ‘èristallizza in belle e larghe pagliette ‘regolarissimamente ,, esagonali , di color giallo d’ oro ,,. i Egli soggiugne che questo prodotto e “diversi altri ottenuti dal suo lavoro, furono in quel tempo messi sotto gli occhi dei membri dell’ accademia delle scienze e della società di farmacia. Egli aveva lasciato nuotare l’ioduro di piombo nell'acqua madre, dalla quale si era separato , di modo che agitando la boccia, sembrava di' vedere ondeggiare una moltitudine di pagliette d’oro’, delle quali si distin- gueva facilmente la forma'simmetrica ad occhio nudo. Confermando I’ espression del signor Caventou che l’ioduro di piombo è uno'dei più bei prodotti della chimica, soggiugne che potrebbe esser prezioso in pittura, se non fosse tanto‘ friabile e se il minimo fregamento non lo rendesse polverulento' e non ne offuscasse la vivacità. Il signor John Emmet, professore di chimica e di materia medica all’ Università di Virginia, avendo imprese delle ricerche sulla scorza della radice del Liriodendron tulipifera, albetò comunissimo nell’Ame- rica, vi ha trovato un nuovo principio immediato’, che indica col nome di Liriodendrina. Egli pone questo principio come intermedio 131 fra la canfora e le resine , e gli attribuisce; fra le altre proprietà , quella di potersi cristallizzare , di avere un sapore amaro pronunzia- tissimo, che diviene acre e pungente quando questa sostanza contiene dell’acqua. (Journ de pharm. juin 1831, pag. 334.) Il signor Donné non essendo persuaso che la gelatina sia una so- stanza così eminentemente nutritiva come generalmente si crede, ha intrapreso dell’ esperienze per veriticarlo. Egli fa osservare che i saggi fatti negli spedali di Parigi ed altrove non possono riguardarsi come concludenti, perchè la gelatina entrava in così piccola quantità nel- l'alimento degl’ individui sottoposti all’ esperienza che anche sottraen- dola senza sostituirle altra cosa, è molto dubbio se ne avrebbero risentito incomodo alcuno. Altronde è noto che i malati negli spedali , a malgrado dei rego- lamenti e delle premure dei medici, arrivano spesso a procurarsi dei viveri dal di fuori, al che può anche aversi impegnati la ripugnanza per la gelatina o la poca fiducia nella sua proprietà nutriente. Per evitare questa causa d’errore il signor Donnè si risolvè a fare delle. esperienze sopra sè stesso mentre ne faceva sopra degli animali. Egli teneva questi ultimi diligentemente chiusi, per. timore che la compassione male intesa di qualche domestico non rendesse illusori i risultati. li signor Donné non poteva avere l'intenzione di nutrirsi unica- mente con gelatina, giacchè, come ha dimostrato il signor Magendie, nessuna sostanza può sola servire d’alimento; però si contentò di so- stituire a tutto il nutrimento che era solito di pigliare ogni giorno fino alle sei ore della sera della gelatina con una quantità di pane affatto insufficiente a sostentarlo. In capo a sei giorni il signor Donné era dimagrato due libbre e provava un sentimento quasi continno di svenimento beuchè avesse accresciuta la dose della gelatina tino a pi- gliarne una. quantità che equivaleva, secondo i calcoli del siguor Darcet , a dieci porzioni ordinarie del miglior brodo di carne. Nella seconda settimana sostituì a questo regime del brodo ordinario con alcune once di pane, e a due o tre riprese con una tazza di ciocco- lata. Il risultato di questo nuovo regime continuato per una settimana fu un accrescimento d’ una libbra e due once, Quanto ‘ai cani, che nel tempo stesso egli sottopose al regime della gelatina, che era amministrata loro salata convenientemente , e condita con un poco di grasso , il primo cane in sei giorni dimagrò due once ; benchè pigliasse ogni giorno una quantità di gelatina equi- valente a dodici libbre del miglior brodo. A partire da questo sesto giorno: il cane manifestò una ripugnanza estrema per qualunque sorta di gelatina; sotto qualunque forma gli fosse presentata, e qualunque condimento vi fosse aggiunto. Negli ultimi otto giorni quest’animale non visse che di 50 grammi di pane che facevano parte del suo nu- trimento quotidiano ; finalmente egli terminò da se stesso l’esperienza 132 arrivando a pigliare ana quantità enorme di carne di bove bollita che era posta ad una grande altezza, e che egli divorò interamente. Il secondo cane ricusò fino dal principio la gelatina , e siccome non gli era dato pane, esso s’indeboliva a vista d’occhio. Il quinto giorno sembrava spirante ; allora gli fù dato del pane sul quale si gettò con un estrema avidità. Il signor Donné riguarda queste esperienze come sufficientì a mettere in dubbio i risultati annunziati precedentemente , e per esì- gere. un nuovo esame di una questione di tanto interesse per la classe indigente. Esamineranno la memoria del signor Donné, e ne renderanno conto all’ accademia delle scienze i signori Darcet (prin- cipal promotore della gelatina d’ ossa), Magendie, Chevreul, Serres, e Serullas. ( Le temps IN.° 598). Le quì sopra riferite osservazioni del signor Donné essendo state da esso comunicate all’accademia delle scienze di Parigi, il signor Darcet in una susseguente adunanza ha presentato all’ accademia stessa delìe considerazioni generali sull'uso alimentare della gelatina d’ ossa che egli è giunto a fare adottare nel regime dei malati e dei poveri, dopo aver lottato contro ogni genere d°’ ostacoli. Dopo ‘avere stabilito che 100 libbre di carne di macello conten- gono 24 libbre di carne asciutta, 61 d’acqua, e 15 d’ossa; e che 100 parti d’ossa ne contengono 60 di materia terrosa, 30 di gelatina e 10 di grasso, conclude che utilizzando la gelatina contenuta nelle ossa , quattro bovi darebbero una quantità di materia alimentare eguale a quella che si ricava ordinariamente da cinque bovi, oggetto vera- mente di grandissima importanza. Posti questi ed altri dati e volendo provare che l’esperienza ha realizzato le speranze da lui concepite , ricorda come una commissione composta dai signori Leroux, Dubois, Pelletan, Dumeril e Vauquelin ha fatto distribuire per tre mesi brodi di gelatina a 4o malati e serventi della clinica interna nello spedale di san Luigi, ed ha dichiarato 1.° che l’uso della gelatina porta nel regime alimentare non solo un gran miglioramento , ma an- che un economia da non trascurarsi ; 2.° che il brodo fatto con gela- tina è almeno tanto gradevole quanto il brodo ordinario di spedale ; 3.° che non solo la gelatina è nutritiva e facile a digerire, ma che è anche saluberrima, e che non può produrre per l’uso che se ne faccia alcun cattivo effetto nell'economia animale. Il signor Darcet cita anche altri fatti non meno positivi, verifi- cati allo spedale di San Luigi ed all’ Hòtel-Dieu , a Reims, Metz, Re- miremont, ec. Terminato che ebbe il cifra Darcet di dare all’ accademia questa comunicazione importante , il signor Gay-Lussac espresse il suo dispia- cere vedendo che per la comunicazione prematura di lavori che non sono stati seguitati un tempo sufficiente per dare dei risultati conclu- denti , il signor Donné abbia corso rischio di risvegliare dei pregiu- 133 dizi ancora recenti, e di ritardare così i vantaggi che promette all’u- manità questa scoperta, oggetto di tante cure e sacrifizi per parte del sno autore. ( Le temps IN. 600 ) Storia Naturale. — Mostruosità. Il sig. Lavetizon, medico a Crespi nel dipartimento dell’ Oise, ha fatto presentare all’ Accademia delle scienze di Parigi la testa. d’ un feto con un solo occhio, il quale è venuto a termine , ed ha vissuto un quarto d’ora. Sembra che l’ occhio, situato nel mezzo della faccia, presenti la riunione di due occhi strettamente uniti; non si vede al- l’ esterno apparenza alcuna di naso. L’ Accademia ha incaricato i sigg. Geoffroy-Saint-Hilaire, e. de Blainville d’ esaminare questa mostruo- sità. (Le Temps N. 583). D’un altra mostruosità ha dato notizia all’ Accademia stessa il sig. Combette. Si tratta d’una bambina morta all’età di dieci negli undici anni, e nella quale mancava affatto il cervelletto. Questa bambina si chiamava Alessandrina Labrosse nata a Versail- les nel 1821 d’ un padre forte e robusto; ma d’una madre debole, inferma, e consumata dagli eccessi d’ogni genere. Questa, bambina venne alla luce gracile, ma ben conformata, crebbe lentamente, di due anni non aveva ancora i primi denti, e solo a tre anni cominciò a balbetare qualche parola. Il dottor Miquel che la vide all’ età di sette anni, seppe che solo da due anni poteva sostenersi sulle gambe. In seguito egli fu chiamato più volte a visitarla per degl’incomodi gastro-intestinali , i quali nulla presentarono di notabile ; ella artico- lava poco chiaramente , e questo sintoma congiunto all’estrema debo- lezza delle estremità inferiori fece sospettare al dott. Miquel una le- sione cerebrale. All’ età di 9 anni la bambina fu ammessa come ab- bandonata all’Ospizio degli orfanelli. Dalla sua cartella d’ ammissione risulta che allora ella presentava una paralisi delle estremità addomi- nali, parlava difficilmente ;e mostrava poca intelligenza. Soltanto nel mese di gennaio 1831 il dott. Combette l’osservò in quest’ospizio. Al- lora ella era da tre mesi obbligata a stare in letto ; la sua faccia era pallida ; 1’ emaciamento le dava un aria di stupidità ; non parlava mai, è se era interrogata; non rispondava che con un sì, o con un nò, ma sempre a proposito ; poteva appena muovere le gambe, le quali per altro conservavano tutta la loro sensibilità. Ella aveva da lungo tempo degl’ingorghi glandulosi al collo, le sopravvenne un antrace benigno ad una natica, un ulcerazione ad un piede, e finalmente soccombè ad una malattia intestinale nel giorno 25 di marzo. Aperto il cadavere 30 ore dopo la morte , i polmoni furono trovati crepitanti, ma pieni di tubercoli miliari. Le superficie degl’intestini avevano l'aspetto che sogliono avere nel genere di malattia di cui la bambina era morta. Il cranio aveva \ 134 la grossezza ordinaria; le meningi non presentavano particolarità al- cuna, il cervello sembrava in stato normale , e soltanto un poco vo- luminoso. Fu poi riconosciuta nella sostanza del lobo posteriore si- nistro la traccia d’ una piccola espansione sanguigna molto recente. Inciso il padiglione del cervelletto, tagliata la midolla verso il foro occipitale, e tolta e rivoltata la massa cerebrale, fu osservato T.° una gran quantità di materia sierosa che empieva le fosse occipi- tali; 2.° in vece del cervelletto una membrana cellulosa, gelatiforme semicircolare, che aveva presso a poco da 18 a 20 linee nel suo dia- metro trasversale, e che era attaccata alla midolla allungata per mezzo di due prolungamenti gelatinosi : verso questi attacchi erano due pic- cole masse bianche isolate del volume d’ un pisello ; 3.° nessuna ap- parenza del quarto ventricolo ; 4.° assenza completa del ponte del Varolio , senza che apparisse deperdizione di sostanza. Le piramidi anteriori terminavano coi peduncoli cerebrali a foggia di forca. © Il dott. Combette , dopo avere accennate alcune altre particolarità intorno alla disposizione degli organi encefalici, ha presentato diverse considerazioni che lo inducono a riferire l'assenza del cervelletto e del ponte del Varolio in questa bambina ad una distruzione lenta, e non ad una mostruosità congenita, e discute in seguito le cause alle quali può essere attribuita questa distruzione. L” Accademia ha inca- ricati di esaminare questo lavoro i signori Geoffroy-Saint-Hilaire, Blain- ville, Magendie, Flourens, e Serres. (Le temps IN.° 583). G. G. VAnteTÀ. Di alcuni nuovi mezzi di Stampa. Senza perderci in generali riflessioni intorno ai vantaggi che pre- parano alla civiltà i miglioramenti e specialmente le facilitazioni che vanno introducendosi nell’ arte della stampa , esporremo rapidamente due notizie pervenuteci che ci sembrano di molta importanza. L’ una c’ interessa doppiamente poichè al merito intrinseco accoppia una na- zional provenienza, quindi cominceremo il discorso da lei ; 1’ altra ci porgerà occasione di rettificare una nostra sentenza , mettendoci così nel caso di dare al pubblico una nuova prova del nostro amore per il trionfo del vero. Era noto che ponendo tra le pagine d° un litro una carta ove si fossero tracciate delle linee o altri segni con una soluzione di solfato di ferro, e similmente un’ altra carta impregnata di soluzione di concino , e quindi lasciate asciugare si chiudessero nel libro stesso, nul- l’ astante l’ interposizione di molte pagine e dopo un tempo più o meno lungo secondo il numero delle pagine interposte , lo stato igro- metrico dell’ ambiente e della ‘carta ec. , giungeva un momento nel quale i tratti disegnati col solfato di ferro e da prima impercettibili, 135 si facean di color nero e diveniano quali si sarebbero potuti fin da principio ottenere adoperando l’ inchiostro. Ora il sig. Dott. Giuseppe Menici di Pisa richiamato quel fatto ed altri consimili al pensiero; con diligenti ricerche e numerose esperien- ze ha trovato nella.cagione stessa di quel curioso fenomeno un, nuovo mezzo di stampa che egli sì è compiaciuto di comunicarci. L’ abbiamo sperimentato noì stessi, e ci siam persuasi, che passando quel fatto, dal dominio della scienza in quello dell’arte, potrà esser fecondo di risul tati importanti e capace di splendida applicazione , come già accadde della litografia; arte che mata rozzissima.or son pochi anni è salita ra- pidamente ad, una altezza a cui nessuno avrebbe giudicato da prima che potesse aspirare. Ecco il processo indicato dal sig. Menici per stampare col nuovo sistema ‘da esso immaginato. .Prendasi del comune inchiostro. da ;\scrivere ma molto denso ; vi si disciolga non solo fino a saturazione del. solfato di ferro, ma si faccia in modo: che ve ne. resti, una porzione sospeso mediante, una diligente triturazione. Si aggiunga poi. una, dose di (tintura di lacca uguale in peso a quello dell’inchiostro aoprato, avvertendo che quel- la:tintura sia satura anch’ essa e che ;il miscuglio sia ‘reso. ben. intimo con la necessaria \agitazione, Con questa, mistura si scriva a' rovescio o si disegni sopra una! pietra litografica.0 sopra, un marmo ben lavigato,, e quando lo.scritto o il disegno sia ben asciugato vi si applichi sopra la carta che dee ricevere l'impressione: Questa carta, potrà esser con col- la o senza ; dovrà esser imbevuta di concino, e semplicemente di. de- cozione di quella. Potrà adoprarsi prima d’ un perfetto rasciugamento, o inumidirsi se fosse precedentemente affatto. essiccata. Una, leggera pressione che determini un brevissimo. contatto |.della. superficie del foglio così preparato contro ‘i segni, fatti. sulla: pietra, basterà. a deter- minare la reazione chimica delle, due. sostanze, ed a far. nascere dei veri segni d’ inchiostro sul foglio ;che esibirà fedelmente le (copie di ciò che fu tracciato col solfato di ferro ma secondo, il solito! inisenso inverso è conseguentemente raddirizzato.. L’ applicazione d’.un nuovo foglio preparato: ugualmente riceve una' nuova impressione, lentissima essendo la total decomposizione del sale. di. ferro contenuto. nei tratti fatti sulla lastra:calcare; e così.l’autore assicura d’aver potuto stampare fino a trenta copie d’un sonetto in quindici minuti di tempo senza interru- zione ; e dando qualche riposo alla. matrice possono i segni conservarsi sempre ben netti e cavarsene ancora ottanta copie siccome egli asserisce. Noi non abbiamò ‘avuto ozio abbastanza, per ottenere questo ri- sultato, ma essendoci affrettati a ripetere l’ esperienza del. sig. Menici appena ci fu'nota, possiamo accertare d’avere ottenuto un sodisfacente resultato dal canto dell’ esattezza dell’ impressione ;. e d’ aver veduto che può sostituirsi alla pietra, al marmo e ad altri simili sostanze an- che il cartone levigato e la carta stessa per far la matrice. Quanto alla pressione necessaria per ottenere l’ impressione. è. .certo.che. deve esser 136 moderatissima e breve, ma che quella della mano o di ian tampone o altro simil mezzo presenta dei gravi inconvenienti per che non uni- forme nè nella durata nè nella forza. Occorre dunque immaginare uno strumento per questo ‘oggetto, strumento che sarà tanto più pregevole quanto sarà più semplice , conservando così all? invenzione il merito singolarissimo che ida tutte.le.congeneri le distingue 1’ economia, la prontezza , e la semplicità. Indica finalmente il sig. Menici un avver- tenza che egli crede dover condurre ad ottenere copie più perfette da quella’ matrice: e noi non le taceremo. Suggerisce di :acidulare ulterior- mente con acido solforico la mistura destinata a formare i tratti sulla matrice , in modo che questi possano approfondarsi un poco nella su- perficie della lastra , attaccandone il carbonato calcare. Dopo qualche giorno vuole :che la superficie sia pomiciata , ed assicura che ciò che rimane per così dire internato nella lastra è sufficiente a somministra- re il già accennato numero di copie ed a procurarle più nitide, del che si -accerteranno coloro che sì vorranno applicare alla continua- zione. di queste ricerche nelle }loro' applicazioni industriali. Ora noi parleremo d’ un altro fatto di origine straniera. Sì sono veduti dei ‘giornali politici Francesi. dei qualì ognuno conosce la grandezza ‘del formato } la piccolezza «del carattere, la pre- cisione ‘della tiratura‘, l’ immensità ‘della composizione; riprodotti fe- delmente a Ginevra col'' mezzo della litografia , col solo ritardo di due ore dopo!’ arrivo dei fogli stessi in quella città , e' rilasciati in asso» ciazione a metà di prezzo di quelli originali. Per chi conosce i processi litografici ‘facil sarà indovinare con quali mezzi si giunga: a quel re- sultato , ma non per questo‘ sara senza sorpresa il vedere. la felicità somma con la quale si giunge ‘all’intento senza che. si verifichino giam> mai quelle accidentalità che spesso incontrerebbero î. meno esercitati in quelle’ faccende ; accidentalità che a ‘Ginevra debbono sapere con sicurezza ‘rimuovere onde’ trovarsi! ‘in grado di mantener fedelmente col pubblico 1’ arduo impegno contratto. ‘Noi lasceremo ai litografi ‘tutti la cura di giungere a saper fade altrettanto non ‘potendo quì trattenerci ‘a discorrere a lungo dei parti- colari dell’arte loro ye ‘solo diretno , che non crediamo possibile in questo! caso di giungere ‘utilmente a preparare la pietra senza adottar per questo il metodo da noi registrato a pag. 181. !fasc. XXXVIII del- l’anno 1824, o altro molto ‘simile a quello. E giacchè di questa particolarità abbiam fatto caso , noi non la- sceremo ‘passar l’ occasione ché ‘ci ‘si offre opportuna. per confessare d’ esser caduti in errore quando nel fascicolo CXVIH a pag. 128 dell’anno caduto, abbiam rimproverato il sig. Bardet di non aver resa la conve- niente giustizia ‘all’ Antologia nel ‘suo libretto d’ altronde pregerolis- simo intitolato Istruzioni sui tre' metodi principati dell’arte litografica. Più tardi una meno frettolosa lettura del libro suo ci ha fatt’accorti del contrario ; sicchè noi non vogliamo differire un momento a ren- dergli questa ben dovuta giustizia. ‘ x. 137 Vulcano sotto-marino. I fogli pubblici hanno fatto più volte menzione del vulcano sot- tomarino insorto nel mare che bagna la costa meridionale della Sicilia, fenomeno maraviglioso anche per le Due Sicilie , ove si osservano tanti vulcani ardenti , spenti e falsi vulcani. La prima notizia di questa eruzione , recata in Palermo da Francesco Trefiletti comandante di un brigantino siciliano che l’ osservò il giorno otto del mese di luglio , veniva accompagnata da tali circostanze, che mentre ne indicavano l’esi- stenza, non soddisfacevano in alcun modo l’ universale che ne desi- derava tutti i possibi li particolari. Fu spedita per sovrana determinazione la real corvetta l'Etna agli ordini del capitano di fregata D. Raffaele Cacace , il quale sciolse le vele da quel porto il giorno 3. Un capitano di brigantino inglese con altri nazionali espressamente partiti dalla rada di Marsala il giorno 17, dirigevasi anch’ egli per mera curiosità a quella volta. Il sig. Cacace appena giunto alla distanza di otto miglia dal nuovo vulcano, vide elevarsi di quando in quando dalla superficie del mare globi grandissimi di bianco fumo, commisto a nera colonna di pro- dotti vulcanici, che toccava l’ altezza di circa due miglia. Fattosi più da vicino alla distanza di tre miglia, scoprì che la sua più grande apertura era dalla parte di ‘ponente, dalla quale slanciavansi conti- nuatamente all’ altezza di 50 piedi materie bituminose che ricadevano alla base. Avanzandosi finalmente alla distanza di un miglio, osservò che il vulcano eruttava senza interruzione, in forma di una colonna, immensa quantità di materie vulcaniche , gettandole ad un’ altezza smisurata ; la quale colonna di sostanze gassose era da frequenti ba- leni in tutte le direzioni attraversata , trovandosi l’atmosfera soprac- carica di elettricismo : sentì di vantaggio rumoreggiare il vulcano ve- nendo le eruzioni accompagnate da cupe detonazioni: osservò che la sua base aveva un mezzo miglio di giro , che il medesimo vulcano non elevavasi sensibilmente sopra la superficie delle acque , che ad esso d’intorno erasi formato un basso-fondo di materie rigettate ; che il mare vi appariva per una zona di circa mezzo miglio di color giallastro , senza poter determinare se ciò nascesse. dalle materie vomitate , o dalla luce che riverberavasi dallo stesso vulcano ; e finalmente che le acque erano molto agitate , e le maree assai rapide; non ostante che la luna sì trovasse nelle quadrature. Allora il signor Cacace si occupò a determinarne la posizione con le opportune operazioni, le quali ebbero i seguenti risultamenti. Il vulcano trovasi nel 37.° 2° lat. sett. ; 10.° 16” long. or. di Parigi, se- condo la carta del Fileti. Distà dal Capo Granitolo per N. 5.° N. 0. S. 5.° S. E. miglia 28; dal Capo di S. Marco per N. E. 9.° N. e S. O. 9.° S. miglia 27; dalla città di Sciacca per N. E. 6.° N. e S. 0. 6." S. miglia 30; e dall’isola della Pantaleria per S. Q. 15.° O. e N. E. 15.°. T. Il. Giugno. 18 138 E. miglia 33, purchè quest’ultima isola venga posta nella sua vera latitudine osservata di 36.° 46.’ lat. sett., mentre nella carta sopra indicata si trova segnata nel 36.° 52.’ , che da una minor distanza. Il capitano inglese fece anch’ egli le sue osservazioni, e siccome per la qualità del suo legno poteva farsi più d’ appresso al vulcano fino alla distanza di 250 passi; così gli fu facile di osservare, che esso è della solita forma dì cono troncato , ed è fiancheggiato da dne iso- lette poste simmetricamente , tutte eruttando di continuo per diverse bocche gran quantità di fiamme, di cenere, di pietre e di bitume ; che già erasi elevato dalla superficie del mare di 30 piedi ; avendo 100 e più passi di profondità nelle acque; e che dalla parte di tramontana distendevasi per un miglio comprese le isolette. Valutò ancora lo spazio che lo separava da alcunì punti della Sicilia; cioè dal territorio di Menfi miglia 25, 50 da Mazzara , e 65 da Marsala. Viene assicurato da altri viaggiatori che fino al giorno 20 di luglio il vulcano erasi ul- teriormente elevato dalle acque, per l’ accumulazione delle sostanze eruttate , fino all’ altezza di 60 piedi. Sentiamo ora che più d’un geologo di rinomanza è partito dalla Sicilia per recarsi sul luogo di sì straordinario fenomeno ; perciò ab- biamo giusti motivi da sperare che essi nulla non tralasceranno di ciò che merita d’essere osservato, e che la scienza possa far dovizia per opera loro d’ importanti novità. (Estr. dalla Gazz. Piemontese N° 109 Agosto 1831.) Società SCIENTIFICHE. R. Accademia delle Scienze dl Torino. Classe fisico-matematica. = Seduta del di 11 Maggio. Il professore Carena a nome di una giunta , fece relazione di parecchie cose natu- rali, che mandò dal Chili 1’ accademico dottor Carlo Bertero. L’avvo- cato Colla, a nome di altra giunta lesse il parere intorno a una par- ticolar foggia di organo senza canne , presentato da un artefice pie» montese. Il professore Giuseppe Cavini lesse un suo lavoro intitolato: Recherches chimiques sur l’altération de la bile ertraite du cadavre d’une femme qui étoit affectée de manie. Seduta del 26 Giugno. Il prof. Bidone, a nome di una giunta, lesse un secondo parere sulla replica fatta dall’ autor del progetto di una macchina , nella quale il movimento si rinnoverebbe da sè, senza l’aiuto di alcuna forza estranea. = Il prof. Carena , a nome di una giunta fece rapporto intorno ad una memoria per servire alla storia naturale di una specie di Cecidomia (insetto dittero ) che vive sugli sperici. — Il cav. Plana lesse : Addition.à la note sur le calcul de la partie du coèf- ficient de le grande inegalité de Jupiter et Saturne, qui dépend du carré de la force perturbatrice. 139 Classe delle scienze morali , storiche e filologiche. «= Seduta del 17 Maggio 1831. Vi furono letti i seguenti lavori : 1. Della storia presso i greci, del prof. Amedeo Peyron. 9. Della fortuna delle parole , del cav. Giuseppe Manno. 3. Prefazione alla storia delle colonie de’ genovesi in Galata, del conte Lodovico Sauli. Seduta del 22 Giugno. — 1. Della fortuna delle parole , continua- zione, del cav. D. Giuseppe Manno. 2. Delle finanze della Monarchia di Savoia nei secoli XIV. e XV. Capitolo II. dell’ Int. Cibrario. PROGRAMMA. Classe delle Scienze Morali, Storiche ,, e Filologiche. L’innalzamento al trono Sabaudo della linea secondogenita, nella persona dell’ Augusto Re CarLo ALseRTO , ha richiamato l’ attenzione degli eruditi su gli illustri progenitori della famiglia regnante, le geste dei quali o non sono abbastanza conosciute , o non vennero sin’ ora, quanto si conviene , degnamente celebrate. La vita operosa e le magnanime azioni del principe Tommaso , fi- gliuolo ultimogenito del duca Carlo Emanuele I, e stipite de’ principi di Carignano , note appieno ai pochi che fecero particolare studio della storia o politica o militare della patria nostra, non lo sono in ugual modo all’ universale. Verso questo fine di illustarne la vita-, volle indirizzare le mire degli scrittori, e particolarmente de’ nazionali il cavaliere Ferdinando Dalpozzo ; coll’ assegnare un premio da vincersi, a giudizio dell’? Ac- cademia , dall’ autore del miglior Elogio storico del Principe Tommaso di Savoja , stipite del ramo di Savoja Carignano. ; Il premio sarà una medaglia d’ oro del valore di seicento lire. I lavorì , in lingua italiana , latina o francese, manoscritri e sen- za nome d’autore , dovranno essere presentati prima del fine dell’ an- no mille ottocento trentadue. Essi porteranno un’ epigrafe , ed avranno unita una polizza sigil- lata ; con dentro il nome e l’ indirizzo dell’ autore, e di fuori la stes- sa epigrafe posta sullo scritto. Se da questo non sarà vinto il premio, la polizza non ‘aprirassi ; e sarà bruciata. Sono esclusi dal concorso i soli Accademici residenti. Il giudizio sarà pronunziato nel primo semestre dell’ anno mille ottocento trentatre. I pieghi dovranno essere diretti , per la posta od altrimenti, ma sigillati e franchi di porto , alla Reale Accademia delle Scienze di T'o- rino. Quando non vengano per la posta , dovranno essere consegnati 140 all’uffizio dell’ Accademia medesima , dove al portatore se ne darà ricevuta. Torino il 17 giugno 1831. Il PRESIDENTE Conte Prospero Barso L’ Accademico Segretario Professore Cosranzo GazzeRrA Er rr _È@É©@© E@ER@EAl+@<@<<-<ÈEEÈL-EEELB:HIÉÀ NECROLOGIA Conte CavaLier Gio. BattTIstA BaLDELLI Boni. i Di Girolamo Baldelli ed Elisabetta Boni nobili patrizj Cortonesi, nacque in Cortona addì 2 di Luglio 1766 il conte Gio. Battista Bal- delli Boni, che fù Cavaliere dell’ Ordine di Santo Stefano, Commenda- tore dell’Ordine di San Giuseppe, gran Croce dell’ Ordine del Merito di Sassonia, Consigliere intimo attuale di Stato, Finanze e Guerra e Ciambellano di S. A. I. e R. il Gran-Duca di Toscana. Appresi in patria i primi elementi delle scienze dai padri delle Scuole Pie, vestì Egli al compiere del decimosesto anno l’abito di Ca- valiere di santo Stefano P. e M. e venne alla carovana in Pisa, ove ebbe agio di attendere non solo alle arti Gavalleresche, ma eziandio agli studj delle scienze ed alle ottime discipline che in quella uni- versità erano allora in grandissimo fiore, mercè la tanta dottrina di uomini insigni che quì pubblicamente le professavano. Giunto poi che fu a quella pericolosa età nella quale è mestieri agli uomini scegliersi una via da battere per tutta quanta la vita, quando meno hanno di esperienza e più sono caldi di passioni diedesi a quella nobilissima delle armi. E perchè la patria sua armi non avea che fossero gloriose o attive si condusse nell’anno 1786 agli stipendj del re di Francia nel reggimento italiano d’infanteria (Royal Italien) onde passò di poi in quello;dei cavalieri Alemanni ( Royal Allemand). Scoppiata intanto la rivoluzione osservò egli la fede data con giuramento al re, e po- scia militò negli eserciti dei principi reali e loro confederati. Come poi vide le cose Borboniche venute a totale ruina tornò egli in questa patria; ed estimando, chiusa ‘per sempre a se la via delle armi nella quale. sperato avea fare consuo onore molti progressì, sì rivolse il giovine cavaliere alla opposta; tutto applicando 1’ animo ‘alle lettere ch’ erasi fatto a teneramente amare insin da fanciullo, grazie allo stesso luogo dove avea sortito i natali. La città di Cortona, quantunque piccola e situata in monte al- pestre e non adatta a tenere in se dovizia di uomini dotti, vide fiori- re nel suo seno circa alla metà del secolo XVIII uomini anche, più chiari per nobiltà d’ingegno che di sangue, un abate Onofrio Bal- 14I delli, i.due Venuti, il Corazzi, il Coltellini ‘e il cavaliere. Onofrio Boni ec. dei quali 1’ Onofrio abate era prozio e il cavaliere zio del nostro Baldelli. Accesi questi egregi uomini e massime i tre primi al bel desiderio che il natio municipio avesse in se sussidj agli studj non meno della vicina Arezzo (1) di questa tra le italiche città madre fe- condissima di stupendi ingegni, avevano fondato in Cortona una pubblica e copiosissima libreria , pubblici e privati musei di antichi- tà, dato vita alla celebre accademia Etrusca, proseguito ed incorag- giato ogni maniera di buone discipline. Allevato pertanto il Baldelli nella prima età, le cui dolci rimembranze durano in noi sempre in- delebili , tra così generosi esempj di città e di famiglia si diè tutto ad imitargli, e venuto a stanza in questa metropoli preferì ai lascivi ozj que’ più onorati ed. utili degli studj. E primo saggio dei medesimi fu l° Elogio di Niccolò Machiavelli da lui scritto nell’anno 1794 cui dopo breve intervallo tenne dietro nell’ anno 1797 il volume che s’ intitola: Del Petrarca e delle sue Opere libri quattro. Ma le condizioni de’tempi non lasciarono lungamente il Baldelli nella vita contemplativa, e lo ricondussero contro ogni sua opinione in quella operativa delle armi: perchè sconvolte tutte le cose d’Italia per la calata dei Francesi, ed i vicini che s’erano testè rivendicati in libertà affacciandosi minacciosi alle vette dei monti che appartano la tranquilla nostra provincia, venne egli spedito a capitanare quella mano d’uomini che dovea difendere la Romagna Granducale. Poi dopo in nuovi pericoli, elevato al grado di Maggiore, e inviato Coman- dante nella val di Chiana superiore vi si condusse con singolare destrezza : e quando al fine vide riuscir prospere a’ Francesi tutte le sorti, trasse dietro alle orme degli sconfitti eserciti austriaci per intie- ra serbar la fede all’ ottimo principe che la patria piangeva, perduto. Partito così da noi una seconda volta il Baldelli, \e militando sotto le insegne dello straniero, non ebbe mai la sventura di spendere le brac- cia per esso; ma, ottenuta licenza, potè andar peregrinando per la Germania, l’ Ungheria, la Pollonia , la Russia, l’Inghilterra , e quindi per la Danimarca , la Svezia e la Norvegia, qualificandosi a tornare in patria utile cittadino e-ricco di quella esperienza che in brevi an- ni s’acquista da chi guardi da vicino e sappia intendere ì costumi di molte città e di molti popoli. E così fù : che ritornato in Toscana e spogliate per sempre le militari divise fù specchio agli altri cittadini e maestro di saviezza, e usò sì bene del tempo che tra le molte pri- vate e le pubbliche cure dei rilevanti impieghi che occupò nella cor- te e nello stato, caro a tutti i principi ed alle varie dinastìe che succederonsi nel governo della Toscana, potè proseguir sempre ì di- letti studj e mandar fuori nell’ anno 1806 la Vita di Giovanni Boccac- cio, ed inserire nell’are (Anno III. N.° VIII, 31 Marzo 1806) due x (1) Il fatto è storico e conosciutissimo nelle provincie di Val di Chiana e forse in tutta Toscana. 149 lepidissime lettere intorno alla Signora di Staèl ed alla sua opera che ha per titolo‘ Della Letteratura considerata. ne’ suoi Jegami con. le instituzioni ‘ sociali ,,. Addivenuto poscia Accademico . della Crusca, come prima era stato membro della R. Accademia Fiorentina, ne adempiè puntualmente i doveri, leggendo quando era la sua volta assai dotte memorie, e delle quali rammenterò soltanto quelle riguar- danti al Milione di Marco Polo , avvegnachè si fossero come il prelu- dio alla più ‘vasta delle sue opere in due parti distinta, la prima delle quali, quasi necessaria introduzione all’ altra, espone la storia Delle relazioni vicendevoli dell'Europa e dell’Asia, e la seconda esibisce il Milione di Marco Polo ec. illustrato. Questo lavoro venuto in luce nell’ anno 1829, soli quattro anni dopo al Saggio di Antichità pri- mitive che pubblicato avea nell’anno 1825; fù 1’ ultimo che il nostro Baldelli potesse recare a compimento: poichè elevato infin dell’an- no 1828 al sublime grado di consigliere di stato Luogo-Tenente Ge- nerale e Governatore Civile e Militare della città e provincia di Sie- na, venne per le cresciute cure a mancargli ogni ‘agio pe’ cari studj, 1’ ardore dei quali si spense in lui con la vita nel dì 25 Febbrajo 1831. Non è ufficio del nostro Giornale il dire con quanta integrità e saviezza sostenesse il conte Baldelli le rilevanti cariche di Provvedi- tore dei Presti, Soprintendente della Real Casa e Corte , Prefetto di Palazzo, Direttore dell’ Uffizio Revisioni e Sindacati, Oratore a Dre- sda per ottenere all’ottimo Principe che ci governa la mano della consorte Augusta, e finalmente Governatore di Siena e suo stato. Ma ne disdirebbe altrettanto il non dare un tocco alle opere che da lui vennero condotte. Incominciando adunque, secondo l’ordine dei tempi, dall’E/ogio di Niccolò Machiavelli, crediamo innanzi tutto dover premettere co- me la occasione di quello scritto fù la seguente. Nell’anno 1787 il cavaliere Alberto Rimbotti avea scoperta in Santa Croce la obbliata tomba di quel, famoso, e stimolati i suoi concittadini acciocchè gli erigessero un degno monumento, siccome fà, mercè alla providenza del Principe immortale che reggeva allora lo stato ( V. 1’E/ogio , no- ta 29 pag. 115 ). Parve pertanto alla Accademia Fiorentina che anco a lei si addicesse fare onore a un tanto scrittore e rivendicarne il nome oltraggiato sempre sia per ignoranza per invidia o per malignità da chi non vale ad intenderlo, o non lo vuole, nè cura. Al Bal- delli richiesto e confortato a ciò dal dotto ed elegante abate Giulio Perini, segretario che fù della R. Accademia Fiorentina (V. 1’ Elogio, nota 30 pag. 116) toccò il compito; nè parrà certo che poco bene lo adempisse” quando, più che alla pompa della istorica suppellettile da lui spiegata , si ponga mente com’Egli, giovine qual’ era, intravide il primo ed accennò quanto poi fù dato di maestrevolmente svolgere ad una penna straniera (2) quali cioè si fossero le vere cagioni, ed (2) Edimburgh Review , 1826. 143 i segreti pensieri che dettarono al Machiavelli il Principe , e ogni altro luogo delle sue scritture ove pare che si dimostri maestro di tirannesche nefandigie. Come poi è natura di cose umaue che un primo passo fatto 0 ci sforzi o ne inviti almeno e ci consigli a proseguire per la stessa via che incominciammo a battere, così con l’Elogio del Machiavelli s’incalorì più tanto e confermossi nel suo autore la vocazione di dettare le Vite dei più eccellenti Scrittori Toscani, Hanno varie guise di raccomandare alle carte le vite degli uo- mini che furono 0 per dottrina o per arte eccellenti. Alcuni biografi usano di tanto tenersi stretti al subietto che a null’altro veramente mostrano di avere indirizzato l’ animo, sennonchè a narrarti le azioni dell’uomo cni presero ad illustrare. Altri poi proponendosi di consi- derare non tanto l’uomo quanto la scienza o l’arte nella quale fiorì, si slargano a favellare di questa e de’ contemporanei che pur vi ap- plicarono per dimostrare in che grado essi la rinvennero , ed a quale avanzaronla ad universal benefizio. Ed altri finalmente non trattenen- dosi a ragionare soltanto dell’uomo che lodano, della sua scienza o arte, e dei contemporanei fioriti in essa, fannosi eziandio a conside- rare le condizioni de’ tempi e delle regioni in che visse queil’ uomo illustre , per aprire quale e quanta parte s’ ebbero, quali e quanti ostacoli ponessero acciocchè l’uomo addivenisse qual fù, e come egli poscia adoperasse a trasmutare in meglio le condizioni predette. Esco- no le vite scritte nella prima guisa tutte particolari, e individuate : perchè degli uomini e delle cose toccandosi in elle appena e sol in. quanto si rapportano all’illustre soggetto che necessariamente ci dovè vivere in mezzo , anco le cose più generali vengono a vestir foggia di particolari e individuate. Le vite poi che dettansi alla seconda gui- sa, considerando non tanto l’uomo quanto la scienza, ed il più ele- vato posto in che questa venne mercè la persona della quale narransi le geste , e mercè i suoi, quantunque meno egregj contemporanei non appajono ne’così individuate come le prime, perchè fan capo più alla scienza o all’arte e non all’ uomo che fiorì in quella; e non esco- no poi nemmeno tutte generali; siccome quelle della terza specie, avvegnachè trattengansi nei limiti d’una scienza o arte particolare. E queste finalmente della terza specie hanno tanto di generale e d’a- stratto , perche spaziando a considerare eziandio le condizioni dei tempi e de’ paesi secondo o malgrado le quali potè un uomo venire in eccellenza ; e disvelando inoltre le segrete cagioni che ora incal- zano ora impediscono gli avanzamenti delle arti delle scienze e del bel viver civile, insegnano i modi che debbonsi ora soavemente , ed or fortemente tenere da coloro i quali bramano davvero di giovare alla umanità. Come nessuni meglio di se stesso può con nuda, e pas- sionata mente ritrarre le proprie azioni e far centro di tutte cose il caro se, prevalgono in dettar vite. della, prima, specie coloro :i quali scrivono di se medesimi: a loro pui sì accostano quei de’ contempo- 144 ranei che massime ebbero usanza e famigliarità con essi, avvegnachè soli sieno in grado e di attestare quale veramente si fosse l’uomo che rappresentano , e di riprodurre il vivo senso che a’ suoi tempi destò nell’ universale. Epperò eccellente vantiamo, noi italiani, la vita che di sè stesso scrisse Benvenuto Cellini, ed eccellente chia- mano gl’Inglesi quella del Cardinal Wolsey che lasciò senza nem- men pensarlo, ai posteri il Cavendish suo cortigiano, confidente ed amico ; vite che tutte spirano una vivacità, una grazia che ti va den- tro all'anima, e che mai non avrebbe dato loro la fredda ma- no dei posteri Ma nel dettar vite della seconda e della terza specie pare che in compenso il vantaggio stia dal canto dei posteri: essi e non i contemporanei provando di quanti mai nuovi progressi, e di che benefizj fossero alla umanità cagione gli avanzamenti in qual- sivoglia o scienza o arte operati per virtà di quell’uomo egregio del quale in benemerenza tolsero a ricordare la vita e le azioni. Oltrecchè ( parlo adesso dei biografi della terza specie ) non essendo agitati dalle passioni de’contemporanei, i quali in generale sogliono eziandio vivere trascuratamente intorno alle cose che gli circondano, hanno più calma e volontà di ben considerare e le condizioni de’tempi e dei paesi, e le cagioni che sopra dissi per così trarre il passato a utilità del presente e dell’avvenire. A quale di queste due ultime guise mirasse il Baldelli quando dettò le sue vite del Petrarca e del Boccacio non mi appare chiara- mente. Imperocchè se alla vita del Petrarca è preposta una introdu- zione , nella quale si ragiona quali a que’ tempi furono le civili con- dizioni d’ Italia, e se questa introduzione ‘può dall’ autor suo reputarsi applicata anco alla vita del Boccaccio, posciachè negli stessi giorni fio- rirono que’ due sommi scrittori; e se per entro alla vita dei medesimi non si tralascia , secondo la occasione, di toccare gli avvenimenti più celebri della istoria generale de’ tempi ; nondimeno e la cosa è fatta troppo sommariamente, nè punto vi sì scorge l’animo di collegarla alla particolare di que’ due scrittori e delle lettere dai medesimi pro- fessate , nè vi si dà tanto di commodità al lettore quanto sarebbe d’ uopo perchè lo faccia da se medesimo. Più si accosta peraltro al secondo genere, conciosiachè e nella vita e nelle dotte appendici e il- lustrazioni che vengono dietro alle medesime , si rappresenta lo stato delle lettere che allora furono in Italia e fuori, e vi si dice degli uo- mini illustri che a que’ tempi in esse fiorirono. Ad ogni modo quelle due vite del Baldelli sono pregevolissime e per la diligenza che vi si vede usata intorno al'subietto senza perdonare a spese fatiche o viaggi per visitare i luoghi descritti, consultare testi a penna e rare edizioni: per la semplicità e chiarezza ; con che quasi sempre leggonsi scritte ; e per la religione con la quale ivi si citano le fonti onde furono attin- te le notizie, molte delle ‘quali riuscirono nuove anco ai più dotti così nazionali, come stranieri, e che dovettero portare in ottima opinione dello studio che il Baldelli avea posto nel proccacciare i mezzi di ben 145 condurre i suoi scritti. Non potrebbe però tacersì senza taccia di par- zialità , che sia per debolezza di nostra umana natura, o perchè non sempre la mano va dietro all’intelletto, la sua tanta diligenza gli mancò talora nel dettare que?’ libri, onde s’impigliò in errori che facilissimo a lui sarebbe stato schivare, solo che avesse meglio considerato quanto avea sott'occhio e quanto veniva scrivendo ; che la semplicità del suo stile rimane a quando a quando sgradevolmente interrotta per dar luogo a fredde rettoriche figure, e a movimenti oratorj che non hanno in se nè peregrini nè sublimi concetti: pecche onde egli stesso pensò e diè mano a purgare le sue opere, come raccogliesi dal suo Petrarca che lasciò corretto per una seconda edizione ; che non trattennero dal tributargli i meritati elogi parecchi uomini dotti nazionali e due fa- mosi:stranieri delle cose italiane studiosissimi, il Ginguene ed il Roscoe testè mancato ai viventi ; e che non ci lasciano senza rammarico per non avere esso dato mano a scrivere la vita di Dante, siccome si era proposto. Le vite degli uomini illustri, e la storia delle scienze o delle arti nelle quali fiorirono è parte così grande ed importante della civile istoria delle nazioni, che rade volte non vediamo avere a questa rivolto l'animo e data opera coloro i quali si studiarono di quelle. Un altro esempio di siffatta verità lo abbiamo nel nostro conte Baldelli, il quale nello scrivere che facea la vita di que’ due valorosi Toscani , metteva il pensiero nelle antichità primitive delle genti , e, colta oc- casione dal peso che si era levato sugli omeri come accademico della Crusca d’ illustrare i viaggi di Marco Polo, eseguiva primo di tutti il bellissimo e ardito pensiero che balenò alla mente del Robertson di narrare le relazioni vicendevoli dell’ Asia e 1’ Europa. Del suo Saggio di antichità primitive (Vol. Unico. Poligrafia Fieso- lana 1825 in 8.°) distinto in due libri, diremo appena che per entro vi si leggono alcune considerazioni che dimostrano l’autore non digiuno affatto di qualche civile filosofia nè incapace, quando amor di sistema non lo travia, di quelle speculazioni con che si ascende a ben avvisare la origine delle genti; che nella appendice alle medesime ove discorre della cronologia degli egizi e delle dinastie di Manetone ; del culto di Zoroastro , di Sanconiatone , e dei misteri Eleusini , riferì piuttosto le cose dette degli altri e poco aggiunse del suo, e che ivi trattando degli etruschi si accostò alla opinione di coloro i quali gli fanno Lidii e vogliono che gli etruschi dovessero ai greci e non i greci a loro ogni avanzamento nelle arti e nella civiltà dei costumi (V. i $$. XIV, XV e XVI a pag. 285-298). Assai più cose resterebbono a dirsi, ove io mi fossi da tanto, rispetto alla istoria delle Relazioni vicendevoli dell’Europa e dell’ Asia, ed alle illustrazioni per lui date ai Viaggi di Marco Polo. Ma di que- sta maggiore opera del co. Baldelli avendone già detta sentenza in questo istesso giornale (V. Antologia Vol. 34 A. 3) un competentissimo giudice , l'illustre autore delle colonie dei genovesi in Galata, e po- T.Il. Giugno. 9 146 tendo chi più bramasse consultare i due articoli che intorno a quella pubblicò nella gazzetta letteraria di Gottinga (N. 41 e 56, 7 Marzo e 4 Aprile 1829) un dotto alemanno , che non tanto per le iniziali del nome ivi segnate, quanto per la conoscenza della materia si discuo- pre essere il celebre Heeren, a me conviene tacerne. Non manderò pe- raltro in silenzio una considerazione tralasciata da que’due sommi cri- tici, forse perchè parve loro di un secondario rilievo, ed è che se il Baldelli in questa sua sì vasta e laboriosa opera delle relazioni che fu- rono tra l’Asia e l’ Europa nell’età di mezzo, fe vedere una ricchissima suppellettile istorica, e che sentiva assai dentro ad alcune delle scienze onde ha mestieri lo storico, non dimostrò altrettanta perizia nè delle romane leggi che toccar volle, nè tampoco della loro istoria esteriore, e non sì fece una chiara e distinta idea delle instituzioni germani- che : fonte onde emanarono alcuni non lievi errori che macchiano questa istoria e dei quali piacemi rendere sincera testimonianza che egli si proponea mondarla : e certo lo avrebbe fatto ove gli fosse al- l’ uopo bastata la vita. Oltrechè gli varrà come giustissima scusa appo tutti il considerare che facciasi come un sol uomo non potendo ugual- mente attendere a tanti e sì variati rami del sapere umano di quanti è necessaria la piena cognizione per chiunque voglia condurre una opera di storia di quella mole, nè al Baldelli, nè forse ad alcun altro, sortir poteva di bene e perfettamente eseguirla senza giovarsi dei lumì e dei consigli di coloro i quali erano più di lui versati in quelle partico- lari dottrine. Ora: in contrario a quanto vediamo operarsi al di fuori, la più parte degli uomini che attendono alle lettere o alle scienze nella Italia nostra hanno il mal vezzo di vivere gli uni separati dagli altri, e mentre dovrebbon vivere in amichevole concordia ed in santissi- ma congiunzione di affetti, se non si odiano , nè si amano nè si stimano nè sì soccorrono a vicenda; cagione se tra noi e scienze e lettere pa- iono venire oggidì in decadenza, e se le opere che quà si mandano in luce non possono più stare al paragone di quelle cui danno mano i ben più accorti e più concordi stranieri. Tanto in particolare degli scritti del nostro Baldelli, da’ quali non crediamo poter prendere commiato senza allargarci ad una nltima e generale considerazione intorno ai medesimi. Coloro i quali hanno avuto tra mano e letti questi volumi maravigliano assai che quello scrittore, il quale in gioventà ebbe vanto di moderazione rispetto alle opinioni e alle credenze trascorresse nella matura età, come non senza cagione lo rimbrotta l’Heeren, a quel segno d’ intolleranza che offende e non corregge coloro i quali la sentono diversamente. Or nostro uf- ficio essendo di rappresentare l’uomo in tutta la sua verità, senza ac- cattargli o lode o biasimo o scusa, crediamo rettamente adempiervi ri- ferendo quanto egli stesso addì 26 di decembre 1829 scriveva al ch. e rev. monsig. Muzzarelli. ‘* Per obbedirla nell’annessa carta troverà registrata la serie de’ fatti concernenti la mia vita, che non merita veruna celebrità , mentre un rapido giro di avvenimenti impensati mi 147 ha trascinato nel vortice di tante vicende clie non poteva io stesso pre- vedere. Non ho mai avuta la pretensione di credermi un letterato di- stinto: mi mancavano profonde cognizioni e studi seguitati e ben di- retti che non ho potuto fare, disturbato dai vari avvenimenti che ci hanno afflitti e travagliati per tanti anni, talchè se ho scritto varie opere l’ho fatto per ricrearmi e ritrarmi dall’ozio , e le ultime nell’in- tendimento di rettificare molte storte e perniciose opinioni dominanti nel secolo, che se non sono combattute opereranno guasti anche mag- giori ;3. Fu il Baldelli marito ottimo e alla prima moglie (Giulia marchesa De Loumeny) che giovinetto tolse in Francia e presto perdè, ed alla seconda (sig. contessa Lucrezia Cicciaporci) che a lui si congiunse nel- l’anno 1804 e che vedova dolentissima a lui sopravvive. Padre amoroso di molti figli pose grandissima cura in allevargli alle ottime discipline , e in conservare ad essi le agiate sostanze che ereditò dal padre e dalla illustre famiglia Boni, poichè fu parco in tutto salvo nel procacciare libri e sussidii pe’cari studi. Le molte opere nelle quali si travagliò, lo collocano tra i più laboriosi italiani scrittori del secolo XIX. E certo quando si riguardi alla mole dei suoi volumi condotti in mezzo a tante private e pubbliche cure che gli negavano facoltà di dare ai medesimi quella maggior diligenza che vi si desidera, ne verrà vergogna e pun- gentissimo stimolo a quei de’ nostri , i quali chiari come lui di sangue, doviziossimi , forniti di ugual dottrina, di pari o più squisito ingegno ed all’in tutto spediti delle pubbliche cure hanno in se tutte le qua- lità onde, a detta di Pietro Giordani in. quella sua lettera a Gino Capponi marchese , si può venire in grado di eccellente scrittore (V. Antologia Vol. 17 A. 1) e non di meno traggono la vita in ozio , immemori di quanto debbano a se medesimi, ed alla Italia nostra, presa a dileggio dagli stranieri massimamente sia raro è che produca belle opere d’ingegno anco in quelle utili discipline che disgrazia di tempi o acerbità di casi non ci toglie nè toglierà giammai poter coltivare. Avv. P. Caper. Tommaso De OcHneDA. Battevano le due dopo il mezzogiorno: un pallido vecchietto con omeri un po’ dimessi , testa alta , occhi intenti, appariva lì presso al primo arco degli Uffizi o alla base dell’Ercole, oltrepassava lesto lesto la loggia dell’Orcagna e quasi tutta Vacchereccia, si fermava dal Piatti, indi ripigliava la via sino al Poggio o alle Cascine , visitava, tornan- done, i muriccioli e le botteghe di non so quanti librai, rientrava com’ ape dalle dolci sue prede nell’albergo della Fontana d’ onde pri- ma era uscito, e più non ne usciva che l’indomani all’ora medesima. — Chi è egli? chi non è? = Taluno diceva uno Spagnolo; talaltro un Piemontese , tutti un gran letterato, un gran dotto. = Un indomani finalmente, nè l’indomani che vien poi, nè più altri appresso , egli 148 più non si vede. Fra qualche tempo sì vede invece nel primo chiostro di S. Croce una lapide, che si dice posta sopra il suo sepolcro , ed ove è seritto : Qui riposa Il Cav. Tommaso De Ocheda. Nato in Tortona nell’ anno 1757 Da Diego Ocheda e da Teresa Bigurra Ambo d’ illustre famiglia Fu Bibliotecario della libreria Crevenna e della Spenceriana Di semplici e illibati costumi Di molte lettere e squisite Dimorò lungamente nell’ Inghilterra Vacò agli studi come se nella vita non fosse altra cura Sollecito indagatore del vero Che si trova dopo lungo esame Volle per grande amore d’imparziale sapienza Rifiutar quella gloria Che ottener potea cogli scritti Morì nel 16 Febbrajo del 1831. Luigi Ocheda erede testamentario q. m. p. Contemporamente all’ iscrizione ( dettata da G. B. Niccolini) esce in luce un’effigie litografica, sotto la quale è il nome dell’estinto , e sot- to il nome quel verso del poeta Si//ogizzò invidiosi veri. Il verso e l’i- scrizione , grazie ad alquante notizie che avvien di raccogliere, si co- mentan da molti; ma se ne brama comento più ampio. Qualche mia particolar relazione , e la gentilezza dell’erede, a cui non spiace ch’io consulti il domestico carteggio dello zio, mi danno di poter sodisfare in parte questo desiderio. Piemontese di nascita , come il dice l’ iscrizione, Tommaso De Ocheda poteva anche dirsi Spagnolo. Il ceppo del suo casato è in Si- viglia, d’onde veniva, credo , l’avo suo Francesco , egregio capitano, onorato di varii ordini da Carlo terzo , e di lettere, che sì conservano, dal principe Eugenio. E alcun che di Spagnolo era pur nel suo volto, che l’ effigie litografica fa arguto, qual si mostrava forse in alcuni momenti, ma che in altri appariva pure onestamente altero e pendente al malinconico. Però guardandolo indovinavate che il suo animo (se l'animo ha sem- pre nel volto uno specchio sicuro ) era nobile e sensitivo più che al lieto vivere non sarebbe stato di bisogno. Quindi si fa vie più credibile il perpetuo ritornello delle sue lettere , così delle puerili e delle giovanili, come delle virili, Altro diletto che imparar non provo. Le prime, scritte da un collegio di Lom- bardia, ov’egli compiva i primi studi cominciati in casa, non indica- no abbastanza quel ch’egli imparasse più volentieri. Le seconde, scritte 146 dalle università di Bologna e di Pavia, ove fu per gli studi legali, e ne fece pure molt’ altri, indicano più ancor delle seguenti , scritte da varie parti d’ Europa , una grandissima inclinazione per la filosofia ra- zionale e la storia dell’umano intelletto. Quest’ inclinazione, a sodisfar la quale si richiedevano lunghe . meditazioni e vaste letture , gli fece, poichè all’uscir dalle università gli era pur necessario un impiego , desiderarlo più che altrove in qual- che biblioteca. E gli si offerì decentissimo, grazie alle sollecitudini di chi gli era allora in luogo di padre, e poi gli fu sinchè visse principal confidente (Carlo suo maggior fratello) nella biblioteca di ragguardevole concittadino. Ma, intendendo come un amico di maggior età e di non piccol merito l’ avrebbe gradito per se, Tommaso lo ricusò. Di quest’ atto generoso egli ebbe presto bellissimo premio. Poiché . lodato e raccomandato al Crevenna, celeberrimo fra i bibliofili del suo tempo, fu da lui chiamato ad Amsterdam suo bibliotecario. Ed ivi stette con lui dal gennajo del 1785 al marzo del 1789, cioè sin che all’ illustre bibliotilo , di cui son note egualmente la probità e le di- sgrazie , rimase una gran biblioteca. In un viaggetto fatto all’ Aia nel 1786 (viaggetto in cui per caso ebbe a compagno l’ Oriani andato in Olanda a provveder telescopii ) egli era piaciuto al conte di Mirabello ivi ministro per la Sardegna. Al partirsi dal Crevenna, il che non fu senza grandissimo dolor d’am- bidue , ei trovò asilo presso il conte, che il volle, finchè non gli piacesse d’esser altrove bibliotecario d’altri, suo segretario parti- colare. Il fratel suo, frattanto, e più amici l’ avrebbero voluto in Torino bibliotecario del pubblico. Ma egli pensava al Muratori, al Tiraboschi, al Morelli, al Runkenio che avea conosciuto bibliotecario in Leida , ec., e se ne sgomentava. Pensava anche ai molti competitori, che ben sa- peva di avere, alla difhcoltà di vincerli, a quella di sostenersi quando vinti gli fosser divenuti nemici, ec. ; e pregava che sì lasciasse tentar là sorte a chi avesse o più merito o più ardire. Mentre contrastavasi di buon volere per una parte e di modestia per l’ altra, il conte ebbe d’ uopo di far un viaggio a Torino. Ivi ei si confidava di prestare a Tommaso utili offici : quando non riuscisse a farlo eleggere pubblico bibliotecario , riuscirebbe pure a procacciargli posto onorevole ne’ regi Archivi, ove nessuno allor trovavasi perito com’egli nel diritto delle genti: intanto il lascierebbe all’Aia suo rap- presentante. Se non che , a rappresentar il conte che partiva, giunse improv- viso il cavaliere di Revel mandato dalla corte. Il buon Tommaso restò quindi segretari.) particolare, e, contro ogni sua aspettazione , per cose particolari. Perplesso andò a fare una visita al suo Crevenna, pro- ponendosi forse , ma poi per delicati riguardi astenendosi , di confi- dargli la sua perplessità. Di ritorno all’Aja trovò nel cavaliere chi, in- dovinandola , seppe rendergliela men grave a ajutarlo ad uscirne. 150 E l’ajutò anche la sorte, che mandò all’Aja di que’giorni il figlio del celebre lord North, poi sì celebre anch’ esso sotto il nome di lord Guilford. Questo signore già lo avea conosciuto in casa del Crevenna; ebbe caro di sentirselo raccomandar dal cavaliere ; pensò ch’ ei sa- rebbe opportunissimo a lord Spencer a cui bisognava un bibliotecario, e seppe renderglielo desiderabile. Con lord Spencer , dimorante ora in Londra, ora nelle sue terre d’ Althorp , già dono della nazione al ce- lebre Marlborough suo antenato , il nostro Tommaso stette dal gen- naio del 1790 al settembre del 1818, quando per motivi di salute ri- tornò in Italia, e venne a prender stanza in Firenze, ove fu per dodici anni bibliotecario di se stesso. Assai prima d’ esser bibliotecario del Crevenna (cui rivisitò amo- revolmente prima di partire per Londra) egli avea scritte alcune ope- rette. La più giovanile , come apparisce dall’ analisi ch’ egli in varie lettere ne dà al fratello, era anche la più estesa. Essa avea per titolo ‘“ della filosofia degli antichi ,, e dividevasi in tre parti, riguardanti la metafisica , la morale e la fisica, precedute da una introduzione. Difficoltà di conoscere il vero (ecco il sunto di quest’introduzione ) grande sempre e per tutti, ma grandissima pei primi che si fecero ad indagarlo. Quindi assai più di falso che di vero ne’risultati delle loro in- dagini. Bello però e utilissimo per noi il vedere com’esse furon diret- te, il cercare nella loro direzion medesima la ragione de’ lor risultati, il paragonarle alle posteriori, ec. ec. La generazion del pensiero (parte prima), la natura, i destini dell’ essere pensante, l’ esistenza d’ un essere primo e fonte degli altri esseri, tutti i grandi problemi dell’ ordine intellettuale , ebber dagli antichi qualche soluzione. Qual l’ebbe ciascuno e come l’ebbe ? Quale e come l’ ebbe dappoi? Quai limiti è pur forza che incontri l’intendi- mento ogni volta che si tenti di darla ? ec. ec. Le relazioni reciproche dell’uomo coll’uomo (parte seconda), del- l’ uomo colla società , furono pur esse studiate e definite dagli antichi. E questo studio più che altro, e le sentenze diverse alle quali condusse, diedero origine alla diversità delle sette. Se la verità delle sentenze avesse a giudicarsi da alcuni effetti morali, qual vanto non si dovrebbe alle sentenze della setta stoica? Ma gli effetti morali posson essere for- tuiti, dipendenti da varie cause, buoni comparativamente ad altri e non assolutamente. Però la verità delle sentenze d’ una setta qualun- que non è a giudicarsi da essi, ma dalla convenienza di tali sentenze co’ risultati di una lunga, vasta, accurata osservazione dell’ uomo e della società. Or in questa osservazione quanto si occuparono o pote- rono occuparsi gli antichi? Quanto si avanzarono i moderni ? ec. Vollero gli antichi ( parte terza) definire anche le leggi generali dell’ ordine fisico. Ma appena fu lor possibile studiarne bene alcune particolari. Quanto però introvidero delle prime ? Quanto intesero chia- ramente delle seconde? Quali applicazioni ne fecero ? Quali scoperte 15I agevolarono a’moderni ? ec. Veggansi le risposte nel Buffon , nel Bailly, nel Montucla , ec. ec. Quest’ operetta , dettata, come apparisce chiaramente da alcune particolarità dell’ analisi , alla scuola del Locke, aveva una tendenza critica particolare alla scuola del Bayle. In proposito specialmente d’al- cune delle grandi questioni dell’ ordine intellettuale, vi si mostrava non so qual dubbio e intorno all’ evidenza de’ ragionamenti usati, e intorno alla competenza della ragione per scioglierle. Un prelato di Bologna , membro dell’ Accademia francese, a cui il nostro Tommaso la mostrò, trovava il dubio legittimo. Un cattedratico claustrale, a cui la mostrò il prelato , lo trovava biasimevole. Quindi il prelato consi- gliò il giovine di tener manoscritta la sua operetta, che fatta pubblica gli sarebbe forse stata cagion di dispute e di dispiaceri. Leggevasi di que’ giorni, fra giovani specialmente, con meravi- glia infinita il paradosso famoso , con cui si fe’ noto al mondo il filo- sofo di Ginevra. I più naturalmente vi repugnavano , ma, vinti dalla persuasione eloquente con cui è scritto , aveano a combattere con sè medesimi per non dirsene anch’ essi persuasi. Il nostro Tommaso non elibe in ciò vantaggio dagli altri. E, come gl’increscesse e di sè e di loro , si propose di ‘contrapporre al paradosso una specie di bilancio , ove si vedesse a un tratto ciò che dalle lettere e dalle scienze era provenuto d’utile o di non utile all’umana società. Come tal bilancio richiedeva calcoli complicati e senza numero , forse appena fu da lui cominciato. Cominciato e quasi condotto a termine fu da lui in seguito un saggio critico sulla filosofia di Cicerone , anzi sulla filosofia de? Romani, della quale gli conveniva far la storia, per dire ciò che Cicerone le aggiunse e di suo e della filosofia de’ Greci , specialmente di Platone, con cui in quel saggio ponevasi a confronto. D’ altri suoi scritti di questo genere nelle lettere , che mi son poste sotto gli occhi, non è fatta parola. Solo è fatta di due d’ un genere differentissimo , un parere da lui dato in Pavia sopra alcuni punti d’ una causa criminale, e un estratto ragionato, chiestogli in Amsterdam, d’antichi trattati tra il Portogallo e la Spagna, in una con- tesa fra questa e 1’ Olanda circa la libera navigazione de’ mari orien- tali. Ma il silenzio delle sue lettere non prova ch’ei non ne abbia com- posti pur altri. Il solo infatti che siasi rinvenuto fra le sue carte , un poema giovanile in quattro canti, da lui intitolato Teodosia, neppur esso vi è nominato. Nè io so dire se debba comprendersi fra quelli, di cui in una lettera , precedente di poco la sua partenza per Londra, è detto in generale, che, essendogli mancata occasion di pubblicarli, mai non ebbero l’ ultima mano. È vero intanto che finchè stette in Amsterdam il nostro Tommaso ebbe poco tempo di scrivere. Il catalogo ragionato , che , assai prima della sua andata colà , il Crevenna avea pubblicato della propria li- breria , potrebbe far credere che poco intorno ad essa rimanesse da 152 fare al nuovo bibliotecario. Ma essa dalla pubblicazion del catalogo in poi sì era aumentata quasi del doppio. Fra tanta ricchezza , fatta per accrescere ogni gran desiderio di sapere, il nuovo bibliotecario si sentiva allettato a sempre nuove letture. Si sentiva pure obbligato allo studio di nuove lingue, oltre il greco che sapea bene , il latino che scrivea pulitamente (me lo attesta , in una delle sue lettere, un’ iscri- zion sua per una fabbrica , che il Crevenna avea disegnata, e di cui un figliuolino del Crevenna avea posta la prima pietra) e la più diffusa delle lingue moderne che parlava speditamente. La perdita intanto, a cui il Crevenna soggiacque d’ un capitale di 500,000 fiorini, obbli- gando il degno uomo a privarsi della maggior parte della sua libreria, che ne valea forse 150,000, diede al suo bibliotecario muova e ben grave occupazione. Era dubbio per alcuni s’ egli avesse molto coope- rato al catalogo che dicesi di vendita della libreria medesima. Or consta dalle sue lettere, ch’ei solo nel compilarlo fu cooperatore al Crevenna, ch'è quanto dire ne fu compilator principale. Come il catalogo si sti- ma assai ben fatto, certo ne viene al bibliotecario molto onore. Mol- tissimo gliene sarebbe venuto da quello dell’intera libreria, che avrebbe (si fata sinissent) dovuto publicarsi con discorsi proemiali, note criti- che , estratti di libri singolari ec. , ed oggi si annovererebbe forse fra l’opere bibliografiche più importanti. A Londra, o a meglio dire nella solitudine a lui gratissima d’Al- thorp , che lord Spencer prima di conoscerlo temeva potesse rie- scirgli men cara , ei si trovò a principio così occupato come il fu da ultimo in Amsterdam. La libreria di lord era stata accresciuta re- centemente di quella del conte Rewschi ministro dell’ imperadore a Londra , accrescimento non piccolo, se lord sì era obbligato per esso ad una pension vitalizia d’ 880 sterline. Il nuovo bibliotecario eb- be quindi ad ordinarla , il che fece con metodo enciclopedico as- sai preciso ( metodo , che non potè seguire nella libreria del Cre- venna, ma che poi tenne colla propria ) rendendoselo facile mer- cè d’una larga classe di supplemento alle varie in cui la divi- se. Fatto ciò che a farsi era più faticoso, ei potea forse trova- re bastante agio di scrivere. Ma in una gran libreria ei sentiva il suo bisogno di leggere divenire sempre più grande. E altre persone amavano pur di leggere e studiare con lui, la madre di lord peritis- sima di molte lingue , che il chiamava talvolta ad altra bella solitudi- ne, quella di S. Albano; una figliuolina ingegnosissima di lord medesi- mo ; e alfin la sposa non meno ingegnosa del suo primogenito lord Al- thorp. Fra tante e spesso deliziose letture ei non trovò il tempo che di compilare un catalogo semplicissimo della libreria. Di questo cata- logo io non so dire se siasi giovato il celebre Dibdin ( autore del Bi- bliographical Romance , del Bibliographical Decameron etc. ) per quello che poi pubblicò della libreria medesima , e che fra tutti i cataloghi ottiene oggi il primato. Ma parrebbe che sì , poichè il nostro Tommaso dolevasi talvolta , mi dice un amico , di non so quale oblio, in cui dal 153 celebre bibliografo era stato lasciato, doglianza che non posso crede- re senza motivo in uomo di tanta modestia e di tanto candore. Nel suo ozio erudito, se non pubblicò cose proprie, promosse verosimilmente la pubblicazione delle altrui , e fu largo a chi nel ri- chiese del frutto de’ proprii studi. Trovo per esempio nelle sue lettere ch’ ei promosse con istanze costanti la pubblicazione completa delle poesie di Luca Valenziano suo concittadino, e cercò egli medesimo quel che poteva aggiungersi alle notizie già date di quel poeta dal Tirabo- schi e dal Farsetti. In un proemio alla traduzione del Gil Blas, fatta e stampata in Londra dal Petroni, questi, mi dice un amico, il rin- grazia d’ alcune peregrine notizie intorno alle fonti disputate di quel romanzo sempre ammirabile. Chi fu largo del frutto de’ proprii studi non potè esser avaro dei doni della fortuna, o a meglio dire del prodotto de’ proprii impieghi ; e di ciò pure le sue lettere fan testimonianza, Quindì ciascuno indovi- na ch’egli ebbe il cuore aperto ai migliori affetti sociali. Talun dice ch’ei non l’ebbe al più tenero degli affetti, che da un filosofo de’nostri giorni, potrebbe aggiugnere chi ciò credesse, fu pur chiamato il più egoistico. Ma ci vieta di crederlo quell’istesso pudor delicato , che il buon Tommaso serbò sino all’ estremo della vita , e di cui si scherzava talvolta fra’suoi amici, che diceano di volerne spiegazione dallo Spur- zheim o dal Gall. Piace nelle sue lettere, anche in quelle dell’ età inoltrata, ritro- var vestigia frequenti degli affetti dell’ infanzia; una grata ricordanza di chi primo diresse i suoi studi; una partecipazion di compagno a’ primi studi altrui ( del nipote Albertino , che dagli studi filosotici, in cui già molto valeva , si volse ai militari e morì alla battaglia di Wa- gram ) ; un pensiero fin per quelli che forse lo aveano obliato. Piace pur di trovarvi una specie di culto pel suo Crevenna, eccellente , co- m’ ei dice, nella prosperità , ammirabile nelle disgrazie; pel suo lord Speucer , di cui gode ripetere il namque erut mihi semper Deus ; per tutti quelli che di lui meritarono in modo speciale. Se alcuni demeritarono, non avvi nelle sue lettere parola d’ama- rezza o d’ invettiva contro di loro. Ch’ egli credeva gli uomini in ge- nerale ‘‘ piuttosto deboli che cattivi ,,; e, ponendo se medesimo co’de- boli, quasi si persuadeva che l’istesso amor proprio lo obbligasse all’in- dulgenza. Se non che 1’ indulgenza non gli rendea meno sensibili le fe- rite che gli avveniva di ricevere. Quindi lodandosi dell’ ozio onorato , di cui godeva, e riguardandolo pure come una rara felicità, confessava d’ aver-l’ animo occupato da abituale tristezza. E ciò, ov’egli pur nol dicesse, argomenterebbesi facilmente da ceuto luoghi delle sue lettere, e forse da quegli stessi in cui pur appa- risce certa gaiezza. Ciò peraltro accade in pochissimi; poi ch'egli è in- clinato a veder gli uomini e le cose dal lato più serio, nè , per mo- strarsi arguto , vorrebbe mai finger di vederle altrimenti da quel che le vede. T.1I Giugrio. 20 154 E gli uomini e le cose, che passano a rassegna nelle sue lettere , sono in gran numero. I dotti con cui ebbe relazione fin dalla prima gioventù , il Manfredi juniore , p. e., e il Canterzani in Bologna; il Vario bizzarrissimo, lo Spallanzani eloquentissimo ; il Villa cortesissimo de’ professori in Pavia , ec. ec., tengono nelle prime lettere il primo luogo. Il secondo lo tengon gli altri, ch’ ei si avvenne per caso a ve- dere od udire , il Minzoni p. e. , il qual avea gran vanto fra i poeti e gli oratori, e predicava in Bologna: secondo la moda, contro il Voltaire e il Rousseau ; lo Scarpa , che prometteva di se un grande anatomico, e saliva per la prima volta la cattedra il primo giorno che il nostro Tommaso si trovava in Pavia , ec. Nelle lettere successive, coi dotti da lui conosciuti , il Runkenio già detto , 1’ Hemsterhuis, il Voeman , il Roscoe ec. ec.; con altri assai prossimi ai dotti (il Ceracchi, per esempio , perito a Parigi sì infelicemente , e in Amsterdam, ove non pensava che alle sue opere di scalpello , vissuto già sì lietamente) vengono in scena principi, diploma- tici, guerrieri , o già celebri o che il furon dappoi, e ch’ egli conobbe per lo più nelle visite da Ior fatte alle biblioteche a cui presedeva. Fra tante visite è naturale che qualcuna’ gli lasciasse una particolare im- pressione. Ma nessuna, sembra , gliela lasciò maggiore di quella del supposto principe d’Albany, che sì fece pur chiamare per qualche tem- po Pietro terzo di Russia, e del quale in più lettere ei narra la storia. . Ed è tanta l’inclinazion sua a narrar storia, che, mancandogliene altra occasione, la coglie da qualche libro novello, come fa epilogando le Memorie per servire alla storia de’Paesi Bassi, uscite colà nel 1786, e accolte , sembra , come pochi libri soglion essere accolti. Del resto l’ occasion di narrare quasi mai non gli mancò. In Bo- logna ei l’ ebbe delle contese del Senato colla Camera Apostolica per ragion di gabelle , contese nelle quali si riprodussero gli antichi pri- vilegi, le antiche convenzioni della città con Niccola, con Giulio, ec. ec. In Pavia l’ ebbe specialmente dalla visita dell’ imperadore all’ Univer- sità, dai detti memorabili da lui proferiti o a lui attribuiti in quell’occa- sione ec. Nella sua andata in Olanda l’ ebbe primieramente dal paese de’Grigioni, ove raccolse aneddoti relativi alla statistica morale del paese medesimo , poi dagli altri luoghi per lui pieni di novità ove pervenne. Nel primo viaggetto all’ Aja 1’ ebbe primieramente dalla fabbrica degli Ernutti che vide passando, poi da altre cose non poche e tutte nota- bili che vide o udì trattenendosi. Nel suo lungo soggiorno ad Amster- bam e poi all’Aja medesima ei 1’ ebbe da nuove e inusate relazioni dell’Olanda coll’Inghilterra, dai disegni dell’ imperadore sopra l’Olan- da, dalla rivocazione della rivocazione dell’editto di Nantes , cosa di non minor momexato per l'Olanda che per la Francia, dalla guerra dello stato d’Utrecht con quello d’Amersfoord, dalle gare continue della parte dello stathouder e di quella del popolo, ec. ec. A Londra e ad Althorp l’ebbe parimenti or dalle cose interne, come dalle elezioni disputate del 155 Fox e dell’ Hood, dalla causa dell’ Hardy e dell’ Horne Tooke ec.; or dalle esterne, come dalla rottura dell’ Inghilterra e della Spagna , dal contegno dell’Inghilterra colla Russia per rispetto alla Porta, dagli sforzi eroici e dalle sciagure della Pollonia , 1’ ultima delle quali , la scon- fitta e la prigionia del Kosciusko, parve, com’egli dice, agli Inglesi ca- lamità loro propria; dalla rivoluzion di Francia specialmente, applau- ditissima a principio nell’ Inghilterra , poi resa sospetta ( sicchè il fe- steggiarla costò al celebre Priestley il suo bel gabinetto e la sua casa dn Birmingham che gli fu arsa ) ; da tutte le conseguenze infine di si gran rivoluzione , ch’ei segue passo passo, e della quale giudica spesso come poi ne ha giudicato la storia. Nell’agitazione europea, che fu pur una di tali conseguenze , ei dovette indugiare il suo ritorno in Italia, a cui sempre inviava te- neri voti. Questo ritorno , quando alfine gli fu concesso , sarebbe sta- to per lui troppo lieto , se le persone più care , che già vi lasciò , tutte vi fosser state da lui ritrovate. Fu lieto nondimeno oltre ogui sua speranza, poichè vi trovò, più orinai non sperandolo, il:suo Igna- zio Molina (l’autore della Storia naturale e civile del Chili ) già da lui proposto al Crevenna come istitutore dei figli, e dal Crevenna tanto desiderato , che nelle offerte del suo vivo desiderio obliò facilmente i nuovi limiti delle sue facoltà. Quì il nostro Tommaso non tardò a circondarsi d’altri dotti amici, che godevano della sua conversazione e profittavano della sua biblioteca, ricca, quand’ ei giunse, di 5000 e più volumi, e ultimamente di più d’ 8000, sceltissimi tutti, e di gusto , dirò così, spenceriano. Fra essi ei passava, studiando, le dodici e le quattordici ore di ciascun giorno. Cominciava , mi si dice , ogni primo gennaio dal yy dieide deù. Ma chi sa dire quante letture avea fatte o rinnovate prima di giugnere ai trentun decembre? Della filosofia in particolare non so quanto egli ancora si dilettasse. Ma di tutto ciò che si riferiva alla storia dell’ umano intelletto egli era pur sempre vaghissimo. Una nuova ricerca, una nuova, scoperta , qualunque si fosse, eccitava tutta la sua attenzione, destava in lui la più viva curiosità. Poco innanzi al suo ritorno in Italia egli annuaziava in una sua lettera la prima delle tre spedizioni famose al polo settentrionale ; e aggiugneva con quella ingenuità che gli era or- dinaria e che fa credere a tutte le sue parole : altro non desidero che di viver tanto da saperne i risultati. Una sola frase di questo genere basta , parmi, per dipinger l’ uomo. Credesi comunemente ch’ egli , da alquanti anni, sì fosse in sin- golar maniera dedicato allo studio di quella che chiamasi controversia. E la libreria del Crevenna, ricchissima di libri ad essa appartenenti, come apparisce dal primo volume del suo catalogo, può avergliene dato il primo impulso. Quindi forse le sue conferenze coi dottori di varie comunioni , di che ci danno indizio anche le sue lettere. Io penso 156 però ch’ ei non trattasse la controversia che relativamente alla storia dell’ umano intelletto, o come parte di quel lungo esame, di cui parla l’iscrizione, e ch'egli estendeva ad ogni materia. Par verosimile ad ogni modo ch'egli , non potendo abbracciar tutta una storia che quasi non ha limiti, ne prendesse a scopo di studi speciali una parte. E sembra infatti ch’ ci meditasse da un pezzo una storia delle varie cre- denze religiose, opera abbastanza vasta per qualunque uomo, e della quale vuol taluno che avesse o apparecchiati o abbozzati più capi. Che s’egli, poco sodisfatto di se medesimo, distrusse i primi seritti di cui si è detto , può aver distrutto anche gli ultimi, sicchè il non trovarne vestigio nulla prova contro la loro esistenza anteriore. Solo fa meraviglia che sia sfuggito alla distruzione il poema che pur si è detto, e che a quest’ ora forse è nelle mani di lord Spencer , il quale , fra molti libri, di cui il testamento del suo bibliotecario gli lasciava la scelta, solo , come carissimo sopra gli altri , ha mostrato desiderarlo. Di ciò ne giova far ricordo quasi in risposta a ciò che da taluno si andava dicendo , e di cui il nostro Tommaso dolevasi nelle sue lettere, che la sua partenza da Londra non fosse stata senza diminuzione d’affetto fra lui e quel signore. Il quale , venuto anni sono a Firenze , rispose pure egli medesimo sin d’ allora a questa voce, visitandolo più volte nel piccolo albergo ov’egli abitava, e che divenne per lui albergo d’altri uomini dotti e assai rinomati. E uno di essi, non è gran tempo, ricordando meco le conversa- zioni che già avemmo con lui, non dubitava d’ asserire ch’ egli fu a’ nostri giorni l’uomo più erudito d’Italia. Altri, che pur bene il conobbero , si accordano a dire ch’ ei fu pur uno de’più assennati, e aggiungono che, ov’ altro non avesse lasciato , lasciò pur molto in quell’ esempio d’ imparziale sapienza di cui ]’ iscrizione il loda. Che se l’ imparziale sapienza lo condusse a sillogizzar talvolta invidiosi veri , ciascun rammenta come il sommo poeta in ciò appunto ripose la som- ma lode d’ uno de’ più grand’ uomini del suo tempo , quello che con splendida frase , poco per noi dissimile da un’ apoteosi, piacque a lui di chiamare Za gran luce di Sigieri. M. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ANTOLOGIA Giugno 183. GENIGRAFIA italiana, nuovo me- todo ‘di ‘scrivere quest’ idioma affinchè tiesca identicamente. leggibile in tutti gli altri del mondo, inventato e pub- blicato dal M. R. P. Fra Gio. Giu- seppe MarraJa di Lucca , Min. Oss. della Prov. di Toscana, predicator ge- nerale apostolico , ex missionario di Propaganda Fide nell’ America meri- dionale ec. consultore, teologo ed esami- natore sinodale. dell’arcivescovado del- la Plata, consultore del S. Uffizio del- l'Inquisizione del Perù , prof. pub. di matematica e ‘di teologia morale in quel Regno , ‘nella cui vastissima diocesi ha esercitato il suo ministero lo ‘spazio di 33 anni; il quale la de- dica a S. A. R. il Duca di Lucca. Lucca, 1831, Tip. Genigrafica 8.° volume di p. 154. GRITICA alla Gerusalemme libe- rata di Tasso; del Dottor AnTONI9 TeLLanI arcade. Bologna, 1831, Stam- peria delle Muse. Volumetto di pa- gine 70. DEL passaggio dei fluidi allo stato dei solidi organici , ossia formazione dei tessuti vegetabili ed animali dei vasi e del cuore. Del prof. Lurci Ro- LANDO ; 4.° con 14 tavole. Torino, 1830 , Stamperia Reale. ATLANTE geografico, fisico, sto- rico della Toscana , del Dott. ATTILIO Zucaacni-OrcanDINI. Firenze, 1831, Stamperia Granducale. (Tav. XVIII.* della Valle inferiore d'’Ombrone e delle valli minori ad esse adiacente). ISTORIA della letteratura greca profana, dalla sua origine sino alla presa di Costantinopoli fatta dai tur- chi, con un compendio istorico del traportamento della letteratura greca in occidente ; opera di F. ScHoELL, recata in italiano , per la prima volta con giunte ed osservazioni critiche da EmiLio TiraLno da Falena. Venezia, 1830, G. Antonielli. Vol. VI.° parte unica. T. II Giugno, ee == eezgtee _ —_ _m———————t — mu. °° FALCO DELLA RUPE ; o la Guerra di Musso. Racconto storico di GramBattIStA Bazzoni. Milano, 1831, A. F. Stella e F. Ed. terza. Volume unico di p. 360. L. 3. 25 it. SCELTA de’ migliori pensieri di PLATONE intorno la religione , la mo- rale e la politica. Milano, 1831, A. F. Stella e F. 8.° di p. 140. L. a. it. TOTIUS latinitatis Lexicon, con- silio et cura JAcosi FaccIOLATI, opera et studio Aecipir ForcELLINI semina- rii patavini alumni lucubratum in hac tertia editione auctum et emendatum a JoserHo FurLANETTO alumno ejusdem Seminarii. Pataoii, 1830, T'ypis Semi- narii. Tom. III. fasc. 13 in 4-° ( Po- lyrohizos-Punicus}). ETICA drammatica, ossia la acien- za dei costumi spiegata in drammi per l’ educazione di ambo i sessi , di Giu- Lio Genoino. Livorno, 1831, per Gl. Masi. Glauco Masi incoraggiato dalla. fa- vorevole accoglienza che quest’ opera ha ottenuta in tutta Italia , e dall’of- ferta fattagli dall’ ottimo Autore, suo amico ; di molti miglioramenti , e di due nuovi drammi intitolati: il Co- raggio , e la Temperanza nella prima edizione’ non pubblicati; ne offre al pubblico l’associazione , distribuita in otto volumetti, contenente. ciascuno due drammi ; del sesto, carta, € ca- ratteri simili al manifesto , ornati di un rame diligentemente inciso; al prez- zo di una lira fiorentina, pari a cente- simi 84 italiani, il volume. Le spese di dazj e trasporti sono a carico de’ signori Associati. E già pubblicato il primo volume e nella prossima settimana vedrà la lu- ce il secondo. Le associazioni si ricevono alla Li- breria di ‘Carlo Tesi e Comp. succes- sori, di Glauco Masi , e presso tutti i distributori del Manifesto. Livorno 1 Luglio 1831. 2I 158 JOANNIS MELI Carmina Sicula, latine reddita a VincenTIo RarmonDI M. D. plurium academiatum socio îtem interpetris ejusdem nonnulla carmina et inscriptiones, Editio altera emen- datur. Panormi, 1830, Pedone et Mu- ratori , in 12." GRAMMATICA teorico-pratica della lingua. italiana per istruzione della gioventù italiana; e per uso de” due pii stabilimenti «R. Albergo e S. ' Spirito ;,.edel : sacerdote Dieco Ganr,; precettore-di lingua latina ed. italiana nelle regie scuole Inormali ; di quella capitale , e direttore delle scuole nel- l’istituto delle proiezioni e del /R..Al- bergo de’ poveri. Palermo , 1830, R. Stamperia.: Volume! I.° GISMONDA 5 tragedia di un fio- rentino Firenze, 1831, Magheri, 8.° STORIA di.:Como scritta da Mav- rizio Monti professore nel Liceo dio- cesano della stessa; città. Como, 11829; G. Ostinelli\in 8. Vol: I. P. 116.2) e vol. (II, P. T. pig. XXVI. ‘è 560 e 450: TRATTATO di Pirotecnia milita re, comprendente tutti i fuochi arti- fiziali da guerra. Versione italiaria con riduzione 'deiî pesi e misure;, del, te= nente FerDIiNANDO Bronpr PerELLI in- caricato della direzione degli studi dei RR. cadetti d° artiglieria in Toscana. Livorno”, ‘1831:30G. Sardilin:8.% Nol. unico di p.}158 con:36 ‘tavole. = XII: della: Raccolta d’ opere Militari. » QRAZIONI funebri.:di i Bossuer:s con prefazioni e note storiche; criti+ che:;filòlogiche. rettoriche. — E ser- moni ‘per la professione della Vallierè, e' intorno ‘all’ unità della Chiesa. + Volyarizzamento. del, curato Piemro Monmi professore di-filologia latina nel liceo diveesano. Como, :1830,; Ostinelli. Volumi Il:'in 12:% prezzo lire 4:25. TRATTATO! di chimica di (J. J. BerzeLivs' tradotto a Parigi per A. J. G. JourDAN. sui manoscritti inediti» del- 12 autore j ‘e‘sull’ultima edizione. tede- sea!, recato in ‘italiano da. F: Dure. Venezia , 1830, dal premiato stabili» mento tipografico, caleografico:e Jibra- rio di G. Antonelli @ditore(8./ Tomo I.° P. ri in due. puntate di pi! 465 (Chimica minerale) prezzo lire 5. 185. it. L’opera sarà divisa in 4 tomi, ognuno de’ quali! contenente due parti, ed ogni parte sarà divisa in due pun- tate. di fogli 14. circa. E i ‘ ATTI della distribuzione de’premj d’ agricoltura e «’ industria fatti nel dì 4 ottobre 1830 onomastico di S. M I. R. A. da S. E. il sig. Conte di Har. tig. Governatore della Lombardia cen analogo discorso del sig. Abate dott. AnceLO CrsaRIs cav. di terza classe dell’I. e.R. ordine austriaco della; co- rona di ferro ,, primo, astronomo dell’I. e «R. osservatorio , direttore delle due classi dell’I. e, R. Istituto ec... Milano, 1831, I. e R. Stamperia in 8.° di pa- gine 76.0. EFFEMERIDI astronomiche di Mi- lano, per.l’anno/.1831' con. appendice di osservazioni e memorie astronomiche. Milano; 1830 ,.{. e..R. Stamperia 8° di p. r14.! lo! OPERE di G. G., WincKkELMANNM. Prima edizione italiana completa. Pra- to, 1831, Fr. Giachetti in. 8.° Tomo VIII. ed ultimo di p:.616colla dispen- sa XXII. e XXIII. delle tavole. ( FAMIGLIE celebri italiane 4, del Conre Lirra. Milano, 1831, Tip. di D.'G. Ferrario: Fascicolo XX.lin; f.° (Orseolo di. Venezial, e. Piccolomini già Pedeschini. di Siena). DELLA CALCOFILIA. Libri tre del idottor GiroLamo; Venanzio: Pa- dova; 1830. Tip. della Minerva in 8.°, di pag. 290. s%ì4 DELLE malattie della mente. ov. vero delle diverse \specie di follie) opera di Lurcr FERRARESE dottore di medicina e soeio di varie actademie , Nuapoli;1830; Tip. de Reali di Napoli in 8% Volume I.° Trattato della mania; letto. \nell* Accademia medico-chirur- gica di Napoli il 3. settembre 1828. ANNA ERIZZO tragedia di Giu- seppe Vepecue. Firenze ; 1830, Pip. Magheri 8.9 | al ELOGIO funebre del padre OrtA- vio G. Barr. Assarorti delle Scuule Pie., fondatore del. regio istituto dei : sordo-muti di Genova; con annotazioni e con documenti in appoggio della par- i te istoricà. Scritto dall’ abate MarTEO Marcacer/, sug allievo; è già diret- | tore e istitutore dell’ I. e R. Istituto de’ sordo-muti di Pisa. Livorno, 1831. G. Sardi 12° di p. 180. ICONOGRAFIA Gontemporanea , ovvero Gollezion ‘di Ritratti dei . più celebri personaggi d’ Italia, accompa- gnata da notizie biografiche , lettera- rie: e crononologiche — Ritratti dise- gnati dal. sig. P. Ermini, ed incisi dal sig. Fr. VenpraminI. inf. Firen- ze, 1831, Tip. di L. Pezzati. Fasci- colo VIII. (Pror. Gio. Barista Arci). PREDICHE del B. F. Grorpano da RrvaLto dette in Firenze nel 1303 e ora perla prima volta pubblicate. Firenze s 1831. \Magherîi, tomo II° in 44° «WDELLA FORTUNA delle parole. Libri due del cav. Giuseppe Manno. Membro della Reale Accademia delle scienze di Torino. Torino, 1831. G. Pomba. Tomi II in 16." : LIBRI.ITALIANI STAMPATI ALL’. ESTERO. L’ EUROPA. nel medio evo;'fatta italiana su l’ inglese di.‘Arrico. Har- Lam per M. Lroni. Lugano;, : 18311; Gi Ruggia.e C. Volume. IV. I} UN: GUARDO: alla Polonia, e alla Russia. nel 1831, durante la guerra, Lugano , 1831, Ruggia e C. NAPOLEONE a: Sì Elena; ovvero estratto; de’ Memoriulide’sigg: Las Ca- ses et.0°Mrana;:volgarizzato; con note originali che servono di confutazione alla storia. di Napoleone scritta’! da Walter Scott. Lugano, :1831, G. Rug- gia. e.'C. Tomo VII. ISTORIA della..Svizzera , pel po- polo svizzero di Enrico ZscHorKeE ; prima versione italiana eseguita sulla seconda edizione tedesca dell’originale. Lugano , 1830 , G. Ruggia e C. To- mo II ed ult." Francesco Lurcr Grassis allievo d’ Anprea THouvin al Museo di Sto- ria Naturale di Parigi , membro del- la Società Linneana , ec. al sig. Re- dattore della Gazzetta di Sicilia. Estratto della Gazzetta di Sicilia N. 52 Mercoledì 30 Giugno 1831. Ho l’onore di comunicarvi qui an- nessa la prefazione della statistica ve- | 159 getabile di Parigi, ch’ io ho composto sotto .il 43 di lat. Nord, e che ho l’ intenzione. di pubblicare fra ‘poco; come i quadri. che. Flora e Pomonu mi. hanno offerto a Palermo sotto il 38 di lad.merid. otel. ollaaztattot olo allatta otielortà (aflglo ila vaio Fondato su di tali autuorità ho con- cepito .il piano dell’opera che presen to al Pubblico. Come il soggetto: che ho trattato é una vera innovazione ; come vorrei renderlo un’ utilità gene> rale ; e. che la mia intenzione è d’ispi- rare il desiderio a tutti i naturalisti de’:due emisferi. di eseguire. pe? loro climi ciò che. ho eseguito. per. quello di Parigi; ho dovuto fondare, il.mio piano: sopra una idea vasta ; e sempli- ce ; e mi sono arrestato a quella del= l’influena favorevole dell’insieme nel- lo ‘studio. In effetto se si considerano ‘con me !e difficoltà senza numero >cheigli al- lievi incontrano nello ‘studio delle scienze, si .converrà. che.bisogna so- pratutto. attribuirle al. disordine iche regna nelle opere elementari di! Bota- nica. Questa scienza per piacevole: che sia non! lascia di essere spinosissima, perchè non si è ancor saputo presen+ | tarne glivelementi in una maniera chia- ra'e precisa. Questo è uno scopo:che sarebbe intanto facilissimo; divconse- guire, ed.al quale non si perverrà: che riunendo tutte le specie analoghe , se- parando le piante legnose dalle piante erbacee) come facea Tourneforty'per- chè quieste masse. così. composte me- todicamente ilianno 1° influenza la piu favorevole sulla memoria, e 1’ intel- ligenza.» Ma come la mia opera è fon- data sull’ influenza dell’ insieme pro- verà, spero, meglio, di quello che io potrei far quì con ragionamenti, quanto questio metodo è vantaggioso. pell’ in- segnamento. Secondo un piano così semplice nel quale ho avuto cura di evitare i difetti di quasi tutte le opere moderne che non compariscono seritte che pei savi , poichè vi si trova l’ epoca della fiorazione d’ una pianta, che dopo essere stato obbligato di leggerne l’isto- ria intiera, mi lusingo che gli agri- coltori ne troveranno qualche frutto perchè senza ricerche e senza fatica troveranno all’ apertura del mio libro l’epoca della fiorazione , e della frut- tificazione di tutti i vegetabili, che converrà loro di coltivare sulle 8000 specie che si hanno oggi. Per la medesima ragione quest’ope- 100 ra interesserà ai giardinieri fioristi, ed essa mon sarà inutile ai pittori che non si vedranno più riunire in un mede- simo vaso fiori che non apparten- gono punto alla stessa stagione. Gli Architetti di giardino medesimi vi troveranno delle. utili istruzioni sui ‘rapporti che devono esistere fra i ve- getabili piantati nei boschetti, e nei giardini. Oso credere così che con que- sto.libro in mano gli allievi di medi- cina, farmacia, e di botanica osser- veranno con maggior piacere e frutto la scuala di botanica. Essi non saranno più obbligati di percorrere inutilmente per ore intiere tutta l’ estensione di questo giardino per ivi trovare la pian- ta di cui essi vogliono conoscere i fiori che sono l’ oggetto speciale del loro studio , perchè se mai questa pianta non s’ incontra punto ne’ miei quadri all’ epoca della sua fiorazione e della sua fvruttificazione , la cercherebbero invano ; mentre che se essa vi fosse al contrario , essi la troverebbero facil- mente nel seno di sua famiglia; Il mio travaglio non sarà ne’ anche inutile per i fabbricanti di fiori artificiali , co- me anche pei tintori; e i fabbricanti di tappeti. L’ opera è divisa in tre parti: la prima. presenta la statistica vegetale delle 8000 piante coltivate sotto il cie- lo di. Parigi, classificate secondo il metodo delle famiglie naturali di cia- scun mese e a ciascuna coltura del- l’anno. col nome volgare e botanico insieme di ciascun individuo , la sua patria, la sua durata; la sua altezza e il.suo effetto nella prospettiva. ‘Alla testa di ciascun mese e di cia- scuna cultura ho indicato lo stato della temperatura dell’ aria libera e delle stufe sotto il 48 gr. di lat. nord ed il 20 di long. In questa parte ho piazzato nello stesso mese tutte. le piante che ivi fioriscono e fruttificano. Sotto questo rapporto ho diviso il cer- chio che Flora percorre sotto il clima di Parigi in due grandi epoche alle quali ne fò succedere una terza . che è il regno di Pomona. La prima che chiamo il sonno di Flora , comprende i mesi di dicem- bre, gennaio, febbraio, marzo. La seconda che chiamo il regno di Flora e di Cerere comprende aprile; maggio, giugno, luglio, ed agosto. La terza che è il regno di Pomona comprende i mesi di settembre , ot- tobre , e novembre. La seconda . parte. di quest’ opera offre le qualità di vegetabili nelle arti, e nell’ economia rurale , ivi si rimar- cano principalmente soprattutto le va- rietà tutte degli alberi fruttiferi, come anche tutti i cereali, e foraggi fore. stieri recentemente introdotti in Fran- cia. La terza fa conoscere i diversi modi di cultura, di mnaturalizzazione , di moltiplicazione , i fenomeni vegetabili e le ‘esperienze che si fanno sui fiori. Sotto il rapporto della loro durata, ed altezza ho diviso i vegetabili in colocarpia che vuol dire pianta le- gnosa ; in \rizucarpia che vuol dire pianta vivace , ed in monocarpia che vuol dir pianta annuale, o bisannuale , ed ho determinato colle cifre 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. ed 8. l’ altezza approssi- mativa de’ vegetabili calcolata. sulla scala progressiva di A. Thouin. La Società linneana di ‘Parigi ha reso conto di. questa opera prima della mia partenza da quella capitale nei suoi annali. Il manoscritto formerà paginef?500 circa ‘in 8.° con figure dipinte da mia moglie , rappresentanti Flora , Gerere, e Pomona. 161 INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL VOLUME XLII” Se Screnze Monari E PoLrricÙe. Mitica guida dei viaggiatori in Italia; ed. Artarìia di Milano (K. X. Y.) A. Pag. Saggio di un trattato teorico pratico sul sistema livellare, dell’ Av. Gir. Poggi (A. A. Paolini) ,, Histoire de Frederic le grand, par Camille Paganel (G. Pi) Brougham ed altri personaggi illustri d’Inghilterra (A. Z.) ,, Brougham. Riforme legislative ‘in Inghilterra. Progetto di un sistema più economico nelle trattative e decisioni delle cause di piccol merito (T. Tonelli) B. Notizie sul sistema del diritto penale, del prof. Hube di Varsavia (D. Zaidler) ,, Del Cousinismo o sia della scuola filosofica del professor Cousin. Art. I. (G. Ricci) ,, DI II. EL, c. Guida per la città di Firenze (L.) B. Delle Colonie dei genovesi in Galata. Libri VI. del cav. Lod. Sauli. (RITI, Saggio filosofico di giurisprudenza , di Annibal Giordano (Celso Marzucchi) ,, Riflessioni sulla decadenza delle scienze in Inghilterra, e ‘sopra alcune cause della medesima, per Carlo Babbage (Romagnosi e Biot) ,, Degli statuti novaresi, Commentarii dell’avvocato Giacomo Giovannelli (F. Forti) ,; Opere di Francesco Gambini, astigiano di ni Il diritto privato naturale di Francesco Nobile di Zeiller (G. Ricci) ,, Viaggio per diverse parti d’Italia, Francia, Svizzera, ec. del cav. Tenore (GP x | Grocnraria , STATISTICA è Vracci SCIENTIFICI. Sulla scoperta dell’ imboccatura del Niger, o Nilo de’ Ne- grì. (I. Graberg) A. Pag. Idem (G. P.) B. 23 3) 4) 3) 23 103 107 115 120 152 161 102 Discorso del prof. P. Inghirami sulla geografia della To- scana. — Carta geometrica della Toscana, del P. Inghi- rami. — Atlante della Toscana, del sig. Zuccagni Orlan- dini. — Carta generale della Toscana del sig. Segato. — Manifesto di un Dizionario geografico della Toscana, del sig. E. Repetti. (GOPVY 4 LertERATURA è FiLotoora , ec. Canti del conte Giacomo Leopardi (M.) A. Pag. Lettera quinta intorno a’codici del March. Luigi Tempi ,, 33 » Elogio di Paolo Bongiovanni , e di Luigi Caccialupa (X.),, Congiura de’ Pazzi, del Poliziano , volg. di G. I. M. (A. dik.) fueg Il primo libro del trattato delle perfette proporzioni nel» l’ arte del disegno , di Vincenzo Danti 39.39.35 I fanciulli, novellette di G. Blanchard sat oi Prediche del B. F. Giordano da Rivalto 39.39 4 Lettera al. Dir. dell’ Antologia (C. S. Ciampi) ,; » Reclamo (G. Al. Paravia) FISM Intorno a’ principii dell’ arte etimologica , per servire al vacabolario universale italiano. Discorso di G. Borelli (Kt) BRO Corso di letteratura francese del Villemain (WD PE 33 ei 23 23 C. ba) Catalogo della Biblioteca del Conte Boutourlin si Saggi poetici di Felice Bisazza DERELIEO) Di Aldo Manucci F. di Paolo N. di Aldo, scritti due rarissimi CIMBRI ST Della vita e del comporre di Benedetto Marcello RR Notizie biografiche del cav. Graberg abi Lettere famigliari di Giuseppe Baretti (Lia Notizie di alcuni nuovi diplomi imperiali, del prof. Cost. Gazzera (P. Capei) G. ,, Romeo e Giulietta, tragedia di G. Shakspeare , trad. dal sig. Barbieri ieedisiti Il Decamerone di Messer Giovanni Boccaccio; ed. Passigli Borghi e C. (M.) 33 3A Teatro tragico italiano, volume II. della Bib. del viaggia- tore. Ed. Passigli Borghi e C(. Basi Guerra di Fiandra descritta dal cav. Bentivoglio, ed. Masi di Livorno (M.) C. Pag. Alerame, o sia l’origine dei Malaspina, leggenda in ottava rima di D. L. Pucci 0 Prospetto sinottico grammaticale della lingua francese , di Ag. Le Randu DI (33 2) 68 149 150 ISI 152 152 155 108 III 117 II17 118 rIQ 120 103 Bere Artt: Regolamento d’ istituzione proposta al comunal consiglio dall’Accademia provinciale delle Belle Arti di Ravenna (Al. Cappi) A. Pag. Ritratto di Beatrice Portinari, scoperta da M. Missirini ,, 3) _ ,» Sopra un dipinto a olio di Vincenzo da S. Gemignano (Cl. Santi) ,, Della Calcografia ossia dell’Arte d’ incidere. Ragionamento di Giuseppe Longhi (C. L. Cicognara) B. Versione tedesca della storia pittorica dell’Italia, del Lanzi (G. Reymont) ,, , Sull’unità del soggetto del quadro della trasfigurazione di Raffaello (M. Missirini) C. ,, ARCHEOLOGIA. 29 bb) Etrusco Museo chiusino (X.) B. Pag. Scienze Narurati , Fisicne, e MATEMATICHE. Lettera al sig. E. Repetti sopra alcune osservazioni fatte nei vulcani spenti del Lazio , al gran Sasso d’Italia, nei contorni di Napoli, e sull’ Etna in Sicilia (Prof. Hoffmann) A. Pag. Trattato della sfera armillare del Can. G. Bianchi (34, Manuale di fisica e di letteratura di Jul. Fontenelle Storia naturale del Buffon. Ediz. del Batelli #5 Fisica e chimica. Bull. Sc. Aprile 1831 (G. G.) 55 5 Giugno 1831 ERIo, Esame dei fenomeni presentati dall’azione del calore sul- l’acetato neutro di piombo, e dei prodotti che se ne 23 A329: 23 29 25 bb) 23 svolgono (Carlo Matteucci) ,, ,, Descrizione del terremoto avvenuto nella provincia di San Remo nel maggio 1831 (Alberto Nota) B. ,, Cenni sulle variazioni cui vanno soggette le farfalle del gruppo Maelitea (C. L. Bonaparte) ,, ,, Atti dell’Accademia Gioenia di Scienze naturali di Catania (E Re. *g Sulla sostanza nutritiva che contengono le ossa, ec. del Conte Folchino Schizzi (C. R.) G. Pag. Il Regno Animale, o raccolta delle migliori opere zoologiche (MN Mostruosità (Gi) >» Di alcuni nuovi mezzi di stampa iui: Vulcano sotto-marino. Società SCIENTIFICHE. R. Accademia delle Scienze di Torino GC. Pag. 13I 134 135 117 162 114 153 30 r1O III 113 139 128 145 143 157 75 113 119 133 134 137 138 164 Scienze Mepicue. Sull’ impiego del cotone cardato per le medicature delle piaghe (Dott. Peschier) A. Pag. 148 NecnoLoGIA. Giovanni Molina (R. T.) A. Pag. 156 Cav. G. Giacomo Trivulzio (G. Zannoni) ,, ,, 158 Prof. Luigi Rolando (**) 3 > 161 Livio Pezzella (DM). cod 103 Cav. Girolamo Scaccia (L. Lapi) B. ,, 164 Conte Girolamo di Velo (G. Capponi) ,, ,, 167 Conte Cav. G. B. Baldelli Boni (P. Capei) G. ,, 138 Tommaso De Ocheda (M.) 333 147 BuLLerTINo BasLiocrarico. Aprile 1831 A. Pag. 166 Maggio B. ,, 173 Giugno G. ,, 157 Riti condo SLM TIA VR RARA gl it Correzioni al Numero antecedente. Pagina Linea Errore Correzione 117 2 pretensione preterizio ne 118 18 brandir blandir DS, 22 ambizioni ambizione 119 5 invasione inversione 120 II presero porsero D3 22 compresi compressi 123 40 sentire servire 124 9 Ottly Ottley 126 20 Zami Zani 3 » Hubner Huber 2) 22, contesa conteso 127 4 . cimelici cimelii 128 4 questi queste 1}: te) singolari singoli 5» 24 ferino fermo 131 2 Bencini Bernini 132 Is Gerardone Gerard Dow ”» 17 Van Heussen Van Uyssum È 33 soggetti soggette ” 39 Brugn Bruyn » 4a da dà 134 45 Audrau Audran 136 27 tende la tende per la Ove , parlandosi del catalogo della libreria del Conte di Bouturlin, st dice, per isbaglio , ch'è stampato all’Iusegna di Dante , leggasi all’ Insegna de’ Quattro Poeti. | OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello del mare picdi 205. GIUGNO 1831. Di Termom pi » > Las L 3 may ti MISA) MCR AO o| Ora =) th bag) BI (08 = AI LI Stato del cielo 5 O) © bi o e irrpno 5 S e; Da] s 8 E E; o|ls|o 7? a Î ] 7 mat. |27. 11,6 | 17,8] 16,0) 8: :Sciroc. | Nuvolo ser. Calma 1| mezzog. |27. 10,9 | 18,3| 18,8! 81 Maestr. Nuvolo Ventic Irsera [27. 10,5 | 18,8 16,1] 84 Libec. 'Sereno con n. Ventic, Os. Li. |Nuvolo ser. Ventic. Sc. Le, |Nuvolo Vento Os. Li. |Nuvolo ser. Ventic. 7 mat. |27. 10,4 | 18,7| 16,0] 83 2| mezzog. |27. 10,0 | 18,5| 17,0] 90 | 0,12 II sera |27. 9,9 | 18,4] 14,3| 91 | 0,04 fe 7 mat. |27. 10,0 | 18,0] 14,2] 94 — |Os. Li. |Nuvolo ser. Ventic. 3| mezzog. |27. 9,9 | 17,8| 18,1] 53 Tram. |Nuvolo ser. Ventic. 11 sera |27. 11,0 | 17,8: 14,5] 68 Levan. {Nuvolo Calma 7 mat. |27. 11,4 | 17,0] 14,8| 70 Gr. Tr. |Nuvolo ser. "Vento 4| mezzog. |27. 11,5 | 17,9] 18,1] 47 Tram. |Nuvolo Ventic. 11 sera {28. 0,3 | 17,3] 14,2] 68 Tram. |Sereno nuv. Ventic. ti 7 mat 28. 0,3 17,0] 14,5) 75 Tram. |Sereno rag. Ventic. 5| mezzog. [28. 0,6 | 17,2! 19,0] 4ò Po. Li. {Sereno nuv. Calma _l_1t sera 28. 0,5 | 18,» | 14,9] 87 Ostro |Sereno Calma ‘7 mat. {28. 0,3 | 17,8] 13,8| 91 Sciroc. |Nuvolo neb. Calma 6} mezzog. |27. 11,2 | 17,6] 16,9] 71 | o,o2|Sciroc. [Nuvoloso Calma ‘| 1° sera |27. 10,1 | 17,2 13,5] 95 | 0,07|Levant»|Navolo Calma + i Ac pil A Pei RE AE 7 mat. |27. 8,5 | 17,01 153,6] 78 Ostro |Nuvolo Ventic. 7| mezzog. |27. 8,2 | 16,9) 17,5] 58 | 0,03[Gr. Tr. [Nuvoloso Ventic. ri sera |27. 9 9,4 ! 16,31 11,2] 88 | 0,21]Sc. Le. Ser. con neb. Calma [e-] Terimon. ul mu > 2 a rn dii Sa = o 5 cag 3 Ora 5 5 1.® dg 2 s E E Stato del cielo 5 to) (o) (o) o ui ) S) ERE) LEAVE E ° SI (SÌ ° i 2 | 7 mat. |27. 10,3 | 15 al 12,01 82 Sc. Le. Sereno Calma 8| mezzog. 27. 10,3 | 15,8] 17,8] 64 Libec. Nuvoloso Ventic. | RE sera 27 AL bor 11,0 158 12,0! 80 | Libec. | Ser. rag. Ventic. 7 mat. [28. 0,0. 15,8 12,5| 84 | |Sciroc. |Ser. rag. Ventic. 9| mezzog.|28. o,1 | 16,1] 17,5] 63 Maestr. |Ser. con nuv. Ventic. tt sera ‘28. 0,7 | 17,4| 14,9] 70 | Libec. |Sereno Calma 7 mat. = 4,0 | 16,8| 15,0) 85 Sciroc, |Nuvoloso Ventic. ro. mezzag. 1,0 | 17,2] 18,81 6: Pon. M.|Nuvoloso Ventic. di sera » 1,0 | 17,7 dn 88 Libec. |Nuvolo Ventic. i 7 mat. (28. 1,3 | 17,4 14,0 Sciroc. |Nnvolo Ventic. II mezzog. 148. 1,5 17,61 18, S| 5 Ponen. |Nnvolo Ventic. trsera 28. 1,5 | 17,6 15,1] Da Os. Sc.|Sereno neb. Calma 7mat. |28. 1,5 | 17,3/ 15 8j 88 Os. Sc. [Sereno neb. Calma 12 mezzog. 28. 1,6 | 18,9| 20,8 59 Ponen. |Ser. con nnv. Ventic. vr sera 28. 1,7 18, lo 16, 0; 90 Sciroc, |Nuvolo ser. Calma 7m: nat. 128. 1,6 18,8 16,9 85 Sciroc. |Nuvolo neb. Calma r3 mezzog. |28. 1,5 sot 20,6] 63 Maestr. |Nayvoloso Ventic, _| ti sera |28. rr | 128. nt | 19,3] 17,0] 76 Libec. |Sereno Calma | Di 7 mat. |a8R_alividios 1.1 195 17,0) 34 Sciroc. |Sereno rag. Calma 14 mezzos. 128. 1,1 | 19;8| 22;0| 56 "Pram. Nuvoloso Ventic. | xt sera 128. 19. 20,3| 17,0] 62 Sc. Le. | Sereno Calma. È 7 mat. {28. 2,3. 20,2| 17,8 65 Sc. Le. | Sereno Calma 15 mezzog.[28. (2,0 | 20,3) 22,11 42 Po. Ma. | Sereno Galma 11 sera 128. -2,4 | 21,3] 18,0! 72 | 'Sc. Le. |Sereno Calma | | 7 mat. 128. 24 | 20,3 17,2} 75 Sciroc. |Sereno Ventic. | 16. mezzog.128. 2,0 | 21,0 22,3 s2 P. Lib. |Sereno Ventic. || va 11 sera |28. o | ZI; 8 18,0 8a P. Lib. ISereno neb. Calma | \ 7 mat. |28. 1,3 21,3 18,6] 72° Sciroc. |Ser. con neb, . Calma 17: mezzog.128. 0.9 | 21,3! 21,3 57 iP. Lib. iuolosg Vento ia | Pi t ww'sera |28. 25: 21,2' 17,5! 85 | Bcirari iSereno Calma [lf pei | 7 mat. 28. 2,9 | 20,6| 17,9) 83 | Sciroc. |Sereno rag. Ventic. 18| mezzog.j28. 2,8 | 20,6 21,7] 4 Levan. |Ser. con nuv» . Ventic. | rr sera 125. 3,1 | 25,2 18,6 44 Gr. Tr. |Sereno Calma 7 mat. 128. 3,1 20,8 ET) 44 | Sc. Le. {Sereno Calma 19 mezzog. 28. 2,5 | 20,9] 22,0. 35 \Gr. Tr. ‘Sereno Calma | 1» sera 28. 2,4 21.6) 18,3 51 | Gr. Tr. Sereno Calma | (2°) Lermotti. e) n P O 3 sy ti È e A E S| Ora 8 cdi 3 [SS 38 3 CAI IO MIR i dado LA 7 mat. |28. 2,5 (AE 17,0| 65 Sc. Le. 20\mezzog. |28. 1,7 | 21,1! 22,3] 41 Sciroc. fieri sera 28. 2,0 | 22 23,0] 18,2 62 Sciroc. 7 mat. 28, 2,0 | 21 215 19,0 "68 | |Sciroc. 21|mezzog. |28 1,4 21,7| 23,3] 45 Po. M. 11 sera |28. 1,9 | 22,4! 19,3] 76 Libec, 7 mat. [28. 2,1 | 22,0! 18,2] 89] | | 22|mezzog. |28. 1,7 | 219 23,0] 45 Libec. __|_1t sera 28. 2,6 | 22 224 18 18,8 ‘87: __|Ostro 7 mat. [28 2,6 | 22,0] 20,3] 82 Ostro 23|mezzog. |28. 2,4 22,0] 23,5) 62 i Libec. 11 sera |28. 1,9 22,41 18 18 sa 80 ‘Libec. 7 mat. |28. 1,6 | 21,8 11,8] 18,0 58 | |Sciroc. | Se 24|mezzog. |28. 0,5 | 21.7| 229| 54 Libec. _|_11 sera (28. 0,6 | 21, Ù 181) 78 Maestr. 7 mat. 128. 0,0 | 21,5! 18, 8.9| 7 — |Sciroc. perse: 27. 10,4 | 21 8 23,9! 33 P. Lib. 11 sera 27. 10,3 | 22.1' 19,61 76 | Libec. 7 mat. |27. 9,6 | 21,8. 18 ol 85 | |Sciroc. 26|mezzog. |27. 9,5 | 21,3) 20,0: 55 Os. Li. _| tt sera [27. 9,7 | 20,8 17,9 75. Os. Li. 7 mat. |27. 10,1 19,81 15,218 82 | 0,28 Sc. Le. 27|mezzog. |27. 11,4 1955| 17,8| 60 | P. Lib rt sera |28. 1,0 | 19,6 15.9 85 Libec. 7 mat. |28. 1,5 | 19,0 {16,0 79 Sciroc. 20 mezzog: |28. 1,1 | 19,0] 20,6 , Os. Li. | 11 sera |28. 1,2 | 19,9] 17,6 Wil Libec. g mat. |28. 0,9 | 19,8 19,1| 83 83 | |Libec. ag! mezzog.|28. 0,7 | 19,9] 19, o| 74 Os. Sc. I 11 sera |27. 11,6 | 20,0] 18,0! gt | 0,05 7 mat. [27. t1,46 | 19,6] 17,0] Bi Sciroc. 30| mezzog. |27- 1130 | 19,7] 20,6| 56 Libeé. 1; sera |27. 11;8 | 2030 Lio 80 Libec. Lei rocce TT r—r——_r_r rr) sf [ Stato del cielo Sereno Ser rag. Ser rag. Sereno Ser. con nuv. Sereno Sciroc. |Nuvolo neb. Ser. con nuvy Sereno neb. Nuvolo neb. Ser. con nuv. Ser. con neb. Sereno nuv. Ser. con puv. Ser. con neb. Sereno rag. Nuvoloso Nuvolo ser. Nuvolo ser. Nuvolo Nuvolo Nuvolo Sereno Sereno Sereno Sereno Sereno nuy. Nuvolo Nuvolo P. Lib.|Piovoso {Sereno con neb. Calma Nuvoloso Ser. con nuv. Ventic. Calma Calma Calma Calma Calma Calma Venite. Calma ' Calma Ventic. Calma Calma Ventic. Calma —— Gafma Ventic. - Calma Calma Vento Ventic. Calma Ventic. Calma Calma Ventic. Ventic. Calma Ventic, Ventic. Vento Ventic. e aa PIER AI 1 aprano © ludico : ‘Per la Toscana a Lire 36 toscane per 1 anno È per tatto il Regno i Lombardo Veneto franchi 36. eil Regno Sardo \. per il Ducato di Parma; — franchi 36. - per Romae sue adiacenze, — scudi 8. | per l’ Estero , — franchi 36, o franchi 52. de Lei V; G. - L’Anino 1830. - «per Bologna e intta la Romagna , — franchi 36, "quasi esaurita) non si può rilasciare a meno di | Un Fascicolo sgiolto quando sia adlopasile Ir. Prezzo D’ ASSOCIAZIONE da pogarsi anticipatamente. | franco di porto perla posta franco di porto per la posta franco alle frontiere per la posta franco di porto per la posta franco alle frontiere franco Torino o Milano franco Parigi per la posta È L'intera collezione dei 10 anni, 1821-1830 N.° 1 a 120, in 40 volumi broché L. 300 . Gli anni separati dal 1821 al gti , quaba esistano ; ciascuno: ©», 24 3» 30 3 DELLE MATERIE NEL PRESENTE QUADERNO. . NI Dar caloofa dei Genovesi in Galata. DIES VI di Lodevica; -Sauli. (K. X. Y.) Pag. Saggio ftobdbca diggiurisprudenza di &oihate Giordano (E. Marzucchi) ‘ ;; Riflessioni sulla decadenza delle scienze in Inghilterra, .di Carlo Bab- .. bage ; Art. del prof. Romagnosi, e del sig. Biot -.. (F. Forti) Pe Del Consinismo, o sia della senile filosofica del sig, Count: Att e (GC. Riccî) ,; 64) Lecons de litterature francaise, par M. Villeimaie: Continnazione. (M.) RivisrA LETTERARIA. Giovanetti. Degli statuti novaresi. Opere CIT È p..107. «= Gazzera, Notizie di alcuni muovi diplomi imperia p. 108. — Barbieri. Trad. di Romeo e Giulietta , p. 111. chino Schizzi. Sulla sostanza nutritiva che contengono le ZE p. 113.— Sull’ unità del soggetto del quadro della Trasfigura- zione di Raffaello, p. 114. + D. Zeiller. Il diritto ‘pfivato. naturale, p. 115. — Passigli; Borghi e C.. Nuova ed. del De- —camerone ; e Teatro trigico italiano , p. 117. — ‘Bentivoglio. Guerré di Fiandra ,.ed. Masi, p. 118. — D. $. Pucci. Alera-. ine , leggenda in ottava rima, p. 119. = Locatelli. Raccolta - di Opere zooloziche, p. 119. —. Le Randu. Prospetto sinottico grammaticale della lingua francese , p. 120, = Tenore: Viaggio, © | - pi 121. - 3 107 BuLLerrino screntIFICO-LETTERARIO. 2 Fisica e chimica, p. 126. — Storia naturale, p. 133: + Di salcuni nuovi mezzi di stampa , p- 134. — Vulcano sottomarino , p. 137. — R. Accademia delle i Se di Torino , p. 138. ‘099 NecroLocia. Conte Gio. Batt. Baldelli Boni (P. Capei) »» Tommaso De Ocheda se (M.) 3° Bullettino bibliografico. ° E, ” Tavole meteorologiche. » I diga net 4 ; Li a! O (O [ (a_i a % Pra “» * DA i » 4 aid pla CAPRA Ai da hg ug “ ì t” i uti Ro RE Mt LA . &_ 0 o. Pi 2 La a i ta PA ee A n» O dr l #% Pai get i x ed in ‘® Ve,» ud. Ca o; 1 È — 4 NAST DIL IRE 1° ate A ; er ae ida Pi; ite lesi % Ca) x î 9) lo te < CA a < i d a _ * vr P& e” x ta dl i AL “cd è dor È È Y pr È de î °° “#0 ei Fatevi. ‘% e Lidi i { eta 4 i 4 si AI dk - e la IC A = ; NSOE MS A, R È , i I, 00%. ey sw sita ale Lal ° - P È sr 7 a