ms : » a vali > * =, n° ». UP i REA e, a o» * n $ ve © sce * Gionmane I | DI SEA / E, LETTERE E ARTI Ae è Det pi o at di SD Okchie, I E | . i P. VIEUSSEUX * Dirzrrors e Eprrora CI S È - ner] a » “TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. . Ne, sù sd I Ein ANTOLOGIA sì pubblico e se mese per. fascicolo non minore di fogli 10, n NE; Tre fascicoli compongono un volume, di: SUE voluine è accompagiiato. dal ì ‘_ indice generale delle pialeries Le VESTE AP HO La Ù lt x ; Le associazioni si. prendono , Rao i de In Firenze, dal Direttore Editore G. P. Pieussenz. CRA in MILANO , per tutto il regno 7-dalla Spedizione delle Gazzette, # E Lombardo Veneto € presso /’I. e R. Direz. delle Poste, ; Ma È dei iù ToRINO £ per:tatti li Stati Sardi, presso IRE: nea: Croletti, impiegato relle oGENOVA LT © IDRO + Poste di Torino: % in MODENA | i “presso Gere Vincenti eco libr in PARMA |. presso il sig. Derviè direttore delle Ponti; . “in AAONA, per tutto lo stato digita. il sig: Pietro Capobianchi, impiegato i nell’amministraz. gen. delle Poste Pontif GI y in BoLocnA, € presso il sig. ‘Direttore. delle Poste. in Pesaro, i presso Annesio Nobili. | in NAPOLI, | presso Ambrogio Piccaluga , Strada S. Liborio N. 3 I in PALERMO » per tutta la Sicilia | o: ‘presso il sg. Carlo Beuf. in AUGUSTA | ‘presso la Direzione delle Gazzette. | in VIENNA, per tutto |’ Impero Adatiineg i dalla Spedizione delle Gazzette , LAI presso II. è R. Direzione delle te ‘Pogte in GINEVRA presso J.J: Paschoud. ato HE in PARIGI | presso J. Renouard Rue de Toisiioni N. i in LONDRA i presso C.F. Molini N.41 ilegia Row - ANTOLOGIA — Milano — 1829 — Settembre . TIPOGRAFIA. DI GIO. SILVESTRI mn PROSA ED IN VERSI » #6 DEL MARCHESE ) IPPOLITO PINDEMONTE i DI VERONA PRIMA EDIZIONE COMPIUTA In 16. gP.; carta sopraffina levigata , la quale fa parte della BisLioTEcA SCELTA di Opere Italiane Antiche e Moderne. bi mezzo di ristorare alquanto le perdite , che con la morte de’ suoi Letterati ha fatto, e va facendo la Italia , si è raccoglier le Opere che ci lasciarono, così a fine di perpetuarne e dilatarne la fama , come di rimirare in esse, quasi fossero vivi gli Autori, le qualità ‘ della lor mente, della immaginazione, del cuore: e ciò si aspetta a chi esercita l’ Arte , che opera tanto bene in loro servigio, vale dire la Ti. pografia. Che se io fui prevenuto nel prestar compiutamente questo ufficio ad altre celebri moderne penne; di prestarlo ad Ippolito Pin- demonte, che testè cessato abbiamo di possedere, < —* MUCCCXKKXL TI son contentissimo; e spero che alle anime più gentili, di più nobil indole, e di gusto nelle lettere dilicato e squisito , verrà piacevole il mio disegno. Di fatto, a comun giudizio , di gran merito sono generalmente i suoi scritti: gravi, dotte, erudite, ben ragionate le Prose; attemperati ai varj soggetti e stili i suoi Versi ; e pura sem» pre la lingua, eleganti i modi, e, ch'è più, spiranti virtù e religione i concetti. Fu il Pin- demonte uno de’ primi primi a surrogar ragio» nevoli componimenti campestri alle inverisimili cantilene degl’ immaginarj pastori. Egli argo- menti del tutto nuovi pose sulla sua lira , o inspirato dalla presenza degli oggetti che in- contrò ne’ suoi viaggi, o eccitato dagli schietti sentimenti dell'animo, e spesso da una dolcis- sima malinconia. Egli, calzando il coturno , se mon pareggiò l’Alfieri (per numero di Tragedie e per un suo proprio stile forse un po’ troppo fiero, il Tragico per eccellenza d’Italia ) col suo solo Arminio meritò di sedere terzo tra il Conti e il Maffei, inclita compagnia, Nelle Epistole e nei Sermoni calcò un suo proprio sentiero , che ora non serve dir quale, accennar bastando , ch'egli mai non avrebbe tentato di entrare in uno, dove perder potesse o tanto o quanto la grazia e il decoro. Le sue traduzioni dal Greco (fino alle giovanili ), lasciando quelle dal Latino e dall'Inglese, fan fede, com'egli sì affissasse drittamenie ne’ suoi originali, mal pago dei fallaci riverberi, In somma, Letterato per piacer suo, e non per impiego o per ser- vitù, o per dovere, libero nello scegliersi le occupazioni, mancante di nessun mezzo, indi- pendente dalle circostanze dei. tempi, sempre del partito della virtù, e non consapevole di nessun altro, dettò per solo il fine della Let- teratura ; la utilità de’ Lettori per la via del diletto; e perciò potè ad alta cima levarsi, e cingersi, o più tosto vedersi, per mano dei più chiari e valorosi, e in cortesia pregiati Italiani, cinto di più corone. Per siffatti encomj, confermati da uomini sommi e distinti negli stud} letterarj, ho sta- bilito dentro di me, ed ora propongo al Pub- blico la Edizione delle Opere Pindemontiane. In tre parti stimo di poterle dividere. La pri- ma, delle stampate o ristampate da lui dal- l’anno 1788, le quali sole egii intendea di approvare. La seconda, delle pubblicate da lui prima dell’88. La terza, delle inedite, Ecco la nota delle OPERE DA PUBBLICARSI. Epistole in versi. Le Poesie Liriche Italiane, e alcune Latine. Saggio di traduzione della Georgica di Virgilio. Un'Epistola di Ovidio. Un brano del Paradiso-Perduto di Milton. MUCCCXKXKL, ANTOLOGIA L ‘OPERE GIA’ PUBBLICATE. » Va he Mi L’Arminio; Tragedia , con ildse relative. Prezzo Austr. lir. 2. 00. Ital. 1. 74. Elogi di Letterati italiani ; seconda edizione Due volumi. ‘Prezzo Austr. lir. 6. 32. Ital. 5. 5o. I Sermoni, ed il colpo di Martello: poesie. Prezzo Austr. lir. 2. 50. Ital. 2. 00. Le Prose e Poesie Campestri, con l'aggiunta di una Dissertazione sui Giardini Inglesi, e sul Merito in ciò dell’Italia; e due Appendici. Prezzo Austr. lir. 2. 30. Ital. 2. 00. L'Odissea di Omero; con aggiunta di una ta- vola delle cose notabili e dei nomi proprj in essa contenuti , 2 vol. Prezzo Austr. lir. 6, go. Ital. 6. 00. Tutte queste Opere sono quelle che l’ Autore stesso approvava benchè scritte in diversi tempi: darò poi l’elenco delle inedite con le quali verrà compiuta questa mia raccolta. Ciascuno potrà prender soltanto quell’ opera che sarà di proprio gradimento: il prezzo è regolato come quello di tutta la già conosciuta Biblioteca-scelta. — PREZZO CENT. 3. — ANTOLOGIA GIORNALE DI SCIENZE, LETTERE E ARTI Voro XLIII peLra Cortezionie VOLUME TERZO DEL SECONDO DECENNIO. Luglio } Agosto e Settembre I8SI. FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO DI G. P. VIEUSSEUX DIRETT. E EDIT. TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI MDCCCXKKI, BERT Th) È ps 977 _i lodi RAR A Pa è ) Pa . i ne n] - eftoiia suoi ve AR do Ù Ig E ROTA a tr Z POTE Sii ipo) bo, Reti ai vo 908 Uva musev: VISTA Moi “Girato umani gatte af: ì è i: Mr si cute o % nt Fav dea. KA CRIOE, drasaatmartgi oayttraniza* COLETTI RO) MU IRAP Ai Pc de ida LI serio dv IWA a LS) ALIA iauggionit, sesti ; i DEI Pi Dr: agi: È Cai : ANTOL OGIA. N 127. ‘ DELLA COLLEZIONE. . N°° 76 DEL SECONDO. DECENNIO MWuglio 1851. i Histoire des Frangais par. J. C. L. Simonve Dr Srismonpi. Tom. XIII. XIV. XV. Paris 1831. Arr. VI. ( V. Antologia Vol. XXXIII, B. p. 1.) Za recente pubblicazione di tre nuovi tomi della. Storia .de’Francesi, che abbracciano un periodo di 93 anni, ci richiama a riprendere in mano questo argomento dal punto in che lo la- sciammo coll’ ultimo articolo inseîito nel quaderno 98.°. di que- sto giornale. i ‘Avranno avvertito i lettori che noi siamo stati soliti piut- tosto di compendiare che di criticare quest’ opera. Non che la crediamo immune da giuste critiche , siccome ci par. meritevole di molti elogi. Ma poss a voler giudicare giustamente di un opera di tanta'.fatica , e’ bisognerebbe riandare i documenti ori- ginali e gli storici contemporanei agli avvenimenti , che han ser- vito di fondamento alla; narrazione dello storico. Un’ impresa sì ardua per un articolo critico non so «che la faccia mai alcuno. Per lu più e’si suole criticare colle idee e colle cognizioni che + già di lunga mano si possiedono , e colle quali si confrontano le nuove opinioni e gli argomenti delle opere che vengono alla luce. Allora col sussidio di pochi riscontri, sì per conoscere i fondamenti delle idee altrui come per assicurarsi delle proj:rie , riesce agevole assai 1° opera del ‘critico. Ma parliamo chiaro: chi sarebbe potuto addossarsi il peso di compiere un’ opera critica su dieci secoli d’ istoria trattati colla cura e colla maestria che sa porvi un autore sinceramente animato dal desiderio del buono e del vero, e da più lustri uso a maneggiare istorici o filosvfici argomenti? Quando noi volessimo entrare nel difficile arringo della critica , le nostre osservazioni non potrebbero cadere che su dei punti particolari che per avventura ci son meglio cogniti. Ma allora parremmo smaniosi di appuntare , e non daremmo poi un retto giudizio dell’ insieme dell’ opera. Giudizio che a senso nostro debbe attendersi più che dai critici dal tempo, quando molti autori avranno trattati parzialmente i secoli che sono com- presi nella storia del Sismondi. Allora gli studi de’ più recenti storici daranno a conoscere il vero pregio critico dell’ opera che abbiamo fra mano, e faciliteranno eziandio il giudizio de’ punti nei quali si eleverà controversia. Vero è che già confrontando le opere del Thiers, del De Barante e «del Capefigue, per tacere di quelle di minor considerazione , si trove rebbero nella Storia de Francesi diversi punti controvertibili che sono stati cons:de- rati diversamente dai lodati autori, e meriterebbero un’ accurata discussione critica. Ma, non avendo noi nè agio nè tempo da eu- trare in siffitte disamine , ci siam proposti di continuare nel co- minciato sistema di compendiare. Parendoci che i lettori dell’An- tologia possan ritrarre maggiore utilità dal modo che abbiam preso a seguire. Difatti se questo giornale viene in persona scarsa di libri, e che vada riprendendo in mano i nostri articoli sulla Storia de’Francesi, avrà ‘almeno da quelli un’idea più che super- ficiale delle principali rivoluzioni della storia di Francia. Come pure quelli, che non avessero agio da leggersi quindici volumi di storia, rileveranno dai nostri articoli quali sono le parti del- l’ opera lodata che essi posson consultare al bisogno con’ maggiore utilità o che più strettamente si covunettono . coll’ oggetto dei loro studi. Potremmo in vero ' ragionare dei principii di composizione istorica seguiti dal nostro autore, ‘confrontarli con quelli che tennero i più lodati scrittori del secolo passato ; o con quelli che si prendono a seguire dagli uomini che di presente salgono in maggior fama. Ma questa discussione ci è parnto doversi ser- 5 bare ad altre occasioni. Oltredichè, avendo noi più volte discorso delle maniere di storia che meno ci sembrano approvabili ; e professando d° altra parte principii che non sono esclusivi per alcun genere di componimento , non sapremmo terminare que- ste discussioni in brevi parole, ma verremmo necessariamente a riempire le pagine che ci sembra più utile destinare ‘all’ espo- sizione de’ fatti. Dopo queste dichiarazioni riprendiamo il filo del discorso dal punto in che lo lasciammo nel precedente articolo: La morte dell’ infelice Carlo VI (1422) lasciò per retaggio alla Francia ostinate guerre civili, già accese dalle fazioni de- gli Armagnac e de’ partigiani di Borgogna. L’ enorme delitto del Delfino, che fu poi Carlo VII, avea ‘alienati dalla famiglia regia il Duca di Borgogna edi molti suoi vassalli e fautori. L'adozione di Enrico V. ed il trattato di Troyes avean legittime le preten- sioni della famiglia d’ Inghilterra al .trono di Francia; sostenute | per desiderio di vendetta da quei di Borgogna. Enrico V, morto poco dopo Carlo VI, lasciò le sue preten- sioni alla corona di Francia al figlio suo Enrico VI in età mi- nore. Però prese il.governo il Duca di Belford zio del. giovine re, uomo di alti sensi e molto avveduto nel governo delle cose civili. Era assistito da lord Salisbury eccellente capitano j e da tutta la parte di quei di Borgogna posseditrice di ottime castel- la, e favoreggiata dai borghesi di Parigi. Molti della nobiltà , perchè vassalli o aderenti a quei di Borgogna; tenevan le parti del re inglese } le forze del quale tra milizie francesi ed inglesi non eccedevano di. molto i ventimila uomini. Parigi con; molte terre della parte settentrionale della Francia riconoscevan ‘ila si- ‘gnoria del re ‘inglese. bel Carlo VII, giovine dedito ai piacerti; e vilmente schiavo déi suoi favoriti < stavasene. neghittosamente ‘a Bruges, laonde. per ischerno gli inglesi eran soliti a chiamarlo il re di Browges (7e petit roi de Brouges). La parte degli Armagnac lo sosteneva delle sue forze; il.suo esercito, se pure può darsi questo nome ad una riunione di compagnie di avventurieri mal capitanate, sco- noscenti di ogni regolar disciplina , poteva appena ragguagliarsi a 20 mila uomini. Ne componevano il nerbo gli scozzesi: la ‘ca- valleria italiana mandatagli da. Filippo Maria Visconti; diverse compagnie di condottiori francesi composte: in gran parte di gua- sconi e di soldati che si trarvano seco i feudatari che venivano a prestar servigio al re; Fra i diversi capitani dell’ esercito regio era molta invidia, e poca subordinazione } ed accresceva assai 6 il malumore il vedere conferita la diguità di contestabile a qual- che signore scozzese. Le vere forze degli inglesi consistevano in «quelle della fa- zione di Borgogna ; da che era facile conoscere che i soli mezzi de'l° Inghilterra ;non sarebbero. mai potuti bastare, ad acquistare la corona di Francia ad Enrico Vl. Tanto più che le forme al- quanto libere del governo inglese non permettevano: ai, re di spendere a loro voglia le rendite dello stato, ma e’ vi voleva il consentimento de’ baroni e de’ principali del regno. I quali ;sa- pevan già troppo bene distinguere gl interessi della dinastia da quelli del paese ed intendevano assai non doversi la pubbliche entrate. sprecare. per le. voglie e ) ambizione, de regi, Difatti, quando la furtunà cominoò a volgersi contro gli inglesi , questi sentimenti si manifestàrono assai altamente in Rpepiirrai 3.6, (Ten= uero di là assai scarsi «i sussidi, La forza di Carlo VII, consisteva nell’ amore ug nazionalità che suol esser potentissimo negli animi de’ francesi, e si accrebbe maravigliosamente poichè nobili ed i popoli ebbero fatta, pruova dell'arroganza inglese. La quale era tanta che neppure agli amici e ‘collegati sapeva alleggeri ire il duro senso!idella ;dominazione straniera. .! / | i Vero è però che-le. divcnsità di linguaggio tra ;le provincie di Francia ; di leggi ;'di amministrazione e di costumanze,, in- fievolivano assai il ‘sentimento dell’ unità nazionale. Agli occhi dei. parigini e degli abitanti dell’ isola di Francia ( così chiama- vasi avanti il 1789 il contado parigino ) i. guasconi con ghi, altri pepoli che sono tra la Loira e la Garonna non eran francesi, E questi. erano animati da passioni,di vendetta. inverso. i popoli della parte settentrionale di Francia. Le® provincie centrali della Francia, come il Berry e la Tourainesmeno agguerrite delle altre se ne stavano inattive ed indifferenti. Nei..paesi poi del mezzo giorno, benchè generalmente. prevalesse la. potenza degli Arma- gnae ed il nome di Carlo , tuttavia; non! mancavano potenti si- guori che tenessero la. parte contraria , 0 almeno fosser d’ ani- mo assai avverso al re. Carlo VII avea. già diciannove anni quando mancò «li vita il padre. Il suo lungo regno, che arrivò all’ anno (1466 , ce lo mostra sotto dune. aspetti diversi, e quasi direste che in un corpo solo fossero due:persone. Da che. ne’pri- mi diciassette anni fu di un'indolenza, di una debolezza singor lare, laddove negli anni della virilità dimostrò potenza di,.vo- lere ed. accorgimento, e, molto operò, a riordinare la, monarchia. Cominciamo dalla. storia dei diciassette anni di indolenza. 7 Era il re circondato sempre dagli assassini del Duca di Bor- gogna , e dominato dai favoriti, per modo che neppure agli uo- mini prudenti riesciva indurlo a prendere. vigorose. riso uzioni, Pareva che fuggisse l’ aspetto della guerra e della desolazione del paese ed'andasse cercando i luoghi dove potere attendere ui piaceri. Di tanto ‘in tanto convocava: gli stati generali. o pure gli stati provinciali, per avere sussidi. Ma e’ pare che pel disa - gio de’ viaggi , e la poca sicurezza delle strade queste assemblee riuscissero poco numerose ed incuncludenti , da che poche trac- cie dell’ operato loro rimangono nella storia. D’.altra parte il Duca di Belford cercava cattivarsi l’amore de’ francesi con prov- vedimenti favorevoli al commercio’ ed alle manifatture; coll’ or- dinare le cose della zecca, e con molte riforme nel procedimento dei giudizi civili per renderli meno :dispendiosi e meno disage- voli ‘per le. parti litiganti. I parlamenti poi sì negli stati che te- nevano pel re Carlo , come in quelli che riconoscevano Arrigo, sì dimostravano assai tenaci difensori delle libertà gallicane (1423). I principi del sangue divisi in due fazioni , ed i feuda- tari, in mezzo al!e civili discordie ed all’ impotenza della mo- narchia, si facevano quasi indipendenti, mettevano a patto i ser- vigi stessi a cui erano obbligati dalle leggi di fedeltà, e più pensavano al proprio interesse che alla dignità nazionale. I gran delitti commessi. per iscopo politico parevan cosa leggiera alla coscienza di quei signori; ed è cosa orribile a dirsi, ma pur vera; il più delle volte gli assassinii politici furono eseguiti di buon animo dai gentiluomini, parendo loro che persino al delitto do. vesse estendersi la fede giurata ai loro signori superiori. Questa fedeltà feudale dei gentiluomini inferiori ai signori, da cui dipen- devano, era un principio morale radicato nella nobiltà francese dal sistema feodale, che si manteneva fortissimo anche nel secolo di cui discorriamo. Parimente 1’ osservanza della parola d'onore era fortemente radicata negli animi dei nobili. Un re di forte animo avrebbe potuto trarre gran profitto da questi principii morali del sistema f'‘odale, da che bisogna contessarlo, apparisce dall’ intiera lezione dell’ istoria, che nelle coscienze dei nobili non fu mai spento al tutto il senso dei doveri di fedeltà 0 lealtà inverso il monarca ; come che l’ opere mal corrispondessero al senso del dovere. Tuttavia nel corso del tempo questo sentimento unito all’odio degli stranieri fu la salvezza di Carlo ; il quale ebbe il trono più dalla generosità dei popoli; che dalle proprie virtù. Frattanto la guerra si governava da nna parte e dall’altra senza piano di campagna , senza approvisionameuti , e senza unità ® di direzione nelle forze. Era guerra di partigiani e di avventurieri, consistente per lo più nel prendere e ripreuder città , metter ta- glie, far prigionieri per aver grossi riscatti. L’esercito frances», sempre mal pagato per la scarsezza delle entrate regie e per la dissipazione della corte, viveva a spese del paese rubando, gua- stando tutto e manomettendo i miseri contadini, i quali disu- sati dall’armi non avean modo di liberarsi dalle. innumerevoli crudeltà e soverchierie dei soldati. Egual condotta presso a poco teneva l’esercito inglese. Tauta era in generale la rapacità dei soldati che venivano chiamati dal popolo saccomanni. Uno scrit- tove di quel tempo assicura che da Albeville a Laou, e da Laon alle frontiere di Lamagna, le campagne erano assolutamente de- serte di coloni e di prodotti. Frattanto questi piecoli fatti di arme che rovinavano il paese , e crescevan sempre il disordine dell’ esereito, non avvicinavano per niente il fine della guerra. Cotalchè i popoli, oltre ai patimenti presenti, doveano aver il tor- mento dell’ incertezza intorno all’ avvenire , non sapendo a che limite ridurre i timori. nè a che appoggiar le speranze. I prigionieri di guerra, se nobili, venivan trattati con corte- sia; peraltro a riacquistar la libertà pagavano taglie enormi, che pei principi erano talvolta di centomila scudi, e tal’ altra anche di dugentomila. I plebei eran poi molto maltrattati nella persona , e sovente uccisi. Nè di rado accadeva che i pacifici borghesi o i contadini fossero presi dai soldati e sottoposti a taglie di riscatto, sotto minaccia della vita, ed alcuna volta messi a morte per impotenza di pagare. Questi eccessi degli avventurieri eran qua- si legitt mati dall’ uso e debolmente rimproverati dalla coscienza. Intorno a che riferirò uno squarcio di una cronica francese di quell’età, che parmi dover riescir aggradevole ai lettori. Si parla di La Hire uno dei più celebri condottieri di quel tempo. “ Com- ;; me il allait attaquer Montargis, La Hire trouve un chapelain » auquel il dit qu'il lui donnàt hativement l'absolution , et le » chapelain lui dit qu'il confessàt ses péchés. La Hire lui re- ;; pondit qu’il n’aurait pas loisir, car il falluit promptement frap- »» per sur l’ennemi et qu'il ava.t fait ce que les geus de guerre ») ont accoutumé faire. Sur quoi le chapelain lui bailla absolu- », tion telle quelle, et lors La Hire fit sa prière à Dieu, en di- ») sant en son gascon les mains juintes: Dieu je te prie que tu »» fasse aujourdhui pour La Hire autant que tu voudrois que »y La Hire fit puur toi s’il etait Dieu et tu fusses La Hire; et sy il cuidoit très bien prier et dire ,,. Durò quasi sei anni questa maniera di guerre insignificauti Sl; pel successo dei re nemici , ma ruvinose pei popoli (1423-1429). In questo tempo ebber luogo due solè battaglie svantaggiose pei francesi. La prima a Verneil (1424), la seconda sotto Orleans (1429), e fu detta giornata delle Aringhe. I danni de’francesi in queste venner più dalla mala disciplina che da difetto di valore. Il maggiore effetto delle perdute battaglie si fu di crescere l’in- dolenza del re; il quale, niente smosso dagli aumentati pericoli della corona , stavasene coi favoriti cercando l’ozio ed i piaceri. L’avere dei favoriti che lo signoreggiassero era per lui di tal necessità, che persino gli uomini di stato , che a nome suo vo- leano trattare gl’interessi della monarchia, molto si consultavano intorno alle persone che doveano por davanti al re perchè di- venissero i suoi beneaffetti. Ma questi favoriti regii diventavano spesso ingrati inverso coloro cui doveano la loro elevazione. Laonde si vedevano sbalzati, processati, o assassinati, e insom- ma tolti di posto, senza che il re sapesse assisterli nella sven- tura, accontentandosi sempre alla risposta , con che i ministri sodisfacevano alle sue richieste, che quanto era stato fatto erasi operato pel suo miglior servigio. Così il contestabile di Riche- mont, che sino dall’ anno 1425 occupava questa prima dignità del regno, si liberò successivamente di due favoriti, ed avrebbe fatto lo stesso del La Tremoille , se questi non fosse stato più avveduto , e non fosse giunto a mettere in disgrazia del re lo stesso Richemont (1428). Il quale, siccome nomo pieno di ardi- mento ed inchinevole più alla severità che alla mollezza, pareva dover riescire salvatore della monarchia. Ma ; sia che venisse mal secondato, o che avesse avversa la fortuna, gli andaron male le prime imprese, e, come avviene ne’ casi contrari, ne ebbe la colpa. i) Due battaglie vinte, ed un re nemico che nulla pensa ai casi suoi, doveano dare grand’animo agli inglesi a qualche co- raggioso fatto. Anzi, a dir vero, poco si capisce a prima giunta come mai il re Carlo potesse tuttavia sostenersi. Ma gli inglesi aveano dalla loro parte de’ mali sempre crescenti , che diminui - vano .grandemente i vantaggi de’ successi militari. Per gran= de che fosse la prudenza di Belford a tener uniti i suoi, diffi» cilmente riusciva all’ intento. Tanto più. che il fratello. suo duca di Glocester di animo più inchinevole all’arroganza era dei primi a seminare la discordia coi suoi modi di dominatore. E, sebbene uniti nell’ istessa fazione , quei di Borgogna e gli inglesi avean continue occasioni di conoscere di esser due na- zioni diverse, e di sentire che , qualora vincesse Enrico VI, la T. III. Luglio 2 10 Francia sarebbe caduta in preda agli stranieri. Perocchè, sebbene alleati della fazione di Borgogna, gli inglesi prendevan talvolta modi di supremazia, e tal altra mostravan diffidenza. Così fino dall’ anno 1425 cominciò a rallentarsi il fervore del Duca di Borgogna per Enrico VI, e si dette piuttosto a provvedere ai suoi particolari interessi dalla parte dei Paesi Bassi dove teneva signoria. Peraltro 1° abilissimo duca Belford pensò a trar profitto dalla melensaggine del re francese , e fece disegno di estender la si- gnoria sua al di là della Loira, prendendo prima Orleans, città che allora reputavasi di grandissimo momento. Questo piano di guerra che, dove fosse riescito, avrebbé ridotto agli estremi il re Carlo, mancò il desiderato effetto principalmente pel nobile ar- dire di Giovanna d’Arco, volgarmente conosciuta sotto nome di pulzella d’ Orleans. Della quale nobilissima vergine , perocchè molto han parlato gli storici, ed assaissimo i poeti, giova qui brevemente compendiare quanto dice il nostro autore. Noterò frattanto che pel buon giudizio critico , e la chiarezza dell’espo- sizione i due capitoli relativi a Giovanna d’ Arco sono de’ più belli dell’ istoria. | Nacque a Grenx intorno al 1409 Giovanna d’Arco di geni- tori contadini caldi partigiani degli Armagnac e però del re Car- lo. Occupato il paese dagli inglesi, le sventure del principe che reputavano legittimo e le vessazioni continue de’ nuovi signori rinfuocarono lo zelo dei poveri contadini. Ma questo zelo se ne stava in preghiere a Dio ed in desideri, da che contro la forza maggiore non osavano avventurare le proprie persone. Frattanto la giovine pulzella vagheggiava la speranza che Carlo, il quale perocchè nori consacrato riguardava soltanto come Delfino vale a dire erede presuntivo del regno , dovesse salire sul trono dei suoi maggiori ed esser liberatore della Francia. Questi voti di ardentissimo amore di patria erano avvalorati dalla sublime pietà della pulzella, che in momenti di estasi si credeva vedere la Beata Vergine , 1’ Arcangelo Michele , Santa Caterina e Santa Margherita inverso le quali avea special devozione. E, come ac- cade a chi ravvolge per la mente un solo pensiero , e raduna tutte le forze del morale sentire sopra ad un unico oggetto , giunse a tale la pulzella che le parve aver missione divina ad andarne da Carlo a Chinon, scuoterlo dall’ inerzia , condurlo alla liberazione di Orleans, e di lì a Reims per ricever la con- sueta unzione, che agli occhi del volgo rendeva sacra la persona del re , e ’l facea veramente signore di Francia. Ciò fn intorno II ai tempi in cui Orléans era stretta di rigorossimo assedio (1429) e per la mala ventura de’ francesi sembrava sul punto di cadere in poter del nemico. Giovanna d° Arco avea allora diciannove anni compiuti, bella della. persona , forte e piena di coraggio , era stata sempre maggiore del sesso , ed avea rifiutati i partiti che gli si erano presentati siccome preoccupata da più alti pen- sieri. Vedendo le cose di Francia in pessimo stato (1429) pro- pose di eseguire la missione che stimava avere da Dio , e preso un fratello in compagnia ) ed aiutata da due gentiluomini che credettero alle sue parole, si incamminò alla volta di Chinon. Dove essendo giunta dopo assai disagevole e pericoloso viaggio , ebbe a vincere non poche difficoltà per esser creduta. Il linguaggiv suo pieno di entusiasmo religioso accompagnato dai più bei doni della natura, era da far breccia sugli animi dei gentiluomini francesi. Tuttavia Carlo esitava. Al quale vol- gendo la parola , ragionò in questa sentenza “ Gentil Delfino »» perchè non mi credere? To vi dico che Dio ha pietà di voi, »» del vostro regno e del vostro popolo, poichè San Luigi e Car- »> lomagno sono in ginocchi davanti a lui che pregano per voi. 3» Se voi mi concedete degli uomini. io torrò 1’ assedin da Or- »» léans e vi conduirò a consacrarvi a Reims, poichè è volontà di Dio che i suoi nemci gli inglesi se ne vadano, ed il re- 3) gno resti a vol. Bisogna dire in lode della pulzella che, mentre parlava a nome di Dio, perchè sinceramente credevasi compiere una mis- sione divina, non asseriva nè aver doni di far miracoli , nè sa- pienza sovrumana. Cotalchè la storia vede in lei 1’ esempio di un nobile entusiasmo religioso , ma non ha ragioni di sospettare di impostura. Tuttavia vuole la prudenza; che le persone che vengono a parlare a nome di Dio, e quasi paion profeti, sieno assoggettate a rigorosissimo esame. Perocchè, tenendo eziandio le più pie sen- tenze intorno al governo morale del mondo , non è da credere facilmente che la Provvidenza intervenga con azione immediata e diretta nelle cose umane dove sembra che 1’ azione delle cause naturali sia sufficiente. Ed è assai temerario ardimento per gli uomini il collocarsi nel consiglio della divina Provvidenza e pre- tendere di conoscere le ragioni di ciò che fa o permette. La quale osservazione mi par vera non tanto contro coloro che si arrogano di fare da profeti, quanto contro gli storici che dopo il fatto si stimano rilevare dall’ andamento delle cose i consigli arcani della Provvidenza. Sarei infinito se qui volessi enumerare gli abusi che 12 quotidianamente si fanno di questa maniera di ragionare per ali- mentar il fanatismo e l’ intolleranza, o avvalorare i pregiudizi volgari; ed escirei in troppo lunga digressione se volessi appli- care queste generali conclusioni a certi scrittori di stotie che , usando certa loro religione ‘li moda e tutta convenzionale, sem- brano ad udirli gli intimi confidenti dell’ Altissimo , vedono il bene nel male, e cadono in un ottimismo che distrugge ogni buon frutto morale o politico nell’istoria. Tuttavia, per non fare discorso anonimo , dirò che a cagion d’ esempio questo vizio si riscontra nelle lezioni storiche di Guizot, massime dove parla della legittimità e della monarchia. Il che , sebbene da noi no- tato altre volte, abbiam qui voluto ripetere più esplicitamente. Perocchè a noi sembra importante che i filosofi, i quali escon dalle vie diritte della ragione, la perdano marcia tanto cogli aridi ragionatori quanto cogli uomini di solida ed illuminata pietà. Tornando adesso alla pulzella è da notare che, sebbene nel XV secolo fosse assai agevole il persuadere agli uomini 1° in- tervento immediato della divina Provvidenza nelle cose umane , per la grande ignoranza che sempre durava sulle cagioni natu- rali; tuttavia questa fede rimaneva sovente impedita dall’ opi- nione che correva intorno alla gran potenza del demonio nell’o- perare prodigi, e nello stringer patti cogli uomini perversi. Laon- de l’ opinione dovea stare incerta tra l’ ispirazione divina, e l opera del demonio. Il perchè la pulzella dovette essere esa- minata nella fede da valentissimi teologi, sorvegliata di notte e di giorno per esaminare se avea comunicazioni collo spirito maligno , e finalmente visitata dalla regina madre per verificarne la verginità, perocchè si credeva che il Demonio non stringesse patti colle vergini. Tanta incredulità per parte dei principali della corte viene dal nostro autore attribuita in gran parte alla gelosia del clero inverso quelli che, non essendo del suo corpo, si arrogano di parlare a nome di Dio. Noi non daremo maggior fede a questa supposizione di quella che si merita una probabil congettura. Riuscite a buon fine tutte le pruove a cui venne assogget- tata la pulzella, fu forza seguire il suo consiglio. Ebbe dal re completa armatura, e fecesi un vessillo bianco coi gigli ed in mezzo i nomi di Gesù e di Maria. Quinli unita all’esercito dette esempi di valore , e mise ardore negli animi, ma non pre- tese mai al comando, e lasciò governare le cose agli esperti ca- pitani. Tuttavia, tra l’ardore de’ francesi , ed il timore che mise negli inglesi 1’ opinione che la pulzella fosse assistita da qualche 13 potenza soprannaturale , riescì assai agevole la liberazione di Orléans, e su tutti i punti mutò la fortuna delle armi. Dopo i primi successi, ottenne la pulzella benchè a stento che Carlo an- dasse alla volta di Reims. Gli avvenimenti di Orléans divulgati dalla fama , assai più che la forza delle armi, l’aiutarono nel viaggio, fecero aprire le’ porte di molte città, e venir molti signori con soccorsi di armi al regio esercito. Giunto Carlo a Reims fu consacrato re, secondo i riti di Francia. Dopo la con- sacrazione la pulzella abbracciò le ginocchia del re e disse Gen- til roi ,, parmi dover riferire le parole francesi della cronaca originale “ oves est executé le plaisir de Dieu, qui vouloit que 3, vinssiez a Reims recevoir votre digne sacre en montrant que >» vous ete vrai roi et celui auquel le royaume doit appartenir. 0 J'ai accompli ce-que messire m’a commandé, ajoutat elle peu »» après, qui etoit de lever le siege de Orléans et de faire sacrer s> le gentil roi; je voudrois bien qu'il voulut me faire ramme- », ner auprès mes pere et mere a garder leur brebis et betail et »3 faire ce-que je voudrois faire ,,. A questa giusta richiesta della pulzella si opposero i capitani dell’esercito, ed a forza di prieghi ottennero che rimanesse , ma dessa credette finita la sua mis- sione , e, benchè seguitasse sempre a dar pruove di singolare coraggio ed in molti casi fosse assai utile all’ esercito , tuttavia avea minor fede in se che per l’avanti, credendo compiuta ormai l’opera per cui si faceva sicuro il soccorso divino. Fra?l primo apparire della pulzella sotto Orleans e la con- sacrazione di Reims erano scorsi due mesi e mezzo. In questo tempo l’ armata inglese erasi ridotta a mal partito, ed avea per- duto i migliori capitani , l’indignazione popolare davasi a co- noscere nelle frequenti rivolte contro gli inglesi, e nel facil ri- cevimento di Carlo , i signori principali del regno accorrevano con zelo sotto le bandiere regie , e lo stesso duca di Borgogna stette un momento sul punto di riconciliarsi col re. Lo scorag- gimento negli inglesi era generale. Il duca di Belford scriveva in Inghilterra “ che le sventure di Orleans procedevano in gran 3» parte (sono i termini della lettera che si trova nella raccolta s» di Rymer) dalla mancanza di fede, e dal dubbio illegittimo s; che i soldati aveano concepito d’ un discepolo e membro del s» diavolo chiamato la pulzella che usava di falsi incantesimi e ss di stregonerie. Lo scacco ricevuto a Orléans non solo avea 3» grandemente sminuito il numero degli inglesi, ma avea ezian- »» dio tolto il coraggio in quelli che rimanerono, mentre avea ina- s; nimito i nemici, che da quel momento si erano riuniti in gran 14 ss numero ,.. A rifare un poco le forze degli inglesi il duca di Belford fece ogni buon uffizio presso il duca di Borgogna suo cognato perchè venisse a Parigi, siccome venne difatti, a riani- mare le popolazioni contro il re Carlo, ed unì alle propr.e forze quelle che il cardinale di Winchester con sussidi ecclesiastici avea raccolte per andare in Boemia contro gli ussiti. Della qual cosa il papa Martino V s’adontò assaissimo. Ma il duca di Bel- ford non era solito arrestarsi troppo alle rimostranze del clero , e quando gli faceva di bisogno manometteva anche le proprietà ecclesiastiche. Di che alcuni scrittori han tratta la conseguenza, che gli inglesi perdettero la Francia per punizione delle cose o fatte o pensate contro gli interessi del clero. Ma e’bisognerebbe notare che Carlo VII, all’occorrenza, faceva lo stesso del duca di Belford , e che il clero fu ossequiosissimo all’ uno ed all’ altro secondo le decisioni della fortuna. Ad onta dei provvedimenti del duca di Belford, pareva che la fortuna favoreggiasse tanto le armi francesi da rendere ormai disperato il proponimento di serbare la corona ad Enrico VI. Carlo si era avanzato fino sotto Parigi, ed avrebbe forse potuta avere quella capitale se maggior perseveranza avesse posto nelle cose della guerra. Ma i cortigianie ed i favoriti, cui dispiaceva l'aspetto delle cose militari , tanto fecero che l’indussero a tor- nare a poltrire in ozio nel Berry, abbandonando 1° esercito quando sembrava che più benigna gli sorridesse la fortuna. Par- titosi il re, molti signori sentirono venir meno il loro zelo e se ne tornarono nelle proprie terre, molte città ch’ erano per rico- noscere la signoria di Carlo restarono in potere degli inglesi, e le sorti della guerra cominciarono a variare. Contuttociò la pul- zella, rimasta nell'esercito per le sollecitazioni altrui, dava animo ai soldati, esponeva se ai più gravi pericoli, ed insinuava il valore coll’ esempio. L’ ardimento suo, non meno che l'invidia de’ capitani , la fecero cadere in mano degli inglesi sotto Com - piegne (1430) quindici mesi dopo al suo primo comparire a Chi- non, o tredici dopo il principio della sua vita militare. Venne in potere del bastardo di Vendome, e fu mandata sotto buona scorta a Marigny con gran letizia degli inglesi e degli Armagnac. Questo principio di cambiamento di fortuna non fece grande il- lusione al duca di Belford, il quale vedendosi i popoli contrari, gli alleati freddi, ed il parlamento inglese restio nel conceder sus- sidii, ben intese esser difficile mantenersi nella signoria di tutta Francia. Però fino da quel momento volse l’ animo principal- mente alla Normandia, provincia lungo tempo appartenuta agli 25 inglesi , che pensava serbare al re d’ Inghilterra quando mai non riuscisse acquistargli la corona di Francia. Ma avea la disgrazia il duca che e il fratello suo e gli altri signovi inglesi, rendendosi odiosi ai popoli di Francia per l’alterigia de'loro modi, | guastavano ciò che esso proponevasi eseguire con somma pru- denza. Nonostante, per crescere forza alla parte del re Enrico VI, fece venire questo giovine principe a prender la corona in Pa- risi, e rinunziò la reggenza del regno al duca di Borgogna con- fidandosi di ridurlo a questo modo più caldo partigiano degli inglesi. Ma il duca di Borgugna attese più alle proprie nozze , alla fondazione dell’ ordine del toson d’ oro (1430), ed alle pro- vincie dei paesi Bassi dove avea quasi assoluta signoria, che alle cose di Francia. Pare che sentisse vergogna di aiutar lo straniero, e che i suoi vassalli, benchè il servissero fedelmente, ne mormo- rassero, ed avesser ripugnanza a portar le armi contro la patria. D’altra parte potentissimi signori di Francia e di fuori comin- ciavano le ‘pratiche per riconciliare il duca col re Carlo. Dal che lo rimuoveano il punto d’ onore, e l’affezione pel duca di Bel- ford suo genero. Le sorti della guerra furono molto varie nel- l’anno 1430. Frattanto una spietata vendetta si preparava con- tro Giovanna d’Arco, ed alcuni personaggi distinti del clero di Francia servivan d’ istrumento alla politica, se pure non voglia dirsi che servissero anch’ essi alle proprie passioni. Il vicario generale dell’ inquisizione ed il vescovo di Beau- vais richiedevano la consegna di Giovanna d'Arco , per farne il processo come a donna che avesse patteggiato col diavolo. Si unì a loro la Sorbona, che scrisse lettere pressantissime al duca di Borgogna ed al signor di Lusemburgo che teneva l'illustre pri- gioniera. Finalmente la pulzella fu consegnata agli ecclesiastici, che la domandavano pel prezzo di diecimila franchi. Passò nelle carceri di Beaurevoir, d’ Arras e di Crotoy, e dopo sei mesi fu condotta a Rouen dove venne messa nelle prigioni civili. Il pro- cesso cominciò nel gennaio 1401, e se ne'conservano gli atti ma- noscritti anche nella libreria di Ginevra. Le note insidie del pro- cesso inquisitorio per lungo tempo non bastarono a confondere l’ infelice pulzella. Nondimeno la Sorbona di Parigi decise ai 19 di maggio che le rivelazioni contate da Giovanna d’ Arco erano superstiziose, procedenti da cattivi spiriti e diabolici; che le ap- parizioni non erano verisimili ma menzogne e cosa presuntuosa ; che i segni, che diceva aver ricevuti, erano insufficienti, e che, ostinandosi a portare vesti virili, disprezzava e trasgrediva lalegge divina e le ordinanze canoniche. Dopo questa decisione fu nuo- 16 vamente ammonita. Allora pare che vinta dal timore, o sopraf- fatta dall’ autorità, acconsentisse a sottoscrivere una confessione particolarizzata dei delitti che le si apponevano. Però nel 23 maggio fu condotta sulla pubblica piazza dove udì leggersi la sentenza che la condannava alla prigionia perpetua. Ma questo non bastava a saziare i desideri di vendeita. La coscienza rim- proverava alla pulzella la debolezza sua nel confessare , e l’ab- bandono delle vesti virili; però in carcere cominciò ad avere nuove visioni, le parve perfino di esser rimproverata da Santa Caterina e Santa Margherita, e riprese gli abiti virili. La qual cosa dette luogo al vescovo di Beauvais ed all’ inquisitor mag- giore di considerarla come recidiva , e secondo gli usi dell’in- quisizione abbandonarla al braccio secolare, il che volea dire condannarla a morte. Difatti il trenta di maggio fu condotta la pulzella sulla pubblica piazza di Rouen, rimessa al braccio se- colare, e bruciata viva. Dicono gli scrittori del tempo che nel morire dette segni di ardentissima pietà , e lasciò negli animi del popolo molta com- miserazione (1431). i « In nessuno degli storici di Francia di quel tempo, di- » ce-il n. A., si trova l’indicazione di alcuno sforzo di Car- o Jo VII per ottenere che Giovanna d’ Arco fosse trattata come >» prigioniera di guerra, nessuna/minaccia di rappresaglia , nes- », suna espressione di regio dolore. La famiglia di Giovanna ») forsemaltrattata dagli inglesi o dai Borgognoni fu ridotta in gran » povertà ; e venti anni più tardi la città di Orleans pagava a >» sua madre Isabella tre franchi per mese per aiutarla a vivere 3» (così dice il libro de’ conti ). Nel 1455 Carlo VII fece fare s) un processo di revisione per ristorar la memoria di Giovanna »» d’ Arco. Fino dal mese di dicembre 1429 il re l’ avea fatta :» nobile con tutta la sua famiglia, ma non pare che i discen- »» denti de’ suoi fratelli . che presero nome di Dulis, sieno stati »» ammessi al godimento dei diritti di nobiltà prima dell’ an- sì no 1550, in cui Enrico secondo riconobbe i loro titoli di no- 53 Diltà 55% L’anno 1431 fu di pochissima importanza per le cose mi- litari: tra una parte e l’altra non pare che .vi fossero più di otto mila uomini. Parigi frattanto era ridotto in miserissimo stato. L’ università deserta, i tribunali quasichè abbandonati. Si disfacevano le case per bruciare il legname. Gli inglesi »» proibirono con ordinanza del 31 gennaio 1432 quest’ ultimo 3» uso di una proprietà , dalla quale non si sapeva trarre altro 17 » partito ,,. Nell’ anno 1432 vi fu qualche vana trattativa. Ma e’ pareva che i principi nou sapessero adattarsi nè a far la guerra nè a conchiudere la pace; intanto il paese soffriva le vessazioni de’ soldati di ventura. £ quali erano di grandissimo ustacolo alla pase, non sapendosi come ridurre all’ ordine ed alla disciplina degli uomini avvezzi ormai a violare ogni legge e procacciarsi ogni godimento coll’ uso della forza. Le loro crudeltà gli meri- tarono nome di Scorticatori, e pare che se lo prendessero con indifferenza ed alcuni anche con secreto compiacimento. Frattanto i principi del sangue ; il papa, l’imperator Si- gismondo , il concilio di Basilea, Amedeo VIII confortarono i priu- cipi alla pace , e nell’anno 1435 furon tenute a Nevers delle conferenze su questo proposito , e pui a Arras un congresso. Si souo conservate le istruzioni ricevute dagli ambasciatori ed i registri delle conferenze, da cui apparisce quanto fossero tortuosi 1 giri della diplomazia in quel tempo, mentre si spiegava gran pompa nelle trattative, e si tenevano discorsi oratorii e cristiani da edi- ficare il popolo e trarne a se l’opinione. Gl inglesi volevano che Carlo riconoscesse Arrigo VI per re, e tenesse in feudo alcune terre al di là della Loira , poi pro- posero la divisione del regno; i francesi al coutrario volevano Carlo re , e si sarebbero adattati a dare la Normandia ad Arri- go VI purchè l' avesse in feudo come solevano tenerla i re d'In- ghilterra avanti Filippo Augusto. La difficoltà di accordarsi fece rompere le trattative. Ma il duca di Borgogna, che avea promessa la pace ai par gini, si pacificò separatamente con Carlo VII; tauto più che la morte allora avvenuta del duca di Belford scio- glieva il più forte legame che’l tenesse unito agli inglesi. Ottenne con.lziuni vantaggiosissime, e fu nelle sue signorie, che compren - devan la Borgogna e le Fiandre, sovrano assoluto, e indipendente dal re di Francia. Questo trattato fu concluso ad Arrasil 24 set- tembre 1435. Il duca di Borgogna si offrì mediatore agli inglesi, ma, avendo questi rifiutata la mediazione, prese parte alla guerra contro di loro, ed ai 13 aprile 1436 Parigi riconobbe Carlo VII Fu accordata pieua amnistia, ed il re due anni dopo si recò a visitare la capitale, ma non fece cosa di grand’ utilità ai pari- Gini, inverso de’quali in tutto il suo regno non ebbe mai grande amore e li visitò raramente. Tra anni prima un intrigo di corte avea sbalzato il la Tremoille, e ridotto in grazia del re il conte- stabile Richemont caldissimo amatore della monarchia francese, e che in quest’ ultime imprese fu di grand'utile a Carlo. Ma ’ indoleuza del re prolungava una guerra che ormai si sarebbe T. II Luglio. 3 18 potuta terminaro agevolmente. Ne’ due anni dopo la presa di Parigi si leggono nella storia pochi fatti importanti , se si pre- scinda dalla prammatica sanzione , pubblicata a Bourges ai 7 di luglio 1438, che conteneva la somma delle libertà gallicane , e di molti decreti del Concilio di Basilea. Quest’ opera di politica ebbe breve vita siccome avremo occasione di osservare più sotto. Ma Carlo VII giunto all’età di 34 anni divenne altro uomo e, benchè non lasciasse affatto la naturale indo'enza, fu più cu- rante de’ pubblici affiri, e soprattutto gelosissimo della propria autorità. Già nell’anno 1437 avea presa parte attiva all’assedio di Montreau , ed uno storico di quei tempi dice : * le roi y ,» etoit present en personne faisant son devoir comme les au- ») tres ,,, Ma questo primo segno di attività non avea avuto se- guito , e la mutazione nella condotta del re va riferita al- l’anno 17.° del suo regno. Si ignorano affatto le ragioni di que- sto mutamento , e ; per quanto ur secolo dopo fosse comune la tradizione che dessa si «dovesse all’istigazioni di Agnese Sorel favorita del re, tuttavia negli scrittori contemporanei non si trova traccia che indichi il principiv di questa tradizione volgare. Il grand’atto, da cui ebber principio le riforme di Carlo, fu la convocazione degli stati generali a Orléans nell’ ottobre nel 1439. Era generale il lamento contro gli Scorticatori detti anche routiers nel mezzogiorno della Francia, non potevano i popoli tollerare le angherie di questi perversi, ma non sapevano neppur resistere. Il contestabile di R:chemont avea cominciato a trattarli acerbissimamente , facendone impiccare ed affogare quanti gliene veniva alle mani. Ma come si potevan giudicare così severam-ute gli nomini che si eran battuti per la Francia, e che, se si eran dati alla vita di briganti, potevano accagionarne l imbecillità dei capi del governo il difetto di paghe regolari e li approvisionamenti che era stato sempre in tutte le guerre ? Carlo VII che non era crudele pensò a cercare qualche tempe- ramento per rimediare a tante calamità. Però negli stati gene- rali fu fatta un'ordinanza , la quale in somma disponeva: che fossero nel regno 15 compagnie di ordinanza regolarmente pa- gate , niuno potesse prendere il nome di capitano e raduuar compagnie, se non era nominato dal re, il capitano fosse respon- sabile della condotta dei soldati dei quali non potesse aumentare il numero oltre quello che era fissato dal re, i capitani doves- sero esser destinati alle guarnigioni e punibili ogni qualvolta si allontavassero senza ordine del re, i baroni e signori che tene- 5 vano delle truppe dovessero. mantenerle a loro spese senza crescere le imposizioni per questo , o esiger niente, dai vas- salli , i tribunali dovessero rigorosamente giudicare, di tutte le mancanze di disciplina, delle ruberie e. delle, depreda- zioni dei soldati e de’ capitani, in mancanza. dei tribunali fosse lecito respingere la forza colla forza, qualunque rescritto contrario all’ ordinanza dovesse aversi per nullo. Questa ordi- nanza ebbe l’ approvazione degli stati generali, i quali conce- dettero i soccorsi di denaro necessari per mandarla ad esecuzione. L'altro punto, su cui gli stati dimostrarono vigorosamente i loro desideri, fu la questione della pace e della guerra, manifestando il desiderio universale della pace. L’ ordinanza che ricompuneva l’esercito dispiacque ai capi- tani di ventura , ai cortigiani, ed a molti signori; intantochè molti anni vi vollero prima che giungesse alla sua piena esecu- zione. I malcontenti si unirono e tentarono svolgere colla forza il re dal suo proponimento. Erano favoreggiati da alcuni prin- cipi del sangue, e dal Delfino che fu poi Luigi XI. Ma i loro sforzi riesciron vani, e vinti dalle armi regie furon ridotti a do- mandare perdono (1439 1442). Le trattative di pace aperte in questo tempo non sortivano alcun buono effetto. Tuttavia 1’ In- ghilterra, divisa da interne fazioni e molto stanca di una guer- ra inutile alla nazione , faceva continue perdite sul continen- te senza pensare a ristorare le sue forze. Queste perdite con sistevano in piazze forti, da che nessuna gran battaglia ebbe luogo in quel tempo. i Finalmente, prevalendo il partito della pace, fu conchiusa a Tours una tregua fra le due nazioni per due anni, rimanendo gli inglesi in pussesso. della Normandia e della Guienna con alcune altre piazze forti che occupavano (1444). Questa tregua fu rafforzata un anno «dopo col matrimonio di Enrico VI. colla Margherita d’ Angiò. La quale crebbe vigore ai partigiani della pace, e seppe lungo tempo render vani gli sforzi del duca di Glocester , che tenerissimo dell’ onore inglese volea a tutti i patti la guerra. La nuova regina di Inghilterra , che dominava a sua voglia il debole ed inetto Enrico VI, vendicò la Francia dell’in- giurie ricevute per più di un secolo dagli inglesi, seminando in Inghilterra la guerra civile. ed acerbissime passioni che suprav- vissero al regno della prepotente regina. Carlo, rassicurato così dalla parte dell'Inghilterra, ridusse in soggezione molti signori del mezzogiorno, che profittando delle ci- vili discordie si eran quasi resi indipendenti dalla corona. Nè la 20 gratitudine ritenne il re dal mmover le armi contro il conte di Armagnac, che forse fu trattato più acerbamente degli altri (1444). Nel tempo stesso dette opera a riordinare le finanze per renderle più produttive al regio erario, ma non più giuste. Da che le innumerevoli esenzioni della nobiltà , del clero, degli uffiziali regii , il modo arbitrario dalla percezione , e l’ istituzione di tri- bunali speciali per giudicare le questioni di finanza, erano ca- lamità grandissime pei plebei che furon piuttosto aggravate che alleggerite sotto il regno di Carlo. Ebbe consiglisre ed aiuto nelle cose di finanza Giacomo Le Coeur, mercatante ricchis- simo da'stare in confrunto con Cosimo de’ Medici suo contem- poraneo. Per liberare la Francia della gran piaga de’militari, si ob- bligò ‘a mandare un esercito contro gli svizzeri e servir gli odi dell’aristocrazia e dell'imperatore Federico III. Carlo prese an- che col papa l’impegno di andare contro il concilio di Basilea. Il Delfino fu posto ‘al governo di queste spedizioni , lè quali frut- tarono al re molti denari. Fu fatto un grande scempio degli svizze- ri, ma gli stessi capitani francesi dovettero confessare ‘‘ che mai ,) non aveano trovato womini più ostinati a difendersi, più ,», audaci o più incuranti della vita. Però dopo la battaglia »» di San Giacomo i francesi se ne andarono a devastare le ter- », re di Lamagna ,,.. Ma le popolazioni tedesche non soppor- tavano con tanta pace come le francesi le angherie de’ sol- dati, e come potevano loro davan addosso e ne uccidevano molti. Si sarebbe potuta accendere la guerra tra l’impero e la Francia, ma poichè mancava un oggetto politico per farla , le insorte controversie $î terminarono con un trattato per cui i francesi rientrarono in Francia. Nel tempo istesso si avvicinò lo sciog'i- mento del concilio di Basilea , sì per essere stato abbandonato da’ suoi protettori, come pel timore delle truppe francesi. Il re Carlo avea impegnato le sue truppe anche al servizio del re di Lorena, che avea delle ‘pretensioni da far valere contro le città di Metz, di Toul e di Verdun. La guerra contro Metz fu condotta con una crudeltà sin- golare , si vide tutto l’odio dell’ aristocrazia contro i borghesi nel trattamento ‘de’ prigionieri, da che non si concedeva quar- tiére:‘% nessuno. Finalinente fu forza a quei di Metz venire ad un accordo , ed il loro esempio fu seguito da Joul et Verdun. « Questa triplice guerra (1444 1445) non era stata’ segna- »» lata che da atti di brigandaggio e da ferocità inaudite, e la ;, pace era stata venduta senza pudore alle città di Lorena. Con- 2I * tuttociò il fine segreto di Carlo VII era raggiunto. È fama ,: ch’ egli dicesse aver a quel modo fatto cavare del cattivo san- ,» gue alla sua armata. Difatti quelle terribili compagnie, che il »» Delfino avea condotte in Lamagna, rientrarono in Francia umi- »» liate ed infiacchite dalle perdite fatte, e dalla ritirata di tutti » quelli che non si curavano più di esporsi a simili pericoli, ,; @ si mostravano più disposte all’ ubbidienza di quello che mai »,) State fossero ,,. \ Allora (1445) 1’ ordinanza del 1439 sulla riforma dell’ eser- cito potè avere piena esecuzione. Le compagnie si composero in gran parte dell’ armata antica, e quel i, che non potettero avervi luogo, o tornarono alle loro case, o furono a poco a poco sper- ‘perati dalle condanne criminali come briganti. La disciplina fu rigorosissima , le punizioni oltremodo sollecite e severe. l vaga- bondi ed i briganti furono sottomessi ad una giurisdizione pre- vestale (1447); e tanta era la paura che si avea di loro, che niuno osò reclamare contro questa straordinaria maniera di procedere, ché esponeva all’ atbitrio ed alle soverchierie di pochi giudici la stessa innocenza. Tre anni dopo (1448) il re mandò fuori una ordinanza, colla quale veniva a comporre un rispettabile corpo di fanteria plebea. Fu ordinato infatti che ogni parocchia ‘dovesse sommistrare un soldato , al quale eran concessi molti privilegi ed esenzioni. Il corpo che veniva'a comporsi di questi soldati, fu detto de’fran- chi-arcieri. Un’ altra ordinanza dello stesso tempo riformò l’armata feodale. Diversi provvedimenti furon presi per favoreggiare il com- mercio, e la prosperità rinasceva in Francia. Nel tempo, che durava la pace, la politica del re volse gli occhi all’ Italia, senza lasciare di umiliare i vassalli del mezzo giorno di Francia. Ma nel corso del 1448 ricominciarono le ‘osti- lità cogli inglesi. Tuttavia la guerra non prese vigore prima del ‘1449. In tre anni riescirono le armate frincési a ricuperare la Normandia e la Guieuna. Nella prima provincia ‘aveano le popolazioni favorevoli, nella secondi le ebbero contrarie. Vi fu una sola battaglia decisiva a Tarmigny il 15 ‘agosto 1450, dopo la'quale tutta la guerra consistette in assedii. Il più signifi- cante' di tutti fu quello di Bordò che decise della Guien- na (1451). ZIO NNT ‘© La buona disciplina delle truppe francesi, 1’abbondanza dei denari , e la scienza che aveano acquistata nel ‘governo dell’ar- 22 tiglieria , nel quale ebber nome di eccellenti i due fratelli Bu- reau, furon cagiuni di successo pei francesi. Ma van valutate molto le intestine discordie a cui era in preda |’ Inghilterra , e la mancanza di succorso alla piazze che sarebbero state in grado di difendersi. Dopo il 1451 non rimaneva agli inglesi che Calais con poche piazze che gli sono vicine. Tuttavia i popoli della Guienna, che erano affezionati agli inglesi perchè sotto la loro protezione godevan quasi intiera li- bertà, si ribellarono ‘alla Francia nel 1452 e riaccesero la guerra, ma ebbero contraria la fortuna e dovettero tornare sotto il giogo nell’ottobre del 1453 e pagaron cara la ribellione. Ma non è da passare in silenzio, che gli inglesi fecero troppo poco per com- pevsare lo zelo dimostrato dai. popoli. della Guienna, benchè nell’ accogliere i refugiati fossero di poi assai generosi. Nello stesso tempo il duca cli Borgogna fece guerra fierissima ed in- giusta alla città di Gand.,;che pei gran privilegi che godeva e l’ industria de’ suoi abitanti poteva considerarsi come fiorentissima repubblica. Il re di Francia non solo negò ;a quei borghesi ogni asistenza, ma neppure volle esser presso il duca un caldo in- tercessore. Liberata la Francia dagli inglesi, ai quali rimaneva soltanto Calais, Carlo negli anni ultimi del suo, regno vagheggiò più i consigli di pace che le occasioni di guerra. Tuttavia gelosissimo come era della sua autorità ebbe in grandissimo sospetto il Del- fino, anche perchè i cortigiani e consiglieri glielo rappresenta- vano come impaziente di regnare e capace perfino di macchinare contro la vita del padre. Il Delfino dal canto suo, temendo pei pro- prii giorni, stavasene negli stati del Delfinato che reggeva come sovrano indipendente. Offriva. isottomettersi al padre, ma volea d'altra parte ehe fossero allontanati dalla corte i suoi nemici , senza di che non faceva sicura la propria persona. Queste ri- chieste inasprirono sempre più l’ animo del re ; il quale solleci- tato, dai suvi consiglieri fece occupare militarmente il Delfinato, vbbligando il Delfino a ricoverarsi in Borgogna, e riunì quella provincia alla corona (1457). Il Delfino, accolto e trattato splen- didamente dal duca di Borgogna, visse a Gennappe, fino alla morte del padre, sempre offrendo di sottomettersi alle condizioni che pocanzi dicevamo. Ma i consiglieri, lungi dal favorire la ri- conciliazione, inanimirono il padre contro il figlio, e lo, stimolavano a muover guerra al duca di Borgogna ; al qual consiglio il re non volle mai aderire per naturale indolenza e per non turbare la pace degli ultimi anni suoi. Pare che | 1’ animosità giungesse 23 al segno che Carlo consnItasse il papa intorno al proponimento di trasmettere la corona al secondo genito ; ma il papa che era ‘allora Pio II ne lv disto'se suviamente. Tuttavia questi odir do- mestici sparsero di amarezza gli ultimi giorni del re, il quale, secondochè narra Pio II, cadde in alienazione ddi mente , e morì per non voler prender cibo ai 22 luglio 1461 in età di cinquan- tun anni. Questo re, come noi dicevamo, giunto alla virilità avea mu- tuto persona eil operato grandissime cose. Convien dunque che diciamo qual fosse il suo carattere in questo secondo periodo del suo regnare, e quali massime di stato tenesse più ferma- mente. La naturale indolenza, che l’avea reso sprezievole nei prin- cipii del suo regno, non fu mai deposta onnivamente. Carlo occupavasi soltanto degli affari sommi, lasciando i minori ai suoi ministri, e nel tempo stesso che ravvolgeva nella mente le maggiori cose pensava alla quiete ed ai piaceri. Fu ben avven- turato nei suoi consiglieri e ministri, ma piena fiducia non accordò mai ad alcuno , perocchè di carattere diffidente, e molto geloso del supremo potere. Ebbe nei principii del regno dei favoriti che lo governavano assolutamente , nell’età virile ei mantenne sem- pre un’inciinazione al favoritismo. Ma la floscezza del carattere lo rendeva incapace di ogni forte affezione, e tostochè non vedeva una persona gli era facile scordarsela ; ed abb indonarla alle passioni de’ favoriti e degli intriganti che gli succedevano. Però tutti i più bene affetti di Carlo capitarono ad un tristo fine, senza che il re se ne do\esse, e talvolta con suo espresso con- sentimento. Fu ingrato verso i suoi migliori amici o per gelosia di po- tere, o per avidità di ricchezze , o per facilità a creder le ca- lunnie, ne mandò a morte molti ingiustamente, massime negli nl- timi anni del suo regno. Il contestabile di Richemont, che tanti servigi avea resi alla monarchia ; non fu mai amato dal re, e n’ ebbe de’ dispiaceri in vecchiezza. Ma almeno morì di morte naturale ‘e con tutti i suoi averi, il clie è da notarsi come cosa rara. I modi del re eran cortesi, le inclinazioni naturali alla pace; pare perfino che aborisse dall’ aspetto del sangue, ma per que- sto non cessò dal far morire molte persove delle principali del regno ingiustamente per ragioni di stato. Bisogna anzi notare che tanto gli assassinii politici, quanto le ingiuste condanne criminali comandate dalla prepotenza , eran arti di dominazione 24 praticate assai freddamente dai principi e dagli intriganti di Francia ; talchè per questa parte non cedevano in perfidia ai tiranni d’Italia. Carlo VII era naturalmente inchinevole alla lussuria, e gli storici di quel tempo gliene fanno rimprovero, tanto più che non se ne seppe emendare neppure negli ultimi anni del viver suo, Avea favorite, che pubblicamente facevan pompa di questo carattere, e tenevano un fasto quasi regio. Esse per con- tentare le voglie del re sceglievano o presentavano le don- ne che doveano sodisfare ai capricci passeggieri del monarca. La regina portava con pazienza questi costumi regii. È notabile eziandio che i costumi erano egualmente corrotti nelle altre corti dei signori di Francia. Nel tempo istesso gli storici dan lode al re ed agli altri signori di molta assiduità nelle più minute pratiche di devozione. Peraltro il clero, massime quello di Parigi, spesse volte mostrossi malcontento del re , interrompendo la pre- dicazione ed il servigio divino. Ma questo malcontento avea per ragione il desidlerio di certe esenzioni «he erano violate. Egual- mente meschini furono i motivi delle querele dell’ università di Parigi contro il regio governo. Viveva il re per lo più in piccoli castelli, non amando il soggiorno delle grandi città, nè le critiche che avrebbe susci- tate il suo modo di vivere. Benchè fosse ristoratore della potenza militare di Francia esso non era guerriero, e per lo più giun- geva dopo il fatto. Il suo maggior pregio fu l’astuzia, munita al saper conoscere gli nomini. Ebbe la fortuna di esser ben ser- vito, perchè le civili discordie aveano sviluppate molte capacità politiche. “ Non bisogna peraltro attribuire le buone scelte di »» Carlo ,, dice l'A. ,, alla sua perspicacità nel conoscere le per- », sone. Il numero di quelli, tra quali poteva farsi una buona »» scelta, era divenuto maggiore. Il merito, l’intelligenza si eran », fatti più comuni in ragione de’progressi generali del secolo. Le »» lettere cominciavano ad essere coltivate con buon successo per ) tutta Europa. Gli Italiani aveano posto mano ad ogni genere 33 di cognizioni, e ne avean tratto profitto per la sci»nza del 3; governo. La morte di Eugenio IV, avvenuta in Roma il 23 feb- » braio 1447 , avea dato occasione di porre nella cattedra di 3» San Pietro Tommaso di Sarzana (Niccolò V), uno degli uomini 3» più eruditi e versati nell’antica filosofia che onorassero l'Italia. 3) Nel tempo istesso Enea Silvio Piccolomini , che fu poi papa >» Pio II, erasi fatto segretario di Federigo III, e questo scrit- » tore eloquente , questo politico , abile e scevro di pregiudizi » era un uomo più del nos:ru secolu che del XV. Tutte le na- 25 3» zioni erano in commercio tra loro , i progressi dell’ une eran o d’utile anche alle altre, e benchè i francesi fossero sempre so per la cultura molto al di sotto degli italiani o anche de’te- »» deschi, vi erano troppe idee sane in circolo, perchè Carlo VII, 3) quando anche avesse presi i suoi favoriti a caso, ne avesse po- o tuti incontrare de’tanto incapaci quanto quelli della corte del- »» lavo e del palre ,,. Dopo gli stati di Orleans Carlo VII si propose di non ra- dunar più stati generali. Preferiva piuttosto gli stati provinciali, e credeva contentare la nazione confermando i privilegi delle comunità e delle provincie. Le doglianze degli stati provinciali non erano neppure ascoltate , e quelle adunanze tenevansi solo per trar denari. Anzi convien notare che sotto il regno di Carlo si raccolsero imposizioni non votate dagli stati, e si fecero per- petue quelle che erano state concesse per un tempo determinato. Questi abusi di potere, che forse dispiacevano, non destavan però gli animi alla rivolta, tanto era il bisogno di pace dopo uu se- colo di calamità. La sicurezza individuale fu molto compromessa dalle leggi e dalle pratiche del re. Perchè accadde di frequente che per- sone anche distinte , invece di esser giudicate dai parlamenti, fosser giudicate dai commissari regii. Siccome anche le corti pre- vostali contro il brigandaggio mettevano in gran pericolo 1’ in- nocenza. Insomma il re Carlo, dopo aver liberata la Francia dagli in- glesi, rafforzò il potere assoluto di un esercito permanente, colle pratiche di giudizi arbitrari e coll’ umiliazione di molti de’prin- cipali signori del regno. La politica francese occupava intieramente l’animo del re. Però fu assai freddo alle istigazioni di Pio II per una crociata contro i Turchi in poter de’quali era venuta Costantinopo'i al 29 maggio 1453. Giova adesso soffermarsi un momento a considerare le ri- voluzioni morali che nella prima metà del secolo XV si erano andate operando. Fr. FoRTI. (11 seguito nel prossimo fascicolo ). T. III. Luglio 4 26 ‘ Histoire du commerce entre le Levant et l'Europe, depuis les croisades jusqu’à la fondation des colonies d’ Amérique , par G. B. Drrrinc, etc. Opera ch’ è stata coronata nel 1828 dalla R. Accademia delle iscrizioni e belle lettere dell’ Isti- tuto di Francia. Parigi, dalla Stamperia Reale 1830, due volumi in 8.° « Vel Megaram usque ,,. Platone. Se nella remota antichità Tiro , e Sidone poterono a tanto colmo di fortuna, e di potenza innalzarsi, ne furono debitrici , anzichè alla situazione loro , ed alla comodità dei loro porti di mare , allo spirito industrioso , e pien d’audacia dei loro abita- tori. Distrutta poi dal Magno Alessandro cotesta potenza, e tra- sferita la sede del commercio fra gli asiatici, gli affricani, e gli europei , alla città da quel conquistatore edificata presso gli avanzi dell’ antichissima /Vo-Ammon in Egitto, la nuova Ales- sandria divenne, e restò, fino al tempo di Maometto , ed anche più tardi, il centro e l’ emporio universale di cotesto immenso traffico. Se non che avendo allora le armi, ed il fanatismo dei musulmani , resa troppo mal sicura , o troppo dispendiosa l’an- tica strada commerciale , si videro successivamente sorgere, in sui confini dell’ Europa, gli emporii di Costantinopoli, Trebi- sonda , e la Tana. E di fatto, non si può gettare uno sguardo anche sulla carta di quella parte del globo , senza rimanere per- suasi, che la felicissima situazione dell’ antica Bizanzio dovea, fin dai tempi detti eroici, aver fatto di essa la vera sede cen- trale del commercio reciproco fra 1’ Europa , e l’Asia. Ma seb- bene le greche storie, ed i codici di Teodosio , e di Giustiniano, testifichino con che mente si apprezzava un cosiffatto vantag- gio , le continove guerre , e la debolezza dei successori di Co- stantino, e di Giuliano , l’attraversarono per modo che, mentre l’ Egitto vedeva, presso le rovine dell’ antica Menfi, ergersi l’ odierno Gran Cairo, pocostante una delle più mercantili città del mondo, Costantinopoli, ad onta di tutti i suoi vantaggi , lungi dall’ essere , come doveva , il centro della mercatura del mondo allora conosciuto , era, per quella dell’ oriente, un sem- plice luogo di conserva , e di deposito dell’emporio più ragguar- devole di Bagdad, o Baldacca, donde si versavano, da una parte in Affrica, e dall’ altra in Europa , gli aromati , le spezierie , i profumi, ed altre merci preziose delle beate penisole fra le quali 27 è confine il Gange. Nè tardò guari ancora, che dovette Costan- tinopoli dividere con alcuni porti della Siria, della Licia, e del Ponto Eusino, e fin con quello della Tana nelle Paludi Meo- tidi, i guadagni che ridondavano da cotesta ricca mercatura, e che, per riguardo alla nostra Europa, andarono ad ammontarsi nelle mani dei mercatanti di Venezia , di Messina, di Amalfi , di Pisa, di Firenze, e di Genova. Da queste rapidissime osservazioni risulta ; che non sempre la situazione felice di una piazza di commercio basta per farne un emporio universale ; ma sì bene vuolsi per giugnere a tanto il concorso d’ un intendimento fermo , ed attivissimo per parte degli abitanti, e di una protezione autorevole , ed assidua: per parte di chi presiede al reggimento del paese. Così Alessandria, il Gran Cairo, Baldacca ; e Costantinopoli, nelle mani dei sa- raceni ,, e dei turchi, non furono, nè sono più in oggi, se non piazze di un rango secondario ; e la Sorìa, che non avea nè buoni porti; nè strade ben mantenute nel suo interno, faceva già pri- ma delle crociate, un commercio floridissimo , possedeva fattorie europee , e teneva in Gerusalemme fiere celeberrime , e di mas- sima importanza. i Indipendentemente poi dalla scoperta fatta della bussola nautica, e del passaggio immediato pell’ oceano alle due Indie di occidente e d’ oriente, molte cause concorsero nel fare sì che Ja potenza, e la ricchezza, che nei secoli andati stanzia- vano sui lidi dell’Asia, trovinsi a’ nostri dì riparate appo le na- zioni marittime dell’Europa. Le quali cause: sono di mano mae- stra, con accuratissima esattezza, e, molto minutamente, messe in chiaro nell’opera che stiamo esaminando, in cui non saprem- mo ben dire se più campeggi la maturità e la saviezza dei ra- gionamenti , ossivvero la vasta e squisita erudizione onde va corredata. Altri giornali, tanto di oltremonti quanto italiani, hanno già reso a quest'opera le debite laudi, e più o meno compendiosa- mente esposto quanto nella sua prefazione 1’ Autore dice dei fonti onde ha tratte le autorità , sulle quali la sua narrazione s’ appoggia , ed il quadro che nella duttissima sua introduzione egli offre dell’ origine, e delle vicende del commercio marittimo, dai più remoti periodi della storia insino all’epoca delle crociate, E già uno di quei giornali, il quale si pubblica nella dotta ed anticamente assai mercantile Pisa, ha pur dovuto dolersi, e con ragione , che il n. A. non abbia potuto conoscere, e mettere 28 a profitto l’ erudita , e pienissima opera dell’ egregio pisano av- vocato signor Fanucci , col titolo di Storia dei tre popoli marit- timi dell’ Italia , Veneziani, Genovesi, e Pisani, e delle loro navigazioni e commercio nei bassi secoli, non che il Prospetto ragionato , pure fatto pubblico , d’ un grande lavoro istorico in questa materia medesima preparato dal defunto duttissimo avv. Castinelli. Non minore argomento di rammarico è il vedere, che soltanto in due brevissime annotazioni aggiunte a piè di pagina durante la stampa , il sig. Depping mostri di conoscere la eru- ditissima storia dall’ insigne, ed ora desiderato nostro toscano conte Baldelli tessuta delle relazioni vicendevoli dell’ Europa e dell’ Asia, dalla decadenza di Roma fino alla distruzione del califato. Ma ciò che reca non solo rammarico, ma vera sorpresa, si è il non trovare mai presso il n. A. nè uso, nè menzione fatta dell’ eccellente Discorso di Giovanni Battista Ramusio in- torno le diverse vie, che seguirono le spezierie per giugnere fino a noi, dopo la dissoluzione dell’ imperio romano , il quale Di- scorso da quasi tre secoli si trova stampato nel primo volume delle Navigazioni e Viaggi dal medesimo Ramusio pubblicati ; raccolta, che debb’essere fra le mani, e sotto gli occhi di chiun- que alcunamente voglia studiare la storia del commercio dei così detti secoli bassi , e della quale il n. A. si è pure di molto ap- profittato in altre parti della sua opera: Potremmo ancora citare qui come fonti o non conoscinte , o non adoperate dal signor Depping, due scritti pubblicati, l'uno in tedesco nel 1783, e ristampato nel 1792 ‘con molte aggiunte, dal celebre Mattia Cristiano Sprengel, sotto il titolo di Storia delle più importanti scoperte geografiche fino a quella del Giap- pone nel 154° , e l’ altro in italiano , dato alla luce, nel 1802 , dallo svezzese Jacopo Gràberg nel volume secondo dei suoi An- nali di geografia e di statistica , sotto la rubrica di Storia della geografia del medio evo, cioè dall’ anno 376 dell’ era cristiana fino all’anno 1500. Nella quale storia pur molte cose si rincon- trano, che si riferiscono specialmente alle relazioni commerciali dei popoli italiani col Levante, e con diverse regioni dell'Asia e dell’Affrica. Nè pochi soccorsi infine ha perduti il signor Dep- ping per non avere , a quel che pare, conosciuto se non tardi, le dottissime Dissertazioni di Sua Eminenza il Cardinale Zurla intorno Marco Polo, ed altri viaggiatori veneziani più illustri , con appendice sulle antiche mappe idrogeografiche lavorate in Venezia, e per avere ignorato affatto. che nel tomo settimo della 29 sna Storia della Toscana fino al principato , l’ ingegnoso nostro Pignotti avea pure inserito un breve sì; ma dottissimo Saggio sul commercio dei toscani. Poche cose diremo sul contenuto dei due primi capitoli del n. A. che svolgono la storia mercantile antica dell’ India , del- l'Arabia, e della Persia, e quella più moderna dell’Egitto, della Siria, del Ponto Eusino , così male a proposito chiamato mar Nero , ec. Il grande emporio del commercio antichissimo dell’In- dia era l'isola di Ceilan, dal quale dipendevano , come luoghi di conserva, di deposito ; e di corrispoudenza , Malacca, il Ben- gala, il Decan ; Paliacata, la costa: del Malabar, Calicut, Cam- baja, l'isola di Ormus , il porto di Aden nel mare d’ Arabia , e quelli di Gedda , Suaken., Aidab , Cosseir, e Snes nel golfo arabico, malamente nominato mar Rosso. Da questi luoghi pas savano in Europa le pietre preziose ; le: perle, gli aromati; le spezierie , i profumi , le droghe medicinali, lo zucchero , la por- cellana , l’ avorio , le tele di cotone; le indiane, gli scialli, i legnami per i tintori., ec. e giungeano quivi per la via dell'E- gitto , e di Bassora le manifatture di Europa, lo zolfo, il rame; il vermiglione , l’ oro; l’ argento; il corallo, lo zafferano, ec. Dall’altra parte si facea., principalmente a Calicut gun traffico attivissimo colla Cina; da.dove arrivavano le navi dette giurche marivate talora da più di mille uomini di equipaggio ; con ca+ samenti ‘e stanze fornite di quanto facea mestiere per comoda- mente starvi, talchè assomigliavano quei vascelli a quartieri gal- leggianti. E; verso l’occidente gli emporii dell’Ind a, e dell’Ara- bia corrispondevano, ed erano in cont nue relazioni , coi paesi affricani di Mombaza, Magadoxo , Melinda, e Sofala; non che colla vastissima isola di Madagascar. L’ Egitto ha sempre prodotto in grande copia il lino , ed il cotone , e nei secoli barbari del medio evo gli abitatori delle la - gune adriatiche vi faceano traffico della specie umana ; merci- monio che singolarmente si aumentò dopo la conquista di quel paese fatta dai musulmani , ed anche più dopo 1’ istituzione dei mammalucchi , ma che infine fu portato ad un eccesso tale, clie il Capo visibile della Chiesa cattolica fu costretto ad impiegare i fulmini del Vaticavo per mettervi un termine. Ma se a questo riguardo i veneziani furono talvolta ubbidienti, mettevano per altra parte in non calere le pro bizioni del Papa, e le invettive dei buoni cristiani, con provvedere ai saraceni d’£- gitto il ferro , i legnami da costruzione ; ‘ed ogni specie di armi. Nè furono essi i soli che si applicassero a cotesto lucroso mer- 30 cimonio; che, astrazion fatta di vedute politiche e religiose , era sovramodo utile all’ Europa ; conciosiachè le procnrasse a buon mercato le preziose derrate, che si traevano dall’Asia per la via del Nilo, e di Alessandria. Oltre il ferro si portava in Egitto anch e lo stagno, il rame, il piombo , l’ argento vivo ,; le travi, ed altri oggetti lavorati di legno , e di metallo, non che ogni specie di manifatture europee. La Siria faceva presso a poco lo stesso traffico dell’ Egitto, con cui era in comunicazione non mai interrotta. I cristiani tro- vavano inoltre nei suoi porti le ricche mercanzie della Persia, della Cina, e delle isole ‘che producevano le spezierie. Sciras, città di dagentomila anime di popolazione, forniva Costantinopoli; ed il resto dell’ Europa di gemme, di sete, di armi bianche, e di selle, ed altri fornimenti da cavalli. Altre città tessevano drappi di seta, e tappeti. Il quale commercio era di tanta e tale im- portanza, che non solo durante il'medio evo, ma ben anche in tempi più moderni, tutti gli stati, cristiani del mediterraneo am- birono il favore di avere banchi di negozio, e fattorie nelle prin- cipali città della Siria. E non senza motivo si è da molti credata l’ interruzione di cotesto commercio ; prodotta dalle invasioni e dalle conquiste dei saraceni ,.essere stata la vera causa motrice delle crociate ;. avvegnachè , per commuovere i. popoli a pren- dervi parte, e riconquistare quelle contrade, si allegassero prin- cipalmente i motivi religiosi. Ciò ch'è certissimo si è, che le re- pubbliche d’ Italia, ajutando i crociati, e profittando delle ci- vili discordie di Costantinopoli, seppero farsi pagare in concessioni coloniali, ed in prerogative i soccorsi , che somministravano alle armate dei principi cristiani; i quali.a loro volta divenuti re- gnanti , o dotati di feudi nella Siria, ebbero bisogno di merca: tanti del loro paese per procacciarsi oggetti di commercio , o per convertire in denaro i prodotti delle loro terre ., e specialmente lo zucchero, ed il cotone. Il paese era popolato da europei; e soprattutto da francesi, e da italiani, che in molte città, e no- minatamente in Accone, o San Giovanni d’ Acri, l’ antica To- lemaide , aveano rioni, contrade , piazze, e quartieri loro pro» prii, dove viveano indipendenti dall’ autorità municipale , e si governavano secondo le leggi delle rispettive loro patrie. Oltre poi i quartieri degli europei v’ erano altri di armeni, di tatari , e di ebrei; e siccome nessuna autorità era forte a bastanza per dominare su tutta la popolazione, così accadeva sovente, che uno o più quartieri, od una o più nazioni moveano risse ed anche battaglie contro le altre. I veneziani soprattutto, i geno- dI ‘vesi, edi pisani, che solevano essere i più turbolenti , si slog- giarono a vicenda , e scene di disordine , di violenza , di orrore, e di sangue annunziavano l’anarchia, che regnava dappertutto. Ma fatti strepitosi aveano intanto cambiata la faccia delle cose pubbliche nell’ oriente , e nella Siria. Holagu , khan dei tatari, invase nel 1260 questa regione, e spinse le sue conqui- ste fino alle frontiere dell'Armenia. Dopo la morte di lui i mam- malucchi dell’ Egitto , nemici dei tatari , invasero, a loro volta, la Siria , e verso la fine del secolo decimoterzo aveano tolti ai cristiani, e rovinati tutti i porti da loro posseduti su quelle co- ste. D’allora in poi un solo padrone, il Soldano ; regnò sull’E- gitto , e sulla Siria. A misura però che i saraceni ripigliavano qualche porto o città mercantile, le fattorie cristiane s’ adoperavano nel trattare coi conquistatori onde conservare i loro vantaggi, o quando i tatari scacciavano i saraceni, gli italiani intelajavano negozii coi nuovi venuti; cotanto importava loro il proseguire un commer- cio d’ altissimo pregio , ed interesse pell’Europa. Infatti, buona porzione delle derrate dell’ India, della Persia ; dell’ Arabia , della Mesopotamia , e dell’interno dell’ Asia giugnevano per Da- masco, v per altre vie alle coste della Siria. Le guerre, e le proi- bizioni dei sommi Pontefici, frapponevano ostacoli alle relazioni commerciali dei cristiani coi saraceni dell’ Egitto; ma sulle co- ste della Siria gli italiani trafficavano liberamente. Chiamati colà dall’utile, e dai bisogni delle crociate, non correvano tanto ri- schio di essere scomunicati per aver fatto mercimonio cogli in- fedeli. Laonde vediamo, nel medio evo. le repubbliche mercantili dell’ Italia difendere accanitamente le loro possessioni nella Si- ria. Genova e Venezia cercavano à vicenda di distruggere le ri- spettive loro fattorie, come si videro più tardi gli olandesi, ed i portoghesi arrovellati a nuocersi scambievolmente sui lidi del- V India. La presa di San Giovanni d’Acri, nel 1290 , recò un danno incalcolabile al commercio dei cristiani, ma soprattutto a quello dei francesi, che d’ allora in poi non ebbero più fattorie in quel fioritissimo emporio , il quale anche al dì d’oggi potrebbe, in altre mani, divenire la prima piazza di commercio dell’ oriente, d’ onde diramare in tutta l’ Asia , e nella valle del Nilo, la mer- catura , e l’ incivilimento. Nell’ interno della Siria le città di Aleppo, e di Damasco erano due famosi luoghi di conserva fra Baldacca e la Persia dall’ una parte, e Costantinopoli e 1° Europa' dall’ altra. Anche 32 in Antiochia si facea dagli italiani, seguatamente di Amalfi, e dì Genuva , un traffico molto lucroso , rovinato poi da Bibars ; sol- dano d’ Egitto. Ma dopo che furono interamente, espulsi i cro- ciati da tutta la Siria, il centro di quel, commercio si trasferì per qualche tempo nell’ isola di Cipro, dove Famagosta ne di- venne tosto la sede. Le isole di Rodi, e di Candia, rimaste pure in mano dei cristiani , continuarono per più secoli a mantenere vive le relazioni coll’ Asia , e coll’ Egitto. Contuttociò 1’ emporio che più d’ ogni altro sembrava offe- rire il commercio più importante, e che infatti non poteva man- care di farlo, era sempre l’ imperiale Costautinopoli. Già fino dai secoli più antichi Bizanzio era stata il centre del traffico fra l'oriente , il settentrione, e 1’ occidente. Sotto gli imperadori greci, Costantinopoli ebbe in grande copia manifatture, e fabbriche di oggetti di lusso, e continuò a tirare a se i produtti dell’ In- dia, della Persia, dell’ Asia minore, della Russia, e dell’ Egitto. I suoi artefici superavano quelli d’ ogni altro paese nella pit- tura ; nella scultura, nelle opere di cesello, nell’oreficeria , e nel ricamo ; e le sue fabbriche davano al commercio una infinità di diversi tessuti: di modo che in quella opulenta città trovavano gli occidentali immensi depositi dei prodotti i più squisiti, e v° incontravano i mercatanti ed i marinaj dell’Asia, e dell'Europa. Gli è però vero, che il dispotismo dei regnanti metteva fieri ostacoli al commercio: la seta , 1’ olio, il grano , erano oggetti di monopolio pel governo locale, che avea pur anche proibita l’aspor- tazione dei ricchi drappi di porpora, i quali nell’impero greco sol- tanto venivano fabbricati. E siccome fra mezzo alle sedizioni che insanguinavano il palazzo degl’ imperatori, e sconvolgevano l’ impero , quel governo abbisognava spesso gli ajuti delle flotte straniere che approdavano nel porto per farvi il commercio ; così dovette far molte concessioni ai veneziani , ai genovesi, ai pi- sani , ed ai mercanti di Amalfi. Sul bel principio delle crociate , ciascheduno di questi po- poli possedeva di già nella capitale dell’ impero il suo territorio distinto , i suoi magazzini, i suoi fondaci , le sue botteghe , ed anche le sue fabbriche , posciachè , non contenti di asportare colle loro navi le produzioni del paese , ardirono i franchi stabilire eziandio le loro manifatture in mezzo ai greci. Se non che questi vantaggi costavan non di rado sacrifizii grandissimi , e gli stessi franchi davano spesso ai greci, che li accoglievano, il vergognoso spettacolo di scambievoli intrighi, gelosie, e qual- che volta di lagrimose contese, fra le quali una dell’ anno 1162 35 fra i pisani , ed i genovesi ebbe i micidiali effetti. d’ una vera ) battaglia. Dalle cruciate in poi divenne Costantinopoli 1’ emporio del- le mercatanzie dell’ oriente e dell’ occidente. I genovesi vi apportavano i pesci, le pelliccerie, e le granaglie delle rive del Ponto Eusino; la loro colonia di Caffa tenne la reputa- zione di somministrare il miglior formento di quelle spiaggie , che davano anche le biade di Azilo, e di Moncastro, men- tre la Romania provvedea 1’ eccellente grano di Rodesto. I vini dell’ Italia si vendevano in concorrenza con quei della Ro- mania , delle isole di Cipro, e di Gandia. Gli aromati, le dro- ghe medicinali , il cotone, l’indaco, lo zucchero , arrivavano dall’ Asia minore, da Trebisonda , e dall’ Egitto ; e gran parte di queste merci passava pel Danubio nell’ Ungheria ; e nella Germania , e pel Boristene ed il Dniester nella Russia , e nella Po'onia. Gli ungheresi davano in cambio di quelle derrate lavori di legno . e di ferro , arme bianche, selle, ed altri arnesi caval- lereschi , ec. Dalla parte del mare, i franchi arrecavano a Co- stantinopoli i panni di Francia , delle Fiandre , di Firenze, gli scarlatti ed i velluti di Genova ;, i drappi bianchi di Narbona , le coperte di Provins , e le bancale di Bagnoles. I russi manda- vano le loro pelliccierie , e dalla Romania si traeva molta quan- tità di allume. Ma se il gran movimento commerciale della città dominante vi attrveva immenso numero di stranieri; le altre piazze - mer-, vantili dell'impero adunavan pure nei loro mercati, e nelle loro fiere , innumerevoli negozianti italiani , francesi, spagnuoli, ed arabi dell’Egitto, e della Siria. Quella di San Demetrio a Salo- nicchi, era forse la più opulenta , e gli italiani vi teneano fat- torie, e fondaci permanenti. Nella Natolia vi erano le piazze di Brussa , e Foggia , e sulle rive asiatiche del Ponto Eusino do- minava Trebisonda , fino da’ tempi antichissimi celebre pel suo commercio col mare Caspio, e che nel tempo delle crociate era di- venuta sede d’uno stato indipendente di molta importanza. I ge- novesi, ed i veneziani vi possedeanv fattorie ed estesi privilegii, col mezzo dei quali vi facevano un traffico attivissimo. I primi vi recavano da Costantinopoli i panni francesi , fiamminghi, ed italiani, le tele di Francia , gli olii d’Italia, le chincaglierie di Germania , ed i frutti secchi della Spagna. A Trebisonda poi si tessevano eccellenti stoffe di cotone, e di seta ; ed i fondaci della città offerivano tessuti d’ oro venùti da Baldacca, e dal Cairo , perle e gemme dell’ India e della Persia, drappi di seta T. III. Luglio 5 34 e di cotone , opera degli indostani , e dei cinesi, panni scarlatti di Firenze, canape , e miele della Mingrelia , ec. ec. Poco esperti nella navigazione, gli abitanti abbandonavano ai genovesi la cura di provvederli di grano , ed altri commestibili della Crimea. Alle annuali fiere poi di Trebisonda si vedeano accorrere franchi , musulmani, greci, armeni, ed altri mercatanti dell’ Europa, dell’ Asia, e fino dell’Affrica , dappoichè un ampia strada , at- traversando la giogaia dei monti, che separavano quell’ impero dall’ Armenia, menava ad Erzerum, e di là fino a Tauris. nella Persia , ove risiedeva nel secolo decimoquarto il khan dei tatari che aveano invaso tutta 1’ Asia occidentale. Per quella strada passavano nella Persia tutte le mercatanzie depositate a Trebi- sonda, e quelle del mare Caspio , e dell’ interno della Persia, si portavano per la medesima via in quel porto, a fin di essere quivi imbarcate sul Ponte Eusino. Buona parte però delle spe- dizioni si versava quindi per Erzerum, dove i genovesi aveano una fattoria , nel Diarbekir, e lungo le sponde dell'Eufrate. Da Cerasonta , seconda città dell’ imperio di Trebisonda , menava un’ altra strada, per Tocat , ad altre piazze mediterranee della Natolia. Ma l’antica Sinope , pure per alcun tempo posseduta dai genovesi, e famosa come luogo di conserva delle sete , ov- vero peli setosi di Angora, era già da molti anni caduta in po- tere dei musulmani, che ne fecero un nido di corsali, e di pirati. i % L’ Armenia fu in ogni tempo, ma più spezialmente nel- l’epoca delle crociate, un paese essenzialmente mercantile. Al- lora, come in oggi, i suoi mercatanti trovavansi sparsi in tutte le piazze di commercio dell’ India, della Persia, della Siria, e di altri paesi. Coltivavasi poi nelle loro campagne il cotone, e si fabbricavano nelle città i più bei cambellotti, che si spedivano spezialmente in Europa. Passava inoltre pell’ Armenia la grande strada, che da Tauris menava al porto di Ajazzo, o Lajazzo, l’antica Zssus, da Marco Polo detta Galza , o Glacia, dove ap- prodavano mercatanti di ogni paese, e segnatamente di Genova e di Venezia. Infatti trovavano essi colà depositi ricchissimi di tutte le dovizie dell’ oriente, soprattutto delle spezierie e dei profumi; e gli europei vi disbarcavavo le mercanzie che voleano spedire per Tauris, è per le quali pagavano imposizioni gravis- sime agli armeni. Inguisachè Tauris appunto divenne poco stante ; da quella parte , il vero centro della mercatura asiatica, dove le merci apportate dai cristiani pagavano il dazio del dieci per cento sul valore, mentre i musnImani ne pagavano sola- 35 mente la metà. Altoluogo, e Sis, due altri emporii minori , si- tuati a poca distanza dal mare, erano similmente frequentati dai franchi, e spezialmente da francesi , e da italiani. Ma gli armeni erano a buon conto quelli che facevano il più importante commercio coll’ Asia centrale, ed anche coll’ India, e colla Cina. E non ostante che nel 1375 la loro patria fosse stata conquistata dal soldano d’Egitto , cotesta rivoluzione reco pochissimo danno al commercio dell’ Armenia coll’ Europa, che continuò ancora vivissimo infino alla scoperta del capo di Buona Speranza. Nelle cose umane fu sempre il bene o disnaturato, o con- taminato dal male. Già dissimo , che nell’ Egitto si faceva mer- cimonio della spezie umana: ma fu principalmente sulle coste della Gircassia che quell’ infame. e nefando traffico ebbe la sua vera sede, e che mercanti cristiani andavano a comperare fan - ciulli per rivenderli nell’ Egitto ; traffico per altro anatemizzaro dalla religione, e che alfine facevasi soltanto in segreto. Derbent, sul mare Caspio , n’ era il principale emporio. Ma fra tutte le piazze mercantili di coteste regioni quella di Tana, situata presso le foci del Don, sul mare detto in oggi di Azof, e nel medio evo delle Zabacche , divenne appoco ap- poco una delle più importanti. Già i greci antichi vi aveano barattato i loro vini, i loro tessuti, e le loro vestimenta colle pelliccerie , gli schiavi, e le vettovaglie degli sciti, e dei sar- mati, ed ora i genovesi ed i veneziani vi faceano affari gran- dissimi coi tatari in cereali, pelliccerie, sete , ec. Recavano essi agli indigeni vini, olio, ferro, e zafferano ; mentre dall’Asia centrale arrivavano le derrate della Persia, della Tataria, del Tubet , dell’ India , della Serica , e della Cina , per via del mare Caspio, e delle carovane di Astracano. D'altronde il Don mettea la Tana in comunicazione colle provincie interne della Russia , e l’ Edil, o sia il Volga, col Chiptsciac o Captsciac, e coi paesi dei bulgari, degli uniguri, e dei baschiri. Era però naturale cosa, che anche questo commercio facesse nascere gelosia, con- tese, e battaglie fra i due popoli italiani, che vi trafficavano prin- cipalmente. I genovesi però la vinsero a lungo andare, e per mantenersi in sicuro , e quieto possesso della loro conquista, fondarono , all’ ingresso del mare delle Zabacche, e nella Cri- mea nominata in quei tempi Gazaria, cioè paese dei Cazari, tribù di turchi, la colonia di Caffa, che divenne poco stante il principale loro mercato nel Ponto Eusino , ch’essi chiamavano mare Maggiore. Tenevano inoltre nella Crimea , accanto ai ve- neziani , le fattorie di Soldadia o Soldaia (Sudac), di Solcati 36 (Eski-Krim), e di Cembalo o Bellachiave (Balaclava), presso l’odier- na Sevastopoli. Colà come sulle coste della Siria , e sotto le mura di Costantinopoli quei due popoli mercantili d’ Italia non cessa- rono mai di combattere per la primazia, e di muocersi scam- bievolmente ; i loro sforzi , e le loro imprese a tale effetto sono incredibili. Ma, come dicemmo , nel Ponto Fusino la. vittoria restò ai genovesi, che oltre le fattorie della Gazaria , della Ta- na; e di Trebisonda, ne aveano altre anche a Sinope, e sulla costa occidentale occupata dai bulgari venuti dalla Sarmazia. I pisani aveano tenuto per qualche tempo nel mare delle Za- bacche presso la Tana un porto denominato Porto Pisano, sul sito de! quale gli scrittori non sono d’ accordo ; ma che noi cre - diamo essere stato quello dell’ odierna Taganrog, dove motì, sei anni or sono ; l’ imperatore Alessandro. Fatto sta, che la porz ione del continente antico che, dalle coste del Mogh'rib-el-acsà , o sia dell’estremo occidente , sì protende fino alle rive del Don e del Volga, era in quei tempi un vasto e perpetuo teatro di relazioni vicendevoli, e bene spesso cordiali, e soprattutto di uno scambio vantaggioso di prodotti, d’ invenzioni, di procedimenti di arti, e di associa- zioni d’ interessi fra i cristiani, ed i musulmani di Asia, e di Affrica. L'opera che stiamo esaminando torna quindi ad esporre di queste relazioni un quadro che dimostra, d’un modo esube- raute, la poderosa e forse esclusiva influenza , che il commercio ha sempre, ed ovunque esercitato nei progressi dell’ umana ra- gione , ed in quelli dell’ incivilimento. Il Capitolo terzo è consacrato interamente alla storia del commercio dei veneziani. Fino dal principio del nono secolo i loro legni visitavano le coste dell’Egitto, e della Siria. Verso la fine poi del decimo,i mercanti di Vinegia formavano già in Co- stantinopoli una comunità , ed anche senza le crociate la loro patria si sarebbe in fin d’allora impossessata di tutto il com- mercio del Levante. Chè già da più secoli erano quasi esclusìi- vamente veneziani ibastimenti , che conducevano in Terra San= ta, e rimenavano in Europa i pellegrini che colà si recavano, per la via di mare. Ma quelle sante guerre servirono mirabilmente alle vedute di Venezia sull’ oriente , e stimolarono il suo ardore mercantile per la concorrenza dei rivali. Immenso fu dapprima il guadagno che trasse dal noleggio de’suoi navigli, e che talora si estendeva fino alla metà di tutto ciò che i noleggiatori potevanv acquistare, o per la forza dell’armi, o per via di negoziati. Nou altrimenti fu, che alla presa dì Costantinopoli fatta dai latini, 37 quella repubblica si fece assegnare un quarto e mezzo di tutto l'Impero, ed ebbe infino d’allora il possesso immediato delle città di Eraclea, Andrinopoli, Gallipoli , Patrasso, Modone, Durazzo | e delle isole di Andro, Nasso , e Zante. Ravenna era stata nei primi secoli dell’ era cristiana il mer- cato centrale, in Italia, delle derrate e ricchezze dell’oriente, ed avea sempre mantenuta una marina molto rispettabile ; ma ella dovette cedere ben tosto all’ ascendente di Venezia, che dopo le spedizioni e le guerre di Terra Santa diventò 1’ emporio uni- versale delle mercanzie dell’ oriente , e dell’ occidente , siccome diventò in poco tempo una delle più industriose città del mondo in fatto di manifatture; e la prima potenza marittima della cri- stianità. Altri p poli europei erano discesi armata mano sulle coste della Siria ; i veneziani vi arrecarono mercanzie , e vi sta- bilirono fattorie. Ritornando a casa loro , caricavano i loro va- scelli di merci che sapevano essere gradite, e ricercate nei paesi occidentali. Inguisachè , laddove per gli altri popoli nelle spedì- zioni d’ oltremare quasi tutto era perdita, pei veneziani soli tutto ridondava in utile. Egli è ben vero, che i genovesi perven- nero a soppiantarli a- Costantinopoli, e nel Ponto Eusino; ma la repubblica veneta possedè ancora quasi tutto il commercio delle coste della Romania, unia parte della Grecia era suo feudo, Candia, e Negroponte le appartenevano, ed ella divideva sempre coi genovesi il traffico del mar Maggiore. I bulgari, gli unghe- resi, ed altri popoli del continente erano i suoi alleati. Oltre di che dominava sulle foci di tutti i fiumi che-sboccano nell’Adria - tico ; l’Istria , la Dalmazia, il Vicentino, il Padovano eranle sudditi con due millioni di abitanti ; tenea. consolati quasi indipendenti nei porti dell'Armenia , della Siria, dell’ isola di Cipro, della Crimea , dell’ Egitto , e degli stati barbareschi. Colla Sicilia , gli stati romani, la Spagna, e la Francia mantenea trattati e rela - zioni commerciali , e di già i suoi vascelli frequentavano i porti dell'oceano atlantico, delle. Fiandre, dell’ Inghilterra, e fin quelli della Norvegia , e dell’ Islanda. Sul continente mandava le sue mercatanzie pel Tirolo, e per la Carniola in Germania, in Ungheria , in Polonia , alle città anseatiche, ed in Russia, ove i suoi mercanti correano fino alle rive dell’ oceano glaciale. Senzachè può dirsi a viso aperto , che durante i secoli quarto , e quinto dopo il mille, la marina militare di Venezia tenea l’im- perio del mediterraneo , e spezialmente del mare di levante. A quale proposito bisogna leggere la bellissima descrizione di quel'a marina fatta dal celebre Pietro Martire d’ Anghiera , scrittore s8 quasi coetaneo , e dal nostro autore estratta in una delle sue annotazioni all’ opera che stiamo notomizzando. Sul principio del quindicesimo secolo venticinquemila marinari, tratti in massima parte dalle isole, e dal littorale, formavano gli equipaggi di tremila legni mercantili , che stazzavano da dieci fino a cento tonnellate , e di trecento navi di alto bordo della portata di set- tecento, a tacere di più centinaja di piccole barche pel cabot- taggio. Questa marina mercantile, disseminata per tutto il Me- diterraneo , e per altri mari , era protetta da quarantacinque ga- lere armate, e marinate da undicimila soldati, e diverse flottiglie difendevano le bocche dei fiumi, e l’entrata dei porti nell’Adria- tico. Alcuni di quei vascelli aveano cent’ otto piedi di chiglia , e portavano oltre la milizia , cento dieci marinajo o guidatori di navi. Un antico manoscritto di certo Roberto Lio, citato dal dotto Filiasi nel suo Saggio sull’ antico commercio dei veneziani , dice , che nell’anno 1433 partirono dalle lagune sette diversi convo- gli o flotte di navi mercantili, cioè una pei porti della Romania, una seconda per Baruti , una terza per Alessandria, una quarta per la Barberia , una quinta per la Fiandra , una sesta con pel- legrini per la Siria, ed una settima per Aigues-Mortes in Fran- cia. E dodici anni prima il Doge Tommaso Mocenigo avea già detto in un pubblico discorso, che il commercio di Venezia met- teva in circolazione , ogni anno, la somma di dieci millioni di zecchini, cioè, sessanta de’ nostri. Il nostro Autore entra quivi in molte curiose particolarità tratte dalle opere dei fiorentini Balducci Pegoletti , e Giovanni d’ Uzzano , che ad un secolo di distanza 1’ uno dall’ altro scris- sero della mercatura, molto tempo prima della scoperta del capo. di Buona Speranza. Le quali particolarità per altro non sono più nuove per noi altri italiani, che già le abbiamo lette nei quattro volumi dal Pagnini intitolati Della decima e delle altre gravezze , nella storia di Marin del commercio dei vene- ziani, e nelle opere del Formaleoni, dell’ Eminentissimo Zurla, e del fu conte Baldelli. Altri fatti però, non meno curiosi , sonv estratti dalle opere spagnuole del Capmany , e del vivente don M. F. Navarrete, non che dalla bellissima storia di Venezia composta , e pubblicata dal fu conte Daru in francese. Da tutto ciò resulta , che il deposito immenso di Venezia inghiottiva i te- sori di tutte le altre nazioni , mentre la sua Banca, istituita fino dal secolo duodecimo , facilitava sovranamente , colle sue ce- dole , gli affari commerciali del mondo. Di già nel 1171 si ser- 39 vivano i veneziani d’ una spezie di lettere di cambio ; ed il papa Innocenzo IV depositò nel 1246, nella loro Banca, una somma di due mila cinque cento marche d’argento, per essere rimessa in Franefort, nella guisa medesima che si fa dai banchieri de’nostri giorni. In una parola , il testè citato doge Mocenigo ebbe ra - gione di dire ai veneziani, conchiudendo un altro pubblico sno discorso : “ Voi siete i soli a cui la terra ed il mare siano ugual- 3; mente dischiusi ; siete il canale di tutte le ricchezze ; fate le s» provviste del mondo intero. Tutto 1’ universo prende interesse ss nella vostra prosperità , e tutto l’ oro del mondo si concentra », nelle vostre mani. ,, è Venezia è rimasta celebre fino a’ tempi moderni pei suoi la- vori di vetro. Avea essa ricevuto dall’ oriente il segreto di colo- rare quella materia, e di affazzonarla in mille foggie variate , ingegnose, e piacevoli. Questo segreto sembra essere stato colà conosciuto fino dal secolo undecimo ; almeno è cosa indubitata, che sul principio del duodecimo già si fabbricavano in Venezia le così dette corterie, o mercanziuole di vetro. I suoi specchii , e le sue lastre di vetro , erano nel medio evo, e fino ai tempi di Luigi XIV, le più belle che si conoscessero; e le conterie sono tuttavia ricercate non solo in Europa , ma eziandio nell’Asia e nelle regioni più remote dell’ Affrica , dove formano , da più secoli, una specie di moneta corrente nell’ alta Nubia e nel regno di Sennaar, e nella Nigrizia il più ambito , e pregiabile ornamento del bel sesso. I lavori di orificeria, ed altre opere di lusso , accrescevano pure la ricchezza commerciale di Venezia , ed in nessun luogo del mondo si lavorava meglio la cera, che però sì estraeva di colà per tutti gli stati cristiani. Nel centro dell’ Europa , Venezia tenca relazioni continue colle città di Ratisbona, e Norimberga. La prima comunicava con Kiovia, e Novogorod nella Moscovia, e vi tenea fattorie pel traf- fico delle carovane, che andavano in Tataria. Norimberga , ed Augusta invece, servivano di luoghi di conserva pel commercio colle città anseatiche , siccome Villacco nella Carinzia lo era fra Venezia e Vienna, e pel commercio della Germania col Levante. Vienna stessa faceva, fino dal secolo decimoterzo, un com- mercio molto esteso, e corrispondeva costantemente colle la- gune di Venezia. Da un’altra parte , la Silesia era pervenuta ad aprirsi direttamente relazioni vicendevoli col levante. Bresla- via riceveva all’ingrosso, per la via di Costantinopoli, e dell’Un- gheria , il pepe, e l’allume di Smirne , che poi di là passava in 4o I Polonia, in Germania, in Danimarca, ed in altri paesi setten- trionali. Arriviamo in questo luogo al Capitolo più interessante per novi dell’ opera del signor Depping, cioè al quarto, nel quale va tessendo la storia commerciale di Genova , di Pisa ; e di Fi- renze. I genovesi aveano preceduto i veneziani nei loro stabili- menti commerciali nel Levante , e gareggiavano dappertutto colla possente repubblica delle lagune. Nei primi anni delle cro- ciate Genova prese, come Venezia, parte attiva nelle spedizioni d’ oltremare , e guadagnò immense somme , e mezzi potentissimi onde aprire , e consolidare nuove relazioni mercantili. Se non che le continue gelosie fra quei due popoli rivali, produssero ben tosto guerre sanguinose, le quali nocquero grandemente al com- mercio , ma non valsero a distruggerlo ; tale e tanto era. già il bisogno che le nazioni avevano le une delle altre, e tanto il lucro che ridondava dal baratto delle loro derrate, e dei prodotti delle loro manifatture. Ma queste contese ;, e queste ire invecchiate furono sproni che incitarono gli uomini grandi delle due repubbliche a fare sforzi gagliardi, ed inuditi per ingrandire la loro rispettiva patria. I D'Oria, i Caffari, i Boccanegra, i Fregosi , i Montaldi , por- tarono al più alto apice di gloria la marina militare dei geno- vesi, mentre diversi altri D’ Oria , gli Zaccaria ) i Giustiniani, gli Imperialì , i De Mari, i Vignosi, i Lomellini, gli Assereti ed altri consoli, ed ammiragli , consolidavano sempre più il do- minio di Genova nei mari del Levante. Già prima de'le crociate i genovesi aveano ottenuto, dagli imperatori greci, moltissimi privilegi tanto a Costantinopoli quanto in altre parti dell’ Impero. In ogni luogo però trovavano emuli ed antagonisti i veneziani; cosa tanto più increscevole, che aven- do inoltre a lottare contro i pisani, non poterono volgere tutte le loro forze contro i maggiori, acerrimi loro nemici. Pervennero ciò non dimeno a rientrare nel 1215 in tutti i loro antichi pri= vilegii nella Grecia. Ma sulle coste della Siria , principale tea - tro delle loro zuffe, non giunsero mai a sloggiare i veneziani. Tuttavolta, la marina militare dei genovesi avendo nel 1259 rovesciato il trono latino a Costauzinopoli , e ricondottovi la di- nastia greca ch’ erasi rifugiata a Nicea in Asia, i veneziani, e gli altri franchi, furon costretti a riparare nelle isole , e nella Morea , ed i genovesi, muniti d’ un diploma imperiale , cam- biarono in fortezza Pera, nno dei sobborghi di Costantinopoli, e fecero esclusivamente il commercio del mare Maggiore. Quindi 4i è che cotesta epoca fu appunto quella del maggiore splendore, al quale giunse mai la loro potenza ; il diploma di Michele Pa- leologo , del quale il nostro Autore parla più estesamente in al- tro capitolo, fu il più bel trofeo che mai riportassero le armate di Genova ; tanto più che la repubblica potè goderlo , e trarne vantaggio per due secoli consecutivi. Pera divenne allora l’ emporio del commercio genovese col- l’ Asia, e colla Crimea, e furono costrutti bastimenti particolari per la navigazione del mare Maggiore, ove già possedevano i genovesi, accanto a quelle dei veneziani, le fattorie della Tana, di Soldadia o Soldaja , di Cembalò , di Cerchio, di Sinope , ec. per lo che divennero , più che i greci stessi , padroni del porto di Costantinopoli, e s° impossessarono di tutto il commercio del- l’Asia, che si facea per le strade di Trebisonda, e del mare delle Zabacche. Ma ciò non bastava loro ; vollero pure comprare dai tatari un terreno per fondarvi una colonia permanente; cioè quella di Caffa , in oggi Teodosia ; che servisse di luogo centrale di deposito, e di conserva pel commercio delle pelliccerie del norte, delle merci persiane ed indiche arrivate colà per la via del mare Caspio, e di Citracano, in oggi Astracano, e di quelle recatevi dall’ Europa coi loro proprii vascelli, e destinate per le nazioni dell’ oriente. Ed infatti la nuova città non istette guari a dive- nire nna delle più belle, ed opulente piazze mercantili dell’Eu- ropa. Forse, e senza forse vi si sarebbono ‘anche concentrati i principali affari commerciali del!’intero oriente, se i genovesi aves- sero saputo introdurvi un sistema coloniale giusto , e ragionevole. Ma erano essi, come i veneziani, padroni tenaci ; duri, ed im- periosi. Non permettevano, verbigrazia , che i forestieri venuti a Caffa facessero compre, 0 negozii fra di loro ; bisognava che tutto il commercio passasse per le mani dei cittadini genovesi di Caffa. La loro potenza, ed orgoglio giunse a segno di non per- mettere ai greci stessi di far vela al di là delle bocche del Da- nubio senza loro licenza, arrogandosi ‘un esclusivo commercio in quel mare, ed imponendo perfino una tassa sopra ogni va- scello che passava. pel Bosforo. A quale proposito ‘avrebbe il sig. Depping potuto raccogliere molte ‘preziose notizie nel Viag- gio fatto per la Tauride ; nell’ anno 1820 , dall’ egregio:; e dot- tissimo sig. conte Muravieff-Apostol,, tradotto in tedesco: da W. d’Oertel, e stampato in Berlino e Landsberg, nel 1825. ©. Sur una carta disegnata nel 1455 da un prete genovese, Bartolommeo Pareto, la bandiera di Genova sventola sopra molti luoghi del Ponto Eusino,i nomi dei quali sono in oggi pochis- T. III. Luglio 6 2 PI: - A , come Samastro ; Cimino ; Fronda, ec. In fatti possedevano i genovesi molti posti avanzati, e villaggi, che dipen- devano dalle loro colonie. Nessuna potenza cristiana avea» mag- giori relazioni di loro coi khani dei tatari ; oltrechè erano. con- tinuamente. im. corrispondenza mercantile coll’ Armenia, e la Mingrelia , e tenevano, come già si è detto, fattorie , magazzini, e consoli a Trebisonda, Ceresonta, Sinope , Amastro , e nelle scale della Natolia, della Siria, dell’ Egitto, e della Barberia! I loro; mercatanti correvano fimo a Cambalù , in oggi Pekin, ed al porto !di Zoitun nella Cina. In una parola: .il commercio del mar. Maggiore, cioè del Ponto Fusino, fu di tanta importanza perla repubblica di Genova , che il suo governo confidò la di- rezione generale di quella mercatura, ad un magistrato compo- sto di'sei membri, e denominato Ufficio di Gazaria. Nel 1201 una sola flotta genovese ritornando da incrociare nel Levante, riportò a Genova un. carico così ricco ; che’ vi si contavano. mille cinquecento libbre. di oro, di argento e di pietre preziose. Un altro bastimento, parimente genovese , da tre ponti, al quale l ammiraglio veneto Zeno diè la ‘caccia nelle acque di Rodi, nel 1379, portava un carico di aromati, mos- soline,, drappi di seta, d’oro, e d’argento, ec. valutatoli un millione e mezzo di ducati. Genova forniva di armi; e di aromati una parte della Ger- mania , e nominatamente la città di; Norimberga ; che rispediva queste merci sul Reno, e sul Meno; in Olanda , nella bassa Lamagna , ed alle città poi conosciute sotto. il' nome di ansea- tiche. Per Genova passavano parimente quasi tutte le mercanzie della Lombardia , e soprattutto quelle di Milano , che consiste- vano sin panni di mezza qualità , tele , fustagni; ferro lavorato, acciajo;.e giachi di maglia. I.principi mauri della Spagna erano entrati di buon” ora coi genovesi in trattati pel’ libero commercio sulle coste, e nei porti dei paesi maomettani della penisola. Verso la metà del secolo duodecimo il re mauro di Valenza avea accordato loro fondachi', e loggie in quella città; ed a Denia_, liberandoli da ogni spezie d’ imposta. In Almeria ; ed a Tortosa teneano già fattorie;e giu- risdizione quasi indipendente. Altri stabilimenti simili possede- vano nelle isole Baleari, nella Catalogna ; nel regno di Granata, e nell’ Aridalusia., dove' nella città di Siviglia erano nel secolo decimoterzo padroni assoluti di una loggia .. d’ una chiesa , di molti fondaclii, e vi teneano un Console, o giudice supremo della loro nazione. Nel secolo decimoquarto però cominciarono a gua- 43 starsi coi catalani; poichè nel 1332 una squadra genovese, co- mandata da Antonio Grimaldi, incendiò molte navi catalane nelle acque di Majorca , e s’ impadronì ; vicino alla Corsica , d’ una galera , di cui 1’ equipaggio intero fu messo a fil:di spada. Queste acerbe battaglie continuarono, con varia fortuna; per mol- tissimi anni, e in una delle medesime rese immortale il suo nome l’ ammiraglio genovese Biagio Assereto , facendo prigione lo stesso re Alfonso d'Aragona. Ma già nel 1352 s’erano i catalani, con trenta galere, comandate da Santapace, riuniti ai veneziani che, capitanati da Pancrazio Giustianini, ne aveano altrettante, ed ai greci che ne aveano quattordici, per attaccare i genovesi nel Bosforo di Tracia ; cioè alla vista di Costantinopoli , e di Pera. La flotta genovese, composta di 60 galere, avea per capo supremo Pagano D’ Oria; la battaglia fu aspra, ed ostinata, e gli avanzi delle galere, ed i cadaveri degli. uccisi coprivano il mare ; ma i genovesi rimasero padroni del campo , e del porto di Galata. Se non che poco tempo dopo i catalani , collegati an- cora coi veneziani, attaccarono il sopraddetto Antonio Grimaldo, e distrussero cinquantuna delle settanta galee ch’egli comanda- va. La quale disfatta fu come il primo segnale della successiva decadenza del potere marittimo di Genova. In Italia aveano i genovesi dilatato il loro dominio litorale dalla Magra fino al Varo in Provenza, onde aveano continue relazioni con Marsiglia. Verso la fine del secolo tredecimo aveano tolto ai pisani l’isola di Corsica , della quale già si erano, molto più anticamente , fatti assegnare una porzione dal Capo visibile della Chiesa. Nella Sardegna pure possedevano molte provincie, l’ isola di Malta fu dal loro ammiraglio Morchio soggiogata nel 1371, e nell’Arcipelago aveano stabilimenti, e luoghi forti in Ci - pro , Candia, Negroponte, Scio, Mitilene, Tenedo, Andro e Nasso. Nella Palestina dominavano in Accaro , e Giaffa , e nella Fenicia in San Giovanni d’ Acri, Gebal o Biblo , Baruti, Sido- ne, e Tripoli. Nel rimanente dell’ Asia occidentale occuparono più o men lungamente Antiochia, Anazarbo , Tarso , Selenti, Termisso , Smirna, Malmistra, la vecchia e nuova Fochia ; o Foggia , ed Asso. Sulla spiaggia asiatica del mar Maggiore te- neano Psiti, Amastra, e Sinope, e sull’europea la Tana, Caffa, e le altre colonie già nominate della Crimea. In Affrica si erano pure resi padroni di Ceuta nell’ impero di Marocco, di Bugeia nello stato di Algeri, di Biserta , e dell’isola di Gerbi in quello di Tunisi, e della città di Tripoli presa traditorescamente nel 1355 da Filippo D’Oria. Le provincie di Acaja, e di Attica 44 nella Grecia, Pera e Galata sobborghi di Costantinopoli netla Tracia , Messina, Siracusa, Mazzara, ed Augusta nella Sicilia, l’.Istria nel golfo Adriatico, Mompelieri ed Arles in Francia , Tortosa ed Almerìa in Ispagna, Volterra, Lucca ; Livorno, e Porto Pisano nell’ Etruria, Nettuno nella campagna di Roma , e finalmente le città di Asti, e Tortona nella Lombardia, aveano pure, per più o meno tempo, dovuto arrendersi alle armi vitto- riose ed al dominio di Genova. Ma nella guerra infelice coi ve- neziani, e coi catalani, perdette essa appoco appoco quasi tutte le sue possessioni nel Levante, nella Sicilia , nella Sardegna , nella Spagna, e nella Barberìa. Credesi comunemente a’nostri dì, che quelle conquiste me- desime, e gli stabilimenti in Levante , avendo smembrate le for- ze, e smunto l’ erario della repubblica , siano state la vera ca- gione della decadenza di lei, e si suppone; che meglio avreb- bono provveduto quei repubblicani all’ interesse loro se, invece di pensare a quelle conquiste lontane; avessero atteso ad ingran- dire le proprie frontiere in terraferma. Ma un nostro dotto, e da più anni desiderato amico, Agostino Bianchi, autore di un aureo libretto intitolato Riflessioni sulla grandezza e decadenza deila repubblica di Genova, ha dimostrato, che ad ismentire una così ingiusta asserzione basta riflettere all’immensa popolazione, che doveva essere nel territorio della Repubblica a quei tempi; nei quali essa copriva il mare colle proprie squadre , mentre vedia- mo che a’ nostri giorni, in cui la navigazione è infinitamente decaduta, tale e tanta è la popolazione dell’ attuale ducato di Genova, che succedono giornalmente numerose emigrazioni di persone, le quali non trovano in patria la maniera di sussistere. « Accortamente dunque i genovesi di quei dì rivoltavano ,, disse il nostro amico, ‘ in vantaggio della nazione questo superfluo di »» popolazione, vecupandola negli stabilimenti, e colonie fondate o nei siti opportuni per favorire, e ‘proteggere il commercio ; e »» la navigazione ; la quale lungi dal riuscire di aggravio, e di 3» dispendio allo Stato, non facea che renderlo più florido, e s; prosperoso , come lo prova la condotta quasi consimile dei mo- s derni inglesi ,,. Questa nazione , in vero , che picciola in sè stessa, e circoscritta entro: confini strettissimi, equipondera non- dimeno , colla propria ricchezza , le potenze di Europa di molto a lei superiori di forze materiali, ha esattamente seguite le pe- date dei genovesi del medio evo , nella collocazione degli stabi- limenti per la garanzia dell’ immenso suo traffico. Essa li ha scelti piccioli, e capaci ad essere sostenuti, e protetti dalle flotte 45 che sono il nerbo delle sue forze, e situati in modo da darle in mano; le chiavi dei regni e dei mari, il che si vede. chiara- mente nelle isole Ioniche, in Malta , in Gibilterra, nelle isole di Jersey e Guernsey ; nell’ Eligoland, nelle. Bermude, nella Giamaica, a Demerari , nell’ isola di Trinità, a Sant’ Elena , al capo di Buona Speranza ; nell’ Isola, di Francia, sulla costa del Birmanistan e nella Nuova Olanda. E ciò per la stessa ragione per cui i genovesi li stabilirono a Galata, o Pera; alla Tana, a Caffa, a Sinope, a Famagosta , a Scio, a Messina, a T\rtosa, a Bugeia, ed a Ceuta. Noi vediamo invece gli inglesi essere caduti in grandi infortunii ogni qualvolta si appartarono da que- sta condotta, come lo dimostrò cinquant’ anni or sono , l’ esito dei troppo vasti stabilimenti di America , e come tosto o tardi lo dimostrerà quello degli ancora più immensi dominii suoi nel- l’ Indie vrientali. E vediamo pure i genovesi, più illuminati; ri- nunziare alla conquista di Cipro , a riserva di Famagosta prin- cipale scala di commercio , e contentarsi di Caffa, e di pochi altri stabilimenti nella Crimea , non ostante che l’isola di Cipro e l'antica Tauride fossero due ricche e fertilissime terre, capaci a somministrare molte importanti derrate. Comunque sia, i ge- novesi, che forse nel poco fruttifero loro paese non oltrepassa- rono di molto mezzo millione di persone, costretti a comperare dall’ estero a danaro sonante , tutti i generi necessarii al bisogno della vita, e dello Stato , come poteano impegnarsi in lunghe guerre in terraferma , che li distraessero dalla continua occupa- zione indispensabile per procacciarsi di che vivere ? Fu dunque, a nostro credere , il colmo della politica , 1’ avere impiegati tutti i mezzi onde assicurarsi un grandioso traffico, ed un èstesà e li- bera navigazione; con che venivano ad assicurarsi la necessaria sussistenza, ad aprirsi nuove sorgenti inesauste di ricchezza ; ad ingrandire la nazione , ed a metterla in istato di poter tutto in- traprendere in appresso. Questo disegno , così bene immaginato, fu ad eccellenza colorito fino a questo punto; poichè ‘a traverso di ostacoli che parevano insormontabili, erano pur giunti a sta- bilire un immenso commercio., e ad essere i dominatori del mare. Allora sarebbe stato il tempo di pensare all’ ingrandimento dello Stato ; ma non seppero approfittarsi dell’ occasione. La mancanza di savie leggi produsse la discordia fra i cittadini; dalla discor- dia si passò alle fazioni, ed alle guerre civili: lo spirito pubblico si corruppe, e la repubblica venne meno irreparabilmente. Prima di andare più oltre, stimiamo pregio dell’opera di terminare queste qualunque siansi politiche considerazioni ; con 40 esporre al guardo dei nostri leggitori un picciol quadro delle ge- nerali giornate fra i genovesi; ed i veneziani combattute; ad eccezione però delle fazioni succedute nella famosa guerra di Chiozza, che fu come il.colpo di grazia dato alla potenza navale di Genova. Di quelle generali giornate sei furono favorevoli ai veneziani , e sette ai genovesi; !aonde il vantaggio per questa parte è tutto. di Genova, non solo perchè riuscì superiore nel numero delle vittorie, ma sì bene anco nella grandezza delle medesime. Vittorie dei veneziani Vittorie dei genovesi N.° Anno legni presi N. Anno legni presi I. 12.58 25 I, 1264 9 2. 1263 4 2. 1294 25 3. 1266 27 3. 1295 85 425: 1267 5 4. 1296 16 5. 1353 41 5. 1337 6 6. 1431 9 6. 1352 48 Somma pu di 1354 60 Legni presi dai genovesi 549 Legni presi dai veneziani III Vantaggio ai genovesi 138 Ma oltre le galere, e la marina militare autorizzata dal governo, i mari erano sovente infestati da corsali, e da pirati ge- novesi , che commettevano orrori da star del pari con quelli dei filibustieri, e buccanieri del secolo decimo settimo: Genova li di- sapprovava, o li sosteneva secondo che le tornava conto, e giu- sta le sue mire politiche. Emanuelle Marabotto , famosissimo fra quei corsali, e capitano di tre galere, sbarcò nel 1313, e non nel 1318 come dice il sig. Depping, a Baffo , 1’ antica Pafo ; ne pose in fuga il governatore, prese d’ assalto il castello , saccheg- giò la città, e si ritirò col naviglio carico di un ricco bottino. E che anche il mare Caspio non andava esente di corsali genovesi, lo prova la spedizione di Lucchino Tarigo, già nel 1366 contestabile dei balestrieri nella patria , il quale nel 1374 partito da Caffa con una fusta armata, rimontò il fiume Tanai fin dove più s’avvicina al Volga, e fatta trasportare per terra la fusta , scese per que- st’ ultimo fiume nel mare suddetto , ove predò molti bastimenti, e ritornò quindi ricco di spoglie per la via di terra ; come re- 47 sulta da un docimmento annèsso al famoso itinerario di Antoniotto Usodimare ,. pubblicato dal Gràbergnel'secondo volume dei suoi Annali di geografia e di statistica: Nell’ anno stesso poi della disgrazia di Chiozza, cioè nel 1379; trovatosi alla corte di Ales- sio imperatore di Trebisonda, Megollo Lercaro , e venuto a con- trasto con certo mignone di quel regnante , gli fu da quel ga- glioffo data. una guanciata. Domandata invano soddisfazione ; partì Megollo adiratissimo , ed armate due galee , passò sopra Trebisonda , ‘assalendone le riviere ora per mare, ed ora per ter- ra, e facendo tagliare i nasi, ele orecchie a tutti quelli uomini che aver potea nelle mani, che fatte poi salare; e riporre in vasi aciò deputati, mandò all’imperatore per un vecchio prigioniere. Spedigli incontro Alessio quattro galee; ma restarono ‘preda di Megollo ; che fece intendere all’ imperatore, che dalla preda, e dalla vendetta mai non desisterebbe , finchè non gli venisse dato nelle mani il cortigiano; che ‘fatto gli avea l’ affronto. Mando- glielo Alessio, e mentre ch’ egli piagnendo montava la scala , gli diè Megollo col piede nella faccia, dicendogli, che non in- erudelivano i genovesi contro le donne. Visto 1’ imperatore tanto animo ; fece al corsaro ricchissimi doni, ch’ egli non solo non accettò , ma restituì anzi le quattro galee , colla sola condizione, che fosse a spese dell’ imperatore! fabbricato nella città un am- pio fondaco pei genovesi, dotato di estesissimi privilegii, e che nella porta di quello fosse scritto ; e scolpito quanto in questa impresa era occorso. Esistono nelle grandi biblidteché albalie carte geografiche disegnate da navigatori, e da ‘matematici genovesi nell’ epoca del maggiore splendore marittimo della loro repubblica ; e che doveano essere indispensabili ‘pei bisogni commerciali di una estesa, navigazione. Di questa classe è quella del Pareto di ‘cui già facemmo menzione , e che si trova descritta ‘nel primo vo- lume delle memorie dell’Accademia Ercolanense.' E ‘tali sono si- milmente quelle nove mappe di ‘Perrino ,' 0 Pietro Wesconte, dell’anno ‘1318, ch’esistevano nell’ imperiale biblioteca di Vienna, ed un’altra del medesimo autore } fatta nel 1327 '‘a©Venezia , che si vede attualmente nella libreria Mediceo-Laurenziana di Firenze ; un’altra, di autore anonimo ; ma pur genovese, sup- posta del 1417, ma che a noi ‘pare del 1457, se pur non è quella medesima del suddetto Pareto:, e che si conserva nella bellissima Biblioteca Palatina di S. A.:I. e R. V’Arciduca Gran Duca di Toscana ; e finalmente quella di \Becario , del 1436 , che si conserva in Parma. Delle quali carte parlarono già il Tiraboschi 48 nella Storia della letteratura italiana, l' Andres nell’Origine di ogni letteratura , il, Formaleoni.. nel Saggio sulla nautica antica dei veneziani, il conte Baldelli nella Storia del Milione, ed il Grà- berg nei suoi Anvali di geografia, e di statistica, tomo Il a carte 209 e 244; e che tutte. concorrono a provare, che i ge- novesi aveano cogrizioni tanto esatte quanto pregiabili delle co- ste dei mari, dove incrociavano i loro vascelli di commercio , e di guerra. i ij Poco distante da Genova ergeasi, ed ergesi tuttavolta, l’an- tica; signorile, e celeberrima città di Pisa, che pur facea nel medio evo una bella, e buona figura per la sua marina, e pel suo ‘commercio. Il barbaro poeta Donizone ; autore di una Vita in versi latini della famosa contessa Matilde, esaltò già Pisa per le sue ricchezze, e pel concorso dei negozianti di molte nazioni cristiani; ebrei, e musulmani. Il suo commercio estendevasi in tutto l’ oriente , é fino in Affrica ; e secondo autori degni di fe- dei, la città conteneva dugentomila abitanti. Magnifici monu- menti attestano tuttavia l’ antico suo splendore. ‘Dopo i vene- ziani ed i genovesi non fuvvi alcun popolo italiano , che tante relazioni avesse coi paesi d° oltremare , soprattutto nel Levante, quante ne aveanò gli abitanti di Pisa. La necessità, e la bramo- sia di combattere gli arabi nel Mediterraneo, sulle coste della Siéilia , (della Sardegna , della Corsica , e dell’ Affrica , avevano agguerrita la loro marina, ‘ed ‘oltre i legni. mercantili che ap- pel!avansi dromoni , garabi , gatti, galee, usceri; cocche ; plat- te, èc. costruivano eziandio vascelli da guerra con. torri di le- gno , € macchine di attacco; che si. dirigevano con una destrezza da incuter terrore nei più fieri nemici. Contrastarono per la pre- minenza coi genovesi ; e furono spesse fiate rivali. sommamente incomodi anche alla poderosa Venezia ; allora. quando ; per po= litiche mire, si collegavano coi genovesi. Nell’ undecimo secolo i pisani trafficavano già coi greci 5 l’imperadore Alessio Comneno li trattò scortesemente ; forse perchè non gli parevano gente da temersi, Per trarne vendetta fecero prigioniero il figlio, di lui, nè vollefo rimetterlo in libertà finchè il padre non concedesse loro, nei suoi stati, vantaggi uguali a quelli concessi ai popoli più favoreggiati cioè , il diritto di avere un fondace; una chiesa, e di vivere in quelle fattorie a nyrma delle proprie loro leggi na, zionali. Pochi anni dopo fu. loro conceduto da Boemondo; III. uno stabilimerito in! Antiochia } con privilegii ed esenzioni dalle ga- belle , e facoltà di averelun! tribunale ove decidere le cause se- condo quelle medesime loro leggi. In S. Giovanni d’Acri ebbero 49 da Balduino IV, re di Gerusalemme, una piazza , e pochi anni più tardi ottennero anche da Tancredi, principe di Antiochia, una strada, ed uno stabilimento con tribunale e console in Laodicea. A Tiro la mercatura facevasi da una compagnia pisana di quel - l’ ordine metà laico, e metà religioso , che nato nella Lombar- dia si consolidò a Firenze, ed in Pisa sotto il nome di Umiliati, e contribuì singolarmente a perfezionare il lanificio, e ne fu maestro a molte popolazioni. Vigilantissimi poi, e pronti a co- gliere ogni destro per avvantaggiare il loro commercio , giunsero ben presto anche i pisani ad entrare a parte nella mercatura di tutti i paesi dell’ oriente e dell’ Affrica. I genovesi stessi permi- sero loro di trafficare nel mar Maggiore , ove nelle Paludi Meo- tide, ed a sinistra delle bocche del Don ebbero, poco distante dalla Tana , un ricovero pei loro navigli nel porto detto Pisano. D’ altra parte uno dei più antichi trattati, che si conoscano es- sere stati fra i cristiani, ed i barbereschi conchiusi, è quello che Pisa fece nel 1230 col re, o soldano di Tunisi. Già verso la fine del medesimo secolo questa piccola repubblica ci rappre- senta un governo solidamente costituito , e tutte le istituzioni atte a mantenere l’ ordine , ed a fomentare lo spirito pubblica. Noi ci vediamo un podestà , un consiglio di anziani del popoli», caporioni, consoli dei mercanti, consoli di mare , consoli di arti e di mestieri. Il commercio già facevasi liberamente coi saraceni di Napoli, e di Sicilia; si corrispondeva cogli stati cristiani del Mediterraneo ; si riceveva dal mezzodì della Francia la lana per le fabbriche ; si faceano valere le saline della Spagna , ed eranvi nella città copiose manifatture di tessuti di lana , e di seta, che alimentavano il commercio esterno. Ma la rivalità che sussisteva fra questa città, e la superba e più fortunata Genova , le fu a lungo andare funesta. Già nel 1167 i genovesi erano riusciti a far escludere i legni pisani da tutti i porti aragonesi, da Feliù fino a Nizza. Ma inimicatasi Genova nove anni dopo coll’Ara- gona , i pisani furono di bel nuovo ammessi in tutti quei porti. Indarno però fu dai pisani contrastato ai genovesi il domi- nio della Sardegna ; e della Corsica , e senza prò vollero essi lot- tare ad un tempo contro Genova ; e contro altre città dell’Italia. Essendo la più debole, dovette Pisa necessariamente succumbere, non ostante il suo coraggio , e la sua energia: i genovesi rovi- narono interamente: la sua armata navale nei primi anni del se- colo decimoquinto. Pochi stati ebbero più di Pisa copia di storici , e cronisti tanto nazionali quanto esteri; e se fra i primi nomineremo il T. III, Luglio. 7 50 i 1 Marangone ; il Roncioni , il Troni, il Dal Borgo , I’ Arrosti ; il Cardosi , il Sardi, il Pagni, il Mastiani, il Masca, il Gaetani, il D’ Abramo , il Martini, il Serravallino , il Tempesti, il Fa- nucci , il Masi, il Morrona , e l’ ingegnoso Lorenzo Pignotti , e fra i secondi l’ Ughelli, Guido da Corvara , 1’ Ammirato , il Noni , il Tajoli, Dempstero , il Gori, monsignor Guarnacci , ìl Nizzolini, e tanti altri inseriti fra gli scrittori di cose italiane pubblicati dal Muratori, avremo notato soltanto una parte de- gli scrittori che avrebbono potuto fornire il sig. Depping di pere- grini, e chiarissimi lumi ittorno ai fasti pisani. Se non che deb- besi avvertire, che quasi tutti quegli scrittori esaltarono bensì le glorie di Pisa repubblica} ma niuno compilò finoggi una sto» ria pisana; con sana critica , e con modo cronologico, e ragio- nata condotta. i i Non è ispezione nostra di dare qui un prospetto di quella storia, nè di parlare di tutte le conquiste fatte dai pisani, che fino dall’ anno 874 sconfissero in ordinata battaglia i saraceni ; dire- n.o soltanto, che nel 957 poterono già mettere in mare 300 navi, e per antica consuetudine coltivavano la mercatura, e dilatavano ogni dì le commerciali corrispondenze. Così diremo poche cose ancora delle gloriose gesta loro nei secoli susseguenti, ove pure vinsero i saraceni, ed espugnarono Reggio di Calabria, le isole li Sardegna; di Corsica, d’ Elba, del Giglio, e di Lipari, le città di Palermo, Cartagine, Alamandia, e Sibilia , discacciarono i mauri da una gran parte della Spagna, e vinsero Rodi, Corfù, Cefalonia, Zante, Utica, Tripoli e Sidone di Sorìa ;, Ascalona in Palestina, ed Alessandria di Egitto. Al tempo delle prime crociate aveano i pisani, con centoventi navi, contribuito valorosamente alla liberazione del sepolero di Cristo , sotto il comando di Cucco Rienechi, che fu il primo ad entrare in Gerusalemme. Nel se- colo duodecimo espugnarono Bona in Affrica, e ne condus- sero il re prigioniero al sommo Pontefice ; conquistarono poscia le isole Baleari; ed uccisone il re ne menarono prigione a Pisa la moglie, ed un piccolo figlio, che poi col tempo nel suo cam- biato regno riposero. Nella Magna Grecia oppugnarono Napoli, Gaeta , Amalfi, Rebello, Scala, Artaria, ed altre città forti di quel tempo; le quali poi, colla solita loro magnanimità, restituirono al re Ruggiero. Fu precisamente ne!l’ accennata presa di Amalfi che i pisani non rapirono, come altri calunniosamente scrissero , ma in dono ricevettero dall’ imperatore Lotario , le antiche Pan- dette di romane leggi. Nel secolo tredecimo ebbero la ‘gloria di prestare aiuto a Federigo secondo , recandosi con quaranta galee 51 ben armate a conquistar la Sicilia ; e quell’ imperatore , volendo praticare con essi un tratto di riconoscenza ; e di. grata amicizia, diè loro, nel 1229, ampie conferme di giurisdizione in Tiro, in Giaffa; ed in Gerusalemme. Nel 1256 vacando 1’ impero di Co- stantinopoli , elessero di loro autorità il nuovo Rettore, per la qualcosa’ si tirarono contra quasi tutta l’Italia; e molti fatti d'armi ne provennero specialmente coi genovesi, collegati per pochi anvi cui veneziani. Ma di tutte le battaglie dei pisani niuna fu così famosa come quella di Monte Aperto, seguita nel 1260, ed una clelle più memorabili che abbiano mai insanguinato il mondo. I fiorentini, condotti da Farinata degli Uberti, furono quivi, dai pisani, e gli altri ghibellini uniti ai tedeschis sbaragliati e rotti, lasciantlo sul campo duemila morti. Fu peraltro questo 1’ ultimo lampo della gloria pisana; perciocchè nell’ egualmente famosa battaglia navale della Melloria restò , nel 1284, per tradimento del famigerato conte Ugolino della Gherardesca , la loro squadra rotta, e sconfitta dai genovesi molto superiori di forze; la quale sconfitta, ed i patti della susseguente tregua, e pace, produs- sero, col principio del secolo decimoquarto , i primi sintomi della - decadenza di Pisa repubblica. i Nel 1314 fecero i pisani un nuovo trattato col re di Tunisi. Nel 1326 fu loro. tolta dagli aragonesi la Sardegna , e poco.dopo perdettero la Lunigiana, per opera di Castruccio Castracani duca di Lucca. D’ allora in poi fu lacerata Pisa, come Genova, da continue discordie e guerre civili, o da cunflitti coi lucchesi e coi fiorentiui, i quali finalmente nel 1406 espugnarono, per tradi- mento del Gambacorta, la città, che fu quindi riunita col suo territorio alla repubblica di, Firenze, Nel 1495 però le venne ancora dal re Carlo, VIII. di Francia restituita 1’ indipendenza ; ma. poco tempo durò, chè nel 1509, fu di bel nuovo soggiogata dai/fiorentini, e d'allora in poi si dileguò la sua libertà, e disparve per sempre. Nell’ auge della sua potenza, e prosperità , corredata d’ un maguifico e celebre porto , fn Pisa; dominante altera di tutte le isole del mare Tirreno , traendo; profitto. esclusivo dalle ricche miniere di ferro, e di argento dell'Elba. Distendendo il suo do» minio dall’ isola del (%orvo , presso Lerice , fino a Civitavecchia, fu padrona di più di cinquecento castella ; e terre da mura cinte in Toscana, e per lo spazio di venti anni fu signora di Lucca. Abbondante di cittadine genti, e di stranieri , .dilatò con quelle il suo impero nell’ oriente , e quivi si arricchì di stabilimenti in tutte le piazze commercianti , al paro dei più potenti vene- 52 ziani, e genovesi, e legislatrice del mare non senza ragione si denominò , come. meglio vedremo in appresso. Fu rispettata pei consoli che teneva in Napoli, in Capua, in Puglia, in Cala- bria , in Venezia, in Palermo, in Messina, in Agrigento , in. Cipro , in Costantinopoli , dove il console pisano occupava, nelle funzioni di Santa Sofia , il primo posto dopo il Patriarca , in To- lemaide, per tutta la Siria, in Gerusalemme , in Baldacca ; nel Cairo , in Antiochia, in Tiro, in Tripoli , in Damiata , in Ales- sandria , in Tunisi, ed in più di venti piazze marittime della Spagna. A tanta gloria di armi, e di commercio, quella di ono- rare, e di promuovere le lettere , e di ristorare le belle arti smarrite in lei si aggiunse. Considerata divenne ancora per la sua zecca , che fu floridissima, ed improntò monete nei tre me- talli dal tempo dei goti, e dei longobardi, fino ai primi anni del secolo decimosesto. J.G. H. (Sarà continuato). Osservazioni semiserie di un Esule nell’Inghilterra, di G. Prcenro. Lugano 1831. G. Ruggia e C. 1 vol. Le opere del conte Pecchio piacevoli ed istruttive ad un tempo si raccomandano da se alla curiosità de’ lettori. Però se- condo l’usato ci ristringeremo di presente a recare alcuni degli squarci più notevoli del libro che abbiamo fra mano. Non si ere- dano per altro i lettori che dopo questo estratto si faccia super- flua la lezione del libro. Noi abbiamo inteso di dare un saggio dell’opera ; ma non di commettere un plagio letterario pregiu- dizievole al meritissimo tipografo che dà fuori le opere del Pec- chio. Però notiamo che per più di due terzi fa mestieri ricorrere all’ opera istessa, chi ha curiosità da sodisfare. Ciò premesso lasciamo parlare il Pecchio. Arrivo in Londra. — Prima impressione. Il forestiere che giunge in Inghilterra, e seduto sul cielo d’una carrozza a quattro cavalli che lo trasporta ad otto miglia per ora a Londra, deve credersi rapito dal carro di Plutone per discendere nel 53 regno delle tenebre ; soprattutto s* egli arriva dalla Spagna o dall’ Ita- lia, regioni predilette dal sole. In mezzo alla maraviglia non può a meno a prima vista di non.essere colpito da un’ impressione. melan- conica. Una nube eterna di fumo che avvolge e penetra ogni cosa, una nebbia che nei mesi di novembre e di dicembre.or bigia, or. rossi- gna , or giallognola , vela quasi sempre e talvolta spegne affatto la luce del giorno, non possono a meno di non dare una tinta lugubre e dantesca a questa sterminata e interminabile capitale. Soprattutto , come dissi, chi vi arriva da una solatia contrada prova lo stesso ef- fetto, come quando dalla fervida luce si entra in una camera soc- chiusa ; nulla si vede a prima vista, ma poi a poco a poco si discerne l’arpa, la signora, il sofà , e tanti altri oggetti leggiadri. L’ambascia- tore Caracciolo in tempo di Giorgio II non aveva torto di dire che la luna di Napoli scalda più che il sole di Londra. Infatti molti gior- ni attraverso questa visibile oscurità, il sole non apparisce che come una gran macchia gialla. Londra è un panorama dove il sole molte volte si vede benissimo, ma non si sente. Il ag novembre 1826 vi fu un ecclisse visibile in Inghilterra ; il cielo era, quel giorno sereno, tuttavia quasi nessuno se n’accorse , perchè la nebbia produce in un anno più ecclissi in Inghilterra, che non ve n’ ebbero forse dopo la creazion del mondo. Un giorno passeggiava nell’ Hyde Parke con un Peruviano : era uno de’ bei giorni di Londra ; ma il sole era velato dalla nebbia , sicchè aveva preso la figura d’ un gran globo di foco. Che dite mo , dissi al mio compagno, del sole d* oggi? Ho cerednto ( mi rispose l’ adoratore del vero sole) che fosse giunta la. fin del mondo. Non è una bizzarria della sorte che dove havvi meno luce sia nato il gran Newton che doveva analizzarla?...,.. Che però? Gl’ in- glesi a forza d’ industria giunsero a, fabbricarsi anche un sole. Non è infatti un sole quel gaz che scorrendo sotto terra per tutta quest’ isola in un fiat lux l’ illumina tutta? Ed è un isole senza crepuscoli e sen- za tramonto che nasce e sparisce a nostra voglia come un lampo. L’ il- luminazione a gaz di Londra è tanto bella, che il signor Sismondi eb- be ragione di dire che per vedere a Londra bisogna aspettar la notte. La piazza di sant'Antonio in Cadice in una stellata sera di estate, la chiassosa: strada di Toledo in Napoli inargentata dalla luna , il Tivoli dì Parigi rischiarato dai fuochi artificiali, possono essi,mai sostenere il confronto colla contrada del Reggente di Londra (Regent’s Street ) illuminata a gaz ? Nè questo sole artificiale è un vantaggio esclusivo della capitale , ma splende dapertutto colla stessa imparzialità, del Gran Pianeta che illumina del pari le reggie e le capanne. Chi, viag- gia in Inghilterra di notte nelle campagne di Leeds , di Nottingham , di Derbs, di Manchester, crede di vedere alcuni palazzi incantati dal. le Fate a mille fiaccole che in realtà non sono che lunghissimi ed altissimi filatoj di cotone o di lana o di lino. Il popolo inglese non ha il diffetto di sofisticare sulle nuove invenzioni: Avvezzo da più di un secolo a vedere miglioramenti d’ogni sorta ad ogni tratto, quando 54 una nuova scoperta si presenta, l’ esamina , la studia , ne prende il buono , e ne lascia il cattivo. Il gaz ha molti inconvenienti. Se'si dif- fonde nell’ atmosfera senza bruciarsi puzza orribilmente. Se si disper- de in una camera chiusa al contatto di una candela si accende e può cagionar la morte . .... il gazzometro ( ossia il gran ricettacolo del gaz ) può scoppiare e danneggiar case e persone. Non importa. L’in- glese colla diligenza previene questi inconvenienti ; e, trovati nella bilancia del suo buon senso i vantaggi superiori agli svantaggi; ha adottato il gaz per economia, per bellezza, continuità ‘e speditezza di luce. Ogni città di ro, 20, 40, 50 mila abitanti ha un gazzometro che basta solo per dar la luce a tutte le contrade e a tutte le case. Ogni bottegajo paga un tanto (se vuole) per questa luce, in ragione delle ore e della quantità della fiamma, calcolata secondo il numero dei bucolini da cui esce. Una compagnia ne ha l'impresa (che tutte le grandi imprese in Inghilterra si fanno per associazione di forze pri- vate , cioè , per compagnie ), e le sne azioni girano di mano in mano, ingrossano la massa del capitale circvlante ; e aumentano poi di prezzo o calano secondo gli annui profitti. L'inglese ha fatto la grande sco- perta che le utili scoperte aumentano gli agi, ed arricchiscono le na- zioni, Nonostanti alcune sciagure che di quando in quando. acca- dono ai bastimenti a vapore, l’inglese continua e continuerà a pre- valersene , perchè ha calcolato che senza loro i naufragi sarebbero più frequenti, minori i comodi e minore la rapidità e facilità del viaggiare. Ma gl’ inglesi hanno un altro rimedio contro la scarsità del sole. Essi fanno come i filosofi ed'i poeti, i quali, quando mancano di rie+ chezze, lodano la povertà: Quindi ‘essi non potendo: lodare il sole, de- cantano i piaceri del fire-side ( del canton del fuoco), i piaceri delP’in- verno. Ossian (o per meglio dire Macpherson , autore di Ossian) im- vece del sole, apostrofa la luna. Si compiace, quasi fossero delizie, in descrivere il fischiar de’ venti , il rimbombo de’ torrenti. Somiglia i capelli di una bella giovine a nebbia indorata dal sole. Invece di dipingere una valle seminata di fiori, respinge questa molle immagine femminile , e decanta l'aspetto di un lago gelato coi tremolanti cardil Cowper nel suo poema The Jask par che tutto gioisca nel dipingere una notte d'inverno quando scroscia la pioggia , fischia il vento ; ib carrettiere grida ‘ed urla! nélla\vwia ; intanto il: fuoco; arde ; il giornale arriva, l’ esilarante tè ferve sulla tavola , e la famiglia è intorno rac- colta al camino. Non mi ricordo più quale poeta ( credo che sia. By- ron) epiteta di amabile l’ oscurità. Thompson il cantore delle quattro stagioni fu ancor migliore poeta che al solito quando cantò inverno, Chiama congenial horrors gli orrori dell’ inverno. Dvpo avere descritte le montagne di neve che col fragor «tel tuono si precipitano tra diru> pi nel fondo delle valli Grigione ,' pastori e greggi e viaggiatori e battaglioni intieri di soldati in marcia e capanne e villaggi ruinando e seppellendo nell’ orror della notte, s’imagina con' una epicurea vo- | x 90 : luttà di essere in.una campestre, solitaria e ben riparata casa , vicino al rosseggiante fuoco e a splendenti candelieri rallegratori , leggendo a suo bell’agio le più belle opere degli antichi e de’ moderni. 33 Now all amid the rigours of the year 33 Tu the wild depth of Winter, while without »» The ceaseless wind blow ice, be my retreat s> Between the groaning forest ‘and the shoer 3» Beat by the boundless multitude of waves »» A rural, shelter’d, solitary scene; 39 Where ruddy fire and beaming tapers join 3.To cheer the gloom. There studious let me wit | 3» And hold high converse with the mights dead ; 33 Sages of ancient time , as gods rever’d, ») As gods beneficient , who blest mankind so» With arts, with arms, and humaniz’d a world. ,, ‘ Ora, in mezzo ai rigori dell’anno e nel cuore dell’aspro verno, mentre al di fuori soffia incessante il gelido vento, sia il mio asilo tra la gemente foresta ed il lido battuto da innumerevoli onde, sce- na rurale eletta e solitaria, ed ove il rosseggiante foco unito alle splendenti lampade rallegri le tenebre. Qui mi sia concesso di sedere meditando e conversare sublime coi grandi, che già furono, saggi dei ‘ tempi antichi riveriti quai numi, e benefici come i numi, che furono utili al genere umano coll’ arti e coll’ armi, e incivilirono il mondo. ,, Così tutti i poeti cospiravano a far amare il cielo nuvoloso ai loro compatriotti, e a far lor credere che sono felici e nati in un deli- zioso clima. E che importa se non è vero? Non sono le illusioni, gli inganni dell’immaginazione altrettanti piaceri quanto i reali ?. Mon- tesquieu diceva ‘ se gl’ Inglesi non sono liberi, almeno credono di esserlo , il che torna lo stesso ,,. Così si può dire, se gl’ Inglesi non hanno un bel clima , essi credono di averlo, il che vale lo stesso. Io lodava ad una giovane inglese il cielo altissimo , purissimo, di ma- dreperla di Madrid, di Napoli, di Atene, di Smirne. Essa mi rispose ‘ mi annojerebbe quel sòl perpetuo ; è più bella la varietà e la fan- tasmagoria delle nostre nubi ,,. Ho citato Montesquieu; bisogna che lo citi di nuovo a proposito ancora del sole. A dispetto di Elvezio , di Filangieri , che sono con- trari alla sua teoria sull’iufluenza del clima, oserei quasi credere che se gl’inglesi sono attivi, pensatori profondi , buoni padri di fami- glia, è per ragione del poco sole che hanno. Certamente colla falsa luce, che quasi sempre hanno, gl’Inglesi non poterono divenire cele- bri pittori, non lo sono ancora, e forse non lo saranno mai. Ma in compenso essi possono lavorare al telajo o al filatojo molto più che i compatriotti di Morillo o di Raffaele d’ Urbino. Un operaio inglese alcuni anni sono (prima che il parlamento ciscoserivesse il tempo del travaglio a dodici ore) lavorava. persino sedici ore il giorno. Ortes, l'economista italiano , calcola il lavoro medio d’un italiano non più 56 di otto ore al giorno. La differenza è grande, ma non la credo perciò non vera. Gli estremi dell’ estate e dell’ inverno (in alcune parti d’ I- talia ) , una fibra più irritabile e sensibile , il bel cielo sereno che invita alla divagazione, al passeggio, non permettono agl’Italiani una lunga e continua applicazione o fatica. Nulla di tutto ciò invita il tessitore inglese ad abbandonare il suo telajo. Egli è come quei ca- valli ciechi, che continuano senza alcuna distrazione a far girare la ruota del molino. Il bisogno è il pungolo dell’inerzia ; è il mecenate costante del- l’industria. Lo spagnuolo (e così tutti i figli del sole ) il quale non ha bisogno di calze, nè di fazzoletto da collo, nè di giubba, ch’ è contento di un cigaro e di un gaspacho, che dorme sulla terra nu- da, che non ha alcuna curiosità , perchè si crede il prediletto figlio d’ Iddio posto in un paradiso terrestre “ Quien dice Espana dice todo ,, sì ride della moda, dei libri, dei viaggi, del lusso , dell’ eleganza. È un Diogene nella botte che non abbisogna che del suo sole. L’indo- lenza , la pigrizia naturale dei popoli meridionali (che fu vinta e può esser vinta ancora dall’ educazione e dall’istituzioni politiche) non è un difetto che si possa loro rimproverare , come neppure la sobrietà non è una virtù che si debba in loro lodare ; è colpa o merito del so- le. — L’ inglese invece riceve dal clima una moltiplicità di bisogni che sono altrettante spinte all’industria e al lavoro. Egli ha d’ uopo di cibi più sostanziosi, d’ incessante fuoco, di calze, di cravatte, doppie cravatte; abiti, soprabiti, tè , acquavite , bevande spiritose, più ve- stiario. pel consumo cagionato dal fumo e dall’umido ec. ec. La pa- rola confort (comodo ) è in bocca d’ ogni inglese, ad ogni momento, è la meta della sua vita......... La parola confort è il talismano della ricchezza e potenza dell’ Inghilterra. L’ozio in quest'isola conduce necessariamente al suicidio , perchè è la privazione d’ogni cosa. La natura ha quivi ricusato quasi ogni cosa all’ uomo , ma in compenso gli ha accordato la facoltà e la costanza di procurarsi ogni cosa ,,. 0 studia o passeggia o giuoca, diceva una buona madre in mia presen- za ad una fanciulla di nove anni che pareva rimanersi neghittosa. Ogni cosa, voleva dire quella signora, è meglio del far niente. In Ita- lia v’ è il proverbio che l’ozio è il padre d’ogni vizio. Siccome il vi- zio arreca un momentaneo piacere , così questo proverbio seduce an- zichè far paura. In Inghilterra all’ opposto l’ozio si può chiamare il padre d’ ogni dolore. > Lo starsi a letto e non far mai niente ,, così dolce al Berni, farebbe spavento a un inglese che odia la poltro- neria , quanto uno spagnuolo 0 un lazzarone odia la fatica, È opinio- ne comune in Inghilterra che non vi può essere felicità senza occu- pazione. Quanto alla felicità non so se questa opinione sia giusta , perchè la felicità dipende dalla. nostra immaginazione. Il Bonzo che marcisce nell’ ozio con un' giogo al collo ( ritratto vero dei popoli ne- IT ghittosi e schiavi) si|crede felice e forse lo è. Ma che l’ozio sia com- pagno della povertà e dell’ignoranza , e che la fatica al contrario lo sia dell’ opulenza e dell’ istruzione , la Spagna e 1’ Inghilterra ne so- no due parlanti testimonii. L’ assenza frequente del sole, che fa l’ artigiano laborioso , rende qui l’ uomo, più pensante. Chi non diverrebbe filosofo chiuso in casa per tante ore dall’ intemperie, con un buon fuoco, coi servi obbe- dienti e silenziosi, con una moglie non accattabrighe , col silenzio fuori e dentro di casa? La profondità degli scrittori inglesi è un pro- dotto del clima, come lo sono il ferro , lo stagno , il carbon fossile dell’isola. Lo stesso amor della famiglia ne è pure un prodotto. Il sole dissipa e sparpaglia le famiglie , le chiama continuamente fuori di casa; il fuoco del camino le riconcilia e le raccoglie. La famiglia ne’ paesi freddi e un equivalente delle nostre società e de’ nostri teatri; è un bisogno del cuore e dello spirito. Una canzone nazionale, che si canta dal teatro di Coven-Garden sino alla più umile capanna di Scozia, è 1’ “ Home sweet , Home. ,, Oh casa, oh dolce casa! Ed è veramente dolce la casa in Inghilterra. Nei paesi meridionali tutto è consacrato ai luoghi pubblici, ai pubblici divertimenti. Le case, che per lo più non servono che per dormire, sono spesso mal riparate e mal mobi- gliite. Dove invece la vita è tutta domestica si è dovuto pensare a renderla piacevole ; quindi il reciproco rispetto, la docilità, l’ equani- mità nei membri della famiglia, la puntualità nel servizio, la pulizia dappertutto, mobili ben fatti , comodi moventisi e obbedienti come fossero animati, come quei dell’antica manifattura di Vulcano. Le famiglie hanno una forma simile a quella del governo; non sono nè repubbliche , nè monarchie assolute. Vi è un capo, ma non è un ti- ranno. Ogni padre è, come il re d’ Inghilterra, limitato nelle sue fa- coltà dalla ragione, dall’ uso, dal mutuo interesse. Non perciò le famiglie sono patriarcali, cioè un miscuglio di più generazioni in cui il capo è i i King , priest, and parent of his growing state ,, ‘“ Re, pontefice e padre di questo crescente regno. ;, - Qui il capo non è che padre. La felicità domestica (/’4omebon hap- piness, così ben definita da Cowper) è incompatibile colla diversità degli umori e delle età. Ogni matrimonio forma una famiglia a parte; è ben raro il trovare sotto uno stesso tetto le irreconciliabili suocere e nuore , e i troppo conciliabili sposi e cognati : so Blest be that spot, where cheerful guests retire so To pause from toil , and trim their ev’ening fire; >> Blest that abode , where want and pain repair »o And evry stranger finds a ready chair ; »» Blest be those feasts with simple plenty crown’d 3» Where all the ruddy family around »» Laugh at the jests or pranks that never fail , T. III. Luglio 8 »» Or sigh with pity at some mournful tale > Or press the bashful stranger to his food >,» And learn the luxury of doing good. ,, “ Avventurato quel tetto sotto cui si raccolgono allegri ospiti per riposarsi dalla fatica, e comporre il faoco della sera. Avventuroso il soggiorno dove il bisogno e la fatica si ricoverano , ed ogni straniero ritrova un amichevole sedile. Avventurosi que’banchetti coronati d’una semplice abbondanza, dove tutt’ all’ intorno la rosseggiante famiglia ride agli scherzi ed alle burle sempremai pronte, o sospira di pietà a qualche compassionevole racconto , o incita lo schivo straniero a di- videre la gioia del banchetto , e ad apprendere il lusso della benefi- cenza ,,. La pittura degl’Inglesi è la poesia; invece di rappresentare; come fanno i Fiamminghi ne? loro quadri, i carnascialeschi piaceri de’ loro rustici compatriotti, gli Inglesi descrivono a gara nelle loro poesie la contentezza meno sensuale delle loro famiglie che sparge un incanto, che ben compensa e corregge il rigore del clima : to “ Content can spread a charm >> Redress the clime , and all ist rage disarm ,,. 3» Il contento può spargere un incanto che compensa il clima e disitma ‘tuttiauoi farorit i} one prio PD At i Si ricorderanno i lettori dell’operetta già stampata dal Pecchio, ed in gran parte riprodotta nell’Antologia, sulla crisi commer cial» del 1826. Ora, per compimento delle cose in quella discorse, crediamo utile recare le seguenti osservazioni sulla vita degli uomini dediti all’ industria. Chi sì è formato un’idea degl’Inglesi dal più bel poema di Vol- taire, che non voglio nominare quantunque ognuno de’ lettori 1’ ab- bia letto, sarebbe meravigliato di vedere cangiate quelle guancie fio- rite, e quelle robuste atletiche forme in pallide faccie e meschine gambe che si vedono negli operai che popolano questi giardini. La marra abbellisce una popolazione, e il telajo la guasta. Che differenza infatti tra un montanaro scozzese (un Highlander) e un tessitore di Glascow! Il primo conserva ancora le ben tornite e robuste forme de- scritte nei guerrieri di Ossian: le gambe somiglianti alle marmoree colonne del Lena, il petto alto ed ampio a guisa di corazza, sulle guance il color del vigore , in tutto il portamento il brio e la baldanza della salute. L’operaio invece è smunto, invecchiato prima del tem- po, malfatto nella persona, e mal reggentesi. Che disparità tra un cocchiere inglese e un filatore di Manchester! Il primo è il vero ri- tratto d’un turgido Bacco, il secondo di un prigioniero a vita. Il deterioramento della popolazione è uno svantaggio degli stati manifat- tori che non si è per anco considerato abbastanza. Andai in traccia di statistiche delle classi manifattrici , onde conoscere le loro diverse longevit à emalattie, ma non mi venne fatto di ritrovarne , e credo 29 che non se ne sieno ancora fatte, e difficile sia il farne, attesa la continua traslocazione da un luogo all’altro degli operai. Alcuni me- dici di Manchester hanno preteso far credere che la longevità è mag- giore in quelle città dove le manifatture sono aumentate. Peccato che Molière non viva. Avrebbe qui avuto un soggetto da farci ridere an- cora a spese di alcunì empirici. A questa loro asserzione non hanno punto prestato fede que’ filantropi, che persuasi pur troppo del dan- no, che la vita sedentaria e rinchiusa reca ai manifattori, si studiarouo di ripararvi. Alcuni di questi, quali il signor Brougham e il signor Hume, hanno promosso delle scuole di ginnastica; dove nelle ore di riposo gli operai possono addestrare le loro membra in piacevoli eser- cizj; e il più perseverante di tutti, il signor Owen, dopo avere in- trodotto nella sua stupenda filatura di cotone in New Lenark tra Edimburgo e Glascow persino la danza, ideò un nuovo piano di la- voro alternato di occnpazioni agricole e manifattrici, e andò in Ame- rica a farne l’ esperimento. Le classi degli operai sono più o meno brutte, secondo la qualilà de’ mestieri. La popolazione di Birmingham e di Sheffield, impiegata in gran parte nelle fucine e nelle manifatture di metalli, è molto più appariscente e robusta di quella di Manchester e di Glascow quasi tutta imprigionata ne?’ filatoj. Facendo io in Liverpool alcune di queste osservazioni ad uno dei tanti intelligenti e ben istrutti commercianti di quella città, mi ri- spose che nell’ultima guerra contro la Fraucia i reggimenti reclutati fra gli operai di questa industriosissima contea si distinsero fra gli al- tri per valore. Sarà benissimo. Dacchè più non si guerreggia all’arma bianca non vi è più ragione di credere che gli artefici sieno inet- t1 soldati, come lì reputavano i romani, o quali si mostraron i fio- rentini del Medio Evo. In Persia , dove ancora il nerbo dell’armata consiste in cavalleria ch esige forza e singolare destrezza, gli abitanti delle città manifattrici non riescono buoni soldati. Ma la guerra dei nostri tempi si fa col valore e colla disciplina ; le armate inglesi, che sono in ciò esemplari , sono per un buon terzo composte di operai. La division del travaglio tanto utile alla rapidità e perfezione delle manifatture, e tanto praticata in Inghilterra, nuoce all’ intelli- genza ed allo sviluppo delle facoltà mentali dell’artigiano ; anzi le spegne. Di che idee volete che arricchisca la sua mente quella spola, quella ruota, quel fuso che gli passa dinanzi agli occhi dodici ore per giorno ? “ Il en resulte, dice il sig. Say , une degenerescence dans »» l'homme considéré individuellement. C'est un triste témoignage à 3 se rendre que de n’avoir jamais fait que la dix-huitième partie d’une »» èpingle ,,. Se l’operaio non avesse 1’ incalcolabile vantaggio della società de’ suoi compagni, che nell’ore di riposo lo sveglia, lo anima, lo elettrizza insieme coi variati oggetti che presenta sempre il sog- giorno d’una città. diverrebbe in capo ad alcuni anni un yero auto- ma. Infatti, invece di dire che un fabbricante impiega un tal numero di operai, comunemente sì dice che si impiega un tal numero. di 60 hands, cioè , di mani, quasi gli operai non avessero la testa. I Brou- gham , gli Hume , i Burdett , gli Allen, infine i protettori e protetti da queste classi, ben conobbero questo inconv eniente , e col loro in- faticabile zelo si diedero a cercarne i rimedii. Imaginarono adunque delle biblioteche pei manifattori da stabilirsi in ogni città. Esse non sono aperte che due ore nella sera ; contengono storie, viaggi, dise- gni di macchine. La sottoscrizione per un trimestre non costa che di- ciotto soldi inglesi. Non paghi di questo , istituirono nelle città più popolose delle cattedre di chimica applicata alle arti, e di meccanica. In Londra più di mille e cinquece nto operai contribuiscono una ghi- nea all’ anno per assistervi. Un calzolajo quest’ anno riportò il premio di dieci ghinee per uno scritto di geometria. Alcuni mesi sono si è formata una società per la diffusione dei lumi utili, che va pubbli- cando e distribuendo vgni mese un gran numero di opuscoli elemen- tari su tutti i rami del grand’ albero del sapere umano. I. giornali della domenica, e le frequenti pubbliche assemblee a cui concorrono gli operai, e dove le persone più eloquenti istruiscono la moltitudine negli affari pubblici, sono un alimento ed uno stimolo alle menti loro, 1} sig. Hume nella seduta del 13 dicembre 1826 rappresentò che la tassa del bollo sui giornali era troppo grave in Inghilterra. Negli Stati Uniti, la cui popolazione eccede di poco la metà di quella della Gran Brettagna, vi sono 590 giornali, mentre nella Gran Brettagna mon ve ne sono pel peso delle tasse che 484. Annunziò che propor- rebbe una riduzione almeno pei giornali settimanali destinati per gli artigiani. Il sig. Brougham, che ambisce di erigere al suo nome un monumento nell’ istruzione popolare da lui meravigliosamente incorag- giata , colla sna solita eloquenza secondò la proposta. Possa ella essere approvata ! E incalcolabile (lo ripeterò un milione di volte) |’ influenza che devono esercitare i giornali negli stati dove havvi libertà di stampa. L’opinione pubblica scaturisce da queste fonti. Essa sola basta a cor- reggere tutti gli errori d’ una legislazione, e tutti gli abusi del pote- re; è una vera panacea. I giornali sono il pane quotidiano della mat- tina e della sera per ogni Inglese. Il pubblico n’ è così famelico , che il Times , non contento di stampare a vapore mille e cento copie al- l’ora, perfezionò la macchina a segno, che in oggi stampa quattro mi- la copie all’ora, cioè settanta copie al minuto, però da una sola parte. Ortes, il nostro economista troppo lodato e troppo censurato , pre- tende che il commercio non arricchisca che le classi superiori, am- massando in pochi i guadagni, e lasciando la massa de’ lavoranti sem- pre nella stessa miseria. 1 Tea-gardens, che sto descrivendo , sono di ciò una piena confutazione. Chi li visita osserva con istupore tutti questi artigiani bene sbarbati, vestiti di buon panno , calzati di sti- vali, con camicia di bucato, con oriuolo in tasca , con fazzoletti di seta al collo , alloggiando in polite «case, dormendo in nitidi letti, prendendo tè due volte il giorno , mangiando sempre pan bianco e 61 scelta carne ogni dì dell’anno. Erano essi nell’ eguale condizione quando il commercio dell’ Inghilterra non era nè così florido , nè così esteso? Gli anziani del paese , le memorie , le case superstiti, molti testimonj irrefragabili vi sono, che case, letti, mobili, vestito , nu- trimento , tutto era di gran lunga inferiore. La ragione di questa dif- ferenza è evidente. Quando il commercio è in uno stato progressivo , la dimanda di merci sempre maggiore è favorevole agli operai; essi possono sostenere la loro man d’ opera. Egli è oramai una verità. di- mostrata che lo stipendio degli operaj non è solo in ragion del prezzo della sussistenza, ma anche del rapporto tra la domanda e l’ offerta del lavoro. Oltre di ciò , la division del lavoro e le macchine avendo abbassato il prezzo di molti oggetti consumati un tempo soltanto dalle classi agiate, questi divengono di un consumo generale. Il vestiario attuale di un operaio , sebbene migliore di quello che usava di porta- re 60 anni fa, forse non costa in oggi altrettanto. È però vero che già a quest’ ora l’ introduzione delle macchine a vapore ha tolto ad alcune classi d’ operai il vantaggio nella concor- renza , e gli ha ridotti allo scarso necessario di molti anni addietro. Queste macchine, facendo il lavoro di più milioni d’operai, sono al- trettanti giganti rivali degli uomini. Infatti mentre le altre classi di artigiani, come fabbri, falegnami, tintori, vetraj, ec. ec. guadagna- no dai trenta e sino ai sessanta e più scellini la settimana, i filatori e tessitori, lavorando 12 ore al giorno, appena possono guadagnarne dai 15 ai 18 nei tempi di commercio attivo. Essi non sono solamente inferiori nel fisico agli altri operai, ma sono esseri infelici. In un’a- dunanza tenuta nel gennajo del 1825 in Manchester dai filatori di co- tone onde deliberare sui mezzi di raddolcire la loro sorte, uno di loro si alzò a dire che nei primi tempi dei filatoj di cotone , i lavo- ranti godevano di un maggior agio e d’ una maggior libertà , ma che in questi ultimi quiudici anni i padroni per l’ introduzione delle mac- chine a vapore avevano ammassate ricchezze , accresciuti i loro agi, mentre i lavoranti gradatamente erano discesi nella ruota de’ viventi, il loro salario diminuito, il lavoro accresciuto. Poscia, dopo avere de- scritta la sciagurata vita che menano in una calda soffocante atmosfe- ra, e le varie malattie a cui sono soggetti , esclamò : ‘" Guardate in- torno e mirate questo squallidi volti, e questi scheletri di corpo. Guar- date me stesso che ho appena venticinque anni, e sono già più vec- chio di questi che mi sta qui a lato, il quale è un marinajo di cin- quant’ anni. Vedete a che trista condizione siamo condannati. Dall’età di sei anni la maggior parte di noi è sepolta nel polverio del cotone in una soffocante malsana atmosfera; softerenti per gli estremi del caldo e del freddo , privati del sonno per le addolorate nostre, mem- bra, oppresse da estrema fatica; ed a 35 anni di età noi tocchiamo già una misera vecchiaja. 1 nostri figli appena possono crescere; e la, no- stra indipendenza sostenuta da un’onesta industria si riduce in alcuni 62 a chiedere la limosina sull’ angolo della contrada col cappello in mano al più meschino de’ passeggieri! ,, Questo lamento (in cui vè molta esagerazione, come ve n’ ha sempre nelle arringhe dei capi-popolo antichi e moderni) di operai morenti di fame, in mezzo a una nazione rigurgitante di oro, mi fece risovvenire quello dei nudi romani , che per bocca di Gracco si que- relavano di non avere dopo tante provincie conquistate alla repubbli- ca, un palmo di terra ove seppellire le loro ossa. M so E voi romani »» Voi che carchi di ferro a dura morte »o Per la patria la vita ognor ponete ; Voi, signori del mondo , altro nel mondo >> INon possedete ( perchè tor non puossi ) »» Che l’aria e il raggio della luce. Erranti s» Per le campagne e di fame cadenti 33 Pietosa e mesta compagnia vi fanno »o Le squallide consorti e i nudi figli »» Che dimandano pane . .... ,, Monti = Cajo Gracco, Atto III. Pare che gl’imperii sieno come gli uomini che si somigliano nelle vir- tù e ne’difetti. (p. 39-49). Molte e bel'e cose si leggoro nell’ opera del Pecchio relative alla società ed all'educazione , all» sette religiose, ai rifugiati spagumoli e italiani , ed agli stabilimenti filusofici che quì si tra- lasciano. Riferirò dune osservazioni caratteristiche che dar posson idea dell’ acutezza dell'autore. Non v'è l’uso delle beffe , e delle satire nelle famiglie , che tan- to esaspera gli animi dei fanciulli. La madre evita tutte le occasioni di eccitare lo sdegno de’ suoi figlì : se mai essi s’infuriano , s° accigli- no , essa tosto con un vezzo li disarma, o lì prega in tuono autore- vole di non andar in collera. Non andate în collera ed otterrete tut- to. — Questo è il firmano che le madri pubblicano ad ogni momento nel loro impero. L’esser padroni di se = to Keep the temper = è una tal legge d’ educazione che pare quasi divenuta una legge fondamen- tale dello stato. Non è permesso l’escir de’gangheri (come î toscani ben esprimono ) neppur co’ servi , neppur col più fangoso facchino. Un ri- ‘ sentimento grave espresso in decorose parole è la divisa del gentiluomo in Inghilterra. Nel parlamento stesso quegli oratori, che non sanno frenar- si, sono generalmente biasimati, e giudicati ìnetti al maneggio dei grandi affari. Un duello fatto precipitosamente è stimato tanto ignominioso quanto un duello codardamente ricusato. Il sig. Hamilton Rowan ( pa- dre del Comodoro Hamilton ) credette due anni sono dì essere stato | | 3 | | 63 offeso nel discorso pronunziato da un membro in parlamento. Sebbene carico di 75 anni, parte immediatamente da Dublino ‘per «domandare uno schiarimento a Londra all’oratore. Segue un carteggio; le due parti scelgono ciascuna un amico per decidere !a cosa; il sig. Hamil- ton non sapeva rinvenire l’insulto, e non sapeva d’altronde ritirarsi. Alla fine sottomette il caso a un antico giudice , e uomo delicato negli affari d’ onore. Tosto che questi ebbe profferito che se avesse insistito di più avrebbe avuto il torto, e la disapprovazione de’suoi amici , il coraggioso vecchio se ne ritornò a Dublino a continuare i suoi lavori nelle belle arti. Se però esiste 1’ offesa, il duello diventa legittimo ed inevitabile : così accadde molti anni sono quando il duca d’York, fra- tello del re, a una rivista diresse un troppo pungente rimprovero a un colonnello. Il colonnello, prima di chiedere soddisfazione al principe, interpellò i suoi ufficiali se lo credevano ingiuriato. Avendo questi risposto di sì, mandò la sfida, e il duello sì effettuò (p. 215-216). Qui bisogua ch'io dica due parole intorno ai romanzi inglesi che a diluvio in oggi si stampano, e che sono letti da tutti, non eccet- tuato nè il gran cancelliere, nè il re. Da noi e quasi ovunque sul continente esiste una prevenzione che giunge quasi all’ orrore pei ro- manzi. Come avviene adunqne che gl’Inglesi , che fanno tanta stima del senno e della morale , si pongano così a repentaglio di perderli? Mi sembra che in favore dei romanzi inglesi militino dne forti ra- gioni. Primieramente nessuno dei romanzi senza fine, che si pubblicano oggidì in Inghilterra , non che guastare l’ immaginazione o il cuore, non li scuote neppure e non fa che solleticarli soavemente. In nes- suno di essi v'è pur una pagina che si somigli nè al Faublas, nè alle Liaisons dangereuses, o alle novelle libere del Boccaccio, o a quelle ancor più libere dell’ abate Casti. A questo riguardo i romanzi d’ og- gidì sono più castigàti degli stessi romanzi inglesi del secolo passato , quali sono Ja Clarisse, il Tom Jones, il Joseph Andrew, la Pamela giovine , il Roderick Random, che non si leggevano nè si leggono co- muvemente , almeno dalle giovani. Nè v'è alcuno dei romanzi pre- senti che metta l’anima nostra a macerare nel sentimento come la Nouvelle Eloise di Rousseau , che non è possibile di leggerla senza un fazzoletto in mano , e senza sospirare come un Mongibello. Nè finalmente con alcuno di loro si corre pericolo. di diventare stralu- nati, bisbetici , asmatici, quali tendono a renderci il romanzo tede- sco di Carlotta e Verter, e Jacopo Ortis, sua copia. [ moderni roman- zi inglesi (almeno finora ) non sono che pitture innocenti di costumi, maniere , e pregiudici delle tante classi, sette , ed individui originali, che si ritrovano in Inghilterra più che altrove per la libertà che la- scia una latitudine ed uno sfogo al carattere d’ognuno. Sono piutto- sto commedie in tre o quattro volumi, invece d’ essere in tre atti, che tele di avventure miste a martirizzate passioni. A proposito dei 64 romanzi inglesi , uno scritore del nord d’America esclama ‘ Tre volte benedetto colui che il primo immaginò queste amene finzioni che così dolcemente ingannano la pesante noja: esilarano il languente spirito con un liquor che rallegra e non inebbria ; rischiarano gli orrori d’un piovoso giorno ; bandiscono il tedio d’ una lunga notte d'inverno; e impartono qualche anima e brio alla più trista delle umane formalità, la conversazione in famiglia! ,, In secondo luogo poi è da riflettersi in favore dei romanzi che , se non ve ne fossero, molte persone non leggerebbero ; sono simili ai giornali che sono la lettura di quelli che non leggono. La maggior parte de’lettori legge per passatempo. Non è egli dunque meglio leg- gere un piacevole romanzo scritto in buona lingua e con spirito , che il passeggiare colle mani incrocicchiate sul dorso a far tardi sulla piaz- za di San Marco, o sbadigliare in un caffè disputando di ballerini e prime donne, e uccidendo ,mosche che pungono intanto le gambe e la faccia, o raccogliersi in una bottega da speziale in un villaggio fra gli effluvii de’ cataplasmi a parlare degli amori ec. ec. (p. 230-233). Nel seguente fascicolo dell’Antologia recheremo gli squarci sull’opposizione parlamentaria e sulle corti di assise, che ne paiono de’ più notevoli dell’ opera del Pecchio. e Lettera al Direttore dell’ Antologia sul Ponte in pietra di un sol arco gettato sulla Dora Riparia presso Torino : opera "del cav. Carro Mosca ispettore nel corpo sia del genio ci- vile ec. ec. Torino il dì 3 gennaio 1831. Il Ponte, che venne condotto a termine ed aperto il 15 di agosto dello scorso, anno , è stato costrutto sul fiume della Dora Riparia in prolungamento dell’ asse della via detta d’Italia, onde procurare un solido varco non solamente alle provincie del regno, le quali, più ricche e commercianti delle altre, sì trovano al di là di quel fiume, ma eziandio affinchè una strada , che magni- fica attraversa le Alpi e da esse mette nella rimanente Italia , avesse nel suo principio un carattere di grandezza degno del- l'ingegno italiano. Il fiume Dora , quantunque non sia perennemente copioso di acque, tuttavia nelle piene corre assai gonfio , ed impetuoso, essendo il suo fondo molto declive. La linea direttrice del letto è vbliqua all’ asse della via per 605 cui si ha l’ ingresso vella città ; per lo che nel tempo in cui i Francesi reggevano la somma delle cose in Piemoute , e poscia- chè i reali di Savoia ripresero le redini del governo, vennero proposti e discussi varii progetti imtorno il modo di costruire un ponte che fosse solido e degno dell’ ingresso della capitale della movarchia. Il fondo dei progetti, stante la non. piccola larghezza dell’ alveo del fiume, si riduceva insomma a proporre un ponte di tre archi; ma soccorreva poi al pensiero la obliqua direzione dell’alveo per cni, se l’asse del ponte fosse stato lo stesso che quello della via d’ingresso nella città, le acque avrebbero urtato obliquamente nelle pile del medesimo ; ovvero , se per evitare l’ urto lungo le pile si fosse fatto il fonte perpen - dicolare ali’ asse del fiume, avrebbe in modo bruttissimo. messo sbiecamente nella via d’ ingresso. Laonde per evitare un tale inconveniente non mancò chi propose di formare un poute obliquo ; ma, quantunque una co- struzione di tal fatta ‘possa essere utile dove per le imperiose circostanze di luogo più alla necessità dell’ opera; che alla sua bellezza debbasi aver riguardo ; pare tuttavia non essere cosa da adottarsi qualora vogliasi elevare un monumento magnifico, seb- bene abbia potuto piacere per la novità dell’ invenzione e per la difficoltà del'a costruzione (1). «Quindi è che bene avvisò il chiarissimo ingegnere Mosca proponendo il ponte ad un sol arco, quale venne costrutto, | evitando così i due inconvenienti accennati ; meravig'iando ad un tempo coll’ arditezza dell’ impresa la mente di chi lo mira. E qui torna’ all’ uopo |’ osservare che in codesto edifizio non è tanto da apprezzare il concepimento del progetto, o vogliam dire 1’ invenzione, quanto il pensare ‘ai mezzi dell’ esecuzione , talchè è superiormente maggiore il merito dell’ aver saputo con tauta scienza condurre a compimento un’ opera così ardita , che non lo averla immaginata. Ma volendosi ‘costruire un arco finora senza paragone , era (1) Qui cade in acconcio il notare , che codesta invenzione è italiana, poi- chè leggesi nel: Vasari nella vita:del Tribolo come il Duca di Fiorenza fece fare “al Tribolo unponte in sulla strada maestra che da Firenze va a Bologna, il qual ponte perchè il fiume attraversava la strada in isbieco , fece fare al Tribolo, sbiecando anch’ egli. l’ arco secondochè sbiecamente imboccava il fiume ; il che fu cosa nuova e molto lodata , facendo massimamente congiun- gere l’ arco di pietra isbiecato in modo da' tutte le bande, che riuscì forte ed ha molta grazia , ed insomma questo ponte fu una molto bella opera. T.11I. Luglio. 9 66 oggetto di sommo rilievo il proporzionare le.coscie in guisa che fossero capaci di resisterne alla spinta. Le sperienze fatte finora sugli archi scemi, per riconoscere dai movimenti che succedono nelle parti che li compongouo il modo con cui la spinta opera sui piedritti, dimostrano, che, in caso di mancanza di equilibrio , succedono nell’ arco i movimenti seguenti: l’arco si divide in due pezzi, aprendosi alla chiave verso l’intradosso, appoggiandosi all’ estradosso , e verso le im- poste aprendosi all’ estradosso, appoggiandosi. all’ intradosso , in guisa che l’ arco si muove sopra tre assi di rotazione. Da questo movimento ‘nasce un altro nei due piedritti, sui quali 1’arco e’ appoggia, i quali concepiscono un moto rotatorio in massa attorno allo spigolo esteriore della loro base. Dimanierachè il sistema può essere considerato come un poligono di quattro lati, il quale si muova attorno a cinque punti di rotazione. Secondo tale ipotesi , conoscendosi preventivamente il peso del vòlto , ed il peso specifico e l’ altezza delle coscie , si determina la grossezza atta a resistere alla spinta del vélto. Questa ipotesi , ele spe- rienze che la confermano, suggerirono le avvertenze usate poscia nel costruire il volto, delle quali si farà cenno. a sno luogo. Il ponte per le ragioni adotte venne adunque composto di un solo arco di cerchio di 45 metri di corda , con 5,50 metri di saetta. Le faccie dell’ arco presso l’intradosso sono tagliate a sbieco , e formano due ugnature , o cornes de vache come diconsi dai francesi , le quali mentre con molta grazia aumentano la leg, gerezza dell’ arco riducendone la saetta apparente a 3,75 metri, cioè al duodecimo della corda, possono eziandio nelle straordi- narie piene , ove le acque oltrepassassero il livello massimo fi- nora osservato, servire come d’imbuto pel più facile loro sfogo; per lo che si scorge che sì fatta costruzione non venne punto adoperata per ismania d’imitare le invenzioni d’oltremonti, ma sì per vera utilità dell’ opera. Nè pare sia da schifare quella invenzione, solo perchè un altro popolo, e non il nostro, l’ha il primo usata : chè sarebbe pur tempo che si persuadessero le genti, essere vana e ridicola cosa nelle scienze e nelle arti la gelosia di nazione a nazione. Mirando al medesimo scopo di formare un imbuto alle acque, e di rompere sempre l’ urto laterale di esse, le coscie del ponte sono formate da un quarto di cilindro , il quale itrcontra. tan- genzialmente le teste del ponte e si prolunga sino ad incontrare Je sponde rettilinee , le quali determinano la vera larghezza del Sume , e vengono terminate da un pilastro di base quadrata. 29 07 Corona l’ edificio un cornicione magnifico a modiglioni, di- segnato a somiglianza di quello che ornava già la grande parete circondante la piazza del tempio di Marte vendicatore in Roma; mostrando così il valente.architetto che; se nella parte scienti- fica dell’ arte di costrurre seppe far uso di quanto i moderni tro- vati suggerivano di migliore , sapeva eziandio adornare all’uopo l’opera sua col gusto antico. Il cornicione viene sormontato da un parapetto formato da un filare di pietra coronato da una fascia che termina in furma convessa superiormente. Sbocca la strada, che è sul ponte, su due piccole piazzette mistilinee formate sulle teste di esso, che si allargano da una parte e dall’ altra in quarto di ‘cerchio , mettendo da una parte alla via che dà l'ingresso nella città , e gli si apre in fronte, e dall’ altra alla strada che conduce a Milano. Ciò vaglia per quanto spetta all’ opera costrutta e quale ora si vede sorgere maestosa e grande; ma di maggior momento per lo scopo prefisso saranno alcuni particolari circa il modo con che venne eseguita. La sagoma del ponte venne delineata sopra una spaziosa area perfettamente piana ed orizzontale , ove furono disegnate in grandezza naturale tutte le parti componenti l’arco e 1° ar- matura , e con questa scorta sono stati preparati tutti i modelli, i quali servirono di norma agli scarpellini ed ai falegnami. Su di questa area si formavano esattamente i cavalletti per l’ ar- matura e si connettevano nel modo con cui dovevano essere collorati a sito; e mentre che 20 falegnami aiutati da un nu- mero proporzionato di fattorini formavano un cavalletto, 12 uo- mini, collocavano quello di già fatto ; e tanta fu l’esattezza nel tagliare i legnami, che nel situarli mai non avvenne che facesse d’ uopo ripetere un benchè menomo colpo di scalpello , in con- seguenza di che i cavalletti furono eretti nel breve tempo di 45 giorni circa. L’armatura componevasi di dieci cavalletti eguali, ciascuno era formato da tre corsi di puntoni della lunghezza di 5,80 me- tri a 9,90 metri legati nei punti di articolazione da staffe unite con forti chiavarde di ferro. Due travi verticali adossati alle coscie, e tre pali fissi nel suolo e sull’ asse delle tre, traverse di mezzo , collegati da forti travi orizzontali, servivano di sostegno a ciaschedun cavalletto, e tutti venivano collegati da venti tra- verse orizzontali doppie della lunghezza di circa 14 jmetri. In vece di collegare le. traverse orizzontali con chiavarde di ferro, come d? ordinario si usa, fra gli intervalli delle staffe, delle tra- 68 verse orizzontali e dei puntoni vennero intromessi a forza altri piccoli. puntoni ; con che oltre il minor dispendio si ottenne anche una maggior solidità riducendo i suddetti intervalli qua- drangolari di forma variabile in altrettanti triangoli; ciò che contribuì a rendere più rigido il sistema, epperciò ad evitare i mov.menti dell’ armatura nel'a costruzione del vòlto. Per quanto è al metodo tenuto nello stabilire il vòlto, ec- cone in breve l’ andamento. i Lateralmente all’armatura due ponti ansiliari paralleli; e da ambo le parti inclinati al par di essa, e larghi 5 metri da- vano accesso ai carri, dai quali calati i cunei lavorati , e postili sopra rulli di legno, venivano tratti da argani agenti sulla su - prema altezza dei ponti, e scaricatili poscia sur altrettanti rulli ad angolo retto coi primi erano spinti sul ponte soprastante all’ ar- matura per mezzo di martinelli, finchè giunti in faccia al pro- prio sito vi si facevano scorrere per via di piani inclinati. Ivi trasportati , i singoli cunei venivano eretti col meccani> smo seguente: cavalletti verticali eretti a convenienti distanze gli nni dagli altri sulla sponda interna di ciaschedun ponte au- siliario, appuntellati da saettoni inclinati e direttamente opposti fra loro, reggevano fortissime travi orizzontali che attraversavano la larghezza del ponte, collegati da altre travi longitudinali , sulle quali una trave mobile poteva farsi scorrere a talento, e fermare in quella positura idonea allo stabilimento dei singoli corsi di cunei ; per lo che fare, grosse taglie, raccomandate alla sudetta trave in guisa da potere scorrere lunghessa , portavano grosse funi, le quali, legate ad ulivelle incastrate nei cunei , passando sopra carrucole di rimando, venivano tratte da un ar- gano posto dietro a ciascheduna spalla del ponte, e facevano erigere i cunei, i quali erano finalmente collocati al proprio sito. In simil modo operando da ambo gli estremi del ponte , due soli posatori aiutati da un sufficiente numero di fittorini , poterono in un giorno collocare sino a 25 cunei, pesanti mediamente 6000 chilog. ; ed i 650 cuuei componenti il vòlto furono situati in settanta giorni circa di lavoro ; hè vuolsi tacere che un terzo dei cunei pesava oltre a 10000 chilogrammi, ed i primi. verso le imposte dai 18 ai 203000. Dalle sperienze fatte su archi di piccole dimensioni, e dalle osservazioni fatte sugli archi dei ponti costrutti da Péronet e da altri, risulta che, nel disarmamento degli archi scemi, essi nello assettarsi si abbassano; restringendosi i conventi dei cunei al- l’ intradosso presso le imposte ed all’ estradosso verso la chiave : 69 in conseguenza di che ; se non si provvede idoneamente a co- desto abbassamento ed a codesto ristringimento dei conventi , si corre pericolo di vedere spezzarsi gli spigoli dei cunei per l’enor- me pressione che soffrono vicendevolmente. L'ingegnere Boistard, per andare all’ incontro di siffatti in- convenienti , nel costruire il ponte di Némours il quale ha 16,23 met. di corda ed 1,10 met. di saetta , fece tagliare i cunei di una grossezza minore di quella che sarebbesi determinata divi- | dendo la lunghezza dell’ arco pel numero dei cuuei , avendo supposto che i cunei dopo il disarmamento non vewissero ad esat- tamente combaciare ; e fece collocare i cunei in modo che le. larghezze dei conventi decrescessero verso 1° intradosso secondo i termini di una progressione decrescente dalle imposte sino alla chiave, e viceversa crescessero verso 1’ estradosso. Ma nel costrurre l’ arco del ponte di cui si discorre si è supposto in vece che i cunei dopo il disarmamento venissero ad esattamente combaciare, quindi i cunei furono tagliati se - condo la sagoma dell’ arco vero di 45 met. di corda e di 5,50 met. di saetta; e nella esecuzione si è adottato un arco rial- «zato alla chiave di 0,26 e proporzionatamente sino alle imposte dove intersecavasi coll’ arco vero; avendo avvertito di disporre i conventi in man:era , che in vece di esserè diretti al centro dell’ arco , essi presso le imposte divergessero verso 1’ intradosso con progressione decrescente dalle imposte, al contrario presso la chiave divergessero verso 1’ estradosso in progressione crescente sino ad essa. Non si deve passare sotto silenzio che , siccome la differenza della tratta fra l’ arco vero e l’ arco riilzato , stante il gran numero dei cunei, non era bastevole per istabilire per le larghezze dei conventi, una progressione decresceute dalle imposte alla chiave , con termini che si potessero fisicamente ap- prezzare ; così fu d’uopo dividere 1’ arco in tre parti.in guisa che nella prima i conventi divergessero presso l’ intradosso, nella seconda fossero paralleli ; nell’ultima finalmente divergessero verso l’ estradosso. Per ottenere tali conventi si collocavano laminette di piombo della grossezza determinata dai termini della detta pro- gressione 3 tuttavia egli è da notare che i cunei componenti il volto non avendo tutti una stessa lunghezza, ma quella dei ceunei delle facce essendo maggiore di quella degli interni, per- ciò, ad: oggetto che i conventi conservissero quella divergenza determinata dalla detta progressione, si frapponevano nei conventi degli interni piccoli cunii di ferro i quali mantenevanli nella ro dovuta distanza ; essi poi vennero tolti prima del disarmamento , e dopochè si riempierono i conventi di calcina. Affinchè una operazione così difficile riescisse a pennello, al collocamento di ogni corso di cunei, se ne verificavano le ascisse e le ordinate corrispondenti, e se ne appurava 1’ inclina- zione per mezzo di apposito strumento. Le ascisse erano segna- te sur una trave orizzontale posta sotto il vòlto, la quale, perchè fosse indipendente dai movimenti dell’ armatura , era in- fissa nei ponti ausiliari; le ordinate erano segnate su quattro aste verticali appoggiate alle coscie del ponte; le ascisse veni- vano verificate per mezzo dell’ archipenzolo, ele ordinate per mezzo della. livellazione. s. Ma neppure tante ingegnose precauzioni avrebbero piena- mente sortito il loro effetto, se, come venne finora praticato da ingegneri anche celeberrimi, si fosse costrutto il ponte ausiliario sull’armatura ed unito ad essa così che gli urti e le scosse ad esso cagionate dal trasporto dei cunei si fossero potuti communicare all’ armatura. Laonde, per ovviare ad un difetto sì grave, si col- legarono i ponti ausiliarii laterali al ponte soprastante all’arma- tura per modo che si reggesse da se e non fosse in veruna ma- niera a contatto con essa, e così ottennesi di fare scorrere sopra all’ armatura i cunei senza che essa ne sentisse il peso se non quando i cunei venissero collocati al loro diffinitivo sito. Costrutto 1° arco secondo si è detto, venti giorni dopo, esso venne disarmato , ed allentati i 240 cunei di frassino, che con- nettevano l’ armatura, essa abbassossi uniformemente senza che sia accaduto il minimo movimento parziale, o siasi sentito un ben anco minimo scricchiolio. Così tolti all’arco i sostegni ausiliari, e caricatolo di un pesa maggiore di quello che finita l’opera doveva sostenere, asset- tandosi, abbassossi alla chiave di 0,19 metri circa, 0,07 metri menv del massimo abbassamento calcolato ; la. qual cosa prova maggiormente l’ utilità della precauzione usata nel disporre i conventi dei cunei, e se l’ abbassamento non ha esattamente corrisposto a quello mediante il calcolo arguito, ciò devesi at- tribuire al troppo celere rapprendersi del cemento il quale im- pedì un’avvicinamento maggiore. Gioverà terminare codesti cenni coll’ osservare che i risnl- tati ottenuti nel costrurre l’ arco di questo ponte sono affatto conformi a quelli ottenuti colle sperienze fatte sopra archi di piccole dimensioni. e li confermano pienamente di qualità che 71 ben puossi asserire, la teoria dell’ equilibrio degli archi scemi, ed il modo più sicuro da addottarsi nella loro costruzione, non andare più soggetti a dubii di sorte. ‘Eccole , chiarissimo sig. Direttore; tutto quello che mi venue fatto di raccogliere intorno alle operazioni che hanno preceduta ed accompagnata'la meravigliosa costruzione di questo ponte. Ho trasandato alcuni più minuti asian A , mirando all’unico fine di dare adiogni ‘classe di persone uùn’adeguata idea di questo monumento , che ben puossi chiamar nazionale , mostrando esso come l’ attitudine ‘dell’ingegno' italiano alle cose grandi è sempre la stessa in ‘ogni tempo ed'in ogni fortuna, e come l’ingegno loro risponda ad ogni piccola scintilla che lo svegli, pronto a correre maggior campo ove le occasioni non gli mancassero. L’opera del Mosca, e quella che viene ora condotta a ter- mine da Ferdinando Bonsignore, della quale verrà parlato a suo tempo, attesteranno alla rimanente Italia che il Piemonte, terra feracissima di grandi ingegni nelle scienze e nelle lettere, ‘potrà vantarsi altresì dell’eccellenza de’suoi artefici a nessun altro secondi , ove un generoso governo apra loro le vie di cimen- tarsi al paragone. L’ Ingegnere Idraulico e Civile Raimonno BuzaAnI. Nell’ atto di fare al sig. Buzani i miei ringraziamenti per le interessanti notizie ch’ egli si è dato la cura di comunicarmi , debbo pur fare a lui e al pubblico le mie scuse per non averle prima d’ ora inserite nel mio Giornale. Nel manoscritto queste notizie son corredate d’ una tavola rappresentante il ponte a cui si riferiscono , maestrevolmente disegnata dal sig. Buzani me- desimo ; ed'io desiderava di poterle dare!in istampa coll’ incisione di questa tavola. Ma l’ incisione , per le molte particolarità che la tavola. contiene , richiedendo una spesa che mi parea tanto più contraria ull’ economia del Giornale , quanto più le notizie mi parean facili ad intendersi anche senza l’ incisione , ho dovuto contentarmi di pubblicarle senza di essa , offerendo- mi però di mostrar il disegno a chiunque il bramasse. Possa intanto l esem- pio del sig. Buzzani eccitar altri a fornirmi altre notizie sull’ opere di pub> blica utilità o cominciate o compite o prossime a compirsi ne’ diversi. stati d’ Italia! Tali notizie giugneran sempre desideratissime , e il pubblico ne sarà ad essi molto riconoscente. Il Direttore dell’Antologia. 72 Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino T. XXXIUMI. Torino dalla Stamperia Reale 1829 in 4.° con tavole. Parte prima di pag. Lxx-392. Non vi è in Italia (dobbiamo dirlo a gloria dei. piemoatosi) corpo scientifico che maggiore e più importante messe produca della R. Accademia delle scienze di Torino. Si è appena dato un saggio delle memorie della classe di scienze morali ; storiche e filologiche racchiuse nella Parte II del Tomo XXXIII (Anto- logia Vol. XL. p. 80 ) che era già sotto il torchio il T. XXXIV, non meno copioso e importante di quelli anteriormente pubbli> cati. Prima pertanto di annunciare quanto in questo si contiene ; c'incombe il dovere di far parola delle memorie spettanti alla classe delle scienze fisiche e matematiche, le quali formano la prima parte del precedente volume, a cui forma avanguardia l’Elenco degli ae - cademici nazionali, la nota delle opere inviate dopo la pubbli- cazione del Tomo XXXII coi nomi. di quelli che le donarono ye una notizia storita dei lavori della classe suddetta negli anni 1327 e 1828 seritta del prof. Giacinto Carena accademico segre- tario di essa Classe, che è pur l’autore dell’annesso elogio storico dell’ accademico dott. Lodovico Bellardi. Memoria I. — De animalculis microscopicis seu infusoriis ; auctore Marnaro Losana. Sectio IT. La prima parte, dove si tratta degli infusorii compresi nella sezione dei Polimorfi, trovasi inserita nel Tomo XXIX della stessa R. Accademia. La seconda sezione di cui si ragiona spetta» ai Monomorfi divisa in quattro generi , accompagnati ciascuno dalla esatta descrizioné dei caratteri e con una distribuzione metodica che alquanto diversifica da quella del ch. mittologo danese Mul- ler , e coll’ aggiunta delle figure per quelli infusori non ancora da altri stati dati alla luce, i quali disegni e respettive descrizioni ammontano al N.° di 5o pel genere Vo/voces ; a 26 pel geuere Oplaria ; a 77 per quello Cyclidia; e a 28 per il genere deno- minato Paramaecia. Memoria II. = Comparaison des observations de M. Dulong sur le pouvoir réfringent des corps gazeux avec les formules de relation entre ces pouvoirs et les affinités pour le calorique dé- duites des chaleurs specifiques ; par le chev. Avocapro. In questa memoria pregevole per l’ esattezza e copia di or- servazioni il sig. cav. Avogadro ha dato un sempre maggior peso alla sua teoria delle affinità dei corpi per il calorico, tevria che in i | 73 altre precedenti memorie egli aveva procurato di collegare coi rapporti elettro-chimici dei corpi medesimi. Imperocchè sino dal dicembre 181: e gennaio 1817 la Bi- blioteca italiana pubblicò altra memoria , con la quale lo stesso autore dimostrava che i calori specifici dei gas composti , con- frontandoli con quelli dei loro gas componenti, dietro le osserva- zioni dei sigg. Bérard e De la Roche, ci conducevano a riguar- dare i calori specifici dei corpi allo stato di gas a volume eguale, come quelli che stanno in ragione delle radici quadrate dei poteri attrattivi delle loro molecule per il calorico. Quindi egli ha potuto dedurre dai calori specifici dei corpi gasosi le de- terminazioni numeriche delle loro affinità per il calorico da lui designate col nome di numeri affinitari , come quelli ch’ egli a buon diritto considera essere il fondamento di tutti i rapporti elettro-chimici dell’ affinità fra i corpi. La memoria è divisa in quattro articoli. Nel primo di essi trattasi di un confronto dei risultati delle osservazioni di M.Du/ong sui poteri refrattivi dei gas con le affinità per il calorico dedotti dai calori specifici, e ciò secondo la forma di rapporto adoprata nelle precedenti memorie. Il secondo articolo abbraccia il con- fronto dei risultati delle osservazioni di M. Dulong con la for- mula, determinando per differenti gruppi di queste osservazio- ni i coefficienti della formula , e le affinità che hanno per il ca- lorico le diverse sostanze , senza far uso dei calori specifici. L'articolo terzo fa conoscere le diligenti operazioni fatte dall’A. onde tentar di trovare una formula che rappresentasse più esat- tamente la relazione tra i poteri refrattivi dei corpi gasosi e le loro affinità per il calorico , i quali tentativi sebbene, come av - verte il cav. Avogadro, non abbiano perfettamente corrisposto al desiderato successo , tuttavia possono essere di non lieve soc- corso a quei fisici che vorranno occuparsi di simile ricerca. Nel quarto articolo dimostrasi qual partito si può ritrarre dalle osserva- zioni di tal fatta relativamente ai poteri refrattivi dei gas, o iso- lati, o in concorso con quelli dei calori specifici, onde determinare le affinità dei corpi pel calorico, al quale articolo serve di ap- pendice un quadro delle affinità per il calorico di quattro sostanze semplici, l’ ossigene, cioè, l'azoto, l’ idrogene , e il carbonio prendendo per unità quello dell’ aria atmosferica. Memoria III. — Aloysii Colla IHlustrationes et Icones rario- rum stirpium quae in eius horto Ripulis florebant anno 1826, addita ad Hortum Ripulensem Appendice III. Di dodici fioriture di piante rare, © affatto nuove, o non T. II. .Luglio 10 74 bene sino ad ora descritte e disegnate, si rende conto dal dotto proprietario del bel giardino di Ripoli nei suburbi di Torino, le quali piante sono il Ribes flavum confuso dal ch. Spregel col R. aureo; il Pelargonium murrayanum; il P. Burdini Colla, già P. elegantissimum; il P. Berterianum ; V' Acacia Spini ; la Passiflora Sanguinea ; il Cactus Lamarckii ;} \’ Eupatorium Berterianum ; l’ Alternanthera tenella ; la Cassia Schultesii ; il Cactus Spini , e l’Aster Concinaus; delle quali piante tutte si dà ivi un esatto disegno al naturale. Nè meno per la rarità e copia dei vegeta- bili è interessante l’Appendice III aggiunta dall’ A. al celebre suo Orto Ripulense. Memoria IV. — Note sur une nouvelle mine de manganèse trouvèe dans la Vallèe de Lanze , Commune d’Ala ; par le doct. Canro professeur adjoint de Chimie a l’Université R. de Turin, et conseiller des Mines. Questo minerale (manganese carbonato violetto ‘compatto ) che fu trovato la prima volta nel Piemonte dal prof. Cantù fra i ciottoli nel letto del fiume Stura , i quali credonsi derivati da un filone dello stesso minerale, che trovasi a poca distanza nella mont:gna sulla destra di questo fiume, è di un color violetto tendente al nero , senza tramandare odore nè sapore, al fuoco, o per l’ attrito : tenacissimo, assai compatto e duro, che raschia il vetro, a minutissimi grani sparsi di squammette, di una lucen- tezza metallica visibili colla lente, e con venule bianche di car - bonato calcareo ricco di silice. Di frattura uguale , di nn peso specifico dai 3055 a’ 3600. Esaminati quindi dall’antore i carat- teri chimici e suoi risultati, allorchè fu da lui messo a cimen- to con varii corpi, determina la proporzione delle sue parti co- stituenti , che a tenore di un primo saggio consisterebbero in carbonato di manganese 82,0; in carbonato di calce 3,00 j in silice 13,0; in acqua 2;00; ed in leggeri indizi di earbonato di ferro. Dopo aver fatto conoscere la natura del minerale, lA. si è occupato a studiarlo sotto il rapporto economico per il profitto che da questa sostanza possono trarre sia i chimici laboratorii, per la preparazione del cloro supplendo in circostanze perfetta- mente eguali al deutossido di manganese di Val d’ Aosta y sia le arti industriali, e segnatamente la fabbrica dei smalti co- lorati , sia per imbiancare la pasta dei vetri; al quale ultimo oggetto havvi motivo d’ arguire che possa corrispondere anche meglio del manganese comune, perchè il nuovo minerale con- tiene minori quantità di calce e di silice, e precipuamente per- 75 chè manca quasi affatto di ferro, a cui suol essere sempre as- sociato il manganese della Val d’Aosta usitato in commercio. Memoria V. == Motice sur quelques fossiles de la Tarantaise en Savoje , par M. le prof. Borsown. Sono scorsi pochi anni dacchè per le diligenti osservazioni geognostiche instituite nelle Alpi della Tarantasia il ch. prof. Bochant de Villiers potè dimostrare che il calcareo granoso, mi- caceo o talcoso , che scavasi da quelle montagne , era tutt’altro che primitivo, sia per rapporto alla qualità delle rocce con cui trovasi a contatto , sia per i resti organici che talvolta racchiu- de, e di che trovò un solo esempio in una tavola di quel marmo trasportata a Parigi e già lavorata. Quest’ esempio non è più.unico. Monsign. ZBillet vescovo di Maurienne , il quale unisce ai doveri del suo augusto ministero l’ornamento delle scienze naturali che coltiva, inviò sino dal 1826 al prof. Borson un pezzo di marmo di Vi/ette , in cui trovasi im- prigionato un resto di conchiglia spettante all’ Ostrea pecten di Linneo. Il qual frammento di quasi 60 milimetri di diametro, con 12 o 13 solchi ben distinti , fa parte attualmente della Collezione del R. Museo di Torino, dove il direttore medesimo sig. Borson aveva poco innanzi depositati altri pezzi di quel marmo, nei quali appariscono corpi estranei di forma elittica, che l’ A. di questa nota sospetta possano essere numismali ossia pietre len- ticolari. L’ altra prova a favore dell’ opinione emessa dal sig. Bro- chant de Villiers il sig. Borson l’offre in uno schisto che trovasi quasi all’ ingresso della Tarentasia, di colore turchino cupo, un poco lucido , di pasta omogenea, e che all’aspetto assomiglia molto all’ ardesia della sommità del Monte Cervino. Tale schisto contiene pertanto delle protuberanze cilindriche, le quali esami- nate del prof. Borson furono riscontrate per altrettante impronte lasciate dalle Belemniti. Si annunziano finalmente altre rocce schistose provenienti dai luoghi più elevati di quelle Alpi, nel comune di Acqua bianca portanti impronte di vegetabili indi- geni, alcuni dei quali furono dal ch. sig. avv. Colla riportati all’Aspidium Filix mas , e altri assomigliantisi all’Asplenium Tri- comanes, e alla Phaca Alpina di Iacquin, piante tutte che vivono tuttora nei luoghi umidi di quelle Alpi, sebbene non più a quell’elevatezza dove ritrovate furono le fossili. Memoria VI. — Analyse de la cendre du Vesuve de V eru- ption du 1822; par Joser® Lavini prof. sobstitut de Chimie. 76 (S Memoria VII. = Suite des. Recherches chimiques sur les cendres du Vesuve de l’eruption du 1794; par le méme A. Fu ipotesi del celebre Davy che i fuochi e i fenomeni vul- canici dovessero la loro vrigine agli effetti che risultano dall’os- sidazione più o meno copiosa e istantanea delle sostanze metal- loidi , conosciute sotto i nomi di alcali, mediaute il veicolo e decomposizione dell’ acqua, per cui potè probabilmente derivare fra gli altri prodotti l’ acido idroclorico o isolato o combinato con alcuno di quei corpi metalloidi giò ossidati. È sotto un tale aspetto che il sig. Lavini si è occupato delle analisi delle ce- neri vesuviane, esponendo in queste due memorie i dettagli delle sue operazioni con i confronti delle analisi state fatte da altri chimici. Che se i risultati da esso ottenuti sulle ceneri del- l'eruzione del Vesuvio del :822 differiscono da quelli antece- denti riportati dai sig. Pepe, Lancellotti e Vauquelin, ciò non deve sorprendere nè dare luogo a sospetto d’inesattezza, stantechè le ceneri vulcaniche anche di una medesima eruzione possono es- sere di natura diversa secondo i tempi e i luoghi dove furuno spinte e nei quali vennero raccolte. Fatto è che quelle analizzate dal sis. Lavini erano composte sopra 200 parti, di acqua, acido idroclorico e. idroclorato di ammoniaca 6,25; solfato di calce 13,00; idroclorato di sola 3,00; calce 4,15 ; ossido di ferro 27,00; allumina 30,00; magnesia 3,00; silice 107,10 ; carbone 4,20 ; perdita 2,40. Lo stesso Autore dal saggio posteriormente fatto sulle ceneri del Vesuvio del 1794 ha ottenuto resultati molto diversi da quelli delle ceneri del 1822, poichè le prime non contenevano la mi- nima porzione d: acido idroclorico libero nè alcuno di quelli idro- clorati (se si eccettua un centesimo d’ idroclorato di soda), onde si possa sospettare che i cloruri nel loro passaggio allo stato d’ idroclorato per l’ intermedio e decomposizione dell’ acqua siano stati una causa dell’intenso calore sorto nelle viscere della terra , e quindi un fomite all’ esplosione dei Vulcani. Da un altro lato però il resultato di quest’ ultima analisi è rimarchevole per essersi trovato nelle ceneri de) 1794 una de- cima parte del loro peso di rame ossidato ; e per l’ odore empi- reumatico che esse riscaldate tramandavano , segnale indubitato dell’esistenza di una qualche sostanza fossile di natura organica, siccome dall’ analisi pubblicata dal Lancellotti realmente appa- riva. Cento parti di ceneri dell’ eruzione del 1794 hanno dato al sig. Lavini il seguente prodotto : vapori d’acqua bituminosa 2,19 ; 77 solfato di calce 2,00 ; idroclorato di soda 1.00; calce 2,00; ossido di rame 10.00 ; allumina 3,15 ; tritossido di ferro 9;00 ; magnesia 2,75.00 ; silice (60,00 ; perdita 00,70. Memoria VIII. — Zn electricitatem salivae , muci , et buris simplicis et contagiosi , Experimenta habita u Carolo Francisco BerrLIncERI, È dimostrato che il veleno contagioso si racchiude in certi determinati umori, i quali variano.a seconda, della. varie- tà dei contagi; alcuni insinuati nel sangue, come néi casi di morbillo ; altri nella saliva, come avviene nella rabbia; altri nel mucco , come nella scarlattina i altri nel pus , come nel va- jolo e nella sifillide; altri finalmente a diversi umori associati come nella peste bubbonica, scabbia; febbre gialla ec. Sui quali ultimi, essendo mancato all'Autore l’occasione opportuna d’istituire conveniente esame, si limitò ad esperimentare e confrontare l’elet- tricità degli umori provenienti dai contagj primi nominati, usando del metodo dall’Autore stesso esposto nelle precedenti memorie in- titolate: Esperienze ed osservazioni sul Galvanismo; + Sulla elettri- cità dei liquidi minerali; In electricitatem sanguinis ; urinae et bilis animalium , le quali fanno parte della Collezione degli Atti della stessa R. Accademia ( T. XXIII, XXIV e XXXI), Memoria IX. — Reliquiae Bellardianae; Auctore Prof. Rx. È una concisa descrizione e indicazione del luogo nativo di una trentina di piante o poco più da aggiungersi alla Fora Pe- demontana del Bellardi; delle quali piante però il prof. Re si riserva a dare in seguito un più esteso dettaglio. Memoria X. — Remarques sur la loix de la force élastique de l’air par rapport à sa densité dans le cas de compression sans perte de calorique, et sur celle de la chaleur spécifique de l’air par rapport à la temperature et à la pression ; par le chev. Avocapro. i Sono note ai fisici le importanti memorie di M. Poisson sul calore dei gas e dei vapori , e sulla celerità del suono , mercè cui a forza di analisi è pervenuto a dimostrare esservi costanza di rapporto fra il calore specifico dell’ aria sotto pressione costante, e il calore specifico dell’aria sotto volume costante ; il quale rap- porto viene eziandio riguardato come costante a tutte le tempera- ture e pressioni. M. Ivory credè da questo stesso principio potersi dedurre una legge differente da quella di M. Poisson per la forza elastica dell’ aria relativamente alle densità ;} supposto che non entri nè sorta calorico dall’ aria compressa o dilatata. In tale dissonanza 28 di parole più che divergenza di principj il ch. sig. Avogadro per le belle osservazioni inserite in questa memoria ha dimostrato che i ragionamenti di M. /vory, sebbene partano da un punto di vista diverso da quello donde M. Poisson ha contemplato la questione, conducono però ai risultati medesimi. Ed ha 1’ Autore così re- cato gran servigio alle scenze fisiche e matematiche, contribuen- do potentemente a rischiarare varie deduzioni di una teoria , alla quale finora non sembra che sia stata prestata tutta quel- l’ attenzione che si merita. Memoiria XI, — Memoire sur le probleme de la perturba- tion des Planètes, par M. le chevalier Crs4 pe Grsr. Memoria XII. — Addition a la méme memoire. Il problema di determinare la posizione dei pianeti nello spazio dopo un tempo qualunque, considerato in modo astratto , non è in prin- cipio che un semplice problema di meccanica; del quale si ver- rebbe facilmente a capo, se conoscendo a priori le masse per- turbatrici, si potessero integrare rigorosamente le equazioni dif- ferenziali, alle quali si perviene per la considerazione delle loro azioni reciproche , e se si potesse conoscere direttamente le loro posizioni e celerità iniziali ad oggetto di determinare le costanti arbitrarie le quali devono completare la soluzione del problema. Ma la cognizione a priori della massa dei pianeti non è niente più possibile di quella de!l’ integrazione dell’ equazioni differenziali nello stato attuale dell’analisi, e altronde l’osserva- zione non può fornire che dei valori medii degli elementi elittici. Tutte queste circostanze rendono il problema estremamente com- plicato, e impossibile a risolversi se non per approssimazioni suc- cessive. Frattanto dopo lunghi reiterati sforzi i geometri finalmente sono pervenuti a considerare la teoria della variazione delle costanti ar- bitrarie in tutta la sua generalità , e quindi ad estenderne l’uso a tuttii problemi di meccanica. Frutto di tal lavoro è stato che il problema della perturbazione dei pianeti non dipende se non dall’ integrazione di un sistema d’ equazioni lineari di una forma assai semplice, per cui la differenziale di ciascun elemento è espressa dalle differenze parziali della funzione perturbatrice moltiplicate per 1’ elemento del tempo. Quindi il cav. Cisa de Gresy nella sua Memoria ha dimostrato che , partendo dal si- stema d’equazioni differenziali dato dal La Grange nella sua Meccanica analitica ; modificandolo convenientemente dietro la teoria di questo profundo geometra, e sviluppando nel tempo stesso in un modo rigoroso la funzione perturbatrice, si perviene 79 ad ottenere col più perfetto accordo i resultati medesimi , di che il La Grange consegnò le formule in una Memoria di Berlino del 1783. Quest’ elaborato lavoro è diviso in due sezioni; nella prima sì espongono i principj necessari alla soluzione del problema, mentre nella seconda si tratta di risolvere il problema in que- stione. Le indagini e osservazioni raccolte nella Memoria aggiunta , oltre al confermare l’ anzidetto confronto di soluzione di proble- ma, sono utili per averle estese alla contemplazione dei termini che dipendono dal primo ordine dell’ eccentricità , per la quale le due diverse soluzioni sembrano sotto certo aspetto differire 1’ una dall’ altra. Memoria XIII. -- Methode elementaire pour découvrir et dé- montrer la possibilità des nouveaux théorémes sur la théorie des trascendentes elliptiques publiés par M. Jacobi ; par J. Prana. Riflettendo sulla metafisica dimostrazione pubblicata dal sig. Jacobi nel n.° 123 del giornale che porta per titolo: Astrono- mische Nachrichten, non si comprende troppo facilmente, dice il ch. Plana, per quale concatenazione d’ idee il sig. Jacobi sia stato condotto alla forma singolare che egli attribuisce ad una certa funzione razionale di una sola variabile , e che viene a co- stituire la base e il punto di partenza della sua dimostrazione. E avvegnachè è impossibile che 1’ azzardo abbia saputo produrre un risultato tanto profondamente nascosto, l' illustre Astronomo di Torino propende piuttosto a credere, che quel risultato sia stato trovato per un ingegnosa induzione ajutata da un’ intima conoscenza della teoria generale e dei suoi dettagli. Ora che la scoperta è fatta, una lecita curiosità spinge a cercar di sapere, se vi ha effettivamente una via elementare e diretta, capace di fare almeno presumere l’esistenza di questa nuova verità matematica , la quale probabilmente sarà per avere una grande influenza sulle applicazioni e sui progressi futuri della teoria delle trascendenti elittiche. Egli è un frutto incontrastabile che la nuova scala dei moduli data da Legendre nel Cap. 31 del suo Trattato delle funzioni ellit- tiche rinchiude il germe dei teoremi del sig. Jacobi ; perchè havvi là il primo caso particolare di un teorema molto più esteso con i soccorsi necessari per andare più lungi. Il prof. Plana ha effet- tivamente riconosciuto che con un metodo analogo a questo si potevano trovare le formole che costitmiscono il secondo teorema pubblicato dal sig. Jacobi nel n.° 123 del sopraccitato giornale 80 astronomico tedesco. Quindi vi ha luogo a sospettare che lo stesso metodo debba riescire egualmente per i casi ulteriori. Era duopo però trovare una dimostrazione generale del suc- cesso senza essere costretti ad eseguirla per via di calcoli, la cui luvghezza cresce in una proporzione spaventevole, stante le varie operazioni che ne forniscono la prova. In oltre abbisognava rico- noscere a priari le proprietà caratteristiche delle funzioni intiere e razionali che devono soddisfare alle condizioni del problema , contemplato in tutta la sua generalità. Ecco il duplice scopo che adempie ?’Autore di questa dotta memoria , dove fa vedere , come retrocedendo dalla conclusione verso 1’ esordio , se non si riesce a scuoprire il valore nè la forma nuova delle radici che ridu- cono a zero î polinomi in questione , si può bensì stabilire a priori la vera forma delle funzioni cercate. E. R. Sul famoso mappamondo di Fra Mauro Camaldolese del secolo decimo quinto. Lettera del signor Coi Cuv. Gn seppe SreRAKOWSKI al sig. Consigliere pe Hammer in Vienna. i Ornatissimo signor Consigliere. Riunendo al titolo mio di essere , fin da venti anni e più; da Lei conosciuto , e di nutrire pei suoi vasti e variatissimi ta- lenti la più alta e sincera ammirazione , quelli ch’ Ella deduce meritamente dalla sua somma gentilezza inverso tutt’ i Polac- chi , e dall’ essere Ella uno dei più distinti membri della nostra Letteraria Società di Varsavia, mi sento inanimito a sottomette- re alla sua considerazione unoggetto di letteratura geografica , che Le interesserà probabilmente, e ch’ Ella , gentilissimo si- gnor Consigliere , meglio di chicchessia potrà illustrare colla sua immensa dottrina, e colle facilità che Le offre il suo soggiorno nell’ Imperiale Vienna. Passando io nell’anno 1810 per Venezia fui ben sol- lecito di visitare il convento di san Michele di Murano, a fine di vedere da vicino , ed osservare attentamente il famoso Map- pamondo disegnato da Fra Mauro, monaco dell’ordine dei Ca- | maldoli. È questo un monumento unico nel suo genere , ese- 81 guito con uno sfoggio ed uno studio espuisiti, e per que'la epoca veramente osservabili. Credu di avere inteso dire , che questo superbo Mappamondo sia stato di poi da Venezia trasfe- rito all’ imperiale Biblioteca palatina di Vienna. Ella saprà viò meglio di me, come pur conoscerà ed il monumento in subiet- to , e la descrizione che ne fu fatta e pubblicata nel 1806 a Venezia dal dottissimo Padre Abate Don Placido Zurla , di presente Cardinale, e Membro del. Sacro Collegio di Santa Chiesa , che io ebbi pur l’ onore di ossequiare personalmente in Venezia. i Quantochè sia grande il merito del lavoro studiatissimo di Don Zurla intorno a questo Mappamondo antico, ho nondimeno creduto scorgervi, a prima giunta, diverse negligenze ed inesat- tezze , segnatamente nell’ incisione del ram. ‘L’ editore ha in- toppato in un incisore ignaro , e «digiuno affatto di discernimento ed intelligenza ; il quale riducendo il disegno dal grande in pic- co'o nel rame aggiunto al testo itiliano di quell’erudito lavoro , ha commesso errori e sbadataggini inescusahili. In primo luogo la configurazione stessa del planisfero , ch’ egli rappresenta co- me circolare, trovasi nell’ origin:le essere d’ una forma ovale ottusa. 2.° L° appiccolamento della scala vi è malissimo inteso , e con molta imperizia eseguito: invece di dedurlo da quadrati segnati sull’ originale , è stato dall’ incisore ridotto ad una se- Sta parte con frazione. 3.° Nelle iscrizioni , e nei nomi locali si può estimare almeno un’ ottava parte ommessa di quelli conte- nuti nel lavoro di Don Mauro. 4.0 La stessa indicazione geo- grafica di moltissimi luoghi , fiumi, ec. è sovente informe , e fuori di luogo, come facilmente si può vedere nella dire- zione , e nei contorni dati alle coste del mare Caspio, e di altre piaggie. 5.° finalmente. Non solo non s’è fatto uso di nes- suno dei ben leciti artifizii per far valere la pubblicazione d’un così prezioso monum:nto , ma non è neppure stato presentato con accuratezza quale fu composto , e delineato dal suo au- tore. Perlaqualcosa non si può non essere sovramodo dolenti , che il laborioso e dottissimo Editore non abbia potuto avveder- si, o non abbia curato , delle disadattaggini del suo incisore , nè del pregiudizio grande, che n'è resultato alla sua opera, d’al - troude ripiena di una erudizione recondita, e degna di altissimo plauso. In quanto poi alla projezione assai bizzarra dell’ originale stesso del Mappamondo di Fra Mauro, delineato , come si sa, nell’anno 1440 , e che secondo Don Zurla doveva essere una T. HII. Luglio II 37 62 copia e trascrizione di quello che 1° antore medesimo aveva già fatto nel 1420, voltata , come si vede , a ritroso nella sua lon- gitudine dal nord al sud, e nella sua latitudine dalla diritta alla sinistra; per farsene una idea distinta , bisogna, dopo d’aver capovolta la stampa, riguardarla al rovescio per mezzo d’ un lume, ovvero ; voltata sossopra come sarà ; collocarla dinanzi ad uno specchio per capirla, e cavarne costrutto. Non si può spie- gare una siffatta bizzarria , se uon se per quelle gare , e gelo- sie delle potenze eurupee , le une inverso le altre, praticate a quei tempi di furore per le nuove scoperte d’ isole , coste o provincie che supponevansi essere terre prumesse, piene di dia- mavti ; ed altre pietre preziose , di aromati , spezierie ; e tesori, di miniere inesauribili d’° oro , d’argento , e d’ altri preziosi me- talli. Le quali scoperte, col divenire la proprietà del primo occupante, promettevano alla nazione, che le faceva, una supe- riorità: di vantaggi per la navigazione , e per un commercio ma- rittimo esclusivo. Quindi è probabile, che :facea d’ uopo non solo di tenere celate le tracci» di cosiffatti viaggi e scoprimenti, e d’'imposses- sarsene alla barba dei rivali ; ma bisognava ancora disviare e indurre in abbaglio i competitori, vendendo loro lucciole per lan- terne. Laonde i diplomatici di quel tempo adoperavano, per fare di quelle scoperte, tanti segreti di stato, e sfiguravano le mappe geografiche con-farvi inserire e de!ineare false strade , posizioni, e direzioni, e con pubblicare eziandio relazioni o finte o. piene di frode. Investigazioni posteriori di molti dotti scrittori , nei secoli susseguenti, somministrano particolarità molto curiose intorno sif- fatte furberie , con aneddoti singolarissimi della gelosia spaguuola contro gli olandesi, e degli scherzi, che si facevano scambievol- mente i popoli addati aila mercatura marittima. Tutto ciò che s° adoperò per attraversare le imprese degli Zeni , dei Poli , del Pigafetta, e di Lorenzo Ferrer di Maldonado, che pretese avere scoperto il passaggio dello stretto di Anian, è noto a chiunque si occupa di simiglianti indagini. Ma è ben noto altresì, che Filippo secondo . per gelosia contro i progressi delle nazioni boreali , fece abbruciare e distruggere le mappe, e le preziose descrizioni di paesi fatte da uno dei suoi sudditi , avventuroso navigatore. Del che ne ha conservato notizia il ce- lebre P. Coronelli nella sua geografia della repubblica di Vene- zia. E poco mancò più d’ una fiata che lo stesso Cristoforo Co-. lombo non restasse vittima di queste gherminelle dell’egoismo, e E n E I, SIOE N 83 dell’invidia. Su di che serotai quì notare, che quel Grande ebbe nelle mani le carte di Fra Mauro , come chiaramente ce lo di- mostra Don Placido Zurla. Ma che dico? Tre secoli dopo Fra Mauro ed il Colombo , i nostri Gmelin e Pallas hanno eglino potuto pubblicare per iu- tero le relazioni delle loro scoperte? Mai nò. Temevano di met- tere a repentaglio la loro libertà , e la stessa loro vita , del che convengouo francamente nei loro scritti , se , ritornati dai loro perigliosi viaggi, si fossero arrischiati a pubblicare e far cono- scere quanto sapevano rispetto a certe comunicazioni e certi passaggi al settentrione dell’ Asia. Ed ancora in questi nostri dì presenti , non saremmo niente sorpresi di vedere, che una certa gelosia continuasse tuttavia a nascondere al pubblico in- civilito l’ estremità del mondo bagnata dall'Oceano glaciale artico. Dietro tutto questo si può a viso aperto inferire, che il dotto Fra Mauro, salariato com’ era dall’ Infante Don Enrico e dal Re Alfonso di Portogallo , il primo dei quali venne più volte a Venezia per abboccarsi col confidente geografo , sull’ oggetto delle carte che andava delineando per conto di quei principi , sia stato complice nelle loro specolazioni di conoscere, e di oc- cupare esclusivamente il nuovo mondo , e che siasi a tale foz- gia reso instrumento a quelle scientifiche imposture. Questo so - spetto nacque almeno in me dall’ apparenza medesima della con- figurazione smgolare , che Fra Mauro ha dato al suo planisfero. Ma io mi arrischierò di più a dire, ch’ erano coteste pra - tiche storte preparate da lungo tempo anticipatamente, per pro- cacciare ai portoghesi la scoperta del capo di Buona Speranza, e la cognizione de!la nuova strada per recarsi al golfo arabico. Albuquerque vi arrivò, come ognun sà , e pigliando posses- so di quelle acque recò un danno irreparabile ai veneziani, ai fiorentini, ai genovesi, ed ai castigliani. Venezia ne soffrì più di tutti, ed era pure dentro le sne mura, ed in uno dei suoi monasteri , che fu ordita la trama che avviluppò e disfece la sna mercantile preponderanza. Io mi astengo dal fare in questo luogo altri comenti: ed altre chiose sopra 1’ epoca ed il motivo del Mappamondo in subbietto. Dirò adunque solamente, che, per quanto il mio soggiorno in Venezia mi ha permessso , mi sono data la briga di studiare e di esaminare attentamente il disegno originale di Fra Mauro, e) colla stampa in mano, di collazionarlo colla copia pubblicata da Don Zurla , e di aggiugnervi alcune mie annotazioni, come 84 vedrete , ottimo signor Consigliere , nell’ apografo qui annesso, dove ho segnato le varianti in caratteri d’ inchiostro rosso. 1.° Ho in primo luogo riposto nei loro siti convenienti mol- tissimi nomi proprii ommessi nella stampa, e che si leggono a chiare note nell’ originale. 2.° Ho rettificato la giacitura del mare Caspio, ed il corso di molti fiumi delineati in tutt'altra guisa che nell’ originale ; e 3.° Come non si può dubitare , che Don Mauro non abbia molto meglio conosciuto le particolarità , e le posizioni geogra - fiche della terra, ma che non abbia voluto, per motivi per- sonali ed interessati, porle avanti agli occhi dei profani,, così per mettere in chiaro questa scientifica soperchieria , ho stimato bene di aggiugnere un calco fatto da me medesimo per un vers» più ragionevole ; del quale la stampa rettificata in una proie- zione più vera, darebb: uu’ idea più giusta, e più completa e delle cognizioni geografiche di Don Mauro , e del genuino stato della scienza in quella epoca. Io sottopongo , signor Consigliere ornatissimo , al di Lei esquisito esame queste riflessioni , e sarebbe per me cosa gra- tissima , se questa comunicazione potesse impegnarla al occu- parsene , ed aggingnere così un muovo merito alle preziose sue letterarie fatiche. Ella,, più di altra persona qualunque, è nel caso di far fare dell’ opera di Don Zurla una traduzione od in francese , od in tedesco , arricchita per Lei di una nuova illu - strazione , o per lo meno di far eseguire una nuova incisione del mappamondo in luogo di quella così scorre:ta che accom- pagna l’ opera italiana. Con ciò si verrebbe a correggere moltis- simi errori del planisfero, mettere in chiara vista la frode dal- l’ autore commessa, ed apprezzare , al suo giusto valore, la reputazione di questo monumento di geografia misteriosa. Ciò che frattanto havvi, in quest’ antica carta , di vera- mente istruttivo in fatto di storia , si è il vedervi descritti molti nomi di diverse tribù slave, gotiche, scitiche, e vandaliche , di cui le popolazioni stanziavano verisim Imente , verso la metà del secolo quindicesimo , in quella parte dell’ Europa , come, per cagione , d’esempio , Lechi, Alana , Colchi, Amaxobi , Ri- xan, Marcomanni, e Gothan. Sotto la rubrica di Litva ho trovata l’ iscrizione seguente : questi Samariani sono huomini de maledictione. È da credersi , che Don Mauro abbia ricavato queste belle notizie intorno i paesi, e le popolazioni al di là della Vistola , 85 e fra i fiumi Don, e Volga, dai racconti vocali di negozianti e viaggiatori armeni , che. glieli avranno fatti nell’ idioma loro particolare. Così vi si trovano nominati Polana e Lithoana , che facevano allora due nazioni , le quali si governavano separatamen - te. Muzxaver, cioè il ducato di Varsavia, provincia in quel tempo indipendente, non' era tuttavia parte integrale della Po!onia. Finalmente ho avuto in Ital'a la buona ventura di acqui- stare, a Milano, un manoscritto di .poesie di quel tempo, fra le quali si leggono alcuni versi ivtitolati a Don Mauro. Li unisco a questa mia lettera pel caso di una nuova, pubblicazione «del- l’opera di S..Em. il sig. Cardinale Zurla. Accolga ; gentilissimo signor Consigliere , l’assicuranza della distinta mia considerazione. Varsavia , addì 6 Giugno 130. GiusEPPE conte S1ERAKOWSKI. Nota. Si avverte , che la presente traduzione è stata fatta sopra un esem- plare francese trasmessoci dal dotto ed illustre autore, per mezzo del nostro comune amico il sig. cav. professore Sebastiano Ciampi, ma'senza i document! che si accennano nel contesto. Noi non sappiamo quale uso ne abbia fatto il sig. cav. De Hammer; ma non possiamo se non stimar ottima l’idea del si- gnore conte Sierakowski di far conoscere anche agli italiani , le critiche sue osservazioni sovra il celebre monumento geografico di cui si tratta. J. G. H. Carre Peproccni in Papova (*). Al sig. march. Cosimo Riporri, Giuseppe Barbieri. Molto è che io vi sono debitore di lettera, ma oggi spero francarmene di vantaggio ; perche mi è dato parlarvi d’ un ar- gomento bellissimo , e che fa grande onore ad un nostro comnue amico. Del che , se in altra occasione vi toccai leggermente, ora è parte dell’ obbligo mio recarvene innanzi più singolare contezz. So bene che il metter lingua ne’ misteri d’un’arte principe è capitana, com’è l’ architettura, può essermi reputato audacia A (*) Argomento toccato pocanzi anche dal conte Cicognara nel suo articolo intorno al Discorso del cav. Longhi sull’ Incisione inserito in questo Giornale. Il lettore lo vedrà quindi tanto più volentieri trattato distesamente in questa Lettera. L’ Editore 86 d’ uomo profano, chè certo altra cusa è misurare versi e pe- riodi, ed altra colonne ed archi. Ad ogni modo scrivea Cicerone, che tutte l’arti e le discipline da fraterno vincolo strette sono; ed io non presumo altrimenti di sentenziare , ma solo di aprirvi il mio sentimento. Ingegno e cuore sono due faco!tà (e chi meglio di voi lo conosce ? ) nel giusto accordo delle quali dimora il fatto d’ ogni bellezza , come nel resto delle umane azioni, così nell’opera di quell’arti ; che si aldomandano liberali, e a questo felice accordo noi siamo debitori d’ un edifizio, che, ornamento insigne della nostra città, richiama |’ attenzione e la maraviglia de’forestieri. Quel potente ingegno del nostro Jappelli, che non ha molto, innalzava tra noi una Chiostra rotouda con dorico atrio ad uso di pubblico macello , fabbrica ornatamente grave, e di tutte le appartenenze fornita a quell’ nopo richieste ; che nella piana e non lieta campagna di Savonara , proprietà dell’illustre cavaliere Antonio Vigodazzere , creava. un giardino speziosissimo , dove tra l’ altre bellezze è immaginato un sotterraneo sepolero di re- ligiosi templari, tutto pieno di quell’ orrore vetusto , di quella sacra e militare ferocia peculiare all’ età di que’ sventurati; che poscia in servigio dell’opulenta e generosa famiglia Treyy pian- tava un altro giardino d’indole assai diversa con entrovi un emi nente Pazoda a stile chinese . un tempietto d’ attica leggiadria e un’ampia serra a modi padiglione, dove tanta è la finitezza je la grazia del lavoro , che il marmoreo drappo nelle pieghe e ne’ nodi ravvolto, lo diresti per poco agitabile dal vento ; cotesto ingegno fu chiamato ad alta impresa da un uomo di cuore animoso , di voloutà risoluta ferma tenace ne’ suoi pro- positi, momo, cui nullo spendio per quantunque acceso e sfolyorato , nulla difficoltà per quantunque insolita e grave potè mai sgomentare; non.la fresca demolizione d’ uu? altra fabbrica sott’altri e men fausti auspicii da se cominciata, e mo'- to innanzi condotta ; non le varie opinioni de’curiosi, de’ bergoli , degli indiscreti , che ne mordevano l’ intrapresa ; e non finalmente la privazione di quegli agi, e dirò anche, di quelle lautezze , in braccio alle quali potea condurre una vita molle ed ingloriosa. Tanto amore lo prese di far cosa degna di fama, e certo unica nel suo genere. E quest’ uomo è Antonio Pedrocchi , nome per lo addietro men conosciuto , ma che d’ora innanzi sorgerà chia- ro tra quelli, che al comodo altrui fanno servo lo incomodo proprio. La impresa, cui fu chiamato lo Jappelli quest’ era , di al- 4 | DI 4 Î DI) ii : 87 zare uv edifizio ad uso di Caffè , di Ridotto, e quasi di Borsa; ra tale e tanto, che per lo acconcio de' luoghi, per 1’ oppor- tunità de’ servigi, per la bellezza delle stanze , 1’ amplitudine d-:lle sale, la ricchezza insieme e 1’ eleganza degli ornamenti, non avesse a temere di paragone. Il campo sopramodo irregolare, e a forma quasi di gravicembalo, metteva a duro cimento lo ingegno dell’ architetto ; e-tauto più che l'ordine della fabbrica superiore, per gli oggetti dal proprietario vo'uti e necessari a quel triplice intendimeuto , dall’ordine della fabbrica inferiore doveva al tutto ne’ varii compartimenti e nelle rispettive loro configu- razioni diferenziare. Ma egli suole avvenire, che a forte ingegno i frapposti ostacoli aggiungano forza , e così fu dell’Jappelli , il quale con avveduto partito di archi nascosti fra le impalcature e i soffitti aggiunge il difficile scopo di mantenere a ciascheduno dei due piani le sue ragioni particolari, salva 1’ integrità e la sicu- rezza della costruzione. L’edifizio è d'ordine Corintio sopra un bugnato gentile , maestosa insieme ed ornata fronte, qua'e si addice ad un luogo dove la classe più scelta della civile società si raccoglie ad onesto sollievo, e non rade volte a cambio di nvie. Agli angoli della fabbrica sono aggiunte , e come addossate logge d’ordine dorico simigliante a quello del tempio di Minerva. Nè ciò ripugna al carattere Corintio della gran mole, come taluno suspicava; che le logge non sono parti essenziali del tutto , ma sibbene acces- sorie, a decorazione del luogo e qualche; conforto della gente minuta , la quale esclusa dall’ intimo sacrario si ferma un tratto al vestibolo. Nel piano inferiore, da quella parte che l’edifizio più si di- stende e fa mostra di se nobilissima ; corrono più stauze desti- nate propriamente al caffè ; le quali stanze divise sorio e suffulte da marmoree colonne d’ ordine ionico aventi base egiziana. To credo bene, che qualche stracco pedantello farà di arricciare il naso in veggendo coteste basi a greci capitelli sottoposte. Ma noi, comecchè devoti alle regole de’ maestri , osiamo di richia- margli alla memoria , che prima e precipua legge d’ogni archi- tettonica costruzione si è quella di acconc.amente e bene servire agli usi, a che vuol essere destinata , regola senza dubbio an- teriore e superiore a tutti i maestri; e perciò non dubitiamo af- fermare , che ogni altra base portando angoli e tagli sarebbe ve- nuta d’ impedimento o di sconcio al libero passo di quei che vengono e vanno in siffatti luoghi; e non saremo ritrosi di ag- giungere, se l’occhio pure non ci tradisce , che alla vista me- 88 desima quelle basi rotonde e accerchiellate non recano punto di noia. In tali argomenti il giudizio degli occhi , direbbe Tullio , è superbissimo. Nella stanza di mezzo , e rimpetto all’ingresso della porta maggiore s’ interna un vano o sfondato di forma elittica, dove è il banco solenne , da cui partono e si dispensano quelle cose, che alla ricreazione od al bisogno de’ concorrenti sogliono essere più gradite o necessarie La parete del vano è tutta rivestita di marmo frigio dissotterrato ne’ grandiosi scavamenti , che furono fatti dal proprietario a procurarsi una vasta ghiacciaia ed altri agiamenti a profitto de’ bassi servigi. E il banco di scelto marmo esso pure rappresenta un ampissimo labbro di conca , fregiato di bronzi lavorati, felicissima e veramente adatta invenzione. Che dirò appresso della varietà , convenienza e bellezza dei fregi, che adornano queste stanze P I capitelli delle colonne pur or mentovate , e le cornici che aggirano i soffitti, nelle quali è tutta Ja purità de’ greci ornamenti, dorate sono. Da pertutto vedi ricchezza , non lusso: ricchezza di marmi, di stucchi , di cri- stalli, di pitture geografiche, di lampadari, di sedili, di tavole, di stoviglie; lusso vano, oltraggioso non mai. E nello studio medesimo della ricchezza da pertutto vedi quel facile , che è tinto difficile a consegunirsi, e che tanto piace all’ignavia degli uni , ed alla perizia degli altri. D’ ogni lato ti spscchi, d° ogni Jato ti si raddoppiano innanzi gli oggetti: tanta è la tersezza , la luce , la letizia delle pareti . dei soffitti, delle suppetlettili , perchè l'abito, a così dire, del luogo fa debito altrui di riserbo e di gentilezza ad allontanare qualunque atto o portamento fecioso. La sala destinata ad uso di Borsa ; e l’ atrio, che la pro- tegge , trattati sono con uguale finezza di gusto , ma con par- simonia maggiore d’ornamenti ; e così voleva ragione, che dove gli uomini trattano dell’ utile , non badano gran fatto al dilet- tevole. Ogni cosa a suo luogo, diceva Orazio , per non cadere nel brutto vizio dello straffare. Nè vogliamo passare in silenzio la rara industria , con che venne fatto all’ Jappelli di mettere a profitto que” ritagli e, a così dire , que’ scampoli della sua fabbrica , che per le irrego- larità del sito gli cadevano tra mano , adattandoli bel ameute a que’ minuti uffizi, di che potessero abbisognare uomini di pia- cere, e uomini di faccenda , uomini e donne, padroni e servi ; ciò è gabiuetti, cancelli, anditi e serbatoi di più guise. Ma ciò specialmente , ‘che vuolsi a gran merito del nostro architetto, ed in particolare del signor Bartolommeo Frau- 89 ceschini notare ; si è, che tutti i lavori di esecuzione, in :che l’arte ha fatto l’ estremo di sua possa, ed ha tocco veramente l’ ultimo suo, tutti cotesti lavori sono stati condotti da. uomini nostrali , e che più è, novizii a tutta squisitezza d’ opere. Le quali parole vogliamo che pungano que” leziosi , a cui nulla cosa non sa bella nè buona, se venuta non sia d’oltremonti e d’ol- tremare , ed a carissimo pregio acquistata. Imparino una volta , che a’ nostri artefici per toccare la cima d’ogni eccellenza ‘non fallisce altrimenti l° abilità , sì 1’ occasione , lo impulso, il pre- mio ; una destra , che in via li metta , una mente che facciasi dentro alle loro menti. Nè questo per fermo è piccolo benefizio alle nostre arti procurato. Vi ho parlato sin ora di quella parte dell’edifizio , la golite da parecchi giorni al comodo pubblico è aperta , ed ‘abbraccia propriamente il Caffè e la Borsa. Abbiatevi però , che all’intero finimento di essa parte rimangono a farsi una stanza e-una log- gia , che rispondano con simmetrico ordine a quelle dell’ altro lito, già bello e compiuto. Allo ingresso poi di ciascheduna delle logge sono da essere collocati due leoni ‘in’ marmo ; sic- come a guardia , esattamente copiati dal leone egizio, che è in Roma alla fontana di Trevi. Della fabbrica superiore a’ festivi Ridotti consecrata , e per magnifiche scale, per atrii, per aule ed altre dovizie meravi- gliosa, non parlo ; che ci fervono intorno le opere della sesta e dello scalpello. Ciò mi sia tanto a dirvi, che il proprietario e l' architetto fanno a gara di satisfare alla giusta espettazione del pubblico ammiratore. Sono anche preparati e disposti i tubi e gli sfiatatoi a tutto illuminare il grande edifizio a gaz; pratica, se altrove frequentata, novella certo fra noi. Nè ciò non basta: chè lo indefesso Jappelli viene anche tentando la prova d’ un pozzo artesiano , se potesse trarne qual- che polla d’ acqua surgente a rallegrare il vago cortile, che s’apre dinanzi alla fabbrica. Non essendovi mezzo di condurre l’acqua del fiume con quegli Idrofori, che adoperò nel pubblico macello, si è volto a cotesta prova; la quale se mai gli venga perduta ( che non sarebbe sua colpa, ma quasi direi, della natura ), ha meditato di far giuocare in quella vece una piccola macchina a vapore , che posta ne’ chiostri sotterranei dal proprietario sca- vati darebbe con tenue spesa il medesimo effetto. Or vedete, mio caro ed illustre amico, se un ingegno di questa fatta, che ha saputo lottare contro a tante difficoltà ed uscirne con tanto merito da vincere, se può farsi, quella osti- T. III. Luglio. 12 90 nata, che a’ buoni principii contrasta sempre, ed a’ migliori fa guerra ; vedete, se un tale ingegno non è da essere commendato a que’ ricchi, a que’ potenti, e , diciamo anche, a que’ governi, a cui non sia grave proteggere l’arti e gli artisti, e sì dar ale ai voli del genio. Io bramo ardentemente , che questi brevi e imperfetti cenni rispetto ad un’ opera , dove tutte in un modo mirabile concor- rono le parti della solidità , del comodo , dell’ ornamento , che sono le tre condizioni d’ un ottimo edifizio, vi possano mettere in cuore vaghezza di ricondurvi un tratto fra noi. In queste materie una sola occhiata val più che tutta intera una descrizione. E il voto presente d’un uomo nelle naturali scienze , e nelle belle arti versatissimo , quale vi siete fatto co- noscere a grande onore e nella cultissima vostra patria e fuori , sarebbe di grande consolazione all’ amico architetto , il quale ricorda sempre con desiderio i brevi momenti , di che gli foste cortese nel vostro passaggio di qua. Di me nulla dico : perchè sapete in qual conto io vi tengo , quanto vi debbo, e come sarei lietissimo di potervi accogliere nell’umile ospizio della mia villa. Saluti agli amici e mille cose a quel cielo ed a quel suolo, che tanto può sugli ingegni e sui cuori. Lettera sesta intorno a’ Codici del marchese. Lvurer Tempr. Volete voi vedere un codice, scritto ove forse furono trovati alcuni de’ più bei codici tempiani? == Ove intendete voi ? chiesi a vicenda all’ amico, il quale, non è più di due mesi, mi vol- geva queste parole. — Nella villa del Barone, com'è notato nel codice stesso, a quel che mi dice il cav. Gio. Fabio Uguccioni, che lo possede, e vi aspetta a vederlo. - Andiamo. Io non so se vi rammentiate della prima di queste mie let- tere, che vi ho scritte finora a sì lunghi intervalli. Rammen- tandovene; vi è facile immaginarvi con che ansietà e con che speranza ho corso la via fino al palazzetto dalla bella facciata, che si vuol di Raffaello , e guarda il lato più severo del vecchio palazzo d’ Arnolfo. Il codice, che trovasi in questo palazzetto , per lo meno fin da’ giorni del senator Giovanni Uguccioni , avo dell’ attual pos- sessore , è in gran foglio , di 471 carte numerate e 4! non nu- merate, con una piccola appendice di cui poi vi dirò. È scritto QI da mani diverse , talvolta d’ assai bel carattere , sempre di ca- rattere leggibilissimo , con giunterelle marginali e correzioni tra verso e verso, che solo al primo guardarle si fan credere di mano dell’ autore. Questa mano mi pareva e non mi pareva di riconoscerla. Avea veduto qualcosa di simile in un codicetto ric- cardiano, ma d’un simile troppo più accurato che quasi potrebbe sembrar diverso. Però ebbi d’uopo di leggere alcun poco , per sapere s’ io avessi alla mia speranza altro fondamento che il mio desiderio. Lessi, credo , cinque o sei minuti, balzai dalla seggiola e gridai : 1’ ho trovata! — Che cosa dunque ? mi chiesero l’amico e il possessor cortese del codice ch’eran. presenti. — La storia, di cui la prima parte del primo de’ codici tempiani da me illu- strati mi diede indizio; che un dotto m’accertò in seguito d’aver veduta, ma ch’io; avendo chiesto indarno chi la possedesse , non sperava mai più di vedere; la men bella forse, ma forse la più curiosa delle storie scritte nel secolo decimosesto ; la storia insomma di Giangirolamo De Rossi. Io diceva ciò con piena sicurezza , poichè il pochissimo, che allor ne lessi, corrispondeva esattamente a quel che ne avea letto nella prima parte accennata del primo de’codici tempiani, la qual si compone quasi tutta, come poi ho veduto , di fram- menti della storia medesima. Ad assicurar pienamente il posses- sore e l’ amico , già assicurati abbastanza dal solo pensiero che la villa, ove la storia fu scritta, ed ove si trova in questo mo- mento il march. Tempi, fu già del De Rossi, e vie più assicu- rati forse da altre cose che lor ridissi di quelle già dette a voi ‘nella prima mia lettera, mi si presentò opportuna nel bel mezzo dell’ appendice pur sopra accennata una lettera con questa so- prascritta “ A Monsignor Illustrissimo e Reverendissimo il Ve- scovo di Pavia ,,. Ma anche di essa vi dirò in seguito , quando vi dirò dell’appendice , dopo cioè avervi parlato alcun poco della storia, a.cti ho potuto dare pur dianzi sette o otto giorni di (lettura. Il dotto . che la vide assai prima di me, nè potè dargliene: altrettanti, mi disse, s' io ben mi rammento, che, sul principio almeno, gli pareva scritta in opposizione a quella del Guicciar- dini. A me più spesso, e sul principio, e poi in seguito, è sem- brata scritta in opposizione a quella del Giovio, colla quale si estende a’ tempi a cui l’altra non perviene. Essa è distribuita , se distribuzione può dirsi una material divisione , in sette libri o capi, ne’ due primi de’ quali si toc- 92 cano sommariamente le cose occorse a’tempi d’Alessandro sesto, di Pio terzo, di Giulio secondo, di Leon decimo; d’ Adriano sesto , di Clemente settimo e un po’ più innanzi, cioè dal 1494, circa , al 1547; ne’ cinque seguenti si narrano largamente le av- venute o almen parte delle avvenute a’ tempi di Paolo terzo , di Giulio terzo, di Marcello secondo, di Paolo quarto, di Pio quarto , dal 1547 ; circa, al 1562. I primi due, per vero dire, non sono così un sommario storico , che pur. non sieno talvolta un supplemento alle storie che da altri già si erano scritte. I seguenti; in cui abbiamo la storia, che l’autore, per ubbidir , com’ ei dice , a chi potea comandargli, si propose particolar mente di scrivere, lo sono anche a varie che sì scrissero dappoi. Un autore, che si propose di scrivere per ubbidire a chi potea comandargli, fa naturalmente dubitare se scrivesse o potesse scrivere con quella libertà che gli era necessaria per servire al vero. Da chi gli fosse comandato di scrivere nol so; ma guar dando al luogo ove scrisse , alla principale delle sue aderenz: nel paese a cui quel luogo appartiene ec. , debbo credere che gli fosse comandato da chi per sua bocca il comandò pure al Varchi suo amico. Ora se non fu impossibile al Varchi scrivere con libertà, perchè lo sarà stato al nostro autore ? Era nell’animo e nell’ ingegno del Varchi molta elevatezza e molta dignità. Avea l’ autor nostro dalla natura molta franchezza ; e dalla for- tuna ciò che pur giova ad accrescerla. Finchè durarono in lui le speranze dell’ ambizione, queste avrebber forse potuto ren- derlo meno franco. Ma ciò , che avrebber forse potuto le speranze dell’ ambizione , nol potean certo i timori della servilità. Un ti- more per avventura la assalse , che, scrivendo liberamente , la sua storia non fosse pubblicata che tardi, come avvenne appunto a quella del Varchi, o nol fosse a prima giunta che mutila, co- m'ei si lagna che avvenisse a quella del Guicciardini. Se questo timore nol distoglieva affatto dallo scrivere , ei dovea pur dire, come disse a se stesso , “ sforzerommi di narrare il vero; se» guane poi quello che vuole ,,. Ma a narrare il vero convien non pure esser sciolto da'le passioni onde il narrarlo è impedito , ma molto più da quelle ond’ è impedito il vederlo. Ora 1’ autor nostro, grandemente of- feso da alcuni, grandemente accarezzato da altri, agitato da varie cause d’odio e d’ amore, potè egli e dall’uno e dall’altro tenersi sciolto abbastanza ? == Al tempo di quelle sue ambizioni, ch'io diceva, negli anni in cui le cause dell’ amore e dell’ odio 93 eran tutte vive e presenti, egli sicuramente non l’ avrebbe po- tuto. Più tardi, quando queste cause erano ormai tutte o spente o lontane, forse il potè. E biasimando quelli che non solo ‘‘ per tema o per utile ,, ma altresì ‘° per vendicarsi o per adulare ,, scrivono quelle cose che veramente non sono ,, par ch’egli si sentisse ormai in quello stato che gli concedeva di fare al- trimenti. Ch’ egli non imprese a scrivere la sua storia prima del 1557 (cinquantesimo terzo o quarto dell’età sua) allorchè, dopo lunghe agitazioni, riposando in Firenze , trovatasi, com’ ei narra , per grande straripamento dell’ Arno la casa occupata dall’ acque, si ridusse nella sua villa, che sapete, là al piè della montagna fra Pistoja e Prato. E veramente quella solitudine gli era neces - saria per richiamare alla memoria tante cose udite o vedute, e delle quali, mai non pensando che dovessero un giorno esser- gli materia di storia, non avea preso alcun ricordo. Chè pen- sandolo , in quell’ozio ingrato ch’ebbe in Castel Sant’ Angelo comune col Cellini, o in quello un po’ meno ingrato ch’ ebb: poi in Città di Castello e altrove, avrebbe in parte potuto ap- parecchiarle, e in ozio più lieto applicarsi poi quant’era d’uopo allo studio della composizione. E l’unità, a cui mirò cominciando, mostra abbastanza, parmi, che la composizione gli stava a cuore. Poichè, richiesto di scrivere la storia di quelle cose, di cui egli medesimo iu qualche modo fu testimonio, volle prenderla più d’alto, cioè dalla pace interrotta, da quello ch’ei chiama tempo ingiuriuso e fatale alla misera Italia anzi all'Europa ed al mondo, per condurla fino alla pace mal resti- tuita e gravida di nuove guerre e di nuove sciagure. Se non che, scrivendo nell’ atto stesso di richiamare alla memoria (o di rac- cogliere, ove la memoria non gli bastasse, dal portafoglio degli amici ) le cose necessarie alla sua storia, appena potè inserirvela con cert’ordine..progressivo , pochissimo potè curare la disposi- zione , il collegamento e l’altre doti onde risulta una bella unità. Nè forse, dopo il primo libro , pel quale particolarmente molte cose gli stavano apparecchiate nelle storie altrui, egli pensò più a tali doti. O non vi pensò che in que’libri, come il quarto , ove quasi tutti i fatti speciali potean riferirsi facilmente ad un avve- nimento principale. Come però ai fatti singolarmente proprii della storia egli ama frapporne di genere diverso , che all’ammaestra- mento della vita ei crede ancor più utili, gli accade non di rado , che, dopo avere più o men bene distribuiti e collegati gli uni , passi anzi salti agli altri con sbalzo veramente mortale. Così nel 94 libro secondo (e quest’ esempio vi basti per molti), narrati gli estremi casi e il gran cangiamento della Fiorentina Repub- blica, e aggiunto che il cognato suo Alessandro Vitelli lor prin- cipale autore diceva con gioja feroce: “ a’ miei figliuoli non toccherà più la vendetta di mio padre, poichè io ho fatto il debito abbastanza ,,, salta senz’alcuna transizione a parlare della vita sobria di Luigi Cornaro. Quindi, poichè l’opera sua fn al suo termine, dubitò egli medesimo se potesse più darle il nome di storia. E scrisse in margine al proemio : potrei forse farle un prologo simile a quello della Calandria : “ voi sarete oggi spettatori d’una nuova favola, non volgare, non latina ; non in versi, non in prosa ec. ,,. È aggiugne con accorta schiettezza, che un amico, a cui l’avea mo- strata, la chiamava “ opera piuttosto di novelle che storia ,;. Altri, che probabilmente la videro, e vi trovaron pure, se non la composizione storica , almen cert’ordine cronologico, forse la gratificarono del nome d’ annali. Ciò per altro mal si argo- menterebbe da quella lettera dell’ Aretino, di cui il cav. Pez- zana nelle sue Giunte più recenti agli Scrittori Parmigiani del- 1 Affò reca alcune parole. Poichè quella lettera’, come poi mi sono accertato leggendola intera, non può in aleun modo rife- rirsi alla storia , che alfin m'è avvenuto di scoprire. Ove potesse riferirvisi, avrei dubitato della sua data, ch'è del 1545, innanzi al qual anno (l’anno in cui il De Rossi fu a Parigi ospite del. suo Cellini) la storia, non ch’esser compita, come il cav. Pez- zana ha supposto, appena poteva essere cominciata. Che se quel che vi ho accennato del suo proemio non è menzogna, essa al- lora non era pure ideata. E il nome d’annali è forse usato nella lettera come quel di poemi, dato cioè officiosamente ad alcune relazioni e ad alcune vite, come quel di poemi ad alcune piccole poesie, ed esteso pure al libro degli usi e trovati diver- si, che nel proemio già detto sembra additarsi dall’ antore qual parte integrante della sua storia. Io seguito a dir storia, come vedete, poichè già sarei poco più preciso anche dicendo annali. Opera storica sarebbe forse il nome più conveniente, poi ch’ essa, come diceva 1’ autor medesimo , non ha forma che propriamente la distingua. Opera singolare sarebbe pure un altro nome che le converebbe, poichè sotto forma dubbia contien pur cose , in parte forse dubbie an- ch’ esse, ma quasi tutte singolari. Una di quelle che possono sembrar dubbie (un tristo con- siglio di Clemente al re Francesco nella conferenza di Marsilia) 95 già ve l’accennai nella prima mia lettera, avendola trovata ve’ frammenti che aveva allor fra le mani. Se non che nell’opera intera la. trovo tanto ripetuta, ch’or debbo aggiugnere, che per ’ autore era una delle più certe. Narrandola , il che fa nel primo libro , ei volle forse supplire al silenzio del Guicciardini. Toccan- dola altrove, specialmente nell’ ultimo, volle forse rispondere al dubbio che altri gliene avea mostrato. AI Guicciardini, e nel primo suo libro , e altrove, egli dà il titolo di storico eccellente. Però, ben vel pensate , di rado avvien ch’ ei lo nomini per confutarlo. Io almeno non mi ram- mento che il faccia se non in un luogo dell’ ultimo libro già mentovato ; del libro , per vero dire , ove ciò meno si aspette- rebbe. Ivi parlando dello stato delle fortezze in Italia , e ricor- dandosi che lo storico eccellente avea detto , che il primo esem- pio di buone fortificazioni fu in Italia dato da’ Turchi al tempo di Ferdinando 1’ Aragonese nella oppugnazione d’ Otranto , 5s0- stiene contro. di lui che il buon esempio fu dato prima da’ Ve- neziani. Il suo rispetto pel Guicciardini è tanto, che anche ove parla di lui, non come di storico, ma come d’attore nella storia, egli, sì poco rispettivo verso gli altri, quasi non ardisce cen- surarlo. L’ unico luogo , forse , in cui lo faccia con qualche ri- gidezza , è quello che già vi accennai de’ frammenti , e che or trovo (fuor d’ ogni mia aspettazione veramente) nell’ultimo libro, il luogo cioè ove lo paragona con Palla Rucellai. Nel secondo (ove ciò sarebbe stato più a, proposito) ei tocca due suoi gravi in- ganni , il primo d’aver creduto, col favorir Cosimo, d’ottenere un governo simile a quel di Venezia , 1’ idolo dei politici di quel tempo , come poi de’ politici d’ altri tempi il governo in- glese ; 1’ altro d’ aver sperato che Carlo quinto , il quale, per | mostrar d°’attenersi alle capitolazioni;, mai non avea. voluto dare ad Alessandro il titolo di duca ; farebbe altrettanto con Cosimo. Toccando però quelli ch’ ei chiama suoi inganni, ei lo fa in modo, che non vuol che si dubiti menomameute della sua politica prudenza. Non così ove tocca alcuna cosa del Giovio, al qual nega ben altro che la prudenza politica. Avvi uno storico da lui au- cor più ammirato del Guicciardini suo contemporaneo ; uno sto- i rico , a cui dà quasi antonomasticamente il titolo di buono ; che mai forse non gli fu dato da altri, e quel di verissimo, che pur gli fu dato da molti. Il Giovio è per lui, si può dire, il con- trapposto di questo storico. Però lo ribatte , all’uopo, senza ri- 96 guardi, e talvolta anche ribattendolo il morde. Nel libro primo; p. e., dopo aver detto che il Giovio, per non tassar il Pescara, colorì a sno modo la condotta di Francesco Sforza verso l’impe- radore; dopo avergli opposto quel che ne avea udito dallo Sfurza medesimo, e già si potea congetturare, poichè nel congresso di Bologna Clemente ebbe d’uopo d’intercedere per questo prin- cipe, entra in ciò ch’ ei dice del congresso medesimo , nelle sue adulazioni a'l’imperadore , cui di piccolo e non bello fa bellis- simo e di maestosa presenza , ec. ec. Ma le sue repliche più mordenti non sono sempre le più importanti. Ve ne recherò una semplicissima , ch'è pur di quelle che interessano di più. Il Giovio avea detto che il cardinal Cibo, onnipotente , come sapete , sotto il duca Alessandro; e fatto luogotenente dopo di lui, favorì moltissimo l’ elezione di Co- simo. Il nostro autore nel libro secondo gli oppone che il Cibo non favorì l’ elezione di Cosimo che quando vide di non poter ottenere quella di Giulio figlio naturale d’ Alessandro mede- simo. E vide di non poterlo, egli dice, quando il Vitelli, che a principio gli aderiva, e avendo in Firenze 6000 fanti al suo comando era allora il vero arbitro delle cose, si dichiarò per Cosimo. Della qual dichiarazione, ei pur dice, fu causa mia sorella sua moglie, che il rimproverò acremente di favorire un bastardo col quale non ave- va alcuna attinenza, quando potea favorir Cosimo che gli era cu- gino. Queste cose, egli aggiunge, io le debbo saper bene, poichè le ho udite dalla bocca del Vitelli medesimo, presente la sorella, quando venni a Firenze a rallegrarmi con Cosimo a nome di Paolo terzo, che punto non sì rallegrava, ec. ec. Il suo racconto , come vedete , sembra contradire non pur al Giovio, mà anche al Varchi , il qual narra che chi propose l’ elezione di Giulio fu il Canigiani , sorridendone o sdegnando- sene gli altri che intervennero al consiglio ove fu eletto Cosîmo. Non così sembra contradire al vostro Adriani, il qual dice che il Cibo parlò in quel consiglio della necessità d’eleggere uno di casa Medici , e interpreta che accennasse a Cosimo stesso. Che se veramente accennò a lui, può anche aver accennato a Giulio nel consiglio che si tenne fra pochi, innanzi di venire all’altro. E il Varchi medesimo cel fa credere, dicendo che una delle ragioni dello sdegno accennato fu il sapersi , che anche il Cibo voleva l’elezione di Giulio, come quegli che sperava di doverne essere tutore e governar la città lunghissimo tempo. Col Varchi si accorda meglio |’ autor nostro ove dice di discordare da tutti gli storici precedeuti, nel paragone cioè 97 chibei fu nel primo libro fra Niccolò Capponi e Francesco Car- ducci, fra |’ uomo del just milieu , com’ oggi si direbbe oltra- mouti , e l’ nomo dell’extréme gauche. lo non so se in questo paragone ei non sia mosso alcun poco da affetto contrario a quello, onde uno storico illustre, nipote al Capponi, fu mosso a scriverne la vita. Dice infatti egli medesimo nell’ ultimo libro d'aver contro la famiglia de’Capponi mo!te cause di risentimento. Se non che ove ciò dice, pensando forse che ad un poco di ri- seutimento potrebb’ essere attribuito qualcuno de’ suoi giudizii riguardo a Niccolò, a mostrarsene immune , entra negli encomj di Giuliano Capponi e della moglie tanto amorosa. Piace molto all’ autor nostro il far paragoni, e non degli uomiui soltanto, ma altresì delle cose. Nel primo suo libro, p. e., oltre il già detto, abbiam pur quello de! cardinal Della Rovere e di Virgilio Orsino, dell’Orsino e di Giangiacomo Triulzio, ec- citatori di guerre , l’ uno scusabilte agli occhi dell’ autore , V’al- tro biasimevole , e il terzo lodevolissimo; 1’ abbiamo di Leon decimo e di Clemente settimo, l’uno sì letterato e sì prodigo, l’altro sì poco letterato e sì sottile nelle spese ; l’ abbiam pure di Carlo quinto e di Francesco ,primo.; ambidue vittoriosi alla lor volta, e ambidue, secondo l’autore, o incuranti o incapaci di proseguir la vittoria. -—- Sul principio del libro secondo ne ab- biam uno veramente notabile di due congiure contemporanee , «ma fra loro diversissime. quella di Lorenzino de Medici e quella di Bonifazio Visconti ; poi uno assai men notabile, poichè appena indicato , fra la prudenza bellica di Pier Maria De’ Rossi a cui l’autore era fratello , e di Piero Strozzi a cui non sembra molto amico. == Una specie di paragone abbiam pure nel quarto fra tutti i principali personaggi che si segnalarono nelle guerre di Siena. — L’abbiam nel quinto fra Paolo quarto e Filippo se- condo, ciascun dei due inclinato ad offendar 1’ altro , e ciascun dei due ritenuto in mezzo alle offese da rispetti diversi; e l’ab- biam quindi fra il duca d’Alba eil principe d’ Orange , a cui il duca, sedendo un giorno alla mensa di Filippo, ebbe, come l’au- tore seppe da uno de’ commensali, il coraggio d’ anteporsi. - Molti ne abbiamo pur nel libro sesto, uno appena indicato fra le diverse covgiure di que’ tempi (17 fra tutte, non annove- rando fra esse quella di Filippo Strozzi che l’autore chiama guerra aperta) e una sola delle quali, com’egli nota‘, riuscì ; poi tra la prospera fortuna di Cosimo ( ch'egli in uno de mi- gliori episodi della sua storia esamina se fosse maggiore della T. HI, Luglio. 15 98 prudenza) e la fortuna contraria d’ Ercole duca di Ferrara e del Langravio che gareggiò con Carlo per l’ impero ; poi fra le na- vigazioni de’ Portoghesi e quelle degli Spaguuoli, le une, al dir suo, più ardite che fortunate, Je altre più fortunate che ardite , giudizio ch’ io non so se debba attribuirsi interamente alla sua convinzione , o anche ur poco alla sua avversione per quelli ch’ei chiama flagello del mondo e rovina d’Italia, = Due paragoni abbiam finalmente nell’ ultimo, l’ uno formaie fra Giulio terzo e Paolo quarto; l’altro un po’men formale fra tutti i papi e alcuni principi di cui parlasi nella sturia , e que- sto in bocca d’ un filosofo sanese, di cui riferisce un lungo dialogo sulla provvidenza che presiede agli umani avvenimenti. Il filosofo è; o per dolore mostra d'essere, fatalista , ma d’altro modo , già ben vel pensate , che gli scrittori d’ una delle scuole istoriche moderne , contro i quali abbiam letto, in un giornal d’ Aprile , un capitolo eloquente , oggi stampato nell’o- pera ond’era tratto (gli Studi Storici del Chateaubriand ) che vorrete pur leggere. L’ autore, che interloquisce al tilosofo , mette innanzi non so qual sistema di compensi, ma compensi non belli, che dall’ Azais non si vorrebbero accettare. ‘Egli, anche meno di lui, è fatto per salire all’alte regioni della metafisica. In una regione più bassa ei si aggira a suo agio, e mostra spesso di veder lontano e di veder bene. In quel primo paragone , p. e. , ch'io vi accennava pocanzi del primo suo libro, s’ ei loda il Triulzio fra gli altri eccitatori di guerra, si è perchè, al dir suo, le cose eran ridotte a tale che la guerra era pur necessaria per aver la pace. E due consigli favorevoli alla pace e al bene d’Italia , egli avea detto più sopra , furon dati a Carlo ottavo, 1’ uno dal Della Rovere, ed era di dar mano a cardinali più autorevoli che volean de- porre Alessandro ; !” altro dal Triulzio, ed era di rimettere in istato il figlio di Gio. Galeazzo fatto morir di veleno dal Moro. Il non ‘averli accettati condusse in seguito, com’ egli pensa, a crudeli necessità. == In quella specie di paragone , che pur vi accennai, fra Paolo e Filippo (è nel libro quinto) ei mostra assai bene che la ragion della pace fra loro conchiusa fu l’ impossi- bilità di sostener più a lungo la guerra ;} benchè il re spaguolo e il duca d’ Alba suo ministro volessero far credere che il tosse per parte loro Za reverenza delle somme chiuvi. Nel libro primo già detto ei mostra di sapere il come e il perchè delle guerre di Francesco primo in Italia; ma del sa- perlo si confessa debitore a! fratello ch’ era al servizio di Fran- 39 cia. — Nel libro quinto pur detto ei mostra d'aver indagate da se le ragioni che mossero il re Enrico a far guerra in favor del papa contro Filippo , e quelle pure che poi lo indussero ad ac- cettar una pace, cui potea fare , com’ei dimostra , e più utile e più onorevole. i Già in più libri antecedenti al quinto , ragionando d’un’isti- tuzione , il cui nome fu per più secoli nome di spavento , non aveva esitato a dichiararla funesta alla religion medesima cui parea sostenere. In un luogo gli avea pur detto: Lutero colla sua eresia obbligò il clero cattolico a>far nuovi studi; 1’ inqui- sizione lo obbligò all’ignoranza poichè ogni studio parve a lei eresia. Nel libro sesto egli spiega e afforza di fatti queste di- chiarazioni , assai notabili in bocca d’uomo avversissimo ad ogni specie di novatori e di novità in materie religiose, come pur apparisce nel libro stesso , ove parla delle guerre degli Ugonotti. Di queste e d’altre guerre straniere, ch’ ei narra frammezzo alle cose d’ Italia, sembra, generalmante parlando , assai ben informato. E forse già n° erano relazioni a stampa, come pnò argomentarsi da alcuni disegni inseriti nella sua storia , uno per esempio dell’impresa di Cales | un altro dell’ impresa di Thion- vil!e, un altro dell’ assedio di Metz; un altro di quel del ca- stello dell’ isola delle Zerbe , ec. ec. Più relazioni gli furono mandate dagli amici, corredate talvolta di documenti autentici, le lettere , p..e., del marchese Del Vasto sull’ affar di Cuneo (ove i terrazzani si difesero bravamente aiutati da una compa- gnia di Zingani), quelle di Palì bascià, generale dell’ armata turchesca , al Doria e alla signoria di Genova ec.' ec. Alcune di tali relazioni, coi documenti che le corredano , furono da lui annestate alla propria narrazione. Altre, come apparisce da un ricordo posto in fine di esse, dovean formare alla marrazion medesima, ov’egli ne fece uso, larga appendice. Ma convien dire ( e il ricordo accennato ne dà indizio) che poi tutte, mero una sulle guerre degli Ugonotti , siensi smarrite. La qual una è appunto la piccola appendice, di cvi già vi feci motto , e nel mezzo della quale è la lettera, che pur vi accennai , e che in- teressa a più riguardi. Poi ch’ essa non solo toglie ogni dubbio che l’ autor de'la storia sia il De Rossi, troppo conosciuto , per le vicende che già sapete ; sotto .il tito'o di Vescovo di Pavia; ma ci scopre pure I autore. della piccola. appendice 0 relazione, troppo meglio scritta d’ogni miglior parte della storia. L' autor della relazio- ne, infatti, è l’ autor medesimo della lettera , destinata ad ac- 100 compagnarla, Girolamo Garimberto ; concittadino del. De Rossi e vescovo di Gallese, col quale avrete fatto un poco di cono- sconza leggendo le Lettere del Caro. Ch’ io, per quanto vi sap- pia lettore instancabile, mon so assicnrarmi che abbiate lette le varie sue opere, nemmen quella che forse il merita di più, le Vite d’ alcuni Papi e Cardinali, rarissima; per testimonianza dell’ Haym, fin da quando venne in luce, poichè ne fu. tosto impedita la vendita. Il che ci rende credibilissimo la lettera stessa di cui vi parlo, narrando le difficoltà. che 1° opera incontrava presso l’ inquisizione prima d’ essere pubblicata. E il timor del- l’inquisizione verosimilmente rattenne l’autore del compir la sua relazione delle guerre degli Ugonotti o, com’ egli propriamente la intitola, « origine e cagione delle discordie in Francia per conto della religione e successo della guerra ;;. Per degni rispetti, com’ egli dice, volle tacere in essa delle cose d’ Avignone, e terminarla, quasi opera drammatica, piuttosto in pregiudizio degli Ugonotti che de’ Cattolici. Promette però di mandare ciò che bisogna al suo compimento se l’amico lo desidera. Intanto pre- galo di custodirla diligentemente, non avendone egli altra copia. E dichiara che il perderla troppo gli spiacerebbe , poichè ‘se , scrivendola, non potè sodisfare a sè stesso quanto allo stile, si era pur sodisfatto quanto alla verità. Questa lettera ei la scrivea ne’ 14 marzo del 1563, un anno circa innanzi alla morte del De Rossi, il quale da quelle pa- role che riguardan lo stile non potè non sentirsi alquanto tra- fitto. Poichè dello stile ei non curossi menomamente, mantenendo in ciò la parola data nel principio della sua storia. Pure il mau carvi gli sarebbe stato perdonato troppo più volentieri che il man- care a quella di non inserir nella storia poco verosimili orazioni: E cominciò ad inserirvene sul principio del terzo libro, narrando la congiura del Fiesco, materia poi di pulitissimo comentario ( quello del Mascardi ) ove pur sono orazioni se non più verosi- mili certo assai più eloquenti. Ne inserì iu seguito nel quinto , mettendo a fronte francesi e imperiali, che cercano a gara di attirar Cosimo alla lor parte. E ne inserì di nuovo nel sesto, ove le non finte orazioni, ch’ ei pur riferisce , una del Polo ; se ben mi rammento, ed una in forma epistolare d’ un fuoruscito fiorentino contro le orazioni pubblicate in lode di Carlo quinto, dovean fargli temere un poco favorevole confronto. Ma, ricordando il libro sesto; penso che più sopra obliai d’ accennare un altro passo di quel libro, ove si mostra mag- giormente l’ acume, ch'io vi lodava ; del nostro antore. Il qual E e I0£ passo si legge verso la fine, ed è quello ove cercasi perchè gl’ Inglesi nelle guerre, che formano il soggetto della narra- zione del Garimberto , furono avversi agli Ugonotti. E più altri passi forse avrei potuto e potrei accennarvi di merito non dissi- mile. Ma per non tornarmi addietro, e allontanarmi più che .mai dalla fine d'una lettera che comincia a riuscir troppo lunga, -mi coutenterò d’ indicarvene due dell’ ultimo libro ; quello ove si esamina il contegno de’ Veneziani riguardo a Cosimo, e quello ove si pone Cosimo a fronte di Pio quarto, da cui fra altre strane cose vorrebbe che Lucca fosse, come luterana, sottoposta a stretta inquisizione , per esser poi egli delegato a costringerla recalci- trante, e così farsene signore. Altre particolarità, che l’autor nostro ci narra e del viaggio di Cosimo a Ruma, e de’ suoi fatti così privati che pubblici in Firenze, non mi rammento d’ averle trovate nelle storie d’altri , .memmeno in. quella del Galluzzi. Molte pure ei ne vien nar- rando de?’ fatti d'altri principi, specialmente italiani. Ma riguardo a quelli di Cosimo egli è quasi così minuto come riguardo a quelli d° Alessandro e de’ successori, pei quali sembra essersi proposto di supplire anche ai Diarj del Burcardo e del Grassi. La morte del Datario , p. e.; orribil fatto del pontificato d’Alessandro , è da lui narrata con particolarità ignorate, credo , anche dal Burcardo , e a lui palesate da un familiare d’ Ales- sandro medesimo , Girolamo Beltramo, ch’ ei chiama uomo ve- ridico e degno di fede. La storiella ch’ ei pur gli raccontò del piatto di maccheroni mandato ad Alessandro da donna Giulia Farnese an venerdì di concistoro ; in cui. ella ‘aspettava il cap- pello pel fratel suo e non l’ ebbe, credo che il Burcardo o altri la racconti appunto così. ‘ L’ autor nostro; guardando ai principi del pontificato di Leon decimo, vorrebbe quasi far «di lui un nuovo Alessandro ; ma occulto. Poi si avvede egli medesimo che fra due tali nomini non potè essere somiglianza se non accidentale, e appiacevolisce il suo discorso. Il Giovio nella Vita di Leone ci avea parlato della tavola di questo pontefice , come della più delicata che si tenesse in quel tempo. Ma delle sue delicatezze non ci avea fatto conoscere che certa salsiccia , ch'io credo facesse gola anche al Bayle , poichè ne parla due volte e nella Vita di Leon medesimo e in quella del rigido Adriano. Di qualche altra parmi che abbia parlato qualch’al- tro scrittore, citato dal Fabroni e sulla sua fede anche dal Roscoe. Ma un catalogo così compito, come fa l’autor nostro, nessuno ce lo 102 ha dato. Il catalogo però, ch’iv voglio recarvi (se mai vi piacesse di dar un giorno agli amici, che villeggiano con voi, un pranzetto al a Leone) farebbe oggi sorridere di pietà i nostri gastronomi. Fece fare ( Leone ) la salsiceia delle polpe di fagiani e galline d’ In- dia col grasso di cappone e d’ oca , dentrovi di nobilissime spe- zierie, burlandosi di quello che recita Lampridio in Eliogabalo, del qual dice che fece eritia de ostricis et piscibus. Fece pari- menti le torte di capi di latte, bianco mangiare col zucchero, e cuocere i più dilicati pesci nelle reti de’ capretti lessi ed ar- rosto, le torte e pastelli di prugnuoli, e simili esquisite vivande, e fece cuocere i beccafichi ed ortolani nelle guastade, perchè il grasso loro non andassi a male , e morir le lamprede nel vino greco e malvagia, turando loro la bocca con noce moscada , e gli altri buchi con garofani e pasta di marzapani ;,. Fece Leone, egli dice, ma poi soggiunge che consiglieri e provveditori di que- ste delicatezze erano Simon Tornabuoni e il Moro de’ Nobili, fiorentini (il Giovio, invece del Tornabuoni, nomina Poggio fi- glio del celebre Puggio Bracciolini ) fra Mariano e il cav. Bran- dini veneziano, i quali, com’ ei dice più sotto , ebbero presto un grand’emulo in quell’ Umberto di Gambara , che trovò V’im- beccare “ i pollastrini , le galline d’India e i capponi con farina e zucchero intrisi di latte ed acqua rosa ,, e non so che altro per aver poi squisitissimo il castrato e la porchetta. Questa però (sappiatelo per vostra norma ) a Leone non piaceva , bench'egli, essendo letteratissimo , dice l’ autore, ne ragionasse a tavola dottamente ; notizia che sarebbe piaciuta troppo al dotto autore della cicalata sulla porchetta (L. Nardi) ch’io spero vivo e sano, benchè da lui, già è un pezzo , non si abbia segno di vita. Poichè ho nominato dianzi il rigido Adriano , mi par di do- vervi recare in poche parole un grazioso aneddoto che lo riguar- da. Quand’ egli da non so che parte di Germania venne a Roma, fu molto meravigliato , dice 1° autore , della molto grande inso lenza di Pasquino e di Marforio, che, in versi e in prosa, in la- tino e in volgare, dicean mal d’ogni uomo e d’ogni cosa, e voll» farli gettar nel Tevere. La saggia osservazione d’un loro amico, ch’ essi forse , come le rane, avrebber nell’ acqua cantato ancor più forte , li salvò ai futuri destini de’ nipoti di Romolo. Di Clemente succeduto ad Adriano ei racconta fra gli altri un aneddoto, narratogli da Clemente medesimo, e che pur voglio riferirvi. Era il dì che Clemente aprì la porta santa pel giubi- leo. L'autore era cogli altri prelati del suo seguito , e Cle- mente gli disse: oggi tanti anni io assistiva in questa medesima 103 cerimonia ad uno de’ miei antecessori : era allora , come sapete, privo. di Firenze: non possedeva al mondo che una pension- cella di 200 ducati, pagatami appunto in quel giorno, sicchè li aveva nelle tasche del vaio: nella folla un marinolo me li rubò, ed io ne rimasi tanto sconsolato ch’ ebbi a morirue : chi mi a- vesse allor pronosticato che un dì aprirei io stesso la porta santa, l’ avrei trattato da. pazzo. E la ragion principale di ciò , aggiu- gne l’autore, doveva esser quella per cui il vecchio cardinal Accolti scrisse nella bolla d’ elezione Hac die creamus in sum- mum.pontificem Julium de Medicis e non volle mettervi cardi- nulem. Là qual ragione, com’ ei prosegue, era tanto potente , chie diede motivo in Firenze alla famosa scommessa dell’ Orlan- dini col Benintendi, ch’ei non sarebbe papa. Questa scommessa, e la fine infelice ch’ ebbe per essa l’Orlandini, la narran pure e il Varchi e il Segni e altri storici. L’ antor nostro pone in bocca all’ Orlaudini un detto spiritoso, che gli altri nun pongono, ma che forse fu da lui pronunziato. Il detto però, che diede prete- sto agli Otto di farlo prendere e decapitare, fu un altro, e lho saputo da pochi giorni ,, poichè ad. un amico è avvenuto di leg- gerlo ne’ vecchi registri di questa. cancelleria criminale , e al- l'orecchio ve lo dirò. Fra i tanti aneddoti , ch’ ei narra di Paolo .terzo, è pur quello della cassetta magica (chi sa che cassetta era? ) mandata a Pier Luigi Farnese , e ch'egli dice essergli stata mostrata dopo la morte del Farnese dall’ amico Don Ferrante Gonzaga. Fra le particolarità, ch’ei narra di Paolo quarto ,, è pur quella della sua avversione pel card. Polo; de’ suoi rigori contra il Flaminio che avea scritto in compagnia del Polo ec. , onde prende occasion di parlare della proibizione fatta da Paolo di tanti libri, dello sgo- mento de?’ letterati, del ripiego, che altra volta vi accennai, de’ Veneziani ec. ec. Don Ferrante nominato pocanzi fu, parmi, dopo il Vitelli, quel che mise l’autor nostro nel segreto d’ un maggior numero di cose. Chi vel mise innanzi a loro fu, per avventura, Gio. Matteo Giberto vescovo di Verona e segretario, come sapete, di Clemente. Nelle con- versazioni avute coll’autor nostro ancor molto giovane, ei gli disse p- e. come Guido Rangone, generale dell’armi ecclesiastiche, potea benissimo giugnere a Roma innanzi al Borbone e salvarla , e che, a scusarsi di non averlo fatto, falsificò gli ordini che avea rice- vuti, ec. Gli disse pure come in quella guerra, che condusse a Roma il Borbone, ei s’avvide ben presto che Carlo mandava a’suci 104 ambasciadori lettere ostensibili e lettere segrete , le une contrarie alle altre, scoperta che Carlo mai non seppe perdonargli, ec. ec. Simili particolarità avrebber, credo, resa preziosa la storia del nostro autore a quanti scrisser recentemente le vecchie cose d’Italia; in ispecie a quello, che, dopo aver scritto le accadute fra il 1789 e il 1814, ha pur voluto ( come il pubblico vedrà fra” poco ) ripigliar le antecedenti dal punto in cui le lasciò il Guicciardini. Alcune particolarità, che vi dirò , condurran forse a consultar questa storia il poeta, che dalla sua villa guardando, com’ altra volta vi scrissi , alla rocca di Montemurlo, e rappre- sentandosi que’famosi nel cui destino si compirono i destini della patria e d’Italia, pensa pure da un pezzo a condur sulle scene il più famoso di tutti , Filippo Strozzi. | Fu lo Strozzi, leggo nel secondo libro di questa storia , ami- cissimo al nostro autore. Ora avvenne che, trovandosi egli a Roma sul principio del pontificato di Paolo terzo , ed essendo un gior- no a pranzo in casa dell’antor medesimo, un greco chiromante, di nome Basilio , ivi presente , gli predisse che avrebbe per prin- cipal nemico le sue ricchezze e perirebbe di morte violenta. E la morte sua fu violentissima , dice 1’ autore, il qual non du- bita, benchè il Segni ed altri ne dubitino, ch’ ei si uccidesse di sua. mano. Al che fu :spinto , egli dice, quando fu certo che Cosimo , ottenutane facoltà da Carlo quinto, già stava per con - segnarlo alla mano del carnefice. Ma autori della risoluzione di Cosimo , ei soggiunge , furono il cardinal Cibo e la madre, di- cendo che le sue tante ricchezze ( aveva ancora di 50 mila du- cati di reddito ) erano in sua mano pericolose, e il sarebbero assai meno divise fra molti figlinoli. Che se questo detto vi sembrasse poco verosimile, pensando a ciò che narra , or non rammento se il Segni o il Varchi, che quanto da lui possedevasi ne’ ban- chi di Spagna, d’Alemagna e di gran parte d° Italia già per or- dine di Carlo era stato confiscato , vi parrà verosimilissimo se penserete a quel che scrive l’Adriani che il più de’ suoi averi era su’ banchi di Francia e di Lione specialmente. Di quel che avvenne a Montemurlo 1’ autor nostro parla qual uomo che dovea pur esserne minutamente informato. Poichè la vittoria ; che s’ intitola da quel luogo è, come sapete, il gran fatto della vita militare di suo cosnato il Vitelli. Non però ei dà al Vitelli tutto il vanto che gli danno gli altri storici. Se il principio della vittoria è dovuto al Vitelli, il compimento egli dice ( e il dimostra, narrando particolarità che gli altri non ea n pece o | Nr sac 109 narrano ) è dovuto a Bumbaglino d’ Arezzo , ora ( son sue parole) per leggieri cagioni prigione del duca , il qual osserva troppo fe- delmente l’ onesta massima di rimunerar il bene col male. Questa libertà anzi quest’ amarezza con cui in più accasioni parla del duca; quella forse maggiore con cui parla talvolta di Leonora sua moglie; quella graudissima con cui parla d’ altre persone potenti ( benchè , per rispetto alla dignità della storia , abbia , com’ ei s’ esprime, taciute, ove la necessità non richiedeva il contrario, le lor maggiuri cattività) furou causa, io penso, che dopo la sua morte questa storia per molt’anni si nascoudesse ge- losamente. E forse il suo nascondiglio fu nel luogo stesso , cioè nella villa del Bar ne, ove fu scritta , ed ove pare che una volta al- meno l’autor suo dovesse riuscir eloquente. Parlando in fatti dell’ impresa di Montemurlo a quella villa tanto vicino; pensan- do all’antico possessore della villa medesima, già uomo di tanto consiglio , e in così grave impresa conduttore sì improvvido; narrando appunto che nella villa stessa ei stavasi oziando men- tre. d’ogni intorno ingrossavano i pericoli ec., ec., ei doveva al- meno trovar parole sì calde quai le trovò il sempre elegantissimo ma non sempre caldissimo Adriani. Dal che però non vorrei inferiste che, ove l’autore ebbe mi- nor occasione di riuscir eloquente, mai non usasse parole se non ancora men calde. Ch’ei le usò pure or qua or là calde ab- bastanza; e il lor calore si sentirebbe di più, se -d’ ordina- rio non si sperdessero fra troppo altre. Le usò tali, se ben mi ricordo , là dove, narrata la congiura del Fiesco, ci mostra il cadavere del giovane ambizioso , trovato dopo quattro giorni , e strascinato dietro la nave del Doria , o com’ io ; per riverenza al Doria, amo credere, dietro una delle sue navi e senza sua saputa, ciò che potrebbe accordarsi col racconto del Mascardi. Le usò pur tali, p. e. , ove, detto del lungo processo dei Caraffa sul principio del pontificato di Pio, il qual non era loro men de- bitore che a Cosimo, narra il supplizio d’uno di essi, reca la lettera sì pietosa insieme e sì generosa che gli scrisse il padre poco innanzi alla morte ec. ec., d’ onde prende occasion di narrare una particolarità notabilissima della propria vita, com’egli cioè, trovandosi un dì di natale nella chiesa di Castello, fu per essere ucciso da tre sicari mandati da uno dei Caraffa, e venne difeso da un figlio naturale del duca d'Alba ch’era ivi per udir messa con molti spagnoli. T.HII, Luglio. 14 106 Quest’ ultime cose leggonsi sul fine della sua storia , ch’ ei chiude, enumerando gli uomini più celebri del suo tempo, molti de’ quali, com’ei dice, erano suoi amici, e da cui egli sembra prender congedo. Ma io pure debbo alfin prenderlo e dalla storia e da voi, al quale parmi aver mostrato abbastanza quel che già vi diceva della storia medesima, ch’ essa forse è la meno bella di quante ne furono scritte nel secolo decimosesto, ma forse è la più curiosa , il che basta perchè io guardi con nuova com- piacenza i frammenti del codice tempiano che mi hanno guidato alla sua scoperta. M. RIVISTA LETTERRARLA, Scienza del Bello. Lib. 1. Palermo; 1830. Dato , p. 160. Per introduzione alla Scienza del Bello l’Autore ci offre un poemetto in tre canti, che ha per titolo l' Uomo. Diamone un saggio , e lasciamo che il lettore ne giudichi : Così, se il tenue agguagliar lice al grande , . . De’ cieli ed astri ne’ supposti moti Con Tolomeo l’ Alessandrina scuola , Immota a torto in credere la terra, Immaginava obbediente a forza T'racciar d’attorno a quella un cerchio il Sole, E in epiciclo Venere aggirarsi , Il cui centro sul limite appoggiava ‘ D'un altro cerchio excentrico nomato , Per lo cui centro ancora un moto affisse Contrario a quel dell’epicicleo centro, E lambir fèa Mercurio orli simìli. Dopo questa citazione, gioverà forse avvertire che l’egreg io anonimo è un grande ammiratore de? classici. Venendo alla scienza del bello, lasceremo ch’altri giudichi dello stile : e pregheremo il lettore che non voglia fermarsi a certe espres- sioni alquanto singolari, come a taluni parran le seguenti: ‘ Senza il », vulcanico cratere della mente umana resterebbe il bello stazionario »» ne’corpi della natura. = I) bello morale è l’antitesi filosofica del vero »» fisico. = L’organo umano su cui il corpo è destinato a far gentilmente ;» pacifica breccia. = Il cielo é il manto dei Tartuffi. = La grazia è il sa- 107 ,, tellite del bello; come la luna lo è del pianeta Terra. + Il manto dei >» pappagalli . . . una disinvolta sdraiatura . . . un bambino festeggiante 33 0 piangolosamente tristo ... sono immagini della Grazia nella natura » animata. — Il gruppo delle Grazie nude, la catena d’ oro che presso 5» Orfeo esce dal ventre del progenitore de’ numi e in Omero pende dal 53 trono di Giove ; il nodo Gordiano . +. sono nella storia delle umane » fantasie segni della Grazia, ma remoti, lenti, indiretti =I sogni meta- 5, fisici... di Kant... furono dettati dalla Grazia. = La grazia è il vischin 33 delle anime patetiche , il connubio dei cuori. Questo non venale 33 Caronte de’ piaceri estatici dell’uomo. . è l'atmosfera che ci circonda.,, Noi preghiamo di uuovo il lettore che non voglia fermarsi sopra l’es- pressioni e lo stile di questa scienza del bello, nè sopra certe proposi- zioni a cui noi non vorremmo sottoscrivere per cosa del mondo : ma di giudicare l’ingegno dell’autore dai pensieri che qui presentiamo tra- scelti dal suo libro con cura. , Anmodar l’uomo alla natura e la natura all’arti, questo , secondo l’ anonimo, è to scopo della scienza del bello. ‘“ Essendo sì strettamente .tra. loro congiunte l’ Antropologia e »» l’Estetica, massima. è l’influenza che nell’epoche tutte della vita », esercita. su di noi la bellezza tisica e morale. Qual maggior diletto »» dello investigare il perchè ne piaccian cotanto le cose belle, ed il »» come educarci possiamo al senso del bello (p.2-3) ? ‘“ Tutti parlan del bello, e nessuno lo esamina: ...egli è un > benigno indetinibil mistero della natura. Nelle cose fisiche é armo- »» nia di proporzioni ; nelle morali è quella elevazione di nobilì e sy forti sentimenti dell’animo , diretto ad un vantaggioso fine universa- »» le. (p. 6-8). ‘La giusta destinazione dei mezzi verso il fine d’ un’ opera regna »» sempre maestra negl’ intellettuali fenomeni e nell’ artistiche fantasie »» dell’uomo. — L’arte raduna e concentra i mezzi, condensa e com- >» pendia le bellezze della natura ( p. 10). ‘ La primigenia denominazione di bello desunta dalla visuale per- »» cezione, condusse Lord Kaims a confessare che 1’ applicazione di tal »» voce alle altre sensazioni è tutta metaforica . . . Più secoli però prima so del Kaims, ed allorquando non si sospettava pur l’idea della scienza » dell’estetica, rinviensi nel Ciclope , spettacolo satirico d’ Euripide, 3; uno scherzo tra Sileno ed Ulisse , che racchiude un importante con »» cetto per la ideologia dell’arte. Ignoto al Satiro era il liquore di 3» Bacco : l’astuto Itacense gliene offre un vaso pieno: ne assapora que- o gli l'odore, ed esclama : oh bello! = L’ hai tu veduto? ripiglia subito 3» Ulisse, quasi sgridandolo dell’inesattezza dell’espressione , o più pre- »; sto mostrando che l’originario carattere di bello può darsi solo alle »» cose visuali. ( p. 16-17 ). Dal bello sensibile venendo all’intellettuale, una delle sue fonti è il simbolo, ben distinto dall’allegoria: il qual simbolo ‘ rappresenta gli og- 108 »; getti fisici, e per approssimazione trasmuta in essi le percezioni ed af- 3» fezioni morali ,, ( p. 38 ). L’Autore passa al bello artificiale, fra le cui condizioni una è } a- bondanza : ‘ossia quella raccolta liberale ma sobriamente temperata di »s argomenti e prove del soggetto , atta a commovere convincendo ed a 3; convincere commovendo , e portante la varietà de’ mezzi. L’ ordine 33 è un’ abondanza contratta :.... moltiplicando l’ ordine , ottiensi 35 l’ abondanza. Dalla mistura dell’ ordine e dell’ abondanza le quali »; sono nelle arti ed in letteratura quel che in natura son l’unità e la »; varietà , risulta l’armonia ... L'armonia nel comporre è ciò che nel 3» pensare è la logica. Lo spirito d’ordine è per la distribuzione delle »» particolarità quel che lo spirito di continuazione è per la stabilità »» della idea principale. Nulla potendo l’uomo tirar dal niente , nè far 3» altro che raccogliere, le sue creazioni non son che combinazio- » Migyfe-53= 55) 33 L’uno ed il multiplo (è Degerando che parla, interpretando un’idea »» de’tedeschi, veduta assai più chiaramente da s. Agostino) sono un com- >» pendio della vita interna dell’uomo e de’suoi rapporti coll’universo . . 3, L° unità esprime ciò ch’è buono, possente , e vero: il multiplo è una »» sorgente della debolezza, della corruzione e dell’errore : ma il multiplo »» sottomesso all’unità dall’impero dell’ordine , ne riceve tutte le per- »» fezioni. Il multiplo è la cagione della divergenza, il caos delle inou- 3» merevoli tendenze della personalità , l'affluenza delle impressioni de- »» gli esterni oggetti, la variegata bizzarria delle opinioni straniere. L’uni- », tà è il termine del miglioramento , è il dovere sempre immutabile , >» sempre in accordo con sè medesimo ; è il regolatore interno. La dis- »» grazia , il vizio , tutto ciò che travia l’ anima e la degrada ; trovasi 3» nella discordanza ; la pace, la dignità, tutto ciò che rischiara e sol- 3 leva l’anima, è nel ritorno all’unità. L’ A. offre parecchi modelli di bella abbondanza in Aristofane ful- minator de’Cleoni ( che son redivivi e presenti , ma non risorge più un Ari- stofane), in Giovenale che nella Satira del Rombo dipinge molte delle corti di tutti i secoli ; nel Goldoni ; in Platone ed in Cicerone che ‘ pec- »» can talora di ridondanza per esuberante possesso della materia ,, in Raffaello, nel Vinci. ( p. 62-66 ). Lo scrittore che ha pensate queste idee può, volendo , e cantiare il suo stile e rettificare certi principii importantissimi alla privata ed alla pubblica felicità, sopra i quali si vede chiaro ch’egli non ha me- ditato. Segue a parlare del bello ideale , della grazia e del sublime: e così termina il primo libro. Il secondo tratterà dell’intelligenza, dell’imma- ginazione , del gusto ; il terzo dell’imitazione della natura , il quarto più particolarmente del bello poetico. Con altro Avviso 1’ autore promettea l’anno scorso una storia della legislazione poetica, cioè ditutte le teorie dell’arte , da Aristotele a de —_ ___ r—|lee-O_ Tr ——————_—_————m@—ttu1—t1t1x=@= 109 noi: curioso argomento , se imparzialmente e filosoficamente trattato. A vedere quali e quante varietà di sentenze dividono i critici e i precetti- sti intorno alle più semplici e più ovvie idee dell’arte , vien voglia di sorridere un poco e de’precettisti e del culto ch’essi ottennero quasi in parte co’più grandi poeti. Per saggio di tali varietà prendiamo la defini- zione della poesia, e vediamo un poco se questi tanti maestri cl alutino a formarci un’idea chiara dell’essenza e dello scopo dell’arte. Aristotele vi dirà, per esempio, che la poesia è imitazione ( c. 1): -Platone all’incontro,ch’è creazione (Ion. ), come il vocabolo accenna. Hanno certamente in un senso ragione ambedue ; ma ecco intanto due de- finizioni diverse. Quale prescegliere ? Il Becelli nella nuova poesia scioglie il dubbio in assai comoda ma- niera , dicendo: ‘‘ Se il poeta sempre faccia e non sempre imiti, s0s- »» penderemo per ora il parlare, amando sul bel principio di star lontani 3) da ogni malagevol quistione, e, a guisa de’valenti oratori ne’ loro », esordii , volendo noi esser di tutti amici. ,, Il Castelvetro a cui non importava ; come ognun sa ; essere amico di tutti, comincia dal tradurre la voce greca, che corrisponde a imita- zione , in rassomiglianza (Tr. Poet.) : e poi ci fa sopra certi suoi commentarii , che guai se Aristotile lo sapesse! Conchiude con dire che la poesìa è imitazione non già di tutto ma dei migliori o dei peggiori ; principio Aristotelico ; ma che non istà molto d’accordo con ) altra massima d’Aristotele stesso ; che l’eroe della tragedia non deve essere nè tutto buono nè tutto tristo: massima altamente filosofica, e che richiama alla mente 1’ altra simile del Segretario fiorentino. Il Tasso ne?’ discorsi sul poema epico trova che la definizione è inesatta ed angusta , pensa a correggerla e ad allargarla, non a mutarla però : e prova che la poesia è imitazione degli uomini prin- cipalmente : non escluso però tutto il resto della natura, quasi come cornice del quadro. Poesia, dice il Tasso, è imitazione degli umani affetti a fine di giovar ‘dilettando. Ecco dunque che il Tasso decide , essere il di- letto mezzo e non fine della poesia, a dispetto di coloro che tutta nel di- letto ripongono l’essenza dell’arte , quasichè vero e stabile diletto possa mai senza giovamento sussistere. Egli è ben vero che da questo principio deduce una massima politica alquanto strana, ed è che : ‘ al poli- 3) tico appartiene considerare quale poesia debba essere proibita ,,: prin: cipio estetico che sarebbe mirabilmente piaciuto al signor Peyronnet. Altri definì la poetica : “ narrazione d’ azioni mmane, memorevoli »» e possibili ad avvenire ,,: ma la definizione non quadra nemmeno al Tasso. Vedete dunque che varietà d’opinioni, non sull’idea assoluta della poesia ma sull’idea che della poesia s’ era formata Aristotele: vedete la parola imitazione quante interpretazioni ha fatte mai brulicare: e sen- tite il Metastasio medesimo a quella idea lucidissima apporre per com- I10 mento: che non ogni imitazione è poesia: indicando così la generalità so- verchia del principio Aristotelico. Pi Ed infatti ognun vede che nel generale vocabolo imitazione si com- prendono tutte le arti belle , e tutte a un dipresso le opere umane. Il Castelvetro gratuitamente la circoscrive alle parole , al 54220 ed al suono. Il Minturno la amplifica un poco , e un po’la ristringe, dicendola: “ imi- » tazione di varie maniere di persone in diversi modi, o con parole 33 0 con armonia , 0 con tempi separati, o con tutte queste cose o »» con parte di loro. ,, E chi domandasse che roba sia la poetica del Min- turno , gli basti che l’imitazione dei migliori e dei peggiori, egli la spie- ga in due modi , intendendo cioè per migliori gli dei, i semidei e gli eroi; per peggiori i Satiri e simili bestie ; ovvero per migliori i principi, e per peggiori i poveri e i contadini. Questo bravo Minturno era vera- mente quel ch’oggi si chiamerebbe un filantropo. Non tutti però i precettisti tengono dietro alla definizione d’Aristo- tele , sforzandosi di tirare a sè l’ idea di lui , e servire all’ originalità senza violare il rispetto dovuto al maestro. V'ebbe sulla fine del secolo decimosesto un Francesco Patrici , il quale , d’accordo in ciò con lo Sca- ligero (VII. poet.), scrisse un libro ben voluminoso per dimostrare che la poesia non è propriamente imitazione dell’uomo , nè imitazione dei mi- gliori e dei peggiori; che nella verità può essere poesia; che poetica può essere anco la storia , e simili scellerate eresie. ( L. III. ) Il libro del Patrici è men noto che quello del Castelvetro ; e certo merita più d’ esser letto : giacchè, lasciando ad altri il disputare della verità e dell’ ampiezza delle dottrine , si può bene reputarlo dettato con logica molto men fiacca e molto men pedantesca. Ora tornando alle definizioni della poesia, se voi ne domandate agli Stoici, gli Stoici risponderanno che nella poesia si comprendono tutte Ie cose umane e divine. Se a Massimo Tirio e a Strabone, risponderanno che la poesia era una filosofia antica, numerosa , simbolica; e la filosotia una poesia giovane, schietta, e sciolta di numeri. Se ad Orazio, vi sen- tirete ripetere : uf pictura poesis ; idea di Platone (Rep. X.), ripetuta già prima da M. Tullio ( Invent.); ma che corre oramai per le bocche co- me tutta originale d’Orazio. Ricercando ancora nella poetica, troverete: Ingenium cui sit, cui mens divinior, atque os Magna sonaturum, che s’appli- cano con uguale facilità e alla muslca ed alla eloquenza. Platone ci grida che padre della poesia è un furore divino ; e Cice- rone lo ripete; \e Aristotele fa consistere l’ entusiasmo in un umor malinconico per far piacere allo Schlegel ; e alcuni medici lo ripongono in una fermentazione di fluidi; e il Bettinelli ne dice cose da non dirsi. Il Daniello vi grida dall’ altro canto , e il Menzini ripete, che l’arte qual nobile regina alla natura sovrasta. = Tout doit tendre au bon sens intuona da un’altra banda il Boileau: e qui certo non cade questione. — Il Vida dalla sua , per ispiegarvi in che consista il difetto di poesia , vi 15! appiccica un bel verso di Virgilio raccomodato alla sua maniera ; e sen- tenzia una sentenza non molto vescovile : Numina laeva obstant, preci- busque vocatus' Apollo. Poi, per rischiarare ancor meglio Ie idee, ci consiglia per divenire buon poeta a studiar Cicerone. Anche questa differenza tra la poesia e la prosa è disputa lunga, che due buoni versi o due buoni periodi sciolgono a maraviglia, ma i pre- cettisti non fanno che sovranamente imbrogliarla. Vedete quanta faccenda ha dato ai comentatori d’Aristotile quel 400! ibiA0: e poi ditemi che cosa sia l’arte poetica nelle mani de’precettisti. — Ascoltate l’Enciclope- dia : essa v’insegna che quelli della poesia e della prosa essendo due lin- guaggi affini, si prestano a vicenda talvolta e la materia e la forma. Non nella finzione (dice l’enciclopedia , e lo dimostra), non nella versiticazio- ne, non nell’entusiasmo consiste la poesia: v’è di tutto questo or più or meno , ma tutto questo non basta. Che cosa dunque è poesia ? è imita- zione della bella natura rappresentata in discorso metrico. Alla defini- zione dell’enciclopedia si risponde che la natura dal poeta rappresentata non è sempre bella ; che se per bello s’intende anco il brutto, allora l’epi- teto della aggiunto a natura diventa inutile; che non ogni poesia è propriamente rappresentazione della natura , e simili cose. Sentiamo piuttosto il nostro Metastasio. ‘° Tutto ciò che può 3; spiegarsi in parole sottoposte alla legge de’metri , tutto è materia del ») poeta. ,, (Comm. ad Ar.) Bella sentenza, ma che non definisce la poe- sia; perchè ad esser poeta non basta obbedire alla legge de’ metri. Al- trove (Not. al Or.) egli c’insegna che il senso dell’armonia , la potenza d’investirsi degli affetti, d’immaginare gli oggetti vivamente, di ravvi- cinarne le relazioni lontane , l’estro moderato dalla ragione , son qua- lità formanti il poeta: ma queste enumerazioni non definiscono ancora l’essenza dell’arte. 7 Sentiamo da ultimo il Muratori (P. Poes.). Oggetto della poesia è il mondo celeste, l’umano , il materiale ; suo uffizio il rappresentare o il dipingere , a differenza dell’ oratoria che tende a persuadere ; suo oggetto il vero o nuovo o maraviglioso o comecchessia dilettevole. La definizione è un po’ larga , non è irreprensibile , ma a me pare un po’ più filosofica dell’ altre tutte. Checchè ne sia, questo saggio che noi potremmo prolungare a piacere senza uscire dalla definizione dell’arte, ci dimostra che da uo- mini sommi essa non fu ben definita; che l’esperienza e l’esempio valgono meglio di tutti i libri de’ precettisti a far conoscere la diffe- renza della poesia dalla prosa; che un limite immobile e certo è im- possibile stabilire tra il linguaggio dell’ una e quello dell’ altra, poichè qualche inciso d’Erodoto è assai più epico di qualche verso d’Omero; che tutte le definizioni e i precetti del mondo a nulla varranno se non se ad inceppare e impiccolire le menti quando non sì considerino come semplici osservazioni e consigli soggetti ad eccezioni infinite ; che in tanto (fra l’ altre differenze) la così detta estetica è meno pericolosa delle tante poetiche, in quanto ci presenta le sue idee a modo di dis- 1I2 cussione filosofica anzichè di tirannico magistero; ma che nè le este- tiche discussioni nè i rettorici precetti potranno mai far le veci del gusto e del genio, figli ed alunni della natura, dell’esperienza e del senno. K.; X. Y. Utili avvertimenti di vita civile estratti dal Sognatore italiano , attribuito a G. Gozzi, e che non si leggono impressi tra le sue opere. Venezia, Al- visopoli 1831. P. 72. Dobbiamo alle cure del sig. Gamba questa nuova pubblicazione degli articolini del Gozzi, dove la semplicità e la saviezza , la disinvoltu- ra e la grazia concorrono a rendere amabili i morali precetti. Havvi non pochi periodi , non poche pagine che tuttavia giungerebbero alla più parte dei lettori italiani opportune, e che i più nemici de’luoghi comuni possono rileggere con piacere. Rechiamone un qualche saggio. ‘‘ Sta attento a’ragionamenti d’ognuno, e sopra tutto bada come »» giudichino delle cose di questo mondo : e perchè nelle quistioni fa- > migliari chi favella non ha interesse di nascondersi, così usciranno 3» Certe proposizioni che avranno sempre seco per così dire la tinta di 3; quell’anima che le pronunzia.... Oh quanti ostinati , avari, sofistici, x incostanti, fanatici ci sono di buona fede! E questi sono i peggiori 3» di tutti, perchè non c’è via nè verso di sperarne emenda ,, ( p. 12). “To credo che nella storia s’incontrino sparsi quà e là tutti i principii 3; delle scienze e dell’arti, e che per essa solamente potrebbe un uomo », rendersi universale: nè forse senza di essa i letterati farebbero tanto 3» schiamazzo del loro sapere ... (p. 13) Passando dal generale al par- »» ticolare, chi avesse presente la storia delle gazzette e fogli perio- 3) dici delle varie nazioni d’Europa, invece di ridersi di cotesti fogli 3» @ gazzette, vedrebbe di quant’utile essi sono stati, sono e saranno »» sempre . . .I pensieri divengono universali, le quistioni infiammano ») tutti i cuori, ed il solfanello della ragione accende .. La facilità d'un »: foglietto che è come quasi un breve discorso che ti venga a fare un tuo 3; amico , col quale non hai neppure da far la fatica di vergognarti 3» Se, colto all’improvviso , ti trovasse ignorante , move gli uomini a leg- s» gerlo . . . (p. 14-15) ,,. Che direbbe il buon Gozzi se vedesse gli effet- ti inauditi de’ pubblici fogli nell’Inghilterra e nella Francia del se- colo XIX ? E al vedere in nome della Carta e della nazione operate tante mirabili cose , eccitati tanti affetti di cui sì pronto e sì freddo doveva seguire il disinganno, non avrebb’ egli avuto il buon Gozzi ragione d’esclamare di nuovo ? ‘ Se l’universale degli uomini è con- 33 dotto al ben fare e dedicato all’utile pubblico , è forza di certo », suono di termini che rispetta e venera senza saperne il perchè. Non 3» cessa però che i filosofi non scoprano il bene morale che in se rin- 3» chiudono termini tali , e che i giudiziosi non provino un viyo do- »» lore veggeudoli disprezzati e negletti . . . ( p. 16 ) Coloro che l’amo- | | | 113 ,, re di patria disprezzano con belle ed apparenti ragioni , contribui- ,; scono inconsideratamente al male di tutti. ( p..7)..-,, = Che poi a queste massime generali il Gozzi aggiunga in appendice il consiglio di amare l’ottimo governo veneto che conservava la robustezza dei costumi e delle leggi, non farà maraviglia. Quanta grazia e quanta verità nel principio di quell’ articolo che è a p. 22. ‘ Cose, cose, non parole , vogliono essere per di- ,» ventar utili alla società; si grida universalmente a’di nostri. — Bene; le cose c’ingegneremo che ci sieno: ma, con buona grazia loro , noi non sappiamo dir le cose senza le parole. ,, E dopo lodati gli scrit- ce 23 3) ti economici e agrarii del bravo Zanon, conclude : gl’ ingegni, si stimino , si premino, si adoprino all’ uopo; e scom- metto che l’Italia non la cederà a tutto il rimamente del globo. ,, sieno animati 23 23 Bellissimo è quello intitolato degli studi che può fare V uomo da sè. È inutile speranza affidarsi agli altrui ammaestramenti: perchè se an: », che c’illuminano della verità, quando il saper questa a noi non costi 3; altra fatica fuorchè quella dell’ averla udita, ci esce facilmente 3) di mente ; nè può esservi secreto per ritenerla , che la propria fa- 3; tica e diligenza . . . Si pensi al metodo per giungere alla scienza; e }; non si ragioni di scienza senza un buon metodo ... (p. 28). E vorrei 3, che fossimo persuasi, che per tutta l’intiera fanciullezza e gran 3) parte della giovinezza, noi non siamo atti a concepire sodamente le 3; Scienze ( p. 29)... Attenzione a tutto ciò che si ragiona e si scri- 33 ve da altri sul proposito vostro , non lasciar mai nulla addietro se ;; non si è certo .di aver bene inteso , questi sono i veri mezzi per 5; giungere alla verità della scienza. E saremmo assai fortunati se co- 3; loro, che delle arti e scienze hanno scritto, avessero usati modi chia- s, ri ed espressioni intelligibili... VW ha alcun autore che suppone 3» quelle cognizioni in chi legge , che non vi sono (p. 31). I termini 3, sembrano molti finchè abbiamo la confusione in capo ; ma vanno di- 3, minuendo quanto più si ordinano e semplificano le nostre idee . » (p. 32). Si legga il principio della novella intitolata: il vero eroismo. Se si sapes- 3; sero le cose veramente come sono, le azioni più magnitiche diverreb- 3» bero spesso le più ridicole ; e quelle che forse mai non veggono 3 luce di giorno; acquisterebbero grandezza e fama. Quanti eroi sem- 33 brerebbero pazzi ; e quanti che sono reputati pazzi o da mulla , si », reputerebbero come eroi! ,, (p. 33). Si legga una supplica 4 Giove , dove i mortali, mandata al Dio ambasciatrice la Necessità, ne ricevono per novella consolatrice 1’ Industria ( p. 36 ). Si legga l’arte di vivere nelle noiose compagnie. E poi non si dica più male del nostro buon Gozzi s'egli s’adira contro quelle da lui chiamate questioni metafisiche sul diritto naturale dell’uomo (p. 70 ) ; se pretende che le altre nazioni non facciano altro che rimandarci il nostro in un’altra lingua (p. 68) ; T. MI. Luglio. 15 ner " 114 se vi parla della sapienza quasi impossibile che servi di base alla forma del suo fortnnato Governo. Non s’attribuisca poi a lui la preghiera del filosofo indiano sulla perfida Delis , marrazione che non sente punto il suo stile. K. X. Y. Ricerche bibliografiche sulle edizioni Ferraresi del sec. XV, di Gruserpe AnronELLI bibliotecario. Ferrara ; Bresciani p. 116 in 4. L’amore appassionato delle rare edizioni è egli dunque una smania simile alla stolta ambizione di coloro che cercano a sì caro prezzo ‘un po’di carbonato di calce che chiamasi perla, e un po’di carbonio che chiamasi diamante? La minuziosa diligenza degl’eruditi bibliografi è ella un esercizio così meccanico e gretto come ce lo dipingono certi uomini dalla bollente immaginazione e dal forte pensiero ? Io nol credo. Lasciando per ora i bibliomani da un canto, dirò de’ bibliografi , che quando il loro studio a null’altro servisse che a tracciare la storia d’un’arte sì potente e sì sacra qual è la tipografica , sarebbe tuttavia: de- gnissimo di rispetto. Quand’anco la questione, per esempio, sull’origine della stampa non porgesse alcun pascolo all’ intelletto pensatore , ma fosse tutta di mera curiosità, non dovremmo noi accogliere con gratitudi- no e con piacere le erudite indagini del sig. Avv. Tonelli ? Taccio che le minnte notizie bibliografiche sono circostanze, neces- sarie a decidere certe questioni letterarie di più evidente importanza; che l’ epoca d’ una scoperta, che 1’ età d’un autore, che l’anteriorità d’un’opera, che la probabilità d’una contraffazione, che il confronto delle varie ortografie , che il giudizio della. lezione più retta, che il ris- contro delle mutazioni o correzioni dall’ autore medesimo o da al- tri fatte ad un’opera, che la conoscenza dell’ opinione di. cui godeva nel tal secolo o nel tal paese un autore, si debbon talvolta alle pazienti cure de’mal ricompensati bibliografi. Ma il fatto si è che alla bibliografia non poche volte dobbiamo la conoscenza di libri che la rarità terrebbe sepolti e ignorati, e che , buoni o tristi, giova conoscere perchè appar- tengono anch”essi alla storia dell’arte, della scienza, dello spirito uma- no. Quantunque il sorriso degli nomini faceti, sia , come ognun sa, cosa grave e terribile , io nondimeno non temerò d°’ affrontarlo per soste- nere che dal più cattivo libro si può , sapendo, trarre qualche utile le- zinne. Certo se fosse possibile fare che il libro non esistesse, che non fisse stato stampato , sarebbe assai meglio: ma poichè questa specie di potenza non l’ha nemmeno l’Onnipotente , giova sapere approfittare del male stesso per trarne qualche documento di bene. E se le notizie bibliografiche si riguardino come tanti dati statistici, dai quali, in vari aspetti considerati e maneggiati in varie maniere, si viene a dedurre varietà inaspettata di non dispregevoli conseguenze, allora la bibliografia sempre più importante diventa , e sempre più degna È | Let 115 del rispetto de’ saggi. Un fatto , per minuto che appaia, è legato con al- tri fatti innumerabili e rilevanti : è il dato d’un problema la cui fecon- dità dipende dall’accorgimento di chi sa, ben calcolando , applicarlo. Ma il difetto generale degli uomini si è di dispregiare tutti gli elementi e i principii; come se colpa dei principii e non di chi li considera sia l’essere impercettibili ed aridi. Confermerò con un esempio la cosa, e lo torrò dal pregevole lavoro del ch. bibliotecario ferrarese. Dalle sue ricerche risulta che negli ultimi trent’ anni del secolo decimo quinto poco meno di cento edizioni furon date da nove stampa- tori diversi, in Ferrara. E da questo fatto io deduco subito che Ferrara nel secolo decimoquinto ebbe più stampatori e stampatori più occupati che non nel secolo decimonono. La conseguenza è semplicissima; ma risveglia tanti pensieri, e tanto complicati! Dì cotesti nove stampatori, altri pubblicò oltre a trent’opere, altri vensei, altri undici; e chi tre, e chi due ; e due financo una sola. Ora io domando: queste stamperie, che non diedero se non uno o pochi volumi, come mai si sostennero? Fù disinteresse degli artefici ? Fù protezione de’ricchi ? Fù, come ai giorni nostri sì spesso, un’animosa speculazioue fallita? E se, indagando meglio , sì osservasse che 1’ ultimo caso è il più raro? Questa conclusione non avrebbe aych’essa le sue con- segunenze ? Dei cento libri in Ferrara stampati nello spazio di trent'anni, cinque ne ha il 1471, cinque il 1472, dieci il 1477; il 1478 nessuno ; il 1497 ne ha tre, due di meno del prim’anno che fu portata in Ferrara la stampa. Anche queste vicende non son casnali. Dei detti libri, quelli che riguardano la storia son cinque; la mitolo- gia, due; l’oratoria, sei; undici la poesia, la grammatica due, due 1’ edu- cazione , tre la morale , quattordici la religione, due la metafisica , se- dici la giurisprudenza , sedici la medicina , la fisica due , otto l’astrono- mia, uno la storia naturale , uno i malefizi, e tre di quelli che son chia- mati argomenti di circostanza.Il maggior numero dunque riguardala giu- risprudenza e la medicina ; vien poi la religione, poi la poesia, poi l’ astronomia : la grammatica è delle meno. Se noi osservassimo la pro- porzione che ‘oggidì corre tra le varie specie di libri pubblicati, trove- remmo che i libri di circostanza sono in ragione molto più forte; e così le poesie ; e i trattati appartenenti alla lingua. Considerata in altro aspetto la proporzione dell’edizioni ferraresi , troviamo sempre che i libri scientifici superano di molto i meramente letterari ; che i libri di scienze fisiche son quasi il terzo della somma totale: troviamo che de’ trattati originali ve n’ha quarantotto ; di com- mentari di vario genere, sedici; di traduzioni, cinque ; di vecchi autori, quindici: e troviamo che di cinque opere si fece ristampa; una dì medi- cina , una di giurisprudenza, una grammaticale , una sacra. Ed è cosa degnissima di osservazione che nel secolo decimoquinto fossero in Fer- rara più le:opere originali che i commenti, più i commenti che le ristam- 116 pe, che son tanta parte della moderna tipografia ; le traduzioni pochis- sime in confronto della presente abondanza. Dei vecchi autori stampati, dieci son poeti latini, cinque soli del secolo d’ oro; novella prova del molto conto in ch’ erano tenuti fino al cinquecento quelli dell’ argento e del ferro. Tre soli dì cotesti vecchi son libri italiani ; e due son poetici. Dei commenti, nove sono scientifici, uno storico , due poetici, quat- tro sacri. L’uso dei commenti scientifici , spinto per dir vero all’eccesso in que’tempi , è troppo trascurato a’ dì nostri. Il lavoro di B. Constant sopra Filangieri, del sig. prof. Romagnosi sopra Robertson, ed altri pochi, son pure imitabili esempi. Delle opere originali, nessuna n’abbiam di poetica ; quattro astro- nomiche , mediche dieci , storiche due, due grammaticali , di giuri- sprudenza tredici , due di educazione , e tre religiose. Degli autori moderni delle opere stampate a quel tempo in Ferrara, molti sono toscani, romagnuoli non pochi , d'altra parti d’Italia quasi nessuno. Se calcoli simili s’ istituissero sopra tutta l’ italiana bibliografia, e si variassero e rivolgessero e combinassero in sempre nuove maniere, quanti risultati non se ne trarrebbero e nuovi e certi? Ma nella statistica e in tutte le umane cognizioni i più ignorano l’arte di trarre il molto dal po- co, l’ignoto dal noto , di ravvicinare i diversi frammenti della verità, e ricostruirla , di fecondarne i germi col calcolo e col raziocinio svilup- parli. Il cieco amore del positivo ristringe i confini alla scienza del positivo stesso , ch° è immensa, e l’ immaginazione non può misurarla. Lodiamo dunque e ringraziamo i bibliografi diligenti : essi ci pre- parano i materiali de’ quali noi possiamo volendo far uso in qual più cì piaccia comodo e appariscente edifizio. Ristretto della storia della letteratura italiana di Francesco Sarri già professore in molte università d’Italia. T.I, Lugano, Ruggia 1831. p. 270. Chi cerca in una storia letteraria le nuove indagini erudite , le nuove considerazioni filosofiche , le larghe e fedeli pitture del caratte- re intellettuale e morale e civile d’un uomo, d’un popolo, non legga compendii: ma non sentenzi però che i compendii non possono avere anch'essi la loro utilità ed importanza. Questo del sig. Salfi contiene parecchie osservazioni e vere e belle: e tale a noi par quella ch'egli fa sul trattato della volgare eloquenza. “ Prendendo occasion dalla lin- 3, gua Dante faceva nel medesimo tempo sentire a’suoi compatriotti il 3» vantaggio di mettere in comune i loro pensieri per accelerare i pro- s: gressi dello spirito ed i perfezionamenti della società ,, (p. 20). Parlando del divino poema lo chiama ‘ una simbolica im- 3» magine delle sua lunga peregrinazione . ... Omero e Virgilio han- 3» no scelto epoche più o meno remote , nelle quali è più facile d’in- Sa 117 »; teressare con delle maravigliose invenzioni : Dante nou sì allon- 3 tana dai propri tempi ; e senza nuocere alla verità istorica.... at- 3; tinge ad affatto nuove sorgenti le molle del maraviglioso . . ( p. 28 ). 5 Si passi dall’inferno al purgatorio , dal purgatorio al paradiso, di » un canto all’altro : il poeta sembra cambiare ad ogni passaggio di ;; suono, di strumento, di armonia ... ( p. 37 ). In poche parole egli >» disegna un gran ritratto, e questo ritratto è veramente vivo . . ( p. »> 39 ). Chi non deplorerebbe i mali dell’ Italia allorchè Sordello in- »» veisce contro i di lei oppressori ?... (p. 41) ;,- Ciò che lA. nota sull’intricato periodar del Boccaccio (p. 83), sulla imitazione servile dei classici (p. 96. 123. 159. 177. 201.) , sul metodo imitabile di educazione praticato da Vittorino da Feltre (p. 99), sul titolo di Bembisti da darsi ai Petrarchisti del cinquecento (p. 128), sull’ influenza che le sventure dell’Italia esercitarono nel genio poetico ( p. 157 168 269), sulle allusioni Ziberali che sono nell’Orlando Furioso (p.170) e nell’Arcadia (p. 87); sulla bellezza e fecondità quasi vergine dei temi marittimi ( p. 189); sulla Balia del Tansillo che combatte l’uso delle fasce due secoli innanzi l’Emilio (p. 243), ci par vero e hel- lo; e maggiore impressione farebbe se fosse più italianamente tradotto. Ma che le ricerche sulle origini della lingua, ben dirette che fos- sero, non meritino il titol di dotte (p. 2 ) ; che la letteratura pro- venzale abbia esercitata sulla nostra tanta influenza quanta le dà il sig. Salfi ( p. 9); che la religione cristiana consacrasse precisamente le opinioni platoniche sull’amore (p. 13); che il genio di Dante sia ve- ramente un salto nella scala graduata dell’incivilimento , e che mol- tissimo egli non debba al suo secolo ( p. 16. 31.) ; che la Gemma Donati fosse un’ altra Xantippe (p. 26) ; che la divina commedia contribuisse a render migliore una più felice posterità ( p. 28) ; che Beatrice sia il tipo dell’amore della giustizia e della sapienza (p. 32) ; chela lingna di quel poema sia nutrita di tuttii dialetti italiani ( p. 34 ) ; che il Petrar- ca nobilitasse i/ primo la condizione dell’ amore (p. 63), che nulla ab- biano d’esagerato le lodi date al Boccaccio (p. 79. 82); che la vita di Dante da lui scritta non sia che un romanzo ( p. 83); che il Bembo propria- mente abbia resa la purità e la correzione dello stile alla lingua italiana (p. 127); che gl’imitatori servili de’greci abbiano posto în grado PItalia di meglio apprezzar le bellezze del teatro greco (p. 197); che giovi incorag- gire i poeti avvenire a comporre poemi didattici (p. 237); che la tradu- zione ciceroniana del Bonfadio abbia molto vigore (p. 244); queste son cose che noi non oseremmo affermare. E sebbene stimiamo anche noi che la tirannide e la superstizione abbiano recato gravissimi mali , anco letterarii , all’ Italia ; ameremmo però veder distinta più spesso la superstizione e l’ipocrisia dalla vera e benefica religione, i buoni suoi ministri dai tristi , i veri dai falsi credenti. Questo primo volume abbraccia lo spazio di ben cinque secoli. Il 115 Tiraboschi ci conduce su su per la corrente de’ tempi a forza di re- mì ; il sig. Salfi ci trasporta via giù col vapore. 4 Kejli Principiîù di Grammatica Latina compilati dall’ A. D. S. per uso del Collegio Forteguerri di Pistoia. Pistoia , Bracali 1830 in 8.° Ecco uno di que’ libri, che non possono esser utili se non sono assai, ben fatti; nè posson essere ben fatti se non da uomini capacis- simi, e tanto disinteressati da preferire alla gloria, che potrebbe venir loro da opere più geniali, l’ altrui utilità. Uno di tali uomini è per rara sorte l’ autor del libro che qui si annunzia; e il lettore esperto se n’ avvedrà abbastanza guardando all’avvertimento che gli è premesso, e che qui riferiamo. ‘ Non fa mestiere affaticarsi a dimostrare quante sieno le diffi- coltà che si parano innanzi agli studiosi giovanetti nell’ apprendere i primi erudimenti della lingua latina: perciocchè troppo son esse ma- nifeste, sì per il continuo tedio con che eglino sostengono I’ applica- zione a quegli studi, sì per il lunghissimo tempo che d’ordinario con- sumano nelle scuole per arrivare ad intendere gli autori latini eziandio più facili e piani. Laonde reputammo dover tornare ad utilità e gra- dimento de’ principianti il dar opera, per quanto si poteva, a render più piacevole e più spedita questa prima parte del grammaticale inse= gnamento. Il qual disegno abbiamo tentato mandare ad effetto raccu- gliendo in questo trattato d’ elementi non solo le più importanti dot- trine, che su tal materia si hanno per l’opere di valentissimi maestri in grammatica: ma più specialmente formando diverse tavole sinottiche, ove sotto un medesimo prospetto sono presentate le varie terminazioni di tutte le parti declinabili del discorso. Ma perchè gli scolari possan di esse valersi a dovere e cavarne profitto, uopo è avvezzarli a discernere in ogni parola la parte, che di, mano in mano si varia, da quella che sì riman ferma e costante. Con tale intendimento ne’ moduli delle infles- sioni de’ nomi e de’verbi abbiamo distinte queste due parti ponendo tra- mezzo ad esse un piccol segno lineare. Oltracciò non poco gioverà all’e- satta coniugazione de’verbi intender bene le regole che abbiamo propo- ste intorno alla derivazione di tutti i tempi così per il latino come per l’italiano. Questo consiglio di por mente alla desinenza e alla derivazione non è pure inculcato, non che posto ad esecuzione, in alcuno de’libri d’ erudimenti grammaticali, che soglion comunemente andar per le mani de’ principianti. Ma se i precettori saran solleciti al progresso de’ loro allievi, s° ingegneranno a lor potere ch’ eglino imparino que- ste due essenzialissime parti, ed allora leggier cosa ad essi sarà il co- noscer tosto le analogie e l'andamento di qualsivoglia maniera di verbi. Perciocche, rispetto agl’ irregolari, avendo noi opportunamente dichia- rato in che consistano le loro anomalie , potranno esser di leggiero 119 coniugati. E siccome il modo d’ istruzione, che proponiamo, molto ri- pòsa su pratici esercizi, che debbon essere eseguiti nelle scuole, così abbiamo giudicato ben fatto congiungere ad ogni classe i temi a que- st’ oggetto necessari. In tal guisa abbiam provveduto che i giovanetti alibiano subito alla mano i materiali pe’ mentovati loro esercizi, e che î maestri non debbano aver la noia di ricercar per l’appunto gli esempi confacevoli alle materie spiegate. I temi collocati al termine della sesta classe son destinati ad avvezzare i giovani all’applicazione delle regole, non meno che a dar loro un facile avviamento alla traduzione e al- l’ analisi. Altri son composti di semplici nomi, altri di nomi e di ag- gettivi insieme concordati, altri di verbi posti in diversi tempi e in diverse persone, altri finalmente d’intere proposizioni e sentenze. Di tutte queste voci gli alunni troveranno il corrispondente significato italiano, incominciando a svolgere i piccoli lessici composti a posta per la loro tenera età, e non dovranno proferir vocabolo senza render ra- gione della sua natura, della sua proprietà e de’ suoi cambiamenti. Questo esercizio, che chiamasi analizzare, è stato per noi dimostrato ed eseguito ;sopra uno de’ Colloqui scolastici tratti dalle opere d’ un va- lente letterato del secolo 16.°, ed ordinati in fine del libro ad esser subietto, delle prime traduzioni. Ma vuolsi aver cura che tali versioni sieno fatte per quanto esser può letteralmente , acciocchè gli scolari imparino, la vera corrispondenza tra le voci delle due lingue latina ed italiana, È ottimo divisamento ,, dice il celebre Du Marsais , esercitare 1 giovani nella traduzion letterale, perchè gli obbliga alla precisione, alla proprietà de’ vocaboli,, ec. ec. Unita alla traduzione dovrà andar sempre l’ analisi di tutte le parole contenute nel pezzo latino già tra- slatato in volgare. Questo analitico esercizio non pvò a bastanza rac- comandarsi , nè dirsi quanto sia profittevole alla pratica di ben inten- dere e volgarizzare il latino linguaggio , ec. ec. ,, i Speriamo che un libro elementare , de vedute che s nifestano in questo proemio, faccia guadagna a’ poveri ragazzi, ai quali si vuol pur far studiare così indistintamente e precocemente il litino ; li salvi da molti,e inutili martirii; e co’ principii d’una gram- matica , la quale non è ben certo che a tutti debba servire, introduca nelle lor teste un po’ di logica a tutti indispensabile. M; Lezione di VincenzIo ForLinI sopra due Edizioni del secolo XV , ec. Firenze all’ Insegna di Dante 1831 in 8.° Negli Annali della Stamperia di Ripoli, inseriti 35 anni sono nel- la prefazione al tomo terzo del Catalogo delle Edizioni del secolo 15.° allora esistenti nella Magliabechiana , il nostro autore, fidandosi ad alcune parole del Fineschi , il qual pure diede notizie di quella stam- peria , suppose due edizioni ivi fatte del Cento Novelle Antiche. Ora, esaminando un libro o quaderno originale della stamperia medesima, 120 ha dovuto accorgersi, o piuttosto convincersi di quello di cui per va- rie ragioni da lui adilotte già si era avveduto, che una sola edizione fu ivi fatta, non propriamente del Cento Novelle Antiche, ma del Cento Novelle del Boccaccio, edizione meno antica di qualche anno che il Dibdin non pensi, edizione, di cui forse non rimangono che due soli esemplari, uno della Corsiniana di Roma , 1’ altro della Spen- ceriana di Londra, intorno a’quali il nostro bibliotecario palatino gli scrive una lettera ch’ egli aggiunge alla sua lezione. I bibliograti tro- veranno l’ una e l’ altra molto interessanti. Î M. Poesie inedite d’Uco Foscoro. Lugano; Ruggia e C. 1831 in 12.° L’ immenso abete, condotto a questi giorni in città dal luogo al cui da secoli dava il nome , fù anch’ esso piccolo albero. Tutti hanno ammirato 1’ immenso abete ; del piccolo albero chi ha desiderato veder la misura? Ma | albero nomo , l’ albero poeta, si dirà forse, confrontato a sè stesso nelle sue estreme proporzioni, è altro spettacolo. Nè il ri- guardarlo è soltanto un piacere della curiosità; è anche un piacere dell’ intelligenza che può trovarvi utilità. y Ed io desidero che il Foscolo poeta imberbe, il ra delle poe- sie inedite, confrontato al Foscolo de’Sepoleri/"ne rechi veramente qual- cuna. Se si conta per utilità un nuovo incoraggimento a’ poeti fan- cialli , imberbi e non imberbi , questa so che la recherà. Ma non so se per essa il povero Foscolo avrebbe mai consentito a comparire in faccia al pubblico tanto minor di sè stesso. 4 Oh 1’ amicizia , se non è discreta, dà pure delle gran sodisfazioni ui, - done e all’invidia ! i n M. Il Catorcio d’ Anghiari poema eroicomico di FrperiGo Nomi con note di Cesare Testi. Firenze, Daddi 1830, tomi 2 in 13.° Conoscete voi Federigo Nomi? = Confesso ch’ io, benchè avessi veduto qualcosa di lui, nol conosceva punto. Ben però il conoscevano il Redi, il Salvini, il Magliabechi , il Leibnizio, il Gronovio ec., cia- scun de’ quali gli scrivea ciò che da uomini della lor fatta si scrive a ben pochi. Il Magliabechi , il Leibnizio , il Gronovio gran latinisti gli lodavano specialmente le sue Satire latine, ch’ io non so perchè non | sì ristampino, quando pur si stampano traduzioni in latino di satire e d’altre poesie volgari. Il Redi e il Salvini, dotti in più lingue, e gran maestri nella nostra, gli lodavano particolarmente le cose in essa scrit- te, e fra le quali la più bella , questo poema eroicomico , era fin qui rimasta inedita. Argomento del poema è il vero o favoloso Catorcio } che que” del 12 Rorgo a S. Sepolcro , d’ onde la famiglia del poeta proveniva , presero o diconsi aver preso in un fatto d'arme del 1450 dalla Porticciola del Ponte d’Anghiari, ove il poeta poi nacque. Quest’argomento vale per sè quel della Secchia, del Malmantile, del Torracchione , del Samminia- to ec. , contro la cui futilità lascierò a’nostri gravi personaggi di quin- dici anni il ragionar gravemente. Chi, ad onta della futilità dell’argo- mento, trova pur qualche diletto non futile nella lettura di que’poemi, lo troverà anche nella lettura di questo , ove il poeta, ch’era professor di diritto feudale, dotto nelle scienze naturali ec. , volle pur far en- trare idee e colori che in essi non sono. È Nessuno de’ poemi del genere della Secchia finor conosciuti meri- tava d’ esserle posto a confronto pel merito poetico ; nè il Catorcio , parmi , lo merita più degli altri. Pel merito della lingua , come poema scritto in Toscana, esso deve, al pari del Malmantile, del Torracchio- ne, ec., esserle preferito. Resta che le note, di cui è corredato, sieno diligentemente rivedute , e riuscirà , spero , utilissimo a chi nella lin- gua pone qualche studio. Altri poemi dell’ istesso genere , scritti parimenti in Toscana , so rimanere inediti , ed io per me li vorrei veder pubblicati. Un poe- ma dell’ istesso argomento di quello del Nomi mi dicono essere stato scritto da un pittor celebre, nativo anch’ esso d’ Anghiari, e direttore d’ una delle nostre accademie di belle arti. Un pittor del secolo deci- monono*deve sicuramente aver fatto uscire dall’ argomento medesimo cose troppo diverse che un professor di diritto feudale verso la metà del secolo decimosettimo. Tutti, credo , sarebber vaghi di conoscere i suoi trovati poetici, che non saran punto volgari, se appena somi- gliano a’ suoi trovati pittorici. M. Alcune Odi di Q. Orazio Fracco recate in Italiano da Niccorò Vec- c®ierti. Padova Tipografia del Seminario 1830 in 18.° Q. HorarirFracci de arte poetica. Librum cum notis JoAnNIS BaPTISTAE Vici J. G. Antonius Can. Giorpano Bibliothecarius regiae Bibliothecae Borbonicae nunc primum edidit. Editio secunda cum notis ac italica versione Petri Metastasi. Neapolis ex regia tipographia 1829 in 8.° Orazio, come nota il giovane Autore del Libretto nella pre- fazione, è quegli che fra i Latini poeti vanta più gran nume- ro di traduttori. Datoci di buon’ora ad esempio nelle scuole, sotto la disciplina di tanto atleta ci addestriamo a correre la palestra, giac- chè ad ogni costo ciascun alunno ha da far sue prove in Parnaso. Il perchè non troppo di rado interviene che, dileguatosi il pedagogo , per la cresciuta riverenza e per la maturità del giudicio in miglior conto e affezione si tenga l’autore, e quello cada in animo di tradur- re allettati da fallace lusinga. E come si cominciò per ischerzo , oosì T. HI. Luglio 16 122 si finisee sul serio, pubblicando poi l’operetta per le stampe. Ma chi degli animosi, giacchè non è bello dire degli audaci, giunse a coglie- re quella palma, che il Monti con Omero ed il Caro ottennero con Vir- gilio? Il solo Labindo, se non erro , avrebbe potuto conseguire sì bella gloria , ma egli si attenne alla libera imitazione in quelle sue delizio- sissime odi. Interrogato perchè di Orazio coll’ opera di traduttore non recasse da capo a fondo tutta la lirica, rispondeva candidamente averne avuto fin da giovinetto ardentissimo desiderio, ma essere stato obbligato a dismetterne il pensiero, sentendosi venir meno le forze, onde se ne giovava secondo gli talentava e come meglio cadevagli in acconcio: tanto quel valoroso artefice di versi conosceva i pericoli del cimento! Ora in simil condizione di cose giudicherei non inutile £a- tica se taluno dotato non solo dì gusto e discernimento ma anche scevro di passione, eleggendo fra le tante versioni Oraziane, partico- larmente del presente e caduto secolo, componesse un intiero corpo di nobile traduzione; e certamente il Venini, il Brami ed il Gargallo potrebbero somministrarne un buon numero; ed il nostro signor Nic- colò Vecchietti avrebbe diritto a far la sua offerta. Ma vorremmo, per l’incremento del suo nome, che nelle odi, che gli restano a tradurre, raddoppiasse le forze dell’ingegno, adoprando tutte quelle sagaci dili- genze e quegli studiati artificj che stan racchiusi nel notissimo pre- cetto limae labor et mora, dai quali in ultimo resulta la richiesta per- fezione : chè certo non per altro il Fantoni sovrasta al rimanente dei buoni traduttori e imitatori. Ciò basti per le Odi; passiamo adesso alla Poetica. L’ eruditissimo signor Can. Giordano, Prefetto della Biblioteca Bor- bonica , pubblicò in Napoli in una seconda edizione l’ Epistola ai Pi- soni con i commenti di G. B. Vico, ponendole a fronte la Versione del Metastasio corredata delle note che il traduttor poeta vi aggiunse (1). Insigne triade in vero di eterna Italica gloria i nomi immortali di Orazio , del Vico e del Metastasio! Ma qui, lasciato da banda il testo già di per sè famoso e la traduzione omai divulgatissima, vuolsi tener proposito dell’ erudito apparato , avendo a ‘considerare il gran Dram- maturgo ed il portentoso Filosofo Napoletano non altrimenti che come commentatori, giacchè un tale carattere ambedue volontariamente si assunsero. Però , bisogna pur dirlo , il genio di Metastasio s’ inari- (1) Con una dedica latina in istile declamatorio e tutta graveolente di cortigianesca adulazione il signor Can. Giordano pone il libretto sotto 1’ egida del Consiglier de Thomasis, nel quale l’ E. S. è lodata fino a cielo per l’elogio del Filangieri; e tra le altre cose « Flacci. . . praeceptu tam bene es imitatus ut (detto elogio ) dignum sit habitum quod Germani, Belgae ac Dani in suam linguam transferant ec. Però non tutti riconoscono sì grandi pregj in quello scritto , ed altri più scettici, e sono molti a Napoli, dubitano se veramente appartenga al de Thomasis. Ma le indagini sulla paternità sono vietate ; e la legge comprende anche gli autori ! 1253 disce in quella disamina , giacchè ben poco più alto sollevasi dei co- muni espositori e chiosatori, non curando egli le ingegnose filosofiche indagini intorno alla ragion poetica, la quale certo nissuno meglio conobbe e usò più felicemente di lui. Il Vico poi, discordando in ciò dal maggior numero dei severi ingegni, che nella poesia altro non rav- visano che ciance canore, s’interna entro l’autore, e con occhio linceo discuopre al suo solito verità di eterna metafisica, tesori di politica e d’ istorica dottrina. Diversi erano gl’ingegni, le intenzioni , gli ufficj di questi due sommi, quindi ne avevano ad emergere resul- tenze diverse: ma impugnando la penna non dierono moto alle loro forze con la stessa vigoria e con la stessa attività. Difficile est proprie communia dicere : A. questo passo il Metastasio confida di rendere assai chiara la sentenza del testo ( trattasi del modo di formare i caratteri tragici ; ed è Metastasio stesso che parla) ‘ In questa sentenza cagiona qualche oscurità l’ uso che fa Orazio della parola communia , la quale frequentemente impiegata per dinotare le cose ordinarie e conosciute , presenta. a prima vista al lettore un senso opposto per diametro a quello che vuole che se ne ritragga, attribuendo egli alla parola quella rigorosa significazione che le hanno i Giureconsulti attribuita. ,, E qui spiega distesamente qual passi dif- ferenza fra le cose comuni e le pubbliche , dal che ne deduce avere il Venosino ottimamente sentenziato , cioè esser difficile il rendersi pro- prio un soggetto nuovo ancor di ragione comune, cioè non. trattato ancora da veruno. Indi applaude a quel di ]ui consiglio riserbato al poeta tragico di prender piuttosto per sua materia un Episodio del- l’Iliade , già resa materia pubblica o di ragione del pubblico dei poeti e dei loro cultori, la quale diverrà di ragion privata dello scrittore, purchè non traduca parola per parola ec. E chi non crederebbesi udire adesso un retore o un esangue giureconsulto, piuttosto che l’autore dell’ Olimpiade o del Demofoonte ? Ma il Vico forte nella fiducia del proprio ingegno comincia dal dichiarare apertamente che in questo luogo omnes interpretes sunt misere hallucinati, e spiega in questi ter- mini le intenzioni di Orazio; esser difficile di generi filosofici for- mare generi poetici, ovvero personaggi ideali di Tragedia: ed accen- nando i principj sviluppati nella Scienza Nuova dilegua le dubbiezze, dimostrando i primi ordinatori di popoli essere stati poeti, i quali attesa la soverchia ignoranza e rozzezza non giungendo a concepire ‘i generi filosofici, immaginaronsi degli illustri esempj ad quae (exempla) omnia cuique generi pertinentia affingebant et sane quaeque luculentissima quae pene brutas ipsorum mentes excitare et in se convertere possent, ut omnia fortia facta Achilli, Ulyxi omnia sedula consilia ec. (2) Ricorda (2) Perchè i di lui caratteri poetici ( d’ Omero ) furono generi, fantasti. ci. . . ai quali i popoli greci attaccarono tutti i particolari diversi. apparte- ‘ menti a ciascuno di essi generi; come ad Achille, che è il subietto dell’Iliade, attaccarono tutte le proprietà della virtù eroica, e tutti i sensi e costumi uscenti 124 poi essere stati da Omero riposti questi due poetici soggetti di Achille e di Ulisse, uno nell’ Iliade , 1° altro nell’ Odissea, avvertendo, come dice Aristotele nella Poetica , che le Bugie poetiche si seppero unicamente ritrovare da Omero (3) che fiorì nei rempi eroici, nei quali natural- mente esprimevansi dai Greci caratteri eroici ; il perchè i tragici gli han da prendere da esso Omero (4) siccome quelli che caccian fuori in iscena odj , sdegni , collere , vendette eroiche , e che escono da natu- re sublimi , dalle quali naturalmente provengono sentimenti , parlari , azioni in genere di ferocia , di crudezza, di atrocità vestiti di mara- viglia (5). Ma ai tempi di maggior civiltà (seguo a tradurre e ad esten- dere il Commento con i Principj della Scienza Nuova) i poeti si pro- posero ritratti presenti dei nostri costumi umani (tiene proposito della nuova Commedia) i quali aveva meditati la Socratica Filosofia , donde dalle di lei massime generali d’ intorno all’ numana mente, i Grecì poeti in quella addottrinati, quali Menandro e Teofrasto , poterono fingersi certi esempj luminosi di uomini d’idea, al lume ed allo splendor dei quali si avesse a destare il volgo, il quale tanto è docile ad appren- dere da forti esempj, quanto è incapace di apparare per massime ra- gionate (6). I confronti, ove ciò ne giovasse, si potrebbero moltiplicare a di- smisura, e sempre ci faremmo meglio persuasi quanto il sublime espo- sitore Napoletano abbia maravigliosamente usato la critica , la ragione e l’intelletto. Ma corriamo per un istante là dove il Venosino con - più larga vena descrive gli uomini selvaggi, che dalla ferina vita per opera degl’interpetri degli Dei (7) vengono ad umanità. Qui sana- mente nota il Vico, confutando un contrario errore dei dotti, es- sere stata la poesia la prima sapienza volgare ; donde vuolsi ripetere dall’istoria poetica l’origine degli stati, delle leggi, delle arti e delle scienze tutte ec. ec. A questo fecondissimo germe di luminose idee non contrappone il Metastasio veruna considerazione , sebbene le parole del latino poeta avesser dovuto farlo accorto che quel luogo veramente aureo era grave di riposta dottrina; ma non vi pose mente, e lo riguardò come una delle comuni scene di poetica fantasia, e sdegnò anche di concorrere da tali proprietà di natura, quali sono risentiti, puntigliosi , collerici , impla- cabili, violenti, che arrogano tutta la ragione alla forza ..... e ad Ulisse, che è il subbietto dell’ Odissea; appiccarono tutti quelli dell’eroica sapienza ; cive tutti i costumi accorti , tolleranti , dissimulati, doppj , ingannevoli ec. Scien- za Nuova Lib. II. Dell’ inarrivabile facoltà poetica eroica d’ Omero. (3) Scienza Nuova ibid. e nelle Prove filosofiche. (4) Scienza Nuova Lib. IMI in principio. (5) Scienza Nuova Lib. ITI dell’inarrivabile facoltà poetica eroica d’Omero. (6) Scienza Nuova ibid. (7) Cioè i primi sapienti del Gentilesimo che dalla mistica Teologia se ne dissero Mystae, ec. Scienza Nuova Lib. IV. Nelle tre spezie di giurisprudenza. 125 in erudizione con i volgari glossatori. Però qual maraviglia non destasi in noi, quando per ben maturato esame sopra i Principj della Scienza Nuova del Vico ci convinciamo che da tal fonte Oraziano ricavò tutto il secondo libro della maravigliosa sua opera questo nuovo Dante della Filosofia ? L. C. Vocabolario Piemontese-Italiano di MrcurLE Ponza DA Cavour, vol. I. che contiene le lett. A. B. C. D. Torino 1830. Stamperia Reale. Nel saggio sopra il dialetto Piemontese, inserito in questo gior- nale , fascicolo di Giugno 1830, s'era già annunziata la non lontana pub- blicazione di quest’ opera. Nè, benchè si tratti d’ un vocabolario di dialetto , dispiacerà ai nostri cortesi lettori d’ udirne brevi riscontri , sì perche l'intenzione di quest’opera è tutta Italiana, e sì perchè fa- tiche siffatte son fatiche d’ importanza, ed utili non solo alla nazione di cui si registrano i vocaboli, ma eziandio a quei dotti che impren- dendo forse un dì a paragonar 1’ un coll’ ‘altro i varii dialetti d° Italia, troveranno una fonte di peregrine investigazioni sulle prime origini delle diverse schiatte che di tempo in tempo vi vennero ad abitare. I Piemontesi, sebbene fuor d’ ogni dubbio abbiano cuore Italiano, si sono pur troppo sempre più compiaciuti della lingua Francese che dell’ Italiana ; il che si debbe attribuire ed all’ indole del dialetto che parlano che pende assai più al primo che al secondo idioma ; ed al vivo commercio che è tra Francia e Piemonte , ed infine alla lunga dimora che per casì di guerra hanno fatto i Francesi in Piemonte. Quindi nasce che, sebbene fin da’tempi dell’ immortale Emanuele Fili- berto la lingua legale dello stato di quà dai monti sia l’Italiana, ed ogni persona, eziandio se d’infima condizione, la intenda, e molti, e forse in numero maggior che altrove, sieno quelli ch’ entro vi studia- no profondamente, tuttavia non è raro che scrivendola o parlandola ti faccia intoppo un vocabolo, un modo proverbiale , una frase, eda quello che il pensier dice mon risponda la voce amica è franca. ‘A que- sto inconveniente può rimediar in gran parte un buon vocabolario Piemontese-Italiano ; e con questo fine ha intrapreso il suo il ch. Ponza, il quale ha sicuramente avanzato i vocabolaristi swoi predecessori e per la copia de’ vocaboli , e per l’ esattezza delle corrispondenti voci Ita- liane , e per la distinzione tra il parlar figurato ed il proprio, ed ezian- dio in generale per aggiustatezza della definizione, e pel savio consi- glio d’ aver rallegrato l’ aridità vocabolariesca con frequenti citazioni ‘d’autori. Perciò portiamo opinione che non poca lode meriti il Ponza, e che il suo Dizionario debba riùscire e grato ed utile a’suoì nazio- nali. E vie più grato ed utile riuscirà se il Ponza , meglio studiando l’opera sua ; eviterà ne’ seguenti volumi alcune mende che a luogo a luogo s'incontrano in questo primo ; quali sarebbero: Andé al basamun che significa andare al baciamano e non andare a prestar giuramento 126 d’obbedienza ; Fè una cara che significa dar un abbraccio e dovea notarsi come frase di vezzo fanciullesco, e che fu tradotta per careggiare , bacia- re ec.; Data che dgvea definirsi indicazione del tempo e del luogo in cui una lettera od un atto qualunque fu scritto ; e non fempo segnato nelle lettere; Datari che non vuol dir solamente canonico appuntatore ma è al- tresì titolo d’ufficio cardinalizio alla corte di Roma ; ed altre simili ine- sattezze che il valente autore, già noto per altre lodate opere ( fra le quali la Grammatica Italiana e 1’ Annotatore degli errori di lingua , opera quest’ultima che correggendo non senza qualche. acerbità i man- camenti degli scrittori o trascurati o ignoranti mostra a tutti quanto sia turpe il non conoscere la propria lingua) durerà poca fatica a can- sare solo che voglia attendere non tanto a sollecitar il lavoro quanto a perfezionarlo. L. CiBRARIO. Elementi di Grammatica latina composti dall’ Ab. Gio. Facowpo Car- pucci. Volumi II. Siena, presso Onorato Porri, 1829. Ella è impresa sommamente importante e difficile a‘un tempo lo esercitare ne’ giovanetti quelle tre doti della mente , la memoria, la fantasia, e l'ingegno , in tal guisa, che a tempo di maturo giudizio, per dirla con Gio. Batista Vico , fruttino una sapienza ben parlante , viva , ed acuta. Ma se guardisi ai metodi, che si tennero in talu- ne scuole, saremmo tentati ad affermare, che le cose vi furono con disumana intenzione ordinate al barbaro scopo di avere per frutto dell’ insegnamento una sapienza mal parlante, smorta, ed ot- tusa ; che è quanto dire una non-sapienza. Quanto grave danno da questo sistema derivasse alla società, lo dicano tutti i buoni, che inten- dono e veggono , come gli intelletti assiderati e steriliti agevolmente sì aggioghino sotto le illusioni della autorità sregolata e della super- stizione. Consola però il vedere , che le ripetute querele della tanto calunniata filosofia hanno finalmente arrecato qualche utile frutto ; nè oggi è raro a trovarsi alcuno di quei buoni maestri, che , abbando- nato il sistema dell’ oscurantismo , si sforzano di ricondurre nella istru- zione primitiva dei giovanetti quello spirito di vita e di verità, che riesca a educare in essi una mente forte , ed atta a studi socialmente potenti. Fra i maestri di questa natura merita essere segnalato nella città di Siena l’ Ab. Gio. Facondo Carducci, uomo di gran mente, e di gran cuore, il quale, dopo varie vicende occorsegli nella vita, dedica ora la onorata vecchiezza a dirigere in ogni sorta di utili studi un piccolo drappello di giovanetti. Dono prezioso da lui fatto a questa città / chè i maestri tanto più abili si vorrebbero , quanto più è tenera la mente de’ giovani, poichè allora , per la importanza e per la influenza che spiegano sopra tutta la vita le prime impressioni , si fa necessario un grande acume di discernimento per offrire agli alunni le più opportune e le più fruttuose. 127 Diversi sono i libri che 1’ Ab. Carducci ha composto per i gio- vini che intervengono alle di lui private lezioni, e tutti ottennero fa- vorevole accoglienza dal pubblico. Fra essi però merita, a parer nostro, essere distinta la grammatica latina quì sopra annunziata. L° Autore ha diviso il suo lavoro in tre parti. Nella prima fa 1° analisi delle parti del discorso ; nella seconda parla della sintassi; della prosodia nella terza. La prima, cioè 1’ analisi delle parti del discorso , è quella che insegnasi d’ ordinario nella così detta Janua. Quanto da questa dìffe- risca il lavoro dell’ Ab. Carducci, non può bene conoscersi senza aver confrontato insieme questi due lavori. Noi diremo , che dalle definizio- ni , dalle distinzioni , e dall’ ordine che trovansi nel nostro autore , apertamente rilevasi, che, quando si pose a scrivere , egli era inti- mamente persuaso di ciò che diceva il Condillac, vale a dire , che I arte di pensare , l’ arte di scrivere, e l’ arte di ragionare non sono che un’ arte sola. Lo stesso dicasi del resto del Jibro , e segnatamente della parte, nella quale si ragiona della sintassi. L’autore dimostra da per tutto, che le meditazioni dei più recenti filosofi sulla scienza dei segni non gli restarono igaote. Il molto buon senso del tipografo edi- tore, alludendo nella sua prefazione più specialmente al giudizio ester- nato sulla grammatica dell’ Ab. Carducci da un uomo autorevolissimo in queste materie, riduce con ragione ai seguenti i pregi principali di essa. ‘“ Ordine di materie; giuste ed adequate definizioni; brevità , 3) precisione , chiarezza esatta profondità in ciò che spetta la ideolo- >» gia; un’ aurea mediocrità che si tiene egualmente lontana e dalla ,» assoluta mancanza di precetti, e dal soverchio numero di essi; una > abondante copia di esempi, per via de’ quali le regole, essendo ap- »» plicate in frasi diverse in differenti combinazioni , restano maggior- 3,» mente impresse nella mente dei giovani. ,, Così essendo, opera veramente proficua alle scuole ci sembra aver fatto l’ Ab. Carducci col pubblicare questa sua Grammatica latina ; e poichè una inveterata consuetudine continua tuttora a comandare, che s' incominci la istruzione della prima età cola lingua del Lazio, ci pare che il libro annunziato , molto meglio e più presto di quelli che ordinariamente sono in uso fra noi, potrà servire alla cognizione di quella lingua , nell’ atto medesimo che occupando i giovanetti con una discreta ginnastica mentale, non permetterà che infingardiscano gli iugegni, ma anzi li disporrà alla cultura della migliore umanità. Noi, come già facemmo fino dalla pubblicazione dell’ annunziato libro , facciamo voti perchè le scuole , alle quali V Ab. Carducci in- tese di giovare, gli mostrino col fatto la loro gratitudine, accettan- do la di lui grammatica in sostituzione di cuella benedetta gram- matica del Porretti, ed altri simili informi guazzabugli, che mentre confondono la testa dei giovani rubano ad essi un tempo prezioso. Nè sia che dalla utile innovazione proposta trettenga i maestri l’amore dell’ ozio , e la intolleranza di un nuovo studio. Pensino essì , che sacro è il loro ministero ; che la missione di chi è preposto alla ‘istruzione 128 è di una immensa responsabilità; e che gli impieghi non sono dati per comodo dell’ impiegato , ma per il pieno e leale servizio del pubblico. Ci gode intanto l’ animo al sapere , che già in molti luoghi di Toscana il nostro voto è stato appagato; e speriamo che lo sarà dovunque i maestri sono animati da uno zelo sincero pei solidi e reali progressi dei loro alunni , e pel bene e decoro della comune madre, la patria. Celso MarzuocHI. _ ———— _——————ee Bollettino AHrentikco- Letterario LUGLIO 1 85 n Discorso sull’influenza del calore sul magnetismo, di CARLO MartEVCCI. Dei molti ed interessanti lavori , che continuamente riempiono le raccolte scientifiche, quelli fuor d’ognì dubbio più giovano ai progressi delle scienze fisiche che tendono a moltiplicare le analogie fra gli agenti imponderabili. Egli è per un tale motivo che l’ esame dell’ in- fluenza del calore sul magnetismo mi è sembrato un vasto ed impor- tante soggetto di ricerche. La somma difficoltà però che accompagna questi lavori, e la grande esattezza richiesta negli istrumenti, baste- ranno , lo spero, a scusare presso i dotti questo travaglio, che quan- tunque incompleto potrà un giorno guidare a qualche scoperta fon- damentale. È cosa nota da gran tempo ad ognuno, che una calamita qualun- que, naturale od artificizle, riscaldata sino al rosso bianco, perde per intiero la sua forza magnetica , e lo stesso Gilbert ne parla nella sua opera sul magnetismo (1). Coulomb (2) riprese lo studio di questo fe- nomeno , e giunse ad alcuni risultati importanti sull’ influenza della tempra sulla forza coercitiva. Finalmente M. Kupffer (3), in questi ultimi anni ha pubblicato un’ interessante memoria sopra questo s0g- getto, nella quale egli è giunto a mostrare, con un numero però troppo piccolo di esperienze, che ogni grado di elevazione di temperatura au- menta di un’ eguale quintità la durata di uno stesso numero d' oscil- lazioni. Esaminato così lo stato delle cognizioni anteriori su questo punto , prima di esporre i risultati da me ottenuti, io descriverò il i \ (1) Gvilielmi Gilberti de Magnete. Londini MDG. (2) Mémoires de l’Actadémie. (3) Annales de Chimie et de Physique 1825. | | | | 129 metodo in queste esperienze adoperato. In una piccola cassetta colle pareti di vetro ho fatto discendere un ago calamitato a saturazione, e sospeso ad un filo di seta tale che sorte dal bozzolo. Gli aghi da me adoprati erano lunghi 14 millimetri , larghi appena mezzo millimetro, e fatti di molla d’ orologio. Per un’ altro foro, disposto pure alla pa- rete superiore , io facea discendere alla distanza dall’ ago di quattro a cinque centimetri una verga d’ acciaio calamitata. La lunghezza di queste verghe era di 23 a 24 ceatimetri , il loro diametro però non è mai stato più di due millimetri, giovandomi ciò , senza recarmi d’altra parte alcun inconveniente ; a far loro prendere tosto la temperatura cercata. Esse non erano che debolmente temprate ed erano magnetizzate col metodo del doppio contatto. Infine, conosciuto con un orologio a secondi il numero delle oscillazioni che facea l’ ago esposto all’ azion della terra, e quello poi allorchè trovavasi in faccia alla verga cala- mitafa, io determinava le intensità magnetiche dello stesso punto della verga in due o più stati diversi, o di più punti colla formola M’'--M NS RA E” LL ASS AS TIE E Ciò disposto io cercai prima d’ogni altro di scoprire se, all’incon- tro degli effetti del riscaldamento su di una calamita, il raffreddamento aumenti ie intensità magnetiche. Questo risultato non poteva in fatti dedursi dall’ azione contraria del riscaldamanto; pcichè, se per l’azion del calore su di una calamita segue in questa una diminuzione di forza coercitiva, e quindi una ricomposizione dei fluidi magnetici, non può per questo concludersi, che il raffreddamento, quantunque aumentando la forza coercitiva $ debba poi movere una nuova decomposizione dei fluidi magnetici. Ho inoltre tentato di scorgere il rapporto che esisteva fra questi cangiamenti di intensità magnetica , e i diversi gradi di ca- lore. Onde giungere a questo scopo ho disposto 1’ apparecchio della maniera seguente. La verga calamitata era lunga 0”,23 e di un milli- metro di diametro ; 1’ ago in 60” faceva 66 oscillazioni sotto l’ azione della terra. Sotto l’azione poi di un punto della verga lontano 0,"063 dal polo Nord, le oscillazioni erano 109 in 60” alla temperatura di + 25.° €. Ecco i risultati ottenuti esponendo la verga per 15 o 20 minuti ad una data temperatura , e ponendola ad oscillare in faccia all’ ago sempre alla stessa distanza. T, III. Luglio. 17 130 Tavola I, Distanza dal Polo Nord Numero Temperatura alla quale del delle oscillazioni la verga è stata esposta So Loria della verga fatte dall’ ago in 60” per 15 minuti ch'è nel prolungamento dell’ asse dell’ ago — 12,9. C. 0, 063. 0,m 063. | o,m 063. | + 50.2 (C. o,m 063. | + ‘750° C. 0, 063. + 100.0 C. 0,m 053. L’ esame più lieve dei risultati in questa Tavola contenuti mostra ad evidenza 1.° che realmente una verga magnetica raffreddata aumenta 1’ intensità. 2.° spiega la legge che questi aumenti e decrementi di in- tensità seguono in rapporto ai diversi gradi di temperatura, e che può esprimersi dicendo che negli esaminati limiti di temperatura, cioè da — 12,5. Ga + 100.° C, lo stesso numero di gradi cangia di una eguale quantità il numero delle oscillazioni fatte in un tempo stesso ; risultato conforme a quello che Kupffer avea con un piccol numero di esperienze. trovato. Dopo avere così mostrata la legge di questi fenomeni , indicherò ora gli elementi che vi hanno la principale influenza. Sono questi r.° il grado di intensità magnetica, 2.° la diversa struttura fisica del corpo calamitato. Io mi sono infatti assicurato che questi cangiamenti d’ in- tensità magnetiche prodotti dai diversi gradi di calore sono propor- zionali al grado di intensità magnetica del corpo; ed ecco nella tavola sottoposta i risultati delle esperienze a questo fine tentate. La verga era in tal caso lunga 0,"203 e di un millimetro e mezzo di diametro, non era che debolmente temprata, ed era magnetizzata col doppio contatto, ma non a saturazione. L’ ago faceva 60 oscillazioni in 60 secondi, ed era alla distanza di 0,301 dal punto attivo della verga magnetica. | Distanza del punto Numero attivo della delle verga dal.| oscillazioni | Polo Nord i Tempera- tura 0, 069 0,m 079 0,m 085 m 099 Tavola II. Distanza del punto | Numero ttivo della delle verga del |oscillazioni Polo Nord Intensità È magnetica È Intensità magnetica Distanza del punto attivo della verga dal Polo Nord Numero delle oscillazioni Intensità magnetica 132 L’ azione poi della tempra o della struttura fisica dell’ acciaio su questi cangiamenti di intensità magnetica pel calore non è meno sen- sibile; ed ho potuto assicurarmi che quanto più questa tempra era du- ra, tanto men forti erano questi cangiamenti d’ intensità , e un più lungo tempo impiegavano a stabilirsi. Una verga in fatto di molla d’oro- logio, in faccia a un dato punto della quale l’ago faceva a + 25.° C. 76 oscillazioni in 60”, non giunse che dopo 25 minuti a far fare all’ago 75 oscillazioni nel tempo stesso, e nella stessa posizion della verga. Vedesi pure ugualmente confrontando le due tavole superiori , come questi cangiamenti ad eguali intensità sieno stati più forti per la verga debolmente temprata. Dopo ciò io farò notare, che queste variazioni di intensità ma- gnetiche , prodotte dall’azion del calore , non pervengono al loro mas- simo grado tosto che la verga ha preso una data temperatura ; anzi ho sempre visto non giungere a questo punto che dopo essere state per dieci o quindici minuti in questa temperatura ; risultato che Kupffer stesso avea trovato. Inoltre poi questi effetti del calore sul magnetismo , almeno nei studiati limiti di temperatura , non sono già fissi: ed ho sempre osservato che dopo un tempo più o meno lungo le verghe magnetiche riprendevano la loro prima intensità: così le verghe delle tavole N. 1 e N. 2 erano dopo 15 ore come prima. , Questo risultato singolare mi condusse a tentare la esperienza se- guente. Io presi un filo di ferro dolce lungo 0," 222 e di due milli- metri di diametro. Fatto scorrere per tutta la sua lunghezza in faccia all’ago alla distanza di 0,” 041, questo non fece che lo stesso numero d’oscillazioni. Allora io lo introdussi in un grosso tubo di vetro , nel quale con un miscuglio di ghiaccio e sale avevo portata a = 12, 5.° G la temperatura. Presentato allora alla stessa distanza all’ago calamitato ho osservato i fenomeni seguenti. Quest’ ago che faceva 68 oscillazioni in 60,” oscillando in faccia ad un punto distante 0," 063 dalla estre- mità superiore , ne fece 74 nel tempo stesso. Ad un’ eguale distanza dall’ altra estremità faceva l'ago lo stesso numero di oscillazioni. In- mezzo della verga niun cangiamento avvenne nel numero delle oscil- lazioni fatte dall’ago in faccia a questo punto. Lasciato a se l’appa- recchio , essendosi dopo otto ore stabilita la temperatura come prima, l’ago non faceva più che uno stesso numero di oscillazioni in faccia a tutti i punti della verga. Egli è dunque naturale il concludere , che una verga di ferro dolce raffreddata a = 12. 5.0 C acquista le pro- prietà di una debole verga magnetica , che perde poi riprendendo la prima temperatura. Pi Dai fatti adunque in questa memoria contenuti si può concludere 1.° Che il raffreddamento aumenta la intensità magnetica come il riscaldamento la diminnisce. 2.° Che questi cangiamenti nei limiti studiati di temperatura si fanno di una eguale quantità per uno stesso numero di gradi di ca- lore. 133 3.° Che la intensità magnetica, e la struttura fisica del corpo, sono ì principali elementi di questo fenomeno. 4.° Che questi cangiamenti non sono che temporarii nei limiti indicati di temperatura. 5.9 Che il raffreddamento del ferro non magnetizzato vi svolge del magnetismo , o piuttosto lo rende più facile a magnetizzarsi. Dopo avere così esposti i principali risultati da me ottenuti , senza entrare nello sviluppo di idee teoretiche, dalle quali amo sempre starmi lontano, non m’occuperò che di mostrare , che i cambiamenti della forza coercitiva dal calore prodotti sono insufficienti a spiegare questi fenomeni. Quantunque infatti egli sia permesso di supporre che il raffreddamento aumenti all’incontro del calore la forza coercitiva , che meglio potrebbe chiamarsi proprietà coercitiva, non differendo dalla coibenza della conduttibilità ec., non è perciò possibile di coucepire come il raffreddamento possa poi aumentare il magnetismo , ed anzi renderne più facile lo sviluppo. Forlì (Stato Romano) 20 Giugno 1831. Non avendo potuto leggere negli Annales de Chimie et de Physique, Octo- bre 1825, la bella memoria di M. Hupffer, che dopo che il mio lavoro era in gran parte stampato, e non conoscendolo prima che pei cenni che leggonsi nel Trattato di Fisica di M. Pouillet, Tomo I. p. 524, sono incorso per conseguen- za in alcuni punti in cose da lui già osservate , e m° è ariche avvenuto di ot- tenere risultati discordi dai suoi. Abbastanza convinto però dei metodi da me adoperati e dall’ esattezza dei risultati ottenuti, non ho creduto dover fare nessun cangiamento. Intorno al nuovo Vulcano presso la città di Sciacca (*). Lettera del sig. FeprrRIG0 Horrman al duca di SerrADIFALCO. Signore Immediatamente dopo esser di ritorno da viaggio assai piacevole ed istruttivo , io mi affretto a soddisfare a quel grato mio dovere di dare a V. E. un esatto rapporto di tutto quello che mi è stato per- messo dalle circostanze di osservare intorno alt vulcano sottomarino , scoppiato recentemente nel mare di quest’ isola, cosa tanto inaudita e rimarchevole, che ora occupa meritamente l’ attenzione di tutta la Sicilia. Come sa V. E. io partii da Palermo, dopo aver preso congedo da lei, nella notte del 18 al 19 cadente , e mi recai direttamente per la strada di Corleone a Sciacca , avendo saputo essere il punto più vicino (*) Ved. Fase. precedente. 134 della costa per osservare il suddetto fenomeno. Mi trovai in queste viaggio in compagnia degli ottimi miei amici naturalisti, i signori Schultz e Philippi di Berlino , e del sig. Escher della Linth di Zurigo. Favoriti da un tempo bellissimo noi giungemmo nella notte del 20, e trovandoc1 ancora circa diciotto miglia distanti dalla spiaggia, sopra le alture tra Contessa e Sambuca , noi scoprimmo per la prima volta ’ oggetto desiderato del nostro viaggio, formante una colonna di fumo densissimo, che si alzava in mezzo dell’ alto mare. Avvicinatici nel- l’ oscuro della notte a Sciacca, noi vedemmo di tanto in tanto, nella stessa direzione , comparire un rossore lampeggiante all’orizzonte , in- viluppato nella nebbia che allora l’offuscava, alla guisa de? baleni che così spesso sì vedono succedere nella notte delle calde giornate. Molto rallegratici di quest’ aspetto di buonissimo augurio , noi c’ indrizzammo subito il giorno appresso alla casa del cortese si- gnor ricevitore doganale, don Francesco Rosa, pel quale V. E. mi aveva favorita, colla solita sua benevolenza, una lettera di raccomandazione , e lo pregammo di procurarci al più presto possibile i mezzi necessarj per potere recarci nella vicinanza di quel tanto inte- ressante fenomeno. Il sig. don Francesco ci accolse d’ una maniera as- sai gentile e degna di siffatta commendatizia , e noi abbiamo molto a vantarci non solamente dell’ affettuosa assistenza ch’egli ebbe la bon- tà di prestarci, ma ben anco de’ servigj premurosissimi che ci rendet- tero il suo fratello don Salvatore , ed un altro suo amico impiegato nella reale dogana , il sig. don Filippo Raso , ai quali tutti noi non potremo esser giammai riconoscenti abbastanza della pena che si die- dero di farci giungere quanto era possibile allo scopo delle nostre intenzioni. Tutta la giornata del 21 noi dimorammo in Sciacca per aspettare l'occasione favorevole di poter partire al più presto, ma non poten- dosi combinar quest’ occasione in nna convenevol maniera pel mezzo di una delle barche presenti , che erano tutte troppo piccole per poterci portare colla necessaria sicurezza alla distanza di trenta miglia , ci fu d’ uopo aspettare l’ arrivo di altri legni che ordinaria- mente in questo caricatore non mancano. Noi impiegammo dunque tutta la giornata del 29 nel fare una gita nei contorni, e principal- mente noi visitammo il tanto rinomato monte di San Calogero per osservare alla cima di esso le stufe maravigliose e le acque termali alle sne falde. Noi trovammo la loro temperatura ed abbondanza non alterate per la vicina eruzione vulcanica , e ci divertimmo assai volte di scorgere quella gran massa di fumo che continuamente sì alzava dall’orizzonte , fino all’altezza di alquanto più di venti gradi. La sera, dal piano di San Domenico noi osservammo , insieme a molti abitanti della città, assai spesso quel sopraddetto rossore lampeggiante nel denso fumo dell’alta colonna, e udimmo con una certa commozione assai chiaramente un rimbombo assai rassomigliante ad un lontano canno- neggiamento , continuato talvolta per lo spazio d’un quarto d’ora e più. 139 Le notizie, che qui allora sì avevano intorno allo stato attuale del vulcano romoreggiante ,, non erano per nulla soddisfacenti, essendo. egli troppo distante , e il suo aspetto alquanto minaccioso : le: barche ordinarie de’ pescatori non vi sì avvicinavano, e si portava solamente la fama di una spedizione nuovamente eseguita dalla parte di alcuni signori Inglesi da Marsala e Mazzara , da’ quali s’era data notizia che vi fosse già prominente una nuova isola. Finalmente nel giorno 23 noi fummo fortunati di trovare un buon legno , recentemente arrivato, che far poteva con noi il meditato viag- glo. Era questo uno di ‘quei piccoli bastimenti, schifazzo volgarmente detto , sotto titolo di Gesù Maria Giuseppe, e sotto la direzione del bravo suo padrone, di nome Giovanni Rossi da Trapani. Noi combi- nammo , insieme col viaggio al nuovo vulcano , quello ancora insino all’ isola di Pantelleria, perchè ci pareva molto interessante di aggiun- gere alle nostre osservazioni pur anche una visita a questa isola tanto vicina, ed evidentemente vulcanica. C’imbarcammo adunque , ben di- sposti e pronti per le cure compiacentissime dei sullodati nostri amici, la notte del 23 al 24; ci allontanammo dalla costa della Sicilia con un assai debol vento di terra. Tutta la notte non facemmo che pochis- simo cammino , e all’ alba del 24 ci trovammo ancora assai vicini alla spiaggia donde eravamo partiti. Continuando il vento debole e spirante dalla direzione di ponente, noi potemmo ancora nella giornata seguente proseguire assai debolmente il nostro viaggio. Finalmente a tre ore dopo mezzogiorno ci eravamo bastantemente avvicinati alla gran co- lonna di fumo perchè potessimo scoprire sotto di essa la nuova, isola. Il padrone della barca stimava esser noi allora circa sei miglia distanti werso tramontana , e col vento laterale un poco più rinforzato noi ì prendemmo la direzione per passare più da vicino dalla parte dell’ovest. I marinari non si fidavano troppo di avvicinarsi a quel formidabile e finora non mai veduto fenomeno;.e si tenevano nel passare cautamente fino a circa tre miglia distanti verso l’ ovest. Noi intanto eravamo in- cantati di veder uscire, come pareva allora, dietro dell’isola, con una velocità incredibile e quasi senza interruzione , grossissimi nuvoloni di fumo biancliissimo ; e di svilupparsi , appena usciti e cacciati dai succedenti , in grandi palloni quasi gorgoglianti a guisa di neve fre- schissima o di bianco cotone lanciato incessantemente nell’ aria. Di tanto in tanto, nell’ intervallo circa di due a due minuti, la bian- e burrascosa colonna veniva interrota da un più o meno alto get- to di scorie e di nere ceneri, e fra pochi momenti spesso tutto era acqua, ceneri e nuvole, ed una perfettissima e violentemente confusa mescolanza, Il vento ci era in quel tempo assai favorevole e cacciava sempre fumo , ceneri e vapori verso la parte. opposta di levante. Lo spettacolo era bellissimo, e sempre continuando noi ad ammirarlo , ci vedemmo con dispiacere allontanati dall’ oggetto dei nostri sguardi verso sud-ovest. Il mare era quietissimo , e facendo riflessione che le onde non si 236 mostravano nulla affatto riscaldate, il nostro incoraggimento e le re- plicate nostre esortazioni vinsero la resistenza dei marinari, che prima non volevano avvicinarsi di più. Noi voltammo dunque il corso, e con grandissima allegria prendemmo la direzione verso greco-levante , per poter giungere all’ isola il più da presso ch’ era possibile, dalla parte di tramontana. Con un vento sempre poco forte, ma favorevolissimo alla nostra intenzione, noi ci vedemmo fra poco avvicinati alla nnova isola , fino ad un mezzo miglio di distanza , ed allora noi scoprimmo tutte le di lei variazioni colla massima chiarezza , tanto da noi poc'anzi bramata. Si vedeva facilmente che le parti prominenti di quest’ isola veramente non sono altro che l’orlo irregolare di una immensa e quasi circolare voragine. La cinta superiore di quest’orlo, che guarda verso levante, era evi- dentemente la più elevata di tutte; e noi stimammo la sua altezza essere di circa 60 piedi parigini sopra il livello del mare. Sensibil- mente meno, e gradatamente più abbassato verso ponente , era l’ orlo settentrionale del cratere , che a noi era comparso il primo. Portava esso due ben distinte prominenze coniche ai due suoi termini, de’quali quella verso levante era assai visibile. Finalmente quella parte della cintura, che guarda verso mezzogiorno, era assai bassa, e quella verso ponente appena si poteva distinguere sopra le onde del mare. Il dia- metro intero di tutta l’isola prominente, preso nella direzione di le- vante a ponente , stimammo essere di 800 piedi francesi; l’ interno della voragine dunque sarà poco minore, forse di 600 piedi, ed il giro di tutta la prominenza non sarà meno di mezzo miglio italiano. Noi potemmo ben distinguere che l’intera sua massa era formata di scorie nere, di lapilli e di grosse ceneri, e non abbiamo in nessuna parte potuto osservare vestigii di una corrente di lava, della quale neppure grandi masse eruttate si vedevano. Tutte le falde della nuova isola erano ripide, ma le onde che le battevano erano poco agitate, e leggermente spumanti apparivano. Per lo spazio di più di un quarto d’ora noi eravamo tanto vicini al vulcano, che non ci mancava altro se non che essere sbarcati per toccare la nuova terra colle proprie mani ; ma la nostra situazione non era molto sicura , e la piccolezza del nostro bastimento con pochi re- matori non permetteva di azzardarci alla vicinanza di un imminente pericolo. Il vulcano in quel momento era poco agitato, e la grossa sua colonna di fumo ascendeva maestosamente nell’ aria fino all’ al- tezza di forse poco meno di 2000 piedi , piegandosi leggiermente verso levante alla sua cima, larga e bianchissima. Avremmo senza dubbio potuto avvicinarci ancora molto più ; ma poco mancò che non fossimo testimoni di un grandiosissimo e delizioso spettacolo , che ci mostrava evidentemente la situazione precaria di una tale intrapresa. Noi ve- demmo con molta rapidità moltiplicarsi ed ingrandirsi i sopraddetti getti di scorie e di nere ceneri, e in breve tempo null’ altro potè 0s- 137 servarsi, che una costante esplosione di nere sostanze; le quali occu- pavano 11 diametro di tutta la voragine. Si lanciavano esse in aria con estrema violenza, fino all’ altezza di 600 piedi , e spessissimo ripetuti tutti quei getti formavano in continuazione alla cima una nera ed assai larsa colonna. Continuatamente nella forma di aste , o di spiche o di saette le pietre e le ceneri più grosse si distaccavano da questa sempre rinnovata colonna; esse si ripiegavano nell’aria per ricadere sopra le falde del cratere, o per buttarsi nelle acque vicine. Mi scuserà V. E. che le deboli mie forze non bastino a dipingere d’ una maniera alquanto degna ed esatta questo graziosissimo e non mai finora osservato spettacolo. Io non saprei con che altra bellezza paragonarlo, se non colla famosa girandola'del castello di Sant'Angelo ; ma di dimensioni assai più grandiose e di durata continua per almeno otto minuti senza interruzione, Noi ci vedemmo trasportati fuor di noi stessi per la bellezza di uno spettacolo tanto straordinario, le nere ceneri piegarsi alla cima della loro colonna e sempre quasi istanta- ueamente svilupparsi dalle loro estremità grossi massi di bianchissimi vapori, sospesi sopra la nera sua base. La maggior quantità di esse fu pel vento verso levante trasportata, e formava una grossa nuvola , ma pure, tutto all’intorno dell’isola, esse si precipitavan in mare ri- scaldate, e facevano uscire dalla superficie delle acque una immensa quantità di vapori, mentre questa stessa superficie per ogni dove gor- gogliava e spumava per lo spruzzo continuo dei getti più lontani delle pietre delle quali alcune non molto in distanza dal nostro legno cadeva- no. Questo gigantesco fenomeno era accompagnato, contro la prima nostra supposizione , da pochissimo rumore. Non si udirono esplosioni 0 fragori forti nell’interno del cratere, e nell’ aria solamente s’ intesero alcuni fracassi, prodotti per l’urto violento delle pietre lanciate l’una contro l’altra: dominava solo un leggiero strepito, rassomigliante a quello della, grandine, cagionato per la densissima cascata delle ceneri. Ma di tanto in tanto noi osservammo nell’ interno della colonna nera comparire grandi lampi e lanciarsi per tutta la sua dimensione, colla solita figura di zig-zag in ogni direzione possibile. Essi non furono mai veduti uscire dal cratere medesimo, e sempre udimmo ad ognuno di essi seguir forti colpi di tuono come di vicinissimo temporale. Era questo. pure il solo fenomeno luminoso che abbiamo potuto osservare, come appartenente alle eruzioni di quest’ isola, e neppure nella not- te, mentre eravamo ancora sempre vicini, potemmo scoprire alcun westigio di quel chiarore rosseggiante , che abbiamo tante volte osser- vato alla cima del Vesuvio o. dell’ Etna. Mentre abbondavano nella stessa notte le uscite dei lampi, si facevano sentire fortissimamente i rimbombi de’tuoni immediatamente seguenti e continui, quasi senza interruzione , per lo spazio eziandio di più d’un’ora. Assai soddisfatti della nostra buona fortuna e del docile e corag- gioso portamento de’ nostri marinari, noi ci allontanammo dalla nuova 1. HI. Lugliv. 18 138 ; isola verso quattr’ ore e mezza dopo mezzogiorno. Il vulcano sì era per una mezz’ ora pressochè calmato , tutta l’ isola parea quasi serena e libera, e di tempo in tempo solamente proseguivano gli sviluppi del vapore accompagnati con alcuni bassi getti di ceneri. Molte scorie nuotanti si osservarono ancora disperse per le onde, come l’ avevamo già incontrate molto prima in vicinanza della Sicilia , ed esse furono sempre della stessa indole, come quelle che si trovano in molta ab- bondanza gettate alla spiaggia di Sciacca, e che già mi ricordo di aver veduto prima della mia partenza da Palermo , mercè la di lei compia- cenza Noi voltammo il nostro cammino , prima verso tramontana , e poi nuovamente verso libeccio, ma il tempo quasi sempre in calma ,. e l'orizzonte straordinariamente offuscato non ci permisero di giungere finalmente all’isola di Pantelleria prima della mattina del 26, dopo un lungo ed alquanto nojoso viaggio. V. E. mi permetterà ora di passar sotto silenzio tutte le cose d’ altronde interessanti, che abbiamo potuto osservare durante un sog- giorno di tre giorni interi in quest’isula. Solamente mi sia lecito di aggiungere che il nuovo vulcano si trova in una lontananza molto più grande dalla Pantelleria che dalla Sicilia. In mancanza di stru- menti trigonometrici non abbiamo potuto fare quasi nient’ altro, che determinare la di lui situazione con una bussola di poco diametro ; e per noi non v’ ha alcun dubbio che il vulcano si debba mettere sopra le carte in quel posto dove si trova il gran Banco nell’Atlante del sig. Smith, Banco Nerita nominato. Esso sarà quasi trenta miglia ita- liane distante dalla costa della Sicilia, e quaranta della Pantelleria. Mi astengo da ulteriori ragionamenti , perchè dovrei temere di stancare pur troppo la sua, già fortemente cimentata, sofferenza. Ol- tracciò la premura che ho in far pervenire a lei queste notizie più presto che sia possibile, non mi permette una più continuata esten- sione del presente rapporto. Forse anche questa pre mura potrà ser- virmi di scusa nell’avere scritta questa lettera in un cattivissimo ita- liano. Riuscirà forse a’ miei amici, i signori Schultz e Philippi, latori della presente di rimediare efficacemente, mercè il loro personale di- scorso, alle mie numerose mancanze. Proseguendo io domani, in com- pagnia del sig. Escher, il mio risoluto viaggio verso Girgenti e Calta- nisetta, spero che al mio ritorno in Palermo potrò avere la fortuna di ossequiarla personalmente, ed intanto , colla dichiarazione del mio più profondo rispetto e vivi sentimenti di venerazione e ric onoscenza , mi do l’onore di dirmi. Sciacca li 31 luglio 1831. Il suo umilis. servitore Federigo Hoffman. a 139 SOCIETÀ SCIENTIFICHE E LETTERARIE. I. e R. Accademia de’Georgofili. Adunanza ordinaria del 2 gennajo 1831. — L’Accademia preseduta dal sig. prof. cav. Giuseppe Gazzeri vice-presidente, dopo il discarico dato dai due segretari degli Atti , e delle Corrispondenze , udì le seguenti letture. Il sig. avv. A/dobrando Paolini, decano fra gli accademici or- dinarì , ricorrendo il suo turno, fece lettura del primo articolo di una sua opera ancora inedita, e nella quale proponesi di rilevare la pre- ferenza dovuta all’ agricoltura divisa in piccoli poderi, comparativa- mente a quella esercitata nei latifondi. Simigliante questione agraria e politica è stata riassunta dal sig. Paolini dopochè il maggiore fra i moderni economisti d’ Italia, il benemerito Melchiorre Gioja, nel suo Prospetto delle scienze economiche , manifestò l’ opinione favorevole ai latifondi , considerati in tutte le loro relazioni al pubblico interesse. E da questo punto di veduta filosofica , esaminando il soggetto in que- stione , non sembrano all’ accademico nè sussistenti in fatto, nè in- vincibili in teoria, i motivi dedotti dal rispettabile Gioja a sostegno della sua decisione. L’articolo, che formò soggetto di questa lezione, li- mitavasi a dimostrare storicamente che l’origine dei latifondi rustici nei privati e pubblici dominj non è quella che piacque al Gioja di stabi- lire nel progresso dell’arte e nell’incivilimento della società ; sostenendo al contrario il sig. avv. Paolini che nella decadenza dell’agricoltura e della civile moralità sorsero i grandi dominij privati e pubblici, ed. a tal segno si estesero le loro sinistre influenze , che a se richiamarono l’ attenzione degli uomini di stato e i provvedimenti dei legislatori. La seconda memoria di turno dell’accademico sig. Giuseppe Vai verteva sopra varie branche dell’economia rurale suscettibili di miglio- ramento , fra le quali una segnatamente fissò 1’ attenzione dell’Accade» mia, quella della cultura dei castagni, il cui prodotto ha cotanta par- te alla sussistenza degli abitanti montagnoli della Toscana ; per la qual cosa fu nominata una commissione speciale onde questa, dopo le oppor- tune indagini , esternasse il suo parere in proposito. Lesse quindi il sig. march. cav. Cosimo Ridolfi una nota sopra la preziosa lanugine che egli il primo ha osservato nello capre a sua ri- chiesta inviategli dall’alto Egitto dal fu chiaris. sig. Giuseppe Raddi , la- nugine che non cede in pregio e delicatezza a quella che sotto il ruvi- do pelo spunta alle capre del Thibet, con la quale si preparano i ricchi tessuti Asiatici dei Scha/s di Cachemire. Le quali capre egiziane hanno abitudini assai dissimili da quelle della capra comune e della capra del Thibet, rispetto al modo di pascersi , non già strappando , come queste fanno , le piante legnose e i tralci , ma pascolandosi di erba al pari delle pecore. E sono pure di maggior profitto per la maggior copia e migliore qualità di latte , e per essere più delle capre nostrali feconde di prole , 140 la quale snole generalmente riescire del sesso di nno dei genitori, in cui predomina il vigore. Quindi ‘avviene che nell’incrociamento prodotto dal montone legittimo con le capre nostrali , nascendo meticci rassomiglian- ti al padre , è da sperare che dal congiungimento di tali bastardumi con un caprone legittimo sarà per risultarne una razza assai consimile a quella indigena dell’alto Egitto. Ad accrescere le speranze della pastorizia un altro documento recò innanzi il socio sig. Pietro de’ conti Gwicciardini , allorchè nella seduta medesima presentò con una lanugine delicatissima fornita dalle capre mambrine alcune avvertenze pratiche da esso istituite sull’animale «hè se ne riveste fra l’autunno e la primavera, dalle quali resulta che le ca- pre di questa razza , compita l’ età di due anni, si spogliano di quel vello nella primavera, mentre lo ritengono tenacemente attaccato prima del biennio. Ed inoltre osservò esser corredate di una simile lanugine an- che le capre meticce di prima incrociatura, le quali Ja porgono facilmen- tee in quantità maggiore delle prime, prima eziandio di compire l’anno. Finalmente il socio corrispondente sig. Manteri parlò del metodo da esso adoprato per estrarre la gelatina dalle ossa. Adunanza ordinaria del 6 febbraio. = Il segretario degli Atti sig. Ferdinando Tartini-Salvatici, dopo le consuete comunicazioni, espose in una sua memoria di turno alcune riflessioni tendenti ad alleviare, se non a calmare, i timori nati dall’attuale situazione poco favorevole della manifattura e commercio dei cappelli di paglia in Toscana, e ciò col pro- porre di occupare gran parte delle braccia che vi si erano impiegate in altre industrie egualmente confacenti al nostro suolo ed all’ economia agricola della Toscana , aumentando , onde più presto e meglio perve-' nirvi, la pubblica istruzione , e stimolando l’attività, anima di tutte le cose. Quindi il sig. dott. Giuseppe Giusti, in adempimento di una commis- sione ricevuta dall’Accademia, lesse un rapporto sopra un opuscolo invia- to dal suo autore sig. Vaudoncourt che ha per titolo: Saggio sulla topo- grafia dell’antica Etruria, accompagnato da nina mappa di questa proviu- cia d’Italia, dove l'A. sembra aver prestato qualche fede all’apocrifo de- creto del re Desiderio rapporto al popolo e lago dei Focesi, presso Fu- cecchio, il quale occupar doveva, a'credere di lui, la massima parte della Valle dell’Arno inferiore a Firenze all’epoca di Annibale , siccome egli reputa alla stessa età totalmente o quasi tutta palustre la valle superiore dell’Arno e quella della Chiana Aretina. = Da ultimo lesse un sno scrit- to il giovane cav. Filippo Bardi vertente specilalmente sull’agricoltura toscana considerata sotto l’aspetto economico. Adunanza ordinaria del 6 marzo. — In questa seduta il socio sig. Pietro dei conti Guicciardini espose ì vantaggi che risultano dal nuovo metodo di caricare le mine praticato dall’ americano Yessop, e che egli rende raccomandabile perchè di tutti gli altri finora adoprati è più sol- - lecito , immune dai pericoli , e più efficace , siccome l’accademico stesso ebbe occasione di verificare. 14t Parlò in seguito il sig. march cav. Cosimo Ridolfi dell’influenza dei paragrandine metallici sulla vegetazione , rilevata da quelli ch’ egli per saggio aveva fatto raccomandare alle più alte cime di alcuni alberi sparsi sulla collina di Meleto , ed i cui rami più elevati hanno offerto il feno- meno di dirizzarsi crescendo non più verticalmente, ma in una. linea quasi orizzontale ; ed anche quelli più vicini alla punta metallica rivol- gersi verso la terra, e divenire per breve tratto quasi pendoli per quin- di debolmente rialzarsi senza deteriorare di vigore nella vegetazione. In terzo luogo il socio corrispondente sig. cav. Giovanni Aldini de- scrisse e decantò i vantaggi della macchina del sig. D’Arcet per estrar- re la gelatina dalle ossa, e ‘aggiunse varie osservazioni onde applicarla în molti altri casi e ad altri usi. Finalmente l’accademico sig. Emanuelle Repetti presentò un cam- pione del lino coltivato dal socio corrispondente sig. Domenico Rolero nelle campagne di Grosseto. Adunanza ordinaria del 10 aprile. — Il sig. avv. Aldobrando Paolini trattenne l’ udienza con un bello squarcio della sua storia agraria del Pistojese relativo alle cause ai progressi e decadenza dell’agricoltura nel Pistojese medesimo avanti il secolo decimo. Quindi il sig. Emanuelle Repetti, relatore di una commissione acca- demica incaricata di esternare il suo parere sull’idoneità della fattoria di Meleto per un istituto agrario, espose in un apposito scritto la topogra- fica situazione di questa tenuta , la qualità e disposizione del terreno di che è formata, lo stato agrario e materiale della fattoria medesima, e concludendo che tutti i dati erano favorevoli al progetto meditato , fa- ceva voti a nome della deputazione, perchè un simile progetto fosse da molti messo in opera anche in quei luoghi dove si addicano generi dì cultura che mancano, ed a cui non può essere propizio il suolo di marna conchigliare marina della Val d’Elsa sulla quale giace la fattoria in questione. Adunanza ordinaria del x maggio. = Dopochéè in una lezione di tur- no il socio sig. Giuseppe Andreini prese a discorrere dei miglioramenti che introdurre si potrebbero nell’esercizio delle funzioni di perito , il collega sig. avv. Pietro Capei provò in altra memoria la necessità di prov- vedere al miglioramento delle vie vicinali; i quali due argomenti furono dati ad esaminare ad altrettante Deputazioni Accademiche , delle quali avremo occasione di tornare a parlare allorquando renderemo couto della seduta in cui fù letto il respettivo rapporto. In seguito il sig. avv. cav. Leopoldo Pelli-Fabbroni espose in vna sua memoria i vantaggi che potrebbero in Toscana ricavarsi da una più estesa piantazione del cipresso gaggia (Cipressus disticha Linn.)=. In fine il sig. avv. Aldobrando Paolini fece lettura di uno squarcio del suo trat- tato statistico del compartimento pistojese. ; Adunanza ordinaria del dì 5 giugno. — Il sig. prof. Giovacchino Tad- dei imprese in una sua memoria a trattare dei combustibili considerati sotto il duplice rapporto delle lorò qualità fisico-chimiche , e dell’econo- I 42 mia , occupandosi a prima giunta dell’esame delle materie comunemen- te adoprate ad uso di combustibile , sia nello stato naturale sia prepara- te , e quindi a dilucidar le varie questioni non ancora ben risolute , co- me queste: ‘ Se da due specie di legnami diversi a peso eguale e bru- ciate a parità di circostanze si otterranno sempre effetti identici ? 2'° Don- de procede che, mentre si pagano le legne dure da ardere un prezzo ap- parentemente maggiore delle legne dolci, si paghi in realtà più le se- conde delle prime qualora si metta in rapporto il valore col peso di en- trambe ? 3.° Questa superiorità di peso, onde si distingue l’una dall’altra qualità di legne, è tutta in realtà dovuta alla materia combustibile? 4° E quando anche ciò si debba per una gran parte all’ eccesso della materia ponderabile sarà questa egualmente combustibile nel legno duro come nel dolce ? Dopo avere, l’Accademico, esaminati e rischiarati li quattro que- siti, egli conclude che la materia legnosa, o che arde, è nel legname dolce proporzionatamente maggiore che nel legno duro j lo che giu- stifica la superiorità nel prezzo accordata in commercio al frassino, all’ ontano e al pino, sulla quercia e sul cerro, allorchè gli uni e gli altri si valuti no in ragione del peso e non del volume. Parlò in seguito il socio sig. avv. Girolamo Poggi della necessità di dif- fondere universalmente l’istruzione economico-legale per mezzo di libri elementari, dei quali egli diede in questa sua lezione un’idea generale , toccando brevemente della materia, della forma , e del merito di tratta-. zione il più adatto a conseguire sì utile scopo. Chiuse 1’ adunanza il sig. march. Ridolfi con una memoria diretta ad invocare dall’ Accademia una Deputazione speciale per aver lumi maggiori sul modo pìù plausibi- le di mettere ad effetto il progetto da esso meditato di un’ istituto pra- tico d’agricoltura. E. R. Adunanza Annuale della Società formatasi per la diffusione del meto- do di reciproco insegnamento, tenuta in Firenze il dì 18 Aprile 1831. Rapporto del Segretario delle Corrispondenze. Stanno sotto i vostri occhi, o Signori, i Prospetti annuali che servono a indicare lo stato della più gran parte delle Scuole di reci- proco insegnamento state finquì istituite in Toscana. Siami permessa qualche avvertenza relativa a ciò che risulta da quei documenti. Il numero dei fanciulli che ricevono istruzione nelle nostre Scuole di Firenze essendo di 250 circa, e di 120 prossimamente quello de- gli usciti a istruzione completa, può concludersi che nel periodo di due anni ogni alunno resta istruito in tutto ciò che nelle suddette Scuole sì insegna, e che or non si limita ai semplici esercizj di lettura, cal- ligrafia e aritmetica, ma si estende anche all’ arte del disegno e a quella dello scriver corretto. Con tutto ciò non mancano esempj di 143 ‘giovani che assai più rapidamente giungono al termine dell’istruzione ‘somministrata a cura della Società nostra: e dai Maestri di ambedue le Scuole son citati nomi di giovanetti, che in sette o fino in cinque mesi di tempo son giunti dalla prima ‘all’ultima delle Glassi in cui divi- desi la Scuolaresca. I documenti, che abbiam ricevuti dai nostri Corrispondenti, sì ri- feriscono a sole ro scuole nelle quali concorrono circa 800 alunni. Li Stabilimenti d’istruzione elementare sul sistema di reciproco insegna- mento essendo in Toscana oltre a 20, potrebbe concludersi che cir- ca 1500 individui vi:ricevessero istruzione. Mi duole che un tal com- puto debba in parte farsi per induzione: ma a ciò ne costringe la mancanza di notizie positive a riguardo della metà circa delle Scuole Toscane di insegnamento reciproco , per le quali i Direttori hanno ri- cevuto istruzioni e ‘materiali dalla Società nostra all’epoca in cui fu- rono instituite le scuole a loro respettivamente affidate, ma non hanno poi dato conto del grado d’ utilità che li Stabilimenti medesimi han recati alle popolazionisper cui son destinati. Alla quale utilità potremo nel prossimo anno far conoscere che sarà stata data estensione maggiore, mentre di altre nuove scuole va preparandosi la. fondazione o di alcune già esistenti si provvede vie meglio al mantenimento. In Castelfranco di Sotto fu gia instituita una scuola a cura di una privata Società, ed ora anche la Comunitativa Magistratura ha voluto del suo aggiunger mezzi per mantenerla. In Pisa fu un tempo una scuola mantenuta da privati, e poi chiusa poi- chè i suoi fondatori, non del paese, abbandonarono quel soggiorno. Alcuni benemeriti cittadini pisani hanno ora pubblicato un manifesto invitando anche altri a concorrere per far risorgere una scuola a prò della classe indigente. Nella nostra scuola della Nunziatina son stati accolti e istruiti varj Maestri destinati a dirigere altrettante scuole a Lucignano, San Sepolcro e Arezzo: e, per maggior utilità ancora degli stabilimenti da aprirsi, essi han potuto veder ridotti in pratica alcuni assai significanti miglioramenti da poco introdotti nelle scuole di Firenze. E questi mi- glioramenti sono stati in parte imitati, dopocheè il Maestro della sud- detta nostra Scuola visitò il magnifico Stabilimento eretto in Livorno da una Società dei migliori abitanti in quel porto, i quali con esem- plare zelo e la maggiore intelligenza instancabilmente si occupano della direzione del loro stabilimento. In altra parte i miglioramenti, che preparano più gran vantaggio al popolo che ha bisogno d’istru- zione, furono ordinati dalla Società nostra, a cui son stati proposti dal socio incaricato della soprintendenza alle scuole. Così fù stabilito che dovesse nominarsi un Maestro supplente per dirigere gli ordinarj gior- nalieri esercizj or d’ una or dell’altra scuola, mentre i Maestri respet- tivi saranno occupati nella istruzione particolare dei Monitori : la quale principalmente sarà a questi somministrata nei giorni festivi. [o non deb- bo in questa occasione far riflessione alcuna sui buoni effetti che deb- 144 bonsi attendere da tali innovazioni, pur non sì può annunziare l’ isti- tuzione della scuola dei Monitori senza aggiungere che miun altro mi- glioramento potrebbe essere al pari fecondo di utili conseguenze. Per meglio contribuire alla pronta diffusione del metodo ovunque sì riuniscano i primi elementi per l’istituzione di una scuola primaria, ha voluto la Società aumentare e render più facilmente accessibile un magazzino, dal quale può ottenersi ad ogni momento la intiera sup- pellettile necessaria ad uno stabilimento , ove debban ‘esser ricevuti anche oltre 100 individui bisognosi d’istruzione. Tutti questi miglioramenti nel modo d’istruire, e queste facilitazio- ni offerte a chiunque voglia imitar l’ esempio vostro o Signori, sem- brano potervi assicurare che sì va pienamente, per quanto da. noi si possa, adempiendo alla promessa fatta a noi stessi e al pubblico di render migliore e più generale l’ istruzione elementare : la quale in ogni parte d° Europa va ogni giorno più estendendosi, siccome il sig. cav. Gràberg ci fece conoscere a riguardo della Danimarca, comunican- doci notizie importantissime ricavate dai ragguagli pubblicati dal cav. Abrahamson, e come egli medesimo ulteriormente dimostrerà col con- sueto suo zelo, e come pure risulterà da altre notizie che il degnis- simo Presidente nostro si è riservato a comunicare egli medesimo alla Società. Segue il Discorso del Presidente Sig. Leororvo PerLr Fassroni. Ebbi l’onore di trattenervi già dei progressi che la elementare istruzione aveva fatti in Danimarca col metodo che forma le cure della Società nostra , facendovi presente la singolare rapidità con la quale erasi diffuso in quel Regno; permettetemi ora che vi faccia consapevoli dei felici risultati che il metodo stesso ha ottenuti neglì stati della moderna Grecia, ove si fa ogni sforzo per porsi non solo a livello di quella istruzione che nel resto della più colta Europa si rende sempre più generale ed efficace, ma per ridonare alla patria dei cittadini che possano un giorno rivalizzare , oltre il militar valore, con la fama degli illustri loro antenati , che sì celebre e sempre im - mortale la resero. Apprezzato pertanto il divisato metodo come il mezzo il più pro- ficuo per accelerare ed estendere la elementare istruzione ,$ quel Go- verno si è singolarmente adoprato , e si adopra incessantemente ad aumentare le scuole relative, con somministrare a tutte quel materiale che alle medesime è necessario ; molte poi sovvenendo con regolari sussidj , ed altre intieramente dotando a spese dello Stato. Scopo è in chi presiede alla pubblica istruzione in quel classico paese di persuadere ognuno della propria dignità , e del bisogno di giungere alla cognizione di ciò che è necessario di apprendere , e che non curato porta nella organizzazione sociale a tutti i mali che una cieca ignoranza produce. P. | » /- Ji. E stato pur fortemente sentito il bisogno che di questa istruzione, la quale accresce il ben essere delle famiglie, dovesse essere a parte il femineo sesso , siccome il più tenero ed il più efficace legame delle famiglie stesse. Quindi non si è mancato di stabilire espressamente delle scuole per l’istruzione delle fanciulle. Abuserei della bontà vostra, egregi Colleghi, se minuto conto io vi rendessi degli interessantissimi rapporti, che relativamente alla ele- mentare istruzione in genere , e specialmente a quella data col siste- ma nostro , a seconda peraltro del Manuale di Sarazin, han fatto il Gav. Andrea Mustoxidi Eforo della Scuola Centrale di Egina , e G. P. Coeconis Ispettore degli Stabilimenti pubblici nel. Pelopon- neso. E perciò mi ristringo a farvi conoscere lo stato attuale delle scuole che trovansi in piena attività in tutta l’estensione della moderna Grecia, desunto dal relativo quadro statistico , che segna il termine del decorso anno, presentato da N. Chrysogelos Segretario del Go- verno per gli affari di Pubblica Istruzione , e inserito , egualmente che gli accennati rapporti , nel Foglio Officiale periodico che pubblicasi în Egina , trasmessomi di recente dall’ ottimo mio amico il prelodato Cav. Mustoxidi. Contavansi al: 31 Dicembre 1830 N.° 36 scuole di Reciproco Insegnamento nel Peloponneso con N.° 2970 alunni; N.° 33 nel Ter- ritorio Insulare con N.° 4930 alunni; N.° 4 nella parte occidentale con N.° 329 alunni ; N.° 3 nella orientale con N.° 407 alunni ; e fi- nalmente N.° 4 in varii stabilimenti speciali del Governo con N.° 387 alunni ; lo che forma un totale di N.° 80 scuole, nelle quali ven- gono istruiti N.° 7023 individui senza contare altre 43 Scuole prepara- torie sopra altri sistemi stabilite, e nelle quali ricevono istruzione egualmente 2714 giovinetti , resultato infinitamente onorevole per quella eroica Nazione, e invero sorprendente quando si avverta, che non è compiuto il terzo anno da che è stato introdotto colà il me- todo , alla propagazione del quale fra noi ci siamo i primi dedicati. Accademia Pontaniana di Napoli. Programmi per l’ anno 1831. L’ Accademia Pontaniana, a norma dell’articolo a6 de’ suoi statuti, approvati da S. M. ( D. G.), avea proposto al concorso il seguente quesito : ‘“ Indicare con principii teoretici e con pratiche applicazioni i 3» mezzi più opportuni per sostituire le seminagioni a’ riposi nelle ro- >» tazioni agrarie in una parte delle terre arabili della Sicilia di qua »3 dlal Faro, che mon sia minore della estensione di una Provincia , »» e dove i riposi anzidetti sieno tuttora in uso. T. III. Luglio 19 146 ‘ Sì desidera che nella indicazione, di cui è discorso , sia tenuto ) conto delle circostanze de’ luoghi, e specialmente della diversità 1; de’ suoli e de’climi; e che sieno valutati i rapporti de’redditi > diversi nell’ antico e nel nuovo sistema , che verrà proposto dal- »» l'autore della memoria. ,, Le memorie rimesse al numero di due non avendo meritato il pre- mio , l'accademia ripropone una seconda volta al concorso lo stesso quesito. In oltre propone al concorso anche il quesito seguente : “ Dare una collezione compiuta di tutti i monumenti finora co- 5, nosciuti , e scritti in lingua Osca o Sannitica , colle osservazioni +; corrispondenti , e precisamente colla indicazione e l’esame cri- » tico de’ luoghi degli antichi scrittori , ne’ quali si fa porola della 33 lingua Osca 0 Sannitica. ,, Le memorie, che vorranno inviarsi al concorso per l’uno e l’ altro quesito , dovranno a tutto il dì 30 settembre 1832 farsi pervenire franche di ogni costo al Segretario perpetuo dell’ Accademia , signor Cavaliere Francesco Maria Avellino , Professore della Reale Università in Napoli. Il termine assegnato è di rigore. Ogni memoria sarà distinta da un motto , o altra epigrafe , che verrà ripetuta sulla parte esterna di un biglietto suggellato , il quale conterrà il nome dell’ autore nella sua parte interna. Gli autori , che in qualunque modo sì faranno conoscere , non potranno aspirare al premio. L’ Accademia conserverà nel suo archivio tutte le memorie, che verranno rimesse al concorso , e sarà solo permesso a quelli , che le avranno presentate , di farne estrarre copie. Il premio della memo- ria, che verrà coronata, sarà una medaglia di oro, del valore di duc. 50. Gli Accademici Pontaniani residenti sono esclusi dal concorso, Napoli 1 settembre 1831. Il Presidente annuale Cav. Giuseppe De Cesare. Il Segretario perpetuo Cav. Francesco M. Avellino. Intorno al cognome di Vincenzo da S. Gimignano, AL Meritissimo S16. Proressore Cav. Giuserre DeL Rosso it Ir Canonico AnronvniccoLa TABARRINT. Non so dirle, meritissimo sig. cavaliere , con quanta gioja del mio animo io protittassi di quelle poche ore da lei trascorse in questa terra di Pomarance sul cadere del passato luglio. Ella , che colla sua dolcezza e modestia sincera sa velare i pregi del talento e del sa- pere , fecemi coraggioso a parlarle, e a presentare al di lei guardo i 147 pochi monumenti d’arte esistenti in questa Chiesa Arcipretale di S. Gio. Batista. Tra questi i più furono i quadri de’nostri pittori Cercignani e Ron- calli, da essi lasciati a memoria in questa loro patria ; ed. ella ben si sovverrà di quello rappresentante l’Annunziazione ; opera dell’ ultimo , non inferiore certamente a molte altre da lui lasciate , e meritevole di tutta la lode tributatagli dal Lanzi, che afferma = esservi di sua mano parecchie cose, nelle quali comparisce eccellente. Le feci quindi osservare nella cappella annessa del $SSmo. Sacramen- to una tavola di Vincenzo da s. Gimignano , benissimo conservata , rappresentante la Vergine assisa in trono col Bambino sulle ginocchia , avente inferiormente a destra i Santi Giovan Batista e Sebastiano , ed a sinistra Santa Lucia con S. Martino vescovo. Gli occhi della Vergine sono particolarmente rivolti a S. Giovanni, ed è maravigliosa la com- mozione nel volto del Santo a quest’atto di Maria SSma. Era, quand’ ella fu qui, comparso di poco il fascicolo 124 del- l’Antologia , ove alla pagina 135 il sig. Clemente Santi, in una lettera di Montalcino al suo pregiatissimo amico sig. Avv. Pietro Capei, dà no- tizia di una tavola dipinta da Vincenzo da S. Gimignano nell’ anno 1527. Eccellente pittore , dice egli, fu, dal Vasari reputato Vincenzo da S. Gimignano , e per la sua diligenza nel dipingere , e per la morbi- . dezza del colorito , e per il grato aspetto delle figure da lui delineate ; nè minore elogio tributogli Ab. Lanzi ponendolo tra i migliori imita- tori del grande Urbinate. Ma nè l’uno nè l’altro di questi accuratissimi istorici ci fanno parola alcuna di opera ad olio condotta dal nostro Sangimignanense ; e solo ci descrivono dei freschi per la massima parte deperiti. Credè perciò il sig. Santi far cosa grata al suo amico deseri- vendogli (ciò che fece in modo assai bello e degno d’ uomo, intelli- gentissimo ) la. tavola oggi esistente nella Chiesa della Santissima Vergine del Soccorso in Montalcino, e all’ istoria pittorica ancora ignota. Più cose, mì rammento, le dissi a voce; e intorno al nostro Vincenzo Sangimignanense , ed intorno ad altri suoi dipinti ad olio. Alcune di esse io non poteva allora asserirle con certezza, ma ora sono in grado di farlo, avendone buoni documenti. Che esso Vincenzo , per esempio , portasse il cognome Tamagni ( cognome ignoto ai precitati scrittori Vasari e Lanzi, e allo stesso sig. Santi) me lo attestano l’ iscri- zione di questa nostra tavola = Vincentius Tamagnius a s. Geminiano pinxit. mpxxminl.; = e l’ altre due iscrizioni apposte ad altre due tavole esistenti in s. Gimignano. Una di queste tavole, mi scrive il sig. Canonico Giachi di quella terra mio particolare amico , ritrovasi nella Chiesa di s. Girolamo delle Monache Valombrosane dietro l’altare maggiore , e l’altra in quel- la di s. Agostino. Nella prima è dipinta la Santissima Vergine assisa in grande e ma- 148 gnifico trono , ed avente in collo il suo divino figliuolo , di un volto ambedue il più bello e il più delicato che possa mai idearsi. A destra vi sono i Santi Benedetto e Giovanni apostolo , a sinistra S. Gio. Gualber- to con S. Girolamo. In fondo poi del quadro si leggono queste paro- le: = Vincentius Tamagnus Gemignanensis faciebat moxxn = L’altra tavola posta a destra dell’altare presso all’ingresso di sagre- stia rappresenta S. Anna sedente in un letto con alta spall era , ove sta scritto = 0 felix Anna = e in fondo del letto a sinistra vedesi di- pinta una donna che sostiene fra le braccia la Santissima Vergine appena nata, con altre donne assistenti del parto. Alla sinistra ritro- vasì S. Giovacchino , ed in fondo sta scritto senza millesimo = Tamannius de Santo Geminiano faciebat. = Se più minuti ragguagli lasciati ci avesse il Vasari nella sua Vita del nostro Pittore, noi, senz’altre congetture , sapremmo il luogo preciso , ove la tavola di Pomarance , e le altre due di S. Gimignano sono state operate , come della sua ci ha fatto sapere il sig. Santi. A quanto però ci dice il Vasari medesimo , sì può supporle fatte in Roma ; ove il Sangimignanese si trattenne , come sappiam di certo , sino al maggio del 1527. E siccome fatte anteriormente alla sua dolorosa partenza da quella capitale , di che prese in seguito fierissima maliu- conia, non è da maràavigliarsi che abbiano in ‘se tutto quel bello ch’ egli aveva saputo ritrarre dalla gran scuola di Raffaello. Mi gode veramente l’ animo che la lettera del sig. Santi abbiami data occasione d’ illustrare in qualche modo , e come io poteva , una tavola di cui si onora questa mia Patria ; e solo mi spiace di non averlo saputo fare in modo più degno , e per lei, pregiatissimo sig. Cavaliere ; alquanto più dilettevole. Ella però, ne son certo, gradirà il mio buon volere, e forse vorrà rimeritarlo con qualch’ altra sua visita a questa nostra Valle della Cecina, già una volta onorata di sua presenza ; a questa valle non ultima fra le altre della Toscana , colle quali spera gareggiar un giorno di cultura ; a questa valle che sembra invitarla colla nuova suna strada di cui è debitrice alle provide cure del beneficentissimo Sovrano ; a questa valle ove pur molti la desiderano , e dove di molti ella deve pure aver conosciuto gli affettuosi sentimenti. NECROLOGIA Papre Orravio G. B. AssaRroTTI. Elogio funebre del Padre Ottavio G. B. Assarotti delle Scuole Pie fondatore del Regio Istituto dei Sordo-Muti in Genova, con an- notazioni e documenti in appoggio della parte storica , scritto dall’ Ab. Marreo Marcacci suo allievo , e già direttore dell’ I. e R. Isti- tuto de’ Sordo-Muti in Pisa. Livorno dalla Stamperia di Giulio Sar- di, 1831. Chiunque è spronato a scrivere qualche funebre elogio, sarebbe desiderabile, che potesse trovarsi nella situazione dell’Ab. Marcacci ; poichè non abbisognebbe nè del soccorso di quella eloquenza che spesso riveste di carne uno scheletro, nè di quella adulazione che fa il ro- manzo ma non la biografia sincera di un individuo. Il Padre Ottavio G. B. Assarotti fu uno di quei pochi che a gran- de ingegno accoppiarono somma mansuetudine di matura , di quei po- chi che :studiarono l’ arte difficile di beneficar con modestia , di quei pochi insomma che , dopo una vita consacrata al sollievo degli infeli- ci, lasciano profondo negli animi il desiderio di se medesimi, meritano il giusto onor delle lacrime ed offrono ai loro panegiristi argomento da non mentire. Egli nacque in Genova ai 25 Ottobre 1753. Non uscì da nobile stirpe, ma dalla natura ebbe ali per grandi voli. Non cede- vole alle distrazioni del piacere impiegò la sua giovanezza nella coltura della mente e del cuore. Nell’ anno diciottesimo dell’ età sua vestì l’a- bito religioso del Calasanzio , di cui fu imitatore perfetto. Fu zelante ecclesiastico ed insegnatore paziente , amorosissimo; con laude somma dettò sacre e filosofiche discipline ; ed in tempi difficilissimi fu chia- mato dal comune voto de’ suoi confratelli a Presule delle Scuole Pic nella Provincia della Liguria. Ma |’ anima dell’Assarotti non era in- fiammata che di carità; e la Provvidenza indicava al genio dell’ uomo grande i mezzi sublimi per esercitarla. — Per ciò appunto il nostro Autore, dopo aver lungamente parlato intorno a questo primo perio.lo della vita del celebre estinto, ce lo presenta sotto l’aspetto di Fon- datore in una scnola italiana per i Sordo-Muti. Il nome dell’ immortal Successore del L’Epée risuonava per tutta Italia : i suoi metodi ingegnosi nell’ arte d’ istruire i sordo-muti avevan giustamente ottenuto il suffragio dei dotti; ma restava ancor molto da correggere , moltissimo da inventare. Il buon Assarotti, che tutto si rattristava al solo pensiero dell’ infortunio, non tardò ad emulare il coraggio dei Ponce , dei Wallis , dei Vanchelmont , degli Heinich e dei 150 Sicard per soccorrerlo; e senza altri mezzi che quelli dal suo zelo somministrati , e senza ‘altri metodi che quelli dettati da un altissimo ‘senno, cominciò la benefica impresa e con gloria la continuò. Ma l’uomo, che per virtù singolari si eleva nella regione dei pochi, è fatto sovente segno alla invidia dei tristi. A questi l’Assarotti oppo- se l’arme dei buoni, il silenzio ; e nel ben fare perseverando , vinse la malizia loro, o almeno più vereconda la rese. Taccio delle lusin- ghiere speranze , che il ligure Nazionale Istituto aveva dato ull’ ottimo Cittadino ; dei mezzi con i quali il Francese Governo compiva gli ar- dentissimi voti dell'Uomo sommo; delle generose elargizioni del Re Vittorio Emanuale e dai suoi successori fatte allo stabilimento del de- nemerito Fondatore. = L’Ab. Marcacci tratta diffusamente di tutto que- sto nelle istoriche note aggiunte all’ elogio. — Ma non debbo tacere , che il metodo dall’Assarotti impiegato nell’insegnamento dei sordo-muti non solo fu il più conveniente allo sviluppo delle facoltà loro, ma il più atto ad. arricchirne il povero spirito della più solida e della più estesa i- struzione. E ciò sia a difendimento della Italia nostra e del vero; poichè se il Degerando (de l’éducation' des sourds-muets de naissance ) molto non disse intorno a questo, subietto , bisogna avvertire , che egli fu sinistramente informato da chi voleva alla gloria elevarsi sulle rovine dei buoni. — Del resto era desiderabile , che l’Assarotti, padre di molti Italiani Istituti, giammai toccasse il confine del tempo; poichè non sarebbe in noi e in alcuni dotti stranieri venuta meno la bella spe- ranza di veder fatte di pubblico diritto le sue innumerevoli osservazio- ni figlie di una logica mente e di un caldissimo cuore. Ma la morte non lo risparmiò. Egli, lacrimato da tutti, finì di vivere ai 29 Gen- najo del 1829, lasciando eredi della sua parca fortuna quegli infelici, ai.quali aveva consacrato il secondo periodo di una incomparabil car- riera. . Questi biografici cenni sono dalla penna del nostro Marcacci cor- redati di tutte quelle particolarità che poteano desiderarsi. Ed io non solo grandemente lo laudo d’aver mostrata la gratitudine sua per chi ebbe a precettore e ad amico ; ma lo ringrazio pur anche d’ aver dato all’Antologia occasione di offrire ai suoi lettori un necrologico articolo per onorar la memoria del celebre trapassato, e a me un pubblico mezzo per versare ancora una lacrima sulla tomba di Colui, che già fummi confratello , maestro ed amico. T. PenpoLa delle Scnole Pie. 151 FrepIANO Vipau. Se gl’ ingegni mancano alquanto , nelle isole , di quello stimolo che nasce nel continente dall’emulazione e dall’esempio , essi trovano spesso un più nobile impulso in una energia spontanea ed indipen- dente, e nell’ amore della patria, ch’ è la passione dominante degl’iso- lani. Ingegno e patriottismo furono i pregi pei quali acquistò stima ed onore Frediano Vidau di Bastia, antico magistrato ed uno de’ più dotti giurisconsulti ch’ abbia prodotto la Corsica , o-che vantasse la Francia. Riunendo ad una prodigiosa memoria un libero criterio, e a molta vivacità e sveltezza di spirito un amore istancabile dello stu- dio , egli si distinse nella sua gioventù , da prima nel ceto degli av- vocati, e quindi in quello dei magistrati, per matura dottrina e per maschia eloquenza. Amò sempre la libertà civile » @ la intese ; e mo- strò la sua avversione contro i nemici delle leggi e dell’ ordine oppo- nendosi ai progressi della oclocrazia ed ai principii del regno del ter- rore , in una contro-rivoluzione che insorse in Bastia nel 1790. Espa- triatosi per questo motivo, e trasferitosi nel continente vicino egli ebbe occasione di far conoscere e di usare con lode le moltiplici cognizioni ch’ egli aveva sul diritto romano e sul gius statutario di varie parti d’Italia. Richiamato in Corsica al tempo del dominio inglese si astenne da ogni pubblico uffizio, e crebbe in fama continuando in patria col più felice successo l’ esercizio del suo libero ministero. Poiché Napo- leone riordinò in Francia il regime sociale; Vidau accettò la carica di Presidente nella Corte Criminale dell’ Isola d’ Elba, ed ivi coll’ascen- dente che gli davano le sue qualità personali , e colla retta ammini- strazione della giustizia, egli rese caro e felice il governo di quel So- vrano, a cui quella isola doveva servir poscia di grato rifugio. Napo- leone che conosceva gli uomini d’ingegno per un discernimento d’istinto gli fece quindi conferire la dignità di Consigliere di Stato e di Com- missario generale di Giustizia nel Principato di Lucca. Fra’ buoni or- dinamenti che Vidau istituì in quella parte d’Italia, e nei quali ei dimostrò la sua rara abilità com’ uomo di stato, non meno che come Giurisconsulto , è degna di special menzione la giudicatura ch’ egli vi organizzò , e la compilazione dei Codici, e soprattutto del Codice Cri- minale, cioè l’applicazione dei codici Francesi allo Stato di Lucca, ivi tuttora vigenti, con alcune sagge modificazioni adattate ai luoghi , ai costumi ed all’ indole dolce e trattabile degli abitanti. Ripatriato nel 1814 egli cooperò col suo credito e colla sua popolarità a rendere non senza suo discapito meno violenta e più innocua la commozione politica che successe allora nella sua patria, e prevenne dei disordini e' dei ‘mali che ora sfuggono alla previsione ed al calcolo. Ricusò quindi l’offerta 152 d’ una carica di Magistrato nella Corte di Appello per ritornare con maggior alacrità agli esercizi forensi. Nell’ ultimo periodo della sua vita egli accoppiò alle occupazioni della curia le cure amministrative, eser- citando per cinque anni la magistratura municipale di Bastia col ti- tolo di Maire. Dureranno a lungo i begli ed utili lavori coi quali egli rese più gradevole e più comoda la sua città nativa, siccome du- rerà nei suoi concittadini la memoria delle sue domestiche e pubbliche virtù, e della privata magistratura, e del gratuito magistero ch’ egli esercitò nel suo gabinetto a benefizio degli amici e dei poveri, ed a vantaggio della gioventù studiosa ; nè cadrà in oblio, io lo spero, il suo progetto d’ un codice rurale conforme allo stato dell’ agricoltura in Corsica, il suo repertorio di giurisprudenza antica e moderna, e vari altri suoi manoscritti sull’antica legislazione nostrale. Morto lì 4 marzo 1831 in età di 76 anni, egli serbò fino agli ultimi istanti in un corpo indebolito dallo studio e dalle infermità quel vigore di mente e quel- l’amenità di carattere, che accrebbe tanto nei suoi congiunti ed amici il dolore della sua morte. «x Pror. Giacomo BaroveRO. Cenno Necrologico estratto dal N.°. 19 del Repertorio Medico- Chirurgico di Torino , Luglio 1831. Adempiamo un obbligo doloroso , annunziando una catastrofe tanto più lagrimevole , che al par del fulmitte ci giunse affatto inattesa. Purti da Torino alle 5 pomeridiane del 9 luglio il P. Barovero , co’signori Dottor Gallone giovine e distinto Medico della Beneficenza , Avvocato Bellone e Notajo Vogliotti , alla volta di S. Sebastiano, onde andar ad eseguire, egli una urgente operazione chirurgica, essi ciò che richiedevasi dal lor diverso ministero. Sorpresi da procella si fermarono qualche poco in un’osteria , ma ansiosi di tosto trovarsi al letto del- l’ infermo, si rimisero in viaggio. E giunti nelle vicinanze di Casalbor- gone al torrente Leona, che gonfio per |’ antecedenti pioggie pre- cipitava il suo corso, essendosi così soli e a notte buja avventurati a tentarne il guado, furono ben presto travolti dall’ impeto dell’ acque, e tutti miseramente si annegarono. Barovero nacque in Soglio piccolo villaggio dell’Astigiana, si diede allo studio chirurgico in Torino , e principiò nel 1808 la sua carriera scientifica facendo parte de Za Société d’enseignement médical ; società, che composta dal fu Med. Bianchetti di dolcissima rimembranza (e sulla cui tomba il Barovero offrì nel 1811 gli, estremi tributi di tenera amicizia), dai DD. Bertolini e Griffa, e dal Chimico Lavini , 195 poteva. a simili società servir di modello. Ad esempio delle Universi- tà Francesi e Tedesche, si dovea in allora alla laurea presentare da ciascuno de’candidati , oltre alle tesi, una dissertazione sopra qual- che punto delle nostre discipline. La maggior parte di simili chirur- gici lavori furono in quell’ epoca scritti o compiti colla sua assi- stenza. I posteriori cangiamenti occorsi nel supremo Corpo insegnante aprirono al Barovero più presto (1815) l’adito agli accademici onori , e dopo qualche anno lo fecero salire al grado di Professore effetti- vo di Chirurgia in un Ateneo, ove, per la fama europea di cui a ragione godevano molti dei rimossi Professori, il segnalarsi non era facile. La difficoltà non fece per altro che vieppiù infiammare il Barovero , il quale studiava indefessamente, scriveva pur di continuo, nelle ferie viaggiava per istruzione , mettevasi in rapporto coi primi Chirurghi dell’ estero, e, convinto dell’ importanza di diffondere. nel Piemonte le utili cognizioni, fondava , in compagnia del D. Ricci , il Repertoria Medico-Chirurgico , giornale da lui arricchito di varii stimati articoli. Stampò egli , oltre questi articoli , i quali trovansi nella prima e seconda serie del Repertorio già detto (dal 1821 al 3828 ) altre opere diverse , cioè : Nomenclatura antica e moderna dei muscoli deì corpo umano. Torino 1808. Sistema di Chirurgica operativa di, C. Be//, tradotto e corredato di note dai Barovero ‘“ onde confrontare lo stato attuale della no- »» Stra Chirurgia con quella dell’Inghilterra. Vol. 3, divisi in 6 parti. Therapentices et materiae Medico-Chirurgicae elementa. Ivi 1815. Hygienes et Pathologiae generalis elementa. Ivi. 1830. Questi ed altri scritti più piccoli, ma tutti pregiati, attestano abbastanza come utilmente egli impiegasse il suo tempo. D’ altronde operatore felice egli veniva di continuo richiesto nelle più difficili circostanze. E gli impieghi di Chirurgo Maggiore dell’ Accademia Mi- litare e dell'Ospedale di Carità, e di Consigliere del Protomedicato , furono un equo premio concesso ai suoi meriti e alle sue fatiche. La robustezza del suo temperamento sembrava prometterci che la soffrente umanità si gioverebbe ancor lungo tempo di lui, Quindi vie più grande si fa il dolore icagionatoci dal terribile suo fine. Gran- dissimo ove pur si pensi alle civili sue doti, a que’suoi modi schietti e modesti , a ciò insomma che gli captivava l’ affetto di tutti. Insop- portabile in chi gli era, com’ io , legato da antica amicizia, anzi dalla nascita stessa che seco negli ameni Astesi Poggi ebbi comune. De-RoLanDIS. T. III. Luglio 20 Carlo ErcoLani. Carlo Ercolani, nato di patrizia famiglia in Macerata il gior- no settimo di marzo dell’anno 1759 , crebbe nell’ amore de’ più no- bili studii. Diede alla luce , nel 1799; una traduzione in ottava rima della Cristiade di Marco Girolamo. Vida, e n’ ebbe assai lo- de ; fece pure italiane la Ricerca filosofica del bello e del sublime del Burke ; e le Georgiche francesi o sia V Uomo! de’ campi di Jacopo Delille da lui recato in versì sciolti ; e pubblicò anche altre ope- re volgarizzate, e sue proprie. Fu uomo, delle più amabili vir tà , e. però visse icaro a tutti che personalmente il conobbero, Quindi è che la patria di lui molto rammaricavasi quando ai 14 giu- gno del corrente anno udì la sua morte. Francesco ILARII. Agli Amici ed Estimatori di Tommaso DE OcHEDA. Cercandosi di nuovo nelle carte di questo dotto uomo ; a cui l’Antologia dello scorso. mese ha voluto render onore, sì son tro- vati più o meno interi que’ suoi lavori giovanili che si credevano perduti, ed oltre ad essi alcune Osservazioni da lui cominciate intorno alla Vita d’Apollonio Tianeo di Filostrato ; una Dissertazio- ne epistolare sopra alcuni punti di controversia fra lui e una dama anglicana ; alcune Epistole di Padri Greci da lui tradotte ; un’ A- pologia o abbozzo d’Apologia del governo del Piemonte contro alcu- ne accuse dategli ne’primi anni dell’ occupazion francese; una No- tizia intorno al Crevenna , diretta, sembra , al Tiraboschi il qual l’ avea richiesta ; una lettera indubitatamente scritta al Tiraboschi per compiacere al Van Santen che bramava le varianti di. Calli- maco de’ Codici Estensi; una lettera latina al Van Santen medesimo o Santenio , che nel proemio all’ Inno di Callimaco ad Apollo , tra- dotto secondo le emendazioni del Valckenaer, e stampato a Leida nel 1787, avea dato al nostro dotto molte lodi; altre lettere in- fine (chè di appunti, d’ osservazioncelle , di pensieri staccati , non è a tenersi conto ), e fra esse una amorosissima al nipote Alberti- no, che chiedeva consigli per la sua vita e pe’ suoi studi ; una cu- riosissima al creduto principe d’ Albany, che bramava l'esemplare della Scanderbeide veduto nella libreria del Crevenna ; e un’ altra 155 non spedita , anzi non finita , ma più notabile di tutte , agli Editori Londinesi del Tesoro Greco d’ Enrico Stefano, i quali sembrano aver a lui fatte le medesime domande che; \al nostro Leopardi gli odierni Editori Parigini. Queste ultime due lettere suno in francese e vin- con di correzione le italiane, come quella latina al Santenio vince le une e le altre di proprietà e d’ eleganza. M. i : x ae : , s x fara dany i I ps ?\ \ FAÙU lnomiarimat : î ti ‘ ti Up iiivisa nov Beaglth* èr ord’ i portati tesi iii 4 vo arnie d Ìì 1044 [uti ) | iy rovi LI) II Ù mito Ù i i ) n i i i » Searto Hi f ! ‘| : «mibo ‘von otisti ° qo' 9 rrabdi l total ' nà [ROSARCULI Go TELINIS TT: più nantrsni TR di ist { : I proietta alto sro DI *. ;nt i ) ETTARI N Cal muta 4 ongih { mn, mel 18) dA }À Ras 4 | more Hi mi DI : La (AN AVV) * po { loVy: * i bo ;ì “Mer arratzati i ti i ù Tann E REI b'oterteg fù | i { i i } | Dali I) ni N Li } (20709) i w Ù] ì Bi si val n) oi \ © 40) oi I \ s i na TUA i [90] ( r i .t : Ligolosisy dini if L'IVISIN I Î rqanith i t ine REC JE Aldini ott”, DE 0 RO è i io i eniocha:n ni tto b istoni ) ip tera î : it Pi omado: Wish st0% : : vira u si Viu ine dà ‘ i sftt Diutisto Todo E! À «brraT pura 36 BMEO DIM a î i ‘ ro ui'i vi 41 tere qu DEI, } go 10 CO I ARRZIT II I a ESTERE tt ai le CA | li do dita ma vor ì in È aio ; : PENTITA CTGT ; Vo gui ogi) va BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNESSO ALL’ANTOLOGIA Luglio 1831. CATALOGUE de la Bibliothéque de feu M. le Comte de Bovrourin. Lettera al Direttore dell’ Antologia. Le Catalogue Boutourlin n°est point en vente : il a été imprimé pour étre distribué en present. ll n’en reste que très peu d’exemplaires ; mais, pour vous obliger , je vous en procurerai un lundi ou mardi au plus tard. Et comme je tiens note des personnes aux quelles on le distribue , je vous prie- rai de vouloir bien me dire le nom de celle qui vous l’a demande. Je vous serai obligé si, dans le prochain numero de votre Anthologie. vous pouviez rétablir une erreur qui se trouve dans celui où l’on parle de ce Catalogue. Ce n'est point par les soins de l’imprimerie de Danté qu'il a été publié , mais d’après les miens, et sans aucune coopération d’impri- menr ; et s’il y a dans l’edition un mérite quelconque, il n’appartient qu’à moi seul, puisque c’est moi qui l’ai rédigé , et qui ai guidé les compo- siteurs pour l’arrangemant des pages, dont plusieurs méme ont été composées par moi, notamment dans la classe des Mss, et dans celle des éditions du XV. siècle, où toutes les abré- viations et fac-similes sont dùs à ma patience , et aucunement aux ouvriers des deux imprimeries dont j’ai dù me servir simultanément pour accélerer la publication du dit Catalogue. — Ges imprimeries sont l’Archiépiscopale et celle de Frangois Cardinali; dans cette dernière , je n’ai fait imprimer que la partie Sciences et arts et Beaux-arts, et l’autre Classiques italiens. Jattends de vous cette complaisan- ce, et je vous en fais d’avance mes sinceres remercimens, Toujours disposé à vons servir, je suis avec une consideration distinguée et une véritable amitié , Votre dévoné E. L. J. E. Aupin. BIOGRAFIA universale antica e moderna ec. opera affatto nuova com- pilata in francese da una società di dotti, ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e correzioni. Venezia, 1831, G. B. Missiaglia, in 8.° Volume 64.° (WI-ZA). DELLE inscrizioni veneziane rac- colte ed illustrate da EmanuELE An- Tonio Cicocna di Venezia, in 4.°% fa- scicolo X." Contenente la chiesa di S. Angelo e della Cecilia. ELEMENTI di fisiologia patologi- ca , igiene , uterapia generale, di Gro- vannI Tozzi, dottore in medicina e chirurgia, autore del Dizionario di fisica e chimica applicata ulle arti , e di diverse opere di chimica e di medicina; Direttore delle R. scuole di Zoojatria, professore di chimica ; ec. Milano, 1828. G. Pirotti. Tomi II in 8.° in 6 fascicoli. Prezzo dei 6 fasci- coli L. 11. it. OPUSCOLI di medicina clinica di G. Rasori. Milano, 1830, G. Pirotta. in 8.° di pag. 353 e 430. prezzo L. 8 aust, DEL METODO di curare le ma- lattie dell’ uomo. Compendio per ser- vire alle proprie lezioni di Giovan Pietro Frank ; primo medico di S. M. 1° Imperatore di tutte le Russie; tradotto in italiano e corredato di mol- te annotazioni di Lurcr MoreLLI di Siena P. P. di medicina pratica nel- }) I. e R. Università di Pisa. Ad uso de’ suoi scolari. Edizione diligentemen- te corretta col testo a fronte. Milano, Giovanni Pirotta. 8.° Libro 1.° (delle febbri) di p. XXXII. e 237. Lib. II, delle infiammazioni) di p. 318. prezzi come dal manifesto del 1. marzo 1831, L. 5. 57 e L. 3. 61 ital, MILANO. Garmi , seconda edizio- ne, — Il Convito natalizio = ed epi- grammi di AnceLo Cossa, socio di più accademie scientifiche e letterarie. Milano, 1831, G. Cresciin 8. IL CATORCIO di Anghiari , poe- ma eroi-comico in ottava rima, del proposto FeDpERICO Nomi, con le note dell’avv. GesaRrE Trsvi. Firenze, 1830, Tipografia Daddi. Volume II ed ult. FAMIGLIE: celebri italiane , del Conte Lirra. Milano ,: 1831; Tip. del Dott. Giulio Ferrari vin £.° Far scicolo XXI. ( Bojardo di Reggio. Guicciardini di Firenze ) prezzo sen> z’obbligo d’associazione lire 6 italiane. In Firenze presso Luigi di Giuseppe Molini. IL DIALOGISTA tedesco italiano con uu’aggiunta di var} componimenti di frequente uso, nella civile società , come lettere, quietanze, petizioni , conti ec. nelle due lingne tedesca e italiana, di Luicr A. ArseENPI pro- fessore di lingua e letteratura tede- sca nell'I. e R. Liceo e nel Gin nasio imperiale. di Sant'Alessandro a Milano. Milano, 1830, Giovanni Pi- rotta. in 8.° prezzo L. 4 aust. LA SCUOLA della perfetta morale nelle, parabole, del Vangelo e nelle otto beatitudini.: Trad. dal francese del Conte Francesco BertTUSsALI. Ter- za edizione. Milano , 1831 Giovanni Pirotta. Volume. di, p. 250 in 12.° DEI DELITTI considerati nel solo affetto ed attentati. Opera di ALBERTO De Simoni Giudice della corte di Cas- sazione del cessato Governo italiano; .e membro pensionato dell’ I. e R, Isti- tuto del Regno Lombardo Veneto. Mi- lano, 1830, Giovanni Pirotta in 8. To- mi II di p. 224 e 252 prez. L. Bit. 157 SULLA seconda edizione del: Re- gno Animale del Barone Guvrer. Os- servazioni. di Carro Luciano Bona- FARTE principe di Musignano. Bolo- gna Tip. Marsigli. 8.° di pag. 175. MEMORIE storiche d’illustri serit= teri e di uomini insigni dell’ antica e moderna Lunigiana, per 1’ abate EMANUELE GERINI socio corrispondente di Accademie diverse } in otto libri disposte. Mussa 1829-31 in 8.° Vo- lume. II.° di p. 370. RICERCHE filologiche critiche in- torno a due utilissime piante Ampe- lodermos Plini et Ulva Virgilii, del Ganonico MicHeLANGELO MacriI,da lui lette nella Pontoniana tornata del dì 22 marzo 1829. Napoli T'ip. della So- cietà Filomatica, in 4. INNI di Giuseppe BorcHi. Firenze 1831, Tip. Borghi 8.° DIALOGO sulla scoperta della cir- colazione nel corpo umano del prof. Giacomo BarzeLLorTI.: Pisa, 1831; Ranieri Prosperi in 8.° col ritratto di Andrea Cesalpino. SOPRA la riduzione di alcune tra- scendenti, memoria del cav. GiuLiano FruLLANI, inserita nel tomo XX delle memorie della Società italiana delle scienze residente in Modena. Modena 1831 , Zip. Camerale 4. di p. 25. SOPRA 1’ uso di alcune serie nella determinazione degli integrati definiti.. Memoria del Cav. GiruLrano FRULLANI, inserita nél Tomo XX delle Memorie della Società Italiana delle Scienze re- sidente im Modena. Modena, 1831, Tip. Camerale 4. di pag. 51. SOPRA gl’ integrali definiti. Me- moria del Cav. GiuLiano FrRULLANI inserita mel tomo XX delle Memorie della Società Italiana delle Scienze «residene in Modena. Modena, 1830, Tip. Camerale 4.° di p. 22. ISTORIA del Concilio di Trento scritta dal Cardinale Srorza Parra- vicINO,separata nuovamente dalla parte contenziosa e ridotta in: più buona forma. Milano 1831 G. Silvestri: Vo- lume II. 288.0 della Bib. scelta di opere italiane antiche e. moderne. 158 L? AMICO de’ fanciulli. Traduz. dal. francese: Milano , 1831, G. Sil cestri. Volumetto. It. 1. 1. DICEOSINA , o sia filosofia del giusto e dell’onesto. Opere dell’abate An. Genovesi. Milano; 1831, G. Silvestri. Volumi II. L. 6 aust. «= 283-284 della Bib. Scelta. DELLA MONETA. Lib. cinque di Ferp. GaLLiANI napoletano. Quarta edizione , coll’ aggiunta delle | notizie su la vita e le opere dell’autore, stese dal Barone Pietro Custodi per la rac- colta degli scrittori classici italiani di economia politica. Milano, 1831, G. Silvestri. Volumi II. 285 e 286 della Bib. Scelta, SUI timori che il Gholera Morbus desta in Europa non che sulla causa effettiva ,, sul metodo preservativo e curativo di questa malattia. Memoria di V. OrrAvianI , professore di Pa- tologia ,, chimica e botanica neil’ U- niversità Camerina. Milano, 1831; G, Silvestri 8.° L. 1 it. ETRUSCO MUSEO GHIUSINO, dai suoi possessori pubblicato con aggiunta di alcuni ragionamenti del prof. Dome- N10, VALERIANI, con brevi esposizioni del cav., FRANcESco IncHIRAMI,, ed in fine cou la inierpetrazione di tutte de iscrizioni etrusche contenute nell’opera del prof. Go. BamtIsra, VERMIGLIOLI. Avviso degli Editori. Sarebbe inutile il fare .1’ elogio d’ un’ opera resa già celebre peri tre sopraccennati rispettabili nomi, e per i replicati elogi, che d° essa hanno: fatti I° Antologia nel fascicolo del Genuarò, ed in quello del Decembre 1830; il Bul- lettino dell’ Instituto di corrispondenza archeologica nei N. II b Febbraio: 1830 e IV.a Aprile 183 1; la Biblioteca di Mi- lano, ed altri Giornali. Coerentemente pertanto ai nostri manifesti del 20 No- vembre 1829.e 30 Giugno 1830 ci. ri- stringeremo a ripetere, che l’opera , di cui sono stati già pubblicati cinque fa- scicoli’, comprenderà nna scelta de’ più interessanti. ed inediti monumenti tro- vati nelle adiacenze dell’ Etrusca città di Chiusi.x avrà 220. rami di monu- menti, e. 25. fogli circa. di testo; da potersi disttibuire in due volumi. in 4. grande , eseguita in carta velina pa : palona , offerta ai Sigg. artuirenti per | associazione comi seguenti patti e con- dizioni. Sarà distribuita in 18. Fascicoli, composti ognuno di essi di ru tavole di monumenti ; ed un foglio di testo, ‘ da distribuirsi di bimestre in bimestre, al prezzo di sei! franchi per Fascicolo da pagarsi nell'atto stesso del rice- vimento. Le spese di Posta, Dazj , Porto ecc. | sono a carico de’ Sigy,. Committenti. Verrà dato in fine |’ elenco de’ no- | mì e titoli de’ Sigg. Associati , ed in- tanto se ne pubblicherà uno ne’ pros- simi Fascicoli sopra le ‘copertine dei | medesimi. Le Associazioni in Firenze; dove esiste un deposito generale dell’ Opera presso il Sig. Angelò Lucherini , si ricevono. allo stabilimento dove si di- stribuisce il Giornale di Commercio, e dai Signori Vieusseux, Molini, Piat- ti, e Jacopo Balatresi ; in Siena dal Sig. Onorato Porri ; in Pisa dal Sig. Niccolò Gapurro; in Livorno dai. Sigg. Bertani , Antonelli e compagni; in Prato da’ Sigg. Fratelli Giachetti ; in Lucca dal Sig. Balatresi editore del Giornale . privilegiato Lucchese ; in Roma ial Sig. Pietro. Gapobianchi, e Filippo ‘Lustrini.; in. Milano da’Sigy. Antonio e Fortunato Stella , e Gio- vanni Silvestri, in Genova dal Sig. Fraucesco Bertanelli impiegato nelle Regie Poste ; e finalmente dai dispen- satori del presente manifesto. . Ghiusi 1, Luglio 1831. NB. £ pubblicato il fascicolo VT. MANIFESTO di associazione al- l'Opera intitolata Atlante Universale delle cognizioni o Tavole Sinottiche contenenti. la classificazione sistema- tica delle scienze e ‘la classificazione delle cognizioni umane secondo il me- todo naturale; di AcatINO Lonco prof. di fisica sperimentale nella R. umiver- sità degli studi di'Catania ec. ) È stato. un'voto'estemnato datatti i filosofi‘ che han rivolto le loro medi- tazioni sull’ impero delle conoscenze, quello di rinvenire il filo che, congiun- gendo insieme ‘le. parti: ‘dello scibile anche le più distanti; di tutte ne componga un grande ed unico sistema. Sembrava ‘questà idea essere un’ bel sogno dî menti vaghe di spaziare nel- l’ ampio mare ‘delle astratte specola- zioni., e la ‘ricerca ‘d*’un metodo ge- nerale, che rinnisse le scienze non solo , ma gli altri rami del sapere an- cora , doversi estimare come un vano ed inutile tentativo. Niente frattanto e meglio dimostrato quanto la esi. stenza di nn tal Jegame : conciosîachè, se Ja ragione umana può infantare dei mostri, dee però imprimere necessa- riamente alle sue produzioni il carattere dell’unità, e della semplicità,/che sono inseparabili da ogni atto della mente. Da queste riflessioni guidato il! profes- sore Agatino Longo di Catania ha co- nosciuto che tutto quanto lo scibile non forma realmente che un solo e grande sistema, ed egli ha realizzato un tal pensiero con l’opera che si an- munzia, e di cui daremo qui un brieve cenno, La medesima si compone di diciotto grandi tavole sinottiche , le quali sono destinate a presentare il sistema dello scibile intero nelle sue più filosofiche relazioni, disposto secondo il metodo naturale : le scienze occupano dalla tavola vi fino alla xvi, la prima es- sendo impiegata a rappresentare la clas- sificazione sistematica delle scienze, e le quattro rimanenti il sistema uaturale delle cognizioni umane , distinte in scienze , erudizione, arti, mestieri, e belle arti. Le tavole saran precedute da un discorso preliminare, dal Piano «del- I’ Opera ossia Saggio di Metodologia universale, e da tre inilici copiosissimi, l’ uno alfabetico, 1’ altro analitico, il terzo scientifico, ove le scienze, l’Eru- dizione, e le belle arti compariscono per la prima volta divise in classi, or- dini, famiglie, tribù, generi, coorti, specie, sotto-specie, e varietà, E bello il vedere come tutti i più minuti rami delle conoscenze si piegano a quest’ or- dine di classificazione, dirò, con m.g- giore facilità ed esattezza di quel che si osserva nelle classazioni Je meglio ide- ate delle naturali produzioni. L’ Opera sarà di un solo volume in foglio di carta imperiale di Napoli. L°e- dizione sarà ‘nitida e correttissima. Le tavole sarano eseguite colla massima di- ligenza ed accuratezza. Si farà di tutto perchè le medesime riescano pregevoli anche in riguardo alla esecuzione tipo- rafica. Il testo occuperà nove fogli di stampa , che daremo in caratteri uguali a quelli del Mauifesto. L° Opera con- terrà in tutto 27 in 28 fogli, e si di- spenserà a’ Signori Associati legata alla Bodoniana col suo tassello in istampa. » In fine si leggerà la nota di coloro. che avranno colle loro soscrizioni con- 159 tribuito alla pubblicazione della me- desima. Condizioni dell’ Associazione Gli Associati che avranno soseritto alle prime 200 copie , pagherenno Du- cati 2 alla consegna del libro, Ghi si associerà dopo le dette 200 prime copie, pagherà per ogni copia Due. 2. 40. Il prezzo dell’ Opera pe’ non-asso- ciati resta fissato Due. 3. 20. Ghi vorrà anticipare tutto il prez- zo , pagherà se dei primi, Duc. 1 60; se dei secondi, Duc. 2. Anticipandone metà, pagheranno, per prima metà, gra- na go i primi, e Duc. I. 10 i secondi. Chi si soscrive per 10 copie , e ne garantisce il pagamento , ne riceverà una gratis, chi per 15 due copie, e chi per 20 tre copie. Le associazioni si ricevono in Ca- tania presso l’ Autore, Vico Dottore n. 3. vicino la Piazza S. Filippo, in Palermo , e nelle altre Città del Re- gno , presso i principali Librai. IVB. Si darà incominciamento alla stampa dell’ Opera tostochè si avran- no 200 Associati. Catania 20 Giugno 1831. Salvatore Riggio. LE VITE degli Uomini Illustri pi PLurarco versione Italiana Di Gi- ROLAMO Pompei con note de’più celebri letterati. Firenze P. r David Passigli e Socii, Volume Unico. Al Pubblico Italiano Co? Poeti, che ricreano e raggenti- liscono, si pongono gli storici che dilet- tano e istruiscono. Chi trova comode le edizioni compatte, che in compagnia di più socj ho già procurate di vari O- pere de’ primi , troverà pur tali quelle che con altri mi accingo a dare di varie Opere dei secondi. E comincio dalle vire DEL BUON PLUTARCO, specie d’ introduzione alla istoria, che si leggono con piacere da donne e da fanciulli, e spesso si rileg- gono con trasporto da’ maturi sapienti, da capitani, da uomini di stato. Le do, come ciascun s’ aspetta, secondo la tra- duzione pregiata del Pompei, col me- glio delle note onde è già stata correda- ta questa traduzione. La mia edizione di un sol volume, nella carta e caratteri del saggio,_.usci- rà per fascicoli ( non minori |’ un per l’ altro di sette foglietti di stempa ) che sisuccederanno colla maggior pos- 160 sibile rapidità ai prezzo di Paoli tre e mezzo per ciascuno , e non oltrepasse- ranno fra tutti i 15 0 16 fascieoli. Il volume sarà ornato de?’ ritratti degli IMustri, di cui racchiude le Vite, distribuiti in 3 tavole con bella sime- tria, e di altre 3 incisioni a vignetta, che unitamente ai ritratti, si concede- ranno gratis ai primi soscrittori, L'associazione è aperta fino: alla pubblicazione del terzo fascicolo, pres. so la nuova Ditta da me diretta e. rap- presentata, e presso i principali Libra) d’ Italia, in ogni parte della quale spero trovar favore. D. PassIcLI. ERRATA al precedente Fuscicolo pag. 135 lin. 26. decozione di quella. = leggasi = decozione di galla. DUE discorsi del Dottore Giuseppe MonraneLLI letti nelle adunanze del- II. e R. Ateneo Italiano, tenute in Fi. renze nell’Estate del 1851. Pisa 183 1. Nistri in 8. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO POESIE inedite di Uco Foscoro. Lugano 1831. G. Ruggia e C. DELLA poesia tedesca di W.Men- zEL versione del tedesco di G. B. P. Lugano 1831, G. Ruggia e C. in8. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra illivello del mare picdi 2054. LUGLIO ‘' 1831. vi Mezzog, 128. ‘1,6 T. Ma. |Nuvolo Ventic. D Termom. | de n la Poe Ì > Lo) ius (Ci) —_ 5 ” id 3 ti m z si © i lO Ora 3 = n SS ippica 3 Stato del cielo IC ® © o © |o 5 o 9 fo - n - 4 Il E, Sd AES ci 6 | È al. MICICIO | | 7 mat. (27. 11,9 | 19,6] 16,71 82 Sciroc. | Sereno con neb. Ventic. | t|mezzog. |27. 11,4 | 198 20,6; 55 { Libec. ' Sereno con inuv. Calma |__| ''sera |27. 11,9 | 20,2} 16,8 6$ Os. Li. Sereno Ventie. |] 7 mat. [27. 14,9 | 19,7] 16,7] 78 Sciroc. | Ser: con neb. —Ventic. 2) inezzog. |27. 11,9 | 19,8] 19,8| 59 P. Ma. | Sereno ___ Ventic. (| ri sera |28, 0,7 | 20,4) 17,0] 84 Ostro |Sereno Calma 7 aes razr = boe nr "<= CI d 7 tuat. |28. 0,9 | 19,8 15,9j 85 Sciroc. |Ser. con neb. Calma È mezzog. |28. 1,0 20,1) 29,1 49 Ostro .|Ser. con neb. Ventic. 11 sera 28. SÌ. 1,9, 20,9: 17,5] do Os. Li. ‘Sereno Ventic. |. 7 mat. [ea 2,2 | 20,2] 17,0] 83 Sciroc. | Nuvolo neb. —Ventic. LAI mezzog. 1,7 | 20,3] 22,3| 42 T. Ma. | Ser. con nuv. Ventic. n ALL Sera. 210 Il TI di PAM 0,37|T. Ma. | Sereno -__ Ventic, 3 ded (Mledi. ) ” mat, |28. a,1 | 19,8] 16,0! 9I Tram. |Sereno Calma va 19,9) 21,0) 42 NL. Lt sera |28, 2,2 | 20;6| 17:9] 54 Levan. |Screno . Ventic. Da vi mat. 28. ‘2,4 | 20,2 18,0] 64 Sciroc. !Ser. con neb. Calma 6 mezzog. |28. 2,4 20,3] 22,3| 37 Tram. |Nuvoloso Calma | dl 1: sera 28. 3,0 20,4] 17,6] 46 Tram. ra Ventic. el mat. |28. 3,3 2030, 18,2) 56 G. Tr. lea Calma ur iezzog. |28. 3,3 20,4! 21,6] 3a G. Tr. | Nuvoloso Vento —tisera 28. 3,5 20,9" 18,2] 451 G. Tr. “Sorengo... ° si Vento. Lerinun, er) i la°] > È) E rpiRI Mir E SPIRITI STAN mu Ss i] l ul è a ì 3 Ora 5 PRIA 3 h) RI È B Stato del cielo z > solai et Sie S 5.|,5 ST © | S iL ° Di o lo) } © Ti } S\di 4 a SIT i TIE cn ; 7 mat. |28. 3,5 sui 18,6]. 45 Se. Le. |Sereno © Ventie. 8| mezzog. io 3,0 | 20,51 22,9] 35 Os. Lib.!Ser. con nuv. 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[Nuvoloso Ventic. | | 11 serà 26: I,b |, ‘6 1990 85 Tram. |Sstreno | Calma | 7 mat. |28. 1,2 | 21,3 | 19,3 8: Tram. |Sereno 7 Calma 14| mezzog.:|28. 1,7 PRE 22,5| 63 Tr. M. !Sereno © Ventic. ru sera |28. 1,8 22,6] 19,3) 94 | 0,08 Sircoc. | Sereno neb. Calma 7 mat. |28. 1,8 | 22,1] 19,0 g3 [Sc. Le. |Sereno Calma 15° mezzog.|28. 1,3 | 22,4| 24,0] 60 Tr. M, {Ser. con neb. __ Ventic: | tr sera |28. 28. 1,2 1 23,3] 20,3) 87 ILibee. |Sereno Calma 7 mat. |28. 1,2! 23,0, 21,11 78 |Libec. |Sereno nuv, Calina 16! mezzog.|28. 1,6 | 22,9! 23,1] 6 e: Lib. |Nuvolo Vent) It sera |28. 1,7 | 22 Si 13,2 80 ILibec. [Sereno Cal:ina 7 mat. |28. 14 23,1 ;1] 17,9) 82 Sciroc. |Sereno calig. , Ventie. 17| mezzog.|28. 0.8'| 21,9: 22,0 Ao Libec. {Sereno "Ven. impe. tt sera |28. ‘t,r | 29,1] 17,3 8t Libec. |Sereno Calma 7 inat. 20 ti isa, preti {Sciroc, |Sereno calig. ,, Calma 18| mezzog. g:|25 1,5 |.21,6 219) 52 P. Lib |Sereno Ventic. { ULI sera. 125. 1,9 22,0| ALI 72 Libec. |Sereno Ventic.{f ZA mat. 129. 1,6 | 21,5! 15,9 dr Sciroc. |Sereno Calma | (9) mezzogz. 28. 1,7 | 26,4! 21,9 47 Po. Li. |Sereno Ventic. $ ni ri sera 25. ‘r,7/) 20.9 17,9 63 Ponente' Sereno Ventie. 3 SEE O hi ai ti ° e<| o ; 3| Ora 3 ala |a]|33| 3.8 Stato del cielo le: & 3 s 2 3 È; 7 a, ò SUE ON || 7 mat. [28. 1,8 | 21,0| 16,8] 77 Sciroc, |Sereno heb. Caltna o|mezzog. |28. 1,6 | 21,5! 22,9| 47 Ponente|Nuvolo Ventic. | | xv sera |28. 1,3 22,1| 18,1] 6 Ponente|Sereno heb. Calma ei — SSA A EOT 3 STIA È ea IM ———_+_+}+-+1++--__ &-- |-—- 7 mat. |28. 1,6 | 21,5) 18,2] 65 Sciroc. |Sereno Calma Rijmezzog. |28. 1,4 # 21,7| 23,1) 42 Tram, |Sereno Ventic. 11 sera |28. 1,3 | 22,7 19,4 60 Maestr. |Sereno Calma (——_——__.. DDL li meo cro@@rugr e a | 7 mat. [28. 1,3 | 22,0! 18,0] 72 Sciroc. | Ser. calig: Calma 22|mezzog. |28; 1,3 | 22,2| 23,1 Sì Libec. |Sereno Ventic. it sera |28. 1,0 | 22,8] 19,9] 56 Ponente] Ser. ragi Ventic. na pr i iocagi N ANO clacio Pr la 8 PER | 7 mat. (28. 1,0 | 22,3| 18,0| 62 ‘Sciroc. | Nebbioso Veptic. |23|mezzog. |28. 1,0 | 22,2 60 | 0,03 P. Lib. | Nuvoloso Ventic. { | rtsera j28. 1,2 | 22,2| 18,3] 68 Os. Li. |Ser. rag: Calma Ù see —_—_—__eeeeee e — —_————_—_—0C0_—eeTttt —————————€€+++——€66—6É6É6°' |, 7 mat. |28. 1,3 | 21,3] 17,1 sil 86 Ostro |Ser. con nebbie Calma 24|mezzog. |28. 1,4 | 21.8! 23,0| 59 Libec. |Ser. nuvolto Ventie. 4 ri sera |28. 1,9 | 21,$| 17,0] 86 Sciroc. {Sereno i Calma i; m mat. dea 1,9 21,8 18,0| 70 Libec. Sereno. Calma |25 mezzog. 1,9 | 21,9, 23,5) 30 Gr. Tr. {Sereno Ventic. 11 sera 156, 2,1 23,9' 20,2| 69 |Maestr. |Ser..nel mebbioso Calma MMM MS eo A SI, CONTORNI cia: RE 7 mat: |28. 4;0 | 22,8) 19; 6| 75 Greco |Ser. con neb: Calma 20|mezzog. |28. 1,6 33, 2| 26,0: /48 Greco |Nuvolo Calma tr sera |28. t,0 | 23,0! 19,0 88 |70,07|Greco |Nuvolo _———Ventic. a: er —| IMMENSA SE || 7 mat. |28. 0,5 | 2 ani becre 15,0) 87 Levant | Nuvolo Ventic. 7 |mezzog. |28. o;t | 22,7] 3I ,3 67 Libec. |Nuvolo Calma Ire sera |27. 11,9 | 82,9: i 19,8 $, 82 | 0,44[G. Tr. {Sereno nnv, Vento : : I 7 mat. |27. ti 8 | 21,7) | 19,0 88 Levante}Serenò nuv. Calia mezzog: |27. 11,3 | 2t,8] 22,7] 56 Greco | Nuvologo Ventic. ri sera |37. 11,7 ai,8 19,2] di Greco |Sereno __ Calma. q mat. |27. 11,9 | 21,8] 19,9] 83 Tram. |Sereno Calma |»:9 es? 11,7 | 22,0 dali 46 Greco |Ser.con nuv. Ventic. | 27. 11,9 ! 23,0] 20,6, 72 Tram. |Sereno Calma I sera Calma {B Ventic.' 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Ie i soia; vantati ieiteli . | "de vira | RPTP, c00E, {iso Fajx&° 16 Cr RETEITI Ali I, È dr! not ag. È Late. ai Lab in (GR {iv so deva È | cnitoniZ.: god non nad furto : O [Mya peo ndo I Hal nile nun 05 198), se aaa nfnii ste] | arnie) dlovw@i| s1n0m08 | | Ue jaoa vic dia vel am6n o ‘ Mag ii et , Traa * da Toscana , dy Lire % toicane per r sono -. | Y franco di porto De i A MISI per la posta | >. franco di porto ea; per la posta X franco alle frontiere per. la posta “franco di porto | perla posta. franco alle frontiere franco Torino SARA ‘o Milano. o franchi 52, RE SATO SE Rae franco Parigi ica gecu per la posta PI ntera collezione dei 10 anni, 1821- 1830 Nora 120, in 4o volumi broché saurita) non si può. rilasciare a meno di |». . L. 300 ( lia anni separati dal 1821 al 1899 , quando esistano, ciascuno. oto i gigia i uo So U Fasciculo sciolto i quendo sia diponibile. i RESA Ti (INDICE - DELLE MATERIE È 5 ‘CONTENUTE. n NEL PRESENTE ouaDERTO, Se ri PE pa de’ dirvi del sig. De Siemondi. a VI. P. = Storia del commercio tra il Levante el’ Europa; del sig.. | Depp - Art. I. DIA NOE (È. Osservazioni semimserie di ‘un Eaulo nell È Inghilterra È di G.. Pecch 2 cArt.-L da: [oa ‘— (Estrat Sul ponte in pietra di ‘un sol ‘arco gettato sulla Dora Riparia” presso Torino. (Raimondo a sala 7 Memorie della R, Aocademia delle Scienze di. Torino. i rn Sul famosa ETA di fra Mast Damcblalose s lettera al pio Gio. de Hammer. i (Conte Gius. Sierakowsky) Caffè Pedrocchi - in a Padova , Iata - val Marcheso C. Ridolfi. | GL Sk i _ (Prof. Gius. Barbieri) | Leitom. VLA intorno ai cotici del Marchese Tempi. ) (IM) » RavisrA LETTERARIA. = Anonimo. Scienza del bello, p. 106. = Gozzi. ARE Velli avvertimenti di vita civile 3 P.II2, —— — Antonelli. Aiizgne Fer 1) La italiana , p. 1a — A. D. S. Principj di grammati ‘a latina, p. 118. — G. Follini. Lezione sopra: oe edizioni del” seco» lo XV; p. 119. — Foscolo. Poesie inedite, p. 199: — F. Noni, Ii Catorcio d’Anghiari,, p. 120. - Orazio. Vanini. ‘italiana. di = N. Vecchietti, — Orazio; colle note del can. Giordano, Pp. 121. cà — Ponza da Cavou. Vocabolario piemontese ‘italiano > Hr: 195. n Carducci. Elementi di grammatica latina, p. 726. ta Bvsretrino serenrierco-16rrEr4nI0. = Discorso sull’ influenza del calore sul magnetismo. di Carlo Mattéuccì , p. 128. — Intorno al nuoyo - | . vulcano presso la città di Sciacca , lettera del prof. F. Hoffmann, P. 133, = I. e R. Accademia dei Georgofili, p. 139. == Società per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento , pi 142. «= Ac-.; cademia Pontonianadi Napoli; programma , p. 145. Intorno al co- ca gnome di Vincenzo da S. Gimignano ; p..146, NrcroLocra. Pad, Ottavio G, B. Assarotti, —. Frediano Vidau, Prof. Giacomo Barovero. - Carlo Ercolani. Tommaso de Ocheda (Appendice). Bullettino bibliografico, Tavole meteorologiche. — GIORNALE PELO DI RR È i s 5: 4 ; Agosto 185 1. | Pablo d di 29 0 ; i FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO pi G. P. VIEUSSEUX |. Drrerrore e Eprrorr TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. om pon, sa un volume, n ogni vltime è sccmpagonto ® nai indice generale delle materie, = x È ATA È ai “* sa "PACIS Mg Liri sì prendono In FIRENZE, dal Direttore Liditore G.P. Vieusseuz.: n pia in in MILANO ; per tatto il ‘regno | dalla Spedizione « delle Gazzette, Sr Lombardo Veneto $ presso l"J. e R. Direz. delle Poste... 3 E 25, fe. in ‘Tonino “per tatti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, impiegato nell e 0 GENOVA Ue R. Poste di 1) Torino, in MODENA — tin SARRI — presso Gem. Vincenzi e Co libr, in Parma «<> (0 presso il sig, Derviè direttore delle Postei in ROMA; per tatto lostato piptaan il sig. Pietro Capobianchi,. impieg gato nell’amministraz. gen. delle Poste Ponti È in BoLocna, preso il sig. Direttore delle Poste, in Pesaro, i | presso Aninesio Nobili. in NAPOLI; |» i; ao Fi Picaliga: “Strada S. Liborio N. È È 7 in PALERMO ; per tutta la Sicilia. | |’ presso il sig. Carlo Beuf in AUGUSTA TEC CSIE, presso la Direzione delle Gazzette in VIENNA, per tatto P Impero Avitilaco; dalla Spedizione delle Gazzette) “presso 1’ 7. e R. Direzione ‘delle Pos e in GINEVRA ERE presso J. J. Paschoud. è in PARIGI | presso J. Renouard Rue de Tournon N. 6 in LONDRA xD presso C. F. Molini N. 41 Paternoster Row si ; di ; s ANTOLOGIA N° 428 DELLA COLLEZIONE. N° 8 DEL SECONDO DECENNIO Agosto 1851, RED __ Histoire de Francais, par $. C. L. Srmoxp px Sismonpe. Tom. XIIIGXIV. XV. Paris 1831. (Continuazione. — V. Antol. Vol. XLIII A. p. 3.) Coni nciando dalle lettere, diremo che la lingua francese, senza perdere affatto la sua ingenuità primitiva, si andava sempre per- fezionando in mano degli scrittori. L’ uso di leggere si era fatto più generale, ed i nobili nelle loro castella molto si dilettavano delle storie e de’ romanzi di cavalleria. Le storie di quel tempo si risentono della destinazio- ne per cui erano scritte. Dettate pei cavalieri molto si diffon- dono nel descriver feste e tornei, nel recitare minutamente gli esempi di bravura cavalleresca , gli scandali e gli intrighi delle corti, poco considerando le parti della legislazione , del com- mercio e della pubblica economia. Il giudizio morale degli sto- rici ritiene l’indole della guasta morale dell’ aristocrazia. Di- 2 sprezzo e nor curanza pei patimenti dei poveri, ammirazione de’ fatti d° arme , 1’ astuzia , la doppiezza , la leggerezza scam- biate colla virtù. Tanto che pare impossibile che degli uomini, di cui si raccontano fatti vituperevoli, si faccian poi gli elogi che si leggono negli storici. Essi fanno talvolta desiderare i frati che avean scritte le storie de’ secoli precedenti. ‘* Froissart era stato 3) in qualche modo il fondatore ed il modello di questa nuova s» scuola storica. Monstrellet, che non avea nè la sua immagi- sy nazione nè i suoi talenti poetici, non ne imitò che i difetti, 3, raccontò goffamente quello che l’ altro avea scritto con entu- s» siasmo. Il re d’ armi Berry scrisse la sua crouica secondo lo s» Spirito del suo mestiere, cercando di buona fede conser- »» vare la memoria delle gesta regie e cavalleresche. G. Chortier, »» fatto istoriografo di Francia da Carlo VII, fece nn panegirico »» militare di un re che non era militare. Giacomo Le Clerq e »» Matteo di Concy, lontani dalle corti e dai potenti, e però più », amanti del vero, hanno racco!to con buona fede ciò che hanno »» potuto sapere; e se talvolta colla prolissità colla quale raccontano le feste ed i tornei annojano, ci istruiscono di più introducendoci »» nelle provincie che abitavano e discorrendo degli avvenimenti »» quasi domestici. Oliviero della Morea paggio di Filippo il Buono e capitano delle guardie di Carlo il Temerario ha scritto delle memorie da cavaliere coi pregiudizi del suo stato, ma conside- raudo gli avvenimenti a cui avea avuto parte da un punto di vista più alto, mentre Guglielmo Gruel paggio di Arturo di Ri- »» chemont, scrivendo la vita di questo gran Contestabile, dà spes- so a conoscer l’animo di un servitore più occcupato di inalzare il merito del suo padrone che di assicurare la verità de’ fatti »» Che riferisce ,,. Ma gli studi de’ classici, che in Italia eran giunti a perfe- zione; fecero sorgere anche in Francia un’altra scuola di storici, i quali presi dall’ ammirazione di Tito Livio dettavano le loro opere in latino con ordine, pretensione di eloquenza e però esa- gerazione del vero, e nobiltà di sentimenti. ‘ Disgraziatamente » per altro l’imitazione de’classici toglie loro il colore di verità, :» e sforzandosi di parlare come Livio dipingono de’ romani an- »» zichè de’ francesi ;,. L’ Autore entra in grandissime particolarità ( Ch. XI, ) sui romanzi , sulle novelle, e sulle poesie del secolo XIV e XV. Osserva che, siccome nel XV l’uso di leggere erasi fatto più ge- nerale, così furon voltati in prosa molti componimenti che prima erano jn versi , e solevansi‘cantare e ripetere dai trovatori. L’al- bb) 3 tra cosa che merita di essere specialmente avvertita si è il gusto che s’introdusse per le poesie allegoriche. Chiunque ama la sto- ria letteraria troverà. assai diletto inel. capitolo che accenniamo. Per al presente basti il notare che la letteratura francese del XV secolo, sebbene indichi un gran movimento dell’ umana intelli- genza, tuttavia. rimane. assai indietro non solo all’italiana , ma alla tedesca ed alla spagnuola , nè la storia conserva ii nome di alcuno scrittore francese che siasi meritato di passare con somma lode alla posterità. Le calamità della Francia non le permisero di prendere gran parte al Concilio «di Basilea, che fu un tentativo di ridurre a governo aristocratico la chiesa, molto ridonando ai vescovi in pre- giudizio dell’autorità acquistata dai pontefici, e così ritornar le cose all’ antica ‘disciplina. Avea avuto il concilio la. protezione dell’ Imperatore Sigismondo , e raccoglieva in sè gli uomini , più distinti per istudio di cose ecclesiastiche che fossero, nella Ger- mania ; ebbe meno favorevoli i prelati d’ Italia come quelli che anche per interesse doveano esser devoti alla corte di Roma. Tuttavia, siccome la. riforma della chiesa nel suo capo e nel- le sue membra. era il voto del secolo, ben giustificato dagli scismi precedenti e dalla somma. corruzione del clero ; otten- ne per lungo tempo molto favore nella cristianità, e fu temuto assai in corte di Roma. Ma. l’abbandono che ne fe- cero i potenti , il timore di nuovo scisma, ed il favore che portò al. papa la. rinconciliazione colla chiesa. greca resero disperata l° impresa del concilio che terminò per stanchezza. I principi per altro con particolari transazioni, con regie ordinanze, trassero qual- che profitto dalle massime del concilio , e nella chiesa rimase sempre lo stesso: voto di riforma, e la stessa divisione di. opi- mioni intorno alla disciplina che nel secolo XVI mamifèstossi nel concilio di Trento: In Francia la prammatica sanzione di Bour- ges ridusse in pratica molte decisioni conciliari. Ebbe favorevoli 1? università ed i parlamenti , ottenne anche qualche voto del clero, ma trovò ‘non pochi vescovi contrati. In generale parmi poter notare che le libertà gallicane hanno avuto più favore dai legali che. dagli ecclesiastici in:Francia; di che. può forse darsi una buonissima ragione. Difatti; sebbene si facesse valere il no- me, della libertà ecclesiastica , tuttavia il motivo del re era l’in- teresse fiscale. e siccome poi le libertà gallicane furon mercan- teggiate dai regi per intrighi diplomatici, edi pochi ecclesiastici che vi aveano preso parte furon ridotti a dispiacenti umiliazioni, non è maraviglia se il clero fu assai freddo per le dispute nelle 4 quali si trattava più che di libertà di mutar padrone. Questa perfidia de’governi secolari nelle cose ecclesiastiche, siccome avea dato una plausibil ragione di riconcentrare molto potere nel pa- pa ; così nel corso de’ tempi fu uno de’ più forti argomenti con che si mantenne la dominazione pontificia. I principi non im- pararon mai a seguir la buona fede, ed il clero finalmente in- tese che il solo modo di procacciarsi qualche libertà consisteva nella piena e cieca soggezione alla corte di Roma. Però gli sci- smi, che nei tempi di mezzo erano facili, son divenuti rari e de- bolissimi ne’ tempi moderni. In quei tempi gli Ussiti in Boemia faceano grandi progressi , e benchè dovessero sostenere la libertà di coscienza colla pruova delle armi per le crociate che contro di loro incitavano i pon- tefici, la persecuzione gli cresceva di animo, e rinvigoriva nelle loro credenze. Nel 1444 ottennero libera professione di loro fede per la protezione del vicerè. Crede il Muller che le opinioni de- gli antichi Valdesi avessero molti seguaci in Svizzera, e segie- tamente si mantenessero corrispondenze da per tutto coi settari che erano avanzati alla scure dell’ inquisizione. In Italia l° am- mirazione degli antichi avea dato qualche sospetto, che molti letterati reputassero la religione di Cicerone e di Livio migliore della cristiana. Nel tempo istesso nelle scuole di metafisica si gettarono dei semi d’ incredulità e di ateismo. Ma queste erano opinioni di pochissimi ed oscure, che aveano sinistra influenza sulla morale nè potean mai divenir popolari. Laddove le credenze de- gli antichi Valdesi potevano guadagnarsi molti fautori, e riescir fatali al clero. Riferisce Giacomo Le Clercq che un vescovo in partibus, stato penitenziere di. Niccolò V, che amministrava la diogesi di Arras nel 1450 sosteneva che un. terzo della cristia- nità era Valdese e che erano in questa setta de’ vescovi e de? cardinali. Sarebbe difficile dare la giusta valutazione critica al- l’opinione di un vescovo che poteva essere ingannato dalla paura. Contuttociò quest’ opinione dimostra che non si tenevano come spente le sette del XIII secolo. Ebbero la stessa opinione gli inquisitori di Arras. Perocchè fecero tra il 1450 ed il 1460 non po- chi processi ; e bruciarono degli uomini e delle donne, parte del popolo ; e parte della nobiltà , come infetti dell’ eresia de? Val- desi. Queste crudeli esecuzioni parvero meno applaudite dall’opi- nion popolare che nei secoli precedenti. Il parlamento intervenne per porvi qualche freno, poi nell’ anno 1491 sotto Carlo VIII fu dichiarato dal parlamento che i processi fatti tra ’l 1450 ed il 1460 erano abusif, nuls , faits faussement et autrement qu’a 5 point. Il duca di Borgogna ed il contestabile di Richemont tra i signori di Francia furono de’ più ardenti contro l’ eresia»e, la bestemmia , e ne. eccitarono le punizioni severe. Oltre questi processi nelle cose della fede, vi furono non po- che condanne di magia e di strigoneria, e pel vizio contro na- tura. Pare che questa maniera di delitti in gran parte immagi- nari e supposti, richiamasse l’attenzione del clero nel secolo XV più che negli altri secoli. Difatti la credenza alle scienze occulte è uno de? peccati:dell’ opinione che sembra esser. cresciuto nel secolo XV. A Parigi il clero avea cercato di risvegliare .il fana- tismo contro gli ebrei ed era proceduto ad atti disumani. A leggere gli. scrittori di quel tempo, che riferiscono tanti obbrobri del clero, non risparmiando neppure le persone costi- tuite in eminente (dignità , e si mostrano, scienti de’ più, sottili artifizi con che i chierici provvedevano ai loro piaceri o al loro interesse direbbe un uomo avvezzo all’ ipocrisia de’ nostri tempi che la fede veniva ogni giorno minore. Ma un lettore attento osserverà che in quel tempo era marcatissima la distinzione tra ì preti, la chiesa e la religione ;, dimodochè ragionando libera- mente de’ primi non si attaccava la seconda , nè disputando della ecclesiastica disciplina; si repudiava alcuna cosa della fede. Però noi troviamo negli scrittori i più jpii de’ fatti per sè stessi scan- dalosi riferiti colla indignazione che movea una sincera pietà, La qual cosa era, accaduta. anche ne’ tempi più tenebrosi, de’ secoli di mezzo , e.noi troviamo in Atteone di Vercelli, in San, Pier Damiani, in San Bernardo le pruove delle sregolatezze de’ loro tempi. L’ ipocrisia del, secolo XVII non avrebbe loro permesso di parlare così liberamente. Difatti, a cominciare dalla, metà, del secolo XVI, divien più difficile il ritrovare il vero della’ storia, perchè, sebbene «crescano i materiali, vien meno la sincerità degli scrittori, essendo alcuni proclivi al calunniare o ad accoglier, fa- cilmente le ciarle, altri tutti intenti a. ricoprire i falli; e magni- ficare le cose che hanno colore di bene. Tuttavia il fatto innegabile della: corruzione de’ costumi. e della disciplina faceva desiderare la riforma. La difficoltà. di compirla cogli individui che doveano cominciare dal riformare sè stessi, le persecuzioni non meno ;che i cresciuti studi della sto- ria, prepararon la via all’opera di Lutero e degli altri lriforma- tori del secolo XVI. Esciron dai chiostri. anche. nel secolo deci moquinto degli uomini di ‘ardente. pietà:y che predicarono: sulle sregolatezze dei laici\e degli ecclesiastici, ebbero favore tra ’l popolo ; ma capitaron male coi potenti, e per un motivo 0 per ‘6 l’ altro perirono miseramente: In ‘tutti i secoli dell’ età di mezzo il clero regolare più facilmente del secolare dette uomini, che arditamente parlasserto della corruzione de’ costumi . e della di- sciplina ;' mettessero in vista i vituperii de’ potenti ed osassero farne loro: vergogna. Non che il clero regolare andasse esente dalla comune corruzione ; ‘che anzi si hanno pruove manifeste che anche gli ordini i più rigorosi si andavano guastanio solle citamente. E forse dobbiamo attribuire a questa cagione le tante riforme de”Benedettini sino al XII secolo, ed.i:tanti ordini nuovi che sorsero dopo quell’ età. Ma la solitudine , il distaccamento dalle affezioni terrene; davan ‘luogo ad una pietà, ad’un entu- siasmo ‘tra i pochi buoni; che difticilmente si sarebber potuti spe- rare dal clero secolare, che avea troppi interessi mondani, e go- deva’ del rilasciamento de'la discip ina e della ‘corruzione de’co- stumi. Morto il re Carlo, pensarono i ‘consiglieri a pacificarsi col Delfino, da che vedevano impossibile 1° impeditgli la successione al’ trono. Però, secondo la corisuetudine de’tristi; dando tutta Ta colpa ‘ad ùn solo, che ascondendosi seppe suttrar.i alla regia vendetta , cercarono di entrare in grazia. La qual cosa non riestì loro secondo il’ proprio disegno. D.fatti Luigi XI, venuto collà scorta del Duca di Borgogna ‘a ‘prender le redini del governò è coronato a' Reims, ‘licenziò i consiglieri del padre 5 e nei primi anui del regno pose quasi una certa affettazione nel fare il con- trario' di quello che Carlo faceva. Nel tempo che era stato a Ginnappe Luigi avea molto meditato sulla politica } 0 vogliam dire ‘sull’arte di dominare. Avea in gran concetto Francesco Sforza Duca di Milano, che gli si mantenne sempre amico ed al- leto fedele. Salito sul trono fece grandissime promesse ai popoli di al- leggerire le imposizioni ; cercò cattivarsi le persone che avea.in reputazione di grande abilità largheggiando in doni , aborrì dal lusso e dallo scialacquamento de’ denari ch’ era stato rovinoso pei Valois ; visitò le provincie , e carezzò molto i borghesi, che preferiva assai! ai potenti signori. Cercò avere spie e traditori da pertutto ; incoraggì i tradimenti, e fu egli stesso sovente tradito. Filippo di Comines: che stava molto da vicino al re ; e ne ha scritte «le memorie da ‘momo di: stato , dice di Luigi XI « Tra » tutti! quelli. che | hoi\mai ‘conosciuto , il ‘più abile a trarsi s3 di imbarazzo in tempi: di avversità ; il più umile in parole ed 3) în vestiario o che più si affaticasse a. cattivarsi una persona ss che lo potesse servire, 0 che gli potesse nuocere , e non si 7 stancasse di esser rifiutato una volta dall’ uomo che: volea | guadagnarsi ma continuasse nelle : pratiche , promettendo lar- “gamente e dando di fatto denari e stati che ‘conosceva torna- re a piacere, fu il re Luigi XI. Quelli, che avea cacciati e di- sgustati in tempo di pace e di prosperità; ricuperava a ‘caro prezzo quando ne avea bisogno, nè loro portava odio pel pas- sato. Era naturalmente amico delle persone di mezzo stato e nemico de’ grandi che non avean bisogno di lui: Niuno dette mai tanto ascolto alle persone, nè cercò sapere tante ‘cose come egli faceva; niuno volle ‘conoscer mai tance: persone quant’ esso. Perocchè conosceva tutti gli uomini di autorità e di valore che erano in Inghilterra , in Spagna, in Porto- gallo , in Italia e nelle signorie de’ Duchi di Borgogna e di Bretagna, come conosceva i suoi sudditi. E questi buoni ter- mini e gentili modi gli han salvata la corona dai nemici clie si era egli stesso suscitati al suo salire sul trono: ma soprat- tutto gli ha giovato la sua gran liberalità. Poichè , come sa- viamente governavasi nell’avversità; all’oppusto, quando crede- va essere assicurato o pure in tregua, si metteva ad inquietave la gente con piccoli mezzi che poco gli servirono, e a gran pena poteva sopportare la pace. Era leggiero nel parlare delle persone tanto presenti che lontane salvo di quelli che. temeva che erano molti, da che esso era timoroso per natura. E quaud» per scorso di lingua avea ricevuto qualche danno e lo temeva, e vi voleva riparare usava questo discorso : So: bene che la mia lingua m’ha recato gran danno, ma anche mi ha fatto gran piacere, per altro è ragione che rimedi al male. E non usava queste famigliari parole senza fare alla persona con cui parlava qualche benefizio, nè ne faceva mai de? piccoli.,.. Un gran disegno ebbe in mente Luigi XI per tutto il corso della vita; e fu di abbassare i principi indipendenti che si spar- tivano la Francia. “ Non era già l’ antica feodalità che lottava 2I 3) (S) ? contro il poter regio, come è stato detto da molti, per far ri- cadere il risentimento nazionale sopra un nome già odioso. Le famiglie de’ pari del regno, antiche rivali di Ugo Capeto, erano estinte ‘o spogliate de’ loro scudi. I gran baroni o il secondo ordine dell’ alta nobiltà non gli aveano lungo tempo soprav- vissuto 3 e le provincie, non conoscendo ne? loro signori i di- scendenti delle famiglie che l’ aveano governate. ab. antico, ‘non eran: loro attaccate da alcun sentimento di venerazione ereditaria. Era il poter regio che. si armava contro sè stesso.; dai piedi del trono venivan le male piante.che lo soffocavano 8 330.1’ affamavano. La nuova feodalità non si componeva che di ss principi del sangue ; essa era per la maggior parte nata dai »» Valois; quasi tutti quelli che contrastavano del potere con »» Luigi XLeran nati da figlio figlie del re Giovanni suo tritavo ,,. I Duchi di Borgogna, di Bretagna, d’ Angiò , di Borbone, d’ Orleans, di Nevers, di Namur erano quasi indipendenti nei loro stati, benchè in diritto fossero feudatari del re, gli doves- sero fede e soccorso. I Conti di Armagnac e di Saint-Pol con al- tri potentissimi affettavano quasi eguale indipendenza. Rimane- vano al re l’ isola di Francia, la Normandia , la Gnienna, la Linguadoca, la Sciampagna , il Berry, nelle quali provincie per altro erano alcuni feudatari molesti. Calais rimaneva sempre agli inglesi ed il re d’ Inghilterra poteva essere il punto di riunione pei faziosi, massime per le pretensioni che conservava sempre alla corona di Francia. Il considerar la monarchia come un patrimonio de’ principi avea portato a questa dannoso smembramento per l’ appanaggio de’ secondigen'ti. La debolezza del regno di Carlo VI, e le ci- vili discordie avean favorito l’indipendenza de’ principi, e sciolti i legami che gli stringevano al monarca. Questo stato di cose era gravoso ai popoli perchè li sotto- poneva ad una doppia, e talvolta triplice signoria, da che si trovavano ad esser vessati dal re, dal duca, e dai feudatari particolari. Indeboliva la monarchia , perchè era sempre incerto il soccorso dei principi che sovente avean contrari interessi. Espo- neva l’indipendenza nazionale, perchè i principi provvedendo al proprio interesse particolare patteggiavano cogli inglesi. Però il disegno ambizioso di Luigi XI era utile alla Francia. Tutti i mezzi eran buoni per la politica del re. Le umil a- zioni non gli gravavano , del denaro non faceva risparmio , i tra- dimenti non gli facevano orrore, i trattati ed i giuramenti non lo trattenevano , carezzava i memici, e volea a tutti patti gua- dagnarsi i cattivi quando gli parevano abili comecchè gli aves- sero nociuto. Confidava più nel raggiro che nelle armi , nè cre- deva che alcuno vi fosse più abile di lui in cattivarsi gli animi delle persone; tanta era l’ affabilità e gentilezza che usava nel conversare. Dissimulatore egregio raramente scopriva l’animo suo a’ suoi più confidati, benchè e nelle lettere e nel conversare paresse riporre piena fiducia nelle persone che adoperava. La regola divide et impera fu da lui praticata assiduamente , ma non sempre con successo. La riputazione di furbo , di falso e di traditore gli fu sempre di gran nocumento ; però fu di frequente Î i i ; i 9 tradito anche da quelli che avea alzati dal fango. alle dignità più sublimi. Le guerre animose, che ebbe a sostenere coi prin- cipi del sangue; dettero luogo a questi di divulgare tutte le sue iniquità, e, quasi non bastassero le vere, di calunniarlo. I vitu- peri che i principi pubblicarono in quel tempo gli uni contro gli altri, le accuse di veneficio e di assassino che si ricambiarono, desterebbero la meraviglia degli uomini dell’età nostra. Se peraltro si prescinda dall’ abilità, gli altri principi di Fra cia non erano men tristi del re. “ In fatto di mala fede e 3; di ferocia Luigi XI non era più depravatu di Carlo il Temera- 3; rio, del conte di Armagnac e della maggior parte de’ suoi ne- ‘ 3 mici , era solamente più abile, e benchè la sua abilità fosse » talvolta un laccio per lui dava a conoscere il sistema della ». sua politica. Era perciò maggiormente odiato poichè pareva »; aver ragionato il delitto mentre gli altri il commettevano per » istinto ,,, Nè questa cattività de’ principi era della Francia solamente , ma in Spagna ed Inghilterra eran gli stessi, e si videro nel tempo di Luigi XI due fratricidi nelle case reali di Spagna e d’ Inghilterra. Anche Luigi fu accusato d’ aver fatto morire il fratello che era nominalmente capo de’ suoi nemici, ma l’ accusa pare calunniosa. Tuttavia , ad udire come ne parla Brantomme scrittore del secolo XVI, si vede che morale lasciò in retaggio ai grandi il secolo decimoquiuto. Riferirò le parole francesi di Brantomme. Entre plusieurs bons tours de dissi- 3, mulations, feintes, et prouesses, et galanteries, que fit ce bon 3; roi en son temps, ce fut celui, lorsque par gentil industrie il s> fit mourir son frere duc de Guienne quand il y pensait le 3; moins ,,. Lo stesso scrittore riferisca che il pazzo del re lo in- tese una volta pregare la madonna nel modo che segue. “ Ah sy ma bonne dame, ma petite maitresse , ma grande amie , » en qui j'ai en tuujours mon reconfort, je te prie de supplier 3» Dieu pour moi et etre mon advocate aupres de lui; qu’il me so perdonine la mort de mon frere que j’ai fait empoisonner par 33 ce mechant abbè de S. Jean. Je m'en confaisse a toi comme sx a ma bonne patronne et maitresse ; mais aussi qu’aussè je su »> faire ? Il ne faisait que me troubler tont mon royaume ; fais 3» moi done me perdonner ma bonne dame et je sais ce que je te ss donnerai ,;. Luigi XI, che mell’ eccesso del suo dispotismo sapeva far delitto delle parole, impor silenzio ai popoli, ed ordinare crudeli esecuzioni contro quelli che parlavano contro'il suo intendimento, non si adontò contro coloro che lo accusavano di essersi liberato T. II. Agosto. 2 10 del fratello col. veleno. Tavta era l’impudenza ‘con che si'so- stenevano gli assassinii politici ! Era il re assai devoto, e divenne quasi bigotto negli ultimi anni del viver suo. Quando giurava sulla croce di S. Laud, os- servava il giuramento , per l’ upinione che mancando alla fede sarebbe perito nell’ anno. Gli altri spergiuri non. lo spaventa- vano. Le persone de vescovi e de’ cardinali furon sacre per lui, e non osò mandare a morte neppure i rei di alto tradimento che aveano siffatte diguità. Fu liberale inverso la chiesa, ma non si lasciò mai gove:nare dai preti, ed anche negli. ultimi anui del viver suo si aduntò perchè l’arcivescovo di Tours, alle orazioni del qual: molto s1 raccomandava , osò fargli delle rimo- stranze sui patimenti de popoli. Quasi eguale in potenza al re di Francia era il duca di Bor- gogna. Feudatario dell’ impero e deila Francia avea nei suoi do- ivinii l'Olanda Ha Fiandra, la Borgogna , l’Artois, la Piccardia, la Franca Contea; ed in alcuni tempi si estese sino alle vicinanze di Lione. Avvezza già la famiglia di Borgogna sotto i regni pre- cedeuti ad alimentare le fazioni di Francia , avea da per tutto de’ partigiani , e conosceva tutte le pratiche della guerra civile. 1 priucipi malcontenti si volgevano a lei per averla in sosteguo delle loro macchinazioni. Per altro il duca Filippo soprannomi- nato il Buono finchè resse da se il governo dei suoi stati, non vole dipartirsi dall’ amicizia di Luigi XI, verso il quale. avea praticati tanti benefizii , che riputava ad onore il far l’opera compiuta. Ma il figlio di Filippo, Carlo soprannominato il Te- merario , avea nell’ animo altri sentimenti. Per lungo tempo era stito guasto col padre, nel modo istesso che Luigi col padre suo, ma dechinando il duca Filippo alla vecchiezza si pacificò col figlio , e gli rimise le redini del governo (1464). Allora co- minciossi ad ordire una trama tra i principi del sangue, tra i quali era il fratello del re; contro Luigi XI, per obbligarlo colla forza delle armi ad esser re di vano rome. Eran pretesti all’ imprese de’ principi i patimenti de’ popoli , le conculcate libertà nazio- nali, ma il motivo che gli spingeva era un desiderio di spartirsi gli utili delle provincie di Francia , e di porre in tutela un re che temevano. La trama stette occulta un anno , scoppiò final- mente in aperta guerra nel 1465. Questa guerra , detta del den comune per ‘le belle parole che servirono di pretesto ai principi, si risulvette in una battaglia a Montlhery vinta da Carlo il Te- merario . nella quale peraltro non si vide nè grande abilità di capitani, nè gran valore di soldati. Luigi fu costretto a firmare ri un umiliantissimo trattato a Conflans nel quale. concedeva ai principi quasi ogni loro dimanda. Luigi stesso confessava che, se i: principi fossero stati più abili, esso avrebbe potuto perdere il regno. Il disprezzo del genere umano , la svergognatezza nel vio - lare la data fede, crebbero in Lvigi X1 dopo l’ umiliazione di Conflans. Ma aspettò dal tempo la vendetta. E benchè non stesse mai senza macchinare qualche intrigo, e tutto adoprasse a disu- nire i principi, tuttavia i suoi successi eran mumentanei , perchè sempre il comune interesse riuniva i suoi nemici, Così per molti anni fu forza a Luigi XI contentarsi di piccoli successi a car:s- simo prezzo guadagnati. Frattanto Carlo il Temerario non nutriva altro disegno che di farsi assolutamente indipendente di diritto ,, come già lo era di fatto, e di ornare la sua testa di regia corona. Avea un bhellis- simo esercito dove si contavano molti Italiani, da che in questo secolo i capitani d’ Italia preser molta parte nelle guerre di Fran cia, un tesoro ricchissimo , superbe gioie, provincie fiorentissime, | fasto di corte superiore a quello de’ maggiori re d’ Europa , fa- vore dei principi francesi, sperava poter acquistare la Provenza per trattato , e dise:nava coronarsi re della Francia belgica. Di animo coraggioso e forte era ostinato in ogni suo volere, si cre» deva un gran capitano. avea modi alteri con tutti, il perchè si disgustò molti amici e servitori che furon ben accolti dal re, era erudele e vendicativo , conculcava i diritti de’ popoli soggetti e poco sapeva dominare se stesso. Diverse città della Fiandra gli si ribellaron sovente, sollecitate da Luizi XI che poi le abban- donava, e, benchè fossero sempre vinte e trattate colla solita barbarie che in quel tempo adoperavasi coi borghesi in Francia, recarono non piccoli impacci a Carlo. Ma la potenza di questo principe ambizioso fu rovinata per due segnalatissime distatte ‘in Svizzera, per cattivi successi in Germania, e per un'ultima disfatta che ebbe dal duca di Lorena ( 1476-77). Morì sul cam- po di battaglia il 5 Gennajo 1477 lasciando di se un unica fi- glia. Luigi XI occupò come feudi ricaduti la Borgagna , l’Artois, e la Piccardia , e tutte le città che erano state cedute al duca «i Borgogna da Carlo VII. Pretendeva avere anche le Fiandre per diritto di tutela ; e trattava di unire in matrimonio il Del- fino colla duchessa erede. Ma ai fiamminghi non piaceva pas- ‘sare sotto la signoria dispotica del re di Francia ,.e la duchessa .vi avea particolare avversione. Laonde fu.concluso il matrimonio «con Massimiliano d’ A ustria figlio dell’ imperator Federigo.IIJ. 12 Il nuovo signore delle Fiandre ruppe la guerra col re di Fran- cia. Vi fu una battaglia sanguinosissima a Guinigat-e (1479), seguita da una tregua per lo spossamento di ambe le parti , che poi si mutò in pace negli ultimi tempi della vita del re. Rima- sero a Luigi XI la Borgogna, e le altre provincie francesi ria- cquistate , ma la Fiandra fu perduta per sempre, e la Franca Contea non si acquistò per allora alla monarchia francese. Nel tempo che Carlo era distratto dalle imprese contro gli Svizzeri, Luigi:XI compì molte vendette in Francia, assai più ne fece dopo la morte di Carlo. I conti di Armagnac , di San-Pol , i duchi di Nemours , d’ Alangon furon fatti perire miseramente. La Provenza ricadle per successione alla corona di Francia (1481). Gli altri principi del sangue furon umiliati , e resi impotenti ad eseguire i loro mali ‘disegni. La Savoja , il Piemonte , ed il duca di Milano vennero in stretta lega col re , il quale a forza di de- naro seppe auche guadagnarsi l’Inghilterra, benchè nella nazione inglese fosse ardentissimo il desiderio di portar la guerra in Fran- cia, e molte pratiche si tenessero dai principi francesi per sti- molare Eduardo IV a recuperare la corona di Francia. Grande fu pure da pertutto l’ industria del re a mantener la pace colle potenze estere, ed ebbe la consolazione morendo di veder com- piuti tutti i suoi disegni. Tuttavia, sia la forza dei mali fisici ond’ era aggravato , o il disprezzo che sempre in lui si accrebbe per gli uomini, divenne negli ultimi anni suoi sospettoso e crudele. Stava in gran timore della propria vita , ed i regii timori producevano molte vittime. Prese in diffidenza l’ esercito . licenziò dieci compagnie di ordinanza e vi sostituì gli svizzeri, concesse ai signori ed alle parocchie il riscattarsi per denaro dai servigi a cui gli obbligavano le ordinanze di Carlo VII, ed antepose le truppe mercenarie alle nazionali (1480). Sino agli ult mi del viver suo tenne fortemente in mano le redini del governo, e quasi pareva che non volesse che i popoli conoscessero esser lui indebolito ed avvicinarsi al sepolcro. Prima di morire dette buoni consigli al Delfino, e confortollo a mante- nere almeno per sei anni la pace del regno. Morì. alternando sempre discorsi di politica alle pratiche di devozione, il 30 ago- sto 1483. Lasciò un libro intorno alle massime di governo inti- tolato Rosier des guerres, il quale si conserva manoscritto nella biblioteca del re, nè è stato mai pubblicato. I principi ed i popoli si dolsero molto di Luigi XI, perchè nè agli uni, nè altri serbò mai la parola. Morì con nome di tiranno. Nondimeno questo re fece molte cose utili alla Francia. 13 Favorì molto il commercio con trattati vantaggiosi, e col- l accordare privilegi a molte fiere. Ebbe in favore la coltiva- zione de’gelsi e l’industria de’filugelli. Ordinò le poste per tutto il regno per servire principalmente ai bisogni del governo (144). Dette molti insigni privilegi a diverse città, ed armò e distribuì in compagnie i borghesi. Favorì la stampa, e per la protezione sua tre stampatori te- deschi vennero a stabilirsi nel palazzo della Sorbona (1470). Isti- tuì l’ ordine militare e cavalleresco di San Michele (1469). Con l’ordinanza del 21 ottobre 1467 stabilì il. principio della inamovibilità der giudici. Ma non ne rispettò sempre l’in- dipendenza. Oltre di che spesso faceva giudicare i rei da dei commissari tra quali divideva i beni confiscati. Acquistò una trista fama in queste commissioni Tristano 1’ Eremita , il quale sovente faceva giustiziare le persone odiose al re senza la minima forma di processo. Negli ultimi anni della vita fece una legge atroce sui delitti di lesa maestà , sottoponendo alla pena di morte quelli che avendo scienza delle trame non le rivelavano (1477). Questa legge, che in sostanza ripeteva il diritto romano, e lin- terpretazione del Bartolo, e fu diverse volte applicata ariche in Italia , venne riguardata con orrore in Francia, e rigettata dalla giurisprudenza. Tuttavia in tempi più vicini a noi il consigliere de Thou fu la vittima di questa legge , comecchè gli avvocati si sforzassero a dimostrare che dessa non era ricevuta dall’uso. Nel principio del regno, Luigi XI avea con una lettera or- dinato che la prammatica sanzione non avesse più vigore (1461). I parlamenti per altro la ritornarono in osservanza quanto alle provvisioni de’ benefizi pochi anni dopo la lettera regia (1464). Finalmente Luigi XI stesso con un’ ordinanza di Blois del 1478 ristabilì molte cose secondo la prammatica sanzione. Perocchè sebbene, come dicevamo, Luigi fosse molto devoto, tuttavia non si scordava mai di esser re ed assoluto signore. Tenne due volte gli stati generali (1468) ed un'assemblea di notabili 1470. Ne cavò profitto assai; ma le liberta pubbliche non vi guadagnarono gran fatto. Le gravezze de’ popoli raddoppiarono ‘sotto Luigi XI ben- chè ai principiì del ‘regno avesse promesso allegerirle. Carlo VIII alla morte del re Luigi avea 13 anni e due mesi. Il duca d’ Orleans era 1’ erede presuntivo della corona se Carlo mancava senza figli. Il duca di Bourbone, come più anziano de’ principi del sanzne, e molto amato da’snoi vassalli, meritava : molta considerazione nelle cose del regno. Ma la sorella di Carlo, 14 Anna di Beaujeu ; che molio teneva della natura del padre , si era quasi impadronita del potere, e conduceva il fratello a suo talento. Fu pensato di convocare gli stati generali. a Tours. Gli storici di quel tempo poco ragionano di quest? adu- nauza. Ma i fogli delle doglianze, ed un processo verbale-di Messalin, manoscritto della biblioteca. del re sempre inedito , danno molta luce su questa celebre radunanza. La quale di- mostrò quanto avessero progredito |’ idee sui diritti dei popoli , e sul modo di provvedere ai bisogni sociali. Dal 1355 non vi era stata adunanza di stati generali , che avesse dimostrato tanto animo e tanto sapere quanto quella di Tours del 1484. Cercò di informarsi di tutte le parti del- l’ amministrazione, e domandò che in avvenire ogni due anni si teuessero gli stati generali. “ Poichè, dicevano, non intendono 3» che alcune imposizioni sieno poste senza che gli stati sieno 3» Chiamati e diano il loro espresso consentimento ; conservando »» le libertà ed i privilegi di ciascuna provincia ,,. Il terzo stato fece molta forza perchè fosse ristabilita in tutto la prammatica sanzione; lamentandosi assai dei denari che calavano a Roma, a cuni si attribuiva in gran parte la miseria del popolo. L’armata, l’amministra zione della giustizia, le pensioni accordate troppo liberalmente dal passato re, i domini della corona alienati, le leggi sulla caccia, i provvedimenti di commercio, i dazi del sale richiamaron 1’ attenzione degli stati » e su tutti questi punti -parlaron fortemente e proposero savie riforme. Furon anche rac- comandati dagli stati alla clemenza regia quelli che aveano più sofferto della passata tirannide. Lo stato miserando dei popoli fu esposto con energia. ‘ Le pauvre peuple ,; dicevano jadis ,, nommé francais et ores de pire condition que le serf ,.. Og- getto di gravi discussioni si fu la composizione del consizlio dei re. Orléans, Bourbone, e I Anna di Beaujeu contendevano il potere ed intrigavano presso gli stati. I quali decisero che il re potesse far tutti gli atti di maggiore, presiedesse il con- siglio in sua assenza il duca d’Orleans, dopo di lui il duca di Borbone contestabile del regno, e 1’ Anna di Beaujen. ri- manesse nel luogo che avea sempre tenuto. Volevano che fos- sero aggiunti al consiglio dei rappresentanti delle sei nazioni che componevano gli stati; da che gli stati generali avean preso a deliberare per nazioni, ed erano di Francia, di Borgogna, di Nor- mandia, d’ Aquitania, di Linguadoca, e di Lingua d’Oil. Fu fatto intendere agli stati che non doveano occuparsi di queste deliberazioni da che il potere era devoluto di ragione ai prin. 159 cipi del sangne: Allora sorse Fil:ppo Pot sighore della Rocca, e tenne il seguente discorso. « Innunzi tratto desidero che voi » siate ben convinti che la cosa pubblica altro: mon è che la » cosa del popolo, il quale l’ ha confidata ai re; che quanto a 3, quelli che in altro modo 1’ hanno posseduta senza averne il 3 consenso del popolo non han potuto esser reputati che tiranni 3, ed usurpatori delle cose altrui. Parimente è manifesto che il 3) re non può governar da se la repubblica ; fa duopo adunque »; che la governi pe: le cure e ministero ‘altrui. Ma la cosa del »» popolo in tal caso non deve ricadere in qualcuno de’ principi 35 in particolare o a diversi; essa appartiene a tutti. Al popolo », che l’ha ‘data deve ritornare perchè la riprenda come sua , 3; tanto più che una lunga sospensione di guverno o una cattiva »> amministrazione cagionan sempre la rovinia del popolo ..... ») Chiamo popolo non già la plebaglia 0 i sudditi del regno ma 5; gli uomini di tutti gli stati, perchè sotto nome di stati generali »» gli stessi principi sono compresi, e fra tutti quelli che abi- 3; tano il regno niuno è escluso. Difatti niuno nega che i prin- 33 cipi sieno compresi nell’ ordine della nobiltà } di cui souo' i >> membri più distinti ,,. Queste stesse teorie sulla sovranità degli stati generali erano state messe iu versi, ed avean circolato per Parigi a tempo della guerra del ben comune (1405). Con tutte queste belle teorie, e con tutti gli sforzi fatti , poco ottennero gli stati generali, e furon disciolti dopo due mesi. Gli stati non facevano le leggi ma limitavansi ad esporre le do- glianze. Tra le quali il consiglio del re sceglieva le più confa- ceuti a’ suoi disegni, e le mutava in ordinanze. f! deputati agli stati generali furono in tutti 246. Non vi erano regole precise sul modo delle elezioni, nè il numero dei deputati delle pro- vincie era proporzionato al diverso grado di popolazione e di ricchezza. Sciolti gli stati generali Anna di Beaujeu riunì in se tutto il potere. Macchinarono contro di lei i principi, ma gli seppe vincere agevolmente. Il suo governo, che durò circa dieci anni, non fu macchiato di crudeltà. Venne in questo tempo a mortè il duca di Bretagna lasciando una figlia (1483) la quale fu ma- ritata a Carlo VIII, e così la Bretagna si riuni alla corona (1491). Maicò a questo modo un potente appoggio ai principi del san- gue per intrigare contro la monarchia, e mancò all’ Inghilterra un potente alleato sulle terre di Francia. In siffatta guisa i de- siderii di Luigi XI si andavan compiendo anche dopo la morte sua. 16 Giunto il re Carlo a 20 anni prese da se le redini del go- verno , e cominciò con atti di clemenza. In tutto il suo. breve regno mantenne molta benignità di natura , e modi veramente gentili. Del resto era assai scostumato; alieno dagli affari, e pieno di idee romanzesche. Desiderava imitare Carlomagno, e però pose mente alle imprese d’Italia con disegno di passar poi con- tro i Turchi. Fino dai tempi di Luigi. XI la politica. francese avea volti gli occhi alla nestra penisola. Quel.re si era. affezio- nato il Piemonte, avea pratiche in Genova, cercava il favore dei fiorentini, ed erasi fatto cedere le ragioni della casa di Angiò sul regno di Napoli. Queste opere della previdenza di Luigi XI favoreggiarono Carlo VIII sollecitato molto alla guerra da, Lo- dovico il Moro. Ma Carlo condusse tutte le cose senza prudenza e senza consiglio , talchè fu perduta l’Italia per lui colla stessa facilità con che l’ avea acquistata. Tuttavia la calata dei fran- cesi dai monti dette principio a’ trent'anni di continue calamità per l’Italia, che terminarono colla rovina della civiltà italiana. Noi non toccheremo le cose d’Italia perchè notissime, e ci atterremo soltanto a quello. che riguarda la storia civile di Francia. Carlo morì senza figli mentre disegnava una seconda spedi- zione in Italia, e lasciò il regno al duca d’Orleans che fu Lui- gi XII (1498). Il quale per assicurarsi la Bretagna sposò la ve- dova del defunto re. Luigi XII appena salito sul trono pensò a riprendere le imprese d’Italia. Avea pretensione sul ducato di Milano come discendente di Valentina Visconti. Le sue armi furono in’ prin- cipio fortunate , ma l’odio che i francesi si concitavano ne’ po- poli, e la loro perfidia nel violare i trattati, e nel tradire e ta- glieggiare i più fidi, alienarono sempre i popoli e gli. impe- dirono di mantener le conquiste. In tutte le sue relazioni diplo- matiche Luigi XII non ebbe altra regola che il privato iuteresse, e mai osservò la data fede dove questa fosse contraria al- l’util suo. Ma questo principe, che cagionò tanti mali all’Italia e tenne condotta ignominiosa nelle relazioni estere, in Francia ebbe no- me di padre del popolo. Alleggerì i popoli di molte gravezze , e provvedè alla giu- stizia nella percezione delle imposte. Avea trovato l’ erario esau- sto, ma colla buona amministrazione seppe presto ristabilire le finanze. Era economo dei denari pubblici e niente rapace del- l’altrui, Fu puntuale nella sodisfazione di tutti gli impegni prisi, 17 e così trovò al bisogno chi gli prestasse. Pagò sempre regolar- mente le truppe, ed il paese fu libero dalle vessazioni de’militari. Finchè i casi della guerra gli furon favorevoli, non accrebbe le gravezze de’ popoli per alimentarla. La misera Italia provve- «deva alle spese della guerra, ed arricchiva i soldati ed i capi- tani francesi. Mutata fortuna nou pare che le gravezze cresces- sero di molto. i ‘Molte ordinanze si hanno di questo re che attestano assidue cure nella riforma dell’amministrazione. Fece delle riforme nella "procedura civile e criminale (1498), restrinse i privilegi dell’uni- versità di Parigi che sovente eran di impedimento all’ ammini- stsazione della giustizia (1498) ; istituì due nuovi parlamenti a Aix ed a Rouen, impedì le persecuzioni de’poveri Valdesi (1901), ordinò che i giudici fossero dottori , e così tutto il poter giudi-. ciario venne in mano de’ legali (1511). Coll’ ordinanza di Blois del 21 gennaio 1510 volle ‘ che tutte le consuetudini del regno fossero concordate nell’ assemblea de’ tre stati in ogni bailiag- gio (senechaussée) , esaminate e ridotte in scritto da commissari a »» tal uopo nominati, e quindi rese pubbliche per essere in avanti ,» riguardate come leggi senza bisogno di produrre ne’ parla- », menti altro che l’estratto delle medesime ,,. Nel 1515 fu stam- pata una raccolta di queste consuetudini di Francia. Due volte furon tenuti gli stati generali (1501, 1506), ma queste adunanze furono insignificanti. Poco si sa degli stati pro- vinciali. Se non che è notato che quelli di Linguadoca del 1514 si imposero da sè il giuramento del silenzio su tutto quello che facevano. Il clero fu molto vssequioso al re, ed in alcune occasioni compiacentissimo. Ne’ disgusti temporari colla corte di Roma tor- narono in campo i decreti di Basilea, e si tenne il meschino conciliabolo di Pisa. Ma il re repugnava dalle discordie colla corte romana, e la regina assai più di lui. Fece qualche riforma negli ordini religiosi che erano a Parigi (1502). I parlamenti non osavano ancora intrigarsi nelle cose di stato. Attendevan solo all’amministrazione della giustizia e molto favorivano il poter regio. Si fecero sentire talvolta per Je libertà gallicane, e ne passati regni fecero qualche lamento per la vio- lenza che far si voleva alla coscienza de’ giudici. I principi del sangue diminuiti di numero e di potere non davan più pensier. al re; e la guerra esterna contribuiva non poco alla tranquillità del regno ; tutto insomma piegava sotto il potere assoluto del monarca. T. IMI Agosto. h) 18 Le guerre d’Italia piacevano mo!to ai francesi per 1’ occa- sione di arriechirsi che proeuravano. Nè vi fu mai difficoltà a_ra- dunare gli eserciti, accorrendo tutti volontariamente sotto le bandiere. Gli storici di Luigi XII sono stati quasi tutti panegiristi. Occupati delle imprese militari, pochissimo hanno detto delle cose interne del regno. Non si può conoscer pienamente la sto- ria di Luigi XII, senza ricorrere agli scrittori italiani, che pare avessero nell’ età seguente molto credito anche in Francia. La vita della nobiltà francese era lieta , e pare che il re permettesse molta libertà all’allegria. ‘ Vi era allora, dice uno 3» scrittore sincrono , tanta libertà presso i francesi, che i co- 3» mici rappresentarono a Parigi sulle pubbliche scene il re ma- s» lato che domandava da bere, e non volea altra bevanda che s: l'oro potabile ; e Luigi invece di adontarsene e punirli si mise 3» a ridere lodando la libertà del popolo ,. Il gusto delle belle urti e la cultura dell’ ingegno crebbe in Francia, e fu frutto delle cresciute relazioni coll’ Italia. Ma l’odio feroce dell’ aristocrazia contro i borghesi , e l’ indifferenza pei patimenti di quest'ultimi mon vennero mai meno, e passarono in retaggio ai più tardi nepoti. Morì Luigi XII il primo gennaio 1518, senza successione mascolina. In meno di un secolo la Francia si era liberata dalla pre- potenza straniera , la monarchia dalle fazioni de’ principi del sangue, la legislazione si era molto perfezionata ; la forza mi- litare accresciuta, ed i francesi cominciarono a prendere il posto di una delle prime nazioni di Europa. Dall’Italia molto ebbero di lumi e di civiltà , mentre vi portarono orribili sventure. In perfidia i signori di Francia non avean bisogno delle lezioni dei tiranni d’ Italia, in crudeltà gli avean sempre superati. Contut- tociò l’ amor di patria , il desiderio della gloria , e la longani- mità del soffrire annunziavano che i francesi potevano diventare quello che sono stati e sono, una grande e laudabile nazione. Fr. FortI. 19 Histoire du commerce entre le Levant et l'Europe , depuis les croisades jusqu’à la fondation des colonies d’ Amérique , par G. B. Drrrine, etc. Opera ch'è stata coronata nel 1828 dalla R. Accademia delle iscrizioni ; e belle lettere dell’ Isti- tuto di Francia. Parigi, dalla Stamperia Reale 1830, due volumi in 8.° » Vel Megaram usque ,,. Platone. (Vedi fascicolo precedente pag. 26.) ArticoLo II ED vLTIMO. Ma nel tempo che le guerre marittime ele civili discordie rovinavano Pisa, la vicina e più moderna Firenze erasi apporo appoco sollevata , ed ingrandita nell’ ombra, ed anche in mezzo alle discordie , ed alle fazioni; inguisachè si mostrò, ad un tratto, un’emola formidabile nelle imprese mercantili. Non si conosce , dicè il signor Depping, per quali vie, o circostanze par ticolari i fiorentini si fossero addati alle arti d’ industria. Queste vie, o circostanze sono peraltro state brevemente sì; ma con molto acume, sviluppate nel Saggio sul commercio dei toscani, dall’egregio nostro Lorenzo Pignotti composto, e pubblicato nel tomo settimo della sua storia della Toscana sino al principato; Saggio che il sig. Depping sembra del tutto ignorare. ‘ Tutti 3; quasi gli italiani ,; dice il Pignotti, ‘ furono per un tempo ss coperti di pelli, uso portato nel lor paese dai barbari con- > quistatori del norte ; ma siffatto lusso settentrionale non po- 3 teva durare in climi tanto più dolci; e tanto più dovette di- > minnire quando cessò il dominio di quei barbari, e che non s> fu più necessario il tacito lusinghiero omaggio di imitarne le » vesti. La libertà acquistata dalle italiane città, tolti i ceppi » che le violenze } e la cattiva legislazione ponevano all’ indu- 3; stria; aguzzò gli ingegni a ristabilire il commercio, e le arti » perdute. Firenze fu delle prime: il suo sistema politico si sta- » bilì sul commercio. Niuna persona inutile poteva aver parte o al governo; fa perciò tutta la popolazione divisa in arti, il ss numero delle quali, benchè vario in varii tempi, si ridusse a 3; ventuno , sette chiamate maggiori, e quattordici minori. Da 3) queste si traevano i magistrati, che doveano reggere a tempo s la repubblica: i nobili stessi o erano esclusi dal governo , o »» doveano ascriversi a qualcuna di quelle , se amavano avervi 20 », parte. Il Landino con ragione riguarda questo popolo come s> le api industriose, che non permettono che alcuno individuo »» resti ozioso , o.il cacciano dal loro alveare, Nel rinascimento »3 delle arti, le più semplici, e facili son le prime ad essere col- »» tivate ; e perciò quelle che si occupano a vestire il popolo. 3» Dopo che la moda boreale delle pelli andò in gran disuso , »» restò per qualche tempo l’ uso delle pelli d’ animali comuni »» nude di pelo, e il gran fiorentino poeta, e il Villani vantano »> la frugale semplicità dei più grandi cittadini vestiti di pelle ») scoperta. La lana però ebbe presto la preferenza. Le sette arti »» maggiori erano le seguenti : 1.° Giudici, e Notai; 2.0 Mer- »» canti di panni franceschi; 3.° Cambiatori, 4.° Arte della »» lana; 5.° Medici, e Speziali 6.° Setaioli, e Merciai; 7.0 Pel- » licciai. Le 14 minori comprendevano i mest.eri più bassi, i », quali erano compresi sotto alcuna di esse ,,. Ma fu sopratutto l’arte di preparare , di filare, di tessere, di tingere , e di lustrare i panni di lana , che divenne il prin- cipale ramo d’ industria dei fiorentini; non perchè esc'usivamente esercitassero un’arte sì facile, ma per l’industria con cui seppero perfezionarla, E quest’arte era già tanto estesa in Firenze nei primi anni del secolo decimoterzo, che avea di già i suoi consoli, e se non dovette, come alcuno ha creduto, la sua introduzione agli Umi- liati, duvè riconoscere da loro una parte della sua perfezione. La loro introduzione in Firenze fu circa l’anno 1239; ma dopo avere appreso tutte le finezze, cui questi religiosi avean portata l’arte, l’ industrioso popolo fiorentino la spinse molto più innanzi: le leggi, e i saggi regolamenti ne promossero tanto la perfezione, che pochi erano i panni in Europa non ordinarii, che non fos- sero passati per le mani dei fiorentini. Questi raffinamenti, che i forestieri non sapevano imitare, e che rendevano gli stessi panni tanto più belli, invitavano i compratori a Firenze; quirdi è, che non potendo la città soddisfare alle domande, faceva venire dai paesi ove si fabbricavano , come dal Brabante, e dall’ Inghil- terra, una gran quantità di panni greggi, ovvero li facea fab- bricare a conto proprio: e colla tintura , cimatura , ed altri ar- tifizii, dava loro quella perfezione, che gli stranieri compratori desideravano. Questa rivendita portava seco un’ immenso gua- dagno, e durò ad arricchire i fiorentini, tinchè gli stranieri non appresero le medesime finezze dell’ arte. Da molto tempo l’Inghilterra, la Fiandra, e la Francia som- ministravano le lane alle industriose città dell’Italia ; ed in quei paesi provvedeansi pure i fiorentini , avvegnachè non possedes- 21 sero nè porti ili mare . nè navigli pell’ asportazione delle’ mer- canzie. Aveano per altro conchiuso trattati colle città .situate sulle grandi strade dell’ Italia , ed ottenuto dai pisani un luogo di deposito ; od una spezie di porto franco. Venuti poi a con- tesa con loro, chiesero, ed ottennero dai sanesi il porto di Tela- mone ; mA poco soddisfatti di esso, adoprarono tanto che nel 1421 i genovesi vendettero loro quello di Livorno, per centoventimila scudi: di oro. Divenuta con ciò Firenze una delle più ricche città d’Italia, e forse dell’ intera Europa, volle essa pure avere la sua marina, trafficare col levante, e far risorgere le fattorie che la decaduta Pisa avva fondate in quelle regioni. Acquistato perciò appena il porto di Livorno, fu subito îstituito un magistrato per gli affari marittimi ; si costrussero le prime galee , e si mandarono agenti con amplissime istruzioui nell’ Egitto per ottenervi, come eredi dei pisani, gli stessi vantaggi di cui eglino aveano goduto appo i musulmani. Un trattato corchiuso col soldano diede comincia- mento ad una mercatura d’immenso guadagno, non solo coll’ E- gitto , ma sì bene colla Siria , coll’isola di Cipro, con Costan- tinopoli , colla Morea , ed anche col mar Maggiore, e di là col- l'Armenia. Fa per altro gran pena, che tanta gloria di prosperità dovuta all’ industria, fosse poi col tempo macchiata dalle alle- anze, che fecero i fiorentini coi turchi contro i veneziani loro ri- vali ,- e nemici. Ebbero nientedimeno la gloria di essere i primi ad abolire, e di vietare l’infame mercimonio degli schiavi, e l’ asportazione d’ armi, e di ferro colle galee del Levante. Le quali galee furono dapprima due sole; ma pochi anni dopo ne esistevano già vensette , cioè dodici grosse; e quindici sottili.. Dietro l’ esempio dei veneziani, Firenze regolò in picciolo l’ or- dine delle sue spedizioni d'oltremare. Quelle di oriente com- prendevano Costantinopoli ed i porti del mar Maggiore, ma più specialmente quelli di Caffa , e Trebisonda; potevano di là esten- dersi fino ad Alessandria, ed all’alta Barberia, cioè fino a Tripoli e Tunisi. Le spedizioni di occidente abbracciavano la Barberia inferiore da Bona in là , non che Maiorca, Minorca, e più tardi le coste dell’ Atlantico , la Fiandra, e l’ Inghilterra. Al ritornò delle navi, doveano queste appredare nel porto di Pisa. De’quali due rami di commercio marittimo , che non era mai lecito di ‘confondere , abbiamo ragguagli preziosissimi nelle succitate opere di Balducci Pegolotti, e di Giovanni d’ Uzzano, dal sig. Dep- ping con molto acume analizzati nel libro suo, che. stiamo no- tomizzando. 22 ‘Fino dall’anno 1430 it governo della fiorentina repubblica non fece più, per suo proprio conto, le spedizioni d’ oltremare ,; ma le ubbandonò a privati specolatori, che pocostante fecero di Firenze la sede del lusso, delle belle arti, e del buon gusto » a mi.lgrado di tutte le prammatiche , e le cibarie della repub- blica. Nella compra di Livorno avea questa però dovuto soscrivere ad nna condizione pregiudizievole assai alla sua marina; ed era di abbandonare a quella dei genovesi il trasporto di tutti i ca- richi di lana, che doveano sbarcarsi sulla costiera di Genova. Fra le più ricche case commercianti di quella età si cita ; fin verso la metà del secolo tredecimo, quella degli Alberti di Firenze, che possedeva stabilimenti a Bruges, Avignone, Napoli, Barletta, Venezia, ed altrove. I Rucellai aveano importato dal- l’oriente l’ arte della tintura col chermes, l’indaco , la rubbia , e l’oricella , ed in nessun luogo dell'universo si facevano panni scarlatti così belli come quelli di Firenze. Già nel 1338 vi si con- tavano più di dugento fabbriche di siffatti panni, che davano an- nualmente da settanta ad ottantamila pezze di scarlatto. Di queste fabbriche contavansi venticinque ne la sola via Calimdra, e vende- vano aunualmente per trecentomila fiorini d’oro di manifatture. Parve ; dice ancora il n. A. , che il genio e lo spirito mer= cantile, e bancario fosse innato appo i fiorentini; già nei secoli duodecimo, e tredicesimo si vedeano in Firenze banchi, e case di prestito come quelle dei Lombardi. Fu soprattutto ai principi che quei banchieri prestavano i loro danari; venti per cento all’anno era la tassa ordinaria dell’ usura, ma non di rado saliva pure al trenta, ed al quaranta. Epperò non è da stupirsi, se la mag- gior parte del numerario allora in circolazione passasse fra le loro mani, e che quegli usurieri fossero i più ricchi uomini dell’ÉEn- ropa. Molte di quelle case coll’ influenza, e la considerazione di cui godevano nell’ estero, vi proteggeano, e favoreggiavano la mercatura fiorentina. Tantochè i Peruzzi, i Bardi, ed altri che negoziavano largamente in tntte le parti del mondo conosciuto; ottennero in Cipro , ed in Armenia privilegii grandissimi, e ne fecero godere i loro concittadini meno doviziosi. Finì per altro la casa de’ Peruzzi con un fallimento strepitosissimo di oltre sette milioni dei nostri zecchini , il quale rovinò molte altre in Firenze, e nominatamente i Corsini, gli Uzzani, ed i Buonac- corsi. Quella dei Medici, che s’ innalzò come ‘esse . specolando sulle lane, e sulle spezierie , fece una fortuna più solida, e le furon bentosto confidati il reggimento, la prosperità , e la gloria della patria. I Pazzi, i Capponi, i Martelli, i Buondelmonti, 23 i Falconieri, i Portinari, ec. contavano pure fra 1 più accredi- tati, e più solidi mercatanti di quella età. E. per ultimo, argo- mento della gloria mercantile dei fiorentini di quei tempi, non ‘sarà fuor di proposito l’ osservare, che appunto dne negozianti di Firenze ci hanno dato ; per due svcoli dive:si , due trattati di commercio pieni zeppi di ragguagli al maggior segno preziosi, ed ‘importanti; non solo del commercio fiorentiuo , ma di quello an- cora di tutte le piazze mercantili del mondo allora conosciuto , colle mercanzie.i pesi, le misure, le monete , i cambii , i dazii, le contrattazioni , ec. di quelle diverse piazze, ed epoche. Abb:‘amo certa lusinga, che i leggitori dell’Antologia condo- neranno alla nostra parzialità per la bella Firenze, questa non breve esposizione della sua storia mercantile, che termineremo ripetendo col Pignotti , che il commercio era I’ arte più onorevole dei suoi abitanti ; che il disonore che portava seco il fallimento ‘dovuto anche alla disgrazia, la pena che si estendeva per tutta la linea mascolina del fallito, di non potere più esercitare la mercatura , e l’obbrobriuso spettacolo a cui erano condannati i debitori insolventi , risvegliavauo «la ogni lato, e senza inter- ruzione , la fiorentina avvedutezza. È notissimo , che era il de- bitore condotto in pieno giorno nel luogo più popolato della città , alla loggia di Mercato Nuovo, ed ivi gli si facevan bat- tere le natiche sulla pietra bianca , e nera. Fra le altre piazze italiane allora famose pel loro commercio, eravi nel regno di Napoli la piccola città di Amalfi, che nella mercatura col Levante avea preceduto tutte le altre. Guglielmo di Tiro, scrittore del secolo duvdecimo , parlando d’ un epoca molto anteriore alla presa di Gerusalemme , ci assicura esser gli amalfitani stati i primi italiani che introdussero nella Siria, e ;mell’Egitto, mercatanzie infino all’ora non conosciute in quei paesi. Uno dei fondamenti della marina; la bussola , se non è inven- zione di Flavio Gioia amalfitano s pare nondimeno, che niun altra città abbia un più giusto diritto d’ arrogarsela, giacchè tra l’ altre congetture questo nantico istrumento ne fa lo stemma. A Costantinopoli godevano gli amalfitani di privilegi mo!to pri- ma dei veneziaui. Nei loro viaggi al Levante scoprirono essi le famose Pandette; e si vantavauo i loro avtichi statuti per la na- vigazione, coll’ andare del tempo perduti. Ma tutto finì per Amalfi dopo l’ espugnazione fattane dai pisani nell’ anno 1137. Napoli , e la Sicilia provvedeano al commercio grande copia di grani di olio, di cotone, di zucchero , e di vini detti latini per opposizione ai vini greci, che venivano dal Levante. Roma, 2 sede del governo papale, che spiegava già una pomposa .gran- dezza, non tanto pel ‘culto divino, quanto pei dignitarii della Chiesa . era sempre ben provveduta di mercanzie. dell’ oriente:, e dell’ occidente, Oltredichè era il luogo di deposito dei panni di Francia, di Fiandra, e d’Inghilterra ; vi si smerciava il ferro dell’ isola di Elba, e visaveano spaccio grande le pelliccerie ed altre mercanzie di lusso. Bulogna era, come Ferrara, famosa per le sue tele, e pei suoi. mantini di seta. Ancona, che già nel tempo delle prime crociate avea consoli residenti in Acon, o To- lemaide , provvedeva ai fiorentini le derrate dell’ oriente; i suoi marinari conoscevano benissimo i mari, e si posseggono tuttavia le carte nautiche dei Benincasa, e dei Freducci, nativi di Ancona. Nella Lombardia era Milano pell’ alta Italia ciò che Roma era per quella di mezzo , e ciò ch’ Amalfi era stata pel regno di Napoli. Verona, Mantova , Como, e Monza le somministravano panni, ed altre manifatture ; Padova le spediva il suo lino, Bre- scia il suo ferro ed acciaio, il Monferrato lo zafferano , i cano- vacci, e la canapa. In ultima analisi, gli italiani superavano allora tutti gli altri popoli nella pratica della mercatura , e specialmente nelle così dette operazioni bancarie. Quindi è che si videro spargersi in Francia, in Inghilterra, ed altrove, sotto il nome di Lom- bardi, per assumersi il carico delle finanze , e dei cambii di quei diversi paesi. Nel Piemonte le intere città facevano valere que- sto genere d’industria. Cotesti banchieri si arricchivano di molto nell’estero, ma qualche volta vi si facevano odiare, e tiravansi ad- dosso grandi persecuzioni, a motivo della troppo ingorda loro usura. Nei due rimanenti capitoli del primo volume tratta il n. A. del commercio della Spagna , e di quelli della Francia, de’Paesi Bassi, e dell’ Inghilterra. Quivi, come altrove, non possiamo lodare quanto basta la profonda sua erudizione , e l’ uso giudi- zioso che ha fatto degli autori spagnuoli, francesi, ed inglesi, che gli servirono di guida. Ma quella parte della sua opera in- teressando molto meno delle già considerate, ci limiteremo a dire, che in Ispagna la sola città di Barcellona gareggiò per qualche tempo cogli stati marittimi dell’Italia pel commercio del Levante. I catalani parvero nati nomini di mare, e la posizione delle loro coste favoreggiava mirabilmente le loro comunicazioni coll’ Affrica, dove giunsero le loro navi, fino dal secolo deci- moquarto , al di là del tropico del cancro. Nel Mediterraneo facevano esclusivamente il commercio della Sicilia. Ma il fatto più notabile deila storia mercantile di Barcelona fu 1’ institu- ‘25 zione del Consolato del mare, fondato nel 1347, otto anni dopo che ismoi abitanti ebbero già edificata una borsa , o vero loggia di commercio, e sessant’ otto anni dopo che già ebbero istituito un tribunale, ovvero giunta municipale deputata per istralciare all’ amichevole le controversie in materia di navigazione. Verso l’ occidente trafficavano i barcellonesi direttamente coll’ Inghil- terra, e colla Fiandra, ove portavano merci levate dalle coste . del Mediterraneo , e segnatamente da quelle della Barberia. Nel Levante facevano similmente un traffico grandissimo , massime nelle isole di Cipro ; e Rodi, nel porto di Modone della Morea, ma soprattutto nell’Egitto. Anche coll’impero di Marocco aveano i barcellonesi relazioni vicendevoli non mai interrotte ; a Tunisi tenevano un console, e vi furono spesse volte investiti, da quei regnanti, dell’ appalto delle gabelle., Nelle manifatture Barcellona non potè mai competere colle città italiane. Le pelliccierie, ed i marrocchini, i tessuti comu- ni, le mercanziuole di vetro , ed i lavori dei battilori, aveanvi però una tal quale riputazione. Ma le operazioni bancarie vi ac- cumularono grandi ricchezze. Nel secolo quindicesimo Barcellona cambiava direttamente con Parigi, Pisa, Mompelieri, Genova , Avignone, Valenza, Bruges, Venezia, Firenze, Bologna, e Londra. A quell’ epoca, cioè nel 1435 , le sicurtà marittime erano già in comune. uso nella Catalogna. È un fatto notorio, ma è sin- golare il non vederlo avvertito dal sig. Depping, che quest’uso era già di antica data nel settentrione , dove le leggi di Wisby dell’ isola di Gottland . promulgate nel secolo duodecimo , ne parlano già come di cosa a tutti notissima. I corsali, o pirati catalani erano ‘i più intrepidi edi più rapaci del mediterraneo ; mno, di essi, Pedro Santon, che nel secolo quintodecimo infestava i mari del levante, si'rese famigerato sopra tutti gli altri. Gli ar- mamenti in corso erano regolati a Barcellona da leggi particolari fino dal secolo decimo terzo. I mauri di Spagna mantenevano, relazioni commerciali coi loro fratelli di religione, e connazionali nell’oriente, e sulle co- ste dell’Affrica. Almeria era il loro principale porto , ed iu Si- viglia eravi copia grande di buone, e ricche manifatture, men- tre nell’ Andalusia coltivavasi la seta fino dal secolo duodecimo. Le fabbriche di Granata , e di Malaga eran pure di molta rino- manza , ed a Xativa si faceva la miglior carta che in quei tempi si conoscesse. Siviglia e Toledo fabbricavano armi, drappi, e la- vori d’oro di molta riputazione ; e gli arabi, che da più secoli T. IIl. Agosto 4 36 s’aoperavano nel miglioramento della lana , introdussero nell’Eu- ropa , e nell’ Inghilterra le: belle lane dette poi di Spagna. Conoscevano pui gli spagnuoli perfettamente le coste dell’Af- fmca ; dall’ Egitto fino al Ghibla, sotto il tropico del cancro, come lo: prova il viaggio fatto‘ nel 1346 a Rujaura ; o Rio dell” Oro, menzionato in un documento genovese posto in luce dal Gràberg in calce del secondo volume dei suoi Annali di geografia e di statistica , e ristampata dall’ Emin. Zurla nei suoi Viaggiatori veneziani ; è dal conte Baldelli nella sua Storia ‘del Milione. Il nome di Vadamel, che nel detto monumento si attribuisce a quel fiume, fu evidentemente tratto dall’ arabo Vad-al-mel, cioè fiume dell Oro, in senso di capitale , ricchezza, o tesoro ; nome ; che gli abitanti dei deserti vicini danno ancora in oggi al Rio do Ouro , cioè dell’ oro, il quale sbocca nell’ oceano atlan- tico per un braccio di mare sotto la spiaggia dei Ludaias , poco distante dal tropico del cancro. L’ atlante catalano poi di Ferrer, che si conserva manoscritto nella biblioteca del re di Francia, e che porta la medesima data del 1346, è un monumento .sovra- modo curioso delle cognizioni geografiche degli spagnuoli di quella età. Non solamente tutto il litorale del Mediterraneo era da loro conosciuto ; ma possedevano ben anche cognizioni assai giuste, ancorchè sommarie , delle tre parti del mondo fino a Trondhiem al settentrione , Tombuctù al mezzodì , e Peking all’oriente. Marsiglia fu sempre, ed è tuttavia , la più mercantile città della Francia meridionale. Figlia della Grecia , era naturale cosa che non cessasse mai di avere scambievoli relazioni col Levante. Molto prima delle crociate, i pellegrinaggi che si facevano alla Terra-Santa , e gli ospizii quivi fondati per albergarli, man- tenevano vive ed attivissime quelle relazioni, che presero poi maggiore consistenza col principio di quelle guerre sante. I-tem- pieri, e gli ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme, faceano soprattutto con Marsiglia un traffico di molto rilievo. Ma con- vien leggere nell’ opera del sig. Depping la narrazione chiaris- sima, ch'egli fa di quel commercio, e degli utili incalcolabili, che i marsigliesi ritraevano da quelle relazioni loro col Levante! Giò non dimeno l’ industria loro era sempre di gran lunga inferiore alla loro mercatura ; e n’ eran cagione i male intesi statuti, che troppi stretti legami imponeano al lusso , ed ai comodi della vita. I soli pannî meritavano qualche attenzione ; e si fabbricavano in Marsiglia, in Arles, ‘a Grassa, ec. La lana veniva estratta in parte dalla Barberia, ma la stessa Provenza ne produceva di S7 ottima qualità. Senz’ essere molto fini , quei panni erano ricercati nell’ estero. Fu nel secolo tredecimo, che il commercio di Marsiglia giunse al colmo della suna prosperità. La presa di San Giovanni d’Acri, e le guerre della Francia , causarono successivamente la sua de- cadenza. Espugnata nel 1423 dagli aragonesi , e messa a ruba e a bottino per quindici giorni, Marsiglia non potè più sostenere la concorrenza colle altre piazze mercantili del Mediterraneo. Acqua-Morta dividea già con Marsiglia gli affari marittimi della Provenza. Situata in quei tempi sul mare, il suo porto era un luogo di deposito commerciale pei re francesi, quando Marsiglia non apparteneva per anco alla loro corona. A fine però di dirigere le mercanzie del settentrione, e del centro di quel re- gno sopra Acqua-Morta, gli italiani aveano fattorie, e banchi di negozio in Avignone , ove si erano stabiliti molti banchieri fiorentini , ed altri italiani. Ed è cosa certissima, che l’uso delle cambiali era quivi generalmente praticato fino dal secolo decimo terzo. Contuttociò , la provincia più industriosa della Francia meridiona'e era in quei tempi la Linguadoca, celebre per le sue vaste manifatture di panni fini, che si spacciavano in Eu- ropa, e nel Levante, ove venivano traspostate dai catalani, dai veneziani, e dai genovesi. Narbona , che già nei tempi ro- mani distinguevasi per le sue tintorie di porpora , Beziers, Car- cassona , Perpignano , e Tolosa, fabbricavano panni pregiatissi- mi nei mercati esteri. Il fiorentino Giovanni d’ Uzzano , scrit- tore. del secolo quindecimo, nomina di più, nella sua Pratica della mercatura , Signac , Castelnaudari, Montreal, Limon ec. come città manifatturiere della Linguadoca. I panni s’imbar- cavano comunemente a Cette, sul golfo di Lione. Mompelieri , Beancaire , e Frejus tenevano fiere frequentate soprattutto dai popoli meridionali, e massime dai fiorentini, che vi si provvede- vano di lane inglesi, onde abbisognavano per le loro fabbriche di panni. Queste lane arrivate a Libourne, od a Bordò, rimonta- vano la Garonna, e passando per Monpelieri si imbarcavano da Acqua-Morta per l’Italia. Balducci Pegolotti, che vide fare questo commercio nel secolo decimo quarto, soggiugne, che ogni balla di lana del peso di quattro cantara di Provenza, pagava di nolo, e di dazii fino ad Acqua-Morta; nove fiorini di oro; e per la sicurtà da Londra in Italia si pagavano inoltre da dodici a quindici fiorini, secondo i rischii che poteva correre il trasporto. 28 Prima che Acqua-Morta fosse divenuta la scala del com- mercio francese, Mompelieri, che dipendeva dagli aragonesi, era la sede ed il centro del traffico della Linguadoca, del Vivarese, e delle provincie cireonvicine. Dal suo porto di Lates, o Latte, nelle foci del fiume Zez, si faceano le spedizioni a Marsiglia , Genova, Pisa, la Sicilia, Venezia, Barcellona, le isole di Major- ca Cipro, e Rodi, non che a Costantinopoli , alla costa della Siria, e fino in Armenia. Le galee del famoso Giacomo Coeur entravano nel porto di Latte, dove egli potea vederli dal ter- razzo della loggia, che avea fatto edificare a Mompellieri. Co- testa loggia, nella quale ei teneva i suoi banchi di negozio, esiste ancora al dì d’oggi, come un monumento dell’ opulenza del più grande negoziante .ch’ avesse la Francia nel medio evo, e che possedeva da per se solo fino a dodici galee. Il principale commercio però di Mompelieri era quello delle spezierie, dei profumi , delle droghe medicinali , dei lattovari , delle conserve, dei confetti, e d’altre sostanze, che servivano al- l’arte sanatoria , al raffinamento del gusto, ed alla leccornia. E siccome nel medio evo la medicina pratica operava essenzial- mente per mezzo delle spezie, e dei mescugli di aromati, così ebbe Mompelieri , infin d’ allora, una scuola già rinomata di medicina, ove i professori ebrei ed arabi andavano introducendo i segreti delle spezierie, e della farmaceutica. Ma poichè la Pro- venza venne; nel 1480, riunita alla corona di Francia, e che Marsiglia diventò il principal porto francese sul Mediterraneo , quello di Latte fu negletto ed abbandonato, la sua imboccatura si riempì di arena, e Mompelieri cessò di avere una marina mer- cantile. Narbona ebbe anch’ essa un commercio assai attivo col Le- vante , specialmente con Costantinopoli, Rodi , l’ isola di Cipro, l’Egitto, e le coste della Siria. Ma il suo mercato principa! e era Messina. A Narbona, come altrove nella Francia meridionale, e più spezialmente a Mompelieri, a Nimes, ed a Lione, si trovavan sempre molti italiani, massime fiorentini, ch’esercitavano la professione di banchieri, e cambiatori, i iruali sapevano fare una mercanzia del denaro contante. Ma fattisi troppo usurieri furono anche quivi odiati, e qualche volta, come nel 1289, condannati a fortissime multe. Furono essi che in sulla metà di quel secolo, introdussero in Francia l’ uso delle cambiali. Nel Rossiglione, che apparteneva al re d’Aragona, la città di Perpignano fioriva per le sue manifatture di panni, e di stoffe dette Cadis, e faceva grossi affari di banca. Si pretende 29 che vi fossero, nella prima metà del secolo quattordicesimo, tre- cento cinquanta maestri, o capi di famiglia, che esercitavano il mestiere di tessitori di lana , e che tutti lavoravano per conto dei negozianti di Firenze occupati, nel traffico col Levante. Co- testi panni s'imbarcavano nel picciol porto di Collioure., che faceva un commercio diretto colla Siria. I panni erano dovunque Ja principale mercanzia; colla qua- le i francesi pagavano le compre. fatte di derrate del Levante. Scialon in Borgogna gareggiava nelle fabbriche colla Linguado- ca; Provins era famosa per le sue coperte, Reims per le tele , e le rascie, Parigi e san Dionigi pei loro panni, ed erano pur rinomati nella mercatura i baracani di Beauvais e di. Roano, le saje di Caen , le tele grosse da invoglie di Sciartres , e di Etampes, i panni di Louviers, e quei più grossi del Berrì , e di Montreuil. Ma era nella Fiandra singolarmente che abbondavano le fabbriche dei panni, e Lilla, rivale allora di Anversa, e d’Am- sterdam, faceva in questo genere spedizioni immense. Cambrai, Saint-Omer ; Douai, Valenciennes, Arras, Armentieres; Abbe- ville, ec. fabbricavano similmente panni, e soprattutto tappeti, che si domandavano molto in Italia; e. fino a Costantinopoli. Le fiere poi della Sciampagna furono per più secoli il punto di riunione dei negozianti d’ Italia, di Spagna, e di Francia, I così detti Lombardi, o cambiatori italiani, vi facevano colle operazioni bancarie guadagni smisurati,, siccome fecero più tardi a Lione, ove furono quelle fiere trasferite, e dove se- gnatamente le più nobili casate di Genova gettarono le fonda- menta alle susseguenti, ed attuali loro ricchezze. Con tutto questo non pare, che durante il medio, evo siavi stata molta comunicazione per mare fra i porti francesi del Me- diterraneo, e quelli dell’ oceano. Ancora nel 1513 si vantava, come impresa nuova ed ardimentosa, la prova del re Luigi do- dici di far passare quattro galee da Marsiglia a Breste. Quindi è, che quei porti dell’ oceano non fecero di se mostra nel traf- fico col Levante; e che non furono neppure molto visitati. da navigli stranieri. Bordò per altro, che per lunga stagione ap- partenne agli inglesi, faceva iufin d’ allora un grande traffico dei suoi vini, e la famosa Lega chiamata anseatica. tentò più volte, ma sempre indarno , di stabilire colà una fattoria. La Roccella ricevea, per via di terra, le spezierie ed altri generi del Levante , che poi dal suo porto, ch” era libero; si asportavano coi vini della Santogna. Harfleur faceva nel secolo decimo quarto 30 importanti affari col Portogallo , e colla Spagna: Ma nessuno di questi porti francesi potea competere come pari, nè farla da rivale , con quelli dei fiamminghi, i di cui navigli solcavano soprattut- to i mari del Levante, di poi che Baldovino conte di Fiandra fu assunto al trono di Costantinopoli. E non tardò molto il loro spirito commerciale ad estendersi anche al vicino Brabante, ed alle altre provincie del Belgio , e dell’ Olanda; che diven- nero poco stante il centro quasi universale del commercio. set- tentrionale ; e come un luogo di convegno pei negozianti del mez- zodì con quelli del norte, e nominatamente colla: Lega ansea- tica, che avea quivi stabilite diverse fattorie. Ogni cosa prosperò allora sulle ri ve della Schelda , e della Mosa. Bruges , ed Anversa erano i più cospicui luoghi di de- posito e di conserva , ed ebbero. già ‘nel secolo decimoquarto trattati di commercio coll’ Impero germanico , colla- Spagna, col- l’ Irlanda , col Portogallo ; colla Scozia , coll’ Inghilterra, colla Lega anseatica; e nel secolo seguente con Venezia, con Genova, e cogli aragonesi, a tacere di quelli che conchiusi aveano con varie città , e provincie della Francia. Fino al 1485 Bruges fu il più grande emporio del settentrione; ma dopo la scoperta del capo di Buona Speranza; tutte andarono a concentrarsi in An- versa la specolazioni, e le faccende della mercatura asiatica , ed affricana. Contuttociò , le fabbriche di tappeti, di seterie, e di panni del Brabante continuarono ad essere celebri, ed arricchi- vano quelle popolate provincie. Così Odenarde, Poperinga, Tour- nai, Lovanio, Malines; Brusselles, Liers, e Vervins, erano ri- niomati pei loro tessuti di ogni genere, siccome lo erano in Olanda Middelborgo, ed Harlem pei loro depositi di lane , e di manifatture del paese. Il Paesi Bassi riceveano da Venezia gli aromati, le droghe medicinali, il cotone, i colori, ed i tessuti di seta. Firenze, Ge- nova , Ancona , Bologna, vi mandavano similmente le loro se- terie , i drappi d’oro, e d’ argento, i ciambellotti , le perle, il cotone , la seta filata , l’allume , 1’ olio d’ ulivo; ec. La Spagna concorreva coll’ Italia nelle spedizioni dello zucchero, del co- tone filato, e dei legni da tintori. Un console catalano stanziava in Bruges ; i genovesi, i pisani, ed i veneziani vi mandavano parimente i loro navigli. Ma:generalmente parlando, i fiamminghi facevano pochi affari direttamente coi mercati dell’ oriente; ed in vero, la Storia fa menzione di un solo negoziante, Floris Ber- thaut, divenuto ricco a milioni per le sue vaste marittime specola- zioni, Egli corrispondeva con’ Alessandria , col Cairo, e con 31 Damasco ; avea molte galee, ed. era,, secondo l’espressione di Froissart ; il più ricco uomo d’oro, e. d’argento, che in alcun paese si conoscesse. Sulle sponde del mare Dan Enbecda era ;divenuta la sede, ed il centro della famosa Lega anseatica;. fermata dapprima nel 1241 fra le sole due città di Amburgo e Lubecca; ed accresciuta, nel 1247, coll’accessione di quella! di Brunsvick , situata sulla grande strada, che dall’ Italia conduceva verso i mari della bassa Lamagna le mercatanzie del Levante; ma col tempo crebbe il nu- m:ro delle città collegate fino ad\ottantacinque. Le principali loro fattorie si stabilirono a Londra nel:1250,a Bruges nel 1252, a Novogorod nel. 1271; a Bergen di Norvegia nel 1278, ed assorbi- rono poco stante il commercio del mondo. La pesca delle aringhe si concentrò fralle mani della Lega, e. le!tornò utile. per . pro- cacciarsi le spezie , e gli aromati, del Levante. Ma questa grande, e poderosa ;Compagnia decadette coltempo;; e si estinse , come fanno tutte! le istituzioni umane. Nel mezzodì della Germania le città di Augusta, e Norimberga divennero allora i ‘luoghi, di posta. della mercatura fra il Levante,, ed i, settentrione ,. per mezzo degli italiani. i L’ Inghilterra ; salita poi a tanto. colmoidi ui se. di gloria nel mondo ‘mercantile , prese, in quei secoli poca partè nel commercio del Levante , e nessuno'/avrebbe allora potuto; fisu- rarsi,;che un dì; ella dominerebbe. nell’ India, nella Serica, e nella Polinesia, I mercatanti fiorentini facevano tutto il suo.com- mercio, tranne quel. poco che! praticavasi/, direttamente, colla Fiandra: Ma sul principio del secolo quattordicesimo i re. Gio- vanni; ed Edoardo il primo, concedettero a. tutti i forestieri la facoltà di praticare liberamente la, mercatura in tutti; i domini britannici ; ed; i tedeschi conseguirono, in:;Londra stessa lo sta- bilimento di Gwi/dhall, per cui poi la Lega anseatica trasse, a se tutto il commercio dell’ Inghilterra. Nel secolo decimoquinto s0- lamente si videro nei mercati d’Italia panni di fabbrica inglese, che andavano a Roma, e nella Toscana, dove. Firenze non. ne permetteva il deposito che nel solo. porto di Pisa; ed Enrico settimo si obbligò per un trattato a mandare colà, sopra legni inglesi, la lana richiesta dai fabbricanti fiorentini, ed ..a-non somministrarne ad. alcun” altra nazione, salvo che ai veneziani. Cosicchè fu solamente nel secolo quindicesimo , che la: marina mercantile inglese cominciasse a visitare i porti del mediterraneo; ma passò un secolo ancora primachè i suoi navigli trafficassero sulle coste , e nelle isole della Siria; col fine di barattare quivi 32 i tessuti, e le manifatture ‘di Europa alle spezieriè ; agli aroma- ti, e ad altre derrate dell’ oriente. In quanto però alla marina militare si erano già vedute , fin dal secolo duodecimo, galere inglesi nel levante: gli storici genovesi parlano; nel 1190, di ven- ticinque d’ esse: le quali; condotte dal re Riccardo Cuor di lione ; fecero: scala , ‘per un sol giorno , nel porto di Genova. Ed eccoci al-termine del primo volume di un’ operà', che chiarissima fama debbe ‘conciliare al suo Autore, e che non può se non altamente interessare qualunque leggitore ‘italiano. Ma prima di procedere. a dare un-breve ragguaglio del secondo; ci tratterremo per un momento a dare alcunicenni sulle relazioni commerciali, che in quei secoli ebbero la Scandinavia, ed il mare Baltico ‘coll’ oriente; di quali relazioni il n. A: (ha detto pochis- sime cose, accennando appena, che quella regione ricevea le der- rate dell’ Asia per la via del mare Caspio; e della Russia, e che Wisby, nell’ isola di Gottland; n’ era il più cospicuo mercato, arguendo ciò il n. A. dalle molte monete cufiche ed arabe ritro- vate nell’ anzidetta ‘isola; in quella di Veland; e nella Sca- nia , ed altre provincie svezzesi, la maggior parte coniate dai principi Samanidi che nel nono , e decimo secolo regnarono nel Corasan,'e nella Transoxana, sulle rive del Gihon , e del lago Aral. E, non solo nelle predette isole del Baltico; ma sì bene nel' Jutland , nell’isola di Bornholm, nella Livonia, nella Svezia, nella Norvegia , nella Prussia; nella bassa Lamagna ,-ma. spe zialmente nella Russia; si disotterrarono: siffatte monete. Più scrittori’ hanno creduto essere le medesime state portate nel set- tentrione dai così ‘detti Varanghi , o Varinghi , guardie seandi- nave degli imperatori greci.) allorchè dopo varii anni di servizio, e di parti avute nelle distribuzioni del vestiario dei sovrani ehe morivano ; essi ‘senritornavano’ nella patria ; ‘altri hanno. sup- posto, che quelle monete fossero colà pervenute. coi crociati te- deschi 0 scandinavi; ‘altri finalmente, che da Alessandria vi fos- sero state ‘apportate col commercio marittimo. Sl sig. Depping pone come possibile, che provenissero dalle ruine di Samarcan- da ; fatte sgombrare da Tamerlano , e che di là, fossero passate per la Russia nel. settentrione o come moneta , [è come merca- tanzia. Ma è dimostrato in oggi, che ne furono debitori gli scan- dinavi alle vicendevoli relazioni di mercatura molto più antica- mente mantenute; peri via della Russia , col. mare Caspio, ed altre \provincie ad esso circonvicine. Di fatto ; le monete ritrovate in quantità quasi innumera- bile, non solo appartengono a principi Samanidi, ma portano 1% “dae 7 î 33 ancora i tipi di altri regnanti maomettani, e di diverse. città , come Damasco , Bagdad, Mosul, Bassora, Vasset, Mohham- media , Sciras ; Samarcanda , Balk ; Nisabur, Anderab, Bokhara, Sciasci, ec. durante quasi tutti i secoli del califato, o delle dinastie degli Hascemiti, degli Ommiadi, e degli Abassidi, cioè fino all’ anno 1258. Se non che le monete dei Samanidi sono sempre le più numerose. È ben noto, che questi principi regna- vano lall’anno 874 al 988 sulla Corasmia , e sul Mavaralnahar, o sia la Transoxana , in oggi compresi l’ uno e l’altra sotto il nome di Graude Buccaria. La più antica delle, monete trovate , e che forse e senza forse sarà pure la più antica moneta araba che si conosca, è dell’anno 699, battuta in Damasco, e si con- serva nel Reale gabinetto numismatico di Stocolma. Dopo l’an- no 950 diventano più rare, e dopo il principio del secolo unde - cimo , cioè nel Io 2, cessano interamente. Tutto questo concor- re a provare , che prima delle crociate i popoli stanziati attor- no al mare Baltico. facevano un commercio diretto col centro dell’ Asia; ma che , sebbene ignoriamo assolutamente per quale cagione , quel commercio cessò pui tutt’ad un. tratto per dar luogo, dopo le prime crociate, al traffico intermedio per via del- Italia, e della Germania. Che poi appuuto nel secolo decimo cotesto commercio diretto fosse il più attivo, e che la maggior parte delle monete disotterrate siauo di quella epoca, , è naturale conseguenza dell’ essere allura il trono della Russia stato occu- pato da principi vareghi, nativi, ed oriundi della Scandinavia. Tutte le cronache settentrionali, e spezialmente. quella del celebre Snorrone Sturleson ; parlano con elogio ed ammi- razione della mercatura. che ci praticava in quei tempi col- l’oriente per mezzo della Russia, che allora chiamavi Garda- rike ; ed il greco imperatore Costantino Porfirogenito ; nel suo trattato De administrando imperio , discorre pure distintamente del traffico di Novogorod , e ‘ella Russia con Costantinopoli , e colla Siria. I navigli russi, e bulgari scendeano il Dnieper fino al Ponto Eusino ; e le rovine dell’ antica città di Bolgar, poco distante da Casan, mostrano anco in oggi avvanzi di case di pietra , torri, e sepolcri, con iscrizioni arabiche. Il Volga ed il mare Caspio aprivano ai bulgari del Captsciac 1’ adito alla Persia , ed alle provincie dei Samanidi , dove pei fiumi Indo, e Gihon arrivavano le ricche derrate dell’ India, della Serica, e delle isole molucche; le quali derrate pel mare Caspio passavano quindi ad Astracan,e poi per due diverse strade in Europa. Una T. Ill. Agosto 9 34 di queste strade era quella della Tana, da dove si asportavano per mare all’Itaha , ed alle altre contrade meridionali ; 1° altra quella del Volga, ed altri fiumi della Russia, fino a Novogorod ed al lago di Ladoga, da dove passavano a Wisby , che distri- buivale ai paesi scandinavi, ed altri situati attorno al mare Bal- tico. Onde si vede quanto la situazione loro , e ila vicinanza al Don, ed al Ponto Eusino facilitavano il commercio di quei bul- gari, e poi dei cazari, colla Grecia , e coll’ Italia, mentre che verso il settentrione provvedeano la Russia , la Biarmia detta poi Permia , la Finlandia, la Svezia, la Livonia, e le rive meri- dionali del Baltico, di tutte le mercatanzie dell’oriente. E quando si riflette, che fino al secolo decimoquinto i bulgari, i permii, ed i russi non possedevano nè moneta loro propria, nè altri pesi, e misure che quelle dei loro vicini, non sarà difficile ca- pire il perchè i pagamenti si eseguivano con monete arabe a quei tempi correnti. Oltre la città di Novogorod, che poi divenne fat- toria celebre della Lega auseatica, eranvi nella Russia quelle di Plescovia, sul fiume Velikaia, e di Tzordin o Tscerdin , sul Kolva nella Permia ; la quale ultima città divenne il centro del commercio del settentrione coll’ oriente: l'oro, 1’ argento, e le seterie si barattavano quivi alle pelliccierie, e ad altre mercan- zie dei paesi boreali, e quivi s’ incontravano , e trafiicavano di presenza, i popoli dell'India, della Persia, del Tubet, e forse an- che della Cina, cogli antichi abitanti della Scandinavia. Anco al dì d’oggi si disotterrano spesso monete arabe nei sepolcri sparsi sulle rive della Petsciora, e segnatamente intorno a Tscerdin ; già lo Stralemberg trovò presso gli ostiacchi piastre di metallo con caratteri arabi. Oltre le suddette città si nominano dal Por- firozenito nella Russia Smolensco, Czernigov, Kiovia, e Vitepsca. Un antichissimo libro islandese, conosciuto sotto il nome di Kongs-Skugg-Siò , cioè Specchio regale, pubblicato e tra- dotto da Halfdan Einarsen nel 1768, contiene un passo molto cu- rioso, nel quale il mercante scandinavo del medio evo fa una comparsa sommamente onorevole; e crediamo di far cosa non di- scara ai nostri leggitori di qui trascriverne due brani, presi nella traduzione latina dell’editore. Si autem tibi quae in emporio >) quopiam viget , mercandi ratio, haud sit perspecta, maxima s) curu uttendus oportet, quo pacto suam mercaturam illi in- ») Stituant , qui optimi et maximi nominis institores audiunt 9 ‘‘ Accurate disce hemisphaerii illuminationem , corporumque » caelestium motum, diei noctisque vicissitudines , atque plaga- 35 », rum mundi ordinem ; simili et ratione noscas rite ‘observare, »» qui minuatur vel augeatur maris inquietudo : ea enim scien- »» tia est navigaturis maxime necessaria ;,. « Id autem! certo consideres, ut omni tempore, quod reliqua tibi vacuum negotia relinguunt, doctrinam tuam ;. imprimis vero Legum Codrces (Logscràr) in memoriam revoces. Re enim accuratius perpensa, omnium aliorum minor est scientia, quam eorum, qui e libris scientiam hauriunt. Nam quo quis doctior, eo pluras cognitionis suae in promtu habet testes, plura ar- » gumenta: omnes igitur tibi lesum codices jam, dum merca- »» turae operam dare cupis, familiares redde ;.. « Qui mercaturae operam dare cupit multa subeat necesse est vitae pericula , jam in oceano, jam in regionibus christia- norum sacrorum expertibus, semper autem apud gentes inco- bh) bb) 29 9 bb) 3) »9 » gnitas : idque semper cogitare opus habet, quod sibi, in quo- »» cumque'loco est, bene sit ,;. Un altro ricordo del medesimo documento non è meno in- teressante. “Se vuoi ,, dic’egli « perfezionatti nella scienza, im- 3; para tutte le lingue, ma più specialmente la latina, e 1° ita- so liana, (latino oé ra perciocchè queste lingue sono le ,; più generalmente parlate ,.. Mercè di cosiffatte cognizioni nautiche, e linguistiche non. è dunque incredibile , che fin prima delle crociate i mercanti della Scandinavia facessero viaggi anche marittimi nel Mediterraneo. Il primo però che con certezza si conosce avere così passato lo .stretto di Gibilterra, da loro detto Miorvasund, ‘0 Stretto angu- sto; fu il norvegiano Skopte , che accompagnato da due suoi figlinoli Ogmondo e Finn, partì dalle coste della . Svezia con quaranta legni, e giunse fino a Roma, dove finì di vivere. E poco dopo partì: un’ altra spedizione di 60 navi, capitanata dal'o stesso re di Norvegia Sigurdo , soprannominato perciò Jorsala- farare , cioè pellegrino di Gerosolima ; della quale spedizione ab- biamo tutt'ora vuna relazione molto minuta. Approdò essa, dopo lungo viaggio; aTolemaide, da dove il re si recò a Gerusalemme, e quindi a Costantinopoli. Altri pellegrini, e mercatanti segui- tarono il suo eserhipio;; ed abbiamo ancora due dei loro ‘itine— rarii, dai quali si vede, che faceano scala e stallia successiva- mente nella Fiandra ; nell’ Inghilterra, al Ferrol/ presso Com- postella , a Lisbona , nell’ Aragona , a Barcellona, a Marsiglia, a Messina ; e finalmente od a San Giovanni d’ Acri, o ad. Ac- carone, nella Palestina. Senza contare i giorni, e!talvolta. i mesi 36 di dimora nei diversi ricoveri , s’ impiegavano .in questi viaggi da trentasette a quaranta giorni di navicamento. Ma la maggior parte di quei pellegrini, e.soprattutto i ne- gozianti, passavano per l’ isola di Gottiand, e la Russia. Ed in- fatti non crediamo d’avere a dimostrare, che i fiumi; ed i così detti volocchi della Russia ; cioè luoghi dove si. trasportano per terra da un fiume all’ altro i battelli e le mercanzie ; servissero mi- rabilmente ad abbreviare cotesti viaggi. La quale comunicazione di traffico proseguì senza interruzione fino al tempo di Gengi- scan , e finchè sul principio del secolo decimoquinto: Tamerlano, in una delle sue imprese contro Toctamisci ; khawm dei tatari,, distrusse Astracano ; e ne rovinò il commercio. Da indi innanzi andarono dal Baltico i bastimenti di Wisby, e di Lubecca in Ales- sandria; ove di bel nuovo erasi riparato il principale traffico fra I’ India, e |’ Europa; e dove, secondo Beniamino di; Tudela,, si trovavano già nel secolo duodecimo negozianti, e mavi svezzesi e danesi. Le mercanzie, che generalmente si asportavano dalla Svezia pel levante , erano il ferro, il rame , l’argento il piombo, le assi di pino e: di abete ; il catrame , e le pelliccerie. Le città di Upsala, Vexiò, Strenguàs , Linkòping, Vesteràs, Skenninge , Falkòping, Skofde , Eskilstuna , ed altre, erano rinomate per le annue loro fiere ; Stocolma, Calmar, Abo, Soderkòping, e Lò - dese pel loro traffico marittimo. Ma nessuna città , tranne più tardi Lubecca , sorpassò in quei ‘tempi quella di Wisby nell’isola di Gottland. Già celebre fino dai tempi più antichi come luogo di sagrifizii degli idolatri, diventò nel secolo undecimo il centro. del commercio colla Rus- sia e coll’ oriente, e grunse , due secoli più tardi, ad. essere una delle più famose. e più opulente della Lega ianseatica. Danesi, vendi o' slavi, sassoni, russi, svezzesi ; prussiani; polacchi li- tuani , livoniesi , e greci, vi teneano, fin dal tempo delle-cro® ciate , fattorie , magazzini, fondachi, particolari. contrade; e chiese, di cui vi rimangono anco in oggi superbe reliquie. H suo commercio estendevasi a tutti i paesi, e mari noti a quei tempi ; ciò che si prova esuberantemente col Codice di leggi marittime promulgato appunto a Wisby ; del quale il sig. Dep- ping dice a mala pena un brevissimo motto. È impossibile di fissare precisamente l’ età di questo Codice, alcerto anteriore al così detto Ruolo , o Giudizio di Oleron ; ma fatto stà ; che fino dal secolo duodecimo serviva già di normaye legge a tuttii po- 37 poli commercianti del settentrione: E come la legge Rodia, el il Consolato del mare; allora promulgato dai pisani, governavano i mercanti ed i navigatori del Mediterraneo ; ed il Giudizio di Oleron i francesi, così gli Statuti marittimi di Wisby ‘aveano forza di legge assoluta presso tutti i popoli al di là del Danubio, e del Reno. È appunto l’ articolo 45:di questi statuti che tratta del cambio marittimo, enel 63 si parla chiaramente di assicu- razioni , 0 sicurtà stipolate sui hastimenti ; sui moli, e sulle mercanzie. Perlaqualcosa si vede quanto si sono ingannati colo- ro; che ascrissero quelle invenzioni ai catalani del secolo deci- moquinto. Risulta dunque per noi, in ulzima analisi, che nei tempi del medio evo, e segnatamente nel secolo duodecimo , le mercanzie dell’India , della Persia ;; della Turcomania ; dell’ Asia occiden- tale , e della Grecia, arrivavano pel mare Caspio , e per Der- bend, e rimontando il Volga ed altri fiumi fino a Tscerdin, No- vogorod.e Plescovia, passavano parte per terra e. parte per mare, fino a Wisby, che le distribuiva a.tutte le contrade poste attorno al mare Baltico, e probabilmente anche alle isole britanniche , ed alla Norvegia. Nel secolo seguente questo commercio fù di- viso con Lubecca , ed Amborgo , che nel 1284 ammisero Wisby nella Lega anseatica ; la quale ammissione appunto preparò la sua; decadenza, mentre essenzialmente contribuì all’. incremento ed alla preponderanza di Lubecca , massime dopo 1’ espugnazione e la rovina di Wisby,, nell’anno 1361 effettnate dal re. danese Valdemaro. terzo. Nel primo capitolo del secondo volume, il, signor Depping descrive i Consolati, cioè quanto dire, le Istituzioni di legisla- zione marittima. Nella quale descrizione . molto, ci duole , che non abbia egli potuto consultare l' erndito, opuscolo del defunto nostro amico Domenico Alberto Aznmi intitolato: Origine et pro- grèsidu droit'‘et de la législation maritimes. avec des, observa- tions sur le Consulat de la Mèr,.stampato .in Parigi nel 1810. Anche, la voluminosa, e non sempre. bene digesta opera consimile del .sig. P. B. Boucher, intitolata Consulat ide lu Mer ou Pan- dectes du droit commercial , non trovasi. dal nostro Antore nè menzionata, nè. adoperata , ciò che dee veramente recare: sorpresa. Comunque, sia; non isappiamo ancora qual! fosse. veramente il popolo cui si debbe, l’ antichissimo Codice. denominato Consolato del mare. Barcellona 1’ ha sempre rivendicato ,. ma;senza prove dimostrative. Certa cosa è non, pertanto , che. molti ‘articoli , e spezialmente i trentasette ultimi ; furono indubitamente opera 38 degli aragonesi. Noi erediamo col signor Depping; che. quel fa- moso codice non era già nuovo a quei tempi, ma bensì una rac- colta di antiche usanze; e leggi osservate nell’ oriente , dove le così dette Assise di. Gerusalemme , promulgate da Goffredo di Buglione, furono uno storico documento , che attesta 1’ oppres- sione dai franchi esercitata sovra gli indigeni del paese, led il grande numero delle mercanzie, che affluivano ‘nel porto di Acon, o Tolemaide. Noi abbiamo attualmente sotto gli occhii una ri- stampa veneta del Consolato del mare, impressa nell’anno 1612, coll’ aggiunta delle ordinazioni sopra le armate di. mare, sicurtà; entrate , uscite, e col Purtulano del mare ; in fronte alla; quale ristampa v° è un Prospetto in cui si espone il dove ; e il quando i dugento novantaquattro capitoli del. Codice furono concessi; e crediamo. pregio dell’opera di darne in questo luogo il seguente estratto. Anno (1075 a calende di marzo in Roma, nella basilica di San Giovanni di Laterano. 1111 a calende di settembre in Acri ,° nel. passaggio: di ‘ Gerusalemme pel re Lodovico , e pel conte di To- losa. Ly tTI2'in Majorca pei pisani. ri in Pisa, in S. Pietro di So s' in podestà d’ ARTS i brogio Migliari. r163 nel mese di agosto in cilea gd 1174 in Almeria pel conte di Barcellona; e pei genovesi! 1186 in Genova, nella potestà di sei deputati al ae del ‘ molo. 1187 a calende di febbrajo a Brandi pel re Guglielmo. 1196 in'Rodi per il Galetta. 1200 pel Principe délla Morea. 1215 in Costantinopoli pel comune di Venezia, nella chiesa di Santa Sofia pel ‘re Giovanni, incontinente che furon cacciati i greci. » ‘\ 1225 în Messina } nella ‘chiesa di Santa Maria Nuova, in presenza del vescovo di Catania. 1250 ;in Parigi per Giovanni di Belmonte sopra 1’ anima de} re di Francia , che in quel tempo non era hen sano , ed in presenza dei cavalieri dell’ Ost, dei tem- pieri, degli spedalieri, e dell'ammiraglio del Levante. 1262 di nuovo in Costantinopoli , in venti Angelo, per Pa- leologo imperatore. 39 1270 in Soria per Federico re di Cipro; ed a Costantino- poli per l’ imperatore Costantino. E nel medesimo anno nuovamente in Majorca pel re Ja- copo di Aragona. È cosa ben nota che il ch. Azuni nel suo Sistema commer- ciale dei principii del diritto marittimo dell’ Europa, non che nell’opuscolo qui. sopra citato , ha inteso dimostrare , che questo codice di leggi si debbe originariamente ai pisani. E certamente fu con lui il Bettinelli quando nel Risorgimento d’Italia scrisse, sulla fede di antichi autori, che Pisa diede in mano al papa Gregorio VII nel 1075 perchè le approvasse , le leggi nautiche da lei compilate , e che per siffatta approvazione divennero un codice marittimo per gli italiani. Opinione questa, che il dottis- simo sig. Fanucci pienamente conferma nella sua Dissertazione accademica sull’ istoria militare della repubblica di Pisa, im- pressa nel 1783. Quanto alle pretensioni di Barcellona, basta un solo riflesso per abbatterle, ed è, che i suoi abitanti non co- minciarono a frequentare le scale del levante, se non che nel secolo decimo terzo , e che prima di quell’ epoca le loro naviga- zioni erano di pochissima conseguenza. E se nel secolo undecimo non avevano commercio marittimo, nè marineria, a qual prò avrebbono compilato una raccolta di leggi cotanto circostanziata, come quella che conosciamo sotto il nome di Consolato del mare? È cosa veramente da stupirsi , che il signor Depping dimo- stri non avere la benchè menoma idea di questo titolo incon- trastabile della gloria anche legislativa dei pisani. L’ oceano ebbe, come il Mediterraneo , le sue leggi partico- lari nei regolamenti di Oleron , dei quali è parimente incerta 0 controversa l’ origine. Noi siamo però interamente d’ accordo col signor Pardessus , che nella bella .sua Collezione di leggi marit- time anteriori al secolo decimottavo , non ha guari pubblic.ta in Parigi, asserisce , essere cotesto codice stato compilato , verso la fine del secolo undecimo, dietro gli antichi usi, e costumi della navigazione dell’ oceano, i quali aveano ricevuta sanzione e forza di leggi, inguisachè ciò che appellavasi impropriamente Ruoli di Oleron era semplicemente il Diritto comune del mare. Ma lungi dal credere , che questi Ruoli di Oleron abbiano servito di modello agli statuti di Wisby, siamo intimamente per- suasi, che questi ultimi furono l'archetipo di tutti, o quasi tutti, i codici di legislazione marittima del medio evo. Pochissimo tempo dopu l'istituzione delle famose leggi dell’ isola di Rodi, gli svez- zesi erano, secondo Tacito, potentissimi sul mare, ed aveano 40 vascelli molto più comodi dei romani , perciocchè , muniti di due prore , poteano opportunamente voltare la fronte ovuuqae volessero approdare. Qualche cenno abbiamo già dato di sopra delle città svezzesi già celebri pel loro commercio fino dai secoli ottavo e nono della nostra era. Nel decimo secolo si sa per lo Sturleson, e da Torfeo , che si facea nella Svezia una mer- catura molto attiva coll’isole britanniche , e nel secolo seguente ; quando scrisse la sua opera corografica Adamo di Brema, fiori- vano spezialmente le città di Scara, e Sigtuna col suv porto chiamato Biòrké, o Birca, dove concorrevano mercanti danesi; norvegiani , slavi, sembi , ed altri popoli settentrionali , che for- nivano a dovizia il paese di mercatanzie straniere. La Scania poi asportava , fino dal decimo secolo , le sue derrate a tutte le re- gioni del norte ; e pochi anni dopo Adamo di Brema , un geo- grafo arabo, lo sceriffo El-Edrisi, menzionò come floridissimi gli emporii di Sigtuna , e Calmar. E Birca, o firse piuttosto Lòdese , avea infin d’allora il suo codice mercantile, e maritti- mo, pubblicato d; poi da Giovanni Hadorfio , insieme con altre antiche leggi della Scandinavia. Ma fra tutte le città del Bal- tico si è già dimostrato, che nessuria faceva in quei tempi mag- gior commercio di Wisby; già sul principio del secolo undecimo si vedeano le sue cocche nei porti di tutti i paesi settentrionali, e fino in Inghilterra, e nella Fiandra. E nel duodecimo era già l’emporio centrale di tutto il settentrione. In fatti, come poteva una città così mercantile non avere continue relazioni coi paesi marittimi, che le scorrerie dei normanni , ed i viaggiatori islan- desi aveano fatto conoscere da più secoli? E come molto prima le altre provincie della Svezia già tenevano codici di statuti , e di leggi municipali, così era ben naturale cosa ; che l’ isola di Gottland avesse pur uno che regolasse il suo traffico marittimo , unico cardine intorno al quale si aggirava la sua sussistenza. Per maggiormente consolidare queste saviissime leggi procacciaruno gli abitanti di Wisby di farle ratificare dall’ Imperatore , e da altri principi; e di fatto Lotario le confermò circa |’ anno 1135, siccome poi fece , nel 1156 , il suo nipote Enrico il Leone, duca di Sassonia e di Baviera, da cui dipendevano più direttamente le città mercantili chiamate vendiche, o dei Vendi, cioè Brema , Julino } Rostock, Wismar, Stettino , ed Amborgo; colle quali Wisby era in continua relazione di affari. La più antica edizione di questi statuti, che noi abbiamo attualmente sotto gli occhii, è in lingua antica tedesca, tra- dotta dal gotico, ed impressa in Copenhageu nel 1509. L’ anzi - 4I detto Hadorfio la tradusse poi in isvezzese; e pubblicolla in Isto- colma nel 168). Di questo prezioso codice ebbe a dire il celebre Grozio nel prologo alla sua storia dei goti, dei vandali , e dei longobardi: ‘ Quae de maritimis negotiis insulae Gottlandiae habi- toribus placuerunt ( leges ) tantum habent in se aequitatis, tum prudentiae , ut omnes oceani incolae, iis, non tamquam proprio , sed velut gentium jure utantur. ,, E nel suo trattato De mare libero aggiugne, che Lex Rhodia navalis pro jure in illo mari mediterraneo vigebat , sicut apud Galliam leges Oleronis, et apud transrhenanos leges wisbvenses ; donde pare che Grozio non conoscesse punto il Consolato del mare. Già il barone di Her- berstein nei suoi Commentarii della Moscovia, stampati nel 1550, scrisse : ‘ Nella città di Wisby , tutte le liti, e le controversie so dei naviganti, che per quel luogo passavano , erano conosciute ss e terminate ; e similmente a questo luogo da quelle ponte ,. marittime quali erano lontane , le cause , 6 le differentie loro » eranu portate, e diffinite. ,, Parole queste , prese verisimilmente dal manoscritto da lui veduto della Storia di Olao Magno delle genti settentrionali, stampata quattro anni più tardi. Il Leibni- zio inserì anch'esso gli statuti di Wisby nei suoi Scrittori delle cose di Brunsvick. Dalle istituzioni consolari pell’ interno dei paesi, che com- merciavano per mare , nacque quel'a dei Consoli nei porti del- l'estero, ch’ esser dovevano protettori. avvocati, e giudici di tutti i mercanti ed uomini di mare loro connazionali, che si trovavano in quei porti riuniti. Quindi fu, che si videro , nel medio evo , consoli di Venezia, Genova , Pisa , Barcellona , Fi- renze, Marsiglia, ec. in tutti i porti dell’ Egitto, della Siria ed altri paesi marittimi del levante, come quelle città ne aveano nei proprii porti di altre nazioni, colle quali praticavano la mer- catura. È impossibile il dire quale sia stato il primo popolo, che abbia nominato un cosiffatto console, el in quale epoca un tal fatto sia accaduto. Dalla storia della Cina però risulta , che verano già simili agenti, ed anche veri tribunali di commercio, nel porto di Canfù fino dall’anno 720. Nel nono secolo un mu- sulmano era quivi giudice delle genti di sua religione , e le giu- dicava secondo le leggi del suo profeta. Le Assise di Gerusalem- me suppongono una consimile istituzione nella Palestina, e quelle di Cipro, non che gli Statuti di Marsiglia ne parlano espressa- mente. Contuttociò, il primo atto pubblico nel quale il sig. Dep- piug abbia trovata menzione d’ un ufizio consolare francese , è una lettera patente del marchese di Monferrato, che sendo si- T. III Agosto. 6 42 gnore di Tiro , permise nel 1187 ai mercanti marsigliesi in quella città di avere un console per mantenere la giustizia. Ma già i pisani tenevano, fino dal 1170, consoli ed in Antiochia , ed a Tripoli di Sorìa, e tredici anni prima ne aveano stabilito uno a Tiro. Anzi, gli abitanti di Venezia ebbero già subito dopo l’ acquisto di questa città , cioè nel 1123, un magistrato nazio- nale, che stralciava le mercantili loro controversie. I genovesi avea- no nel 1289 giurisdizion consolare a Laodicea , a Gabala , e po- chi anni dopo nell’Egitto. A Galata eglino aveano un podestà, i veneziani un bailo, ed i pisani un console. Nel mar Maggiore il console genovese di Caffa era capo di tutti gli altri consoli al di là del Bosforo. Due altri simili capi, o consoli generali, risie- deano uno a Tiro, e l’altro a Ceuta nell’ impero di Marocco, dove teneano i genovesi un gagliardo presidio. Firenze non ebbe consoli nel Levante se non dopo l’acquisto fatto dei porti di Livorno , e di Pisa , cioè dopo il 1421. Ma i catalani, od aragonesi li ebbero già nel 1266, e Mompelieri nel 1267. Venezia, e Genova stipendiavano i loro consoli come im- piegati pubblici; ma quei delle altre nazioni sussistevano dei di- ritti, che levavano sovra le mercanzie introdotte , od asportate nelle navi loro nazionali. Ma se dall’un lato erano quelli impieghi lucrosi , ed onorevoli , dall’ altro erano in sommo grado ardui ; e non di rado pieni di pericoli , e di malaventure. Nei capitoli ottavo , e nono , esibisce il nostro Autore alcuni estratti dei più famosi trattati di commercio , conchiusi entro il periodo della sua storica narrazione, fra i popoli europei del me- diterraneo ed i principi o cristiani, o musulmani del Levante, e dell’ Affrica. Da essi vediamo , che Venezia tenea già nel 992 un trattato coll’impero greco; ma i genovesi ed i pisani non l’ebbero che nel 11595 coll’ imperator Mannelle , i catalani nel 1290, ed i fiorentini nel 1439 col rinnovare semplicemente quello dei pisani. Anche Narbona ne fece uno nel 1340; laddove Marsiglia n° ebbe già uno nel 1152 coi re di Gerusalemme, confermato poi nel 1912. In Italia la mercantile città di Ancona conchiuse anch’ essa, nel 1257 , un trattato con Giovanni d’ Ibelino , contestabile del’ re- gno di Gerusalemme , pel quale tramendue le parti contraenti s’ obbligavano a difendersi , e proteggersi scambievolmente contro i loro nemici. I genovesi stabiliti nel mar Maggiore, e nel fondo del mare delle Zabacche ,\ conchiusero varii trattati coi principi tatari, calmucchi, e turcomani padroni delle terre circonvicine, che le Lettere ligustiche di Gasparo Oderigo , e le investigazioni del 43 sommo orientalista barone Silvestro de Sacy, ci hanno fatto conoscere. Il più antico di essi è dell’anno 1365, confermato poi nel 1387. Gli archivii di Genova conservano gli originali uga- reschi, e le loro tradizioni in dialetto genovese, di un grande numero di cotesti trattati. Anche coi bulgari si conchiusero trat- tati da Venezia nel 1352, e da Genova nel 1387, il quale ulti- mo fu veramente un capo d’ opera di politica , e di prevedi- mento. Nell’ Egitto pare che siano stati primi i catalani a far trat- tati con quel Soldano. Il più antico di essi, che si possegga ; è del 1289; ma inessosi cita ; e si ratifica un altro molto più antico. I veneziani però ne fecero uno nel 1262 con Malec-el- Adel, ed i genovesi nel 1290 con Al-malec-al-mansor , soldano dell’ Egitto, e della Siria. L’ originale arabo di quest’ ultimo esiste nella biblioteca del Re a Parigi, e la traduzione latina nei regii archivii di Genova, ed è, per modo di dire, un vero trattato di statistica commerciale, del quale il n. A. dà un estratto sovramodo interessante. Ma fra tutti questi trattati nes- suno fu più importante; e più vantaggioso al commercio italia- no, di quello conchiuso nel 1423 fra Firenze ed il Soldano , che s’ intitolava di Babilonia, avvegnachè tenesse la sua reggia nel Gran Cairo. Il quale trattato si trova stampato nel libro Della decima ed altre gravezze pubblicato dal Pagnini. Gli am- basciatori fiorentini rapportarono con seco 1’ originale arabo , ed una traduzione fatta dal loro cancelliere , o notaio. | Cogli stati barbereschi furono primi i pisani ad avere un trattato, e ciò fin dall’ anno 1230 col re di Tunisi, il quale trattato si trova inserito in latino nella Storia del commercio ve- neziano del Marin, ed è un documento in sommo grado poli - tico, e molto ben divisato. La più antica convenzione fra i ge- novesi e Tunisi è del 1250 , fatta con Mir-Boabdil, cioè coll’ e- miro, o duce, Abu-abdi-allah-mostanser-billah ) e confermata poi nel 1272 mediante un nuovo trattato , che unitamente al | primo si conserva sempre negli archivii di Genova. I pisani rin- novarono i loro trattati nel 1265 e 1398 , ed aggiunsero sempre qualche nuova clausola utilissima ai loro vantaggi. I veneziani seguirono da presso i genovesi, e fecero. il loro primo trattato nel 1951, che fu ratificato nel 1271. Gli spagnuoli, e nominatamente gli aragonesi, ebbero trat- tati molto antichi coi sovrani di Marocco. Già nel 1274 ve n’eb- be nno offensivo, e difensivo fra Jacobo primo d° Aragona ed il Miramolino , cioè Y Emir-al-mumenin, o duce dei credenti, LA Abu Jusef, o meglio Ben-Jusef , della dinastia dei Beni Merini. Nel 1319 un altro re di Aragona, Jacobo II, rinnovò un antico trattato col re di Tremezen, o Telmsan. Nel capitolo decimo si espongono con molto acume, e grande accuratezza . gli ostacoli che incagliavano il commercio del Le- vante. Fra questi primeggiavano le proibizioni bandite dai pi- pi; e dai sovrani. Venivano appresso le licenze, ed i mono- polii conceduti dai sommi pontefici ai mercatanti barcellonesi , le spedizioni di navigli privilegiati per 1’ Egitto , le assolutorie che si couferivano ai negozianti, le scomuniche, gli sforzi fatri da Raimondo de Lulli, e da Marino Sanuto , per fare interdire la mercatura coll’Egitto , le licenze conseguite , o sollecitate dai francesi, e finalmente la pirateria , e la peste. La prima scomunica fulminata dal papa Alessandro terzo , nel concilio lateranense del 1178 , contro chiunque avesse for- nito i saraceni di armi, di ferro , di legnami da costruzione, in una parola di articoli e di munizioni da guerra, e contro chiun - que ne avesse guidato, o governato le galee ed i corsali, portava seco la confisca dei beni , e la schiavità perpetua della persona. Ma gli stessi principi sovrani, d’ accordo coi loro sudditi , tro- vavano mille pretesti per eludere quegli ecclesiastici gastighi, e la facilità inoltre di farsi levare la scomunica mediante ammende pecuniarie , incoraggiolli a non pensarvi gran fatto. E però po- costante gli stessi papi concedettero a varii regnanti, ed anche a semplici specolatori mercantili, private licenze per fare impn nemente il mercimonio interdetto. Ma sé questi mezzi termini erano necessarii in Ispagna , in Francia , e negli stati romani, e napoletani, le repubbliche di Venezia, Genova, e Pisa non ne facean conto, e tanto meno che i pontefici parevano esser» con loro più indulgenti che con molte altre nazioni. D'altronde, come tutto col tempo si logora e si disfà , così diminuendosi lo zelo ardente delle guerre di Terra-Santa, cessò anche la ferven- za delle scomuniche, ed il commercio riprese l’antico suo libero corso. Ma di tutti gli ostacoli che arrecassero danno alla merca- tura di quei tempi, come accade ancora presentemente , il più difficile a riparare, o vincere, era la peste. Menando infin d’al- lora le sue stragi, puniva essa sola; direm così, gli europei del loro contatto coi popoli orientali, e sconcertava le relazioni, che 1° interesse; e 1’ avidità del guadagno non tardava poi a rinno- vellare. È cosa quasi provata, che un bastimento genovese, tor- nando dall’Asia, recò in Europa, verso 1’ anno 1348, quella fa- | 45 mosa peste che si propagò fino al polo artico, ed all’oceano atlan- tico, desolando per molti anni, e successivamente , tutte le re - gioni del nostro continente , come disgraziatamente sembra che voglia farlo in oggi la non meno terribile Colera. La storia non offre fin qui un secondo esempio d’ una mortalità così spaven- tosa per la sua rapidità, e per l’estensione delle sne stragi. La nostra Firenze, che n’ ebbe pure la sua lagrimevole parte , ne somministrò , per la penna del suo Boccaccio , una descrizione, che mentre fa raccapricciar d’ orrore, riman sempre un capo d’ opera, e di dottrina, e di storica eloquenza. Ivi, come da altri documenti di quel tempo, si vede, che un effetto singo- larissimo di quella morìa , detta sovente Male nero , e Morte nera; fu il gusto smodato del lusso e dei piaceri, che s’ impa- dronì della civile società. Eredi delle famiglie estinte, i super- stiti dissiparono presto i lor ricchissimi patrimonii, e s° abban- donarono ad una prodigalità fuor di misura, doude nacque poi una rivoluzione nei costumi , che non potè mancare d’ influire grandemente nelle relazioni del commercio, Dopo di avere quindi nel capitolo undecimo descritta l’in- vasione dell’ impero greco per opera dei turchi , e dato curiosi ragguagli di varii trattati conchiusi fra quei sultani, e le re- pubbliche italiane , fra le quali primeggiava in credito allora quella di Firenze , tanto a Costantinopoli quanto nell’ Egitto , passa il n. A., nel duodecimo ed ultimo , a narrare la strepi- tosa scoperta dell'America, e del capo di Buona Speranza. Fra le repubbliche mercantili che contrattarono le prime coi turchi fatti signori di Costantinopoli , si distinse Ragusa , che nel 1365 avea già ottenuto dal sultano Amurat, mediante un tributo di 5vo ducati, un atto autentico, che le permetteva il libero traf- fico in tutto l’ impero ottomano ; sotto il quale atto, che an- cora si conserva negli archivii di Ragusa , il barbaro su!tano, in luogo di firma, applicò la suna mano intinta nell’ inchiostro. Un uguale tributo pagavano i geriovesi per far valere, a lor van - taggio esclusivo , le rieche miniere di allume di Foggia , e più d° una volta prestarono essi ai turchi aiuto d’ armi e di geuti, per lo che otienero, nella espugnazione di Costantinopoli, sicn- rezza e protezione nel loro sobborgo di Galata, o Pera. Ma non andò guari , che i turchi tolsero loro, con quella colonia, fin le ultime possessioni nell’Arcipelago , e nel Ponto Eusino , ove te- neano tuttavia la città di Amastri , e le co'onie della Crimea. 1 fiorentini, soprattutto per. mezzo del loro halio Benedetto Dei , contribuirono molto a rovinare gli affari degli altri italiani 40 nel tempo stesso che i Medici davano a Firenze gratissima acco- glienza alle arti, ed alle muse.sbandite dall’impero greco. Final- mente dopo la perdita di Metelino, Scio, e Taso, il dominio di Genova crollò affatto nel 1474, colla presa di Caffa, popolata allora da settantamila italiani, greci, armeni, valacchi , cir- cassi, tatari, alani, ec. che tutti furono venduti come schiavi nel mercato di Costantinopoli. Con che venne a cadere in mano dei turchi l’ultima colonia dei genovesi in quei mari, la quale, dopo avere sperimentato come difficilmente soccorrere si potesse per la via di mare, avevano tentato di corroborare per mezzo di un rinforzo spedito per la più malagevole , ed a quella età poco meno che maravigliosa , strada di terra. E Venezia, non ostante l’ acquisto del regno di Cipro , dovette pur essa cedere l’ ultima sua possessione alle armi vittoriose degli ottomani. A Firenze, Lorenzo dei Medici, che per mezzo dei suoi agenti erazi grandemente insinuato nelle buone grazie del Gran signore, non trascurò i medesimi ufizii presso il soldano d’ Egit- to, al quale spedì per ambasciatore Luigi della Stufa, che ot- tenne tutto quello che domandò, e qualche cosa di più ancora, con che il consolato fiorentino fu stabilito solidamente in Ales- sandria. E non solo durante il regno dei soldani mammalucchi nell’Egitto, e nella Siria, continuarono i fiorentini a farvi quie- tamente un attivo, ed esteso commercio; ma eziandio dopo che quei paesi fossero di poi passati sotto lo scettro dei turchi. Nel capitolo delle scoperte verso 1’ occidente il n. A. rende ancora la dovuta giustizia, e le più meritate laudi ai naviga- tori italiani, che spinsero i primi le loro prore al di là delle colonne di Ercole, e fra i quali i genovesi; allora come al dì d’oggi, i più esperti , più intrepidi, e più avventurosi marinari del mondo., ebbero certamente la gloria di scoprire, o ritrovare, fino dall’anno 1281, l’arcipelago Fortunato , o sia delle Canarie, come l’ attestano il Petrarca nella sua Vita solitaria , ed il Boc- caccio nel Comento sulla Commedia del Dante , e come l'hanno meglio posto fuori d’ ogni dubbio , ed il chiarissimo Padre Spo- torno nella Storia letteraria della Liguria, ed il. dottissimo el illustre nostro amico il cav. professore D. Sebastiano Ciampi, in una Lettera al Direttore dell’ Antologia, nel dicembre del 1826, e nella raccolta intitolata Monumenti d'un manoscritto autografo , e lettere inedite di messer Giovanni Boccaccio ; ri- stampata con aggiunte in Milano nel 1830. Altri autori hanno avanzato, che l’aragonese Luigi della Cerda ritrovasse nel 1334 coteste isole ; ma quello ch’ è indubitato si è, che nel 1341 i Aia 47 fiorentini, uniti a genovesi ed a spagnuoli, a spese del re di Portogallo , partirono da Lisbona espressamente in cerca delle medesime , e le ritrovarono , guidati da Nicoloso de Recco, no- bile genovese , che secondo un valentissimo collaboratore del Giornale ligustico per l’anno 1828, fascicolo 4, fu il principale personaggio dell’esplorazione più diligente di quelle isole, men- tre Angelino del Teggia dei Corbizzi , fiorentino , l’ accompagnò come agente dei negozianti suoi connazionali, che probabilmente erano concorsi alle spese di quella navigazione guerresca. E sic- come pare , che nè il sig. cav. Ciampi , nè altri siasi dato pen- siero di indagare chi fosse quel Nicoloso de Recco, diremo qui, che nei Fasti della nobiltà genovese del Federici si trovano, in- torno a quell’epoca, due gentili uomini di simil nome, entrambi usciti da un’ antica famiglia, già ‘stabilita e notabile in Genova. «nell’anno 1150, e che nel 1528 fu ascritta nell’Albergo dei Cibò. Uno di essi, figlio di Domenico , fu negoziante di spezierie , e dal 1351 in appresso più volte anziano , cioè senatore della re- pubblica, poi sindacatore, massaro del comune, e finalmente nel 1389 maestro razionale, civè ministro delle finanze. Noi cre- diamo che fosse questi lo scopritore anzidetto , poichè l’altro suo parente, figlio di Luzoro, che fu pure anziano nel 1346, era sem- plicemente confettiere, e sembra non avere mai lasciata la patria. Fatto stà, che questa ed altre spedizioni, non che la let- tura dei viaggi di Marco Polo , infiammarono quindi i re por- toghesi, e nominatamente il principe Enrico , duca di Viseu , a fare scoperte nell’ oceano, che prepararono gradatamente la strepitosa rivoluzione operatasi per lo scoprimeuto del capo di Buona Speranza, e delle due Americhe. Di quali viaggi si può leggere in italiano una ragionata, e cronologica esposizione nel secondo volume dei succitati Annali di geografia e di statistica , ove parimente si dimostra , che le isole dette del capo Verde furono scoperte da un altro nobile genovese, Antoniotto Usodi- mare, e non dal veneziano Alnise da Ca da Mosto, come ripete il signor Depping dietro 1’ opinione del P. D. Placido Zurla ; in oggi principe e cardinale di Santa Chiesa. Di un terzo nobile genovese , Antonio de Noli, secondo alcuni ambasciatore della sua repubblica presso il re Alfonso di Portogallo, ma secondo il Barros venuto in quel regno con un fratello; ed un nipote per alcuni dispiaceri ch’ ebbe nella sua patria, e che ritrovò nel 1462 e fece meglio conoscere le dette isole, non 8° incontra presso il n. A. il benchè menomo cenno. E qui ci cade in acconcio il fare osservare , che quelli scrit- 43 tori, i quali. come il Botero, il Federici; ed ultimameate il chiarissimo Pad. Spotorno nella Storia letteraria succitata, si sono immaginati , che fin dall'anno 1441 Antonio de Noli avesse sco- perte le isole del capo Verde , colsero quello sconcio abbaglio da un errore di stampa introdottosi nella traduzione italiana dell’ Asia di Barros, fatta e pubblicata da Alfonso Ulloa nel 1562; in Venezia coi tipi di Vincenzo Valgrisio, dove a carte 31 verso si legge veramente: Et l’anno seguente MCCCCXLI ; ma era facile l’avvedersi, che dovea dirsi MCOCCCLXI , poscia- chè nel periodo antecedente s’ indica 1’ anno 1460 , e poco dopo nella pagina seguente il 1462. L’ eminentissimo Cardinale Zurla avea letto bene il Barros, ed ebbe torto l’eruditissimo Padre Spo- torno nel correr troppo a volerlo redarguire. Così poche cose va parimente dicendo il n. A. d’ un altro benemerito italiano , che meditando le scoperte fatte e da farsi, travedea già la possibilità di fare il giro non solo dell’ Affrica , ma bensì di tutto il g!obo terracqueo : vogliamo dire del dotto medico ed astronomo fiorentino Paolo Toscanelli, nato nel 1397, e che, secondo le testimonianze di tutti gli scrittori coetanei, era vago singolarmente di tutto ciò che apparteneva alla geografia. Son ben conosciute le lettere ch’ egli scrisse a Francesco Mar tinez , canonico di Lisbona, ed all’immortale Cristoforo Colombo, sulla navigazione che facevasi alla Guinea , e circa quella che potea farsi nelle parti di occidente. Colle quali lettere mandava sovente a quei suoi amici carte navigatorie fatte, e disegnate di sna mano , dove dimostrava, che si potea giugnere alle In- die navigando pell’ occidente, e verso l’ isola Antilia, già da più di un secolo segnata nei portolani dell’ oceano. E non è senza motivo che molti credono avere il Toscanelli, fino dal 1474; parlato in queste lettere del capo di Buona Speranza , come di una strada intentata per ire alle Indie ; cenno, che dieile per avventura al Colombo la prima spinta per intraprendere 1’ ardi- tissima , e stupenda scoperta , che immortalò poi meritamente il nome di lui. Era pertanto naturale cosa, che queste strepitose scoperte dovessero recare un nocumento sensibile al mouopolio dei mer- catanti levantini. Le nazioni europee fornite di derrate, e di mercanzie da tutte le parti del mondo, per mezzo della marina dei grandi Stati , non ebbero più bisogno di corteggiare i vene- ziaui, i turchi, od i saraceni. L’ Inghilterra, la Francia, e | 0- landa , imitando 1’ esempio del Portogallo, e della Spagna, fecero come queste due potenze spedizioni, scoperte, e conquiste; € 49 tutte le grandi nazioni marittime dell'Europa ebbero pocostante colonie , od almeno alcune isole nelle due Americhe. Frattanto un genovese, Paolo Centurione figlio di Raffaele, avea concepito il progetto ardimentoso di volgere altrove la strada commerciale coll’India facendola passare , come ai tempi del maggiore splendore di Wisby, e di Novogorod , da Calicut al fiume Indo , e per essa fino ai monti del Turchestan; quindi per non lungo tratto di terra fino al fiume Oxo, o Gihon che metteva al Caspio ; e ricevendo per viaggio i prodotti della Per- sia per unirli a quei dell’ India, tutti insieme farli navigare sul Volga , l’Occa, e la Moscova, con fare della città di Mosca l’ emporio centrale per indi spedirli al Baltico , e ad altre regioni dell'Europa. Munito di lettere del sommo Pontefice, si recò egli più volte presso lo czar di Moscovia, per impegnarlo a secon- dar l'impresa; ma non riuscì nel suo intento , forse perchè volle unire al mestiere di cosmografo e mercatante , quello di missio- nario per convertire i moscoviti. Ognuno però vede quanto il progetto del genovese sarebbe stato dannoso alla potenza inglese nell’India , che secondo l’espressione del chiarissimo P. Spotorno più teme di quel progetto , che di una guerra quanto si voglia lunga, ed acerba. Dopo di avere esposte in poche pagine, ma piene di fatti , e di acute riflessioni, gli effetti che produsse sul commercio in generale, ed in ispezieltà sulle relazioni vicendevoli coll’oriente, la scoperta delle Americhe, e della via per mare all’India orien- tale, conchiude il n. A. la sua bellissima opera con far osser- vare, che fra le potenti repubbliche italiane , che nei tempi da lui descritti dominarono la mercatura del mondo , Venezia si spense negli ultimi anni del secolo passato , e l’Austria non ha potuto trovare altro espediente , per conservare alla città delle lagune qualche poco di traffico levantino, se non quello di conce- dere la franchigia al suo porto; Genova, pochi anni dopo l’ an- tica sua rivale, non altrimenti cancellata dal novero degli Stati indipendenti , coll’ unico compenso di essere in pace colle po- tenze della Barberia, mentre la sola Toscana, e la mercantile sua città di Livorno, sono rimaste non che intatte, ma molto più floride che nei secoli di cui si è parlato , e sotto il savio e vigilante Governo , che regge attualmente i suoi destini , sono “sempre in comunicazione non interrotta con tutte le scale del Levante, Quando le antiche repubbliche, o le provincie marit- time che ne portano i nomi, ne hanno pressochè obbliata lu strada. T. III. Agosto 7 50 Nelle note ed osservazioni aggiunte in fine del libro, leg- giamo , con summo interesse , un’estratto pieno di sostanza del viaggio fatto, nel 1334 , da Leonardo Nicolò Frescobaldi fioren- tino, in Egitto, e Terrasanta, stampato in Roma nel 1818 con un discorso dell’ editore sopra il commercio degli italiani nel secolo decimoquarto, e di due altri viaggi fatti più tardi in Egitto da Alberto di Sartene commissario del papa Eugenio IV, e da Pietro di Anghiera, milanese, ma oratore del re di Spagna. Al- tra nota importantissima descrive minutamente la marina ve- neziana di quel tempo , dietro il rapporto fattone al suo re dall’ anzidetto Pietro d’ Anghiera. E finalmente per terminare l’opera il n. A. ci fa vedere in una annotazione come un mercante italiano, Giovanni di Castro, che nel Levante avea studiata la maniera di prepa- rare l’allume, e che dopo la presa di Costantinopoli, e la caduta nelle mani dei turchi di tutte le miniere di quel fos- sile nell’ Asia , ritornato in patria , vi discoprì nei contorni di Tolfa, quelle non meno abbondanti, ed ugualmente buone, che ancora in oggi formano la principale ricchezza dello Stato pontificio. La quale scoperta indusse il Papa Pio II. allora re- gnante, a fare erigere una statua al detto Giovanni di Castro. J. (GA Annotazione intorno Antoniotto Usodimare. Tutti gli autori che scrissero delle nobili famiglie di Genova , convengono, che quella degli Usodimare presentemente estinta , fosse una delle più antiche. Il Recco, ed il Rivarola nominatamente affermano essere la sua origine venuta da un famoso nocchiero ateniese nominato Timoteo , padre di Barisone, o Ba- risonte , che per Ja sua grande pratica delle cose di mare , ebbe il soprannome di Usus Maris , e venne, con tre snoi figliuoli, ad abitare Genova circa l’anno ottocento della nostra era. Da questo Barisone discese in nona generazione 0- berto , che nel 1109 ottenne privilegii in Gerusalemme per la nazione geno- vese , e fu più volte console della repubblica. Altri individui della famiglia furono egualmente anziani, consoli , ammiragli , duci d° eserciti , ed ambascia- dori, inguisachè poche nobili casate sono nella storia così spesso nominate co- me questa. Il Federici , nelle Famiglie, e nei Fasti, ne registra più di dugento personaggi notabili, e fra essi un Percivalle, che nel 1262 fu arbitro fra i genovesi ed i fiorentini, un Bonvasallo scrittore di Annali dal 1266 al 1270, ed il nostro Antoniotto; figlio di Gabriele, da cui nato in Genova verso il 1410 fu consigliere nel 1446, ed officiale di mercanzia nell’anno seguente, e sedette nel 1449 anziano, consigliere di stato, e partitore. Probabilmente era poco favoreggiato dalla fortuna; onde per cercarla migliore , lasciò Genova nel 1450 con due caravalle , per re- carsi a Lisbona , dove postosi a servizio dell’ Infante D. Enrico , duca di Vi- seu , intraprese per lui diverse navigazioni nell’ oceano , che bagna i lidi del- - DI l Affrica. In una di queste gli avvenne di scoprire nel 1454 il promontorio Verde , dove incontrò poi nell’anno seguente il Cada Mosto. Il così detto Iti- nerario di lui, conservato già tempo nell’ archivio segreto di Genova, porta la data di quest’ anno 1455; e convien credere , che nel viaggio, cui allora sta- vasi preparando, abbia egli guadagnato di che soddisfare i suoi creditori, giacchè da pubblici documenti resulta , che nel 1458 era di ritorno in patria, ove , nel testamento di Niccolò Marchioni, fu nominato suo fidecommissario in Caffa. Supponiamo che colà morisse , poichè d’allora in appresso non si sentì più par- lare di lui. Veggasi Della nacigazione e del commercio , Considerazioni poli- tiche di Tobia Pallavicini , edizione di Genova del 1654 in 4.° e Dizionario storico genovese di Federico Federici, MS., due volumi in folio, tomo se- condo f. 249 verso. E qui non possiamo finire senza dolerei ancora dell’avere il ch. Padre Spo- torno; nel trarre la copia della lettera di Antoniotto dal libro dell’Eminentissimo Zurla , pinttostochè dagli Annali del Gràberz, che primo in Genova la pub- blicò, saltato a piè giunti diciotto versi del testo latino , che nell’ esemplare copiato fanno precisamente un” intera colonna di faecia; lacuna, che ha dato stroppio al senso dell’ orizinale , e che veramente fa scomperire un cotal poco 1° erudita Storia letteraria della Lizuria. — V. Tomo II. p. 303. Genigrafia italiana , 0 nuovo metodo di scrivere quesi’ idioma affinchè riesca identicamenie ieggibile in tutti gli altri del mondo , inventato e pubblicato dal M. R. P. Fas Gio. Giv- serre Marzaza di Lucca, Min. Oss. della Prov. di Tosca- na , predicaior generale apostolico , ex missionario di Pro- paganda Fide nell’America meridionale ec., consultore, tev- logo ed esamina:ore sinodale dell’ arcivescovado della Plata, consultore del S. Ufpizio dell’ Inquisizione del Perù , profess. pub. di matematica e di teologia morale in quel Regno, nelia cui vastissima diocesi ha esercitato il suo ministero lo spa- zio di 3» anni, il quale la dedica a S. A. R. il Duca di Lucca. Lucca, 1831, Tip. Genigrafica, 3.°, Volume di p- 154. IL’ arte di comunicar per iscritto tutti i concetti mentali , (dice l'Autore nell’esposizione sommaria della sua opera ) senza dipendere dall’ idioma dello scrittore e del lettore, ma di un modo che la scrittura risulti leggibile in tutti quelli del mondo, ha formato soggetto delle meditazioni di molti sapienti, fra i quali si possono singolarmente rammentare Leibnizio , Cartesio , Wolfo , ec., e molti altri sì antichi che moderni, de’quali l’A. annovera i nomì. Ma le meditazioni di costoro non ebbero niun favorevole risultato ; poichè non era ancora arriva:a P epoca 52 è conveniente assegnata dalla divina Provvidenza. Ora che questo felice momento è giunto, l’ autore ha inventato e concluso que- sto desideratissimo metodo , colla brevità, facilità e chiarezza che manifesta questo libro. Quindi il Padre Matraia , religioso lucchese , manifesta nello stesso frontespizio essere stata sua intenzione d’ instituire un nuovo metodo di scrivere l’ italiano , in modo che riesca leggi- bile e intelligibile in tutti gli altri idiomi del mondo ; e diri- gendosi poi alla studiosa gioventù la invita allo studio del suo libro , col quale promette di porla in istato di leggere e inten- dere perfettamente i concetti mentali di tutti gli uomini, senza la pena d’ apprendere i loro idiomi diversi. Dunque : 1.° tutti gli uomini diversi per cielo e pet favella potranno leggere e intendere l'italiano. = Dunque: 2.° gl’ ita- liani potranno leggere e intendere tutti gl’ idiomi, nissuno ec- cettuato, senza la pena di apprenderli. Queste due promesse sono grandi e lusinghiere per tutto il genere umano. La sommaria esposizione che ci studieremo di fare di que- st’ opera, ed alcune osservazioni che ci apporremo, metteranno i nostri lettori in grado di giudicare se l’autore abbia raggiunto, o sia sulla strada di raggiungere, il doppio scopo a cui ha intesa la sua letteraria fatica. E siccome questo nuovo metodo è an- nunziato come invenzione dell’ autore medesimo , ci faremo le- cito ancora di dire alcun che sul merito dell’ invenzione. I. Il ch. Autore dà alla parola Genigrafia il significato di scrittura o modo di scrivere generale , senza relazione ai diversi idiomi. Avendo egli considerato essere in natura due idiomi ; il visuale o paniomimico, comune a tutti gli uomini; e l” auri- colare, proprio delle diverse nazioni: che ambidue questi idiomi analoghi nell’ essenziale, cioè nella comunicazione dei concetti mentali (che è quel che importa), non lo sono nell’accidentale, cioè nella comunicazione di questi stessi concetti per mezzo d’uno piuttosto che d’ un altro senso , concepì il suo disegno. Egli si propose in conseguenza di ridurre all’ idioma visuale , comune a tutti gli uomini, gli altri idiomi auriculuri , propri delle di- verse nazioni: di accennare il modo di comunicare i concetti mentali, non per via di parole, ma di cose (o segni) che le rap- presentino, trattandole algebricamente, cioè sostituendo segni vi- bili a’ segni auriculari, quali sono le parole. In tal guisa con- sidera sciolto il problema propostosi; avendo trovato il modo di comunicare i concetti mentali per scritto come fa il pantomimico co’gesti; il quale essendo di natura sua visuale solo in presenza, È 53 diventa visua'e anco in distanza. Così ciascuno nserà il proprio idioma , ma lo scriverà in altro modo , cioè in quello che viene dall’ autore insegnato nel suo libro. In una breve introduzione , fissate le concorrenze comuni a tutti gl’ idiomi vocali, le quali formano i fondamenti di co- municare i concetti mentali ec. , ossia del nuovo metodo panto- mimico per iscritto , nella ristampa che farà del suo libro pro- mette di abilitare nell’ esercizio di scrivere e leggere genigrafi- camente tutti coloro che a prima vista si sgomentassero per l’ap- parente difficoltà di acquistarlo ; esigendo soltanto che chi vorrà farne uso conosca le parti che compongono il discorso. Passa quindi a trattare della grammatica genigrafica , cioè delle parti dell’orazione; fissando in altrettanti tevremi: che l’idioma visuale deve mostrare alla vista non solo le nuve parti dell’ orazione , ma eziandio il genere dei nomi, i loro numeri e casi; il so- stantivo e le sue ultime differenze ; gli adiettivi, i pronomi, gli avverbi , i participi, le preposizioni, le interiezioni, le congiun- zioni; i verbi, e le loro coniugazioni per modi, per tempi, per numeri , per persone ; e finalmente le note ortografiche e scien- tifiche. Per distinguere nei nomi le declinazioni assegna tre cifre numeriche da scriversi in ordine, distinto fra loro da un punto. La 1 se il nome è singolare ; la 2 se è plurale ; poi 1. 2. 3. 4. 5. 6 pei diversi casi. Per distinguere il genere assegna À pel mascolino; È pel femminino ; le quali due lettere o segni devono precedere le ci- fre che indicano il numero e il caso ; segni che l’autore chiama coefficienti. Per distinguere le coniugazioni dei verbi assegna le cifre 1. 2.3. 4 pei quattro modi infinito , indicativo, imperativo , congiuntivo. Pei tempi assegna le cifre 1.2. 3. 4. 5. 6; cioè pel presente; imperfetto ; passato semplice , passato composto , pas- sato più che perfetto , futuro. Assegna le cifre 1, e 2 , pel sin- golare e pel plurale ; e le cifre 1. 2. 3 per le persone. Oltre questi segni ogni nome o verbo ha una caratteristica che succede sempre ai segni o cifre sopranotate : le altre parti del discorso hanno la sola caratteristica (1), e di questa parlere- (:) Alcune avvertenze sul distinguere i sostantivi comuni, verbali, nomi- mali, propri ec.; gli adiettivi graduali, mumerali ec. ; i participi presenti, passati, futuri, attivi ec. che .omettiamo di notare , potranno dai lettori ve- dersi nell’ opera originale. 5 54 mo dopo avere accennato alcuna cosa intorno al dizionario ita- liano , che dalla pagina 26 inclusive si estende per 100 pagine. Il dizionario è formato da altrettanti dizionari, quante sono le parti del discorso. Ciascuno di questi dizionari è disposto per ordine alfabetico , ed è diviso in tante serie di 25 vocaboli , a ciascuno dei quali è anteposta una delle 25 lettere dell’alfabeto. Queste serie sono numerate con numero d’ ordine. I sostantivi occupano 424 serie ; gli adiettivi 58; i pronomi 3; gli avverbi 25; 1 verbi 66; le preposizioni 3; le interiezioni 2; le congiun- zioni 3. Così il dizionario, ossia il complesso dei dizionari (che chiameremo grammaticali ) è composto di 581 serie. Siccome ogni vocabolo in ciascuna serie è preceduto da una lettera dell’ alfabeto, ed ogni serie è numerata in ordine, la caratteristica di ciascano di essi è formata dalla lettera a cni è apposto il vocabolo , e dal numero della serie. Così per esempio il vocabolo soldato che è apposto alla lettera H della serie 355 ha per caratteristica H - 355. E per distinguere che il vocabolo Ir è sostantivo , in testa alla lettera vi è la cifra 1, H; nella stessa guisa che sulle lettere caratteristiche degli adiettivi vi è la ci- fra 2; su quelle de’ pronomi la cifra 3 ; su le lettere degli av- verbi la 4; su quelle dei verbi la 5; su quelle delle prepo- sizioni Ja 7; per le interjezioni la 8 ; per le coniugazioni la 9; ai participi tocca la cifra 6; ma questi non sono riportati nè schierati nel vocabolario, dipendendo dai verbi: — Così la ca- 9 ratteristica dell’ adiettivo valoroso è G * 55; quella del verbo 5 combattere sarà N - 16; così quella dell’ avverbio volentieri 4 è 1- 26. Al dizionario italiano succede un altro dizionario intitolato dei sostantivi giudicati sinonimi dalla Crusca in numero di 442; degli adiettivi in numero di 251 ; e dei verbi in numero di 332; in tutti sopra 1000 voci. Veduto quali segni grammaticali , e quali caratteristiche ser- vano a distinguere i vocaboli e i loro accidenti o variazioni, da- remo un esempio di una breve sentenza scritta in idioma visuale, la quale comporremo di vocaboli dei quali conosciamo la carat- teristica, per non dovere ricorrere al dizionario. La sentenza sia Il soldato valoroso combatte volentieri. < (1) Abbiamo il sostantivo mascolino A ; singolare 1°, nomina- 59 ' I o I tivo, 1° e la caratteristica H-355, quindi scriveremo A-1*1*H-355. L’ adiettivo, che conosciamo essere tale dalla cifra 2 posta in a testa alla caratteristica G non abbisogna di avere il segno del o mascolino A, perchè sappiamo che in italiano deve accordare col sostantivo in genere, nei segni del singolare o del caso. Quindi a basterà scriverlo colla sola caratteristica che è G-55. Segue il verbo indicativo, presente , singolare, terza persona e la carat- : 5 5 teristica N-16. Quindi si scriverà 21*3-N.16. L’ avverbio avendo 4 per caratteristica L-26 non ha bisogno di altri segni, e in con+ seguenza 0) 1 2 5 4 A-1:1:H:355 — G:55 == 2:153:N-16 — —L‘26 il soldato — valoroso == combatte = volentieri Dubitiamo che la brevità, che ci siamo imposti nel dare un ragguaglio dei fondamenti e dei principj di questa genigrafia , non ci abbia dato campo bastante per far concepire ai nostri lettori una sufficiente idea del lavoro del ch. Autore ; pure con- fidiamo che coll’ opera del Padre Matraja alla mano la nostra benchè concisa esposizione ne renderà più facile l’ intelligenza. Vorremmo poi sperare che l’Aut. trovasse esser noi entrati nello spirito del suo nuovo metodo , che forse non è tanto facile a intendersi in una prima lettura ; per quanto nulla resti da de- siderare rispetto alla chiarezza e all’ordine usato nel dichiararlo. Questo è il nostro desiderio , al quale si aggiunge 1’ altro; che quello che ne abbian detto basti ad invogliare il pubblico di conoscere quel libro , in cui vedrà con quanto ingegno e. con quanto sapere grammaticale sia stato trattato un soggetto filolo- gico affatto nuovo, e, diremo così, tutto speculativo. Per dare un saggio dell’ applicazione del suo metodo (col «qual saggio pare che abbia l’ autore inteso dimostrare che una sentenza scritta genigraficamente in italiano possa essere intesa in qualunque altro idioma), ha in fine del libro data in una ta- vola l’ orazione domenicale tradotta in dodici diversi idiomi: dal- l’ osservare la quale tavola sono nate alcune nostre osservazioni che modestamente esporremo. II. I vocaboli registrati nel dizionario italiano , disposti per ordine alfabetico, desumono le loro caratteristiche : 1.° dal nu- mero della serie nella quale cadono: 2.° dalla lettera alfabetica 50 alla quale ‘in quella data serie sono apposte. Così il sostantivo acqua , che è uno dei primi vocaboli sostantivi del dizionario italiano , è apposto alla lettera R della seconda serie, e quindi " ha per caratteristica R-a. Ma quando un inglese o un francese troverà questa caratteristica , per sapere che essa significa water o eau , bisognerà che queste due voci abbiano la stessa caratte- ristica. — Così per la stessa ragione l’ adiettivo italiano tutto 2 ha la caratteristica A-+55. Ora perchè un inglese o un francese sappia che quella caratteristica significa all e tout, bisognerà che nei dizionari inglese e francese questi due vocaboli abbiano la stessa caratteristica. Ma se quei due dizionari fossero disposti , come l’ italiano , per ordine alfabetico, non potrebbero mai avere le stesse carat- teristiche. Poichè il sostantivo acqua è della 2. serie; il che in- dica che è uno dei primi delle prime serie nel dizionario ita- liano ; laddove la voce water caderebbe nelle ultime serie del- l’ inglese , come la voce eau in una delle serie intermedie del dizionario francese. Così 1’ adiettivo tutto ha per caratteristica 2 A-55 , essendo un vocabolo posto in una delle ultime serie del dizionario italiano e francese ; mentre il vocabolo 4/7 verrebbe ad aver posto in una delle prime serie del dizionario inglese. 1. In conseguenza; se i vocaboli dei dizionari degl’idiomi di- versi fossero registrati per ordine alfabetico, non potrebbero es- sere divisi in serie ciascuna di 25 vocaboli, nè annessi alle let- tere alfabetiche ; nè le serie portare un numero d°’ ordine pro- gressivo ; nè potrebbero avere le stesse caratteristiche che dà a quelli il dizionario italiano. 2. In conseguenza un solo dizionario può assegnare le ca- ratteristiche di tutti i vocaboli degli altri idiomi: e nel nostro caso tale pare essere l’ufizio assegnato al solo dizionario italiano. 3. In conseguenza se i dizionari degli altri idiumi fossero di- sposti in ordine alfabetico, e non distribuiti in serie numerate progressivamente, piuttosto che dizionari sarebbero indici di vo- caboli ai quali fossero apposte le caratteristiche assegnate ad essi dal dizionario italiano. 4. ln conseguenza col solo dizionario italiano si potranno dai soli italiani e non da altri leggere e intendere i concetti mentali espressi in italiano ; contro ciò che si promette dall’ A. nel frontespizio del suo libro. 5. In conseguenza i concetti mentali espressi in altri idiomi 37 non possono esser letti nè intesi dagl’ italianì ; come promette I’ Autore nell’ avviso alla studiosa gioventù. 6. In conseguenza il libro del nostro Aut. insegnerebbe a scrivere e a leggere una scrittura in cifra: per intendere e leg- gere la quale sarebbe di mestieri occuparsi in uno studio super- fluo per chi legge e intende l’ italiano, e che non gioverebbe se non per scrivere secretamente solo a coloro che conoscessero il nuovo metodo: e così difficoltarne al maggior numero degl’ita- liani 1 intelligenza. Ma forse questa nostra osservazione non avrà luogo, essendo supponibile che il nostro Autore voglia attenere le promesse fatte agl'italiani e agli esteri; ed abbia già pensato al modo di prov- vedervi; non potendo noi supporre che voglia lasciare inadem- pite le sue promesse fatte al genere umano di risparmiare lo stu- dio di qualunque idioma fuori del proprio , e di fare a tutti in- tendere tutti gli altri idiomi. Ma siccome nel suo libro non dà il minimo cenno che possa farci arguire o indovinare a qual com- penso possa aver pensato l’ Aut. , ci sia lecito il sospettare che possa esser mente di lui il duplicare ciascun dizionario per ogni idioma , destinandone uno per leggere, l’altro per scrivere ge- nigraficamente. Il primo (che chiameremo propriamente dizionario genigra- fico ) si potrebbe formare ponendo in capo ad ogni pagina il ti- tolo sostantivi esponente 1; e quindi facendo le serie delle 25 lettere alfabetiche, e numerata ciascuna serie dall’ 1 fino al 424 più o meno di serie che bisogneranno. Si potrebbe apporre ad ogni lettera ove è la voce italiana , il vocabolo inglese equiva- Li lente all’italiano. Sotto la serie 2 alla lettera C vi si apporrebbe x la voce steel; acciaio, e alla lettera R_ water, acqua: sotto la se- I LI rie 9 alla lettera B friend, amico ; alla serie 77 lettera A tai, z coda; alla classe 317 lettera P answer, risposta; e così in seguito. Con questo dizionario 1’ inglese che trovasse scritti genigrafica- o 1 o I mente A-2*1-B:9 leggerebbe friends, B-6-1:N:274 leggerebbe from the rain ec. Diversamente dovrebbe distribuirsi 1’ indice per mezzo del quale l’ inglese potesse scrivere genigraficamente. In questo i vocaboli inglesi dovrebbero essere disposti con rigoroso ordine alfabetico, e ad ogni vocabolo dovrebbe essere T. III, Agosto 8 58 aggiunta, la caratteristica di esso: Così quando vorrà scrivere la pargia answer la troverà in agenti: dell’ indice; e vi: verrà rap- posta la sua Giretteristioge che sarà p. 317 “alla quale cavatteri- stica auteponendo i coefficienti della declinazione farà intendere (0) I all'italiano che la scrittura geulisrafica B-152*P* ‘317 Significa dalla pioggia; e quando vorrà scrivere wafer scriverà genigraficamente o I nel nominativo singolare B-1-1-R-a. L’ italiano comprenderà che vi si ‘imtende ‘ùn sostantivo femminino 5 ‘nel: primo caso ; € nel singolare; \cercherà la lettera R nella seriè 2, e.troverà la pa= rola acqua (2). Un’ altra osservazione ici permetteremo di fareintorno n di- zionario dei sinonimi, «dato ;dall’Aut. per non rendere tanto vo- luminoso e far più tascabile il dizionario universale già compo sto di circa 25000 vocaboli. Troviamo alla voce Baldoria per si- nonimi Rogo; Ripa come se fossero obliati ‘nel dizionario je vi sono ambidue. posti , «il primo nella serie 320, »1.secondo nella serie 315, mentre Bu/doria è alla serie 28. Al vocabolo Barco del dizionario «le sinonimi troviamo Burriera , Anfiteatro , Can- cello, Cavallerizza, Serra, Steccato , Serraglio, Circo; voci tutte riportate nel dizionario universale sotto. le respettive serie nu- merate. Al vocabolo Ladro del dizionario de’ sinonimi troviamo sino ‘a 13 voci che si accennano come mancanti, e. che all’ op- posto sono registrate nel: dizionario, sotto le respettive serie nu- merate ;, ove manca la voce Ladro. Il simile è ragionevole cre- deve clie sia di altri vocaboli : così pare che avrebbe potuto ri- sparmiarsi in gran parte il dizionario dei sinonimi, o molti vo- caboli registrati nell’ uno. e nell’ altro dizionario. Al vocabolo Barba troviamo dato per sinonimi Capello, Chioma, Ciglio,, Muntello, Piuma ec. Non abbiam presente : se queste e molte altre voci indicate come sinonimi sieno state dagli autori adoprate in senso figurato ; in senso retto non crediamo per fermo; e in senso figurato ben di rado; nè ci sovviene se non che Dante (2) Quando !’ Autore non abbia tenuto lo stesso modo, domanderemmo come possa essere che nella orazione domenicale il verbo to give abbia la 3 stessa caratteristica H 21 del verbo dare; come pane e bread abbiano am- I 2 bidue quella di R-255 ; quotidiano e daily la $-43; perdonare e fergive la 5 I stessa V-51; male e evil la stessa P-219 ? 59 ‘chiamò ‘oneste piume la barba di Catone. Gi sembra inoltre nu- meroso sì ma non compito il dizionario generale, mancandovi belle e buone voci’, “ed essendovene' molte altre che in vece delle briorie e di muso si! sarebbero: potute tralasciare. Ma (i questo forse accorgendosi l’autore, porterà qualche riforma in quella ‘parte dell’ opera sua. INI. Avendo l’Aut. annunziato come inventato da lui il nuovo metodo di scrivere l’idioma italiano in ‘modo che riesca non solo identicamente leggibile ‘in tutti gli altri del mondo», ma che an- coru‘serva.a leggere e intendere. i concetti mentali di tutti gli nomini diversi per cielo e'‘per favella, senza intendere il loro îdio- ima; abbiamo tutta la ragione di credere che non sia giunto a notizia di lui essere stato già fatto‘un tentativo molto ‘analozo ‘al sto lavoro , forse no abbastanza ‘noto’ nè ‘universalmente +e che'd’''autore non' poteva lurse conoscere per aver passato la mas- isima parte della sua vita (più li 4> anni) in regioni remotis- sime dall’ Europa, e'nelle quali forse non abondano biblioteche d’ ogni maniera di libri , e di libri di antica data ; e per essersi occupato in ministeri e in funzioni più serie e più importanti a confronto degli studi letterari. Così senza saperlo egli si è incon- trato pel disegno e per l’ intenzione , se non affatto per 1’ ese- ‘cuzione ; con uno; scienziato della prima metà del secolo XVII. Questo sc‘enziato è Gio. Giovacchino Beckero di Spira me- dico ed ‘archiatro alla corte elettorale di Magonza, celebre per le ‘sme opere singolarmente di chimica ; il quale nel 1661 stampò a Francoforte sul Meno un trattato. latino. col titolo Clavis con- venientiae linguarum: character pro notitia linguarum univer- ‘sali; inventum steganòographicum hactenus inauditum , quo quil- Libet suum legendo vernaculum, diversas , :imo omnes linguas, unius etiam diei informatione explicare et intelligere potest. Poco dopo l’ autore fece di questa sua chiave una seconda edizione in lingua tedesca. Il Padre Gaspero Scotti nel lib. VII. , cap. JI. della sua Tecnologia curiosa descrive \prolissamente questo metodo, e gli dà il nome di Chiave universale di tutti gli idiomi dell’universo. ‘Aggiunge ancora che, per quanto il divolgare per tutto il mondo questo metodo fosse una impresa di grandissima spesa, pure non sarebbe nè molto. dispendioso, nè tanto difficile il ditfonderlo fra quattro o sei.nazioni , come italiani , greci, franeesi ; tede- schi, inglesi, svedesi ec. : che tale opera sarebbe da eseguirsi da una società di altrettanti eruditi; che oltre /a lingua la- 60 tina, se nun tutte, conoscessero ciascuno bene la propria ; i quali collegialmente compilassero un duon lessico latino, per quanto non vi fosse necessità di raccogliere i vocaboli tutti la- tini, ma i più semplici, i più necessari, i più ovvii, avendo in mira come primo scopo , non l’ eleganza e la copia, ma la semplicità. Allora seguendo /a guida del lessico latino ciascuno stendesse il lessico del proprio idioma, 1’ indice, e le variazioni. Segue quindi lo Scotti a dare alcune avvertenze per mandare ad effetto questo primo disegno del Beckero. Dopo il padre Scoth, Gio, Cristoforo Sturmio p. professore di matematica e fisica nell’ università. di Altford pubblicò in Norimberga per le stampe di Maurizio Endtero nel 1676 un’opera latina intitolata Collegium Curiosum , sive experimentale, in un volume, nella quale descrive gli esperimenti fisici matematici da lui dimostrati nell’ ultimo quadrimestre del 1672 a 20 distinti soggetti studiosi di scienze naturali , i quali, annuendo, ad un programma d’invito dallo Sturmio fatto nel 3 giugno 1672, si sottoscrissero per furmare come membri quel collegio curioso, Il libro è dedicato al Magliabechi bibliotecario e .consigliere, così chiamato dall’ editore , del Granduca di Toscana. Intitola lo Sturmio Tentamina queste sue dimostrazioni espe- rimentali: il XII de’ quali a pa;- 74 ha per principio o rubrica, Specimen edens novi artifici scribendi quidvis in quavis lingua quod a quarumlibet linguarum nationibus legatur et intelliga- tur ; et legendi atque intellisendi quod libet in qualibet lingua scriptum hoc eodem artificio. Questo artifizio (egli dice al $. 1) esige primieramente nn lessico scritto in una qualunque lingua ( che lo Scotti propone essere la latina ), del quale più sotto daremo un rozzo abbozzo. In secondo luogo nelle altre lingue, fuori della latina, un indice delle parole contenute nel lessico , disposto secondo 1’ ordine del- l’ alfabeto e di cui pure daremo un abbozzo. In terzo luogo una tavola delle variazioni dei nomi e dei verbi come nel saggio se- guente. — Nè vi è bisogno che d’ un solo dessico, di un solo indice . di una sola tavola delle variazioni stesse nell’idioma proprio : per esempio , nel francese , del lessico ; dell’ inilice , e delle variazioni francesi. ,, “« Se qualcheduno (ei prosegne nel $. II), per esempio un te- desco , voglia scrivere nel proprio idioma ad un francese : Gott lieben einigfeit , in modo che da quest’ ultimo ignaro dell’ idioma tedesco possa esser letto ed inteso, cerchi prima ciascuna voce Gi nell’indice o scriva il mumero che ad essa surà apposto sopra una caita al di sopra delle parole già antecedentemente scritte con una certa distanza fra loro, come segue; 24 7 22 Gott lieben einigfeit Nella tavola poi delle variazioni prenda i numeri corrispondenti alle terminazioni, ai casi; ec., e scriva questi numeri a destra dei primi, frapponendovi un punto , in modo che i numeri, vengano disposti come segue; 24:1° 7°15- 224% Gott lieben einigfeit riunisca poi i soli numeri, distinguendoli con una lineetta e po- nendo due linee per punto fermo alla fine della sentenza, così: 24.117.154 22.4I] « Il francese ignaro dell’ idioma tedesco (segue al.$. III) cer- cherà il primo numero 24 nel suo /essico., e vi troverà corrispon- dere la parola Dieu. Cerchi il numero; r..nella #avo'a delle va- riazioni., e troverà che è il primo caso del singolare. Al secondo numero 7 troverà nel lessicu francese ainer., e cercando il nu- mero aggiuntovi 19 nella tavola delle variazioni vedrà che è la terza persona singolare del presente, e leggerà aime. ,, « Per procedere alla terza: parola in numeri, il numero 22 gli darà la ;voce concorde e il 4 della tavola delle variazioni gli mo- strerà il quarto caso del singolare, e leggerà Dieu aime la con- corde : sentenza rigorosamente equivalente al tedesco. ,» Dà quindi lo Sturmio un: brevissimo saggio. di pochissimi vocaboli , che egli intitola : specimen lexicorum ad commercium literarium universa!e nationum toti::- mundi omnium , ita insti= tuendum, ut quod uno idiomate sibi proprio scripserit, id reliquae omnes vernacula singulis lingua legere possint, necessarium. Comincia dal /essico latino , fondamento e cardine degli altri lessici , nel quale per brevità comprende sole 119 voci, ;dandone par saggio 4, 6, 8, ro per ogni lettera dell’ Alfabeto, e a cia- scuna voce appone un numero dall’ 1 fino al 1rg. Il lessico è composto di sostantivi , verbi , avverbi , ec. promiscuati, e di- sposti per ordine alfabetico, e vi sono aggiunti i numeri da’quali è accompagnato ogni vocabolo ; e nel modo stesso sono stesi i saggi dei lessici greco , francese , tedesco , italiano ; ad ogni vo- cabolo dei quali è apposto il numero del vocabolo latino equi- valente , in modo che si succedono nell’ordine naturale -1,.2, 3. . . . I 19: Succedono i saggi degl’ indici greco ; francese, tedesco, ita- 62 liano da unirsi a ciascun lessico. In questi i vocaboli dei diversi idiomi sono disposti per ordine alfabetico , e vi suono aggiunti i numeri equivalenti ai vocaboli del lessico latino., il quale serve di campione agli altri lessici. Così gl’indici sono distesi secondo l’ ordine alfabetico , i lessici: secondo 1’ ordine numerico. Seguono pui le tavole «delle. variazioni per ciascuna lingua latina ; greca, francese; tedesca e italiana; queste suno composte di 168: numeri. I primi dall’ 1 al 13 inclusive servono alle .de- clinazioni : dal 14 al 93 inclusive alle coniugazioni degli attivi; dal 94 al 168 alle comugazioni dei passivi. Nei $$. VI VII, che suceedono alle tavole delle variazioni, lo Strumio racconta ‘vari esperimenti fatti dai Soci del collegio esperimentale scrivendo essi varie sentenze in greco., in francese, e in italiano. + alimenti Ci' sembra non affatto' inutile , e specialmente per dar com- pito conto' di questo ‘tentamen XII: il notare che volendo sop- primerè le cifre numeriche } nel $. IV suggerisce di formare al- trettanti ‘parallelosrammi, quante sono le ‘parole della sentenza, spartiti da alto in basso da tra linee orizzontali in quattro spazi, e divisi per metà da una verticale * assegnando ai quattro spazi, l’uso di contenere, salendo dall’ inferiore al superiore; le unità, le diecine , le centinaia e le migliaia ; ed usando invece di cifre numeriche un . punto per |’ unità , ed ‘una = lineetta pel va- Tore di'5 unità. Nelle prime caselle a sinistra d’ogni parallelogrammo pre- scrive di porre' il numero dato dal lessico alla parola : nella se- conda a sinistra quello dato dalla tabella delle variazioni. Così il numero 24 è rappresentato da due * * nella casella delle die- ‘cine ; da quattro * » +» nella casella delle unità: nella casella a destra il solo «* indica 1’ 1. della tavola delle variazioni. Pon- ghiamo per esempro la sentenza : Dio ama la concordia. I nu- meri 24. 1. | 7. 15. | 22. 4. [| si segneranno così Dio ama la concordia Fig. 1. Fig. 2. Nasce È citi rg enti eZ ll lio OTO I SIINO "è PIP 10 | near: n 1000 rp ir] al “|| Aggiunge al $. V che quando occorresse di scrivere un nu- mero puro (per es. XXXV ) si scriva a sinistra j e alla destra 63 vi si ponga il numero 170, che è maggiore dei numeri compre- si nella tavola delle variazioni; e \che darà indizio che XXXV deve leggersi 35 come numero puro, e non come numero indicau- te vocabolo. Ecco quale è ‘l’artifizio efpobito dallo Strumio)nell’ opera sua. Egli uon loda per propria invenzione y;;mà ne rammenta |’. au- torte in fine della 2.:* parte di. quelirvolume alla pag. 108: Esigendo che'i parallelogrammi. fossero spartiti vin! quattro spazi orizzontali , il .superiordei quali servir dovesse. per le. mi- gliaia , fa conghietturare che i lessicire: gl’ indici potessero, con- tenere fino a 10000 vocaboli come mostra la figura 2. Il qual numero di vocaboli 'pate-che ‘possa éssere sufficiente ad esprimere qualunque concetto ; potendo forsea taluno sembrare troppo co- pioso ‘il dizionario italiano steso dall’autore della ‘Genigrafia. Nou istaremo ‘a confrontare i due metodi, del Bekero ‘esposto dallo Strumio; ‘e del padre Matraja; lasciando, che ne giudichino i lettori, indicando solo che la sentenza sopra, espressa, secondo il metodo del nostro autore, si scriverebbe Dio ama la concordia Co) 6 5 o I A-1:1*R:116-=2-1°'3'Y6—B-1°4P:84-— Sembrerà forse a taluno inutile la distinzione del mascolino i î Ì () o e del femminino per mezzo dei segni A,.e B, considerando che non tutte le voci, che in una lingua sono di un genere, sieno in ogni idioma del genere. medesimo; e crederà per avventura superflue. certe avvertenze grammaticali minutamente particola- rizzate. Ma risponderemo che una grammatica anco, genigrafica doveva essere ragionata, e che senza l’ appoggio della gramma- tica non sta ;in piedi un idioma qualunque. Se poi abbiamo reso conto di ciò, che prima sullo stesso sog- getto che è di presente trattato dal nostro autore , fece un secolo e mezzo fa lo scienziato tedesco, non intendiamo che le nostre pa- role diminuiscano nella menoma parte il merito dell’ opera la- boriosa ed ingegnosissima del Religioso lucchese; e desideriamo che riceva in buona parte le nostre qualunque siansi osserva- zioni, e la notizia, che certamente ei non aveva, che uno scrit- tore tedesco del secolo XVII avesse prima di lui dato opera per mandare ad affetto uno stesso disegno. (RgT E 64 Appendice. Fra già dato allo stampatore il presente articolo , quando dal Direttore dell’ Antologia ci fu comunicata una. cortese lettera ‘serittagli dall’ autore della Genigrafia, italiana, nella quale glivacclude le correzioni di alcuni errori corsi nella edizione del suo libro : prendendo questa occasione per rimettergli due lettere genigrafiche } fra le molte ‘scrittegli , da due studiosi gio- vani che per diletto si sono ‘dedicati/per pochi giorni allo studio del suo metodo. Aecompagna ‘poi ‘dette due lettere scritte in idioma visuale colla loro ‘traduzione in ‘idioma auriculare italiano, coll’ oggetto di togliere ‘al Direttore la molestia. di farne una verificazione , e di dargli il piacere di vedere èffettuato ciò che. egli aveva pre- sagito , onde! con questi saggi assicurarne 1’ evento nell’ articolo da lui promesso nell’ Antologia sul suo libro, Nissuno avrebbe mai dubitato:che quelle due lettere potes- sero leggersi ed intendersi da chiunque sapesse l'italiano , ed avesse alle mani il libro dell’ autore. Nissuno avrebbe dubitato che si possa scrivere una lettera con caratteri o segni diversi dagli alfabetici disposti in parole. Ma:niuno ‘resterà persuaso che ;collo scrivere. con segni diversi dagli usuali qualche sentenza in lingua italiana si possa porre in grado gl’ italiani d’ intendere concetti ‘scritti in un idioma che non sanno , fin tantò che le nazioni che usano' idiomi diversi e loro propri non si determinino , non solo a scrivere Espeon: mente, ma eziandio a cib blicare lessici, indici) ec. stesi ne’ lo- ro propri idiomi , i vocaboli dei quali abbiano le stesse caratte- ristiche che hanno nell’ idioma italiano, le quali forse amerebbé- ro che piuttosto fossero prese da un lessico di una lingua dotta, e più comune ‘dell’ itàliana’, quale sarebbe la latina. i Quindi” ci sembra ché cose italiane scritte non con le lettere usuali e con parole, ma cò ségni convenuti , non indichino er ora, nissun vantaggio agl’ italiani, nè presentino il modo d’in- tendere ciò che i dotti di altre nazioni scriveranno ne’ loro pro- pri idiomi. 65 Introduction à l’ Histoire universelle par M. Micuerer eto. Pa» ris 1831. Ecco un libro in cui con duolo vedesi volto a poco buono uso l’ immenso possesso d’ Istoria e di Filologia (1), che ogni sua pagina testifica in chi lo scrisse. Ed onde non far sembiante di sentenziosamente asserire senza dimostrare, entreremo subito in materia specificando le cause del fallimento di cotanti capi- tali. Impasto de’ principj filologici di Vico, di Hoerder, di Nie- buhr e di Fabre d'Olivet, di Fi/o/ogi cioè, poro o punto concor- devoli. Continuo andamento a mirare i fatti istorici da un lato solo, per adeguarli, bene o mal tuo grado , ad un sistema pre- concepito. Sforzo a trasfigurar l’ istoria in formole metafisiche. Stile oscurissimo , perchè sempre e troppo metaforico. E infine , parzialità anzi indiscreta che nò d’amor patrio, in un argomento il quale , contenendo la rassegna de’ Fasti del genere umano, vor- rebbe essere trattato , se ciò fosse possibile, da un cosmopolita. Dì che citeremo in prova quà e là taluni brani originalmente. Così facendosi , parlerà l’ opera ; e parlerà la critica. Così facen- dosi, la seconda sarà immune in gran parte de’ suoi ufficj ognor dolorosi alla prima. Così facendosi, il Critico evitando il rischio o di indebolir il testo traducendolo , o di travisarlo non inten- dendolo , come sovente ne avvenne, avrà maggiore osservanza a’ riguardi sempre debiti verso ogni autore. Avec le monde , esordisce Michelet , a commencé une guerre, qui doit finir avec le monde, pas avant. Al quale esordio chi legge, consentendo alla verità della sentenza , precorre all’ Au- tore, e intende il pensiero all’ eterna lotta sul globo pria fra individuo e individuo , poscia fra famiglia e famiglia, quindi fra tribù e tribù, in fine fra popolo e popolo. E non isragiona così precorrendo ; perchè , oltre al senso letterale , il primo sem- pre che si affacci alla mente ad ogni suono di parola, quale al- tro fatto se non la guerra è l’ eterno subietto dell’ Istoria ?_ Na sentesi deluso in continuando a leggere. La guerra, sottintesa da chi scrisse, è tutt'altra di quella presunta da chi legge: è una guerra onninamente allegorica ; celle de l’homme contre la natu- re , de l’esprit contre la matiere , de la liberté contre la fatalite. (1) Nel linguaggio di G. B. Vico, il quale così denominò la scienza di sua invenzione , oggi detta Filosofia dell’Istoria. T. III. Agosto 9 66 I poeti e gli oratori, dovendo toccare il cuore col nervo della fantasia, debbono vestir le idee con la materialità delle imagini, ed alzarsi con le figure dalle specialità fisiche alle ge- neralità moraii. Non così però il filosofo e l’istorico, da’quali si dee parlare alla ragione, ed evitar tutto ciò che ragione non sia. Quale è infatti la guerra fra l’uomo e la natura agli occhi della filosofia ? Invece di guerra , vi è piuttosto mutua amicizia, ar- monia ed alleanza fra loro. Ove altrimenti fosse, non si vedreb- bero amendue andar man mano, e di pari passo , propor- zionevolmente ingagliardendosi e migliorando , talchè mentre l'uno perviene o a poggiare all’ etra , o a solcar |’ oceano con unà specie di città wavigante, 1’ altra si adorna, si abbella; si arrischisce , e più divien feconda in ragione che più produce. Va!ga lo stesso argomento alla pretesa guerra fra lo spirito e lu materia. Il filosofo sa che, qualunque sia la natura di questi due elementi , dal consenso comune di tutte le genti ognor com- putati nell’uomo, /o spirito non pensa non vuole non delibera, se non con gli strumenti della materia ; e sa che questa non è mai mendace nelle voci de’suoi bisogni , ossia delle sensazioni , per- chè quello? possa pensare, volere e deliberare ne’giusti limiti del bene comune. La guerra in ultimo fra la libertà e la fatalità , ol- tre di essere astrazione troppo metafisica , per nulla non dire nè spiegare nella realità de’fatti dell’istoria, non può convenire nè con l’uno nè con l’altro dei due sistemi opposti sì di filosofia co- me di filologia. Imperocchè in filosofia, 0 si è professatore del li- bero arbitrio, e va in aria il fatalismo , 0 professasi il fatalismo, e. va in fumo il libero arbitrio. In filologia quindi, o si opina col; Vieo,. che il mondo civile è tutt’opera dell’ uomo solo, 0 coll’Hoerder che l’uomo non altro fu. è e sarà nell'opera suddetta, se non l ordigno della natura. Tn amendue le, riferite opinioni svanisce sempre uno de due presunti elementi ostili ; nella prima, civè , svanisce la fatalità , e nella seconda la libertà. La quale inevitabile conseguenza sfuggì inavvertita , 0, più, probabilmente dissimulata } da Fabre d’Olivet ; da cui prendea, Michelet l’opi- nione che ventiliamo (2). Fabre, inoltre , incorse in un assurdo assai più serio ; supponendo un terzo elemento nella Providenza, che interviene a conciliare i due elementi della libertà e della fatalità sempre pugnaci fra loro. In questa ipotesi ; del pari che in quella del fatalismo, 1’ uomo non è più libero, tostochè sog- (2) V. L’ Istoria del Genere Umano, la Traduzione de’ Versi Aurei di Pitagora, e le altre opere di Fabre d’Olivet. 67 giace senza saperlo all’ intervenimento del Nume. Lao::de è evi- denza che nel tema in quistione , G. B. Vico fu il filosofo più largo e ragionevole ne’ suoi principj ; più logico ed invulnerabile nelle consegnenze sue. Al gran lavoro deli’ umanità delle genti egli non fece intervenire la Providenza, che come idea di cui avea indispensabile necessità | uomo ferino , perchè così atterrito dallo spavento di una Divinità cessasse di vivere vita nefaria nello stato exlege, e, cominciando a mansuefarsi col freno di una religione, desse i passi iniziali alla civiltà. Tutto il resto del progresso civile è tutt’ opera volontaria e libera dell’ uomo solo. E non v’ha chi possa dissentire che questa, ormai non più ipotesi bensì verità, mentre è l’unica opinione concordevole con le teoriche sull’ eterna giustizia relativamente a’ premj ed alle pene, è sublime, è generosa, è nobilissima. Ma proseguia- mo l’ esame dell’ Introduzione. E, proseguendo a leggerla, vi leggiamo: Dans les dernieres annèes la fatalitè sembluit prendre possession de la science com- me du monde. Elle s’etablissait paisiblement dans la philosophie et dans l’histoire. La libertè a reclamé dans la societé ; il est tems qu'elle reclame aussi dans la science. Si cette introduction at- teignait son but, l’ histoire apparaitrait comme l’eternelle prote- station, comme le triomphe progressif de la libertè. Tutte le quali trascritte sentenze ne «embrano troppo opposte a’fatti evi- denti. La scienza, l’ istoria e, la filosofia furono, da molti anni in quà, amiche e non già inimiche delle opinioni generose ; e molti de’ più momentosi eventi istorici non sono testimoni a favore del trionfo progressivo della libertà. Ove è , verbigrazia , il suo trionfo in quel lezzo di fatale schiavitù e barbarie, in cui da venti secoli precipitarono l’ Asia e l’ Africa , e da cui non pare che vogliano emergere per ora? Che progresso ella ebbe con le devastatrici inondazioni de’ Barbari , con la propagazione dell’Al- corano ) co’ conquisti degli incivilissimi ed indisciplinabilissimi Turchi , con la fortuna e l’opera di Carlo Magno , con le infer- nali imprese di Cortez , di Pizarro, di Almagro, precorsi accom- pagnati e seguiti dall’esterminio di milioni d’ uomini? E che al- tro è l’istoria de’ quattro ultimi secoli moderni, se non quella di una guerra trionfatrice sovra ogni indipendenza naziona- le ed ogni franchigia pubblica ? L'ultimo conquisto francese andò radendo le ultime reliquie degli instituti municipici , per ergere Ja mole dell’onnipotenza prefettizia. Così dicia- mo, perchè la vera radice d’ogni libertà è ne’ municipici in- 68 stituti. In essi soli si impara e si esercita da tutti il diritto d° es- ser libero. L’ istoria adunque è più confutatrice che assertiva del trionfo della libertà sulla fatalità , perchè ne’ suoi maggiori eventi prova anzi il trionfo della fatalità sulla libertà. Indi, se noi volessimo epilogarla in una massima, che tutta contenesse la sua sostanza e la forma, non altra prenderemmo se non la 3.* legge di moto, sermoneggiata però inversamente ; reazione, civè , sempre eguale e contraria all’azione. La quale legge cosmologica dell’ ordine fi- sico è innegabile anche in quasi tutte le opere degli nomini e delle genti; negli imperj per esempio, ne’conquisti, ne’ dominj, nelle leggi, nelle opinioni , nelle consuetudini ; in tutto ciò in somma , che vedesi prevalere or in un uomo o popolo ; ed or in un altro. Senonchè la nostra formola sarebbe , al pari di quella di Michelet , un’ inutile sottigliezza metafisica, non buona ad altro che ad isterilire il fine della dottrina istorica d’ istruire gli uomini con le lezioni de’ fatti, e non mediante vacue astrazioni. Quì sol noteremo una riflessione che potrà essere utile; quella, cioè, che nel moto eterno delle cose umane la vicenda continua ed universa dell’ uman genere è d° esser esso ripartito in chi domina ed in chi serve. Perlochè amendue le parti tendono con ogni at- tenzione e studio a due fini opposti; l’ una a conservarsi in si- gnoria, e l’altra ad emanciparsi dalla servitù. Lo studio però a riuscire nel rispettivo intento è sempre maggiore nella domi- nata che nella dominatrice. Questa 8’ addormenta sovente nella dolce estasi della fortuna sul suo letto di rose ; quella nò ; per- chè sulle spine della sventura. Chi signoreggia, oltre a ciò, agi- sce alla stabilità dell’ ordine di cose in cui gode ; pel contrario , chi serve, non disegna, intende ed opera che al mutamento dello stato in cui patisce. Laonde quest’ultimo è nelle sue mire ed opere coadiuvato dal moto, vita del mondo ; operando a seconda del quale elemento , consegue lo scopo suo assai più facilmente del- l’ avversario speranzoso a soffermarsi nell’ inerzia. Da questa mag- gioranza d’elementi favorevoli e d’ intensità di meditazione av- viene il fatto costantissimo , che tutte le novità sì teoriche come pratiche al miglioramento dell’ umanità son sempre escogitate ed eseguite non dagli oppressori, bensì dagli oppressi. Non dalla mente 0 dal consiglio de’ Faraoni, infàtti, emerse il sublime De- calogo, ma dall’ intelletto inspirato dello schiavo ognor meditante a ruminare l’ inclita mandata educe populum meum; e von legati dell’ autorità sedente sul Campidoglio, ma schiavi d’ essa, erano 69 î predicatori del Vangelo, che cotanta rivoluzione morale e ci - vile andavano seminando sul mondo (3). Torniamo intanto all’ opera in disamina. Se troppo a lungo ci soffermammo sull’ esordio , ei fu sol perchè ogni esordio con- tiene sempre il senso intimo e predominante, che ogni autore fa cardine dell’ opera. Consegnentemente a cosiffutto disegno, uni- versale in ogni scrittore, il sig. Michelet dopo aver enunziato il trionfo progressivo della libertà sulla fatalità, come eterna lezione o moralità dell’ istoria, passa a dimostrarla con le pruove storiche. A tale nopo , prendendo la mvssa dalle Indie, per se- guir di là Je varie vicende del genere umano, dice: Dans l’Inde, au berceau des races et des religions, l'homme est courbè prosternè sous la toute-puissance de la nature. Accablè par elle, il n’essaie pas de lutter , il se livre è alle sans conditions. Il prend et re- prend encore cette coupe eniorante , ou Siva verse a pleins bords la mort et la vie ; il y boit à longs traits ; il sy plonge, il s’y perd; il y laisse aller son etre, et il avoue avec un volonté som- bre et desesperante que Dieu est tout, que tout est Dieu, qu'il n’est rien lui meme qu’un accident un phenomene de cette sub- stance unique. Qu bien dans une patiente et fiere immobilité il conteste l’eristence a cette nature ennemie, et se venge par la logique de la realité qui l’ecrase. Fin qui l’ opera ; ora la critica. Non va negato che la na- tura è poderosissima nelle Indie. Ella dà spontanea tutto , dal comunissimo riso agli aromi più peregrini, più inebbrianti , più alcoolici. Ma non perciò dir si deve nemica letalissima dell’uv- mo. Il filosofo sa che ella, qualunque sia il suo mal governo contra agl individui, mette tutte le sue cure in favor della spe- cie. E che tutte in favor della specie sieno le sue predilezioni, è dimostro dall’ essere l'India, a malgrado di un clima terribile con la sua soverchia azione sulla vita, la culla fecondissima di tutte le razze. Essa è sempre popolosissima non ostante le pe- renni mortalità e migrazioni d’ nomini. Il lettore noterà da sè solo l’ inutilità del pleonasmo per dire una religione, cui bastava la sola parola Panteismo. Ma, che ne dice il mito di Siva sull’ entità intellettiva o morale degli Indiani? Siva era |’ Ebe, la coppiera. de’ Nu- mi dell’India. Or, che direbbe sull’ entità morale e intellet- tiva de’ Greci uno il quale dicesse, che essi bevevano nella coppa favoleggiata in mano della celeste sposa d’ Ercole? Nulla. (3) Nel senso puramente istorico de’due fatti. VA?) Ebe e Siva. inoltre , mescevano il nettare dell’ immortalità. Co- me mai dunque 1 Indiano sorbiva in quella tazza la vita e la morte ? Noi diremo che i miti , ed aggiugneremo anche i dom- mì; mon son sempre indici esatti del grado, cui salì lo sviluppo delle facoltà intellettuali o morali de’ popoli. Certamente nell’an- tichità il popolo Ebraico era il solo popolo professatore del vero domma e del vero culto di un Nume supremo. E ciò non ostante; quasichè per lo stato del suo spirito fosse ancora impotente di una religione sì sublime, non v'era nazione, più d’Israello, proclive a riprecipitarsi nelle abominazioni africane del tereusebismo (4); nè nuli’ altro non valeva a ri- tenerlo ne’ freni della nuova legge, fuorchè 1’ esempio e il ter- rore di pene immediate formidabili atrocissime (5). Comparando gli Israeliti co’Greci, niuno non negherà che la religione de’pri- mi era appo quella de’ secondi, come la verità è all’ assurdo. Ed intanto, a quale e quanta distanza l’ ingegno greco non la- sciò dlietro di sè l’israelitico in arti, dottrine, lettere e scienze; in ogni ramo insomma della coltura dello spirito, salvochè nel pos- sesso di un’ immensa verità teologica e nella potenza alle poesie liriche ? Pregheremo infine chi legge ad intendere per nvi, che nol. potemmo , /a vendetta dell’ Indiano con la logica contro la realità che lo schiaccia. Oltreaciò diremo , se nelle Indie era cotanto prepotente /a. fatalità sulla libertà ; ossia, se la natura è poderosissima a pro- strare l’uomo, e se la materia è non men poderosa a softocare ogni alito, a spegnere ogni scintilla dello spirito, in qual modo av- venne ; che ivi precisamente lo spirito e l’ uomo, frangendo le catene della materia e della natura , alzaronsi e poggiarono a concetti teosofici e morali, de’ quali onorerebbesi ogni filosofo ? La plebe indiana . è vero, paganizzava nella materialità pantei- - stica della teogonia di Brama. Ma è noto, che il povero volgo, qualunque sia la religione che gli si insegni, non sa concepire l’ idea di un Nume se non vestendolo d’ una certa forma mate- riale. Non vuolsi, adunque, dalle volgari opinioni religiose sen- tenziare ciò di cui è potente lo spirito di un popolo. Ei vuolsi vedere se nel popolo sudetto s’ alzi sulle moltitudini qualche sapiente, il quale poggiando a’ Veri eterni, li riveli, e ne lasci scuola filosofica a lume, norma ed erndimento di coloro; che sieno (4) Gulto delle bestie. (5) Per l’idolatria del vitello furono uccisi 23 mila Israeliti. V. Esodo cap. 32. ver 28. __M n n Sa PESA SA _ 75 abili a comprendere eda propagare le verità sudette. E ; contro alla troppo severa sentenza di Michelet sulla prostrazione dello spirito indiano , sappiamo l’ India patria di uno spirito potentis- simo. Il lettore volgerà qui subito 1’ occhio del pensiero a Bud- da; institutore di una religione professata da 200 milioni di asia- tici, non che da quasi tutte le migliori scuole asiatiche , co- munque i suoi discepoli e commentatori alterassero o scindessero in molte sette la sua dottrina Contemporaneo del legislatore israelitico, secondo alcuni cronologi, poco a lui posteriore se- condo altri, Budda si ritirò e visse lunga pezza ; come Moisè, nel deserto , per meditare e maturare le verità delle quali sen- tia fecondo il suo ingegno. Dopo. essersi così preparato ; ricom- parve maestro di una religione , che era appo il. panteismo braminico non men spirituale e filosofica di ciò, che la. re- ligione mosaica fu appo il panteismo egizio ; maestro di una religione, i cui dommi cardinali erano l’unità e la spiri- tualità della causa prima, l’ immaterialità ed immortalità del- l’anima. Per così elevarsi al di sopra delle. teoriche. prevalen- ti a’ tempi suoi nelle dottrine volgari ,. prese a. principio. mezzo lo stesso principio e mezzo , seguitu da Galileo e da Ba- coue , per restaurare la filosofia moderna; il dubbio, cioè; che egli diceva cominciamento d’ ogri saviezza. La stessa accusa e perse- cuzione , da lui patita per presunto ateismo , è pruova evidente dell’ eccellenza della. sua riforma religiosa e filosofica ; imperoc- chè era naturalissima opera , che i settatori di Brama accusas- sero e proscrivessero, quale ateo, chi .distruggeva. la, corporeità panteistica di questo nume ; riflessione o non fatta: 0 hon:ben ponderata da’ que? critici moderni , i quali volsero (contro dél:fi- losofo in subietto la notizia di un’ accusa } che è tutta in favore. della sua filosofia. Come Moisè in ultimo’, il quale, presentendo immineute la sua fine , convocò tutti gli anziani ed i dottori!(6) per dare loro i consigli supremi ; Buda, sentendosi; prossiino niorte , riunì i swoi discepoli alla sua lezione ultima; e. spirò lopo dette le ultime parole i0 passo, alla spiritualità ‘e heatitu- dine universale (7). Comparando Budda a Moisè noi non intendemmo se nun alle simili forme istoriche ; con le. quali comparvero sul. globo questi due personaggi. Certo è intanto che questo teosofo indiano non fu ingegno prostrato da quelle fatali forze della materia e (6) V. Deut. cap: 31. ver. 128. | (7) V. il. nuovo Giornale jasiatico, Toma 5. pag. 33. 72 della natura; che si suppongono sì formidabili ed invincibili sullo spirito umavo nelle Indie. Certo è che questo teosofo, nonchè essere documento a favore del nostro Autore, è anzi tutto a lvi contrario. Ora raggiugniamo il sig. Michelet. E il raggiugneremo in Persia, ove egli dice che /’homme commence le long voyage et l’affranchissement progressif de la liberté humaine. La Perse est le commencement de la liberté dans la fatalità. Sulla quale sentenza , se dir dobbiamo tutto il no- stro pensiero , diremo che lo spirito persiano ne pare piuttosto retrogrado che progressivo appo lo spirito indiano. Nè altri argo- menti non vorremo se non quegl’istessi del nostro Autore. Nella Persia; e non nelle Indie, sorse e fu professata la religione del Dualismo. Or, quando si credono e adorano due numi, eguali in potenza ma avversi ed inconciliabili, de’ quali l° uno largi- sce: assolutamente il bene, e l’altro manda assolutamente il male, è una pruova certissima, che l’uomo, il quale così crede ed adora , non ha veruna idea, non sente la menoma couscienza di lihero arbitrio, germe d’ogni libertà. Il maggior sapiente della Persia fu Zoroastro ; e questi non può reggere comparazione di sapienza e sublimità filosofica con Budda. Nella Persia e non nelle Indie si vide l’uomo stordirsi sempre siù nell’ incuria della fatalità, nel torpore spirituale con l’uso ; > meglio diremo , con abuso dell’ oppio. La Persia non ebbe una setta di stuici ; co- me 1’ India ne’ così detti Gimnosofisti ; e chi dice stoico ; dice uomo libero. E finalmente, ‘i concetti istessi delle rispettive re- ligioni popolari nelle due ‘provincie in confronto, dimostrano anche al men veggente, quanto lo spirito umano era più ma- terial» nella Persia che nelle Indie. Quivi Brama Visnù ec. ec. comunque :confusi col ‘creato , erano però invisibili; là aveasi bisogno di vedere il Sole o di nulla nou scernere nelle tenebre della notte per concepire Oromazo ed Arimano. Indi può dirsi, che il Persiano era in facoltà o sviluppo spirituale appo 1° In- diano, quasi come:è la donniccinola volgare, che ha bisogno dì veder fisiche imagini per concepir l’ idea della Divinità , appo uno cui basti la bellezza e l' armonia dell’ universo per alzarsi all’idea di Dio. Non: pare vero adunque lo sviluppo della libertà sulla fata- lità nella ‘propagazione civile dall’ Indie alla Persia, come vuole il sig. Michelet. Vero è bensì nel passaggio d’Israello dall'Egitto alla Palestina; fatto in cui.la progenie di Giacobbe, e guadagnò libertà o indipendenza politica, e progredì in isviluppo di fa- coltà intellettive nonchè morali mercè la nuova legge religiosa, ——____—_—_— 73 che il Liberatore le diè durante il transito dalla terra della schia- vitù alla patria de’ suoi avi. Senonchè., notisi il gergo sibillino, col quale il nostro Autore intenebrò questa materia, non sol capa- ce, ma meritevole d’ogni chiarezza e lucidità. La libertè humaine, qui ne meurt pas , poursuit son affranchissement de l’Egypte è la Judée, comme de l’Inde à.la Perse. En Egypte l’homme etait vaincu d’avance par la nature. La generation, la fecondite, la toute-puis- sante Isis domina sa pensèe, et le retint courbè sur son sillon. Cepen- dant la libertè trouva moyen de se faìre jour. Elle a sacrifié les viandes et les oignons de l’Egypte et quittè sa riche vallèe, pour les roches du Cedron et les sables de la Mer-morte. Un seul Die un seul temp!e ec. ec. In tutte queste locuzioni misteriosissime, la sola idea che salti netta e positiva in chi legge , è quella di un solo Dio. Ma non isfugge alla critica, che questa idea sul- 1’ unità del Nume non sorse in Israello nella sua sortita dal- l’Egitto ; ella preesisteva nella tribù progenitrice assai anterior- mente alla sua schiavitù egiziana. Abramo ne avea la sublime iuspirazione o rivelazione , fin da quando migrava dalla Caldea verso Canaan; e gli Israeliti la conservarono e professarono in tutti i 400 anni del servaggio loro. Moisè non altro fece se non dare a questo domma già ricevuto la sanzione formidabile d’es- sere scritto sulle Tavole dal dito della Divinità sul Sinai. E per- chè non una parola sola non spese Michelet sovra questo im- mortale liberatore, rivelatore e legislatore ? Nol nominò neppure. La sua impresa e la sua legge meritano intanto alta menzione e contemplazione istorica. Imperocchè la liberazione di un popolo dalla servitù straniera è sempre un fatto memor:ndo ; e l’Esodo è il modello inclito e massimo de’ fatti di simil genere avvenuti a nostra notizia fra gli uomini. Così pure avvisiamo che il Deca- logo andava memorato come il maggior monumento fra’fasti dell’in- gegno umano ne’ suoi progressi. Ed invero , questo codice reli- gioso morale e civile, nella suà verità invulnerato dall’avanza- mento progressivo di quattro mila anni, ed invulnerabile da qualunque scetticismo; questo eodice relisioso morale e civile di mezzo genere umano , e della metà più intellettiva ; più in- gegnosa , più libera, più forte, più industre, più ricca, più erudita, più umana ec. ec. vuole ben altro che il silenzio da ogni contemplatore istorico , e sovratutto da chi vada contem- plando nell’ istoria il trionfo progressivo della libertà. Sparvero gli instituti di Menfi; di Meroe, di Sparta ; di Atene, di Ro- ma , de’ Druidi ec. ec. perchè fondati ed architettati sovra as- T, III. Agosto 10 74 surdi segreti di stato , sovra segreti politici più o men falsi del- l’ inviolabile mistero delle ossa di Edippo e di Quirino, da cui pendea per fatalità 1’ esistenza della città cecropia e della romu- lea. Sparvero come larve queste opere, perchè fondate ed archi- tettate sull’assurdo. Ma vive e vivrà eterno il Decalogo come nor- ma religiosa e morale degli uomini; ma vivono cosperse per tutta la superficie del globo le reliquie delle civili instituzioni mosai- che , comunque così sparpagliate da 18 secoli di proscrizione , perchè cardine dell’uno e delle altre è un Vero eterno. A. noi mancano le notizie opportune per giudicare se , po- liticamente parlando, i Persiani fossero o nò più liberi degli Indiani. Sappiamo che oltremodo assoluto e dispotico era il go- verno della Persia; sappiamo le ferocissime tirannie di Cambise e le non men feroci del Mago, usurpatore dello scettro fino alla rivoluzione, che alzò Dario sul trono. Indi non sapremmo ideare quale e quanto tirannico dovesse essere il reggimento indiano , per credere col sig. Michelet nella Persia il principio dello svi- luppo della libertà umana. Nella sortita d’ Israello dall’ Egitto, al contrario, è innega- bilmente istorico un gran conquisto d’indipendenza e di libertà, nonchè un gran progresso di libertà sì morale come. politica. Israello passò dalla schiavità straniera all’ autocrazia (8), ed interiormente non ebbe altro imperante se non Dio e la legge. Così retto per quattrocento anni in circa da’ Giudici, cadde quindi sotto i Re. Nella qualé vicenda corse esso per lo stesso stadio, che G. B. Vico osservò corso da. tutti i popoli; stadio cioè di passaggio da instituti più o men liberi alla monarchia. Ma mon ostante la caduta degli Israeliti sotto l’ autorità monar- chica . conservarono essi intanto una facoltà o franchigia tri- bunicia in nu ordine di persone assai riverite e potenti. I profeti non furono considerati finora se non dal so'o lato religioso. Noi vesgendoli coraggiosamente presentarsi a’ sovrani, ed ammonir- li reprimerli minacciarli, ogni qualvolta questi fossero trasgres- sori o violatori della legge, saremo forse erronei o audaci in dirli i tribuni. del popolo israelitico , gli zelanti custodi della legge istessa, i severi censori infine d’ ogni prepotente monarca? Qua- lunque sia questa nostra opinione , Ja sottoponiamo al giudizi» de’ valorosi nostri lettori; e. conchiudeudo |’ analisi dell’Zrntro- duzione , in .ciò che. riguarda lo sviluppo della libertà primitiva in Asia, diremo , che Michelet.la vide in Persia , ove non pare (8) Potenza propria. 75 che possa vedersene segno veruno , senza vederla nella Giudea, ove è visibilissima in tre fatti certissimi; nella forma. federale in cui si constituirono le. dodici tribu d’ Israello; nella. for- ma del governo interiore per quattro secoli affidato a’ Soffetin , ossieno giudici; ed infine nell’inviolabile potestà tribuinizia . che i profeti avevano appo i re. Se tutto religioso pare essere il tenore del linguaggio e dell’ opposizione loro , ciò. nulla non monta. Ei vuolsi porre mente alla. sostanza dell’ ufficio , non punto diversa da quella del Tribunato in Roma. Quivi era civile la carica, e perciò tutta civile la locuzione de’ Tribuni. In Ge- rusalemme ogni legge era contemporaneamente civile e religiosa; e quindi religioso era il linguaggio d’ ogni instituto civile. Eccoci ora col nostro autore al passaggio della civiltà dal- l'Asia in Europa. In questo argomento concorda egli con l’upi- nione da noi quattro anni fà ragionata nella nostra Antologia (9); che la geografica configurazione europea, cioè, frastagliata in tanti mari interiori e in tante isole, agevolando le vie al genio nau- tico, e con ciò prumovendo lo sviluppo dell’ ingegno sì con la perpetua attenzione a’ terribili pericoli del mare, come col com- mercio , o col veder nuove terre, nuove cose, nuovi uomini navigando , molto influì a sviluppare negli Furopei facoltà in- tellettive morali e civili assai maggiori di quelle degli Asiatici e degli Africani. Non consuona invero egli con noi in varie ap- plicazioni di un comune principio. Ma di ciò non cale, e pas- seremo ad esaminar le sue conseguenze. L’Europe ; dice egli, est une terre libre; l’esclave qui la tou- che est affranchi. Ce fut lecas de l’humanité fugitive de l’Asie. Dans ce monde severe de ’ occident la nature ne donne ‘rien d’ elle meme. Elle impose comme loi necessaire l’exercice de la libertè. Il fallut bien se serrer contre l’ ennemi, et former cette etroite association, qu’on appelle la citè. Vi è a parer nostro.in questa argomentazione una petizion di principio. Imperocchè 1° Europa non era ma divenne terra libera, mediante la sterilità del suo suolo, la quale, costringendo gli abitatori ad aguzzar l’ingegno per trarne i mezzi di vita, fe- celi più svegliati, più destri, più energici, e perciò più libevi degli Asiatici e degli Africani. Non vediamo poi, perchè la stessa causa di una riunione di molte famiglie entro un medesimo ri- cinto di mura non dovesse produrre anche in Asia ed in Africa lo stesso effetto prodotto in Europa; la città cioè, intesa nel (9) V. Antologia N." go. pag. 29. 76 senso di ordinamento di politicamente vivere, Comunque sia , proseguiamo. Ce petit monde (il greco-latino), enfermé de murailles; ah- sorba dans: son unitè artificielle la famille et l’ humanitè. Il se constitua en une guerre eternelle contre tout ce qui resta dans la vie naturelle de la tribù orientale. Cette forme, sous la quelle les Pelasges avaient continuè l’Asie dans l'Europe, fut effacèe par Athenes et par Rome. Dans cette lutte se caracterisent. les trois moments de la Grece ; elle attaque l’Asie dans la. guerre de Troie, la repousse è Salamine, la dompte avec Alexandre. Mais elle la dompta bien mieux en elle meme. Elle. dompte lAsie lor qu'elle repousse avec la poligamie la nature sensuelle qui s’ etoit maintenue en [udèe méme, et declare la femme com- pagne de l’homme. Elle dompte l’Asie lorsque, reduisant les ido- les gigantesques aux proportions de l’humanitè, elle les rend su-, sceptibles de perfectionnement et de beautè, Les Dieux se lais- sent à regret tirer du tenebreux sanctuaire de l’Inde et de l’Egypte, pour vivre au jour et sur la place publique. Ils. descendent de leur majesteurx symbolisme, et revetent la pensèe vulgaire, Iusque là ils contenaient l’etat dans leur immensità. En Grece il leur faut devenir citoyens, quitter l’ infini pour adopter une patrie, se faire petits pour tenir dans la citè ec. ec. Non ostante molta meditazione non fummo felici ad iu- tendere l’assorbimento della fumiglia e dell’ umanità nella città. De’ Pelasghi sappiamo appena il nome e l’esistenza; null’altro. Come, quando e donde essi venissero ; che grado di barbarie o d’ iniziale incivilimento portassero.; in quali instituti sociali si constituissero ; in che fussero imitati o nò dagli aborigeni euro- pei ec. ec. tutti questi problemi sono e sarauno insolubili, Se, argomentando per analogia , i Pelasghi, furono ; come pare che fossero , i primivivi Barbari, dall'Asia lanciati sull'Europa; essi, a somiglianza de’ barbari del 5. secolo, furono alcerto più do- minatori che dominati , e perciò più attivi che passivi, -più in- fluenti che influiti nel nuovo ordine sociale sorto dietro a’ cori- quisti loro, Il che ne pare non favorevole alle conclusîpni del sig. Michelet, Se fin quì tenne egli troppo dietro alle ipotesi, in tutto il resto del trascritto brauo andò troppo contro a’fatti. La pro- mozione. morale, domestica e. civile della donna al grado di compagna dell’uomo , fu benefizio del vangelo e non della civiltà greco latina. Il Greco tenea chiusa la moglie nel Ginece» , come l’Asiatico rteueva e tiene le sue mogli ue!l’Harein. Il Greco; in- (i vero, non fu poligamo 3 ma permettevasi di sostituire alla poli- gamia la' licenza delle Etere , ossieno cortigiane ; consuetudine poco; o nulla men della poligamia, oltraggiosa alla dignità con- jugale del bel sesso. Presso i fieri ed orgogliosi Romani, quindi , poco più felice ed onorata della condizione delle spose greche o orientali era la condizione della sposa romana. La legge la ri- guardava appena come la primogenita delle figlie, e la poneva in mano del dispotico paterfamilias. Ella era congedata, come si congeda una serva. Una semplice cedola di licenziamento ba- stava al divorzio o al ripudio. Non altrimenti Cesare ripudiò Pompea ,.0 Pompeo ripudiò Muzia ; e non altrimenti faceva ogni Quirite tutte lo volte ,, che aveva ragione o. capriccio di mandar via la sua consorte. Fra’ rottami e le ruine delle antichissime città egizie ed asiatiche , trovansi tuttora nelle piazze pubbliche statue torsi e piedistalli di vetuste imagini sacre. Nun è dunque vero che ? simulacri de’ numi erano invisibilmente ascosi ne’penetrali del san- tuario in Asia e nell’Egitto. Fra le anticaglie egiziane ed indiane trovansi inoltre statuette eil idoletti. Nemmeno è vero. dunque che i Numi si fecero piccioli nella Grecia. Le divinità non im- picciolironsi nè nelle opinioni nè in molte opere delle arti greche. Giove era da tanto a reggere nonchè tirare a se con una catena d’oro l’ universo intero, comunque questo fosse tirato da tutti gli altri Dei dalla banda opposta. Nettuno con un colpo del suo tridente scuote il globo , e con tre soli passi giunge al termine della terra. Sotto queste sterminate forme .d’ immensa possanza e statura rivelavansi ad Ometo le imagini degli Iddii, nè sotto dimensioni minori presentavansi essi alle menti popolari. E non diversamente parlò varie fiate l’arte. Del terriblle Olimpio di Fidia dicevasi, che, ove ei si levasse da sedere sul suo. truno , sfonderebbe mandando in aria il tetto del tempio. L’Apollo co- losso di Rodi era più colossale delle più colossali statue egiziane. È noto a tutti infine che fuvvi uno :senltore, il quale, per me- glio iucensare la follia d’Alessandro in credersi figlio dell’Am- monio , proponeagli di tagliare il. Monte Atos in istatua di Nume a sua effigie, con una città in una delle mani, e con un fiume che sgorgherebbe da un? urna nell’ altra. Che vuol poi dire la frase’; che i Dei divennero, cittadini in Grecia ? 1 Dei son sempre cittadini e non mai stranieri presso ogni popolo. Il Dio patrono, anzi, è sempre il primo cittadino , perchè sempre intorno all’ ara sua si riunisce e sorge la città. I Greci in ultimo non pervennero all’eccellenza suprema nelle arti 78 nè perchè impicciolirono le Deità, nè perchè guerreggiavano e debellavano \'Asia. Queste locuzioni ne sembran vacne d’ogni idea. Noi diremo che la natura dà maggiore ingegno a taluni popoli, come il dà maggiore a taluni omini. E qualunque sia la ra- gione per cui i Greci avessero o meritassero questa inclita mag: gioranza, ne basta il fatto che veruno altro popolo non li sor- passò in cosiffatto , qual ei siasi, merito , favore o capriccio di cieca sorte. Ma proseguiamo. Fu già visto che la guerra fra la libertà e la fatalità è la formola prescelta dal nostro istorico, per esprimere sostanza e forma di tutta l’istoria. Ed eccola bene o male applicata anche all’istoria greco latina. Le monde de la Grèce etait un pur com- bat ; combat contre l’Asie ; combat dans la Grèce elle meme; lutte de Sparte et d’Athènes. La Grèce a deux citès ; c'est à dire que la citè est incomplete. La grande Rome enferme dans ses murs les deux citès, les deux races etrusque et latine , sacerdotale et heroique, orientale et occidentale , patricienne et plebeienne ec. ec. le foyer domestique des Pelasges est rallumè sur l’Autel de Ve- sta ec. ec: la presence de deux races dans les mémes murs cem- mence cette guerre ec. ec. Non voglionsi andar spigolando ragioni astruse e remote quando si hanno le chiare ed immediate. La Grecia arse quasi sempre di guerra intestina;, non per la coabitazione delle due razze straniere de’ Dorii e de’ Gioni sul suo suolo, ma perchè Sparta e Atene, città al pari potenti ed ambiziose ; agognavano amendue alla supremazia ellenica. .Lo stesso effetto, e per la stessa causa, fu visto nella consimile lunga guerra fra Firenze e Pisa, fra Pisa e Genova ec. ec. Ignoriamo quindi che dica il fo- colaio pelasgico racceso sull’ altare di Vesta. Il fuoco sacro ne’ tempi fu ‘rito comune a tutti i culti; e ciò forse provenne o da un comune senso umano a simboleggiare la potenza de'Numi. col» più potente degli elementi , o dal disegno di provvedere alla conservazione di un elemento sì prezioso , mettendolo sotto la custodia della religione , quando non ancora era facile o nota, come’ è oggi, l’arte di riaccenderlo. Non veggiamo inoltre il menomo':fondamento istorico ;a supporre in Roma il domicilio di razze occidentali ed orientali. E molto meno ne pare necessaria l'ipotesi di due città, nonchè delle due razze etrusca e latina, sacerdotale ed eroica , patrizia e plebea per spiegare chiaramente l’interiore istoria romana. La guerra fra gli Etruschi ed i Romani pe’ Tarquinii fu visibilmente una guerra non già civile , bensì di potentato a potentato ; di potentato prepotentemente ambi- pe we - 79 zioso ad intervenire ne’ fatti altrui. Del che larghissima dimostra- trice è l'istoria, da’ tempi antichissimi fino a’ giorni nostri. A spiegare oltreaciò naturalissimamente le discordie fra patrizi e i plebei, non vi è nulla necessità di ricorrere all’ipotesi d’essere essi due razze straniere e nemiche. Sia che i primi fossero i primi occupatori dell’ agro romano, come vuole il Vico , sia che. essi lo conquistassero togliendolo a’ secondi, come vogliono altri filo - logi, ciò nulla non munta. Quelle civili contese sono largamente spiegate dal fatto, che ovunque il ceto nobile fu orgoglioso ed oppressivo col popolare, e che questo fu o sempre insofferente, o spesso rivoltoso contro l’orgoglio e l’ oppressione di quello. Non vediamo infine nè fra Romani, nè presso ogni altro popolo, due razze ne’sacerdoti e negli ottimati. E ne stupisce come mai così possa dirsi contro all’ evidenza di tutta l’istoria. Presso ogni nazione il ministero del sacerdozio , perchè riputato l’augustis- simo, fu sempre incomunicato a chiunque non fosse della nazione istessa, e sempre in mano delle prosapie riputate più antiche ed illustri fralle aristocratiche. Progenie di Giacobbe eran Levi ed i Leviti. Indi famiglie patrizie d’Israello. Primo ceto dello stato era il sacerdotale ordine egizio. I Maghi erano i primarii ottimati persiani. I sacerdoti etruschi erano scelti fra? Larti. Nu- bilissime prosapie del Lazio aborigeno erano i Potizi e i Pinari (10) famiglie privilegiate agli uffizi sacri. Nobili Celti erano i Druidi. In Roma la dignità di pontefice massimo era retaggio esclusivo delle case più nobili. Roma in ultimo, oltre al non mostrar di- scordia fra’ sacerdoti e i patrizi , fu la sola città non mai inferma dal morbo sociale di cui si videro infermi tutti i potentati; della nimistà cioè fra l’ imperio e il sacerdozio. Fosse ei caso, oppure altissima abilità politica, il sacerdozio era così, bene incarnato nell’ imperio, che non mai si vide nel primo discordia o fellonia contro al secondo; non mai Pontefice Flamine Augure ec. ec. tramò accese o mosse ribellioni a tribuni a consoli, a ditta- tori ec. ec. Mal dunque vide il nostro autore vedendo in Roma diffe- renza di nazione fra’ patrizi e i sacerdoti. Al quale proposito va notata un’ altra sua inesattezza istorica , asserendo in tuttii po- poli una sociale disarmonia fra lo spirito, che egli denomina genio eroico , e lo spirito o genio sacerdotale. Vi fu invero, sal- vochè fra’ romani, un germe sempre di disaccordo fra l’autorità (10). . . Sacrum adhibitis ad ministerium Potitiis ac Pinariis. . . .. fa- miliae maxime inclytae ec. Livio lib. 1. 80 civile e la religiosa in ogni stato; ma presso ogni popolo il genio alle imprese eroiche fu sempre protetto e favorito dalla religione. Che anzi, non può nè darsi nè comprendersi animo sollevato ‘a segnalarsi con eroismi, ove la religione non l’ accenda col suo zelo. Sansone e Davide, che Michelet cita in suo favore, sono testimoni a lui contrari. Sl primo era inspirato dalla sua fede natia (11) alle prodezze contro Filiste, perchè gente empia e pro- scritta dal Dio d’ Israe'lo ; e il secondo non mangiò i pani di proposizione per ischerno o oltraggio de’ veggenti di Rama (19); se osò cibarsi di quell’ alimento sacro, ei fu sol perchè Achi- melec , capo di que’ profeti, glie1 dava a ristoro nella sua fuga dall’ ira di Saulle. È noto poi che Sansone e Davidde, eroi israe- Ulti, erano anzi favoriti che contrariati da' sacerdoti. Dicasi lo stesso degli eroi greci, i quali non addavansi all’ audacissima vita eroica , se non per presunto comando , o sotto i presunti auspici; di qua!che divinità ; e Curzio , il cavaliere ossia eroe romano , si immolava alla salvezza de'la sua patria come vittima a pla- care i Dei Mani (13). Non iguoriamo che Livio narra ‘una tra- dizione , cui egli non punto credeva; ma nella stessa favola è visibile 1’ opinione popolare sul riferito eroismo ; e ciò basta al nostro uopo. De’ cavalieri cristiani non occorre dir nulla, essendo noto a tutti che essi furono gli eroi del medio evo, e che la spada loro non ad altri intendeva servire se non ‘a Dio nelle gesta sia contro gli infedeli o i prepotenti, sia in onor selle dame. L’ultimo personaggio eroico o cavalleresco, finalmente, del- l’eroismo cristiano fu Colombo. Il suo ingegno non sotto altre forme gli rivelava 1’ esistenza di un altro mondo , nè con altri stimoli l’inanimiva all’ audacia immensa di lanciarsi sul terri- bilissimo Oceano incognito , se non come immensa opera ed im- menso dovere di religione in partecipare i benefizi della redenzione a tante genti idolatre. Innanzi di passare col Michelet dalle contemplazioni isto- riche sull’ età antica a quelle sull’ era volgare, crediamo nun inutile pregio dell’ opera di quì aggiugnere alcune nostre idee sulle ragioni della superiorità morale intellettiva e civile de’po- poli occidentali in confronto degli orientali. Come prima radice di questa preeminenza europea, preeminenza apparsa in Grecia non tostochè fu ella fniziata all’incivilimento , noi computammo (11) Gaepitque spiritus Dei esse cum eo. V. Giudici cap. 13. v. 25. (12) V. Lib. 1. de’ Re, cap. 21. v. 6. (13) . . . ad Deos Manes se devovisse. Livio lib. VII.” 8I l’ arte nautica. Quì computeremo un altro elemento , non men efficace del già mentovato; la scrittura. Al quale argomento è necessaria qualche premessa. Il miracolo delle lettere (14); 1’ invenzione cioè della scrit- tura ; corse per gli stessi stadii pe’ quali corrono tutte le inven- zioni, ed in ispecie le più momentose. Ella nacque nell’ imper- fettissima e debolissima puerizia , per quindi man mano crescere alla bellezza e forza della virilità. Ne’suoi primi vagiti parlava ella più agli occhi con le imagini, che alle orecchia co’suoni. In Egitto infatti l’ alfabeto era geroglifico ne’ suoi tempi antichis- simi; ed anche quando l’arte poggiò al sillabico ed al fonetico, affinandosi a delinear con cifre gli. elementi de’ suoni vocali, l'alfabeto suddetto non mai si purgò interamente de’ materialis- simi geroglifici primitivi. In questo primo grado di perfeziona- mento si arrestò l’ invenzione presso tutte le genti orientali. Fosse per natura delle arti umane sempre graduali nelle miglio- ranze loro , o fosse per disegno sacerdotale a tener inviolato ed inviolabile un sì gran segreto fra’ misteri della religione , non si escogitarono, o più probabilmente non rivelavansi scrivendoli , i segni di que’ suoni, che sono gli unici ad operare il prodigio dando vita senso ed anima alle cifre ; non si scrivevano cioè le lettere dette vocali, senza delle quali le consonanti rimangono mute e infecondissime a generare la comunicazione de’ pensieri scritti in chi legge. Indi semitiche tutte le lingue dell’Oriente; indi la scrittura in uno stato quasi inutile ;} tostochè, non ba- stando l’arte di saper leggere la parte scritta, voleasi posseder l’altra di saper mettere o sottintendere la parte omessa , ossia quella de'le vocali. Indi presso gli orientali il bisogno delle arti esegetiche ed ermeneutiche più che presso le altre nazioni; indi presso gli Ebrei la necessità e lo studio della massoretica della cabalistica ec. ec. pel fedele intendimento de' libri sacri , ne’ quali la menoma sostituzione di una vocale ad un’altra po- tea cangiare in significato di empietà o di turpitudini le massime più religiose o più caste. Il lettore dirà da se solo quali e quanti ceppi all’erudimento, e perciò allo sviluppo dello spirito, avevansi in questa divinatoria oscurissima e fallibilissima maniera di scrivere. Nell’ Occidente al contrario , fosse ei per naturale progresso d’invenzione, o fosse per generosa rivelazione de’ possessori del- (14) Evander... venerabilis vir miraculo literarum .. . Livio lib. r. T, III. Agosto II 82 l'arcano, la scrittura fn comunicata completa , e non già monca de’ suoi vivifici elementi. Si scrissero le vocali nel «debito posto loro insieme con le consonanti. Così fucendosi , 1 arte dava su- bito l'immensa utilità sua , palesando rapido e chiaro tutto il pensiero figurato da’segni. Così facendosi, chiunque imparava a saper pronunziare il vocabolo scritto , imparava immantinente il contenuto concetto; senza volersi altro studio, induvinameuto v interpetrazione. E non vuolsi «lire 1’ immensa agevolazione. ad erudirsi, nonchè a sviluppar l'ingegno, che con cosiffatto mezzo ebbero gli Europei sugli Asiatici. Lavunde Cadmo ed. Evandro , che la fama della tradizione immortalò maestri delle lettere alla Grecia ed al Lazio (15), vanno celebrati assai più degli inventori dell’arte. veramente divina, di far parlare tavole , lapidi, per- gamene, papiri, carte ed altre materie inanimate. Ecco, a nostro avviso , il secondo mezzo, e il possentissimo, col cui ajuto l’ingegno occidentale Jasciò sì basso 1’ orientale appo i suoi voli. Ecco un fatto, che verun contemplatore istorico non può negligere in passando a rassegna i fasti e le vicende della civiltà nel genere umano, ma che intanto non fu nemmén subodorato da a'cuno. Passiamo ora col sig. Michelet alla pre- dicazione ed adozione del Cristianesimo. In questo tema, in cui parrebbe che egli dovesse essere men sibil'ino di stile, e più largo di considerazioui istoriche , fu invece muto nelle seconde, e più che altrove inintelligibile nel primo. Eccone le sole frasi. Une secte des Juifs celebre aussi lu mort et la vie. Son Dieu est mort du supplice des esclaves. Les autres religions prenaient pour symbole le signe obscène de la vie et de la generation. Le Christianisme embrassa l’esprit, embrassa la mort, Il en adopta le.signe funèbre. La vie, la matière, la nature, la fatalité furent immolés par lui, le corps et la chair, divinises jusque-là, furent marques, dans leurs temple meme, du signe de la consomption qui les travaille. On appergut avec hor- reur le ver qui le rongeait sur l’Autel. La Liberté affumée de douleur, courut a l’amphitheatre et savoura son supplice. Se così disse il nostro Autore, noi lasciando ogni comento o interpetrazione do’ suoi detti, e permettendoci di considerare il Cristianesmo ne’ suoi effetti istorivi sovra mezzo genere uma- no, nonchè sulla metà salita a’gradi superiori della scala civile dell’ umanità , diremo che questa religione benefica meritava da ‘ (15) Diciamo Lazio e non Italia, perchè la scrittura etrusca era monca come l’ Orientale. £ 85 nn contemplatore istoriro contemplazioni ben altre di quelle sì misteriosamente fraseggiate. Diremo oltreaciò , che chi mira ad investigar lo spirito inti- mo delle ‘relisioni nelle materialità del rito © de’ simboli , non scorge e non conosce nulla. Ogni religione deve vestire e veste sempre un’ apparenza materiale nell’ esercizio del suo culto , per parlare alla povera plebe, non altrimenti potente , che per Ja sola via de’ sensi; a concepire e venerare qualche cosa de’ spiri- tna'i oggetti religiosi. Stando a’ segni simbolici , si corre. rischio di traviar le mille miglia dal vero nelle deduzioni. Sull'altare cristiano, per. esempio, vedesi sovente © il mistico agnello , v l’orrida figura di Satana. E fora ei giusto dedurne che visi pro- fessa il tereusebismo egizio; o vi si adora :1 genio del male? Non i simboli adunque vanno studiati per conoscere 1’ essenza delle religioni; bensì và studiato il libro che vedesi posto ed incensato sull’Ara come codice sacro. Che saprebbe della religione mosaica chi attendesse a divinarla dall’Arca, dalla sua forma, da’ due ‘Cherubini d’ oro che la copriano con le ali ec. ec. ? Nulla; ma molto e tuttu dicevano le tavole della Legge ; che vi erano cu- stodite. Così pure sull’ altare de’ Cristiani non vuolsi riflettere al legno simbolico della ‘.roce, ma a! Vangelo. Togli infatti il Crocifisso , e comunque per canone di Liturgia non vi si possa celebrare il mistero del sacrificio, non perciò il Cristianesmo perisce ; ma perisce ei subito , non appena gli togli il suo libro, il suo: codice , la legge insomma del suo Iustitutore. Michelet vede ne’ Martiri la libertà affamata di dolore: Nou intendiamo questo responso di oracolo. L'efficacia morale delie grandi. instituzioni .va; vista ne’ principj delle instituzioni istesse , e non nelle persone degli iustitutori o professatori. Indi noi ve- dremo la libertà, che il Cristimnesmo addncea secolui nel modo, non nell’ eroismo: del, Martirio de’ primi Cristiani, ma ne’ cardi- ni della legge evangelica. E diremo ;,che, se il Decalogo fu la prima legislazione de’ doverit eterni , il Vangelo fu il primo band» degli, eterni diritti dell’ uomo. Esso. proclamava uguali tutti gli uomini innanzi alla Divinità ed in:nome della Divinità. Perlo- chè immediata in chiunque udia sì cara. voce la conseguenza , che al cospetto del Nume l’ infimo schiavo era uguale all’ Im- peratore. Questa promozione generale alla dignità d’uomo ed al- l’ eguaglianza morale, nel Tempio fu: la radice dell’ egualità civile nella città. Imperocchè fora assurdo supporre, che non incominciasse a sentirsi uguale a tutti innanzi all’Autorità. civile chi si udia detto uguale a ogni suo simile innanzi a Div da’mi- 84 nistri di Dio. Ecco uguaglianza germe e causa della libertà. Ecco il vero dritto di origine divina. A ciò arroggi i precetti di fare ogni sforzo per divenir libero, e di non mai farsi servo d’altro uomo (16). Il lettore intenderà, senza bisogno di comenti o dimo- strazioni , quali attivissimi germi di rivoluzione nelle idee uma- ne così seminavansi con la predicazione della ‘nuova ‘religione. El immediati incominciarono a comparire i frutti. La schiavità, primo e immenso cancro della società antica che andava estir- pato, scomparia fralle genti non appena entravano ‘esse nella comunione del culto nuovo. Tutto il resto del progresso dei \po- poli cristiani tenne naturalmente ed immancabilmente dietro a- passo importantissimo. All’immensa rivoluzione del Cristianesmo segue in mo- mento istorico lo scoppio dell’uragano de’ Barbari sull’occidente. Michelet, onde essere fedele al sno principio della guerra fra due elementi che si disputano l’imperio del mondo , vede ne’ Bar- bari i campioni della Libertà contro alla fatalità della signoria di Roma. Sennonchè si contradice aggiugnendo Alaric assurait qu’une impulsion fatale l’ entrainait contre Rome. E noi pen- siamo in fatti, che i Barbari, nonchè essere eroi rivindicatori della Libertà , diluviando sull’ Occidente per sottrarlo alla ro- mana dominazione, erano anzi gli strumenti ciechi e passivi di quella ineluttabile legge cosmologica, che sembra sospignere perennemente il genere rwmano da Levante a Ponente; legge pe- renne, che si manifesta , o di quando ‘in‘quando con subitanee migrazioni di popoli. interi a nuovi domicilj } o col giornaliero migrare d’individui e di famiglie. Col primo mezzo l’Asia dis- serrò due volte sciami di genti sull’ Europa e sull’Affrica ; anti- chissimamente, cioè, co’ Pelasghi co Dorj con gli Aoni co Mau> ritani ec. ec. e ne’ secoli 5. 6. e 7. dell’ era volgare con Goti ; con Vandali, con Unni, con Eruli, con Franchi, con Longobar- di, con Arabi ec. ec. Col secondo mezzo quindi 1° Europa ha ripopolato l'America spopolata dalla ferocia ‘spagnola ;' e' và oggi ripopolando le terre oceaniche spopolite da qualche cata- strofe fisica, oppur dal lunghissimo stato selvaggio. Memorando l’evento in subjetto, l’Zntroduzione fa onore a più barbari di tutti i Barbari, a’Franchi, dell’abolizione della schiavità. Nò. L’emancipazione dell’umanità fu benefizio del Vangelo. La conquista barbarica, anzi; introdusse la servità, che fu proscrit- (16) Sed et si potes fieri liber, magis utere. Nolite fieri servi hominum. S. Paolo I. a’ Corintj. Cap. 7: ver. ar. e 23. 85 ta quindi con anatema dal Pontefice Alessandro IIT. Ed è per- ciò che in Italia, comunque più o meno vi perdurassero gli in- stituti feodali, scomparvero pria che altrove talune feodali pre- potenze, non più patendovisi da moltissimo tempo nè la corvée o' altri abusi, come in Francia fino al 1789, nè il frohndienst e il frontag, (17) tuttora patiti dalla plebe germanica, nè infine la dura servitù della plebe slava. In occasione de’ Barbari i voleasi memorato lo sbocco degli Arabi, popoli anche essi dall’ Oriente lanciati verso Occidente. Il nostro Autore passolli in sile nzio ; e forse perchè, portatori essi del fatalissimo Alcorano, erano pruova contraria al #r:0onfo della Libertà sulla fatalità. Ciò non ostante meritava menzione il po - polo inventore dell’Algebra; chiave di tutta 1’ immensa matte- matica odierna, e quello che conservò acceso il lume sacro di Minerva durante le tenebre del medio evo. (Dopo la grande migrazione delle genti orientali esce in iscena sul teatro del mondo il personaggio di Carlomagno ; personaggio, che lampeggia , come. meteora «di luce vermiglia fra la tenebria di que’ secoli. L’Zntroduzione celebra molto e questo principe e l'ordine politico dell’ Imperio da luni restaurato o ricostituito. Le chaos tourbillonant de la Barbarie trouva son centre en Char- lemagne. Cette unité laissa sur l’ Europe l’ Aristocratie episcopale et l’Aristocratie feodale couronnées du Pape et de V Empereur. Merveilleux sisteme! +. . È meraviglia infatti a udire, che la Ge- rarchia fù opera lasciata dal figlio di Pipino sull’ Europa, se deve intendersi letteralmente il testo! Vegga poi chi voglia nel fatto di Carlomagno un’ opera egre- gia, o una meraviglia, non denegheremo a veruno la libertà delle opinioni istoriche. Ma vogliamo anche noi aver la nostra, e il pubblico deciderà quale sia la vera o la buona. Laonde più meditiamo sulla restaurazione dell’Imperio occidentale , e più ci si appalesa opera esizialissima. E siccome non abbiamo patria in meditando sull’istoria‘; così non ci ristaremo di adde- bitarne l'immensa colpa a treo quattro Italiani, che la promos- sero la chiesero l’ ottennero. / caos vorticoso della Barbarie erasi posato ; posati eransi i Barbari nelle provincie da loro con- quistate. Essi ;eransi i famigliati e cittadinati con gli Europei, mediante l’adozione del nuovo eulto europeo, e mediante i ma- trimonj. Essi incominciavano ad incivilirsi. I Longobardi, ossieno (17) Lavoro e giornate di lavorò , che i contadini tedeschi debbono tre volte per settimana nella Signoria ‘ossia nelle terre del Barone. 86 i più agresti e feroci fralle genti barbariche } quando sbuearono dalle selve della Pannonia; quando Alboino beveva nel eranio del suo nemico , già contavano un Lesislatore largo e saggio in Ro- tario ; ed Astolfo, loro antipenu!itimo Re. era un cavaliere sì gentile sì bello della persona . che servì a modello di' nome di virtù e di venustà ad-uno de’ più belli. cortesi e prodi cava- lieri dell’Ariosto. In questo stato di benavventuroso risorgimento inîziale, ecco alcuni felloni chiamar lo straniero. nella patria ; ed ecco il barbarissimo (18) Carlo favorito dalla sua stella a ri- porre sossopra il mondo. In qual mai modo? Frangendo una unità utilissima, e cre. ando un’altra vrità dannosissima.: Carlo franse. 1’ unnità della Chiesa, essendo egli 1’ occasione immediata della scissura fra la Greca e la Latina. Imperocchè. non è. istorico chi non. vede nello scisma di Fozio. un effetto della rivalità non fra’due culti, bensì fra’ due Imperi. Il Cesare vrientale , sentendo risorto per opera de?’ Pontefici l’ antico suo rivale, non più volle che il. sno Patriarca. fosse suddito ; come per l’ innanzi, del Gerarca Lati- no: E mentre Carlo così sbranava 1’ ordine religioso ;, che era salutarissimo a tutta Europa (con l’unità sua, dava funesta unità all’ ordine politico , in cui. ogni centralizzazione è letalis- sima. In che, infatti, influì I imperio al risorgimento ed alla civiltà moderna? Nol soppiamo. Sappiamo anzi, che; usurpando un’ autorità prepotente sovra ogni,stato europeo, non servì che a flagellar 1° Europa con dieci secoli di guerre di. dispotismo di tirannia. Sappiamo , che, mentre era sol buono e valido a così flagellarla, era poi invalidissimo ed a difenderla, ed a preservar se medesimo da’ Turchi, sultimi barbari dall’oriente lanciati sul- l'occidente. Sappiamo infine che fu perfino impotente a salvar la propria metropoli ; e dne volte, essa, fu salva. non già, da, gli Imperatori, ma da’ Priricipi, germanici e da’ sempre. eroici Polacchi. Nulla non diremo; di ciò che patì I’ Italia, perchè già dicemmo. che in Istoria non abbiamo patria. Ed ecco la meraviglia di, Carlo Magno.! Vorrebbesi. forse celebrarlo per la. conversione de’ Sassoni, battezzati col vero battesimo di sangue? Roma'avrebbeli incruentemente, convertiti con la parola e con l’acqua, come: ella avéa fatta e andava facendo con l’altre genti: europee ‘mediante 1} apostolato , e come. riescì alla. Chiesa greca di fare in Russia con la;predicazione e col. battesimo, di tutto il popolo russo nelle acque del Volga. (18) Barbarissimo in tutti i sensi. Il suo segretario Eginardo ne dice, che non sapeva nemmen leggere. L’esterminio de’Sassoni, quindi, dice il resto. 87 Proseguendo a scorrere la serie de’ grandi eventi, trovere- mo che a Carlo Magno vengon dietro le Crociate. L'Introduzio- ne le «tenomina, guerre de l’ Europe contre l’Asie , de la libertè sainte contre lu nature sensuelle et impie. Toutefois, il lui ful- lut, pour but immediat, un symbole mat riel de cette opposi- tion; ce fut la delivrance du tombeau de I. C. Qui è più che altrove visibile come e quauto si travii dal vero e retto senso dell’ istoria , allorchè voglionsi violentare i fatti istorici per tra- smutarli in pruove di nn sistema preconcepito. La liberazione del gran sepolcro , invece d' essere simbolo , ossia apparenza, di quell’ impresa, ne eva intimo ed unico motivo mezzo e fine. Sup- ponendo infatti non nelle mani degli infedeli la tomba senza ca- duvere , non certamente forano avvenute quelle guerre sacre. Ed in questa ipotesi, che seco avria portato la continuazione della pace, ove sarebbe la guerra fra la Libertà e la futalità, fra l’ Europa e l'Asia, fra la libertà sunta e la natura empia ec:? La chiave istorica adunque; che il nostro Autore erede d’aver rinvenuta , è tutt’ altra che li vera e l’efficace a spiegar l’ isto- ria. Applicando però la nostra della 3. lesge di moto alle Cro- ciate ; l’avremo evidentissima e larghissima spiegatrice. Per tre secoli 1’ Qriente, ossia l'islamismo, avea violentemente agito sul- l’ occidente. ossia sulla cristianità, corseggiando tutto il mediter- raneo , pirateggiando per tutti i suoi lidi, saccheggiando Roma, dominando Sicilia e Spagna, invadendo la Francia ec. Ed ecco che per tre altri secoli, l’ occidente reagisce ad alta vendetta sull’ oriente, aggredendolo , invadendolo , guerreggiandolo, sac- cheggiaudolo , e riportandone con mille prede la preda pr-zio- sissima delie prime arti lettere e scienze. Allora spuntò il primo albore del risorgimento. Stadio nobi- lissimo , che mentre tanta e tutta bella materia porgeva alle con- templazioni istoriche , è , non sappiam perchè . saltato di netto nell’ Zrtroduzione. Michelet, dopo un’altra. prolissità di oscu- rissimi responsi sul medio evo, età che egli dice miracolo e me- raviglia crista!lizzata ne’ duomi di Colonia, di Strasburgo e di Milano, conchiude con le parole, la libertè a vaincu ; la justi- ce a vaincu: le monde de la fatalità s° est ecroulé. Che il let- tore si rammenti di questa conclusione , perchè la verrà or ora contradetta dal suo stessu autore. Così concludendo, passa egli alla seconda parte, in cui annunzia di voler esaminare la cooperaziune rispettiva che l’Italia, la Germania, la Francia e l’ Inghilterra ebbero a questa vittoria della libertà sulla fatalità. Senonche, obliaudo il promesso, invece di esaminar la cooperazione sudet- 88 ta a’ progressi civili dell'Ewropa, volgesi a considerar lo stato in cui le quattro mentovate nazioni sono oggidì nei loro rispettivi elementi di libertà e di fatalità. Le monde de la civilisation (\° Europa) est. gardé è ses deux portes, vers l’Afrique et l’Asie, par les Espagnols et les Slaves, chretiens barbares opposés à la barbarie mussulmane. Ce monde a pour ses deux poles au sud et au nord V Italie et la Scandinavie. Sur ces quatre points extrémes pese lourdement la fatalité de race et de climat. Laonde , ecco di bel nuovo in campo , e sulla maggior parte d’ Europa , la fatalità testè detta vinta e franata. Ecco sentenziate, come escluse da ogni azione al miglioramento europeo , le genti iberiche , le scandinave e le slave. Non men severa sentenza |’ Introduzione pronunzia sull’ Inghilterra , e più di tutto sulla Germania , detta dal no- stro Autore India dell’ Europa, nel senso di regione sponta- neamente generativa di fatalità. Ed eccoci esclusi anche noi Italiani! Noi, a’ quali finora credevasi che moltu, se non tutto, dovesse l’ incivilimento moderno ! Qui la nostra critica trovasi in dispiacevolissimo compito. Imperocchè il sig. Michelet, appalesandosi benevolentissimo co- gli Italiani, fa sembiante di non poterne parlare con tutto quel- l’amore che ei vorrebbe, e tempera col compatimento la severi- tà nel suo ufficio istorico. La compassione è alcerto un senso nobilissimo ; ma essa ha sempre un’ azione offensiva sulle ani- me generose, quando son conscie d’ essere compatite perchè mal giudicate. Noi dunque senza risentircene , nè mancare alla dignità della difesa , protesteremo contro il nostro giudice, tenendogli però conto di gratitudiue della sua benignità. Quali sono le pruove di questa fatalità pesantemente ope- rante sull’Italia ? Talune nostre consuetudini moderne di vivere; agire, pensare , vestirci, alimentarci ec. non dissimili da quelle dell’Italia romana ed antiromana; l'architettura verbigrazia dei palagi Pitti e Strozzi, non dissimile dall’antichissima architettura ciclopica di Volterra ; gli stessi metodi ed istrumenti agrarj da Varrone a’giorni nostri ; talune fogge popolari odierne simili al venetus cucullus, a’socchi ec. La carne porcina, alimento oggi come lo era anticamente ; la mala aria di Roma e le paludi ponti- ne , simili anticamente ed oggi; gli Apruzzesi, oggi cerretani di morsi di serpenti, oome un dì lo erano gli antichi Marsi ; la stessa ferocia nel popolaccio romano , che grida oggi, sia ummazzato il sor abate , come un dì gridava i cristiani alle bestie feroci nel cir- co‘ con altre di cosiffatte ragioni! E infine, nell’età odierna del pa- 81 l’ arte nautica. Quì computeremo un altro elemento; non men efficace del già mentovato ; la scrittura. Al quale argomento è necessaria qualche premessa. Il miracolo delle lettere (14), 1’ invenzione cioè della scrit- tura , corse per gli stessi stadii pe’ quali corrono tutte le inven- zioni , ed in ispecie le più momentose. Ella nacque nell’ imper- fettissima e debolissima puerizia , per quindi man mano crescere alla bellezza e forza della virilità. Ne’suoi primi vagiti parlava ella più agli occhi con le imagini, che alle orecchia co’suoni. In Egitto infatti l' alfabeto era geroglifico ne’ suoi tempi antichis- simi; ed anche quando l’arte poggiò al si//adico ed al fonetico, affinandosi a delinear con cifre gli elementi de’ suoni vocali, l’ alfabeto suddetto non mai si purgò interamente de’ materialis- simi geroglifici primitivi. In questo primo grado di perfeziona- mento si arrestò l’ invenzione presso tutte le genti orientali. Fosse per natura delle arti umane sempre graduali nelle miglio- ranze loro , o fosse per disegno sacerdotale a tener inviolato ed inviolabile un sì gran segreto fra’ misteri della religione , non si escogitarono, o più probabilmente non rivelavansi scrivendoli , i segni di que’ suoni, che sono gli unici ad operare il prodigio dando vita senso ed anima alle cifre ; non si scrivevano cioè le lettere dette vocali, senza delle quali le consonanti rimangono mute e infecondissime a generare la comunicazione de’ pensieri scritti in chi legge. Indi semitiche tutte le lingue dell’Oriente; indi la scrittura in uno stato quasi inutile, tostochè, non ba- stando l’arte di saper leggere la parte scritta, voleasi posseder l’altra di saper mettere o sottiutendere la parte omessa, ossia quella de le vocali. indi presso gli orientali il bisogno delle arti esegetiche ed ermeneutiche più che presso le altre nazioni; indi presso gli Ebrei la necessità e lo studio della ‘massoretica della cabalistica ec. ec. pel fedele intendimento de’ libri sacri, ne’ quali la menoma sostituzione di una vocale ad un’altra po- tea cangiare in significato di empietà o di turpitudini le massime più religiose o più caste. Il lettore dirà da se solo quali e quanti ceppi all’erudimento, e perciò allo sviluppo dello spirito, avevansi in questa divinatoria oscurissima e fa:libilissima maniera di scrivere. i Nell’ Occidente al contrario , fosse ei per naturale progresso d’iuvenzione , o fosse per generosa rivelazione de’ possessori del- (14) Evander... venerabilis vir miraculo literarum .... Livio lib. 1. T, III, Agosto Li 82 l'arcano, la scrittura fu comunicata completa ; e non già monca de’ suvi vivifici elementi. Si scrissero le vocali nel debito posto loro insieme con le consonanti. Così facendosi, 1 arte dava su- bito l’immensa utilità sua , palesando rapido e chiaro tutto il pensiero figurato da’segni. Così facendosi, chiunque imparava a saper pronunziare il vocabolo scritto , imparava immantinente il contenuto concetto, senza volersi altro studio, induvinamento + interpetrazione. E non vuolsi «lire l’ immensa agevolazione ad erudirsi, nonchè a sviluppar l’ingegno, che con cosiffatto mezzo ebbero gli Europei sugli Asiatici. Laonde Cadmo ed Evandro, che la fama della tradizione immortalò maestri delle lettere alla Grecia ed al Lazio (15), vanno celebrati assai più degli inventori dell’arte veramente divina «i far parlare tavole , lapidi, per- gamene, papiri, carte ed altre materie inanimate. Ecco, a nostro avviso , il secondo mezzo, e il possentissimo; col cui ajuto l’ingegno occidentale lasciò sì basso 1’ orientale appo i suoi voli. Ecco un fatto, che verun contemplatore istorico non può negligere in passando a rassegna i fasti e le vicende della civiltà nel genere umano, ma che intanto non fu nemmen subodorato da a'cuno. Passiamo ora col sig. Michelet alla pre- dicazione ed adozione del Cristianesimo. In questo tema, in cui parrebbe che egli dovesse essere men sibillino di stile, e più largo di considerazioni istoriche , fin invece muto nelle seconde, e più che altrove inintelligibile nel primo. Eccone le sole frasi. Une secte des Juifs celebre aussi la mort et la vie. Son Dieu est mort du supplice des esclaves. Les autres religions prenaient pour symbole le«signe obscène de la vie et de la generation. Le Christianisme embrassa l’esprit, embrassa la mort. Il en adopta le signe funèbre. La vie, la matière, la nature, la fatalité furent immolés par lui, le corps et la chair, divinises jusque-là, furent marques, dans leurs temple meme, du signe de la consomption qui les travaille. On appergut avec hor- reur le ver qui le rongeait sur l’Autel. La Liberté affumée de douleur , courut a l’amphitheatre et savoura son supplice. Se così «lisse il nostro Autore , noi lasciando ogni comento o interpetrazione do’ suoi detti, e permettendoci di considerare il Cristianesmo ne' suoi effetti istorici sovra mezzo genere uma- no , nonchè sulla metà salita a’gradi superiori della scala civile dell’ umanità , diremo che questa religione benefica meritava da (15) Diciamo Lazio e non Italia, perchè la scrittura etrusca era monca come |’ Orientale. 85 un contemplatore istorico contemplazioni ben altre di quelle sì misteriosamente fraseggiate. Diremo oltreaciò , che chi mira ad investigar lo spirito inti- mo delle religioni nelle materialità del rito o de’ simboli., non scorge e non conosce nul!a. Ogni religione deve vestire e veste sempre un’ apparenza materiale nell’ esercizio del suo culto ; per parlare alla povera plebe , non altrimenti potente , che per Ja sola via de’ sensi, a concepire e venerare qualche cosa de” spiri- tnali oggetti religiosi. Stando a’ segni simbolici , si corre rischio di traviar le mille miglia dal vero nelle deduzioni. Sull’ altare cristiano, per esempio, vedesi sovente o il mistico agnello , 0 l’orrida figura di Satana. E fora ei giusto dedurne che visi pro- fessa il tereusebismo egizio , o vi si adora 1 genio del male? Non i simboli adunque vanno studiati per conoscere 1’ essenza. delle religioni; bensì và studiato il libro che vedesi posto ed incensato sull’Ara come codice sacro. Che saprebbe della religione mosaica chi attendesse a divinarla dall’Arca, dalla sua forma, da’ due Cherubini d’oro che la copriano con le ali ec. ec. ? Nulla; ma molto e tutto dicevano le tavole della Legge , che vi erano cu- stodite. Così pure sull’ altare de’ Cristiani non vuolsi riflettere al legno simbolico della Croce, ma al Vangelo. Togli infatti il Grocifisso , e comunque per canone di Liturgia non vi si possa celebrare il mistero del sacrificio, non perciò il Cristianesmo perisce; ma perisce ei subito, non appena gli togli il suo libro; il suo codice , la legge insomma. del suo Institutore. Michelet vede ne’ Martiri la libertà affamata di dolore. Non intendiamo questo responso di oracolo. L'efficacia morale delle grandi ‘instituzioni va vista ne’ principj delle instituzioni istesse: , e non nelle persone degli institutori 0 professatori. Indi noi ve- ‘ dremo la libertà, che il Cristianesmo adducea secolui nel mordo, non nell’ eroismo del Martirio de’ primi Cristiani, ma ne’ cardi- ni della legge evangelica. E diremo , che se il Decalogo fu la prima legislazione de’ doveri eterni, il Vangelo fu il primo baudo degli eterni diritti dell’ uomo. Esso proclamava uguali tutti gli uomini innanzi alla Divinità ed in nome della Divinità. Peilo» chè immediata in chiunque udia (sì cara. voce la conseguenza , che al cospetto del Nume l’ infimo schiavo era uguale all’ Im- peratore. Questa promozione generale alla dignità d’nuomo ed al- l’ eguaglianza morale nel Tempio fu la radice dell’ egualità civile nella città. Imperocchè fora assurdo supporre, che non incominciasse a sentirsi uguale a tutti innanzi all’Autorità civile chi si udia detto wguale a ogni suo simile innanzi a Dio da’mi- 84 nistri di Dio. Ecco 1° uguaglianza germe e causa della libertà. Ecco il vero dritto di origine divina. A ciò arroggi i precetti di fare ogni sforzo per divenir libero, e di non mai farsi servo d’altro uomo (16). Il lettore intenderà, senza bisogno di comenti o dimo- strazioni , quali attivissimi germi di rivoluzione nelle 1dee uma- ne così seminavansi con la predicazione della nuova religione. El immediati incomiuciarono a comparire i frutti. La schiavitù, primo e immenso cancro della società antica che andava estir- pato, scomparia fralle genti non appena entravano esse nella comunione del culto nuovo. Tutto il resto del progresso dei po- poli cristiani tenne naturalmente ed immancabilmente dietro a passo importantissimo. All’ immensa rivoluzione del Cristianesmo segue in mo- mento istorico lo scoppio dell’uragano de’ Barbari sull’occidente. Michelet, onde essere fedele al suo principio della guerra fra due elementi che si disputano l’imperio del mondo, vede ne’ Bar- bari i campioni della Libertà contro alla fatalità della signoria di Roma: Sennonchè si ‘contralice aggiugnendo Alarie assurait qu’une impulsion fatale 1’ entrainait contre Rome. E noi pen- siamo in fatti, che i Barbari, nonchè essere eroi rivindicatori della Libertà , dituviando sull’ Occidente per sottrarlo alla ro- mana dominazione , erano anzi gli strumenti ciechi e passivi di quella ineluttabile legge cosmologica, che sembra | sospignere perennemente il genere wmano da Levante a Ponente; legge pe- renne, che si manifesta, 0 di quando in quando con subitanee. migrazioni di popoli interi a nuovi domicilj ; o col giornaliero migrare d’ individui e di famiglie. Col primo mezzo l’Asia dis- serrò due volte sciami di genti sull’ Europa e sull’Affrica ; anti- chissimamente, cioè, co’ Pelasghi co Dorj con gli Aoni co’ Mau- ritani ec. ec. e ne’ secoli 5. 6. e 7. dell’ era volgare con Goti, con Vandali, con Unni, con Eruli, con Franchi; con Longobar- di; con Arabi ec. ec. Cul secondo mezzo quindi 1’ Europa ha ripopolato l'America. spopo!ata dalla ferocia spagnola, e va oggi ripopolando le terre oceaniche spopol.te da qualche cata- strofe fisica, oppur dal îunghissimo stato selvaggio. Memorando l’evento in subjetto, l’Introduzione fa onore a più barbari di tutti i Barbari, a’Frarichi, dell’abolizione della schiavità. Nò. L’emancipazione dell’umanità fu benefiziv del Vangelo. La conquista barbarica, anzi, introdusse la servità, che fu proscrit- (16) Sed et si potes fieri liber, magis utere. Nolite fieri servi hominum. 8. Paolo I. a’ Corintj. Cap. 7. ver. 2r. e 23. 85 ta quindi con anatema dal Pontefice Alessandro HI. Ed è per- ciò che in Italia, comunque più o meno vi perdurassero gli in- stituti feodali , scomparvero pria che altrove talune feodali pre- potenze, non più patendovisi da moltissimo tempo nè la corvée o altri abusi, come in Francia fino al 1789, nè il frohndienst e il frontag, (17) tuttora patiti dalla plebe germanica , nè infine la dura servitù della plebe slava. In occasione de’ Barbari voleasi memorato lo sbocco degli Arabi, popoli anche essi dall’ Oriente lanciati verso Occidente. Il nostro Autore passolli in sile nzio ; e forse perchè, portatori essi del fatalissimo Alcorano ; erano pruova contraria al trsonfo della Libertà sulla fatalità. Ciò non ostante meritava menzione il po - polo inventore dell’Algebra, chiave di tutta l'immensa matte- matica odierna, e quello che conservò acceso il lume sacro di Minerva durante le tenebre del medio evo. Dopo la grande migrazione delle genti orientali esce in iscena sul teatro del mondo il personaggio di Carlomagno; personaggio, che lampeggia ; come meteora di luce vermiglia fra la tenebria di que’ secoli. L’Zntroduzione celebra molto e questo principe e l'ordine politico: dell’ Imperio da lui restaurato o ricostituito. Le chaos tourbillonant de la Barbarie trouva son centre en Char- lemagne. Cette unitè laissa sur V’ Europe l’Aristocratie episcopale et l’Aristocratie feodale couronnéees du Pape et de l’ Empereur. Merveilleux sisteme!... È meraviglia infatti a udire; che la Ge- rarchia fù opera lasciata dal figlio di Pipino sull’ Europa , se deve intendersi letteralmente il testo! Vegga poi chi voglia nel fitto di Carlomagno un’ opera egre- gia, o una meraviglia, non denegheremo a ' veruno la libertà delle opinioni istoriche. Ma vogliamo ‘anche noi aver la nostra, e il pubblico deciderà quale sia la vera è la buona. Laonde più meditiamo sulla restaurazione dell’ Imperio occidentale , e più ci si appalesa ‘opera esizialissima. E siccome non abbiamo patria in meditando sull’istoria , così non ci ristaremo di adde- bitarne l’immensa colpa a tre o quattro Italiani, che la promos- sero la chiesero l’ottennero. /l caos vorticoso della Barbarie erasi posato ; posati eransi i' Barbari nelle provincie da loro con- quistate. Essi eransi i famigliati e cittadinati con gli Europei, mediante l’adozione del nuovo culto europeo, e mediante i ma- trimonj. Essi incuminciavano ad incivilirsi. I Longobardi, ossieno (17) Lavoro e giornate di lavoro , che i contadini tedeschi debbono tre volte per settimana nella Signoria ossia nelle terre del Barone, 86 i più agresti e feroci fralle: genti barbariche ; quando sbncearono dalle selve della Pannonia; quando Alboino beveva nel cranio del suo nemico , già contavano un Legislatore largo e saggio in Ro- tario ; ed Astolfo, loro antipenultimo Re, era un cavaliere sì gentile sì bello della persona, che servì a modello di nome di virtù e di venustà ad uno de’ più belli, cortesi e prodi cava- lieri dell’Ariosto. In questo stato di benavventuroso risorgimento iniziale, ecco alcuni felloni chiamar lo straniero nella patria ; ed ecco il darbarissimo (18) Carlo favorito dalla sua stella a ri- porre sossopra il mondo. In qual mai modo? Frangendo una unità utilissima, e cre- ando un’ altra unità dannosissima. Carlo franse l’unità della Chiesa, essendo egli l’ occasione immediata della scissura fra la Greca e la Latina. Imperocchè non è istorico chi non vede nello scisma di Fozio un effetto della rivalità non fra’due culti, bensì fra’ due Imperi. Il Cesare orientale , sentendo risorto per opera de’ Pontefici l’ antico suo rivale, non più volle che il sno Patriarca fosse suddito, come per l’ innanzi, del Gerarca Lati- no. E mentre Carlo così sbranava l’ordine religioso, che era salutarissimo a tutta Europa con l’unità sua, dava funesta unità all’ ordine politico , in cui ogni centralizzazione è letalia- - sima. In che, infatti, influì I imperio al risorgimento ed. alla civiltà moderna ? Nol soppiamo. Sappiamo anzi, che, usurpando un’ autorità prepotente sovra ogni stato europeo, non servì che a flagellar 1’ Europa con dieci secoli di guerre di dispotismo di tirannia. Sappiamo , che, mentre era sol buono e valido a così flagellarla, era poi invalidissimo ed a difenderla, ed a preservar se medesimo da’ Turchi, ultimi barbari dall’oriente lanciati sul- l’occidente. Sappiamo infine che fu perfino impotente a salvar la propria metropoli; e dune volte essa fu salva. non già da- gli Imperatori, ma da’ Principi germanici e da’ sempre eroici Polacchi. Nulla non diremo di ciò che patì l’Italia, perchè già dicemmo che in Istoria non abbiamo patria. Ed ecco la meraviglia di Carlo Magno! Vorrebbesi forse celebrarlo per la conversione de’ Sassoni, battezzati col vero. battesimo di sangue? Roma avrebbeli incruentemente convertiti con la parola e con l’acqua , come ella avea fatta e andava facendo con l’altre genti europee mediante l’ apostolato , e come riescì alla Chiesa greca di fare in Russia con la predicazione e col battesimo. di tutto il popolo russo nelle acque del Volga. (18) Barbarissimo in tutti i sensi. Il suo segretario Eginardo ne dice, che non sapeva nemmen leggere. L’esterminio de’Sassoni, quindi, dice il resto 87 Proseguendo a scorrere la serie de’ grandi eventi, trovere- mo che a Carlo Magno vengon dietro le Crociate. L'Introduzio- ne le «ilenomina, guerre de l’ Europe contre l’Asie , de la libertè sainte contre la nature sensuelle et impie. Toutefois, il lui fal- lut, pour but immediat , un symbole mat riel de cette opposi- tion; ce fut la delivrance du tombeau de I. C. Qui è più che altrove visibile come e quauto si travii dal vero e retto senso dell’ istoria , allorchè voglionsi violentare i fatti istorici per tra- smutarli in pruove di un sistema preconcepito. La liberazione del gran sepolcro , invece d’ essere simbolo , ossia apparenza di quell’ impresa, ne era intimo ed unico motivo mezzo e fine. Sup- ponendo infatti non nelle mani degli infedeli la dai senza ca- davere , non certamente forano avvenute quelle guerre sacre. Ed in questa ipotesi, che seco avria portato la continuazione della pace, ove sarebbe la guerra fra la Libertà e la fatalità, fra l’ Europa e l’Asia , fra la libertà santa e la natura empia ec:? La chiave istorica adunque, che il nostro Autore crede d’aver rinvenuta , è tutt’ altra che la vera e l’efficace a spiegar l’ isto- ria. Applicando però la nostra della 3. lesge di moto alle Cro- ciate , l’avremo evidentissima e larghissima spiegatrice. Per tre secoli l’ Oriente, ossia }’ islamismo, avea violentemente agito sul- l’ occidente, ossia sulla cristianità, corseggiando tutto il mediter- raneo , pirateggiando per tutti i suoi lidi, saccheggiando Roma, dominando Sicilia e Spagna, invadendo la Francia ec. Ed ecco che per tre altri secoli, l’ occidente reagisce ad alta vendetta sull’ oriente, aggredendolo , invadendolv , guerreggiandolo, sac- cheggiandolo , e riportandone con mille prede la preda prezio- sissima delle prime arti lettere e scienze. Allora spuntò il primo albore del PAT 1 Stadio nobi- lissimo , che meutre tanta e tutta bella materia porgeva alle con- templazioni istoriche , è, non sappiam perchè, saltato di netto nell’ Introduzione. Michelet, dopo un’ altra prolissità di oscu- rissimi responsi sul medio evo , età che egli dice miracolo e me- raviglia cristallizzata ne’ duomi di Colonia, di Strasburgo e di Milano, conchiude con le parole, la libertè a vaincu ; la justi- ce a vaincu: le monde de la fatalità s° est ecroulé. Che il let- tore si rammenti di questa conclusione , perchè la verrà or ora contradetta dal suo stesso autore. Così concludendo, passa egli alla seconda parte, in cui annunzia di voler esaminare la cooperazione rispettiva che l’Italia, la Germania, la Francia e l’ Inghilterra ebbero a questa vittoria della libertà sulla fatalità. Senonche, obliaudo il promesso, invece di esaminar la cooperazione sudet- 88 ta a' progressi civili dell'Europa, volgesi a considerar lo stato in cui le quattro mentovate nazioni. sono oggidì nei loro rispettivi elementi di libertà e di fatalità. Le monde de la civilisation (\° Europa) est gardé à ses deux portes, vers l’Afrique et l’Asie, par les Espagnols et les Slaves, chretiens barbares opposés à la barbarie mussulmane. Ce monde a pour ses deux poles an sud et au nord l’ Italie et la Scandinavie. Sur ces quatre points extrémes pese lourdement la fatalité de race et de climat. Laonde , ecco di bel nuovo in campo , e sulla maggior parte d’ Europa , la fatalità testè detta vinta e franata. Ecco sentenziate, come escluse da ogni azione al miglioramento europeo , le genti iberiche, le scandinave e le slave. Non men severa sentenza |’ Introduzione pronunzia sull’ Inghilterra, e più di tutto sulla Germania , detta dal no- stro Autore India dell’ Europa, nel senso di regione sponta- neamente generativa di fatalità. Ed eccoci esclusi anche noi Italiani! Noi, a’ quali finora credevasi che moltu, se non tutto, dovesse l’ incivilimento moderno ! Qui la nostra critica trovasi in dispiacevolissimo compito. Imperocchè il sig. Michelet, appaulesandosi benevolentissimo co- gli Italiani, fa sembiante di non poterne parlare con tutto quel- l’amore che ei vorrebbe, e tempera col compatimento la severi- tà nel suo ufficio istorico. La compassione è alcerto un senso mobilissimo ; ma essa ha sempre un’ azione offensiva sulle ani- me generose, quando son conscie d’ essere compatite perchè mal giudicate. Noi dunque senza risentircene , nè mancare alla dignità della difesa , protesteremo contro il nostro giudice; tenendogli però conto di gratitudiue della sua benignità. Quali sono le pruove di questa fatalità pesantemente ope- rante sull’Italia ? Taluue nostre consuetudini moderne di vivere, agire, pensare , vestirci, alimentarci ec. non dissimili da quelle dell’Italia romana ed antiromana; l'architettura verbigrazia dei palagi Pitti e Strozzi, non dissimile dall’antichissima architettura ciclopica di Volterra ; gli stessi metodi ed istrumenti agrarj da Varrone a’giorni nostri ; talune fogge popolari odierne simili al venetus cucullus, a’socchi ec. La carne porcina, alimento oggi come lo era anticamente ; la mala aria di Roma e le paludi ponti- ne , simili anticamente ed oggi; gli Apruzzesi, oggi cerretani di morsi di serpenti, come un dì lo erano gli antichi Marsi ; la stessa ferocia nel. popolaccio romano , che grida oggi, sia ammazzato il sor abate , come un dì gridava i cristiani alle bestie feroci nel cir- co con altre di cosiff'*tte ragioni! E iufine, nell’età vdierna del pa- setti | | 39 ri che nell’età antica , le monde de la citè et non celui de la tri- bu in Italia. Trascrivemmo quest’ultima ragione originalmente, on- de il lettore procuri di intenderla , non essendo a noi ciò riuscito nè nel senso letterale nè nel figurato. Se l’autore così disse allegori- camente al numero delle città , nelle debite proporzioni col suolo e con la popolazione , assai maggiore in Italia che oltremonti , non è però meno vero che in Piemonte, nella Liguria, in Lom- bardia , nello Stato Veneto , in Romagna, in Toscana , nelle Mar- che , nell’Umbria, nella Campania, in quattro quinti insomma della superficie italiana, il popolo abita cosparso pel contado e per i poderi, come in Francia in Allemagna in Inghilterra. Rammente- remo poi al sig. Michelet, che 1’ antica via Appia era da Roma a Brindisi una perpetua via di villaggi e di borgate, talchè diceasi che fino a Brindisi si estendeva Roma. Gli rammenteremo che lo stesso quasi era della via Aurelia, giudicando da’sepoleri che trovansi lun- ghessa. Gli rammenteremo che Livio, parlando del Sannio, il dice abitato vicatim. Gli rammenteremo infine i famosi versi dell’Ario- sto sulla convalle amenissima di Firenze; A veder pien di tante ville i colli Par che la terra le germogli , come Vermene germogliar suole e rampolli , ec. |. Se dunque la sua frase misteriosa allude alla superiorità del domicilio italiano in città appo il domicilio campestre , il concet- to è contradetto dal fatto. Ammettasi però che noi Italiani fummo e siamo immutabili in talune nostre cose antichissime. Ma , non può dirsi lo stesso di molte nazioni oltremontane? Chi con Livio, con Cesare e con Taci- to in mano imprendesse a far confronti simili, troverebbe gli odier- ni Svizzeri, Francesi, Tedeschi e Inglesi non punto dissimili in moltissime abituilini degli antichi Elvezj , Galli, Germani e Brit- tanni. In moltissimi lineamenti morali e i più caratteristici , dei Galli specialmente , lineamenti che taceremo per non offendere chicchessia , troviamo il fedelissimo ritratto de’Francesi attuali. L’Italiano, prosegue Michelet, è l’uomo men cavalleresco di tutti gli Europei, non essendo potente nè d’abnegazione di se stes- so, nè di cieca fede in altri. Quindi aggiugne a ripruova che ’ Orlando furioso, mentre pare essere il poema celebratore della cavalleria, non altro è se non la satira di siffatto instituto. In vero gli Italiani non furono cavalieri , che si dessero in anima e corpo ad un capo dispotico. Molto meno furono cavalieri per oggetti frivoli e ridicoli ; per dame verbigrazia , dalle quali si facessero, come in oltremonti, toccare un occhio, per portarlo chiuso e T. III. Agosto 12 99 bendato fino al promesso cimento , o per tante altre simili ba- lordaggini oltremontane. In ciò conveniamo. Ma conveugasi da- gli esteri che nel cavallerismo , ossia nell’eroismo vero , 1° Ita- liano è il più cavaliere di tutti gli europei. Gli oltremontani hanno bisogno di unirsi per segnalarsi con eroismi; 1° Italiano non fa eroismi se non quando è solo , certo essendo che là sì è vero eroe, e che allora si è realmente segnalato. Michelet, oltra- ciò , mal lesse l' Orlando furioso se credè di leggervi la satira della cavalleria. Lodovico Ariosto, nonchè deriderla; ne deplora anzi la decadenza , allorchè esclama contro all’ invenzione della polvere piria Come trovasti o scellerata e brutta Invenzion mai loco in uman core? Per te la militar gloria è distrutta , Per te il mestier dell’ armi è senza onore; Per te è il valore e la virtù ridutta, Che spesso par del buono il rio migliore ; Non più la gagliardia non più l’ardire Per te può in campo al paragon venire (19) Ne'quali bellissimi versi è evidente lo spirto dell’ordine, che era sentito da’cavalieri italiani ; il virile, cioè, valove militare per meritarsi la vera segnalanza nelle battaglie e ne fatti d’armi. Lo- dovico Ariosto, infine, non altrove prese il modello d’ogui eroe del suo poema , se non nel personale cavallerismo italico ; che fulge nell’ unità , e scomparisce nella moltitudine. Se vuolsi la prouva massima di questa personale virtù mi- litare degli Italiani, non si ha che a mirarla in un fatto costante di moiti secoli, in cui spicca fulgidissima. Ei può dirsi, che, dopo la potenza di Roma antica, 1’ Italia non più ebbe nè potentato nè esercito. E, ciò non ostante, dall'Italia uscirono i maggiori capitani del medio evo e moderni; dall’ Italia uscì tutta la mo- derna arte bellica. Italiani erano Raimondo Montecuccoli, Eu- genio Carignano e Napoleone Bonaparte ; italiano era Marchi, inventore di quella fortificazione in cui il Vauban fu suo co- pista : Italiani erano i Dandolo , i Doria, i Venieri, i Colonna ec. maestri inventori dell’ odierna arte e tattica navale. Il genio bel - lico degli italiani, in somma, è di tal forza che si è mostro egual= mente ne? petti loro; sì quando la patria era in signoria , come poichè essa cadde in servitù. (19) Orl. Fur. Ganto XI. Strof. 26. O E O E E QI Michelet, parlando de’ Romani moderni, dice, forse senza volerlo , un grande vero. La veritable vocation du Romain etait l'action politique : ne pouvant plus agir, il réve. Quindi tor- nando ad osservarci con la lente de’ pregiudizi oltremonta- ni sull’ Italia, e vedendo ovunque stilettî, nonchè wr gesto naturale ne’ colpi di stile!! soggiunge i y a dans lair de cette ville quelque chose d’immoral et de frenetique ; son cri de carnaval est un cri de sang ; mort au seigneur abbè ; mort à la belle princesse ; il ne criait pas plus fort les chretiens aux lions ec. Ed ecco come e da che si giudica dell’indole di un po- polo ; prendendo , cioè, sul serio i riboboli carnevaleschi e i sali frizzati dalle maschere! Noi, senza volere escusare , e molto meno assolvere, la plebaglia romana de?’ difetti o vizi che ha comuni con la plebaglia di tutte le città, diremo che in quelle teste da capelli neri, da naso aquilino, da occhio fiero, alberga lo spirito più maschio che mai fosse concesso agli uomini. Due volte l’uomo nato fra sette colli volle la signoria del mondo; e due volte 1° ebbe. L’ avvenire forse dirà a che cosa egli réve oggi. Certo è però che il Romano non medita nè alle mode, nè al misticismo ideologico, nè al monopolio mercantile (20). Le sue meditazioni non perdonsi a rimuovere il fango. Dimanderemo in ultimo al nostro autore, se la fatalità è in Italia cotanto preponderante sulla libertà, come mai avvenne, che in questa terra fatale sermogliò e crebbe 1’ albero della prima libertà europea , sradicato quindi dagli oltremontani? E gli diremo infine, che in una provincia in cui l’ingegno fece i primi voli, e i voli più liberi audaci sublimi, seco avendo pari coadiutore ad opere quasi incredibili, un animo forte, perseve- rante, imperterrito , saldissimo , in una provincia siffatta, dice- vamo , deve asserirsi vera una delle due seguenti condizioni; 0 che cioè lo spirito è in Italia assai più che altrove poderoso a frangere i ceppi della materia , o che la materia vi è assai men che altrove potente ad inveschiare ed a tarpar le ali dello sp? rito. Il nostro dilemma ha quì ogni logico nitore e rigore. Qua- lunque delle conseguenze sceglierà il sig. Michelet , 1’ avrà di- struttrice de’ snoi principii e delle sue sentenze su di noi. In Italia si verifica la nostra formola della terza legge di moto , applicata alla cosmologia morale, e perciò all’ istoria. L’azione della italiana signoria, pria politica e poi religiosa, (20) Così diciamo perchè l’Autore istesso dice , che i Francesi, i Tede- schì , e gli Inglesi intendono a dominar l’ Europa co’ suddetti tre mezzi. 92 per due mila anni e più sull’intero mondo civile , è riverberata dalla reazione che il mondo intero fece e fa su di noi. Preghino però il cielo gli vultremontani che questa non cessi, e che non rincominci quella , perchè l’Italia è la sola parte dell’ Orbe, la quale possiede l’ arte di saper più lungamente conservare i con - quisti. Basti intanto di questa nostra apologia sulla fatalità , che Michelet vede gravitar sull’Italia, e soffocarvi la libertà. Lasce- remo a' Tedeschi ed agli Inglesi il compito di difendere la patria loro da non minori imputazioni di fatalismo ingenito. Laonde il lettore vede chiaro a che mirano queste esclusioni dell’ Italia , della!’ Germania e dell’ Inghilterra dalla grande opera del ci- vile avanzamento europeo; a riservarne cioè 1° onorevole man- data alla sola Francia. Non alcerto intendiamo ad amareg- giare il nostro autore ne’ suoi dolci affetti patri. Ma trovi e ad- duca egli argomenti migliori di quelli da lui addotti per profe- tare il sno patrio vaticinio. Imperocchè ignoriamo quanto possano essere persuasive per chi legge le ragioni, che alla Francia è as- segnato il destino della grande rigenerazione futura, perchè Francese è prosatore e non poeta; perchè è istorico, retore e legista di sua natura; perchè in Francia si vive la vita della città commista a quella della tribù ; perchè essa ha un centro, e so- vratutto perchè ha fortissimo lo spirito di centralizzazione. Se l’istoria vale qualche cosa di più che non vaglia il sil - logismo , il fatto istorico de’maggiori poeti, comparsi là solu ‘ove più liberi erano i popoli, non è punto favorevole alle speranze, che Michelet ha nella sua patria. Non più a lui favorevole è l’ altro fatto istorico, che nella Grecia ed in Roma non si vide più nulla di grande, non appeva agli uomini di stato ed a’guer - rieri presero predominio i retori ed i legisti. Non crediamo, inoltre, molto istorico il Francese, attesochè la Francia non ha una Zsto- ria comparabile alle grandi e belle Zstorze scritte da Greci da’La- tini dagli Italiani. Ignoriamo eziandio , quanto la soverchia at- trazione del centro, e il fortissimo spirito di centralizzazione sieno elementi diffusivi di beneficii agli altri, e di libertà per se stesso. Ne avviene anzi di crederli elementi di tutt’opposta in- dole ed efficacia. Se il sole attraesse invece di vibrare i suoi rag- gi, l’universo fora in tenebre eterne ; e la bella armonia del crea- to precipiterebbe in una sola massa informe , se la forza centri- peta superasse la centrifuga. E infine, se le pruove de’ fatti sto- rici son più potenti de’ raziocinj astratti ad indicar ciò di che è 93 capace un popolo , l’ istoria di Francia da due mila anni in qua non punto arride a’ superbi vaticinj del nostro autore. Ma lasciamo l’avvenire nelle mani di Chi lo possiede nel- l'arcano abisso del sno consiglio. Al contemplatore istorico è sol concesso di meditare sul passato , e noi faremo brevemente ciò che Michelet avea promesso di fare ; e quindi non fece ; l’esame cioè della cooperazione di cadaun popolo al grande edifizio del mondo civile. Diremo adunque, che tutte le nazioni portarono cadauna la pietra di porzione loro ad ergere man mano l’im- menso tempio della civiltà ; tutte , dall’antichissima Cina, India, Caldea, Egitto ec. alle nuovissime Americhe, niuna esclusa, e nemmen gli stessi Barbari, che agiruno sul genere umano, come le tempeste agiscono per ravvivar l’ atmosfera la terra la vege- tazione. Senonchè, siccome nella repubblica delle arti delle lettere o delle scienze si danno taluni privilegiati ingegni operatori as- sai più degli altri, Omero, verbigrazia, Virgilio, Dante, Cice- rone, Tacito, Machiavelli, Galileo , Neuton, Leibinizio, Fidia, Michelangelo, Raffaello ec. ec. ec. ; così pure è dato a taluni po- poli 1’ accidente il privilegio o il merito d’essere più cooperatori d’ altre genti all’ incivilimento umano. E fra questi popoli bene- fici più degli altri, niuno vorrà negare la preeminenza a’ Greci ed agli Italiani. V” era anteriormence a’Greci il popolo possessore del Deca- logo, che aveva immensa attitudine ad essere benefico. Ma ri- generato esso nelle solitudini del deserto , e quindi abominando ogni comunione sociale con altre nazioni, rifuggia con orrore al solo pensiero di partecipare altrui le nozioni delle verità mo- rali, delle quali era depositario. Laonde il prezioso tesoro del Decalogo fu inutile all’ umanità antica , e non divenne fecon- dissimo di miglioramenti umani, se non quando il Vangelo pre- se a pubblicarlo e propagarlo seco lui. La Grecia supplì in qualche modo col proprio ingegno a ciò che Israello non fece con la rivelazion» mosaica. Socrate divinò il grande domma dell’ unità del Nume , il grande vero dell’im- mortalità dell’ anima, e i grandi doveri morali, che emanano da questi due larghi e sublimi principii. Egli va sa'meggiato come il grande precursore pagano della rivoluzione fatta dal Vangelo; ‘e comunque Platone isterilisse la sua feconda dottrina travolgen- dola in delirii ideologici, i suoi canoni morali però predisposero nelle scuole gli animi a’ precetti evangelici. La Grecia oltreaciò, propagando le sue arti, lettere , dottrine e scienze mediante il 04 commercio e le colonie , temperò man mano la natia ferità delle nazioni occidentali. Cesare dice che trovò l’alfabeto greco fra gli Elvezi e fra’ Druidi (21). 1 Greci, comunque conquistati da? Ro- mani , rimasero maestri de’ conquistatori loro , anche nell’ aurea età celle lettere latine. Di greca invenzione ed origine erano tutte le dottrine e le scuole romane. Indi noi più volte deno- minammo nell’Antologia la Grecia mente del mondo. antico. L’Italia ha due età d’ opera iniziatrice e propagatrice d’ in- civilimento ; l’ età cioè del Campidoglio, e 1° altra del Vaticano. Sia caso, merito , o checchè piaccia dire sì dell’ una come dell’ altra universale dominazione di Roma, certo è intanto che fu benefica in amendue. Roma pagana andò co’ suoi conquisti scrostando le scaglie della barbarie primitiva per l’ occidente, e così facendo la preparò a ricevere ulteriore forbitura. Dietro a’suoi conquisti andavansi impiantando i suoi instituti civili, le scuole greche , e le civili opere di strade, di canali , di porti, di porti, d’argini, di bonificazioni ec. Ella spense l’ordine atroce de’ Druidi; e ciò assuefece i barbari ad una religione più mite, necessarissima che precorresse per riceversi la cristiana. Ella salvò l'Europa dalla schiavità e barbarie africana distruggendo Cartagine, non che dalla barbarie e schiavitù asiatica , debellando Mitridate (22). Ella migliorò ed utilizzò l’ architettura greca , applicandola al- le grandi opere pubbliche. Ed in ultimo , con l’ unità politica del suo dominio, de’suoi instituti, del suo governo, pre- parava e assuefaceva ella l’ occidente all’ unità religiosa de! cri- stianesmo, di cui era suo destino che dovesse essere santuario e metropoli. A questa non lieve azione civile di Roma pagana tenne dietro l’altra di Roma tèristiana, che fu immensa. Dalla caduta dell’ Imperio al risorgimento tutta la parte bella dell’ istoria è opera sua. Ella fece, col Vangelo in mano, ciò che Gerusalemme non seppe o non volle far col Decalogo. Ella andò alzando l’ a- ra, intorno a cui dovevano ricostituirsi tutte le nazioni moder- ne. Nonchè perire a’ formidabili colpi de’ Barbari, ne trionfò costringendoli a deporre il brando a’ suoi piedi. Ella preservò la cristianità occidentale da’tanti funesti scismi, che dilaniavano le chiese greche, asiatiche ed africane. Ella conquistò tutta (21) In castris Helvetiorom tabulae repertae sunt, literis graecis confectae. E altrove: Druidae utuntur graecis literis. Vedi i Commentar]. (22) Di questi due beneficj abbiam discorso nel N.° rri. pag. 74. dell’An- tologia. 99 I Europa alla fraternità religiosa ; conquisto indispensabile per predisporla all’odierna fraternità sociale Ella in ultimo fu la tu- trice de’ deboli contro i potenti, de’ poveri contro i ricchi, de’ buo- ni contro i tristi, de’ popoli contro i loro oppressori ; della libertà insomma contro' alla tirannia. Alla sna voce scomparve la dura schiavità antica: lo schiavo fu da lei promosso ad uomo ; e co- munque questi restasse ancor vassallo (la natura sì fisica conte ‘ morale non va mai per salti.ne’ suoi progressi), ciò non ostante il vassallaggio era il grado necessario che ei salisse per salir quindi a quello di cittadino. Niuuo ignora che il medio evo fu una lunga età di fiera crise, in cui travagliava |’ Europa, per riprendere vita e salute migliore, debellando con le nuove forze vitali i morbi antichi, onde era in- ferma. E in pari modo, ninno può ignorare che, in cosiffatto travaglio fra il male antico e il bene nuovo, venia tutto da Oltremonti il primo, e tutto dall’ Italia il secondo. D’ oltremonti venivano le rapine le violenze le devastazioni de’ Barbari ; la brutale igno- ranza , gli atroci pregiudizi de’ duelli e de’ giudizi divini; le prepotenti instituzioni feodali; le prepotenze dell’ Imperio ; lo spirito anarchico d’ ogni forte; la vita eslege degli Avventurieri, che posson dirsi i Filibustieri del medio evo; la brutalità della forza insomma , come dritto a permettersi tutto ciò che piaces- se a passioni feroci malvage nefarie immani. Nulla di cotanti flaselli non era azione o invenzione italiana. Che anzi 1’ Italia temperava cotanto uragano di calamità con voci ed azioni di pa- ce ; con incessanti missioni apostoliche ; con incruenti anatemi per atterrire tiranni non altrimenti affrenabili; con la tregua di Dio a respiro della povera umanità in taluni giorni ; co’ ra- ziocini della persuasione e del ‘dritto ; con la valvula delle Cro- ciate aperta a disfogar sull’Asia tanti feroci elementi che con- vellevano 1° Europa ; con la protezione de’ popoli liberi ec. ec. Se in queste opere umanissime scattò quà e là qualche abuso, ciò non fu che l'eccezione di una regola benefica. Ove è d’altronde opera d’ uomo , che sia perfettissima, e non abbia i vizi inse- separabili da ogni azione umana? E noi non dissimulammo il gran delitto di quattro in cinque Italiani, in chiamare i Fran- chi contra a’ Longobardi, nonchè in occasionare, così facendo, la ricostituzione dell’ Imperio sì funesta all’Italia ed all’Europa. Ma, ciò non ostante, non è un enigma da qual banda fosse la santa causa deil’ umanità, della ragione ‘e dell’ incivilimento , in questa lunga e terribile guerra fra l’Italia e 1° Oltremonti da Carlo Magno fino a Carlo V. 96 Non gli oltramontani ma gli Italiani fecero il primo con- quisto della civiltà cristiana sulla barbarie mussulmana, toglien- do il dominio nautico del mediterraneo a’'Saraceni. Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, che erano l’ Inghilterra del medio evo, fu- rono larghe iniziatrici e propagatrici d’incivilimento col com- mercio e con le colonie loro. In Italia, inoltre, sorsero i primi liberi instituti, sorse la prima libertà europea. In Italia rina- cquero le Muse , le quali co’ seducentissimi vezzi loro furono con gli oltremontani ciò di cui è fama che la tragedia d’Eu- ripide fosse pe’ balordi Abderiti. Un Italiano, infine, divinando col suo immenso ingegno, e dando col suo coraggio immenso un nuovo mondo al mondo antico, ingigantì causa mezzo e fine della civiltà odierna madre fecondissima della futura. Ecco le coopera- zioni degli Italiani alla grande opera; cooperazioni di fatti e non di arzigogoli in vocaboli vacui d’ogni senso. L° Oltremonti non ne è grato nè in parole, e molto meno in opere. Ma pre- scindendo, che l’ingratitudine è il retaggio eterno d’ogni bene- fittore, essa più ventila che non fa obliare la notorietà del be- neficio. Ei vuolsi però finire. L’ opuscolo esaminato , anche ove fosse codice tutto pieno di verità evidentissime, non può essere /n- iroduzione all’ istoria universale. Imperocchè ogni introduzione, e di qualunque libro, va fatta in modo di formola algebrica, la quale proceda dal noto all’ignoto. Quella intanto del nostro au- tore, invece di preparare il lettore a leggere con buon frutto V’I- storia, ha anzi bisogno di un lettoie istruitissimo di tutta la materia non men narrativa che filologica dell’ Istoria, per es- sere intesa pienamente. Indi, invece d’ Introduzione , andrebbe assai meglio intitolata Conclusione o epilogo filosofico dell’ Isto- ria universale. Oltre a questa inversione d’ ufficio , è essa poi scritta. co- tarto sibillinamente, che l’autore istesso senti la necessità di corredarla con note doppie del testo. In questo sunto ed esame critico noi fummo forse prolissi più del bisogno, e assai più del dovere severi. Alla quale seve- rità ne parve autorizzarci non l’opera in se stessa, ma il ma- lissimo uso che si và facendo della scienza oggi detta Filosofia dell’Istoria. Vi fu un tempo, in cui riponeasi ogni magisterio ed eccellenza di dottrina in andar alchimizzando i poemi, per estrarne allegorie alle quali i poeti non aveano nemmen pensato ; e questa fatuità dura ancora in taluni, che no- tomizzano crogiuolano evaporano la Divina Commedia , per lam- 9 biccarne misteri e sistemi reconditi, non mai sognati dall’Alighieri. Oggi si va facendo lo stesso nell’ Istoria. E in pari modo che la testè detta demenza di critica poetica non ad altro riuscia se non a deformare in ischeletri i poemi migliori , e perciò a toglier loro ogni alta bellezza e moralità , così pure l’odierno genere di critica istorica non ad altro fine riesce, che a quello di sfrut- tar l’istoria d’ ogni sua morale bellezza ed utilità. Di che valga ad esempio l’ opuscolo del Michelet che esaminammo , onde aver immediate pruove nella stessa materia in subietto , e non andarle spigolando altrove remotamente. Ammettasi adunque evidentissima /a guerra fra la fatalità e la libertà, come eter- na sostanza e forma dell’altissima arte di Clio. A. che ne gio- verà questa sentenza metafisica ? Quale fatto dubbio ne ac- certerà o oscuro ne chiarirà ella? Quale buona bussola ne por- gerà per imparare a navigare con sicurezza e lieto esito nel sì burrascoso mare politico ? Quali utili lezioni ne darà per vol- gere l’ esperimento de’ fatti passati a norma de’ presenti o de’fu- turi ? In che ne coadjuverà a divenir buoni Legislatori o Magi- strati sapienti in Prudenza civile? Ingenuamente, e senza punto arrossire, confesseremo la nostra totale nullità di perspicacia a ve- derlo. Indi non cesseremo mai di raccomandare a’ valenti giovani italiani lo studio della politica non nell’ ideologia ma nell’ isto- ria, come faceva il nostro immenso Machiavelli, nelle cui ma- ni potentissime questa immensa dottrina salì al prestantissimo ufficio e decoro volutole da Cicerone in dirla luce di verità e maestra della vita. Mezza sola pagina delle immortali De- che vale e insegna più di tutti i mille volumi di astruserie che oggi si publicano oltremonti. Ed onde anche quì valga 1’ esem- pio , sempre più efficace di mille precetti, gioverà citarlo. Ogni pagina dell’Istoria , trattata per confronti di fatti, onde averne lezione e norma ne” possibili casi simili, è una dimostrazione geometrica, che null’ altro se non il male vuolsi aspettare dallo straniero. Ma, non ha guari, si obliò questa importantissima le- zione, per seguirsi non sò che nuova frase d’ ideologia politica , la quale non diverrà dritto pubblico europeo nemmen nel secolo 30; e la pubblica calamità tenne immediatamente dietro al funestis- simo passo , dato sulla speranza nell’ assurdo sesquipedale della vigente politica ideologica. Così scagliandoci contro l’ odierna fatuità di metafisicar I’ Istoria; non credasi che comprendiamo in siffatta condanna la Scienza nuova, primo germe e modello degli studj oggi tanto in T. IIl. Agosto 13 98 vigore, e cotanto travolti in mal fine dagli oltremontani, i quali procedono tutti inversamente al metodo, con cui procedeva il chia- rissimo inventore della suddetta nuova scienza. Vico non meditava sulla materia istorica , ossia sulle opere delle genti, per cavarne astrazioni metafisiche; ma facea servir la metafisica per mettere in piena luce moltissimi punti istorici sì di tutto il genere umano, come della Grecia e di Roma , che erano inintelligibili e: perciò incredibili. Operando nel quale modo ed al quale fine , mentre purgava. l’istoria , il più che poteasi, d’ oscurità , d’ incertezza, e di quel bagliore mirifico, per cui credevansi semidei 0 eroi taluni uomini e taluni popoli dell’ antichità, ridava a questi i limiti naturali delle facoltà umane , spiegava le opere loro quali opere naturalissime degli umani affetti comuni ; e con ciò utiliz- zava la più importante parte istorica ; quella cioè dello stadio iniziale delle nazioni quando incominciarono a costituirsi in su- cietà civili. A proposito della Scienza nuova il signor Michelet la tra- dusse o parafrasò in francese. Noi non leggemmo la sua tradu- zione o. parafrasi. Leggendo però, nelle note dell’ Introduzione , dans la philo:ophie de l’Histoire Vico s'est placè enire Bossuet et Voltaire, dubitiamo che egli sia ben penetrato addentro nello sp'rito intimo del profondissimo libro menzionato. Anche quì confesseremo , che ne manca ogni sagacità a scorgere la menoma correlazione della Scienza nuova e col Discours sur |’ Histoire universelle , e coll’ Essai sur les moeurs et l’esprit des nations, Di che vogliamo giudici i nostri valorosi lettori; e con questo appello al loro giudizio togliamo congedo da loro. G. P. Cours de Littérature Grecque moderne par Jacovàki Rizo Néru- los etc. Genève 1828 8.° L’epoca più remota della Greca Letteratura pare che fosse consacrata alla poesia mistica o religiosa che risuonò tremenda per bocca idegli oracoli; e, quando l’Ellade partita in brevi do- minj fu travagiata da. minute guerre per opera de’suoi eroi, uscirono fuora i primi poeti istorici che le gesta ne celebrarono in versi improvvisati, i quali, dati in custodia alla memoria, risuo - narono in più tarda età alla mensa di Alcinoo e nella ten- da di Achille. Ma 1’Iliade e 1° Odissea prodotte dalla musa Omerica non ebbero carme che le emulasse; e lette pubbli- To ,re—___————p 99 camente nelle feste religiose e ne’ popolari congressi dierono vita senza soccorso di magistrali istituzioni a filosofi, istorici e geografi, inspirando per primo elemento negli animi lo spregio per la vita servile ed abietta e 1’ amore verso la patria. Intanto i Greci dell’ Jonia, difendendosi dalle violenze dei tiranni della Lidia, eransi collegati in una, e divennti per l’ unione delle armi e per la comunanza del commercio potenti, sparsero il sa- pere nella Grecia del continente e nella Sicilia ; e gli abitatori del- l’Attica e del Peloponneso a imitazione di essi si costituirono in forma di stato libero. Allora. Solone e Licurgo dettarono leggi ciascuno al natio paese , onde, abbandonate le ridenti fantasie ed il ritmo musicale, Eraclide, Dionisio di Mileto, Erodoto ed altri resero celebre il dialetto Jonico. Tennero dietro ad essi cun la pompa dell’ eloquenza gli autori Attici, fra 1 quali Pericle che primeggiò con quella sua celebrata orazione. Questi sono i concetti, ma in ben largo campo spiegati dal sig. Rizo coni quali anima il-principio della sua Introduzione (1), dopo di che ricordando le vittorie riportate dai Lacedemoni e dagli Ateniesi sopra le armate del gran re, donde venne a que- sti due popoli la maggioranza sopra il rimanente dei greci, osser- va come pel culto delle lettere e delle arti debitamente Atene si arrogasse il primato. Fiorendo pertanto in questa città il linguag- gio (2) signorile ed. urbano, dopo cognominato Attico , non tardò a comparire la Tragedia; e mentre i Tragici infondevano nel cuore dei cittadini l’ odio verso i tiranni, i Lirici celebravano con inni di fuoco la memoria di quelli che si erano per la patria immo- lati. Ma la guerra Peloponesiaca suscitata per ambizione e per di- spregio all’ utile ed all’onesto ebbe tosto prodotto amari frutti; e Pericle ed Alcibiade corruppero i costumi al segno, che il divino Socrate ebbe a soffrir villania in pieno teatro dal buffone Aristo- fane. Un popolo; che avea tollerato simile sacrilegio, era decaduto dall’ antica dignità, e secondo il detto di Focione dovea le scioc- che risa con amarissimo pianto redimere. (3) Infatti, abbandonato alla licenza e dai piaceri allettato, dimenticò l’idea del Bello, te- nendo in non cale quell’ eloquenza dalla quale le rette e generose azioni erano predicate e lodate; e in quella. vece prestò facile (1) L’ editore nella prefazione ne avverte che l’ autore impugnò la penna per istendere l’ Introduzione che doveva occupare una o due sedute , ma che trascinato dalle attrattive del subietto protrasse questa Introduzione fino alla fine del suo Corso di Letteratura: pag. xj. (2) ArdAexTov vale linguaggio, e non lingna vernacola. (3) Plutarco nella vita di esso. 100 orecchio ai sofisti ed alle gelide antitesi di Gorgia e dell’inetta sua scuola. i Compita in questa guisa l’ordita narrazione della più insi- gne epoca della greca letteratura, prosegue il nostro Autore a discorrere le canse del suo decadimento , ragionevolmente accen- nando per la capitale la perduta libertà , quindi l’ assoluto do- minio Macedonico , la prematura morte del gran conquistatore e le interminabili guerre dei suoi successori. Dopo di che rivol- gendo il pensiero alla condizione delle lettere in quella succes- siva età: “ La scuola di Alessandria, avverte egli, se ne togli Teocrito, Menandro, Apollonio Rodio, non produsse che poeti plagiarj o insipidi grammatici , commentatori sterili, fecondi in astrazioni inintelligibili. Sofisti mendichi, ciarlatani eruditi , igno- ranti pseudo-filosofi inondarono Roma , Alessandria , la Siria e la Grecia; e se talora surse qualche autore di bello ingegno, sicco- me Polibio, Dionigi d’Alicarnasso, Ariano, Diodoro Siculo, Lucia - no, Strabone, Plutarco, Pausania, le opere di lui pel merito lette- rario furono minori di quelle del seco'o di Pericle.,, Ma quì siami concesso unir la mia voce a quella del sig. Monnard che di quest’ Opera diè ragguaglio nella Rivista Enciclopedica (4), e do- mandare all’ autore , quale istorico , e sia pure dei più vantati per la gloria della lingua, non dee reputarsi onorato di sedere a fianco di Polibio , di Pausania , di Strabone ? E non sono forse pregj da tenersi in gran conto l’ esattezza istorica , la coscienza nelle laborivse ricerche . i sacrificj d’ ogni specie cui lo storico è soggetto per l’ amure sacrosanto del vero? Ma i Greci sotto il giogo dei successori di Alessandro avvi- lirono 1’ animo baldo al suono iegli ‘assoluti cenni di quei re- guatori, tanto che più tardi i discendenti di Milziade e di Epa- minonda non ebber vergogna di curvarsi vilmente innanzi all’in- solente liberto di un proconsole. E ben più trista sorte toccò a quell’ infelice paese dopochè l’ultimo Costantino cessò ad un solo isrante di vivere e di pugnare. Bisanzio cangiando nome fu astretta a cangiare usi e costumi, presso che lo stesso linguag- gio ; se non che la Chiesa d’ Oriente, sempre libera e vincitrice delle vicessitudini, conservò la lingua originale de’ $S. Evangelj, e, dando alla luce i Basilj, i Gregorj, i Cirilli, i Crisostomi, ri- storò all’ ombra dell’altare l’eloquenza che la libertà aveva creato e sublimato, e che la tirannide ebbe prima contaminata e poi spenta. (4) Settembre 1827. JOI Andava ella per questo pio sussidio della Religione a ripren- der parte dell’ avita dignità , quando uno sciame di settarj sbu- cando da ogni lato infestò la Chiesa di dubbiezze e di scismi. Tacque allora la santa parola; e le congreghe dei Padri, di- smessa l’evangelica mansuetudine , disputarono intorno a materie di astrusa teologia , e nelle dispute gli stessi imperatori pren- devano parte , mentre il popolo che niente vi comprendeva sta- vasi indifferente. Intanto gli stranieri allettati dagli agi e dalle dolcezze della novella Roma accorrevano da ogni parte, e le soldatesche raccolte da barbare regioni ricon duce vano di bel nuo- vo a mal termine la lingua. nella stessa guisa che i depravati co- stumi di Giustiniano avevano disperso ogni rettitudine ed ogni fede nel popolo. Ed ai principi, come ognun vede, non basta dettar buone leggi, ma vogliono corroborarle coll’ esempio: nè un re crudo comporrà mai un popolo mite, nè uno che fu spergiuro o lussurioso avrà mai forza che basti per costringere i sudditi a ri- spettare la religione delle private contrattazioni , nè a fare che sì contentino solo! di legittimi connubj. Il furto poi sacrilego che fe quel malaugurato Imperatore della pecunia pubblica ad- detta ad alimentare i licei ei ginnasi, erogandola in edificar ba- luardi contro le continue invasioni barbariche , che meglio era reprimere coll’ antico valore, e più tardi le conquiste dei Crocia- ti, dierono l’ ultimo crollo alle lettere, giacchè, per crudeltà di questi pii ladroni, saccheggiate, devastate, incendiate le città, an- darono perdute anco le biblioteche e i monumenti delle arti, ed ogni lume di scienza e d’ incivilimento fu spento. In tutta que- sta lunga serie di mali appena qualche scrittore comportabile si fa distinguere tra la folla degl’ inetti prosatori o versificatori : ed i Cronisti Bisantini, non validi a sostenere la Istorica dignità, det- tarono opere informi al pari del secolo in che vivevano: pure ad essi andiam debitori di ciò che ne resta di quei miseri tempi! Ora l’ egregio Autore non segue i profughi sapienti, che anco prima della caduta dell’ Impero vennero a addottrinare l’ Europa; ma, con gli occhi sempre intenti alla sua misera nazione, scende a muover parole della volgar lingua, avvertendo aver essa preso germe dal deperimento dell’ antica, il quale fino dai tempi di Giustiniano si fe manifesto. “ Mischiaronsi allora al bel favellare erronee locuzioni, che tosto prendono profonda radice nel dire popolaresco di per sè inelegante e scorretto , tanto che l’ altro culto e gentile a poco a poco si sperde. © E quì ci avverte, che, non ostante tali vicende, non troppo essenzialmente dall’ antico differisce il moderno linguaggio , nè esser altro che una stessa 102 lingua modificatasi a grido a grado. Ma perchè questa materia troppo lunga disamina richiederebbe, e già in questo nostro giornale ne fu a sufficenza favellato da chi bene il potea (5), proseguiremo senza interruzione il nostro ragguaglio. << La presa di Costantinopoli pareva avesse a spegnere la vita politica della Grecia, perchè dagli Ottomanni usurpatori minacciati è culto e lingua ed usi e costumi, ma volle provvi- denza che ritrovasse salute nell’ oppressione. Maometto II , che temeva l’ influenza dei popoli occidentali, conservò intatta la re- ligione greca , protesse il Patriarca, e preservò dalla rovina, forse senza saperlo e volerlo, questo misero popolo. Gennadio Scolario fu il primo Patriarca che da Maometto fu eletto dopo la con- quista. Era questi addottrinato ecclesiastico non tanto, ma amico degli studj. Per ordini suoi al clero non fu dismesso di scrivere l’antica lingua, anzi provocò il divulgamento di opere polemiche onde non si propagasse il numero dei proseliti, ed anco per met- tere un riparo alle pie usurpazioni della chiesa occidentale. Affi- dato ai privilegi dal vincitore lasciati al sacerdotale suo trono , eresse una scuola, soccorrendola dei manoscritti dalle rapine sot- tratti, e comandò ai vescovi che per ritrovarne più grosso numero facessero diligenza. Non era questa scuola patriarcale nominata mente approvata, pur non ostante tosto si conciliò grandissimo credito insegnandovisi il literale , la filosofia e le belle lettere ; e i dottì fecero a gara onde essere proposti a maestri in quella nazionale accademia ,,. Nell’ intervallo che passa tra la presa di Costantinopoli e la fine del secolo XVII formaronsi successivamente altre scuole al monte Athos, a Jànina, a Smirne ed in più altri luoghi, ove spie- gavasi la retorica di Aftonio, la teologia di Giovanni Damasceno, gi elementi di Euclide , la logica e la fisica di Blemmide. Sor- gevano poi a quando a quando alcuni uomini dotti e di fiorito ingegno, come Cirillo e Callinico patriarchi di Costantinopoli , Coridalèo d’Atene, Crisanto Notarà, ec. Ma solamente nei primordi del decorso secolo la lingua del popolo uscì dallo stato seden- tario in cui da sì gran tempo languiva ; e cominciarono allora e non prima ‘reputati sapienti a scrivere in quella, essendosi fin a quel tempo usato il literale. A questo punto l’Autore fa pausa; e, a meglio renderci con- sapevoli e certi dei progressi che la nazione segnava nelle vie (5) Mustoxidi: V. Antol. N.° 51. Giulio David, Parallelo della lingua gre- ca, ed il Kodrika nelle Vicende della medesima. “Coretti 103 delle utili cognizioni e, delle lettere, parte in tre epoche l’isto- ria di questo suo procedere. La prima comprende i primordj della moderna letteratura, cioè dal 1700 al 1750. La seconda dal 1750 al 1800. La terza dal 1800 fino ai nostri giorni. I Turchi, che avevano ricevuto dagli Arabi incerte nozioni delle scienze si, appresero assai appassionatamente all’astrologia giudiciaria lasciando ai cristiani la medicina: quindi assai, campo restava loro onde cattivarsi l’ animo dei padroni e rendersi an- che necessari coll’esercizio di tal facoltà. Il perchè molti si con- dussero in Europa , e particolarmente in Italia, come ne diè esempio il Panajotàkj ; il quale tornato a Costantinopoli con buon corredo di scienza , per i vari studj ai quali aveva dato opera, destò sì gran maraviglia; che venne insignito della dignità di grande interpetre., onore allora concesso per la prima volta ad un cristiano. Al Panajotàkj successe Alessandro Maurocordato da Scio , il quale, reduce esso pure. dall’ Italia, non solo esercitò l’ arte salutare, ma insegnò belle lettere e filosofia nella scuola patriarcale. Scrisse intorno alla circolazione del sangue, dottrina allora allora ritrovata, quindi una grammatica; una retorica, e varii commenti, con una storia ed alcune opere di filosofia. La scuola del Maurocordato fu ferace in uomini di dottrina e d’ ingegno, tra i quali voglionsi annoverare Giacob d’Argo, Melezio, Pa- naghiodòro ed il Miniati. Ma al Miniati, che poi fu vescovo di Calàvrita, io nel mio particolare assegno grande affezione di animo per quella sua dolce e numerosa locuzione e maschile facondia. È però vero che taluni riprovano 1’ uso che ei fa talora di certi ellenismi; ma quando non offenda per violenza l'indole del par- lar moderno, ma anzi il soccorra con modi di grand’ efficacia e ne accresca la pompa , parmi l’ ardimento lodevole e bello, par- ticolarmente negli oratori che haxso il primo dominio nella lin- gua illustre. Non tanta indulgenza vuolsi poi concedere , e con ragione , ad autori meno gravi; ma i letterati greci da un poco in qua pare non curino troppo sì necessaria distinzione, non fa- cendo lagno dell’intemperanza degli scrittori didascalici, la quale si estende anche ai semplici divulgatori di effemeridi. Intanto, per la grazia di che eragli largo il Divano; ebbe ‘agio il Manrocordato di aprire nuove scuole, particolarmente in. Co- stantinopoli e nelle città Epirotica di Jànina, e quivi coll’intendi- mento che degli stessi ajuti godesse anch: la Grecia Occidentale ; e da quelle si parti a suo tempu, compiti i primi studi, non poca 104 gioventù per l’usato pellegrinaggio scientifico; e due illustri Corciresi ricorderemo con soddisfazione Eugenio Bulgari e Nice- foro Theotòkj. Chiude il sig. Rizo la prima epoca, enumerando con qualche affetto di compiacenza i servigi resi dagli ospodari greci alla Moldavia ed alla Vallacchia, ove promossero gli studj greci e quelli della lingua indigena fin allora restata negletta ed informe. Seconda Epoca. — La condizione morale della Grecia andava d’ora in ora megliorandosi, mercè l’addottrinata gioventù e le biblioteche di moderne, opere che in molti paesi si composero con gran dispendio da zelanti cittadini. Samuele vescovo di Derkos, inalzato alla cattedra di S. Giovan Grisostomo dai suffragi del sinodo , con l’ eloquenza de’ suoi sermoni, con l’ austera virtù, ed uno ardente zelo per le ottime discipline, erasi cattivato l’ani- mo dell’ordine culto. Sebben sapesse egli di litterale quanto ogni più dotto, usava però a preferenza la lingua vivente che scri- veva con bel candore, come attestano la sua rettori ca, le ora- zioni di Demostene, la repubblica ed alcuni dialoghi di Platone, ch’ ei compì di parafrasare in mezzo alle cure del pontificial sa- cerdozio. Per di lui conforto e consiglio non poche opere classiche italiane e francesi furono fatte volgari, nelle quali posero mano e Niccola Caradgià ed Alessandro Maurocordato giuniore, ospa- daro di Moldavia, il quale aiutò la compilazione di un-dizionario greco e francese. Allora Eugenio Bulgari insegnò nelle scuole monastiche del monte Athos, quindi nella patriarcale Costanti- nopolitana, ma, sedotto dalla graziosa accoglienza dell’imperatrice di Russia, abbandonò il cielo di Grecia per contemplare l’aurora boreale del settentrione. Nel soggiorno ch’ ei fece colà tradusse per cenno di Caterina l’ Eneide di Virgilio in lingua omerica ; ma opera sì lunga e sì penosa non fu trovata rispondere alla sua bella fama. Lo stile di Eugenio Bulgari nelle opere volgari è sovente prolisso e non schietto ; tuttavia servì di norma fino a che non comparvero impressi gli scritti di Coray. Niceforo Theotòkj esso pure di Corfù fioriva quasi nel medesimo tempo. Alunno delle scuole greche, quindi delle itali- che, venne a Costantinopoli ove sermonò nella chiesa patriarcale: ma, punto nell’amor proprio, seguì il suo concittadino in Russia ove fugli assegnato la cattedra arcivescovile di Astrakan. Com- pose il suo domenicale (Kyriacodromo), una fisica ed un corso di matematiche. La rivoluzione francese aveva scosse tutte le menti, ma più particolarmente quelle dei giovani. E Riga , che d’alti spiriti 1009 era e fiorentissimo di età, nell’ ardente sua fantasia misurando la riuscita di una grande e pericolosa impresa dal proprio de- siderio, abbandonò l’ospodaro di Vallachia , appresso il quale era in ufficio , e si diè a correre l’ Europa onde accattare ajuti per sollevare la. Grecia dal pesantissimo tirannico giogo. Noi non seguiremo questo infelice martire e precursore della ellenica libertà nei suoi giganteschi disegni e nelle triste sciagure. Il san- gue di lui, tradito nella santità dell’ospizio e barbaramente sparso, fruttò la risenerazione della Grecia, e gl’inni ch’ ei lasciò in eredità ai suoi con servi, cantati nelle battaglie, furono sempre mai il segnale della vittoria. Fino all’ epoca di Riga la più parte dei giovani elleni da- vasi allo studio per desiderio di piccola fama o per giungere al- l'onore della cattedra in qualche patrio liceo : gli altri presta- vano l’ opera di medico ai miseri confratelli ed ai propri oppres- sori. “ Ammiravano in Senofonte lo storico ridondante di attici vezzi, e non un capitano coraggioso che eseguisce da prode la ri- tirata dei diecimila. Leggevano Erodoto in grazia del dialetto Jonio, o per l’inimitabile schiettezza dello stile, ma non per apparare da quello la virtù di tanti eroi cittadini. La precisione, il vigore, la gravità di Tucidide era obietto di erudite investiga- zioni, ma non davansi pensiero di presentare le cagioni delle gelosie , delle discordie , dell’ odio che tenea divisi d’ animo i Greci suscitando la guerra del Peloponneso che partorì più tardi il servaggio. Leggeasi Demostene per la eloquenza e per la forza oratoria : niuno mirava alle sue civili virtà, alla costante perseveranza a combattere nello stesso tempo i potenti traditori della patria e Filippo distruttore della libertà. Dopo la morte di questo giovine animoso la lettura degli autori classici cambiò di oggetto. Spiegavano i maestri meno le bellezze dello: stile e le grazie dell’ elocuzione, di quel che con sante intenzioni non ac- cennassero ai costumi , all’indole, ai principj civili e politici con- segnati in quelle immortali pagine. Così, per lo zelo veramente patrio dei dotti, e per l’ opera non meno meritoria del principe Demetrio Murùsi, fiorirono in ogni canto le belle lettere e le scienze nelle numerose scuole: anzi col permesso del sultano se ne aprirono delle nuove a Cidonia e a Curuzgesmé sul Bosforo ; ed il Murùsi , cosa che farà maraviglia , otteneva un firmano di generale Ispettore di esse. E qui l’autore suggella il secondo periodo con una distesa apologia dei Greci del Fanale, nella quale sfor- zasi purgarli da vili e forse non meritate accuse , e la sorte di quelli miserabilissima flebilmente compiange. T. III Agosto. 14 100 Epoca terza, — Rapidi progressi negli studj scientifici ave- vano contrassegnato la seconda epoca, e la linzua impropriamente chiamata volgare erasi arricchita di numerose traduzioni e anco di opere originali: ma solamente nella susseguente ricevè leggi e sa- lì a regolar perfezione. Il sig. Rizo, prima di entrare in questo novello tema; svolge ampiamente certe cause esteriori, le quali ajutarono potentemente lo sviluppo intellettuale e morale della nazione , le'quali, per chi bramasse saperle , si ponno ridurre: ad una estensione prodigiosa di commercio , all’ incoraggimento dato dal Sultano ai Greci occidentali per rovesciare colle armi l’imper- territo ribelle di Albania, alla falsa idea che la Porta erasi creata intorno alla così detta sacra alleanza, che reputavala una congiura dlella Cristianità contro di sè , finalmente alla pabblicità data ad un buon numero di opere particolarmente antiche, stampate, com- mentate ed arricchite dagli entusiastici prolegomevi del Nestore della greca letteratura. Ma io non saprei render ragione perchè la più potente di que- ste cause abbia egli dimenticata o taciuta , cioè la propagazione dell’Eteria; la quale, serrindo in tenacissimi vincoli e padroni di | terre e di navi, e principi del Fanale, e prelati, sacerdoti , nego- zianti e popolo minuto; avea suscitato un fermento ed un’attività da mettere in sospetto la stessa stupida apatia maomettana. Fino a Corày, prosegue il N. A., niuno aveva posto mente a formare un sistema ‘regolare onde depurare la moderna lingua. Ogni autore scriveva senza principj certi, secondo che gli talen- tava, e a norma della maggiore 6 minor perizia nell’ antico idioma, ma all’apparire del seco'o attuale i Greci, fatti accorti dal crescente incivilimento, conobbero la necessità di studiare con metodo filoso- fico il'.materno linguaggio .. . . onde presso che ad un sol tempo uscirono fuori tre ‘diversi sist-mi che si fecero vicendevole guerra. Non altro scopo aveva il primo che quello di far più ricca la lingua parlata introducendo in essa parole e forme grammaticali, che eransi gradatamente alterate o affatto smarrite. In questa guisa lo stile greco resultava ‘un barbaro miscuglio di termini raucidi e di espressioni corrotte o triviali (6). Fautore principale di questo pedantesco sistema era Neofito Dùkas, appoggiandosi alla fama di Milezio, del Theotòkj e sopra tutto di Engenio Bulgari. Corày gli assalì tanto con le armi del freddo ragionamento, quanto con quel- le non meno efficaci del ridicolo. (6) Questo linguaggio fu detto dai letterati pubò CApCapov (semibarbaro) facendogli più iugiuria che onore. 107 Îl secondo consisteva in iscriver la lingua moderna nel molo che si parla, senza indurre in essa il minimo cangiamento, sia nel- l'accettazione dei vocaboli, sia nelle loro variazioni, sia nelle for= me. Questa opinione fu messa in campo dal giureconsulto Catard- gì e difesa da Daniele Filippìdis ; ma quegli che la mise in voga fu Anastasio Cristòpulo. Non pago di aver patrocinato la causa della lingua parlata, Cristdpulo volle anche dimostrare come ella altro non fosse che uno dei tanti dialetti dell’antica; e compose una grammatica Eolico-Dorica , nella quale, per ingegnosa scelta di esempj; sforzossi di provare; che le presenti alterazioni del greco al- tro non fossero che forme derivate dagli antichi dialetti Eolico e Do- rico, e a imitazione di Corày morse i pedanti pubblicando un dia- logo Lucianesco intitolato il Sogr9. (7) Poeta di vivace ingegno e di facile vena traeva seco la convinzione dei più, e le sue anacreon- tiche in quello stile vivo ed ingenuo formavano la delizia delle ani- me delicate, e particolarmente del bel sesso e del popolo, che noa traviato dalle dotte sofisticherie. dei Aoy sola] riuveniva in esse l’espressione dei proprii sentimenti, ornata di quel magico incanto che nasce dal benigno sorriso delle muse. Tuttavia coloro che vol- lero correre sulle traccè di Ini, mancando di ali adeguate al volo ardimentoso, caddero nel grossolano e plebeo. Tale incertezz: re- gnava allora nella grammatica viva del popolo : niuna regola sta- bile, niuna armonia di parti, niun ordine principale e universa- le. In queste insorte difficoltà , il Corày si mise di mezzo ai due partiti battaglieri , e con un temperato sistema credè soddisfare agli uni ed agli altri, al popolo e ai dotti. Consigliò aversi a scrivere la lingua popolare, ma in modo corretto e intelligibile senza intro- durvi delle forme troppo viete. Dava bando alle parole estranie, alle quali cercava di supplire, per quanto è possibile; con parole greco-elleniche; ma con riserva. Questo sistema avvalorato anco da altri uomini d’ingegno (8), conciliossi l’attenzione comune; ma, come tutte le cose nuove, trovò fautori ed oppositori; ed i fautori sfre- nandosi per soverchio zelo, oltrepassarono i limiti dal maestro pre- scritti ( se prima non ne offrì egli stesso senza accorgersene l’esem- pio ) tanto che la Grecia videsi inondata di opere di oscuro e biz- zarro stile, le cui espressioni non erano nè derivate dalla bocca del popolo , nè dai fonti degli autichi autori. (7) Alcuni pretendono che questo Dialogo non appartenga a Cristòpulo. (8) Non vogliònsi tacere i due fratelli Oecònomos, il Vamva ed il Piecolos , mome in grande osservanza fra i Greci, e che al. nostro cuore risuona ‘carissimo. Vedi Mustoxidi, 1. c. p. 69. 108 Poche parole più sono spese dall’Autore per darci informazione di una università eretta a Scio e di un’altra a incitamento di Lord Guilford negli Stati Jonj. Ma l’egregio e dotto patrono fu da ina- spettata morte prevenuto nei suoi vasti concetti: però, nel tempo che lodiamo di buon animo sì bello ed appassionatissimo amore per le greche lettere, noteremo con rammarico che i tempi non erano allora troppo favorevoli agli studj; nè era da sperare che la gioven= tù, tenuta presso che prigioniera in quelle isole , potesse darvi opera col necessario fervore, quando al di là di poco mare combat- tevasi disperatamente per la salute e per la rigenerazione della in- tiera nazione , e che gli eroi di Missolongi , stretti da un diluvio di Turchi, angariati dalla civiltà europea, chiedevano con disperate strida pane ed armi ai vicini fratelli, onde difendere quel baluardo della libertà. All’opera condotta omai a suo termine fa succedere il sig. Ri- zo un’Appendice, che comprende un elenco degli antori e delle principali opere scritte in volgare. Forse sopra quei pochi cenni cri- tici proponevasi ordire il suo Corso di studj di cui, come vedemmo col lusinghiero titolo non diè che il nudo disegno: onde ci asterre- mo di provocare un giudizio ; stimandv più ragionevolezza e cor- tesia attendere che nell’ozio di cui attualmente gode, conduca a compimento il ben incominciato lavoro, E però esaminando quella Appendice non possiamo comprendere come sia sfuggito a così dili- genti ricerche il riputatissimo Giovanni Villarà , uno dei più grandi ornamenti della volgar poesia greca. Scrisse egli un fabula- rio che, se troppo non è pregevole per l'invenzione, è però oltre ogui credere originale per le facili espressioni e pel brio dello stile. E certo nessuno al par di lui usò con maggior successo le facezie e il decente motteggio , qualità assai difficile a conseguirsi in un paese ove, per pregiudizio di educazione e per antichissima costu- manza; è ignoto il gentil conversare tra i due sessi; e di questo suo talento fan sicura prova certe sue poesie che i Francesi direb- bero fuggitive (9) . Aggiungeremmo non men volentieri alcune parole intorno al- le recenti liriche del conte Salomòs, ma, perchè non sono divulgate colla stampa ; cr terremo in quel delicato riserbo che si conviene, e che la mode stia dell’autore c’ impone. Ma se avessimo ad essere (9) In tutt’ il Parnaso Greco-Volgare non si li poesia più spiritosa di quella intitolata : Le Consulte dei Medici. Zup,d ‘dgAiov 1 (CALSTE nè canzona più divulgata di quella del Ig 7 Èévo. Ne corre una buona traduzione Ita- liana del nostro rispettabile amico Giovanni Gimarra, membro dell’assemblea le- gislativa Jonia. 109 | con noi stessi indulgenti, prima di abbandonare la penna, lascerem- mo cadere sulla carta qualche nostra idea intorno alla moderna lin- gua scritta dai Greci: tuttavia, perchè uno straniero immischiandosi in sì scabrosa e dilicata questione potrebbe esser tacciato di orgo- glio, sacrificheremo rasseg nati un tal desiderio. Ne basti però 0s- servare che di quante mai poesie furono scritte ( e molte ne com- parvero negli ultimi trent'anni) non ne sono divulgate per le boc- che degli uomini che pochissime: intendiamo dire quelle del moderno Tirteo (10), le Cleftiche (11) e quelle degli autori testè ricordati, Cristdpulo , Villarà e Salomòs ; le quali tutte sono fog- giate nel linguaggio comune , nel linguaggio parlato, scritto e in- teso dal popolo di tutta Grecia, mentre delle altre non trovi chi ne sappia, nè chi le ridica, nè chi le canti; (12) se non qualche sa- piente ne tiene all’occorrenza proposito più in ossequio dell’amico autore o per orgoglio filologico , che per convinzione della propria coscienza. (10) Riga. (11) Vedi Antologia N.° 76. (12) Questa espressione forse a non pochi suonerà nuova agli orecchi. Giovi perciò sapere che i Greci, tenendo fermo l’uso degli antichi, non dissociano Ja poesia dal canto e talora dalla danza ; onde i distici , le canzone più accreditate si cantano da per tutto nelle case, nelle vie , nelle campagne, e servono di storica tradizione e d’ insegnamento al popolo. Noi al contrario scriviamo versi solamen- te per lusso erudito, e lasciamo ai ciechi ed agli ubriaconi di taverna di ricrea- re con la pazza ed inetta loro musa gli uomini di bassa condizione. Il paese della poesia e della poesia ispirata, mentre vanta un mezzo milione almeno di Sonettisti, non ha per anche prodotto un Boulanger ! MISTO, Terzo Rapporto del Segretario della Società pel Mutuo Insegna- mento di Livorno all’ Adunanza Generale de’ 15 Settem- bre 1831, del quale fu ordinata la stampa dall’ Adunanza stessa. I nostri Regolamenti m’ impongono il dovere in questa Adu- nanza solenne , convocata per la distribuzione dei Premj e delle Medaglie onorifiche agli alunni meritevoli , di rendervi conto dei progressi del Mutuo Insegnamento in Livorno e dello stato della Scuola, su questo metodo da voi fondata. Adempirò quest’ in- carico decoroso con coscienza, e vi presenterò, come meglio potrò, i provvedimenti del vostro Comitato e le conseguenze che ne de- 1I0 rivarono , onde vci stessi possi»te esser giudici , se siasi conseguito il fine, cui vi proponeste associandovi. La Società vostra si compone di cento quindici individui. Allo spirare del primo biennio essa ne contava novantacinque nei suoi ruo!i. La nuova sottoscrizione ha estesi gl’ impegni ad un triennio : ciò non pertanto la Società sì è vistosamente ac- cresciuta , tanto va diffondendosi la convinzione , essere una sag- gia direzione della istruzion del popolo unico mezzo alla fe- licità e al perfezionamento sociale ; nè potersi questi beni stabil-. mente conseguire , senza un buon metodo d’ istruzione e senza agevolare ai poveri la maniera di parteciparvi. Conferma di queste verità 1’ avrete, o Signori , nel contem- plare, che nel corso di questo anno sociale sonosi moltiplicate le Scuole Lancasteriane fra noi. Indipendentemente dalla secon- da serie di esercizj scolastici, che a voi piacque instituire nella . vostra Scuola , du» nuove Scuole di Mutuo Insegnamento si ag- ginnsero a quelle , che già in passato esistevano. La prima è quella, che, incoraggiato dalla munificenza di voi e vigilato dal vo- stro Comitato, istituì fino dal Gennajo di quest’ anno il Sig. Lui.i Du-Clou, neldivisamento utile, a sentimento comune, di far godere dei vantaggi dell’Insegamento Reciproco quella classe di fanciulli, che 1’ agiatezza delle famiglie escludeva dalla nostra Scuola , aperta unicamente ai figli trascurati della povertà e della miseria. Un medesimo stimolo a pro della Nazione Israelitica , nella fondazione di altra Scuola congenere, mosse i Sigg. Nataf, Pro- venzal e Molco , ai quali del pari non ricusò il vostro Comitato soccorso di lumi e appoggio di consiglio. Pei quali provvedimenti a ben cinquecento quindici (1) som- (1) Il numero dei fanciulli, i quali frequentano le Scuole di Mu- tuo insegnamento in Livorno, è repartito come appresso. Nella Scuola fondata dalla Società Livornese pel Mutuo Insegnamento. 160 Nella Scuola Israelitica di Beneficenza pei maschi ............ 39126 Nella Scuola Israelitica di Beneficenza per le femmine (in questa Scuola oltre il leggere , scrivere e conteggiare, imparano le ragazze quat- tro mestieri , i quali attualmente sono quelli del cucito , del ricamo , del tessere frange e nastri, e dello stirare ) ...... 100000 erre 19 70 Nella Scuola comunitativa Primaria, posta nel Subborgo dei Cappuc- cini, diretta dal Signor Raimondo delle Sedie .............0.%0 39 76 Nella Scuola privata del Sig. Luigi Du-Glou ....... 0000. 39 53 Nella Scuola (incipiente) privata dei Sigg. Provenzal , Nataf e Molco. ,, 30 Totale. ..,, 515 1II mano i fanciulli , che diversi di sesso e di ceto , varii di nazione , uguali nel diritto a un più accurato modo di essere educati, ricevono fra noi la primaria istruzione , con quel metodo , dai propugnatori dell’ ignoranza, contro i dettami della ragione, vo- luto.con ogni maniera di sforzi proscritto : inutili sforzi, con- ciossiachè all’ idea di Mutuo Insegnamento le idee oggimai si risveglino di rispetto alle leggi e al costume, di pratica delle virtù sociali e religiose, di amore caldissimo di patria. Ma il numero dei fanciulli, che potranno divemre veramente bene educati, si accrescerà fra breve, ove alle vostre sollecitu- dini (e queste io dovrò oggi stimolare ) quelle continuino a concorrere degli ottimi Cittadini preposti alla sorveglianza della istruzione elementare del popolo. Tanto ne inducono a sperare e la vostra filantropia , o Signori , e le deliberazioni già prese dalla nostra Comunità , la quale , riconosciuto il bisogno di una rifor- ma dell’insegnameuto nelle Scuole Primarie , mantenute a spese del Pubblico , decretò già per una di ‘esse il sistema dell’ Inse- gnamento Reciproco e i mezzi opportuni per praticarlo ; pe- gno ben certo che tal benefizio riserbava anche alle altre. In cotal modo, se alla vostra Società mirabilmente arrise la sorte di diffondere il metodo d’ Insegnamento Reciproco in città ; il vostro Comitato dal canto suo non lasciò sfuggire quella, che spontanea gli si offerse, di estenderne i benefici influssi anche al difuori. A prova di che non riferirò minutamente, chè temerei di abusare della. vostra sofferenza , o Signori , i servizj renduti dal Comitato a coloro che si degnarono consultarlo ; non esclusa la Società di diffusione del Metodo in Toscana ; ma bensì vi dirò le deliberazioni di esso , onde venissero accolti nella. vostra Scuo- la, per essere educati al metodo , e il rispettabile Ecclesiasticu Sig. Ab. Carradori, cui fù affidata in Pisa la Scuola Lancaste- riana da filantropica Società di recente riordinata , e il Sig. Fo- resi, che dette opera, acciocchè Portoferrajo acquistasse una buona Scuola di Mutuo Insegnamento , presentemente da lui medesimo diretta. Ecco i progressi del metodo di Mutuo Insegnamento in Li- vorno ,-ecco le conseguenze della fama che stese il nome della vostra Scuola al di fuori. Passo all’ esame speciale di questa me- desima Scuola. Il numero dei fanciulli ascritti ai registri scolastici non fu che momentaneamente e di poco superiore ai cento sessanta. Questo numero si mantiene tuttora stazionario , abbenchè la isti- 112 tuzione di una doppia serie di esercizj scolastici, da voi ordinata, avesse dovuto renderlo presso che doppio. Cinquantacinque fanciulli in dodici mesi furono chiamati a parte della vostra istruzione: settanta 1’ abbandonarono. Di questi ultimi quattordici uscirono dalla Scuola con piena istru- zione; venti con due terzi d’ istruzione , sapendo però leggere e scrivere ; altrettanti non giunsero che alla metà del periodo , cui dovevano percorrere ; gli altri partirono nello stato quasi d’ igno- ranza come vennero. Chiamato ad esporvi lo stato della Scuola , mi sarei reso in- degno della fiducia, che in me riponeste, ove, per mercare encomio alla vostra Istituzione , avessi fatto tacere il linguag- gio concludente dei numeri, e ove, a questo linguaggio at- tentato mai io mi fossi, per un male inteso principio d’ amor proprio , di sostituire quello vano della immaginazione ; essendo pur forza confessare, non essere gli enunciati risultamenti numerici della Scuola. proporzionati ai provvedimenti incessanti che vi si profondono. La qual deduzione, per quanto ingrata io mi pensassi dovesse a voi riuscire, non fu bastante a distoglier- mi dalla retta via del vero ; che anzi preso arimo ad indagare le piaghe, dalle quali è affetta la vostra Istituzione , intesi a discoprirvele, nella fiducia , che la vostra umanità non avrebbe ricusato di spargervi sopra il balsamo di più utili provvedimenti per risanarle. Non ha guari che in una di quelle Adunanze, convocate ad oggetto di promuovere il bene con saviezza , con vocazione e con generosità , sentiste annunziarvi da uno dei vostri più zelanti Colleghi, non esser la vostra Scuola nè 1’ espressione delle vostre forze , nè quella dei bisogni di tanta popolazione ; al quale an- nunzio voi rispondeste colla volontà decisa di estendere I’ istru- zione del popolo. Fu a questo fine che venne deliberata 1’ aper- tura di una seconda serie di esercizj per quei fanciulli , che im- parassero contemporaneamente un mestiero , e limitata , per ren- dere applicabile il progetto che vi fu presentato , a quattro ore di seguito l’istrauzione a pro della prima serie di fanciulli, i quali popolavano già la vostra Scuola : lieti voi di aver prov - veduto per cotal modo a moltiplicare il numero degli alunni , senza il soccorso di più grave dispendio o di più vasto locale , il quale d’altronde mai poteste rinvenire adattato ai vostri bisogni. Ora chi potea mai supporre che quel provvedimento concepito nelle vedute purissime dell’ utile pubblico, sostenuto coi principii della 113 più calda filantropia ; dovesse essere appunto la cagione , per la quale, non conseguito lo scopo morale precipuamente prefissoci , vediamo anzi diminuita la concorrenza dei fanciulli ai nostri eser- cizj, accelerate le assenze di quelli che vi sono addetti, e così ritardata. prodigiosamente , e starei quasi per dire inceppata , la propagazione dell’ educazione del nostro popolo? A ben pochi invero o quasi a nessuno sarebbe occorso il pensiero di questo esito sfortunato ; conciossiachè troppo manifesto apparisse l’uti- le del provvedimento, per non isperare che in suo appoggio avreb- bero cospirato, e una popolazione cui restava a persuadere , che all’ istruzione può e deve andar congiunto il lavoro, e una classe di artigiani industriosi, cui si volea rendere accorta, che due ore al giorno, concedute per pochi mesi alla educazione dei sot- toposti loro i meno attivi, sarebbero state in breve riacquistate cogli effetti di una subordinazione più devota, di una disciplina più rigorosa, di un amore più costante per la fatica , virtù so- relle, che non manca di trasfondere nei ragazzi l’ istruzione , in ispecial modo poi comunicata col metodo dell’ Insegnamento Reciproco. Laonde se la vostra intenzione andò fallita, compiangete lo sta- to miserando in cui giace il morale della classe infima del nostro popolo. I parenti, intenti a scuotere il pensiero di sorvegliare la propria prole, o insistono sull’uso antico di mandare alla scuola i loro figli due volte al giorno , o se, contro la ricevuta abitudine, venga loro a proporsi una sola lezione quotidiana , preferiscono di mantenerli affatto nella ignoranza , lasciandoli oziare nel vizio, finchè un impiego , sia put senza guadagno, in qualche officina , non affretti, come il più delle volte si in- contra, il termine della degradazione morale della gioventù sprov - veduta d’istruzione. I maestri di bottega poi dal canto loro han- no ricusato con pertinacia di ritenere presso di se un fanciullo, a pro del quale fossero implorate poche ore d’ istruzione , per renderglielo più rispettoso e più utile. Tali sono le cagioni del decadimento numerico degli alunni della nostra Scuola, decadimento che minacciano forse di can- giar in maggior rovina e la influenza perniciosa , che sul volgo suole esercitare l’ esempio altrui mal consigliato , e la leggerezza colla quale fra noi, al minimo accidente, si abbandonauo le isti- tuzioni riconosciute un dì per le più utili, e quella smania di sperimentare il nuovo, la quale usata ‘senza critica scorgiamo quasi giornalmente convertirsi a profitto della crassa ignoranza e della impostura impudente. T. Ill. Agosto. 15 114 A questo quadro quello lacrimevole corrisponile , sul quale dovè gettare lo sguardo più volte nei rapporti bimestrali degli Ispettori il vostro Comitato ; quadro renduto più tristo dal timo- re loro, che anche l'istruzione, la quale per se stessa pro- gredirebbe sotto favorevoli auspicii, non debba venirne final- mente a soffrire, ove in qualche modo non si arresti la progres- siva diminuzione degli alunni. Che i timori dei vostri Ispettori non sieno mal fondati è forza il convenirne . sempre che si ram- menti essere stato il Mutuo Insegnamento institnito a benefiz:o delle masse ; e perdere perciò questo metodo della sua efficacia e languire , ogni qualvolta al materiale di una scuola non con- suoni proporzionale il nomero degli alunni raccolti ad occu- parlo. E a convalidare la opinione loro producono i vostri Ispettori dei fafti ; perciocchè di centosessantalne finciulli scritti, otto mesi indietro ; all’ unica Scuola , appena centotrerta uno guarni - scano oggi le disertate classi della mattina , e dei settanta fan- ciulli assentati, cinquantadue siensi ritirati dopo I’ istituzione della seconda serie di esercizj. Le quali cose quanto gravi per se sieno, e quant» contra - rie a quel principio d’influenza che esercitare ci proponemmo sull: educazione «del popolo , noi tutti il comprendiamo , e tanto più , allorchè riflettiarno a’ mezzi pecuniarj «lella Sovietà, i quali eccedono le seimila lire annue d’introito ; e al metodo di Mutuo Insegnamento , di cui pregio essenziale è l’ accelerare e ren- dere due terzi meno costosa dell’ ordinario la istruzione. Il perchè noi avremmo dovuto raccogliere costantemente /recento fanciulli almeno ed educarne ogni anno la metà: mentre per lo contrario non abbiamo rinviati in seno alle loro famiglie nel- l’anno sociale decorso , rigenerati dal benefizio della vostra istruzione, che il decimo di questo numero ; conseguenza deplo- rabile, io mi riepilogo; e «lella mancanza di una Scuolà vista e proporzionata a tanta popolazione , e della istituzione , per questa mancanza, di una seconda serie di esercizj, in opposizio- ne alle difettose abitudini del volgo. E perchè di leggieri non si pensi, mae conciliarsi e a questi fatti contra:lire i progressi fra noi operati ilel Mutwo Insegnamento testè encomiati , e 1’ interes- se crescente e l’ ammirazione sincera che al vostro Istituto tri- butano i forestieri che di frequente lo visitano, fa duopo di- stinguere ; altra esser la questione della proporzionata influenza, che sull’ educazione del popolo si volle, che per la nostra Scuo- la si esercitasse e non si esercitò , e altra quella dello stato della disciplina e della istruzione ; le quali in essa si dispen- 115 sano; che anzi poco da desiderare lascia la istruzione , niente affatto «poi la moralità e la disciplina degli alunni; conforto non piccolo dopo le penose considerazioni , sulle quali ebbi ad intrattenervi. E quanto alla moralità ; ne consola il dire , che sole cinque volte in un anno si usarono le forme giudiciali, onde proce- dere all’applicazione delle pene più gravi prescritte dalla vo- stra Guida, e ciò non sempre per mancanze commesse in tempo di esercizj. Dieci. volte più grande fu il numero dei fanciulli diligeuti di quello dei negligenti: 1° ordine il più perfetto si martenne sempre negli esercizj: la serenità dei volti, interprete fedele della soddisfazione interna, dell’ animo, accompagnò cu- stantemente il franco disimpegno delle incumbenze e la ragio- nata sommissione degli alunni: i semi d’amore del prossimo e di carità germogliarono e si propagarono; e quì mi si condoni, se, a pro del vero, io ricordo l’ alunno Bardotti , il quale , tol- ‘tone permesso dai genitori, spogliò le sue vesti per ricuoprirne nn campagno che frequentava la senola lacero e presso che nu- do. Delle quali ottime disposizioni del cuore nei nostri alunni è da sapere buon grado alla .illibatezza del costume , alla dol- cezza del carattere, alle paterne sollecitudini del Direttore della Scuola, il benemerito Sig. Abate Stocchi , .il quale non manca di esortare coll’ ammonizione e d’istradare coll’ esempio i gio- vanetti affidati alle sue cure. Giunto all’ ultima parte del mio rapporto, a quella in- tendo , che l’ istruzione concerne , getterò su questa ‘na rapido sguardo, avvegnachè troppo lungo riuscirebbe il citarvi le modi- ficazioni tutte introdotte in ciascun. ramo d’ insegnamento, frutto dello zelo illuminato dei vostri Ispettori e della esperienza , della quale ogni dì fa tesoro il Direttore della Scuola. Si debbe in- fatti a queste utili modificazioni, se l’ insegnamento progredi- sce con, cvlerità bastante, specialmente. ove ad esso parteci- pino alunni di non troppo tenera età : conciossiachè dei tanti fanciulli, che lasciarono la nostra .scuo!a avendo imparato a leg- gere , scrivere e conteggiare , niuno vi si sia trattenuto al di là di due anni, risultamento. mirabile di fronte allo. svi- luppo che nella nostra. Scuola. riceve 1’ aritmetica , e di fronte a ciò , chevali’avanzamento dei. fanciulli nel calcolo volevasi su- bordinato l’avanzamento loro in'ogni altro ramo di applicazione. Disposizione, che con quanto senno sia stata di recente abban- dunata dal vostro Comitato , e quanto ragionevolmente siasi ope- rato, onde l’ingegno fanciullesco libero spaziasse colà dove più 116 l’indole suo lo inviti, spero dimostrarvelo ; in rico:renza, come questa, solenne , coi fatti, meglio di quello che oggi il potrei fare col discorso. Nell'esercizio di lettura la cosa, la quale più merita at- tenzione , a parer mio, è l’uso adottato dentro quest’ anno di far pronunziare ai fanciulli delle classi, che leggotio correntemen- te, le puntuazioni di mano in mano che leggendo s° incontrano; nella intenzione di abituare i fanciulli alleo pause , che richiede l’arte del ben leggere, e in quella più importante di obbligare l’attenzione alle cose e di facilitarne la intellizenza. D’ onde l’opinione più comune dei vostri Ispettori, che gli alunni delle ultime classi leggano sensatamente e bene. L’ esercizio di scrittura è senza dubbio l'esercizio ; che più onora la nostra Scuola. Ascrivasi tale effetto vantaggioso alla di- sposizione savia del Comitato, il quale ordinò, che ad ogni alunno delle classi, che scrivono sulla carta, fosse dato a copiare un modello particolare di perfezionato carattere. L’ esercizio di scrittura riceverà |’ ultimo incremento ; tostochè in tutto il siste- ma di esemplari venga introdotta la già deliberata armonia di forme e di gusto: alla quale opera se per ora non fu dato mano, è da incolpare il numero prodigioso delle variazioni, le quali , per lo zelo instancabile del nostro Provveditore, subì il materia- le migliorato della nostra Scuola. Conseguenze tanto consolanti non presenta l'esercizio del- 1’ aritmetica. Due , a parer mio, sono i motivi del ritardo degli alunni nel progresso del calcolo: 1° estensione troppo grande data a questo esercizio, e la ristrettezza , non mai abbastanza sotto ogni rignardo biasimata, della vostra scuola, perciocchè per questa nou si concedono le opportune divisioni e suddivisioni dell’insegna - mento E di vero , mentre nelle Scuole ordinarie Lancasteriane l’ esercizio di aritmetica non va al di là delle prime quattro re- gole, nella vostra Scuola per l’opposto è spinto fino alle più complicate operazioni commerciali. Oltre di che quutiordici clas - si o sezioni, in un corso completo d’aritmetica, mal corrispondono al perfetto andamento analitico d’ Insegnamento Reciproco , cui appena potremmo lusingarci di soddisfare con numero raddoppiato di classazioni. Ciò non pertanto non di rado occorre d’ incontrare alunni, i quali calcolino con sufficiente intelligenza; la quale intelligenza andrà vie più a svilupparsi, posto che alla capa- cità prosegua a concorrere l’impegno del sig. Paperini attuale Vice- Direttore della Scuola, cui il vostro Comitato volle unicamente occupato della istruzione dei Monitori da poco tempo regolata. 117 Imporrò fine ‘al mio dire coll’ annunziarvi lo stato soddisfa- cente del fisico dei vostri fanciulli, dacchè , per l’ assistenza periodica della flantropica Società di Medicina , e pei provved.- menti di nettezza del vostro Comitato. vanno diradandosi e quasi interamente disperdendosi certe malattie cutanee , alle quali so- glionsi trovare esposti i favciulli del basso popolo. Tale è l’informe ma veridico abbozzo degli effetti derivati dai vostri provvedimenti , o Signori, dei quali effetti se per osta- coli impreveduti abbiamo in parte a dolerci , abbiamo poi donde racconsolarci pensando, che nulla resiste allo spirito di associazio - ne, forza morale prepotente del secolo. Ove adunque questa forza da voi energicamente si eserciti , spero sia un giorno per raggiun- gersi lo scopo che tutti ci anima , il PERFEZIONAMENTO MORALE , di questa popolazione. Giuserp® Pror. Dov: RI Segretario. In seguito del Rapporto del Segretario, 1’ Adunanza Generale, sulla mozione fattane dal Socio Signor Luigi Av. Giera, ha adottato alla unanimità dei suffragj le seguenti proposizioni : I. Art° 1.° La lezione pomeridiana per una serie di alunni diversa da quella che frequenta la scuola antimeridiana è soppressa. Art° a.° La Scuola di Mutuo Insegnamento sarà in avvenire aperta due volte il giorno per tutti gli alunni, nella guisa stessa nella quale era prima della istituzione della lezione pomeridiana detta di sopra. Art.° 3.° Il Comitato Direttore della Società Livornese di Mutuo Insegnamento è incaricato di provvedere onde gli alunni , che frequen- tano la lezione pomeridiana, siano ammessi alla lezione , come sopra riformata , che avrà luogo nella Scuola. Art° 4.° È conceduto al Comitato suddetto ogni più esteso potere, tanto riguardo al tempo, quanto riguardo al modo di recare ad esecu- zione le disposizioni contenute nei precedenti articoli. II. Art° 1.° La Scuola di Mutuo Insegnamento deve essere stabi- lita in tal locale, che possa comodamente contenere almeno trecento alunni. Art° 2.° Una Commissione di varj membri, nominata dalla Società, si occuperà immediatamente di redigere e sottoporre alla discussione della Società istessa , convocata in adunanza generale e straordinaria , un progetto per ridurre ad esecuzione, colla minore spesa e colla più breve sospensione del corso delle lezioni possibile , la deliberazione che sopra. L’ adunanza , in conseguenza di questa ultima deliberazione , ha 118 inoltre nominato per l° oggetto in essa contemplate mna Commissione composta dei seguenti A Signori Mayer Enrico , Presidente. Doveri Prof. Giuseppe. Grabau Console Carlo. Ott Gaspero. Giera Avv. Luigi, Segretario. Livorno 15 Settembre 1831. Balì Ferdinando Sproni Presidente. Per copia conforme Giuseppe Prof. Doveri Segretario. Saggio dell’ origine e del progresso de’ costumi e delle opinioni ‘a’ melesimi pertinenti , di Jacoro SreLtixi , volgarizzato da Loporico Vaveriani ; quarta edizione corretta dall’ autore. Siena, 1829, presso Onorato Porri: un vol. in 8.° di p. XLVI, e 207 col ritratto dello Stellini. Se nel vasto. circolo delle scienze alcuna ve ne ha che-in preferenza delle altre meriti. essere appresa, e il cùi insegna- mento debba essere fra le prime cure di chi ama veramente di: cuore l’ umano perfezionamento , quella parmi che sia la scienza della morale, la scienza, che indagate per mezzo della osserva - zione le azioni e le abitudini umane , le loro cause, e gli effetti che ne derivano, si propone d'insegnare come debbano le umane forze moderarsi, perchè conducano all’ acquisto della umana fe- licità naturale. Risalendo colla memoria negli antichi tempi, noi troviamo nei primordi di ogni civiltà incorporata la morale alla politica. Quei primi fondatori di nazioni si ocenparono dell’uomo e del cittadino insieme, e furono gli educatori e i legislatori ad us tempo delle genti poste sotto al loro governo. Ma quelle leggi che avevano presieduto ai primordi dell’incivilimento, e potut» avevano contenere un popolo infante, non era possibile che ba- stassero a contenere un popolo più maturo, e progredito nel suo incivilimento , perchè il moltiplicarsi dei bisogni per lo sviluppv delle relative facoltà faceva che la forza dell’ ordine politico venisse soverchiata dall’ aumento ; de!le individue. forze moral. Ed i governi, come quei della Grecia, che i loro fondatori pa- reva avessero avuto in animo di fare eterni, quasichè la umaua 119 perfettibilità fosse stazionaria , non dando luogo alle utili rifvrme volute dalla imperiosa necessità del tempo innovatore, fecer sì che quell’ aumento di forze morali mancasse di una giusta dire- zione , e invece di formare la. felicità nazionale fosse cansa delle turbolenze intestine, alle quali successe la mancanza di consi- derazione al di fuori, e quindi la servitù. Ma il disordine entrato nel sistema politico ; a cui niun al- tro rimedio opponeva il governo che quello della forza fisica , richiamò qualcuno, di, più fermo consiglio ad occuparsi di rior- dinarè li scomposti freni dell’ incivilimento. E forse non fu l’ul-. tima questa delle mire di Socrate , il primo filosofo veramente morale fra gli antichi, il quale diceva non doversi filosofare per la scuola, ma per la vita civile. Perchè sebbene, dopo aver fatto parte una volta dei senatori della città, egli recusò sempre d ingerirsi direttamente nella amministrazione della cosa pub- blica, dettò per altro con una franchezza inandita i più nobili principii di morale pratica sì pubblica che privata, tendenti a formare quella forte opinione , la quale bene educata getta du- mani nel fango quel falso idolo che ieri adorò sull’altare. Il qual modo d’ insegnare non piacque , come può credersi, ai ti- ranni che tenevano il governo di Atene. A chi ha giusta ragione di paventare che possa fuggirgli di mano il potere fa ombra tutto ciò che tiene qualche cosa di novità; quindi Socrate fu puhbli- camente accusato di corrompere la gioventù; di attentare alla sicurezza de'lo stato , e alla santità della religione ; iniqua ac- cusa , che fu poi frequentemente dai pochi, ai quali è utile la menzogna , ripetuta contro coloro che annunziatori si fecero della verità, la quale è utile al bene dei più. Ma non tutti i filosofi procederono alla maniera di Socrate. Alcuni, spaventati forse dai pericoli de! filosofare per la vita civile, che in Socrate era stato punito colla cicuta, predicarono dovere ognuno aver cura di se medesimo, nè mescolarsi in af- fari altrui, per non averne gravezza, o scemarsi un tantin di piacere ; altri immaginarono dovere essere tutta spirituale la oc- cupazione dell’ uomo in questa terra, e si sforzarono d’ inalzare il loro sapiente alla contemplazione delle idee e forme che sono immortali eterne e immateriali , cercando così dal mondo sensi - bile. in cui non tutti possono aver parte egualmente, di elevare il sapiente al mondo intellettuale, di cui tutti possono esser partecipi ; altri si diedero a credere essere ognuno di per se parte ‘ perfetta del. mondo , e a se bastare ciascheduno, e il sapiente 120 non doversi commuovere di misericordia, nè dover crollare o cedere punto di sua immutabile fermezza per esteriore violenza. Dalle quali opinioni ebbero vita i tre sistemi che presero nome da Epicuro, da Platone, e dalla Stoa. Ma la dottrina di Socrate, spogliata però di quell’ aria troppo pratica, che egli le aveva data, venne accolta e ridotta a scienza della gran mente di Ari- stotile, il quale professò , che 1’ uomo nato per vivere in società deve educarsi agli affari, e a coltivare quei doveri coi quali si ricambiano le utililà , e si ha dagli altri un conforto nelle ne- cessità della vita. È ben vero però che anche Aristotele conobbe e distinse la felicità dell’ uomo solitario dalla felicità dell’uomo civile, e quella chiamò teoretica , ripenendola nella contempla- zione come aveva fatto Platone; ma siccome l’ altra civile, ben- chè meno nobile, ravvisò più alla natura dell’ uomo consenta- nea , a questa invitò gli uomini, lasciando l’ altra agli Dei. La quai dottrina, sempre onorata, benchè non esclusivamente professata finchè qualche civiltà fu in Grecia ed in Roma, ri- sorse quasi sola a dominare colle altre dottrine d’ Aristotile, quando dalla ritornata barbarie politica a nuova civiltà ricom- ponevasi il mondo. Che se la libertà di discussione e di esame, altamente invocata da un prepotente bisogno della umana ragione, fè muovere una ostinata guerra contro il dispotismo della domi- nazione peripatetica, intatta però si mantenne la teoria fonda- mentale della di lui morale, e la sua scuola, sconfitta in ciò che riguarda le forme della sua sterile dialettica, restò viva in quella parte in cui era una espressione vera dei rapporti e dei bisogni reali della umana natura. Finchè però la causa della libera discussione non fu vinta, stette in vigore l’ assurdo e barbaro consiglio, che i timorosi d’ ogni nuova. cosa aveva indotti a comandare che Aristotele fosse il solo maestro delle scuole; quasichè per bocca di lui avesse la natura rivelazo all’ uomo tutta la sua realità. Questa schiavitù nella istruzione dominava tuttora nella Università di Padova, quando Iacopo Stellini fu chiamato a professarvi la scienza della morale. Dal che se ne derivò forse il danno, che quella gran mente dello Stellini non potesse seguire del tutto 1’ impulso del forte suo ingegno, ne venne però un qualche bene, e fu quello che egli evitò il pericolo di deviare dal vero principio? che de- ve essere in quella scienza fondamentale , e potè con piena si- curezza da ogni fondato rimprovero distinguere la morale dalla teologia , e trattando l’etica col solo appoggio della ragione non 121 considerare altra felicità che la puramente umana, coll’ unica mira di formare buoni cittadini (1). Perchè egli tessè una detta- gliata istoria delle facoltà umane, e della loro forza diversa , per potere a ciascheduna determinare i limiti convenevoli onde nascono le virtù ; facendola poi, quanto al metodo, alla Newto- niava, per dirla colle stesse sue parole, poichè, poste alcune leggi per esperienza note, ne deduceva le conseguenze, senza nè in- dagare nè determinare le ragioni delle leggi stesse. Alla diffusione di quella fama che estesissima si meritò lo Stellini fu ostacolo l’aver dovuto obbedire alla legge delle scuole, che voleva si dettassero tutte le lezioni in latino, onde avvenne che pochi fra i suoi uditori lo intesero, pochissimi fra i lettori ebbero pazienza di studiarlo (2). Chi vuol conoscere quanto utile potea recare all’ Italia 1’ ingegno potente dello Stellini, ove nun fosse stato incepputo dall’ uso poco sociale di scrivere una lingua co- nosciuta da pochi , legga di grazia; in una nota della prefazione apposta dal Barbadico alla raccolta di tutte le opere dello Stel- lini pubblicata in Paduva nel 1778, il disegno, che in lingua italiana dettò lo Stellini, del suo grande trattato di Etica. Que- sto disegno, esempio di profondità e di chiarezza ammirabile, tanto più volentieri io rammento , perchè è glorioso all'Italia , che esso sia fondamentalmente quello stesso, che l’ illustre De gerando ha seguito nella sua bell’opera : del perfezionamento mo- rale di se stesso. Io non temerò di asserire, che lo Stellini fu scrittore ori- ginale , e fondatore di una nuova scuo'a in filosofia , tanto nel. suo grande trattito di Etica , quanto più specialmente nell’an- (1) Avea preveduto lo Stellini che taluni lo avrebbero accusato di poco re- ligioso; ma egli così ragionava: « Io credo, che, per essere in questo proposito ss esenti da ogni giusta imputazione, basti che i principj che si stabiliscono per »» la felicità della vita presente non siano incompatibili con quelli della vita av- »» venire. Questo è l’ ultimo grado a cui possa arrivare la ragione umana pu- 3 ra , che non voglia fare uso della rivelazione , essendo ciò riserbato intiera- s3 mente alla teologia. ,, (2) Quest’ uso di scriver latino fu non solo tollerabile, ma per lo più an- che utile nel risorgimento della civiltà , poichè la lingua latina servì allora di legame a ricongiungere la novella Europa colla antica ; ma dovrebbe abbando- narsi del tutto adesso che, generalmente parlando , altro non fa che stabilire una odiosissima aristocrazia nella scienza , la quale, se vuolsi utile veramente, deve essere popolare ; oltre di che serve assai volte ad occultare sotto la stre- pitosa armonia di un inutile fraseggiamento la nullità di qualche importante dicitore. T. III. Agosto 16 122 nunziato saggio: dell’ origine e del progresso dei costumi e delle opinioni ai medesimi pertinenti. Per bene intendere il pregio di questo libro, conviene aver prima sentito la necessità di una storia dell’uomo sociale , di una storia la quale ci insegni come nelle diverse età della società si generano le cognizioni, e si modificano le posizioni, e come progressivamente si sviluppa il perfezionamento morale e politico delle nazioni. Sentì il nostro Gio, Battista Vico la necessità di questa istoria , e il primo fu a dar nuova vita e nuova forma alla filosofia del pensiero, co- stituendola come parte della filosofia dell’incivilimento indiv:duale e sociale ; benchè egli non diè propriamente un trattato completo di civile filosofia, mentre non prese a considerare di proposito che la filosofia delle leggi. Anche lo Steliini senti il bisogno di quella filosofia civile, ma non si occupò che della filosofia dei costumi, e nel saggio annunziato , penetrando colle sue indagini nelle epoche più antiche , più oscure, e meno istoriche , ricom- pose in parte colla filosofia induttiva la istoria della origine dei costumi , fondato in quel fecondo principio, che ciò , che osser- viamo accadere singolarmente agli uomini nel breve tratto di vita a ciascheduno segnato dalla natura , devesi pur dire avvenisse in più largo giro di età alle nazioni. Non fece, è vero, un com- pleto lavoro, perchè in detto saggio non trovasi che la storia dell origine dei costumi presso le antiche nazioni, e nelle prime età, ma non la origine dei costumi delle nazioni moderne, e della moderna civiltà , la quale dee riguardarsi come un inci- vilimento soffocato , che risorse modificato nello spirito e nelle forme dagli elementi nuovi che nel suo svolgersi gli si assimi- larono e lo compenetrarono (3). Questo saggio , benchè incom- pleto, è libro non pertanto di gravissima importanza e di molta utilità; perchè segnò nn tema da studiarsi, una strada da per- correisi, un edificio da costruirsi , la istoria voglio dire della umanità. Nè mancò chi dopo il Vico e lo Stellini si accingesse a scrivere sopra basi più larghe questa istoria. Assai celebrata è l’opera di Herder, che i lettori dell’Antologia conoscono per il giudizioso ragguaglio che ne diede il valentissimo Giuliano Ricci nel fascicolo di agosto 1830. Condorcet e molti altri tentarono la stessa impresa ; ma la vera istoria della umanità ne pare an- (3) Chi volesse avere una idea dei diversi sistemi di morale filosofia, anche dei più recenti pensatori, può leggere il libro di Droz intitolato ,, De la phi- losophie morale, et des différents systemes sur la science de la vie. ,, 123 cora da farsi. A bene avviarla manchiamo forse finora di fatti abbastanza accertati, che segnino le origini dell’ incivilimento positivo. Dalle profonde ricerche instaurate recentemente dal Ro- magnosi par che baleni su di esse origini una luce discuopri- trice; e la Italia fa voti, perchè a lui tanto basti la preziosa vita, che possa compire il Trattato della filosofia civile in rela- zione alla vita degli stati. Avrei voluto dar quì un estratto del saggio dello Stellini, ma le cose in esso contenute sono tante, e in sì poche parole espresse, che malagevole riuscirebbe il darne una idea più com- pendiosa di quella che se ne ha dal saggio medesimo, che è as- sai breve. Nell’ atto adunque che i lettori rimando al libro dello Stellini, mi sia permesso di soggiungere a questo punto alcune poche osservazioni sulla scienza della morale. Da quanto io sono per dire nessuno vorrà sospettare certamente in me la malvagia intenzione di rigettare la sanzione sopranaturale che la morale trova nella religione. Guardimi il cielo da questo attentato. Penso invece che le intenzioni di questo mio articolo coincidano colle intenzioni della natura, e che debbano considerarsi come di or- dinazione divina tutti i mezzi che conducono la specie umana al conseguimento del suo fine. La scienza della morale, dicono taluni. è rivelata all’uomo dalla natuta. Ogni uomo, dice il filosofo di Konigsberg, porta in se allora che nasce la legislazione suprema della sua con- dotta. A conoscere la troppa generalità e la parziale falsità di queste massime ; veggasi nel citato saggio, leggasi nella storia, per quante disgrazie , a traverso di quanti pericoli , per quanti errori, per quanto lungo tirocinio di mali, abbia 1° uomo dovuto passare per giungere a un qualche grado di civiltà; e si resterà convinti, che lo sviluppo di quella attitudine a. perfezionarci, di che ci volle natura privilegiati in confronto dei bruti, è tutto figlio del tempo e della osservazione , la quale affidata alla vi- vente età dalla età che passò si trasmette accresciuta alla età avvenire. È vero ; che la natura rivela all’uomo le regole del ben vivere, ma non all’nomo individuo ; bensì all’uomo sociale, non all’ uomo di pochi anni, ma di molti secoli vissuti in aggrega- zione politica , sotto la educazione del duro bisogno. Ammet- tendo, che la sola coscienza detti all’ uomo le regole del giusto o del buono, che pensare del ladroneggio e della forza brutale tenuti in onore presso i popoli rozzi? Vedete anche oggi gli abi- tanti del Caucaso ladri, mentitori, perfidi verso gli stranieri , e fra i quali se un principe non esercita gagliardamente la profes- 12.) sione di ladro da stra.la, egli è disonorato per tutta la vita ? Che pensare della abituale doppiezza del chinese ? delia passione della vendetta che disonora la razza malese ? che pensare degli odii di famiglia che nei tempi di primitiva e di ritornata barbarie troviamo trasmessi da padre in figlio , e serbate per molta discendenza con una specie di religione ? che pensare in somma di tutte le vi- ziose ab.tudini che sono proprie delle genti nella infanzia della società ? Niuno vorra negare che esse siano prodotti della co- scienza. Non è durque vero che la coscienza di per se sola detti le regole del giusto e del buono. La coscienza non fa che dare gli impulsi alla forza umana , ma senza %la direzione della sa- ‘pienza , che è figlia dei secoli, la coscienza è una cieca guida. Quando la coscienza sia illuminata , allora il suo impero è sa- lutare , allora essa muove la forza dell'uomo in senso conforme all’ ordine morale di ragione. Il vero fil»sofo che osserva i fatti, e non si pascola di vane specnlazioni, e di teorie improvvisate @ priori. per le quali una falsa logica introducesi in ogni scienza, deve riconoscere , che la natura pose nel cuore degli uomini come primo motore le tendenza al piacere e alla felicità, e v’infuse ad un tempo le disposizioni a tutte le affezioni benevole, v’infuse le attitudini al bene e virtuosamente operare ; ma deve confessare eziandio , che il loro ridursi all’ atto dipender può o da un concorso tale di circostanze ch» appigando l' uomo come essere senziente lo renda ad un tempo costumato e dabbene; o da un esteso svi- luppo della ragione, che in onta delle esteriori circostanze lo faccia capace di dare alla forza esecutrice determinazioni diverse da quelle che derivano dallo stato puramente sensua!e. « Le fa- s» coltà dell’uomo , diceva sapientemente lo Stellini, non sono »» tutte egualmente facili a mettersi in atto, nè hanno tutte la »» stessa forza. Altre non hanno bisogno che della applicazione so dell'oggetto; e della organizzazione e temperatura del corpo » per essere nella massima disposizione a fare le funzioni loro; ,; altre non hanno la consistenza ed attività necessaria che do- sì po una lunga cultura ed un esercizio laborioso. I sensi e le s» passioni, varie di vigore secondo la varietà delle costituzioni ,» corporali, non hanno bisogno che di occasione per esercitare ,; tutta la loro forza. L’ intelletto e la volontà non hanno molto ss di robustezza se non sono con diligenza coltivate. ,, Quindi pare , che si possa trarre una importantissima conseguenza , che cioè, non essendo la volontà degli uomini mossa a risolve:si che in forza di motivi, la rettitudine delle umane azioni e la loro TI 12) conformità all'ordine dipender deve o da una organizzazione tale di società che unificando l'interesse privato col pubblico, faccia ai cittadini trovar l’ utile proprio nell’ esercizio delle vir- tuose azioni e nel ‘procurare il bene dei più, nè porti altri temperamenti ai poteri individuali che quelli assolutamente in - dispensabili per mantenere la convivenza, la quale come ogni altro sistema in natura deve essere un sistema di moderazione ; ovvero da rina educazione piena e forte, che valga a fare ope- rare la virtù in onta del disequilibrio degli interessi sociali. Que- ‘sto secondo partito non è però così facile a porsi in opera, per- che chi ha interesse a mantenere gli abusi nel sistema economico- politico } farà di tutto per soffocare ogni libertà d’ istruzione. Se ‘l’uomo, come disse Bacone , tanto può quanto sa ; come si per- metterebbe , che per mezzo della istruzione gli uomini divenga - no potenti di mente e di cuore? Se si considerano le dottrine di alcuni maestri di etica, ne pare che disperando della morale del cittadino , abbian tentato di formare la morale dell’ uomo; distinzione che non può essere stata pensata se non in paesi ed in tempi contristati dalla ti- rannia: Non io condannerò le sante intenzioni di quei filosofi ; anzi dirò che tiene alquanto del divino la vittoria che sulla pre- potenza delle cose esteriori riesca ad ottenere la ragione; che è tanto più augusto il serbare il sentimento della propria dignità là dove mille cause combattono a prostrarlo; e che tutta la no- stra ammirazione attraggono quegli stoici imperturbabili, morti ‘sì , ma non vinti sotto il flagello del dispotismo ; ma dirò anco- ra, che questa dottrina , oltre che può riuscire a disgiungere la morale dal diritto ; e 1’ una e l’altro dalla politica, contiene poi una distinzione bella per la scuola, ma assurda per la vita civile; e per 1’ universale degli nomini; primieramente ‘perchè ogni momento in cui si riduce all’ atto la umana attività ‘è un momento della convivenza sociale, ogni azione esteriore è a- zione di un cittadino ; secondariamente perchè la maggior parte degli uomini (ed è il numero dei più che deve starci a cuore ) non può avere agio di prestarsi alle lunghezze di quella istru- zione; che può dare alla sviluppata ragione tanto. predominio su i sensi e sulla immaginazione da vincere le tentazioni al male, da fare uomini veramente virtuosi , cioè forti nell” opera- re. Non dubito quindi di affermare che'la dottrina di quei filo- sofi contiene ben: poca utilità sociale. Abbiasi sempre presente quel grave dettato di Socrate ,, non doversi filosofare per la 3, scuola ma per la vita civile. ,, Se l'uomo è nato animal so- 126 cievole e politico , il moralista , che non ami una scienza fon- data nelle nuvole , deve considerarlo nello stato sociale, nei suoi rapporti con tutti quelli coi quali convive, e con tutto ciò che ha potenza d’ influire nel suo operare. Se la natura ha fat- to l’ uomo per la società politica ,, perchè in questa solamente può sodisfare agli urgentissimi bisogni della sussistenza, della educazione, e della tutela, non sarebbe contradittorio il soste- nere , che sia indifferente per la condotta degli uomini se la forma della colleganza è o nò conforme al fine per cui fu fat- ta? Egli è ben vero, secondo ciò che ho detto in principio, che Socrate, e quindi Aristotile professarono in morale una teoria, che è stata del senso comune di tutti i secoli, una teoria ten- dente a formare virtuosi cittadini ed atti agli affari, non oziosi contemplatori ; per altro nè Aristotile , nè lo Stellini, che seguì le tracce di Aristotile , segnalarono quanto era necessario la in- fluenza somma (non dico. esclusiva ) dell'ordinamento e delle istituzioni sociali sulla morale pubblica e privata. Non sarebbe difficile il dimostrare colla storia antica e moderna; che là sono realmente migliori gli uomini dove migliore è 1’ ordinamento so- cile. La legge morale , secondo il Vangelo ., è legge di tutta libertà. i Dopo ciò non sarà inopportuno l’avvertire, che la scienza della morale non dee considerarsi come una cosa che stia di per sè. Nel mondo delle nazioni, come in quello fisico, nulla si fa in senso diviso , ma tutto in senso unito, e. complesso. La scien- za della morale deve considerarsi come una parte della scienza sociale , come una parte dell’incivilimento , il quale si compone del resultato solidale del morale , economico , e politico perfe- zionamento. Tutte le azioni umane debbono riguardarsi come mezzi efficaci per produrre il fine della società, che è la felice couser- vazione degli individui che la compongono, e che invocano pace, equità,, sicurezza e salute. Una saggia legislazione, una fedele amministrazione ; nell’ atto che servono a sodisfare i bisogni materiali dell’uomo, sono il più valido mezzo di educazione, perchè danno il più possente impulso , come allo sviluppo della intelligenza ; così ancora a quello della operosa e sociale cordia» lità, e di. quel mutuo amore fra gli uomini, che forma il ca- rattere| di precetti evangelici. Nessuno ignora certamente , che i diritti e i doveri umani sono fondati, e derivano dai rapporti della uguaglianza , ossia della identica inviolabilità di diritto di ciaseun uomo. Ogni. uomo ha dalla natura una personale auto- rità giuridica costituita da’ tre sommi poteri chiamati: dal Vico e (7, dal Romagnosi dominio, libertà , tutela. Ora se ‘il sistema so- ciale , se le istituzioni economiche e politiche sono in tale disor- dine che questi tre sommi poteri non solo non siano garantiti , ma siano anzi compressi, non sarà egli assai difficile che la s0- cietà sia lieta per azioni virtuose ? E s’ anco quella ingiusta com- pressione non gettasse i cittadini nel sentiero del vizio e del delitto, come potrebbe poi dirsi che essi siano veramente felici? Eppure la scienza della morale vuole per mezzo della virtù con- durre alla felicità. Si vorrebbe forse inculcare in tal caso la teoria del dovere, e al disgraziato intuonare. che la virtù deve essere amata per sè medesima? La frase è magnifica, ma di per sè so- la, e dissociata dallo stimolo potente del tornaconto, è dessa poi capace di recar molto frutto nella massa degli uomini? La maggior parte di quei medesimi, che tutti i giorni smaniosa- mente la vanno predicando , non suno forse nel fatto i più grandi egoisti, e per questo i più interessati sostenitori della prepotenza e del privilegio ? O forse si vorrebbe predicare quella bestiale pazienza , per cui una parte della specie umana si ponga sotto al dispotico dominio dell’ altra? Quasi ne parve alla prima let- tura, che a questa conclusione dovesse portare il libro di Droz so la morale applicata alla politica ,, ma ne persuase del con- trario il riflettere , che quel libro inculca la regola del dovere a tutti indistintamente, e così tanto a chi fu destinato il co- mandare, quanto a chi la sorte destinò l’obbedire ; e il conside-, rare che ogni diritto inalienabile , quale per l’ uomo è quello della sua indipendenza e della sua dignità , è un assoluto dovere, alla cui osservanza ogni uomo è strettamente tenuto a costo ancora di grandi sagrifizj. Quindi mi pare potersi dire, che la morale , colle modifica- zioni richieste dalle variazioni dei tempi, deve essere ritratta ai suoi principii. Essa fu dapprima incorporata alla politica, co- me sopra si è avvertito. Io non pretendo già che nelle società dirozzate i governi si facciano i pedagoghi dei loro popoli. Nò; a mano a mano che la social convivenza si avvicina al colmo dell’incivilimento, diminuiscono nel governo le cure della edu- cazione, e le di lui ingerenze ristringonsi alla tutela. Io dico soltanto , che ad una buona educazione deve il legislatore pro- curare gli impulsi con un movimento sociale ordinato giusta i dettami del diritto ; offrire Je cause di operar bene; far cospirare gli interessi , e perciò le cognizioni e le azioni dei cittadini al fine ultimo della felice conservazione della società; aggiungere la semplice popolare istruzione e direzione morale e religiosa, e 128 lasciar fare nel resto alla natura e alla individuale libertà. Ab- bia l’uomo un valor sociale, e sentirà la sua dignità, e sarà virtuoso. All’ opposto tutto ciò che tende ad avvilire 1’ nomo, tende a spegnere il germe della virtù. Restami a dir qualche cosa sulla prefazione del. sig. Vale riani, e sulla di lui traduzione. Dirò quanto alla prima, che essa è fiorita di una scelta ed ntile erudizione, ed offre nna sufficiente contezza della intenzione dello Stellini , e dei princi- pi della suna morale (che meglio poi si conosceranno per le Lettere Stelliniane del Mabil) e può essere letta con profitto per conoscere molti particolari della vita di quel grande uomo. Dirò quanto alla traduzione , che essa ha già il merito riconosciuto di bella e fedele. Fu essa posta a confronto con quella di Mel- chiorre Spada, e fu lasciata indecisa Ja quistione della prefe- renza. A me pare, a dir vero, che la traduzione del Valeriani meriti esser preferita a quella dello Spada ; ora specialmente che piacque al Valeriani di rivederla, e in molti luoghi miglio- rarla; a me pare che in essa sia ritratto lo spirito dell’ autore, per essere stata conservata quella concisa vibratezza , e quel torno alquanto contorto che trovasi nell’ originale. Però fece benissimo il Porri pubblicando quest’aureo libretto dello Stellini nella traduzione del Valeriani. L’aver poi stampato anche il testo a fronte della traduziono distingue la sua edizio- ne da quante sono state fin qui eseguite di questo libro sempre pubblicato nella sola traduzione , se si eccettua la edizione fat- tane , già sono molti anni, di seguito al Tacito tradotto dal Valeriani stesso. Che se il saggio dello Stellini formava, come è noto, le delizie del Beccaria , se l’Algarotti lo reputò uguale al metodo di Cartesio, io non posso astenermi dal raccomandarne ai giovani la lettura. Essi han già cominciato a comprendere , che il secolo domanda da essi tali studj che possano corrispondere ai bisogni della attuale nostra civiltà. Quel che fu detto della letteratura, che esser debbe la espressione della società, deve dirsi con ugual ragione delle scienze morali e politiche. Figlie dell’umana civiltà debbono anch’esse servire alla civiltà. Faccia il cielo , che i la- menti contro i frivoli studi abbian motivo di terminare una vol- ta, e l’amore perle pompe rettoriche ceda intieramente il posto all’ amore di quella sana filosofia, senza la quale non può es- servi salute nè per gli uomini nè per le nazioni. CeLso ManzuccHI. 129 RIVISTA LETTERARIA: Lettere scientifiche appartenenti alla corrispondenza del dott. L. L. Li- mussio di Tolmezzo con varii illustri dotti italiani e stranieri. Venezia, stamp. d’ Alvisopoli 1831: p. 56. In quest’opuscolo sì contengono lettere di Saussure, diSenebier, del- lo Stratico, del cav. Scarpa, del cav. Alessandro de Humboldt, del co. Lacepéde, del cav. Berzelius, del sig. Necker de Saussure , del co. Ca- podistria; lettere le quali dimostrano e il molto amore che alle scienze naturali porta il sig. dot. Linussio di Tolmezzo, e la molta gentilezza di quegli uomini illustri. Gioverebbe al certo che questo lusinghiero esem- pio fosse dai dotti italiani seguito , e che più diretta e più frequente corrispondenza si stabilisse fra essi e quei d’oltremonte: giacchè la. fraternità delle lettere e il commercio delle idee possono seco portare col tempo altri vincoli ed altri commercii: e bello sarebbe e necessario che in tanta discrepanza di opinioni e in sì viva lotta d’interessìi , la repub- Dlica delle lettere almeno desse l’esempio d’ una federazione generosa e potente. Ma chi conosce le difficoltà, volontarie in parte , che s’oppon- gono al regolare e fraterno commercio letterario nel seno dell’Italia stessa , troverà che lo zelo del sig. Linussio si può più facilmente lo- dare che sperar di vederlo imitato. Lontano com'è da ogni centro di scientifiche comunicazioni , tanto più difficilmente poteva il sig. Linussio soddisfare le sue dotte curiosità e venire in cognizione dei rapidi progressi che la scienza andò facendo in brevissimo spazio di tempo. Se questo non era , egli non avrebbe ad uomini tali dirette notizie e questioni che certo non hanno un gran merito di novità. Ho detto che le risposte di quegli uomini celebri provano la lor gentilezza ; e potevo aggiungere , la loro modestia. Un G. B. Saussure interrogato intorno ai tremuoti, se lo scavare de’pozzi sarebbe la via di evitarli , risponde che no, adducendone ragioni tratte dalla teoria del- l’elettrico, che ora non so se si potrebbero ripetere : poi soggiunge , do- mandando allo stesso D. Linussio notizie e lumi: Voilà donc notre ròle 5 changé : vous me demandez des lumières ; et c’est moi, monsieur, 3» qui vous en demande. C’est que la nature est notre maître en tout, et 3 que celuì là seul enseignera les autres qui saura là consulter et inter- > préter ses réponses ,,. A proposito della generazione vegetabile e de’suoi rapporti con l’animale, il sig. Senebier gli scrive: ““ Vous voyez, 33 monsieur, que.nous. ne différons presque pas d’opinion ;} ‘je dirai ,y mieux d’hypothéses ; car tout cela est bàti en l’air; et ne repose sur ,; aucun fondement solide: de sorte que si je n’y vois qu’un jeu de 3» l’esprit, je n'y saurais soupgonner les procédès de la nature. ,, T. III. Agosto I” 120 E il cav. Scarpa: ‘‘ Io non saprei dunque dire nulla di preciso sulla s; vostra congettura , poichè confesso che non so nulla di ciò che ri- »» guarda la nutrizione ( vegetabile). Ciò che posso dirvi di certo si è che voi date segni d’ingegno ; e che distolto dalla seduzione delle congetture , voi farete considerevoli progressi nella naturale filosofia. Lo Stratico finalmente: ‘ L’irritabilità Halleriana è un, fenomeno di- 23 3» pendente dalla facoltà di sentire ; e questo è un salto immenso per s3 il nostro intelletto ; il quale prima scorge il salto dalla quiete al mo- 3 to, che vede in fatto ma non intende; poi quello dal moto al senti- >> mento ; poi l’altro più immenso ancora dal senso all’intelligenza. ,, Meditino questo periodo coloro che , tolti dal mondo gli spiriti, credono averne tolto ogni inesplicabile arcano ; quasichè arcano nel suo genere non men grande non sia il fenomeno stesso del movimento. La lettera del sig. Necker sulla temperatura e l’altezza dell’acque, in cui possono vivere i pescì, contiene un’idea che non ha, a quel ch'io sappia, ricevuto dall’ esperienza il suo svolgimento : ‘ Il ne seroit 3» peut-ètre pas impossible de constater par des expériences directes , 33 d’un còte la quantitè d’oxigène nécessaire pour la vie d’un poisson, et ,» de l’autre quelle est la dose d’oxigène habituellement contenne dans 53 les eaux à une hauteur supérieure a 1000 toises. Et si cette seconde 3» qualitè se trouvoit inférieure à la première, comme vous le supposez, 3) Votre ingénieuse hypothèse se changerait en une verité démontrée par ;» l’expérience. ,, i La lettera del prof. Burja accademico di Berlino, sul modo di ridur- re la declamazione ad arte vera, merita d’ esser letta : e così l’altra del sig. arciprete Caregnato intorno alcune singolarità naturali dei Sette Comuni. X. Della pubblica biblioteca di Ferrara , ragionamento accademico del co. ab. Vincenzo Cicoenara bibliotecario. Bologna ; Nobili 1830. Dopo numerati i bei nomi di cui Ferrara s’ illustra, il Giraldi, il Savonarola , il Bojardo, l’Ariosto, il Bartoli, il Barotti, il Bentivoglio, il Pigna , il Guarini , il Sacrati , il Buonafede , il Baruffaldi , il Mo- ratelli , ìl Campana , il Poletti , il Bianchini, il Cicognara , il Can- cellieri , il Varano, il Monti, il Minzoni ,'il ch. A. finisce col rac- comandare ai ricchi specialmente, che vogliano d’opere sopratutto mo- derne arricchire la già ricca biblioteca ferrarese: consiglio che giovereb- be estendere ai facoltosi segnatamente delle città piccole e di pubblica liblioteca mancanti. A. questo proposito rammenteremo il bel progetto da alcuni illustri francesi ideato; d’aprire una sottoscrizione mediante la quale potere a molti paesi che ne mancano fornire una scelta biblio- teca circolante di volumi 200., da rinnovarsi di tempo in tempo , per così diffondere la morale e civile istruzione in quell’ ordine di citta- dini che cominciano a sentirne il desiderio sevza ch’ abbiano i mezzi 1I3I di ben soddisfarlo. Il progetto sta esposto nel marzo della Rivista enci- clopedica: è noi raccomandiamo allo zelo del sig. bibliotecario ferrare- se che voglia trovar modo egli il primo di porlo in Italia ad effetto. Le A Antologia italiana , compilata dal prof. Giuseppe MonrEROssI con nuo- vissime aggiunte, ad uso della gioventù. Parma , Fiaccadori 1830. Quale sia il gusto del compilatore di questa Antologia, lo dice la breve, prefazione al lettore, la qual comincia : ‘ L’esperienza, .che del- .» le cose è maestra, più luogo non lascia a dubitar del vantaggio,clie 3» 2° giovani studiosi procacciar può questo libro, che dalle opere è », tratto de’più lodati scrittori italiani ,,. Per un libretto di 136 pagine la varietà qui non manca: nè man- ca pascolo alla curiosità ed al buon gusto. Avrei desiderato però che ne fossero omesse alcune lezioni non troppe morali; come il\paragone del- l’uomo liberale con l’aquila, modello di liberalità perchè.lascia agli al- tri uccelli parte della violenta sua preda. In questo senso tutti i grandi scellerati , che rubano più di quel che possono o vogliono»divorare; sa- rebbero virtuosi. Così quegli spropositi storici, di Marco Regolo preso, dai re di Car- tagine; e di Dionisio ed Alessandro, nomi che a detta del trecentista pa- re appartengano alle storie romane, in un’Antologia non converrebbe in- culcarli. Nè sempre le note che il ch. compilatore v’appone ci pajono irre- prensibili. Grua per esempio non è più dell’uso; se non forse nel plura- le: celliere non è magazzino propriamente , nè morsellato è minestra. Tutte quelle moralità tratte dal Fior di virtù si potevano omettere senza rimorso. E così ;il discorsetto dell’ab. Roberti sulla favola esopiana dove insegna a comporre le favole con avveduto metodo ed accomodato di scrivere ; le vuole semplici , ornate, ma per ornamenti assai modesti, gra- ziose e naturali, non imparolate , e non so che altro. Il gran male si è che a non poche delle favole più classiche mancano non poche delle quali- tà che 1° ab. Roberti richiede. Son pure la terribil gente questi in- ventori di regole! Ghe dal vecchio volgarizzamento d’Esopo, che dalle favole di Giu. Manzoni, che dalle novellette piacevoli del Gozzi , del Sacchetti, del Boccaccio , che dai tanti epistolarii che l’Italia presenta, che dai discor- sì appartenenti a varie arti si potesse fare una scelta o più felice o più parca., io non potrei certamente negarlo. Ma dico nondimeno che degna di lode è l’Antologia del sig. prof. Monterossi, specialmente così accresciuta un poco ;) come l’ offre il sig. Fiaccadori. Noterò solamente che là dov’egli riporta passi di vecchi autori, nei quali la grammatica non è sempre rispettata, sarebbe giovata qualche nota più frequente e più precisa, che indicasse un po’meglio il difetto. Io non credo del resto che nelle prime scuole giovi sui treceutisti insegnare ai tempi nostri la 132 lingua. Incominciar da’migliori del secolo sinti e del nostro, 0 meglio dal Redi , dal Magalotti , dal Bartoli, dal Segneri, dal Caro, e da alcuni tratti scelti d’altri cinquecentisti, poi finalmente salire al trecento; sa- rebbe il vero modo di far gustare quant’hanno di proprio, di schietto, di parco, di vivo , di efficace gliscritti di quel secolo singolare; e di da- re a conoscere quello che in essi è contrario alle norme della grammatica, dell’ analogia o dell’ uso moderno. Chi dirà , per esempio, che sia da proporre com’ elegante ai fanciulli questo periodo al quale il prof. Monterossi.non fa nota veruna ? ‘° Dice l’autore che chi si diletta di dolcezza di vanagloria, sostiene un amaro schernimento ; e partori- sce veraci fastidii. ,, Finchè tra le bellezze e i difetti degli scrittoritnon sì vorrà far distivzione nessuna, avremo sempre un’ educazione impo- tente , gretta , e un po’ pedantesca. K. X.Y. Lo scisma d’ Inghilterra ; ristretto da B. Davanzati , è conferito all’au- togr. esistente nella Marciana, per cura di B. Gamba. Si aggiunge lo scisma sotto il regno di Elisabetta, ristretto da G. B. Gaspari Vene- ziano. Venezia: ,, tip. d’ Alvisopoli 1830: p. 160. La ben nota diligenza e perizia del sig. Gamba ci dà finalmente lo Scisma del Davanzati purgato di molti e non picccoli errori. Può re- stare ancora quà e là un qualche dubbio (1); ma il più dell’opera è felicemente compito. Ho detto lo Scisma del Davanzati, e ho detto male - dovevo dire : il compendio che fece il Davanzati dell’opera del Sandero ; come avea già notato il ch. sig. ab. Colombo , e come si raccoglie più chiaramente dall’avviso al lettore, che stà nel codice autografo posseduto dalla Mar- ciana, avviso ch’ora per la prima volta ci vien regalato dal sig. Gamba. Egli, nella sua lettera intitolata al valente sig. Angiolo Sicca, no- ta non pochi degli errori corretti col riscontro dell’autografo detto ; e riporta alcune savie osservazioni sullo stile del Davanzati, inserite nel giornale Ligustico dal lodato sig. ab. Colombo. Il terzo libro è opera di G. B. Gaspari, coltissimo veneziano, di po- co mancato a’vivi: imitazione inutile, ma felice, della maniera del Da- vanzati ; che ha del resto , come ognun può pensare, il difetto di tutte le imitazioni soverchiamente fedeli , quello di stare in molte re al disotto del suo modello. K. X. Y. (1) P. es. a p. gr. dove dice usattorii io sospetterei dovesse dire esattori. Alcuni avvertimenti civili e letterarii di B. Davanzati tolti dalle sue postille a Tacito e da un codice della Marciana. Venezia, Alvisopoli 1831. Tra le postille del Davanzati, ognuno rammenta che ve n’ha di sapienti e degne d’un traduttore di Tacito: non tutte son d’ugual pregio , ma per molte scadenti valgono queste poche ch’io scelgo dal. li- bercolo del sig: Gamba : ‘ Ogni cosa fa sua girata , e tornano, come le »» Stagioni, i costumi ; nè tutte le cose antiche sono le migliori. An- 3» che l’età nostra ha prodotto arti e glorie che saranno imitate. Pren- 35 diamo pure con gli antichi le gare oneste ,,. La seconda parte di que- sta sentenza si direbbe dettata da un giovanastro orgoglioso , la prima da un lettore del Vico ; ed è d’un buon vecchio fiorentino. Quest’ al tra non parrebb’ ella ispirata da un'amico di B. Constant ? 3, I versi di Bibacolo e di Catullo trafiggeano gl’imperatori; eppure e » Cesare e Augusto, i divini, e gli patirono e lasciaron leggere ( dire 33 non saprei con qual maggiore tra modestia 0 sapienza ) ; perchè 33 queste cose, sprezzate, svaniscono; adirandoti, le confessi: Adirarsi è 3; come tagliare l’erbe maligne tra le due terre, che rimettono più ri- 3; Gogliose. Il vero ci ammenda, il falso non fa vergogna. ,, E a quanti e in quante occasioni non giungerebbe opportuno il seguente consiglio: ‘ Basta vinceré, non si dee stravolere. Quanto co- 35 stò la statua del duca d’Alba posta in Anversa! ,, Di quest’altro consiglio avrebbe potuto approfittare un tempo il Direttorio, e certi amici della pace à tout prix par che ne sentano l’importanza. ‘I soldati fanno come i cavalli , obbediscono a chi li »» governa , e tiran de’calci al padrone ,,. Bel frammento di notizia statistica è quello: ‘ I fonditori delle 35 loro facoltà, noi li diciamo scapigliati; nuovo vocabolo che la no- ») stra città ha trovato al nuovo lusso strabocchevole entratoci: pret- », to veleno alla vita di lei , fondata nella parsimonia e ‘industria, a o lei più che mai necessaria ora che non più che il quarto de’beni »y stabili rimane a’privati laici } come mostra il Catasto. Di quelche fosse in certi momenti l’ antica libertà , fatta troppo spesso sinonimo d’indipendenza', lo ‘prova il motto di Zanobi Bartoli- ni; ‘ il quale, dando ad un artefice udienza con gli occhi chiusi , quei disse: dormite voi? rispose : sì, e sognava di farti mozzare gli orecchi.,, Segue alle postille un frammento di tre diversi volgarizzamenti di Tacito fatti dal Davanzati ; dove si conosce la gran cura posta dal va- lent’'uomo nel limare il difficile suo lavoro , non però sempre in modo che l’ultima correzione sia la più semplice e la più chiara. Ke 134 Della Calofilia libri tre del dott. GiroLamo VenANnZIO. Padova dalla Minerva 1830 p. ago in 8.° S’ io dovessi notare tutte le osservazioni delicate , le immagini belle, i nobili sentimenti, le idee peregrine o in modo peregrino espresse , che questo libro contiene , dovrei stendermì in troppo più lungo discorso che il tempo non mi concede: ma un semplice annunzio e una semplice citazione otterranno , spero , l’ effetto. e d’ una lunga analisi e d’una discussione penosa. L’ autore, trattando il. suo tema nelle tre divisioni del bello naturale, del morale ; dell’artificiale 1, lo riguarda un po’ più da alto che gli estetici nostri. non facciano. {o non.dirò che su/la natura ; sulle leggi, sulle influenze del .Beilo ; non rimangono, ancora molte e vitali questioni da sciogliere e molte .0s- servazioni da fare; non dirò che alcune idee, passate così per tradi - zione dai libri altrui nella sua mente, mon potessero esser da lui con più frutto rimeditate e poste in armonia co’principii suoi propri, che son certamente tutt’ altro che pedanteschi e servili ;; non dirò ch’ egli abbia sempre interpretate benignamente e, con la sua naturale cortesia combattute certe opinioni, che il suo.libro non so se giungerà a sra- dicare ; non dirò che certe trasposizioni, forzate od ,equivoche, | certe parole adoprate ‘in senso diverso dal comune, aggiungano molta. bel- lezza a quell’ ornato e facondo ed elaborato suo stile. Ma questi di- fetti, fossero anche veri (che a me, non ispetta decidere) , sarebbero largamente compensati dai molti pregi del libro, pregi rarissimi e de- siderabili. Ne sia unico ma sufficiente saggio il passo seguente : ‘€ Nessuno può! credere di ben mirare addentro nel proprio cuore 3» e di tutta conoscerne la forza,o la debolezza , se una grande sven- tura. a’ suoi occhi nol disvela. Nelle circostanze ordinarie della vita 3, è facile munirsi di sode massime e di buona filosofia , ascoltare con 35 bene espressa compassione le parole degli afflitti, e fat professione », e menar vampo, eziandio di costanza e di generosità :\ma questa nou è per lo più che l’ abitudine di una vita felice, e. più spesso il vanto di un orgoglio che, non pago del godimento. delle beatitudini concesse dalla sorte , vuole eziandio aspirare all’ onore della. saggezza : ed in- tanto stassene la debolezza appiattata, fra quelle. fallaci, apparenze, ed attende il primo adito per manifestarsi. Il quale se con una straordinaria vicenda viene aperto, allora ognuno, che non sia di spe- > ciali prerogative fornito , si confonde certamente col volgo, e come »; il volgo., spera, e. teme come. il volgo, e quasi come il volgo delira;j 3 ed. i passati. vanti di forza, di magnanimità , di fermezza sono vani 3» simulacri di cui fa strazio la indispettita fortuna. Se però fra quelle ,; pene molto si soffre , molto pure da esse si apprende. Quelle notti s» vegliate in cui l’ accesa fantasia mille fantasmi si finge, e fa arder s; di sdegno o gelar di terrore, quei giorni che si passano o smarriti »» nell’ ambascia o da! peso del terrore oppressi e quasi assopiti; quella 135 stessa pace stanca in cui l’anima; per l'affanno profondo e pel lungo abbattimento , si abbandona con una forzata rassegnazione ad una calma senza sollievo, ad una quiete senza riposo, e scorge di- nanzi a se mali senza numero, un avvenire senza speranza, un mar senza sponde ; tutto ciò gran cose insegna , e svela nel cuore se- crete tendenze , intimi recessi, occulti sentimenti che prima nem- meno si sospettavano. Perocchè talvolta la bontà sta nel fondo del cuore sepolta ; ed alcuni, ingannati da false idee e da sinistre pre- venzioni, ne fanno quasi mistero, e sembrano averne vergogna , e la tengono occulta e stipata fra le affettate ostentazioni di una non vera indifferenza, di un orgoglio fattizio, di una mentita du- rezza. Ma la sventura infrange tutti questi ripari, e la bontà libera e franca si manifesta, e gli affetti prima spregiati sorgono palesi , ed immemori. dell’ antico insulto assistono pietosame nte all’ anima contristata , e novelli conforti ed altri gaudi nell’ avvenire le pro- mettono. Oltre a ciò , l’ esercizio violento in cui la sventura pone le facoltà nostre sensitive , se non ispegue del tutto , almeno certa- mente rallenta e mitiga quella smania avidissima di sentire , da cui l’ uomo è incessantemente agitato ; la quale, come ogni altro ap- petito , giacchè tutto è simile nel mondo, pel troppo avuto alimento ne concepisce nausea e più temperante si rende. Quindi la sventura, a guisa della lancia d’Achille, ad un tempo ferisce e risana ; e quando, singolarmente , sopraggiunge nel momento in cui l’ uomo dalla gioventù passa alla virilità , giova a rassodarne il carattere, a migliorarne la condotta, e, si può dire, a guarentirne la felicità. Imperocchè da essa egli apprende a rettamente apprezzare e piena- mente gustare la pace ch’ è la beatissima delle umane condizioni ; ed anzichè porre in non cale i semplici e tranquilli beni che la condiscono, apprende a farne la sua vera delizia, ed a preferirli alle feste numerose e solenni. Questa pace, che lo sventurato acqui- sta a prezzo d’ affanni, è meno eziandio soggetta a rimaner turbata da’ mali sopravvegnenti , poichè i grandi disastri lasciano una me- moria; una misura, un dato di paragone , che pone l’ uomo in grado di giustamente valutare i mali minori, e di frenare le intempestive inquietudini del timore ed i pericolosi accendimenti della fantasia, e di dir quindi a se stesso nelle mutabili vicende della vita ciò che Omero fa dire ad Ulisse: Anima mia, soffri anche questo dolore ; già ne hai tollerato di maggiori. Questi sensi novelli, queste privazioni, questi disinganni, questo ritorno alla natura , questo amor della pa- ce, avvezzano (e questo è il segno a cui mirò finora il mio discor- so ) avvezzano l’uomo non solo ad un più cauto pensare, ma ezian- ad un più lento sentire. ... L'uomo felice e lieto di rado si com- muove a’ mali altrui ; non già perchè sia crudele ed impassibile , ma perchè l’anima di lui, mossa da quel rotto ed imcomposto sentire ch’ è l’allegrezza , non può lungamente fermarsi ad una stessa im- pressione , e non ne sopporta la ripetizione, e passa e sbalza rapi- 136 »» damente da un oggetto all’altro, da una ad un’altra immagine, , come una vispa fanciulletta che muta ad ogni istantà i suoi trastulli. 33 Ma la malinconia par che assuma l’ incarico di conshlatrice a bella 3; posta. per avvezzar l’anima a quei tranquilli ed uniformi movimenti 3, che inducono alla pietà , alla beneficenza , alla compassione ; i quali ; sentimenti di rado risultano da urti gagliardi, ma Sono piuttosto ,, l’effetto d’impressioni bensì serie e gravi, ma tranquille , blande , >» e spesso ripetute : e per questa ragione veggiamo la malinconia avere s» per compagna indivisibile la dolcezza. ,, Da questo saggio ciascun può vedere con quanto e onore proprio e utilità de’ lettori potrebbe il dott. Venanzio occuparsi in argomenti che riguardano la scienza del cuore : e sarebbe pure desiderabile che così egli come quel gentile ingegno di Gio. Batista Talia a tali argo- menti consecrassero il florido loro stile. Di estetiche disputazioni 1’ Ita- lia abbisogna assai meno che di civili lezioni, di religiosi ammaestra- menti e di morali consigli. KAI Le servitù prediali sanzionate dal codice Napoleone, ridotte in casi pra- tici dall’avv. Lvier Piccori, e dal professore A. GHERARDESCA ripro- dotte con nuovi rami e note addizionali destinate a farne conoscer la concordanza con le leggi romane e con la giurisprudenza toscana. Pisa presso Prosperi 1831 fasc. 1. Lorenzo Sterne , che volentieri cito tutte le volte che trattasi di scrutar qualcuno dei ripostigli men noti, o di descriver qualcuno dei moti men definiti del cuore umano, scrisse che il compratore, foss’anco di merce di non gran prezzo , non può muoversi fuor della porta per venire ad accordo col venditore ; e non mirarlo subitamente con quell’ occhio, e con quella disposizione d’animo con cui anderebbe seco ad eleggere il campo nell’ Hydeparck (1) a duellare. E proseguendo a parlare del suo trattato con M. Dessein locandiere in Calais per l’acquisto di un legno da viaggio ( mi si perdonerà, spero , questa aggiunta di citazione in grazia della sua bizzarria e verità ) ei prosegue: Quanto a me spadaccino da poco, nè da stare a petto a M. Dessein (2), mi sentiva nei precordi tutta la rotazione dei moti propri alla congiuntura + io passava con gli occhi da parte a parte IM. Dessein - ei camminava ed io lo considerava di profilo » poi di prospetto - avrei giurato che egli avesse faccia d’ e- breo , anzi di turco - lo malediva con tutti i miei Dei (3), e lo rac- comandava al demonio. (1) Parco presso Londra ove ai tempi di Sterne si solean terminar le sfide, ora passeggio frequentato, e testimone di notte e di giorno d’atti tutt’ altro che ostili. (2) Yorick era filosofo e M. Dessein era oste. (3) Et maledixit Philistaeus David in Dis suis. Reg. 1. 17. 137 Con quell’ occhio stesso col quale Yorick guardava M. Dessein , e press’ a poco per gli stessi motivi, suol guardare il proprietario il suo vicino , ogni qual volta vegga che da questo si faccia qualche in- novazione in prossimità del suo possesso; e ogni albero ch’ei pianta, ogni fossa ch’ei scava, ogni piccol muro che inalza , gli sembra un’ usurpazione , e gli par nuocere ai suoi cari diritti di proprietà. Che se le persuasioni di un cattivo consigliere, l’ avidità di un legale , l’ ambiguità o il silenzio delle leggi fomentan queste passioni , è allora che sorgon quelle dispute accanite , interminabili (4), e che anche dopo la soccombenza lasciano nell’animo tal livore da rerider vano talvolta pel vincitore l'oracolo sacro della. giustizia; e da con- vertirne quasi in danno il favore (5). Ben fece dunque il sig. avv. Luigi Piccoli di Brescia, pubblicando sulle tracce dei Desgodets e de’Goupy il suo trattato delle servitù pre- diali sanzionate dal codice Napoleone , e ridotte in cast pratici, con an- notazioni desunte dalle leggi romane e dai classici autori, e ben fe- cero tutti quelli che, prima e dopo di lui, nei paesi ove vigeva e vige ancora quel codice , alla chiarezza della legge aggiunsero la chiarezza della dimostrazione e la figurazione dei casi, nulla omettendo perchè i proprietari non possano farsi illusione sull’estensione dei loro dritti , o sulla limitazione dei dritti altrui, onde la suscettibilità eccessiva degli uni e degli altri non gli trascini a contese non meno fiere che mancanti di un proporzionato subietto. . AI sig. A. Gherardesca professore di architettura nell’I. e R. Ac- cademia di Belle Arti di Pisa è poi dovuta somma lode , per aver se- parato dal suo corso completo teorico pratico dell’ arte dell’ingegnere ci- vile, che non ha ancor potuto dare in luce , un saggio di nozioni geo- metriche e di agrimensura alla portata della comune intelligenza , da unirsi al trattato del Piccoli, che riproduce. Con l’ aggiungervi inoltre opportune note , contenenti la concor- danza delle leggi romane e toscane, non meno che le decisioni più classiche del foro toscano in fatto di servitù, divisioni e condotta d’acque , ha egli acquistato anche maggior dritto alla nostra ricono- scenza, avendo cercato di render utile anche per noi il trattato del Piccoli, per noi che, come diceva un nostro collega di cui rammenteremo lungamente lo spirito e il raro ingegno , andiam tuttora pescando nell’ acqua estiva, cioè nel titolo de aqua quotidiana et aestiva (il XX del libro 43 del Digesto), anzi nel commento del Bartolo al $. 41 della (4) É celebre nella Curia nostra la causa Pagani e Bava per un molino , causa che ha durato oltre quarant’ anni, e nella quale sono state proferite ventisette formali sentenze , oltre i decreti ordinatori e interlocutori. (5) É pure nota nel nostro foro la sorte di quel litigante che, dopo avere ottenuto dai tribunali la facoltà di fabbricare in contiguità di un fondo altrui una diacciaia, non potè impe dir che il vicino vi edificasse accanto una fornace. T. Ill. Agosto 18 138 legge 1.* di detto titolo, una delle teorie più normali d’ una materia delle, più frequenti nel foro, il dritto cioè nei più prossimi consan- guinei dell’ ultimo emfiteuta di ottener dal domino diretto la rinno- vazione a favor loro dell’ emfiteusi , come ne andiam cercando tant’al- tre ugualmente importanti là dove meno si crederebbe di trovarle. L’opera del sig. professor Gherardesca sarà divisa in quattro vo- lumi, composto ciascuno di tre fascicoli. Il fascicolo primo , che abbiamo sott’occhio, e che per quanto sap- piamo è l’ unico sin ora pubblicato, contiene la prefazione , il saggio teorico; e una porzione delle dimostrazioni pratiche, con n.° 17 tavole, il tutto appartenente all’opera dell’ avv. Luigi Piccoli. Su questo tenue saggio non possiamo nè vogliamo far giudizio dell’opera, il che è da riserbarsi all’ epoca in cuì sarà stata per intero resa di pubblica ragione. Solo noteremo di passaggio ciò che ci è venuto fatto di ri- marcare percorrendo rapidamente questo fascicolo , ed è che se dal nuovo editore si fosse corretta qualche inesattezza di stile , 1’ opera del sig. Piccoli non ne avrebbe acquistato che maggior pregio. Avremmo poi desiderato che i numeri e le lettere , che si citano nelle dimostrazioni, s’ incontrassero sempre nelle tavole , e viceversa , il che non si verifica p. e. nella tavola a. It. 29. 31. 34. Se finalmente nel riprodurre le tavole che 1’ avv. Piccoli dice aver disegnate da se (il che facilmente crederà chiunque le vede) si fosser più chiamate a soccorso le regole della prospettiva j e un po’ di gu- sto d’arte , la dimostrazione non sarebbe stata per questo men chiara , e l'occhio avrebbe avuta come suol dirsi la parte sua: perchè davvero, dopo che d’ oltremonti anche nelle edizioni più comuni si veggono stampe o litografie eseguite con tanta intelligenza e buon gusto , il trovare in un libro pubblicato nel 1831, comunque non tratti d’arte, tavole che rammentano i tempi nei quali quel bizzarro ingegno di Paolo Uccello diventava, come dice il Vasari, solitario , strano , ma- linconico , e povero , fantasticando per trovare il modo di far. couce- pire a colpo d’ occhio le distanze , e la vera posizione degli oggetti rappresentati sopra una superficie , è tal cosa che non si può più sotfrire, Queste piccole mende non tolgon però che l’opera non sia utilis- sima , anzi indispensabile non solo per i procuratori, avvocati , giu dici, e periti, ma anche per tutti i possessori, che vi possono tro- var sempre istruzione , e non di rado opportuni ed utili consigli. Del lavoro del sig. A. Gherardesca nulla possiamo dir per ora, poi- chè nulla di suo trovasi nel fascicolo di cui parliamo, e le stesse note che si vanno aggiungendo al testo , e che crediamo esser sue , non si leggono in piè di pagina secondo l’ uso comune, ma. saranno , per quanto pare , collocate in fine del tomo. T. Tonelli. 139 Trattato delle servitù fondiarie di Marreo De Aveusrinis. Napoli presso Porcelli 1830. Vol. a. in 8.° t Sullo stesso. soggetto preso a trattare uell’opera preceilente si aggira il libro che annunziamo , il Trattato cioè delle serviti fondiarie dell’ Avvocato de Augustinis , uscito in Napoli nell’ anno scorso; se non che il lavoro del. Gherardesca sembra :éesser più rivolto alla pratica che alla teorica; mentre questo è più teorico:,;\0 egualmente teorico che pratico. Il chiarissimo Autore osservò già ciò che ai più istruiti ed insieme più pratici delle cose forensi non era sfuggito; cioè che, sia per quella supposta impossibilità di scendere a positive speciali dichiarazioni , di che parlano le leggi 3. 5. e 10 Dig. de Legibus; sia per altro motivò; il Codice Givile dei Francesi ha ristretto le disposizioni relative a questa materia a pochi canoni, i quali non sì prestano che imperfettamente alla soluzione delle gravi è moltiplici questioni che giornalmente si pre- sentano ai tribunali, o a coloro che dei ‘dritti altrui son ‘chiamati a conoscere. A supplir questo vuoto della legislazione , egli ha creduto che meglio di tutto servir potesse un ‘trattato , capace d’offrire' alla parte dispositiva della legge uno sviluppo che ‘rimuova ogni incertez- za, e che condur possa ad una più facile e più sicura applicazione. Preceduto dal Pardessus quanto alla legislazione francese; e. dal Mor- ra quanto ‘alla legislazione patria, ha creduto l’autore che nè dall’uno nè dall’ altro fosse stato del tutto supplito al vuoto ‘sopraindicato’, e che non sempre da ‘essi fosse stata sostituita come' dovevasi la positi- va evidenza all’incerto e al problematico. Se da noi si dicesse clié sempre ‘e in tutta la sua estensione sì è conseguito dall’ autore ‘un tale scopo , e che nulla or più resta a de- siderare , non potremmo forse evitar presso taluno la taccia d’ ecces- sivo favore , come che quello scopo sia sommamente difficile se non impossibile a conseguirsi nel modo indicato. Quello però ‘che’ cre- diamo! di potere asserire’, Senza timore d’ essere smentiti, si è che l'autore ha nel numero, nella precisione , e nella chiarezza delle os- servazioni, sorpassati coloro che 1’ hanno preceduto. L” entrare in un esame. più minuto eccederebbe'i limiti ‘di una semplice rivista, e preoccuperebbe il campo di un apposito articolo, che 1’ opera del sig. De Augustinis merita per ogni rapporto. Noteremo'solo che) per quanto a noi n’ è sembrato dopo una rapida lettura del suo trattato ; eglî ha non solo ‘mostrato buon giudizio nella distribuzione del piano , dottri- na nello sviluppo delle teorie , chiarezza nella figurazione , ed acume nella risoluzione dei casi, ma elevandosi talvolta a più alte conside- razioni ha derivata la specialità di certe disposizioni delle leggi dalle diversità dei costumi , e dall’ indole dei popoli pei quali furon fatte, ed ha così con un caso pratico dimostrato all’ evidenza, che quelle , che han servito ad un popolo molti secoli fà , non posson convenire 140 dopo tante vicende nemmeno agli abitatori attuali dello stesso paese, non che a popoli diversi. Così quelle che in questa materia regolavano i Romani, di cui istituto di vita era l’ isolarsi nelle lor case, non posson più adattarsi ai costumi dell’ attual civiltà , che tende anzi ad accumunar la vita , ed a formar quanto più si può della città una sola famiglia. Lo stile poi, col quale l’opera è stesa, è dignitoso senza affettazione , chiaro senza verbosità , dotto senza affastellamento di autorità , e tale in somma da potersi offrire come un esempio del senno che dee presedere alla scelta del linguaggio e dei modi che convengono al soggetto che si prende a trattare, convenienza disgra- ziatamente così poco avvertita da chi in addietro nella penisola nostra imprese ad addottrinare il pubblico sn qualche argomeuto un po’ più grave di quelli che servono ordinariamente di soggetto alla poesia, alle cicalate, ed ai romanzi. T. Tonenur. Libro di Temi in continuazione al Prospetto Grammaticale della, Lingua Francese di Agostino LE Ranpu. Firenze, Cardinali 51831 in 8.° Il Prospetto Grammaticale della Lingua Francese, di cui altra volta si diede notizia, presenta, per usar le frasi dell’autore, i principii della lingua medesima secondo le lor diverse affinità ; il, Libro dî Temi pre» senta l’ applicazione di questi principii. Come nel Prospetto l’ autore ebbe continuo. riguardo e a’ princi- pii che la lingua francese ha comuni coll’altre e a quelli che le,sono particolari; così, e ancor più, fece nel Libro di Temi,;ove anche meglio che nel Prospetto potè rendere i secondi veramente etti Una cura, fra l’altre molte ch’egli ebhe , merita d’ essere special- mente notata, quella cioè ;di porre a fronte le parole di maggior uso della lingua francese e della nostra , per supplir, com°ei dice, all’inespe- rienza dei giovani, che indarno si studierebbero d’apprendere dai vo- cabolarii le lor vere proprietà. E un’altra sua cura lodevolissima fu pur quella di scegliere, per et mi, o fatti importanti o detti veramente morali, e sceglierli da scrittori classici, onde fossero esempi sicuri di lingua. Questi temi li ha correda- ti, com’ ei s’ esprime, di tavole semplificative e di note illustrative, sicchè venissero a formare , col Prospetto che già si disse , la, più completa, benchè la più compendiosa , fra le grammatiche finor co- nosciute. M. I4I Le vite di ConneLIo Nirore volgarizzate dal conte Antonio Saffi. Faenza , Montanari e Marabini 1830 in 12.° Le vite di ConneLio Niporr tradotte da Tommaso Azzocchi, col testo a fronte. Roma, Brancadori e C. 1831. in 8°° Chiaro, fedele, pulito il volgarizzamento del Caffi ; classica per ogni riguardo la traduzione dell’Azzocchi. Di questa traduzione già si eb- bero saggi gli scorsi anni,ed io- parlai di essi un po’div ersamente da quel che fò oggi della traduzione compita. Se gli uni non sono assai dissimili dall’altra (che or non gli ho qui, da poterli confrontare) io ebbi gran torto, e l’ebbi, mi è pur forza confessarlo; non per distrazione, ma per gusto non buono. Se poi son molto dissimili , dirò che alcuni anni di studio hanno giovato così al traduttore che a me, bench’io non mi tenga sicuro che m’abbian giovato abbastanza. Però non voglio dire che alcune coserelle , che pur nella traduzione compita non mi contentano intera- mente, non sieno ottime e da approvarsi. Esse potrebbero contentar- mi più tardi, ed io meravigliarmi una seconda volta dal mio giudizio mutato. Il traduttore è Cesariano risoluto o Davanzatiano ‘com’era il Cesari. Non fuggirà quindi, ne son certo, la taccia di prender tal- volta le voci e i modi di luogo nostrale ‘e ‘anche un po’basso. Questa taccia peraltro non gli darei io facilmente , or che sento , 0 parmi sentire, un po’ meglio che in passato ciò che richiegga la grazia vera, l’ efficacia ; la brevità. Più facilmente, forse, il’ taccierei d’al- cun che di ricercato odi ritroso; per valermi d’ una frase } ch’ e- egli usa , credo’, ne’ suoi Avvertimenti a Chi Scrive, libretto a cui poco manca per divenir classico anch'esso. Ma mi ritiene, com’io di- ceva, una giusta diffidenza, in faccia specialmente alle tante ed' òggi più che mirabili virtà della sua traduzione. Di questa‘ io non reclierò alcun brano, che già sarebbe nulla senza il riscontro del latino e un po’d’anatomia grammaticale tanto abborrita da’ lettori. “«Recherò piut- tosto qualche brano del suo proemio., ove ragiona 'de’suoi antecessori nel medesimo aringo (chè de’contemporanei, per non farsi, com’ei dice , pericolosa la verità , s’ astien di parlare ) e d’ onde apparisce abba- stanza com’ egli intenda l’ arte del tradurre, e qual strumento pos- segga per esercitarla. Ei parla primamente del Soave e del Soresi , ch’ei chiama d’ùn medesimo andare o quasi somigliante. ‘ Fortunato lui, dice del Soave., dopo avergli dato gran lode di quello zelo per l’ istruzione , che dagli elementi di metafisica il facea passare all’ ab- becedario ; fortunato, lui, se ‘avesse posto maggior cura nell’arte dello stile! ec. ec. Al Soresi, ei prosegue ‘‘ se non abbondò la mente come al Soave, non mancò peraltro uguale amore alle buone lettere, e col suo volgarizzamento egli fa fede .d’essersi bene intrinsicato nel suo, autore; ma, non avea durato punto fatica su quelle carte., delle quali dee farsi perpetua norma il traduttore de’classici. Imperciocchè, invece d’ emular Cornelio nella castità della favella e nel fior delle 1a grazie , egli si abbandona a locuzioni selvagge, non bada al siguifi- cato de’ vocaboli, e , fuor della chiarezza e d’un temperato giro nel- le clausole , cammina lontano’ dal suo originale. E perchè si vegga co- me al suo fare sì confaccia îl :mio dire, ecco la protestazio ne, per cni egli dichiara aver voltato. Cornelio secondo ‘lo spirito , e non secondo la lettera, e di non aver preso la lingua né nel Boccaccio nè da Fran- co Sacchetti , ma in quella che si usa a’nostri tempi ( nel 1763) in tut- ta Italia. Ha dunque egli stesso pronunziato la sua ‘condanna ec. ec. ,, Indi viene al Bandiera e a Remigio Fiorentino , i quali furono, com’ ei s’esprime, di ben’altra scuola. ‘ E la fatica del Bandiera osò (senza torne però la speranza di una migliore) dirla assai buona il Parini. In fatti a co- stui non falliva nè ingegno nè sufficiente pratica della nostra lingua ; e ìn ogni scritto egli scuopre d’aver cercato i buoni autori e segnata mente. il Decamerone, delle cui frasi armato volea tenere il campo della letteratura. Ma non tenne, gran cautela nell’ imitazione, e non ebbe squisito il. gusto ; da che; nel descrivere in carte. i suoi pensieri e gli altrui, egli il fà ognora colla boccaccesca trasposizione ;; e sudando per andar maestoso e severo; perde ‘chiarezza e. facilità ec. ec. ,, Re- migio;.com’ei dice da ultimo; .e il mostra, ,, se. avesse conosciuta fina- mente l’arte del tradurre , valea senza dubbio a segnare i riguardi nel presente .aringo. Giacchè non «ignora, le proprietà delle voci, nè lo scorrevole andamento del periodo; e tien, l’occhio tuttavia a non far buja la, narrazione per, conto della sintassi o delle parole antiquate: e quà e colà vi si paiono alcuni tratti di quella disprezzata leggiadria, che usata temperatamente. e .al caso fa bello lo stile. Ma non è severo nella fedeltà. al testo , che sovente lo stempera ; sovente lo scema, e più d’una volta lo sfuma ec. ec. ,, Così veramente non fà il Saffi, il cui volgarizzamento, già lodato a più riguardi, credo;che possa, per la sua chiarezza specialmente ; riuscire a’ principianti anche più op* portuno della traduzione dell’ Azzocchi. Ma questi s’ intrinseca assai più nell’ autore ,, e tanto gli serba de’ suoi. pregi estrinseci. o tanti gliene. dà ,.d’ equivalenti e convenientissimi ; che se. mai non segna que’riguardi , cui Remigio, com’egli pensa, per poco non segnò, fà dubitare che altrì sia\mai per segnarli meglio di lui. M. Per la inaugurazione del monumento eretto nell’ atrio interno del gran teutro della Fenice in onore di Carlo Goldoni, orazione recitata nel- P' atrio medesimo la mattina del giorno 26 decembre 1830 dal dottore P.\-A. Paravra. Venezia 1831, ed. Orlandelli, tip. Molinari; pag. 24 in 8.° ; Alla inaugurazione solenne di cotesto lodato monumento ‘del ‘va- lente prof. ‘Zandomeneghi, lessero'e il sig. Paravia 1’ annunziata ora- zione } ed altro discorso applaudito’ il ch. sig. avv! Comarolo , e 143 un componimento poetico l’ egregio autore di versi veramente degni di questo nome , Luigi Carrer. Bella ed imitabile testimonianza di pa- trio affetto, che onora, come il sig. Paravia dimostrò , e il gran co- mico veneziano e la riconoscente sua patria. Io non so , per dir vero, se ‘al busto di lui fosse luogo conveniente l’ atrio d’ un teatro , dove al buon gusto drammatico si fa continuo insulto con quelle scioperate opere in musica ; dove la parola non ha senso per servire alla tiran- mide della melodia, e la melodia nondimeno , come sogliono sempre fare i tiranni; insulta per mero capriccio il poco o nullo significato della serva parola. Non so se una. donna e un genio piangenti, un leone sdraiato, un busto , e una maschera comica, sieno simboli molto originali, che ben si confacciano al genio d’un comico moderno, e che parlino all’ immaginazione e all’affetto. L'arte moderna, felicissima nella parte esecutiva, dell’inventiva non suol temere gran conto ; quindi ogni poesia e dalle tele e dai marmi quasi affatto sbandita. Ma di ciò veggano gli artisti valenti; tra’quali l’Italia ha ormai numerato il prof. Zandomeneghi. L’orazione del dottor Paravia fu gradita dal pubblico veneziano in quel giorno solenne : e ogni lettore vi loderà, speriamo, la facilità e la decenza dello stile e del numero, modellato sugli esempi del Bar- toli e. del Segneri, che , in mezzo ai loro difetti , son pure due de’ più felici prosatori che vanti l’Italia. } K. X. Y. Istoria della letteratura greca profana di F. Schoéll recata in italiano con note ed osservazioni critiche dal dott. Emrrro T1parpo, professore nell’I. Collegio di Marina. Vol. VI. parte unica pag. 276. Venezia, Antonelli 1830. Se la storia dello Schoell si riguarda come un repertorio di notizie e bibliografiche e letterarie , che possono tornar comode e all’ erudito e all’indotto, è opera molt’ vitile e che mancava all’Italia. Se si riguarda alle non poche notizie raccolte dal sig. prof. Tipaldo nelle sue note, per correggere o ribattere od ampliare le date dallo Schoell, e alla disinvolta e italiana maniera del suo tradurre , si troverà che il suo dono è meritevole di doppia gratitudine e lode. Ora ch’egli ha felice- mente compita la lunga fatica, potrà con maggiore libertà dedicarsi ad altri lavori che onoreranno e la Grecia della quale egli è figlio aman- tissimo , e l’Italia a cui per vincoli di domicilio , d’ educazione , di studi e d’ amicizie appartiene. Il primo volume dello Schoell era dedicato al suo degno amico e cognato , il cav. Mustoxidi: l’ ultimo è intitolato ad Elena Berni, rara fanciulla la cui morte da quanti la conobbero fu di cuore compianta. Que- sta consuetudine nuova di dedicare i frutti dell’ingegno:non alla stolta opulenza e alla potenza corruttrice ,, ma al merito ed alla virtù , è bello 144 indizio e dell'animo di chi ne porge l’ esempio e della migliorata con- dizione delle lettere nostre. K. X. Y. La Danza, carme di EmmanveLE Gius. QUINTANA, recato dallo spagnolo in versi italiani da P. A. Paravia. Venezia, Antonelli 1831: p. 16. Bel tema la danza! Ma converrebbe considerare quest’ arte non qual è, bensì quale potrebbe divenire , e quale diverrà forse un giorno. Qual è a’giorni nostri nelle più colte parti d’Europa, non è d’ ordina- rio che mediatrice od interprete di pericolosi affetti o di passioni vili : qual potrebbe divenire , è la bellezza posta in movimento, la grazia ad- destrata dall’arte, l'amore verecondo reso più franco insieme e più timido dalla giovanile innocenza. Considerata come esercizio ginnastico, come vincolo di familiare concordia, come avvivatrice delle pubbliche solen- nità, come simbolo e rappresentazione delle grandi memorie istoriche, e delle religiose ancora (qual era ne’riti giudaici), come animata ministra ed emulatrice della pittura e della poesia , la danza è una delle più originali e delle più belle e delle più profanate tra le arti ; e di quelle a cui nella civiltà avvenire si preparano forse più lieti destini. I versi del poeta spagnuolo non la riguardano di tant’ alto. Non mancano però di qualche leggiadra immagine, di qualche affetto gen- tile ; degnamente espresso dal ch. sig. Paravia » » * » ad ogni nota Con novella postura e novo passo Risponde ; e tal d’ una beltade in altra Agil trascorre, che terren non tocca. Se al cessar d° un leggiadro atto sospiro , Un atto più leggiadro ecco mi porgi. Tal, se ’1 suo variopinto arco dispiega , L° uno a l’altro color soavemente Iri mesce e confonde : e tal , nel lieto April di gioventà, da quel che muore Un novello piacer germoglia e cresce. .- + + Invan mi fuggi, invano Ti rubi al guardo , se in te sola assorto , Persin ne la quieta ora del sonno , Bellissimo il pensier mi ti dipinge. Gome l’ incanto , che da se si move, Il cor mi lega! O celere trasvoli Dall’ uno a l’ altro fior la ferfalletta , O rida il fonte che di sasso in sasso Gheto si volve, o placida susurri Tra fronda e fronda la cortese auretta, 145 Dove che grazia spiri e gentilezza , Ivi fu Cinzia , in mio pensier ripeto , E veder Cinzia in mio pensier figuro. Seguiti il sig. Paravia con coraggio a tradurre in questo modo cose spagnuole e francesi e inglesi e tedesche e greche e latine ed arabe e illiriche se meglio gli piace. Saranno sempre agli amici del bello graditi i suoi doni. KO Sermoni di Jacoro Antonio VraneLLI. Venezia, Picotti 1830. Il ch. sig. Paravia in occasione di nozze pubblica questi tre ser- moni del Vianelli, che fu scolare ed amico dell’ab. Angelo Dalmistro, il quale ab. Dalmistro fu scolare ed amico di Gasparo Gozzi. E della scuola Gozziana sono appunto questi versi del giovane magistrato , rapito , non è molto , alle lettere. Il primo dipinge la puerile imita- zione di abito e di portamento militare, sorta a certi tempi in Italia, e che , al par di tutte le imitazioni , sortì miserabili effetti. + + + +. + » E queste sono L’alte colonne a cui s’affida il peso De la mal ferma vacillante mole Che a libertà risorge ? E v° è chi, senza Paventar del vicin crollo , la testa Fra le braccia del sonno adagia, e dorme? «+ + + + + + E in poco d’ora Perduto il primo timoroso istinto Lepri e conigli le magnanim?’ ire Sbuffano de’ lioni ? A questa etade Erasi dunque dal destin serbato Così nuovo miracolo P_. ... Il secondo sermone è una lettera familiare ad Angelo Dalmistro ; il terzo tratta delle occupazioni dell’ autore forensi e domestiche. S’ egli fosse vissuto più a lungo , certo avrebbe alla spontaneità del terso stile saputo congiungere forza maggiore e maggior solidità di pen- sieri. Se del resto il sermone sia genere destinato ad alti onori ; se sia grandemente poetico , e caritatevole ; se ogni sorta di lettori possa gustarlo come si gusta la viva e vera poesia , quest’ è che noi lasciamo decidere ad altri più coraggiosi di noi. K. X. Y. Giovanna d’ Arco tragedia di FeperIco ScHILLER : traduzione del ca- valiere Anprea MaAarrer. Milano , per gli editori degli Annali uni» versali , Tipografia Lampato 1830 , pag. 247. La facilità , la dolcezza , l’ eleganza, la dignità , l'evidenza son pregi assai noti nelle traduzioni del signor cavaliere Maffei: talchè , T. III Agosto. i 19 140 se non fosse debito d’un giornale I’ annunziar le migliori opere che vengono uscendo , certamente sì potrebbe omettere come inutile al- l’ esito del libro la raccomandazione de’critici. Noi con queste brevi parole adempiremo un sì grato dovere, affermando che nella Giovanna d’Arco l’egregio traduttore, senza nulla perdere di decoro e di grazia, aggiunse al suo stile nuova franchezza: nè l’occhio stesso dell’invi- dia potrebbe rinvenire altro da notarvi se non qualche leggera pro- lissita, o qualche voce bandita dall’uso e forse non necessaria all’ e- spressione fedele del suo concetto. Que’pochi del resto, che non cono- scessero come traduca il signor Maffei , lo potranno giudicare dai versi seguenti : N +. + + + Ecco la piena Della tua giovinezza ; ecco 1’ aprile Degli anni tuoi : giunta è per te la cara Stagion delle speranze ; è schiuso il fiore Delle belle tue forme: e non per questo Golle belie tue forme aprirsi io veggo Il germe dell’ amore , e nel tuo seno Maturar lietamente in aureo frutto. Oh questo non m? è caro ! Un infelice Travolgimento di natura io temo. Caro , o figlia, non m’è che freddo e muto Negli anni dell’ amore il cor si mostri. Raimondo. Lascia che la segreta opra del tempo Nutra 1’ amore nella mia Giovanna. Esso è un tenero senso , un prezìoso Frutto del cielo ; e nel silenzio cresce Il tardo fior delle gentili cose. Or la tua figlia i gioghi ama del monte , E dall’ aperta libertà de’ campi Discendere non osa alle ristrette Capanne de’ viventi , umile asilo D’ anguste cure. Attonito talora Dal fondo della valle io la contemplo Starsi eminente fra la greggia in vetta De?’ pascoli elevati , e collo sguardo Spaziar , la severa , i più remoti Angoli della terra : e veder parmi Una diva apparenza , una venuta Da secoli lontani..,.... La parlata di Giovanna nel prologo contro la dominazione del vincitore straniero; l’addio di lei alle solitudini amate; le parole di Carlo in lode de’cantori di corte; i conforti d’ Agnese a Carlo perchè s’ accinga daddovero alla guerra ; i lamenti di Carlo sulle miserie del trono , e tutta quella scena sesta dell’atto primo; il racconto di Gio- vanna dinanzi all’arcivescovo e al re; una scena di rimproveri tra il duca di Borgogna e i capitani d’Inghilterra ; le parole d’Isabella con- 147 tro il medesimo duca; il soliloquio di Montgomery ‘nella scena sesta dell’ atto secondo ; la risposta di Dunois al suo rivale che gli oppone la ignobiltà di Giovanna; la terza scena e la quarta dell’ atto terzo, e la settima ancora; e la quinta del quarto , e la. nona; e la quarta del quinto , e la undecima infine , che sono , al mio vedere, le parti più belle del dramma, son quelle appunto dove la maestria del traduttore fa miglior prova di se. Continui il sig. cav. Maffei ad onorare di tali doni le lettere italiane ; ci faccia , se crede opportuno , conoscere al- tre opere drammatiche o liriche d’altri grand’ingegni stranieri; e i lavori di lui, ben meglio che molti ragionamenti , varranno ad estirpare certi vecchi pregiudizi non meno vergognosi che ingiusti. Mavi ya Poesie di Lurer CarrER. Padova , dalla Minerva 1831, p. 102. Quando noi affermiamo che queste poesie meritano veramente d’es- ser lette, vorremmo che i lettori intendessero la nostra lode non come ufficiosa 0 compassionevole o accompagnata da restrizioni mentali, ma come sincera e liberissima c piena. E perchè le lodi a’ di nostri date al talento poetico sogliono al più de’ buoni giudici, e non immerita- mente, parere sospette, però veniam subito alla prova , e pigliamola da un componimento dove l’ ottava rima ci par maneggiata con lirica felicità , in modo nuovo. Chi per tempo al viaggio s° apparecchia E coll’ anima in terra non dimora, Giovine mai non fu, mai mon invecchia ; Poco s° allegra e poco s’ addolora ; All’ alta melodia porge 1’ orecchia Ghe vien come da cetera sonora Dalle celesti sfere or dolce or grave , Sotto la man di Dio che n’ ha la chiave. Quasi larve fugaci in aria impresse Vede passar le immagini terrene , Nè del mondo le misere impromesse Il piegan dalla via che dritta ei tiene : Son , quai cagioni a ben mertar concesse , Gari gli stenti a lui, care le pene ; Nudre semplici voglie e pensier parchi ; Tocca il fango terren tanto che il varchi. La secreta virtù che informa e gira I men nobili cerchi e i più superni Intender già non puote uom che delira Dai color vinto e dagli aspetti esterni , E chi dei sensi oltre il confin non mira. E quando sembra pur che più s’ interni , 148 Da mille dubbi avviluppato e stretto, E su’ignoranza a confessar costretto. Nostro intelletto poco o nulla afferra Di tante maraviglie e sì stupende : Quindi ipotesi e ciance e rabbia e guerra ; E chi presume più, meno ne intende. Ma quei che mansueto il guardo atterra Nè ad indebiti voli i vanni stende, Quel ver, che altrui costò travaglio tanto , Senza punto cercar sel trova a canto. Il lettore, che, invogliato da questo saggio, amerà gustare il piacere della intera lettura , troverà , speriamo, ne’ versi del sig. Carrer molta pieghevolezza di numero ed uguaglianza di stile , sceltezza d’immagini e gentilezza d’ affetti. L’ autore di tali versi ha una via bella e splendida aperta di- nanzi a se. La percorra. Consacri il canto non solo agli affetti in- dividuali dell’ anima sua, che non possono trovare un eco in tanti caeri preoccuppati da gravi cure , da passioni pubbliche , da sublimi interessi: lo consacri alle ragioni universali della verità, della patria, della religione ; e n’ avrà in ricompensa , noi possiamo augurarglielo , quella popolarità ch’egli è degno d’ambire. Uscir di se medesimo , e parlare al maggior numero possibile di uomini , egli è il più dolce , il più proficuo , il più sacro dovere e del buon poeta e d’ ogni vero scrittore. K. X. Y. Breve Dizionario di Mitologia , compilato sui migliori Autori. Padova dalla Minerva 1831, p. 400 in 24.° Giova conoscere , giova studiare la mitologia , non come elemento poetico ma come parte d’ antichità , come deposito delle primitive tra- dizioni, come documento prezioso della storia dello spirito umano. Non per istudiarla a fondo, ma per conoscerla quanto è necessario all’ intelligenza di certe allusioni, giovano i brevi compendii, quale è questo del sig. Angelo Sicca, compilato con cura. Resta ; è vero , qualche erroruccio da correggere; come Abarite per Abari, Abeone per Abeona , e simili: ma tali imperfezioni sono, come ognun sà, quasi ine- vitabili in siffatti lavori. La parte delle mitologie diverse dalla greca e dalla latina è toccata quà e là: ma non era questo lo scopo dell’an- nunziato compendio. E in simil genere son necessarii lavori assai più lunghi e difficili. Il benemerito e intelligente editore dedica il suo libriccino al sig. B. Gamba, altro ornamento della tipografia e della bibliografia italia- na, suo estimatore sincero ; letterato d’antica lealtà , di quella lealtà che comincia a parere desiderabile a tutti ed in tutto, perchè la società 149 intera è stanca di discordie e di diffidenze. Egli, il sig. Sicca, sta ora preparando la raccolta di tutte le varianti finora pubblicata della Di- vina Commedia , con di più quelle ch’ egli estrasse da quattro codici del Seminario di Padova. Quest’utile lavoro, che risparmierà molte inu- tili ricerche e dispute e ristampe, giungerà certamente gradito a tutti gli amatori di Dante. K. X. Y. Joannis Meli ec. Poesie siciliane di Grovannr MELI tradotte in latino da Vincenzio RarmonpI, socio di molte accademie, con altri versi la- tini e iscrizioni del medesimo traduttore : seconda edizione corretta. Palermo , Tip. Pedoni e Muratori 1830 : pag. 122. Declamare contro 1’ abuso delle scritture vernacole sarebbe ormai soverchio lusso di zelo e di sdegno , ora che fino i dialetti parlati dall’ infima plebe si vengono gradatamente dirozzando , e s’ accostano un poco alla lingua che anni fa chiamavasi illustre. Giova piuttosto ( perchè gli uomini dall’un eccesso trascorrono facilmente all’ eccesso contrario ) giova raccomandare la compilazione di nuovi dizionarii che sieno quasi depositi della favella parlata da’ padri nostri ; raccoman- dare lo studio de’ varii dialetti come elemento della storia dello spirito umano. Se a ciò s’ aggiunga il merito dello scrittore , più proficuo e più grato riesce lo studio. Le poesie di Giovanni Meli son note per la dolcezza quasi virgi- liana , e per altri pregi che appariscono anco agl’ inesperti del sicilia- no dialetto. Il sig. Raimondi volle farle meglio conoscere a questi per via d’una traduzione latina, molto pregevole. Ma egli potea forse omettere la traduzione di quel sonetto mitologico a Pane, che finisce con una imprecazione nè molto caritatevole nè molto poetica. E si qualcunu la. tua bili ’un timi Fallu viva manciari dalli cani. Il traduttore ha caricato la dose, dicendo di più : Trade illum canibus , viscera qui lanient. Ma ]l’ istinto d’imitazione è così prepotente cosa e così singolare, che nè il poeta nè il traduttore avranno, nell’atto di versificar quell’idea, provato alcun ribrezzo nell’ anima. Se questo fosse , e’ non l’avrebbero scritta e stampata. K. Y. X. Guida al lago di Como ed alle strade di Stelvio e di Spluga , con carta del lago e diciotto vedute : in italiano e in francese. Como , pei figli di Carlantonio Ostinelli stampatori provinciali 1831 : pagine 120. Rara cosa una guida scritta da un uomo di lettere , fornita di esatte notizie storiche , e calda di nobili sentimenti. Per saggio dello 150 stile, rechiamo nn picciol tratto della descrizione di quella strada che chiamano dello Stelvio. ‘ È un continuato serpeggiare della via sopra il pendio del monte, con dolci curvature e lunghe rette , e difesa sempre da una parata ; il che ci trasporta coll’ immaginazione da questa severa arditezza al- l’ amenità dei gradinati giardini genovesi. L’orrore passato, il precipizio sottoposto , il nudo squallore delle montagne , il rombazzo ed il bian- cheggiare di varie cascate, il confronto fra la bellezza presente e le vinte difficoltà , fanno tale un incanto che non può a parole spiegarsi. E quando di là scenderanno gli eserciti dei padroni oppure dei nemici dell’ Italia , il brulicare delle squadre , il loro spiegarsi per quest’am- pie svolte di rapidi sentieri, lo sventolare delle bandiere , il traino delle macchine , il luccicare delle armi, lo scalpitare de’cavalli, il suono dei tamburi ripetuto da cento echi , qual formeranno scena gran- diosa , mirabile! = Ma chi la guarderà dall’ Italia, chi penserà alle arsioni, alle stragi, alla violenza, alle vane speranze ed ai veri danni... Povera patria! L’ egregio autore poteva ben fare di questa guida un libro poe- tico, un libro d’ arte : a lui bastò per ora di fara la più amena e calda di tutte le guide d’Italia. I lettori poi, resi da lui più esigenti, cominceranno a cercar nelle guide un pascolo più abondante all’ima- ginazione e alla meditazione e all’ affetto. Finisce il volume coi morti di Torno , leggenda di due naufraghi amanti : dove, narrato che ebbe il caso , conchiude: Cè nessun fra di voi che sia padre ? Ha nessuno perduto un suo caro ? Il lor padre , la povera madre Deh pensate che doglia provaro! I garzon, le piangenti donzelle Li fiorîr di viole e mortelle. E il suffragio per essi offerendo , Ne composero in uno le salme. La sant’ acqua i leviti spargendo , Luce eterna pregarono all’ alme. Quella croce ed un carme pietoso Mostra il suol del congiunto riposo. Lungo tempo ogni padre alla sera, Quando in mezzo de’ figli adunati Ripetea l’ uniforme preghiera , Disse un pater pei fidi annegati: Chi vogando la croce rimira Prega requie, e passando sospira. Pi Siffatte leggende popolari possono acquistare utilità ed importanza dalla moralità dello scopo: e gioverebbe che a simili componimenti il sig. Cantù dedicasse il suo limpido ingegno. K. X. Y. ScoprertA BisziocrAFICA. «= Leitera ad un Amico. Fra i codici dell’ill. sig. march. Giuseppe Pucci, ve n’è uno bel- lissimo in carta pecora , in cui, alla solita foggia di finestra, la Divina Commedia si vede attorniata dal così detto Ottimo Comento, che, gra- zie alle fatiche del sig. Al. Torri, da pochi anni abbiamo alle stampe. Questo codice , oltre all’essere utilissimo sussidio per poter correggere glì errori del testo Laurenziano, seguito nell’ edizione pisana, offre in fine del Purgatorio , al di là del quale non procede, una noterella che mi sembra piuttosto curiosa. ‘ Quando, dice il postillatore latino, senza dubbio assai più recente di chi scrisse il libro , fuit compositum hoc commentum? cod. a carte 42. ( Inf. xrx. 115. p. 355 :) xvIr. martii MCCCXXX. ITI. (Quis fuit auctor commenti , qui vidit et alloquutus est Dan- tem? cod. a carte 29. (Inf. x111. gr. p. 243.:) Fuit cancellarius de Bo- ‘“ niente nonia. L’ amanuense , come si vede , ha saltate le parole : meno ser Graziolo dice ,, con cui l’ Ottimo introduce un brano de’ commenti di ser Graziolo de’? Bambagioli cancellier di Bologna, e non ha ritenute che le altre ( verso la fine della facc. 248. della stampa ) « Infino a quì è chiosa del cancellier di Bologna ,, Or queste parole poteano per se medesime far supporre al postillatore latino che, se non tutte , molte almeno delle chiose antecedenti fossero del mede- simo ser Graziolo. Oltre di che egli vedea l’ autor dell’Ottimo, quan- tunque vicinissimo all’ età di Dante , riferirsi spesso a quel chiosa- tor anteriore , sicchè poteva esservisi riferito anche quando nol no- mina. E forse, avendo già avuto fra le mani le chiose di ser Graziolo , vedeva che ciò infatti era più d’ una volta avvenuto. Quindi facil- mente s’ indusse a credere che l’ Ottimo Comento e le chiose di ser Graziolo fossero |’ istessa cosa. E noi pure , non conoscendo che l’Ot- timo , potremmo rimanere incerti della sua originalità ; se non che il caso mi ha alfin fatto scoprire i comenti di ser Graziolo. Questo chiosa- tore , se non l’ antichissimo, almeno, per quanto provano le cita- zioni dell’Ottimo , uno dei più antichi comentatori di Dante (vedi, oltre al passo già lodato , la chiosa all’ Inf. vir. 89. facc. 191. della stampa ) , questo chiosatore , dico , ricercatissimo dal Bandini, dal Dionisi, e da più altri, giace tuttora inedito in un codice della doviziosissima Laurenziana , Pl. XL. cod. 7. Chè, sebben non segnato del nome dell’ autore , pure questò codice facilmente si riconosce co- me contenente l’opera di ser Graziolo, non tanto per la spessissima cor- rispondenza coll’ Ottimo , alla di cui emendazione potrebbe servir he- nissimo, quanto per trovarvisi letteralmente ripetuto tutto il passo , che nell’ Ottimo s’ attribuisce a ser Graziolo. Sappiate per altrò*, che questo fatto , che non mi sembra privo d’interesse per la storia lette- raria di Dante, non fu da me verificato , che negli ultimi momenti, prima che fossero chiuse non pur la Laurenziana, ma anche la Ma- gliabechiana e la Riccardiana. Scusatemi dunque, se invece d’ in- 159 viarvi i luoghi correspettivi , vi prego di confrontar da voi quei tan- ti passi che nell’Ottimo banno bisogno d’ aiuti critici. Osservate pe- raltro, che i comenti di ser Graziolo , cui già pel suo trattato delle Virtà Morali fù posto altro nome ( quello del re Roberto ) e ch’ ebbe a secondo imitatore Jacopo figlio di Dante, non si trovano facilmente fuori della Laurenziana e della Mod. Palatina. Non v'è dubbio che questi importantissimi comenti precedano di più anni l’età dell’ autore dell’ Ottimo , che non solamente li cita , ma parla di se medesimo come d’uom giovane (vir. 89), e sì dice cancelliere di Bologna, mentre che sappiamo , che ser Graziolo, o per dir meglio ser Bonagrazia , era già esiliato nel 1334. State sano , e ragguagliatemi di quello che ulterior- mente scoprirete. Amatemi come vì amo. Firenze , 7 Ottobre 1831. CarLo WiTTE. IMPRESA LITOGRAFICA IN VENEZIA. Un felice accidente additò la litografia: l’umano ingegno se ne fe- ce arbitro , e la rivolse al servigio delle buone arti. Condotta da mano sagace multiplicò tosto i portenti della pittura, propagò le composi= zioni insigni, soccorse colla tenuità dei prezzi il bisogno degli artisti, e con una sembianza mirabile di originalità i disegni de’prodi mae- stri imitò. A Vienna specialmente, e a Monaco di ‘Baviera, famosi ar- telici si applicarono a quest’arte , e giunsero a tanta finitezza e bra- vura di meccanismo, che .l’eccellenza del bulino emularono: L’incisione, per quanto sia arte nobilissima e maravigliosa, ha sco- gli insuperabili: la grande magia del chiaroscuro , la pompa del colo- re, la perdita de’contorni in una aggradevole soavità d’impasto , la fluidità, il tocco ardito , le forti rissoluzioni di effetto, in somma la maniera di esecuzione singolare ad ogni classico maestro , difficilmente sì può imitare dall’ incisione anche trattata dai bulini più pratici. Un solo Italiano, sommo in quest’arte, è giunto a spogliarla d’ogni sospetto di crudità. Per quanto esimj siano molti , resero sempre al- cun tributo alla durezza del ferro. Perciò l’incisione accolse con più sorriso , e riprodusse con più fortuna que’lavori , che sono. maggior- mente commendati per la bontà del disegno, per la filosofia della composizione , per gli spiriti delle figure , e pel grande stile, come so- no i capi d’opera delle scuole tosca e romana. La perfezione intrin- seca di questi monumenti, dipendendo dal fondo del sapere artistico, ha potuto significarsi col bulino, perchè la sapienza dell’ arte è parte luminosa per sè medesima, eterna, e indestruttibile : Ma le doti del genio e del cuore, e molto più la bravura della mano, rare volte è stato dato anche agl’ incisori più preclari restituire. La litografia è venuta in soccorso dell’ incisione , per supplire a quello, a cui essa difficilmente aggiungea. Questa scoverta, abbellen- dosi della morbidezza e trasparenza di una tinta oleosa, e serbando OSSERV AZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL'OSSERVA T.ORIO XIMENTANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Abto'sopra il'livello idelmare piodi'x05: : a LI 223,1! .,20;2] 70,1 Ù AGOSTO 1831. ; Ò + ou Termom. & mu > bevi se dol. Vi AS ME I di jo ‘Ora pd O) 7 s.| es _ Stato del cielo 3 @ Seli melo Rae ooo è DI E; 5.1 5.|] © ? St | dogimat. {274 1161) 23,3 20,6! 78 |: Sciroc. | Sereno con neb.: Calma | mezzog. |27. 1p;9.i 23,5! 24,0! 57 P..Ma. Nuvoloso Ventic. rnsera |27. 11,8 | 24,0! 2150 82 Ostro' . Sereno :Nuvolo . Calma il sgemat. |27. 11,7 | 23,4| 19:35] 89 Maest. : |Sereno:con neb.: Calma 2| mezzog. |27. 11,8 |/23,7| 24;0| 57 P. Ma. {Nuvolo ser. Calma | | xr.sera |27:011,9|/24;1| 21,5] 7 Os. Li, |Sereno bel. Calma | {| 7.nfat. |27. 153: ‘23,8 120;1 85/|. |P. Mae, |Sereno nuvi Ventic. } 3| mezzog. |27. 11,9 .|//24,0] 24,5]/61.|. |P: (Lib. 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ASI Sagzio dell’ origine e del progresso de’ costumi e delle opinioni. al mes (de desimi pertinenti, di Iacopo Stellini ; valg. ‘di Lod. Valeriani. de se ca (0. Marzuechi) »” Fi RivistA LETTERARIA, = Linussio. Corrispondenza scientifica , pu Dt, eg — V. Cicornara. Biblioteca fi *rrarese, p. 130. .— Monterossi. Bn-- tologia italiana, p..131. = Davanzati. Scisma d'Inghilterra, p. 132. — Davanzati. Avvertimenti civili e letterari , p. 1133. — Venan-. i zio. Della calofilia, p. 134. — Piccoli e Gherardesco. Le servità prediali sanzionate dal codice Napoleone , p. 136: — De Angusti- ris. Delle servitù fundiarie., p. 139. — Le Randù. Temi francesi, p- 140..— Azzocchi e Cuffi. La vita‘di Cornelio. Nepote, volg.,. p..141. — Paravia. Per la inaugurazione di un monumento eretto. S st teatro: della Fenice, p. 142. + Schoell. Istoria della letteratuita > | x greco-profana, volg, di G Tipaldo, p. 143. — Quintana. La Danza, | ©’ Carme. p- 144. — Vianelli. Sermgni 3 Pi 145: i Maffei. Traduz, della Giovanna d’Arco , di Schiller , p. 145..== Carrer. Poesie, p- 147. — Dizionario mitologico., p. 148. = Meli. Poesie siciliane , p- 149. Guida al Lago di Uomo; p. 14g. C. Witte. Scoperta hitkiogiabre, | p. 151. — Litografica impresa in PRAGA: 1 pae; pri NrecroLocta. Guglielmo Roscoe. (M) 1 AJ Nuovo Giornale Ligustico. i (11 Dir. dell Ant 35 Bullettino bibliografico, —. . Das Tavole meteorologiche, i G AN TOLOGIA — GIORNALE DI a 9 del 2. Ù Decennio | Settembre 4851. 3 Gabbo © di LBenlro. CET FIRENZE AL GABINETTO SCIENTIFICO E LETTERARIO pi G. P. VIEUSSEUX Direrrors e Eprrorr TIPOGRAFIA DI LUIGI PEZZATI. L’ ANTOLOGIA | si pubblica ogni mese pet fascicolo non "tainore difogli 10, | Tre fascicoli compongono un ‘volume. ed ogni si uri C logie da da un Sa) indice generale delle materie. È |‘ Le associazioni si prendono In FIRENZE; dal Direttore Editore G. P. Vieusseux. in MILANO, per tutto il regno’ ‘dalla Spedizione delle Gazzette, Lombardo Veneto $ presso lI, e R. Direz. delle Poste. in TORINO i per tatti li Stati Sardi, presso il sig. Luigi Croletti, Soleil dae o GENOVA R. Poste di Torino. in MODENA pa SEA presso Gem. Vincenzi e C.0 libr. in PARMA | RO ‘presso il sig. Derviè direttore delle Poste. in ROMA; per tatto lo stato Pontificio, presso ilsig. Pietro Capobianchi, impiegato . nell’ammipistraz. gen. delle Poste Pontif. in BoLoGnaA, > presso il sig. Direttore delle Poste. ta Peano sd TA («presso Annesio Nobili è «in NAPOLI, ie: presso Ambrogio Piocaluga , Strada S. Liborio N. 33. in PALERMO , per tutta la Sicilia presso il sig. Carlo Beuf. in AUGUSTA SAGA: presso la Direzione delle Gazzette. in VIENNA; per tutto. |’ Draper Austriaco, ‘dalla: Spedizione delle Gazzette , presso 1° Z. e.R. Direzione delle Poste. | in GINEVRA p Da “presso JJ. Paschoud. in PARIGI presso J. Renouard Rue de Tournon N. 6: È in LONDRA presso C. F, Molini N. 41 Paternoster Row: .d VR 1 7 o I MATO CRI 1 NE Posen st " _- | n AAA ZAN SLI taRaZzIa 4851. Ò A er, ADANI LANA AAA ADANI ONLITOTI PDAIIAA ANI AI I grandi e rapidi progressi della civiltà europea da tre secoli in poi hanno rinnovato fra i popoli dell'occidente, con altre forme per vero, ma nel fatto quella stessa maniera di vivere in pubblico degli Elleni, frutto principalmente delle leggi di Solone, che produsse l'avidità di sapere, l’ attica ‘finezza di gusto, e le cognizioni, retaggio prima di tale epoca di caste privilegiate, rese pubbliche e di comun diritto. A tale odierno accresciuto bisogno di convivere e di conversare, ori- gine a vicenda e conseguenza del perfezionarsi dell’uomo, nuovo e gran- dissimo impulso provenne altresì da quel vortice di eventi che da più di mezzo secolo, incominciando dal rivolgimento di una; delle Americhe; mise a soqquadro tanta parte di mondo, molti scompose degli ordini an: tichi, ne addusse in sì grande quantità di nuovi, e tanto lasciò lievito di desiderj. gin Predominante fra questi è il bisogno di sapere: nel sociale consorzio reso sì frequente ed intenso si discorrono ad fin tempo coi più cari e più sani interessi dell'umanità, e le frenesie d’un indefinito perfezionamento, e quell’avvicendarsi degli stessi umani casi con aspetti diversi che dicesi storia, e de’ viaggi si parla, delle scoperte, delle ricchezze tutte in fine acquistate alle scienze da quattro secoli di studj i più indefessi e più di- ligenti. Ma tale dovizia di lumi, tale varietà di cognizioni ognor ricorrente nella vita sociale, in cui ognuno introduce la sua porzione di sapere il più delle volte espressa ne’ positivi modi dell’ aforismo, converte per la maggior parte in sensazione di pena quello stesso diletto dello spirito di cui la vaghezza trae l’uomo, allorchè egli è incivilito, con irresistibile in- eentivo a ricercare il commercio de’ suoi. Di fatto ogni uomo è costretto ad eleggersi una condizione ed a tener- sì per entro al cerchio delle cognizioni che le sono peculiari, mentre ad ‘un tempo la civiltà lo rende vago di trascorrimenti eccentrici a quel suo cerchio. Quindi laddove la civiltà trovato non avesse a ciò rimedio, egli sarebbe costretto a credere pressochè ad ogu'istaute alle asserzioni altrui; ericadrebPe quasi nel credevole bujo delle età anteriori all'inoivilirsi del- la Grecia, quando la scienza era confinata nelle latebre del labirinto, se non arcanamente scolpita sugli obelischi e sulle piramidi, o custodita ne* penetrali di Samotracia e di Eleusi. Si consenta al fin qui detto la chiarezza d'un esempio. Nel conversa- re il discorso si volge con perpetuo circuito sui più disparati oggetti. Av- verrà di sentir mentovare, poniamo il caso, nel breve corso di una sola se- ra — Urano — Lope di Vega — Spedizione al polo nord — Cedole di stato — Regno animale — il Santo Sepolcro — Nostalgia — Hofwyl — Dom Remy — Covenant — Etnografia — Misure d’ altezze — Residui organici — Borghi diroccati d’ Inghilterra — Rennie — Teocrazia — Vulcanisti e Nettrnisti. — Non è forse evidente che pochissimi essere possono gli uomini dotati ‘di sì vaste cognizioni che valgano a far loro comprendere il significato storico o scientifico di quelle voci tutte, non che a discutere gli oggetti che ricordano e giudicarne ? I dizionarj scientifici, ‘de’ quali giudiziosamente sentenziò d’ Alem- bert che ad essi in gran parte vuolsi attribuire dopo il risorgimento delle lettere la diffusione del sapere nella società, non rimediano all’ inconve- niente che descritto abbiamo più sopra e fatto palmare con l' addotto e- sempio. Confina quasi con l'impossibile la difficoltà che siavi alcuno prov- veduto di tanta copia di tali libri quanta sarebbe necessaria per cerca- re in quelli a cui si riferiscono le varie materie la soluzione de’ quesiti che sorgono nel conversare e restano non risoluti nella mente: e fra essi le Enciclopedie, che più di tutti sembrano espedienti per risolvere tali dubbj, o sono in molta parte antiguate per modo che andrebbe errato quegli che di rinvenirvi credesse lo stato attuale delle cognizioni, e d' il- luminarsi appieno sugli argomenti di cui ha udito parlare e di che gli oc- correrà nuovamente e spesso di favellare, 0 se pur sono recenti, come l’ Enciclopedia moderna compilata in Francia sotto la direzione del dotto Courtin, nell’ uso si si avvede come lasciano non appagato il bisogno di una fidata guida, chè fidata guida esser non possono libri scritti o con un determinato fine, quale sarebbe l’orgoglio nazionale di niostrarsi sugli al- tri popoli preminenti, o con intemperanza tanta nel dire di alcune cose, e spesso con mala scelta, che uopo sia accorciarne di più essenziali ed om- metterne. Sentita fu primamente in Germania la necessità di comporre un li- bro che fosse un Dizionanio DEL viver sociALE, ma di cansare nel lavorax- lo li scogli d'un’ inconaoda fafragine di volumi, d'un eccessiva spesa, è dî una conformazione che nè invecchiato il rendesse dopo un certo corso dì anni come le Enciclopedie, nè libro peculiare il facesse di un ramo di co- gnizioni, e non un riassunto di tutte. Ivi fino dall'anno 1796 ideato venne un Lessico PERLA conversAZIO- E, in cui registrata fosse la somma di tutte quelle parti dello scibile di the suol occorrere e ricorrere il bisogno di aver contezza nel conversare. Soprappreso dalla morte il dotto Lòbel che l’imaginò, non venne in luce se non nel 1809 la prima edizione in 8 volumi di tale utile lavoro per cu- ra di Federico Arnoldo Brockhaus, uno de’ più insigni fra quegli stampa- tori e letterati ad un tempo che rinnovano nell Alemagna gli esempi dei nostri Aldi. Da quell’ epoca in poi sei successive edizioni della prefata o- pera, di cui la quinta fu impressa dal Brockhaus tre volte, in oltre tre ristampe altrove, una a Vienna della prima edizione presso Schrimbl, e due a Stuttgard, ne diffusero per la Germania-ben centoventimila copie, e cooperarono a rendervi popolare diremmo quasi il sapere, a sbandirne “gli errori, le preoccupazioni, ad ingentilire la nazione, ed a ritemprarla col render comune e generale un sentimento di altezza e dignità nell’ momo. E meritata ed'a buon diritto fu tanta voga. Concorsero fin da prin- tipio all'opera uomini sommi in ogni disciplina. In progresso assunti ven- nero d’perfezionarla i più laboriosi e più cospicui ingegni. Emendato, ri- mondato, locupletato fu il lavoro\in ogni successiva pubblicazione; tutt’ i resultati de’ nuovi studj, di nuove scoperte vi furono accolti; un dir quan- to stretto ma lucido, tanto risentito ed alto, un metodo dovunque confor- mo, gli argomenti più gravi dignitosamente trattati, la religione di prov- vedere i compratori delle prime edizioni, in appositi volumi, di tutte le giunte, emendazioni e supplimenti fino alla settima venuta alla duce in quest'anno in 12. vol. in8.vo di pressochè mille pagine ciascheduno, e già na seconda volta reimpressa, hanno reso il Lessico PER LA comveRSAZIO- ne un bellissimo monumento del sapere umano e di nazional gloria per gli Alemanni. L'utilità di un libro così modellato, e col fine di spargere le più co- piose e sane dottrine, e schiudere alle classi che conversano le altre volie inaccesse regioni della scienza, è tanto sentita in Germania, che mentre nella parte sua settentrionale si moltiplicano le pubblicazioni del Lessico PER LA CONTERSAZIONE e le imitazioni di esso, nella meridionale si tolse consiglio di eonformarne umo Nuovissimo, di un uso particolarmente adat- tato per le nazioni dell’austriaca monarchia che parlano l’alemanno, spe- cialmente in ciò che ne concerne la storia, gli uomini sommi, la giuris- prudenza e le scienze di governo, quelle della guerra, le fabbriche, Y industria, il commercio, le cedole di stato, la geognosia speciale, con peculiare lavoro, sotto tutti prefati aspetti, per ciò che pertiene all’ Un- gheria, contrada su cui o tacciono o danno non esatte nozioni le altre opere di simil fatta, Indotti da tale esempio i pubblicatori del presente manifesto si ac- cingono a provvedere l’ Italia pure d'un libra di sì grande utilità che as- solutamente le manca. Con la cupia grande di fonti a cui attingere, con buon volere, con la pratica che delle lettere italiane ha loro acquistata una lunga serie di lavori confortati dalla pubblica indulgenza, giovati dai- la gentile cooperazione di uomini provetti nelle scienze, nelle arti, nella letteratura, che accolsero con favore la comunicazione di tale idea, osana essi ‘sperare di sottomettere al giudizio dei dotti un Lessico PER LA con- VERSAZIONE, in cui l’Italia anch'essa abbia un repertorio proprio di quella civiltà europea ch’ ebbe le prime radici in questo suolo ospitale in cui allisnano e vengono fiorenti tutte le utili invenzioni di altre contrade, mentre succo non vi trovano che le nutra le parassite aberrazioni di stra- niere fantasie. lvutilità del dizionario degli uomini e delle cose imaginato in Ger- mania, venne già sentita da tutte le altre nazioni. Nel Brabante un’ imi- tazione del Lessico per la conversazione col titolo appunto di Diziona- rio degli uomini e delle cose, proposto venne tre anni sono, sotto la di- rezione del dotto Berr, dalla libreria Wahlen di Brusselles. La ragione Treuttel e Wiirtz di Parigi e Strasburgo ha in quest’ anno rinnovato I° annunzio d'una traslazione nell’idioma francese dell’ opera tedesca con quelle variazioni che richiede l'indole diversa della nazione e della lette- ratura. L’ originale alemanno voltato già fu testualmente in danese (Co- penaghen presso Seldin), in olandese (Zutphen presso T'hieme), ed in lingua svedese. Valendosi del Lessico per la conversazione siccome base, pubblicano attualmente un Dizionario popolare di arti, scienze, lette- ratura, storia, politica e biografia, compilato esso pure da due dotti, Lie- ber e Wigglesworth, i libraj Carey, Lea e Carey di Filadelfia. Di tale pubblicazione, incominciata nel 1829, e di cui in questo anno è uscito il segonio volume che tocca le prime voci della lettera C, noi ci gioveremo, sa ciò che riguarda la biografia di memorabili Americani principalmen- te, la quale è lavoro fatto appositamente per tale opera dal letterato Walsh. Il suffragio di tutte le genti, ed il lieto accoglimento che fanno ad un sì fatto libro fino le nazioni transatlantiche, ne, sembrano sufliciente ri- prova dell’ importanza e del bisogno di esso, del merito delle pubblieazio- ni di tale natura finora esistenti, dell’ abbondanza di materiali, della faci- lità per conseguente di ben fare, come della convenienza che non manchi più al colto pubblico italiano uno strumento comune a tutti gli altri po- poli inciviliti, con quella particolar conformazione che richiedono le pe- culiari circostanze di questa nostra regione. N Traendo da sorgenti proprie tuttociò che la risguarda, quanto alle al- tre materie, oltre alle due opere tedesche che ci servono per base, il Nuo- vissimo Lessico PER LA conversazione che pubblicasi a Vienna e che col 12.° volume ora sotto il torchio giugne a mezzo l’ alfabeto, e lUniversa- re ReaLe EncicLopeDIA ALEMANNA, nuovo titolo sostituito nella sesta e settima edizione a quello primitivo di Lrssico PER LA CONVERSAZIONE saranno continuamente da noi consultate le cinque Enciclopedie inglesi, cioè la Britannica coi supplimenti di Napier, la Metropolitana, le tre di Breswter, Nicholson e Gregory, i Dizionarj biografici di Aikin e Chal- mers, l’ Annual Register di Stockdale, le Edinburgh, Quarterly e Mon- thly Rewiews,i Blackwood"s Edinburgh e New Monthly Magazines sì fecondi di notizie e di sani giudizj, il Dizionario delle scienze mediche, quello delle Scienze naturali, il Dizionario classico di storia naturale, la Biografia universale, V Enciclopedia moderna già più sopra mentova» ta, il Manuale de’ viaggi di Jenny ed il Dizionario geografico olandese di Van Vick-Roélands per le cose della più moderna geografia, l’ eccel- lente opera di Klces sulle fabbriche e sull'industria nell’ Austria, e le «più vicine opere, per esempio il recentissimo Viaggio di Caillé a Tom- buctu, e tenuti verranno del pari continuamente d’ occhio gli accreditati repertorj italiani di letteratura patria e straniera, al’'fine.che, italiano Lessico PER LA convERSAZIONE siccome ultimo a presentarsi al pubblico, quanto nuovo e solo nella parte italiana, aggiunga gli altri, se non li su peri, nel presentare lo scibile quale è precisamente oggigiorno, cioè sce- verandosi sempre più dal fantasticare dell’ idealismo, dal tracorrere oltre ogni termine del romanticismo in quanto si disnatura a stravaganza «dal trincierarsi nelle dottrine di Locke e Condillac eontro la filosofia del- fa scuola scozzese e di quella di Kant, e dalle illusioni dell'orgoglio n& zionale nell’ arrogarsi il patrimonio degli altri. Del numero di 12,000 e più articoli di cui sarà composto, una parte sarà pure dedicata a far conoscere gli uomini insigni nostri contempora- nei, intorno ai quali sollicitiamo fin d’ ora chi n’ è provveduto a favorirc d’imparziali ragguagli, pei viventi sopratutto, omini non solo ma don- ne altresì, avvegnachè trasandato esser non deve chi rifulge in quel sesso al di cui incanto pur mira di crescer vaghezza, con la facilità di erudirlo, il libro nostro che perciò conta sullo speciale suo favore. L’ opera che si propone, a maggior chiarezza e precisione dell’ as- sunto, è per tanto un libro in cui per ordine d’ alfabeto occorrerà regi- strato tuttociò he di stabile, di pellegrino, di più nuovo naturalmente si colloca nelle seguenti dodiei classi. 1.° Storia degli stati e del commer: cio ‘compresavi la statistica e la geografia; 2.° Biografia o storia degli uo- mini insigni, rifatta interamente per gl italiani; 3.° Belle arti, nelle parti loro plastica ed intellettuale, pittura cioè, scoltura, architettura, in- taglio ; ed archeologia, mitologia, ec.; 4° Filologia, comprendente la poesia, la reitorica, la musica, la mimica, gl idiomi; 5.° Giurisprudenza e politica ; 6° Teologia ; 7° Medicina e scienze analoghe ; 8.° Matema- tiche, con le scienze d’ applicazione, astronomia, nautica, ec.; 9° Storia naturale, con le sue ramificazioni, botanica, mineralogia, geognosia, ec.; r0° Fisica e chimica ; 11.° Filosofia, e scienze connesse ; 12.° Arte del- la guerra, strategia, tattica, fortificazione, balistica. Forse dopo ciò si terrà per superfluo il cenno che nel libro proposto non sì vogliono cercare nude spiegazioni di voci, appartenendo queste ai* vocabolarj di semplice nomenelatura. i Malgrado tanta vastità di materie, tutta l’ opera non eccederà dodici volumi in 8.vo, divisi ognuno in due parti di 30 fogli ciascheduna, che si pubblicheranno in tre distribuzioni di fogli dieci da pagine 16, una al mese per lo meno, invariabilmente da che sarà uscita la prima, a cui sa- rà premesso l'elenco de’ signori associati, in una sola qualità di carta, al prezzo di L. 2 austriache (fr. 1. 75) per distribuzione. Le pagine che seguono sono saggio della forma, della carta, della stampa e della qualità del lavoro nostro originale. I’ opera non ha bisogno di corredo niuno di tavole e di firure. Pure siccome è destinata a tener vece di tutti gli altri dizionarj scientifici, ed il soeeorso delle figure è a molti gradito, e molto agevela l’ intendere, ab- aa f biamo disposto di firurare in una serie di a16 tavole, tratte dalle opere più classiche e dalle più recenti, quale sarebbe a modo. d’ esempio per queste ultime, il grande ArtLANTE del Viaggio di Calliaud nell’alto Egitto e nella Nubia, le cose più importanti discorse nel complesso’ del Lxssico» Delle prefate tavole a contorni, in litografia, su carta reale in quarto, ta- lune con quattro e cinque divisioni orizzontali ed oltre a quaranta figure, uscirà con ogni distribuzione del Lessico una distribuzione. pur anche di tre tavole. Sarà in facoltà di chi si associa di prendere o no le tavole. Per chi prende e testo e tavole il prezzo di L. 2 austriache per ogni di- stribuzione crescerà a L..3. Si potrà del pari associarsi volendo alle Tavo- le senza l’opera, però che le tavole fanno da sè una bellissima serie di fi- gure rappresentanti oggetti de’ più rilevanti di tutte le scienze, possono servire per raffigurare in esse le cose che si vanno leggendo in moltissi- mi altri libri; saranno divise in classi, e corredata verrà ogni classe di un apposito indice di spiegazione : nè il prezzo varierà pet chi si associa alle sole tavole, e sarà di lira 1 aust. (fr. o . 87) per distribuzione.. Nel proporre il lavoro nostro, noi non allettiamo nè con doni, nè con premj; italiani offriamo schiettamente agl’ Italiani un tributo di buon volere ; invochiamo, e ne facciamo espressa dichiarazione, 1 indul- genza del pubblico, la cortesia dei dotti; chi offendendo in imperfezioni si sentisse impulso a dar di piglio alla sferza, si risovvenga del detto di Scaligero: ZLewicographis et Grammaticis secundus post. Herculem labor. i CONDIZIONI DELL’ ASSOCIAZIONE. I. L’ opera divisa in 12 tomi in 8.vo composto ognuno di due parti, in tre distribuzioni di fogli 10 da 16 pagine ciascheduna, si pubblica per distribuzioni, una al mese per lo meno, in mma sola specie di carta. II. Il prezzo è di L. 2 austriache (fr. 1. 74) per distribuzione. III Le 216 tavole, in litografia, a contorni, in carta reale, in 4.to, si pubblicano parimente per distribuzioni di tre tavole al mese, divise in classi, con apposito numero per ogni elasse, e con indici di spiegazione premessi alla prima distribuzione di ogni classe. IV. Il prezzo per le tavole è di I. 1 aust. (‘fr. 0.87), per distribu- zione, indistintamente e per chi si associa alle sole tavole, o alle tavole congiuntamente ed all’ opera. V, A chi si obbliga personalmente per sei copie, sì dell’ opera sola, che dell’ opera con le tavole, o delle sole tavole, siano libra] o particolari, si darà la settima copia gratis. VI. Le associazioni si ricevono da tutti i libraj d’ Italia, e da tutti gli Uffizj postali. VII. Le Lettere concernenti la pubblicazione del Lessico italiano per la conversazione, s indirizzeranno franche al Sig. Giuseppe Demb- sher = Venezia = al ponte dei Barcaroli, san Fantin, N. 3179. Spiripione CasreLLi — Giuserr® Demusuer, POT POTTER ( Lurei pe ), della me- desima famiglia del celebre pittor d’ animali (*), nacque a Bruges, nel-. le Fiandre, l’anno 1785. Giovanetto ancora, si mostrò di mente acuta, ma d’ indole intemperante, ed impulso allo studio dal talento di ascendere e primeggiare. Viaggiò l'Italia, e vi fece dimora, in quegli anni bollen- ti nei quali luomo occhio non ha pei taciti esemplari di virtù cittadi- ne nella robustezza di nobil rasse- guazione. Quindi non ritemprato rie- deva in patria, ma con suppellettile di libri rari e di manoscritti, e con messe di peregrine notizie; nè scri» ver osando dell’ armigera Italia dopo Niebuhr, con cui vuolsi che a Roma vivesse legato, come a Firenze con Reinhold (**), a trattar prese dell’ I- talia sacerdotale in una Vita del ve- scovo di Pistoia Scipicne Ricci (Vedi questo nome ), la quale andò debi- trice ai tempi che or corrono delle varie edizioni e traduzioni ch° ella s' ebbe. Potter sul Tebro disconobbe quell’ alta sapienza che all’ impero perduto delle armi quello surrogò delle coscienze, e ne’ secoli di ferro ricovrò la civiltà nel santuario. Quin- di irto d’acerbe invettive contro il sacerdozio ed i grandi è quel suo li- bro, e, sc caldo e frizzante, disador- no di forme, e gretto e ruvido di sti- le. Nè la rabbia filosofica nella sola biografia disfogò del Ricci; ma in tre altri scritùi posteriori ‘= Lo spi- rito della chiesa = Le lettere di Paolo V = Il catechismo romano = ruppe una mortal guerra al triregno, a cui sorsero però contro Poiter ani- mosì e valenti difensori fra i suoi stessi concittadini. Ma quando nell’ ‘anno 1828 incominciarono ne’ Paesi Bassi ad invelenire gli odj al reggi- (*) Nel Lessico precederà l'articolo di tale pittore antenato di Polter. (**) Niebuhr, con dichiarazione espressa, data da Bona ai 9g decembre 11830, inserita nel- la gazzetta aulica di Berlino, e ripetuta nell’Uni- versale d’ Augusta dei 30 dello stesso mese, ha per sè smentita tale assersione, B:OJTE mento dei Nassau, Potter fattosi an- tesignano degli oppositori al gover- no reale, con versatilità stupenda d’a- nimo e d’ ingegno, dall’ avversare la chiesa trapassò repente a difenderla. Affermasi vi fosse in lui una vecchia ruggine contro al re Guglielmo, per- chè, fin da quando era Potter in Ita- lia, chiesta avendo per esso van Gob- belschroy, ministro dell'interno, suo amico, una legazione, gli venne ne- gata. Tracorso pertanto Potter oltre ogni misura in un rabido scritto pu- :blicato nel giornale Courrier des Pays-Bas, si attirò una condanna de’ tribunali a 18 mesi di prigionia. Nè gli freddò il carcere l’accanimen- to, ma in esso e fuori durò combat- tendo in una guerra di contumelie nel prefato Courrier des Pays-Bas. Estensori n’ erano de’rifuggiti fran- ces; siccome essi ricalcitrarono dal violare, permutandolo in libello, la fede ed il rito ospitale, sostitui loro dodici giovani tutti alunni dello stu- dio di Lovanio e del professore Van Meenen ( Vedi tale nome), e con nuove asprissime offese nuovi rigori provocò. Potter dall’ interdetta pa- tria riparò a Parigi, e vi stette fino a che fatto venne ai proseliti suoi di sconvolgere ne’ Paesi Bassi gli ordi- ni postivi e fermati dal consenso di tutta Europa. Egli allora vi si ricon- dusse, e fu fatto preside del governo conformato ne’ primi tumulti. Ma trovò da sè discordanti i suoi colle- ghi in esso, però che non vollero consentirgli dilazioni nel convocare un congresso di uomini eletti dalla gente posseditrice d’ un censo a sta- tuire un modo di governare. Nel dì primo dell’adunarsi loro, orò ad essi Potter solennemente, come i re nelle tornate de parlamenti. Se non che po- sto il partito della republica e della monarchia,prevalse questa, com'è no- to, per suffragio quasi unanime de- gli ottimati. Potter propugnatore a* cerrimo della republica, incontinen- te si ritrasse come ciò vide dalle pu- bliche faccende, ed in uno scritto ius ROM titolato Lettere ai miei concittadini, apertamente sì disvelò repugnante da qualunque reggimento che quel. lo a popolo non sia. Segreta origine di ciò vogliono i nemici di Potter, soltanto nel governo a popolo farsi possibile la dittatura. Accusa ella è questa intorno a cui non a nol con- temporanei ma spetta alla posterità il parlare le gravi parole della storia, a quella posterità per cui chiarirassi pur anche se a torto nieghisi a Pot- ter il coraggio, dote sì comune anzi merce negli umani, e che perciò fa sì abbietto chi è di cuore tapino. Al- lorchè questi divenuto sarà proavo ai Fiamminghi del due mille, essi diranno forse senno e prudenza nel tramutarsi da Parigi a Brusselles con due milioni di numerario scoppiata che fuvvi .l’insurrezione, l indugiar che fece irresoluto a Lilla, aspettan- do novelle di sicurezza; mentre le milizie francesi ivi.a presidio il di- spettarono per codardia, ed a tale che ne lo svillaneggiarono. Ma la natura ha già messo Potter per entro a quel la piena virilità, in che i più risen- titi lincamenti sogliono rappianarsi nella pacatezza del disinganno. Ver-' à di forse in cui disconfesserà le ar- rischiate e spinte dottrine, fatto ac- corto come il bene rifugge da ogni estremo, ed unicamente s’ innesta sulla temperanza. Che la civiltà nel progredire non frenesie di perfezio- ne ma idee sane adduce di civili bea- titudini, gli ha dato vna luminosa e severa lezione la sua patria, di mez. zo ai saturnali della licenza eleggen- dosi il salutar freno dei re. ROMANTICO è vocabolo espri- mente un genere di letteratura che ì Tedeschi più correttamente defini- scono di ogni altro popolo, conside- randolo una maniera di lettere con- sona alla condizione, anzi se osiam dirlo alla fisonomia fisicae sociale delle contrade in cui sorsero le lingue ro- manze. Appo loro è desso un genere di mezzo tra ba dignitosa semplicità ROM greca nella quale in alcuna guisa si specchia il puro cielo dell’ Jonia, e 1 gigantesco de’ settentrionali che poe- tarono in conformità con gli acciden= ti della trarupata lor terra, accigliata di nembi, orrida di brume, sferzata da iracondi marosi, rabbrividita e corsa dagli aquiloni. Siccome le terre ridenti nelle quali si parlarono gl’ i- diomi romanzi si frappongono fra le serene piagge sun cui cantata venne l’Jliade, e quelle misteriose pel vela- me di perpetue nebbie che ispiraro-. no le nordiche Saga, così la poesia romantica oecorre intermedia fra | ellenica e la scandinava. Irraggiata dai festivi soli del meriggio, fiorente delia giovanezza della rinata Euro- pa, compartecipe elia fw della mae- stosa gravità de’ Greci nella corret- tezza delle forme, effetto dell’ analo- go cielo, e del nordico colossale, in- gentilito nelle geste de’ paladini, ma con proprio carattere in quel Vezzo' d'un amore tratto oltre aì termini dell'umano, ideato ne’ giorni della ‘valeria e creazione che segna l’ età poetica dei moderni popoli dell” occidente. E per vero tale modo di definire e considerare il gerere ro- mantico è il solo giusto nel senso a- podittico e nell''antropologico, ed il fa nobilissimo ed originale, e segna- tore d’ un ciclo poetico speciale, dis- chiuso; da'la serventese del trovato- re alle fulgide feste in signorili seg- gi de'torneanti della Provenza e del P Aquitania, Il romantico vate, ineb- briatè dagli efiluvj odoranti il circo- stante aer limpidissimo, crea scena ai suoi canti un eliso. limuta in esso i più inospiti vepri l onnipoten- te carme di leggiadre e rosee fate, operatrici di più leggiadri porteni : scoscendesi il grembo della terra e delle acque; ne allegran reconditi soli i recessi, fiammanti di preziosi piropi, festanti di profusa primaye- ra ; siedono a guardia delle incantate ‘ stanze ienivomi mostri, efferati gi- ganti. Ma la voce dell’ onore suona ne’ petti degli eroi: il brando loro ROM sperde i fatati custodi; vergognosi di quell’ignavia rivolano a perigliar- si fulmini di guerra nelle battaglie ; irresistibil e irresistito vortice è la lor corsa nelle pngne ; incalzando di nemica oste i più formidabili, smar- riscono in deserti, in immense fore- ste; ivi commettonsi a sirigolar ten- zoni, e quando già meno erebri ren- de i colpi de:pugnaci la rifinita lena, ecco repente stormir la selvà e com- parire la donna amata da entrambi volta su agile corsiero a precipitosa fuga, ed ecco operarsi il miracolo di quel cavalleresco amore, nobil vezzo di quell’unica etade ; il desiderio di raggiungere l’ adorata beltà invade a un punto gl’idolatri battaglieri; quel desiderio è come wo altr’ anima rediviva che unica gl’ informa ; met- tono avventano sulle orme del fuggi- tivo palafreno i poderosi destrieri, e vanno, inseguendola, sì lunge che disviati mai più si rivedranno, a nuo- vi conflitti a nuove venture corren- do le germaniche boscaglie, le armo- riche lande, le libiche sabbie, le in- diche maremme, e sul dorso degl ip- pogrifi fin poggiando ad inaccessi mondi. Per tale logica definizione degli Alemanni del genere romanti- co, arduo non fora di mostrame il germe in quell’ Odissea che nelle sue peregrinazioni, nella sua Circe, in quanto il comportava la serietà del- l’ellenica poesia, precorse alle rin- grandite finzioni de’ rinascenti popo- li dell’occaso. Ma fra quella nobil si- guificanza della voce romantico e ciò ch' ella suona appo i Francesi e gl’ Italiani; fautori siano od'oppugnato- ri del genere, quanto non havvi di- vario! Anzi che la grande moderna poesia da noi delineata, con l'esteti- co marchio della regione e del novel- lo incivilirsi, per cui le ideali Mirre desti Elleni e le islandiche Valchi- rie l intelletto umano nelle Angeli- che voltava e nelle Clorinde, roman- tico nella Francia ed in Italia signi- fica ammassamento di stravaganze. Imperocchè i più recenti scrittori * Rom non conscj che da lungo è tramon- tata per noi la stagione della grande poesia, smaniosi nell’ imitare, la ve- ra romantica poesia falsando in esa- gerazione; fecero sì che tale voce di- venne per essi come formola consen- tiva d'ogni libidine di fantasia, e formola d’ anatema contr’ essi del gu- . sto. Di fatto dalla più vasta ampiezza del poetare propria del nativo ro- mantico trapassati ai più bizzarri nes- si di eventi, a dipinture di passioni e di affetti nella più nauseante cru- dità, il mistico il triste con l’ilare 1° ingenuo, l'umile il servile col digni- toso sconfondendo col nobile col gran- de, spessano un mondo tutto fattizio di nuvolose imagini, abbacinano la mente non le raggiano, mirano a sor- prendere il cuore non a molcerlo. A tale sformazione della moderna poe- sia in sì contraffatti lineamenti si u- surpò per le terre al di qua delle no- riche alpi ed oltre alle pennine fino al Reno quel nome di romantico che segna per le'genti ercinie una spe- ciale era poetica, e me venne al vo- cabolo romantico in fatto di lettere la peggiorativa significanza in addie- tro della voce romanzesco se applica- ta a caratteri di persone ed a ventu- re, ed onesto significato ha solo e consono al germanico in quanto si usa a qualificazione di siti, quasi che si dicesse romantici nella vece di su- scettivi d’ ispirar romanze, È qui esser potrebbe termine al dir della voce romantico, se non che ribollen- do tuttavia non pur la controversia ma le ire fra i rigidi inaitatori de’ Greci che sè adonestano col nome di classici, e gli sprezzatori dei classici, cui quelli vituperano col nome di ro- mantici, di che i novatori si dan van- to, non sapremmo intralasciare alcu- ne eseogitazioni sull'essenza di sì ga- gliardo e poderoso litigio. Appo i Francesi specialmente i romantici ri- dono i classici avversarj loro, perchè facil loro sembra il rotear per una via non tracciata soltanto ma lastri- cata da altri, e sè trasognano non i- ROM mitatori ma creatori di nuova mera- viglia nell’ arrogarsi l’ apostolato del- la verità. Noi per altro vedemmo co- me le umili fortune corrano ambe- due dell’ imitare; ora veder vuolsi se in questo diversi, che i classici at- tenendosi alle norme precettate da- gli antichi seguano esemplari a cui rifulse la più lucente estetica, lad- dove i romantici sbrancando alla di- sperata per esserne francheggiati, contravvengano ai più sentiti e di- remo ai più umani principj del bel- loi Voglion essi, e il fanno, pre- sentare ignuda d'ogni veste la va: tura, ripugnando così primamente a quella verecondia che la natura pose guardiana a se medesima, per eui nelle cose dell’uomo s' intro- dusse dovunque una grande parti- zione in palesi ed in celate, delie quali hanno sembianze le prime, le seconde non mai. Non dunque tut- to l’uomo, nè dell’ nomo tutto è con- ceduto all'arte, e per arte le lettere intendiam principalmente. Quella parte che il natural senso di verecon- dia prescrive di tenerne impenetra- ta, infigurata rimanersi deve e non rivelata. Delle azioni dell uomo, le quali nella perversione ehe'si propu- gna tutte pretendesi di poter ritrar- re, v ha pure una serie grande che nè figurar nè diseorrere è lecito all arte, senza che, ove per l’ abortivo tribunato della verità tutte si narri- no, la verità si diformi a sozzura. Ma ‘ precipuamente sulla favella la salutar sua eflicacia protende I arcana legge del pudore ingenita nell'uomo: ai più abbietti mal garba un'ignobil Io- cuzione in chi è costituito signorit mente, ed atto loro suona per cui si rineghi e si abjuri quella più nobil sorte, oggetto secondo i tempi d' am- mirazione o d'invidia. Quindi i ro- mantici quando si credono di offrir votivo tributo al vero, commisti ai modi alti risentiti grandi mettendo in bocca agli eroi ed alle eroine le seoncezze di trecche e paltonieri, manomettono aspramente le più co- ROM muni e più vere idee, e le più salde} perchè l’uomo sente in sè imperioso e primo sugli altri un bisogno d’uòt meglio ideale, ed a tale oscuro non ragionato ma sentito bisogno è ri- brezzo il non iscorgere in esseri sulle vulgari condizioni sollevati una digni- tà aulica in modi quanto è mai possi- bile idealmente del comune miglio- ri; per questo la favella di chi ha it socco mal salle labbra si trasporta si tollera di chi calza il coturno. La stessa vaghezza d'un meglio ideale è pur quella che gli eccelsi e grandiosi personaggi nella mente degli uomi- ni di ogni fralezza disveste, e dissen- te che si manifesti ciò che accusar può la tempera prometea ne’ semidei dalia fantasia idoleggiati, nè vuole se alcuna cosa nel portamento loro è ac- > concia a svelarne la supremità l’ ec- cellenza, raffigurarli se non ritratti con quell’ aspetto per cui nell’ intel letto di tutti si effigiarono grandi, predilisendo tale forma quasi giu- stificazione continna di averli alzati agli onori dell’apoteosi. Le forme per- tanto del bello sono a noi congeneri e consustanziali, e d'esistenza previa alle regole, nè queste altro fecero che dar espressione e fogge di pensamen= to a ciò che in tutti è, se non pensie> ro, sentimento. Le letterature adun- que, costanti nell’ essenza, non pon- no assumere che le varietà di forme peculiari ai siti ed ai tempi, e quella stessa altezza di concetto che regna in candida unifornie venustà nelle grechè e nelle latine, regna pure fat- taimmane multiforme nelle runiche, e regna foggiata a leggiadrissima plu- ralità nelle moderne ed italiane epo- pece. Ne consegue che i neo-romanti- ci (e ne giovi questa modificazione del nome a meglio fermar la distin- zione che vorremmo introdurre ) co- me scttatori d’ um intellettuale sov- vertimento imprecar sì sentono, € svellitori del germe primitivo di ogni umanità, secondo il detto di Vico, e difioratori d’ un’ idea celeste a di cu imagine è quel meglio ideale che tut- ROM | sospirano vagheggiano. Nondime- origine animosa e forte ha un nto vaneggiare dei neo-romantici ella brama di farsi nuovi ed origi- ali, e nel disdegno dell’ imitare în- enerato dal non avvertire al tra- onto di ogni poetica giovanezza elle odierne genti; ella fu tale gio- anezza in que’ giocondi secoli tutti ompe e tutti armi della cavalleria, cui tutto era risorto nuovo, ed el- assò con quell’ adolescenza della ovella civiltà. Il poetare non poten- do esser più inventivo, stassi necessa- jamente a confine nell’imitativo, ed adopera più accorto chi alle forme si tragge del più consentito bello. Dunque non ereatori di nuova poe- sia, i neo-romantici, se medesimi il- ludendo, si arrabbaitano in un’ imi- tazione universale ed in guazzabu- \glio di greci, di scandinavi, di veri lromantici, di orientali pur anche, a ciò rompendo più che altri i quoti- ROM dianissimi bardi d’ Albione, confida no ch’ esser possano creazioni e com- pagini le evocazioni di ombre d° età trascorse, e quando per sì grande contenzione d’ingegno de'raggi spar- si di superstiti poesie tanti conver- ger facciano in un punto ustorio che ne risulti calore, scaldano senza lu- ce, e se pur con luce fioca e reflessa. Ne sembra per queste considerazio- ni che irrita sia e vana la fatica di que’ che tolgono a fondar un nuovo genere nello scompiglio delle più ab- barbicate e più care delizie dell’ uo- ‘ mo: non succederà loro d’ istituire dottrina, ma al più potranno far set- ta. Impossibile credendo noi in una civiltà vecchia una poesia grande e nuova, imitatori reputiamo e que che si dicono classici ed i romantici; ma i classici con Del senno si mostrano non ignari come non è savio il far d’ogni fiore ghirlanda. PONIAPIANANNANIALAIANIDINNANNNINANNANAA Dalla Tipografia Molinari — Vale cent. 5. DID PINDALNIBAIOAINALTNIANINIDIAIIANI - tenete ina La ANTOLOGIA N. 429 DELLA COLLEZIONE. d ; N: g DEL SECONDO DECENNIO Settembre 1591, Osservazioni semiserie di un Esule nell’Inghilterra , di G. PrccxÙio. Lugano 1831; G. Ruggia e C. 1. vol. ArticoLo II. Pi RU perchè i politici abbian pur essi un saggio dell’opera del Pecchio, riporteremo alcuni passi di capitoli sull’ opposizione par- lamentaria , e sulle corti di assise. - Partito dell’ opposizione nella Camera de’Comuni. Fra la Camera de’ Comuni in Inghilterra , e quella delle altre rap- presentanze nazionali di Europa che mi accadde di vedere , passa quella differenza che vi è tra la casa di un nuovo ricco (d’un parvenu ) e quella di un antico signore. Nella prima tutto è nuovo , lucente , di buon gusto, d’ ultima moda. Nell’ altra ogni cosa è antica, ma solida, massiccia, immedesimata colle pareti e col secolo in cui fu eretta. Nella prima traspare sempre l’ ostentazione di una cosa nuova, nella seconda scorgesi la negligenza della ricchezza , l'abitudine del possesso. La Camera de’ Deputati di Parigi, le Cortes di Spagna, quelle di Li- 2 i sbona erano nuove al pari dell’ istituzione stessa. La Camera de’ Co- munì d’ Inghilterra è vecchia come la libertà che vi abita. Felice quel paese dove la libertà può vantare i secoli per suoi avi, ed abita da secoli e secoli in gotici edifici. Fosse pur la Camera de’ Comuni così antica come i druidi , quand’anche i membri del parlamento dovessero abitare nel tronco delle quercie come quegli antichi sacerdoti! Chi en- tra nella sala del parlamento inglese coll’ idea di vedere un teatro di Milano o di Napoli, rimane deluso nella sua aspettazione. Non vi è coro o refettorio di frati francescani che non sia tanto e forse più elegante e maestoso di questa sala. Ma se vi entra al contrario coll’idea che va a visitare uno de’ tempi più antichi della libertà, mirerà ogvi cosa con quella venerazione che sì osservano le tozze colonne del tempio di Pesto , o le catacombe di Roma. La moda, il lusso , i piaceri, il bello di convenzione sono potenti anche in Inghilterra, ma non trionfanti; la ricercatezza non ha per anco guasta la naturalezza ch’è il gusto dominante della nazione. L’a- bito , lo stile, i complimenti, i saluti , le chiuse delle lettere , tutto sente la semplicità. Gl’ Inglesi sono forse i migliori cavalcatori del mon- do, cioè i più fermi in sella, e non ne fanno vista ; sono i più svelti di tutti nella ginnastica , quasi tutti sono capaci, al pari de’loro ca- valli, di saltar barriera , e siepi e fossi, nondimeno quando ballano appena alzano i piedi da terra. Sono forse, ed anche senza forse , 1 primi oratori del mondo all’ improvviso , e nessuno studio pongono sia ne’ gesti sia nella declamazione. Tutti sappiamo che i romani stu- diavano la declamazione , come noi studiamo la musica, e che Cajo Gracco teneva dietro di se un suonatore di flauto che lo avvertiva di modulare la voce a seconda del bisogno. I nostri attori vanno spesso a studiare nelle statue degli antichi oratori le attitudini e il panneg- giamento. Cesare cadendo trafitto non si dimenticò la nobiltà della positura. Quantunque gli Spagnuoli non fossero abituati alle pubbli- che arringhe , bello era il vedere l’ eloquente Martinez de la Rosa no- hilmente gestire , e muovere i suoi grandi occhi neri, e l’ ndirlo cam- biar con arte il tuono della sua robusta sonorissima voce. Galiano poi, altro degli eloquenti membri delle Cortes, si atteggiava così teatral- mente , che i suoi nemici dicevano che provava le sue arringhe in prima allo specchio. E perchè no ? Cicerone prendeva lezione da Ro- scio, e Roscio prendeva lezione dal suo specchio (o equivalente di specchio ) come fanno tutti i buoni attori. = Nulla di quest? eleganza, o «li quest’ affettazione , come più piace chiamarla , negl’ Inglesi. Ve- stiti come il caso lo porta, s’ alzano , gestiscono come un molino a vento, o non gestiscono punto , quasi fantasma ,, e per più ore non cambiano modulazione di voce più di quel che faccia la piva scozzese. ll ministro Canning nel calore dell’ arringa soleva battere colla destra su una cassetta di legno che gli stava dinanzi, come un fabbro ferrajo farebbe alzando e abbassando il martello. Il suo emulo Brougham alto , sottile, convulso nei muscoli del suo volto ; incrociechia parlando e 3 gambe e braccia, non punto dissimile dai nostri disossati burattini. Neppure i loro attori; per esempio il loro prototipo Kean, non im- piegano quelle architettate attitudini che usano gli attori delle altre nazioni; il loro artificio consiste non già nel seguire i dettami dell’arte, ma quelli della natura. Tuttavia confesso che i membri del parlamento dovrebbero qualche volta abbellir la natura. È noto che nel parlamento inglese 1’ oratore non legge mai, ma improvvisa. Tutto così è spontaneo , tutto ritrae l’uomo , tutto ap- partiene all’ oratore. Ma ciò che forse a tutti non è noto si è, che gli oratori non hanno la ridicola ripugnanza di ritrattare ciò che loro malgrado è sfuggito nella furia del discorso. Non è una vergogna per un inglese il disdire un’ ingiuria che non ebbe l'intenzione di dire. È un atto di giustizia che lo onora in faccia agli amici ed ai nemici. L’ inglese non riguarda il duello che come l’ultimo e disperato ri- medio dell’ inesorabile onore. Nella famosa seduta del parlamento del 19 dicembre 1826 intorno alla guerra tra il Portogallo e la Spagna, Canning si era lasciato trasportare dal torrente della propria facondia oltre certi confini ; pochi giorni dopo volle egli stesso correggere la pubblicazione del suo discorso, ed ommettere ciò che a sangue freddo non avrebbe per aventura proferito. Questa ritrattazione mi sorprese tanto da prima che mi lasciai sfuggire dinanzi ad un signore inglese , che io credeva che solo i filosofi e gli ubbriachi si ritrattassero. Quel signore coll’ imperturbabilità nazionale rispose ‘ dovete aggiungere an- che i membri del parlamento ,,. Questi pentimenti sono giusti , perchè l’improvvisatore è in uno stato di eccitamento e di passione che lo trasportano spesso fuori di sè. Chi la prima volta arriva in Inghilterra, e va alle sedute del Par- lamento, arrischia di farsi un’idea poco ginsta del partito dell’opposi- zione, come pure accadde. Tutte le circostanze apparenti cospira- no ad indurlo in errore. Primieramente vede 100 o 120 membri dell’ opposizione contro 400 o 450. Pare adunque che vi sia una barriera aritmetica insuperabile. Si ode un bel discorso; ma nulla ottiene se non i sarcasmi del partito contrario. Deboli e sempre sopraffatti dal numero contrario, sono anche i membri dell’ oppo- sizione condannati a servire la nazione senza pubblici onori, sen- z’ autorità. Il coro, che li deride , è quello poi che sempre fa pla- uso ai ministri. È dunque un martirio inutile, volontario e pazzo , come quelli che s’ infliggono i Bonzi. A che siede il partito dell’oppo- sizione? pel piacere di dire di no? È una cattedra d’ eloquenza tutt’ al più. Ecco ciò che ciascuno dice a se stesso al primo vedere il par- tito dell’ opposizione. Ma ben presto cangia opinione, se studia più profondamente l’ organizzazione sociale dell’ Inghilterra, e s’ interna nella storia del Parlamento. Primieramente egli si accorge che se l’ op- posizione non vince , impedisce almeno al nemico (qualunque egli sia, liberale o no) l’abuso della vittoria, o un’ingiusta conquista. È simile alle dighe di un fiume, le quali non possono arrestare la corrente, ma 4 la frenano, e la costringono a seguire il suo letto. Il vantaggio dell’op- posizione non consiste tanto nel bene reale che fa, quanto nel male che risparmia. Ella tiene desto il patriottismo, l’attenzione, la diffidenza del popolo. Ella propaga il più sovente le rette opinioni; ella è il protettor nato dell’offeso e dell’oppresso; essa precorre a tutti i miglioramenti, a tutte le liberali istituzioni. Supponete che per accidente l’ opposizione sia composta di persone ligie al potere assoluto; per acquistar uditori , per avere il sostegno della moltitudine, saranno obbligate a mascherarsiì , ad assumere il linguaggio della giustizia e della libertà. Simili a quegli orgogliosi e tirannici patrizi romani, come gli Appii, e gli Opimii , che per guadagnare i suffragi, e divenir Consoli, si frammischiavano e e adulavano la plebe. Simili a Dionisio, che quando era sul trono cal- pestava , e dissanguava la plebe, e rovesciato dal trono buffoneggiava col popolaccio , e si ubbriacava con lui alla taverna. — Ma l’ azione della minorità non è immediata. Non si forma, non si propaga, non si rende popolare nn’ opinione in pochi mesi , nè talvolta in pochi anni. L’ abolizione del traffico degli schiavi costò venti anni di fatiche, di perseveranza al sig. Wilberforce. Ogni anno respinto, ogni anno tornava all’ assalto ; stampando opuscoli, convocando assemblee provinciali di filantropi, raccogliendo notizie, documenti, sulle barbare sevizie usate a bordo dei vascelli trafficanti: scaldando così l’ immaginazione e il cuore de’suoi concittadini, irruppe alla fine colla folla nel tempio della giu- stizia e trionfò. L’ Irlanda non poteva un tempo fare il commercio di- retto colle colonie inglesi. Quanti e quanti inutili attacchi ebbero luo- go prima che Grattan nel 1779 facesse abolire questa ingiusta esclusio- ne? La libertà del commercio, che dal ministero si comincia in oggi a seguire, quante volte fu invano da Adam Smith in poi patrocinata dal- l'opposizione? Cosi la riforma parlamentaria ,, proposta in prima da Pitt, fin dai primi anni della sua carriera politica, quando trovavasi tra le fila dell’ opposizione , comincia a far proseliti nel parlamento dopo averlì fatti fuori. Così 1’ emancipazione de’cattolici è forse sul punto d’essere concessa in capo a tanti infruttuosi tentativi (*). Così l’ abo- lizione della schiavitù nelle colonie è un’altra palma non lontana che l’ opposizione fra non molto coglierà. . . . . . . +. 0.» Seduta delle Corti Semestrali in Primavera. Coloro, che non hanno letto le belle osservazioni di Filangieri sul- la procedura inglese, o meglio ancora il pregevole libro del signor Cottu sull’istituzione del giurato ; e sulla pubblicità de’ giudizj in In- .ghilterra, può leggere queste poche righe che seguono. Era il 10 marzo, ed era imminente l’ arrivo di uno 0 due dei dodici giudici che due (*) Quando il conte Pecchio scriveva non era stato ancora compito que- sto grand’ atto di giustizia della nazione inglese. N. del Dir. = 5 volte Vanno, in marzo ed in agosto , da Londra, seguiti da un numero- so stuolo de’ più rinomati avvocati ; si recano nella giurisdizione loro assegnata , per giudicare tutti i processi criminali pendenti, o le cause civili di Joro competenza. Quel vivo interesse , quelle lezioni di sag- gezza , quell’ utile passatempo che i Romani traevano dal foro , sono gli stessi stimoli che provano gl’Inglesi all’ avvicinarsi di queste corti, chiamate assizes. Questa è un’ epoca : di movimento, di allegria , e di penosa ansietà ad un tempo stesso. I gentiluomini della contea in questi giorni si rendono alla città capitale o per essere giurati o semplici spettatori dei giudizj , o per incontrare i loro amici di Londra, o gioire dei divertimenti che offre in'questi tempi'la città. Da ogni parte ‘ac- rivano i testimonii , le parti. interessate ; da Londra giungono alcuni de’ più eloquenti avvocati; e per lo più due antagonisti che si devono quasi in ogni causa ritrovar: faccia a faccia j e con loto ‘un'seguito nu- meroso di giovani avvocati, che cominciano ad entrare in carriera bra- mosi di farsi conoscere dal pubblico. Le. prigioni ‘in ognuna di que- st’ epoche si vuotano. Tutti devono essere giudicati; innocenti ; o rei, questo è il giudizio finale ; ed un’inglese, che avesse anche tramato un diluvio universale, mon può rimaner sotto processo più di sei mesi. Quanto è diversa. questa» gioia del popolo inglese da quella che un tempo. i popoli spensierati mostravano agli Auto-da-Fè! Ma lascia-. mo stare il confronto con un tribunale.‘che più non esiste... .. Ghe differenza, io voglio. dire , tra questi. sentimenti di contidenza e d’ ilarità, che precedono la seduta delle corti inglesi , e l'orrore e lo spavento che quei tribunali spargono tutt’ all’intorno dove pianta- no la loro, sanguinosa mannaja! E. ben a ‘ragione ; perchè nessu- no. si crede in salvo, contro giudici prezzolati per rinvenire il delitto: anche quando non sesiste.; \e che dopo avere tormentata con'una tor- tura. più lenta dell’ antica la loro vittima con minacce , con digiuni, con suggestive, con insidiose promesse , icon una lunga illimitata prigionia, pronunziano le loro sentenze ; con tutto il misterio dell’ as- sassinio. ‘ Le assise inglesi all’incontro non alterano il polso di alcuna bat- tuta a chi si sente innocente. In tutti ivcuori»su tutti i volti, siede la. convinzione dell’integrità , dolcezza. e imparzialità con cui verrà ammivistrata Ja giustizia. Io mi sono avvolto mella folla, in tutti i gruppi della plebe ;/a bello studio , per verificare i sentimenti che re- gnavano!|tra il:basso popolo. Non un sospetto scoprii, non una parola intesi, che indicasse diffidenza o astio controì gli amministratori della giustizia. D’ altronde essi sanno che:il giudizio del fatto } il più im- portante giudizio; non sta in mano del giudice della corona'; ma dei giurati lor pari. Per. legem terrae et. per judicium parium è uno dei privilegi. più antichi consacrati alla Magna Carta, e di (cui vogni Inglese va a ragione superbo. Il re d’ Inghilterra ; che può far tremare molti re della terra, mon può far tremare un suo suddito. Dev” essere 6 giudicato da’suoi pari secondo la legge del paese. By the luw of the land, and the judgement of our peer. Una gran parte della popolazione di Diotti pluito adunque, si era incamminata quella mattina verso la strada, da dove arrivare dovevano i due giudici prefissi dalla Corona pel circuito di Nottingham. Tutto è impreteribile , come già dissi più volte, in questa puntualissima Inghilterra. Si era annunziato il loro arrivo per le undici ore, ed all’undici precise un bel cocchio a quattro cavalli col postiglione nel suo abito svelto ed elegante, il cocchiere col triangolar cappello simile a quello de’nostri preti, l’armi della città sulla portiera, due staffieri con una livrea nuova fiammeggiante di dietro, ecco che i giudici ar- rivano. La carrozza era preceduta da una ventina. di staffieri a cavallo colle bandiere della città sventolanti sur una picca; e una sciabola al fianco. Tutto questo treno era a.spese dell’ High Sceriff della contea (che rappresenta sul pretorio a lato del giudice il sovrano, ossia il potere esecutivo ) muto, immobile, impassibile , presente soltanto per eseguire le sentenze. Era poi seguita da un.gran. numero di gentiluo- mini della città e della contea, ch’erano iti a cavallo ad incontrare i due giudici. Quest’aspettazione, quest’ accoglienza, questi onori, tutta, questa pompa non solo teude ad accrescere nel popolo la venerazione per la giustizia, ma a rinforzare altresì nei giudici il sentimento della propria dignità e del loro dovere. Senza perdita di tempo, mezz’ ora dopo, la corte fu installata, e i giudizj civili e criminali incominciarono in due aule separate. In Inghilterra non v’è il pregiudizio che sia inumana e sconve- nevole cosa l’assistere alle sedute de’tribunali. Si crede al contrario che sia una scuola d’esperienza, di criterio e di eloquenza. La gioventù romana diveniva robusta nel campo di Marte, e savia ed illustre nel foro. Nell’egual modo qui concorrono alle assise persone d’ogni età, d’ogni sesso e d’ogni grado. Le basiliche , ossia le aule di giustizia; che da 60 anni in qua sono state rifabbricate quasi dappertutto in Inghilterra in uno stile più decoroso di prima , dacchè la popolazione e la ricchezza dell’isola si accrebbero , oltre i luoghi distinti pei giu- dici, pei testimoni , per gli accusati ; pei giurati ‘e per gli avvocati , hanno una platea pel popolo comune , e delle loggie più comode. pel. ceto più elevato. Il popolo non è mai trattato da canaglia in Inghilterra, è sempre rispettato , ma non è mai confuso colle classi agiate. Le corti sono sempre ripiene di gentiluomini e gentildonne , tutti urbani gli uni verso gli altri, tutti intenti, ansiosi sul destino degli accusati. Nelle belle aule della città di York vidi alcune volte le loggie adorne di leggiadre inglesi , che avevano abbandonate le. loro deliziose ville per vedere ed esser vedute; e degne eran di esser vedute. Sembravano quelle loggie serre di fiori. Io certamente non'avrei dato quel colpo d’oc- chio pel magnifico teatrale spettacolo dell’ antico foro romano. È inutile ch’io dica che anche tutta la platea è qui decentemente vestita; non TA CA 7 è però superflo ch’io faccia osservare che anche gli accusati compariscono alla bara con quella cura e pulizia che impiegherebbero se dovessero andare a nozze. In ciò l’usanza inglese è ben diversa da quella degli antichi romani, che cercavano colle vesti lugubri e lacere, collo sca- pigliamento e colle lagrime d’intenerire i giudici. Nella procedura inglese non v? è luogo a commozione; le arti dell’ accusato ,.del. pari che le figure rettoriche dell’ avvocato, nè sono ammesse, nè farebbero effetto. Se si eccettuano le grandi e comiche parrucche che portano i giudici e gli avvocati, tutto il resto è semplice in questi tribunali , e la santità delle leggi , la maestà del popolo romano , che spesso tro- viamo in Cicerone, qui si vedono in pratica. Il giudice Best diresse al grande e al piccolo giurato una breve allocuzione, in cui fece menzione d’ un assassino della propria moglie che si doveva giudicare. Notò al piccolo giurato la differenza tra un assassinio commesso per semplice ingiuria , e quello commesso in ‘se- guito di una provocazione per percossa. Toccò questa distinzione senza fare alcuna allusione al fatto in quistione. Il suo discorso fu semplice, spoglio d’ ogni ricercatezza, e profferito con naturalezza, con quel possesso che un giudice acquista col parlar sovente al pubblico. A lato di questo venerabile Minosse in toga, parrucca, e con occhiali, era seduta una giovinetta per quel favore che le donne: go- dono talvolta di entrare nel banco dei giudici, favore che esse non trascurano per quanto sia schiva la modestia delle inglesi. Questa gio- vine era bionda, paffutella, con un ampio cappello di velluto nero; e gran nastri ondeggianti a varj colori, vestita di scarlatto , fiammeg- giava di gioventù e di bellezza. Non era solamente bella, ma. peri- colosa. Essa faceva, forse inconsapevolmente , tutti que’ moti che la seducente civetta fa sul paletto , quando vede passare degli uccelli. L’ areopago d’ Atene l’avrebbe fatta coprire. Per fortuna però l’età rendeva invulnerabile il magistrato inglese contro gli strali de’suoi occhi, de’ suoi sorrisi , e de’ suoi atteggiamenti. Era un bel contrasto quella testina ben acconciata con quella zazzera arricciata del giudice che gli scendeva sulle spalle a guisa della giubba d’un leone: e quegli occhi ridenti e scintillanti della giovine con le sopracciglia severe e con gli occhiali del sessuagenario giudice. Pareva posta là da un pittore per la felicità de’ contrasti, come sempre collocano la Vergine Maria presso il vecchio San. Giuseppe. Mi sovrengo a questo proposito di aver veduto molte volte le mie care compatriotte ( che ben conoscono l’effetto de’ risalti ) compiacersi di essere intorniate da un sinedrio di vecchi Simeoni. Non v’è forse più bel contrasto d’ una Susanna in mezzo a due vecchioni. Uno de’ prigionieri fu convinto di abigeato (Aorse-dealing). Questo delitto è punito di morte in Inghilterra per la facilità che havvi di commetterlo, lasciando , come già dissi altrove , gli.agricoltori pascere i cavalli ne’ campi aperti senz’ alcuna custodia. Il giudice gli annanziò che la pena da lui incorsa era la pena capitale, ma /o avverti che gli 1) sarebbe commutata nella deportazione. Questo umano avvertimento mi fece sovvenire della crudele clemenza di quelli, che lasciano ignorare al condannato la commutazione della pena sino al momento dell’ ese- cuzione sul patibolo. La maggior parte dei militari, a cui sì comuni- ca la grazia soltanto nell’atto, in cui inginocchioni e ad occhi bendati stanno per ricevere le quattro palle in fronte, rimangono pel resto della loro vita scemi o mentecatti. i Un altro dei prigionieri , credendo di mitigare la sua pena colla confessione , richiesto se voleva esser giudicato guilty or not. guilty , cioè come colpevole , o non colpevole , rispose come colpevole. Il giu- dice gli fece avvertire che ciò non gli gioverebbe punto, e ch'era quindi in. tempo a ritrattarsi. Altra lezione per que’ tribunali del con- tinente, ove, fra le altre iniquità che si commettono a porte chiuse , quella ancora si usa di tendere all’ accusato insidiosi aguati di sugge- stive, di simulate testimonianze, di supposte confessioni di correi, ec. Quando osservaiì la maniera franca e intrepida, con cui i testimonj deponevano ciò che avevano udito o veduto; quando vidi dei genti- luomini e delle gentildonne comparire alla barra senza ripugnanza e rossore, quando lessi nei fogli pubblici che il duca di Wellington e molti altri lordi sono citati, o si presentano volontarj a testificare in favore di un accusato , mi ricordai del volume XVI della Storia delle Repubbliche italiane del signor Sismondi, in cui per una prova ed un effetto della degradata, mercenaria ed arbitraria giustizia di alcuni governi d’Italia del secolo decimo ottavo, il sig. Sismondi rimarca l’or- rore che il solo nome di tribunale spargeva, l’infamia indelebile di chi era semplicemente accusato, il ribrezzo che ispirava ogni menomo uffiziale di giustizia; la vergogna , il terrore e lo scrupolo che ogni persona provava nel comparire a deporre innanzi a un giudice. Qui non parlo che della procedura inglese. Poichè è noto a tutti che le leggi penali sono mostruosamente sproporzionate alla gravezza del delitto. Tanto che il giurì molte volte, non potendo non ricono- scere il fatto , corregge l’ eccesso della legge col classificare il delitto in un grado minore. Di ciò fui io stesso testimonio. Un borsajuolo avrebbe dovuto esser condannato ad una pena troppo severa pel furto commesso di un fazzoletto, che il proprietario asseriva essere del va- lore di cinque scellini. Il giurì dichiarò bensì essere l’accusato reo del furto, ma , obbligato a dichiarare quale fosse il valore del furto , giudicò essere il fazzoletto del valore di uno scellino. Il borsajuolo fece da se stesso la difesa, interrogò egli stesso 1’ accusatore con quell’ingegno e con quella destrezza che il suo mestiere suppone. I delinquenti di altra sorta non sono d’ ordinario così artificiosi nella loro difesa. L’eloquenza è quasi intieramente esclusa ne’giudizj criminali. Il difensore può fare quante osservazioni , può interrogare quanti testi- monj vuole, ma gli è vietato di eccitare le passioni e di apostrofare il giurì del fatto. Nei casi poi di furto o d’ omicidio (non so il perchè, 9 e sarebbe difficile il dirlo) il difensore non può pronunziare alcuna arringa ; ma può contr’ esaminare i testimonj, e provvedere il cliente d’una difesa in iscritto. L’accusato può egli stesso parlare quanto vuole, può anche leggere la sua propria difesa , ma di rado si prevale di questo diritto. E infatti, che bisogno v’ha di artificiosa eloquenza, quando la procedura stessa a porte spalancate, dinanzi a tutto il pub- blico , con tutte le più delicate precauzioni in favore del reo, è per se stessa la più bella ciceroniana difesa? L’eloquenza ha un campo più libero nelle cause civili. È in una di queste ch’io vidi in York a tenzone i due più famosi avvocati, Brongham e Scarlet. La causa era di un genere un po’ strano, e di cui certo non v’è esempio negli annali di Atene o di Roma. Si trattava di decidere a chi appartener dovesse una balena ferita mortalmente da alcuni marinaj, e cavata dal mare da alcuni altri pescatori. Il soggetto era abbastanza grave per impegnare tutta l’abilità dei due togati rivali. Le differenti armi, i diversi artifici, i diversi moti e sguardi impiegati da loro in questo conflitto , sommamente mi divertirono. Ambo membri del parlamento, se non che Brougham nell’eloquenza politica sovrasta di gran lunga al suo emulo. Scarlet più esperto e profondo giurisprudente si vendica della primazìa dell’ altro nell’ aula di giustizia; quantunque Brougham non sia uomo da cedere mai il primato ad alcun uomo sulla terra. Scarlet grave, affidato al suo sapere, con petto tronfio, sembra un co- razziere tutto coperto di ferro che vuol vincere col peso delle armi. Brougham forte della sua prontezza d’ingegno, della flessibilità del suo spirito, somiglia un cavaliere arabo che con volte e giravolte evita ed assale il suo nemico. Scarlet quando si dirigeva al giurì, mentre sosteneva la gravità d’un provetto giurisconsulto , fissava i suoi pene- trantissimi occhi in volto ai giurati, onde scuoprire l’emozioni del loro animo , e trarne profitto. Brougham invece cercava di distrarre l’attenzione de” giurati dai punti pel suo cliente pericolosi con argu- zie , tratti di spirito e sarcasmi, di cui ha una inesauribile copia. Scarlet è 1» ammirazione dei legali, Brougham il favorito del bel sesso e del pubblico per le sue spiritose sortite. È incredibile la fatica che gli avvocati sostengono in questi po- chi giorni che durano le assise. Ma sono ampiamente ricompensati , non dico già dalle larghe propine solamente, ma dall’ammirazione e venerazione del pubblico che li contempla , quando sono nell’ aula eretti in- piedi perorando , con quell’ avidità con cui noi miriamo 1’ Apollo di Belvedere. Chi ha provato 1° amor della gloria sa che un’ora di stima pubblica vale dieci anni di vita molle ed epicurea. È non meno incredibile la rapidità con cuî sono definiti î giudizj. In dieci o dodici giorni, ogni anno, due soli giudici spacciano da cento a cento venti processi criminali , e forse altrettante cause civili. Nei processi criminali non si vedono quelle matasse d’ interrogatorj che ho veduto un tempo “in Italia ascendere in un giudizio d’ assassinio a ben trenta volumi in foglio di trecento pagine l’uno. Gl’Inglesi per T. Ill. Settembre 2 10 loro fortuna non hanno la razza degli attuarii, il cui mestiere con- siste nell’ esaurire la pazienza e il polmone. dell’ accusato e dei te - stimonìi , e nel farli cadere in confusione e \ in deliquio con intermi- nabili costituti e redarguizioni. Questo è il frutto che abbiamo. rac- colto delle opere immortali di Beccaria , di Filangieri , di Mario Pa- gano. L’Inghilterra invece, senza aver avuto la gloria di produrre questi lumi della scienza criminale, ritrovò col solo, buon senso due principii, la pubblicità e il giuri , pei quali essa gode d’ una rapida, liberale e imparziale amministrazione della giustizia. Quando si apre il giudi- zio, non esiste che l’atto di accusa steso in un pezzetto di carta dal gran giurato, preposto a decidere sopra alcune sommarie circostanze dell’ ammissibilità o nò dell’ accusa. Tosto letto quest’atto, gl’ interro- gatorii cominciano. Intanto il giudice scrive il sommario delle risposte, e tesse la narrazione succinta del fatto colle circostanze più rimarche- voli. Terminati gl’ interrogatorj , i quali non possono durar lungo tempo , quando la presenza d’un uditorio impedisce le insidie della malignità , il giudice legge la ricapitolazione del fatto al giurì, che deve pronunziare se l’ accusato è colpevole o no del delitto imputa- togli. È impossibile che in questa relazione vi sia la menoma altera- zione ; perchè il pubblico, che ha inteso tutto, è giudice del giudice, per così dire. D'altronde i giurati, che anch’essi il tutto udirono, pos: sono rettificare 1’ ommissione o l’ errore che il giudice avesse potuto commettere. il giurì per Jo più ritarda pochi minuti ad essere unanime, e dichiara il suo giudizio. Se 1’ accusato è ritrovato colpevole , il giu- dice non ha che ad applicare la pena alla qualità del delitto. Ciò fatto , la tragedia è finita; non v’è più luogo ad appelli, a cassazioni, nè a processi aperti , quasi un momo potesse essere e non essere col- pevole d’ un fatto. Dove siamo andati noi a prendere il labirinto delle nostre procedure criminali ?_ Potrò ingannarmi, ma la procedura inglese ha se non altro l’ indisputabile vantaggio della semplicità e velocità... .....«Mi pare che la pubblicità de’giudizj , unita all’ istituzione. d’ un indipendente giurì , emenda tutti gl’ inconvenienti che un metafisico- legislatore, colla sua lente che converte gli atomi in montagne, discer-., nerebbe in una sì fatta procedura. Senza il vanto d’ aver dato all’ Europa i Filangieri, i Beccaria ; i Mattei, i Servin, i Montesquieu, essi (gl’Inglesì) posseggono un’eccellente procedura. Noi crediamo che il mestiere del giudice esiga profondissimi studj, mente acutissima , un lavoro incessante, infine la crediamo una: professione riservata a pochi esseri privilegiati. All’incontro essi, colla lo- ro gran massima della division del travaglio, hanno reso anche il mestie- re del giudice facilissimo, almeno per metà. Avendo separato i giu- dici del fatto da quelli della pena, fecero sì che la scienza positi- va della legge è un requisito necessario solamente per questi ultimi, mentre per gli altri basta la rettitudine e il senso comune. In fatti i lo- ro giudici in toga di scarlatto, con ermellino,, con parrucca e col titolo di, milord , sono (e devono essere ) veri barbassori in legge ; laddove i mem- 1I bri del gran giurì non sono che possidenti è gentiluomini ignari d’agni jus, e quei del piccolo giurì poi sono meri bottegai, sarti, calzolai, provvisti solo della gran scienza del senso comune. L'istituzione del giurì è un’esercizio così pubblico d’equità e rettitudine, che non può a meno di contribuire alla morale e ai buoni costumi delle classi inferio - rì del popolo. Fà sorpresa e piacere insieme di ritrovare in mezzo a cit- tà, ripiene di lusso e di vizj, quella stessa integrità e sinderesi nelle per- sone del popolo, che appena si rinvengono fra gli abitanti semplici e in- corrotti delle montagne della Svizzera. Riprendo il racconto. La domenica, che successe a due sedute del- le assise, i due giudici coi giurì e coi magistrati della città si reca- rono alla chiesa maggiore in grande solennità. E uso alle assise il profferire un sermone dinanzi ai membri costituenti la giustizia. Gli ammiratori di Sterne ne troveranno uno spiritosissimo da lui pronun- ziato în simile occasione. Questa solenne alleanza della religione colla giustizia comunica a quest’ultima un rispetto che è molto utile alla società. Il signor Bentham ha osservato che tutte le cerimonie , è cer- te imponenti formalità nell’ amministrazione della giustizia criminale, fanno un’impressione sulle menti del popolo altrettanto profonda quan- to le pene e i soffrimenti stessi. Un giudizio criminale è una vera tra- gedia pel popolo. L’architettura antica e gotica della chiesa, gl’ inni che s1 cantarono, la musica dell’ organo , la sincera compunzione di tutti gli astanti mi commosse. . . . . - Il giorno seguente si aprì di buon’ora il giudizio di un carpentiere, che per gelosia aveva uccisa la moglie a colpi replicati di martello. L’anla quivi rigurgitava di gente. Se devo dir la verità, mi dispiacque di vedere un gran numero di giovanette ben educate fra gli astanti. Avrei almeno voluto dir loro all’orecchio, che si ricordassero poi di non più biasimare le muchachas spagnuole se assistono con piacere alla cac- cia del toro. Il colpevole si presentò alla sbarra con un contegno tran- quillo. Sembrava che questo brutalissimo Otello fosse disposto a soste- nere il giudizio capitale con intrepidezza. Tutti gli occhi erano fitti in lui, sciagurato protagonista. Tutti sono ansiosi in tali momenti di vedere gli sforzi, l’ansia , la lotta che un uomo solo deve sostenere contro la società intera, che sebbene armata per punirlo gli lascia il diritto di difendersi. Nessuno però degli spettatori, io credo, prova- va una commozione maggiore della mia. . . . . Quando il giudice stava per incominciare il suo interrogatorio, udissi un gran romore, ed era che il prigioniero abbandonato dal suo coraggio cadde all’indietro, ‘° e cadde come corpo morto cade ,,. Il carceriere, due chirurghi, accorsero in suo ajuto. Ogni soccorso gli fu somministrato per richiamarlo al sentimento. Egli intanto, preso da violente convulsioni, in mille modi si contorceva. Dopo qualche tempo si riebbe, asciugossi il volto , si ricompose alla sbarra. Ma tosto che il giudice in benigna maniera gli chiese se fosse in istato di so- stenere il giudizio , il prigioniero rispose di sì , ma in quell’atto stes- 12 so svenne di nuovo. Io era tutto impietosito a quell’avvenimento, quando uno degli avvocati, che coll’abitudine della professione diven- tano troppo perspicaci e insensibili, mi disse che credeva non meri- tasse la nostra compassione. Egli aveva notato che, nello svenire, il sno volto non avea punto cangiato di colore , nè i suoi occhi si erano pun- to offuscati, non che spenti affatto , il che suole avvenire nei deliqui. Quindi, soggiuns’egli, questa è tutt’arte e ipocrisia del prigioniero per intenerire in suo favore il giurì, o guadagnare un giorno di vita. Tanta simulazione e tanto incomodo per acquistare un giorno di vita di più? dissi dapprima tra me stoicamente. Ma poi mi sovvenne che quei Romani i quali prodigavano la vita, e morivano da eroi per la patria, quando si presentavano ad essere giudicati nel foro , sì scarmigliavano i capelli, si squarciavano le vesti, si rotolavano nella polvere, nulla infine lasciavano d’intentato, onde impietosire i giudici e sottrarre al- la falce della morte la cara vita. Pur troppo essa è cara , ed ha ben” ragione Omero di chiamarla sovente con questo epiteto. Il giudice trasferì il giudizio al giorno seguente, ed annunziò al prigioniero questa dilazione. Il giorno appresso l’accusato comparve , non sì smarrì più, rispo- se, interrogò; e alla fine dopo cinque ore di esami il giurì lo giudicò colpevole. L’evidenza era tanto compiuta, che il giurì non frappose se non pochi minuti ad essere unanime. Allora il giudice si coperse il capo con un cappello di antichissima foggia, e pronunziò la sentenza di morte che fu ricevuta dal reo con modesto coraggio. Nella sentenza vera la formola della legge inglese, che il corpo sarebbe dato ai chi- rnrghi per le operazioni anatomiche. Si può quindi dire che i chi- rurghi sono gli eredi degli appiccati; nè è un’ eredità disprezzabile ‘, giacchè i corpi da dissettare sono rarissimi e costosissimi in Inghilterra; perciò accadde alcune volte che i chirurghi disputassero per la poprie- tà d’un cadavere, e s’instituissero persino dei giudizi. Due giorni dopo il condannato venne giustiziato coll’appiccatura, ignominioso modo di mettere a morte l’ uomo, che gl’Inglesi palliano colla costante poetica espressione ‘ fu lanciato nell’eternità. ,, Tusrrsav pe L' Esyvrre, ne La Nuzie et des lieux circonvoisins, ou Itinéraire à l’ usuge des voyageurs qui visitent ces con- trées ; par M. J. J. Riraun de Marseille. Parigi, Treuttel e Wurtz, 1830: un volume in 8,° Ognuno sa, che , per viaggiare con sicurezza e diletto , si richiedono tre indispensabili cose, cioè, robusta sanità , pecu- nia sempre pronta, e guide capaci, e fedeli. Ma se poi vuolsi viaggiare anche con utilità e per se stesso, e per gli altri; fa 13 dì mestieri aggiugnervi una quarta coserella, ed è un poco di solida istruzione non tanto generale quanto particolare intorno i costumi, la lingua, ed altre attenenze del paese che si va per vedere. La quale istruzione forma come il compimento ; e dire- mo quasi come il soprantendente alle tre altre, imperciocchè abilita il viaggiatore a mantenere la sua buona salute, a spen- dler bene il suo danajo, e ad essere, il meno che si può , mal servito ed ingannato dalle guide, o da chi sarà nel caso di me- nare a suo servigio. Ma in nessun paese sono cotesti requisiti più indispensabili che nell’ Egitto, ed in altre parti dell’Affrica e del Levante, dove, segnatamente in questi ultimi anni, si dirigono i passi dei pellegrini moderni. Fra i quali debbe certamente distinguersi l’Au- tore del libro che stiamo per esaminare, poichè ha passato in quei climi oltre venti dei migliori suoi anni, quasi coll’ unico fine d’istruirsi, e di farsi abile anche ad ammaestrare altri, che sulle orme di lui vogliano visitare utilmente le medesime regioni. E sebbene egli, nella prefazione al suo libro , protesta , che l’ ope - ra sua non è nè uno scritto letterario , nè un trattato scienti- fico, ma un semplice Itinerario o Guila dei viaggiatori, ciò nondimeno teniamo opinione essere la medesima ricca molto di solida istruzione etnografica, non meno che di eccellenti consi- gli e di pratici avvertimenti intorno al miglior modo di trattare con attenzione e covservare illesa la sanità, di usare con eco- nomia e profitto dei mezzi pecuniurii, e soprattutto di proccurar- si e di aver sempre con seco i più accorti e sicuri conduttori. Contuttociò non è questo l’unico scopo che il signor Rifaud si è proposto. Infino ad ora il regno degli antichi Faraoni non era stato esplorato se non dagli antiquarit, e non si conoscevano di esso se non le rovine, le piramidi, ed i geroglifici, che tanti farfalloni hanno fatto sputare agli eruditi archeologi , simbolici o fonetisti. Era l’Egitto di quaranta secoli addietro, quello che essi studiarono di far conoscere , mentre del Mussr, o 1’ Egitto dei nostri giorni, puco 0 nulla di esatto e d’importante sapevasi in Europa. E pur non era, ned è cotesto bel paese immeritevole di seria ed attenta considerazione. L’ inesauribile feracità di una porzione del sno territorio , la felice sna situazione , la vicinan- za all’ Italia, e la probabile sua politica emancipazione , debbono destinarlo a prendere nel commercio del Mediterraneo , e forse anche del mondo intero; un luogo distinto, nella guisa mede- sima che, sutto 1’ uom sorprendente che attualmente lo governa, ha già fatto progressi immensi nell’ incivilimento, che quattromila 14 anni sono vi ebbe probabilmente la sua culla, e per certissimo i suoi primi avanzamenti. Siccome l’unico mezzo d’ intendersi direttamente cogli abi- tanti del paese dove si viaggia, e di non dipendere sempre da interpreti più o meno incapaci, è quello di sapere il linguaggio che parlano ; così il n. A. fa precedere il suo itinerario da due vocabolari, uno dei quali contiene circa mille seicento voci o frasi del dialetto volgare arabo , che si parla nell’ alto Egitto, e l’altro di dugentoventi simili dell’ idioma di Fascetrà della Nigrizia, che noi confessiamo ingenuamente non sapere a quale contrada sia vernacolo , ma che supponiamo essere quello che parlano i negri disseminati nell’ Egitto e nella Nubia. D’altron- de siamo al bujo di ciò che quivi l’autore intende dire col nome di Nigrizia. Dando però un’ occhiata al primo di cotesti vocabola- rii, non possiamo astenerci da osservare, che la maniera di espri- mere cun lettere e suoni francesi le voci arabiche, sempre in- certa , e non sempre uguale, sembra dimostrare, che l’autore conoscesse molto poco la lingna scritta degli arabi, coll’ aju- to della quale avrebbe potuto mettere maggiore uniformi- tà e precisione nella sua ortografia. Il valore, verbigrazia, della lettera francese g innanzi all’a, ch'egli dà quasi sempre al gim, o dscim degli arabi, non è alcerto il più adattato: i vo- caboli Ragar, pietra , sagar, albero, ligam , briglia, sangac , prefetto, o bandiera, debbono sicuramente essere pronunziati hhagiar, o hhadsciar, segiar , ligiam , sangiac , ec. La lettera p, che spesso viene in quel vocabolario impiegata, non ha suono equipollente in alcun dialetto arabo, dove il da si pronunzia sem- pre durissimo ; di fatto , il n. A. scrive indistintamente Kketad e qutap , per libro, crochab (cioè crosciab), e khrachap per le- gno da fabbrica, tayd e tajep per buono, ec. Così pure achirop, ed odrop , imperativi dei verbi sesaraba , ei bevette, e deraba , ei battè, debbono scrivervi per un francese acheroud, ed’ ow- droub , e per un italiano ascerub, ed odrub, se si vuole che li pronunzino come gli arabi. L’aspirazione fortissima del kha ci pare ancora molto bizzarramente espressa , ed abbiamo certa difficoltà di ammettere, che i vocaboli akkdar, verde, dokhan, fumo, e tabacco, Xhabar, notizia, khamse cinque, khatr, volontà , khatt, filo, munkhar, naso, Khobs, pane, ma khaf uatt, non temer nessuno, ec. ec. si pronunzino da quegli arabi ardar, du- cran , crabar , cramse , cratr, khret, munacrere, craubse, mucraf= ouat, ec. Alcune voci poi sono certamente male intese o peggio tra- dotte , come per esempio: Agar gabel per montagna, Arabi estan ch earn 15 (stanza , o paese degli arabi ) per Egitto, balhar el malah (mare sa- lato ) per mosca, cheykh (seniore , sceico ) per santone, cradam per piedi, haré Klott per quartiere, vas el gabel per mezzo , 0 centro del deserto, ma fisce crabar (non v.ha nulla di nuovo ) per non ne sono informato, ec. Hhamdu lillahi, che 1° autore scrive au doulilah e hhamd ullilah ; significa lode a Dio, e non ringraziamo Dio , frase , che dai cofti si pronunzia escur-allah ; e che il signor Rifaud scrive escouroula. Bothros è il nome pro- prio di Pietro, e non il sinonimo di Ahagiar, pietra; e chi sa un pocolino di lingua araba scritta deve almeno ridere vedendo scrit- to Hyarob, per oh! Dio mio, che si pronunzia, e si deve scrivere ia Rubbi, o ia Rebli! Questi pochissimi errori, che una nuova edizione farà fa- cilmente sparire, non tolgono nulla all’ alto merito dell’ opera , nella quale s'incontrano fatti ed osservazioni della più eminente utilità per chiunque si proponga di viaggiare in quelle regioni. Prima però di andare più oltre, non possiamo tralasciare di av- vertire, che il quadro generale dall’ autore esposto dell’ Egitto , è sotto la sua penna di gran lunga più allettevole di quel che realmente ;. e. di certissima nostra scienza; lo ‘stato attuale di quel classico sì ma disgraziato paese sia in caso di compro- vare. Giusta le ultime genuine notizie, ella è co sa impossibile di farsi un’ idea della miseria, che opprime quegli infelici popoli, buon numero dei quali è costretto a cibarsi di radiche e di se- menze di cotone, ed a ricoverarsi entro tugurii di. mota e di strame , oppure in buche praticate nei luoghi i più malsani, a fin di sottrarsi al. dispotismo, ed alla rapacità del così detto liberale vice-rè ,.o Pascià. regnante. Laonde non può nè deve recar meraviglia se le. malattie epidemiche, unite ad altri fla- gelli, diminuiscano ogni di quella popolazione , ridotta in oggi a forse meno di tre milioni di anime... La descrizione itineraria, fisica e topografica che il n. A. ci somministra delle provincie da lui perlustrate , è per avven- tura una delle migliori che finora. possediamo. Dalla medesima si vede ,. che il suolo dell’ intero Egitto è un immenso letto di calcareo stratiforme o secondario , cosparso di conchiglie e d’al- tri corpi organici. Questo. terreno medesimo si manifesta nelle roccie che, sostengono le piramidi , negli scogli della costa vicina ad Alessandria , e nella catena orientale, ove forma le sterminate cave o petriere, che s’incontrano fra i gradi 27 e 28 di latitudine. La valle di Qosseir verso il mare di Qolsum , o, golfo arabico , esibisce talora; nella sua superficie, un terreno composto di uno 10 strato più o meno profondo d’arena in parte calcarea, ed'in parte quarzosa , ricoperta di silice, e di frammenti calcarei. Colà incontransi ancora montagne granitiche di composizione granulare finissima , con qualche altra di breccia selciosa. La popolazione dell’ Egitto si compone principalmente di arabi, di turchi, di cofti, di greci, e di ebrei. I primi non ar- rivano. a due milioni e mezzo di anime , ed i turchi non sono alcerto più di quindici o venti mila. Dei copti, o più antichi abitanti dell’ Egitto , si computano censessantamila scismatici, e fra cinque e sei mila cattolici. Il sig. Rifaud non valuta il nu- mero dei greci, degli ebrei e dei cristiani; e noi non crediamo che tutto compreso egli arrivi a cencinquantamila anime. Il vicerè, Mehemet Alì, fa governare l’ alto Egitto da un pascià da due code di cavallo, che fa la sua residenza a Siut, ed ha sotto di lui altri pascià , e bei. Ogni provincia poi è di- visa in distretti o vicariati, sottomessi all’ autorità militare dei casceffi , e dei caimacani , cui si aggiungono i scerbaletti , 0 scerc- baletti, nel quale nome fa d'uopo indovinare quello di sceich-el- bilèd, vicarii o capi-anziani nei villaggi e nel contado, ed i cadi , o giudici civili. Ciaschedun cantone ha il suo scerafo, od esat- tore delle contribuzioni , le quali ogni tre mesi da lui si versano nel tesoro del gran Divano a Siut, da dove passano quindi al Cairo. Tutte le terre dell’ Egitto sono di assoluta proprietà del vi- cerè , non meno che tutto il commercio e tutte le manifatture. Egli assegni. o fa assegnare a ciascheduno suddito la porzione di terreno cde questi deve coltivare , ed il tributo che ne deve corrispondere. Ch’ ei lo semini come gli pare e piace , o che lo lasci sodo ed incolto ; che le stagioni siano propizie o sfavo- revoli, il tributo è sempre il medesimo, e deve irremissibilmente entrare nel tesoro. E siccome il medesimo è portato al più alto prezzo possibile, così la classe dei Fellahi ; od agricoltori , è ridottta alla condizione più (dura e più miserabile che mai si possa immaginare. I rami di commercio , di cui il vice-rè non si è per anche impossessato , sono gravemente angariati; eppure offrono tutta fiata a' coloro, che vi si addanno , un’ esistenza molto preferibile a quella dei fellahi. Si chiama quivi fedan uno spazio di terreno coltivato, che corrisponde poco più o poco meno ad un jugero ; quattro milioni dei quali si trovano comunemente in istato di coltivamento. Le principali derrate'che se ne ritrag- gono sono' i ‘cereali; gli erbaggi, gli alberi fruttiferi , il cotone, il lino , il canape, l’indaco ; ‘il riso, le canne da zucchero , i DT datteri, i gelsi, gli ulivi, il tabacco, ec. Oltre le quali derrate l'Egitto produce ancora molta quantità di sale , di nitro, di soda, di ratrone o carbonato di soda nativo , ec. e circa dugentomila cuoia di bovi, e di buffali, nel decorso di un anno. Da tutto questo conchiude il n. A., che la somma totale delle produzioni può ascendere a 68 600,000 pezze forti di Spagna, cioè quattro- centoquaranta milioni di lire fiorentine, ed i redditi, che ne rin- vengono al vice-rè, a circa venti milioni di pezze o cenventi- sette milioni di lire. Ma se l’Altezza Sua continua nel presente suo sistema di monopoli e di avanie, questo reddito andrà ogni anno scemando sensibilmente. La sua forza armata si compone in tutto di trentamila uomini, vestiti, nodriti, e pagati a spese del pubblico erario. Per viaggiare nell’interno del vieereame'fa di mestieri ot- tenere un Firmano o passaporto del vice-rè, che s’impetra per mezzo del console nazionale , e serve per trascorrere colla mag- giore sicurezza tutte le provincie, che ubbid:scono a Mehemet Alì. Per curiosità daremo quì la traduzione del tenore di uno di questi firmani. Dal nostro Divano, l’anno dell’Egina .... < Il nostro amico N. N. giunto nei nostri dominii per vi- », sitare i luoghi di antichità, ed altri siti curiosi ed utili alle »» sue investigazioni , ci è stato a tale eff:tto preseutato dal suv so console , in fede di che gli abbiamo rilasciato questo nostro »» Firmano da servirgli e valere durante tutto il tempo del suo » viaggio , e per tutta l’ estensione dei detti nostri dominii. I »» pascià, bei, casceffi, agà , e qualunque siansi magistrati ci- s vili e militari, a’ quali questo Firmano verrà esibito , dovranno »» non tralasciare mai di usargli tutti i riguardi, e tutte le pre- 3» mure , non che rendergli tutti i servigii, che potranno esser- »» glia grado, affinchè da parte sua non ci pervenga mai la »» benchè menoma doglianza. Vi raccomandiamo però , che nes- s, suno insulto , nè torto gli venga fatto dai fellahi , o da altre s» persone , ma che siagli anzi procacciato tutto quello che potrà »» fargli di mestiere , pagandone meramente il prezzo del paese »» per le cavalcature, le barche, le provvisioni , ec. E tutti li » servigii che gli renderete saranno riguardati come renduti a »» me personalmente ,,. L’ autorità di questi passaporti è grande senza dubbio; ma non può reggere in paragone di quella d’ un firmano del Gran- T. III. Settembre 3 18 signore , il quale è sempre scritto in lingua turca, laddove quelli di Mebemet Alì sono distesi in lingua araba, attesochè altrimenti i governatori delle provincie ed i loro segretarii non li sapreb- bero leggere. Bisogna leggere nel libro medesimo del sig. Rifaud le de- scrizioni di Alessandria, del Gran Cairo, e delle altre città dell'Egitto. Ma fedele al suo sistema di avere particolar riguar- do alla sanità , ai mezzi pecuniarii, el alla sicurezza dei viag- giatori. entra in particolarita sovramodo preziose concernenti l’of- talmia, ed altre malattie endemiche ed appiccaticcie , contro le quali suggerisce e descrive i rimedii tanto preservativi, quanto curativi, impiegati dai nativi del paese. Le febbri intermittenti sono frequentissime nell’ Egitto al tempo dei grandi calori, e non di rado sono micidiali. L’ amau- rosi, effetto quasi generale dell’oftalmia, vi mena stragi or- rende; come anche la sifilide complicata. $’ incontrano pure spesso le idroceli, e qualche volta la lebbra ; ma questa pare piuttosto un resultamento solo del sucidume degli. egiziani. Per compiere questo luttuoso novero di malori fa d’ uopo aggiungere la peste, che vi ha, per così dire, la vera sua patria. Egli è comunemente in sul principio e nel decorso del me- se di marzo , che il miasma della peste bubonica incomincia a ripullulare nel basso Egitto e nella città del Cairo, ogni volta che . cotesto riv malore debbe predominare nel corso dell’ anno. Le altre malattie endemiche appariscono circa la medesima epoca. Per la qual cosa il viaggiatore deve in quell’epoca proccurare di tro- varsi remoto da quei luoghi e rifugiarsi nell’ alto Egitto e nella Nubia , dove il contagio non ha mai penetrato. La quantità de’ rettili ed insetti velenosi è un altro flagel- lo dell’ Egitto , contro il quale il n. A. suggerisce ancora e de- scrive varii mezzi di precauzione, e rimedii curativi, che ren- dono il suo libro in sommo grado prezioso pei futuri viaggiatori. Dopo di avere dato ai viaggiatori ottimi consigli d° igiene , passa il n. A. ad istruirli nelle operazioni bancarie , cioè nel modo più vantaggioso d’ impiegare i loro danari. Il mezzo più sicuro di averlo dappertutto pronto e disponibile , si è di depositare, mediante un bauchiere , nel tesoro del Divano , la somma che si presume esser necessaria per un dato viaggio , o per un determinato spazio di tempo. In cambio di questo depo- sito il vice-rè rilascia un mandato per riscuotere, a piacere , e secondo le esigenze, la somma che si vuole avere, dagli sce- rafi nelle provincie. Lo scerafo scrive allora sul rovescio del 19 mandato, che se gli esibisce , la somma che avrà sborsata , e se gnene fa una ricevuta , ch’ egli spedisce al Gran Divano. Cote- sta lettera di credito serve così da uno scerafo all’altro, infino a tanto che sia totalmente estinta la somma del deposito. La piastra di Egitto, moneta di viglione, equivalente a trenta quattrini di Toscana , si chiama nel paese Grusce o Gher- sce , voce turca che significa bassa lega , ed è composta di qua- ranta parà ; si divide per metà, quarti, ed ottavi in monetuccie di venti, dieci, e cinque parà. Le patacche di 90 parà sono di- ventate rarissime. Il tallero austriaco, quello d°’ Olanda, e la pezza forte di Spagna , vagliono ognuno sedici piastre da 4o parà; ma, quando si cambiano contro moneta picciola, perdono sempre qualche cosa. ll prezzo delle provvisioni vien regolato di modo, che il pane costa incirca 4 parà , o tre quattrini , la libbra to- scana ; la carne il doppio; una gallina, che si paga in Alessan- dria 60 parà , ne vale 5o al Cairo, e soltanto 20, 15, ed anche 19 nell’ alto Egitto. In molti luoghi si hanno tre uova per un parà , ma non mai meno di due , sicchè la dozzina non costa mai una crazia. Un paio di piccioni si paga 15 a 20 parà ; due colombi salvatici ne costano 1o. I datteri si vendono , secondo la qualità , fra 60 è 100 parà il medo, misura grande ch’è l’ot- tava parte d’ un ardeb od ardeppo, due dei quali fanno il ca- rico ordinario d’un cammello , e pesano insieme presso a quattro cantara ; dimanierachè il medo equivale a 75 libbre toscane. I prezzi dei legumi, e delle frutta sono in proporzione cogli altri commestibili. Il butirro vale 60 parà , cioè nove crazie la libbra di dodici oncie ; l’olio di lattuga da 20 a 24 parà. Il pesce nell’ alto Egitto è molto abbondante ed a vilissimo prezzo. Per quindici o venti piastre al mese si può avere un assai buon servitore , al quale si dà da mangiare , e , se si conosce a governare le cavalcature, ha di più ogni tre mesi un paio di scar- pe; ed un paio di mutande di tela di cotone, che insieme costano circa dieci piastre. La giornata di un fe/lah per lavorare la terra , scavare, od altro simil lavoro, si paga 20 parà, cioè 3 crazie; un ragazzo fra 10 e 15 anni ne ha dieci, edi più giovani cinque. Il rotlo rotal, e non rote come scrive il n. A., e l’oka, sono le misure comuni di peso appo gli arabi. 11 rotolo grande pesa 14 uchie ovvero oncie; il piccolo ne pesa 12. L’oka è un peso di due rotoli e mezzo. I franchi ossiano europei, che stanziano nell’Egitto, hanno l’arbitrio di vestire come più loro pare e piace, ed è sempre ugual- mente comodo e prudente di farlo alla foggia del paese, giacchè si 20 ha il diritto di portare anche il turbaute rosso o bianco , alla mili- tare, alla mammalucca , ed alla mercantesca. Un vestimento alla turca, completo e semplice, ma bene assortito , si può avere per sette in ottocento piastre. Ognuno può portare di armi tutto ciò che vuole. Chi viaggia nel contado lungi dalle città, oppure nel deserto, farà ottimamente se si veste alla foggia dei bedovini. Da Alessandria al gran Cairo si può andare per terra , e per acqua. Per terra servono i dromedarii ed i cammelli, ed il viaggio si fa con quelli in tre giorni, e con questi in cinque. La strada passa pe! deserto fino a Vardan, dove incominciano le terre coltive , all una giornata di cammino dal Cairo. Le notti si passano sotto teride ; e bisogua portar seco una quantità sufficiente di prov- visioni ed anco di armi, comecchè la provincia, che si attraver- sa, sia generalniente sicura. Il prezzo della cavalcatura è un tallero per giorno, e non già per tutta l’andata. Giunto a Bu- lac , il viaggiatore tragitta il Nilo, ed eccolo al gran Cairo. Il viaggio per acqua si faceva prima d’ora per via di Ro- setta, da dove si rimontava il Nilo fino a Bulac. Ma , dopochè si è aperto il canale di Mahmudieh, si noleggiano , nel porto di questo nome, presso l’ antico porto di Alessandria, barche dette Cangie , che vanno fino al Cairo, condotte da utto o die- ci uomini d’equipaggio, e si pagano per intero sessanta piastre d’Egitto. Nel'’atto di stipolare il contratto si sborsa un acconto, e si prende dalla dogana un tezcherè o passavanti. Il pagamen- to finale non si deve mai fare prima di essere arrivato , se non si vuole essere malmenato durante il viaggio. Arrivato al Cairo, l’ europeo si reca immediatamente al quartiere franco, nominato in arabo Muski, dove trovansi due conventi cattolici, ut della Propaganda, e l’altro di Terrasan- ta, nei quali si può alloggiare comodamente per sette in otto piastre il giorno, compreso il vitto. In alcune locande, tenute da europei , si può ancora stanziare e vivere assai bene per dieci piastre il giorno. La popolazione del Cairo non è mai minore di 450 mila anime , che al tempo del passaggio dei pellegrini (detti in arabo Hhoggias, plurale di Rhage o hhagi, e non Ajis, cioè Agis, come due volte scrive nel vocabolario il n. A. ) si accresce di cirea 30,000 individui. La vecchia e la nuova città racchiudono uno spazio di più di venti miglia di giro. I cattolici fanno le loro divozioni in una cappella posta nel luogo dove riposò , dicesi | la Santissima Vergine nella sua fuga. Le provvisioni al Cairo sono sempre abbondantissime. Con 2I 2500 franchi, o 3ooo lire toscane, di reddito vi si può vivere da signore , e con qualche economia si camperebbe colà una setti- mana con quello che si spende per un giorno in Firenze. I gre- ci, come i franchi, gli ebrei edi cofti, hanno tutti i loro par- ticolari quartieri. Si contano al. Cairo due o tremila meretrici , che hanno un caporano o rettore speciale , e pagano al vice-rè un considerevol tributo ; ma non possono abitare dentro le mu- ra della città. Rispetto alla religione ed alla sicurezza personale, i fore- stieri non hanno quivi nulla da temere. La guarnigione della città non è mai men forte di cinque mila uomini. Numerose pattuglie girano nella notte per tutte le strade, molte delle quali sono chiuse con regolari porte tutte le sere. Al Cairo si fanno gli apparecchii pel viaggio all'alto Egit- to. La prima cosa da provvedersi per coloro che non intendono, nè parlano la lingua del paese, è un turcimanno od interprete, che dee saper parlare con franchezza e facondamente il turco e l’arabo. Il salario di uno di essi, che sia veramente buono, è, secondo la sua capacità, e senza contare il cibo , da cento a centoventi piastre d’Egitto il mese. Il trasporto delle lettere ed altre simili cose si fà in Egit- to per mezzo di corrieri mandati a posta , che si appellano mer- sali, per avere i quali bisogna ricorrere alle autorità 'ocali. Van- no talora sopra dromedarii, ma più sovente a piedi. Uno di que- sti mette comunemente trenta giorni per andare e ritornare fra Assuan, o Siene, ed Alessandria ; e se gli pagano per quest'an- data e ritorno da sessanta a settanta piastre. I bei cavalli di Dongola (il n. A. scrive Dangoulan) co- stano al gran Cairo da 1000 a 1500 piastre ; i cavalli arabi c:n- que , sei, fino a settecento. Un cammello veramente buono , e che in caso di bisogno po:ti dieci cantara, ma comunemente fra sei.e sette, costa poco più poco meno trecento piastre. I dromedarii sono più rari, e vagliono da ottocento a mille. Gli asini dell’ alto Egitto sono oltremodo stimati, perchè grandi, agili, e robusti; costano da 400 fino a 1500 piastre. Come ca - valcatura è però sempre da pref\rirsi il dromedario, più forte , più veloce, e sempre più utile del cammello. Queste cavalcature si prendono anche a nolo, non tauto al Cairo , quanto nell’al- tre città e provincie dell’ Egitto. La giornata d’un cavallo si paga ordinariamente cinque franchi o sedici piastre; quella d’un cammello otto, d’un dromedario quindici, e d’ un bardotto od 22 asino da tre a cinque. Ogni p:jo di bestie ha il suo conduttore, il quale ha una piastra il giorno per la sua fatica. Volendo viaggiare per acqua non v° ha nessun luogo ove, con tanta facilità ed economia come al Cairo, si trovino barche acco- modate alla navigazione del Nilo. Le Cangie sono comodissime , ma facilmente esposte a far cappotto, e ad aprirsi al menomo urto , a cagione della loro sottigliezza. Le Cazasse sono più s0- lide , più sicure, e sopportano meglio la vela. Una di esse della portata di 200 a 250 ardebbi costa di nolo 500 piastre il mese. I regali alle autorità, ed a coloro da cui si aspettano sér- vigii o piaceri. formano un articolo importantissimo di polizia itineraria ne!l' Egitto, come in tutte le altre contrade dell’oriente. Al quale proposito il n. A. porge ai suoi lettori una folla di pre- ziosi consigli, sì rignardo agli uomini che alle donne. Non menu pregevoli sono gli avvertimenti che somministra per la disposi- zione della tenda , degli arnesi, e delle masserizie che sieguono il viaggiatore per quelie incondite piaggie. Per quanto spetta poi ad una più estesa descrizione etno- grafica e statistica dell’ Egitto, il sig. Rifand ci rimette alla sua grande opera su quel paese, che crediamo stiasi ora stampando in Francia, ove dai più celebri instituti scientifici e letterarii è stata commendata, e che conterrà tutto ciò che, durante un sog- giorno di oltre venti anni in quelle contrade, egli ha potuto rac- cogliere intorno alla vita privata e politica degli egiziani, ai prodotti del suolo , alla maniera di coltivarlo, all’ industria , ai costumi , ec. ec. Cionondimeno il capitolo ottavo del pre- sente suo libro contiene molte importantissime considerazioni sui costumi appunto e sulle usanze , sull’agricoltura , sull'industria, sulle superstizioni ec. degli arabi, dei bedovini , dei cofti , e dei negri; sulle donne turche , arabe, cofte , e nubiane , sul loro tatuaggio, sulle almée o cortigiane cantatrici, sulla musica , sulla poesia, sulle ballerine , ec. ec. Questo interessante capitolo si termina con ricordare ai viag- giatori, che Ja base fondamentale della loro condotta debh"essere quella di stare sempre ed ovunque gvardinghi sull’ articolo di pagamenti anticipati; di non far mai contratti se non in pre- senza di più testimoni; di non dare ombra ai mariti, e mo- strarsi sempre e dappertutto risoluti a rispignere la violenza e le avanie colla forza. Fra le popolazioni arabe, che il n. A. raccomanda per l’abi - lità degli uomini loro, e per una certa onoratezza ; alle quali 23 bisogna ricorrere per viaggiare verso la Nubia e verso le oasi, sono le tribù degli Aulad-A’li, 0 tigli d’Alì , degli Abadi, e degli Avouzemi. La maggior parte poi dei servitori, tanto al Cairo quau- to nelle città del basso Egitto, sono nubiani, e 8’ appellano comunemente barbarini ; a loro sono quasi sempre contidati gli impieghi di duadeh 0 portieri, e di saist o palafrenieri. Sono di buona pasta e dolcissimi nei luoghi ove domina la giustizia turca ; ma più lontano diventano talora soggetti ad eccessi della vatia loro ferocia. Robusti. e sobrii resistono a qualunque fa- tica; e, quando si scelgono con attenzione, sono eccellenti guide ed ancora migliori iuterpreti, a misura che più si risalga il Nilo al di là delle prime cateratte. Ma conviene prenderli al Cairo , dove sono generalmente più dirozzati, e più al fatto dei bisogni d’un europeo , che nell’ alto Egitto. Le donne egiziane , che il n. A. si occupò molto a studiare, formano , come altrove nei paesi maomettani, tre classi distinte, cioè : mogli e figliuole di uomini liberi, concubine , e schiave. Queste ultime, tranne alcune poche greche, vengono quasi tutte dall’Abessinia ; la Georgia, e la Circassia provvedono le più belle concubine. Una bella fanciulla nera di dieci anni costa al Gran Cairo fra sei ed otto cento piastre; una georgiana invece, fra dieci e quindici anni, si venderà più di ottomila In un hharem, o serraglio, le mogli legittime, che non possono essere mai più di quattro, godono appieno del delizioso fur niente, e sono ub- bidite e servite da padrone. Le concubine all’ opposto vanno sog - gette a diverse occupazioni, che tutte però si riferiscono ai piaceri del comun padrone; alcune sono cantatrici, altre ballerine ; al- tre fauno i sorbetti, il caffè , ed hanno cura delle pipe, della biancheria , e della guardaroba. I servizi più abbietti sono de- voluti alle schiave affricane , che allattano pure la maggior parte dei bambini. Le donne del basso popolo sono le sole che si veggano cir- colare liberamente, senza essere accompagnate , ed anche senza velo , tranne il loro milaî , spezie di schiavina di una sola pezza, che avviluppa tutta la persona. Quelle di una classe più elevata escono spesso per recarsi ai bagni, o per visitare i loro parenti ; 8° incontrano a piedi, o supra asinelli , ma sempre accompagnate o seguite da uno o più famigli. È troppo conosciuta l’estrema gelosia degli orientali, che regna pure, con tutta la sua forza, tanto presso gli egiziani quanto presso gli abitanti musulmani della Nubia. Non domandi mai un viaggiatore nuove delle donue quavdo si troverà cun uno 24 di costoro; non faccia mai l'elogio delle loro attrattive, imper- ciocchè la freddura succederebbe immantinente alla più amiche- vole accoglienza: le migliori disposizioni sarebbono.in un attimo cangiate in un’avversione alle volte tremenda. Le carezze invece, che si fanno ai loro bambini, riescono sempre graditissime ; ed i regalucci, che quei bambini ricevono, sono accolti col più grande piacere. Ma sarà indispensabile prudenza il non far attenzione alcuna ai lezzi delle loro donne, nè alla seduttrice appetitiva nudità delle bellissime loro figliuole. Gli europei piacciono as- saissimo alle egiziane per la bianchezza della loro pelle, che amano molto a stazzonare. Quelli che non lasciano crescere la barba, e che adottano la foggia di vestirsi del paese, aumentano ancora negli occhii di quelle femmine il merito della loro bella carnagione. Nell’ Egitto e nella Nubia i principii religiosi si coufondono, per rispetto alle donne , coi diritti positivi della pro- prietà ; in guisachè l’allettamento della galanteria v'è doppiamen- te pericoloso. Si ha, per dire il vero, la risorsa delle così dette a!lmèe, come altrove delle cortigiane ; ma il contatto con queste prostituite non è mai senza inconveniente per la salute. Si è osservato , che le malattie veneree divengono più rare a misura che uno si discosti dal Nilo, oppur si avanzi verso la Nubia, dove non si conoscono punto, e non vi sono femmine da conio. Il gusto degli ornamenti e della civetteria è innato nelle egiziane, come nelle doune di tuttii paesi del mondo; e trovano pure il verso di soddisfare all’inclinazione loro per la galanteria, ad onta di tutta la gelosia e la vigilanza degli uomini, e di tutto il dispotismo del costume. Non è però nelle moschee, nè nei teatri che ordiscono i primi fili dei loro intrighi amorosi, e che diano appuntamenti ai loro amanti; ma sì bene nei cimi- ‘teri, ed in mezzo ai sepolcri. Gli egiziani hanuo grandissima cura delle tombe dei loro defunti; gli alberi, che piantano e mantengono all’ intorno , formano luoghi di spasseggiamento ar- rezzati e sovramodo piacevoli. L° usare quivi non è interdetto alle donne ; ed i motivi religiosi, dei quali si credono condotte, le sottraggono alla sorveglianza dai loro padroni , e favoreggiano gli incontri, che altrove sarebbono impossibili. Le feste poi del Beiram formano soprattutto un’ epoca privilegiata. negli aunali della galanteria egiziana. Allora è permesso alle donne di pas- sare tre giorni interi sotto tende e padiglioni accomodate entro il recinto dei cimiteri, ove i lor mariti si guarderebbono ben bene di venirle a disturbare ; alcuni perchè 1’ uso lo proibisce, altri perchè crederebbono di commettere un sacrilegio. La quale 29 costumanza riduce alla memoria il culto ed i misteri della Buona Dea presso gli antichi romani. Ma gli uomini licenziosi, che l’ incitamento del piacere vi attrae, non mancano di pene- trarvi , mediante l’aiuto di qualche pietosa matrona, e di farsi riconoscere sotto le spuglie o d’ un portatore d’ acqua , o d’un portinaio , o di un famiglio ; e non di rado lasciansi anche, come anticamente Clodio, ma di lui più fortunati , raffisurare sotto l’ abito finto del bel sesso. Contuttociò non sono cosiffatte im- prese senza pericolo ; ma le donne secondano a meraviglia coloro che vi si avventurano , mentre il laberinto di quelle necropoli lascia loro ogni facilità di salvarsi. Ma l’ epoca ed il luogo più propizio per le imprese amatorie degli egiziani, sono le tre annuali feste che si celebrano a Tan- tah , nel Delta, intorno alla tomba di Sidi Mumet el bedauvi, v sia del bedovino Sidi Mamet, gran santone di quei musulma- ni, dal nostro Antore appellato Said-el-bedauvi, ciò ch'è un nome tutt’ affatto diverso. Nessuno ignora che Sidi vuol dire in arabo signore mio , o monsignore, ma che Said è un nome pro- prio, che significa felice o fortunato. La più considerevole di co- tesie fiere è quella di Sciurun-Balbié, che si tiene in aprile, e dura un mese. In essa incontrasi tutto quello che umanamente si può desiderare : le stoffe , le spezierie ed i profumi dell’Ara- bia, e dell’ India; i tessuti di Cascemira, ed i prodotti delle manifatture d’ Europa. Quasi tutto l’ Egitto vi concorre , e ben sovente vi si trova riunito un mezzo milione d’ individui fra uomini, donne, e bambini. Le baracche fabbricate su due file, e le tende, cuoprono la pianura per oltre dodici miglia. Ma il carattere distintivo di questa fiera si è l’affluenza straordinaria delle dome , prodotta dalla passione loro per la galanteria , sem- pre contrastata in ogni altro luogo e tempo, ma che quivi, sotto la salvaguardia della religione , si può impunemente e liberamente sbramare. Le spose , verbigrazia, che tardino troppo ad avere figliuoli, o che siano minacciate di sterilità, domandano comu- nemente ai loro mariti la licenza d’ ire a Tantah per fare le ora- zioni, e raccomandarsi al santo beduvino. Il marito non può dire di nò ; e la donna si mette in cammino accompagnata da suo padre, o da sua madre, o veramente soltanto «da qualche sua vicina dedicatasi al medesimo pellegrinaggio. Giunte al termine del viaggio incominciano a far piantare la tenda, e vanno indi alla moschea per farsi vedere, e per recitarvi innanzi alla tomba del santone la loro fatha o preghiera. Il soggiorno di un mese a Tantah, V’ intercessione de! santo protettore , ed il ministero T. III, Settembre. 4 26 di qualche famiglio , o confidente discreto e leale, concorrono n.el buon successo del pellegrinaggio. Quasi tutte ritornano a casa loro incinte, e dimostrano colla loro sollecitudine, colle loro ca- rezze, se non il diletto di rivedere i lor mariti, almeno la con- teutezza ch è lor rimasta dal viaggio. Ma quel santo bedovino non si limita soltanto a consolare le donne neglette ; ei guarisce ancora molte infermità e molte malattie. Puco distante dal santuario si vede un piccolo lago, che riceve e smaltisce le immondizie della moschea; all’ intorno di esso stanno disposte lampadi che si accendono la notte , allorchè i piagati od afflitti da malattie cutanee vi si vanno ad immergere durante lo spazio di un’ora. Se una sola immersione non basta, si ricomincia , e si prosiegue fino a perfetta guarigione. ‘Il nostro Autore assicura, che questo metodo curativo nesce quasi sem- pre a bene; ma, beuchè determinato a lasciarne tutio il merito al santone, gli increbbe di non essere stato nel caso di far l’ana- lisi dell’ acqua di quel miracoloso laghetto. I capitoli nono , decimo , ed undecimo del sig. Rifaud con- tengono fatti ed osservazioni non meno curiosi ‘che utili con- cernenti gli scavi, le collezioni di storia naturale , i disegni , i manoscritti, il modo di conservarli, ec. ec. E nel duodecimo , oltre la descrizione testè accennata di Tantah , esibisce una ben fatta esposizione corografica ed itinerari» dsl Delta, che forma la parte più fertile e la meglio coltivata di tutto l’ Egitto, pro- ducente in abbondanza il riso , il fromento , il granturco , il co- tone ,la canapa , l’ indaco , e le canne da zucchero , che vi pro- vengono meglio che nell’ Egitto superiore. Le sponde dei canali e dei condotti ‘l'irrigazione sono ombreggiate da platani, da sa- lici, albicocchi. persici, melagrani, cedri, e pergole cariche di - viti. La filatura del cotone è la principale industria del Delta ; i principali stabilimenti sono a Damietta , Manssura, Maha!éh, Elkebir, Fuah, Benelasal, Mitcamere , ec. Del rimanente il no- stro Autore fa i più meritati elogii della vita attiva e laboriosa degli abitanti di cotesta bella provincia. Nel capo tredicesimo il sig. Rifaud riempie una vasta lacnna finquì esistente nella corugrafia della Sciarchiéh , o regione ovien- tale ; fra il Delta , la Siria, ed il golfo di Sues, con darci la descrizione ultre modo interessante dei punti più ragguardevoli di quel tratto di paese finoggi pochissimo. conosciuto. Salkiéh n’è come il centro di movimento; da una parte comunica per Belbeis col Gran-Cairo , e dall’altra per Qatieh ed El Arisce colla Siria} mentre per altri luoghi accennati dal nostro Autore 21 corrisponde con Sues ed il golfo arabico. Questa provincia appa- risce in tutte le nostre carte come un deserto inabitato ; il sig. Rifaud vi ci fa conoscere una quantità sorprendente di luoghi e di popolazioni, di cui fissa pur anche le relative posizioni e le distanze. Fatto stà , che i viaggiatori cercano 1’ Egitto unica- mente nella valle del Nilo ; ma verrà senza dubbio il giorno in cui lo studieranno in tutti i luoghi dove ha esistito, e dove tut- tavia esiste. Al quale effetto il nostro Autore li ha forniti delle più acconcie agevolezze. Le rovine di Taquieh-Faraun, di Tele- baste , e di altri luoghi dell’istmo di Sues ,- meritano tutta l’at- tenzione degli antiquarii ; e ricompenseranno amplissimamente le fatiche di chi vorrà occuparsi in disotterrarle e farle conoscere. Andando innanzi col nostro Autore, troveremo descritte le piramidi di Gizeh e di Saccara, delle quali gli arabi si sono costituiti oggimai li custodi, mentre vivono , diciam così , delle maraviglie de’ Faraoni. Dieci anni sono svaligiavano i viaggiatori, che credevano avere veduto l’ Egitto quando eransi accostati a quelle piramidi. Presentemente quei semiselvaggi abitatori del deserto si mettono al servigio dei curiosi europei, ed in verità non vi perdono nulla. Si sa che la più alta di coteste immense moli ha più di quat- trocento venti piedi di elevazione , e che ogni lato della sua base triangolare equilatera misura seicento piedi. Il nostro Au- tore, d’accordo in ciò con molti altri autiquarii, sostiene, che non hanno mai potuto servire ad altro uso , che a quello di seppel- lirvi dentro i morti. Molti scrittori, parlando di queste piramidi, e riflettendo all’immenso lavoro, ed al dispendio di uomini e di materiali che hanno costato , si sono messi a declamare contro il dispotismo degli antichi re dell’ Egitto; ma quali furono e sono i monumenti famosi, che venissero innalzati da altri che da so- vrani assoluti, o da dinastie di principi che, giusta la frase alla moda ; regnarono di diritto divino e con un potere illimitato ? Ciò che vi ha di più accertato , dice un ingegnoso scrittore mo- derno, si è che nè le piramidi , nè alcuna delle così dette me- raviglie del mondo, non furon già edificate sotto un governo rap- presentativo. Se il re Guglielmo IV fosse un sovrano assoluto, il Tunnel sotto il Tamigi sarebbe già terminato; e la Francia li- berale , repubblicana , costituzionale, o tutto quello che si vor- rà . non farà mai in più secoli ciò che di grandioso fece in pochi anni Napoleone, allora quando potè fare tutto quello che voleva. Dopo il Delta, il Fajam è la migliore provincia dell’Egitta, ed il nostro Antore dedica alla sua descrizione um capitolo so- 28 vra modo importante. I suoi abitanti sono industriosi assai , oc- cupandosi spezialmente in filare il cotone, ed in tessere le così dette tele grosse d’ Egitto; fabbricano pure stoje e ‘sporte di giun- co, del salnitro, e dell’indaco. A questo capitolo suecede un altro, che fa conoscere le provincie di Benisuef, Alfiéth, Miniéh, e Monfalut, da dove, nel capo seguente , cioè nel diciassettesimo, si entra nella Tebaide, ‘ove 1’ Autore passò sette interi anni a fare scavi ed investigazioni in tntti i luoghi dove poteva supporre d’incontrar cose peregrine e preziose. Il tempio di Carnac, nel circuito dell’ antica Sais o Tebe, è veramente una delle mera- viglie del mondo intero. Figuriamoci una maestosa mole di mille quattrocento piedi d’estensione in quadrato ; colonne, che hanno trentatrè piedi di circonferenza, ed una corrispondente eleva- zione ; colossi di quaranta, sessanta, ed ottanta piedi di altezza ; immense cariatidi; statue smisurate di Osimandia, ec. ec. ; ed avremo un’ idea della maravigliosa magnificenza del popolo e dei monarchi, che in tempi vicini alla culla del mondo seppero pro- durre monumenti così splendidi e superbi. Ma non perciò s:amo d’ accordo col sig. Rifaud dove concede a quella mole un’ anti- chità di cento dieci secoli avanti Meri, che visse 1256 anni prima dell’ era cristiana. Con tutto ciò, non si può negare, che, se la Tebe egiziana non fu la più antica reggia del mondo, ne fu per fermissimo la più vasta e la più magnifica. Altre meraviglie non meno stupende presenta il tempio ed il palazzo di Luxor , pure nel medesimo circuito di Tebe dalle cento porte, ove si riucontrano obelischi d’ un solo ceppo , che hanno ottantasei piedi di altezza. Ma è soprattutto la vicina valle famosissima di Biban-al-Muluc , cioè le porte dei re, che merita l’attenzione e lo stupore del viandante, e della quale stiamo con grande impazienza aspettando la «lescrizione da chi è inca - ricato di tessere la storia della spedizione toscana e francese, che ha procurato a Fire:ze un principio di museo egiziano. Gli sterminati ipogei, ove s’° incontrano pozzi profondissimi, che comunicano per mezzo di corridori a diverse sale sotterranee, ri- piene di bellissimi sarcotaghi, ben conservate mummie, sculture, bassi rilievi, e dipisture, nelle quali si conservano illesi i più vaghi e lucidissimi colori, spezialmente nelle tombe regali ; tutti questi oggetti non possono se non destare la sorpresa , 1’ ammi - razione ; e lo stupore di chiunque ha la sorte di vederle da vicino. Se non che l’ignoranza , la gelosia , e la malevolenza degli arabi e dei fellahi di Curneh , che abitàno presso l’entrata di quegli ipogei, sono ostacoli difficilissimi a vincere per chi si ac- 29 cigne a fare quivi nuove scoperte. S° intendono per altro costoro molto bene a trovarvi un utile grandissimo; mentrechè, nei ri- postigli appunto dei loro profondi abituri, tengono nascoste le loro raccolte di anticaglie , 1’ esibizione delle quali si fa da loro un pezzo alla volta, quando si presentino compratori europei. Gli uomini hanno le loro raccolte separate da quelle delle donne; talora la stessa raccolta appartiene a diversi arabi associati. Cio- nonpertanto il numero di quei mercatantuzzi è poco notabile , avvegnachè molti siansi fatti assai ricchi, dall’anno 1816 in poi, che gli europei sieguono a visitarli. Cotesta gentaglia interessata fu, ed è sempre, la più indo- mita e ricalcitrante di tutti i dominii del vicerè d’ Egitto. Al tempo della memoranda spedizione francese, le colonne di Buo- naparte duraron maggior fatica nel sottomettere quei mascalzoni, che tutte le altre popolazioni egiziane. Gli stessi bej mammaluc- chi non aveano mai potuto soggiogarli. Oltre di che coteste grotte, o caverne sepolcrali, sono eziandio infestate da tutti i malandrini fuorusciti dell’ Egitto, che vi cercano e trovano un rifugio si - curo , d’ onde escono soltanto per assalire e derubare i viaggia- tori ed i pellegrini , che si avviano alla Mecca. Cosiechè ognuno vede non esser» senza pericolo le visite, che fanno i dilettanti a cotesti preziosi avelli. È vero però, che prima i mammalucchi, quindi.i francesi, e finalmente i soldati di Mehemet Alì hanno ridotto il numero di que’ ribaldi, da oltre quattro mila ch’erano, a soli quattrocento o forse a meno ancora. Intanto era naturale cosa, che il traffico di coteste anticaglie dovea finire per risve- gliare anche la cupidigia del Regnante, ed infatti ci pare di aver sentito dire, ch’ Egli si è oramai fatto un monopolio di cotesto lucrosissimo ramo di commercio. Checchè ne sia, il libro del sig. Rifaud contiene dovizia di avvertimenti utili ed indispensabili per chiunque ha mezzi e voglia d’ingolfarsi in cosiffatte spe- colazioni. Se non che abbiam motivo di credere, che quel vice- rè abbia in questi ultimi anni fatto distruggere interamente il superbo tempio di Carnac , facendone una immensa tettoja per lavorarvi il nitro. Nel rimanente del Saidi il nostro \utore va descrivendo i siti più degni di essere osservati, le. pyime linee distendendo d’ un itinerario attraverso varii distretti infino ad ora poco 0 punto conosciuti. Assuan , Filoè , e !’ isola di Elefantina, me- ritano soprattutto di essere visitate. Di là poco lungi si passa la prima cateratta del Nilo , e poi il tropico del cancro, in un 30 distretto abitato da tristi e perfidissimi arabi della tribù detta Ababdes. 1 i Nel capo ventesimo sì descrive la Nubia , o sia la parte di essa che il sig. Rifaud ebbe occasione di visitare ; cioè fino ad una giornata al di sopra della seconda cateratta , e precisamente a Senneh, piccol porto attorniato da capanne, che servono di ri- covero a pochi barberini , e che il nostro Autore colloca sotto 19° 39' di latitudine, e 28° 37’ di longitudine all’ oriente di. Parigi. Ma ciò debb’ essere al certo un abbaglio . poichè tutte le migliori carte pongono Senneh sotto il parallelo di 21% 30' e sotto il meridiano 27 17; la latitudine indicata dal sig. Rifaud l’avrebbe condotto a Hanneq al di là della terza cateratta. Cio- nonostante i ragguagli da lui dati ed i consigli suoi ai succes- sivi viaggiatori sono qui, come altrove, della più solida impur- tanza. Più che si avanzi verso l’austro, e più i monumeati d’ antichità si avvicinano al primo stato infantile della scoltura e del disegno, che sembrano avere avuto la vera ed originaria loro sede nella Tebaide. Ma i geroglifici abbondano forse più an- cora nella Nubia, che sulle rive più inferiori del Nilo. Deri o Derr, è la città capitale del Barabra o sia della Bassa Nubia, e nelle sue vicinanze si visitano le rovine d’/brim, antica città dominante, e ad una giornata più in sui maestosi e stupendissimi tempii d’/Ibsambul, scavati nel vivo masso della rupe, sulla sponda occidentale del Nilo. Due di essi distinguonsi specialmente sovra gli altri; il più grande ha centodiciassette piedi di larghezza sotto ottanta di elevazione 3 quattro statue colossali; scolpite pure nel masso della roccia, in positura se- dente , vi si trovano addossate , le orecchie ‘ delle quali hanno tre piedi e mezzo di lunghezza, e la faccia. sette piedi di altezza. La distanza fra gli omeri è di venticinque piedi e mezzo, è l’ altezza totale, compreso il berrettone, è di circa sessantacin= que. In altrettante nicchie stanno venti ed una scimmie etiopi che. La distribuzione interna del tempio comporta quattord.ci sale diverse , nelle. quali s’ incontrano otto statue di ventidue piedi d’ altezza scolpite anch’ esse nel masso della rupe ; e che hanno conservato quasi intatti i colori applicati su diverse loro parti. La luce non entra nel tempio se non per la sola porta di entrata ; laonde convien munirsi di fiaccole per poterlo esa- minare: ti La Nubia produce il durra o sorgo , il cotone, il tabacco, e molte specie di fave e fagiuoli; i suoi alberi sono principil- 3I mente il sicomoro , 1’ acacia, la. palma dattilifera, che genera i famosi o delicati datteri di Brim Ahasi e di Sultanèh. Gli abi- tanti sono assai industriosi,, e coltivano bene i terreni lavorativi. Ciò nondimeno si spatriano assai volentieri, per andare al Gran Cairo ed esercitare i mestieri più vili e le professioni più faticose. Dotati.d’ un temperamento adusto , sobrii , e laboriosi , sono soggetti a pochissime malattie; la tenia per altro li af- fligge troppo frequentemente. — Qualunque sia la malattia che lor sopravvenga, i loro rimedii curativi sono semplicissimi; € sempre gli stessi per loro medesimi e per le loro bestie: 1? olio bollente, ed il ferro arroventito applicato alla spina dorsale, Le donne fabbricano buon numero di corbelli o cofani di paglia e di foglie’ di palme, che si stimano assai, e si vendono general- mente in tutto l’ Egitto. Nei quattro capitoli rimanenti del suo libro il N. A. de- scrive due itinerarii verso il golfo arabico , un altro da, Fajum all’ oasi di El-Qassr, e finalmente un viaggio da lui fatto al monte Sinai pel mar Rosso e per l’Arabia petrea. Nei due primi dà importanti ragguagli delle valli di Vadi-el-Miah , di Bizac e di Vudi-el-Gemal , del monte di Zabara , appiè del quale stanno le miniere una. velta famose di smeraldi, e delle strade, che con- ducono da Edfu alla costa di Berenice ; cioè al promontorio detto Ras-en-Nuscef o della pomice ,, e da Kenè a Qosseir ed a Sues. Gli abitanti di £/-Qassr, che il n. A. scrive E/-Cossar, e di Elloah-el-Aize, cioè 1’ oasi d’ El-Khaiz,, parlano un linguaggio simile a quello degli abitanti di Siwa e Sizah, ed è un dialet- to dell’ antichissima ed estesissima lingua atlantica , detta pu- re amazirga e berebera, Cotesta oasi è d’ altronde fertilissima , e produce copia di bestiami e di tut'e le cose necessarie al so- sientamento della vita umana. Il principale villaggio ‘s’ appella Zabù ; un altro detto E/-Qassr , cioè il palazzo ed il castello , è pure ragguardevole , e sovente in istato di guerra col primo. L' itinerario al monte Sinai contiene ragguagli nuovi. e, cu- riosi della città di Sues, e dei bastimenti che fanno il commercio del mar di Qolzum o sia del golfo Arabico; ma soprattutto vi si leggono cenni nuovissimi intorno l'Arabia petrea, visitata da tanti moderni viaggiatori, ma da pochi bene. descritta. A Tor s’ in- contra una tribù di settarii arabi nominati Salemniti, che pro- fessano un spezie di culto a Salomone e ad Abramo, senz’im- pacciarsi troppo di Maometto ; e sono probabilmente i più anti- chi abitanti della contrada. Appiè del monte Sinai ye del picco di esso nominato Serièh, il n. A. vide ed osservò il famoso 32 sasso , dugli arabi chiamato Massah o Meretah , dal quale Mosè fece sgorgar l’acqua; egli è di granito rosso, egualmente lungo e largo di dieci piedi, ed alto tredici. Vi si riconoscono tutta - va due fenditure, l’ una orizzontale , e 1’ altra perpendicolare , la quale ultima parte da un'apertura di due o tre piedi (*). Così pure vide ed osservò , sul lato occidentale dell’ Oreb ; la cavità, ove Mosè , per mezzo d’una fessura, che pur tuttavia esiste, vide passare il Signore. Il monastero di Santa Caterina siede a 5420 piedi sopra il livello del golfo arabico, e 1’ elevazione del monte Sinai sopra quel convento è di 2200 piedi; ma la som- mità più eminente di tutto il giogo di quei monti è il picco di Santa Caterina, che poggia 8452 piedi sopra l’anzidetto livello. In una paro!a, quest’ ultimo capitolo è uno dei più belli e più importanti del libro , a cui fa pregevole e degnissirna corona. J. G. H. (*) V. Antologia Vol. XL. N.° 118. p. 83. nota (8). IL’ Architettura di Vitruvio, tradotta in italiano da Qui- RICO Viviani, illustrata con note critich: , e ampliata d’ag- giunte intorno ogni genere di costruzione antica e moderna ; con tavo'e in rame : opera del traduttore e dell’ ingegnere architetto Vincenzio Tuzzi. Udine pei fratelli Mattiuzzi 1330, Tipografia Pecile , Fascicoli T.° e II.® i Al frontespizio , che quì diamo trascritto come titolo enun- «iativo dell’opera , è posto avanti altro compendiato frontespizio inciso in rame in cui si annuuzia esser quest'opera pubblicata a spese d’ una Società ,' che s’intitola Vitruviana. Un siffatto annunzio debbe raccomandar singolarmente questa nuova ver- sione agli architetti, e farli certi che le note postevi, e le ag- giunte; per quanto opera particolare del ch. traduttore , il profes- sor Viviani , e dell’ingegnere Tuzzi , avranno ricevuto un tacito voto favorevole, e quindi saranno state riconosciute di grandissi- ma utilità da un collegio di professori dell’ arte edificatoria: e tali abbiam fiducia che le troveranno gli studiosi di quell’ arte. Nè solo a comodo ed utile degli esperti architetti, ma ad istru- zione ancora ‘degl’ iniziati nell’ architettura e nelle scienze che a quella si riferiscono ; pare destinato questo lavoro. Puichè se pei primi fu creduto ben fatto di aggiungere al testo Vitruviano il corredo delle cogniziuni scientifiche de’ nostri giorni; i secondi 33 vi troveranno quelle istruzioni , che per avventura sembreranno troppo ovvie e comuni ai già provetti professori. E perchè anco gli eruditi trovino di che soddisfare agli studi e cognizioni loro, han saviamente pensato gli editori di dare eziandio il testo latino alla fine della traduzione, giovandosi delle emendazioni non solo dello Stratico , del Poleni e di altri ; quanto ancora delle ultime del Marini, desunte dalla sua edi- zione ultimamente data in luce a Roma : e agli eruditi promet- tono gli editori tutte le varianti inedite messe insieme dalle col- lazioni di parecchi codici, fatte dal Muratori, dal Maffei, dallo Zan- notti, da F. M. , da Apostolo Zeno, dal Mead, dal Fabricio , dall’ Avercampo e da altri. Tali sono le premesse all’ edizione udinese del Vitruvio italiano. L’ opera è intitolata al celebre cavaliere Cicognara , l’auto- revole voto del quale pare avere aggiunto animo agli editori di assumere l’ impegno di questa pubblicazione. La patria, l’ epoca in cui visse Vitruvio, e le opere da lui disegnate ed eseguite sono esposte in brevi cenni, da’quali si stabilisce esser Vitruvio nato in Formia, ora Molo di Gaeta; di aver fiorito al tempo delle guerre civili di Cesare e di Pompeo, di Augusto contro Bruto, Cassio ed Antonio ; avere esercitata la professione d’ ingegnere per le mucchine militari; avere ottenuto uno stipendio vitalizio da Augusto ; avere scritto e dedicato il suo trattato a Cesare suo benefattore ; avere scritta la sua opera dall’ anno 734 al 741 di Roma ; esser morto all’età di ro anni; avere edificato il tempio di Quirino per comando d’ Augusto, ed inventato la basilica o palazzo della giustizia in Fano. Introducousi gli editori considerando Vitruvio come l’unico maestro fra gli antichi, che abbia riunito ne’suoi scritti le dot- trine teoretiche e pratiche degli architetti greci e latini, de’quali dando i precetti, non li scompagnò mai dagli esempi. Pure a ta- lino sembrò che nell’opera sua manchi una tal quale chiarezza; la qual mancanza può attribuirsi a due cagioni : al linguaggio tecnico usato esclusivamente dai cultori dell’arte; alla perdita delle figure da Vitruvio delineate, e alla distruzione di quelle fab- briche dall’ architetto romano citate ad esempio. Col sussidio della critica e dello stato attuale delle scienze era dunque tempo di tentare di spingere il guardo fra il buio dei tempi andati, e contemplare e valutare giustamente il me- rito di questo scritture. “ Le scienze risorte (dicono gli editori), » coi tipi del Magonziano annodarono al morido antico il mo- T. III. Settembre 5 34 ss derno ; colle navi del Genovese tragittarono l’ immensità del- »» l oceano ; ascesero al cielo colle ali dell’ingegno del Fiorentine; »; e si diffusero per tutto l’ universo col movimento del secolo ,s in cui viviamo ,,. Esponendo quindi 1’ ordine da essi tenuto in questo lavoro, han conosciuto che a rettamente giudicare il merito dell’autore faceva ‘mestieri conoscerlo nella sua integrità. Perciò prima loro cura si fu di ridurre il testo possibilmente alla vera lezione. E a conseguire tale scopo si aiutarono delle notizie raccolte dai più celebri interpreti vitruviani, i quali consecrarono iu Europa le loro vigilie allo studio di questo scrittore ; non. omettendo gli scritti e la voce de’ nostri che siedono in mezzo ai fasti di Roma antica, non obliando alcuni dei migtiori che affaticarono recen- temente intorno a Vitruvio. Emendata la lezione del testo , ne veniva per conseguenza che nuova esser dovesse la versione, perchè a quello fosse con- sentanea : poichè i migliori traduttori come il Barbaro , il Ga- liani; l’Orsini avevano sutto gli occhi testi i quali leggevano di- versamente da quello emendato dal ch. Viviani. E forse ei si sarebbe attenuto a servirsi della versione del Galiani; pure ne tolse il pensiero ponendo mente che a’giorni di quel volgarizza- tore le scienze non eransi, come al presente , insiguorite delle arti. $ E quanto alla lingua egli fu infrenato dal linguista Bot- ;; tari, il quale vide e rivide con rigida accuratezza quell’ope- »» ras e ne tarpò tutto quello che esciva dai limiti del purismo ,,. Quindi il ch. Viviani diede mano ad una nuova versione dal o latino nella lingua nazionale italiana: e per renderla quanto po- ;, tevasi facile e popolare, e vestita del linguaggio tecnico e fa- , miliare delle arti, fatto il debito atto di reverenza verso i », venerabili padri de’ nostri giorni, morti e sepolti in pace nella so» fede illibata del trecentismo , abbiamo preso il cammino 3) dietro 1’ orme segnateci dalla filosofia del secolo XIX ,, (1). uv (1) Dalle parole quì sopra notate alcun crederebbe essere stato intendi- mento del traduttore di onninamente emanciparsi da’ canoni del purismo. Ma infatti non è così; e troviamo in generale nella sua dettatura buon uso di nostra lingua. Se non che talvolta ci dà occasione di rammentarci essere egli stato il compilatore di quel vocabolario di voci, più venete e friulane che ita- liane , col quale diè compimento alla edizione del codice Bartoliniano. Nè con questo intendiamo di non dargli la dovuta lode : che anzi brameremmo che, a comporre le municipali liti grammatico-letterarie, che si suscitarono tempo fa in Italia in fatto di lingua , si vedessero dati in luce gli speciali dizionari dei diversi dialetti italiani, i quali avvisiamo che mostrerebbero una sola esser l’ori- 35 Con tali norme condotta la presente versione , è stato più agevole internarsi nella sentenza dell’autore, onde valutare giu- stamente i meriti e i difetti dell’opera di Vitruvio. Quindi è in- negabile che le misure e proporzioni vitruviane non corrispondono a quelle degli edifizi che esistono ; che non parla delle forme maestose degli archi; che determina senza regola l’ altezza di alcuni edifizi ; che appoggia talvolta a fantastiche popolari tra- dizioni alcune storielle; che trattando di fortificazioni militari trascura di parlare delle mine di Camillo, delle circonvallazioni di Scipione e di Cesare; che non fa parola delle famose strade romane ec. Ma da altra parte bisogna convenire esser nel suo trattato ogni sorgente di filosofia architettonica ; essersi su quello formati un Vignola, uno Scamozzi, un Palladio ; i quali se cor- ressero e ingentilirono parte delle forme da esso descritte, il loro nobilissimo ingegno seppe trarne da pianta sì feconda tanti copiosi e piacevoli frutti “ e noi (proseguono gli editori) per la »o debita giustizia a quei sovrani maestri, e per pieno compi- 3, mento del nostro lavoro, abbiamo riunito a Vitruvio le più »» belle riforme da essi fatte agli ordini architettonici, aggiun- »» gendovi le più utili applicazioni delle scienze esatte , ed in- »» sinuandoci colla scorta di quelle in tutte le diverse parti del- ». l’ architettura civile, non escludendo la militare ,,. Or se a tanto giunsero quei sommi maestri dell’ arte , certo è che non si appagarono del solo studio superficiale dell’ eser- cizio pratico di disegnare, ma studiarono profondamente le ra- gioni e le dottrine dell’ arte istessa , e vi applicarono le cogni- zioni scientifiche de’ tempi loro. A torto adunque si persuadono taluni che col solo imparare l’uso della riga e del compasso, di- seguando e copiando senza meditazione gli ordini d’architettura, possa formarsi un architetto, e molto meno un architetto inge- gnere ; presumendo che non faccia mestieri stancar la mente con speculazioni scientifiche ; stando unicamente contenti ad un me- schino corredo di poche comuni dimostrazioni geometriche, e di semplici rudimenti di meccanica: presumendo di potere con tanto poco sapere trarre a fine imprese di fabbriche ragguardevoli, di gine d’ ogni italiano vernacolo, lasciando ad altri il giudicare qual'parte di vo- caboli abbia dato la Toscana all’ Italia , e quale da questa ne abbia quella ri- cevuta, onde costituire l’italiana favella ; e qual sussidio possa questa ricevere, per completare la serie delle parole che le manchino ad esprimere e signi- ficare pensieri, cose, passioni, condizioni , gradi d’ idee e di concepimento dell’ intelletto, 36 ponti , di canali, di strade , ec. ; opere tutte che vogliono somma dottrina di varie discipline, e matura considerazione. E forse se dirai a taluni: assumete l’ incarico di seguare ed eseguire una via che adegui la via Appia o l’ Emilia ; un edifizio che stia al pari dell’ anfiteatro Flavio , di quel di Verona o di Pola, sen- tirai vantare che gl'ingegni non mancano per immaginare e con- durre imprese sì vaste e sì magnifiche . ma al tempo stesso udi- rai deplorare la miseria de’ tempi che non ne somministrano le occasioni. Nè a torto potrà esserci chi dubiti se, quanto sarebbe d’uopo, si studino quei maravigliosi monumenti dell’ antichità , e che se ne guardi solo l'apparenza e non la sostanza con queila solleci- tudine e perspicacia con cui fa di mestieri studiarli; vedendo ben di rado imitate da quelli le fuime e le disposizioni non tanto nei privati, ma specialmente negli edifizi sacri. ‘° Ed in 3» vero, possiamo noi additare un tempio di tale maestà, di tale »» proprietà di figura, di tale corrispondenza di simmetria, di tale 3» decoro , che possa stare a fronte del Partenone , del tempio ;» di Giove olimpico , del Panteon? ,,. E lasciando di presente di parlare di edifizi pubblici e pri- vati, e fermandoci per un istante sul soggetto de’ sacri, quanti non ne vediamo, non dirò dei giorni nostri ma dei passati ancora, nei quali sieno tolte di mezzo affatto le forme e le disposizioni, le quali, se convennero a popoli per costumi, per loco, per clima, per età, per credenza da noi onninamente diversi, a noi certa- mente sono disconvenienti. E in questa occasione crediamo dave un saggio del vigore col quale contro tali abusi inveiscono nella lo- ro introduzione all’ architettura gli editori del Vitruvio italiano , riportando per esteso le loro parole, come abbiam tentato quasi colle loro stesse espressioni compendiare fin quì la loro introdu- zione. i ‘ Non dubitiamo che se Vitruvio sollevar potesse la calva sua testa in mezzo alla stessa moderna Roma, non fosse gra- vemente per esclamare : ,, Oh architetti! perchè mai mati voi in una religione uscita dal seno della natura, tutta informata delle celesti virtù , non avete applicate alle immagini delle me- desime le regole, le simmetrie, le proporzioni che io ho espresso nell’ applicazione allegorica alle diverse virtù deificate dall’ an- tichità ? A Giove ottimo massimo io ho stabilito un tempio con- veniente al suo eterno impero sopra il cielo e sopra la terra; ed ai templi delle altre deità assegnai sito , figura, ornamenti con- formi alla natura da loro rappresentata. Or se io dovessi erigere 37 un tempio all’ Eterno, vorrei che fossero espresse nell’opera mia visibilmente le immagini dei suoi divini attributi; nè ad un campio - ne di Cristo innalzerei io mai un edifizio più maestoso che al suo divino maestro; nè a verginella virtuosa e pudica farei una fabbrica di forme simili a quelle che farei per un eroe che durò intero ed impavido a petto delle violenze , delle carceri e delle scuri di un crudele tiranno. Bensì al primo predicatore della fede ed ai mirabili suoi confratelli dedicherei dignitosi, semplici e non molto variati lavori.. E così ripartirei , secondo la diversità di tali na- ture i differenti ornati degli antichi ordini architettonici. E se lodo io che si cangino le parti degli edifizi che hanno partico- lare riguardo ai riti religiosi, ed ai costumi dei greci, e dei miei romani; dall’ altro canto io condanno che , contro il prin- cipio dell’ unità, si confondano in un’ opera sola tanti sì variati, anzi contrari soggetti, fra cui non si può discernere, se non dal nome, quale sia il principale. Perchè mai in quella, quan- tunque superba mole che chiamate voi Vaticano, veggo io espresso il mirabile ingegno del Bramante, e la smisurata immaginazione di Michelangiolo, e cotanto meschina mi apparisce l’ espres- sione del criterio e del gusto ? E quì Vitruvio conchiudereb- be, dicendo: Oh architetti del secolo delle scienze , lascia- te alla ammirazione delle fantasie guaste e corrotte di pochi degenerati italiani le opere mostruose rappresentanti la religione ‘delle divinità selvagge de’Bardi, e de’Druidi; riformate gli abusi introdottisi nell’ architettura dei secoli dell’ignoranza; riformate, se ciò vi sembra, anco i miei, ma non obliate la prima qualità essenziale da me insegnata, e parlante in tutti gli edifizi greci e romani da me rammentati e descritti: Za convenienza ,,. Ma se vi è cosa, che raccomandi l’ opera degli editori si è specialmente l’intendimento loro di consacrare alla patria un’ope- ra ove sieno raccolte le cognizioni tanto degli antichi, che de’mo- derni , applicabili all’ architettura; che offrisse agli studiosi ita- liani i migliori modelli e le necessarie dottrine che lor fanno cor- redo; che mostrasse le fonti del bello , e al tempo stesso i di- fetti, da’ quali neppure i primi ingegni non sempre andarono immuni; un’ opera che avesse per principale oggetto la maestà, il decoro , la bellezza, la convenienza, la solidità , il comodo degli edifizi pubblici e privati; e che voltata nella lingua na- zionale conservasse 1’ uso de’ vocaboli familiari dell’arte. Quindi a ragione devono confidare che le fatiche loro sieno per essere bene accolte da’loro compatriotti, avendole impiegate in un’opera che rappresenta sì agli artisti, sì agli amatori delle arti e della i) 38 gloria della nazione, quel che I'Ttalia fu, e che insegni a loro e ai loro posteri quel che l’ Italia può essere ,.. Contiene il {,° Fascicolo la versione italiana del primo libro di Vitruvio. Sarebbe stato tempo perduto il confrontare col te- sto il lavoro dell’ illustre traduttore ; non tanto per non essere per anco pubblicato il testo corretto, che vedrà la luce sepa- ratamente compiuta l’ edizione del vo'garizzamento, e sul quale è stata fatta la traslazione; ma più ancora perchè altro non può essere che opera degna del ch. prof. Viviani. E se nel luogo ove compiliamo il presente articolu avessimo avuto a mano un testo qualunque latino , che non abbiamo , avremmo certamente avuta compiacenza nel vedere le giudiziose emendazioni ed ammirata la ingenna e franca dettatura del traduttore , e la sua felice maniera di trasportare in nostra lingua l’ espressioni del Lazio. E certo la lettura ci è riescita chiara e grata , e tale speriamo che riuscirà a chicchessia. Ma la parte maggiore di questo fascicolo sono le note e le giunte , le quali occupano per lo meno il doppio del volume del testo. Le note sono spettanti all’ arte , all’ erudizione e alle scien- ze. All’arte appartengono e quella della p. 41 la quale porta la descrizione e la figura del Pandrosio; e l’altra alla p. 56 sull'ordine, la disposizione , l’euritmia , la simmetria, il decoro e la distribuzione , cose delle quali 1’ architettura si compone ; e l’altra alla p. 61, la quale riporteremo come saggio j e quella alla p. 68 sulla solidità e fermezza degli edifizi ; e le due alla pag. 69 sulla elezione dei luoghi , e alla p. 80 sulla salubrità di essi; e alla p. go sulla esposizione degli edifizj, e alla p. 93 sulla torre fabbricata ad Atene da Andronico Cirreste ove erano scolpite le imagini di otto venti, della quale è data descrizione e figura. La nota che qui riportiamo per saggio è relativa al decoro, o convenienza, una delle parti dell’architettura dichiarate nella nota a p. 56. « Nota saviamente il Barbaro che dalle parole di Vitruvio il prudente architetto può trarre molti belli documenti anche per le fabbriche de’ nostri tempi. Se dere noi (egli dice) non avemo i dei falsi e bugiardi, non manca però l’ occasione di servare il decoro nelle chiese consagrate ai veri amici del vero Dio, et an- che alla maestà di quello , e come che molti sono e differenti nello splendore di diverse virtudi, come le stelle del cielo dif- ferenti sono in chiarezza , egli si può bene usare ogni maniera 39 conveniente e propria agli affetti di ciascuno. L’ austerità dei santi, che nella vita solitaria si sono macerati in digiuni, vigi- lie e orationi, ricerca sodi e incolti lavori. La semplicità e pu- rità verginale più gentili e delicati; e finalmente la moderata vita ricerca la temperatura dell’ una e dell’ altra parte. ., « Il Barbaro ha detto qualche cosa, ma non ha detto abba- stanza ; è da tenersi il principio di Vitruvio, cioè che nell’edi- ficazione dei sacri templi devono aversi sempre in mira stazione, usanza , natura. Ma la nostra stazione è ancora incerta, l’usan- za affastellata da mille barbari pregiudizi, la natura spesso ob- bliata. Ciò prova pur troppo che la moderna architettura si è iutrodotta ed avanzata nei secoli d’ignoranza; e che essendosi dal tempo fatto un miscuglio delle regole, degli usi e costumi delle nazioni antiche con quelle delle genti del medio evo, nou si ebbe in appresso il coraggio nè la forza di tutto abbattere per riordinare ogni cosa dietro le leggi eterne del bello. Per questa ragione un intelletto, consumato nella perfezione delle arti antiche, vede con istupore la testa di S. Pietro sul busto di Giove, e i santi operatori delle nostre divine virtù nelle uic- chie delle divinità simboliche del Gentilesimo: vede in un tem- pio l’altare di un Santo o di una Santa collocato nel mezzo, e ad uno dei lati quello di Dio e della Vergine e mille altre improprietà e sconvenienze. Quando una mente giusta ed infor- mata del bello ideale si pasce nelle contemplazioni delle arti greche, non intende ella che i costumi nè l’ applicazioni di quelle arti sieno per noi: ella riconosce solamente fra esse la pittura fedele dello stato fisico, intellettuale e morale di quella nazione. {Sn mezzo tutto ciò ella riconosce ancora che queste ar- ti, perfezionate secondo lo stato della Grecia antica, male con- verrebbero per le differeuti loro particolarità ai secoli nostri; e che per ciò che spetta ai riti ed ai costumi tutto deve esser can- giato. Ma alcune cose sono comuni a tutte le nazioni e perpe- tuamente durevoli; e queste dobbiamo pure apprenderle da queile nazioni che più di tutte si avvicinarono alla perfezione. ,, « L’architetto, che getta gli occhi su questo luogo di Vitru- vio, dee badar bene prima di tuttu alla stazione, o sia forma e figura conveniente del tempio ; indagare le consuetudini, non assurde ma ragionevoli del popolo per cui egli fabbrica ; ed e- leggere dalla. natura il sito che si conformi alle qualità di quel personaggio divino, a cui egli brama di erigere l’ edifizio. So- prattutto egli impari dal Vitruvio a non mescolare in un tem- pio soggetti di differeute carattere, siccome Vitruvio non unisce 40 in un edifizio solo Giove e Flora, Minerva e Bacco, Diana ed Ercole; ma dispone ciascheduno secondo la loro particolare vir- tù: così l’ architetto moderno savio e prudente cerchi la forma, gli usi e il decoro convenienti al proprio soggetto , serbandolo possibilmente solo ; e se ciò non fosse possibile, collocando in- sieme alcuni di quelli che hanno fra loro una conformità di natura. Ciò operando conseguirà un ottimo ‘effetto dei suoi la- voti, e coopererà al sempre maggiore avanzamento di un'arte ancor pienissima di difetti , parte per la pedestre servitù verso gli antichi, parte per l’oltracotante prepotenza della barbarie. ;, Pone Vitruvio di necessità all’ architetto diverse cognizioni scientifiche: e a dichiarare quali sieno queste scienze , quale ne sia lo stato presente, e quale uso debbasi farne in archi- tettura sono poste dottissime note. Tali sono quelle alle pp. 39, 40 riguardanti alla geometria e all’aritmetica ; p. 45 alla musica ; p. 48, 49, So alla medicina e all’ astronomia; p. 7 alle esalazioni palustri ; pp. 79; 76 alla temperatura dei corpi animali; pp. 92, 93 , 94, roi alla natura ed origine dei venti; p. tot al circuito del globo terrestre ; ec. Alle note poi di eru- dizione appartengono quelle concernenti alla storia, o ad alcu- ne tradizioni invalse circa le provenienze d’alcune parti ed or- nati architettonici; o alla vita di vari artisti e filosofi da Vitru- vio nominati. Ma siccome tutto ciò, che voleva dirsi in corredo e iu com- plemento di questo primo libro; non poteva aver luogo nelle note , gli editori vi hanno supplito con tre giunte ; la I.* sulle leggi che riguardano l’ architettura ; la II.* su i fondamenti degli edifizi; la ILI.* sulle costruzioni militari antiche e moderne. In brevi parole Vitruvio al cap. 1. del primo libro indica che 1’ architetto oltre le altre discipline è pur dovere che co- nosca quelle leggi civili, per le quali si regolano le mura co- muni degli edifizi , il giro delle grondaie, delle cloache e. dei lumi. Parimente le condotte delle acque ed altre cose simili, affinchè prima di fondar l’ edifizio sia sicuro di non lasciar que- stioni ai padri di famiglia dopo terminata la fabbrica, e perchè nei contratti da scriversi sia ben cautelato sì il locatore che il conduttore. I giureconsulti han raccolto queste leggi o piuttosto indi- cazioni di concordati particolari, che per consuetudine presero l'aspetto di leggi, in quel trattato che intitolano delle .servi- tì; mostrando questo stesso nome che tali diritti non sono naturali e permanenti, ma acquisiti e perentori, Così l’ istitu- 45 zione di alcune servità dipende dalla forza naturale del'e cose, e quella d’ altre dalla libertà degli uomini che concordemente ne convengono. Prendono quindi forza di dritto, che merita la tutela delle leggi per impedire questioni che insorgere potrebbero fra i confinanti. Le servitù, che comunemente si dividono in urbane e ru- stiche , traggono la loro origine: 1.° da un contratto; 2.° da un testamento ; 3.° da una sentenza ; 4.° dalla prescrizione ; 5.° da una legge speciale : e cessano o per deperimento del fondo; 0 per prescrizione ; o per la riunione dei due foudi ; o per rinun- zia fatta legittimamente ; o per qualche caso contemplato nella costituzione della servitù. Co!l’ esposizione de’casi principali delle servitù tanto urbane che rustiche termina la I.* giunta ; la quale ci sembra utilis- sima non tanto agli architetti e agl’ in:egneri, come un com- pendio ed una indicazione onde ricorrere a più estesi trattati; ma necessaria a studiarsi dai capi maestri muratori e dai pro- prietari, ad oggetto di considerare bene i propri diritti e quel'i dei confinanti, prima d’intraprendere qualunque benchè piccolo lavoro; onde evitare d’ incorrere in successive questioni. La giuuta II tratta de’ fondamenti. Prima e principal cura dell’architetto è la costruzione de’ fondamenti , i quali sono dal Palladio considerati come il piede dell’ edifizio , dipendendo da quelli la solidità di questo. Perciò è d’uopo scavare il suolo ove si vogliono gettare per uno spazio maggiore di quello che occupar devono le mura; e scavarlo fino a tanto che si arrivi al sodo; quindi riempire lo scavo di solidissima costruzione. La condizione della solidità del suolo esige che l’architetto conosca le qualità diverse de’ terreni relativamente alla loro con- sistenza onde sostengano il peso, che sopra di essi intende d’imporre. E rispetto a questa qualità i terreni possono divi dersi in quattro specie. I. La Roccia. Sotto questo nome si comprendono tutte le masse solide minerali, le quali esibiscono un fondamento natu- rale , idoneo a sostenere qualunque edifizio, quando ne sia pa- reggiata la superficie e quando abbia una continuità di grossez- za. E qui si prescrivono le avvertenze speciali che debbono aversi se la roccia sia troppo liscia, o troppo ineguale , o troppo sco- scesa, o se la fabbrica debba posare sul pendio. II. Argilla. Oguuno conosce qual sia il terreno cui si dà questo nome. Se sotto l’ argilla siavi un banco di terreno mi- T. III, Settembre. 6 42 gliore vi si può gettare il fondamento dopo aver cavata |’ argilla che lo ricopre. In caso. contrario viene prescritto di disporre a livello del terreno una intelaiatura di travi, la quale abbia una estensione maggiore dei fondamenti : i vuoti di essa si empiono di sassi, ciottoli, mattoni, rottami, ec. , vi s’inchiodano de’ta- voloni, e sopra di questi si alza il muramento. III. Arena: Sotto questo nome si comprende la sabbia e la ghiaia ; e si prescrivono le cautele che voglionsi avere quando si debbano costruire fondamenti su questa specie di terreni. IV. La torba. Lo stesso si dica ove occorra fondare sopra ammassi di sostanze organiche decumposte, ed accumulate a qualche profondità, materie onde è formata la torba. Vitruvio omette di parlare delle proporzioni, che dar si deb- bono ai fondamenti; respettivamente al muramento che si vuole ad essi soprapporre ; eil a ciò è supplito in questa seconda giunta ; nella quale sono indicate le misure, che, secondo 1’ opinione di diversi architetti, dare si debbono alle fondamenta ; e termina con suggerire una legge costante per la loro costruzione ed è: che il fondo su cui posano sia livellato: che si alzino a scarpa, diminuendone la larghezza secondo che cresce l altezza: che il centro di gravità della base superiore cada nella stessa verticale di quello dell’ inferiore. Le costruzioni militari, tanto antiche che moderne formano il soggetto della III giunta. Si esaminano i pareri dei vari in- gegneri circa il perimetro alle città forti e alle torri; se curvi lineo o angolare. Tutto il contenuto in questa giunta ci sembra non suscettivo di raccogliersi per estratto in poco spazio, e fa di mestieri che gl’ intendenti soddisfacciano la loro curiosità leg- gendola distesamente e prendendone una distinta idea col sus- sidio delle figure che ci sono apposte. i Il secondo fascicolo contiene la versione del libro II di Vi- truvio, ed alcune annotazioni, appostevi dagli editori, di filolo- gia e di erudizione , altre destinate a dichiarare le figure delle tavole che accompagnano questo fascicolo , a interpretare secon- do la mente di Vitruvio le diverse costruzioni delle muraglie , e a indicare la natura e le qualità dei varj legnami che ne? fab- bricati occorre di mettere in opera. Ma di tutte queste cose più particolarmente si parla nelle giunte, le quali formano i tre quarti del fascicolo, prendendo soggetto da ciascun capitolo del testo. Così la I.* giunta, assumendo per tema il capitolo 1.°, di- scorre dello stato primitivo della società umana. É opinione di 43 Vitruvio che dopo l’invenzione del fuoco succedesse , senza inter- vallo di tempo, quella delle abitazioni. Ad infermare cotale opi- nione si espongono vari fatti incontrastabili, da’quali si conclu- de : che la lingua precedette sempre le arti anco più necessa- rie: che l’invenzione di queste fu tarda assai nella società umana : che si deve attribuire prima al caso, e secondariamente alle osservazioni di alcuni ingegni singolarmente penetrativi: che l’ architettura considerata come arte bella non appartiene che al punto più elevato della società civile. Considerata poi come arte bella non solo, ma utile e necessaria , è ben ragionevole il credere che più tardamente sia progredita. Il bisogno di ri- pararsi dalle intemperie dell’ ammosfera e delle stagioni , e se- condo i climi diversi, e di provvedere ai comodi della vita che paiono variabili secondo i tempi e l’ età, e quasi sempre rina- scenti , deve avere fatti fare ad essa meno rapidi progressi. E forse non mancherà chi pensi, e non senza fondamento, che il tener troppo la mira al bello e al grandioso dell’architettura, condi- zioni idonee a dar troppo pascolo all’ immaginazione, abbia fatto che siasi negletto, o non sufficientemente provveduto all’ utile e al necessario (2). (2) In questo proposito non vogliamo trascurare una lettera pervenutaci da un nostro Associato. Essa è del seguente tenore. Sig. Redattore. Il secolo nel quale viviamo è tutto positivo , 1’ utilità pratica ha penetrato in tutti i rapporti della vita, finanche nelle arti che dipendono dall’ immagina- zione. Riconvsco questo fatto , lo sento, e pare a me di non prendere abbaglio. Ho visitate nello scorso anno in compagnia di alcuni amici l’‘esposizioni che hanno avuto luogo nella R. Accademia delle Belle Arti di Firenze, e nell’ I- stituto delle Belle Arti di Siena. Lascerò a persone più intelligenti e più pas- sionate di me per le opere di pittura e di scultura il narrare tutte le bellezze che si offrivano all’ occhio di numerosi spettatori; noi ne abbiamo ammirato il numero: ed i pregj ; in alcune di esse molto ragguardevoli: abbiamo commendato la liberalità dell’ insegnamento compartito a tutti egualmente senza distinzione di rango o di nazione. Ciò , che a noi non ha fatto un’ eguale favorevole impres- sione , sono stati i soggetti trattati da quei che si dedicano all’ arte architetto- nica. Abbiamo con dispiacere rilevato , che l’ ingegno degli alunni viene eser- citato in temi dei quali non verrà ad essi con molta probabilità mai affidata 1’ esecuzione. Il tempo della costruzione di magnifiche chiese , di grandiosi pa- lazzi, sia pubblici, sia privati, è omai ben lungi da noi ; lo spirito e le condi- zioni dei tempi vi si oppongono e forse per qualche secolo ; e qualora esso per avventura si riproducesse, egli sarebbe consentaneo al ‘buon senso terminare i grandiosi edifizj che in tanta copia esistono ancora in Italia , ed ai quali l’artista 44 Era naturale che parlando Vitruvio nel IT. capitolo dei prin- cipii delle cose ponesse in campo i soliti elementi degli antichi filosofi, acqua, aria, fuoco , terra, e che si proponesse trattar di questi e delle varietà ed uso de’ medesimi, come pure delle qualità che hanno megli edifizj; Ma gli editori hanno stesa su tal soggetto la loro II giunta, esponendo minutameute le mo- derne dottrine fisico-chimiche su i principii de’ corpi. Parla Vitruvio nel terzo capitolo «de’ mattoni, e di questi tratta la III giunta. E siccome il prim» ha esposto soltanto ciò che riguarda la formazione e l’ uso dei mattoni crudi, vien sup- plito in questo a quanto concerne la fabbricazione del lavoro di cotto. Così viene indicata la natura e la preparazione che con- viene dare alle terre, e le avvertenze che si vogliono avere per disseccarli e cuocerli, onde procurarli di ottima qualità. L’arena, la iralce, il gesso, la pozzolana formano il su- bietto delle tre seguenti giunte. Vi si prescrivono i modi per giudicare l’ arena idonea a fare un buon cemento; vi si danno importantissimi avvisi per la cottura della calce, vi si assegnano le migliori proporzioni della calce spenta ‘e dell’arena per avere cementi adattati alle diverse particolari condizioni d’ un fabbri- mon ha ancora posto l’ ultima.mano. Curiosa sarebbe la nomenclatura di essi, ed il loro numero recherebbe maraviglia a più d’ un amatore delle Belle Arti. Non sarebbe egli più conforme ai tempi nostri, e perciò più saggio , combi- nare gli esercizj architettonici delle grandi costruzioni (la di cui esecuzione non può essere che un’eventualità nei tempi nostri ) con lo studio di quelle parti della professione che si ‘applicano immediatamente ai bisogni giornalieri della moltitudine ?. Che noi abbiamo bisogno di coltivare in Italia questa parte dell’ Architettura parmi che non sia d’uopoil provarlo, tostochè si rifletta quanto sia ancora male intesa fra noi la disposizione ‘interna delle nostre case, di quanti comodi vi si manchi, come generalmente sieno oscure e ripide , 0 assurdamente grandi le nostre scale; come mal situate, e male intese le nostre cucine ed i nostri cammini; come, sotto un clima favorito per ogni modo dalla ‘natura, l’abitante del Nord e con lui noi medesimi soffriamo un rigo- roso freddo nei nostri quartieri, infine come ancora si sacrifichino imale a propo- sito i comodi alla vanità di una ricca e costosa facciata ? Ghi è dei nostri architefti che abbia studiato Rumford e quanti altri co- me lui, i quali hanno indicatoi mezzi i più proprj edi più economici per rendere sane, comode e piacevoli le differenti parti costituenti un’ abitazione ? Abbiamo terminato la nostra visita, facendo voti sinceri che gli architetti italiani si ravvicinino viepiù coi loro studj alle necessità dei tempi nostri , pre- sagendo che in tal modo solamente. potrarino rendersi utili a loro stessi ed a coloro che si valgono ‘dell’ opera loro. Ho 1’ onore ec. 45 cato, e vi si mostra l’opportuno uso de:la pozzolana, non obliando di corredare i trattati di questi tre importanti materiali delle notizie scientifiche che ad essi riguardano. Trascurata nella VII giunta ogni classazione scientifica per le pietre da porsi in opera nelle costruzioni , si dà la preferenza a quelle che sieno idonee a resistere al carico che sopra di esse s’ impone ; che non si fendano alle alternative del caldo e del freddo ; che non assorbano la salsedine dei luoghi marittimi; che non s’imbevano d’ umidità ; che sieno di colore eguale; di grana fina ;, della maggiore gravità specifica , senza vene, e so- nore alle percosse. Si prescrive pure , che le pietre di cava si pongano in opera nella posizione istessa che avevano nelle cave, avendo per pratica conosciuto che adoprate cusì resistono a pesi maggiori. Ma ciò che rende specialmente importante la giunta presen- te è la completa notizia che si dà dei marmi diversi, tanto an- tichi, quanto moderni, sì nostrali che esteri. Ne sono annoverate più di trenta diverse specie distinte pei colori, e per la varietà delle venature. Ne vengono quindi le brecce , e di queste se ne contano una ventina. Formano un distinto catalogo le lu- machelle , al numero di dodici; ed altro catalogo formano i diversi porfidi, altro i graniti, altro i diaspri; e per comple- mento si rammentano l’alabastro, il lapis lazzuli e il basalte. Seguendo i precetti del Milizia , si stabilisce che le mura debbano costruirsi piuttosto di mattoni che di pietre, e che di quelli fare uso si debba poco nelle costruzioni più nobili e mae- stose. Quindi la giunta VIII verte nell’insegnare come i matto- ni si debbano porre in opera nei muri di una, due e tre teste detti fra noi di quarto, di mezzo braccio , di tre quarti. Vi sono pure notate le avvertenze più ovvie; quali sono quelle di ben collegarne i materiali ; di fare a piombo le mura ; di diminuirle in grossezza quando più si alzano, e simili; di far che sopra i vani vi sieno impostati degli archi ; che questi vani in tutta l’altezza sieno nella stessa direzione verticale, onde il sodo posi sul sudo , e non in falso: che tutte le pietre, che esternamente si vogliono fare aggettare, sieno equilibrate nell’interno ; che po- nendo in opera mattoni, la calcina sia più liquida che lavorando di pietre; su tutte le quali parti è bene che l’ architetto porti vi- gilanza , sebbene ogni esperto muratore non abbia bisogno che tali avvertenze gli vengano dall’ architetto suggerite. Nella IX ed ultima giunta si tratta dei legnami. In que- sta l’architetto troverà in compendio tutte le dottrine che rignar- 46 dano a questo soggetto. Così imparerà quale è la costituzione chimica e fisica del legno: 1’ avvertenze che avere si vogliono rispetto al luogo e al clima in cui nacque la pianta. Avrà notizia della struttura e forza de’ legnami da costruzione, dei segni per conoscere l’età degli alberi, il tempo del taglio e della scorzatura de’medesimi ; gl'indizi che danno del loro deperimen- to, della loro sanità e de’ loro difetti. Di somma importanza è la conservazione dei legnami da fab- brica ; e a questo proposito sono suggeriti i mezzi, mercè de’quali si possono preservare dal nocumento cui soggiacciono pel con- tatto della calcina e dell’ umidità , e dagl’ incendi , rendendoli incapaci a levar fiamma. A quest’ oggetto si propone la wverni- ce di vetro liquescente del prof. Fuchs; della quale si dà la ricetta ; e l’ altro metodo di Faggot , che consiste nel tenere il legno immerso per qualche giorno in una solazione di vetriolo o di allume. Vengono pure indicati i vantaggi che si ottengono dall’ in- venzione di un falegname per nome Mugueron ; colla quale il legname acquista un terzo più di forza ; se ne sollecita il pro- sciugamento e si abbrevia il tempo di metterlo in opera ; si può centinarlo o raddirizzarlo secondo le occorrenze, e si rende meno soggetto a screpolarsi e a tarlare. È rammentato pure il modo di renderlo più duro , e di durezza tale che fori, e tagli come un’ arma di ferro. Nel capitolo IX Vitruvio ha nominato alcuni legni , dei quali gli editori han data descrizione, e ragguaglio delle proprietà d’ essi nelle note annesse a detto capitolo. Per supplemento in questa giunta hanno annoverati o descritti parecchi altri legni da Vitruvio non rammentati , ed infine han riportata la tabella di Fenille, delle gravità specifiche di diversi legnami. Non abbiamo creduto di dare se non un cenno di ciò che in questo fascicolo è contenuto , ma non vogliamo lasciar. di dire che la materia dei legnami vi è trattata specialmente , e in modo che si ha notizia di ciò che relativo ad essa hanno scritto il Duhamel, il Sartorelli, 1’ Accum. Quindi è singolarmente de- gno di essere raccomandato ad una attenta lettura, per chi vo- glia risparmiarsi lo studio dei diversi autori che di tal materia hanno ex professo trattato. Nei due primi fascicoli gli editori del Vitruvio italiano han dato un bel saggio di un lavoro che per ogni parte si manifesta commendabilissimo , ed utile per non dire necessario agli archi tetti e muratori non solo , ma eziandio a quei particolari che 47 abbiano occasione e desiderio di erigere edifizi. di qualunque maniera. Buona è l’ edizione , belle e copiose le tavole , dotte e ricche di notizie le note e le giunte. Se non che ci sembra che siavi in quelle e in queste troppo lusso scientifico ovanque po- tesse cadere in acconcio rammentare dottrine di scienze naturali. E temeremmo che forse potesse avvenire che fossero inintelligi- bili a coloro, i quali non avessero almeno attinto ai primi rudi- menti di dette scienze. Nè vogliamo che si creda che così dicendo sia nostro intendimento che certe dottrine non avessero dovuto averci luogo ; che anzi siamo di avviso tutto contrario : ma non vorremmo che fossero stimate inutili a coloro che non le inten- dessero. Che se l’ esposizione di esse fosse stata più popolare e più adattata alla intelligenza di chi non è iniziato negli studi di dette scienze, riuscirebbero più gradite e più utili le notizie che vi si danno, Difatti taluno , cui abbiamo insinuato di leggere questi due primi fascicoli, ha trovato strani i nomi di ossigene, d’ idrogeno, di azoto, di cloro, di fluoro; quelli delle terre pro- priamente dette ; il numero e i nomi dei quarantadue metalli ; nè ha compreso la composizione dell’aria atmosferica , quella dell'acqua, e molte altre voci, ragionamenti e dottrine sparseci a profusione, e con linguaggio troppo severamente scientifico. Una conchiusione alla IX giunta termina il secondo fasci- colo, nella quale si raccomanda agli architetti un’attenta cura nella scelta, e un rigoroso esame dei legnami, che non potendo eleggere nel bosco, debbono trarre dai magazzini dei mercatanti. Noi riportiamo le loro stesse parole, non perchè dubitiamo della buona fede dei venditori ; ma perchè anco senza malizia di que- sti i particolari potrebbero trovarsi ingannati per poca loro in- telliszenza. Queste parole sembreranno forse un poco aspre, e sembrano dette per qualche speciale occasione. Comunque sia, abbiam creduto riportarle per esteso. “ Non si lascino gabbare gli architetti (dicono gli editori) dalle belle parole di coloro che non hanno altro di mira fuor che il guadagno, e pur che cresca la copia della moneta, mentiscono l'origine e la conservazione della materia che vendono, e mescolano artificiosamente la buona con la cattiva: nulla rimordendoli nè la viltà della propria frode , nè la buona fede de’ compratori. Memori gli architetti della pro- bità da Vitruvio insegnata , si guardino dall’ ingannare il buon possessore , che spende per dar pane agli artefici; e che infine deve pagare il censo delle sue fabbriche. Qual compenso per la classe più benemerita dello stato , dopo tanti dispendi, per ne- gligenza o per frode di coloro che vivono del suo denaro , il ve- 49 der pericolante, e talor diroccata la propria casa! Che se si tratti di opere pubbliche, sieno del pari attenti e severi. Allon- tanino l’ idea indegna che la leggerezza e poca solidità dell’edi- fizio somministri l’ occasiune di ricevere nuovo denaro, e in con: seguenza di dividere con gli appaltatori l’ utilità dell’'impresa. Non acquetino l’ animo col dire paga lo stato. Che cosa è il de- naro dello stato , se non la contribuzione degli onesti , laboriosi ed utili cittadini? E chi ruba allo stato ruba alla patria: è un figlio scellerato che succhia il sangue della propria madre. Troppo aspre forse potranno parere ad alcuni le nostre ammonizioni : ma a chi mai? Non già ai negozianti giusti ed onesti, non agli appaltatori discreti, non agli architetti probi e fedeli ; bensì ai trafficanti insaziabili, agli appaltatori fraudolenti, agli archi- tetti inonesti e malfidi. Ed a questi pure noi abbiamo parlato non per impulso d’ odio, nè di mal talento, ma per amore della pubblica e privata felicità ,,. O. I lettori dell’ Antologia, che hanno veduto nel nostro Bul- lettino Bibliografico annunziato il IW fascicolo del Vitruvio Italiano, si meraviglieranno forse che qui non si parli che de’ due primi fascicoli. Ma la loro meraviglia cesserà quando sappiano , non esserci mai pervenuto il terzo , nell’ espettazion del quale era stata da noi differita la pubblicazione di quest'ar- ticolo, scritto già da qualche tempo, e a cui speravamo di poter fare un’ aggiunta. L’ Editore. 49 DeLLA CATALOGNA E DELLA SUA LINGUA. Lettera I.° di S. P. J. Ad Uno degli Estensori deli’ Antologia. Terra antiqua, potens armis, atque ubere glebae. == È a MUORE . Profugique a gente vetusta Gallorum , Celtae miscentes nomen Iberis. Lucano. Livorno ro Settembre 1831. Oggigiorno, negli articoli di cui fregi l’Antologia, prendi talvolta a condurci per così aspri sentieri, che , quantunque tu gli sparga di fiori sempre freschi e novelli, a me par di riaver- mi se viene in luce un fascicolo con qualche tuo scritto di non iugrato argomento. Ciò mi rammenta que’tempi, nei quali pen- savi tanto a Melpomene e al chiaro figlio dell’Avon, sì altamente inspirato. Or , della luna ai luminosi rai, Danzan le Fate alla sua tomba intorno ; direbbe Garrick, e noi! ... noi lo abbiam quasi dimenticato. Pur tutto mi consolo, e provo un vero refrigerio anche per te stesso, quando riprendi trattazioni piacevoli; così, per esempio, s' io veggo che, sulla scorta del Villemain, torni a passeggiar novamente gli ameni campi della letteratura francese. E chi allor non ti segue col più vivo diletto, ricalcando le orme che stam- pau le Grazie ? Chi teco non raccoglie nelle lezioni del Profes- sor parigino ricca messe e preziosa ? Ed invero , senza oltrepas- sar certi limiti sempre imposti a chi scrive per un giorna'e, e facendo ove occorre giudiziose avvertenze , pochi sono i bei pen- sieri dell’autore, pochi i lucidi insegnamenti di cui ci privi, e, mercè la studiosa tua diligenza ed il tuo gusto squisito , le po- che tue pagine comprendon cose moltissime e della più grande importanza. Perciò sempre mi affretto a leggerle avidamente ; ed in ultimo percorrendo nel quaderno di maggio la disquisizion sulle lingue, nè tenendomi pago di alcuni cenni risguardanti quella di Catalogna, son venuto nella determinazione di favel- lartene alquanto , premettenio generali parole su tal provincia. Benchè nato @ crescinto in questa dolce Toscana , figlio di Ca- talano , io quella lingua ho succhiata , direi quasi, col latte; ho poi lungamente percorsa la Catalogna, più che ogn’altra T. iI, Settembre 7 Io) terra di Spagna, — chè ardenti ginnetti, e vispi bardotti agi- lissimi, mi pagavano in sudore l’avena, per valermi di una frase dell’ Alfieri nel suo capitolo equino. Ond’è che anch’oggi, su questo lido, mi si paran sovente dinanzi agli occhi molti luoghi e diversi dell’ anzidetta provincia. Io qui veggo a vicenda le coniche rupi del Mont-Serrat , le coste del Garaff , sì preci p tose ed alpestri, gli erti monti di San Grau e di Monseny, un po’ più aspri e selvaggi del Sacro Eremo, più pericolosi ad ogni riguardo , e dove un buon giornalista, che tu conosci, ancorchè malconcio o spedato, non si arresterebbe a svolgere stampe, e a preparar pagine ornate. To qui pur veggo i poggi ridenti de’contorni di Barcellona, i bei giardini di Matarò, i colli d’Olesa densamente bruni d’' ulivi, le spumanti cascate di San Michele del Fay e le muscose sue grotte, il magnifico cam- po di Tarragona e quello dell’Ampurdan , i boschi di sughere , di carubi, di lecci, i torrenti, i fiumi, le valli, e tant’altri og- getti di Catalogna. E qui pure la lingua paterna spesso mi ri- suona effettivamente alle orecchie in vibratissimi accenti. Tali circostanze mi servon di scusa per la scelta dell’argomento, e mi dan coraggio a pregarti di leggermi, e ad alimentar la spe- ranza che in qualche parte di questo scritto tu plura invenies quae te fortasse latebant. Che se ti assale un poco di noja, pen- sa caro, alla polvere di certi tuoi codici, e prendila in pace per amor mio. Pensa altresì che occupandoci di nomi, di pronomi, di articoli == ed io dovrò forse parlartene == non facciam che seguire freschi esempi famosi dell’ alma città delle mode. Or qui sia fine a questa specie d’ esordio ed entriam subito in Catalo- gna. Ma, prima di parlar della lingua, ne giovi ajutar la nostra reminiscenza con vari cenni intorno a quel paese ed a’ suoi abi - tatori, La Catalogna fu posta dai Romani nella Spagna citeriore, indi nella rarragonese , nome derivato alla terza parte di quella contrada dall’ antica città di Tarragona, famosa in quella età , e celebre nei tempi moderni, ed anche ai dì nostri, per militari avvenimenti. Dai popoli Gelti ed Iberi o Celtiberi fu chiamata Celtiberia , e sotto tal nome ebbe confini più o men dilatati se- condo le vicende ed i casi. Come poi accadesse il miscuglio tra la razza conquistatrice e la razza indigena, cioè come i Celti, o abitanti delle foreste, dalle rive della Garonna; dalle falde delle Cevenne, dall’ altipiano dell'Alvernia, passassero in Ispagna, ed ivi tra l-Ebro e la catena doi monti Idubedi -— sierra de Occa — si confondessero cogl’Iberi, può oggi vedersi con molta SI soddisfazione nella mirabile storia de’ Galli di Amedeo Thierry. Ciò in tempi remoti; ma in secoli più prossimi, occupata da Goti ed Alani, la nostra provincia mutò il primo nome, chiamandosi dalle nazioni dominanti Gotia Alana, o Gozia Alo- nia, ed infine Catalogna. Così molti autori spagnuoli, l’ opinione de’ quali venne generalmente adottata. Ma il Mariana, seguito in questo dall’ illustre istorico della dominazione degli arabi Don Giuseppe Conde, asserisce che posteriormente alla conquista arabica Carlo il Calvo, volendo rinnovar gli abitanti, che la guerra aveva distrutti o dispersi, mandò nel paese colonie di Catalauni, popoli che abitavano nel circondario di Tolosa: — da questi il nome. Fu la Catalogna una delle prime provincie di Spagna in cui i Romani si stabilissero. Ai Romani la tolsero i Goti verso l’ an- no 470. Più tardi vennero i Mori, prodigiosa nazione ; cui tutta Spagua più o men cedeva dopo la vittoria del Guadalete, argomento di lunga disputa cronologica. L’epoca della vittoria sembra ora fis- sata agli auni di C. 711 = dell’ Egira 92 ---, e precisamente ai 26 di luglio , secondo giorno della luna di ramazan. La battaglia, combattuta tre giorni, non fu decisa che l’ultimo colla morte — non colla fuga — del re Rodrigo. Ho io notata quest’epoca , perchè altrimenti la successiva, quella cioè della conquista di Catalogna, nel 712, seguendo la comune opinione apparirebbe inesatta. Vedi Conde suddetto, oppur De Marlay, che lo ha il- lustrato con molta cura ed ingegno. I Mori adunque in quel- l’anno , sotto la condotta di Muza , sì fortunato in Ispagna, sì acerbamente ricompensato a Damasco dal suo califo Walid , espu- gnarono Tarragona, Lerida , Barcellona, e tutta soggiogarono la provincia, penetrando fino ai Pirenei. — Successivamente i Francesi conquistaron la Catalogna su i Mori al principio del nono secolo, Barcellona e Girona cedettero all’ armi di Luigi, duca o re d’Aquitania , e figlio di Carlomagno. Fece la prima una resistenza ostinata , e l’assedio, che in quell’occasione so- stenne, è memorabile nelle cronache per gli estremi cui gli abi- tanti furon ridotti. Allora la Catalogna si sottrasse alla potenza degli Arabi, ed ebbe i suoi sovrani particolari col titolo di conti. Eranvi i conti di Barcellona, di Girona, di Ampurias, di Ur- gel, ec. ec. ed anche del Rossiglione e della Cerdagna , ch’eran pure in quel tempo catalani possessi. Tutti erano feudatari dei re di Francia. Ma quelli di Barcellona avevan sugli altri una specie di preminenza, la quale divenne tanto preponderante che finirono coll’ esser conti dell’intera provincia, e di una gran 59 parte di Linguadoca , e col rendersi indipendenti dai monarchi francesi. — Dall’ anno 839, sino a Raimondo Berengario quinto, tutti i conti di Catalogna furono quindici. Questo Raimondo fu l’ultimo: sposando una principessa erede d’Aragona ei salì s1 quel trono nel 1377. Non si creda però che nel tempo della signoria de’ suoi conti non andasse la Catalogna soggetta alle escursioni degli Arabi. È degna di particolare menzione quella di Mohamad ben Abdalà ben Abì Amèr, soprannominato Almanzor, ossia il vittorioso, il vincitore ; il felice. Questo gran duce del molle Hixèm, questo Hagif sì famoso per l’eminenti sue doti , sì celebrato dai Mori nei loro splendidi canti, e che fu veramente tra’ suoi Di donzelle l’ amor , del popol gioja, occupò Barcellona negli anni di C. 984, — 374 dell’ Egira. La città aperse le porte: gli abitanti ed il conte Borel riscattaronsi dalla prigionia e dal saccheggio mediante quella straordinaria contribuzione che chiamavasi tributo di sangue. Non ostanti però queste scorrerie e queste guerre, sotto il governo de’ suoi conti , la Catalogna pervenne al più alto ‘gra- do di splendore. Fin dall’ undecimo secolo ebbe leggi sue pro- prie e si governò da sè stessa. Riunita alla corona d’Aragona nel modo sopra indicato, conservò i suoi stati particolari , che divi- devano col sovrano il potere legislativo. Ed anche dopo la univ- ne definitiva delle corone di Aragona e. Castiglia , nel 1479 , la Catalogna mantenne i suoi privilegi o statuti (fuweros), le sne leggi ed i suoi costumi, sino all’avvenimento d’un ramo di casa Borbone al trono di Spagna. -— È stata poi governata com: il resto della monarchia. Molte furono in Catalogna , ed in epoche differenti , le in- surrezioni. Il quadro di queste, ripeterò con Alessandro Labor- de , sarebbe quasi il compendio della sua istoria. Omettendo iv di parlarne, noterò solamente quelle del 1460 e del 1640, come più lunghe e ostinate. — In ambedue i fieri Catalani tentarono di reggersi a repubblica ; ambedue duraron dodici anni. Nella prima si dettero al re di Castiglia, nella seconda a quello di Francia. La sommossa del 1460 ehbe per oggetto la liberazione e reintegrazione di Don Carlo, principe di Viana , imprigionato e diseredato dal re di Aragona Don Giovanni secondo. Nel breve spazio di due settimane armarono i Catalani una flotta, e mi- sero in piede un esercito. Stretta Fraga , città aragonese, la presero , ed obbligarono il monarca a rendere al figlio la libertà 53 e. i suoi diritti, anzi a darlo lor nelle mani firmando un trat- tato, di cui dettarono i patti. Morto il principe con sospet- to di veleno, mentre era atteso a Barcellona con impazienza, e ricadendo l’ accusa, forse fondata, sulla matrigna , persistet- tero i Catalani nella lor ribellione. Assediarono e preser Girone, dov’ era l’ambiziosa regina coll’ infante Ferdinando suo figlio: — quello stesso che fu poi sposo a Isabella, e con lei conqui- stator di Granata ; quei che fu persecutor de’ Mori anche vinti, ingiustissimo ‘verso il gran capitano ; e vero tipo d’ ingratitudine verso il massimo de’ navigatori. — Ma abbandonati dal re di Ca- stiglia, i Catalani gettavan gli occhi suli’ infante di Portogallo Don Pedro, indi sul buon Renato d’Angiò, non mai cessando dall’ armi finchè, perduto Ostalric, Girona e Roses, videro final - mente cader Barcellona , la qua'e dopo sei mesi d’ assedio ono- revolmente capitolando aprì al re le sue porte ai 17 d’otto- bre 1472. Della sollevazione del 1640 furon causa gl’imprudenti con- sigli del potentissimo favorito di Filippo quarto, il conte duca d’ Olivares, sì noto per la sua asprezza eccessiva e la sua pro- fonda simulazione e dissimulazione. Inteso egli soltanto a fon- dare l’ assoluta autorità del re — o piuttosto la propria — sulla distruzione dei privilegi di tutti gli ordini dello stato e. delle costituzioni delle provincie, non sì tosto i Catalani si vider lesi nei loro antichi diritti che corsero all’ armi. La violenza produce sempre rovina, e però, trucidato il vicerè Don Dalmazio Queralt, favorito del maggiore de’ favoriti , dichiararono decaduto Filippo, e dopo varie vicende proclamarono conte di Barcellona Luigi decimoterzo re di Francia. E benchè la fortuna serbasse i suoi più alti favori pei Portughesi a Villaviciosa , non pochi furono i fatti in cui arrise al Catalano irritato ; non poche le insegne di Castiglia da lui calpestate e trascinate nel fango. Io voleva sol rammentare le insurrezioni accennate, ma come tacer di quella del 1705? Allora tutta Europa fu in arme per la guerra della successione di Spagna: allora questa peni- sola fu teatro alla gloria d’ un Berwick ad Almanza, d’un Ven- dòme giust appunto a Villaviciosa = che suouò men funesta ai monarchi di Spagna, dacchè il quinto Filippo ivi si coricava sulle bandiere de’vinti, chiudendo forse appena quegli occhi sem- pre aperti sulla mutabil sua sorte: — allora risplendeva fra noi la parte divina della grand’ arte di guerra in quel nobilissimo Fugenio , il cui sapere trascendeya quello di ogu’ altro , e che fu sì lodato a S. Elena dal più competente dei giudici per quella 54 marcia immortale , che sola sarebbe stata bastevole a crearne la fama: — allora i Catalani, quantunque abbandonati da Carlo d’An- stria , ch’ eransi scelto per re, e quantunque rimasti soli = chè d' Orleans aveva già ricondotti alla snggezione i regni d'Aragona a Valenza -- sostennero pertinacemente ; e spesso ancora con buon successo , gli sforzi riuniti degli eserciti di Castiglia e di Francia , e furono soltauto soggiogati dal numero dopo una re- sistenza di nove anni. Facciam tregua alla guerra , e, passando, mio dolce amico, alle arti di pace , diciam qualche cosa dell’agricoltura , dell’ in- dustria, del commercio di Catalogna. Quwvi tu vedi belle coltivazioni e piantagioni bellissime. Vedi campi feraci, e d’alberi fruttiferi ben mille maniere. Vedi il duro nocciolo , l’opaco noce ed il mandorlo aprico anche nei terreni più sterili, Ed in luoghi alpestri tu vedi L’ almo ciriegio, che da lunge mostra I fiammeggianti frutti , e ride al cielo. Il lino di Tarragona fu lodato da Plinio. Le rive del Segre , famosissime per la meravigliosa campagna di Cesare contro i luo- gotenenti di Pompeo, son oggi coperte di giardini ricchi d’aranci, di granati, di cedri. Ma la vite, prima sorgente della ricchezza della provincia, quasi dappertutto lussureggiando Di porporino ammanto , o d’ ambra e d’ oro, Veste i suoi figli. - E finalmente anche il Catalano può vantar verdi colli, Ove ha il nido più bel Palla e Pomona. Il commercio della Catalogna emette , in generale, più di quel che introduce. Esso era attivissimo e copriva di navi tutte le rade e tutti i porti della provincia, ma dopo la guerra del- 1’ indipendenza delle colonie spagnuole, e la loro separazione dalla metropoli, è di gran lunga diminuito. Vero è che i Ca- talani han cercato un compenso in Levante, nel Mar Nero prin- cipal mente. == Essi conservan tuttora l’ antica riputazione di navigatori espertissimi; nè in questo potrebbe loro imputarsi altra .colpa = bella colpa e d’ anime grandi — che un soverchio ardimento. Quanto all’industria mi contenterò d’indicare, che molte sono nel principato le manifatture e le fabbriche di tessuti e di calze di cotone e di seta, di panni ordinari e finissimi; di tele e d’in- diane , di merletti e di trine, di veli e di nastri, di sapone, di acquavite , di carta, di coltelli, di serrami, di forbici, ec. ec., ma specialmente d’armi da fuoco eccellenti. per cui distinguonsi 55 Barcellona, Ripoll e Manresa. In generale però 1 viaggiatori rim- proverano ai Catalani certa loro tendenza a far piuttosto molto che bene. Sia di ciò come vuolsi, sarà pur sempre vero, che un gran tratto della custa di Catalogna è tanto animato , che ram- mentava al Bourgoing i luoghi forse più celebri per attività e pulitezza. « Dimenticate, egli dice, 1’ atmosfera brumale di »» questa provincia (1° Olanda); datele il clima deliziosamente »» temperato de’ paesi caldi, che l’aria e il mare rinfrescano; so- stituite l’ agitazione e la vasta estensione dell’ onde al corso malinconico e cheto de’ canali stretti e fangosi del paese de’ Batavi ; conservatele tuttociò che l’industria le ha com- »» partito di lusinghevole, ed avrete un'idea del paese che », estendesi da Barcellona a Malgrat ,,. Riteniamo pertanto che il Catalano è intelligente, pronto e ? è ostacolo che lo domi, ? spedito ; che infaticabile in tutto non v ed ha grandemente in orrore l’ idolo dell l’ ozio , prima morte dell’ uomo. E questa alacrità, questa felice disposizione al lavoro , lo induce naturalmente ad occuparsi non solo delle arti utili, ma delle liberali eziandio e delle scienze, per quanto gliel conce- dono la sua posizione e i suoi mezzi. Io non entrerò certo a parlare delle biblioteche , delle accademie e delle scuole , prin- cipalmente di Barcellona , tra le quali è citata come perfetta quella di nautica ; non dirò della università di Cervera, chè ciò mi condurrebbe ad osservazioni disgustose e gravissime; non della pubblica elementare istruzione , sparsa nella provincia più altero Castigliano — che non crederesti, ma, se le cose da qualche tempo non son cangiate , troppo aliena da que’ metodi, che la van rendendo fra noi saggia, progressiva, utile veramente. Affermerò sol- tanto con tutta l’ asseveranza , che 1’ ingegno naturale del Ca- talano è straordinariamente felice, ed avvertirò che 1’ osserva- zione del visconte di Chateaubriand, che i contadini spagnuoli in generale san leggere , sarebbe forse più giustamente applica- bile al volgo de’ Catalani. Così essi sapessero o potessero sce- gliere i libri! — Quanto alle arti del disegno , chi si distingue tra gli altri per non comune talento nella compita accademia della capitale viene generalmente a inspirarsi all’inclita Roma; ma per lo più in un paese, ove le arti meccaniche sono sì col- tivate , anche lo studio del disegno è ad esse rivolto : prova pal - pabile del più sicuro buon senso. Con tali disposizioni giudica, amico , di qual profitto sarebbe agli abitanti di Barcellona un corso gratuito di geometria e meccanica = ed anche di chimica — 56 applicate alle arti giusta il metodo di Carlo Dupin , se qualche raro filantropo imitasse colà il nvbilissimo esempio d’un Tempi! Qual utile immenso per sì popolosa città , ove d’ altronde non manca nelle classi più ragguardevoli cultura di lettere, studio ed istruzione privata, e dove abbondano bellissimi ingegni! S' io volessi quì rammentare gl’ illustri antichi, lunga ne sa- rebbe la serie, ma molti pur sono quelli che onorarono ai giorni nostri la patria , e sui quali — fatti raminghi dopo le ul- time commozioni politiche — più non versa ora i suoi raggi il bel sole di Catalogna. Quanto al carattere de’Catalani, si pretende universal- mente tacciarli d’ una certa impazienza , ruvidezza ed asprezza. Ma dato che tale imputazione abbia buon fondamento , non sono forse scusabili modi piuttosto bruschi ed impetuosi sotto un cielo che infiamma con facilità le passioni, e le rende vio- lente? E, in ogni caso, da quante buone qualità non è egli compensato il difetto? Non è, per esempio, da valutarsi il fermo e franco coraggio , che nel Catalano è quasi un istinto , e che unito all’ intelligenza e all’ agilità lo rende senza fal- lo il migliore tra’ soldati della Spagna? Non quell’ attività e quell’ amor di ventura per cui , senza ch’io tocchi le altre parti del mondo, in Francia, in Inghilterra , in Italia, a Berlino ed a Vienna, a Pietroburgo ed a Mosca, a Costantinopoli e a Odessa, tu non cessi d’incontrar Catalani ? == Ed aggiugni che anche senz’ albo ed oltramontane minuzie sanno veramente viaggiare. Integri poi, sinceri, cordiali, tu sempre ricevi nel loro paese tale ospitalità che rammenta omerici tempi. Essi praticano le più care virtà della vita domestica ; e ciò val bene, direbbe il Gi- nevrino ; la squisitezza d’ altri, i quali non fanno se non ciò che la politesse exige, la bienséance ordonne. Ma per ciò che più particolarmente riguarda l’ultima classe del popolo , e i disagiati abitanti delle terre, attendi ora a_po- che parole del colonnello Don Francesco Emanuel de Melo, singolarissimo autore che = quantunque di famiglia portughese, e nato e cresciuto a Lisbona ai tempi del dominio spagnuolo , — scrisse in castigliano con sì rara eccellenza da esser conside - rato come il Sallustio della Spagna. < Sono , per lo più, i Catalani uomini di natura durissima: 3; poche le loro parole, al che par che gl’inclini anche l’idioma ,» di brevissimi modi. Nelle ingiustizie mostran forte risenti- ;;) mento, e perciò proclivi a vendetta. Stiman molto la parola e 3» l’ onore ; non meno le loro franchigie; per lo che tra le altre 97 nazioni di Spagna! sono \amantissimi di libertà. La terra, »» piena d’ asprezze , seconda 1’ animo loro vendicativo e li porta a » fatti terribili per la più leggiera cagione. L’ ingiuriato od offeso » lascia i luoghi abitati, ed entra a viver nei boschi, donde so in continui assalti infesta le vie. Altri, senza maggior cagione » che la propria insolenza; gli seguono: e questi e quelli man- »» tengonsi colla industria delle loro soperchierie. Chiaman co- >> munemente sostener travaglio questo modo di vita, quasi lo riconoscan disordinato. Fra costoro non avvi azione riputata »» ingiuriosa ; ma, ingiuriati, all’offesa soccorron sempre i parenti e gli amici. Alcuni stimaron cosa politica il fomentar le loro fazioni per trovarsi possenti nelle civili contese. Per tal modo: »» hanno sempre conservate tra essi le due parti famose dei Bar- ros e dei Cadells , non meno celebri e funeste alla patria loro de’Guelfi e Ghibellini all'Italia, de’ Pazzi e Medici a Firenze, de’ Beamonti e Agramonti alla Navarra, de’ Gamboini ed »» Ognassini all’antica Biscaglia ,,. Mutati i nomi, vivono anche oggigiorno le fazioni e le set- te. Ma io de’ tempi nostri non parlo: conturbatae sunt gentes et inclinata sunt regna. Giovi piuttosto indicare alcune fra le antiche gesta de’ Catalani. Essi conquistaron Maiorca , e sottomisero la Sardegna. Dopo aver aiutato il re d’Aragona nella impresa di Sicilia , al. princi- pio del secolo decimoquarto andarono in soccorso d’ Andronico imperator di Costantinopoli. Arrivarono e vinsero. Condotti da Ruggiero di Brindisi, già cavalier de’ Templari , sconfissero no- vamente i Turchi sulle rive del Pattolo, sulle ferree porte del Tauro; e quantunque pochi di numero liberaron, 1’ Asia Minore. Nè è da far meraviglia, perchè soldati d’ estremo va- lore , e imperterriti veterani, che avean sostenuto tutto il peso della:guerra di Sicilia, e riportate tante vittorie. Ma. essi, ‘ fatti poi segno all’ invidia, ne preser fiera vendetta. La ven- detta partorì la perfidia, chè i Greci, chiamato Ruggiero in Adrianopoli col pretesto d° intavolar seco trattati, l’ uccisero a tradimento. Vedi mercede delle sue imprese! Allora i Catalani, sbrigliati, divennero veramente il terror della Grecia. Batterono per terra e per mare l’ imperator Michele figlio d’Andronico ; signori di Gallipoli intercettarono il commercio di Costantinopoli e dell’ Eusino ; corsero ‘1’ Ellesponto , devastarono le frontiere d’Asia e d’ Europa. == Avevan soccorso Atene , ma ammutina- tisi se. ne impadronirono. dandola al re di Sicilia. L’ Attica e la Beozia se le diviser.fra loro. — Più tardi alleati de’ Veneziani T. Ill. Settembre. 8 w > 58 pugnaron per essi e con essi contro al valor genovese , e si se- gnalarono alla famosa battaglia navale data ai 13 di febbraio 1352 , quasi in faccia a Costantinopoli , a l'isola di Precipi, dice Matteo Villani, cioè alle isolette de’ Principi , ornamento e delizia della Propontide. Ivi l’ intrepido Catalano fè prova del più eroico coraggio, battendosi con ostinazione indicibile , men- tre gagliardissimo il vento sboccava furiosamente dal Bosforo , ed il mare cruccioso sollevava altissime |’ onde. Belle per lo più queste imprese ! bellissimo il vederle de- scritte da Don Giovanni Mariana , con magniloquenza e dignità senza pari, nella lingua più maestosa del mondo ! Così i Catalani illustrarono la patria co’ fatti, e , siccome compagna alle opere grandi sempre fu l’eloquenza, in questa pure alcuni di loro ebber vanto. Ho dato già un cenno della in- surrezione di Catalogna al tempo di Filippo quarto. La Storia di quella gps, Separazione e Catari ma disgraziata- mente del prim’ anno soltanto = ce I’ ha trasmessa il sopra laudato De Melo, nom che fece e che scrisse , e merita perciò doppia lode. È tale il libro da annoverarsi tra quelli che Ba- cone ne consiglierebbe di masticare e di digerire (chew and digest). Mirabile per lo stile puro e nervoso, per la profondità de pensieri , per la più religiosa imparzialità , l’autore arricchi- sce altresì la sua storia di concioni bellissime pronunziate in seno alle Cortes di Barcellona da vari deputati della provincia. Di queste concioni , che 1’ istorico diligentemente raccolse dalla bocca di quelli che le avean proferite , ma che si piacque per avventura a esornare, io vuo’ darti un saggio , recando qui in italiano la efficace orazione del deputato ecclesiastico Don Paolo Claris. Son certo, pur troppo ; che traslatandola snerverò mal mio grado le sue robuste parole, ma tu saprai compatirmi, ottimo carissimo amico. Avverto che traduco dal castigliano , e che quel vigoroso discorso in catalano non l’ ho mai visto, nè saprei ora chiarire in qual lingua l’ oratore aringasse. Ma poi- chè egli era buon Catalano, anzi canonico della chiesa d’Urgel, e che i suoi sentimenti fan manifesto il carattere nazionale, e son come lucido specchio di quelli de’ Catalani d’ allora, a me non sembra troppo digredir dal soggetto con questa mia cita- zione. Erasi adunato il congressu che chiamavasi deputazion ge- nerale, e sedevano i deputati vestiti d’ ampie zimarre di scar- latto o di damasco, di strana foggia , con fascia e guarnizio- ne di velluto, giusta il loro costume: «= ma al collo la go- 59 lilla spagnuola; in capo, quando coperti , la gorra. Delibera- vasi, in quell’ assemblea, della guerra già risoluta in ‘Castiglia , e delle difese ed apparecchi di Catalogna, o di mandar nuovi messaggi e placar |’ ira del re. In favore di quest’ultimo partito avea facondamente e appassionatamente parlato monsignor Juan , vescovo d’Urgel e cancelliere di Catalogna , e-già taceva , quan- do il deputato Claris , che per tutto il corso di quella orazione aveva covato fuoco nel petto , statosi lungamente sospeso, e vol- ti 9) attorno malinconici sguardi , parlò in questi termini. 3» Nobile e mesto consesso! Nè le mie lagrime nè il vostro dolore mi dan campo a diffuso parlare. Pure il subietto è di tal gravità che non posso stringerlo in detti troppo brevi, benchè allo spirito, che muove la lingua, sembri che tutto il tempo ch’ei tarderà a dichiararsi sia tolto ‘all’ affannosa esecuzion che vi attende. ,, 3, Udiste attentamente il discorso del dotto prelato ; or io co- me privato cittadino vi supplico ad ascoltare le mie ragioni, e come capo di vostra giunta v'invito a ben ponderarle , poi- chè io sò bene che non possono ricever forza dalla mia auto- rità , ma sol da sè stesse. Non credo che l'uomo illustre che voi ascoltaste senta in modo diverso da quel che consiglia. Nò, non posso nutrire l’iniquo pensiero, che lo stesso pastore sia quegli che conduce le pecore al covile del lupo. Ben penso che agli uomini nutriti del latte della servitù sia affat- to ignota quell’ alterezza e libertà d’ animo, che fa d’uopo al vero patriotta. L’ illustre oratore è egli per avventura più prudente o più moderato di tutti voi ? O non prevarrebbe a voi che nell’aver perduta la facoltà di sentire a forza di sopportare vituperi ed obbrobri? È Catalogna schiava d’in- selenti, le nostre terre quasi anfiteatro de’loro spettacoli, i nostri averi spoglie della loro ambizione, i nostri edifizi bersaglio al loro sdegno, le nustre vie, già sicure per la vigilanza de’nostri tribunali, ora novamente infestate , le case de’ nobili conver- tite per essi in facile albergo , ove palchi preziosi per pitture e per oro ardono compassionevolmente nei loro fuochi. Ma co - me tratterebbero con reverenza i palagi coloro che non hanno in orrore di farsi incendiari de’ templi? E all’ aspetto di tutte queste calamità avvi ora chi pretende di persuaderci indugi, negoziazioni, mansuetudine? Veramente quei che rintuzza il fuoco con delicati fuscelli, il rattizza anzichè smorzarlo. Divina cosa è l'indulgenza ; ma, quando si tratta dell’ onore di nostra casa, lo stesso Cristo e’ insegna a scigner la corda 00 contro i nemici sino a cacciarli fuora. Ci si dice di usar mezzi soavi, e questo è senza dubbio accusare il nostro pro- cedere. Quant’ è , o signori , che noi soffriamo ? Fino dall’an- no 26 serve la nostra provincia di quartiere a?’ soldati ; pen sammo che nel 32, colla presenza del nostro principe, miglio- rasser le cose, ed ei ne ha lasciati in maggior confusione e tristezza — sospesa la repubblica, ed imperfette le Cortes. Og- gimai i mezzi soavi non sono più di stagione : lunghi giorni pre- gammo, piangemmo e scrivemmo; ma nè i prieghi trovaron cle- menza,; nè le lagrime, consolazione , nè risposta le lettere. Apr:r le vene al primo martellare dei polsi, non lo approvo; ma ba- date , signori, che la soverchia trascuranza dei mali ne ac- cresce l’ indole rea: ciò che ora potete forse impedire cun una dimostrazione generosa nol rimedierete di poi con molti anni di resistenza. Quanto più vi si vanta la pietà del. principe vostro , tanto più dobbiamo esser certi ch’ ei non punirà la difesa come delitto. Non, perchè 1’ aquila è la regina degli uccelli, ‘tralasciò natura d’armar d’ unghie .e di becco gli altri uccelli minori , nè già per competer con quella ; ma per poter conservarsi. Gli uomini fecero i re, non i re gli uo- mini; gli womini, gli fecero uomini perchè se essi stessi si fos- ser fatti, più altamente sarebbersi fabbricati. Ciò è chiaro. Ma i re alla fine non essendo che uomini, fatti da questi e per questi, immemori alcuni del loro principio e del loro fine stimano aver colla porpora rivestita differente natura. Io non comprendo in questa generalità tutti i principi, nè propria- mente il re nostro, anzi riconosco nella sua reale persona virtù degne d’ amore e di reverenza; ma siami lecito il dire che per ‘1’ afflitto vassallo viene ad esser lo stesso che il go- verno travii per malizia o per ignoranza. Per noi tristi. sono gli effetti, nè qui disputiamo delle cagioni. E poichè vedia- mo che le blande maviere ci conducono a perdizione , mutia- mo strada. Già non cal ventilare se dobbiamo difenderci = que- sto ha determinato la furia di chi viene ad assaltarci; — vc- corre credere invece che ciò non è solamente convenienza passeggiera, ma bensì dovere che la natura ci ha imposti. Ma il procacciar mezzi per farlo , ecco ciò che a taluno ora seme bra difficile. Sappiate, signori, che niuuo trova la perla su!- la superficie del mare: fate voi la parte vostra con diligenza, che farà la sua la fortuna. Che se ragionando gettiamo un rapi- do sguardo sugli affari del mondo , vedremo tosto come non potranno mancarci e amici e ausiliari. Ditemi, s’ è pur vero OI ‘che a tutta Spagna son comuni i nostri travagli, come du- biteremo che non sia comune altresì il cordoglio in tutte le sue provincie ? Una esser debbe la prima che si lamenti, ed una la prima che rompa i ceppi della schiavitù ; a questa ter- ranno dietro le altre: al non rinunziate alla gloria d’ esser voi i primi! La Biscaglia ed il Portogallo vi hanno fatto già qualche accenno ; ‘ed ora non è da creder che tacciano per soddisfazione ; ma per riguardo. Anche il loro riscatto è affi- dato al ‘vostro ardimento. Aragona, Valenza, Navarra repri- mono ; è vero; le voci, ma non i sospiri. Esse piangono ta- citamente' la lor rovina j/e chi sa se, mentre sembran più quiete, non sono appunto più prossime alla disperazione? Ca- stiglia superba e misera non ottiene il più piccol trionfo senza lunghe oppressioni: domandate a’ suoi abitatori se non porta- no invidia alla nostra attitudine di libertà e di difesa. Ma se l’ alleanza de’ regni di Spagna è per voi sicura, io non reputo più difficile quella degli ausiliari. Dubitate ‘voi della pro- tezione della Francia? Dite, da qual parte vi assale il dubbio? Il popolo, inclinato a vivere indipendente, favorirà di buon grado quest’inclinazione in altrui. Ed al re — la cui fortuna è natural che si offenda della grandezza di Spagna — proseguendo la guerra incominciata, qual: maggior ventura può presentarsi giammai del trovare spalancate le porte ‘della nostra proviu- cia ond’‘entrare in Casriglia ? Che se appunto di questo temer volete, ‘vi anticipate il pericolo: chè osservare sospettosa- mente ‘gli accidenti futuri, non è prudenza ; basta conoscerlì per aver pronto il riparo, senza frastornar con ‘sospetti con- venevoli. azioni. Inglesi, Veneziani, e Genovesi aman soltan- to il loro interesse in Castiglia. Là cercan qual ponte per cni passa alle loro repubbliche 1° oro e l’ argento: se i. suoi te- sori prendesser via differente, in questo giorno stesso cessar vedreste la loro amistà ed alleanza. I vigilanti Olandesi non aborriranno certo che noi :seguitiam le vestigia per cui sì glo- riosamente:pervennero alla lor:libertà; e -= se gli chiediamo — neppur ci negheranno i sussidii somministrati in questi giorni ad altre nazioni, poichè , introdotta una volta la guerra. in sen della Spagna, i suoi soccorsi alle Fiandre sarebber più eventuali, lo che è favorevole interamente ai loro disegni. Guardate la nostra provincia, stretta fra la Spagna e la Fran- cia ; nè siate ingrati a natura , la qual ci pose il mare di fronte, che ci arricchisce co’ porti; la montagna alle spalle, che. ci fa sicuri colle sue asprezze , talchè i due lati, che guardano 62 » alle due maggiori potenze d Europa, ci rendon forti e dife- »» si. E che vi manca, 0 Catalani, se non la volontà? Non ») Siete voi discendenti di quei famosi, che, dopo essere stati 3» d ostacolo alla superbia romana , furon anche flagello della fortuna degli Affricani? Non conservate tuttavia qualche stilla 3» di quel sangue sì chiaro de’ vostri antenati, che vendicaron 3» le ingiurie dell’ impero «d’ori-nte domando i barbari ?. Di quelli s» stessi che poscia , irritati dalla ingratitudine de’ Paleologhi , 3» giunsero, in picciol numero, fino a dar leggi una seconda volta »;) ad Atene? Sareste or forse diversi ? Jo certo nol credo , anzi s, credo che siate gli stessi, e che non tarderete a mostrarlo, >» se non quanto tarderà la fortuna 1a darvi giusta occasione di »» sdegno. Ma qual più giusta ne aspettate voi del redimer la oi vs .» patria? Voi correste a vendicare ingiurie di forestieri, e non »» sareste per trarre soddisfazion delle vostre ? Guardate i Can- » toni degli Svizzeri, ignobil gente, priva di civiltà s di religio- », ne incerta, qual lasciassero l'ombra del diadema imperiale ! »» Guardate come ora sollecitano e comprano il loro. suffragio sy potentissimi principi! Vedete i Batavi delle Provincie Unite: 3» benchè la lor causa fosse men giusta della vostra , la fortuna gli ha condotti per mano sino a collocarli nello stesso suo seggio. Se 3» non volete credere ad alcuno di tali esempli, ed il timore per avventura vi sforza ad immaginarvi meno avventurati, voltate 3» qualunque pietra di questa vostra città, chè ciascuna di esse », non si starà di narrarvi la famosa resistenza che fece all’ as- »» sedio di Don Giovanni secondo d’Aragona, sinchè, capitolan- » do a nostro arbitrio, agli occhi di tutto il mondo egli entrò come »» vinto, e noi lo ricevemmo come trionfanti. Se vi trattiene la s, grandezza del re cattolico, affrontatela col pensiero, e ne per- s» derete il timore. Non avvi statua di sì preziosi metalli , cui la creta non renda fragile , nè bastano le fatali armi ad Achil- le s’egli calca il terreno con piante indifese. Vedete voi la potenza del vostro re quanti anni or sono che langue? Certo possiam dire - all’ aspetto delle sue rovine == che me- glio fia misurata la sua grandezza da quel che ha perduto, 5 che da quel che gli resta; tanto è ciò che ogni giorno va novamente perdendo. Chiedete voi delle sue piazze di guerra ? molte ve ne offriranno le Fiandre e la Lombardia, già sottratte alla sua obbedienza. Chiedete delle regioni da lui possedute ? domandatene all’ une e alle altre Indie. Chiedete delle sue armate ?_ il mare ed il fuoco vi daran d’ esse ragione. 3) Chiedete de’ suoi capitani? risponderà per loro la morte o tin 39 63 il disinganno. Alcuui filosofi pensarono con Pittagora che le anime. trapassassero da un corpo nell’ altro ; altrettanto, e più accertatamente , i politici possono affermar ciò degl’ imperi, ne’ quali la felicità che anima i lor corpi lasciandoli cada- veri = sembra che passi a dare spirito e lena ad altre di- meuticate nazioni : tal possiamo sperar che ci accada. Ma se più che altra cosa temete la confusion che può darvi la real. presenza del vostro principe, io non dubito non ab- biate ragione; dubito che il monarca sia per mettervi in questo caso. Voi non siete di tanta estimazione agli occhi di coloro che lo consigliano, che il re delle Spagne alteri la serenità del suo impero per farvi la guerra in persona. Ardisco affermare che tutti siete già destinati a esser preda di qualche vassallo : non d’altri. Questo , o signori, è il vero giudizio delle nostre cose. Se lo stato di esse parvi degno di ulteriore pazienza , chi trovasi più abbondante di tal virtù ne faccia parte agli altri, non già con ragioni artificiose , ma con mezzi giovevoli alla mitigazione de’ vo- stri mali. Io non dico che spingiate in guerra gli abitavti del paese, e che, secondando l’impeto del loro sdegno, avven- turiate incerte battaglie : non dico che con eccessi irritiate l’ ira del re: non dico che gli neghiate il nome di signore, dico però, che, prendendo animosamente le armi, procuriate difender con queste la vostra giustissima libertà , i vostri ono- rati statuti; che muniate le vostre ville e città, che fortifi- chiate le deboli , che ripariate le forti ; che domandiate gene- ‘rosamente soddisfazione di questi barbari che ci opprimono , che otteniate il loro allontanamento dalla nostra regione e il riposo della patria, e che, se non l’ottenete, il procacciate voi stessi. Che se trovate dura anche questa risoluzione , quì, in questo istante, tutti uniti deliberiamo dell'abbandono della patria, lasciando in un tratto questa miserabil provincia ad altri nomini più fortunati. E è° 0 == come colui che più dolorosamente vive sentendo le vostre sciagure — vi sembro compagno importuno perchè giungo a parlarvi con tal libertà; se vi sembra che per esser io meno esposto vi spinga più facil- mente incontro al pericolo, ecco, o signuri, che cedo affatto la parte che ho nel vostro governo. Ritornate in buon’ora ai piedi del vostro principe; ivi piangete, accrescendo colla vostra umil- tà l’insolenza di quelli che ci perseguitano, e me primo accu- sate dinanzi a’ suoi tribunali. Gettate al fiero mar del suo sdeguo questo Giona sì pernicioso. Che se colla morte mia fosse 64 » per cessar la tempesta e il pericolo della patria, io stesso da 3» questo luogo = dove mi collocaste per attendere al bene della 3) repubblica == m’incamminerei alla presenza: dell’adirato mo- »» narca trascinando catene, per esser dinanzi a lui accusatore e »» persecutore io stesso delle mie azioni. Muoia io, muoia io »» infamemente , ma respiri e abbia vita Catalogna infelice ! Sarà inutile il dire che, mentre il consiglio pendeva forse dubbioso , le parole di sì caldo oratore, accolte col più vivo en- tusiasmo , diedero il tratto alla bilancia , e che la sua opinione, quasi salute della patria , venne acclamata e seguita. Lungi dun- que dal morir per allora , il Claris fu l’idolo de*suoi compa- triotti, e così, credo , per tutto il corso di quelli sconvolgimenti. Ma, presa Barcellona da Don Giovanni , e sottomessa la Cata- logna, colla restituzione però degli antichi suoi privilegi, e col perdono di tutti i rivoltosi == meno forse cinquanta che furono giustiziati = ei rifuggissi in Francia, ov’ è da credere consu- masse i. suoi giorni. Ma tu, amico, che dici di quell’ ardente canonico ? Non ti par che la sua-rettorica valga la scienza economica del tuo biadaiolo ? .... Ma non vorrei andar trascorrendo. Del paese, delle vicende, de’ popoli bo forse toccato abbastanza, ond’ è tempo che pensi alla lingua di Catalogna. = Non però questa volta. — Faccia almeno la sorte che per l’ arduo sentiero che ci resta a percorrere incontriam vagabondo qaalche gentil trova- tore , che ne infiori i roghi spinosi ,; o qualche arabo innamo- rato, per cui suonando d’arme e di canti le fresche rive del Darro , o dell’argentino Xenil, sorga nn eco armonioso dalle valli di Catalogna. La seconda Lettera ) ( al più presto 05 Enisra Lampucnani tragedia di Carco Anciorimi milanese. Mi- lano per Giuseppe Crespi 1830. Anna Enrizzo tragedia di Gruserre Venecur. Firenze nella tipo- grafia Magheri 1831. Gismowpa tragedia di un Fiorentino. Firenze per il Magheri 1831. Chiusa ogni via ai mediocri, ne resta sempre una splendida ai veri poeti. Il teatro, specialmente inItalia, è quello ove la poesia, fatta storica e nazionale , può immensamente giovare la civiltà , provvedendo di forti esempi gli animi avviliti in ozi paurosi , ed ispirando il sentimento della propria dignità e dei propri doveri anche al popolo, che ha questo solo mezzo d’intendersi, di pian- gere e di sdeguarsi in comuue. Ed è bellu trasfondere tutto l’a:- dore di affetti magnanimi nel petto dei mo!ti, e destare il fremito della pietà e dello sdeguo , ed avere per giuilice non il favore o l’invidia , ma la nazione imparziale che plaude e coudanna secon- do i moti del cuore. Là si sfogano le ire inferme del mondo , là trova la sventura una lacrima , il delitto una pena; l’ abomi- nio il tiranno e l’onta lo schiavo ; là risuonarono i maschi accenti dell’Alfieri e del Niccolini, e là animosi si presentano molti gio- vari italiani all'esperimento delle proprie forze. — Molti cadono, ed altri ottiene un plauso che incoraggia il timido ingegno e lo fa ardimentoso nella nobil carriera. Qual sorte avranno le tra- gedie sopra annunziate, che suppongo con ragionei primi saggi di giovani ingegni? Io non avanzerò un giudizio riserbato al pubblico, ma accennerò soltanto alcune osservazioni nate dalla lettura di esse. L’Erisia è una storia di crudele ambizione e di amore sven- turato tratta dalla fantasia dell'autore , che la pone per accaduta nel 1098, all’epoca della prima Crociata, in Castelmarte, distretto milanese. Pietro Lampugnani avea fidanzata la figlia Erisia ad Ugo di Castelmarte. I giovani si tenevano beati nella speranza della prossima unione, quando Pietro per ottenere il consolato di Mi- lano manca alla sua parola, e destina sposa la figlia a Manfredu Trotto , intrigante e potente che agogna alle molte ricchezze del Lampugnani ; ed è irrevocabilmente stabilito questo laido mer- cato deil’ambizione e dell’avarizia che si fanno giuoco della natu- ra. La costanza di Erisia nel suo primo amore, gii artifizi. e le minacce del padre, e i tentativi infruttuosi di Ugo formano tutta la tragedia, che, sebbene di tre atti, matica molto di azio- T, Il. Settembre. 9 66 ne, nè desta abbastanza interesse. Non vi si trovano caratteri fortemente disegnati da attirar l’attenzione , nè abbastanza colo- riti per precisare l’epoca dell’avvenimento. — Ugo ed il suo amico Ubaldo sono crociati : non poteva l’autore trarre qualche partito lalla circostanza che aveva creato ? La forza dell’entusiasmo re- ligioso non poteva apparire in contrasto coll’impeto dell’amore ? Nel tempo, in cui il pensiero di Terrasanta parlava in ogni anima e la disponeva alla pace e al perdono , in cui erano maledette le pugne dei cristiani contro i cristiani, come sì feroci erano gli odii e sì implacabile la vendetta fra Ugo ed il Lampugnani ? Quando il poeta vuole e sa bene mirar nella storia, vi rinvie- ne sempre la sorgente del bello e del grande, e vi trova altresì il modo di sfuggire molti inverisimili accidenti e di variare l’an- damento dell’azione, senza aver ricorso ai soliti mezzi meschini per sciogliere il nodo. Che cosa è infatti anche in questa trage - dia che conduce alla catastrofe ? Uno dei consueti intermina- bili colloqui fra i due amanti, che pare si trattengano vera- mente a bella posta per attendere l’arrivo del Lampugnani, — E questi infatti arriva, si batte con Ugo e resta ucciso. - Man- fredi trafigge Erisia — Ubaldo ammazza Manfredi, e così re- stano Ugo e l’amico per andare alla conquista del S. Sepol- cro, = Se l’amore del vero ci costringe a queste osservazioni, non deve il sig. Angiolini sdegnarsene o disanimarsi, ma piutto- sto vedere che cosa richiedono i tempi e i bisogni della patria, me- ditare sul sistema migliore da seguirsi , non inceppato dall’au- torità dei numi e degli esempi, ma guidato dal buon giudizio , che gli farà scorgere come sia meglio, anzichè camminare ondeg- gianti ed incerti, o attenersi alla storia, o creare dal nulla azio- nie caratteri splendidi e brillanti di tutta la ricchezza del ge- nio. Quando poi egli avrà penetrato più addentro alle bellezze dei buoni autori , allora vedrà in che difetti il suo stile, e come molti pensieri rimangano velati ed offuscati, perchè mancanti di quella chiarezza ed eleganza che tanto valgono all’energia ed alla finitezza del concetto. == Altri saggi ci spiegheranno meglio il potere del suo ingegno, e allora potremo con più sicurezza dar lodi e consigli. Paolo Erizzo veneziano, dopo aver lungamente e da valoroso difesa Negroponte contro l’esercito dei turchi, fu alfine costret- to a capitolare con Maometto II a patto di aver salva la vita. — Il barbaro, prendendo a scherno l’umanità ed i giuramenti, volle vendicarsi di chi avea osato resistere all’armi invincibili , e lo 0 fece segare per mezzo: alla sventurata figlia di Erizzo fu taglia- ta la testa dallo stesso Maometto, perchè la trovò ripugnante alle sue disoneste voglie. - Su questo storico fatto grande e pietoso è fondata la tragedia del sig. Vedeche, che si è assai dipartito dai caratteri e dall’azione che gli presentava la storia , e vedremo con quanta felicità. Maometto II, quel fiero e tremendo Mus- sulmano che minaccia strage ed esterminio ai cristiani, che ir- rompe vincitore in Europa spinto dalla sete delle conquiste e dal fanatismo della religione , l’orientale tiranno che a suo pia- cere si gode in tutte le bellezze dall’harem , appare qui desioso e onesto amante di Anna Erizzo ; dagli seuardi della sua donna si sente confortato e commosso , è stanco di errare di bellezza in bellezza, e si è convertito ai principit dei Latini. . + « Mai diletto vero, Un piacer vero mai gustava : e quale Avvi contento in abbracciar, sia bella Quanto pur vuolsi, donna che non ami E che non t’ama ? È Maometto che parla all’ Erizzo aggiungendo : Sarai mia sposa ; libertà non usa Entro al serraglio avrai; non è la tema Compagna dell’amor. Veramente è grande la potenza di amore se ridusse così ge- nerosa e sentimentale l’ anima di Maometto. Anna Erizzo non risponde a tanto affetto , perchè nutre sempre il sospiro del suo primo amore , nè vuole sacrificarlo ad un turco ; altra cagione di odio non ha, perchè ignora l’atroce morte del padre. Giun- gono intanto due veneziani ; Dario ambasciatore del Senato a pro- porre condizioni di pace, e Luigi suo amico che ha voluto ac- compagnarlo per vedere da presso il tiranno che aborre. Ma ve- dete come la fortuna raggira gli eventi! non s'incontra solo nel tiranno , ma nella sua amata, in Anna Erizzo, che credeva già estinta , e che ora intende vicina ad esser Sultana. Si parlano ; ed ei la dispone a fuggire. — Omar, il confidente di Maometto, se ne sta in agguato ad udire e tutto riferisce al padrone. — La morte dei colpevoli è decisa. — La donva muor di veleno , Luigi si trafigge esclamando: Libero io quì cadrò: muor l’Italiano E dello sdegno dei tiranni ride. Senza dissimulare il mio pensiero, mi sembra che i caratteri di questa tragedia manchino in gran parte di verità e di forza. L’au- tore, mettendosi troppo strettamente a calcare le orme dell’Alfie- ri e del Voltaire, ha inceppato tutta la libertà del suo ingegno, 68 e iliminuito in gran perte l’effetto che poteva produrre. Perchè Anna ignora la morte del padre ? La sappia, come la sapeva di fatto, e si faccia grande nella sventura e nell’odio. Se ama un suo concittadino lontano , sia questo un pensiero fugace che brilla come un raggio di luna nella tempesta , sia come la rimem- branza della patria e delle cose più caramente dilette , che nei momenti di melanconia parlano al cuore con sì dolce affanno. Ma ora sta dinanzi al feroce che straziò il padre sotto i suoi oc- chi, al nemico della sua religione , della libertà e della patria ; e deve contro questo nemico che l’ama difendere il suo onore, far la sua vendetta. In questa lotta terribile della inerme sven- turata contro il sanguinario conquistatore, ella più non sen- te timidezza e paura ; non paventa l’omicida del padre , perchè sa morir come lui. Che se quella terribile potenza di Maomet- to fosse con qualche azione resa palese , se l’indole orgogliosa e feroce si facesse chiaramente manifesta , tanto più bello sarebbe il vederlo cedere dinanzi al costante volere della virtù , che ri- mane sempre maggior del delitto anche in trono. -- Ed allora che la tempesta più rugge , e palpita il cuore per quel caro ca- po innocente , se giunge inaspettato ed ignoto , ma consapevole della sventura dell’Erizzo, l'amante suo armato di tuttoll’odio del cittadino di Venezia contro il tiranno, e del coraggio dell’amo- re e della vendetta, l’interesse anderà sempre crescendo, e l’azione diverrà più viva e più rapida in quella continua vicen- da di speranze e di timori, che nasceranno dagli audaci sforzi dei due amanti spinti da passioni, di cui si conosce l’impeto e l’ener- gia. Così Luigi non sarebbe condotto da pueril desiderio di vedere un tiranno , quasi fosse una bestia rara, e non sarebb: così fuor di luogo il suo ardire dinanzi a Maometto , che scop- pia nella tragedia per una pretta imitazione di Pilade ed Oreste dinanzi ad Egisto. La donna non sarebbe sì debole e incerta, e avrebbe «ulche cosa di quella costanza ed energia che rende sublimi l’Antigone di Sofocle, e la Emilia del Cinna. -- Mao- metto tenero , indulgente e generoso che offre la mano di sposo all’Erizzo , che lei schiava inalza al primo onore del mondo, non ha giusta cagione d’ira quando si trova schernito e tradito , uanh do si è abusata la sua confi.lenza e il suo amore? Quindi |’ Eriz- zo cade vittima di un errore piuttostochè della brutalità del ti- ranno. Ecco dunque che manca l’unità dell’ interesse, e che, stando attaccati a quelle del luogo e del tempo, si è perso di vista ciò che forma la grandiosa e poetica rappresentanza di un fatto storico di molta bel'ezza e importanza. In tal modo l’arte 69 non si avanza di un passo e si rimpiccolisce ugnor più , e l’uti- lità di essa vien meno, non operando che languido o meschino effetto sopra anime agghiacciate da piccoli interessi o da inerti dolori. — E dispiace vedere dei germi felici così soffocati, e giovani d’ingegno e di cuore, quale si mostra il sig. Vedeche, ripudiare l'originalità e la grandezza per trascinarsi dietro al'e altrui orme , e preparare qualcuno dei così detti colpi di scena, che tutti gli spettatori omai preveggono avanti che accadano. — Può taluno trovare erronee le mie osservazioni, ma credo che chiunque si accorderà meco a dire ai g'ovaui aspiranti nel poetico arringo ) che tentino colle proprie forze aprirsi la via e salire sublimi , e che mirino agli esempi dei sommi, come ad una luce che segna la meta del cammino, ma che non accenna il seutie- ro. Riportiamo infine per saggio di stile i seguenti versi che Luigi rivolge nel momento della fuga ( atto 4.° sc.3) ad Irene com- pagna della sua donna: «+ +» + 0 dolorosa, illustre esempio Delle umane sciagure, omai serena Il morto viso, tergi il ciglio, spezza Le tue catene e tu tenta. la fuga. Fosti nel lungo duol, sii nella gioja All’alta donna del mio cor compagna, Vedrai la bella Italia, ov’è la sede D’ogni vera virtude , e i generosi Suoi cittadini e le pietose donne E quanto l’arte , la natura e Dio Fer lieto e grande un popolo diletto. Vieni , vieni a goder di quel bel cielo Ch’ ogni dolor fa mite. L’ anonimo autore della Gismonda ha rincarato sul siste- ma dell’Alfieri, e non ha composto la sua tragedia che di tre personaggi , il padre , la figlia e l'amante; ma l’ingegno e l’af- fetto tutto fecondano ed abbelliscono e in un suolo arido e tri- sto fanno spuntare le rose. — Il soggetto è tratto dalla 1.* no- vella della giornata 4.* del Decamerone; ma è facil pensare che doveva subire dei cangiamenti, e che la catastrofe dei due amanti Gismonda e Guiscardo deve essere nella tragedia con - dotta da altri motivi che quelli esposti nella Novella. Non è qui la passione voluttuosa dell’ ardente vedova, ma il puro e sublime amore della vergine innocente , che apre la prima volta il suo cuore ad un affetto infelice che la condurrà nella tomba. Nata nella reggia, si è creduta arbitra di se stessa, ha credu- to la virtù più pregevole dei natali, e il primo in senno e va- 70 lore degno della mano serbata allo scettro. Ahi! con quante lagrime e quanti tormenti sconterà il crudele inganno che le dettò la natura, la soave illusione di un’ anima tenera e gene- rosa! Ogni sua parola respira la mestizia di un anima tra- fitta da un’ dolore senza speranza , e il suo apparir sulla scena è come un’ alba mesta ed oscura che annunzia un giorno tem- pestoso e tremendo. Non ha il seno della madre ove celare il suo volto e piangere , nè ha sfogo e conforto di dolci amici- zie. Il padre suo l’ama e desidera lieta e ridente la giovi- nezza della sua unica figlia, ma non può penetrare nei misteri di quell’ affanno, che nell’ orgoglio del trono ei stimerebbe de- litto e delitto di morte. Ella è dunque sola la sventurata nel mondo, sola coll’amore dell’uomo che risponde ai suoi pensieri e ai snoi palpiti. Più avvenente e più caro non lo poteva for- mar la natura; prode, saggio, valoroso ed umano, nato alle grandi cose ed ai grandi pensieri, che manca a Guiscardo ? niente per la gloria, tutto per la felicità. = Egli oscuro vassallo, egli cresciuto nella corte del principe di Salerno, ha supposto la grandezza dell’ anima superiore a quella della fortuna ; ha ama- to la figlia del re, ha sognato una Italia, una patria che non vede in nessuna parte e che vorrebbe creare. — Ed ora ei lo sen- te il suo errore , e scorge il periglio , ma è vano; la sua esistenza vi è concentrata e quando il suo cuore cesserà di battere per Gismonda e per la patria , sarà nel sepolcro. == Non lo spaventa la morte, perchè sa che dal suo sangue uscirà un nome di glo- ria; un pensiero inconsolabile però accuora il gentile; egli ha sparso di affanno i vaghi giorni della sua amata, ha avvelenato il fiore più caro della vita, e non ha insegnato che il pianto a quell’ angiolo d’ innocenza. : È < . è . To sono De’ mortali il più misero. Vederti Inconsolabilmente addolorata Per mia cagione | Fra le due creature del poeta sta Tancredi a rappresentare il reale del mondo e del suo tempo. Ama la figlia, ma la sa- crifica al trono , onora e stima Guiscardo , che ha salvato dai nemici il sno regno, ma non gli balena neppure in mente che possa andargli del pari; quindi la natura resta vinta dal pre- giudizio , 1’ amore è spento dall’ ambizione , ed il padre affet- tuoso e il principe giusto ed umano diviene in un subito spie- tato ed iniquo tiranno. Ecco abbozzati i tre caratteri della tra- gedia, diremo ora dell’ andamento e dello stile. 71 La prima scena si passa in affettuoso colloquio tra il padre e la figlia, che invano è richiesta della cagione del suo lurgo dolore. Ma un nome è pronunziato, che come lampo ne disvela da lungi il segreto. Guiscardo è di ritorno da Capua , dopo aver concluso la pace col principe Roberto nemico fin qui di Tanere- di. Questi inalza il suo campione con magnifiche lodi , conclu- dendo »Fra i re sempre umile, Ma dopo i regi ei d’ ogni grande è primo. Gismonda. Nascita illustre, che del caso è l’opra x Dunque è tal merto che ogni merto avanza ?) Giunge Guiscardo così in parte a noi noto e reca la pace. — Condizione di essa è la mano di Gismonda per Roberto; ed ei consiglia il gran sacrifizio , perchè il pubblico bene lo richiede, e non soffre che una privata passione sia fatale alla patria. — Salerno stanca di lunga guerra è omai priva di difensori ; il nemico Finor sprezzato per la sua viltade si è fatto audace nella accattata forza dei Franchi, E al loro prîmo Furor chi mai resiste ? è turbo è folgore , P È È - . E il sanno-tutti. Tancredi. È ver pur troppo! e invitti Li rende ancor l’ universal credenza Ghe invincibili sieno. Oh! viltà nostra ! Oh! vergogna d° Italia! abbiam noi petti E braccia abbiamo al par di loro, e un core Ghe batter fa ferocemente l’ ira, Sete di gloria e di vendetta , e ogni altro Sublime affetto. Guiscardo. Ma non mai l’ infiamma Verace amor di patria. Ingrati figli Noi siam cotanto e sciagurati e rei, Che dell’ oppressa madre nostra al seno Volgiam gli acciari, onde ne cinge il fianco Per sua difesa e ‘schermo. Ma il lamentarsi che giova ? = sarà forza che l’ infelice Gismon- da sia offerta come la vittima a placare gli odii nefandi. E Guiscardo in Salerno (Atto 2. sc. 1.) ecco l’accento della gioja e dell’ amore che sfugge dal petto di Gismonda, che con ansia attende l’amato : 5 2 e È È È E ancora Non viene ancora dalla sua Gismonda ? Godi , godi ancora un istante nel dolce pensiero dell’ amor tuo; ecco il padre (sc. 2. ) ad annunziarti la tua sentenza mortale , 72 a palesarti che andrai sposa a Roberto , e che Guiscardo , lo stesso Guiscardo, persuade a quel nodo. Il grido del tuo disperato dolore non penetra 1’ avima pa- terna, ed il tuo amante in nome della patria ti persuade all’at- to fatale, che dee suggellare l’eterna sventura d’ entrambi. L’a- nima è lacerata dal doloroso colloquio, che termina colle parole di Gismonda Una sol volta dunque! una sol volta , E mai più . .. sulla terra! ah! il cor non regge A sì lugubre idea. Tancredi però ( atto 3. ) si consola della rassegnazione della figlia, annunziatagli da Guiscardo , che insieme lo avvisa come ei partirà di Salerno non più minacciato da alcun pericolo: Inutil pondo Restar su questo suolo! Ah! no nell’ ozio Altri pur goda; è per me l’ ozio morte. Andrò scorrendo Italia tutta , ai vili Stupidi miei conservi aura di vita In petto soffierò ; rinati allora Meco a pugnar verranno e a coglier palme Che raro o mai cingeano itale fronti. Tancredi E come in sen nuovo desio ti nacque E speme in un di richiamare a vita Chi, di se stesso immemore , si giace In un sopor profondo ? Guiscardo Ah! non è nuovo Sì nobile desir 3 cori me nascea, , Crebbe con me feroce ed alto sempre, Ma nel profondo del mio cor l’ ascosi Finchè temei la scure. Or sorge il giorno Ghe più nulla pavento ; e l’ ira mia, Per tant’anni repressa , orribilmente Scoppia ed il core di efferata gioja Balzar mi fa. Sopraggiunge Gismonda, che in teneri e dolorosi accenti chiede di partire al più presto per dove la spinge il suo fato , prima che la morte troncando i suoi giorni le tolga il potere Di salvar colla Patria il trono e il padre. Maraviglia Tancredi a sì pertinace dolor della figlia, ed al nuovo furor di Guiscardo , che anela colla sua impresa ad un Infame palco Guiscardo Infame palco! ‘ Già più non è, ma glorioso e chiaro , Da che il calcar mille innocenti e prodi Che per la patria libertà pugnando Soggiaceano alla forza. Pur qual sia Io non lo ascenderò : mancarmi un ferro All’ uppo estremo, od un velen potrebbe ? Mille facili vie s’aprono al forte Per spttrarsi alla infamia e alla crudele Rabbia de’rei potenti. Ond’io non tremo. Sulla fine di questa scena (sc. 2.*) sì dolorosa , ove si decide la partenza di Gismonda , i due amanti cedono un momento alla loro passione, tremano e impallidiscono, e nella mente di Tan- credi balena il sospetto del loro amore. Ad accertarsene sceglie mezzo vile ed infame (atto IV sc. 1.* ) non consentaneo alla sua natura e che lo rende orribile e odioso. L° autore ha imitato questa scena da quella dell’ Alfieri , ove Filippo con artifiziose parole cerca di sorprendere il segreto di Isabella: ma ciò, che in quel carattere e in quelle circostanze ha faccia di vero , riesce quì disgustoso e falso. Quando la sventurata è già pronta al suo sacrifizio, un padre, che l’ama, la lusinga di scioglierla dalle aborrite nozze, di farla felice collo sposo che brama ; e mentre la poveretta col presentimento della sciagura lo supplica a non ingannarla sì crudelmente , ad avere pietà del sno sangue, ei persiste nell’ infame tradimento , finchè non le ha strappato il fatale segreto. Ed ora eisi precipita dalla viltà nel delitto , dalla crudeltà nel sangue : dopo i più amari rimproveri e insulti crudeli condanna a morte l’ infelice Guiscardo dolente solo della sua Gismonda «= e di tante belle illusioni distrutte. *. Ecco Gismonda ( atto V. ) accorrere in pianto per salvare il suo amato. — S’ incontra nel padre, e con tutta 1’ eloquenza del dolor disperato , con il linguaggio vero e potente del cuore, rilesta la sua tenerezza sopita, risveglia i suoi sentimenti di umanità e di giustizia spenti nell’ orgoglio e nell’ira ; e strappa la grazia di Guiscardo. -- Ma ahimè! Guiscardo è morto, ed un pugnale grondante del sno sangue è recato a Tancredi da uno di quei vili satelliti, che si affrettan con gioia a svenare i ma- gnanimi che destan paura nella tenebrosa lor anima. — Gismon- da non può avere altro fine da Guiscardo, e, afferrato il pugnale del padre , sè trafigge, pregando per ultima grazia + + + + Chè un urna sola accolga Il cener di Guiscardo e il cener mio. Gli elevati concetti, la verità e naturelezza degli affetti , e lo stile qualche volta trascurato, ma spesso poetico, ci hanno fatto trattenere più a lungo su questa tragedia, al cui antore tributiamo le lodi. più affettuose e sincere. Egli col suo sistema si è privato di molti mezzi d’ interesse e di azione ; e quautun- T. HI. Settembre. 10 74 que abbia saputo dilettare e commuovere, credo che vorrà ri- nunziare al piccolo onore di superare delle difficoltà , per aspi- rare al grande e reale di dipingere con tutta la varietà e lo svi- luppo la umana natura. Son certo che non si lascerà imporre dai nomi, e che, non curando di esser detto o classico o roman- tico, amerà però di appartenere ad una scuola nazionale e ve- ramente italiana , che valga a sostenere la dignità delle lettere, e a suscitare negli animi le virtù, che fanno forte e onorata una nazione. Di Lettera settima intorno a’ Codici del marchese Lurer Temper. Vi hanno detto il vero : ho trovato una miniera d’oro, di quell’ oro che non dà che il Trecento, e del più bello , chi lo separi da un poco di scoria. Nè voglio dirvi chi lo separi dalla materia che vi sta sotto , perchè parte di questa viene dal- 1° antichità ed è molto buona , parte vi presenta l’imagin viva d’un secolo, in cui la mente umana fa singolari sforzi per risor- gere; e a questi sforzi, sovente assai infantili, voi, se non altro, sorridete con indefinibile diletto. La mia miniera non è tutta ben unita; ha frammezzo, per seguitar la metafora , vene d’ oro diverso e torrentelli che ne portan pagliuzze. Ma cominciam dalla miniera , cioè , per uscir. di metafora , dal grosso del codice di cui vi è stato parlato; da quel che può annunziarsi come una novità. Esso è indubitatamente autografo , e delle 165 carte nume- rate, onde componsi l’intero codice (ch’è in foglio e cartaceo), ne prende per lo meno le 130. Da mano moderna, che ha fatto al codice il frontespizio , esso è intitolato “ Creazione del Mondo ed altre Istorie ,,. Come convenga intitolarlo me lo direte voi, se il potrete, quando vi avrò accennato a un dipresso il suo contenuto , che per chi fece il frontespizio rimase verosimilmente un enigma. La storia della creazione , com’ è indicato nel frontispizio , vi tiene il primo luogo. Appena però vel tiene maggiore che nella Bibbia ond’ è tratta. Essa quasi non è lì che per dar mo- tivo a discorrere delle diverse parti del creato , in ordine, come già v’imaginate, a’ quattro famosi elementi. La scienza fi- 79 sica e astronomica dell’ antore non va al di là di quel ch’egli ha potuto intendere d’ Aristotele e di mastro Cecco ( Cecco d’ Ascoli) da lui spesso citato. Della scienza geografica voglio darvi un saggio , che vi farà pensar tutt’insieme e ai Viaggi di Gulliver e all’ Odissea. Non vel darei però, nè voi lo vorreste , —— se anche non fosse un bel saggio di lingua. ‘ E sappiate che si trova scritto che tre monaci sì misero andare al paradiso terrestro di sopra detto, che prima arrivaro nelle terre de’ Piccinachi, dove gli uomini e le femmine compiuti, giovani e vec- chi, non sono maggiori che tre spanne (e vanno le donne velate e mantate come quì , e le fanciulle co’ capeglì infino a’piedi) e corrono come cani, e il lor parlare è quasi un sufolare , e mangiano peruzze e meluzze e altri frutti salvatichi che i loro alberi per se medesimi producono. Ancora arrivaro in parte dove trovaro uomini ignudi e tutti pelosi, e facevano onore a chiunque v’arrivava, e l’uno dopo l’altro voleva così fare , e chi rifiuta la loro cortesia se 1’ hanno per male, e dannogli di molte bastonate. Trovaro ancora paese pieno di manna dolce come mele , e la gente di quel paese erano accoppiati , cioè i loro corpi a due a due in su tre cosce, e sempre piangevano. E, domandati per interprito perchè piangevano, risposero che piange- vano per tema che l’uno non morisse , però che quello che rimanea vivo convenia che portasse il morto, oude la sua vita era poi cortis- sima. Poi trovaro e videro le lammie , femmine basse e bellissime in faccia, ma incontanente si dileguavano nelle loro tane ch’aveano sot- terra con molte caverne e con molta ricchezza , secondo che da altrui fu detto loro. E molte altre cose trovaro maravigliose ed incredibili, secondo lo scritto , le quali ho voluto tacere, per non parer menzo- niere , tenendomi al consiglio del sommo poeta Dante dove disse così: Sempre a quel ver che ha faccia di menzogna ec. ,, Eccovi l’ uomo sul doppio confine del dubbio che già co- mincia a nascer nel mondo, e della credulità , a cui, e per igno- ranza , e per nuova impazienza di sapere , è inclinatissimo , ma che ormai ha d’uopo di giustificare a se stesso. Dic’egli, infatti, poco dopo il passo che ho recato: “ E di molte altre terre e genti con nuovi costumi v’ha, che a noi parrebbero favole. Ma siate molto certi che , dicendo , ne’ paesi istrani da noi, di nostre usanze e costumi , pare a loro non meno nuova usanza e costu- manza la nostra che a noi la loro, e debb’ essere così ,,. Passando con lui dalla prima alla seconda delle tre parti ch’ ei ci descrive della terra, m’ avvengo in due passi = il Pa- radiso di Maometto disfatto nel 1277 da Alan signor de’ Tartari = e i Costumi d’ Ahamul dove tutti gli uomini sono bozzi di loro donne = piacevolissimi 1’ un più che l’altro e per lingua vera- 75 mente mirabili. Ma ambidue sono lunghetti, e guai se mi lascio andar così presto al piacere di lunghe citazioni. Ai due bei passi mal sarebbesi applicata 1’ osservazione del- l’autore ch’ io vi recava pocanzi. Ad altri poco men belli sareh- besi potuta applicare , poichè pieni di cose nuove ma non incre- dibili, tratte da relazioni ormai sicure di viaggiatori , special - mente del Polo. “ Il Gran Cane che regna oggi (dico oggi, se- condo la tornata di messer Marco) è di bella statura e di mez- zana forma ec. ,, Per le quali parole siam fatti certi, che 1’ au- tore scrisse alcun tempo ma non troppo tempo dopo questa tor- nata, o almen dopo la divulgazion del Milione, che si vuol fatto toscano fin del primo anno del secolo decimoquarto. E la frase messer Marco parrebbe indicare che, quavdo 1’ autore. scriveva, l’illustre viaggiatore fosse ancor vivo. Se non che l’anno della sua morte è assai incerto , benchè i più s’ accordino a cre- derla. avvenuta poco innanzi o poco dopo quella sì infelice di mastro Cecco. In proposito del qual mastro Cecco, arso vivo come sapete nel 1323, un uomo erudito, che vide il codice pri- ma di me, dissemi un giorno che l’autore doveva aver scritto lui vivente, poichè devoto, qual si mostra, dopo il giudizio del terri- bile tribunale che il condannò, mai non gli avrebbe data tanta lode. Senza toglier pregio a quest’osservazione, risposi allora varie cose che mi facean credere che l’autore avesse scritto forse prima ma anche dopo quel giudizio. L° autore mi ha poi prestata egli stesso risposta perentoria che a suo luogo vi dirò. Intanto facciam via con lui, via molto agiata, come ve- drete, ch’ei punto non s’affretta, anzi torna spesso là d’ond’ era partito, e si ferma e va intorno a diporto , il che non vorrei che fosse a voi di qualche disagio. Ei torna in India, ad esempio, per narrarvi i fatti del magno Alessandro , non secondo alcuna storia per vero dire, ma secondo qualche poema o qualche ro- manzo che doveva a’ suoi tempi sembrar cosa troppo più bella. Da ultimo si rammenta che Aristotele , stato maestro a quel grande fra l’ altre cose 1’ ammaestrò ch’jegli si guardasse dal- l’ uomo reo più che da ogni altro animale, e insegnogliele a co- noscere ,. Però , ei si risolve ad un tratto, “ diremo di finoso- mia ,,. Questo discorso , come ben pensate, può condurlo un po lontano e da Alessandro e dall’India e da tutta la geografia. Lo conduce infatti a parlar de’ temperamenti , delle qualità che lor corrispondono , ec. ec. La digressione par fatta colla scorta principalmente d’ Aristotele , e non ve la do per piacevolissima. 77 Ecco però di che farla, almeno una volta, rinscir piacevole a chiunque si conosca di del parlar gentile. Trattasi della vani- tà; “« e Tullio del vanaglorioso pone una leggiadra figura di- cendo così : ,, “ L'uomo, ch'è vanaglorioso, sempre si fa da più che non è. E alcuna volta tiene di questi modi, che quando è con forestieri , e vede passar un fante altrui, il chiama or per un nome or per un al- tro , acciò che paja a’forestieri uno de’molti suoi fanti, le cui nomora non possa tutte tenere a mente. E poi ch’è venuto gli dice vieni bel- lamente (gli dice bellamente vieni) che non facci villania a questi si- gnori; e appresso gli si china all’ orecchio , e dicegli alcuna vil cosa; e poi gli dice in alta voce, perchè l’odano i compagni, fa’ che sieno ben serviti, mostrando d’ avere forestieri a casa. E risponde ’l fante che bene lo’ntende: per me non si potrebbe tanto fare, se non mi des- si anche de’fanti. Ed e’risponde : abbi con teco Stefano e Sofia (9 Sosia), ed anche ne togli, se più te ne bisognano, e fa’ che la cosa vada bene. E se, andando per la terra, incontrasse forestieri, i quali nella loro città 1’ abbiano molto onorato o servito, si contrista nell’ animo, ma non si parte però dal suo vizio naturale , e correli ad abbracciare, dicendo che sieno i ben venuti , e che hanno ben fatto che sono ar- rivati in questa città, ma che molto si duole che non andaro diritto a casa sua. E quelli dicono che ciò avrebber fatto se l'avessero saputa. Ed e’risponde che ciò era loro agevole se avesser domandato , taut’è conosciuto. Allora li volge e, facendo vista di menarlisi a casa, usa molte parole di suo vantamento, e menali al palazzo d’un suo dime- stico e grande cittadino, il quale in quella mattina fa un grande con- vito. E, menatili dentro, per contezza che ha con que’della casa, dice: qui abito io, questa è casa vostra per tutte le volte che arrivate in questa terra. E questi guardano la casa, dicendo che bene abita. E stati un pezzo, e ragionato di' più cose, viene un fante di quelli della casa e dicegli all’orecchie : dice messere che voi faresti cortesia di par- tirvi, però che vuol desinare con certi ch’ egli ha convitati. Ed egli subito si lieva in piè, dicendo: perdonatemi ch’io non posso esser al presente con voi, però che questo corriere mì dice che fratelmo torna di Francia , ed ecci presso a tre miglia, e manda a dire ch’io gli vada incontro; ma non falli che stasera ceniate meco; e così escon di casa. E quelli, considerato il bisogno , chè pare a loro che così sia, tengono lo ’nvito per la cena e partonsi da lui. Ed egli se ne va, e rinchiu- desi in casa, e non si lascia più trovare. E, all’ora della cena, tor- nano i forestieri alla casa d’ onde sono da lui partiti la mattina , ed essendo lor detto che quivi non ha a far nulla , si tengono scherniti fortemente e tornansi addietro. E l’altro dì, iscontrandosi costui ne’fo- restieri, incomincia a lamentarsi, come la sera fece grande cena , e che molto fra notte gli aspettò, e come n’ ebbe grande ira. Ed e’ ri- spondono, come erano iti a quello albergo dove la mattina li avea ein) 78 menati, e come si tornaro addietro con vergogna. Ed e’risponde che a quello albergo non vennero, ma errarono per cagione del porticale andando a un altro simile. E appresso dice: i’voglio che domattina per fermo desiniate meco , ed aspettatemi ch'io verrò per voi, acciò che non possiate più errare. E accettato ch’egli hanno , ed eglì accatta da un suo amico un bello albergo fuori della terra e molti arnesi d’ar- gento , e la mattina va per loro e menali nel detto luogo a desinare. E dice loro: certi miei amici, volendo fare stamane un gran convito, e non avendo abitazione dove potessero ben fare, di grazia mi chie- sero casa mia , ed io, veggendo il bisogno , nolla seppi loro disdire , ed hovvi menati qui dov’io mi riposo la state, e ‘perdonatemi. E quelli, guardando la casa e’l giardino , piace loro molto e lodanlo as- sai. Appresso, desinando loro, colui di cui sono gli arnesi dell’argento, non confidandosi di lni, li manda per un fante richieggendo. E que- sti, veduto il fante, il chiama a se dall’ una parte, e, saputo quel che domanda, dice in boce che 1’ odano i forestieri : prestata ho la casa e molti miei vaselli d’ argento all’ amico, e anche mi manda pregando ch'io gli presti questi che mi son rimasi; e, avvegna ch’io abbia forestieri, non vo’però lasciare che questi cotanti, che rimasi mi sono, non glieli mandi, ec. ,, Che dareste , ditemi, per aver tradotte o travestite , non importa , le cose più belle e di Tullio e di tutti i classici in questa lingua divina ? Se l’autore seguitasse innanzi traducendo così , chi si curerebbe ch’ ei ripigliasse la sua via di geografo ? Ma egli alfin la ripiglia, benchè non in questo punto ; ed io non debbo indugiare a ripigliarla con lui. Ma fo uno sforzo ve- ramente a non fermarmi almeno ove, in proposito della crudel- tà , ei si ferma al giuoco degli scacchi , inventato, secondo il suo racconto, da un filosofo per correggerla in un re. Come, tra- ducendo cose d’ antichi, piaceva a’ buoni trecentisti ridur tutto al moderno ; così, descrivendo o narrando nuovi o antichi trovati, piaceva ridur tutto al morale. Del giuoco appunto de- gli scacchi voi ben ricordate con che leggiadria sel facesse Ja- copo da Cessole, di cuni mi duole udir sì di rado il nome. Accanto al libro d’ Jacopo, quel che scrive il nostro autore , prendendolo di dove non so, è come una bella miniatura ac- canto a un bel quadro. Ma orsù avviamoci con lui verso 1’ Europa. La via, ch’ ei tiene per giugnervi, è tutta storica. Dalla Siria, ov’ egli è col filosofo degli scacchi , si fa un ponte all’ Egitto e alla Palestina, che va ricordato come esempio della speditezza del pontoniere: “ e questo basti degli scacchi ; ora diremo di Moisè. ,, E dice pure de’ Patriarchi, dice de’ Faraoni , dice de’ re di Giuda, ec. 79 Poi viene a’ Greci, a’ Troiani, ad Enea, di cui in più carte narra le vicende , ai re di Roma e a’ principii della romana re- pubblica. Ed eccolo d’un balzo a Fiesole, a Fiorenza, a Pistoja, delle quali racconta più cose da Catilina fino ad Attila. Ma di questo barbaro , sembra , ei prende gran paura. Quindi si ri- fugia di nuovo a Roma fra gli uomini della repubblica e gl’im- peradori, d’ onde torna poi un poco più tardi a Fiorenza per Perugia ed Arezzo, e, statovi un poco, passa a Vinegia. Prima di tornare , grazie forse ai grand’ nomini romani , si ricorda di quel che ha detto dei temperamenti, e pensa che i temperamenti , gli accidenti ec. son tutti soggetti alle costella- zioni. Quindi ‘ al nome di Dio e della gloriosa vergine Maria ;; si fa un almanacchetto astrologico , a cui succedono (ma d’altra mano che quella dell’ autore ) un recipe per diversi mali , un cosmetico per far bella la faccia, pitture di vizii prese da Dan- te, dal Petrarca, da Fazio degli Uberti ec. La mano dell’ autore ricompare , un po’ prima che si tratti del ritorno a Fiorenza , in alcuni articoletti storici e mitolo- gici, a’ quali in questo punto v’è impossibile di trovar un mo- tivo. Vien quindi il ritorno a Fiorenza con quel poco di geo- grafia italiana che ho detto, e a cui succedono, pur d’altra mano che dell’ autore , altri pezzi di Dante. E qui i pezzi di Dante , scritti, come que?’ primi di lui e d’altri poeti, pel comodo che ne dava qualche carta bianca, non sono affatto fuor di luogo. Ciò non vi sembra al ricominciar che fanno gli articoletti sto- rici e mitologici, i quali continuano questa volta per molte carte. Vi sembra poi quando scoprite, che gli articoletti son lì per la spiegazione della prima delle tre cantiche del gran poe- ma ; scoperta che vi fa circolar più rapido il sangue nelle vene. Ma la rapida circolazione, amico mio, dura poco. Voi sa- pete bene che il vostro autore non può darvi alcuna singolar no- tizia d’antichi. Sperate però d’aver per lui qualche particolar cou- tezza de’'suoi contemporanei. Ora i contemporanei ne’suoi articoletti non appariscono che di rado e per voi quasi inutilmente. Colui poi v'è (ed è il primo che vi sia) che dal servo de’ servi Fu trasmu- tato d'Arno in Bacchiglione, ec.; ma senza un pel di barba, se così posso esprimermi, che vel faccia riuscire più vivo o più nuovo. Vengon poi quelli che dicono Frati Godenti fummo e Bolo- gnesi; vengon altri; e son tutti nè più nè meno quai da un pezzo li conoscete. Ma state , che un po'di nuovo 1’ autor ve lo dà partendosi un tratto da’ contemporanei. {i{0) “ Maometto ( Vedi come storpiato è Maometto ec.) fu un grande prelato di Spagna, il quale, per la molta scienzia e sufficienzia ch'era in lui, fu mandato dal papa , e un altro con lui ch’ ebbe nome Ello (se pur leggo bene), a predicare oltre mare agl’ infedeli la fede cri- stiana siccome legati di papa con piena autorità in que’ paesi. E avendo per un tempo predicato , il papa mandò per loro a privarli di quella legazione , onde Maometto e ’1 compagno indegnati contro l’apostolico volsero mantello e predicaro tutto ’l contrario di quello che santa chiesa comanda , e convertiro e condussero alla loro falsa legge di molta gente, e ancor in que” paesi se n’ osserva parte. E di costoro disse il maestro e poeta così, ec. ec. Chi frammise alle cose antecedenti i passi poetici sopra iu- dicati (e ben potrebbe , or che gnardo meglio alla scrittura , aver frammesso anche l’almanacchetto astronomico) parve minac- ciare, con un Nota tu che leggi ,, posto iu margine, di far petdere a questo nuovo comento la sua novità. Grazie .però alla buova fortuna, che qualche volta ha cura de’ nostri piaceri, la nota si riduce a queste parole: « Maumettu non fu prelato, ma fu nato d’Arabia e fu di vile nazione, e quello che s° accostò con lui a fare la falsa labbia fa uno prelato ch’ebbe nome Aly ‘,; ; e la novità è abbastanza serbata. Rimesso per essa di buon umore , mi par quasi di potermi contentare di quel che l’ autore ci dice più sopra e più sotto di Fra Dolcino, di Frate Alberigo, di Cristofano d’Arezzo ; di Gianni Schicchi, di Buoso Donati, di Sassuolo Mascheroni de’ Toschi , ec. ‘ Messer Buoso Donati (voglio pur darvene, per amor della lingua, qualche saggio ) ebbe un suo famiglio ( Gianni Schicchi ) ìl quale , poi che messer Buoso fu morto , a stanzia de’ nepoti ( di mes- ser Simone suo nipote , dic’ egli nell’ articoletto di Gianni, e così dice anche l’ Ottimo ) in persona del detto messer Buoso fece testa- mento , e lasciò a’nipoti ogni suo bene ; e a se lasciò una bella mula ch’ egli aveva e chiamavala donna ; € così era di patto co’ nepoti : e però disse Dante Per guadagnar la donna della torma ec. 4 Sassuolo Mascheroni de’ Toschi fiorentino , per avere la redità d’ un suo ricco fratello, uccise un fanciullo ch’ egli aveva , e suo nipote ch” era ; ond’ elli fu preso e fondato in un una botte chiavata intorno d’aguti (quest’orribile particolarità dall’ Ottimo non si narra) e fu voltolato per tutta la città , e poi gli fu tagliata la testa, ec. ,, Fra gli articoletti mitologici e storici son poste, ma da mano troppo più recente di quella che frappose i passi poetici già detti, varie cose poetiche di Dante e d’altri4.delle quali poi vi parlerò. Dopo gli articoletti si torna al discorso da tanto tempo interrotto delle qualità morali; e in mezzo a questo discorso si leg gge tra- 81 dotto o parafrasato un altro passo antico, che voi non prende- rete sul serio se non per la lingua. ‘ L’Eresio Teofrasto (o Tirtamo Teofrasto, chè non riesco a legger bene) essendo domandato da un suo amico se egli il consigliava ch’e’to- gliesse moglie a no, così rispuose: Se la femmina che ti viene alle mani è giovane, grande , bella, ben constumata , e virtuosa di saper fare e dire ciò che al tuo stato s’ appartiene, e sia di buona e onesta vita, di schiatta ch’ a te sia il suo parentado accrescimento di stato, e con questo ti rechi a casa di dota quello ch’a te si conviene, e tu ti senta e sia savio, ricco e virtuoso di pazienzia, puossi fare. Ma perchè rade volte s’accordano tutte queste cose, ed è quasi impossibile , nolla torre; però ella è impedimento dello studio e quasi d’ogni bene adoperare. Ancora alle donne bisognano molte cose, a ciascuna secondo suo grado, che non sono leggieri ad avere. Perocchè, come maggiore è lo stato, maggiore ornamento e maggiore spesa richiede. E la femmina è insa- ziabile, vuole ricchi vestimenti, oro, perle, gemme, vai, giojelli , masserizie e ornamenti nuovi che non sieno mai veduti a persona, ac- ciò ch’ ella vantaggi tutte l’ altre; e ciascuna vuole esser quella , e questo è impossibile. Vuole fanti, fancelle a suo modo e non a tuo, e , se questo non fai, avrai continue battaglie di di e di notte, e , non considerando tuo podere . ti dirà : cotale e cotale e. altrettale , che non son buone com’io, sono adorne di tale e di tale cosa, ed io cattiva non posso apparire tra le donne, pognamo che’l biasimo sia tuo. E questa battaglia non finirà se tu non aempi sua dimanda, e, fornita che l’ avrai, ricomincierà da capo per nuovo desiderio. E però nolla torre. Ancora , se tu nolle piacerai , ella t’avrà in dispregio e penserà ad altro. E, se avrai alcun difetto, sarai mal servito da lei. E, se tu le vedra’ fare alcun sembiante ad altrui, mai non dormirai sicuro per gelosia, e sempre viverai malinconico , accidioso e tristo , nè a te piacerà l’ usanza altrui nè ad altrui la tua. E, se tu le pia- cerai e siele in amore , se guarderai altra femmina che lei, ed ella se n’avveggia, pensa d’ avere in casa poca pace; e, se ti vedrà parlare colla fante, ti dirà che tu non sia da altro che da strofinacci. E però nolla torre. Ancora, s' ella non avrà figliuoli di te, dirà che tu non sia da nulla e penserà ad altro. E, s’ella n’avrà di te , le raddoppierà il rigoglio e la baldanza, e non potrai vivere se tu non farai ciò ch’ella vorrà. E però nolla torre. Ancora , se tu se’ povero e. prendi moglie e abbine figliuoli, se prima avevi assai di notricare te , e poi ti con- verrà notricare te e loro, pensa come tu starai. E però nolla torre, Ancora, se tu se’ ricco, sempre viverai in tormento con lei per le molte sue dimande , come detto è di sopra. Ancora tu dei sapere che non è sì vile animale nè sì caro , che innanzi che si comperi non si pruovi , se non la moglie. Però che s’ella è matta o sozza 0 con molte magagne e scostumata , prima ti se’ legato che tu’l sappi; e sai che T. SIl. Settembre 11 82 questo legame non sì puote isciogliere se non colla morte. Ancora, o bella o rustica ch’ella sia, sempre la ti converrà lodare. O piacciati o no, ti converrà dire ch’ ella ti piaccia sovra tutte l’ altre. E, se così non farai e tu guardi dell’ altre , crederà di spiacerti e dirà che tu la sdegni. E quando farai sdramento per mostrare che tu l’ami, parlando con lei, ti converrà dire: se Dio mi ti guardi e salvi lungo tempo. Ancora ti converrà contra tua voglia spesso amare e ‘onorare cui ella amerà. E però nolla torre. Ancora le ti converrà dare signoria di ciò che tu hai; e, se nol farai , dirà che tu non ti fidi di lei, e avratti in odio , e disiderrà la morte tua, e farà quanto male ella po- trà, ispendendo e gittando il tuo in indovini e in malie, e faccendo' questo è da temere ch’ ella non caggia in avolterio , e volendola guar- dare, essendo disonesta , è impossibile. E però nolla torre. Ancora ; s’ ella sarà bella , sarà da molti amata e vagheggiata e disiderata. E quella cosa , ch'è bramata da molti, malagevolmente si guarda , e molte volte se ne rimane perdente. E a chi è tolto l’ onore di sua donna non debb’ essere mai contento. E però nolla torre. E s’ ella è rustica e sozza, e spesse volte ama e disidera altrui, e da molti è schernita ; ed è molesto a possedere quello che niuno degna di volere. E non avere per piccola afflizione , anzi per continua morte , vederti sempre innanzi, al mangiare , al bere e al posare , quella cosa che tu hai in odio e in dispetto. Ma minore miseria è aver sempre la sozza che guardar sempre la bella. Perocchè chi per cortesia , chi per bel- lezza , chi per prodezza , chi per pecunia , e chi per molti altri di- versi ingegni che dir si potrebbono , alcuna volta vince; e spesse volte è vinta la cosa che da molti è combattuta. E però nolla' torre nè rustica nè bella. E se tu vuo’ dire : i’ voglio moglie , perchè di- spensi i fatti di casa, e nelle mie infermitadi mi conforti e ajuti , ri- spondoti che troppo meglio dispensa un fedel fante. Però che’l fante naturalmente disidera di piacere al signore , e la moglie non ama tanto il marito ch’ ella non pensi sempre : io son donna. E allora le pare esser bèén donna, quand’ ella contrasta bene al marito , ‘e quand” ella fa bene il piacere di se e non quello che’l marito le comanda. Ancora, se la donna vede porre il marito a ‘giacere per infermitade , inconta- nente 'nel suo animo il fa morto , e pensa più come dopo lui rimagna e come possa poi rimaritarsi , ch’ ella non pensi dello scampo del ma- rito ch’ ell’ ha. Anéora , più fedele ti fia un fante aspettando da te beneficio , che la moglie che non erede che tu sappi viver senza lei. E, se avviene che tu abbi moglie bella e buona e savia, che rade volte avvietie ; d’'ogni male, che tu le vedi, è, le due parti, tuo. E però nolla torre. Se tu vuo’ dire : i’ voglio moglie per acquistare famiglia } acciò chel mio nome non venga meno, e che in vecchiezza m’ aiutino i figliuoli , e che , morendo , sia chi redi il mio , rispon- doti che ciò è stolta cosa. Or che utilità abbiamo noi, poichè siamo passati di questa vita, perchè’l nostro nome sia molto ricordato? Poi che tu se’ morto , già non è figliuolto chiamato per lo tuo nome , e, Q (0) se pur fosse, nullo nome è che molti non ne sien nomati. E se tu di’: figlinolmo. m’ aiuterà in vecchiezza , chi ti sicura che figlinolto viva quanto tu? E se pur vive yo sarà buono o sarà reo. Se fia buono e piccolo d’anima e di corpo ; timetterai (frequentativo di temere , se non è scritto o da me letto male); e, se gli vedrai percuotere il piede, parrà che ti sia percosso il cuore; se infermerà , parrà essere infermo te ; e se morisse non saresti mai lieto. E , se fia reo , non farà cosa che tu voglia, e metteratti in briga e’n guerra, potrebbe esser morto da altrui o fare uccider te, e potrebbe avere di molti malvagi vizi, e nella tua vecchiezza disiderrà la tua morte per rimanere libero. E se avrai figliuole femmine , e quanti pericoli non possono avvenire? Gli buoni amici (uno de? soliti anacronismi de’ nostri vecchi traduttori) non t’ impediscono la salute dell’ anima come fanno i figliuoli. E , se t’ abbatti a femmina rea e garritrice, pensa come tu stai, che ognora, vivendo, muori. E però, considerate le dette ragioni e moltissime che ’n- torno a ciò si potrebbero allegare oltr’ a queste , e avendo rispetto , per lo bene che ti voglio , alla tua consolazione , conchiudendo pro- testo e dico che non togli moglie , se tu non vogli star sempre con doglie ,,. Indi seguono sentenze d’antichi non disformi da questa lun- ga lezione. e storielle pur d’antichi, anch’ esse mirabilmente tra- dotte, che sembrano confermarle. Alle quali sentenze e storielle una manv posteriore aggiunse un sonetto di Buto Giovanuini ad Antonio Pucci, Antonio mio di femmina pavento ec., ed un a!tro del Pucci che risponde La femmina fa l uom viver con- tento, ec. (non so se trovinsi nelle raccolte) con alquante sen- tenze e storielle che fanno alle prime giusto contrappeso. Di mano dell’ autore vengon subito dopo storielle d’ uomini celebri per scienza , tra i quali Virgilio, grande astrologo, se nol sapete, e che mai non v’ imaginereste quello che per astrologia e in vita e in morte abbia fatto. “ E dirotti parte delle cose che fece mirabili per la detta arte; e quantunque pajano a grossi uomini favole (vi serva l'avviso) perchè i loro cuori nolle possono com - prendere, abbi quelle che udirai per vere e per molto piccole a rispetto dell’ altre che fare si potrebbero per la detta arte, ec. ,,. Udite dunque se non siete di que? grossi. “ Trovasi ch’ egli (Virgilio) fece una mosca di rame , che dove la pose niuna mosca appariva mai presso a due saettate che incontanente non morisse. # Fece un cavallo di rame, che qualunque altro cavallo vivo fosse , fosse con qualunque malizia, incontanente, veduto quello, lascia ogni difetto. Fondò una città ovver castello in su uno uovo, e, quando l’uovo si menava, tutta la terra si crollava, e alcuni dicono che è il castello dell’ Uovo di Napoli che ancora è in piede. Fece un ponte molto lunghissimo tutto di marmo, che non fu mai maestro che sapesse 24 dire in che modo per magistero umano potesse essere fatto. = Fece un giardino che non aveva altra chiusura che di nuvoli bui, e miuno ardiva d’ entrarvi se da lui non fosse guidato. + Fece due doppieri che sempre ardevano , e non si potevano spegnere , e niente si logo- ravano — Fece una lampana che sempre ardea sanza mettervi olio o altra cosa. Fece a una città .... (ma qualche Fece per decenza debbo tacerlu: non vi dirò che 1’ ultimo) + Fece una testa d’ nomo, di rame , con tanta maestria, ch’ ella rispondeva a ciò ch’egli domau- dava. E una volta fra l'altre la dimandò d’un viaggio ch’egli doveva fare , e come ne dovesse arrivare. La testa gli rispose; se guardi bene la testa, arriverai bene. Virgilio intese di quella testa e non della sua , onde, preso cammino, il sole caldissimo gli percosse la testa tutto giorno , e gravollo sì ch’ egli se ne puose a giacere: e , crescendo il male , ordinò d’esser soppellito a uno castello fuori di Roma. Nel qua- le, poi che fu morto per la detta cagione, fu soppellito , e ivi sono ancora l’ossa sue , le quali si solevano molto guardare. Però che una volta i Romani le vollero recare in Roma , e, com’ elle si furon mosse , il mare sì turbò maravigliosamente , e gonfiò sì forte, che ’1 castello e Roma ne fu a pericolo , e, riposte l’ossa nel luogo loro tornò in bonaccia, ec. ,, Credulo a queste meraviglie, il buon uomo , che le narra ; devea trovar troppo bello il parlar dell’arte per cui furono ope- rate. Ma pare che intorno a questa ei non avesse alla mano che alquanti versi d’ un altro uom credulo , benchè troppo più dotto , ch’ei pone dopo l’ astrologo Virgilio. “ Benchè ispartita- mente abbiamo in alcune parti di questo libro messi de’ versi del mastro Cecco, perch’egli fu maestro in astrologia, ne diremo brevemente alquanto, ec. ,, Quel che ne dice, conciliando alla meglio la devozione o la paura colla credulità alle meraviglie d’ un’ arte condannata , contiene quella risposta perentoria, che già v’accennai, all’ osservazion dell’erudito , il qual volea scritto questo libro innanzi alla morte di Cecco. ‘ Mastro Cecco d’Ascoli, isperto nella detta arte dell’ astrologia , in parte volle entrare tanto adentro , che infine dallo inquisitore di Toscana in Firenze, sotto la signoria del duca di Calavria , figliuolo che fu del re Uberto di Puglia , fu arso il corpo e le scritture sue , e ciò fu nel 1398. Ma nondimeno scriveremo appresso alcuni de’ suoi detti, mon intendendo contro santa chiesa ec. ec. ,, Ai detti di mastro Cecco succedono detti di filosofi , Pita- gora , Socrate , Platone, Democrito, Aristotele , Cicerone, Se- neca , ec.; poi fatti d’ uomini illustri; poi di nuovo detti di fi- losofi. Indi viene un trattatello de’doveri di ciascuno, cominciando da’ fanciulli che bisogna ammaestrare , dice 1’ autore , perchè A I CO 9 e Luria iene De 89 vegnano a virtù ,,. Com'egli intenda l’ammaestramento m’inere- scerebbe il dirlo, se fosse colpa dell’uomo quella ch’ era colpa del secolo. “ E sopra questa parte ( è l’autor che prosegue con una ingenuità e una grazia che fa assolvere la sua involontaria durezza) ti voglio dire un sonettello di nostro legname : Quando fanciul piccolino iscioccheggia , Correggil con la scopa e con parole ; E, passati i sett’ anni, sè si vuole Adoperar la sferza e la coreggia, ec. ,) Le idee del secolo già sono in tutti gli al- tri capitoli (semplicissimi e Jeggiadrissimi quasi tutti ) che suc- cedono al primo riguardante i fanciulli. In quello che riguarda il capo della cristianità vi parranno singolarmente notabili, come av- vertimento di non obliare le idee dominanti in un secolo, quaudo si giudica delle azioni degli uomini che in quel secolo tennero i primi seggi. © Papa debb’ essere pieno di santità e de’ fare a suo podere 0s- servare tutti i decreti e costituzioni papali fatte per li santi apostolici passati. E dee nelle parole e nell’opere servare la vita di S. Piero. Debb' esser fonte d’umiltà , di mercede e di misericordia , facitore di pace e struggitore di guerra , pastore de’pastori, consiglio delle anime e campione di santa chiesa E deesi sforzar di recare a suo podere gente alla santa fede di Cristo , e colla santa scrittura, nella quale debb’ essere sofficiente e sperto , dee allumare i ciechi della fede cat- tolica, ed eziandio in atti d’arme dee operare , per ogni modo che far puote , che saracini e pagani , e tutti quelli che sono contra la fede di Cristo , sì riconoscano, e, dove ciò non facessero, ispegnerli a suo podere , e conservare nella santa fede quelli che vi sono, ec. ,, Il trattatello si chiude fra il discorso di men rigidi doveri, con alcuni capitoli cioè riguardanti donue e donze'le, i quali fan - no strada ad un trattatello che succede d’amore e di cavalleria. Ivi fra galanti quesiti e galanti soluzioni trovasi questa pittura , che ci ricorda il Firenzola. e l’Ariosto , e che l’Ariosto forse non che il Firenzola potrebbe invidiare al nostro vecchio scrittore. ‘ Bella donna , compiutamente bella , dee avere in se le ’nfra- scritte qualità ; cioè abbondante di capegli biondissimi , simili a fila d’oro sottile, sovra il capo bene rispondente allo ’mbusto ; orecchi condicevoli con bella forma; testa ovvero fronte ampia e candida , senza alcuna ruga o altra macula ; ciglia brune e sottili in forma d’ arco, per modo che, aggiungnedone tre insieme , facessono un tondo cerchio e con convenevole altezza; occhi, che per loro va- ghezza mostrino non occhi ma piuttosto divine luci, e non nascosi nè soperchio palesi , con isguardo non isfacciato ma onestissimo e vago ; candide e rotonde guance , di colore simili a latte e sangue mischiato insieme , e di convenevole grandezza; naso affilato ‘e ritondetto , con quella misura e forma che la faccia richiede e quanto conviensi ; sot- 86 toposta a esso la bella e piacevole bocca di piccolo spazio contenta., non abbondante di labbra, ma di dicevole forma , e colorata di na- turale vermiglio ; denti piccioli , con convenevole ordine , di bianchis- simo avorio , e simiglianti ; bellissimo mento , con picciola concavità, e non di soperchio soprastante ; gola candida a cinghiata di piacevole grassezza; diritto e delicato collo di convenevole lunghezza e grossezza; omeri diritti ed uguali, bene rispondenti all’ altre parti; ed, appresso ispazioso petto , le coperte mammelle , con piccolo rilievo e non di soperchio apparenti sopra panni, ma che mostrino per loro durezza resistere alli sottili vestimenti e non di soperchio grossa incintura ; braccia distese, con debita grandezza e forma; mano dilicata e bian- chissima , senza alcuna apparente vena con lunghe dita e sottili quanto sì richiede, ornate di belle e care anella; corpo bene composto, e con bella statura e forma ; gambe formate, bene rispondenti allo’mbusto; piede picciolino e diritto senza nocchi ; ed avendo tutte le sopradette bellezze (si dee comprendere che la celata parte a tutte l’ altre gra- ziosa risponda ) dee avere portamento e convenenza ,,. Il trattatello d’° amore e di cavalleria potrebbe anch” oggi piacere ai nostri galanti. Quello che segue de’sogni con “ breve sposizione delle significazioni delle cose sognate ,, sarebbe oggi un tesoro pei nostri gimocatori di lotto. Per chi studia la lingua non v'è da imparar molto leggendo: “ Braccia ornate avere ami- cizia significa; Dente mascellare cadere morte di suo prossimo significa; Vasi voti o scemi mancamento di guadagno signifi- ca, ec. ,,. Per chi gioca al lotto v° è a trarne induzioni e com - binaz'oni da salir ritti fino al ciuffetto della Fortuna. Ma sta- te: la breve sposizione è pur buona ad altro. È buona anch’es- sa a mostrarci come le idee si mutino coi costumi ; e forse a consolarci colle idee vecchie della tristezza che può talora assa- lirci in forza delle nuove. ‘* Barba rasa , è detto in essa, Vita pericolosa significa ,,., Anche supposto un progresso sì rapido come quello , con cui la, moda ci ha fatto passar da’ pizzi lungo le guance alla barba sotto ’l mento, ci vorrà credo un po di tempo prima che la barba rasa torni a significare quel che significava nel trecento. Volpe o lupo vedere, leggo pur nella sposizio- “ne, buona novella e buon messo significa ,,.- E questa è cosa da consolarci anche fuor di sogno , massime al presentarsi di volpi e lupi, che i naturalisti non nominano ma che pur il mondo chiama così. Più sopra (obliai di notarlo), fra il luogo ove trattasi della fisonomia e quello ove trattasi de’ temperamenti e delle qualità che lor corrispondono , 1’ autore fa, per così dire , il suo più gran volo filosofico , spiegandoci il simbolo delle Parche. Qui ci 67 da il suo più gran saggio d’erudizione , dicendoci l’ origine del Calendario. Al qual discorso; che non è lungo, si lega abbastanza bene il trattatello che segue di. ciò che convenga fare in cias- cun giorno. E al trattatello, che non ha molto che fare, già ben vel pensate , coll’ Impiego del Tempo del passato direttore della. Rivista Enciclopedica , si legan pure abbastanza bene alcuni precetti, che seguono, intorno alla coltivazione , presi dul trattato di Palladio. Jo non ho avuto agio di confrontarli col vecchio volgarizzamento di questo trattato che dal 1810 abbia- mo alle stampe. Ma non credo che sien parte di esso , poichè non sovviemmi d’ avervi trovato nulla di quel che in esso e in altri vecchi volgarizzamenti suol notarsi come segno che furon fatti sul cadere del buon secolo. “Quindi io credo che e i precetti e l'altre cose quasi tutte che li precedon nel codice, e quelle che lv seguono, questioni naturali, definizioni ec., e da ultimo il discorso delle quattro età del mondo fino al giudizio , sieno all’ incirca del tempo di Gio. Villani, del qual si recano innanzi a questo discorso più cose relative a varie città e a Firenze specialmente. L’autore, dicendo il perchè dall’ultima parte dell’opera sua, ci dice egli stesso qual fu la sua intenzione nel comporla ; e ci dà quegli indizi di se, che forse potrebbero condurci col tempo a scoprir chi egli fosse, il che non può esserci indifferente trattandosi di scrittor così anreo. ‘° Perchè cominciammo dal principio del seculo, è stato conve- nevole finire la nostra impresa colla sopradetta materia, che pertiene alla prima, cioè colla fine del mondo , pognamo che secondo il pro- posito nostro (il quale fu di raccogliere molte storie e altre cose no- tabili; che per diversi libri si trovano in lunghezza di scrittura, e quelle recare, secondo il mio povero intelletto e senza alcuna scienzia, sotto brevità di parole) il presente libro quasi mai non chiederebbe il fine , tante son le cose che scrivere si potrebbono. Ma, come disse il sommo poeta Dante, la cui autorità pur puosi dianzi, o non posso trattar di tutti a pieno, ec. ec. Priegoti , compare , che rimanghi contento di quella parte che , a tua consolazione e di tutti quelli che frutto o diletto n’ avranno , scritta è per me con molta fede. E per- chè molto brieve passammo de? fatti del giudicio , colla grazia di Dio, se tanto m° allungherà la vita , intendo in questa medesima maniera scrivere delle cose spirituali brievemente, delle pene de’dannati e della gloria de’ beati , alla quale per sua santissima misericordia ci conduca il Salvatore qui vivit et regnat ; etc. ,, Per poter aggiugnere ove sembrassero star meglio storie e 88 altre cose notabili, più carte, siccome già vi accennai, faron lasciate bianche nel codice, e quindi empite posteriormente ma non di sole storie e altre cose notabili. Vi dissi d’ alcune pitture e altre coserelle tratte da diversi poeti. Il frontispizio moderno ne indica altre, le Canzoni, cioè, o come son dette nel codice , che ne dà il titolo in latino, le Cantilene di Dante. Oltre di queste però avvi uno Cantare di Tristano da Corno- vaglia in ottave , che mon so dirvi se sia cosa inedita , © tratta dal libro di Battaglie di Tristano e Lancellotto che fu impresso la prima volta sulla fine del secolo decimoquinte , o dall’Innamo- ramento di Tristano e d’ Isotta che il fu sul declinare del deci- mosesto. Vi hanno pure tre canti , anch’ essi in ottave , d’ un poema sulla Guerra di Troia , che non credo stampato mai, e che non so neppur dirvi se da alcuno sia stato mai veduto in- tero. Se le ottave valessero alquanto più, io pure mi sarei dato qualche pensiero di più per indagarne l’ origine. Non oserei dirvi che queste ottave sieno scritte nel eodice innanzi al secolo decimoquinto. Esse anzi mi sembran di mano di chi scrisse nel 1439 una nota di spese che trovasi in fine del codice stesso. Scritte forse negli ultimi giorni del secolo an- tecedente ( da uno de’ Benci, il qual dice d’aver comperato il codice nel 1397) sono la famosa Canzone dell’ amico di Dante, intorno alla quale abbiamo il comento di Dino del Garbo , e le Canzoni già dette di Dante stesso, quelle cioè che dovevano essere esposte nel Convito , e che sole si trovan riunite ne’codici più vecchi. Di queste Canzoni feci già un po'di confronto in compa- gnia dell’ amico Ajazzi colle stampate dall’Arrivabene, e colle mavoscritte d’ un bel codicetto del secolo decimoquinto, già della casa Somaja (la casa de’ begli affreschi del Sangiovanni che raccomando al cielo a cui sono esposti e agli nomini che n’ hanno sì poca cura) poi del Piatti, ed oggi del prof. Witte , che se l’ è portato a Breslavia. Il bel codicetto conferma per lo più la lezione dell’Arrivabene. Il codice , che alfin dirò mi- scellaneo, non dà quasi per varianti che errori gravissimi d’ amanuense. Qualche cosuccia però , l’ uso di qualche parti- cella, il modo più antico e più poetico con cui qualche parola vi è scritta, mi fanno pensare che anche questo codice non sì consulterebbe indarno per un’edizion novella. Il Witte pensò di trovare nel bel codicetto non so qual conferma di quella sua opinion che sapete del legame che han fra loro le varie opere di Dante. Nel codice miscellaneo sperò 39 forse di trovarla a quella ; cui seguì , eredo , nell’ edizion sua delle Rime di Dante stesso , e di cui parlò nella sua lettera al Triulzio inserita dal Monti fra le note della prefazione al Con- vito. Però, quand’ egli pocanzi fu quì , si mostrò ansiosissimo di vederlo ; ciò che, standosi il marchese Tempi in villa, non potè. Ma vedendolo (di ciò mi sono accertato dopo il ritorno del mar- chese ) avrebbe trovate le Canzoni in ordine un po’diverso dal solito delle stampe; non avrebbe trovato alcun indizio di quel- l’ ordine primitivo ch’ egli sì ingegnosamente ideò. Altre canzoni e alcuni sonetti sono aggiunti nel codice come cose di Dante, ma da mano assai posteriore a quella che scrisse le Canzoni già dette. Alcuni de’ sonetti sono pur dati come cose di Dante nelle Rime stampate di questo poeta; e così tre delle canzoni. Una: Zo fui ferma Chiesa e ferma fede è pur data come sua in qualch’ altro codice, ma in alcune stampe, se ben mi ricordo, è data come cosa del Boccaccio. Un’ altra canzone, non di Dante sicuramente, ma non priva affatto di spiriti danteschi, Zncreata virtù del sommo cielo , Volgi gli occhi pietosi a guardar noi, Che siam carcati perchè siam tua gente, parmi d’ averla anch’ essa trovata in altri co- dici, ma non in alcuna raccolta stampata , non in quella del- l’Allacci , non in quella del Valeriani, e non in quella sì ab- bondante del Villarosa , sicchè quasi la direi inedita. Alcuno degli ultimi possessori del Codice, che par rima- nesse fin oltre la metà del secolo 15.° nella casa de’ Benci, scrissero, ne’riguardi del codice stesso , or poesie latine , or note di varie specie. Fra le note non avvene forse alcuna che meriti d’ esser ricordata, se non quella del giorno e dell'ora (26 Agosto 1439 sulle 23 ) in cui partirono i Greci. Fra gli epigrammi v° è quel che già sapete pel sepolcro del Boccaccio ; ve n’è uno a me nuovo per un Francesco cieco organista sepolto in S. Loren- zu ; v'è quello conosciutissimo Vita et Mors Hermafroditi, at- tribuito già al Panormita , e dall’Affò , mi dice il nostro biblio- tecario Magliabechiano , rivendicato a Pulice Parmense ; ve n’ è pur uno , che m'è sembrato non nuovo , per una sposa giovi- netta morta nel vigesimo suo anno , un altro che pur m’ è sem- brato non nuovo per un fanciullo affogatosi in ‘un fiume allo screpolarsi del diaccio su cui sdrucciolava. Non vi potrei dire se fra essi ve ne sia o no qualcuno d’ inedito. Nè il ricercarlo par- mi che valga il sagrifizio d’ una passeggiata di quest’ ottobre incomparabile, che mi. avrebbe fatto invidiosissimo di voi e T. III. Settembre. 12 90 ba d’ ogn altro villeggiante , se non avessi avuto per compenso alle Bell’ Arti il Pier Capponi del Sabatelli , alla Pergola il se- cond’ atto del Guglielmo Tell del Rossini. M. Della fortuna delle parole ; Libri due del cav. Giuseppe Manwo, membro della R. Accademia delle Scienze di Torino ec. To- mi II. pag. 247-248. Torino , per Giuseppe Pomba 1831. Cerca in quest’ opera il cav. Manno, lo stimabile autore della Storia dell’ isola di Sardegna» del trattato Sui vizi dei lette- rati, cerca come Je parole, passando da lingua a lingua o da se- colo a secolo , deviassero dal primitivo lor senso ad esprimere cose diverse anzi upposte; e a tal fine consulta l’ etimologie , i vecchi autori, le memorie de’ tempi ; ed entra di necessità in molte argute considerazioni morali e civili; e. alle sue. discus- sioni dà forma di articoletti leggeri, di dialoghi , di lettere , di favole, di narrazioni quasi romanzesche , scritte con facondia e con brio. Non è già ch’egli creda conveniente o possibile rifon- dere tutta intera la lingua per ricondurre le parole agli smar- riti significati dell’ antica origine ; impresa che toglierebbe al lin- guaggio quel suo prezioso carattere di depositario delle tradizioni e de’ costumi de’ popoli, lo renderebbe men vario e men poeti- co, senza liberarlo però da ogni taccia d’ arbitrio e d’ impu- rità; ne farebbe un gergo non intelligibile che ai pochi iniziati nella scienza etimulogica ; e tornerebbe inutile da ultimo, perchè di qui a mezzo secolo il corso prepotente delle cose ricondurreb- be provvidamente quelle medesime deviazioni che , considerate con l’ etimologia sotto gli occhi, paion sì strane. Quest’ idea il dotto autore la espone leggiadramente così : E dove sorrido al vedere che un autore impiega, senz’ avvisarsene, per piangere , vocaboli che dalla natura loro erano destinati a rider sempre. Dove mi meraviglio al pensar che gli uomini abbiano potuto accomodarsi a comporre una frase di rispetto e di omaggio con parole educate per tutt’ altro servigio. Dove, all’osservare le strane storpiatu- re di alcuni vocaboli, mi viene in animo il desiderio che le parole potessero avere nelle mani quella stessa bracciajuola che avea Dante Alighieri , alloraquando imbattutosi in un asinajo, il quale cantando il suo libro e toccando tratto tratto l'asino diceva arri, gliene diede una gran batacchiata sulle spalle soggiungendogli : cotesto arri non vi OI mis’ io. O qualora mi manca l’ occasione d’innalzarmi alla metafisica della scienza, ne studio la parte chimica, e divido e suddivido e trin- cio le voci, ed assisto a ‘mille nozze, a mille divorzi, a mille ricono- scimenti di parentela o separazioni di patrimonio fra parole e parole. E in ciò fare o dimentico quello che di spiacevole s’incontra sotto alla scorza di esse ; o mi fortifico sempre più in una mia opinione, che forse qualche giorno mi verrà fatto di spiegare, sopra l’onnipoten- za del caso nelle cose terrene: poichè, veggendo come tante belle ora- zioni, tante dolci poesie, tante stringenti dicerie, tanti patetici com- pianti si fanno giornalmente con parole raccolte in origine propria- mente a caso e ad occhi chiusi, trovo in ciò un argomento invincibile per chiarirmi sempre maggiormente , che le cose migliori del mondo non sono già le fatte pensatamente, dottamente e con severi squittinj (come quelle fatte per esempio nei secoli chiamati dei lumi): ma quelle che 1’ accidente ha prodotto , l’ accidente ha sostenuto , e l’ ac- cidente ha accreditato. Per la qual cosa anche dell’ etimologia io mi giovava onde dire qualche volta così nel mio me: adagio nelle cose da farsi, e vivano le cose fatte. Su questo tuono d’ allegria ( condita da considerazioni più serie , talvolta un po’ disputabili ) procede l’upera intera. Allegria un po’ pensata talvolta, un po’ sistematica , ma sempre inno- cua e non mai disgustosa. Eccone un altro saggio. Curiosità prima: rappresaglia delle mogli sopra i mariti. Questi avevano sbalzato dalla parte destra del trono la parola di generica denominazione homo per farne un ammogliato; e le mogli fecero di- scendere dagli scaglioni della parte sinistra di quel gran seggio la pa- rola mulier significante anch’ essa la generalità delle femmine, per farne una maritata. Non v'ha dubbio che ogni età e condizione di femine era contenuta pei Latini nella parola mulier j e chi nol crede venga a vederlo in un luogo dove si cavano la berretta come alla cortina di un oracolo i più solenni dottori , cioè nelle Pandette , nelle quali leggesi la seguente risposta risolutiva del giureconsulto Modesti- no: ‘ quando in un legato sono nominate mulieres, intendonsi legate 3) Sotto questo nome anche le vergini. ,, Molte volte però vergine e mulier erano due cose che non poteano stare insieme ; e in questo senso è assai noto quello scherzo di Cicerone , il quale ripreso dagli amici perchè nella grave età di sessant’anni avesse tolto per moglie la vergine Publilia, rispondeva : cras mulier erit. Più rade volte signifi- cava quel nome donna maritata: e tal era il significato che intendeva dargii Orazio allorchè, nella vaghissima sua descrizione della vita. me- nata in campagna, ne fa vedere come pudica mulier , somigliante alle donne Sabine o Pugliesi, entri a parte delle fatiche e delle dolcezze di quella vita. Curiosità seconda : gl’ Italiani più galanti verso le mogli che non lo sono i galantissimi francesi. E lo provo. I Francesi per una singola- 92 rità di cui non so rendermi ragionè hanno voluto mostrarsi galanti e cortesi più coi congiunti della moglie che colla moglie istessa. La suo- cera e la nuora non hanno presso ad essi nel suono della parola alcun sentore di rabbia, le cognate non hanno verun sospetto d’invidia o di gelosia ; ma quella è una bella madre, quell’altra una bella figlia , queste sono tutte delle sorelle. Parole in verità aggraziatissime; parole, le quali fanno intendere come tutto quello che s’ aggiunge al marito per mezzo della moglie , tutto diventa come diremmo di color di rosa. Spiegami però tu per qual cagione la rosa vera, il centro di tutte queste dellezze , quella per cui nella scala di queste galanterie sareb- be stato necessario di salire fino al primo gradino, si trovi senza ono- ranza veruna appellata rotondamente e semplicemente mia femina (ma femme); parola che forse ricorda un po’troppo il sesso di lei, e per- ciò parola mancante di delicatezza e di rispetto. Volgiti adesso al bel paese dove il sì suona, e vi sentirai suona- re in tutte le bocche la nobilissima ed ossequiosissima parola di donna, diminutivo di domina , cioè di signora e padrona. Parola che chiame- rei una seconda rappresaglia delle mogli contro ai titoli dominatori dei mariti, se non fossi persuaso che in Italia non fu già qnesto nome usurpato dalle femmine, ma loro fu offerto e tributato da lunghissimo tempo dagli uomini; i quali cacciata dal vocabolario la legge salica , volonterosi si sottoposero a quella signoria feminina. Vero è che an- che i Francesi hanno una storpiatura di domina nel loro dame: ma questa parola è presso ad essi, più che altro , voce di rispetto; o se serve pure a significare un nome appellativo e di genere, questo ge-, nere nè comprende le mogli nè comprende tutte le femine, e non dicesi da essi dama di Tizio la moglie di lui , come non dicesi dama la curandaja o la trecca ; quantunque per una seconda contraddizione questa curandaja e questa trecca , se parli di lei, non è une dame, se parli a lei, diventa tosto madame. Ritorniamo adesso una seconda volta all’Italia , e una seconda volta sarà posta in cima la nostra galanteria: poichè non paghi noi di aver onorato le mogli con quella parola di tanta sommessione, ch’ei si pare che loro abbiam dato il foglio bianco perchè ne governino a lor senno , tatt’intiero quant’ è il femineo sesso abbiamo pur voluto privilegiare con uguale testimonianza di obbedienza. E perciò le fe- mine tutte per noi son donne. E l’ università intiera di esse è per noi una università di padrone e di signore. E se havvene di quelle, cui per ragion d’età troppo fresca non garberebbe un nome che ha in sè come un’ aura di maturità e di grandezza, non per questo noi mietia- mo in erba le loro ragioni future, ma il tutto accomodiamo con un rispettoso diminutivo; e siccome la padrona dell’ anno venturo dovreb- be in quest’ anno dirsi la padroncina, così la domina dalle nozze in là , è dalle nozze in quà la dominicella; donde per un garbato mozza- mento di vocabolo viene la vaghissima parola di donzella....... Non è però qui finita la storia delle galanterie italiane in tale 93 rispetto. Aveavi due maniere di dar nome alle nozze; l’una dal ma- schio , l’altra dalla femina. Chi ’1 crederebbe che anche in questa im- posizione di nome i Francesi hanno dimenticato l’ordinaria loro ser- vitù verso il gentil sesso ? Pure così è. Le loro nozze sono un mariage, parola nella quale domina come ognun vede l’ elemento mascolino. Le nostre nozze per lo contrario sono alla foggia latina matrimonio ; pa- rola che viene da madre, e perciò parola saggia e consentanea al voto della natura, la qual vuole che le nozze sieno anche nel loro nome augurio di maternità. Onde la moglie avea ragioni possentissime di preferenza etimologica nel matrimonio , siccome le avea e le ha il ma- rito nel patrimonio. E il lettore non vorrà certamente apporci a colpa se un altro saggio gli offriamo della giovialità del cav. Manno nel Frammento dell’ introduzione d’un antichissimo romanzo storico, caricatura del fare imitativo di certi romanzieri moderni. Il Tevere nel correre attraverso le campagne latine ora spinge i suoi flutti per diritto come uno strale che vola al suo scopo, ora vas- sene tortuoso a guisa di biscia, e sembra voglia allentare il suo im- peto menando in giravolta le sue acque dalla destra o dalla sinistra sponda. Dovunque ei passa, le terre più alte, corrose nelle fondamenta, pendono colla loro sommità sulle acque; e ad ogni più gagliardo lam- bimento che queste fanno nelle pareti di ambe le sponde, veggonsi sgretolare e cader giù confusamente rena, sassolini, vecchie radicet- te , gusci d’ostriche, bucce di grilli e di cicale, scogli e ossa di frut- te, cadaveri di bestiucce che passarono e finirono in breve distanza da quel luogo la loro vita, e talvolta ancora nidiate intiere di formi- che, colte bruscamente da un filo d’acqua incavernatosi d’improvviso per un qualche fesso nelle loro stanze , il quale non trovando spedito lo sbocco , spinge fortemente da un lato la parte meno resistente del terreno , lo sconquassa, lo divelle e mandalo giù a precipizio. Va al- lora in fondo delle acque, che leggermente se ne tingono , la maggior parte dei frantumi; ma il formicajo reggesi per alquanto tempo a gal- la: e quelle disgraziate bestiuoline, agitandosi nel piccolo vortice for- mato da quella ruina, tentano di appiccarsi a tutto quello che non è acqua; infino a quando spossate e ammollate perdono la virtù di di- menarsi , e sono rapite dalla corrente. Una grossa nidiata di tali insetti, dischiusasi nell’ anno dugento quarantacinque dalla fondazione di Roma o in quel torno, cadeva ap- punto rovinosamente nel Tevere per cagione di uno scoscendimento consimile in una delle ripe che sottostanno al colle Aventino, quando il giovine patrizio Lucio Giunio Bruto, recatosi per avventura in quel luogo , sedeva sopra un grosso sasso fitto per metà entro la sabbia e per metà sporgente sopra il terreno. Egli tenea una gamba inverso il Tevere e un’ altra inverso Roma; ma il pensiero suo era tutto da que- 04 st’ultimo canto: e, confortandosi egli di un momento di solitudine, ri- componeva ad iraoondia e fierezza il suo. viso oramai sconciato dal lungo abito di una simulata scimunitaggine. Il viso di Bruto non era già quale a tal nome si sarebbe conve- nuto. Le sue fattezze erano regolari , sebbene maschie e gagliarde, come confaceasi ad uomo membruto ed assai bene atante della perso- na. Scintillavangli in fronte due grandi occhi neri ; che sarebbero sta- ti belli a vedersi se un po'di lividore attorno alle pupille e alcune vene sanguigne largamente disegnatevi non avessero dato loro una lu- ce sinistra. La bocca era piccina, ma aperta un po’obbliquamente , talchè nello schiudersi prendevane il suo sorriso un sembiante di ama- rognolo ; aggiuntovi che mancavagli nel filare superiore della mascel- la un dente dei mezzani, scossogli da un pugno che gli era stato tratto assai gagliardamente in una rissa giovanile. La capellatura sua era spessa e crespa; e notavasi come una singolarità, che in mezzo alle ciocche di color castagno cupo che gli coprivano il capo , sorgesse a distanza di due dita dalla fronte e di tre dita e mezzo al disopra dell’ orecchio destro un mucchietto di capelli rossigni , che taluno paragonava scherzosamente a quelle poche foglie alide di un anno in- nanzi, che nella primavera rimangono appiccate per alcun tempo agli alberi già rivestiti di novello fogliame. Nel rimanente non differen- ziavasi egli dal comune dei Romani; solo che dicevasi ch’ ei e’ avesse le mani di una lunghezza e larghezza e profondità fuor di misura ; talchè gli amici suoi le chiamavano zampe,; ed allorchè erano in mo- vimento , se ne guardavano come dalla mala cosa. Una di queste mani (non si sa ben la quale ) avea egli infissa nel collaretto della tonaca, e tenevane pendente il braccio o per dare a questo una novella positura o per appoggiare in sulle dita il mento ; allorchè il rovinio di quel formicajo lo scosse e ruppegli la foga delle sue meditazioni. E poichè 1’ ora avanzata richiamavalo in città, ed ei non lasciava mai sfuggirsi il destro di un qualche nuovo trovato che gli desse |’ aria d’ imbecille , visto aggirarsi nel Tevere quel grosso numero di formiche , tuffò nelle acque leggermente una pertica ; quella pertica medesima che conteneva nella parte sua iuteriore una verghetta d’ oro (imagine dell’ ingegno suo coperto ) , la quale ebb’egli poscia ad offrire in dono all’ oracolo di Delfo , in- viatovi insieme coi giovani della regia stirpe del re Tarquinio il su- perbo. Tuffata dunque quella pertica , ed innalzandola dappoi a fior d’ acqua , e qua e là volgendola dove più spesseggiavano le notatrici, presentava loro come una riva cui aggrapparsi. E in fatto, in poco d’ora la pertica fu ricoperta di bestiucce naufraghe. E come l’umidità aveva loro inzuppate le gambucce, e la scossa del fiotto aveva dislogato molte di quelle loro membroline , una gran parte non s’ era ancora riscossa quando Bruto entrava in città. Onde egli facendosi largo fra il popolo, e mostrando quel sno bacolo dove incominciava a vedersi il brulichio 99 di quegl’ insetti che ritornavano a vita, gridava : decretatemi , o Qui- riti , cinquanta corone di quercia , perchè le vite di cinquanta vo- stri concittadini sono state da me salve con questa sola arme. Una mancanza io vorrei notare nel libro del cav. Manno, se non fossi quasi certo che le cose da me desideritevi, egli le destina per materia d’ un altro non men geutile e più profon- do volume. Resta, io vo dire, che delle etimologie si riguardi il lato filosofico e bello; che si noti la sapienza e !a poesia na- scoste in quelle derivazioni, non tutte strane o forzate, ma molte e molte naturali e legittime ; che si fecondi insomma il bel pensiero del Vico il quale nelle lingue cercava i monumenti delle consuetudini antiche , delle antiche dottrine. K. X. Y. Dr un Nuovo Commento ALLA Divina CommeDIA. Al Direttore dell’ Antologia. Molto fu scritto, molto. fu disputato intorno al secolo e intorno al poema di Dante: molti pregiudizi son già sradicati , molte nuove bellezze nel suo cauto scoperte, molte preziose nu- tizie ad illustrarlo raccolte: onde pare che nulla o poco riman- «ga a sapere più oltre di lui, del suo libro , dell’ età nella quale egli visse. Ma cosiffatta è la natura delle cose grandi , che quan- to più si riguardano , di quanta più luce si rischiarano intorno, più complicate appariscono; e più nuove . e quasi più arcane : laddove a’ piccoli oggetti le tenebre e il dubbio soli giovano a rinvolgerli di maestà. Più si conosce e si studia L'anima di Dan- te, più complessa e più varia e quindi più mirabile risulta l’ armonia de’ quasi contrarii elementi che ne costituiscono la grandezza : più si conosce e si studia quel secolo , irradiato da tanta luce di storia, di tradizioni, di documenti, di' poesia ; e più cresce il desiderio di penetrarvi più addentro, di riguar- darlo da’ lati men luminosi , che certo non sono i meno impor- tanti, di cercar le cagioni di così singolari effetti e gli effetti di sì memorande cagioni : e quando l’ erudizione; Ja critica, la scienza hanno raccolto , investigato ; meditato, allora è che $or- gono, quasi rampo!li appiè del vero, cento altri dubbi più gravi; allora è che si comincia a trovar misterivso e straordinario quel 96 che ad occhio men veggente pare ovvio e comune. Non è delle nostre forze nè del nostro scopo internarci in quant’ ha di più recondito la natura d’un uomo e d’un secolo sì fecondi: ma non saranno qui forse inutili alcuni cenni, rivolti al solo fine d’indicare con quali avvertenze, con quali disposizioni conven- ga leggere i libri di Dante , per gustarli in buona coscienza, cioè per intenderli. Giacchè nè le dichiarazioni storiche nè le estetiche considerazioni nè le note diligentissime basteranno mai a dare a conoscere l’anima dell’Alighieri, ch’è l’anima stessa che agitava il suo secolo, se il lettore con la propria meditazione non se ne crea a poco a poco un concetto , e non sa collocarsi nel vero punto di vista.a contemplare il gran qua- dro dell’ nomo straordinario , interprete de’ bisogni e de?’ dolori d’ un popolo intero. Chi è egli dunque l’autore che postosi quasi. accanto. al soglio della giustizia sapientissima , sentenzia ardito e buoni e rei, gli uni esalta e beatifica, gli altri aggrava -di tormento e d’in- famia? Chi è egli il guerriero scienziato , l’amante teologo , il magistrato poeta , il giudice delle nazioni e de’ re? Perchè tan- te contradizioni nel suo carattere, nelle sue opere tanti tuoni e quasi tante faccie diverse? Ora imparziale come uno spirito più che umano, ora implacabile quasi un demone, or tenero come un amante: sempre ardente e sempre grave, sempre nel mutare delle opinioni conservante ; quasi oceano profondo, un letto recondito di fermezza immutabile. = A conoscere quest’uo- mo tutti gl’ indizi son preziosi: isolati, dispersi , essi accresco- no le contraddizioni: ravvicinati, raccolti, le rischiarano, le con- ciliano. Leggiamogli; se è possibile, parte del suo secreto nel volto. Miriamo quella fronte alta, e sì pronta a contrarsi alla meditazione , ad aggrottarsi allo sdegno ; quelle guance alquanto incavate , quel mento sporgente , che spirano insieme fermezza e forza; poi dall’aria sdegnosa della fisonomia un nou so che di posato , di raccolto , e (in profilo riguardandola) di malin- conico e. di pietoso, Non è già solo un pensiero, un affetto, che da quel volto traspaja: que’ lineamenti che leggermente considerati, o infedelmente ritratti, non spirano che la ferocia e la rabbia; la gravità, la sicurezza, il dolore, li temperano e quasi modellano ad una espressione più varia e più arcana. Tu vi leggi un animo altero, irritabile , ardente ; ma padrone del suo pensiero, ma rinchiuso in sè stesso tanto da non lasciar prorompere invano pure una scintilla del fuoco che lo divora; 97 ma disposto a seutire in mezzo all'ira e all’orgoglio i più miti, i più nubili affetti; accessibile a quella compassione che ama, a quel dolore ch’ esalta l’anima e la migliora. Ognuno avrà conosciuto fisonomie somigliautissime a questa di Dante, e , non che impresse de’ segni del rancore e dell’ira, informate a in- dulsenza, ad amorevolezza , a pietà. Tale certamente era l’ a- mante di Beatrice negli anni più belli, quando il dolore di un affetto solitario e le cure della repubblica sole gli agitavano il cuore : nè prima delle ultime umiliazioni che avvelenarono il già disperato suo esilio, si svolse in lui quel germe di sdegno fe- roce che poi pullulò sì robusto. E quando io riguardo atteuta- mente que’ linéamenti che dapprima mi si offrivano quasi al- terati dall’ira, io riconosco in essi il cantore di Ugolino, di Francesca, di Matilde, e di Beatrice, tanto chiaramente quan- to il nemico di Filippo e di Bonifazio. Non è più un’ anomalia della sua natura questa prossimità , questa quasi commistione di due opposti elementi, la sensibilità dell’ ira, e la sensibilità dell’ amore : egli è questo il fundo della natura sua stessa ; le sono due corde delle quali esce , or alterna vra unita, la doppia armonia. E l’attitudine che principale domina in quell’ aspetto, quel- la che a tutte le qualità dell’uomo, ai pregi e ai difetti del Poeta dà rilievo e carattere, si è la fermezza: quella fermezza che, accoppiata all’amore , gl’ispirava nella grave età, stanca dalle sventure e dalle meditazioni, un lungo inno quasi trionfale di gloria alla giovanetta del suo cuvre, perduta negli anni più fervidi, più spensierati ; quella fermezza chè, accoppiata alla giustizia, lo costituiva giudice imparziale de’ nemici e degli a- ‘ mici, de” partigiani e degli avversarii, quella fermezza che, ac» coppiata al dolore, gli faceva sutto al mutato sistema ritenere nel fondo dell’ anima le opinioni stesse; quella fermezza che, accop- piata all’ orgoglio, lo rispingeva dalle mura desiderate della terra natale, ch’egli sdegnava di acquistare a prezzo d’ una umiliazione; quella fermezza che, accoppiata all’ amore di patria e di vendetta, non gli permise mai di deporre la speranza , lo spinse di provincia in provincia, di corte in corte, e, ributtatone, ve lo ricondusse non per mendicarvi un asilo, ma per prepararsi o una via di migliore for- tuna, o un riposo all’ingegno dove arrotare la più possente delle armi, la parola armonizzata , che doveva echeggiare per tanta via di spazii e di tempi; quella fermezza infine, che diede forme co- lossali all’ edifizio della sua immaginazione , e tutte le parti fin T. III. Settembre. 13 98 dal primo ne predispose , e le architettò forti, immutabili ; e. scagliò rigido , intero , sonante , quasi saetta, quel verso variis- simo , e, ne:l’ apparente negligenza e languore, sempre meditato, posato , robusto. = Da questo carattere di fermezza, appunto , un altro. glie ne derivava, ch'è l’ essenza dell’ uomo onesto come del gran- de poeta; la siucerità: e tu gliela leggi scolpita nel viso , e in ogni parte do’ suoi scritti la trovi: ossia ch’ esalti sè stesso , ossia che i proprii difetti confessi, ossia che ragioni con in- differenza de’suoi e con calore degli estranei, ossia che tac- cia di coloro che gli sarebbe giovato lodare, ossia che parli al- tamente di quelli de’ quali bisbigliare in secreto era tenuto pe- ricolo. Per dar intero a conoscere l’ animo suo , senz’ allusioni , senza sutterfugi , egli trasceglie un soggetto contemporaneo al suo canto, ne crea sè medesimo protagonista, rigetta la lingua dei dotti come impotente a sfogare tutto quant’ egli sentiva ; e dove più l’ argomento lo tocca , dove più delicato è il parlare , quivi egli alza più sicura Ja voce , e le parole più evidenti , più schiette quivi fa risonare ; impaziente di comunicarsi , di trasfon- dersi negli spiriti tutti, e in quelli più, dove l’ odio e 1’ amore ardono più liberi e forti. Le allegorie del poema, nascoste a noi, al suo tempo apparivan sì chiare , che i commentatori più an- tichi per riguardo, per timore, evidentemente affettano di sor- passarle : e, solo laddove esse sono inevitabili, ne toccano alla sfuggita. Ma certamente non temeva che il suo secreto si divul- gasse l’uomo che senza circonlocuzioni vi addita le bestie Fieso- lane , e la p..... sciolta che tresca co’ re, e l'Italia non donna di provincie ma bordello, e la cloaca di sangue e di puzzo, e la rogna delle umane viltà. Queste voci eruttate dall’ ira; accanto all’es- pressioni d’ un amore gentilissimo , d’ uno sdegno elevato, d’ una religione severa e composta , dimostrano , io credo , ch’ egli avreb- be facilmente potuto, volendo, nascondersi: ma che quello, che il suo ingeguo sapeva , nol sapeva il suo cuore ; ch” egli era tanto grande da non poter essere avvilito nè dall’ odio de’ snoi nemici nè dal proprio dispetto ; e che la sua grandezza ap- punto gli rendeva intollerabile l'ipocrisia. Egli si confessa su- perbo , si confessa lascivo , si confessa traviato dall’ alto sentie- ro della virtù: e come mai un uomo, che conosceva sì profonda- mente il suo secolo, avrebb'egli potuto non conoscer sè stesso? Come mai un grande ingegno sopprimer nulla de’ propri senti- menti , di que’ sentimenti dalla cui commistione , dalla cui lotta risultava e n’ era quasi conflato il suo genio? Lui felice, se i 99 tempi men duri avessero collocato il sito sentire in tranquilla armonia con le cose di fuori , tanto che il dolore e l'amor pro- prio innasprito non fosse dovuto cambiarsi in rabbia divora- trice, in superba febbre d’ immortale vendetta! Lui felice , s’e- gli avesse potuto mostrar tutto sè stesso, e nulla manifestare che gentile, ch’ elevato non fosse! Ma poichè la fortuna, e forse quella debolezza che viene dalla molta forza , gliel tolse , estimiamo almeno la sua franca e leale sincerità. Compiangiamo- lo, ed onoriamolo! Un’osservazione ci sia permessa ancora, innanzi di partirci dall'immagine del nostro poeta. Chi punto conosce il tipo della vi- vente razza toscana, ne ravvisa in Dante (ell’ è osservazione del sig. Edwards) quasi il generale modello, quasi la forma ideale : quella fronte, quel profilo, quel mento ad ogni rivolger d’ occhi si riscon- trano nelle città , nelle terre di Toscana ; nelle donne, negli uo- mini; nel nobile, nel plebeo. Voi direste che la natura lo abbia for- mato quasi il rappresentante della sua nazione, come la for- tuna lo rese il rappresentante dell’ intero suo secolo. Quella for- za mista di soavità, che distingne il genio toscano dall’ attico , e lo rende men vivido forse ma più fermo , nel carattere dell’A- lighieri chi non la riconosce portata ad un grado eminente, co- me in uno di quegli enti prediletti, ne° quali la virtù creatrice si compiace di raccogliere e d’ armonizzare i dispersi e disparati suoi doni? Or quali segreti ci manifesta ella la sua vita ? Quali con- sesuenze possiam noi dedurne a meglio conoscerlo , a indovinar- lo P == Nato d’ un padre già dalle civili discordie cacciato in esilio, egli incomincia nelle domestiche vicinissime tradizioni a sorbire fin da’ primi anni l’ira e il dolore: al sentimento degli odii fra- terni si associa la salutare esperienza della sventura , e la sven- tura rattempra quanto è in quelli di soverchiamente crudele e selvaggio ; la sventura maestra d’ amore e di mansuetudine. Si pensi di quale famiglia e’ nascesse, e s’ avrà in mano una chia- ve, se posso dir così, del cuor suo. Disposto dalla natura e dalla fortuna all’ amore, egli ama nella puerizia; e il suo affetto gl’ insegna la forza di tacere , di soffrire, di perfezionare sè stesso; gl’ insegna una nuova via di più intimi e più soavi dolori. La lotta di quest’ amore ideale coi doveri di padre di famiglia , e con altre passioni, non sordide, io vo’ sperarlo, ma meno gentili , è una di quelle contraddizioni che il suo carattere ci spiega, il carattere , io dico , d’'un inge- gno altissimo che ha bisogno del grande, d’un cmnore ardente 100 al quale una passione più immediata, più calda si presenta come una continua , invincibile necessità. Educato nelle massime e nelle pratiche di una religione se - vera e profondamente sentita , la sventura e l’ umana malvagità lo condussero a distinguere la religione dai ministri di lei, a onorare quella e questi disprezzare, a congiungere con l’ umiltà d’ un credente devoto l’ irriverenza d’ un incredulo audace. Gli nomini che d’ordinario non amano le distinzioni , e si compiac- ciono , per fuggire fatica, di considerare le cose da un lato so- lo, si trovano confusi, impacciati , al dover giudicare di queste nature . se così posso chimarle, complesse; di quest’ ingegni a’ quali apparisce sì netto il limite tenuissimo che separa il vero dal falso ; imparziali , talvolta almeno, nella stessa parzialità, e nell’ardore della pass'one presenti a sè stessi. To non dico che in Dante l’ira non abbia varcato mai quel tenuissimo limite: dico che in un ingegno sì retto . nou solo non debbono chia- marsi contraddizione e mistero ma logica necessità questi due elementi contrarii; riverenza alla religione, e dispetto di chi ne profana le spoglie , di chi ne prostituisce la terribile di- gnità. E pare appunto che la fortuna ( quella fortuna ch’ eg'i im- maginava ministra degli splendori mondani, e regnatrice beuta nel volgere della sua spera) abbia voluto per tanti casi agitare la travagliata sua vita, e quasi per tanti stadii d’ educazione trasportare , e in contrarie posture atteggiare quell’anima, ac- ciocchè più intero ne riuscisse il graduato sviluppo. Egli, insie. me con le givie e con le inquietudini dell’amore, avvezzo a gu- stare i conforti e ad esercitare i rigili uffizi de'la vera amicizia, vedersi tutt’ a un tratto trasportato in un’ atmosfera d’ odio e di rancore, e quivi per forza di sempre sopravvegnenti sventure conficcato e compressu! Egli, prima non timido guerriero, poi cittadino autorevole , poscia in tempi difficili magistrato infelice, quindi esule e nemico impotente: la gloria e il dispregio, la ric- chezza e la povertà , gli affetti di famiglia e di patria, la vita meditativa e l’attiva , il vizio e la virtù , tutto egli ha prova- to, ha sentito profondamente in sè stesso. E le lettere e le ar- ti, e le divine scienze e le umane, e quelle che la materia ri- guardano e quelle che lo spirito, e l’ antichità remota e il mon- do vivente, e la propria e le straniere provincie, e 1 vicini po- poli ed i lontani, e gli orrori della selvaggia e le bellezze della coltivata natura, e i principeschi e i popolari costumi, e i ti- rannici stati e gli anarchici e i liberi, egli hà visitati , studia- 1OI ti, dipinti, com’ uomo che porta nel'a contemplazione la sicu- rezza e l agilità della vita attiva, con un’esclamazione, con un’ immagine , con un cenno. Talchè si potrebbe affermare che quella mirabile varietà, che corre tra il suo Paradiso e l’Loferna, non è che l’ espressione della molta varietà delle sue proprie esperien- ze, e della lotta d' opposti priucipii che commoveva sì fortemen- te il suo secolo. Nessuna maraviglia dunque se l'odio in quel canto si as- side quasi allato all’ amore , ed alterna l’ impero sull’ anima del Poeta ; se gli uomini stessi; per opposte qualità, quì sono ram- mentati con lode, altrove ‘aggravati d’ infamia ; se la censura amarissima talvolta si tocca con l’altissima lode ; se il sentimento soave della pietà viene a spargere una stilla di refrizerio sulle tetre fiamme dell’ ira, un balsamo .di dolcezza sul fiele ama- rissimo d’ un crudele disprezzo. Nessuna maraviglia sevil ghi- bellino Federico , l’ uomo sì degno d’ onore , è cacciato tra gli atei; se la cara buona paterna immagine del vecchio, che gl’inse- gnò come l’ uomo s’ eterna, è da lui rincontrata sotto le fiamme punitrici di Soddoma ; se quel Bowvifazio , così fatale alla sna pace , crudelmente vessato dal coronato suo complice, gli trae di bocca accenti di compassione sinceramente addolorata; accenti che onorano non tanto la poesia e il carattere italiano quanto l’ umana matura che vi si mostra, capace d’ un’ imparzialità tutta degna del cielo. Ma quest’ uomo, che, di, tanto, sovrasta al suo secolo, nou cessa però d’ esser uomo;: l’imparzialità sua di quando in quan- do traluce netta., magnanima ; ma poi le ire: contemporanee la offuscano., e il compresso dolore la irrita. Ardente;nelle lodi, ardentissimo ne’ vituperii ; ora vantatore della propria, graudezza, ora dimesso , e conoscente ( come i vili non la conoscono) la propria viltà ; il. proprio nulla; nemico d’ ogni simulazione , ma non padrone di sè tanto da non ingegnarsi di adoprare la forza della mente nel dare alla passione stessa aspetto di generosa vir- tù ; pronto insomma a mostrarsi, altrui. non pur quale egli è , ma quale e’ sente , qual crede d’ essere: e in ciò solo, non mai ingannatore ,i ma. talvolta ingannato egli stesso. E ben disse che al sacro poema, avevano posto, mano e cielo e terra : perchè in esso s° alterna quant’ ha la parola ispirata di più austero , quant’ ha la virtà di più candido , quant’ ha l’ amore umano di più commovente. , e l’ ira di più meditato, e il disprezzo di più profondo., e. l’ amicizia di, più cordiale ,: e la riverenza di più modesto ,, e i bassi affetti di. più difficile a indovinarsi da 102 chi non li abbia esperimentati, e i nobili di più consolante. Vario e naturale , conciso ed esatto , severo ed ‘ameno, tragico e co- mico , dotto e poeta , Fiorentino e Italiano , simbolo quasi delle contraddizioni ch’ esaltano e' umiliano , che rendono gloriosa ed infelice l’umana natura. Chi cerca in esso non altro che il poeta, non saprà mai degnamente gustarlo , giungerà forse a deriderlo : chi lo considera come un infelice mal conosciuto dal suo secolo , e che anela di darsi a conoscere mostrandosi intero, facendo pom- pa dell’ira sua come della sua scienza, sdegnando e nei concetti e nei sentimenti e nello stile e nel linguaggio ogni affettazione di eleganza , ogni raffinamento dell’ arte ; quegli saprà doppia- mente ammirarlo nelle bellezze , saprà degnamente scusarlo nei difetti, saprà conoscerlo come si conosce un contemporaneo , e indovinare ‘que’ fini secreti ch” egli ama talvolta di nascondere sotto il velo de’ versi strani. L’ amore e lo studio di Dante, che da mezzo secolo in qua vien crescendo, è , al parer mio, fausto indizio del cambiamento avvenuto nella parte morale della letteratura d’Italia. Ma perchè questo amore riesca sempre più ragionevole ‘e non trascenda in ammirazione cieca o in imitazione servile ; perchè questo studio riesca sempre più facile e più proficuo, io ‘credo ne- cessario che le allusioni } i fini, le dottrine, le imitazioni , le espressioni, e la lingua di Dante vengano dichiarate con più paziente esattezza , che i più de’ commentatori, del resto bene- meriti e dotti) non abbian ‘fatto sinora. In altri soverchia la brevità; in'altri soverchia la lunghezza ; spesso ‘le intenzioni secrete del’ Poeta o neglette 0 taciute : in tutti però; dove più dove meno, molte osservazioni ingegnose , molte interpretazioni bellissime. Egli è perciò che quel ‘costume, ai commentatori prediletto, di elevare l’‘utilità del proprio lavoro abbassando i meriti di co- loro ‘che li precedettero , io non potrei adottarlo ; non potrei , in buona coscienza , dir male di veruno fra’ tanti annotatori ed illustratori di Dante, perchè , da qual più da qual meno; da tutti io trassi un qualche profitto: i più brevi m’ insegnarono 0 quel molto che mancava è un compiuto commento della Divina Commedia 0 come si potesse ‘restringere ‘il molto in' poco ; i più prolissi m’indicarono quel che soprabondava ‘e quel che era necessario con qualche abondanza illustrare: e le loro reci- proche dissénsioni:, contesè , facezie , ed ‘ingiurie mi tennero in guardia 'dall’occupare i lettori con ardite congetture , alle 103 quali unico fondamento sono. 0 poche citazioni stiracchiate, o le brillanti apparenze create dalla vivacità dell’ingegno. Da’ più antichi io tolsi volontieri le notizie storiche, le indicazioni delle fonti a cui Dante stesso ricorse, la spiegazione di alcu- ne morali allegorie ; da” più moderni tolsi le dichiarazioni gram- maticali ed estetiche, dai recentissimi alcune delle meglio fondate tra le interpretazioni politiche. Mio studio, e, posso dirlo senza jattanza , mia fatica si fu raccogliere nel più breve spazio possi- bile tutto il più evidente, il più certo; aggiungendo ai lavori altrui alcuna cosa di nuovo : di che giudicherà nel libro stesso il discreto lettore. Quello di che posso senza immodestia vantarmi, si è dell’avere approfittato più ch’altri dell’inedito Commento di Pietro figlio di Dante, il quale certamente doveva più ch'al- tr’ uomo qualsiasi aver la chiave delle intenzioni paterne ; e se tutte non le palesò , egli è perchè , come nota il Foscolo d’ altri contemporanei, non l’ osò per timore. Di questo commento duuque io raccolgo tutto quanto vi poteva esser d’utile a” mo- derni lettori , in modo da renderne superflua la pubblicazione: e certo , specialmente per la parte erudita e la scientifica, sarebbe difficile ritrovare un illustratore più fedele, più sicuro , più dotto. Delle intenzioni di Dante , del generale concetto di ciascun canto , della parte inventiva e della imitata, delle principali fra le storiche circostanze , delle più vitali bellezze io. discorro nel- l’ argomento che soglio a ciascun canto premettere. De’quali ar- gomenti permettete , mio caro Vieusseux , ch’ io ne rechi quì due per saggio. Canto XXXII. Sceso nel pozzo infernale , Dante invoca le Muse che l’ ajutino a descrivere quest’ultime orribili scene. Gli restava a cantare d’Ugolino, de’ traditori della patria , de’ribelli alla divina e all’ umana potestà : non è maraviglia s’egli s’ augura quella forza di canto con la quale Anfione , giusta la favola, elevò le mura di Tebe. Questa rimembran- za, quì collocata , dimostra non solo che Dante si considerava come 1’ edificatore della città dolente con la. forza di sua fantasia, ma il cantore politico ancora , il fondatore di civili costumi. Egli che certo aveva letto la Poetica d’Orazio, v’ avrà trovato: ‘ Dictus et Amphion , Thebanae conditor arcis, Sara movere sono testudinis, et prece blanda Du- cere quo vellet. Fuit haec sapientia quondam Publica privatis secernere , sacra profanis . . . . Sic honor et nomen divinis vatibus atque Carmini- bus venit . . . .. ne forte pudori Sit tibi Musa lyrae solers , et cantor Apollo. ,, Il quarto specialmente di questi versi conviene in modo singolare ai fini religiosi e politici della Divina Commedia. 104 In quattro spartimenti concentrici , e sempre declivi, è diviso il gran pozzo : nè la divisione è segnata da limite alcuno , ma indicata da una qualche varietà della pena. La prima parte , de’ traditori dei propri parenti, è detta Caina., dal nome del fratricida : e i peccatori vi stanno confitti nel ghiaccio infino al collo : il qual ghiaccio è del fiume Cocito. Già nel C. XIV vedemmo dalla statua del gran vecchio, il Tempo, gocciar lagrime , e formare i quattro fiumi infernali. L’ul- timo è questo: di cui Virgilio ‘° Cocytusque sinu labens circumfluit atro. ,, Ma perchè i traditori ebbero freddo il cuore ad ogni affetto più sa- cro e più forte , e perchè il tradimento non annida che in un’anima fredda , perciò il fiume si ghiaccia loro dintorno a guisa di lago. La quale immagine venne in parte al P. dalla frase de’ salmi : ‘ Quum taceas , assimilabor descendentibus in lacum. Adduxisti me cum descen- . dentibus in lacum ,, Dove Pietro di Dante nota che Davide fu il tradi- tore d’ Uria. Passa il P. alla seconda parte , ch’ è de’ traditori della patria : ed è chiamata Antenora, da Antenore che secondo T. Livio; tradì la città di Troja all’ esercito greco. La qual tradizione non era a Dante confermata direttamente da Virgilio, ma forse il silenzio di lui (En. I.) sopra questo fatto, e le parole equivoche mediis elapsus Achivis, avran- no lasciato a Dante la libertà d’ attenersi al detto di Livio senza cre- dere però di contraddire a quel che dietro Virgilio egli disse di Si- none e del cavallo nel XXVI e nel XXX Canto. Auco i traditori della patria stanno fitti nel ghiaccio, se non che par maggiore il freddo ch’e’ soffrono, Que? della Caina son lividi dal freddo : questi ne son quasi neri ; per indicare che tradir la patria è più grave delitto del tradire i congiunti più cari : nella quale opinione il P. aveva concorde il detto di Tullio e la stessa ragion filosofica. “ Chari sunt liberi , propinqui, familiares : sed omnes omnium charitates patria una compleza est. ,, La IV Terzina infino alla XII, e dalla XIV alla XVII; dalla XXII alla XXVII, dalla XXIX alla XXXIX, la XLII, la XLIII, ci paiono le più notabili. Ma tutto il Canto è degno d°’ essere consi- derato. La Terzina: XI vale un Canto essa sola. I nomi storici qui rammentati sono i Co: Alessandro e Napoleone , figli prepotenti ed avidi del Co: Alberto di Magnana “ nel cui teni- ss toro ha un fiume chiamato Bisenzio, li quali insieme moltissimi ,; tradimenti s° usarono: e l’ uno uccise con tradimento 1’ altro. E ;; nota che questa casal’ ha innato il tradimento , sempre uccidendo 5, l'un } altro. ,, Così 1’ Anonimo. Dunque il P. nel cacciare questi due fratelli all’ Inferno , vuole insieme rimproverare a’ loro discen- denti il medesimo male. Quegli, che a Dante si palesa, è “ M. Alberto Camicione de’ ,, Pazzi di Valdarno , il quale uccise il suo consorto M. Ubertino ;» de’ Pazzi ,, Poi nomina Mordredo , ‘ figliuolo del re Artù, il ,» quale procurando con tradimento gittare il padre del regno , 105 fu si agramente fedito dal padre di una lancia, che ’1 passò di parte in parte. ,, — ‘ Focaccia fu de’ Cancellieri di Pistoia , il quale per tradimento uccise il suo zio. + Sassolo de’ Mascheroni di Fi- renze , essendo tutore d’ un suo nipote , per rimanere erede, l’uc- cise : onde a lui fu tagliata la testa in Firenze. = Carlino de’Pazzi nel 1300 vendette a’ Neri per grossa somma il castello di Piano di Trevigne in Valdarno ; e lo rivendette a’ Bianchi dopo molte per- dite da lor fatte per riaverlo. ,, Degli altri si veggan le note. 3) 23 23 293 23 23 23 b») Canto XXXIV. L’ ultima sfera del pozzo infernale è di coloro che tradirono o la divina o la imperiale potenza. Dante reputava l’ autorità impera- ‘ toria come una terrestre immagine della provvidenza divina ; ond’egli accoppia con Giuda, traditore di Cristo , Bruto e Cassio traditori di Cesare , il quale fondò quell’ impero ch’ era il sistema e il desiderio della mente e del cuore del nostro Poeta. Siccome , dice l’Anonimo , del calore son varii i gradi , così varii gradi può avere il ghiaccio : e però nelle quattro sfere a proporzione del peccato vien crescendo il tormento : tanto più che in quest’ ul- tima s’ aggiunge al freddo il disagio dello stare seppelliti nel ghiac- cio ; e il disagio della posizione, altre essendo a giacere, altre ritte , altre capovolte , altre col mento che curvasi quasi a’ piedi. Nel centro della terra pone Dante Lucifero , ch’ esce con mezzo il petto fuori della ghiacciata pianura , quasi verme, dic’ egli , che fora il mondo. Singolare immagine ; ma che dipinge il vizio radicale nell’ umana generazione indotto dalla prima tentazione diabolica ; come la figura del vecchio che goccia lagrime , indica che il peccato è dolore a sè stesso. Più che gigantesca è l’immagine di Lucifero. Col ventilare dell’ali egli agghiaccia Cocito : e anche ciò indica che il tradimento , o in generale il delitto, prepara a sè stesso la pena ; e che i venti delle umane passioni , sebbene provengano da ardore so- verchio , gelano il cuore alla fine. E siccome dal ventilare dell’ ali dello spirito di Dio, che s’ aggira sulle acque, spira onnipotenza ed amore; così fredda invidia dalle ali del nemico di Dio. Questa è os- servazione di Pietro di Dante, il quale aggiunge che effetto delle tentazioni è quasi gelare gli spiriti. Il centro della terra è distante dalla superficie , al dir dello stes- so; 3255 miglia: quest’è il punto più lontano dal Cielo, e però più con- veniente a Lucifero. La Bibbia dice: Diabolus qui seducebat eos mis- sus est in stagno ignis et sulphuris. ,, A Dante parve migliore porlo in uno stagno di ghiaccio , perchè l’idea del calore ha troppo di vita e di creazione, e per altre ragioni simili, poetiche e non teologiche. Il Lucifero di Dante ha tre facce, sei occhi, sei ale: chi riconosce in ciò le tre parti del mondo, l’Africa simboleggiata nella faccia nera T. III. Settembre 14 105 a sinistra, l’Asia nella bianca e gialla a destra, nella vermiglia in mezzo l’ Europa. Pietro di Dante ci vede il simbolo dell’ignoranza (nera), del- l’impotenza (livida), dell’odio (ardente); che si oppongono alla poten- za, alla sapienza, all'amore divino. Così anche l’Anonimo, il qual sog- giunge: ‘ Ignoranza , ira, e impotenza conducono l’uomo ad esser vicino a Lucifero (il quale di tutti e tre questi mali fe’ prova nella sua ribellione); e per opposito prudenza , amore , e potenza dirizza- no a contemplare il sommo Creatore. ,, Il sig. Rossetti ravvisa nelle tre facce il simbolo medesimo delle tre fiere e delle tre furie ; Roma, Francia, Firenze. Roma, capo de’ Guelfi, de’ quali l'insegna era ver- miglia; Firenze, la sede de’ Neri; Francia dallo stemma de’gigli bian- chi e degialli. Certo l’ interpretazione è ingegnosa; e, purchè non si rigetti la più antica, anche questa si può ritenere come per un so- prappiù. Ma più opportuna ancora è la citazione che il sig. Rossetti qui fa del passo dell’Apocalisse. ,, Draco magnus, habens capita septem et cor- nua decem ... Draco ille magnus serpens antiquus , qui vocatur Diabo- lus et Satanas , qui seducit omnem orbem (C. 12.) Et vidi de ore draco- nist et de ore bestiae et de ore pseudoprophetae spiritus tres immundos. (G. 16.) = Di qui forse venne a Dante l’idea di Giuda , che, come più reo, ha il capo in bocca a Lucifero e le gambe fuori, e riceve da quella bocca ben altri baci da quelli ch’ e’ diede al maestro; di Bru- to e di Cassio, che fuori hanno il capo, e dentro fra’denti le gambe. Il Poeta stretto a Virgilio scende pel dosso di Lucifero fino al centro della terra ; poi, volti i piedi dove avevano il capo, salgono per le sue gambe all’ opposto emisfero, e riveggon la luce. La descrizione di questa uscita è tanto evidente quant’ era diflicile: la pittura di Lucifero è degna conchiusione all'inferno. Si notino principalmente le Terz. II IV V, la IX alla XIH, XIV, XVI alla XXII, XXV alla XXXVII , XLI , XLIV, XLVI. Un'altra avvertenza voglio indicare, che mi è molte volte giovata ad illustrare alcune sentenze ed espressioni del nostro Poeta. Ai concetti, alle frasi di Dante io soglio spessissimo porre quasi a riscontro i concetti e le frasi corrispondenti del suo maestro, del suo autore Virgilio. Questa corrispondenza potrà parere a talur:i troppo frequente, e però immaginaria più d’una volta. lo, dopo aver rammentato i molti studi da Dante fatti ( come nel Convito egli medesimo accevna ) sopra Virgilio, e le chiare proteste del dello stile da lui tolto, e deli’ alra tragedia ch'egli sapeva tutta quanta a memoria, protesterò che, se in uno o in altro luogo la frase virgiliana non pare ch’ abbia ispirata la dan- 107 tesca , nondimeno ho creduto di notarla pur per ispiegare l’ u- na con l’altra, per far vedere come quelle, che in Dante pa- jono licenze o stranezze, egli può giustificarle con autorevoli esempi. Ma il lettore s° accorgerà che il più delle volte la coin- cidenza de’ modi deil’ Eneide con quelli della Divina Commedia non è puuto casuale: nè per esser questa così frequente , se ne farà maraviglia. Ognun sa come la lettura continua e il pro- fonilo studio d’ un poeta ne incorpori, ve compenetri ogni ma- niera. ogni forma nell’ingegno dell'ammiratore , in modo da condurlo ad adoperarne le frasi e le parole anco allora che que- sti si crede di trarle non dal deposito della memoria ma dai sacrarii dell’ingegno. E dall’imgegno profondo veramente son trat- te le stesse imitazioni di Dante; tanto con la propria forza egli le duma ; e ruminatele, se così posso dire, le converte in pro- pria sostanza. Talchè questo continuo confronto non farà , spero, che accrescere l’ ammirazione dovuta ad un uomo il quale nuila creando di pianta , ma di tutte le tradizioni , le dottrine, le immagini approfittando , seppe formarsi un’ originalità sì rilevata e sì franca. E per recare di ciò un qualch’ esempio : laddove Dante vede le spalle del monte Vestite già de’ raggi del pianeta non vien snbito a mente il Virgiliano Largior hic campos aether et lumine vestit — Purpureo ? Laddove canta: Così 1’ animo mio che ancor fuggiva, non vi rammenta Quamquam animus meminisse horret luctuque refugit ? E la lonza Ghe di pel maculato era coperta quanto differisce dal Maculosae tegmine lyncis? E quel trovarsi di Virgilio al cominciamento del viaggio sul principio del mattino , non corrisponde al simile viaggio d’Enea, Primi sub lumina solis et ortus ? E i versi: ++ + « +» » Quando Vl amor Divino : Mosse da prima quelle cose belle non accennano e col concetto e con l’espressione a que’ bel- lissimi: + «++... Ver magnus agebat Orbis et hibernis parcebant flatibus Austri 108 Quum primum 2ucem pecudes hausere, virmque Ferrea progenies duris caput extulit arvis, Immissaeque ferae silvis et sydera coelo ? La dove il sol tace è egli molto lontano dal silentia lunae? E: « Dinanzi agli occhi mi si fu offerto ,, non ci fa egli ripe- tere di necessità Quum mihi se se oculis.... videndam «— Obtulit? Il verso istesso : Or ti convien tenere altro viaggio è egli un casuale riscontro con la frase: Quove tenetis iter? E gli altri: ; Di quell’ umile Italia fia salute Per cui morìo la vergine Camilla , Eurialo, Turno , e Niso di ferute non alludono forse alle belle parole : O decus Italiae , virgo ! Ob patriam pugnando vulnera passi. Humilemque videmus »m Italiam ? Quand’ anco tante e tali corrispondenze (e io non esco del primo canto) fosser tutte casuali, non è egli questo un caso singolare, e degno d’ essere, in passando , osservato? Un’ altra cura ch’ io credetti necessario prendere in questo commento, si fu di togliere quel pregiudizio che sì sovente taccia l’ Alighieri di licenzioso e di strano quanto alle forme dello stile e della lingna: al qual fine, ad ogni apparente licenza che ne’ suoi versi s’ incontra, io m’ingegno di mostrar brevemente com’ essa sia , 0 direttamente o per ragione evidentissima d’ ana- logia , confermata dall’ uso della lingua poetica del suo tempo, e più spesso ancora della lingua parlata. Di che molte volte m’ avviene d’ offrire esempi singolarissimi fin nella lingua vivente toscana: preziosa reliquia di tempi e d’ uomini quasi dimenticati dalla più parte de’ loro avventurati nepoti. Quest’ avvertenza mi conduce a dare di non pochi passi dif- ficili un’ interpretazione 0 nuova, o più precisa e più chiara. Di che mi sia lecito recar qualch’ esempio. Al verso : Quando 1’ amor divino Mosse dapprima quelle cose belle, io fo avvertire, per ispiegare quel mosse, che creazione è moto, e 109 che la éausa delle cose era e dai Platonici e da S. Tommaso con- cepita come causa movente. = Il passo : Sì che a bene sperar m’ era cagione Di quella fera alla gajetta pelle L’ ora del tempo ec. porta nel commento mio questa nota. ‘ L’ora del mattino e la »; stagione di primavera mi facevano sperare di vincer la lonza. », Nel XVI dell’ Inferno dice che voleva con una corda prender »» la fiera : la pelle dunque di lei non poteva con la sua bellezza s» ispirargli speranza. E in quel luogo la chiama la lonza a//a » pelle dipinta , ch’ è la frase stessissima di questa: Za fiera alla »» gujetta pelle. Alla per dalla è modo antico che i francesi ri- 3; tengono : la Déesse aux grands yeux. Quel che dava speranza », al P. si è il tempo e la stagione; onde, dopo aver detto che » la fiera lo impediva nel cammino ( dunque in lei non poteva »; certo sperare), parla del tempo, e soggiunge: sicchè.... Ma si 33 dirà : sperar bene di quella fiera è modo strano. Niente più » strano dell’ altro : la speranza dell’ ultezza. E si aggiunga che »» Pietro figlinol di Dante e il Boccaccio leggono a//a, e interpre- »» tano al nostro modo ,,. Al verso: Chi per lungo silenzio parea fioco: io noto: ©“ Fioco per indicare ch’ era ombra: come Virgilio dell’ombre de’ Greci: pars tollere vocem Exiguam. E fors’ anco , com’ altri vnole , per indicare che le opere di Virgilio erano da gran tempo dimenti- cate ,,. Al tempo degli dei falsi è bugiardi. — Giova render ragione di que’due epiteti che paiono mera tautologia. = Falsi in se: bugiardi nelle luro dottrine ,,. E così nell’ altro: Ed ha natura sì malvagia e ria, giova notare che malvagia è meno di ria. Malvagio chiama Dante un cammino, ed è voce che anticamente s’ applicava a tutti gli oggetti corporei, come il francese mauveîs. Similmente quell’ altra apparente tautologia : Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno si spiega , io credo , col dare all’ultimo verbo un significato si- mile al lat. decerno ; altrimenti, intendendolo al modo che i vocabolarii lo spiegano , non ha senso. Finalmente a chi domandasse perchè Virgilio all’ Alighieri prometta : Vedrai gli antichi spiriti dolenti, io non so se altro commentatore risponda che con ciò voleva il 110 maestro alludere forse al molto amore che Dante portava agli antichi, e che Virgilio stesso ama spesso di fare ch’ e’ s’ inter- tenga più con gli antichi che non co’ moderni, Piccole illustrazioni son queste , io so: ma chi tali minuzie non avverte, non può dire d’ intendere Dante a fondo, molto men di distinguere le vere bellezze dai veri difetti. E gli altri commentatori le avranno omesse, non perchè non cadessero loro in pensiero, ma perchè avranno forse creduto importante 1’ atten- dere ad altro. Uno degli ainti ch'io m’ ebbi a spiegare con più precisione certi passi di Dante, si fu lo studio della lingua parlata toscana, e degli altri dialetti d’Italia. Non farà, per esempio, maraviglia che Dante chiami dificio quella macchina che gli pareva veder di lontano, ed eran l’ale di Lucifero, quando si pensa che edifizio per macchina, ingegno, è tuttavia del dialetto toscano e del rovere- tano ancora. Non farà maraviglia che dell’ale di Lucifero sia detto attivamente : e quelle svolazzava, quando si sa che tremar l’ale dicesi attivamente degli uccelli in Toscana. E la similitudine. dei denti di Lucifero ad una maciulla tanto più naturale parrà quando si rammenta che maciullare per masticare è usitato tut- tavia nelle campagne toscane. Nè tanto difficile riuscirà ad inten- dere come durella significhi luogo buio, avvertendo che in Firenze una via è tuttora, e non molto chiara, la qual si nomina della burella. Così raccogliendo le vestigia della lingua parlata , le ana- logie della lingua prosastica comunemente usitata al tempo di Dante, le sentenze de’filosofi e de’teologi più dotti e più am- mirati da Dante, i passi di Virgilio, della Bibbia, di Lucano, di Stazio e d’altri classici dai quali il poeta tolse o il concetto o la veste del suo nobile canto, approfittando delle notizie sto- riche, e degli antichi e de’ moderni commenti, io m°’ ingegnai di raccogliere in breve spazio il fiore delle illustrazioni altrui , ag- giungendovi del mio quel tanto che convenisse a rendere il nuovo commento qualcosa più che una compilazione digiuna. Nè la moltitudine delle notizie racculte lo rese così prolisso ch’e’non sia tuttavia più breve e di quello del padre Lombardi e di quello del Biagioli, non che della ristampa che si vien ora facendo della edizione di Padova. Quanto alla lezione del testo , io prendo per norma prin- cipale 1’ edizione della Crusca, come quella che indubitabil. 11I mente è stata diretta da un gusto delicato e sicure. Nè que- sto pregio le è tolto dalle non poche lezioni erronee, che la critica venne poi emendando. Ma a poco a poco la critica volle occu- pare il tribunale del gusto, e ne vennero quelle lezioni sì stra- ne, quell’edizioni sì blasfematorie che fanno disonore al cri- terio del secolo. A che s’ aggiunge la mania , che comincia a pre- valere, di pubblicare la Divina Commedia tutta fedelmente secon- do la lezione d’un codice solo, il quale, per quanto sia puro e autorevole, nun può mai offrire tutte le varianti più sane, e alla critica vera accettabili. S° aggiunga la smania di vo'ere ad ogni costo far qualche mutazione nel testo, pur per alterare co- mecchessia la Vulgata. Tutt° opposto dovrebb' essere , io credo , lo scopo degli editori di Dante. Postasi per fondamento una edi- zione, un codice (e l’ edizione della Crusca sarà sempre ad ogni uomo di gusto il miglior fondamento), a questo quasi canone si dovrebbero osare quelle variauti sole che la logica, la poesia, l’eleganza richiede : alle moltissime indifferenti dar bando. Ma a questo fine gioverebbe possedere le varianti di tutti o di gran parte almeno de’ moltissimi codici della Divina Comme- dia, sì per tarpare ogni ardimento ai novelli editori che osas- sero venirci a proporre un codice nuovo come un tesoro deside- rabile, e sì per procedere con certezza nella delicata disamina. Allora forse si vedrebbe che, sebbene moltissimi sieno i codici, tutti però si riducono a certe classi e quasi famiglie , secondo che il sig. Witte ingegnosamente pensava: delle quali se non si può nulla determinare giusta certe divisioni topografiche o cro- nologiche , si può però con sicuri indizii notare i caratteri e le differenze. Nè questa del raccogliere tutte le dette varianti sa- rebbe opera erculea o infinita. Immaginate venti persone che sappiano leggere francamente gli antichi Mss. (cosa, a dir vero , non molto difficile ): 1’ un d'essi legga ad alta voce un canto di Dante secondo l'edizione della Crusca; gli altri lo seguan coll’occhio, e ciascuno noti le varietà che nel suo codice trova. In un mese questi venti lettori compiono la revisione di 20 codici, in un anno, di 240: in tre, l’opera è quasi compiuta. Un signo- re qual era il march. Trivulzio potrebbe in tal modo fornire all’I- talia un’ edizione critica della Divina Commedia, con tutte a piè di pagina le varianti, accennate per abbreviatura , e succinta- mente discusse. Io per la mia edizione ho consultati tre Codici, i 1024, 1025, 1026 della Riccardiana di Firenze ; il primo buono, il se- condo eccellente , il terzo vicinissimo alla Jezione della Crusca. 112 Recherò quì sotto alcune delle varianti ch’ io credo dover pre- scegliete (1). » Ma perchè nel metodo da me tenuto io posso non aver se- guite tutte quelle norme che il fine da me proposto richiedeva , e perchè il comunicare al pubblico il disegno d’ un mio lavoro, m’ è altre volte giovato a renderlo meno imperfetto, grazie ai con- sigli di buoni amici e di persone autorevoli; però vi prego , mio caro Vieussenx, di dar luogo nel vostro giornale a questa breve esposizione del mio assunto la quale potrà forse fruttarmi qual- ch’ utile avvertimento. PS. Oggi solo ho potuto vedere il codice laurenziano con- tenente ‘il commento di Ser Graziolo , scoperto dal valentissimo prof. Witte: e, per quanto se ne può conoscere da una breve lettura, vi trovo non pochi passi, che gli antichi e i moderni commentatori saltano a piè pari , illustrati con semplicità ed evidenza. Penso però di trarne profitto pel mio lavoro. Le note di Ser Graziolo son parche , e meno noiose che quelle dell’ Ot- timo. Non so se sia mancanza del codice ; ma veggo delle pa- gine intere sfornite affatto di commento , specialmente nella se- conda cantica e nella terza. Quanto all’ età d’esso lavoro, io lo giudicherei di ben poco posteriore alla morte di Dante , al- meno il suo principio ; giacchè , nello spiegare il celebre passo del Veltro, dice che lo esporrà siccome la sua giovanile cono- scenza imagina. Il codice è fornito di alluminature frequenti ; la lezione però non par l’ ottima. K.-X..X. N. B. La letteru A indica il Cod. 1024, la B il 1025, la C il 1026. IL primo non ha che VInferno. (1) Al canto XXXIV. V. 42. A. B. E si giungeano. Il comune giungéno, così vicino ad aggiungéno, non fa dolce suono. V. 45 A. B. Onde il Nilo. Il comune ove non è geograficamente esatto. V. 60 B. De la pelle. Il comune della fa cacofonia con pelle e con brulla. C. XXXIII. V. 9 G. Udira’insieme. Oltre all’ essere più proprio udir parlar e udir lagrimare, che veder parlare , il verso mi pare riesca più pieno. V. 44 A. B. C. Il cibo ne solea. La vicinanza di appressava e dubitava, mi fa prescegliere come più dolce solea a soleva. V. 74 A. B. G. E due dì. Mi par più conforme a natura che tre dì. V. 80 B. De le castella. Forse più scorrevole che delle castella. V. 96 B. G. E fa crescer. Più poetico e più dolce mi pare che a far ere- scer. V. 145. B. Lasciò un diavolo. Il comune lasciò il diavolo non determina così bene la cosa. Un diavolo corrisponde meglio al verso 131. Da un demonio. 113 RIVISTA LETTERARIA: Elogio storico del conte Giuserpe Ancero Saruzzo di Menusiglio , scritto da Giruserre Grassi. Torino , per Giacinto Marietti tipografo- libraio 1831, pag. 46. Il conte Saluzzo , fondatore di quella illustre Accademia che sorse con la gloria de’ Lagrange , de’ Bertrandi ; de’ Gerdil, de’ Michelotti, degli Allioni, de’ Caluso ; che non decadde dall’ antica fama, e tuttora fa reputare Torino la più dotta forse delle italiane città ; il conte Saluzzo , inventore prima di Woulfe (e Lavoisier ce lo at- testa ) dell’ apparato pneumato-chimico , autore di scoperte chimiche importanti sull’ accensibilità della polvere, sulla formazione e puriti- cazione del nitro , sulle sostanze coloranti ; benemerito delle scienze fisiche e degli studi in Piemonte ; de’ dotti protettore operoso e de- gno, magistrato sapiente e libero , amico de’più grandi uomini del suo tempo , ‘“ insomma uomo da meritare in ogni secolo , presso ogni na- zione , ed in qualunque stato ,, onore e riverenza; il conte Saluzzo è dal Grassi lodato in questo discorso con dignità e con franchezza, con parca ed elegante facondia. Chi vuol conoscere il padre di Diodata Saluzzo, non come dotto ma come uomo e cittadino, legga quello che segue : “Aveva il re di Sardegna creato, durante, la guerra contro i Francesi, un magistrato che chiamavano giunta , ufficio del quale era tra gli al- tri quello di giudicare tutti coloro che nell’ esercito reale potevano es- sere riputati sospetti di avere opinione favorevole alle cose dei nova- tori. Uno degli eletti a tanto carico fu il Saluzzo , il quale con raro esempio nobilmente se ne scusò, parendogli piuttosto tirannica che ci- vile quella balia d’ esaminare e condannare i pensieri degli uomini , non le azioni loro. Nè questa rinunzia potevasegli in alcun modo ap- porre , perchè egli si dimostrava in tutte le altre cose paratissimo a tutti gli obblighi e carichi da sottentrarsi per salute dell’ universale ; anzi era allora sulla bocca di tutti. e considerata come azione degna di stare colle antiche,, che di cinque figliuoli, che il Cielo gli aveva dati , quattro fossero da lui mandati in quella funestissima guerra al- l’ esercito , ove valorosamente combattevano : un solo tra quelli, tut- tora garzonissimo , con paterna e gelosa cura alle lettere allevava. ,, “ Conchiuso l’accordo di Cherasco nel mille settecento novantasei, veune il Saluzzo nominato dal Re suo commessario a segnare i nuovi confini tra il. Piemonte e la Repubblica francese ;: ed in questo tanto s’ adoperò , e tanto ebbe acquistato d’ autorità presso quelli dell’ altra parte, che non piccolo vantaggio ne sarebbe venuto alla patria , se T. lli. Se/tembre 15 TI4 non che ogni cosa, come già si è detto , per l’improvvisa invasione rovinò. Creato quindi da’ Francesi un nuovo reggimento, fu da questo il Saluzzo chiamato a prendere l’ uffizio di giudicare i cittadini sospetti alla libertà : ma con espresso rifiuto amò meglio esporsi in quei tempi maligni a manifesto pericolo , che mancare di quel che doveva a se stesso , ed a quelle severe massime di giustizia che egli santamente osservava. Di questo elogio scriveva fin dal 1810 il sig. Botta al Grassi : “ Certo i Piemontesi debbono maggiormente tenersi obbligati a », quelle ossa, e vieppiù onorare quelle ceneri sante , che i Francesi 5, alle ossa ed alle ceneri del Lavoisier loro debbono essere e sono , obbligati , ed onorarle. Che dirò di me, e dell’osservanza e della 3» venerazione in cui le tengo? Conciossiachè quell’nomo grande amas- 1) se me, come se figliuolo stato gli fossi , ed io in luogo di padre lo ,) avessì ed amassilo........ “ Or non fia mai che io non tilodì , e non t’ esorti a seguire il ;, tuo proposito di spargere nembi di gigli e di purpurei fiori per ono- ,, rar l’ ombra di un tanto nostro concittadino. Fallo , chè già di là 3» ti sorridono le muse , e di qua ti fa plauso ogni anima gentile e 3) generosa. ,, Queste parole e questi concetti dell’ autore della storia d’ Italia io amerei che da’ suoi molti ammiratori fossero attentamente consi- derati. Tien dietro all’elogio una breve nota inedita , che il Grassi vi aggiungeva nel 1829 , già infermo , già cieco , già prossimo all’acerba sua fine. Gioverà riportarla. “ Io scriveva queste pagine nella mia giovane età di trent’anni, cal- do d’ amore patrio , e sotto dominazione straniera : la reale casa di Savoia non mi era nota nè per benefizi nè per ingiurie. Ora coll’ ani- mo disusato di quelli e non domato da queste, fatto maturo dagli anni e prudente dalle severe lezioni dell’esperienza, rileggo questo mio qua- lunque siasi lavoro; del quale dopo una scrupolosa indagine non eredo avermi a pentire, ove non sia di verità taciuta in quel luogo arpunto dove, scostandomi dalla ragione filosofica delle cose, mi feci a tratteggiare uno de’più splendidi periodi degli annali piemontesi. L’immaginazione, potentissima a quell’età, me ne dava i colori; e quella lode ch’io impartiva spontanea alla memoria d’un trono abbattuto dalla spada dello stra- niero , mi pareva franca e generosa. Supplisco quindi all’ involontario errore col notare qui, che a que’ tempi stessi da me magnificati , cioè sal finire del regno di Carlo Emmanuele III , e sul principiare di quello del suo successore Vittorio. Amedeo III, moriva nelle carceri della cittadella di Torino P. Giannone; andavano raminghi ed esuli dalla loro natia contrada un Lagrangia , un Denina , un Baretti ; un Derossi, un Bodoni , e ne toglieva volontario ‘esiglio 1’ Alfieri. Altri ne indagherà le cagioni quando la. storia. del Piemonte verrà trattata diversa- 119 mente da una genealogia , e non sarà più mercimonio «di penne vili e prezzolate. ,, Ko K:/Y. Erotiche di'Grroramo FarrorinI , precedute da un saggio sul roman- ticismo. Chioggia , da’ torchi di Giuseppe Molinari 1831, p. 286. Discorrere di romanticismo nel 1831, egli è come un rispondere rose e fiori a chi vi parla di cannoni e di baionette. Combattere o difendere il romanticismo o il classicismo così in generale e in com- plesso ; egli è come un adorare o un detestare il cristianesimo , com- prendendo sotto questo nome l’ inquisizione , le simonie , gli abusi del governo temporale , i traviamenti de’ ministri del culto. Dall’ as- sunto del sig. Fattorini doveva di necessità risultare che molte parti del suo erudito e ingegnoso discorso fossero verissime, altre poi dispu- tabili per lo meno. Tra i suoi versi erotici, de’ quali lascio giudicare a più esperti di me , trovasi la descrizione dell’ incendio d’ una nave in Venezia ; descrizione che. il Poeta aveva fatta già prima nella seguente lettera diretta a un amico. La riportiamo perchè ci pare poetica, e tale da destar molte idee nella mente di un: vero artista. ‘‘ Il fuoco è pure un bellissimo spettacolo ; quando. sì disgiugna dall’ orrore del pericolo. Jeri 1’ abbiamo ‘avuto all’ arsenale. Il Monte- sì Bernardo da un punto all’ altro fece sbucare in tutti i lati dalla poppa alla prora vampe tanto più maravigliose quanto due ore prima era stato ispezionato come di regola. Lo appiccò al Castiglione: furo- no tosto disgiunti e fermati con catene il Generoso italiano , ed il Ge- neratore. La Piave fu allontanata. Il bacino era così stretto , che se la fiamma fosse stata secondata dal soffio di nn vento il più leggiero , sa- rebbesi appresa a’ cantieri delle costruzioni, pieni di legname ; e dove c’ erano un vascello e due fregate. Allora tutto 1’ arsenale. e parte della città ne sarebbero stati la .preda. Ma la. notte tranquilla, ed un ac- cidente sul fare del giorno , per cui da se stesso il Castiglione voltò bordo , fecero sì che siamo ancora salvi. Al primo annunzio si sparse un terrore per tutta la città. Le pattuglie raccoglievano gente. Io mon- tai una gondola, e v’andai a vederlo dal lato delle fondamenta nuove. Già sapendo che il fuoco era concentrato ne’ vascelli , e che non pote- va avere conseguenze più triste , all’uscire dal ponte dell’ Ospitaletto fui sorpreso dal più vivo entusiasmo. Imaginatevi una notte placida , ed un’ acqua placida ‘egualmente. Il Cielo era più mero pel ‘contrap- posto del fuoco. Framezzo a questo cielo ed al fuocò stava la torre dell’ arsenale illuminata da questo. Vicino ad essa sorgevano globi di fumo rosso ; che si elevavano roteando lentamente , e forinavano una nuvola del colore dell’ aurora in quel gran campo nero , qual era l’aria d’ intorno. Tra questo fumo così lucente , le fiamme splendidissime ed una vampa bianchissima serpeggiavano su pegli alberi delle navi , che 116 spuntavano dalle mura dell’arsenale. Tutta la parte della città , che si distende sulle Fondamenta nuove rifletteva una luce rossissima : e questa luce, allontanandosi gradatamente, pur gradatamente diventava bianca, e pallida; sicchè pallidissima ripercuoteva sulla superficie dell’ isolette lontane. L’acqua, ora nera ed ora brillante , presentava un colpo d’oc- chio pittoresco. Vi regnava un profondo silenzio, soltanto interrotto da un suono di campana a martello, e dal cannone che di lunghissimi in lun- ghissimi tratti tuonava. Lo spettacolo accresceva quanto più ci sì ac- costava all’ arsenale. Ma quando vi giunsi , fermata la gondola in fac- cia la porta dell’acqua , larga circa cento piedi, la cosa divenne tea- trale. Parea che il fondo dell’ arsenale al.di dentro. fosse una scena. Vi si vedevano tutte le fabbriche e le colonne. de’ porticati illumi- nate: un’ infinita milizia schierata sulle rive . ed un popolo immenso che frammezzo vi travagliava. Un sordo .romore per la distanza. mo- strava la confusione e lo scompiglio. Intanto la Piavè usciva maesto- samente ; e la laguna sparsa di gondole e di battelli. spettatori del- l’ evento, e più da lungi l’ isola di ‘s. Piero coll’ alto campanile tutto carico di persone |’ una sull’ altra aggrappate, presentavano un quadro stupendo. Frattanto nel bacino dell’ arsenale i due vascelli, investiti dalle fiamme ripercosse dall’ onde; cangiavano quell’acqua in un mare di fuoco. Già le vampe ne scorreano tutti i lati ; sì slanciavano lungo le coperte ; s’incontravano l’ una coll’ altra ; si confondevano insieme , e traboccavano dagli sportelli de’ cannoni. Non erano già di quel co- lor pallido , come si vedevano attortigliarsi su pegli alberi: ma d’ un colore che si accostava al sanguigno od almeno , al. rosato. carico. Dopo tutto questo vi dirò ch’ ogni descrizione è languida al con- fronto del vero..,, : K. X. Y. I monumenti dell’ Egitto e della Nubia considerati in rispetto alla sto- ‘ria, alla religione e alle usanze civili e domestiche dell’ antico Egit- to ; descritti secondo lo studio fattone in quelle contrade negli anni 1828 e 1829 dalle due commissioni scientifiche , francese e toscana ; e pubblicati, sotto gli auspizi de’ governi di Francia e di Toscana; dai sigg. CrampoLLiown minorE e IppoLito. RoseLLINI. (V. il Manife- sto nel Bull. bibliografico). Di questa spedizione scientifica tanto onorevole» alla Toscana e alla Francia , ai principi che la ordinarono e ai dotti che la condus- sero ; di questa spedizione che non sarà l’ ultima ; speriamo , dove la cooperazione de’ varii dotti ed artisti saprà vincere i disagi delle di- stanze , gl’ impedimenti de’ luoghi ; i pregiudizi delle ormai disprez- zate rivalità , per giovare alla scienza ; di questa spedizione che costò a due de’collaboratori la vita e ad uno la sanità ; ma che farà certa- mente immortali i nomi di tutti coloro che vi presero parte, l’Antolo - gia parlò più volte ed a lungo. Ora. poi ci gode l’animo d’annun- 117 ziare che il frutto di questo penoso lavoro , che le notizie e i mo- numenti raccolti dai dotti italiani e francesi sul suolo dell’ antico Egitto , non andranno già dimezzate , disperse in due diverse opere , una compilata dal professore di Parigi , 1’ altra dal professore di Pi- sa; ma ch’ entrambi, con veramente fraterno amore della scienza ; ad un’ opera sola , nelle due lingue scritta , affideranno i tesori che insieme raccolsero con tanti stenti e con sì felice coraggio. Ho detto tesori: e chi pensa alle tante nuove cose che quest’ opera, compilata da più osservatori esperti e concordi , ci promette intorno alla reli- gione e alla politica , alla cronologia ed alla storia , alle tradizioni ed alle arti, ai costumi ed agli usi e dell’ antico Egitto e di quei popoli ch’ ebbero con esso una qualche relazione o di guerre o di servitù o di commerci ; chi pensa alla grande quantità dei monumenti disegnati , i quali soli per sè valgono un trattato d’ arte , di storia , di mitologia , di statistica , non potrà non vedere come quest’ opera debba venire utile e piacevole al filosofo pensatore , all’ erudito pa- ziente ; al vero artista, a coloro stessi che ne’ libri non cercano al- tro che un pascolo di lodevole curiosità; non potrà non augurarle di cuore quell’ esito che già le prenunziano e i nomi degli autori e il suo titolo stesso. X. Iconografia contemporanea , ovvero Collezione di ritratti de’ più celebri personaggi d’Italia , incisi dal sig. Francesco VenDRAMINI. Firen- ze 1830-31. Tip. Pezzati. Disp. VIII.* (Prof. G. B. Amici). Questa bella impresa prosegne onorevolmente il suo corso. Abbia- mo ora il ritratto egregiamente eseguito del celebre Amici : il quale, nato nel 1786 in Modena, educato alla professione d’ingegnere ar- chitetto , poi professore di geometria e d’algebra , poi rettore del li- ceo modenese; ora esente dal dovere dell’ insegnamento.a condizione di stendere ogni anno e assoggettare al ministro una notizia de” pro- gressi della fisica e della astronomia, potè, spinto dal genio della scien- za'e nobilmente aiutato dal padre , fondare in Modena la famosa fab- brica di strumenti di fisica; scuoprire di nuovo la lega metalli- ca ‘per gli specchi parabolici, secreto perduto con Herschel; co- struire le grandi lenti obiettive con perfezione nuova , sì che i suoi telescopii son ora cercati da tutta Europa ; formare quel microscopio catodiottrico' che ingrandisce gli oggetti sedici milioni di volte ; mera lucida , i cannocchiali prismatici ed iconantidiptici , i sestanti e i cerchi ripetitori, i livelli galleggianti ; pei quali strumenti fa pos- sibile osservare di bel giorno i satelliti di Giove, enumerare le stelle doppie e farne il catalogo , seguire con l’ occhio la circolazione ‘degli umori negli insetti e del succhio nutriente , il tessuto vegetale ; .i vasi aeriferi, ‘l’‘epidermide delle foglie , e la mirabile fecondazione la ca- 118 de’ ori ; scoperte da lui medesimo esposte nella Collezione di Memo- rie e di lettere, pubblicata anni sono. Queste notizie ci dà dell’Amici ne’ suoi cenni pisa il chiar. sig. cavaliere Francesco Mele. X. Sermoni sacri di Lorenzo SrERNE tradotti in italiano. Milano presso A. F. Stella e figli 1831. Pag. 188. Chi legge questi sermoni, dimentichi il Viaggio sentimentale ; e in mezzo; a parecchie cose ovvie o fredde , e non conformi alle dottrine bibliche semplicemente interpretate ,, vi troverà molte: osservazioni delicate , e ingegnosissime, e vere. Non si giudichi l’eloquenza dell’au- tore dal primo discorso ch’ è il più fiacco di tutti; ma si legga /a casa del lutto e la casa del tripudio , Elia e la vedova » Semeil, il Fariseo e il Pubblicano ; la filantropia ; gli abusi della coscienza , Giacobbe ; la Provvidenza , Erode ; il tempo e il caso, il Levita e la donna: dal qual ultimo ragionamento estrarrò un piccol passo per offrire un sag- gio della traduzione , ch’ io temo forte non sia lavorata sopra lavoro francese. ‘< Spiriti virtuosi, che non sapete essere rigidi interpreti se non », de’vostri propri difetti, a voi m’indirizzo; a voi, avvocati disinteres- » sati dell’ infelice che s’ inganna. Perchè non vuolsi imitare la vostra 3; bontà ? Quante volte avete voi ripetuto che le azioni di un uomo 3,» non sono sempre un giusto motivo di condannarlo ; ch’ esse sono av- ,; viluppate da mille circostanze le quali a prima vista non apparisco- ,;3 no; che le molle le quali lo hanno spinto ad operare sono profanda- ,) mente nascoste ; che tra la folla dei miserabili, che ad ogni momento ;) sono citati avanti al tribunale del pubblico ,: ve n’ ha mille il cuì 3 solo spirito ha peccato e che sono stati interpretati malamente; che quanto a quelli il cui lume ha errato ,, la forza delle passioni che li hanno eccitati , le difticoltà che gl’ infiammarono , le attrattive degli oggetti che li sedussero , e fors’ anco i combattimenti della virtà prima della sua rotta , possono farli utilmente appellare dalla severità della giustizia al giudizio dalla pietà ,,. Precede una, lettera del sig. cav. Compagnoni, dove ,; della elo- quenza de’ Padri parlando , e paragonandola a quella d’altri sacri ora- tori, sì dice; ” ‘ Pacato è il linguaggio loro per ciò che riguarda il generale ; ,, chiara per tutti la esposizione della dottrina che prendono ad illu> , strare ; la morale presentata colla semplicità evangelica ; missuno, ,; che i loro sermoni o le loro omelie udisse, condannato a dire di nou , avere capito. E la pacatezza del loro linguaggio, imitata da quella , di Nostro Signore , esclude necessariamente ogni tuono ed ogni ar- ,; tifizio 0 sforzo declamatorio : simile per avventura alla rugiada be- > 119 nefica del cielo, la quale, cadendo sulle più molli pianticelle e sui fiori più delicati , dolcemente, s’insinua nei loro tessuti e ne accre- sce la vita; ben lontano dallo strepito della pioggia che rumorosa cade per improvvisa procella , la quale talora e piante e fiori ruina 23 23 53 DI al pari della grandine ,,. Ma lo stesso sig. cav. Compagnoni saviamente confessa che troppa ne’ discorsi di Sterne è la pacatezza , e troppo sollecitamente seguito il metodo analitico e descrittivo; manca l’ unzione religiosa, manca il calore, la forza ; manca quella che ammiriamo in Bossuet, in Bour- dalone , e che si può con proprietà di vocabolo chiamare eloquenza. K. X. Y. 29 In morte di monsignore Antonio Crcuro , Lettera del cav. prof. D. Axronio MenecHELLI 4) cav. D. Gianfrancesco Piovani di Ostiana. Padova coi tipi della Minerva 1831- pag. 21. Antonio Cicuto , veneziano, professore di logica e di metafisica, di fisica e di matematica , autore di varii scritti scientifici, degni della pubblica luce, ispettore delle scuole elementari nelle provincie vene- te , fu probo uomo . ed amato. In istampa non si ha di lui che l’elo- gio di Antonio Conti, nome che onora l’Italia: dove parlando del trattato sulla poesia , così ne compendia la dottrina: “La poesia 3» non era pel Conti che un’ arte sublime che ha per fine ed oggetto 3» primario il dispor l’ animo a ricevere le idee, le impressioni di ve- 33 rità , di virtù ; cui servono per mezzo il diletto , di materia i fan- »» tasmi , per forma interna l’ artifiziosa lor serie; e per forma esterna > V espressione armonica che appellasi verso ,,. La lettera del sig. prof. Meneghelli è piena di senno, di decoro, d’ affetto. RO UO) Epigrammi dell’ Antologia greca , volgarizzati da Francesco Nerr. Padova co’tipi della Minerva 1831. Sebbene la scelta di questi epigrammi non sia sempre l’ ottima, nè la traduzione sempre vivace e precisa, non si può negar lode a questi versicoli, e non li raccomandare a coloro che, non intendenti di greco , voglion pure farsi un’idea di ciò che fosse lo spirito greco, schietto come un raggio d’ aurora, tranquillo come un soffio di zefiro, limpido come un’ acqua che scorra tra margini ombrati e fiorenti. Sen- tite questo epigramma, e poi ditemi ‘se il Negri, volendo , non avrebbe potuto tradurre anche meglio. Amore. Vendasi, ancor che dorma al sen materno ; Vendasi. A che nutrir quest’ arditello ? 120 Egli è simo e pennuto,; Con l’ ugne ei desta un pizzicore interno : Versa gran pianto, e ride insieme: è fello ; Nulla teme, ognor ciarla ; ha il guardo acuto : Fino alla cara madre ei dà martello. ] Gli è un mostro affatto. Ah fia pur ben venduto! Se di quaggiù rinaviga mercante, Che il fanciullo comprar volesse mai , Venga.... — Ma ve’ ch’ ei prega lagrimante ! Eh via non venderotti no. Che hai ? Fa cor, quì con Zenofila vivrai. E quest’ altro , che non potea cadere in pensiero ad altri che ad un bevitore greco ? L’ Anfora. Rotonda , ben tornita, uni-orecchiuta , Fauci-lunga , alti-collo , bocchi-arguta , Ilare , a Bacco , a Cipri, alle Camene Dolce ridente ancella , e dispensiera Di vero amor de’ giovani alle vene, Perchè , s’ ebro son io, tu se’ sincera P S’io sincero , ebra tu ? Gran torto, sai ? All’amicizia convival tu fai. Ai sigg. Emanuele Cicogna ed Emilio Tipaldo, che stanno dagli scritti inediti del buon Negri raccogliendo il migliore per darlo alla stampa , noi crediamo inutile raccomandare una grande severità nella scelta, sì per oncr dell’ autore , e sì perchè, quante siano le cose im- portanti che giacciono inedite e che sarebbero pur degne di luce , niuno meglio lo sa di que’ due valentuomini. K. X.Y. Versione fatta dal greco di tre canzonette di Arawasro Crisroruto. Al- visopoli 1831. Se coloro, che ci danto a conoscere i frutti delle straniere Jette- rature moderne od antiche, si rendono benemeriti della nostra , non solo perchè ci addestrano a meglio sentirne le ricchezze e i bisogni e ad allargarne i confini senza distruggerne gli argini, ma sì perchè ci danno nelle mani una tessera ospitale con cui riconoscere i nostri lon- tani fratelli, preparano un vincolo a quell’ aurea catena d’amore che tutti deve stringere i popoli, dispongono l’ umanità a riguardare le cose in sempre nuovi aspetti., e così da una sola idea a svolgerne innumera- bili ; se questo è vero, ringraziamo dunque anch’ il nostro Tipaldo che ha voluto regalare questi versi d’ un suo contemporaneo concittadino, quasi sconosciuto all’Italia (1), ma che da’greci è tenuto l’Anacreonte (1) V. Antol. fasc. precedente p. 107 , e Indicatore lombardo fase. di ago- sto e settembre 1831. 121 moderno. Nella prima delle tre canzonette è da lodarsi più la dolcezza dello stile e del metro che la novità de’pensieri : la seconda è un’imi- tazione, casuale forse , d’ antico epigramma : la terza ci par degna di essere riportata nella traduzione del sig. Tipaldo, il quale, per ser- vire alla fedeltà e alla spontaneità del dire , saggiamente s’ attenne ad un metro alquanto alleggerito dai vincoli della rima ; esempio che noi da’ traduttori lirici vorremmo veder seguito più spesso. Nel bagno Giterea Un giorno si tuffò, Ma nell’ alga tra 1’ acque Gl’ immortali capegli avviluppò. Amor la vede : attendi , Madre , le prende a dir: Un’ arte mia può tutti Farti i capegli dell’intrico uscir. Che fa l’astuto ? Ei vola Di Minerva a raccor Il pettine e lo specchio , Nascosamente come suole Amor. Tosto a Vener li porta E lezion le dà Gome tener lo specchio , Come trattare il pettine dovrà. Così alla Dea fu lieve I capegli discior, E sugli omeri eburnei Stendere a mano a man le trecce d’or. Ella pietosa , in segno Di debita mercè , Que’due stromenti prese E col tocco immortali allor li fe. Per le fide colombe Quinci a noi gl’ inviò ; Nelle femminee mani Ammirabile don che tutto può. Fortunata nazione a cui, fra le sventure e le catene e le dissen- sioni e i terrori, rimase ancora il genio sereno dell’ arte, un raggio di quell’ aurora che, tanti secoli sono, brillò sull’ Europa ; fortunata, che possiede una lingua soave e flessibile, varia ed una, classica tut- tavia e popolare , simbolo dello stato degli animi e delle menti; for- tunata che nella odierna mollezza , e nell’ egoismo istesso versatole in petto sotto forma di medicina per avvelenarla ed ispegnerla, conserva tuttavia tante anime forti , e libere, e (la più rara delle libertà ! ) di- sinteressate ; fortunata , a cui le discordie fraterne non tolsero di sor- gere maestra al mondo di coraggio antico e di miracolosa fermezza ; >» fortunata , che sulle sue miserie havvi ancora chi piange , e nessuno T. III Settembre. 16 122 contempla i suoi torti con freddo insultatore disprezzo; fortunata, che nelle più disperate vicende le rimangono almeno ad asilo le ridenti sue > isole , le sue sublimi montagne , queste tempio di libertà e di indi- pendenza , quelle nido di civiltà e di ricchezza , sì che nè le congiurate tirannidi nè il sangue civile giungeranno maia toglierle dalla fronte quel sacro suggello che vi stampò la natura! K. X. Y. Poemi di Esiopo Ascreo , recati in italiano. Parma , dalla Stamperia Carmignani 1831 pag. 102. Chi vuol gustare nella Teogonia quella semplice eleganza, quella rapidità numerosa che rende poetiche le cose didattiche dei greci , non già perch’ essi affettassero , come i moderni sogliono , di renderle a tutto studio poetiche , ma perchè non avrebber saputo fare altrimenti; chi vuol nelle Opere e i Giorni sentir la bellezza di quelle sentenze eterne , esposte con tanta evidenza e accompagnate da un’ immagine che le affida all’immaginazione per meglio imprimerle nell’ intel- letto ; chi nello Scudo d’° Ercole ama di attingere al largo e vee- mente omerico fiume , e non sa di greco , legga questa traduzione d’anonimo, più bella, a parer nostro di quella del Pagnini ch'è pur sì pregiata. Più bella, dico, per la franchezza dello stile, e per la fran- chezza del numero ; ed eccone in questi versi (che pur non son de’più belli ) la prova: Regi, a voi pur sia tal giustizia in mente : Chè fra i mortali aggiransi gli Eterni, E que’ discopron che l’un l’ altro in torti Piati si consumano , ed a vile, Tengon gl’ Iddii. Ben mille e mille in terra De l’ uom custodi son di Giove spirti, Che d’ aere avvolti e in ogni parte erranti , I rei giudicii lor veggono , e i retti. Giustizia vergin è , di Giove nata, Infra i celesti veneranda e chiara : E quando vien che oltraggio altri le porti, Tosto , appo Giove assisa , il torto ingegno Accusa de’ mortali , onde le colpe Sconti il popol de’ re , che fuor del vero Piegan le liti, e dan sentenze inique. Meglio pensate , o re, fatti più accorti E poste sien le oblique leggi in bando. Trama a se stesso il mal chi ad altri il trama : Pessimo è un reo consiglio a lui che il porge. Esortiamo l’ egregio anonimo a deporre il velo che lo copre, e la modestia di traduttore, e a tentare di suo. Noi abbiamo bisogno a 123 di scrittori che ci annunzino qualche utile verità, e possano con la cetra più veramente che il vecchio Ascreo Cantando rigidas deducere montibus ornos. K-iX. Y. Vita di GrovannI Bettino descritta dal cav. CARLO RipoLri, ripro- dotta con emende e giunte da mons. Giannantonio Moschini. Venezia Alvisopoli 1831. Le vite degli illustri pittori veneti del vicentino Ridolfi , sebbe- ne infinitamente men pregevoli delle vite del nostro Vasari per ame- nità, per eleganza , per poesia di particolarità fecondissime , per filo- sofia di buon gusto, meriterebbero nondimeno a giudizio del Lanzi es- sere ristampate; il dotto mons. Moschini, benemerito illustratore delle arti e delle lettere veneziane , potrebbe almeno in parte fornirle ar. ricchite di correzioni e di giunte: e del suo lavoro offre intanto per saggio la vita di Gian Bellino, la qual ci dimostra quant’utile riusci- rebbe agli amatori un’ opera tale così commentata. Gian Bellino, l’ama- bil pittore d’un tempo d’antica semplicità e di grazia pia, affettuosa, ineffabile, che il nostro secolo, non che raggiungere , può appena sen- tire ; Gian Bellino ebbe amico l’ Ariosto che lo nominò insieme col Mantegna e col Vinci ; ebbe lodatore il Bembo per cui fece il ri- tratto della sua donna, e il Bembo , non ancora cardinale , ne lo ri- meritò non so se con altro, ma certo con due sonetti, il primo de’quali non ha di tolerabile altro che il pensier della chiusa : In questo hai tu dilei men fero stile... Che almen quando ti cerco, non t° ascondi. Il secondo è più felice assai. Son questi que’ begl’occhi , in cui mirando, Senza difesa far perdei me stesso. Parmi veder nella sua fronte, Tener suo maggior seggio , e d’ una parte Volar speme , piacer , tema e dolore. Dall’ altra , quasi stelle in ciel cosparte ; Quinci e quindi apparir senno e valore , Bellezza , leggiadria , natura ed arte. Possa, fra’tanti tipografi o con buon esito sconsigliati o saggi a lor danno , trovarsene uno del pari fortunato che saggio , il quale intra- prenda con successo questa ristampa arricchita dai lavori dell’ egregio Moschini. K. X. Y. 124 su Prediche del B. F. Gionpano da Rivatro dette fra il 1303 e il 1306 ed or pubblicate. Firenze , Magheri 1831 , tomo secondo in 4.° Prezioso il primo ; ancor più prezioso il secondo volume, a cui s’ aggiunge dall’editore (il benemerito Moreni) uno spoglio non breve di voci, modi , esempi nel Vocabolario desiderati. A mostrargli in che pregio sia tenuta l’opera ch’ egli ha tratto in luce e questa fatica , di cui la correda, recherò qui il saggio d’un nuovo spoglio che un amico mio (il Manuzzi) va facendo a imitazion sua , per proprio studio, a dir vero, ma ch’io, pur a sua imitazione, vorrei far servire agli studi altrui. Voci semplici. Allargamento per distrazione, divagamento: F. È 1,12: L’una perchè quello allargamento non era di peccato; l’al- ra che’l facea per ricreare lo spirito ,,. #+ Arroso da arrogere , per arroto : F. G. 2,56 . ‘° Perocchè a’ detti comandamenti si è poi molto arroso ,,, =» Giugnere in forza di sust. F. G. 2,76 : “ Della terza cosa che s'intende nell’ andare, cioè avvenimento e giugnere , non dirò ,,. » Accadere neut. pas. per venir a proposito : F. G. 2,96 : ‘ In un?al» tra predica il vi dissi, ed ora il voglio ridire perchè s’ accade quì ,,. > Bussare (e Tempestare) neut. pas. per affannarsi, travagliarsi : F. G. 2,300 :. ‘ Quanto posso io vivere? cotanto: quanto mi bisogna a cotanto per anno ? perchè dunque sì bussa e si tempesta in acqui- stare più? ,, + Disvariare anche in sig. n. pas.: F. G. 2,76: “ Se ti accordi in una cosa, in mille ti disvarii da lui ,,. Procac- ciare per studiarsi, ingegnarsi : F. G. 2,96 : ‘° Venne questi de? dieci talenti e procacciò sì che ne guadagnò altri dieci ,,., — Raccat- tare detto di personale qualità: F. G. 2,46 : ‘ Ebbe la virtà della ca- stità più che tutte le vergini; non dico di quella della carne che non sì può raccattare , ma di quella della mente ,,. Una voce pur registrata dal Moreni registra anche il Manuzzi ma in altro significato. Questa voce è Disdegnamento , che il Moreni nell’ esempio che n’adduce spiega sdegno, indignazione, ed egli di- spregio. F. G. 1,115. ‘ In queste cose vuole grande lume di sapienzia a non cadere, per li molti pericoli che possono essere in queste alie , di superbia, di vanagloria, di dislegnamento , e di molte cose peri- colose. = A imitazione poi del Moreni, che ha creduto di dover re- gistrare Ad alti per ad alto, registra In alti per in alto: F. G. 1,115: « Quegli ch’avesse alie e volassi in alti, costui sarebbe in maggior pericolo se cadesse ,,. E 216 : “ Natura è dell’uccello di volare : ma, quando avesse meno gli occhi, gettalo in alti, incontanente cade e non vola mai ,,. Modi. Avere in amore, Avere in divozione: F. G., 1,60 : ‘f Operavano virtude in quanto il santo gli avea (i Vangeli) in divozione ed in amo- i 125 re ,,, + Aver per niente, il flosci facere de’ Latini: F. G. 2,248: ©“ Si fanno beffe di noi che portiamo questi incarichi di ferri e di panni: hannoci per niente ,,, + Dar fortezza, fortificare: F. G. 1,85: ‘ Vedi dunque l’ordine quanta fortezza dà ,,. =» Dar vita per renderla, ri- suscitare: F. G. 1,15: Ed ancora col suo scritto dà vita a’ figliuoli morti ;,. + Essere all’animo d'uno , piacergli : F. G. 2,76: “ I co- mandamenti non ogni volta sono all’ animo di colui a cui è coman- dato d*ubbidire ,,. 4 Esser necessità , necessario : F. G. 2,62 : ‘ Qui sì vietano tutti i spergiuri e tutti i giuri che non son necessità, come cotali matti (nota elissi) che tutto dì giurano per neente ,,. + Met- tere l’ amore ad alcuna cosa o persona : F. G. 1,99 : ‘‘ E però talora ti torrà il figliuolo e la moglie o torratti la sanità del corpo tuo, alle quali cose mettevi l’ amore tuo ,,, = Mozzar via : F. G. 1,98: ‘ E questo purgamento si fa in potandoli, e mozzandone via il soperchio ,,. + Porre il cuore in alcuna cosa o persona: F. G. 1,90: ‘ Per quefge cose non insuperbivano , e non vi ponevano il cuore nè l’amore loro ,,. E appresso: ‘‘ E così vi dico altresì che se le persone fossero riconoscenti de’beneficii d’Iddio e de’beni ch’egli hanno, e non ci ponessero il cuore e non se ne levassero in superbia, sì le manterrebbe Iddio a quelli cotali ,,, = Recarsi alla mente o alla memoria, rammentarsi: ‘‘ F, G. 2,63: ‘° E dei recarti alla mente come Iddio ti ha creato e dateti cotante grazie ,,. E 79: “ Quando tu pensi alla passion di Cristo, rechiti alla memoria com’ egli morì per li peccati tuoi ,,. a Venire 4 ricchezza, arricchire: ‘ F. G. 2,297: “ Noi veggiamo che chi vuol ve- nîire a ricchezza, che vi si pone con tutto il cuore ,,. Esempi di prosa in aggiunta ai poetici che soli dà il Vocabolario. Festo per festivo: F. G. 2,294 : ‘ Negl’inni altresì e nelle orazioni e in tutti gli uffici se ne fa festa memoria tutto il giorno ,,. = Manco, manchevole : F. G. 2,60 : ‘‘ Or potresti già dire: e’ mi pare che questi comandamenti sieno troppo manchi ,,. = Impigliare : F. G. 2,69: ‘ Messer Santo Francesco taglioe ogni legame, rifiutò la reditade del padre e non curoe suoi parenti nè di moglie, acciocché da nulla cosa potesse essere impigliato ,,. = Snodare: F. G. 2,67: Anzi le tagliano (le funi), non si pongono a snodarle ,,. Molti rideranno di tanti spogli e di tante diligenze. Anch’ io per lungo tempo ne ho riso. Or riderei di quelle mie risa se non ne por- tassi la pena. I giovani ne faccian lor senno. M. Ragionamento critico di Giuseppe Bozzo intorno ad un luogo famoso della Divina Commedia. Palermo, Tip. R. di Guerra 1830 in 8.° Il luogo famoso è quello del vigesimo dell’Inferno: Chi è più scel- lerato di colui» Che al giudizio divin passion porta ? I commentatori 0 126 ue tutti o quasi tutti (chè qualcuno potrebbe per avventura dissentire dagli altri) spiegano il passion porta ec. oppone l’affetto umano al giu- dizio divino. E credono che sia rimprovero fatto da Virgilio a Dante che piange e non ricorda che Qui (nell’Inferno) vive Za pietà quand’ è ben morta. L’ autore del ragionamento non può accomodarsi alla loro spie- gazione, che trova contradetta dalla ragion poetica e da troppi luoghi della Divina Commedia. Crede che il passion porta ec. nonsi riferisca già a Dante ma a ciascun de’peccatori di cui Dante piange , quelli cioè che veder vollero troppo avante. Quindi spiega : vuol entrare nella mente di Dio, ambisce il suo senno (invidia , potrebbe anche dirsi, al suo giudizio, vuol gareggiar con lui di previdenza) secondo la qual spiegazione il Qui vive la pietà quand’ è ben morta deve intendersi uni- camente della quarta bolgia. + Rida di questi studii assidui e minuti chi può ridere della Divina Commedia, d’uno de’ più gran miracoli dla mente umana. M. I Rivali romanza di Giuseppe Gazzimo. Genova , De Carli 1831 in 16.° Sì , cela nous arrange l’un et l’autre (parmi di poter rispondere anche in nome del pubblico all’epigrafe del giovane poeta); però ci è caro il vostro nous nous reverrons. C’è anima ne’vostri versi ; e questo forse può dirsi in generale anche de’ versi degli altri della vostra scuola. Ma ne’vostri, più che in quelli di molti di loro , c° è frase poetica , chiarezza, armonia , e ne prendiamo augurio assai buono. In verità molti di que’poeti della vostra scuola l’han fatta bella! Han gettato via la cetra de’ Greci, de’Latini, de’ Toscani, per dar mano a che? a non so qual stramento del medio evo , ad una specie di martinella , la quale non rende che un suono , non può forse dir bene che una sola cosa. Qualche volta io 1’ ho sentita volentieri questa nuova martinella. Nel Coro del Carmagnola , p. e. , nella Lega Lombarda, mi è sembrata sublime. Ma buon Dio! Sempre martinella , sempre martinella , come s’ usa da alcuni anni in qua; martinella ne’ più fieri, martinella ne’ più gentili argomenti ; martinella ne’ fendali, martinella ne’ più moderni ! Buon Dio ! ripeto. C'è di che farci fuggire in seno a qual- che Colonia Arcadica. I più destri, i più educati, che non han gettata via la cetra che ho detto , ma solo posta da canto , la raccolgono pur talvolta , e cer- can di accordare col suono di quell’ altro strumento i suoni vari di questa. Ma il suono di quello strumento pur domina; esso ha data un’intonazione non giusta ; ed è forza proseguire secondo quell’into- nazione. Chi leggerà la nuova romanza del nostro giovane poeta vedrà ch’io 127 non dico male. E anche il giovane poeta lo vedrà forse, se non oggi, domani ; e penserà a comporsi uno strumento , io non so dirgli quale, ma che serva ai bisogni vari dell’ imaginazione e del cuore; che sia stromento di poesia vera, della quale si è da alcuni molto ristretta, da altri molto pervertita 1’ idea. M. Il Canto XXIII dell’Odissea di Omero volto in endecassillabi ita- liani per Urano Lamprepi e pubblicato per nozze. = Napoli dalla tipografia della società Filomatica 1830. Parafrasi dei dodici Salmi delle ore canoniche della mattina e degli al- tri tre 1, 129 e 30 dell’ abate Urano Lamprepi; coll’ aggiunta di quattro sonetti originali sulla malattia dell’ autore. Napoli dai torchi della Società Filomatica 1831. L’uomo, che nel fiore degli anni e delle speranze si leva colla forza dell’ ingegno sopra degli altri, può destare qualche invidia e qualche sospettosa persecuzione; ma quegli che, affrauto dalla vecchiezza e dalle infermità, trae dagli studi il conforto e la costanza , nè cessa colla mente operosa di dilettare ed istruire, ne ispira un sì tenero senti- mento di ammirazione mista di amore, che parrebbe quasi oltraggio maligno la critica stessa. E ben vero però chè il buon Lampredi è sì ricco di fama e d’ ingegno, che la critica per tutti i suoi scritti non è che una lode ; ed ora pure non potrebbe che fermarsi sulle molte | bellezze della maniera , con cui ci fa gustare nella nostra lingua il canto della religione e della sapienza , il canto dei Profeti e di Ome- ro. + L’anima stanca d’impotenti desideri e di generosi deliri, si riposa nei maestosi pensieri di quei primitivi poeti , come dopo lungo e periglioso cammino il viandante che si asside all’ ombra di antico bosco. Anche i più valenti perciò si posero spesso all’ opera di tra- durli, e come furono delizia dei loro primi anni, così furono dolce cura degli estremi. & Quante volte ed in quante lingue è stato tradot- to il poeta della Grecia! e quanti ancora vi sì occuperanno con amore e costanza! — Rara e distintiva dote del genio , piacere ad ogni età e in ogni tempo , e sopravvivere alle generazioni, agl’imperi ed a quella civiltà, di cui furono la più potente espressione. # Il sig. Lam- predi ha ben sentito il suo poeta, e l’ha reso in un stile franco e armo- nioso, in uno stile bello per casta eleganza e proprietà senza le affetta- zioni del purista, e senza le licenze del novatore, che pretende all’ ori- ginalità colla stranezza di un linguaggio che farebbe ridere, se non ina- sprisse il doloroso sentimento della nostra decadenza. + Anche senza citazioni e confronti, basterà il nome del Lampredi per molti , come basta per noi questo saggio , a indurre credenza in ogni animo , che la sua traduzione dell’ Odissea sarà una cara e desiderabile cosa , e che i vaselli da lui configurati con la finissima e molle argilla omerica, saranno di squisita hellezza nella forma e nel colorito. L. 128 Intorno alle più eccellenti Pitture Napoletane esposte nell’ ottobre del 1830 lettera al sig. marchese BasiLio Puori. Napoli 1831. Accade bene spesso che sappiamo meno delle cose d’Italia che di quelle di Francia e d'Inghilterra. Senza rammentare altre cause, credo che una specialissima sia la trascuranza degli uomini di lettere nel far noto tuttociò ch’ è meritevole a sapersi della propria provincia o cit- tà. = Giacchè se qualcuno per ogni parte della divisa patria si pren- desse a cuore di rendere pubblico per mezzo di ragionati rapporti , 0 in qualunque altro modo, lo stato delle scienze delle lettere e delle arti, come dell’agricoltura, del commercio , dell’ industria , di tutto- ciò insomma che costituisce la vita di un popolo, si verrebbe a togliere questa funesta ignoranza, e si avrebbe come un quadro rappresenta- tivo di tutta la penisola, e come una statistica della nostra civiltà. Se questo potesse produrre un gran bene , non starò a dimostrarlo , perchè chiunque conosce le nostre condizioni, ne vede la necessità ognor crescente. = E questa, credo, sarà alfine valevole a farci per ogni mezzo rinvenire una via, onde conoscere di qual modo si vive , se brilla ancora la scintilla del genio italiano , o se la sventura l’ha estinta ; se siamo sulla via dell’ incivilimento o della barbarie, se pos- siamo sostenere il concorso degli stranieri nelle liberali discipline e nelle arti d’industria, se ai tanti nomi brillanti di gloria, che sì ripe- tono nelle altre parti di Europa, abbiamo da contrapporre alcun no- me che non si offuschi a quello splendore. Alcuni giornali suppli- scono per quanto possono ad un tal bisogno, ma se non sono con ar- dore ajutati , è impossibile che bastino all’ incarico, e resteranno sem- pre ignote all’ universale tante benefiche istituzioni , tanti utili stabi- limenti , certi rami d’ industria, ed opere e nomi che restano chiusi dentro il giro delle proprie mura. + La lettera sopra annunziata ne può essere un argomento di conferma. Infatti se lo scrittore di essa non avea premura di onorare quei bravi giovanî che a quella pubbli- ca esposizione avean dato saggio del loro ingegno nella pittura, quanti fuori di Napoli gli avrebbero conosciuti? + Ora intanto sappiamo che un Guerra col Giulio Sabino , un De Vivo col Diomede vincitore dei cocchi, un Carta coll’ Atala, un Marsigli colla Tomba dell’uomo dab- bene, e molti altri mantengono vivo l’ onore delle arti in quella terra ridente che fu patria al Giordano. + Noi siamo grati allo scrittore che ce ne ha procurata la conoscenza, ed intiera ed esatta, perchè lodan- done i pregi, non ne ha dissimulati i difetti , dandoci così prova che il suo amore per le arti è guidato dal buon giudizio e dal sentimento del vero. L. î 1 0009) Principj del Diritto Commerciale secondo lo spirito delle Leggi Pontificie, opera di Emipio Cesarini Curiale Romano. Roma Tomo I.° 1827, Tomo II.° 1828, Tomo III.° 1829, Tomo IV.° 1830, Tomo V.° 1831. Col quinto volume o fascicolo termina .il libro primo dell’ ope- ra. Intento dell’ Autore non è dare un trattato completo di giuri- sprudenza commerciale, ma è solamente di ricercare e porre in lu- ce i principj sopra i quali questa giurisprudenza è basata secondo le leggi commerciali degli stati romani, e specialmente secondo il re- golamento provvisorio pel commercio ivi attualmente vigente. L’ au- tore stesso , oltre ciò che ne ha detto nella prefazione , spiega più chiaramente il suo intendimento al T. II.° pag. 84. ‘ Io mi estendo nelle digressioni perchè non raccolgo nè insegno nè spiego gli ele- menti o istituzioni di diritto commerciale : ma tratto la materia per principj, e cerco di penetrare e di mostrare lo spirito di tutte le leggi pontificie che al commercio possano aver relazione ,,. Siccome poi la legge, che egli seguita passo a passo , è quel regolamento provvisorio pel commereio il quale , salve pochissime variazioni , è modellato sul codice di commercio francese, vigente anco in molte parti d’Italia, così un opera che analizzi a dovere lo spirito di quelle disposizioni può es- sere d’ un’ utilità non ristretta dentro i confini dello stato romano. Ma questo lavoro ha egli poi que’pregi che possono realmente ren- derlo utile , ed utile generalmente ? A_noi sembra che sì. I principj fissati dall’ autore ci sembrano veramente attinti dal fondo delle cose, e dai veri canoni della scienza sociale , e noi troviamo le loro conse- guenze strettamente legate con essi. Anzi nessun’ opera ci sembra che fino al presente meglio di questa abbia saputo dalla filosofia delle leggi romane e dalle regole del giusto e dell’ ingiusta, proclamate dall’antica sapienza e sancite dal consenso universale delle nazioni , ricavare. il nesso che deve rendere applicabili queste massime al gius commerciale, il quale in molte parti sembra a prima vista onninamente divergere dal gius civile. L'autore, scoprendoci il loro vero punto di contatto, ci con- ferma sempre più che i veri son tutti connessi , e che i principj del giusto non possono essere in contradizione fra loro. Le differenze, che molti scrittori hanno ravvisate fra le obbligazioni puramente civili e quelle che sono attenenti agli affari commerciali, han- no fatto per lungo tempo regnare la regola che in tutte le cose dubbie dovessero i tribunali ricorrere negli affari di commercio ai certificati di pratica delle persone esercenti la mercatura, metodo fallacissimo , che aveva introdotto nel foro mercantile una specie di casistica, per causa della quale in molte parti di Europa era stata creduta giovevole la conservazione o la ripristinazione delle giustizie consolari, introdotte per altri fini, e mantenute poi unicamente perchè potessero decidere i casi occorrenti, mercè il soccorso della pratica e delle tradizioni. Quando la T. II Se:tembre. 17 150 scienza del diritto commerciale sarà ridotta al punto verso cui tenta diri- gerla l’autore, allora sparirà certamente la necessità di una tale eccezione intrusa nell’amministrazione della giustizia, e la scienza del giusto socia- le, unica nel suo principio, si manterrà unica e conforme anco nelle sue applicazioni. L’A. dà un cenno di tal suo pensiero nel vol. II[.° p. 166. ‘; nelle mani di me infrascritto una macchia di color verde , separata 3» dal fazzoletto stesso per mezzo dell’ acqua stillata , e sottoposta a » chimico esame , ha mostrato non contenere nè acidi nè alcali liberi, 3» ma essere quasi interamente formata d’una materia vegetabile estrat- ») tiva e dolciastra , e d’ alquanto sal comune. Questa sua natura e 3) qualità , e le poche notizie avute , non lasciano formare alcun fon- », dato giudizio intorno a ciò che fosse il corpo che caduto dall’ aria »» lasciò sfuggire , probabilmente sotto la pressione delle dita , o al- 3; meno sotto l’urto della mano , 1’ umore che formò la macchia. Seb- », bene alcune fra le piante nostrali presentino delle silique o delle »; specie di borse dalle quali possa esprimersi qualche liquido , pu- »» re la natura dì questo e la figura di quelle non rassomigliano alle >; corrispondenti del caso contemplato. Sapendosi che le trombe col 3» loro vorticoso e violento moto sollevano anche a grande altezza nel- »» l’aria ogni specie di corpi, non si potrebbe egli sospettare che una », tromba abbia elevato delle produzioni vegetabili marine nelle alte >, regioni dell’ atmosfera, donde i venti ne abbiano trasportate al- »; cune fino a queste vicinanze? Per esempio quella che i botanici chia- s» mano Ulva lactuca contiene un sugo quasi gelatinoso e salso. Ma 3» sì ravvicinerebbe assai più alla figura della macchia di cui si tratta s; quello che Linneo ha chiamato Fucus saccarinus , ed il sapore dol- ciastro e salso della materia che formava la macchia potrebbe con- ;» fermare questo sospetto. ,, x N G. G. Il sig. Leone Dufour , corrispondente dell’ Istituto di Francia, lia scritto a questo da San Severo , dipartimento delle Lande, per in- formarlo d’un’ apparenza singolare che ha presentato il sole il di 10 d’agosto verso le 5 ore della sera. Quest’ astro sembrava bianco come la luna ; si poteva guardarlo senza che la vista ne restasse offesa ; un’ ora dopo era di color turchino pallido , e sempre privo dì raggia- mento. L’ orizzonte al tramontar del sole era di color rosso vivo , co- me spesso si osserva nella calda stagione. Una specie di nebbia lon- tana dalla terra e poco densa era uniformemente sparsa nelle regioni superiori, e velava il sole. Essa era senza dubbio la causa dell’aspet- to singolare che questo presentava. Fu fatta 1’ osservazione che in quella giornata gli oggetti illuminati direttamente dai raggi del sole comparivano di color turchiniccio. Il sig. Arago in seguito della lettera del sig. Dufour ha annunziato che , per lettere ricevute da Bordeaux e da Perpignano , gli era noto 137 aver regnato le stesse circostanze atmosferiche in tutto il mezzo- giorno. Si è saputo in seguito che questo stesso fenomeno è stato osser- vato non solo in tutta la lunghezza dei Pirenei da altre persone , ma anche più a levante , e fino a Boulogne, dove si è riprodotto più giorni di seguito. Il sig. Roulin ha riferite le seguenti particolarità intorno ad un simil fenomeno osservato parecchi anni addietro nella Nuova-Granata. Dal dì 11 dicembre 1808 fino alla fine di gennaio 1809 il disco del sole si mostrò pallido , spogliato di raggi abbaglianti, di modo che avvenne più volte che a prima vista fosse preso per la luna. Per altro, allorchè era molto elevato nel suo corso, riprendeva presso a poco l’ aspetto e lo splendore ordinario. La mattina e la sera, quando era poco lontano dall’orizzonte, fù veduto talvolta tinto di leggiero color di rosa , tal’ altra di verde chiaro ( del quale ultimo colore è stato ve- duto anche a Boulogne ) o d’ un color grigio turchiniccio. In tutto questo tempo il freddo fù molto più vivo del solito, e spesso la mat- tina le campagne dei contorni di Bogota apparvero interamente co- perte d’ una brina che bruciò i teneri getti delle piante , cosa che in quel gran piano elevato non si era mai veduta a memoria d’ uomo. Il cielo era costantemente coperto d’un velo nebuloso translucido uni- formemente sparso, e che era costante così di giorno come di notte. Que- sta nebbia non produceva quei cerchi colorati che si vedono in simili casi intorno al sole ed alla luna ; essa impediva completamente la vi- sta delle stelle di quarta e quinta grandezza. In tutto questo tempo l’ aria fù costantemente asciutta ed abitualmente tranquilla. I venti che soffiavano a corti intervalli furono sempre del sud. Questo feno- meno fù osservato a Pasto-Popayan-Neyba-Tunja e Santa Marta , vale a dire dal primo al dodicesimo grado di latitudine sud. Il sig. Arago ha fatto ‘osservare che la nebbia del 1784. non fù meno estesa, poichè fù osservata nello stesso tempo in Napoli ed in Affrica, e che la sua durata fù anche più grande. Questa nebbia era notabile per l’ estrema sua secchezza ,' e risulta dalle osservazioni di Sennebier che l’ igrometro immersovi si muoveva verso 1’ asciutto, Alcune persone considerarono questa nebbia come la coda d’ una co- meta , altri pretesero connettere la sua comparsa coll’ eruzione d’ un vulcano che ebbe luogo alla stessa epoca. (Le Temps 24 aoitt et 3 se- ptembre 1831). Nella Corte del Castello di Marolles vicino a Coulommiers è emer- sa una fiamma dal terreno più volte di seguito. La prima volta in cui fù veduta era di giorno ; la sua comparsa fù subitanea , sicchè un palafreniere , che usciva da una scuderia a poca distanza , ne fù ab- bagliato come da un vivo lampo. Questa fiamma si è estesa rapidamen- te , ed ha empiuto la scuderia con gran spavento degli uomini e dei cavalli che vi sì trovavano , ma non ha fatto loro alcun male; essa era affatto priva di fumo. ( Ivi) T. Ill. Settembre 18 138 Fisica e Chimica. La seguente nota, estratta da una lettera del celebre Newton a Locke , è veramente singolare , rilevandosi da essa che quel sommo fisico si accorse che colla influenza dell’imaginazione poteva determi- nare nel suo occhio delle impressioni in qualche modo simili a quelle riferite dal dottor Brewster nel suo articolo sui colori accidentali , in- serito nella Enciclopedia d’ Edimburgo. 3, Io ho fatto una volta sopra me stesso, e con pericolo dei miei occhi, l'osservazione di cui voi ( Locke ) fate menzione, e che si trova nel libro dei colori del sig. Boyle; ecco come io operai. Io guardai coll’occhio diritto e per un istante brevissimo 1’ imagine del sole riflessa da uno specchio ; quindi voltai il mio occhio verso un angolo oscuro della camera, battendo gli occhi per osservare l’im- pressione che ne era risultata, consistente nel cerchio colorato che circondava l’ imagine del sole, e che, indebolendosi a gradi, final- mente dispariva. Ripetei questo movimento_una seconda e poi una terza volta. Questa terza volta, quando l’imagine luminosa ed i co- lori che la circondavano furono quasi interamente scomparsi, e quan- do io li guardava con tensione, nella supposizione che quanto pri- ma io cesserei completamente di scorgerli, vidi con sorpresa che ricomparivano nuovamente, e che a poco a poco divenivano tanto vivi e tanto forti quanto lo erano al momento in cui io aveva con- templato il sole. Ma quando io cessava di fissare la mia imaginazio- ne sopra di essi, disparivano , e da quel tempo in pei io ho osser- vato che ogni qual volta io andava nell’ oscurità e fissava fortemente il mio pensiero sopra quelle imagini , in quella stessa maniera in cui si cerca di vedere una cosa che si ha della pena a scorgere , io poteva a mio' piacere far rinascere questa illusione senza guardar di nuovo i raggi solari; e quanto più io ripetei questa esperienza, tan- to più mi divenne facile ottenere questo risultato. Finalmente, a for- za di ripetere l’esperienza stessa, mi riuscì di fare sopra il mio oc- chio una tale impressione , che io non poteva guardare le nuvole, un libro, o un oggetto qualunque illuminato , senza vedervi una macchia luminosa come il sole , e ciò soltanto coll’ occhio diritto e non col sinistro, benchè la mia imaginazione cominciasse a influire anche sopra questo come sopra quello. Di fatti se io chiudeva l’oc- chio diritto, guardando col sinistro le nuvole o un libro, poteva vedere lo spettro solare quasi tanto bene quanto col diritto, pur che io fissassi un poco la mia imaginazione sopra quest’oggetto, perchè in principio, se io chiudeva l’occhio diritto, guardando col sinistro, lo spettro solare non compariva fintantochè io ve 1’ avessi in qual- che modo forzato colla tensione del mio spirito ; ma ripetendo l’o- perazione più volte, io resi l’effetto ogni volta più facile e più pron- to. In capo ad alcune ore io aveva abituato i miei occhi a guesto 139 ,s genere d’illusioni ad un tal punto, che io non poteva più guardare un oggetto qualunque illuminato , o coll’ occhio diritto o col sini- stro, senza veder subito avanti a me l’imagine del sole, in modo che io non osava più nè leggere nè scrivere. Per ricuperare l’ uso dei miei sensi, io fui obbligato a starmene in una stanza oscura per tre giorni interi, ed a distrarre la mia imaginazione dal pensiero del sole con tutti i mezzi che erano in mio potere; perchè se il mio pensiero si riportava sulla di lui imagine , io la vedeva nel momen- to, benchè fossi nell’oscurità. Ma trattenendomi in un luogo oscu- ro, e fissando il mio spirito sopra altri oggetti, cominciai a poter ri- prendere in capo a tre o quattro giorni l’uso dei miei occhi. Per altro io non ricuperai perfettamente la mia vista, se non con aste- nermi da guardar fissamente oggetti risplendenti ; e per il corso di più mesi susseguenti , quando io ripensava al fenomeno, lo rivede- 23 dI 2) 23 23 23 23 23 dI va di nuovo, anche a mezza notte mentre io era coricato e circon- dato dalle mie cortine. Ora io sono completamente ristabilito da più anni, benchè sia convinto che se osassi mettere di nuovo in ri- schio i miei occhi, potrei similmente col potere della mia imagina- zione riprodurre a piacimento quest’ illusione. lo vi fo questo rac- conto per farvi comprendere che nell’ osservazione riferita dal sig. Boyle è probabile che 1’ imaginazione dell’ uomo concorresse col- l'impressione cagionata dai raggi luminosi dél sole a produrre l’ima- gine di quest’ astro, che egli vedeva sempre negli oggetti risplen- s; denti. ,, Voi vedete che la vostra questione intorno alla causa di questa illusione conduce ad un altra relativa alla potenza dell’ imagi- nazione , la di cui spiegazione è troppo complessa perchè io .tenti di cercarne la chiave. Sarebbe difficile attribuir quest’ affetto ad un mo- vimento costante, perchè allora anche il sole dovrebbe essere costan- temente presente. Sembra piuttosto che esso provenga da una dispo- sizione della sede delle sensazioni (sersorium) a commuovere forte- mente l’imaginazione, e ad esser commossa facilmente essa stessa , o dall’ imaginazione, o dalla luce, almeno tutte le volte che si guardano degli oggetti risplendenti. Diversi fisici avevano annunziato delle ripulsioni operate dalla luce , dal calore , e da altre cause, ma talmente deboli, che si sot- traggono facilmente a qualunque misura. Desideroso di poter misura- re queste forze quasi inapprezzabili, e d’assicurarsi della loro esisten- za per mezzo d°’ esperienze sue proprie , il sig. prof. Muncke d’ Eidel- berga ha imaginato un istrumento d’ un’ estrema delicatezza e sensi- bilita, che è una bilancia di torcimento d’una forma particolare. Per mezzo di questa egli si è assicurato che il vetro e molti altri cor- pi sono termoelettrici , cioè sono elettrizzati per l’azione del calore, Jo che sembra portare alla conclusione che i cambiamenti di tempe- ratura, e soprattutto l’azione dei raggi solari, sviluppando l’ elettri- cità alla superficie della terra, fanno di questo globo una vera cala- 140 mita, ipotesi che sebbene proposta da alcuni, e particolarmente dal sig. Ampere, non era stata confermata da veruna esperienza decisi- va. I risultati d’un gran numero d’esperimenti fatti dal sig. Muncke , e da lui comunicati alla società dei Naturalisti e dei Medici d’Ambur- go, lo hanno condotto a concludere come appresso : 3» Le esperienze da me riferite servono dunque non solo a spie- »» gare le osservazioni degli altri fisici che ho rammentati, ma anche a »» dimostrare con dei fatti che i cambiamenti giornalieri di tempera- », tura, e soprattutto l’azione dei raggi solari, elettrizzano ì diversi 33 corpi che ho esaminati. Ora se si considera che fra questi corpi sì tro- 3; vano il ghiaccio e l'argilla, mi sembra necessario ammettere che 3) queste sostanze e quelle che souo analoghe ad esse subiscono una 3, simile influenza alla superficie della terra, principalmente per l’azio- 3, ne regolare ed alterna dei raggi del sole. La tensione elettrica, che 3, ne risulta in ciascun punto della superficie terrestre considerato iso- 3» latamente, non può essere che debolissima, nel modo stesso che av- 3 viene in un elemento unico della pila del Volta: ma se si riflette ,> all’ estensione delle superficie che entrano in aziune nella circostan- > za da me contemplata , ed in particolare agl’ immensi campi di ghiac- », cio che cuoprono le alte latitudini, si deve riconoscere che l’effetto >> è sufficiente per sviluppare il magnetismo terrestre. In tal guisa la 3» corrente elettrica che va dall’est all’ovest imaginata da Ampere si 5» spiegherebbe per il moto diurno del sole. Si presenta qui un’ os- ,» servazione da non essere trascurata. L’ elettricità prodotta dall’ele- 3, vazione della temperatura è positiva, o piuttosto, se si deve ammet- 3» tere ciò che è più importante, e ciò che risulta dalle esperienze, »» che la corrente elettrica circolante intorno al globo segue il pro- »» gresso del riscaldamento diurno della scorza terrestre per mezzo dei », raggi solari, ne risulta, a norma delle leggi elettromagnetiche ri- 3, conosciute , che la regione del polo nord astronomico della terra 3» deve essere quella del polo sud magnetico, lo che è conforme alla », realità. Le variazioni diurne dell’ ago di declinazione si accordano ») egualmente con questa spiegazione; ulteriori ricerche faranno ve- »» dere fino a qual punto i cambiamenti che sopravvengono nel mra- »» gnetismo terrestre coincidono colla stessa ipotesi. ,, Ci è pervenuto, ed abbiamo veduto anche fra le mani d’altre per- sone, un foglietto stampato in Genova , che qui trascriviamo. Scoperta di una singolare rottura dei fili. Il sig. C. L. Foppiani ci ha mandato una lettera a lui diretta dal professore Ferdinando Elice intorno ad una importante scoperta di una singolare rottura dei fili , che pubblichiamo per far cosa grata ai fisici. Genova , 22 agosto 1831. P, D. 141 Amico Carissimo. Ho trovato che, sospendendo ad un filo qualunque un peso , © 2 questo peso attaccando un filo di forza molto maggiore del primo , il filo più forte si rompe a preferenza di quello men forte , qualora enza tirato in un tratto con grandissima forza. Questa verità , che vi sem- brerà un paradosso ; viene comprovata in un modo evidentissimo dalle seguenti esperienze : Sospendete per es. col filo A, di lino o di altra ma- teria capace a sostenere chilogrammi 3,00, la palla B di A ferro o di altra sostanza dura, del peso di chil. 2,90, 3,00 avente due uncini diametralmente opposti; attaccate al- l’uncino inferiore un altro filo C della forza di chil. 1,00, quindi colla mano tirate giù appoco appoco questo filo C nella direzione della verticale , ed osserverete rompersi il filo A che sostiene la palla, e giammai quel di sotto 2,90 ]B GC: che se invece di tirare lentamente il filo inferiore G, lo tirate in un tratto con grandissima forza , allora ve- drete rompersi sempre questo filo C, e giammai quello attaccato all’uncino superiore A; anzi se il filo inferiore 1,90 C, in cambio di aver la forza di sostenere un solo chi- logrammo , avesse eziandio quella di sostenerne cinque c ed anche più , si romperebbe pure questo (di preferenza al filo A, che sostiene la palla, il quale abbiamo supposto essere della forza eguale a chilogrammi tre ) , qualora fosse tirato istantaneamente con grandissima forza. Adoperando la stadera o la bilancia comune , si hanno i risultati calcolabili. Infatti ponete in un bacino della bilancia chil. 3,10, e nel- l’ altro chil. 3,00, a questo bacino attaccate un filo capace a sostenere più di cinque chilogrammi, indi tirate giù il filo in un tratto con gran- dissima forza nella direzione della verticale , ed osserverete che il filo sì romperà , e giammai potrà far traboccare il bacino dove era at- taccato. Con un cordone sospendete una palla di ferro del peso di chil. 3,00, attaccate a questa palla un filo della forza di chil. 4,00 , ponetela in moto, e dopo tirate il filo in un tratto con grandissima forza , secon- dando la palla nel suo moto, osserverete che il filo si romperà , e la palla seguiterà a muoversi, aumentando poco o nulla 1’ arco d’ oscil- lazione : che se tirate il filo colla forza e velocità di prima, ma in senso opposto al moto della palla , il filo parimente si romperà , e la palla continuerà a muoversi nella sua direzione , diminuendo poco 0 nulla l’ arco d’ oscillazione. Prevedo che voi spiegherete questi esperimenti ricorrendo all’iner- zia , ma ricordatevi ciò che dice il celebre professore Ranieri Gerbi e con esso lui altri fisici: ‘ Si credeva un tempo che l’ inerzia fosse ri2 », una forza reale inerente alla materia , la quale presentasse una re- >» sistenza effettiva alla forza che agisce sul corpo per rimuoverlo dal 3) SUO stato ; ma in oggi molto più ragionevolmente si crede che essa 3» inerzia sia la passiva attitudine della materia a ricever la forza che 3» produce la mutazione dello stato, e che ìîl corpo agente perda una s» porzione della sua forza , perchè la comunica al paziente , non per- ») chè questo la distrugga colla sua resistenza ,,. In quanto a me pare che le surriferite sperienze possano essere di qualche utilità , applicando specialmente i principi che da esse deri- vano all’ uso delle funi. Gradite i sentimenti di stima , coi quali io sono e sarò sempre, vostro affezionatissimo Genova , 16 luglio , 1831. FerpinanDo ELice. Appena leggemmo questo curioso esperimento , ci se ne offerse alla mente chiara ed evidente la spiegazione , quale ci lusinghiamo dover riuscire più accetta all’ autore che non quella esposta nella Biblioteca Universale di Ginevra , agosto 1831, pag. 443 , nella quale si è fatta entrare la forza d’ inerzia, non gradita dall’ autore dell’ esperimento. Ecco la nostra. La palla B del peso di chilogrammi 2,90 è appesa mediante un un- cino al filo superiore A, capace di sostenere chilogrammi 3,00. Pende da essa palla, mediante un altro uncino , il filo inferiore G., capace di sostenere soltanto chilogrammi 1,00. In questa disposizione di cose , si prescrive di tirar giù appoco appoco colla mano questo filo C nella di- rezione della verticale, e si annunzia che romperassi il filo A che so- stiene la palla, e non mai quello di sotto C, quantunque la tenacità del primo sia tre volte maggiore della tenacità del secondo. Se poi, in vece di tirare il filo inferiore C lentamente , si tiri ad un tratto con grandissima forza , si romperà sempre esso, e non mai il filo A. Di fatti questo è ciò che accade, nè potrebbe essere diversamente. Il filo superiere A, sebbene abbia una tenacità per cui è atto a sostenere chilogrammi 3,00, pure essendo gravato di chilogrammi 2,90, quanti ne pesa la palla da lui sostenuta , è evidente che manca a romperlo solo una forza equivalente a chilogrammi 0,10. Quando si tira giù ver- ticalmente il filo C appoco appoco, si applica ad esso una forza che , minima in principio , va gradualmente crescendo. Ora egli è evidente che appena questa forza esercitata dalla mano arriverà a rappresentare un poco più di chilogrammi 0,10 ( per es. chilogrammi 0,20 ) questo peso ( insufficiente a rompere il filo inferiore G che può sostenere chilogrammi 1,00 ) aggiunto ai chilogrammi 2,90, peso della palla di cui è già gravato il filo superiore A , formerà una forza o un peso to- tale di chilogrammi 3,10, superiore a quello di chilogrammi 3,00 che solo può esser sostenuto dal filo A, il quale però dovrà rompersi , 143 mentre il filo C, capace di sostenere chilogrammi 1,00 e gravato sol- tanto di chilogrammi 0,20, resterà saldo. Ben diversa è la cosa quando, invece di tirar giù il filo C appoco appoco , sì tira ad un tratto con grandissima forza. Questa grandissima forza essendo molto superiore a quella sufficiente a rompere il filo C, che primo la riceve , lo rompe di fatto istantaneamente, nè gli lascia il tempo o il modo di trasmettere al filo superiore A quella , comun- que piccola, che occorrerebbe per romperlo. Si dice che i principii derivanti da queste esperienze potranno es- sere utilmente applicati all’uso delle funi. Noi non sapremmo dedurne altre conclusioni che le seguenti evidentissime e notissime, cioè: 1." che qualunque fune, filo ec. sostiene un peso o resiste ad una forza eguale alla sua tenacità, ed è rotto da un peso o da una forza maggiore ; 2.° che in qualunque fune, filo ec. , già gravati d’ un peso inferiore alla totale loro tenacità , non bisogna considerare altra tenacità che la residuale. Così nella prima esperienza il filo A, quantunque abbia una tenacità totale di chilogrammi 3,00, pure impiegandone a sostener la palla una di chilogrammi 2,90 , non glie ne resta che una di chi- logrammi 0,10 inferiore a quella di chilogrammi 1,00 di cui gode il filo C; però l’ applicazione d’ una forza incapace di romper quest’ul- timo può servire e serve a rompere il primo. Da qualche tempo il cloruro di calce è impiegato in diverse arti industriali. Nel suo stato di purità contiene per ogni chilogrammo 101,71 litri di cloro alla temperatura di o , ed alla pressione di me- tri 0,706. Ma quello che si trova in commercio ne contiene ordinaria- mente una proporzione minore. Questa proporzione è variabile , e da essa dipende l’ efficacia del cloruro , come è giusto che ne dipenda il valor commerciale. Il sig. Walter propose di stimare questa efficacia e però questo valore per mezzo dell’ azione scolorante del cloruro sopra una solu- zione d’ indaco nell’ acido solforico. Il sig. Gay-Lussac perfezionò que- sto metodo e vi applicò uno strumento detto clorometro. Ma furono riconosciuti in questo metodo alcuni inconvenienti, per i quali non corrisponde opportunamente ai bisogni del commercio e dell’ indu- stria. Il primo inconveniente consiste in questo che l’azione scolorante prova delle modificazioni dipendentemente dalla rapidità con cui è operato l’ effetto, essendo notabilmente maggiore quando il cloruro è versato prontamente, che quando è versato lentamente, o a piccole dosì successive. Segue da ciò che una stessa dose di cloruro , fra le mani di due operatori, o impiegata in due modi diversi, ha dato dif- ferenze notabili, e che talvolta hanno oltrepassato 30 per 100. Un al- tro inconveniente, che diminuisce la precisione dei risultati del cloro- metro, è il vario modo di scolorazione che il cloro induce nella solu- zione d’indaco. Per un’ azione completa il liquido divien bruno, ma prima presenta delle tinte verdi intermedie, risultanti dalla mescolanza 144 del turchino della parte d’ indaco non scomposta col bruno giallastro di quello che ha subìta 1’ azione del cloro. Le istruzioni del sig. Gay- Lussac indicano come il punto, a cui conviene arrestarsi, la finta leg- germente verdastta; ma questa indicazione non è nè può esser precisa, e può condurre a differenze molto notabili, circostanza che cagiona delle questioni nelle transazioni commerciali. Il sig. Morin, chimico-farmacista di Ginevra , ha proposto di so- stituire al solfato d’ indaco una dissoluzione di cloruro di manganese. Questo cloruro e quello di calce si scompongono reciprocamente ; si forma del cloruro di calcio che riman disciolto , del perossido di man- ganese che si precipita, e del cloro che si sprigiona. Operando con una soluzione di cloruro di manganese d’un grado determinato, e ces- sando di versarne all’ istante in cuì cessa di formarsi del precipitato, si può concludere la ricchezza del cloruro di calce dalla quantità di soluzione impiegata. Ma questo processo richiede molto tempo e delle manipolazioni troppo delicate per un modo di prova destinato al com- mercio. Ora il sig. Marozeau propone d’ impiegare il protocloruro di mer- curio , che è insolubile nell’ acqua ed anche nell’ acido idroclorico , ma di cui il cloro opera prontamente la dissoluzione completa, facen- dolo passare allo stato di deutocloruro. Ecco il di lui processo fondato ‘È su queste proprietà. Si prende una soluzione di protonitrato di mer- curio , vi si aggiugne una quantità più che sufficiente d’ acido idro- clorico per precipitare tutto il mercurio allo stato di protocloruro , e si versa nel vaso che contiene il precipitato ed il liquore acido una so- Inzione di cloruro di calce ; il cloro messo in libertà si porta sul pro- tocloruro di mercurio , il precipitato diminuisce gradatamente, e si cessa al momento in cui una goccia di cloruro di calce ne opera la dissoluzione totale. La quantità di cloruro di calce, impiegata per una quantità fissa di liquore di prova, indica la forza dei cloruri. L’autore ha composta a quest’effetto una tavola, la quale si accorda con quelle del sig. Gay-Lussac. (Annal. de chim. et de phys. Avril 1831, pag. 400, et Bibl. Univ. Septembre 1831, pag. 118). Si è parlato altra volta di quel bel colore turchino cui è stato dato il nome di oltremare artificiale. Il sig. Guimet, che ne ha da qualche tempo intrapresa la fabbricazione in Francia, perfezionandone e rendendone più economico il processo, è giunto a poterne ribassare il prezzo ad un segno, che permette di estenderne molto le applica- zioni e gli usi. Così in diverse arti e manifatture ha potuto esser so- stituito con vantaggio all’azzurro di cobalto, benchè pagato un prezzo alquanto più forte di questo , e ciò perchè la grande intensità del suo colore , e l’ estrema sua divisione, gli fanno produrre un effetto utile molto maggiore. Nelle fabbriche di carta, per esempio , è stato tro- vato che una libbra d’oltremare dà il richiesto colore azzurro ad una quantità di carta, che non riceverebbe un egual colore se non da dieci 1409 libbre del più bello e più fine azzurro di cobalto. Ha anche incomin- ciato ad essere impiegato utilmente per dare il colore azzurro a di- verse specie di tele, al quale ultimo uso è singolarmente adatto per non essere alterabile dalle sostanze alcaline anche caustiche. ( Anna!. de Chim. et de Phys. Avril 1831, pag. 431). Il sig. Bussy ha ottenuto il magnesio allo stato metallico , scom- ponendo il cloruro di magnesio per mezzo del potassio. Dopo di lui il sig. Liebig si è occupato dello stesso oggetto ed ha ottenuti li stessi risultamenti. Ecco il di lui processo più semplice e più facile di quello del sig. Bussy , almeno quanto alla preparazione del cloruro. Ridotto a secco per evaporazione un mescuglio a parti eguali d’ idroclorato di magnesia e di sale ammoniaco , si getta a pic- cole porzioni in un crogiolo di platino infuocato ; che si continua a scaldare fintantochè tutto il sale ammoniaco sia evaporato , e che il cloruro sia in fusione tranquilla. Esso forma una massa bianca , tra- sparente, e che ha molta rassomiglianza col minerale chiamato mica. S’ introducono in fondo ad un tubo di vetro perpendicolare dieci o venti piccoli globetti di potassio della grossezza d’ un pisello ; sopra questi si pone il cloruro di magnesio in pezzi, che si scaldano ( po- ‘nendo in mezzo ai carboni accesi la parte del tubo che li contiene ) fino ad un principio di fusione, ed allora inclinando il tubo si fa colare il potassio divenuto fluido a traverso del cloruro di magnesio. Questo vien ridotto allo stato metallico con sprigionamento di luce. In seguito si tratta con dell’ acqua la massa raffreddata , e si riunisce in fondo al vaso una quantità di piccoli globetti metallici d’un bianco argentino , lucentissimi, e durissimi. Si possono lavorare a caldo come il ferro, e si può limarli. Non si alterano nell’ acqua , o sia fredda o sia calda. Mescolati con del cloruro di potassio , e scaldati in un cro- giuolo di terra , diversi globetti si sono riuniti , ad una temperatura che non è sembrata superiore a quella a cui si fonde l’ argento. Il magnesio si discioglie a freddo nell’ acido acetico allungato , con spri- gionamento di gas idrogene , senza lasciare il minimo residuo, La dis- soluzione non contiene , oltre la magnesia, verun ossido metallico straniero. Coll’ acido nitrico si sviluppa, ad una temperatura ordi- naria , molto gas nitroso ;, e coll’ acido solforico dell* acido solforoso. Questo metallo scaldato all’aria o nel gas ossigene brucia col più vivo splendore alla temperatura a cui si rammollisce il vetro nero da bot- tiglie. La parte inferiore del vaso si trova coperta di magnesia , e nel posto in cui era il metallo si osserva una macchia nera che al sig. Liebig è sembrata del silicio , perchè non è disparsa per l’azione de- gli acidi bollenti. Il magnesio non si unisce al solfo mediante la fu- sione ; nel gas cloro s’infiamma. La sua dissoluzione nell’ acido sol- forico dà per evaporazione dei cristalli di solfato di magnesia puro. (Loi pag. 434, 437.) , T. II. Settembre Ig 146 Il sig. Davy aveva riguardato come possibile che , elettrizzandosi la morfina in contatto del mercurio , i di lei elementi allo stato na- scente formassero col metallo un amalgama simile a quello dell’ ammo- niaca, il quale potrebbe servire a schiarire la natura delle analoghe combinazioni ammoniacali. N Recentemente il sig. Brande ha intrapreso delle ricerche di que- sto genere sopra alcune delle nuove sostanze alcaline vegetabili. Nè la morfina nè la cinconina diedero risultato alcuno. Colla chinina il mercurio prese un aspetto fibroso, divenne meno fluido e quasi simi- le al burro; lo che poteva far credere che un principio metallico con- tenuto nella chinina si fosse unito al mercurio. Ma l’azione dell’acqua sul globulo metallico non avendo riprodotto nulla di simile alla chinina; e considerando il sig. Brande che piccolissime quantità di metalli es- tranei potevano avere influito a produrre quei fenomeni, intraprese delle esperienze per assicurarsi della purità della chinina impiegata. Sebbene essa fosse interamente solubile nell’ alcool purissimo , e seb- bene la sua dissoluzione nell’acido idroclorico saggiata coi reagenti ordinarii non desse indizio di calce, pure bruciata in crogiuolo di platino , e disciolta la cenere residua in acido idroclorico, questa solu- zione lasciò riconoscere la presenza d’un poco di calce. I solfati di morfina , di cinconina, e di chinina purissimi non hanno dato alcuna delle apparenze che sopra, le quali si sono manifestate ogni qualvol- ta alle sostanze alcaline vegetabili era mescolata qualche impurità. (Bibl. Univ. Avril 1831, pag. 375.) Se una mescolanza di nitrato e d’idroclorato d’ammoniaca, posta in un vetro da orologio coperto da altro vetro simile, si faccia fondere ad un moderato calore, come quello d’una lampada a spirito di vino, il vetro inferiore sarà corròso fino alla metà circa della sua grossezza, nè va esente da qualche corrosione anche il superiore. Dalla porzione di vetro così scomposto tutto l’ alcali è separato, e resta la silice sotto la forma d’una sostanza opaca, biancastra, e che presenta così poca consistenza, da essere raschiata dalla punta d’un coltello. Il vetro verde è scomposto meno facilmente, per la sua più grande durezza, e perchè non contiene piombo. Anche il solo nitrato , fuso egualmente fra due vetri da orologio, produce una leggiera corrosione , ma colla mescolanza dei due sali l’effetto è così notabile, che alcuno il quale operasse sopra un minerale incognito, ignorando questa proprietà, sa- rebbe indotto ad attribuire la corrosione del vetro alla presenza del- l’acido fluorico. Se si consideri che quest’effetto deve dipendere dallo sprigionamento dell’acido idrocloronitrico, e forse da quello del solo acido nitrico concentrato, si riconoscerà non essere improbabile che simili casi avvengano in alcuno degli ordinarii processi. d’analisi; e potrebbe così spiegarsi come in alcuni minerali, per esempio nella condrodite , alcuni abbiano creduto trovare dell’acido fluorico, che altri non vi hanno trovato. (Bibl. Univ. Juin 1831, pag. 215.) re _TcrT___——_—_—_—_—_T_—_—_—rcpper o 147 Il prof. Wurzer di Marburg ha trovato nel sangue umano un poco di manganese. Seccato il sangue, e scaldatolo fino all’infuocamento in un crogiuolo aperto, unì del nitrato di potassa al residuo , all’oggetto di ossidare i metalli che vi fossero contenuti. Bagnata la materia con acqua, la disciolse in acido idroclorico, e precipitò dalla soluzione il ferro per mezzo del succinato d’ammoniaca. Siccome il precipitato conteneva anche un poco di fosfato di calce , fù calcinato di nuovo, ridisciolto in acido idroclorico, e precipitatone il fosfato di calce per l’affusione dell’alcool, scacciato il quale per mezzo del calore, fù precipitato il ferro coll’ ammoniaca. Feltrato il liquido, e fattolo bol- lire con del carbonato di soda, fu precipitato il manganese. (Ivi pag. 216.) Ecco un nuovo processo per ottener l’urèa, proposto dal signor Berzelius. Si fa evaporare dell’ orina recente, e si tratta con alcool il residuo , del quale vien disciolta una parte. Evaporando la soluzione alcoolica , si ottiene una sostanza gialla che si fa disciogliere in una piccola quantità d’acqua, e digerire con un poco di carbone animale, fintantochè abbia perduto tutto il suo colore. Si feltra la soluzione , si scalda fino a 4o gradi Rèaum. e si aggiugne tanto acido ossalico quanto ne può esser disciolto a quella temperatura: per il raffredda- mento sì depositano dei cristalli bianchi d’ ossalato d’urèa. Se, in vece di scaldare fino a 4o gradi, si alza la temperatura del fluido fino a 80, la soluzione diviene brunastra , e tramanda un odore spiacevole ; al- lora i cristalli d’ossalato d’urèa, che se ne ricavano, sono rossi, o rossi- bruni, e non perdono questo colore che per l’aggiunta d’ una piccola quantità di carbone animale. Facendo evaporare lentamente il liquido ad un calor dolce, sì continua ad ottenere dei cristalli, dei quali si può accrescere la quantità aggiugnendo altro acido ossalico subito che il liquido si condensa e perde il suo gusto agro. Si raccolgono tutti questi cristalli, si lavano con acqua freddissi- ma, quindi si fanno di nuovo disciogliere nell’ acqua bollente con un poco di carbone animale ; dalla soluzione raffreddata si vede separarsi l’ossalato d’ urèa sotto la forma di cristalli bianchi. Si sciolgono que- sti di nuovo nell’ acqua bollente, e vi si aggiugne del carbonato di calce polverizzato, finchè il liquido cessi d’arrossare la tintura di lac- camuffa ; si separa per feltrazione il precipitato, che è ossalato di cal- ce, e, facendo evaporare il resto del fluido , si ottiene una massa bianca simile a del sale, che è dell’ urèa mescolata ad un poco d’ ossalato di potassa , di soda, e d’ammoniaca. I due primi sali provengono, o dal- l’acido ossalico , o dall’orina, quando per togliere tutta l’acqua all’al- cool vi è stata disciolta della potassa o della soda; 1’ ossalato d’am- moniaca proviene dai sali ammoniacali che si trovano nell’orina, e che sul principio dell’ operazione sono disciolti dall’ alcool. Facendo bollire nell’ alcool concentrato la massa cristallizzata, si precipitano gli os- salati. 148 L’ossalato d’ urèa ha un gusto agro , e cristallizza sotto forma «i dendriti. Questi cristalli si fondono riscaldandoli, quindi entrano in ebollizione , lasciando esalare del carbonato d’ammoniaca e dell’acido cianico , scomponendosi l’acido ossalico in acido carbonico ed in os- sido di carbonio. Questi cristalli sono solubilissimi nell’ acqua calda, ed anche nell’ acqua a 12 R. Cento parti d’acqua disciolgono soltan- to 4,37 parti di questo sale ; se si aggiunga alla soluzione dell’ acido ossalico , si precipita una parte dell’ urèa. L’alcool non ne discioglie che pochissimo ; 100 parti d’ alcool della densità di 0,833 disciolgono alla temperatura dì 12 R. soltanto parti 1,6 d’ossalato d’urèa. Secondo l’ analisi che ne ha fatta il sig. Berzelius , questo sale è composto di 37,47 d’acido ossalico , e di 62,564 d’urèa ; la quantità d’ossigene con- tenuto in questa, essendo a quella che ne contien l’acido nel rapporto di 2 a 3, non contiene acqua di cristallizzazione. (Ivi pag. 217.) VARIETA. I) sig. Ritter, giardiniere del giardino imperiale di Vienna, in un viaggio da lui fatto all'isola di Haiti, arrivato nella più calda stagio- ne ad una catena di montagne, che al nord della città di Gonoives si stende fino al Capo a Foux, e restatovi qualche tempo, osservò il lì 16 febbraio 1821 il seguente singolare fenomeno. A tre ore pomeridia- ne fu veduto sulla cresta della montagna un fumo ed un vapore, che comparvero presso a poco in dieci punti distinti, egualmente distanti uno dall’altro, e che si elevavano perpendicolarmente nell’ atmosfera. Succeduta al giorno una notte chiara ma senza luna, e però adattatis- sima all’osservazione , lo spettacolo divenne veramente maestoso. Si vide allora, in vece di vapore e di fumo, un gran getto di fuoco, che scaturiva continuamente dalla terra, che talvolta sì impiccoliva come la fiamma d’una torcia, tal’ altra si elevava all’ altezza di più tese. Questa fiamma spariva di tempo in tempo, ma per ricomparire ben presto , presentando a vicenda i colori giallo , rosso , e rossastro. Questo fenomeno durò così fino alle 3 ore della mattina, momento in cui il sig. Ritter cessò d’osservarlo. Nella durata di questo spettacolo, i negri si posero a sedere avanti alle loro case, lo contemplarono con piacere , ma senza dimostrar sor- presa. Interrogati intorno a ciò dal sig. Ritter, risposero che ogni an- no, bensì nna sola volta, e sempre nella stagione più asciutta , osser- vavano questi fuochi , e che correva nel paese l’opinione che le piante cresciute nella stagione delle pioggie si accendessero allora, in conse- guenza d’ un’ ardente aridità. Il sig. Ritter avrebbe desiderato di salire sulla cima della monta- gna, ed osservarvi la causa del fenomeno , ma la difficoltà somma che questa salita presentava , l’ avere i negri ricusato d’accompagnarlo, ed altri ostacoli , glielo impedirono. Egli potè appena giugnere con gran «i 149 fatica al quarto dell’altezza totale della montagna, ove non osservò uè aumento di calore nè odore alcuno ; egli non vide altre piante che una graminacea molto abbondante, la quale sparsa in cesti numerosi, e munita di foglie dense ed a grosse filamenta , poteva essere una delle cause di quei fnochi. Per altro sembra più ragionevole la spie- gazione che di questo fenomeno ha dato Leonhard nell’ eccellente sua opera Agenda Geognostica ultimamente pubblicata, riguardandolo come l’effetto d’ una eruzione gazosa, da credersi piuttosto d’ idrogene fo- sforato , il quale si accende spontaneamente al contatto dell’aria , che di gas idrogene pura o carbonato , come, forse per errore di stampa, si legge in quell’ opera , gli ultimi due gas non godendo della stessa proprietà. (Bibl. Univ. Avril 1831, pag. 365). Un accidente, avvenuto nella miniera di carbon fossile 'magrissimo di Wandres vicino a Liegi, prova che i pericoli dell’infiammazione del gas idrogene carbonato non si limitano alle sole miniere di carbon fossile grasso, o ricco di bitume. Il dì 23 novembre 1830, i due commessi ed il capo dei lavoranti di notte della miuiera indicata, essendovi discesi per prendere la lun- ghezza d’una galleria d’a/lungamento, sono stati bruciati in un modo terribile : fortunatamente il danno non fu giudicato mortale, e vi era anche la speranza che niuno di essi resterebbe storpiato. Il più dan- neggiato è stato il capo dei lavoranti di notte , perchè si trovava nel basso dell’apertura, ove la fiamma è stata più viva, quantunque l’ac- censione abbia cominciato in alto; al qual proposito è da osservare che nelle infiammazioni di questa specie la fiamma procede o si avan- za sempre verso la parte opposta a quella donde accorre l’aria. Il capo dei lavoranti di giorno, il quale si trovava otto passi soltanto più ad- dietro del suo compagno , non è stato offeso. Siccome fin quì non si aveva apprensione alcuna di pericolo nelle miniere di carbone magro, però in quella di Wandres non si faceva uso di lanterne di sicurezza, nè ‘vi si praticavano altre precauzioni , che questo disgraziato accidente impegnerà ad adottare. (Annal. des mines 5 livrais. 1830, pag. 320.) Un altro accidente assai più funesto accadde il dì 2 febbraio 1830 in un’ altra miniera di carbon fossile a Bois-Monzil al nord-ovest di S. Etienne. In questa miniera l’ escavazione si eseguisce sopra due strati paralleli ed assai considerabili di carbon fossile , ai quali è interposto uno strato o piuttosto un masso di gres schistoso della grossezza di otto metri. In vicinanza degli attuali lavori sotterranei esistono grandi ca- vità prodotte da antiche lavorazioni, e che erano piene d’ acqua , in- sinuatavisi a poco a poco. Questa circostanza essendo nota da molto tempo per delle feltrazioni, ed anche per alcune eruzioni ed inonda- zioni avvenute , delle prudenti esplorazioni precedevano per sistema l’ avanzamento delle gallerie. Ma da qualche tempo essendo quasi af- fatto cessate quelle feltrazioni, le precauzioni erano trascurate, e si lavorava con molta confidenza, 150 Mercoledì 2 febbraio a cinque ore e mezzo della mattina i lavo- ranti entrarono nella miniera in numero di ventisei, uscendone cin- que altri che avevano lavorato la notte. Dodici si distribuirono nello strato superiore, quattordici nell’inferiore. Verso le ore sette, un commesso, per nome Bonnin, scese nella miniera per farvi un’ispezione; così il numero degli individui esistenti nella miniera arrivò a 27. A ore sette e mezza circa fu sentito nella miniera un romore simile a quello di più colpi di tuono, l’aria fu violentemente agitata, e la maggior parte delle lanterne furono estinte. Un picconiere , chiamato Antonio Chausson, lavorando nell’estremità della seconda galleria , venne ad incontrare le indicate cavità dei lavori antichi, aprendo così l’ uscita ad un’ immensa quantità d’ acqua, che si precipitò con fracasso nella miniera , trascinando seco i legnami delle armature, e dei massi enormi. In quel momento quattordici lavoranti ed il commesso si trovavano nello strato inferiore. Sentendo quell’ orribile rumore, gri- darono : ecco 1’ acqua , si salvi chi può , e fuggirono tentone per di- verse vie cercando l’ uscita. Uno di essi trascinò seco per forza un ragazzo, che spaventato ricusava di seguirlo , ed arrivato ad un certo punto avvertì due picconieri, che occupati nel lavoro non conòscevano il pericolo in cui si trovavano. Soli undici degli individui, che erano allora in diverse parti dello strato inferiore, arrivarono così a salvarsi, altri due erano vicini all’uscita quando furono sopraggiunti dalle acque ed annegati. Il commesso ed un lavorante , che sì trovavano al fondo d’un pozzo, furono sorpresi dal torrente, e doverono perire quasi in- stantaneamente. Quanto ai dodici lavoranti che erano nello strato su- periore , essi vi restarono rinchiusi, nè poterono fuggire, non avendo altra uscita che una sola galleria situata al basso dello strato , e nella quale le acque si erano precipitate. Primo pensiero del macchinista fu di sostituire ai piccoli bigonci da carbone grandi bigonci da acqua, e fare lavorare la macchina a va- pore colla più grande attività. Il direttore ed i lavoranti scampati informarono subito di questo disgraziato avvenimento i proprietari della miniera, i quali discesi al livello delle acque , ed avendo riconosciuto essere impossibile il pe- netrare nell’ interno dei lavori ove si trovavano quelli sventurati , inviarono tosto a S. Etienne a cercare gl’ ingegneri sigg. Delsériès e Gervoy, i quali accorsero immediatamente insieme col sig. Rollet geo- metra dell’ impresa, incaricato da qualche tempo di levar la pianta dei lavori. Convintisi anch” essi dell’ impossibilità di penetrare nell’inter- no dei lavori, rivolsero le più grandi premure al più sollecito esau- rimento delle acque. Misurata l’altezza di queste nei pozzi, ed esa- minato il taglio o spaccato unito alla pianta dei lavori , riconobbero che una gran parte dello strato superiore non era invaso dalle acque, e dichiararono potersi sperare che i lavoranti, che vi erano rimasti chiusi, fossero in vita, e potessero esser salvati. Però, invocato e tosto ottenuto da S. Etienne e dalle altre miniere vicine ogni genere di 151 soccorsi , in uomini , trombe; strumenti, arnesi, ec., forzarono quanto mai fosse possibile 1’ estrazione delle acque. La mattina del giovedì le autorità di S. Etienne e luoghi vicini si portarono sul posto,e già fino dal giorno avanti vi erano accorsi gli allievi della scuola dei mi- natori, che prestarono la loro opera fino alla fine. Nello stesso giorno di giovedì fu acquistata la certezza che degl’ individui vivevano ‘an- cora nell’ interno della miniera; la qual circostanza , ravvivando la speranza di salvarli , accrebbe immensamente lo zelo e gli sforzi di tutti quelli che sì occupavano per la loro liberazione. Gl’ ingegneri , informati che a due lavoranti era riuscito di penetrare per un passo an- gustissimo in una parte dei lavori dello strato inferiore , vi sì stra- scinarono anch’ essi col ventre a terra, unitamente ad alcuni allievi, e visitate tutte le gallerie situate nella parte più elevata dello strato inferiore, non vi trovarono veruno , nè alcuno rispose ai loro gridi. Ma avendo essi ordinato ad un lavorante di battere fortemente con una mazza di ferro nel tetto della galleria, ed avendo questo dati tre coi- pi ; staccati uno dall’ altro, ebbero la fortuna ed il conforto di sen- tir ripetere li stessi tre colpi dalla parte ove supponevano trovarsi i disgraziati minatori. Rinnuovato più volte lo stesso segnale ,.e ricevuta sempre la stessa risposta, non rimase dubbio intorno alla loro esi- stenza. Consultati allora il direttore , il proprietario , ed il geometra del- l’ impresa , intorno alla relazione che esisteva fra la posizione da essi occupata e quella in cui si trovavano chiusi i minatori , riconobbero che per arrivare a questi bisognava fare , sia nella pietra, sia nel carbone , un traforo di circa 18 metri di lunghezza. Una galleria si- mile già eseguita in quella vicinanza , a cottimo , aveva costato un mese di lavoro sostenuto giorno e notte. Sebbene questo dato fosse poco proprio a dar coraggio, pure la considerazione che in circostanze simili la forza degli uomini può accrescersi grandemente , e la deter- minazione d’esaurire ogni possibil mezzo di salvezza , fecero risolvere a cominciare immediatamente quella galleria, ed a fare anche dei fori collo scandaglio per tentare di entrare più presto in comunicazione con quegl’ infelici. A 7 ore della sera del giovedì i minatori incomia- ciarono questo lavoro , e , non potendo lavorare che due alla volta , _ sì cambiavano frequentissimamente. Data a questo lavoro la direzione che suggeriva la pianta sotterranea della miniera , si aveva intorno alla sua esattezza qualche dubbio , che i prigionieri confermarono coi colpi che battevano di tempo in tempo , e che servirono a rettificare la direzione. Mentre si lavorava col più grande ardore a questa galleria , non sì rallentava punto il lavoro relativo all’ estrazione dell’ acqua. Alcu- ne difficoltà sopravvenute obbligarono a stabilire una catena d’uomini, per deviare delle acque che non potevano avere esito in altro modo. Mancavano le braccia. Datone avviso al Maire di S. Etienne , egli fece battere la generale nelle strade di quella città , e tosto le guardie na- 152 zionali si unirono agli allievi della scuola dei minatori per formar la catena , che sodisfece all’ oggetto proposto. Le autorità civili e mili- tari usarono ogni cura per assicurare questo servizio , e dei picchetti di guardia nazionale a cavallo furono messi a disposizione degl’ingegneri per trasmettere con celerità e fare eseguire qualunque domanda sug- gerissero le circostanze. Anche dalle miniere circonvicine accorsero i lavoranti coi loro direttori a prestare la loro opera ed assistenza. Sul fine della notte dal giovedì al venerdì, essendo avvenuto qual- che sconcerto nell’ azione delle trombe , la guardia nazionale e la po- polazione dei contorni, che erano accampate in vicinanza , bramose di contribuire alla liberazione di quegl’ infelici , entrarono fretto- losi nella miniera, e vi formarono una doppia catena di circa dugento uomini, che prestò utilissimi servigi. Gli uomini che formavano queste. catene si cambiavano ogni tre ore. La sera del sabato il progressivo abbassamemto delle acque lasciò a scoperto i cadaveri di due minato- ri, rimasti sommersi mentre cercavano di salvarsi. L’abbassamento delle acque aveva reso facilmente PEA It il luogo ove si scavava la galleria, che doveva servire a liberare i minatori imprigionati. A malgrado del più grande ardore con cui fu proseguito un tal lavoro , la durezza d’ alcuni dei materiali incontrati , ed altre difficoltà, non lo facevano avanzare con quella rapidità che si sarebbe desiderata. La domenica , a quattro ore della mattina , fu incontrato lo strato superiore di carbon fossile , che solo restava da traforarsi per arrivare ai minatori rinchiusi. La durezza eccessiva di questo car- bone rendeva il lavoro, molto lento. Di più 1 aria di quella galleria era divenuta talmente impura che i lumi vi si estinguevano. A que- st’ ultimo inconveniente fu presto riparato con stabilire un ventilato- re. Mala lentezza del lavoro, facendo ragionevolmente temere che non sì potesse arrivare a quegl’ infelici in tempo per salvarli , fù risoluto di sospendere l’ escavazione della galleria, per fare nello strato del carbon fossile dei fori collo scandaglio in varie direzioni , all’ oggetto d’ entrare più presto in comunicazione coi rinchiusi, e porgere ad essi dei soccorsi, che permettessero di continuare , senza pericolo della vita loro , l’ escavazione della galleria che doveva liberarli. La dire- zione, secondo la quale fu incominciato un primo foro non era giusta , di che gli operatori furono fatti accorti dai colpi di mazza che i pri- gionieri battevano. Incominciato un secondo foro in altra direzione, quei colpi cessarono ; lo che persuase gl’ ingegneri che questa secon- da direzione fosse la vera , come era di fatto. Prolungato il foro per cinque metri e trenta centimetri , lo scandaglio penetrò nella galleria ove erano chiusi i minatori , d’ uno dei quali, che l’afferrò , fu tos- to intesa la voce. Erano le ore cinque di mattina del lunedì, quando i liberatori per mezzo del fatto foro entrarono in comunicazione coi prigionieri , dai quali intesero che essi erano in numero di otto , tutti vivi ed in buono stato. I medici di S. Etienne , che erano stati organizzati in servizio per» 153 manente , scesero subito nell’ interno della miniera , e trasmisero ai poveri prigionieri , per il foro suddetto, dei tubi di latta pieni d’ un brodo leggiero , e dell’ acqua di Colonia. Fatta loro prendere la quantità e qualità di nutrimento che con- veniva a stomachi indeboliti da un digiuno di cinque giorni , fu con- tinuata attivamente la galleria nella direzione del foro fatto. Verso le quattro ore della sera parve che gli otto lavoranti rinchiusi fossero quasi tutti assopiti ; le loro voci erano indebolite. Taluni crederono che essi provassero un principio d’ asfissia , altri pensarono che quel- l’ assopimento fosse piuttosto 1’ effetto d’ una prima digestione. Non essendo possibile insufflar dell’ aria o dare ad essi altri soccorsi senza sospendere il lavoro che doveva veramente liberarli, fu deciso , di concerto coi medici, di affrettare 1’ escavazione della galleria , la quale essendo rimasta terminata il lunedì 7 febbraio a ore 10 della sera, i rinchiusi furono trovati in uno stato di salute più sodisfacente che non si pensasse alcune ore prima. I medici, che aspettavano nella galleria , avevano seco tutti i ri- medii dei quali potevano supporre possibile il bisogno , ma non vi fu luogo ad impiegarne alcuno ; riuscirono inutili anche le portantine che erano state fatte venire per (ET giacchè , ben coperti e soste- nuti dai medici, dagl’ingegneri , e dai loro compagni , camminarono da loro stessi , e solo uno, arrivato all’ aria libera, ebbe bisogno d’es- ser portato. Passando fra due file di guardie nazionali , ed in mezzo ad una popolazione bramosa di vederli, furono condotti in una casa vicina , ove erano preparati dei letti ed ogni cosa occorrente, e dalla quale il giorno seguente furono portati all’ospizio di S. Etienne, dal quale escirono il 17 in buono stato per tornare ai loro lavori. Appena messi in salvo gl’ individui restati vivi , furono riprese le ricerche ed i lavori necessarii a ritrovare i cadaveri degli estinti, i quali furono trovati di fatto, ad eccezione di quelli del commesso Bonnin e d’ un minatore per nome Giacomo Servanton, rimasti sotto le acque ed i rottami in un luogo profondo, donde non si poteva sen- za rischio tentar di estrarli. Così di ventisette individui, che si trovavano nella miniera al mo- mento della catastrofe , otto son morti , o annegati o asfissi, undici sono scampati immediatamente, e gli altri otto sono stati liberati dopo aver passate centoventi ore senza pigliar nutrimento, e dopo esser ri- masti chiusi per centotrentasette ore. (/vi pag. 213). Il capitano Webster ha inviato a Londra dal capo Horn la figura e dei granì e semi d’ un faggio sempre verde ( Fagus antartica ), al- bero che cresce altissimo sulle coste marittime, e vi produce una per- petua e vivacissima verdura. Tale faggio è assai bello a vedersi nella suna giovinezza, e sarebbe adatto più d’ ogni altro a decorare i nostri boschetti d’ inverno. Giunto al suo maggiore incremento ( nella sua T. HI. Sertembre 20 154 terra nativa ) presenta ‘una serie di fenomeni dei quali non ci si dà idea alcuna ‘dagli alberi nostri. Esso , per esempio , verso la sommità del tronco e sui grossi rami si cuopre ‘d’una prodigiosa quantità di funghi di color giallo aranciato della ‘grossezza d’un piccolo pomo. ( Bibl. Ital. luglio 1831 , pag. 142). G. G. GEOGRAFIA. Programma d’ Associazione ad un nuovo Atlante geometrico della To- scana nella proporzione al vero di 1 ad 86400. (V. il Bull. bibl.) Quello che avevamo con tanto piacere annunziato (V. Ant. N.° 115 p. 91), la carta della Toscana condotta nella proporzione di 1 a 86,400, con l'indicazione di tutte le particolarità più minute che possano tornar necessarie o comode ad ogni genere di persone: strade regie e comunali, parrochie , ville, case campestri , confini d’ ogni comunità, coltura varia de’ terreni, inoltre i punti trigonometrici, l’altezza sul livello del mare , i luoghi di miniere e di bagni ; questa carta, io dicevo, ci viene ora promessa in XXVI distribuzioni, ciascuna al prezzo di cinque paoli to- scani. Per farne la raccomandazione e l’ elogio basta ripetere ch’essa porta in fronte il nome illustre del Padre Inghirami; € che alla To- scana, per essere il paese meglio geograficamente illustrato, null’altro manca se non questa Carta che si può chiamare di lusso , ma che farà tanto piacere. ai dotti e tanto onore all’ Italia, Per invogliare ad acquistarla non solo gli amatori delle cose geografiche ma tutti co- loro a cui la spesa mensile di cinque paoli non è grave, basterà ram- mentare che ad un cittadino è vergogna non conoscere la propria pa- tria, e che per conoscerla convien cominciare dall’ averne sott’occhio il disegno topografico che ne indichi la superficie e i confini. X. NECROLOGIA. BernarDINO RENIER. Bernardino Renier patrizio veneziano morì in Padova il dì 2 set- tembre 1831 in età d’anni 69. Fu uomo di grande intelletto, e non men bella ebbe la persona che l’animo. Giovinetto ancora si diede allo studio delle più severe discipline, e al ben fare incitavalo la preclara matrona Caterina Berlendis Renier madre di lui. La quale donna , che era di alto spirito , raccoglieva a se d’ intorno gli uomini più potenti della 155 sua patria e gli ingegni più specchiati dell'età, e fu principalissima protettrice di Antonio Canova giovinetto ; s'adoprò efficacemente acciò ottenesse quello stipendio ch’ebbe dal senato veneto, e più che altro lo raccomandò al cavaliere Zulian suo amicissimo, ed indi a lui cele- bre mecenate. Di ciò nessuno dei biografi del Canova favella. Allorchè il Renier indossò la toga dei patrizi, tutto diedesi ad im- parare quello che giovargli potea a bene governare la repubblica , ed in ispezieltà le istorie di essa e le leggi. Senza la caduta di quel go- verno ne sarebbe giunto a’ primi onori, ma nato in età infelicissima vide il turbine avvicinarsi, il quale scompaginando tutta l'Europa rav- volse nelle sue rovine anche il veneto dominio ; e gemeva con altri po- chi, perchè sapea non poter Venezia resistere a tanta forza che stava per piombarle dall’ Alpe, e perchè vedea la patria ridotta a quello stato di vecchiezza che degli imperii come degli uomini precede la fine. Nel- l’estremo giorno il Renier con tutte le sue forze s’ adoprò ed ottenne ei solo, che i furori dell’anarchia non distruggessero la sua città, alla quale dopo tanta gloria e potenza e ricchezze soprastavano così diversi destini. La istoria futura , scevera da ogni spirito di parte , favellerà onoratamente di lui nel far parola del, giorno 1% maggio 1797. Fu Savio alli ordini,, primo, magistrato che .ia Venezia avessero i giovani; di là a non molto, Savio di terra ferma alla scrittura, che cera quello che. adesso si chiamerebbe ministro della guerra. Ma guerra, non era stata da un secolo , che tale non ponno chiamarsi quelli acri combat timenti dell’ ammiraglio Angelo Emo contro ai, barbareschi di Tunisi; quindi le milizie, la militare disciplina ridotta un’ombra. Locchè vide il Renier , e per quanto stava in lui cercò ammigliorare le cose guer- resche. Però ogni ammiglioramento divenia malagevole, e solo otte- nerlo si potea da que’ cambiamenti i quali reputavano a buon senno necessari, alcuni savii e poco creduti e molto ingiuriati cittadini , che erano senza le superbie dei doviziosi e degli oligarchi avidi solo. del dominio, e senza la ingordigia dei nobili poveri i quali nulla cercano che la ricchezza, e sono nelle aristocrazie di. grandissimo danno al comun, bene. Finita la repubblica, cambiato l’aspetto della città natia, Bernar- dino Renier non seppe restarsene tranquillo spettatore de’suoi mali, si ritrasse in Toscana , dipoi a sfuggire le persecuzioni riparò a Parigi, dove fermò stanza per quindici anni, del continuo onorato ed amato dai più potenti. Nè blandimenti, nè timori valsero a smuovere quel suo animo repubblicano e persuaderlo a pigliare i nuovi uffizi che desti- navagli chi reggeva allora le sorti dell'Europa, nè lo sedussero grandi onori, nè splendide assise. Per il che cadde nella disgrazia dell’ Imperatore Napoleone, ma il- libato di animo, securo della coscienza, visse tranquillamente, spendendo Ja vita nelli studii, il suo ricco patrimonio nelle beneficenze. Finita Venezia, un’ altra patria sperava, l’Italia, la quale credette rifacesse Napoleone, e alla quale, se fosse stata veramente Italia, avrebbe ogni 156 cosa sagrificato. Ma colla caduta del gran colosso gli parve delusa an- che questa speranza, ritornò alla terra natia dove finì i suoi giorni, e il desiderio del bene vero della patria comune fu l’ultimo de’ suoi voti, come l’amore per essa era stato uno de’suoi più vivi affetti. Dedicatosi in gioventù alle scienze matematiche, tutto corse quel- l’astruso reame ; nulla eravi per lui d’ignoto e ne dettò alcune scrit- ture. I più valenti cultori di quelli studii grandemente lo riverivano nè ì consigli di lui disdegnavano. Nelli ultimi anni del viver suo, de- dicò alla tilosolia della storia, la quale reputava studio utilissimo, non già perchè le nazioni sappiano torne ammaestramenti, ma perchè gli uomini savii ne traggono consiglio, come li sventurati conforto. Volea scrivere intorno a Venezia, l’istoria di cui diceva non ancor fatta , per- chè in quella che abbiamo non trovava se nou adulazioni o calunnie o fole di romanzo. Dagli antichissimi tempi scendendo all’età delle glorie venete, proseguire volea fino allo scendimento e alla fine della repubblica, sempre col paragone delle altre nazioni ed in inspezieltà delle altre parti d’Italia. Accennare volea le vere cause forse ancora ignote della rovina di Venezia, quali rimedii e quando avrebbero potuto ap- prestarsi; come non era finita nel giorno in che si crede dal vulgo , ma assai prima, e come la luce dell’ ultimo secolo fu quella del cre- puscolo che rischiara ancora la terra dopo che il sole già cadde. Tor- re volea ogni ingiuria dalla memoria di alquanti suoi contemporanei, provando che non avrebbero potuto fare altrimenti di quel che fecero in tempi difficilissimi, e mostrare la verità ignuda, quella verità la quale non mai torna gradita a coloro che si fanno dei fantasmi piacevoli o tristi, secondo che loro meglio s’affà la laude od il biasimo. Confessava egli sinceramente alcuni torti del veneto reggimento e quelli principal- mente che Geremia Bentham accenna come causa di tutte le imputa- zioni date a’nostri giorni a quel governo, cioè ricoprire la sua ragione di stato e talvolta la sua giustizia colle tenebre e col mistero. Ma se il Renier era convinto quei modi di reggere non essere consentanei al secolo nostro, nè ai grandi progressi dello spirito umano, sapientissimi li affermava come si guardi all’età in che vennero stabiliti. Per essi Venezia sfuggì quelle sventure , le quali distrussero le altre italiane repubbliche che non ebbero incominciamento più splendido della ve- neziana, le furono emule, e caddero per le male arti di alcuni pre- potenti cittadini i quali non trovando freno nelle leggi si fecero ti- ranni, o furono soggiogate dalli stranieri chiamati a comporre le anar- chie o moderare le tirannidi, e ne tolsero l’independenza, che i ve- neti per quattordici secoli conservarono, Avrebbe il Renier mostrato come, senza i singolari avvenimenti i quali capovolsero l'Europa al fi- nire dello scorso secolo , il dominio de’ signori veneziani sariasi fatto consentaneo alla moderna civiltà, e conservando quelle tante benedette istituzioni a prò delle minute genti, che dopo trenta anni le fanno pur anche piangere dai sudditi, e tolto ogni abuso per quanto puossìi nelle umane cose, sarebbesi reso ancora forte e avrebbe per molti secoli 157 fatta la felicità delle genti soggette. Le quali cose scritte senza ira nè studio potrebbero tornare d’utilità grandissima alla patria comune, per- chè varrebbero a distruggere quelle invidie municipali e quegli odii cronici che sono sempre mal seme di divisione fra le menti edi cuori italiani. Noi vorremmo pregare alcuno che, congiunto per nodi di quasi paterno e figliale affetto al Renier , udia per molti anni dalla sua voce î suoi pensieri a voler seguire le orme di lui e procacciare così a se medesimo onore, e alla patria comune bene non lieve, e alla me- moria di Venezia grata ricordanza. Fu Bernardino Renier d’animo caritativo ma inimico di ogni osten- tazione a tale che pochissimi seppero le di lui buone opere. Ebbe modi soavissimi nel conversare, il carattere però di lui era respettivo , tal- volta austero, a fidare in altrui difficile. Ebbe non molti amici, ma lungamente li conservò. La fortuna non seppe domare i suoi sentimenti nè alterarli ; fu prudente, accorto, ma sempre leale. Sapea talmente cat- tivarsi gli animi che nissuno partivasi da lui che non fosse più di se medesimo contento. Osservatore profondo del cuore umano sapea di- stinguerne le tempere ; delli ingegni, quale sapea aver bisogno d’inci- tamento e lo spronava, quale di freno e sapea moderarlo. Promosse li studii, largo fu di consigli e beneficenze alli studiosi. Parecchi uomini che sarieno vissuti oscuri trasse dalla mediocrità, ad altri, che per eventi strani o per le distrazioni della gioventù aveano il piede ri- torto dall’ intrapreso cammino , con dolci rimproveri, con esortazioni ridestò l’amore per le belle discipline della sapienza, e vi trovarono se non gloria e fama, almeno consolazione nelle miserie della vita e dei tempi. Fu la di lui vecchiezza immatura come la fine. Minacciato di apo- plessia, or son quasi dieci anni, mai più integra non riebbe la salute ; ma la mente di lui quasi fino alli estremi giorni fu chiara e perspi- cace, il suo dire eloquente, lo stile facile e piacevole. Tutta la lette- ratura moderna, tutti gli avanzamenti delle scienze conobbe, nè fu di quegli uomini che diremmo stazionarii, i quali apparata che abbiano una cosa in gioventù disdegnano proseguire nello studio, immemori che lo spirito umano progredisce sempre. Egli anzi proteggeva le nuove discoperte, e fu grande propagatore de’ migliori metodi dell’ agricoltura. Amava le arti belle, e ne parlava da artefice come quegli che in gio- ventù avea imparato a disegnare insieme col Canova, ma a queste e alle amene lettere preferiva quegli studii che tendono a rischiarare la ragione ed ammigliorare le sorti delli uomini. Lunghi ed acerbi dolori lo tormentarono fino alla morte, nè le as- silue cure dei più valenti fisici valsero a salvarlo , e a mala pena al- leviare poterono i di lui patimenti. Ma imperturbato sopportò con fer- mezza invitta d’ animo i suoi mali, che ebbero conforto per le affet- tuose sollecitudini della donna culta e gentile che s’avea eletta per compagna. Cara resterà la di Iui memoria non solo in chi fu a lui congiunto 158 per vincolo d’ antica amicizia, che nè il tempo nè l’assenza seppero menomare, e gli rendeva questo tributo d’ amore ; ma a quanti lo conob- bero. E se avvenga che i tempi concedano sia posta in luce alcuna scrit- tura sua, tutti diranno che uomo fu questo , e quale sarebbe stato se avesse sortiti i matali in altri tempi, se vissuto fosse in altre condi- zioni di patria. B. G. T. Gio. Luici Pons. Il di 14 ottobre del corrente anno 1831 mancò di vita quì in Fi- renze quello fra tutti gli astronomi osservatori che ha scoperto il più gran numero di comete, cioè il sig. Giovanni Luigi Pons, nato il di 25 dicembre 1761 a. Peyre nel Dipartimento delle Alte Alpi in Francia. Nell’ anno, 1789. egli entrò nell’ Osservatorio. astronomico di Mar- silia,, di cui era direttore. il sig. De S. Iacques , assistito dal sig. Thulis. suo aggiunto. Morto quest’ ultimo , il sig. Pons. gli successe in qualità, d’ aiuto del direttore. , e fù poi surrogato a questo allorchè egli pure, cessò di. vivere. Animato. da una vera passione per la pratica, osservazione, ed oc- cupandovisi con uno, zelo infatigabile , giunse a rendersi così,esatta- mente. noto e così familiare l’ aspetto. ordinario del cielo , da divenire singolarmente atto a riconoscervi qualunque accidente o novità. Però nel.corso di soli sette anni, dal 19 luglio,1801, all’ 11 settembre 1808, scoprì non meno di dodici comete. Di che il sig. Delambre., segretario dell’ Istituto di Francia per le scienze fisiche e matematiche , avendogli data la meritata lode nel tessere. l’ istoria dell’astronomia, ed, avendolo il Pons di ciò ringraziato con una sua lettera , il sig: Delambre glie ne scrisse in risposta una onorevolissima:sotto di rr marzo 1808., nella quale, per commissione dell’ Ufizio delle Longitudini, gli esprimeva l’interess» che questo preu- deva e seguiterebbe a prendere ai di lui lavori, ed il desiderio di provargli la stima che faceva della sua persona, e del suo attaccamento, all’ astronomia. Le sue indefesse ricerche conducendolo a nuove moltiplici scoperte, ne riscosse nuove e numerose testimonianze di stima ed anche qualche ricompensa. Così 1’ Accademia delle scienze , lettere ed arti di Marsilia, nella sua adunanza del 21 agosto 1812, gli decretò ad unanimità una me- daglia d’ incoraggimento. L’ Istituto di Francia nella seduta del 22 marzo 1819 approvò ad unanimità che la medaglia fondata dal sig. Lalande fosse in quell’anno conferita al sig. Pons. Lo stesso premio nell’ anno 1821 fu per giudizio dell’Istituto stes- so diviso egualmente fra il sig. Pons ed sig. Nicollet , per avere am- 159 bedne nello stesso tempo scoperto una cometa nella costellazione di Pegaso. Finalmente lo stesso premio, dallo stesso Istituto , fu pur diviso nell’ anno 1827 , e conferito per una metà al sig. Pons, e per l’altra al sig. Gambart , per avere scoperte , osservate , e calcolate tre co- mete. Anche la Società astronomica di Londra apprezzò conveniente- mente lo zelo di quest’ indefesso osservatore. Nella sua adunanza del 14 novembre 1823 decretò che la sua medaglia d’ argento fosse a lui conferita, per la scoperta fatta di due comete nei giorni 31 di mag- gio 13 di luglio 1822, e per la sua assiduità infatigabile in questo ramo d’astronomia ; e nel 22 giugno 1824 il sig. Baily, presidente della So- cietà stessa, con una lettera onorevolissima informò il sig. Pons che egli ne era stato eletto membro corrispondente , e che gli sarebbero inviate le memorie che essa aveva pubblicate fino allora e quelle che pubblicherebbe in seguito. Il numero totale delle comete scoperte dal sig. Pons in 26 anni, dal 12 luglio 1801 al 3 agosto 1827 , è di 37. Egli ne aveva già sco- perte ventitrè nell’ Osservatorio di Marsilia, allorchè nel 17 settem- bre 1819 da Maria Luisa di Borbone Infanta di Spagna e Duchessa di Lucca fu nominato suo Astronomo , e collocato nel nuovo Osservato- rio di Marlia. Soppresso il quale , fu eletto negli 11 Luglio 1825 da S. A. I. e R. Leopoupo II Granduca di Toscana per attivare ‘1’ Osser- vatorio astronomico del R. Museo, nel quale compiè la sua onorevole carriera. È anche di somma lode per lui la stima e l’ affezione che gli professava fra gli altri dotti il celebre Barone di Zach. Ma, oltre la stima che gli conciliarono generalmente presso tutti i cultori ed amatori delle scienze il suo zelo operoso ed i risultati onde fu coronato , le sue morali qualità, e soprattutto la sua somma mode- stia, lo resero caro a quanti lo conobbero ‘da vicino. G. G. 160 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO ANNES30 ALL'ANTOLOGIA I MONUMENTI dell’ Egitto e della Nubia , considerati in rispetto alla Storia, alla religione e alle usan- ze civili e domestiche dell’antico Egit- to; descritti secondo lo studio fattone in quelle contrade , negli anni 1828 e 1829 , dalle due commissioni scienti- fiche francese e toscana , e pubblicati sotto gli auspici dei governi di Fran- cia e di Toscana dai Sigg. CHampoL- LION minore e I. RosELLINI. Maniresto. 4 Avendo l’Egitto, tra le diverse contrade del Levante, più particolarmente fissato l’attenzione del- Ja dotta Europa , è divenuto lo scopo delle indagini di molti viaggiatori e l’ oggetto il più delle volte speciale de- gli studi della moderna erudizione. Questo paese, il quale divenne celebre fin dal momento che alcuni popoli , u- scendo dalla barbarie , mossero i primi passi nel cammino della civiltà, es- sendo collocato nel mezzo del mondo antico , è centro, per così dire, d’onde i rami diversi di tutta l’ antica storia divergono , ed esercita parti principali nelle rivoluzioni che hanno mutato l’a- spetto degl’imperi e modificato i destini dell’ umana specie. Ma le opere, fino a qui pubblicate intorno a questa importante parte del- l’ Africa , ci lasciano tuttavia in una ignoranza pressochè intera di tutto ciò che concerne il suo nazional culto e la sua storia, in quella lunga serie di secoli nei quali 1’ Egitto, governato da re indigeni, costituì a poco a poco la sua civile esistenza , gettò i fonda- menti della sua grandezza, attinse il sommo grado della sua prosperità, e discese alfine a quel periodo di deca- denza che il sottomise al giogo degli stranieri, aggravato sopra di lui fino da oltre 2300 anni. Nè la scienza sicura e piena del vero stato dell’ Egitto innanzi questa lunga e miseranda schiavitù , poteva infatti derivare dalle memorie sparse negli antichi autori greci o latini, uni- che fonti ove gli storici moderni ab- biano fino ad ora potuto attingere al- cuni documenti connessi e degni di qualche fede. Imperocchè tanta è la di- scordia e la dissomiglianza, specialmen- te nei racconto e nell’ordine dei fatti , tra le storie di Erodoto e Diodoro Sieu- lo, e gli autori che hanno compendiato i libri di Manetone , che, nel totale difetto di documenti autentici onde portar giudizio su testimonianze st divergenti, gli annali di quell’ Egit- to la cui sociale costituzione stette intatta per tanti secoli, anche innanzi |’ esistenza di tutti i grandi imperi co- nosciuti , occupano appena poche aride e confuse pagine nelle nostre compila- zioni di Storia universale. E pure nessun popolo antico ha la- sciato sul suolo, che abitò, tanti e sì grandi monamenti , di un caratte- re più vario e di una più alta impor- tanza per gli studi propriamente detti storici , come quelli che ancora sur- gono sulle due sponde del Nilo , dal Mediterraneo al cuore dell’ Etiopia: o- pere smisurate, rimaste quasi testimoni indestruttibili della potenza e della pie- tà degli Egiziani. Congetturavasi , è vero , e quasi senza dubitazione crede- vasi, che le vaste scene storiche e re- ligiose le quali, col perpetuo accom- pagnamento d’ innumerabili iscrizioni , rivestono le pareti tutte di quei templi e palazzi, contenessero le più autore- voli notizie intorno allo stato civile e politico dell’ antico Egitto; poichè que- ste iscrizioni e questi bassi-rilievi so- no, al pari degli edifizi che adornano, opere contemporanee ai fatti di che la memoria conservano: ma fino al prin- cipio del presente secolo, essendo l’ an- tica lingua degli Egiziani e il sistema ,della loro nazionale scrittura quasi af- fatto sconosciuti , la storia non poteva peranco arricchirsi di documenti così preziosi, campati alla distruzione dei secoli e alle depredazioni di tanti po- poli che successivamente occuparono le sponde del Nilo. Ma, per buona fortuna , la scienza disperò troppo presto di tòr via il velo che occultava a’ nostri occhi l’ intima natura dell’ egiziane scritture ; i lavori fatti da una Commissione scientifica, allorquando era l’ Egitto occupato da un esercito francese, avrebber dovuto sostenere questa speranza; poichè lo zelo di quei viaggiatori, riunendo le più ampie esposizioni intorno allo stato presente dei monumenti dell’ Egitto, aveva con rara fedeltà dimostrato alla dotta Europa le più belle opere del- 1’ architettura egiziana : aveva disegna- to molti bassi-rilievi che offrivano già alcune nozioni generali culto dell’ Egitto antico, e pubblicato vari fac-simile d° iscrizioni e di ma- nuscritti egiziani, materiali a buon drit- to desideratissimi dai filologi, poichè questi testi soli potevano servir di fon- damento certo alle indagini sull’ an- tico sistema dell’egiziane scritture. Per tali mezzi e per uno studio costante di oltre venti anni, l’erudizio- ne penetrando il segreto delle scritture d’ Egitto , potè finalmente raccogliere le più certe nozioni sulla natura ele- mentare , sul valore e sulle combina- zioni diverse dei caratteri dei quali gli antichi testi egiziani compongonsi. La scoperta dell’ alfabeto geroglifico , base fondamentale del sistema dell’ egiziane scritture, confermata dal voto concorde e pubblicamente espresso di tutte le accademie d’ Europa , prometteva alle scienze storiche un’ampia messe di fatti nuovi e doppiamente importanti, perchè debbono riempire con sicurezza intorno al 161 le grandi lacune che incontransi sulle prime pagine degli annali del moudo. Ma, per corrispondere a tanta espetta- zione , era necessario applicare la co- gnizione nuvella delle scritture gero- glifiche agl’ innumerevoli testi scolpiti su tutti i monumenti pubblici e pri- vati dell’ Egitto e della Nubia. Con questo determinato intendimento, mer- cè la munificenza dei governi di Fran- cia e di Toscana, due commissioni di- rette dai sigg. Champollion il minore e Ippolito Rosellini(*)percorsero que- ste due contrade, dal mare Mediterraneo fino alla seconda cataratta, negli anni 1828 e 1829. Mirando costantemente questi viag- giatori al ben determinato oggetto della impresa loro, ed esplorando ad uno ad uno i monumenti ancor sussistenti sulle due sponde del fiume o nelle po- sizioni diverse della valle del Nilo, hanno diligentemente esaminato e or- dinatamente raccolto ogni specie di do- cumenti di fatto che vengono offerti da ciascun antico edifizio. Di ogni has- so-rilievo e di ogni iscrizione che faccia fede , o di un fatto storico , o di un ar- gomento di una religiosa credenza, o di usanza civile , è stato tratto disegno o copia colla più scrupolosa diligenza. E ogniqualvolta siasi creduto necessa- rio, o perla intelligenza del soggetto o per dare una giusta idea della ric- chezza delle composizioni dell’arte che adorna i monumenti dell’Egitto, i bas- si-rilievi sono stati riprodotti per fedeli disegni con tutte le particolarità di co- lori che sugli originali ancor si con- servano. Questo lungo e vasto lavoro , che ha prodotto una serie di 1500 di- segni , è stato contemporaneamente reso compiuto da una descrizione spe- ciale, e fatta sui luoghi stessi , di cia- scun monumento dell’ Egitto o della Nubia; la qual descrizione contiene il soggetto di ogni basso-rilievo , i par- ticolari dei membri dell’ architettura, (*)I collaboratori delle due commissioni furono î sigg. Alessandro Du- chesne , Lehoux , Bertin figlio, Nestor L’Hòte , Salvadore Cherubini , il Dott. Ricci, Gaetano Rosellini, architetto , Giuseppe Angelelli , Giusep- pe Raddi , professore di storia naturale con un aiuto , e Bibent, archi- tetto. Quest’ultimo , per difetto di salute , lasciò la spedizione alle rovine di Menfi , e tornato in Francia, vi. morì poco tempo dopo : il professor Raddi finì di vivere nell’ isola di Rodi all’ epoca del ritorno ; era morto pochi mesi prima il suo aiuto , ritornando in patria. Il Dott. Ricci è ri- masto paralizzato dalla parte sinistra del corpo , per il morso di uno scorpione ricevuto a Tebe. 4. III, Sertembre. 2I 169 e dell’ ornato che presso gli antichi Egiziani esprimono sempre una qual- che idea analoga al luogo © alla cir- costanza ; e finalmente la copia delle iscrizioni che le sculture o le pitture accompagnano ; allorquando questi te- sti valgono ad illustrare Ja storia. Sembra infine esser venuta l’ op- portunità di mettere sotto gli occhi della dotta Europa i risultamenti di questo scientifico viaggio , 1’ esito del quale , in rispetto alla importanza e alla copia grandissima dei documenti raccolti, ha di gran lunga superato le speranze stesse che consigliarono e decisero la partenza delle due com- missioni per l’ Africa. Il sistema, tenuto nelle indagini fatte durante il viaggio , sarà conser- vato naturalmente nella pubblicazione dei risultamenti che da' queste accu- rate indagini derivarono. Vuolsi in fat- ti per quest’ opera offrire al pubblico, un quadro ordinato dell’ antico stato della civiltà egiziana , e ristabilire la storia dell’ Egitto secondo la irre- cusabile testimonianza dei monumenti originali contemporanei agli avveni- menti. Questo lavoro , che è reso possibi- le e dal numero sì moltiplice dei no- numenti figurati dell’ Egitto o della Nubia, e dalla’ infinita abbondanza delle iscrizioni monumentali , sarà di- viso în tre parti principali che nella loro integrità conterranno , 1.0 400 Tavole delle quali cento al- meno saranno colorite ; 2.° 10 Volumi di testo , corredati di alcune tavole. La prima parte, relativa allo Stato civile, si comporrà' di 136 fino a 140 tavole, la maggior parte colorite , rap- presentanti un gran numero dî soggetti ricavati dalle tombe e dagli edifizi pubblici, ed esprimenti tutte le par- ticolarità del viver civile e domestico degli antichi egiziani. Eccone una in- dicazione compendiata: Tavole La caccia degli uccelli. 4 Le diverse specie di uccelli rap- presentati nelle caccie , la mag- gior. parte coloriti. 7 La caccia dei quadrupedi, varie specie di cani da caccia: qua- drupedi rappresentati in queste scene, e ritorno dalla caccia. 11 Pesca colla canna, colla corda , colla rete e col tridente. Ma- niera di preparare il pesce per conservarlo. Diverse specie di Tavole pesci rappresentati nelle pit- ture che concernono la pesca. 3 Educazione dei bestiami e degli animali domestici, e arte ve- terinaria. 6 Agricoltura. 6 Coltivazione delle viti, vendemmia, arte di fare il vinn, e coltiva- zione degli ortaggi. 5 Arte e mestieri. 26 Vita domestica, casa, mobili, uten- sili di cucina , banchetto , ser- vizio interno della casa, vestia- rio, gioie, ornamenti, ec 25 Musica e ballo. " Giuochi e divertimenti. Nuvigazione e Commercio. Casta militare, ginnastica, armi ed esercizi diversi. Amministrazione della giustizia. Imbalsamatura dei morti e cerimo- nie funebri, 13 cao (a) [Siani La seconda parte comprenderà i monumenti storici che riferisconsi al regno dei Faraoni e della dinastia gre- ca dei Lagidi, distribuiti in ordine cronologico, cominciando dalle più an- tiche epoche fino al regno di Gesarione, figlio di Giulio Cesare e di Cleopatra. Questa importante serie di bassi-rilievi e di pitture formerà circa 200 tavole , distribuite nel seguente modo: Tavole Dinastie primitive , anteriori all’an- no 1822 avanti l’ era cristiana. 8 Regno di Amenòthph I. 2 Touthmosi I. 2 Touthmosi II. 1 Amense e Amenhemhe. 5 Touthmosi III ( Moeris). 4 Amenòthph II 3 Touthmosi IV. 2 Amenòthph III (Memnone). 11 Horus. 6 Rhamses I. 2 Menephtah I. a7 Rhamses II. 12 Rhamses III il Grande (Se- sostri). 42 Menephtah II. 3 Siphtah-Menephtah 2 Menephtah III e il suo sue- cessore. 2 Rhamses-Meiamoun. 30 Altri Rhamses della dina- stia XIX. 3 I Rhamses della dinastia xx. 2 Regno dei Re della dinastia xxi. (Tanite). 3 della xxm dinastia (Buba- stite). 4 è Br Dc. ci . Regno della xx e xxrv dinastia. (Tanite e Saite). I della xxv dinastia (Etio- pica). 3 della xxvi dinastia (Saite). 4 della xxvii dinastia ( Per- siana). 2 della xxviu dinastia (Saite). ! della xx1x dinastia (Men- desia). I della xxx dinastia (Seben- nitica), 1 della dinastia greca dei La- gidi. 14 Foggie di vestito, caratteri fisici e nomi di tutti gli antichi popoli dell’Africa, dell’Asia, ec. rap- presentati sui monumenti dell’ Egitto. 6 Nel testo , che illustrerà queste ta- vole, sarà fatto un accurato confronto tra le diverse narrazioni conservate dagli scrittori greci e latini relativa- mente all’antica storia dell'Egitto, e i fatti ai quali i monumenti originali rendono testimonianza. Da un simile raccozzamento deriveranno cognizioni nuove e dotate di quella certezza che è dagli amatori delle scienze storiche sì ardentemente desiderata. La terza parte, consacrata ai mo- ‘ mumenti della religione e del pubblico culto dell’ antico Egitto, si comporrà di 30 tavole che risguarderanno , o la, dottrina generale della religione egi- ziana, 0 il culto particolare di ciascu- .na città antica della Nubia o dell’ Egitto, della quale qualche monumento ancora sussiste. Il testo, che accompa- guerà questa terza parte, conterrà una descrizione di tutti i templi tuttora esistenti nella valle del Nilo ; si de- terminerà di ciascuno di loro 1’ epoca precisa della fondazione, e dei ristauri o abbellimenti posteriormente aggiun- tivi. Altre 18 tavole finalmente dimo- streranno una importante serie di qua- dri astronomici disegnati nei templi 0 nelle volte delle tombe reali. Il favore di coloro che amano le scienze e le arti è con una certa fiducia atteso per la pubblicazione di questa vasta collezione di materiali storici ri- prodotti colla più rigorosa fedeltà , e che debbono formare un’opera la quale per l’ importanza del soggetto , per la varietà delle parti che Ja compongono; e per la sua bella esecuzione, sarà fatta degna di tutti quegl’incoraggiamenti che la dotta Europa è solita prestare al- 163 le vaste imprese che volgonsi all’utilità universale. L’opera conterrà : I°. 400 tavole in forma grande atlante, incise all’ acqua forte o eseguite in li- tografia, e delle quali cento almeno sa- ranno colorite. II°. 10 volumi di testo in 8°, di 4 in 500 pagine l’ uno , simili per la carta e pei caratteri al manifesto. Questo testo sarà. contemporanea- mente stampato in francese a Parigi e in italiano a Pisa. Le due edizioni saranno somiglian- tissime , conterranno le cose medesime ed avranno lo stesso prezzo. Il Sig. Firmin Didot è incaricato dell’ impressione del testo francese, e il testo italiano si stamperà nella tipo- grafia di Niccolò Gapurro. Il Sig. Dubois, collaboratore del Paunthéon ésyptien, e i sigg. Dot. Ric- ci e Angelelli, disegnatori della com- missione, dirigeranno il lavoro delle ta- vole. Non possono aversi cautele migliori della perfetta esecuzione dell’opera. Essa sarà divisa in 40 dispense della forma grande atlante : ciascuna dispen- sa conterrà 10 tavole, delle quali una o più colorite. La prima dispensa verrà alla luce il mese di gennajo prossimo, e le successive di mese in mese senza interruzione. Condizioni dell’ Associazione. Il prezzo di ciascuna dispensa di 10 tavole è fissato a 20 franchi (lire tosca- ne 24). I 10 volumi del testo sia francese , o italiano, saranno compresi in questo prezzo. Tutta l’ opera, testo e favole, non oltrepasserà il valore di 800 franchi , e si terminerà in tre anni. Il testo verrà dispensato ai sigg. as- sociati per volume 0 mezzo volume a misura che l’esigerà la pubblicazione delle tavole. Le Associazioni si prenderanno , @ Parigi presso i sigg. Dubois, rue de Sa- voie Saint-André-des-Art. n.° 4. -—- Firmin Didot, rue Jacob, n.° 24. Treuttel et Wurtz, rue de Lille, n.° 17. — A Strasburgo , presso Treuttel et Wurtz. = A Londra, presso Treut- tel et Wurtz. — A Vienna. presso Artaria, = A Firenze, presso Gugliel- mo Piatti. = A Pisa, presso i fratelli Nistri. 1604. Per associarsi basta di farsi scrivere ad uno dei recapiti quì sopra indicati, dichiarando se per la edizione italiana o per la francese. Ciascuna dispensa sarà pagata al momento della consegna, e le spese di porto, fuori di Parigi e Pisa, saranno a carico dei sigg. associa- ti, la lista dei quali sarà stampata in testa dell’opera, PROGRAMMA D’ ASSOCIAZIO- NE ud un nuovo Atlante Geometrico della Toscana nella proporzione al vero di 1 ad 86400. i La Toscana che poco fa poteva dirsi affatto mancante di una Mappa corografica, la quale anche in qualche modo, e con qualche vicinanza al vero la rappresentasse, si trova adesso al pari degli altri Stati, e meglio ancora dei più di essi, provveduta di tale interes- sante documento, mercè le laboriose e dotte cure dell’ Astronomo Professore Padre Inghirami, che il primo ha dato ai suoi concittadini una Carta del Granducato regolarmente costruita. Ma una tal Carta, benchè per più titoli eccellente, non ha nè aver po- teva dimensioni tali, da dar luogo alla minuta descrizione di questa nobil par- te della bellissima Italia. Quindi è che il prelodato Profes- sore, bramoso di rendere utili in tutta la loro estensione e suscettibilità le sue lunghe e penose fatiche , prevenendo in questa parte il pubblico desiderio , ha eccitato uno dei suvi giovani colla boratori ad intraprendere la compila- zione di un Atlante, che, costruito sopra una scala bastantemente estesa, fosse atto a rappresentare le parti tutte del Granducato nella maniera la più circostanziata e minuta, che dagli ama- tori di cose geografiche possa mai de- siderarsi. E a tale effetto non solo egli offrì al medesimo tuttii suoi vastissimi ma- teriali, indispensabilmente necessarii per condurre a termine un’ opera di questa natura, ma promise di più la sua assidua e personale assistenza a tutto il lavoro , e, ciò che deve ecci- tare ancor più la pubblica confiden- za, accordò che l’ opera, comecchè principalmente sua , venisse intitolata col di lui stesso nome. Incoraggiato l’Editore dalla certez- za di questi validissimi appoggi, e per viemeglio assicurare alla sua fatica la felicità dell’esito e 1’ incontro del pub- blico gradimento , procurò ed'ottenne di associare a questa intrapresa uno degli egregi artisti che han prestata l’ opera loro nella nuova Garta Geo- metrica , e precisamente quello stesso che ne ha totalmente incisi i contorni. La scala dell’ Atlante è nel rap- porto al vero di 1 ad 86400, ed in conseguenza la superficie di esso risul- terà assai maggiore che cinque volte la Garta Geometrica. Oltre le strade regie , provinciali e comunitative , vi si troveranno moltissime di quelle vi- cinali ,, le più comode e praticate. Vi saranno le ville e la più gran parte dell’ altre case isolate campestri, con- notate, almeno nei luoghi i meno po- polati e ove si potrà , coi loro voca- boli: e più i perimetri o confini di tutte le comunità e provincie dello stato, unitamente ad una esatta distin- zione del suolo secondo le sue pro- duzioni, cioè in bosco di querce e d’ abeti, in castagneti, pinete e uli- veti, in pascolo, vigne ec. Non solo le città e i capoluoghi delle comuni, ma anche le borgate, non escluse quel- le di minor conto , vi si vedranno mi- nutamente delineate in pianta secondo la loro forma attuale. Vi saranno poi diligentemente notati tutti i punti tri- gonometrici che han servito per la triangolazione »rimaria, come pure tutti quelli di cui è determinata |’ al- tezza sopra il livello del mare, la quale sarà espressa con un corrispondente numero arabico. I luoghi di miniere o bagni, tutte le parrocohia secondo la loro classificazione , e quant’ altro in somma si crederà utile e adattato alla scala dell'Atlante , si troverà chia- ramente distinto e nominato. Se la finezza, nettezza e chiarezza dell’ incisione in grado eminente ri- scontransi nella Carta Geometrica, do- vremo sperare che, oltre la precisione ed esattezza geometrica, le dette pro- prietà faranno egual comparsa anche nel nuovo Atlante. I collaboratori nel medesimo hanno prodotto il qui unito saggio per dare una qualche idea del- la qualità dell’ incisione dell’ Atlante istesso, Questo verrà distribuito in 65 fo- gli rettangolari, di cui ciascuno sarà largo 8 soldi e 7 denari (9 pollici fran- cesi e 26 cent.), ed alto r1 soldi er denaro (1 piede francese ) di braccio fiorentino. I fogli che, presentando una notabile estensione di mare, o di su- perficie al di là dei confini dello stato, rimanessero in parte privi di lavoro, formeranno in due una sola-distribu- zione : talchè le distribuzioni effettive si. faranno ascendere intorno va. 46 , ciascuna delle quali verrà rilasciata al prezzo invariabile di paoli 5 toscani pin 2 e 80 cent. ) e sarà pub- licata ‘ogni. mese. incirca. L’ Atlante: resterà infine corredato di una .piecola. Carta rappresentante tutto insieme lo Stato , e reticolata in modo da poter rilevare 1’ ordine dei rettangoli, che vi saranno contrasse- gnati. coi loro numeri: Tal Carta, che potrà anche servire come indice di tut- ta l’opera , verrà ceduta al prezzo me- desimo dell’ altre distribuzioni. Nel casu che si bramasse l’Atlante in semplice contorno , cioè senza la formazione dei. monti , «esso pure sa- rebbe. rilasciato. per mezzo di tante distribuzioni in egual numero ed al prezzo istesso delle preindicate.. IL’ opera ha. già avuto ‘il suo in- cominciamento, ma non sarà proseguita finchè non si trovi raccolto un numero sufficiente di Associati. | LEZIONI di fisiologia di Lorenzo Martini. Torino , 1830, St. Reale 8.° Tomi X , XI, XIL e ultimo. DELLE Storie di Chieri, libri quattro. di Luici CisRaARIo , sostitùto procuratore generale di S. M. e socio della R. Acc. delle Scienze : seconda edizione, 12. Torino, 1831, D. Andr. Alliano. VOCABOLARIO piemontese ita- liano di MicHeL Ponza ve Cavour. Torino , 1831, St. Reale, 8.° Volu- me I° (A-D). I PREGETTI della Morale Evan- gelica , posti in ordine didascalico dal- l’ arcidiacono Luca pe SamugLe Ca. GNAZZI, socio di molte accademie. To- rino, 1831, G. Pomba, 12.° di P: 290. Prezzo lire 2. it. OPINIONI su la natura e ‘l me- todo curativo del CuoLera Morgus asiatico , espresse dal dottor GrusePPE Coruzzi di Parma, intorno una serit- tura, del sig. professore Ottaviani. ANNALI dell’istituto di corrispon- T. lil, Swétembre. 105 denza archeologica. Roma , 1831. Vo- lume III.° a spese dell’ Istituto. MEMORIA sulla origine delle ac- que del Sebeto, di Nupoli antica , di Pozzuoli; .ec. scritta dal .R. Pro- fessore Cav. Tropono MonriceLLI Seg. perpetuo della R. Acc. di Scienze. Na- poli ,$ 1830, F. Fernandi ; 4. di pa- gine. 56. L’ARCHEOGRAFO triestino: Rac- colta di opuscoli e notizie per Trieste e per Istria. 8.° Trim. I. 1830. Vol. II. TEORIA delle leggi della sicurezza | sociale, del Gav. prof. Giovanni Car- micnanI. Pisa , 1831, Fratelli Nistri e C. Tomo I. di p.382. Prezzo fran- chi 4. 83. TRADUZIONE dall’ originale in ' glese della seconda epistola morale di | Pope, sul carattere delle donne, del- l’ avvocato Francesco SsarreTttTI. Pe- rugia , 1831, T'ip. Baduel. VERSIONE italiana del poema di Porx sul Tempio della Fama; dell’av- vocato Francesco SsarreTTI. Peru- gia, 1831, Tip. Baduel. PRECETTI igienici contro il Co- lera-Morbo, di Lurci GHirELLI, mem- bro dell’ I. e R. Istituto di Scienze di Siena, e socio di più illustri Ac- cademie, susseguiti da una disserta- zione diagnostico-curativa sul Golera- Morbo , di L. A. Cosse P. P. di Gi- nevra. Roma, 1831, Tip. Salviucci, 8.0 di p. 130. RICERCHE sulla vera natura del Golera Morbo, e suo.corrispondente metodo curativo , di G. B. GHIreLLI, medico. Roma, 1831 , T'ip. Salviucci. 8.° di p. So. FARMAGOPEA UNIVERSALE, ossia prospetto delle migliori farmaco- pee dell’ Europa e dei più moderni ed accreditati formulari farmaceutici. Que- st’ opera infinitamente. utile all’ uma- nità , e può dirsi necessaria non solo ai professori di medicina e di chirurgia , ma ben’anche a tuttii farmacisti, rac- chiudendo infinite cognizioni, processi, nomi ec. ne presenta più di 14 mila ri- cette riunite col più sano giudizio dal cav. Jourdan. Traduzione dal francese con molte note ed aggiunte. Saranno vol. 2 distribuiti in 30 fascicoli circa, 22 160 in 8, a due colonne, dei quali sono pub- blicati 12; al prezzo di baj. 22 e mezzo l uno. Roma, 1830-31, B. Scalabrini, LE OPERE DI BUFFON, nuova- mente ordinate, ed arricchite della sua Vita e d’ un ragguaglio de’ progressi della Storia Naturale dal 1750 in poi, del conte di LacePEDE , edizione com- pleta; vol. 40, non comprese le aggiunte, distribuiti in circa 120 fascicoli, adorni di duecento tavole eseguite in litogra- fia, dei quali sono già stati pubblicati 18; in 12.° I) prezzo di essi con tavole mi- niate è di ba). 22 e mezzo; in nero baj. 17 e mezzo. Roma, 1830-31, B. Scalabrini. E sortito il fascicolo XX.° SYLLOGE plantarum vasculariùm Florae Naepolitanae hucusque detecta- rum; auctore MicHaeLe TenoRE, in Regia Neapolitana studiorum Universi tate botanicae professore ec, ec. Nea- polis 1831, ex typographia Fibreni, un volume unico in 8.° di pag. 554. BIBLIOTECA PORTATILE del viaggiatore: Volume quarto: Opere com- plete di Pierro Merasrasio. Firen- ze , 1831, Pietro Borghi e G. Manifesto = Le Opere complete dell’ immortale Metastasio, comprese in un solo volume , secondo l’annessa Modula del Manifesto , formeranno il tomo quarto della Biblioteca del Viaggiatore, che già con sovrano pri- vilegio si prosegue in Firenze dalla Tipografia Borghi e Compagni. Il ritratto dell'Autore, quattro ele- | Cc. ganti vignette, unicarattere del tutto nuovo , una carta scelta, una corre- zione scrupolosa, formeranno i pregi di questa edizione. Sarà essa distribuita in fascicoli, che verran pubblicati di venti in venti giorni, e che saranno dispensati ai si- gnori associati pel solito prezzo di lire 2 6 8. Ogni fascicolo comprenderà sette fogli di stampa ; e tutta l’opera uscirà presso a poco in venti distribu- zioni. Le associazioni si, ricevono in Fi- renze dagli Editori, e fuori dai Distri- butori del presente Manifesto. Il pri- mo fascicolo vedrà la luce dentro i.pri- mi quindici giorni del futuro novembre. Firenze , 29 Ottobre 1831. Gli Editori. LIBRI ITALIANI STAMPATI ALL’ ESTERO. VITE de’famosi Capitani d’Italia, composte per Francesco Lomonaco, coll’ aggiunta dell’ elogio di Raimondo Montecuccoli, scritto da Acostino Pa- rapisi. Lugano ; 1831 , G. Ruggia e 12.0 Tomo I." SAGGI politici dei principii, pro- gressi e decadenza della Società , di Francesco Mario Pacano : terza edi- zione. Lugano, 1831 , G. Ruggia e €. 12.° Tomo I.° di p. LVI. e 220. DEI Promessi Sposi di Alessandro Manzoni articolo primo. Lugano, 1831, Ruggia e C., 8." di pag. 56. il | d Ì i INDICE DELLE MATERÌE CONTENUTE NEL VOLUME XLIII.” x = ME = Scienze Monari e PoLrricÙe. SE de’Francesi del sig. De’Sismondi. Art. VI. (F. Forti) A. 23 93 2) LEI B. Storia del commercio tra il Levante e l’Europa, del sig. Depping. Art. I. (J. G. H) A. 39 gi IL ;, B. Osservazioni semiserie di un esule nell’Inghiltetra , dì ‘* G. Pecchio. Art. I.. (Estratto) B. » so IL » O. Adunanza annuale della Società formatasi per la diffu- sione del metodo di reciproco insegnamento , tenuta in Firenze il dì 18 aprile 1831. (Il Segretario) A. Introduzione alla Storia Universale, del Michelet (G. P.) B. Terzo rapporto del Segretario della Società pel mutuo insegnamento di Livorno, all’adunanza generale del 15 settembre 1831. (Prof. Doveri) ,, Saggio dell’ origine e del progresso de’ costumi e delle | opinioni a’ medesimi pertinenti , di Iacopo Stellini. spo 3 (Celso Marzucchi) Le servitù prediali sanzionate dal Codice Napoleone, ri- «dotte a’casi pratici dall’ avv. L. Piccoli, e dal prof. A. Gherardesca (Av. T. Tonelli) Trattato delle servitù fontliarie di Matteo de Augustini ,, Al Nuovo Giornale Ligustico. (71 Direttore dell’ Ant.) 2) 23 23 e24 107 Pag. LZÀ 33 29) 99 29 33 39 2) DAI 136 139 173 168 5 Sermonì sacri di Lorenzo Sterne , trad. del Monti. #% ve X. Y.) G. Pag. Principii del diritto commelita Poletto rito delle leggi pontificie , di Emidio Cesarini (G. Giusti) , Teoria delle leggi della sicurezza sociale, del cav. prof. G. Carmignani, |) | di ” di 4,4 v pù Della colonia de’ Genovesi in Galata. (K. SF e Vendita della Bib. Boutourlin. (T. Tonelli) > Grocnaria , Statistica è Vracci ScrenTIFICI. 4 / j i Sul famoso mappamondo di Fra Mauro Camaldolese del secolo XV. Lettera al cav. de Hammer. (Gius. Conte Sierakowky) A. Pag. Itinerario dell’ Egitto e della Nubia del sig. Rifaud. (J. G. H.) GC. ,, Della Catalogna , e della sua lingua. Art. JT. (02) da Annunzio di un nuovo atlante geometrico della Toscana nella proporzione di 1 a 86400. tt 1 de E LerreraTuRA , FiLoLoGia , EC. Lettera sesta intorno a’ codici del M. Luigi Tempi. (M.).A. Pag. ,3 settima. e ie Scienza del Bello. Palermo 1830. Dato (K. Xx. F.) A» Utili avvertimenti di vita civile estratti dal Sognatore italiano , attribuito a G. Gozzi. 23) 33 33 Ricerche bibliografiche sulle edizioni ferraresi'del sec. . XV., di Giuseppe Antonelli. POSTARE Ristretto della storia della letteratura italiana, di Fran cesco Salfi. rv. i n Principi di grammatica latina compilati dall’ dia D. S. per uso del collegio Forteguerrìi di Pistoia. (Mi) 30005 Lezione di Vincenzio Follini sopra due edizioni del se- colo XV. luigi prio Poesie inedite di Ugo Foscolo. salta 9y Il Catorcio d’ Anghiari, poema eroicomico di Federigo Nomi. op 3903) Alcune Odi di Q. Orazio Flacco , recate in italiano dia Niccolò Vecchietti. » Orazio , colle note del.cano- nico Giordano. (Le.C.).;v di Vocabolario piemontese italiano #1 Michel Ponza di. |... Cavour. (L. Cibrario) »; » Elementi di grammatica latina, composti dall’ Ab. Car- ducci. (Celso Marzucchi) 33 33 l 18 (ni 129 130 133 133 23 90 74 106 112 114 116 118 119 120 (120 Elogio funebre del Padre Ottavio G. B. Assarotti , di M. Marcacci. (T. Pendola delle Scuole Pie) A. Pag. Genigrafia italiana del P. G. G. Matraja (1. IT.) B. ,, Corso di letteratura greca moderna di Jacovaki Rizo Nernlos. (E: Yi Della pubblica biblioteca di Ferrara, ragionamento ac- cademico del co. ab. V. Cicognùra (A dv P.)4 Antologia italiana compilata dal prof. Giuseppe Mon- terossi. » 3 > Lo scisma d’ Inghilterra , ristretto da B. Davanzati. Lo scisma d’Inghilterra , sotto il regno d’Elisabetta, ristretto del Gaspari. 5a Alcuni avvertimenti civili e letterari di B. Davanzati. ,, Della Calofilia, libri tre del dott. Girolamo Venanzio. ,, Libro di temi francesi di Agostino Le Randu. (M.) Le vite di Cornelio Nipote volgarizzate dal conte Ant. Safh. - Le medesime, tradotte da Tom. Azzocchi col testo a fronte. COTE Per la inaugurazione del monumento eretto in onore del Goldoni, nel teatro della Fenice , orazione del dot. Paravia. (I. Xx. F.) Istoria della letteratura greco-profana di F. Schoell, trad. di E. Tipaldo NA La Danza, carme del Quintana , trad. del d. Paravia. ,, Sermoni di Jacopo Antonio Vianelli. > Giovanna d’ Arco, tragedia di Fed. Schiller , trad. del GC. A. Maffei. di Poesie di Luigi Carrer. > Breve Dizionario di Mitologia , ed. della Minerva. % Poesie siciliane di Giovanni Meli, trad. latina di V. Raimondi. ce Guida al lago di Como. 3 Scoperta bibliografica. (Carlo Witte) Erisia Lampugnani, tragedia di Carlo Angiolini. = Anna Erizzo tragedia di Giuseppe Vedeche. = Gi- smonda tragedia d’ un Fiorentino. (L.) Di un nuovo Commento alla Divina Commedia. (K. X. Y_.) Elogio del Conte Saluzzo, scritto dal Grassi. 45 Erotiche, di Girolamo Fattorini. se In morte di Mons. Antonio Cicuto , di Ant. Meneghelli. ,, Epigrammi dell’ Antologia greca, volg. da Francesco Negri. i Versione fatta dal greco di tre canzonette di Atanasio Cristopulo. po) Poemi di Esiodo Ascreo , recato in italiano. > Viia di Giovanni Bellini, scritta da Carlo Ridolfi. ,, 169 23 149 51 98 130 131 132 133 134 I40 I4I r4a 143 144 145 145 147 148 149 149 ISI 65 95 113 115 119 ’” 120 122 123 170 Prediche del B. F\ Giordano da Rivalto. (UU). Ragionamento critico di Giuseppe Bozzo intorno ad un luogo famoso della D. Commedia. ESTERE I rivali, romanza di Giuseppe Gazzino, osa Il Canto XXIII. dell’Odissea d’Omero, trad. di U. Lam- predi. (L). ti Versi di Ces. Ruel. . , (IG fot o Nuova vita del Foscolo... sei) ArRcHEOLOGIA. I monumenti dell’ Egitto e della Nubia, pubblicati dal sig. Champollion minore e Ip. Rosellini. (X.) C. Bere Anti. Lettera al Direttore dell’Antologia sul ponte di pietra di un sol arco gettato sulla Dora Riparia presso Torino, opera del cav. Carlo Mosca. (Raimondo Buzani) A. Caffè Pedrocchi in Padova. Lettera al march. Ridolfi. (Giuseppe Barbieri). ,, Intorno al coguome di Vincenzo da S. Gemignano. (Canonico Tabarrini) ;; Impresa litografica in Venezia. (M. Missirini) B. L’ architettura di Vitruvio , tradotta in italiano da Quirico Viviani , illustrata con note critiche , ec. opera del. traduttore e dell’ ingegnere Vincenzo Tuzzi. (0.) @. Iconografia contemporanea , o collezione di ritratti de? più celebri personaggi italiani , incisi dal sig. Ven- dramini. (X) » Pitture napoletane esposte nell’ ottobre 1830. 1a Scienze Narurati , lisicue , e MarematiIcHE. Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino. Tom. XXXIII. (E. R.) A. Discorso sull’ influenza del calore sul magnetismo. (Carlo Matteucci) ;, Intorno al nuovo ‘vulcano presso la città di Sciacca, Lettera al Duca Serra di Falco. (Federico Hoffman) ,, Lettere scientifiche appartenenti alla corrispondenza del D. L. L. Linussio di Tolmezzo. .. (X.) B. Meteorologia. Bull. Scient. Settembre 1831. Q. Fisica e chimica. 39 omni 55 53 Varietà, »o 5a 5 % Pag. + 124 125 126 127 131 132 64 85 146 152 32 117 128 L7I SbcieTÀ SCIENTIFICHE. I. e R. Accademia de’Georgofili. Ad. del 2 gennaio 1831. » 6 febbraio- 4 10 aprile. 4 1 maggio. = 5 giugno. (E. R.) A. Pag. 139 Accademia Pontoniana di Napoli: Programma per l’an- no 1831. “da dea SURI BULLETTINO ScIENTIFICO-LETTERARIO. Luglio 1831. A. Pag. 128 Settembre ,,. C. NeckoLoGIA. 23 23 Padre Ottavio G. B. Assarotti. (T. Pendola delle Scuole Pie) A. Pag. 149 Frediano Vidau. (VASI Prof. Giacomo Barroero. (De Rolandis) ,; ,, 153 Carlo Ercolani. (Francesco Ilariî) ,, ,,) 154 Tommaso de Ocheda. (ABI 1 Guglielmo Roscoe. a iBe S5i, 195 Bernardino Reynier. (BC. Fa 53 Luigi Pons. (GG 303, 55 BuLLerTIno BisLiocnaFico. Luglio 1831. A. Pag. 156 Agosto > Bigi Settembre ,, C. 172 ERRATA CORRIGE Del Fascicolo precedente. Pag. 1a1 nel penultimo verso della 2. nota. impotente importante. » 122 lin. 6 passioni posizioni. ,; 109 ult. nota Boulanger Beranger. Fine del Tomo XLIII. OSSERVAZIONI METEOROLOGICHE FATTE NELL’OSSERVATORIO XIMENIANO DELLE SCUOLE PIE DI FIRENZE Alto sopra il livello delmare picdi 205. SETTEMBRE 1831. O, Termom. | = Hm > > TC LEI (d|e| —_ 5 > 3 ed RiRO! d e| Ora 5 2|e|a|sih388 Stato del cielo = © (o) © © ° (©) 9 (0 n ai e) ce 5 lo) i i) SD 5 ba, (o) 6 ° ° ° ° Ù dl rr m—ttm 98 set 0 Vgist \\E ll Ia ti iti insiti citi i ì | 7 mat. |28. 1,0 | Se 17,9 87 iSc. Le. | Sereno Calma 1|mezzog. |28. 0,4 Î 21,4! 21,9 , 60 iT. Ma, ‘Ser. con nuv. Ventic. .| rr sera |28. 00 | 21,7; 17,0 gt |0,05 Se. Le. Sereno Calma 7 mat. 21,3] 16,8] 9I Sciroc. |Nuvolo Calma 2| mezzog. |27. 10,5 | 21,4| 20;0| 82 P. Ma. |Nuvolo ser. Calma Ir sera |27. 9,0 | 20,4| 16,0] 94 Sc. Le. |Sereno nuv. Ventic. .| 7 mat. |27. 89 19,8 116,2 75. ‘0,51|Ostro :Nuvolo ser. Ventic. 3| mezzog. |27. 94 | 19;5] 18,8] 49 P. Lib. seri nuv. Ven. For. 11 sera |27. 9;6 | 19,01 12,0] 92 | 0,08 Levan. | Pioggia Ventic. 7 mat. |27. 10,6 | 18,1] 11,0] 95 | o,og|Levan. |Nuvolo Ventic. 4| mezzog. |27. 11,5 | 18,0| 16,6| 66 P. Ma. |Nuvolo ser. Ventic. 11 sera |28. 0,1 | 18,1] 13,6] 88 Sciroc. |S. con n. bassi. Ventic. ln | =. _{--_ —_—____|;{—______| __|{ _ _ —r—rr————— 7 mat. |28. 0,0 | 17,5] 12.a' 93 Ostro |Sereno neb. Ventic. 5| mezzog. |27. 119 | 175! 17,1] 59 T. Ma. |Ser. con nuv. Vertic. _| rt sera 28. 0,6 18,1] 14,0] 84 Sc. Le. |Sereno Ventic. 7 mat. |28. 1,6 | 18,0] 12,3] 85 Se. Le. |Sereno Ventie. | 6| mezzog. |28. 1,5 | 17,5] 17,8] 52 P. Ma. |Sereno Calma _| at sera 28. 2,4 | 189] 14,1] 89 Sc. Le. {Sereno bel. Venti c. 7 mat. |28. 2,3 | 17,6! 12,8] 93 Sc. Le. S. con n. bassa Ventic. 7| mezzog. 128... 2,2 | 17,7] 18,0| 57 P. Ma, Sereno Calma __\. ti sera [28 2,3 ! 18,3; sol 80 | Sc. Os. Sereno bel. Ventic, | 9 Lerinoui. Ke "g » o) = TAVGINA.VIET228 Si Ora | 9 5 iS; $ Ss. è. 3 3 CINI RI SOR RAR 5 Pdf $ DOTE rai ET T--EENEEe e — — ———6_6E€«E II I 7 mat. |28. 2,9 17,0j 13,3] 90 Ostro 8 ORSO : 1,9 | 17,9| 18,2] 50 P. Lib. _| rt sera (28. 1,5 | 18,5] 16,t] 79 ;Sc. Le, 7 mat. 128. »,2 | 18,1] 14,0] 90 SR - |Sciroc. 9| mezzog. 27. 11,9 | 18,4| 19,8| 62 Libec. II sera 27. 10,5 | 19,0] 16,2] 96 ' 0,06 Sc. Le. | 7 mat. |27. 10,1 | 18,7| 16,0| 94 | 0,24[Os. Li. ro; mezzog./27. 9,8 | 18,71 18,01 71 Os. Li. _| ttsera |27. 10,5 Ri 18,3 15,9] 82 Os. Li. 7 mat. |27. 11,5 17,7 13,0| 93 P. Lib. hi mezzog. 27. 11,9 | 17,7; 18.3) 55 Libec. Irsera 128. 0,7 | 17,9! g_13,9i gr | |Le. Se. Sereno nuv. gr | Le. Sc. gmat. |28. 1,2 | 17,2 21 13,0) 94 | |Tr. Ma. |Nuvolo 94 Tr. Ma. 12] mezzog.|28. 0,8 | 17,3) 17,9] 60 P. Lib. ri sera |28. 0,8 174 13, 6; 7° Sc. Le. 7 mat. 28. 0,4 cdi 12,9 70 ve ‘isa Le. 13 mezzog. |28. 0,0 | 16,9' 17,0] 63 Lib. P. | 11 sera |27. 11;6 17,7 | | 14,0] 57 | Sc. Os. |, Os. 7 mat. |27. 11 :4 17,0 | 12,5 5| 37 | |Sc. Le. ] Sc. Le. 14| mezzog.!27. 11,4 { 17,1{ 17,61 55 P. Ma. Tr sera 27. 11 ,9 17,9] _13,6| St IP. Ma. 7 mat. 27. 11,5 | 17,6) 14,2) 51° 0,08 Levan, 15| mezzog. 27. 11;5 | 17,5] 15,0| 5: | 0,14 Sc. Le” 11 sera !28, 0,0 | 16,9] 14,0] 51 28. 0,0 | 16,9] 14,0] S1 | 007.8 Sc. Le. 7 mat. |28. 0)a | 28. 0,1! 16,4 14,0] 51 | 043 15,0 51 | 0,33;Sc. Le. 16} mezzog.|28. 0,2 | 16,4 15,1 o,10|Os. Sc. ri sera |28.. 03 16,0 14,5 0,22 {Pr M. “| 7 mat. |28. 1,1 | 15,8 13;9 Te Mi 17| mezzog.:28. 1.0. 15,9 169 Tr. G. ri sera (28. 1,2. 16,3 14.1 Sciroc. 7 mat. ;28. 14 | 15.8| 12,9 1Sc. Le. 18| mezzog. 28. 1.2 | 15.81 16,0 Tr. M. rrsera 28. 132 164 14,4) Sc. Le. 7 mat. 28. 1,8 | 16,0) 12,4 ' Ponen. 19] mezzog. 28. 1,8 16,2. 16,5 P. Mae. rrsera 28. ur 17,9 16m Levant. i Stato del cielo Sereno Calma Sereno rag. Calma Sereno bel. Ventic. ‘Ser. con neb. Navoloso Ventic. Nuvolo Ventic. Nuvolo Calma Nuvolo Vento Nuvolo ser. Calma |Nuvolo Ventic. A vl ser. Vento :Sereno nuv. Ventic, Nuvolo Calma Ser. con nuv. Vento iSereno Ventic. Ser. con n. bas, Ventici Ser. con nuv. Calma :iSereno Ventic. Ser.. con neb. Calma Ser. ragn. Calma Ser. c. n. spar. Calma Piovoso Ventic. Piovoso Ventic. Pioggia Calma Nuvolo sereno Ventic. Pioggia Calma Nuvolo Calma !Ser, con nuv. Calma ‘Sereno Vento ‘S.c. nuv, spar, Calma Ser. con neb. | Calma Sereno Calma Ser. con nuv. Ventic. iSereno neb. Calma Ser. con nuv. Ventic. Sereno Calina 28. 0,9 7 mat. 28. e; 3o|mezzog. pparnena: sera |28. 0,0 15, A 167| 16,8 15,0 Sc. Le. i7;1 _16,9, ____|Sciroc. Levante Nuvolo Pi un ser sti 10 | 169) 160) g1 | |Sc tolsero Calm 9I 8 9I pe __——r——f@@@@’_ucoT—P—P—T PPP _m@»___ Calma Venti . Calm:. :Nu volo Novolo DI dermowse | 7 le > D E 3 i a EE | Ora 3 |a | 5]|sz]| 3.8 Stato del cielo 3 © e © © (©) 3 ° 9 _. - [una Ò 7 mat. |28. 1,8 16| 13,3 P. Lib. |Nuvolo caligà Calma »0|mezzog. |23. 1,6 | :6,5! 17,1 Ostro |Nuvolo Ventic. _| 31 sera 28. 1,9 17,0| 16,2 Sciroc. |Nuvolo caliga Ventic. 7 mat. |28. 1,7 | 16,0) 134 “|P. Lib. !Nuvolo caligg Calma »i|mezzog. |28. 1,4. 16,2) 17,1 Maestr |Nuvolo calig. Ventic 11 sera |28. 1,4 | 16,1 15,0 Ponente | Nuvolo caligé Calma 7 mat. [28. 1,5 | 16,1! 13,7 Os. Sc. |Sereno calig. Calma 22|mezzog. |28. 1,6 | 16,2] 18,0 Ponen. |Ser. con nuv. Calma _|_rt sera 28. 1,6 | 17,2 15,9 |Se. Le. | Nuvolo neb. Calma 7 mat. 128 2,0 | 16,8| 15,1 pi |Sciroc. Nuvolo calig. Calma 23|mezzog. |28. 2,0 | 17,1| 19,1 iP. Ma. |Nuvolo callg. Ventic. 11 sera |28. 2,3 | 17,0] 16,0 ‘Maestr. |Nuvolo colig. Calma 7 mat. |28. 2,8 | 17,2] al 16,0 | Maestr. | ‘| Caligine Calma 24!mezzog. (28. 2,4 | 17:7) 19;2 (Maestr.. : Navolo Calma 11 sera |28. 3,3 17,3| 15,5 Levant. ‘Ser. con nuv. Calma ——l rr—r——— ARE e e a; — | ————1@@@1—..@1—11212141__——1. n mat. ° 3,3 | 17,0! 15,0 Tram. |S.c.nuv. bas. V. For. 25 mezzog. 3,4 | 16,9, 16,9 T. Ma. |Ser. bel. Vento For. 11 sera les 2,2 | 17,2] 16,0 Sc. Le. Nebbia Ventie 7 mat. |28. 2,2 | 16,9) 15,t Levan. {Sereno nuv. Ventic 26|mezzog. |28. 2,1 17,01 17,9 T. Ma. |Ragnato Vento 11 sera (28. 1,2 | 17,1 15,6 P. Ma. |Nuvolo Vento 7 mat. |27. 11,0 16,0! 14,0 0,36 Levant®|Piovoso Ventic, 27|mezzog. |27. 10,7 16,8; 15,5) 88 Os. Li. | Piovoso Ventic. _ rt sera |27. 10,4 dad 13,1; 89 Libec. |Sereno neb. Calma | 7 mat. |27. Il Le 12,0] 92 Sc. Le. |Ser. con calig. Calma 20 mezzog. ni 11,2 15,3] 84 Libec. |S. c. nuv. bassi Calma ri sera - # 3 14,3| 88 | 0,29 Sciroc. {Sereno nuv. Calma q mat. 16,3) 15,0) 87° 87 Sciroc. {Nuvolo ser. Calma 29° mezzog. si or | 16,5 17,0) 82 (n Daga Nuvolo Calma | arser | 168 dA gI Sereno Calm: é È i Paa) 1 “n eh ds Per la Toscana ; Lire 36 toscane per 1 anno per tutto il Regnoy À ‘Lombardo Veneto Peach 36. il Regno Sardo Ùi x er (E Ducato di Parma, _ Panthi 36. per «Roma e sue lora 3 —.scudi 8. TIZI $ È + per Hr e tafta la Romagna ; — franchi 86, cp P Estero gi franchi 36. i o NT uasi i esaurita) non si può rilasciare a meno di d'Arno 1830. i Un Fascicolo sciolto ; quando sia disponibile. Ir Prezzo D’ ASSOCIAZIONE da pagarsi anticipatamente, franco di porto per la posta franco di porto per la posta franco alle frontiere per la posta franco di porto peria posta franco alle frontiere | frave, Torino: ‘lo Milano franco Parigi ca per la Ln L'intera collezione dei 10 anniy 1821- 1830 N ora 120, în 4o volumi broché L. og: ‘gli anni separati dal 18ar ‘al 1829 ; quando esistano , ciascuno. 5; 24 FE ie 3919 INDICE PRE MATERIE > CONTENUTE Shot at NEL PRESENTE quaDERNO. Dini Fin hi LA fici semi-serie di un Su sull Lughilto e rra di c. Piichioi x Hi Art. II È, si (Estratto) Pag. n° ‘‘tinerario. dell” Egitto e della Nubia.; del sig. eo CAS Hi), » 19 L'Architettura di Vitruvio trad. italiana di 'Q. Viviani, 0/0 (0. SE si 138 Della Catalogna e della sua lingua. Arti L. se P.I) È Erisia Lampugnani , trag. di Carlo Angiolini. a: SB) 66 Anna Erizzo , trag. di Giuseppe Vedeche. P RISE e » ss È Gismonda ; trag. di un Fiorentino. POR E » Lettera VII intorno a’ codici del March. Pempi. RATE (M, e, 7 Della fortuna delle parole ; libri due del. cav. Manno. (K. tit Y) ; i Di, un nuovo Commento alla Divina Commedia, . it Rivista: LEmenn ARIA. = Grassi. Elogio del:co. Saluzzo ; pi sid —_ Fate Ri torini. Erotichie ;. e Saggio sul romanticismo , p. 115, Champollion RE e Rosellini. Manifesto, p.416. — Vendramini. Iconografia contempo= | SIC ranea , p. 117, — Sterne. Sermoni sacri, p. 118. — Meneghelli.In morte di monsiguor Cicuto, p. 119, — Megri. Epigrammi dell’ An Do. tologia greca volg., p. 119. — Cristopulo. Canzonette , p 120, Esiodo Ascreo. Poema volg., p. 122. — Carlo Ridolfi. Vita di Gio. vanni Bellini, p. 123,— Giordano da Rivalto. Prediche ; p. 124. — Bozzo. anca este critico , p.. 125. == Gazzino. Mpa n p. 126. = Lampredi. Poesie, p. 127. — Davide Puoti. Pitture na- poletane., p. 128. — Ceggia Principii del diritto commereiale ; p-129. — Carmignani. Teoria delle. leggi della sicurezza sociale, p. 130; — Ruel. Versi, p. 131. = MVuova vita del Foscolo; p. 132. — K, X. Y. Lettera sulla colonia Genovese in Galata , de 13% a - Vendita della Biblioteca Boutonrlin-, p.. 133. BuLirtTINO scrENTIFICO- LETTERARIO, Metearologia ) Pi 135, — “Fis De (9A e‘chimica , p. 138: — Varietà, p. 148. — Manifesto d’ un muovo A Atlante geometrico della Toscana P 104: i pa NrcroLocia. Bernardino Renier. Gio. Luigi Pons. Bullettino bibliografico. i Tavole meteorologiche. Sci E bell’ é "° Mi # »+ fort